Erodoto magazine. Verso l'interrogazione-Atlante storico. Per le Scuole superiori. Con e-book. Con espansione online: 4 8835047781, 9788835047780

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Erodoto magazine. Verso l'interrogazione-Atlante storico. Per le Scuole superiori. Con e-book. Con espansione online: 4
 8835047781, 9788835047780

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GIANNI GENTILE, LUIGI RONGA, ANNA ROSSI

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MAGAZINE

ERODOTO

CORSO DI STORIA, CITTADINANZA E COSTITUZIONE

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Presentazione

apparati didattici, mentre l’originalità è costituita soprattutto dai Magazine, vere e proprie riviste che propongono un diverso approccio allo studio della Storia. Il manuale si articola in Unità.

Le aperture delle Unità evidenziano il prima e il dopo rispetto all’argomento trattato.

PRIMA: Supremazia della Francia e monarchia assoluta L’Europa di metà Seicento appariva dominata dalla Francia di Luigi XIV: nelle relazioni internazionali nessuno pareva in grado di contrastare le sue pretese, mentre l’organizzazione assolutista della sua monarchia era un modello per quasi tutti i sovrani.

CAUSE Il Re Sole intende imporre la supremazia francese in Europa

X

La monarchia Stuart tenta di imporre l’assolutismo provocando uno scontro con il Parlamento

X

Dopo il pericoloso assedio di Vienna compiuto dai Turchi nel 1683, le potenze europee si uniscono nella Lega Santa

X

Pietro il Grande affronta la Svezia per il dominio del Baltico nella seconda guerra del Nord (1700-21)

X

Terminata la dominazione spagnola, il territorio italiano è ancora conteso sia nella guerra di successione polacca che in quella austriaca

X

La guerra dei Sette anni (1756-63), è combattuta dalle potenze mondiali sia per il controllo della Slesia sia per il primato coloniale

X

EVENTI

CONSEGUENZE

1684: Dieta di Ratisbona

X

1688: Gloriosa Rivoluzione, il Parlamento offre il potere a Guglielmo d’Orange

X

Con la Dichiarazione dei diritti (1689) il Parlamento istituisce una monarchia costituzionale

X

L’Austria ottiene la sovranità su Ungheria, Transilvania e Croazia, Venezia ottiene i porti di Dalmazia e Albania e la Russia il porto di Azov

1720-21: Pace di Stoccolma e pace di Nystadt

X

Fine dell’egemonia svedese sul Baltico a favore di Russia e Prussia

1748: Pace di Aquisgrana, stabilizzazione della situazione italiana

X

Il Regno di Napoli va a Carlo di Borbone, la Lombardia passa sotto il dominio degli Asburgo d’Austria

X

La Gran Bretagna rafforza la sua influenza commerciale e ottiene da Francia e Spagna numerosi possedimenti coloniali

1699: Pace di Carlowitz, tramonto della potenza ottomana

1763: Pace di Parigi, sancisce la superiorità della Gran Bretagna

L’Impero austriaco riconosce le annessioni francesi compiute fino al 1681

Gli eventi, come fossero una linea del tempo, vengono commentati mettendo in evidenza le cause e le conseguenze degli avvenimenti presi in esame.

DOPO: Primato mondiale della Gran Bretagna e monarchia costituzionale Uscita vittoriosa da un secolo di guerre, la Gran Bretagna si assicurò un primato politico e commerciale a livello mondiale; contemporaneamente, la sua monarchia costituzionale si proponeva come alternativa all’assolutismo.

Interagiscono con la narrazione storica numerosi strumenti

UNITÀ 1

38

L’Europa tra Sei e Settecento

UN SECOLO DI GUERRE (1667-1763) Anni Guerra Stati coinvolti

didattici come Guida allo studio, Lessico e Tutor. La narrazione storica è arricchita da rubriche come Letteratura e storia, Cinema e storia, Arte e storia, Approfondi-

TUTOR Pace

Conseguenze

1667-68

Guerra di devoluzione.

Francia contro Spagna, Olanda e Inghilterra.

Pace di Aquisgrana (1668).

Rafforzamento della Francia.

1672-78

Guerra d’Olanda.

Francia, Svezia e Inghilterra contro Olanda, Spagna e alcuni principati tedeschi.

Pace di Nimega (1678).

Rafforzamento della Francia.

L’Impero ottomano fu fondato nel XIV secolo da Osman, da cui prese anche il nome. Durò fino al 1922, anno della deposizione dell’ultimo sultano: Maometto VI. Per tutta la sua storia fu una spina nel fianco per l’Occidente: prima come pericoloso avversario in grado di misurarsi alla pari

Guerra della Lega Santa.

1688-97

Guerra della Lega d’Augusta.

Francia contro Austria, Spagna, Svezia, Prussia, Inghilterra, Ducato di Savoia, Olanda.

Pace di Rijswijk (1697).

Prima sconfitta di Luigi XIV.

1701-13

Guerra di successione spagnola.

Francia contro Austria, Inghilterra, Olanda, principati tedeschi, Portogallo, Svezia, Ducato di Savoia.

Pace di Utrecht (1713). Pace di Rastadt (1714).

Fine della supremazia francese in Europa e della dominazione spagnola in Italia.

Seconda guerra del Nord.

Svezia contro Russia, Polonia, Danimarca e Prussia.

Pace di Stoccolma (1720). Pace di Nystadt (1721).

Rafforzamento della Russia e declino della Svezia.

Austria e Impero ottomano.

Austria e Venezia contro l’Impero ottomano.

Pace di Passarowitz (1718).

Rafforzamento dell’Austria e declino dell’Impero ottomano.

mento, Vita quotidiana, I Protagonisti, Documenti (ico-

1733-35

Guerra di successione polacca.

Austria e Russia contro Francia, Spagna e Regno di Sardegna.

Pace di Vienna (1735).

Evidenzia la debolezza della Polonia; nuova sistemazione dell’area italiana.

1740-48

Guerra di successione austriaca.

Austria, Inghilterra, Regno di Sardegna contro Prussia, Baviera, Francia e Spagna.

Pace di Aquisgrana (1748).

Rafforzamento della Prussia e stabilizzazione della situazione italiana.

nograici o scritti), I luoghi della storia, Geostoria (che

1756-63

Pace di Hubertusburg Guerra dei Sette Austria, Francia, (1763). anni (in Europa Russia Pace di Parigi (1763). e nelle colonie). e Spagna contro Inghilterra e Prussia.

L’Inghilterra conquista il primato nelle colonie e nel commercio mondiale.

2. Solimano il Magnifico (1520-1566). Fu il grande protagonista dell’espansione ottomana che si misurò alla pari con Carlo V d’Asburgo.

Fasi di espansione dell’Impero ottomano: 1453-1520 1520-1566 1566-1683 direttrice dell’espansione ottomana in Europa massima espansione raggiunta nel 1683

1. La progressiva perdita di territori. Accompagnò il tramonto dell’Impero ottomano e le conseguenti mire delle potenze europee che destabilizzarono per tutto l’Ottocento l’area balcanica.

UNITÀ 2

62

APPROFONDIMENTO

LESSICO

assuntivi che aiutano a comprendere meglio la narrazione.

3. Non lontano da Federico è seduto il filosofo Voltaire, che passò tra il 1750 e il 1753 diversi mesi nel castello, ospite di Federico il Grande. 2. Facevano parte dell’Accademia i più importanti intellettuali del tempo: Voltaire, Montesquieu, d’Alembert e il tedesco Immanuel Kant.

292

Apertura della linea ferroviaria LiverpoolManchester.

IERI

Ci si spostava a piedi o a cavallo, i più ricchi con le carrozze, e i tempi per raggiungere la meta erano interminabili OGGI

La rapidità negli spostamenti è una caratteristica del mondo moderno: dall’invenzione del treno e poi del motore a scoppio i mezzi di trasporto sono diventati sempre più veloci

reggia estiva. Fu qui che spesso gli intellettuali si incontravano con il sovrano e facevano circolare le idee illuministiche. 1. Gli illuministi che siedono alla tavola fanno parte dell’Accademia delle Scienze di Berlino, arrivata al massimo splendore con Federico II.

Gli obiettivi principali delle riforme furono: ƒla riorganizzazione dell’apparato burocratico, al ine di rendere l’amministrazione dello Stato più razionale; in questo campo, particolarmente importante fu l’istituzione del catasto, cioè di un registro delle proprietà immobiliari; ƒl’aumento delle entrate iscali, con il tentativo di imporre la tassazione anche alla nobiltà e al clero; ƒil giurisdizionalismo, ossia l’estensione della giurisdizione dello Stato sulle Chiese nazionali. Nella sostanza i sovrani cercarono di assumere il controllo del clero locale e di sottrarre alla Chiesa proprietà e antichi privilegi (come la manomorta, che impediva la vendita dei beni ecclesiastici, o il diritto d’asilo, che vietava la cattura di chiunque fosse rifugiato nei conventi e nelle chiese); inoltre, tentarono di acquisire il controllo della cultura e dell’istruzione, all’epoca quasi interamente nelle mani della Chiesa. La politica giurisdizionalista fu accompagnata da una violenta polemica contro gli ordini religiosi che investì soprattutto i gesuiti. Accusati di essere al servizio di Roma e di tramare contro lo Stato, i gesuiti vennero espulsi da molti Paesi. Nel 1773, la pressione delle corti europee indusse papa Clemente XIV addirittura a sopprimere l’ordine (che sarebbe stato però ricostituito nel 1814). La radicalità degli obiettivi delle riforme fu respinta in genere dai ceti popolari che difendevano la religione tradizionale. Ovviamente le resistenze più forti vennero, però, dalla nobiltà e dal clero che si vedevano privati di antichi privilegi. Ciò determinò spesso il fallimento delle riforme. Fu questo il caso della Spagna, dove la politica riformatrice di Carlo III di Borbone (1759-1788) ottenne risultati modesti per la ferma opposizione della nobiltà e degli ecclesiastici. Ma il caso più clamoroso fu quello della Francia. Sia Luigi XV (17151774) che Luigi XVI (1774-1792) furono bloccati dall’opposizione dei ceti privilegiati. Il tentativo più importante di realizzare una politica di riforme fu avviato nel 1774 dal ministro delle Finanze AnneRobert-Jacques Turgot che propose numerosi provvedimenti innovativi: tolleranza per le minoranze religiose, sottrazione dell’insegnamento scolastico al clero, estensione delle tasse agli ecclesiastici e alla nobiltà. Anche in questo caso, però, le resistenze ebbero la meglio e Luigi XVI fu obbligato a licenziare Turgot (1776). Il riformismo così falliva proprio nel Paese da cui era partita la «primavera dei Lumi».

Barry Lyndon Gran Bretagna, 1975 (durata: 184’) Regia: Stanley Kubrick Attori principali: Ryan O’Neal, Marisa Berenson, Patrick Magee, Hardy Krüger

Il film che forse meglio di qualunque altro è immerso in un’atmosfera che restituisce intatto il clima settecentesco è Barry Lyndon, del regista americano Stanley Kubrick. Tratto dal romanzo di W.M. Thackeray (18111863), narra la storia dell’ascesa e del fallimento di Redmond Barry, giovane avventuriero irlandese di umili origini, che spende la sua vita alla ricerca di ricchezze e prestigio, per superare le rigide barriere sociali del suo

tempo. È disposto ad accettare qualsiasi sacrificio pur di diventare ricco e ottenere un titolo nobiliare. Cambia modo di vivere più volte, diventando un soldato valoroso, un giocatore d’azzardo e, infine, sposa la contessa di Lyndon più per la sua posizione sociale che per amore. Il matrimonio dovrebbe costituire il culmine della sua ascesa: invece, lo condurrà alla rovina. Particolarmente studiata è la scenografia: la scelta di utilizzare esclusivamente la luce naturale per le riprese esterne e candele e lampade a olio per gli interni crea un effetto di realismo, sottolineato dagli evidenti richiami ai pittori dell’epoca.

I moti degli anni Venti e Trenta

Durante le giornate del luglio 1830 in Francia, la difesa dei valori nazionali e liberali trascinò nelle piazze i giovani universitari parigini che diedero vita a manifestazioni che rappresentano una sorta di Sessantotto ante litteram. Ma l’eredità più signiicativa riguarda invece i trasporti: è di questi anni la costruzione della prima linea ferroviaria per passeggeri, tra Liverpool e Manchester, l’inizio di un sistema di comunicazione che rivoluzionò le abitudini di noi tutti. Inine tra le novità di questo periodo, vi fu una signiicativa svolta nel campo della scrittura: la penna d’oca fu sostituita dal pennino con ovvi miglioramenti nella semplicità della scrittura.

Storiograia) e Misurare le competenze, la veriica inale.

lezioni: Cittadini adesso.

Gli illuministi alla corte di Federico II

Dal passato al presente

sato al presente, Competenze: usare le fonti (Documenti e

la Costituzione Italiana è dedicato un intero ciclo di

RIFORMA Il significato originario del termine riguardava la sfera religiosa e indicava la nuova forma, cioè un rinnovamento della Chiesa inteso come ritorno alla semplicità e alla purezza delle origini. Nel Settecento, l’idea di riforma perde i suoi connotati religiosi e assume il significato moderno di mutamento politico e sociale. Infatti il termine indica un provvedimento attuato allo scopo di migliorare, riorganizzare, rinnovare una situazione, un’istituzione o un ordinamento non più rispondenti alle esigenze e alle idee del tempo. Si parla di riforma elettorale, riforma scolastica, riforma giudiziaria. Generalmente le riforme vengono introdotte dai sovrani o dai governi (cioè dall’alto) in forma graduale e seguono percorsi legali e pacifici; per questo aspetto si differenziano dalle rivoluzioni, che sono invece tentativi di mutamento radicale e immediato, in genere compiuti dal popolo (cioè dal basso), ricorrendo all’illegalità e alla violenza.

Federico II fece costruire il castello di Sans-Souci (che in francese significa «senza preoccupazioni») vicino a Berlino come

63

RIFORME E RESISTENZE

ASSOLUTISMO E RIFORME Nella seconda metà del Settecento in gran parte dei Paesi europei iniziò una stagione di riforme. Fu un processo realizzato dall’alto, voluto dai sovrani assoluti e inluenzato dal movimento dell’Illuminismo. Per questo la politica riformatrice dell’Europa settecentesca viene deinita dagli storici «dispotismo illuminato». Le aree maggiormente coinvolte furono la Russia, la Prussia, l’Austria, la Spagna, il Portogallo e l’Italia: Caterina II di Russia, Federico II di Prussia e Maria Teresa d’Austria furono addirittura deiniti re-ilosoi per la loro adesione all’Illuminismo e per il sostegno garantito ai ilosoi ospiti nelle loro corti. In efetti sarebbe più corretto dire che questi sovrani crearono il mito del «despota illuminato» con la complicità dei ilosoi: i sovrani, infatti, erano interessati a dare lustro alle loro riforme avvalendosi degli elogi dei più insigni philosophes; e questi non disdegnavano i favori con cui venivano ricevuti a corte e d’altro canto sapevano che i monarchi erano il tramite indispensabile dei loro progetti. In realtà, anche se molte riforme corrispondevano alle tesi dei ilosoi, furono soprattutto le esigenze concrete a determinare le scelte dei sovrani. Essi intendevano in primo luogo raforzare l’autorità dello Stato sui poteri particolari della nobiltà e della Chiesa. In questo senso il dispotismo illuminato fu semplicemente una fase del processo di formazione dello Stato moderno, che non intaccò signiicativamente l’Antico regime.

integra l’Atlante del primo anno) e una serie di schemi ri-

Inine ai princìpi della convivenza e alla conoscenza del-

La primavera dei Lumi

5. Il dispotismo illuminato Guerra dei sette anni, la caduta di Kolberg.

Rubriche

Tutor

1. Vienna. Fu uno dei punti della massima espansione ottomana: i Turchi l’assediarono senza successo due volte, nel 1529 e nel 1683.

3. La presa di Costantinopoli (1453). Determinò la fine dell’Impero romano d’Oriente e avviò una nuova fase di espansione dell’Impero ottomano.

1700-21

UNITÀ 8

con gli eserciti delle potenze europee, poi per il suo declino. Per tutto l’Ottocento, infatti, la crisi dell’Impero ottomano alimentò le ambizioni espansionistiche degli Stati europei, destabilizzando l’area balcanica: gli storici parlano in proposito di questione d’Oriente.

Austria, Polonia, Pace di Carlowitz (1699). Segna l’inizio del declino irreversibile dell’Impero Venezia, Stato ottomano. Pontificio contro l’Impero ottomano.

1683-99

1716-18

Al termine delle Unità sono poste le seguenti rubriche: Dal pas-

35

Dalla minaccia ottomana alla «questione d’Oriente»

Il «cavallo di ferro» inaugura l’era della velocità

ALLE ORIGINI, UNA SCOMMESSA VINTA Le prime macchine a vapore vennero costruite da James Watt nel 1775. Nel 1788 Watt introdusse nella macchina un meccanismo di trasformazione del moto alternato in moto rotatorio: era così possibile utilizzare la macchina per muovere merci e persone. Pochi anni dopo, nel 1801, l’inglese Richard Trevithick (1771-1833) costruì un prototipo di treno a vapore che brevettò nel 1802. La prima vera apparizione del treno risale al febbraio 1804. Trevithick aveva scommesso la colossale somma di 500 ghinee con Anthony Hill, proprietario di una ferriera: la sua macchina avrebbe

percorso nove miglia (più di quindici chilometri) trasportando settanta persone e dieci tonnellate di ferro. Per questa dimostrazione era stata scelta una strada ferrata, ino ad allora usata da carri trainati da cavalli, che univa le cittadine gallesi di Penydaron e Abercynon. La sbufante macchina di Trevithick – un mostro di metallo pesante cinque tonnellate, con un solo stantufo che muoveva le ruote mediante ingranaggi e bielle e trascinava cinque vagoni con ferro e passeggeri – impiegò quattro ore e cinque minuti per percorrere le nove miglia, raggiungendo una velocità di punta di cinque miglia all’ora. Nel tempo impiegato, bisogna dire, sono da considerare alcune soste per segare tronchi che ostruivano il passaggio e spostare massi initi sulle rotaie. Fra i passeggeri c’era lo stesso Hill, che si dichiarò comunque contento di aver perso la scommessa: prevedeva infatti un grande futuro per la locomotiva. L’invenzione di Trevithick ebbe così un grande successo, e il costruttore si lanciò a prevedere che la sua prossima macchina avrebbe trasportato un carico quattro volte superiore.

DAI «PROTOTIPI» ALLA PRIMA LINEA FERROVIARIA L’aumento del prezzo del foraggio per i cavalli, dovuto alle guerre napoleoniche, dà impulso alla sperimentazione di nuove locomotive. I primi modelli, quelli di Blenkin-

sop (1811) e di Hedley (1813), sono ancora antieconomici, per quanto migliori – sotto il proilo del consumo e del rendimento – della locomotiva di Trevithick. Nel 1814 George Stephenson inizia le prove della sua locomotiva a vapore. Il tema centrale della discussione, in quegli anni, è quello della sede da riservare ai veicoli con trazione a vapore. Nonostante la prova riuscita di Trevithick avesse efettivamente collegato la locomotiva alla ferrovia, dimostrando la convenienza della loro combinazione, prevale ancora una certa siducia nelle possibilità di aderenza tra ruote e rotaie. Blenkinsop nel 1812 utilizza ruote dentate, ingrananti una cremagliera issata ai binari, mentre Hedley nel 1815 cerca di aumentare l’aderenza portando a otto il numero delle ruote. Il modello di Stephenson risultò vincente: fu lui, con l’aiuto del iglio Robert, a costruire la prima linea ferroviaria nel 1825. Trasportava merci tra le città di Stockton e di Darlington. Il 15 settembre 1829 venne inaugurata la prima linea per il trasporto dei passeggeri da Liverpool a Manchester: lungo la linea venne eretto, in mattoni e pietra, il grande viadotto di Sankey, costituito da 9 archi, di 15 metri di luci e alti 22 metri circa. Quel giorno, una folla incredibile assistette al passaggio del treno lanciato alla «folle» velocità di circa 22,5 chilometri orari: mai l’umanità aveva assistito a qualcosa del genere.

Joseph Ducreux, Ritratto di Anne-Robert-Jacques. Turgot, castello di Lantheuil.

CINEMA E STORIA

facilmente individuabile nella chiarezza espositiva e negli

15

293

DAL «CAVALLO DI FERRO» AI TRENI A LEVITAZIONE MAGNETICA Nel mondo contemporaneo la ricerca nel settore dei trasporti è proseguita ininterrotta ed è in continuo progresso: auto, treni e aerei sono diventati sempre più veloci e confortevoli e oggi percorrere migliaia di chilometri o attraversare un oceano non è più un problema. La facilità negli spostamenti delle persone e delle merci è alla base del nostro mondo globalizzato, che non sarebbe neppure pensabile senza i voli aerei o i supertreni veloci. Dal «cavallo di ferro», che con i suoi 22,5 chilometri all’ora aveva intimorito la folla dei cittadini che assistevano al passaggio del treno, siamo arrivati a costruire treni a levitazione magnetica che raggiungono i 650 chilometri all’ora viaggiando sospesi in aria senza contatto con la rotaia: sono silenziosi e soprattutto non inquinano l’aria con i fumi della combustione del carbone.

PATRIOTA È nell’Ottocento, durante le insurrezioni liberali e democratiche, che questo termine entra nell’uso politico per indicare colui che ama la patria, la difende ed è disposto a sacrificarsi per essa. Nei secoli precedenti indicava semplicemente chi apparteneva allo stesso Stato. È un termine decisamente romantico che tuttavia fu usato anche per indicare i combattenti antifascisti nella prima fase della lotta partigiana. BARRICATA A Parigi nel 1830 il popolo protestò innalzando le barricate sulle strade per difendersi dalla repressione poliziesca. Sbarravano insomma il passaggio disponendo lungo le vie oggetti voluminosi e masserizie: una modalità di protesta che è continuata fino ai nostri giorni. «Fare le barricate» significa «insorgere», indica una sommossa popolare. Il termine deriva dal francese barrique cioè «barile», proprio perché con le grandi botti gli insorti bloccavano il passaggio nelle strade. REAZIONARIO Quest’aggettivo deriva dalla parola «reazione» e nel linguaggio politico indica il fautore della reazione nei confronti di un processo rivoluzionario o semplicemente nei confronti di qualsiasi cambiamento. La Restaurazione fu dunque espressione di una politica reazionaria. Il termine ha però finito con l’assumere il significato più vasto di «sostenitore di idee conservatrici»; infatti, in questo senso, il contrario di reazionario è l’aggettivo «progressista» e non «rivoluzionario».

Lo Shanghai Transrapid è un Maglev Train (treno a levitazione magnetica), che si trova in Cina, a Shanghai.

PAROLE IN EREDITÀ

tica e per l’originalità degli inserti. L’attenzione didattica è

UNITÀ 1

L’Europa tra Sei e Settecento

TUTOR

Erodoto Magazine si caratterizza per l’attenzione didat-

Presentazione

5

MAGAZINE

to alla tradizione manualistica italiana. Intendono suscitare interesse per la Storia, mettendo in primo piano gli aspetti interessanti, appassionanti o anche solo curiosi della disciplina. Il senso dei Magazine è sinteticamente espresso dal

MAGAZINE

I Magazine rappresentano una interessante novità rispetLA STORIA COME PASSIONE

LA STORIA COME PASSIONE

Fenestrelle: lager dei Savoia?

Luigi XVI: un uomo goffo che però seppe morire

sottotitolo: La storia come passione.

LA STORIA COME PASSIONE

VIVERE AL TEMPO DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE E DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

L'ITALIA DIVENTA STATO NAZIONALE MENTRE NEL MONDO DECOLLA LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

I Magazine vogliono cioè essere uno stimolo per invogliare gli studenti a guardare alla Storia con occhi diversi, non annoiati. Inine questi Magazine sono anche un modo per esercitarsi all’esame di Stato. Si concludono infatti con una

ATTIVITÀ

ATTIVITÀ rso... o Costruire un percorso... un perco v Costruiresto argomentati per un testo argomentativo per un te

1. RACCOGLIERE DATI

pagina in cui di volta in volta si mette in evidenza un aspetto

Dopo aver letto i testi delle diverse sezioni, riepiloga le informazioni che ritieni più importanti in uno schema come questo. FINE DELLA MONARCHIA ASSOLUTA IN FRANCIA

utile ad acquisire quelle particolari competenze che hanno a che fare con la Storia, come la capacità di comporre un testo RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

argomentativo.

e del Magazin amentali: rse sezioni iche fond nelle dive stioni stor siderazione su due que ; preso in con le. l’attenzione Il periodo a di nazione industria to e centra erale l’ide rivoluzione l'Ottocen e più in gen riguarda e la seconda ano itali com ento ca nota ƒil Risorgim la crescita economi oe ne E ƒlo svilupp MATIZZAR che emerge dall’acquisizio BLE rPRO 2. tica a di un inte una problema la nella form Individua ze e presenta le qui proposte. le inI conoscen ni, riepiloga di queste LIERE DAT li una di quel come Oppure sceg 1. RACCOG i testi delle diverse sezio la storia rogativo. uno schema letto ortanti in ha sollevato imp fiche Dopo aver ta più ogra a scrit che ritieni roversie stori di una stori formazioni a. Quali cont ento? Si tratta forse oni dei vinti oppure questo. osto le ragi del Risorgim A DI NAZIONE iche? che ha nasc IANO E L'IDE ragioni polit , pittoriche o ENTO ITAL dai vincitori ttito ha solo IL RISORGIM , letterarie ia e questo diba ni artistiche ntati l’amor di patr i espressio a del rapprese b. In qual sono fiche più aggressiv sua forma cinematogra one fino alla l’idea di nazi ? si realizza ismo le onal stria nazi ne indu biamenti nda rivoluzio a importanti cam ia, la 2. PROBLEMATIZZARE c. La seco eamente la tecnolog contemporan i aspetti l’economia, punto di Individua una problematica che emerge dall’acquisizione qual are un loro politici: in possono trov di queste conoscenze e presentala nella forma di un la società politica e interrogativo. Oppure scegli una di quelle qui proposte. leader della dei grandi e incontro? stich le caratteri d. Quali sono to periodo storico? a. L’abolizione della monarchia e l’evoluzione della storia di ques Rivoluzione francese quali conseguenze hanno prodotto LUZIONE NDA RIVO in Francia? acquisite ICO E LA SECO rmazioni RARE b. Quale legame si può individuare tra la rivoluzione SVILUPPO ECONOM 3. ELABO fonti esaminate, le info un testo LO ora le do che politica avviata in Francia nel 1789 e l’ascesa della ALE zzan esso elab Utili delle tesi, INDUSTRI ze in tuo poss e i contro borghesia con la rivoluzione industriale? e le conoscen discutendo i pro o, o. c. Quali cause e quali effetti hanno avuto le due più argomentativ all'interrogativo scelt sta importanti rivoluzioni del XVIII secolo? sia la rispo d. Luigi XVI e Napoleone Bonaparte: si tratta del passaggio da una tirannia a un’altra?

Il periodo preso in considerazione nelle diverse sezioni del Magazine riguarda la seconda metà del Settecento e centra l’attenzione su tre questioni storiche fondamentali: ƒla ine della monarchia assoluta in Francia; ƒla rivoluzione industriale; ƒl’ascesa e la ine di Napoleone Bonaparte. ASCESA E FINE DI NAPOLEONE

3. ELABORARE Utilizzando le fonti esaminate, le informazioni acquisite e le conoscenze in tuo possesso elabora un testo argomentativo, discutendo i pro e i contro delle tesi, che sia la risposta all'interrogativo scelto.

240

Erodoto MAGAZINE E

AZIN doto MAG 432 Ero

I Magazine, sono in tutto e per tutto delle riviste storiche, con articoli costruiti da brani storici di fama mondiale. Con una graica accattivante e delle immagini-documento a tutta pagina, si occupano di contenuti storici. Propongono una Storia di copertina, e approfondiscono tematiche di arte e storia, tecnica e storia, vita quotidiana, lettura di un classico, cinema e storia...

Il funerale di Napoleone Il 15 dicembre 1840 la salma di Napoleone tornò a Parigi: un grande corteo la accompagnò presso la tomba a Les Invalides. Ci affidiamo a un cronista d’eccezione, lo scrittore Victor Hugo. Ma sono veramente di Napoleone le ceneri custodite a Les Invalides?

PROTAGONISTI

Un temperamento eccezionale Dormiva quando e dove glielo permettevano le circostanze, non conosceva la stanchezza. Alla stessa fatica sottoponeva i suoi uomini e persino i suoi cavalli.

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Paul Delaroche, Ritratto di Napoleone a Fontainebleau, 1845 ca. Leipzig, Museo delle Belle Arti.

Leggono i protagonisti non solo dal punto di vista storico, ma anche umano, i loro temperamenti, i misteri che hanno lasciato ai contemporanei e la loro interpretazione storiograica. ARTE E STORIA

David, il pittore della rivoluzione e di Napoleone

La morte di Marat

! Marat è immerso nella vasca da bagno, dove cercava di lenire i terribili dolori di un eczema che lo deturpava. @ Marat viene ritratto già assassinato: il pugnale e il lenzuolo insanguinati sono gli unici segni del delitto. L’assassina, Charlotte Corday, non è raffigurata, quasi a volerne far perdere definitivamente la memoria. # I particolari sono ridotti all’essenziale e sottolineano la totale povertà in cui il «giusto» si ostinava a vivere. $ In mano ha ancora il foglio e la penna con cui stava compiendo il suo ultimo gesto in favore di un cittadino. % In primo piano risalta la dedica che il pittore ha posto sul legno del tavolo sopra il quale Marat poggiava carta, penna e calamaio. È questo un modo per manifestare la propria commozione e, al tempo stesso, commentare l’accaduto, interpretandolo dal punto di vista morale e educativo.

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Questo dipinto fu una delle opere più importanti dell’arte igurativa a cavallo del XIX secolo. Raigura la morte di Marat, uno dei leader del movimento giacobino, fondatore del giornale «L’amico del popolo» che aveva incendiato gli animi dei rivoluzionari. Marat cadde il 13 luglio 1793 sotto i colpi di pugnale di una giovane normanna, Charlotte Corday, una nobile, discendente del drammaturgo Pierre Corneille. La donna si era fatta ricevere da Marat che era immerso nella vasca da bagno, e a tradimento lo pugnalò. Così giustiicò il suo gesto di fronte al tribunale che la condannò a morte: «Ho ucciso un uomo per salvarne 100 000». Marat venne considerato dai rivoluzionari e dallo stesso David come un santo, un «martire» caduto per il riscatto del popolo. Immagine commentata - La morte di Marat

220

Erodoto MAGAZINE

Napoleone in guerra

Napoleone è qui dipinto nelle vesti del grande condottiero. Il pittore è Jacques-Louis David, il titolo del quadro è Napoleone che attraversa le Alpi, la data è il 1801. Bonaparte sta partendo per la seconda campagna otto da d’Italia. La vittoria riportata a Marengo ha consolidato il suo potere, ma latte, prod feccia crema. Il da non è ancora un imperatore. È diventato Primo Console, ma la Francia zione della lo appassite e fatè ancora una repubblica e il potere di Napoleone è ancora poco sicuro. cavo a calda, foglie di !pera a to in èacqu Napoleone ritratto a cavallo Questa immagine ci presenta invece un comandante pieno di autorità, che ridotte acida, stem nell’atteggiamento del condottie-per le re con luma prestigio, avvolto nel manto rosso dei potenti, simbolo della forza to inè giro ro. Ma il ritratto equestre anche to spumeggia porta ti, guerriera, con il dito alzato per indicare la via. David credette sempre men tipico dei re: Napoleone . dunque si minuti fram erti»uno nelle capacità di Napoleone; non così Beethoven che, alla luce dei fatti, i scopcome fa raffigurare dei tanti strade in secch re del passato. Il cavallo bianco cambiò opinione.

2

^ La posizione del cadavere richiama in modo evidente il modello iconografico della Deposizione nel sepolcro di Caravaggio che rappresenta il corpo di Cristo, martire e salvatore dell’umanità. Il braccio abbandonato e la testa reclinata esprimono con efficacia il senso della morte; nel caso di Marat, la morte di un martire laico della rivoluzione, salvatore del popolo.

3

A sinistra. Jacques-Louis David, La morte di Marat, 1793. Bruxelles, Museo Reale delle Belle Arti del Belgio.

4 6

5

ncia Così la Fra attaglia perse laobda con della m terra l’Inghil

con le zampe spes levate a sottolinea a della e l’Italia l’energia vitale e lanto volontà di conanch Nella bors . quista. dell’Ottoce

1

Sotto. Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, Deposizione nel sepolcro, 16001604 ca. Roma, Pinacoteca Vaticana.

6

DIANA

VITA QUOTI

leonica ripo

rtò in voga

oirazione grec o. gli abiti d’isp il corpo nud per celare poi i veli

ro pa fu triale L’età napo aggiunse are in Euro Alla fine zione indus una città tuniche si rivolu predomin in a Il dito è puntato versoail’alto leonica a romana. Alle compì la@sua le classi. oper indicare direzione da seguire. izioneladegli florida, andell’età napo versava tutte La condSalire erapercerto verso l’alto valicare le ania attra Ma alla ine o non rispetto a se. L’anglom Alpi, ma anche salire nella iore scalata come Torin esi dubbio migl senza la moda ingle il potere e verso la gloria, si pero franc che severso colleghi ingle sappialoro sé e per la Francia. quella dei lo. Da un’inchiesta questi di # Ilseco mantello rosso,nza gonfiato dal) (63% di inizio omaggiora vento, Napoleone. Iliarosla avvolge era comp teria mo che glia med so, che rinvia al sangue e al fuoco, ori e quatdi Daria Gala (una fami genit operèaiil simbolo della forzadue del guerriecapersoene: sei vigore ro, del della determinazioni di due di sta da anza gi pava abita zione comandante che guida figli)deloccu (36%i ) allog Nuova eleg ore tro suoi e tutti ranza i Francesi verso rigore fie la mino , soldati dopo il TerrRobespierre e il suo sentì il mere nuove vittorie. La forza e la vitalità o che i si stanza.anche dalla sola sottolineate pre- man Da quando in Francia unasono re, man si came ere della fridisgrazia, delle senzaero dell’oro sul cappello e sulla e che cresc ffitil piacere nirono in Il num rinnovare vanoe, ilinvec sciarpa. La potenza coraggio abiti rivoe dell’a aumenta bisogno di arono gli figli diminuzion sono evidenziati dalla osciuti abbandon perché laspada appe-che si imponevolezza. Si timore di essere ricon , tutto sa aleva, fianco. riduc omia . econ a vano nel 1795 prim enta la Dal aum luzionari to$era spese Sullo sfondo vedono i soldati giacobini. , pedel Terdo le sialtre o familiare e puniti come ava il tempo buio chequan salgono il costone della monva nucle ficadel i . Persino nsioncannoni tagna, portando e armadime ciò che ricord ito e maledetto in modo signi Le ivano ini frane band menti. La salita èinflu faticosa, resa più delle bevande: non rore venn lo sguardo dei cittad pieno raltro,dalle cibi e difficile asperità del terreno a dei e resentato volti. Nel sulla scelt l’andatura etivo dal tempo poco favorevole. Gli rapp e era o più disin testa bassa, facolar taron delle parti a uomini di Napoleone si accingono cesi diven gior parte di una un caso si camminava atteggiamento la mag Abito a un’impresa che quella di chericorda un ettersi più del Terrore da dal vino, Annibale. maschile raccolte in one, volgendo gli poteva perm poche persone le spalle miglie non ; spezi e solo mattino. Frac anaè scolpii. Pane, % Il nomeladisettim a e circo controllare Napoleone giorn per i difes ra di tutti volta re à l’anglaise, o la a e sinist datura umaindeto sulla roccia come constraccia formavan occhi a destr impose invece all’an pote cappello alla lebile chevano ricorda il passaggio del ra ne. e verdu almeno i, stra, lattee guida deidell’alimentazio valoroso dietro di il Termidoro Jockey, stival minecombattente ziale zione all’in i, la carne ostentavaFrancesi. un’inclina i eleganti sfuggen- 1787. Parig base essen le classi popolari, le. In nuov I i. sguardo Galleria delle trenta grad Come in tutte un lusso domenica vi di diffuso sizione allo dei moti tava no, in oppo nte spaventato, così un po’ mode e rappresen però più che per iudizio e costumi.  te del passa Terrore, un intenso o. questo caso omico, per un pregdi quedel hialin econ oca dine Jacques-Louis David, l’occ tere all’ep carat ni conta o di e attraverso ni della alleleorigi Napoleone che attraversa Alpi, nella Torin va ottuso esam «moscardini», i giova che risale 1801. Rueil-Malmaison, to urbano: chiamaproletaria 1 chilo di pane costa Era l’ora dei tà termidoriana così portastocastello. Museo del cento buona socie glia di muschio che e della . fine Otto 3 etti di carne voluttuarie, l’uniti per la pasti per lenire l’irritazion quantoMAGAZINE Erodoto 221 che si loro alle spese una spesa vano con Quanto o il tabacco, A questa incedevan gola. ca voce era 96% degli operai. ano moda, Parigi avfacev vano i il le vie di I moscardin lare si dove concedeva rnie», sicuro per che luntuaria rego con passo gotes (giac glia, il spesa volut le bevute, anzi, le «sbo straloro redin e guadagno volti nelle alla vita) verde botti ay, aggiunger va qualche Cord e una «veghe, strett ano – di Charlotte quando arrivagite in campagna e resenle i rapp colore – dicev ordinario, che per molt lontani. » nova alti e più stimenta sogni più tava uno dei E

oto MAGAZIN 216 Erod

«Leggende» napoleoniche

Napoleone fu avvelenato? Il grande còrso morì a soli cinquantadue anni. Quale fu la causa della sua morte? Si ammalò di cancro allo stomaco, debilitato dalla prigionia o fu assassinato, come sostengono alcuni studiosi?

6

INDICE

3

2

LE 4 - L’ESSENZIA ecento 9 tra Sei e Sett 1. L’Europa Lumi 13 avera dei 2. La prim a rican 15 luzione ame 3. La Rivo cese 22 luzione fran 4. La Rivo 25 oleonica 5. L’età nap striale 28 luzione indu rivo a 6. La prim osizioni opp 32 e e zion 7. Restaura ta Tren e ti Ven 35 degli anni 8. I moti 1848 38 luzioni del 9. Le rivo sca ana e tede 42 zione itali tra storica ti 10. L’unifica degli aven ra e della Sinis ibiosizione 48 età della Dest è a disp stato poss innell’ è lia itore gli L’ed 11. L’Ita i quali non striale eventuali diritto con are nonché per 50 luzione indu ze nelle i rivo attez unic izion nda ines io tati le com contradd 12. La seco ie omission i dei brani ripor o e le sue volontar cent font 55 Otto delle età dell’ citazioni me. orizzazio ente volu 13. La soci ne, di mem e di adatnel pres uzio trad 60 one di potenze I diritti siasi riproduzi Le grandi con qual rironica, di mondo 14. del a ne elett parziale, o sono e listic total eria ofilm), tamento tizione imp presi i micr i. zo (com 15. La spar SEZIONE 1

GIANNI GENTILE, LUIGI RONGA, ANNA ROSSI

– la prima propone l’essenziale delle conoscenze che occorre possedere per orientarsi attraverso le epoche storiche e come base per l’applicazione delle competenze speciiche;

ERODOTO

4

VERSO L’INTERROGAZIONE

MAGAZINE

Affianca il manuale Verso l’interrogazione, rivolto a tutti gli studenti perché sviluppino in modo sistematico le loro abilità di studio e acquisiscano le competenze fondamentali per l’apprendimento della Storia. Il volume è organizzato in due sezioni:

letmez i Paes onale del per tutti i servati uso pers e nei limit opie per re effettuatascicolo di Le fotoc ono esse tore poss ciascun volume/f alla SIAE to di 68, del 15% dietro pagamen dall’art. periodico o previsto22 aprile 1941, pens e del com 5, della legg 4e di commi finalità per o o ttuate n. 633. copie effe nale, economic diLe foto per uso professio unque escarattere iale o com onale possono ifica commerc di spec quello pers seguito verso da Redi, ttuate a ciata da CLEA le sere effe per rilas zioni zione autorizza nze e Autorizza o di Porta Lice riali, Cors Centro e-mail ioni Edito Milano, web Riproduz 20122 g e sito n. 108, earedi.or Romana zioni@cl autorizza redi.org .clea www la, 2017 La Scuo Editrice S.p.A right by Bona 1777 © Copy Vincenzo Stampa:

– la seconda, invece, ofre gli strumenti per la costruzione di un metodo di lavoro organizzato e per l’acquisizione delle competenze necessarie ad afrontare con successo le prove nel corso.

64 66 77 81 89 94

L’appartam di Napoleone ento il museo del presso Louvre a Parigi.

Erodoto Magazine è completato da un ricco apparato di risorse digitali. I materiali digitali sono un’integrazione al testo e hanno lo scopo di arricchire la trattazione e soprattutto fornire gli strumenti per una didattica attiva e dinamica per la classe. Ma si tratta anche di un ampio contenitore di fonti aggiuntive che sollecitano lo studio in autonomia e contribuiscono a sviluppare le capacità critiche dello studente. 

Materiali per il docente e lo studente Le Unità continuano in digitale con ulteriori documenti e brani storiograici, audioriassunti, videostorie. Le aperture di tutte le Unità sono state digitalizzate per rendere più efficace la memorizzazione. Si tratta de Gli eventi della storia: cause ed effetti. L’audioriassunto è una sintesi audio dei tre volumi, per un totale di circa 25 ore di registrazione. Molti video integrano i documenti  scritti e iconograici proposti nel laboratorio, per il primo e secondo volume, mentre una sezione speciale è stata ideata per il terzo volume.  Infatti ogni Unità relativa alla storia del XX secolo è arricchita da video  originali dell’ARCHIVIO STORICO ISTITUTO LUCE, commentati e integrati da un apparato didattico per la guida alla comprensione e alla contestualizzazione.  Inoltre in digitale ci sono: – immagini commentate interattive ovvero documenti iconograici che ofrono la possibilità di efettuare zoom sui particolari e sono completati da utili didascalie;  – carte storiche attive: le carte presenti nelle pagine del libro possono essere ingrandite per osservare nel dettaglio le aree geograiche;  – schede cinema del Magazine: in formato digitale per comprendere le verità e le falsità dei ilm storici contemporanei;  – glossario storico di oltre 1000 termini.

63

O

NZE E METOD

- COMPETE

relazione 1. Fare una un dossier 2. Costruire dell’autore are la tesi vidu in un testo Indi 3. zioni storiche are informa 4. Individu dibattito letterario zioni di un dere le posi 5. Compren afico storiogr e un tema 6. Comporr

SEZION L’ESSENZIE 1 ALE

Erodoto Magazine continua in digitale

Materiali per il docente Le linee del tempo, proiettabili dall’insegnante, sono interattive, navigabili  e propongono in parallelo informazioni e immagini riguardanti altre discipline: permettono di capire la sequenzialità  e contemporaneità degli avvenimenti, contestualizzandoli in un percorso più ampio per una visione d’insieme dei quadri di civiltà. Oltre alle linee del tempo, vengono fornite all’insegnante le Lezioni proiettabili. Entrambi sono utilizzabili anche con la LIM in classe.

SEZIONE 2

ISTITUTO LUCE

7

Indice UNITÀ 1

L’EUROPA TRA SEI E SETTECENTO

17

LA SOCIETÀ D’ANTICO REGIME

18 Per il docente

Le città più popolose d’Europa alla fine del XVII secolo

18 ƒLinea del tempo interdisciplinare

Un interno borghese: la sala da pranzo

21 Per il docente e lo studente

Il borghese gentiluomo. Molière (1622-1673)

21

LO STATO D’ANTICO REGIME

22

Il Leviatano

23

L’ASSOLUTISMO IN FRANCIA, RUSSIA E PRUSSIA

24

Il gigante Pietro

26

Una tassa sulla barba

26

La formazione del Regno di Prussia fino al 1740

27

4

L’ALTERNATIVA INGLESE: LA MONARCHIA COSTITUZIONALE

29

5

UN ALTRO SECOLO DI GUERRE

31

TUTOR CARTA

L’Italia dopo la pace di Aquisgrana

32

TUTOR CARTA

Dalla minaccia ottomana alla «questione d’Oriente»

35

TUTOR CARTA

Le spartizioni della Polonia

37

LE NUOVE FRONTIERE DELL’OCCIDENTE

41

Il sorpasso dell’Europa

44

LA TEORIA DELLO STATO LIBERALE

46

COMPETENZE: USARE LE FONTI

DOCUMENTO – La Dichiarazione dei diritti

48

COMPETENZE: USARE LE FONTI

DOCUMENTO – Locke e la tolleranza religiosa

49

1 TUTOR CARTA VITA QUOTIDIANA LETTERATURA E STORIA

2 APPROFONDIMENTO

3 I PROTAGONISTI VITA QUOTIDIANA TUTOR CARTA

6 LA GEOSTORIA DAL PASSATO AL PRESENTE

Misurare le competenze

UNITÀ 2 1 TUTOR CARTA

2 APPROFONDIMENTO

IN DIGITALE Lezione interattiva ƒ

Prima e Dopo ƒ ƒ Video La vita dei nobili e dei contadini Versailles e Luigi XIV ƒ Immagine commentata L’incoronazione di Guglielmo III e Maria Stuart Una tassa sulla barba - Una rappresentazione degli Ordini - Il nobile e il contadino - Il Leviatano ƒ Carta attiva Le città più popolose d’Europa alla fine del XVII secolo - La formazione del Regno di Prussia fino al 1740 - L’Italia dopo la pace di Aquisgrana - La Russia nel 1721 - La Svezia fino al 1721 - Dalla minaccia ottomana alla «questione d’Oriente» L’espansione prussiana nel XVIII secolo - Le spartizioni della Polonia - Gli insediamenti europei nel Nord America - L’India dopo la guerra dei Sette anni - I viaggi di James Cook nel Pacifico - Il mondo nel XVIII secolo - Il sorpasso dell’Europa (XVI-XIX secolo) ƒ Online DOC Uno stregone in Vandea I Mémoires di Luigi XIV Il Re Sole ha rovinato la Francia Luigi XIV a Versailles ƒ Online STO Mentalità dei contadini francesi nel XVIII secolo Senza orologio né calendario Pietro il Grande ƒ Audiosintesi - Unità 1 ƒ Glossario

50

LA PRIMAVERA DEI LUMI

51

L’ILLUMINISMO: I PRINCÌPI FONDAMENTALI

52 Per il docente

La diffusione dell’Illuminismo INTELLETTUALI E OPINIONE PUBBLICA: L’ENCICLOPEDIA Il salotto di Madame Geoffrin

3

DOTTRINE POLITICHE ED ECONOMICHE

4

L’ILLUMINISMO IN ITALIA

IN DIGITALE

52 ƒLezione interattiva

56 ƒLinea del tempo interdisciplinare 56 Per il docente e lo studente 59 ƒPrima e Dopo

62 ƒVideo 63 La circolazione delle idee: caffè, salotti, accademie

APPROFONDIMENTO

Il volto umano della giustizia

5

IL DISPOTISMO ILLUMINATO

64 ƒImmagine commentata

Gli illuministi alla corte di Federico II

64

Barry Lyndon

65 La diffusione dell’Illuminismo

APPROFONDIMENTO CINEMA E STORIA

Il volto umano della giustizia ƒ Carta attiva

8 Federico II il Grande

68 ƒOnline DOC

LA NASCITA DELLA MODERNA OPINIONE PUBBLICA

70 Il volto umano della giustizia

COMPETENZE: USARE LE FONTI

DOCUMENTO – La prigionia non deve essere un supplizio

72 Il lato oscuro di Voltaire

COMPETENZE: USARE LE FONTI

STORIOGRAFIA – Il carcere nel XVIII secolo

73 Il «più» di Federico II il Grande

I PROTAGONISTI DAL PASSATO AL PRESENTE

Bayle: critica della tradizione ƒ Online STO

La crisi della coscienza europea

Misurare le competenze

ƒ Audiosintesi - Unità 2

74 ƒGlossario

C’è un giudice a Berlino!

75

UNITÀ 3

LA RIVOLUZIONE AMERICANA

79

1

IL NORD AMERICA NEL SETTECENTO

80 Per il docente

Territori e tribù indiani prima della colonizzazione europea

80

CITTADINI ADESSO

TUTOR CARTA

IN DIGITALE ƒ Lezione interattiva ƒ Linea del tempo interdisciplinare Per il docente e lo studente

APPROFONDIMENTO

La guerra e le sue conseguenze

2

LA GUERRA DI INDIPENDENZA

81 ƒPrima e Dopo ƒ Video 83 Le bandiere della Rivoluzione americana

Il funerale dello Stamp Act

83 Gli Indiani e William Penn

DOCUMENTO I PROTAGONISTI CINEMA E STORIA

3 I PROTAGONISTI I LUOGHI DELLA STORIA DAL PASSATO AL PRESENTE COMPETENZE: USARE LE FONTI

Benjamin Franklin (1706-1790) Revolution

UNITÀ 4 1

Territori e tribù indiani prima della colonizzazione 85 europea I possedimenti europei nell’America del Nord Gli USA nel 1783

86

George Washington

88 Il funerale dello Stamp Act

Una nuova capitale della Storia

89 Da puritani a yankee

L’IDEALE REPUBBLICANO

90 ƒAudiosintesi - Unità 3

DOCUMENTO – La Dichiarazione d’indipendenza

92

ƒ Online DOC ƒ Online STO

Un’ipotesi interpretativa: le rivoluzioni atlantiche

95

LA RIVOLUZIONE FRANCESE

99

LA CRISI DELL’ANTICO REGIME IN FRANCIA Un protestante alla corte del re, Jacques Necker

I PROTAGONISTI

Maria Antonietta, l’austriaca DAGLI STATI GENERALI ALL’ASSEMBLEA COSTITUENTE (1789-90)

APPROFONDIMENTO

L’Assemblea Nazionale nel 1789: i gruppi di opinione

APPROFONDIMENTO

La presa della Bastiglia

I LUOGHI DELLA STORIA

La Parigi della rivoluzione

VITA QUOTIDIANA

Alberi e balli della libertà

ƒ Glossario

94

Da che parte stai?

I PROTAGONISTI

2

84 ƒCarta attiva

GLI USA, UNO STATO FEDERALE

Misurare le competenze CITTADINI ADESSO

ƒ Immagine commentata

IN DIGITALE

100 Per il docente

Lezione interattiva ƒ ƒ  Linea del tempo interdisciplinare 100 Per il docente e lo studente 102 ƒPrima e Dopo ƒ Video Simboli e festività della rivoluzione

103

ƒ Immagine commentata Marat assassinato 104 La ghigliottina La presa della Bastiglia

105

ƒ Carta attiva La Parigi della rivoluzione 107 Rivolte controrivoluzionarie e offensive della coalizione antifrancese 107 L’Italia tra 1797 e 1799

Indice

9 LA COSTITUZIONE DEL 1791

109 ƒOnline DOC

APPROFONDIMENTO

La fuga di Varennes

109 democratico

APPROFONDIMENTO

La composizione dell’Assemblea Legislativa nel 1791

111 ƒOnline STO

4

LA FRANCIA IN GUERRA (1792)

112 L’autonomia delle rivolte contadine

STORIOGRAFIA

La guerra e le sue conseguenze

112 La mamma nasce col contadino

La Marsigliese

113

Luigi XVI: il re che seppe morire Robespierre e Danton

LA CONVENZIONE (1792-95)

114

ƒ Audiosintesi - Unità 4

Gli schieramenti della Convenzione del 1792

3

APPROFONDIMENTO

5

Robespierre: la virtù. come principio del governo

Le tre giornate che sconvolsero la Francia

6

IL TERRORE (1793-94)

115 ƒSchede cinema - Marie Antoinette 117 ƒGlossario

I PROTAGONISTI

Danton, un ambizioso

117

I PROTAGONISTI

Robespierre, un idealista

118

VITA QUOTIDIANA

Il calendario repubblicano

120

CINEMA E STORIA

Danton

121

IL GOVERNO DEL DIRETTORIO (1795-99)

122

TUTOR CARTA

L’Italia tra 1797 e 1799

124

LETTERATURA E STORIA

Il resto di niente. Enzo Striano (1927-1987)

126

Le insorgenze: una Vandea italiana?

127

IL BILANCIO: L’AVVENTO DI UN MONDO NUOVO

128

I DIRITTI UMANI

130

COMPETENZE: USARE LE FONTI

DOCUMENTO – La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino

132

COMPETENZE: USARE LE FONTI

o dispotica?

APPROFONDIMENTO

7

APPROFONDIMENTO

8 DAL PASSATO AL PRESENTE

STORIOGRAFIA – Una rivoluzione borghese e liberale

Misurare le competenze CITTADINI ADESSO Uguali o diversi?

UNITÀ 5 1 I PROTAGONISTI

2

134 138 139

L’ETÀ NAPOLEONICA

143

IN DIGITALE

NAPOLEONE BONAPARTE

144 Per il docente

Giuseppina de Beauharnais

144

DAL CONSOLATO ALL’IMPERO

146 Per il docente e lo studente

ƒ Lezione interattiva

ƒ Linea del tempo interdisciplinare

TUTOR CARTA

La seconda coalizione contro la Francia

147 ƒPrima e Dopo

STORIOGRAFIA

I valori sociali della Francia napoleonica

149 La propaganda napoleonica nella campagna d’Italia

ƒ Video

Beethoven: Napoleone? Un tiranno come tutti gli altri

149 ƒImmagine commentata

L’IMPERO NAPOLEONICO (1804-15)

150 La famiglia ai tempi di Napoleone

Paolina Bonaparte Borghese

150 La seconda coalizione contro la Francia

I duellanti

151

DOCUMENTO

Il blocco continentale

152 ƒOnline DOC

LETTERATURA E STORIA

N. Ernesto Ferrero (1938)

156

I PROTAGONISTI

3 I PROTAGONISTI CINEMA E STORIA

Napoleone si incorona imperatore ƒ Carta attiva

L’impero di Napoleone nel 1812 Il percorso degli eserciti napoleonici Cuoco: la «rivoluzione passiva»

10 DAL PASSATO AL PRESENTE

ƒ Online STO

CAPOLAVORI D’ARTE PRIGIONIERI DI GUERRA

157 Il giacobismo italiano

COMPETENZE: USARE LE FONTI

DOCUMENTO – Libertà e autorità

159

COMPETENZE: USARE LE FONTI

STORIOGRAFIA – Napoleone, padre delle nazioni

160

Misurare le competenze

ƒ Audiosintesi - Unità 5 ƒ Glossario

162

La penna e la spada

163

LA PRIMA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

167

1

UNA DEFINIZIONE, MOLTI ASPETTI

168 Per il docente

2

LE INNOVAZIONI TECNOLOGICHE

170

Arkwright, un geniale barbiere

171 Per il docente e lo studente

CITTADINI ADESSO

UNITÀ 6

I PROTAGONISTI

IN DIGITALE ƒ Lezione interattiva

ƒ Linea del tempo interdisciplinare

STORIA E TECNICA

Una nuova macchina per i tessuti

172 ƒPrima e Dopo

STORIA E TECNICA

La macchina a vapore

173 Il controllo dell’energia inanimata

3 LETTERATURA E STORIA

4

RISORSE ECONOMICHE E SPIRITO D’IMPRESA

174 ƒImmagine commentata

Frankenstein. Mary Shelley (1797-1851)

174 La Londra dei proletari

LA QUESTIONE SOCIALE

175 ƒCarta attiva 175 Lo sviluppo industriale europeo intorno alla metà

La Londra dei proletari

VITA QUOTIDIANA

Papà Goriot. Honoré de Balzac (1799-1850)

LETTERATURA E STORIA

5

ƒ Video

AGRICOLTURA E DEMOGRAFIA

La macchina a vapore Alcol e miseria

del XIX secolo 177 La popolazione in Europa nell’Ottocento ƒ Online DOC 178 Una nuova macchina per i tessuti Le terribili condizioni del proletariato inglese

TUTOR CARTA

La popolazione in Europa nell’Ottocento

182

DAL PASSATO AL PRESENTE

DALLA MACCHINA PER CUCIRE ALLA MACCHINA PER SCRIVERE

184

COMPETENZE: USARE LE FONTI COMPETENZE: USARE LE FONTI

ƒ Audiosintesi - Unità 6

DOCUMENTO – La civiltà delle macchine

186 ƒGlossario

DOCUMENTO – Alcol e miseria

187

Misurare le competenze Un pianeta in prestito

CITTADINI ADESSO

ƒ Online STO La nascita della ferrovia

188 189

Erodoto MAGAZINE La storia come passione STORIA DI COPERTINA

CINEMA E STORIA TECNICA E SCIENZA

IN DIGITALE

Luigi XVI: un uomo goffo che però seppe morire

196

Il re sonnecchiava mentre si preparava la rivoluzione

197 di Lucio Caracciolo

Luigi è già stato giudicato!

199 di Maximilien Robespierre

Il processo e la condanna

200 di Lucio Villari

La ghigliottina

200

Le ultime ore del re

202 di Lucio Villari

È lecito uccidere il tiranno?

202 di Norberto Bobbio

Marie Antoinette

204

Genialità e desiderio di conoscenza

208

Il prodigio della macchina a vapore

209 di Nadeije Laneyerie-Dragon

Indice

11

VITA QUOTIDIANA

ARTE E STORIA

PROTAGONISTI

LEGGERE UN CLASSICO ATTIVITÀ

UNITÀ 7 1

Il segreto del successo tecnologico inglese

210 di Joel Mokyr

Riccioli al vapore e vita grama

212

Nasce il rapporto tra madre e figlio così come lo conosciamo oggi

213 di Mirella Serri

Che cosa mangiavano i poveri?

214 di Maria Rosa Sobrero

Così la Francia perse la battaglia della moda con l’Inghilterra

216 di Daria Galateria

Mulhouse come Londra, l’estrema povertà della classe operaia

218 di Louis René Villermé

David, il pittore della rivoluzione e di Napoleone

219

La morte di Marat

220

Napoleone in guerra

221

L’incoronazione di Napoleone

222

Impariamo a riconoscere i simboli in un’immagine

224

«Leggende» napoleoniche

226

Napoleone fu avvelenato?

227 di Thierry Lentz

Un temperamento eccezionale

229

Il funerale di Napoleone

230 di Victor Hugo

La costruzione del mito di Napoleone

234 di Lionel Jospin

Uomini, tecniche, economie

236 di Carlo M. Cipolla

Costruire un percorso... per un testo argomentativo

240

RESTAURAZIONE E OPPOSIZIONI

241

IL CONGRESSO DI VIENNA

242 Per il docente

IN DIGITALE

Metternich e Talleyrand

242 ƒLezione interattiva

L’Europa fatta a pezzi

243

TUTOR CARTA

L’Europa dopo il Congresso di Vienna

245

TUTOR CARTA

L’Italia dopo il Congresso di Vienna

247 ƒVideo 249 Il ritorno dei Borboni

I PROTAGONISTI APPROFONDIMENTO

2 VITA QUOTIDIANA

3 DOCUMENTO

RESTAURAZIONE E ROMANTICISMO La moda romantica L’IDEA DI «NAZIONE» La «bella morte» dell’eroe romantico

4

LIBERALI E DEMOCRATICI

DOCUMENTO

Perché non posso votare

5 I PROTAGONISTI LETTERATURA E STORIA DAL PASSATO AL PRESENTE COMPETENZE: USARE LE FONTI COMPETENZE: USARE LE FONTI COMPETENZE: USARE LE FONTI COMPETENZE: USARE LE FONTI

ƒ Linea del tempo interdisciplinare Per il docente e lo studente

Prima e Dopo ƒ

ƒ Immagine commentata

250 La moda romantica 253 La fabbrica di New Lanark

L’insurrezione degli Spagnoli contro Napoleone

253 ƒCarta attiva 256 L’Europa dopo il Congresso di Vienna L’Italia dopo il Congresso di Vienna

I SOCIALISTI

256 ƒOnline DOC 260 Louis de Bonald: la sovranità popolare

Ozanam e il cattolicesimo liberale

262 Che cos’è la democrazia

ƒ Online STO

Il Rosso e il Nero. Stendhal (Henri Beyle) (1783-1842)

264 ƒAudiosintesi - Unità 7

L’AMORE PER LA PATRIA

265

DOCUMENTO – La lingua (e la stirpe) fondano la nazione

267

DOCUMENTO – La lotta di classe

268

STORIOGRAFIA – Dibattito: condanna e rivalutazione del

Congresso di Vienna STORIOGRAFIA – Le etnie sono un’invenzione

Misurare le competenze

269 272 274

ƒ Glossario

12 UNITÀ 8

I MOTI DEGLI ANNI VENTI E TRENTA

275

LE SOCIETÀ SEGRETE

276 Per il docente

TUTOR CARTA

Le società segrete in Europa

276

DOCUMENTO

La polizia controlla «Il Conciliatore»

278 Per il docente e lo studente

La Massoneria

278

2

I MOTI DEGLI ANNI VENTI

280 Parigi sulle barricate

3

I MOTI DEGLI ANNI TRENTA Dal nazionalismo all’imperialismo

283 Il massacro di Scio 286 La libertà che guida il popolo

L’INDIPENDENZA DELL’AMERICA LATINA

288 Le società segrete in Europa

DOCUMENTO

La dottrina Monroe

289 Dal nazionalismo all’imperialismo

TUTOR CARTA

L’indipendenza dell’America Latina

290

DAL PASSATO AL PRESENTE

IL «CAVALLO DI FERRO» INAUGURA L’ERA DELLA VELOCITÀ

292 Mazzini: l’insufficienza del liberismo

1

APPROFONDIMENTO

LA GEOSTORIA

4

COMPETENZE: USARE LE FONTI

STORIOGRAFIA – L’origine della Carboneria

COMPETENZE: USARE LE FONTI

STORIOGRAFIA – Il sogno del libertador Simón Bolivar

Misurare le competenze

UNITÀ 9 1 TECNICA E STORIA

2 TUTOR CARTA I PROTAGONISTI

3 DOCUMENTO

IN DIGITALE Lezione interattiva ƒ

ƒ Linea del tempo interdisciplinare

ƒ Prima e Dopo ƒ Video

ƒ Immagine commentata ƒ Carta attiva

I moti insurrezionali in Europa (1820-21) L’indipendenza dell’America Latina ƒ Online DOC

ƒ Online STO Le radici del nazionalismo italiano 294 ƒ Audiosintesi - Unità 8

296 ƒGlossario 298

LE RIVOLUZIONI DEL 1848

299

IN DIGITALE

L’ARRETRATEZZA DELL’ITALIA

300 Per il docente

Le filatrici

301 ƒLinea del tempo interdisciplinare

IL DIBATTITO RISORGIMENTALE

303 Per il docente e lo studente

ƒ Lezione interattiva

Stati e nazionalità in Europa alla vigilia del 1848

303 ƒPrima e Dopo

Teresa Casati Confalonieri (1787-1830)

306 Cavour nelle caricature

L’ESPLOSIONE DEL QUARANTOTTO

308 dell’Ottocento 310 ƒCarta attiva

L’associazionismo universale

ƒ Video

Vita quotidiana e alimentazione dei contadini a metà

Stati e nazionalità in Europa alla vigilia del 1848

APPROFONDIMENTO

Le bandiere, simbolo patriottico

311 I moti rivoluzionari del 1848-49 in Europa

APPROFONDIMENTO

Il rinvio dell’unificazione tedesca

312 La repressione dei moti del 1848

4 DOCUMENTO

La prima guerra d’indipendenza

IL QUARANTOTTO IN ITALIA

313 ƒImmagine commentata

Il no di Cattaneo ai Savoia

313 ƒOnline DOC

In nome del popolo sovrano

L’utopismo repubblicano L’industria tessile in Italia

TUTOR CARTA

La repressione dei moti del 1848

314 Il romanticismo e la libertà nazionale 317 Il programma di d’Azeglio

DOCUMENTO

Mazzini: la forza dell’ideale repubblicano

317 La principessa rivoluzionaria

DAL PASSATO AL PRESENTE

I SIMBOLI DELL’ITALIA

318 Generale Ramorino, professione capro espiatorio

DOCUMENTO – L’utopismo repubblicano

320 ƒGlossario

DOCUMENTO – Educazione e insurrezione

321

STORIOGRAFIA – Mazzini e Garibaldi erano terroristi?

322

DOCUMENTO – Prima la libertà poi l’indipendenza

324

CINEMA E STORIA

COMPETENZE: USARE LE FONTI COMPETENZE: USARE LE FONTI COMPETENZE: USARE LE FONTI COMPETENZE: USARE LE FONTI

ƒ Online STO

Cent’anni di Statuto Albertino ƒ Audiosintesi - Unità 9

Indice

13 COMPETENZE: USARE LE FONTI COMPETENZE: USARE LE FONTI

DOCUMENTO – Il compito della Chiesa STORIOGRAFIA – Attualità e ambiguità di Mazzini: due giudizi

a confronto

Misurare le competenze

UNITÀ 10

325 326 328

L’UNIFICAZIONE ITALIANA E TEDESCA

329

LA POLITICA INTERNA DI CAVOUR

330 Per il docente

Camillo Benso, conte di Cavour Lettera di Garibaldi a Mazzini

330 ƒLinea del tempo interdisciplinare 332 Per il docente e lo studente

LA POLITICA ESTERA DI CAVOUR

333 ƒVideo

La guerra di Crimea (1853-56)

333 La nascita del Regno d’Italia

LA SPEDIZIONE DEI MILLE

337 ƒCarta attiva

La battaglia di Milazzo

337 La guerra di Crimea (1853-56)

Viva l’Italia

339 La battaglia di Milazzo

IL SECONDO IMPERO FRANCESE E L’UNIFICAZIONE TEDESCA

340

APPROFONDIMENTO

Il sogno di Napoleone III

APPROFONDIMENTO

Quattro problemi posti dall’unità della Germania

340 ƒImmagini commentate 342 Il comunardo

L’unificazione della Germania

343 La settimana di sangue

1 I PROTAGONISTI DOCUMENTO

2 TUTOR CARTA

3 TUTOR CARTA CINEMA E STORIA

4

TUTOR CARTA

5

LA COMUNE DI PARIGI

IN DIGITALE Lezione interattiva ƒ ƒ Prima e Dopo

La Comune di Parigi

La seconda guerra d’indipendenza La spedizione dei Mille L’unificazione della Germania

La Comune e i suoi nemici

345 ƒOnline DOC

La critica di Cavour al protezionismo e al socialismo

APPROFONDIMENTO

Rosso il simbolo di tutte le rivoluzioni

APPROFONDIMENTO

Il comunardo

345 La battaglia di Magenta 346 ƒOnline STO

LA CROCE ROSSA E IL DIRITTO UMANITARIO

347 Dalla parte di Franceschiello

DAL PASSATO AL PRESENTE

La Croce Rossa e il diritto umanitario

COMPETENZE: USARE LE FONTI

DOCUMENTO – Il dibattito storiografico sul Risorgimento

COMPETENZE: USARE LE FONTI

STORIOGRAFIA – La costruzione del culto di Garibaldi

Misurare le competenze

UNITÀ 11

Dibattito: Garibaldi, un ingenuo utopista o un buon politico? 349 Nazione e nazionalismo ƒ Audiosintesi - Unità 10

355 ƒSchede cinema - Il Gattopardo

358 ƒGlossario

L’ITALIA NELL’ETÀ DELLA DESTRA E SINISTRA STORICA

359

LA DESTRA STORICA AL POTERE

360 Per il docente

L’analfabetismo in Italia

361

Il peso delle tasse schiaccia il povero italiano

364

IL COMPLETAMENTO DELL’UNITÀ D’ITALIA

365 ƒPrima e Dopo

TUTOR CARTA

La terza guerra d’indipendenza

365 Borboni e briganti

DOCUMENTO

Perché Roma capitale

367 ƒCarta attiva

LA SINISTRA STORICA AL POTERE

368 La terza guerra d’indipendenza

Depretis: un abile, ma non grande, uomo politico

368

APPROFONDIMENTO

Connubio e trasformismo

369 I briganti

4

COME FARE GLI ITALIANI?

372

«Il più grande fra i Re»

374

1 TUTOR DOCUMENTO

2

3 STORIOGRAFIA

APPROFONDIMENTO

IN DIGITALE ƒ Lezione interattiva

ƒ Linea del tempo interdisciplinare

Per il docente e lo studente ƒ Video

Le aree di diffusione del grande brigantaggio La colonizzazione italiana in Africa orientale ƒ Immagine commentata

La tassa sul macinato

14 DALLO STATO FORTE DI CRISPI ALLA CRISI DI FINE SECOLO

375 ƒOnline DOC

Eritrea ed Etiopia paesi sconosciuti

376 ƒOnline STO

TUTOR CARTA

La colonizzazione italiana in Africa orientale

DOCUMENTO

I Fasci siciliani

376 Brigantaggio e dibattito politico 377 Un pasticcio chiamato Lissa

DAL PASSATO AL PRESENTE

INSEGNARE CHE PASSIONE!

380

COMPETENZE: USARE LE FONTI

DOCUMENTO – I briganti

382 ƒGlossario

COMPETENZE: USARE LE FONTI

DOCUMENTO – Le cause sociali del brigantaggio

383

5 APPROFONDIMENTO

Misurare le competenze

ƒ Vanga e latte

La genesi del brigantaggio

Le conseguenze della svolta protezionistica La Compagnia Rubattino

ƒ Audiosintesi - Unità 11

384

Erodoto MAGAZINE La storia come passione STORIA DI COPERTINA

FOTOGRAFIA E STORIA

CINEMA E STORIA PROTAGONISTI

VITA QUOTIDIANA

ECONOMIA E STORIA ARTE E STORIA

DIRITTO E STORIA CINEMA E STORIA ATTIVITÀ

IN DIGITALE Fenestrelle: lager dei Savoia?

388

Così è scoppiata la polemica sul forte di Fenestrelle

390 di Alessandro Barbero

È tutto vero: Fenestrelle era un lager dei Savoia

392 di Antonio Pagano

Una bufala storica il lager piemontese di Fenestrelle

396 di Angelo Martino

Il Regno delle due Sicilie: lo Stato più esteso e progredito d’Italia

398 di Pino Aprile

Senza l’unità il Sud sarebbe ancora più arretrato

399 di Emilio Gentile

Il Risorgimento nella fotografia

400

La breccia di Porta Pia

401

Le fotografie di Garibaldi

402

L’album dei Mille

403

Vittorio Emanuele II, privato e pubblico

403

Il Gattopardo

404

Uomini celebri, celebri contraddizioni

408

Bismarck, il cancelliere di ferro

409 di Alan Palmer

Ford, il sogno di un’automobile per tutti

410 di Ruggiero Romano

Dalla terra al cielo

412

Il piacere di piangere

413 di Anne Vincent-Buffault

Sulla pelle dei contadini

414 di Giorgio Maggioni

Ruote in terra, ali in cielo

416 di Richard J. Overy

L’età delle illusioni

419

Milano 1881, con l’Expo nasce l’Italia industriale

419 di Guido Lopez

O libertà o morte

422

La libertà che guida il popolo

422

Il massacro di Scio

423

La battaglia di Magenta

424

La Comune e i suoi nemici

425

Violenze sempre più clamorose

426

I terroristi del Ku Klux Klan

426 di Andrè Kaspi

Amistad

428

Costruire un percorso... per un testo argomentativo

432

Indice

15 UNITÀ 12 1

I PROTAGONISTI

2 APPROFONDIMENTO CINEMA E STORIA

LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

433

IN DIGITALE

DALLA PRIMA ALLA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

434 Per il docente

Marie Curie (1867-1934)

436

LA CATENA DI MONTAGGIO

437 Per il docente e lo studente

Lezione interattiva ƒ

ƒ Linea del tempo interdisciplinare

Il «modello T», la fedele Lizzie

438 ƒPrima e Dopo

Tempi moderni

438 Gli Stati Uniti nella seconda rivoluzione industriale

ƒ Video

3

IL CAPITALISMO MONOPOLISTICO E FINANZIARIO

439 ƒImmagine commentata

APPROFONDIMENTO

Andamento della produzione industriale mondiale

439 La catena di montaggio

APPROFONDIMENTO

Movimento dei prezzi in Europa dal 1849 al 1914

APPROFONDIMENTO

Immigrazione negli Stati Uniti per aree di provenienza

441 ƒOnline STO 443 Alle origini delle grandi imprese

LA RIVOLUZIONE DELLA LUCE

444 ƒAudiosintesi - Unità 12

COMPETENZE: USARE LE FONTI

DOCUMENTO – La catena di montaggio

446

COMPETENZE: USARE LE FONTI

DOCUMENTO – Ellis Island e il sogno americano

447

COMPETENZE: USARE LE FONTI

DOCUMENTO – L’uomo alla catena di montaggio

448

DAL PASSATO AL PRESENTE

Misurare le competenze

UNITÀ 13

Il laboratorio della Bayer

Ellis Island e il sogno americano

Le cause dell’emigrazione ƒ Glossario

450

LA SOCIETÀ DELL’OTTOCENTO E LE SUE CONTRADDIZIONI

451

IN DIGITALE

1

CITTÀ E CAMPAGNA

452 Per il docente

2

LA TRASFORMAZIONE URBANA

456

3

LA MENTALITÀ BORGHESE

458 Per il docente e lo studente

Lezione interattiva ƒ

ƒ Linea del tempo interdisciplinare

Il salotto borghese

460 ƒPrima e Dopo

UN’ONDATA DI OTTIMISMO: IL POSITIVISMO

461 Donne lavoratrici e donne borghesi nella pittura

APPROFONDIMENTO

Il concetto positivista di progresso

461

APPROFONDIMENTO

L’origine dell’uomo o di Darwin?

463 Lo sviluppo urbanistico di Parigi e Londra

APPROFONDIMENTO

L’evoluzione dell’uomo

464 Lo spirito positivo

LA CRITICA DEL PROGRESSO

465

È MEGLIO PRODURRE ASPIRINA O EROINA?

468

STORIOGRAFIA – La supremazia maschile sulle donne

470 ƒGlossario

APPROFONDIMENTO

4

5 DAL PASSATO AL PRESENTE COMPETENZE: USARE LE FONTI

Misurare le competenze

UNITÀ 14

ƒ Video

dell’Ottocento

ƒ Online DOC

La Borsa di Parigi

L’evoluzione dell’uomo

ƒ Online STO Passività dell’acquirente e stimoli al consumo ƒ Audiosintesi - Unità 13

472

LE GRANDI POTENZE

473

1

LA FRANCIA DELLA TERZA REPUBBLICA

474 Per il docente

2

L’AFFARE DREYFUS

477 ƒLinea del tempo interdisciplinare 477 Per il docente e lo studente

APPROFONDIMENTO

3

Il caso Dreyfus LA GERMANIA DA BISMARK A GUGLIELMO II

IN DIGITALE ƒ Lezione interattiva

479 ƒPrima e Dopo

16 DOCUMENTO

4 APPROFONDIMENTO

Kulturkampf: una partita a scacchi

481 ƒVideo

L’ETÀ VITTORIANA

483 ƒCarta attiva

La popolazione della Gran Bretagna, dell’Impero britannico e del mondo intorno al 1900

484 Le guerre indiane

La prima guerra totale della storia Gli Stati Uniti all’epoca della guerra di secessione La modernizzazione del Giappone

Oscar Wilde, uno scandalo vittoriano

485 ƒImmagini commentate

La miseria del popolo irlandese

485 ƒOnline DOC

Jane Eyre

486

L’ESPANSIONE DEGLI STATI UNITI

487 ƒOnline STO

La frontiera fonda l’America

488 La febbre dell’oro

Le guerre indiane

491

Piccolo grande uomo

492 ƒSchede cinema - Amistad

LA NASCITA DEL GIAPPONE MODERNO

493

La modernizzazione del Giappone

495

L’ultimo samurai

495

L’INVENZIONE DELLO STATO SOCIALE

496

COMPETENZE: USARE LE FONTI

STORIOGRAFIA – Quale integrazione per gli Indiani d’America?

498

COMPETENZE: USARE LE FONTI

STORIOGRAFIA – Le missioni dei 100 samurai

500

I PROTAGONISTI DOCUMENTO CINEMA E STORIA

5 STORIOGRAFIA TUTOR CARTA CINEMA E STORIA

6 TUTOR CARTA CINEMA E STORIA DAL PASSATO AL PRESENTE

Misurare le competenze

UNITÀ 15

Kulturkampf: una partita a scacchi Memorie di uno schiavo fuggiasco I «Trattati ineguali» Il conservatore che inventò lo Stato sociale Il killer del palcoscenico

ƒ Audiosintesi - Unità 14 ƒ Glossario

502

LA SPARTIZIONE IMPERIALISTICA DEL MONDO

505

L’IMPERIALISMO

504 Per il docente

Le esplorazioni dell’Africa Kim. Rudyard Kipling (1865-1936)

507 ƒLinea del tempo interdisciplinare 507 Per il docente e lo studente

LA SPARTIZIONE DELL’AFRICA

508

La spartizione coloniale dell’Africa

508 La Cina e le guerre dell’oppio

Livingstone e Stanley, l’incontro tra due mondi

510 Le esplorazioni dell’Africa

Cuore di tenebra. Joseph Conrad (1857-1924) LA SPARTIZIONE DELL’ASIA

511 Le colonie in Asia all’inizio del XX secolo 512 I Balcani dopo le guerre del 1912-13

Le colonie in Asia all’inizio del XX secolo

512 Il canale di Suez

55 giorni a Pechino LA CRISI DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI

515 ƒOnline DOC 516 I lager inglesi in Sudafrica

TUTOR CARTA

I Balcani dopo le guerre del 1912-13

518 Contro l’imperialismo

DAL PASSATO AL PRESENTE

L’EPOCA DELLE GRANDI OPERE

520 Le conseguenze della rivolta dei Boxers

COMPETENZE: USARE LE FONTI

DOCUMENTO – Il fardello dell’uomo bianco

522 ƒGlossario

COMPETENZE: USARE LE FONTI

STORIOGRAFIA – Le incredibili guerre dell’oppio

523

1 TUTOR CARTA LETTERATURA E STORIA

2 TUTOR CARTA I PROTAGONISTI LETTERATURA E STORIA

3 TUTOR CARTA CINEMA E STORIA

4

Misurare le competenze

IN DIGITALE Lezione interattiva ƒ Prima e Dopo ƒ ƒ Video

ƒ Carta attiva

La spartizione coloniale dell’Africa ƒ Immagine commentata Stanley incontra Livingstone

Stanley incontra Livingstone ƒ Online STO

ƒ Audiosintesi - Unità 15

525

UNITÀ 1

17

L’Europa tra Sei e Settecento PRIMA: Supremazia della Francia e monarchia assoluta L’Europa di metà Seicento appariva dominata dalla Francia di Luigi XIV: nelle relazioni internazionali nessuno pareva in grado di contrastare le sue pretese, mentre l’organizzazione assolutista della sua monarchia era un modello per quasi tutti i sovrani.

CAUSE Il Re Sole intende imporre la supremazia francese in Europa

X

In Inghilterra la monarchia Stuart tenta di imporre l’assolutismo provocando uno scontro con il Parlamento

X

EVENTI

CONSEGUENZE

1684: Dieta di Ratisbona

X

1688: Gloriosa Rivoluzione: il Parlamento offre il potere a Guglielmo d’Orange

X

Con la Dichiarazione dei diritti (1689) il Parlamento istituisce una monarchia costituzionale

X

L’Austria ottiene la sovranità su Ungheria, Transilvania e Croazia; Venezia ottiene i porti di Dalmazia e Albania; la Russia ottiene il porto di Azov

L’Impero austriaco riconosce le annessioni francesi compiute fino al 1681

Dopo il pericoloso assedio di Vienna compiuto dai Turchi nel 1683, le potenze europee si uniscono nella Lega Santa

X

Lo zar russo Pietro il Grande affronta la Svezia per il dominio del Baltico nella seconda guerra del Nord (1700-21)

X

1720-21: Pace di Stoccolma e pace di Nystad

X

Fine dell’egemonia svedese sul Baltico a favore di Russia e Prussia

Terminata la dominazione spagnola, il territorio italiano è ancora conteso sia nella guerra di successione polacca che in quella austriaca

X

1748: Pace di Aquisgrana: stabilizzazione della situazione italiana

X

Il Regno di Napoli va a Carlo di Borbone, la Lombardia passa sotto il dominio degli Asburgo d’Austria

X

La Gran Bretagna rafforza la sua influenza commerciale e ottiene da Francia e Spagna numerosi possedimenti coloniali

La guerra dei Sette anni (1756-63) è combattuta dalle potenze mondiali sia per il controllo della Slesia sia per il primato coloniale

X

1699: Pace di Carlowitz: tramonto della potenza ottomana

1763: Pace di Parigi: sancisce la superiorità della Gran Bretagna

DOPO: Primato mondiale della Gran Bretagna e monarchia costituzionale Uscita vittoriosa da un secolo di guerre, la Gran Bretagna si assicurò un primato politico e commerciale a livello mondiale; contemporaneamente, la sua monarchia costituzionale si proponeva come alternativa all’assolutismo.

UNITÀ 1

18

1. La società d’Antico regime LA DEFINIZIONE

TUTOR

L’Europa settecentesca è solitamente presentata come un esempio di Antico regime. Questa deinizione (dal francese Ancien régime) risale alla ine del Settecento, ai rivoluzionari francesi che la usarono per indicare il sistema che volevano abbattere: l’espressione, dunque, indicava la società francese nel suo complesso, una «società intera», come scrive lo storico Pierre Goubert, con le sue istituzioni, la sua economia e le sue tradizioni. Gli storici successivamente hanno utilizzato questa deinizione per indicare le caratteristiche della società europea tra la ine del Medioevo e l’Età moderna: il concetto di Antico regime risultava utile per indicare i tratti comuni che si potevano rintracciare nella realtà del continente, al di là delle diferenze tra i singoli Stati. Nella sostanza, dunque, con l’espressione Antico regime gli storici intendono attualmente l’insieme degli aspetti economici, politici, sociali e giuridici che caratterizzarono la storia europea tra il XIV secolo e il 1789: ƒaspetti economici: una società preindustriale fondata su un’economia prevalentemente agricola; ƒaspetti sociali: una società divisa in ordini (clero, nobiltà, Terzo stato); ƒaspetti giuridici: la diseguaglianza degli uomini di fronte alla legge; il clero e l’aristocrazia godevano di molti privilegi, mentre la maggior parte della popolazione non aveva alcun diritto; ƒaspetti politici: uno Stato assoluto, alleato con la Chiesa e concepito come una proprietà del sovrano.

Le città più popolose d’Europa alla fine del XVII secolo Città: con più di 400 000 abitanti

Mosca Dublino

Copenaghen

da 200 000 a 400 000 abitanti da 150 000 a 200 000 abitanti

Harlem Amburgo Danzica Amsterdam Leida Berlino Gand Anversa Bruxelles Lilla Colonia Breslavia Amiens Liegi Rouen Parigi Praga

Londra

da 100 000 a 150 000 abitanti da 60 000 a 100 000 abitanti da 40 000 a 60 000 abitanti

Strasburgo Vienna Lione

Bordeaux

Milano Tolosa

Torino

Montpellier Lisbona

Barcellona

Madrid Cordova Siviglia

Marsiglia

Venezia Verona Bologna Firenze

Valencia Granada

Roma Costantinopoli

Napoli

Palermo Messina

Questa carta dimostra che l’Antico regime era dominato dalla campagna. Alla fine del Seicento, infatti, solo 26 città superavano i 60 000 abitanti e solo 3 ne contavano più

di 400 000: Londra, Parigi e Costantinopoli, che con i suoi 800 000 abitanti era la metropoli più popolata del continente.

L’Europa tra Sei e Settecento

19

TUTOR QUANDO INIZIÒ E QUANDO FINÌ L’ANTICO REGIME Quando ebbe inizio? La maggioranza degli storici ritiene che il passaggio dal Medioevo all’Antico regime non sia segnato da un fatto preciso, da una frattura, ma da una lenta evoluzione collocata tra XIV e XVI secolo. Quando finì? La risposta tradizionale

È importante ricordare che se si intende per Antico regime una società nella sua totalità, il suo tramonto non può essere esclusivamente ricondotto a eventi politici, quali la Rivoluzione francese. Gli studiosi, dunque, hanno individuato la fine dell’Antico regime nell’insieme di rivoluzioni collocate tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento: in particolare, la Rivoluzione francese e la rivoluzione industriale.

Quando finì? Una risposta innovativa

In un saggio del 1981, Il potere dell’Ancien Régime fino alla prima guerra mondiale, lo storico lussemburghese Arno J. Mayer ha sostenuto che l’Antico regime ha condizionato la realtà europea ancora per tutto l’Ottocento. Secondo questa ipotesi, che gode oggi di un diffuso consenso, l’Antico regime è crollato definitivamente solo con la prima guerra mondiale (1914).

UNA SOCIETÀ DI DISEGUALI

CLASSE L’insieme degli individui che condividono una medesima situazione economica. La nozione di classe si è affermata nelle scienze sociali soprattutto grazie alla filosofia di Karl Marx (1818-1883), secondo il quale il comportamento di un individuo dipende dalla sua appartenenza di classe. ORDINE L’insieme degli individui che godono degli stessi diritti. Si appartiene a un ordine per motivi giuridici e non economici. In uno stesso ordine coesistono persone di ricchezza assai diversa. Per esempio, appartengono al Terzo stato sia i banchieri sia i contadini. STATO In riferimento alla società d’Antico regime, questo termine va considerato come un sinonimo di ordine. Deriva dallo statuto, l’atto giuridico che elencava le prerogative e gli obblighi dei vari ordini.

VIDEO

LA VITA DEI NOBILI E DEI CONTADINI

La disponibilità di innumerevoli servi, il lusso ostentato e lo spreco erano i segni di distinzione sociale della nobiltà che rendevano ancora più inaccettabile al contadino la sua condizione di oppressione e fame. Le immagini di una società capovolta, in cui spettava ai più poveri garantire i privilegi di pochi fortunati.

LESSICO

L’uguaglianza di tutti gli uomini di fronte alla legge è uno dei princìpi fondamentali delle democrazie contemporanee. Ciò che caratterizzava la società d’Antico regime, invece, era il non riconoscimento del principio dell’uguaglianza giuridica: gli uomini, cioè, non erano sottoposti a una medesima legge e non godevano dei medesimi diritti. Anzi, la legge garantiva formalmente i privilegi, sicché, più che in classi, la società risultava essere articolata in ordini (detti anche stati). In teoria, la distinzione in tre ordini corrispondeva alle funzioni essenziali che dovevano essere esercitate nella società: ƒil primo, il clero, doveva pregare per la comunità e amministrare il culto divino; ƒil secondo, la nobiltà, aveva il compito di garantire la difesa attraverso l’esercizio delle armi; ƒil terzo, il Terzo stato, formato da tutti coloro che non appartenevano né alla nobiltà né al clero, doveva lavorare per garantire all’intera comunità i mezzi di sussistenza. L’Antico regime, dunque, era fondato sulla diseguaglianza e i diritti non erano considerati come propri della persona ma come concessioni, come privilegi elargiti e garantiti dall’autorità. I privilegi più noti sono quelli di cui godevano la nobiltà e il clero: ƒla sostanziale esenzione dalle imposte; ƒil diritto di essere giudicati da tribunali speciali; ƒgli impieghi riservati nella corte, nella Chiesa e nell’esercito; ƒle onoriicenze, come la licenza di portare la spada o di esibire il blasone, che rendevano visibile la diversità degli aristocratici rispetto al resto della società. Ma erano anche privilegi quelli che assegnavano il monopolio di una produzione a una corporazione; lo erano le famose «libertà cittadine»; e sempre un privilegio era, per citare un caso estremo, l’esenzione iscale che nella cittadina francese di Beauvais veniva assegnata a chi abbatteva il pappagallo nella gara annuale di tiro. L’Antico regime, dunque, era fondato sulla diseguaglianza e i diritti, piuttosto che come propri della persona, erano concepiti come concessioni – privilegi, appunto – elargite e garantite dall’autorità.

UNITÀ 1

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L’EGEMONIA DELLA NOBILTÀ Per tutti i secoli dell’Antico regime, la nobiltà mantenne saldamente il primato sociale. La sua potenza era fondata sul controllo della terra. È stato calcolato che in varie regioni i nobili controllavano il 50% dei feudi più importanti. Si tratta di un dato veramente notevole se si considera che la nobiltà rappresentava circa il 2% della popolazione europea. Ciò non signiica che tutti i nobili fossero ricchi. Anzi, la igura del nobile spiantato, che aveva sperperato il proprio patrimonio era estremamente difusa. D’altronde, secondo la mentalità dell’epoca, vivere nobilmente signiicava prescindere completamente da meschine preoccupazioni economiche e disporre con liberalità delle ricchezze. Il gentiluomo doveva disinteressarsi del denaro e godersi le rendite che, senza il suo concorso, la terra gli garantiva. Il commercio e tutti i mestieri «meccanici» erano considerati indegni e il nobile che li praticava rischiava la derogazione, cioè l’eliminazione dai ranghi della nobiltà. È chiaro che queste regole condannavano i nobili alla rovina; infatti, vennero rispettate rigorosamente solo nei Paesi latini. In ogni caso, quando un nobile iniva in miseria, manteneva i suoi privilegi onoriici (poteva continuare a portare la spada, a fregiarsi dello stemma della sua famiglia) ma perdeva qualsiasi potere reale: senza denaro, indipendentemente dalle proprie origini, un nobile spiantato iniva per contare poco. Ciò naturalmente valeva anche per il clero, perlopiù tutt’altro che ricco. Gli uomini che detenevano realmente gran parte delle ricchezze e del potere erano dunque veramente pochi. Eliminando i nobili initi in miseria e il clero povero, rimaneva infatti una ristrettissima élite. In Francia questa cerchia rappresentava all’incirca lo 0,5% della popolazione.

LA BORGHESIA TRA ASCESA E TRADIMENTO

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Che cos’è un ordine? ƒ In quali ordini era divisa la società dell’Antico regime? ƒ In che cosa consistevano i privilegi? ƒ Come dovevano comportarsi i nobili? ƒ In quali ideali si riconosceva la borghesia? ƒ Perché si parla di tradimento della borghesia?

Al contrario della nobiltà, la borghesia deve la sua fortuna proprio all’impegno negli afari o nelle cosiddette professioni liberali (medico, giurista ecc.). Gli ideali borghesi, dunque, erano necessariamente assai diversi da quelli aristocratici. Ne ricordiamo alcuni: ƒlo spirito d’intrapresa o imprenditoriale, cioè la capacità di utilizzare le proprie ricchezze per organizzare un’iniziativa economica; ƒla dedizione professionale, cioè l’esercizio di un mestiere con impegno e correttezza; ƒil risparmio, ovvero l’attenzione nella gestione del proprio patrimonio. Poiché l’obiettivo inale era sempre il guadagno, l’accumulazione della ricchezza, in genere i valori borghesi sono identiicati con lo spirito di proitto. Ma quanti erano i borghesi? La loro consistenza era legata allo sviluppo dell’economia di un Paese e dunque variava signiicativamente nelle diverse aree. Secondo le stime degli storici, nel Settecento la borghesia rappresentava il 2% della popolazione in Ungheria, il 2,5% in Russia, l’8,4% in Francia, più dell’11% in Inghilterra. A partire dall’XI secolo in Europa si era realizzata una progressiva ascesa della borghesia: nella sostanza, questa classe era divenuta sempre più importante e potente in forza della sua ricchezza. Ma non riuscì comunque a strappare il primato sociale alla nobiltà. Lo dimostra il fatto che, quando erano suicientemente ricchi, i borghesi compravano titoli, uici burocratici o feudi che consentissero loro di divenire nobili. È questo fenomeno che la storiograia ha deinito tradimento della borghesia.

NOBILTÀ E BORGHESIA Classe Ideale di vita

TUTOR Stile di vita

Tradimenti

Godere delle rendite senza lavorare.

Se un nobile tradiva la sua condizione, cioè praticava un lavoro o si dedicava al commercio, rischiava la derogazione, cioè la cancellazione dai ranghi della nobiltà.

Nobiltà

Vivere nobilmente, cioè avere un codice di valori ispirato al prestigio, all’onore, alla forza, a tutto ciò che distingueva dalla vita «plebea».

Borghesia

Etica del profitto: cioè produrre per Lavorare con dedizione e guadagnare, investire nell’impresa, risparmiare. accumulare ricchezza.

Per il borghese il tradimento consisteva nell’acquisto di titoli o uffici per acquisire lo status di nobile.

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Un interno borghese: la sala da pranzo Jean-Baptiste-Siméon Chardin (1699-1779) fu uno dei pittori più celebri del XVIII secolo. Lavorò per la corte di Luigi XV e fu autore di numerose scene di semplice vita quotidiana. Nelle tele di Chardin, la borghesia poteva contemplare se stessa.

L’opera di Chardin documenta, infatti, la vita della borghesia parigina e si configura quasi come un manifesto dei valori borghesi: la centralità della famiglia, l’operosità, il decoro. Insomma, Chardin esalta la bellezza e la dignità della vita di tutti i giorni.

1. Questo dipinto di Chardin, attualmente conservato al Louvre di Parigi, è intitolato Le Bénédicité, che è la prima parola della preghiera di ringraziamento recitata prima di pranzo. Risale al 1740 e ritrae gli interni di una casa borghese: è quindi per noi un interessante documento della vita quotidiana dell’epoca. 2. La sala da pranzo è arredata con un tavolo rotondo, coperto da una tovaglia di lino bianco, e con delle belle sedie imbottite di velluto, sullo sfondo si intravede una credenza con un vaso. Un braciere posto sul pavimento riscalda la stanza dove la famiglia si riunisce per il pranzo. È un ambiente elegante dove i borghesi consumavano i pasti, a differenza dei ceti più bassi, che pranzavano in cucina vicino al focolare.

Il borghese gentiluomo Molière (1622-1673)

Grande drammaturgo francese, Molière portò sulla scena i difetti e i vizi della sua epoca, mettendo in ridicolo borghesi e nobili. Nel Borghese gentiluomo assistiamo ai tentativi del ricco, ma molto ingenuo, mercante Jourdain di sembrare un nobile: si circonda di maestri di scherma, musica, ballo e filosofia che approfittano di lui. Quando la figlia Lucilla dichiara di voler sposare Cleonte, un borghese, Jourdain si oppone, perché per le sue manie di grandezza vorrebbe che la giovane si accasasse con un nobile. Grazie

all’astuzia di un servo, vien fatto credere a Jourdain che Cleonte è un principe turco invaghitosi di Lucilla. A questo punto Jourdain accorda il suo consenso e i due giovani si sposano con una comica cerimonia in stile orientale. Grande effetto comico hanno gli sforzi del mercante di parere un gentiluomo, tanto da regalar denaro a chi lo chiama «Mio signore» o «Eccellenza». Quando Jourdain rifiuta la mano di Lucilla a Cleonte perché questi non è un gentiluomo, la moglie, che invece ha in simpatia il giovane, fa notare al marito che loro non discendono certo dal re Luigi IX il Santo.

LETTERATURA E STORIA

3. La madre ha il capo coperto da una cuffietta di pizzo che raccoglie i capelli, a sottolineare l’ordine della persona. La donna sta apparecchiando con cura, mentre le bambine, che indossano una cuffia e abiti di colore bianco per trasmettere un senso di pulizia e di ordine, guardano i suoi movimenti come se stessero imparando quei gesti del tutto femminili.

VITA QUOTIDIANA

L’Europa tra Sei e Settecento

UNITÀ 1

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2. Lo Stato d’Antico regime LO STATO ASSOLUTO

Henri Testelin, Luigi XIV, (particolare). Il Re Sole è un sovrano assoluto, uno dei più rappresentativi dell’Antico regime.

Tra il XII e il XV secolo, il potere sovrano fu subordinato al rispetto dei privilegi degli ordini. Le monarchie feudali erano caratterizzate da una sorta di contratto tra sovrano e società: nella sostanza, clero, nobiltà e Terzo stato accettavano di sottomettersi all’autorità del re nella misura in cui si faceva garante dei loro privilegi. Il re era concepito come una specie di supremo magistrato e non poteva introdurre nessuna innovazione di rilievo senza il consenso dei sudditi. Progressivamente, però, i sovrani rigettarono questo ruolo di arbitri e rivendicarono un potere assoluto: assoluto deriva da ab solutus, cioè «sciolto», sciolto appunto «dal» rispetto della legge; una legge però, dobbiamo ricordarlo, che non era uguale per tutti, era legge privata cioè privilegio. Sul piano teorico, comunque, assolutismo non signiicò mai che il sovrano poteva usare il proprio potere arbitrariamente: semplicemente il re si riiutava di essere solo il garante di diritti acquisiti e pretendeva di essere il principio di ogni legalità. In estrema sintesi, il sovrano: ƒrespinse la formula medievale lex facit regem, «la legge fa il re», nel senso che è la legge a fondare e limitare il potere sovrano; ƒe adottò la formula assolutistica rex facit legem, «il re fa la legge», cioè è il re a fondare la legge e a determinarne la validità. Concretamente, i sudditi non avevano nessuna possibilità di difendersi dalle pretese della corona: non esistevano istituzioni che tutelassero i loro diritti. Anzi, un suddito non aveva diritti ma solo doveri. Il fatto stesso che un cittadino potesse essere arrestato e incarcerato senza essere chiaramente accusato di nulla, senza prove, senza processo, sulla base di un semplice ordine del sovrano, ne era la prova più esplicita.

L’ASSOLUTISMO COME PROGETTO L’espressione assolutismo suggerisce l’idea di un potere totale sulla società, come fu quello del nazismo o dello stalinismo nel Novecento. Ma nulla di simile era possibile nell’Antico regime, poiché mancavano le tecnologie – innanzitutto nelle comunicazioni e nei trasporti – che hanno reso possibili quelle dittature. L’assolutismo, dunque, va inteso come un «progetto» piuttosto che come un «fatto»: il sovrano puntava a esercitare un controllo completo sul territorio e sulla società, ma in realtà non aveva alcuna possibilità di riuscirci. Le monarchie d’Antico regime restarono un mosaico costituito da entità diverse: permanevano tra le regioni diversità linguistiche, di ordinamenti amministrativi e iscali, perino di pesi e misure. La legislazione regia tentava di introdurre correttivi, ma perlopiù si adattava alla situazione.

MONARCHIA FEUDALE E MONARCHIA ASSOLUTA Istituzione Epoca Formula

TUTOR Legge e sovranità

Monarchia feudale.

Medioevo.

Lex facit regem.

È la legge a fondare il potere del sovrano e a indicarne i limiti.

Monarchia assoluta.

Età moderna.

Rex facit legem.

È il sovrano a fondare la legge e a darle valore: in questo caso è il re a determinare i limiti della legge.

L’Europa tra Sei e Settecento

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L’ALLEANZA TRA TRONO E ALTARE

GUIDA ALLO STUDIO

Un altro aspetto fondamentale dello Stato d’Antico regime era l’alleanza tra trono e altare. Il potere temporale solitamente esercitava un controllo diretto sulle gerarchie ecclesiastiche e questo valeva nei Paesi cattolici e ancor di più in quelli protestanti. Il sovrano pretendeva dal clero obbedienza e collaborazione; in cambio amava presentarsi come il protettore della vera fede, cioè di quella che lui stesso professava. Questa forte alleanza tra trono e altare era un’eredità dei secoli XVI e XVII, che avevano visto l’esplosione della Riforma protestante, la reazione controriformistica della Chiesa cattolica, le persecuzioni e le guerre di religione. In quest’epoca le Chiese si erano avvalse degli strumenti repressivi del potere temporale per perseguitare gli eretici e per tutelare la loro autorità. In cambio avevano oferto al re il riconoscimento del suo potere che ancora veniva ritenuto sacro e di origine divina, soprattutto dalle masse popolari. D’altro canto, i sovrani erano convinti che uno Stato diviso sul piano religioso fosse ingovernabile e che un suddito di un’altra fede dovesse essere necessariamente un avversario politico; inine, consideravano le gerarchie ecclesiastiche uno strumento indispensabile di governo. L’identiicazione Chiesa-Stato costituiva la radice fondamentale dell’intolleranza: verso le minoranze religiose e, in generale, verso chiunque non si conformasse pienamente ai costumi dominanti.

ƒ Quale rapporto aveva il sovrano assoluto con la legge? ƒ Perché l’assolutismo va inteso come un «progetto»? ƒ Quali erano le conseguenze dell’alleanza tronoaltare? ƒ In che cosa consisteva la concezione patrimoniale e dinastica dello Stato?

LA CONCEZIONE PATRIMONIALE E DINASTICA DELLO STATO Nei secoli d’Antico regime lo Stato era considerato un patrimonio della dinastia regnante. Nella sostanza lo Stato era concepito come un bene di proprietà del sovrano. Ovviamente il re non aveva il possesso di tutte le terre del regno, ma era padrone di agire come voleva su di esso: in questo, appunto, la sua autorità era analoga a quella di un proprietario. Come tutti i beni, anche lo Stato alla morte del legittimo proprietario, cioè del sovrano, passava in eredità ai suoi igli. Il diritto di accedere all’eredità per i rapporti di parentela con il sovrano defunto era la condizione fondamentale per rivendicare legittimamente il trono. Questa concezione patrimoniale e dinastica dello Stato giustiicava le pretese assolutistiche: il sovrano cioè era libero di disporre dello Stato proprio in quanto legittimo proprietario. La Rivoluzione francese contesterà questo principio afermando che il fondamento «di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione», cioè nell’insieme degli individui che la costituiscono. APPROFONDIMENTO

Il Leviatano

1. Il corpo del sovrano è costituito dai sudditi, che si trovano letteralmente «incorporati» nello Stato, senza possibilità di vita autonoma.

2. Il sovrano tiene nella mano destra la spada, simbolo del potere temporale: solo a lui spetta l’uso della forza per mantenere l’ordine nello Stato.

3. La città e le campagne circostanti appaiono ordinate e pacifiche, a dimostrare come il sovrano vegli su di esse assicurando la pace e la prosperità.

4. Nella mano sinistra il sovrano tiene il pastorale, simbolo del potere spirituale. Nello Stato assoluto doveva infatti valere l’alleanza fra trono e altare: per Hobbes il sovrano doveva essere anche capo della Chiesa nazionale.

UNITÀ 1

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VIDEO

Versailles e Luigi XIV

3. L’assolutismo in Francia, Russia e Prussia L’APOGEO DELL’ASSOLUTISMO

La grandezza delle costruzioni che compongono il «sistema» edilizio della reggia di Versailles, non cessa ancora di stupire gli odierni visitatori. Immaginiamoci dunque l’impressione che suscitava in cortigiani, ambasciatori e popolo minuto di allora! La sottomissione dell’aristocrazia a Luigi XIV divenne la regola, e leggendarie rimasero la cura e la fantasia nell’allestimento dei giardini e dei giochi d’acqua delle fontane.

La seconda metà del Seicento rappresentò per l’Europa l’epoca di massima afermazione dell’assolutismo monarchico. Questo modello di organizzazione dello Stato trovò nel sovrano francese Luigi XIV (1661-1715), il Re Sole, l’espressione più compiuta. Il simbolo più evidente del suo successo fu certamente la reggia di Versailles, dove una delle nobiltà più potenti d’Europa appariva completamente sottomessa: i più importanti aristocratici, eredi di famiglie che nel secolo precedente avevano frequentemente conteso il potere alla monarchia, erano ora ridotti a fare da cortigiani e completamente esclusi dalla vita politica. Luigi XIV fu un modello per molti sovrani europei. Tra Sei e Settecento, infatti, l’assolutismo si afermò anche in Danimarca, in Svezia, nei domini asburgici e perino nell’Europa orientale: in particolare in Russia e in Prussia.

Anonimo, Luigi XIV mentre passa a cavallo davanti alla reggia di Versailles (particolare di un dipinto del XVII secolo). Versailles, reggia.

LA RUSSIA E PIETRO IL GRANDE La Russia ino alla seconda metà del Seicento era rimasta un Paese isolato, chiuso nella conservazione delle proprie tradizioni ed estraneo ai grandi cambiamenti sociali e culturali che avevano coinvolto l’Europa occidentale nel XVI e nel XVII secolo. Lo zar Pietro I il Grande (1672-1725) (I Protagonisti p. 26), della dinastia dei Romanov, tentò di modiicare questa situazione. Pietro assunse il pieno potere nel 1689, dopo essersi liberato della tutela della sorellastra, la principessa Soia. Aveva solo diciassette anni ma già dimostrava una personalità straordinaria. Pietro aveva avuto frequenti occasioni di contatto con la cultura e i costumi occidentali, anche senza allontanarsi dalla Russia. A Mosca, infatti, si era costituito un quartiere in cui erano concentrati numerosi stranieri. Provenivano dalla Prussia, dalla Svezia, dall’Inghilterra e dall’Olanda ed erano portatori di un modello di vita e di pensiero nettamente

diverso da quello russo: proprio in questo ambiente il giovane zar compì le sue prime esperienze culturali. La curiosità scaturita da questi contatti lo indusse a intraprendere in incognito un viaggio, durato quindici mesi, in Germania, in Inghilterra, in Olanda e a Vienna. Lo zar lavorò come maestro d’ascia in un cantiere olandese; visitò fabbriche, oicine, segherie; andò ad ascoltare lezioni di anatomia e assistette a interventi chirurgici; visitò musei, ospedali, istituti di educazione. In Inghilterra assistette alla preparazione dei proiettili d’artiglieria e provò il lancio di bombe; passò in rassegna le navi da guerra, annotando minuziosamente il numero dei cannoni e il loro calibro. In seguito a queste esperienze, Pietro si convinse che il suo Paese aveva bisogno di una vasta opera di rinnovamento. Si propose così di occidentalizzare la Russia, di renderla cioè più simile alle grandi potenze europee e farla uscire dal secolare isolamento. Al ritorno dal suo viaggio (1697), infatti, lo zar avviò il vasto programma di riforme con cui si proponeva di applicare i modelli occidentali alla Russia. In particolare, si proponeva di ediicare uno Stato assoluto, sottomettendo la nobiltà e tutte le istituzioni che, come la Chiesa ortodossa, si opponevano alle riforme.

L’OCCIDENTALIZZAZIONE DELLA RUSSIA Il primo obiettivo di Pietro fu quello di rendere più eiciente l’amministrazione dello Stato e di sottrarla al controllo della grande nobiltà, i boiari. Abolì pertanto la Duma dei boiari e la sostituì con un Senato costituito da nove membri indicati dallo zar. Nel 1722 introdusse la Tavola dei ranghi con cui sancì il criterio del merito per la promozione sociale. Tutte le cariche militari e civili furono classiicate in quattordici gradi e il passaggio da un grado inferiore a quello superiore venne legato a meriti particolari. I nobili furono costretti a entrare al servizio dello Stato, agli altri fu garantito un titolo nobiliare se avessero raggiunto un grado elevato. Per sottomettere la Chiesa ortodossa, Pietro ne aidò il governo al Santo Sinodo (1721), un nuovo organo dello Stato costituito da laici ed ecclesiastici, alle dirette dipendenze dello zar. Pietro costituì anche un esercito permanente e creò, dal nulla, una lotta militare di grande prestigio: intendeva rendere la Russia militarmente forte, per afrontare la Svezia che dominava il Mar Baltico, e i Turchi che dominavano il Mar Nero. L’obiettivo era garantire al Paese uno sbocco sul mare, la cosiddetta «inestra sul Baltico» che consentisse una più facile comunicazione con l’Europa occidentale. Proprio sul Baltico fece costruire la nuova capitale, San Pietroburgo, ideata dai migliori architetti d’Europa, con palazzi elegantissimi e una reggia ispirata a Versailles. Pietro tentò anche di creare un apparato culturale e un sistema scolastico sul modello europeo. Istituì l’Accademia delle Scienze e ordinò la traduzione di opere straniere. Cercò perino di cambiare il volto esteriore della Russia imponendo nuovi costumi: obbligò i nobili a tagliarsi la barba, ad adottare l’abbigliamento occidentale, ad abitare in case arredate secondo il gusto europeo. Non si può negare che Pietro il Grande avviò la modernizzazione del suo Paese. Ma la società russa continuò a essere sostanzialmente costituita dalla massa enorme dei contadini in condizione servile e da una ridotta minoranza di aristocratici in possesso di grandi latifondi. Spiccava la quasi totale assenza di una borghesia imprenditoriale e produttiva.

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LESSICO

L’Europa tra Sei e Settecento

BOIARI Dal russo bojar, aristocratico, è il termine che indicava i grandi nobili russi, proprietari di immensi territori e di un enorme numero di servi della gleba. DUMA DEI BOIARI In origine era un consiglio di Stato che affiancava i principi della Moscovia ed esprimeva soprattutto le pretese della grande nobiltà. Nel Cinquecento, infatti, lo zar Ivan IV che tentò di assicurarsi un potere assoluto ne ridimensionò drasticamente il ruolo.

Godfrey Kneller, Pietro I il Grande, 1698. Palazzo di Kensington, Galleria della regina.

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I PROTAGONISTI

UNITÀ 1

VITA QUIOTIDIANA

Paul Delaroche, Pietro il Grande, imperatore di tutte le Russie. Amburgo, Kunsthalle.

Il gigante Pietro Un grande storico russo, Vasilij O. Kljucˇevskij (1841-1911) ha tracciato questo gustoso ritratto dello zar. Pietro era un gigante: alto quasi due metri e dieci, non poteva non farsi notare. Quando prendeva l’ostia a Pasqua doveva chinarsi così tanto da provare dolore alla schiena. Era capace di piegare a forma di tubo un piatto d’argento e di tagliare al volo con il coltello un pezzo di stoffa. Il modo di agitare fortemente le braccia camminando rendeva inconfondibile la sua persona. Non aveva alcuna cura di sé e non era capace di frenare il proprio temperamento, tanto che i suoi occhi grandi assumevano un’espressione sferzante a volte selvaggia. Quando non dormiva, non viaggiava, non banchettava stava sicuramente costruendo qualcosa. Le sue mani erano eternamente all’opera e piene di calli. L’abilità manuale gli fece cre-

dere di essere anche un esperto chirurgo e un buon dentista. I suoi parenti, quando venivano colpiti da qualche malanno che richiedeva un intervento chirurgico, tremavano all’idea che lo zar lo venisse a sapere e si presentasse con i ferri per offrire i suoi servigi. Si dice che dopo la sua morte sia rimasto un intero sacco di denti da lui estratti, a testimonianza della sua pratica odontoiatrica. Era nemico di ogni formalità, avvertiva un senso di smarrimento durante le cerimonie ufficiali; respirava pesantemente, arrossiva e grondava sudore, quando, con l’abito regale delle occasioni solenni, gli toccava ascoltare le magniloquenti sciocchezze di qualche ambasciatore. Non amava l’abbigliamento elegante, né il lusso, né lo sfarzo della corte. Non brillava per raffinatezza e non conosceva le maniere gentili, ma amava la franchezza e sapeva premiarla.

Una tassa sulla barba Pietro il Grande era insofferente verso tutto ciò che rendeva immobile la società russa: la mentalità conservatrice, il clero, la nobiltà parassita, la lontananza dai movimenti culturali che stavano cambiando il mondo. Tra le sue iniziative per rinnovare la società e il Paese vi fu anche quella del taglio della barba! Nella tradizione russa gli uomini dovevano portare la barba.

1. Nella tradizione russa gli uomini dovevano portare la barba. Il provvedimento di Pietro il Grande invece obbligava gli uomini a radersi. In questa xilografia lo zar taglia di sua mano la barba a un nobile.

2. Pietro il Grande era affascinato dal modello di vita europeo: importò l’arte, l’architettura e i mobili occidentali per creare un nuovo ambiente. Volle rapporti sociali diversi, facendo partecipare le donne alla vita pubblica nei salotti e addirittura imponendo l’uso di abiti ungheresi.

Pietro il Grande, con forbici e tenuta da barbiere, impegnato nel taglio della barba di un nobile; stampa dell’epoca. Mosca, Museo storico statale.

Pietro, invece, varò un provvedimento che li obbligava a radersi. Tutti dovevano radersi come si faceva in Occidente, fatta eccezione per i preti e i contadini. Chi violava questa regola doveva pagare una tassa! In questa xilografia lo zar taglia di sua mano la barba ad un nobile.

L’Europa tra Sei e Settecento

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LA PRUSSIA: UNO STATO FRAMMENTATO

Friedrich Wilhelm Weidemann, Ritratto di Federico I di Prussia, Collezione privata.

Nel corso del Seicento si afermò anche la Prussia degli Hohenzollern. Gli Hohenzollern erano marchesi del Brandeburgo e Grandi Elettori dell’impero. Tra i loro possedimenti vi era anche il Ducato della Prussia orientale che nel 1618 venne unito al Brandeburgo in un unico Stato. La ine della guerra dei Trent’anni diede agli Hohenzollern anche la Pomerania orientale, oltre ad altri piccoli territori nella bassa Renania. Federico I di Hohenzollern (1688-1713) ottenne dall’imperatore il titolo di re della Prussia orientale e del Brandeburgo. Si trattava di un regno anomalo, frammentato territorialmente, povero e arretrato, popolato da contadini asserviti a grandi latifondisti. Il successore, Federico Guglielmo I (1713-1740), diede l’avvio a un’opera di rinnovamento dei suoi possedimenti che portò la Prussia fra le grandi potenze europee.

LE RIFORME DI FEDERICO GUGLIELMO

La formazione del Regno di Prussia fino al 1740 In poco più di un secolo la Prussia ampliò i suoi territori e si avviò a divenire uno Stato di grande importanza. REGNO DI SVEZIA

REGNO DI DANIMARCA

REGNO DI HOLSTEIN

2

POMERANIA SVEDESE

4

DUCATO DI MECLEMBURGO

3 KLEVE

ALTA GHELDRIA

PRUSSIA OCCIDENTALE

Stettino

BRANDEBURGO

LINGEN

PAESI BASSI

PRUSSIA ORIENTALE

POMERANIA ORIENTALE

MINDEN ALTMARK

RAVENSBERG

MARK

1

Berlino

MAGDEBURGO

Potsdam

Schwiebus

Vis

tol

a Varsavia

HALBERSTADT a Elb

L’Elettorato del Brandeburgo nel 1640 Conquiste di Federico Guglielmo (1640-1688) Conquiste di Federico I (1688-1713) Conquiste di Federico Guglielmo I (1713-1740)

Oder

Cottbus

Slesia

REGNO DI POLONIA

ELETTORATO DI SASSONIA

AUSTRIA

1. L’elettorato del Brandeburgo nel 1640. La casa regnante, gli Hohenzollern, acquisì il Ducato della Prussia orientale – antico territorio dell’Ordine teutonico – nel 1618.

3. Conquiste di Federico I (1688-1713). Venne annesso solo un piccolo territorio, ma Federico I poté fregiarsi per primo del titolo di re di Prussia.

2. Conquiste di Federico Guglielmo di Brandeburgo (1640-1688). Grazie alla guerra dei Trent’anni vennero annessi piccoli territori nella bassa Renania, ma soprattutto la Pomerania orientale, permettendo di avvicinare i due maggiori territori dello Stato.

4. Conquiste di Federico Guglielmo I (1713-1740). Venne acquisita una piccola zona della Pomerania che comprendeva però lo strategico porto di Stettino.

TUTOR

Anche nel caso della Prussia si trattò di un riformismo dall’alto, voluto dal sovrano senza il coinvolgimento della società. Il re mirò alla costruzione di un apparato statale centralistico interamente sottoposto al suo controllo. Istituì a tal ine un Commissario generale con il compito di amministrare in modo unitario i diversi domini soggetti alla corona.

UNITÀ 1

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Quale obiettivo si poneva Pietro il Grande e come cercò di realizzarlo? ƒ Qual era la condizione della Prussia agli inizi del Settecento? ƒ Quali riforme intraprese Federico Guglielmo I?

28 Eliminò le autonomie cittadine e costrinse la nobiltà a rinunciare alle proprie rappresentanze politiche. In cambio la nobiltà trovò spazio nella carriera amministrativa, militare e diplomatica, si vide confermare i suoi privilegi e ottenne un’ulteriore estensione della servitù contadina. Federico Guglielmo I organizzò un eiciente sistema iscale i cui introiti gli permisero di ampliare e raforzare l’esercito che giunse a contare ino a 80 000 uomini (su una popolazione di circa due milioni di abitanti) e che, per i livelli di addestramento, era invidiato in tutta Europa. Il servizio militare era obbligatorio e tutta la società era subordinata alle esigenze dell’esercito: i nobili dovevano incominciare la loro carriera servendo come ufficiali, i contadini potevano liberarsi della servitù della gleba entrando come soldati nei ranghi dell’esercito; nelle amministrazioni locali e centrali, la preferenza veniva data a chi avesse prestato servizio militare. In questo modo lo spirito gerarchico, l’abitudine all’obbedienza, il rispetto assoluto dell’autorità passarono dall’ambito militare a tutta la vita civile. Quest’opera valse a Federico Guglielmo I l’appellativo di «re sergente». Il sovrano della Prussia, tuttavia, promosse anche la cultura: fondò l’Università di Halle, l’Accademia delle Arti e l’Accademia delle Scienze di Berlino di cui fu presidente il filosofo Gottfried Leibnitz.

Adolf von Menzel, Il concerto di flauto di Federico il Grande a SansSouci, 1850-52. Berlino, Alte Nationalgalerie. Il re suona il flauto e Carl Philipp Emanuel Bach suona il clavicembalo.

TUTOR LO SVILUPPO DELLA RUSSIA E DELLA PRUSSIA TRA XVII E XVIII SECOLO Nello Stato – il consolidamento del ruolo della Corona e la realizzazione di una gestione assolutistica del potere; – la creazione di una burocrazia statale stabile; – l’importanza assegnata all’apparato militare, in particolare in Prussia, dove l’esercito costituì la base dell’espansione del Paese. Nella società

– l’assenza di una borghesia imprenditoriale; – la presenza di vaste masse di contadini in condizione di servitù; – l’inserimento della nobiltà nei ranghi dell’amministrazione dello Stato (del governo, dell’esercito, della burocrazia): la nobiltà veniva quindi legata e sottoposta alla Corona, ma ricompensata con ampi privilegi come l’esenzione fiscale e l’ampliamento dei diritti sui contadini; – le riforme dello Stato avvennero esclusivamente per iniziativa della Corona e imposte alla società con costi anche molti alti.

L’Europa tra Sei e Settecento

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4. L’alternativa inglese: la monarchia costituzionale L’ORIGINE DELLA MONARCHIA COSTITUZIONALE: LA GLORIOSA RIVOLUZIONE

LA DICHIARAZIONE DEI DIRITTI Il Parlamento assegnò a Guglielmo la corona ma gli impose di giurare una Dichiarazione dei diritti (1689) in cui riconosceva i diritti dei cittadini e del Parlamento: fu questo l’aspetto più innovativo della Gloriosa Rivoluzione. Nella sostanza, il Parlamento impose a Guglielmo di rinunciare all’assolutismo. La Dichiarazione, infatti, garantiva: ƒla ine dell’arbitrio e la limitazione del potere regio; ƒil raforzamento dei poteri del Parlamento; ƒla garanzia del rispetto dei diritti dei cittadini. Il Bill of Rights (Carta dei diritti, 1689) tradusse in forma di legge i princìpi della Dichiarazione. Questa Carta dei diritti, limitando il potere dei sovrani e sottomettendolo al Parlamento, segnò la ine dell’assolutismo e l’inizio di una vera e propria monarchia costituzionale. In una monarchia costituzionale il sovrano accetta di avere accanto a sé altre istituzioni dotate di una propria autonomia, in particolare il Parlamento. La monarchia è vincolata a un preciso patto (contratto) di garanzie giuridiche. Tali garanzie sono contenute in un documento scritto, la Costituzione. Con il patto costituzionale la monarchia cessa di essere un’istituzione «al di sopra dello Stato» e diventa un «organo dello Stato». Una successiva evoluzione della monarchia costituzionale fu la monarchia parlamentare, caratterizzata dalla centralità del Parlamento. Si era davvero a una svolta importante nella storia dello Stato: la Dichiarazione dei diritti, infatti, afermava chiaramente che le iniziative del sovrano dovevano godere del consen-

Un ritratto dell’epoca che rappresenta Guglielmo d’Orange e Maria Stuart.

COMPETENZE

USARE LE FONTI

La Dichiarazione dei diritti Pag. 48

LESSICO

L’assolutismo non conquistò mai l’intera Europa: in Polonia, per esempio, governava una monarchia elettiva, in Olanda una repubblica; ma il caso più interessante è l’Inghilterra dove, a partire dal 1689, governò una monarchia costituzionale. Dopo la dittatura di Cromwell, l’Inghilterra era tornata alla monarchia Stuart (1660) ma prima Carlo II e poi Giacomo II avevano tentato di reimporre l’assolutismo. Giacomo II, che era cresciuto in Francia dov’era stato educato al cattolicesimo, avviò anche una politica antiprotestante. Lo scontro con il Parlamento precipitò quando Giacomo II ebbe un erede maschio che proilava il rischio di una dinastia cattolica per l’Inghilterra. Nel 1688, di fronte all’ostilità sempre più esplicita del Parlamento, Giacomo II fuggì dal Paese e si rifugiò nella Francia assolutistica di Luigi XIV. Il Parlamento allora ofrì la corona a Guglielmo d’Orange, sposo di Maria Stuart iglia di Giacomo II. Di fatto il Parlamento si era impadronito del potere senza nessuna violenza. Proprio per questo la rivoluzione venne deinita «gloriosa», perché non vi era stato nessuno spargimento di sangue. Nella discussione che portò alla decisione di aidare la corona a Guglielmo d’Orange, i diversi orientamenti presenti nel Parlamento si raccolsero in due schieramenti: ƒi whigs, iloparlamentari; ƒi tories, difensori delle prerogative regie, della Camera dei Lords e della Chiesa anglicana. La formazione dei partiti era una novità assoluta nella politica europea. Particolare fortuna ebbero anche i nomi: whigs e tories in origine avevano un signiicato spregiativo, ma si imposero nella tradizione politica inglese e tuttora indicano i liberali e i conservatori.

MONARCHIA PARLAMENTARE È l’evoluzione della monarchia costituzionale. Questo sistema politico è caratterizzato dalla «centralità del Parlamento» e dal ruolo puramente rappresentativo dell’unità dello Stato del monarca. La differenza fondamentale rispetto alla monarchia costituzionale è costituita dal fatto che il governo non risponde più del suo operato al sovrano ma al Parlamento. Pertanto per la gestione del potere diviene essenziale il consenso del Parlamento, anziché quello del sovrano, cui rimane solo una funzione di ratifica delle decisioni prese in sede parlamentare.

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LA MONARCHIA ASSOLUTA E LA MONARCHIA COSTITUZIONALE Monarchia assoluta

TUTOR Monarchia costituzionale

Origine

Evoluzione dalla monarchia feudale attraverso un lungo processo realizzatosi tra il XIV e il XVIII secolo.

In Inghilterra nel XVII secolo, con la Gloriosa Rivoluzione del 1688.

Elementi costitutivi

Accentramento del potere nella persona del sovrano che controlla le funzioni di difesa militare, di amministrazione della giustizia e delle finanze. A questo scopo vengono costituiti: un esercito regio, un apparato amministrativo centralizzato (burocrazia), un fisco in grado di finanziare lo Stato, un sistema giudiziario professionalizzato.

La monarchia è limitata, cioè la sovranità viene esercitata secondo procedure cui il re è tenuto ad attenersi. Il potere è distribuito fra monarca e Parlamento. Una costituzione o alcune norme fondamentali valgono come un «contratto». Tale accordo riconosce le libertà politiche e religiose, la certezza del diritto, la fine dell’arbitrio. La struttura dello Stato e del potere non dipende più dalla esclusiva volontà del re.

Ordinamento giuridico

Il monarca crea l’ordinamento giuridico, poiché è la fonte del diritto (rex facit legem).

La monarchia fonda la propria legittimità su un ordinamento giuridico che deve rispettare (lex facit regem).

Vincoli

Il re è vincolato al rispetto dell’ortodossia religiosa e delle norme sulla successione al trono.

Il potere sovrano è vincolato dalla Costituzione e dalle leggi approvate dal Parlamento.

Organi di governo

Capo del governo e ministri creati dal monarca, da lui direttamente dipendenti e quindi anche revocabili a suo arbitrio.

Capo del governo e ministri nominati dal sovrano, ma responsabili davanti al Parlamento (monarchia parlamentare).

Istituzioni Assemblee degli ordini, come gli Stati Generali in rappresentative Francia, convocate a discrezione del sovrano. della società GUIDA ALLO STUDIO

so del Parlamento. Di fatto si applicò il principio del «contratto», così com’era stato elaborato in quegli stessi anni dal ilosofo John Locke: un accordo tra Parlamento e Corona (con il riconoscimento dei rispettivi diritti e doveri) che garantiva le libertà politiche e religiose, la certezza del diritto e la ine dell’arbitrio. Sulla base di questi princìpi venne approvato nel 1689 l’Atto di tolleranza che, pur escludendo i cattolici, poneva di fatto ine all’epoca delle persecuzioni religiose. Nel 1701, inine, venne emanato l’Act of Settlement (Atto di insediamento), che garantiva l’indipendenza dei giudici e impediva una successione cattolica al trono inglese.

ƒ Perché con Giacomo II lo scontro tra il Parlamento e la Corona precipitò? ƒ Perché si parla di Gloriosa Rivoluzione? ƒ Che cosa stabiliva la Dichiarazione dei diritti? ƒ Che cos’è una monarchia costituzionale? ƒ Come e quando si formò il Regno Unito di Gran Bretagna? COMPETENZE

Il Parlamento (che non è tuttavia effettivamente rappresentativo dell’intera società poiché il suffragio è ristretto).

DALL’INGHILTERRA ALLA GRAN BRETAGNA

USARE LE FONTI

Locke e la tolleranza religiosa

LESSICO

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Guglielmo d’Orange morì nel 1702 e la corona passò ad Anna, iglia di Giacomo II e ultima Stuart. Pochi anni dopo, nel 1707, fu approvato un Atto di unione con la Scozia che, nel 1800, fu esteso all’Irlanda: nacque così il Regno Unito di Gran Bretagna, formato dall’unione politica di Scozia, Irlanda e Inghilterra. Vennero uniicati il Parlamento (che continuò a essere articolato in una Camera dei Lords e in una Camera dei Comuni) e il governo, anche se i singoli Stati conservarono il loro sistema giuridico e la loro Chiesa. Nel frattempo il trono era passato alla dinastia che tuttora regna sul Paese. Nel 1714, infatti, Anna Stuart morì senza lasciare eredi diretti e la Gran Bretagna passò a Giorgio di Hannover, protestante e lontanamente imparentato con gli Stuart. Il nuovo sovrano prese il nome di Giorgio I (1714-1727) e diede appunto inizio alla dinastia tuttora regnante.

CAMERA DEI LORDS Era la «Camera alta» del Parlamento inglese; era riservata ai primogeniti delle più importanti famiglie aristocratiche e ai prelati della Chiesa anglicana. Tradizionalmente era la Camera più conservatrice. CAMERA DEI COMUNI Era la «Camera bassa» del Parlamento inglese; era composta dai rappresentanti eletti dalle classi agiate delle città e delle contee. Poiché non tutti i cittadini avevano diritto di voto, erano difesi in Parlamento non gli interessi di tutti gli Inglesi, ma solo quelli dei ceti dominanti.

L’Europa tra Sei e Settecento

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5. Un altro secolo di guerre Il secolo che intercorre tra il 1667 e il 1763 fu tormentato da un susseguirsi di guerre pressoché continue. La Francia fu in guerra per cinquantatré anni, l’Inghilterra e l’Olanda per circa quaranta, la Russia per trentatré anni. Non erano più, come nei secoli passati, guerre di religione, il cui scopo era l’annientamento dell’avversario e della sua fede: quell’epoca era terminata con la pace di Vestfalia del 1648. Le guerre di questo secolo furono esclusivamente territoriali, cioè guerre il cui scopo era il possesso di aree in Europa o nelle colonie per stabilire un nuovo equilibrio tra gli Stati. Da questo punto di vista, è evidente che anche l’insediamento di una dinastia piuttosto che di un’altra su un trono vacante assumeva lo stesso valore di una conquista territoriale. Del resto, le grandi famiglie regnanti in Europa erano tutte imparentate tra loro e sovente, in assenza di eredi diretti, in molti potevano rivendicare il trono. Si apriva quindi una contesa che rimetteva in discussione l’intero equilibrio del continente. Le guerre di successione del Settecento furono dunque dei pretesti per modiicare i rapporti di forza tra gli Stati.

LA SCONFITTA DI LUIGI XIV Fu la politica espansionistica di Luigi XIV a mettere in discussione l’assetto europeo issato nel 1648 e a dare inizio a questo secolo di guerre. Come abbiamo visto nel primo volume, il Re Sole intendeva approittare della crisi della Spagna e delle diicoltà dell’Austria e dell’Inghilterra per imporre la supremazia francese in Europa: ƒ la Spagna era stata sconitta dalla Francia nella guerra dei Trent’anni (1618-48) ed era ormai avviata verso un inarrestabile declino; ƒ l’Inghilterra ino alla Gloriosa Rivoluzione (1688) fu completamente assorbita dal nuovo scontro tra Corona e Parlamento; ƒl’Impero austriaco, inine, dovette afrontare una nuova ofensiva dei Turchi che, nel 1683, giunsero ad assediare Vienna. Questo quadro favorevole spiega i successi iniziali del Re Sole che culminarono con la Dieta di Ratisbona (1684), quando l’Impero austriaco si rassegnò a riconoscere tutte le annessioni che la Francia aveva imposto con la forza delle armi ino al 1681. Ma la situazione internazionale cambiò completamente nel corso degli anni Ottanta del Seicento: l’Austria sconisse i Turchi e nel 1688 il trono inglese andò a Guglielmo d’Orange, cioè proprio all’uomo che, in qualità di capo di Stato, aveva guidato la resistenza olandese alla Francia. L’occasione che dimostrò quanto la situazione fosse cambiata fu la

LESSICO

GUERRE TERRITORIALI

EQUILIBRIO Questo termine, preso nel suo significato generale di stabilità, è spesso usato dagli storici quando si riferiscono a momenti in cui diversi Stati raggiungono una situazione in cui nessuno di loro ha un netto predominio sugli altri. La pace di Lodi del 1454 garantì una situazione simile in Italia, e così tentò di fare anche la pace di Aquisgrana nel 1748 in Europa.

La battaglia della Montagna Bianca (1620) presso Praga, in cui i protestanti vengono sconfitti. Vienna, Archivio della Biblioteca Nazionale Austriaca.

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32 guerra di successione spagnola (1701-1713), un conflitto molto duro per la Francia che rischiò addirittura d’essere invasa: dopo aver aggredito l’Europa per un cinquantennio, nella sua ultima guerra il re Sole fu costretto a difendersi. Le paci di Utrecht (1713) e Rastadt (1714) c h e posero termine al conflitto segnarono la sconitta delle pretese di supremazia della Francia.

LA SISTEMAZIONE DELL’AREA ITALIANA

TUTOR

Nel 1713 terminò la dominazione spagnola in Italia. Tuttavia, per dare un’organizzazione stabile ai territori italiani ci vollero altre due guerre: la guerra di successione polacca (1733-35) e quella di successione austriaca (1740-48). Solo con la pace di Aquisgrana (1748), infatti, le potenze europee riuscirono ad accordarsi sulla spartizione dell’Italia: ƒil Regno di Napoli, andò a Carlo di Borbone, iglio del re di Spagna Filippo V; ƒla Lombardia passò sotto il dominio degli Asburgo d’Austria; un ramo di questa famiglia controllava anche il Granducato di Toscana, dove nel 1737 si era estinta la dinastia dei Medici. Tra gli Stati italiani emergeva la crescita del Piemonte sabaudo: nel 1714 aveva ottenuto il Monferrato; nel 1720, la Sardegna e il titolo regio (da cui il nuovo nome di Regno di Sardegna); nel 1748, un ulteriore allargamento dei conini a est ino a Vigevano e Voghera. I Savoia non erano riusciti a conquistare la Lombardia, da più di un secolo loro principale ambizione, ma il Piemonte sabaudo si andava preparando al ruolo che avrebbe svolto nel Risorgimento italiano.

L’Italia dopo la pace di Aquisgrana La pace di Aquisgrana confermò, seppure con vistosi cambiamenti, la suddivisione dell’Italia in tanti Stati.

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2. Ducato di Milano. Venne ceduto dalla Spagna all’Austria nel 1714. Il territorio si giovò della più dinamica amministrazione austriaca, diventando un’area molto sviluppata rispetto al resto della Penisola.

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3. Granducato di Toscana. Gian Gastone de’ Medici, inetto e malato, morì senza figli nel 1737; il territorio venne ceduto al ramo di Lorena degli Asburgo, con il duca Leopoldo, marito di Maria Teresa d’Austria. Anche in questo caso l’avvento degli Asburgo favorì lo sviluppo economico e culturale.

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1. Regno di Sardegna. Dopo la guerra di successione spagnola il Ducato di Savoia ottenne la Sicilia (poi scambiata con la Sardegna) e il titolo di regno, oltre a territori nel Monferrato e ai confini con la Lombardia. Altri territori a oriente, sottratti alla Lombardia, furono aggiunti nel 1748.

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4. Regno di Napoli. La guerra di successione austriaca costò all’Austria la perdita dei territori più lontani, come il Regno di Napoli, strappato alla Spagna nel 1714; tornarono sul trono i Borboni con Carlo, primogenito dei sovrani spagnoli, che regnò dal 1754 al 1759, quando divenne re di Spagna. 5. Corsica. I Corsi avevano ripetutamente scatenato rivolte per ottenere l’indipendenza da Genova, che aveva chiesto aiuto alla Francia non riuscendo da sola a reprimere i rivoltosi. Alla fine la Francia convinse Genova a cederle tutta l’isola, che divenne così territorio francese (1768). Napoleone Bonaparte, il più grande Corso della storia, nacque l’anno successivo. Le varie insurrezioni antifrancesi furono duramente represse.

L’Europa tra Sei e Settecento

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IL TRAMONTO DELLA POTENZA OTTOMANA Nel 1683 un possente esercito ottomano penetrò in Austria e giunse ad assediare Vienna, da dove l’imperatore Leopoldo I dovette fuggire. Solo l’aiuto delle truppe del sovrano polacco Giovanni Sobieski (1674-1696) riuscì a salvare Vienna dalla capitolazione, imponendo la ritirata dei Turchi. La vittoria imperiale segnò la ine dell’espansionismo turco in Europa e avviò il declino dell’Impero ottomano. Nel 1686 infatti le potenze europee formarono una Lega Santa (Austria, Polonia, Venezia, Stato Pontiicio) a cui si unì anche la Russia. I Turchi vennero sconitti e furono obbligati ad accettare la pace di Carlowitz (1699). Si trattava del primo accordo sfavorevole sottoscritto dai Turchi: ƒl’Austria ottenne il riconoscimento della propria sovranità sull’Ungheria, la Transilvania e la Croazia; ƒVenezia ottenne i porti della Dalmazia e dell’Albania, e la Morea; ƒla Russia guadagnò il porto di Azov nella Crimea. Una seconda, umiliante sconitta fu portata ai Turchi nel 1717 dall’imperatore austriaco Carlo VI, alleato con Venezia. L’Impero ottomano proseguì così nel suo inesorabile declino: la pace di Passarowitz (1718) riconobbe le conquiste austriache della Serbia e della Valacchia. Con questa ennesima vittoria l’Austria si confermava come una della maggiori potenze europee. La guerra dimostrò anche la decadenza di Venezia che fu costretta a restituire ai Turchi la Morea poiché non era stata capace di difenderla durante le ostilità.

Jan Matejko, Sobieski a Vienna. Città del Vaticano, Musei Vaticani. I Turchi giunsero alle porte di Vienna il 14 luglio 1683. Vienna venne posta sotto assedio. Intanto dal resto d’Europa giungevano i rinforzi guidati dal re di Polonia Giovanni Sobieski (al centro dell’opera). Il 12 settembre gli eserciti cristiani attaccarono costringendo i Turchi alla fuga. E l’Europa fu salva.

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IL RAFFORZAMENTO DELLA RUSSIA E IL DECLINO DELLA SVEZIA Conquistando Azov, la Russia si era aperta uno sbocco sul Mar Nero. Ciò corrispondeva ai progetti di Pietro il Grande che, come sappiamo, intendeva garantire al suo Paese una «inestra sull’Europa». Le ambizioni dello zar però erano rivolte soprattutto verso il Baltico e per questo era indispensabile afrontare la Svezia che dominava questo mare. Fu tuttavia il giovane re svedese Carlo XII a prendere l’iniziativa, avviando la seconda guerra del Nord (1700-21). Nel 1700, infatti, la Svezia sconisse i Russi nella battaglia di Narva. Nel 1709, però, fu Carlo XII a subire una pesante sconitta alla Poltava. Il re svedese fu addirittura obbligato a rifugiarsi presso i Turchi, col cui appoggio cercò una rivincita. Inine (1718) Carlo XII trovò la morte durante le operazioni militari. Le paci di Stoccolma (1720) e di Nystad (1721) chiusero così la guerra e segnarono la ine dell’egemonia svedese sul Baltico a vantaggio della Russia e della Prussia. La Svezia infatti cedette: ƒla Pomerania occidentale e Stettino alla Prussia; ƒla Livonia, l’Estonia, l’Ingria e la Carelia alla Russia. Per ottenere questo risultato, Pietro il Grande aveva dovuto restituire Azov ai Turchi. Tuttavia poteva considerare raggiunto il suo obbiettivo: la Russia ormai si era saldamente inserita nella vita europea. Lo comprese subito la Gran Bretagna che si afrettò a stringere accordi commerciali con lo zar. Johan Philip Lemke, Carlo XII attraversa il Düna, 1701.

LA SVEZIA FINO AL 1721

LA RUSSIA NEL 1721

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Dalla minaccia ottomana alla «questione d’Oriente» L’Impero ottomano fu fondato nel XIV secolo da Osman, da cui prese anche il nome. Durò fino al 1922, anno della deposizione dell’ultimo sultano: Maometto VI. Per tutta la sua storia fu una spina nel fianco per l’Occidente: prima come pericoloso avversario in grado di misurarsi alla pari

con gli eserciti delle potenze europee, poi per il suo declino. Per tutto l’Ottocento, infatti, la crisi dell’Impero ottomano alimentò le ambizioni espansionistiche degli Stati europei, destabilizzando l’area balcanica: gli storici parlano in proposito di questione d’Oriente. 1. Vienna. Fu uno dei punti della massima espansione ottomana: i Turchi l’assediarono senza successo due volte, nel 1529 e nel 1683.

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2. Solimano il Magnifico (1520-1566). Fu il grande protagonista dell’espansione ottomana che si misurò alla pari con Carlo V d’Asburgo.

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3. La presa di Costantinopoli (1453). Determinò la fine dell’Impero romano d’Oriente e avviò una nuova fase di espansione dell’Impero ottomano.

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Fasi di espansione dell’Impero ottomano: 1453-1520 1520-1566 1566-1683 direttrice dell’espansione ottomana in Europa massima espansione raggiunta nel 1683

1. La progressiva perdita di territori. Accompagnò il tramonto dell’Impero ottomano e le conseguenti mire delle potenze europee che destabilizzarono per tutto l’Ottocento l’area balcanica.

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Confini dell’Impero ottomano: prima del 1699 dopo il 1830 Zone perdute nel: 1699 1739 1774 1830

TUTOR

L’Europa tra Sei e Settecento

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LA STRAORDINARIA ASCESA DELLA PRUSSIA

Martin van der Meytens, L’imperatore Francesco I e l’imperatrice Maria Teresa (particolare), XVIII secolo. Vienna, Kunsthistorisches Museum.

Il raforzamento dell’Austria nel centro Europa trovò un valido contendente nella Prussia. Questo Stato era destinato a una straordinaria ascesa che sarebbe culminata nel 1871 con l’uniicazione della Germania. Nell’epoca che stiamo esaminando, questo processo trovò un eccezionale interprete in Federico II (1740-1786), non a caso detto il Grande. Colto, autore di scritti in cui condannava la guerra e il cinismo della ragion di Stato, questo sovrano si dimostrò determinato e spregiudicato. L’occasione gli fu subito oferta dai problemi della successione austriaca. Alla morte dell’imperatore asburgico Carlo VI, doveva salire al trono la iglia Maria Teresa. Carlo VI si era preoccupato di garantire questa successione promulgando sin dal 1713 la Prammatica Sanzione, una norma che consentiva la successione al trono anche alla linea femminile della famiglia. Gli Stati europei avevano riconosciuto questo provvedimento, ma quando Carlo morì (1740) contrastarono l’ascesa al trono di Maria Teresa. Federico II di Prussia iniziò l’ofensiva contro l’Austria occupando la Slesia con l’ambizione di allargare i propri conini. Baviera, Spagna e Francia intervennero a ianco della Prussia; l’Austria fu appoggiata invece dall’Inghilterra e dalla Savoia. La guerra terminò con la pace di Aquisgrana (1748) che, oltre a deinire una spartizione stabile dell’Italia, riconobbe a Federico II la Slesia e assegnò la corona imperiale a Francesco Stefano di Lorena, marito di Maria Teresa. Forse, però, il caso che meglio evidenziò il cinismo di Federico II fu quello della Polonia. Questo Stato era estremamente debole e suscitava le ambizioni espansionistiche dei suoi potenti coninanti: l’Austria, la Prussia e la Russia. C’era concretamente il rischio che fra questi tre Stati scoppiasse una guerra. Per evitarla, Federico II propose spregiudicatamente di procedere alla suddivisione tra le tre potenze dei territori polacchi. Nel 1772 si giunse così a una prima spartizione, seguita da altre due (1793 e 1795) che cancellarono la Polonia dalla carta geograica europea.

L’ESPANSIONE PRUSSIANA NEL XVIII SECOLO

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Prussia agli inizi del secolo Conquiste nel 1748 Conquiste nel 1772

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L’Europa tra Sei e Settecento

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TUTOR

Le spartizioni della Polonia La suddivisione forzata della Polonia voluta da Prussia, Austria e Russia avvenne in tre fasi: 1772, 1793 e 1795.

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1. 1770 La Polonia separava, con il «corridoio» di Danzica, le due parti della Prussia: questa situazione rendeva la Polonia preda degli interessi espansionistici di Federico II di Prussia. 2. 1772 Per la sua debolezza la Polonia, stretta fra vicini potenti, non si poté opporre al progetto di spartizione organizzato da Federico II, il quale riuscì a unificare il territorio prussiano, mentre la Russia si impadroniva di Smolensk e dei territori limitrofi, e l’Austria otteneva la Galizia. 3. 1793 Nel corso della prima coalizione contro la Francia rivoluzionaria,

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Prussia e Russia si accordarono per rafforzarsi a spese della Polonia: la prima ottenne vari territori e la città di Poznan’, la seconda la Rutenia Bianca (oggi Bielorussia) e l’Ucraina. Da notare come nel frattempo la Russia avesse occupato anche la Crimea strappandola alla Turchia. 4. 1795 Sconfitta dai Francesi, la prima coalizione antinapoleonica si sfaldò: la Prussia firmò la pace con la Francia per poter spartire definitivamente la Polonia e conquistò Varsavia; intanto l’Austria ampliava i suoi domini fino a Brest-Litovsk e la Russia si spingeva ancor più a occidente. La Polonia non esisteva più.

Il Prometeo polacco di Horace Vernet rappresenta la repressione dei polacchi da parte della Russia, simboleggiata dall’aquila che affonda gli artigli sul corpo esanime della Polonia. Parigi, Bibliothèque Polonaise.

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LA GUERRA DEI SETTE ANNI

Benjamin West, Il generale Johnson salva un ufficiale francese ferito da un indiano del Nord America, 1764-1768. Derby, Museo e Galleria d’Arte.

Con l’acquisizione della Slesia, la Prussia aveva allargato notevolmente i propri conini e raddoppiato le risorse demograiche ed economiche: era divenuta una vera e propria potenza. L’Austria, però, intendeva riconquistare la regione e iniziò immediatamente a preparare una nuova guerra, cercando l’alleanza della Russia, che non gradiva afatto un vicino potente come la Prussia. Si giunse così alla guerra dei Sette anni (1756-63), che in un certo senso fu la prima guerra mondiale della storia, perché fu combattuta contemporaneamente in Europa, India e America. Il conflitto, infatti, si svolse in due distinti contesti: ƒil contrasto per la Slesia, che si combatté sul territorio europeo e vide schierata l’Austria, alleata della Russia e della Francia, contro la Prussia, appoggiata dall’Inghilterra; ƒlo scontro per il primato coloniale, che contrappose la Gran Bretagna alla Francia, alleata con la Spagna. La guerra in Europa si risolse con un nulla di fatto. La pace di Hubertusburg (1763) fra Austria e Prussia lasciò infatti a quest’ultima la Slesia. Sul fronte coloniale, invece, la Gran Bretagna dimostrò la sua schiacciante superiorità che fu ratiicata dalla pace di Parigi (1763): ƒla Gran Bretagna ottenne dalla Francia il Canada, la vallata dell’Ohio e del Mississippi e le isole di Dominica e San Vincenzo; dalla Spagna ebbe la Florida; nei possedimenti spagnoli e portoghesi dell’America del Sud (così come in India) raforzò la sua influenza commerciale; in Africa acquisì il Senegal;

GLI INSEDIAMENTI EUROPEI NEL NORD AMERICA Compagnia della Baia di Hudson

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Territorio del Nord Ovest

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Territori britannici Territori spagnoli Territori francesi

OCEANO ATLANTICO

L’Europa tra Sei e Settecento

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Zone perdute dai Francesi con la pace di Parigi (1763) Zone inglesi nel 1765 Principali insediamenti francesi Principali insediamenti inglesi

L’INDIA DOPO LA GUERRA DEI SETTE ANNI

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Moneta che celebra la pace di Hubertusburg del 1763. Collezione privata.

ƒin cambio della cessione della Florida, la Spagna ottenne dalla Francia la Louisiana e conservò i suoi vicereami sulle coste occidentali del Nord e del Sud del continente americano; ƒoltre alle cessioni in favore di Gran Bretagna e Spagna, la Francia dovette disarmare le sue basi commerciali in India; le rimasero alcune isole nelle Antille, ma ciò non fu suiciente a evitare la decadenza in campo coloniale.

LE GUERRE DEL SETTECENTO: UN BILANCIO A metà del Settecento due fatti risultavano evidenti: la Prussia emergeva come potenza militare sul continente europeo, raforzata anche grazie all’acquisizione di parte della Polonia; la Gran Bretagna diventava la principale potenza coloniale e commerciale a livello mondiale. Dal 1689 alla ine del Settecento, il tonnellaggio delle navi della flotta mercantile britannica aumentò del 152% e il volume del commercio estero raddoppiò. L’Oceano Atlantico divenne sempre più un mare inglese, ma anche nel Baltico si impose la marineria britannica, anche perché contemporaneamente era in declino il commercio dell’Olanda. Se questi due Stati potevano considerarsi i vincitori, gli sconitti erano la Francia, espulsa dai suoi possedimenti in India e in America del Nord, e la Spagna, che aveva perso la Lombardia, la Sicilia, la Sardegna e il Belgio. La Spagna manteneva il proprio impero coloniale ma la sua economia, basata sul tradizionale sfruttamento delle miniere e delle piantagioni, era destinata a entrare in crisi di fronte alla potenza economica inglese. Sul continente europeo, due piccoli Stati ebbero vicende opposte: la Polonia cessò di esistere come Stato indipendente, mentre il ducato di Savoia aveva acquisito la Sardegna e si era trasformato in regno. L’Austria aveva perso il Mezzogiorno d’Italia, ma risultò raforzata grazie alla conquista di parte della Polonia, della Lombardia e del Belgio, e nei decenni successivi elaborò un vasto piano di riforme volto a controllare province così lontane e così diverse. La Russia aveva raforzato il suo ruolo politico e militare nell’Europa centro-orientale e stava conoscendo un rapido sviluppo economico.

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Perché terminò la supremazia francese? ƒ Quali Stati uscirono rafforzati e quali indeboliti dalla pace di Passarowitz? ƒ Quale obiettivo si proponeva Pietro il Grande? Attraverso quali guerre lo raggiunse? ƒ Che cosa stabilì la pace di Aquisgrana? ƒ Come si giunse alla guerra dei Sette anni? ƒ Quali furono i due fronti sui quali la guerra venne combattuta? E quale fu l’esito?

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UN SECOLO DI GUERRE (1667-1763) Anni Guerra Stati coinvolti

TUTOR Pace

Conseguenze

1667-68

Guerra di devoluzione.

Francia contro Spagna, Olanda e Inghilterra.

Pace di Aquisgrana (1668).

Rafforzamento della Francia.

1672-78

Guerra d’Olanda.

Francia, Svezia e Inghilterra contro Olanda, Spagna e alcuni principati tedeschi.

Pace di Nimega (1678).

Rafforzamento della Francia.

1683-99

Guerra della Lega Santa.

Austria, Polonia, Pace di Carlowitz (1699). Segna l’inizio del declino irreversibile dell’Impero Venezia, Stato ottomano. Pontificio contro l’Impero ottomano.

1688-97

Guerra della Lega d’Augusta.

Francia contro Austria, Spagna, Svezia, Prussia, Inghilterra, Ducato di Savoia, Olanda.

Pace di Rijswijk (1697).

Prima sconfitta di Luigi XIV.

1701-13

Guerra di successione spagnola.

Francia contro Austria, Inghilterra, Olanda, principati tedeschi, Portogallo, Svezia, Ducato di Savoia.

Pace di Utrecht (1713). Pace di Rastadt (1714).

Fine della supremazia francese in Europa e della dominazione spagnola in Italia.

1700-21

Seconda guerra del Nord.

Svezia contro Russia, Polonia, Danimarca e Prussia.

Pace di Stoccolma (1720). Pace di Nystad (1721).

Rafforzamento della Russia e declino della Svezia.

1716-18

Austria e Impero ottomano.

Austria e Venezia contro l’Impero ottomano.

Pace di Passarowitz (1718).

Rafforzamento dell’Austria e declino dell’Impero ottomano.

1733-35

Guerra di successione polacca.

Austria e Russia contro Francia, Spagna e Regno di Sardegna.

Pace di Vienna (1735).

Evidenzia la debolezza della Polonia; nuova sistemazione dell’area italiana.

1740-48

Guerra di successione austriaca.

Austria, Inghilterra, Regno di Sardegna contro Prussia, Baviera, Francia e Spagna.

Pace di Aquisgrana (1748).

Rafforzamento della Prussia e stabilizzazione della situazione italiana.

1756-63

Pace di Hubertusburg Guerra dei Sette Austria, Francia, Russia (1763). anni (in Europa e Spagna contro Pace di Parigi (1763). e nelle colonie). Inghilterra e Prussia.

L’Inghilterra conquista il primato nelle colonie e nel commercio mondiale.

Guerra dei Sette anni, la caduta di Kolberg (in Prussia) ad opera dei Russi.

L’Europa tra Sei e Settecento

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6. Le nuove frontiere dell’Occidente IL PRIMATO INGLESE E IL DOMINIO DELL’EUROPA Il primato coloniale conquistato dall’Inghilterra con la guerra dei Sette anni trova certamente la sua origine in uno sviluppo economico e tecnologico più rapido e nell’afermazione di un sistema politico che garantiva diritti e libertà: a cominciare dalla libertà di commercio e dalla tutela della proprietà privata. Proprio questi aspetti fecero la diferenza rispetto alle grandi civiltà asiatiche e consentirono la straordinaria crescita europea: la Cina, l’India o l’Impero ottomano, che ino a qualche secolo prima erano nettamente più sviluppati in ambito tecnologico, rimasero ingabbiati nei loro sistemi chiusi che ostacolarono lo sviluppo economico. In Asia mancò quell’autonomia politica che le città europee sfruttarono a partire dall’età comunale per incrementare i loro commerci. Lo stesso discorso vale per il diritto alla proprietà individuale: un diritto inviolabile e sempre tutelato dallo Stato nella cultura dell’Occidente, mentre non era mai un diritto pieno per la cultura asiatica. Il possesso di un bene in Cina o in India era sempre soggetto alla volontà del sovrano che poteva coniscarlo: un bene non era mai considerato totalmente una proprietà individuale. L’Inghilterra si conquistò nel Settecento un primato indiscusso, ma la crescita economica coinvolse anche altri Paesi europei, come l’Olanda e la Francia: tanto bastava per fare dell’Europa della ine del Settecento il continente più potente e più ricco, il centro dell’economia mondiale. Soprattutto nel campo della navigazione e degli armamenti gli Europei avevano ottenuto grandi successi, evidenti appunto nel confronto bellico e nelle conquiste coloniali.

IL PREDOMINIO INGLESE VERSO LA FINE DEL XVIII SECOLO

Nathaniel Dance-Holland, Il capitano James Cook. Greenwich, National Maritime Museum.

I VIAGGI DI JAMES COOK NEL PACIFICO

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UNA NUOVA CONOSCENZA DEL MONDO All’origine dello sviluppo degli Europei c’erano anche fattori culturali collegati alla ricerca scientiica e tecnologica. Si inseguivano conoscenze geograiche, botaniche, etnograiche dei mondi lontani. Ci si chiedeva, ad esempio, se esistessero dei passaggi fra gli oceani, quali fossero i limiti dei continenti, quale la forma delle coste o la natura del paesaggio interno. Imbarcazioni perfezionate negli scai e migliorate nelle vele, nuove conoscenze sulla navigazione e marinai professionisti al posto degli avventurieri dei secoli precedenti rendevano meno pericolose le lunghe traversate oceaniche. In questo quadro si collocano anche le spedizioni del navigatore inglese James Cook (1728-1779). Cook entrò nella marina britannica a diciotto anni con umili mansioni di mozzo, ma poi passò agli incarichi di nostromo e inine di cartografo e astronomo. Nel 1768 ricevette dall’accademia londinese Royal Society il comando di una spedizione nei mari del sud, durante la quale scoprì l’Australia la esplorò e ne descrisse le coste. Egli riuscì a evitare che i marinai si ammalassero di scorbuto, una malattia causata dalla mancanza di vitamina C che rappresentava il più grave pericolo per gli equipaggi dell’epoca, somministrando loro una dieta particolare a base di crauti, estratto di malto e marmellata di carote. Rientrato in patria nel 1771, intraprese un’altra spedizione fra il 1772 e il 1775: superò due volte il circolo polare artico, esplorò le isole Marchesi, le Nuove Ebridi e la Nuova Caledonia e tornò in Inghilterra doppiando Capo Horn, realizzando così la prima circumnavigazione del globo da est verso ovest. Nel 1776 salpò per un nuovo viaggio alla ricerca di un passaggio dal Paciico all’Atlantico a nord dell’America. Scoprì le Hawaii e si spinse a nord, verso lo stretto di Bering; qui i ghiacci lo costrinsero a tornare indietro. Esplorò e rappresentò su carte le Hawaii e qui morì il 14 febbraio 1779 durante uno scontro con gli indigeni. Le sue relazioni, i suoi diari, i disegni e le carte furono pubblicati dai inanziatori dei viaggi e costituiscono un patrimonio importantissimo in campo geograico ed etnograico.

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L’Europa tra Sei e Settecento

I GRANDI IMPERI ASIATICI E GLI EUROPEI In Cina gli Europei furono costretti a misurarsi con una cultura evoluta e rainata che suscitava interesse e curiosità. In questa civiltà gli Europei non riuscirono mai entrare come dominatori, né riuscirono – nonostante gli sforzi dei missionari – a far penetrare in modo capillare il cristianesimo o la cultura occidentale. La Cina nella sua solidità culturale non lasciava spazio a questo genere di conquista ed anzi, dall’alto della sua tradizione, tendeva a considerare gli Europei come «barbari» piuttosto che come colti colonizzatori. Nel XVII secolo in Cina si era insediata, ad opera degli invasori Manchu, la dinastia Qing (1644-1912), che fu in grado di assorbire le diverse etnie e di organizzare uno Stato centralizzato. Dal 1757 Canton divenne un’importante dogana marittima che, con la vendita di tè, porcellane e sete, traeva proitto dal commercio europeo della Compagnie delle Indie Orientali. Decisivo per la crescita economica fu l’incremento demograico che, verso la ine del XVIII secolo, rese la Cina, con i suoi trecento milioni di abitanti, il Paese più popolato del mondo. Ma proprio la velocità di espansione mise in crisi la capacità produttiva e la Cina inì per cedere, nel XIX secolo, alla penetrazione europea. In India le tribù straniere turco mongole assunsero il potere con Babur (1526) che diede vita alla dinastia dei Moghul. L’organizzazione dello Stato Moghul era di tipo feudale con una aristocrazia prestigiosa ma priva del diritto di ereditare i poteri. Mancava invece una classe borghese intraprendente. La crisi dell’impero Moghul nel XVII secolo dipese dai contrasti che si vennero a creare fra la cultura induista e quella musulmana. Nonostante i vari tentativi di paciicazione e di integrazione, compiuti ad esempio durante il regno di Akbar (1556-1605), le diversità etniche e culturali esplosero nella seconda metà del XVII secolo. La politica di intolleranza voluta da Aurangzeb, ultimo imperatore Moghul, generò ribellioni e divisioni che alla ine portarono all’autonomia dei sultanati indù e alla disgregazione dell’impero. Nel Settecento la debolezza di un territorio frammentato in diversi principati favorì la conquista inglese. In Giappone invece, nel corso del Seicento, si ebbe un processo di accentramento del potere che portò all’uniicazione del Paese con l’insediamento della dinastia Tokugawa. Lo scopo degli imperatori fu quello di assicurare la pace e l’ordine sociale. Con questo obiettivo si riformò l’amministrazione interna ma si chiuse anche il Paese in un lungo isolamento per evitare ogni possibile minaccia esterna. Solo nel secolo successivo si iniziarono ad accordare delle licenze per il commercio estero.

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GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Quali fattori ostacolarono lo sviluppo delle civiltà asiatiche e favorirono quindi il dominio dell’Europa? ƒ Quali furono le principali scoperte di Cook? ƒ Quali erano le caratteristiche della grandi civiltà asiatiche, Cina, India e Giappone?

Un cavallo bianco viene dato in dono all’imperatore della Cina Qianlong nel 1757.

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LA GEOSTORIA

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ATLANTE

Il sorpasso dell’Europa

L’Europa e il mondo

Pagg. 30-41

Il sorpasso dell’Europa L’estensione delle frontiere geograiche ha accompagnato l’intera storia dell’uomo e dello sviluppo economico, ma ha caratterizzato soprattutto i secoli dell’età moderna a partire dalle prime esplorazioni atlantiche, dai viaggi di Colombo e dei navigatori del Cinquecento. Questo grande slancio verso le scoperte geograiche continuò nel Seicento e nel Settecento. Alla ine del XVIII secolo così erano poche le aree del mondo ancora sconosciute: quelle interne all’Africa, all’Australia, ai Poli e le montagne più alte delle grandi catene.

Si aprirono nuove frontiere geograiche: i nuovi contatti ampliarono i conini culturali e biologici dell’umanità. Cambiarono i paesaggi e la vegetazione. Si formarono raggruppamenti umani diversi. Si aprirono vasti mercati e si introdussero nuovi alimenti e nuovi stili di vita. Fu l’Europa la vera protagonista di questo passaggio storico. In particolare l’Europa occidentale che a partire dall’XI secolo aveva conosciuto un fase straordinaria di crescita, pur interrotta dalle crisi del Trecento e del Seicento. Nel

IL MONDO NEL XVIII SECOLO Ri Ri Ri

Bering (1725-1729)

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OCEANO INDIANO

Cook (1772-1775)

45 corso del XVI e del XVII secolo, la scoperta del Nuovo Mondo e la conquista degli oceani avevano garantito all’Europa una fase di intenso sviluppo che le consentì di imporsi sugli altri continenti. Nel Settecento inine maturò il sorpasso dell’Europa: la presenza europea in Africa, in Asia e nelle Americhe alimentò infatti un interscambio commerciale di dimensioni crescenti che inì per assicurare al Vecchio Continente l’egemonia mondiale e la difusione della propria cultura anche oltreoceano. Concretamente, fu la Gran Bretagna ad assicurarsi questa egemonia mondiale soprattutto grazie al suo primato coloniale e commerciale. L’egemonia britannica durerà ino ai primi del Novecento, quando si scontrerà con la crescita tedesca e soprattutto con la straordinaria ascesa deli Stati Uniti d’America.

Bering (1740-1741)

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Capo Horn

ASIA Fino al XVI secolo, India e Cina dominarono il mercato dei prodotti di lusso esportati in Europa. Nei secoli successivi, l’India non seppe opporre un’efficace resistenza alla penetrazione europea e la Cina si chiuse in un isolamento volto a preservare la tradizione ma che la escluse dalla politica internazionale. MEDIO ORIENTE L’area mediorientale era dominata dall’Impero ottomano che fino al XVII secolo restò il principale antagonista economico e religioso dell’Occidente cristiano. I Turchi, però, non ressero la competizione con l’Occidente ed entrarono in una lenta fase di declino che proseguì fino al XX secolo. AFRICA L’Africa conobbe tra il XII e il XVI secolo la sua «età aurea» che terminò sotto la pressione della conquista europea. Sulle coste occidentali gli Europei insediarono i centri del mercato schiavistico e di prodotti preziosi. Nel Settecento l’intero continente fu percorso da spedizioni occidentali con interessi scientifici e economici che sfruttarono le enormi ricchezze del territorio. AMERICA Alla fine del Settecento gli Europei si erano ormai insediati in tutti i continenti, ma era l’America la vera appendice dell’Europa. A differenza che in Asia, in America quel che esisteva delle antiche civiltà venne distrutto, la gran parte della popolazione indigena fu sterminata; gli Europei si appropriarono totalmente del territorio, misero in minoranza la popolazione, ne cambiarono i caratteri etnici deportando schiavi neri dall’Africa.

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Dal passato al presente Sono molti di più di quanto non si potrebbe pensare gli elementi di Antico regime ancora presenti tra noi: per esempio, gli abiti sontuosi che indossano nelle cerimonie i magistrati o i docenti universitari sono certamente espressione dell’esigenza di distinguersi anche nell’abbigliamento propri degli ordini. Al secolo che va dalla metà del Seicento alla metà del Settecento risalgono invece vari aspetti della vita politica contemporanea: soprattutto la teoria dello Stato liberale, elaborata dal ilosofo inglese John Locke; i primi partiti politici che si formano nel contesto della rivoluzione inglese, quando comparvero i whigs e i tories, antenati degli attuali liberali e conservatori Anche il caffè divenne di largo consumo proprio in quest’epoca. I nobili e la borghesia si incontravano in locali appositi, chiamati appunto cafè, per degustare questa bevanda e discutere di argomenti culturali e politici. Nel 1746, inine, comparve la prima banconota italiana: valeva 3 000 lire e venne emessa da Carlo Emanuele III di Sardegna. Fu però un esperimento che al momento non ebbe seguito.

La teoria dello Stato liberale LA CONCEZIONE ASSOLUTISTICA DELLA SOVRANITÀ

IERI

Il potere deriva da Dio e il re lo esercita senza limiti OGGI

Il potere deriva dai cittadini che affidano ai governanti il compito di garantire i loro diritti secondo le leggi

Il concetto di sovranità nel Medioevo e agli inizi della società moderna coincideva con la igura del sovrano: il potere risiedeva nella sua persona e gli derivava direttamente da Dio. Per questo poteva esercitare qualunque autorità (emanare le leggi, imporne l’attuazione, giudicare i sudditi) senza che nessuno potesse opporsi. I sudditi, come afermava il ilosofo Thomas Hobbes (15881679), sono sottomessi in tutto e per tutto al sovrano: per nessuna ragione possono ribellarsi. Di conseguenza, si parlava di potere assoluto del re, sciolto cioè da qualunque obbligo nei confronti dei sudditi. L’assolutismo comportava che qualunque opposizione fosse considerata reato: anche chi professava una religione diversa da quella del re diventava un nemico dello Stato, da perseguire e condannare. Oggi lo Stato non si identiica più con il sovrano ma con i cittadini: sono loro all’origine del potere del governo, e sono soprattutto i loro diritti che devono essere garantiti. Infatti, se il Governo agisce in modo da mettere in pericolo o tradire questi diritti, ai cittadini è lecito ritenere rotto il patto, e dunque ribellarsi. Tra i diritti che lo Stato deve garantire ci sono delle libertà fondamentali: fra queste quella religiosa, per cui nessu-

no può imporre una religione ai cittadini o perseguitare coloro che ne confessano una diversa da quella della maggioranza. Questa teoria, propria dello Stato liberale, risale all’epoca della Gloriosa Rivoluzione e fu soprattutto un ilosofo, John Locke (16321704), ad elaborarla.

I DUE TRATTATI SUL GOVERNO I testi di Locke in cui è esposta la teoria dello Stato sono i Due trattati sul governo. Vennero composti tra il 1683 e il 1689 (cioè nel periodo di maggior tensione politica nell’Inghilterra di Giacomo II), ma furono dati alle stampe solo dopo la conclusione della Gloriosa Rivoluzione. Secondo Locke sono gli uomini a fondare lo Stato; sono essi e non Dio ad aidare il potere a un sovrano. Per quali motivi lo fanno? Ogni uomo è naturalmente attratto da tre beni fondamentali: la vita, la libertà e la proprietà. Poiché è un soggetto ragionevole, l’uomo è disposto a riconoscere agli altri il diritto a questi beni: egli cioè capisce che se non riconosce agli altri tale diritto, non può pretenderlo per sé. Lo stato di natura, cioè la condizione in cui l’uomo vive prima che lo Stato sia ediicato, presenta però un grave limite: l’assenza di un arbitro che intervenga e risolva secondo

L’Europa tra Sei e Settecento

LA NASCITA DELLO STATO Come risolvere il problema dei conflitti tra gli uomini? Aidando a qualcuno il compito di fare l’«arbitro», cioè di enunciare con chiarezza le regole e farle valere per tutti. Proprio questo fanno gli uomini quando escono dallo stato di natura: rinunciano a difendere da soli i propri diritti e delegano questa difesa allo Stato. In pratica, stipulano un contratto: tutti rinunciano a una parte del loro potere (in particolare all’uso della forza) e la somma di questi poteri costituisce la sovranità dello Stato. Alcuni aspetti della concezione di Locke sono molto importanti: 1. gli uomini sono naturalmente portatori di alcuni diritti, dunque da questo punto di vista sono tutti uguali: pertanto devono essere uguali anche di fronte alla legge; 2. i diritti esistono prima dello Stato: non si tratta quindi di privilegi che spetta all’autorità concedere; 3. il contratto che dà vita allo Stato ha l’obiettivo dichiarato di garantire a tutti il go-

dimento dei diritti di natura (vita, libertà, proprietà). Lo Stato dunque è fondato dagli uomini; gode di un potere limitato dai diritti naturali del cittadino; ha un compito molto preciso e circoscritto.

LE CONSEGUENZE Le conseguenze di questa impostazione sono veramente notevoli: poiché lo Stato viene ediicato con l’obiettivo esplicito di garantire il diritto naturale, qualora tale compito sia tradito da chi concretamente esercita il potere, è lecito che i sudditi si ribellino. La Gloriosa Rivoluzione, dunque, era secondo Locke pienamente legittima. Altra conseguenza: lo Stato si occupa di cittadini e non di anime, dell’interesse generale e non della religione. Lo Stato dunque non deve intervenire con la forza nelle questioni religiose, né può farlo la Chiesa che non è abilitata all’uso della forza, prerogativa del potere civile. Di fronte ai fenomeni religiosi lo Stato dovrà avere un atteggiamento tollerante: dovrà accettare, cioè, che gli uomini si organizzino liberamente e volontariamente per adorare pubblicamente Dio. Alla ine del Seicento, dunque, dall’Inghilterra non proveniva solo l’esempio di una nuova organizzazione dello Stato, provenivano anche le idee che ispiravano questa organizzazione. Molte di queste idee confluiranno nel più importante movimento culturale e politico del Settecento: l’Illuminismo.

GENTILUOMO Questo termine veniva usato nell’Antico regime per indicare l’appartenente alla nobiltà, colui che discendeva da una gens importante: aveva quindi un preciso significato sociale. Nel linguaggio odierno indica semplicemente colui che ha un comportamento signorile, educato, o che agisce in modo onesto. TABÙ Divieto fortissimo nei confronti di oggetti, luoghi o persone considerate sacre o pericolose perché impure. Nella sostanza si tratta di una proibizione che ha un carattere magico-religioso. Fu James Cook il primo ad usare questo termine. Lo annotò sul giornale di bordo nel corso del suo terzo viaggio. Era la parola che aveva sentito utilizzare dagli aborigeni per indicare i divieti e le norme che regolavano i pasti dei capi e della gente comune. Il termine penetrò così nella lingua inglese e poi nelle altre lingue europee ma la sua diffusione fu favorita dalla pubblicazione nel 1912 di Totem e tabù di Sigmund Freud.

Thomas Gainsborough, Coniugi Andrews (particolare) 1750 ca. Londra, National Gallery.

PAROLE IN EREDITÀ

regole certe i conflitti tra gli individui. In pratica, è come se un gruppo di calciatori cercasse di disputare un incontro aidandosi al buon senso e senza un arbitro: è chiaro che gli atleti passerebbero il tempo a litigare e non giocherebbero mai. Qualcosa di simile rischia di capitare all’uomo nello stato di natura: egli rischia di essere eternamente in conflitto con gli altri senza poter mai godere della vita, della libertà e della proprietà.

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UNITÀ 1

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COMPETENZE: USARE LE FONTI

La Dichiarazione dei diritti DOCUMENTO

Il Parlamento vincolò la proclamazione di Guglielmo d’Orange e di Maria Stuart a regnanti inglesi all’accettazione da parte di entrambi di una Dichiarazione dei diritti1 (1689). Respinse così l’idea che il potere sovrano dovesse essere assoluto in quanto d’origine divina: non era Dio ad assegnare il potere al re ma il Parlamento che a nome del Paese stipulava un vero e proprio contratto con il sovrano. Questi princìpi furono un modello per la Dichiarazione dei diritti della rivoluzione americana e poi di quella francese.

I Lords Spirituali e Temporali2 e i Comuni […] dichiarano: – Che il preteso potere di sospendere le leggi o l’esecuzione delle leggi, per autorità regia, senza il consenso del Parlamento è illegale. – Che il preteso potere di dispensare dalle leggi, o dall’esecuzione delle leggi, per autorità regia, come e stato affermato recentemente, è illegale. – Che imporre tributi in favore o a uso della Corona per pretese prerogative senza l’approvazione del Parlamento, per un periodo più lungo o in altra maniera che lo stesso Parlamento non ha e non avrà concesso, è illegale. 1. La Dichiarazione afferma innanzitutto il primato della legge a cui deve essere sottomesso anche il re come tutti i cittadini: è una chiara esemplificazione del principio dell’antiassolutismo lex facit regem, la legge fa il re non viceversa. 2. Della Camera dei Lords fanno parte sia vescovi della Chiesa d’Inghilterra (Lords spirituali), sia membri laici (Lords temporali).

– Che riunire e mantenere nel Regno in tempo di pace un esercito stabile, se non vi e il consenso del Parlamento, è contro la legge. – Che l’elezione dei membri del Parlamento deve essere libera. – Che la libertà di parola e di discussione o di stampa in Parlamento non deve essere impedita o contestata in nessuna corte o luogo fuori del Parlamento. – E che per far giustizia di ogni disagio e per emendare, rafforzare e preservare le leggi, le riunioni del Parlamento devono essere tenute frequentemente […]. – Ed essi [i membri del Parlamento] chiedono e domandano con insistenza l’osservanza di tutti e di ciascuno dei predetti punti come loro indubbi diritti3 e libertà. Pienamente fiduciosi che Sua Altezza il Principe d’Orange vorrà perfezionare l’opera di liberazione4 da lui iniziata e li vorrà preservare dalla violazione dei diritti che essi hanno qui affermato e da ogni altro attentato alla loro religione, ai loro diritti e libertà, i detti Lords Spirituali e Temporali e i Comuni riuniti a Westminster stabiliscono che Guglielmo e Maria, Principe e Principessa d’Orange, sono dichiarati Re e Regina di Inghilterra, Scozia e Irlanda e dei domini ad essi appartenenti.

3. Il Parlamento non chiede ma pretende che il sovrano rispetti le libertà dei cittadini: non si tratta di privilegi che il sovrano può accordare o no; si tratta di diritti che appartengono naturalmente ai cittadini. 4. La concessione della corona è esplicitamente subordinata al fatto che i sovrani non violino i diritti dei cittadini: questi diritti rappresentano conseguentemente i limiti del potere monarchico.

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

ƒ Che cosa si dichiara riguardo alla tassazione dei sudditi? ƒ Perché si dichiara che è illecito mantenere un esercito stabile in tempo di pace? ƒ I primi quattro articoli precisano alcune procedure: che cosa si vuole evitare? ƒ Quali sono i limiti del potere sovrano? ƒ Quale principio si afferma nella richiesta di giuramento dei sovrani?

ƒ Come si arriva alla monarchia costituzionale in Inghilterra? ƒ Da che cosa è caratterizzata la monarchia costituzionale? ƒ Quali sono le due Camere che formano il Parlamento inglese?

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L’Europa tra Sei e Settecento

Locke e la tolleranza religiosa DOCUMENTO John Locke delineò le sue dottrine politiche nei Due trattati sul governo che scrisse nel 1681 per contrastare le scelte assolutistiche che la monarchia degli Stuart stava assumendo. I Due trattati, però, furono pubblicati anonimamente solo nel 1689. In quello stesso anno Locke diede alle stampe anche l’Epistola sulla tolleranza nella quale chiariva in modo netto la separazione tra politica e religione.

Poiché mi chiedete la mia opinione sulla tolleranza reciproca tra i Cristiani, vi rispondo in poche parole che la ritengo il principale segno distintivo della vera Chiesa. Ciascuno è ortodosso per se stesso. […] La tolleranza verso coloro che hanno opinioni diverse in materia di religione è a tal punto consona al Vangelo1 e alla religione che appare una mostruosità che ci siano uomini ciechi, di fronte a una luce così chiara. […] D’altra parte, affinché nessuno copra la persecuzione e una crudeltà poco cristiana col pretesto della sollecitudine per lo Stato e dell’osservanza delle leggi, né, per converso, altri esigano, in nome della religione, licenza per i loro costumi dissoluti e impunità per i loro delitti; affinché nessuno, dico, faccia imposizione a sé o ad altri, nella veste di suddito fedele del sovrano o in quella di sincero adoratore di Dio, 1. A Locke appare singolare che i fedeli di una religione fondata sull’amore del prossimo siano intolleranti nei confronti di altri fedeli. La tolleranza, dunque, dovrebbe essere il tratto peculiare della Chiesa cristiana.

ritengo che si debba innanzitutto far distinzione tra materia civile e religiosa, e che si debbano fissare convenientemente i confini tra Chiesa e Stato. Se non si fa questo, non si possono in alcun modo regolare i conflitti tra quelli che hanno a cuore effettivamente, o fingono di avere a cuore, la salvezza delle anime, o quella dello Stato. […] Lo Stato è, a mio modo di vedere, una società umana costituita unicamente al fine della conservazione e della promozione dei beni civili2. Chiamo beni civili la vita, la libertà, l’integrità fisica e l’assenza di dolore, e la proprietà di oggetti esterni. […] La giurisdizione del magistrato si estenda soltanto a questi beni civili, e ogni diritto e potere di un’autorità civile è limitato e circoscritto alla cura e alla promozione di questi beni soli, né può o deve in alcun modo essere esteso alla salvezza delle anime perché non gli è stata affidata né da Dio né da altri uomini; perché la sua autorità consiste solo nella costrizione e la fede non può avere costrizione3; quindi l’autorità civile non deve prescrivere con la legge civile articoli di fede o dogmi o forme del culto divino; infine perché la salvezza delle anime non potrebbe essere tale se i fedeli fossero costretti a mettere da parte i dettami della loro coscienza. 2. I fini per cui è istituito lo Stato riguardano beni civili e non hanno nulla a che fare con la salvezza delle anime: lo Stato, quindi, non ha nessuna autorità sulla Chiesa che va tenuta nettamente separata dall’autorità civile. 3. La fede è un’adesione volontaria e sincera a una religione. Costringere alla fede, quindi, è assurdo: chi è costretto alla fede non ha la fede!

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

ƒ Che cosa intende dire Locke quando afferma che «ciascuno è ortodosso per se stesso»? ƒ Perché Stato e Chiesa devono essere nettamente separati? ƒ Perché non si può costringere alla fede?

ƒ Qual era la posizione dell’assolutismo nei confronti della libertà religiosa? ƒ In quale periodo esplosero in Europa le guerre di religione? ƒ Il fatto che Giacomo II fosse un cattolico concorse all’esplosione della Gloriosa Rivoluzione?

ƒ Prima e Dopo ƒ Video - La vita dei nobili e dei contadini ƒ Video - Versailles e Luigi XIV ƒ Immagine commentata - L’incoronazione di Guglielmo III e Maria Stuart ƒ Immagine commentata - Una tassa sulla barba ƒ Immagine commentata - Una rappresentazione degli ordini ƒ Immagine commentata - Il nobile e il contadino ƒ Immagine commentata - Il Leviatano

ƒ Online DOC - Uno stregone in Vandea ƒ Online DOC - I Mémoires di Luigi XIV ƒ Online DOC - Il Re Sole ha rovinato la Francia ƒ Online DOC - Luigi XIV a Versailles ƒ Online STO - Mentalità dei contadini francesi nel XVIII secolo ƒ Online STO - Senza orologio né calendario ƒ Online STO - Pietro il Grande ƒ Audiosintesi Unità 1

IN DIGITALE

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MISURARE LE COMPETENZE

GLI EVENTI

IL TEMPO

Completa la frase.

Unisci opportunamente avvenimento e data, indicando il numero corrispondente della data nella colonna a destra di ogni avvenimento.

1. L’occidentalizzazione della Russia avviata da Pietro il Grande si proponeva l’instaurazione di una monarchia costituzionale su modello di quella inglese l’edificazione di uno Stato assoluto in cui la grande nobiltà fosse esautorata dal controllo degli apparati amministrativi il rafforzamento del proprio potere con il sostegno dei boiari e della Chiesa ortodossa 2. La Gloriosa Rivoluzione portò alla trasformazione del sistema inglese da monarchia assoluta a monarchia costituzionale aprì una fase di guerra civile che durò sette anni portò alla nomina di Cromwell a Lord Protettore 3. L’impulso riformatore avviato in Russia e in Prussia tra Sei e Settecento contribuì alla formazione di una borghesia produttiva e imprenditoriale non portò variazioni a una struttura sociale di tipo contadino dominata dal latifondo determinò un decisivo superamento dell’arretratezza economica e sociale 4. La pace di Utrecht del 1713 e la pace di Rastadt del 1714 sancirono la supremazia della Francia sull’Europa la sconfitta definitiva delle pretese espansionistiche di Luigi XIV la vittoria di Luigi XIV nella guerra di successione spagnola 5. La guerra dei Sette anni fu la prima guerra a coinvolgere contemporaneamente Stati europei e possedimenti coloniali la guerra che portò all’accordo di spartizione territoriale dell’Italia tra le potenze europee la guerra scatenata da Federico II che intendeva espandersi approfittando dei problemi riguardanti la successione austriaca

LE PAROLE Definisci le seguenti espressioni: a. classe b. ordine c. stato (sociale) d. boiaro e. monarchia costituzionale

Avvenimento a Gloriosa Rivoluzione b Assedio di Vienna c

Pace di Aquisgrana

d Pace di Parigi e Ascesa al trono di Luigi XIV f

Dichiarazione dei Diritti

g Dieta di Ratisbona h Pace di Carlowitz Data 1

1661

2 1683 3 1684 4 1688 5 1689 6 1699 7 1748 8 1763

VERSO L’ESAME DI STATO a. Rispondi alle seguenti domande. ƒChe cosa intendono gli storici per Antico regime? ƒIn che cosa consiste la «concezione patrimoniale e dinastica» dello Stato? ƒQuali fattori favorirono inizialmente la supremazia francese? ƒQuali Stati si indebolirono nella prima metà del Settecento? Quali si rafforzarono? ƒPerché la guerra dei Sette anni può essere definita la prima guerra mondiale della storia? b. Il saggio breve: interpreta e confronta i seguenti documenti. ƒp. 26 – Una tassa sulla barba ƒp. 48 – La Dichiarazione dei diritti ƒp. 49 – Locke e la tolleranza religiosa Successivamente, utilizzando anche le tue conoscenze, sviluppa l’argomento proposto nella forma del saggio breve, attribuendo alla composizione un titolo appropriato. Argomento. Monarchia assoluta e monarchia costituzionale

UNITÀ 2

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La primavera dei Lumi PRIMA: Il dominio della tradizione Prima dell’Illuminismo l’Europa era caratterizzata da una sorta di immobilismo nei costumi e nella società. Il potere era concentrato nelle mani di un’aristocrazia ristretta, i rapporti sociali tendevano a cristallizzarsi e a essere codificati dalla tradizione. La società d’Antico regime era basata sul concetto di autorità: potere religioso e potere politico sostenevano una visione dogmatica e indiscussa della verità ed esercitavano un rigido controllo delle coscienze.

CAUSE

EVENTI

CONSEGUENZE

Attraverso le opere di importanti filosofi e scienziati si diffonde la convinzione che l’uomo debba essere guidato unicamente dalla luce della ragione

X

XVIII secolo: Primavera dei Lumi

X

Fiducia nella ragione e nel progresso, laicizzazione della cultura, rifiuto della tradizione e delle religioni positive

Nel secolo dei Lumi l’economia diviene una disciplina autonoma

X

1694-1774: Vita di François Quesnay, rappresentante della scuola francese della fisiocrazia

X

L’intervento dello Stato nell’economia è da respingere in favore dell’ordine naturale

Necessità di raccogliere in un’opera tutte le conquiste ottenute dall’uomo attraverso l’uso della ragione

X

1751-1772: Pubblicazione dell’Enciclopedia di Diderot e d’Alembert

X

Diffusione tra gli ambienti borghesi dell’aspirazione alla libertà economica e della difesa della libertà fisica

Sviluppo in Gran Bretagna di importanti scuole economiche

X

1723-1790: Vita di Adam Smith, fondatore della scuola economica liberista

X

L’economia è governata da una «mano invisibile» e la ricchezza va ricercata nel lavoro

Diffusione delle idee illuministe in Lombardia

X

1761: Fondazione dell’Accademia dei Pugni, centro dell’Illuminismo a Milano

X

Nascita della rivista «Il Caffè», portavoce delle nuove idee di rinnovamento economico, giuridico e amministrativo

X

Metà XVIII secolo: Dispotismo illuminato: in Russia, Prussia, Impero asburgico, Lombardia e Toscana i sovrani promuovono le riforme dello Stato

X

Tentativo di diffondere nuovi codici di leggi, scolarizzazione e tolleranza religiosa, a cui si oppongono ceti popolari, nobiltà e clero

Influenzati dalle idee illuministe, i sovrani assoluti intendono rafforzare l’autorità dello Stato sui poteri di nobiltà e Chiesa

DOPO: L’antitradizionalismo della ragione L’Illuminismo segnò una rottura con il passato, elaborò una nuova coscienza politica e culturale e affermò i princìpi di una cultura laica: rifiuto dell’autorità della Chiesa, affermazione della libera espressione e della circolazione delle idee, esigenza di un riformismo nello Stato e nella società. Si proclamò l’avvento di un’epoca nuova all’insegna della tolleranza e della libertà, intesa come diritto di ogni persona a manifestare il proprio pensiero e a essere tutelata dalle leggi.

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1. L’Illuminismo: i princìpi fondamentali L’ETÀ DEI «LUMI»

TUTOR

L’Illuminismo fu il più importante movimento intellettuale dell’Europa del Settecento. Il nome deriva dal tedesco Auklärung («rischiaramento») ed esprime la convinzione che l’uomo debba essere illuminato, cioè guidato dalla luce della ragione. L’Illuminismo trae le sue origini dall’Inghilterra di ine Seicento, in particolare dalla ilosoia di John Locke (1632-1704); tuttavia conobbe il suo sviluppo più intenso e vivace in Francia, a partire dagli anni Trenta del Settecento. Da qui, verso la metà del secolo, conquistò l’intera Europa. Secondo uno dei più importanti studiosi del Settecento, lo storico Franco Venturi, la massima ioritura dell’Illuminismo iniziò con la ine delle guerre nel 1763 e terminò nel 1789 con l’esplosione della Rivoluzione francese: è questa l’epoca della primavera dei Lumi.

La diffusione dell’Illuminismo 1. L’Inghilterra è la patria d’origine dell’Illuminismo (in inglese Enlightenment). Le sue radici filosofiche e le sue prime manifestazioni risalgono alla fine del XVII secolo, quando si crearono le condizioni favorevoli per il libero sviluppo della ricerca, al di fuori del controllo dell’autorità religiosa. 2. Il Paese che diffuse in tutta Europa le nuove idee fu la Francia, dove l’Illuminismo mostrò il suo volto combattivo e militante. La crescita di una borghesia consapevole dei propri diritti e del proprio ruolo alimentò un vivace dibattito culturale, che ebbe grande risonanza grazie all’impegno ideale e politico di intellettuali che si definiscono philosophes. 3. L’Illuminismo penetrò in Italia soprattutto attraverso la mediazione francese e si diffuse a partire dalla metà del secolo, fornendo gli strumenti per un generale rinnovamento della vita economica e sociale nella Penisola. Infatti, per iniziativa delle nuove dinastie (gli Asburgo in Lombardia, i Borboni a Napoli e a Parma, i Lorena in Toscana), sensibili alle suggestioni illuministiche, si assistette all’ammodernamento dell’attività produttiva e delle strutture giuridiche e amministrative.

Upsala

Maggiori centri accademici europei

Stoccolma Glasgow Edimburgo

Accademie in Francia Università all’avanguardia Luoghi di edizione dei giornali filosofici

1

Leida Amsterdam Greenwich Gottinga Berlino Arras Halle Rouen Amiens Lipsia 5 Soissons Versailles Parigi

Danzica

Londra

La Rochelle Bordeaux Pau Lisbona

5. L’influenza dell’Illuminismo segnò un nuovo orientamento culturale anche nel mondo germanico. In Prussia Federico II incarnò la figura del monarca illuminato: fu il primo a dichiararsi discepolo dei «lumi» e a circondarsi di un’autentica «corte filosofica». La sua attività riformatrice toccò il piano politico e militare, quello dell’e-

Copenaghen

Cambridge

Osservatori astronomici Palazzi costruiti sul modello di Versailles

4. Nell’Impero asburgico prima Maria Teresa e poi suo figlio Giuseppe II vararono un ampio programma di riforme tese a modernizzare lo Stato: la riforma del catasto, la riforma tributaria e quella dell’istruzione. Furono aboliti gli ordini religiosi «parassiti», fu introdotta la tolleranza religiosa e si concesse una maggiore libertà di stampa.

7

Madrid

Auxerre

2 Lione

Strasburgo Digione

6

Varsavia

Vienna

Ginevra

4

Torino Venezia Montauban Avignone Tolosa Bologna Pisa Marsiglia Béziers Firenze Roma Montpellier Napoli

3

conomia e dell’amministrazione statale, lo sviluppo delle scienze e delle arti. 6. In Russia la zarina Caterina II considerava se stessa un filosofo sul trono; venne riconosciuta come protettrice delle arti e della letteratura e ospitò presso la sua corte Voltaire, Diderot e d’Alembert. 7. Esperienze ispirate all’Illuminismo si ebbero anche in Svezia, dove il sovrano Gustavo III, mecenate munifico, varò una serie di riforme economiche e giuridiche: nel 1786 fondò l’Accademia svedese, garantì la libertà di stampa, abolì la tortura ed esercitò la massima tolleranza religiosa.

La primavera dei Lumi

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LA CENTRALITÀ DELLA RAGIONE La caratteristica fondamentale dell’Illuminismo fu la iducia nella ragione, lo strumento di cui tutti gli uomini sono dotati e che consente loro di risolvere problemi e di dominare la natura. Non si trattò tuttavia di una iducia cieca: ƒalcuni illuministi riconobbero anche l’importanza del sentimento; ƒtutti gli illuministi respinsero la ilosoia razionalista, elaborata da Cartesio (15961650), che pretendeva di fare della ragione l’unica fonte della conoscenza umana; riconobbero, al contrario, che la ragione andava applicata all’esperienza, secondo il metodo della scienza sperimentale di Galileo (1564-1642) e di Newton (1642-1727). La scienza, d’altronde, conosceva nel Settecento importanti successi: nella chimica, a opera di Lavoisier (1743-1794); nella isica, dove gli studi di Coulomb (1736-1806), di Galvani (17371798) e di Volta (1745-1827) portarono alla scoperta dell’elettricità; nella zoologia e nella botanica, grazie al francese Bufon (1707-1788) e allo svedese Linneo (1707-1778); e in altri campi ancora. La ricerca scientiica, inoltre, confermava la necessità di abbandonare i tradizionali schemi interpretativi d’origine biblica o aristotelica. Nella sostanza dimostrava una volta per tutte che andava messa da parte qualsiasi interpretazione trascendente della realtà mondana: afermando questo principio, l’Illuminismo realizzava quel processo di laicizzazione della cultura avviato dal Rinascimento.

Aidarsi alla ragione signiicava necessariamente respingere il valore della tradizione: in sintesi, di tutte quelle conoscenze e dottrine non dimostrate scientiicamente, ma che si ritenevano vere solo per abitudine o per l’autorevolezza di chi le aveva formulate. In questo senso la ragione andava intesa come spirito critico: l’atteggiamento opposto di chi crede ciecamente in una cosa. L’Illuminismo, dunque, sottopose a una severa critica le dottrine antiche e denunciò l’oscurantismo del passato addebitandone la responsabilità soprattutto alle religioni positive, le cui verità assolute avviliscono lo spirito critico e inducono al fanatismo e all’intolleranza: in particolare, secondo gli illuministi, era la Chiesa cattolica la massima espressione di questi atteggiamenti. Alle religioni tradizionali la maggioranza degli illuministi preferì una religione naturale, cioè una religione fondata sulla ragione e non sulle verità ricavate dalle Sacre Scritture: secondo tale impostazione, Dio esiste, è l’architetto del mondo, ma non interviene nelle vicende umane. Molti degli argomenti in nome dei quali gli illuministi contestavano l’autorità della tradizione e rivendicavano la tolleranza religiosa derivavano loro dalla lettura dei Pensieri sulla cometa (1682) e del Dizionario storico-critico (1695) di Pierre Bayle (16471706), un ilosofo di fede calvinista, esule a Rotterdam per efetto dei provvedimenti di Luigi XIV contro gli ugonotti. Nelle sue opere, infatti, Bayle contrappose alla tradizione l’accertamento efettivo della realtà e denunciò lucidamente l’irrazionalità dell’intolleranza. La vera minaccia per la stabilità degli Stati, a suo avviso, derivava: dal «fatto che una religione vuole esercitare una tirannia crudele sugli spiriti, costringendo le altre a sacriicarle la propria coscienza; e dal fatto che i sovrani aiutano questa ingiusta parzialità, ofrendo il braccio secolare ai desideri furiosi e tumultuosi di quella gentaglia di monaci e di preti. In una parola, tutto il disordine viene non già dalla tolleranza, ma dall’intolleranza».

LESSICO

SPIRITO CRITICO E POLEMICA ANTICLERICALE RELIGIONE POSITIVA È una religione fondata su verità che non sono naturali (cioè che non possono essere colte dalla ragione) ma che sono positivamente affermate da un’autorità, per esempio dalle Chiese o dalla rivelazione.

Pierre Bayle, filosofo calvinista in un ritratto dell’epoca.

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IL RUOLO DELL’INTELLETTUALE

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Qual è l’origine del termine «Illuminismo»? ƒ Qual è il principio fondamentale dell’Illuminismo? Perché implica una concezione laica della cultura? ƒ Che cosa rimproveravano alle religioni positive gli illuministi? In quale posizione religiosa si riconobbe la maggioranza degli illuministi? ƒ Quale ruolo doveva svolgere l’intellettuale secondo gli illuministi? ƒ Qual è il fondamento e il contenuto fondamentale dell’ottimismo illuminista?

L’Illuminismo coltivava l’ambizione di fondare un’epoca nuova. Ciò emerge anche dalla celebre risposta alla domanda Che cos’è l’Illuminismo? che il ilosofo tedesco Immanuel Kant (1724-1804) pubblicò nel 1783 sul «Berlinische Monatsschrit» («Giornale di Berlino»): «L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell’Illuminismo». La centralità della ragione, dunque, avrebbe consentito di aprire un’epoca nuova, libera dai retaggi del passato: proprio come aveva fatto il Rinascimento che, secondo gli illuministi, aveva liberato l’umanità dall’oscurantismo medievale. Anche questa interpretazione (sbagliata!) del Medioevo mette in luce un altro tratto fondamentale dell’Illuminismo: la iducia nel progresso. Molti sostenevano che la Storia fosse proprio un progressivo passaggio a forme superiori di civiltà. In questa battaglia per il progresso, un ruolo fondamentale spettava all’intellettuale, chiamato a educare gli uomini all’esercizio della ragione e a liberarli dall’ignoranza. L’Illuminismo considerò l’attività culturale come un’«impresa politica»: la cultura doveva incidere concretamente sull’esistenza degli uomini, fornendo conoscenze tecniche e indicando modelli di organizzazione dello Stato più giusti ed eicaci. È veramente ilosofo, infatti, non chi si chiude nell’isolamento delle sue ricerche, ma chi si impegna per divulgare le conoscenze; chi lotta per far sì che queste siano applicate nella società. Questi ilosoi, scrisse l’illuminista Condorcet (1743-1794), «formavano, nonostante la diferenza delle loro opinioni speculative, una falange fortemente unita contro tutti gli errori, contro tutti i generi di tirannia». Questa unione degli intellettuali, che i contemporanei deinirono il «partito dei ilosoi», si impegnò contro le ingiustizie dell’Antico regime, in particolare contro i privilegi. Infatti, poiché sono tutti dotati di ragione, gli uomini devono essere considerati uguali: pertanto, i privilegi di cui godevano i nobili e il clero erano una palese ingiustizia. Allo stesso modo la contrapposizione tra le nazioni, che aveva causato tante guerre, doveva essere superata nell’ideale del cosmopolitismo: tutti gli uomini, cioè, dovevano far parte di una comunità mondiale della ragione perpetuamente in pace.

IL NATURALE COME BENE: L’OTTIMISMO ILLUMINISTA Gli illuministi contrapponevano la religione naturale a quella positiva; esaltavano l’uguaglianza propria del diritto naturale rispetto ai privilegi del diritto positivo (quello imposto dagli Stati); invitavano a non imbrigliare le leggi naturali dell’economia nelle rigide maglie della politica mercantilistica. Per gli illuministi, infatti, «naturale» è sempre sinonimo di «razionale» e ovunque rappresenta un «bene». Rousseau giustiicò questa eccellenza del naturale in un celebre passo dell’Emilio: «Tutto è perfetto quando esce dalle mani dell’autore delle cose, tutto degenera fra le mani dell’uomo». Buona è in particolare la natura umana: in quanto soggetto razionale, ogni uomo ha diritto alla libertà, in una prospettiva egualitaria e cosmopolita. Viene così respinta l’idea cristiana della corruzione originaria e della conseguente necessità di una redenzione. Al contrario, la iducia nell’uomo anima la iducia nella Storia, nella sua possibilità di essere progresso: l’uomo non deve attendere la vita ultraterrena, può raggiungere la felicità già in questo mondo. In conclusione, l’ottimismo illuminista è fondato sull’identiicazione natura-razionalità-bene e consiste sostanzialmente nel riconoscere all’uomo la possibilità di raggiungere la felicità.

La primavera dei Lumi

55 Jean Huber, Pranzo di filosofi, 1772-1773. Oxford, Voltaire Foundation. Fra gli altri si riconoscono Voltaire, Diderot, d’Alembert, Condorcet.

I PRINCÌPI FONDAMENTALI DELL’ILLUMINISMO

ILLUMINISMO: FIDUCIA NELLA RAGIONE APPLICATA ALL’ESPERIENZA

È IL FONDAMENTO DEL PROGRESSO CHE L’UOMO REALIZZA NELLA STORIA

APPARTIENE A TUTTI GLI UOMINI

COSMOPOLITISMO

UGUAGLIANZA

BATTAGLIA CONTRO I PRIVILEGI DELLA NOBILTÀ E DEL CLERO

NATURA BUONA DELL’UOMO

È SPIRITO CRITICO

RIFIUTO DELLA TRADIZIONE: CONDANNA DELL’OSCURAMENTO DEL PASSATO E DELLE RELIGIONI TRADIZIONALI

I PROBLEMI DELLA VITA PUBBLICA DIPENDONO DALL’IRRAZIONALITÀ DELL’ORGANIZZAZIONE SOCIALE

CRITICA DELL’ANTICO REGIME

RUOLO POLITICO DELL’INTELLETTUALE: DEVE EDUCARE GLI UOMINI ALL’ESERCIZIO DELLA RAGIONE E LIBERARLI DALL’IGNORANZA

ENCICLOPEDIA

TOLLERANZA RELIGIOSA

MOBILITAZIONE DELL’OPINIONE PUBBLICA

APPROFONDIMENTO

OPINIONE PUBBLICA È l’insieme delle opinioni che i cittadini si formano circa un problema d’interesse generale. Parliamo di «opinione pubblica» perché riguarda interessi comuni, appunto «pubblici»; e perché si forma non come riflessione privata, ma attraverso un dibattito che coinvolge l’intera società, basandosi su informazioni che tutti possiedono.

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LESSICO

UNITÀ 2

2. Intellettuali e opinione pubblica: l’Enciclopedia UN INTELLETTUALE IMPEGNATO: VOLTAIRE L’intellettuale francese più rappresentativo del partito dei filosofi fu François-Marie Arouet, detto Voltaire (1694-1778). Grande drammaturgo, autore di saggi di ilosoia e di storia, Voltaire fu soprattutto un intellettuale anticonformista, protagonista di una battaglia civile per il rinnovamento della società. Non per nulla le sue Lettere inglesi (1734), che esaltavano l’Inghilterra sia per la sua realtà culturale che politica, sono state deinite «la prima bomba scagliata contro l’Antico regime». L’obiettivo di Voltaire era una società rispettosa delle libertà individuali, retta da uno Stato tollerante ma capace di imporre il rispetto della legge, poiché la libertà consiste «nel non dipendere da null’altro che dalla legge». Era necessaria una battaglia contro le ingiustizie dell’Antico regime, da condursi con la forza della ragione, attraverso una mobilitazione dell’opinione pubblica: la ilosoia non serviva a deinire un’ideologia ma a guidare l’azione, sempre rivolta a risolvere un problema concreto.

Il salotto di Madame Geoffrin I salons, i salotti, erano i nuovi luoghi della diffusione della cultura illuminista. Non erano altro che le lussuose abitazioni delle dame parigine aperte a ospiti illustri e a un pubblico d’eccezione, fatto di letterati e artisti che si scambiavano opinioni sull’attualità e la cultura. Il salotto di Madame Geoffrin (1699-

1777), donna intelligente e capace, anche se priva di grande istruzione e di titoli nobiliari, era uno dei più frequentati a Parigi tra il 1749 e il 1777: si trovava in rue Saint-Honoré e due volte alla settimana vi si incontravano gli intellettuali più noti della capitale (il lunedì gli artisti e il mercoledì i letterati e i filosofi).

5. Giunto a Parigi come scrittore sconosciuto, Denis Diderot divenne rapidamente uno dei protagonisti dell’Illuminismo.

6. Charles de Montesquieu sostenne l’importanza della separazione dei tre poteri dello Stato.

4. Il busto di Voltaire emerge sopra gli ospiti del salotto, a indicare che egli fu sempre il punto di riferimento degli illuministi.

3. Jean-Jacques Rousseau fu, tra l’altro, l’autore del Contratto sociale, uno dei principali testi di dottrina politica del pensiero moderno.

2. Jean-Baptiste d’Alembert fu uno dei protagonisti dell’Illuminismo francese grazie ai suoi importanti scritti di matematica e di fisica.

1. Di origine borghese, Madame Geoffrin aveva sposato un comandante della Guardia Nazionale, l’esercito francese.

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LE STRUTTURE DELL’OPINIONE PUBBLICA La formazione dell’opinione pubblica presuppone l’esistenza di giornali o altri mezzi di informazione che consentano la circolazione delle idee e di un potere politico che non impedisca tale circolazione. Proprio per questo, la crescita dell’opinione pubblica si realizzò a partire dal Settecento e soprattutto in Inghilterra, dove si era afermato un tollerante regime liberale. Ne fu testimonianza la crescita notevole delle attività editoriali: nei primi decenni del secolo, in Gran Bretagna si stampavano una ventina di giornali, tra i quali il famoso «The Spectator» che vendeva diecimila copie al giorno; nella seconda metà del Settecento, inine, nacquero i grandi quotidiani come il «Times» (1785). In Francia bisogna attendere più di mezzo secolo per vedere il primo quotidiano, il «Journal de Paris», nel 1777; ma con la rivoluzione il numero di testate aumenterà sempre di più, e la loro importanza come mezzo di difusione delle idee diverrà decisiva. La stampa cominciò così a partecipare ai grandi dibattiti culturali del tempo e ad alimentare la discussione politica, divenendo il più importante mezzo di divulgazione della cultura. Ma a quale pubblico si rivolgevano realmente questi giornali? Anche se il tasso di analfabetismo era diminuito, il numero di coloro che avevano accesso alla lettura dei giornali non era elevatissimo, considerato anche il costo dei quotidiani. Ma le notizie e i temi oferti dalla stampa venivano ulteriormente difusi da numerosi luoghi di ritrovo che agivano come veri e propri moltiplicatori: dai «cafè» ai salotti, alle società scientiiche e accademiche. Il caffè era il luogo in cui la borghesia aveva l’occasione di scambiare idee senza pregiudizi né intolleranze su fatti e problemi della vita civile spesso proposti dalla lettura pubblica del giornale o dai fogli periodici aissi alle pareti dei locali (che diverranno anche le prime edicole). Anche le biblioteche circolanti si occupavano di difondere i giornali. Tramite un modesto abbonamento, anche chi non disponeva di mezzi da spendere per la cultura aveva l’opportunità di leggere libri e riviste appena pubblicati e di essere informato. Le «società di lettura» erano invece costituite da lettori che mettevano in comune le proprie risorse per acquistare le novità editoriali e organizzare letture pubbliche per essere aggiornati sul dibattito culturale. È attorno a questi spazi che si costituisce e si difonde capillarmente l’opinione pubblica.

VIDEO

LA CIRCOLAZIONE DELLE IDEE: CAFFÈ, SALOTTI, ACCADEMIE

L’ENCICLOPEDIA, UNA RIVOLUZIONE DI CARTA L’uomo, in quanto razionale, è buono: dunque i problemi della vita pubblica non derivano dalla natura umana ma dalle irrazionalità dell’organizzazione sociale. Per promuoverne il rinnovamento era dunque necessario educare gli uomini all’uso della ragione, cambiare, come dicevano gli illuministi, «il modo di pensare comune». A tal ine era importante far conoscere le novità scientiiche, scardinare i pregiudizi e la tradizione. Ciò che serviva, dunque, era un’opera di divulgazione, una sintesi delle conquiste più importanti a cui l’uomo era pervenuto. L’occasione per realizzarla maturò nell’estate del 1746, quando l’abate Jean-Paul de Gua de Malves irmò un contratto con l’editore Le Breton per tradurre la Cyclopaedia, Universal dictionary of Arts and Sciences di Ephraim Chambers, apparsa a Londra nel 1728. Gua de Malves abbandonò l’impresa dopo solo un anno ma prese una decisione fondamentale: quella di non limitarsi a una semplice traduzione dell’opera inglese ma di far scrivere voci nuove ai più «sapienti del tempo». L’editore sostituì l’abate con Denis Diderot (1713-1784) e Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert (1717-1783). Sotto la loro direzione, nell’arco di un ventennio (1751-1772), vennero stampati i volumi dell’Enciclopedia o dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri. Diderot e d’Alembert erano giovani, poco più che trentenni quando iniziarono l’impresa. Diderot arruolava nei cafè intellettuali le menti più aperte, spingen-

Nel video troviamo la descrizione di tre ambienti importanti per la storia dell’età dei Lumi. Il primo è una coffee house inglese, centro di ritrovo e di lettura degli intellettuali illuministi; il secondo è il salotto di Madame Geoffrin a Parigi, in cui la crème intellettuale si ritrovava a discutere di politica, cultura, scienze; il terzo, dove sono raffigurati i fratelli Verri, è il Caffè di Milano importante punto di riferimento dell’Illuminismo italiano.

UNITÀ 2 Voltaire mentre gioca a scacchi, ascolta Mouton che legge una pagina dell’Enciclopedia. Losanna, Museo storico.

58 dole a scrivere su qualunque soggetto. Fu d’Alembert a redigere il Discorso preliminare all’Enciclopedia, dove tracciò un panorama sfolgorante dell’insieme delle conoscenze umane, con le loro genealogie e le loro relazioni. L’Enciclopedia fu il progetto attorno a cui si aggregò il partito ilosoico in Francia. Rappresentava la proposta che la cultura illuminista, giunta alla sua fase più matura, rivolgeva a una società che sentiva sempre più l’esigenza di mutamenti anche radicali nelle sue strutture politiche e sociali. In ultima analisi, l’obiettivo principale era la conquista della libertà. Possiamo deinire l’Enciclopedia stessa un’opera libera in quanto: era la prima volta che un’opera di questo tipo veniva progettata e ƒ realizzata da una «società» di letterati, senza legami con accademie o centri di potere culturale; era libera dalla censura; ƒ ƒ era permeata da un ideale di libertà politica, riletto attraverso la lezione degli antichi, ripercorsa nelle voci dell’opera che riguardavano le città greche e la repubblica romana. Non si trattava, tuttavia, solo di un discorso storico, perché si poteva cogliere nell’Enciclopedia un ideale di libertà moderna, che si muoveva tra la ricerca di freni al dispotismo (ad esempio per mezzo di organismi rappresentativi) e l’ipotesi del contrattualismo, che poneva la volontà popolare come reale fondamento del governo. Vi si trovava inoltre l’aspirazione alla libertà economica e la difesa della libertà fisica dell’uomo da qualsiasi forma repressiva o di condizionamento: dalla tortura e dai procedimenti penali arbitrari, a tutte le forme di sfruttamento, come la servitù personale e la dipendenza feudale – ancora esistenti in Europa – o la schiavitù praticata su larga scala nelle colonie americane. In sintesi, si combatteva nella convinzione che sapere e libertà coincidessero.

UNO STRAORDINARIO SUCCESSO EDITORIALE

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Come si doveva affrontare la battaglia contro l’Antico regime secondo Voltaire? ƒ Con quale finalità venne pubblicata l’Enciclopedia? ƒ Indica le molteplici forme per cui l’Enciclopedia era espressione di una battaglia per la libertà.

La proposta dei philosophes incontrò resistenze tenaci: da parte della monarchia francese, da parte della Chiesa cattolica, da parte dei conservatori di tutta Europa. Ma nonostante tutte le opposizioni, nonostante la condanna di papa Clemente XIII (1759) che la mise all’Indice, l’opera giunse al termine. Nel 1751 fu pubblicato il primo volume, ma l’edizione definitiva dell’Enciclopedia giunse solo nel 1777, quando uscì presso l’editore Panckoucke: era costituita da 35 volumi (di cui 11 di tavole e 2 di indici) che contenevano 71 818 articoli e 2885 incisioni. Le tirature furono colossali per l’epoca (più di 4 000 esemplari) ma la fortuna di quest’opera si comprende anche meglio considerando le varie edizioni e ristampe: la prima ristampa italiana (in lingua francese) fu prodotta a Lucca a partire dal 1758. Non si deve pensare, tuttavia, che l’Enciclopedia si rivolgesse a tutti. Gli illuministi, infatti, non intendevano educare tutti gli uomini; la loro azione era essenzialmente rivolta ai borghesi. Scrisse in proposito Voltaire: «Io intendo per popolo la plebaglia che non ha che le proprie braccia per vivere. Dubito che questa categoria di cittadini abbia il tempo o la capacità di istruirsi, morirebbero di fame prima di diventare filosofi: mi sembra essenziale che ci siano dei pezzenti ignoranti. Se voi faceste fruttare come me una tenuta, e aveste degli aratri, sareste del mio parere, non è la manovalanza che bisogna istruire, è il borghese medio, è l’abitante della città». Gli illuministi, dunque, non coltivavano progetti politici rivoluzionari. Volevano una società più moderna, fondata sulla legge e non sul privilegio e a tal fine credevano in una politica di riforme che trasformasse l’Antico regime. Molti illuministi ritenevano che dovesse essere il sovrano stesso a promuovere il rinnovamento della società. Il re avrebbe dovuto mettere il suo potere al servizio delle riforme. L’assolutismo dunque non andava abbattuto, piuttosto doveva essere trasformato in assolutismo illuminato.

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3. Dottrine politiche ed economiche MONTESQUIEU E LA SEPARAZIONE DEI POTERI Charles de Secondat, barone di Montesquieu (1689-1755), fu un deciso avversario dell’assolutismo. Presidente del Parlamento di Bordeaux dal 1716, cercò di rivalutare il ruolo storico e politico dell’antica nobiltà contro ogni forma di governo dispotico. Egli diede un contributo fondamentale alla deinizione dei princìpi giuridici moderni con la sua opera più signiicativa, Lo spirito delle leggi (1748). In opposizione alla tradizione giusnaturalistica, che afermava l’esistenza di una legge e di un diritto naturali, validi indipendentemente dalle leggi scritte – dette anche positive – vigenti nei diversi Stati, Montesquieu ritiene che i sistemi giuridici debbano essere adattati alle condizioni ambientali, culturali e politiche che cambiano da Stato a Stato. Tuttavia, in ogni possibile Stato si può riscontrare un elemento in comune, che è rappresentato dalla distinzione fra tre funzioni fondamentali: il potere legislativo, ovvero il potere di fare le leggi; il potere esecutivo, ovvero il potere di governare applicando le leggi; il potere giudiziario, ovvero il potere di punire i delitti e giudicare «le liti tra i privati». Ainché la costituzione di uno Stato possa dirsi «libera», i tre poteri devono essere attribuiti a organi separati. Montesquieu, infatti, ha una concezione pessimistica dell’uomo che vive in società: «Ogni uomo che ha potere è portato ad abusarne inché non incontra dei limiti». Per frenare questa inarrestabile sete di dominio è necessario che «il potere arresti il potere». È in questa prospettiva che Montesquieu enuncia, ne Lo spirito delle leggi, la teoria della separazione dei poteri, che rappresenta uno dei punti cardine della tradizione costituzionalista elaborata inizialmente dal pensiero politico inglese, in particolare da Locke, e imperniata sulla tutela dell’equilibrio tra i diversi poteri piuttosto che sulla loro netta distinzione. Prendendo in esame il caso della Costituzione inglese, Montesquieu si soferma soprattutto sulla divisione del potere legislativo tra Camera alta (la Camera dei Lords) e Camera bassa (la Camera dei Comuni), espressione rispettivamente dell’aristocrazia e della borghesia, sostenendo la bontà del governo misto: «Essendo il corpo legislativo diviso in due parti, l’una terrà a freno l’altra con la reciproca facoltà di impedire. Entrambe saranno vincolate dal potere esecutivo, che lo sarà a sua volta da quello legislativo». Montesquieu teorizza quindi un governo bilanciato in cui i diversi organi, controllandosi a vicenda, realizzano un equilibrio costituzionale capace di ostacolare l’afermarsi di un potere assoluto. Inine, se si analizza più a fondo questo equilibrio, ci si accorge che esso si basa soprattutto sul ruolo decisivo svolto dalla Camera alta ereditaria, che ha sia la funzione di rendere esecutive le leggi formulate dalla Camera bassa, sia il potere di giudicare l’operato dell’esecutivo. L’equilibrio dei poteri è pertanto di natura sociale piuttosto che giuridica in senso stretto, essendo garantito dal ceto sociale privilegiato, ovvero dall’aristocrazia, dalle cui ila il barone di Montesquieu proveniva.

ROUSSEAU E LA TEORIA DELLA SOVRANITÀ POPOLARE Il ilosofo Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) assunse posizioni più radicali e respinse l’ottimistica iducia nel progresso, propria della maggioranza degli illuministi: per Rousseau, infatti, la Storia non rappresentava afatto il cammino della civiltà, ma piuttosto un processo di degenerazione che aveva peggiorato la situazione dell’uomo. Nel Discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza fra gli uomini (1755), Rousseau individuò la causa di questa degenerazione nella formazione della proprietà, sconosciuta nello stato di natura. Infatti, mentre il «buon selvaggio» non conosceva il signiicato delle parole «tuo» e «mio», l’«uomo civile», con l’invenzione della proprietà, si contrappose ai suoi simili, alla ricerca di un vantaggio che poteva ottenere soltanto a danno degli altri.

Rousseau ritratto sopra i simboli della libertà: l’albero, il tricolore, il berretto frigio (il copricapo rosso a forma di cono con la punta ripiegata in avanti, che fu adottato come simbolo della Rivoluzione francese).

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60 La proprietà generò la diseguaglianza, distinguendo gli uomini in poveri e ricchi, e fu il primo anello di una catena di soprafazioni che culminò con l’istituzione dello Stato, chiamato a difendere gli interessi dei padroni contro gli schiavi, dei potenti contro i deboli. Se nello stato di natura l’uomo viveva felice, in quanto del tutto autosuiciente e uguale agli altri uomini, nello Stato politico dipende continuamente dagli altri per soddisfare i bisogni che sono stati creati artiicialmente con la divisione dei beni e con il progresso tecnico e scientiico. Come uscire da questa situazione? Poiché non è possibile tornare allo stato di natura, che Rousseau, tra l’altro, riteneva soltanto una inzione, una sorta di esperimento mentale utile a fornire un metro di valutazione della corruzione dello stato presente, era indispensabile ediicare uno Stato legittimo. Nella sua opera principale, il Contratto sociale (1762), Rousseau sostiene la necessità di ripristinare, mediante un nuovo patto fondato sul consenso di tutti, l’uguaglianza iniziale che veniva negata dallo Stato di Antico regime. Nel contratto sociale l’individuo cede tutto se stesso al nuovo corpo sociale, che esprime la sua sovranità attraverso la volontà generale, cioè la volontà del popolo volta al bene comune, che non va confusa con la volontà di tutti, intesa come la semplice somma degli egoismi individuali. La legge, espressione della volontà generale, vale così per tutti i cittadini, che obbedendo a essa, obbediscono in realtà a se stessi, in quanto membri del corpo politico cui si sono sottomessi in condizione di assoluta uguaglianza. In questo modo, Rousseau proponeva uno Stato democratico e repubblicano, fondato sulla sovranità popolare. A suo avviso, però, era indispensabile che il popolo non aidasse il potere a dei «rappresentanti», perché in questo caso sarebbero prevalse le volontà particolari di questi ultimi. A diferenza di Locke e di Montesquieu, Rousseau era contrario alla separazione dei poteri, che avrebbe indebolito l’esercizio della sovranità: per essere veramente sovrano il popolo doveva esercitare il potere direttamente, in assemblea. Rousseau riteneva che questa forma di democrazia diretta fosse particolarmente indicata per le piccole comunità e infatti assunse come modello la sua patria, la Repubblica di Ginevra. Tuttavia la sua riflessione divenne il punto di riferimento di molti pensatori democratici e rivoluzionari, mentre venne aspramente criticata dai pensatori liberali, che intendevano proteggere la libertà individuale dall’ingerenza del potere politico.

LE ORIGINI DELLA SCIENZA ECONOMICA: LA FISIOCRAZIA Fino al Settecento, l’economia fu considerata come una parte della ilosoia morale. Nel secolo dei Lumi, invece, l’economia divenne una disciplina autonoma volta alla ricerca di una spiegazione scientiica dei meccanismi della produzione e della distribuzione della ricchezza. Il primo tentativo in questo senso si deve alla scuola francese della fisiocrazia, il cui massimo rappresentante fu François Quesnay (1694-1774). Il nome della scuola deriva dal greco phýsis (natura) e kratéin (dominare) ed esprime l’essenza della dottrina isiocratica: lasciar dominare la natura. Il dominio della natura ha fondamento proprio nell’economia. I isiocratici, infatti, ritenevano che solo l’agricoltura fosse produttiva: essa sola, sfruttando la fertilità naturale della terra, crea nuova ricchezza, cioè una quantità di merci superiore a quella introdotta nel processo produttivo. I isiocratici chiamarono questa eccedenza prodotto netto e osservarono che essa non esiste nell’industria e nel commercio, che si limitano a trasformare e a spostare le merci. Ma «lasciar dominare la natura» per i isiocratici signiicava soprattutto respingere l’intervento dello Stato nell’economia (liberismo). Essi pensavano che l’azione dello Stato allontanasse la società dall’ordine naturale che ai loro occhi rappresentava la condizione migliore in cui l’uomo potesse vivere: consideravano, infatti, le leggi della natura sempre migliori di quelle degli uomini.

IL LIBERISMO DI SMITH La più importante scuola economica del Settecento si sviluppò in Gran Bretagna ed ebbe il suo principale rappresentante nel ilosofo scozzese Adam Smith (1723-1790). Anche Smith condannava l’intervento dello Stato nell’economia e la sua opera più impor-

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tante, Indagine sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni (1776), è considerata la più compiuta teorizzazione del liberismo. In quest’opera, Smith sostiene che ogni individuo che si impegna per migliorare le proprie condizioni concorre a incrementare la ricchezza nazionale. A suo avviso, ciò deriva dalle leggi naturali del mercato, in particolare dalla legge della concorrenza. Per battere la concorrenza, infatti, bisogna vendere prodotti migliori a un prezzo più basso: per guadagnare di più, dunque, un produttore è obbligato a fare gli interessi dei consumatori. Così il fatto che tutti cerchino di spendere il meno possibile quando comprano e di guadagnare il massimo quando vendono rende ricca e florida una nazione. Smith osserva che è come se l’economia fosse governata da una «mano invisibile», nel senso che ognuno opera per il proprio tornaconto, ma questo si trasforma automaticamente in un vantaggio per tutta la società. Lo Stato deve quindi limitarsi a lasciar fare e i meccanismi naturali dell’economia garantiranno la crescita della ricchezza e la difusione del benessere. A diferenza dei isiocratici, Smith riteneva che l’origine della ricchezza andasse ricercata nel lavoro e non nella terra. Infatti, in un’economia primitiva caratterizzata da disponibilità di terra e assenza di capitale, il prezzo di una merce coinciderebbe con la quantità di lavoro necessaria a produrla. Ciò consente di comprendere meglio il suo ottimismo, che derivava anche dalla constatazione che la produttività del lavoro stava straordinariamente crescendo grazie alla sempre più difusa utilizzazione delle macchine e alla migliore divisione del lavoro. Nell’opera di Smith, dunque, l’esame dei principali problemi economici si unì alla percezione delle straordinarie innovazioni che sarebbero derivate dalla rivoluzione industriale: per questo la storiograia lo considera il padre dell’economia politica.

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Perché, secondo Montesquieu, è necessario che il potere arresti il potere? Come si può ottenere questo risultato? ƒ Quale posizione distingue Rousseau dalla maggioranza degli illuministi? In che modo, secondo Rousseau, si può edificare uno Stato giusto? ƒ Che cosa hanno in comune e in che cosa si differenziano le dottrine fisiocratiche e le teorie di Smith?

Una statua di Adam Smith nella città di Edimburgo in Scozia.

TUTOR

LA CULTURA DELL’ANTICO REGIME E DELL’ILLUMINISMO Cultura d’Antico regime

Cultura dell’Illuminismo

Antropologia

Visione pessimista dell’uomo, giustificata dalla concezione cristiana che considera la natura umana contaminata dal peccato originale.

Visione positiva dell’uomo: la natura umana è buona in quanto razionale.

Verità

Si identifica con la tradizione e le verità rivelate della religione, così come sono proposte dalla Chiesa.

È quella che l’uomo riesce a conoscere grazie alla ragione, indipendentemente dai pregiudizi e da ciò che affermano religione, autorità politica o tradizione.

Politica

Il potere è esercitato per diritto divino da un sovrano assoluto.

Lo Stato si deve fondare su un contratto tra il popolo e il sovrano; il re possiede un potere limitato dalle leggi e non più assoluto.

Società

Prevale la struttura feudale, cioè una società di ordini fondata sul privilegio.

Si progetta una società formata da cittadini che hanno gli stessi diritti e sono uguali di fronte alla legge, in quanto dotati di ragione e di diritti naturali.

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4. L’Illuminismo in Italia IL CASO DELLA LOMBARDIA Anche in Italia, nella seconda metà del Settecento, si difusero le idee illuministiche. La Lombardia in particolare, soggetta al dominio asburgico, risentì della spinta riformatrice dell’impero. Milano divenne uno dei più importanti centri di difusione dell’Illuminismo: un gruppo di intellettuali si impegnò nell’elaborazione di temi di natura economica, giuridica e amministrativa. Personaggi di punta dell’Illuminismo lombardo furono i fratelli Pietro (1728-1797) e Alessandro Verri (1741-1816), che fondarono l’Accademia dei Pugni (1761-62), un battagliero centro di elaborazione politica, letteraria e ilosoica che nel 1764 diede vita a «Il Caffè», la rivista portavoce delle nuove idee. Tra le varie manifestazioni letterarie dell’Illuminismo milanese, merita di essere ricordata la satira di Parini, diretta espressione dell’esigenza di rinnovamento civile. Giuseppe Parini (1729-1799) mantenne sempre un atteggiamento di cauto riformismo, ma rappresentò con la sua opera una delle voci di critica illuministica alla nobiltà del suo tempo, fatta di cicisbei e perdigiorno. Precettore al servizio dei duchi Serbelloni a Milano, ebbe modo di conoscere da vicino il mondo aristocratico che raccontò nella sua opera più celebre: Il Giorno. Si tratta di un poemetto didascalico-satirico col quale Parini rivolge una critica severa all’aristocrazia corrotta e parassitaria del suo tempo. Nell’opera si racconta la giornata-tipo di un «Giovin Signore», rappresentante esemplare della nobiltà, incapace di assolvere ai suoi compiti e di meritare i suoi privilegi, avvolta nell’ozio e nella noia. Il poeta si inge ironicamente precettore del giovin signore per consigliare il suo discepolo nelle scelte di una giornata qualsiasi: passa così in rassegna le deformazioni della vita nobiliare, la sua corruzione, il vuoto spirituale che la circonda, la sciocca vanità di un mondo in declino.

Antonio Perego, L’Accademia dei Pugni, particolare.

GLI ILLUMINISTI DEL SUD DELL’ITALIA Il Mezzogiorno d’Italia, certamente più arretrato del Nord sul piano economico e sociale, non fu meno attivo nell’elaborazione teorica e culturale. Furono proprio gli illuministi meridionali a denunciare i mali del Regno di Napoli. Studiosi di grande rilievo come Ferdinando Galiani (1728-1787) e Antonio Genovesi (1713-1769) pubblicarono opere lette e discusse dagli economisti di tutta Europa. Nel Regno di Napoli, però, a diferenza che in Lombardia, la ricchezza culturale non si trasformò in riforme conseguenti.

BECCARIA E IL DIRITTO DI PUNIRE COMPETENZE

USARE LE FONTI

La prigionia non deve essere un supplizio Pag. 72

L’esponente principale dell’Illuminismo in Italia fu sicuramente Cesare Beccaria (17381794), autore di Dei delitti e delle pene, il breve libro che sosteneva l’inammissibilità della tortura e della pena di morte e che avviò in tutta Europa un vivace dibattito sulla giustizia. Secondo Beccaria, lo Stato nasce da un contratto: il ine di tale contratto, ovvero lo scopo in vista del quale gli uomini si organizzano in società, è «la massima felicità divisa nel maggior numero». A tal ine, essi sacriicano una parte della loro libertà e «la somma di tutte queste porzioni di libertà» costituisce «la sovranità di una nazione» di cui lo Stato è depositario. Il «diritto di punire» è fondato appunto sulla necessità «di difendere il deposito della salute pubblica dalle usurpazioni particolari». Spetta al legislatore deinire le leggi e dunque

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l’entità delle pene che dovranno essere proporzionali ai delitti, ovvero al danno arrecato alla società. Il ine delle pene, secondo Beccaria, è quello di «impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi concittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali». Ma «un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice» e ciò implica l’inammissibilità della tortura, giacché un cittadino non può essere privato della «pubblica protezione, se non quando sia deciso ch’egli abbia violato i patti coi quali le fu accordata». D’altronde, la tortura «è il mezzo sicuro di assolvere i robusti scellerati e di condannare i deboli innocenti». Relativamente alla pena di morte, Beccaria nota che, se le leggi devono essere fondate sul contratto sociale, tale pena è certamente inammissibile giacché nessun uomo può aver concesso ad altri il diritto di ucciderlo.

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Chi furono i maggiori illuministi lombardi? ƒ Vi furono anche pensatori illuministi nel Meridione d’Italia? ƒ Quale deve essere l’entità delle pene e quale deve essere il loro fine secondo Beccaria? ƒ Che cosa intendeva Beccaria per laicizzazione del diritto penale?

TUTTI UGUALI DI FRONTE ALLA LEGGE Inine, Beccaria intende eliminare dalla concezione della giustizia qualsiasi riferimento al ceto sociale di appartenenza. Quello che conta, insomma, è togliere ogni illusione di impunità a tutti i cittadini, compresi i nobili: «Ogni distinzione, sia negli onori sia nelle ricchezze, perché sia legittima suppone un’anteriore uguaglianza fondata sulle leggi, che considerano tutti i sudditi come egualmente dipendenti da esse». L’impostazione di Beccaria, dunque, era estremamente innovativa e non solo perché respingeva le pratiche giudiziarie più consuete. Egli proponeva una compiuta laicizzazione del diritto penale: il delitto, infatti, non era considerato un peccato ma un danno sociale, la pena non un’espiazione ma un risarcimento.

COMPETENZE

USARE LE FONTI

Il carcere nel XVIII secolo Pag. 73

Il volto umano della giustizia L’edizione di Dei delitti e delle pene, uscita a Livorno nel 1765, è arricchita da alcune illustrazioni, ideate dallo stesso autore.

1. Il boia offre con la mano sinistra le teste dei condannati alla Giustizia. La figura del boia era del tutto familiare alla società di Antico regime. Egli veniva considerato l’esecutore della volontà divina che, attraverso il braccio secolare dei sovrani, condannava coloro che avevano commesso dei delitti, che, a loro volta, erano considerati peccati, cioè violazioni dei Dieci comandamenti.

2. Con la mano destra il boia impugna una spada con la quale ha appena eseguito la condanna.

Questa immagine sul frontespizio ben sintetizza la sua posizione riguardo alla pena di morte e la sua concezione della giustizia.

3. La Giustizia, respingendo la decapitazione, ritenuta non solo disumana ma anche inutile, rivolge lo sguardo agli attrezzi per il lavoro forzato, che pur doloroso è però di pubblica utilità e quindi giusto, come simboleggia la bilancia. 4. La Giustizia, tradizionalmente ritratta con la spada in mano (la stessa spada con cui il boia tagliava la testa al condannato a morte) viene invece rappresentata senza armi e con tratti molto umanizzati, privi di ferocia. Essa respinge con sdegno e superiorità l’offerta delle teste appena mozzate. 5. Ai piedi della Giustizia sono adagiati alcuni strumenti utilizzati nei lavori forzati, preferibili per Beccaria alla tortura.

APPROFONDIMENTO

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5. Il dispotismo illuminato ASSOLUTISMO E RIFORME

APPROFONDIMENTO

LESSICO

Nella seconda metà del Settecento in gran parte dei Paesi europei iniziò una stagione di riforme. Fu un processo realizzato dall’alto, voluto dai sovrani assoluti e influenzato dal movimento dell’Illuminismo. Per questo la politica riformatrice dell’Europa settecentesca viene deinita dagli storici «dispotismo illuminato». Le aree maggiormente coinvolte furono la Russia, la Prussia, l’Austria, la Spagna, il Portogallo e l’Italia: Caterina II di Russia, Federico II di Prussia e Maria Teresa d’Austria furono addirittura deiniti re-ilosoi per la loro adesione all’Illuminismo e per il sostegno garantito ai ilosoi ospiti nelle loro corti. In efetti sarebbe più corretto dire che questi sovrani crearono il mito del «despota illuminato» con la complicità dei ilosoi: i sovrani, infatti, erano interessati a dare lustro alle loro riforme avvalendosi degli elogi dei più insigni philosophes; e questi non disdegnavano i favori con cui venivano ricevuti a corte e d’altro canto sapevano che i monarchi erano il tramite indispensabile dei loro progetti. In realtà, anche se molte riforme corrispondevano alle tesi dei ilosoi, furono soprattutto le esigenze concrete a determinare le scelte dei sovrani. Essi intendevano in primo luogo raforzare l’autorità dello Stato sui poteri particolari della nobiltà e della Chiesa. In questo senso il dispotismo illuminato fu semplicemente una fase del processo di formazione dello Stato moderno, che non intaccò signiicativamente l’Antico regime. RIFORMA Il significato originario del termine riguardava la sfera religiosa e indicava la nuova forma, cioè un rinnovamento della Chiesa inteso come ritorno alla semplicità e alla purezza delle origini. Nel Settecento, l’idea di riforma perde i suoi connotati religiosi e assume il significato moderno di mutamento politico e sociale. Infatti il termine indica un provvedimento attuato allo scopo di migliorare, riorganizzare, rinnovare una situazione, un’istituzione o un ordinamento non più rispondenti alle esigenze e alle idee del tempo. Si parla di riforma elettorale, riforma scolastica, riforma giudiziaria. Generalmente le riforme vengono introdotte dai sovrani o dai governi (cioè dall’alto) in forma graduale e seguono percorsi legali e pacifici; per questo aspetto si differenziano dalle rivoluzioni, che sono invece tentativi di mutamento radicale e immediato, in genere compiuti dal popolo (cioè dal basso), ricorrendo all’illegalità e alla violenza.

Gli illuministi alla corte di Federico II Federico II fece costruire il castello di Sans-Souci (che in francese significa «senza preoccupazioni») vicino a Berlino come 3. Non lontano da Federico è seduto il filosofo Voltaire, che passò tra il 1750 e il 1753 diversi mesi nel castello, ospite di Federico il Grande. 2. Facevano parte dell’Accademia i più importanti intellettuali del tempo: Voltaire, Montesquieu, d’Alembert e il tedesco Immanuel Kant.

reggia estiva. Fu qui che spesso gli intellettuali si incontravano con il sovrano e facevano circolare le idee illuministiche. 1. Gli illuministi che siedono alla tavola fanno parte dell’Accademia delle Scienze di Berlino, arrivata al massimo splendore con Federico II.

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RIFORME E RESISTENZE Gli obiettivi principali delle riforme furono: ƒla riorganizzazione dell’apparato burocratico, al ine di rendere l’amministrazione dello Stato più razionale; in questo campo, particolarmente importante fu l’istituzione del catasto, cioè di un registro delle proprietà immobiliari; ƒl’aumento delle entrate iscali, con il tentativo di imporre la tassazione anche alla nobiltà e al clero; ƒil giurisdizionalismo, ossia l’estensione della giurisdizione dello Stato sulle Chiese nazionali. Nella sostanza i sovrani cercarono di assumere il controllo del clero locale e di sottrarre alla Chiesa proprietà e antichi privilegi (come la manomorta, che impediva la vendita dei beni ecclesiastici, o il diritto d’asilo, che vietava la cattura di chiunque fosse rifugiato nei conventi e nelle chiese); inoltre, tentarono di acquisire il controllo della cultura e dell’istruzione, all’epoca quasi interamente nelle mani della Chiesa. La politica giurisdizionalista fu accompagnata da una violenta polemica contro gli ordini religiosi che investì soprattutto i gesuiti. Accusati di essere al servizio di Roma e di tramare contro lo Stato, i gesuiti vennero espulsi da molti Paesi. Nel 1773, la pressione delle corti europee indusse papa Clemente XIV addirittura a sopprimere l’ordine (che sarebbe stato però ricostituito nel 1814). La radicalità degli obiettivi delle riforme fu respinta in genere dai ceti popolari che difendevano la religione tradizionale. Ovviamente le resistenze più forti vennero, però, dalla nobiltà e dal clero che si vedevano privati di antichi privilegi. Ciò determinò spesso il fallimento delle riforme. Fu questo il caso della Spagna, dove la politica riformatrice di Carlo III di Borbone (1759-1788) ottenne risultati modesti per la ferma opposizione della nobiltà e degli ecclesiastici. Ma il caso più clamoroso fu quello della Francia. Sia Luigi XV (17151774) che Luigi XVI (1774-1792) furono bloccati dall’opposizione dei ceti privilegiati. Il tentativo più importante di realizzare una politica di riforme fu avviato nel 1774 dal ministro delle Finanze AnneRobert-Jacques Turgot che propose numerosi provvedimenti innovativi: tolleranza per le minoranze religiose, sottrazione dell’insegnamento scolastico al clero, estensione delle tasse agli ecclesiastici e alla nobiltà. Anche in questo caso, però, le resistenze ebbero la meglio e Luigi XVI fu obbligato a licenziare Turgot (1776). Il riformismo così falliva proprio nel Paese da cui era partita la «primavera dei Lumi».

Gran Bretagna, 1975 (durata: 184’) Regia: Stanley Kubrick Attori principali: Ryan O’Neal, Marisa Berenson, Patrick Magee, Hardy Krüger

Il film che forse meglio di qualunque altro è immerso in un’atmosfera che restituisce intatto il clima settecentesco è Barry Lyndon, del regista americano Stanley Kubrick. Tratto dal romanzo di W.M. Thackeray (18111863), narra la storia dell’ascesa e del fallimento di Redmond Barry, giovane avventuriero irlandese di umili origini, che spende la sua vita alla ricerca di ricchezze e prestigio, per superare le rigide barriere sociali del suo

tempo. È disposto ad accettare qualsiasi sacrificio pur di diventare ricco e ottenere un titolo nobiliare. Cambia modo di vivere più volte, diventando un soldato valoroso, un giocatore d’azzardo e, infine, sposa la contessa di Lyndon più per la sua posizione sociale che per amore. Il matrimonio dovrebbe costituire il culmine della sua ascesa: invece, lo condurrà alla rovina. Particolarmente studiata è la scenografia: la scelta di utilizzare esclusivamente la luce naturale per le riprese esterne e candele e lampade a olio per gli interni crea un effetto di realismo, sottolineato dagli evidenti richiami ai pittori dell’epoca.

CINEMA E STORIA

Barry Lyndon

Joseph Ducreux, Ritratto di Anne-Robert-Jacques Turgot. Castello di Lantheuil.

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LE RIFORME IN RUSSIA Caterina II (1762-1796) proseguì la politica di accentramento del potere e di «occidentalizzazione» della Russia già avviata da Pietro il Grande. Salì al trono nel 1762, dopo aver fatto assassinare il marito Pietro III. Di origine tedesca, apprezzò la cultura illuminista e ospitò nella sua corte artisti e ilosoi. Il riformismo di Caterina colpì innanzitutto la Chiesa ortodossa, a cui furono coniscate le proprietà con l’intento di risanare le inanze dello Stato. Il decreto di conisca (1764) determinò la chiusura della metà dei conventi russi. Nel 1767 Caterina formò una Commissione consultiva di 573 membri, delegati di tutti gli ordini della società, con il compito di redigere un nuovo codice di leggi. L’«istruzione» che diede alla Commissione proponeva i più moderni princìpi dell’Illuminismo: la tolleranza, la libertà di stampa, la condanna della servitù e della tortura, la difusione dell’istruzione. Si trattava però di un progetto troppo avanzato che venne fermato dallo strapotere della nobiltà. Ma gli sforzi di Caterina in questa direzione non vanno sottovalutati: in efetti, pur nell’insuccesso, il lavoro svolto dalla Commissione permise di conoscere a fondo la realtà del Paese, l’arretratezza economica e sociale e soprattutto le disperate condizioni dei contadini oppressi dalla servitù. La sensibilità della zarina per questo problema era certamente autentica ma la nobiltà le impedì ogni intervento. Alla ine, addirittura, le circostanze imposero a Caterina di andare nella direzione opposta! Tra il 1772 e il 1775, infatti, il problema sociale emerse in tutta la sua gravità con una rivolta di contadini organizzata dal cosacco Emmelian Pugacˇëv. Pugacˇëv aizzò i contadini contro la nobiltà promettendo terre e libertà per tutti. Caterina fu costretta a inviare l’esercito e a prendere provvedimenti a favore dell’aristocrazia russa: nel 1785 emanò la Carta della nobiltà con cui riconfermò il servaggio e i privilegi nobiliari. Si trattava di provvedimenti ben lontani dalle tesi illuministe, ma era il prezzo da pagare per ottenere la collaborazione dei nobili. Vasilij Perov, Emmelian Pugacˇëv, aministra la giustizia, 1875. Collezione privata.

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LE RIFORME NELL’IMPERO ASBURGICO Il processo riformatore nell’Impero asburgico fu iniziato dall’imperatrice Maria Teresa (17401780) e completato con grande determinazione da suo iglio Giuseppe II (1780-1790). Il primo obiettivo fu l’accentramento del potere. Ogni regione dominata dagli Asburgo aveva proprie leggi e diete locali che rendevano estremamente complicato il funzionamento della macchina statale e l’esazione delle imposte. Il potere delle diete venne limitato, ma l’innovazione più importante fu l’estensione dell’imposta sul reddito fondiario alla nobiltà e al clero. L’imperatrice istituì il catasto con l’indicazione di tutte le proprietà terriere; in questo modo poteva deinire con precisione l’entità delle imposte. Altre iniziative riguardarono l’istruzione: Maria Teresa rese pubblica e obbligatoria la scuola elementare, istituì il Theresianum, un’esclusiva scuola superiore per la formazione dei funzionari pubblici, e pose sotto il controllo dello Stato l’Università di Vienna, dominio dei gesuiti. Nel 1773 requisì i beni dei gesuiti per inanziare la riforma dell’istruzione. Anche la censura religiosa venne sostituita con quella pubblica e posta sotto il controllo dello Stato. Con Giuseppe II le riforme divennero ancora più radicali. L’imperatore attuò una decisa politica giurisdizionalista, che fu deinita «giuseppinismo», con l’obiettivo di rendere gli ecclesiastici servitori dell’autorità imperiale. Istituì seminari statali per la formazione del clero, soppresse il diritto alla censura dei vescovi ed emanò una Patente di tolleranza (1781) per le minoranze religiose, riconoscendo i diritti civili anche agli Ebrei. Tra il 1781 e il 1785 abolì la servitù della gleba, eliminò decime e corvées e sottopose tutti i proprietari a un’unica imposta fondiaria. Per dare uniformità all’interno dei domini asburgici promulgò un unico Codice civile e penale (1786-1787). Le pene erano uguali per tutti i sudditi, senza distinzione di ceto; la tortura venne abolita e il ricorso alla pena di morte ridotto. Erano provvedimenti audaci che crearono vasti dissensi: si ribellarono i nobili che avevano perso i loro privilegi, ma anche i contadini che reclamavano la proprietà della terra, le etnie, gelose della loro autonomia, e la Chiesa cattolica, privata di autorità e prestigio. Queste reazioni segnarono la sconitta della politica di Giuseppe II che, ormai consapevole del fallimento, morì nel 1790, a soli 49 anni. Il trono passò a suo fratello Leopoldo II (già granduca di Toscana col nome di Pietro Leopoldo), che nei due anni del suo regno (1790-1792) ripristinò i privilegi iscali e giuridici, le corvées e le decime. Louis Joseph Maurice, L’imperatrice d’Austria Maria Teresa con i suoi figli, 1775. Vienna, Kunsthistorisches Museum.

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LE RIFORME NEL REGNO DI PRUSSIA Con Federico II il Grande (1740-1786) la Prussia continuò nel suo cammino di ammodernamento e centralizzazione dello Stato avviato nei decenni precedenti da Federico Guglielmo I. Federico II fu un estimatore della cultura illuminista e intrattenne rapporti con molti ilosoi, fra cui Voltaire che soggiornò a lungo a Berlino. In ambito culturale promosse le arti e le scienze e intervenne sul sistema educativo, rendendo obbligatoria l’istruzione elementare ino a tredici anni per i ragazzi di ogni ceto sociale. Aprì scuole nei piccoli villaggi per agevolare i igli dei contadini e degli artigiani. Incoraggiò a tutti i livelli la diffusione della cultura e la circolazione delle idee, facendo dell’Accademia delle Scienze di Berlino uno dei più prestigiosi centri intellettuali d’Europa. Anche sul piano religioso e su quello giudiziario dimostrò uno spirito aperto: promosse la tolleranza religiosa e riformò il sistema giudiziario, sempliicando le procedure e introducendo un Codice civile (1794) che non prevedeva la tortura e limitava il ricorso alla pena di morte. Federico II, però, dimostrò meglio degli altri sovrani a lui contemporanei la concreta dificoltà di coniugare Illuminismo e ragion di Stato. La sua immagine di «sovrano illuminato» era infatti incompatibile con l’impegno speso a raforzare l’esercito e con la politica aggressiva che, come abbiamo visto (Unità 1, p. 36), intraprese non appena salì al trono invadendo la Slesia (1748).

LE RIFORME IN ITALIA

I PROTAGONISTI

In Italia le aree nelle quali il riformismo trovò maggiore applicazione furono la Lombardia e la Toscana, entrambe coinvolte nella politica degli Asburgo; una più modesta esperienza si realizzò anche nella Napoli borbonica. È tuttavia interessante segnalare anche il caso del Regno di Sardegna dove i Savoia, pur non richiamandosi all’Illuminismo, dimostrarono una capacità riformatrice interessante per la sua precocità, che addirittura anticipò la stagione del dispotismo illuminato.

Antoine Pesne, Federico il Grande, 1739. Berlino, Gemäldegalerie.

Federico II il Grande Il rapporto con il padre Federico II si conquistò l’attributo di Grande che la storia gli ha riconosciuto con quarantasei anni di regno. Lo meritò per l’intelligenza, la volontà, il patriottismo, la lucidità politica e l’opera compiuta, anche se la durezza e il cinismo non ne fecero una personalità tale da attirare la simpatia delle folle. Federico II fu in apparenza l’opposto di suo padre, Federico Guglielmo I, il re Sergente: un colosso amante dei piaceri della tavola, delle bevute tra uomini, padre di numerosi figli che al pari dei suoi soldati gli dovevano servire a «fare un più» (ein Plus machen), cioè ad accrescere con le loro alleanze matrimoniali, il loro vigore, il loro lavoro, il dominio e la produzione della Prussia. Federico II era l’antitesi fisica e morale di suo padre: attratto dalla filosofia, dalla musica e dalle arti, amava il gusto francese, il libertinaggio spirituale. Ribelle all’educazione strettamente militare impostagli dal padre, Federico si abituò alla menzogna per poter di nascosto leggere e far

musica. Per il padre, Federico era un «damerino», un debole che non sarebbe mai stato un vero soldato e dal quale poteva tutt’al più sperare un matrimonio vantaggioso. Padre e figlio furono sempre nemici, ebbero un solo amore in comune: la grandezza della Prussia. Il pensiero filosofico Federico II non fu un teorico. Egli chiese alla filosofia, così come agli storici, regole di condotta, il mezzo di influenzare gli uomini, i popoli e coloro che li dirigevano. Sarebbe stato tentato di riconoscere la necessità di un Dio gendarme: il timore dell’aldilà aggiunto al timore delle bastonate e della prigione, per mantenere l’uomo nei sentieri tracciati dalla saggezza reale. Personalmente metteva in causa l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima ma, come Voltaire, riconosceva la necessità per il popolo di un Dio capace di ispirare, oltre che la fede e l’adorazione, anche la paura. Temeva l’ateismo, che po-

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Vittorio Amedeo II (1675-1730) e il suo successore Carlo Emanuele III (1730-1773) si posero come obiettivo la riorganizzazione dello Stato secondo il modello dell’assolutismo francese e prussiano. A tal fine Vittorio Amedeo II intraprese una lotta vigorosa per limitare i privilegi della nobiltà e del clero, in particolare per sottoporre anche questi ordini al pagamento delle tasse. Carlo Emanuele, invece, abolì i diritti feudali (1762), sia pure limitatamente alla Savoia. Si trattava di provvedimenti clamorosi che spesso non conseguirono l’obiettivo che perseguivano, ma che tuttavia esprimevano l’aspirazione a un rinnovamento dello Stato. Venendo ai domini asburgici, sotto Maria Teresa la Lombardia ritrovò lo slancio per una rinascita economica. L’introduzione del catasto, con una più equa ripartizione del carico fiscale, la liberalizzazione dei traffici interni e del lavoro, sottratti alle regole delle corporazioni, furono provvedimenti di grande utilità per la crescita economica. Lo sviluppo culturale trovò vantaggio dall’abolizione della censura e dell’Inquisizione e dagli interventi nel settore dell’istruzione scolastica e universitaria. Nei rapporti con la Chiesa, Giuseppe II adottò in Lombardia gli stessi provvedimenti già presi nell’impero sollevando forti dissensi. Anche in Toscana, governata da Pietro Leopoldo d’Asburgo-Lorena, figlio di Maria Teresa, si attuò la stessa politica riformatrice: abolizione delle corvées, suddivisione delle proprietà e lavori di bonifica per lo sviluppo dell’agricoltura. Si liberalizzò il commercio dei grani e furono soppresse le corporazioni che creavano troppi ostacoli al lavoro. Nel 1786 fu avviata una riforma fiscale che estese l’imposta fondiaria anche a nobili ed ecclesiastici. La politica giurisdizionalista eliminò i privilegi del clero. In campo giuridico fu fondamentale l’introduzione del Codice Leopoldino (1786), ispirato alle tesi di Beccaria e considerato il primo codice penale moderno d’Italia. Il nuovo codice prevedeva, tra l’altro, l’abolizione della tortura e della pena di morte. Quest’ultima però venne ristabilita dal successore Ferdinando III (1790-1801). Nel Regno di Napoli l’opera di riforma si sviluppò durante il regno di Carlo III di Borbone (1759-1788) per iniziativa del ministro Bernardo Tanucci che cercò soprattutto di abolire i privilegi ecclesiastici: pose sotto il controllo dello Stato le rendite parrocchiali, abolì le decime e l’Inquisizione, chiuse conventi e monasteri, contribuì all’espulsione e alla soppressione dell’ordine dei gesuiti. Il potere dei baroni, però, restò molto forte e anche quello della Chiesa venne appena scalfito. L’economia del Mezzogiorno, ancora strozzata dai vincoli feudali, non aveva alcuna possibilità di crescere.

teva essere un fermento rivoluzionario se si scaricava sul popolo e lo spingeva a contestare le leggi umane e divine. Le une e le altre, per Federico, avevano lo scopo essenziale di legittimare il posto eminente della Prussia nel mondo e la grandezza del ruolo che le era stato assegnato. Federico era attratto dai problemi filosofici, ma la filosofia doveva servire al regno e giustificarne la grandezza. Il monarca, illuminato dai lumi della filosofia, fa tutto per lo Stato, niente per il popolo. Federico è stato veramente il primo «servitore» dello Stato prussiano, «primo suddito del re di Prussia», come egli stesso scrisse. Il sovrano doveva essere l’anima dello Stato: come, nel mito, Atlante sostiene il mondo sulle spalle, così egli sopportava tutto il peso del governo. La filosofia che lo ispirava non era tanto l’amore del genere umano o la giustizia. Per lui era bene quel che riusciva bene, era bene quel che rendeva. La tolleranza Si è fatto un gran parlare delle riforme di Fede-

rico II, da quelle economiche a quelle amministrative e militari, dalle iniziative volte a favorire l’immigrazione a quelle relative all’istruzione e alla giustizia. Un’opera riformatrice di grande portata che gli valse l’appellativo di «re filosofo» e che rese la Prussia uno dei grandi soggetti dello scenario europeo. Fra le riforme più significative vi fu la promozione della tolleranza religiosa. Ma anche su questo punto la grandezza dello Stato veniva prima di tutto. La tolleranza fu per Federico uno strumento di governo, che gli permise di accogliere i laboriosi ugonotti in fuga dalla Francia e di inserire i cattolici della Slesia in uno Stato quasi completamente luterano. La tolleranza procedeva dal suo disprezzo di tutte le credenze, da quel cinismo che gli faceva trascurare i conflitti ideologici per misurare unicamente l’importanza della posta in gioco nel destino della Prussia. La sua profonda indifferenza religiosa gli evitava conflitti di coscienza.

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Che cosa si intende per «dispotismo illuminato»? ƒ Quali furono gli obiettivi fondamentali delle riforme? ƒ In quali Stati europei i sovrani adottarono una politica riformatrice? ƒ Che cos’è il giurisdizionalismo?

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Dal passato al presente All’età dei Lumi risalgono molte idee su cui si fonda la nostra convivenza democratica, come la difesa dei diritti individuali e la tolleranza religiosa. Ma soprattutto in quest’epoca, grazie a una maggiore circolazione delle idee attraverso i giornali o i centri culturali, nacque l’opinione pubblica. Anche la ilantropia, cioè un comportamento orientato a fornire assistenza e aiuto ai poveri, ha le sue radici negli ideali di uguaglianza e fratellanza, sostenuti dagli illuministi. Nel Settecento si difuse anche la passione per i giochi di società. Fra gli altri, il gioco della tombola, inventato nel Regno di Napoli nel 1734 come adattamento popolare del gioco del lotto, sospeso durante la settimana di Natale.

La nascita della moderna opinione pubblica IL CONCETTO DI OPINIONE PUBBLICA

IERI

Cresce il ruolo dell’opinione pubblica come espressione di cittadini consapevoli dei loro diritti, dotati di coscienza civile e partecipi, anche se soltanto come spettatori, del dibattito politico OGGI

L’opinione pubblica ha un ruolo decisivo nelle moderne democrazie ma si teme che sia manipolata e strumentalizzata dai mass media, divenendo agente di conformismo e controllo sociale

Un embrionale concetto di «opinione pubblica» è rintracciabile, seppur con sfumature di signiicato assai diverse, in dall’antichità. Nella civiltà greca corrispondeva a quello di dóxa, nel tardo Impero romano a quello di fama popularis, nel Medioevo a quello di vox populi e di consensus. In Età moderna, fra XVII e XVIII secolo, i ilosoi parlano di opinion (Locke), esprit général (Montesquieu), volonté générale (Rousseau). Tuttavia, l’espressione public opinion comincia a essere usata dagli statisti e dai politici anglosassoni intorno alla ine del Settecento, epoca in cui si proila sempre più precisamente una novità assoluta: la formazione di un «pubblico» e, con esso, della sua «opinione», attraverso la quale manifesta orientamenti, inclinazioni e preferenze. Per indicare questa forma inedita di comunicazione, che si aferma tra i privati cittadini borghesi in polemica con lo stile cortigiano, è necessaria l’invenzione di termini nuovi quali «pubblicità», public spirit, general opinion, opinion publique.

CONDIZIONI NECESSARIE ALLA FORMAZIONE DELL’OPINIONE PUBBLICA I fattori che concorrono alla formazione dell’opinione pubblica sono, appunto, la costituzione di una società civile, l’abolizione

dell’istituto della censura preventiva, la circolazione dei giornali, la difusione di nuovi spazi pubblici di discussione. Ed è appunto in questi spazi di confronto che la società civile sente l’esigenza di controllare l’operato del potere per poterne eventualmente denunciare gli abusi. Infatti un’opinione è «pubblica» sia perché è espressione di un complesso di persone, sia perché investe oggetti e argomenti di natura pubblica. È indispensabile, pertanto, che il potere politico non impedisca la libera circolazione delle idee con interventi di censura. La nascita dell’opinione pubblica s’intreccia, quindi, con la ine della società d’Antico regime, con il progressivo afermarsi dell’idea di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e con la pubblicità delle questioni riguardanti lo Stato e il governo: un fenomeno che rompe il regime di segretezza vigente ino ad allora intorno agli atti di governo.

LE PREOCCUPAZIONI ODIERNE L’opinione pubblica, così come è andata conigurandosi alla ine del XVIII secolo, testimonia della nuova esigenza di partecipazione, di critica e di libera elaborazione di idee. Questa opinione pubblica si manifestava soprattutto attraverso le nuove forme della comunicazione sia politica sia culturale (dai giornali e dalla stampa periodica in genere, ai salotti letterari, dai club alle società di lettura e ai cafè). Il pubblico dell’epoca era costituito da

La primavera dei Lumi lettori di giornali, riviste e pamphlets, cioè da una élite di cittadini illuminati, per lo più borghesi, consapevoli delle necessità di un cambiamento sociale. Oggi, invece, l’opinione pubblica si è allargata a fasce sempre più estese di popolazione. Con l’allargamento del diritto di voto e con la società di massa, l’opinione pubblica è pressoché onnipotente. Ma rischia anche di essere costruita e manipolata, attraverso un uso ampio dei mass media. Viene continuamente sollecitata e analizzata mediante tecniche di rileva-

71 zione: i cosiddetti sondaggi d’opinione. I sondaggi si afermano con lo sviluppo dell’economia di mercato e con l’ainamento dei nuovi mezzi di informazione: radio, televisione, internet. Questi mezzi, infatti, hanno un impatto sull’opinione pubblica certamente maggiore dei giornali e hanno provocato una vera rivoluzione che coinvolge tutti i cittadini. Tutti possono virtualmente esprimere e rendere pubbliche le proprie idee, qualunque sia la loro classe d’appartenenza e il loro livello culturale.

ESTETICA Il sostantivo deriva dal greco e significa «in grado di sentire, di percepire»; a partire dalla metà del Settecento (con la pubblicazione dell’Aesthetica di Alexander Gottlieb Baumgarten), è usato per indicare quella parte della filosofia che si occupa dell’indagine e della definizione del bello e delle sue manifestazioni artistiche. Questo termine viene oggi impiegato, oltre che nel suo significato specifico, per designare gli elementi richiesti e accettati dal gusto, le caratteristiche gradevoli, le forme armoniose di cose o persone, o, più semplicemente, come sinonimo di bellezza. CICISBEO Questa parola, che sembra riprodurre nel suono il ci-ci-ci prodotto dalle chiacchiere, indica una figura assai diffusa nella società nobiliare del Settecento: il cavalier servente. Autorizzato dal marito e seguendo regole ben precise, il cicisbeo aveva sia la funzione di servire la dama durante i ricevimenti organizzati nella sua casa, sia quella di accompagnarla agli spettacoli e nelle passeggiate, offrendo così una pura apparenza di rapporto amoroso. Per estensione indica un corteggiatore che eccede in leziosaggine e in manifestazioni di galanteria. MENÙ Si tratta di una voce adattata dal francese menu. In origine era un aggettivo che significava «minuto, particolareggiato» e veniva aggiunto all’elenco delle vivande messe a disposizione dei clienti nelle locande. Dal 1718 viene usato da solo a indicare la serie dei cibi che costituiscono un pranzo: questo è il significato più diffuso oggi. In anni recenti il suo significato è stato esteso all’ambito informatico: si chiama menu l’elenco delle opzioni contenute in un programma che possono essere selezionate.

PAROLE IN EREDITÀ

Ripetitori satellitari per le telecomunicazioni.

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COMPETENZE: USARE LE FONTI

La prigionia non deve essere un supplizio DOCUMENTO Nella sua celebre opera Dei delitti e delle pene, Cesare Beccaria conduce un esame serrato dell’ordinamento penale vigente, mostrandone le assurdità e le crudeltà, a cominciare dalla prigionia per giungere alla tortura e alla pena di morte. Anche se non tutti gli illuministi erano favorevoli all’abolizione della pena di morte, tutti si schierarono per l’abolizione della tortura, considerata brutale e disumana.

La prigionia è una pena che per necessità deve, a differenza di ogn’altra, precedere la dichiarazione del delitto, ma questo carattere distintivo non le toglie l’altro essenziale, cioè che la sola legge determini i casi nei quali un uomo è degno di pena. La legge dunque accennerà gl’indizi di un delitto che meritano la custodia del reo, che lo assoggettano ad un esame e ad una pena. [...] A misura che le pene saranno moderate, che sarà tolto lo squallore e la fame dalle carceri, che la compassione e l’umanità penetreranno le porte ferrate e comanderanno agl’inesorabili ed induriti ministri della giustizia, le leggi potranno contentarsi d’indizi sempre più deboli per catturare. Un uomo accusato di un delitto, carcerato ed assolto non dovrebbe portar seco nota alcuna d’infamia. Quanti romani accusati di gravissimi delitti, trovati poi innocenti, furono dal popolo riveriti e di magistrature onorati! Ma per qual ragione è così diverso ai tempi nostri l’esito1 di un innocente? Perché sembra che nel presente sistema criminale, secondo l’opinione degli uomini, prevalga l’idea della forza e della prepotenza a quella della giustizia; perché si gettano confusi nella stessa caverna gli accusati e i convinti2; perché la prigione è piuttosto un supplicio che una custodia del reo. […] Vi è un teorema generale molto utile a calcolare la certezza 1. L’uscita dal carcere.

di un fatto, per esempio la forza degli indizi di un reato. Quando di un fatto sono dipendenti l’una dall’altra, cioè quando gli indizi non si provano che tra di loro, quanto maggiori prove adducono, tanto minore è la probabilità del fatto, perché i casi che farebbero mancare le prove precedenti fanno mancare le susseguenti. Quando le prove di un fatto tutte dipendono egualmente da una sola, il numero delle prove non aumenta né diminuisce le probabilità del fatto perché tutto il loro valore si risolve nel valore di quella sola da cui dipendono. Quando le prove sono indipendenti l’una dall’altra […] quanto maggiori prove si adducono, tanto più cresce la probabilità del fatto, perché la fallacia di una prova non influisce sull’altra. Io parlo di probabilità in materia di delitti che per meritar pena devono essere certi. [… ] Le pene non devono solamente esser proporzionate fra loro ed ai delitti nella forza, ma anche nel modo d’infliggerle. Alcuni liberano dalla pena di un piccolo delitto quando la parte offesa lo perdoni, atto conforme alla beneficenza ed all’umanità, ma contrario al ben pubblico, quasi che un cittadino privato potesse egualmente togliere colla sua remissione la necessità dell’esempio. [… ] Il diritto di far punire non è di un solo, ma di tutti i cittadini o del sovrano. Egli non può che rinunziare alla sua porzione di diritto, ma non annullare quella degli altri. Conosciute le prove e calcolata la certezza del delitto, è necessario concedere al reo il tempo e mezzi opportuni per giustificarsi; ma tempo così breve che non pregiudichi alla prontezza della pena, che abbiamo veduto essere uno de’ principali freni de’ delitti. Un mal inteso amore della umanità sembra contrario a questa brevità di tempo, ma svanirà ogni dubbio se si rifletta che i pericoli dell’innocenza crescono coi difetti della legislazione. C. Beccaria, Dei delitti e delle pene

2. I condannati.

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

Quali sono le conseguenze a cui va incontro un accusato ƒ dichiarato innocente e, perciò, liberato? ƒ Quali aspetti, secondo Beccaria, prevalgono nel suo tempo, nel sistema criminale? ƒ Quale dovrebbe essere per Beccaria la funzione del carcere?

Poiché lo Stato si fonda su un contratto, perché la pena di ƒ morte è inammissibile? ƒ Quale fine devono avere le pene? ƒ Perché Beccaria ritiene che la tortura sia inutile, un mezzo sicuro per assolvere i robusti e condannare i deboli?

IN DIGITALE

ƒ Prima e Dopo ƒ Video - La circolazione delle idee: caffè, salotti, accademie ƒ Immagine commentata - Il volto umano della giustizia ƒ Online DOC - Bayle: critica della tradizione ƒ Online DOC - Il volto umano della giustizia

ƒ Online STO - Il lato oscuro di Voltaire ƒ Online STO - La crisi della coscienza europea ƒ Online STO - Il «più» di Federico II il Grande ƒ Audiosintesi Unità 2

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Il carcere nel XVIII secolo STORIOGRAFIA Nell’Ancien régime esistevano diferenti tipi di carcere, a seconda dei delitti commessi ma soprattutto a seconda del ceto di appartenenza.

Guido Neppi Modona

Freddo, catene, pulci e malattie Guido Neppi Modona (Torino 1938) è un famoso giurista, saggista e editorialista. Si è occupato prevalentemente di giustizia penale sia come avvocato, che come magistrato e docente universitario. Ha ricoperto il ruolo di giudice e poi vicepresidente della Corte Costituzionale dal 1996 al 2005.

Sino alla fine del XVIII secolo non si può parlare di istituzioni carcerarie nei termini a cui oggi facciamo abitualmente riferimento, cioè come luogo chiuso in cui chi ha subito una condanna penale sconta una pena detentiva di durata temporanea ovvero l’ergastolo. Nel sistema penale dell’Ancien régime, che conosceva essenzialmente solo le sanzioni corporali e la pena di morte, la prigione era piuttosto strumento per custodire temporaneamente gli imputati in attesa del processo e, dopo la condanna, della pena corporale o dell’esecuzione capitale. A fianco di questa funzione, che oggi potremmo qualificare come carcerazione preventiva, in prigione finivano pure, su istanza del creditore, i debitori insolventi, i vagabondi, gli oziosi e coloro che, senza processo, venivano fatti scomparire dalla circolazione per ordine del sovrano (le famose lettres de cachet, di cui erano essenzialmente vittima oppositori reali o presunti dell’ordine costituito). Le prigioni erano quindi una sorta di deposito transitorio, non luoghi di pena regolati da discipline uniformi per il governo ed il trattamento dei condannati. Più di ogni altro, questo carattere spiega perché le prigioni dell’Ancien régime erano per la maggior parte abbandonate alla gestione di privati appaltato-

ri, non dipendenti da un’organizzazione statale o comunque dirette da funzionari pubblici. Il custode traeva il suo guadagno dagli stessi detenuti, che personalmente, o attraverso i loro parenti, pagavano una retta giornaliera o erano letteralmente condannati a morire di fame. Non a caso il creditore che presentava un’istanza per ottenere l’imprigionamento del suo debitore era tenuto a versare in anticipo la retta mensile per le spese di mantenimento della sua vittima. […] Malgrado non si potesse parlare di una struttura e di regole uniformi, i prigionieri erano in linea di massima divisi in tre gruppi, a seconda della loro pericolosità e delle rette che potevano pagare. I più pericolosi erano rinchiusi in celle sotterranee, prive di luce e aria diretta, umide e fetide, in ciascuna delle quali erano ammassati in pochissimo spazio anche più detenuti, sovente incatenati alle pareti. Di poco più fortunati erano quelli custoditi in grandi locali comuni, «arredati» con paglia distesa sul pavimento in funzione di giaciglio. In alcune prigioni i cameroni comuni potevano ospitare anche duecento detenuti. Infine i privilegiati, cioè coloro che potevano pagare una retta, erano custoditi in vere e proprie camere con aria e luce diretta, talvolta da soli, più spesso con altri prigionieri. Il vitto dei privilegiati era in proporzione della retta pagata […], comunque superiore a quello strettamente necessario alla sopravvivenza dei prigionieri non paganti, sfamati con non più di una libbra e mezza di pane al giorno, talvolta accompagnata da una minestra. […] Le cure relative alla pulizia, all’igiene e all’abbigliamento dei detenuti erano ridotte al minimo. […] La regola generale era che la biancheria veniva lavata e cambiata due volte all’anno, all’inizio dell’estate e dell’inverno. Le malattie regnavano sovrane e mietevano centinaia di vittime: nella Parigi prerivoluzionaria lo scorbuto era la piaga più diffusa nelle prigioni, ma la mancanza di riscaldamento d’inverno e l’eccessivo calore d’estate erano causa di malattie mortali dei detenuti più deboli. G. Neppi Modona, Freddo, catene, pulci e malattie, in 1789-1799, i dieci anni che sconvolsero il mondo, supplemento a «la Repubblica», n. 3, 1989

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

ƒ Perché l’autore, riferendosi all’Ancien régime parla di carcerazione preventiva? ƒ Chi pagava la retta giornaliera dei carcerati agli appaltatori? ƒ I prigionieri erano trattati tutti alla stessa maniera o vi erano più modi di trascorrere la pena detentiva?

ƒ Che cosa sono le lettres de cachet? Quando entrarono in vigore? Oggi esistono ancora? ƒ I vari modi di trattare i carcerati derivavano dalla gravità della pena o erano influenzati da altre ragioni?

RIELABORARE, DISCUTERE, REINTERPRETARE ƒ Oggi la situazione delle nostre carceri è in parte migliorata, ma restano insoluti numerosi problemi, anche gravi. Sapresti fare un rapporto tra quanto capitava nell’Ancien régime e quanto succede oggi?

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MISURARE LE COMPETENZE

GLI EVENTI

IL TEMPO

Completa la frase.

Unisci opportunamente avvenimento e data, indicando il numero corrispondente della data nella colonna a destra di ogni avvenimento.

1. L’Illuminismo fu un movimento politico che si proponeva di abbattere i sistemi d’Antico regime un movimento filosofico estraneo agli aspetti della vita politica, economica e sociale un movimento intellettuale che si proponeva di incidere concretamente sull’esistenza degli uomini 2. L’intellettuale illuminista vive chiuso nelle sue ricerche e nelle sue speculazioni filosofiche non ha alcun ruolo politico ha il compito di educare gli uomini all’esercizio della ragione per liberarli dalla sottomissione alle superstizioni e ai ceti privilegiati 3. La Costituzione di uno Stato è per Montesquieu libera quando il potere di un sovrano è sottoposto al controllo del Parlamento quando le leggi scritte rispettano i diritti quando i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario sono attribuiti a organi separati che si controllano a vicenda 4. Per i fisiocratici l’origine della ricchezza andava ricercata nella terra nell’attività commerciale nel lavoro 5. La «mano invisibile» che per Adam Smith governa l’economia è un meccanismo naturale di autoregolamentazione del mercato un meccanismo di controllo del mercato regolato dallo Stato un meccanismo naturale del mercato che inevitabilmente favorisce i produttori e penalizza i consumatori 6. Per Beccaria la pena di morte deve essere applicata per togliere l’idea dell’impunità deve essere accettata se fa parte della legislazione vigente è inammissibile nel contratto sociale

LE PAROLE Definisci le seguenti espressioni: a. crisi della coscienza europea b. laicizzazione c. oscurantismo d. religione positiva e. bilancia commerciale f. divisione del lavoro

Avvenimento a Pubblicazione dell’Enciclopedia b Primi segni della nuova cultura illuminista c

Vita di Voltaire

d Lettere inglesi di Voltaire e Vita di Montesquieu f

Pubblicazione di Indagine sopra la ricchezza delle nazioni di A. Smith

g Fondazione della rivista «Il Caffé» h Pubblicazione del Discorso sull’origine della diseguaglianza fra gli uomini di J.J. Rousseau Data 1

1689-1755

2 1734 3 1755 4 1730 5 1751-1772 6 1694-1778 7 1764 8 1776

VERSO L’ESAME DI STATO a. Rispondi alle seguenti domande. ƒQuali sono i princìpi fondamentali dell’Illuminismo? ƒPerché si usa l’espressione «crisi della coscienza europea»? ƒQuale ruolo si assume l’intellettuale durante l’Illuminismo? ƒQuali obiettivi si proponeva l’Enciclopedia? ƒQuali teorie politiche sono state elaborate durante l’Illuminismo? ƒQuale teoria economica si afferma durante l’Illuminismo? b. Il saggio breve: interpreta e confronta i seguenti documenti. ƒp. 52 – La diffusione dell’Illuminismo ƒp. 70 – Dal passato al presente: La nascita della moderna opinione pubblica Successivamente, utilizzando anche le tue conoscenze, sviluppa l’argomento proposto nella forma del saggio breve, attribuendo alla composizione un titolo appropriato. Argomento. Diffusione del sapere e formazione dell’opinione pubblica ieri e oggi

CITTADINI ADESSO

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C’è un giudice a Berlino! I diritti del cittadino e la giustizia «C’è un giudice a Berlino!» è un’espressione tedesca che risale alla vicenda (reale non leggendaria!) di un certo Arnold, un mugnaio che verso la metà del Settecento fu ingiustamente trascinato in processo dal conte di Schmettau. Dopo vari processi, il povero Arnold riesce ad avere ragione del suo potente avversario e ottiene giustizia ricorrendo nientemeno che al sovrano, il Grande Federico II di Prussia. Il motto nella sostanza invita ad avere fiducia nella legge e nella magistratura che alla fine, in un modo o nell’altro, la fa valere. A ben vedere si tratta di una fiducia indispensabile al cittadino che è tale proprio perché gode di diritti e questi diritti sono reali solo in quanto tutelati da un’autorità. Un giudice, insomma, ci deve essere e non solo a Berlino ma soprattutto in uno Stato democratico. Un cittadino, infatti, non può tutelarsi da solo perché nessuno ha il diritto di punire un altro: solo lo Stato può punire chi infrange le leggi. Ma non può farlo arbitrariamente: deve applicare le rigorose regole dell’amministrazione della giustizia e rispettare i diritti dei cittadini. Più precisamente, i soggetti che esercitano il diritto di punire sono i giudici: dei dipendenti dello Stato specializzati in diritto e al servizio esclusivamente della legge e di nessun altro potere. L’insieme dei giudici costituiscono la Magistratura che esercita il potere giudiziario che, con quello legislativo e quello esecutivo, è uno dei tre poteri fondamentali dello Stato.

BASSA RISOLUZIONE

1. LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA Art. 101: La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge. I giudici, cioè, svolgono il loro compito di amministrazione della giustizia in nome del popolo e non sono sottoposti all’autorità di nessun altro organo (come precisa l’art 104). Art. 102: La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario. […] La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia.

Il potere giudiziario appartiene ai magistrati e la legge regola in quali casi e in che modo il popolo può partecipare direttamente al potere giudiziario. Art. 104: La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. […] I regimi autoritari, al contrario, prevedono che giudice sia un funzionario dipendente dal Governo: in tal modo la Magistratura viene ridotta a uno strumento del potere esecutivo. In Italia la magistratura si autogoverna attraverso il Consiglio superiore della magistratura (Csm).

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CITTADINI ADESSO

2. IL POTERE GIUDIZIARIO E LA LIBERTÀ È solo a partire dalla Rivoluzione francese e dall’Età napoleonica che la giustizia ha cessato di essere affidata all’arbitrio dei potenti. Infatti, un processo del Medioevo o dell’Età moderna non teneva conto di alcuni princìpi oggi basilari:

ƒ si può essere condannati solo dopo aver subito un processo che stabilisca la colpevolezza; ƒ durante il processo vige la «presunzione di innocenza»: l’imputato deve essere considerato innocente fino a che non sia condannato in modo definitivo da un giudice (nessuno ad esempio può essere trattato da assassino fino a che non sia stato condannato); ƒ il diritto a una sentenza motivata: il giudice deve motivare per iscritto ogni sentenza, spiegando i motivi della sua decisione, i fatti su cui si è basato e le leggi che ha applicato; ƒ colui che, condannato in un processo, pensa di aver subito una condanna ingiusta, può chiedere un processo d’appello, cioè può chiedere a un altro giudice un riesame del caso.

Un vescovo mentre fa il giudice. La Chiesa assunse un ruolo politico e giunse, sul finire dell’VIII secolo, a dominare su un proprio Stato. Il papa cioè divenne sovrano di una parte dell’Italia centrale: lo Stato della Chiesa.

BASSA RISOLUZIONE

APPELLO Nel linguaggio giuridico fare appello significa richiedere l’intervento di un magistrato superiore per ottenere la revisione di una sentenza. La legge italiana prevede tre gradi di giudizio: il tribunale ordinario, l’appello e la Corte di Cassazione.

LESSICO

ƒ è riconosciuto a tutti sia il diritto di rivolgersi alla giustizia per far valere i propri diritti, sia il diritto di difendersi davanti al tribunale nel caso di accusa di violazione di una legge o di danno a un altro cittadino; ƒ la legge, stabilendo i reati e le procedure per i processi, non può ignorare i diritti umani; ƒ si può essere condannati solo per un fatto che, quando viene compiuto, sia già previsto come reato dalla legge (non è accettabile che una norma penale nasca con valore retroattivo trasformando in reati azioni già commesse); ƒ nessuno può essere condannato per un reato commesso da altri (ad esempio, un figlio non può essere incarcerato per un reato commesso da suo padre); ƒ l’imputato, durante il processo, deve avere la possibilità di difendersi ed essere assistito da un avvocato (si pensi a chi, accusato di omicidio volontario, riesca a provare di aver agito per legittima difesa); il giudice deve considerare le ragioni della difesa applicando anche in tribunale il principio fondamentale dell’uguaglianza;

3. GIUDICI E PUBBLICI MINISTERI In base alla funzione che svolgono nei processi, si possono distinguere due tipi di magistrati: ƒ il «giudice» è il magistrato al quale è affidato il potere di decidere in un processo. Ha il compito di analizzare imparzialmente il caso, esaminare la documentazione, interrogare le persone coinvolte, stabilire quali sono le norme da applicare e prendere la decisione finale. Ciascun processo può essere guidato da un giudice singolo oppure da un gruppo di magistrati; ƒ il «pubblico ministero» (pm) è un magistrato che non ha

il ruolo di giudicare ma, di dare vita al processo penale e di guidare l’accusa, agendo in nome dell’interesse pubblico: nel processo rappresenta infatti lo Stato. Quando riceve la notizia di un reato (ad esempio dalle Forze dell’ordine), il pm svolge le indagini preliminari per capire se ci sono le condizioni per aprire un processo; durante i processi illustra al giudice le ragioni dell’accusa contro l’imputato, chiedendo una condanna. Il pm, che è presente nei processi penali e non in quelli civili, ha i suoi uffici nella Procura.

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4. GIUSTIZIA CIVILE E GIUSTIZIA PENALE I giudici svolgono il loro compito mediante il processo, cioè il procedimento che porta a stabilire la verità su un certo fatto. Una volta stabilita questa verità con una sentenza, il giudice prende dei provvedimenti (ad esempio il carcere). Non tutte le infrazioni, però, sono uguali: alcune – le più gravi – sono definite «reati» e punite con provvedimenti che arrivano sino al carcere, altre non lo sono.

Proprio questo è ciò che distingue due importanti tipi di processo: ƒ il processo penale, che punisce chi commette un reato (ad esempio un omicidio, una rapina); ƒ il processo civile, che regola i disaccordi tra i cittadini (ad esempio il proprietario e l’inquilino di un’abitazione che litigano perché l’affitto non è stato pagato).

IL PROCESSO PENALE

IL PROCESSO CIVILE

A CHE COSA SERVE

A CHE COSA SERVE

A punire chi ha commesso un reato (un furto, un omicidio, una truffa ecc.). Si svolge per stabilire la verità e punire il colpevole nell’interesse della vittima del reato, ma anche nell’interesse dell’intera collettività.

A stabilire chi ha ragione in una lite tra cittadini (ad esempio: una controversia sul confine tra due terreni). Assicura una delle principali garanzie del nostro ordinamento: il diritto di agire in giudizio per tutelare i propri diritti e interessi legittimi (art. 24 della Costituzione).

LE PARTI CHE COMPAIONO DAVANTI AL GIUDICE

y Il pubblico ministero (pm): è il magistrato che rappresenta l’interesse generale dello Stato alla repressione dei reati (è il pm, e non la vittima, a svolgere la parte dell’accusa); y l’imputato, accusato del reato; y eventualmente, la parte civile: la vittima del reato può decidere di esercitare nel processo penale l’azione civile per ottenere il risarcimento del danno.

LE PARTI CHE COMPAIONO DAVANTI AL GIUDICE Le parti in lite, assistite dai loro avvocati: nel processo civile, dato che non sono implicati reati, non compare il pm, non si parla di imputati.

COME INIZIA

COME INIZIA Quando il pm viene a conoscenza di un reato (ad esempio dalla denuncia di un cittadino).

Dato che non sono coinvolti reati, non è lo Stato, ma il cittadino che ritiene di aver subìto un torto a chiedere che si svolga un processo. A tal fine deve farsi assistere da un avvocato.

COME SI SVOLGE COME SI SVOLGE

y una discussione pubblica in un’aula di tribunale; y il pm presenta al giudice le prove per dimostrare la colpevolezza dell’imputato; y l’imputato, difeso dal suo avvocato, presenta le prove della propria innocenza; y il giudice ascolta i fatti, individua le leggi violate e le leggi da utilizzare per stabilire la pena.

COME SI CONCLUDE Il giudice decide, in base alle prove, se l’imputato è colpevole e decide la pena (ad esempio il carcere); le sue decisioni vengono dichiarate in una sentenza motivata.

Le parti, assistite dai loro avvocati, illustrano al giudice le proprie ragioni e portano le prove di quanto affermano.

COME SI CONCLUDE Il giudice decide, applicando la legge e per mezzo di una sentenza, che sia ristabilito il corretto stato delle cose. Oltre a dichiarare quale delle parti abbia ragione, può ordinare all’altra parte di assumere un determinato comportamento (ad esempio di riconoscere un certo diritto di proprietà). Il processo civile non sempre implica la «punizione» della parte che soccombe; ciò accade solo se c’è un danno da risarcire. In un processo civile il giudice non può condannare a pene detentive.

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CITTADINI ADESSO

5. UN GRAVE PROBLEMA DELLA GIUSTIZIA ITALIANA: LA LENTEZZA

APPALTO L’appalto è il contratto con cui una persona o una impresa assume l’esercizio di un’attività (per esempio la raccolta dei rifiuti) o la realizzazione di un’opera (per esempio la costruzione di una diga). L’appalto indica tutte le condizioni contrattuali, in particolare l’entità del pagamento e i tempi di consegna.

LESSICO

La giustizia è veramente tale solo se è certa e rapida: ovvero, la pena prevista dalle leggi dovrebbe colpire sempre chi commette un delitto e in tempi contenuti. Purtroppo la giustizia italiana è estremamente lenta, come denunciano sistematicamente i rapporti annuali presentati dall’Unione Europea. La tabella qui sotto evidenzia in particolare la lentezza della giustizia civile: per giungere a un primo giudizio (contro il quale le parti possono ancora fare appello) sono necessari in Italia 608 giorni; solo a Cipro (638) e a Malta (750) si fa peggio! È stato calcolato che per ottenere giustizia, cioè per chiudere definitivamente un processo, un imprenditore italiano deve attendere almeno 1200 giorni, più di tre anni! Ciò produce distorsioni e costi economici: per esempio, le imprese che appaltano i lavori si permettono spesso di non rispettare i tempi di consegna sapendo che ben difficilmente il cliente le denuncerà vista la lentezza dei processi.

GIORNI NECESSARI A GIUNGERE A UN PRIMO GRADO DI GIUDIZIO NEI PROCESSI CIVILI NEI DIVERSI PAESI 900 800 700 600 500 400 300 200 100 NO DATI

0 2010 2012 2013

LU 200 73 53

LT 55 88 94

EE 215 167 130

AT 129 135 135

DK HU SE CZ RO 182 160 187 128 217 165 97 179 174 193 164 169 171 187 187

DE PL LV ES FI SI FR HR PT EL SK IT CY MT 184 180 330 289 259 315 279 462 417 190 364 493 513 849 183 195 252 264 325 318 311 457 369 469 437 590 685 192 245 288 301 308 386 386 407 505 608 638 750

BE

BG

IE

NL

UK

Fonte: Quadro di valutazione UE della giustizia (2015) Le chiavi delle sigle degli stati: LU = Lussemburgo; LT = Lituania; EE = Estonia; AT = Austria; DK = Danimarca; HU = Ungheria; SE = Svezia; CZ = Repubblica ceca; RO = Romania; DE = Germania; PL = Polonia; LV = Lettonia; ES = Spagna; FI = Finlandia; SI = Slovenia; FR = Francia; HR = Croazia; PT = Portogallo; EL = Grecia; SK = Slovacchia; IT = Italia; CY = Cipro; MT = Malta; BE = Belgio; BG = Bulgaria; IE = Irlanda; NL = Olanda; UK = Gran Bretagna

COMPRENDERE E CONTESTUALIZZARE

RIELABORARE E DISCUTERE

ƒ Che cosa prevede l’art. 101 della Costituzione? Perché l’indipendenza della magistratura è fondamentale? ƒ Paragona le garanzie previste dalla nostra Costituzione all’amministrazione della giustizia nell’Antico regime. ƒ Osservando lo schema alla pagina precedente paragona il processo penale a quello civile. ƒ Quali differenze ci sono tra giudici e pubblici ministeri nell’ordinamento italiano?

ƒ Quanti giorni erano necessari nel 2013 per giungere a un primo giudizio nei processi civili in Romania? E in Italia? ƒ Svolgi una ricerca in internet sulle cause della lentezza della giustizia italiana. Quali rimedi sono possibili? ƒ La lentezza della giustizia civile causa pesanti costi economici. E quali conseguenze pensi determini la lentezza della giustizia penale?

UNITÀ 3

79

La Rivoluzione americana PRIMA: Lo sfruttamento coloniale della Gran Bretagna Il governo britannico aveva, nei confronti delle colonie americane, un interesse esclusivamente economico: mirava a sfruttarne le ricchezze a proprio vantaggio, imponendo misure sempre più severe e facendo valere la propria autorità con la forza delle armi.

CAUSE

EVENTI

CONSEGUENZE

In Europa si scatenano persecuzioni religiose e politiche che costringono molti Europei a fuggire

X

1620: I Padri pellegrini approdano con la Mayflower sulle coste del Massachusetts

X

Si sviluppano in America i primi insediamenti che nel tempo si ampliano giungendo a costituire le grandi città

Dopo la guerra dei Sette anni il governo britannico intensifica lo sfruttamento delle ricchezze delle colonie

X

1764-65: Il governo inglese impone prima lo Sugar Act e poi lo Stamp Act e invia un contingente militare nelle colonie

X

Gli Americani si ribellano e iniziano a boicottare la madrepatria

X

4 luglio 1776: Dichiarazione d’indipendenza delle 13 colonie inglesi d’America

X

Viene affermata l’uguaglianza di diritti tra tutti gli uomini e l’obbligo dei governi di fondarsi sul consenso del popolo

X

Con il Trattato di Versailles del 1783 le tredici colonie americane ottengono l’indipendenza

X

Gli Stati Uniti si costituiscono come Stato repubblicano e federale; George Washington viene eletto presidente

Nel 1773 il Tea Act fa esplodere le tensioni tra colonie e madrepatria. Un anno dopo a Filadelfia si tiene il primo Congresso continentale Con il secondo Congresso continentale si decide la formazione di un esercito autonomo per procedere alla resistenza armata

X

La crisi economica conseguente alla fine della guerra fa sì che si imponga la linea di condotta federalista

X

1776-1781: Guerra d’indipendenza americana

17 settembre 1787: A Filadelfia viene elaborata la Costituzione degli Stati Uniti d’America

DOPO: La realizzazione del primo Stato liberale Con la Rivoluzione americana per la prima volta gli abitanti di un’area extraeuropea riuscirono a combattere una potenza colonizzatrice, raggiungendo l’indipendenza e dando vita a un nuovo Stato. Questo era visto dagli Europei come modello da imitare, in quanto realizzazione delle idee politiche dell’Illuminismo. Il motivo per cui nelle colonie americane fu più facile realizzare uno Stato liberale fu l’assenza dei sistemi propri dell’Antico regime come i privilegi feudali e la divisione della società in ordini.

UNITÀ 3

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1. Il Nord America nel Settecento LA CIVILTÀ DEI «PELLEROSSA»

TUTOR

I primi coloni europei sbarcarono nel Nuovo Mondo all’inizio del Seicento. In quel periodo più di un milione di indigeni viveva nel territorio corrispondente agli attuali Stati Uniti e altri 500 000 circa erano insediati nell’area canadese. Erano organizzati in tribù, profondamente diverse tra loro sul piano sia etnico che culturale. In generale non avevano un’organizzazione statale analoga a quella che i conquistatori avevano trovato nell’America latina: la proprietà della terra era comune e le attività economiche erano primitive, per lo più caccia, allevamento, coltivazione del granoturco. Gli Europei chiamavano gli indiani d’America «pellerossa» per la loro usanza di dipingersi il corpo di rosso in occasione delle battaglie. È interessante notare che furono gli Europei a portare in America il cavallo che noi, suggestionati da libri e ilm, associamo naturalmente agli indiani d’America. Questo animale era difuso sul continente in tempi remoti, ma successivamente si era estinto. La sua introduzione nelle tribù portò quella che gli storici chiamano «rivoluzione equestre».

Territori e tribù indiani prima della colonizzazione europea

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1. Nord-ovest: tribù che praticano il digiuno e la meditazione per avere visioni soprannaturali; abili anche nella navigazione.

4. Centro-sud: in seguito all’introduzione del cavallo da parte degli Spagnoli, queste tribù praticano maggiormente la caccia.

2. Nord-est: indiani che svolgono attività di caccia, pesca e coltivazione del mais.

5. Sud-ovest: in quest’area desertica le tribù sono nomadi e si spostano in base alla disponibilità di cibo e alle stagioni. In California vivono in piccoli villaggi indipendenti, sono cacciatori e pescatori, raccoglitori di ghiande. Furono sterminati dalle guerre e dalle malattie portate dai bianchi.

3. Sud-est: tribù che praticano soprattutto l’agricoltura.

La Rivoluzione americana

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La guerra e le sue conseguenze Gli Inglesi che nell’autunno 1620 salparono da Plymouth alla volta del Nuovo Mondo erano un centinaio; trentacinque erano puritani, numerosi anche i bambini e le donne, poiché partirono intere famiglie. Dopo un difficilissimo viaggio attraverso l’Atlantico, una volta approdati nel nuovo continente, dovettero subito affrontare i rigori dell’inverno. Il freddo, la fame, le malattie li decimarono, ma i superstiti non si arresero: in primavera la situazione cambiò e in estate si ebbero raccolti abbondanti. In autunno i puritani vollero celebrare una solenne festa

di ringraziamento a Dio per averli guidati in quella loro emigrazione. Vennero consumati alcuni prodotti locali, come il tacchino, il mais e la zucca. Da allora questo è il menù tradizionale del Giorno del Ringraziamento (Thanksgiving Day) che ogni anno (il quarto giovedì di novembre) si celebra negli Stati Uniti per ricordare l’arrivo dei Padri (così chiamati perché furono i fondatori della nuova società) pellegrini (perché erano fuggiti dall’Inghilterra). Allora erano stati invitati al pranzo anche alcuni Indiani, oggi secondo la tradizione si invitano vicini o persone meno fortunate.

APPROFONDIMENTO

Tra Sei e Settecento, la parte orientale dell’America del Nord era stata completamente colonizzata da Francesi, Spagnoli e Inglesi. Le prime comunità di coloni erano formate da Europei fuggiti dai loro Paesi per scampare alle persecuzioni religiose o politiche. Tra questi ci furono i famosi Padri pellegrini che nel 1620 approdarono con la loro nave, la Maylower, sulle coste del Massachusetts. Ai perseguitati religiosi, per tutto il Seicento e Settecento, si aggiunsero avventurieri di ogni tipo: debitori, contadini impoveriti e mercanti alla ricerca di fortuna. Nel tempo questi insediamenti si svilupparono dando origine a comunità con forme di governo e ad attività economiche molto diverse da quelle delle colonie spagnole. Le colonie dipendenti dalla Corona inglese erano rette da governatori aiancati: ƒda un consiglio, composto dai personaggi nominati dal governatore e scelti fra i più influenti della colonia; ƒda assemblee elettive con il diritto di votare le leggi inanziarie; nel corso del Settecento queste assemblee coloniali ampliarono progressivamente le loro prerogative diventando, nei fatti, istituzioni autonome dalla madrepatria. La popolazione locale non fu come in altre colonie sfruttata dagli Europei. Anzi, inizialmente i coloni riuscirono a mantenere rapporti amichevoli con gli Indiani. Quando invece la necessità di nuove terre fu più impellente, gli Europei non esitarono a cacciare gli Indiani con la violenza, emarginandoli in riserve ristrette e isolate.

LESSICO

LE COLONIE DEGLI EUROPEI

MADREPATRIA La parola, composta da madre e patria, indica in genere la patria d’origine di chi si trova a vivere in un territorio straniero. Ma il termine significa anche lo Stato che esercita il dominio sulle proprie colonie, come nel caso dell’Inghilterra rispetto alle colonie americane.

UNITÀ 3

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UNA SOCIETÀ MULTIETNICA E BORGHESE

GUIDA ALLO STUDIO

SOCIETÀ MULTIETNICA Multietnica è una comunità formata da persone di diversa origine o etnia che convivono in uno spazio comune e condividono regole sociali.

LESSICO

ƒ Come vivevano le tribù indiane in America prima dell’arrivo degli Europei? ƒ Come erano organizzate politicamente le colonie inglesi in America? ƒ Quali caratteristiche aveva la società coloniale nei territori britannici? ƒ Quali erano le caratteristiche economiche delle colonie britanniche?

George Catlin, Shón-ka, capo dei Sioux, 1832. Washington, Smithsonian American Art Museum.

Per tutto il Settecento nel Nord America, soprattutto nelle tredici colonie britanniche (p. 85) sulla costa atlantica, giunsero emigrati da tutta l’Europa. L’incremento della popolazione fu notevole e le attività economiche si svilupparono con rapidità. I nuovi arrivati formarono una società multietnica, portarono competenze lavorative, abilità commerciali, artigianali o agricole. Erano pieni di iniziativa e desiderosi di trovare uno sbocco per la loro nuova vita. Il mondo coloniale non era soggetto ai sistemi dell’Antico regime, non conosceva né privilegi né divisioni di ceto legati alla nascita come in Europa. Nel Nuovo Mondo contavano soprattutto l’operosità e l’ingegnosità, il saper sfruttare una terra piena di risorse e abbastanza grande per tutti. Questi aspetti fecero delle colonie inglesi del Nord America una realtà molto particolare. L’economia delle colonie era diversiicata: ƒle colonie del Nord avevano un’agricoltura cerealicola organizzata in piccole proprietà, allevamento di bestiame e pesca; si svilupparono anche tutte le attività legate alla grande disponibilità di legname: cantieri navali e commercio del legno; ƒl’economia delle colonie del Sud poggiava invece sulla coltivazione intensiva di tabacco e cotone, realizzata in grandi proprietà terriere di coloni bianchi che facevano largo uso di schiavi neri. Le colonie dunque si presentavano con delle diferenze importanti ma anche come un mondo in espansione, aperto allo sviluppo e alla cultura: sorsero grandi città come Boston, New York e Filadelfia; vennero fondate università e scuole in uno spirito di tolleranza e libertà sconosciuto nella vecchia Europa.

I POSSEDIMENTI EUROPEI NELL’AMERICA DEL NORD

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Territori non occupati dagli Europei Colonie inglesi del Nord Colonie inglesi del Centro Colonie inglesi del Sud Possedimenti francesi Possedimenti spagnoli

83

ALL’ORIGINE DELLA RIVOLUZIONE Man mano che nelle colonie americane le attività economiche crescevano, i coloni sopportavano sempre meno gli obblighi cui erano sottoposti dalla Gran Bretagna. Del resto la popolazione delle colonie si sentiva parte del mondo britannico e auspicava un maggiore riconoscimento della propria libertà. I coloni, insomma, volevano essere trattati come gli Inglesi in Inghilterra, con proprie rappresentanze politiche che tutelassero i loro interessi. La Gran Bretagna, invece, pensava di poter sfruttare a proprio vantaggio la ricchezza del popolo americano. Obbligava le colonie a commerciare solo con l’Inghilterra e imponeva tasse contro le quali i coloni non potevano esprimere il loro dissenso. Iniziarono i primi contrasti fra la classe dirigente coloniale e la madrepatria inglese: contro l’atteggiamento assunto dal governo britannico sorsero diverse organizzazioni, si difusero libelli propagandistici e proclami, iniziò il boicottaggio delle merci inglesi. Dopo la guerra dei Sette anni, che aveva bruciato enormi risorse inanziarie, il governo inglese prese misure ancora più severe: impose dapprima una tassa sullo zucchero (Sugar Act, 1764) e in seguito una sui giornali (Stamp Act, 1765); il Parlamento inviò un contingente militare e dichiarò in modo perentorio di avere tutto il potere e l’autorità sulle colonie. Ma gli Americani non avevano nessuna intenzione di cedere né di pagare nuove tasse imposte da un Parlamento in cui non erano rappresentati. Perciò si ribellarono.

BOICOTTAGGIO La parola deriva dal nome del capitano Charles Boycott, amministratore fondiario in Irlanda, che nel 1880 fu contestato dai contadini, i quali si rifiutarono di collaborare con lui in qualsiasi modo. Da allora si definisce boicottaggio una forma di lotta basata appunto sull’astensione da parte di uno o più soggetti da qualsiasi forma di rapporto economico o politico con un soggetto terzo, come nel caso dei coloni americani, che iniziarono la loro lotta cessando di acquistare i prodotti provenienti dalla Gran Bretagna.

Il funerale dello Stamp Act Lo Stamp Act era una tassa imposta dal Parlamento inglese su ogni atto d’ufficio in carta da bollo, come ad esempio la licenza per pubblicare un giornale. Questa tassa divenne immediatamente occasione di protesta e il Governo inglese dovette ritirarla. La protesta fu suscitata non tanto dalla somma da pagare, che in

realtà non era elevata, ma dal principio che con questo atto si affermava. Infatti lo Stamp Act rappresentava il diritto da parte della madrepatria di prelevare denaro dalle colonie senza chiederne il consenso. I coloni invece non volevano essere tassati da organi in cui non erano rappresentati, come il Parlamento inglese.

1. Questo disegno, che celebra l’abolizione della tassa, divenne una delle stampe satiriche più popolari dell’epoca. Raffigura la processione funebre di coloro che erano favorevoli al provvedimento.

2. Il feretro viene portato verso una tomba all’aperto, che è stata preparata per la sepoltura di tutti i provvedimenti ingiusti che avrebbero reso impopolari gli Inglesi.

3. In testa al corteo funebre si trova il reverendo W. Scott, seguito da alcuni notabili inglesi in lutto, che erano stati tra i responsabili dell’approvazione dello Stamp Act.

4. In una piccola bara sono contenuti i resti della legge che imponeva un bollo sugli atti pubblici, sulle licenze, sui documenti delle navi, sulla vendita dei giornali. Era una tassa che colpiva gran parte delle attività dei coloni.

5. L’autore del disegno ha voluto rappresentare i carichi delle navi destinati all’America che si accumulavano nel porto durante il periodo in cui il provvedimento era in vigore. Al ritiro del provvedimento contribuirono i mercanti inglesi, danneggiati dal rifiuto delle colonie di acquistare merci provenienti dalla madrepatria.

DOCUMENTO

2. La guerra di indipendenza

LESSICO

La Rivoluzione americana

UNITÀ 3

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VERSO L’INDIPENDENZA

COMPETENZE

USARE LE FONTI

La Dichiarazione d’indipendenza Pag. 92

I contrasti con gli Inglesi si fecero sempre più frequenti. Nel 1773 il decreto che concedeva alla Compagnia delle Indie il monopolio della vendita del tè nelle colonie (Tea Act) fece esplodere la tensione. I danni per i mercanti sarebbero stati enormi. A Boston alcuni coloni travestiti da Indiani presero d’assalto tre navi inglesi e buttarono in mare il carico di tè. Londra rispose con la linea dura: fece chiudere il porto di Boston e mise sotto controllo tutta l’attività politica nelle colonie. Il 5 settembre 1774 si tenne a Filadelfia il primo Congresso continentale in cui i rappresentanti delle colonie stabilirono di proseguire la loro lotta per l’autonomia con il boicottaggio, ma sperando ancora nella giustizia della Corona inglese. I tentativi di conciliazione non valsero a nulla, la repressione inglese aumentò e ci furono i primi scontri armati fra coloni ed esercito britannico. Il secondo Congresso continentale, tenutosi l’anno dopo, decise la formazione di un esercito autonomo e di procedere alla resistenza armata. A capo dell’esercito fu posto George Washington (I Protagonisti p. 88), un ricco possidente della Virginia. Il 4 luglio 1776 il Congresso votò la Dichiarazione d’indipendenza elaborata da Thomas Jeferson. Furono qui issati i princìpi fondamentali su cui sarebbero nati gli Stati Uniti: si afermava soprattutto che i governi debbono fondarsi sul consenso del popolo e che gli uomini hanno uguali diritti. La tesi dell’indipendenza dalla Gran Bretagna spaccò però il fronte della protesta: vi erano i lealisti, soprattutto fra i burocrati, nel clero anglicano e nelle classi più elevate, che espressero la loro lealtà verso la madrepatria inglese; e gli indipendentisti, intellettuali, piccoli commercianti, artigiani e operai, che invece erano pronti allo scontro armato.

LA GUERRA

I PROTAGONISTI

La guerra durò dal 1776 al 1781 e molte furono le diicoltà incontrate dagli Americani. L’esercito era numericamente inferiore a quello inglese; inoltre, era costituito da volontari poco addestrati e poco inclini alla disciplina. Le prime fasi del conflitto furono dunque sfavorevoli per Washington che tuttavia non perse la sua determinazione. Nell’ottobre 1777 la situazione sembrò sbloccarsi: i ribelli americani ricevettero aiuti finanziari e militari dalla Francia e gli Inglesi subirono la loro prima sconfitta a Saratoga. Benjamin Franklin, uno degli artefici della Dichiarazione d’indipendenza, fu inviato a Parigi a sostenere la causa americana che fu accolta con entusiasmo. L’anno successivo, inviati del Congresso strinsero accordi con la Francia per un’alleanza militare. Nel 1778, la Francia riconobbe l’indipendenza delle colonie ed entrò diret-

David Martin, Benjamin Franklin, 1767. Washington, Casa Bianca.

Benjamin Franklin (1706-1790) Figlio di un mercante di origine inglese, trascorse la sua infanzia a Boston dove iniziò a lavorare giovanissimo. Appresa l’arte della tipografia, perfezionata dopo un viaggio a Londra, aprì una sua attività e poi si dedicò al giornalismo fondando un quotidiano indipendente. Si impegnò molto per la diffusione dell’istruzione, partecipò così alla fondazione della Società Filosofica Americana e diede vita alla prima biblioteca circolante. Fu impegnato anche in politica come deputato all’assemblea della Pennsylvania e si recò come rappresentante delle colonie a Londra.

La sua azione fu decisiva per il ritiro dello Stamp act così criticato dai coloni. Ritornato in America partecipò a tutte le attività che hanno preceduto la rivoluzione e nel 1776 contribuì all’elaborazione della Dichiarazione di indipendenza e poi anche alla stesura della Costituzione. È dunque considerato un padre fondatore, ricordato ancora oggi sulle banconote da 100 dollari, ma la sua fama è dovuta anche all’attività scientifica come inventore del parafulmine e all’ampiezza dei suoi interessi nel campo dell’elettricità, della meteorologia e dell’anatomia.

La Rivoluzione americana

85 GLI USA NEL 1783

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I primi 13 Stati Uniti N

Territori ceduti dalla Gran Bretagna nel 1783 Territori inglesi Territori spagnoli

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Che cosa chiedevano i coloni americani al governo di Londra? ƒ Quale strategia di lotta adottarono i coloni per ottenere una risposta dalla monarchia inglese? ƒ Su quali princìpi si fonda la Dichiarazione d’indipendenza? ƒ Quando e come si concluse la guerra d’indipendenza americana?

Revolution Gran Bretagna, 1985 (durata: 123’) Regia: Hugh Hudson Attori principali: Al Pacino, Donald Sutherland, Nastassja Kinski

Nonostante il nazionalismo sia una componente fondamentale della cultura americana, non sono molti i film che hanno affrontato le origini storiche degli Stati Uniti. Fra questi va segnalato Revolution. La pellicola racconta la presa di coscienza degli ideali di libertà e giustizia da parte di un uomo e di suo figlio travolti da mille vicende, continuamente separati

e riuniti, negli anni in cui i coloni nordamericani si rivoltano contro le Giubbe Rosse inglesi. Il protagonista inizialmente si sente e vuole rimanere estraneo alla rivoluzione, ma poi si convince del contrario. L’opera sottolinea soprattutto la dimensione dolorosa del conflitto, immergendo le immagini in una luce cupa e in un’atmosfera malinconica. Le vicende dei personaggi minori e quelle sentimentali sono trattate in modo superficiale, più curata è invece la ricostruzione delle battaglie e del contesto storico.

CINEMA E STORIA

tamente nel conflitto contro la Gran Bretagna: lo scopo era rifarsi della sconfitta del 1763. Dal 1779 parteciparono alla guerra come alleati dei Francesi anche la Spagna e l’Olanda. La guerra assunse un carattere internazionale e per gli Inglesi, nonostante qualche successo militare, si proilava la sconitta. Nel 1781 nella penisola di Yorktown, in Virginia, gli Inglesi vennero stretti d’assedio e costretti alla capitolazione. Le trattative di pace ebbero inizio nel 1782 e si conclusero nel 1783 con il Trattato di Versailles sottoscritto da tutte le potenze partecipanti. La Francia, che avrebbe voluto riacquistare il suo prestigio internazionale, non ottenne nulla di significativo; vide invece le sue finanze esaurite e l’opinione pubblica delusa. La Gran Bretagna, nonostante la sconitta, non perse il suo primato sul commercio marittimo e come potenza coloniale. La Spagna ricevette la Florida dalla Gran Bretagna. Le tredici colonie ottennero naturalmente l’indipendenza.

UNITÀ 3

86

3. Gli USA, uno Stato federale L’ORGANIZZAZIONE DEL NUOVO STATO Dopo aver ottenuto l’indipendenza, le tredici colonie dovevano organizzare un nuovo Stato. Non era un compito facile considerato che non erano mai state un aggregato unitario. Avevano la stessa lingua, gli stessi costumi e durante la guerra avevano combattuto lo stesso nemico. Ogni colonia però era abituata a governarsi autonomamente e non intendeva rinunciare alle proprie prerogative. Inoltre, le colonie avevano caratteristiche economiche diverse. Si trattava dunque di conciliare esigenze di unità e il rispetto della tradizionale autonomia delle ex colonie. Il nuovo Stato doveva essere una federazione o una confederazione? Si era discusso a lungo nel tentativo di trovare un accordo in grado di soddisfare le aspirazioni di tutti. Ma il primo progetto di Costituzione federale del 1777 (Articles of Confederation) non andò oltre un semplice patto di amicizia e di alleanza. Nel 1784, a guerra vinta, il Congresso prese una decisione importante: si trattava di dare una deinizione ai nuovi territori a ovest, acquisiti con il Trattato di Versailles. L’Ordinanza del Nord-ovest stabilì che quell’area fosse suddivisa in zone che sarebbero entrate a far parte dell’Unione come nuovi Stati e con pari dignità dei tredici Stati originari. La ine della guerra portò anche la crisi economica. Il Congresso doveva ripagare i debiti contratti con le potenze europee e il protezionismo adottato dai singoli Stati americani accentuava la depressione del mercato. Solo una forte autorità centrale avrebbe potuto prendere provvedimenti utili per tutti: la linea federalista così si impose. Nel 1787, a Filadelfia, in una Convenzione presieduta da Washington, 55 delegati elaborarono un progetto costituzionale che venne poi approvato dai singoli Stati. Dopo molte diicoltà, il 17 settembre 1787 si giunse inalmente alla deinizione della Costituzione degli Stati Uniti d’America. La prima parte della Costituzione degli Stati Uniti d’America.

87

LA COSTITUZIONE La Costituzione entrò in vigore nell’autunno del 1788. Con l’aggiunta di alcuni emendamenti, è la stessa valida ancora oggi. Indica i compiti e le istituzioni del nuovo Stato repubblicano e federale: assegna agli organi centrali i poteri in materia di difesa nazionale, di commercio e politica estera, di politica economica e inanziaria. Le competenze non speciicate rimangono ai singoli Stati. Ogni Stato della Federazione ha quindi un proprio Parlamento che legifera ma riconosce la superiorità del potere centrale. Fondamento della Costituzione è la divisione dei poteri: ƒil potere esecutivo fu aidato a un presidente eletto ogni quattro anni da un collegio di elettori designati dagli Stati; ƒil potere legislativo venne assegnato al Congresso, composto dalla Camera dei rappresentanti e dal Senato; ƒil potere giudiziario fu dato alla Corte Suprema, costituita da giudici a vita nominati dal presidente. Le Camere dovevano essere elette dal popolo, ma chi avrebbe avuto il diritto di voto? Questo problema fu assai dibattuto e inine venne scelto un sistema elettorale censitario: furono ammessi al sufragio i maschi maggiorenni che avessero delle proprietà o un certo livello di ricchezza. I neri e i pellerossa, invece, furono esclusi dal diritto di voto. Veniva quindi applicato il principio illuminista della separazione dei poteri sancito da Montesquieu. Ma il principio di uguaglianza, dichiarato solennemente nella Dichiarazione d’indipendenza, veniva tradito. Nonostante ciò, gli Americani avevano realizzato molte idee elaborate in Europa dall’Illuminismo. E numerosi erano coloro che nell’Europa delle monarchie assolute guardavano agli Stati Uniti come a un modello da imitare.

LA SEPARAZIONE DEI POTERI NELLE ISTITUZIONI AMERICANE POTERE LEGISLATIVO

CAMERA

POTERE ESECUTIVO

POTERE GIUDIZIARIO

SENATO

PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI

CONGRESSO

eleggono

eleggono

ELETTORI SU BASE CENSITARIA

POPOLO

nomina

CORTE SUPREMA

LESSICO

La Rivoluzione americana

EMENDAMENTO Il termine deriva dal verbo emendare, «correggere, rettificare». Nel linguaggio politico attuale indica una modifica parziale apportata a un progetto di legge nel corso della discussione parlamentare, prima che sia approvata.

John Trumbull, La Dichiarazione d’indipendenza, (particolare), 1819. Washington, Campidoglio.

I PROTAGONISTI

DECOLONIZZAZIONE Questo termine indica il processo che si sviluppò soprattutto tra la fine della seconda guerra mondiale e gli anni Sessanta del XX secolo, che portò all’indipendenza di molte colonie africane e asiatiche e al definitivo crollo degli imperi coloniali europei.

88

LESSICO

UNITÀ 3

George Washington in un ritratto dell’epoca.

UN BILANCIO Per certi aspetti, la Rivoluzione americana può essere considerata il primo esempio di decolonizzazione: per la prima volta, infatti, gli abitanti di un’area extraeuropea condussero una guerra vittoriosa contro una potenza colonizzatrice, dando vita a un nuovo Stato. In questo caso, però, i ribelli non erano indigeni, erano Europei come i dominatori da cui si volevano liberare. L’analisi della Rivoluzione americana va dunque necessariamente inserita nel contesto culturale e politico dell’Europa, dove divenne ben presto un esempio e un modello da imitare. Gli Europei vedevano nell’esperienza americana la realizzazione delle idee politiche dell’Illuminismo; sembrava che gli ex coloni fossero riusciti a ediicare una società nuova, liberandosi dei retaggi del passato. Ma in realtà, sebbene i protagonisti della Rivoluzione americana si richiamassero ai princìpi dell’Illuminismo, molte di quelle conquiste rivoluzionarie, in America, erano già fatti acquisiti in precedenza. Infatti nelle colonie non esistevano né privilegi feudali, né una società di ordini, né le prerogative della Chiesa di Stato, anche la monarchia risultava lontana. Per questo in America fu più facile che in Europa realizzare uno Stato liberale.

George Washington Il più grande presidente degli Stati Uniti Alla domanda «Chi è stato il più grande presidente degli Stati Uniti?» gli Americani rispondono: «George Washington». E lo stesso Washington era consapevole della sua fama da eroe repubblicano. Tuttavia, quanti lo conobbero e gli parlarono rimasero spesso delusi, poiché non sembrava particolarmente brillante. Certamente non era un intellettuale. Jefferson, il terzo presidente degli Stati Uniti, solitamente generoso nel giudicare gli amici, disse che «i talenti di Washington non erano al di sopra della mediocrità. Non aveva né grandi idee, né scioltezza di parole». In compenso, però, era un accorto uomo di affari: sapeva gestire la sua piantagione a Mount Vernon, traendone profitto. Persino quando era presidente, dedicò buona parte delle sue energie alla cura minuziosa delle sue proprietà. L’essere un buon uomo d’affari e amministrare la piantagione o anche il governo federale in modo efficiente non furono, comunque, le cose che resero Washington un eroe conosciuto in tutto il mondo. Che cosa c’era, dunque, dietro a questo mito? Certamente contribuirono alla sua fama le imprese militari, anche se Washington non fu neppure un eroico condottiero nel senso tradizionale del termine. Il genio di Washington e la sua grandezza agli occhi dei contemporanei stavano piuttosto nel suo temperamento, nella sua personalità. Egli fu, come disse lo scrittore René de Chateaubriand (1768-1848), un «eroe di un

tipo senza precedenti». Fu il suo carattere di virtuoso gentiluomo di campagna del Settecento a metterlo in risalto rispetto agli altri. Una virtù, però, che non gli veniva dalla natura; al contrario, egli dovette coltivarla. E tutti lo intuirono: si trattava di un eroe che si era fatto da sé, e ciò colpì profondamente il mondo illuminista, che valorizzava e voleva uomini capaci di controllare le proprie passioni e il proprio destino. Il salto nella leggenda Fu in ambito politico che Washington fece il suo gesto più teatrale, fu lì che lasciò la sua impronta morale e lì i risultati furono spettacolari. Il più grande gesto della sua vita, quello che lo rese famoso, fu dare le dimissioni da comandante in capo delle forze americane. Quest’atto fu la sua «eredità» ai concittadini. Nessun leader americano ha mai lasciato un segno così importante. Dopo la firma del Trattato di pace di Versailles con la Gran Bretagna e il riconoscimento inglese dell’indipendenza americana nel 1783, Washington sbalordì il mondo quando, il 23 dicembre di quello stesso 1783, consegnò la sua spada al Congresso e si ritirò nella sua fattoria a Mount Vernon. Fu un atto altamente simbolico, un ritiro del tutto consapevole e incondizionato dal mondo della politica: il grande protagonista della guerra d’indipendenza rinunciava perfino agli incarichi che ricopriva per conto della comunità parrocchiale in Virginia. Avrebbe potuto farsi eleggere re o dittatore,

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Una nuova capitale della Storia Una volta delineate le istituzioni del nuovo Stato, occorreva anche trovare una capitale che non avesse legami con il passato coloniale e che fosse «neutrale» rispetto agli Stati federati. Nel 1790 il Congresso decise di costruire una nuova capitale sulle rive del fiume Potomac, in una posizione centrale rispetto alle tredici colonie. Il presidente Washington scelse un’area che si trovava alla confluenza tra il ramo principale e il ramo secondario del fiume, dove sorgevano già tre insediamenti (Georgetown, Alexandria e Hamburg). Vennero sottratti alcuni territori ai due Stati confinanti della Virginia e del Maryland e l’area complessivamente venne dichiarata «distretto federale» e denominata «distretto di Columbia», dal

nome scelto per la nuova città: ecco perché ancora oggi si parla di Washington D.C. (District of Columbia). A partire dal 1792 fu costruita la residenza del presidente, nota come Casa Bianca (vedi fotografia), e dal 1793 venne edificato il Campidoglio, sede del Congresso.

come ricompensa politica dei successi militari (quante volte è capitato nella Storia!), eppure fu sincero nell’esprimere il desiderio che tutti, generali e soldati, tornassero alle rispettive occupazioni private «nel seno di un Paese libero, pacifico e felice»; e tutti, pieni di meraviglia e ammirazione, riconobbero la sua sincerità.

no potesse avere il dubbio che sperasse nel fallimento del governo federale, magari per organizzare un colpo di mano militare.

Un’immagine pubblica da gestire con cura Washington era consapevole dell’effetto che le sue dimissioni avrebbero avuto. Cercava di vivere secondo l’immagine ideale dell’epoca, come un patriota disinteressato che dedica la sua vita alla patria, e sapeva di acquisire col suo gesto una fama istantanea, quasi un moderno Cincinnato. Una volta guadagnato questo patrimonio di autorevolezza morale, Washington fu sempre attento a non dissiparlo. Passò il resto della sua vita a proteggere la propria immagine pubblica e a preoccuparsi di essa in un modo che oggi potrebbe sembrare imbarazzante, ossessivo e perfino egoistico. Ma i suoi contemporanei capirono. Tutti i gentiluomini dell’epoca cercavano scrupolosamente di mantenere intatto l’«onore», cioè la stima dei propri pari. Molte azioni di Washington dopo il 1783 possono essere comprese solo alla luce di questa premura. La più clamorosa fu la sofferta decisione di partecipare alla Convenzione di Filadelfia del 1787: fu soltanto la paura dei sospetti che lo spinse ad aderire, ritrattando la dichiarazione del 1783, perché nessu-

Il ritorno: elezione di un presidente Una volta partecipe, Washington lavorò sodo per la stesura della Costituzione. Dopo l’approvazione del testo costituzionale, egli credette ancora di poter tornare alla tranquillità della casa di Mount Vernon. Ma tutti gli altri si aspettavano che egli diventasse il presidente del nuovo governo nazionale. Washington era già identificato con il Paese. Eletto presidente nel 1789, continuò a interpretare la parte richiesta. Chi pensava che sarebbe diventato un monarca fu smentito dai fatti. Più di qualunque suo contemporaneo pensò costantemente alle generazioni future, ai «milioni che non sono ancora nati», come li chiamò. Gettò le basi dell’autonomia presidenziale e rese il capo dello Stato la figura dominante del governo. Fin dal 1792, prima ancora che terminasse il suo primo mandato presidenziale, Washington espresse il proposito di ritirarsi, questa volta per sempre, a vita privata, ma i suoi consiglieri lo convinsero a rimanere per un secondo mandato. Nel 1796, però, Washington era talmente determinato a ritirarsi che nessuno poté dissuaderlo. Ormai l’America stava cambiando volto. Nella nuova era dei partiti l’influenza personale e il carattere non importavano più. G. Wood, Il mito e il presidente

I LUOGHI DELLA STORIA

La Rivoluzione americana

La Casa Bianca, residenza del presidente degli USA. L’edificio subì gravi danni nell’agosto del 1814, durante la guerra scoppiata tra Gran Bretagna e Stati Uniti (1812-15) per il controllo dei Territori del Nordovest, quando gli Inglesi condussero un’incursione dalle basi canadesi e incendiarono Washington.

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Ottenuta l’indipendenza, quale fu il primo problema da affrontare per le ex colonie? ƒ Perché si scelse la linea federalista per il nuovo Stato americano? ƒ Quando fu approvata la Costituzione? ƒ Come venne organizzato il sistema politico?

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Dal passato al presente Quando nacquero gli Stati Uniti d’America erano una cenerentola della politica internazionale, ma nell’arco di pochi decenni assunsero un ruolo decisivo nel continente americano. Nel Novecento, inine, si impadronirono del primato mondiale che era stato della Gran Bretagna, tanto che questo secolo è stato deinito il «secolo americano». Le eredità che risalgono alla Rivoluzione americana sono davvero molte: sempliicando si potrebbe dire che questo evento influì profondamente sulla storia perché afermò in maniera esplicita alcuni princìpi fondamentali della democrazia moderna, mostrandone al tempo stesso la concreta attuazione. Tutto questo però avvenne gradualmente, in un processo complicato non privo di ostacoli e di contraddizioni, che ricostruiamo con l’aiuto dello storico Guido Abbatista.

L’ideale repubblicano

IERI

Alla loro origine gli Stati Uniti d’America svolgevano un ruolo assolutamente marginale nelle relazioni internazionali ma rappresentavano, pur con molte contraddizioni, un modello di democrazia repubblicana in via di realizzazione OGGI

Gli Stati Uniti d’America detengono da circa un secolo un primato mondiale che risulta tuttora relativamente solido. Continuano a rappresentare, pur con molte contraddizioni, un modello di democrazia repubblicana

La rivoluzione non fu certamente solo una guerra d’indipendenza dai vincoli coloniali o, tanto meno, la conseguenza di un emergente spirito nazionale. I suoi attori combatterono per un mondo politico fondato sui valori del repubblicanesimo, della libertà, della sovranità popolare, dell’eguaglianza giuridica e della tolleranza religiosa. […] Il repubblicanesimo, come venne deinito nella pubblicistica americana soprattutto negli anni della guerra, fu in questo senso più che un credo politico. Fu un modo di pensare a una nuova società priva di aristocrazie, di autorità monarchica, di privilegi ereditari, di distinzioni di nascita. Fu uno stile di pensiero e di vita, tendente a vedere nella pratica della virtù, nella rinuncia spontanea all’interesse egoistico a favore del bene generale e nello spirito patriottico gli strumenti non solo del rinnovamento politico, ma anche della rigenerazione morale dell’individuo e della società. Si trattò di una visione sociale che, anteponendo la comunità all’individuo, i valori del civismo a quelli dell’individualismo, presentava aspetti e tendenze paradossalmente retrograde. Il nuovo mondo politico e sociale inaugurato dalla rivoluzione aveva coinciso dopotutto con l’afermazione di idee individualistiche, che consideravano essenziale il libero perseguimento dell’interesse privato mediante il talento, il lavoro, l’intraprendenza. Come avrebbe potuto una società basata sulla libertà, sui diritti dell’individuo e sulla ricerca del proitto e dell’afermazione personale salvaguardare i valori comunitari, patriottici e di abnegazione di cui si nutri-

va il civismo repubblicano? […] Da questo punto di vista, la rivoluzione fu all’origine piuttosto di processi di lunga durata, di cui pose i fondamenti politici e sociali, che dell’immediata trasposizione di valori ideali dall’empireo della teoria alla dura realtà storica. La sovranità popolare, per esempio, benché richiamata in modo esplicito dalla Dichiarazione d’indipendenza, rimase a lungo un ideale imperfettamente applicato. […] Solo con il 1787, […] si può dire che nacquero uno Stato nazionale e un governo basati su una costituzione espressa dalla volontà sovrana del «popolo americano» e fondata sulla distinzione tra legge fondamentale – promanante dal potere costituente del popolo sovrano – e legge ordinaria: uno dei contributi più originali al costituzionalismo moderno. Ambiguità ed esitazioni del processo rivoluzionario si manifestarono anche in tema di rappresentanza. Durante l’epoca coloniale le élites locali, arroccate nelle assemblee, avevano cercato di limitare la concessione della rappresentanza alle nuove comunità formatesi per efetto dell’immigrazione e della colonizzazione […]. La rivoluzione favorì la maturazione dell’idea di rappresentanza verso accezioni moderne, incompatibili con gli aspetti elitari che la politica coloniale ancora presentava. L’idea tradizionale di rappresentanza come privilegio spettante a entità corporate (città, parrocchie, contee, Stati) cominciò a essere afiancata da una in cui la rappresentanza era considerata un diritto individuale, secondo

La Rivoluzione americana

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Il 3 settembre 1777 sventolò per la prima volta la bandiera americana: era formata da tredici strisce rosse e bianche e tredici stelle, in rappresentanza delle tredici colonie. Successivamente ha mantenuto le tredici strisce, ma le stelle sono diventate cinquanta, tante quanti sono gli Stati che compongono gli USA.

dizione di inferiorità nella famiglia e nella coppia, per esempio, le donne permasero in uno stato di subordinazione legale agli uomini. […] Quanto agli indiani – gli «spietati indiani» della Dichiarazione d’indipendenza –, la rivoluzione non coincise certo con un miglioramento delle loro sorti, inaugurando anzi un processo che avrebbe portato alla loro pressoché totale cancellazione dalla storia americana. In conclusione, «la rivoluzione americana» ha sostenuto Frey «produsse un lascito ambiguo. Essa creò l’illusione di una giovane nazione unita attorno ai prin-c i p i di libertà e di eguaglianza, mentre nei fatti, in dall’inizio, esistettero odiose divisioni secondo linee geograiche, demograiche e ideologiche». […] Come ha afermato Jack Pole, «la rivoluzione aveva posto un’arma nelle mani degli oppressi. Si trattava di più che un insieme di leggi: era un linguaggio […] La lotta per l’eguaglianza poteva nel futuro essere combattuta con il linguaggio della repubblica».

CALUMET Termine probabilmente d’origine francese, a sua volta derivato dal latino calamus «canna», indica una pipa sacra fumata dagli indiani dell’America settentrionale nelle riunioni importanti con intenti cerimoniali. Era fumata, per esempio, per consacrare gli accordi di pace tra le tribù, da qui l’espressione «fumare il calumet della pace». WASHINGTON Il nome originario della città era District of Columbia ma nel 1800 si decise di adottare per la capitale il nome del padre della patria George Washington. Washington è anche il nome di uno degli Stati federali che costituiscono gli USA.

PAROLE IN EREDITÀ

il principio «un uomo, un voto». Pur restando ovunque limiti censitari al sufragio, nella maggior parte degli Stati (cui spettò la regolamentazione del diritto di voto) i meccanismi rappresentativi furono riformati in base a criteri demograici e vennero accolte le istanze (antecedenti alla rivoluzione) di abbassamento dei requisiti di censo. Da questo punto di vista la rivoluzione produsse una democratizzazione relativa della politica locale e l’indebolimento delle élites tradizionali. Tuttavia il diritto di voto, per quanto ampiamente difuso, specie se rapportato alla situazione inglese, continuò a dipendere dalla proprietà e dal sesso maschile. […] Ancora una volta, però, va precisato che tutto questo agì più nel senso dell’introduzione di un lievito egualitario nelle relazioni sociali, che non dell’efettiva attenuazione delle diseguaglianze di proprietà, cultura, prestigio, potere politico e condizione sociale. Ciò è vero soprattutto se si considerano la condizione femminile e il destino dei neri schiavi e delle minoranze etniche. Escluse dai diritti politici e in con-

George Washington, venne eletto primo presidente ed entrò in carica il 4 febbraio 1789.

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COMPETENZE: USARE LE FONTI

La Dichiarazione d’indipendenza DOCUMENTO

La tensione che si era creata fra i coloni americani e la Gran Bretagna tra il 1764, dall’imposizione dello Sugar Act, e il 1773, con il Tea Act, si espresse dapprima in manifestazioni di protesta che rivendicavano il principio del «No taxation without representation» e inine in una vera e propria lotta per l’indipendenza dalla madrepatria. La Dichiarazione del 4 luglio 1776, redatta dal giovane avvocato della Virginia Thomas Jeferson, poco dopo l’inizio delle ostilità, racchiude i princìpi fondamentali elaborati dalla cultura dell’illuminismo europeo. Si fa riferimento al linguaggio del deismo quando si parla di «legge di natura» o del «Dio della natura», «Supremo giudice dell’Universo», si tocca l’egualitarismo di Rousseau nell’espressione «tutti gli uomini sono creati uguali», ma si richiama anche Locke nel diritto alla ribellione di fronte al tiranno.

[...] Noi riteniamo che le seguenti verità siano di per se stesse evidenti, che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono stati dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità. Che allo scopo di garantire questi diritti, sono creati fra gli uomini i Governi, i quali derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati. Che ogni qual volta una qualsiasi forma di Governo tende a negare tali fini, è Diritto del Popolo modificarlo o distruggerlo, e creare un nuovo Governo, che si fondi su quei princìpi e che abbia i propri poteri ordinati in quella guisa che gli sembri più idoneo al raggiungimento della sua sicurezza e felicità. La prudenza, invero, consiglierà di non modificare per cause transeunti e di poco conto Governi da lungo tempo stabiliti; e conformemente a ciò l’esperienza ha dimostrato che gli uomini sono maggiormente disposti a sopportare, finché i mali siano sopportabili, che a farsi giustizia essi stessi abolendo quelle forme di Governo cui sono avvezzi. Ma quando un lungo corteo di abusi e di usurpazioni, invariabilmente diretti allo stesso oggetto, svela il disegno di assoggettarli a un duro Dispotismo, è loro diritto, è loro dovere, di abbattere un tale Governo, e di procurarsi nuove garanzie per la loro sicurezza futura. Tale è stata la paziente sopportazione di queste Colonie; e tale è ora la necessità che le costringe ad alterare i loro antichi sistemi di governo. […] Ad ogni successivo stadio di questa oppressione abbiamo chiesto giustizia in termini umilissimi; alle nostre rinnovate petizioni è stato sempre risposto con rinnovati insulti. Un principio, il cui carattere tirannico si manifesta con simili atti, non è degno di reggere un popolo libero. Né

mancammo di riguardo ai nostri fratelli britannici: di tempo in tempo li abbiamo avvertiti dei tentativi del Governo di sottoporci ad una giurisdizione ingiusta ed abbiamo loro rammentato le circostanze della nostra emigrazione e del nostro stabilimento in questi paesi. Invocando i princìpi di giustizia e di magnanimità innati nella nazione inglese, li abbiamo scongiurati in nome dei legami di sangue che ci uniscono, a sconfessare quelle usurpazioni, che avrebbero inevitabilmente rotto tra noi ogni comunione e rapporto. Essi sono rimasti sordi alla voce della giustizia e del sangue.

Benjamin Franklin, John Adams e Thomas Jefferson stanno scrivendo la Dichiarazione d’indipendenza del 1776, in una litografia tratta da un dipinto di Jean Léon Gérôme Ferris.

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Ci troviamo dunque costretti a cedere alla necessità, dichiarando il nostro distacco e considerandoli, come consideriamo il restante dell’umanità, nemici in guerra, in pace amici. Noi, pertanto, rappresentanti degli Stati d’America, riuniti in Congresso generale, appellandoci al Supremo Giudice dell’universo quanto alla rettitudine delle nostre intenzioni, solennemente proclamiamo e dichiariamo, in nome e per autorità dei buoni popoli di queste Colonie, che queste Colonie Unite sono, e devono di diritto essere Stati liberi e indipendenti; che sono disciolte da ogni dovere di fedeltà verso la Corona britannica e che ogni vincolo politico fra di

esse e lo Stato di Gran Bretagna è e dev’essere del tutto reciso; e che quali Stati Liberi e Indipendenti, esse avranno pieno potere di muovere guerra, di concludere la pace, di stipulare alleanze, di regolare il commercio, e di compiere tutti quegli altri atti che gli Stati Indipendenti possono di diritto compiere. E a sostegno della presente Dichiarazione, con ferma fiducia nella protezione della Divina Provvidenza, noi offriamo reciprocamente in pegno le nostre vite, i nostri averi ed il nostro sacro onore. A. Prosperi, La Storia moderna attraverso i documenti, Zanichelli

Immagine per chiudere

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

Perché il popolo si sottomette al ƒ potere legislativo? ƒ Quali sono i motivi che giustificano il diritto all’indipendenza? ƒ Qual è il rapporto con i «fratelli britannici»? ƒ Perché nella Dichiarazione è presente un richiamo religioso? ƒ Qual è la differenza tra il diritto alla ricerca della felicità e il diritto alla felicità? Perché la Dichiarazione fa riferimento al primo? ƒ Quali sono i diritti inalienabili degli uomini? ƒ Perché i coloni, nella volontà di separarsi dalla madrepatria, ritengono di agire mossi dalla necessità?

Quali erano gli aspetti comuni ƒ delle colonie americane? Quali le differenze? ƒ Perché la guerra dei Sette anni alimentò il contrasto tra i coloni e la madrepatria? ƒ Chi erano i lealisti e gli indipendentisti? Che cosa sostenevano? ƒ Quali sono le caratteristiche dello Stato nato dalla guerra d’indipendenza americana?

ƒ Prima e Dopo ƒ Video - Le bandiere della Rivoluzione americana ƒ Immagine commentata - Gli Indiani e William Penn ƒ Online DOC - Il funerale dello Stamp Act

Litografia del 1846 di Nathaniel Currier che illustra la distruzione del tè inglese da parte di coloni travestiti da indiani a Boston. Washington, Libreria del Congresso.

RIELABORARE, DISCUTERE, REINTERPRETARE L’Illuminismo e la Rivoluzione ƒ americana hanno affermato princìpi ancora oggi ritenuti fondamentali: quali sono i diritti che l’età dei Lumi ha trasmesso al mondo contemporaneo?

ƒ Online STO - Da puritani a yankee ƒ Online STO - Un’ipotesi interpretativa: le rivoluzioni atlantiche ƒ Audiosintesi Unità 3

IN DIGITALE

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MISURARE LE COMPETENZE

GLI EVENTI

IL TEMPO

Completa la frase.

Unisci opportunamente avvenimento e data, indicando il numero corrispondente della data nella colonna a destra di ogni avvenimento.

1. Le colonie inglesi in America erano governate da esponenti locali del territorio da governatori affiancati da un consiglio e da assemblee direttamente dalla Gran Bretagna

Avvenimento a Arrivo dei Padri pellegrini nell’America del Nord

2. Il sistema economico e sociale delle colonie era differenziato fra colonie del Nord e quelle del Sud differenziato fra colonie dell’Ovest e quelle dell’Est omogeneo: non c’erano differenze economiche fra Nord e Sud

b Protesta di Boston per il Tea Act c

Dichiarazione di indipendenza

d Inizio della guerra con il Regno Unito e Trattato di Versailles f

Prima sconfitta degli Inglesi

g Capitolazione degli Inglesi

3. L’obiettivo dei coloni ribelli era inizialmente di avere una rappresentanza nel Parlamento di Londra sovvertire l’ordine costituito cacciando i governatori diventare una repubblica indipendente 4. Dopo l’introduzione del Tea Act i coloni presero le armi e iniziarono la guerra si riunirono in Congresso e decisero di combattere per l’indipendenza chiesero aiuto alla Francia per combattere l’Inghilterra

h Definizione della Costituzione degli Stati Uniti Data 1

1620

2 1773 3 4 luglio 1776 4 1776 5 1777 6 1781 7 1783

5. Il 4 luglio 1776 iniziò la guerra contro la Gran Bretagna i coloni convocarono il secondo congresso Continentale votarono la Dichiarazione d’indipendenza 6. La Costituzione americana era repubblicana e confederale repubblicana e federale riconosceva la monarchia inglese

LE PAROLE Definisci le seguenti espressioni: a. madrepatria b. società multietnica c. boicottaggio d. federazione e. confederazione f. emendamento g. decolonizzazione

8 17 settembre 1787

VERSO L’ESAME DI STATO a. Rispondi alle seguenti domande. ƒDa chi erano abitati i territori delll’America del Nord prima dell’arrivo degli Europei? ƒChi erano i coloni arrivati nell’America del Nord nel XVII secolo? ƒCome erano organizzate le colonie inglesi? ƒPerché i coloni iniziarono una protesta che diventò una guerra? ƒQuali caratteristiche presenta la Costituzione americana? b. Il saggio breve: interpreta e confronta i seguenti documenti. ƒp. 83 – Il funerale dello Stamp Act ƒp. 92 – La dichiarazione d’indipendenza Successivamente, utilizzando anche le tue conoscenze, sviluppa l’argomento proposto nella forma del saggio breve, attribuendo alla composizione un titolo appropriato. Argomento. La rivendicazione dei diritti del cittadino nell’origine degli USA

CITTADINI ADESSO

Da che parte stai? Il cittadino e la partecipazione al governo dello Stato Spesso si sente dire che i giovani sono poco interessati alla politica, o che la politica li trascura. Ma che cos’è «la politica», e perché dovremmo occuparcene? La politica non è altro che il governo dello Stato: è l’insieme di azioni compiute per gestire tutti gli aspetti della vita di un Paese: l’istruzione, le infrastrutture, la sanità, e così via. La Costituzione italiana sottolinea l’importanza della partecipazione alla vita politica sin dal suo primo articolo, che aferma: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nei modi e nelle forme della Costituzione».

La Rivoluzione americana

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«Sovranità» signiica potere di comando sullo Stato e sul suo territorio; nelle democrazie appartiene al popolo, non a chi governa. I cittadini di una democrazia godono infatti di un diritto fondamentale: quello di votare per eleggere i loro rappresentati. Votare signiica far contare la propria opinione sulla gestione dello Stato; votare è un diritto che i sudditi delle monarchie assolute del passato non avevano, e che è negato a chi vive in una dittatura. Il popolo di norma non esercita la sovranità in modo diretto (è difficile far partecipare ciascuno dei milioni di cittadini a tutte le decisioni politiche); lo fa eleggendo i propri rappresentanti nelle assemblee che governano a livello locale, nazionale e sovranazionale (i Consigli degli enti locali, il Parlamento italiano e quello europeo): questa è l’essenza della democrazia «rappresentativa», alla quale si affiancano strumenti di democrazia «diretta», come i referendum.

1. LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA La Costituzione italiana non solo stabilisce che «la sovranità appartiene al popolo», ma detta anche una serie di regole finalizzate a garantire a tutti i cittadini il diritto di partecipare attivamente alla politica. Per questo, ad esempio, stabilisce alcune norme a protezione del diritto di voto, che deve essere esercitato secondo le regole del suffragio universale e deve essere libero. Art. 1: L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Art. 48: Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico. La legge stabilisce requisiti e modalità per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all’estero e ne assicura l’effettività. […] Art. 49: Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Art. 51: Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. […]

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CITTADINI ADESSO

2. COME DEVONO ESSERE LE ELEZIONI maggiorenni, senza distinzione di sesso, razza, censo, opinioni. Non solo: il voto deve essere personale (nessuno può pretendere di votare per altri) e uguale (non ci sono cittadini il cui voto vale di più, ad esempio il doppio); ƒperiodiche: i rappresentanti non sono eletti a vita ma devono essere scelti periodicamente. DEMOCRAZIA È quella forma di governo in cui il potere appartiene al popolo; essa assicura l’uguaglianza e la libertà di tutti i cittadini.

LESSICO

Senza diritto di voto non c’è democrazia. Ma perché la democrazia sia reale non basta che le elezioni vengano svolte: ad esempio, un Paese nel quale si è costretti a votare in un certo modo è un Paese autoritario. Per assicurare l’effettivo esercizio del voto democratico, la nostra Costituzione afferma che le elezioni devono essere: ƒlibere: i cittadini devono poter scegliere chi votare come proprio rappresentante e qualunque cittadino deve potersi candidare come possibile rappresentante. Inoltre, perché sia libero il voto deve essere segreto (ciascun cittadino ha il diritto di non rivelare per chi vota); ƒa suffragio universale: devono poter votare tutti i cittadini

3. ELETTORI E CANDIDATI di rappresentanti in un’assemblea forma la «maggioranza». Nel caso del Parlamento, la maggioranza può facilmente approvare le leggi che ritiene giuste e, sostenendo un governo di sua fiducia, può governare il Paese. Con il susseguirsi delle elezioni le maggioranze cambiano, e spesso passano da uno schieramento all’altro (ad esempio, da una coalizione di partiti conservatori a una coalizione di partiti progressisti). Questo fenomeno, detto di «alternanza», è uno dei cardini della democrazia. PARTITI Sono gruppi organizzati di cittadini che operano per ottenere, con le elezioni, la gestione di una comunità politica. Tale gestione avviene mettendo in pratica idee comuni ai suoi iscritti e simpatizzanti: ciascun partito rappresenta dunque l’interesse di «una parte» dei cittadini.

LESSICO

Ciascun cittadino deve avere la possibilità di farsi eleggere: un sistema di governo che limiti il diritto dei cittadini (che non siano condannati per gravi reati) di occuparsi attivamente di politica assume caratteristiche autoritarie e antidemocratiche. Ma come si arriva a diventare, ad esempio, sindaco o deputato? Innanzitutto, non si può agire come cittadini isolati: è necessario aderire a un movimento politico. In democrazia infatti ogni cittadino ha il diritto di iscriversi a un partito e di crearne uno nuovo; questo diritto ha pochi ma precisi limiti: ƒla Costituzione italiana vieta i partiti che sostengono idee antidemocratiche (il razzismo, la dittatura); ƒproibisce le associazioni politiche segrete (cioè i cui obiettivi non siano pubblici) e vieta la ricostruzione del partito fascista. Se, con le elezioni, un partito riesce a ottenere uno o più seggi (posti) nell’assemblea dei rappresentanti dei cittadini, può partecipare al governo della cosa pubblica attraverso i propri membri. Il partito o la coalizione di partiti che ottiene il maggior numero

4. SCEGLIERE I PROPRI RAPPRESENTANTI Per arrivare a governare, i partiti propongono agli elettori i candidati da eleggere e i programmi da realizzare: gli elettori attribuiscono il proprio voto in base alle diverse «offerte» disponibili. Ma in che modo ciascun cittadino arriva a scegliere un certo candidato o un certo movimento politico? Oggi molti elettori sono disorientati di fronte alla politica. Innanzitutto, spesso vi associano connotazioni negative, soprattutto per i gravi fenomeni di corruzione di cui talora i politici sono riconosciuti responsabili. I partiti vengono inoltre accusati di agire unicamente per acquisire il consenso del «mercato elettorale», abbandonando poi i cittadini ai loro problemi. Infine, in tempi recenti la politica ha quasi abbandonato il riferimento alle classificazioni tradizionali (destra, sinistra, centro) o quello a specifici gruppi sociali come propri elettori (ad esempio, gli operai) in uso sino ad alcuni anni fa. Di conseguenza, molti rinunciano a votare. Occorre invece informarsi e approfondire i temi proposti, senza fermarsi agli slogan. È necessario capire quali possano essere le conseguenze di una o dell’altra proposta sulle nostre vite e su quelle della comunità in cui viviamo, se le proposte corrispondono ai nostri valori e se

sono realmente applicabili, se le affermazioni su cui si basano sono fondate su dati veri, se siamo più in sintonia con movimenti conservatori o progressisti, e così via. L’unico modo per far rinascere la politica è parteciparvi attivamente.

L’aula di Montecitorio, a Roma, sede della Camera dei Deputati.

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5. PARTECIPARE ALLA DEMOCRAZIA Esistono diversi modi – diretti o indiretti – di intervenire nella vita politica. Ecco quali sono previsti dalla Costituzione italiana. LA COSTITUZIONE PREVEDE

ELEZIONE DEI PROPRI RAPPRESENTANTI

VOTARE PER IL REFERENDUM ABROGATIVO Il cittadino vota «sì» per abrogare (cancellare) una determinata legge, oppure vota «no» per lasciarla invariata. Il referendum è valido solo se viene raggiunto il cosiddetto quorum, cioè se vota almeno la metà (più uno) degli elettori. La Costituzione italiana non prevede referendum propositivi, attraverso i quali ai cittadini venga sottoposta una legge da approvare.

Elezioni politiche

Elezioni europee

PROPORRE LEGGI DI INIZIATIVA POPOLARE

PROPORRE PETIZIONI POPOLARI

La Costituzione prevede che le proposte di legge possano provenire dai cittadini, purché vengano presentate da almeno 50 000 elettori (per mezzo di una raccolta di firme). Se validamente avanzata, il Parlamento ha l’obbligo di discutere la proposta. Inoltre il «diritto d’iniziativa dei cittadini europei» consente a un milione di cittadini europei di invitare la Commissione europea a presentare una proposta legislativa su un determinato tema.

Secondo la Costituzione italiana, tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità. Inoltre i cittadini dell’Unione Europea (e le organizzazioni che hanno sede nel territorio dell’Unione) possono presentare una petizione al Parlamento europeo su una materia che li concerne.

Elezioni amministrative

Palazzo Madama, a Roma, sede del Senato.

UNITÀ 3

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CITTADINI ADESSO

6. EDUCARE ALLA PARTECIPAZIONE Il Novecento è stato il secolo dei grandi totalitarismi: nazismo, fascismo, stalinismo, dittature che hanno raccolto il consenso delle popolazioni mediante azioni di propaganda condotte attraverso i mezzi di comunicazione di massa e mirate ad acquisire il potere e a gestirlo in modo autoritario. Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, con il ritorno alla democrazia, nei Paesi occidentali ci si è sforzarti di attuare un’«educazione alla cittadinanza» al fine di consolidare questa idea di governo e radicarla nei cittadini, per evitare che le masse possano affidare nuovamente il proprio consenso a dittature totalitarie. Purtroppo nelle epoche di crisi sociale ed economica si accentua una generale sfiducia nei confronti dello Stato: il grafico qui sotto indica la progressiva disaffezione degli Italiani alla politica, evidenziando come la percentuale di cittadini italiani che si recano a votare sia scesa visibilmente negli ultimi anni. Con le crisi, e con la disillusione nei confronti della politica, crescono i rischi di una sottomissione acritica dei cittadini a parti politiche che si dichiarano forti e decisioniste, a scapito delle libertà democratiche. La democrazia – che, nonostante i suoi difetti, è l’unica forma di governo che assicura la libertà e ricerca l’uguaglianza – è un sistema fragile; il solo modo di affermarlo è radicarlo in ciascun cittadino attraverso l’istruzione. AFFLUENZA ALLE ELEZIONI PARLAMENTARI IN ITALIA (%) % 100 95 93 90

94

95

95

95

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1994

1996

2001

2006

2008

2013

COMPRENDERE E CONTESTUALIZZARE

RIELABORARE E DISCUTERE

ƒ Che cosa prevede l’art. 48 della Costituzione? Quali sono le caratteristiche che deve avere il voto per essere espresso in modo democratico? ƒ Che cos’è un partito? ƒ Osservando lo schema di pagina precedente, spiega quali forme di partecipazione al governo dello Stato sono espressione di democrazia diretta e quali sono espressione di democrazia rappresentativa. ƒ In che modo un cittadino può ottenere la carica di parlamentare?

ƒ In quali anni almeno l’80% dei cittadini italiani ha votato alle elezioni parlamentari? Quando la percentuale dei votanti ha iniziato a scendere? ƒ Svolgi una ricerca su internet sulle cause di questo progressivo disinteresse. Quali sono? Si tratta di un problema solamente italiano? In che modo si potrebbe rimediare?

UNITÀ 4

99

La Rivoluzione francese PRIMA: Gli obblighi dei sudditi e i diritti del sovrano Nell’Antico regime erano in primo piano gli obblighi dei sudditi e conseguentemente i diritti del sovrano. I sudditi innanzitutto dovevano sottomettersi all’autorità assoluta del re che derivava dall’alto, come sostenevano i teorici dell’origine divina del potere monarchico.

CAUSE

EVENTI

CONSEGUENZE

Resistenza della nobiltà e del clero alle riforme della monarchia

X

Si diffonde la notizia che il re vuole sciogliere l’Assemblea Costituente

X

Rivolta e pressioni del Terzo stato

X

1789: Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino

X

Fine dei privilegi di ordine: viene stabilita l’uguaglianza giuridica

Tentativo di fuga del re e prove del suo tradimento

X

21 gennaio 1793: Esecuzione della condanna a morte di Luigi XVI

X

Inizia il periodo più drammatico della rivoluzione

Vittoria di Fleurus e rifiuto dell’intransigenza del Terrore

X

27 luglio 1794: Colpo di Stato del 9 termidoro

X

Con l’esecuzione di Robespierre si assiste a una svolta moderata

Difficoltà determinate dalla guerra indeboliscono il governo

X

9 novembre 1799: Colpo di Stato del 18 brumaio

X

Svolta autoritaria e inizio dell’ascesa di Napoleone

5 maggio 1789: Riunione degli Stati Generali 14 luglio 1789: Presa della Bastiglia

X X

Il Terzo stato contesta i privilegi di nobiltà e clero Inizia la rivoluzione

DOPO: Gli obblighi del sovrano e i diritti del cittadino La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789) e poi la Costituzione (1791) rovesciarono radicalmente l’impostazione dell’Antico regime. La Dichiarazione affermava che tutti gli uomini erano uguali e godevano di diritti naturali, cioè precedenti all’autorità del re; la Costituzione sottoponeva il sovrano al rispetto della legge emanata dal Parlamento. In quest’ottica il potere regale derivava dal basso, cioè dai cittadini che costituivano la nazione.

UNITÀ 4

100

1. La crisi dell’Antico regime in Francia LA SITUAZIONE ECONOMICA E SOCIALE

I PROTAGONISTI

Alla ine del Settecento, mentre in Inghilterra iniziava a svilupparsi la rivoluzione industriale, l’economia francese era ancora essenzialmente agricola: circa l’80% della popolazione lavorava la terra. Era un’agricoltura arretrata rispetto a quella inglese: in Francia il 30% delle terre era di proprietà dell’aristocrazia, quasi il 10% era nelle mani del clero, il resto era diviso generalmente in piccole proprietà. I nobili imponevano ai contadini pesanti oneri feudali (percentuali sul raccolto, corvées ecc.). In alcune regioni esistevano ancora forme di servitù che limitavano le libertà personali del contadino, come quella di sposarsi. La situazione dei ceti popolari si aggravava negli anni di carestia e di sottoproduzione. Il Terzo stato rappresentava il 98% della popolazione, la nobiltà circa l’1,5%, il clero lo 0,5%. I tre ordini erano eterogenei al proprio interno, poiché esistevano grandi diferenze economiche e sociali tra l’alto clero dei vescovi e il basso clero dei parroci di campagna, tra la grande nobiltà proprietaria di latifondi e la cosiddetta «plebe nobiliare» priva di risorse, e inine tra l’alta borghesia dei inanzieri, dei professionisti e dei commercianti più facoltosi e la piccola borghesia degli artigiani, dei bottegai o dei contadini poveri. Ma era marcata soprattutto la divisione tra i primi due ordini e il Terzo stato, una divisione basata sui privilegi. La nobiltà e il clero sostanzialmente non pagavano tasse, che gravavano quasi per intero sul Terzo stato. Inoltre, solo gli appartenenti ai primi due ordini potevano accedere alle alte cariche dello Stato e ai gradi superiori dell’esercito.

Joseph Duplessis, Jacques Necker, 1871 ca. Ginevra, Castello di Coppet.

Un protestante alla corte del re, Jacques Necker Di origine borghese, Jacques Necker è aristocratico nell’aspetto e nella condotta fin da giovane. Entrato nella banca Vernet come semplice commesso, apprende e domina il gioco del credito con tale rapidità e abilità che a poco più di vent’anni è già contitolare dell’impresa nella sede parigina della banca da lui fortemente voluta. Nella Parigi di Luigi XV, la sua banca diviene la prima creditrice del Tesoro pubblico, non senza speculazioni dello stesso Necker, che riesce a trarne personale profitto. Nel 1764 sposa Suzanne Curchod, seducente ginevrina, a Parigi in cerca di fortuna: e lui è un buon partito, ricchissimo e autorevole nel mondo bancario europeo. L’intraprendente moglie apre nel frattempo i salotti agli intellettuali parigini e stranieri: da Diderot a Grimm a Galiani. L’aristocrazia negata dalla nascita è ormai stata conquistata sul campo. Compiuti quarant’anni, Necker decide il salto nella politica, avendo capito che la società in cui si è collocato brillantemente vive sul bordo dell’abisso. L’unico ostacolo è la sua fede

protestante che non gli permette di essere ministro di «Sua Maestà Cristianissima il Re di Francia». La soluzione è pronta: nel 1776 è nominato direttore generale delle Finanze, senza il rango ma con i poteri di un ministro. La Francia che si trova di fronte Necker è tutta da rifare. Ci prova, con l’idea di salvare la monarchia, ma i nobili non cedono sui loro privilegi e i ricchi del Terzo stato chiedono troppo: la via delle riforme è impervia. Sfruttando la sua capacità di banchiere riesce solo a rimpinguare le casse dello Stato trovando sempre nuovi prestiti, risultato che ottiene anche con il rendiconto del 1781. Anch’esso sarà un fallimento e Necker si dimette a soli novanta giorni dalla pubblicazione. Non è un abbandono: le relazioni pubbliche dei salotti della moglie lo aiutano. C’è una nuova allieva, la figlia Germaine, nota al mondo come Madame de Staël. Con al fianco le sue custodi, Necker prepara la rivincita e pubblica un nuovo saggio volutamente provocatorio, il Trattato sull’amministrazione delle finanze; il monito è che bisogna rivedere le imposte

La Rivoluzione francese

101

LA CRISI FINANZIARIA Il problema più grave che la Francia dovette afrontare nella seconda metà del Settecento fu la crisi inanziaria dello Stato. Il bilancio era in deicit soprattutto a causa delle spese militari, di quelle per il mantenimento della corte e per le rendite dei nobili. Per far fronte al deicit, i ministri del re inasprivano il carico iscale e ricorrevano a prestiti da parte dei cittadini. Nel 1781 la situazione era tanto grave che il ministro delle Finanze Jacques Necker (1732-1804) arrivò a falsiicare il rendiconto inanziario, facendo risultare il bilancio dello Stato in attivo per non scoraggiare il prestito dei cittadini. Nel corso degli anni Ottanta, i successori di Necker compresero che l’unica soluzione era una riforma radicale: occorreva estendere la tassazione ai ceti privilegiati, cioè alla nobiltà e al clero. Tale proposta suscitò ovviamente la resistenza dei ceti interessati. Fra il 1787 e il 1788 la nobiltà fece pressioni sul re Luigi XVI (1774-1793) ainché venissero convocati gli Stati Generali, l’assemblea composta da rappresentanti del clero, della nobiltà e del Terzo stato, provenienti da tutta la Francia. Infatti solo questa assemblea, che non veniva convocata dal 1614, poteva approvare l’imposizione di nuove tasse. Il re acconsentì a convocare gli Stati Generali nel 1789. È interessante osservare che la scelta di convocare gli Stati Generali, da cui sarebbe scaturita la rivoluzione, fu il risultato dell’opposizione della nobiltà al tentativo di smantellare i suoi privilegi.

Costumi da cerimonia dei tre ordini presenti agli Stati Generali: in basso da sinistra clero e nobiltà; in alto, Terzo stato. Parigi, Biblioteca Nazionale di Francia.

e tagliare le rendite, perché solo pagando qualche prezzo si può evitare di dover perdere tutto. Proprio perché vuole la sopravvivenza della monarchia, indica la strada nella perdita di privilegi feudali. Luigi XVI, vedendo in lui un realista e non un repubblicano, lo richiama nel 1788: è troppo tardi, gli Stati Generali sono alle porte. Il discorso di apertura dell’Assemblea del 5 maggio 1789 tocca a lui e non piace a tutti perché invita nobili e clero a rinunce economiche. Ai primi di luglio Necker è nuovamente dimesso, per essere richiamato da un Luigi disperato dopo la presa della Bastiglia. Posto fra trono e popolo, Necker è ormai nell’impossibilità di compiere una mossa giusta: i suoi progetti fiscali e finanziari non sono più ascoltati da chi mira ad abbattere i pilastri del regime feudale e a proclamare i diritti dell’uomo. Necker è ormai un uomo del vecchio tempo e non trova più posto nella nuova Francia. Ritiratosi dalla vita pubblica, muore nel 1804 per un improvviso attacco febbrile.

102

SANCULOTTO È il nome con il quale gli aristocratici francesi definivano i rivoluzionari che non indossavano il tipico indumento maschile dell’epoca, le culottes, cioè i pantaloni al ginocchio, ma i calzoni lunghi: di qui appunto l’espressione sans («senza») culottes. I sanculotti vengono rappresentati nelle stampe dell’epoca con pantaloni lunghi di tela a righe, bretelle, carmagnole (una giacca corta p. 107), berretto rosso e coccarda tricolore, armati di picca, come se indossassero un’uniforme. I sanculotti parigini erano per lo più artigiani e salariati, che diedero vita a un movimento popolare caratterizzato da posizioni radicali.

LESSICO

UNITÀ 4

La crisi dell’Antico regime sfociò in Francia in una rivoluzione, cioè in un cambiamento, violento e relativamente rapido, del sistema politico e sociale. La rivoluzione coinvolse in misura e con funzioni diverse tutti gli strati della società francese: dalla nobiltà – più o meno illuminata – alla borghesia, dal clero ai contadini, dall’esercito ai sanculotti delle città. Questo violento cambiamento tentò di cancellare i privilegi e gli abusi – soprattutto di carattere iscale – presenti nella società del Settecento. Si trattava di disuguaglianze inconciliabili con le esigenze di rinnovamento e di modernizzazione avanzate dai ceti emergenti. Infatti il Terzo stato, benché costituito da persone con attività e ricchezza molto diverse, si trovò unito nel desiderio di rivendicare i propri diritti politici contro i privilegi dell’Ancien régime. Una grande influenza fu esercitata anche dal pensiero illuminista e dall’esempio della Rivoluzione americana: la Dichiarazione d’indipendenza – con la formulazione dei diritti dell’uomo – era il vero «vangelo politico» dei Francesi. Per comprendere bene la rivoluzione, bisogna anche far riferimento, oltre alle spinte ideologiche, a cause più immediate: ƒla crisi dell’agricoltura e del settore manifatturiero che, a partire dal 1780, generò carovita e disoccupazione; ƒl’impopolarità del sovrano e della regina Maria Antonietta, la moglie austriaca di Luigi XVI, che il popolo sentiva estranea alle vicende della Francia. LE CAUSE DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE

GUIDA ALLO STUDIO

I PROTAGONISTI

ƒ Quali problemi affliggevano la Francia alla fine del Settecento? ƒ Perché furono convocati gli Stati Generali? ƒ Quali furono le cause più immediate della rivoluzione?

Élisabeth Vigée-Le Brun, Maria Antonietta con la rosa, 1783. Versailles, Museo del Castello. MAGAZINE

LA RIVOLUZIONE: IL RISULTATO DI CAUSE DIVERSE

CINEMA E STORIA

Marie Antoinette Pag. 204

Cause finanziarie

Æ Crescita del debito pubblico.

TUTOR Fallimento dei tentativi di Æ riforma.

Cause economiche

Æ

Æ Carovita, disoccupazione.

Cause sociali

Incompatibilità dell’organizzazione della Æ società di Antico regime con le spinte al cambiamento.

Malcontento della borghesia, priva di diritti Æ politici nonostante il suo peso economico.

Cause politiche

Æ

Æ

Crisi dell’agricoltura e del settore manifatturiero.

Debolezza e impopolarità della monarchia.

Opposizione di tutti e tre gli ordini sociali.

Maria Antonietta, l’austriaca Nata a Vienna il 2 novembre 1755, Maria Antonietta era l’ultima figlia dell’imperatrice austriaca Maria Teresa. Quando sposò (1770) Luigi XVI, aveva quindici anni ed era del tutto impreparata ad affrontare il ruolo cui i maneggi della madre l’avevano destinata. Quasi immediatamente si formò su di lei una leggenda nera di cui la regina non si liberò fino alla morte. Soprattutto le difficoltà della sua vita coniugale suscitarono subito i pettegolezzi della corte. E così, mentre il re era pubblicamente deriso, lei divenne per la maggioranza dei Francesi una nuova Messalina, una donna rotta a ogni vizio. La regina, inoltre, s’immischiò ben presto, in modo goffo e imprudente, nei contrasti politi-

ci che dividevano la corte: si schierò ovviamente dalla parte della fazione filoaustriaca e così per i più diventò l’«austriaca», una donna avida di potere che approfittava della debolezza del marito per fare gli interessi del suo Paese d’origine. La rivoluzione, infine, fornirà ai Francesi un’ulteriore occasione di odio per la regina. Maria Antonietta, infatti, si mostrò subito intransigente di fronte alle richieste del Terzo stato. Credeva nella «linea dura» e premeva sul marito perché la attuasse. In più si mostrò indifferente alle sofferenze del popolo: nell’ottobre 1789 ricevette i rappresentanti di Parigi, una città ormai stretta nella morsa della fame, esaltando le delizie che aveva appena gustato in un banchetto.

La Rivoluzione francese

103

2. Dagli Stati Generali all’Assemblea Costituente (1789-90) I CAHIERS DE DOLÉANCES Nella primavera del 1789, il re chiese ai suoi sudditi di esprimere le loro esigenze nei cahiers de doléances («quaderni di lamentele»), per fornire agli Stati Generali un materiale informativo sui problemi della nazione. Le richieste più frequenti che emersero riguardavano l’abolizione dei diritti signorili, l’elaborazione di una costituzione, l’uguaglianza iscale e anche misure protezionistiche nei confronti dell’Inghilterra per salvare le industrie tessili nazionali. Intanto la crisi economica si faceva sempre più grave. Il raccolto era stato pessimo e perciò il prezzo del pane era aumentato; la disoccupazione cresceva a causa dei licenziamenti nelle industrie tessili. Il popolo delle campagne e delle città diede vita a rivolte, saccheggiando in alcuni casi i granai del clero e degli aristocratici. Iniziava a proilarsi in tutta la sua complessità la situazione politica, da cui sarebbero scaturite, in un complicato intreccio, ben tre rivoluzioni parallele: quella «parlamentare» dei rappresentanti del Terzo stato, quasi tutti borghesi di ceto medio-alto, quella contadina e quella dei sanculotti delle città.

LA CONVOCAZIONE DEGLI STATI GENERALI Gli Stati Generali furono convocati da Luigi XVI il 5 maggio 1789. La prima questione che si dovette afrontare fu di carattere procedurale: il sistema di votazione delle delibere che sarebbero state assunte. Gli aristocratici volevano che si votasse «per ordine», cioè che ciascun ordine esprimesse un solo voto (come si era sempre fatto ino ad allora); ciò avrebbe signiicato che la nobiltà e il clero, votando uniti per la difesa degli antichi privilegi, avrebbero avuto la maggioranza. Il Terzo stato invece chiedeva che si votasse «per testa», contando di ottenere la maggioranza con l’appoggio del basso clero e di qualche nobile illuminato. I lavori degli Stati Generali, dunque, iniziarono subito in un clima molto teso. Il re, sordo a ogni istanza di un sia pur moderato rinnovamento, alimentò ulteriormente l’agitazione con due scelte che ebbero efetti provocatori: la prima fu quella di organizzare le riunioni a Versailles, cioè proprio dove si svolgeva la vita sfarzosa della corte, che gravava in misura sempre più intollerabile sul bilancio statale e quindi sul carico iscale dei sudditi; la seconda fu la coreograia dell’assemblea, che sottolineò le diferenze tra gli ordini: il Terzo stato fu obbligato a indossare un modesto e austero abito nero, mentre ai nobili e al clero fu consentito di vestirsi con abiti sontuosi. GLI STATI GENERALI: VOTO PER TESTA O VOTO PER ORDINE? TUTOR Clero: 291 deputati Nobiltà: 270 deputati Terzo stato: 578 deputati Se si vota per ordine, la maggioranza è dei ceti privilegiati: clero e nobiltà si alleano e ottengono due voti contro uno.

Se si vota per ordine il Terzo stato è dunque destinato a perdere per un voto.

Se si vota per testa, la somma dei voti del clero e dell’aristocrazia è di 561: cioè inferiore ai voti del Terzo stato.

Se si vota per testa il Terzo stato può contare su 578 voti, cioè sulla maggioranza nell’assemblea.

APPROFONDIMENTO

PALLACORDA La pallacorda, detta anche gioco del palmo, si giocava inizialmente con la mano, aperta o chiusa – solo in seguito si iniziò a usare una racchetta di legno pieno o incordato – in un campo lungo 30 metri, coperto e circondato da muri. Il campo era diviso da un nastro, o da una rete, sopra il quale doveva passare la palla. Arbitro dei punti dubbi era il pubblico presente.

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LESSICO

UNITÀ 4

L’ASSEMBLEA NAZIONALE Di fronte al riiuto di votare per testa, il Terzo stato si proclamò unico, vero rappresentante della nazione e si deinì Assemblea Nazionale. L’abate Emmanuel-Joseph Sieyès (1748-1836), in un famoso discorso pronunciato il 17 giugno 1789, ricordò che il Terzo stato costituiva la stragrande maggioranza della popolazione e che pertanto i suoi delegati riuniti in assemblea rappresentavano realmente la volontà della nazione. Luigi XVI reagì facendo chiudere la sala in cui si riunivano gli Stati Generali, ma i rappresentanti del Terzo stato penetrarono nella sala destinata al gioco della pallacorda (una sorta di tennis) e giurarono solennemente di non sciogliersi inché non fosse stata promulgata una costituzione (Giuramento della pallacorda, 20 giugno). Di fronte al fatto compiuto, il re riconobbe l’Assemblea e invitò i rappresentanti del clero e della nobiltà a parteciparvi. Coerentemente con il compito che s’era dato, il 9 luglio 1789 il nuovo organismo prese il nome di Assemblea Nazionale Costituente.

L’Assemblea Nazionale nel 1789: i gruppi di opinione L’Assemblea Nazionale, che dopo il Giuramento della pallacorda si nominò Assemblea Nazionale Costituente, era formata dai diversi gruppi ideologici presenti nel Paese, che rappresentavano le componenti sociali dell’Assemblea: aristocratici e monarchici sostenevano in gran parte l’Ancien régime, anche se alcuni nobili illuminati si schierarono con i costituzionali; i democratici erano per lo più borghesi repubblicani, avversi alla monarchia; i costituzionali, che rappresentavano la maggioranza dell’Assemblea, erano borghesi delle professioni, sostenitori di un sistema parlamentare e costituzionale, ma non avversi alla monarchia.

monarchici L’assemblea nazionale nel 1789: i gruppi di opinione aristocratici

costituzionali

democratici

TRE RIVOLUZIONI PARALLELE TUTOR Rivoluzione Inizia dalla protesta del Terzo stato agli Stati Generali: è promossa dalla parlamentare borghesia medio-alta, formata sulle idee dell’Illuminismo, che rivendica un Parlamento e una Costituzione e intende abolire lo Stato assoluto. Rivoluzione contadina

I contadini si ribellarono nelle campagne dando l’assalto ai castelli e bruciando i documenti che sancivano i privilegi. Agivano in modo disordinato, senza una guida politica. La rivolta contadina fu accompagnata dal fenomeno della «grande paura», un’ondata di panico collettivo che scatenò vendette e disordini.

Rivoluzione dei Inizia a Parigi con le rivolte per la fame e soprattutto con l’assalto alla sanculotti Bastiglia del 14 luglio 1789. Con queste iniziative il popolo della città si unì alle rivendicazioni della borghesia.

LA PRESA DELLA BASTIGLIA Luigi XVI non seppe sottrarsi all’influenza reazionaria della corte e della regina e fece affluire a Versailles alcuni reparti militari. Il popolo parigino, temendo che il re preparasse un colpo di mano contro l’Assemblea, il 14 luglio 1789 assalì e distrusse la Bastiglia, carcere politico e simbolo dell’Ancien régime. L’episodio fu fondamentale perché segnò l’incontro della rivolta popolare con quella parlamentare, cioè quella dei borghesi che lottavano contro il potere assoluto. A Parigi un comitato di insorti assunse il controllo del municipio. Venne organizzata una milizia volontaria, la Guardia Nazionale, che fu posta sotto l’autorità dell’Assemblea Costituente e aidata al comando del generale Joseph de La Fayette (1757-

La Rivoluzione francese

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Henry Singleton, La tempestosa presa della Bastiglia. Parigi, Museo Carnavalet.

La presa della Bastiglia Nel luglio 1789 a Parigi l’atmosfera era rovente. Si era diffusa l’idea di un complotto aristocratico contro l’Assemblea Nazionale, si temeva l’assalto da parte delle truppe. In questo clima si costituirono le prime milizie che poi avrebbero dato origine alla Guardia Nazionale. Il 13 luglio l’Hôtel de Ville, cioè il municipio, venne preso d’assalto da rivoltosi che chiedevano le armi. La mattina del 14 una folla costituita da artigiani e commercianti, provenienti soprattutto dal quartiere Saint-Antoine, si diresse alla Bastiglia per cercare altre armi. Il governatore della fortezza, Launay, tentò di parlamentare con gli insorti, impegnandosi a non far aprire il fuoco a meno che la fortezza non venis-

se attaccata, ma alcuni rivoltosi riuscirono a penetrare nei cortili della Bastiglia. Verso l’una del pomeriggio Launay, impaurito, diede l’ordine di sparare: restarono uccise circa cento persone. Verso le cinque, una nuova ondata di folla, che si era impadronita di quattro cannoni alla fortezza degli Invalides (gli edifici costruiti nel XVII secolo per ospitare i soldati invalidi), invase la Bastiglia. Nell’assalto rimasero uccisi tre ufficiali e tre soldati, oltre allo stesso Launay. Le teste mozzate delle vittime furono portate sulle picche attraverso le vie della città. Così si concludeva la giornata che fu considerata in seguito come l’inizio della rivoluzione. Dal 1880, il 14 luglio in Francia è il giorno della festa nazionale.

APPROFONDIMENTO

1834), già noto per aver aiutato il popolo americano nella sua lotta per l’indipendenza. L’esempio di Parigi si difuse nel Paese: anche nelle province furono create municipalità rivoluzionarie e costituite le Guardie Nazionali. Nelle campagne i contadini si ribellarono, ma in modo disordinato, senza una guida politica, spinti solo da una rabbia spontanea e dal desiderio di cancellare i soprusi. Perciò i contadini assalivano i castelli dei signori per bruciarvi le carte che ne sancivano i privilegi. Tali rivolte furono accompagnate da un’ondata di panico collettivo che gli storici hanno chiamato «grande paura»: si temevano, in modo confuso e irrazionale, vendette nobiliari, massacri, assalti di briganti o di nemici stranieri, così come in altri momenti della Storia si era manifestata la paura dei mostri, delle streghe o della peste. Circolavano voci incontrollate che inducevano i contadini ad aggregarsi e ad armarsi, ma ciò non si tradusse in fenomeni di violenza alle persone: sembra che in tutta la nazione le vittime della grande paura siano state soltanto tre.

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DIPARTIMENTO Il termine deriva dal verbo francese départir, «dividere in parti»; è una suddivisione del territorio a fini amministrativi, simile alla provincia italiana. I dipartimenti, con a capo un prefetto, furono istituiti nel 1790, e ancora oggi fanno parte dell’ordinamento amministrativo della Francia. Qui, come negli Stati Uniti, questo termine è anche sinonimo di ministero. Nell’ordinamento universitario italiano, il termine indica l’organizzazione delle cattedre e dei docenti di discipline affini.

COMPETENZE

LESSICO

UNITÀ 4

L’ABOLIZIONE DEGLI OBBLIGHI FEUDALI La mobilitazione contadina preoccupava non solo i nobili, ma anche i borghesi proprietari di terre, proprio quelli che si erano impegnati a dare alla Francia una costituzione. Di fronte al pericolo di una radicalizzazione delle richieste dei contadini, l’Assemblea Costituente cercò una soluzione di compromesso. Il 4 agosto 1789 venne decisa l’abolizione delle corvées e degli altri obblighi feudali dei contadini, dietro pagamento di un riscatto in denaro. Molti contadini, però, non avevano la possibilità economica di pagare il riscatto, per cui protrassero le agitazioni ancora per tre anni, ino a quando, cioè, i privilegi feudali non vennero aboliti senza indennità. L’Assemblea Costituente attuò anche una razionalizzazione del sistema amministrativo: il territorio nazionale venne diviso in 83 dipartimenti con uguali doveri verso l’amministrazione centrale. I FATTI DEL 1789

USARE LE FONTI

La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino Pag. 132

TUTOR

Data

Avvenimento

5 maggio.

Riunione degli Stati Generali.

17 giugno.

Il Terzo stato si costituisce in Assemblea Nazionale.

20 giugno.

Giuramento della pallacorda.

9 luglio.

Proclamazione dell’Assemblea Nazionale Costituente.

14 luglio.

Presa della Bastiglia.

Fine luglio-inizio agosto.

«Grande paura» e insurrezioni contadine.

4 agosto.

Abolizione dei privilegi feudali.

26 agosto.

Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.

5-6 ottobre.

Il re viene ricondotto a Parigi.

2 novembre.

Requisizione dei beni del clero.

LA DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO E DEL CITTADINO L’atto più famoso dell’Assemblea Costituente fu l’approvazione, il 26 agosto 1789, della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Fu proposta dal generale La Fayette sul modello della Dichiarazione d’indipendenza americana e divenne il preambolo della Costituzione, che fu promulgata nel 1791. Si tratta di un testo breve, 17 articoli in tutto, in cui vennero proclamati gli inviolabili diritti naturali di ogni uomo: la vita, la libertà, l’uguaglianza, la proprietà e il diritto di resistenza all’oppressione. Rientravano tra i diritti dei cittadini anche la deliberazione delle leggi e il controllo delle imposte. Alle libertà individuali venne posto l’unico limite della tutela dell’ordine pubblico; per questo motivo ai cittadini fu riconosciuto il diritto di professare privatamente qualsiasi religione, ma solo al cristianesimo cattolico fu consentita la celebrazione pubblica del culto. Anche la libertà di stampa fu riconosciuta, ma limitata dalla possibilità del legislatore di vietare pubblicazioni turbatrici dell’ordine pubblico. La Dichiarazione dei diritti conteneva princìpi che tutto il mondo occidentale dell’Ottocento e del Novecento ha ereditato.

LE GIORNATE DI OTTOBRE Nel biennio 1789-91, il potere di Luigi XVI non fu mai messo seriamente in discussione, anche se il comportamento del sovrano aveva provocato la nascita di una fazione orléanista, che voleva sostituire il re in carica con Luigi Filippo d’Orléans, detto Filippo Egalité per la sua partecipazione al movimento rivoluzionario.

La Parigi della rivoluzione

Place de la Rév Révo (dal 1795 795 Place de lla

107

I LUOGHI DELLA STORIOA

La Rivoluzione francese

Campo mpo po d dii Marte M

Alberi e balli della libertà A partire dal 1790, i rivoluzionari iniziarono a piantare in tutti i municipi un albero della libertà: inizialmente non si trattava neanche di un albero vero ma solo di un palo sormontato da un berretto frigio (p. 59). I rivoluzionari riprendevano il rito di antiche feste 1. La Carmagnole era una tipica danza di strada che si faceva in circolo intorno a un albero (come è peculiare delle danze della fertilità) chiamato «albero della libertà». Il nome di questa danza derivava probabilmente da Carmagnola, una cittadina piemontese dove i Francesi costrinsero nel 1789 gli abitanti ad abbandonare le loro case e a danzare. Carmagnole era però anche il nome di una giacca corta, usata a Carmagnola e diffusa dagli operai italiani in Francia. E infine Carmagnole era anche un canto di rivolta. Lo stesso nome indicava quindi una danza, una giacca e un canto.

2. In primo piano un sanculotto facilmente riconoscibile dai pantaloni, la giacca, il berretto rosso e la picca.

pagane (calendimaggio) per l’avvento della primavera dandogli un significato politico: l’albero era usato come altare alternativo per celebrare matrimoni o il giuramento dei magistrati. Oppure diventava il centro di feste e balli, come nell’immagine.

VITA QUOTIDIANA

Hôtel des es Invali

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GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Quale problema dovette subito affrontare l’assemblea degli Stati Generali? ƒ Quale fu la posizione del Terzo stato? ƒ Perché il popolo parigino assaltò la Bastiglia? ƒ Quali princìpi sostenne la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino? ƒ Quale riforma fu prevista per il clero dall’Assemblea Costituente?

108 Il monarca, infatti, non aveva cessato di contrastare i lavori dell’Assemblea Costituente, nonostante la sua evidente impotenza a fronteggiare i fermenti rivoluzionari. In particolare, il sovrano si riiutò di ratiicare i decreti che abolivano i privilegi feudali e la Dichiarazione dei diritti, producendo la reazione indignata del popolo parigino. Il 5 ottobre 1789 un corteo guidato da donne e scortato dalla Guardia Nazionale si recò a Versailles per protestare. I manifestanti pretendevano tre cose dal re: che accettasse i decreti contestati dell’Assemblea Costituente; che garantisse approvvigionamenti alla capitale, stremata dal carovita; che si trasferisse a Parigi, al Palazzo delle Tuileries, dove sarebbe stato più facilmente controllato. Sotto la minaccia della violenza popolare, il sovrano dovette accogliere tutte le richieste. Il 10 ottobre, sulla scia di questo evento, Luigi XVI fu proclamato «per grazia di Dio e per la Costituzione dello Stato, re dei Francesi», per sottolineare la natura costituzionale della nuova monarchia e il suo carattere nazionale e non patrimoniale: Luigi non era più «re della Francia», ma signiicativamente «re dei Francesi».

LA REQUISIZIONE DEI BENI DEL CLERO Uno dei problemi più pressanti per la Francia era, come abbiamo visto, il deicit del bilancio statale. L’Assemblea Costituente intervenne in questo settore decidendo la requisizione dei beni del clero (2 novembre). Contemporaneamente lo Stato si accollò il mantenimento degli ordini religiosi «utili e operosi», cioè dediti all’educazione dei giovani o all’assistenza dei malati, mentre gli ordini contemplativi vennero soppressi. Per rinsanguare le casse dello Stato si decise di vendere ai cittadini le terre e gli ediici incamerati. In realtà, i Francesi potevano acquistare gli assegnati, cioè una sorta di buoni del tesoro il cui valore era garantito da quello dei beni requisiti alla Chiesa. Economicamente l’operazione non funzionò: la popolazione era riluttante a impegnare il proprio denaro nell’acquisto degli assegnati, data la precarietà della situazione politica. L’Assemblea, inoltre, ne mise in circolazione un numero eccessivo, provocandone la rapida svalutazione. La conseguenza fu l’aumento dell’inflazione e del carovita.

LA COSTITUZIONE CIVILE DEL CLERO L’Assemblea Costituente intervenne anche nell’ambito dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa. Nel 1790 fu promulgata la Costituzione civile del clero. Essa stabiliva che parroci e vescovi diventassero dipendenti stipendiati dello Stato, fossero eletti dai cittadini e giurassero fedeltà alla Costituzione. Il cattolicesimo cessava di essere religione di Stato, ma restava l’unica religione autorizzata a celebrare pubblicamente le proprie feste e cerimonie; le altre confessioni erano tollerate come fatto puramente privato. Questi provvedimenti rientravano in una tradizione tipicamente francese di indipendenza dalla Chiesa di Roma (gallicanesimo). In questo modo, però, il clero diventava un organo dello Stato e perdeva la sua autonomia. La Chiesa francese doveva obbedire allo Stato ed essere fedele alla Costituzione e non più al Vaticano. Papa Pio VI non poteva, naturalmente, accettare queste condizioni e la sua condanna della Costituzione civile del clero determinò una delle fratture più laceranti all’interno della Francia rivoluzionaria: quella tra il clero costituzionale – che giurò fedeltà alla Costituzione – e il clero refrattario, che rimase invece obbediente al papa. Il clero refrattario – e con esso numerosi contadini cattolici – si schierò con i controrivoluzionari. Ciò contribuì ad accentuare l’ostilità nei confronti della Chiesa di numerosi gruppi rivoluzionari. Manifesto satirico anticlericale. Il diavolo costringe gli alti prelati a giurare di non obbedire ai decreti stabiliti dall’Assemblea Nazionale. La scritta in alto riporta le qualità attribuite al clero refrattario: «Fanatismo, tradimento, perfidia, ipocrisia». Parigi, Museo Carnavalet.

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3. La Costituzione del 1791 LA FUGA DEL RE Subito dopo la presa della Bastiglia, iniziarono le fughe e le emigrazioni all’estero dei nobili che non accettavano il nuovo corso politico. Il loro obiettivo era l’organizzazione, con l’aiuto delle potenze straniere, di un’armata controrivoluzionaria per abbattere il nuovo regime. Il tentativo di fuga più signiicativo fu quello dello stesso re: il 20 giugno 1791, Luigi XVI,

La fuga di Varennes Il 20 giugno 1791, alle due del mattino, il re Luigi XVI e la regina Maria Antonietta, con i figli e la governante, fuggirono dal Palazzo delle Tuileries attraverso una porta secondaria. Avevano passaporti falsi: il re si chiamava Durand, un nome molto comune che doveva passare inosservato alla frontiera. I sovrani viaggiavano a bordo di una carrozza ordinaria, ma una serie di staffette doveva accompagnarli. Fu proprio la visione di questa scorta a insospettire il figlio di un mastro di posta, un certo Drouet. Egli, sospettando che sulla carrozza viaggiasse uno dei tanti aristocratici che fuggivano dalla Francia in quel periodo, diede l’allarme alle stazioni di posta successive. Così, quando la carrozza reale arrivò nel paese

di Varennes, nei pressi del confine col Belgio, la sera del 21 giugno, venne bloccata, il re Luigi XVI venne riconosciuto e subito arrestato. La notizia dell’accaduto giunse a Parigi proprio mentre l’Assemblea Nazionale stava discutendo la Costituzione. Si aprì allora un momento di crisi profonda per i moderati che intendevano mantenere la monarchia: come ci si poteva fidare di un re che aveva tentato la fuga? Per superare la crisi, si tentò addirittura di diffondere l’idea che Luigi XVI fosse stato rapito contro la sua volontà: una tesi insostenibile, su cui Robespierre ironizzò chiedendosi «se oggi i popoli siano arrivati al punto di credere che si possano rapire i re come si rapiscono le donne».

APPROFONDIMENTO

Jean Duplessis-Bertaux, la carrozza della famiglia reale di Luigi XVI torna a Parigi da Varennes il 25 giugno 1791.

CLUB Sorti in Inghilterra nel XVIII secolo, erano associazioni i cui membri si riunivano per coltivare interessi comuni: culturali, politici o sportivi. Il termine significa «bastone» e si riferisce alla tipica usanza dei circoli di inviare una mazza a tutti i soci per la convocazione di una riunione. Durante la Rivoluzione francese il termine assume un significato prettamente politico: i club sono le associazioni degli aderenti alla stessa linea politica. Nell’Ottocento riprende il significato generico per denominare consorzi e organizzazioni, al quale si aggiunge poi quello sportivo per indicare una squadra di calcio. GIACOBINO I giacobini appartenevano per lo più alla media e piccola borghesia. Inizialmente erano moderati e fautori di una monarchia costituzionale; poi, a partire dalla tentata fuga del re, si attestarono su posizioni repubblicane. Robespierre, il capo dei giacobini, si distinse per le sue lotte in favore di riforme radicali. Nel linguaggio politico il termine «giacobino» è oggi usato per indicare una persona o un atteggiamento eccessivamente intransigente nell’affermare determinati princìpi e incline a un radicalismo populista; con una sfumatura negativa, il termine può indicare chi sostiene le proprie convinzioni in modo tanto assoluto da rasentare il fanatismo.

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LESSICO

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travestito da servo, cercò di abbandonare la Francia con la famiglia, ma fu riconosciuto a Varennes, presso il conine franco-belga, e ricondotto a Parigi. L’episodio incrinò profondamente il prestigio della monarchia e concorse ad accentuare la frattura, all’interno dell’Assemblea Costituente, tra i moderati, che miravano a una trasformazione in senso costituzionale della monarchia, e i democratici, che ormai spingevano verso la repubblica e verso più radicali trasformazioni sociali.

I CLUB POLITICI Fin dal 1789, le fazioni rivoluzionarie si erano organizzate in club in cui gli esponenti si incontravano per discutere e confrontare le loro idee. I club erano raggruppamenti politici simili ai nostri partiti (si potrebbero deinire delle organizzazioni pre-partitiche). Il club più importante fu quello dei giacobini, la cui guida fu progressivamente assunta da Maximilien de Robespierre (1758-1794) (I protagonisti - p. 118). Egli spinse il club verso una soluzione repubblicana, che non era condivisa da tutti i componenti. Perciò dai giacobini si staccarono nel 1791 i foglianti. Con a capo Gabriel-Honoré Mirabeau (1749-1791) e La Fayette, i foglianti erano fautori di una monarchia costituzionale. Il gruppo politico più radicale era il club dei cordiglieri, guidato da Georges-Jacques Danton (1759-1794) (I protagonisti - p. 117), Jacques-René Hébert (1757-1794) e Jean-Paul Marat (1743-1793). I cordiglieri chiedevano non solo la repubblica, ma anche aumenti salariali e garanzie occupazionali per gli operai. Il ruolo dei club nella rivoluzione fu decisivo. Le loro riunioni erano pubbliche e avvenivano nei locali che ofrivano più spazio, come le chiese e i conventi. Attraverso queste riunioni la popolazione poté conoscere i dibattiti dell’Assemblea Costituente e formulare le proprie richieste e le proprie proposte politiche.

LA COSTITUZIONE DEL 1791 Tra i diversi club e tra i rappresentanti della nazione nell’Assemblea Costituente si svolse il dibattito sulla isionomia da dare al nuovo Stato. I moderati pensavano a un sistema monarchico con due Camere: una Alta, i cui membri dovevano essere nominati dal re, e una Bassa, eletta dai cittadini; al sovrano sarebbe stato attribuito il diritto di veto sulle decisioni del Parlamento. I radicali, invece, riiutavano queste proposte ritenendole troppo lontane dagli obiettivi democratici. La Costituzione, approvata il 3 settembre 1791, rappresentò una soluzione di compromesso: non fu accettata la Camera Alta, ma si accolse il diritto di veto da parte del re. Dalle teorie di Locke e Montesquieu fu ripreso il principio della separazione dei poteri, per cui la Costituzione attribuì il potere legislativo all’Assemblea elettiva e quello esecutivo al re, cui spettava la nomina dei ministri. I moderati trionfarono sulla questione del diritto di voto. Respinta l’ipotesi del sufragio universale, venne issato un criterio censitario: per poter accedere al diritto di voto occorreva avere un reddito minimo. La società fu divisa in tre parti: ƒi cittadini passivi, esclusi dal voto perché privi di ricchezze; ƒi cittadini attivi, che potevano votare ma non essere eletti; ƒi cittadini eleggibili, ai quali era richiesta anche una proprietà terriera. La Costituzione del 1791 cancellò dunque l’antica divisione della società in ordini, ma non stabilì l’uguaglianza politica dei cittadini, come la Dichiarazione dei diritti lasciava supporre. Un altro punto importante di discussione all’interno dell’Assemblea Costituente fu la determinazione dell’autorità competente a dichiarare guerra. I moderati volevano che questo ruolo spettasse al re, i radicali invece chiesero e ottennero che fosse l’Assemblea a deliberare sulla guerra e sulla pace. Le altre novità più consistenti contenute nella Costituzione riguardarono il decentramento amministrativo: negli 83 dipartimenti e nei comuni, consigli e sindaci eletti dal popolo sostituirono i vecchi e corrotti intendenti.

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La composizione dell’Assemblea Legislativa nel 1791 I deputati dell’Assemblea Legislativa erano eletti con suffragio censitario, ossia da quella parte di cittadini sufficientemente ricchi da avere il diritto di voto. La maggioranza era detenuta da un centro moderato costituito da deputati non schierati né con la sinistra dei giacobini né con la destra dei foglianti. Come vedremo, dopo la fuga e la condanna del re, questa maggioranza cambiò radicalmente.

giacobini e girondini 136

foglianti 264 La composizione dell’Assemblea Legislativa nel 1791

indipendenti 345

LA COSTITUZIONE DEL 1791 LA FRANCIA È UNA MONARCHIA COSTITUZIONALE

LA COSTITUZIONE STABILISCE

APPROFONDIMENTO

Questa Costituzione era espressione dell’alta borghesia e della nobiltà illuminata. Esse non si riconoscevano più nell’assolutismo dell’Ancien régime e chiedevano di poter partecipare alla gestione e al controllo della cosa pubblica, ma erano contrarie all’estensione di quei diritti alla plebe misera e analfabeta. Una volta approvata la Costituzione, l’Assemblea Costituente si sciolse per lasciare il posto a un nuovo organismo, l’Assemblea Legislativa.

I POTERI SONO SEPARATI

IL SUFFRAGIO È CENSITARIO

AL RE IL POTERE ESECUTIVO (DI CUI RISPONDE AL PARLAMENTO)

AL PARLAMENTO (ASSEMBLEA LEGISLATIVA) IL POTERE LEGISLATIVO

ALLA MAGISTRATURA IL POTERE GIUDIZIARIO

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Quali conseguenze ebbe il tentativo di fuga del re? ƒ Come erano organizzate le fazioni rivoluzionarie? ƒ Quali erano le caratteristiche della Costituzione del 1791? ƒ Quale tipo di suffragio fu scelto dall’Assemblea Costituente?

I PRINCIPALI GRUPPI POLITICI RIVOLUZIONARI Club* Origini del nome

Obiettivi

Capi

Giacobini

Dal nome del convento domenicano di Saint-Jacques (San Giacomo) in cui si riunivano.

Repubblica.

Robespierre.

Foglianti

Dal nome dell’ex convento in cui si incontravano e che Monarchia costituzionale. era stato dei monaci cistercensi, detti foglianti perché riformati nel secolo XVI dall’abate di Feuillant, Jean de la Barrière.

Mirabeau e La Fayette.

Cordiglieri

Dal nome del convento dei francescani dove si riunivano («cordiglio» è il cordone portato alla vita dai francescani).

Danton, Hébert, Marat.

TUTOR

Repubblica, aumenti salariali, garanzie occupazionali.

* I termini «girondini» e «montagnardi», che incontreremo in seguito, non indicavano dei club, ma degli schieramenti parlamentari.

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4. La Francia in guerra (1792) LE RIVOLTE SOCIALI La Costituzione del 1791 era l’espressione di coloro che volevano cambiare il volto della Francia attraverso le riforme, ma senza fratture violente con l’istituzione monarchica. Anche l’Assemblea Legislativa, che si insediò l’1 ottobre 1791, era controllata da una maggioranza moderata. Ciò nonostante, in un breve arco di tempo, alcuni eventi esterni alla vita parlamentare contribuirono a una radicalizzazione del fenomeno rivoluzionario. Innanzitutto la crescita delle rivolte sociali, nelle città e nelle campagne: si trattava perlopiù di rivolte spontanee, prive di coordinamento e di programma, ma abbastanza consistenti da intimorire l’Assemblea. In risposta alle rivendicazioni dei contadini, infatti, l’Assemblea si vide costretta, nel febbraio 1792, a decretare la nazionalizzazione dei beni dei nobili emigrati e ad abolire, senza indennizzo, i diritti feudali ancora in vigore.

LA FRANCIA IN GUERRA

STORIOGRAFIA

Jean Fouquet, JacquesPierre Brissot, 1792. Versailles, reggia.

Un secondo grave problema riguardava la politica estera. Da tempo la Prussia e l’Austria avevano dichiarato la propria disponibilità a intervenire in favore di Luigi XVI; inoltre gli emigrati francesi, dalle zone coninanti, stavano organizzando degli eserciti. La Francia si sentì minacciata da una congiura internazionale controrivoluzionaria. All’interno dell’Assemblea coloro che volevano la guerra, benché per ragioni diverse, erano la maggioranza. I girondini, capeggiati da Jacques-Pierre Brissot (1754-1793), erano deputati provenienti dal dipartimento della Gironda, nella regione di Bordeaux: difendevano gli interessi commerciali delle città della costa ed erano favorevoli alla guerra nella convinzione che essa avrebbe stimolato la produzione manifatturiera e i commerci. I moderati, capeggiati da La Fayette, pensavano che una vittoria militare avrebbe consolidato il loro governo. Quanto al re, Luigi XVI voleva la guerra nella speranza che la Francia rivoluzionaria fosse sconitta e che gli Stati assolutistici ripristinassero l’Antico regime. Solo i giacobini, con Robespierre, si resero conto che la Francia non era in grado di sostenere un conflitto con le grandi potenze. Ma i giacobini erano una minoranza nell’Assemblea e pertanto nell’aprile 1792, su proposta del sovrano, l’Assemblea Legislativa

La guerra e le sue conseguenze Nel passo che segue lo storico contemporaneo René Rémond (1918-2007) spiega come la decisione della Francia di entrare in guerra abbia impresso una svolta a tutto il successivo processo rivoluzionario. L’iniziativa di far guerra ha, come prima conseguenza, che le sorti della rivoluzione da ora in poi non dipendono più soltanto dalla decisione delle assemblee, ma dalla condotta della guerra e dalla sorte delle battaglie. Si stabilisce un legame, una solidarietà d’interessi, fra il corso della rivoluzione all’interno e le vicissitudini della guerra ai confini. Il naturale sviluppo della rivoluzione ne viene alterato, e il governo rivo-

luzionario ne è la diretta conseguenza. Se, a partire dal 17921793, la rivoluzione deve ricostituire un potere centrale autoritario, contrariamente alle speranze del 1790, è la guerra che ve la costringe. Le condizioni d’esercizio del potere sono profondamente modificate, le garanzie sospese, le libertà individuali finiscono tra parentesi. Il Terrore deriva dalla guerra. Riprendendo tutta la storia delle istituzioni e dell’amministrazione, si vede che non vi sono decisioni o eventi sui quali la guerra non incida. Robespierre l’aveva ben capito e, nel dibattito da cui esce la dichiarazione di guerra nell’aprile 1792, è uno dei pochi a opporsi: dalla guerra nascerà la dittatura. R. Rémond, Introduzione alla storia contemporanea

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approvò la dichiarazione di guerra all’Austria e alla Prussia. I primi scontri chiarirono subito la fondatezza delle preoccupazioni di Robespierre. I soldati francesi erano male addestrati; la maggior parte degli uiciali, che erano nobili, erano emigrati e quelli rimasti erano o incapaci o impegnati a favorire i disegni del re. L’esercito francese subì disastrose sconitte. Si creò un clima di paura e di sospetto: si diceva che la regina Maria Antonietta avesse fornito i piani di guerra ai nemici e gli aristocratici vennero accusati di tradimento.

LA CADUTA DELLA MONARCHIA

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Quali avvenimenti provocarono una radicalizzazione del fenomeno rivoluzionario? ƒ Per quali motivi scoppiò la guerra? ƒ Quale andamento ebbe la guerra? ƒ Quale fazione diventò protagonista della rivoluzione? ƒ Che cosa causò le stragi di settembre?

La Marsigliese Nella notte del 25 aprile 1792 un ufficiale dell’esercito francese, Claude-Joseph Rouget de Lisle, compose un inno che intitolò: Il canto di guerra per l’Armata del Reno. Il canto ci mise un po’ ad arrivare a Parigi, dove fu eseguito per la prima volta a un banchetto patriottico il 26 giugno. In quell’occasione non ebbe neanche un gran successo. Ma

eAllons enfants de la patrie Le jour de gloire est arrivé! Contre nous, de la tyrannie, L’étendard sanglant est levé, L’étendard sanglant est levé. Entendez-vous, dans les campagnes, Mugir ces féroces soldats? Ils viennent jusque dans vos bras Egorger vos fils, vos compagnes! Aux armes, citoyens! Formez vos bataillons! Marchons, marchons! Qu’un sang impur abreuve nos sillons! [...]

pochi giorni dopo, il 30 giugno, giunse a Parigi un battaglione di marsigliesi: entrò nella città cantando l’inno di Rouget de Lisle, che aveva imparato prima di partire. Da allora quel canto divenne la Marsigliese. Alla fine anche Rouget de l’Isle si rassegnò a intitolarlo così. In seguito divenne l’inno nazionale della Francia. Avanti, figli della patria, il giorno della gloria è arrivato! Contro di noi è già stata innalzata la sanguinosa bandiera della tirannide. Non sentite nelle campagne ululare questi feroci soldati? Essi vengono per sgozzare, fin nelle vostre braccia, i vostri figli, le vostre compagne! Alle armi, cittadini, formate i vostri battaglioni! Andiamo! Andiamo! Che un sangue impuro bagni i nostri campi! [...]

APPROFONDIMENTO

A questo punto i sanculotti divennero i protagonisti della rivolta. Il 20 giugno 1792 invasero le Tuileries, la residenza del re, e costrinsero Luigi XVI a bere alla salute della rivoluzione. Ormai tra la società e la monarchia si era creato un abisso, mentre il movimento dei sanculotti trovava la propria guida politica nei giacobini e nei cordiglieri. I rivoluzionari chiedevano esplicitamente la deposizione del re, non più rappresentativo della volontà nazionale, e la convocazione di una Convenzione, un’assemblea da eleggere a sufragio universale per formulare una nuova Costituzione. Intanto gli eserciti austro-prussiani proseguivano la loro avanzata e l’11 luglio l’Assemblea Nazionale dichiarò che la patria era in pericolo. Il 25 luglio un proclama del duca di Brunswick, comandante delle truppe austro-prussiane, minacciò di distruggere Parigi se fosse stata arrecata ofesa al re. Questa minaccia afrettò la ine della monarchia e spinse nuovamente la folla all’insurrezione. Un comune rivoluzionario assunse la guida della municipalità. Il Palazzo delle Tuileries venne nuovamente preso d’assalto e il re si rifugiò presso l’Assemblea Legislativa (10 agosto). Quest’ultima, pressata dalle richieste dei rivoluzionari, fu costretta a sospendere il re dalle sue funzioni e a imprigionarlo con la sua famiglia. Vennero indette le elezioni per la Convenzione Nazionale. Ci si avviava verso la ine della monarchia e verso la fase più radicale della rivoluzione. In questo clima di tensione si difuse la voce che nelle carceri i nemici della rivoluzione stessero preparando un complotto controrivoluzionario. Nel settembre 1792 i sanculotti diedero l’assalto alle prigioni massacrando indiscriminatamente nobili, preti refrattari, delinquenti comuni. Le stragi di settembre furono una delle più violente manifestazioni del movimento sanculotto, con cui la borghesia rivoluzionaria da quel momento dovette confrontarsi.

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5. La Convenzione (1792-95) GLI SCHIERAMENTI ALL’INTERNO DELLA CONVENZIONE

Louis-Léopold Boilly, Ritratto dell’attore Chénard in abiti da sanculotto, 1792. Parigi, Museo Carnavalet.

Il 20 settembre 1792 si insediò la Convenzione, eletta a sufragio universale maschile. Essa avviò l’elaborazione di una nuova Costituzione, ritenendo inadeguata quella del 1791. La Convenzione era composta da 749 deputati, che si dividevano in tre gruppi, dalla cui posizione nell’assemblea derivano i termini destra, sinistra e centro che tuttora usiamo: ƒ i girondini, favorevoli a soluzioni moderate, sedevano a destra rispetto al presidente dell’assemblea; ƒ i montagnardi, cioè il gruppo dei giacobini e dei cordiglieri, sedevano in alto a sinistra; erano fautori di idee radicali; ƒ la pianura, spregiativamente detta la Palude, un gruppo di centro che non aveva un preciso orientamento politico. Fra i girondini e i giacobini vi erano divergenze di carattere non solo ideologico, ma anche sociale. I primi erano i portavoce del mondo degli afari, favorevole al libero mercato e a una politica economica priva di vincoli imposti dallo Stato (tasse o dazi). I giacobini, invece, esprimevano le esigenze del popolo minuto e della piccola borghesia, perciò volevano che lo Stato controllasse i prezzi e i salari e attuasse riforme sociali per risolvere i problemi del carovita e della disoccupazione. Tuttavia, secondo i giacobini, la proprietà privata non doveva essere abolita, ma lo Stato doveva garantire a tutti il necessario per sopravvivere. In questo senso erano sostenitori di una posizione moderata, mentre vi erano gruppi di orientamento comunista che chiedevano la nazionalizzazione delle terre. I girondini dominavano la Convenzione, mentre i giacobini assunsero il controllo del comune parigino. Quest’ultimo di fatto divenne l’istituzione più influente.

RIVOLTE CONTRORIVOLUZIONARIE E OFFENSIVE DELLA COALIZIONE ANTIFRANCESE

GRAN BRETAGNA Londra

PAESI BASSI AUSTRIACI

Colonia

Amiens Caen

BRETAGNA

Dol

Parigi

Quiberon

Magonza

Valmy

Nantes

VANDEA

Varennes

Sancerre

RAURACIA (repubblica sorella) Bordeaux Lione

SAVOIA

Avignone battaglie

offensive della coalizione rivolte contro la rivoluzione disordini stati confinanti

Marsiglia

Nizza Tolone

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Gli schieramenti della Convenzione del 1792 La Convenzione era stata eletta a suffragio universale maschile nel clima teso del pericolo della guerra e delle rivolte popolari a Parigi. Il 20 settembre 1792, lo stesso giorno della vittoria di Valmy sui Prussiani, la Convenzione si insediò e decise di dare alla Francia una nuova Costituzione. I deputati erano 749: a destra sedevano i girondini, che rappresentavano circa 1/4 dell’assemblea ed erano favorevoli a scelte moderate; al centro, i deputati della Palude, un gruppo privo di un preciso orientamento politico; a sinistra, un altro quarto era costituito dai giacobini e dai cordiglieri, favorevoli alla repubblica e alla democrazia.

montagnardi (giacobini e cordiglieri)

Palude Gli schieramenti della Convenzione ne 1792 749 deputati

girondini

LA CONDANNA A MORTE DI LUIGI XVI Il 20 settembre, lo stesso giorno in cui si insediava la Convenzione, gli eserciti francesi sconissero a Valmy l’esercito prussiano. La battaglia di Valmy fu un episodio di grande signiicato, non solo perché fu la prima vittoria dell’esercito francese dall’inizio della guerra, ma soprattutto perché servì ad arrestare l’avanzata prussiana e a dare respiro alla difesa della patria. Più che una vittoria militare – i Prussiani ebbero poche perdite – fu una grande vittoria morale: la Francia rivoluzionaria dimostrava di sapersi difendere, nonostante la disorganizzazione delle sue truppe e il tradimento di molti aristocratici, dagli attacchi di eserciti assai prestigiosi. La vittoria contribuì a dare nuova forza alla rivoluzione e a creare il clima ideologico nuovo in cui si inserisce il primo atto della Convenzione: l’abolizione della monarchia e la proclamazione della repubblica (21 settembre 1792). Si trattava ora di decidere la sorte del re e, a tal ine, l’assemblea allestì un vero e proprio processo (dicembre 1792) volto ad accertare e a giudicare le responsabilità di Luigi XVI. I girondini cercarono di ritardare il più possibile questo processo, poiché prevedevano la condanna del re e il conseguente raforzamento sia dei controrivoluzionari sia dei sanculotti. I giacobini, invece, guidati da Robespierre e da Louis-Antoine-Léon de Saint-Just (1767-1794), pretesero che si procedesse accusando il re di tradimento. Furono rinvenute alcune carte che dimostravano come il sovrano avesse favorito l’emigrazione di molti aristocratici e avesse inanziato la propaganda reazionaria. La Convenzione votò pressoché all’unanimità la condanna a morte di Luigi XVI. Il re venne ghigliottinato il 21 gennaio 1793. La regina Maria Antonietta subì la stessa sorte nove mesi dopo, il 16 ottobre.

LA PRIMA COALIZIONE (1793-95) L’esercito francese, rincuorato dalla vittoria di Valmy, riportò numerosi successi in Savoia, in Belgio e lungo il Reno. Si pose allora alla Convenzione un nuovo problema politico. Infatti, mentre Robespierre voleva far cessare la guerra, tra i girondini si difuse la teoria dell’«esportazione» della rivoluzione. Questa tesi prevalse e fu avviata una politica di annessioni che prevedeva la conquista dei territori ino alle frontiere naturali del Reno e delle Alpi (cioè il Belgio e la Savoia), con lo scopo di liberare questi Paesi dai regimi assoluti. La scelta di imporre la rivoluzione con la guerra, però, ebbe efetti negativi. Infatti alienò ai Francesi la simpatia di numerosi intellettuali europei che avevano ino ad allora sostenuto la rivoluzione, ma che avevano sperato in una liberazione e non volevano una nuova dittatura, anche se diversa dagli assolutismi precedenti. La condanna del re, la persecuzione violenta degli aristocratici e del clero refrattario, la decisione di liberare con una guerra i popoli ancora sotto la tirannide dei sovrani assoluti

APPROFONDIMENTO

La Rivoluzione francese

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116 erano tutti aspetti che suscitavano il dissenso di quanti avrebbero voluto un’evoluzione più moderata della rivoluzione. Inoltre, molti sovrani stranieri incominciarono a temere per la sorte del loro trono e perciò si unirono all’Austria e alla Prussia nella guerra contro la Francia. Sorse così – per iniziativa dell’Inghilterra – la prima coalizione (1793-95), un’alleanza antifrancese alla quale aderirono, oltre all’Inghilterra, la Prussia, l’Austria, la Russia, la Spagna, il Regno di Sardegna, il Granducato di Toscana, lo Stato della Chiesa e il Regno di Napoli. La coalizione, nel corso del 1793, risultò vittoriosa e riuscì a togliere alla Francia le terre di recente annessione.

LA RIBELLIONE NELLA VANDEA Anche la situazione interna riservava vari problemi alla Convenzione. In primo luogo la crisi economica: nelle città i sanculotti, colpiti duramente dal carovita, lottavano perché il governo limitasse i prezzi dei generi alimentari e issasse livelli salariali minimi. Ma il fenomeno più grave che la Convenzione dovette fronteggiare fu la ribellione della Vandea, un dipartimento della Francia occidentale. In Vandea, nel 1793, i contadini diedero vita a un enorme e violento movimento armato controrivoluzionario inneggiante a Dio e al re. Erano delusi dagli scarsi progressi economici e sociali della rivoluzione e non accettavano la politica anticlericale che andava contro le loro radicate tradizioni religiose. Ai contadini si unirono nella protesta i nobili e il clero refrattario. La ribellione dei vandeani si protrasse per alcuni anni e contribuì a indebolire i governi rivoluzionari. Il caso della Vandea fu il segno più evidente della frattura fra i contadini e la rivoluzione. Il fatto è che i contadini più agiati, che avevano acquistato i beni dei nobili, nazionalizzati e messi in vendita, temevano espropriazioni e non volevano che la rivoluzione proseguisse; e i poveri avevano perso anche le protezioni che l’ordinamento feudale in qualche modo aveva garantito loro. Tutti, comunque, si sentivano lontani dalla rivoluzione che aveva coinvolto la borghesia urbana. La guerra, la crisi economica, la Vandea misero in diicoltà i girondini, ormai troppo deboli e isolati per continuare a governare, e ne causarono la sconitta politica. Fra marzo e maggio 1793, parallelamente alla crisi dei girondini, maturò l’afermazione dei giacobini.

Pierre-Narcisse Guérin, Henri de la Rochejaquelein, 1816 ca. (particolare). Rochejaquelein, che fu alla guida dell’esercito cattolico e reale, porta sul petto il simbolo della guerra di Vandea che rappresenta il motto: «Dio e il re». Cholet, Museo d’Arte e di Storia.

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Quali erano gli schieramenti all’interno della Convenzione Nazionale? ƒ In seguito a quali eventi i rivoluzionari proclamarono la repubblica? ƒ Quali conseguenze ebbe sul piano internazionale la svolta violenta della rivoluzione? ƒ Quale fenomeno controrivoluzionario dovette affrontare la Convenzione? ƒ Quale fazione rivoluzionaria si affermò in questo periodo?

1792: DALLA MONARCHIA ALLA REPUBBLICA Data Avvenimento Aprile

La Francia dichiara guerra all’Austria e alla Prussia.

20 giugno

Il popolo invade le Tuileries.

25 luglio

Proclama del duca di Brunswick.

10 agosto

Assalto alle Tuileries. Comune insurrezionale a Parigi.

Settembre

Stragi nelle carceri.

20 settembre

Vittoria di Valmy. Insediamento della Convenzione.

21 settembre

Proclamazione della repubblica.

Dicembre

Inizia il processo al re.

TUTOR

La Rivoluzione francese

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6. Il Terrore (1793-94) LA SCONFITTA DEI GIRONDINI Nel 1793 il conflitto fra girondini e giacobini si fece inconciliabile. Fra marzo e aprile la Convenzione adottò alcuni provvedimenti eccezionali: tra l’altro, venne istituito un Tribunale Rivoluzionario per giudicare i sospetti e fu issato il prezzo massimo per i cereali e la farina. Con queste misure, che in parte venivano incontro alle richieste dei sanculotti, la Convenzione cercava l’alleanza del movimento popolare. Questo era ciò che già da tempo voleva Robespierre. I girondini, invece, videro nelle misure adottate un attentato alla libertà, soprattutto economica, e gridarono alla dittatura. Ma la loro posizione si faceva sempre più debole. Il 2 giugno 1793 i sanculotti insorsero. La Convenzione venne circondata dalla folla che chiese l’arresto di trenta deputati girondini. Da quel momento la Convenzione fu dominata dai giacobini.

LA COSTITUZIONE DEL 1793

Danton, un ambizioso All’idealista e incorruttibile Maximilien de Robespierre si oppose l’ambizioso e corrotto Georges-Jacques Danton, capo degli «indulgenti» (gli ex cordiglieri). «Nella storiografia rivoluzionaria – scrive la storica Mona Ozouf – Danton ha sempre avuto la capacità di ispirare il ritratto antitetico a quello di Robespierre. Come Robespierre, infatti, Danton ha avuto in sorte il potere di incarnare la rivoluzione.» Danton fu innanzitutto un uomo contraddittorio. Sta qui la sua debolezza, ma anche la sua forza: l’aver capito che la rivoluzione non era un processo lineare. «Non è possibile – sostenne – fare la rivoluzione geometricamente.» Una formula che pare essere stata coniata apposta per definire il pensiero di Robespierre. Dopo aver avallato i massacri del settembre 1792 e votato la morte del re, Danton comprese che la Francia era stanca del sangue e della psicosi del complotto e che era giunto il momento di fermare la guerra. Considerava infatti un enorme spreco di ricchezza tenere in piedi un esercito di oltre un milione di uomini, in un Paese affamato e non ancora pacificato. Non aveva senso mettere l’Inghilterra sullo stesso piano delle monarchie reazionarie continentali. Con l’Inghilterra – pensava Danton – la Francia doveva scendere a patti e stipulare una pace separata.

Certamente in lui giocava anche un interesse personale. Sappiamo quanto amasse i piaceri della vita e in quale conto tenesse il denaro, tanto da rimanere coinvolto nello scandalo della liquidazione della Compagnia delle Indie, con l’accusa di avere incassato qualcuno dei 500 milioni di assegni con cui il governo inglese intendeva corrompere i funzionari della rivoluzione. Ma non è questo il punto: «Resta la lucidità del suo ragionamento politico», nota Villari. Danton aveva infatti compreso che la logica di Robespierre portava la rivoluzione al fallimento. Com’era d’altra parte possibile abbattere ogni confine tra pubblico e privato senza il ricorso all’uso sistematico della violenza? Ciò avrebbe trascinato la rivoluzione nel fanatismo, suscitando una inevitabile reazione popolare. Durante il processo Danton respinse sprezzantemente le accuse di corruzione e lanciò una maledizione contro i suoi accusatori, che assassinandolo avrebbero distrutto, disse, la rivoluzione e la Francia. Danton credeva di essere indispensabile alla rivoluzione: «Se lasciassi le mie gambe a Couthon (che era paralitico) e le mie palle a Robespierre, forse potrebbe funzionare ancora per qualche tempo...» esclamò. E sul patibolo, rivolto al boia: «Tu mostrerai la mia testa al popolo. Ne vale la pena».

I PROTAGONISTI

Il 24 giugno 1793 la Convenzione approvò la nuova Costituzione che, rispetto a quella del 1791, conteneva signiicative novità: ƒla forma di governo non era più la monarchia costituzionale, ma la repubblica, che veniva dichiarata una e indivisibile; ƒper le elezioni veniva abbandonato il criterio censitario e istituito il sufragio universale maschile; ƒil potere legislativo veniva aidato a un’assemblea eletta dai cittadini.

Constance-Marie Charpentier, Danton, 1792. Parigi, Museo Carnavalet.

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VIDEO

Simboli e festività della rivoluzione

La Costituzione del 1793 rappresentò la forma più avanzata di democrazia raggiunta dalla rivoluzione. Essa però non entrò mai in vigore perché, data la situazione di emergenza, i giacobini giudicarono opportuno rinviare le elezioni e creare un organismo di governo dotato di pieni poteri in campo militare, politico ed economico. Fu così istituito il Comitato di salute pubblica. Nel mese di luglio il cordigliere Jean-Paul Marat, direttore del giornale «Amico del popolo», venne assassinato da una giovane monarchica, Charlotte Corday. L’episodio suscitò un’intensa emozione, specie nei sanculotti presso i quali Marat si era guadagnato una vasta popolarità. L’assassinio di Marat fu un’ulteriore spinta a adottare misure pesantissime nei confronti dei nemici della rivoluzione.

IL TERRORE In questo contesto crebbe il ruolo di Robespierre. Egli mostrò grande abilità nel tenere sotto controllo le diverse forze che minavano la rivoluzione ma, di fronte alla situazione di emergenza, adottò misure fortemente repressive nei confronti dei suoi oppositori. In Francia iniziò così il periodo deinito del Terrore proprio per la determinazione e la durezza con cui il dissenso controrivoluzionario fu eliminato. Venne approvata la «legge sui sospetti», che conferiva al Comitato l’assoluta libertà di repressione verso nemici o presunti tali. Il governo giacobino assunse dunque tutte le caratteristiche della dittatura. Nella sola Parigi le vittime del Terrore furono oltre 2600, tra cui la regina Maria Antonietta e il chimico Antoine-Laurent Lavoisier, uno dei più noti scienziati del tempo. Il Tribunale Rivoluzionario inizialmente osservò con scrupolo le forme e le leggi, ma progressivamente, quando le condanne si fecero sempre più numerose, usò procedure sommarie. Intanto proseguiva la guerra della Francia contro la prima coalizione. La dittatura giacobina decretò (agosto 1793) la leva di massa per dar vita a un esercito popolare. Venne consentito ai borghesi l’accesso alle alte cariche militari, prima riservate all’aristocrazia. Fra le truppe una intensa azione di propaganda difuse le idee repubblicane. Questa politica diede i suoi frutti: prima della ine del 1793 alcune vittorie militari consentirono di scongiurare l’eventualità di un’invasione straniera.

La rivoluzione introdusse nuovi simboli e nuove festività legate al suo spirito illuminista. Oltre alla personificazione della libertà e della repubblica, alla festa della Federazione, al culto della dea Ragione e dell’Essere Supremo, all’albero della libertà piantato nelle piazze di ogni città o paese, venne addirittura riformulato il calendario. Fino a noi, per rinnovare gli ideali di uguaglianza, sono giunti il tricolore e la festa del 14 luglio.

LA POLITICA DI SCRISTIANIZZAZIONE

I PROTAGONISTI

Un aspetto importante del periodo del Terrore fu la politica di scristianizzazione. L’anticlericalismo era difuso in dall’inizio della rivoluzione e si era intensiicato ino ad assu-

Anonimo, Robespierre, 1790 ca. Parigi, Museo Carnavalet.

Robespierre, un idealista Maximilien de Robespierre è la figura più popolare, ma anche la più enigmatica, dell’intera rivoluzione. È quasi impossibile scrivere una storia attendibile sulla sua vita. La maggior parte delle sue carte personali è stata volontariamente distrutta e molte di quelle salvate sono state, con intenzione, selezionate o alterate dai nemici e, per ragioni opposte, dagli amici. L’ambiguità e la tragicità del personaggio pubblico hanno fatto il resto, e si comprende perché più di due secoli non siano stati sufficienti per maturare un giudizio sereno e oggettivo su di lui. Il suo sogno era quello di contribuire alla nascita di una società giusta, facendo perno sul

seguente principio: «Il buon governo consiste nella soggezione dell’interesse privato a quello pubblico». In altri termini, non vi è alcun confine tra vita privata e pubblica: non solo, l’interesse privato deve essere sottomesso a quello pubblico. Da qui il suo essere distaccato, austero, sprezzante verso il denaro e verso qualsiasi concessione al lusso. L’incorruttibile per definizione. Ma a chi spettava il compito di limitare l’interesse privato? Robespierre pensava alla forza della legge, ma anche all’educazione individuale e alla vocazione alla socialità e alla solidarietà. Il nutrimento culturale di questo progetto non era solamente l’egualitarismo o il democratici-

La Rivoluzione francese

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mere la forma dell’odio e del massacro nei confronti del clero refrattario. Nel 1793, soprattutto per iniziativa dei cordiglieri guidati da Hébert, la scristianizzazione venne attuata in modo sistematico. Le chiese furono chiuse al culto cristiano e utilizzate per una nuova religione ispirata alla dea Ragione. I simboli del cristianesimo, come le raigurazioni dei santi o le campane, vennero distrutti. Venne anche adottato un nuovo calendario repubblicano, nel quale non comparivano più i nomi dei santi. La politica di scristianizzazione creò divisioni tra gli stessi capi rivoluzionari. Robespierre non la condivideva e cercò di limitarla. Al posto del culto della dea Ragione egli cercò di promuovere il culto dell’Essere Supremo. In generale, comunque, la politica di scristianizzazione non ebbe molto successo fra la popolazione, che rimaneva legata alla propria tradizione religiosa.

MAGAZINE

ARTE E STORIA

La morte di Marat Pag. 220

Esecuzione di Maria Antonietta il 16 ottobre 1793, presso Place de la Révolution da un dipinto di un anonimo artista danese.

smo di Rousseau, né solo il repubblicanesimo di Montesquieu, fondato sull’equilibrio dei poteri. C’era un fattore più profondo: il mondo classico, identificato con l’epoca nella quale si erano sperimentate virtù pubbliche e forme di autogoverno dei cittadini. È in Atene, in Sparta, nella Roma repubblicana che Robespierre ritrova l’archetipo della società, solidale e partecipata, da costruire nella Francia rivoluzionaria. Pensava, cioè, a un mondo di fratelli, uniti nel culto della virtù e del bene comune. Ecco perché il poeta Aleksandr Pusˇkin lo ha definito una «tigre sentimentale».

L’intenzione, o meglio l’illusione tragica, di Robespierre e di Saint-Just era che il sangue dei nemici fosse l’estremo sacrificio in vista di un mondo giusto e virtuoso. Si trattava di esercitare un’ultima violenza in nome di ideali assolutamente opposti alla violenza, in vista della pacificazione e della fraternità universale. Lo storico Georges Lefebvre così interpreta il progetto politico di Robespierre: «Una società di piccoli produttori, in cui ciascuno possiede una terra o un piccolo laboratorio, una bottega, capace di nutrire la sua famiglia, e scambi direttamente i suoi prodotti

con quelli dei suoi pari. Una produzione individualistica e una piccola proprietà garantiscono l’indipendenza economica del singolo. Ma questa proprietà, per essere acquisita e conservata, esige una certa iniziativa delle virtù personali, di lavoro, di frugalità e di risparmio». «Tutto qui? – commenta Lucio Villari – non è paradossale allora che il progetto politico e sociale del più celebre capo della Rivoluzione francese non fosse che una società di padri di famiglia tranquilli e bonari, dediti al lavoro e le cui virtù domestiche fossero sollecitate e protette dallo Stato?»

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VITA QUIOTIDIANA

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Il calendario repubblicano Secondo il nuovo calendario, il conteggio degli anni partiva dal 22 settembre 1792, il primo giorno dopo la proclamazione della repubblica. I mesi erano tutti di trenta giorni e avevano nomi che richiamavano caratteristiche meteorologiche (per esempio «ventoso» per il periodo febbraio-marzo) oppure i lavori e i prodotti dell’agricoltura («vendemmiaio» per il periodo settembre-ottobre). Erano abolite le domeniche e le festività religiose, sostituite dalle feste rivoluzionarie. L’adozione di questo nuovo calendario però fallì, perché richiese correzioni e aggiustamenti in relazione agli anni bisestili, ma soprattutto perché non entrò nelle abitudini della popolazione. Napoleone Bonaparte lo abolì ufficialmente nel 1806.

Settembre Ottobre Novembre Dicembre Gennaio Febbraio Marzo Aprile Maggio Giugno Luglio Agosto Settembre

22 21-22 20-21 20-21 19-20 18-19 20-21 19-20 19-20 18-19 18-19 17-18 16

Vendemmiaio Brumaio Frimaio Nevoso Piovoso Ventoso Germinale Fiorile Pratile Messidoro Termidoro Fruttidoro

IL COLPO DI STATO DEL 9 TERMIDORO

Jean-Joseph-François Tassaert, L’arresto di Robespierre, 1796 ca. Parigi, Museo Carnavalet.

La dittatura giacobina suscitò opposizioni anche all’interno delle forze rivoluzionarie. Le iniziative del Comitato, infatti, sembravano troppo radicali alla fazione degli «indulgenti» guidati da Danton, e troppo moderate all’estrema sinistra degli «arrabbiati» di Hébert. La linea adottata da Robespierre fu ancora quella della repressione. Egli inasprì la politica del Terrore (Gran Terrore) colpendo gli oppositori di entrambe le parti. Nel giro di pochi mesi vennero ghigliottinate migliaia di persone, fra cui gli stessi Hébert e Danton.

La Rivoluzione francese

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LE ASSEMBLEE DURANTE LA RIVOLUZIONE 5 maggio 1789 17 giugno 1789

1 ottobre 1791

20 settembre 1792

Stati Generali

Assemblea Nazionale Costituente

Assemblea Legislativa

Convenzione Nazionale

Gli Stati Generali erano un’istituzione medievale (dal 1302) che rappresentava i tre ordini della società; venivano convocati solo per volontà del sovrano e avevano competenze soprattutto in materia fiscale. Prima del 1789 gli Stati Generali erano stati convocati nel 1614.

L’Assemblea Nazionale si era costituita in seguito alla protesta del Terzo stato durante gli Stati Generali sulla questione del voto per testa o per ordine. Quella stessa assemblea, con il Giuramento della pallacorda si nominò «costituente». Veniva così sancito il principio della sovranità popolare e l’assemblea acquisiva allo stesso tempo il potere legislativo. Gli altri due ordini, clero e aristocrazia, si unirono all’Assemblea che, rappresentò così tutte le posizioni presenti nel Paese.

È il primo vero parlamento eletto dai cittadini francesi dopo la prima Costituzione del 1791. Questa Assemblea era costituita da deputati divisi in diverse correnti ideologiche: a destra i foglianti, al centro i più moderati, a sinistra i giacobini, da cui si separeranno poi i girondini.

Fu istituita in seguito alla protesta popolare del 10 agosto 1792 che chiedeva l’abolizione della monarchia. L’Assemblea Legislativa sospese il sovrano dalle sue funzioni e lo fece arrestare. Venne poi indetta l’elezione a suffragio universale di una nuova assemblea, la Convenzione Nazionale, che si insediò a settembre e avrebbe dovuto decidere il nuovo assetto dello Stato francese: cioè se lasciare la monarchia o instaurare la repubblica. Questo evento segna la svolta radicale e popolare della Rivoluzione guidata dai giacobini. La Convenzione restò in carica fino al 26 ottobre 1795.

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Danton Polonia-Francia, 1983 (durata: 136’) Regia: Andrzej Wajda Attori principali: Gérard Depardieu, Wojciech Pszoniak, Patrice Chéreau

Il film narra gli ultimi giorni di Georges-Jacques Danton, tra la fine di marzo e il 5 aprile 1794, quando fu processato e ghigliottinato con i suoi amici per volere di Robespierre. Al centro del film vi è la contrapposizione fra due personaggi che incarnano due modi di concepire la rivoluzione e la lotta politica. Danton, stanco e già pentito della repressione sanguinosa attuata dal Terrore, per tempera-

mento è indulgente nei confronti delle debolezze umane e amante dei piaceri della vita. Robespierre è uomo austero, rigoroso e determinato nella realizzazione di ciò che ritiene il «bene», convinto di interpretare così la volontà della nazione. Alla condanna di questo dogmatismo intransigente si collega da parte del regista polacco un’implicita critica ai regimi comunisti dell’Est europeo e alla parabola totalitaria della Rivoluzione russa. Sullo sfondo, Parigi, soffocata dall’oppressione, appare come il palcoscenico di un’immane tragedia, testimone dei danni irrimediabili causati dall’intolleranza ideologica.

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Quali furono le novità apportate dalla Costituzione del 1793? ƒ Da che cosa fu caratterizzato il periodo del Terrore? ƒ Perché finì il Terrore? ƒ Chi erano i termidoriani?

CINEMA E STORIA

Tanto rigore però alienò a Robespierre il consenso dell’opinione pubblica. La vittoria militare di Fleurus (26 giugno 1794), in cui i Francesi sconissero le truppe coalizzate, raforzò paradossalmente gli oppositori di Robespierre: la vittoria dimostrava infatti che la Francia non correva più pericoli immediati, per cui non era più necessario il rigido controllo del Terrore. Alcuni membri della Convenzione e del Comitato accusarono Robespierre di avere ambizioni da tiranno e si organizzarono per estrometterlo dal potere: il 9 termidoro (27 luglio 1794) Robespierre fu ghigliottinato insieme a Saint-Just e ad altri suoi collaboratori. Una nuova svolta condannò dunque l’intransigenza del Terrore e la sua politica che, se da un lato aveva salvato la repubblica dagli attacchi esterni e interni, dall’altro aveva cancellato i valori democratici afermati dai Francesi nel 1789. Dopo il fallimento della monarchia costituzionale e della repubblica, toccava ora ai termidoriani provare a «chiudere la rivoluzione» cercando di condurre la Francia a un nuovo ordine.

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7. Il governo del Direttorio (1795-99) LA REAZIONE TERMIDORIANA

Stampa con un particolare della morte per decapitazione di Robespierre. Parigi, collezione privata.

Il colpo di Stato del 9 termidoro, con l’esecuzione di Robespierre e dei suoi collaboratori, aprì una nuova fase della Rivoluzione francese, detta appunto termidoriana. L’età termidoriana vide una reazione della borghesia benestante alla politica dei giacobini. Infatti i termidoriani attuarono provvedimenti economici, come la liberalizzazione dei commerci, che venivano incontro alle richieste di mercanti, banchieri, afaristi. I giacobini vennero rimossi da ogni incarico politico e amministrativo, quando non perseguitati e imprigionati. Il 12 novembre 1794 venne decretato lo scioglimento del club giacobino. Si difuse il fenomeno della gioventù dorata (jeunesse dorée), associazione, a volte spontanea altre volte organizzata dai controrivoluzionari, di giovani benestanti, detti moscardini per la pastiglia di muschio e spezie che usavano masticare. Essi dettavano legge in fatto di moda, ma si riunivano anche in bande armate per dare la caccia ai giacobini. In alcuni dipartimenti della Francia si scatenò il Terrore bianco (così detto dalla bandiera bianca dei Borboni) con veri e propri massacri nei confronti dei giacobini e dei preti costituzionali. Contemporaneamente si attenuavano le persecuzioni nei confronti dei controrivoluzionari. La Convenzione agevolò in ogni modo, con amnistie o con la restituzione dei beni, i controrivoluzionari che rinunciassero alla lotta contro la repubblica e favorì il rimpatrio di molti nobili emigrati. I provvedimenti economici dei termidoriani causarono un’impennata dell’inflazione e del carovita. I ceti popolari reagirono con agitazioni (1795), duramente represse. Sul piano della politica interna, dunque, i termidoriani dovevano fronteggiare varie dificoltà. Era invece positiva la situazione militare. Nel corso del 1794 l’esercito francese non solo liberò completamente il territorio nazionale, ma occupò nuovamente il Belgio, la Renania e invase l’Olanda. Nel contempo, la prima coalizione andava sgretolandosi. Solo l’Inghilterra e l’Austria intendevano continuare il conflitto con la Francia, ma ciò non sembrava implicare alcuna minaccia imminente.

LA COSTITUZIONE DELL’ANNO III Nell’agosto 1795 la Convenzione approvò una nuova Costituzione, detta dell’anno III, che fu la più compiuta espressione della politica termidoriana. Anche questa Costituzione, come quella del 1791, si apriva con una «Dichiarazione dei diritti», ma l’articolo secondo cui «gli uomini nascono e rimangono liberi ed eguali nei loro diritti» fu sostituito dalla formula «la legge è uguale per tutti», la quale, evidentemente, non metteva in discussione le diversità sociali. Lo Stato, secondo questa nuova concezione, non doveva impegnarsi per eliminare le disuguaglianze, ma solo garantire a tutti la massima libertà

La Rivoluzione francese L’EPOCA DEL DIRETTORIO

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COLPO DI STATO DEL 9 TERMIDORO (1794)

COSTITUZIONE DELL’ANNO III (1795)

DIRETTORIO (5 MEMBRI)

CAMPAGNA D’ITALIA

COLPO DI STATO DEL 18 FRUTTIDORO (1797)

DIRETTORIO (3 MEMBRI)

SPEDIZIONE IN EGITTO

COLPO DI STATO DEL 18 BRUMAIO (1799)

CONSOLATO (3 MEMBRI)

compatibile con l’ordine pubblico. Questa Costituzione eliminò il sufragio universale e ripristinò il criterio censitario: il diritto di voto fu riservato, come nella Costituzione del 1791, ai cittadini maggiorenni che pagavano una determinata imposta sul reddito. Per evitare le degenerazioni dittatoriali che si erano veriicate durante il Terrore, si stabilì una rigorosa separazione dei poteri. Il potere legislativo fu attribuito a un sistema bicamerale rinnovabile ogni anno e quello esecutivo a un Direttorio di 5 membri (uno dei quali doveva essere sostituito ogni anno).

LA POLITICA DEL DIRETTORIO Il clima politico della Francia continuava a essere instabile. Il governo era minacciato sia da destra che da sinistra: dai ilomonarchici, che tentarono un colpo di Stato (ottobre 1795), e da quanto restava del movimento giacobino. Intanto si faceva sempre più acuto il malcontento delle masse popolari, soprattutto a causa del carovita. François-Noël Babeuf (1760-1797), detto signiicativamente Gracco (in ricordo di Tiberio e Gaio Gracco, i tribuni della plebe romani del II secolo a.C.), tentò di organizzare questo malcontento. Babeuf afermava l’uguaglianza fra tutti gli uomini e teorizzava un sistema comunista in cui tutte le terre dovevano essere di proprietà dello Stato. Le diferenze di reddito erano ingiuste perché, afermava, «tutti gli stomaci sono uguali», dunque tutti dovevano poter disporre delle medesime risorse. Babeuf era consapevole che questo rigido ideale si sarebbe potuto imporre solo con una ferrea dittatura. Secondo alcuni storici, questa giustiicazione della dittatura influenzò numerose correnti politiche ottocentesche e novecentesche, in particolare il pensiero marxista-leninista. Babeuf si fece promotore (maggio 1796) della «Congiura degli Eguali», ma la congiura fallì ed egli venne condannato a morte. Uno dei più attivi collaboratori di Babeuf era l’italiano Filippo Buonarroti (1761-1837), un discendente di Michelangelo. Nei primi decenni dell’Ottocento, Buonarroti organizzò in Italia società segrete con programmi radicali e rivoluzionari.

François Bonneville, Babeuf, 1794. Parigi, Biblioteca Nazionale di Francia.

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LA CAMPAGNA D’ITALIA Di fronte alle diicoltà interne, il regime del Direttorio cercò un raforzamento del proprio prestigio sui campi di battaglia. Il piano militare prevedeva di colpire al cuore l’Austria con un attacco su due fronti, dalla Renania e dall’Italia. La campagna d’Italia venne aidata nel 1796 al giovane generale Napoleone Bonaparte (1769-1821). Napoleone si trovò ad agire in un contesto molto favorevole. Infatti in Italia, come nel resto dell’Europa, molti intellettuali e vasti settori delle classi popolari vedevano nella Francia il Paese-guida nella lotta alla tirannia. La propaganda francese seppe sfruttare questo consenso. La rivista «Moniteur» del 25 aprile 1795 prometteva: «Popolo d’Italia, l’esercito francese viene a spezzare le vostre catene, il popolo francese è amico di tutti i popoli». I patrioti italiani, dunque, accolsero con entusiasmo Napoleone come l’eroe che portava con sé i valori della democrazia e della libertà. Napoleone, da parte sua, si dimostrò all’altezza della situazione. Riportò una serie di vittorie fulminee, grazie alle quali la Francia ottenne Nizza e la Savoia, strappate a Vittorio Amedeo III (armistizio di Cherasco, 1796). Di qui proseguì vittorioso verso la Lombardia, occupando con le sue truppe Milano (15 maggio). Napoleone si presentava come il liberatore degli Italiani dai tiranni, ma non ometteva mai di chiedere alle città occupate contributi in denaro per il mantenimento delle sue truppe. Inine giunse nello Stato Pontiicio, dove, dopo aver incontrato qualche resistenza, costrinse il papa alla resa (pace di Tolentino, 1797).

L’Italia tra 1797 e 1799 1. Tra il 1797 e il 1798 Napoleone favorì in tutta Europa la nascita delle cosiddette «repubbliche sorelle», cioè nuovi Stati con regimi simili a quello francese, e dipendenti dalla Francia. Repubbliche di questo genere erano state create anche in Svizzera e nei Paesi Bassi.

1 REPUBBLICA ELVETICA

IMPERO D’AUSTRIA

UB

Campoformio

Veneto

IC A

Milano Lodi

BL

Piemonte

4

Adige

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Venezia SA 3 o P LP IN A DUCATO Cherasco Bologna DI PARMA Genova

Torino

CI

REP. LIGURE REP. DI LUCCA

IMPERO OTTOMANO

Firenze Arno

Toscana

5

Ancona

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REPUBBLICA FRANCESE

TUTOR

Antoine-Jean Gros, Napoleone Bonaparte sul ponte ad Arcole, 1796-97. Versione presente a San Pietroburgo, Museo dell’Hermitage.

REPUBBLICA ROMANA

Corsica

Roma

REPUBBLICA PARTENOPEA Napoli

2 REGNO DI SARDEGNA

Palermo

Stati sotto l’influsso francese Stati occupati dai Francesi Impero austriaco e territorio sotto la sua dominazione Stati occupati dai Borboni

REGNO DI SICILIA

2. Alcuni territori erano stati occupati direttamente dai Francesi, come il Regno di Sardegna, che comprendeva Piemonte e Sardegna. Il giovane re, Carlo Emanuele IV, era dovuto fuggire dalla capitale, Torino, e si era rifugiato in Sardegna insieme alla corte. 3. In Italia, le principali repubbliche sorelle erano la Repubblica cisalpina (Lombardia ed Emilia Romagna), la Repubblica ligure (l’ex Repubblica di Genova), la Repubblica partenopea (Italia del Sud). Persino il regime dello Stato Pontificio, il cui territorio era considerato proprietà privata della Chiesa, era stato rovesciato ed era nata la Repubblica romana. 4. Non tutta l’Italia era sotto il dominio francese. Il territorio della Repubblica di Venezia era diventato parte integrante dell’Impero d’Austria. Napoleone, infatti, dopo aver invaso lo Stato veneziano, lo aveva ceduto all’Austria tramite il Trattato di Campoformio (1797). 5. Anche la Toscana, dopo essere stata occupata dai Francesi, era sotto l’influenza dell’Austria, ma solo fino al trattato di Lunéville del 1801, quando verrà ceduta alla Francia.

6 6. La Sicilia era l’unico territorio rimasto alla dinastia dei Borboni, che prima dell’arrivo di Napoleone governavano sull’intera Italia del Sud. Dovettero quindi rifugiarsi sull’isola, dove regnarono grazie alla protezione inglese.

La Rivoluzione francese

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Per il governo del Direttorio l’ofensiva sul territorio italiano doveva servire come carta da utilizzare nelle trattative di pace e come fonte di guadagno attraverso l’imposizione di tributi. Questa strategia escludeva la prosecuzione della guerra. Napoleone invece agì secondo le proprie ambizioni, andando ben oltre le intenzioni del Direttorio. Aiutò i repubblicani di Modena e Reggio Emilia a costituire la Repubblica cispadana (in latino «al di qua del Po»), che si unì poi alla Lombardia dando vita alla Repubblica cisalpina (in latino «al di qua delle Alpi»). La Repubblica cispadana nel 1797 adottò la bandiera tricolore che sarebbe poi diventata la bandiera italiana. Queste repubbliche vennero deinite «sorelle» perché vi furono instaurati, con l’aiuto delle armi, regimi simili a quello francese e a questo collegati. Successivamente Napoleone prese Mantova, dove si erano asserragliati gli Austriaci, e portò il suo esercito nel territorio austriaco, giungendo ino a Leoben (a circa cento chilometri da Vienna). Contemporaneamente dichiarò guerra a Venezia e se ne impadronì. Fu questa una carta importante per concludere la pace con l’Austria, che infatti irmò il Trattato di Campoformio (17 ottobre 1797). Secondo questo trattato, l’Austria rinunciava al Belgio e alla Renania e cedeva la Lombardia riconoscendo la Repubblica cisalpina; in cambio otteneva da Napoleone il territorio di Venezia, che perdeva la propria libertà. Negli Italiani, che avevano visto in Napoleone il liberatore, all’entusiasmo subentrarono la delusione e l’amarezza. Si comprese infatti quanto l’interesse di Napoleone per l’Italia fosse essenzialmente di ordine strategico, politico ed economico. Fra il 1797 e il 1798 sorsero in Europa nuove repubbliche sorelle della Francia. Nel giugno 1797 venne proclamata la Repubblica ligure e in dicembre la Repubblica elvetica. Nel febbraio 1798, l’esercito francese invase lo Stato Pontiicio – con il pretesto di reprimere manifestazioni popolari antifrancesi – dando vita alla Repubblica romana. Benché fossero dette anche «giacobine», queste repubbliche in realtà non ebbero mai caratteristiche radicali: in genere la loro Costituzione fu modellata su quella francese del 1795 e il potere fu sempre esercitato da nobili e borghesi di orientamento moderato. Tuttavia la presenza francese portò una serie di riforme politiche e amministrative, come l’istituzione dello stato civile (cioè l’uicio comunale con il compito di registrare nascite, morti e matrimoni). Molto importante poi fu il dibattito sviluppatosi tra gli intellettuali sui problemi economici e politici dell’Italia, che si sarebbe poi approfondito nei primi decenni dell’Ottocento.

IL COLPO DI STATO DI FRUTTIDORO Il Direttorio fu costretto a ratiicare l’operato di Napoleone perché la Francia si trovava in una situazione di grande instabilità politica. I monarchici stavano ottenendo consensi sempre più ampi, tanto che un loro esponente era stato eletto tra i membri del Direttorio. La maggioranza del Direttorio, allora, attuò il colpo di Stato del 18 fruttidoro (4 settembre 1797): Parigi fu occupata dai militari e il potere venne assunto da un triumvirato (formato da Barras, La Révellière-Lépaux, Reubell) che impose leggi eccezionali contro gli oppositori politici e limitò la libertà di stampa.

LA SPEDIZIONE IN EGITTO La Gran Bretagna era rimasta l’unica avversaria della Francia. La potenza inglese si fondava sul dominio militare e commerciale dei mari. Ritenuta impraticabile l’ipotesi di un’invasione della Gran Bretagna, il governo francese progettò una campagna volta a conquistare l’Egitto. La conquista dell’Egitto avrebbe permesso alla Francia di controllare i traici nel Mediterraneo, escludendo gli Inglesi da una delle vie che portavano alle Indie. Inoltre la Francia si sarebbe assicurata una base per una eventuale espansione nel Medio Oriente. La spedizione, guidata da Bonaparte, partì da Tolone il 19 maggio 1798, con un seguito di studiosi, scienziati e letterati che contribuirono a portare alla luce e a decifrare i

LESSICO

LE «REPUBBLICHE SORELLE»

COLPO DI STATO Praticamente tutte le trasformazioni istituzionali dell’età napoleonica sono avvenute attraverso colpi di Stato. In generale, per colpo di Stato si intende il sovvertimento di uno Stato da parte di organi dello Stato stesso, che porta all’instaurazione di un nuovo potere. Si tratta di una violazione deliberata della Costituzione da parte di coloro che detengono l’autorità. Viene generalmente attuato da uno dei settori chiave dello Stato, solitamente dai capi militari o con il loro assenso. Oggi la riuscita di un colpo di Stato dipende dalla capacità di impadronirsi dei centri del potere tecnologico (reti di telecomunicazione, centrali elettriche, nodi ferroviari e stradali) per giungere a controllare gli organi del potere politico, attraverso un’azione improvvisa e che riduca al minimo quella violenza indispensabile all’attuazione del colpo di Stato stesso. Storicamente, le conseguenze di un colpo di Stato sono: l’instaurazione di un nuovo potere, il potenziamento dell’apparato di controllo poliziesco, l’eliminazione delle forme di aggregazione politica come i partiti e i sindacati.

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LETTERATURA E STORIA

UNITÀ 4

Il resto di niente Enzo Striano (1927-1987)

Il romanzo racconta la vita di Eleonora de Fonseca Pimentel, nobildonna napoletana di origine portoghese, dalla sua infanzia fino all’impegno a favore della rivoluzione giacobina che scoppiò a Napoli nel 1799. Eleonora, donna colta e sensibile, si interessa alle idee liberali provenienti dalla Francia e si fa coinvolgere

nei moti che tentano di abbattere il sistema feudale ancora in vita nel Regno di Napoli, e di superare la grave arretratezza politica, sociale, culturale dell’Italia meridionale. Ma le aspirazioni degli intellettuali che capeggiano la rivoluzione non incontrano le simpatie del popolo, che si rivolta contro i suoi liberatori. Per Eleonora e gli altri protagonisti dei moti si prepara una tragica fine.

documenti della civiltà egizia. Dopo alcuni iniziali successi, l’impresa si rivelò più diicile del previsto. L’ammiraglio inglese Horatio Nelson (1758-1805) distrusse la flotta francese nella rada di Abukir (1 agosto). Approittando delle diicoltà della Francia, l’Inghilterra organizzò la seconda coalizione (1798), cui aderirono l’Austria, la Russia, il Regno di Napoli e la Turchia, che controllava formalmente il territorio egiziano. La guerra così riesplose in Europa. Nel gennaio del 1799, il Direttorio inviò un corpo di spedizione contro il Regno di Napoli, dando vita alla Repubblica partenopea. La Francia giunse così a controllare la maggior parte del territorio italiano, ma non per molto. Infatti l’esercito austro-russo scatenò un’ofensiva che costrinse i Francesi ad abbandonare non solo i territori italiani, ma anche la Svizzera e la Renania. Dopo anni di straordinarie vittorie, la Francia tornava a conoscere la minaccia dell’invasione straniera. Nell’agosto 1799, Napoleone, ormai consapevole del fallimento della spedizione egiziana e preoccupato per gli eventi europei, intraprese un avventuroso rientro in patria. Nel frattempo, il generale francese Masséna sconisse a Zurigo l’esercito russo (settembre 1799), scongiurando così l’invasione della Francia. Jean-Léon Gérôme, Napoleone e i suoi generali in Egitto, 1863. San Pietroburgo, Museo dell’Hermitage.

IL COLPO DI STATO DI BRUMAIO La situazione bellica produsse gravi conseguenze sul quadro politico. In Italia, le repubbliche cedettero rapidamente alla restaurazione dei regimi precedenti. Nella Repubblica partenopea un uomo di iducia dei Borboni, il cardinale Fabrizio Rufo, organizzò una rivolta popolare che riportò al potere la famiglia reale. I patrioti che avevano dato vita alla repubblica furono oggetto di una dura repressione. Questa non fu l’unica manifestazione di resistenza popolare alla rivoluzione: al contrario, tra il 1796 e il 1815,

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tutta la Penisola (con la sola eccezione della Sicilia) fu punteggiata da rivolte che coinvolsero circa 300 000 persone. Queste rivolte sono state chiamate «insorgenze»: secondo alcuni studiosi, si tratterebbe di una «Vandea italiana», cioè di una reazione cattolica e ilomonarchica al giacobinismo francese; secondo altri, invece, queste rivolte avrebbero avuto un carattere spiccatamente locale e sarebbero state originate soprattutto dalla crisi economica della seconda metà del Settecento. Intanto in Francia, l’andamento sfavorevole della guerra indebolì ulteriormente il governo. All’interno dello stesso Direttorio maturò il progetto di un nuovo colpo di Stato che consentisse di modiicare la Costituzione in senso autoritario. Napoleone appariva a tutti l’uomo giusto per questa impresa, in virtù della sua intraprendenza e del prestigio di cui godeva grazie ai successi militari. Il colpo di Stato fu organizzato con cura. Venne difusa la notizia, falsa e infondata, di un complotto giacobino. Così il 18 brumaio (9 novembre 1799) il Direttorio venne sciolto e il governo venne affidato a tre consoli, dei quali il più potente era lo stesso Napoleone. Vennero costituite due commissioni con l’incarico di elaborare una nuova Costituzione. Con questo colpo di Stato crollò gran parte dei princìpi liberali e democratici afermati dalla rivoluzione. Non fu, però, un ritorno all’Antico regime. Napoleone difese, con il nuovo regime autoritario fondato sui notabili, le nuove posizioni acquisite dall’alta borghesia, contro ogni tentativo di radicalizzazione democratica ma anche contro ogni controrivoluzione aristocratica.

François Bouchot, Il generale Napoleone Bonaparte nella sala del Consiglio dei Cinquecento a SaintCloud, 1840. Versailles, reggia.

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Che cosa si intende per reazione «termidoriana»? ƒ Quali princìpi rivoluzionari furono riaffermati e quali, invece, furono abbandonati? ƒ Verso quali Paesi si rivolse l’espansionismo della Francia rivoluzionaria? ƒ In quali imprese si distinse il giovane Napoleone Bonaparte? ƒ Quali conseguenze ebbe la rivoluzione sulla situazione italiana?

Le insorgenze: una Vandea italiana? L’adesione all’esercito controrivoluzionario del cardinale Ruffo non fu l’unica manifestazione di resistenza popolare al giacobinismo. Al contrario, tra il 1796 e il 1815, tutta la Penisola (con la sola eccezione della Sicilia) fu punteggiata da rivolte popolari che coinvolsero circa 300 000 persone: queste insurrezioni sono tradizionalmente chiamate insorgenze. Secondo lo storico Massimo Viglione, rappresentante della storiografia cattolica tradizionalista, si trattò essenzialmente di una reazione al tentativo francese e giacobino di «sconvolgere con le istanze rivoluzionarie una civiltà da secoli cristiana e monarchica». Non a caso, le bandiere dei rivoltosi erano quelle papaline

anche fuori dello Stato Pontificio, le loro grida di guerra «Viva Gesù» e «Viva Maria». Secondo Viglione, dunque, ci troveremmo di fronte a una Vandea italiana: le insorgenze pertanto sono «rivolte dimenticate», dimenticate deliberatamente da una storiografia prevalentemente filogiacobina. La storiografia laica respinge questa interpretazione, contestando sia il carattere «nazionale» del fenomeno, sia la sua natura eminentemente cattolica. Si sarebbe trattato invece, secondo Anna Maria Rao, di rivolte con profonde caratterizzazioni locali, originate soprattutto dalla crisi economica della seconda metà del Settecento.

APPROFONDIMENTO

La Rivoluzione francese

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8. Il bilancio: l’avvento di un mondo nuovo RIVOLUZIONE E MONDO CONTEMPORANEO Gli storici indicano tradizionalmente la data della presa della Bastiglia, il 14 luglio 1789, come l’inizio dell’Età contemporanea. In efetti, la Rivoluzione francese produsse un mondo politico completamente nuovo. Lo mette ben in evidenza la tabella che vedi qui sotto: tutte le realtà sociali e politiche dell’Antico regime appaiono sovvertite. PRIMA E DOPO LA RIVOLUZIONE Prima della rivoluzione

TUTOR Dopo la rivoluzione

Il sovrano

Il potere assoluto appartiene al re (sovrano è il re).

Il potere appartiene al popolo (sovrano è il popolo).

La società

La società è divisa in tre stati o ordini: il clero, la nobiltà e il Terzo stato. I generali, i vescovi e i cardinali sono scelti solo tra i nobili.

Tutti gli uomini sono giuridicamente uguali: hanno uguali diritti e uguali doveri. Tutti possono diventare generali, vescovi e cardinali.

La legge

Clero e nobiltà hanno molti privilegi: non solo non pagano le tasse allo Stato, ma ne pretendono dal popolo che vive nelle loro terre.

La legge è uguale per tutti: tutti devono pagare le tasse allo Stato secondo il loro reddito.

Il potere

Il re governa per diritto divino, mentre Il popolo elegge i suoi rappresentanti il clero e i nobili lo consigliano e che formano il Parlamento e il occupano posti di comando. governo.

La libertà

Non vi è la possibilità di manifestare liberamente il proprio pensiero, né la libertà di organizzarsi politicamente, né la libertà economica.

Il bene comune Gli ordini contribuiscono al bene comune secondo il proprio ruolo: il clero pregando; la nobiltà difendendo il Paese e governando; il Terzo stato lavorando.

Vi è la possibilità di manifestare liberamente il proprio pensiero, la libertà di organizzarsi politicamente, la libertà economica. Non vi sono ruoli specifici: tutti devono contribuire al bene comune e partecipare alla difesa del Paese.

I ceti dominanti Il re, il clero e i nobili dominano la La borghesia domina la società grazie società: il re perché «così Dio ha alla sua ricchezza. voluto»; il clero per mezzo della forza spirituale della Chiesa; i nobili grazie ai diritti legati alla loro nascita. In sintesi

COMPETENZE

USARE LE FONTI

Una rivoluzione borghese e liberale o dispotica? Pag. 134

La società si fonda sulla tradizione: è giusto tutto ciò che proviene dal passato.

La società si fonda sui tre princìpi della Rivoluzione francese: libertà, uguaglianza, fraternità.

L’importanza fondamentale degli eventi francesi è dunque evidente. Ciò che semmai suscita discussione tra gli storici è l’elaborazione di un giudizio complessivo sulla rivoluzione: come deve essere valutato il suo contributo? Concorse efettivamente ad afermare le libertà di cui godiamo oggi? E la violenza del Terrore, può essere giustiicata? Gli storici che difendono la rivoluzione rispondono positivamente a queste domande: a loro avviso, le conquiste liberali (la Costituzione, il riconoscimento dei diritti dei cittadini ecc.) che caratterizzarono l’Ottocento sono un’eredità della rivoluzione; e il Terrore fu solo una fase, oltretutto resa necessaria dalla guerra e dall’opposizione dei controrivoluzionari. Gli storici che condannano la rivoluzione respingono questi argomenti. Il più famoso tra

questi, il francese François Furet, sostiene che la Rivoluzione francese si rivelò sin dall’inizio incompatibile con i princìpi di uguaglianza e libertà afermati dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino: il Terrore, dunque, non sarebbe stato imposto dalle circostanze ma sarebbe espressione della natura dispotica dei rivoluzionari. Il dibattito è tuttora acceso, a dimostrazione dell’importanza fondamentale che la rivoluzione ha avuto nella nostra storia, comunque la si giudichi. Tuttavia non va dimenticato che il mondo di oggi è frutto di un processo molto complesso e che la Rivoluzione francese non fu che un episodio: nella sostanza, è necessario riconoscere nell’origine dell’Età contemporanea il concorso di altre rivoluzioni, come quella inglese, quella americana e soprattutto la rivoluzione industriale (vedi unità 6).

L’ESCLUSIONE DELLE DONNE Il rinnovamento prodotto dalla Rivoluzione francese non fu risolutivo a proposito dell’emancipazione femminile. Infatti, sia la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino sia la Costituzione del 1791 e poi quella successiva del 1793 non concessero diritti civili e politici alle donne. Sebbene le donne avessero preso parte attivamente a tutte le fasi della rivoluzione, i costituenti non riconobbero politicamente il loro ruolo. L’esclusione dalla piena cittadinanza dipendeva dall’idea che le donne fossero mogli, madri e educatrici del cittadino ma non cittadine in proprio. Non si trattava di una deliberata opposizione al ruolo politico delle donne, ma di una concezione che voleva la donna dedita alla casa e alla famiglia «per natura». L’uguaglianza rivoluzionaria si fermava dunque di fronte a presunte diferenze «naturali»: questa idea permarrà a lungo nella mentalità anche degli spiriti più progressisti. Pertanto i diritti che derivavano dal far parte della nazione valevano esclusivamente per gli uomini.

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LESSICO

La Rivoluzione francese

EMANCIPAZIONE FEMMINILE Emancipare significa affrancare, liberare: l’emancipazione femminile è quindi il processo attraverso cui le donne si sono liberate dalle limitazioni che le costringevano al ruolo di mogli e madri e impedivano loro un pieno accesso alla vita sociale e politica. Acquarello anonimo del XVIII secolo che ritrae Olympe de Gouges.

OLYMPE DE GOUGES In realtà negli anni della rivoluzione circolarono diversi Cahiers de doléances che rivendicarono per la prima volta i diritti politici e denunciarono l’emarginazione femminile. Ancora piu signiicativo fu il coraggio di Olympe de Gouges (1748-1793), autrice di una Dichiarazione dei diritti tutta al femminile. Originaria di un piccolo paese della Provenza e proveniente da una famiglia di modeste origini, Olympe de Gouges sposò un ricco mercante di Parigi. Rimasta vedova, frequentò i circoli letterari della capitale e scrisse diverse opere teatrali che afrontavano i temi dei diritti civili, in particolare i diritti dei neri nelle colonie. Nel 1791 scrisse e dedicò alla regina Maria Antonietta la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, sul modello della Dichiarazione dei diritti emanata dall’Assemblea Nazionale il 26 agosto 1789. Olympe afermava che «l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti della donna sono le sole cause delle pubbliche sciagure e della corruzione dei governi» e che «la donna nasce libera e rimane uguale all’uomo per quanto riguarda i diritti». La sovranità spetta alla nazione che però va intesa come «la riunione della donna e dell’uomo». Tutte le cittadine e tutti i cittadini devono poter concorrere alla volontà generale: dunque tutti i cittadini devono godere del diritto di voto, anche le donne: «Tutte le cittadine e tutti i cittadini – scrive Olympe – essendo uguali davanti alla legge, dovranno essere ugualmente ammessi a tutti gli uici e incarichi pubblici, secondo le loro capacità». Del resto, se «la donna ha il diritto di salire al patibolo, deve ugualmente avere anche il diritto di salire sulla tribuna», ovvero avere piena possibilità di espressione e partecipazione. E purtroppo fu proprio questa la sorte che toccò a Olympe: nell’epoca del Terrore, la fedeltà alla monarchia la portò a schierarsi contro la condanna a morte di Luigi XVI e a pronunciare parole molto dure contro Robespierre. Per questa scelta inì sulla ghigliottina il 3 novembre 1793.

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Perché gli storici riconoscono nel 14 luglio 1789 l’inizio dell’Età contemporanea? Argomenta utilizzando la tabella tutor. ƒ Sulla base di quale idea i rivoluzionari esclusero le donne dalla cittadinanza? ƒ Chi fu Olympe de Gouges? Che cosa sosteneva nel suo scritto?

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Dal passato al presente

Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino in una stampa dell’epoca.

Dobbiamo alla Rivoluzione francese la prima vera e propria carta formale dei diritti dell’uomo, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, secondo la quale nessuno poteva sopprimere diritti quali la libertà personale o l’uguaglianza di fronte alle leggi. L’organizzazione data dalla rivoluzione al territorio della Francia ha comportato anche lo sviluppo moderno della burocrazia, ossia degli uici (dal francese bureau cioè uicio) delegati dal potere centrale alla gestione dei diversi settori dell’amministrazione. Un’altra grande rivoluzione si compie in quegli stessi anni: nel 1783, per la prima volta, un uomo si eleva nell’aria e compie un breve volo con la mongoliera, il primo aerostato che dà inizio alla storia aeronautica.

I diritti umani UN LUNGO CAMMINO

IERI

I diritti umani coincidevano con i diritti alla libertà e con i diritti civili, ma si applicavano a fasce limitate di popolazione OGGI

I diritti civili e politici sono stati ampliati e sono stati definiti nuovi particolari diritti sociali che tutelano tutti gli aspetti della vita umana

Nel corso della storia il concetto e il contenuto di diritto umano si è via via ampliato. Nelle società antiche, ad Atene e a Roma, esistevano dei diritti che però venivano riconosciuti solo alla categoria dei cittadini che non comprendeva tutta la popolazione. La Magna Charta Libertatum (1215) e l’Habeas Corpus (1679) possono essere considerati i progenitori dei moderni documenti di tutela dei diritti dell’uomo, ma anch’essi escludevano una parte della popolazione. Nel 1689, in Inghilterra venne approvato anche il cosiddetto Bill of Rights (la Carta dei diritti fondamentali) in cui si afermano la libertà di religione, di parola e di stampa. La svolta decisiva, però, è rappresentata dalla Dichiarazione d’indipendenza delle colonie americane (1776) e soprattutto dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino sancita dall’Assemblea Nazionale in Francia il 26 agosto 1789, che riconoscono una serie di diritti a tutti i cittadini senza distinzione.

DIRITTI, NON PRIVILEGI Nella cultura d’Antico regime non c’era spazio per il diritto se non inteso come privilegio. È facile quindi comprendere la profondità della rottura prodotta dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, che all’articolo 1 afermava solennemente: «Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità co-

mune». Veniva così respinta la distinzione in ordini e, coerentemente, con l’articolo 6 si rivendicava l’uguaglianza di fronte alla legge e, con il 13, quella iscale. In modo ancora più netto il preambolo alla Costituzione del 1791 avrebbe afermato: «Non esistono più né nobiltà, né titolo e dignità di pari, né distinzioni ereditarie o di ordine, né regime feudale, né giustizia patrimoniale, né alcuno dei titoli, denominazioni e prerogative che ne discendono, né alcun ordine di cavalleria, né alcuna delle corporazioni o decorazioni per le quali si esigevano prove di nobiltà, o che presupponevano distinzioni di nascita, né alcun altro titolo di superiorità se non quello dei funzionari pubblici nell’esercizio delle loro funzioni. Non esistono più né venalità, né ereditarietà di alcun pubblico uicio. Non esiste più per alcuna parte della nazione né per alcun individuo alcun privilegio, né eccezione al diritto comune di tutti i Francesi».

I LIMITI DEL POTERE POLITICO Ciò che più stava a cuore ai costituenti, afermando la libertà e l’uguaglianza originaria degli uomini, era la deinizione della natura e dei limiti del potere politico. Recita, infatti, l’articolo 2: «Il ine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione». Come già aveva sostenuto il ilosofo inglese

La Rivoluzione francese John Locke, dunque, la sovranità dello Stato era esplicitamente limitata dai diritti dei cittadini, i quali, non a caso, possono legittimamente «resistere all’oppressione».

DIRITTI E SOVRANITÀ NAZIONALE È interessante osservare che la Dichiarazione francese costituisce un passo avanti anche rispetto al Bill of Rights (1689) imposto dal Parlamento inglese al nuovo sovrano, Guglielmo d’Orange: sotto il proilo teorico, infatti, quella carta concepiva i diritti dei cittadini come «concessioni del sovrano»; al contrario, i Francesi afermarono con nettezza l’idea che i diritti preesistessero al potere del re. Si tratta di un’innovazione di straordinario rilievo che rovescia radicalmente la prospettiva tradizionale del pensiero politico classico: in primo piano, infatti, non stanno più gli obblighi degli individui – a partire dalla sottomissione all’autorità sovrana – ma i diritti degli individui, ovvero gli obblighi dei sovrani. Conseguente a questo rovesciamento, un altro radicale capovolgimento: il potere sugli uomini non proviene dall’alto (come avevano sostenuto i teorici dell’origine divina dell’autorità regale) ma dal basso, cioè dagli individui che costituiscono la società (la nazione), fondamento ultimo di ogni sovranità, come si aferma nell’articolo 3 della Dichiarazione: «Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella nazione. Nessun corpo o individuo può esercitare un’autorità che non emani espressamente da essa». Era una condanna senza appello per l’assolutismo monarchico.

131 scindere dalla lingua, dalla religione, dalla cultura o da qualsiasi altra possibile limitazione, è un’acquisizione dei nostri tempi e viene deinito per la prima volta dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, proclamata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948. Oggi i diritti umani sono riconosciuti dalle Costituzioni dei Paesi democratici e, attraverso l’ONU, tendono a diventare oggetto di tutela internazionale. Si sono ampliati comprendendo i diritti sociali (istruzione, salute, infanzia, difesa dell’ambiente) e di solidarietà verso i popoli che appunto sono ancora privi dei diritti fondamentali: si parla di diritto alla vita, alla pace e allo sviluppo. L’ONU ha elaborato una folta serie di iniziative importanti per la promozione e la tutela dei diritti, estendendoli a particolari categorie di individui: donne, bambini, rifugiati. Nei Paesi soggetti a regimi autoritari i diritti fondamentali vengono ancora disattesi, viene impiegata la tortura, viene negata l’istruzione alle donne e ai poveri: è dunque necessario ancora oggi un grande impegno da parte dei Paesi democratici per sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale sui temi dei diritti dell’uomo.

In questa stampa si legge la Carta dei diritti fondamentali (Bill of Rights) ratificata da re Guglielmo d’Orange e dalla regina Maria Stuart prima della loro incoronazione.

I DIRITTI UMANI OGGI

DESTRA E SINISTRA La distinzione ideologica, politica e parlamentare fra la destra e la sinistra ha origine durante la Rivoluzione francese dalla collocazione dei deputati nell’Assemblea Legislativa del 1791. A destra infatti sedevano i più moderati, a sinistra i più accesi sostenitori della rivoluzione. Così ancora oggi, in tutti parlamenti del mondo occidentale, alla destra del presidente dell’assemblea siedono i conservatori, a sinistra i progressisti e agli estremi, i più radicali dell’una e dell’altra fazione. SILHOUETTE È un ritratto che si limita a riprodurre solo il profilo del volto o il contorno del corpo di una persona. La caratteristica specifica di questa tecnica consiste nell’esiguità della materia e la riduzione al minimo dei segni: infatti il termine deriva dal nome del ministro delle finanze francese Étienne de Silhouette (1709-1796), noto per l’amministrazione assai parsimoniosa. Nel linguaggio corrente, indica un corpo femminile agile e slanciato.

PAROLE IN EREDITÀ

Il concetto di diritti umani universali, riconosciuti cioè a tutti gli uomini, a pre-

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COMPETENZE: USARE LE FONTI

La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino DOCUMENTO È certamente il documento più famoso di tutta la Rivoluzione francese, destinato a divenire un punto di riferimento per i movimenti liberali e democratici e per le costituzioni del secolo successivo. Nella cultura dell’Antico regime non c’era spazio per il diritto se non inteso come privilegio.

È facile quindi comprendere la profondità della rottura della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Fin dall’articolo 1 veniva respinta la distinzione in ordini e, coerentemente, con l’articolo 6 si rivendicava l’uguaglianza di fronte alla legge e, con il 13, quella iscale.

I Rappresentanti del Popolo Francese, costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell’uomo siano le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo, affinché questa dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, rammenti loro incessantemente i loro diritti e i loro doveri; affinché maggior rispetto ritraggano gli atti del Potere legislativo e quelli del Potere esecutivo dal poter essere in ogni istante paragonati con il fine di ogni istituzione politica; affinché i reclami dei cittadini, fondati d’ora innanzi su dei princìpi semplici e incontestabili, abbiano sempre per risultato il mantenimento della Costituzione e la felicità di tutti. In conseguenza, l’Assemblea Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’Essere supremo, i seguenti diritti dell’uomo e del cittadino:

società. Tutto ciò che non è proibito dalla Legge non può essere impedito, e nessuno può essere costretto a fare ciò che essa non ordina.

Art. 1 – Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune. Art. 2 – Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili dell’uomo. Questi sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione. Art. 3 – Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione. Nessun corpo o individuo può esercitare un’autorità che non emani espressamente da essa. Art. 4 – La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce agli altri: così, l’esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti. Questi limiti sono determinati solo dalla Legge. Art. 5 – La Legge ha il diritto di proibire le azioni nocive alla

Art. 6 – La Legge è espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno il diritto di concorrere, personalmente o mediante i loro rappresentanti, alla sua formazione. Essa deve essere uguale per tutti, sia che protegga sia che punisca. Tutti i cittadini, essendo uguali ai suoi occhi, sono ugualmente ammissibili a tutte le dignità, posti e impieghi pubblici secondo la loro capacità, e senza altra distinzione che quella delle loro virtù e dei loro talenti. Art. 7 – Nessun uomo può essere accusato, arrestato o detenuto se non nei casi contemplati dalla Legge e secondo le forme che essa prescrive. Coloro che promuovono, trasmettono, eseguono o fanno eseguire ordini arbitrari debbono essere puniti; ma ogni cittadino, chiamato o arrestato in forza della Legge, deve obbedire all’istante. Egli si rende colpevole resistendo. Art. 8 – La Legge non deve stabilire che pene strettamente ed evidentemente necessarie e nessuno può essere punito se non in forza di una Legge stabilita e promulgata anteriormente al delitto e legalmente applicata. Art. 9 – Essendo ciascun cittadino presunto innocente finché non è stato dichiarato colpevole, quando è necessario arrestarlo, ogni rigore non necessario per assicurarsi della sua persona deve essere severamente represso dalla Legge. Art. 10 – Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose, purché la manifestazione di esse non turbi l’ordine pubblico stabilito dalla Legge. Art. 11 – La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo: ogni cittadino può parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla Legge.

La Rivoluzione francese

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Art. 12 – La garanzia dei diritti dell’uomo e del cittadino rende necessaria una forza pubblica; questa è dunque istituita per vantaggio di tutti, e non per l’utilità particolare di coloro ai quali è affidata. Art. 13 – Per il mantenimento della forza pubblica e per le spese d’amministrazione, è indispensabile un contributo comune: esso deve essere ugualmente ripartito fra tutti i cittadini, in ragione delle loro sostanze. Art. 14 – Tutti i cittadini hanno il diritto di constatare da se stessi o per mezzo dei loro rappresentanti la necessità dei contributi pubblici, di consentirli liberamente, di controllarne l’impiego e di determinarne la quota, la distribuzione, l’esazione e la durata. Art. 15 – La società ha diritto di chiedere conto a ogni pubblico ufficiale della sua amministrazione. Art. 16 – Ogni società nella quale non sia assicurata la garanzia dei diritti e determinata la separazione dei poteri, non ha costituzione. Art. 17 – La proprietà, essendo un diritto inviolabile e sacro, non potrà essere tolta in nessun caso, salvo quello in cui la necessità pubblica, legalmente constatata, lo esiga chiaramente e sempre con la condizione d’una precedente giusta indennità.

La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (incisa nel bronzo). Parigi, Museo Carnavalet.

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

ƒ Quali princìpi si annunciano nel preambolo? ƒ Che cosa significa che le distinzioni sociali sono fondate sull’utilità comune? ƒ Quali sono i diritti naturali dell’uomo? ƒ In chi risiede la sovranità? Che cosa significa? ƒ Nella Dichiarazione si enunciano libertà negative e libertà positive: quali sono? ƒ Che cosa significa che «la legge» è espressione della volontà generale? ƒ Quali garanzie si prevedono per il cittadino accusato di qualche reato? ƒ Come devono essere ripartite le tasse, intese come contributo per un servizio comune? ƒ Come viene considerata la proprietà privata?

ƒ Rispetto alla ripartizione in ordini dell’Antico regime, che tipo di società presenta questa Dichiarazione? ƒ Attribuendo allo Stato la difesa dei diritti naturali dei cittadini, a quale concezione della sovranità si fa riferimento? ƒ In quali punti della Dichiarazione si riprendono le idee di Rousseau?

RIELABORARE, DISCUTERE, REINTERPRETARE ƒ Il Bill of Rights del 1689, la Dichiarazione d’indipendenza americana e la Costituzione degli Stati Uniti, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino della Rivoluzione francese costituiscono per la cultura occidentale le tappe fondamentali della storia della democrazia. Ripercorri queste tappe evidenziando di volta in volta le innovazioni introdotte nei rispettivi documenti. Paragonali, infine, con la nostra Costituzione repubblicana. Quali diritti in più sono previsti nella Costituzione italiana?

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COMPETENZE: USARE LE FONTI

Una rivoluzione borghese e liberale o dispotica? STORIOGRAFIA Chi furono i veri arteici del processo rivoluzionario? I ricchi borghesi, che rivendicavano una partecipazione politica pari al loro peso economico, le élites o gli strati più deboli della popolazione (contadini e sanculotti), mossi dalla miseria e dalla fame? È questa una delle questioni interpretative più discusse. Nell’Ottocento, nel clima culturale del Romanticismo, lo storico francese Jules Michelet (1798-1874) fu tra i sostenitori della tesi «miserabilista», che attribuiva ai «miseri», ai ceti popolari, una funzione rilevante all’interno della rivoluzione. Ai primi del Novecento, invece, Jean Jaurès (1859-1914), nella sua Storia socialista della Rivoluzione francese, pose l’accento sul ruolo dei borghesi ricchi. Jaurès diede inizio alla storiograia marxista della rivoluzione, una tendenza interpretativa ripresa da studiosi come Georges Lefebvre (1874-1959) e Albert Soboul, che rappresentano la cosiddetta «storiograia classica» sulla Rivoluzione francese. Secondo questa impostazione, la rivoluzione aveva segnato il superamento della società feudale e l’avvento della borghesia e del capitalismo. Contemporaneamente, per i suoi valori di libertà e di uguaglianza e soprattutto per l’opera dei giacobini, rappresentò un momento fondamentale nell’emancipazione delle classi oppresse. In questa prospettiva la rivoluzione fu un evento centrale non solo della storia di Francia ma di tutto il mondo.

Albert Soboul

Una rivoluzione borghese Albert Soboul (1914-1982), storico di ispirazione marxista, è stato docente all’Università di Clermont-Ferrand. Considerato uno dei massimi esperti della Rivoluzione francese, ha dedicato particolare attenzione agli aspetti legati ai movimenti di massa. Tra gli scritti più importanti, ricordiamo: La Rivoluzione francese (1948); Movimento popolare e rivoluzione borghese. I sanculotti parigini nell’anno II (1958); Robespierre (1958); La società francese nella seconda metà del Settecento (1966).

avrebbero mobilitate al servizio della rivoluzione borghese; ma ciò, a parere di Jaurès, non fu che un puro fatto casuale. In realtà, il male era più profondo e colpiva l’economia francese in tutti i settori. La miseria mise in moto le masse popolari nel momento stesso in cui la borghesia, dopo un’ascesa senza precedenti, era colpita nei suoi redditi e nel suo profitto. La regressione economica e la crisi ciclica apertasi nel 1788 furono le prime responsabili degli eventi dell’Ottantanove: la loro conoscenza illumina di nuova luce il problema delle origini immediate della rivoluzione. Al di là, però, delle determinazioni economiche, che spiegano una certa data, agivano gli antagonismi sociali fondamentali. Le cause profonde della Rivoluzione francese vanno ricercate nelle contraddizioni, sottolineate da Barnave1, tra le strutture e le istituzioni dell’Antico regime da un lato, e il movimento economico e sociale dall’altro. Alla vigilia della rivoluzione, i quadri della società erano ancora aristocratici; il regime della proprietà fondiaria conservava una struttura feudale; il peso dei diritti feudali e delle decime ecclesiastiche era intollerabile per il mondo cittadino. E ciò mentre si sviluppavano i nuovi mezzi di produzione e di scambio, sui quali sorgeva la potenza economica borghese. L’ordinamento sociale e politico dell’Antico regime, che consacrava i privilegi dell’aristocrazia fondiaria, ostacolava lo sviluppo della borghesia. La Rivoluzione francese fu, secondo l’espressione di Jaurès, una rivoluzione «largamente borghese e democratica», e non già una rivoluzione «strettamente borghese e conservatrice» come la «rispettabile» Rivoluzione inglese del 1688. Essa fu tale grazie all’appoggio delle masse popolari mosse dall’odio per il privilegio e sollevate dalla fame, desiderose di liberarsi dal peso della feudalità. Uno dei fini essenziali della rivoluzione fu la distruzione del regime feudale e l’emancipazione dei contadini e della terra. Queste caratteristiche si spiegano non soltanto con la crisi generale dell’economia alla fine dell’Antico regime, ma, ancor più profondamente, con le strutture e le contraddizioni della vecchia società. La Rivoluzione francese fu sì una rivoluzione borghese, ma con sostegno popolare e specialmente contadino. A. Soboul, La Rivoluzione francese, Laterza

Jaurès non negò certo l’importanza della fame nello scoppio della rivoluzione: ma a essa riconosceva soltanto una parte episodica. Il cattivo raccolto del 1788 e la crisi del 1788-89, mettendo dolorosamente alla prova le masse popolari, le

1. Antoine Barnave (1761-1793) è stato un politico che partecipò all’Assemblea Nazionale Costituente e venne giustiziato durante il Terrore. In carcere scrisse l’opera cui fa riferimento Soboul (De la Révolution et de la Constitution) che fu pubblicata postuma nel 1843.

La Rivoluzione francese Intorno al 1960, lo storico inglese di impostazione liberale Alfred Cobban (1901-1968) criticò duramente la tesi marxista, sostenendo che nella Francia del Settecento non esisteva ancora una vera borghesia capitalista. La rivoluzione, secondo Cobban, era stata avviata da una élite di uomini di legge, professionisti, proprietari fondiari, generalmente conservatori e simili all’aristocrazia. Da Cobban ha preso avvio una lettura «revisionista» della rivoluzione, tra i cui rappresentanti ricordiamo i francesi François Furet e Denis Richet. Secondo questi due storici, il processo sarebbe stato avviato da nobili e borghesi, influenzati e uniti dal pensiero illuministico, che miravano solo a riforme moderate in direzione di una monarchia costituzionale. Gli sviluppi in senso democratico, i metodi violenti e dittatoriali che caratterizzarono la rivoluzione furono degli «sbandamenti» (dérapages in francese) estranei allo spirito riformista delle élites.

François Furet

Critica dell’impostazione marxista François Furet (1927-1997) ha svolto attività di docente all’Institute Raymond Aron, all’École des Hautes Études en Sciences Sociales e all’Università di Chicago. Fra i maggiori esperti della Rivoluzione francese, ha dato di essa un’interpretazione in chiave critica e «revisionista». Fra le sue opere: La Rivoluzione francese (con D. Richet, 1973); Critica della Rivoluzione francese (1978); Il laboratorio della storia (1982); Dizionario critico della Rivoluzione francese (curato con M. Ozouf, tr. 1988); Il secolo della rivoluzione. 1770-1870 (1988); Il passato di un’illusione. L’idea comunista nel XX secolo (1995).

135 Ciò che v’è di irrimediabilmente confuso nella vulgata «marxista» della Rivoluzione francese è la giustapposizione della vecchia idea dell’avvento di un’era nuova – idea costitutiva della rivoluzione, appunto – e di una dilatazione del campo storico tipica del marxismo. Il marxismo infatti – o per meglio dire quel marxismo che si annette, con Jaurès, la storia della rivoluzione – sposta il centro di gravità del problema della rivoluzione sull’economico e sociale, e nel suo tentativo di attribuire allo sviluppo del capitalismo l’apoteosi dell’89 e la graduale promozione del Terzo stato allarga il mito della rottura rivoluzionaria anche alla vita economica e al sociale tutto: prima il feudalesimo e la nobiltà, dopo il capitalismo e la borghesia. Ma poiché queste proposizioni non sono dimostrabili né verosimili, del resto, e comunque esorbitano dal quadro cronologico canonico, il marxismo si limita a giustapporre un’analisi di carattere economico e sociale delle cause a una storia di carattere politico e ideologico dei fatti. Questa incoerenza ha comunque il vantaggio di sottolineare uno dei problemi fondamentali della storiografia rivoluzionaria, quello cioè della connessione fra le tesi interpretative e la cronologia dell’evento. Se si vuole sostenere a ogni costo l’idea di una rottura obiettiva nel tempo storico, facendo di tale rottura l’alfa e l’omega della storia della rivoluzione, si finisce col dire delle assurdità, qualunque sia l’interpretazione proposta. Ma queste assurdità sono tanto più necessarie quanto più l’interpretazione è ambiziosa e quanti più livelli concerne. Si può dire, ad esempio, che fra l’89 e il ’94 tutto il sistema politico francese si è bruscamente trasformato perché la vecchia monarchia è scomparsa; ma l’idea che, fra queste due stesse date, il tessuto sociale o economico della nazione si sia rinnovato da cima a fondo è ovviamente molto meno verosimile. F. Furet, Critica della Rivoluzione francese, Laterza

Questa immagine del 1787 descrive bene la situazione della società francese dell’Antico regime. Il Terzo stato è schiacciato dagli altri due stati.

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COMPETENZE: USARE LE FONTI

François Furet e Maurice Agulhon si interrogano sulla inevitabilità dei massacri consumati durante la Rivoluzione, fornendo risposte contrapposte. La Rivoluzione francese, dunque, fu all’origine del Terrore o della libertà?

François Furet

Dalla rivoluzione discende il terrore Io non credo all’inevitabilità della storia. Alla fine del XVIII secolo di veramente inevitabile era la necessità di un aggiornamento: né la monarchia assoluta né la società aristocratica né la Chiesa potevano durare. Ma perché mai le forme del cambiamento dovevano essere per forza quelle? Quale inevitabilità c’era, ad esempio, nel fatto che in quegli anni la Francia avesse un re malaccorto come Luigi XVI? Insomma, se mi si chiede di rispondere in coscienza alla domanda se ciò che è accaduto sarebbe potuto accadere diversamente, io rispondo nettamente sì. Sì, le cose potevano andare in maniera diversa. Ciò che caratterizza la Rivoluzione francese nel suo affermarsi è che essa mal si concilia con la libertà politica. Per due volte la rivoluzione, prima con Robespierre e poi sotto Bonaparte, esprime dei periodi incompatibili con i Diritti dell’uomo e con la libertà. Agulhon attribuisce al ruolo della controrivoluzione la responsabilità di queste deviazioni illiberali. Io non lo nego: ma dico che non basta, e che nella cultura rivoluzionaria del 1789 esistono degli elementi di illiberalità. In altre parole io dico che la dinamica della rivoluzione è potenzialmente dispotica. Ci sono elementi della cultura rivoluzionaria che sin dall’origine risultano di incompatibilità politica con la democrazia. Ne è un esempio il 1789: il fenomeno rivoluzionario francese

si caratterizza subito per il totale rifiuto dell’Ancien régime, il che non stava scritto negli astri né nella necessità, e poi per l’idea che ai Francesi spetti di inaugurare un nuovo periodo di storia. Ora, questa idea si lega subito a quella della rigenerazione del popolo. E da entrambe si arriva facilmente a una successiva, che è quella di costruire un uomo nuovo, un popolo di «cittadini», di sottoposti. Da qui è ancora una volta facile arrivare all’idea delle limitazioni delle libertà… Dunque, la Rivoluzione francese è manichea sin dal primo momento. Al contrario di quanto succedeva in America: mentre gli Americani, in quegli stessi anni, si pongono il problema di suddividere la sovranità del popolo, i Francesi non si rendono conto che questa può diventare dispotica nel momento in cui non se ne faccia un uso saggio. Basta paragonare le Federalist Letters che commentano la Costituzione americana del 1787 ai dibattiti francesi dell’agosto-settembre 1789 e si vede bene questa enorme differenza. Insomma, la Rivoluzione francese produce una cultura politica nella quale non si può più pensare il pluralismo. Un altro esempio: che cosa mai ha obbligato la rivoluzione ad affrontare la Chiesa cattolica? Niente. E niente ancora obbligava una volta nazionalizzati i beni del clero, a far eleggere i vescovi dai cittadini. E la guerra poi? Si dice: i Francesi hanno fatto il Terrore a causa della guerra. Ma chi ha voluto la guerra? La rivoluzione stessa, con l’eccezione del solo Robespierre. Per concludere, il mio pensiero è che la rivoluzione fu dispotica. Contraddisse, fin dall’inizio, i diritti dell’uomo: così come illiberale è la tradizione giacobina post-rivoluzionaria che attraversa tutto l’Ottocento per giungere fino ai giorni nostri. F. Furet, M. Agulhon, in 1789, Terrore o libertà La seduta di apertura degli Stati Generali, il 5 maggio 1789.

La Rivoluzione francese

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Maurice Agulhon

Dalla Rivoluzione discende la libertà Maurice Agulhon (1926-2014) è docente di Storia contemporanea al Collège de France. Esperto di storia politica, sociale e culturale della Francia nei secoli XIX e XX, ha pubblicato anche alcune opere in Italia, come La Francia della seconda repubblica, 1848-1852 (1973), La repubblica nel villaggio: una comunità francese tra rivoluzione e seconda repubblica (1970), Il salotto, il circolo e il caffè: i luoghi della sociabilità nella Francia borghese, 1810-1848 (1993).

Luigi XVI, più che malaccorto, è stato un monarca intellettualmente integrato nell’Ancien régime, che ha rifiutato le riforme e che, anche quando ha dovuto accettarle, lo ha fatto al fine di ripartire da posizioni più vantaggiose. Fu lui a rendere pressoché inevitabile la radicalizzazione dei suoi avversari. La presa della Bastiglia e i primi linciaggi per le strade di Parigi non sarebbero esistiti se l’11 luglio 1789 il re non avesse deciso di licenziare il ministro Necker e non avesse mandato sulle piazze la cavalleria. Il carattere violento della rivoluzione ha avuto, dunque, come primo responsabile la resistenza controrivoluzionaria. Per questo non ci sto a una ricostruzione che fa partire il Terrore addirittura da Rousseau a cui allude il discorso di Furet. Se Luigi XVI avesse accettato un sistema monarchico inglese, ovvero se avesse accettato le raccomandazioni di Mirabeau e dei Costituenti, sarebbe mai

esistita per Robespierre la minima possibilità di arrivare al potere? Credo proprio di no, e di conseguenza non ci sarebbe stato affatto il Terrore. Per quanto riguarda invece gli Americani, bisogna ricordare che una volta fatta la loro rivoluzione, non hanno dovuto misurarsi con i controrivoluzionari che se ne sono tornati in Inghilterra o sono emigrati in Canada! Così tutta la vita politica ha potuto svilupparsi tra gente che aveva una comune adesione ai suoi princìpi. Due precisazioni sulla politica religiosa e sulla guerra che contrastano con quanto sostiene Furet. La politica religiosa: se è vero che la Costituzione civile del clero fu un errore grossolano, non dimentichiamo che di fatto la Chiesa era contro il nuovo sistema, contro certe sue innovazioni, come la libertà di coscienza e l’equiparazione di tutti i culti religiosi. La guerra: bisogna riconoscere che venne rifiutata dai più intelligenti dei rivoluzionari. Robespierre, ad esempio, era contrario. La volevano invece sia la corte sia gli emigrati, cioè i controrivoluzionari. Infine, il giacobinismo del XIX secolo: si parla di giacobini per fare in fretta e usare un simbolo ma in realtà io preferisco parlare di repubblicani. I quali per tutto l’Ottocento sono stati molto più portati a rivendicare che non a distruggere la libertà. Non c’è il minimo dubbio su questo. Il partito repubblicano in Francia, l’erede della Rivoluzione francese, ha passato il suo tempo a conquistare a una a una le libertà a fianco dei liberali e contro il partito autoritario e clericale. In sintesi, il Terrore nacque per difendersi dalla controrivoluzione. Tant’è vero che dalla cultura del 1789 sono nate tutte le nostre libertà. F. Furet, M. Agulhon, in 1789, Terrore o libertà

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

DISCUTERE E ANALIZZARE

ƒ Qual è la tesi interpretativa di Soboul? ƒ Di quale orientamento storiografico è espressione? ƒ Che cosa è una lettura «revisionista» della rivoluzione? ƒ Chi ne sono i principali sostenitori? ƒ Quali sono i limiti individuati da Furet nell’interpretazione marxista? ƒ Per quali motivi Furet ritiene che la rivoluzione sia stata dispotica? ƒ Con quale altro evento la mette a confronto? ƒ Come spiega Agulhon il Terrore?

ƒ Che ruolo economico e che ruolo politico aveva la borghesia del Settecento? ƒ Che cosa scatenò il popolo parigino contro la monarchia? ƒ Perché l’atteggiamento di Luigi XVI mise in crisi gli equilibri dei primi due anni della rivoluzione? ƒ Quale fu il gruppo politico che assunse un atteggiamento di intransigente difesa della repubblica democratica? ƒ Quali conseguenze ebbe l’entrata in guerra della Francia?

ƒ Da quale cultura trae i suoi fondamenti la Rivoluzione francese? Per quali aspetti, secondo te, la Rivoluzione francese può ancora essere attuale? Quali aspetti invece sono da ritenere superati?

ƒ Prima e Dopo ƒ Video - Simboli e festività della rivoluzione ƒ Immagine commentata - Marat assassinato ƒ Immagine commentata - La ghigliottina ƒ Immagine commentata - La presa della Bastiglia ƒ Online DOC - Robespierre: la virtù come principio del governo democratico ƒ Online STO - L’autonomia delle rivolte contadine

ƒ Online STO - Le tre giornate che sconvolsero la Francia ƒ Online STO - La mamma nasce col contadino ƒ Online STO - Luigi XVI: il re che seppe morire ƒ Online STO - Robespierre e Danton ƒ Audiosintesi Unità 4 ƒ Scheda cinema - Marie Antoinette

IN DIGITALE

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MISURARE LE COMPETENZE

GLI EVENTI

IL TEMPO

Completa la frase.

Unisci opportunamente avvenimento e data, indicando il numero corrispondente della data nella colonna a destra di ogni avvenimento.

1. Luigi XVI convocò gli Stati Generali per timore che la crisi finanziaria ed economica suscitasse rivolte nei ceti popolari perché il Terzo stato voleva tassare i ceti privilegiati per la pressione della nobiltà che si opponeva alla prospettiva di estendere la tassazione ai ceti privilegiati 2. I giacobini erano una fazione rivoluzionaria guidata da Robespierre favorevole alla repubblica erano una fazione rivoluzionaria guidata da La Fayette favorevole a una monarchia costituzionale costituivano uno dei tre schieramenti presenti all’interno della Convenzione

Avvenimento a Periodo del Terrore b Emanazione della prima Costituzione c

Fuga del re

d Apertura degli Stati Generali e Viene ghigliottinato Robespierre f

Presa della Bastiglia

g Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino h La Convenzione approva la nuova Costituzione

3. La Costituzione del 1791 prevedeva la soppressione della monarchia e l’instaurazione di una repubblica attribuiva il potere legislativo all’Assemblea Legislativa e il potere esecutivo al sovrano attribuiva il potere legislativo e il potere esecutivo all’Assemblea Nazionale

Data

4. A Valmy si svolse il primo scontro tra l’esercito francese e le truppe austro-prussiane l’esercito francese fu sconfitto dalle truppe austroprussiane l’esercito francese ottenne la sua prima vittoria contro l’esercito francese era alleato con altri Stati

6 24 giugno 1793

5. Tra il 1793 e il 1794 il governo passò ai giacobini di Robespierre e assunse le caratteristiche di una dittatura i girondini mantennero il controllo della Convenzione e attuarono una politica di esportazione della rivoluzione i contadini della Vandea diedero vita a un movimento armato controrivoluzionario 6. Il Trattato di Campoformio determinò il passaggio di Nizza e della Savoia alla Francia la nascita delle repubbliche sorelle la cessione di Venezia all’Austria

LE PAROLE Definisci le seguenti espressioni: a. dipartimento b. clero refrattario c. suffragio censitario d. colpo di Stato

1

5 maggio 1789

2 giugno 1793-luglio 1794 3 20 giugno 1791 4 27 luglio 1794 5 14 luglio 1789 7 26 agosto 1789 8 settembre 1791

VERSO L’ESAME DI STATO a. Rispondi alle seguenti domande. ƒPerché la situazione della Francia alla vigilia della rivoluzione era esplosiva? ƒRicostruisci il rapporto con la religione cristiana nelle diverse fasi della rivoluzione. ƒQuali idee sostenne Olympe de Gouges? ƒParagona le Costituzioni del 1791, 1793 e 1795. ƒPerché gli storici hanno identificato nel 14 luglio 1789 l’inizio dell’Età contemporanea? Come giudicano la rivoluzione nel suo complesso? b. Il saggio breve: interpreta e confronta i seguenti documenti. ƒp. 132 – La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino ƒp. 196 – Magazine; Apertura degli Stati Generali ƒp. 200 – Magazine; Esecuzione del re Successivamente, utilizzando anche le tue conoscenze, sviluppa l’argomento proposto nella forma del saggio breve, attribuendo alla composizione un titolo appropriato. Argomento. Il re e la rivoluzione

CITTADINI ADESSO

La Rivoluzione francese

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Uguali o diversi? Il motto della Rivoluzione francese del 1789 fu: «Libertà, uguaglianza, fraternità». I rivoluzionari pensavano che, nel nuovo ordine politico e sociale, questi tre valori avrebbero permesso a tutti i cittadini di condurre un’esistenza dignitosa e protetta. Infatti tali valori oggi sono alla base della democrazia. All’epoca però rappresentavano un’enorme novità: se consideriamo l’uguaglianza, per noi è ovvio che la legge sia uguale per tutti; invece per secoli le persone appartenenti alla nobiltà o al clero beneficiarono di privilegi inaccessibili al resto della popolazione. L’uguaglianza e la libertà sono valori che si sono affermati nella nostra cultura, ma lo hanno fatto grazie a un lento processo secolare; inoltre, questo processo non è avvenuto in tutte le società. Ancora oggi, infatti, numerosi Stati non riconoscono i diritti fondamentali: basti pensare alle dittature, ai regimi che negano i diritti delle donne o che praticano discriminazioni razziali. Infine, l’uguaglianza è un valore che richiede molti sforzi per diventare reale: lo Stato non può limitarsi ad affermarla per legge, ma ha il dovere di realizzarla intervenendo in modo concreto a favore dei cittadini che si trovano in condizioni di svantaggio. Ciò è un bene per tutti: l’intera società migliora se ciascun individuo può studiare e ottenere un lavoro adeguato al proprio talento e se ogni cittadino ha la possibilità, nei momenti di difficoltà, di accedere a cure mediche e ad altri sostegni indispensabili a condurre un’esistenza dignitosa.

DISCRIMINAZIONE È il comportamento di chi attua ingiustamente distinzioni e differenziazioni nei confronti di altre persone in base a considerazioni etniche, religiose o politiche, considerando tali persone indegne di determinati diritti o libertà.

LESSICO

Il diritto all’uguaglianza di tutti i cittadini

1. LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA Anche se non cita la parola «uguaglianza», il primo articolo della Costituzione contiene un’affermazione fondamentale legata a questo concetto: l’Italia è «fondata sul lavoro». Nell’Italia repubblicana infatti, al contrario dell’Italia monarchica, un cittadino non ha valore per la ricchezza della propria famiglia di origine o per l’appartenenza all’aristocrazia, ma perché lavorando guadagna la propria posizione sociale. L’articolo 3, poi, illustra il significato del termine uguaglianza, che rappresenta un valore così importante da ricorrere in numerosi altri articoli della carta costituzionale. Art. 1: L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. […] Art. 3: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di

religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Art. 29: […] Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi. […] Art. 34: La scuola è aperta a tutti. […] I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso. Art. 37: La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. […]

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2. COSTRUIRE UNA SOCIETÀ APERTA E GIUSTA mo per migliorare la qualità della propria esistenza attraverso l’istruzione, l’impegno politico, il lavoro e l’organizzazione della vita privata. In altre parole, anche se non viviamo in una società perfetta, viviamo in una società «aperta», che consente la mobilità sociale. ASTRATTO È ciò che appartiene al mondo delle idee, e non ha un legame diretto e immediato con la realtà (il suo contrario è infatti «concreto»).

LESSICO

Alcuni termini – come «uguaglianza», «diritti», o «libertà» – contenuti nella Costituzione possono sembrare astratti e superati; invece hanno un valore concreto e attuale, perché influiscono sulla vita quotidiana dei cittadini. Lo sa bene chi vive in una dittatura e non gode di queste prerogative; anche le persone vissute prima dell’affermarsi delle democrazie sarebbero sorprese dei diritti di cui godiamo. Nel Medioevo e nell’Età moderna era infatti normale per ciascun individuo aspettarsi dallo Stato e dalla legge un trattamento diverso a seconda del gruppo di nascita e dell’appartenenza sociale. Ovviamente i privilegi erano riservati alle classi aristocratiche ed era estremamente difficile migliorare la propria posizione se si nasceva in una classe povera. Per quanto intelligente, il figlio di un contadino non poteva accedere all’istruzione e successivamente diventare un avvocato o un funzionario statale. Gli uomini, dunque, non nascevano tutti uguali. I cittadini di una democrazia, invece, nascono uguali; a loro è data la possibilità, da una parte, di godere di garanzie a protezione della propria vita e delle proprie libertà e, dall’altra, di agire in modo autono-

MOBILITÀ SOCIALE Indica il passaggio da un gruppo sociale a un altro, di solito attraverso il miglioramento dell’istruzione, del reddito, della posizione lavorativa. Fa sì che tra una generazione e l’altra un buon numero di persone sia in grado, grazie al proprio merito e alle proprie capacità, di migliorare la propria situazione sociale ed economica.

3. TUTTI UGUALI, IN TUTTI I CASI? Il concetto di uguaglianza ha diversi aspetti. Innanzitutto, occorre considerarlo come il principio generale che afferma: «tutti i cittadini sono uguali». Infatti la Costituzione italiana dichiara che: ƒle leggi sono le stesse per tutti, e tutti sono uguali di fronte alla legge; ƒle differenze di sesso, di razza, di religione, di condizioni personali non giustificano trattamenti diversi. Ciò significa, ad esempio, che la legge non può stabilire che alle persone di una determinata religione sia vietato l’accesso all’istruzione. È però evidente che i cittadini, in concreto, non nascono tutti uguali: alcuni, infatti, nascono in condizioni di svantaggio economico e sociale. In questi casi la legge deve facilitare l’accesso

a una buona istruzione (e di conseguenza a un lavoro adatto alle capacità del singolo cittadino), a cure mediche a basso costo e, in caso di necessità, a sostegni economici. Di conseguenza, la legge può fare ciò che in altri casi le è vietato: può riservare trattamenti diversi ad alcuni individui, ma solo per permettere loro di recuperare lo svantaggio di partenza. Infine, mentre la diseguaglianza è un disvalore, la differenziazione tra gli individui è un valore. L’imposizione dell’uguaglianza assoluta infatti, porta all’uniformità e alla mancanza della libertà propria degli Stati totalitari. Al contrario, l’uguaglianza permette a ciascun individuo di manifestare liberamente le proprie capacità e le proprie attitudini, meritandosi la propria posizione sociale.

La Giustizia raffigurata in un bassorilievo del Tribunale di Milano.

La Rivoluzione francese

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4. L’UGUAGLIANZA, IN CONCRETO Riassumendo, i cittadini devono considerarsi uguali tra loro; la legge deve considerarli tutti uguali e, se necessario, deve creare le condizioni perché raggiungano l’uguaglianza. Ma in quali campi della vita quotidiana si applica l’idea dell’uguaglianza?

Uomini e donne hanno gli stessi diritti.

La Costituzione ha superato l’idea che le donne dovessero essere subordinate agli uomini, garantendo loro pari diritti in tutti i campi.

RAZZA (E LINGUA)

La legge non può trattare diversamente i cittadini sulla base dell’etnia e della nazionalità.

La Costituzione del 1948 stabilì questa norma contro la politica razzista e antisemita propria del fascismo. La norma è attuale ancora oggi in virtù del fenomeno dell’immigrazione.

RELIGIONE

Lo Stato italiano è laico: ha un legame storico con il cattolicesimo, ma non ha una religione «ufficiale». I cittadini hanno libertà di religione (o di non averne alcuna).

Per secoli gli Stati hanno garantito privilegi per gli appartenenti alla religione ufficiale. Ancora oggi in molti Pesi vengono attuate persecuzioni nei confronti delle minoranze religiose.

OPINIONI POLITICHE

Ciascun cittadino è libero di esprimere e diffondere le proprie opinioni politiche senza temere repressioni da parte dello Stato o imposizioni da altri cittadini.

Il fascismo discriminò e perseguitò gli oppositori politici, così come fanno ancora oggi tutte le dittature.

SESSO

DIVIETO DI DISCRIMINARE Obbligo di considerare uguali i cittadini, indipendentemente da:

L’articolo 3 della Costituzione ci fornisce le indicazioni di base per poter rispondere a questa domanda: vieta infatti qualunque discriminazione fondata su «sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali».

CONDIZIONI PERSONALI E SOCIALI

La legge deve sostenere i soggetti svantaggiati (ad esempio i disabili) e vietare i privilegi per chi proviene da classi sociali tradizionalmente avvantaggiate.

Malattie, disabilità e più in generale l’appartenenza a minoranze costituiscono un fattore di grave svantaggio nelle società che non agiscono per contrastare le disuguaglianze. Nelle società chiuse e non democratiche le classi più vicine al potere sono di solito in grado di ottenere privilegi.

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CITTADINI ADESSO

5. PARITÀ TRA UOMINI E DONNE: UN PROBLEMA SUPERATO? La Costituzione italiana ha stabilito la parità tra uomini e donne in tutti i settori: nel campo della partecipazione politica, nella famiglia, sul lavoro, e così via. Il problema dell’uguaglianza tra uomini e donne però non è del tutto risolto, anche se spesso viene liquidato come un tema non più attuale. Come abbiamo già visto, un conto è affermare un principio, altra cosa è renderlo concreto. In Italia infatti, così come nel resto del mondo, per secoli le donne sono state considerate inferiori agli uomini, e le eredità di questo lungo passato non sono ancora scomparse. Se consideriamo la famiglia, uomo e donna hanno per legge gli stessi diritti e doveri. Questo principio venne attuato dalla legge italiana nel 1975: prima, la moglie doveva per legge seguire la volontà del marito. Se però si pensa a quanto sia ancora radicata l’idea – cancellata da decenni dalla legge – che il «capofamiglia» sia il marito, si può comprendere come la parità non sia ancora per tutti e ovunque un fatto concreto. Se pensiamo ai diritti politici, il diritto di far contare la propria opinione politica con il voto e di essere elette fu riconosciuto alle donne italiane solamente nel 1946. Molti, all’epoca, ritenevano inutile il voto femminile: sarebbe stato come attribuire un doppio voto al marito! Oggi la presenza delle donne in politica e nelle istituzioni è in aumento, ma non si può dire che sia pari a quella maschile. Infine, se consideriamo il lavoro, la Costituzione prevede che, a parità di prestazioni lavorative, uomini e donne vengano retribuiti nella stessa misura: tuttavia ancora oggi le statistiche evidenziano come le donne guadagnino meno degli uomini. La tutela della maternità sul posto di lavoro, inoltre, è in alcuni casi ancora un problema. Oggi le donne sindaco, avvocato o dirigente d’azienda sono sempre di più, ma occorre ricordare che si tratta di conquiste piuttosto recenti, dato che fino al 1963 in Italia alle donne fu vietato l’accesso a professioni come il giudice o il diplomatico di carriera. Il Global Gender Gap Report è una ricerca condotta ogni anno, dal 2006, dall’organizzazione World Economic Forum. Si tratta di uno studio che, analizzando criteri economici e politici, assieme a parametri riguardanti l’istruzione e la salute, misura la disparità tra uomini e donne in tutto il mondo. L’indice fissa l’ampiezza del divario per ogni Stato e fornisce una classifica dei Paesi (vedi

cartina). Nella classifica del 2015 l’Italia è risultata al 41° posto su 145. I migliori quattro Paesi al mondo sono: Islanda, Norvegia, Finlandia e Svezia.

COMPRENDERE E CONTESTUALIZZARE

RIELABORARE E DISCUTERE

Nella società medievale l’uguaglianza era un valore importante? ƒ

In base alla tua esperienza personale, potresti affermare che ƒ nascere uomo o donna garantisca gli stessi diritti e le stesse possibilità?

ƒ Spiega l’affermazione: «Un cittadino non ha valore per la ricchezza della propria famiglia di origine o per l’appartenenza all’aristocrazia, ma perché lavorando guadagna la propria posizione sociale». Che cosa ha a che fare con l’uguaglianza? ƒ Che cosa significa «non discriminare»?

ƒ Osservando lo schema spiega quali sono gli aspetti concreti dell’uguaglianza e quali problemi della società tentano di risolvere.

ƒ Sotto quali aspetti la legge impone la parità tra uomo e donna?

meglio

peggio

ƒ Quali sono, nel mondo, gli Stati in cui la disparità tra uomini e donne è meno forte? Perché in questi Paesi la situazione è migliore rispetto ad altri? Svolgi una ricerca per spiegarlo, cercando di capire quali elementi vengano misurati per stabilire la classifica Global Gender Gap Report. ƒ Secondo te, il problema della violenza sulle donne è legato al tema della parità? Motiva la tua risposta.

UNITÀ 5

143

L’età napoleonica PRIMA: Le innovazioni della rivoluzione sono limitate alla Francia Prima dell’età napoleonica, le conquiste civili e sociali della Rivoluzione francese erano limitate alla sola Francia. In Europa, con la sola eccezione dell’Inghilterra, gli altri Stati erano ancora governati dalle istituzioni e dalle regole del sistema dell’Ancien régime, che sembrava destinato a durare a lungo.

CAUSE

EVENTI

CONSEGUENZE

In Francia la paura dell’invasione straniera porta a desiderare un governo forte che garantisca l’ordine e la pace

X

Dicembre 1799: Viene approvata la Costituzione dell’anno VIII che estende il potere del Primo Console a tutti i settori della vita politico-amministrativa

X

Il Primo Console puo presentare nuove leggi, nominare i comandanti dell’esercito e i funzionari statali. Si consolida il legame tra alta borghesia e regime napoleonico

Gli Stati che vedono nella Francia rivoluzionaria un pericolo si organizzano per fermarne l’espansione

X

1800: Battaglia di Marengo: Napoleone sconfigge gli Austriaci e li costringe alla resa

X

Napoleone ottiene il completo controllo dell’Italia, di cui si proclama re nel 1805

Un complotto volto alla restaurazione della monarchia borbone, spinge Napoleone a dare una veste monarchica al suo regime

X

2 dicembre 1804: Napoleone è incoronato imperatore dei Francesi

X

Viene instaurato un regime personalistico e autoritario fondato sulla guerra

Nello scontro con la terza coalizione, la Gran Bretagna infligge a Napoleone una pesante sconfitta a Trafalgar

X

2 dicembre 1805: Battaglia di Austerlitz: Napoleone sconfigge l’esercito austrorusso

X

Si consolida l’influenza francese in Italia e si rafforzano le alleanze di Napoleone in territorio tedesco

X

Svanisce il mito dell’invincibilità di Napoleone che subisce una pesante sconfitta a Lipsia nel 1813 da parte della sesta coalizione

X

Napoleone è costretto all’esilio sull’isola di Sant’Elena, dove muore il 5 maggio 1821

Il blocco continentale voluto dalla Francia suscita l’ostilità di tutta l’Europa. La Russia si stacca dall’alleanza con la Francia

X

Dopo la restaurazione borbonica, Napoleone tenta di riappropriarsi del potere insediandosi nuovamente al governo

X

1812: La campagna di Russia si conclude con la ritirata dei Francesi

18 giugno 1815: Napoleone è definitivamente sconfitto a Waterloo

DOPO: La rivoluzione è sconfitta ma le sue innovazioni hanno conquistato l’Europa Fu Napoleone Bonaparte a esportare le conquiste politiche e sociali della Rivoluzione francese e a fondare un impero con delle caratteristiche del tutto nuove. Le guerre, infatti, ridussero gran parte dell’Europa sotto il controllo francese. In pochi anni Napoleone riuscì a cambiare profondamente la società europea, assestando un duro colpo all’Ancien régime. Le idee di uguaglianza della Rivoluzione francese penetrarono nelle istituzioni e nella cultura dei popoli europei; furono attuate riforme sull’esempio della Francia, furono eliminati i privilegi e tutti i cittadini furono considerati uguali di fronte alla legge.

UNITÀ 5

144

1. Napoleone Bonaparte GLI INIZI Ma chi era Napoleone Bonaparte, l’uomo che a trent’anni si insediò al vertice della politica francese? Napoleone Bonaparte nacque ad Ajaccio, in Corsica, nel 1769, da una famiglia della piccola nobiltà. Iniziò la sua formazione nelle scuole militari francesi, studiando le arti belliche ma anche i classici: in particolare, lesse con entusiasmo i testi di Rousseau. Nel 1793 aderì al giacobinismo montagnardo, ma si è propensi a pensare che la sua scelta fosse dettata dal fascino del potere più che da quello dell’ideologia. La sua prima occasione fortunata fu l’incarico del comando delle truppe francesi a Tolone, occupata dagli Inglesi. In quella circostanza, la sua efettiva abilità militare lo segnalò al governo del Direttorio, da cui ottenne nuovi incarichi di grande prestigio, come la repressione di un tentativo di colpo di Stato monarchico (1795) e la chiusura dei club giacobini.

IL MITO DEL PETIT CAPORAL Indubbiamente Napoleone seppe cogliere con abilità tutte le occasioni che la situazione politica travagliata della Francia post-rivoluzionaria gli presentò e di qui percorrere una carriera militare e politica straordinaria. Dimostrò tra l’altro di saper usare la stampa, che esaltava in tutta Europa le sue imprese e contribuiva a creare il mito della sua persona e della sua imbattibilità. Bonaparte, insomma, andava costruendo il mito del petit caporal che i bollettini di guerra avrebbero provvisto a difondere: un generale che si sottoponeva alle stesse fatiche dei suoi soldati, che non esitava a porre a repentaglio la sua stessa vita. Napoleone, infatti, perseguì deliberatamente e sistematicamente la mitizzazione della sua persona, nella superba consapevolezza «di essere – come scrisse nell’esilio di Sant’Elena – una mente superiore». D’altronde, chiunque lo osservasse non poteva non essere colpito dalla sua infaticabilità, dalle inesauribili energie che profondeva in giornate di lavoro spesso di diciotto ore. Colpivano anche le sue abitudini semplici,

I PROTAGONISTI

Jacques-Louis David, Napoleone nel suo studio alle Tuileries (particolare), 1812. Washington, National Gallery of Art.

François Gérard, Giuseppina imperatrice dei Francesi, 1808. Particolare di Giuseppina col costume dell’incoronazione. Fontainebleau, Museo Nazionale del Castello.

Giuseppina de Beauharnais Napoleone conobbe Giuseppina Tascher de La Pagerie, vedova del generale de Beauharnais, ghigliottinato sotto il Terrore nel 1795, a casa di Barras. Non bellissima, ma estremamente affascinante, Giuseppina aveva bisogno di un uomo che le assicurasse un futuro e la stella nascente del giovane generale – che lei poteva aiutare a crescere, grazie alle potenti amicizie politiche – faceva al caso suo. Non le fu difficile conquistarlo. Il matrimonio fu celebrato il 9 marzo 1796. Poco dopo, Bonaparte ricevette il comando dell’esercito d’Italia e partì per la sua prima gloriosa campagna militare. Giuseppina rimase a Parigi con un nuovo amante. Napoleone le scriveva quasi tutti i giorni. Lettere ardenti di passione, a volte disperate. Giuseppina non rispondeva e non si decideva a raggiungerlo. Napoleone forse sospettava qualcosa, ma a ogni incontro i suoi sospetti sva-

nivano. Fu soltanto durante la campagna d’Egitto che venne a conoscere la verità. Da quel giorno ebbe molte amanti, ma senza amore, per puro diletto. La mancanza di un figlio, da lasciare come erede dell’impero, fu l’ultimo motivo di rancore verso Giuseppina. Ella cercò di convincerlo che fosse lui la causa della sterilità, avendo lei già avuto due figli dal precedente matrimonio. Ma anche Napoleone aveva avuto un figlio naturale, mai riconosciuto, da Elénoire Denuelle, dama di compagnia della sorella Carolina. Napoleone troncò la relazione con Giuseppina il giorno in cui sposò Maria Luisa d’Asburgo. Aveva deciso di restare fedele alla nuova sposa che dopo un anno (1811) gli avrebbe dato il tanto sospirato erede, François-Joseph-Charles, che alla sua nascita ricevette il titolo di re di Roma, ma morì molto giovane.

L’età napoleonica

145

il fatto che indossasse sempre gli stessi vestiti, che non dedicasse ai pasti più di una decina di minuti. Ma non sfuggiva neanche il suo cinismo, la sua arroganza, specie a chi lo detestava, come la scrittrice Madame de Staël (1766-1817) che scrisse di lui: «Non era né buono, né violento, né dolce, né crudele, alla guisa degli individui a noi noti. Un tale essere, che non aveva pari, non poteva sentire, né far sentire simpatia alcuna: era più e meno di un uomo. Sentivo confusamente che nessuna commozione del cuore poteva agire su di lui. Guarda una creatura umana come un fatto o come una cosa, ma non come un simile. Non odia più di quanto ami. Per lui non esiste che se stesso: il resto delle creature sono cifre».

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Quali furono gli inizi del giovane Napoleone in campo politico e militare? ƒ Quali furono le virtù riconosciute a Napoleone che egli seppe abilmente sfruttare? ƒ Qual era l’opinione di Madame de Staël nei riguardi di Napoleone? ƒ Perché la figura di Bonaparte era gradita ai ceti dominanti francesi?

UN GARANTE PER L’ORDINE La strada del successo gli si aprì con la campagna d’Italia del 1796. Rientrato in Francia vittorioso, il popolo lo accolse con grande entusiasmo. Gli uomini del Direttorio, che invece mostravano preoccupazione per la sua eccessiva popolarità, decisero di aidargli la campagna d’Egitto pensando di allontanarlo dai Francesi. La situazione europea però si modiicò in modo tale da generare nuovamente la paura dell’invasione straniera e, tra i ceti dominanti, emerse l’esigenza di un governo forte per garantire l’ordine e la pace. Molti a questo punto pensarono di servirsi del prestigio del generale còrso per imporre alla politica francese una svolta; Napoleone, da parte sua, seppe sfruttare questa situazione per soddisfare le sue ambizioni. Così, con il colpo di Stato del 18 brumaio, assunse i pieni poteri nel governo francese.

VIDEO

LA PROPAGANDA NAPOLEONICA NELLA CAMPAGNA D’ITALIA

La campagna d’Italia del 1796 fu il trampolino di lancio per la carriera del giovane Napoleone Bonaparte. Egli seppe ben utilizzare la stampa, fondando giornali che fossero cassa di risonanza per le sue imprese, ma utilizzò soprattutto la pittura come mezzo di comunicazione per la propaganda, per celebrare se stesso e per garantirsi la popolarità. Nelle opere qui riprodotte si passa dalla raffigurazione dell’evento fino alla vera e propria creazione del mito dell’eroe glorioso.

Émile Jean Horace Vernet, Napoleone guida i suoi soldati sul ponte di Arcole, 1826. Londra, Christie’s.

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146

2. Dal consolato all’impero IL CONSOLATO Il periodo del consolato fu per la Francia una fase di totale riorganizzazione istituzionale e legislativa. Nel dicembre 1799 venne approvata la Costituzione dell’anno VIII che raforzò notevolmente l’esecutivo aidandolo a un Primo Console, incarico ricoperto da Napoleone stesso. Il potere del Primo Console era esteso a tutti i settori della vita politico-amministrativa: poteva infatti presentare nuove leggi, nominare i comandanti dell’esercito e i funzionari statali. In verità tre assemblee (Tribunato, Corpo legislativo, Senato) avrebbero dovuto controbilanciare il potere consolare, ma nei fatti esse erano espressione dell’autorità centrale. Anche a livello locale, i prefetti, i sottoprefetti e i sindaci erano nominati dal Primo Console. In ambito iscale e inanziario furono prese iniziative importanti che consentirono di soddisfare le esigenze del mondo imprenditoriale e di garantire entrate più sicure alle casse dello Stato. Il legame tra l’alta borghesia e il regime napoleonico si consolidò anche per i provvedimenti assunti contro le organizzazioni dei lavoratori: furono approvate leggi che vietavano lo sciopero e impedivano di lottare per ottenere aumenti salariali. Nonostante opposizioni di vario genere, la politica di Napoleone venne nel suo complesso accolta perché era l’unico modo per assicurare alla Francia una ripresa economica e inanziaria.

IL CODICE NAPOLEONICO E IL CONCORDATO

Jean-Auguste-Dominique Ingres, Napoleone Primo Console, 1803-04 Liegi, Museo delle Belle Arti.

COMPETENZE

USARE LE FONTI

Libertà e autorità Pag. 159

Il capolavoro della riorganizzazione attuata da Napoleone è il Codice Civile, il monumento giuridico sul quale poggiavano tutte le istituzioni. Pubblicato nel marzo 1804, dopo anni di preparazione, il Codice riprendeva alcuni dei grandi princìpi della rivoluzione: eguaglianza giuridica, libertà religiosa, laicità dello Stato, libertà individuale, riconoscimento della proprietà, mentre riiutava qualsiasi principio relativo all’eguaglianza sociale. Molta attenzione veniva posta all’istituzione della famiglia, vista come primo nucleo dell’intero ordine sociale, all’interno della quale veniva raforzata l’autorità paterna sui igli e sulla moglie. Un altro punto delicato nell’attività di Napoleone riguardava la questione religiosa: dopo che il fallimento della politica di scristianizzazione aveva rivelato le radici profonde della fede cattolica, il Primo Console si orientò verso la paciicazione e l’intesa con la Chiesa. Nel 1801 stipulò con il papa un Concordato con il quale il cattolicesimo veniva riconosciuto come religione della maggioranza della popolazione, ma non come Chiesa di Stato. Il primato del potere civile venne comunque preservato: allo Stato, infatti, competeva la presentazione di candidature per le nomine dei vescovi e dei parroci, nonché l’accettazione di qualsiasi atto papale sul territorio francese. In generale, insomma, sembrava proprio che Napoleone fosse riuscito a ridare alla Francia la pace sociale e religiosa.

LE VITTORIE CONTRO LA SECONDA COALIZIONE In questi stessi anni Napoleone fu impegnato nella guerra contro le potenze della seconda coalizione. La sua strategia consisteva nel colpire l’Austria per indebolire e isolare l’Inghilterra; attaccò pertanto le truppe austriache sul fronte italiano e su quello renano. Nella primavera del 1800, sconisse gli austriaci a Marengo, in Piemonte, e ricostituì la Repubblica cisalpina, mentre un’altra armata li sconisse nella Germania meridionale, minacciando di occupare Vienna. A questo punto, l’Austria sottoscrisse la pace di Lunéville (febbraio 1801) che confermava gli accordi già issati a Campoformio: alla Francia

L’età napoleonica

147 Louis-François Lejeune, La battaglia di Marengo, 1802. Versailles, Museo della reggia.

La seconda coalizione contro la Francia 1. La seconda coalizione antifrancese (indicata dai nomi in rosso) fu organizzata nel 1799 e comprendeva tutti gli Stati che vedevano nella Francia rivoluzionaria un pericolo e volevano fermarne l’espansione.

GRAN BRETAGNA

4

3 1 RUSSIA

2

3. Anche i Paesi Bassi costituivano una delle repubbliche sotto il controllo francese. AUSTRIA

GA

LLO

5

PO

RTO

IMPERO OTTOMANO

REGNO DI NAPOLI

Annessioni francesi Battaglia Stati satelliti francesi RUSSIA Stati della seconda coalizione

2. A partire dalla rivoluzione, la Francia aveva già dimostrato la sua forza politica e militare estendendo il proprio dominio anche sull’Italia e sulla Svizzera, attraverso la creazione delle cosiddette «repubbliche sorelle».

4. Come in tutte le coalizioni contro la Francia di Napoleone, un ruolo centrale spettò alla Gran Bretagna, una delle poche nazioni europee che riuscirono a tenere testa fino alla fine all’impetuosa avanzata degli eserciti napoleonici. 5. Dopo la vittoria francese a Marengo (1800) e il conseguente trattato di Lunéville (1801), anche il Piemonte venne assegnato definitivamente alla Francia.

TUTOR

venivano riconosciuti il Belgio, i territori renani e l’annessione del Piemonte; venivano legittimate inoltre le repubbliche sorelle e gli Stati satelliti. L’Inghilterra si trovò isolata quando il Regno di Napoli e la Russia conclusero a loro volta la pace con la Francia. Per questo, dopo lunghe trattative, raggiunse anch’essa un accordo (pace di Amiens, marzo 1802).

UNITÀ 5

148

DAL CONSOLATO ALL’IMPERO

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Attraverso quale percorso Napoleone giunse all’incoronazione imperiale? ƒ Come riuscì a fronteggiare e a vincere le potenze straniere? ƒ In che modo riorganizzò lo Stato francese? ƒ Come regolò i rapporti tra lo Stato francese e la Chiesa? MAGAZINE

ARTE E STORIA

L’incoronazione di Napoleone

LESSICO

Pag. 222

I successi in politica estera raforzarono il prestigio di Napoleone in patria: egli aveva dimostrato ai Francesi la sua capacità nel mantenere ordine all’interno e aveva conquistato una posizione di forza a livello internazionale. Il consenso dei Francesi gli servì ancora una volta per aumentare il suo potere. Nel 1802, con un plebiscito, Napoleone ottenne il consolato a vita, che in pratica era una vera dittatura. Due anni dopo, approittando della scoperta di un complotto volto a restaurare la monarchia dei Borboni, sostenne che solo una nuova dinastia avrebbe garantito la sicurezza del regime. Non si accontentò più, quindi, di avere il consolato a vita, ma volle dare al suo regime anche una veste monarchica. Rielaborò pertanto la Costituzione in questa direzione e nel 1804 fu varata la Costituzione dell’anno XII che conferiva a Napoleone il titolo ereditario di imperatore dei Francesi. Il nuovo ordinamento fu ratiicato, secondo la consuetudine di Napoleone, da un plebiscito, uno strumento con il quale si creava un contatto diretto tra il «capo» e i cittadini, sintomatico della volontà di instaurare un regime personalistico. Sicuro della propria afermazione, Napoleone volle aggiungere alla propria autorità anche una sanzione religiosa: riprendendo i simboli e i riti della tradizione imperiale di Carlo Magno, il 2 dicembre 1804 si fece incoronare imperatore dal papa Pio VII nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi. Ma anche in questa occasione, con un atto simbolico, volle afermare la supremazia dello Stato sulla Chiesa: tolse dalle mani del papa la corona imperiale e se la pose lui stesso sul capo.

PLEBISCITO Il termine deriva da «plebe». Il plebiscito è dunque l’espressione del popolo convocato a rispondere su una determinata richiesta. La sua origine storica si colloca nell’antica Roma, quando la plebe convocata dal proprio tribuno aveva il potere di deliberare. Con gli Stati costituzionali il plebiscito ha assunto la forma della votazione su una questione specifica: per esempio, con Napoleone il popolo è stato chiamato a ratificare il passaggio dalla repubblica all’impero. Formalmente, il plebiscito è uno strumento di democrazia diretta simile al referendum, perché il cittadino, senza passare attraverso i suoi rappresentanti, è chiamato a decidere su una questione politica. Nella realtà storica, però, è stato spesso impiegato dai dittatori per legittimare il proprio potere.

L’EVOLUZIONE COSTITUZIONALE IN FRANCIA Costituzione Forma di governo Suffragio

Potere legislativo

TUTOR Potere esecutivo

Costituzione del 1791

Monarchia.

Censitario.

Assemblea.

Re.

Costituzione del 1793 (mai entrata in vigore)

Repubblica.

Universale.

Assemblea.

Governo.

Costituzione dell’anno III (1795)

Repubblica.

Censitario.

Assemblea bicamerale.

Direttorio di 5 membri.

DAL 1797 AL 1804 Colpo di Stato del 18 fruttidoro (4 settembre 1797)

TUTOR ll Direttorio venne ridotto a 3 membri.

Colpo di Stato del 18 brumaio (9 novembre 1799)

Il Direttorio venne sciolto e il potere esecutivo affidato a 3 consoli, dei quali il più potente era Napoleone.

Costituzione dell’anno VIII (dicembre 1799)

Il potere esecutivo venne affidato al Primo Console, Napoleone.

Costituzione dell’anno XII (plebiscito del 1804)

Conferì a Napoleone il titolo ereditario di imperatore dei Francesi.

149

I valori sociali della Francia napoleonica co elaborato dall’istituto d’Écouen, le ragazze venivano viste quali minorate mentali; che cosa impartire loro? In primo luogo i «princìpi della religione in tutta la sua severità», quindi gli elementi di una istruzione primaria. [...] Proprio nella religione, Napoleone vedeva il miglior ausiliario del principio d’autorità, uno dei «grandi elementi di coesione della società». «Mai Stato senza religione, senza culto, senza sacerdoti»; d’altra parte, quel potente strumento non poteva non essere nelle mani del governo che avrebbe dovuto «servirsene come di un mezzo sociale per reprimere l’anarchia». Ecco perché il Concordato fu, agli occhi del suo autore, un atto politico di grande peso. Ma, differenza essenziale rispetto all’Ancien régime, la Chiesa venne semplicemente invitata a stabilire le credenze e a giustificare le ingiustizie di questo mondo nella speranza della giustizia nell’aldilà. Quanto agli spiriti, dovevano esserle sottratti per passare sotto il controllo dello Stato. Ecco pertanto anche l’insegnamento divenuto materia d’autorità. Scontento di un’epoca in cui ciascuno può mettere «in piedi una boutique di istruzioni come se si trattasse di una merceria», Napoleone avrebbe voluto affidare l’istruzione pubblica in esclusiva all’università di Francia (fondata nel 1806), incaricata di «dirigere le opinioni politiche e morali... È indispensabile che la morale e le idee politiche della generazione che sta crescendo non dipendano più dalle notizie del giorno o dalle circostanze del momento. Occorre innanzitutto pervenire all’unità e che un’intera generazione possa essere calata nello stesso stampo... Non ci sarà stato politico stabile senza un corpo insegnante con stabili princìpi. Finché non si imparerà, a partire dall’infanzia, se bisogna essere repubblicani o monarchici, cattolici o miscredenti, lo Stato non formerà una nazione e riposerà su basi incerte».

Anonimo della scuola di Jacques-Louis David, Ritratto di una giovane donna in bianco, 1798 ca. Washington, National Gallery of Art.

L. Bergeron, L’Impero, in Storia della Francia, a cura di G. Duby, Bompiani

Beethoven: Napoleone? Un tiranno come tutti gli altri Molti intellettuali europei accolsero con simpatia le imprese di Napoleone, nella convinzione che egli avrebbe portato a compimento gli ideali rivoluzionari di libertà e giustizia. Ma l’entusiasmo svanì quando apparvero chiare le vere intenzioni e le ambizioni di potere di Napoleone. Furono appunto questi i sentimenti che animarono il famoso musicista tedesco Ludwig van Beethoven (1770-1827). Nel 1804 egli terminò di comporre la sua Terza Sinfonia e la dedicò a Napoleone scrivendo di suo pugno, sul manoscritto originale, il nome «Bonaparte». Quando però Beethoven venne a sapere che Napoleone si era fatto proclamare imperatore dei Francesi, reagì con indignazione. I suoi biografi riferiscono che il musicista esclamò:

«Anche quello non è dunque altro che un uomo comune? Adesso calpesterà tutti i diritti dell’umanità e seguirà soltanto la sua ambizione; si metterà al di sopra di tutti gli altri e diventerà un tiranno». Dopodiché strappò la dedica. Nel 1806 la sinfonia fu pubblicata con il titolo (in italiano) Sinfonia eroica composta per festeggiare il sovvenire di un grande uomo e dedicata al principe Lobkowitz, amico del musicista. Il «grande uomo» era Napoleone, visto però attraverso il ricordo, come un defunto. Insomma, per Beethoven, Napoleone era già morto. La sinfonia dunque esprime la delusione di Beethoven, e di tutta una generazione, per quello che Napoleone avrebbe potuto essere e non fu: l’eroe della rivoluzione.

I PROTAGONISTI

Scorrendo il Codice Civile, [...] salta agli occhi che la società post-rivoluzionaria, per volontà insieme della borghesia e di Napoleone, si era costituita sui princìpi della proprietà e dell’autorità. Per ciò che riguarda la proprietà, la sua definizione, trasmissione, garanzia nel caso di diversi tipi di contratti e di obblighi furono oggetto di minuziose disposizioni. [...] Per ciò che attiene all’autorità essa venne innanzitutto affermata con vigore in seno alla famiglia, con la glorificazione del potere paterno e maritale. Lo statuto della donna venne a esserne immediatamente degradato rispetto a un XVIII secolo relativamente emancipatore e soprattutto all’ideologia della rivoluzione democratica. [...] Nel programma didatti-

STORIOGRAFIA

L’età napoleonica

Joseph Karl Stieler, Ludwig van Beethoven. Bonn, Beethoven-Haus.

150

3. L’Impero napoleonico (1804-15) LE IMPRESE MILITARI L’Impero napoleonico era un regime sorto nella guerra e per la guerra: in dal 1803, infatti, erano riprese le ostilità con l’Inghilterra. All’ofensiva di Napoleone, la Gran Bretagna rispose organizzando (1805) la terza coalizione (insieme a Russia, Austria, Svezia, Regno di Napoli). La flotta francese subì una disastrosa sconitta a opera dell’ammiraglio inglese Nelson a Trafalgar, nei pressi di Cadice (21 ottobre 1805). Ma Napoleone risollevò le sorti della Francia sconiggendo gli schieramenti austro-russi presso Austerlitz, in Boemia (2 dicembre 1805). L’Austria irmò la pace di Presburgo, in base alla quale dovette cedere i territori italiani e tedeschi. Si consolidava così l’influenza francese in Italia e si raforzavano le alleanze di Napoleone in territorio tedesco. Preoccupata di un’egemonia francese in Germania, la Prussia decise allora di entrare nella quarta coalizione a ianco della Russia e dell’Inghilterra (1806). Tutto ciò non servì a fermare Napoleone che, riprendendo le azioni militari, sconisse prima a Jena (settembre 1806) i Prussiani e poi a Eylau (febbraio 1807) i Russi. La pace di Tilsit (1807) decretò il nuovo assetto dell’Europa continentale: ƒi territori a ovest del iume Elba, tolti alla Prussia, formarono il Regno di Vestfalia, afidato a Gerolamo Bonaparte, fratello di Napoleone; altri Stati tedeschi vennero raccolti nella Confederazione del Reno di cui Napoleone stesso assunse la presidenza; cessava così di esistere il millenario Impero germanico; ƒun altro fratello di Napoleone, Luigi, venne proclamato re d’Olanda; ƒi territori a est dell’Elba andarono a formare il Granducato di Varsavia, Stato satellite della Francia. Questa sistemazione fu possibile grazie al consenso della Russia. Tutta l’Europa era sottoposta all’egemonia francese, secondo una logica imperiale. Tuttavia per il continente si aprì un’età di rinnovamento: Paesi ancora legati all’Antico regime accolsero nuovi modelli istituzionali e il Codice Civile, superando le vecchie strutture di natura feudale. Fu soprattutto nell’età napoleonica, dunque, che le conquiste della Rivoluzione francese si difusero in Europa. I PROTAGONISTI

UNITÀ 5

Paolina Bonaparte Borghese Era la sorella minore e la più amata da Napoleone che le fece sposare, per esigenze politiche, il principe Camillo Borghese, molto più anziano di lei. Nel 1806 assunse il titolo di duchessa di Guastalla, una piccola enclave nel Ducato di Parma. Era una donna bella, amante della vita di corte e molto libera nei costumi, come dimostra la sua posa senza veli per lo scultore Antonio Canova (1757-1822) che l’ha immortalata come Venere vincitrice nella sua celebre scultura, ospitata nella Galleria Borghese, a Roma.

L’età napoleonica

151

L’ITALIA SOTTO IL DOMINIO NAPOLEONICO La vittoria di Marengo (1800) aveva segnato il completo controllo della Francia sull’Italia. Napoleone si comportò più come un predatore che come un liberatore: molte delle opere d’arte italiane, così come i metalli preziosi, se ne andarono in Francia al seguito degli eserciti, talvolta come bottino personale degli uiciali. A questo saccheggio si aggiungevano tributi onerosi che servivano a pagare le spese militari del governo francese. Tutti gli Stati italiani persero la loro autonomia. La Repubblica cisalpina diventò prima Repubblica italiana e poi – seguendo la prospettiva imperiale – Regno d’Italia, di cui lo stesso Napoleone si proclamò re (1805). Fu così anche per Napoli, divenuto Regno nel 1806 con Giuseppe Bonaparte, fratello dell’imperatore; furono, invece, annessi direttamente al territorio francese il Piemonte (1802), la Repubblica ligure (1805) e la Toscana (1806). Persino lo Stato Pontificio venne smembrato: alcune regioni diventarono dipartimenti francesi e altre furono annesse al Regno d’Italia. La presenza per quasi vent’anni di Napoleone in Italia ebbe conseguenze positive in termini di progresso economico, modernizzazione e riforma delle istituzioni. L’influenza francese consentì di inserire l’economia italiana in un contesto europeo, di rendere più eicienti il sistema iscale e l’organizzazione amministrativa, di riorganizzare l’istruzione: in breve, di rovesciare anche in Italia l’Antico regime. Inoltre, i valori democratici e quelli liberali, compreso quello di «nazione», esportati dalle truppe napoleoniche, contribuirono a raforzare quegli ideali patriottici e nazionalistici che si sarebbero sviluppati compiutamente durante il Risorgimento.

COMPETENZE

USARE LE FONTI

Napoleone, padre delle nazioni Pag. 160

LA FAMIGLIA DI NAPOLEONE CARLO BONAPARTE

LETIZIA RAMOLINO

(1785)

(1836)

GEROLAMO

CAROLINA

PAOLINA

LUIGI

ELISA

LUCIANO

NAPOLEONE I

GIUSEPPE

(1860) 1807 re di Vestfalia

(1839) 1806 granduchessa di Berg 1808 regina di Napoli

(1825) 1806 duchessa di Guastalla

(1846) 1806 re d’Olanda

(1820) 1808 granduchessa di Toscana

(1840)

(1821) 1804 imperatore dei Francesi 1805 re d’Italia

(1844) 1806 re di Napoli 1808 re di Spagna

GIUSEPPINA BEAUHARNAIS

ORTENSIA BEAUHARNAIS

GIOACCHINO MURAT

NAPOLEONE II

NAPOLEONE III

I duellanti Gran Bretagna, 1977 (durata: 101’) Regia: Ridley Scott Attori principali: Keith Carradine, Harvey Keitel

Il film si basa su un racconto di Joseph Conrad, a sua volta ispirato a una storia realmente accaduta durante le guerre napoleoniche. I protagonisti sono due ufficiali dell’esercito napoleonico, D’Hubert e Féraud. A causa di un insignificante incidente, Féraud sfida a

(1832) 2 duca di Reichstadt

(1873)

duello D’Hubert, che è costretto ad accettare il confronto. Il duello viene interrotto, ma nei successivi quindici anni Féraud cercherà ogni occasione per sfidare il coraggioso ma più mite D’Hubert. Nel frattempo i due nemici partecipano attivamente alle guerre e alle battaglie al seguito di Napoleone, che costituiscono lo sfondo della loro vicenda individuale.

CINEMA E STORIA

CATERINA DEL WÜRTTEMBERG

MARIA LUISA D’AUSTRIA

UNITÀ 5

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IL BLOCCO CONTINENTALE In questa Europa napoleonica solo la Gran Bretagna restava a contrastare il progetto egemonico francese. Secondo la prospettiva già sperimentata durante la spedizione d’Egitto, Napoleone tentò di intervenire contro gli Inglesi a livello economico. A tal ine decretò il blocco continentale, che vietava a tutti i Paesi europei di commerciare con le isole britanniche (1806). Il blocco tuttavia fu un fallimento perché gli Inglesi riuscirono facilmente a forzarlo. Essi inoltre risposero con un contro-blocco che danneggiò gravemente l’economia francese, facendo mancare materie prime e prodotti di consumo, come lo zucchero, il cafè, il cotone. Inoltre, sia gli Stati alleati o satelliti sia il ceto imprenditoriale francese, che intratteneva vantaggiosi commerci con gli Inglesi, protestarono in nome della libertà dei mari e dei commerci. Anche gli intellettuali europei che avevano riconosciuto in Napoleone un liberatore incominciarono a sentirsi traditi. Napoleone, per l’esigenza di far rispettare il blocco continentale, si spinse in una politica di annessioni: prima il Portogallo (1807), poi la Spagna (1808) vennero sottomessi al dominio francese. Venne nominato re di Spagna Giuseppe Bonaparte, che lasciò il Regno di Napoli al cognato dell’imperatore Gioacchino Murat. Ma la conquista della Spagna non fu facile né sicura. Gli Spagnoli diedero vita a un’accanita guerriglia, sostenuta da un corpo di spedizione inglese al comando del generale Arthur Wellesley, duca di Wellington (1769-1852). La rivolta spagnola fu il primo sintomo di crisi dell’Impero napoleonico, poiché dimostrava che le popolazioni europee non credevano più al mito di Napoleone liberatore. Intanto le case regnanti d’Europa ripresero la guerra contro la Francia. Nel 1809 sorse una quinta coalizione, promossa sempre dall’Inghilterra. Gli Austriaci subirono però una grave sconitta e dovettero accettare pesanti condizioni di pace (pace di Schönbrunn, 1809). L’Inghilterra e il popolo spagnolo restavano in armi, mentre Napoleone proseguiva la sua politica di annessioni sul continente.

DOCUMENTO

Charles Meynier, Napoleone a Berlino, 1810. Versailles, Museo della reggia.

Il blocco continentale I seguenti articoli sono tratti dal Decreto di Berlino, emanato da Napoleone nel novembre 1806, con il quale venne proclamato il blocco continentale. Art. 1 – Le isole britanniche sono dichiarate in stato di blocco. Art. 2 – Ogni commercio e ogni corrispondenza con le isole britanniche è vietato. Art. 3 – Ogni individuo suddito dell’Inghilterra, di qualun-

que stato o condizione, che sarà trovato nei Paesi occupati dalle nostre truppe o da quelle dei nostri alleati, sarà fatto prigioniero di guerra. Art. 4 – Ogni magazzino, ogni mercanzia, ogni proprietà, di qualunque natura, appartenente a un suddito dell’Inghilterra, sarà dichiarato di buona preda. Art. 7 – Nessun bastimento proveniente dall’Inghilterra o dalle colonie inglesi o che vi sia stato dopo la pubblicazione del presente decreto, sarà ricevuto in alcun porto.

L’età napoleonica

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CARATTERI E CONTRADDIZIONI DELL’IMPERO L’Impero napoleonico era un regime fondato su un potere centralizzato e personalistico. Tutti i più importanti incarichi amministrativi erano aidati a membri della famiglia dell’imperatore. Napoleone creò una nuova nobiltà, fondata sui meriti militari o sui servizi resi allo Stato. Circondandosi di una schiera di fedelissimi strettamente legati alle sue fortune, l’imperatore mirava ad allargare il sostegno al suo potere. Il consenso venne però ricercato anche attraverso l’eliminazione di qualsiasi opposizione. La libertà di stampa subì gravi restrizioni, tanto che a Parigi si giunse ad avere quattro giornali rispetto ai 335 del 1790. Venne vietata la pubblicazione di tutto quanto fosse ritenuto lesivo dell’immagine dell’imperatore. Anche la libertà di associazione subì limitazioni. In Francia e nei Paesi conquistati dai Francesi la pesante tassazione, il reclutamento dei soldati, richiesto dal continuo stato di guerra, e soprattutto le diicoltà dovute al blocco continentale suscitarono un difuso malcontento che minò le basi del dominio napoleonico. L’impero ormai mostrava tutte le sue contraddizioni. Napoleone aveva contribuito a eliminare l’Ancien régime, ma contemporaneamente aveva costituito una nuova aristocrazia. In nome della libertà, aveva conquistato tutta l’Europa; aveva saccheggiato i Paesi sottomessi ma aveva anche contribuito al loro svecchiamento.

MAGAZINE

VITA QUOTIDIANA

Riccioli al vapore e vita grama Pag. 212

LA CAMPAGNA DI RUSSIA Fra il 1810 e il 1812 l’Impero napoleonico raggiunse la sua massima estensione. L’apogeo della gloria fu legittimato, nell’aprile del 1810, dalle nozze di Napoleone – che divorziò dalla prima moglie Giuseppina Beauharnais (1763-1814) (I protagonisti - p. 144) colpevole di non avergli dato un erede – con Maria Luisa d’Austria, iglia dell’imperatore Francesco I. Il desiderato erede nacque l’anno dopo. Intanto, però, le gravi conseguenze economiche del blocco continentale avevano suscitato contro la Francia l’ostilità di tutta l’Europa. I problemi maggiori per Napoleone vennero dalla Russia, che decise di staccarsi dall’alleanza con la Francia. Sul inire del 1810 lo zar non solo si ritirò dal blocco continentale, ma impose dei dazi sulle importazioni, che penalizzavano le merci francesi.

L’IMPERO DI NAPOLEONE NEL 1812

Gerolamo Bonaparte

O

Eugenio di Beauharnais figliastro di Napoleone

Giuseppe Bonaparte

Giuseppe Bonaparte, poi Gioacchino Murat cognato di Napoleone

Impero francese Stati governati da famigliari di Napoleone Zone di influenza francese

UNITÀ 5

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LESSICO

Prima di reagire, Napoleone prese tempo e solo un anno dopo riuscì a organizzare un esercito per afrontare la Russia: nel giugno 1812 varcò il conine senza neppure una formale dichiarazione di guerra. La campagna di Russia segnò un primo successo per i Francesi, che entrarono a Mosca il 14 settembre. Ma la conquista della capitale costituì soltanto una vittoria parziale. I Russi si ritirarono e fecero ricorso alla tattica della terra bruciata: incendiarono i loro stessi villaggi e badarono a non lasciare ai Francesi né ricoveri né rifornimenti. Essi, in realtà, attendevano l’arrivo dell’inverno, che giunse precoce e particolarmente rigido. Napoleone non era più in grado di reggere alla mancanza di rifornimenti provocata dalla tattica russa e, nell’ottobre 1812, ordinò la ritirata. Si trattò tuttavia di una decisione troppo tardiva e l’inverno colse impreparata l’armata. La ritirata dei Francesi dalla Russia fu uno degli episodi più tragici della Storia: la fanteria fu decimata dalla fame e dal gelo e dagli attacchi dei Russi che falcidiavano le truppe in ritirata, come avvenne al passaggio del iume Beresina (novembre 1812). Oltre alle perdite umane (oltre mezzo milione di morti), la potenza napoleonica ricevette un colpo durissimo dal quale non si sarebbe più ripresa.

IL PERCORSO DEGLI ESERCITI NAPOLEONICI

TERRA BRUCIATA Questa espressione indica una tattica militare che prevede la distruzione di tutto ciò che potrebbe servire al nemico per spostarsi e per procurarsi cibo, acqua e altri generi necessari alla sopravvivenza. In origine indicava la pratica di bruciare i campi di grano, in modo da impedire al nemico di nutrirsi; ed è da questo tipo di operazione che deriva il nome di «terra bruciata». In seguito questo metodo divenne più complesso, fino a prevedere la distruzione di altri elementi che potevano rivelarsi utili al nemico: fortificazioni e rifugi, mezzi di trasporto e di comunicazione, materie prime, fabbriche e officine. Di solito questa tattica è utilizzata dagli eserciti e anche dalle popolazioni che cercano di difendere il proprio territorio da un esercito invasore. Si fa terra bruciata soprattutto quando ci sono scarse possibilità di battere il nemico in uno scontro sul campo: si tratta infatti di una difesa che ha enormi costi economici e umani.

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L’età napoleonica

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IL CROLLO DELL’IMPERO NAPOLEONICO Il prestigio e il mito dell’invincibilità di Napoleone erano svaniti e questa sconitta aprì in Francia e in Europa la possibilità di manifestare l’avversione per il regime napoleonico. Gli Stati europei formarono (1813) la sesta coalizione (Gran Bretagna, Russia, Svezia, Prussia e Austria) e inflissero all’imperatore una pesante sconitta a Lipsia nell’ottobre 1813: l’intero sistema napoleonico si frantumò e l’Europa riacquistò la propria indipendenza avviandosi verso la restaurazione dei legittimi sovrani. Intanto la Francia veniva occupata senza che la popolazione opponesse resistenza (marzo 1814). Napoleone accettò le condizioni di pace rinunciando al trono di Francia e ritirandosi in esilio all’isola d’Elba; in Francia venne reinsediato Luigi XVIII di Borbone (fratello del re ghigliottinato) e si stabilì che i conini territoriali dovessero essere sostanzialmente quelli precedenti la rivoluzione. La sistemazione dell’Europa sarebbe stata decisa in un congresso, convocato a Vienna per il novembre 1814. Ma Napoleone non si era ancora rassegnato. Continuamente in contatto con il suo Paese, conidava nel malcontento generato in alcuni strati dell’esercito e della popolazione dalla restaurazione borbonica. Tentò allora di riappropriarsi del potere: fuggì dall’Elba e, sbarcato a Cannes, rientrò in terra francese (1 marzo 1815). Si insediò al governo del Paese, ma la sua ultima avventura durò solo cento giorni (marzo-giugno 1815). L’Europa si strinse compatta in un’alleanza e sconisse deinitivamente Napoleone a Waterloo il 18 giugno 1815. Napoleone Bonaparte fu costretto all’esilio, questa volta nella piccola isola di Sant’Elena, nell’Atlantico, dove morì il 5 maggio 1821. In Europa, il semplice ritorno all’Antico regime che i reazionari vagheggiavano si rivelò impossibile: al prezzo di violente ribellioni, i vecchi sovrani si sarebbero presto accorti di quanto la Rivoluzione francese e l’età napoleonica avessero segnato la storia europea. CRONOLOGIA DELL’ETÀ NAPOLEONICA Data

Avvenimento

1796-97

Campagna d’Italia.

1798

Spedizione in Egitto.

9 novembre 1799

Colpo di Stato e istituzione del consolato.

Marzo 1804

Pubblicazione del Codice Civile.

2 dicembre 1804

Napoleone imperatore dei Francesi.

1810

Nozze di Napoleone con Maria Luisa d’Austria.

1812

Campagna di Russia.

16-19 ottobre 1813

Battaglia di Lipsia.

Aprile 1814

Napoleone viene esiliato all’Elba.

Novembre 1814

Convocazione del Congresso di Vienna.

18 giugno 1815

Napoleone è definitivamente sconfitto a Waterloo.

TUTOR

Adam Albrecht, Napoleone guarda Mosca bruciare, 1841.

MAGAZINE

PROTAGONISTI

Napoleone fu avvelenato? Pag. 227

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Su quali basi politiche e militari si fondava l’Impero napoleonico? ƒ Quali Stati e territori ne facevano parte? ƒ Come fu organizzata l’Italia dopo la battaglia di Marengo? Quali furono le conseguenze del dominio francese? ƒ Quali nazioni si opposero alle conquiste di Napoleone? ƒ Quale eredità lasciò il dominio napoleonico sull’Europa?

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LETTERATURA E STORIA

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N. Ernesto Ferrero (1938)

Il romanzo racconta i dieci mesi trascorsi sull’isola d’Elba da Napoleone Bonaparte, condannato all’esilio dalle potenze vincitrici. Il suo carattere e le sue abitudini vengono osservate e analizzate dal bibliotecario personale di Napoleone, Martino Acquabona, che in segreto medita di uccidere l’imperatore. Napoleone, che ormai comanda su una povera isola di pescatori, continua a comportarsi

DUE IMMAGINI DI NAPOLEONE Immagine 1: Jean-Auguste-Dominique Ingres, Napoleone I sul trono imperiale, 1806. Parigi, Museo militare.

come un sovrano e condottiero, laborioso ed efficiente, ancora capace di sognare impossibili imprese. Dopo vari tentativi falliti, il piano di uccidere Napoleone si interrompe definitivamente, perché l’imperatore fugge dall’Elba per vivere i suoi ultimi 100 giorni, fino alla sconfitta di Waterloo e all’esilio conclusivo. Dal libro è stato tratto il film N (Io e Napoleone), diretto da Paolo Virzì e interpretato da Daniel Auteuil, Elio Germano e Monica Bellucci. TUTOR

Immagine 2: Karl August von Steuben, Napoleone in esilio a Sant’Elena, XIX secolo. Collezione privata.

Espressione del viso e del corpo

Il volto è fiero, serio, immobile per essere immortalato nel dipinto ufficiale; l’imperatore è seduto in trono in modo composto, tutto l’atteggiamento è studiato per la posa.

Triste e assorto nei pensieri, la mano in tasca, Napoleone è in piedi e passeggia all’interno di una stanza con atteggiamento rassegnato. Il dipinto riprende l’uomo in una posa naturale.

Abbigliamento

L’abbigliamento è ricco e sfarzoso come si conviene all’imperatore dei Francesi: il velluto rosso e l’ermellino indicano l’autorità del sovrano.

L’abbigliamento è dimesso: con la camicia aperta, il soprabito sbottonato, l’abito è estremamente semplice, Napoleone sembra un uomo comune.

Simboli del potere

Numerosi sono i simboli: il rosso, l’oro e l’ermellino, la corona, lo scettro, il trono, il cuscino per i piedi.

Non ci sono simboli di potere di alcun tipo.

Caratteri del dipinto

Si tratta di un dipinto ufficiale e celebrativo che In questo dipinto non c’è più nulla intende esaltare la persona dell’imperatore, al dell’imperatore Napoleone: l’immagine è massimo della sua potenza. quella di un uomo sconfitto e solo.

L’età napoleonica

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Dal passato al presente Tra i maggiori lasciti dell’età napoleonica vanno certamente ricordate le riforme che smantellarono l’Antico regime, in particolare nel campo del diritto: a tal ine fu importantissima la difusione del Codice Civile francese. Anche il sentimento nazionale può essere considerato un’eredità napoleonica, specie in Italia, in Germania e in Polonia: non a caso risale a quest’epoca la bandiera nazionale dell’Italia, che fu esposta per la prima volta a Reggio Emilia nel 1797. Inine è una pessima eredità, che Napoleone stesso raccolse prima di tramandarla, quella di saccheggiare il patrimonio artistico dei Paesi occupati: in particolare l’imperatore privò l’Italia di molte opere d’arte, tuttora esposte al Louvre di Parigi.

Capolavori d’arte prigionieri di guerra L’ARTE COME BOTTINO DI GUERRA La conquista di opere d’arte come bottino di guerra è una pratica che risale ai primordi della civiltà. Si è cercata una soluzione giuridica e diplomatica per questi «prigionieri», soluzione che nonostante le afermazioni di principio non è mai stata trovata. Non è mai stato facile, infatti, far tornare in patria i capolavori perché il furto di opere d’arte come pratica sistematica risale addirittura a Serse I: Erodoto racconta che dopo la conquista di Babilonia il sovrano persiano portò via dal tempio della città la statua del dio Baal. E non furono da meno i Romani. Da Siracusa, Corinto, Atene, arrivarono a Roma sculture di bronzo, di marmo di Prassitele, Policleto, Pasitele, Fidia: ciò rappresentò addirittura un punto di svolta per la storia dell’arte. Le razzie continuarono con i cavalieri crociati, i signori rinascimentali e gli uomini di Carlo VIII e di Luigi XII, senza dimenticare i lanzichenecchi del sacco di Roma e i soldati di tutte le altre guerre che tra il Seicento e il Settecento sconvolsero l’Europa. Poi arrivò Napoleone, che ordinò massicce requisizioni in tutte le nazioni da lui attraversate. Quegli oggetti sono ancor oggi ben visibili in Francia. Nel 1993 un avvocato, Arno Klasfeld, tentò di farli restituire all’Italia. Ma senza alcun esito. E sono rimaste parimenti senza esito le richieste egiziane relative ai capolavori esposti al Louvre. Anche gli Inglesi riiutano di restituire i beni che si

trovano nei loro musei. Mentre il Trattato di Parigi del 1815, che segnò la ine dell’epopea napoleonica, permise la parziale restituzione delle opere razziate dai Francesi, all’indomani della seconda guerra mondiale non c’è stato un tavolo unico per le trattative. Ad esempio, i Russi considerano le opere d’arte sequestrate in Germania come un risarcimento per i danni di guerra. E poco importa se le casse sequestrate a Berlino contenevano oggetti di proprietà di altre nazioni o di Ebrei trucidati dai nazisti.

RESTITUIRE O NO? Molti sostengono che le «prede di guerra» non vadano restituite. C’è chi sottolinea come i musei inglesi e francesi siano pieni di oggetti d’arte trafugati in molti Paesi, tra cui l’Italia: occorrerebbe pretendere indietro tali opere prima di efettuare qualsiasi restituzione. Per altri un oggetto di valore archeologico inisce per appartenere allo Stato che se ne è impossessato: fa parte della sua storia. Per altri, invece, la restituzione è un fatto culturale prima che giuridico. Fu la mentalità colonialistica, che raggiunse l’apice nell’Ottocento, a spingere alle razzie. L’appropriazione di beni archeologici da parte di una nazione a danno di un’altra non è altro che un’operazione di egemonia culturale e politica sul popolo conquistato. Invece occorre riportare i monumenti nella loro sede originaria per ristabilirne il pieno valore storico e scientiico.

Particolare della decorazione di un vaso di porcellana raffigurante il trasporto delle opere d’arte fatte prelevare in Italia da Napoleone e trasferite in Francia, 1810-13. Sevres, Museo Nazionale della ceramica.

IERI

Era consuetudine saccheggiare le opere d’arte nei Paesi conquistati come bottino di guerra OGGI

Apposite leggi internazionali tutelano i beni di ciascun Paese e ne condannano il furto come un crimine

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GLI STRUMENTI DEL DIRITTO CONTEMPORANEO Il Partenone è al centro di una lunga vicenda che iniziò a primi dell’Ottocento, durante l’occupazione turca della Grecia. L’ambasciatore inglese Lord Elgin ottenne il permesso dal sultano turco di prelevare parti del fregio del Partenone e molti pezzi ven-

nero letteralmente staccati, causando danni ai marmi e alla struttura. Lo scopo di questo vero e proprio furto era quello di «abbellire» la villa di campagna di Elgin, dove però non arrivarono mai perché nel frattempo l’ambasciatore era stato imprigionato in Francia. Era il gennaio del 1804 quando le prime 55 casse arrivarono a Londra. PAROLE IN EREDITÀ

Particolare del fregio del Partenone. Londra, British Museum.

Poste in scantinati sporchi e umidi, vi rimasero per anni in uno stato di abbandono. Solo nel 1815 i marmi vennero venduti al governo e poi esposti al British Museum, dove sono tuttora collocati. Il governo greco ne ha richiesto ripetutamente la restituzione; nel 1992 è stato istituito il British Committee for the Restitution of the Parthenon Marbles, che unisce molti esponenti del mondo accademico, politico e culturale nel sostegno della rivendicazione greca. Oggi, anche se la maggior parte dei beni trafugati nel passato non è ancora stata restituita, una vicenda di questo genere non sarebbe possibile. La distruzione di beni di particolare rilievo storico e culturale è considerata tanto grave da rientrare tra i cosiddetti «crimini contro l’umanità». Ma quali strumenti ofre il diritto internazionale per evitare tali eventi? Nel 1954 fu irmato all’Aja il primo trattato internazionale focalizzato esclusivamente sulla protezione dei beni culturali: la Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitti armati. Nel 1999 essa è stata aggiornata e modiicata da un secondo protocollo, reso necessario dall’ineicacia del metodo di protezione oferto dal primo trattato. Le convenzioni prevedono la rinuncia alla distruzione, al saccheggio dei beni culturali in tempo di guerra, e la loro protezione in ogni tempo. È inoltre proibito appropriarsi di tali beni a titolo di risarcimento per i danni di guerra.

DIRETTORIO Con questo termine si intende un organo direttivo composto da più persone. Il primo direttorio fu proprio quello che governò lo Stato francese tra il 1795 e il 1799, dopo la fine del periodo del Terrore. Oggi questo termine viene usato spesso anche in senso ironico o spregiativo, per indicare un gruppo di persone convinte della superiorità delle proprie idee e che pretende di assumere un ruolo guida rispetto ad altri. BONAPARTISMO La popolarità e il prestigio di Napoleone Bonaparte furono enormi, al punto che nacque un movimento che si ispirava alla sua figura. Dopo l’esilio dell’imperatore questo movimento divenne un partito politico che proponeva come modello la politica di Napoleone e desiderava il ritorno dell’imperatore, o di qualche suo discendente, al governo della nazione. Le speranze dei bonapartisti furono esaudite alcuni decenni dopo, quando divenne imperatore Napoleone III, nipote del primo. Dopo questa vicenda, il bonapartismo è passato alla storia come un modo di governare poco democratico e illiberale, basato soprattutto sul culto del capo. NAPOLEONE Tra le eredità che Napoleone e la sua epoca ci hanno lasciato, c’è anche il nome di un bicchiere, il cosiddetto «napoleone», particolarmente adatto per bere il cognac, il famoso alcolico prodotto in Francia. Si tratta di un bicchiere che assomiglia davvero all’imperatore francese: è infatti piuttosto basso e ha una forma panciuta, proprio come Napoleone negli ultimi anni.

COMPETENZE: USARE LE FONTI

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Libertà e autorità DOCUMENTO

Il Codice Civile pubblicato da Napoleone nel 1804 risponde all’esigenza, sorta in seguito alla Rivoluzione francese, di dare espressione e concretezza al principio giuridico dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Esso rappresenta infatti la prima grande raccolta organica di leggi che regolano i rapporti tra i privati (proprietà, contratti, lavoro, famiglia, eredità ecc.), che andò a sostituire il diritto feudale della società di Antico regime. Il Codice Civile napoleonico venne applicato a tutti i Paesi dell’impero e venne introdotto nel Regno d’Italia nel 1806. Negli articoli proposti emergono le due grandi idee ispiratrici di tutto il Codice che rispecchiano gli ideali della borghesia: innanzitutto le libertà individuali e il valore della proprietà privata e poi il valore della famiglia fondata

sull’autorità del padre e del marito e centro della stabilità sociale. Il Codice abolì inoltre l’istituto del fedecommesso, in base al quale il patrimonio della famiglia veniva ereditato interamente dal primogenito, attribuendo invece a ciascun iglio, senza diferenze di sesso, una porzione uguale di eredità. Questa norma permise di disporre di un piccolo patrimonio a un numero maggiore di individui, grazie al quale era possibile rendersi autonomi dalla famiglia di origine, facilitando l’iniziativa privata. La famiglia, tuttavia, rimase l’istituzione centrale della società e si tentò di consolidarla al suo interno, affermando con forza il potere paterno e maritale, e degradando lo statuto della donna rispetto agli ideali di emancipazione femminile che faticosamente si erano fatti strada negli anni della rivoluzione.

Art. 212 – I coniugi hanno il dovere di reciproca fedeltà, soccorso, assistenza. Art. 213 – Il marito è in dovere di proteggere la moglie, e la moglie di obbedire al marito. Art. 214 – La moglie è obbligata ad abitar col marito, ed a seguirlo ovunque egli crede opportuno di stabilire la sua residenza: il marito è obbligato a riceverla presso di sé ed a somministrarle tutto ciò che è necessario ai bisogni della vita, in proporzione delle sue sostanze e del suo stato. Art. 217 – La donna, ancorché non sia in comunione o sia separata di beni, non può donare, alienare, ipotecare, acquistare a titolo gratuito od oneroso, senza che il marito

concorra all’atto o presti il suo consenso in iscritto. [...] Art. 229 – Potrà il marito domandare il divorzio per causa d’adulterio della moglie. Art. 230 – Potrà la moglie domandare il divorzio per causa d’adulterio del marito, allorché egli avrà tenuta la sua concubina nella casa comune. Art. 233 – Il consenso scambievole e perseverante dei coniugi, espresso nella maniera prescritta dalla legge, e sotto le condizioni, dopo gli esperimenti determinati da essa, proverà sufficientemente, che la vita comune è loro insopportabile, e che esiste, relativamente ai medesimi, una causa perentoria di divorzio.

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

ƒ In quali articoli del Codice è sancito il principio di autorità del marito rispetto alla moglie? ƒ Quali doveri ha il marito nei confronti della moglie? ƒ Quali aspetti esprimono la sottomissione della moglie al marito? ƒ Le donne hanno piena cittadinanza giuridica? Hanno autonomia economica? ƒ Sulla questione del divorzio esistono pari diritti fra donne e uomini?

ƒ Quando è stato emanato il Codice Civile? ƒ Quali riforme dello Stato furono introdotte da Napoleone? ƒ Quali rapporti instaurò Napoleone con la Chiesa cattolica? ƒ Nel Codice Civile è stata abbandonata la concezione religiosa del matrimonio, che non è più un sacramento: come viene dunque considerato il rapporto coniugale?

RIELABORARE, DISCUTERE, REINTERPRETARE ƒ Riepiloga il percorso politico e personale di Napoleone, da giovane ufficiale dell’armata rivoluzionaria a imperatore dei Francesi.

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COMPETENZE: USARE LE FONTI

Napoleone, padre delle nazioni STORIOGRAFIA

Negli anni delle guerre napoleoniche, la carta geograica di diversi Paesi europei fu notevolmente sempliicata, apparentemente in sintonia con le aspirazioni nazionalistiche degli occupati: vennero per esempio eliminati 112 Stati tedeschi, l’Italia fu liberata dagli Austriaci. Tuttavia, l’impero creato da Napoleone, se fu una tappa decisiva per la costruzione di un’Europa delle nazioni, lo fu soprattutto per le forti reazioni contrarie che, dopo le prime accoglienze entusiastiche, suscitò nei numerosi Paesi occupati. In Spagna, in Russia e negli stessi Stati dell’area tedesca, si consolidò un autentico sentimento patriottico a difesa della propria nazione minacciata dall’invasione straniera.

Jean Tulard

Il memoriale di Sant’Elena Jean Tulard (1933) è stato professore di Storia presso la Sorbona di Parigi e si è occupato soprattutto di Rivoluzione francese e di impero. Tra i suoi libri su questi argomenti si possono segnalare: Napoleone: il mito del salvatore (1971); La vita quotidiana in Francia ai tempi di Napoleone (1978); La France de la Révolution à l’Empire («La Francia dalla rivoluzione all’Impero», 1995); Le temps des passions («Il tempo delle passioni», 1996).

Nell’Ottocento, il libro più letto dai Francesi fu senza dubbio Il memoriale di Sant’Elena, del conte di Las Cases (un aristocratico che aveva accompagnato Napoleone nel suo esilio). E la pagina più commentata fu quella in cui l’autore, il 2 novembre 1816, fa dire a Napoleone: «Una delle mie più grandi ambizioni è stata la concentrazione, l’unione di tutti quei popoli che in Europa abitano la stessa area geografica. [...] Avrei voluto fare di ognuno di questi popoli una sola e unica nazione. Era con un tale seguito che sarebbe stato bello presentarsi ai posteri e ricevere la benedizione dei secoli. Mi sentivo degno di questa gloria. [...] L’unione di trenta o quaranta milioni di Francesi era realizzata; quella di quindici milioni di Spagnoli era quasi realizzata. [...] Quanto ai quindici milioni di Italiani l’unione era in stato di forte avanzamento, [...] mentre la situazione in Germania era più complicata [...]». Napoleone conclude: «Questa unione arriverà, presto o tardi, per forza

di cose: l’impulso è stato dato e io non penso che dopo la mia caduta e la scomparsa del mio sistema, ci siano in Europa altri grandi possibili equilibri». Napoleone, padre delle nazioni europee: questa è l’immagine che Las Cases si sforza di imporre attraverso il Memoriale. Ma fu così? Sicuramente no. Napoleone fu un uomo del Settecento, marchiato dall’universalismo degli illuministi, dal cosmopolitismo e dall’indifferenza alle rivendicazioni per l’unità nazionale: tra le sue preoccupazioni non ci fu di certo quella dell’unità nazionale dei vari popoli europei. [...] Esemplare è il comportamento di Napoleone in Polonia. Nel 1799, già Primo Console, così commenta la divisione del regno fatta nel 1795: «La Francia è ancora umiliata per aver contemplato con vile timidezza la distruzione di un regno come quello polacco. [...] Bisognerebbe obbligare la Russia, la Prussia e l’Austria a restituire le province che si sono spartite. La loro politica fu odiosa, infame e predatrice». [...] Ma quando nel 1806 l’armata francese entra nel territorio dell’antica Polonia per affrontare le forze russe, Napoleone resta prudente e con cinico realismo si guarda bene dal fomentare l’idea di una rivoluzione polacca. «Io non so – dice – se i Polacchi sono degni di essere una nazione.» [...] È Murat il primo ad affrontare la questione polacca; [...] sogna la corona per se stesso e a Napoleone suggerisce: «Formare una nazione indipendente, guidata da un re straniero, che sarà data a vostra maestà: è questo il desiderio generale dei Polacchi». Napoleone non risponde. Teme di istigare lo zar Alessandro I a una guerra senza fine se invoca l’indipendenza della Polonia. [...] E così nel luglio 1807 viene creato il Ducato di Varsavia sotto la sovranità della Sassonia e controllato da Napoleone: due stranieri. [...] Napoleone è realista anche di fronte all’unità germanica. Contribuisce a snellire la carta geografica facendo scomparire 112 Stati membri dell’impero. [...] Ma la manovra, preparata da Talleyrand, non mira ad assicurare l’unificazione della Germania; al contrario, lo scopo è quello di indebolire l’Impero asburgico [...] e di stabilire una tripartizione della Germania: una Confederazione del Reno con Francoforte capitale [...]; una Prussia ridotta alla Slesia e alla Pomerania; un’Austria proiettata fuori dalla Germania [...]. L’atteggiamento nei confronti dell’unità italiana è ugualmente dubbio. Sogna un’Italia napoleonica, ma in realtà lavora per la divisione della penisola e non per la sua unificazione. Anche qui semplifica la carta geografica e caccia gli Austriaci, ma per assicurare la dominazione francese, tant’è che nel 1802 an-

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L’età napoleonica

nette direttamente il Piemonte alla Francia. [...] Solo Murat, vere». Un dovere verso la Germania che si deve liberare dal già sensibile all’indipendenza polacca, comprende le ragioni suo oppressore. [...] Nell’estate 1813 Giuseppe è cacciato dell’unità d’Italia, non certo Napoleone. dalla Spagna; nel novembre la Svizzera si apre alle armate [...] La Spagna è il Paese che oppone maggiore resistenza austriache e abbandona Napoleone che l’ha umiliata. Lo all’egemonia francese. Qui Napoleone ha imposto come so- stesso anno, l’Olanda si solleva al grido di «Per il re e per la vrano suo fratello maggiore Giuseppe al posto del Borbone patria». [...] Dappertutto in Europa dilaga l’ostilità nei conCarlo IV. La rivolta nasce dagli ambienti popolari e non da fronti di Napoleone. quelli intellettuali: [...] non fu quindi una questione di calco- Così Napoleone risveglia – ma contro se stesso – le aspirazioni lo, ma di sentimento. Un sentimento nazionale antifrance- all’unità e le idee nazionali. Suscita il sentimento nazionale, se: non si tollera che sia uno straniero a prendere decisioni ma per reazione. È solo a Sant’Elena che l’imperatore decariguardanti il futuro della Spagna. [...] La rivolta scoppia a duto si pone come campione del principio delle nazionalità. Madrid il 2 maggio 1808, data immortalata dal pittore Goya, Se n’era ben guardato fino ad allora. Che cos’è accaduto? A al grido di un popolano: «Morte all’invasore!». Segue pre- Sant’Elena Napoleone è prigioniero delle grandi potenze eurosto l’adesione di altre categorie sociali: liberi professionisti, pee. Ora i vincitori reprimono, dopo averle implorate nel 1813, operai, sacerdoti. [...] le aspirazioni nazionali La resistenza spagnodei popoli. [...] Napola al tentativo di Naleone può allora rivolpoleone di imporre gere contro i suoi vinsuo fratello Giuseppe citori l’idea di nazione, come re di Spagna che aveva contribuito incontra enorme eco alla caduta del suo imin tutta Europa. È in pero. Da qui vengono Austria che la guerra le famose affermazioni di Spagna è seguita contenute nel Memocon maggior interesriale. Il suo ultimo messe; Vienna diviene il saggio viene raccolto e punto di riferimento durante le rivoluzioni dei patrioti tedeschi. del 1830 in Italia, in [...] Un giovane stuPolonia e in Belgio ridente tedesco, Friesuonerà il grido: «Viva drich Staps, tenta di Napoleone». Il cerchio pugnalare Napoleosi chiude: ecco Napolene, il 12 ottobre 1809. one padre delle nazioAll’imperatore che lo ni d’Europa. interroga risponde: J. Tulard, Napoléon, père des nations, «Uccidervi non è un crimine, ma è un do- Francisco Goya, 2 maggio 1808, 1814. Madrid, Museo del Prado. in «L’Histoire», n. 201

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

ƒ Come si è risvegliato il sentimento nazionale negli Stati europei? ƒ Quando e in che modo è sorto il mito di Napoleone «padre delle nazioni»?

ƒ Quando iniziarono le campagne militari napoleoniche? ƒ Quali furono i Paesi europei conquistati dalle armate francesi? ƒ Che tipo di Stati si formarono nei territori conquistati da Napoleone?

ƒ Prima e Dopo ƒ Video - La propaganda napoleonica nella campagna d’Italia ƒ Immagine commentata - Napoleone si incorona imperatore ƒ Immagine commentata - La famiglia ai tempi di Napoleone

RIELABORARE, DISCUTERE, REINTERPRETARE ƒ Napoleone liberatore fu un mito trattato anche dalla letteratura dell’epoca: utilizzando testi della letteratura italiana ricostruisci quale idea si era creata in Italia dell’imperatore francese.

ƒ Online DOC - Cuoco: la «rivoluzione passiva» ƒ Online STO - Il giacobismo italiano ƒ Audiosintesi Unità 5

IN DIGITALE

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MISURARE LE COMPETENZE

GLI EVENTI

IL TEMPO

Completa la frase. 1. L’ascesa di Napoleone iniziò durante il periodo del Terrore con la campagna d’Italia contro l’Austria con la spedizione in Egitto

Unisci opportunamente avvenimento e data, indicando il numero corrispondente della data nella colonna a destra di ogni avvenimento.

2. Il primo popolo europeo che si ribellò all’occupazione francese fu quello italiano nel Regno di Napoli quello portoghese quello spagnolo 3. Tra i princìpi ispiratori del Codice napoleonico vi furono eguaglianza giuridica ed eguaglianza sociale eguaglianza giuridica e libertà individuale eguaglianza sociale e libertà individuale 4. Napoleone instaurò un regime autoritario e personalistico con l’appoggio dell’alta borghesia con l’appoggio delle masse popolari con l’appoggio della Chiesa 5. Durante il regime napoleonico furono introdotti provvedimenti a tutela dei lavoratori l’istruzione universitaria fu resa accessibile a tutti la libertà di stampa e la libertà di associazione vennero fortemente limitate 6. Dopo la battaglia di Waterloo Napoleone andò in esilio all’isola d’Elba Napoleone fu costretto all’esilio nell’isola di Sant’Elena Napoleone riuscì a governare il Paese ancora solo per cento giorni 7. Il trattato di Campoformio determinò il passaggio di Nizza e della Savoia alla Francia la nascita delle repubbliche sorelle la cessione di Venezia all’Austria 8. A Trafalgar l’esercito francese fu sconfitto da quello inglese la flotta francese fu sconfitta da quella inglese la flotta francese sconfisse quella inglese

LE PAROLE Definisci le seguenti espressioni: a. consolato b. plebiscito c. blocco continentale d. mobilità sociale e. terra bruciata f. Concordato

Avvenimento a Morte di Napoleone b Campagna militare in Italia c

Incoronazione imperiale di Napoleone

d Concordato con la Chiesa e Napoleone diventa console a vita f

Napoleone viene esiliato all’Elba

g Campagna di Russia h Pubblicazione del Codice Civile Data 1

1796-1798

2 1802 3 1812 4 5 maggio 1821 5 2 dicembre 1804 6 1804 7 aprile 1814 8 1801

VERSO L’ESAME DI STATO a. Rispondi alle seguenti domande. ƒCome iniziò la carriera di Napoleone e che importanza ebbe l’aspetto militare? ƒQuali importanti riforme realizzò Napoleone durante il suo governo? ƒQuale tattica militare adottò la Russia per sconfiggere Napoleone sul suo territorio? ƒPerché l’età napoleonica può definirsi un’epoca di innovazioni? ƒPerché, dopo l’esperienza rivoluzionaria e l’età napoleonica, risultò impossibile ritornare al passato dell’Ancien régime? b. Il saggio breve: interpreta e confronta i seguenti documenti. ƒp. 156 – Due immagini di Napoleone ƒp. 159 – Libertà e autorità ƒp. 221 – Magazine: Napoleone in guerra Successivamente, utilizzando anche le tue conoscenze, sviluppa l’argomento proposto nella forma del saggio breve, attribuendo alla composizione un titolo appropriato. Argomento. Napoleone: il soldato e l’uomo di Stato

CITTADINI ADESSO

L’età napoleonica

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La penna e la spada L’istruzione e la speranza di un mondo migliore Il mondo di oggi vive una contraddizione: nei Paesi occidentali troppi adolescenti abbandonano presto la scuola, mentre nei Paesi in via di sviluppo si lotta perché i bambini abbiano accesso all’istruzione. Anche in Occidente la possibilità di frequentare un regolare corso di studi non è sempre stato un diritto di tutti: ino all’Ottocento l’istruzione rappresentava un privilegio riservato solo a chi apparteneva a famiglie agiate. Con l’afermarsi delle democrazie si è lottato perché l’istruzione divenisse un diritto e un obbligo per tutti: la scuola rappresenta infatti uno strumento indispensabile sia per lo sviluppo del singolo cittadino sia per il progresso dell’intera società. Attraverso l’istruzione, infatti, cresce la possibilità per ciascun individuo di esprimere le proprie potenzialità e di trovare un impiego adatto alle proprie capacità, migliorando così la propria posizione economica e sociale. Impartire l’istruzione, renderla accessibile a tutti e fare in modo che i meritevoli possano raggiungere i più alti gradi di istruzione oggi fa parte dei compiti di ogni Stato democratico. L’istruzione è uno dei tre pilastri dello stato sociale, assieme alla previdenza e alla sanità. Lo stato sociale – o Welfare State – è il sistema con il quale lo Stato ofre i servizi necessari a garantire il benessere isico e psicologico a ciascun cittadino, il quale ha così la possibilità di migliorare la propria condizione e di godere pienamente dei propri diritti di libertà e uguaglianza.

1. LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA La Costituzione italiana considera il diritto all’istruzione un fondamento sul quale costruire una società nella quale l’uguaglianza non rimanga un principio scritto sulla carta o enunciato dai giuristi, ma divenga un elemento sostanziale della vita dei cittadini. Art. 33: […] La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. […] Art. 34: La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni*, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiun-

gere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso. *Con la Legge 27 dicembre 2006, n. 296, articolo 1, comma 622, si precisa: «L’istruzione impartita per almeno dieci anni è obbligatoria ed è finalizzata a consentire il conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno d’età».

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CITTADINI ADESSO

2. LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto una uguaglianza di diritto, è una democrazia puramente formale, non è una democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della società, di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la società. [...] La Costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità». Discorso di Piero Calamandrei, salone degli Affreschi della Società Umanitaria, 26 gennaio 1955, Milano)

PADRI COSTITUENTI Si tratta del gruppo di giuristi, politici ed esperti ai quali, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, tra il 1945 e il 1947, venne affidato il compito di elaborare la Costituzione italiana.

LESSICO

Piero Calamandrei (1889 - 1956) fu uno dei padri costituenti della Repubblica italiana. Politico antifascista, avvocato, professore universitario di Diritto e scrittore, partecipò, tra il 1946 e il 1947, alla stesura della Costituzione italiana (che entrò in vigore nel 1948). Ecco come, in un discorso tenuto a Milano il 26 gennaio 1955, Calamandrei illustra l’importanza attribuita all’istruzione dalla nostra Carta fondamentale: «L’articolo 34 dice: “I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Eh! E se non hanno i mezzi? Allora nella nostra Costituzione c’è un articolo che è il più importante di tutta la Costituzione, il più impegnativo per noi che siamo al declinare, ma soprattutto per voi giovani che avete l’avvenire davanti a voi. Dice così: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. È compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana: quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare una scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’articolo primo – “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” – corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo,

ENTRARE IN VIGORE Significa, in riferimento a una legge o a un’altra norma, iniziare ad avere effetto, diventare obbligatorio.

3. ISTRUZIONE E DIRITTO ALLO STUDIO IN ITALIA La Costituzione italiana stabilisce alcuni princìpi fondamentali riguardanti l’istruzione: lo Stato istituisce le scuole, garantisce che tutti possano frequentarle, stabilisce un obbligo minimo di istruzione e assicura a chi ne ha le capacità il diritto agli studi superiori. Vediamo questi princìpi ad uno a uno: ƒessendo la formazione dei cittadini un compito fondamentale per il funzionamento e lo sviluppo della società, è ovvio che debba essere lo Stato a occuparsene, da una parte regolando l’offerta formativa, dall’altra mettendo a disposizione scuole statali di ogni ordine e grado; ciò naturalmente non impedisce ai cittadini che lo desiderino di organizzare scuole private o di inviarvi i loro figli; ƒqueste strutture (le scuole) sono aperte «a tutti»: così stabilisce l’articolo 34 della Costituzione. Infatti in qualunque Stato democratico tutti, senza discriminazioni, hanno diritto all’istruzione; ƒin Italia l’istruzione inferiore (la scuola primaria e secondaria del primo ciclo), impartita per almeno otto anni, è «obbligatoria e gratuita». Oggi l’obbligo è stato innalzato a dieci anni, ma occorre considerare che nel 1948, quando la Carta costituzionale entrò in vigore, otto anni di istruzione obbligatoria rappresentavano una grande novità: infatti la popolazione italiana nell’immediato dopoguerra era in gran parte analfabeta. Grazie alle nuove garanzie costituzionali, la scuola italiana si aprì alle classi sociali più basse; ƒinfine per gli studenti meritevoli provenienti da queste classi deve essere possibile raggiungere i livelli più alti di istruzione. La Repubblica, infatti, rende effettivo il diritto allo studio in due modi:

– mettendo a disposizione di tutti le scuole pubbliche gratuite (la scuola primaria) o accessibili per mezzo di tasse di iscrizione di entità più bassa rispetto ai reali costi sostenuti dallo Stato (ciò è vero per tutti i gradi di istruzione, compreso quello universitario: in poche parole, i cittadini con le tasse coprono solo una piccola parte del costo effettivo della scuola); – sostenendo gli studenti e le loro famiglie con borse di studio, assegni ed altre facilitazioni.

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4. L’ITALIA E L’ISTRUZIONE: PROGRESSI E LACUNE Un’indagine svolta nel 2014 dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, un’organizzazione internazionale che riunisce 34 Paesi, compresa l’Italia), ha evidenziato come negli ultimi anni nel nostro Paese alcuni aspetti legati

all’istruzione siano migliorati, ma ha anche sottolineato come il tasso di scolarizzazione non sia cresciuto a sufficienza, specie in confronto ad altri Paesi.

I DATI SULL’ISTRUZIONE IN ITALIA TRA IL 2000 E IL 2012 LUCI E OMBRE DIPLOMA: LUCI

DIPLOMA: OMBRE

La percentuale dei 25-34enni che non aveva raggiunto il livello d’istruzione secondario superiore è diminuita dal 41% nel 2000 al 28% nel 2012.

Nel 2012, la percentuale di 25-34enni in Italia senza diploma del secondario superiore (28%) era la terza più alta dei Paesi EU21*, dopo Portogallo (42%) e Spagna (35%) ed era molto più alta rispetto alla media dell’OCSE** del 17,4% e alla media del 15,7% degli EU21.

LAUREA: LUCI

LAUREA: OMBRE

Nello stesso periodo, la percentuale dei laureati di 25-34 anni è aumentata costantemente dall’11% al 22%.

DONNE E LAUREA: LUCI Nel 2012, tra coloro che conseguono una laurea (programmi di studi superiori ossia ciclo di studi terziario – tipo A) si contano più di tre donne per ogni due uomini. Il 62% dei nuovi laureati è di sesso femminile, rispetto a una percentuale di donne laureate del 56% nel 2000.

Nel 2012, il tasso di laureati tra i 25-34enni è stato quart’ultimo dei 34 Paesi dell’OCSE e dei Paesi del G20 con dati disponibili. In media, i tassi di laureati hanno registrato un maggiore aumento nei Paesi dell’OCSE (+13,2 punti percentuali) rispetto all’Italia (+11,8 punti percentuali) tra il 2000 e il 2012. Ciò è accaduto nonostante i Paesi OCSE partissero da un livello medio più alto rispetto all’Italia (26% di laureati in media nei Paesi dell’OCSE rispetto all’11% in Italia nel 2000).

* EU21: i 21 Paesi europei presi in esame dall’indagine. ** OCSE: Paesi membri dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. Fonte: Uno sguardo sull’istruzione 2014: Indicatori dell’OCSE http://www.istruzione.it/

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CITTADINI ADESSO

5. LA PENNA È PIÙ POTENTE DELLA SPADA Nel 2013 Malala Yousafzai, una ragazza pakistana di 16 anni, parla al Palazzo di Vetro di New York, sede delle Nazioni Unite, davanti ai delegati di tutto il mondo. Malala è sopravvissuta a un attentato dei talebani, gli estremisti islamici che in Pakistan nel 2012 hanno tentato di ucciderla per il suo impegno a favore dell’istruzione delle ragazze. Il discorso di Malala è un grido pacato ma determinato in difesa dell’istruzione per tutti, in particolare per le bambine, che in molti Paesi sono escluse dalla scuola. È divenuta celebre una sua frase: «Un bambino, un insegnante, una penna e un libro possono cambiare il mondo», che sottolinea come l’istruzione possa diventare la vera «arma» rivoluzionaria. Nel 2014 Malala ha ricevuto il premio Nobel per la pace. Oggi per me è un onore parlare dopo lungo tempo […]. Oggi non è il giorno di Malala. Oggi è il giorno di ciascuna donna, ciascun ragazzo e ciascuna ragazza che abbiano alzato la voce per reclamare i loro diritti. Ci sono centinaia di attivisti per i diritti umani e operatori sociali che non si limitano a parlare di diritti umani, ma che lottano per raggiungere obiettivi di istruzione, pace e uguaglianza. Migliaia di persone sono state uccise dai terroristi e milioni di persone sono state ferite. Io sono solo una di loro. Così eccomi qui, una ragazza come tante. Io non parlo per me stessa, ma per tutti i ragazzi e le ragazze. Alzo la voce non per gridare, ma per far fare in modo che chi non ha voce possa essere ascoltato. Per coloro che hanno lottato per i loro diritti: il diritto di vivere in pace, a essere trattati con dignità, ad avere pari opportunità, a ricevere un’istruzione. Cari amici, il 9 ottobre 2012 i talebani mi hanno sparato sul lato sinistro della fronte. Hanno sparato anche ai miei amici. Pensavano che i proiettili ci avrebbero messi a tacere, ma hanno fallito. Anzi, dal silenzio sono spuntate migliaia di voci. I terroristi pensavano di cambiare i miei obiettivi e fermare le mie ambizioni. Ma nulla è cambiato nella mia vita, tranne questo: debolezza, paura e disperazione sono morte; forza, energia e coraggio sono nati. Io sono la stessa Malala. Le mie ambizioni sono le stesse. Le mie speranze sono le stesse. E i miei sogni sono gli stessi. Cari fratelli e sorelle, io non sono contro nessuno. Né sono qui a parlare in termini di vendetta personale contro i talebani o qualsiasi altro gruppo terroristico. Sono qui per sostenere il diritto

Malala Yousafzai per la quale l’istruzione è un’arma rivoluzionaria.

all’istruzione di tutti i bambini. Voglio un’istruzione per i figli e le figlie di tutti gli estremisti, specialmente per i figli dei talebani. Non odio nemmeno il talebano che mi ha sparato. […] Questo è ciò che la mia anima mi dice: stai in pace e ama tutti. Cari fratelli e sorelle, ci rendiamo conto dell’importanza della luce quando vediamo le tenebre. Ci rendiamo conto dell’importanza della nostra voce quando ci mettono a tacere. Allo stesso modo, quando eravamo a Swat, nel Nord del Pakistan, abbiamo capito l’importanza delle penne e dei libri appena abbiamo visto le armi. Il saggio proverbio «La penna è più potente della spada» dice la verità. Gli estremisti hanno paura dei libri e delle penne. Il potere dell’educazione li spaventa. Hanno paura delle donne. Il potere della voce delle donne li spaventa. […] Facciamo appello a tutti i governi affinché garantiscano un’istruzione gratuita e obbligatoria in tutto il mondo per ogni bambino. […] Cerchiamo quindi di condurre una lotta globale contro l’analfabetismo, la povertà e il terrorismo. Prendiamo in mano i nostri libri e le nostre penne. Sono le nostre armi più potenti. Un bambino, un insegnante, una penna e un libro possono cambiare il mondo. L’istruzione è l’unica soluzione. L’istruzione prima di ogni altra cosa.

COMPRENDERE E CONTESTUALIZZARE

RIELABORARE E DISCUTERE

Per quale motivo è lo Stato a istituire e mettere a ƒ disposizione le scuole, e questo compito non è lasciato alla libera iniziativa dei cittadini? ƒ Sapresti spiegare perché l’istruzione è sia un diritto sia un dovere? ƒ Come deve agire lo Stato se un ragazzo meritevole non ha abbastanza denaro per proseguire gli studi?

Riassumi con parole tue il messaggio principale del discorso ƒ di Malala Yousafzai. ƒ Svolgi una ricerca sulla storia di Malala e spiega per quale motivo le sue parole sono state ascoltate all’Onu e per quale motivo ha ricevuto il premio Nobel per la pace. ƒ Perché, secondo te, in alcuni Paesi l’accesso all’istruzione è ostacolato? ƒ Malala, in un altro passaggio del suo discorso, cita come suoi «maestri» ideali Martin Luther King, Nelson Mandela, Gandhi e Madre Teresa. Chi sono? Perché vengono citati da Malala? Che cosa li accomuna?

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La prima rivoluzione industriale PRIMA: La centralità dell’agricoltura Dall’era neolitica alla rivoluzione industriale, l’agricoltura fu l’attività economica più importante: il lavoro dei campi impegnava gran parte della popolazione e forniva i principali mezzi di sostentamento. Da secoli questa attività si svolgeva nello stesso modo, attraverso l’uso di tecniche consolidate ma poco produttive. In Inghilterra proprio i miglioramenti nel settore agricolo consentirono di accumulare capitali sufficienti per avviare una nuova fase economica.

CAUSE

EVENTI

CONSEGUENZE

La pressione causata dall’acqua in ebollizione può essere utilizzata come forza motrice

X

1712: Thomas Newcomen inventa la macchina a vapore

X

Diventa possibile sfruttare nuove fonti di energia

Collaborazione tra scienza e tecnica

X

1769: James Watt brevetta la sua macchina a vapore

X

L’invenzione poteva essere utilizzata in vari settori

Diffondersi di nuove macchine tessili e di nuove fonti di energia

X

1770 circa: Data simbolo con cui si suole indicare l’inizio In Inghilterra della prima rivoluzione industriale

X

Per l’umanità inizia una nuova era

Applicazione della macchina a vapore al trasporto

X

1829: Inaugurazione della prima linea ferroviaria per passeggeri da Manchester a Liverpool

X

Rivoluzione dei trasporti

Diffondersi di nuove tecniche di coltivazione, concimi artificiali, macchine agricole

X

1800-1850: La produzione agricola aumenta del 50%

X

Rivoluzione agricola

Diminuzione del tasso di mortalità e prolungamento della vita media

X

1770-1870: La popolazione europea raddoppia

X

Rivoluzione demografica

DOPO: L’industrializzazione dell’Europa Con la progressiva diffusione della rivoluzione industriale, gran parte dell’Europa subì gli stessi cambiamenti che si erano verificati in Inghilterra. Molti Paesi avevano importato le innovazioni tecnologiche e i metodi di lavorazione inglesi e avevano favorito la produzione con misure ancora una volta ispirate a quel Paese modello. Perciò nell’Europa continentale, nel corso del XIX secolo, si svilupparono aree con una forte concentrazione di industrie.

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VIDEO

IL CONTROLLO DELL’ENERGIA INANIMATA

1. Una definizione, molti aspetti UN PROCESSO DI RADICALE TRASFORMAZIONE

La rivoluzione industriale aprì le porte a un mondo di nuove e inusitate fonti di energia, le fonti di energia inanimata, quali il carbone, poi il petrolio e l’elettricità, oggi l’atomo, sfruttate mediante convertitori. Il controllo dell’energia inanimata apre un’epoca in cui l’uomo si trova a poter disporre di masse di energia inconcepibili nei periodi precedenti e lo sfruttamento su vasta scala di tali fonti ha mutato radicalmente le società umane.

La prima rivoluzione industriale fu il risultato di un insieme di innovazioni economiche e sociali che, a partire dal modo di produrre, furono in grado di mutare la vita dell’uomo in tutti i suoi aspetti. Questo fenomeno ebbe inizio in Inghilterra alla ine del Settecento. Nell’arco di un secolo, grosso modo dal 1770 al 1870, l’agricoltura (settore primario) venne superata, come principale fonte di reddito, dall’industria (settore secondario). Mentre la maggior parte dei contadini si trasformava in operai, le città presero a crescere rapidamente e la popolazione complessiva raddoppiò. Non era mai avvenuto un mutamento così radicale della vita dell’uomo dall’era neolitica (circa 8000 anni a.C.), cioè da quando l’uomo da raccoglitore e pescatore si era trasformato in agricoltore e allevatore.

PERCHÉ IN INGHILTERRA? Ma perché la prima rivoluzione industriale ebbe inizio proprio in Inghilterra? Per una serie di fattori: ƒla Rivoluzione inglese aveva profondamente innovato non solo la vita politica, ma anche quella economica, consentendo la libera circolazione delle merci, negata in gran parte del continente europeo da vincoli di carattere feudale (ad esempio, erano ancora innumerevoli i dazi); ƒil Paese si dotò, nel corso del Settecento, di un’eiciente rete di trasporti, formata sia da strade sia da canali navigabili; ƒin dal Cinquecento si era prodotta una profonda trasformazione della vita nelle campagne, con la difusione delle recinzioni, che favorì la specializzazione delle produzioni e lo sviluppo dell’allevamento: l’Inghilterra nel Settecento poté così contare su di un surplus di capitali da investire; ƒla trasformazione delle campagne comportò l’espulsione dai villaggi agricoli di una massa crescente di contadini, che si resero così disponibili a trasferirsi nelle città e a intraprendere un nuovo lavoro a bassi salari (il che agevolò l’accumulazione del proitto industriale); ƒl’afermazione coloniale consentì all’Inghilterra di disporre di un grande mercato internazionale per la vendita dei suoi prodotti; ƒl’isola era ricca di materie prime, in particolare di carbone e di ferro (non a caso le prime aree a essere industrializzate furono quelle prossime ai bacini carboniferi e alle miniere di ferro); ƒi tecnici e gli scienziati inglesi detennero per un lungo periodo, a partire dal Settecento, un primato indiscusso nell’ambito delle più importanti scoperte tecnico-scientiiche.

LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE NEGLI ALTRI PAESI Il secondo Paese in cui si veriicò il decollo della rivoluzione industriale fu il Belgio, intorno al 1790, grazie a un contesto assai favorevole, per certi aspetti simile a quello inglese: notevole sviluppo agricolo, commerciale, minerario ecc. Seguirono la Svizzera e soprattutto la Francia (1830), dove lo sviluppo si manifestò con particolare gradualità, lasciando sopravvivere un mondo rurale molto consistente. Il decollo industriale della Germania è invece situabile intorno al 1850. In quest’area venne messo a punto il consistente contributo del sistema bancario con l’utilizzazione delle «banche d’afari»: ciò permise di «forzare» il decollo dell’apparato produttivo, coinvolgendo negli investimenti industriali anche il piccolo risparmio.

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La prima rivoluzione industriale Sempre intorno al 1850 è da collocare il momento speciico della rivoluzione industriale per gli Stati Uniti, mentre tra la seconda metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento si svilupparono Paesi come il Giappone, la Russia e l’Italia.

GUIDA ALLO STUDIO

DUE MOMENTI FONDAMENTALI

e

crisi (punto di svolta superiore)

ne

espa

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CICLICITÀ L’economia sorta dalla rivoluzione industriale si caratterizza per un andamento che gli economisti definiscono «ciclico»: nella fase di espansione si dilatano la produzione, gli investimenti, i profitti e i consumi fino a che, a causa della concorrenza, dell’aumento del costo del lavoro, della tecnologia e della sovrapproduzione di merci, non si giunge alla crisi e si inverte la tendenza; con la fase recessiva diminuiscono gli investimenti, calano gli utili, si chiudono numerose fabbriche, aumenta la disoccupazione. Dopo un periodo di stagnazione, la ripresa e lo sviluppo si manifestano nuovamente in termini significativi.

LESSICO

Nell’evoluzione della prima rivoluzione industriale si possono riconoscere due momenti: ƒil primo periodo, dal 1770 al 1830, fu caratterizzato dall’espansione della produzione tessile, che con l’afermazione dell’industria cotoniera rappresentò il settore di punta; ƒil secondo periodo, dal 1830 in poi, fu dominato dall’avvento delle ferrovie e la siderurgia diventò il settore trainante dello sviluppo. Ma al di là dei grandi e qualitativi mutamenti, come appunto l’avvento delle ferrovie, lo sviluppo del sistema produttivo industriale manifestò, in dalle origini, un andamento caratterizzato dalla ciclicità.

ƒ Che cosa si intende per rivoluzione industriale? ƒ Per quali motivi la rivoluzione industriale ebbe inizio in Inghilterra? ƒ In quali Paesi, in ordine di tempo, ebbe luogo la rivoluzione industriale dopo l’Inghilterra? ƒ Quando ebbe invece inizio nel nostro Paese? ƒ Quanti e quali momenti si possono riconoscere nell’evoluzione della prima rivoluzione industriale?

ripresa (punto di svolta inferiore)

LO SVILUPPO INDUSTRIALE INTORNO ALLA METÀ DEL XIX SECOLO

Anversa es

Zur M Milano

I n

C Belgraad

uc

NTEN N

Zone di maggiore concentrazione industriale Miniere di ferro Industrie metallurgiche Industrie tessili Miniere di carbone

170

UNITÀ 6

2. Le innovazioni tecnologiche L’INTESA TRA SCIENZA E TECNICA MAGAZINE

LEGGERE UN CLASSICO

Uomini, tecniche, economie Pag. 236

COMPETENZE

USARE LE FONTI

La civiltà delle macchine Pag. 186

LE TRE RIVOLUZIONI INDUSTRIALI

La rivoluzione industriale non sarebbe stata possibile senza innovazione tecnologica, in particolare senza l’utilizzazione di macchine in grado di aumentare straordinariamente la produttività del lavoro umano. Sarebbe sbagliato, però, pensare a queste innovazioni come a una diretta conseguenza della rivoluzione scientiica del XVII secolo. Non è scontato, infatti, che scienza e tecnica convergano sui medesimi obiettivi. Anzi, se ripercorriamo rapidamente il passato, dalle civiltà antiche ino all’Europa moderna, possiamo rintracciare due storie diverse: ƒla forma di governo non era più la monarchia costituzionale, ma la repubblica, che veniva dichiarata una e indivisibile; ƒda un lato quella dei tecnici, uomini magari privi di cultura, ma geniali nell’individuare soluzioni pratiche in grado di migliorare la vita dell’uomo; ƒdall’altro quella degli scienziati, dediti a speculazioni teoriche e poco propensi a occuparsi dei vantaggi che le loro scoperte potevano procurare. Anche il vero e proprio boom di invenzioni che si produsse tra la ine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento fu dovuto soprattutto all’opera di artigiani di straordinaria genialità. Più tardi, l’esigenza di risolvere i problemi produttivi determinati dall’utilizzazione delle nuove macchine impose alla scienza e alla tecnica di trovare un quotidiano terreno d’intesa. Così, ciò che era l’eccezione divenne la norma.

INGHILTERRA

PRIMA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE (1770-1870)

CARBONE MACCHINA A VAPORE

EUROPA STATI UNITI

SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE (1870-1945)

ELETTRICITÀ PETROLIO MOTORE A SCOPPIO

STATI UNITI UNIONE SOVIETICA PAESI GIÀ INDUSTRIALIZZATI

TERZA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE (1945-OGGI)

ENERGIA ATOMICA ASTRONAUTICA INFORMATICA

L’AVVENTO DELLE MACCHINE NEL SETTORE TESSILE Il primo settore che venne trasformato dall’avvento delle macchine fu quello tessile, dove si veriicò una vera e propria «reazione a catena». Infatti, l’introduzione di una nuova macchina in una fase del processo produttivo determinava un tale aumento della produzione da imporre la meccanizzazione della fase successiva. In altri termini, l’applicazione di una macchina causava una «strozzatura» del processo produttivo che rendeva necessaria un’altra invenzione, una nuova macchina, la quale a sua volta generava una «strozzatura» che richiedeva l’invenzione di una nuova macchina, ecc.

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La prima rivoluzione industriale La sequenza delle innovazioni si fa in genere iniziare dalla spoletta volante (1733) dell’orologiaio John Kay che permise di quadruplicare la produttività del telaio tradizionale. Ma la vera svolta si ebbe con l’invenzione dei ilatoi idraulici che sostituirono quelli azionati manualmente dall’operaio, aumentando la produttività di centinaia di volte: il water frame (1769) del barbiere Richard Arkwright (1732-1792) e il mule (1779) del tessitore e agricoltore Samuel Crompton (1753-1827). Questi ilatoi erano azionati da ruote idrauliche, analoghe a quelle dei mulini ad acqua. Conseguentemente la produzione, prima dispersa nella lavorazione a domicilio, si concentrò in fabbriche situate in luoghi in cui era possibile sfruttare i corsi d’acqua.

Arkwright fu il più interessante tra i primi geniali inventori. Ecco come il suo biografo, lo storico Smiles, nel saggio intitolato Chi si aiuta Dio l’aiuta, così ce lo presenta. Da fanciullo fu garzone di barbiere. Imparato il mestiere, mise su bottega nel 1760 a Bolton in una cantina su cui scrisse questa frase: Al barbiere sotterraneo. Qui si fa la barba per due soldi. Gli altri barbieri, vistosi per ciò diradare i clienti, ridussero allo stesso prezzo l’opera loro. Ma Arkwright in risposta scrisse sulla botteguccia: A un soldo. In capo a pochi anni vendette la bottega, e si diede girovagando a trafficare in capelli. Portato per la meccanica, costruiva a tempo perso modelli di macchine. Pose nelle sue esperienze tanto ardore che perduto il poco ben di Dio accumulato, si ridusse al verde. La moglie ritenendo quello un inutile spreco di denaro e di tempo, montò un giorno in grand’ira, e afferrati tutti quanti i modelli del marito li distrusse. Arkwright, tenace quanto entusiasta, s’indignò

talmente della condotta della moglie, che si separò subito da lei, né mai più le perdonò. Recatosi a Nottingham, chiese denaro ad alcuni banchieri, tra i quali i Wright, che si dissero disposti a fornirgli una somma purché dividesse con loro gli utili. La macchina per altro doveva essere ultimata entro un termine fisso. Il che non essendosi verificato, i banchieri incominciarono a diffidare e non ne vollero più sapere e consigliarono Arkwright di rivolgersi ai signori Strutt e Need. Il primo dei quali, inventore ingegnoso e privilegiato della macchina da calze, comprese subito il pregio dell’invenzione. Fu costituita una società tra essi, da cui Arkwright si vide finalmente aperta la via alla fortuna. A 50 anni imparò la grammatica inglese e si perfezionò nella calligrafia e nell’ortografia. Viaggiava e di gran carriera per risparmiare tempo. Adattato da S. Smiles, Chi si aiuta Dio l’aiuta, Fratelli Treves

I PROTAGONISTI

Arkwright, un geniale barbiere

James Watt durante una fase di studio della macchina a vapore.

Mather Brown, Ritratto di Sir Richard Arkwright, 1790. New Britain, Museo di Arte americana.

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UNITÀ 6

LA NECESSITÀ DI CONOSCENZE SCIENTIFICHE

MAGAZINE

TECNICA E SCIENZA

Il prodigio della macchina a vapore

STORIA E TECNICA

Pag. 209

Un orologiaio, un barbiere e un tessitore: le professioni degli inventori di cui abbiamo sinora parlato escludono evidentemente qualsiasi preparazione scientiica. Tuttavia non fu possibile prescindere a lungo dalle conoscenze scientiiche. La produzione di tessuti, infatti, richiedeva anche operazioni non strettamente legate all’utilizzazione di telai meccanici: era questo, ad esempio, il caso del candeggio, il processo che serve a sbiancare la lana, o della tintura dei tessuti. «Ma un operaio generico – scrive lo storico della scienza Lilley – può giungere a immaginare combinazioni di leve, pulegge, ruote, bielle. E può cercare di costruire le macchine così immaginate. Per contro le « ruote» del processo chimico – le molecole, gli atomi, gli elettroni, come diremmo oggi – non sono altrettanto visibili. Il lavoratore generico è perciò costretto al lento processo dei tentativi ed errori. Per mantenere lo sviluppo della chimica al passo con le invenzioni meccaniche era necessario l’intervento di uomini che avessero ricevuto un’istruzione scientiica vera e propria». Solo così era possibile trovare nuove soluzioni per operazioni come il candeggio o la tintura dei tessuti. Da qui il ricorso alla scienza chimica, che prese a svilupparsi enormemente.

Una nuova macchina per i tessuti In questa stampa inglese del 1820 vediamo l’interno di una fabbrica di Manchester. Si tratta di un laboratorio in cui si fabbricano tessuti e nel quale è stata introdotta una nuova macchina.

1. Uno sguardo complessivo all’ambiente permette di vedere come il lavoro sia quasi totalmente meccanizzato. Il compito dell’uomo si limita a coadiuvare il lavoro della macchina o a sorvegliarne il funzionamento. Ciò non significa che il lavoro sia più leggero, anzi: l’uomo deve adeguare i propri movimenti e il proprio sguardo ai ritmi rapidi e ripetitivi imposti dalla macchina.

5. Sedute accanto al filatoio, le donne sembrano le uniche a svolgere un lavoro davvero manuale, mentre gli uomini effettuano soprattutto operazioni di controllo dei macchinari.

2. Le persone in movimento evocano la frenesia che pervade l’ambiente della fabbrica. L’operosità e l’energia sono alla base del successo di un’impresa. D’altra parte il lavoro incessante delle macchine non concede momenti di distensione che non siano previsti da un orario prestabilito.

3. Separati dall’officina sono gli uffici dove si dirige e si amministra l’impresa. Anche in questo spazio vige un’atmosfera operosa: le decisioni che riguardano la vita della fabbrica richiedono altrettanta solerzia e dedizione al lavoro.

4. Osservando l’abbigliamento delle persone si comprendono bene i loro ruoli. La camicia e il gilet contraddistinguono gli operai e i tecnici adibiti alle mansioni esecutive. Un abbigliamento più elegante connota invece coloro che dirigono il lavoro e che si occupano della parte amministrativa.

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La prima rivoluzione industriale

L’INVENZIONE E IL SUO PERFEZIONAMENTO

GUIDA ALLO STUDIO

LE APPLICAZIONI DELLA MACCHINA La macchina a vapore ebbe un’incidenza determinante nel decollo della rivoluzione industriale. L’importanza dell’invenzione derivò dalla sua genericità, dal fatto cioè che poté essere utilizzata nei più svariati settori. Con la sua applicazione, infatti, tutto cambiò: ƒnelle attività minerarie, poiché la macchina a vapore consentì di introdurre aria nelle miniere e di prosciugare l’acqua dei pozzi; ƒnell’agricoltura, con l’introduzione delle macchine agricole; ƒnei trasporti, con l’avvento della ferrovia e del battello a vapore; ƒnell’industria, con la possibilità di situare le fabbriche non nei pressi dei corsi d’acqua ma nelle città, cioè nei luoghi in cui si poteva approittare della vicinanza dei mercati e di un’ampia disponibilità di manodopera. La macchina a vapore è dunque all’origine del paesaggio a noi noto della società industriale.

ƒ Perché fu determinante, ai fini del progresso tecnologico, l’intesa tra gli scienziati e i tecnici? ƒ Quale fu il settore che per primo fu trasformato dall’avvento delle macchine? E chi furono i primi «inventori»? ƒ Chi inventò la macchina a vapore e quando? ƒ In quali settori trovò immediata applicazione?

La macchina a vapore 2. La forza motrice creata dal pistone veniva trasmessa al bilanciere attraverso il parallelogramma. Era costituito da un sistema di leve che assomigliavano ai lati di un parallelogramma. Si tratta di un’altra preziosa innovazione introdotta da Watt: contribuiva a trasformare le spinte cicliche del pistone in un movimento regolare e continuo.

1. Il regolatore è uno dei meccanismi di perfezionamento introdotti da Watt. Serviva a dosare la quantità di vapore che entrava nell’ingranaggio della macchina. Grazie a questa innovazione, la velocità della macchina poteva essere regolata a seconda del lavoro da svolgere.

6. Giunta alla ruota dentata, la forza motrice partita dal cilindro si trasformava in movimento rotatorio, che poteva essere utilizzato per gli scopi più diversi.

3. Il cilindro era il cuore della macchina, il punto in cui si originava la forza che produceva il movimento. Il vapore entrava nel cilindro e costringeva il pistone ad abbassarsi, dopo di che, un sistema di valvole faceva uscire il vapore permettendo al pistone di risalire. Il movimento ciclico del pistone produceva la forza motrice.

4. Il condensatore era un’altra innovazione di Watt. Esso permetteva che la condensazione del vapore avvenisse in un recipiente separato dal cilindro, che non doveva così essere continuamente riscaldato o raffreddato.

5. Il bilanciere, saldamente attaccato a un perno centrale, produceva un moto ascendente e discendente che trasmetteva alla ruota la forza motrice.

STORIA E TECNICA

Il concorso delle conoscenze scientiiche fu indispensabile per lo sfruttamento di nuove fonti di energia. In questo campo un passo fondamentale fu compiuto con l’invenzione della macchina a vapore che nella sostanza consentì l’utilizzazione dell’energia chimica del carbone. Questa conquista si deve all’ingegnere scozzese James Watt (1736-1819) che, su incarico dell’Università di Glasgow, nel 1769 perfezionò la macchina a vapore inventata da Thomas Newcomen nel 1712. L’utilizzazione della macchina di Watt nell’industria iniziò a difondersi signiicativamente solo dopo il 1785 e nell’arco di un quarantennio si impose in modo generalizzato.

UNITÀ 6

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3. Risorse economiche e spirito d’impresa La banca d’Inghilterra, a Londra, in una litografia del 1851.

COME FINANZIARE IL PROGRESSO In un primo momento lo sviluppo dell’industria inglese fu sostenuto da capitali provenienti dalle attività agricole e commerciali. Ben presto però si passò all’autoinanziamento, nel senso che le imprese reinvestivano i proitti ottenuti sfruttando la manodopera in modo disumano. In altri termini, gli imprenditori utilizzarono i proitti per acquistare le attrezzature necessarie a passare dal livello di lavorazione artigianale a quello industriale. Successivamente si ricorse a nuove forme d’investimento con la nascita delle società per azioni: il capitale di un’azienda venne suddiviso in tante quote, dette azioni, acquistabili da grandi e piccoli risparmiatori. La Borsa, dove si procedeva all’acquisto e alla vendita delle azioni, divenne così lo specchio dell’economia del Paese. Inine, un ulteriore salto qualitativo avvenne con l’avvento della ferrovia e della siderurgia, che implicavano un’immensa disponibilità di capitali. Ciò determinò il crescente coinvolgimento delle banche e dello Stato. Questa evoluzione avvenne gradualmente in Inghilterra, mentre gli altri Paesi dovettero far fronte al divario ormai stabilitosi con essa: per colmare lo svantaggio si rese necessario in dall’inizio il massiccio intervento di capitali privati e pubblici.

LA MENTALITÀ IMPRENDITORIALE

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ All’inizio della rivoluzione industriale, da chi fu sostenuto lo sviluppo dell’industria inglese? ƒ In seguito, a quali forme di investimento finanziario si ricorse? ƒ Che cosa significava «avere una mentalità imprenditoriale»? ƒ Che cosa ne pensava l’economista tedesco Max Weber?

LETTERATURA E STORIA

Perché ci sia sviluppo industriale non sono suicienti i capitali. Infatti, il possesso di capitali non implica di per sé l’attività imprenditoriale: perché questa si manifesti occorrono volontà e spirito d’iniziativa. In realtà, il ruolo dell’imprenditore implica non solo disponibilità al rischio ma anche capacità creative e organizzative. Non è facile stabilire quali fattori favoriscano il difondersi di una mentalità di questo tipo. Alcuni studiosi si sono richiamati alle tesi dell’economista tedesco Max Weber (1864-1920) nel saggio L’etica protestante e lo spirito del capitalismo. Secondo Weber la mentalità protestante (soprattutto quella calvinista) è particolarmente adatta allo sviluppo industriale perché pone l’accento sull’importanza del successo economico, da intendersi come segno della benevolenza divina nei confronti dell’individuo; l’imprenditore poi non «spreca» il frutto della sua attività (il proitto è un dono di Dio), ma lo reinveste nella ricerca di un nuovo proitto. Altri studiosi hanno sottolineato il ruolo dell’istruzione, con lo sviluppo delle scuole tecniche; o l’importanza della cultura dell’intrapresa, formatasi attraverso secoli di impegno nelle attività commerciali, come nel caso inglese. Altri ancora hanno posto in evidenza il ruolo delle minoranze (etniche, religiose ecc.), il cui spirito imprenditoriale è sollecitato dall’essere escluse da forme più garantite di guadagno.

Frankenstein Mary Shelley (1797-1851)

Molti conoscono il personaggio di Frankenstein di Mary Shelley (1797-1851), lo spaventoso mostro creato grazie agli esperimenti di uno scienziato imprudente: il dottor Frankenstein, appunto. Non tutti sanno che il romanzo a cui appartiene questo personaggio è stato scritto nel pieno della prima rivoluzione industriale ed esprime i sentimenti e le paure di quell’epoca. Nella storia del dottor Frankenstein e del suo

tentativo di dare vita a un uomo costruito con membra di defunti, si può riconoscere il timore degli uomini di allora verso lo sviluppo della tecnologia e i progressi della scienza, che non erano mai stati così veloci e pieni di conseguenze. Grazie alle macchine e alle scoperte scientifiche l’uomo sembrava in grado di dominare la natura, e molti vedevano in questo un pericoloso tentativo di sostituirsi a Dio. Inutile dire che il libro ebbe un enorme successo.

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La prima rivoluzione industriale

4. La questione sociale L’ENORME CRESCITA DELLA POPOLAZIONE URBANA

La Londra dei proletari Questa incisione del 1868 si intitola Over London By Rail, cioè «Sopra Londra con il treno». L’autore, il pittore e illustratore francese Gustave Doré (1832-1883), ha voluto mostrare la vita dei proletari inglesi da un’angolazione particolare, quel1. L’alta concentrazione di case e di altri tipi di strutture rendeva l’ambiente particolarmente buio e umido. Il numero di persone che vivevano in ciascuna abitazione era ben superiore a ciò che oggi è considerato accettabile.

4. I servizi igienici erano in comune e le fogne scorrevano a cielo aperto in mezzo alle file di case. Intossicazioni ed epidemie erano all’ordine del giorno.

la dei treni che passavano al di sopra delle abitazioni. Già nell’Ottocento i quartieri popolari erano spesso sovrastati da ponti e viadotti costruiti per facilitare il passaggio delle vie di comunicazione. 2. Un treno corre nella notte. Lo sbuffo che esce dal fumaiolo ci ricorda il grave problema dell’inquinamento. Nell’Ottocento le città industriali erano completamente immerse in una spessa nube di smog, provocata soprattutto dalle ciminiere delle fabbriche.

3. Anche se è notte, gli angusti cortili sono gremiti di persone indaffarate. La vita del proletario non conosce riposo, ma solo un’incessante lotta per la sopravvivenza quotidiana.

VITA QUOTIDIANA

La dislocazione delle fabbriche nelle città favorì una crescita tumultuosa della popolazione urbana: nel 1800 in Europa c’erano solo 22 città con oltre 100 000 abitanti, nel 1850 se ne contavano 47 (di cui 22 inglesi) e nel 1900, 135. Londra, che nel 1800 aveva 1 117 000 abitanti, in soli cinquant’anni giunse a 2 685 000, mentre nello stesso periodo Parigi passò da 567 000 a 1 053 000. Emblematico fu il caso di Manchester, la capitale dell’industria cotoniera: all’inizio del XVIII secolo era solo un villaggio, nel 1801 raggiunse i 175 000 abitanti, per arrivare nel 1851 a 303 000. È facile immaginare la situazione drammatica che si venne a creare in queste città. In pochi anni furono costruiti interi quartieri, ovviamente privi dei più elementari servizi, in stridente contrasto con le eleganti residenze della ricca borghesia. Le descrizioni dei contemporanei assumono spesso toni di ripugnanza: «A Manchester una parte della popolazione vive in cantine umide o troppo calde, puzzolenti e malsane; tredici o quindici persone nello stesso alloggio» (Tocqueville); «Gli alloggi degli operai a Liverpool sono insalubri più ancora che miserabili. Ci sarebbero settemila cantine abitate da più di ventimila persone» (Faucher); «Le cantine non sono poi le peggiori abitazioni. Le peggiori sono le soitte, dove non c’è nessuna protezione contro gli eccessi della temperatura: poiché gli inquilini non hanno nemmeno modo di tenere acceso il fuoco per scaldarsi d’inverno» (Villermé). Le drammatiche condizioni delle classi sociali inferiori furono al centro dell’attenzione dei più importanti politici e teorici: è appunto a questo problema che venne dato il nome di questione sociale.

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UNITÀ 6

LA TREMENDA CONDIZIONE OPERAIA

MAGAZINE

VIA QUOTIDIANA

Che cosa mangiavano i poveri?

LESSICO

Pag. 214

Ancora più drammatica era la condizione dei lavoratori nelle fabbriche: la durata della giornata lavorativa era massacrante (anche 16-18 ore); gli operai lavoravano in ambienti malsani, erano privi di qualsiasi tutela e continuamente sottoposti alla minaccia del licenziamento. A dettare il ritmo del lavoro era la macchina, di cui l’operaio diveniva lo strumento. Anche le donne e i bambini erano sottoposti a queste dure condizioni. Per quanto oggi possa apparire inconcepibile, era normale lavorare dopo i sei anni. Principalmente nell’industria tessile, l’impiego di manodopera minorile e femminile fu massiccio: nel 1835 in Inghilterra costituiva il 61% dei lavoratori dell’industria del cotone. Donne e bambini venivano assunti per convenienza economica, perché percepivano un salario più basso degli uomini, ed erano più docili nell’eseguire il lavoro. Si può certamente afermare, dunque, che all’avvento della rivoluzione industriale la situazione dei lavoratori peggiorò. Nell’arco di pochi decenni, tuttavia, le condizioni di vita migliorarono sensibilmente, tanto che nel 1846 uno storico francese, Michelet, poteva scrivere: «Ogni donna, una volta, aveva un vestito blu o nero che portava per dieci anni senza mai lavarlo nel timore che andasse a brandelli. Oggi suo marito con una giornata di lavoro le può comprare un abito a iori». GIORNATA LAVORATIVA Con questa espressione si intende la durata del lavoro giornaliero, vale a dire il tempo che il lavoratore dedica ogni giorno al proprio lavoro. Oggi, nei principali Paesi industrializzati, la media di ore svolte dai lavoratori salariati è di 8 al giorno, per un totale di 40 ore settimanali. In Italia questa quantità di lavoro è stabilita per legge, e non può essere superiore, tranne casi particolari. Ma non è sempre stato così. Durante la prima rivoluzione industriale nessuna legge si occupava di regolare la giornata lavorativa, che era affidata agli accordi tra i datori di lavoro e i lavoratori stessi. Furono le lotte dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali a ottenere gradualmente una riduzione dell’orario, che scese dalle 14-16 ore al giorno dell’Ottocento alle 10-12 dell’inizio del Novecento.

È GIUSTO CHE I BAMBINI LAVORINO?

IERI Non esisteva alcuna tutela Con lo sviluppo della rivoluzione industriale si fece ricorso al lavoro infantile, per il quale non vi era alcuna tutela (protezione). Anzi, proprio l’elevato numero dei bambini disponibili faceva sì che non vi fosse alcun riguardo per le loro condizioni lavorative o di salute. Nessun diritto Nel passato i bambini non avevano nessun diritto. Venivano impiegati nelle fabbriche perché non potevano protestare in alcun modo. Le lotte di ieri Nel passato le leggi a tutela dei bambini vennero duramente osteggiate dagli imprenditori e i risultati raggiunti furono pochi: divieto ai bambini di età inferiore ai 9 anni di lavorare e limite delle 8 ore lavorative. Lo sfruttamento dei bambini era un’idea molto radicata nella società. Si riteneva infatti che il gioco e lo studio non fossero dei diritti fondamentali dei bambini.

TUTOR

OGGI La legge tutela i bambini Oggi in tutti gli Stati evoluti vi sono leggi che tutelano il lavoro dei più giovani e soprattutto ne tutelano la salute e il diritto allo studio: in Italia, ad esempio, si può iniziare a lavorare solo dopo avere assolto all’obbligo scolastico. Carta dei diritti dei bambini La Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia stabilisce con chiarezza quali sono i diritti dei bambini. Le lotte di oggi In molti Paesi le leggi di tutela del lavoro dei bambini sono scrupolosamente osservate. Vi sono però molte zone del mondo (nei Paesi più poveri, come l’India o il Bangladesh) in cui il lavoro dei bambini è ancora molto diffuso. Per sensibilizzare l’opinione pubblica si sono mosse diverse organizzazioni internazionali, ma in molti casi con scarsi risultati.

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La prima rivoluzione industriale

LA PROTESTA VIOLENTA DEL LUDDISMO

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ A seguito dell’insediamento delle fabbriche, di che tipo fu l’incremento della popolazione urbana? ƒ Di conseguenza, qual era la condizione abitativa dei nuovi inquilini? ƒ Qual era la condizione dei lavoratori nelle fabbriche? ƒ Che cos’era il luddismo?

Il percorso che determinò il superamento delle prime drammatiche contraddizioni non fu né breve né semplice. Tra le altre conseguenze, l’introduzione delle macchine causò la scomparsa di antichi mestieri e la riduzione della manodopera. La reazione operaia a questi fenomeni assunse in alcuni casi forme violente e vandaliche. La protesta, particolarmente attiva all’inizio dell’Ottocento, si concretizzò nella distruzione delle macchine e prese il nome di luddismo, da un certo Ned Ludd, leggendario capo della rivolta. I luddisti erano in genere degli operai specializzati danneggiati dall’avvento delle macchine che, annullando la loro professionalità, ne determinava il declassamento a operai generici, se non il licenziamento. Questo fenomeno venne represso in modo drastico: si giunse addirittura a prevedere per i luddisti la pena di morte. Solo negli anni Venti e Trenta del XIX secolo sorsero le prime organizzazioni sindacali a difesa dei lavoratori.

COMPETENZE

USARE LE FONTI

Alcol e miseria Pag. 187

Papà Goriot Honoré de Balzac (1799-1850)

In questo romanzo, il grande scrittore francese Honoré de Balzac dipinge un quadro realistico della società parigina nel periodo delle trasformazioni legate alla rivoluzione industriale. È la storia di un giovane ambizioso che vuole arricchirsi e farsi accettare nel mondo della nobiltà e dell’alta borghesia, Eugène de Rastignac, studente di origine nobile, ma ormai povero; nella pensione dove alloggia

a Parigi conosce papà Goriot, un ex commerciante caduto in rovina per assicurare una bella vita alle sue figlie. Le vicende del giovane si intrecciano con quelle di papà Goriot e di altri personaggi, e tutti sembrano avere come unico obiettivo il potere e il denaro. Dopo successi e sconfitte, Rastignac si rende conto dell’importanza del denaro come motore delle vicende umane ed è sempre più deciso ad avere la sua parte di ricchezza e potere: vince dunque l’etica borghese del profitto.

LETTERATURA E STORIA

I luddisti entrano nelle fabbriche e distruggono tutto come si può vedere in questa stampa ottocentesca.

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UNITÀ 6

5. Agricoltura e demografia L’AGRICOLTURA NELL’ANTICO REGIME Per comprendere quanto accade nell’ambito agricolo con il difondersi della prima rivoluzione industriale occorre partire dall’Antico regime. L’Antico regime era una società rurale in cui l’unico modo per aumentare le risorse a disposizione della popolazione era quello di ampliare la supericie coltivata. Le rese agricole danno un’immagine estremamente chiara della bassa produttività del lavoro: per il frumento, ad esempio, erano raramente superiori a cinque-sei volte la quantità di semente. Per soddisfare le esigenze primarie di dieci persone era necessario il lavoro di sette o otto uomini. Ciò comportava una forte concentrazione della forza lavoro nell’agricoltura, dove operava il 65-90% della popolazione. Questo mondo, immobile da secoli, venne radicalmente sconvolto dalla rivoluzione agricola consistente in un radicale rinnovamento dell’agricoltura che si difuse parallelamente alla rivoluzione industriale.

LE CAUSE DELLA RIVOLUZIONE AGRICOLA Tra il 1800 e il 1850 anche la produzione agricola segnò un notevole e difuso incremento; in Paesi come la Gran Bretagna, la Francia e la Germania lo sviluppo fu dell’ordine del 50%. E ciò grazie a tre principali fattori: 1. la progressiva liberazione dei contadini da ogni vincolo di origine feudale nei confronti dei nobili; il che comportò un’ampia acquisizione privata di terre e l’allargamento delle aree coltivate; 2. a partire dal Settecento, l’afermazione di nuove tecniche di coltivazione e di rotazione delle colture: si passò dalla rotazione triennale in cui si lasciava sempre un campo a TUTOR

DUE METODI DI COLTIVAZIONE part e a riposo chiamat a maggese (pascolo per gli animali)

Rotazione triennale

Rotazione quadriennale

part e colt ivat a (pat at e)

part e colt ivat a (t rifoglio per gli animali)

part e colt ivat a (pat at e) part e colt ivat a (grano)

part e colt ivat a (grano) part e colt ivat a (piselli, orzo)

Scopo

Mantenere la fertilità del terreno, evitando che perda le sostanze che nutrono le piante in una delle tre parti del terreno. Il terreno ha il tempo di rigenerarsi e di recuperare la produttività.

Aumentare la fertilità del terreno, evitando che perda le sostanze che nutrono le piante. Dividere il terreno in quattro parti, utilizzando due parti per colture che non lo impoveriscono e ne favoriscono la rigenerazione. Quattro anni: ogni anno le colture vengono spostate alternativamente in una delle quattro parti del terreno. Il terreno ha più tempo di rigenerarsi e di recuperare la produttività, inoltre viene sempre interamente coltivato.

Metodo

Dividere il terreno in tre parti, lasciandone una a riposo per un anno, in modo che si rigeneri.

Dividere il terreno in quattro parti, utilizzando due parti per colture che non impoveriscono il terreno e ne favoriscono la rigenerazione.

Durata del ciclo

Tre anni: ogni anno le colture vengono spostate alternativamente.

Quattro anni: ogni anno le colture vengono spostate alternativamente in una delle quattro parti del terreno.

Vantaggi rispetto al passato

Il terreno ha il tempo di rigenerarsi e di recuperare la produttività.

Il terreno ha più tempo di rigenerarsi e di recuperare la produttività; inoltre viene sempre interamente coltivato.

La prima rivoluzione industriale riposo (il cosiddetto «maggese») alla rotazione quadriennale, in cui il campo prima lasciato a riposo veniva suddiviso e coltivato (una parte per l’alimentazione umana, l’altra parte coltivata a foraggio per gli animali con erbe come il loglio e il trifoglio). Questo cambiamento venne accompagnato dalla produzione dei concimi artiiciali, dalla riorganizzazione del sistema di allevamento del bestiame e dal perfezionamento delle tecniche di irrigazione; 3. l’utilizzazione delle macchine agricole, innanzitutto negli Stati Uniti, per la strutturale mancanza di manodopera rispetto alla vastità del territorio, e, per quanto riguarda l’Europa, in particolare da parte delle grandi aziende capitalistiche.

LE CONSEGUENZE DELLA RIVOLUZIONE AGRICOLA Tra il 1770 e il 1870, nelle fattorie più progredite si poté così assistere al completo rinnovamento dell’agricoltura: l’aratro industriale prese il posto di quello fabbricato nel villaggio; la semente, prima sparsa a mano, venne ora posta nei solchi dalle seminatrici; macchine complicate presero il posto del falcetto e della falce per mietere e per trebbiare. Con la rivoluzione agricola l’immobilità delle campagne venne profondamente sconvolta: ƒdiminuirono gli addetti all’agricoltura, poiché era suiciente una percentuale minore di lavoratori per soddisfare i bisogni dell’intera popolazione: ciò rese possibile l’urbanizzazione e la stessa industrializzazione; ƒsi difuse la commercializzazione dei prodotti; ƒla borghesia intervenne in modo imprenditoriale nelle campagne, investendo e ricavando proitto impiegabile anche in altri settori.

UNA CIVILTÀ IDROVORA Nell’epoca della rivoluzione industriale, il mondo rurale dovette afrontare un problema nuovo, l’acqua, elemento indispensabile anche per la nascente industria: l’acqua infatti serviva a pulire i materiali e i locali industriali, a trasportare i riiuti, a fornire il fluido di rafreddamento e di riscaldamento (il vapore). All’inizio il bisogno d’acqua indusse gli industriali a costruire le fabbriche su per le valli e sulle rive dei iumi. Ma l’aumento continuo della domanda invertì il movimento: fu l’acqua a essere portata alle industrie tramite canali, sbarramenti, invasi artiiciali. Esisteva poi il problema opposto: liberasi dagli scarti delle lavorazioni, e anche qui l’acqua si rivelò insostituibile: la conseguenza fu l’avvelenamento di iumi e ruscelli. Le autorità dovettero affrontare la questione e in molte città furono condotte indagini sulla situazione delle acque. A leggere le relazioni, i risultati furono allarmanti: a Bruxelles, l’acqua dei pozzi ha un «sapore ributtante»; a Parigi, un esperto afferma che solo un decimo delle acque distribuite è effettivamente potabile; a Londra, le acque pubbliche contengono sanguisughe e hanno assunto l’aspetto di una «crema oleosa». Si iniziò così a studiare in modo scientiico le conseguenze dell’inquinamento e a difondersi nell’opinione pubblica la coscienza che l’acqua pura costituiva un beneicio indiscutibile per la salute degli uomini, mentre la sporcizia rappresentava una minaccia mortale.

LA NASCITA DI UN MONDO NUOVO L’industrializzazione venne avvertita già all’epoca come una «rivoluzione», la comparsa di un mondo nuovo. Il rapporto uomo-natura come si era costruito nei millenni andò in crisi: la produzione non seguiva più i cicli riproduttivi della natura ed era del tutto artiiciale, legata alla disponibilità di materie prime, di energia e innovazioni tecnologiche. La presenza dell’industria divenne sempre più invadente, in città e in campagna. Le fabbriche trasformavano il paesaggio in modo rapido e irreversibile: pianure e valli erano disseminate di ciminiere, accanto alle miniere salivano sempre più impressio-

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180 nanti gli enormi mucchi di scorie; locomotive rumorose e fumanti attraversavano aree dove per millenni avevano dominato solo i suoni della natura. Nelle città e nei borghi sorgevano oicine e negozi. Ai contemporanei il nuovo paesaggio industriale, nato dalla potenza delle macchine e del progresso scientifico e tecnologico, appariva grandioso e terrificante e la stessa natura ne restava sconvolta. Dalla pubblicistica, dai giornali e dai libri dell’epoca emergono i guasti causati dall’industrializzazione: il «flagello del fumo» che appestava città e vallate, l’inquinamento dei corsi d’acqua ordinariamente utilizzati per l’irrigazione, l’inaridirsi dei pascoli e le malattie del bestiame intossicato da polvere e rifiuti. Di fronte alle proteste dei contadini, le autorità risposero in modo incerto e poco eicace: coloro che avevano interessi legati alle industrie ritenevano tollerabile qualunque efetto collaterale della produzione, né del resto risultava evidente alle conoscenze scientiiche dell’epoca la gravità dei danni. Le misure imposte per la soluzione di questi problemi erano basate sul presupposto che allontanare la nocività signiicava annullarla. Ecco quindi i primi provvedimenti che imponevano l’allontanamento delle lavorazioni pericolose dai centri urbani o la costruzione di ciminiere per la dispersione dei fumi. Ma questi rimedi erano spesso peggiori del male: le fabbriche inivano per inquinare territori sempre più ampi, le ciminiere più alte disperdevano i fumi su aree più vaste, le acque in cui si riversavano i riiuti inquinavano anche le acque un tempo pulite. Mancava del tutto un’attenzione per l’ambiente e i provvedimenti presi miravano esclusivamente alla salute dell’uomo o alla percezione che l’uomo aveva del paesaggio. La convinzione generale era che la natura sarebbe stata in grado di assorbire e far scomparire gli scarti dell’industria, come se si trattasse di un iltro in grado di puriicarsi e di puriicare tutto. Il mondo nuovo era dunque un mondo in cui la natura era assoggettata all’uomo. Un mondo fatto dall’uomo, ma non per questo più umano.

Uno scorcio di Londra nella prima fase della rivoluzione industriale. I segni più evidenti del cambiamento sono le ciminiere delle fabbriche e i battelli a vapore che attraversano le acque del Tamigi.

IL REGIME DEMOGRAFICO DELL’ANTICO REGIME Il contemporaneo difondersi della rivoluzione industriale e demograica ebbe come conseguenza un’altra rivoluzione, quella demograica. Per comprenderla, anche in questo caso dobbiamo partire dall’Antico regime. Nell’Antico regime il regime demograico era caratterizzato da stabilità: tra il 1300 e il 1700 la popolazione europea era passata da circa 80 a 115 milioni, segnando nell’arco di quattro secoli un incremento soltanto del 30%. La stabilità demograica dell’Europa dell’Antico regime era in primo luogo il prodotto dell’alternarsi di fasi di crescita e di crisi. Nella sostanza, la tendenza all’aumento della popolazione era fortemente contenuto dal riprodursi ciclico di grandi catastroi demograiche determinate dalle guerre, dalle carestie e dalle epidemie. Spesso queste calamità si combinavano fra di loro: in tempo di guerra, alla devastazione dei campi da parte degli eserciti faceva inevitabilmente seguito la carestia e alla carestia la peste. In secondo luogo, la stabilità demograica era determinata dalla pratica del matrimonio tardivo, dovuto al fatto che le donne si sposavano verso i 20-25 anni, i maschi verso i 25-29 in quanto dopo il matrimonio la nuova famiglia andava ad abitare in una propria casa e necessitava di una fonte di reddito ossia, nella maggioranza dei casi, di terra da coltivare. Ma la disponibilità di terra e di case era limitata, sicché era necessario attendere che la scomparsa della generazione precedente facesse spazio alla nuova famiglia. In questo modo, il matrimonio fungeva da regolatore delle nascite, e ciò spiega sia il calo delle nascite dovuto alla riduzione del periodo fecondo sia il suo rapido incremento dopo le epidemie e le carestie.

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LESSICO

La prima rivoluzione industriale

REGIME DEMOGRAFICO La demografia è lo studio dei fenomeni quantitativi che riguardano la popolazione: l’aumento o la diminuzione, i movimenti sul territorio (emigrazione o immigrazione). Con l’espressione «regime demografico» si indica pertanto l’insieme delle condizioni che determinano le tendenze demografiche.

LA RIVOLUZIONE DEMOGRAFICA La rivoluzione demografica consistette in uno sviluppo demografico ininterrotto: nel 1700 la popolazione mondiale era di circa 600 milioni, nel 1800 si giunse a 900 milioni e nel 1850-70 a 1200 milioni. In Europa l’incremento della popolazione fu particolarmente accentuato: 140 milioni di abitanti nel 1750-70 e 260-280 circa nel 1850-70. Questo sviluppo è tanto più interessante se si pensa che l’Europa era già la parte del mondo più densamente popolata. Le cause di questa ininterrotta crescita demograica furono soprattutto la diminuzione del tasso di mortalità e il prolungamento della vita media. Per questo si parla di «rivoluzione» demograica: perché la rivoluzione industriale determinò il deinitivo tramonto del regime demograico dell’Ancien régime.

LESSICO

TASSO DI MORTALITÀ Il tasso di mortalità è il rapporto tra il numero di morti e la quantità di popolazione in un certo periodo di tempo. In altre parole, è un valore che indica se sono tante o poche le persone che muoiono in una certa nazione, regione, città, paese, durante un dato periodo. Indirettamente, un alto tasso di mortalità indica una situazione negativa, un contesto sfavorevole dovuto alla presenza di fattori che determinano la morte di un elevato numero di persone. In un Paese povero, per esempio, un’improvvisa carestia determina un alto tasso di mortalità. Se il tasso di mortalità, invece, è basso, evidentemente sono presenti fattori che favoriscono una maggiore durata media della vita: tra questi, ci sono certamente le buone condizioni igieniche, la possibilità di nutrirsi in maniera sufficiente, l’assenza di guerre o conflitti, ma anche caratteristiche positive negli stili di vita, che possono variare a seconda delle popolazioni e delle aree geografiche.

Gustave Doré, Venditrice di fiori. Liverpool, Walker Art Gallery.

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UN INCREMENTO DISOMOGENEO

GUIDA ALLO STUDIO

L’incremento della popolazione europea, tuttavia, non avvenne in maniera omogenea. La diferenza derivò dai diversi modelli di sviluppo industriale: ƒl’Inghilterra conobbe un eccezionale e tumultuoso progresso, che ebbe come conseguenza non solo la diminuzione della mortalità, ma anche l’incremento delle nascite; ƒla Francia seguì una crescita lenta e costante con analogo andamento demograico; ƒgli Stati Uniti rappresentarono un caso ancora diverso, in quanto l’incremento demograico fu determinato prevalentemente dall’immigrazione, cosicché la mancanza di manodopera alimentò l’innovazione tecnologica, influendo sull’industrializzazione. TUTOR

ƒ Quali caratteristiche aveva l’agricoltura nell’Antico regime? ƒ Come venne sconvolta l’immobilità delle campagne? ƒ Quali furono le cause della rivoluzione demografica? ƒ L’incremento della popolazione europea avvenne in modo omogeneo?

La popolazione in Europa nell’Ottocento

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3 C

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1

1. All’inizio dell’Ottocento il territorio europeo presenta vastissime aree in cui la popolazione è molto scarsa, cioè inferiore ai 40 abitanti per chilometro quadrato. Inoltre non vi sono grandi differenze di densità tra le varie aree: a parte alcune zone densamente abitate, nel resto dell’Europa la popolazione oscilla tra i 40 e gli 80 abitanti per chilometro quadrato. 2. Già agli albori del XIX secolo, si può notare una maggiore densità di popolazione nelle aree più industrializzate, come l’Inghilterra, i Paesi Bassi, alcune zone dell’Italia settentrionale.

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3. I Paesi prevalentemente agricoli, lontani dal processo di industrializzazione, come la Spagna e la Russia, appaiono come delle immense aree quasi disabitate. 4. Alla fine dell’Ottocento la popolazione europea è decisamente aumentata. Sono molte infatti le zone dove gli abitanti raggiungono una densità superiore ai 40 per chilometro quadrato. Nello stesso tempo si può anche notare una maggior differenza tra le diverse aree europee. L’area balcanica, economicamente e socialmente arretrata, contrasta visibilmente con la situazione della Germania e persino dell’Italia, Paesi in cui le aree scarsamente popolate sono quasi scomparse.

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5. Il rapporto tra industrializzazione e aumento demografico è confermato anche dal fatto che certi Paesi non industrializzati, come la Spagna e il Portogallo, non hanno subito praticamente alcun cambiamento. 6. È evidente l’aumento di popolazione che si è verificato in aree come la Germania, i Paesi Bassi, ma soprattutto l’Inghilterra, il cuore delle innovazioni sia in campo industriale sia agricolo.

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La prima rivoluzione industriale

1949

50

100

150

200

milioni di abitanti 250 300 350

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TUTOR

L’andamento demografico dell’Europa (XVII-metà XX secolo) 55

1900 1850 1800 1750 1700 1650 1600

L’ANTICO REGIME E L’ETÀ INDUSTRIALE Antico regime

TUTOR Prima rivoluzione industriale

Definizione

Il tipo di società contestata dalla Rivoluzione francese.

Insieme di innovazioni economiche e sociali che, a partire dal modo di produrre, mutarono radicalmente la vita dell’uomo.

Periodo

XIV-XIX secolo

1770-1870

Regime demografico caratterizzato dalla stabilità determinata da alti tassi sia di natalità che di mortalità.

Rivoluzione demografica, ovvero avvento di un nuovo regime demografico caratterizzato dalla crescita ininterrotta della popolazione causata dalla diminuzione del tasso di mortalità.

Vita media estremamente breve: la società è giovane.

Allungamento della vita media: la società tende a invecchiare.

Demografia

Circa l’85% della popolazione vive in campagna: la città è Straordinaria crescita della popolazione urbana: con le essenzialmente un luogo in cui la ricchezza è consumata, fabbriche la città diventa un luogo di produzione. non prodotta.

Economia

Società

Assoluta centralità dell’agricoltura in cui opera il 65-90% della popolazione.

Rivoluzione agricola, ovvero straordinaria crescita della produttività e conseguente diminuzione della manodopera utilizzata (oggi nelle società industriali lavora nell’agricoltura circa il 5% della popolazione).

Marginalità dell’industria caratterizzata dal sistema a domicilio.

Centralità dell’industria anche per numero di addetti. Affermazione del sistema di fabbrica.

Scarsa innovazione tecnologica e separazione tra scienza e tecnica.

Vorticosa innovazione tecnologica sempre più caratterizzata dall’integrazione di scienza e tecnica.

È articolata in ordini (gruppi sociali costituiti giuridicamente): nobiltà, clero e Terzo stato.

È articolata in classi (gruppi sociali omogenei economicamente): le principali sono la borghesia e il proletariato.

Egemonia della nobiltà.

Progressivo primato della borghesia.

La borghesia tende a «tradire», cioè a adottare lo stile di vita della nobiltà, caratterizzato dalla dissipazione della ricchezza. La ricerca del guadagno è considerata una forma di avidità.

La borghesia impone i suoi valori: l’intraprendenza economica e la ricerca del profitto diventano le caratteristiche fondamentali dello «spirito imprenditoriale».

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Dal passato al presente Il nostro mondo è in larghissima parte il frutto dei cambiamenti prodotti dalla rivoluzione industriale: pensiamo allo sviluppo della tecnologia e all’afermazione dell’industria come attività dominante. Da quel periodo provengono innovazioni tecnologiche che hanno modiicato profondamente la vita dell’uomo come il treno. Tra le maggiori novità ereditate dal nostro tempo vi è poi il lavoro femminile che, tra mille ostacoli, ha oggi assunto la sua dignità sociale. La rivoluzione industriale è anche all’origine del fenomeno dell’inquinamento e del progressivo esaurimento delle risorse non rinnovabili, questioni ormai divenute di primaria importanza.

Dalla macchina per cucire alla macchina per scrivere MAI IN CONCORRENZA CON GLI UOMINI

IERI

Le donne si dedicavano alla famiglia; quelle che lavoravano erano giudicate negativamente ed erano persino sfruttate dagli uomini OGGI

Le donne lavorano in ogni settore senza essere per questo criticate, ma spesso devono assumere un doppio ruolo: quello di donne di casa e di lavoratrici

La visione dualistica dell’ordine industriale era chiara: le donne erano al servizio degli uomini, mai in concorrenza con essi. La fabbrica delle donne era, in genere, una fabbrica tessile popolata da ragazze molto giovani; accanto a esse vi era una minoranza più attempata, composta spesso da vedove; inine, vi erano gli uomini che svolgevano la funzione di tecnici e di capireparto. Si trattava di un luogo chiuso, suddiviso in quadrati dalle macchine, privo di spazi in cui potersi muovere, senza spogliatoi e con pochi lavabi il cui uso, causa di frequenti contrasti, era regolamentato. Vi regnava una rigida disciplina: era vietato parlare, cantare, mangiare, lasciare il proprio posto, uscire senza permesso e senza sostituto, portar via materie prime o sapone, pena una multa o il licenziamento. Assenteismo e ritardi venivano severamente puniti. Si entrava presto e si usciva molto tardi.

UNA NUOVA FEUDALITÀ In fabbrica, le donne sono generalmente sottoposte a capi rudi, pronti ad abusare di loro. Il loro corpo è percepito dai maschi come un possesso comune. Questa manodopera giovane è vittima di un continuo assillo sessuale denunciato dalle donne come una forma di «nuova feudalità»: si tratta infatti di un vero e proprio «diritto di abuso sessuale» che si arrogano direttori e capireparto. Verso il 1890, le «Tribunes des abus», piccoli giornali operai del Nord della Francia, sono pieni di queste denunce. Le donne impiegate in fabbrica efettuano generalmente un lavoro temporaneo: spesso vi entrano a 10-12 anni e ne escono tra i 20 e i 25. Svolgono lavori non qualiicati, per i quali sono suicienti le competenze acquisite all’interno della famiglia o nei laboratori di cucito. Le donne non hanno né carriera né professione, ma soltanto occupazione e lavoro: sono solo la ruota di scorta nel mondo del lavoro.

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La prima rivoluzione industriale

LA FABBRICA DELLE DONNE Intorno al 1840, donne e bambini costituiscono circa il 75% della manodopera tessile. Un delegato al Congresso operaio francese del 1867 dichiara: «All’uomo, il legno e il metallo. Alla donna, la famiglia e i tessuti». La visione dualistica dell’ordine industriale è chiara: mai in concorrenza con gli uomini, le donne sono al servizio degli uomini.

UNA RIVOLUZIONE NON ANCORA CONCLUSA Stampa ottecentesca che mostra la funzione della bambina: è dentro la macchina per riparare i fili che si rompono. Nella pagina accanto una donna impegnata in un lavoro «maschile».

presenti in ogni settore del mondo del lavoro: nelle fabbriche, negli uici, nelle attività commerciali, nelle libere professioni; molte hanno ruoli di responsabilità come imprenditrici o manager. Non si può negare tuttavia che l’universo del lavoro – in particolare in Italia – sia ancora prevalentemente maschile e che la cultura dominante preferisca aidare alle donne la gestione della casa e della famiglia; molte donne, perciò, sono costrette ad assumere un doppio ruolo: quello di mamma, moglie, donna di casa e quello di lavoratrice. Insomma, la parità tra uomini e donne, da questo punto di vista, è ancora da conquistare.

TECNOLOGIA Questo termine deriva dal greco ed è composto dalle parole techné, che significa « arte», e logía, cioè « discorso». Nell’antichità indicava lo studio e l’esposizione, scritta o parlata, delle regole che riguardano l’arte e la tecnica. Anche oggi ha un significato simile, ma nel linguaggio comune indica soprattutto le attività più avanzate che servono a rendere l’ambiente più adatto alla vita umana: i metodi, gli strumenti, i macchinari creati dall’uomo per modificare il proprio ambiente; in questo capitolo il termine tecnologia è stato usato proprio con questo significato, che risale al XIX secolo. MISERABILI Il termine deriva da miseria e indica una condizione che suscita pietà, degna di commiserazione. Molto spesso nella letteratura sociale ottocentesca, attenta alle questioni dei lavoratori, si usa questo termine sia per definire la qualità della vita sia per indicare quegli individui che la vivevano. L’esempio più chiaro è il celebre romanzo di Victor Hugo che ha come titolo appunto I miserabili. Oggi questo termine ha perso la sfumatura che suscita pietà e ha assunto una connotazione sprezzante e offensiva. TREBBIATRICE il verbo trebbiare significa separare i « chicchi» dei cereali (grano, orzo, riso ecc.) dalle spighe, cioè da tutte quelle parti della pianta che non sono commestibili. La trebbiatrice, perciò, è la macchina agricola che svolge questa operazione. È stata inventata nel 1784 dall’ingegnere scozzese Andrew Meikle (1719-1811) e rappresentò un notevole progresso nell’attività di raccolta dei cereali; come i telai meccanici e altri macchinari, anche la trebbiatrice diede origine a rivolte e tumulti da parte di contadini salariati che videro il loro lavoro perdere di valore. La trebbiatrice in seguito è stata perfezionata ed è nata la mietitrebbiatrice, che è in grado non solo di trebbiare, ma anche di mietere, cioè tagliare e raccogliere le spighe.

PAROLE IN EREDITÀ

Anche se è nella fabbrica che inizia la storia del diritto del lavoro, dell’igiene, della tutela della maternità, la donna non troverà mai in essa la sua realizzazione: si sentirà sempre un’intrusa. La realizzazione avverrà con il salto successivo, l’uicio: il luogo che più della fabbrica saprà rappresentare il mondo delle donne. O piuttosto un mondo di donne, espressione delle loro illusioni e dei loro sogni. A più di duecento anni dalla rivoluzione industriale, nei Paesi occidentali l’attività lavorativa femminile è considerata del tutto normale, anzi è auspicata, perché garantisce l’indipendenza della donna. Nessuno si scandalizza del fatto che le donne siano

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COMPETENZE: USARE LE FONTI

La civiltà delle macchine DOCUMENTO

Nell’Ottocento furono in molti a criticare la società industriale e il ruolo della tecnica. Il movimento luddista, per esempio, era sorto proprio per difendere il lavoro degli artigiani, messo in pericolo dall’utilizzo delle macchine. Lo storico scozzese Thomas Carlyle (1795-1881), invece, elaborò una critica che prendeva in esame anche le conseguenze psicologiche, emotive e culturali portate dalla rivoluzione industriale. Nel brano seguente, critica in modo particolare il dominio delle macchine sull’uomo; accusa anche la politica liberale e democratica di attribuire più importanza alle istituzioni piuttosto che alle capacità naturali e interiori degli individui.

Se ci chiedessero di caratterizzare con una sola parola questa età che è la nostra, noi saremmo tentati di definirla non l’età eroica, o religiosa, o filosofica, o morale, ma soprattutto l’età meccanica. La nostra età è quella della macchina, in tutta la compiutezza del termine. [...] Nulla si fa, direttamente o alla mano; tutto si fa regolarmente e secondo un piano prefisso. [...] Da ogni parte si è cacciato via il vivente artigiano per far posto a un operaio senz’anima ma più veloce. La spoletta sfugge alle dita del tessitore e cade tra le dita d’acciaio che la fanno girare più rapidamente. [...] Quali cambiamenti, inoltre, questo aumento di potenza introduce nel Sistema Sociale; come la ricchezza è cresciuta via via, e nello stesso tempo si è accumulata, alterando straordinariamente i vecchi rapporti, e allungando la distanza tra il

ricco e il povero, sarà un problema per l’economista politico, e un problema molto più complesso e importante di quanti ne abbia mai affrontati. [...] Non soltanto l’esterno e il fisico è adesso guidato dalla macchina, ma anche l’interno e lo spirituale. [...] La stessa pratica regola non soltanto il nostro modo di agire, ma anche i nostri modi di pensare e sentire. Gli uomini sono diventati dei meccanismi nella testa e nel cuore, così come nelle mani. Hanno perso la fede negli sforzi individuali e nelle forze naturali di qualsiasi genere. Non per la perfezione interiore, ma per combinazioni e ordinamenti esteriori, per istituzioni, costituzioni – per il meccanismo, di un genere o di un altro – essi sperano e lottano. Tutti i loro sforzi, affetti, opinioni, si accentrano sul meccanismo e sono di carattere meccanico. [...] La religione è adesso [...], per lo più, un saggio sentimento prudenziale basato su un mero calcolo [...] per mezzo del quale qualche piccola quantità di gioia terrestre può essere barattata con una quantità molto più grande di gioia celeste. Così anche la religione è un profitto, un lavoro. [...] L’esagerata cura dell’esteriore, d’altra parte, anche se immediatamente meno dannosa, e persino sul momento apportatrice di molti benefici concreti, alla lunga, distruggendo la forza morale, che è la generatrice di tutte le altre forze, finisce per dimostrarsi con non minore certezza, e forse, ancora più irrimediabilmente dannosa. Questa è la caratteristica del nostro tempo.

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

Perché Carlyle definisce la sua epoca ƒ come «l’età della macchina in tutta la compiutezza del termine»? ƒ Che differenza è implicita tra «il vivente artigiano» e «l’operaio senz’anima»? ƒ Quali cambiamenti ha determinato nella società questo sistema secondo l’autore? ƒ Perché Carlyle pensa che la meccanizzazione condizioni anche il modo di pensare? ƒ In che modo la meccanizzazione ha cambiato anche la religione?

In quale settore industriale iniziò ƒ l’introduzione delle macchine? ƒ Quali altri settori coinvolse la rivoluzione industriale? ƒ L’introduzione delle macchine nel sistema produttivo che tipo di rivolte generò inizialmente? Perché? ƒ Come si comportarono le autorità civili nei confronti delle proteste luddiste? ƒ Quali furono altri strumenti di lotta usati dai lavoratori delle fabbriche?

T. Carlyle, The Signs of the Times, 1829

RIELABORARE, DISCUTERE, REINTERPRETARE Questo brano affronta il tema della ƒ spersonalizzazione dell’individuo nel lavoro di fabbrica: un lavoro meccanico, sempre uguale, che aliena il lavoratore dal prodotto del suo lavoro. Il sistema produttivo attuale, in gran parte fondato sulla robotizzazione, può essere considerato un miglioramento delle condizioni di lavoro o un peggioramento? Confronta le condizioni di lavoro dell’operaio ottocentesco con quelle dell’operaio di oggi ed esponi le tue conclusioni.

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La prima rivoluzione industriale

Alcol e miseria DOCUMENTO

In questa incisione William Hogarth (1697-1764) rappresenta in modo ironico, e allo stesso tempo drammatico,

una via di Londra, chiamata signiicativamente «strada del gin» (Gin Lane).

1. Una folla di miserabili, povera gente che vaga senza speranza, riempie le strade dei sobborghi di Londra, come Gin Lane, che è la rappresentazione del decadimento del proletariato urbano. La fame, l’alcolismo, la follia, il suicidio e persino l’infanticidio diventano la cifra di questo ceto sociale.

2. In primo piano l’incisore ha voluto raffigurare una povera donna vestita di stracci e in una posa scomposta. È completamente ubriaca ed è priva di ogni pudore, non si cura minimamente di essere disordinata e discinta, ma soprattutto perde la ragione e, completamente alterata, lascia cadere il suo bambino nel vuoto.

3. Un uomo ormai scheletrico e consumato dall’alcol, ancora con il bicchiere in mano e assistito solo dal suo cane, si abbandona senza più alcuna coscienza di sé.

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

ƒ Che cosa rappresenta questa immagine? Che cosa sta facendo la donna in primo piano? ƒ Come viene raffigurato l’ambiente urbano? ƒ Qual è il nome di questa strada?

ƒ Il problema dell’alcolismo si affianca a quello delle condizioni igieniche delle abitazioni dei sobborghi delle città industriali. Come si viveva in quei quartieri? ƒ Qual era il settore di punta per l’industrializzazione britannica? ƒ Quali furono le macchine introdotte nel sistema produttivo tessile? ƒ In quali settori venne poi applicata la macchina a vapore? ƒ Che cosa si intende per «questione sociale»?

ƒ Prima e Dopo ƒ Video - Il controllo dell’energia inanimata ƒ Immagine commentata - La macchina a vapore ƒ Immagine commentata - La Londra dei proletari ƒ Immagine commentata - Alcol e miseria

RIELABORARE, DISCUTERE, REINTERPRETARE ƒ La rivoluzione industriale modificò non solo il sistema produttivo ma anche la vita dei lavoratori. Immagina di raccontare la storia di un contadino che alla fine del XVIII secolo si trasferisce dalla campagna in una città industriale dell’Inghilterra. Quale sarà la sua impressione all’arrivo? Come sistemerà la sua famiglia? Dove andrà a vivere? Come trascorrerà la sua giornata?

ƒ Online DOC - Una nuova macchina per i tessuti ƒ Online DOC - Le terribili condizioni del proletariato inglese ƒ Online STO - La nascita della ferrovia ƒ Audiosintesi Unità 6

IN DIGITALE

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MISURARE LE COMPETENZE

GLI EVENTI

IL TEMPO

Completa la frase.

Unisci opportunamente avvenimento e data, indicando il numero corrispondente della data nella colonna a destra di ogni avvenimento.

1. La prima rivoluzione industriale ebbe inizio in Inghilterra anche grazie a l’aumento del numero di contadini nelle campagne l’assenza di un mercato internazionale la libera circolazione delle merci 2. James Watt nel 1769 perfezionò la macchina a vapore di Newcomen inventò la macchina a vapore applicò la macchina a vapore a una locomotiva 3. L’applicazione della macchina a vapore portò trasformazioni solo nell’industria e nei trasporti tralasciando l’agricoltura nelle attività minerarie, nell’agricoltura, nei trasporti, nell’industria soprattutto nelle attività minerarie e marginalmente nei trasporti e nell’industria 4. Secondo Weber, particolarmente adatta allo sviluppo industriale è la mentalità cattolica la mentalità atea la mentalità protestante 5. Il luddismo venne represso in modo drastico anche tramite l’approvazione di una legge che prevedeva l’esilio di una legge che prevedeva la pena di morte di una legge che prevedeva la reclusione a vita 6. Tra il 1800 e il 1850 la produzione agricola entrò in crisi la produzione agricola segnò un significativo incremento la produzione agricola fu stagnante 7. La rivoluzione industriale determinò il tramonto del regime demografico dell’Ancien régime il mantenimento del regime demografico dell’Ancien régime una breve battuta d’arresto del regime demografico dell’Ancien régime

LE PAROLE Definisci le seguenti espressioni: a. ciclicità b. giornata lavorativa c. tasso di mortalità

Avvenimento a In Inghilterra ha inizio la prima rivoluzione industriale b Inizio della rivoluzione industriale in Belgio c

Inizio della rivoluzione industriale in Francia

d John Kay inventa la spoletta volante e Inizio della rivoluzione industriale in Germania f

Thomas Newcomen inventa la macchina a vapore

g Inizio della rivoluzione industriale negli Stati Uniti h James Watt perfeziona la macchina a vapore Data 1

1712

2 1733 3 1769 4 1770 circa 5 1790 6 1830 7 1850 8 1850 circa

VERSO L’ESAME DI STATO a. Rispondi alle seguenti domande. ƒDove e quando ebbe inizio la rivoluzione industriale? ƒQuale ruolo ebbe l’invenzione della macchina a vapore? ƒQuale fu il ruolo degli imprenditori? ƒQuali furono le conseguenze sociali e demografiche? ƒChe cosa s’intende per rivoluzione agricola? b. Il saggio breve: interpreta e confronta i seguenti documenti. ƒp. 172 – Una nuova macchina per i tessuti ƒp. 175 – La Londra dei proletari ƒp. 186 – La civiltà delle macchine ƒp. 187 – Alcol e miseria ƒp. 214 – Magazine: Che cosa mangiavano i poveri? Successivamente, utilizzando anche le tue conoscenze, sviluppa l’argomento proposto nella forma del saggio breve, attribuendo alla composizione un titolo appropriato. Argomento. Povertà e creatività agli albori della rivoluzione industriale

CITTADINI ADESSO

La prima rivoluzione industriale

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Un pianeta in prestito Lo sviluppo e la tutela dell’ambiente Nel 1962 venne pubblicato un libro intitolato Primavera silenziosa. Si trattava di un saggio, e la sua autrice, Rachel Carson, era una zoologa statunitense che intendeva denunciare l’abuso degli insetticidi, illustrandone le devastanti conseguenze su molte specie animali e sull’uomo. « Silenziosa» infatti è la primavera priva del canto degli uccelli e dei versi degli animali, che Carson immagina sterminati in un futuro non lontano. Oggi la pubblicazione di un saggio di denuncia sui temi ambientali non è un fatto insolito. Quando Primavera silenziosa venne pubblicato, però, la società aveva una iducia incondizionata nella vigorosa crescita industriale: pochi erano disposti ad ammettere che l’industrializzazione, che difondeva la prosperità, nascondesse anche dei lati negativi. Proprio negli anni Sessanta, d’altra parte, la crescita dell’istruzione e del benessere iniziarono a favorire l’apertura della società verso i nuovi temi ambientali. Primavera silenziosa suscitò grandi discussioni pubbliche e influì sulla nascita dell’ambientalismo come lo intendiamo attualmente: un movimento che intende sensibilizzare l’opinione pubblica e orientare al rispetto dell’ambiente i comportamenti collettivi, individuali, delle istituzioni pubbliche e di quelle private. Oggi nessuno può seriamente mettere in dubbio l’esistenza di un tema « ambientale». Semmai, il dubbio che sorge è: l’alterazione dell’ambiente è ormai irreversibile, oppure è ancora possibile correre ai ripari?

1. LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA La Costituzione repubblicana entrò in vigore nel 1948, epoca nella quale la questione ambientale non era ancora di attualità; nonostante ciò, l’ambiente compare in una serie (pur limitata) di articoli: è citato in quanto « paesaggio» (art.9), è implicitamente considerato legato alla salute dei cittadini (art. 32) ed è richiamato dagli articoli 41 e 44, che indicano che l’iniziativa economica non può essere in contrasto con l’utilità sociale (non deve arrecare danni a beni comuni, quali le risorse naturali) e che lo Stato deve agire per assicurare il «razionale sfruttamento del suolo». Art. 9: La Repubblica […] tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Art. 32: La Repubblica tutela la salute come fondamentale di-

ritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Art. 41: L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. […] Art. 44: Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola e la media proprietà. La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane.

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CITTADINI ADESSO

2. PROTEGGERE L’AMBIENTE PER LEGGE principio dello sviluppo sostenibile» (proprio grazie alle norme emanate dall’Unione Europea l’Italia ha innalzato i propri standard in materia ambientale ai livelli di quello comunitario). Inoltre il nostro Paese nel tempo ha aderito a importanti convenzioni internazionali, come il protocollo di Kyoto, entrato in vigore nel 2005 allo scopo di ridurre il surriscaldamento globale. Ciò nonostante, in Italia i disastri ambientali, il dissesto idrogeologico, le ecomafie sono all’ordine del giorno: da questo punto di vista, abbiamo ancora molta strada da fare. AMBIENTE Questo termine esprime l’idea di « ciò che sta intorno», cioè di quell’insieme di elementi che attorniano un organismo, interagiscono tra loro e, in determinate situazioni, ne rendono possibile lo sviluppo.

LESSICO

L’esigenza di proteggere l’ambiente è nata da movimenti di opinione pubblica mondiale, che hanno influenzato le istituzioni e hanno portato, nel tempo, all’elaborazione di norme internazionali e nazionali sempre più indirizzate alla protezione ambientale. Ma in pratica, in che modo una legge può proteggere l’ambiente? Può farlo disciplinando singoli aspetti della produzione industriale e agricola, della costruzione di nuovi edifici, dei trasporti, e così via. Può, ad esempio, imporre dei limiti alle emissioni inquinanti delle aziende, vietare le sostanze più pericolose in agricoltura, imporre la raccolta differenziata. Per assicurare l’efficacia delle norme, lo Stato può applicare delle pene in caso di mancato rispetto. In Italia le leggi che proteggono l’ambiente sono numerose, e trovano fondamento nella Costituzione, nel diritto dell’Unione Europea, nei trattati internazionali. Come abbiamo visto, la Costituzione italiana non dedica uno spazio ampio all’ambiente. Tuttavia anticipa, con la « tutela del paesaggio», una sensibilità che si è diffusa negli ultimi anni: l’ambiente va protetto non solo come « natura», ma anche come elemento della storia e della cultura di una popolazione. La tutela dell’ambiente è inoltre inserita nel Trattato sull’Unione Europea, per il quale nel «promuovere il progresso economico e sociale», occorre tener conto «del

OPINIONE PUBBLICA È il pensiero della maggioranza dei cittadini; è fondamentale in democrazia perché influenza le decisioni politiche.

Venezia e la sua laguna, Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Nel 1972 fu firmata una Convenzione per il patrimonio mondiale che riguardava la capacità di unire il concetto di conservazione naturale e la preservazione delle opere culturali. La Convenzione riconosce i modi in cui l’uomo interagisce con la natura e il fondamentale bisogno di preservare l’equilibrio fra i due. Un chiaro esempio di questo equilibrio è Venezia con la sua laguna.

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La prima rivoluzione industriale

3. RISORSE, BIODIVERSITÀ, EQUILIBRIO Infine, le risorse naturali, per quanto abbondanti, non sono infinite, e il loro uso sconsiderato porterà, in un futuro non lontano, a seri problemi. La soluzione è lo sviluppo sostenibile: un modello di sviluppo che, secondo la definizione delle Nazioni Unite, possa «assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza pregiudicare la possibilità delle future generazioni di soddisfare i propri».

BIODIVERSITÀ È la varietà degli organismi che popolano un certo ambiente naturale, frutto dell’evoluzione e dell’adattamento.

LESSICO

A partire dalla rivoluzione industriale l’uomo ha sfruttato le risorse naturali in maniera intensiva, ha trasformato l’ambiente e ha prodotto inquinamento e degrado. Queste azioni hanno messo in crisi l’equilibrio naturale su cui si basa l’esistenza stessa della vita (anche di quella umana). Di norma quando interviene un problema la natura è in grado – lentamente – di stabilire nuove dinamiche e di cercare un nuovo equilibrio. La natura riesce a ripristinare le condizioni che garantiscono la vita grazie a vari fattori, tra i quali la biodiversità; questa però è in pericolo a causa dell’azione dell’uomo che, intervenendo sugli ambienti naturali, porta intere specie all’estinzione. Inoltre, se intervengono squilibri improvvisi e violenti non sempre è possibile tornare alla situazione iniziale: ad esempio, l’attività umana (il disboscamento, l’utilizzo intensivo dei terreni ecc.), unita all’azione climatica (la siccità), può provocare la desertificazione di vaste aree, nelle quali non cresce più nulla. Un’altra legge che regola la vita è che « nulla si crea, nulla si distrugge»; tutto, invece, si trasforma. La natura è in grado infatti di riutilizzare le risorse e gli scarti prodotti dagli esseri viventi; l’azione umana al contrario provoca squilibri: le risorse (energia e materia) vengono utilizzate in maniera eccessiva e gli scarti del loro utilizzo non vengono riassorbiti dall’ambiente.

SVILUPPO SOSTENIBILE Il concetto di sviluppo sostenibile nasce dalla riflessione sul rapporto tra progresso ed ecologia. Vuole coniugare la crescita economica di un’area con il rispetto dell’ambiente, non soltanto di quell’area specifica, ma del pianeta nel suo insieme.

GENERAZIONE PRESENTE

Deve adottare un modello di SVILUPPO ECONOMICO SOSTENIBILE, che tenga conto di:

SVILUPPO SOSTENIBILE La crescita economica non deve creare squilibri ambientali irreversibili: le future generazioni dovranno essere in grado di soddisfare le proprie esigenze.

PRINCIPIO DI «RESPONSABILITÀ INTERGENERAZIONALE» Ciascuna generazione ha il dovere di tener conto di quelle future.

Limitata capacità dell’ambiente di assorbire gli impatti delle attività umane.

Limitata disponibilità di risorse naturali.

Necessari metodi di produzione che non danneggino l’ambiente.

Non è possibile una crescita economica infinita. Occorre mirare a una crescita qualitativa, che comporti:

Miglioramento della qualità della vita.

riconoscimento dei diritti (libertà, giustizia ecc.) di tutti i cittadini e di tutte le popolazioni.

Se i princìpi dello sviluppo sostenibile vengono applicati, le GENERAZIONI FUTURE ne avranno beneficio.

UNITÀ 6

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CITTADINI ADESSO

4. IMPRONTA ECOLOGICA L’uomo utilizza, per tutte le sue attività, ciò che la natura offre. Ma sappiamo quante risorse abbiamo a disposizione? Per stimare queste risorse viene utilizzato un indice definito «biocapacità»: si definisce così la disponibilità potenziale di risorse naturali che viene calcolata attraverso la disponibilità procapite di superficie, sia acquatica che terrestre; nel 2005 questa disponibilità era di 2,1 et-

tari per abitante della Terra. L’«Impronta ecologica», invece, misura le risorse che consumiamo e il tempo impiegato dalla Terra per rigenerare queste risorse. Dalla metà degli anni Ottanta l’umanità consuma più di quanto sia sostenibile. Oggi, il pianeta impiega un anno e quattro mesi per produrre ciò che l’uomo consuma in un anno: è evidente che non possiamo continuare così.

Impronta ecologica: deficit e surplus ecologico

Paesi che ogni anno consumano meno risorse naturali di quelle che il loro territorio produce» 0-50% 50-100% 100-150% > 150%

Paesi che ogni anno consumano più risorse naturali di quelle che il loro territorio produce > 150% 100-150% 50-100% 0-50% dati insufficienti

COMPRENDERE E CONTESTUALIZZARE

RIELABORARE E DISCUTERE

ƒ Che cosa afferma la Costituzione italiana in materia ambientale? ƒ In che modo le leggi possono intervenire a favore della protezione dell’ambiente? ƒ Che cos’è lo sviluppo sostenibile?

ƒ Quanto tempo impiega il pianeta, oggi, per ripristinare le risorse che utilizziamo in un anno? ƒ Si tratta dello stesso tempo che impiegava per rispristinarle nel 1950? Qual è oggi la situazione dell’Italia? ƒ Fai una ricerca approfondita sul significato di « Impronta Ecologica». Come viene misurata? Che cosa suggerisce questa misurazione? ƒ È possibile misurare l’Impronta Ecologica delle persone: calcola la tua, utilizzando uno dei numerosi siti internet che lo permettono. Qual è il risultato? Può essere migliorato? Che cosa puoi fare per migliorarlo?

MAGAZINE

LA STORIA COME PASSIONE

Luigi XVI: un uomo gofo che però seppe morire

VIVERE AL TEMPO DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE E DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

Sommario Tra Settecento e Ottocento due rivoluzioni sconvolsero il mondo, una politica, la Rivoluzione francese, l’altra economica, la rivoluzione industriale. La prima partì dalla Francia e con Napoleone investì l’intero continente; la seconda iniziò in Inghilterra e progressivamente si estese al mondo intero. Insieme assestarono un duro colpo all’Antico regime e concorsero in modo decisivo a deinire l’identità della odierna civiltà occidentale. Queste due rivoluzioni sono tradizionalmente afrontate in modo separato, come se appartenessero a due epoche diverse. Eppure esplosero quasi contemporaneamente.

STORIA DI COPERTINA

Luigi XVI: un uomo gofo che però seppe morire Il re sonnecchiava mentre si preparava la rivoluzione

Luigi è già stato giudicato!

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di Maximilien Robespierre

Il processo e la condanna Ernest Meissioner, Campagna di Francia, 1864. Parigi, Museo d'Orsay.

200

di Lucio Villari

Le ultime ore del re

202

di Lucio Villari

di Norberto Bobbio

Erodoto MAGAZINE

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di Lucio Caracciolo

È lecito uccidere il tiranno?

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203

ARTE E STORIA VITA QUOTIDIANA

Riccioli al vapore e vita grama Nasce il rapporto tra madre e figlio così come lo conosciamo oggi

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TECNICA E SCIENZA

Genialità e desiderio di conoscenza Il prodigio della macchina a vapore

di Joel Mokyr

Che cosa mangiavano i poveri?

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208 209

Così la Francia perse la battaglia della moda con l’Inghilterra

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di Louis René Villermé

220

Napoleone in guerra

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L’incoronazione di Napoleone

222

Impariamo a riconoscere i simboli in un’immagine

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«Leggende» napoleoniche 226

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Napoleone fu avvelenato?

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di Thierry Lentz

di Daria Galateria

Mulhouse come Londra, l’estrema povertà della classe operaia

La morte di Marat

PROTAGONISTI

di Maria Rosa Sobrero

di Nadeije Laneyerie-Dragon

Il segreto del successo tecnologico inglese

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di Mirella Serri

CINEMA E STORIA

Marie Antoinette

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David, il pittore della rivoluzione e di Napoleone 219

218

Un temperamento eccezionale

229

Il funerale di Napoleone

230

di Victor Hugo

La costruzione del mito di Napoleone

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di Lionel Jospin

LEGGERE UN CLASSICO Uomini, tecniche, economie

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di Carlo M. Cipolla

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STORIA DI COPERTINA Luigi XVI fu un uomo debole, impreparato e inadeguato ad afrontare la tempesta rivoluzionaria. Non doveva diventare re: fu la morte del fratello maggiore a portarlo sul trono e quindi alla ghigliottina. Grassoccio, aveva diicoltà di relazione: amava cacciare e soprattutto chiudersi nel suo laboratorio a costruire chiavi e serrature. La morte sul patibolo ne fece un eroe per gli aristocratici reazionari e un inetto per i rivoluzionari.

Luigi XVI: un uomo gofo che però seppe morire 196 Erodoto MAGAZINE

Joseph Siffred Duplessis, Ritratto di Luigi XVI, 1775 ca. Parigi, Museo Carnavalet.

Luigi XVI: un uomo goffo che però seppe morire

Il re sonnecchiava mentre si preparava la rivoluzione

Antoine-François Callet, Ritratto di Luigi XVI, post 1786. Parigi, Museo Carnavalet.

Nell’intervista di Lucio Caracciolo, lo storico Lucio Villari analizza gli errori commessi dal re nelle tre giornate che diedero il via alla rivoluzione: il 5 maggio, il 20 giugno e il 14 luglio 1789.

di Lucio Caracciolo

Il re si rendeva conto della tempesta in arrivo? Luigi XVI non era certo un genio politico. Fu certamente un grave errore non sciogliere il nodo procedurale [relativo al sistema di votazione], ripetendo anzi l’antico cerimoniale del 1614. Il Terzo stato ebbe l’impressione, fondata, che il re non si curasse troppo delle sue rivendicazioni. Credo che in fondo il re temesse più i nobili che la borghesia. Era l’aristocrazia che aveva messo in discussione le prerogative e l’autorità del sovrano.

Dove si riunirono gli Stati Generali? Nel Palazzo dei Menus Plaisirs [Piccoli Piaceri], in una stanza provvisoria di legno e stucco, ricavata all’interno di un capannone e dotata di pessima acustica. Ma tre giorni prima di quel 5 maggio, il Terzo stato aveva avuto modo di saggiare l’indifferenza del re, il quale lo ricevette in silenzio nella camera da letto. Solo un certo Gérard, vestito da contadino bretone, fu apostrofato dal monarca con un «Buongiorno, buonuomo».

Com’erano vestiti i deputati del Terzo stato? Tutti in nero, evidentemente. Una divisa umiliante, a fronte dei ricchi abiti dei nobili e dei prelati. Il 4 maggio, durante la processione dei tre ordini che precedette l’inaugurazione dell’assemblea, la distanza fra i tre ordini si coglieva a occhio nudo. In testa al corteo, le vesti scarlatte e viola del clero, poi i nobili distinguibili per i cappelli alla Enrico IV, i vestiti dorati, la spada al fianco. Infine la massa nera del Terzo stato. Durante la predica di monsignor La Fare il re sonnecchiava.

Arriviamo al fatidico 5 maggio. Siamo in grado di ricostruire esattamente che cosa avvenne? Certamente, i Francesi erano informati dettagliatamente dai giornali come il «Moniteur» o il «Journal de Paris», poi

ci sono i resoconti stenografici. [...] Il discorso di Luigi XVI fu breve e insignificante. Non vi era alcun accenno alla necessità di riforme. Per di più Necker, subito dopo, inflisse agli astanti la lettura di una dettagliata relazione finanziaria, che durò tre ore. A questo punto il re si alzò. Nulla era stato deciso. Il giorno dopo i tre ordini si riunirono separatamente [...], con delusione della borghesia, [...] che pretendeva la formazione di un vero Parlamento. [...] Dopo un mese di inutili negoziati, il 17 giugno, il Terzo stato si autoproclamò Assemblea Nazionale; [...] dopo due giorni si aggregò anche parte del clero.

Eccoci alla storica giornata del 20 giugno. Quella mattina i deputati del Terzo stato trovarono sbarrata la porta della loro sala. Motivo: lavori in corso. Un espediente. Furenti i borghesi si radunarono nella vicina

Erodoto MAGAZINE 197

STORIA DI COPERTINA

Immagine commentata - La reggia di Versailles Immagine commentata - La presa della Bastiglia

Sala della pallacorda, dove prestarono il celebre giuramento in cui dichiaravano che non si sarebbero sciolti prima di aver dato alla Francia una costituzione.

E il re come pensava di reagire? Vorrei sottolineare ancora l’importanza della trasformazione istituzionale realizzata dai deputati del Terzo stato, senza spargimento di sangue. Autodefinendosi Assemblea Nazionale, di fatto essi svuotavano gli Stati Generali di ogni significato. Era un vero e proprio cambiamento di regime. I deputati non accettavano più di ridursi alla registrazione delle volontà del monarca, ma, come rappresentanti della nazione, pretendevano di fissare la Costituzione. [...] Mi pare che sia stata un’operazione politica geniale. Naturalmente il re doveva e voleva reagire. Ma i ministri erano divisi. E la sua famiglia viveva ore penose. Il 4 giugno il delfino, il figlio del re, primo nella linea di successione al trono, era morto. Forse questa tristissima circostanza accentuò la sua innata debolezza. Il 23 giugno, finalmente, il re si rivolse agli

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Erodoto MAGAZINE

Stati con un discorso aspro e minaccioso nel tono, anche se con qualche promessa di apertura e di riforme. Le concessioni erano tardive, e in più i deputati del Terzo stato erano inferociti per aver dovuto aspettare sotto la pioggia l’arrivo regale del corteo, mentre i privilegiati erano stati ammessi direttamente nell’aula. Le parole finali del re suonavano come liquidazione dell’Assemblea Nazionale: «Io vi ordino di separarvi immediatamente e di recarvi domani mattina, ciascuno nelle sale assegnate al proprio ordine, per riprendere le vostre deliberazioni». Poi il marchese Dreux-Brézé, gran maestro di cerimonie, visto che il Terzo stato non si muoveva intervenne: «Signori, conoscete le intenzioni del re». Il vecchio Bailly, decano del Terzo stato, rispose: «La nazione riunita in assemblea non può ricevere ordini».

E Luigi XVI? Dapprima diede ordine alle guardie del corpo di irrompere nella sala Menus Plaisirs per disperdere i deputati ribelli. Ma vedendo avvicinarsi i soldati, alcuni fra i

Louis-Charles-Auguste Couder, Inaugurazione degli Stati Generali, 5 maggio 1789, 1839. Versailles, Museo della reggia.

nobili riformisti misero mano alla spada. Il re non osò far sciabolare i suoi nobili: «Ebbene, si arrangino! Vogliono restare? E che restino!». Questa frase gli verrà sempre rimproverata. Significava la capitolazione.

Il 14 luglio, giorno della presa della Bastiglia, [...] il re avrebbe forse potuto fuggire, e poi tornare a Parigi con truppe fedeli per ristabilire la propria autorità. Ma l’esercito si era rivelato inaffidabile. Il fratello del re, il conte d’Artois, lasciò Parigi insieme a un primo drappello di nobili. Cominciava l’emigrazione. Poi, è vero, quando il re si trovò ostaggio dei rivoluzionari, rimpianse di essersi lasciato sfuggire il momento giusto: «Sì, sarei dovuto andarmene il 14 luglio. Ma come fare quando il comandante delle truppe, maresciallo Broglie, mi diceva: «Sire, noi possiamo andare a Metz, ma che cosa faremo quando saremo là?». Ho lasciato passare l’attimo propizio che poi non ho più ritrovato».

Luigi XVI: un uomo goffo che però seppe morire Pubblichiamo qualche brano del discorso pronunciato da Robespierre il 3 dicembre 1792 di fronte all’Assemblea Nazionale.

Luigi è già stato giudicato! di Maximilien Robespierre

C

ittadini! L’Assemblea è stata inconsapevolmente trascinata lontano dalla vera questione. Qui non si tratta di fare un processo. Luigi non è un accusato; voi non siete dei giudici; voi siete e non potete essere altro che uomini di Stato, i rappresentanti della nazione. Non dovete pronunciare una sentenza a favore o contro un uomo; dovete prendere una misura di salute pubblica, dovete esercitare un atto di provvidenza nazionale. Un re detronizzato in una repubblica non può servire che a due scopi: o a turbare la tranquillità dello Stato e metter in pericolo la libertà; o a consolidare l’uno e l’altra. In effetti qual è la decisione che una buona politica prescrive per consolidare la repubblica nascente? È quella di imprimere profondamente nel cuore il disprezzo per la monarchia e impressionare tutti i partigiani del re. Quindi, presentare all’universo mondo il suo delitto come un problema, fare della sua causa l’oggetto della discussione più maestosa, circondata da un alone di sacralità, come la discussione più difficile alla quale possano accingersi i rappresentanti del popolo francese, frapporre una distanza incommensurabile tra il ricordo di ciò che egli fu e la semplice dignità di un cittadino, significa aver trovato il modo per renderlo ancora pericoloso per la libertà. Luigi fu re, e la repubblica è stata fondata. Il famoso problema che vi impegna è deciso da queste sole parole. Luigi è stato deposto dal trono per i suoi crimini; Luigi ha denunciato il popolo francese come ribelle. Per punirlo ha chiamato gli eserciti

Pierre-Roch Vigneron, Ritratto di Robespierre in veste di deputato del Terzo stato, da un disegno di Adélaide Labille-Guiard, 1791. Versailles, reggia.

processo al tiranno è l’insurrezione; il suo giudizio è la caduta della sua potenza; la sua pena quella che richiede la libertà del popolo. I popoli non giudicano come le corti di giustizia; non emettono sentenze; lanciano la loro folgore; non condannano i re; li ricacciano nel nulla. Questa giustizia vale quella dei tribunali.

dei tiranni, suoi confratelli; la vittoria del popolo ha deciso che lui era il ribelle; Luigi non può quindi essere giudicato: è già stato giudicato. […] Quando una nazione è stata costretta a ricorrere al diritto di insurrezione, rientra nello stato di natura riguardo al tiranno. Come potrebbe questi invocare il contratto sociale? Egli stesso l’ha annientato. La nazione se lo giudica opportuno può ancora conservarlo per quanto concerne i rapporti dei cittadini tra di loro; ma l’effetto della tirannia e dell’insurrezione è di romperlo interamente in rapporto al tiranno, di stabilire un reciproco stato di guerra; i tribunali e le procedure sono fatti per i membri della comunità. È una contraddizione grossolana supporre che la Costituzione possa presiedere a questo nuovo stato di cose; sarebbe come presupporre che essa possa sopravvivere a se stessa. Quali sono le leggi che la sostituiscono allora? Quelle della natura, quella che è alla base della stessa società: la salvezza del popolo. Il diritto di punire il tiranno e quello di deporlo dal trono sono la stessa cosa. L’uno non comporta altre forme dell’altro; il

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STORIA DI COPERTINA

Il processo e la condanna

L’esecuzione di Luigi XVI avvenuta il 21 gennaio 1793 nella piazza della rivoluzione gremita di uomini, donne e soldati. Quando il boia mostra la testa del sovrano si alzano le picche con i berretti frigi in segno di esultanza. Incisione del XVIII secolo. Parigi, Museo Carnavalet.

Le prove del tradimento, il processo e inine la condanna a morte. Approvata con un solo voto di maggioranza.

di Lucio Villari

L

a Convenzione disponeva di prove a sufficienza per incriminare il re. Altre ne ottenne il 20 novembre, quando venne scoperto alle Tuileries un armadio di ferro segreto contenente documenti, certamente autentici, comprovanti l’ostilità del re alla rivoluzione, il suo appoggio all’emigrazione di molti aristocratici, di cui aveva anche finanziato la propaganda reazionaria. Vi erano però perplessità: Morisson, un deputato della destra, intervenne sostenendo che, poiché la Costituzione del 1791 aveva concesso l’inviolabilità al so-

vrano, Luigi XVI non poteva essere sottoposto a giudizio. Il 13 novembre prese la parola Saint-Just: a suo avviso, Luigi XVI effettivamente non doveva essere pro-

cessato, andava direttamente punito per il solo fatto d’essere re. Nella sostanza è la stessa tesi che con argomentazioni più articolate sosterrà Robespierre il

LA GHIGLIOTTINA La condanna a morte di Luigi XVI doveva essere eseguita per mezzo della ghigliottina, la macchina inventata dal dottor Joseph-Ignace Guillotin per diminuire le soferenze dei condannati a morte che all’epoca venivano sottoposti a pene dolorose come lo squartamento, l’impiccagione o la decapitazione mediante un’ascia. LA GHIGLIOTTINA VENNE Guillotin aveva proposto la sua macchina all’Assemblea Nazionale: Antoine Louis, INVENTATA PER DIMINUIRE segretario dell’Accademia di Chirurgia, LE SOFFERENZE DEL presentò una dettagliata descrizione CONDANNATO tecnica della macchina, la cui costruzione fu commissionata al carpentiere del demanio Guidon. La macchina fu posta in opera il 25 aprile 1792. Nata per i delinquenti comuni, fu soprattutto usata contro i nemici della rivoluzione: in soli 47 giorni, durante il periodo del Terrore, furono giustiziati 1376 Parigini. Complessivamente, durante il Terrore le condanne a morte eseguite furono più di 46 000.

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1. Le ghigliottine, costruite in rovere, erano verniciate in rosso per attenuare nel pubblico l’effetto della vista del sangue, soprattutto durante le esecuzioni di massa.

4. La ghigliottina misurava circa 4 metri d’altezza ed era sostenuta da una piattaforma di assi, a sua volta collocata su una pedana per permettere al pubblico di vedere l’operazione e di ingiuriare il condannato. Nei primi tempi, tuttavia, il patibolo era ogni volta smontato e rimontato sul luogo del crimine; si scelse poi, per comodità, un luogo fisso per le esecuzioni.

Luigi XVI: un uomo goffo che però seppe morire

3 dicembre: la Francia ha abbattuto la monarchia e si è data un ordinamento repubblicano. La sorte del sovrano, dunque, è già decisa; non c’è bisogno di alcun processo: «Luigi deve morire perché la patria viva». La maggioranza della Convenzione, però, decise che il processo si doveva fare: la Francia e tutta l’Europa non dovevano dubitare della legittimità del verdetto. I girondini, che fino a quel punto avevano tentato in tutti i modi di rinviare il processo, chiesero che la sentenza della Convenzione fosse sottoposta al giudizio

popolare. A partire dal 14 gennaio, i deputati furono così chiamati, per appello nominale, a pronunciarsi su tre quesiti: la colpevolezza del re, l’appello al popolo e la pena da applicare. La colpevolezza viene votata quasi all’unanimità; l’appello al popolo venne respinto con 424 voti contro 287; la condanna a morte fu approvata con un solo voto di maggioranza. Fu necessaria una quarta votazione perché vari deputati avevano approvato la condanna chiedendo un rinvio dell’esecuzione. La richiesta del rinvio venne bocciata con 380 voti contro 310.

5. La testa cadeva in una cesta piena di segatura: la coscienza del ghigliottinato poteva durare ancora circa 30 secondi.

3. La testa del condannato era collocata fra due pezzi a incastro scorrevoli.

L’autore Lucio Villari (1933), professore di Storia contemporanea alla Terza Università di Roma, autore di volumi e saggi sulla storia delle idee, della cultura e della vita sociale in Europa e negli Stati Uniti tra Settecento e Novecento, con particolare attenzione alla Rivoluzione francese e al capitalismo novecentesco. Tra le sue ultime opere si possono segnalare: Settecento adieu: cultura e politica nell’Europa dei lumi (1985); Settecento adieu: dall’Illuminismo alla Rivoluzione (1989); Il capitalismo italiano del Novecento (1993), nonché i più recenti Romanticismo e tempo dell’industria (1999) e L’insonnia del ‘900 (2000). Anonimo, Esecuzione di Luigi XVI. Parigi, Museo Carnavalet.

Immagine commentata La ghigliottina

2. La lama (mannaia) era d’acciaio e pesava 48 kg, mentre il peso totale della ghigliottina era di 580 kg. La lama, una volta staccato il meccanismo di sicurezza, cadeva in meno di un secondo. La sua inclinazione rendeva più semplice e rapida la recisione della testa. Tirando la corda, la lama risaliva ed era di nuovo pronta.

6. Per poter infilare la testa nel ceppo, il condannato veniva disteso su un’asse mobile. Una volta decapitato, il resto del cadavere veniva spostato con lo stesso meccanismo: grazie a un cardine, la tavola si poteva inclinare e far cadere il corpo a terra senza sforzo da parte del boia e dei suoi aiutanti.

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STORIA DI COPERTINA

Le ultime ore del re La testa di Luigi XVI cadde la mattina del 21 gennaio 1793, alle dieci e venti. E il re afrontò il suo ultimo appuntamento con grande dignità.

di Lucio Villari

I

l 21 gennaio 1793 il re si svegliò alle cinque e mezzo da un sonno apparentemente tranquillo. Si confessò e si comunicò. Fece toilette, e in-

dossò un abito di color grigio, pantalone di panno grigio, a mezza gamba, calze di seta grigie, gilet trapunto. Alle otto e mezzo vennero a prenderlo il Comandante generale e i Commissari del Comune. Salì sulla vettura insieme con il confessore e due ufficiali della gendarmeria. Per tutto il percorso dal Tempio alla piazza della rivoluzione, dov’era montato il patibolo, parlò col confessore. Era una giornata cupa, umida. Il Comune aveva schierato 20 000 uomini armati lungo il tragitto della carrozza. Non c’era una gran folla per le strade. Al passaggio del condannato si faceva silenzio. Sembra che alcuni aristocratici avessero architettato un complotto per strappare in extremis il sovrano alle mani del boia, ma evidentemente non accadde nulla. Alle dieci e dieci la carrozza arrivò nella piazza della rivoluzione. La folla era tenuta ben distante dal patibolo da un cordone di soldati. Rullavano i tamburi. Il re scese dalla berlina e si spogliò dell’abito e del fazzoletto che portava al collo. Ebbe un gesto di stizza quando il boia gli afferrò i polsi per legarglieli. Gli scalini del patibolo erano alti e il re si appoggiò al prete per salirli. Prima che i giustizieri lo afferrassero, rosso in volto, il re gridò alcune parole. Non sapremo mai esattamente quali, giacché il generale Santerre, gran cerimoniere della giornata, ordinò ai militi di raddoppiare il rullo dei tamburi. Tuttavia la sua prima frase fu udita in tutta la piazza: «Popolo, io muoio innocente!». Poi, a quanto pare, esclamò: «Perdono ai miei nemici, e desidero che il mio sangue sia utile ai Francesi e plachi la collera di Dio». La testa di Luigi XVI cadde alle dieci e venti.

Jean-François Garneray, Luigi XVI alla torre del Tempio. Parigi, Museo Carnavalet.

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Erodoto MAGAZINE

È lecito uccidere il tiranno? Trattato da ilosoi come Locke che ne giustiica il fondamento nella violazione del contratto sociale, rappresentato da letterati come Shakespeare o Alieri per dare vigore alla tragedia.

Luigi XVI: un uomo goffo che però seppe morire

di Norberto Bobbio

È

lecito uccidere il tiranno? [...] Il problema è vecchio e le diverse possibili soluzioni altrettanto. Per fare qualche esempio, in un’epoca in cui le guerre di religione avevano favorito la nascita di dottrine che predicavano il tirannicidio, Hobbes collocava la massima «È lecito uccidere il tiranno» fra le teorie sediziose che in uno Stato ben ordinato avrebbero dovuto essere proibite [...]. Nell’età della Rivoluzione francese, in cui venivano celebrati in cattedrale feste e riti in onore di Bruto, Kant affermò che chiunque avesse anche il minimo senso dei diritti dell’umanità non poteva non essere scosso da un «brivido di orrore» di fronte all’esecuzione solenne di Carlo I in Inghilterra e di Luigi XVI in Francia. Come tutti i problemi morali, anche il problema della liceità del tirannicidio non è di facile soluzione. Anzi, non ha una soluzione che possa essere data e accolta una volta per sempre, perché ogni caso è diverso da tutti gli altri. La soluzione dipen-

Antoine-François Callet, Luigi XVI in costume regale, 1788. Versailles, Museo della reggia.

può essere sempre giudicata con due criteri diversi: o in base a regole precostituite che debbono essere osservate o in base ai risultati che si ritiene debbano essere raggiunti. I due giudizi non coincidono quasi mai: osservando le buone regole spesso si ottengono cattivi risultati; cercando di ottenere buoni risultati, molte buone regole vengono coscientemente e tranquillamente calpestate. Se si giudica l’assassinio del tiranno in base alle regole precostituite, è evidente che esso L’autore contravviene alla norma «Non uccidere», che è una delle leggi fondamentali della Norberto Bobbio (1909-2004) fu un morale di ogni popolo e in ogni tempo. membro del Partito d’azione, filosoCome tale dovrebbe essere condannafo del diritto e professore di Filosofia to. Ma non vi è regola senza eccezione. della politica all’Università di Torino. Non è lecito uccidere il nemico durante Nel 1984 fu nominato senatore a vita. una guerra giusta? Non è sempre stata Il suo pensiero fu caratterizzato dalla riconosciuta come guerra giusta la guerproposta di conciliare le esigenze di ra di difesa? Non può allora essere estesa giustizia sociale ed economica con al tiranno considerato come nemico inle esigenze delle libertà democratiterno l’eccezione prevista per il nemico che, attraverso il potenziamento e la esterno? creazione di istituti democratici. Tra [...] Partendo dal punto di vista dei risulle sue opere: Il futuro della democratati, il giudizio non diventa né più facile zia (1984); Stato, governo, società né più limpido. Anzitutto il risultato deve (1985); L’età dei diritti (1990); Destra essere se non certo altamente probabile. e sinistra.. Ragioni e significati di una [...] In secondo luogo, si deve prevedere distinzione politica (1994); Dialogo che il risultato non solo sia perseguibile sulla Repubblica (2001) con M. Viroli. con un alto grado di probabilità, ma che, se raggiunto, sia tale da non lasciare adito a dubbi sulla sua convenienza o opportude dalle circostanze di luogo e di tempo, nità, nel senso che, messi sui due piatti dalla persona contro cui l’atto si dirige, dal- della bilancia il male necessario (nell’uso le persone che lo compiono, dalla gravità di certi mezzi) e il bene possibile, il secondelle colpe e dalla impossibilità di ricorrere do prevalga. Inutile dire quanto questa ad altri rimedi. Avevano ragione o torto i soluzione sia difficile. cospiratori del 20 luglio [...] Nel dramma di 1944 nel tentare di ucCamus, I giusti, uno IL TEMA DEL TIRANNICIDIO cidere Hitler?1 Aveva le dei protagonisti, il VA ESAMINATO CASO PER stesse ragioni l’anarchirivoluzionario, proCASO, VALUTANDO co Bresci nell’uccidere clama: «Noi ucciLA CONTRADDIZIONE FRA Umberto I?2 diamo per costruire PRINCÌPI MORALI E GLI [...] Il problema è reso un mondo ove più OBIETTIVI POSITIVI più complesso dal fatnessuno ucciderà», CHE SI PERSEGUONO to che la stessa azione applicando la massima secondo cui il fine giustifica i 1 Il 20 luglio 1944 un gruppo di ufficiali mezzi, e annunciando un fine che non può tedeschi preparò un attentato, che fallì, per non essere universalmente riconosciuto eliminare Hitler e stipulare un armistizio con gli come moralmente nobile. angloamericani. La repressione fu molto dura e Ma la sua compagna lo interrompe: «E numerosi ufficiali coinvolti si suicidarono. se così non fosse?». Quante volte nella 2 L’assassinio del re Umberto I fu commesso storia è stata compiuta un’azione monel 1900 per vendicare le vittime dell’eccidio di ralmente riprovevole con intenzione di Milano del 1898, ordinato dal generale Bava perseguire uno scopo nobile, ma poi Beccaris per reprimere alcune manifestazioni popolari contro l’aumento del prezzo del pane. «non è stato così»?

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CINEMA E STORIA Regia: Sofia Coppola Interpreti: Kirsten Dunst: Maria Antonietta Jason Schwartzman: Luigi XVI Asia Argento: Madame du Barry Marianne Faithfull: Maria Teresa d’Austria Jamie Dornan: Conte Fersen Aurore Clément: Duchessa di Chartres Paese: Stati Uniti/Francia/Giappone Anno: 2006

Marie Antoinette

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a quindicenne Maria Antonia Giuseppa Giovanna d’Asburgo-Lorena, figlia dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria, si trasferisce da Vienna a Versailles per sposare l’erede al trono francese, il futuro Luigi XVI. Il matrimonio, organizzato dalle rispettive diplomazie per motivi politici, è assai deludente: il coniuge, che le era stato descritto come un uomo attraente, si rivela noioso e goffo, mentre la corte e il popolo di Francia non sembrano apprezzare molto la nuova regina, conosciuta ormai con il nome di Maria Antonietta. Lei d’altra parte si comporta da donna frivola e viziata, impegnata nel dilapidare ingentissime somme di denaro per i più inutili capricci, apparentemente ignara delle responsabilità che le spettano in quanto sovrana. Le vicende personali e i drammatici avvenimenti legati alla Rivoluzione francese la porteranno tuttavia a dimostrare inatte-

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se doti di sensibilità, di dignità regale e di saggezza politica.

Ha così messo a punto uno stile accattivante, che cerca in vari modi di unire il passato e il presente.

Avvenimenti del passato e modernità dello stile

L’effetto di shock

Tratto liberamente dalla biografia Maria Antonietta - La solitudine di una regina (2002) di Antonia Fraser, il film ripropone la figura storica di Maria Antonietta in chiave moderna e per certi aspetti provocatoria. In particolare, la regista Sofia Coppola ha voluto vedere nei capricci e nelle frivolezze della consorte del re di Francia un atteggiamento analogo a quello di qualsiasi ragazza, di oggi e di ieri, nata e cresciuta tra privilegi e agiatezza. Lavorando sul linguaggio proprio del cinema, la regista ha suggerito un’affinità tra i pensieri e le emozioni di Maria Antonietta, vissuta più di due secoli fa, e le esperienze di un’adolescente degli anni 2000, magari ricca e un po’ viziata.

Il recupero del passato avviene unendo l’ambientazione storica tradizionale e gli abbondanti riferimenti alle abitudini e alle mode di oggi. Basti pensare che le innumerevoli scarpe della regina e delle sue favorite sono state realizzate da uno dei più fantasiosi stilisti contemporanei: lo spagnolo Manolo Blahnik. Allo stesso modo, gli spettacolari dolciumi di cui le aristocratiche ragazze si saziano senza freni sono opera di Ladurée, noto marchio di pasticceria parigino. Tutto il film si caratterizza per la ricerca dello shock visivo, come si vede dai colori usati per i vestiti e le pettinature, che fanno a gara per colpire lo sguardo: oro, malva, fucsia e vari tipi di rosa sono le tonalità che

Marie Antoinette

ERRORI O SCELTE CONSAPEVOLI?

Scheda cinema Marie Antoinette

spesso predominano, come si può vedere dalla locandina stessa del film, riportata in queste pagine. Dal punto di vista della narrazione, il film alterna le scene descrittive, i grandi quadri d’insieme ispirati alla pittura del passato, al ritmo veloce, incalzante, debitore della comunicazione pubblicitaria e dei video musicali.

L’importanza della musica La colonna sonora rappresenta un aspetto importante della rilettura moderna, dichiaratamente «pop», del personaggio di Maria Antonietta e della vita di corte presso la reggia di Versailles. A fianco di compositori del passato come Antonio Vivaldi e Domenico Scarlatti sono stati inseriti brani rock, punk, e altre canzoni dai toni aggressivi oppure malinconici e romantici. Il contrasto tra l’ambientazione settecentesca e le sonorità moderne può creare un effetto un po’ straniante, ma presto lo spettatore si abitua ed è in grado di cogliere perfettamente il significato dell’accostamento.

Una riconosciuta accuratezza storica L’abbondanza di musica leggera e di situazioni vivaci, dinamiche, colorate non deve far pensare che Marie Antoinette sia un film superficiale. La rappresentazione della reggia e dei suoi giardini, la descrizione della vita a corte, i ritratti dei personaggi più importanti a cominciare da Luigi XVI, lo sviluppo stesso degli eventi sono dal punto di vista dell’accuratezza storica quanto di meglio può offrire un film pensato per il grande pubblico. Per il rigore e la ricchezza delle immagini l’opera di Sofia Coppola si è aggiudicata vari premi, tra cui l’Oscar assegnato a Milena Canonero per i costumi (va ricordato che la torinese Milena Canonero aveva già vinto due Oscar, il primo dei quali per un capolavoro come Barry Lyndon, 1975, di Stanley Kubrick, anch’esso di ambientazione settecentesca). Inoltre, a conferma del valore storico e didattico di Marie Antoinette, a Cannes una giuria di insegnanti e allievi ha attribuito al film il Premio del sistema educativo nazionale francese.

Dalla parte della regina Nel portare sullo schermo Maria Antonietta, la regista ha selezionato una parte della vita della regina, cioè il periodo che va dal trasferimento a Versailles fino all’abbandono della reggia, nel novembre del 1789, per volontà dei rivoluzionari. Della biografia di Antonia Fraser il film ha però conservato il giudizio fondamentalmente positivo sul personaggio storico, se non dal punto di vista politico, certamente da quello psicologico e umano. La studiosa inglese ha cercato di spiegare i comportamenti frivoli e gli errori politici di Maria Antonietta mettendoli in relazione con l’educazione ricevuta e con l’ambiente in cui la sovrana viveva. Una donna cresciuta tra i privilegi più esclusivi e educata a considerare il potere monarchico come diritto divino poteva comprendere soltanto a fatica gli importanti cambiamenti che si stavano manifestando in Francia e in Europa. Nonostante questo, sembrano dirci l’autrice del libro e la regista del film, Maria Antonietta seppe mostrare in molte occasioni intelligenza e virtù, evitando o quantomeno ritardando la fine della monarchia e con essa la distruzione della sua famiglia.

Lo stile del ilm, che mescola gli eventi storici con i riferimenti all’epoca odierna, facendo di Maria Antonietta una teenager dei giorni nostri, rende difficile distinguere gli eventuali «errori» dalle scelte registiche efettuate consapevolmente. Ecco un esempio: durante una passeggiata nei giardini di Versailles, Maria Antonietta si ferma a guardare il cielo, nel quale compare la scia di un aereo. È impossibile che gli autori di un ilm così accurato abbiano commesso un tale errore. È invece probabile che abbiano lasciato di proposito questo particolare per unire con leggerezza passato e presente.

UNA ROCKSTAR A VERSAILLES Il conte svedese Hans Axel von Fersen (17551810) ebbe davvero una storia d’amore con Maria Antonietta. Per dare un volto e un aspetto isico al conte, Soia Coppola ha afermato di essersi ispirata non al vero Fersen, ma a un musicista rock molto famoso negli anni Ottanta: Adam Ant. Una canzone di Adam Ant fa da sottofondo agli incontri tra la regina e il fascinoso Fersen.

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CINEMA E STORIA

La sequenza Una delle sequenze che evidenziano gli aspetti più frivoli della personalità di Maria Antonietta è quella in cui la moglie del delino di Francia, non ancora regina, si prepara per un grande ballo in maschera. Le immagini e le situazioni si susseguono veloci e colorate, legate da una vivace musica pop.

! Una parte dei preparativi è dedicata alla scelta delle stoffe per gli abiti della festa. Le amiche che siedono a fianco della regina furono davvero le due principali favorite. Si tratta di Maria Teresa Luisa di Savoia-Carignano, principessa di Lamballe (a sinistra), e Yolande de Polastron, duchessa di Polignac (a destra). Tutte e tre le ragazze applaudono ed emettono gridolini di gioia alla vista delle stoffe più pregiate.

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COME ORGANIZZARE UN’INQUADRATURA DI TIPO STORICO Luigi XVI fu consacrato re l’11 giugno 1775 nella cattedrale di Reims, secondo l’antica consuetudine. A diferenza di altri sovrani francesi, l’incoronazione di Luigi XVI non fu immortalata in quadri famosi. La regista non ha tuttavia rinunciato a proporre una sua visione dell’avvenimento, ispirata a fonti iconograiche di origine diversa. Come si nota nell’inquadratura del ilm !, la ricostruzione è molto

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Marie Antoinette

@ @ Una breve inquadratura ci mostra sullo sfondo qualcosa di particolare: un paio di scarpe sportive, la cui presenza nel XVIII secolo era del tutto improbabile. È evidente che non si tratta di un errore ma di un piccolo «scherzo» con il quale la regista ha voluto aggiungere alla scena un tocco di modernità.

accurata dal punto di vista delle scenograie, dei costumi, della fotograia, con aspetti pittorici immediatamente riconoscibili. Per averne una conferna si possono osservare alcune opere del passato. La disposizione delle igure e una serie di dettagli (il lampadario, le inestre) ricordano il dipinto di Jules Eugène Lenepveu (1819-1898) che raffigura l’incoronazione di Carlo VII avvenuta nel 1422 #. Il costume regale di Luigi XVI e il modo in cui è accomodato sono però assai simili a una miniatura del Quattrocento che illustra lo stesso evento, tratta da una raccolta di poesie di Martial d’Auvergne @. Dal dipinto di Antoine-François Callet (1741-1823), ritrattista ufficiale del re, il ilm ha preso la mantellina di ermellino e la parrucca bianca $. Inine, si possono trovare ulteriori analogie nella celeberrima Incoronazione di Napoleone di Jacques-Louis David (1748-1825).

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# # I dolci raffinati e sontuosi rappresentano bene il lusso in cui vivono la regina e la sua cerchia di amici, e costituiscono uno degli elementi visivamente più suggestivi del film.

$ $ Il carlino era una razza canina molto diffusa tra l’aristocrazia e le persone abbienti, che trattavano questi animali in modo a dir poco principesco. Maria Antonietta fu molto affezionata a un cagnolino simile ma, come si vede nella prima parte del film, non le fu permesso di portarlo con sé in Francia.

% % Maria Antonietta divenne famosa per le sue pirotecniche acconciature, opera di monsieur Léonard, il famoso parrucchiere che qui vediamo ricevere i complimenti dalla futura regina.

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TECNICA E SCIENZA

Genialità e desiderio di conoscenza

Geniali inventori fecero della Gran Bretagna l’oicina del mondo. Ma in Gran Bretagna vi era anche un incredibile desiderio di conoscenza scientifica. La tecnica senza la scienza non sarebbe infatti andata molto lontana.

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Adolph von Menzel, un'officina nel 1872. Amburgo, Kunsthalle.

Genialità e desiderio di conoscenza Immagine commentata La macchina a vapore

Il prodigio della macchina a vapore Non fu frutto di un’intuizione isolata, bensì di un lavoro di ricerca durato circa un secolo. Ma una volta inventata, la macchina a vapore aprì agli uomini una nuova epoca, quella del treno lanciato alla «folle» velocità di 22,5 chilometri orari.

di Nadeije Laneyerie-Dragon

Il vuoto e la pressione Alla fine del XVIII secolo venne inventata la macchina a vapore, grazie soprattutto alle scoperte avvenute nella metà del XVII secolo sul vuoto e sulla pressione atmosferica. Prima del 1643, quando fu inventato il barometro, tutti gli esperimenti volti a

sfruttare la potenza motrice del fuoco trovarono ostacolo nella mancanza di conoscenze dei fenomeni fisici di base (ad esempio: il vuoto parziale creato per condensazione di vapore acqueo era ignorato, perché a sua volta era ignorata l’esistenza del vuoto). Di conseguenza la pressione atmosferica era un argomento del tutto sconosciuto. La situazione cambiò radicalmente alla fine del XVII secolo con l’invenzione del barometro e la scoperta delle pompe ad aria. Si scoprì così non solamente che la pressione atmosferica esiste, ma anche che essa esercita una forza considerevole. Otto von Guericke, in un esperimento del 1645, rese evidenti i rapporti meccanici fondamentali che legano la pressione atmosferica al vuoto e introdusse l’idea decisiva per la futura invenzione della macchina a vapore, ovvero quella di creare il vuoto sotto un pistone. Bisognerà attendere però gli inglesi Thomas Savery e Thomas Newcomen per vedere realizzate le prime vere efficaci macchine atmosferiche. La macchina di Watt venne usata per togliere l'acqua dalle miniere. Liverpool, National Museum and Galleries on Merseyside.

In particolare, il funzionamento della macchina di Thomas Newcomen del 1712 si basava sul vuoto causato dalla condensazione del vapore in un cilindro; a sua volta, il cilindro muoveva un pistone collegato a una traversa in grado di svolgere un movimento alternato. Il vapore non era utilizzato per muovere il pistone: il suo scopo era quello di creare il vuoto. Il pistone era mosso verso il basso dalla normale pressione e la pompa faceva da contrappeso. La macchina a vapore era stata inventata. Venne subito utilizzata con successo per pompare acqua dal fondo delle miniere. Questa macchina aveva però un grave difetto: un eccessivo dispendio di vapore; il che implicava un elevato consumo di energia. Chi comprese e corresse questo difetto fu James Watt, che rese la macchina a vapore uno strumento universalmente utilizzabile. Per questo viene considerato il vero padre della macchina a vapore.

Il successo di Watt James Watt proveniva da una famiglia scozzese di non comune cultura. Il nonno era stato insegnante di matematica e di elementi di navigazione, e possedeva una ricca biblioteca scientifica; il padre commerciava strumenti scientifici e nautici. A 19 anni James si trasferì a Londra per lavorare presso una nota bottega dove si fabbricavano strumenti scientifici. Ma non vi rimase a lungo. Ben presto venne richiamato in Scozia dall’Università di Glasgow con l’incarico di perfezionare la «macchina a vapore di Newcomen». Dopo un attento studio Watt ne comprese il difetto: a causa del continuo raffreddamento del cilindro, la macchina di Newcomen consumava più vapore di quello che la caldaia produceva. Per

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TECNICA E SCIENZA ovviare a questo problema, decise di chiudere il cilindro con un coperchio e di costruire un condensatore separato che, mantenendo caldo il cilindro, evitasse la notevole dispersione di calore e l’elevato consumo di energia. Nel 1769 Watt chiese e ottenne il brevetto per «un nuovo metodo per diminuire il consumo di vapore e combustibile nelle macchine a vapore». L’inventore non aveva però i soldi per produrre la nuova macchina; la disponibilità di denaro arrivò solo quando conobbe Matthew Boulton, uno dei più importanti industriali inglesi. Così, nel 1775, Watt iniziò a costruire le prime macchine a vapore nelle officine di Soho, presso Birmingham, e la sua invenzione incominciò a essere impiegata industrialmente. Negli anni successivi Watt apportò alla sua invenzione notevoli perfezionamenti, che consentirono di ottenere rendimenti della macchina sempre maggiori. La versione definitiva e collaudata della macchina a vapore di Watt risale al 1788. Con l’introduzione di un meccanismo di trasformazione del moto alternato in moto rotatorio fu possibile utilizzare la macchina a vapore per muovere merci e persone. Una nuova epoca era iniziata.

Dalla macchina alla ferrovia Nel 1801 l’inglese Richard Trevithick (17711833) costruì un prototipo di treno a vapore che brevettò nel 1802; nel febbraio 1804 venne data una prima dimostrazione pubblica: la locomotiva di Trevithick percorse più di quindici chilometri. Il motore pesava cinque tonnellate. Il mezzo realizzato comprendeva, inoltre, un rimorchio di cinque vagoni che contenevano dieci tonnellate di ferro e ospitavano settanta uomini a bordo. La riuscita di Trevithick fu incontestabile: la sua invenzione ebbe un gran successo. Ma fu sicuramente George Stephenson (1781-1848) il primo a introdurre il concetto di binario costruendo locomotive dotate di ruote. Nel 1825 la locomotiva di Stephenson inaugurò la prima linea commerciale per il trasporto esclusivo di merci tra le città di Stockton e Darlington. Il 15 settembre 1829 venne inaugurata la prima linea per il trasporto dei passeggeri da Liverpool a Manchester. Quel giorno, una folla incredula assistette al passaggio del treno lanciato alla «folle» velocità di circa 22,5 chilometri orari!

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Il segreto del successo tecnologico inglese di Joel Mokyr

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e si è d’accordo che alla base della rivoluzione industriale ci fu qualcosa che chiamiamo creatività tecnologica, allora è opportuno interrogarsi sui fattori che ne furono responsabili. Tanto per cominciare, la Gran Bretagna non pare aver goduto un vantaggio particolare nella realizzazione di macroinvenzioni: un gran numero di queste ultime venne realizzato all’estero, in particolare in Francia. [...] Qualsiasi periodo di efficace creatività tecnologica richiede sia salti di qualità fondamentali che piccoli miglioramenti incrementali, spesso anonimi, che hanno luogo nell’ambito di tecniche note. La chiave del successo tecnologico britannico fu il suo vantaggio relativo in fatto di microinvenzioni. [...] Le prove a favore dell’affermazione secondo cui il vantaggio relativo della Gran Bretagna risiedeva nel perfezionamento piuttosto che nell’originalità derivano in parte da fonti contemporanee. Un commento frequentemente citato è quello di uno stampatore di calicò1 svizzero che nel 1766 osservò che un oggetto, per essere perfetto, doveva essere inventato in Francia e rielaborato in Inghilterra. [...] Una verifica dell’ipotesi che la Gran Bretagna godesse di un vantaggio relativo in fatto di microinvenzioni è nell’instaurazione di flussi commerciali netti. Le economie tendono a specializzarsi nell’area in cui dispongono di un vantaggio relativo. L’economia britan-

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Calicò: tessuto di cotone grezzo.

Il successo tecnologico inglese non derivò dalle macro invenzioni bensì dalla realizzazione di piccole invenzioni scaturite da grandi idee.

Macchine che cardano e tingono il cotone nella versione meccanica di una fabbrica a Lancashire, in Inghilterra.

Genialità e desiderio di conoscenza

L’autore Joel Mokyr (1946) è uno storico statunitense interessato alla storia della tecnologia. Insegna presso la Northwestern University e tra i suoi scritti ricordiamo: L’economia della rivoluzione industriale (1985); Storia di venticinque secoli di cambiamento tecnologico (1990); Leggere la rivoluzione industriale. Un bilancio storiografico (1997).

nica, parlando per approssimazione, era importatrice netta di macroinvenzioni ed esportatrice di microinvenzioni e perfezionamenti minori. Naturalmente dobbiamo considerare tale specializzazione come una tendenza generale, ma a grandi linee la distinzione regge. Alla vigilia della rivoluzione industriale la Gran Bretagna non era ai primi posti del mondo scientifico né poteva vantare un sistema educativo particolarmente efficiente. […] La Gran Bretagna formava la maggior parte dei suoi ingegneri e meccanici attraverso il tradizionale sistema di apprendistato, senza affidarsi a un’istruzione formale specifica. In un campione di 498 scienziati applicati e ingegneri nati tra il 1700 e il 1850 […] 329 (circa i due terzi) non ebbero alcun tipo di istruzione universitaria. Eppure si trattava di persone che avevano sete di conoscenze tecniche, applicate e

pragmatiche, che desideravano sapere come fare le cose e come farle a buon mercato e durevoli. Alcuni di essi studiarono presso le università scozzesi o le accademie dissenzienti, ma molti erano autodidatti o avevano acquisito le loro conoscenze frequentando personalmente esperti, biblioteche, conferenzieri itineranti e istituti di meccanica. […] Nella misura in cui i progressi tecnologici non richiedevano una comprensione di fondo delle leggi della fisica o della chimica su cui erano basati e potevano essere realizzati da brillanti ma intuitivi meccanici e tenaci sperimentatori, la capacità britannica di creare o adattare nuove tecnologie fu somma. […] Inoltre, alcune delle industrie specializzate in Gran Bretagna prima del 1760 richiedevano abili meccanici. La manifattura di orologi e strumenti, le costruzioni navali, la fabbricazione del ferro, la stampa, la finitura della lana e l’attività estrattiva richiedevano un livello di competenze tecniche che riuscirono utili quando si trattò di tradurre nuove idee da progetti a modelli e da modelli a prodotti reali. […] Dietro i grandi ingegneri, c’era la schiera molto più numerosa di artigiani e meccanici qualificati, dalla cui abilità e destrezza dipesero i massimi inventori e il successo tecnologico britannico. Questi lavoratori sconosciuti ma capaci assicurarono un flusso cumulativo di anonime e piccole ma indispensabili microinvenzioni senza le quali la Gran Bretagna non sarebbe divenuta l’officina del mondo. […] Decine di riviste e di volumi di atti di società scientifiche videro la luce prima del 1800, per lo più dopo il 1760. Una brama diffusa di conoscenza penetrò in Gran Bretagna fin nelle più piccole cittadine del regno, dove erano molto richiesti i conferenzieri itineranti. Gran parte di questa cultura scientifica provinciale era privata, meritocratica, non elitaria e pertanto in conflitto in qualche modo con l’establishment sociale. Le persone che lavoravano all’applicazione dei princìpi della fisica, della chimica e della biologia nel loro lavoro quotidiano erano assetate di innovazioni. In questo ambiente sarebbero prosperate le microinvenzioni, il graduale perfezionamento delle idee pionieristiche. Nelle prime fasi della rivoluzione industriale quest’abilità fu la chiave del successo tecnologico britannico.

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VITA QUOTIDIANA

Maternità, alimentazione, moda, lavoro: tutto muta contemporaneamente in Europa tra Settecento e Ottocento. Ha così inizio quel tumultuoso processo che porta alla società attuale con i suoi valori ma anche con le sue contraddizioni.

Riccioli al vapore e vita grama Anonimo, Ritratto di Maria Antonietta, 1775 ca. Saint-Quentin, Museo Antoine-Lécuyer.

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Riccioli al vapore e vita grama

Nasce il rapporto tra madre e figlio così come lo conosciamo oggi di Mirella Serri

La mamma è mamma di un cittadino «Merita ogni venerazione e rispetto la donna che si trova in questo stato... per cui ogni buona polizia deve cercare di proteggerne la dignità...», così recita un testo di polizia medica della metà del Settecento, esortando i responsabili dell’igiene e dell’ordine pubblico alla cura e alla protezione delle donne in stato di gravidanza. Un ammonimento oggi per noi totalmente scontato da essere quasi superfluo, ma che lasciava stupiti gli uomini del tempo. Si trattava infatti di una delle prime prese di posizione pubbliche in cui ci si preoccupava esplicitamente della salvaguardia e della tutela delle donne in gravidanza. Il rapporto di polizia metteva in luce come la donna in stato interessante portasse nel suo ventre dei «cittadini» in erba, fulcro dell’umanità a venire: le mamme acquisivano improvvisamente un rilievo e un’importanza mai avuti prima.

e culture occidentali. Al contrario, nella mentalità dell’uomo medievale e di quello rinascimentale non c’era affatto un posto di rilievo per le mamme. Dopo il parto era diffusa la consuetudine di mandare a balia l’infante. E la madre non aveva alcuna voce in capitolo: nella Firenze del Cinquecento erano addirittura i padri a scegliere la persona più adatta al delicato compito. Appena finito il cosiddetto «baliatico» (28-30 mesi, quanto durava l’allattamento), la genitrice non era considerata adatta all’educazione dei figli. «Sì tosto che più non ciucciano il latte, toglili dal fianco di tutte le donne et precipuamente

da quello dell’istessa madre, né lasciagli più a quelle vedere fin che non siano usciti de tutta la vezzosa età», consigliava un anonimo del Cinquecento. Come mai? Ne riassume le ragioni il filosofo Montaigne, osservando che la donna opera nei confronti dei pargoli «scelte sempre ingiuste e cervellotiche». Circondati da uno stuolo di precettori, tate e servitori, i piccini di sangue blu crescono affidati alle cure di una molteplicità di inservienti; i ragazzetti meno abbienti, invece, spesso abbandonano la casa natale e vengono rilevati dai cosiddetti «genitori affidatari» per far da garzoni, apprendisti, aiutanti. Oppure,

Niente mamme, ma balie e precettori Nei confronti della maternità vi è un preconcetto difficile da sradicare: che il rapporto madre-figlio come oggi lo concepiamo – con la figura materna al centro nell’esistenza della prole – sia stato pressappoco lo stesso in tante epoche

Carl Herpfer, Madre e bambino, 1869. Collezione privata.

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VITA QUOTIDIANA ancora in fasce, sono deposti sul sagrato di qualche chiesa o convento, oppure vivono quasi da soli, abbandonati tutto il giorno, nelle campagne. Ancora nel 1811 è così alto il numero di bambini che nelle zone montuose della Calabria finiscono nei precipizi o nei dirupi che le autorità raccomandavano alle «madri – chiamate ai lavori domestici o campestri – che mantenessero legati i loro figlioli a un palo ficcato innanzi alle porte delle proprie case in modo da non far correre loro ulteriori pericoli». Insomma, per secoli nella cultura occidentale non è la madre l’essere delegato per eccellenza all’educazione e alla cura dei bambini. Un’eccezione è rappresentata dagli Ebrei. Mamme quasi bambine, le ragazze giudee andavano spose verso i sedici-diciotto anni. Sconosciute le balie, inesistenti nelle comunità torinesi, fiorentine e veneziane i trovatelli, che erano invece molto diffusi nel mondo cattolico. I figli vengono considerati un affare esclusivamente di famiglia.

Aumenta la centralità del bambino Un cambiamento nel rapporto madre-figlio si verifica tra Settecento e Ottocento con l’Illuminismo e la Rivoluzione francese. Mentre diminuiscono le nascite, il bambino diventa sempre più il principe della casa, cresce di prestigio la figura della madre. Rousseau, nell’Émile, esalta il legame affettivo che nasce dalla vicinanza fisica. Intanto, si diffonde tra le donne la coscienza dei propri diritti, tra cui quello alla maternità e all’assistenza dei figli. Di conseguenza i magistrati cominciano a prendere in considerazione, in caso di separazione, l’affidamento dei figli alle madri, consuetudine che si diffonde per tutto l’Ottocento. Nell’Italia unita la donna viene incoronata regina del focolare. È l’esaltazione della mamma nutrice e devota, capace soprattutto di abnegazione e rinuncia, il cui modello è destinato a durare. E oggi che immagine ne abbiamo? L’essere buona madre comporta senza dubbio la conoscenza dei propri diritti; il che implica la capacità di organizzare il proprio tempo e quello famigliare in relazione alla vita sociale. In sintesi, l’essere cittadina-madre.

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Che cosa mangiavano i poveri? Minestra e un tozzo di pane? Meglio le patate, la polenta o la pasta. Le nuove abitudini alimentari che si difusero nell’epoca della rivoluzione francese e della rivoluzione industriale. di Maria Rosa Sobrero

Un’alimentazione scarsa Che cosa mangiavano i più poveri nell’Europa della Rivoluzione francese e della prima rivoluzione industriale? Le abitudini alimentari erano strettamente legate alle produzioni locali. Nella regione mediterranea, per esempio, si tendeva a coltivare il grano più che la segale e la frutta era molto più abbondante che nell’Europa settentrionale. Allo stesso modo variavano le bevande: nell’Europa meridionale si beveva vino; birra al Nord; sidro in Bretagna e in alcune parti dell’Inghilterra. In ogni caso si mangiava poco. L’alimentazione di base era costituita da minestre di verdura e pane. La carne era un cibo assai raro.

La scoperta della patata Fu proprio la fame che favorì la straordinaria affermazione di due prodotti: la patata e il mais. Forse la novità più importante nella dieta degli Europei all’epoca della rivoluzione industriale fu proprio l’introduzione della patata. Nota sin dalla fine del XVI secolo, la patata cominciò ad avanzare lentamente in Europa, partendo dall’Irlanda. Verso la fine del Settecento, quando il prezzo del

frumento aumentò in conseguenza dei cattivi raccolti, l’uso della patata si fece strada praticamente in tutta Europa. In Francia, per esempio, si diffuse in quasi tutte le regioni; in Germania, nel 1815, era già ampiamente coltivata.

Riccioli al vapore e vita grama

Pietro Longhi, La polenta, 1740 ca. Venezia, Ca’ Rezzonico.

L’Italia della polenta In alcune aree europee e nell’Italia nord-orientale, la coltivazione del mais era già praticata alla fine del Cinquecento. Tuttavia, anche per questo prodotto, la diffusione più consistente si realizzò nella seconda metà del Settecento. Nel 1778 Giovanni Battarra, un agronomo di Rimini, scrisse a proposito del mais: «Figlioli miei se vi foste incontrati nel 1715, che i vecchi hanno sempre chiamato l’anno della carestia, quando ancora non c’era l’uso di questo tipo di grano, avreste visto la gente morire di fame. Ora invece è piaciuto a Dio di introdurre questo tipo di grano, così se succedono annate scarse di frumento si può utilizzare un cibo che in sostanza è buono e nutriente». In effetti, la polenta divenne la base dell’alimentazione dei contadini dell’Italia del Nord. Spesso, anzi, era l’unica cosa che mangiavano e questo li condannava a una malattia mortale. Il mais, infatti, non contiene la niacina, Vincent van Gogh, I mangiatori di patate, 1885. Amsterdam, Van Gogh Museum.

una vitamina indispensabile per l’organismo. Così i contadini che mangiavano solo polenta si ammalavano di pellagra, una malattia terribile che si manifesta con piaghe su tutto il corpo e conduce alla pazzia e alla morte.

«Mangiamaccheroni» Un altro prodotto che si affermò nell’epoca della rivoluzione industriale fu la pasta. Nell’Italia centro-meridionale, questo alimento si impose con la stessa funzione delle patate o della polenta nell’Italia settentrionale. Il consumo della pasta, in realtà, risale all’antichità: per esempio, gli spaghetti sarebbero stati inventati dai Cinesi 1000 anni prima di Cristo. Tuttavia la pasta restò a lungo poco diffusa: i siciliani verso il 1500 venivano definiti «mangiamaccheroni», proprio per sottolineare la singolarità della loro abitudine di cibarsi della pasta. Il successo di questo alimento ha origine nella Napoli del Seicento. In quell’epoca i napoletani iniziarono a sostituire il consumo di carne con la pasta, tanto

che nel Settecento strapparono ai siciliani il soprannome di «mangiamaccheroni». All’epoca la pasta si mangiava senza nessun condimento o con un po’ di formaggio grattugiato. Sarà solo verso il 1830 che si inizierà a condirla con la salsa di pomodoro: un’idea geniale che ha reso «mangiamaccheroni» tutti gli Italiani.

Pane di gesso e latte di cavolo Le sofisticazioni alimentari erano una pratica già diffusa alla fine del Settecento, anche se conobbero un’impennata intorno al 1850. Già nel 1771, c’era chi notava: «Il pane che mangio a Londra è un impasto deleterio, a cui sono mescolati gesso, allume e ceneri d’ossa, dal gusto insipido e dall’effetto distruttivo per la salute. Non ho bisogno di soffermarmi a parlare di quel pallido e infetto miscuglio che chiamano «fragole», insozzate e sbattute da manacce unte di grasso in una ventina di cestini incrostati di sudiciume, e poi servite con il peggior latte, ispessite con la peggior farina per formare una pessima imita-

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zione della crema. Il latte, prodotto da foglie di cavolo appassite e da feccia acida, stemperato in acqua calda, fatto spumeggiare con lumache ridotte a minuti frammenti, portato in giro per le strade in secchi scoperti».

Nella borsa della spesa Alla fine dell’Ottocento anche l’Italia compì la sua rivoluzione industriale. La condizione degli operai in una città come Torino non era certo florida, anche se senza dubbio migliore rispetto a quella dei loro colleghi inglesi o francesi di inizio secolo. Da un’inchiesta sappiamo che la maggioranza (63%) di questi operai (una famiglia media era composta da sei persone: due genitori e quattro figli) occupava abitazioni di due camere, e la minoranza (36%) alloggi di una sola stanza. Il numero delle camere, man mano che i figli aumentavano, invece che crescere si riduceva, perché la diminuzione dell’affitto era la prima economia che si imponeva quando le altre spese aumentavano. Le dimensioni del nucleo familiare, peraltro, non influivano in modo significativo sulla scelta dei cibi e delle bevande: un caso particolare era rappresentato dal vino, che la maggior parte delle famiglie non poteva permettersi più di una volta la settimana e solo poche persone potevano consumare tutti i giorni. Pane, minestra, latte e verdura formavano la base essenziale dell’alimentazione. Come in tutte le classi popolari, la carne rappresentava un lusso domenicale. In questo caso però più che per motivi di carattere economico, per un pregiudizio che risale alle origini contadine di questo proletariato urbano: nella Torino di fine Ottocento 1 chilo di pane costava quanto 3 etti di carne. Quanto alle spese voluttuarie, l’unica voce era il tabacco, una spesa che si concedeva il 96% degli operai. A questa spesa voluttuaria regolare si dovevano aggiungere le bevute, anzi, le «sbornie», quando arrivava qualche guadagno straordinario, le gite in campagna e una «vestimenta nova» che per molti rappresentava uno dei sogni più alti e più lontani.

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Così la Francia perse la battaglia della moda con l’Inghilterra L’età napoleonica riportò in voga gli abiti d’ispirazione grecoromana. Alle tuniche si aggiunsero poi i veli per celare il corpo nudo. Ma alla ine dell’età napoleonica a predominare in Europa fu la moda inglese. L’anglomania attraversava tutte le classi.

di Daria Galateria

Nuova eleganza dopo il Terrore Da quando Robespierre e il suo rigore finirono in disgrazia, in Francia si sentì il bisogno di rinnovare il piacere della frivolezza. Si abbandonarono gli abiti rivoluzionari nel timore di essere riconosciuti e puniti come giacobini. Dal 1795, tutto ciò che ricordava il tempo buio del Terrore venne bandito e maledetto. Persino l’andatura e lo sguardo dei cittadini francesi diventarono più disinvolti. Nel pieno del Terrore si camminava a testa bassa, le spalle raccolte in un atteggiamento di difesa e circospezione, volgendo gli occhi a destra e sinistra per controllare; il Termidoro impose invece all’andatura un’inclinazione all’indietro di almeno trenta gradi. I nuovi eleganti ostentavano, in opposizione allo sguardo sfuggente del passante spaventato, così diffuso all’epoca del Terrore, un intenso e un po’ ottuso esame attraverso l’occhialino. Era l’ora dei «moscardini», i giovani della buona società termidoriana così chiamati per la pastiglia di muschio che portavano con loro per lenire l’irritazione della gola. I moscardini facevano moda, incedevano con passo sicuro per le vie di Parigi avvolti nelle loro redingotes (giacche lunghe, strette alla vita) verde bottiglia, il colore – dicevano – di Charlotte Corday,

Abito maschile da mattino. Frac à l’anglaise, cappello alla Jockey, stivali, 1787. Parigi, Galleria delle mode e dei costumi. 

Riccioli al vapore e vita grama l’assassina di Marat. I bottoni erano di madreperla, il bavero grande, fiorato; al di sotto un gilet inquadrava la cravatta di mussola gonfia e soffice che arrivava fino quasi al naso. Gli scarpini erano piatti, a punta, lievissimi. In mano portavano un nodoso bastone per tenere buoni i giacobini. Un’eleganza insolente e persino irrispettosa. Qualcuno si azzardò a riportare in voga il tricorno, modello dell’Antico regime, e le culottes con le calze di seta come ai tempi di Luigi XVI; invece la moda volle il cappello con sole due punte, come gli ufficiali, da indossare con una punta in avanti, «da parata», oppure nella disposizione frontale, «da battaglia».

A memoria della ghigliottina tra rosso sangue e nudità Quasi a ricordare le sofferenze procurate dalle tante condanne alla ghigliottina, le signore si incipriavano il viso di un bianco cadaverico, frequentavano il «Ballo delle vittime», esclusivo ritrovo per quanti ave-

vano perso almeno un parente – meglio se di primo grado – sotto la lama. Indossavano a proposito uno scialle di colore rosso e un nastrino purpureo stretto sul collo, a memoria del sangue che aveva bagnato i loro congiunti. I capelli erano tagliati corti, a ciuffetti sulla nuca, come avveniva ai condannati poco prima di salire al patibolo. Ma le donne francesi non avevano per questo perso il gusto della seduzione: i loro abiti erano leggeri, di mussolina che veniva bagnata per essere resa trasparente. In spregio alla virtù repubblicana, mostravano scollature irriverenti, o appena coperte da veli e pizzi, portati con gran disinvoltura anche durante gli inverni rigidissimi. «Il sistema delle nudità velate è micidiale per le signore», affermavano i medici nel 1797, che ne avevano viste finire di consunzione più in quell’inverno che nei precedenti quarant’anni.

La leggerezza della moda greca Aspettando che Napoleone costruisse l’impero, le signore inauguravano la moda alla greca avvolte nei lunghi panneggi delle tuniche. Erano tutte in bianco (nonostante le vesti si annerissero per

François Gérard, Giuseppina imperatrice dei Francesi, 1807-08. Fontainebleau, Museo nazionale del castello.

strada) e portavano in testa un nastro rigirato fra i riccioli, un buon sostituto della cuffia di merletto che aveva raggiunto prezzi da capogiro. La leggerezza dominava i tessuti, gli accessori, i modi. Le tuniche «alla Minerva» e «alla Cerere», gli abiti «alla Diana» e «alla Vestale» prediligevano la mussolina appena trasparente al lino. La scollatura era esaltata dalla cintura alta. Le calze erano di seta rosa o di un tenero color carne, all’occorrenza cinte da bracciali di brillanti. Per non appesantire la linea, alle tasche si era sostituita una borsa a mano, così piccola che era chiamata ridicule; il ventaglio andava invece infilato alla cintura. La levità era anche nei cappelli di paglia, nei colori giunchiglia e rosa, nelle braccia nude. L’eleganza era tornata autoritaria, la sua misura classica riprendeva il gusto greco-romano e s’impose per molti anni ancora.

L’anglomania Dall’Oriente si importavano allora oltre alle mussoline indiane, i turbanti e gli immensi, preziosissimi cachemire, che si portavano distesi a peplo, non ripiegati a triangolo. Napoleone ne aveva regalati molti a Giuseppina, per sedurla. I veri signori del tempo indossavano la tenuta all’inglese, anche se i tessuti d’oltremanica venivano confiscati alla dogana e non era cosa semplice introdurli in Francia per mandarli a far ricamare a Lione. Gli uomini vestivano la redingote blu, calzavano stivali lucidissimi e utilizzavano per cravatta una lunga striscia di batista arrotolata più volte attorno al collo. L’anglomania attraversava tutte le classi. La Francia, insomma, in guerra con l’Inghilterra, aveva già perso con lei la battaglia della moda. Chi poteva sfoggiava un lusso impensabile qualche anno prima. Le paillettes, un tempo proscritte dalla virtù repubblicana, trionfavano; così pure i gioielli, quelli veri, come il corpetto di diamanti indossato dall’incantevole Tallien, la giovane amante di Barras che era un membro del Direttorio. Mezzelune di brillanti scintillavano sui capelli corti e neri delle signore. Il taglio «alla Tito» era di gran moda, ma chi aveva ancora una capigliatura folta poteva dare volume ai riccioli esponendoli per un’ora al vapore di una pentola in ebollizione.

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VITA QUOTIDIANA

Riccioli al vapore e vita grama

Mulhouse come Londra, l’estrema povertà della classe operaia Louis René Villermé (1782-1863) abbandonò il mestiere di chirurgo nel 1818 per dedicarsi allo studio della questione sociale e delle disuguaglianze economiche. Membro dell’Accademia di Medicina e, dal 1848, del Comitato superiore di igiene, condusse numerose e celebri inchieste sulla condizione degli operai agli albori della civiltà industriale.

di Louis René Villermé

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e sole fabbriche di Mulhouse1 contavano, nel 1835, più di cinquemila operai alloggiati così nei villaggi circostanti. [...] Bisogna vederli arrivare ogni mattina in città e partirsene ogni sera. Vi è tra loro una moltitudine di donne, pallide, magre, che camminano a piedi nudi in mezzo al fango, e che, in mancanza del parapioggia, portano capovolto sulla testa, quando piove, il loro grembiule o la loro sopragonna, per ripararsi il viso e il collo, e un numero ancor più considerevole di piccoli bambini non meno sporchi, non meno smunti, coperti da stracci impregnati dell’olio dei telai, gocciolato su di loro mentre lavorano. [...] I più poveri abitano negli scantinati e nelle soffitte. Questi scantinati non hanno nessuna comunicazione con l’interno delle case: si aprono sulle strade o sui corsi, e vi si scende per mezzo di una

1 La città di Mulhouse si trova nell’Alsazia, nel Nord-est della Francia, al confine con la Germania lungo il Reno. Questa regione era caratterizzata, verso la metà dell’Ottocento, dalla presenza di numerose industrie metallurgiche che avevano richiamato migliaia di operai a vivere in quella zona.

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scala che serve molto spesso da porta e da finestra. Sono di pietra o di mattoni incurvati a volta pavimentati e hanno tutti un camino; questo dimostra che sono stati costruiti per servire d’abitazione. [...] Ed è in queste oscure e tristi dimore che mangiano, dormono ed anche lavorano un gran numero di operai. [...] In un rapporto fatto dalla Società Industriale di Mulhouse il 27 febbraio 1827, si stabiliva che la durata giornaliera del lavoro, nelle filature, era ordinariamente di 13 o 14 ore per i bambini (anche di 6 e

Vista ottocentesca della città di Mulhouse.

8 anni) come per gli adulti; e in un altro rapporto, fatto dalla stessa società il 31 maggio 1837, si trovano queste significative parole: «Vi sono delle fabbriche in Francia che trattengono i loro operai durante 17 ore ogni giorno, e i soli momenti di riposo durante queste 17 ore sono una mezz’ora per il pranzo e un’ora per la cena, e questo lascia 15 ore e mezza di lavoro effettivo...». Queste durate sembrano molto lunghe, potrei dire eccessive, tanto più che sono simili per tutti gli operai, non importa la loro età. [...] Le due industrie (quella della lana e quella del cotone) non esigono affatto, è vero, da parte dei bambini, che una semplice sorveglianza. Ma, per tutti la fatica risulta da una posizione troppo prolungata. Essi restano dalle 16 alle 17 ore in piedi ogni giorno, e per 13 ore almeno in una stanza chiusa, senza quasi cambiare posto o occupazione. Non è più un lavoro, un compito, è una tortura; e la si infligge a dei bambini da 6 a 8 anni, malnutriti, malvestiti, obbligati a percorrere dalle cinque del mattino la lunga distanza che li separa dalle loro fabbriche. Come possono resistere a tanta fatica questi sventurati che possono appena gustare qualche istante di riposo? È questo lungo, quotidiano supplizio che rovina principalmente la loro salute nei cotonifici, [...] a causa delle condizioni in cui vivono.

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resente al Giuramento della Pallacorda, giacobino e sostenitore di Robespierre, deputato all’Assemblea Costituente, Jacques-Louis David (1748-1825) ha seguito l’intero percorso della Francia rivoluzionaria e ne ha immortalato sulle sue tele i momenti salienti. Già in opere commissionate dal re Luigi XVI – per esempio nel famoso Giuramento degli Orazi del 1784 – David si segnalò come pittore impegnato a rappresentare temi di forte contenuto morale. Questa attitudine si rivelò particolarmente adatta al contesto culturale e politico della Rivoluzione francese, quando l’arte cominciò ad assumere un ruolo pubblico ino ad allora sconosciuto, con l’intenzione di trasmettere esempi di virtù e di educare i cittadini attraverso messaggi chiari e forti. David pensava che l’arte dovesse esaltare la forza, il valore, il senso del dovere come virtù tipiche di una nuova era rispetto all’epoca precedente caratterizzata da sentimenti deboli, deiniti sprezzantemente «efeminati». L’arte del periodo rivoluzionario doveva rappresentare uomini eroici, disposti a sofrire e a sacriicare se stessi per un’idea superiore, per la «volontà generale». Quest’ideale era stato incarnato alla perfezione da Marat, il soggetto della prima opera di David che presentiamo.

David, il pittore della rivoluzione e di Napoleone





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La morte di Marat

! Marat è immerso nella vasca da bagno, dove cercava di lenire i terribili dolori di un eczema che lo deturpava.

@ Marat viene ritratto già assassinato: il pugnale e il lenzuolo insanguinati sono gli unici segni del delitto. L’assassina, Charlotte Corday, non è raffigurata, quasi a volerne far perdere definitivamente la memoria. # I particolari sono ridotti all’essenziale e sottolineano la totale povertà in cui il «giusto» si ostinava a vivere. $ In mano ha ancora il foglio e la penna con cui stava compiendo il suo ultimo gesto in favore di un cittadino.

% In primo piano risalta la dedica che il pittore ha posto sul legno del tavolo sopra il quale Marat poggiava carta, penna e calamaio. È questo un modo per manifestare la propria commozione e, al tempo stesso, commentare l’accaduto, interpretandolo dal punto di vista morale e educativo.

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Questo dipinto fu una delle opere più importanti dell’arte igurativa a cavallo del XIX secolo. Raffigura la morte di Marat, uno dei leader del movimento giacobino, fondatore del giornale «L’amico del popolo» che aveva incendiato gli animi dei rivoluzionari. Marat cadde il 13 luglio 1793 sotto i colpi di pugnale di una giovane normanna, Charlotte Corday, una nobile, discendente del drammaturgo Pierre Corneille. La donna si era fatta ricevere da Marat che era immerso nella vasca da bagno, e a tradimento lo pugnalò. Così giustiicò il suo gesto di fronte al tribunale che la condannò a morte: «Ho ucciso un uomo per salvarne 100 000». Marat venne considerato dai rivoluzionari e dallo stesso David come un santo, un «martire» caduto per il riscatto del popolo. Immagine commentata - La morte di Marat

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A sinistra. Jacques-Louis David, La morte di Marat, 1793. Bruxelles, Museo Reale delle Belle Arti del Belgio. Sotto. Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, Deposizione nel sepolcro, 16001604 ca. Roma, Pinacoteca Vaticana.

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^ La posizione del cadavere richiama in modo evidente il modello iconografico della Deposizione nel sepolcro di Caravaggio che rappresenta il corpo di Cristo, martire e salvatore dell’umanità. Il braccio abbandonato e la testa reclinata esprimono con efficacia il senso della morte; nel caso di Marat, la morte di un martire laico della rivoluzione, salvatore del popolo.

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David, il pittore della rivoluzione e di Napoleone

Napoleone in guerra Napoleone è qui dipinto nelle vesti del grande condottiero. Il pittore è Jacques-Louis David, il titolo del quadro è Napoleone che attraversa le Alpi, la data è il 1801. Bonaparte sta partendo per la seconda campagna d’Italia. La vittoria riportata a Marengo ha consolidato il suo potere, ma non è ancora un imperatore. È diventato Primo Console, ma la Francia è ancora una repubblica e il potere di Napoleone è ancora poco sicuro. Questa immagine ci presenta invece un comandante pieno di autorità, prestigio, avvolto nel manto rosso dei potenti, simbolo della forza guerriera, con il dito alzato per indicare la via. David credette sempre nelle capacità di Napoleone; non così Beethoven che, alla luce dei fatti, cambiò opinione.

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! Napoleone è ritratto a cavallo nell’atteggiamento del condottiero. Ma il ritratto equestre è anche tipico dei re: Napoleone dunque si fa raffigurare come uno dei tanti re del passato. Il cavallo bianco con le zampe levate sottolinea l’energia vitale e la volontà di conquista.

@ Il dito è puntato verso l’alto a indicare la direzione da seguire. Salire verso l’alto per valicare le Alpi, ma anche salire nella scalata verso il potere e verso la gloria, per sé e per la Francia. # Il mantello rosso, gonfiato dal vento, avvolge Napoleone. Il rosso, che rinvia al sangue e al fuoco, è il simbolo della forza del guerriero, del vigore e della determinazione del comandante che guida i suoi soldati e tutti i Francesi verso nuove vittorie. La forza e la vitalità sono sottolineate anche dalla presenza dell’oro sul cappello e sulla sciarpa. La potenza e il coraggio sono evidenziati dalla spada appesa al fianco. $ Sullo sfondo si vedono i soldati che salgono il costone della montagna, portando cannoni e armamenti. La salita è faticosa, resa più difficile dalle asperità del terreno e dal tempo poco favorevole. Gli uomini di Napoleone si accingono a un’impresa che ricorda quella di Annibale.

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% Il nome di Napoleone è scolpito sulla roccia come traccia indelebile che ricorda il passaggio del valoroso combattente e guida dei Francesi.

5 Jacques-Louis David, Napoleone che attraversa le Alpi, 1801. Rueil-Malmaison, Museo del castello.

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ARTE E STORIA

L’incoronazione di Napoleone

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David, il pittore della rivoluzione e di Napoleone David raffigurò in questo dipinto uno dei momenti fondamentali dell'eccezionale esistenza di Napoleone Bonaparte. Il quadro è molto grande (6 x 9 metri): dimensioni di questo tipo erano riservate in genere a soggetti di storia antica e non a temi contemporanei.

David in questo caso infranse le regole, dato che l’incoronazione di Napoleone fu un evento a lui contemporaneo. Al pittore furono necessari ben due anni di lavoro e una gran quantità di disegni preparatori per riprodurre sulla tela la cerimonia avvenuta a Parigi il 2 dicembre 1804. Jacques-Louis David, L’incoronazione di Napoleone, 1805-1807. Parigi, Louvre.

Immagine commentata L'incoronazione di Napoleone

! Il dipinto raffigura un momento della Storia, perciò David ricercò la precisione fin nei minimi dettagli: dalla riproduzione dei marmi della chiesa, all’ermellino della coppia imperiale, alla corona tenuta in alto dall’imperatore. @ Il pittore ha rappresentato il momento in cui, dopo essere stato consacrato imperatore da papa Pio VII, Napoleone si accinge a porsi autonomamente la corona sul capo.

# Gli alti dignitari di corte sono vestiti come da protocollo, con abiti risalenti al cerimoniale che veniva praticato ai tempi del re di Francia Enrico IV (1553-1610).

$ La madre di Napoleone, Letizia Ramolino, in realtà non era presente alla cerimonia, ma Napoleone volle che fosse dipinta nel palco d’onore in segno di omaggio. Poco più in alto nella tribuna compare anche il pittore David mentre compone il suo schizzo «dal vero».

% Sulla sinistra spiccano le sorelle dell’imperatore (Carolina, Elisa e Paolina), elegantemente vestite secondo la moda neoclassica che presto verrà chiamata «stile impero».

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^ L’abito di Napoleone è una tunica di raso bianco, ricamata in oro e bordata di una frangia. Quello di Giuseppina è un vestito a vita alta in raso broccato d’argento e ricamato in oro.

& Sia Napoleone che Giuseppina indossano uno splendido manto color porpora, il colore del potere, foderato di ermellino e ricamato in oro. Su quello dell’imperatore è ricamato un motivo che unisce il monogramma N alle api e alle foglie di olivo, alloro e quercia.

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ARTE E STORIA

Impariamo a riconoscere i simboli in un’immagine

Nelle opere d’arte vengono spesso rappresentati oggetti che assumono un signiicato simbolico, rimandano cioè a qualcosa di diverso da quello che sono. I simboli servono all’artista per rappresentare delle sensazioni e dei concetti difficili da esprimere. Per interpretare l’immagine e il suo signiicato simbolico occorre quindi: ƒ conoscere il signiicato dei simboli; ƒ riconoscere il personaggio, l’ambiente o l’avvenimento a cui l’immagine si riferisce; ƒ conoscere il contesto storico in cui l’opera è stata realizzata e il suo autore; ƒ individuare eventuali riferimenti ad altri periodi storici.

I SIMBOLI PIÙ FREQUENTI I simboli nell’arte sono moltissimi; qui ne indichiamo solo alcuni fra i più difusi, ma puoi conoscerne altri consultando un dizionario dei simboli. ƒ Alloro o lauro: come tutte le piante sempreverdi indica l’immortalità; per questo è il simbolo della gloria sia militare sia culturale. ƒ Aquila: regina degli uccelli, rappresenta l’autorità imperiale. ƒ Bastone: ha diversi signiicati; può essere un’arma anche magica (ad esempio la bacchetta delle fate o dei maghi), un sostegno e un appoggio (per il pastore o per il pellegrino o ancora il pastorale per il vescovo), un segno di comando (nella versione dello scettro). ƒ Bilancia: è il simbolo della giustizia, della misura, dell’equilibrio, perché serve a soppesare le azioni, quindi della legge. ƒ Corona: il signiicato di questo oggetto deriva da tre fattori: 1. è circolare, quindi indica una forma perfetta, come il cielo; 2. si pone sulla testa, quindi indica la mente ma anche un dono venuto dall’alto; 3. è un oggetto che collega l’incoronato alla terra e al cielo e rappresenta dunque un potere superiore, la regalità; se è a punte simboleggia i raggi del sole, se è a cupola rappresenta un potere universale. ƒ Falce: è il simbolo della morte perché, come la morte, colpisce senza distinzione tutte le cose. ƒ Giglio: è bianco e indica candore, purezza, innocenza. ƒ Ginocchio: antiche tradizioni fanno del ginocchio la sede principale della forza del corpo umano, quindi il simbolo dell’autorità dell’uomo e della sua potenza sociale. Di qui le espressioni «piegare il ginocchio» = fare atto di umiltà; «far piegare le ginocchia» = imporre la propria volontà; «inginocchiarsi» = fare atto di omaggio e di devozione; «toccare le ginocchia» = chiedere protezione. ƒ Libro: è il simbolo della sapienza, della saggezza, della

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conoscenza; può essere chiuso, se conserva il suo segreto, aperto se chi lo legge comprende i contenuti. Mondo: indica l’universalità e per la sua sfericità simboleggia la perfezione. Rosso: è il colore del fuoco e del sangue, simboleggia la forza, lo spirito del fuoco, quindi la passione e l’amore; ma anche la forza guerriera. Abbinato all’oro e al bianco indica la forza vitale. Scettro: segno di autorità e comando. Spada: è il simbolo della forza militare e del coraggio; la forza della spada può servire a distruggere l’ingiustizia, l’ignoranza, la malvagità, ha perciò un signiicato positivo come strumento utile al mantenimento della pace e della giustizia; è naturalmente anche simbolo di guerra, ma in mano ai cavalieri e agli eroi cristiani diventa arma nobile. Trono: come il piedistallo ha la funzione di sostenere la gloria; è quindi simbolo di potere e di sovranità.

Jacques-Louis David, Ritratto di Napoleone in veste imperiale, 1805. Lille, Museo delle Belle Arti.

David, il pittore della rivoluzione e di Napoleone

IL CASO DE L’INCORONAZIONE DI NAPOLEONE Proviamo a riconoscere i simboli nell’immagine de L’incoronazione di Napoleone. ƒ Rosso, bianco e oro: sono i colori degli abiti dell’imperatore e dell’imperatrice; simboleggiano la forza vitale dei sovrani e dell’impero. ƒ La corona: ce ne sono due: una è già sul capo di Napoleone; l’altra, più grande e a cupola, rappresenta il potere universale ed è nelle mani di Napoleone che sta per porsela sul capo. ƒ In ginocchio: l’imperatrice si inginocchia davanti a Napoleone in segno di sottomissione. ƒ La croce: rappresenta la Chiesa cristiana. ƒ I vescovi e il papa con il pastorale: rappresentano l’autorità della Chiesa. Questi elementi ci fanno comprendere lo scopo del dipinto: il pittore David vuole esprimere la potenza, l’autorità, la sovranità di Napoleone di fronte alla Francia e alla Chiesa stessa.

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! Giuseppina Beauharnais, moglie di Napoleone, si inginocchia in segno di sottomissione all’imperatore.

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@ Il papa ha consacrato l’imperatore nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi e ora assiste con i vescovi alla cerimonia con il pastorale, simbolo del suo potere spirituale e dell’autorità della Chiesa. # L’imperatore ha su di sé tutti i simboli del potere: il mantello rosso, d’oro e d’ermellino, porta sul capo la corona d’alloro che imita gli imperatori romani.

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PROTAGONISTI Paul Delaroche, Ritratto di Napoleone a Fontainebleau, 1845 ca. Leipzig, Museo delle Belle Arti.

«Leggende» napoleoniche

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«Leggende» napoleoniche

Napoleone fu avvelenato? Il grande còrso morì a soli cinquantadue anni. Quale fu la causa della sua morte? Si ammalò di cancro allo stomaco, debilitato dalla prigionia o fu assassinato, come sostengono alcuni studiosi?

di Thierry Lentz

Di quale malattia è morto Napoleone? Da circa quarant’anni alcuni studiosi sostengono che Napoleone è morto avvelenato dall’arsenico. Periodicamente la stampa rilancia la questione scatenando il dibattito fra gli storici. Il caso è piuttosto complicato. Proviamo a ricostruirlo. L’ipotesi dell’avvelenamento è proposta da un dentista svedese, Sten Forshufvud, nel 1961. Leggendo le memorie scritte da Marchand, primo cameriere dell’imperatore, Forshufvud si convinse che Napoleone non era morto di cancro allo stomaco o a causa di un’epatite, com’era stato detto. La descrizione della malattia del prigioniero lo indusse piuttosto a pensare a un’intossicazione cronica da arsenico. Dall’intossicazione all’avvelenamento, e da questo all’assassinio, il passo è breve. Forshufvud si era convinto, già nel 1955, che Napoleone fosse stato avvelenato ma all’epoca non aveva nessuna possibilità di dimostrarlo. Poi nel 1959 lesse un articolo su una rivista scientifica in cui si descrivevano gli studi di un tossicologo scozzese, Hamilton Smith, che aveva scoperto un metodo per valutare la presenza di arsenico nel corpo umano attraverso l’esame di un solo capello. Per dimostrare la sua tesi, dunque, Forshufvud aveva bisogno solo di un capello di Napoleone.

Capelli di Napoleone cercansi Fortunatamente, durante il suo esilio, Napoleone aveva donato ripetutamente

ciocche dei suoi capelli. E anche alla sua morte, i capelli erano stati tagliati e conservati. Forshufvud riuscì dunque a recuperare un capello di Napoleone e lo inviò a Smith perché facesse la sua analisi. Il risultato fu che nel corpo di Napoleone c’era una quantità di arsenico 13 volte superiore a quella normale. Forshufvud, tuttavia, non si accontentò di un’analisi condotta su di un solo capello. Sperava addirittura che il governo francese fosse disponibile ad aprire la tomba agli Invalides, dove Napoleone è sepolto dal 1840: un nuovo esame sui resti dell’imperatore avrebbe potuto chiarire definitivamente le cause della morte. Ma a quel punto il nostro dentista si scontrò con la resistenza delle autorità francesi che non davano credito alla sua ipotesi, mentre in un primo momento l’avevano appoggiato.

Nuovi elementi di prova Fu Ben Weider, uomo d’affari canadese, appassionato di storia napoleonica, a rilanciare l’ipotesi di Forshufvud. Egli finanziò una serie di analisi tossicologiche su dei capelli, presumibilmente ricavati dal cadavere di Napoleone. La presenza dell’arsenico venne effettivamente rilevata. Il colpevole dell’assassinio fu identificato nel generale Montholon, che avrebbe accompagnato Napoleone a Sant’Elena, per ordine del conte d’Artois, col compito di sopprimerlo per impedirgli di evadere. Nel giugno 2001 Ben Weider organizzò una conferenza stampa in cui invitò me-

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PROTAGONISTI dici legali e storici. Quali furono gli elementi «nuovi» che vennero rivelati? Pascal Kintz, dell’Università di Strasburgo, confermò la presenza dell’arsenico in cinque campioni di capelli attribuiti a Napoleone. Le percentuali di arsenico rilevate lo portarono a concludere che l’individuo al quale i capelli analizzati appartenevano aveva subìto una «esposizione continuata e massiccia» al veleno. Non parlò di avvelenamento (che implica un atto volontario), ma di intossicazione. Antoine Ludes, dell’Università di Strasburgo, comunicò che le sue ricerche non gli permettevano di dire se i capelli messi a sua disposizione fossero con certezza quelli di Napoleone. Paul Fornès, dell’Istituto medico legale di Parigi, invitato a rivedere le osservazioni dell’autopsia praticata nel 1821 sul corpo di Napoleone, concluse che l’imperatore non era morto di cancro. Nessuna patologia rilevata dal rapporto era mortale. L’autopsia evidenzia, tuttavia, lo stato generale di grande debolezza del paziente. Riscontra un’ulcera perforata dello stomaco, una tubercolosi (non si sa se ancora in atto al

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L’autore Thierry Lentz (1959) insegna Storia del diritto pubblico presso l’Università di Nancy ed è esperto di storia napoleonica. Dal 2000 dirige la Fondazione Napoleone di Parigi. Tra le sue opere ricordiamo in particolare i quattro volumi della Nouvelle Histoire du Premier Empire (2002-2010).

Jean-Baptiste Mauzaisse, Napoleone Bonaparte sul suo letto di morte, 1843. Rueil-Malmaison, Museo del castello.

momento della morte) e altre patologie minori. Fornès non affermò quindi che l’arsenico avesse portato Napoleone al decesso: avanzò solo l’ipotesi che la bevanda a base di mandorle amare di cui il malato faceva uso (e che contiene naturalmente del cianuro e non dell’arsenico) avesse potuto provocare uno «choc mortale». La conferenza stampa del 2001 non ha dunque risolto il caso. Anzi, ha evidenziato la spaccatura tra coloro che si sono occupati del problema: da un lato, gli storici francesi che compattamente respingono la tesi dell’avvelenamento, dall’altro Forshufvud e Weider che la sostengono e che vorrebbero verificarla scientificamente attraverso un riesame dei resti di Napoleone.

Le obiezioni degli storici francesi La presenza di arsenico nei capelli (ammettendo che quelli analizzati fossero di Napoleone) prova un’intossicazione e non un atto criminale. Per poter dar credito alle analisi del dottor Kintz sarebbe necessario conoscere

«Leggende» napoleoniche la percentuale di arsenico normalmente contenuta nei capelli nel XIX secolo. Il veleno all’epoca era molto utilizzato, soprattutto sull’isola di Sant’Elena. Per esempio, lo si adoperava per combattere i parassiti ed era emesso durante la combustione del carbone usato per il riscaldamento. I sintomi identificati da Sten Forshufvud (mal di testa, vomito, febbre) sono sintomi comuni ad altre malattie; sono, invece, assenti sintomi caratteristici dell’intossicazione da arsenico (melanodermia, cheratizzazione delle estremità). Benché nobile dell’Antico regime, il generale Montholon aveva compiuto un’onorevole carriera militare e diplomatica sotto l’Impero. Nominato generale nel 1814 da Luigi XVIII, aveva visto confermare il suo grado da Napoleone, durante i 100 giorni. Temendo le rappresaglie dei seguaci del re dopo il suo voltafaccia, aveva preferito seguire l’imperatore a Sant’Elena; fu uno dei favoriti del testamento di Napoleone, a dimostrazione della sua devozione. Nella carriera del generale, tutto fa pensare alla sua fedeltà alla causa bonapartista. La tesi dell’avvelenamento e dell’assassinio di Napoleone ad opera sua resta senza dimostrazione. Concludendo, in mancanza di validi indizi, di un movente e di un credibile assassino, perché scoperchiare la tomba di Napoleone?

Le ragioni di Forshufvud e Weider Forshufvud e Weider ritengono che le resistenze degli storici francesi derivino dal fatto che hanno visto invadere il loro campo da persone estranee al settore: da un dentista svedese e da un uomo d’affari canadese! Ma c’è anche un atteggiamento che potremmo definire nazionalistico: l’avvelenamento è avvenuto in modo graduale, attraverso una somministrazione continuata per lungo tempo di dosi crescenti di arsenico; dunque, l’assassino doveva essere per forza uno dei Francesi che circondavano Napoleone. È questo, secondo Forshufvud e Weider, il vero motivo per cui i Francesi non hanno voluto appoggiare i loro studi. Perché infatti non scoperchiare la tomba di Napoleone e fare delle analisi che non lascino dubbi? La polemica continua.

Un temperamento eccezionale Dormiva quando e dove glielo permettevano le circostanze, non conosceva la stanchezza. Alla stessa fatica sottoponeva i suoi uomini e persino i suoi cavalli.

Un còrso nella storia Secondo lo storico Furet, la rivoluzione in Francia non ha amato la vecchiaia, e questa regola vale anche per Napoleone. Nato al momento giusto – nel 1789 ha vent’anni – nella Corsica da poco francese, è il secondogenito di una famiglia numerosa (cinque maschi e tre femmine) della nobiltà provinciale di Ajaccio, unita come una tribù sotto l’autorità dei genitori, Carlo Bonaparte e Letizia Ramolino. Studia alla scuola militare di Brienne (ama soprattutto la matematica e la storia); nel 1785 è promosso, 42° su 58 candidati, sottotenente d’artiglieria. Ombroso, solitario, non lascia la sua Corsica fino al 1793, quando si troverà per la prima volta in Francia. Napoleone giovane ufficiale, giacobino, ama la società che incontra, che si accorda col suo forte temperamento: l’autorità del potere è senza limiti, la carriera è aperta a uomini di talento, la professione militare è onorata se vittoriosa e non è necessario essere nobili. Lui il còrso, l’italiano, lo straniero, fu eletto dai rivoluzionari per incarnare la nazione.

Giuseppina, un passaporto per la società Napoleone approda in una Francia in cui il denaro è ormai l’unico valore. È un personaggio singolare: emaciato, taciturno, col volto «divorato» dagli occhi e incorniciato da una chioma che gli ricade stranamente sulle spalle. Il suo matrimonio con Giuseppina de Beauharnais è esemplificativo del suo modo di porsi di fronte a questa società. Giuseppina non è, come lui credeva, una ricca ereditiera dell’aristocrazia, ma emana il fascino del potere che Napoleone vuole conquistare. E quando il matrimonio andrà in crisi, per i tradimenti di lei, lui lo scioglierà senza indugi. Ormai il potere è nelle sue mani. Se come marito Napoleone non fu esem-

plare, una volta ottenuto il potere, volle che tutti i parenti partecipassero alla sua fortuna. Distribuì loro regni, onorificenze e ricchezze, ma pretese di organizzare la loro vita, con quel dispotismo che gli era innato.

Una resistenza non comune La Francia scopre in Napoleone stile e abitudini semplici: mangia in fretta, indossa sempre gli stessi vestiti, non perde tempo in cerimonie di corte, lavora e decide. Nessuno esegue i suoi ordini con sufficiente rapidità, nessuno obbedisce in modo soddisfacente. Durante le sue fulminee campagne militari, può stare in piedi quattro o cinque giorni, concedendosi solo poche ore di sonno. Dorme quando e dove glielo permettono le circostanze senza mai risentirne. Sfinisce gli uomini e ammazza i cavalli di fatica senza dare segni di stanchezza. Non vuole dedicare ai pasti più di dieci minuti del suo tempo. Se aveva dei limiti fisici, questi riguardavano essenzialmente la vista. Era miope. Una miopia dovuta forse alle lunghe ore di lettura a lume di candela che era solito trascorrere nella cameretta del collegio prima e della scuola militare poi.

Un carattere spigoloso Sprezzante dei formalismi e delle buone maniere, si annoiava ai ricevimenti e alle feste. Esprimeva senza ritegno ciò che pensava. Nei colloqui privati andava diritto al centro del problema, senza usare perifrasi o eufemismi. Diceva le sue verità davanti a qualsiasi persona, senza riguardi e senza rispetto per la dignità altrui. E spesso erano verità brutali. La famosa scrittrice Madame de Staël, che ebbe rapporti burrascosi con Napoleone, per il quale nutrì una profonda – e ricambiata – antipatia, scrisse di lui: «Non è né buono né violento, né dolce né crudele. Non è capace di odio né di amore; per lui non esiste altro che se stesso».

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PROTAGONISTI

Il funerale di Napoleone Il 15 dicembre 1840 la salma di Napoleone tornò a Parigi: un grande corteo la accompagnò presso la tomba a Les Invalides. Ci affidiamo a un cronista d’eccezione, lo scrittore Victor Hugo. Ma sono veramente di Napoleone le ceneri custodite a Les Invalides?

di Victor Hugo Stamani dalle sei e mezzo in poi, ho sentito battere a raccolta nelle strade. Sono uscito alle undici. Le strade sono deserte, i negozi chiusi, appena si vede passare

qualche vecchia qua e là. Si sente che tutta quanta Parigi si è riversata in una sola parte della città come un liquido in un vaso che si inclina [...].

L’autore Victor Hugo (1802-1885) fu uno dei massimi rappresentanti del Romanticismo francese. Per le sue posizioni liberali dovette abbandonare la Francia durante l’impero di Napoleone III. Poeta, romanziere e drammaturgo, le sue opere più note sono i romanzi Notre-Dame de Paris (1831) e I miserabili (1862)

IL RIENTRO DELLA SALMA Napoleone aveva espresso il desiderio di essere sepolto «sulle rive della Senna, in mezzo al popolo che ho tanto amato» e, dopo quasi vent’anni, gli Inglesi acconsentirono. Il 12 maggio 1840, infatti, il ministro dell’Interno francese annunciò alla Camera dei deputati che il re Luigi Filippo aveva ordinato al principe di

Il trasferimento delle ceneri di Napoleone a bordo della fregata BellePoule, 15 ottobre 1840, tavola di Eugène Isabey.

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Joinville di recarsi a Sant’Elena per recuperare la salma di Napoleone. La sera del 7 luglio il principe si imbarcò sulla fregata Belle-Poule e salpò da Tolone. Giunse a Sant’Elena l’8 ottobre. Le operazioni di dissotterramento iniziarono alla mezzanotte del 15 ottobre, sotto il comando di un capi-

tano inglese e alla presenza di commissari francesi e inglesi. Si conclusero alle tre e mezzo del mattino successivo. Il dipinto di Eugène Isabey rappresenta il momento in cui la bara fu caricata sulla Belle-Poule. Il 18 ottobre la fregata partì alla volta della Francia, dove giunse il 30 novembre.

«Leggende» napoleoniche È veramente una festa: la festa di un feretro esiliato che torna in trionfo. Tre popolani di qui, poveri operai vestiti di stracci, che hanno freddo e fame per tutto l’inverno, camminano allegri davanti a me. Uno di loro salta, balla e fa mille follie gridando «Viva l’imperatore!». [...] [Per permettere al popolo di assistere al passaggio del corteo sono stati preparati dei palchi]: sono degli immensi tavolati di legno che coprono, dal muro della strada all’inferriata della chiesa, tutto lo spiazzo erboso. [...] Sento un rumore enorme e lugubre. Si direbbero innumerevoli martelli che battono in cadenza su delle assi. Sono i centomila spettatori ammassati sui palchi che gelati dal vento battono i piedi per riscaldarsi nell’attesa che passi il corteo. Salgo sul palco. Lo spettacolo non è davvero meno strano. Le donne, quasi tutte calzate di grosse scarpe, e velate, scompaiono sotto cumuli di pellicce e di mantelli; gli

uomini hanno dei cravattoni stravaganti. [Verso mezzogiorno e mezzo] le guardie nazionali corrono alle armi. Un ufficiale di ordinanza attraversa la strada al galoppo. Formano una siepe. Gli operai applicano delle scale ai pilastri e cominciano ad accendere i crateri. Una salva d’artiglieria pesante scatta all’improvviso dall’angolo orientale de Les Invalides; uno spesso fumo giallo costellato di scintille d’oro riempie tutta quella zona. [...] Dall’estremità dello spiazzo, vicino al fiume, appare solenne una doppia fila di granatieri a cavallo, con paramenti gialli. È la gendarmeria della Senna. L’apertura del corteo. In questo momento il sole fa il suo dove-

Moneta evocativa delle traslazione del corpo dell’imperatore Napoleone a Les Invalides.

Traslazione del corpo di Napoleone a Les Invalides in una stampa dell’epoca.

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PROTAGONISTI

La cerimonia funebre all’interno della chiesa de Les Invalides come è raffigurata in un giornale del tempo.

ANCHE STENDHAL ASSISTETTE ALLA CERIMONIA Quel giorno sulle tribune si trovava una parte importante della letteratura francese! Ad assistere al ritorno di Napoleone, infatti, oltre a Hugo, c’era anche Stendhal, il famoso autore della Certosa di Parma. Anche lui era convinto che l’imperatore fosse ancora nel cuore dei Francesi: «Il ritorno di Napoleone ha reso molto felici i Francesi «annotò guardandosi intorno» Napoleone ha avuto qualcosa di eroico, qualcosa che sembrava un plebiscito. Ha risollevato il morale del popolo».

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L'interno di Les Invalides, al cui centro è posta la tomba di Napoleone.

«Leggende» napoleoniche re e appare magnifico. Siamo nel mese di Austerlitz. Dopo i berretti di pelo della gendarmeria della Senna, i caschi di rame della guardia municipale di Parigi, poi le fiamme tricolori dei lancieri, scompigliate dal vento meravigliosamente. Fanfare e tamburi. Il corteo, composto di generali e marescialli, è di un aspetto mirabile. Il sole, battendo sulle corazze dei carabinieri, illumina su tutti i loro petti una stella raggiante. Le tre scuole militari passano con aspetto fiero e grave. Quindi l’artiglieria e la fanteria, come se andassero al combattimento; i carri hanno sul dietro una ruota di ricambio, i soldati hanno lo zaino sulle spalle [...]. [In lontananza si vede apparire il carro, sormontato da una grande piramide dorata]: un immenso rumore avvolge que-

sta apparizione. Si direbbe che il carro si trascini dietro l’acclamazione di tutta la città come una torcia si tira dietro il suo fumo. [...] L’insieme ha qualche cosa di grande. È un’enorme massa interamente dorata, i cui piani sono disposti in forma di piramide sopra le quattro grandi ruote dorate che lo sostengono. Sotto il crespo dorato seminato di api, che ricopre il carro dall’alto in basso, si distinguono molti bei dettagli: le aquile spaventate alla base, le quattordici vittorie sul vertice, che recano su una tavola d’oro la riproduzione di un feretro. Il vero feretro è invisibile. È stato deposto nel cavo del basamento per diminuire l’emozione. È questo il grave difetto del carro. Esso nasconde ciò che si vorrebbe vedere, ciò che la Francia ha reclamato,

ciò che il popolo attende, quello che tutti gli occhi cercano: il feretro di Napoleone. [...] Gli spettatori delle tribune hanno smesso di battere i piedi solo quando il carro funebre è passato davanti a loro. Solo allora i piedi hanno fatto silenzio. Si avverte che anche un grande pensiero ha attraversato questa folla. Il popolo vero ha gridato «Viva l’imperatore», voleva staccare i cavalli e trascinare a braccia il carro. Un gruppo della periferia si è buttato in ginocchio e uomini e donne baciavano i paramenti del sarcofago». V. Hugo, I funerali di Napoleone. Note prese sul luogo, traduzione di Vasco Pratolini, Editori Riuniti, Roma 1994

L'ULTIMO MISTERO

A sinista, il Il sarcofago che contiene il corpo di Napoleone a Les Invalides. Sotto, Les Invalides a Parigi.

È veramente la salma di Napoleone quella che riposa a Les Invalides? C’è chi ne dubita. Il fatto è che le testimonianze sulla sepoltura del 1821, nella Valle dei Gerani a Sant’Elena, non collimano con quelle relative all’esumazione del 1840: non si trovano né gli speroni né le calze di seta che il cadavere indossava nel 1821, i vasi che contenevano il cuore e lo stomaco non vengono ritrovati nel posto in cui erano stati messi. Addirittura il numero delle bare in cui il feretro era stato deposto nel 1821 non corrisponde a quello in cui viene trovato nel 1840. Dettagli insigniicanti? Semplici imprecisioni nelle relazioni? Forse, ma si difuse presto il sospetto che gli Inglesi non avessero restituito la vera salma dell’imperatore. E, manco a dirlo, ai giorni nostri esiste un’associazione che reclama un esame del DNA per veriicare che le ceneri custodite a Les Invalides siano veramente quelle di Napoleone.

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PROTAGONISTI

La costruzione del mito di Napoleone Un politico francese contemporaneo si misura con la «mitologia» napoleonica: quella positiva in parte creata dall’imperatore stesso e quella negativa che però ebbe meno successo.

di Lionel Jospin

Sotto le due Restaurazioni [cioè il ritorno alla monarchia borbonica nel 1814 e l‘insediamento al trono di Luigi XVIII nel 1815 dopo la definitiva sconfitta di Napoleone] ha cominciato a diffondersi la «leggenda napoleonica» ed è nato il «bonapartismo». Non senza contraddizioni: il bonapartismo politico, organizzato in un movimento guidato da leader noti, tra . parlamentari e sostenitori, comincia il suo declino dal 1815 al 1848. Per contro il mito di Napoleone inizia a prosperare nelle classi popolari. La delusione derivata dalla restaurazione delle monarchie e l’idealizzazione di un glorioso passato non bastano a spiegare questo fenomeno. Oltre all’importante segno lasciato sulla Francia dal passaggio di Napoleone Bonaparte, occorre un elemento scatenante che è la pubblicazione nel 1823, due anni dopo la morte di Napoleone, del Memoriale di Sant’Elena. In questa opera, la trascrizione dei racconti che Napoleone stesso gli aveva fatto durante l’esilio, Las Cases1 consegna al pubblico un’impressionante apologia del Primo console e Imperatore. C’è in quest’opera una doppia mistificazione. 1 Il conte di Las Cases (1766-1842) era un funzionario e storico francese, prima emigrato e poi rientrato in Francia per concessione di Napoleone console; seguì per sua scelta l’imperatore in esilio e scrisse il Memoriale di Sant’Elena, cioè il racconto della vita di Napoleone.

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L’autore Lionel Jospin (1937), uomo politico francese, deputato e poi segretario del Partito socialista, è stato ministro dell'Istruzione e candidato socialista nel 1995 alle elezioni presidenziali. Primo ministro sotto la presidenza Chirac, incaricato di formare un governo di coalizione (per la prima volta nella storia della Repubblica francese). Nuovamente sconfitto alle presidenziali del 2002, Jospin viene nominato dal presidente Hollande nel 2012 a capo di una Commissione per la moralizzazione e il rinnovamento della vita pubblica, nel 2015 è nominato al Consiglio Costituzionale di Francia. Da politico quindi, non da storico di professione, ha affrontato la vicenda di Napoleone in questo saggio uscito nel 2014 dal titolo Le mal napoléonien. Il segno lasciato nella Storia europea e in quella francese viene analizzato dal politico francese socialista Lionel Jospin in un saggio che già dal titolo esprime l’opinione dell’autore: Il male di Napoleone (Le mal napoléonien). In questo brano l’attenzione è posta sulla «mitologia» creata dall’imperatore: una positiva, troppo positiva e quindi falsa, e una negativa che però non ha avuto lo stesso successo della prima.

La prima riguarda l’autore che, vecchio emigrato dell’armata dei Principi, sembra essersi riavvicinato all’Impero solo per opportunismo. Nominato dal Consiglio di Stato, aveva chiesto di accompagnare l’imperatore a Sant’Elena, avendo senza dubbio già il suo progetto in testa. La seconda mistificazione è il racconto di Napoleone stesso. Da sempre maestro nella propaganda, sapendo che Las Cases scriveva per la posterità, costruisce il personaggio storico, glorioso, carico di sicura autorità, ma anche pieno di amore per la nazione e deciso a rendere felice il popolo. Si dipinge, di fronte ai sovrani reazionari, condannati alla sconfitta, animato di grandi ideali ereditati dallo spirito dell’Illuminismo e della rivoluzione in ciò che questi ebbero di migliore. Il suo progetto non era stato di dominare l’Europa. Aveva invece voluto unificarla, in vista del progresso. Tutti gli elementi della leggenda sono lì riuniti. Il leader determinato del 18 brumaio […] l’individuo eroico che prende la decisione a porto d’Arcole […], anche il coraggio dei suoi soldati è merito suo, come quello dei pontieri2 del generale Eblé al passaggio della Berezina (quando Napoleone stesso qualche giorno prima aveva ordinato la distruzione del materiale dei ponti). In questa leggenda la morte – che nelle guerre napoleoniche fece degli stermini di massa – è ricordata solo in modo eroico. L’impegno costante del «Piccolo Caporale» verso i suoi soldati è evidente quando li ha abbandonati per tre volte nel bel mezzo delle prove: il dramma, e poi la tragedia, in Egitto, in Spagna e in Russia, e nel fatto che la loro condizione non era affatto la sua prima preoccupazione. È invece ingigantita l’immagine del vecchio generale «repubblicano» che ha schiacciato [l’insurrezione di] vendemmiaio,3 il generale vittorioso della campagna d’Italia, l’uomo integro, il legislatore saggio, 2 Militari che hanno il compito di costruire i ponti. 3 Qui indica l’insurrezione realista scoppiata il 13 vendemmiaio dell’anno IV (5 ottobre 1795) e il tentativo di colpo di Stato a Parigi schiacciato da Bonaparte. In questa occasione Napoleone ha iniziato la sua carriera militare.

«Leggende» napoleoniche

l’amministratore efficiente, l’amico degli intellettuali, il conquistatore glorioso, il «liberatore» dei popoli (mascherando così una realtà contraddittoria, davvero diversa). Il Memoriale di Sant’Elena otterrà un immenso successo. Ma non c’è leggenda se non c’è anche una propaganda efficace: sicuramente Béranger, il musicista che canta la gloria dell’Imperatore, reso popolare dalla prova della prigione. I colporteurs4, che attraverso la Francia vendono le stampe colorate (prodotte a Parigi) dei generali dell’Impero. […] Parallelamente alla «leggenda dorata» si svilupperà anche una «leggenda nera» alimentata in Francia dai realisti e da alcuni repubblicani. Risulterà molto fruttuosa nei Paesi stranieri. Napoleone è «il tiranno», «l’orco» le cui guerre divorano i soldati. Ma in Francia 4

I venditori ambulanti.

la leggenda più splendida supererà ampiamente i racconti più oscuri. Questa leggenda ha i suoi eroi (marescialli o figure anonime) e i suoi traditori (Bernadotte5, Fouché, Talleyrand, dei quali non bisogna dimenticare di dire che hanno portato Bonaparte al potere e che lo hanno servito). Quanto all’imperatore, suscita al tempo stesso ammirazione e compassione. 5 Jean-Baptiste Jules Bernadotte (1763-1844), generale francese e poi maresciallo del Primo Impero francese, di origine borghese e di orientamento giacobino durante la rivoluzione. Partecipò alle guerre napoleoniche ma poi entrò in contrasto con Napoleone che infatti lo destituì. Joseph Fauché (1759-1820) fu ministro di polizia durante il consolato, ma si staccò da Napoleone durante l'impero. Charles Maurice de Talleyrand (1754-1838) fu principe, vescovo e politico: abbracciò tutti i regimi che si succedettero in Francia dall'Antico regime a Luigi Filippo.

[…] Luigi Filippo6 ha la sua parte in questa grande messa in scena. Ritiene utile essere tollerante verso Napoleone quando invece Carlo X è stato repressivo. […] Nel 1840 è favorevole al rimpatrio delle ceneri di Napoleone, le cui spoglie percorrono gli Champs Elysées e sono accolte da lui stesso a Les Invalides. C’è in questo avvenimento una forma di consacrazione del mito e come un simbolo della confusione di legittimità in una Francia incerta nelle sue scelte. La Monarchia serve, senza volerlo, i disegni dei partigiani dell’Impero. Questi, un decennio più tardi, cancelleranno la Repubblica appena ritrovata. Sarà l’ora del Secondo Impero.

6 Luigi Filippo d’Orléans otterrà la corona di Francia nel 1830 fino al 1848, dopo una breve rivoluzione, inaugurando una nuova monarchia costituzionale.

PRATICAMENTE UNA RELIQUIA Questa statua fu realizzata dallo scultore svizzero-italiano Vincenzo Vela (1820-1891). Rappresenta Napoleone morente, come recita il titolo dell’opera che lo scultore scelse quando la realizzò, a Torino nel 1866. Vela era un artista impegnato, un patriota del Risorgimento italiano che aveva combattuto a Milano durante le Cinque giornate. Per lui Napoleone non era il despota che aveva costretto l’Europa a lunghe e sanguinose guerre, ma il generale vittorioso contro gli Austriaci, l’uomo che aveva realizzato una prima forma di unità italiana. Questa simpatia, questo afetto emerge dalla statua: Napoleone è ritratto in un momento privato, con la vestaglia slacciata sul petto, afranto dalla malattia; regge sulle gambe una carta dell’Europa ed è assorto nei suoi pensieri. Vela non inserisce nessuno dei simboli classici dell’iconograia imperiale, punta piuttosto a rappresentare in modo estremamente realistico e antiretorico

la soferenza di un uomo giunto agli ultimi giorni della sua grande vita, la prostrazione di un martire condannato dai suoi carneici. La statua era destinata all’Esposizione Universale di Parigi del 1867 e Vela la presentò in anteprima a Napoleone III che se ne innamorò immediatamente: la acquistò per 25 000 franchi e volle che le fosse assegnato un posto di primo piano nell’Esposizione, dove fu presentata col titolo più pomposo Gli ultimi giorni dell’imperatore Napoleone I. Il successo che le tributò il pubblico fu clamoroso: le cronache riferiscono di lunghe code di cittadini che si recavano in silenzio a rendere un ultimo omaggio all’imperatore defunto! Nella sostanza, la statua fu considerata alla stregua di una reliquia ed è un documento di quanto fosse radicato il mito di Napoleone di cui parla Jospin. Una curiosità: tanto successo non bastò a Vela per vincere il primo premio che andò a un altro scultore italiano, Giovanni Duprè. Vela comunque arrivò secondo. Vincenzo Vela, Napoleone morente, 1866 circa.

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LEGGERE UN CLASSICO

Uomini, tecniche, economie The Economic History of World Population

L’autore Carlo M. Cipolla (1922-2000) compie gli studi a Pavia, sua città natale. Allo scoppio della seconda guerra mondiale è chiamato alle armi, ma viene riformato per deficienza toracica e, pertanto, dispensato dall’impegno bellico1. Il desiderio del diciassettenne Cipolla è di diventare insegnante di Storia e filosofia al liceo ma, avendo conseguito un diploma di liceo scientifico, non gli è concesso (in base alle leggi dell’epoca) iscriversi alla Facoltà di Lettere e Filosofia, aperta soltanto agli studenti provenienti dal liceo classico. Decide, quindi, di ripiegare sulla facoltà di Scienze politiche dell’Università di Pavia, 1 Essendo molto giovane e di corporatura assai magra, Cipolla non rientra nei parametri previsti per l’arruolamento delle truppe e, pertanto, viene riformato; riterrà sempre l’esclusione dall’esercito il più grande colpo di fortuna della sua vita.

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John Constable, Il mulino di Flatford, 1811 o 1817. Londra, Tate Gallery.

Uomini, tecniche, economie

di Carlo M. Cipolla

Significato e fortuna dell’opera Uomini, tecniche, economie descrive da un punto di vista globale l’evoluzione del genere umano nel suo sviluppo numerico e nel progredire delle sue condizioni di vita.1 Il saggio – ormai superato per quanto riguarda i dati statistici – affronta, inoltre, problematiche all’epoca quasi sconosciute come l’esplosione demografica e il crescente bisogno di risorse energetiche. La tesi centrale su cui si articola il lavoro di Cipolla è che la popolazione mondiale sia cresciuta per l’effetto di due fattori chiave: l’aumento di energia disponibile pro capite2 e l’aumento di controllo sull’ambiente circostante. Questi miglioramenti sono stati raggiunti grazie alla rivoluzione agricola e a quella industriale, che hanno segnato in modo indelebile la Storia dell’umanità. La rivoluzione agricola, avvenuta all’incirca dopo il 10 000 avanti Cristo, determina il passaggio dall’economia predatoria – 1 Cfr. C.M. Cipolla, Uomini, tecniche, economie, (ed. or. The Economic History of World Population, Feltrinelli, Milano 1987 - Penguin, Harmondsworth 1962), p. 5. 2 Pro capite: l’espressione pro capite (dal latino: per testa) indica una media «per persona» di un certo valore.

basata, cioè, soltanto sulla caccia, la pe- nella comprensione dei temi più difficili e sca, la raccolta di frutti selvatici – a quella rendono la lettura stimolante e piacevole. agricola. L’economia agricola, basata Fermamente convinto che la storia econosull’allevamento degli animali e la col- mica è oggigiorno concepita e praticata tivazione di frutta e verdura, si diffonde entro limiti troppo angusti, Cipolla non si lentamente in tutto il limita a consideramondo e perdura fino re semplicemente La tesi centrale su cui si alla fine del Setteceni dati statistici ed articola il lavoro di Cipolla è to, quando in Inghileconomici ma si che la popolazione mondiale terra decolla la rivoluapre a una storia sia cresciuta per l’effetto di zione industriale. sociale di più ampio due fattori chiave La popolazione monrespiro4 in cui trovano spazio anche diale, secondo Cipolla, si attesta tra i 2 e i 20 milioni alla vigilia considerazioni sull’evoluzione della tecnica, della rivoluzione agricola e tra i 650 e gli sul cambiamento nelle fonti di energia e 850 milioni sul finire del XVIII secolo (di sulle trasformazioni culturali che le società cui l’80% concentrato in Eurasia).3 Nel hanno vissuto nel corso dei millenni. Pole1950, invece, si sfiorano i 2 miliardi e mizzando con gli economisti che vorrebbemezzo di individui: in meno di duecento ro ridurre tutto a un modello matematico, anni dalla rivoluzione industriale la po- Cipolla sottolinea l’importanza decisiva polazione si è più che duplicata. Il ritmo dell’elemento umano ed etico in ogni mufrenetico con cui aumenta la popolazione tamento storico.5 induce Cipolla a ritenere che debbano essere presi al più presto dei provvedimen- Struttura dell’opera ti per limitare tale crescita. L’opera, pur L’opera è suddivisa in sei brevi capitoli: essendo di livello accademico, si rivolge il primo, dal titolo «Le due rivoluzioni», anche a coloro che non hanno conoscen- analizza la rivoluzione agricola e quella ze precedenti di economia e storia della industriale; il secondo, «Le fonti di enerpopolazione e fornisce, quindi, un valido gia», descrive i mutamenti nelle fonti compendio per chi è interessato ad approfondire ulteriormente la materia. Il 4 Cfr. C.M. Cipolla, Fortuna plus homini quam linguaggio chiaro e l’apparato statistico consilium valet, in «Contemporanea. Rivista di (il libro è ricco di tabelle e grafici) aiutano storia dell’Ottocento e del Novecento», a. IV, 1 gennaio 2001, pp. 7-18. 3 Cfr. C.M. Cipolla, Uomini, tecniche, economie, cit., pp. 118 e 120.

dove – pur non essendoci corsi di filosofia – sono presenti alcuni insegnamenti di Storia moderna e contemporanea. Durante i difficili anni del conflitto all’Università di Pavia viene a mancare il professore di Storia e, a sostituirlo, è chiamato un professore della facoltà di Economia di Genova, Franco Borlandi. Tra Borlandi, specialista di Storia dell’economia medievale, e il giovane Cipolla nasce – complice anche la quasi assenza di altri studenti frequentanti a causa della guerra – una buona amicizia e lo studioso appassiona l’allievo alla ricerca d’archivio e ai temi della storia economica e della popolazione2. Si reca, quindi, per specializzarsi alla Sorbona, dove segue le lezioni di Fernand Braudel che lo considera, a ragione, uno dei suoi allievi più promettenti. A Parigi il giovane Cipolla entra in contatto con la cosiddetta «scuola degli Annales» e ne fa proprie le linee guida dell’attenzione all’aspetto «micro» per descrivere un problema «macro», e dell’interdisciplinarietà. Prosegue, poi, la sua formazione alla London School of Economics; a 2 Cfr. C.M. Cipolla, Fortuna plus homini quam consilium valet, cit., pp. 8-9.

5 Cfr. C.M. Cipolla, Uomini, tecniche, economie, cit., p. 27.

Londra incontra il celebre economista John Maynard Keynes3 da cui impara l’importanza delle teorie e dei fatti economici applicati alla storia dell’economia. All’epoca in Italia, infatti, si prediligeva ancora una visione della storia dell’economia più umanistica ed evenemenziale (cioè incentrata sugli avvenimenti), senza connessioni con l’economia pura. Non appena la guerra finisce, Cipolla, brillante e preparato, sale in cattedra come assistente all’Università di Pavia; nel 1949, a soli ven-

3 John Maynard Keynes (1883-1946) è uno dei più grandi economisti del XX secolo e il fondatore della Macroeconomia. In contrasto con le teorie economiche neoclassiche Keynes, autore nel 1936 della Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, sostiene la necessità dell’intervento statale nell’economia qualora non si riesca a garantire la piena occupazione della popolazione. Le teorie keynesiane furono seguite negli anni Trenta dal presidente americano Franklin Delano Roosevelt per uscire dagli effetti della Grande Depressione del 1929.

Erodoto MAGAZINE 237

LEGGERE UN CLASSICO di energia e nel loro utilizzo da parte dell’uomo; il terzo capitolo, «Produzione e consumo» considera la struttura della produzione, del consumo e della formazione di capitale nella società agricola e in quella industriale; il quarto e il quinto capitolo, intitolati «Natalità e mortalità» e «Quanta popolazione?», considerano il problema dell’aumento demografico. Infine, l’ultimo capitolo, «Un’epoca di transizione», indaga le trasformazioni di carattere culturale e sociale che avvengono quando si passa da un tipo di organizzazione economica all’altro. Cipolla suddivide la Storia dell’uomo in tre grandi ere, segnate dagli spartiacque delle due rivoluzioni: il periodo prima della rivoluzione agricola, quello tra la rivoluzione agricola e la rivoluzione industriale e, infine, quello dopo la rivoluzione industriale. «La rivoluzione agricola dell’ottavo millennio a.C. e la rivoluzione industriale del diciottesimo secolo crearono […] due profonde fratture nella continuità del processo storico. Con ciascuna di queste due rivoluzioni, si inizia una «nuova storia», una storia completamente e drammaticamente diversa da quella precedente. Tra l’uomo delle caverne e i costruttori delle piramidi non esiste continuità, come non esiste continuità alcuna tra l’antico agricoltore e il moderno operatore di una centrale atomica. In questo contesto, il termine «rivoluzione» non è certo impiegato per indicare che i mutamenti rela-

tivi rappresentarono fatti improvvisi ed accidentali, indipendenti dalle tendenze e dalle situazioni precedenti dove veniva generalmente riconosciuto che la rivoluzione industriale fu il prodotto di mutamenti culturali, sociali ed economici che ebbero luogo nell’Europa Occidentale fra l’undicesimo e il sedicesimo secolo». Nel terzo capitolo si considerano i rapporti tra economia e demografia. A un aumento generale della popolazione corrisponde ovunque anche una diminuzione dell’importanza del settore agricolo. I redditi provenienti dall’agricoltura, cioè, contribuiscono in maniera sempre minore alla formazione del reddito nazionale. Partecipazione percentuale dell'agricoltura al reddito nazionale di alcuni Paesi

1770 Canada

Erodoto MAGAZINE

1970 5

Francia

45

6

Germania

30

3

15

3

Italia

57

9

Giappone

63

7

Svezia

43

4

Stati Uniti

30

3

Russia

55

22

Gran Bretagna

45

India

45

Brasile

14

tisette anni, ottiene il posto di docente di Storia dell’economia all’Università di Catania grazie alla pubblicazione del suo primo libro sulla storia monetaria dell’Italia tardo-medievale. Gli anni successivi lo vedono insegnare in varie università italiane come Venezia, Torino e Pisa. La vera svolta a livello personale e professionale avviene nel 1953, quando Cipolla vince una delle competitive borse di studio Fulbright, programma istituito nel 1946 dal senatore americano James William Fulbright per permettere a giovani studiosi di recarsi negli Stati Uniti. In America Cipolla approfondisce le proprie conoscenze in campo economico nelle Università di Madison (Wisconsin), Baltimora (Maryland) e Cincinnati (Ohio), tiene alcune fortunate conferenze e stringe numerosi contatti che gli permettono di tornare nel 1957, questa volta come Visiting Professor presso la prestigiosa Università di Berkeley (California). A Berkeley – dove nel 1959 è nominato professore ordinario – Cipolla rimane fino al pensionamento nel 1991, contribuendo a ren-

238

1870

Cipolla esemplifica questa trasformazione attraverso una tabella, riportata qui a fianco. Nel quinto capitolo sono affrontati i problemi connessi con l’aumento esplosivo della popolazione; molti, e inquietanti, interrogativi si pongono di fronte all’uomo moderno: «Il problema di «sfamare nuove bocche» non è l’unico o il più difficile. Al crescere della popolazione mondiale le difficoltà sembrano cresce-

dere il Centro di Storia economica dell’Università un punto di riferimento del mondo accademico mondiale. La produzione accademica di Cipolla è vastissima e difficilmente riconducibile a un unico argomento, a dimostrazione degli ampi interessi dell’autore; da vero interprete della ricerca interdisciplinare, infatti, Cipolla si muove sempre a cavallo tra più discipline. Nel caso della storia economica, magistralmente analizzata nell’opera del 1988 Tra due culture: introduzione alla storia economica, Cipolla afferma la necessità di adottare una visione interdisciplinare: in questo modo la Storia si arricchisce di un substrato di ordine economico (importantissimo per comprendere le cause dei mutamenti di lungo periodo) e, al tempo stesso, l’economia si cala nel tempo e nello spazio guadagnandone in profondità e superando la freddezza dei numeri e dei modelli. Alle numerose opere di storia monetaria e storia dei prezzi (tra cui ricordiamo Le avventure della lira, interessante studio della moneta italiana attraverso i secoli), si affiancano lavori di storia della tecnica come Clocks

Uomini, tecniche, economie I campi recintati in Inghilterra (enclosures), raffigurati in questo dipinto del Settecento, costituirono una delle premesse della rivoluzione agricola. Quando i terreni erano pubblici i contadini si occupavano dello stesso campo solo per un anno e non avevano interesse a migliorarne la qualità, mentre i nuovi proprietari investirono capitali e migliorarono la produttività dei terreni.

re in misura più che proporzionale. […] Non si può negare a priori la possibilità di nuovi tipi di epidemie la cui azione mortale potrebbe coglierci di sorpresa. […] Inoltre, con l’aumentare della produzione industriale, assistiamo impotenti al crescere della produzione di prodotti secondari indesiderati che sono tossici per la vita o ineliminabili. Materie prime essenziali stanno diventando più scarse

e – peggio ancora – stiamo cominciando anche a soffrire per la scarsità di cose come l’aria pura, l’acqua pulita e un silenzio riposante, cosa che nessuno in passato si era mai sognato di considerare beni economici semplicemente perché erano disponibili in abbondanza a tutti. La concentrazione della popolazione in enormi megalopoli […] sta creando tensioni sociali e psicologiche di natura preoccupantemente distruttiva». Il saggio

and Culture (Le macchine del tempo. L’orologio e la società. 1300-1700) e Guns, Sails, and Empires: Technological Innovation and the Early Phases of European Expansion. 1400-1700 (in italiano è Vele e cannoni), oltre che – come si è visto – di storia della popolazione. Grande attenzione viene riservata da Cipolla anche alla storia dell’istruzione (Literacy and Development in the West; Istruzione e sviluppo. Il declino dell’analfabetismo nel mondo occidentale) e alla storia della sanità pubblica (Fighting the Plague in Seventeenth Century Italy; Contro un nemico invisibile. Epidemie e strutture sanitarie nell’Italia del Rinascimento). Gli interessi non strettamente economici – uniti allo stile narrativo, al tono quasi colloquiale e all’umorismo sottile che permea tutte le opere di Cipolla – sono approfonditi in un divertente pamphlet4 che, 4 Pamphlet: il termine indica un breve saggio, spesso dal tono ironico, pungente o polemico. Il termine si utilizza anche, in modo generico, come sinonimo di «opuscolo, libretto».

si conclude con un allarmato richiamo all’importanza di uno sviluppo tecnico ed economico che non dimentichi l’aspetto etico. Il controllo sull’ambiente, infatti, non è una garanzia di felicità, soprattutto se non è accompagnato dal rispetto per la dignità e il valore della vita umana. «Non sappiamo che cosa sia la felicità umana, ma sappiamo che cosa non è. Sappiamo che la felicità umana non può prosperare dove dominano l’intolleranza e la brutalità. Non c’è nulla di più pericoloso del sapere tecnico quando non è accompagnato dal rispetto per la vita umana e per valori umani. L’introduzione di tecniche moderne in ambienti ancora dominati dall’intolleranza e dall’aggressività è uno sviluppo estremamente allarmante. Come scrissi altrove: «Il fatto di istruire un selvaggio nell’uso di tecniche avanzate non lo trasforma in una persona civilizzata, ma ne fa solo un selvaggio efficiente». Il progresso etico deve accompagnarsi allo sviluppo tecnico ed economico. Mentre insegniamo le tecniche, dobbiamo insegnare anche il rispetto per la dignità e il valore e il carattere sacro della personalità umana. Se non vogliamo che la fine sia peggiore dell’inizio è necessario intraprendere un’azione urgente.

pubblicato nel 1976, diventa subito un best-seller mondiale: The Basic Laws of Human Stupidity (Allegro ma non troppo). L’opera contiene due brevi saggi: The Basic Laws of Human Stupidity (Le leggi fondamentali della stupidità umana) e The Role of Spices (and Black Pepper in Particular) in Medieval Economic Development [Il ruolo delle spezie (e del pepe in particolare) nello sviluppo economico del Medioevo]. Nel primo saggio, tra argomentazioni serrate, modelli economici e accurate informazioni storiche si giunge a conclusioni a metà tra l’assurdo e il faceto circa la diffusione delle persone stupide e la loro pericolosità a livello sociale ed economico. Nel secondo saggio, invece, Cipolla analizza le correlazioni tra il commercio delle spezie e l’aumento della popolazione nel Quattrocento deducendo, sempre scherzosamente, che il supposto potere afrodisiaco del pepe nero abbia giocato un ruolo importante in tale processo. Nel corso della carriera Cipolla riceve molti riconoscimenti, tra cui il Premio della presidenza della Repubblica.

Erodoto MAGAZINE 239

ATTIVITÀ

Costruire un percorso... per un testo argomentativo Il periodo preso in considerazione nelle diverse sezioni del Magazine riguarda la seconda metà del Settecento e centra l’attenzione su tre questioni storiche fondamentali: ƒla ine della monarchia assoluta in Francia; ƒla rivoluzione industriale; ƒl’ascesa e la ine di Napoleone Bonaparte. ASCESA E FINE DI NAPOLEONE

1. RACCOGLIERE DATI Dopo aver letto i testi delle diverse sezioni, riepiloga le informazioni che ritieni più importanti in uno schema come questo. FINE DELLA MONARCHIA ASSOLUTA IN FRANCIA

2. PROBLEMATIZZARE Individua una problematica che emerge dall’acquisizione di queste conoscenze e presentala nella forma di un interrogativo. Oppure scegli una di quelle qui proposte.

RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

a. L’abolizione della monarchia e l’evoluzione della Rivoluzione francese quali conseguenze hanno prodotto in Francia? b. Quale legame si può individuare tra la rivoluzione politica avviata in Francia nel 1789 e l’ascesa della borghesia con la rivoluzione industriale? c. Quali cause e quali effetti hanno avuto le due più importanti rivoluzioni del XVIII secolo? d. Luigi XVI e Napoleone Bonaparte: si tratta del passaggio da una tirannia a un’altra?

3. ELABORARE Utilizzando le fonti esaminate, le informazioni acquisite e le conoscenze in tuo possesso elabora un testo argomentativo, discutendo i pro e i contro delle tesi, che sia la risposta all'interrogativo scelto.

240

Erodoto MAGAZINE

241

UNITÀ 7

Restaurazione e opposizioni PRIMA: Il tentativo di abbattere l’Antico regime e di costruire una società più equa L’età delle rivoluzioni aperta dalla Gloriosa Rivoluzione inglese culminò nella Rivoluzione francese, che determinò grandi cambiamenti: l’intervento più importante fu forse l’abolizione dei privilegi della nobiltà e del clero che implicava il passaggio da una società fondata sul privilegio a una società fondata sul diritto, in cui tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge.

CAUSE

EVENTI

CONSEGUENZE

La Rivoluzione francese e Napoleone avevano sconvolto il vecchio ordine europeo

X

1814-1815: Al Congresso di Vienna venne introdotto il principio di equilibrio

X

La potenza fra gli Stati venne bilanciata

La Rivoluzione francese e Napoleone avevano abbattuto monarchie e istituzioni secolari

X

1814-1815: Al Congresso di Vienna venne introdotto il principio di legittimità

X

Tornarono sul trono le dinastie e i sovrani considerati legittimi, voluti cioè da Dio

Necessità di reprimere immediatamente le insurrezioni rivoluzionarie

X

Settembre 1815: Russia, Austria e Prussia stipularono la Santa Alleanza

X

Le potenze europee si organizzarono per reprimere qualsiasi insurrezione

Opposizione ai valori razionali dell’Illuminismo

X

Dal 1780: Nascita e diffusione del Romanticismo

X

Esaltazione del sentimento e della tradizione

Influenza della Rivoluzione francese

X

1800-1850: Nascita e diffusione dell’idea di nazione

X

Coscienza nazionale e lotta per l’affermazione di un proprio Stato

Proposta di una società fondata su un ideale di giustizia sociale

X

1820-1830: Progetti di riforme sociali in Gran Bretagna e Francia

X

Nascita del socialismo

DOPO: Il tentativo, impossibile, di restaurare l’Antico regime e i vecchi ideali Le potenze che avevano sconfitto Napoleone tentarono di cancellare le conquiste politiche e sociali che avevano radicalmente modificato il volto dell’Europa. Ma il tentativo di cancellare i diritti acquisiti negli ultimi venticinque anni e di restaurare l’Ancien régime risultò irrealizzabile.

BONAPARTISMO Il termine deriva dal nome di Napoleone Bonaparte e può assumere diversi significati. In primo luogo indica il tipo di governo di Napoleone caratterizzato non solo dall’autoritarismo ma anche dalla stretta relazione con il popolo, di cui cercava l’approvazione; un regime di questo tipo fu nuovamente instaurato in Francia nel 1852 da Napoleone III, nipote di Napoleone I. In secondo luogo può indicare il movimento politico mirante alla restaurazione della dinastia napoleonica, che si sviluppò in Francia dopo il 1814, non appena i Borboni ritornarono sul trono; in questo senso il termine «bonapartista» indica un seguace di questo movimento.

242

LESSICO

UNITÀ 7

1. Il Congresso di Vienna LA RESTAURAZIONE E L’EREDITÀ NAPOLEONICA Sconitto Napoleone a Lipsia (1814), le grandi potenze (Austria, Inghilterra, Prussia e Russia) intendevano restaurare il vecchio sistema politico in vigore prima della rivoluzione. Da qui il termine età della Restaurazione con cui si suole deinire il periodo che va dal 1815 al 1830. Tuttavia, ritornare alla situazione antecedente il 1789 era impossibile. La Rivoluzione francese, infatti, aveva modiicato profondamente il continente: ƒsul piano sociale, in gran parte dell’Europa aveva posto ine ai diritti feudali (in particolare, ai privilegi giuridici e iscali della nobiltà e del clero); ƒsul piano politico, aveva abbattuto la monarchia assoluta, introdotto la monarchia costituzionale, la repubblica e il bonapartismo; ƒsul piano ideologico, aveva suscitato nuovi ideali come quelli di patria e di nazione; ƒsul piano militare, aveva rinnovato l’esercito: con la «mobilitazione totale», cioè con l’arruolamento di tutti gli uomini abili, aveva dato luogo alla prima guerra di massa della storia. Napoleone, poi, aveva scardinato equilibri consolidati da secoli, modiicato i conini fra gli Stati, eliminato il Sacro Romano Impero (1806) e introdotto un moderno Codice Civile.

UNA «MACCHINA DIPLOMATICA» Occorreva dunque trovare nuove soluzioni che tenessero conto anche delle trasformazioni irreversibili introdotte dalla rivoluzione. Per far ciò bisognava incontrarsi e trattare, in sintesi trovare un compromesso. A tal ine venne convocato il Congresso di Vienna (novembre 1814-giugno 1815), cui parteciparono 216 delegazioni in rappresentanza non solo degli Stati, ma anche dei più svariati interessi. Il Congresso lavorò con proitto e non conobbe uicialmente interruzioni, nemmeno in occasione del ritorno in Francia di Bonaparte e del nuovo, breve conlitto che ne derivò (i Cento giorni, dal marzo al giugno 1815). Anzi, il Congresso di Vienna giunse alla sua normale conclusione prima ancora della deinitiva disfatta napoleonica a Waterloo (18 giugno 1815). In realtà il Congresso vero e proprio non si riunì mai, se non per la irma conclusiva. Le principali decisioni, infatti, furono prese dai ministri degli Esteri di Gran Bretagna (lord Castlereagh), Austria (il principe von Metternich), Prussia (il principe von Hardenberg) e Russia (il conte Nesselrode). A Vienna si distinse inoltre Talleyrand, negoziatore della Francia, che si scontrò soprattutto con Metternich, il vero regista del Congresso. I PROTAGONISTI

Thomas Lawrence, ritratto di Metternich, 1815. Vienna, Kunsthistorisches Museum.

Metternich e Talleyrand Klemens Wenzel Lothar principe di Metternich nacque il 15 maggio 1773. Un fisico eccezionale gli permise di superare una tubercolosi, di lavorare dieci ore al giorno per quarant’anni e di sposare tre donne. Parlava in inglese, francese, italiano, slavo e latino. Secondo lui, i confini di uno Stato erano determinati da fattori dinastici e religiosi: a nulla valevano, dunque,

le aspirazioni dei popoli. Tipico sostenitore dei princìpi dell’Ancien régime, a suo avviso, il «concetto di libertà può basarsi soltanto sul concetto di ordine»: quando questo non avviene, «la libertà necessariamente si risolverà in tirannide». Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord (17541838) fu certamente un politico estremamente

L’Europa fatta a pezzi Durante il suo svolgimento, il Congresso di Vienna fu molto criticato: i cronisti dell’epoca parlano di una cinica spartizione dell’Europa. Nell’immagine satirica vediamo raffi-

gurata proprio questa critica: pezzi di carte geografiche che vengono scelti e portati via nell’indifferenza generale dai ministri degli Esteri protagonisti del Congresso di Vienna.

APPROFONDIMENTO

243

Restaurazione e opposizioni

Oltre a Metternich (Austria) e Talleyrand (Francia), protagonisti del Congresso di Vienna furono anche Castlereagh (Inghilterra), Hardenberg (Prussia) e Nesselrode (Russia).

I CONTRASTI TRA LE POTENZE Tutti gli Stati che avevano sconitto Napoleone intendevano approittare della vittoria per aumentare la loro potenza. Anche per questo era impossibile restaurare semplicemente l’Antico regime: era necessario costruire un nuovo ordine internazionale, nel quale si ricomponessero le aspirazioni delle grandi potenze. L’obiettivo della Gran Bretagna era l’equilibrio tra i Paesi dell’Europa continentale. L’Inghilterra intendeva procedere, in tutta tranquillità, a estendere ulteriormente il proprio impero coloniale e non voleva trovarsi a fronteggiare nuove minacce egemoniche in Europa. Le proposte britanniche furono sostanzialmente condivise dall’Austria che perseguiva due obiettivi: rafforzare i suoi domini in Italia e nei Balcani; costituire una Confederazione Germanica sotto la presidenza austriaca. La Prussia, consapevole della sua debolezza rispetto alle altre potenze, voleva rafforzare gli Stati coninanti con la Francia, in pratica voleva espandersi verso il Reno.

abile ma anche un cinico opportunista, privo di scrupoli morali. Zoppo a causa di un incidente occorsogli nell’infanzia, non poté intraprendere la carriera militare e fu avviato, senza nessuna vocazione, alla vita religiosa. Divenuto prima abate poi vescovo di Autun, fu eletto agli Stati Generali quando aveva solo 21 anni. Seppe sopravvivere a tutti i rivolgimenti della

rivoluzione: fu prima capo del clero costituzionale, poi ministro degli Esteri col Direttorio e Napoleone (fino al 1807); ciononostante fu proprio lui a proporre al Senato la deposizione di Napoleone, servizio che gli valse il ritorno al ministero degli Esteri. E appunto in quanto ministro degli Esteri della restaurata monarchia borbonica rappresentò la Francia a Vienna.

LESSICO

L’uomo fuori dalla sala rappresenta i piccoli Stati.

GRANDI POTENZE L’espressione venne coniata, non a caso, nel contesto del Congresso di Vienna per definire gli Stati vincitori, incontrastati dominatori della politica internazionale.

François Gérard, ritratto di Talleyrand, 1808. New York, Metropolitan Museum of Art.

UNITÀ 7

244

VIDEO

Il ritorno dei Borboni

La Russia puntava esplicitamente a estendere la propria inluenza verso occidente. A tal ine sosteneva l’opportunità di compensi territoriali per le potenze vincitrici. La sua posizione risultò determinante anche perché l’esercito russo aveva concretamente occupato la Sassonia e la Polonia. La Francia cercò di sfruttare i contrasti tra i vincitori per tornare a occupare un ruolo internazionale di prestigio. Il suo obiettivo era quello di limitare l’espansione della Prussia, della Russia e dell’Austria, appoggiando il progetto di equilibrio dell’Inghilterra.

EQUILIBRIO E LEGITTIMITÀ I criteri che guidarono i ministri nella loro paziente opera di riordino dell’Europa furono il principio di equilibrio e quello di legittimità, mentre venne del tutto ignorato quello di nazionalità. Il principio di equilibrio proveniva dalla pratica diplomatica dell’Antico regime, mentre quello di legittimità era legato al concetto stesso di monarchia: a esso si era richiamato il Trattato di Parigi del 1814. In quell’occasione venne affrontata una delle questioni più delicate: quale sorte riservare alla vinta Francia? Lo smembramento o la sua sopravvivenza come Stato unitario? Smembrare la Francia era rischioso per l’equilibrio europeo: chi ne avrebbe approittato? Non rimaneva che mantenerla unita, a difesa dell’equilibrio esistente. La Francia sarebbe però ritornata ai conini del 1791, sotto la «legittima» dinastia dei Borboni con Luigi XVIII. I princìpi di equilibrio e di legittimità nacquero dunque dalla pratica diplomatica e vennero usati come criteri-guida, ma senza nessuna ambizione di coerenza. Di fatto le decisioni furono il risultato dei rapporti di forza tra i diversi Stati e i princìpi furono usati come strumenti per sostenere e giustiicare le varie rivendicazioni.

Il 6 aprile 1814, il Senato richiamò in patria dall’esilio inglese l’erede dei Borboni, Luigi XVIII, fratello del defunto Luigi XVI ed elaborò un progetto di Costituzione in cui si dichiarava la restaurazione della dinastia legittima. La carta costituzionale conservò alcune acquisizioni della rivoluzione e dell’impero. Il nuovo re si presentò dunque come l’uomo della mediazione, colui che intendeva guidare il passaggio dalla rivoluzione alla nuova epoca senza scossoni.

I PRINCÌPI DEL CONGRESSO DI VIENNA

IL VECCHIO ORDINE DELL’ANTICO REGIME MONARCHICO E ASSOLUTISTA DOVEVA RINASCERE SU DUE PRINCÌPI

LESSICO

LEGITTIMITÀ I legittimi sovrani, cioè i vecchi monarchi o i loro eredi, dovevano riappropriarsi del trono, ignorando le aspirazioni del popolo

EQUILIBRIO Occorreva impedire l’egemonia di uno Stato sull’altro: a questo fine i confini degli Stati europei andavano ridisegnati secondo un assetto equilibrato, garantito anche da Stati-cuscinetto.

EQUILIBRIO Come criterio per condurre le trattative diplomatiche, il principio di equilibrio fu di fatto operante sin dalla pace di Vestfalia, che pose fine alla guerra dei Trent’anni (1648). Garantire l’equilibrio significò fin da allora bilanciare la potenza fra gli Stati, impedendo che qualcuno di essi affermasse la sua egemonia in Europa. Il principio di equilibrio venne esplicitamente dichiarato «regola aurea» delle relazioni internazionali nelle trattative di Utrecht (1713) e Rastadt (1714), che definirono il nuovo assetto europeo dopo la guerra di successione spagnola. Nel Congresso di Vienna il principio di equilibrio venne utilizzato per ridisegnare la carta politica europea in modo da bilanciare il rapporto di forza tra i diversi Stati. LEGITTIMITÀ Il principio di legittimità venne introdotto da Talleyrand durante i negoziati che portarono al Trattato di Parigi del 1814 per difendere l’integrità territoriale francese sotto la dinastia dei Borboni. Secondo questo principio, la sovranità dei Borboni era «legittima» in quanto voluta da Dio (recuperando, dunque, la tradizionale giustificazione divina dell’assolutismo), mentre il dominio napoleonico si era configurato come una vera e propria usurpazione. Successivamente, vennero definiti «legittimisti» i sostenitori dei diritti delle dinastie regnanti.

245

Restaurazione e opposizioni

UNA NUOVA CARTA DELL’EUROPA Con il Congresso di Vienna vennero deinite importanti sistemazioni territoriali e nacque una nuova carta dell’Europa. ƒLa Francia perse in pratica tutte le conquiste fatte con la rivoluzione. ƒPer contenere un eventuale espansionismo francese vennero rafforzati gli Stati coninanti che formarono così una «cintura di sicurezza» attorno alla Francia: – l’Olanda insieme al Belgio (in precedenza austriaco) formò il Regno dei Paesi Bassi; – la Prussia acquisì nuovi territori tedeschi (Pomerania, Sassonia e Renania); – il Regno di Sardegna aumentò il proprio territorio con l’annessione della Repubblica di Genova. ƒIl Sacro Romano Impero della nazione germanica, già soppresso da Napoleone (1806), non venne ricostituito. Al suo posto sorse la Confederazione Germanica, sotto la presidenza dell’Austria.

TUTOR

L’Europa dopo il Congresso di Vienna bm

1

REGNO DI DANIMARCA

REGNO UNITO

Berlino

OCEAN O AT LAN TICO

Ren o

2

4

REGNO DI FRANCIA

7

Vienna

6

SVIZZERA Torino

9

Madrid REGNO DI SARDEGNA

8 Limite della Confederazione Germanica

5

IMPERO RUSSO

POLONIA

CONFEDERAZIONE GERMANICA

Parigi

REGNO DI SPAGNA

Mosca

bl

3 REGNO DEI PAESI BASSI

Londra

R PO EGN RTO O D GA I LLO

REGNO DI SVEZIA

Mar Mediterrane o

Milano Venezia Parma Modena Firenze Roma Napoli

REGNO DELLE DUE SICILIE

Dan

ubi o

Mar Nero

Istanbul

bn IMPERO OTTOMANO

Regno di Prussia Impero d’Austria

1. Il Regno Unito di Irlanda e Gran Bretagna, sotto re Giorgio III di Hannover, non ebbe alcuna trasformazione politica ma ottenne importanti scali commerciali. 2. La Francia, la grande sconfitta, venne riportata ai confini del 1791; vi ritornò la dinastia dei Borbone con Luigi XVIII, che si presentò al Congresso come vittima della rivoluzione. 3. Per contrapporre un solido argine all’espansionismo francese venne creato il Regno dei Paesi Bassi, unificando Olanda e Belgio. 4. La Confederazione Germanica, sotto la presidenza dell’Austria, comprendeva 39 Stati (ducati, regni, principati e città libere), parte dell’Impero d’Austria e del Regno di Prussia. Sostituì il Sacro Romano Impero. Se ne contendevano il predominio il Regno di Prussia e l’Impero d’Austria. 5. Il Regno di Prussia sotto il re Federico Guglielmo III, perse la Polonia, a eccezione della regione di Poznan, ma ottenne la Pomerania, la Vestfalia, la Renania (ricca di bacini carboniferi), parte della Sassonia e la città di Danzica.

6. L’Impero d’Austria acquisì nuovi territori nei Balcani e in Italia, costituendo così un grande impero multinazionale, un mosaico di popoli e Paesi diversi. Francesco II, l’ultimo imperatore del Sacro Romano Impero deposto da Napoleone nel 1806, tornò con il nome di Francesco I imperatore d’Austria. 7. L’Impero russo, sotto lo zar Alessandro I, si ampliò e ottenne la Polonia, la Finlandia e la Bessarabia, sottratta all’Impero ottomano. 8. Il Regno di Spagna non subì alcun mutamento territoriale; venne restaurata la monarchia con la dinastia dei Borbone. 9. Il Regno di Portogallo non subì alcun mutamento territoriale; venne restaurata la monarchia con la dinastia di Braganza. 10. Il Regno di Svezia venne unito al Regno di Norvegia sotto la corona di Carlo XII. 11. Il Regno di Danimarca ottenne come compensazioni territoriali i ducati tedeschi di Holstein e Lauenburg. 12. L’Impero ottomano perse le isole ioniche.

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246 ƒLo zar Alessandro I di Russia ottenne tre quarti della Polonia. ƒL’Austria compensò la perdita del Belgio con nuovi domini nei Balcani e con il controllo di quasi tutta la penisola italiana; questo controllo venne esercitato: – in maniera diretta con l’annessione del Lombardo-Veneto; – in maniera indiretta, per mezzo di legami militari e dinastici, come nel caso del Ducato di Parma, di Lucca, Modena, del Granducato di Toscana e del Regno delle Due Sicilie. ƒIl Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda poté accrescere ulteriormente il proprio impero coloniale. ƒSpagna e Portogallo tornarono alle monarchie legittime dei Borboni e dei Braganza. ƒLa Svezia si unì con la Norvegia, tolta al Regno di Danimarca, che beneiciò comunque di alcune compensazioni territoriali. Queste scelte sono state oggetto di un’appassionata discussione: mentre gli storici dell’Ottocento hanno soprattutto criticato il mancato rispetto del principio di nazionalità, quelli del Novecento hanno apprezzato la ricerca della «quiete», possibile solo con l’equilibrio fra le grandi potenze. In sintesi, la storiograia più recente ha rivalutato l’opera svolta dal Congresso di Vienna in considerazione della pace che per circa un secolo seppe garantire all’Europa.

Il Congresso di Vienna in un dipinto di JeanBaptiste Isabey.

LA POLITICA INTERNA Gli effetti della Restaurazione furono avvertiti sia all’interno dei singoli Stati, sia nelle relazioni internazionali. In Francia, ovvero nel Paese della rivoluzione, il ritorno all’ordine poté realizzarsi soltanto attraverso una soluzione di compromesso. Luigi XVIII tornò sul trono come monarca di diritto divino, ma accettò di concedere una Carta costituzionale. Questa Carta venne deinita octroyée (cioè, elargita) perché concessa dall’alto per esclusiva volontà del sovrano. Inoltre, per non provocare troppi scompensi in seno alla società francese, il sovrano conservò l’ordinamento amministrativo napoleonico e rinunciò ad allontanare il personale burocratico e militare del regime precedente.

L’Italia dopo il Congresso di Vienna 1. Il Regno di Sardegna, l’unico Stato italiano politicamente autonomo, ritornò alla dinastia dei Savoia con Vittorio Emanuele I; fu ampliato con i territori della Repubblica di Genova.

CONFEDERAZIONE GERMANICA IMPERO D’AUSTRIA

Adige

SVIZZERA

Milano Torino

1

2

Venezia 3

Po

DUC. DI

Genova 7PARMA 8

Nizza

Bologna Firenze Arno

DUC. DI MODENA

6

ere Tev

DUC. DI MASSA DUC. DI GRANDUCATO DI TOSCANA STATO LUCCA DELLA REGNO CHIESA Roma DI SARDEGNA

IMPERO OTTOMANO

5

4 Napoli REGNO DELLE DUE SICILIE

Cagliari Palermo

TUTOR

247

Restaurazione e opposizioni

Tommaso Lorenzone, ritratto di Vittorio Emanuele I. Cuneo, La Venaria Reale.

2. La Lombardia e i territori della Repubblica di Venezia diventarono possedimenti dell’Austria, che assegnò il governo del Regno Lombardo-Veneto a un viceré. 3. Il Trentino, la Venezia-Giulia, Trieste, l’Istria e la Dalmazia furono annessi direttamente all’Impero d’Austria. 4. Il Regno di Napoli venne riunito alla Sicilia, prese il nome di Regno delle Due Sicilie, tornò sotto Ferdinando IV di Borbone e fu politicamente legato all’Austria. 5. I territori dello Stato della Chiesa che occupavano l’Italia centrale (Lazio, Umbria, Marche, parte dell’Emilia Romagna, più Benevento e Pontecorvo) tornarono sotto il dominio di papa Pio VII.

6. Il Granducato di Toscana acquisì Piombino e lo Stato dei Presidi e venne affidato a Ferdinando III d’Asburgo-Lorena, fratello dell’imperatore d’Austria. 7. Il Ducato di Parma fu affidato agli Asburgo, per la precisione alla figlia di Francesco I, Maria Luisa; ritornò poi ai Borboni.

In Italia, alcuni sovrani, come il granduca di Toscana Ferdinando III d’Asburgo-Lorena o la duchessa di Parma Maria Luisa d’Austria, adottarono soluzioni moderate. Altri invece, come il re di Sardegna Vittorio Emanuele I o il duca di Modena Francesco IV, si distinsero per l’opera di sistematico smantellamento di quanto restava dell’apparato napoleonico. Oscillante, contraddittoria fu invece la politica di Ferdinando I nel Regno di Napoli e di papa Pio VII nello Stato Pontiicio: quest’ultimo, in particolare, si distinse per l’azione di censura nei confronti dell’opposizione. Nell’Impero asburgico, la compresenza di molti popoli diversi impose la repressione poliziesca di ogni rivendicazione nazionale: l’idea di nazione, infatti, metteva in gioco la stessa sopravvivenza dell’impero. In Prussia e in Russia, inine, la Restaurazione si espresse nel riiuto reazionario di qualsiasi cambiamento: la società doveva rimanere ancorata alla tradizione.

LA POLITICA ESTERA La politica estera delle grandi potenze fu guidata dal principio d’intervento, in base al quale qualunque insurrezione rivoluzionaria, liberale o nazionale, doveva essere immediatamente repressa. Le grandi potenze non volevano più rischiare che un’iniziativa rivoluzionaria locale incendiasse l’intera Europa, com’era avvenuto per la Rivoluzione francese. Per procedere alla deinizione di una comune strategia venne inaugurato un metodo di

LESSICO

8. Il Ducato di Modena, estinta la casa degli Este, passò a Francesco IV, nipote dell’imperatrice Maria Teresa e figlio di Maria Beatrice d’Este.

REAZIONARIO È reazionario colui che, contrapponendosi a forze o a idee innovatrici, cerca di far regredire la società a stadi precedenti.

UNITÀ 7

248 lavoro basato su frequenti consultazioni (concerto europeo): questa strategia prese il nome di politica dei congressi. Il risultato fu la stipula di tre alleanze. La prima fu quella proposta dallo zar Alessandro I: il documento, redatto «in nome della Santissima e Indivisibile Trinità», partiva dalla constatazione che i sovrani, in quanto «padri» delle rispettive nazioni, erano tra loro «fratelli». Dunque dovevano fornirsi reciproco aiuto (principio di intervento) se il loro trono fosse stato in pericolo. Questo patto prese il nome di Santa Alleanza e fu sottoscritto nel settembre del 1815 dalla Russia, dalla Prussia e dall’Austria, ma non dall’Inghilterra che giudicò assurdo il misticismo di cui il documento era pervaso. Successivamente, nel novembre 1815, venne irmata la Quadruplice Alleanza fra Gran Bretagna, Austria, Prussia e Russia. Lo scopo di questa alleanza era isolare la Francia, dove avrebbe potuto risorgere lo spirito rivoluzionario. Ma nel 1818 con la Quintuplice Alleanza, irmata ad Aquisgrana, si ritenne opportuno estendere l’alleanza alla stessa Francia, ainché anch’essa partecipasse al mantenimento in tutta Europa dell’ordine restaurato a Vienna. Questo terzo fondamentale trattato rappresentò il trionfo del principio di equilibrio: la patria della rivoluzione era diventata a tutti gli effetti un gendarme della Restaurazione!

GUIDA ALLO STUDIO

LESSICO

ƒ Che cosa significa Restaurazione? ƒ Perché una Restaurazione dell’Antico regime era impossibile? ƒ Quali princìpi guidarono i ministri europei nell’opera di riordino dell’Europa? ƒ Quali alleanze furono stipulate dopo il Congresso? Con quale obiettivo?

COMPETENZE

CONCERTO EUROPEO La vera e propria parola d’ordine del Congresso di Vienna era «quiete». Rappresentava l’obiettivo da raggiungere dopo la «tempesta» rivoluzionaria e napoleonica che aveva sconquassato l’Europa. Ma la quiete è possibile solo se voluta, determinata dalle grandi potenze, che di comune accordo (concerto) si devono impegnare per garantire la pace all’Europa. La concertazione tra le potenze rappresenta una delle tre soluzioni dei conflitti internazionali che storicamente si sono realizzate. Le altre due sono la guerra e il governo di un’autorità sovranazionale. In realtà l’azione di un’autorità sovranazionale è solo un’aspirazione. Infatti sia la Società delle Nazioni (nel primo dopoguerra) che l’ONU (nel secondo dopoguerra) non hanno mai goduto di un reale potere di governo. Di fatto, dunque, il concerto delle nazioni, che nel secondo Novecento si è realizzato tra USA e URSS, è stato l’unica alternativa alla guerra concretamente praticata.

USARE LE FONTI

Dibattito: condanna e rivalutazione del Congresso di Vienna Pag. 269

In questa vignetta satirica coeva, i promotori della Santa Alleanza viaggiano sulla slitta trainata dagli Stati che sono divenuti loro schiavi.

IL SISTEMA DELLE ALLEANZE Alleanza Data

Stati coinvolti

Caratteristiche

TUTOR

Santa Alleanza

1815

Austria, Prussia, Russia.

Ispirazione religiosa.

Quadruplice Alleanza

1815

Gran Bretagna, Austria, Prussia, Russia.

Quintuplice Alleanza

1818

Gran Bretagna, Austria, Prussia, Russia, Francia.

Obiettivo

Conservare l’ordine internazionale sancito Antifrancese. a Vienna, intervenendo militarmente ovunque si Estensione della verificassero insurrezioni Quadruplice alla Francia. liberali o nazionali.

249

Restaurazione e opposizioni

2. Restaurazione e Romanticismo LE RIFLESSIONI SULLA RIVOLUZIONE FRANCESE DI EDMUND BURKE Tra il 1815 e il 1830, la Restaurazione si manifestò non solo come violenta repressione di ogni forma di dissenso e di protesta; a suo sostegno si schierarono alcuni intellettuali la cui rilessione diede vita alla cultura della Restaurazione. I principali teorici della Restaurazione furono l’irlandese Edmund Burke (1729-1797) e il savoiardo Joseph de Maistre (1753-1821). Il saggio di Burke, Rilessioni sulla Rivoluzione francese, venne pubblicato nel 1790 e fu un evento di straordinaria importanza. L’opera in un anno ebbe 11 edizioni; prima del 1796 ne vennero vendute in Inghilterra 30 000 copie. Una cifra enorme, se si pensa ai tempi. Altrettanto rapida fu la sua diffusione sul continente soprattutto negli ambienti governativi: si trattava infatti, come ebbe a dire il poeta Novalis, di «un libro rivoluzionario scritto contro la rivoluzione».

IL VALORE DELLA TRADIZIONE Burke era un autorevole rappresentante dei whigs. Esaltava la Gloriosa Rivoluzione inglese del 1688 e aveva appoggiato la Rivoluzione americana. Perché si opponeva alla Rivoluzione francese? Perché gli appariva l’applicazione degli astratti princìpi dell’Illuminismo, una ilosoia che Burke deiniva «barbara e meccanica». Secondo Burke, infatti, l’Illuminismo conduceva l’uomo a smarrire il senso del limite e dunque a un delirio di onnipotenza. Tale di fatto era la Rivoluzione francese, che pretendeva di creare dal nulla un nuovo Stato. A suo avviso, così si ignorava che le istituzioni di un popolo non sono l’espressione della volontà di qualche uomo ma il risultato di lunghi processi storici. È infatti necessario riconoscere il valore della tradizione che è il deposito della saggezza e della ricchezza di un popolo. Secondo Burke, questo era avvenuto sia in Inghilterra sia in America. In entrambi i casi la rivoluzione aveva ristabilito un ordine: in Inghilterra, riconducendo la monarchia alla giusta regola della Costituzione; in America, respingendo tasse che sovvertivano una tradizione consolidata. In Francia, invece, la rivoluzione faceva violenza alla storia. E ciò non per volontà del popolo ma per la pretesa di un gruppo di intellettuali. L’esito della rivoluzione era secondo Burke scontato: il disordine, cui avrebbero fatto seguito la tirannide e il terrore. Una profezia davvero precisa, se si considera che venne fatta nel 1790.

ILLUMINISMO

LA RIVOLUZIONE FRANCESE NE È L’APPLICAZIONE

«FILOSOFIA BARBARA E MECCANICA» PERCHÉ NON RICONOSCE I LIMITI DELL’UOMO

NON COMPRENDE CHE LE ISTITUZIONI SONO UN PRODOTTO DELLA STORIA  TRADIZIONE

PRETENDE DI DOMINARE IL CORSO DELLA STORIA, NON RISPETTA LA TRADIZIONE

CONDURRÀ AL DISORDINE E QUINDI ALLA TIRANNIDE E AL TERRORE

Joshua Reynolds, ritratto di Edmund Burke, 1771. Londra, National Portrait Gallery.

IL GIUDIZIO DI BURKE SULL’ILLUMINISMO E LA RIVOLUZIONE FRANCESE

UNITÀ 7

250

IL PRIMATO DEL PAPA: JOSEPH DE MAISTRE

MAGAZINE

VITA QUOTIDIANA

Il piacere di piangere Pag. 413

Grande difensore della tradizione fu anche Joseph de Maistre, che nel 1796 pubblicò il saggio Considerazioni sulla Francia, nel 1819 Il Papa e nel 1821 Le serate di San Pietroburgo. Per de Maistre l’errore originale, la radice di tutti i mali contemporanei è da ricercare nella Riforma protestante che «liberando il popolo dal giogo dell’obbedienza e accordandogli la sovranità religiosa scatena l’orgoglio generale contro l’autorità e mette la discussione al posto dell’obbedienza»; mentre al contrario per ottenere l’ordine politico del mondo bisogna «eliminare ogni opposizione e ogni critica, schiantare ogni pensamento individuale». Il fondamento dell’ordine sociale è dunque rappresentato dalla Chiesa cattolica e in particolare dal papa. Il suo potere deve essere assoluto e infallibile perché è indispensabile che vi sia qualcuno che giudica senza essere giudicato. La sovranità politica a sua volta non può essere spiegata senza far ricorso all’autorità di Dio, che è il fondamento di ogni potere legittimo.

L’ULTRAMONTANISMO

VITA QUOTIDIANA

Per de Maistre, dunque, la rivoluzione si conigura sempre come peccato, come eversione di un ordine voluto da Dio. Torna così l’utopia del cristianesimo medievale: la centralità della Chiesa e l’unità del potere politico e spirituale nella persona del papa. Nella visione di de Maistre, infatti, il papa rappresenta il vertice della piramide sociale e civile. Al ponteice spetta anche un ruolo di arbitrato internazionale perché è al di sopra dei particolarismi nazionali. Queste posizioni fanno di Joseph de Maistre uno dei massimi rappresentanti dell’ultramontanismo, cioè di quella dottrina che affermava la suprema autorità del papato nella Chiesa e come guida morale della società. L’espressione ultramontanismo deriva dal fatto

La moda romantica I valori della Restaurazione e gli ideali del Romanticismo influenzarono anche il modo di abbigliarsi, sia per gli uomini sia per le donne. La mentalità romantica influenzò

1. Busto. Sotto il vestito la vita delle donne era contenuta dal busto.

2. Maniche. «A sbuffo», erano gonfiate fino al gomito.

fortemente la moda del tempo: per esempio, si diffuse il busto che conteneva la vita delle donne sotto il vestito. Il motivo per cui venne utilizzato questo indumento intimo 3. Colletti. Grandi colletti sottolineavano la linea cascante delle spalle.

4. Cintura. La cintura non era più sotto il seno, come con la moda neoclassica durante l’età napoleonica, ma tornò alla sua posizione naturale, alla vita.

251

Restaurazione e opposizioni che questi intellettuali – francesi, tedeschi o inglesi – facevano riferimento a Roma, che si trovava appunto al di là dei monti. Nella sostanza, i teorici della Restaurazione proponevano un ritorno all’alleanza trono-altare propria dell’Antico regime. I papi del primo Ottocento appoggiarono queste posizioni e respinsero il liberalismo e in particolare la separazione tra Stato e Chiesa.

«TEMPESTA E IMPETO» I teorici della Restaurazione fecero parte integrante di una più ampia cultura, quella romantica. Il Romanticismo sorse in Germania negli ultimi decenni del Settecento; poi si diffuse in Inghilterra, in Francia e, dopo il 1815, in tutta Europa. Il suo nucleo originario era costituito da poeti e drammaturghi – come Herder, Goethe, Schiller – che fondarono nel 1780 il gruppo dello Sturm und Drang, alla lettera, «tempesta e impeto» (un’espressione tratta dal titolo di un’opera di Friedrich Maximilian Klinger). Il Romanticismo si presentò dunque come «tempesta e impeto» in tutti i campi: arte, religione, ilosoia, letteratura, musica, pittura. Fu una cultura in senso pieno, una mentalità, un modo di pensare e di agire, in particolare dei giovani intellettuali la cui vita era tutta «luci e ombre», slanci eroici e malinconia. Il modo stesso di vestirsi cambiò: le donne tornarono al busto; gli uomini abbandonarono deinitivamente la parrucca settecentesca. Il vivere e il morire vennero interpretati in modo nuovo: che senso poteva avere infatti la vita umana se non era vissuta in modo eroico? Se non era totalmente inalizzata a un amore assoluto? E la morte non era forse l’inevitabile prezzo da pagare per affermare le proprie idee? Il suicidio stesso (come nel caso del protagonista del romanzo di Goethe, I dolo-

non era solo estetico (il piacere di avere un «vitino da vespa»), ma anche «spirituale». Gli svenimenti infatti erano di moda, e il busto che stringeva la vita della donna come una morsa li favoriva. Inoltre le donne amavano mostrare un colorito pallido, 5. Cappello a cilindro. Il cappello a cilindro inizialmente era in feltro peloso, poi diventò lucido e in raso.

6. Colletto. Nell’età romantica si affermò la camicia maschile con il colletto dritto e inamidato, a punte divaricate sotto la gola. 7. Giubba. Le giubbe e i soprabiti erano attillatissimi.

8. Calzoni. I calzoni erano muniti di sottopiedi.

Caspar David Friedrich, Viandante sul mare di nebbia, 1818. Amburgo, Kunsthalle.

che appariva ancora più pallido in contrasto con i capelli lucidi e neri. In questo modo esprimevano un’intima sofferenza, magari per qualche segreto, impossibile grande amore. Il che le rendeva ancora più misteriose e affascinanti.

UNITÀ 7

GUIDA ALLO STUDIO

252

ƒ Perché Burke si opponeva alla Rivoluzione francese? ƒ Quali sono gli aspetti che accomunano il pensiero di Burke e di de Maistre? ƒ Quali sono gli aspetti che fanno del Romanticismo un movimento progressista? ƒ Quali sono gli aspetti che fanno del Romanticismo un movimento conservatore?

ri del giovane Werther) o la malattia vennero idealizzati in quanto espressione di una personalità pura, superiore, che non accettava gli ipocriti compromessi imposti dalla società. In sintesi, la cultura romantica contrappose al freddo razionalismo illuminista, che aveva caratterizzato il Settecento, la spontaneità dei sentimenti, i valori della tradizione e l’amore per la propria nazione.

ROMANTICISMO CONSERVATORE, ROMANTICISMO PROGRESSISTA Politicamente, il Romanticismo manifestò due tendenze opposte: una rivolta al passato (la tendenza conservatrice e reazionaria), l’altra al futuro (la tendenza progressista). La tendenza conservatrice e reazionaria condannò l’Illuminismo e la Rivoluzione francese, esaltò il passato, il tradizionale potere assoluto e l’alleanza trono-altare. A questa tendenza appartengono i teorici della Restaurazione come Burke e de Maistre. La tendenza progressista, invece, affondò le radici proprio nell’Illuminismo e nella Rivoluzione francese, ma ne interpretò in modo nuovo alcuni valori, come l’uguaglianza, la fratellanza e la libertà. Il Romanticismo progressista espresse la convinzione che solo il rinnovamento dell’ordine sociale e politico potesse costituire una risposta adeguata alle nuove esigenze. Ne scaturì il rapido e dirompente diffondersi, nella prima metà dell’Ottocento, dell’idea di nazione, del pensiero liberale, democratico e socialista.

L’ILLUMINISMO E IL ROMANTICISMO Illuminismo Origine Dal tedesco Aufklärung («rischiaramento»): del termine indica la luce prodotta dalla ragione umana che illumina le tenebre rappresentate da ogni forma di superstizione e di religione.

Periodo

Centro diffusore

Caratteristiche

Storia

Politica

Si diffuse a partire dagli anni Trenta del Settecento e caratterizzò tutto il secolo, definito per questo il «secolo dei Lumi». Anche se le sue origini sono da ricercare nella filosofia inglese, il maggior centro diffusore fu la Francia. Fiducia nella ragione umana condizionata dai sensi. La realtà di cui si deve occupare la ragione non è dunque quella astratta, tipica del razionalismo seicentesco, ma la realtà concreta così come ci viene mostrata dai sensi: l’unica dimensione che la mente umana può conoscere senza cadere in contraddizione. La storia è considerata un faticoso cammino coronato dal progresso che culmina nel presente: il «secolo dei Lumi». Sostenne la necessità di un rinnovamento radicale: – prima con le riforme, il «dispotismo illuminato», cioè il riformismo promosso dai sovrani europei; – poi con la Rivoluzione francese, che sintetizzò nei princìpi di uguaglianza, fraternità e libertà gli ideali politici dell’Illuminismo.

TUTOR Romanticismo Dall’inglese romantic: nel Seicento l’aggettivo era usato in senso spregiativo per indicare l’aspetto fantasioso del racconto cavalleresco o stravaganti narrazioni prive di verosimiglianza. Poi, fra Settecento e Ottocento, l’aggettivo «romantico» assunse un significato neutro o positivo. Da allora indica ambienti, situazioni e vicende in grado di accendere la passione. Sorto alla fine del Settecento, caratterizzò la prima metà dell’Ottocento La Germania: il suo nucleo originario era costituito da poeti e drammaturghi che fondarono nel 1780 il gruppo dello Sturm und Drang («tempesta e impeto»). Poi si diffuse in Inghilterra, in Francia e, dopo il 1815, in tutta Europa. Esaltazione della spontaneità dei sentimenti e della creatività individuale. Rivalutazione della fede e della religione. Superamento della ragione la cui conoscenza è giudicata o astratta o limitata dai sensi. Ricerca dell’assoluto in tutte le forme dell’arte. La vita e la morte vengono interpretate alla luce di nuovi valori.

Rivalutazione di tutte le epoche storiche, anche di quelle considerate «oscure», come il Medioevo. Si espresse in due tendenze: – tendenza conservatrice e reazionaria: condannò l’Illuminismo e la Rivoluzione francese, esaltò il passato, il tradizionale potere assoluto e l’alleanza trono-altare; – tendenza progressista: affondò le proprie radici nell’Illuminismo e nella Rivoluzione francese, ma interpretò in modo nuovo i princìpi di uguaglianza, fratellanza e libertà; da qui il diffondersi dell’idea di nazione, del pensiero liberale, democratico e socialista.

3. L’idea di «nazione» UN’IDEA ASTRATTA Il termine nazione deriva da nascere ed è comparso per la prima volta nell’età medievale. All’epoca, però, poteva indicare il luogo di nascita (per esempio, nazione pisana), o i mestieri e le corporazioni di appartenenza (nazione dei fabbri, nazione dei medici). Ha assunto l’attuale signiicato solo nell’età romantica. Nella prima metà dell’Ottocento, infatti, ha iniziato a indicare un «comune sentire», come afferma la deinizione di nazione che ancor oggi usiamo: collettività umana unita dalla coscienza dei suoi membri di avere in comune origine, lingua, razza, religione, economia, territorio e destino storico. Evidentemente nessuno Stato esistente corrisponde esattamente a questa deinizione. Basti pensare alla Svizzera, dove non esiste una lingua comune, o agli Stati Uniti, in cui vivono popoli provenienti da tutto il mondo; o alla stessa Italia, le cui differenze regionali, frutto di tradizioni diverse, sono sotto gli occhi di tutti. Ma se la nazione è una realtà ideale, come si è formata questa idea? Per comprenderlo dobbiamo mettere in relazione due fattori fondamentali: l’eredità culturale della Rivoluzione francese e la diffusione della rivoluzione industriale.

253

LESSICO

Restaurazione e opposizioni

RAZZA / ETNIA Indica un raggruppamento di animali o individui, i cui tratti genetici (colore della pelle, struttura fisica ecc.) siano comuni, costanti ed ereditari. Dopo la seconda guerra mondiale, il termine, relativamente alle persone, è caduto in disuso. Al suo posto si usa etnia, che ha un significato più ampio. Di fatto significa «popolo». Diciamo però etnia quando vogliamo sottolineare i tratti fisici e nel contempo il forte legame culturale e linguistico di una collettività umana.

DOCUMENTO

La «bella morte» dell’eroe romantico Questo celebre dipinto di Francisco Goya (1746-1828) descrive l’esecuzione di patrioti spagnoli (avvenuta il 3 maggio del 1808) a opera dei Francesi. È nel momento della sua morte che l’uomo romantico appare in tutta la sua grandezza, un eroe che non ha paura di nulla.

La lanterna dà al bianco della camicia e alle braccia del ribelle una straordinaria evidenza. La luce della vita romantica rischiara le tenebre della morte fisica.

Il romantico comunque preferisce sempre l’insuccesso al successo, se questo significa rinunciare alle proprie idee.

COSMOPOLITISMO È quella concezione che ritiene l’individuo cittadino del mondo. E ciò per il semplice fatto che ogni individuo, nascendo, ha avuto dalla natura, in comune con tutti gli altri uomini, la Terra. Questa concezione, già presente nell’antichità, è stata interpretata dal cristianesimo in senso religioso con il concetto di fratellanza universale. Nel Settecento è diventata uno dei princìpi cardine dell’Illuminismo. PATRIA Dal latino pater («padre»); il termine indica l’origine, il luogo di provenienza di un individuo o di un popolo. È comunemente usato come sinonimo di nazione: «patriota» è colui che ama la propria patria-nazione.

254

LESSICO

UNITÀ 7

LO SVILUPPO DELLE IDEE DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE Nel corso dell’Ottocento i valori rivoluzionari di uguaglianza, fraternità e libertà concorsero a fondare l’idea di nazione. Uguaglianza – Secondo i rivoluzionari francesi il fondamento della sovranità era costituito dalla volontà del popolo, cioè di tutti i cittadini in quanto uguali tra loro. Nella Dichiarazione dei diritti del cittadino si parla in proposito di volontà generale della nazione. Ma su quali territori si estenderà questa nazione? Ovvero, quali cittadini ne faranno parte? Secondo gli illuministi, un insieme di persone diventava un popolo stipulando un contratto (il contratto sociale). Secondo i ilosoi romantici, invece, la nazione era un prodotto della Storia: appartenevano a un medesimo popolo (o nazione) i territori e le persone accomunate dalla Storia. E i segni fondamentali di questa comunione erano costituiti dalla lingua, dalla cultura e dalle tradizioni comuni. Fraternità – La Rivoluzione francese e poi le armate di Napoleone avevano diffuso in tutta Europa il principio illuminista della fratellanza cosmopolita. Ma ben presto fu evidente che quel principio nascondeva le pretese egemoniche della Francia. La fraternità così venne ristretta a una dimensione nazionale. Libertà – La Rivoluzione francese proclamò i diritti del cittadino. Ma ben presto apparve chiaro che la libertà non poteva essere solo individuale. Bisognava liberarsi tanto del potere del sovrano assoluto quanto di quello delle armate straniere. Il clima romantico favorì questa aspirazione, facendo sentire tra loro «fratelli» coloro che vivevano la medesima oppressione. Non a caso il nostro inno nazionale inizia con i noti versi: «Fratelli d’Italia / l’Italia s’è desta». Si è destata, appunto, in quanto coloro che hanno in comune il sentirsi Italiani, e pertanto si considerano tra loro fratelli, hanno deciso di lottare insieme non solo per la libertà individuale, ma anche per quella collettiva, per quella della patria.

L’ESIGENZA DI MERCATI NAZIONALI Karl Karger, L’arrivo del treno alla stazione nord-est di Vienna, 1875. Vienna, Belvedere. Le merci devono poter circolare per favorire l’espansione dei mercati.

Anche la rivoluzione industriale favorì l’affermazione dello Stato nazionale. La sua diffusione, infatti, implicava l’esistenza di mercati suicientemente vasti. Non può esservi sviluppo industriale se le merci non sono libere di circolare, o se le strade e le ferrovie sono continuamente interrotte da dazi doganali. Pertanto l’idea nazionale bene si associava all’esigenza borghese di libera imprenditorialità individuale, nell’ambito di una più ampia libertà entro i conini della nazione.

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Restaurazione e opposizioni

NAZIONE E STATO

COMPETENZE

Dal punto di vista politico, una novità fondamentale dell’Ottocento fu il sovrapporsi dell’idea di nazione allo Stato: ƒè questa l’epoca in cui si affermò l’idea di una coscienza nazionale capace di superare le tradizioni locali e di uniicare un popolo; ƒcontemporaneamente si diffuse il principio rivoluzionario che vedeva nel popolo il fondamento della sovranità dello Stato. Nell’Antico regime lo Stato coincideva con il monarca. Ora invece lo Stato diveniva nazione, cioè unità politica di un popolo. Ma quando una collettività si riconosce come nazione riesce sempre a dar luogo a uno Stato? La risposta, alla luce della storia, è no. Nell’Ottocento coloro che si sentivano idealmente «fratelli» lottarono per dar vita a uno Stato. E spesso ci riuscirono, ma non sempre. La formazione di uno Stato, infatti, non dipende solo dall’esistenza di una coscienza nazionale. È sempre legata anche al concreto sviluppo dello scontro politico e, solitamente, alla forza delle armi. Così attualmente gli Stati nazionali ospitano alcune minoranze etniche (come gli Altoatesini in Italia). E antichi popoli vivono in più Stati: è il caso dei Catalani, divisi tra Spagna, Francia e Italia.

USARE LE FONTI

La lingua (e lo stile) fondano la nazione Pag. 267

Friedrich Overbeck, Italia e Germania, 18111828. Monaco, Nuova Pinacoteca. L’Italia è quella a sinistra, con la corona d’alloro, mentre la Germania è la donna bionda con la corona di mirto.

LE ORIGINI DELL’IDEA DI NAZIONE

UGUAGLIANZA

EREDITÀ CULTURALE DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE

DIFFUSIONE DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

FRATERNITÀ

ESIGENZA DI UN MERCATO ADEGUATAMENTE VASTO

LIBERTÀ

GUIDA ALLO STUDIO

TRA CITTADINI DI UNA STESSA NAZIONE

INDIPENDENZA NAZIONALE

IDEA DI NAZIONE

ƒ Che cosa si intende con il termine nazione? ƒ Quali fattori hanno concorso alla fine dell’Ottocento all’affermazione dell’idea di nazione? ƒ Che relazione c’è tra l’idea di nazione e lo Stato?

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4. Liberali e democratici IL LIBERALISMO Nei primi decenni dell’Ottocento, tra gli avversari della Restaurazione si trovano già le grandi ideologie che hanno animato il dibattito politico sino ai giorni nostri. La prima, in ordine cronologico, fu il liberalismo che nacque dalla battaglia contro l’Antico regime condotta soprattutto nella Rivoluzione inglese, nella formazione degli Stati Uniti e nella Rivoluzione francese. I fondamenti teorici di questa ideologia risalgono a Locke e agli illuministi, in particolare a Montesquieu e a Smith. Il valore fondamentale del liberalismo è la libertà individuale. A differenza dei conservatori, infatti, i liberali non credono che la libertà conduca al caos, al disordine; al contrario, ritengono che sia la condizione ideale per consentire a ognuno di ricercare la felicità.

I CATTOLICI LIBERALI Il valore della libertà fu riconosciuto anche dai cattolici liberali, una tendenza che giudicò gli ideali della Rivoluzione francese (libertà, uguaglianza e fraternità) compatibili con il messaggio cristiano. Secondo i cattolici liberali, la Chiesa doveva accettare la sida della modernità, adeguando la perennità dei princìpi della fede cristiana al modiicarsi dei tempi. In particolare, doveva riconoscere il valore della libertà religiosa e della separazione tra Chiesa e Stato. A sostegno di ciò, i cattolici liberali affermavano che la libertà avrebbe favorito la missione della Chiesa, emancipandola dai condizionamenti del potere politico (per esempio, nella nomina dei vescovi). DOCUMENTO

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Perché non posso votare Chi poteva votare nella prima metà dell’Ottocento? Molto pochi. Questa vignetta satirica ha per titolo Io non ci sono: mostra infatti

Quest’uomo non compare nelle liste perché troppo giovane: solo infatti chi aveva compiuto 30 anni godeva del diritto di voto.

L’uomo anziano si cerca con un cannocchiale nelle liste, ma anche lui non compare: ha l’età ma non il censo; è povero e solo chi ha una certa ricchezza può votare.

Nessuna donna si ferma a leggere le liste elettorali: le donne infatti non avevano diritto di voto né potevano essere elette.

due uomini che stanno scorrendo inutilmente le liste elettorali alla ricerca del loro nome.

Restaurazione e opposizioni

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Il club dei pensatori (1825 circa); stampa satirica tedesca sulla censura cui erano sottoposti gli intellettuali nell’età della Restaurazione.

Il cattolicesimo liberale nacque in Francia ed ebbe il suo principale rappresentante nel sacerdote Félicité de La Mennais (1782-1854). Nel 1830, insieme a Montalembert e Lacordaire, La Mennais fondò la rivista «L’Avenir» che ebbe come motto «Dio e Libertà». Dalla Francia, il cattolicesimo liberale si diffuse in tutta Europa. Restò comunque minoritario nella Chiesa, che fu dominata dalla posizione dei cosiddetti intransigenti, favorevoli al conservatorismo tradizionalista. Gli intransigenti ribadirono l’appoggio all’assolutismo monarchico e respinsero il liberalismo e la separazione tra Stato e Chiesa. Coerentemente con queste posizioni, nel 1832 papa Gregorio XVI condannò il liberalismo con l’enclica Mirari vos.

LO STATO LIBERALE Il modello di Stato proposto dai liberali può essere così schematizzato. ƒIl potere dello Stato è limitato. L’obiettivo fondamentale dei liberali è respingere l’assolutismo, porre dei limiti al potere. La Costituzione, dunque, che indica con precisione i limiti del potere sovrano, costituisce la conquista liberale per eccellenza. Un’altra garanzia contro i rischi di dispotismo è rappresentata dalla divisione dei poteri. I poteri dello Stato devono essere controllati da soggetti o istituzioni diversi e devono controbilanciarsi. ƒLo Stato garantisce le libertà pubbliche. La libertà di opinione, d’espressione, di riunione e di stampa, la libertà d’insegnamento contro il monopolio della Chiesa, la libertà di iniziativa economica: sono queste le principali libertà che uno Stato deve garantire. Tali libertà costituiscono la difesa dell’individuo nei confronti dell’autorità e devono essere garantite a tutti i cittadini. I liberali respingono il privilegio su cui era invece fondato l’Antico regime: essi riconoscono che tutti gli uomini sono uguali di fronte alla legge (uguaglianza giuridica). ƒLo Stato non interviene sulla diseguaglianza sociale. Lo Stato non deve intervenire nella vita economica (liberismo). In particolare non deve cercare di attenuare il contrasto tra ricchi e poveri: è da questo punto di vista neutrale. I liberali, infatti, considerano la diseguaglianza sociale come una conseguenza della diseguaglianza naturale degli uomini: non tutti hanno le stesse capacità, la medesima intraprendenza o voglia di lavorare. D’altronde, chiunque può modiicare, almeno teoricamente, la propria condizione di partenza attraverso l’iniziativa economica o l’istruzione: in pratica attraverso i propri meriti. ƒIl sufragio non è universale. Secondo i liberali, il voto non è un diritto. È lo strumento attraverso cui si svolge una funzione pubblica, cioè si partecipa all’amministrazione dello Stato. Chi non possiede nulla e dunque non ha nulla da amministrare perché dovrebbe votare? Il diritto di voto dunque va riconosciuto solo a chi raggiunge un certo livello di ricchezza (sufragio censitario). Ciò non signiica che si sia esclusi per sempre da tale diritto, come avveniva nell’Antico regime per motivi di nascita: tutti vi possono accedere raggiungendo il censo richiesto.

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IL PENSIERO DEMOCRATICO Il termine democrazia deriva dal greco e signiica governo di popolo. La democrazia, dunque, è il regime fondato sulla sovranità popolare e in questo senso il padre della moderna dottrina democratica fu indubbiamente Rousseau. Tuttavia l’elaborazione di questa dottrina ricevette uno straordinario impulso da un gruppo di ilosoi inglesi: Jeremy Bentham (1748-1832), James Mill (1773-1836) e suo iglio John Stuart Mill (1806-1873). Fu con loro che la teoria della democrazia si innestò sul liberalismo, cioè sul rispetto delle libertà personali e sull’idea che il popolo debba esercitare la sovranità attraverso dei rappresentanti. La democrazia moderna, dunque, è rappresentativa o parlamentare. In ciò differisce da quella antica che era diretta o assembleare: il cittadino ateniese, infatti, esercitava personalmente il potere partecipando all’assemblea. La critica fondamentale che i democratici rivolsero ai liberali può essere così riassunta: come può lo Stato rappresentare tutti i cittadini e tutelare in egual misura i loro diritti se alcuni sono esclusi dal diritto di voto? Secondo i democratici, infatti, non è suiciente che lo Stato non sia dispotico: è essenziale che rappresenti la volontà di tutti i cittadini. Il valore fondamentale dei democratici è dunque l’uguaglianza politica: tutti devono godere dei diritti politici e in particolare del diritto di voto.

LO STATO DEMOCRATICO Secondo i democratici, dunque, lo Stato deve essere fondato sul sufragio universale perché solo così sarà rappresentativo della volontà del popolo, intesa come volontà sovrana. Ma avere un diritto è importante solo se si è capaci di esercitarlo. Tutti i cittadini, pertanto, devono essere preparati a esercitare i loro diritti politici, ovvero devono essere istruiti. Spetta allo Stato il compito di garantire a tutti la necessaria istruzione: il problema dell’istruzione è dunque inteso dai democratici in senso «quantitativo», poiché deve essere estesa a tutti. Lo Stato democratico, inoltre, non può essere indifferente di fronte alla miseria. Deve cercare di moderare le ingiustizie sociali, facendo leva soprattutto sugli strumenti iscali. Deve cioè imporre tasse in proporzione ai redditi: in questo modo i ricchi pagheranno di più e lo Stato potrà attivare iniziative in favore dei più deboli. Per questa impostazione, il movimento democratico fu generalmente osteggiato dall’élite economica e politica: espresse piuttosto le posizioni progressiste e di moderato rinnovamento della media e piccola borghesia. Nel corso dell’Ottocento, grazie alla positiva evoluzione economica, riuscì anche a coinvolgere vasti settori di quei ceti popolari tradizionalmente esclusi da ogni attività politica. Nella seconda metà del secolo il contrasto tra democratici e liberali andò attenuandosi. In pratica, infatti, pur rimanendo diverse le radici culturali, il corso degli eventi diminuì col tempo ogni distinzione ino ad annullarla. IL PENSIERO LIBERALE E IL PENSIERO DEMOCRATICO Liberali Suffragio Suffragio censitario. Potere dello Stato Diseguaglianza sociale Intervento dello Stato Istruzione

Il potere dello Stato deve essere limitato.

TUTOR Democratici Suffragio universale.

Diseguaglianza dovuta a un fattore naturale.

Oltre che limitato, il potere dello Stato deve essere rappresentativo. Diseguaglianza dovuta a un fattore sociale.

Stato neutrale di fronte alla questione sociale.

Stato attivo che organizza interventi in favore dei più deboli.

Istruzione qualitativa.

Istruzione quantitativa.

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TOCQUEVILLE: I RISCHI DELLA DEMOCRAZIA Alexis de Tocqueville (1805-1859) non può propriamente essere deinito un teorico della politica né un ideologo della democrazia. Conte di antica nobiltà normanna, nel 1831 effettuò un viaggio negli Stati Uniti e raccolse le sue osservazioni nella Democrazia in America che pubblicò nel 1835. Il libro ebbe subito un vasto successo anche perché tutti i partiti vi si riconobbero immediatamente: la destra la considerò l’opera di un aristocratico che denunciava i rischi della democrazia, la sinistra invece esaltò le pagine in cui Tocqueville descriveva la potenza irresistibile della democrazia, predicendone il completo trionfo. In realtà entrambe le prospettive erano in una certa misura vere. Il rischio fondamentale contro il quale Tocqueville mette in guardia è che la democrazia si trasformi in un dispotismo della maggioranza sulla minoranza: negli Stati Uniti, scrive Tocqueville, quando si forma una maggioranza su una certa questione, nulla consente «non dirò di arrestare, ma nemmeno di ritardare la sua marcia, e di lasciarle il tempo di ascoltare i lamenti di quelli che essa schiaccia passando». Secondo Tocqueville, non ci si può difendere da questo rischio tentando di ostacolare l’affermazione della democrazia: ormai i popoli desiderano l’uguaglianza con «una passione ardente, insaziabile, eterna, invincibile; vogliono l’uguaglianza nella libertà e, se non possono ottenerla, la vogliono anche nella schiavitù. Sopporteranno la povertà, l’asservimento, la barbarie, ma non sopporteranno l’aristocrazia». Quello che si può fare è potenziare le associazioni tra cittadini perché il rischio di dispotismo deriva soprattutto dal fatto che l’uguaglianza riduce tutti a individui inermi di fronte alla maggioranza. Le associazioni potrebbero così assumere quel ruolo di resistenza al potere che nell’Antico regime l’aristocrazia svolgeva nei confronti del monarca.

Théodore Chassériau, ritratto di Alexis de Tocqueville, 1850.

Il Senato americano in un’incisione di Robert E. Whitechurch.

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Che cosa significa liberalismo? ƒ Chi furono i cattolici liberali? ƒ Quali sono le caratteristiche dello Stato liberale? ƒ Quali sono le caratteristiche dello Stato democratico? ƒ Quali sono le differenze tra il pensiero liberale e quello democratico?

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5. I socialisti

SOCIALISMO Il termine è di origine settecentesca. Assunse il significato odierno in Inghilterra, negli anni Venti dell’Ottocento, quando iniziò a indicare il progetto politico, sostenuto dai lavoratori, di una società giusta, caratterizzata da un’equa distribuzione della proprietà e della ricchezza.

LESSICO

LE ORIGINI DEL SOCIALISMO Liberali e democratici avevano proposto un’analisi che riguardava essenzialmente l’organizzazione dello Stato e i diritti dei cittadini: in una parola, la politica. Nei decenni che seguirono la rivoluzione industriale, però, il problema più appariscente fu costituito dalle condizioni miserabili e inumane in cui viveva la maggioranza della popolazione: la cosiddetta questione sociale. Di fronte a questo spettacolo, era impossibile sfuggire a una domanda: se davvero, come avevano sostenuto gli illuministi, gli uomini sono naturalmente uguali, come si può giustiicare un così grande divario tra la ricchezza di pochi e la terribile povertà dei più? Si tratta di una domanda che riguarda la società e non la politica: d’altronde, a che serve che lo Stato garantisca i diritti dell’individuo se non si è nelle condizioni di usufruirne? I socialisti risposero a queste domande proponendo l’ideale di una società fondata sulla giustizia sociale, cioè su una distribuzione della ricchezza che non condannasse nessuno alla povertà e allo sfruttamento. Per raggiungere questo obiettivo vennero elaborate strategie diverse, tuttavia in genere i socialisti: ƒmisero in discussione il diritto di proprietà, proponendone l’abolizione o almeno la limitazione; ƒcriticarono l’individualismo liberale, contrapponendogli il valore della solidarietà che doveva unire tutti i lavoratori.

IL SOCIALISMO INGLESE La caratteristica speciica del socialismo inglese fu il riformismo. I socialisti inglesi, infatti, accettarono gli aspetti fondamentali dell’economia di mercato, ma rivendicarono riforme radicali per attenuarne le conseguenze sociali. Questa scelta fu notevolmente inluenzata dal pensiero e dall’opera di Robert Owen (1771-1858). Di umili origini, Owen iniziò a lavorare in dall’età di dieci anni. Ancora giovane, divenne direttore e socio (avendo sposato la iglia del proprietario) di una ilanda a New Lanark, in Scozia. Tentò allora di mettere in pratica i suoi ideali ilantropici: scelse di rinunciare a parte dei proitti e aumentò i salari; diminuì l’orario di lavoro; costruì un villaggio vicino alla fabbrica per dare agli operai una casa decente e generi di prima necessità a costi più bassi. Owen condivideva con Smith l’idea che l’origine della ricchezza fosse costituita dal lavoro. Pertanto riteneva che dovesse essere eliminato l’aumento del prezzo delle merci che

In alto lo spaccato di una casa e sotto lo spaccato del cotonificio di New Lanark.

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Restaurazione e opposizioni

IL PENSIERO LIBERALE E IL PENSIERO SOCIALISTA Liberali

Socialisti

Punto di partenza

Analisi politica: organizzazione dello Stato e diritti dei cittadini.

Analisi sociale: riconoscere l’esigenza di fondare una società basata su giustizia ed equità sociale.

Proprietà privata

È un diritto naturale e inalienabile, strettamente unito al concetto di libertà.

Per alcuni è un furto ma non è rifiutata da tutti i socialistI; per tutti però è causa di diseguaglianza sociale e deve essere quindi limitata o abolita.

Individualismo: i diritti individuali civili sono i valori fondamentali e lo Stato deve garantirne la difesa, senza interferire nelle libere scelte.

Solidarietà tra gli appartenenti alla classe proletaria; lo Stato deve farsi carico della giustizia sociale in cui risiede la vera libertà.

Liberista: libero scambio delle merci e libertà d’impresa, che porta benessere a tutta la società aumentando la ricchezza.

Statalista: lo Stato deve esercitare un controllo sulle risorse economiche per evitare una distribuzione della ricchezza iniqua. La produzione deve garantire il benessere collettivo prima che quello individuale; perciò è necessaria la proprietà collettiva dei mezzi di produzione.

Valori di riferimento

Sistema economico

TUTOR

si veriicava nella fase della distribuzione, cioè del commercio. Si trattava di tornare all’equità del baratto, quando le merci venivano scambiate direttamente dai lavoratori che le avevano prodotte. A tal ine, Owen cercò di creare le condizioni ainché gli scambi avvenissero non per mezzo del denaro ma attraverso buoni-lavoro attestanti l’effettiva attività svolta. Nel 1832 fondò anche una Banca di scambio dove al posto del denaro venivano depositate le merci prodotte per essere scambiate. Tutte queste idee, però, si rivelarono impraticabili. Anche il tentativo di fondare in America (1825-28) una città operaia chiamata New Harmony fallì miseramente. Tuttavia Owen aveva indicato ai lavoratori la strada attraverso cui avrebbero potuto tutelare i loro interessi: l’organizzazione di associazioni di tipo sindacale. Per questo è considerato il padre del movimento operaio inglese.

IL SOCIALISMO FRANCESE In Francia, la questione sociale venne alla ribalta verso il 1830, quando con il decollo della rivoluzione industriale ebbero inizio le prime rivolte operaie. L’elaborazione teorica si richiamò a Rousseau e alle aspirazioni egualitarie della Rivoluzione dell’89. Le dottrine socialiste così si presentarono spesso come vere e proprie utopie. Vediamo, dunque, quali furono i principali esponenti del socialismo francese. ƒClaude-Henri conte di Saint-Simon (1760-1825). Anche se non può essere considerato un socialista in senso stretto, merita di essere ricordato per l’inluenza che ebbe sulla rilessione successiva. Saint-Simon riteneva che la società fosse organizzata in modo contraddittorio: gli uomini migliori, i produttori della ricchezza e gli individui socialmente utili, erano sottoposti a una classe politica incapace e parassitaria. La società, dunque, doveva essere riorganizzata assegnando il governo a tecnici, chiamati a realizzare una generale armonia sociale. I valori di questa società dovevano essere quelli di un «nuovo cristianesimo», cioè di un cristianesimo privato delle «elucubrazioni» teologiche e ricondotto alla sua ispirazione originaria: l’amore del prossimo e «il benessere isico e morale della classe più numerosa e povera». ƒFrançois-Marie-Charles Fourier (1772-1837). Secondo Fourier, per superare il degrado della società industriale era indispensabile «tornare alla natura» attraverso un progetto utopistico cui diede il nome di Armonia. Nella sostanza, proponeva di riorganizzare la società in piccoli nuclei economicamente e politicamente autonomi, i falansteri. Composti da circa 1800 persone, i falansteri si dedicano soprattutto all’agricoltura e all’allevamento; le attività sono assegnate secondo criteri di rotazione e in base alle inclinazioni degli individui. ƒLouis Blanc (1811-1882). Blanc individuò nella proprietà privata e nella concorrenza

VIDEO

La fabbrica di New Lanark

New Lanark era un villaggio scozzese dove erano sorti cotonifici e case per gli operai. Nel 1800 Owen partecipò all’acquisto dell’intero villaggio che, sotto la sua direzione, divenne una fiorente impresa economica in cui si applicarono le sue idee socialiste.

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I PROTAGONISTI

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Frédéric Ozanam in un ritratto dell’epoca.

Ozanam e il cattolicesimo liberale Nella Francia degli anni Trenta ebbe inizio anche la storia del movimento cattolico sociale. Particolare rilievo ebbe l’opera di Frédéric Ozanam (1813-1853) che fondò l’organizzazione caritativa Società di San Vincenzo de’ Paoli. Nel 1836 Ozanam scrisse: «Vi sono molti uomini che hanno troppo e che vogliono avere ancora di più, ve ne sono ancora di più che non hanno abbastanza, che non hanno nulla,

e che vogliono appropriarsi di quel che non si vuol dar loro. Tra queste classi si prepara una lotta, una lotta che minaccia di essere terribile; da una parte la potenza del denaro, dall’altra la potenza della disperazione». Per il fondatore della San Vincenzo, solo la collaborazione tra padroni e operai, secondo i dettami della fede cristiana, poteva permettere il superamento della grave crisi che si preparava.

le due cause principali della miseria degli operai. Come rimedio proponeva la costituzione di fabbriche sociali (ateliers sociaux), cioè di fabbriche gestite dagli operai stessi, con salari dapprima graduati secondo la gerarchia delle funzioni per diventare progressivamente uguali per tutti. Spettava allo Stato sostenere economicamente la costituzione delle fabbriche sociali. Blanc era convinto che si potesse giungere a questa soluzione attraverso il riformismo democratico, senza ricorrere alla violenza rivoluzionaria. Le fabbriche sociali avrebbero inizialmente operato in concorrenza con le industrie private, ino a soppiantarle del tutto grazie ai migliori risultati garantiti dal maggiore coinvolgimento degli operai. ƒPierre-Joseph Proudhon (1809-1865). La sua opera più nota fu Che cos’è la proprietà? (1840) in cui sostenne che «la proprietà è un furto». Proudhon distingueva tra la proprietà, tutelata dalla legge, e il possesso, legittimato esclusivamente dal lavoro: il proprietario è pertanto un ladro perché sottrae al lavoratore il frutto del suo lavoro. Tuttavia era contrario alla statalizzazione della proprietà perché riteneva che avrebbe comportato una limitazione della libertà individuale. Proudhon auspicava piuttosto un’«anarchia positiva», cioè una società fondata sull’autogestione economica e politica. Il monumento a Marx ed Engels al memoriale di Berlino.

MARX ED ENGELS L’elaborazione della dottrina socialista giunse al risultato più maturo con l’opera di due ilosoi tedeschi: Karl Marx (1818-1883) e Friedrich Engels (1820-1895). Di famiglia ebrea – il padre si era convertito al protestantesimo per sfuggire alle misure antisemitiche del governo prussiano – Marx studiò ilosoia e diritto nelle università di Bonn e Berlino, laureandosi inine a Jena. Nel 1843, per le sue idee politiche, fu costretto ad abbandonare il suo lavoro alla «Gazzetta renana» e andò a vivere a Parigi. Qui entrò in contatto con l’ambiente socialista, che radunava personalità di diversi Paesi, ed ebbe modo di conoscerne parecchi esponenti, in particolare Blanc e Proudhon. Importante fu soprattutto l’incontro con Engels, col quale instaurò una duratura e proicua amicizia che portò alla stesura in comune di numerose opere. Engels era iglio di un ricco industriale e all’epoca era reduce da un lungo soggiorno in Inghilterra, dove aveva lavorato in una fabbrica tessile del padre. Aveva colto l’occasione per studiare a fondo l’opera di Smith e Ricardo e per osservare i drammatici costi sociali dell’industrializzazione, che poi descrisse in un saggio del 1845, La situazione della classe operaia in Inghilterra. Engels indusse Marx, che dal 1849 visse stabilmente a Londra, ad approfondire lo studio dell’economia. Nella capitale inglese, Marx si trovò in gravi ristrettezze economiche – vide la morte per stenti di quattro suoi igli – ma anche grazie al sostegno economico di Engels procedette nell’analisi del sistema capitalistico. Nel 1867 pubblicò così il primo libro della sua opera principale, Il Capitale.

Restaurazione e opposizioni

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IL SOCIALISMO SCIENTIFICO Su incarico della Lega dei comunisti, un’associazione fondata a Londra da profughi tedeschi, Marx ed Engels scrissero nel 1848 il Manifesto del Partito Comunista. In quest’opera proposero una nuova interpretazione del socialismo che riiutava l’utopismo che aveva caratterizzato molte delle posizioni precedenti. Secondo Marx ed Engels, infatti, il socialismo non è un ideale che gli uomini devono realizzare. Credere di poter cambiare la società con un’idea o con delle leggi è, a loro avviso, un’illusione. In proposito sostengono la dottrina del materialismo storico secondo cui non sono le idee degli uomini a determinare il tipo di società in cui vivono, piuttosto è la società a determinare le loro idee. L’organizzazione degli uomini in società, infatti, è condizionata dal modo in cui essi producono ciò che è necessario al loro sostentamento; questa attività è a sua volta condizionata dai mezzi di produzione di cui gli uomini dispongono. La società industriale, per esempio, non è nata da un’idea ma dalla rivoluzione dell’organizzazione produttiva determinata dall’avvento della macchina a vapore. In sintesi, la struttura di una società è la sua organizzazione economica; da questa deriva la sovrastruttura, rappresentata dalla cultura, dalla politica, dalle leggi, dallo Stato ecc. La storia, dunque, non è completamente aidata all’arbitrio dell’uomo e quindi non serve inventare utopie: il ilosofo deve piuttosto spiegare scientificamente il presente e comprendere il senso della storia. È esattamente quello che Marx ed Engels ritenevano di aver fatto: per questo pretendevano di aver fondato il socialismo scientifico.

L’arresto di Marx a Bruxelles il 4 marzo 1848 in un disegno dell’epoca. L’arresto avvenne perché Marx, all’inizio della rivoluzione del 1848 in Belgio, sosteneva con Engels i repubblicani che volevano abbattere la monarchia.

LA LOTTA DI CLASSE Secondo Marx ed Engels, la storia della civiltà umana è passata attraverso quattro fasi: la comunità primitiva, il regime di schiavitù, la società feudale e la società capitalistico-borghese. Tutte queste fasi sono caratterizzate dallo scontro tra oppressi e oppressori, cui gli uomini partecipano non come individui ma in quanto parte di una classe: tutta la storia, dunque, è storia della lotta di classe. La classe degli oppressi contrasta gli oppressori e, quando maturano le condizioni strutturali, ne abbatte il dominio. Il passaggio da uno stadio all’altro, infatti, è determinato dallo sviluppo dei mezzi di produzione: nella sostanza, quando maturano possibilità produttive che non possono essere sfruttate all’interno di un tipo di società se ne afferma una nuova.

DOCUMENTO

La lotta di classe Pag. 268

Statua di Marx ed Engels a Budapest, al Memento Park.

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LETTERATURA E STORIA

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GUIDA ALLO STUDIO

Stendhal (Henri Beyle) (1783-1842)

Ambientato nella provincia francese, il romanzo narra le peripezie sentimentali di Julien Sorel, giovane spiantato e molto ambizioso, in lotta per emergere nella chiusa società della Restaurazione. Il protagonista allaccia relazioni con nobil-

donne che possono aprirgli le porte dell’alta società; ma il suo arrivismo privo di scrupoli lo induce addirittura a tentare di uccidere l’ex amante, che pone degli ostacoli al raggiungimento dei suoi obiettivi. Arrestato e condannato, il povero Sorel, colto da rimpianti, conclude così la sua vita sul patibolo.

La borghesia, per esempio, ha svolto un ruolo rivoluzionario nell’età feudale: ha combattuto il dominio della nobiltà ed è giunta alla vittoria quando, con la rivoluzione industriale, si sono create le condizioni per la sua affermazione. Ma ora che con la società capitalista ha imposto il suo dominio, si trova ad affrontare il proletariato, cui spetta il compito storico di rovesciarla. Nella società capitalista il proletario è sfruttato dai borghesi che detengono la proprietà dei mezzi di produzione. Il salario che gli viene corrisposto, infatti, non corrisponde alla ricchezza che crea con il proprio lavoro, ma solo a quanto gli è indispensabile per sopravvivere; questa differenza è chiamata da Marx plusvalore e rappresenta il proitto del capitalista. L’operaio non è privato solo dei frutti del suo lavoro ma anche della sua identità: questa alienazione è originata dal fatto che l’operaio nella società capitalista è considerato come una merce, è uno strumento della valorizzazione del capitale. Marx ed Engels ritengono che la storia aidi al proletariato il compito di liberare l’intera umanità. Il proletario, infatti, non può liberarsi rivendicando per sé la proprietà: deve abolire la proprietà, abolendo in questo modo il fondamento stesso dell’oppressione e della divisione in classi. La storia così giungerà alla sua meta: il comunismo. Ciò sarà possibile solo al prezzo di una rivoluzione, necessariamente violenta poiché dovrà sconiggere la resistenza dei borghesi. La dottrina di Marx ed Engels era il frutto di una complessa elaborazione ilosoica ed economica. Risultò pertanto decisamente più solida delle proposte avanzate dagli altri teorici del socialismo. Per questo, nell’arco di due decenni, si impose nelle organizzazioni del movimento operaio, soppiantando tutte le altre.

LESSICO

ƒ A partire da quali considerazioni si sviluppa il pensiero socialista? ƒ Che differenza c’è tra il socialismo inglese e francese? ƒ Che cosa significa «socialismo scientifico»? ƒ Che cos’è la lotta di classe?

Gustave Courbet, Gli spaccapietre. Questo dipinto del 1849 è un’esplicita denuncia delle condizioni dei lavoratori nella metà dell’Ottocento. Il dipinto è andato perduto durante il bombardamento di Dresda nella seconda guerra mondiale.

Il Rosso e il Nero

COMUNISMO La più antica utilizzazione di questo termine si trova in un trattato del 1569, scritto in polacco, probabilmente da un anabattista. La dottrina comunista, che propone l’ideale di una società in cui non esiste la proprietà, è decisamente più antica. Ebbe il suo primo teorico nel filosofo greco Platone (427-347 a.C.) che nella Repubblica espose l’idea di una città in cui gli uomini non fossero corrotti dal denaro. L’ideale di una società dove non vi siano «né ricchi, né poveri» è presente anche nel cristianesimo delle origini. Allo stesso modo Tommaso Moro (1478-1535) nella sua celebre Utopia descrive una società in cui la proprietà è completamente abolita. Ma è solo a partire dal Settecento che il comunismo cessa di essere considerato un’utopia filosofica o un ideale religioso per diventare una concreta proposta politica. Ciò avvenne nel contesto della rivoluzione industriale attraverso l’incontro con il socialismo. All’inizio dell’Ottocento, dunque, i termini socialismo e comunismo erano sinonimi; solo nel Novecento l’espressione comunismo servì a distinguere il socialismo rivoluzionario dalle posizioni più moderate del socialismo riformista.

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Restaurazione e opposizioni

Dal passato al presente L’eredità più signiicativa che ci ha lasciato questo periodo è il nuovo sentimento di patria, inteso come l’identità nazionale di un popolo libero ed espresso dalla cultura romantica in opposizione alla politica reazionaria del Congresso di Vienna. L’affermazione delle libertà civili e politiche ha dato origine a un’altra importante eredità: le associazioni tra cittadini con inalità differenti (culturali, politiche, economiche, religiose, scientiiche, assistenziali, ma anche sportive e educative). Questa epoca inine ci ha lasciato anche nuovi mezzi espressivi: la litografia (1825) e la fotografia (1839) aprirono infatti un settore dell’arte e della comunicazione.

L’amore per la patria NAPOLEONE E IL ROMANTICISMO Paradossalmente l’Europa scoprì l’idea di libertà e di amore per la patria grazie alla conquista napoleonica. Infatti, inizialmente, Napoleone fece leva sullo spirito di identità nazionale per abbattere l’Antico regime; e, successivamente, le trasformazioni territoriali, la modernizzazione degli Stati occupati favorirono la nascita e lo sviluppo di un sentimento nazionale che si oppose proprio al dominio francese. La cultura del Romanticismo valorizzò poi l’aspetto sentimentale ed emotivo dell’amore per la patria e l’affermazione del sentimento dell’identità nazionale. Secondo i romantici i popoli andavano considerati come individui, cioè come esseri unici e irriducibili agli altri. E poiché la libertà era un diritto di tutti gli individui e per essere libero l’uomo doveva sviluppare in pieno la propria personalità, le idee, i sentimenti, il modo di esprimersi, allo stesso modo ogni nazione poteva essere veramente libera solo se avesse sviluppato liberamente le proprie potenzialità, la lingua, la cultura, la propria storia.

ARTE E ROMANTICISMO Anche l’arte si prestò a esaltare quel sentimento nazionale e popolare vivo nella società. Si sviluppò l’interesse per la storia, in particolare la storia dei popoli, alla ricerca delle origini della cultura, della lingua, delle tradizioni. Si studiava e si raccontava il Medioevo come il periodo in cui ebbero origine le diverse realtà nazionali europee e nacquero le lingue romanze.

Il romanzo storico diventò così un genere letterario di successo, che incontrava il gusto del momento: Ivanhoe, dello scrittore inglese Walter Scott inaugurò un modello ripreso in Italia da Alessandro Manzoni con I promessi sposi. Qui il tema della dominazione spagnola del Seicento, assimilata a quella austriaca dell’Ottocento, si intrecciava con quello dei diritti del popolo, il tema della Provvidenza che guida la storia con quello della giustizia. Invenzione e realtà storica colpivano la fantasia dei lettori e stimolavano l’amore per le vicende del proprio Paese. Così anche la pittura romantica intendeva celebrare l’aspirazione alla libertà come nel dipinto Le fucilazioni del 3 maggio 1808 (1814) di Goya (p. 253) o nella Zattera della Medusa (1819) di Géricault oppure rappresentava le grandi

Théodore Géricault, La zattera della Medusa, 1819. Parigi, Louvre.

IERI

L’amore per la patria si fondava sul desiderio di indipendenza di un popolo OGGI

L’amore per la patria sta perdendo la connotazione nazionale per assumere il valore di amore per una convivenza internazionale

266 gesta del popolo «eroico» in lotta, come nel quadro di Delacroix La libertà che guida il popolo (1830). L’amore per la patria si traduceva in passione civile ed eroismo, lotta per la libertà o per l’indipendenza nazionale; per la patria molti uomini erano disposti a sacriicare la propria vita.

DALL’IDEA DI NAZIONE AL NAZIONALISMO La nazione, intesa come espressione politica, è un concetto moderno: nel Medioevo l’espressione nationes indicava solo la provenienza etnico-geograica e non implicava alcuna appartenenza a uno Stato. Fu soltanto durante la Rivoluzione francese e con l’Impero napoleonico che si affermò il concetto di nazione come territorio di appartenenza di una comunità libera, unita PAROLE IN EREDITÀ

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da valori culturali e politici. Il patriottismo ottocentesco ne ha poi diffuso e rafforzato il valore. Tra la ine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, l’idea di nazione si trasformò in ideologia nazionalista e assunse sempre più tratti antidemocratici e militaristi. Così l’identità nazionale venne utilizzata dalle potenze europee per affermare la superiorità su altri Paesi, facendo leva su false teorie della razza che ritenevano i bianchi superiori agli altri uomini. Oggi, in Europa, il processo di uniicazione comunitaria sta provando a offrire un modello di convivenza tra gli Stati fondato su un principio di democrazia internazionale che porta a trasformare il sentimento d’amore per la propria patria in sentimento d’amore per l’umanità intera avendo come scopo l’affermazione della pace e la difesa dei diritti umani.

RESTAURAZIONE Come abbiamo visto la Restaurazione è un preciso periodo storico europeo caratterizzato da un orientamento rivolto al passato, appunto dal tentativo di «restaurare», cioè di ripristinare l’Antico regime. Ancora oggi si usa questa espressione per indicare in senso negativo una politica che intende riportare in vita concetti, idee, valori o comportamenti del passato, ormai cancellati dal progresso. CONCERTAZIONE Deriva dal termine concerto (accordo, intesa) e significa stabilire qualcosa in accordo con altri. Il termine, nel passato, indicava il modo di soluzione dei conflitti internazionali adottato a partire dal Congresso di Vienna. Il vocabolo con il tempo ha perso la valenza internazionale, soprattutto con l’istituzione di Organi sovranazionali come l’ONU. Continua però a essere utilizzato nel linguaggio giornalistico a livello nazionale per quanto riguarda le relazioni tra i sindacati, i datori di lavoro e il governo. Infatti, in occasione del rinnovo dei contratti collettivi o di particolari questioni sindacali, viene definita «concertazione» la ricerca dell’accordo tra le parti. ROMANTICO È un aggettivo che significa «appartenente al Romanticismo», e indica chi si ispirava o seguiva il movimento del Romanticismo, caratterizzato dall’esaltazione del sentimento, della spontaneità, delle forze istintive della vita in contrapposizione a ciò che risultava astratto, razionale e schematico. Se nella letteratura e nella storia questa accezione «tecnica» permane, nel linguaggio comune l’aggettivo indica qualcuno che è incline al sentimentalismo e alla malinconia, o più genericamente qualcuno o qualcosa (libro, film) «sentimentale».

Charles van Beveren, Il duetto, 1850. Amsterdam, Rijksmuseum.

COMPETENZE: USARE LE FONTI

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La lingua (e la stirpe) fondano la nazione DOCUMENTO

A partire dal 13 dicembre 1807, il ilosofo tedesco Johann Gottlieb Fichte (1762-1814) tenne all’Accademia delle Scienze di Berlino i quattordici Discorsi alla nazione tedesca. Per la Prussia, umiliata dalla Francia di Napoleone, era un momento particolarmente drammatico. Fichte pronuncia un vero e proprio appello per la sopravvivenza della nazione tedesca. Addirittura ne argomenta la superiorità partendo dall’idea che la lingua è l’elemento cruciale e fondamento della nazione insieme alla continuità della stirpe germanica.

I Tedeschi sono un ramo dei Germani; di questi ultimi basterà dire che essi furono coloro che seppero accoppiare l’ordine sociale, fondato nella vecchia Europa, colla vera religione, conservatasi nella vecchia Asia, e così sviluppare un’era nuova contrastante colla tramontata antichità. […] La prima differenza tra il destino dei Tedeschi e quello degli altri popoli di origine germanica è questa: che i Tedeschi rimasero nelle sedi primitive del popolo originario, gli altri migrarono verso nuove contrade; i Tedeschi conservarono la loro lingua e la svilupparono, gli altri adottarono una lingua straniera che a poco a poco trasformarono a modo loro. Da questa differenza iniziale si svolsero le differenze ulteriori (sarebbe assurdo volerle spiegare in ordine inverso) e, per esempio, che nella sede primitiva, secondo l’antica usanza germanica, si mantenesse la confederazione statale sottopo-

sta a una sovranità con potere limitato; mentre nelle sedi straniere, secondo l’anteriore usanza romana, si trapassasse più facilmente alla forma monarchica. […] La voce di tutti i vostri antenati si unisce a questi discorsi e vi scongiura. Pensate che nella mia voce si uniscono le voci dei vostri avi, di quei vostri avi che si opposero coi loro corpi alla invadente dominazione romana, che conquistarono col loro sangue l’indipendenza dei monti, dei piani e dei fiumi, che ora, sotto di voi, sono diventati preda dello straniero. Essi vi gridano: «Siate degni di noi, tramandate ai posteri la nostra memoria, così pura e veneranda come venne a voi, quella memoria per cui voi siete gloriosi di derivare da noi. Finora la nostra opposizione era considerata come cosa nobile, grande e saggia; noi sembravamo gli iniziati e gli eletti della divina provvidenza. Se la nostra stirpe perisce con voi, il nostro onore diventa vergogna e la nostra saggezza, pazzia. Giacché, se la nostra stirpe doveva esser distrutta dalla romanità, meglio sarebbe stato esser distrutti dall’antica che dalla nuova1». J.G. Fichte, Discorsi alla nazione tedesca (1807-1808) 1. Si riferisce alla conquista da parte dell’Impero romano e alla conquista da parte della Francia, considerata erede della romanità per la sua lingua derivata dal latino.

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

ƒ Quale differenza c’è per Fichte tra i Tedeschi e gli altri popoli? ƒ Secondo Fichte la tradizione germanica è più o meno liberale della tradizione romana? ƒ Nella seconda parte del discorso quale appello rivolge Fichte al popolo tedesco? ƒ Su che cosa si fonda per Fichte l’idea di nazione? ƒ Su che cosa fa leva il filosofo tedesco per sostenere l’impegno dei Tedeschi contro l’invasore francese?

ƒ Le idee espresse nei Discorsi alla nazione tedesca sono collocabili nel pensiero del Romanticismo europeo? Perché? ƒ Su che cosa si fonda l’idea di nazione per i romantici? ƒ Come vengono reinterpretati i valori di uguaglianza, fraternità e libertà nell’Ottocento?

RIELABORARE, DISCUTERE, REINTERPRETARE ƒ Per Fichte la lingua germanica è l’unica a essersi mantenuta pura nonostante le dominazioni straniere e pertanto indica la superiorità culturale del popolo tedesco. La purezza di una lingua è davvero, a tuo giudizio, indice di cultura? Nel mondo contemporaneo le diverse contaminazioni linguistiche hanno eliminato totalmente il concetto di purezza linguistica. Rifletti su questo tema e argomenta sulla funzione della lingua come espressione della cultura di un popolo.

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COMPETENZE: USARE LE FONTI

La lotta di classe DOCUMENTO

Pubblicato a Londra nel 1848 come documento programmatico della Lega dei comunisti (un piccolo gruppo politico di esiliati tedeschi), il Manifesto del Partito Comunista, scritto da Karl Marx e dal suo amico Friedrich Engels, rappresenta uno dei testi fondamentali del movimento operaio. Vi viene esposta la celebre interpretazione dello sviluppo storico come lotta di classe. Nella fase storica in cui gli autori scrivono è la borghesia la nuova classe dominante che si contrappone al proletariato oppresso. Questa contrapposizione avrà come sbocco, secondo Marx, l’azione rivoluzionaria del proletariato volta a eliminare la proprietà privata e, di conseguenza, la divisione in classi.

La storia di ogni società finora esistita è storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri di corporazioni e garzoni, insomma oppressori e oppressi, sono stati sempre in reciproco antagonismo, conducendo una lotta senza fine, a volte nascosta, a volte dichiarata, che portò in ogni caso o a una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o alla totale rovina delle classi in competizione. Nelle epoche più antiche della storia scorgiamo quasi ovunque una struttura della società tutta secondo differenti strati, una graduazione articolata delle posizioni sociali. Nell’antica Roma abbiamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi; nel Medioevo signori feudali, vassalli, membri di cor-

porazioni, garzoni, servi La prima edizione del Manifesto del della gleba, e inoltre in Partito Comunista, stampata a Londra quasi ciascuna di queste nel febbraio del 1848. classi ulteriori graduazioni particolari. La moderna società borghese, nata dalla rovina della società feudale, non ha fatto sparire gli antagonismi di classe. Essa ha solo creato, al posto delle vecchie, nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta. La nostra epoca tuttavia, l’epoca della borghesia, si distingue in quanto ha reso più semplici tali antagonismi. Tutta la società si va dividendo sempre più in due grandi campi nemici, in due grandi classi direttamente contrapposte tra loro: borghesia e proletariato. K. Marx - F. Engels, Manifesto del Partito Comunista, 1848

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

ƒ Qual è il motore della storia secondo Marx ed Engels? ƒ A che cosa ha portato nella Storia l’antagonismo fra le classi? Quali epoche rievocano Marx ed Engels per sostenere la loro tesi? ƒ Secondo Marx ed Engels, ogni epoca storica ha una sua struttura sociale, che la connota e la determina: quali erano le classi sociali in epoca romana? E in epoca feudale? ƒ Come è strutturata la società ottocentesca secondo Marx ed Engels? ƒ Perche la società si è semplificata? ƒ Quali sono le classi in conflitto?

ƒ Quali sono le fasi attraverso le quali è passata la civiltà umana nella Storia? ƒ Quale grande cambiamento epocale ha determinato nella società dei tempi di Marx due classi contrapposte? ƒ Che cosa determina il passaggio da uno stato all’altro della civiltà? In che modo? ƒ Qual è stato il ruolo della borghesia nell’età feudale secondo Marx? ƒ Qual è il compito del proletariato?

RIELABORARE, DISCUTERE, REINTERPRETARE ƒ Nonostante le previsioni di Marx, oggi nel mondo capitalista non sembrano esserci le condizioni per una rivoluzione violenta che abbatta la proprietà dei mezzi di produzione. In altre aree del mondo invece, ad esempio nel mondo arabo, si sono verificate rivoluzioni causate dalla condizione degli oppressi di quelle società: che tipo di oppressione vivevano gli insorti? È riscontrabile in questo caso lo schema ipotizzato da Marx?

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Restaurazione e opposizioni

Dibattito: condanna e rivalutazione del Congresso di Vienna La valutazione del Congresso di Vienna si presenta molto diversa a seconda del periodo storico: se i contemporanei ne diedero un giudizio negativo che durò per tutto il XIX secolo, nel Novecento venne rivalutato per l’equilibrio politico che il Congresso seppe creare in Europa. Già durante il suo svolgimento, il Congresso non godette di buona fama, soprattutto per l’impressione di scarsa serietà che diede la classe dirigente europea dopo le tragedie delle guerre napoleoniche. Signiicativi al riguardo sono il commento del segretario di Metternich, Friedrich von Gentz (1764-1832): «Il vero scopo del Congresso era la spartizione fra i vincitori delle spoglie strappate al vinto»; e il severo giudizio dello storico tedesco Georg Gervinus (1805-1871): «Si sarebbe potuto esigere che almeno le sregolatezze avessero apparenze più decenti […]. Qui mancò quella grave serietà nelle discussioni, che forma il vanto dei congressi anteriori e prevalse invece il genio della mistiicazione […]. I piaceri distraevano in cure secondarie i capi del Congresso, già avidi di distrazioni». Le potenze europee vennero inoltre accusate di avere risolto con cinismo e supericialità i problemi relativi alle libertà nazionali e costituzionali, che saranno destinati a esplodere nei moti e nelle rivoluzioni dell’Ottocento. Opinioni negative, con motivazioni ottocentesche, si riscontrano anche nella prima parte del Novecento, soprattutto da parte dei pensatori liberali che ne criticarono gli aspetti reazionari e conservatori, come nel caso del ilosofo Benedetto Croce (1866-1952). Un radicale mutamento di atteggiamento si manifestò a partire dalla seconda guerra mondiale e soprattutto con il secondo dopoguerra, quando si ripresentarono i problemi della pace e dell’equilibrio. Di fronte alla catastrofe delle guerre del Novecento, il travaglio dell’Ottocento risultò diminuito di intensità e furono rivalutate le soluzioni adottate al Congresso. Signiicativo è il giudizio dello storico austriaco Karl Polanyi (1886-1964) che ha utilizzato l’espressione «pace dei cento anni» per deinire il periodo storico tra il 1815 e il 1914, segnato dall’equilibrio creato dal Congresso di Vienna. Molto positivo è anche il bilancio sia dello storico inglese Eric J. Hobsbawm (1917-2012), risalente al 1961, sia quello di Henry Kissinger (1923), il consigliere e segretario di Stato americano: entrambi sottolineano il realismo e la sensibilità dimostrati dalle potenze europee

STORIOGRAFIA

nonché la capacità di ottenere la pace e un lungo periodo di stabilità politica. Ne emerge un’analisi esclusivamente diplomatica del Congresso che ribalta del tutto il giudizio «moralmente romantico» dell’Ottocento.

Benedetto Croce

L’assolutismo senza genio Benedetto Croce (1866-1952) rappresenta una delle maggiori personalità culturali italiane del Novecento. Divenne senatore nel 1910 e tra il 1920 e 1921 fu ministro della Pubblica istruzione. Direttore della rivista «La critica», riprese, insieme al filosofo Giovanni Gentile (18751944), l’idealismo tedesco, in particolare di Hegel, che applicò soprattutto alla teoria della Storia, interpretata come progressiva realizzazione dell’idea di libertà. Negli anni del fascismo, Croce si distinse proprio per la difesa degli ideali di libertà contro il regime e, per questo motivo, ruppe la sua collaborazione con Gentile che invece aderì al regime fascista. Tra le opere di maggiore importanza dal punto di vista storico, si possono segnalare: Storia d’Italia dal 1871 al 1915 (1928); Storia d’Europa nel secolo XIX (1932); La Storia come pensiero e come azione (1938); Filosofia e storiografia (1949); Storiografia e idealità morale (1950).

Il quindicennio, che dalla caduta di Napoleone mette capo alla rivoluzione del luglio 18301, forma, nel comune giudizio, un periodo storico, con un proprio tema dominante che svolge portandolo a relativa conclusione. Questo tema è fatto consistere nell’opera ricostruttrice delle restaurazioni e nella correlativa azione della Santa Alleanza, che contrastò e ricacciò indietro e si sforzò di disperdere il moto liberale; ma, guardando nel fondo del processo, che allora ebbe corso, e al suo momento positivo e all’avvenimento nel quale si attuò, si dirà con maggiore esattezza che, in quel quindicennio, l’ideale liberale resistette contro l’assolutistico, lo combatté senza tregua, e alfine ebbe sovr’esso una vittoria definitiva perché sostanziale2. 1. La rivoluzione del luglio 1830 depose dal trono il Borbone Carlo X, dando inizio alla monarchia costituzionale di Luigi Filippo d’Orléans. 2. La concezione crociana della Storia riprende l’idealismo di Hegel, che interpreta lo sviluppo storico come il realizzarsi della ragione. Croce sostiene che l’ideale liberale è più sostanziale di quello assolutistico, in quanto realizza l’idea di razionalità nella Storia, che non può tornare indietro all’età precedente la Rivoluzione francese.

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COMPETENZE: USARE LE FONTI

Acquaforte del 1820 che mostra la famiglia reale francese insieme agli altri regnanti europei. Londra, National Portrait Gallery.

L’assolutismo, a cui fallava genio costruttore originale3, non possedeva nemmeno tale forza reazionaria ricostruttrice da sopraffare gli ordini liberali dove già esistevano, e toglier via i mutamenti effettuatisi nell’economia, nel costume, nella cultura che ne davano il bisogno dove non esistevano ancora, e riportare, insomma, la società europea a una statica di tempi lontani, che poi non era stata mai, neppur essa, una statica, quale pareva alle immaginazioni. Gli convenne, dunque, accettare tutte o quasi tutte le riforme economiche e giuridiche introdotte in quei popoli sui quali si era già distesa, direttamente o indirettamente, la potenza della Francia conquistatrice e di Napoleone […]. Sicché l’assolutismo prese forma non propriamente reazionaria ma conservatrice, e reazionaria solo ai fini di questa conservazione. Costretto a transigere contro il suo ideale, non solo aveva dovuto lasciar sussistere antichi regimi politici opposti al suo ed esempi sempre pericolosi, ma consentire che se ne formassero altri, che addirittura sarebbero stati stimoli e incoraggiamenti ai novatori e ai ribelli. B. Croce, Storia d’Europa nel secolo XIX, Laterza

mea1, un avvenimento più o meno coloniale, Inghilterra, Francia, Prussia, Austria, Italia e Russia furono impegnate a farsi la guerra in tutto soltanto per 18 mesi. Un calcolo delle cifre paragonabili per i due secoli precedenti dà una media dai sessanta ai settanta anni di guerre importanti per ciascun secolo. Al contrario, anche la più violenta delle conflagrazioni del diciannovesimo secolo, la guerra franco-prussiana del 1870-712, terminò dopo meno di un anno, lasciando la nazione sconfitta in grado di pagare una somma senza precedenti come indennità, senza alcun turbamento delle valute in questione. […] Il fattore completamente nuovo [del XIX secolo] ci sembra essere stato l’emergere di un acuto interesse per la pace. Tradizionalmente un interesse del genere era considerato al di fuori della portata del sistema statuale; la pace con i suoi corollari nei mestieri e nelle arti era collocata tra gli ornamenti della vita. La Chiesa avrebbe potuto pregare per la pace così come per un ricco raccolto, tuttavia nel campo dell’azione statuale essa avrebbe nondimeno sostenuto l’intervento armato. I governi subordinavano la pace alla sicurezza e alla sovranità cioè a fini che non potevano essere raggiunti se non attraverso il ricorso ai mezzi ultimi. Poche cose venivano considerate più nocive per una comunità dell’esistenza nel suo seno di un interesse per la pace. Ancora nella seconda metà del diciottesimo secolo J.-J. Rousseau biasimava i commercianti per la loro mancanza di patriottismo poiché erano sospettati di preferire la pace alla libertà. Dopo il 1815 il cambiamento è improvviso e completo. K. Polanyi, La grande trasformazione, Einaudi 1. La guerra di Crimea scoppiò nel 1853 per i contrasti sorti tra la Turchia e la Russia, che voleva espandersi verso il Mar Nero a danno dei possedimenti turchi. Francia e Inghilterra, seguite poi dal Regno di Sardegna, intervennero a difesa dei Turchi, costringendo i Russi alla resa nel 1855.

3. L’assolutismo è privo di originalità proprio perché vuole bloccare la Storia. Questo tentativo è tuttavia destinato a fallire, in quanto la Storia non può che tendere alla realizzazione dell’idea di libertà che, come si è visto sopra, è più razionale rispetto alla conservazione.

2. La guerra fu dichiarata dalla Francia di Napoleone III contro la Prussia, che sconfisse duramente l’esercito francese e riuscì nel tentativo di unificare la Germania, proclamando Guglielmo I imperatore tedesco.

Karl Polanyi

Eric J. Hobsbawm ed Henry Kissinger

La pace dei cento anni

La diplomazia per evitare le guerre

Karl Polanyi (1886-1964), sociologo e antropologo sensibile alle teorie marxiste, lasciò l’Austria nel 1933, trasferendosi prima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti, dove insegnò alla Columbia University. Si è occupato soprattutto dell’analisi delle strutture sociali in base ai rapporti di mercato. Le sue opere principali tradotte in italiano sono: La grande trasformazione (1944); Traffici e mercati negli antichi imperi (1957); Il Dahomey e la tratta degli schiavi (1966); La sussistenza dell’uomo: il ruolo dell’economia nelle società antiche (1977).

Henry Kissinger (1923) è uno statista americano di origine tedesca e ha ricoperto l’incarico di segretario di Stato sotto la presidenza Nixon dal 1973 al 1977. Di famiglia ebraica, emigrò negli Stati Uniti nel 1938 in seguito alle leggi antisemite del nazismo. Si laureò ad Harvard nel 1950 e vi ritornò come docente di Politica internazionale. Ebbe numerosi incarichi governativi in organismi per la sicurezza nazionale e per le relazioni internazionali, ma soprattutto svolse un ruolo chiave nella politica estera degli Stati Uniti negli anni Settanta. Nel 1973 ricevette il premio Nobel per la pace. Attualmente presiede una fondazione di consulenza internazionale. Molti sono i suoi scritti sulla politica americana e internazionale, in parte raccolti nell’opera Memorie (1990), sugli armamenti

Il diciannovesimo secolo ha prodotto un fenomeno inedito negli annali della civiltà occidentale, e cioè una pace di cento anni, dal 1815 al 1914. A parte la guerra di Cri-

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Restaurazione e opposizioni nucleari, sulle relazioni con l’Unione Sovietica e sulla storia diplomatica (Un mondo restaurato. Metternich, Castlereagh e il problema della pace, 1999).

non corrispose alle speranze di una generazione di idealisti, ma diede loro qualcosa di più prezioso: un periodo di stabilità che diede alle loro speranze la possibilità di realizzarsi senza un’altra guerra e senza una rivoluzione permanente.

Eric Hobsbawm (1917-2012), storico inglese formatosi alla scuola marxista di M. Dobb, si è interessato sia di storia economica sia dei movimenti spontanei di opposizione. Membro della British Academy e della American Academy of Arts and Sciences, ha insegnato a Cambridge, a Londra e a New York. Tra le sue opere: I ribelli. Forme primitive di rivolta sociale (1959); Le rivoluzioni borghesi. 1789-1848 (1962); L’età degli imperi. 1875-1914 (1986); Il secolo breve. 1914-1991 (1994).

H. Kissinger, L’arte della diplomazia, Sperling & Kupfer

La nostra generazione, che in maniera tanto spettacolare si è rivelata incapace di assolvere il compito fondamentale della diplomazia internazionale, cioè quello di evitare le guerre mondiali, è perciò portata a considerare gli statisti e i metodi del 1815-1848 con un rispetto che non sempre sentirono le generazioni immediatamente successive. […] L’ammirazione è in un certo senso giustificata. La sistemazione dell’Europa dopo le guerre napoleoniche non fu né più giusta né più morale di qualunque altra, ma dati gli scopi del tutto antiliberali e antinazionali (cioè antirivoluzionari) di coloro che l’attuarono, fu certo una sistemazione realistica e sensibile. E.J. Hobsbawm, Le rivoluzioni borghesi (1789-1848), Laterza

In simili circostanze stupisce non quanto fosse imperfetto l’accordo raggiunto, ma quanto fosse ragionevole; non quanto fosse «reazionario» secondo le ipocrite teorie della storiografia del secolo XIX, ma quanto equilibrato. Magari

Canaletto (Bernardo Bellotto), Il castello di Schönbrunn, 1761. Vienna, Kunsthistorisches Museum. In questo palazzo, nei pressi della capitale dell’Impero asburgico, si svolse il Congresso di Vienna, dall’1 novembre 1814 al 9 giugno 1815.

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

ƒ Quale fu il tema dominante nel periodo storico tra il 1815 e il 1830 secondo Croce? ƒ Quale fu il destino dell’ideale liberale, nonostante i tentativi di contrastarlo? ƒ Perché secondo Croce l’assolutismo era destinato a fallire? ƒ Perché Karl Polanyi usa l’espressione «pace di cento anni»? ƒ Quale fu il fattore nuovo sorto all’inizio del XIX secolo? Perché fu un interesse anomalo? ƒ Qual è la valutazione che propongono Hobsbawm e Kissinger del Congresso di Vienna?

ƒ Che cosa volevano le grandi potenze dopo la sconfitta di Napoleone? ƒ Per quali motivi venne convocato il Congresso di Vienna? ƒ Quali criteri guidarono le scelte dei ministri per il riordino dell’Europa? ƒ Quale principio doveva guidare la politica estera delle grandi potenze? Con quali conseguenze?

RIELABORARE, DISCUTERE, REINTERPRETARE ƒ Il raggiungimento della pace è il grande obiettivo della diplomazia, che talvolta però incontra un ostacolo nelle esigenze nazionali o nel nazionalismo aggressivo o in altre situazioni difficili: quale delle tesi proposte riguardo alla valutazione del Congresso di Vienna ti sembra più adeguata? Ritieni che oggi gli organismi diplomatici siano in grado di garantire al mondo la pace o di controllare le eventuali guerre?

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COMPETENZE: USARE LE FONTI

Le etnie sono un’invenzione STORIOGRAFIA

Nel corso del Novecento, la nozione di razza, che si basava su considerazioni biologiche rivelatesi inesatte, è stata sostituita da altre nozioni meno rigide, quali quelle di identità nazionale e di etnia, che vengono invece deinite su basi culturali e storiche. Il problema è insomma diventato di pertinenza della disciplina storica dell’etnogenesi, e non più della biologia. Proprio uno storico, Alessandro Barbero, mette in luce le origini culturali della nozione di popolo, che spesso si è basata su miti inventati per dare un’identità il più possibile unitaria a comunità che al loro interno presentavano numerose diversità. Barbero sottolinea inoltre come queste operazioni culturali vengano condotte anche al giorno d’oggi quando, soprattutto per ini politici, vengono inventati nuovi miti etnici, come quello dei padani.

Alessandro Barbero Alessandro Barbero (1959) insegna Storia medievale presso l’Università del Piemonte Orientale a Vercelli. Collabora con il supplemento culturale «Tuttolibri» del quotidiano «La Stampa» e con la rivista «Medioevo». Ha pubblicato Dizionario del Medioevo (con Chiara Frugoni, 1994); Medioevo. Storia di voci, racconto di immagini (1999), Carlo Magno. Un padre dell’Europa (2000); Il ducato di Savoia. Amministrazione e corte di uno Stato franco-italiano (2002); La guerra in Europa dal Rinascimento a Napoleone (2003); La cavalleria medievale (2003) .

Uno dei più vistosi cambiamenti di rotta del pensiero novecentesco, nel campo delle scienze umane, è stato l’abbandono della nozione di razza in favore d’una gamma molto più sfumata di concetti, come quelli di identità nazionale o comunità etnica. […] Oggi, classificare le razze umane è una pratica così fuori moda che si fa fatica a ricordare quanto fosse invece consueta, non solo in Germania, tra le due guerre mondiali. Nessuno crede più che i popoli siano realtà biologiche, e d’altronde anche le ricerche più avanzate sulla genetica […] hanno dimostrato che all’interno d’ogni popolo odierno convivono tranquillamente eredità genetiche di origine disparata: non Charles Gleyre, I Romani che passano sotto il giogo, 1858. Losanna, Museo cantonale delle Belle Arti. Il dipinto descrive una sconfitta romana contro i Germani nel II secolo a.C.

sono i laboratori dei biologi che ci diranno che cos’è un popolo o nazione. Per strano che possa sembrare, saranno forse gli storici a dircelo. Negli ultimi anni, uno dei campi di ricerca più eccitanti in cui si sono impegnati gli storici, soprattutto di lingua tedesca, è proprio quello dell’etnogenesi: il tentativo, cioè, di scoprire come nasce e come muore un popolo, e dunque che cosa tiene insieme, per qualche secolo, alcune migliaia o alcuni milioni di persone persuadendole a costituire una nazione. […] I Goti, i Longobardi, i Franchi, gli Unni, gli Àvari oggi indiscutibilmente non sono più fra noi. E dove sono andati a finire, giacché non sono certo morti tutti all’improvviso come i dinosauri? Ma quel che è ancora più sconcertante è che questi popoli non sono soltanto spariti dalla scena: erano anche apparsi dal nulla. Tacito, che descrisse minuziosamente la Germania del I secolo dopo Cristo, non li aveva mai sentiti nominare. È a partire da queste constatazioni imbarazzanti, da queste domande magari banali ma impossibili da eludere, che gli storici hanno cominciato a scoprire come nascono e muoiono i popoli. […] Nell’Alto Medioevo […] un popolo era, di solito, un aggregato di gente di origine disparata, che a volte non parla-

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Restaurazione e opposizioni va nemmeno la stessa lingua: i nobili àvari parlavano fra loro in una lingua turco-mongola, ma in lingua slava con i contadini; e al tempo di Carlo Magno c’erano Franchi che parlavano in lingua «romana» e altri che parlavano in lingua «tedesca», senza smettere per questo di considerarsi tutti Franchi. Anche l’esistenza d’una cultura materiale propria e inconfondibile per ciascun popolo s’è rivelata un mito: i modelli circolavano, erano imitati, si mescolavano, sicché nessun archeologo, trovando una spada o una ceramica, osa più attribuirla con certezza a un popolo piuttosto che a un altro. A definire una nazione erano, invece, delle esperienze condivise: una guerra vittoriosa al seguito di un capo carismatico, lo stanziamento in uno stesso territorio, la conversione a una stessa religione. Esperienze abbastanza importanti da forgiare un senso di identità e di appartenenza, e magari giustificare la nascita di un mito d’origine, che non risultava meno efficace per il fatto d’essere inventato di sana pianta. […] Anche per quanto riguarda il mondo antico i compartimenti stagni di una volta non tengono più: i Celti, i Germani descritti da Cesare, per esempio, non erano forse popoli diversi, ma diverse fasi evolutive di una medesima civiltà; anzi, c’è chi sostiene che i Germani, alla fin fine, li abbiano inventati i Romani. Sono stati loro a percepirli come una collettività, […] a trasformare quel magma di tribù in etnie con una propria identità. A partire dall’Ottocento, i progressi della linguistica e le preoccupazioni nazionalistiche hanno fatto il resto, creando il mito di una comunità originaria di popoli germanici; in cui sono stati inclusi per buona misura anche i Goti, in base a considerazioni puramente linguistiche, benché per certi aspetti assomigliassero molto di più ai popoli delle steppe asiatiche. […] Si tratta di processi che avvengono nell’arco di molte generazioni, senza che nessuno di coloro che li vivono possa averne piena coscienza; la percezione

immediata spinge invece l’uomo a credere che i popoli siano realtà date e immutabili, capaci di sopravvivere a qualunque trasformazione. Così i Romani potevano convincersi d’essere i discendenti in linea diretta dei Troiani, un po’ come oggi sulle Alpi o nella Pianura padana si incontra gente che crede di discendere dai Celti. […] Queste ricerche sulla storia antica e medievale si rivelano di sorprendente attualità: esse ci costringono a ricordare che l’appartenenza etnica non è un fattore biologico ma culturale; non è data dalla natura, ma costruita storicamente. Come dire che bisogna diffidare delle pretese di continuità millenaria, che nascondono con una mano di vernice l’incredibile mescolanza di geni e di lingue da cui sono usciti i popoli d’oggi, e servono quasi sempre a coprire finalità politiche discutibili. Ma c’è anche un altro motivo, non meno inquietante, per cui la riflessione sull’origine dei popoli risulta attuale. Essa ci insegna infatti che i popoli non sono eterni, come nascono così muoiono, e basta pochissimo perché comincino a morire: basta, talvolta, che la gente smetta di crederci. Quel che è successo agli Unni dopo la morte di Attila […] non è molto diverso da quel che è successo agli Jugoslavi, inventati e poi di nuovo spariti nell’arco di un secolo; o che per poco non è successo ai Tedeschi, dopo la catastrofe del nazismo e la spartizione della Germania. «La nazione è quell’aggregato umano che crede di essere una nazione», scriveva cinquant’anni fa Ernesto Sestan; e lui doveva saperlo, giacché era uno storico italiano, ma aveva combattuto la prima guerra mondiale nell’esercito austro-ungarico, e poi, volendo, avrebbe potuto benissimo ritrovarsi jugoslavo. E se oggi qualcuno cominciasse a sostenere che, con quel cognome, non poteva certo essere italiano, ma padano? A. Barbero, in «La Stampa», 3 novembre 2000

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

ƒ Di che cosa si occupa l’etnogenesi? ƒ Quali esempi di popoli scomparsi porta l’autore dell’articolo? ƒ Che cosa determina l’identità nazionale secondo Barbero?

ƒ Quale origine ha l’idea di nazione? ƒ Che influenza ebbe il Romanticismo nel rafforzare il sentimento nazionale? ƒ In che cosa consiste la novità dell’Ottocento di sovrapporre la nazione allo Stato?

ƒ Prima e Dopo ƒ Video - Il ritorno dei Borboni ƒ Immagine commentata - La moda romantica ƒ Immagine commentata - La fabbrica di New Lanark

RIELABORARE, DISCUTERE, REINTERPRETARE ƒ Che cosa pensi delle conclusioni a cui sono giunti gli studiosi di etnogenesi? Pensi che il luogo di nascita abbia un peso rilevante per sentirsi appartenente a una nazione piuttosto che a un’altra? Che cosa a tuo giudizio serve a costruire il senso di appartenenza?

ƒ Immagine commentata - L’insurrezione degli Spagnoli contro Napoleone ƒ Online DOC - Louis de Bonald: la sovranità popolare ƒ Online STO - Che cos’è la democrazia ƒ Audiosintesi Unità 7

IN DIGITALE

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MISURARE LE COMPETENZE

GLI EVENTI

IL TEMPO

Completa la frase.

Unisci opportunamente avvenimento e data, indicando il numero corrispondente della data nella colonna a destra di ogni avvenimento.

1. L’età della Restaurazione indica il periodo che va dal 1815 al 1830 indica il periodo che va dal 1804 al 1815 indica il periodo che va dal 1815 al 1914 2. Secondo il principio di legittimità sono legittime le dinastie costituite nell’epoca napoleonica sono legittime le dinastie che, volute da Dio, hanno regnato da lungo su uno Stato è legittimo, per un popolo, abbattere un regime tirannico 3. Secondo i teorici della Restaurazione la Rivoluzione francese aveva soltanto causato disordine e violenza la Rivoluzione francese era stata voluta dal popolo la Rivoluzione francese aveva apportato valori positivi, che però non erano sufficienti 4. I liberali erano sostenitori dell’uguaglianza giuridica dell’uguaglianza politica dell’uguaglianza sociale 5. I democratici erano sostenitori dell’uguaglianza giuridica dell’uguaglianza politica dell’uguaglianza sociale 6. I socialisti erano sostenitori dell’uguaglianza giuridica dell’uguaglianza politica dell’uguaglianza sociale

LE PAROLE Definisci le seguenti espressioni: a. grandi potenze b. bonapartismo c. patria d. reazionario e. socialismo f. comunismo

Avvenimento a Sottoscrizione della Quintuplice Alleanza b Marx ed Engels pubblicano il Manifesto del Partito Comunista c

Proudhon pubblica Che cos’è la proprietà?

d Marx pubblica il primo libro del Capitale e Sottoscrizione della Santa Alleanza f

Apertura del Congresso di Vienna

g Burke pubblica le Riflessioni sulla Rivoluzione francese

Data 1

1790

2 1814 3 1815 4 1818 5 1840 6 1848 7 1867

VERSO L’ESAME DI STATO a. Rispondi alle seguenti domande. ƒQuali scopi si poneva il Congresso di Vienna? ƒPerché il Romanticismo è considerato un movimento sia conservatore sia progressista? ƒChe rapporto c’è fra l’idea di nazione e lo Stato? ƒQual era il modello di Stato proposto dai liberali? ƒChe cosa significa «socialismo scientifico»? b. Il saggio breve: interpreta e confronta i seguenti testi. ƒp. 267 – La lingua (e la stirpe) fondano la nazione ƒp. 268 – La lotta di classe Successivamente, utilizzando anche le tue conoscenze, sviluppa l’argomento proposto nella forma del saggio breve, attribuendo alla composizione un titolo appropriato. Argomento. La nazione e la classe: due forme di concepire il popolo nella prima metà dell’Ottocento

UNITÀ 8

275

I moti degli anni Venti e Trenta PRIMA: La repressione degli ideali liberali Per realizzare il proprio obiettivo la Restaurazione non si limitò a ristabilire le monarchie spodestate e a riaffermare le gerarchie sociali, i modi di governare e di pensare precedenti il 1789; ma cercò di recuperare l’origine divina della sovranità e di eliminare i princìpi liberali che si erano diffusi. Fu per tenere sotto controllo la situazione politica e la circolazione delle idee che molte monarchie ricorsero alla censura e a un regime poliziesco.

CAUSE

EVENTI

CONSEGUENZE

X

1820: Scoppia un’insurrezione delle truppe a Cadice

X

Ondata di moti in diversi Paesi d’Europa

Carlo Alberto inizialmente appoggia i liberali piemontesi

X

Marzo 1821: Moto liberale a Torino e Alessandria

X

I rivoltosi sono sconfitti a Novara con l’aiuto degli Austriaci

Un moto indipendentista in Grecia viene appoggiato da Gran Bretagna e Russia

X

1829: Pace di Adrianopoli

X

Indipendenza della Grecia dall’Impero turco

Carlo X di Francia tenta un colpo di Stato antiparlamentare

X

Luglio 1830: Protesta del popolo di Parigi e rivolta contro Carlo X

X

Nasce una monarchia costituzionale con Luigi Filippo d’Orléans

Tensioni fra Belgi e Olandesi all’interno del Regno d’Olanda

X

1830: Rivolta anti olandese a Bruxelles

X

Indipendenza del Belgio dall’Olanda

Tensioni tra Spagna e colonie e nella società latino-americana

X

1809-1828: Numerosi Stati latinoamericani ottengono l’indipendenza

X

Un continente diviso, politicamente instabile e dipendente economicamente da altre nazioni

Politica duramente reazionaria di Ferdinando VII di Spagna

DOPO: L’affermazione degli ideali rivoluzionari dei patrioti romantici e dei «popoli» Il rifiuto della Restaurazione si manifestò negli anni Venti e Trenta con due ondate di moti insurrezionali che coinvolsero molti Paesi europei e l’America Latina. Nel Sud America le rivolte posero fine al dominio di Spagna e Portogallo e crearono nuovi Stati indipendenti. In Europa invece i moti ebbero per lo più un esito fallimentare, anche per l’efficacia della repressione voluta dalle grandi potenze; ma le insurrezioni misero in chiaro che la Restaurazione non era realizzabile.

LESSICO

1. Le società segrete UN’OPPOSIZIONE NASCOSTA Nell’età della Restaurazione, il dissenso politico era vietato o sottoposto a gravi limitazioni in quasi tutta Europa. Per questa ragione, il principale strumento di lotta politica fu costituito dalle società segrete, la cui forma organizzativa venne perlopiù ereditata dalla Massoneria difusasi in tutta Europa al seguito dell’esercito napoleonico. Sul modello della Massoneria era organizzata la Carboneria, presente in Italia e in Spagna, la più nota e importante tra le società segrete operanti in questo periodo. Come i massoni, che traevano i loro simboli dai muratori, i carbonari si rifacevano ai carbonai. Avevano come obiettivo la costituzione liberale. Altre società segrete – ad esempio i Comuneros (in Spagna) o gli Adelfi e i Filadelfi (in Francia e in Italia del Nord) – puntavano invece a ottenere una costituzione democratica. Non mancavano comunque i contatti tra le società segrete, sicché era diicile individuare dei conini netti tra una società e l’altra; nel contempo, la struttura rigidamente gerarchica e clandestina di queste società faceva sì che talvolta gli aderenti fossero a conoscenza solo di una parte del programma a seconda del grado raggiunto nell’organizzazione. Era questo ad esempio il caso dei Sublimi Maestri Perfetti, setta fondata da Filippo Buonarroti: la sua struttura era articolata in tre gradi corrispondenti a tre diversi obiettivi: primo grado costituzione, secondo grado repubblica, terzo grado rivoluzione sociale.

Le società segrete in Europa REGNO UNITO

REGNO REGNO DI DANIMARCA DI SVEZIA REGNO DEI PAESI BASSI

Vienna

REGNO SVIZZERA DI FRANCIA

3

Milano Torino Parma

2

Madrid

REGNO DI SPAGNA

IMPERO RUSSO

POLONIA

CONFEDERAZIONE GERMANICA

Parigi

6

Mosca

Berlino

Ren o

OCEAN O AT LAN TIC O

Londra

R PO EGN RTO O D GA I LLO

SOCIETÀ SEGRETE Le società segrete sono libere associazioni di individui che perseguono uno scopo comune (il termine società deriva dal latino socius, compagno), ma che fanno della clandestinità la condizione necessaria e permanente per il raggiungimento del loro fine. Non sono dunque considerate società segrete quelle associazioni per le quali la clandestinità è un’esigenza temporanea, come avverrà per i partiti politici sotto i regimi totalitari. In genere l’aspetto della segretezza riguarda i componenti dell’associazione, la struttura organizzativa, le sedi e gli obiettivi.

276

TUTOR

UNITÀ 8

REGNO DI SARDEGNA Mar Mediterran eo

Dan ub

Venezia

1 Modena Firenze 5

io

Mar Nero

IMPERO OTTOMANO

Roma Napoli

Istanbul

REGNO DELLE DUE SICILIE

Limite della Confederazione Germanica

4

Regno di Prussia Impero d’Austria

1. Carboneria. Presente in Italia, era animata da ideali laici e liberali. Il nome derivava dalla corporazione di mestiere dei carbonai, di cui utilizzava i simboli. 2. Filadelfi e Adelfi. Il nome era derivato dalla parola greca adelphós, fratello: gli affiliati operavano in Francia e nell’Italia del Nord, animati da ideali democratici. 3. Comuneros. Erano presenti in Spagna e puntavano a ottenere una costituzione democratica. Il loro nome derivava dalle città spagnole che nel Cinquecento si ribellarono a Carlo V.

4. Eterìa. Era presente in Grecia e lottava per l’indipendenza del Paese dal dominio ottomano; gli affiliati erano inoltre legati dalla comunanza del culto (cristiano ortodosso) e della lingua. Il nome derivava dalle associazioni dell’antica Grecia formate da etáiroi,«amici». 5. Calderari e Concistoriali. I primi nel Regno di Napoli e i secondi nello Stato Pontificio, erano organizzati dagli stessi governi contro le società segrete liberali e repubblicane. 6. Cavalieri della fede. Era una società segreta reazionaria presente in Francia.

L’UTOPIA DI BUONARROTI Nato a Pisa nel 1761, Filippo Buonarroti aveva partecipato attivamente alla Rivoluzione francese ricavandone insegnamenti di carattere universale. Nel 1791 scriveva: «Mi vergognerei di dare il nome di Patria fuorché a un Paese libero». Discepolo di Babeuf, partecipò nel 1796 alla Congiura degli Eguali. Secondo Buonarroti, non era suiciente battersi perché il sovrano concedesse una costituzione o ainché venisse instaurata la repubblica. La libertà non poteva limitarsi all’ambito politico: occorreva una rivoluzione sociale che mutasse radicalmente la società e instaurasse il comunismo teorizzato da Babeuf: un comunismo agrario, basato sulla conisca delle terre da parte dello Stato (che ne diventava il proprietario) e la loro assegnazione ai contadini. Per raggiungere questo risultato bisognava coordinare le attività delle diverse società segrete. La rivendicazione della costituzione liberale o della democrazia doveva divenire la premessa per una lotta ben più vasta, i cui obiettivi erano noti solo a chi raggiungeva il grado più elevato dell’organizzazione. Nonostante l’attivismo, Buonarroti non riuscì a ottenere risultati signiicativi: la sua visione sociale era troppo lontana dalla realtà, anche per il difondersi della rivoluzione industriale. E troppo diversi tra loro erano i contesti politici degli Stati europei perché un coordinamento internazionale potesse imporsi.

277

LESSICO

I moti degli anni Venti e Trenta

IL METODO DELLE INSURREZIONI Il metodo di lotta seguito dalle società segrete consisteva generalmente nell’organizzare delle insurrezioni che obbligassero il sovrano a concedere la costituzione. Accanto alle società segrete progressiste, però, operarono anche società segrete reazionarie, come i Cavalieri della fede in Francia o i Concistoriali in Italia. Tuttavia queste società ebbero un ruolo assai limitato, di sostegno alle posizioni più intransigenti dell’aristocrazia e del clero. Il merito delle società segrete progressiste fu quello di tenere vivi gli ideali della Rivoluzione francese in un contesto di dura repressione da parte dei sovrani europei. Il limite invece consistette proprio nella segretezza dei programmi e degli iscritti. Inoltre, queste società poggiavano su una base popolare ristretta: accanto ai militari, ne facevano parte molti intellettuali e studenti, mentre minore era il numero degli esponenti della borghesia commerciale e delle professioni; ancor meno erano i membri dell’aristocrazia, pochissimi inine erano gli artigiani e i popolani. Il mancato coinvolgimento delle masse popolari nelle società segrete progressiste porterà, nella stragrande maggioranza dei casi, al fallimento della loro azione.

INSURREZIONE È la ribellione di un gruppo consistente di individui contro il potere politico dominante o contro un potere straniero. Costituisce talvolta una premessa alla rivoluzione e si distingue per la breve durata nel tempo. Se non sfocia in una rivoluzione, coincide normalmente con manifestazioni di massa, come la sommossa o la sedizione. Nell’Età moderna le insurrezioni hanno coinvolto, in genere, la popolazione urbana. La Rivoluzione francese aveva tentato di legalizzare l’insurrezione: nell’art. 35 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino dell’Atto costituzionale del 1793 si afferma che, se il governo viola i diritti del popolo, l’insurrezione diventa «il più sacro dei diritti e il più indispensabile dei doveri».

COMPETENZE

USARE LE FONTI

L’origine della Carboneria Pag. 294 Ignaz Unterberger, La loggia massonica di Vienna, 1789. Vienna, Museo Karlsplatz.

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278

«IL CONCILIATORE»: L’OPPOSIZIONE INTELLETTUALE

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Quali erano le caratteristiche delle società segrete? ƒ Che ruolo svolsero durante gli anni della Restaurazione? ƒ Qual era il metodo di lotta usato dalle società segrete? ƒ Che tipo di opposizione rappresentava la rivista «Il Conciliatore»?

DOCUMENTO

Un caso particolare fu quello che si veriicò in Lombardia, dove l’amministrazione austriaca cercò di instaurare un rapporto di collaborazione con gli intellettuali. A questo scopo nel 1816 gli Austriaci promossero la creazione della rivista «Biblioteca italiana» e ne ofrirono la direzione a Ugo Foscolo. Questi però riiutò e anche altri intellettuali di rilievo negarono il loro contributo. Fallita l’iniziativa, la rivista si limitò a sostenere una visione tradizionalista. Per contro, i maggiori intellettuali milanesi, come Giovanni Berchet, Luigi Porro Lambertenghi e i piemontesi Silvio Pellico e Ludovico di Breme, guidati da Federico Confalonieri, diedero vita a una rivista alternativa: «Il Conciliatore». Pubblicata a Milano, a partire dal settembre 1818, la rivista si occupava di statistica, di economia, di argomenti scientiici, ma anche di letteratura e di istruzione: mirava a formare un’opinione pubblica moderata, borghese e liberale. «Il Conciliatore» fu chiuso nell’ottobre 1819 per le pressioni della polizia.

La polizia controlla «Il Conciliatore» Il conte Giulio Giuseppe Strassoldo, presidente dell’Imperial Regio Governo Lombardo-Veneto, scrive la seguente relazione al conte Sedlnitzky, per dare un giudizio sulla rivista «Il Conciliatore». L’intento è quello di minimizzare il ruolo della rivista che aveva suscitato la curiosità dell’opinione pubblica.

APPROFONDIMENTO

Vostra Eminenza avrà potuto dedurre che il locale stampatore e libraio Vincenzo Ferrario ha chiesto, tramite l’ufficio di censura, l’autorizzazione per la stampa e la divulgazione di

un settimanale statistico-letterario dal titolo «Il Conciliatore», ottenendola con l’impegno che gli scrittori che vi avessero collaborato si sarebbero attenuti per principio a un tono moderato. […] In seguito al pretenzioso annuncio del «Conciliatore», la curiosità del pubblico si tese al massimo, ma i primi annunci che vi apparvero tediarono, e i seguenti suscitarono risentimenti, con alcuni articoli, nelle gentildonne di Milano e poi negli uomini, e il foglio deluse e delude talmente l’attesa che ognuno ne prevede prossima la fine.

La Massoneria Secondo la leggenda, la Massoneria ebbe origine nel Medioevo, quando tra le altre corporazioni si affermò quella dei muratori e degli architetti. In quanto associazione di mestiere, in essa venivano trasmessi gli insegnamenti dell’arte insieme all’obbligo di assoluta segretezza e di aiuto reciproco. Col tempo, essendo diventata la piu prestigiosa delle associazioni di mestiere, godette di particolari riguardi, tanto da ottenere dalla Chiesa, nel XIV secolo, l’affrancamento dai tributi, oltre a notevoli libertà nei riguardi delle autorità locali: nacque così in Inghilterra il termine freemason, in francese franc-masson e in italiano «libero muratore». Proprio per il prestigio raggiunto, che implicava notevoli vantaggi in ambito politico, furono numerose le persone che si affiliarono a essa, attratte dalla possibilità di instaurare importanti amicizie in tutto il continente o di ottenerne la protezione. Ma fu solo nel 1717, con la costituzione della Grande Loggia di Londra, che vennero fissate in modo preciso le caratteristiche della Massoneria, mentre nel 1723 venne redatto il Libro delle costituzioni, che contiene la base teorica della Massoneria. Le Costituzioni si dividono in sei capitoli. Fondamentale è il primo dedicato alla religione. Vi si legge l’intento di conciliare i vari culti e di farli con-

Grembiule cerimoniale in pelle indossato dagli affiliati alla Massoneria. Milano, Museo del Risorgimento.

vivere con il deismo, la credenza razionale in Dio, base della fede massonica: «Un massone è obbligato a obbedire alla legge morale, e se conosce bene l’arte, non sarà mai stupido ateo né libertino irreligioso». Dio è dunque il «Grande Architetto dell’Universo», ma non interviene nelle faccende umane: in altri termini, non è Provvidenza come sostiene la dottrina cattolica. L’ultimo capitolo è quello in cui si consiglia di mantenere il

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I moti degli anni Venti e Trenta

TUTOR ATTIVITÀ E LIMITI DELLE SOCIETÀ SEGRETE PROGRESSISTE Attività Difesa degli ideali della Rivoluzione francese. Organizzazione di una fitta rete di collegamenti internazionali. Intensa lotta politica in un periodo di dura repressione conservatrice. Limiti

Ristretta base popolare ed eccessiva presenza di militari. Struttura verticistica che impediva le comunicazioni tra gli affiliati. Eccessivo settarismo che escludeva le masse popolari dall’azione. Una cerimonia d’iniziazione massonica in una stampa di fine Settecento.

segreto agli occhi dei profani al fine di difendere la «venerabile fraternità» massonica, secondo il principio della solidarietà filantropica che lega in amicizia sincera persone unite dalla stessa visione del mondo. Chi vuole entrare nella Massoneria deve sottoporsi a un rituale complesso. È interrogato e se le indagini dei confratelli hanno esito positivo, presta giuramento e riceve il grembiule massonico e il guanto. Entra nell’associazione con il grado di apprendista, poi diventa compagno e infine maestro. L’atteggiamento politico della Massoneria fu progressista o conservatore, in relazione ai diversi contesti e alle scelte delle singole logge. Costante fu invece la condanna della Chiesa cattolica, che non poteva accettare né la sua dottrina (in quanto la tolleranza religiosa implicava l’accettazione di credenze diverse, il che poteva portare al relativismo), né la sua politica (in quanto veniva messo in discussione il rapporto privilegiato della Chiesa con lo Stato, la cosiddetta alleanza trono-altare). LESSICO MASSONICO Grembiule. Il capo d’abbigliamento principale durante i lavori in Loggia. Secondo alcuni il grembiule simboleggia il corpo fisico di cui lo spirito deve essere rivestito per poter realizzare il Tempio;

secondo altri, avrebbe lo scopo di ricoprire la parte inferiore del corpo, sede delle passioni e degli istinti, a significare che nel Tempio solo la parte superiore, quella che è sede delle facoltà spirituali e razionali, deve partecipare intensamente ai lavori. Guanto. I guanti bianchi indicano che le mani devono restare sempre pure, nel senso che non si devono macchiare di alcun delitto. Loggia. Il termine deriva, secondo alcuni, dal sanscrito loka, «universo»; secondo altri, dal greco lógos, «parola»; secondo altri ancora, dal latino laubia o lobia, «loggia di un convento», o da alloggiamento, il luogo dove si tengono le riunioni massoniche. Segreto. Il vero segreto massonico è la penetrazione della verità presente nella tradizione massonica da parte dell’iniziato. Solo se questo avviene con la frequentazione della Loggia, con il silenzio, con l’osservazione e l’ascolto allora l’iniziato può diventare saggio. Sonno. L’espressione indica la posizione di un fratello che non intende frequentare i lavori di Loggia, ma rimane comunque legato alla Massoneria. Tempio. Tutta la simbologia e la ritualità massonica si incentrano sulla costruzione del Tempio con particolare riferimento a quello di Salomone, il più celebre fra tutti per la sua bellezza. Per costruire il loro Tempio interiore i «liberi muratori» fanno appello a tutte le facoltà umane.

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280

2. I moti degli anni Venti SCOPPIA LA RIVOLTA La prima ondata rivoluzionaria dell’età della Restaurazione prese il via nel 1820 da uno dei Paesi dove la Restaurazione era stata più brutale: la Spagna. Ferdinando VII di Borbone, tornato sul trono, aveva cancellato ogni traccia del periodo napoleonico, perseguitando chiunque fosse sospettato di tendenze liberali. Grave era anche la situazione economica, poiché la rivolta scoppiata nelle colonie d’America in dal 1809 aveva privato il regno di notevoli entrate. Il malcontento difuso costituì un terreno fertile per il propagarsi delle società segrete, come la società dei Comuneros che sosteneva gli ideali democratici. Per risanare il bilancio dello Stato, il sovrano tentò la riconquista delle colonie, ma furono proprio le truppe in attesa di essere imbarcate a Cadice per il Sud America a dare il via alla rivolta l’1 gennaio 1820. In breve tutte le forze liberali del Paese si riunirono in un unico moto di rivolta: Ferdinando VII fu costretto a ripristinare la Costituzione di Cadice del 1812. La rivendicazione di questa costituzione liberale sarebbe diventata il punto di riferimento per i successivi moti.

LA RIVOLTA SI ESTENDE Dalla Spagna la rivolta dilagò rapidamente in altri Paesi. Nell’estate del 1820, un moto rivoluzionario guidato da militari scoppiò in Portogallo, dove il re Giovanni VI concesse una costituzione simile a quella spagnola. Nel Regno delle Due Sicilie, l’1 luglio 1820, a Nola presso Avellino, il prete carbonaro Minichini e gli uiciali Morelli e Silvati diedero il via a una rivolta, che coinvolse lo stesso esercito guidato dal generale Guglielmo Pepe. Anche Ferdinando I fu così costretto a

I MOTI INSURREZIONALI IN EUROPA (1820-21)

San Pietroburgo (moti decabristi del 1825)

REGNO DI SVEZIA REGNO DI DANIMARCA

OCEAN O AT LAN TICO

REGNO UNITO DI GRAN BRETAGNA E IRLANDA

IMPERO RUSSO REGNO DI PRUSSIA

Londra

Re n o

Berlino

Parigi

CONFEDERAZIONE GERMANICA

REGNO DEL PORTOGALLO

Vienna

IMPERO D’AUSTRIA

SVIZZERA REGNO DI FRANCIA Madrid

Lisbona

REGNO DI SPAGNA

Torino

Concessione di costituzioni Interventi repressivi Limite della Confederazione Germanica

Dan ubio

GRAND. DI TOSCANA REGNO Roma DI SARDEGNA

Istanbul

Napoli

Cadice

Stati dove si verificarono moti insurrezionali

R.LOMBARDOVENETO

Mar Mediterrane o

REGNO DELLE DUE SICILIE Palermo

IMPERO OTTOMANO REGNO DI GRECIA

I moti degli anni Venti e Trenta riconoscere la Costituzione di Cadice. Intanto, in Sicilia, operai, artigiani ed esponenti dell’aristocrazia locale diedero vita a una rivolta che rivendicava la separazione dell’isola dal Regno di Napoli. Questa rivolta venne però immediatamente repressa dall’esercito inviato da Napoli. In Piemonte, gli oppositori non avevano una posizione unitaria: ƒda un lato vi erano alcuni aristocratici, come Cesare Balbo, i quali speravano che il sovrano, Vittorio Emanuele I, concedesse spontaneamente la costituzione; ƒdall’altro vi erano i giovani aristocratici che puntavano su Carlo Alberto, del ramo Savoia-Carignano e probabile erede al trono; Carlo Alberto (1798-1849) aveva infatti manifestato simpatie liberali e aveva lasciato intendere di essere favorevole alla concessione della costituzione. Mentre gli oppositori cercavano un accordo, improvvisamente, nella notte tra il 9 e 10 marzo 1821, la guarnigione di stanza ad Alessandria insorse, dando l’avvio al moto. Vittorio Emanuele I allora abdicò in favore del fratello Carlo Felice. Tuttavia, in attesa del rientro di Carlo Felice che si trovava a Modena, il regno venne momentaneamente retto dal nipote Carlo Alberto. Questi, cedendo alla pressione degli insorti, concesse la Costituzione di Cadice.

LA RISPOSTA DELLA SANTA ALLEANZA Di fronte all’ondata rivoluzionaria l’Europa della Restaurazione reagì convocando tre congressi: a Troppau nel 1820, a Lubiana nel 1821 e a Verona nel 1822. In questi congressi Metternich convinse Inghilterra, Francia e Russia della necessità di un intervento immediato in Spagna e in Italia. Era necessario, secondo Metternich, applicare il principio di intervento sancito dalla Santa Alleanza: nel momento in cui un sovrano era in diicoltà occorreva che gli altri sovrani intervenissero in suo aiuto. Nel Regno di Napoli l’ordine fu riportato dalle truppe austriache, che sconissero l’esercito di Guglielmo Pepe ed entrarono a Napoli il 23 marzo 1821. In Piemonte, al suo rientro a Torino, Carlo Felice sconfessò clamorosamente l’operato di Carlo Alberto e minacciò di privarlo del diritto di successione. A questo punto, Carlo Alberto fece un clamoroso voltafaccia che gli valse l’appellativo di «re tentenna»: raggiunse a Novara le truppe fedeli al re e, con l’aiuto delle forze austriache, sconisse (8 aprile 1821) l’esercito dei rivoltosi guidato da Santorre di Santarosa. In Spagna il compito di riportare l’ordine fu assunto dalla Francia. Il forte esercito francese, a cui si unì lo stesso Carlo Alberto, sconisse con diicoltà gli insorti, che resistettero per più di tre mesi, ino alla capitolazione del Trocadero, la fortezza che domina Cadice (agosto 1823). In Portogallo, inine, a causa della presenza inglese, non intervennero eserciti stranieri: la repressione venne attuata dai soli conservatori locali (1824).

IL SUCCESSO DELLA RIVOLTA IN GRECIA La Grecia era sotto il dominio dell’Impero turco e ne costituiva una parte importante per la vita economica, grazie all’attività mercantile dei centri costieri e delle isole. Proprio la borghesia commerciale dei grandi porti (Costantinopoli, Smirne, Chio, Samo) diede vita alla società segreta Eterìa, guidata da Alexandros Ypsilanti. Nel marzo del 1821 l’Eterìa decise di passare all’azione, invitando il popolo alla rivolta che scoppiò in vari punti del Paese. Nel contempo Ypsilanti, conidando nell’aiuto della Russia da tempo interessata a estendere la propria influenza nell’area, tentò di penetrare in territorio turco.

281

Particolare del monumento a Carlo Alberto a Torino.

CARTISMO È il movimento che deriva il nome dal primo programma (1838) di rivendicazioni politiche del proletariato inglese, esposto nella Carta del popolo (People’s Charter). La Carta presentava sei punti: suffragio universale, uguaglianza nei collegi elettorali, voto segreto, eleggibilità dei non proprietari, Parlamento annuo, retribuzione dei membri eletti. I cartisti presentarono due petizioni alla Camera dei Comuni nel 1839 e nel 1842, ma entrambe vennero respinte. L’ultimo sussulto del movimento avvenne nel 1848, ma fu duramente represso. In seguito, però, tutte le richieste cartiste, a eccezione dell’annualità del Parlamento, furono inserite nell’ordinamento inglese.

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Perché scoppiò la rivolta In Spagna? A quali altri Paesi si estese? ƒ Quale fu l’esito dei moti europei degli anni Venti? ƒ Perché in Grecia i moti furono coronati dal successo? ƒ Quali riforme vennero attuate in Gran Bretagna in questo periodo?

282

LESSICO

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Lasciato però solo dai Russi, timorosi delle possibili conseguenze internazionali, Ypsilanti subì una pesante sconitta. Intanto la rivolta continuava con successo nel Sud del Paese. Il 13 gennaio 1823 nel Congresso di Epidauro il movimento patriottico proclamò l’indipendenza della Grecia. In appoggio alla lotta per l’indipendenza greca, nacquero ovunque dei comitati iloellenici. Molti patrioti si recarono in Grecia a combattere: tra questi il poeta inglese Lord Byron e l’italiano Santorre di Santarosa che vi trovarono la morte. Negli anni successivi, con l’intento di indebolire l’Impero turco, la Russia, l’Inghilterra e la Francia intervennero in difesa della Grecia. Lo scontro decisivo avvenne di fronte al porto di Navarino, dove la flotta turca venne distrutta. La pace di Adrianopoli del 1829 sancì l’indipendenza della Grecia. Le potenze europee però imposero al nuovo Paese, secondo la logica della Restaurazione, di costituirsi in regno. Nel 1832 la corona della Grecia venne data a Ottone I di Baviera.

LA GRAN BRETAGNA LIBERALE Nei primi decenni dell’Ottocento anche la Gran Bretagna fu scossa da violenti conflitti interni. Si trattava di scontri politici e sociali legati al processo di industrializzazione. La Gran Bretagna, però, si diferenziò dal resto d’Europa perché cercò di rispondere a questi problemi accentuando la natura liberale dello Stato. In questa prospettiva, grande importanza ebbe il provvedimento (1824) che consentì l’organizzazione di associazioni operaie. Si formarono così le unioni dei lavoratori di un medesimo settore (Trade Unions), cioè dei sindacati incaricati di rappresentare e tutelare gli interessi degli operai. La riforma più importante fu però quella elettorale, varata nel 1832: ƒgli elettori passarono da 500000 (circa il 3% della popolazione) a 800 000; ƒi collegi elettorali vennero rideiniti per garantire la proporzionalità della rappresentanza parlamentare (prima vi erano circoscrizioni di campagna ormai spopolate, i cosiddetti borghi putridi, che con pochi voti eleggevano un rappresentante). Il diritto di voto, comunque, restava estremamente ristretto e continuava a essere vincolato al censo. Contro tutto ciò si batterono i democratici che organizzarono una petizione per il sufragio universale, la Carta del popolo, presentata al Parlamento nel 1839: la sostenevano oltre 1250000 irme. Dalla petizione prese il nome il movimento del cartismo che ino alla metà del secolo si batté per la realizzazione del programma democratico. La Carta del popolo, però, venne più volte respinta dal Parlamento.

IL FALLIMENTO DELLE INSURREZIONI

CONTROMISURE ORGANIZZATE DALLA SANTA ALLEANZA E DAL CONCERTO DELLE NAZIONI

I MOTI DEL 1820 CAUSE DEL FALLIMENTO

SCARSA PARTECIPAZIONE POPOLARE E DISINTERESSE DELLE MASSE, CARATTERE ELITARIO DELLE SOCIETÀ SEGRETE

L’ORGANIZZAZIONE IN SEGRETEZZA DELLE RIVOLTE NON PERMETTEVA DI COMUNICARE CON LA POPOLAZIONE

I moti degli anni Venti e Trenta

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3. I moti degli anni Trenta LE «TRE GIORNATE GLORIOSE» Ritornato sul trono francese nel 1814, Luigi XVIII aveva concesso una Carta costituzionale. Si trattava di una costituzione ispirata al modello bicamerale inglese che manteneva in larga misura la legislazione civile e penale napoleonica. Alla morte di Luigi XVIII, nel 1824, gli succedette il fratello Carlo X, sostenitore della destra reazionaria i cui esponenti più intransigenti erano detti ultras. Il nuovo sovrano tentò subito di restaurare l’assolutismo monarchico, restringendo le libertà costituzionali concesse da Luigi XVIII. Inoltre, restituì al clero i suoi privilegi e concesse un indennizzo agli aristocratici per gli espropri avvenuti durante la Rivoluzione (legge del miliardo: tale era infatti la cifra stanziata per l’operazione). La borghesia liberale manifestò il suo dissenso alla politica di Carlo X nelle elezioni del 1827, in cui l’opposizione conquistò la maggioranza del Parlamento. Il sovrano, invece di cercare un compromesso, scelse la strada dello scontro che culminò nel 1830 con lo scioglimento dell’assemblea parlamentare e la convocazione di nuove elezioni. L’elettorato, però, raforzò ulteriormente l’opposizione. Carlo X e il suo ministro Polignac reagirono alla sconitta tentando un vero e proprio colpo di Stato. Il 25 luglio 1830 vennero emanate quattro ordinanze che: ƒscioglievano la Camera che era stata appena eletta; ƒistituivano un rigido controllo sulla stampa; ƒmodiicavano la legge elettorale riducendo il diritto di voto a soli 25 000 cittadini; ƒindicevano nuove elezioni. La reazione del popolo di Parigi fu immediata: subito dopo la pubblicazione delle ordinanze scese in piazza scontrandosi dal 27 al 29 luglio 1830 con le truppe regie. Ma la direzione dell’insurrezione passò presto nelle mani dell’alta borghesia e dei liberali moderati che erano intimoriti dai possibili sviluppi sociali della rivolta. Per questo ofrirono prontamente la corona al cugino del re, Luigi Filippo d’Orléans (detto il «re borghese» per i suoi orientamenti liberali), discendente di quel Filippo Egalité, che aveva aderito alla Rivoluzione dell’89. In questo modo anche il popolo, che chiedeva a gran voce la cacciata dei Borboni, veniva accontentato. La borghesia moderata aveva vinto: non a caso le tre giornate di luglio sono passate alla storia come le «Tre gloriose», con evidente riferimento alla svolta moderata avvenuta con la «Gloriosa rivoluzione inglese» del 1688. E proprio come in Inghilterra si volle espli-

VIDEO

PARIGI SULLE BARRICATE

Per tutta la prima metà dell’Ottocento a Parigi le barricate diventarono una costante: nel 1827, 1830, 1832, 1834, 1839, 1848 (a febbraio e a giugno), 1849, 1851. Un’intera generazione di giovani rivoluzionari, intorno ai venticinque anni, ha compiuto la propria formazione politica lottando nelle strade di Parigi contro i Borboni e gli Orléans.

Stampa ottocentesca che raffigura gli scontri a Parigi durante i moti del 1830.

UNITÀ 8

284 citare la subordinazione dell’autorità del monarca al principio della sovranità popolare: per questo il Parlamento proclamò Luigi Filippo d’Orléans «re dei Francesi secondo la volontà della nazione» (9 agosto 1830). Inoltre, il tricolore rivoluzionario tornò a essere la bandiera nazionale, al posto dei gigli dei Borboni. Inine, fu approvata una nuova Costituzione, più liberale rispetto a quella del 1814, che assegnava al Parlamento maggiori poteri di controllo sull’operato del governo.

IL SUCCESSO: LA NASCITA DEL BELGIO Il primo a seguire l’esempio francese fu il Belgio. Il Congresso di Vienna, per ragioni di equilibrio politico, aveva unito Belgio e Olanda nel Regno dei Paesi Bassi, sotto la dinastia degli Orange-Nassau che privilegiò sistematicamente gli Olandesi a scapito dei Belgi. Tra le due aree, inoltre, vi erano profonde diferenze: il Belgio era prevalentemente cattolico, l’Olanda protestante; nell’economia, a un Belgio dinamico e industriale si contrapponeva un’Olanda tradizionalmente agricola e mercantile. Il 25 agosto 1830 scoppiò l’insurrezione di Bruxelles, sotto la guida del clero cattolico e della borghesia liberale. L’Olanda si rivolse allora alle grandi potenze chiedendo aiuto. Ma nella Conferenza di Londra, svoltasi tra il dicembre del 1830 e il gennaio del 1831, Francia e Gran Bretagna si opposero all’intervento e riconobbero il nuovo Stato proclamato dagli insorti: il Regno del Belgio, sotto la corona di Leopoldo di Sassonia-Coburgo. La logica della Restaurazione veniva così clamorosamente battuta. Inoltre, in contrapposizione ai princìpi della Santa Alleanza, la Francia proclamò, tramite il ministro Laffitte, il principio di non-intervento, dichiarando di opporsi a qualsiasi ingerenza straniera negli afari interni di uno Stato. Gli insorti festeggiano l’indipendenza del Belgio insieme agli alleati francesi in una stampa coeva.

TUTOR I MOTI DEGLI ANNI VENTI E I MOTI DEGLI ANNI TRENTA I moti degli anni Venti I moti degli anni Trenta Principali Paesi coinvolti

Spagna, Portogallo, Regno delle Due Sicilie, Regno di Sardegna, Grecia.

Francia, Russia e Gran Bretagna intervengono in aiuto della Grecia contro la Turchia.

Interventi repressivi di potenze straniere

L’Austria interviene in Italia; la Francia in Spagna.

L’Austria interviene in Italia; la Russia in Polonia.

Aiuti di potenze straniere

Francia, Russia e Gran Bretagna intervengono in aiuto della Grecia contro la Turchia.

Francia e Gran Bretagna appoggiano, senza intervenire, l’insurrezione del Belgio.

Indipendeza della Grecia.

In Francia, Filippo d’Orléans viene proclamato «re dei Francesi».

Successi

I moti degli anni Venti e Trenta

285

LA SCONFITTA: POLONIA E ITALIA CENTRALE Ben diverso esito ebbero i moti scoppiati in Polonia. La rivolta contro le truppe russe presenti a Varsavia scoppiò il 29 novembre 1830. La reazione dello zar Nicola I non si fece attendere e questa volta nessun appoggio poteva provenire dalla Francia e dall’Inghilterra, timorose di scontrarsi con la Russia. Repressa la rivolta, la Polonia si ritrovò con un regime ancora più rigido del precedente. Ogni forma di autonomia politica venne abolita e la lingua russa fu adottata come unica lingua uiciale. Anche in alcuni Stati della Germania (Hannover, Sassonia e Assia) vi fu un insurrezione popolare, ma i liberali ottennero solo qualche riforma. Nel 1832 il movimento riprese vigore, ma fu fermato dalla repressione. Un’altra rivolta fallita fu quella scoppiata nel 1831 nel Centro Italia: Emilia, Toscana e Stato Pontiicio. Questa rivolta venne innescata dalla cosiddetta congiura estense. Il duca di Modena Francesco IV d’Este, reazionario ma politicamente spregiudicato, coltivava da tempo l’ambizione di ampliare i propri domini. Aveva così stretto rapporti con alcuni esponenti delle società segrete, in particolare con il commerciante modenese Ciro Menotti (1798-1831), nella speranza di poter trarre dei vantaggi territoriali da un’eventuale insurrezione; a sua volta Menotti era intenzionato a servirsi del duca per la causa liberale e sperava nell’appoggio della Francia. La notte precedente all’insurrezione, Francesco IV, intimorito dalla vittoria dei liberali in Francia e temendo un intervento dell’Austria, fece arrestare Ciro Menotti e gli altri cospiratori. Ma la rivolta esplose ugualmente: da Bologna (5 febbraio 1831), dilagò nello Stato Pontiicio, nelle Marche, a Modena, Reggio e Parma, costringendo Francesco IV e Maria Luisa a fuggire. A Bologna fu insediato un Governo Provvisorio delle Province Unite (26 febbraio 1831), che si aiancò ai governi provvisori dei vari ducati. A questo punto, ai cospiratori italiani non rimaneva che conidare nell’aiuto della Francia. Ma la Francia era restia a qualsiasi intervento fuori dei propri conini, secondo un orientamento espresso dal primo ministro Périer con la celebre dichiarazione: «Il sangue dei Francesi appartiene solo alla Francia». Le truppe austriache inviate da Metternich ebbero quindi facile ragione degli insorti. Francesco IV, rientrato a Modena, fece impiccare Ciro Menotti e decretò più di duecento condanne.

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Che cosa stabilivano le quattro ordinanze di Carlo X? ƒ Quali moti degli anni Trenta ebbero successo? E quali terminarono con un insuccesso? ƒ Che cosa si intende per «congiura estense»?

Ciro Menotti (in primo piano a sinistra) e il duca di Modena Francesco IV d’Este (qui a fianco) in ritratti dell’epoca.

UNITÀ 8

LA GEOSTORIA

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ATLANTE

L’imperialismo dell’Occidente

L’Europa e il mondo

Pagg. 42-53

Dal nazionalismo all’imperialismo La deinitiva afermazione dell’Occidente è avvenuta nel corso dell’Ottocento. In questo secolo in Europa, ma anche nelle colonie delle Americhe, si afermarono le identità nazionali dei popoli e si formarono nuove nazioni. Questo processo di afermazione di nuove identità nazionali si può far iniziare nel 1783 dalle colonie britanniche che,

dopo una guerra di indipendenza dalla madrepatria e una rivoluzione politica, fondarono gli Stati Uniti d’America. In Europa, come in America e in Giappone, l’Ottocento fu caratterizzato anche da un rapido sviluppo economico dovuto alla difusione della seconda rivoluzione industriale. Fu proprio l’intreccio tra l’afermazione delle identità na-

RIVOLTE E RIVOLUZIONI NEL XIX SECOLO

CONFEDERAZIONE GERMANICA ISLANDA

Alaska

BELGIO

IMPERO RUSSO

REGNO UNITO

FRANCIA PORTOGALLO

STATI UNITI

AFGHANISTAN

POLONIA IMPERO AUSTRIACO

ITALIA SPAGNA GRECIA

IMPERO OTTOMANO

MAROCCO

GUATEMALA (1838)

Honduras MESSICO britannico Giamaica Porto Rico (1821) Haiti

HONDURAS (1838) NICARAGUA (1838)

COLOMBIA (1819) ECUADOR (1830)

PERÙ (1821)

VENEZUELA (1830) SENEGAL Guiana britannica Guiana olandese Guiana francese LIBERIA Guinea BRASILE portoghese (regno fino al 1822 impero fino al 1889)

KANEMBORNU BENIN

ETIOPIA

CONGO

ZANZIBAR

Madagascar

BOLIVIA (Alto Perù fino al 1825)

CILE (1818)

PERSIA EGITTO

PARAGUAY (1811) ARGENTINA (1816)

URUGUAY (1828)

Colonia del Capo

Moti rivoluzionari in Europa

Imperi:

portoghese

1820-1821

britannico

russo

1830-1831

olandese

spagnolo

1848-1849

francese

altri

287 zionali e la crescita del capitalismo industriale che innescò una competizione aggressiva fra le potenze: gli ideali nazionali che nella prima metà del secolo avevano spinto i patrioti a conquistare la libertà politica si trasformarono in volontà di dominio e di espansione; e gli Stati europei passarono dal patriottismo liberale e democratico a un nazionalismo aggressivo, accompagnato da ideologie razziste ed esasperato dalla competizione economica. La superiorità economica degli Stati europei si tradusse nella creazione di vasti imperi coloniali da sfruttare nella ricerca di materie prime e di nuovi mercati per la propria crescita industriale. A farne le spese furono i Paesi dell’Asia e soprattutto dell’Africa.

AMERICA Divenuti indipendenti, gli Stati Uniti intrapresero la conquista dei territori dell’Ovest. Gli Indiani furono sterminati e spogliati delle loro terre che vennero occupate dai pionieri bianchi in cerca di fortuna. Nel Sud del continente, le colonie iberiche si ribellarono alla madrepatria raggiungendo l’indipendenza ma si frammentarono in un mosaico di Stati diversi e politicamente deboli. EUROPA E IMPERO ISLAMICO In Europa sorsero movimenti patriottici e liberali che portarono alla formazione di nuovi Stati come il Belgio, la Grecia, l’Italia e la Germania. La Grecia, la Serbia e l’Egitto si liberarono dal dominio dell’Impero ottomano, che si avviò verso un lento declino. ASIA E OCEANIA Il Giappone riuscì a mantenere il suo isolamento dal resto del mondo fino agli anni Sessanta dell’Ottocento, quando il Paese avviò una politica di riforme nazionaliste e di modernizzazione economica. La Cina e l’India, invece, finirono per cedere alla pressione degli Europei, soprattutto degli Inglesi. L’Oceania, fino ad allora trascurata nei progetti di espansione europea, cominciò a popolarsi di cittadini emigrati da tutti i continenti ed entrò definitivamente nella sfera d’influenza britannica. AFRICA L’Africa nel corso dell’Ottocento divenne un’area di conquista per tutte le potenze europee che miravano alle sue ricchezze naturali. Nel Sudafrica gli insediamenti olandesi dei Boeri vennero cancellati dalla presenza inglese, provocando massicce migrazioni, ribellioni e guerre con le popolazioni locali.

Khanati dell’Asia centrale

IMPERO CINESE (Manciù) GIAPPONE

Kashmir

Principati indiani BIRMANIA SIAM

ITALIA Nell’Ottocento l’Italia raggiunse l’unità nazionale attraverso il Risorgimento, cioè il processo che si sviluppò tra gli anni Venti e il 1861 con insurrezioni e guerre, sostenute da singoli patrioti e dall’esercito del Regno di Sardegna. Con la nascita del Regno d’Italia, dopo secoli di divisioni (dall’invasione longobarda!), la Penisola divenne uno Stato unitario.

Formosa LAOS ANNAM CAMBOGIA

NUOVA GUINEA

Indie olandesi

AUSTRALIA

NUOVA ZELANDA Organizzazioni statali Migrazioni dei Boeri (1828) Date d’indipendenza dei Paesi dell’America Latina

UNITÀ 8

288

4. L’indipendenza dell’America Latina L’AMERICA LATINA TRA EUROPA E AMERICA

LE CAUSE DELL’INDIPENDENZA DELL’AMERICA LATINA

CAUSE INTERNE

Durante l’età della Restaurazione, l’America Latina si liberò dal secolare dominio spagnolo e portoghese. La principale causa interna di questo straordinario risultato, raggiunto nell’arco di due decenni (1810-30), va ricercata nelle tensioni in atto nella società latino-americana. Questa era composta: ƒdalla minoranza dei Creoli, l’élite bianca discendente dagli antichi conquistatori; ƒdalla maggioranza di Indios e neri, che lavoravano duramente nelle piantagioni e nelle miniere; ƒdallo strato intermedio dei meticci, nati dalle unioni degli Spagnoli con donne indigene. I Creoli monopolizzavano le maggiori ricchezze della regione, ma non controllavano il potere politico, che restava nelle mani dei funzionari spagnoli e portoghesi (i cosiddetti peninsulari). Invece, le cause esterne furono: ƒil declino della potenza militare e commerciale della Spagna e del Portogallo, a partire dal crollo delle due monarchie, nel 1808, a opera delle truppe napoleoniche; ƒla crisi del sistema della Santa Alleanza, innescata dall’atteggiamento dell’Inghilterra: per difendere i suoi consistenti interessi commerciali, Londra impedì in ogni modo alle potenze europee di intervenire in Sud America; ƒil no deciso degli Stati Uniti a qualunque ingerenza europea nel Nuovo Mondo. Tale tesi fu sostenuta dal presidente americano James Monroe, che pronunciò nel 1823 un memorabile discorso davanti al Congresso, la cui sintesi era lo slogan «l’America agli Americani». Monroe enunciò allora con fermezza il divieto per gli Europei di colonizzare il territorio americano, e il diritto degli Stati Uniti di occuparsi delle vicende del continente.

TENSIONI SOCIALI TRA CREOLI, INDIOS E NERI, METICCI E PENINSULARI

RIVOLTE NON CONTROLLATE

COMANDO ASSUNTO DAI GENERALI

DECLINO MILITARE E COMMERCIALE DI SPAGNA E PORTOGALLO

CAUSE ESTERNE

NON INTERVENTO DELLE POTENZE EUROPEE OLTREOCEANO

NON INTERVENTO DEGLI STATI UNITI

INDIPENDENZA

La dottrina Monroe Quello che segue è un brano del discorso del 1823 con cui il presidente Monroe espose i princìpi base degli Stati Uniti nelle questioni di politica estera. Giudico opportuno […] asserire, come principio in cui sono implicati i diritti e gli interessi degli Stati Uniti, che i continenti americani, data la libera e indipendente condizione da essi assunta e mantenuta, non dovranno da ora in poi più considerarsi oggetto di una fu-

tura colonizzazione da parte di qualsiasi potenza europea. […] Nelle guerre tra potenze europee, relative a questioni di loro pertinenza, noi non abbiamo preso alcuna parte, né la nostra politica lo consentirebbe. Soltanto quando i nostri diritti sono lesi o seriamente minacciati, noi ci risentiamo e ci prepariamo alla difesa. Necessariamente siamo più interessati agli sviluppi che si verificano in questo emisfero.

DOCUMENTO

289

I moti degli anni Venti e Trenta

LA FORMAZIONE DEGLI STATI SUDAMERICANI Tra il 1809 e il 1812, approittando della diicile situazione della penisola iberica sotto l’invasione napoleonica, scoppiarono le prime rivolte, in seguito duramente represse dalla restaurata monarchia spagnola. Ma l’opposizione creola alla madrepatria aumentava. Negli anni Trenta le oligarchie creole insorsero. Nelle principali città (Caracas, Bogotá, Buenos Aires, Santiago), i consigli comunali si trasformarono in vere e proprie giunte autonome. In questa prima fase lo scontro tra indipendentisti e peninsulari, fedeli alla monarchia borbonica, assunse la forma di una vera guerra civile, visto che la Spagna mandò le sue truppe solo nel 1815. Già dalle prime fasi si afermarono le igure eroiche di combattenti per la libertà, come Simón Bolívar in Colombia e Venezuela, e José de San Martín in Cile, Paraguay (indipendente dal 1811) e Argentina (che resistette alla controfensiva dell’esercito spagnolo e si dichiarò indipendente nel 1816). A causa delle paralizzanti divisioni interne al gruppo dirigente indipendentista, la conduzione delle rivoluzione passò dai politici ai generali. A sud, San Martín mosse dalla libera Argentina e, con l’aiuto degli esuli cileni, entrò a Santiago e proclamò l’indipendenza del Cile (1818); poi fu la volta del Perù, principale roccaforte delle milizie spagnole (1821). A nord, Bolívar liberò prima la Colombia (1819), e poi l’intera regione settentrionale del continente tentando di uniicarle in un’unica repubblica, la Grande Colombia (comprendente anche Ecuador e Venezuela). Ritiratosi dalla scena San Martín, toccò a Bolívar difendere il Perù dall’ultima controfensiva spagnola, completando la liberazione del continente (1824). Nel 1825 l’Alto Perù proclamò la sua indipendenza e, in omaggio al suo liberatore, prese il nome di Bolivia. Nel 1828 fu la volta dell’Uruguay, dopo una dura lotta contro Spagnoli, gli Argentini e poi contro i Brasiliani. In Messico l’iniziativa antispagnola fu assunta dagli Indios che, forti dell’appoggio del clero, rivendicavano non solo l’indipendenza, ma anche l’abolizione della schiavitù e la riforma agraria. Tuttavia furono i Creoli, che in un primo momento avevano sostenuto la repressione spagnola della rivolta contadina, a proclamare l’indipendenza del Messico (1821). Diverso fu infine il caso del Brasile, che non conobbe guerre civili né disordini sociali: l’indipendenza della grande colonia portoghese fu direttamente proclamata nel 1822 dal reggente Pietro divenuto imperatore costituzionale del Brasile, figlio del sovrano del Portogallo Giovanni VI, per prevenire un’imminente insurrezione rivoluzionaria.

José Gil de Castro, ritratto di Simón Bolívar, 1825. Sucre, House of Liberty.

UNITÀ 8

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UN CONTINENTE POLITICAMENTE DIVISO

COMPETENZE

USARE LE FONTI

Il sogno del libertador Simón Bolívar Pag. 296

LESSICO

CAUDILLOS E CAUDILLISMO Il termine caudillos indica i capi di origine militare che, nell’America del Sud, combatterono le guerre d’indipendenza contro la Spagna a partire dal 1810. Il caudillismo divenne il sistema di governo dominante nei Paesi latino-americani una volta conquistata l’indipendenza fino al raggiungimento di una precisa identità nazionale (approssimativamente nel periodo tra il 1820 e il 1860). I caudillos utilizzarono il loro carisma per esercitare il potere in modo autoritario e paternalistico, ottenendo l’adesione incondizionata dei loro uomini. A volte, il caudillismo prese la forma di dittature personali, messe in atto da singoli caudillos o da diversi caudillos alleati. Il fenomeno del caudillismo si esaurì con l’affermazione dei primi governi d’ispirazione liberale.

L’indipendenza dell’America Latina 1. Paraguay. Il movimento di liberazione dichiarò nel 1811 l’indipendenza, che venne ratificata nel 1813.

STATI UNITI

bl MESSICO

CUBA Belize (Ing.)

GUATEMALA EL SALVADOR HONDURAS NICARAGUA COSTA RICA

Is. Bahama (Ing.) REP. DOMINICANA

2. Argentina. Grazie all’aiuto di San Martín si dichiarò indipendente nel 1816.

Porto Rico (Spagna) Giamaica REP. DI HAITI (Ing.) Guiana britannica Guiana olandese Guiana francese

4VENEZUELA 6 COLOMBIA 5 ECUADOR

7

BRASILE

bm

PERÙ BOLIVIA

8

1

PARAGUAY CILE

3

2

ARGENTINA

9

OCEAN O AT LAN TICO

OCEAN O PA CIFIC O

TUTOR

L’indipendenza dell’America spagnola produsse, come primo efetto, la frammentazione politica del continente: nacquero tanti piccoli Stati, scarsamente popolati e indeboliti dalla lunga guerra. Il romantico sogno di Bolívar di dar vita a un’«unione sud americana» tramontò nel 1830, con la divisione della Grande Colombia negli Stati di Venezuela, Ecuador e Colombia. Anche in America Centrale, le Province Unite, già staccatesi dal Messico (1823), si suddivisero negli Stati di Guatemala, Honduras, El Salvador, Nicaragua e Costa Rica. Tutti i nascenti Stati sud americani, Brasile a parte, si diedero costituzioni democratico-repubblicane, come quella statunitense. Mancavano però i presupposti per un vero regime democratico: l’amministrazione pubblica era praticamente inesistente e l’attività politica era gestita da potentati economici (i padroni delle piantagioni) e oligarchie familiari (commercianti delle città). I nuovi Stati conobbero così un trentennio di forte instabilità politica, in cui il potere fu conteso tra i caudillos, i capi di eserciti irregolari locali, istituiti durante la lotta di liberazione.

URUGUAY

3. Cile. L’indipendenza fu proclamata nel 1818 da San Martín. 4. Colombia. Fu liberata da Bolívar nel 1819. In seguito, si cercò, inutilmente, di creare un’unica repubblica della Grande Colombia, comprendente anche l’Ecuador 5, indipendente dal 1809, e il Venezuela 6, indipendente dal 1811. 7. Perù. Principale roccaforte spagnola, divenne indipendente nel 1821 grazie alle truppe di San Martín, ma la zona sud, l’Alto Perù, divenne indipendente solo nel 1825 grazie a Simón Bolívar da cui prese appunto il nome di Bolivia 8. 9. Uruguay. Dopo una lunga e dura lotta divenne indipendente nel 1828. 10. Messico. La lotta contro gli Spagnoli fu intrapresa dagli Indios; tuttavia furono proprio i Creoli, che avevano represso la rivolta degli Indios, a ottenere l’indipendenza nel 1821. 11. Brasile. Fu l’unico Paese a diventare indipendente (dal Portogallo) senza il ricorso a rivolte, nel 1822.

I moti degli anni Venti e Trenta

291

L’economia sud americana era basata sulle piantagioni di prodotti (cafè, cacao, canna da zucchero, grano e tabacco) destinati all’esportazione. Per sopravvivere doveva sottostare alle imposizioni del commercio estero, in particolare della Gran Bretagna, la massima potenza economica mondiale del tempo. L’indipendenza politica, con la liberalizzazione dei commerci, e la ine del monopolio della madrepatria, non riscattò quindi l’economia, che continuò a dipendere dalle potenze straniere. Un processo di industrializzazione venne avviato solo nell’ultimo quarto dell’Ottocento, sotto l’impulso di regimi autoritari. Capitali europei e nordamericani furono investiti nelle comunicazioni (ferrovie, telegrai), nell’industria cantieristica e mineraria, nell’agricoltura. La spinta alla modernizzazione generò anche una forte instabilità, con un continuo avvicendarsi di rivoluzioni e controrivoluzioni.

LA CRISI DA INDEBITAMENTO DELL’AMERICA LATINA La storia dell’indebitamento dell’America Latina ebbe inizio proprio con Simón Bolívar che nel 1819 chiese all’Inghilterra un prestito per inanziare la battaglia inale per l’indipendenza dei Paesi latino-americani. L’Inghilterra rispose in modo positivo. In particolare gli Inglesi erano attratti dalla prospettiva dell’espulsione degli Spagnoli dall’America Latina. In questo caso, il mercato latino-americano si sarebbe aperto all’Impero inglese. Nel 1828 tutti i Paesi latino-americani, a eccezione del Brasile, erano indebitati. Questo boom di prestiti inì però nel momento in cui gli investitori temettero di perdere il proprio capitale per la fragilità politica del Paese, la mancanza di adeguate infrastrutture, la dipendenza economica dall’estero ecc. E ritirarono i soldi investiti. A questo punto crollò la produzione, e fu la crisi. Fino a che nuovi investimenti non consentirono il rilancio dell’economia e l’indebitamento crebbe. Il che spaventò gli investitori e il ciclo ricominciò innescando un meccanismo destinato a ripetersi ino ai nostri giorni, tanto da far dire all’economista John Kenneth Galbraith: «Nei problemi inanziari, la storia si ripete a causa di un soisticato tipo di stupidità».

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Quali furono le cause che portarono all’indipendenza dell’America Latina? ƒ In che cosa consisteva la dottrina Monroe? ƒ Quali problemi dovettero affrontare i nuovi Stati dopo aver ottenuto l’indipendenza? ƒ Che cosa significa il termine caudillos?

Il giorno dell’indipendenza della Colombia in un quadro dell’epoca. Si cercò subito dopo di creare la Grande Colombia, con Ecuador e Venezuela.

UNITÀ 8

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Dal passato al presente Durante le giornate del luglio 1830 in Francia, la difesa dei valori nazionali e liberali trascinò nelle piazze i giovani universitari parigini che diedero vita a manifestazioni che rappresentano una sorta di Sessantotto ante litteram. Ma l’eredità più signiicativa riguarda invece i trasporti: è di questi anni la costruzione della prima linea ferroviaria per passeggeri, tra Liverpool e Manchester, l’inizio di un sistema di comunicazione che rivoluzionò le abitudini di noi tutti. Inine tra le novità di questo periodo, vi fu una signiicativa svolta nel campo della scrittura: la penna d’oca fu sostituita dal pennino con ovvi miglioramenti nella semplicità della scrittura.

Apertura della linea ferroviaria LiverpoolManchester.

IERI

Ci si spostava a piedi o a cavallo, i più ricchi con le carrozze, e i tempi per raggiungere la meta erano interminabili OGGI

La rapidità negli spostamenti è una caratteristica del mondo moderno: dall’invenzione del treno e poi del motore a scoppio i mezzi di trasporto sono diventati sempre più veloci

Il «cavallo di ferro» inaugura l’era della velocità

ALLE ORIGINI, UNA SCOMMESSA VINTA Le prime macchine a vapore vennero costruite da James Watt nel 1775. Nel 1788 Watt introdusse nella macchina un meccanismo di trasformazione del moto alternato in moto rotatorio: era così possibile utilizzare la macchina per muovere merci e persone. Pochi anni dopo, nel 1801, l’inglese Richard Trevithick (1771-1833) costruì un prototipo di treno a vapore che brevettò nel 1802. La prima vera apparizione del treno risale al febbraio 1804. Trevithick aveva scommesso la colossale somma di 500 ghinee con Anthony Hill, proprietario di una ferriera: la sua macchina avrebbe

percorso nove miglia (più di quindici chilometri) trasportando settanta persone e dieci tonnellate di ferro. Per questa dimostrazione era stata scelta una strada ferrata, ino ad allora usata da carri trainati da cavalli, che univa le cittadine gallesi di Penydaron e Abercynon. La sbufante macchina di Trevithick – un mostro di metallo pesante cinque tonnellate, con un solo stantufo che muoveva le ruote mediante ingranaggi e bielle e trascinava cinque vagoni con ferro e passeggeri – impiegò quattro ore e cinque minuti per percorrere le nove miglia, raggiungendo una velocità di punta di cinque miglia all’ora. Nel tempo impiegato, bisogna dire, sono da considerare alcune soste per segare tronchi che ostruivano il passaggio e spostare massi initi sulle rotaie. Fra i passeggeri c’era lo stesso Hill, che si dichiarò comunque contento di aver perso la scommessa: prevedeva infatti un grande futuro per la locomotiva. L’invenzione di Trevithick ebbe così un grande successo, e il costruttore si lanciò a prevedere che la sua prossima macchina avrebbe trasportato un carico quattro volte superiore.

DAI «PROTOTIPI» ALLA PRIMA LINEA FERROVIARIA L’aumento del prezzo del foraggio per i cavalli, dovuto alle guerre napoleoniche, dà impulso alla sperimentazione di nuove locomotive. I primi modelli, quelli di Blenkin-

293

I moti degli anni Venti e Trenta

DAL «CAVALLO DI FERRO» AI TRENI A LEVITAZIONE MAGNETICA Nel mondo contemporaneo la ricerca nel settore dei trasporti è proseguita ininterrotta ed è in continuo progresso: auto, treni e aerei sono diventati sempre più veloci e confortevoli e oggi percorrere migliaia di chilometri o attraversare un oceano non è più un problema. La facilità negli spostamenti delle persone e delle merci è alla base del nostro mondo globalizzato, che non sarebbe neppure pensabile senza i voli aerei o i supertreni veloci. Dal «cavallo di ferro», che con i suoi 22,5 chilometri all’ora aveva intimorito la folla dei cittadini che assistevano al passaggio del treno, siamo arrivati a costruire treni a levitazione magnetica che raggiungono i 650 chilometri all’ora viaggiando sospesi in aria senza contatto con la rotaia: sono silenziosi e soprattutto non inquinano l’aria con i fumi della combustione del carbone.

PATRIOTA È nell’Ottocento, durante le insurrezioni liberali e democratiche, che questo termine entra nell’uso politico per indicare colui che ama la patria, la difende ed è disposto a sacrificarsi per essa. Nei secoli precedenti indicava semplicemente chi apparteneva allo stesso Stato. È un termine decisamente romantico che tuttavia fu usato anche per indicare i combattenti antifascisti nella prima fase della lotta partigiana. BARRICATA A Parigi nel 1830 il popolo protestò innalzando le barricate sulle strade per difendersi dalla repressione poliziesca. Sbarravano insomma il passaggio disponendo lungo le vie oggetti voluminosi e masserizie: una modalità di protesta che è continuata fino ai nostri giorni. «Fare le barricate» significa «insorgere», indica una sommossa popolare. Il termine deriva dal francese barrique cioè «barile», proprio perché con le grandi botti gli insorti bloccavano il passaggio nelle strade. REAZIONARIO Quest’aggettivo deriva dalla parola «reazione» e nel linguaggio politico indica il fautore della reazione nei confronti di un processo rivoluzionario o semplicemente nei confronti di qualsiasi cambiamento. La Restaurazione fu dunque espressione di una politica reazionaria. Il termine ha però finito con l’assumere il significato più vasto di «sostenitore di idee conservatrici»; infatti, in questo senso, il contrario di reazionario è l’aggettivo «progressista» e non «rivoluzionario».

Lo Shanghai Transrapid è un MagLev Train (treno a levitazione magnetica), che si trova in Cina, a Shanghai.

PAROLE IN EREDITÀ

sop (1811) e di Hedley (1813), sono ancora antieconomici, per quanto migliori – sotto il proilo del consumo e del rendimento – della locomotiva di Trevithick. Nel 1814 George Stephenson inizia le prove della sua locomotiva a vapore. Il tema centrale della discussione, in quegli anni, è quello della sede da riservare ai veicoli con trazione a vapore. Nonostante la prova riuscita di Trevithick avesse efettivamente collegato la locomotiva alla ferrovia, dimostrando la convenienza della loro combinazione, prevale ancora una certa siducia nelle possibilità di aderenza tra ruote e rotaie. Blenkinsop nel 1812 utilizza ruote dentate, ingrananti una cremagliera issata ai binari, mentre Hedley nel 1815 cerca di aumentare l’aderenza portando a otto il numero delle ruote. Il modello di Stephenson risultò vincente: fu lui, con l’aiuto del iglio Robert, a costruire la prima linea ferroviaria nel 1825. Trasportava merci tra le città di Stockton e di Darlington. Il 15 settembre 1829 venne inaugurata la prima linea per il trasporto dei passeggeri da Liverpool a Manchester: lungo la linea venne eretto, in mattoni e pietra, il grande viadotto di Sankey, costituito da 9 archi, di 15 metri di luci e alti 22 metri circa. Quel giorno, una folla incredibile assistette al passaggio del treno lanciato alla «folle» velocità di circa 22,5 chilometri orari: mai l’umanità aveva assistito a qualcosa del genere.

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COMPETENZE: USARE LE FONTI

L’origine della Carboneria STORIOGRAFIA

Furono la Restaurazione e la repressione poliziesca di quel sistema reazionario a dare vigore alle società segrete che operarono nei primi decenni dell’Ottocento negli Stati italiani. Molte di queste società erano sorte già in età napoleonica e molto probabilmente ebbero come modello la struttura massonica. Anche la Carboneria, secondo Milza, ebbe origine dagli ex combattenti e nostalgici del passato napoleonico che avevano prestato servizio tra i ranghi dell’esercito del Regno di Napoli ed erano già stati adepti dei Bons cousins charbonniers «Buoni cugini carbonari».

Pierre Milza Pierre Milza nasce a Parigi il 16 aprile 1932; il padre è un italiano – nativo di Bardi, un piccolo paese in provincia di Parma – emigrato in Francia nel 1928, mentre la madre è francese. In Francia nella difficile congiuntura economica degli anni Trenta il padre di Milza, come molti altri connazionali, si trova a dover affrontare una situazione difficile: gli Italiani sono spesso accusati di sottrarre posti di lavoro ai Francesi perché accettano paghe inferiori rispetto a questi ultimi e non è raro che siano vittime di discriminazioni ed episodi di xenofobia. Milza rimane orfano di padre a soli undici anni ma, nonostante le difficoltà economiche venutesi a creare a causa della morte del genitore, la madre riesce a farlo proseguire ugualmente negli studi e Milza frequenta, quindi, il liceo Victor Hugo a Parigi e, in seguito, l’École normale d’instituteurs (un’istituzione che forma gli insegnanti della scuola primaria). Dopo la seconda guerra mondiale, durante un periodo di vacanza, Milza viene mandato per la prima volta in Italia per conoscere i parenti del ramo paterno. In Emilia il giovane Milza si avvicina a una cultura (oltre che a una lingua) fino ad allora a lui del tutto sconosciuta e si rende conto del disagio del padre che, per cercare di integrarsi appieno nella società francese (ottiene, con grande soddisfazione, la cittadinanza francese poco prima di morire), ha dovuto rinunciare ad alcuni tratti della propria identità italiana. Affascinato dalla storia e dalla cultura dell’Italia, Milza si relaziona con la complessità delle proprie origini e – superando anche sentimenti di vergogna e di rifiuto – arriva ad accettare e apprezzare la propria doppia identità di francese e italiano. Dopo alcuni anni come maestro elementare e come ufficiale di marina, nel 1960 Milza decide di seguire la propria passione e concorre per essere ammesso alla Sorbona per studiare Storia; nel 1964 si laurea con una tesi dedicata ai Villani, cronisti fiorentini del XIV secolo. Inizia, quin-

di, la propria carriera come studioso e, al contempo, insegna storia al prestigioso Liceo Michelet a Vanves (un comune a sud di Parigi). Dal 1966 al 1968 collabora con il Centre national de la recherche scientifique, la più grande istituzione di ricerca pubblica d’Europa, e nel 1968 è nominato assistente presso l’Institut d’études politiques di Parigi (noto anche come Sciences Po), università estremamente selettiva dedicata alle Scienze politiche, all’Economia, alla Storia e alla Sociologia. Nel 1978 diventa professore ordinario a Sciences Po dove dirige anche il Centre d’Histoire de l’Europe du XX siècle; insegna fino al 2000 quando, all’atto del pensionamento, è nominato professore emerito. È attualmente direttore editoriale della pubblicazione trimestrale «Revue d’histoire moderne et contemporaine». La produzione di Milza ha come tema centrale la storia dell’Italia, in particolare il periodo del fascismo, e i suoi rapporti con la Francia; fra le opere più importanti si ricordano: L’Italie fasciste devant l’opinion française, 1920-1940 (1967), l’innovativa e ben documentata biografia del Duce, Mussolini (1999) e, infine, L’Europe en chemise noire. Les extrêmes droites de 1945 à aujourd’hui («Europa estrema. Il radicalismo di destra dal 1945 a oggi», 2002). Nel corso della sua lunga carriera Milza ha ricevuto numerosi importanti riconoscimenti.

Numerose società segrete, più o meno derivanti dalla Massoneria, si erano costituite nell’Italia del Nord tra il 1798 e il 1799, per lottare contemporaneamente contro gli Austriaci e contro i Francesi. Il loro obiettivo era di creare, sul modello della Francia rivoluzionaria, una repubblica «una e indivisibi-

Il simbolo della Carboneria (un compasso unito alla croce e alle spine che ricordano il misticismo cristiano) prende origine dal compasso simbolo della Massoneria. Venezia, Museo del Risorgimento.

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I moti degli anni Venti e Trenta le». Nella maggior parte dei casi esse ebbero soltanto un’esistenza effimera. La Carboneria, che fece la propria comparsa nel Regno di Napoli nel 1807, era al contrario destinata a conoscere uno sviluppo su scala internazionale e a costituire in Italia il baluardo della resistenza ai regimi instaurati o restaurati dai vincitori di Napoleone. Le origini della Carboneria sono a lungo rimaste incerte. Tra le tesi soppesate dagli storici, la più probante individua le sue prime manifestazioni nella Franca Contea. È nel 1795 che l’avvocato Pierre-Joseph Briot, fondatore del club giacobino di Besançon, sarebbe stato iniziato al rito dei Bons cousins charbonniers, un’organizzazione clandestina la cui origine risalirebbe al Medioevo. Si trattava in realtà di una confraternita che riuniva cacciatori, contrabbandieri e carbonai. Deputato di Doubs, membro del Consiglio dei Cinquecento, Briot vi pronunciò nel 1799 un discorso in cui si dichiara risoluto sostenitore dell’unità d’Italia. «Garantite agli Italiani la libertà e l’indipendenza» affermava «ed essi dimenticheranno le loro sventure e si uniranno a voi». Ed è per lavorare a questo progetto che Bonaparte lo inviò in Italia, prima come commissario francese per l’isola d’Elba (1803), poi come intendente nel Regno di Napoli; la sua nomina in Calabria citeriore nel 1807 coincide con i primi riferimenti della Carboneria trovati nei rapporti della polizia napoletana. L’organizzazione e il rituale di questo primo nucleo della Carboneria italiana rispecchiano con molta precisione quelli della setta della Franca Contea, regione divenuta sotto l’impero un luogo di passaggio molto frequentato da soldati e ufficiali dell’esercito diretti in Italia. Ed è principalmente tra gli ex combattenti congedati e nostalgici del glorioso passato napoleonico che furono reclutate le «vendite», ossia i piccoli gruppi di una ventina di militanti che formavano l’ossatura della società segreta. Solo il capo di ognuna di esse ne conosceva tutti gli affiliati. Le vendite dipendevano da un coordinamento centrale, subordinato a sua volta a una «Alta vendita» presieduta dal Gran Maestro. Il contatto tra i gruppi non era garantito dai rispettivi capi, che tra loro non si conoscevano, ma da un mediatore (un «uomo fido») da loro designato. L’impegno di ogni adepto doveva essere totale. Al momento della sua iniziazione, il novizio doveva attraversare con gli occhi bendati una barriera di fuoco, quindi pronunciare in ginocchio la seguente formula: «Io giuro sopra agli statuti

L’iniziazione di un carbonaro in una stampa del XIX secolo.

dell’Ordine e su questo ferro punitore dei spergiuri di custodire scrupolosamente i segreti della Rispettabile Carboneria, di non scrivere, incidere, dipingere cosa alcuna, senza averne ottenuto il permesso dell’Alta vendita. Giuro di soccorrere i miei buoni cugini per quanto lo permettano le mie facoltà e di non attentare al loro onore, né a quello delle loro famiglie. Se divengo spergiuro, sono contento che il mio corpo sia fatto in pezzi, indi bruciato e le ceneri sparse al vento, acciò il mio nome sia in esecrazione a tutti i buoni cugini carbonari sparsi sulla superficie della Terra. Così Dio mi sia in aiuto!». I «buoni cugini» non scherzavano quando si trattava di traditori o semplici disobbedienti e, affinché il nuovo iniziato fosse ben persuaso, gli facevano prestare il giuramento sulla testa decapitata di un preteso fellone. Sotto il regno di Murat la setta aveva prosperato nel Mezzogiorno d’Italia. Il marito di Carolina, temendo che il cognato volesse annettersi il suo regno, come aveva fatto con quello di Luigi in Olanda, si avvicinò alla Carboneria, tanto che essa, piena di funzionari francesi o francofili e di veterani dell’esercito imperiale, sopravvisse alla morte di re Gioacchino, espandendosi al tempo stesso nel Regno di Sardegna, nei ducati centrali e all’estero, soprattutto in Francia e in Spagna. Le sue rivendicazioni erano più liberali e unitarie che «democratiche». I carbonari italiani si richiamavano alla Costituzione o «Carta di Cadice», promulgata nel 1812 dalle Cortes, il parlamento spagnolo, con il consenso di Napoleone. La loro visione della società era molto elitaria, come quella della Massoneria: non miravano infatti, né a concedere il potere al popolo né a introdurre riforme sociali egualitarie. P. Milza, Storia d’Italia, Corbaccio

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

ƒ Qual è il modello su cui si creano diverse delle società segrete in Italia? ƒ Qual è la tesi sostenuta da Milza circa l’origine della Carboneria in Italia? ƒ Con quale prova dimostra la sua tesi? ƒ Che cosa doveva giurare un affiliato alla Carboneria? ƒ Quali obiettivi politici si prefiggeva la Carboneria italiana?

ƒ Che cos’era la Massoneria? ƒ In quali Paesi europei fu presente la Carboneria? ƒ Come erano strutturate al loro interno le società segrete? ƒ Che metodo di lotta politica adottavano? ƒ Quali erano le società segrete reazionarie?

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COMPETENZE: USARE LE FONTI

Il sogno del libertador Simón Bolívar STORIOGRAFIA Simón Bolívar rappresenta una di quelle igure storiche che sono state trasformate in mito, rendendo difficile separare il reale valore storico del personaggio dall’idealizzazione della sua opera. Egli ha sicuramente incarnato l’ideale dell’indipendenza dell’America Latina, divenendo un modello di riferimento per i popoli oppressi anche al di fuori dei conini americani. Tuttavia non bisogna dimenticare i risvolti meno eroici del personaggio come, per esempio, la concezione autoritaria del potere che lo portò ad accentrare nelle sue mani alte cariche in numerosi Paesi sud americani, e a sognare di raggruppare il subcontinente in una confederazione da lui presieduta. Studi più recenti hanno messo in luce anche altri aspetti problematici della sua politica. L’economista inglese Frank Dawson, per esempio, fa coincidere l’inizio della storia dell’indebitamento dell’America Latina proprio con Simón Bolívar, che nel 1819 mandò a Londra il collega e amico Francisco Antonio Zea a chiedere un prestito per inanziare la battaglia inale per l’indipendenza dei Paesi latino-americani. Gli Inglesi si dimostrarono molto interessati a questa proposta, dato che l’America Latina rappresentava un interessante mercato dall’alto potenziale economico e politico che, in caso di cacciata degli Spagnoli, si sarebbe aperto all’Impero inglese. Così, già nel 1828, tutti i paesi latino-americani, a eccezione del Brasile, erano indebitati. La debolezza strutturale di questi Paesi innescò una situazione di profonda crisi economica che si trascina ino ai giorni nostri, provocando la stretta dipendenza dell’America Latina dai paesi stranieri. Il brano seguente ci presenta un ritratto a tutto tondo del libertador Simón Bolívar e della sua strategia politica.

Nadeije Laneyrie-Dagen Nadeije Laneyrie-Dagen (1957) ha insegnato storia prima presso l’Università di Lilla III e attualmente all’École normale supérieure di Parigi. I suoi principali interessi riguardano il Rinascimento e il rapporto tra creazione artistica e pensiero scientifico, ma non mancano approfondimenti anche significativi in altri ambiti della Storia. Tra le sue numerose opere: L’invention du corps («L’invenzione del corpo», 1997); Lire la peinture («Leggere la pittura», 2002); Théorie de la figure humaine («Teoria della figura umana», 2003); Rubens (2003); Le métier d’artiste («Il mestiere d’artista», 2012).

Nato a Caracas nel 1783, l’anno in cui l’indipendenza degli Stati Uniti venne riconosciuta dall’Inghilterra, […] Simón Bolívar discendeva da una ricca famiglia spagnola. Ma considerava come sua patria l’America. […] Faceva parte di quella élite che guardava agli ideali rivoluzionari europei. Tra il 1803 e 1805 Bolívar si recò in Europa. Da Cadice a Roma, passando per Parigi, scoprì il fervore dei rivoluzionari, gli ideali massoni, l’egoismo dei sovrani. Ammirò Napoleone, questo generale repubblicano il cui potere si fondava sul successo e la gloria della nazione. […] A Roma, nel 1805, Bolívar giurò di liberare l’America dal giogo spagnolo. Di ritorno in Venezuela, ritrovò un’America Latina in fermento. Un anno prima, nel 1806, un nobile venezuelano, Francisco de Miranda, aveva tentato uno sbarco per liberare le colonie latino-americane. Il suo progetto era fallito, ma l’idea di una rivolta militare era diventata realtà. Le difficoltà della Spagna rinforzarono l’impressione di una crisi di autorità su tutto il continente, alimentando la voglia di indipendenza. Nel luglio del 1811 la Repubblica venezuelana venne proclamata per la prima volta. Gli Spagnoli reagirono e la spazzarono via all’inizio del 1812. Bolívar fuggì in esilio. Ma la sua determinazione lo spinse a riprendere presto il combattimento: la sua tattica si fondava sulla rapidità di spostamento, sull’effetto-sorpresa e anche sulla feroce determinazione a lottare fino alla morte. Nel 1813, Bolívar guidò le sue truppe attraverso la Colombia e il Venezuela. Queste operazioni hanno preso il nome di «Campagna ammirabile». Bolívar entrò in Caracas e proclamò la Repubblica venezuelana per la seconda volta. Ma presto 11 000 soldati spagnoli sbarcarono e la controffensiva risultò vittoriosa. Bolívar fu obbligato nuovamente all’esilio. Quali sono le ragioni di questo alternarsi di successi e sconfitte? Fino al 1816 la lotta per l’indipendenza fu un fatto che riguardava solo l’élite. Le masse popolari (Indiani, mulatti e schiavi neri) restarono leali alla Spagna: per loro l’indipendenza non era che una rivendicazione dei ricchi. Bolívar capì che l’indipendenza doveva diventare una lotta popolare. Nel 1816 adottò quindi un programma radicale: promise la liberazione degli schiavi e la redistribuzione delle terre sottratte al nemico. Questa strategia politica fu vincente. Dal 1819 al 1821, Bolívar riprese la lotta. Occupò Bogotá nel luglio 1819. Nel 1821 proclamò per la terza volta e in maniera definitiva la Repubblica venezuelana. Nel 1822 il generale Sucre, suo secondo, liberò l’Ecuador. Nel 1824 Bolívar liberò il Perù e la Bolivia. Infine il 9 dicembre 1824, a Ayacucho, gli Spagnoli subirono una nuova sconfitta ritiran-

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I moti degli anni Venti e Trenta dosi definitivamente dal continente. Da questo momento l’America fu in mano agli Americani. Bolívar diventò presidente del Venezuela, presidente a vita del Perù, vice-presidente della Colombia. Lasciò la presidenza della Bolivia al generale Sucre. Eroe militare e politico, incarnò l’identità latino-americana. Sognava una grande confederazione che raggruppasse tutto il continente sudamericano sotto il suo potere. Perché Bolívar era autoritario. Un giorno scrisse a uno dei suoi luogotenenti: «Che cosa possiedono i Venezuelani che non devono a me?». La sua presunzione gli alienò la simpatia di molti. Nel 1827, un colpo di Stato militare mise fine al suo potere in Perù. Nel settembre del 1828, sfuggì a un attentato in Colombia. Nel 1830, il suo amico, il generale Sucre, venne assassinato in Bolivia. Il potere di Bolívar si sfaldò, la sua autorità vacillò, la sua popolarità crollò. L’uomo, logorato da un’attività frenetica, si sentì preso da uno scoraggiamento immenso. Qualche settimana prima della sua morte scrisse: «La sola cosa che si possa fare in America Latina è emigrare». Abbandonò ogni potere e andò nuovamente in esilio. Minacciato dalla tubercolosi, morì nell’indifferenza generale a Santa Marta, in Colombia, il 17 settembre 1830. Se l’uomo fu poco amato, il libertador venne adulato: un mito, che giunge fino ai giorni nostri, in cui il personaggio si confonde con la storia della liberazione dell’America Latina.

Rita Matilde de la Peñuela, El Libertador, 1860. Caracas, Colección de Arte del Banco Central de Venezuela.

N. Laneyrie-Dagen (a cura di), Bolívar au Venezuela, in «Mémoire 2000», Larousse

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

Che formazione personale ebbe Bolívar? ƒ ƒ Quando fu proclamata per la prima volta la repubblica in Venezuela? E la seconda volta? ƒ Che cosa fece Bolívar dopo la repressione spagnola dell’insurrezione? ƒ Quale tattica di combattimento adottava Bolívar? ƒ Che cosa fu la «Campagna ammirabile»? ƒ Perché per due volte Bolívar ottenne prima il successo e poi la sconfitta? ƒ Quale programma politico adottò Bolívar per ottenere successo nella sua lotta per l’indipendenza dei Paesi dell’America Latina? ƒ Quali Paesi liberò Bolívar? ƒ Perché viene giudicato un uomo autoritario?

Sotto il dominio di quali Paesi europei erano gli Stati ƒ dell’America Latina? ƒ Quali cause, interne ed esterne, favorirono l’acquisizione dell’indipendenza degli Stati dell’America Latina? ƒ Che cosa intendeva promuovere la dottrina Monroe? ƒ Perché nei Paesi liberati non si instaurarono dei sistemi democratici? ƒ I Paesi dell’America Latina riuscirono a raggiungere anche l’indipendenza economica?

ƒ Prima e Dopo ƒ Video - Parigi sulle barricate ƒ Immagine commentata - Il massacro di Scio ƒ Immagine commentata - La libertà che guida il popolo

ƒ Online DOC - Mazzini: l’insufficienza del liberismo ƒ Online STO - Le radici del nazionalismo italiano ƒ Audiosintesi Unità 8

IN DIGITALE

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MISURARE LE COMPETENZE

GLI EVENTI

IL TEMPO

Completa la frase. 1. Il metodo di lotta delle società segrete fu l’insurrezione l’opposizione parlamentare la diffusione di giornali di opposizione

Unisci opportunamente avvenimento e data, indicando il numero corrispondente della data nella colonna a destra di ogni avvenimento.

2. Il successo del moto indipendentista greco fu dovuto alla debole reazione dell’Impero ottomano all’intervento della Santa Alleanza all’intervento di Russia, Inghilterra e Francia

Avvenimento a Tentata insurrezione in Centro Italia b Insurrezione in Grecia c

Insurrezione in Spagna

3. Nel 1830 Carlo X emanò la Costituzione la Legge del miliardo le Quattro ordinanze

d Insurrezione a Parigi

4. L’insurrezione di Parigi del 1830 si concluse con una feroce repressione con una vittoria del ceto popolare e la nascita di una repubblica con una vittoria della borghesia e la nascita di una monarchia parlamentare

g Indipendenza dell’Argentina

5. La riforma elettorale inglese del 1832 prevedeva l’eleggibilità della Camera dei Lords un netto aumento degli elettori il voto libero e segreto 6. Una delle cause che portarono all’indipendenza dell’America Latina fu l’affermazione della potenza commerciale spagnola e portoghese l’opprimente presenza della Santa Alleanza la tensione in atto nella società latino-americana

e Indipendenza della Grecia f

Proclamazione della dottrina Monroe

Data 1

1816

2 1820 3 1821 4 1823 5 1830 6 1831 7 1832

VERSO L’ESAME DI STATO

Definisci le seguenti espressioni: a. società segrete

a. Rispondi alle seguenti domande. ƒIn che modo si esprimeva il dissenso nell’epoca della Restaurazione? ƒQuali erano i fattori di debolezza delle società segrete? ƒQuale bilancio si può trarre circa i moti degli anni VentiTrenta? ƒQuale significato ebbe la riforma elettorale inglese del 1832? ƒQuali furono le cause, interne ed esterne, dell’indipendenza dell’America Latina?

b. insurrezione

b. Il saggio breve: interpreta e confronta i seguenti testi. ƒp. 278 – La polizia controlla «Il Conciliatore» ƒp. 278 – La Massoneria

7. Simón Bolívar fondò il regno personale della Bolivia tentò di unificare la Colombia e l’intera regione settentrionale nella Grande Colombia proclamò l’indipendenza del Cile

LE PAROLE

c. cartismo d. caudillos e caudillismo:

Successivamente, utilizzando anche le tue conoscenze, sviluppa l’argomento proposto nella forma del saggio breve, attribuendo alla composizione un titolo appropriato. Argomento. Il sistema della Restaurazione e le forme di opposizione

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Le rivoluzioni del 1848 PRIMA: Le rivoluzioni borghesi e liberali Le insurrezioni in Italia e nel resto d’Europa negli anni Venti e Trenta furono ispirate dal pensiero liberale e costituzionalista: avevano come obiettivo la lotta all’assolutismo, la limitazione del potere sovrano con una costituzione, l’affermazione dei diritti civili. Per questo i moti trovarono appoggio nella classe borghese, influente a livello economico con il suo spirito d’intrapresa e a livello morale e culturale attraverso l’opinione pubblica.

CAUSE

EVENTI

CONSEGUENZE

Limiti del regime orleanista e diffusione di ideali riformisti e rivoluzionari

X

Febbraio 1848: Rivolta a Parigi e proclamazione della repubblica

X

Nasce un regime democratico che si trasforma poi in impero con Napoleone III

Arretratezza politica dell’Austria e problema delle nazionalità

X

Marzo 1848: Rivolte a Vienna, Budapest e Praga

X

Fallimento delle rivolte e ristabilimento dell’ordine

Problema dell’unità nazionale della Germania

X

Marzo 1848: Scoppia l’insurrezione in Germania

X

Fallimento del tentativo democratico e liberale

X

Gennaio-marzo 1848: Vengono concessi degli Statuti

X

Tentativo di sconfiggere l’Austria e bloccare le iniziative dei democratici

X

Marzo-luglio 1848: Prima guerra di indipendenza

X

Sconfitta del Regno di Sardegna

Volontà di riscattare la sconfitta e insistenza dei democratici

X

Marzo 1849: riprende la guerra di indipendenza e i piemontesi vengono sconfitti

X

Fine della prima guerra di indipendenza e abdicazione di Carlo Alberto

Sommosse e proteste in varie parti d’Italia

Si chiude una stagione di riforme

DOPO: Le rivoluzioni popolari, l’industrializzazione e il socialismo Durante l’estate del 1849 furono soffocati gli ultimi focolai rivoluzionari che nel 1848 sconvolsero l’Europa. Dal punto di vista territoriale non cambiò nulla rispetto al 1815; ma era ormai chiaro che all’Europa dei re si stava sostituendo l’Europa delle nazioni. Nelle rivoluzioni del 1848, nonostante le peculiarità di ogni singola nazione, si possono cogliere tre tendenze: democratico-sociale, liberalcostituzionale e patriottico-nazionale.

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AGRICOLTURA ESTENSIVA È tipica del latifondo. Si caratterizza per una bassa produttività del terreno con scarso impiego di lavoro e capitali. In genere, si tratta di monocolture, ad esempio quella del grano, praticate su vaste estensioni.

LESSICO

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AGRICOLTURA INTENSIVA È tipica di piccoli appezzamenti di terreno. Si tratta di un tipo di agricoltura ad alta produttività del terreno con largo impiego di lavoro e capitali. In genere le colture, come nel caso degli ortaggi, vengono ripetute.

MAGAZINE

VITA QUOTIDIANA

Sulla pelle dei contadini Pag. 414

Antonio Fontanesi, Il mattino, 1861. Genova, Galleria d’Arte Moderna.

1. L’arretratezza dell’Italia L’ARRETRATEZZA DELL’AGRICOLTURA Intorno alla metà dell’Ottocento nei vari Stati italiani vivevano 24 milioni di abitanti contro i 15,3 milioni di cento anni prima. Anche nel nostro Paese, perciò, come in tutta Europa si era veriicato un forte aumento demograico. Ma rispetto ad altri Paesi, come la Francia e l’Inghilterra dove era avvenuto il decollo della rivoluzione industriale, l’Italia era arretrata. A metà Ottocento in Inghilterra solo il 21,7% della popolazione era impiegato nell’agricoltura; in Italia il 70% della popolazione era impiegato nell’agricoltura, il 18% nell’industria e il 12% nel terziario. Era stato possibile garantire risorse alimentari adeguate all’aumento della popolazione grazie all’incremento della produzione di cereali e, soprattutto, grazie all’introduzione di nuove coltivazioni come la patata e il mais. Ma l’incremento della produzione non era stato accompagnato da un progresso nelle tecniche e nei sistemi di coltivazione. L’agricoltura italiana era infatti prevalentemente estensiva; quella intensiva era praticata in poche zone della Penisola, concentrate soprattutto nella Pianura Padana dove erano state introdotte coltivazioni redditizie (come ad esempio quella del gelso, le cui foglie servono a nutrire i bachi da seta). Oltre alla coltivazione dei campi, si allevavano bovini e suini. In Toscana si praticava ancora la mezzadria, che risaliva al Trecento. I terreni appartenenti a un unico proprietario erano divisi in poderi, solitamente di piccole o medie dimensioni, in cui si coltivavano cereali, olivi, viti, alberi da frutta. Ogni podere era aidato a una famiglia di contadini: metà del raccolto andava al proprietario, metà alla famiglia che lo coltivava. Agli inizi la mezzadria aveva avuto efetti positivi, perché il contadino, non più bracciante, era stimolato a produrre di più; a metà Ottocento, però, i mezzadri non avevano le possibilità economiche e la cultura necessarie per modernizzare le coltivazioni. Nel resto del Centro e nel Sud il terreno era meno fertile. Si praticava un’agricoltura estensiva: era difuso il latifondo, in cui lavoravano i braccianti. Grandi estensioni di terreno venivano coltivate a grano e spesso dopo la coltivazione il terreno veniva lasciato riposare un anno: le rese erano perciò molto basse. Tra il Settecento e la metà dell’Ottocento erano però aumentate le colture specializzate di olivi, viti e agrumi, i cui prodotti erano esportati anche fuori dell’Italia.

301

Le rivoluzioni del 1848

UNA PRODUZIONE ANCORA PREINDUSTRIALE A metà Ottocento le industrie operavano soprattutto nei settori tessile, siderurgico e meccanico. Si trattava però di industrie di piccole dimensioni; sorgevano lungo corsi d’acqua per sfruttarne la forza motrice. Non si era ancora formato un vero e proprio proletariato industriale, perché gli operai erano per lo più contadini che lavoravano nelle fabbriche solo nei momenti lasciati liberi dai lavori agricoli (autunno, inverno). Il settore più sviluppato era quello tessile: venivano lavorati seta, lana e cotone. Prevaleva la produzione di seta (difusa soprattutto in Piemonte e Lombardia); però in Italia non si compiva l’intero di ciclo di lavorazione, ma solo le prime fasi (la trattura, cioè l’operazione con cui si estrae il ilo dal bozzolo, e la ilatura). Il ilo grezzo era poi tessuto all’estero. L’industria laniera era concentrata nella zona di Prato, nel Biellese e nel Veneto. Si trattava ancora di una produzione preindustriale: una parte del lavoro era svolta dalle contadine nelle campagne e completata poi da artigiani in città. Il cotone era lavorato in Lombardia e nell’Italia meridionale; i sistemi di lavorazione erano più moderni di quelli usati per le altre due ibre, ma la produzione era ridotta: prima dell’uniicazione in Italia erano operanti solo 450000 fusi, mentre in Inghilterra, nello stesso periodo, ce n’erano tre milioni. Ancora maggiore era il ritardo dell’industria siderurgica e meccanica. Le principali industrie siderurgiche erano situate in Toscana e Lombardia; la produzione meccanica era svolta in botteghe artigiane.

PERCHÉ L’ITALIA ERA COSÌ ARRETRATA?

TECNICA E STORIA

A metà Ottocento, le condizioni di vita dei contadini non erano signiicativamente migliorate rispetto al Seicento. L’alimentazione era molto povera e si basava essenzialmente sul consumo di farinacei: polenta al Nord e grano al Sud. Nel Sud la dieta era integrata dal consumo di frutta e verdura; nel Nord, dove ciò avveniva in misura minore, erano molto difuse le malattie da avitaminosi (mancanza di vitamine) come la pellagra. Inoltre la presenza su tutto il territorio di vaste zone paludose favoriva la difusione della malaria. Le abitazioni erano misere, le condizioni igieniche precarie e ciò favoriva la difusione di epidemie, come quelle di vaiolo, tifo, colera. La durata media della vita era bassa (35-40 anni) e la mortalità infantile molto elevata (22,6%).

VIDEO

Vita quotidiana e alimentazione dei contadini a metà Ottocento

Come vivevano i contadini nell’Ottocento? La pittura realista del XIX secolo, così come le prime fotografie, ci offrono il materiale per comprendere la quotidianità delle classi rurali: si tratta di immagini di lavoro nei campi, di amorevoli madri impegnate con i bambini, di abitazioni modeste se non addirittura malsane se si considera che in molti casi i contadini trascorrevano gran parte del loro tempo nelle stalle al calore degli animali.

Le filatrici 4. Campagna. Ai primi dell’Ottocento il lavoro della filatura veniva svolto in genere in piccoli laboratori o più spesso nelle campagne, a domicilio durante le pause stagionali o di sera, terminati i lavori agricoli.

1. Committente. I fabbricanti di tessuti erano i committenti del lavoro a domicilio. Ogni settimana passavano a consegnare la materia prima e a ritirare il filato.

3. Donne. Il lavoro della filatura era affidato esclusivamente alle donne di una famiglia. Poiché le famiglie contadine erano spesso «allargate», le donne che si dedicavano alla filatura erano numerose e durante il lavoro pregavano o cantavano insieme.

2. Retribuzione. Le donne erano pagate «a cottimo», cioè erano retribuite in proporzione alla quantità di lavoro finito prodotto.

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GUIDA ALLO STUDIO

L’arretratezza dell’Italia rispetto all’Inghilterra e alla Francia era però evidente soprattutto nel campo industriale. Questo ritardo dipendeva da varie cause: ƒil Paese disponeva di poche materie prime (come ferro e carbone); ƒla rete viaria era poco sviluppata e maltenuta; ƒgli Stati italiani investivano poco o nulla nello sviluppo economico; le tasse erano basse, ma servivano per mantenere l’esercito, la burocrazia, la corte; ƒle banche, pur in crescita come numero, non sostenevano lo sviluppo agricolo e industriale; ƒmancava un ceto imprenditoriale disposto a rischiare in nuove attività produttive; la borghesia preferiva dedicarsi agli investimenti tradizionali in campo commerciale e agricolo; la nobiltà, ancora potente al Centro e al Sud, non si occupava della gestione dei propri beni, limitandosi a riscuoterne le rendite; ƒil reddito pro capite era basso e prevaleva l’autoconsumo; mancava quindi un mercato interno capace di assorbire beni e prodotti. Questa sconsolante situazione era aggravata dalla divisione politica dell’Italia in vari Stati, più o meno grandi, ognuno dei quali aveva la sua moneta, i suoi dazi e le sue leggi. Ciò era di ostacolo alla libera circolazione delle persone e delle merci e impediva il decollo della rivoluzione industriale.

I PREZZI IN EUROPA (1830-1848)

150

ƒ Quali aspetti caratterizzavano l’agricoltura italiana a metà Ottocento? ƒ Quali erano le condizioni di vita dei contadini italiani? ƒ Quali industrie erano presenti in Italia a metà Ottocento?

100

La crisi economica che aveva colpito l’Europa dal 1846 fu una delle cause delle esplosioni rivoluzionarie del 1848: l’impennata del prezzo del frumento incideva fortemente sulle condizioni di vita della popolazione più debole.

LE CAUSE DELL’ARRETRATEZZA ECONOMICA ITALIANA

50 Prezzo del frumento Prezzo della lana Indice di base 100: prezzi del 1820 0 1830

CARENZA DI MATERIE PRIME

MANCANZA DI SOSTEGNO DA PARTE DELLE BANCHE

1835

1840

RETE VIARIA POCO SVILUPPATA

1845

1848

NESSUN INVESTIMENTO NELLO SVILUPPO ECONOMICO

ARRETRATEZZA ECONOMICA DELL’ITALIA

MANCANZA DI UN CETO IMPRENDITORIALE

DIVISIONE POLITICA

DEBOLEZZA DEL MERCATO INTERNO

303

Le rivoluzioni del 1848

2. Il dibattito risorgimentale IL MOVIMENTO RISORGIMENTALE Al pari della Germania, l’Italia conobbe nei primi decenni dell’Ottocento il difondersi dell’idea di unità nazionale. Il processo che portò alla formazione di un unico Stato italiano venne deinito dalla politica del tempo con un termine fortemente suggestivo: Risorgimento. In verità, questo termine allude a una situazione che non esiste nella realtà storica: l’Italia prima dell’Ottocento non fu mai unita e contesti completamente diversi erano quelli dei liberi Comuni o dell’Impero romano. Ma se uno Stato italiano non era mai esistito, una nazione italiana si era formata nel corso dei secoli, a partire dal Medioevo. Nel senso che si era sviluppata un’identità culturale italiana (linguistica e religiosa) e la consapevolezza di un comune interesse economico. A difondere l’idea di unità nazionale contribuì grandemente il dibattito risorgimentale: la polemica che si sviluppò circa i mezzi da impiegare per unire l’Italia e le caratteristiche politiche che avrebbe dovuto avere il nuovo Stato. Due furono i principali schieramenti che si contrapposero: quello moderato (destra risorgimentale) e quello democratico (sinistra risorgimentale). Per i moderati, solo il coinvolgimento dei sovrani e la gradualità nel raggiungere l’uniicazione nazionale potevano essere garanzia di successo. Secondo i democratici, invece, il fallimento dei moti degli anni Venti e Trenta dimostrava inequivocabilmente l’inaidabilità dei sovrani. Per questo bisognava puntare sul coinvolgimento del popolo e il nuovo Stato italiano avrebbe dovuto essere una repubblica.

LA REPUBBLICA DEMOCRATICA DI MAZZINI

Particolare del monumento dedicato a Mazzini nell’omonima piazza di Molfetta, in Puglia.

Stati e nazionalità in Europa alla vigilia del 1848

Tedeschi e popolazioni germanofone Olandesi, Fiamminghi Francesi e popolazioni francofone Italiani Rumeni Ungheresi Polacchi Cechi Slovacchi Serbi Croati Sloveni Ucraini, Russi Altre popolazioni

Limite della Confederazione Germanica Limite dell’Impero d’Austria PAESI BASSI BELGIO

REGNO DI PRUSSIA IMPERO RUSSO

Sassonia

FRANCIA

Baviera SVIZZERA

IMPERO D’AUSTRIA

STATO DELLA REGNO DI SARDEGNA CHIESA REGNO DELLE DUE SICILIE

IMPERO OTTOMANO

Le aspirazioni nazionali non riguardavano solo l’Italia: nella carta si può vedere come i confini politici degli Stati non coincidessero con il territorio di diverse nazionalità. I movimenti patriottico-nazionali dell’Europa nel 1848 intendevano rivendicare la difesa della propria nazionalità. Questo risveglio nazionale si esprime con il rifiuto della dominazione straniera nell’Impero asburgico da parte di Ungheresi, Cechi, Italiani; nell’Impero ottomano, da parte di Serbi, Bulgari, Greci. Oppure si manifesta con la ricerca dell’unità, come negli Stati di lingua tedesca dominati dall’Austria. In Italia queste due tendenze coesistono nel Risorgimento, che mira a liberarsi dal dominio austriaco e a raggiungere l’unificazione territoriale.

TUTOR

Nato a Genova da una famiglia agiata, Giuseppe Mazzini (1805-1872) in dalla giovinezza si avvicinò alle idee patriottiche e democratiche. Iscrittosi alla Carboneria, nel 1830 venne arrestato per la delazione di un informatore. Dovette allora scegliere tra l’esilio o il conino in un piccolo centro del Piemonte. Scelto l’esilio si recò a Marsiglia, dove entrò in contatto con l’ambiente degli esuli in cui era dominante la visione di Filippo Buonarroti e quella del piemontese Carlo Bianco di Saint-Jorioz (1795-1843). Quest’ultimo era autore di un saggio che in quegli anni aveva suscitato un certo scalpore, Della guerra nazionale d’insurrezione per bande, applicata all’Italia, in cui si sosteneva la necessità di applicare al caso italiano il modello spagnolo della rivolta popolare contro Napoleone.

UNITÀ 9

304

Bandiera della Giovine Italia. Genova, Museo del Risorgimento.

Nel contempo, il fallimento dei moti degli anni Venti e Trenta fece maturare in Mazzini la convinzione che la struttura e i metodi della Carboneria avessero ormai fatto il loro tempo. In particolare, andava respinta la segretezza del programma che costituiva un errore strategico gravissimo perché rendeva impossibile il coinvolgimento popolare. Convinto che la Carboneria fosse irriformabile, nel 1831 Mazzini fondò una nuova organizzazione politica, la Giovine Italia, con un chiaro obiettivo: unire il Paese liberandolo dal governo dispotico dei sovrani. In sintesi, l’Italia doveva diventare «una, libera, indipendente e repubblicana». Il metodo da seguire era quello dell’insurrezione; prima di agire, però, occorreva una vasta opera di propaganda che ne rendesse noti gli scopi e educasse il popolo alla rivolta. La Giovine Italia si presentò come un fatto completamente nuovo all’interno del panorama politico italiano. Si discostava dall’elitarismo delle società segrete, per assumere una forma più simile ai partiti moderni. La sua difusione fu piuttosto ampia, e arrivò a contare diverse decine di migliaia di aderenti, anche se molto concentrati geograicamente e socialmente. La maggior parte degli aderenti si contavano in Lombardia, Liguria, Toscana, nello Stato Pontiicio, meno in Piemonte, quasi nessuno nel Mezzogiorno e in Sicilia. Socialmente erano concentrati nelle classi medie e popolari urbane; pochissimi erano i consensi all’interno dell’alta borghesia, preoccupata del radicalismo politico dell’organizzazione, e tra i contadini. Aderì alla Giovine Italia anche Giuseppe Garibaldi (18071882), che poi si distanziò dalle posizioni più radicali di Mazzini.

Statua di Garibaldi a Genova. COMPETENZE

USARE LE FONTI

Educazione e insurrezione Pag. 321

COMPETENZE

USARE LE FONTI

Mazzini e Garibaldi erano terroristi? Pag. 322

«DIO E POPOLO» La concezione che Mazzini aveva della religione era tipicamente romantica, lontana dalla visione cristiana. Dio per Mazzini si identiicava con lo spirito presente nella storia e, in deinitiva, con la stessa umanità. Gli ideali di libertà e di progresso andavano quindi vissuti con fede religiosa. All’interno della storia, gli individui e i popoli erano chiamati da Dio a contribuire al bene dell’umanità: gli individui nell’attuazione dei propri doveri personali, i popoli nella realizzazione della loro missione storica: da qui il binomio «Dio e popolo». Gli Italiani dopo aver dominato il mondo con la Roma dei Cesari, per mezzo della forza delle armi, poi con quella dei papi, per mezzo della forza dello Spirito, ora dovevano illuminarlo con l’avvento della terza Roma, quella del popolo. Questa era la missione storica dell’Italia: essere d’esempio al mondo abbattendo i due principali pilastri su cui poggiava l’ormai logoro sistema politico e religioso: l’Impero asburgico e lo Stato Pontiicio. Inoltre, Mazzini sosteneva il principio dell’associazionismo e criticava l’individualismo settecentesco. L’individuo per raggiungere la libertà doveva unirsi nella famiglia, che a sua volta faceva parte della nazione, che associandosi con le altre nazioni formava l’umanità.

Le rivoluzioni del 1848

305

«PENSIERO E AZIONE»

COMPETENZE

La visione di Mazzini era quindi profondamente spirituale. Da qui la totale avversione per la concezione materialista di Marx. Non tanto perché Mazzini fosse insensibile alla questione sociale; al contrario, era attento al problema e favorevole a intraprendere la strada delle riforme sociali. Ciò che non condivideva era il principio marxiano della lotta di classe, in quanto rompeva l’unità spirituale del popolo. Per Mazzini il pensiero teorico non andava disgiunto dall’azione concreta. Occorreva pensare, ma anche agire. Da qui l’altro celebre binomio mazziniano: «Pensiero e azione». Tuttavia i limiti maggiori del pensiero di Mazzini si rivelarono proprio nell’azione. Tutte le insurrezioni che vennero tentate in quegli anni fallirono: prima nel 1833 nel Regno di Sardegna; poi l’anno successivo nella Savoia e a Genova; nel 1844 in Calabria per opera di due uiciali della marina austriaca appartenenti alla Giovine Italia, i fratelli Attilio ed Emilio Bandiera che avevano sperato nella sollevazione dei contadini calabresi; inine nel 1843 e nel 1845 nello Stato Pontiicio e precisamente in Romagna. In realtà, sia per quanto riguarda la tentata insurrezione in Calabria sia per quella nello Stato Pontiicio, Mazzini si era dissociato. Ma il fallimento di quelle insurrezioni alimentò la polemica nei suoi confronti: Mazzini venne accusato dai moderati di influenzare con il suo credo rivoluzionario il meglio della gioventù italiana spingendola a un inutile sacriicio.

USARE LE FONTI

Attualità e ambiguità di Mazzini Pag. 326

COMPETENZE

USARE LE FONTI

Prima la libertà poi l’indipendenza Pag. 324

LA REPUBBLICA FEDERALE DI CATTANEO

FEDERALISMO Il termine ha la sua radice etimologica nel latino foedus, cioè patto, alleanza. Indica genericamente la tendenza alla costruzione di un’unione di entità statali o sociali che esercitano una parte delle funzioni di governo in modo autonomo, mentre altre funzioni sono delegate alla federazione, cioè all’organismo centrale e superiore. Nel federalismo vi sono dunque due livelli di autorità di governo: uno locale e uno centrale, che hanno entrambi sovranità nelle loro competenze. In Italia, per esempio, Cattaneo riteneva che la struttura federale fosse l’unica in grado di garantire la libertà, considerata un valore prioritario rispetto all’indipendenza. CENTRALISMO Il termine indica una dottrina politica che ha come valori di riferimento l’unità nazionale e la coesione sociale. Secondo questa concezione, l’accentramento dei poteri nelle mani del governo centrale impedisce la disgregazione e la frammentazione dello Stato, che sarebbero invece favorite dal trasferimento di alcuni poteri agli Stati membri di una federazione.

LESSICO

Vicino a Mazzini nell’auspicare per l’Italia l’avvento di una repubblica fu il milanese Carlo Cattaneo (1801-1869). Ma a diferenza di Mazzini, Cattaneo riteneva assurdo il ricorso allo spiritualismo con la formulazione di concetti come «missione storica» dell’Italia. E soprattutto non condivideva l’obiettivo di costituire uno Stato centralizzato: al contrario si doveva puntare a una repubblica federale. Gli Stati italiani dovevano dunque federarsi tra loro: solo così era possibile garantire «la reale libertà dei diversi popoli, storicamente presenti, con le loro speciiche caratteristiche, nel territorio nazionale». Erede della tradizione illuminista e riformista settecentesca, Cattaneo guardava come modello agli Stati Uniti e alla Svizzera e riteneva che lo Stato centralizzato avesse ormai mostrato storicamente tutta la sua inadeguatezza, in quanto espressione di una vecchia visione autoritaria. Il metodo per raggiungere la confederazione repubblicana italiana non si discostava da quello scelto dai moderati: occorreva procedere attraverso riforme politiche ed economiche, puntando sull’istruzione popolare, sul liberismo doganale e sul miglioramento delle vie di comunicazione. L’Italia federale avrebbe poi in un secondo momento fatto parte di una confederazione più grande: gli Stati Uniti d’Europa. Cattaneo, che provava una profonda avversione verso il dominio austriaco, incapace di sostenere il progresso, era nettamente avverso anche al Regno sabaudo, giudicato clericale e assolutistico. Il busto di Carlo Cattaneo (opera dei fratelli Poletti e Ghio), proprietà della Camera dei Deputati.

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DEMOCRATICI E MODERATI Esponenti

TUTOR Obiettivi

Metodi

Democratici Sinistra risorgimentale

G. Mazzini G. Garibaldi

Italia unita. Repubblica demoratica.

Rivoluzione popolare.

C. Cattaneo

Repubblica federale e democratica.

Riforme graduali.

Moderati Destra risorgimentale

V. Gioberti

Confederazione italiana sotto la presidenza del papa (neoguelfismo).

Accordo fra gli Stati italiani.

C. Balbo

Confederazione italiana sotto la guida dei Savoia.

Intervento diplomatico e militare del Regno di Sardegna.

M. d’Azeglio C. Benso, conte di Cavour

Unità d’Italia sotto la guida dei Savoia. Monarchia.

Intervento diplomatico e militare del Regno di Sardegna.

IL NEOGUELFISMO DI GIOBERTI All’interno dello schieramento moderato, la visione confederale venne sostenuta in particolare dal sacerdote torinese Vincenzo Gioberti (1801-1852). Nella sua opera più celebre, Del primato morale e civile degli Italiani del 1843, Gioberti auspicò la costituzione di una confederazione fra gli Stati italiani presieduta dal papa e sostenuta dalla forza delle armi del Regno di Sardegna. Il primato degli Italiani derivava dall’essere l’Italia sede del papato e dall’averne condiviso per secoli la missione civilizzatrice. Questa proposta venne deinita, nel corso del dibattito risorgimentale, neoguelfa, con allusione alla posizione ilopapale dei gueli medievali, in contrapposizione ai ghibellini iloimperiali. Il neoguelismo non fu un’organizzazione politica, quanto piuttosto un movimento d’opinione, che ebbe il merito di coinvolgere nel dibattito sull’unità d’Italia anche ambienti che ne erano tradizionalmente distanti se non ostili.

IL MODERATISMO FILOSABAUDO Il liberale piemontese Cesare Balbo ne Le speranze d’Italia (1844) poneva il problema, trascurato da Gioberti, della presenza in Italia dell’Impero asburgico e si augurava che un’attenta azione diplomatica piemontese spostasse gli interessi dell’Austria verso i Balcani, lasciando libere le terre italiane. La crisi dell’Impero turco, infatti, rendeva sempre più strategica per l’equilibrio europeo un’accresciuta presenza austriaca nei Balcani in funzione antirussa. La formazione di uno Stato dell’Alta Italia sotto i Savoia avrebbe poi permesso la costituzione di una confederazione italiana fondata sulla forza militare del Regno di Sardegna, il solo Stato italiano in grado di contrastare gli I PROTAGONISTI

Il monumento a Vincenzo Gioberti a Torino.

Teresa Casati Confalonieri in un ritratto dell’epoca.

Teresa Casati Confalonieri (1787-1830) Amica di Cristina di Belgioioso, fu protagonista della lotta per l’indipendenza italiana nell’epoca della Restaurazione. Teresa Casati Confalonieri nacque a Milano nel 1787 dalla contessa Maria Origoni e dal conte Gaspare Casati. Nel 1807 sposò il conte Federico Confalonieri, con cui condivise gli ideali liberali e la partecipazione alla Carboneria. Fece parte, infatti, della Società delle giardiniere, una specie di sezione femminile della Carboneria milanese: le giardiniere, a differenza dei maschi che si riunivano nelle

«vendite», si trovavano nei loro «giardini»; erano organizzate in «aiuole» costituite da nove donne. Teresa e suo marito suscitarono molto presto l’attenzione della polizia austriaca che il 13 dicembre 1821 arrestò il conte per la sua partecipazione al moto piemontese del 1821. Dopo un processo di due anni, Federico Confalonieri fu condannato a morte e Teresa iniziò la sua battaglia per salvare il marito. Si recò a Vienna con il suocero, il cognato, e il fratello per implorare l’intervento dell’imperatore. L’imperatore,

307

Le rivoluzioni del 1848 Austriaci. Da scartare era invece l’ipotesi di aidare al papa la presidenza della confederazione. Balbo era comunque favorevole al coinvolgimento del papa al pari degli altri sovrani italiani, mentre altri moderati ilosabaudi erano nettamente contrari a questa ipotesi. Massimo d’Azeglio, Primo ministro del Regno di Sardegna dal 1849 al 1852, nell’opuscolo Gli ultimi casi di Romagna, analizzando i falliti moti del 1845, espresse dure critiche al malgoverno pontiicio. Nel contempo, però, condannò anche le iniziative insurrezionali, dannose in quanto allontanavano dalla causa nazionale i moderati. L’unica soluzione era aidarsi alla diplomazia e alla armi di Casa Savoia. Ma l’esponente più signiicativo dei ilosabaudi, e fulcro della politica risorgimentale italiana, fu Camillo Benso, conte di Cavour (1810-1861): colui che in concreto seppe individuare la via per giungere all’unità d’Italia.

IL RUOLO DELLE DONNE NEL RISORGIMENTO Accanto alle grandi igure di teorici e combattenti per la causa del Risorgimento d’Italia, non va dimenticato il contributo, spesso oscuro e poco conosciuto, oferto da molte donne. Di diversa origine ed estrazione sociale, le donne si distinsero infatti nella difusione dell’idea dell’unità nazionale, accolsero gli esuli, si dedicarono ad attività infermieristica e si adoperarono ainché le nuove generazioni fossero educate ai valori del Risorgimento. Alcune di queste donne intervennero poi in prima persona nella lotta che portò all’unità nazionale: si tratta di igure quasi leggendarie come Ana Maria Ribeiro detta Anita, la moglie di Garibaldi, di origine brasiliana. Venuta con lui dall’America Latina, Anita ne condivise le lotte ino a morire, a soli 28 anni, presso Ravenna, mentre i due cercavano di raggiungere Venezia fuggendo da Roma dopo aver cercato invano di difendere la Repubblica nel 1849. In quell’occasione si distinse anche la principessa milanese Cristina Trivulzio di Belgioioso. Iscritta alla Carboneria, giornalista e animatrice di circoli patriottici, inanziatrice dei moti, durante la difesa di Roma Cristina organizzò – prima donna nella Storia – un eiciente «pronto soccorso» per i feriti, addestrando donne romane di ogni ceto e imponendo la propria personalità anche ai medici uomini. Dopo l’unità si impegnò nell’apertura di asili. Grande impressione aveva sollevato all’epoca dei primi moti la vicenda della nobile milanese Teresa Casati Confalonieri, che condivideva col marito Federico gli ideali carbonari. In seguito all’arresto e alla condanna a morte di quest’ultimo nel 1821, Teresa si impegnò nella richiesta della grazia presso l’imperatore d’Austria, ottenendo alla ine che la condanna a morte fosse commutata nella detenzione nel carcere dello Spielberg. Accanto a lei si distinse Bianca Milesi, che pagò il suo impegno a favore dei patrioti (durante i moti milanesi del 1821) con l’esilio in Francia.

dopo alcune settimane di attesa, acconsentì a ricevere tutti a eccezione di Teresa, ammessa però alla presenza dell’imperatrice, che si commosse per la dedizione che dimostrava al marito. L’imperatore si dichiarò irremovibile ma alla fine, forse per le insistenze dell’imperatrice, acconsentì a commutare la condanna a morte nel carcere duro da scontare nella fortezza dello Spielberg (gennaio 1824). Nel frattempo Teresa non si era data per vinta: era tornata a Milano e aveva raccolto in una supplica la firma di circa 300 personalità, tra cui Manzoni. La

supplica giunse a Vienna però quando la grazia era già stata decisa. Federico Confalonieri restò allo Spielberg fino al 1835, quando fu condannato alla deportazione in America. Pare che cinque anni prima un secondino gli avesse annunciato la morte della moglie con queste parole: «Numero 14, l’Imperatore vi fa sapere che vostra moglie è morta». Manzoni scrisse l’epitaffio che si può tuttora leggere nel cimitero urbano di Muggiò e si ispirò proprio a Teresa nella creazione del personaggio di Ermengarda dell’Adelchi.

Anita Garibaldi in una foto dell’epoca.

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Che cosa sostenevano i moderati e i democratici? ƒ Che cosa significa il binomio «Dio e popolo»? ƒ Qual era il progetto di Cattaneo? ƒ Che cosa proponeva il neoguelfismo? ƒ Quali obiettivi aveva il moderatismo filosabaudo? ƒ Quale fu il contributo delle donne nel Risorgimento?

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3. L’esplosione del Quarantotto UN PERIODO DI CRISI

COMPETENZE

USARE LE FONTI

L’utopismo repubblicano Pag. 320

Gli anni Quaranta dell’Ottocento furono un periodo di crescente crisi. Sul piano economico a essere colpita fu soprattutto l’agricoltura: la carestia che si sviluppò a partire dal 1844 ebbe efetti devastanti, soprattutto in Irlanda. Dall’agricoltura la crisi passò nel nascente settore industriale in cui si veriicò un calo della domanda di beni che portò al fallimento di numerose imprese. Sul piano sociale, nei Paesi come l’Inghilterra e la Francia in cui era avvenuto il decollo della rivoluzione industriale, la crisi economica acuì la protesta del proletariato che vide compromesso il suo già basso tenore di vita. Sul piano politico non bisogna dimenticare che, seppur negati dalla Restaurazione, i princìpi della Rivoluzione francese continuavano a esercitare una profonda influenza. In quest’ottica trovava sempre più consensi la richiesta dell’estensione del diritto di voto. Inoltre era sempre più difusa, come nel caso dell’Italia, la rivendicazione dell’indipendenza nazionale. Tutto ciò fece esplodere nel 1848 un’ondata rivoluzionaria senza precedenti per ampiezza e intensità. Non a caso, ancor oggi si usa l’espressione «è scoppiato un quarantotto» per indicare l’esplodere di un eccezionale sconvolgimento sociale.

Un episodio dell’insurrezione di Parigi del febbraio 1848 in un dipinto di Eugène Hagnauer. Parigi, Museo Carnavalet.

LA FRANCIA DEL «RE BORGHESE» Luigi Filippo d’Orléans era indubbiamente uno dei sovrani meno oppressivi d’Europa. Tuttavia, proprio come era accaduto per i moti del 1830, l’ondata rivoluzionaria del 1848 partì dalla Francia. Questo perché l’evoluzione economica e sociale del Paese si scontrò sempre di più con i limiti del regime orleanista. La politica del governo di Luigi Filippo d’Orléans, presieduto dal 1840 da FrançoisPierre Guizot (1787-1874), era infatti esclusivamente espressione degli interessi della grande borghesia (banchieri, ricchi commercianti), mentre le condizioni delle classi più

309

Le rivoluzioni del 1848 umili erano trascurate. A partire dal 1845, per far fronte al difondersi della crisi economica, Guizot decise di aumentare le tasse e ciò fece crollare la popolarità di Luigi Filippo d’Orléans. L’opposizione al regime orleanista era molto articolata: ƒi socialisti chiedevano riforme economiche e sociali per una più equa distribuzione della ricchezza; ƒi democratici avevano come obiettivo il sufragio universale; ƒi repubblicani miravano all’allontanamento di Luigi Filippo d’Orléans e alla formazione di una repubblica; ƒi legittimisti rivendicavano il diritto al trono della dinastia borbonica. Lo scarto tra il Paese «legale», formato da coloro che potevano votare, e il Paese «reale» era ormai incolmabile: su una popolazione di 32 milioni, solo 250 000 Francesi erano elettori. Per richiedere una riforma elettorale, le opposizioni organizzarono la «campagna dei banchetti»: delle riunioni in cui l’aspetto politico si univa a quello conviviale. Quando il 22 febbraio 1848, il governo proibì lo svolgimento di un comizio della «campagna dei banchetti», il popolo parigino insorse (rivoluzione di febbraio) e in soli tre giorni proclamò la repubblica (la Seconda Repubblica, dopo quella proclamata dalla Rivoluzione francese).

Ernest Meissonier, La barricata, 1848. Parigi, Musée d’Orsay.

I MOTI RIVOLUZIONARI DEL 1848-49 IN EUROPA REGNO DI SVEZIA REGNO DI DANIMARCA REGNO UNITO DI GRAN BRETAGNA E IRLANDA

REGNO DEI PAESI BASSI

REGNO DI PRUSSIA

REGNO DEL BELGIO

Francoforte Praga

Parigi (febbraio 1848)

Vienna (marzo 1848)

SVIZZERA REGNO DI FRANCIA

REGNO DI SPAGNA

IMPERO RUSSO

Berlino (marzo 1848)

Milano (18 marzo 1848)

IMPERO D’AUSTRIA Budapest

Venezia (17 marzo 1848)

Firenze

STATO DELLA CHIESA

REGNO DI SARDEGNA Roma

Napoli

REGNO DELLE DUE SICILIE Palermo (gennaio 1848)

IMPERO OTTOMANO

REGNO DI GRECIA Diffusione dei moti rivoluzionari Moti del 1848-49 Confederazione Germanica

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UN INIZIO PROMETTENTE PER I RIVOLTOSI

DOCUMENTO

I rivoltosi diedero vita a un governo provvisorio che emanò provvedimenti di carattere democratico: introduzione del sufragio universale maschile, abolizione della pena di morte per i detenuti politici, cancellazione dei titoli di nobiltà e dichiarazione della ine della schiavitù nelle colonie. Sul piano sociale fu ottenuta la riduzione della giornata lavorativa a 10 ore, e la creazione dei cosiddetti ateliers nationaux (laboratori o opiici nazionali), per dare lavoro ai disoccupati. Vennero, in pratica, reintrodotti i tradizionali ateliers de charité, cioè cantieri per le opere pubbliche, per lo più lavori di sterro e manutenzione delle strade, situati spesso in luoghi lontani dalla capitale; mentre fu respinta la proposta del socialista Louis Blanc di istituire delle vere e proprie associazioni di lavoro autogestito: gli ateliers sociaux. Gli ateliers nationaux non ebbero successo: gli operai non ottennero il sospirato miglioramento della loro condizione sociale; mentre la borghesia li considerò una pericolosa affermazione socialista, oltre che uno spreco di denaro pubblico. Le diferenze ideologiche e di interessi tra liberali e socialisti vennero a galla, e le elezioni di aprile segnarono la deinitiva rottura del fronte rivoluzionario.

L’associazionismo universale In questo brano il socialista Louis Blanc denuncia la miseria causata dalla concorrenza e propone come unica soluzione l’associazionismo universale, espressione della solidarietà di tutti gli interessi. Ma per raggiungere questo obiettivo era necessario l’intervento dello Stato. Il principio su cui poggia la società oggi è quello dell’isolamento, dell’antagonismo, della concorrenza. La concorrenza, lo dico prima di tutto, è l’origine perpetua e progressiva della miseria. Effettivamente, invece di unificare le forze per far loro raggiungere il risultato più utile, la concorrenza le colloca in un perpetuo stato di conflittualità; le annulla

reciprocamente, le distrugge le une contro le altre. È, quindi, una società autentica quella che è costituita in tal modo, in cui la prosperità degli uni corrisponde fatalmente alle sofferenze degli altri? […] Occorre quindi, affinché la libertà di ciascuno sia affermata e assicurata, che lo Stato intervenga. E qual è il mezzo che esso deve usare per affermare e assicurare la libertà? L’associazionismo universale: con la solidarietà di tutti gli interessi annodati, si eliminano gli sforzi contrari che si annullano, e le fabbriche che si divorano a vicenda. L. Blanc, La révolution de février au Luxembourg

DALLA REPUBBLICA AL SECONDO IMPERO

Charles-Edouard Boutibonne, ritratto di Napoleone III, 1856. Londra, Royal Collection.

Il 23 aprile si tennero le elezioni a sufragio universale maschile. I votanti furono 9 milioni. Vinsero nettamente i moderati, che ottennero 600 seggi dell’assemblea su 900, mentre i democratici e i socialisti, sostenuti dal popolo di Parigi, vennero sconitti. Il nuovo governo abolì la precedente riduzione della giornata lavorativa a 10 ore. Il 21 giugno un decreto cancellò gli ateliers nationaux e obbligò tutti gli operai al di sotto dei 25 anni ad arruolarsi nell’esercito. A questo punto, gli operai e i disoccupati, di fronte alla scelta tra la deportazione e la fame, decisero di insorgere. L’insurrezione scoppiò il 23 giugno 1848 (rivoluzione di giugno) e durò 4 giorni durante i quali lo scontro tra borghesia e proletariato divenne aperto e violentissimo. La repressione guidata dal generale Cavaignac fu particolarmente feroce: circa 3000 furono i dimostranti fucilati, 15000 gli arrestati e 4000 i deportati. La vittoria dei moderati fu totale. Nel novembre 1848, venne promulgata una nuova Costituzione che prevedeva, per mezzo di un plebiscito, l’elezione diretta del presidente della Repubblica al quale venivano concessi enormi poteri, a discapito del Parlamento. Il 10 dicembre venne eletto presidente Carlo Luigi Napoleone Bonaparte, nipote di Napoleone, che ottenne oltre 5 milioni di preferenze. Per lui votarono non solo la maggioranza dei contadini e dei borghesi, desiderosi di ordine e di pace, ma anche nu-

311

Le rivoluzioni del 1848 merosi proletari parigini, in polemica con l’azione repressiva del governo repubblicano. Forte del potere ottenuto, Luigi Bonaparte in pochi anni trasformò il governo repubblicano in una dittatura personale. Nel 1851 fece approvare, con un’altra schiacciante vittoria elettorale, una nuova Costituzione che gli conferiva la presidenza decennale, esautorando il Parlamento che vedeva ridotto il proprio ruolo alla semplice discussione delle leggi proposte dal presidente. Inine nel 1852, con un ulteriore plebiscito Luigi Bonaparte si fece proclamare imperatore dei Francesi. L’ordine era stato ripristinato.

LA RIVOLTA NELL’IMPERO ASBURGICO

Le bandiere, simbolo patriottico La bandiera greca è costituita da una croce bianca che simboleggia la fede ortodossa ma che era anche il simbolo dell’insurrezione del 1823; le nove strisce alternate bianche e azzurre invece sembra rappresentino il numero delle sillabe in greco del motto dei rivoluzionari: «Libertà o morte».

GRECIA - 1832

La bandiera tedesca ha i colori della divisa dell’armata del barone von Lützow formata da volontari che combatterono contro l’occupazione di Napoleone nel 1813: indossavano il cappotto nero, con i risvolti rossi e i bottoni d’oro. Fu il parlamento di Francoforte, il 9 marzo 1848, a adottare come colori nazionali della bandiera della Confederazione tedesca il nero, il rosso e il giallo. GERMANIA - 1848

APPROFONDIMENTO

La notizia dell’insurrezione di Parigi diede il via a una serie di rivolte in tutta Europa. Il detto «quando Parigi ha il rafreddore, tutta l’Europa starnutisce» ben descrive quanto accadde. Il 13 marzo 1848 la protesta scoppiò a Vienna. Per cercare di arginare la rivolta, l’imperatore Ferdinando I d’Austria licenziò Metternich (che fuggì in Inghilterra), concesse la libertà di stampa e l’elezione di un’Assemblea Costituente a sufragio universale. Nel frattempo la protesta divampò in tutto l’impero: dai Croati, agli Sloveni, dai Boemi agli Slovacchi, dai Magiari agli Italiani. In Italia, in Cecoslovacchia e in Ungheria i governi rivoluzionari si proclamarono autonomi e indipendenti. Budapest insorse il 15 marzo e sotto la guida del liberale Lajos Kossuth (1802-1894) iniziò a costituire un esercito nazionale, condizione indispensabile per ottenere l’indipendenza dell’Ungheria. Praga si sollevò il 19 marzo con l’obiettivo di ottenere dall’imperatore maggiore autonomia e libertà politiche per i Cechi. Ma nonostante l’ampiezza della protesta l’Impero asburgico resse e lentamente riuscì a reagire. Nel contempo, l’opposizione tra conservatori e progressisti all’interno delle singole nazioni non permetteva alle iniziative rivoluzionarie di acquistare quell’unità necessaria per resistere alla potenza austriaca. Inoltre, le iniziative delle diverse nazionalità non giunsero mai a coordinarsi tra loro contro l’impero. Queste debolezze vennero sapientemente sfruttate dagli Austriaci. Prima a soccombere fu Praga: venne bombardata nel giugno del 1848 e la rivolta fu repressa nel sangue; poi a ottobre fu la volta di Vienna, a opera soprattutto di soldati cechi e croati. In dicembre Ferdinando I abdicò in favore del nipote diciottenne Francesco Giuseppe (1848-1916). Inine, nell’agosto del 1849, la resistenza ungherese fu costretta a capitolare di fronte alla dura ofensiva condotta contemporaneamente dall’esercito asburgico e da quello russo, inviato dallo zar Nicola I.

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312

LA RIVOLTA NEGLI STATI TEDESCHI

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Quali fattori determinarono la crisi degli anni Quaranta dell’Ottocento? ƒ Da chi era formata l’opposizione a Luigi Filippo d’Orléans? ƒ Che cos’erano gli ateliers nationaux? ƒ Quali obiettivi animarono le insurrezioni nell’Impero asburgico e negli Stati tedeschi?

APPROFONDIMENTO

Barricate a Berlino in Alexanderplatz il 18 marzo del 1848, in una stampa dell’epoca.

La rivoluzione scoppiò a Berlino il 14 marzo 1848, e da lì si propagò in tutti gli Stati tedeschi. Le richieste degli insorti si inserivano nel contesto particolare della Confederazione Germanica, lo Stato nato con il Congresso di Vienna: ne erano membri 39 Stati i cui rappresentanti si riunivano nella Dieta di Francoforte, un’assemblea con poteri assai limitati. Di fatto, ogni singolo Stato tedesco era autonomo: si andava da una monarchia costituzionale come quella di Baviera a una assolutistica come quella di Hannover. Gli Stati più importanti erano l’Austria e la Prussia che si contendevano l’egemonia sulla Confederazione. Il difondersi della rivolta in tutta la Germania fece emergere con forza il problema dell’unità nazionale: la Dieta venne abrogata e al suo posto venne eletta un’Assemblea Nazionale Costituente con l’obiettivo di elaborare la Costituzione del futuro Stato unitario. Ma la discussione all’interno dell’Assemblea si arenò su di un tema preliminare: ƒi fautori di una «grande Germania» spingevano per una riuniicazione che comprendesse anche l’Austria; ƒaltri ritenevano più opportuno dare vita a una «piccola Germania», escludendo l’Austria e aidandone la guida alla Prussia degli Hohenzollern. Dopo lunghe discussioni prevalse la tesi della «piccola Germania». Così, mentre l’Austria esclusa ritirava i propri rappresentanti (aprile 1849), l’Assemblea ofriva la corona imperiale al re di Prussia Federico Guglielmo IV. Ma questi riiutò di accettare quello che deinì con sarcasmo «il collare d’acciaio della servitù» a lui oferto da un’assemblea di «mastri paniicatori e macellai»: non poteva infatti accettare che il potere gli venisse oferto da un’assemblea rivoluzionaria che lo vincolava all’accettazione di una Costituzione da essa redatta. Dopo il riiuto di Federico Guglielmo, l’assemblea si trasferì a Stoccarda, per poi essere sciolta con la forza. Tutte le costituzioni concesse nei vari Stati tedeschi vennero abrogate. La via liberale al rinnovamento e all’uniicazione risultò così un completo fallimento. LE RIVOLUZIONI IN EUROPA Luoghi Insurrezioni

TUTOR Obiettivi

Conclusioni

Parigi

22 febbraio 1848 23 giugno 1848

Repubblica.

Impero di Napoleone III (1852).

Vienna

13 marzo 1848

Costituzione.

Repressione: fallimento.

Berlino

14 marzo 1848

Unità della Germania e costituzione.

Repressione: fallimento.

Budapest

15 marzo 1848

Indipendenza dell’Ungheria.

Repressione: fallimento.

Praga

15 marzo 1848

Autonomia dall’Impero asburgico.

Repressione: fallimento.

Il rinvio dell’unificazione tedesca Con queste parole Federico Guglielmo IV di Prussia rifiuta la corona di re di Germania a lui offerta dall’Assemblea di Francoforte, rea di essere nata da una rivoluzione. Con il pretesto di difendere la causa tedesca i nemici della patria hanno innalzato la bandiera della sollevazione dapprima nella vicina Sassonia, poi in regioni isolate della Germania meridionale. Con mio profondo dolore anche in alcune parti della nostra patria [la Prussia], uomini accecati si sono lasciati trascinare a seguire questa bandiera

per rovesciare sotto la sua insegna l’ordinamento divino e umano, in aperta rivolta contro la legittima autorità. In un momento di così serio pericolo mi preme rivolgere al mio popolo una franca parola. Io non potrei dare risposta positiva all’offerta di una corona da parte dell’Assemblea nazionale tedesca, perché l’assemblea non aveva diritto di conferire la corona che mi offrì senza il consenso dei governi tedeschi, perché essa mi fu offerta a condizione che accettassi una Costituzione che non era conciliabile con i diritti e la sicurezza degli Stati tedeschi.

4. Il Quarantotto in Italia IL «BIENNIO DELLE RIFORME»

LESSICO

313

Le rivoluzioni del 1848

Il periodo che va dal 1846 al 1848 è noto come biennio delle riforme. Questa ventata riformista ebbe inizio nel 1846 quando, alla morte del conservatore Gregorio XVI, venne eletto papa, il 16 giugno, il cardinale Giovanni Maria Mastai Ferretti, che assunse il nome di Pio IX (1846-1878). Il nuovo papa era di idee moderate e non aveva mai manifestato simpatie liberali; ma il fatto stesso di essere stato preferito dal conclave al cardinale Pietro Lambruschini, segretario di Stato di Gregorio XVI e capoila dei conservatori, gli attirò le simpatie dei liberali. E i primi atti compiuti da Pio IX sembrarono proprio confermare l’opinione che si trattasse di un «papa liberale»: ƒconcesse l’amnistia ai detenuti politici;aprì anche ai laici la Consulta di Stato, costituita dai rappresentanti delle province di nomina pontiicia; ƒabolì, in parte, la censura preventiva sulla stampa. Queste iniziative suscitarono grande entusiasmo nell’opinione pubblica: sembrava prendere corpo la proposta neoguelfa di Gioberti. In breve tempo, tutta la Penisola venne percorsa da iniziative riformatrici. Soprattutto il Regno di Sardegna e il Granducato di Toscana imitarono Pio IX concedendo riforme amministrative e allentando la censura. L’unico Stato italiano che continuava a riiutare ogni tipo di riforma era il Regno delle Due Sicilie. Ma fu proprio questa eccessiva rigidità a scatenare la protesta che da Palermo (12 gennaio 1848) arrivò ino a Napoli. Preoccupato dalla piega che stavano prendendo gli eventi, Ferdinando II proclamò l’autonomia della Sicilia e il 29 gennaio 1848, primo fra tutti i sovrani d’Italia, concesse la Costituzione. A questo punto, si veriicò una reazione a catena: il granduca di Toscana Leopoldo II emanò la Costituzione il 17 febbraio; poi toccò al Regno di Sardegna, il 4 marzo, con lo Statuto Albertino; inine, il 14 marzo fu la volta dello Stato Pontiicio.

SEPARATISMO Da un punto di vista storicopolitico il termine indica le rivendicazioni di gruppi sociali o nazionali per la totale indipendenza politica ed economica, cioè la separazione dalla struttura statale di cui fanno parte. Nel corso dell’Ottocento, in concomitanza con le aspirazioni nazionali, si formarono in Europa numerosi movimenti separatistici all’interno dei grandi imperi plurinazionali, come quello asburgico e quello ottomano. In Italia, dopo l’unificazione, sopravvisse in Sicilia una tendenze separatista che si era manifestata già nel precedente Regno borbonico contro l’accentramento dei poteri a Napoli.

LO SCOPPIO DELLA PRIMA GUERRA D’INDIPENDENZA

Carlo Cattaneo durante l’insurrezione di Milano espresse un duro giudizio contro Casa Savoia, giudicata «assoluta anche più della Casa d’Austria». Per questo l’intervento dei Piemontesi non era necessario. La piccola potenza savoiarda era rimasta fino a quel dì [1848] straniera alla rimanente Italia più assai della casa imperiale [d’Austria]. Essa aveva un buon esercito; ma non poteva accondiscendere a imprestarlo a una causa

di libertà e di novità. La Casa Savoia anziché costituzionale, era assoluta anche più della Casa d’Austria; e in fatto di religione professava un’inquisitoria ignoranza. […] Lasciamo il Piemonte nella rete della sua politica, […] e l’Italia senza il Piemonte tiene ancora venti milioni di popolo: io dico, lo dico con dolore, ma con ferma fiducia: il Piemonte non è necessario! C. Cattaneo, Dell’insurrezione di Milano nel 1848

DOCUMENTO

Questa era la situazione italiana quando giunse la notizia che il 13 marzo Vienna era insorta. Subito seguì il suo esempio Venezia (17 marzo), dove venne proclamata la repubblica e formato un governo provvisorio. Il 18 marzo insorse Milano e con le famose cinque giornate di combattimento cacciò le truppe austriache, comandate dal generale Radetzky. Poi la protesta si estese al di fuori dei conini dell’Impero asburgico: nei ducati di Parma e Modena, dove vennero instaurati dei governi provvisori. Intanto in Piemonte i patrioti premevano su Carlo Alberto ainché intervenisse in Lombardia. Anche da Milano, i ilosabaudi invocavano l’intervento di Carlo Alberto e l’immediata annessione al Regno di Sardegna. Nettamente contrari all’intervento piemontese erano invece i federalisti di Cattaneo.

Il no di Cattaneo ai Savoia

AUTONOMIA Il termine indica una situazione di indipendenza e separazione di un gruppo o di un ente da un altro; da tale condizione consegue la possibilità di autodeterminare e autoregolare attività e poteri da parte del gruppo o dell’ente divenuto autonomo. In alcuni casi, i movimenti che mirano a ottenere un’autonomia nazionale acquisiscono una connotazione separatista.

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314 Solo il 23 marzo, quando gli Austriaci avevano già abbandonato Milano, Carlo Alberto decise di dichiarare guerra all’Austria con un duplice intento: acquisire nuovi territori e impedire che l’iniziativa indipendentista fosse condotta dai democratici e dai repubblicani, con inevitabili analoghe richiese all’interno del Regno di Sardegna. All’iniziativa di Carlo Alberto si associarono altri eserciti italiani: vennero inviate truppe da Pio IX, Leopoldo II di Toscana e Ferdinando II di Napoli con l’obiettivo, analogo a quello di Carlo Alberto, di togliere l’iniziativa ai democratici e ai repubblicani. Il confronto con l’Austria assunse così il carattere di guerra federale. Gli Austriaci subirono le prime sconitte a Goito e a Pastrengo, ma Radetzky non abbandonò la Lombardia: fece invece asserragliare l’esercito austriaco nel cosiddetto «quadrilatero», una strategica posizione di difesa formata dalle fortezze di Mantova, Peschiera, Legnago e Verona. Nel contempo l’Austria, che rappresentava la maggiore potenza cattolica europea, minacciò Pio IX di uno scisma nel caso in cui non avesse ritirato le proprie truppe. Allarmato da questa eventualità, il 29 aprile Pio IX pronunciò una celebre allocuzione: un discorso in cui dichiarò di voler rimanere estraneo al conflitto, in quanto «padre comune di tutte le genti, popoli e nazioni». Falliva così l’ipotesi neoguelfa. Subito dopo anche Leopoldo II di Toscana e Ferdinando II di Napoli tolsero il loro appoggio alla causa indipendentista. Da federale, la prima guerra d’indipendenza divenne regia: ora a condurla restava solo Carlo Alberto.

Una litografia di Johann Joseph Radetzky, generale dell’esercito austriaco e governatore militare della Lombardia.

Adi ge

LA PRIMA GUERRA D’INDIPENDENZA PRIMA FASE

Vicenza

Chi ese

Brescia

Pastrengo Verona Peschiera Custoza io Minc

Ogl io

Truppe piemontesi Truppe Austriache Fortezze del quadrilatero Quadrilatero Vittorie piemontesi Vittorie austriache

Goito

Legnago Cremona

Curtatone Montanara

CINEMA E STORIA

Po

Mantova

Po

In nome del popolo sovrano Italia, 1990 (durata: 110’) Regia: Luigi Magni Attori principali: Elena Sofia Ricci, Massimo Wertmüller, Luca Barbareschi, Alberto Sordi, Nino Manfredi

La vicenda narra la difesa della Repubblica Romana nel 1849 quando, dopo la fuga del papa, la città è in mano a Mazzini e ai patrioti ormai assediati dalle truppe francesi.

Contrasti e intrecci fra esponenti del clero, del mondo popolare, democratico e nobili favorevoli al ritorno di Pio IX emergono dalla vicenda storica in modo talvolta comico, talvolta commovente. Si tratta dell’ultimo film di una trilogia realizzata da Luigi Magni come critica al potere temporale dei papi e in difesa del senso di appartenenza nazionale del popolo.

Le rivoluzioni del 1848

315 Carlo Canella, Barricate a Porta Tosa, 1848. Milano, Museo del Risorgimento.

I PIEMONTESI DA SOLI: LA GUERRA REGIA Nonostante il ritiro delle truppe degli altri sovrani italiani, Carlo Alberto riuscì a sconiggere gli Austriaci a Curtatone e Montanara (29 maggio), poi a Goito e a Peschiera (30 maggio). Tra il 29 maggio e il 13 giugno, Milano, Parma, Modena e Venezia furono annesse al Regno di Sardegna. Ma lo scontro decisivo con l’Austria non era ancora avvenuto. Carlo Alberto indugiava a sferrare l’attacco inale. Gli Austriaci ebbero pertanto il tempo di ricevere rinforzi e di riorganizzarsi. Quando poi a Custoza (23-25 luglio) lo scontro inalmente ebbe luogo, i Piemontesi vennero nettamente sconitti. Per motivi di prestigio Carlo Alberto accennò ancora a una debole difesa di Milano, ma considerata l’inutilità di tale ostinazione, preferì accordarsi con gli Austriaci, deludendo ancora una volta i patrioti lombardi. L’armistizio venne irmato a Vigevano, il 9 agosto 1848, dal generale Salasco per il Regno di Sardegna e da Radetzky per l’Impero asburgico. Finiva così la prima fase della guerra. Ma se la guerra regia era inita, i patrioti non intendevano afatto accettare la sconitta. E una nuova ondata di protesta percorse la Penisola. Nello Stato Pontificio, Pio IX fu costretto a fuggire e a riparare nella fortezza di Gaeta. Il 9 febbraio 1849 una Costituente eletta a sufragio universale dichiarò la ine del potere temporale dei papi e aidò la Repubblica Romana a un triumvirato formato da Mazzini, Armellini e Sai. Anche in Toscana, dopo l’allontanamento di Leopoldo II anch’egli fuggito a Gaeta, il potere venne assunto da un triumvirato formato da Francesco Domenico Guerrazzi, Giuseppe Montanelli e Giuseppe Mazzoni. L’obiettivo era quello di creare una repubblica del Centro Italia comprendente anche Roma. Nel frattempo in Piemonte, nonostante la sconitta di Custoza, i democratici continuavano a sostenere la ripresa della guerra. Alla ine si convinse anche Carlo Alberto: doveva rilanciare il prestigio di Casa Savoia, scosso dalla sconitta del’48, e riproporre la soluzione monarchica alla causa italiana, nel momento in cui l’idea repubblicana si afermava in gran parte dell’Italia. La ripresa del conflitto si consumò in pochi giorni: le truppe del Regno di Sardegna, comandate dal generale polacco Chrzanowski, scelto dopo la deludente prova data dei generali sabaudi, vennero pesantemente battute a Novara (23 marzo 1849). Amareggiato da questa ulteriore sconitta e nella speranza di rendere più miti le condizioni della resa, Carlo Alberto decise di abdicare in favore del iglio Vittorio Emanuele II. E in effetti, le clausole dell’armistizio, irmato a Vignale il 24 marzo, non furono gravose: il Regno di Sardegna tornò ai conini precedenti.

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316 Per le repubbliche che ancora resistevano in diverse città italiane il destino era segnato. La prima a capitolare fu Brescia che per 10 giorni, dal 23 marzo all’1 aprile, resistette eroicamente agli Austriaci; poi l’esercito austriaco intervenne in Toscana, mentre il 4 luglio truppe francesi (guidate dal generale Oudinot), spagnole e borboniche attaccarono Roma, che cedette nonostante una strenua difesa nella quale si distinse Garibaldi. A maggio era avvenuta la capitolazione di Palermo a cui era seguita la restaurazione del Regno delle due Sicilie. Il 23 agosto, inine, gli insorti veneziani stremati dalla fame e dalle epidemie si arresero agli Austriaci.

LA PRIMA GUERRA D’INDIPENDENZA SECONDA FASE

REGNO LOMBARDO-VENETO Sesia

Vignale Milano Novara Vigevano

Vercelli

Sforzesca Mortara

Po

Tic ino

Pavia Cava

Po

Torino

REGNO DI SARDEGNA

Tanaro

Truppe piemontesi Truppe Austriache Vittorie piemontesi Vittorie austriache

Uno scontro tra cavalleggeri durante la battaglia di Custoza; i combattimenti impegnarono le truppe piemontesi e austriache per tre giorni, dal 23 al 25 luglio 1848. GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Quali riforme si realizzarono nel biennio 1846-48? ƒ Perché la prima guerra d’Indipendenza assunse un carattere federale? ƒ Perché la prima guerra d’indipendenza è definita «una guerra regia»?

317

Le rivoluzioni del 1848

TUTOR

La repressione dei moti del 1848

5

IMPERO RUSSO

REGNO DI PRUSSIA

4

1 FRANCIA

IMPERO D’AUSTRIA

2

Budapest

Novara Custoza

Roma

SPAGNA

3 REGNO DELLE DUE SICILIE

Interventi di repressione

2. Austria. Le truppe austriache sconfiggono l’esercito sabaudo a Novara (23 marzo 1849); Brescia resiste ma capitola l’1 aprile (dieci giornate di Brescia); la Repubblica Toscana viene abbattuta a maggio. Venezia capitola il 23 agosto 1849. Tra il giugno e l’ottobre vengono repressi i moti di Praga e Vienna. 3. Regno delle Due Sicilie. Nel maggio 1849, dopo la

capitolazione di Palermo, viene restaurato il Regno delle Due Sicilie. 4. Impero russo. Nell’agosto la resistenza ungherese viene schiacciata dalle truppe dello zar Nicola I e dell’imperatore Francesco Giuseppe. 5. Prussia. Il re di Prussia Federico Guglielmo IV, dopo aver rifiutato la corona imperiale in quanto espressione di un’assemblea popolare rivoluzionaria, fa sciogliere con la forza l’assemblea e abroga le costituzioni concesse nei vari Stati tedeschi (Sassonia, Baden, Palatinato, Renania).

Mazzini: la forza dell’ideale repubblicano Mazzini rievoca in questo brano l’eroica difesa della Repubblica Romana che seppe resistere per due mesi all’attacco di tre eserciti. Difettavamo d’artiglieri: eravamo sprovveduti di mortai: non preparati alla guerra. La popolazione era, per lunghi secoli di schiavitù corruttrice, ignara, intorpidita, incerta, sospettosa d’ogni cosa e d’ogni uomo; e noi eravamo nuovi, ignoti i più, senza prestigio di nascita, di ricchezza, di tradizioni. Fummo assaliti subitamente, prima di ogni sospetto. […] E nondimeno fu-

gammo, con le nostre nuove milizie, le truppe del re di Napoli, combattemmo l’Austria, resistemmo per due mesi all’armi francesi. Nella giornata del 30 aprile i nostri giovani volontari videro in rotta i vecchi soldati d’Oudinot; in quelle del 3 e del 30 giugno pugnarono in modo da meritare l’ammirazione del nemico. Il popolo, rifatto grande da un principio, partecipava alla difesa, affrontava con calma romana le privazioni, scherzava sotto le bombe. G. Mazzini, Note autobiografiche

DOCUMENTO

1. Francia e Spagna. Truppe francesi e spagnole attaccano la Repubblica Romana che cade dopo una strenua difesa di circa due mesi (luglio 1849).

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Dal passato al presente Certamente per l’Italia l’eredità maggiore riguarda i simboli della sua unità nazionale: la bandiera tricolore e l’inno nazionale, cioè concrete espressioni delle libertà conquistate dal popolo italiano. Questo è anche il periodo in cui le contraddizioni prodotte dalla rivoluzione industriale danno l’avvio a nuove riflessioni ideologiche: il 1848 è l’anno di pubblicazione del Manifesto del Partito Comunista di Karl Marx che tanta parte ha avuto nella storia successiva del movimento operaio di tutto il mondo. Sono anche gli anni in cui si aferma il valzer: grazie soprattutto alle opere degli Strauss, padre e iglio, questo ballo romantico spopolò a Vienna e in tutta Europa.

I simboli dell’Italia L’INNO NAZIONALE ITALIANO

IERI

L’inno nazionale e la bandiera erano i simboli dei patrioti in armi per la libertà e della monarchia italiana OGGI

Sono i simboli dell’Italia repubblicana, messi, in qualche caso, in discussione

Il 12 ottobre 1946 l’Assemblea Costituente discusse dell’inno uiciale che il nuovo Stato italiano doveva adottare. Quello in vigore – la Marcia reale, che il Regno d’Italia aveva ereditato dalla monarchia sabauda – doveva necessariamente essere sostituito: con quel titolo, e con un incipit che cantava: «Viva il Re! Viva il Re! Viva il Re!», sarebbe stato assurdo farne l’inno della Repubblica Italiana. Furono avanzate diverse «candidature», musicalmente molto prestigiose: nel teatro d’opera degli anni del Risorgimento non mancavano certo grandi compositori, di fama indiscutibile. Ma si inì col privilegiare uno sconosciuto musicista genovese, Michele Novaro, e un volenteroso «poeta» di vent’anni, Gofredo Mameli. Il loro inno, scritto nel 1847 e ricordato per lo più con le parole del primo verso – «Fratelli d’Italia» – venne proclamato «inno nazionale italiano». Durante gli anni del Risorgimento, in realtà, nessun patriota avrebbe mai parlato di «inno nazionale» per antonomasia. Nell’Ottocento gli «inni nazionali» erano svariate centinaia e costituivano un vero e proprio genere letterario. Anonimi o d’autore, scritti appositamente o di varia derivazione, adattati a musiche preesistenti o addirittura mai musicati, la maggioranza di questi testi conosceva una difusione prevalentemente orale, che aveva dato vita a una serie pressoché ininita di varianti. Alcuni «inni» erano semplicemente adattati da canti popolari, che in molti casi non avevano niente a che vedere con l’argomento patriottico. In altri casi si attinse al grande

repertorio dell’opera lirica. I fratelli Bandiera, ad esempio, si schierarono davanti al plotone di esecuzione, in una livida mattina del 1844, cantando in coro l’aria Chi per la patria muor, tratta dall’opera di Saverio Mercadante Caritea, regina di Spagna (Venezia, 1826; libretto di Paolo Pola). E nelle famose cinque giornate di Milano del marzo 1848, a lungo si cantò fra l’altro il coro Va’ pensiero, sull’ali dorate dal Nabucco di Giuseppe Verdi (Milano, 1842; libretto di Temistocle Solera), tutt’altro che facile, arduo da comprendere e memorizzare, relativo all’infelice condizione del popolo ebreo deportato a Babilonia.

L’ORIGINE DELLA BANDIERA ITALIANA Insieme all’inno anche la bandiera rappresenta meglio di qualsiasi altro simbolo il patriottismo di un popolo. Il tricolore italiano quale bandiera nazionale nacque a Reggio Emilia il 7 gennaio 1797, quando il Parlamento della Repubblica Cispadana, su proposta del deputato Giuseppe Compagnoni, decretò che «si renda universale lo Stendardo, o Bandiera Cispadana di Tre Colori Verde, Bianco e Rosso, e che questi tre colori si usino anche nella Coccarda Cispadana, la quale debba portarsi da tutti». Nell’Italia del 1796, attraversata dalle vittoriose armate napoleoniche, le numerose repubbliche di ispirazione giacobina che avevano soppiantato gli antichi Stati assoluti adottarono, quasi tutte con varianti di colore, bandiere caratterizzate da tre fasce di uguali

319

Le rivoluzioni del 1848

UN SIMBOLO PER IL RISORGIMENTO Nei tre decenni che seguirono il Congresso di Vienna, il vessillo tricolore fu sofocato dalla Restaurazione, ma continuò a essere innalzato, quale emblema di libertà, nei moti del 1831, nelle rivolte mazziniane, nella disperata impresa dei fratelli Bandiera, nelle sollevazioni negli Stati della Chiesa. Dovunque in Italia, il verde, il bianco e il rosso espressero una comune speranza, che accendeva gli entusiasmi. E quando si dischiuse la stagione del Quarantotto e della concessione delle costituzioni, quella bandiera divenne il simbolo di una riscossa ormai nazionale, da Milano a Venezia, da Roma a Palermo. Il 14 marzo 1861 venne proclamato il Regno d’Italia e la sua bandiera continuò a essere quella della prima guerra d’indi-

pendenza. Ma la mancanza di un’apposita legge al riguardo portò alla realizzazione di vessilli di foggia diversa dall’originaria, spesso addirittura arbitraria. Soltanto nel 1925, durante il periodo fascista, si deinirono, per legge, i modelli della bandiera nazionale e della bandiera di Stato. Quest’ultima, da usarsi nelle residenze dei sovrani, nelle residenze parlamentari, negli uici e nelle rappresentanze diplomatiche, avrebbe aggiunto lo stemma della corona reale.

La «bandiera del Rovatti», 1796-97, stendardo della Repubblica Cispadana.

DALLA MONARCHIA ALLA REPUBBLICA Oggi i simboli del nostro Paese sono il frutto delle decisioni prese dall’Assemblea Costituente del 1946. Il 12 ottobre 1946 l’Inno degli Italiani di Mameli diventò l’inno nazionale e il 5 maggio 1948 l’Italia repubblicana deinì anche il suo emblema, scelto fra più di ottocento bozzetti. L’emblema della Repubblica Italiana è caratterizzato da tre elementi: la stella, la ruota dentata, i rami di ulivo e di quercia. La stella è uno degli oggetti più antichi del nostro patrimonio iconograico ed è sempre stata associata alla personiicazione dell’Italia, sul cui capo splende raggiante. La ruota dentata d’acciaio, simbolo dell’attività lavorativa, traduce il primo articolo della Costituzione: «L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro». Il ramo di ulivo simboleggia la volontà di pace della nazione; la quercia incarna la forza e la dignità del popolo italiano.

QUARANTOTTO Nel 1848 l’Europa fu sconvolta da una crisi rivoluzionaria di dimensioni e di intensità eccezionali; per questo nel linguaggio corrente si utilizza proprio questa espressione come sinonimo di confusione, di baccano e di sconvolgimento radicale. TRICOLORE Anche se nel senso originario questo termine significa semplicemente «tre colori», la lotta risorgimentale per l’indipendenza lo ha trasformato in un sinonimo di «bandiera italiana», costituita appunto dai tre colori (verde, bianco e rosso). RISORGIMENTO Il termine era in uso nei primi decenni dell’Ottocento per significare l’auspicata necessità che la nazione italiana «risorgesse» dalla decadenza in cui l’aveva fatta cadere la dominazione straniera; infatti Cavour, nel 1847, dirigeva un quotidiano intitolato proprio «Il Risorgimento». Tuttavia come concetto storiografico si è consolidato solo a partire dalla fine del secolo, e tutt’oggi fa parte del linguaggio storico. Il termine indica perciò quel periodo di storia italiana in cui si svolsero le lotte per l’indipendenza nazionale e la costruzione di uno Stato unitario e sovrano.

Il Tricolore italiano dall’unità alla Repubblica (al centro campeggia lo stemma dei Savoia).

L’attuale bandiera italiana.

PAROLE IN EREDITÀ

dimensioni, chiaramente ispirate al modello francese del 1790; anche i reparti militari «italiani» costituiti all’epoca per aiancare l’esercito di Bonaparte ebbero stendardi che riproponevano la medesima foggia. In particolare, i vessilli reggimentali della Legione Lombarda presentavano appunto i colori verde, bianco e rosso. Gli stessi colori, poi, furono adottati anche negli stendardi della Legione Italiana che raccoglieva i soldati delle terre dell’Emilia e della Romagna. Questo fu probabilmente il motivo che spinse la Repubblica Cispadana – poi divenuta Cisalpina – a confermarli nella propria bandiera.

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COMPETENZE: USARE LE FONTI

L’utopismo repubblicano DOCUMENTO

Questa litograia di Frédéric Sorrieu, stampata a Parigi nel 1848, rappresenta lo spirito utopico che caratterizzò in parte gli avvenimenti rivoluzionari del 1848, e in particolare l’ideale di uniicare tutti i movimenti 1. La statua della Marianna divenne la figura simbolo della libertà repubblicana e dei diritti umani a partire dalla Rivoluzione francese. Anche nel 1848 gli uomini e le donne di tutti i Paesi che stavano combattendo contro l’oppressione marciarono uniti davanti a lei, simbolo, in questo contesto, della Repubblica universale.

di liberazione europea sotto le insegne della Repubblica universale. L’immagine combina l’internazionalismo e l’utopismo in una dimensione di fraternità religiosa.

2. Dal cielo Gesù Cristo benedice la ritrovata fraternità degli uomini. Il riferimento alla divinità mostra come l’internazionalismo e l’utopismo ottocentesco fossero ancora ammantati di una forte religiosità.

3. L’albero della libertà è un altro simbolo della Rivoluzione francese che è ripreso nella simbologia della lotta per l’indipendenza. Anche in questo caso la catena umana in lotta per la propria libertà vi sfila davanti.

4. Le bandiere nazionali (italiana, tedesca e francese) sventolano in alto a sottolineare le diverse nazionalità. Anche l’abbigliamento degli uomini e delle donne serve a evidenziare l’appartenenza nazionale. Le diverse nazionalità però non sono un elemento di divisione (la catena umana è compatta), anzi l’ideale patriottico unisce i popoli fra loro.

5. La lunghissima processione che si perde nell’orizzonte è composta da uomini e donne di ogni classe sociale e di ogni età.

6. I simboli dei monarchi e della potenza delle dinastie regnanti, ripristinate dalla Restaurazione, giacciono abbandonati al suolo, privi ormai di importanza in un mondo dominato dal sentimento universale della fratellanza.

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

Descrivi l’immagine partendo dalla statua della Marianna. ƒ ƒ Quali sono gli aspetti utopistici presenti in questa litografia? ƒ Quali sono i simboli della Rivoluzione francese ripresi dai rivoluzionari ottocenteschi? ƒ Dove sono posti i simboli delle dinastie regnanti? Perché?

In che cosa consisteva la crisi economica degli anni Quaranta ƒ dell’Ottocento? ƒ Ci fu un legame fra la crisi economica e quella politica esplosa nel 1848? ƒ In quali Paesi europei scoppiò una rivoluzione? ƒ Che forma assunse la rivoluzione del 1848 in Francia? ƒ Da che cosa fu preceduta la rivoluzione del 1848 in Italia?

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Le rivoluzioni del 1848

Educazione e insurrezione DOCUMENTO

Con la fondazione dell’organizzazione politica della Giovine Italia nel 1831, Mazzini intendeva uscire dalla logica carbonara della segretezza dei programmi, facendo del popolo il soggetto privilegiato della Storia. Al popolo spettava infatti il compito di portare a termine la missione storica di realizzare l’unità nazionale. In questo testo, dal titolo Istruzione generale per gli afratellati nella Giovine Italia, Mazzini rilette sui metodi più adatti a raggiungere i suoi obiettivi che possono essere così sintetizzati: la nazione italiana è una, sovrana e indipendente; la nazione italiana dev’essere repubblicana; il metodo migliore per arrivare all’unità nazionale è l’educazione all’insurrezione.

La Giovine Italia è la fratellanza degli Italiani credenti in una legge di Progresso e di Dovere; i quali convinti che l’Italia è chiamata a essere Nazione – che può con forze proprie crearsi tale – che il mal esito dei tentativi passati spetta non alla debolezza, ma alla pessima direzione degli elementi rivoluzionari – che il segreto della potenza è nella costanza e nell’unità degli sforzi – consacrano, uniti in associazione, il pensiero e l’azione al grande intento di restituire l’Italia in Nazione di liberi ed uguali, Una, Indipendente, Sovrana. […] La Giovine Italia è repubblicana [...] perché, teoricamente, tutti gli uomini di una nazione sono chiamati, per la legge di Dio e dell’umanità, ad esser liberi, eguali e fratelli; e l’istituzione repubblicana è la sola che assicuri questo avvenire – perché la sovranità risiede essenzialmente nella nazione, sola interprete progressiva e continua della legge morale suprema. [...] I mezzi dei quali la Giovine Italia intende valersi per raggiungere lo scopo sono l’educazione e l’insurrezione. Questi due mezzi devono usarsi concordemente e armonizzarsi.

Giuseppe Mazzini fotografato durante il suo lungo esilio a Londra, dove si era rifugiato nel 1837.

L’educazione, cogli scritti, coll’esempio, colla parola, deve conchiudersi sempre alla necessità e alla predicazione dell’insurrezione, quando potrà realizzarsi, dovrà farsi in modo che ne risulti un principio di educazione nazionale […]. L’insurrezione dovrà presentare nei suoi caratteri il programma in germe della nazionalità italiana futura. Dovunque l’iniziativa avrà luogo, avrà bandiera italiana, scopo italiano, linguaggio italiano. Destinata a formare un Popolo, essa agirà in nome del Popolo e si appoggerà sul Popolo, negletto finora. […] G. Mazzini, Istruzione generale per gli affratellati nella Giovine Italia, 1831

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

ƒ Quali sono gli obiettivi della Giovine Italia mazziniana? ƒ Quali sono i requisiti della futura nazione italiana auspicata da Mazzini? ƒ Qual è la forma di Stato preferita da Mazzini? Perché? ƒ Quali mezzi egli ritiene che si debbano utilizzare per raggiungere gli obiettivi prefissati? ƒ In nome di chi agirà l’insurrezione? ƒ Quali aspetti in questo documento rievocano gli ideali dei rivoluzionari francesi?

ƒ Qual è la concezione mazziniana della Storia? ƒ Quali critiche muoveva Mazzini alla Carboneria? Qual era la sua proposta alternativa? ƒ Quali erano i modelli di rivoluzione a cui i giovani rivoluzionari italiani si riferivano? ƒ Quali classi sociali formano il popolo, secondo Mazzini? ƒ In che rapporto si pone l’ideologia di Mazzini con quella di Marx?

UNITÀ 9

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COMPETENZE: USARE LE FONTI

Mazzini e Garibaldi erano terroristi? STORIOGRAFIA

Lo storico inglese Paul Ginsborg risponde a questa domanda esaminando il contesto politico-culturale in cui si svilupparono le insurrezioni dei rivoluzionari italiani. In un quadro storico caratterizzato dalle lotte di liberazione dall’invasore straniero, i modelli di riferimento non potevano che essere le rivolte violente contro il potere costituito. Molti rivoluzionari guardarono non solo alla Rivoluzione francese, ma soprattutto all’insurrezione popolare spagnola contro l’esercito napoleonico. Per Ginsborg, dunque, la categoria del paciismo non può costituire un metro di giudizio per le rivoluzioni dell’Ottocento. A suo avviso l’attenzione va piuttosto spostata sulla distinzione tra una violenza ine a se stessa e una violenza inevitabile.

Paul Ginsborg

Nel suo Della guerra nazionale d’insurrezione per bande, applicata all’Italia, Carlo Bianco di Saint-Jorioz auspicava l’applicazione al caso italiano di quello che riteneva il modello spagnolo. I rivoluzionari italiani dovevano condurre una feroce e incessante guerra per bande contro gli Austriaci, come avevano fatto gli Spagnoli contro i Francesi. Ogni banda, prima di entrare in campo, doveva a suo avviso giurare «di sterminare ogni mese un numero di nemici uguale a quello degli individui che la compongono». Ogni baionetta italiana almeno una volta al mese doveva «essere tinta di sangue nemico: disonore e biasimo a quel volontario che passi un sì lungo tempo colla sua baionetta lucida». La ferocia di Bianco di Saint-Jorioz rappresentava probabilmente un caso particolare, ma ci sono altri esempi di atteggiamenti che potremmo definire inquietanti nei confronti dell’uso della violenza.

Le teorie della rivoluzione Paul Ginsborg (1945) è uno storico inglese che vive e lavora in Italia. Ha insegnato a Cambridge e in diverse università italiane; attualmente è docente di Storia dell’Europa contemporanea all’Università di Firenze. Le sue ricerche sono orientate principalmente alla storia italiana del secondo dopoguerra. Tra i suoi lavori di maggior successo ricordiamo: Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi. Società e politica 1943-1988 (1989); L’Italia del tempo presente. Famiglia, società civile, Stato 1980-1996 (1998); Il tempo di cambiare. Politica e potere della vita quotidiana (2004); La democrazia che non c’è (2006); Salviamo l’Italia (2010).

Non è possibile tracciare una facile distinzione sociale tra quanti scelsero i sentieri della relativa moderazione e quanti divennero dei rivoluzionari. Piuttosto ogni singolo caso deve essere analizzato in tutta la sua complessità, per cercarne le ragioni profonde. Una volta decisa la rivoluzione, c’era poi un’altra questione di estrema complessità: che tipo di rivoluzione bisognava tentare? Il dibattito su questo punto infuriò per tutto il Risorgimento. I giovani rivoluzionari italiani degli anni Trenta e Quaranta avevano molti precedenti ai quali far riferimento. La Rivoluzione francese, le repubbliche italiane, le rivoluzioni del 1820-21 e del 1830-31 fornivano una straordinaria casistica da cui trarre preziosi insegnamenti. Tuttavia c’era un Paese e un’esperienza cui i rivoluzionari italiani attribuivano un’importanza esemplare: la Spagna e la sua insurrezione popolare contro i Francesi dal 1808 al 1814.

L’incontro tra Garibaldi e Mazzini nel 1833 a Marsiglia, dopo l’adesione di Garibaldi all’organizzazione della Giovine Italia.

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Le rivoluzioni del 1848 Anche Pisacane (p. 332) non aveva dubbi sulle virtù del terrore rivoluzionario quando si trattava di innescare l’insurrezione urbana, e non accettava ripieghi: «Bisogna cominciare con un fatto terribile: guai a noi se cominciassimo con una dimostrazione. Bisogna atterrire il nemico, non avvisarlo»; quel che aveva in mente in questo caso era l’assalto notturno alle abitazioni delle autorità militari e politiche di una città e il loro immediato massacro.

Città o campagna? Mazzini stesso doveva molto a Bianco di Saint-Jorioz, come ammise prontamente nel suo Della guerra d’insurrezione conveniente all’Italia. I mazziniani adottarono, quindi, quello che ritenevano il modello spagnolo della guerra di bande popolare come la migliore strategia militare per i rivoluzionari. Il mito spagnolo sembrava implicare che il futuro della rivoluzione fosse nelle campagne e non nei grandi centri urbani. Tuttavia negli anni Quaranta Mazzini corresse il tiro, accentuando l’importanza di un’insurrezione generale da innescare nelle città. Per contro, Garibaldi era chiaramente a favore della campagna e del mare aperto come il terreno più adatto alle sue tattiche di guerriglia. Non che le città dovessero essere ignorate; anzi, la loro conquista doveva rappresentare l’apice dell’insurrezione e la loro difesa un’arte. Ma Garibaldi, durante la sua lunga carriera militare, fu sempre alla ricerca di uno spazio, di una superficie aperta dove poter sfruttare al massimo il suo genio di capo guerrigliero. Dunque per Mazzini come per Garibaldi non vi erano alternative all’uso della violenza: il problema era solo di carattere strategico. Questo fa di loro dei criminali di guerra o dei terroristi, come oggi siamo soliti definire coloro che in modo violento cercano di sovvertire l’ordine politico e sociale?

tocento si poteva trovare soltanto in piccolissime minoranze religiose. L’impresa di costruire una nazione in quell’epoca e in quel continente era inevitabilmente connessa all’espulsione forzata degli eserciti stranieri. In un contesto del genere la vera distinzione da fare non è tra pacifismo e violenza, ma piuttosto tra violenza inevitabile da una parte, e violenza gratuita, o addirittura cercata, dall’altra. Se incontriamo i protagonisti del Risorgimento che indulgono alla violenza fine a se stessa, non dobbiamo cercare di nascondere i fatti e ancor meno di giustificarli. Allo stesso modo, però, non dovremo cercare nelle loro azioni un codice morale che vada al di là della loro esperienza, per poi criticarli se non lo troviamo. Esaminando l’attitudine alla violenza dei rivoluzionari italiani scopriamo immediatamente, come era da attendersi, una grande varietà di opinioni e comportamenti. Senza dubbio alcuni di questi personaggi rivelarono quello che, senza mezzi termini, può essere definito un atteggiamento gratuitamente sanguinario nei confronti della guerra rivoluzionaria. Ma non era questo il caso di Mazzini. P. Ginsborg, Teorie della rivoluzione

G. Malinski, ritratto di Giuseppe Garibaldi, 1845. Milano, Museo del Risorgimento.

Pacifismo e violenza Sarebbe assurdo attendersi dai maggiori esponenti del Risorgimento un pacifismo che nell’Europa della metà dell’Ot-

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

ƒ Quali erano i modelli di rivoluzione a cui i giovani rivoluzionari italiani si riferivano? ƒ In che cosa consisteva «l’insurrezione per bande»? ƒ Quali mutamenti apportò Mazzini alla sua teoria rivoluzionaria? ƒ Qual era la strategia preferita da Garibaldi? ƒ Perché il pacifismo non faceva parte del bagaglio culturale dei rivoluzionari dell’Ottocento?

ƒ A quale schieramento appartenevano Mazzini e Garibaldi, all’interno del dibattito risorgimentale? Perché? ƒ Quali critiche mosse Mazzini alla Carboneria? Quale fu la sua proposta alternativa? ƒ Quali tentativi di insurrezione furono animati dal pensiero mazziniano? Perché fallirono?

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COMPETENZE: USARE LE FONTI

Prima la libertà poi l’indipendenza DOCUMENTO

Nello scritto Dell’insurrezione di Milano nel 1848 Carlo Cattaneo sostiene che l’aspirazione alla libertà dei singoli Stati deve guidare il processo di uniicazione nazionale e che successivamente solo la costruzione di uno Stato federale potrà preservare quelle stesse libertà. Il modello istituzionale di Cattaneo è l’America: la federazione degli Stati Uniti, infatti, permette di coniugare l’autonomia con l’obbligo di contribuire ai bisogni comuni.

e irrevocabilmente spiegata con meta finale e infallibile, un faro. Ma l’efficacia dipende dalla potenza e popolarità dei singoli parlamenti, all’uniformità e genialità della loro origine elettorale, insomma dal progresso effettivo della libertà nei singoli Stati. Col che vorrei avere adombrato che siasi per me inteso, quando più volte dissi che non si perviene all’indipendenza, cioè alla vittoria nazionale, se non per via della libertà.

Ogni Stato d’Italia deve rimaner sovrano e libero in sé. Il doloroso esempio dei popoli della Francia, che hanno conquistato tre volte la libertà, e mai non l’hanno avuta, dimostra vero il detto del nostro antico savio, non potersi conservare la libertà se il popolo non vi tien le mani sopra, sì ogni popolo in casa sua, sotto la sicurtà e la vigilanza delli altrui tutti. Così ne insegna la sapiente America. Ogni famiglia politica deve avere il separato suo patrimonio, i suoi magistrati, le sue armi. Ma deve conferire alle comuni necessità e alle comuni grandezze la debita parte; deve sedere con sovrana e libera rappresentanza nel congresso fraterno di tutta la nazione; e deliberare in commune le leggi che preparano, nell’intima coordinazione e uniformità delle parti, la indistruttibile unità e coesione del tutto. […] La Costituente sarà all’Italia un’insegna gloriosamente

C. Cattaneo, Dell’insurrezione di Milano nel 1848, 1849

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

ƒ Perché Cattaneo fa un riferimento alla Francia? ƒ Che cosa significa che il popolo deve «tenere le mani sopra alla libertà»? ƒ Qual è il modello di Stato libero per Cattaneo? Perché? ƒ Che cosa consentirà alla Costituente di raggiungere risultati positivi? ƒ Perché l’unità dello Stato è meglio garantita da un congresso nazionale?

ƒ Quando ebbe origine l’idea della nazione italiana e una comune identità nazionale? ƒ Quali furono le posizioni del dibattito risorgimentale sul modo di raggiungere l’unificazione? ƒ In che cosa consisteva la repubblica federale immaginata da Cattaneo? ƒ Quali altri esponenti del Risorgimento erano di orientamento federalista? ƒ Quali altre posizioni erano presenti nel dibattito sulla forma da dare al futuro Stato? ƒ Chi erano gli esponenti della sinistra risorgimentale? E quelli moderati?

Carlo Cattaneo, fautore di una repubblica italiana federale, in un’incisione ottocentesca.

RIELABORARE, DISCUTERE, REINTERPRETARE ƒ Il tema della libertà era al centro del dibattito risorgimentale: riprendendo il discorso dalla rivoluzione francese individua il percorso che tale concetto ha seguito in tutto l’Ottocento. ƒ Il tema del federalismo è ricomparso nel dibattito politico attuale ed è genericamente accolto da tutto l’arco parlamentare: ricerca informazioni sull’idea federalista oggi nelle varie componenti politiche e sulle novità introdotte nella nostra legislazione attinenti a una maggiore autonomia delle regioni.

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Le rivoluzioni del 1848

Il compito della Chiesa DOCUMENTO

Nel Primato morale e civile degli Italiani, pubblicato nel 1843, Vincenzo Gioberti esprime la sua celebre tesi, secondo la quale l’Italia unita doveva avere la forma di una federazione di Stati sotto la presidenza del papa. In questo passo, Gioberti chiarisce quali sono i presupposti culturali della sua posizione, che consistono nella superiorità della teologia e della religione sulle altre scienze umane e, sul piano politico, nella subordinazione del potere statale alla Chiesa, unica interprete del diritto divino. Un progetto che affida agli Italiani una sorta di missione religiosa e che rievoca l’antico programma medievale dei gueli, da cui prende il nome di «neoguelismo».

Ogni grande riforma sociale, religiosa, scientifica, letteraria, che non sia solo distruggitiva, ma introduca nuovi ordini durevoli, o piuttosto rinnovi e perfezioni gli antichi, è opera del chiericato, o almeno viene indirizzata, aiutata, promossa, compiuta, stabilita dagl’influssi di esso. Perciò la Storia ci

mostra che, se gli ordini laicali e guerrieri possono operare quelle mutazioni violente, che si chiamano rivoluzioni, e abbozzare un novello stato di cose, il sacerdozio solo può assolidarlo1 e recarlo a perfezione, suggellandolo coll’autorità divina, e facendo uscire l’ordine dal caos e una cosmogonia nuova dal preterito2 sconvolgimento. Tal è l’ufficio dei chierici nelle vicende sociali di ogni sorta; i quali, rappresentando il principio divino e augusto del diritto, debbono finir le rivoluzioni e consacrarne pacificamente i salutiferi effetti, come i laici le incominciarono colla forza e colla violenza, il che viene mirabilmente espresso dal rito della consacrazione, con cui il sacerdozio nei tempi addietro usava legittimare la potestà suprema dei re, a riposo e ben di tutti cancellando i difetti ed i vizi, che accompagnavano per lo più la sua origine. V. Gioberti, Del primato morale e civile degli Italiani, 1843 1. Consolidarlo. 2. Precedente.

Fotografia di papa Pio IX con un gruppo di monsignori della curia romana. Su questo papa si concentrarono grandi speranze da parte dei patrioti italiani nel 1848.

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

ƒ Quale tesi sostiene Vincenzo Gioberti in questo passo? ƒ Su quali presupposti culturali si basa tale sua convinzione? ƒ Quali ritiene che siano i mali principali della sua epoca? ƒ A che cosa si riferisce con l’espressione «i chierici, rappresentando il principio divino e augusto del diritto, debbono finir le rivoluzioni e consacrarne pacificamente i salutiferi effetti»?

ƒ Che cosa si intende per dibattito risorgimentale e quali furono le principali correnti che lo animarono? ƒ Spiega quale ruolo Gioberti attribuisce alla teologia e agli ecclesiastici in ambito politico. ƒ Che cosa proponeva il neoguelfismo? ƒ Metti a confronto la concezione del federalismo di Gioberti con quella di Cattaneo, analizzando le differenze contenute nei due documenti.

RIELABORARE, DISCUTERE, REINTERPRETARE ƒ Ripercorri brevemente le vicende dell’Italia a partire dal Medioevo fino al Risorgimento. Durante il corso di questi secoli la Penisola non fu mai politicamente unita: nonostante ciò si andarono formando un’identità nazionale – ovvero un’identità culturale, linguistica e religiosa – e la consapevolezza di un comune interesse economico. Riesci a spiegare l’origine di tutto questo?

UNITÀ 9

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COMPETENZE: USARE LE FONTI

Attualità e ambiguità di Mazzini: due giudizi a confronto STORIOGRAFIA

Presentiamo due giudizi sull’ideologia di Mazzini che vanno in direzione opposta: per il politologo Maurizio Viroli, che tra l’altro è presidente dell’Associazione Mazziniana, Mazzini fu un patriota che seppe andare oltre il liberalismo e il marxismo, rivendicando l’emancipazione morale e spirituale dei popoli; secondo lo storico Domenico Settembrini, invece, nei discorsi di Mazzini ci sono delle ambiguità che fanno pensare al nazionalismo novecentesco e fascista.

Maurizio Viroli

Attualità Maurizio Viroli (1952) è docente di Teoria politica all’Università di Princeton. Di tendenza laico-democratica, è presidente dell’Associazione Mazziniana. Tra gli scritti ricordiamo: Jean-Jacques Rousseau e la teoria della società ben ordinata (1993); Dalla politica alla ragion di Stato: la scienza del governo tra XIII e XVIII secolo (1994); Per amore della patria: patriottismo e nazionalismo nella storia (1995); Il sorriso di Niccolò: storia di Machiavelli (1998); Repubblicanesimo (1999).

Chi avesse dubbi sul rilievo che il pensiero politico di Giuseppe Mazzini ha ancora per le forze politiche che si pongono problemi di emancipazione, può utilmente leggere la biografia scritta da Roland Sarti [Laterza, 2006]. Come mette bene in luce l’autore, Mazzini aveva una concezione dell’emancipazione più ricca di quella di Karl Marx. Mentre Marx e i marxisti vedevano solo, o prevalentemente, lo sfruttamento dei lavoratori a opera del sistema capitalistico, Mazzini denunciava anche la subordinazione delle donne, l’oppressione di nazioni e popoli, la condizione dei servi e degli schiavi. E insisteva sul fatto che l’oppressione non consiste solo nella privazione dei necessari mezzi di sostentamento, ma anche nell’avvilimento spirituale e nel sentimento di inferiorità culturale che è proprio degli individui e dei popoli oppressi. Mazzini sapeva bene che «sfortunatamente gli oppressi avevano la medesima propensione a combattere fra loro come contro gli oppressori perché i loro interessi materiali non necessariamente coincidevano e spesso si scontravano». Da questa consapevolezza egli traeva la conclusione che un

grande movimento di emancipazione capace di aprire una nuova pagina nella storia dell’umanità non poteva parlare solo di diritti o di interessi in quanto e gli uni e gli altri erano necessariamente parziali. Ha dunque ragione Sarti a sottolineare che per Mazzini «il capitalismo e il socialismo sbagliavano nello stesso modo nel sottolineare l’importanza dei diritti – diritti economici dell’individuo nel caso del capitalismo e diritti economici della classe lavoratrice nel caso del socialismo». Per superare i limiti del liberalismo e del socialismo, Mazzini proponeva di integrare il linguaggio dei diritti con quello dei doveri e insisteva sul concetto di educazione morale quale aspetto essenziale del processo di emancipazione. Non auspicava solo una più equa reintegrazione della ricchezza sociale bensì una umanità resa migliore attraverso la libera associazione. Per questo esortava gli operai a unirsi in associazioni autonome (e rivolgeva la stessa esortazione alle donne) e al tempo stesso insisteva sulla necessità di coltivare legami di solidarietà all’interno della classe e oltre la classe, a sentirsi uomini prima che operai, a istruirsi, a migliorare dal punto di vista morale, a proteggere quale bene più prezioso il senso di responsabilità individuale. Mazzini non era dunque né liberale né socialista. Il suo repubblicanesimo può essere definito democratico, il che significa che rivendicava lo spazio politico tra i liberali di destra e gli egualitari di sinistra. Il problema, sottolinea con forza Sarti, è che Mazzini fonda la dottrina della responsabilità e del dovere sull’idea di Dio e concepisce il processo di emancipazione come opera di uomini e donne sostenuti e guidati, da una fede religiosa: «Scrivete sulla vostra bandiera: Uguaglianza e Libertà da un lato, dall’altro, Dio è con Voi; fate della rivoluzione una religione: un’idea generale che affratelli gli uomini della coscienza di un destino comune, e il martirio, ecco i due elementi eterni di ogni religione». Anche il suo patriottismo aveva una forte connotazione religiosa. Mazzini considerava infatti l’affermazione dei diritti delle nazionalità come la condizione affinché «l’idea divina possa attuarsi nel mondo». Del resto Mazzini imparò dal suo precettore, il sacerdote giansenista Luca Agostino De Scalzi che «le verità evangeliche sono quelle del patriottismo repubblicano» e che «i doveri del cittadino coincidono con quelli del buon cristiano». M. Viroli, Oggi la Repubblica dovrebbe ripartire da Mazzini

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Le rivoluzioni del 1848

Domenico Settembrini

Ambiguità Domenico Settembrini (1929) ha insegnato Storia del pensiero politico presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Pisa. I suoi interessi si sono centrati sulla storia del pensiero marxista e rivoluzionario. Tra le sue pubblicazioni, si possono segnalare: Due teorie per la rivoluzione in Marx ed Engels (1974); Fascismo controrivoluzione imperfetta (1978); Un’idea alla conquista del mondo. Storia del marxismo da Turati a Stalin. Antologia ragionata (1983); Storia dell’idea antiborghese in Italia.1860-1989 (1991); Democrazia senza illusioni (1994).

Sembra innegabile che la tradizione espansionista [che troverà piena realizzazione nel fascismo] risalga direttamente allo stesso Mazzini, il quale nel 1871 scriveva: «Come il Marocco spetta alla Penisola Iberica e l’Algeria alla Francia, Tunisi chiave del Mediterraneo centrale […] spetta visibilmente all’Italia. Tunisi, Tripoli e la Cirenaica formano parte […] di quella zona africana che appartiene veramente fino all’Atlante al sistema Europeo. E sulle cime dell’Atlante sventolò la bandiera di Roma quando, rovesciata Cartagine, il Mediterraneo si chiamò Mare nostro. Fummo padroni, fino al V secolo, di tutta quella regione. Oggi i Francesi l’adocchiano e l’avranno fra non molto se noi non l’abbiamo». Di fronte a questa prosa così esplicita, Chabod respinge ugualmente qualsiasi nesso tra mazzinianesimo e nazionalfascismo, perché «la nazione in Mazzini è sempre connessa indissolubilmente con l’umanità (cioè, per lui, l’Europa: per vago che sia il concetto e non politicamente concretato) e con la libertà, che ne costituivano a un tempo i due limiti». Ma quella di Chabod appare una tesi difficilmente difendibi-

le. Non si tratta di attribuire a Mazzini la responsabilità delle conseguenze che quanti vennero dopo di lui trassero dal suo pensiero, né tanto meno di farne l’ideologo avant lettre del nazionalfascismo, ma di giudicare se v’erano o no in lui i germi di certi sviluppi […]. Ecco perché la lettura di Namier sembra cogliere meglio di quella dello storico italiano la complessità e l’ambiguità del pensiero dell’apostolo dell’Unità italiana: «Il fervore morale, la purezza di intenti, la religiosa sincerità che pervadono i suoi scritti […] erano atti a nascondere ai contemporanei la deficienza sostanziale delle sue dottrine […] e i germi pericolosi che contenevano in sé […]. Mazzini voleva vedere il suo Paese «potente e rispettato», non semplicemente libero e sicuro: «l’impotenza della Svizzera» non gli sarebbe sembrata accettabile […]. Parlava della speciale missione assegnata a ciascun popolo, ma difficilmente avrebbe approvato le «missioni» reclamate dalle altre nazioni: esse avrebbero potuto limitare la grandezza della missione che l’Italia era destinata a compiere verso l’umanità […]. Nazioni unificate, rigenerate o risorte, hanno dimostrato di non essere in alcun modo migliori di altre nazioni […]. E ciò che resta, dopo che la doratura idealistica del nazionalismo è scomparsa, è la pretesa alla superiorità, quindi al dominio». Probabilmente, nella contesa pro e contro la derivazione del nazionalismo dal mazzinianesimo, il giudizio più equilibrato l’ha pronunciato perciò il Maturi: «Da Mazzini in Italia derivano due correnti […]. La prima è rappresentata da Aurelio Saffi, dai mazziniani di stretta osservanza, che hanno sviluppato la dottrina del maestro in senso solidaristico internazionale; la seconda è impersonata da Francesco Crispi e da Alfredo Oriani, che segna il passaggio dal mazzinianesimo del Risorgimento al nazionalfascismo dell’età contemporanea». D. Settembrini, Storia dell’idea antiborghese in Italia, 1860-1989, 1991

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

ƒ Su quali affermazioni Viroli fonda il giudizio positivo su Mazzini? ƒ Perché Viroli ritiene che la concezione dell’emancipazione di Mazzini sia più ricca di quella di Marx e anche del liberalismo? ƒ Perché Settembrini fa risalire a Mazzini l’origine della tradizione espansionistica italiana? ƒ Perché lo storico Chabod, invece, non accolse tale relazione? ƒ In che cosa consiste l’ambiguità di Mazzini, secondo Settembrini?

ƒ Quali aspetti del pensiero di Marx furono criticati da Mazzini? ƒ Che cosa distingueva i democratici dai socialisti? ƒ Che cosa esprime il binomio «pensiero e azione»? ƒ A quale missione storica era chiamato il popolo italiano secondo Mazzini?

ƒ Prima e Dopo ƒ Video - Cavour nelle caricature ƒ Video - Vita quotidiana e alimentazione dei contadini ƒ Carta attiva - Stati e nazionalità in Europa alla vigilia del 1848 ƒ Carta attiva - La prima guerra d’indipendenza ƒ Carta attiva - La repressione dei moti del 1848 ƒ Immagine commentata - L’utopismo repubblicano

ƒ Online DOC - L’industria tessile in Italia ƒ Online DOC - Il romanticismo e la libertà nazionale ƒ Online DOC - Il programma di d’Azeglio ƒ Online STO - La principessa rivoluzionaria ƒ Online STO - Cent’anni di Statuto Albertino ƒ Online STO - Generale Ramorino, professione capro espiatorio ƒ Audiosintesi Unità

IN DIGITALE

UNITÀ 9

328

MISURARE LE COMPETENZE

GLI EVENTI

IL TEMPO

Completa la frase. 1. La Giovine Italia voleva instaurare una repubblica creare una federazione di Stati sotto la guida del papa unire l’Italia sotto i Savoia

Unisci opportunamente avvenimento e data, indicando il numero corrispondente della data nella colonna a destra di ogni avvenimento.

2. Gioberti voleva creare una federazione di Stati sotto la guida del papa instaurare una repubblica unire l’Italia sotto i Savoia 3. Il papa che venne eletto nel 1846 prese il nome di Pio IX Gregorio XVI Benedetto XV 4. Secondo d’Azeglio, per raggiungere l’unità d’Italia era necessario affidarsi alle armi e alla diplomazia di Casa Savoia all’insurrezione all’intervento papale 5. L’insurrezione che diede avvio al movimento rivoluzionario del 1848 ebbe luogo a Parigi Vienna Milano 6. L’imperatore che in Austria successe a Ferdinando I era Francesco Giuseppe Luigi Filippo Carlo Alberto 7. La battaglia che pose fine alla prima guerra d’indipendenza fu combattuta a Pastrengo Novara Milano

LE PAROLE Definisci le seguenti espressioni: a. agricoltura intensiva b. agricoltura estensiva

Avvenimento a Insurrezione di Parigi b Carlo Alberto dichiara guerra agli Austriaci c

Sconfitta di Novara

d Luigi Bonaparte è eletto presidente e

Napoleone III diventa imperatore dei Francesi

f

Ferdinando II concede la Costituzione

g Elezione di Pio IX h Inizio delle cinque giornate di Milano

Data 1

16 giugno 1846

2 29 gennaio 1848 3 22 febbraio 1848 4 18 marzo 1848 5 23 marzo 1848 6 10 dicembre 1848 7

23 marzo 1849

8 1852

VERSO L’ESAME DI STATO a. Rispondi alle seguenti domande. ƒQuale era il programma della Giovine Italia? ƒQuali erano i programmi di Gioberti e Balbo? ƒChe cosa volevano gli insorti di Parigi? ƒQuale progetto di Stato tedesco avevano rispettivamente i sostenitori della «grande Germania» e della «piccola Germania»? ƒPerché Carlo Alberto dichiarò guerra agli Austriaci? b. Il saggio breve: interpreta e confronta i seguenti testi. ƒp. 313 – Il no di Cattaneo ai Savoia ƒp. 317 – Mazzini: la forza dell’ideale repubblicano

e. autonomia

Successivamente, utilizzando anche le tue conoscenze, sviluppa l’argomento proposto nella forma del saggio breve, attribuendo alla composizione un titolo appropriato.

f. separatismo

Argomento. I democratici e l’idea d’Italia

c. federalismo d. centralismo

329

UNITÀ 10

L’unificazione italiana e tedesca PRIMA: Due nazioni frammentate e divise in più entità statali L’ordine stabilito dal Congresso di Vienna non teneva conto delle nuove esigenze nazionali che erano sorte nei popoli. In particolare in Italia e in Germania il nuovo spirito patriottico era rivolto a superare il frazionamento territoriale confermato a Vienna: la divisione in piccoli Stati permetteva all’Austria di accrescere la sua influenza in Italia e in Germania, ma in entrambi i Paesi non era gradita a chi chiedeva unificazione e indipendenza.

CAUSE

EVENTI

CONSEGUENZE

Accordi di Plombières fra Cavour e Napoleone III

X

Aprile-luglio 1859: Seconda guerra d’indipendenza

X

Lombardia, Emilia e Toscana annesse al Regno di Sardegna

Ripresa dell’iniziativa democratica per l’unità d’Italia

X

Maggio-ottobre 1860: Garibaldi guida la spedizione dei Mille in Sicilia e nel Mezzogiorno

X

Il Sud e il Centro Italia tranne il Lazio entrano a far parte del Regno d’Italia

Governo detto «bonapartista» da parte di Napoleone III in Francia

X

1852-1870: Secondo Impero francese

X

Un regime autoritario e alla ricerca del consenso

Grande sviluppo economico della Prussia guidata dagli Junker

X

1862-1871: Otto von Bismarck cancelliere di Prussia

X

Politica autoritaria ed espansionista

Volontà espansionistica della Prussia

X

1866 e 1870: Guerre contro Austria e Francia

X

Unificazione tedesca

Crollo del Secondo Impero francese e nascita della Terza Repubblica

X

Aprile-maggio 1871: Comune di Parigi

X

Primo governo socialista

DOPO: Due nazioni unite in un solo Stato: il Regno d’Italia e l’Impero tedesco A partire dagli anni Venti si scatenarono contro l’Austria le insurrezioni popolari che in Italia e in Germania assunsero toni patriottici. Iniziò così il processo che portò all’unificazione nazionale e che si concluse per entrambi gli Stati nel 1870-71: l’Italia completò la conquista territoriale con l’annessione del Veneto (nel 1866, alleata con la Prussia) e poi di Roma e del Lazio (1870); la Prussia sottrasse all’Austria l’Holstein (1866) e alla Francia l’Alsazia e la Lorena (1871).

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1. La politica interna di Cavour LA DIVERSITÀ DEL REGNO DI SARDEGNA Con il fallimento dei moti del 1848 tutte le costituzioni concesse dai sovrani italiani vennero abrogate, a eccezione dello Statuto Albertino. Tornato a Roma, Pio IX chiuse la breve stagione delle riforme riprendendo la politica conservatrice dei suoi predecessori. Ferdinando II, re delle Due Sicilie, attuò una durissima repressione che gli alienò deinitivamente le simpatie degli aristocratici più illuminati e della borghesia liberale. Nel Lombardo-Veneto fu inviato il generale Radetzky, che impose un regime di occupazione militare con largo uso della pena di morte e della censura. Vennero inasprite le tasse e requisiti i beni degli emigrati. Solo il Regno di Sardegna seguì una politica diversa. Il nuovo re, Vittorio Emanuele II, non revocò lo Statuto Albertino concesso dal padre e aidò il governo a Massimo d’Azeglio (17981866) con l’intento di avviare il Paese verso un cauto riformismo. Una tappa fondamentale sul cammino delle riforme fu costituita dalla promulgazione nel 1850 delle leggi Siccardi, dal nome del ministro della Giustizia che le propose. Le leggi Siccardi ponevano ine ad alcuni tradizionali privilegi della Chiesa. Principalmente: ƒil foro ecclesiastico: il diritto del clero a essere giudicato da tribunali ecclesiastici anche per reati comuni; ƒil diritto di asilo per le chiese e conventi: l’impedimento dell’arresto di chiunque si trovasse al loro interno.

CAMILLO BENSO, CONTE DI CAVOUR Nella battaglia per l’approvazione delle leggi Siccardi si distinse Camillo Benso, conte di Cavour. Nato nel 1810, Cavour apparteneva a una famiglia dell’aristocrazia piemontese. Anche la madre era nobile, ma di Ginevra. Dopo aver abbandonato la carriera militare, Cavour intraprese una serie di viaggi che lo portarono in Inghilterra, Francia, Germania e Svizzera. Ritornato in patria si dedicò per alcuni anni agli afari e all’amministrazione delle tenute di famiglia, in cui introdusse nuove tecniche di coltivazione. Poi decise di impegnarsi nella politica: nel 1848 venne eletto deputato, nel 1850 entrò a far parte del governo d’Azeglio come ministro dell’Agricoltura e del Commercio e nel 1852 divenne presidente del Consiglio. Fu quest’ultimo il risultato di un accordo politico, passato alla storia come «connubio»: Cavour infatti, in qualità di leader del centro-destra, strinse un accordo con il leader dell’opposizione di centro-sinistra, Urbano Rattazzi (1808-1873). Il «connubio» portò alla nascita di una nuova aggregazione politica di centro che aveva un’ampia base parlamentare e relegava all’opposizione da un lato la destra conservatrice e

I PROTAGONISTI

Michelle Gordigiani, ritratto di Camillo Benso, conte di Cavour (particolare). Torino, Museo del Risorgimento.

Camillo Benso, conte di Cavour Cavour era instancabile: la sua giornata cominciava anche alle cinque di mattina e comprendeva solitamente quattordici ore di lavoro. Non era un intellettuale; era molto intelligente ma i suoi interessi non andavano al di là della politica e dell’economia. Nel suo appartamento non si trovavano quadri perché, come egli stesso riconosceva, l’arte non lo attraeva minimamente; considerava la poesia frivola e non ne traeva alcun piacere. Le sue letture preferite erano i principali giornali inglesi: il «Times», il «Morning

Post», e specialmente l’«Economist». Si impegnava molto nei dibattiti parlamentari, che doveva trovare comunque stimolanti, e dedicava in genere quattro ore al giorno ai lavori dell’una o dell’altra camera. Nelle sedute spesso appariva distratto, causando irritazione negli avversari, ma era invece attentissimo e pronto a intervenire in ogni momento. Infine Cavour non era un grande oratore, era spesso goffo e in genere monotono, ma la chiarezza e precisione dei suoi discorsi erano senza pari.

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L’unificazione italiana e tedesca reazionaria, dall’altro la sinistra liberale più aperta alle idee democratiche. Al re non rimase quindi che prendere atto della volontà del Parlamento e sostituire d’Azeglio con Cavour. Lo Statuto Albertino, che aidava al re la nomina del governo, veniva così stravolto. Era stata infatti la maggioranza del Parlamento a indicare al re quale governo avrebbe appoggiato. Di fatto, si trattò di una rivoluzione istituzionale in senso parlamentare.

Convinto liberale, Cavour guardava come modello di Stato alla Gran Bretagna, di cui ammirava l’eiciente monarchia costituzionale e lo sviluppo economico raggiunto grazie alla rivoluzione industriale. Dell’arretratezza politica italiana temeva soprattutto il conservatorismo reazionario dei sovrani e l’ingerenza della Chiesa. «Libera Chiesa in libero Stato»: questo doveva essere il rapporto tra Stato e Chiesa, nel senso che lo Stato doveva consentire a tutti la libertà di professare la propria fede; ma l’organizzazione dei fedeli, la Chiesa, non aveva diritto ad alcun privilegio. Liberista in economia, Cavour si adoperò per favorire lo sviluppo dell’agricoltura, dell’industria e della inanza, con la conseguente crescita degli scambi, sia all’interno del Regno di Sardegna, sia con le altre nazioni. A questo scopo, abbassò le tarife doganali, stipulò nuovi trattati commerciali, ampliò il porto di Genova, migliorò la rete stradale e, soprattutto, quella ferroviaria (dagli 8 km del 1848 si passò agli 850 nel 1859, che rappresentavano da soli circa la metà dell’intera rete ferroviaria italiana); fece canalizzare il Vercellese (Canali Cavour), persuaso che l’agricoltura si sarebbe sviluppata solo con la modernizzazione; inine, riorganizzò il sistema del credito. Tutto ciò fece del Piemonte, in circa dieci anni, la regione più evoluta d’Italia. E questo accrebbe enormemente il suo prestigio agli occhi dei patrioti. Molti di loro, per sfuggire alla repressione delle polizie dei loro Paesi, si rifugiarono a Torino con l’approvazione e l’incoraggiamento di Cavour. Il primo risultato importante di questa politica fu la costituzione (1857) a Torino della Società Nazionale Italiana che si proponeva di realizzare l’unità d’Italia sotto la guida di Casa Savoia. A essa aderì, tra gli altri, Giuseppe Garibaldi che prese così le distanze da Mazzini. BZ ALTRI FALLIMENTI INSURREZIONALI UD PN VA

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TARIFFE E DAZI DOGANALI La tariffa doganale è la misura del dazio applicabile a ciascuna merce. Con il termine «dazio doganale» si indica invece l’imposta che deve essere pagata per poter introdurre una merce in un territorio diverso da quello di produzione. I dazi doganali possono avere una funzione o esclusivamente fiscale, se mirano a portare denaro nelle casse dello Stato, o anche politica, poiché esprimono la volontà di proteggere (protezionismo) la produzione nazionale. Per regolamentare la situazione economica interna, i governi europei dell’Ottocento e del Novecento intervennero spesso sui dazi doganali.

LO SVILUPPO DELLA RETE FERROVIARIA IN ITALIA DAL 1859 AL 1868

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L’AZIONE DI CAVOUR

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Estensione al: 1859 1868

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GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Quale fu la politica attuata da Vittorio Emanuele II dopo il 1848? ƒ Che cosa stabilivano le leggi Siccardi? ƒ In quale motto si può riassumere il rapporto Stato-Chiesa secondo Cavour? ƒ A quale teoria economica si rifaceva Cavour? ƒ Negli anni Cinquanta dell’Ottocento quali altri tentativi insurrezionali avvennero? Con quali risultati?

DOCUMENTO

Mentre l’immagine del Regno di Sardegna si raforzava grazie alla politica cavouriana, fallivano tragicamente tutte le iniziative insurrezionali dei democratici. Tra il 1851 e il 1852 a Belfiore, nei pressi di Mantova, nove patrioti vennero impiccati. Nel 1853 Mazzini tentò un colpo clamoroso: l’insurrezione di Milano. Il 6 febbraio poche centinaia di patrioti assaltarono i posti di guardia austriaci. L’insurrezione venne facilmente repressa, con conseguenti arresti e condanne a morte. Ma il più celebre tentativo insurrezionale di quegli anni fu quello guidato dal socialista Carlo Pisacane (1818-1857): la spedizione di Sapri, nel Regno delle Due Sicilie. Pisacane condivideva la visione insurrezionale e democratica di Mazzini, ma ne criticava la scarsa attenzione alla questione sociale. Era invece necessario, secondo Pisacane, far leva proprio sulle misere condizioni dei contadini, specie del Sud, per avviare un processo rivoluzionario in tutta Italia. A questo scopo nel giugno del 1857 si imbarcò a Genova con pochi compagni su di un piroscafo di linea; lo sequestrò e lo fece dirigere verso l’isola di Ponza, sede di un noto carcere borbonico. Dopo aver liberato circa trecento uomini lì detenuti, sbarcò a Sapri, sulla costa salernitana, con la speranza di innescare un’insurrezione. Ma l’impresa si concluse in una tragedia: i contadini, infatti, collaborarono con l’esercito borbonico nella repressione della rivolta. Vistosi perduto, Pisacane si suicidò. Il fallimento dei tentativi rivoluzionari convinse sempre più l’opinione pubblica italiana che vi era una sola strada per il riscatto nazionale: la via moderata e ilosabauda di Cavour.

Lettera di Garibaldi a Mazzini In questa lettera del 1854 Garibaldi spiega a Mazzini per quale motivo ha deciso di accantonare i suoi ideali democratici e repubblicani per appoggiare Vittorio Emanuele II. Londra, 26 febbraio 1854 Caro Mazzini, o possiamo fare da noi soli, allontanando dall’Italia gli stranieri; oppure dobbiamo appoggiarci a un governo da cui possiamo sperare di ottenere soltanto l’Unità d’Italia. […] Appoggiarci al governo piemontese, è un po’ duro, io lo capisco, ma credo che sia la migliore soluzione.

Giuseppe Sciuti, Morte di Carlo Pisacane, 1890. Catania, Museo Civico.

Nella situazione in cui si trova l’Italia, non si può essere né apparire indipendenti: persuadetemi voi d’una migliore scelta, e io vi seguirò. Io voglio essere italiano, prima di tutto; e il Piemonte non dubiti che io lo combatterò con le poche mie forze, se non dovesse fare gli interessi dell’Italia. Ritengo che fino a quando l’Italia non sarà liberata dai dominatori stranieri, non si debba parlar di costituzione, di camere, di chiacchiere, ma si debba, come facevano i nostri padri quando erano in pericolo, marciare guidati da uno solo. Vostro Garibaldi

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L’unificazione italiana e tedesca

2. La politica estera di Cavour LA GUERRA DI CRIMEA

La guerra di Crimea (1854-56) 1. Approfittando del declino dell’Impero turco, la Russia dichiara guerra all’Impero ottomano per estendere il proprio controllo su una parte dell’area balcanica e avere uno sbocco sul mare.

IMPERO RUSSO

IMPERO D’AUSTRIA

2. Alla guerra di Crimea parteciparono anche potenze europee che non accettavano un rafforzamento della Russia nei Balcani e quindi nel Mediterraneo orientale. Francia e Inghilterra pertanto inviarono le loro truppe a fianco dei Turchi. Il Piemonte – guidato da Cavour – inviò 15 000 soldati al comando del generale La Marmora e chiese agli alleati di avere pari dignità. Questa scelta, osteggiata dalla sinistra del Parlamento sabaudo, consentì di legare il Regno di Sardegna alle grandi potenze occidentali e di ottenere un tavolo internazionale per discutere la questione dell’unità italiana.

3 Odessa

1

Moldavia Crimea Sebastopoli

Valacchia

ero Mar N

Dan u b i o

Varna Istanbul

IMPERO OTTOMANO

2

Territori contesi dall'Impero russo ai Turchi Inglesi - Francesi - Piemontesi Turchi Russi

3. Il teatro principale dello scontro fu la penisola di Crimea, sulla costa settentrionale del Mar Nero. In particolare l’assedio della città di Sebastopoli fu particolarmente difficoltoso e lungo.

Uno degli episodi più celebri della guerra di Crimea: la carica della cavalleria leggera il 25 ottobre 1854.

TUTOR

Inizialmente, Cavour non aveva nei suoi progetti l’uniicazione italiana: pensava piuttosto a un’espansione del Regno di Sardegna nell’Italia settentrionale. Riteneva che i tempi fossero maturi per la realizzazione di questo obiettivo, in quanto i moti del 1848 avevano messo irrimediabilmente in crisi l’assetto politico europeo stabilito dal Congresso di Vienna. Il nemico del Piemonte era pertanto l’Austria; e ciò faceva della Francia di Napoleone III il suo «naturale» alleato. Ma per agire occorreva aspettare il momento opportuno. Nel 1853 scoppiò la guerra di Crimea. Causa del conlitto furono i contrasti tra la Turchia e la Russia: il progetto di quest’ultima era infatti quello di espandersi verso il Mar Nero a danno della Turchia.

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334 In difesa della Turchia scesero in guerra Francia e Inghilterra, mentre l’Austria dichiarò la propria neutralità. Nel 1854 Cavour decise di intervenire a ianco degli alleati occidentali: lo scopo era quello di far assurgere il Regno di Sardegna al rango di potenza europea. Nel 1855 i Russi si arresero e i calcoli di Cavour si dimostrarono giusti. La guerra di Crimea permise al Piemonte di «sedere al tavolo dei vincitori». Al congresso di pace tenuto a Parigi nel 1856 una giornata venne infatti dedicata al problema dell’indipendenza italiana: Cavour non chiese nuovi territori per il Piemonte, ma sottolineò come la durezza del dominio asburgico e l’atteggiamento reazionario di molti governi della Penisola potessero finire per alimentare le forze rivoluzionarie. Al momento Cavour non ottenne risultati concreti, tuttavia aveva fatto diventare il problema dell’unità d’Italia una questione europea.

GLI ACCORDI DI PLOMBIÈRES A partire dal Congresso di Parigi, tra Cavour e Napoleone III si stabilì una progressiva intesa. Nel gennaio del 1858, però, Napoleone III fu vittima di un attentato da parte di un repubblicano italiano, Felice Orsini, il quale lanciò tre bombe contro la sua carrozza. Napoleone III si salvò, ma numerosi furono i morti tra la folla. Subito arrestato, Orsini venne condannato a morte. L’attentato sembrò compromettere l’interesse di Napoleone III per la causa italiana. Ma anche questa volta Cavour seppe volgere a proprio favore l’accaduto. Convinse infatti Napoleone III che l’episodio era la dimostrazione della gravità della situazione italiana che poteva «degenerare» ino all’esplosione di una rivoluzione repubblicana e democratica. Nel luglio del 1858 Cavour e Napoleone III si incontrarono nella località termale di Plombières dove strinsero i seguenti accordi: ƒla Francia sarebbe intervenuta con il suo esercito a ianco del Regno di Sardegna, ma solo se fosse stata l’Austria a dichiarare guerra; ƒuna volta conseguita la vittoria, la Francia avrebbe ottenuto come compenso Nizza e la Savoia; ƒin Italia, invece, si sarebbe dovuta formare una confederazione costituita da un Regno dell’Alta Italia (sotto la guida dei Savoia), un Regno dell’Italia Centrale (sotto la guida di un cugino di Napoleone III, Girolamo Bonaparte) e il Regno delle Due Sicilie (sul cui trono Napoleone sperava di collocare un nipote di Gioacchino Murat). Il papa avrebbe conservato Roma e il Lazio e ottenuto la presidenza onoraria della confederazione. In sintesi, con gli Accordi di Plombières, Napoleone III intendeva sostituire all’egemonia austriaca sull’Italia quella francese. L’obiettivo di Cavour era invece quello di allontanare gli Austriaci dall’Italia. Questa era la priorità assoluta. Il problema del successivo assetto politico dell’Italia sarebbe stato afrontato al momento opportuno.

GLI ACCORDI DI PLOMBIÈRES

LA FRANCIA INTERVIENE AL FIANCO DEL REGNO DI SARDEGNA SOLO IN CASO DI AGGRESSIONE DA PARTE DELL’AUSTRIA

RICHIESTE DI NAPOLEONE III AL REGNO DI SARDEGNA

DIVISIONE DELL’ITALIA IN TRE PARTI E COSTITUZIONE DI UN SISTEMA DI STATI CONFEDERATI

LA FRANCIA RICHIEDE COME RICOMPENSA PER L’AIUTO LA CESSIONE DI NIZZA E DELLA SAVOIA

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L’unificazione italiana e tedesca

LA SECONDA GUERRA D’INDIPENDENZA Poiché gli Accordi di Plombières prevedevano l’intervento della Francia solo se il Piemonte fosse stato aggredito, bisognava provocare l’Austria: per questo motivo Cavour inviò lungo i conini con la Lombardia reparti dell’esercito. A essi si aggiunsero anche truppe di volontari provenienti da tutta l’Italia e organizzati nei Cacciatori delle Alpi, comandati da Garibaldi. L’1 gennaio 1859, durante il consueto discorso d’inizio d’anno, Vittorio Emanuele II rilevò il deteriorarsi del rapporto con l’Austria. E il 10 gennaio, inaugurando la nuova legislatura, afermò: «Non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi». L’Austria cadde nella trappola. Il 23 aprile 1859 inviò un ultimatum al Regno di Sardegna, prontamente respinto da Cavour, in cui chiedeva l’allontanamento dell’esercito piemontese dalle frontiere e lo scioglimento dei corpi di volontari. Il 29 aprile 1859 iniziò così la seconda guerra d’indipendenza. Il comando delle operazioni fu assunto da Napoleone III. Le truppe franco-piemontesi ottennero rapide vittorie a Palestro e Magenta. Napoleone III e Vittorio Emanuele II entrarono in Milano l’8 giugno. I combattimenti in Lombardia proseguirono con le battaglie (24 giugno) di Solferino e San Martino, vinte rispettivamente da Francesi e Piemontesi. Contemporaneamente in altre regioni italiane le popolazioni insorsero: a Firenze, Parma, Modena e Bologna furono proclamati dei governi provvisori e venne richiesta l’annessione della Toscana e dell’Emilia al Regno di Sardegna. Vittorio Emanuele II riceve l’atto di annessione dell’Emilia Romagna al Regno di Sardegna.

LA SECONDA GUERRA D’INDIPENDENZA IMPERO D’AUSTRIA

Sondrio Lago di Como

Lago di Lugano

REGNO LOMBARDO-VENETO

Lecco Varese

Como San Fermo

Lago d’Iseo Bergamo

Lago di Garda

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Monza

Magenta

Milano

Oglio

Sesto Calende

Brescia

Novara

REGNO DI SARDEGNA

Peschiera Legnago

Melegnano

Mortara

Pavia Casale Valenza Po Alessandria

Verona San Martino Solferino

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Palestro

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Lago Maggiore

Cremona

Mantova

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Po

Montebello

DUCATO DI PARMA

DUCATO DI MODENA

STATO DELLA CHIESA

Esercito piemontese Esercito austriaco Esercito francese Cacciatori delle Alpi Principali battaglie Quadrilatero

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NAPOLEONE III FIRMA LA PACE A questo punto Napoleone III ebbe paura di perdere il controllo della situazione. Infatti l’annessione della Toscana e dell’Emilia al Regno di Sardegna non era prevista dagli Accordi di Plombières e, nella sua logica, avrebbero portato a un eccessivo raforzamento dello Stato sabaudo in Italia. Inoltre la guerra non era afatto vinta deinitivamente. Prussia e Russia minacciavano un intervento a favore dell’Austria, mentre in Francia cresceva il malcontento dell’opinione pubblica per il costo umano ed economico del conlitto. Inine i cattolici francesi protestavano per il pericolo che stava correndo lo Stato Pontiicio. Senza consultare Cavour, l’11 luglio 1859 Napoleone III irmò a Villafranca, presso Verona, l’armistizio con l’Austria. L’accordo prevedeva la cessione della Lombardia alla Francia, che l’avrebbe poi «girata» al Regno di Sardegna, mentre il Veneto restava in mano austriaca. Rimaneva ancora aperto il problema dell’Emilia e della Toscana. Dopo lunghe trattative Cavour ottenne l’annessione anche di queste due regioni al Regno di Sardegna, ma Vittorio Emanuele II dovette cedere alla Francia Nizza e la Savoia. L’11 e il 12 marzo del 1860 i cittadini approvarono con un plebiscito le nuove annessioni. Finiva così l’instabilità internazionale.

LA CESSIONE DI NIZZA E DELLA SAVOIA Se la cessione della Savoia non provocò proteste nell’opinione pubblica, perché la regione era abitata da popolazioni francesi per lingua e cultura, quella di Nizza e della Costa Azzurra destò invece forti reazioni tra i democratici. In particolare Garibaldi, che era nato proprio a Nizza e che si sentiva ormai «straniero in patria», protestò vigorosamente affermando che quella cessione era incostituzionale: Cavour aveva infatti irmato l’accordo con la Francia senza alcuna discussione né ratiica del Parlamento. La cessione delle due regioni è stata variamente giudicata dagli storici. Per alcuni si trattò del tipico atto di una diplomazia che decide il destino di un popolo ponendolo di fronte al fatto compiuto. Altri invece mettono l’accento sul signiicato epocale della cessione: con quell’atto lo Stato sabaudo da dinastico si avviò a diventare nazionale. L’antico porto di Nizza in un dipinto di Isidore Dagnan (1800 ca.).

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Perché il Regno di Sardegna partecipò alla guerra di Crimea? ƒ Che cosa stabilivano gli Accordi di Plombières? ƒ Come si giunse alla seconda guerra d’indipendenza? Come si svolse, dal punto di vista militare? ƒ Perché Napoleone III firmò l’armistizio? ƒ Quali cambiamenti territoriali determinò l’armistizio di Villafranca?

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L’unificazione italiana e tedesca

3. La spedizione dei Mille LA SPEDIZIONE DEI MILLE

COMPETENZE

La ine dell’instabilità internazionale sancita dalla conclusione della seconda guerra d’indipendenza non signiicò il completo rasserenamento della vita politica italiana. Francesco Crispi (1818-1901) e Rosolino Pilo (1820-1860), due mazziniani siciliani che si erano rifugiati a Torino, seguivano con attenzione i segni del crescente malcontento popolare dell’Italia meridionale, pronti a intervenire. Furono loro a suggerire a Garibaldi di guidare quell’incredibile azione nota come «spedizione dei Mille». Informato dei preparativi della spedizione, Cavour si dichiarò contrario, poiché temeva di irritare la Francia e l’Inghilterra e diidava dei democratici e dei repubblicani. Favorevole era invece Vittorio Emanuele II. Questa diversità di opinioni bloccò l’azione del governo piemontese, che non fece in concreto nulla né contro né in favore della spedizione. La notte tra il 5 e il 6 maggio 1860, 1070 volontari (i Mille) guidati da Giuseppe Garibaldi partirono da Quarto, presso Genova, su due piroscai: il Piemonte e il Lombardo. Disponevano di pochi fucili antiquati e pochissime munizioni. Dopo aver fatto scalo a Talamone per rifornirsi di armi, raggiunsero Marsala l’11 maggio 1860. In pochi giorni, grazie anche all’afflusso sempre maggiore di volontari, i garibaldini ottennero importanti successi contro l’esercito borbonico: a Calatafimi, Palermo e Milazzo. Man mano che procedeva, Garibaldi assumeva la dittatura sulle terre conquistate in nome di Vittorio Emanuele II.

Capo di Milazzo

Truppe borboniche Truppe garibaldine

1 Golfo di Milazzo

4

Milazzo

verso Messina

TÜKORY FABRIZI

2

Pag. 355

TUTOR

La battaglia di Milazzo

MEDICI

3 COSENZ MALENCHINI

1. Battaglia di Milazzo. La battaglia conclude la prima fase della spedizione in Sicilia, ed è lo scontro più sanguinoso: tra le file garibaldine si contano 750 caduti tra feriti e morti. Ovviamente a quel punto i garibaldini erano Mille solo nel nome, in quanto le loro file si erano ingrossate nel corso della spedizione: infatti in questa battaglia combatterono circa 4000 volontari. 2. Borbonici. Guidati dal colonnello Bosco combattono strenuamente, avvantaggiati anche dalla conoscenza del territorio, disseminato di siepi e muri.

3. Garibaldi. È Garibaldi che decide la strategia vincente: fallito l’attacco centrale di sfondamento, decide di portare parte dell’esercito garibaldino sul fianco sinistro del nemico. 4. Tuköry. È l’ex nave a vapore borbonica Il Veloce, che passata dalla parte rivoluzionaria viene ribattezzata con il nome del coraggioso volontario ungherese caduto il 27 maggio 1860, durante la battaglia di Palermo. La nave è risolutiva nella presa di Milazzo, in quanto inizia a tirare a mitraglia contro i borbonici, obbligandoli a ripiegare nel forte di Milazzo, espugnato dopo poche ore.

USARE LE FONTI

La costruzione del culto di Garibaldi

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LOTTA POLITICA, NON SOCIALE

LA SPEDIZIONE DEI MILLE

Danub io

IMPERO D’AUSTRIA SVIZZERA REPUBBLICA FRANCESE

Remigio Legat, La battaglia di Calatafimi (particolare), 1860. Milano, Museo del Risorgimento.

L’appoggio dei Siciliani all’iniziativa garibaldina era dovuto a due principali motivi: ƒil popolo sperava in un riscatto sociale: in particolare i contadini chiedevano la ine del latifondismo e un’equa distribuzione delle terre; ƒla classe dirigente meridionale (aristocratici e latifondisti, i cosiddetti «galantuomini») puntava, invece, a una trasformazione politica: era favorevole all’unità d’Italia in quanto riteneva che i Savoia fossero in grado di difendere i loro privilegi meglio dei Borboni. Garibaldi, dopo un’iniziale apertura, decise di non avallare il tentativo di riscatto sociale promosso dai contadini: si rese infatti rapidamente conto che senza l’appoggio della classe dirigente meridionale l’impresa sarebbe andata incontro a un sicuro fallimento. E quando gli insorti manifestarono l’intenzione di requisire le terre dei latifondisti non esitò a ordinare la repressione. Gli episodi più gravi si veriicarono nei paesi dell’Etna, in particolare a Bronte (4 agosto 1860), dove le truppe garibaldine agli ordini di Nino Bixio, braccio destro di Garibaldi, arrestarono e fucilarono i rivoltosi. Intanto, le operazioni militari procedevano rapidamente: il 20 agosto i Mille sbarcarono in Calabria, mentre in Sicilia venne formato un governo provvisorio sotto la guida di Francesco Crispi. Senza incontrare particolari diicoltà, il 7 settembre i Mille entrarono a Napoli. Il giovane Francesco II (1836-1894), detto Franceschiello, si rifugiò nella fortezza di Gaeta. L’1 ottobre ci fu l’ultima e decisiva battaglia, anche questa vinta da Garibaldi, lungo le rive del iume Volturno.

REGNO DI SARDEGNA Torino

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STATO DELLA CHIESA

Mar Adriatico

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Talamone

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REGNO

Teano DELLE Caserta DUE SICILIE Volturno Napoli

REGNO DI SARDEGNA

Mar Ionio

Mar Tirreno

Palermo Marsala

Esercito piemontese Itinerario dei Mille Principali battaglie

Calatafimi

Milazzo Melito Bronte Taormina

Mar Mediterraneo

Viva l’Italia Italia-Francia, 1961 (durata: 106’) Regia: Roberto Rossellini Attori principali: Renzo Ricci, Paolo Stoppa, Franco Interlenghi

La storia racconta la spedizione dei Mille dallo sbarco a Marsala al famoso incontro di Teano tra Vittorio Emanuele e Garibaldi e al suo successivo ritiro a Caprera. Il film reinterpreta l’epopea risorgimentale con un intento demitizzante e antieroico: Rossellini presenta un Garibaldi ferito che

fatica a montare a cavallo e un re che parla con forte accento piemontese; a questi si affianca un generale rassegnato che prevede la sconfitta. I tre ritratti sono chiaramente antieroici e mettono sullo stesso piano i «grandi» raccontati dai libri di storia e gli anonimi combattenti. L’intento è didascalico ma l’opera rimane però valida per l’accurata ricostruzione storica e l’originalità (almeno per l’epoca) dell’impostazione storiografica rosselliniana.

L’INTERVENTO DI CAVOUR Il successo di Garibaldi fece mutare opinione a Cavour. Ora egli riteneva indispensabile un intervento diretto dell’esercito sabaudo. Molti motivi lo spingevano a questa determinazione: ƒla paura che Garibaldi accogliesse l’invito proveniente dai mazziniani di proclamare nel Sud dell’Italia la repubblica; ƒil timore che Garibaldi proseguisse la sua azione puntando su Roma, il che avrebbe provocato l’intervento dell’esercito francese; ƒla possibilità di annettere le Marche e l’Umbria, appartenenti allo Stato Pontiicio. Ottenuto l’assenso della Francia e dell’Inghilterra, che temevano anch’esse un successo repubblicano, l’esercito piemontese si diresse rapidamente a sud. Con la battaglia di Castelfidardo (18 settembre), vicino ad Ancona, vennero sottratte allo Stato Pontiicio l’Umbria e le Marche. Il 21 ottobre, nelle regioni che erano appartenute al Regno borbonico si tennero dei plebisciti a sufragio universale (due settimane dopo nelle Marche e in Umbria) con i quali fu approvata l’annessione al Regno di Sardegna. Il 26 ottobre 1860 avvenne lo storico incontro tra Vittorio Emanuele II e Garibaldi a Teano, presso Caserta. Ancora una volta le speranze mazziniane erano andate deluse. A Garibaldi non rimaneva che consegnare a Vittorio Emanuele II i territori da lui conquistati e ritirarsi a Caprera, un’isola a nord della Sardegna. Il 17 marzo 1861 si riunì a Torino il primo Parlamento nazionale, eletto secondo il sistema censitario vigente in Piemonte. Vittorio Emanuele II fu dichiarato re d’Italia «per grazia di Dio e volontà della Nazione». Un nuovo Stato di 22 milioni di abitanti era sorto in Europa. Tre mesi dopo, il 6 giugno 1861, moriva Cavour. L’Italia appena nata perdeva il suo principale arteice.

CINEMA E STORIA

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L’unificazione italiana e tedesca

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Quali erano le posizioni di Cavour e del re rispetto al progetto di Garibaldi? ƒ Perché i Siciliani appoggiarono Garibaldi? ƒ Perché Cavour cambiò opinione riguardo all’intervento sabaudo? ƒ Che cosa avvenne il 17 marzo 1861?

Lo storico incontro fra Garibaldi e il re Vittorio Emanuele II a Teano. Particolare di un affresco di Pietro Aldi. Siena, Palazzo Pubblico.

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4. Il Secondo Impero francese e l'unificazione tedesca UN NUOVO MODO DI GOVERNARE Il Secondo Impero francese fondato da Napoleone III nel 1852 non era né un regime parlamentare, né una monarchia tradizionale. Era un nuovo modo di governare, deinito da allora bonapartismo, caratterizzato da due aspetti tra loro contrapposti: ricerca del consenso e autoritarismo. Per ottenere il consenso popolare Napoleone III sostenne il decollo industriale (il commercio crebbe del 300%), favorì la costruzione di grandi opere pubbliche (la rete ferroviaria passò dai 300 km del 1852 ai 18000 del 1870), grazie anche all’appoggio inanziario di istituti di credito che nacquero in questo periodo, come il Crédit Lyonnaise e la Banque de France. Con inanziamenti francesi venne costruito il Canale di Suez (160 km) che permise il raggiungimento dell’Asia senza circumnavigare l’Africa (1869). Risale al Secondo Impero anche la ristrutturazione urbanistica di Parigi realizzata dal barone Haussmann. La costruzione dei grandi boulevards aveva un duplice scopo: rendere ancora più maestosa la capitale ed eliminare le viuzze di origine medievale che, durante le rivolte, erano facilmente controllabili dagli insorti con la costruzione di barricate.

POLITICA INTERNA ED ESTERA L’autoritarismo, invece, fu perseguito con un attento controllo della libertà di stampa e di associazione. Inoltre, Napoleone III svuotò di signiicati l’Assemblea Legislativa (eletta a sufragio universale) e concentrò il potere legislativo nelle mani del Senato e del Consiglio di Stato, i cui membri erano da lui nominati. Ma soprattutto Napoleone III usò in maniera spregiudicata i plebisciti. Attraverso di essi, infatti, egli stabiliva un rapporto diretto con le masse, senza alcuna mediazione politica costituita dai partiti e dalla libera discussione parlamentare. Di conseguenza il plebiscito da strumento di democrazia divenne lo strumento della consacrazione delle sue decisioni: mancando infatti nel Paese un’opposizione in grado di far sentire la propria voce, Napoleone III otteneva sempre trionfali successi. Solo dopo il 1860 l’autoritarismo lasciò gradatamente posto al riformismo: la censura sulla stampa venne allentata e l’opposizione poté liberamente riunirsi. Nel 1869, inine,

APPROFONDIMENTO

UNITÀ 10

Il sogno di Napoleone III Napoleone III aveva capito che il principio destinato a trionfare nel suo secolo era quello delle nazionalità; si era così persuaso che la Francia, facendosene sostenitrice, avrebbe acquistato una potenza morale preponderante, e avrebbe forse potuto ottenere degli ingrandimenti e arrivare a quei confini delle Alpi e del Reno da essa sospirati come i confini naturali del Paese. La Francia era la sola grande potenza che non aveva da perdere alcun territorio per il trionfo di quel principio che avrebbe invece indebolito le altre potenze.

I due Paesi vicini, Italia e Germania, per costituirsi in nazione avevano bisogno o dell’aiuto o della tolleranza della Francia e l’avrebbero pagata con la cessione di qualche territorio sui suoi confini. Il nuovo ordinamento d’Europa, secondo Napoleone III, si sarebbe conciliato con la grandezza reclamata da un impero napoleonico. Egli immaginò che questo nuovo ordine di cose avrebbe riconciliato i popoli e assicurato la pace perpetua. Questo è il significato della sua celebre espressione: «L’impero è la pace».

341

L’unificazione italiana e tedesca con il varo di una riforma che rendeva i ministri responsabili davanti al Parlamento, il regime si trasformò in senso democratico e liberale. In politica estera, Napoleone III perseguì l’obiettivo di fare della Francia la maggior potenza continentale. Per questo intervenne ad ampio raggio, sfruttando le lotte d’indipendenza dei vari popoli, come nel caso italiano, e ingerendosi politicamente negli afari interni di altri Paesi, come la Spagna. Nel contempo nutrì anche ambizioni coloniali che lo portarono a interventi militari. Avvenne così, ad esempio, in Messico (1861), un’avventura che si risolse però dopo pochi anni con un fallimento (1867). LA POLITICA ESTERA DI NAPOLEONE III Acquisti Piani di annessione

Ingerenze politiche

Franz Xavier Winterhalter, ritratto di Napoleone III, 1855. Roma, Museo napoleonico.

TUTOR Interventi militari

Nuova Caledonia (1853)

Lussemburgo (1867) Siria (1860)

Crimea (1854-56)

Algeria (1857)

Palatinato (1867)

Polonia (1863)

Cina (1857-60)

Nizza e Savoia (1860)

Belgio (1869)

Germania (1869)

Italia (1859)

Spagna (1869)

Messico (1861-67)

Dakar – Senegal (1862) Obok – Somalia (1862)

Suez (1869)

Saigon (1862)

Stato della Chiesa (occupato fino al 1870)

Cambogia (1863)

BISMARCK ALLA GUIDA DELL’UNIFICAZIONE TEDESCA A metà Ottocento l’economia prussiana era in piena espansione grazie al Deutscher Zollverein (Lega Doganale Tedesca, 1834) che permetteva la libera circolazione delle merci nell’area tedesca. La classe dominante era formata dagli Junker, nobili proprietari terrieri. Costituivano un gruppo sociale ristretto, formato da circa 25000 persone. Politicamente erano dei conservatori. Prestavano servizio nell’esercito come alti uiciali e ricoprivano ruoli dirigenziali nella burocrazia. Nel 1861 morì Federico Guglielmo IV e salì al trono suo fratello, già reggente da qualche anno, Guglielmo I. L’anno seguente divenne cancelliere (carica che equivale a quella di presidente del Consiglio) Otto von Bismarck (1815-1898), un tipico esponente degli Junker. Autoritario e spregiudicato, Bismarck provvide subito ad aumentare, senza il consenso del Parlamento, le spese militari. Soleva dire: «Io seguo i princìpi inché mi sono utili, poi li getto via come fa il contadino con le sue vecchie scarpe». Il suo obiettivo era l’unità della Germania. Ma per far ciò non bisognava percorrere la strada delle rivoluzioni, come era avvenuto nel 1848. A suo avviso, occorreva che la Prussia guidasse il processo di unità nazionale con il «solo strumento» che la storia mette a disposizione in questi casi, la guerra: «Non con le parole si decidono i grandi problemi del tempo, ma col ferro e con il sangue». E Bismarck poteva contare sull’esercito meglio organizzato e armato d’Europa.

LESSICO

Cocincina (1867)

JUNKER Nelle zone di lingua tedesca, il termine originariamente indicò i figli cadetti dei principi regnanti, e poi, per estensione, tutti i nobili. In particolare il termine venne utilizzato per indicare la nobiltà terriera dei territori a est dell’Elba, caratterizzati da estese proprietà organizzate con i vincoli feudali. Nella Prussia dell’Ottocento, dopo l’abolizione dei vincoli feudali, gli Junker erano gli aristocratici proprietari terrieri. Solo alla fine del XIX secolo l’affermazione della borghesia imprenditoriale determinò il declino degli Junker.

APPROFONDIMENTO

UNITÀ 10

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Quattro problemi posti dall’unità della Germania Tre furono i problemi più significativi posti dalla realizzazione dell’unità tedesca. A essi ne aggiungiamo un quarto, di natura storiografica. 1. ll problema politico del «centro». Nel 1815 le grandi potenze riunite a Vienna per ricostruire l’ordine europeo avevano ribadito un vecchio principio della politica dell’equilibrio: la divisione del mondo tedesco, l’esistenza cioè di un «centro debole» nel cuore dell’Europa come garanzia dell’equilibrio europeo. L’unità della Germania poneva invece al centro dell’Europa una grande potenza che alterava i rapporti internazionali. 2. Il problema del rapporto tra liberalismo e indipendenza nazionale. Fin dal Settecento si era affermato il binomio libertà-nazione: la Dichiarazione d’indipendenza delle colonie americane (1776), la Rivoluzione francese, la Rivoluzione nazionale greca, l’indipendenza del Belgio, i moti del 1848, l’unità dell’Italia mostrano come il rapporto tra libertà e nazione fosse consolidato. La soluzione tedesca all’unità nazionale spezzò quel rapporto, con gravi conseguenze nella storia della Germania e della stessa Europa.

3. Il problema della rivoluzione borghese. Negli stessi anni in cui si realizzò l’unità nazionale, la Germania si trasformò in un moderno Stato industriale. Ma questo processo non fu assecondato dalla modernizzazione del sistema politico in senso liberale e parlamentare. La borghesia tedesca rimase così in uno stato di inferiorità politica che, di nuovo, lasciò tracce profonde nella storia successiva della Germania. 4. Il problema della «continuità» nella storia tedesca. Lo storico che analizza le vicende dell’unità della Germania non può non considerare gli esiti disastrosi che la storia tedesca conobbe nel Novecento. Si pone allora la questione: la prima guerra mondiale, la marcia trionfale del nazismo e, ancora, la seconda guerra mondiale furono il prodotto di eventi particolari e irripetibili oppure affondano le proprie radici nell’Ottocento? In altre parole, la via individuata da Bismarck per giungere all’unità della Germania doveva necessariamente condurre all’esperienza hitleriana? È il tema della «continuità», ancora vivamente dibattuto dagli storici.

LE PRIME DUE GUERRE: CONTRO LA DANIMARCA E CONTRO L’AUSTRIA Tra il 1864 e il 1871, Bismarck realizzò l’unità della Germania attraverso tre guerre vittoriose e straordinariamente rapide. La prima fu combattuta nel 1864 contro la Danimarca per sottrarle il controllo dei ducati dello Schleswig e dell’Holstein, popolati prevalentemente da Tedeschi. Questa guerra vide la Prussia alleata con l’Austria e terminò con la sconitta dei Danesi (1865) che cedettero i due ducati: all’Austria andò l’amministrazione dell’Holstein, alla Prussia quella dello Schleswig. A questo punto il principale ostacolo all’uniicazione tedesca era proprio l’Austria che dominava la Confederazione Germanica. Dopo aver stretto un’alleanza con l’Italia, così da impegnare l’Impero asburgico su due fronti, nel 1866 Bismarck dichiarò guerra all’Austria. Lo scontro principale avvenne non lontano da Praga, a Sadowa (3 luglio 1866), dove i Prussiani sconissero pesantemente gli Austriaci. La guerra per gli Austriaci era deinitivamente perduta, nonostante le vittorie da loro riportate contro gli Italiani a Custoza e a Lissa. Il 23 agosto 1866 fu stipulato a Praga il trattato di pace. L’Italia ottenne il Veneto, mentre la Germania venne divisa in due confederazioni: ƒla Confederazione del Nord, presieduta dal re di Prussia; ƒla Confederazione del Sud, collegata a quella del Nord da un’unione doganale e da un’alleanza militare, ma indipendente dalla Prussia. La strategia di Bismarck aveva funzionato: era la Prussia ora, e non più l’Austria, a dominare gli Stati tedeschi. Ma occorreva risolvere il problema della Confederazione del Sud, ancora indipendente dalla Prussia. Napoleone III aveva infatti imposto che la Confederazione del Sud mantenesse la sua autonomia, temendo l’eccessivo raforzamento della Prussia. Per completare il suo progetto, Bismarck doveva perciò fare i conti con la Francia. Una nuova guerra era inevitabile.

L’unificazione della Germania 1. Regno di Prussia. Era un regno molto esteso che occupava anche territori attualmente polacchi e russi. Nel 1866 comprendeva anche i ducati dello Schleswig-Holstein strappati alla Danimarca nel 1864. Dalla metà del XIX secolo era avvenuto il decollo industriale che aveva accentuato il divario con gli altri Stati tedeschi, rendendo la Prussia il Paese più potente all’interno dello Zollverein.

Regno di Prussia nel 1866 Confederazione del Nord nel 1866 Confederazione del Sud Territori conquistati nel 1871 Confine dell’Impero tedesco nel 1871 Battaglie

Schleswig Königsberg

Holstein Amburgo

Pomerania

Macleburgo

REGNO D’OLANDA Hannover

Elb a

1 Berlino

Brandeburgo

Vestfalia ser We

Reno

2

Lipsia

Sassonia

4 Alsazia Lorena SVIZZERA

3

Vis tol a

Od er Breslavia

Slesia

LUSSEMBURGO Francoforte Sedan

Danzica

Baviera

Sadowa

IMPERO AUSTRO-UNGARICO

Monaco

5

Dan ub

io

TUTOR

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L’unificazione italiana e tedesca

2. Confederazione della Germania del Nord. Presieduta dal re di Prussia, raccoglieva 22 Stati a nord del fiume Meno, tra cui Amburgo, città-Stato di grande importanza commerciale, e lo Stato della Vestfalia, importante polo industriale. La Confederazione era legata monetariamente, economicamente e militarmente alla Prussia. 3. Confederazione della Germania del Sud. Avrebbe dovuto controbilanciare la potenza prussiana, in quanto lo Stato più importante era il Regno di Baviera, cattolico come l’Austria e quindi più simile culturalmente a questa piuttosto che alla luterana Prussia. Era però collegata alla Confederazione del Nord dall’unione doganale (Zollverein) e da un’alleanza militare. 4. Alsazia e Lorena. Regioni situate nella valle del Reno, erano francesi ma contavano una forte presenza tedesca. Erano un’area strategica dal punto di vista militare in quanto zone di confine, ma erano anche regioni di grande valore per l’agricoltura, l’industria e il commercio. Su questi territori sorgevano città importanti come Metz e Strasburgo.

5. Secondo Reich. Il Secondo Impero tedesco nacque proprio nella reggia di Versailles il 18 gennaio 1871, fatto che rese ancora più umiliante la sconfitta francese. Fu proclamato imperatore della Germania unificata Gugliemo I, che continuò ad affidare la gestione del potere al suo cancelliere Otto von Bismarck. Fino al 1918 il Secondo Reich rimase un monarchia semiassoluta, in cui il cancelliere doveva rispondere unicamente all’imperatore. Per sottolineare l’importanza del Regno di Prussia nel processo di unificazione tedesca, la capitale del Reich rimase Berlino.

Bismarck e Guglielmo I alla stazione di Berlino ascoltano la lettura del dispaccio con la dichiarazione di guerra della Francia alla Germania, il 19 luglio 1870.

UNITÀ 10

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LA GUERRA CONTRO LA FRANCIA

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Da che cosa era caratterizzato l’autoritarismo di Napoleone III? ƒ Quale obiettivo perseguì Napoleone III in politica estera? ƒ Come doveva essere raggiunta l’unificazione della Germania secondo Bismarck? ƒ Quali furono le cause del conflitto francoprussiano? ƒ Quali conseguenze ebbe il conflitto in Francia?

LESSICO

La Francia nutriva una crescente preoccupazione per i successi militari della Prussia, anche perché Bismarck non nascondeva il proprio interesse per due regioni francesi, abitate da popolazioni di lingua tedesca: l’Alsazia e la Lorena. Nel 1870, inoltre, la tensione diplomatica tra i due Paesi crebbe a causa di una questione dinastica, la successione al trono di Spagna. La vicenda venne abilmente sfruttata da Bismarck che manipolò una comunicazione di Guglielmo I, il dispaccio di Ems, allarmando ancor più l’opinione pubblica francese preoccupata dall’eventualità che sul trono spagnolo potesse sedere un parente di Guglielmo I. Se questo fosse accaduto, infatti, la Francia sarebbe stata circondata. A questo punto l’imperatore francese Napoleone III ritenne inevitabile il conlitto e decise di prendere l’iniziativa: il 19 luglio 1870 dichiarò guerra alla Prussia. Il conlitto fu rapido poiché la superiorità dell’esercito tedesco era davvero schiacciante. La battaglia decisiva si tenne a Sedan, il 2 settembre 1870. L’esercito francese fu annientato e lo stesso imperatore Napoleone III venne fatto prigioniero. Due giorni dopo, il 4 settembre 1870, Parigi insorse e proclamò la repubblica, la Terza Repubblica, come venne deinita (la prima era stata proclamata con la Rivoluzione francese, la seconda nel 1848). Il governo repubblicano tentò di continuare la guerra contro la Prussia, ma nel gennaio 1871 dovette deinitivamente arrendersi e irmare a Francoforte la pace. Alla sconitta si associò l’umiliazione. Il 18 gennaio 1871, nella Sala degli Specchi della reggia di Versailles, simbolo della grandezza francese, Guglielmo I venne incoronato imperatore (Kaiser) di Germania. Dopo il Primo Impero tedesco (il medievale Sacro Romano Impero Germanico) ora era la volta del Secondo Reich: il Secondo Impero tedesco. L’unità della Germania era raggiunta. DISPACCIO Derivato dal termine spagnolo despacho, è un’informazione o disposizione contenuta in un particolare documento (spesso cifrato) scambiato tra un’autorità competente e agenti o diplomatici che si trovano all’estero o in zona di operazioni militari. Più in generale, è un breve messaggio fatto pervenire in tempi rapidi o in tempo reale, come nel caso del dispaccio d’agenzia, inviato da un’agenzia giornalistica per la diffusione al pubblico.

L’UNIFICAZIONE ITALIANA E QUELLA TEDESCA Modalità Esercito

Forma dello Stato

TUTOR Ideologia politica

Italia

Integrazione tra iniziativa democratica (insurrezioni popolari), moderata e azione diplomatica. Guerra contro l’Austria. Annessione dei territori mediante plebisciti.

Formato dai militari del Regno sabaudo e da volontari; ma per la vittoria contro l’Austria fu determinante l’alleanza prima con la Francia e poi con la Prussia.

Monarchia costituzionale. Importanza del Parlamento, soprattutto a partire da Cavour che «di fatto» realizza il passaggio alla monarchia parlamentare.

L’unificazione è guidata da componenti moderate ma aperte al liberalismo e disponibili a dialogare con i democratici per ottenerne l’appoggio. Liberismo in economia.

Germania

Esclusione del popolo dal processo di unificazione. Lavoro diplomatico ma soprattutto preparazione militare. Guerra contro la Danimarca, l’Austria e la Francia.

Esclusivamente prussiano. Irrilevante il contributo dell’alleanza con l’Italia.

Impero. Debolezza del Parlamento.

Autoritarismo e conservatorismo.

5. La Comune di Parigi IL PRIMO GOVERNO SOCIALISTA Nel febbraio 1871, nella Terza Repubblica francese nata dal crollo dell’impero di Napoleone III si svolsero le elezioni politiche. La vittoria andò alle forze moderate e conservatrici che ebbero dunque la maggioranza nella nuova Assemblea Nazionale. La guida del governo venne aidata a Adolphe Thiers, un liberale moderato che era già stato ministro di Luigi Filippo. Il primo compito del governo fu ovviamente quello di stipulare la pace con la Germania. Le condizioni di pace imposte dai Tedeschi furono pesantissime: la Francia fu costretta a cedere alla Germania le regioni dell’Alsazia e della Lorena, a pagare ingenti danni di guerra (cinque miliardi di franchi) e ad accettare la presenza sul suo territorio di un contingente militare tedesco a garanzia del pagamento. Queste condizioni esasperarono il popolo parigino che già si era mobilitato all’indomani della sconitta di Sedan: aveva organizzato una Guardia Nazionale determinando la caduta del regime di Napoleone III. Così, quando il 18 marzo 1871 il governo Thiers ordinò la requisizione dei cannoni posseduti dalla Guardia Nazionale, i Parigini insorsero. Gli insorti stabilirono il loro quartiere generale nel Municipio e indissero le elezioni per formare un consiglio comunale sovrano. Il 26 aprile con la vittoria del fronte rivoluzionario nacque così la Comune di Parigi. È importante osservare che le tendenze rivoluzionarie erano maggioritarie solo a Parigi: le campagne e le altre città erano nelle mani dei conservatori fedeli al governo Thiers.

Istituita con una legge marziale del 1789, la bandiera rossa era quella che il portabandiera doveva innalzare per segnalare ai soldati l’ordine di sparare sulla folla in caso di tumulti particolarmente gravi: in origine dunque questa bandiera era il simbolo della repressione. Il popolo se ne appropriò per la prima volta il 6 giugno 1832, quando venne utilizzata dalla folla parigina insorta ai funerali del generale Lamarque, probabilmente come gesto di sfida nei confronti dell’esercito. Successivamente la bandiera rossa fu adottata dagli operai tessili di Lione nella rivolta del 1834 e poi dal popolo di Parigi nel 1848: la Comune di Parigi ne fece il simbolo di tutte le rivoluzioni.

Un manifesto francese celebrativo della Comune.

L’ASSENZA DI UN PROGETTO POLITICO Qual era il progetto politico di questa rivoluzione? Ogni comunardo, si può dire, aveva una sua idea. Alcuni si ribellavano richiamandosi alla Rivoluzione del 1789, altri alla Repubblica giacobina; alcuni prendevano a modello le teorie socialiste – più o meno radicali – o quelle anarchiche. C’erano comunque delle idee comuni: ƒl’antipatia per la «maggioranza contadina» reazionaria; ƒl’autonomia per città e villaggi, all’interno di un futuro Stato francese in cui la Comune parigina avrebbe avuto comunque una posizione di preminenza; ƒl’ideale della «democrazia diretta», dell’istruzione pubblica, della laicità, della lotta alla povertà e all’ingiustizia. Venne abbandonato il Tricolore per la bandiera «rosso sangue»; la colonna Vendôme, che ricordava le imprese di Napoleone, venne abbattuta in quanto considerata «afermazione del militarismo».

LA COMUNE Il termine «comune» nella lingua francese è di genere femminile e nel linguaggio storiografico ha mantenuto anche in italiano questa caratteristica. «Comune» indica semplicemente la municipalità, l’organo di autogoverno dei cittadini.

VIDEO

LA COMUNE DI PARIGI

APPROFONDIMENTO

Rosso, il simbolo di tutte le rivoluzioni

LESSICO

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L’unificazione italiana e tedesca

Parigi ancora una volta nel 1871 è in fiamme per la rivoluzione: nel pieno della rivoluzione industriale, che ha creato un nuovo proletariato e diffuso l’ideologia socialista, i Parigini prendono le armi e fondano la Comune, il primo governo socialista della storia. Un esperimento di grande significato storico ma finito nel corso di poche settimane che ha spinto il governo ufficiale al massacro di 20 000 Parigini con fucilazioni indiscriminate.

UNITÀ 10

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GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Quali furono i primi provvedimenti del governo Thiers? Con quali conseguenze? ƒ Quali erano gli obiettivi dei comunardi? ƒ Da chi era guidata la Comune? ƒ Perché Thiers si rivolse a Bismarck per abbattere la Comune?

DISTRUGGERE E RIFORMARE L’esperienza della Comune durò solo due mesi, ma in questo breve periodo furono introdotte innovazioni importanti. La Comune venne guidata da un Consiglio composto da 90 membri (tra loro 25 erano operai), eletto a sufragio universale, che aveva sia potere esecutivo sia legislativo. Ogni membro poteva in qualsiasi momento essere revocato e riceveva uno stipendio pari a quello di un operaio specializzato. Nessun funzionario pubblico, del resto, poteva ricevere uno stipendio più alto. La giustizia fu aidata a tribunali popolari e venne creato un esercito popolare per difendere la città. Le fabbriche abbandonate dai proprietari vennero requisite e aidate a cooperative di operai che le fecero funzionare. Ma, ancora una volta, Parigi non era la Francia: i comunardi incitarono molte volte le altre città a ribellarsi. Nessuna però rispose al loro appello; così la capitale rimase isolata. Per la borghesia francese, per gli aristocratici, per i proprietari terrieri, la Comune rappresentava una minaccia da eliminare.

UNA REPRESSIONE SANGUINOSA

APPROFONDIMENTO

Dopo avere tentato un primo attacco il 22 marzo, considerata la resistenza dei comunardi, Thiers prese una drastica decisione: si rivolse a Bismarck chiedendo e ottenendo il rilascio dei prigionieri di guerra. Si trattava dei migliori uomini dell’esercito francese, con i quali non sarebbe stato diicile sbaragliare le inesperte truppe della Comune. Venne così ricostituito l’esercito francese: 100000 soldati al comando del maresciallo Mac-Mahon. Bismarck e l’esercito tedesco, accampato fuori Parigi, sarebbero stati a guardare. Dal 21 al 28 maggio 1871, in quella che venne deinita la «settimana di sangue», l’esercito francese cinse d’assedio Parigi e poi la attaccò. La città divenne un campo di battaglia: ovunque vi erano combattimenti e barricate, mentre importanti palazzi e interi isolati andavano in iamme, sovente bruciati dai comunardi, in preda alla disperazione. Le truppe di Mac-Mahon repressero ogni focolaio di rivolta fucilando e massacrando senza pietà. I comunardi risposero con sanguinose rappresaglie che causarono 887 morti (più 64 ostaggi). Circa 20000, invece, furono i comunardi uccisi, sovente «a freddo» dopo i combattimenti; 43522 i prigionieri, di cui 4586 in seguito deportati nelle colonie. Terminava così l’esperimento della Comune di Parigi e la Francia tornava a essere una sola nazione.

Il comunardo

1. Nonostante il governo della Comune avesse votato alcuni provvedimenti estremamente favorevoli alla popolazione, nell’immaginario collettivo il comunardo armato era rimasto soprattutto colui che ottenne il potere con la violenza e sempre con la violenza cercò di mantenerlo.

2. Il comunardo ha una fiaccola in mano. È rappresentato come un incendiario perché durante la «settimana di sangue» palazzi e interi isolati furono dati alle fiamme dai membri della Comune in estreme e disperate azioni di difesa.

3. Nel 1880, quasi dieci anni dopo l’abbattimento della Comune, il comunardo è presentato come un burattino: questa rappresentazione satirica riprende la definizione dei comunardi come «fantocci dell’Internazionale», che ricorreva negli ambienti conservatori nel 1871.

347

L’unificazione italiana e tedesca

Dal passato al presente Tra le maggiori eredità che questo periodo ci ha lasciato ci sono il diritto umanitario e la Croce Rossa. Risalgono a quest’epoca, infatti, i primi tentativi di imporre delle norme anche alla guerra, a partire dal diritto al soccorso e alla protezione dei feriti. Furono anni di rapidi progressi nel campo medico: si approfondì lo studio delle malattie infettive e si difuse l’uso di applicare una profilassi, cioè l’insieme delle misure da seguire in caso di epidemie per evitare il contagio, e delle vaccinazioni. Anche il termometro per misurare la temperatura corporea e lo stetoscopio, lo strumento per ascoltare i battiti cardiaci, erano all’incirca gli stessi di quelli utilizzati ancora oggi.

La Croce Rossa e il diritto umanitario ANCHE LA GUERRA HA BISOGNO DI REGOLE È possibile imporre delle norme che tutti debbano rispettare durante i conlitti? Oppure l’idea stessa di guerra è inconciliabile con quella di diritto, e l’unica legge che vale è quella dettata dal più forte? Nel 1899 e nel 1907 due convenzioni irmate all’Aia stabilirono quali fossero i diritti e gli obblighi dei belligeranti, e limitarono la scelta dei mezzi di ofesa (vietando, ad esempio, i proiettili superiori a un certo peso). Più in generale venne proibita qualsiasi azione che eccedesse la necessità di porre fuori combattimento l’avversario, inliggendogli soferenze inutili. Altri trattati, stipulati a Ginevra, iniziarono invece a occuparsi della protezione dei soggetti «fuori combattimento»: in particolare i militari feriti o fatti prigionieri, e i civili. Sorse così il «diritto umanitario» che rappresenta oggi un corpo di regole ampio e in continua evoluzione. Eppure l’impulso che gli diede vita ebbe origine quasi per caso, in seguito alla battaglia di Solferino.

UNO SCENARIO TERRIBILE Nel giugno 1859 il ginevrino Henry Dunant, in Italia per parlare d’afari con Napoleone III, giunge per caso a Solferino. Lo scontro è appena terminato. Ecco che cosa vide Dunant: «Al termine di quella giornata trentamila uomini giacevano inermi sul terreno, immersi nel loro sangue […]. Cadaveri di uomini e cavalli coprivano il campo di battaglia, ed erano ammucchiati, lungo fossi e

campi; le strade che conducevano a Solferino erano letteralmente ostruite dai morti… Molti [di questi] erano sigurati dai tormenti dell’agonia, avevano le membra irrigidite e il corpo orribilmente macchiato, si aggrappavano con le mani al terreno e con gli occhi sbarrati issavano il vuoto. Con la faccia nera di mosche che ne succhiavano le ferite, gli uomini si guardavano intorno spaventati chiedendo aiuto […]. C’era un povero uomo, completamente sigurato, con la mascella spezzata e la lingua gonia che gli penzolava dalla bocca. Gli inumidii le labbra screpolate e la lingua indurita, presi un po’ di garza, la immersi nel secchio che mi portavo dietro e spremetti l’acqua da quella spugna improvvisata sull’apertura deforme della bocca».

NASCE LA CROCE ROSSA Tornato a Ginevra, Dunant descrive in un libro, Un ricordo di Solferino, ciò che vide, e propone di agire su due livelli: creare un’organizzazione per l’assistenza ai feriti e dar vita

Carlo Bossoli, La battaglia di Solferino. Torino, Museo del Risorgimento.

IERI

Non esisteva un diritto umanitario, c’erano regole non scritte che variavano da nazione a nazione e da luogo a luogo OGGI

Si è affermata la necessità di stabilire regole universali sul comportamento degli eserciti e per la tutela dei civili

348 a una convenzione internazionale che ne garantisca la protezione. Nel 1863 Dunant, insieme a quattro concittadini, crea il Comitato Internazionale per il soccorso dei feriti. Nasce così uicialmente il Movimento Internazionale della Croce Rossa. Viene adottato un segno – la bandiera svizzera con i colori rovesciati – come forma di notiicazione internazionale: i soccorritori e i mezzi che lo porteranno dovranno essere considerati neutrali, e non subire attacchi da nessuno. Più tardi al simbolo della Croce Rossa sarà aiancata, nei Paesi islamici, la Mezza Luna Rossa. Nel 1864, con la prima Convenzione di Ginevra, è attuata la seconda parte del progetto di Dunant: il trattato stabilisce che i soldati che sono stati feriti sul campo di battaglia e quelli malati, divenuti perciò estranei al combattimento, non possono più essere soggetti alla violenza bellica. Tale protezione verrà estesa ai feriti della guerra sul mare e ai prigionieri di guerra, che non possono essere sottoposti a trattamenti estranei al senso di umanità. Il diritto umanitario, nei decenni successivi, si evolverà in parallelo all’utilizzo di nuove armi e alla nascita di nuovi tipi di conlitti.

DAI PRIVATI AGLI STATI La Croce Rossa e il diritto umanitario, originariamente, sono stati istituiti per iniziativa di privati. Tuttavia in da subito molti Stati, come l’Italia, si impegnarono a rispettare i militari feriti, malati, o naufraghi fatti prigionieri. Il PAROLE IN EREDITÀ

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coinvolgimento dei civili nei due conlitti mondiali portò all’istituzione: nel 1949 di quattro nuove Convenzioni di Ginevra che includevano la protezione dei civili; e nel 1977 di due Protocolli sulla protezione di feriti e prigionieri dei conlitti interni (le guerre civili). A vigilare sull’applicazione delle convenzioni venne posto lo stesso Comitato Internazionale della Croce Rossa. La Croce Rossa Internazionale è oggi una realtà in cui operano migliaia di volontari, sia nelle aree di guerra, sia in occasione di catastroi naturali o civili, per assicurare l’aiuto e l’assistenza necessari.

LE SETTE REGOLE DELLA CROCE ROSSA Oggi come ieri, l’organizzazione della Croce Rossa segue sette regole: umanità, imparzialità, neutralità, indipendenza, servizio volontario, unità e universalità. Solo agendo in ogni circostanza senza discriminazioni, in modo imparziale, con l’unico obiettivo di alleviare le soferenze, la Croce Rossa riesce a lavorare in Paesi con situazioni politiche molto diicili. La Croce Rossa ha anche il compito di vigilare sull’osservanza del diritto umanitario mediante l’invio di missioni che controllano le condizioni dei prigionieri. In questi ultimi anni la Croce Rossa si è anche impegnata, insieme ad altre organizzazioni umanitarie, in una campagna contro le mine antiuomo e le bombe a grappolo.

CROCEROSSINA Il personale infermieristico della Croce Rossa era per lo più femminile; inizialmente religioso poi laico, era caratterizzato dall’abnegazione e da un grande spirito di sacrificio. Per questo motivo ancora oggi si utilizza «crocerossina» per indicare chi si occupa con grande dedizione delle persone che soffrono. Purtroppo però nel linguaggio comune il vocabolo è utilizzato con tono canzonatorio, quando si vuole indicare una forma di altruismo non condiviso. BARONE Il termine indica il titolo nobiliare che segue quello di visconte e conte; per estensione nell’Ottocento, soprattutto nel Sud Italia, indicava il nobile in generale. Il barone per eccellenza era caratterizzato sia dalla gestione di un grande potere politico e sociale sia da un sostanziale immobilismo nella gestione economica e fondiaria. Tali aspetti hanno portato a utilizzare nel linguaggio comune il termine barone per indicare chi detiene un grande e incontrollato potere: per cui si parla di «baroni» della finanza, dell’industria, dell’università ecc.

COMPETENZE: USARE LE FONTI

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Il dibattito storiografico sul Risorgimento DOCUMENTO Mazzini: il Risorgimento tradito Come noto, la discussione sul Risorgimento fu parte del Risorgimento stesso. All’indomani dell’unificazione nazionale la critica più aspra venne dalla sinistra democratica. Il più duro fu proprio Giuseppe Mazzini, che negò l’esistenza stessa di un’Italia unita: quella che era nata rappresentava, a suo avviso, la «caricatura» di una nazione, uno «scheletro» da cui si sarebbe dovuti ripartire per costruire una vera nazione. Il Risorgimento italiano si era risolto in una «conquista regia», cioè nell’annessione da parte del Regno sabaudo del resto dell’Italia: «Tutto quanto il movimento italiano – scrisse Mazzini nel 1861 – riposa sul nostro calunniato partito. Fatta eccezione per la guerra del 1859 […] neppure un passo per prendere l’iniziativa è stato fatto dal Gabinetto sardo. […] Noi agimmo costantemente come lo sprone; lavorammo, combattemmo e versammo sangue per l’Italia; mentre il Gabinetto Cavour si oppose costantemente, poi raccolse i risultati appena ottenuti o inevitabili». In Italia, dunque, non c’era stato nessun Risorgimento, nessuna resurrezione del popolo, che anzi era stato privato del suo ruolo dall’iniziativa diplomatica e militare di Cavour. Nessuna nazione era rinata, tutto restava come prima. Non a caso il sovrano non aveva neanche sentito l’esigenza di modificare il suo titolo: era rimasto Vittorio Emanuele «secondo», non «primo», come la nascita di un nuovo Stato avrebbe implicato.

na vera rivoluzione popolare, né all’inglese, né all’olandese, né all’americana, né alla francese; e anzi, dalle modalità della conquista regia si era proiettata sul piccolo Stato sardo un’ombrosa sembianza di usurpatore». All’origine dello Stato italiano, dunque, stava una «rivoluzione mancata»: un vizio d’origine che andava sanato con una vera rivoluzione, cioè con una rivoluzione che vedesse il coinvolgimento e la maturazione del popolo. Questa ipotesi interpretativa era destinata a un grande successo e a influenzare i diversi indirizzi storiografici del Novecento. Certamente il saggio di Oriani fu letto da Gobetti e da Gramsci; Mussolini addirittura curò la pubblicazione dell’opera omnia di Oriani. Ovviamente ognuno di loro aveva un’idea diversa su come la rivoluzione incompiuta del Risorgimento andasse portata a termine.

Oriani: il Risorgimento come «rivoluzione mancata» Le posizioni di Mazzini ispirarono nei decenni successivi all’unificazione varie opere storiografiche critiche nei confronti del Risorgimento. In questo quadro, grande importanza ebbe Alfredo Oriani (1852-1909), un romanziere romagnolo al tempo stesso garibaldino e acceso nazionalista. Nel 1892 Oriani diede alle stampe La lotta politica in Italia, un’opera nella quale ricostruiva le vicende risorgimentali. A suo avviso, il ruolo centrale assunto dalla monarchia sabauda era «il risultato dell’insufficienza rivoluzionaria della nazione». Ma l’opera del Regno di Sardegna «era stata più necessaria che benefica, la sua abilità più egoistica che feconda, i suoi guadagni più grossi che legittimi». Il Risorgimento era stato «piuttosto un’insurrezione contro gli stranieri per conquistare l’indipendenza che una vera rivoluzione». Secondo Oriani – ha scritto lo storico Ernesto Galli della Loggia – «la rivoluzione italiana non poteva paragonarsi a nessu-

Gerolamo Induno, La partenza del garibaldino, 1860. Milano, Fondazione Cariplo. Nonostante la retorica delle opere d’arte, il Risorgimento fu un movimento di pochi, che non coinvolse massicciamente la popolazione.

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COMPETENZE: USARE LE FONTI

Piero Gobetti: l’Italia del compromesso L’opera di Piero Gobetti (1901-1926) va collocata nel contesto del fascismo. Fu proprio l’esigenza di spiegare il fascismo, infatti, che lo condusse a riflettere sulla storia del nostro Paese. Secondo Gobetti, la storia italiana aveva sofferto di un difetto fondamentale: non aveva conosciuto la riforma religiosa protestante, e questa mancanza aveva determinato l’immaturità morale, ideale e politica degli Italiani. Sbagliavano coloro i quali ritenevano che il Risorgimento avesse segnato un’importante inversione di tendenza. Il Risorgimento era stato, in realtà, una rivoluzione fallita, un movimento abortito, perché era stato azione di pochi, alla quale il popolo italiano era rimasto estraneo. Il problema di costruire un’unità, che fosse unità di popolo, era rimasto così insoluto, perché la conquista dell’indipendenza non era stata sentita e voluta dalla grande maggioranza degli Italiani, tanto da diventare vita intima della nazione. Per questi motivi, col Risorgimento gli Italiani non riuscirono a formarsi una coscienza dello Stato. Tutto ciò, secondo Gobetti, doveva pesare enormemente sulla storia italiana successiva, poiché mancando il principio primo dell’educazione politica, ossia della scelta delle classi dirigenti, venne a mancare anche una lotta politica aperta. Ecco perché la vita italiana dall’unità in poi era stata divorata da un cancro che aveva spento in essa ogni dibattito ideale, ogni gara vera ed efficace, ogni luce di idealità, ogni genuino confronto di proposte e di programmi per affrontare i problemi del Paese: questo cancro era stato il trasformismo, da Agostino Depretis a Giovanni Giolitti, allo stesso Filippo Turati. Secondo Gobetti, infatti, anche il socialismo era stato in Italia non un elemento di rottura, di lotta, di reale contrapposizione, bensì era stato collaborativo, corporativo, grigio, dedito ai piccoli vantaggi, agli accordi sottobanco. Il fascismo, insomma, riproponeva, secondo Gobetti, «il problema di un’esegesi del nostro Risorgimento», perché ne svelava «le illusioni e l’equivoco fondamentale». Sotto questo profilo il fascismo aveva avuto almeno questo merito, se così lo si poteva chiamare, «di offrire la sintesi, spinta alle ultime inferenze, delle storiche malattie italiane: retorica, cortigianeria, demagogismo, trasformismo». Il fascismo era «il legittimo erede della democrazia italiana eternamente ministeriale e conciliante, paurosa delle libere iniziative popolari, oligarchica, parassitaria e paternalistica». La lotta contro Mussolini e contro il fascismo doveva essere dunque, per Gobetti, la lotta contro «l’altra Italia», ovvero contro l’Italia di sempre, l’Italia del conformismo e della corruzione, del compromesso, della mancanza di idealità e di coraggio, e, conseguentemente, della mancanza di élite illuminate ed eroiche, capaci di condurre una vera lotta politica.

Le tesi di Gramsci L’interpretazione marxista del Risorgimento trae origine da alcune tesi di Antonio Gramsci (1891-1937). Queste riflessioni

risalgono al periodo 1927-1935, quando lo studioso era in carcere, e furono raccolte e pubblicate solo in seguito alla caduta del fascismo. Secondo Gramsci, il Risorgimento non si poteva considerare soltanto come un fenomeno di natura nazionale ma, per essere compreso, andava visto alla luce degli avvenimenti della politica europea. Particolarmente importante fu, infatti, la Rivoluzione francese che, da un lato fece sì che in Italia si costituisse un gruppo di cittadini disposti al sacrificio per raggiungere l’unità nazionale e, dall’altro, indebolì le forze reazionarie presenti nel Paese, favorendo dunque quelle nazionali. Tuttavia, secondo Gramsci, il processo risorgimentale si svolse sotto una vera e propria «egemonia» delle forze moderate su quelle democratiche. Ciò accadde perché, mentre i moderati rappresentavano una classe sociale molto omogenea, la borghesia, i democratici non si riconoscevano in nessun ceto. Questa osservazione non condusse Gramsci, come spesso si pensa, a un giudizio completamente negativo sul Risorgimento. Al contrario, come ricorda lo storico Giuseppe Galasso, Gramsci riconosceva il valore dell’opera di Cavour; criticava però i suoi eredi che trasformarono «l’egemonia» dei moderati in «dominio». Per «egemonia» Gramsci intendeva la capacità di una classe di esercitare una direzione intellettuale e morale nei confronti della maggioranza della popolazione. L’egemonia, dunque, presuppone la conquista di un vasto consenso ai valori e agli obiettivi politici proposti da una classe. Gramsci la distingueva dal «dominio» che si fonda sulla forza e si risolve nell’oppressione di una classe sul resto della società. È proprio conquistando l’egemonia che una classe legittima il proprio ruolo dirigente. Applicati all’analisi del Risorgimento, questi termini consentono di distinguere il giudizio di Gramsci sul ruolo dei moderati: – positivo, nella fase della conquista dell’indipendenza nazionale, perché i moderati furono capaci di rappresentare effettivamente gli interessi nazionali e dunque di conquistare l’egemonia; – negativo, a partire dai primi governi dell’Italia unita, perché in quest’epoca i moderati imposero il loro interesse di classe non costituendo più una forza di modernizzazione del Paese: si passò così dall’egemonia al dominio. Secondo Gramsci, i democratici si sarebbero opposti efficacemente ai moderati solo con la creazione di un grande movimento popolare. Per fare ciò, tuttavia, bisognava porre come obiettivo principale del Risorgimento non tanto l’unità del Paese, quanto la riforma agraria: un’ipotesi confutata da Rosario Romeo, illustre rappresentante della storiografia liberale, secondo il quale la rivoluzione agraria non era né possibile né auspicabile. Ciò che a Gramsci preme sottolineare, comunque, è che il mancato impegno dei democratici per la riforma agraria causò la scarsa partecipazione popolare al Risorgimento, che si configurò per questo come una «rivoluzione passiva».

L’unificazione italiana e tedesca

Il Risorgimento, secondo Gramsci Il Risorgimento italiano si prospetta, per Gramsci, come aspetto italiano di un più generale sviluppo europeo nell’età prima della Riforma, poi della Rivoluzione francese e, infine, del liberalismo. Come tale, i suoi termini cronologici si estendono a tutto il secolo XVIII, per cogliere fin dall’inizio il «processo di formazione delle condizioni e dei rapporti internazionali che permetteranno all’Italia di riunirsi in nazione e alle forze interne nazionali di svilupparsi ed espandersi» allo stesso fine. Inoltre, esso va colto […] «come ripresa di vita nazionale, come formazione di una nuova borghesia, come consapevolezza crescente di problemi non solo municipali e regionali ma nazionali, come sensibilità a certe esigenze ideali». […] Per Gramsci solo a partire dalla Rivoluzione francese, il Risorgimento, così inteso, acquista effettiva concretezza, poiché è solo da allora in poi che esso non è più soltanto una tendenza generale della società e della cultura italiane in sintonia con quelle europee, ma si trasforma in azione «consapevole in gruppi di cittadini disposti alla lotta e al sacrificio», diventando così una spinta storica effettiva operante attraverso forze specifiche e consistenti. Ed è proprio il discorso sulla natura e sul comportamento delle forze sociali nel momento decisivo del Risorgimento, quando l’unità italiana viene realizzata, a costituire l’oggetto dominante delle riflessioni storiche di Gramsci.

Dipinto del XIX secolo con l’allegoria dell’Italia unita. Livorno, Museo civico Giovanni Fattori.

351 Da questo punto di vista, il suo giudizio è assai netto: il processo risorgimentale fu caratterizzato da una netta egemonia delle forze moderate su quelle democratiche. Ma, contrariamente a un’opinione molto diffusa, ciò non significa affatto che Gramsci abbia una concezione negativa del Risorgimento e che ne condanni gli esiti. Egli, anzi, polemizza contro coloro che mostrano di non «valutare adeguatamente lo sforzo compiuto dagli uomini del Risorgimento, sminuendone la figura e l’originalità, sforzo che non fu solo verso i nemici esterni, ma specialmente contro le forze interne conservatrici che si opponevano all’unificazione» […]. Gramsci riconosce nel «potere d’attrazione» dei moderati sui democratici un caso di attrazione «spontanea» di una forza sociale su altre, ossia l’attrazione di un «gruppo sociale realmente progressivo», perché «fa avanzare realmente l’intera società, soddisfacendo non solo alle sue esigenze esistenziali, ma ampliando continuamente i propri quadri»: dunque, e sempre in termini gramsciani, un caso di «egemonia», non di «dominio», e tanto valido e forte da essere perfino «riuscito a suscitare la forza cattolico-liberale» e a ottenere che, sia pure per poco, addirittura un papa (Pio IX) si conformasse al movimento liberale, realizzando così «il capolavoro politico del Risorgimento» e superando uno degli ostacoli maggiori di resistenza al movimento nazionale. La condizione di base dell’egemonia dei moderati sta nel fatto che «essi rappresentavano un gruppo sociale relativamente omogeneo, mentre il cosiddetto partito d’azione non si appoggiava specificatamente a nessuna classe storica», mancava «addirittura di un programma concreto di governo» e traeva ispirazione – rispetto ai moderati – in molti dei suoi uomini in ragioni «più di temperamento che di carattere organicamente politico» […]. Gramsci imputa al partito d’azione di non aver saputo opporre all’omogeneità spontanea dei moderati l’organizzazione di un grande movimento popolare di massa. Nelle condizioni dell’Italia di allora ciò avrebbe voluto dire, in sostanza, guidare i contadini a una lotta per la terra specialmente nel Mezzogiorno. Ciò ha fatto riassumere, non a torto, le vedute di Gramsci a questo riguardo nella formula del Risorgimento come «rivoluzione agraria mancata» (che però non ricorre mai in lui). E, in effetti, anche se egli ha presente che al di là di una certa democratizzazione non si poteva «forse giungere date le premesse fondamentali del moto» risorgimentale nel suo insieme, a suo avviso il fallimento del partito d’azione impedì «di inserire il popolo nel quadro statale» […]. La soluzione unitaria ha realizzato una promozione e modernizzazione del Paese e ha corrisposto agli interessi preminenti della nazione, ma le classi che hanno diretto il movimento nazionale […] hanno agito su una base essenzialmente conservatrice e moderata, limitando la positività del processo e che si è andata accentuando col tempo […]. G. Galasso, Risorgimento, in AA. VV., Antonio Gramsci, Editrice l’Unità

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COMPETENZE: USARE LE FONTI

Contro Gramsci Al di là di ogni discussione metodologica generale vanno poste, a proposito delle tesi del Gramsci, due questioni fondamentali, relative da una parte alla reale possibilità di una rivoluzione agraria, all’effettiva esistenza cioè di una alternativa al Risorgimento quale si è concretamente realizzato; e dall’altra al carattere più o meno progressivo, rispetto alla soluzione storicamente raggiunta, di questa presunta alternativa. Che è questione non meno importante della prima: perché appunto sul non aver saputo spingere fino in fondo tutte le possibilità di progresso «oggettivamente» contenute nella situazione italiana si accentra la critica del Gramsci alla classe dirigente risorgimentale; e soprattutto perché da una giusta valutazione del significato della mancata rivoluzione agraria dipende un’esatta impostazione dei reali problemi dello sviluppo capitalistico moderno in Italia nel secolo XIX. Ora, nonostante gli elenchi sempre più folti di insurrezioni e moti contadini che la storiografia – non solo quella marxista, d’altronde – ci viene apprestando; nonostante la indubbia esistenza di condizioni di grande miseria o di disagio in gran parte delle campagne italiane e la persistenza di larghi residui feudali, specie nel Mezzogiorno; nonostante il fatto massiccio della presenza di una popolazione contadina di oltre quindici milioni nel 1860, di cui la maggior parte contadini poveri o braccianti o «salariati», e i propositi talora affacciatisi di mobilitare questa massa contro i vecchi regimi assolutistici: sembra innegabile che la presunta alternativa rimane fuori della realtà storica e politica. E ciò, non tanto per il tenace sanfedismo delle campagne, magari superabile con la impostazione del problema della terra; quanto per le condizioni storiche di fondo in cui era destinato a svolgersi il Risorgimento. Sembra certo anzitutto che una rivoluzione agraria e giacobina in Italia avrebbe provocato uno schieramento antitaliano di tutte le maggiori potenze europee, interessate alla conservazione sociale, e legate a una visione della civiltà e dei rapporti internazionali profondamente ostile a quel genere di sovvertimenti. Il problema dei rapporti internazionali è stato energicamente sottolineato a questo proposito dallo Chabod; e già Gramsci si era chiesto (e aveva risposto negativamente) se in Italia fosse possibile una rivoluzione di tipo giacobino nella mancanza di «autonomia internazionale» del nostro Paese. Un discorso più complesso richiede il preteso carattere progressivo dell’alternativa della rivoluzione agraria, l’affermazione cioè che la struttura sociale ed economica realizzata in Italia attraverso il Risorgimento rappresenti una fase storicamente più arretrata di quella raggiungibile attraverso la rivoluzione agraria. È proprio questo concetto che anima gran parte della polemica marxista contro il Risorgimento; ed è appunto in esso che più chiaramente si rileva la genesi «dottrinaria», oltre che pratico-politica della tesi del Gramsci. […] Essa ha il suo nucleo originario nella visione marxista dello sviluppo capitalistico, che il Gramsci applica all’Italia soprattutto rifacendosi al modello della rivoluzione borghese di Francia; benché non debba essere sottovalutata, a questo proposito, l’esperienza che il Gramsci fece, prima attraverso gli scritti di Lenin, e poi di-

rettamente nel suo soggiorno in Russia, dell’impostazione del problema agrario nei Paesi a struttura arretrata dell’Europa orientale, dove appunto la questione nazionale e quella della rivoluzione antifeudale erano apparse strettamente congiunte agli occhi del pensiero democratico. Sennonché, il problema dello sviluppo capitalistico in Italia non può essere identificato né con quello della rivoluzione agraria nei Paesi arretrati dell’Oriente europeo, caratterizzati da un’estrema debolezza dello sviluppo cittadino e borghese, né con quello dello sviluppo capitalistico in Francia, che si distingue dall’analogo processo italiano per uno svolgimento delle città e del capitalismo urbano incomparabilmente più rapido e più vigoroso. […] Ben diversa la situazione italiana fin oltre la metà del secolo XIX. Qui l’industria aveva ancora un peso quasi trascurabile nel quadro dell’attività economica del Paese, e anche il commercio, nonostante avesse certo un rilievo assai maggiore, era tuttavia subordinato all’agricoltura, esaurendo quasi interamente il suo compito nel mettere in movimento i prodotti delle colture locali. Persino nella regione più avanzata, la Lombardia, lo Jacini calcolava che nell’agricoltura si investisse una somma sei volte maggiore di quella investita nel commercio e nell’industria messi insieme; e la stessa Milano era ancora una città nello stadio commerciale del suo sviluppo. […] Accadeva perciò che da noi, ancora verso il 1860, i soli fenomeni capitalistici su vasta scala e capaci di dar luogo a forme moderne di organizzazione produttiva di dimensioni rilevanti si riscontravano nell’agricoltura. […] È su tale sfondo di debole sviluppo del capitalismo cittadino e di incipiente capitalismo agrario che va studiato il significato della mancata rivoluzione contadina auspicata da parte marxista. In un Paese come l’Italia del secolo XIX, […] una rivoluzione contadina mirante alla conquista della terra avrebbe inevitabilmente colpito – dovunque avesse potuto consolidarsi e dunque, si può presumere, specialmente nel Nord e nel Centro della Penisola – anche le forme di più avanzata economia agraria, liquidando gli elementi capitalistici dell’agricoltura italiana per sostituirvi un regime di piccola proprietà indipendente, e imprimendo all’Italia agricola una fisionomia, appunto, di democrazia rurale. A tutto ciò si sarebbe certo accompagnata la liquidazione dei residui feudali; fatto, questo, grandemente positivo nel quadro dei rapporti agrari italiani. Ma nel processo generale dello sviluppo capitalistico in Italia questa rivoluzione avrebbe avuto un valore assai diverso: e basta guardare alle conseguenze della Rivoluzione nelle campagne francesi per rendersene conto. Se infatti essa migliorò le condizioni di larghi strati di contadini […], è un fatto incontestabile ch’essa bloccò in pari tempo lo sviluppo del capitalismo nelle campagne francesi. […] Una volta liquidato dalla rivoluzione contadina il più progredito capitalismo agrario, e nella generale debolezza industriale e mobiliare, il Paese avrebbe subìto un colpo d’arresto nella sua evoluzione a Paese moderno, e non solo sul piano della vita economica, ma in genere dei rapporti civili e sociali. R. Romeo, Risorgimento e capitalismo, Laterza

L’unificazione italiana e tedesca

Una guerra civile contro i cattolici? Negli ultimi anni il dibattito sul Risorgimento è stato caratterizzato da violente polemiche. Ad accendere la discussione è stata soprattutto la mostra sul Risorgimento italiano presentata nell’estate 2000 al Meeting di Rimini. Questa mostra giudicava severamente i principali protagonisti dell’unificazione nazionale (Cavour, Mazzini, Garibaldi) e sosteneva la necessità di riscrivere la storia del Risorgimento per dare adeguato rilievo a un aspetto tralasciato dalla storiografia tradizionale: l’obiettivo (comune a molti esponenti risorgimentali, secondo gli autori della mostra) di distruggere la Chiesa cattolica anche a costo di una vera e propria guerra civile. Questa impostazione è stata portata avanti in questi anni dalla corrente più conservatrice della storiografia cattolica, rappresentata soprattutto da due studiosi, Angela Pellicciari e Massimo Viglione. Di quest’ultimo proponiamo un brano dell’intervista raccolta per l’«Avvenire» da Gianni Santamaria. La polemica che si è accesa è al tempo stesso storiografica e politica. Specialmente all’epoca della mostra, infatti, la nuova lettura del Risorgimento venne inevitabilmente collegata alle contemporanee proposte della Lega Nord, a metà strada tra federalismo e secessione. Da qui la dura reazione di uno dei più autorevoli esponenti della storiografia liberaldemocratica, Alessandro Galante Garrone, che lanciò dalle colonne del quotidiano «La Stampa» un appello intitolato In difesa dell’Italia civile, immediatamente sottoscritto da sessantasei intellettuali. Il fatto che ancora oggi, a distanza di un secolo e mezzo, la discussione sul Risorgimento sia aperta è l’ennesima manifestazione di una convinzione comune a tutto il dibattito: l’idea che negli anni dell’unificazione si trovino le radici e le spiegazioni della nostra storia successiva.

La storia del Risorgimento è da riscrivere Il Risorgimento? Una rivoluzione post-illuministica e post-protestante che si è diretta soprattutto contro la religione cattolica. E che ha perseguito e ottenuto il suo scopo contro il popolo e a prezzo di una «guerra civile» con il Mezzogiorno. Un po’ la radice di tutti i mali dell’Italia futura, dal fascismo, alla guerra civile (stavolta quella seguita all’8 settembre), fino a quelli attuali. Sono le tesi di molti studi recenti, che stanno sottoponendo a un attento «revisionismo» gli albori della nostra Patria. […] Lo storico Massimo Viglione è uno degli esponenti di questo indirizzo storiografico... Una delle accuse sbagliate che vengono mosse a una certa corrente di revisionismo sul Risorgimento è di essere antinazionale. È un errore. Nessuno mette in discussione l’unificazione italiana, ma le sue modalità errate, di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze. Lo stesso «nemico numero uno» del Risorgimento, Pio IX, era un fautore dell’unificazione dell’Italia. Ciò che non voleva era la cancellazione da

353 parte di una élite dei legittimi sovrani e una forma di laicizzazione, se non ateizzazione dell’Italia stessa. Ma la perdita del potere temporale non è stata, in fondo, un bene per la Chiesa stessa? Il compito dello storico è di studiare i fatti e le loro conseguenze. Noi denunciamo che per 140 anni si è nascosta una vera e propria persecuzione nei confronti della Chiesa. Coloro che ne furono protagonisti, Cavour e il cosiddetto partito piemontese, hanno portato avanti questo processo esclusivamente ai danni della Chiesa, dei legittimi sovrani, e soprattutto con una vera e propria persecuzione laicista, come avverrà negli anni Cinquanta, Sessanta e anche dopo Cavour. Purtroppo in maniera peggiore: lo statista piemontese capiva le situazioni, i suoi epigoni non avevano questa intelligenza. Ciò ha provocato una grande frattura all’interno del popolo italiano. Che dura ancora oggi. Come si evince dagli studi di Galli della Loggia, Rusconi, Emilio Gentile o Paolo Mieli. La prima di queste divisioni, a monte, è proprio dovuta al fatto che il Risorgimento come rivoluzione, invece di portare avanti il processo unitario secondo le linee della nostra nazionalità, civiltà e identità, le ha attaccate. Questo è un carattere della Rivoluzione. Altri? Il fatto del tutto illegittimo di aver abbattuto dinastie secolari. In qualche modo quello che accade nel Sud, dieci anni di guerra civile con almeno 60-70 000 morti. Aver mandato negli anni Sessanta ben 120 000 uomini per reprimere quello che è stato definito brigantaggio fa chiedere: ne occorrevano tanti? È chiaro che si trattava di una guerra civile. Metà del nuovo Stato era contrario all’unificazione. […] Più in generale qual è stato il cambiamento nella storiografia risorgimentale? Siamo agli inizi. Molto hanno contribuito le opere di Angela Pellicciari. Speriamo che si possa riscoprire e rivedere la nostra storia. Per capire che nel Risorgimento ci sono le radici dei nostri mali attuali. […] L’attacco alla Chiesa – al di là dell’imprigionamento di vescovi e cardinali e della confisca dei conventi – è stato la volontà imperterrita, proseguita per decenni, di cancellare il cristianesimo, sostituendolo con una religione della patria, di cui l’«Altare della patria» era l’ara. Avanzava il nazionalismo, incarnato soprattutto in Francesco Crispi, massone e anticattolico. Era una vera congerie spirituale generale, che è sfociata nelle fallimentari guerre coloniali e nella Grande Guerra. Ora, come si fa ad affermare che tutto il nazionalismo fascista e tutta la sua retorica sulla patria non sono stati la perfetta continuazione del cinquantennio precedente? […] La prima guerra mondiale è stata conseguenza del nazionalismo risorgimentale. A sua volta il fascismo ha estremizzato questo processo ed è entrato nella seconda. È tutto collegato. G. Santamaria, Il Risorgimento e l’Italia tradita, intervista a M. Viglione in «Avvenire», 10 ottobre 2001

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COMPETENZE: USARE LE FONTI

Foulard di propaganda risalente al 1848: papa Pio IX, Carlo Alberto di Savoia e Leopoldo di Toscana sono «rigeneratori d’Italia» perché hanno concesso alcune libertà costituzionali.

In difesa dell’Italia civile Il tentativo compiuto in occasione del recente Meeting di Comunione e Liberazione di denigrare il Risorgimento e i suoi uomini migliori costituisce una distorsione della verità storica e si traduce in una provocazione inaccettabile per l’Italia civile. Questa denigrazione programmatica, fanatica e irragionevole non è l’espressione di un legittimo proposito di reinterpretare una fase cruciale nella nostra storia sulla base dei fatti e dei documenti. Essa, invece, come ha rilevato Indro Montanelli («Corriere della Sera», 13 settembre 2000), tende in modo esasperato al «rinnegamento di tutto il capitolo risorgimenta-

le» della vita italiana, accompagnandolo con la «esaltazione delle forze sanfediste che cercarono di impedirlo». Per fini di parte, svilendo l’opera dei nostri padri risorgimentali, si cerca di negare le radici stesse dell’esistenza dello Stato italiano. E ciò avviene nel contesto di una aggressione a raggio ancora più ampio contro i princìpi laici e liberali che costituiscono parte fondante della Costituzione repubblicana. La cultura italiana deve sentirsi impegnata a rispondere a tale attacco che può, se non adeguatamente contrastato, travolgere le ragioni stesse della nostra convivenza civile. Il significato del Risorgimento come processo storico in cui ha trovato la sua libera formazione la nostra patria deve perciò essere sottolineato con forza, ricordandosi che a esso hanno preso parte attiva uomini e donne di tutte le condizioni e di diverse opinioni politiche e religiose, compresi innumerevoli cittadini cattolici, essendone esponenti di spicco anche figure del cattolicesimo liberale. Il Risorgimento è stato un grande movimento ideale che ha consentito all’Italia di unificarsi ma anche di liberare energie volte al progresso morale, intellettuale e sociale del nostro popolo. Attraverso le vicende risorgimentali l’Italia è riuscita, se pure con difficoltà, a mettersi al passo con l’Europa. Anche nelle fasi più buie della nostra storia successiva è stato il riferimento al «primo» Risorgimento che, con l’opposizione clandestina e in seguito con la Resistenza al nazifascismo, ha consentito di realizzarne un «secondo». La contestazione dei valori risorgimentali si collega a un rifluire di ideologie reazionarie, di speranze di rivincita di sconfitti dalla storia, di propositi di erosione dell’assetto democratico della società italiana che devono essere respinti. Se così non fosse, si potrebbero riaprire antiche ferite, che il patto costituzionale aveva sanato. L’unità stessa del nostro Paese potrebbe risentirne negativamente. L’Italia finirebbe per trovarsi a disagio nel contesto europeo, in cui sono consolidati princìpi di libertà, laicità, tolleranza che devono essere salvaguardati nel modo più pieno anche fra noi. A. Galante Garrone, In difesa dell’Italia civile, in «La Stampa», 27 settembre 2000

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

In che senso Mazzini nega l’esistenza stessa di un’Italia ƒ unita? ƒ Perché Oriani definisce il Risorgimento una «rivoluzione mancata»? ƒ Qual è il problema fondamentale della storia italiana secondo Gobetti? ƒ Come giudica Gramsci il ruolo dei moderati? ƒ Perché, secondo Romeo, la rivoluzione agraria non era né possibile né auspicabile? ƒ Qual è il limite della storiografia tradizionale risorgimentale secondo Viglione? ƒ Perché nello scritto di Galante Garrone la difesa del Risorgimento coincide con la difesa dell’Italia civile?

Quale fu il ruolo di Cavour nel processo di unificazione ƒ dell’Italia? ƒ Perché venne organizzata la spedizione dei Mille? ƒ Perché Garibaldi si ritirò dalla vita politica?

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L’unificazione italiana e tedesca

La costruzione del culto di Garibaldi STORIOGRAFIA

In questo brano si esamina la costruzione del culto di Giuseppe Garibaldi come fenomeno politico e culturale e in particolare come il prodotto del possente movimento di radicalismo politico che iorì a metà Ottocento. Inoltre l’«eroe dei due mondi» per il suo carisma e il suo fascino personale risultò conforme ai canoni dell’eroe protagonista di una nuova forma di letteratura popolare fruibile anche da un pubblico femminile. Il mito di Garibaldi anche se non corrispose alla realtà fu straordinariamente eicace e ancora oggi ofre importanti spunti per comprendere la più generale funzione dei miti nell’ambito dei movimenti nazionali.

Lucy Riall Lucy Riall insegna al Birkbeck College di Londra, ha studiato alla London School of Economics e alla Cambridge University. Tra le sue pubblicazioni si segnala La Sicilia e l’unificazione italiana (2004). Si è occupata del Risorgimento e della formazione dello Stato italiano con i saggi Ga-

ribaldi. L’invenzione di un eroe (2007), un saggio che analizza il culto popolare di Garibaldi, e Risorgimento. Storia e interpretazioni (2007), con cui intende smontare la retorica tradizionale del nostro Risorgimento, per farne una ricostruzione storiografica per tematiche: quella sociale, economica, politica e culturale.

Il culto venne preparato e strutturato con grande attenzione da Mazzini e dai suoi seguaci, e nel periodo 1848-1860 venne affiancato da una più estesa campagna di stampa e alimentato da un programma di azione politico-militare. Quando si giunse all’unificazione, esso aveva contribuito a rendere visibile e convincente un ideale di Italia eroica («virile») che fino a quel momento era esistito solo nelle regioni della letteratura, della musica e delle arti visive, o nell’ombra dell’attività cospirativa. Dopo l’Unità, l’immagine eroica di Garibaldi rappresentò allo stesso tempo il più importante e persuasivo simbolo della nuova Italia e un costante richiamo alle delusioni che ne erano conseguite. […] Franz Wenzell, Ingresso di Garibaldi a Napoli il 7 settembre 1860. Napoli, Museo civico di Castel Nuovo.

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COMPETENZE: USARE LE FONTI

Non sembra possano esserci dubbi sul fatto che questa immagine fu un prodotto appositamente costruito e attentamente «gestito», che prendeva a prestito gli stilemi delle storie di avventura, sfruttava le tecniche della rappresentazione teatrale e assumeva l’aspetto liturgico e rituale tipico delle pratiche religiose. In questo modo, nella creazione del mito di Garibaldi operano sia la nuova possibilità di sfruttare per fini politici le moderne tecniche di comunicazione di massa, sia le modalità operative proprie della retorica nazionalista, che per costruire un’ideologia politica popolare e persuasiva si appoggiava sul recupero, l’appropriazione e la rielaborazione di elementi tratti da discorsi e pratiche preesistenti. […] Il processo di comunicazione politica non seguiva un’unica direzione, e l’opera di recupero messa in atto dai nazionalisti non era per niente casuale. In primo luogo nella messa in scena del «fascino» politico di Garibaldi si prestò molta attenzione alle particolarità e alle diversità del pubblico a cui la rappresentazione era rivolta: Garibaldi e quanti agivano attorno a lui si sforzarono di far corrispondere la sua immagine ai gusti in voga all’epoca, che privilegiavano gli eroi romanzeschi, e gran parte del successo popolare che l’operazione incontrò fu dovuta alla capacità di comprendere a fondo le aspettative del pubblico in tal senso. Questo pubblico non era passivo, e si deve anzi riconoscere che esso svolse un ruolo attivo per far sì che a quella figura eroica venissero attribuite proprio le caratteristiche che esso stesso auspicava. In secondo luogo, lo stile di Garibaldi non era genericamente eclettico, ma si basava piuttosto su tre principali elementi: una ripresa del consolidato repertorio di rituali repubblicani, un riadattamento delle metafore e delle rappresentazioni

Giovanni Fattori, Garibaldi a Palermo, 1860 ca.

romantiche del tema della ribellione e un ampio uso del proprio fascino personale e di un aspetto fisico attraente. Il carisma di Garibaldi fu senz’altro il prodotto di una rielaborazione artificiale, ma corrispondeva anche alle reali caratteristiche dell’uomo, alle sue aspirazioni politiche e alle aspettative del pubblico. […] La sua popolarità riflette inoltre i mutamenti avvenuti nella sfera pubblica, e in particolare il passaggio da un modello delle lettere dominato da un’élite a un contesto più democratico, caratterizzato dall’emergere di una letteratura più popolare, fruibile anche da un pubblico femminile. Se prendiamo in considerazione le cronache giornalistiche, le biografie popolari, le stampe e le canzoni che riguardano Garibaldi, e il modo con cui questa multiforme produzione venne recepita, possiamo vedere il delinearsi di un romanticismo popolare, e la sua parziale fusione con la cultura politica. […] A mio parere, il culto di Garibaldi fu il prodotto del possente movimento di radicalismo politico che fiorì a metà Ottocento, e va inquadrato nel tentativo che esso mise in atto per promuovere a livello internazionale una corrente di Romanticismo popolare all’interno della quale collocarsi. La fusione fra Romanticismo e radicalismo anticipò e favorì lo sviluppo di uno stile di comunicazione politica più spettacolare, caratterizzato dal culto della personalità, dal ricorso a tecniche sviluppate in ambito letterario o teatrale e dall’utilizzazione della stampa. Lo stile e il simbolismo politico che questo fenomeno generò rappresentano un precoce e per certi aspetti essenziale stadio dell’emergere della politica di massa nell’Ottocento. […] Garibaldi fu un personaggio di statura internazionale, fu veramente un «eroe dei due mondi», sostenuto da un’im-

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L’unificazione italiana e tedesca magine spettacolare e di grande impatto sull’opinione pubblica; la sua fama fu immensa, la sua presenza poteva provocare dimostrazioni di entusiasmo popolare di massa. […] Il suo eccezionale talento per la comunicazione politica merita di essere preso in seria considerazione. Se dobbiamo credere alle testimonianze e alle lettere che lo riguardano, egli apprese (o possedeva spontaneamente) un grande istinto drammatico: sapeva come assumere una posa, come usare la voce, il corpo e il sorriso, quando essere audace e quando essere umile, e intuiva (forse anche troppo bene per i suoi compagni) quando era il momento di abbandonare il palcoscenico e di allontanarsi dallo sfrenato entusiasmo provocato dalla sua presenza. Egli pose al servizio della retorica politica quello che tutte le testimonianze descrivono come un potente magnetismo fisico ed erotico, e completò l’opera mostrando una modestia e un’onestà incomparabili. Sembrava comprendere istintivamente come nelle vaste comunità immaginarie create dalla stampa e dagli intrattenimenti di massa niente avesse così successo come un tocco personale e intimo. […] Con Garibaldi, immagine e realtà erano effettivamente non distinguibili l’una dall’altra, facevano entrambe parte di un lungo processo di rappresentazione politica che comprendeva il Sudamerica e Caprera, le sue battaglie politiche e la sua vita privata, e che confluì in una memoria pubblica che definì un’«epoca» (il Risorgimento) concludendosi a quanto pare solo con la sua morte […]. In conclusione, il mito di Garibaldi può non corrispondere alla realtà ma fu senza dubbio straordinariamente efficace. Garibaldi mostrò come fosse possibile «fare gli Italiani», e

la sua presenza contribuì a creare, incoraggiare e accrescere in modo sostanziale il sostegno al radicalismo politico e al nazionalismo. A sua volta, la popolarità di cui godette ci offre importanti spunti per comprendere la più generale funzione dei miti nell’ambito dei movimenti nazionali, mostrandoci che i miti vincenti non sono né autentici né inventati ma scaturiscono da una convincente sintesi di entrambe le cose; e che non sono né spontanei né imposti, ma possono essere molto più propriamente definiti come il prodotto di un intricato processo di negoziazione fra «attore» e «pubblico», nel quale risulta difficile scoprire chi sia l’attore (o la fonte dell’autorità). L. Riall, Garibaldi. L’invenzione di un eroe, Laterza

Le tre epoche del generale Giuseppe Garibaldi: Romagna e Veneto 1848, Sicilia 1860, Lombardia 1859.

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

ƒ Chi si adoperò per la costruzione del culto di Garibaldi? ƒ Qual era l’immagine dell’Italia che si voleva trasmettere? ƒ Perché è importante il riferimento alla letteratura del tempo? ƒ Quali erano le qualità di Garibaldi? ƒ Qual è la relazione tra l’immagine e la realtà nella costruzione del mito di Garibaldi? ƒ In che modo Garibaldi dimostrò che era possibile «fare gli Italiani»?

ƒ Che cosa stabilì l’armistizio di Villafranca? ƒ Perché Cavour si oppose al progetto di Garibaldi? ƒ Come reagirono i Siciliani di fronte allo sbarco dei garibaldini? Perché? ƒ Che cosa avvenne a Teano il 26 ottobre 1860? ƒ Quando si riunì il primo Parlamento italiano? Come avvennero le elezioni?

ƒ Prima e Dopo ƒ Video - La nascita del Regno d’Italia ƒ Video - La Comune di Parigi ƒ Immagini commentate - Il comunardo ƒ Immagini commentate - La Comune e i suoi nemici ƒ Online DOC - La critica di Cavour al protezionismo e al socialismo ƒ Online DOC - La battaglia di Magenta

ƒ Online STO - La Croce Rossa e il diritto umanitario ƒ Online STO - Dalla parte di Franceschiello ƒ Online STO - Dibattito: Garibaldi, un ingenuo utopista o un buon politico? ƒ Online STO - Nazione e nazionalismo ƒ Audiosintesi Unità ƒ Schede cinema - Il Gattopardo

IN DIGITALE

UNITÀ 10

358

MISURARE LE COMPETENZE

GLI EVENTI

IL TEMPO

Completa la frase. 1. Con il fallimento dei moti del 1848 tutte le costituzioni concesse nella penisola italiana furono abrogate a eccezione della Costituzione concessa da Ferdinando II dello Statuto concesso nello Stato Pontificio dello Statuto Albertino

Unisci opportunamente avvenimento e data, indicando il numero corrispondente della data nella colonna a destra di ogni avvenimento.

2. La guerra di Crimea del 1853 fu causata dal contrasto tra Impero ottomano e Impero russo dal contrasto tra Francia e Impero d’Austria dal contrasto tra Francia e Inghilterra 3. Gli Accordi di Plombières prevedevano anche la cessione della Corsica alla Francia la cessione della Liguria alla Francia la cessione di Nizza e della Savoia alla Francia 4. Il governo piemontese non aiutò né ostacolò la spedizione dei Mille perché Napoleone III era contrario mentre Vittorio Emanuele II era favorevole il Parlamento era contrario Cavour era contrario mentre Vittorio Emanuele II era favorevole 5. Il bonapartismo era caratterizzato dalla ricerca del consenso e dall’autoritarismo dall’abolizione dei diritti civili e dal militarismo dalla meritocrazia e dall’abolizione dei privilegi 6. La Francia fu costretta a cedere alla Germania l’Alsazia e la Lorena la Lorena e la Turingia la Vestfalia e la Baviera 7. La Comune parigina realizzò una forma di democrazia rappresentativa democrazia diretta democrazia consiliare

LE PAROLE Definisci le seguenti espressioni: a. tariffe/dazi doganali b. Junker c. dispaccio d. La Comune

Avvenimento a Inizia la seconda guerra di indipendenza b Prima riunione del Palamento italiano c

Bismarck dichiara guerra all’Austria

d Battaglia di Sedan e Spedizione dei Mille f

Cavour diventa presidente del Consiglio

g Proclamazione del Secondo Reich h Viene fondata a Torino la Società Nazionale Italiana Data 1

1852

2 1857 3 1859 4 1860 5 1861 6 1866 7 1870 8 1871

VERSO L’ESAME DI STATO a. Rispondi alle seguenti domande. ƒQuale era il modello di Stato a cui guardava Cavour? ƒQuali reazioni negli abitanti del Regno delle Due Sicilie destò la spedizione dei Mille? ƒChe cosa accadde il 17 marzo 1861? ƒQuali obiettivi aveva Bismarck? ƒQuali furono le tre guerre attraverso cui la Germania giunse all’unificazione? ƒQuali erano le condizioni della pace imposta dai Tedeschi ai Francesi dopo la sconfitta di Sedan? ƒChe cosa caratterizzò il governo della Comune di Parigi? b. Il saggio breve: interpreta e confronta i seguenti documenti. ƒp. 345 – Rosso, il simbolo di tutte le rivoluzioni ƒp. 346 – Il comunardo Successivamente, utilizzando anche le tue conoscenze, sviluppa l’argomento proposto nella forma del saggio breve, attribuendo alla composizione un titolo appropriato. Argomento. L’immagine della rivoluzione fra speranze e paure

359

UNITÀ 11

L’Italia nell’età della Destra e Sinistra storica PRIMA: Un Paese arretrato, pieno di debiti e con capitale Torino Quando l’Italia si costituì Stato unitario, la sua economia, caratterizzata dal netto prevalere della produzione agricola su quella industriale, era in grave ritardo rispetto a quelle di altri Paesi europei. Era basata essenzialmente sull’agricoltura, con una produzione che bastava a stento al sostentamento delle famiglie. L’industrializzazione era un fenomeno circoscritto ad alcune città del Nord, fra le quali Torino, che dal 1861 divenne la prima capitale del Regno d’Italia.

CAUSE

EVENTI

CONSEGUENZE

L’Austria è in conflitto con la Prussia e l’Italia per questioni territoriali

X

1866: Terza guerra d’indipendenza

X

L’Italia annette il Veneto

La Francia in guerra con la Prussia ritira le truppe da Roma

X

20 settembre 1870: Le truppe italiane entrano in Roma

X

Roma diviene capitale e inizia una frattura fra Chiesa e Stato italiano

Limiti della politica economica e sociale della Destra storica

X

1876: La Sinistra vince le elezioni e Depretis diviene primo ministro

X

Politica di riforme

Progetto di una politica estera di prestigio e risposta alla crisi economica

X

1882: Occupazione della Baia di Assab inizio del colonialismo italiano

X

Esito nel complesso fallimentare

Necessità di uno Stato forte

X

1887-1896: Francesco Crispi primo ministro

X

Scelte autoritarie ma anche iniziative progressiste

Crisi economica e politica autoritaria del governo Pelloux

X

1898-1900: Crisi di fine secolo

X

Inizio dell’età giolittiana

DOPO: Un Paese quasi industriale, col debito ripianato e con Roma capitale I primi governi dell’Italia unificata iniziarono a traghettare il Paese verso la modernità. Innanzitutto si realizzò il completamento dell’unificazione nazionale, con l’acquisizione del Veneto e poi dello Stato Pontificio, che comportò anche il trasferimento della capitale a Roma. Parallelamente si lavorò per risanare l’economia: occorreva abbattere le barriere e i dazi doganali interni e favorire il commercio con l’estero.

UNITÀ 11

360

1. La Destra storica al potere

PREFETTO Dal latino praefectus, «preposto, messo a capo», la figura del prefetto venne istituita nell’ordinamento italiano nel 1861 per iniziativa del governo della Destra storica. Rappresentava il potere esecutivo nelle province; sovrintendeva alla pubblica sicurezza, alla sanità e all’igiene, all’istruzione, disponeva della forza pubblica e aveva compiti di controllo sugli enti locali. Era insomma il cardine del potere a livello locale e l’anello di congiunzione con il potere centrale.

LESSICO

LA DESTRA STORICA I quindici anni della storia d’Italia che vanno dal 1861 al 1876 furono dominati dalla cosiddetta «Destra storica»: «Destra», in quanto gli uomini politici a essa appartenenti erano dei moderati, eredi di Cavour; «storica» (l’aggettivo venne aggiunto successivamente) perché questo schieramento ebbe un ruolo «storico» nella formazione dell’Italia. Al di là delle deinizioni, tuttavia, la Destra storica occupava una posizione di centro nel dibattito politico italiano, in quanto la vera destra era rappresentata dai clericali e dai reazionari nostalgici dei vecchi Stati italiani preunitari; la Sinistra storica, invece, era formata prevalentemente da mazziniani e garibaldini. Gli uomini della Destra storica provenivano da un ambiente sociale abbastanza omogeneo, l’aristocrazia terriera. Al moderatismo della Destra storica si contrapponeva l’impostazione più democratica della Sinistra, che era l’espressione di una diversa e più ampia realtà sociale, costituita prevalentemente dalla borghesia cittadina. Destra e Sinistra storiche erano invece accomunate dalla stessa concezione liberale dello Stato: in sintesi, si trattava della destra e della sinistra liberale, che erano espressione di una piccola parte del Paese. Infatti la legge elettorale del Regno di Sardegna, estesa al Regno d’Italia, prevedeva che avessero diritto di voto solo i cittadini italiani in possesso dei seguenti requisiti: ƒessere di sesso maschile; ƒavere 25 anni di età; ƒsaper leggere e scrivere; ƒpagare almeno 40 lire di imposte l’anno. La base elettorale era ridottissima, circa 400 000 persone, cioè il 2% della popolazione e il 7% dei maschi adulti. Di questi ultimi, poi, si recavano alle urne solo il 50%. Quindi i deputati eletti alla Camera (il Senato era di nomina regia) esprimevano la volontà di circa 200 000 persone, su una popolazione complessiva di 22 milioni di abitanti. Abissale era dunque la distanza tra il Paese reale e quello rappresentato in Parlamento, il Paese legale. I partiti, come li intendiamo noi oggi, non esistevano. Destra e Sinistra storiche erano infatti partiti di notabili: schieramenti politici che raggruppavano gli eletti in Parlamento, ma non avevano una struttura organizzata. Si votava con il sistema uninominale (ogni collegio elettorale eleggeva un solo candidato). Nella mancanza di eicaci mezzi di informazione, la competizione elettorale avveniva quindi, più che tra opposti programmi politici, tra personalità del luogo, i notabili appunto, che per farsi eleggere sfruttavano la notorietà determinata dal loro ruolo sociale.

ACCENTRAMENTO O DECENTRAMENTO? Morto Cavour nel 1861, gli succedette un aristocratico toscano, il barone Bettino Ricasoli (1809-1880). A lui, e più in generale alla classe politica della Destra storica, toccò in via preliminare il compito di risolvere un problema istituzionale: quale assetto avrebbe dovuto avere il nuovo Stato italiano? L’Italia doveva essere uno Stato «accentrato» o «decentrato»? Modello di Stato accentrato era la Francia napoleonica, con la sua struttura gerarchica che prevedeva un forte controllo del governo centrale sugli enti locali attraverso i prefetti. Modello di Stato decentrato era invece la Gran Bretagna che lasciava ampie libertà amministrative e giudiziarie alle varie contee. Venne scelto il modello di Stato accentrato. L’Italia fu così divisa in province e il governo nominò per ogni provincia un suo rappresentante, il prefetto. Anche i sindaci dei comuni erano nominati dal governo e a esso rispondevano: i comuni non godevano dunque di alcuna autonomia.

361

L’Italia nell’età della Destra e Sinistra storica

L’analfabetismo in Italia Tra i problemi che il nuovo governo dell’Italia unita doveva affrontare c’era anche quello dell’istruzione. Il tasso di analfabetismo nel Paese era molto elevato, soprattutto nelle regioni meridionali dove si arrivava a punte del 90%, come in Sardegna. Gli interventi statali in questa direzione non furono però efficaci e l’analfabetismo in Italia rimase a lungo una grave piaga sociale.

54

Piemonte

11 54

Lombardia

13 54

Liguria

17 78

Emilia Romagna

33 65

Veneto

25 74

Toscana

37 84

Umbria

49 68

Lazio

33 83

Marche

51 86

Abruzzi

58 86

Campania

54 86

Puglia

60

TUTOR

La scelta del modello centralista era implicita nel modo stesso con cui si era giunti all’unità d’Italia: l’intervento del Regno di Sardegna era stato decisivo. Senza il suo esercito l’Austria non avrebbe mai abbandonato la Penisola. Di fatto si era veriicata una guerra di conquista: il che non lasciava spazio a forme di federalismo e tanto meno alla convocazione di un’assemblea costituente. Lo Statuto Albertino divenne quindi la costituzione italiana, così come a tutta l’Italia vennero estese la legislazione e la moneta piemontese, la lira. Da qui la critica di piemontesismo mossa alla Destra storica, accusata di considerare l’Italia come una semplice estensione del Regno di Sardegna. Ma c’era anche un’altra ragione che portava a ritenere il modello di Stato accentrato come l’unico possibile: la situazione venutasi a creare nel Mezzogiorno, dove immediatamente dopo l’uniicazione era esplosa una rivolta sociale.

A sinistra, una moneta da 5 lire del Regno d’Italia, con l’effigie di Vittorio Emanuele II di Savoia, coniata a Milano nel 1872. Qui sopra alcune monete di Stati preunitari: una moneta da 3 baiocchi della Repubblica romana (coniata nel 1849) e una moneta da 4 fiorini, coniata nel Granducato di Toscana (1826).

86

Basilicata

65 86

Calabria

70 89

Sicilia

58

Sardegna

58

Percentuale di analfabeti totale della popolazione:

90

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

nel 1861

nel 1911

IL GRANDE BRIGANTAGGIO La caduta del regime borbonico, in seguito all’insurrezione garibaldina, aveva fatto nascere nelle masse meridionali la speranza di un rinnovamento politico e sociale. Da un punto di vista politico, questa speranza andò delusa per la fretta con cui il governo italiano smantellò le istituzioni borboniche senza sostituirle in modo adeguato (lo scioglimento dell’esercito borbonico produsse, ad esempio, una massa di soldati sbandati e delusi); da un punto di vista sociale, invece, il popolo meridionale si trovò di fronte ad almeno quattro sgradite sorprese: 1. la pressione iscale tradizionalmente bassa nel Regno delle Due Sicilie aumentò di colpo in modo notevole a causa dell’introduzione di imposte ino ad allora sconosciute; 2. venne esteso a tutta l’Italia il servizio militare obbligatorio (sconosciuto nel Regno delle Due Sicilie) che strappava alle famiglie le migliori energie lavorative, se non la principale fonte di sostentamento; 3. il brutale abbattimento delle barriere doganali provocò il fallimento di numerose imprese incapaci di reggere alla concorrenza con le più agguerrite imprese del Nord; 4. le commesse statali (per armamenti, ferrovie ecc.) vennero nella maggioranza dei casi assegnate a imprese del Nord e solo in minima parte (6%) a quelle del Sud.

COMPETENZE

I briganti Pag. 382

USARE LE FONTI

UNITÀ 11

362 Il difuso malcontento esplose in una violenta protesta che prese il nome di grande brigantaggio (il brigantaggio era un fenomeno endemico nel Regno delle Due Sicilie): una rivolta assai complessa sia per la varietà delle igure coinvolte (ex soldati borbonici, contadini indebitati o disoccupati, criminali comuni, renitenti alla leva, giovani votati all’avventura), sia per le dimensioni, poiché si ritiene che a formare le bande di briganti fossero almeno 80 000 persone. A sostenere la rivolta c’era anche Francesco II di Borbone che forniva oro e armi, mentre la Chiesa cattolica non trovava motivo di opporsi a chi combatteva contro uno Stato ritenuto nemico della religione. Il nuovo Stato italiano venne individuato come «nemico», e contro di esso i briganti agivano assaltando le carceri o incendiando gli archivi comunali per distruggere i registri di leva e quelli iscali; nemici erano anche i possidenti locali le cui fattorie venivano saccheggiate. Dopo l’attacco, i briganti si ritiravano in montagna.

Horace Vernet, Briganti italiani sorpresi dalle truppe pontificie, 1831. Baltimora, Walters Art Museum.

COMPETENZE

USARE LE FONTI

Le cause sociali del brigantaggio Pag. 383

UNA SPIRALE SANGUINOSA DI RAPPRESAGLIE Dal punto di vista militare, il brigantaggio fu un’attività di guerriglia che nei cinque anni che vanno dal 1860 al 1865 divampò in diverse zone del Meridione, in particolare in quelle più interne. A operare erano diverse bande (composte anche da 400 uomini), che spesso godevano dell’appoggio della popolazione: i briganti erano ritenuti sostenitori di una giusta causa, che combattevano i ricchi e gli usurpatori e distribuivano ai poveri il bottino delle loro imprese. Nacquero igure leggendarie come Carmine Crocco o Ninco Nanco, mentre anche numerose donne prendevano parte attiva alle operazioni. L’atteggiamento dei generali piemontesi, che consideravano ogni contadino un probabile brigante, aggravò la situazione: essi scatenarono spesso il terrore bruciando villaggi e massacrando la popolazione civile, dando il via a una spirale sanguinosa di rappresaglie. La guerra costò migliaia di morti fra briganti, militari e civili e impose allo Stato uno sforzo pesantissimo: in certi momenti nella repressione furono impegnati anche 120 000 uomini. Decisiva fu l’applicazione della legge Pica (agosto 1863), che aidava la repressione ai tribunali militari e condannava a pene pesanti anche i semplici sospetti di complicità coi briganti. Nella sostanza, i governi della Destra storica afrontarono la questione del brigantaggio solo in un’ottica repressiva, senza cercare di rimuoverne la cause sociali profonde. La generale incomprensione dei problemi del Sud da parte del nuovo Stato italiano alimentò il difondersi di quei fenomeni, come la camorra e la maia (già presenti nel Regno delle Due Sicilie), che ancora oggi devastano il Paese.

L’ORIGINE DELLA MAFIA L’incomprensione dello Stato italiano per le cause profonde del grande brigantaggio si manifestò anche nei confronti della maia, già presente in Sicilia. La maia ebbe origine in Sicilia nei primi decenni dell’Ottocento quando alcuni grandi proprietari terrieri presero ad aidare a dei gabellotti (da gabella cioè tributo) la gestione delle loro terre. In pratica i gabellotti aittavano la terra dal proprietario per poi subafittarla ai contadini, dopo averla divisa in vari lotti (parti). I gabellotti per costringere i contadini a pagare l’aitto delle terre si circondarono di uomini in armi formando così delle bande armate. Col tempo, queste bande armate divennero autonome, indipendenti cioè dai proprietari terrieri: nacque così la maia che prese a richiedere un «pizzo» (somma di denaro) sia ai contadini che agli stessi proprietari terrieri in cambio di protezione, il non essere cioè vittime da parte di altri delinquenti di prepotenze. La maia, come venne chiamata, o Cosa Nostra come la chiamavano coloro che ne facevano parte, si difuse anche nelle città senza diicoltà: lo Stato italiano, infatti, era percepito come «lontano», incapace cioè di comprendere i veri problemi del popolo meridionale. Allo stesso modo lo Stato italiano sottovalutò il pericolo rappresentato da due altre organizzazioni criminali: la camorra, da tempo presente in Campania, e la ’ndrangheta, sorta in Calabria probabilmente dopo il 1850. Così maia, camorra e ’ndrangheta divennero sempre più forti ino a diventare quella minaccia alla vita democratica dell’Italia che oggi conosciamo.

LE AREE DI DIFFUSIONE DEL GRANDE BRIGANTAGGIO

Ascoli Piceno

re ve Te

Pescara Rieti

L’Aquila

Chieti

Roma Campobasso

Frosinone

Foggia Bari Benevento Napoli

Brindisi

Avellino Salerno

MAFIA La parola viene dal siciliano mafiusu («prepotente, malandrino»), che deriva forse dall’arabo marfud («rifiutato»). In origine voce tipica dell’area palermitana, a partire dal 1863 ha cominciato a diffondersi a seguito dell’opera drammaturgica dialettale I mafiusi de la Vicaria di Giuseppe Rizzotto. Indicava piccole associazioni guidate da un capo e dotate di una cassa comune alimentata dai furti e dalle estorsioni. Fin dalle sue origini, il termine coglie due tratti costanti del fenomeno mafioso: la sua natura criminale e la tendenza ad approfittare della debolezza dello Stato per accaparrarsene con la forza le funzioni. CAMORRA Non conosciamo con certezza l’origine del termine napoletano camorra: per alcuni vorrebbe dire «banda»; per altri deriverebbe dallo spagnolo e vorrebbe dire «contesa»; per altri ancora significherebbe «tassa sul gioco», una tassa che si doveva pagare per il gioco d’azzardo.

Mar Adriatico

Teramo

LESSICO

363

L’Italia nell’età della Destra e Sinistra storica

Matera Taranto Potenza

Lecce

‘NDRANGHETA Probabilmente il termine deriva dal greco andragathía che significa «virilità», «coraggio».

Mar Ionio Mar Tirreno Cosenza

Catanzaro

Messina Palermo

Reggio Calabria

Aree parzialmente infestate dal brigantaggio Aree gravemente infestate dal brigantaggio e sottoposte alla legge marziale

UNITÀ 11

GUIDA ALLO STUDIO

DOCUMENTO

ƒ Che cosa fu la Destra storica? ƒ Perché vi era un’enorme distanza fra Paese reale e Paese legale? ƒ Quale modello di Stato venne scelto? ƒ Come affrontarono i governi della Destra il problema del brigantaggio? ƒ Quali provvedimenti furono adottati dalla Destra per risanare il bilancio dello Stato?

364

LIBERO SCAMBIO E PAREGGIO DEL BILANCIO Economicamente, il neonato Stato italiano mostrava gravi segni di arretratezza: la povertà era difusa, in particolare nelle campagne, accompagnata da fame, malattie, ignoranza. La mortalità infantile raggiungeva il 20%. Il reddito procapite era pari a metà di quello francese e a due terzi di quello inglese. La rete ferroviaria non superava i 2000 km, rispetto ai quasi 20 000 della Gran Bretagna o ai 10 000 della Francia. Occorreva dunque che il nuovo Stato intervenisse per favorire la crescita dell’economia. Ma come? Il bilancio statale era in forte deicit anche a causa dell’elevato costo delle guerre d’indipendenza: il debito pubblico infatti ammontava a 2402 milioni di lire (circa il 40% del prodotto nazionale), più della metà del quale ereditato dal Regno di Sardegna. Gli uomini della Destra storica erano fermamente convinti, secondo la dottrina liberista, che l’economia italiana si sarebbe potuta sviluppare solo favorendo il libero scambio: ƒsia all’interno del Paese: a questo scopo il governo provvide ad abbattere le dogane interne; ƒsia all’esterno del Paese: questo avvenne estendendo a tutta l’Italia le tarife doganali piemontesi, tra le più basse d’Europa. Per quanto riguarda il bilancio dello Stato, la Destra storica si preisse il raggiungimento del pareggio: solo così infatti – pensava – l’Italia sarebbe stata riconosciuta dalla comunità inanziaria internazionale come uno Stato aidabile, e i capitali stranieri sarebbero aluiti in Italia a sostegno dello sviluppo economico del Paese. Nella battaglia per il pareggio del bilancio si distinse particolarmente, come ministro delle Finanze, Quintino Sella (1827-1884). Nel 1867 vennero requisiti e venduti terreni ecclesiastici e del demanio pubblico. Poteva essere questa un’occasione per migliorare le condizioni del Paese, soprattutto del Mezzogiorno. Ma la preoccupazione di «far cassa» prevalse su ogni altra considerazione. Questi beni infatti vennero venduti all’asta: di conseguenza, invece di andare a migliorare le condizioni dei braccianti e dei piccoli proprietari, alimentarono ancora di più il latifondo. La gente comune, infatti, non era certo in grado di competere con le disponibilità economiche dei latifondisti. A parte comunque questo provvedimento straordinario, la ricerca del pareggio del bilancio venne perseguita attraverso il ricorso al prelievo iscale. La quota della ricchezza prelevata passò dal 6,9% del 1860 all’11,4% del 1880. Nei primi anni il prelievo avvenne soprattutto attraverso le imposte dirette (sui redditi delle persone), mentre dal 1865 in poi crebbe il peso delle imposte indirette (sui prodotti). In pochi anni le imposte indirette aumentarono del 107%, mentre quelle dirette del 63%. Un esempio di tassazione indiretta, la più detestata, fu l’imposta sul macinato introdotta nel 1868: di fatto si trattava di un’imposta sul pane, l’alimento quotidiano degli Italiani. Le manifestazioni di piazza contro questo provvedimento furono represse con violenza. Il bilancio inale della repressione fu di 3788 arrestati, 1099 feriti e 257 morti.

Il peso delle tasse schiaccia il povero italiano La vignetta raffigura polemicamente il peso che la tassa sul macinato ha rappresentato per la popolazione più povera dell’Italia appena unificata.

Una grossa pietra da macina schiaccia il povero italiano, vestito di pochi stracci e mal ridotto.

I ministri sono seduti comodamente sulle loro poltrone e hanno un atteggiamento rilassato.

365

L’Italia nell’età della Destra e Sinistra storica

2. Il completamento dell’unità d’Italia FIRENZE CAPITALE D’ITALIA Il desiderio di completare l’unità nazionale era largamente sentito da tutto il Paese. Al di fuori dei conini del Regno d’Italia vi erano ancora il Veneto, il Trentino, il Friuli Venezia Giulia, il Lazio e soprattutto Roma. Ma sul come completare l’unità d’Italia il Paese era diviso. La Destra storica era contraria a una conquista armata di Roma, difesa, anche militarmente, da Napoleone III che era sensibile all’opinione pubblica francese di fede cattolica schierata a ianco del papa. Mazziniani e garibaldini erano invece favorevoli a un’azione armata. Nel giugno del 1862 una prima iniziativa di Garibaldi ebbe l’appoggio del capo del governo Urbano Rattazzi (1808-1873). Dopo essere partiti dalla Sicilia, giunti sulla Penisola, i garibaldini vennero TUTOR

La terza guerra d’indipendenza 5 IMPERO D’AUSTRIA Danubio

SVIZZERA

2 4

Trento

Levico

Cormons

Bezzecca

LDI

Trieste

1 Torino

Milano ARMORA GEN. LA M

Custoza

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Venezia Padova

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Istria Pola

GEN. CIALDINI

REGNO D’ITALIA Mar Ligure

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Forze italiane Forze austriache

STATO DELLA CHIESA

1. Il governo del neonato Regno d’Italia con sede a Torino voleva completare l’unificazione facendo coincidere i confini dello Stato con quelli geografici: era necessario quindi annettere il Veneto, sotto il dominio austriaco, e il Lazio cioè lo Stato Pontificio. Occorreva poi dare stabilità al nuovo regno perché sia i Borboni dell’ex Regno delle Due Sicilie sia l’Austria potevano mettere ancora in discussione l’unificazione. 2. La liberazione del Veneto fu preparata con l’alleanza con la Prussia in vista della guerra contro l’Austria. Nell’estate del 1866 si combatté così la terza guerra d’indipendenza che per gli Italiani fu disastrosa: l’esercito fu sconfitto a Custoza (24 giugno 1866), la marina a Lissa. 3. Al largo di Lissa, un’isola della Dalmazia, la flotta italiana al comando

dell’ammiraglio Carlo Persano attaccò una base fortificata austriaca ma venne colta alle spalle dalle corazzate nemiche e fu sconfitta (20 luglio 1866). 4. Solo Garibaldi con il suo esercito di volontari, i Cacciatori delle Alpi, ottenne un successo militare e tentò di dirigersi verso Trento ma fu fermato dall’armistizio firmato fra Prussiani e Austriaci. È in questa circostanza che si espresse con il celebre: «Obbedisco». 5. I Prussiani sconfissero gli Austriaci a Sadowa; ciò bastò per vincere la guerra. La pace di Vienna (3 novembre 1866) stabilì la cessione del Veneto all’Italia, ma l’Austria per disprezzo lo consegnò a Napoleone III come intermediario, che poi lo consegnò all’Italia.

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366 però fermati proprio dall’esercito italiano inviato da Rattazzi. Napoleone III, infatti, aveva minacciato l’intervento dell’esercito francese se l’iniziativa fosse proseguita. Lo scontro tra l’esercito italiano e i garibaldini avvenne sull’Aspromonte (29 agosto 1862). I morti furono una dozzina; Garibaldi stesso venne ferito e arrestato. Questo episodio convinse il governo italiano che la sola strada da percorrere era l’accordo con la Francia. Per questa ragione, nel 1864 venne stipulata la Convenzione di Settembre, con cui l’Italia si impegnava a difendere i conini dello Stato Pontiicio in cambio del graduale ritiro delle truppe francesi da Roma. Come garanzia del suo impegno, l’Italia trasferiva la sua capitale da Torino a Firenze: era il segno che lo Stato italiano rinunciava deinitivamente a ogni interesse su Roma. I Torinesi protestarono con estremo vigore contro il trasferimento: la repressione delle forze dell’ordine causò una trentina di morti e oltre cento feriti.

LA TERZA GUERRA D’INDIPENDENZA Nel 1866, mentre ancora divampava in tutto il Paese la polemica per la rinuncia a Roma, Bismarck propose all’Italia un’alleanza in vista della guerra con l’Austria. Nell’estate di quell’anno, ebbe inizio così la terza guerra d’indipendenza che si risolse assai rapidamente a vantaggio dell’alleanza italo-tedesca. Ma mentre i Prussiani sbaragliarono gli Austriaci a Sadowa il 9 luglio 1866, l’Italia venne ripetutamente sconitta dall’esercito austriaco, inferiore per numero di uomini e per mezzi, sia nella battaglia terrestre di Custoza (24 giugno), sia in quella navale di Lissa (20 luglio). Solo Garibaldi con i Cacciatori delle Alpi ottenne alcuni successi, come a Bezzecca, aprendosi la strada verso Trento. Venne però fermato da un perentorio ordine, conseguente al sopraggiunto armistizio, a cui rispose con un telegramma di una sola celebre parola: «Obbedisco». L’Italia aveva perso tutte e due le battaglie in cui si era confrontata con l’Austria, ma la guerra era stata vinta. Con la pace di Vienna (3 ottobre 1866) l’Italia ottenne il Veneto, ceduto dall’Austria per disprezzo a un intermediario, Napoleone III, e poi da questi «girato» all’Italia. Le speranze di chi aveva creduto con la terza guerra d’indipendenza di ottenere anche il Trentino e il Friuli Venezia Giulia, ancora sotto il dominio austriaco, erano andate così deluse. In questo contesto, nel 1867 riprese vigore l’iniziativa mazziniana e garibaldina volta a liberare Roma. Il piano prevedeva l’insurrezione dei Romani, così da far apparire l’iniziativa agli occhi di Napoleone III come un atto interno allo Stato Pontiicio. Solo in un secondo tempo sarebbero intervenuti i garibaldini. Ma l’insurrezione fallì, per la scarsa partecipazione popolare e per la pronta reazione della polizia pontiicia. Nonostante ciò Garibaldi, alla testa di 3000 volontari, penetrò nello Stato Pontiicio. Il 3 novembre 1867 i garibaldini si scontrarono a Mentana con le truppe francesi prontamente inviate nello Stato Pontiicio da Napoleone III e armate di nuovi fucili a retrocarica (gli chassepots). Sconitto dopo un aspro combattimento, Garibaldi venne arrestato e condotto nell’isola di Caprera.

Episodio della battaglia di Lissa. Roma, Museo del Risorgimento.

L’Italia nell’età della Destra e Sinistra storica

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ROMA CAPITALE D’ITALIA

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Quale esito ebbe la terza guerra d’indipendenza? ƒ Come venne annessa Roma? ƒ Come furono regolati i rapporti fra Stato e Chiesa? ƒ Quali regioni rimanevano ancora fuori dal regno al momento dell’annessione di Roma?

La possibilità di annettere Roma al Regno d’Italia si veriicò pochi anni dopo con la guerra tra Francia e Prussia (e la conseguente caduta del Secondo Impero) che implicò il ritiro delle truppe francesi presenti in città. Il 20 settembre del 1870 un corpo di bersaglieri, comandati dal generale Rafaele Cadorna, dopo aver cannoneggiato con l’artiglieria la cinta muraria, entrò in Roma attraverso la storica breccia di Porta Pia. Scarsa fu la resistenza delle truppe pontiicie. Il papa si dichiarò prigioniero dello Stato italiano e indisponibile a ogni trattativa. Il 2 ottobre si svolse il plebiscito di annessione. Il trasferimento della capitale da Firenze a Roma avvenne nel luglio 1871. Prima però, lo Stato italiano volle regolare i rapporti con la Santa Sede. Nel maggio di quell’anno, infatti, venne approvata unilateralmente una legge detta delle «guarentigie»: ovvero delle «garanzie» date dallo Stato italiano al papa ainché potesse svolgere liberamente il suo magistero. La legge dichiarava il papa «persona sacra e inviolabile», dunque non soggetta alle leggi dello Stato italiano; al papa, inoltre, veniva riconosciuta la sovranità sulla Città del Vaticano insieme ai palazzi del Laterano e alla villa di Castelgandolfo, nonché una dotazione annua di 3 milioni di lire. Pio IX respinse queste norme: non solo, nel 1874 vietò esplicitamente ai cattolici di partecipare alla vita politica italiana. Il divieto venne riassunto dalla curia romana nella formula non expedit («non conviene», «non è opportuno» che i cattolici partecipino alle elezioni politiche). La conquista di Roma apriva così una profonda frattura all’interno dell’Italia tra il mondo cattolico e quello laico.

Perché Roma capitale Nel marzo del 1861, pochi mesi prima di morire, Cavour spiegò al Parlamento le ragioni che obbligavano l’Italia a pensare a Roma come propria capitale. Erano ragioni morali e storiche. La questione della capitale non si scioglie, o signori, per ragioni né di clima, né di geografia, neanche per ragioni strategiche […]. La scelta della capitale è determinata da grandi ragioni morali. È il sentimento dei popoli quello che conta. Ora, o signori, in Roma sono presenti tutte le circostanze storiche, intellettuali, morali, che

devono determinare le condizioni della capitale di un grande Stato. Tutta la storia di Roma dal tempo dei Cesari al giorno d’oggi è la storia di una città la cui importanza si estende infinitamente al di là del suo territorio, di una città, cioè, destinata a essere la capitale di un grande Stato. Convinto di questa verità […] mi sento in obbligo di fare appello al patriottismo di tutti i cittadini d’Italia, onde cessi ogni discussione in proposito. C. Cavour, Discorsi

DOCUMENTO

Michele Cammarano, Carica dei bersaglieri, 1871. Napoli, Museo di Capodimonte.

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3. La Sinistra storica al potere LA «CADUTA» DELLA DESTRA STORICA

Agostino Depretis parla dal banco ministeriale durante una seduta del Parlamento; disegno tratto da «L’Illustrazione Italiana» del 14 agosto 1887.

Il 16 marzo del 1876 il presidente del Consiglio Marco Minghetti annunciò uicialmente il raggiungimento del pareggio del bilancio: la Destra storica aveva vinto la sua battaglia. Il fallimento economico, che avrebbe sicuramente fatto crollare l’ancora fragile costruzione dell’Italia unita, era stato scongiurato. Ma questa battaglia aveva logorato la Destra storica, sempre più divisa al suo interno. Il Paese era «spremuto» dalla pressione iscale e avvertiva l’esigenza di grandi riforme che la Destra non sapeva né comprendere né attuare. La politica economica del governo, se da un lato aveva dato credibilità e prestigio internazionale all’Italia, dall’altro aveva mostrato alcuni pesanti limiti: ƒall’interno del Paese la costituzione di un unico mercato aveva messo in crisi l’economia meridionale, più debole di quella del Nord; ƒnel contempo il libero scambio con le nazioni più progredite aveva esposto la nascente industria italiana alla concorrenza straniera, con esiti negativi. Il 18 marzo 1876, durante un dibattito alla Camera per il passaggio della gestione delle ferrovie dai privati allo Stato, la Destra perse l’appoggio della maggioranza dei deputati e «cadde». Finiva così un’epoca. In pochi anni morirono tutti i protagonisti del Risorgimento: nel 1872 Mazzini, nel 1878 Vittorio Emanuele II e Pio IX, nel 1882 Garibaldi. Lo stato d’animo che si difuse in quel periodo è stato ben descritto dal ilosofo Benedetto Croce: «Molti sentivano che il meglio della loro vita era stato vissuto, tutti dicevano che il periodo eroico della nuova Italia era terminato».

LA SINISTRA STORICA AL POTERE

STORIOGRAFIA

Il 25 marzo 1876 il re aidò l’incarico di formare il nuovo governo al leader dell’opposizione, Agostino Depretis (1813-1887). Pochi mesi dopo si tennero nuove elezioni: vinse la Sinistra storica, che sostituì la Destra e governò il Paese per vent’anni, dal 1876 al 1896. La Sinistra che salì al potere aveva decisamente attenuato la sua originaria visione democratica: ora comprendeva al suo interno anche componenti moderate se non conservatrici. Lo stesso Depretis, che era stato mazziniano in gioventù, aveva maturato convinzioni moderate. Abile parlamentare, seppe per circa dieci anni, dal 1876 al 1887, tenere unita la nuova maggioranza attuando una politica ora progressista, ora conservatrice.

Depretis: un abile, ma non grande, uomo politico Nel brano che segue, lo storico inglese Denis Mack Smith descrive Depretis come una personalità degna di rispetto, ma più abituato ad aggirare i problemi che ad affrontarli. Depretis è una delle personalità più degne di rispetto della storia dell’Italia moderna. Continuò anche da presidente del Consiglio a vivere in un appartamento all’ultimo piano per giungere al quale bisognava fare centoventi gradini a piedi. Al contrario dei dottrinari e degli ideologi di entrambe le estreme, egli fu sempre ragionevole e pratico, affrontando ogni problema con calma, dominio di sé e cautela quasi eccessiva. […] Non era un grande uomo – e l’Italia aveva bisogno in quel momento di un grande uomo – ma era abile nelle mano-

vre politiche, ricco di espedienti e sempre moderato quanto bastava a non provocare grossi guai. La sua abitudine di aggirare i problemi piuttosto che affrontarli direttamente era un pregio, ma anche una debolezza. Non aveva che poche opinioni proprie veramente sentite e la gente si separava generalmente da lui con l’impressione ch’egli fosse d’accordo con loro. Come ebbe a scrivere di lui Pareto: «Spirito scettico, incurante di princìpi e di convinzioni, con pochi scrupoli per la verità… pronto a seguire tutte le vie che gli assicurassero la maggioranza, salvo a mutar completamente rotta non appena il vento mutava direzione, egli esercitò durante gli ultimi anni della sua vita la dittatura più assoluta che sia possibile in uno Stato a regime parlamentare».

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L’8 ottobre 1876 Depretis presentò a Stradella – nel Pavese, il suo collegio elettorale – un ambizioso programma politico. Intendeva: ƒeliminare la piaga dell’analfabetismo; ƒallargare il sufragio elettorale; ƒabolire la tassa sul macinato; ƒdecentrare l’amministrazione pubblica. In gran parte questo programma venne realizzato, non senza limiti e contraddizioni.

LE RIFORME DI DEPRETIS Il primo importante provvedimento di Depretis riguardò l’istruzione. Nel 1877 venne emanata la legge Coppino, dal nome del ministro che la propose. La legge Coppino riprendeva la legge Casati (p. 373) ma elevava l’obbligo scolastico ino a nove anni di età. Furono inoltre creati asili d’infanzia e aperte numerose scuole serali per permettere anche agli adulti di imparare a leggere e a scrivere. In molta parte d’Italia, tuttavia, le scuole e i maestri continuarono a mancare. Al tempo stesso, per la difusa povertà, molti genitori continuarono a non consentire ai propri igli di frequentare la scuola (a poco servivano in questi casi le sanzioni previste per gli inadempienti). Nel 1880 venne notevolmente diminuita la tassa sul macinato, deinitivamente abolita nel 1884. Contemporaneamente, però, per l’aumento generale delle spese dello Stato, ricomparve il deicit del bilancio. Con la riforma elettorale del 1882 il diritto di voto venne allargato. Per votare era necessario: ƒessere cittadini maschi maggiorenni (21 anni); ƒaver frequentato la seconda elementare (sapere cioè leggere e scrivere); ƒpagare almeno 20 lire di imposte l’anno (invece delle 40 lire precedenti). I votanti passarono dai 600 000 del 1876 a 2 milioni, pari al 7% della popolazione (un quarto della popolazione maschile maggiorenne). Le elezioni tenutesi nel 1882 videro la vittoria della Sinistra, ma la Destra ottenne un buon risultato. In quell’occasione, per la prima volta, venne eletto deputato un socialista: il romagnolo Andrea Costa (1851-1910).

Disegno tratto da «L’Illustrazione Italiana» che raffigura Depretis mentre tiene il famoso discorso di Stradella.

LA POLITICA PARLAMENTARE

Connubio e trasformismo Il «connubio» tra Cavour e Rattazzi del 1852 fu senza dubbio un accordo trasformistico, al pari di quello tra Depretis e Minghetti. Anche in quel caso, infatti, Cavour si accordò con l’opposizione. E per l’identico obiettivo: costituire un vasto schieramento di centro. La differenza è tutta nelle conseguenze: infatti,

l’accordo tra Cavour e Rattazzi portò alla nascita di un nuovo schieramento politico da cui trarrà origine la Destra storica; mentre quello tra Depretis e Minghetti determinò la degenerazione del sistema parlamentare con la frantumazione degli schieramenti in piccoli gruppi che esprimevano interessi locali, se non personali.

APPROFONDIMENTO

Il buon risultato elettorale ottenuto dalla Destra storica nel 1882 preoccupò Depretis. Per poter contare su di una maggioranza più larga, si rivolse allora ai deputati della Destra. In un celebre discorso tenuto in Parlamento disse loro: «Se qualcuno vuole trasformarsi e diventare progressista, come posso io respingerlo?». Depretis intendeva così giustiicare l’accordo stipulato con il leader dell’opposizione di Destra, Minghetti. Il Primo ministro, dunque, incoraggiava il passaggio dei parlamentari da uno schieramento all’altro. Questo fenomeno venne deinito trasformismo e segnò la ine di ogni distinzione ideologica e programmatica tra Destra e Sinistra, la ine dello scontro tra i due principali schieramenti politici.

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370 Era esattamente l’obiettivo perseguito da Depretis che intendeva così allargare la sua base parlamentare costituendo un’ampia formazione di centro. Di conseguenza, venivano emarginati da un lato i conservatori e i reazionari di destra, dall’altro la nuova sinistra, comunemente deinita l’Estrema, quella socialista e radicale. Ma in mancanza di una maggioranza precostituita, la pratica del trasformismo portò inevitabilmente a costituire maggioranze diverse a seconda della legge da approvare, con scambi di favori non sempre limpidi tra governo e parlamentari: in sintesi, portò al dilagare della corruzione. Da allora il termine trasformismo ha assunto una connotazione negativa che mantiene tuttora, quale sinonimo di degenerazione del sistema politico.

Vignetta satirica che raffigura Depretis come un camaleonte, alludendo al trasformismo.

LA POLITICA ECONOMICA Negli anni Settanta sorsero le prime grandi industrie italiane – gli stabilimenti chimici Pirelli, l’acciaieria Terni, le oicine metallurgiche Breda – mentre anche l’industria tessile raggiungeva dimensioni signiicative. L’agricoltura però rimaneva il settore di gran lunga prevalente. E quando negli anni Ottanta entrò in crisi, per efetto della depressione economica internazionale, tutta l’economia italiana ne risentì.

LA POLITICA ECONOMICA

INDUSTRIA AL DECOLLO

AGRICOLTURA SETTORE PREVALENTE

GLI INDUSTRIALI CHIEDEVANO UNA POLITICA PROTEZIONISTICA PER FAR FRONTE ALLA CONCORRENZA STRANIERA

LA CRISI DEGLI ANNI 1880-90 EBBE RIPERCUSSIONI SU TUTTA L’ECONOMIA

AUMENTARONO LE IMPORTAZIONI DAGLI USA, CHE DETERMINARONO UN DIMEZZAMENTO DEL PREZZO DEI CEREALI

AL NORD: DIVERSIFICAZIONE DELLE COLTURE NELLA PIANURA PADANA PIÙ SVILUPPATA NELLE TECNICHE E NELL’ORGANIZZAZIONE

AL SUD: IL SISTEMA DEL LATIFONDO A MONOCOLTURA CEREALICOLA NON ERA FACILMENTE MODIFICABILE. SI FORMÒ UN PARTITO DEGLI AGRARI CHE VOLEVA IL PROTEZIONISMO

SI CREÒ UNA CONVERGENZA DI INTERESSI FRA IL PARTITO DEGLI INDUSTRIALI DEL NORD E QUELLO DEGLI AGRARI DEL SUD: IL GOVERNO SI ORIENTÒ VERSO UNA POLITICA PROTEZIONISTICA E NEL 1887 DELIBERÒ NUOVE TARIFFE DOGANALI SUI CEREALI E SU VARI PRODOTTI INDUSTRIALI

CONSEGUENZE   SI FORMÒ UN FORTE BLOCCO DI POTERE IN GRADO DI AGIRE SULLE SCELTE DEL GOVERNO   LE COLTURE SPECIALIZZATE (OLIO, VINO, AGRUMI DEL SUD) SUBIRONO EFFETTI NEGATIVI, MENTRE IL SISTEMA ARRETRATO DEL LATIFONDO NON FU MAI SUPERATO   LA PRODUZIONE INDUSTRIALE SI AVVANTAGGIÒ DEL PROTEZIONISMO, MA LA CRESCITA DEL PREZZO DEI CEREALI IMPOVERÌ LA POPOLAZIONE, AUMENTARONO I CONFLITTI SOCIALI E L’EMIGRAZIONE

L’Italia nell’età della Destra e Sinistra storica A causa delle crescenti importazioni di cereali provenienti dall’America, tra il 1880 e il 1887 il prezzo dei cereali si dimezzò e trascinò nella crisi tutta la produzione agricola. Alcuni proprietari terrieri reagirono, tentando di diversiicare le coltivazioni; ma soprattutto nel Sud, dove la situazione era più critica per la grande difusione del latifondo cerealicolo, non era facile intraprendere la via della diversiicazione. Di conseguenza, gli agrari, specie del Mezzogiorno, iniziarono a premere sul governo ainché elevasse le tarife doganali a «protezione» della produzione cerealicola nazionale. Dal settore agricolo la crisi dilagò in quello industriale. Anche in questo caso gli industriali del Nord si schierarono apertamente a favore dell’elevazione delle tariffe doganali. Da tempo infatti sostenevano che per colmare il divario economico tra l’Italia e le nazioni più progredite, l’industria italiana andava «protetta», impedendo alla produzione straniera di invadere il nostro mercato. Il governo, che ino ad allora aveva proseguito la politica liberoscambista della Destra storica, decise di operare una radicale svolta: nel 1887 vennero introdotte alte tariffe doganali sul grano e su molti prodotti industriali. Inevitabilmente, per il principio di reciprocità che regola i rapporti internazionali, gli altri Paesi alzarono a loro volta le tarife doganali nei confronti dell’Italia. La crisi economica aveva determinato nel Paese la nascita di un potente blocco, costituito dagli agrari, principalmente del Sud, e dagli industriali del Nord, in grado di condizionare pesantemente la politica economica del governo. La svolta protezionistica ebbe sicuri effetti positivi sulla produzione industriale, ma l’aumento del prezzo del grano (e quindi del pane) determinò un notevole peggioramento delle condizioni di vita delle masse popolari. Aumentarono i conflitti sociali nelle campagne e l’emigrazione risultò per molti l’unica soluzione. Tra il 1881 e il 1901 più di 2 milioni di persone abbandonarono per sempre l’Italia. Inoltre il protezionismo ebbe effetti negativi sull’agricoltura del Sud, in quanto determinò la crisi di quell’agricoltura specializzata (vino, olio, agrumi) che non trovò più sbocco in Europa per la ritorsione degli altri Paesi. E inì per tutelare le tecniche arretrate di coltivazione dei cereali proprie del latifondo.

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Emigranti italiani in attesa di imbarcarsi al porto di Genova; disegno di Achille Beltrame, tratto da «La Domenica del Corriere» dell’8 dicembre 1901.

LA POLITICA ESTERA Anche in politica estera la Sinistra storica operò una radicale svolta rispetto alla Destra. Era accaduto che nel 1881 la Francia aveva occupato la Tunisia, provocando una forte delusione all’Italia che da tempo guardava con interesse a quel Paese, dove vi era una nutrita comunità italiana. La Francia aveva potuto agire indisturbata perché l’Italia era di fatto isolata a livello internazionale. Per uscire dall’isolamento, e in segno di protesta nei confronti della Francia, nel 1882 l’Italia decise di allearsi con la Germania e l’Austria. L’accordo diede luogo alla Triplice Alleanza, la cui natura era puramente difensiva: Italia, Germania e Austria si impegnavano infatti a intervenire in aiuto reciproco solo in caso di aggressione da parte di altri Paesi. Questa alleanza sollevò nell’opinione pubblica italiana un’ondata di proteste. Non sfuggiva infatti ai più che alleandosi con l’Austria l’Italia rinunciava alle terre «irredente»: le terre «non libere», non ancora «redente» dal dominio austriaco, come il Trentino e il Friuli Venezia Giulia. Ma se l’alleanza prestava il ianco alle critiche degli «irredentisti», sotto il proilo economico fu senz’altro vantaggiosa: in Italia, infatti, presero ad aluire capitali tedeschi che permisero il inanziamento dell’industria italiana e l’apertura di nuove banche, tra cui la Banca Commerciale e il Credito Italiano. Mentre il governo stipulava la Triplice Alleanza, prendeva il via l’avventura coloniale italiana: nel 1882 venne occupato uno stretto territorio (acquistato dalla compagnia di navigazione Rubattino) nei pressi della Baia di Assab, sul Mar Rosso. Da lì le truppe italiane mossero nel 1885 alla conquista di Massaua. Ma quando gli Italiani cercarono di occupare anche l’interno del Paese, provocarono la reazione del negus, l’imperatore d’Etiopia (o Abissinia, come veniva allora chiamata). Nel gennaio 1887 a Dogali un reparto italiano di 500 uomini venne sorpreso e massacrato da 7000 Etiopi. L’avventura coloniale italiana iniziava con una grave sconitta.

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Quali furono le cause della caduta della Destra storica? ƒ Quali riforme attuò Depretis? ƒ Da quale fenomeno fu caratterizzata la vita parlamentare dopo le elezioni del 1882? ƒ Quali furono gli effetti negativi della politica economica protezionistica?

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4. Come fare gli Italiani? COSTRUIRE L’IDENTITÀ NAZIONALE A Massimo d’Azeglio viene attribuita una famosa frase che non pronunciò mai: «L’Italia è fatta, adesso bisogna fare gli Italiani!». In realtà, nei Miei ricordi pubblicati postumi nel 1867 d’Azeglio espresse un’opinione ben più pessimistica: «Pur troppo s’è fatta l’Italia, ma non si fanno gli Italiani». Con questa constatazione d’Azeglio voleva smentire la difusa convinzione risorgimentale che gli Italiani esistessero già. Occorreva dunque costruire l’identità nazionale, la coscienza cioè di appartenere a un’unica collettività. L’uniicazione italiana era infatti avvenuta per la combinazione di un’iniziativa dall’alto (guidata da Cavour e dai Savoia) e di un’iniziativa dal basso, rappresentata dalle insurrezioni e dalla spedizione garibaldina. Questo fenomeno aveva coinvolto qualche centinaia di migliaia di patrioti, soprattutto giovani, appartenenti a diferenti classi sociali, dall’aristocrazia al popolo, ma la maggioranza del popolo italiano era rimasta indiferente o decisamente contraria. Erano indifferenti al nuovo Stato milioni di contadini per i quali la nascita di un mercato unico nazionale aveva signiicato peggiori condizioni di vita, così come i primi nuclei operai socialisti presenti nell’Italia settentrionale che facevano parte delle società di mutuo soccorso: per loro il nuovo Stato era lo Stato dei padroni, che si opponeva alla conquista del diritto di voto. Del tutto contrari all’Italia unita erano invece i cattolici che seguivano le direttive della Chiesa: secondo il messaggio che tutti i parroci proclamavano dal pulito, il nuovo Stato italiano aveva usurpato il potere temporale dei papi ed era stato scomunicato. Gerolamo Induno, Ingresso di Vittorio Emanuele II in Venezia, 1866. Milano, Museo del Risorgimento.

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UN’OPERAZIONE COMPLESSA In questo contesto, il «fare gli Italiani» fu una operazione molto complessa di pedagogia nazionale, perseguita con grandi sforzi e con vari strumenti, i principali dei quali furono la cultura e l’istruzione. Da un punto di vista culturale vanno ricordati poeti come Giosue Carducci, musicisti come Giuseppe Verdi, romanzieri come Edmondo De Amicis con il libro Cuore e Francesco De Sanctis (1817-1883) con la Storia della letteratura italiana, opera in cui viene ricostruito il formarsi della coscienza nazionale italiana attraverso la storia della letteratura. Per quanto riguarda l’istruzione, in Piemonte nel 1859 era stata approvata la legge Casati che prevedeva la gratuità dell’istruzione elementare con l’obbligo di frequenza del primo biennio della scuola elementare. Il compito di attuare la legge era demandato ai comuni. Dopo l’uniicazione la legge fu estesa a tutto il territorio nazionale. Mancavano però le scuole e gli insegnanti erano impreparati. Un principio tuttavia era diventato legge, come scrisse il pedagogista Andrea Angiulli (1837-1890): «Il lasciare i igliuoli privi di educazione è un delitto contro la società. L’educazione del popolo è un fatto di utilità generale, perciò è un dovere nazionale, e cade nelle appartenenze o nei diritti dello Stato». La difusione delle scuole portò molte donne a emanciparsi dai tradizionali lavori manuali o casalinghi per diventare insegnanti. Divenne così familiare la igura, spesso un po’ idealizzata, della maestra che insegnava, con fatica e abnegazione, un po’ di alfabeto e di numeri, delle preghiere e qualche lavoretto manuale a scolari privi di ogni istruzione, magari in remote scuole di campagna. Per anni l’insegnamento fu uno dei canali principali per l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro. Alla maestra lo Stato aidò la missione di difondere la lingua nazionale, nota e comprensibile solo a una ristretta minoranza, e di formare una nuova generazione di Italiani educati agli ideali risorgimentali di civiltà e progresso. Le maestre inirono così per identiicarsi con la patria, una sorta di «madri del popolo» di grande spessore sociale e politico. Un alfabeto illustrato ottocentesco per le scuole elementari.

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IL MITO DELL’ITALIA UNITA

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Perché era necessario costruire l’identità nazionale? ƒ Che cosa prevedeva la legge Casati che era stata approvata in Italia nel 1859? ƒ Come si costruì il mito dell’Italia unita?

APPROFONDIMENTO

Oltre all’istruzione, al «fare gli Italiani» contribuirono grandemente le feste patriottiche, i monumenti, i busti, le lapidi, così come il cambiamento della toponomastica urbana con l’intitolazione di piazze, vie e corsi ai grandi eroi che avevano unito l’Italia. In questo contesto ebbe eccezionale rilievo il servizio militare obbligatorio con lo spostamento delle reclute in altre regioni e il difondersi dell’orgoglio della divisa. Non mancarono poi iniziative come l’istituzione di musei del Risorgimento, di parchi della rimembranza, di ossari, come a San Martino e Solferino, La morte inine di Vittorio Emanuele II, avvenuta improvvisamente il 9 gennaio 1878 a causa di una polmonite, fu l’occasione per dare agli Italiani una sintesi mitica del Risorgimento. L’inaspettata scomparsa, a 57 anni, del primo sovrano dell’Italia unita gettò il Paese in una sincera costernazione, largamente difusa tra tutti gli strati della società, ancora legati all’idea del re quale padre afettuoso. Aristocratici, uomini politici, bottegai, professionisti e studenti mostrarono ovunque cordoglio spontaneo. Non era solo un re a scendere nella tomba, erano un mito e un simbolo a essere colpiti dalla morte.

«Il più grande fra i Re» Nell’immediatezza della morte di Vittorio Emanuele II, i bambini delle scuole elementari furono subissati per mesi da dettati, esercizi e problemi di aritmetica, saggi di composizione di questo tenore. I classe. Saggio di scrittura e dettato. Vittorio Emanuele Fanciulli, voi avete udito mille volte le lodi, gli evviva a questo nome caro e venerato; e in questi giorni di lutto per la sua morte immatura avete visto lacrime sul ciglio di tutti. Quando voi, fatti adulti, leggerete la storia gloriosa di questo sommo fra i Re, direte ai vostri figli, ai nipoti: «Noi avemmo la bella sorte e il vanto di nascere sotto il paterno suo regno, e mercé sua potemmo essere educati a libertà civile. Benedetta la sua memoria in eterno!».

parte attivissima nella fatal giornata della disfatta a Novara, e narrazione della commoventissima scena dell’abdicazione del padre, del doloroso addio e della dolorosa partenza per Oporto; 6) condizione difficile pel novello Re che raccoglie un’eredità di sventure; suo senno, sua fermezza nel prepararsi a lavar l’onta di Novara e far grande e una l’Italia; 7) provocazione dell’Austria nel 1859, e grido di guerra del Re patriota coll’invito all’armi a tutti i figli d’Italia; 8) eroici combattimenti di Palestro, San Martino, Solferino, e liberazione della Lombardia dallo straniero; 9) dedizione spontanea di tutti gli Stati italiani al Re amato; 10) costituzione dell’Italia che diviene forte, rispettata e temuta; 11) morte precoce del più grande fra i Re, con lutto inesprimibile dell’Italia non solo, ma dell’Europa e del mondo.

III classe. Aritmetica. Problema A dar prova veramente popolare del lutto pubblico d’Italia per la morte del magnanimo suo Re, è stato proposto d’innalzare un monumento per offerte, raccogliendo lo scudo del ricco e il centesimo del povero. Fissandosi la spesa di L. 3 240 000, quanto dovrebbe offrire l’uno per l’altro ciascuno dei 27 milioni di abitanti d’Italia? IV classe. Composizione. Appunti: 1) genitori del grand’Eroe e tempo e luogo della sua nascita; 2) pregi fisici e morali del fanciullo; 3) suo matrimonio, con chi e quando; 4) sue prodezze militari nelle prime battaglie patrie combattute dal genitore, e sua ferita nel vittorioso fatto d’armi di Goito; 5) sua

La tomba di Vittorio Emanuele II al Pantheon di Roma. Su di essa si legge: «Vittorio Emanuele II padre della patria».

L’Italia nell’età della Destra e Sinistra storica

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5. Dallo Stato forte di Crispi alla crisi di fine secolo FRANCESCO CRISPI Nell’estate 1887 Depretis morì. Gli succedette Francesco Crispi: il primo uomo politico meridionale a diventare presidente del Consiglio. Nato a Ribera, in provincia di Agrigento, nel 1818, fu in gioventù un fervente democratico e mazziniano: nel 1848 partecipò alla rivolta siciliana, poi fece parte della spedizione dei Mille e fu tra coloro che sbarcarono a Marsala nel 1860. Dopo l’uniicazione, abbandonò le idee repubblicane e, con uguale passione, sostenne la causa monarchica. Con l’eccezione del biennio 1891-93, rimase al potere per quasi dieci anni, dal 1887 al 1896. Convinto ammiratore di Bismarck e difensore della Triplice Alleanza, sosteneva la necessità di uno Stato forte. Con il consenso del nuovo sovrano Umberto I (1878-1900), assunse su di sé contemporaneamente le cariche di presidente del Consiglio, ministro degli Esteri e degli Interni. Mai nessuno, da quando l’Italia era stata unita, aveva avuto tanto potere. Lo stesso apparato amministrativo venne riformato in senso autoritario. Nel 1888 Crispi fece approvare una nuova legge elettorale comunale e provinciale che da un lato estendeva il diritto di voto e consentiva ai comuni con più di diecimila abitanti l’elezione dei sindaci, dall’altro aumentava il potere di controllo dei prefetti. In politica estera Crispi ebbe un orientamento decisamente ostile alla Francia, che lo portò a consolidare l’alleanza con la Germania. Nel 1888 la Francia, irritata dalla politica ilotedesca di Crispi, introdusse una tarifa doganale discriminatoria nei confronti dei prodotti italiani. Crispi reagì aumentando del 50% le tarife sui prodotti francesi. Iniziava così la «guerra doganale» tra Italia e Francia. Le esportazioni italiane si contrassero del 40%. Poiché la Francia era il nostro più importante partner commerciale, e il principale acquirente dei prodotti agricoli del Mezzogiorno, a essere danneggiata fu soprattutto l’economia del Sud. Durante il governo Crispi non mancarono comunque scelte progressiste. Nel 1889 venne promulgato un nuovo codice penale, noto come codice Zanardelli, dal nome del ministro di Grazia e Giustizia in carica. Con esso veniva abolita la pena di morte, ancora in vigore nei principali Stati europei, e si riconosceva una limitata libertà di sciopero. A questi provvedimenti, però, fece da contrappeso una legge di pubblica sicurezza, anch’essa varata nel 1889, che restringeva i diritti sindacali e accresceva i poteri della polizia.

IL PRIMO GOVERNO GIOLITTI All’autoritaria politica interna, Crispi aiancò un’aggressiva politica coloniale. Nel 1889 venne irmato con il negus Menelik di Etiopia il Trattato di Uccialli (dal nome della località sede dell’incontro): il trattato riconosceva i possedimenti italiani in Eritrea e il protettorato italiano sull’Etiopia e la Somalia. Ma mentre nel testo italiano si parlava esplicitamente di protettorato italiano sull’Etiopia, in quello redatto nella lingua locale (l’amarico) vi era solo un vago accenno che venne interpretato da Menelik come un semplice patto di amicizia. L’intenzione di Crispi di riprendere la politica coloniale suscitò però molte perplessità nell’ambito stesso della maggioranza, preoccupata dei costi dell’operazione nel momento in cui il Paese attraversava una grave crisi economica. Messo in minoranza, nel 1891 Crispi rassegnò le dimissioni. La presidenza del Consiglio passò prima al conservatore di Rudinì, poi a Giovanni Giolitti (1842-1928) che dovette subito afrontare un grave problema di ordine pubblico: lo scoppio in Sicilia del moto di protesta popolare dei Fasci siciliani che raggiunse il suo culmine nel 1893.

Contadini al lavoro nelle campagne del Sud; la miseria delle loro condizioni spingerà molti di loro a emigrare nel Nord Italia.

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Eritrea ed Etiopia, Paesi sconosciuti

TUTOR

APPROFONDIMENTO

UNITÀ 11

Il termine «Etiopia», di derivazione greca, significa «terra dei popoli dalla faccia bruciata dal sole». Nell’antichità la regione etiopica venne fortemente influenzata dalla cultura egiziana, da quella delle popolazioni sudarabiche e dall’ellenismo. Ma solo nel I secolo d.C., con la formazione del Regno di Aksum, raggiunse una prima importante stabilità politica. Successivamente, i suoi sovrani abbracciarono il cristianesimo copto, legato dalle origini al Patriarcato di Alessandria d’Egitto (copto deriva dal termine arabo qubt che significa «egiziano»). Quando i musulmani si spinsero in Africa, il Regno di Aksum cadde (VII secolo d.C.), ma si ricostituì a partire dal XII secolo sotto la guida dei negus: imperatori che si vantavano di discendere da Menelik I, figlio di Salomone e della regina di Saba. Dopo varie vicende che videro prevalere ora sovrani musulmani ora dinastie di popoli nomadi, agli inizi dell’Ottocento la regione cominciò a riorganizzarsi e a modernizzarsi. La storia dell’Etiopia si intreccia con quella dell’Eritrea a cui fu talvolta unita. L’Eritrea era una zona strategicamente importante, sia perché consentiva all’Etiopia l’accesso al mare, sia perché permetteva il controllo dello Stretto di Aden, punto di transito tra il Mediterraneo e il Mar Ros-

so dopo la costruzione del Canale di Suez. Il nome «Eritrea» deriva dal greco erytrhráios («rosso»): significa «terra sul Mar Rosso» e fu dato alla regione dagli Italiani.

Edward Poynter, La visita della regina di Saba a re Salomone, 1890. Sidney, Art Gallery of New South Wales.

La colonizzazione italiana in Africa orientale SUDAN ANGLO-EGIZIANO

3 Dogali Asmara

Kassala

ARABIA

Mar Rosso Massaua

2

ERITREA

Adua Macallè

1

Assab

Golfo di Aden

SOMALIA FRANCESE

Amba Alagi

L. Tana

1. Dal 1869 la Baia di Assab era diventata uno scalo carbonifero per le navi della Compagnia Rubattino. Nel 1882 venne acquistata dallo Stato italiano: tale acquisto può essere considerato il punto di partenza del colonialismo italiano.

Gibuti

Uccialli

Berbera

4

SOMALIA BRITANNICA

Addis Abeba

Goggiam

5 3. Nel 1887 presso Dogali un piccolo reparto delle truppe italiane venne massacrato da migliaia di guerrieri etiopi.

Ogaden Galla e Sidama

ETIOPIA Giu

ba

Ueb

i Sc

ebe

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SOMALIA ITALIANA Mogadiscio

OCEANO INDIANO

KENYA

L. Vittoria

Colonie italiane Colonia britannica Colonia francese Battaglie

2. Nel 1885 le truppe italiane occuparono Massaua, come risposta a un eccidio di esploratori italiani. Quell’area era formalmente sotto il controllo turco. Quando gli Italiani cercarono di penetrare all’interno del Paese suscitarono le proteste del negus, l’imperatore dell’Abissinia (Etiopia).

4. Nel 1889 venne firmato il Trattato di Uccialli con il nuovo negus etiope Menelik II, che riconosceva il possesso italiano dei territori sul Mar Rosso, una colonia che prese il nome di Eritrea. Successivamente i rapporti fra Italia e Etiopia si deteriorarono anche a causa di una controversa interpretazione del trattato. Crispi riprese allora la penetrazione in Etiopia entrando in conflitto con Menelik II, ma subì una disastrosa sconfitta ad Adua (1 marzo 1896). 5. Un accordo con i sultani locali stipulato nel 1889-90 stabilì il protettorato italiano su una parte della Somalia. L’Italia così affiancava la Gran Bretagna e la Francia nel controllo di questa area.

377

L’Italia nell’età della Destra e Sinistra storica La parola fascio signiica «unione» e infatti il movimento dei Fasci siciliani comprendeva operai, artigiani, lavoratori delle miniere di zolfo (zolfatari) e contadini che intendevano protestare contro le pesanti tasse del governo e contro i latifondisti, rivendicando il diritto a una più equa distribuzione delle terre. Ideologicamente non era un movimento rivoluzionario, anche se al suo interno erano presenti varie componenti rivoluzionarie, da quella anarchica a quella socialista. Era piuttosto un movimento popolare privo di una precisa identità: un’esplosione di rabbia per le vessazioni a cui era sottoposto il popolo siciliano (nelle sedi dei Fasci si potevano trovare i ritratti di Marx, Garibaldi, Mazzini, insieme al crociisso e a immagini della Madonna, del re e della regina). Giolitti decise di afrontare la questione con prudenza (si trattava di un fatto sociale che andava compreso e circoscritto) e non fece ricorso a misure eccezionali. Questa scelta lo fece apparire agli occhi dei conservatori come un presidente del Consiglio «debole», incapace di intervenire con decisione in una situazione di pericolo. Nel frattempo scoppiò lo scandalo della Banca Romana. Per coprire vari ammanchi, era successo che la Banca Romana (una delle sei banche che allora potevano emettere moneta) aveva incominciato a stampare lire in eccedenza rispetto ai limiti di legge. E aveva in alcuni casi sovvenzionato la campagna elettorale di uomini politici, in altri concesso loro prestiti a condizioni particolarmente vantaggiose. Il fatto era emerso nel 1889, quando Giolitti era ministro del Tesoro del governo Crispi. Accusato di «debolezza» e di aver coperto lo scandalo della Banca Romana (di cui comunque non era il maggiore responsabile), nel dicembre del 1893 Giolitti dovette rassegnare le dimissioni.

Il giurista siciliano dell’Ottocento, Enrico La Loggia, nell’analizzare le cause dei Fasci siciliani così scrive. I moti di Sicilia saranno un giorno considerati come il primo posarsi, di fronte alla storia, della questione sociale in Italia, come il prodromo delle convulsioni che forse un giorno affliggeranno i popoli, e dalle quali giova sperare, senza presumere di darne i particolari, uscirà una forma superiore degli organismi sociali odierni […].

Grave, gravissima è, in linea generale, la condizione delle plebi agricole della Sicilia. Non è già la stessa da per tutto nell’isola; anzi è proprio rimarchevole che in paesi non distanti sia spesso una differenza relativamente grande di salari e di patti agrari. Il grande attaccamento del contadino al luogo dove è nato, la mancanza di attività, la difficoltà di comunicazioni rendono generalmente rare quelle migrazioni interne di lavoratori che ristabiliscono l’equilibrio. E. La Loggia, I moti di Sicilia, 1894

Rivolta dei Fasci siciliani a Castelvetrano (Trapani) nel novembre 1893; disegno dell’epoca.

DOCUMENTO

I Fasci siciliani

Incisione che mostra la seduta della Camera del 23 novembre 1893, in cui si discusse il coinvolgimento di Giolitti nello scandalo della Banca Romana.

STATO D’ASSEDIO Lo stato d’assedio è un provvedimento cui si ricorre in casi eccezionali, come gravi disordini sociali o calamità naturali. Nell’attuale Costituzione repubblicana non esiste, ma era previsto dallo Statuto Albertino. Tra Ottocento e Novecento fu usato per reprimere scioperi e movimenti popolari, come accadde in Sicilia durante le proteste dei Fasci siciliani. Fu applicato anche dopo il disastroso terremoto che distrusse Messina nel 1908. Lo stato d’assedio prevedeva la sospensione totale o parziale delle libertà normalmente godute dai cittadini. Solitamente era imposto a una parte del territorio nazionale; l’unico caso di imposizione a tutto il territorio nazionale avvenne dopo la caduta del fascismo (25 luglio 1943).

LA CRISI DI FINE SECOLO

378

LESSICO

UNITÀ 11

IL RITORNO DI CRISPI Al governo tornò l’uomo «forte», Crispi, che immediatamente proclamò lo stato d’assedio in Sicilia. Poi fece intervenire l’esercito con 50000 uomini. Numerosi furono i morti e circa 2000 le persone arrestate. Nel 1894 la protesta dei Fasci siciliani era deinitivamente stroncata. Dopo questo «successo», Crispi rivolse nuovamente la propria attenzione alla politica coloniale, rivendicando il rispetto da parte dell’Etiopia dell’interpretazione italiana del Trattato di Uccialli. Al riiuto di Menelik II, diede ordine alle truppe italiane di penetrare in territorio etiopico. Lo scontro si risolse ancora una volta in un disastro. Gli Italiani vennero dapprima sconitti ad Amba Alagi (1895), poi a Macallé (1896). Inine l’1 marzo 1896, 16000 soldati italiani si scontrarono con 70 000 Abissini nei pressi di Adua. Fu la disfatta: 7000 soldati italiani rimasero uccisi, 3000 furono fatti prigionieri. Travolto dalle critiche, Crispi nel 1896 rassegnò le dimissioni e si ritirò a vita privata. Morirà qualche anno dopo, nel 1901, senza più ritornare al governo. Con le dimissioni di Crispi, terminava anche l’età della Sinistra storica e iniziava la «crisi di ine secolo».

LA CRISI DI FINE SECOLO Il fallimento dell’impresa coloniale aprì una crisi politica e istituzionale che si prolungò ino al nuovo secolo. A sostituire Crispi venne chiamato al governo il marchese Antonio di Rudinì (1839-1908) che nel 1896 firmò con Menelik II il Trattato di Addis Abeba, con cui l’Italia rinunciava a qualsiasi pretesa sull’Etiopia e limitava il suo dominio coloniale all’Eritrea e alla Somalia. Intanto nel Paese dilagava la crisi economica. Il popolo cominciò a sofrire la fame, tanto che il 28 febbraio del 1898 il quotidiano «La Stampa» di Torino scriveva: «I contadini si cibano di erba selvatica e il pane costituisce una pietanza di lusso». Nell’estate del 1898 un improvviso aumento del prezzo del pane, dovuto al cattivo raccolto e al blocco delle importazioni dagli Stati Uniti a causa della guerra con Cuba, provocò un’ondata di manifestazioni di protesta che percorse il Paese.

FALLIMENTO DELLA POLITICA COLONIALE

DIFFUSIONE DELLA POVERTÀ

CRISI POLITICA

CRISI ECONOMICA

AGITAZIONI DI CONTADINI E OPERAI

REPRESSIONE

MALCONTENTO POPOLARE

UCCISIONE DI UMBERTO I

L’Italia nell’età della Destra e Sinistra storica

379

La più grave di queste si ebbe il 6 maggio del 1898, a Milano, dove il generale Bava Beccaris ordinò ai suoi uomini di sparare sulla folla che protestava, anche con il cannone. Un centinaio furono i morti, innumerevoli i feriti. Molti dirigenti socialisti vennero arrestati e processati, fra questi Filippo Turati, il capo del Partito socialista. Gli ambienti dell’opposizione furono perquisiti e la libertà di stampa fortemente limitata. Bava Beccaris per la sua azione ricevette il plauso del governo e del re Umberto I, che lo decorò con la Gran Croce dell’Ordine militare di Savoia. Poiché comunque la tensione nel Paese rimaneva alta, di Rudinì diede le dimissioni. Umberto I aidò allora l’incarico di formare un nuovo governo a un generale piemontese, Luigi Pelloux (1839-1924). Questi presentò alla Camera una serie di provvedimenti che limitavano decisamente la libertà di stampa e di riunione. L’opposizione di estrema sinistra reagì, attuando un deciso ostruzionismo parlamentare che si concretizzò nel tentativo di allungare all’ininito i tempi di discussione della legge. A Pelloux non rimase altro che sciogliere le Camere e indire nuove elezioni. Nelle elezioni del 1900 l’opposizione fece notevoli progressi: passò da 67 a 96 seggi, di cui 33 erano socialisti. Un mese dopo, il 29 luglio 1900 l’anarchico Gaetano Bresci, per vendicare i morti di Milano, uccise il re Umberto I a Monza. La situazione era sempre più drammatica. In questo contesto, il nuovo re Vittorio Emanuele III decise di aidare il governo all’autore del nuovo codice penale, Zanardelli. Aiancava Zanardelli come ministro degli Interni Giovanni Giolitti. Iniziava così l’età giolittiana.

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Quale svolta impresse alla politica italiana l’avvento della Sinistra storica? ƒ Che cos’erano i Fasci siciliani? ƒ Quale fu l’esito dell’avventura coloniale italiana? ƒ Quali fattori causarono la «crisi di fine secolo»?

LE POLITICHE DELLA DESTRA E DELLA SINISTRA STORICA Destra storica

TUTOR Sinistra storica

Periodo

1861-76

1876-96

Origine risorgimentale

Cavouriani.

Mazziniani e garibaldini.

Principali esponenti

Ricasoli, Sella, Minghetti.

Depretis, Crispi.

Legge elettorale

Estensione all’Italia della legge elettorale del Regno di Sardegna. Condizioni per avere diritto al voto: – essere cittadini maschi; – avere 25 anni di età; – saper leggere e scrivere; – pagare almeno 40 lire di imposte l’anno.

Introdotta con la riforma elettorale del 1882. Condizioni per avere diritto al voto: – essere cittadini maschi; – avere 21 anni di età; – saper leggere e scrivere; – pagare almeno 20 lire di imposte l’anno.

Schieramenti parlamentari

Contrapposizione Destra-Sinistra.

Trasformismo.

Politica economica

Liberoscambismo.

Protezionismo.

Politica finanziaria

Pareggio del bilancio.

Deficit del bilancio.

Politica fiscale

Imposte indirette: tassa sul macinato.

Imposte dirette; abolizione della tassa sul macinato.

Politica estera

Rapporto preferenziale con la Francia. Completamento dell’unità d’Italia: acquisizione di Lazio e Veneto.

Triplice Alleanza: Italia, Germania, Austria. Inizio del colonialismo italiano: conquista dell’Eritrea e della Somalia.

Rivolte sociali

Repressione del brigantaggio (1860-65).

Repressione dei Fasci siciliani (1893-95).

Istruzione

Legge Casati (1859): obbligo d’istruzione per due anni.

Legge Coppino (1877): istruzione obbligatoria per il primo biennio elementare.

UNITÀ 11

380

Dal passato al presente La igura della maestra ottocentesca, un po’ austera, che gira tra i banchi, si afferma proprio in questo periodo, in seguito all’obbligo scolastico elementare. È un’identità professionale destinata a radicarsi fortemente nella società ed è una delle prime forme di lavoro intellettuale femminile, ancora oggi in gran parte aidato alle donne. Furono anni di grandi invenzioni, frutto dello sviluppo tecnologico: il telefono, ad esempio, inventato da Antonio Meucci (1808-1889) e poi brevettato da Alexander Graham Bell (1847-1922), aprì nuovi orizzonti nelle comunicazioni. Ma più di qualsiasi altro prodotto va ricordata la Coca-Cola, la bevanda gassata che ha invaso il mondo intero. Fu creata nel 1886 come sciroppo da allungare con l’acqua e blando rimedio per il mal di testa.

Insegnare che passione! Fotografia di una scolaresca dei primi anni del Novecento.

LE DISEGUAGLIANZE INIZIAVANO DAI SALARI

IERI

Prevalevano atteggiamenti discriminatori tra uomini e donne nell’accesso alla carriera di insegnante OGGI

Difficoltà materiali e pregiudizi non hanno impedito alle donne di formare ormai la maggioranza del corpo docente e di raggiungere, in tempi recenti, anche il livello della docenza universitaria

Maestre e insegnanti di scuola superiore: ecco i primi lavori non manuali né casalinghi che le donne italiane dopo l’unità poterono praticare raggiungendo una nuova dignità. Tanto più che, nelle stesse leggi istitutive del sistema scolastico italiano, le diferenze tra maschi e femmine sono quasi assenti, sia sul versante degli allievi sia su quello degli insegnanti. Le future maestre iniziavano a 15 anni, rispetto ai 16 dei maschi, la loro preparazione, in nome della «precoce maturità della donna». Un anno in anticipo rispetto agli uomini era anche l’entrata in servizio. Ma le diseguaglianze vere e proprie tra uomini e donne comparivano in un ambito molto delicato: quello dei salari. A parte la diversità di salario derivante dal lavorare in città o

in campagna, era previsto che una donna, a parità di condizioni di diploma, di luogo o di classe d’insegnamento, fosse pagata un terzo in meno rispetto a un uomo. Tuttavia, grazie anche a queste diferenze, le donne riuscirono a raforzare la loro presenza: non bisogna infatti dimenticare che le scuole elementari erano regolate dallo Stato, ma gestite e pagate dai comuni, che riservavano esigue risorse all’insegnamento. Le donne, dunque, erano preferite perché erano pagate meno. Nel 1873 le maestre erano già 18 351 contro 21 970 maschi. Nel 1877, quando la legge Coppino ribadì e raforzò l’obbligo scolastico, le maestre erano più della metà di tutto il corpo insegnante elementare. Raggiunsero inine il numero di 45 000 nel 1911, alla vigilia della legge Daneo-Credaro, che avrebbe sancito il passaggio di gran parte delle scuole elementari alla gestione statale: le maestre divennero così impiegati regi, ottenendo un importante avanzamento nella scala sociale.

UNA SORTA DI «MADRI DEL POPOLO» Se la maestra di campagna rappresentava numericamente – e anche simbolicamente – la igura più difusa, nelle città del Nord, già pochi anni dopo l’unità, si cominciarono a impiegare maestre anche per le classi inferiori maschili. Si proilava, in questo modo, un’influenza mai vista delle donne sulla formazione dei futuri cittadini, e in prospet-

L’Italia nell’età della Destra e Sinistra storica il simbolo della patria, anch’essa raigurata nell’immaginario e nella produzione culturale come donna.

UNA TAPPA NELL’EMANCIPAZIONE FEMMINILE Ancora oggi la professione di insegnante resta tipicamente femminile. Il fenomeno va inquadrato nel generale processo di integrazione delle donne nel mercato del lavoro, ma è spiegabile anche con una maggiore compatibilità dell’insegnamento, per quanto concerne tempi, modalità, percorsi di carriera, con i compiti dalle donne svolti all’interno della vita familiare, la cui organizzazione, nella maggioranza dei casi, continua a gravare su di loro. In Italia le donne costituiscono circa il 99% del personale docente nella scuola dell’infanzia, il 92% nella scuola primaria, l’85% nella secondaria di primo grado, il 60% nella secondaria di secondo grado. La femminilizzazione del corpo insegnante è una realtà della scuola italiana, le cui origini vanno ricercate proprio nelle scelte di politica scolastica avviate nel periodo postunitario. Va precisato però che oggi le donne si sono inserite numerose anche nell’insegnamento universitario, monopolio, ino a pochi decenni fa, degli uomini.

TRASFORMISMO Il termine, coniato negli anni del governo Depretis, designava l’atteggiamento di esponenti politici dell’opposizione che si avvicinavano alla maggioranza indipendentemente dagli orientamenti ufficiali del proprio gruppo. Presto assunse una sfumatura negativa perché venne considerata una prassi che generava corruzione diffusa e degrado morale. È un termine molto usato anche nel linguaggio politico attuale, sempre con un senso negativo, per indicare genericamente la tendenza a passare da uno schieramento all’altro con estrema disinvoltura. CRUMIRO Dal francese kroumir, a sua volta proveniente dall’arabo humair, era il nome di una piccola tribù nordafricana, che, con la sua attività di contrabbando alla frontiera con l’Algeria, diede occasione alla Francia di occupare la Tunisia nel 1881. Il termine entrò massicciamente nel lessico sindacale e venne applicato con sfumatura ingiuriosa a quanti lavoravano «di contrabbando» contro i loro compagni, che scioperavano. Oggi mantiene questo significato: indica quei lavoratori che continuano a lavorare mentre i compagni scioperano oppure quelli che accettano di lavorare al loro posto. È anche il nome di un tipo di biscotto prodotto nel Monferrato, inventato nel 1878, dalla tipica forma a mezzaluna; esportato in tutto il mondo, sfruttò in modo commerciale quello che era diventato un emblema di esotismo. ÀSCARI Erano i soldati indigeni dell’Eritrea e della Somalia al servizio dell’esercito italiano nelle colonie. Nel linguaggio parlamentare questa espressione sta a indicare, in senso spregiativo, quei deputati della maggioranza che non hanno un preciso programma politico, utili solo per votare

PAROLE IN EREDITÀ

tiva l’ingresso delle insegnanti anche nelle classi superiori maschili, prestigiose e molto ambite. Per anni, comunque, l’insegnamento fu uno dei canali principali per l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro. A facilitare l’impiego in massa delle donne nella scuola ci furono anche le mutate condizioni socioeconomiche. Molti potenziali maestri trovarono lavoro nelle oicine e nelle industrie che andavano sorgendo proprio alla svolta del secolo. La crisi delle istituzioni religiose spingeva al lavoro, e in particolare proprio all’insegnamento, decine di donne di bassa condizione, vedove, nubili, iglie di piccoli borghesi impoveriti. Le maestrine inirono quindi per presentarsi come una sorta di «madri del popolo» di grande spessore sociale e politico. Del resto anche un altro importante compito era loro aidato: avviare i futuri cittadini alla conoscenza di una lingua nazionale che era nota e comprensibile solo a una ristretta minoranza degli Italiani. Alla madre che insegna la lingua quotidiana, la lingua dei rapporti privati, si aiancava così una seconda madre, cui spettava di far conoscere la lingua pubblica, dei grandi antenati e dei nuovi «fratelli» italiani. In un certo senso, la maestra diventava l’incarnazione ideale,

381

UNITÀ 11

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COMPETENZE: USARE LE FONTI

I briganti DOCUMENTO

Il grande brigantaggio fu un fenomeno molto complesso che conteneva elementi di protesta e ribellione contro il nuovo Stato unitario, ma anche atti di delinquenza comune, come 1. La scena si svolge sullo sfondo di un paesaggio montano desolato, un luogo difficilmente accessibile, teatro privilegiato per gli assalti ai convogli dei viaggiatori.

si vede nel disegno qui riportato. L’immagine, tratta da una stampa dell’epoca, rappresenta una banda di briganti che ha appena assalito due viaggiatori a scopo di rapina.

2. La fierezza dei banditi emerge sia dai loro visi accigliati sia dall’atteggiamento virile, in piedi e un po’ impettito.

3. L’abbigliamento corrisponde all’immagine tradizionale del brigante: cappello di feltro, pantaloni di fustagno, bisaccia di cuoio con viveri, in genere frutto di rapina ai contadini e ai pastori, e piccoli utensili per la vita all’aperto, calzature «alla ciociara» (cioè originarie della regione laziale della Ciociaria, attorno a Frosinone).

4. Le vittime, spogliate dei loro abiti, vengono lasciate incolumi sotto lo sguardo ironico del capo dei briganti. In questo caso i due derubati sembrano essere di condizione agiata: persone di questo genere potevano permettere un discreto bottino. Spesso, però, le imprese dei briganti avvenivano a spese di persone umili: case o interi villaggi potevano essere depredati o distrutti se i briganti sospettavano vi si trovassero delle spie dei «Piemontesi». 5. Le armi, fucili e pistole, erano sottratte ai soldati, ma i briganti erano anche finanziati dai Borboni in esilio, o da ricchi simpatizzanti, oppure imponevano a commercianti e professionisti di dar loro del denaro per evitare molestie: una sorta di «pizzo» come quello richiesto dai mafiosi.

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

ƒ L’azione dei briganti era spesso protetta dalle caratteristiche fisiche del territorio. Attraverso quali elementi il disegno fa emergere questo dato? ƒ La rappresentazione tradizionale dei briganti comprendeva un particolare tipo di calzature, peraltro diffuse nei costumi di varie regioni d’Italia. Si tratta di un elemento che sottolinea l’appartenenza popolare dei briganti. Come vengono chiamate?

ƒ Che cosa si intende con il termine «grande brigantaggio»? ƒ Quali figure sociali andavano a formare le bande di briganti? ƒ Qual era il numero complessivo di briganti negli anni di maggior intensità del fenomeno? ƒ Le bande di briganti erano talvolta molto numerose, fino ad assomigliare a dei veri e propri eserciti. Quanti componenti potevano avere? ƒ Ricordi qualche nome di brigante famoso?

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L’Italia nell’età della Destra e Sinistra storica

Le cause sociali del brigantaggio DOCUMENTO

1. Nel 1806 Napoleone affidò il Regno di Napoli a suo fratello Giuseppe Bonaparte. In quell’anno vi fu dunque la nascita di un nuovo Stato, come nel 1861.

appunto, dove il brigantaggio ha raggiunto proporzioni maggiori, è assai infelice. Quella piaga della moderna società, che è il proprietario, ivi appare più ampia che altrove. Il contadino non ha nessun vincolo che lo stringa alla terra. La sua condizione è quella del vero nullatenente [...]. Il sistema feudale spento dal progredire della civiltà e dalle prescrizioni delle leggi ha lasciato una eredità che non è ancora totalmente distrutta; sono reliquie d’ingiustizie secolari che aspettano ancora di essere annientate. [...] In parecchie località il proprietario rappresenta ancora l’antico signore feudale. Il contadino sa che le sue fatiche non gli fruttano né benessere né prosperità; sa che il prodotto della terra innaffiata dal suo sudore non sarà suo; si vede e si sente condannato alla perpetua miseria e l’istinto della vendetta sorge spontaneo nell’animo suo. L’occasione si presenta ed egli non se la lascia sfuggire, si fa brigante; richiede vale a dire alla forza quel benessere, quella prosperità che la forza gli vieta di conseguire, ed agli onesti e mal ricompensati sudori del lavoro preferisce i disagi fruttiferi della vita del brigante. Il brigantaggio diventa così la protesta selvaggia e brutale della miseria contro antiche secolari ingiustizie.

2. Le cause principali del brigantaggio sono quelle profonde, che favoriscono l’insorgere del fenomeno, non quelle occasionali.

Commissione d’inchiesta Massari, 1862

Per comprendere le cause del brigantaggio, il Parlamento italiano istituì nel dicembre del 1862 una Commissione d’inchiesta presieduta da Giuseppe Massari. La relazione conclusiva dell’anno successivo rappresenta il primo sforzo notevole di ricercare le cause profonde, non solo quelle occasionali, di un fenomeno che, dal 1860, stava sconvolgendo l’Italia meridionale.

A bene esprimere il nostro concetto diremo che il brigantaggio se ha pigliato le mosse nel 1860, come già nel 18061, ed in altre occasioni dal mutamento politico, ripete però la sua origine intrinseca da una condizione di cose preesistente a quel mutamento, e che i nostri liberi istituti debbono assolutamente distruggere e cangiare. Molto acconciamente è stato detto e ripetuto essere il brigantaggio il fenomeno, il sintomo di un male profondo ed antico [...]. Le prime cause dunque del brigantaggio sono le cause predisponenti2. E prima fra tutte la condizione sociale, lo stato economico del campagnuolo, che in quelle provincie

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

ƒ In quale contesto storico-politico nacque la relazione sul brigantaggio? ƒ La relazione distingue tra due tipi di cause: profonde e occasionali. Indica per ciascuna tipologia di quali cause si tratta. ƒ Quale fu la via scelta dal governo per combattere il brigantaggio?

ƒ Quale ruolo ebbe, nel Meridione d’Italia, la presenza del latifondo rispetto alla modernizzazione dell’attività agricola? ƒ Dopo l’unità d’Italia, il Meridione dovette confrontarsi con alcune novità particolarmente pesanti e sgradite a livello sociale ed economico. Di cosa si tratta?

ƒ Prima e Dopo ƒ Video - Briganti e borboni ƒ Immagine commentata - I briganti ƒ Online DOC - Vanga e latte ƒ Online STO - La genesi del brigantaggio

ƒ Online STO - Brigantaggio e dibattito politico ƒ Online STO - Un pasticcio chiamato Lissa ƒ Online STO - Le conseguenze della svolta protezionistica ƒ Online STO - La Compagnia Rubattino ƒ Audiosintesi Unità 11

IN DIGITALE

UNITÀ 11

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MISURARE LE COMPETENZE

GLI EVENTI

IL TEMPO

Completa la frase. 1. Le differenze tra Nord e Sud riguardavano anche le diverse percentuali di analfabetismo e la struttura della proprietà terriera lo sviluppo industriale e la ricchezza del sottosuolo l’utilizzo dei dialetti e la diffusione delle infrastrutture

Unisci opportunamente avvenimento e data, indicando il numero corrispondente della data nella colonna a destra di ogni avvenimento.

2. L’Italia nel periodo che va dal 1861 al 1876 fu governata dalla Sinistra storica dalla Destra storica dai cavouriani 3. Per raggiungere il pareggio del bilancio venne introdotta nel 1868 la tassa sui beni immobili la tassa sul macinato il prelievo fiscale progressivo 4. Con la legge Coppino fu istituita la scuola pubblica l’obbligo scolastico fu elevato fino ai 9 anni di età fu istituita l’Università statale 5. Nel 1900 Gaetano Bresci uccise il re Umberto I uccise il re Vittorio Emanuele II attentò alla vita del re Vittorio Emanuele III 6. Il trasformismo è il passaggio dei parlamentari da uno schieramento all’altro l’abitudine a cambiare continuamente idea un accordo tra Cavour e Depretis 7. Il Trattato di Uccialli riconosceva i possedimenti italiani in Eritrea affidava all’Italia il governo dell’Etiopia riconosceva i possedimenti della Compagnia Rubattino nella Baia di Assab

LE PAROLE Definisci le seguenti espressioni: a. prefetto b. mafia c. camorra d. ‘ndrangheta e. stato d’assedio

Avvenimento a Terza guerra d’indipendenza b Trasferimento della capitale da Torino a Firenze c

Assassinio di Umberto I

d Codice Zanardelli e Roma diventa capitale d’Italia f

Firma della Triplice Alleanza

g La Sinistra sale al potere h Introduzione della legge Pica Data 1

1863

2 1864 3 1866 4 1870 5 1876 6 1882 7 1889 8 1900

VERSO L’ESAME DI STATO a. Rispondi alle seguenti domande. ƒQuali furono le cause sociali del grande brigantaggio? ƒCome si perseguì l’obiettivo del pareggio del bilancio? ƒCome si giunse a unire al Regno d’Italia Veneto e Lazio? ƒPer quali motivi la Destra storica fu sostituita dalla Sinistra? ƒQuali mutamenti avvennero nella politica economica e nella politica estera? ƒQuali furono le tappe importanti dell’espansione coloniale italiana? ƒQuali furono le caratteristiche della politica di Crispi? ƒChe cos’è la crisi di fine secolo? b. Il saggio breve: interpreta e confronta i seguenti documenti. ƒp. 367 – Perché Roma capitale ƒp. 374 – «Il più grande fra i Re» Successivamente, utilizzando anche le tue conoscenze, sviluppa l’argomento proposto nella forma del saggio breve, attribuendo alla composizione un titolo appropriato. Argomento. L’importanza dei simboli nel processo di formazione dell’Italia

MAGAZINE

LA STORIA COME PASSIONE

Fenestrelle: lager dei Savoia?

L'ITALIA DIVENTA STATO NAZIONALE MENTRE NEL MONDO DECOLLA LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

Sommario Il difondersi nell’Ottocento dell’amore per la patria provocò la rivoluzionaria lotta per l’afermazione degli Stati nazionali. Non sempre però questa lotta ebbe successo come in Germania e in Italia: in particolare quest’ultima vide con progressive tappe il costituirsi di un regno che comprendeva tutta la Penisola, dalle Alpi alla Sicilia. Nel contempo un’altra rivoluzione attraversava il mondo, quella economica. Nel corso dell’Ottocento dalla prima si passò alla seconda rivoluzione industriale. Le conseguenze furono epocali: nell’arco di un secolo, non solo le abitudini di vita degli Italiani mutarono radicalmente, ma gli Italiani entrarono a far parte di una nuova comunità nazionale acquisendo una dimensione internazionale, politica ed economica, prima di allora sconosciuta.

STORIA DI COPERTINA

Fenestrelle: lager dei Savoia? Così è scoppiata la polemica su Fenestrelle

Erodoto MAGAZINE

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di Alessandro Barbero

È tutto vero: Fenestrelle era un lager dei Savoia

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di Antonio Pagano

Una bufala storica il lager piemontese di Fenestrelle

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di Angelo Martino

Gerolamo Induno, Partenza dei Mille da Quarto. Milano, Museo del Risorgimento.

Il Regno delle Due Sicilie: lo Stato più esteso e progredito d'Italia

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di Pino Aprile

Senza l'unità il Sud sarebbe ancora più arretrato di Emilio Gentile

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FOTOGRAFIA E STORIA

ECONOMIA E STORIA

Il Risorgimento nella fotografia

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L'età delle illusioni

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La breccia di Porta Pia

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Milano 1881: con l'Expo nasce l'Italia industriale

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Le fotografie di Garibaldi

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di Guido Lopez

L'album dei Mille

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ARTE E STORIA

Vittorio Emanuele II, privato e pubblico

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CINEMA E STORIA

Il Gattopardo

404 VITA QUOTIDIANA

PROTAGONISTI

Uomini celebri, celebri contraddizioni

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Bismarck, il cancelliere di ferro

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Ford, il sogno di un'automobile per tutti di Ruggiero Romano

La libertà che guida il popolo

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Il massacro di Scio

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La battaglia di Magenta

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La Comune e i suoi nemici

Il piacere di piangere

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DIRITTO E STORIA

Sulla pelle dei contadini

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di Giorgio Maggioni

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Dalla terra al cielo

di Anne Vincent-Buffault

di Alan Palmer

O libertà, o morte

Ruote in terra, ali in cielo di Richard J. Overy

Violenze sempre più clamorose

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I terroristi del Ku Klux Klan

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di André Kaspi

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CINEMA E STORIA

Amistad

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STORIA DI COPERTINA

Fenestrelle: lager dei Savoia? 388 Erodoto MAGAZINE

Fenestrelle: lager dei Savoia?

L

a polemica sull’internamento per punizione di soldati borbonici nel forte di Fenestrelle in Piemonte si è sviluppata nei media in modo violentissimo: da un lato coloro che accusano i Savoia di aver attuato una sistematica politica di sterminio nei confronti dei meridionali; dall’altro coloro che ritengono semplicemente assurda questa accusa. Si tratta di una polemica che rientra in quella più ampia riguardante la contrapposizione tra i sostenitori della tesi neoborbonica secondo cui il Meridione oggi sarebbe una ricca nazione se non fosse stato depredato dal Nord e avessero continuato a governarlo i Borboni, come già ottimamente facevano; e quella di segno opposto, spesso legati ai secessionisti della Lega Nord, che rinfacciano al Sud i tanti sperperi di denaro pubblico dall’unità d’Italia ai giorni nostri. Entrambe le tesi hanno in comune una

domanda: chi ci ha guadagnato e chi ci ha perso con l’unità d’Italia, il Nord o il Sud? Sotto il profilo storiografico si tratta di una domanda priva di senso: com’è noto non si può fare la storia con i «se». La storiografia si occupa di quello che è successo, non di quello che sarebbe potuto succedere. E poi fonda ogni affermazione su fonti certe, indicandole con puntualità e vagliandole alla luce di interpretazioni anche di segno opposto, così da consentire a chiunque di seguire il faticoso cammino che conduce alla verità storica; una verità mai urlata perché sempre illuminata dal dubbio. È chiaro in questo senso che le affermazioni secondo cui il Sud sarebbe un «paradiso terrestre» se avessero continuato a governare i Borboni o che il Nord starebbe molto meglio se non avesse la «palla al piede» delle regioni del Sud appartengono alla faziosità della lotta politica e non alla storiografia. Plastico con la ricostruzione di Fenestrelle nel 1757. Si tratta di un’opera colossale che si sviluppa sul crinale della montagna per oltre 3 km, composta da una serie ininterrotta di fortificazioni unite tra loro da bastioni, spalti e scale.

Nella Val Chisone, nei pressi di Torino e più precisamente in località Fenestrelle, sorge il forte, la più imponente fortificazione alpina d’Europa, seconda nel mondo solo alla muraglia cinese e per questo chiamata anche «la grande muraglia piemontese».

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STORIA DI COPERTINA

Così è scoppiata la polemica su Fenestrelle In questo articolo Barbero racconta come – avendo accennato in una trasmissione televisiva a una vicenda di stampo camorristico legata a soldati di origine meridionale rinchiusi per punizione nel forte di Fenestrelle – sia scoppiata la polemica su Fenestrelle. Chi aveva ragione? Non restava che «andare a vedere i documenti, vagliare le pezze d’appoggio citate nei libri e nei siti che parlano dei morti di Fenestrelle».

di Alessandro Barbero

N

ell’estate 2011 mi è successa una cosa che non avrei mai creduto potesse capitarmi nel mio mestiere di storico. In una mostra documentaria dedicata ai 150 anni dell’Unità mi ero imbattuto in un documento che nella mia ignoranza mi era parso curiosissimo: un processo celebrato nel 1862 dal Tribunale militare di Tori-

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no contro alcuni soldati, di origine meridionale, che si trovavano in punizione al forte di Fenestrelle. Lì avevano estorto il pizzo ai loro commilitoni che giocavano d’azzardo, esigendolo «per diritto di camorra». In una brevissima chiacchierata televisiva sulla storia della camorra, dopo aver accennato a Masaniello – descritto nei documenti dell’epoca in termini che fanno irresistibilmente pensare a un camorrista – avevo raccontato la vicenda dei soldati di Fenestrelle.

La trasmissione andò in onda l’11 agosto; nel giro di pochi giorni ricevetti una valanga di e-mail di protesta, o meglio di insulti: ero «l’ennesimo falso profeta della storia», un «giovane erede di Lombroso», un «professore improvvisato», «prezzolato» e al servizio dei potenti; esprimevo «volgari tesi» e «teorie razziste», avevo detto «inaccettabili bugie», facevo «propaganda» e «grossa disinformazione», non ero serio e non mi ero documentato, citavo semmai «documenti fittizi»; il mio intervento aveva provocato «disgusto» e «delusione»; probabilmente ero massone, e la trasmissione in cui avevo parlato non bisognava più guardarla, anzi bisognava restituire l’abbonamento Rai. Qualcuno mi segnalò un sito internet dove erano usciti attacchi analoghi; del resto, parecchie e-mail si limitavano a riciclare, tramite copia e incolla, dichiarazioni apparse in rete. Scoprii così che il forte di Fenestrelle – che la Provincia di Torino, con beata incoscienza, ha proclamato nel 1999 suo monumento-simbolo – è considerato da molti, nel Sud, un antesignano di Auschwitz, dove migliaia, o fors’anche decine di migliaia, di reduci meridionali dell’esercito borbonico sarebbero stati fatti morire di fame e freddo e gettati nella calce viva, all’indomani Qui e a pagina seguente la fortezza di Fenestrelle come si presenta oggi.

Fenestrelle: lager dei Savoia?

L’autore Alessandro Barbero (1959) insegna Storia medievale presso l’Università del Piemonte Orientale a Vercelli. Collabora con il supplemento culturale «Tuttolibri» del quotidiano «La Stampa» e con la rivista «Medioevo». Ha pubblicato Medioevo. Storia di voci (1999), Dizionario del Medioevo (con Chiara Frugoni, 2001), Il ducato di Savoia. Amministrazione e corte di uno Stato franco-italiano (2002), La guerra in Europa dal Rinascimento a Napoleone (2003), La cavalleria medievale (2003), Carlo Magno. Un padre dell’Europa (2004).

dell’Unità. Questa storia è riportata, con particolari spaventosi, in innumerevoli siti; esistono comitati «Pro vittime di Fenestrelle» e celebrazioni annuali in loro memoria; e al forte è esposta una lapide incredibile, in cui si afferma testualmente: «Tra il 1860 e il 1861 vennero segregati nella fortezza di Fenestrelle migliaia di soldati dell’esercito delle Due Sicilie che si erano rifiutati di rinnegare il re e l’antica patria. Pochi tornarono a casa, i più morirono di stenti. I pochi che sanno s’inchinano». Superato lo shock pensai che l’unica cosa da fare era rispondere individualmente a tutti, ma proprio a tutti, e vedere che cosa ne sarebbe venuto fuori. Molti, com’era da aspettarsi, non si sono più fatti vivi; ma qualcuno ha risposto, magari anche scusandosi per i toni iniziali, e tuttavia insistendo nella certezza che quello sterminio fosse davvero accaduto, e costituisse una macchia incancellabile

sul Risorgimento e sull’Unità d’Italia. Del resto, i corrispondenti erano convinti, e me lo dicevano in tono sincero e accorato, che il Sud fino all’Unità d’Italia fosse stato un Paese felice, molto più progredito del Nord, addirittura in pieno sviluppo industriale, e che l’unificazione – ma per loro la conquista piemontese – fosse stata una violenza senza nome, imposta dall’esterno a un Paese ignaro e ostile. È un fatto che mistificazioni di questo genere hanno presa su moltissime persone in buona fede, esasperate dalle denigrazioni sprezzanti di cui il Sud è stato oggetto; e che la leggenda di una Borbonia felix, ricca, prospera e industrializzata, messa a sacco dalla conquista piemontese, serve anche a ridare orgoglio e identità a tanta gente del Sud. Peccato che attraverso queste leggende consolatorie passi un messaggio di odio e di razzismo, come ho toccato con mano sulla mia pelle quando i messaggi che ricevevo mi davano del piemontese come se fosse un insulto. Ma quella corrispondenza prolungata mi ha anche fatto venire dei dubbi. Che il governo e l’esercito italiano, fra 1860 e 1861, avessero deliberatamente sterminato migliaia di Italiani in lager allestiti in Piemonte, nel totale silenzio dell’opinione pubblica, della stampa di opposizione e della Chiesa, mi pareva inconcepibile. Ma come facevo a esserne sicuro fino in fondo? Avevo davvero la certezza che Fenestrelle non fosse stato un campo di sterminio, e Cavour un precursore di Himmler e Pol Pot? Ero in grado di dimostrarlo, quando mi fossi trovato a discutere con quegli interlocutori in buona fede? Perché proprio con loro è indispensabile confrontarsi: con chi crede ai lager dei Savoia e allo sterminio dei soldati borbonici perché è giustamente orgoglioso d’essere del Sud, e non si è reso conto che chi gli racconta queste favole sinistre lo sta prendendo in giro. L’unica cosa era andare a vedere i documenti, vagliare le pezze d’appoggio citate nei libri e nei siti che parlano dei morti di Fenestrelle, e una volta constatato che di pezze d’appoggio non ce n’è nemmeno una, cercare di capire cosa fosse davvero accaduto ai soldati delle Due Sicilie fatti prigionieri fra la battaglia del Volturno e la resa di Messina. È nato così, grazie alla ricchissima documentazione conservata nell’Archivio di Stato di Torino e in

quello dello Stato Maggiore dell’Esercito a Roma, il libro uscito in questi giorni col titolo I prigionieri dei Savoia: che contiene più nomi e racconta più storie individuali e collettive di soldati napoletani, di quante siano mai state portate alla luce fino a ora. Come previsto, si è subito scatenata sul sito dell’editore Laterza una valanga di violentissime proteste, per lo più postate da persone che non hanno letto il libro e invitano a non comprarlo; proteste in cui, in aggiunta ai soliti insulti razzisti contro i Piemontesi, vengo graziosamente paragonato al dottor Goebbels. Però stavolta c’è anche qualcos’altro: sul sito compaiono, e sono sempre di più, interventi di persone che esprimono sgomento davanti all’intolleranza di certe reazioni, che sollecitano un confronto sui fatti, che vogliono capire. Col mestiere che faccio, dovrei aver imparato a non farmi illusioni; e invece finisco sempre per farmene. Forse, dopotutto, sta tramontando la stagione in cui in Italia si poteva impunemente stravolgere il passato, reinventarlo a proprio piacimento per seminare odio e sfasciare il Paese, senza che questo provocasse reazioni pubbliche e senza doverne pagare le conseguenze in termini di credibilità e di onore.

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STORIA DI COPERTINA

È tutto vero: Fenestrelle era un lager dei Savoia Fulvio Izzo ha irmato I lager dei Savoia in cui sostiene che tutti quei militari che non vollero inire il servizio militare obbligatorio nell’esercito sabaudo e quelli che si dichiararono apertamente fedeli al re Francesco II inirono nei forti del Nord, in particolare a Fenestrelle in Piemonte.

di Antonio Pagano Fulvio Izzo, il suo volume racconta dei campi di concentramento piemontesi in cui furono deportati i soldati napoletani nel corso e alla fine della guerra per la conquista del Regno di Napoli. Prima di inoltrarci nell’argomento, le chiedo: ma è vero che questo esercito napoletano, nel 1860, dimostrò di essere solo un esercito da parata? A dirla con il De Sivo, l’esercito napoletano aveva «soldati bravi, buoni sottuffiziali, mediocri uffiziali, mediocrissimi colonnelli e generali di nessuna bontà». Da Calatafimi a Napoli, tutta la campagna

di guerra è punteggiata da un ripetersi incessante di episodi di corruzione e tradimenti. Ormai gran parte della nobiltà e della borghesia, classi a cui apparteneva l’alta ufficialità, passa dalla parte del piú forte, avendo intuito e capito che l’impresa unitaria offriva rinnovata possibilità di lucro e di potere. L’esercito napoletano mostra il suo valore e le sue potenzialità quando finalmente si libera degli opportunisti e dei voltagabbana. Quando Francesco II lascia Napoli e si ritira a Gaeta, la «chiamata alle bandiere» per la estrema difesa del regno sulla

Fulvio Izzo (1952), vicedirettore dell’Ufficio Scolastico regionale delle Marche e storico, è autore di I lager dei Savoia (1999), I guerriglieri di Dio. Vandeani, legittimisti, briganti (2002), Maria Sofia regina dei briganti (2012).

linea del Volturno vede affluire volontariamente, nonostante le enormi difficoltà dei collegamenti, il 75% delle truppe di linea che si batteranno con grande dignità sino alla fine. Come riferisce Harold Acton, all’inizio Garibaldi, rimasto piacevolmente sorpreso avendo visto

Sopra una vista di una parte della scala interna composta da 4000 gradini. A pagina successiva diverse viste suggestive del forte.

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Fenestrelle: lager dei Savoia?

La muraglia di Fenestrelle vista da più punti di vista.

l’esercito napoletano crollare con tanta prontezza, era ottimista in merito al progetto di sconfiggere o convertire i suoi ultimi resti. L’idea che il soldato semplice potesse mantenere in sé un solido retaggio di fedeltà al Sovrano, non gli era neanche passata per la mente. A quanto pare questa fedeltà sarà più solida della prigionia. Ma procediamo per gradi. Perché questi campi di concentramento sono impiantati in Piemonte? In verità i soldati napoletani fatti prigionieri durante la Campagna del 1860-61 non potevano essere tenuti concentrati nello stesso Meridione; bisognava evitare il contatto con le popolazioni rimaste in gran parte devote ai Borbone, che già iniziavano a organizzare la guerriglia, e quindi scoraggiare l’adesione e lo spontaneo contributo alla resistenza armata. Era necessario, tra l’altro, fiaccarne poi il morale, tenendoli lontanissimi dalla propria terra, in zone fredde a cui non erano abituati e costringerli alla collaborazione. Si allestirono, così, i due campi di Fene-

strelle e San Maurizio vicino Torino; ve ne furono anche altri, ma questi due rimasero i più grossi e i più importanti. Le deportazioni cominciarono già nel dicembre del 1860: alla fine di gennaio 1861 i soldati concentrati nei campi del nord sono 24 000 e nel settembre dello stesso anno ammontano a 32 000. Finita la guerra che sorte fu riservata a questi sventurati? Cessato lo stato di belligeranza, per essi cessa lo status di prigionieri di guerra, ma inizia l’arruolamento forzato nelle fila dell’esercito piemontese. I sottufficiali e i militari di truppa si rifiutano in massa di passare nell’esercito «italiano», per cui si dà inizio a una leva forzata e a una situazione di commistione tra prigionia e leva vigilata. In sostanza nei campi rimangono tutti coloro che rifiutano l’assimilazione nei ranghi del nuovo esercito unitario e vi si aggiungono i nuovi coscritti recalcitranti e pericolosi o i renitenti arrestati. Vengono sottoposti a una sorta di «rieducazione» e tenuti senz’armi in «rigida di-

sciplina, finché si correggano e diventino idonei al servizio». I campi sono sorvegliati da diversi battaglioni di bersaglieri, squadroni di cavalleria e batterie di cannoni. Da quanto scrive, le condizioni di questi campi non erano delle migliori… Sì. Non solo le condizioni, ma anche il trattamento furono dei più duri. I disagi, gli stenti e i patimenti sono descritti nelle fonti dell’epoca, fedelmente riportate nel volume. Durante il viaggio per il Nord sono percossi, derubati, maltrattati, lasciati al ludibrio degli esagitati; una volta giunti nei campi sono volutamente tenuti laceri, affamati e vengono ricattati e costretti a condizioni di vita da veri e propri schiavi. Lo scopo era quello di fiaccare la loro resistenza. Ma quasi tutti preferiranno languire in questo stato, rifiutando qualsiasi collaborazione, anzi daranno vita a ribellioni e ammutinamenti. Quelli che riescono a fuggire vanno a ingrossare i ranghi del «Brigantaggio».

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STORIA DI COPERTINA

A proposito di fonti dell’epoca, può illustrarci le basi su cui ha condotto la sua ricerca? Tutto il lavoro è rigorosamente fondato su documenti di archivio; qualsiasi riferimento, anche il più insignificante, ha il suo riscontro documentale. Le ricerche le ho effettuate presso l’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, l’Archivio Centrale dello Stato, altri Archivi Provinciali dello Stato e sui giornali dell’epoca. In merito va detto però che, nel caso di specie, la memoria è quasi del tutto cancellata. Non parliamo poi della cultura ufficiale. Ma questa è la solita storia…

per gli Stati di Antico regime. Sono rimasti in piedi solo alcuni stereotipi quali l’inettitudine e l’incapacità delle dinastie, l’ignoranza e la superstizione del popolo, sono state fatte alcune ricostruzioni caricaturali e poi il tutto è stato consegnato all’unidimensionalità storiografica e ne sono scaturiti alcuni luoghi comuni duri a morire, anzi divenuti verità assolute senza più necessità di dimostrazione. Come esempio sottomano, pensi al coro per la «repubblica partenopea» del 1799. Questa è la vulgata della cultura ufficiale. Vi sono, è vero, studi scientificamente seri, ma per lo più hanno una diffusione solo a livello specialistico.

Che intende dire? Nei confronti della storia del Sud (dei Borbone, del Brigantaggio politico antipiemontese, delle deportazioni e di tutto ciò che, tout court, possiamo chiamare antirisorgimento) emerge un quadro di forzature e omissioni che è caratteristico delle tecniche e dei sistemi del «pensiero unico». Chi non si colloca nel campo di legittimazione del sistema liberal-borghese viene semplicemente escluso attraverso il silenzio e la cancellazione anche dagli archivi.

La sua è, quindi, un’opera di revisione storica? Si sente, lei, di far parte della schiera dei cosiddetti storici revisionisti? Guardi, lo storico non ha bisogno di aggettivazioni; compito essenziale di chi si interessa di storia è quello di scoprire e capire come realmente andarono le cose, analizzando i documenti, i fatti e le interrelazioni. Lo storico è tale se rispetta il principio della valutabilità nel momento in cui va a raccogliere i dati, a compiere ricognizioni sui documenti. A dirla con Nolte, compito dello storico è quello di opporsi alla tendenza emotiva a solidificare le differenze, a dissolvere i contesti e a escludere l’altra parte da ogni considerazione: per rendere un buon servizio alla scienza

Si verifica una specie di disparità della memoria storica? È proprio così. È quello che è avvenuto

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Erodoto MAGAZINE

storica, bisogna essere sempre pronti a rivedere se stessi. E ciò, soprattutto per questo periodo storico è stato fatto raramente. Solo storicizzando e tematizzando i problemi è possibile affrontare gli accadimenti con serenità, al di là delle ossessioni oleografiche e delle preoccupazioni pedagogico-popolari. Tutto ciò non significa non schierarsi: significa che l’onestà e la serietà intellettuale impongono che ogni valutazione sia preceduta da una analisi meditata e documentata, allo storico autentico si chiedono la valutabilità e la serietà della ricerca; che poi i suoi giudizi e le sue valutazioni possano avere una ricaduta «politica», è cosa assolutamente possibile e normale. Dopo questa digressione ritorniamo ai soldati napoletani; come si spiega questo testardo attaccamento alla causa dei Borbone che poi si ritrova anche nella popolazione civile? Scriveva Saverio Nitti che le masse napoletane delle Due Sicilie, da Ferdinando IV in poi, tutte le volte che hanno dovuto scegliere tra la monarchia napoletana e la straniera, tra il Re e i liberali, sono state sempre per il Re: nel 1799, nel 1820, nel 1848 e nel 1860. Ciò trova la sua spiegazione in due ordini di fattori ben precisi e Una ricostruzione storica che ha luogo a Fenestrelle. Nella pagina successiva, il forte.

Fenestrelle: lager dei Savoia?

correlati tra di loro: da una parte una forte emozione di fondo molto più importante dei calcoli, e, dall’altra, il preciso sentore – sintomaticamente avvertito dai ceti popolari – che ogni volta si stava profilando un grande imbroglio e che tutto ciò portava alla perdita dell’indipendenza. Il diario di un soldato calabrese, da me ritrovato e pubblicato in appendice, nella sua semplicità è estremamente rappresentativo di questi sentimenti. Nel 1860 l’inganno garibaldino si consuma nello spazio di pochi giorni: le promesse equivoche, i decreti demagogici, la maschera populista e rivoluzionaria cadono immediatamente, rivelando il vero volto della rivoluzione unitaria e assai presto si chiariscono i termini della faccenda: «Garibaldi rappresentava» – come dice Denis Mack Smith – «il più religioso sostegno della proprietà». Il suo studio è andato oltre i primi anni dell’unità e ha indagato anche sul sistema carcerario del nuovo Stato. Che cosa ha scoperto? Il sistema concentrazionario del governo italiano va al di là dei momenti di eccezione e della guerra civile. La pianificazione dell’arbitrio e della violenza da parte della rivoluzione borghese si protrae nei decenni successivi e dà vita a un clima di repressione e a un universo concentrazionario così disumano da far impallidire quell’apparato borbonico che tanto scandalizzò lord Gladstone. Basti pensare che fino all’inizio del nuovo secolo saranno proclamati dieci stato d’assedio. Le condizioni delle carceri nella nuova Italia sono disperate: mancano le cose più elementari per la sopravvivenza. Nel 1864 il deputato Macchi così riferisce alla Camera: «Lo stato delle prigioni è tale che veramente fa raccapriccio». Nel 1868 il «Times» definirà l’apparato carcerario italiano «turpe, immondo, feroce, barbaro e infame». Nel libro sono riportate le descrizioni di alcune torture che giornalmente venivano inferte ai reclusi. E nel frattempo che fine hanno fatto i soldati e i civili ancora refrattari al nuovo regime? Verso la fine degli anni Sessanta le sac-

che politiche di resistenza danno ancora preoccupazione al governo unitario tanto che il presidente del consiglio, on. Menabrea, nel 1868 prende contatti col Governo argentino per istituire in Patagonia una colonia penale al fine di deportarvi gli ufficiali, i soldati borbonici e i civili ancora prigionieri. In proposito ho ritrovato alcune corrispondenze diplomatiche. Per fortuna non se ne farà niente, grazie al rifiuto argentino, ma col passare del tempo le tecniche per soffocare il dissenso si affinano e la soluzione finale, più pulita, è quella di costringere le genti del Sud all’emigrazione. Le popolazioni meridionali sconfitte e colonizzate non avevano che tre vie d’uscita: rassegnarsi alla miseria, continuare nella ribellione o lasciare la propria terra: la prima ipotesi non era possibile, la ribellione era stata stroncata, altro non rimaneva che battere la via dell’oceano. Così la questione meridionale fa il suo ingresso ufficiale nella storia della nazione. Il lungo viaggio nell’universo concentrazionario piemontese (come lo definisce lei) è ormai concluso, resta però ancora un interrogativo generale di fondo: come è possibile che nel giro

di solo cinque mesi, il sistema borbonico crolli verticalmente e si dissolva del tutto? Alla domanda non può rispondersi con solo qualche battuta, il problema è complesso. Limitandoci a poche parole: innanzitutto non va dimenticato che tutta la storia del XVIII e XIX secolo è in effetti la storia di una lotta tra gli assedianti, che sapevano bene quel che facevano, e gli assediati, che non si rendevano conto di quanto accadeva. Ci furono problemi di tradimenti, di impreparazione, insomma contingenti (e continueranno gli storici a dibatterne), ma la chiave di lettura è tutta, metapoliticamente, da rinvenirsi nella irruzione violenta della modernità – intesa come categoria antropologica del pensare – incarnata nell’ideologia borghese, illuminista e razionalista, che «rompe il tempo» ed entra in contrapposizione frontale con i valori della Tradizione. L’assoluta incompatibilità tra questi due princìpi era giunta a scadenza storica. La partita sembrò allora essere risolta, ma oggi, alle soglie del terzo millennio, riaffiora da parte della modernità una incapacità di tenuta che le fa perdere molto della sua spavalda sicurezza.

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STORIA DI COPERTINA

Una bufala storica il lager piemontese di Fenestrelle In questa recensione del libro I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle, Angelo Martino sintetizza le ragioni che hanno portato Alessandro Barbero a concludere che la tesi dei lager dei Savoia sia in realtà una clamorosa bufala.

di Angelo Martino

U

na delle più clamorose falsità che giornalisti cosiddetti revisionisti e qualche storico non attento alla ricerca storica rigorosa e documentata hanno propagandato con durezza di linguaggio è stata quella di un presunto campo di concentramento o lager, come si scrive e si dice, a Fenestrelle in Piemonte. In rete tale gigantesco falso storico è commentato con una durezza di linguaggio che Alessandro Barbero, nella premessa al suo testo I prigionieri dei Savoia, definisce «ignobile». Con una ricerca storica accurata Alessandro Barbero, in un volume dal titolo completo I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle, edito da Laterza, di 316 pagine di documentazione rigorosa, di ricerca di archivi, con ben 42 pagine di note, ha dimostrato che è tutto falso. Come scrive Alessandro Barbero, fra il 9 e il 10 di novembre del 1861 giunse a Fenestrelle una colonna di prigionieri borbonici catturati a Capua il 2 di novembre, in totale si trattava di 1186, ben lontani quindi dai 40 000 favoleggiati da tanti falsari storici. Barbero sostiene che la maggior parte di questi prigionieri ha soggiornato a Fenestrelle per non più di tre settimane, dato che vi era una circolare ministeriale del 20 novembre 1861 la quale non prevedeva affatto che i prigionieri borbonici

Una mostra nel forte di Fenestrelle.

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fossero inviati ai depositi e ai reggimenti dell’esercito italiano per esservi arruolati. Infatti già il 28 di novembre 1861 partirono, dotati di viveri per il viaggio, i primi contingenti di prigionieri borbonici, e il

primo di dicembre il contingente di prigionieri si era ridotto a 70 uomini, tutti ospedalizzati e per tanto al momento inabili a partire. Lo storico smentisce altresì le dicerie sulle

Fenestrelle: lager dei Savoia? condizioni della prigionia e quanto dello sterminio si è detto e scritto, dimostrando come i soldati giunti a Fenestrelle, effettivamente stremati dal viaggio, furono regolarmente curati e ospedalizzati, non solo a Fenestrelle, ma anche in altri ospedali per essere meglio curati come a Pinerolo, centro specializzato nelle malattie veneree . L’autore visiona i registri militari che annotano i movimenti di ogni singolo soldato; pertanto è possibile stabilire quanti furono gli ospedalizzati, che raggiungessero il picco massimo di 143 il 17 di novembre, al fine di smentire le false affermazioni che non fossero curati, che fossero tenuti in condizioni brutali, quali quelle dei lager nazisti. Affermazioni assurde e ripetute a iosa in posti pubblici, come è assurda la diceria secondo cui l’aspettativa di vita media a Fenestrelle non superava i tre mesi, dato che la prigionia non superava le tre settimane. Infine, per dimostrare l’infondatezza e un’inaccettabile macchinazione che in questi anni è stata creata ad arte per inventare il caso, Barbero menziona un sito internet con tanto di fotografia in bianco

e nero di presunti prigionieri borbonici, che Barbero smaschera in un lavoro di analisi storica seria e dimostra che l’immagine ritrae in realtà un gruppo di deportati in un campo nazista. Alessandro Barbero, con documentazione più che rigorosa, sostiene che siano stati solo 5 (CINQUE) i deceduti a Fenestrelle regolarmente annotati sui registri parrocchiali della chiesa di Fenestrelle. Questo dà l’idea di quanto sia colossale la montatura storica: 5 morti diventano migliaia e migliaia, quasi 1200 prigionieri diventano decine di migliaia di segregati, tre settimane di prigionia divengono anni e anni con prospettive di vita non superiore ai tre mesi. A parte il fatto che di tutto ciò non esiste alcuna prova, l’idea che si volesse sterminare i soldati borbonici è assolutamente infondata, perché i Savoia e tutti i vari governanti risorgimentali avevano ben altre intenzioni. Essi volevano arruolarli quanto prima e pensavano di inquadrarli rapidamente nelle fila del neocostituito esercito italiano, perché la guerra con l’Austria sarebbe presto ripresa e avevano bisogno di uomini.

In effetti si illudevano di poter arruolare almeno 50 000 ex soldati borbonici, convinti che, liberati dalla schiavitù dei Borbone, essi avrebbero aderito alla causa nazionale. La stragrande maggioranza degli ex soldati borbonici venne in seguito arruolata nell’esercito italiano, non con l’entusiasmo che ci si attendeva, ma di sicuro senza il minimo spargimento di sangue, e al massimo vi furono casi di diserzione o di tentata diserzione nonché casi di insubordinazione puniti dai tribunali militari. Anche questi soldati furono inviati a Fenestrelle negli anni successivi, perché Fenestrelle era un luogo di punizione, come più tardi lo sarebbe stata Bolzano e poi la Sardegna e vi venivano mandati tutti i soldati problematici, compresi quelli sorpresi a commettere reati comuni e reati di camorra. Tornando alla questione dei morti lo storico Barbero esplicita che non avrebbe una rilevanza storiografica se non vi fosse in atto uno «sbalorditivo sfruttamento mediatico in rete». A p. 263 Alessandro Barbero scrive che, oltre ai cinque prigionieri di guerra Francesco Conte, Leonardo Valente, Salvatore Palatucci, Francesco Lucchese e Lorenzo Genovese, morti fra il novembre 1860 e il gennaio 1861, successivamente si possono annoverare altri dodici deceduti di cui due relativamente al 1861 e dieci nel 1862. Tali morti, a eccezione di Domenico Carafa di cui non è chiara la fonte, sono chiaramente annotati con la qualifica di «soldati corpo Cacciatori Franchi». Nel capitolo IX dal titolo esemplare Miseria della storiografia, Alessandro Barbero confuta con puntualità e rigorosa precisione storico-scientifica le affermazioni di tutti coloro che hanno diffuso tale bufala storica del lager di Fenestrelle, di un falso genocidio, a partire da un articolo di Francesco Maurizio Di Giovine sulla rivista filoborbonica «L’Alfiere» a Fulvio Izzo, Roberto Martucci, Gigi Di Fiore, Lorenzo Del Boca fino a Pino Aprile . A proposito di quest’ultimo, Alessandro Barbero scrive testualmente che tutte le «mistificazioni e menzogne negli anni riaffiorano tutte insieme in un libro (Terroni) che in futuro verrà letto con incredulità e sgomento come testimonianza dei livelli di frattura interna, di odio reciproco e di spudorata reinvenzione del passato».

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STORIA DI COPERTINA

Il Regno delle Due Sicilie: lo Stato più esteso e progredito d’Italia In questo brano il giornalista Pino Aprile esalta la situazione del Regno delle Due Sicilie al momento dell’unità d’Italia. di Pino Aprile

D

ovremmo tentare di vederci meridionali, nel 1860: viviamo in un Paese (e mo’ lo sappiamo) che non è inferiore agli altri, in molte cose primeggia, in altre no; la capitale, Napoli, è la terza città d’Europa e la prima d’Italia per magnificenza, modernità, popolazione, cultura (nonostante abbia più analfabeti che nel resto della penisola, «ma questo non costituisce un freno allo sviluppo, se non a tempi molto lunghi, forse» dice Malanima). Ha la miseria della plebe dei bassi; ma le due capitali davanti alla nostra sono la Parigi de I miserabili e la Londra che luccica sui ghetti di David Copperfield e Oliver Twist. «Non ho veduto a Napoli più miseria che a Londra, Parigi o New York» annoterà la scrittrice Fredrika Bremer, convinta di trovarvi «spaventevoli condizioni». Ed Herman Melville, l’autore di Moby Dick, dirà che quasi non riesce «a distinguerla da Broadway». Il corpo del paese ha la parte migliore della testa nel futuro (dalla tecnologia alle scienze sociali-economiche è sicuramente più avanti del resto di Italia, più allineata all’Europa; Napoli e Parigi sono le città più colte del continente; ma allora e anche dopo, «più raffinata e robusta era la cultura espressa dalla società meridionale, meno le riusciva di essere efficacemente rappresentativa» dice Francesco Barbagallo, in La modernità squilibrata del Mezzogiorno d’Italia); la parte più pigra della testa del Paese, nobiltà retriva e borghesia della rendita, si adegua opportunista al presente e al potente; il resto del corpo,

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pura forza da lavoro, specie nelle regioni dell’interno (ché la costa scambia beni e idee col mondo), giace spesso nel passato, o in un non-tempo sospeso. Altrove, in Italia, hai forse meno eccellenze, ma il corpo sembra, e magari è, più omogeneo. «Napoli non avea men soldati che Francia, men vascelli che Londra, men libertà che America, men arti belle forse che Roma, men verniciamenti che Parigi; ma queste cose sole non danno felicità. Eppure di tutte queste cose avea tal somma, che relativa al territorio e alle sue condizioni, non era seconda a nessuno. Nella somma delle cose il reame era il meglio felice del mondo; e quanti vi arrivavano stranieri si arricchivano, e i più vi restavano. La popolazione in quarant’anni crebbe d’un quarto» scrisse uno dei delusi dall’unità, il citatissimo Giacinto de’ Sivo1. Siamo uno degli Stati più antichi d’Europa, il più esteso ed economicamente progredito d’Italia (lo dimostreranno economisti della statura di Salvemini ma, nel frattempo, ci avranno già ridotto in miseria e l’affermazione suonerà provocatoria). «Da quasi tredici secoli i meridionali sono uniti, essi sono pacifici come i popoli veramente civili, il loro sistema economico mira più al benessere sociale che al profitto di pochi, l’amministrazione pubblica è oculata e ponderata, la pratica religiosa colora i loro

1 Giacinto de’ Sivo (1814-1867) era un funzionario dell’amministrazione del Regno delle Due Sicilie, anche storico e scrittore. Contrario all’unità della Penisola, rimase sempre fedele ai Borboni e fu più volte incarcerato per le sue idee politiche e poi esiliato.

L’autore Pino Aprile (1950), giornalista televisivo e direttore di periodici, si è occupato dei problemi del Meridione; è autore di testi come Mai più terroni. La fine della questione meridionale (2012), Terroni. Tutto quello che è stato fatto perché gli Italiani del Sud diventassero Meridionali (2013), Carnefici (2016).

caratteri» riassume Vincenzo Gulì2 (Il saccheggio del Sud). […] Nell’industria siamo avanti e in molti campi, all’avanguardia [...]; l’attenzione del re al benessere del popolo si manifesta in molti modi: nel contrasto al potere della nobiltà sulla plebe, nella fornitura di servizi essenziali (varie forme di assistenza ai più derelitti, la prima campagna italiana di profilassi antitubercolare, la prima assegnazione di case popolari; provvidenze e agevolazioni per i contadini; sino alle pensioni per «i letterati poveri» e quasi sempre repubblicani). […] I prodotti pregiati dell’agricoltura meridionale, per dire, sono troppo cari per il resto d’Italia. Solo l’11,8 per cento delle esportazioni e l’8,5 per cento delle importazioni delle Due Sicilie è con gli altri Stati preunitari, perché «l’economia meridionale apparteneva al circuito commerciale che la ricollegava saldamente ai Paesi del Nord e del Centro Europa» (Banti, La nazione del Risorgimento). Però, di nuovo, fidiamoci più delle gambe che dei pur rispettabili professori: dal Sud non emigra nessuno 2 Vincenzo Gulì è attualmente vicepresidente del movimento neoborbonico.

Fenestrelle: lager dei Savoia? (poche migliaia di persone), negli anni precedenti l’invasione, mentre vanno via a milioni dalle altre regioni d’Italia, sia da quella alpina, dal Nord-ovest al Nord-est, sia da quella padana (dove, per la sottoalimentazione, si soffre di cretinismo e pellagra), e pure da larghe zone del Centro. Soltanto dopo l’occupazione, il saccheggio e l’inutile resistenza armata, i meridionali cominceranno a emigrare, a milioni. Ma questo lo scopriremo dopo. Oggi è il 1860, le tasse sono ancora poche, basse, di facile riscossione e i Borbone non le hanno mai aumentate, in centoventisei anni di regno. Ma soprattutto, vengono spese bene: si continua a citare, ad esempio di rigore e onestà, il nostro ex ministro delle Finanze, per quasi quarant’anni, il nobile toscano Bernardo Tanucci. L’economia politica, quale disciplina universitaria, è stata inventata qui; e qui ne è sorta la prima cattedra al mondo. Sulle infrastrutture, specie strade, ci sono ritardi seri (anche se abbiamo avuto fra i tanti primati, la prima ferrovia d’Italia, il primo telegrafo elettrico, i primi ponti sospesi in ferro, l’illuminazione cittadina a gas) perché si è preferito puntare sui collegamenti marittimi; infatti nostre sono la seconda flotta mercantile e la terza flotta militare in Europa. […] Fra le strade e le rotte, i Borboni, dovendo spendere, scelsero le seconde. L’Italia unita decise diversamente (nel senso che il Sud perdette le rotte e non ebbe le strade se non «dopo» e «meno») Oggi l’Europa unita riscopre le «autostrade del mare», meno costose, meno lente, meno inquinanti. P. Aprile, Terroni, Piemme

Lo stemma del Regno delle Due Sicilie.

Senza l’unità il Sud sarebbe ancora più arretrato Il dilagare della nostalgia per il Regno delle Due Sicilie viene ritenuto frutto di un’analisi supericiale e volutamente incompleta dallo storico Emilio Gentile.

di Emilio Gentile

E

siste una sterminata letteratura, da Pasquale Villari a Francesco Saverio Nitti, sulle condizioni terribili in cui versava dopo l’unità la popolazione meridionale, anche in conseguenza della politica condotta dallo Stato unitario: tutte argomentazioni incontestabili. Dalle loro opere i neoborbonici estrapolano citazioni e dati funzionali alle loro tesi, ma omettono di aggiungere che nessuno dei meridionalisti citati, e meno di tutti Giustino Fortunato, aveva nostalgia dell’Italia preunitaria, voleva la restaurazione del Regno borbonico e auspicava per questo il disfacimento dello Stato nazionale. Senza l’unità, ripeteva don Giustino, la società meridionale sarebbe stata ancora più gravemente arretrata. Senza l’unificazione, era la salda convinzione di Fortunato e Nitti, l’Italia non avrebbe mai potuto compiere il salto da Paese tra i più arretrati nel Mediterraneo a moderno Stato europeo. Un’esperienza unica, che non trova riscontri in tutto il bacino del Mediterraneo. Senza l’unificazione, ripeteva don Giustino, l’Italia avrebbe potuto avere un destino balcanico, invece di affrontare come affrontò dal Risorgimento in poi un difficilissimo processo di unificazione […]. Sarebbe facile, affermava Salvemini, rimproverare agli uomini che governarono l’Italia dopo l’unificazione «ogni sorta di errori e di misfatti [...]. Non tutti i problemi che il Paese doveva fronteggiare furono risolti, e non sempre le soluzioni adottate furono le migliori e i

metodi impiegati i più efficienti […]. Ma se si accetta il metodo dello storico, che è quello di confrontare il punto di partenza, che per l’Italia è il 1871, col punto di arrivo, che è la prima guerra mondiale, e la povertà italiana di risorse con la ricchezza delle altre nazioni, non si può non concludere che nessun Paese europeo in tanto breve tempo aveva percorso così lungo cammino». Se si nega tutto questo, allora bisogna avere l’onestà intellettuale di riconoscere che si sarebbe preferito vivere in un’Italia assoggettata a una molteplicità di Stati, nessuno dei quali poneva la libertà, l’eguaglianza e la dignità dell’individuo come meta della propria esistenza, volendo governare non su cittadini con eguali diritti ed eguali doveri, ma dominare sui sudditi di un potere dispotico e arbitrario. E. Gentile, Italiani senza padri. Intervista sul Risorgimento,a cura di Simonetta Fiori, Laterza

L’autore Emilio Gentile (1946), docente di Storia contemporanea presso l’Università La Sapienza di Roma. Allievo di Renzo De Felice, è considerato fra i massimi esperti del fascismo, in particolare degli aspetti ideologici e propagandistici. Fra gli scritti Storia del Partito fascista. 1919-1922: Movimento e milizia (1989), Le religioni della politica. Fra democrazie e totalitarismi (2001), E fu subito regime. Il fascismo e la marcia su Roma (2012).

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FOTOGRAFIA E STORIA Le vicende che portarono all’unità d’Italia videro la contemporanea nascita e difusione di una nuova forma di documento: la fotograia, il mezzo ideale per documentare gli avvenimenti di cronaca. La «rivoluzione fotograica» accompagnò così la «rivoluzione risorgimentale».

Il Risorgimento nella fotografia

Una fotografia di Giuseppe Garibaldi nel 1861.

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Il Risorgimento nella fotografia

La breccia di Porta Pia

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Il falso: un gruppo di bersaglieri che, sopra un terrapieno, spara in direzione di Porta Pia tentando di entrarvi. [2] La verità: la breccia a poca distanza dalla porta. [1] e [3]

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FOTOGRAFIA E STORIA

Le fotografie di Garibaldi Garibaldi eroico: la spada, uno sguardo quasi di sfida. [1] Garibaldi classico: con indosso un poncho sudamericano e un bastone fra le mani. [2] La mano di Garibaldi: la frase che accompagna l’immagine è «Possa la mano mia che avete impronta servire la causa dell’Italia e dell’Umanità». [3] Garibaldi a cavallo: l’eroe si volta verso l’osservatore come a coinvolgerlo nella scena. [4] Garibaldi ferito: il sosia di Garibaldi, oltre alla camicia rossa, mette in mostra le medaglie, per maggiore effetto di verosimiglianza, ma in realtà fra queste c’è anche quella concessa ai reduci della spedizione dei Mille, che Garibaldi non ha mai indossato. [5] Lo stivale di Garibaldi: col foro del proiettile ben visibile; la didascalia precisa che è quello vero, raccolto sul campo di battaglia da un garibaldino. [6]

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Il Risorgimento nella fotografia

L'album dei Mille I Mille sono qui persone ben individuate, ognuno con la propria personalità, per quanto uniti dalla comune partecipazione alla grande impresa. Tra gli altri (al centro) Francesco Crispi e la moglie, Rosalia Montmasson, unica donna fra i Mille.

Vittorio Emanuele II, privato e pubblico Il re colto in privato, alla pari dei suoi compagni di caccia. [1]

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Il re in alta uniforme. [2]

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CINEMA E STORIA Regia: Luchino Visconti Interpreti: Burt Lancaster: don Fabrizio, principe di Salina Alain Delon: Tancredi, nipote del principe Claudia Cardinale: Angelica Sedara Rina Morelli: Maria Stella, moglie del principe Paolo Stoppa: don Calogero Sedara Romolo Valli: Padre Pirrone Paese: Francia/Italia Anno: 1963

Il Gattopardo

I

l principe Fabrizio di Salina, un aristocratico siciliano, vede turbata la sua tranquilla vita dalla notizia dello sbarco di Garibaldi in Sicilia. Il nipote del principe, Tancredi Falconeri, comunica la sua intenzione di unirsi all’esercito garibaldino: così potrà evitare una rivoluzione repubblicana. Durante gli scontri a Palermo, Tancredi viene ferito e ottiene i gradi di capitano. Nonostante i tumulti, e grazie alle sue conoscenze, il principe raggiunge Donnafugata, dove con la famiglia trascorre le vacanze. Ad attenderlo c’è don Calogero Sedara, il sindaco, poco raffinato ma facoltoso, che guida le operazioni di annessione della Sicilia al Regno di Sardegna. La bellezza della figlia del sindaco, Angelica, colpisce il giovane Tancredi. Il principe appoggia l’unione tra i due, sa che il denaro della ragazza potrà favorire la carriera del nipote, che presto abbandona le fila dei

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garibaldini e si arruola nell’esercito regio, da dove potrà avviare una carriera politica brillante. Il principe e Tancredi partecipano infine al gran ballo in cui sono riuniti sia la vecchia nobiltà siciliana sia i rappresentanti del nuovo corso politico, tra cui il colonnello Pallavicini, che racconta dell’incontro con Garibaldi ferito sull’Aspromonte. Tutti si divertono, solo il principe sembra essere malinconico, presagendo l’imminente fine per sé e per il mondo che rappresenta.

Da Tomasi di Lampedusa a Gramsci Il film riprende piuttosto fedelmente il romanzo Il Gattopardo (1958) di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1896-1957), sottolineandone i passaggi più significativi, ma allontanandosi talvolta dal testo originale per dare una lettura del Risorgimento più politica, riassunta nel-

la definizione gramsciana di «rivoluzione mancata» riferita a quel periodo storico. Il regista Luchino Visconti fu, del resto, a partire dagli anni Quaranta del XX secolo fino alla morte avvenuta nel 1976, un intellettuale vicino al Partito Comunista, nonostante il rapporto travagliato che ebbe con la dirigenza di quel partito.

Il vecchio mondo e l’arrivo dei «Piemontesi» Come nel romanzo, la vicenda dei Salina ha come scenario l’impresa dei Mille, dalla quale scaturirono i cambiamenti politici e sociali che portarono alla decadenza di molte famiglie aristocratiche, di cui il principe Fabrizio è un tipico rappresentante. All’inizio del film la preghiera del principe e della sua famiglia è interrotta dalle grida concitate della servitù che ha rinvenuto il corpo di un soldato nel giardino. Il maggiordomo consegna una

Il Gattopardo

LA BATTAGLIA DI PALERMO missiva che parla di «terribili notizie» relative allo sbarco dei «Piemontesi», e suggerisce un possibile riparo sulle navi inglesi ancorate nel porto. Il giornale filoborbonico letto dal principe descrive l’arrivo di Garibaldi a Marsala come «un atto di pirateria» compiuto da una «banda armata di circa 800 uomini», mentre i garibaldini sono spregiativamente definiti «briganti» che non hanno saputo affrontare le truppe borboniche; si precisa che la marcia dei Mille procede verso Castelvetrano, accompagnata ovunque da «rapine e devastazioni».

Nel segno della continuità Quando fa la sua apparizione il personaggio di Tancredi Falconeri, il nipote prediletto del principe, sappiamo che è in atto una ribellione contro «Franceschiello», come veniva chiamato il re Francesco II di Borbone. Il giovane propone un diverso punto

Per dare maggiore realismo ai combattimenti per le vie, sulle barricate, davanti a portoni e chiese, il regista Visconti cercò di effettuare le riprese nei luoghi in cui si svolsero effettivamente gli eventi. Con l’aiuto degli scenografi, Visconti trasformò questi luoghi per renderli più credibili dal punto di vista storico, ispirandosi anche alle fotografie dell’epoca. In particolare, la collezione del fotografo Eugenio Sevaistre costituì un’utile fonte iconografica per appurare come e dove soldati e cittadini si disposero per le strade, durante gli scontri. Un’altra fonte importante fu il quadro di Giovanni Fattori, Garibaldi a Palermo (1860 ca.), opera che il pittore toscano dedicò agli scontri palermitani.

di vista, annunciando allo zio di volersi unire ai ribelli che sostengono Garibaldi sulle vicine montagne. Tancredi dimostra di essere un opportunista ma anche di

avere una visione più lucida sui cambiamenti in atto. Rimpiange i tempi del re Ferdinando II, teme l’avvento della «repubblica di don Peppino Mazzini», ma

I DUE RE Durante il loro primo incontro, il principe di Salina e il nipote Tancredi parlano del sovrano borbonico chiamato con l’appellativo di «Franceschiello» !. Com’è noto si tratta di Francesco II (1836-1894), succeduto al padre Ferdinando II il 22 maggio 1859, e rimasto sul trono fino al febbraio 1861. Francesco di Borbone, ultimo re del Regno delle Due Sicilie, era molto riservato, assai incerto nelle scelte politiche. Il soprannome di Franceschiello gli venne dato in senso dispregiativo per la debolezza mostrata durante l’impresa dei Mille, confermata nel film dalle parole dello stesso Tancredi. Non ebbe infatti un atteggiamento fermo e deciso: in un primo tempo cercò un accordo con il Piemonte – non dimentichiamo che era un parente stretto dei Savoia: sua madre era Maria Cristina di Savoia, ovvero la figlia di Vittorio Emanuele I –; poi concesse una Costituzione, il 23 giugno del 1860. Perse comunque il regno, si rifugiò a Gaeta dove cercò di opporre una certa resistenza all’ondata garibaldina, poi a Roma dal papa, ma ben presto scelse la via dell’esilio fuori dai confini italiani. A lui, anche nel dialogo tra Tancredi e lo zio, si oppone un altro re, ovvero Vittorio Emanuele II @, re di Sardegna dopo che il padre Carlo Alberto ebbe abdicato nel 1849, ma soprattutto primo re d’Italia dal 17 marzo 1861. Vittorio Emanuele fu definito il «re galantuomo», per la sua apertura verso le riforme e in particolare per aver mantenuto lo Statuto Albertino una volta giunto al potere. Il principe di Salina tuttavia non crede nel cambiamento che gli prospetta Tancredi. Per lui il «re galantuomo» non sarà meglio di Franceschiello: «Dialetto torinese invece che napoletano, tutto qui».

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CINEMA E STORIA

pronuncia una frase emblematica, che in seguito lo zio farà propria: «Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi».

Il tramonto del sogno garibaldino Allontanandosi dal romanzo, il film mostra i combattimenti tra garibaldini e forze borboniche a Palermo. Vi sono poi altri riferimenti alla conquista militare della Sicilia. Per esempio, Tancredi giunge con un generale in camicia rossa a Palazzo Salina per mostrargli gli affreschi sui soffitti, sottolineando così la subalternità culturale del soldato rispetto all’aristocrazia isolana. Più avanti Tancredi indossa la divisa dell’esercito regio, rinnega il suo passato di ribelle, disprezza i garibaldini accusandoli di essere dei selvaggi capaci solo di sparare. La parabola garibaldina si conclude definitivamente nella sequenza finale del ballo, quando arriva Pallavicini, il colonnello dell’esercito regio che fermò Garibaldi sull’Aspromonte per evitare che i Mille compromettessero l’alleanza con la Francia. Il militare, ospite illustre, ha un atteggiamento esuberante e tronfio; gli altri invitati pendono dalle sue labbra quando racconta del suo incontro con Garibaldi, citando «il famoso inginocchiamento» accanto all’eroe sconfitto, suscitando la reazione infastidita del principe.

La sequenza: l'annessione al Regno di Sardegna Il 21 ottobre 1860, mentre il principe di Salina è in villeggiatura a Donnafugata con la sua famiglia, si svolge il plebiscito che sancirà l’annessione della Sicilia al Regno di Sardegna. La Sicilia possedeva in quel periodo 2 232 000 abitanti, mentre il corpo elettorale, a causa del sistema censitario, si fermava a 575 000. Dei 432 720 che si recarono alle urne, soltanto alcune centinaia votarono contro l’annessione. Nella sola città di Palermo, su 36 000 voti, i contrari all’annessione risultarono 20. Vi furono senza dubbio gravissime irregolarità e manipolazioni del consenso, ciò non toglie che la ventata di nuovo avesse già conquistato la società siciliana. Il consenso entusiastico che i Siciliani tributarono ai conquistatori dell’isola fu però di breve durata, come gli eventi successivi dimostrarono.

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Ritorno all’ordine Con la fine del sogno garibaldino la società ritorna al vecchio ordine. Al suono delle fucilate che si sentono nella notte, don Calogero Sedara dice a Tancredi che gli siede accanto: «Ora possiamo stare tranquilli». Lo stesso principe, in un dialogo con padre Pirrone, il confessore gesuita, diceva di aver fatto importanti «scoperte politiche» sul fatto che nonostante l’arrivo di Garibaldi e dei suoi uomini, in realtà non sta succedendo niente, soltanto «un’inavvertibile sostituzione di ceti». Le considerazioni finali del principe e di don Calogero confermano la lettura pessimistica del Risorgimento già presente nel romanzo, ancora una volta nell’ottica di un grande cambiamento mancato o tradito.

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! Un gruppo di uomini canta una canzone del Nord, La bella Gigogin. Sui muri delle case si leggono dei cartelli che inneggiano al plebiscito.

Il Gattopardo @ Sostenitori dell’annessione percorrono le strade del paese sventolando il tricolore, salutati dai concittadini.

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# Anche il principe si reca a votare, perché il plebiscito gli sembra il solo rimedio contro il disordine sociale. Quando entra nel seggio, il sindaco poco democraticamente gli consente di votare subito, lasciando gli altri cittadini in attesa.

# $ Nella stanza del sindaco i giochi sembrano già fatti: sul muro campeggiano due ritratti, uno di Vittorio Emanuele II, futuro re d’Italia, e l’altro di Giuseppe Garibaldi.

$ % Il sindaco comunica i risultati delle votazioni nel comune di Donnafugata: 512 voti su 512 votanti sono a favore dell’annessione della Sicilia al Regno di Sardegna. Anche a Donnafugata, località di fantasia, la totalità degli elettori è a favore dell’annessione.

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PROTAGONISTI

Bismarck e Ford non avevano nulla in comune. Se non l’essere personalità capaci di cogliere gli umori della contraddittoria epoca nella quale vissero.

Otto von Bismarck in un dipinto di Franz von Lenbach risalente al 1890.

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Uomini celebri, celebri contraddizioni

Bismarck, il cancelliere di ferro Chi era l’uomo che per un quarto di secolo tenne le redini dell’intera europa? Ecco un ritratto di Otto von Bismarck in tre momenti diversi della sua vita. di Alan Palmer

Un uomo contraddittorio Otto von Bismarck fu un uomo dalla personalità singolare e autoritaria: non per nulla fu soprannominato «il cancelliere di ferro». Fu al tempo stesso un grande uomo di Stato e un grande reazionario: persino troppo per Guglielmo II, che lo estromise dai giochi politici. Federico Guglielmo IV quarant’anni prima, a proposito del giovane Bismarck, aveva annotato: «Da utilizzarsi solo ove imperino le baionette». Bismarck creò la Germania e inventò lo Stato sociale, ma i suoi metodi sono stati oggetto di aspre discussioni: i suoi modi autoritari avviarono i Tedeschi verso i terribili eventi del Novecento? In altre parole, come sostiene Ernst Engelberg, fu il «fondatore del Terzo Reich?». Oppure la sua politica dell’equilibrio avrebbe potuto salvare l’Europa dalle sciagure del Novecento se fosse stata proseguita dai suoi successori? La discussione al riguardo ha sovente fatto riferimento al personaggio Bismarck: un uomo contraddittorio, che per tutta la vita si trovò in mezzo al guado tra conservatorismo e liberalismo. Otto von Bismarck nacque l’1 aprile 1815, in campagna, a Schönhausen. Antico e moderno si contrapponevano nella famiglia Bismarck. Il padre, Ferdinand, era il tipico proprietario terriero prussiano orgoglioso dei propri natali, mentre la madre Wilhelmine Menken era una ragazza di città, a suo agio solo nei salotti di Berlino.

Otto, che era il più giovane di due fratelli, dalla madre ereditò un’acuta intelligenza, ma non gliene fu mai grato. «Da mia madre – disse il cancelliere in età adulta – avrei voluto ricevere amore e non idee». Lo offendeva il fatto che lei non condividesse la sua ammirazione per il padre in cui Bismarck vedeva incarnata la saggezza della tradizione. Persino il suo aspetto fisico era contraddittorio: rispetto alla corporatura robusta (mangiava a più non posso), la sua testa appariva piccola, i tratti del suo viso erano minuti e le mani delicate. La sua voce, esile e sottile, non sembrava certo quella di un potente uomo di Stato, abituato a comandare e a dirigere.

La gioventù: «der tolle Bismarck» Il giovane Bismarck, all’epoca in cui amministrava la tenuta di famiglia di Kniephof, conduceva una vita dissipata. Vi furono serate in cui sperperò al gioco il denaro risparmiato con tanta economia nella conduzione della proprietà terriera. Molti suoi gesti erano insensati: per esempio, annunciava il proprio arrivo in casa di un amico sparando un colpo di pistola contro il soffitto dell’ingresso. Una volta portò una volpe nel salotto di una conoscente tenendola, terrorizzata, al guinzaglio, come un cane. Quindi la liberò, lanciando urla da cacciatore. La gente parlava di lui come der tolle Bismarck, il selvaggio Bismarck. Nel contempo trattava i contadini e coloro che lavoravano nelle sue tenute con gentilezza e simpatia, mostrando un patriarcale senso di responsabilità che contrastava con le sue altezzose manifestazioni pub-

L’autore Alan Palmer (1926) ha insegnato storia per diciannove anni presso la Highgate School per dedicarsi poi a tempo pieno alla stesura di libri storici e biografie. In italiano sono apparsi Bismarck (1982), Metternich (1983), Francesco Giuseppe: il lungo crepuscolo degli Asburgo (1995).

bliche. E, sebbene gli piacesse atteggiarsi a cavaliere superficiale e capriccioso, nelle sere d’inverno leggeva molto, e volentieri. I suoi interessi storici erano molto sviluppati, e l’Inghilterra e le sue vicende lo affascinavano più di ogni altro Paese.

Primo ministro di Prussia Quando divenne primo ministro, Bismarck aveva quarantasette anni. Nessuno aveva mai assunto questo supremo incarico con un’esperienza così scarsa alle spalle: Bismarck, infatti, non era mai stato ministro e aveva trascorso soltanto pochi mesi della sua ribelle giovinezza, quasi vent’anni prima, nella burocrazia. Durante la breve fase parlamentare aveva espresso solo idee reazionarie: non si era impegnato a conquistare voti, né a lavorare con altri. A Francoforte aveva combattuto l’Austria senza fare alcuna pratica di diplomazia, almeno nel modo tradizionale. Non aveva amici, né una cerchia di conoscenti, fatta eccezione per alcuni parassiti che ripetevano solo quello che lui diceva. Viveva con semplicità: mentre un primo ministro inglese avrebbe trascorso le vacanze passando da una villa di campagna all’altra, Bismarck si ritirava nella sua tenuta e non frequentava nessuno. Lo scopo della sua politica consisteva nell’avere successo in tutto quello che provava a fare o, come diceva, di «realizzare la volontà di Dio». L’unico ostacolo per Bismarck era rappresentato dalla volontà del re; ma era intenzionato a fare in modo che il re desiderasse proprio quello che lui stesso voleva. Questo gli riuscì con Guglielmo I, ma non con Guglielmo II: questa fu la sua grande sconfitta.

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PROTAGONISTI Il crepuscolo e la fine Otto Eduard Leopold, principe di Bismarck, morì il 30 luglio 1898 nella sua casa di Friedrichsruh, vicino ad Amburgo. Aveva ottantatré anni. Era stato un gigante della politica europea, finché, nel 1890 (quando stava per compiere settantacinque anni), non fu costretto da Guglielmo II a rassegnare le dimissioni. Quando sua moglie Johanna morì nel sonno nel novembre del 1894 il cancelliere di ferro pianse come un bambino. Passò i suoi ultimi anni a Friedrichsruh, solo, pieno di risentimento, pessimista e disperatamente annoiato. Aveva i suoi enormi mastini neri per compagnia e riceveva qualche visita dalla sua famiglia. Si sentiva troppo giovane per non far nulla, ma non trovava nulla da fare, eccetto scrivere le sue memorie. Ma anche quelle gli vennero a noia presto. «Annoiato» o «stanco» erano le parole che più frequentemente comparivano nel suo diario. Il Kaiser Guglielmo II andò a fargli visita nel dicembre 1897 («a vedere quanto durerà il vecchio»): entrambi manifestarono una cortesia forzata. Bismarck era costretto su una sedia a rotelle già allora, così come lo era nell’estate del 1898, quando sviluppò un’infiammazione polmonare. Aveva difficoltà a respirare e stava a letto per la maggior parte del tempo, parlando o cantando quietamente, da solo. Il 30 luglio ebbe una ricaduta e la famiglia si riunì al suo capezzale, cercando di cogliere le parole che pronunciava in modo indistinto. All’improvviso prese un bicchiere, lo vuotò, gridò «Vorwärts!» – «Avanti!» – e affondò la testa nel cuscino. Alle undici di quella sera sua figlia si accorse che non respirava più. Guglielmo II arrivò il 2 agosto, e trovò la bara del vecchio statista in una camera da letto stipata di fiori e corone. Pronunciò una dichiarazione in onore «dell’uomo del quale Iddio aveva fatto lo strumento per la realizzazione dell’immortale idea della grandezza e dell’unità della Germania». Non ci furono funerali di Stato. L’artefice della grandezza della Germania fu seppellito in una tomba a Friedrichsruh con un’iscrizione da lui dettata, in cui si descriveva laconicamente come «un leale servitore tedesco dell’imperatore Guglielmo I». Il primo Guglielmo, non il secondo: un aspro rimprovero lanciato dalla tomba.

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Ford, il sogno di un’automobile per tutti Dopo aver inventato l’automobile di massa, non comprese più i gusti della gente. Finì la sua vita occupandosi di antiquariato per salvare le testimonianze di quel mondo che aveva distrutto.

di Ruggiero Romano

La formazione Henry Ford nacque a Dearborn nel Michigan il 30 luglio 1863. Nell’autobiografia, Ford è estremamente laconico per quel che riguarda i suoi genitori: tutto quel che si apprende è che il padre era un piccolo proprietario agricolo di origine irlandese e che la madre – di origine olandese – s’occupava dei lavori domestici. Henry seguì pochi studi e nel 1879 trovò lavoro come meccanico presso la società Westinghouse di Schenectady. Dopo una breve parentesi in cui tornò a lavorare la

terra per il padre, nel 1888 venne assunto dalla società d’elettricità Edison. Vi fece carriera e avrebbe potuto esserne contento: in fondo, alla fine del XIX secolo lavorare nel settore elettrico significava svolgere l’attività più «moderna», più aggiornata che si potesse immaginare. Nel 1896 in occasione di uno dei banchetti annuali della società, presieduto dallo stesso Edison, Ford ebbe l’occasione di parlargli del suo lavoro e dei suoi progetti come costruttore di automobili. Edison lo ascoltò (male, poiché era già fortemente sordo) e alla fine lo incoraggiò: «Giovanotto – gli disse – questo è quel che ci La classica Ford modello T del 1930.

Uomini celebri, celebri contraddizioni vuole. Voi l’avete trovato. Continuate a lavorare su questa strada. Le macchine elettriche non possono troppo allontanarsi dalle stazioni di rifornimento. Le batterie d’accumulatori sono troppo pesanti. Le macchine a vapore nemmeno sono buone, perché occorre loro una caldaia e del fuoco. La vostra macchina è sufficiente a se stessa, trasporta la sua fabbrica d’energia, niente fuoco, niente caldaia, niente fumo, niente vapore. Voi avete trovato, continuate su questa strada».

L’invenzione del «modello T» Incoraggiato da colui che era stato «il suo ideale fin dalla sua infanzia», Ford si mise accanitamente al lavoro. Nel 1903 fondò la Ford Motor Company. Nacquero i primi modelli di automobile (B, C, F, N, R, S), ma nessuno di questi soddisfaceva completamente Ford, il quale avrebbe voluto una sola macchina in cui fossero presenti contemporaneamente tutte le qualità che riteneva importanti. Solo nel 1908 Ford riuscì nel suo intento con la costruzione del «modello T», il suo ideale. Costava 850 dollari. Fino al 1927 il «modello T» fu l’unico prodotto dalla Ford: 15 milioni di Ford T uscirono dalle sue officine; l’orizzonte visuale degli Americani fu costantemente coperto di Ford T: si veniva portati in chiesa per il battesimo in «T»; si veniva accompagnati al cimitero in «T». Questa automobile divenne veramente una protagonista della vita americana per un tempo lunghissimo; gli Americani non la chiamavano «modello T», nome troppo tecnico e freddo per qualcosa che era diventato così familiare nella vita quotidiana: la chiamavano «Lizzie», la buona e fedele compagna di tutti i giorni.

Il segreto: l’organizzazione Il successo della «T» fu enorme. Il prezzo scese fino a giungere a 440 dollari. La produzione crebbe a un ritmo vorticoso; il 31 ottobre 1925 si stabilì un vero record: 9109 macchine uscirono dalle officine Ford. E mentre i prezzi scendevano, Ford aumentava i salari. Com’era possibile? A questa domanda, Ford rispondeva: «Organizzazione». Il che voleva dire organizzare le operazioni di lavoro secondo la concezione tayloristica. In questo modo si otteneva un abbassamento del costo della manodopera (non più specializzata) e un progressivo aumento dei salari, legato all’incremento di produzione. Una

volta stabilito il ritmo ideale di lavoro (più intenso) interveniva il sistema del premio, dell’aumento di salario: per un accresciuto rendimento del lavoro, occorreva aumentare il compenso. Diceva ancora Henry Ford: «Con il passare degli anni ho imparato molto sui salari. In primo luogo credo che, a parte ogni altra considerazione, le nostre vendite dipendano in una certa misura dai salari che paghiamo. Se siamo in grado di distribuire salari più elevati, quel denaro può allora essere speso e contribuirà a rendere più prosperi rappresentanti, distributori e lavoratori che operano in altre linee industriali. Alti salari diffusi in un intero Paese corrispondono a una prosperità diffusa, purché tuttavia salari più elevati vengano pagati per una produzione più elevata». I risultati furono sensazionali. Il montaggio del motore, compiuto in origine da una sola persona, venne distribuito tra 84 uomini e il tempo di montaggio calò da 9 ore e 54 minuti a 5 ore e 56 minuti; la preparazione dello chassis, che richiedeva 12 ore e 20 minuti, passò a 1 ora e 33 minuti.

Il declino e la fine Il 26 maggio 1927 il «modello T» fu soppresso. Già dal 1923-24 la vendita aveva cominciato a manifestare qualche segno di stanchezza. Per recuperare le quote di mercato perdute, Ford accettò perfino dei compromessi: acconsentì che la «Lizzie» fosse prodotta in colori differenti dal nero; ma ormai non c’era più nulla da fare. Ora la concorrenza produceva auto più comode, più grandi, più complesse, con delle apparecchiature di cui forse Ford aveva ragione di dire ch’erano «inutili», ma che il cliente voleva. Era proprio questo il limite di Ford: credere che tutti volessero solo ciò che era «utile». Questo era potuto essere un importantissimo elemento per superare la fase «aristocratica» dell’automobile, per ridurre i prezzi e metterla a portata di tutti; ma credere che tutti gli uomini avrebbero accettato all’infinito di circolare in «modello T» era un’illusione. E un’illusione tanto più incomprensibile in quanto coltivata proprio dall’uomo che più di ogni altro aveva lavorato per una motorizzazione di massa. Per adeguarsi al mercato, la Ford cambiò modello, ma il successo del «modello T» non venne più raggiunto. Divenne così una tra le tante case produttrici di automobili americane ed europee.

L’autore Ruggiero Romano (1923-2002) Ha insegnato a lungo a Parigi, presso la École Pratique des Hautes Études. È stato considerato tra i massimi esperti di storia economica. Tra le opere: Prezzi, servizi e salari a Napoli nel sec. XVIII (1965); I prezzi in Europa dal sec. XIII ad oggi (1967); I conquistadores: meccanismi di una conquista coloniale (1977); L’Europa tra due crisi (1980); Opposte congiunture. La crisi del Seicento in Europa e in America (1992). In collaborazione con A. Tenenti ha pubblicato Alle origini del mondo moderno (presso la Storia Univ. Feltrinelli, 1967), oltre a numerosi saggi in altre grandi opere.

Dopo il 1932 Ford cominciò a ripiegarsi su se stesso. Nel 1936 decise infine di ritirarsi. Negli ultimi anni della sua vita – salvo che nel periodo 1943-45 durante il quale riassunse la presidenza della società in seguito alla morte del figlio – Henry Ford si occupò d’antiquariato; e non solo di antiquariato ad altissimo livello, ma anche di quello più modesto come ricostruire i laboratori di Edison o rimettere nello stato originario vecchie fattorie. Sarà forse leggenda l’episodio che ora ricorderemo, ma merita ugualmente di essere raccontato: Henry Ford aveva comprato l’osteria Wayside Inn, sita a Sudbury (Massachusetts) sulla strada da cui i pionieri americani avevano iniziato la loro marcia verso l’Ovest. Dinanzi a questa osteria passava allora una grande strada, su cui schizzavano veloci le macchine, le «sue» macchine; il vecchio Ford fece spostare quella strada e fece rifare il vecchio sentiero, di modo che «tutto fosse come un tempo, quando passavano i cavalli e le carrozze». Leggenda? Può darsi. Ma certe leggende non si incollano ai personaggi per caso; e questa – se è leggenda – s’attaglia al nostro eroe in modo perfetto.

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VITA QUOTIDIANA

Con la seconda rivoluzione industriale l’uomo per la prima volta nella sua storia riuscì a volare; non si trattò tuttavia solo di una conquista tecnica ma anche psicologica, come liberazione da questa «valle di lacrime», la terra. Il cielo infatti nell’immaginario collettivo era sempre stato pensato anche come uno spazio spirituale dove tutto è armonia, la dimora di Dio.

Dalla terra al cielo Dante Gabriele Rossetti, Dantis Amor, 1860. Londra, Tate Modern.

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Dalla terra al cielo

Il piacere di piangere La storia delle lacrime sembra avere la lentezza dei iumi. Ma tra Settecento e Ottocento la mentalità muta rapidamente e il giudizio sul pianto da positivo diventa negativo.

di Anne Vincent-Buffault

Per gli illuministi, il pianto ci fa sentire migliori Mai si è tanto e così apertamente celebrato il piacere di piangere come nel Settecento. I lettori, i frequentatori di spettacoli teatrali volevano intenerirsi e le occasioni per sciogliersi in lacrime non mancavano. Gli autori di opere teatrali consideravano le lacrime come un segno infallibile di successo dei loro lavori e di gradimento da parte del pubblico. Quest’ultimo, del resto, esprimeva chiaramente il proprio consenso: i torrenti di lacrime erano apertamente esibiti e lo spettacolo era anche in sala. Sia gli uomini sia le donne non esitavano a sventolare fazzoletti umidi come stendardi della loro sensibilità. Piaceva anche sentire leggere racconti teneri o patetici nei salotti, e i letterati potevano così saggiare il potere lacrimogeno dei loro testi prima della pubblicazione. Ci si commuove sulla sorte degli infelici e ci si intenerisce sul bene pubblico. Barbaro è chi non conosce la pietà: le lacrime che questa fa versare rivelano quanto si è davvero umani, e quindi aperti al dolore degli altri. Durante la Rivoluzione francese le lacrime scendono per le strade, si diffondono nelle assemblee politiche. Esse segnavano così un nuovo legame sociale e l’entusiasmo collettivo provocato dagli avvenimenti.

Per i romantici, il pianto è nel destino femminile Agli inizi dell’Ottocento, però, certi letterati si propongono di rompere con questa

sensibilità, che ha fatto tanto piangere e che contraddistingue ancora i loro contemporanei. Tutt’altro si presenta allora l’ideale di moderazione di sé predicato dall’autore del romanzo di successo Obermann (1804), Sénancour, il quale ritiene che l’uomo sensibile non è quello che si commuove e piange, ma quello che, concentrandosi in se stesso, sviluppa un’acutezza percettiva superiore e impara a «sentire». Altri scrittori riprendono la tradizione biblica e cristiana del dolore. A partire da queste immagini religiose, i romantici sviluppano una diversa concezione delle lacrime dolorose: esse sgorgano nella solitudine e accompagnano la creazione poetica. Più in generale, si faceva strada un ideale di ritegno e di pudore, che distingueva attraverso l’atto del piangere i ruoli maschili e femminili. Nei romanzi e negli scritti intimi della prima metà del XIX secolo, gli uomini, anche e soprattutto se sono sensibili, evitano di piangere in pubblico. Le loro lacrime sono tanto più valorizzate quanto più sono rare: «Gli uomini che passano per duri sono in realtà molto più sensibili di quelli di cui si vanta la sensibilità espansiva. Si induriscono perché la loro sensibilità, essendo reale, li fa soffrire. Se gli altri non hanno bisogno di farsi duri, è perché quanto c’è in loro di sensibilità è così facile da portare» annotava lo scrittore Benjamin Constant nel suo diario. Invece, una donna si scioglie in lacrime da un momento all’altro anche se è coraggiosa: senza lacrime non c’è femminilità, ma queste le si preferisce discrete piuttosto che rumorose, sincere piuttosto che recitate. Le lacrime non hanno certo perso

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VITA QUOTIDIANA

il loro prestigio, ma si sono a un tempo individualizzate e femminilizzate.

Per i positivisti, il pianto è un crollo emotivo Nella seconda metà dell’Ottocento, con il diffondersi del Positivismo, si assistette a una vera e propria reazione nei confronti delle effusioni di sensibilità. La nuova generazione si ribellava a gran voce contro i romantici, la cui estetica era giudicata debole e il cui comportamento poco virile. La nuova letteratura si proclamava «maschile» e trattava le lacrime come un umore del corpo umano che disgusta piuttosto che incantare. Il romanzo sentimentale diventava allora un genere secondario, riservato alla gente dei campi e alle donne. L’immagine della donna non usciva indenne: quelle che usavano e abusavano di lacrime non erano, in realtà, che vittime del loro sistema nervoso, o colpevoli di una falsità che spingevano

L’autore Anne Vincent-Buffault è ricercatrice associata presso il Laboratoire de Changement Social et Politique e ha fondato la rete Ornithorynque destinata alla formazione in vista del cambiamento sociale. È autrice fra l’altro di Histoire des larmes. 18è-19è siècle («Storia delle lacrime. Secoli XVIII e XIX», 2001) e Une histoire de l’amitié («Una storia dell’amicizia», 2010)

fino al ricatto. Né un miglior trattamento era riservato al popolo, che correva al melodramma per piangervi, accompagnato dallo scherno del pubblico colto che, esso sì, aveva appreso ad asciugarsi discretamente una lacrima nell’oscurità della sala. Le risate e le lacrime di cui risuonavano gli interni del proletariato si distinguevano da un modello d’intimità controllata e di educazione della volontà, imposto dalle nuove forme della buona creanza borghese. Di conseguenza, le lacrime perdono gli onori della pubblica piazza, per rifugiarsi nel segreto delle stanze, per essere da ultimo riservate alle donne, ai bambini, e lasciate alla gente del popolo. La percezione di un segno corporeo si è modificata: dapprima umore nobile che denota sensibilità, le lacrime slittano verso il campo delle secrezioni sconvenienti, come lo sputo. Perché è un modo di manifestare sentimenti convenzionali, di esporsi troppo o di mettere a disagio l’interlocutore. Le lacrime possono essere ammesse solo in rare occasioni, quando il linguaggio e l’azione non sono più possibili, di fronte, cioè alla disperazione o alla morte. Del resto, secondo diversi scienziati seguaci dell’evoluzionismo di Darwin, la specie umana aveva raggiunto la vetta del processo evolutivo nel maschio adulto occidentale, che sa mantenere i suoi occhi asciutti. Dante Gabriele Rossetti, Persefone, 1874. Londra, Tate Gallery.

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Sulla pelle dei contadini La pellagra fu una malattia che imperversò tra i contadini italiani per più di cent’anni. La causa? l’alimentazione costituita quasi esclusivamente da due o tre chili di polenta al giorno. di Giorgio Maggioni

Una malattia terribile Una delle condizioni più comuni presso le classi subalterne nei secoli passati era la malnutrizione, che non significava soltanto carenza di alimenti essenziali, ma poteva anche coincidere con l’eccessivo consumo di un solo tipo di alimento, che diventava dannoso per l’organismo. A un fenomeno di questo tipo è legata una delle malattie un tempo più diffuse in Italia, la pellagra. Questo termine compare in un libro del 1771 pubblicato a Milano dal medico Francesco Frapolli, e sembra tratto dal dialetto lombardo: esso indica la pelle ruvida caratteristica di questa malattia che l’autore scopriva nei contadini lombardi. Si trattava comunque di una malattia già osservata in Spagna, dove era stata collegata a un’alimentazione prevalentemente basata sul mais. I sintomi della malattia erano dapprima un arrossamento della pelle, seguito da un grave malessere generale, che culminava in disturbi all’apparato digerente, cui si accompagnavano devastanti problemi psichici, come le allucinazioni. Alla fine del Settecento sembrava proprio l’Italia – in particolare Lombardia e Veneto – il Paese più colpito.

Dalla terra al cielo

LE MALATTIE NELL'OTTOCENTO

L’autore Giorgio Maggioni (1918-2014) ha insegnato Pediatria all’Università di Padova, passando poi all’Università La Sapienza di Roma. Si è occupato in particolare di problemi e patologie dell’alimentazione. Tra i vari scritti ricordiamo la voce «Pellagra» per l’Enciclopedia Medica Italiana (1984), nonché diversi articoli sull’«Archivio Storico di Belluno, Feltre e Cadore».

Cominciarono così gli interventi pubblici. Il governo della Repubblica di Venezia nel 1776 indicava nei «sorghi turchi immaturi e guasti» ripescati da terreni alluvionati la causa di malattie tra i contadini più poveri del suo territorio. Il primo ospedale per pellagrosi fu fondato dall’imperatore Giuseppe II a Legnano nel 1784 (ma venne chiuso già nel 1796); anche negli ospedali di Milano vennero riservati dei letti ai malati di pellagra. Tra il 1804 e il 1805 il governo austriaco promosse un’inchiesta sulla pellagra nelle zone di Padova e Treviso: l’inchiesta concludeva che la pellagra non era una malattia contagiosa o ereditaria, ma dipendeva «dall’abuso dell’alimento vegetabile, in particolare del granturco». Noi sappiamo che era normale, per un contadino della zona, una dieta basata quasi esclusivamente su due-tre chili di polenta ogni giorno.

Nel XIX secolo le condizioni di vita erano ancora molto diicili, e molte malattie facevano vittime soprattutto negli strati più poveri della popolazione. Era quasi del tutto scomparsa la peste, ma restavano altre malattie come il colera e il tifo. La tipica malattia dell’Ottocento era la tubercolosi, causata dall’umidità delle abitazioni e dalla scarsa alimentazione: condizioni molto difuse durante la rivoluzione industriale. Un’altra malattia assai conosciuta era la malaria, in grado di provocare, se non curata, la morte. Si tratta di una malattia antichissima, ma solo nell’Ottocento si scoprì che a trasmetterla era la zanzara anofele, un insetto che vive nelle paludi e nelle acque stagnanti. In Italia la malaria era presente al Sud, nella Maremma toscana, nel Lazio, nelle zone del Po, in Sardegna e dove si coltivava il riso. Nel 1901 il governo provvide con una legge a distribuire gratuitamente a tutti i lavoratori il chinino, la medicina antimalarica. La malaria diminuì notevolmente, ma la sua deinitiva scomparsa si ebbe solo negli anni Cinquanta, quando col potente insetticida DDT fu possibile sterminare la zanzara anofele. Un notevole miglioramento delle condizioni generali di salute della popolazione fu favorito dalle vaccinazioni, in particolare quelle contro malattie infettive come la difterite e il vaiolo. L’eicacia delle vaccinazioni era già conosciuta nel Settecento, ma solo nel secolo successivo questo metodo si difuse in modo tale da far diminuire il numero dei morti per malattie infettive.

regione maggiormente colpita era il Veneto, dove la malattia coinvolgeva più del 30% della popolazione agricola. Questi dati indussero a emanare le prime disposizioni generali dirette a combattere la pellagra (1881).

Il governo italiano si impegnò a contribuire alla costruzione di essiccatoi per la stagionatura artificiale del mais e fece Jean-François Millet, Contadina che inforna il pane, 1854. Otterlo, Museo Kröller-Müller.

Il governo italiano affronta la pellagra Con l’unità d’Italia e la prima grande inchiesta promossa dalla Direzione di Agricoltura nel 1878, i casi accertati di pellagra raggiunsero il numero di 97 855, distribuiti in 40 province del regno: la

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VITA QUOTIDIANA istituire cucine economiche destinate a migliorare l’alimentazione dei contadini somministrando minestra, pane, carne e vino. La prima legge specifica contro la pellagra risale al 1902, quando venne anche resa obbligatoria la denuncia dei casi accertati. A partire dal 1910 non si registrarono più di duemila casi all’anno, sempre col Veneto al primo posto per frequenza; in questa regione continuarono a verificarsi casi di pellagra anche quando, nei decenni successivi, la malattia scomparve dal resto d’Italia. La sua scomparsa fu determinata dalla migliore conoscenza delle sue cause, ma soprattutto dalle migliorate condizioni di vita nelle campagne e dalla diminuzione della popolazione agricola stessa, dovuta all’industrializzazione.

Ruote in terra, ali in cielo Con le automobili e gli aerei le distanze si assottigliarono, ma le nuove macchine potevano essere anche terribili mezzi di distruzione di massa. La sconitta e la vittoria? Sarebbero arrivate dal cielo.

di Richard J. Overy

Le ipotesi sull’origine

Esperimenti nei cieli

La correlazione, ben presto individuata, tra pellagra e alimentazione a base di mais condusse nell’Ottocento a riconoscere come causa della malattia l’alimentazione fondata sul granturco e priva di sostanze di origine animale: il granturco, infatti, è povero di princìpi nutritivi. Un medico affermava al riguardo: «La pellagra deriva dal mangiar poco e male e lavorar molto». Nel XX secolo la ricerca sulle cause della malattia fece molti progressi, grazie anche al confronto tra osservazioni diverse effettuate in varie zone del mondo. L’osservazione della pellagra in presenza di altri regimi alimentari poveri e a basso contenuto di proteine, ma che non prevedevano l’assunzione di mais, rivelò che alla base della malattia c’era un’insufficienza alimentare. Ricercatori americani giunsero anche a riconoscere nel lievito un fattore capace di prevenire e curare la malattia: nel 1938 questo fattore, chiamato PP (Pellagra Preventing), fu riconosciuto nell’acido nicotinico. Le scoperte successive misero in luce che nel mais risultava carente anche un amminoacido. Oggi, se non esistono più dubbi sul fatto che il mais sia un alimento deficitario dal punto di vista nutritivo, sappiamo anche che esso non è pericoloso quando è consumato nell’ambito di un’alimentazione completa ed equilibrata.

Il 17 dicembre 1903 segna il debutto dell’aeronautica moderna: è il giorno in cui i fratelli Wilbur e Orville Wright, con il loro biplano Flyer I, realizzano un volo quasi rasoterra di qualche decina di metri. Sette anni prima, il 9 agosto 1896, l’ingegnere tedesco Otto Lilienthal moriva durante un esperimento di volo. Lui e suo fratello Gustav avevano trascorso lunghi anni tentando di adattare le tecniche del volo degli uccelli a quello umano. In quel giorno, Otto volle fare un ultimo tentativo prima di smontare il suo velivolo, ma una raffica di vento lo fece schiantare al suolo; si era scordato di montare il dispositivo per assorbire gli urti e quell’incidente gli fu fatale. Pochi anni prima della sua morte, Otto Lilienthal pubblicò un libro che lo rese famoso: Il volo degli uccelli come base dell'arte del volo. La sua era una vera ossessione che lo aveva accompagnato sin da ragazzo; i suoi studi di aerodinamica lo avevano portato a credere che il volo umano fosse possibile: era solo una questione di tempo, presto la scienza avrebbe permesso agli uomini di librarsi in aria come le aquile. Gli esperimenti dei Wright e dei Lilienthal diedero il via allo sviluppo della scienza aeronautica, ma si dovette aspettare il 1927 per capire quanto gli aeroplani avrebbero annientato il sistema dei lunghi trasporti navali: nel 1927 Charles Lindbergh attra-

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L’autore Richard J. Overy (1947) ha insegnato Storia al King’s College di Londra e poi all’Università di Exeter. È esperto di storia militare, in particolare sul secondo conflitto mondiale. Fra gli scritti: The air war, 1939-1945 («La guerra aerea, 1939-1945», 1980); Why the Allies won («Perché gli Alleati hanno vinto», 1995). In Italia è stato tradotto Crisi tra le due guerre mondiali. 19191939 (1998).

versò con il suo piccolo monoplano tutto l’Oceano Atlantico.

Esperimenti a terra Due anni prima della morte dell’ingegner Lilienthal, gli editori del quotidiano francese «Le petit journal» organizzarono una gara di velocità per «carrozze senza caval-

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li», sulla distanza di 78 miglia, tra Parigi e Rouen. La corsa doveva dimostrare l’efficienza dei motori a petrolio: infatti tutte le automobili a petrolio raggiunsero Rouen, mentre solo tre di quelle che utilizzavano altro combustibile riuscirono nell’impresa. Fu proprio il combustibile ricavato dai petroli a permettere lo sviluppo dei motori per le automobili e gli aerei. Altri due ingegneri tedeschi, Karl Benz e Gottlieb Daimler, diedero un’importante spinta al mondo dei motori nel 1880. Benz costruì prima un motore a petrolio, poi, nel 1885, riuscì ad applicarlo a una macchina da lavoro, infine, nel 1886, a un piccolo veicolo a tre ruote. Daimler, che progettò un motore a combustione interna nel 1884, applicò la sua invenzione anche a un velivolo. Nel 1897 Rudolf Diesel perfezionò le invenzioni di Benz e Daimler e mise a punto un motore alimentato con petrolio, capace di prestazioni, per l’epoca, davvero sorprendenti. Alla fine del secolo i rudimentali tricicli di Daimler erano un ricordo: per le strade

delle città europee circolavano già eleganti automobili, simbolo di ricchezza e prestigio sociale. Il sultano del Marocco fu il primo capo di Stato a pretenderne una, ma l’appassionato più illustre fu il Kaiser tedesco Guglielmo II, fotografato spesso a bordo di automobili enormi e lussuosissime; lo stesso si può dire dell’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe e dello zar Nicola II. Ma non si trattava solo di un bel giocattolo per ricchi signori: in tutte le città fecero la comparsa taxi a motore, e i motori a scoppio vennero anche montati su macchine agricole e impianti industriali. Ford, Renault, Mercedes e Rolls erano le case produttrici più famose al mondo: nel 1920 il celebre «modello T» della Ford venne venduto in 15 milioni di esemplari. Se nel 1905 non circolavano più di 200 000 automobili nel mondo, nel 1930 ce n’erano 26 milioni nei soli Stati Uniti e un milione e mezzo in Inghilterra e Francia. I motori erano i protagonisti assoluti dei movimenti privati e pubblici del mondo occidentale.

La fine di un’epoca L’avvento della moderna tecnologia motoristica trasformò l’economia industriale e il paesaggio del mondo occidentale. Alla fine del secolo questo cambiamento iniziò ad apparire evidente: l’avvento dei veicoli a motore diffuse il sentore che un’era stava finendo e un’altra si stava affacciando all’orizzonte. Qualcuno si chiedeva se non ci si stesse muovendo troppo in fretta: si era ancora in un’epoca in cui chi andava in bicicletta era considerato un estroso temerario. Qualcuno reputava le automobili il più perverso dei lussi per ricchi esibizionisti e arroganti, il prodotto più bieco del materialismo, e addirittura le si poteva credere strumento del diavolo tentatore. I capi di Stato erano invece sensibili allo sviluppo dell’industria motoristica, come indice di progresso per i loro Paesi: le autorità sovietiche, per esempio, individuarono subito nella motorizzazione il simbolo di una nuova era, un’era di esaltazione della scienza e del progresso, frutto del lavoro e dell’ingegno delle masse operaie.

Macchine per la guerra

Fleyer in italiano significa «oggetto volante» e fu il primo aeroplano che il 17 dicembre 1903 si alzò in volo. Il volo coprì la distanza di 40 metri, per un tempo di 12 secondi ma, come disse Orville Wright, fu «il primo nella storia dell’umanità durante il quale una macchina con un uomo a bordo si è innalzata in aria sospinta da una propria forza motrice, ha volato senza perdere velocità ed è atterrata in un luogo alla stessa altezza di quello di decollo».

Il primo carro armato della storia è inglese. Viene ufficialmente presentato dal tenente Swinton al ministero della Difesa nel 1914. È una specie di trattore corazzato che si muove su terreni accidentati. Farà la sua comparsa alla fine della prima guerra mondiale per diventare poi protagonista della seconda. Muta così radicalmente il modo di combattere della fanteria. Anche lo sviluppo delle tecnologie aeronautiche fu subito teso verso gli impieghi militari. Il leggendario volo rasoterra dei fratelli Wright diede il via a una ricerca entusiastica per la costruzione di dirigibili, veicoli plananti e aerei a motore. Ci si rese subito conto di quanto sarebbe stato micidiale un attacco dall’aria e si pensò di montare mitragliatrici sui velivoli, ancora prima di sedili e cinture di sicurezza. Nel 1908 il conte Zeppelin mise a punto i progetti definitivi per i suoi dirigibili e fu

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VITA QUOTIDIANA

Le caratteristiche principali degli zeppelin rimasero le stesse nel corso di uno sviluppo durato oltre trent'anni. Struttura rigida in alluminio, rivestita esternamente in tela trattata. All'interno dell'involucro più celle (palloni) per il gas (idrogeno). Esternamente erano installate le gondole motore, dove erano montati motori a scoppio azionanti le eliche propulsive, e la gondola di comando. Sugli zeppelin destinati al servizio di linea, gli spazi passeggeri o erano ricavati in prolungamenti della gondola di comando, oppure nella parte inferiore dell'involucro.

uno choc soprattutto per l’Inghilterra: essere un’isola e una potenza navale non la metteva più al sicuro da attacchi stranieri; si poteva arrivare a Londra dall’aria, oltre che dal mare. Nel 1913, Herbert Strang, autore di storie di aviazione, scriveva che il destino degli imperi si sarebbe scritto nel cielo e non più sul mare. Gli Inglesi rimasero atterriti, anche perché in Gran Bretagna la scienza aeronautica segnava il passo rispetto a quella tedesca e francese. Le imprese degli assi dell’aviazione della prima guerra mondiale diedero ragione a Strang. Negli anni successivi i carri armati inventati per superare le trincee rivoluzionarono il modo di combattere a terra. Le truppe trasportate su veicoli militari poterono raggiungere rapidamente località anche

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molto distanti. Ma la superiorità militare non si sarebbe più conquistata con combattimenti terrestri: l’avrebbe avuta chi avesse dominato i cieli. Fu il secondo conflitto mondiale a promuovere le battaglie aeree come la parte decisiva di ogni guerra. L’attacco giapponese a Pearl Harbor, i bombardamenti sulle città europee e lo sgancio delle atomiche sul Giappone resero evidente che nelle guerre moderne la sconfitta o la vittoria arrivavano dal cielo.

ECONOMIA E STORIA

Il travolgente progresso economico che caratterizzò l’Ottocento sfociò nella convinzione che l’umanità avesse inalmente imboccato la via che conduce alla felicità.

L'età delle illusioni

Milano 1881: con l'Expo nasce l'Italia industriale La grande iera rappresentò il primo miracolo economico di un Paese con enormi sacche di arretratezza. Nello sviluppo industriale italiano era però evidente un punto debole: la carenza di fonti d’energia e di materie prime. di Guido Lopez

L’Esposizione è aperta

Louis Beroud, Cupola centrale, dell’Esposizione universale di Parigi del 1889, 1889. Parigi, Museo della Storia.

«In nome di Sua Maestà il Re dichiaro aperta l’Esposizione». Con queste parole di rito il ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio, Miceli, inaugurava solennemente l’Esposizione Nazionale di Milano del 1881. Era l’una precisa del 5 maggio. Il re Umberto I «pallido e fiero», la regina «rosea e sorridente», si alzarono dal trono e accompagnati dalle autorità si avviarono verso i padiglioni. Mentre le bande intonavano l’inno reale – come raccontano i cronisti dell’epoca – venti salve di cannone facevano tremare i vetri della città e venivano a sottolineare un avvenimento che segnava per l’Italia una nuova epoca.

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Umberto I era da appena tre anni sul trono. Gli Italiani erano in tutto quasi 20 milioni, di cui circa il 60% ancora analfabeti. Ma il futuro, il progresso, sembrava bussare alle porte. Nel manifesto dell’Expo si dichiarava la necessità di un’esposizione nazionale che rendesse onore alle potenzialità economiche delle varie regioni d’Italia. La mostra rimase aperta per sei mesi consecutivi; i visitatori furono più di un milione, con punte di 25 000 ingressi giornalieri. Fu un evento davvero memorabile: l’Italia era uno Stato indipendente da vent’anni e aveva completato la sua unità da dieci; era un Paese da costruire e la grande

L’etichetta da attaccare sulle valigie dei visitatori con la pubblicità ufficiale dell’Esposizione Universale disegnata da Leopoldo Metlicovitz, 1906. Milano, Officine Giulio Ricordi & C.

fiera di Milano rappresentò il primo miracolo economico di una nazione con enormi sacche di arretratezza industriale e culturale. Per la prima volta l’Italia unita si guardò allo specchio: ecco che cosa vide.

I numeri e i nomi dell’Expo Gli espositori del nucleo centrale della fiera, dedicato all’industria, erano suddivisi in 11 gruppi e 66 classi; furono in totale 7000 e la maggior parte proveniva dalla Lombardia. La Toscana mandò 835 rappresentanti e il Piemonte 685. Per ultime si piazzarono Calabria e Basilicata, con 30 e 2 espositori. Moltissimi furono gli stand dedicati alla giovane industria delle macchine e della meccanica in genere. I visitatori poterono ammirare il gigantesco stand della ditta Elvetica, futura Breda, che produceva motrici e grandi macchine utensili; quello dell’Ansaldo, della Fratelli Orlandi, della Fonderie Pignone. Il pubblico scoprì che l’Italia era una proficua produttrice di locomotive e vagoni ferroviari, vascelli, pompe e argani. Il settore chimico stava facendo i primi passi, ma a Milano esposero già i loro prodotti la Carlo Erba, la Zambeletti (l’azienda del chinino di Stato) e la Pirelli, che produceva al momento un nuovo materiale, il cautchouch («caucciù»), e ne illustrava agli osservatori i diversi impieghi. Würher, Poretti e Metzger mostravano al pubblico le diverse lavorazioni della birra, mentre Branca, Bisleri e Buton offrivano amari e digestivi. Un enorme reparto era occupato dalla Fratelli Bocconi e dalle loro pregiate confezioni tessili; per l’abbigliamento di lusso esponevano anche Frette, Jesurum e Borsalino. Queste erano solo alcune tra Manifesto pubblicitario della ditta ZenitBorsalino del 1910. Milano, Collezione privata.

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David, il pittore della rivoluzione e di Napoleone

L’autore Guido Lopez (1924-2010) è stato scrittore e giornalista. Ha pubblicato numerose opere su Milano in vari momenti storici, come La roba e la libertà (1982), Moro! Moro! (1992), Storia e storie di Milano (2005).

di oggi sostengono che in mostra non vi era altro che paccottiglia, ma vi si poteva ammirare il monumento equestre a Napoleone III del Barzaghi e un grande olio del Fattori; quasi assenti i giovani artisti, era invece presente l’arte di maniera e l’oggettistica. Il divertimento popolare trovò soddisfazione nella grande lotteria a premi: furono venduti ben 2 milioni di biglietti. In palio c’erano cinque cubi d’oro massiccio esposti al centro della sala dell’oreficeria e un migliaio di premi minori: oggetti artistici e vari ammennicoli. All’interno dello spazio espositivo vennero allestiti bar, ristoranti, punti di ristoro e ampi spazi per il riposo nel verde del giardino pubblico.

I commenti

Il manifesto della Mostra del ciclo e dell’automobile del 1907 testimonia la diffusione dei veicoli a motore su larga scala.

le più note aziende che animarono l’Expo del 1881, ma avrebbero comunque consentito a un visitatore attento di comprendere un dato, fra tanti entusiasmi. L’Italia si avviava sulla strada dell’industrializzazione con un «vizio d’origine»: la carenza di fonti di energia e di materie prime. Quindi la «naturale» dimensione dell’industria italiana sarebbe stata quella piccola e media. La grande industria si sarebbe affermata con difficoltà.

Spettacoli e lotterie L’inaugurazione della fiera fu vissuta con grande euforia per le strade di Milano:

eventi culturali e mondani si susseguirono per tutta la settimana d’apertura. Il Teatro alla Scala, la sera del 6 maggio, diede una rappresentazione del Ballo Excelsior, al cospetto del re e della regina; il 25 maggio debuttò la nuova versione del Mefistofele di Boito: il successo fu trionfale e coprì l’onta del sonoro fiasco di tredici anni prima. Al piano terra del palazzo del Senato fu allestita la Mostra Artistica, dove circa 1700 opere vennero messe in vendita a beneficio della Società di Belle Arti. Il gusto dell’epoca preferiva le immagini bucoliche, le imitazioni dello stile romano ed etrusco e le fantasie medievali. I critici

I giornali parlarono della fiera in termini lusinghieri: il «Gazzettino Rosa», di impostazione radical-repubblicana, la definì «la grande festa del lavoro italiano»; «L'Illustrazione Italiana» scrisse che l’esposizione milanese ripagava la nazione dello smacco che aveva dovuto subire in Tunisia, cedendo il passo ai Francesi. Tuttavia, non tutte le voci furono entusiaste dell’Esposizione. Camillo Boito lamentò l’assoluta mancanza di stile delle architetture espositive, sbeffeggiando i padiglioni a forma di pagoda, di tempio greco o di isba russa. Gli amanti del buon gusto lamentarono l’eccessiva rumorosità degli ambienti e gli insopportabili miscugli di odori che ne promanavano: gli stand dei profumi esotici non erano distanti da quelli dei prodotti alimentari. Per sei mesi quotidiani e periodici di tutta Italia non parlarono d’altro che degli avvenimenti milanesi, incoronando Milano quale «capitale economica» d’Italia. Un ruolo che non avrebbe più abbandonato.

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ARTE E STORIA

O libertà, o morte

Il tema della libertà, come utopia, e della morte, come realtà, attraversa l’arte di tutto l’Ottocento quale viva testimonianza di quanto accaduto e manifestazione delle proprie convinzioni personali e politiche.

La libertà che guida il popolo

Immagine commentata La libertà che guida il popolo

! Il pittore ha voluto che l’attenzione dello spettatore si concentrasse sull’immagine della Libertà, rappresentata come una popolana, impetuosa e sensuale, una moderna Nike. La Libertà è sulla barricata, simbolo della resistenza al potere, ha in una mano la bandiera, simbolo della nazione, e nell’altra il fucile, simbolo della lotta.

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@ La donna si staglia su uno sfondo di luce chiara, quasi un’aura che la circonda.

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# Sullo sfondo, in uno scorcio cittadino, si vedono ancora i fumi degli incendi e della battaglia. $ Il rivoluzionario ragazzino, armi in pu-

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gno e scamiciato, rappresenta il proletariato di Parigi a cui si ispirò anche Victor Hugo nel suo romanzo I miserabili.

% I caduti dell’insurrezione, riversi a terra, sono posti in primo piano, in una rappresentazione realistica e cruda. ^ Un insorto, elegantemente vestito di scuro e con la tuba in testa, rappresenta la borghesia cittadina che ha partecipato all’insurrezione. Si tratta di un autoritratto dell’autore che si rappresenta in atteggiamento psicologico concitato, come la cultura romantica voleva per i patrioti.

Questo grande quadro allegorico di Eugène Delacroix (1798-1863) celebra la rivoluzione del luglio 1830 a Parigi. L’opera è stata deinita dallo storico dell’arte Giulio Carlo Argan «il primo quadro politico nella storia della pittura moderna». L’artista esprime qui la sua adesione all’insurrezione: si ritrae infatti nel personaggio con la tuba, ma in realtà, anche se faceva parte della Guardia nazionale, non partecipò direttamente agli scontri armati. Presentato al Salon del 1831, il quadro venne acquistato da Luigi Filippo per tremila franchi. Nel 1855 Napoleone III lo presentò all’Esposizione Universale di Parigi.

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O libertà, o morte

Il massacro di Scio

Immagine commentata Il massacro di Scio

Dopo le prime iniziative dei patrioti greci, l’Impero ottomano cercò di spegnere la rivolta con il terrore. In questa strategia rientra il massacro della popolazione dell’isola di Chio (o Scio) (aprile 1822), dove i Turchi uccisero circa 20 000 Greci e deportarono i superstiti come schiavi. Il pittore francese Eugène Delacroix, che come molti intellettuali e artisti dell’epoca simpatizzava per i patrioti greci, decise di dedicare un’opera a questo tragico avvenimento: un grande dipinto a olio (417 x 354 cm) che dipinse tra il 1823 e il 1824 e che attualmente è conservato al Museo del Louvre.

! Distruzione. Lo sfondo paesaggistico è punteggiato dai villaggi dati alle fiamme dai Turchi.

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@ Romanticismo. Con questa opera, sia per il tema della libertà nazionale sia per l’audacia formale, Delacroix entrò a pieno titolo nel movimento romantico.

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# Rapimento. A destra è ritratta una donna greca legata al cavallo di un turco; il soldato sta sguainando la scimitarra forse per uccidere la madre che vuol impedire il rapimento della figlia. $ Deportazione. In primo piano invece risaltano i prigionieri greci che aspettano con rassegnazione di essere deportati.

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ARTE E STORIA

La battaglia di Magenta Nel settembre del 1859 il governo provvisorio toscano bandì un concorso per quattro quadri che illustrassero le grandi battaglie del Risorgimento: Curtatone, Palestro, Magenta, San Martino. Il pittore Giovanni Fattori (1825-1908) scelse Magenta; i suoi bozzetti furono approvati dalla commissione, e nel 1862 il quadro di grande formato (232 x 384 cm) venne esposto nelle sale della Società Promotrice di Firenze.

Immagine commentata La battaglia di Magenta

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! Bersaglieri. Truppe di bersaglieri vennero impiegate nella battaglia di Magenta, in quanto erano corpi addestrati per gli spostamenti veloci. I bersaglieri erano un reparto speciale di fanteria che fu istituito nel 1836 dal capitano La Marmora. Come corpo di tiratori scelti, i bersaglieri vennero però impiegati a partire dalla battaglia di Goito (8 aprile 1848).

@ Paesaggio. Il paesaggio è aperto e piatto e conferisce solennità all’immagine. La forma degli alberi richiama il tipico paesaggio lombardo, che venne sconvolto dalle sanguinose battaglie che si combatterono durante la seconda guerra d’indipendenza.

# Retrovie. Il pittore Giovanni Fattori per commemorare il Risorgimento italiano preferì rappresentare le retrovie piuttosto che l’infuriare

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dei combattimenti. Anche se non si vede lo scontro, la realtà della battaglia è realmente percepibile dai feriti e dalle truppe che si dirigono verso il campo di battaglia.

$ Francesi. Ufficiali francesi a cavallo osservano lo spiegamento delle truppe. Qualche critico ha riconosciuto nell’ufficiale di schiena il generale Mac-Mahon, futuro duca di Magenta.

% Carro-ambulanza. Al centro del quadro vi è un carro-ambulanza con le suore che si dedicano alla cura dei feriti. Proprio in questi anni iniziavano infatti a prendere forma le prime organizzazioni umanitarie volte alla cura dei feriti, che contribuiranno pochi anni dopo alla fondazione della Croce Rossa.

O libertà, o morte

La Comune e i suoi nemici L’opera anonima qui presentata è datata 1871, subito dopo l’esperienza della Comune, e mette in scena un confronto tra i comunardi e i loro avversari, appartenenti alle classi sociali che dovevano essere soppiantate. È un condensato perfetto della situazione nei primi giorni di giugno 1871, quando il governo francese si riappropriò di Parigi, riportandola alla normalità e depurandola dei resti dell’esperienza comunarda. La Comune di Parigi fu un’esperienza politico-sociale destinata a suscitare un ampio dibattito negli anni a venire, e a rimanere un importante punto di riferimento per la storia del movimento operaio. Se si prende in considerazione il programma della Comune, si può notare come esso fosse pervaso dall’idea di iniziare un’epoca nuova, una sorta di rigenerazione dell’umanità basata sul riscatto degli oppressi. Queste parole, tratte proprio dal programma, ne sono una chiara testimonianza: «È la ine del vecchio mondo governativo e clericale, del militarismo, del burocratismo, dello sfruttamento, [...] dei privilegi cui il proletariato deve la sua servitù, la Patria le sue disgrazie e le sue sventure».

! Su un muro diroccato vi sono ancora

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i manifesti strappati con l’intestazione della Comune di Parigi, a testimoniarne l’annientamento.

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@ I personaggi sono talmente stereotipati da sembrare degli attori: una coppia elegante piuttosto compiaciuta, un borghese e un sacerdote si riuniscono, incuriositi, intorno al cadavere di un comunardo. # Con il suo bastone, forse un’allusione al manganello dei militari, simbolo della repressione, il borghese esamina il corpo del comunardo, ripugnante ma interessante. $ La pennellata cerca di evidenziare i contrasti tra i personaggi stereotipati, soprattutto tra il borghese grasso e il comunardo magro, le cui rispettive costituzioni sono messe bene in risalto: il grasso possiede ciò di cui il magro è privo (il potere, il denaro...). Il magro è invece una figura fragile.

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% L’opera è efficace per la mescolanza

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di tragico e di comico, ed è proprio in questa ambiguità dell’intenzione – la scena esprime della simpatia per il governo regolare o per la Comune? – che risulta di grande impatto.

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DIRITTO E STORIA

Violenze sempre più clamorose I terroristi del Ku Klux Klan L’Ottocento vide anche il crescere dell’odio razziale che trovava la sua forza nella frustrazione di molti bianchi, nelle città e nelle campagne.

di André Kaspi

Un abitante su cinque era nero Nel 1790, per la prima volta nella sua storia, la giovane repubblica degli Stati Uniti d’America procedette al censimen-

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to della sua popolazione. Gli abitanti risultarono 3 929 214. Tra di loro figurava un 19,3% di neri (un abitante su cinque). Di questi 757 181 neri, 697 624 appartenevano alla categoria «schiavi», il 90% dei quali viveva negli Stati del Sud. Sembrano statistiche sorprendenti, se si pensa che nella Dichiarazione d’Indipendenza si legge che «tutti gli uomini nascono eguali, il loro Creatore li ha

dotati di alcuni diritti inalienabili, tra i quali la vita, la libertà e la ricerca della felicità». Tuttavia, la stessa Costituzione federale del 1787 riconosceva l’esistenza della schiavitù, attribuiva al Congresso la facoltà di adottare delle leggi che proteggessero i proprietari di schiavi fuggitivi e affermava che, dal punto di vista della popolazione rappresentata in Parlamento, un nero valeva solo tre quinti di un bianco. In breve, si può affermare che gli Stati Uniti nacquero sotto il segno della contraddizione libertà-schiavitù. Del resto, la schiavitù era essenziale per l’economia del Paese, che risultava complessivamente poco popolato: servivano braccia per le piantagioni. Finita la guerra di secessione e abolita la schiavitù in tutto il Paese, l’anima razzista degli Stati Uniti non cessò di manifestare la propria contrarietà all’emancipazione dei neri. La reazione più nota fu la nascita del Ku Klux Klan.

Violenze sempre più clamorose La fondazione nel 1866 Il Ku Klux Klan venne fondato nel 1866 a Pulaski nel Tennessee, subito dopo la vittoria degli unionisti nella guerra di secessione, quando negli Stati del Sud avvenne la liberazione degli schiavi neri e la ricostruzione sotto il controllo degli affaristi e dei politici del Nord. A capo del Klan c’era Nathan Bedford Forrest, un ex generale dell’esercito confederato. L’organizzazione aveva come obiettivo quello di terrorizzare i neri e tutti i nemici del Sud, a partire dai cosiddetti carpetbaggers (letteralmente, «quelli che girano con la sacca sulle spalle»), venuti dal Nord per speculare sulle rovine della Confederazione sudista, fino agli scalawags («bassi», «insignificanti»), esponenti antirazzisti e democratici del Sud. I membri del Klan fecero ricorso fin dagli esordi a metodi semplici e brutali: univano le burle alle violenze, agivano nella notte e nel mistero, picchiavano e uccidevano per impedire che gli schiavi di ieri potessero votare. Nel momento in cui compivano le loro spedizioni o nelle manifestazioni pubbliche gli appartenenti al Klan indossavano lunghi vestiti bianchi, con cappucci o maschere con cappelli a punta. Durante i cortei venivano sventolati cartelli con minacce e insulti ai neri o ai loro amici. La «firma» delle azioni del Klan, compresi linciaggi e incendi, era costituita da grosse croci infuocate piantate nei pressi del-

le abitazioni delle vittime. Un incubo per i neri, se si pensa che il Klan arrivò a contare in pochi anni circa mezzo milione di aderenti.

Dal vecchio al nuovo Klan A causa delle violenze sempre più clamorose che scossero l’opinione pubblica, il governo federale sciolse il Klan, che scomparve nel 1871. Rinacque nel 1915, quando un predicatore e assicuratore – William Joseph Simmons – fondò ad Atlanta una società commemorativa in onore del Klan: agli inizi era costituita da diciassette membri, ma a partire dagli anni Venti le adesioni crebbero vertiginosamente, toccando i due milioni. A differenza del vecchio Klan, gli aderenti si trovavano ora anche negli Stati del Nord, del Midwest e dell’Ovest: il Ku Klux Klan era diventato un’organizzazione nazionale. I suoi membri venivano dalle campagne, ma anche dalle piccole e grandi città. Condividevano l’odio per gli stranieri, gli ebrei, i cattolici, i sindacati, i sovversivi e, ovviamente, i neri. Difendevano un «americanismo al 100%», in un’epoca nella quale razzismo, xenofobia e fondamentalismo si diffondevano negli Stati Uniti. Ma la crescita troppo veloce portò con sé corruzione e invidie all’interno del Klan. Negli anni Trenta, così, il Klan si indebolì progressivamente fino a cessare di esistere. Ma non per molto.

Rituale di alcune persone, appartenenti al Ku Klux Klan, che usano il fuoco «purificatore».

L’autore André Kaspi (1937) ha insegnato Storia dell’America settentrionale all’Università di Panthéon-Sorbonne. Nel 2005 ha conseguito la Legion d’Onore. In italiano è apparsa la Storia degli Stati Uniti d’America (1990). Fra gli scritti dedicati agli Stati Uniti ricordiamo La vie politique aux États-Unis («La vita politica negli Stati Uniti», 1970) e La peine de mort aux États-Unis («La pena di morte negli Stati Uniti», 2003).

Un pericolo attuale Dopo la seconda guerra mondiale, il Klan è tornato sulla scena. Questa volta il nemico numero uno è il comunismo, ma non cessa l’odio per i neri, gli ebrei, gli ispanici, i liberali. Il Klan non rifugge da attentati e azioni terroristiche. Uno dei suoi Grandi Maghi – tale David Duke – tenta, nel 1978, di farsi eleggere al Senato della Louisiana. Riuscirà a sedere alla Camera dei Rappresentanti dello stesso Stato nel 1989, dopo aver lasciato «per ragioni tattiche, nell’interesse della supremazia bianca» il Klan. Duke è anche presidente di una associazione per il progresso dei bianchi: afferma con risolutezza e determinazione che deve finire l’era delle iniziative in favore dei neri, come pure della «discriminazione al contrario» di cui sarebbero vittime i bianchi. Nel 1991 però David Duke viene sconfitto alle elezioni per il rinnovo della carica di governatore della Louisiana. Non si può valutare con precisione il numero degli aderenti attuali al Klan, e ancor meno quello dei simpatizzanti. Quel che è certo, è che il Klan trova la sua forza nelle frustrazioni di molti bianchi, nelle campagne e nelle città. Diviso al proprio interno, ridotto a dar voce a un malcontento diffuso ma tutto sommato dagli obiettivi imprecisi, incapace di mantenere un ruolo nella vita politica, il Klan rappresenta nondimeno una tendenza pericolosa: un segno della contraddittorietà della cultura americana.

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CINEMA E STORIA Regia: Steven Spielberg Interpreti: Anthony Hopkins: John Quincy Adams Morgan Freeman: Theodore Joadson Matthew McConaughey: Roger Sherman Baldwin Djimon Hounsou: Cinqué Anna Paquin: Isabella II di Spagna Paese: Stati Uniti Anno: 1997

Amistad

N

el 1839 un gruppo di schiavi africani riesce a prendere il comando sulla nave spagnola La Amistad, uccidendo quasi tutto l’equipaggio. Gli schiavi, incapaci di guidare l’imbarcazione, ordinano ai due spagnoli superstiti di far vela verso l’Africa, ma questi, con un trucco, portano la nave verso il Nord America. Qui un vascello statunitense cattura gli schiavi e li trasferisce nella città di New Haven, nel Connecticut, affinché siano processati per ammutinamento. Al processo emergono vari interessi in conflitto: il governo spagnolo, il governo americano, i comandanti del vascello statunitense, i superstiti della nave La Amistad; tutti costoro pretendono che venga riconosciuta loro la proprietà sugli africani; il governo spagnolo ne fa una questione di rapporti diplomatici con gli Stati Uniti, i quali, a loro volta, sono dilaniati al loro interno tra schiavisti e an-

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tischiavisti. Poco a poco il caso diventa di interesse nazionale, fino a giungere alla Corte suprema, dove il gruppo di africani viene difeso dall’ex presidente John Quincy Adams.

Da un fatto vero Con Amistad il regista Steven Spielberg ha portato sullo schermo un episodio realmente accaduto. La vicenda raccontata dal film si svolse davvero tra il 1839, quando gli schiavi furono catturati illegalmente nella Sierra Leone, e il 1842, l’anno in cui furono riportati nella loro terra. Gran parte dei personaggi principali sono realmente esistiti: Cinqué, il leader e portavoce del gruppo; il suo amico e rivale Yamba, che si convertì al cristianesimo; il giovane avvocato Roger Sherman Baldwin e l’ex presidente John Quincy Adams, al quale si deve la difesa finale; persino l’interprete James Covey, grazie al quale i difensori poterono

comunicare con Cinqué e i suoi compagni, è un personaggio vero; quest’ultimo, un ex schiavo liberato dai Britannici, fu rintracciato nel porto di New Haven grazie all’aiuto del professor Josiah Willard Gibbs, che insegnò davvero nell’Università di Yale; i due Spagnoli sopravvissuti Ruiz e Montes furono proprio commercianti di schiavi e furono condannati. Non meno reali sono gli uomini politici coinvolti nella vicenda, dal presidente Martin van Buren al segretario di Stato John Forsyth.

Un passo avanti verso l’abolizione dello schiavismo Come la maggior parte dei personaggi, anche i fatti principali sono storicamente provati. Il viaggio degli schiavi dalla Sierra Leone alla fortezza di Lomboko, poi a Cuba, per finire sulle coste degli Stati Uniti, avvenne realmente nei termini in cui il

Amistad

ISABELLA II DI SPAGNA film lo presenta; l’episodio dell’uccisione di decine di schiavi per annegamento sulla nave portoghese Tecora – una delle scene più drammatiche del film – corrisponde a verità. Le condizioni disumane dei viaggi sono descritte in maniera credibile, per quanto in genere la realtà fosse ancora più tremenda. Il processo è ricostruito con alcune modifiche, ma è vero che ebbe fasi alterne e che fu oggetto di forti pressioni politiche, sotto gli occhi dell’opinione pubblica nazionale e internazionale. Il merito di Amistad, tuttavia, non consiste soltanto nell’aver rappresentato con notevole accuratezza fatti e personaggi storici, ma soprattutto nell’aver dato rilievo a una vicenda che rappresentò una tappa importante verso l’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti e verso la guerra di secessione (1861-1865). Il film sottolinea la consapevolezza che, grazie al caso della nave La Amistad, si diffuse in molti cittadini e penetrò nelle istituzioni riguardo

Uno dei punti su cui il film insiste per affermare la superiorità degli Stati Uniti sulla Spagna è la differenza tra le forme istituzionali che caratterizzano le due nazioni: gli Stati Uniti sono uno Stato governato da un presidente democraticamente eletto, dove vige la separazione dei poteri; la Spagna è una monarchia ereditaria nella quale il sovrano – in questo caso una bambina di dieci anni – ha il potere di condizionare il lavoro dei giudici. Nel film viene mostrata la giovane Isabella II che prende decisioni importanti da sola e quasi per capriccio. Ferme restando le differenze tra i due sistemi di governo, in realtà in Spagna il potere fu esercitato da vari reggenti fino a quando la regina non compì tredici anni.

allo schiavismo; nello stesso tempo mette in evidenza le irriducibili resistenze di tipo economico, sociale, culturale che una parte degli Stati Uniti, in particolare il Sud del Paese, oppose ai tentativi di superare

UN TEORICO DELLA SCHIAVITÙ John Caldwell Calhoun (a sinistra), interpretato dall’attore Arliss Howard (a destra), fu un importante uomo politico originario della Carolina del Sud. Durante il mandato presidenziale di John Quincy Adams assunse la carica di vicepresidente. Fu un leader degli antiabolizionisti e un sostenitore dell’indipendenza degli Stati del Sud, che egli giudicava economicamente e culturalmente separati dal resto della federazione. Espresse le sue teorie a favore dello schiavismo in decine di discorsi e pubblicazioni.

lo schiavismo e di realizzare così i princìpi di libertà e di uguaglianza proclamati nella Costituzione americana.

Il rischio della retorica Il film si propone due obiettivi: far emergere con forza l’iniquità dello schiavismo, esaltare i pregi della società e dei valori americani. Entrambi questi propositi hanno portato ad alcune forzature nella storia e nel modo in cui viene presentata. Per esempio, i personaggi rispondono a una rigida distinzione tra «buoni» e «cattivi»: onesti, leali, in buona fede, generalmente «simpatici» sono gli Africani e tutti gli Americani che si schierano dalla loro parte; opportunisti, sleali, indisponenti sono gli Spagnoli, i loro difensori, e coloro che si oppongono alla liberazione di Cinqué e dei suoi compagni. È una distinzione un po’ artificiosa che rischia di compromettere la credibilità del film. Inoltre la narrazione è organizzata in maniera tale da dimostrare che la società americana si fonda su giusti princìpi, stabiliti fin dalla nascita della nazione; perciò, nonostante i gravi ostacoli e le resistenze, il sistema giudiziario degli Stati Uniti e la comunità dei cittadini sono propensi a far prevalere la giustizia. Hanno questa funzione i continui riferimenti ai padri fondatori, ricordati attraverso i dialoghi, nei quadri e nelle statue, nelle bandiere, nei luoghi storici degli Stati Uniti: dalle antiche case del Connecticut alla bianca cupola della residenza presidenzia-

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CINEMA E STORIA

le, a Washington. La musica dai toni epici ha un ruolo fondamentale nell’esaltare la memoria storica degli Stati Uniti e le imprese dei protagonisti del film, che a quella memoria palesemente si ispirano.

Le esigenze del pubblico Il regista di Amistad, Steven Spielberg, non è nuovo alla realizzazione di film storici con un chiaro intento morale e ideale; un esempio su tutti è Schindler’s List, che racconta la vicenda di Oskar Schindler, l’uomo che salvò centinaia di ebrei dallo

sterminio nazista. Spielberg è però anche un grande regista e produttore di film avventurosi, quasi sempre premiati dal successo, perciò conosce bene ogni mezzo per ottenere il favore del pubblico. Alcune modifiche effettuate sulla realtà storica sono dovute proprio al tentativo di renderla più avvincente per gli spettatori. Tra questi cambiamenti va segnalata l’introduzione di personaggi inventati come il giudice Coglin, che genera nel processo una svolta inaspettata, ridestando l’attenzione dello spettatore. Più in generale, l’atteggiamen-

LA BIBBIA DI DORÉ In una scena molto toccante di Amistad, l’africano Yamba dice di aver capito di che cosa parla il libro che ha sottratto a un gruppo di ferventi cristiani. Benché non sia in grado di leggere e non sappia che il libro è la Bibbia, Yamba sembra aver afferrato il senso profondo della vita di Gesù Cristo, avendo osservato attentamente le illustrazioni di Gustave Doré. Putroppo nel 1839 l’illustratore francese era un bambino di sette anni e non poteva aver realizzato le splendide incisioni che vediamo nel film. Questa imprecisione storica, naturalmente, non toglie nulla alla bellezza e alla credibilità della scena.

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to di alcuni personaggi, il loro modo di muoversi e di parlare sono fin troppo naturali e spigliati, risultando in contrasto con le abitudini formali di allora; un esempio lampante è il giovane avvocato Baldwin, certamente affascinante e simpatico, ma poco credibile come persona vissuta nella prima metà dell’Ottocento. È evidente che gli attori sono stati invogliati a recitare in questo modo per rendere i loro personaggi più attuali e dunque più graditi.

Amistad

La sequenza: una svolta imprevista La sequenza in cui il giudice Coglin pronuncia la sentenza di assoluzione per gli Africani riassume due aspetti fondamentali del ilm. Da una parte ricorda come siano stati inseriti fatti e personaggi immaginari per rendere la storia più movimentata e perciò più interessante. La sequenza dimostra anche come il ilm abbia voluto sottolineare le virtù delle istituzioni americane e di coloro che le rappresentano: moralità, eicienza e indipendenza durante l’esercizio delle loro funzioni. ! Il giudice Coglin, che decide di seguire la propria coscienza, liberando gli schiavi e condannando i due mercanti spagnoli, è frutto di invenzione.

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@ Non soltanto il leader degli africani, Cinqué, ma anche il personaggio di Yamba, che in questa inquadratura tiene tra le mani la Bibbia, è realmente esistito. # Il segretario di Stato John Forsyth (a sinistra), che rappresentava il governo spagnolo, è un personaggio storico, così come il pubblico ministero William S. Holabird (al centro), il cui ruolo nel processo, tuttavia, fu probabilmente più marginale; del tutto inventato è invece lo spagnolo Calderon (a destra).

$

$ Di questi due personaggi, soltanto Lewis Tappan (a sinistra) è davvero esistito. Ricerche storiche approfondite hanno dimostrato che la liberazione degli schiavi fu dovuta soprattutto al suo impegno abolizionista, più che all’avvocato Roger Sherman Baldwin e all’ex presidente John Quincy Adams. % L’avvocato Roger Sherman Baldwin è un personaggio reale. Un po’ meno credibili sono i suoi modi spigliati: per festeggiare la sentenza si mette addirittura a saltare.

% Erodoto MAGAZINE 431

ATTIVITÀ

Costruire un percorso... per un testo argomentativo Il periodo preso in considerazione nelle diverse sezioni del Magazine riguarda l'Ottocento e centra l’attenzione su due questioni storiche fondamentali: ƒil Risorgimento italiano e più in generale l’idea di nazione; ƒlo sviluppo e la crescita economica nota come la seconda rivoluzione industriale.

1. RACCOGLIERE DATI

2. PROBLEMATIZZARE

Dopo aver letto i testi delle diverse sezioni, riepiloga le informazioni che ritieni più importanti in uno schema come questo.

Individua una problematica che emerge dall’acquisizione di queste conoscenze e presentala nella forma di un interrogativo. Oppure scegli una di quelle qui proposte.

IL RISORGIMENTO ITALIANO E L'IDEA DI NAZIONE

LO SVILUPPO ECONOMICO E LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

a. Quali controversie storiografiche ha sollevato la storia del Risorgimento? Si tratta forse di una storia scritta dai vincitori che ha nascosto le ragioni dei vinti oppure questo dibattito ha solo ragioni politiche? b. In quali espressioni artistiche, letterarie, pittoriche o cinematografiche sono rappresentati l’amor di patria e l’idea di nazione fino alla sua forma più aggressiva del nazionalismo? c. La seconda rivoluzione industriale si realizza contemporaneamente a importanti cambiamenti politici: in quali aspetti l’economia, la tecnologia, la politica e la società possono trovare un loro punto di incontro? d. Quali sono le caratteristiche dei grandi leader della storia di questo periodo storico?

3. ELABORARE Utilizzando le fonti esaminate, le informazioni acquisite e le conoscenze in tuo possesso elabora un testo argomentativo, discutendo i pro e i contro delle tesi, che sia la risposta all'interrogativo scelto.

432

Erodoto MAGAZINE

UNITÀ 12

433

La seconda rivoluzione industriale PRIMA: Lo sviluppo industriale è limitato all’Inghilterra ed è caratterizzato dall’uso del carbone e della macchina a vapore Fino ai primi decenni dell’Ottocento l’industrializzazione era diffusa soprattutto in Inghilterra, dove ebbe inizio intorno al 1770. Gli altri Paesi europei scoprirono solo più tardi il vantaggio della produzione meccanizzata. L’Inghilterra dunque si presentò come il Paese trainante, il primo nel processo di industrializzazione dell’Europa e, almeno per un secolo, poté godere dell’ampio vantaggio economico di questo primato.

CAUSE

EVENTI

CONSEGUENZE

Compaiono nuove fonti di energia e la scienza acquista una funzione predominante

X

1870: Inizia la seconda rivoluzione industriale

X

Grandi trasformazioni sociali, economiche e politiche

L’organizzazione del lavoro diviene sempre più complessa

X

1890-1910: Frederick Taylor mette a punto un’organizzazione scientifica del lavoro

X

Nasce la catena di montaggio

Introduzione della catena di montaggio

X

1908: Ford inizia la produzione del modello T

X

L’automobile diventa prodotto di massa

Sovrapproduzione agricola e industriale

X

1873-1896: Grande depressione

X

Concentrazione industriale e capitalismo monopolistico

Interazione fra capitale finanziario e imprese

X

Fine XIX secolo: Nasce il capitalismo finanziario

X

Affermazione della Borsa

Aumento della popolazione e crisi delle strutture sociali tradizionali

X

Fine XIX secolo-inizio XX secolo: Grande ondata migratoria dal Vecchio al Nuovo Mondo

X

Profondi cambiamenti sociali e aumento della manodopera negli USA

DOPO: L’industrializzazione coinvolge tutta l’Europa e gli Stati Uniti, utilizza il petrolio e introduce la catena di montaggio Il processo di industrializzazione ebbe una seconda fase che gli storici definiscono «seconda rivoluzione industriale»: si realizzò intorno alla fine del XIX secolo, coinvolse tutti i Paesi europei e anche nuove potenze come gli Stati Uniti e il Giappone. La seconda rivoluzione industriale pose fine alla supremazia inglese nel settore produttivo e, fra le diverse potenze industriali, mise in concorrenza Inghilterra, Francia, Germania e Stati Uniti.

UNITÀ 12

434

1. Dalla prima alla seconda rivoluzione industriale LE PRINCIPALI CARATTERISTICHE Nel corso dell’Ottocento la prima rivoluzione industriale si difuse dall’Inghilterra in molti Paesi quali il Belgio, la Francia, la Germania e, soprattutto, gli Stati Uniti. Inoltre, a partire dal 1870 si veriicò un tale sviluppo economico e sociale da dar luogo a una nuova fase, la seconda rivoluzione industriale, le cui principali caratteristiche furono: ƒil ruolo della scienza: nel passato le novità tecnologiche erano dovute soprattutto a geniali intuizioni di persone sovente prive di istruzione; ora tutte le scoperte e le invenzioni sono frutto di ricerche scientiiche, legate sia alla genialità di un singolo, sia a un lavoro collettivo; ƒle nuove fonti di energia: si difonde l’utilizzo dell’energia elettrica e della combustione a petrolio; queste due nuove fonti di energia, per le enormi conseguenze che ebbero nella vita dell’uomo, da sole potrebbero spiegare il passaggio dalla prima alla seconda rivoluzione industriale; ƒla nascita di monopoli e oligopoli: molti settori produttivi si concentrano nelle mani di un solo grande imprenditore, o di pochi imprenditori associati; ƒl’organizzazione «scientifica» del sistema produttivo: la catena di montaggio è il simbolo della nuova produzione in serie dei beni materiali; ƒil sorgere della «società di massa» e il nuovo ruolo dello Stato: la società si trasforma e diventa di «massa», nel senso che consuma gli stessi prodotti, partecipa agli stessi avvenimenti ecc.; nel contempo gli Stati sono sempre più presenti nel sistema economico e si evolvono in senso democratico. PRIMA E SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE Prima rivoluzione industriale

Seconda rivoluzione industriale

Periodo

Seconda metà del XVIII secolo.

Fine del XIX secolo.

Geografia dell’industrializzazione

Inghilterra e in seguito Francia, Belgio, Germania.

L’Inghilterra perde il primato ed è costretta a competere soprattutto con gli Stati Uniti e la Germania.

Fonte energetica

Carbone.

Elettricità, petrolio.

Macchina a vapore.

Sviluppo di chimica, elettricità, motore a scoppio, catena di montaggio.

Principali settori produttivi

Tessile.

Siderurgico, chimico, meccanico.

Protagonisti

James Watt.

Frederick W. Taylor, Henry Ford.

Capitale

Privato, autofinanziamento.

Finanziamenti dalle banche e dallo Stato.

Ruolo della scienza

La scienza non è indispensabile: l’innovazione tecnologica è soprattutto espressione della genialità di singoli inventori.

Lo sviluppo della tecnologia è strettamente legato con le scoperte scientifiche: le università collaborano con le industrie; si afferma la figura dell’ingegnere, un tecnico dotato di una solida formazione scientifica.

Conseguenze sociali

Nascono il proletariato e la borghesia industriale.

Si diffondono le lotte operaie e quelle delle associazioni dei lavoratori; si sviluppa la borghesia finanziaria.

Assente.

Lo Stato interviene rimuovendo ostacoli al commercio, favorendo la costruzione di infrastrutture, come arbitro del conflitto sociale; sostiene l’economia nazionale nel mercato mondiale, anche attraverso la costituzione di imperi coloniali.

Innovazioni tecnologiche

Ruolo dello Stato

TUTOR

La seconda rivoluzione industriale

435

LA FUNZIONE DELLA SCIENZA Durante la prima rivoluzione industriale, molti progressi nel campo tecnologico erano stati possibili grazie alle intuizioni di inventori geniali, ma privi di una solida preparazione scientiica (anche se la novità più importante fu la macchina a vapore, frutto delle ricerche scientiiche di James Watt). A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, la scienza si legò deinitivamente alla tecnica. Sorsero numerose scuole di formazione scientiica per preparare personale altamente specializzato, in grado di dirigere produzioni industriali sempre più complesse. Si afermò una nuova igura professionale, quella dell’ingegnere, competente sia nelle discipline tecniche, sia in quelle scientiiche. Molti laboratori universitari vennero aperti alle industrie e molte imprese commerciali fondarono e inanziarono centri di ricerca scientiica. Le importanti scoperte e invenzioni accelerarono la crescita e la diversiicazione in tutti i campi della produzione industriale.

NUOVE FONTI DI ENERGIA Accanto alle tradizionali fonti di energia se ne affermarono di nuove, quella elettrica e quella petrolifera, mentre alcuni settori industriali, prima assenti o secondari, si diffusero rapidamente. Nella seconda metà dell’Ottocento conobbero un rapido sviluppo l’industria chimica, quella siderurgica, dell’edilizia, l’industria automobilistica, dell’aeronautica, della telefonia e altre. La rivoluzione industriale estese progressivamente la sua inluenza nella vita quotidiana degli individui, con la costante apertura della produzione e della distribuzione ai consumi di massa. Le nuove industrie svolsero un ruolo trainante nell’economia moderna: il ruolo che nel secolo precedente avevano ricoperto le attività tessili e meccaniche. Questo processo tuttavia giungerà a maturità, nei Paesi più progrediti, come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, solo negli anni Venti e Trenta del Novecento.

Adolf von Menzel, particolare di un’officina nel 1872. Amburgo, Kunsthalle. Il mondo della prima rivoluzione industriale sta per essere abbandonato in favore di una nuova rivoluzione industriale.

UNITÀ 12

436

GUIDA ALLO STUDIO

LE PRINCIPALI TAPPE DEL PROGRESSO TECNICO-SCIENTIFICO Data Avvenimento

ƒ Quale funzione svolse la scienza nella seconda rivoluzione industriale? ƒ Quale figura professionale si affermò con la seconda rivoluzione industriale? ƒ Quali settori dell’industria si svilupparono maggiormente?

TUTOR

1855

Bessemer inventa il convertitore, per separare il carbonio dalla ghisa.

1856

Si scopre la cellulosa, ottenuta dalla lavorazione del legno.

1864

Viene costruito il primo altoforno Martin-Siemens per la produzione dell’acciaio.

1866

Nobel scopre la dinamite.

1870

Monier introduce l’uso del cemento armato nell’edilizia.

1876

Bell perfeziona il telefono inventato da Meucci.

1879

Edison costruisce la prima lampadina a incandescenza.

1886

Daimler e Benz producono le prime automobili.

1886

Dalla lavorazione della bauxite si ricava l’alluminio.

1895

I fratelli Lumière costruiscono il primo apparecchio cinematografico.

1901

Marconi sperimenta la prima trasmissione radio transatlantica.

1903

I fratelli Wright collaudano il primo aeroplano.

1909

Baekeland brevetta la bachelite, il prodotto antesignano della plastica.

1926

Prima trasmissione televisiva.

1929

Fleming scopre la penicillina.

1938

Negli Stati Uniti inizia la produzione del nylon.

1939

In Germania viene realizzato il primo aereo con motore a reazione.

1945

Inizia l’era dell’informatica.

A CHICAGO NASCE IL GRATTACIELO

Il Second Leiter Building, realizzato da William Le Baron Jenney a Chicago.

Con la seconda rivoluzione industriale si difonde nell’edilizia l’uso dell’acciaio e del cemento armato. Grazie a questi materiali fu possibile costruire un nuovo tipo di ediicio: il grattacielo. Grande protagonista di questa innovazione architettonica fu l’ingegnere statunitense William Le Baron Jenney (18321907) che realizzò a Chicago i primi grattacieli a struttura metallica: il First Leiter Building (1879), l’Home Insurance Building (1885) e il Second Leiter Building (1891).

I PROTAGONISTI

Marie Curie in una fotografia dell’epoca.

Marie Curie (1867-1934) Maria Skodowska, meglio nota come Marie Curie, era originaria di Varsavia, dove le donne non potevano iscriversi all’università. Per questo motivo si trasferì alla Sorbona di Parigi per laurearsi in chimica e fisica. Visse in un periodo di grande entusiasmo scientifico cui contribuì con sensazionali scoperte sulla radioattività, per le quali le fu assegnato,

insieme al marito Pierre Curie, il premio Nobel nel 1903 per la fisica; un riconoscimento straordinario, che ottenne nuovamente nel 1911 per la chimica. Donna di straordinaria intelligenza, fu la prima a salire in cattedra all’Università di Parigi in un periodo in cui alle donne era concesso ben poco. Durante la guerra si prodigò per curare i soldati feriti.

437

La seconda rivoluzione industriale

2. La catena di montaggio MUTA IL MODO DI PRODURRE I risultati della ricerca scientiica cambiarono profondamente il modo di produrre. Le fabbriche si rinnovarono non solo per l’utilizzazione delle grandi innovazioni tecnologiche, ma anche grazie a uno studio sistematico di organizzazioni produttive sempre più complesse. La fabbrica perse progressivamente il suo carattere di «luogo di produzione», di contenitore per un certo numero di macchinari, per diventare essa stessa «macchina». Questo risultato venne ottenuto con la divisione del lavoro e con la precisa deinizione di tutte le mansioni da affidarsi a operai che ripetevano sempre le medesime azioni, in tempi sempre uguali. Fu l’ingegnere americano Frederick Winslow Taylor (1856-1915) il primo ad analizzare in maniera sistematica le caratteristiche dell’organizzazione aziendale. I suoi studi furono fondamentali per il miglioramento dell’intero processo produttivo. Il taylorismo, o organizzazione scientiica del lavoro, si fondava su quattro princìpi generali. Chi dirige un settore produttivo deve: 1. eseguire uno studio scientiico per ogni operazione di qualsiasi lavoro manuale, uno studio che sostituisca i vecchi procedimenti basati sull’esperienza diretta; 2. selezionare la manodopera con metodi scientiici, poi prepararla, istruirla e perfezionarla. Nel passato invece ogni lavoratore sceglieva per proprio conto la sua attività produttiva, poi si specializzava da sé, come meglio poteva; 3. tenere con i propri dipendenti un atteggiamento di collaborazione cordiale. In questo modo si garantisce che tutte le attività vengano eseguite al massimo delle capacità produttive dei lavoratori; 4. fare in modo che lavoro e responsabilità vengano ripartiti in misura eguale tra direzione e manodopera.

VIDEO

GLI STATI UNITI NELLA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

I criteri di razionalità, efficienza, standardizzazione che costituirono l’organizzazione scientifica del lavoro concepita da Taylor, investirono i più diversi settori della produzione, aumentando quest’ultima in modo esponenziale. I cambiamenti provocati nella società non furono però indolori. Nel 1877 a Baltimora i lavoratori delle ferrovie scatenarono una grande rivolta. Inoltre, l’enorme crescita delle aziende più dinamiche concentrò in poche mani interi settori del mercato, dando origine al capitalismo monopolistico americano.

SCOMPORRE IL PROCESSO DI PRODUZIONE Con questa organizzazione produttiva, tutto il lavoro che in passato era compiuto dal lavoratore utilizzando la sua esperienza personale, veniva ora eseguito dalla direzione. I dirigenti si adeguavano alle leggi scientiiche e le applicavano sui luoghi di lavoro. Questo era un compito esclusivo della dirigenza, perché anche se l’operaio fosse stato in grado di organizzare scientiicamente il suo lavoro, gli sarebbe riuscito impossibile prestare la sua opera contemporaneamente alla macchina e alla scrivania. Risultava quindi chiaro che per organizzare il lavoro occorrevano persone diverse da quelle che lo eseguivano.

L’ORGANIZZAZIONE SCIENTIFICA DEL LAVORO

SCOMPOSIZIONE DEL LAVORO

STABILIRE I MOVIMENTI CHE I LAVORATORI DEVONO COMPIERE

ORGANIZZARE LE OPERAZIONI DI LAVORO SECONDO CRITERI DI EFFICIENZA PRODUTTIVA

LEGARE I SALARI DEI LAVORATORI ALLA PRODUTTIVITÀ (LAVORO A COTTIMO)

COMPETENZE

USARE LE FONTI

La catena di montaggio Pag. 446

RIDUZIONE DEL COSTO DELLA MANODOPERA E DELLA QUANTITÀ DI MANODOPERA IMPIEGATA MA AUMENTO DEI SALARI

COMPETENZE

USARE LE FONTI

L’uomo alla catena di montaggio AUMENTO DELLA PRODUZIONE

Pag. 448

FORDISMO È il modello di organizzazione del lavoro che prende nome da chi per primo lo realizzò nella sua fabbrica: Henry Ford. Si basava sui princìpi del taylorismo e mirava ad aumentare la produzione attraverso la programmazione rigorosa delle singole fasi di lavoro, l’uso della catena di montaggio e gli incentivi alla manodopera.

LESSICO

COTTIMO Il termine indicava nel passato un tributo che i consoli veneti in Oriente esigevano dai mercanti sul valore delle merci in arrivo o in partenza. Nell’economia industriale indica invece una forma di retribuzione del lavoro calcolata sulla quantità della produzione e non sulle ore lavorate.

438

APPROFONDIMENTO

UNITÀ 12

GUIDA ALLO STUDIO

CINEMA E STORIA

ƒ Che cos’è il taylorismo? ƒ Perché la scomposizione del processo di produzione risultò vantaggiosa? ƒ In quale settore fu adottata per la prima volta la catena di montaggio?

In sintesi, secondo Taylor era necessario scomporre il più possibile il processo di produzione di un determinato oggetto. Questa scomposizione permetteva di: ƒorganizzare e issare i movimenti da compiere e i tempi di lavorazione; ƒorganizzare la fabbrica, al proprio interno, non più in modo «gerarchico», come se si trattasse di una caserma, ma secondo criteri di efficienza produttiva; ƒlegare i salari degli operai agli efettivi risultati ottenuti: si tratta del cosiddetto lavoro «a cottimo», in cui si calcola lo stipendio in base al lavoro svolto. In questo modo era possibile ottenere due risultati di grande rilievo, anche se in apparente contraddizione: l’abbassamento del costo della manodopera e l’innalzamento dei salari. Infatti per le nuove strutture produttive occorrevano meno lavoratori, senza una speciica preparazione, anche per le attività più complesse e, contemporaneamente, la produzione aumentava. Il risultato più importante delle teorie di Taylor fu l’introduzione nelle fabbriche della catena di montaggio: un’innovazione rivoluzionaria che riduceva enormemente i tempi di lavoro, ma lo rendeva contemporaneamente spersonalizzato e ripetitivo. Le lavorazioni erano infatti frammentate in una serie di piccole operazioni, ciascuna affidata a un singolo operaio. La prima catena di montaggio fu installata nelle officine automobilistiche Ford di Detroit, negli Stati Uniti, dove venne prodotta la prima automobile di serie, il mitico «modello T». Anche se Taylor operò la prima importante sintesi teorica dell’efficienza produttiva, fu Henry Ford (1863-1947) a trarne le estreme conseguenze nella sua nota fabbrica di automobili: «Si tratta – era solito dire – di portare il lavoro agli uomini, anziché gli uomini al lavoro».

Il «modello T», la fedele Lizzie Ford aveva fondato la Ford Motor Company nel 1903. I primi modelli di auto prodotti non soddisfacevano completamente Ford che invece voleva una macchina in cui fossero presenti contemporaneamente tutte le qualità che riteneva importanti. Il suo ideale fu raggiunto nel 1908 con la costruzione del «modello T». Costava 850 dollari. Fino al 1927 il «modello T» fu l’unico prodotto dalla Ford; 15 milioni di Ford T uscirono dalle sue officine. La Ford T – rigorosamente nera perché, come diceva Ford, «ogni cliente può ottenere una Ford T di qualunque colore desideri, purché sia nera» – divenne una protagonista della vita americana per un tempo

Un esemplare della leggendaria Ford «T».

lunghissimo; gli Americani la chiamavano «Lizzie», come una fedele compagna della vita di tutti i giorni.

Tempi moderni Stati Uniti, 1936 (durata: 89’, b/n) Regia: Charlie Chaplin Attori principali: Charlie Chaplin, Paulette Goddard, Henry Bergman

Charlot è un operaio che lavora alla catena di montaggio di una grande fabbrica. Imbullona dadi a un ritmo vertiginoso. Se si attarda per qualche istante non riesce più a recuperare e finisce negli ingranaggi. Durante la pausa pranzo, il povero Charlot fa da cavia a una macchina ideata per automatizzare anche la nutrizione

degli operai che, in tal modo, non dovranno interrompere l’attività. Memorabile è la scena in cui il protagonista rimane prigioniero degli ingranaggi e, estenuato, perde la ragione. Quando esce dall’ospedale, si ritrova disoccupato; raccoglie per sbaglio una bandiera, e guida così senza volerlo un corteo di protesta poi disperso dalle forze dell’ordine. Ricercato dalla polizia, Charlot si allontana lungo una strada verso un futuro migliore in compagnia di una vagabonda, miserabile come lui.

439

La seconda rivoluzione industriale

3. Il capitalismo monopolistico e finanziario LA GRANDE DEPRESSIONE

Andamento della produzione industriale mondiale 1870

1913

mancato sviluppo: crisi

100

58,1 crescita in %

14,7

41,1 19,5

4,16

5,78

26,9

7,40

3,18 1,81 0,55

1710

1790

1812 1820

1830 1840

1860

1880

1900 1890

APPROFONDIMENTO

Il periodo che va dal 1870 al 1914 fu caratterizzato da una notevole crescita della produzione industriale mondiale, che aumentò di circa quattro volte. Questo risultato, però, fu raggiunto attraverso due fasi decisamente opposte: ƒla prima (1873-1896), detta dai contemporanei della grande depressione (deinizione che poi sarà attribuita alla crisi del 1929), in cui vi fu un marcato rallentamento del ritmo di crescita del ventennio precedente; ƒla seconda (1896-1914) caratterizzata da un nuovo rapido sviluppo. La causa principale della grande depressione fu la sovrapproduzione industriale e agricola che determinò una caduta dei prezzi del 40% per i prodotti dell’industria e del 30% per quelli agricoli. Questa tendenza alla sovrapproduzione fu sostanzialmente originata da due fattori: ƒl’accresciuta concorrenza internazionale, favorita dallo sviluppo delle reti di trasporto ferroviario e navale: l’agricoltura europea risentì, per esempio, della concorrenza dei cereali americani, australiani e russi; l’industria, invece, vide l’emergere di Paesi ricchi di enormi potenzialità, come gli Stati Uniti o la Germania; ƒil naturale incremento produttivo, dovuto al miglioramento delle organizzazioni aziendali, che non corrispondeva a una crescita della domanda perché i salari continuavano a essere perlopiù al livello della pura sussistenza. A partire dal 1880, sull’esempio della Germania e con la sola esclusione dell’Inghilterra, gli Stati reagirono alla crisi abbandonando il modello economico del libero scambio. Al suo posto si difuse il protezionismo, invocato come risposta alla crisi, ma che non fece altro che determinare un ulteriore rallentamento della produzione.

440

LA CONCENTRAZIONE INDUSTRIALE La grande depressione provocò il fallimento delle industrie meno competitive. Sopravvissero le aziende che si ristrutturarono, ammodernando le tecnologie e riorganizzando il processo produttivo. Queste industrie uscirono dalla crisi raforzate e, in molti casi, aumentarono anche le loro dimensioni. Si ebbe così un’inversione di tendenza rispetto alla prima rivoluzione industriale: mentre questa fu caratterizzata dal moltiplicarsi di piccole fabbriche con pochi addetti, la seconda rivoluzione industriale fu caratterizzata da un enorme impulso alla crescita delle dimensioni aziendali e alla concentrazione industriale: poche imprese cioè assunsero il controllo del mercato. Questo fenomeno fu determinato anche dal fatto che gli enormi progressi tecnologici e scientiici richiedevano investimenti massicci e costanti. Le banche tendevano a concedere prestiti più cospicui alle grandi imprese, piuttosto che a quelle piccole. Le aziende importanti ofrivano infatti maggiori garanzie di solvibilità, avendo fatturati più alti grazie al loro maggiore giro d’afari.

UN NUOVO TIPO DI CAPITALISMO La concentrazione industriale si realizzò in varie forme, soprattutto attraverso la costituzione di cartelli, trust e monopoli. Tramontò così il capitalismo proprio della prima rivoluzione industriale, caratterizzato dalla concorrenza nel mercato tra numerosi imprenditori. Al suo posto si afermò il cosiddetto capitalismo monopolistico.Nel contempo si afermò il peso del capitale inanziario rispetto a quello industriale. La vita delle industrie, infatti, ormai dipendeva completamente dai inanziamenti continui delle banche. Gli interessi degli istituti inanziari e delle industrie si intersecarono a tal punto che si consolidò la prassi di intervenire direttamente nei reciproci consigli di amministrazione: nel senso che rappresentanti delle banche sedevano nei consigli di amministrazione delle grandi industrie e quelli delle grandi industrie nei consigli di amministrazione delle banche. L’interazione tra capitale inanziario e imprese, sul inire del XIX secolo negli Stati Uniti, si venne realizzando anche tramite la creazione di holding. Il capitalismo divenne così inanziario, in quanto l’interesse inanziario prese a dominare su quello industriale.

LESSICO

UNITÀ 12

CARTELLO Indica l’accordo tra le maggiori imprese in un determinato settore circa i prezzi e le modalità di distribuzione dei prodotti. Il fine del cartello è quello di sbaragliare la concorrenza e far lievitare i prezzi a vantaggio delle imprese. I settori più esposti sono quelli ad alta concentrazione di capitali, come quello siderurgico o chimico. Il celebre economista settecentesco Adam Smith considerò ironicamente: «La gente che lavora nello stesso settore raramente si incontra, fosse pure per divertirsi insieme, ma, quando lo fa, la conversazione finisce sempre in una cospirazione contro il pubblico o nell’invenzione di qualche trucco per aumentare i prezzi». TRUST Significa fusione di imprese dello stesso ramo produttivo. Lo scopo è quello di ingrandirsi fino a raggiungere una posizione dominante sui mercati. MONOPOLIO È la concentrazione nelle mani di un’unica impresa di tutto un settore produttivo. Oggi sono particolarmente diffusi i monopoli di imprese pubbliche, mentre il monopolio privato è combattuto duramente a livello legislativo, per evitare che una sola azienda possa imporre prezzi altissimi detenendo l’esclusiva di un prodotto. HOLDING Indica una forma di controllo da parte di una società finanziaria su un gruppo di imprese. Questo fenomeno è reso possibile dalla concentrazione di pacchetti azionari rilevanti. OLIGOPOLIO È la situazione in cui poche imprese controllano un intero settore produttivo. In taluni casi queste aziende danno vita a un vero e proprio cartello, costringendo le altre a un ruolo di comparsa sui mercati. Gli economisti distinguono il fenomeno dell’oligopolio da quello del duopolio, in cui le imprese dominanti in un settore di produzione sono due.

441

La seconda rivoluzione industriale

MERCATO E INDUSTRIA A FINE SECOLO

INCREMENTO DELLA PRODUZIONE

SATURAZIONE DEL MERCATO

CONCORRENZA INTERNAZIONALE

GRANDE DEPRESSIONE

CONCENTRAZIONE INDUSTRIALE E FINANZIARIA

ABBANDONO DEL LIBERO SCAMBIO

PROTEZIONISMO

LESSICO

PRESSIONE DEL POTERE ECONOMICO SUL POTERE POLITICO

Al centro del sistema economico si afermò la Borsa, espressione della frantumazione della tradizionale proprietà delle imprese che era impossibile mantenere unita a causa delle immense risorse inanziarie necessarie. Si sviluppò anche il sistema della cosiddetta banca mista, con cui si superava la classica distinzione tra banca commerciale, dedita alla raccolta del risparmio e all’esercizio del credito, e banca d’affari, specializzata negli investimenti industriali con prestito di capitale a medio e lungo termine. Questo fenomeno ebbe origine in Francia, ma divenne determinante in quei Paesi che iniziarono con ritardo il processo di industrializzazione. Fu questo in particolare il caso della Germania e dell’Italia. APPROFONDIMENTO

Movimento dei prezzi in Europa dal 1849 al 1914

BORSA La Borsa è il mercato in cui viene trattata la compravendita di titoli di società, le azioni, da parte di operatori specializzati, chiamati agenti di cambio, che ricevono dalle società gli ordini di acquisto o di vendita. Al termine di ogni seduta, viene stilato un listino delle quotazioni raggiunte dai singoli titoli.

Prezzi

trend ciclo economico

1849

1896

1914

Nel grafico compare il termine trend, molto usato in economia: significa «tendenza». Indica quella linea di sviluppo costante che attraverso le varie fasi del ciclo economico ne rappresenta la media.

UNITÀ 12

442

IL BOOM DEMOGRAFICO Tra il 1850 e il 1914, la popolazione mondiale aumentò in modo considerevole, passando da circa 1 miliardo e 200 milioni, a 1 miliardo e 650 milioni di abitanti. Tuttavia, a partire dal 1870, se osserviamo i dati complessivi della situazione demograica nei vari Paesi, ci rendiamo conto di come l’incremento della popolazione abbia preso a seguire un andamento inverso al grado di sviluppo. Il numero di abitanti diminuì nei Paesi più industrializzati e aumentò in quelli più arretrati. In altri termini, nelle aree maggiormente progredite la natalità iniziò a decrescere, e con lei anche la mortalità, da tempo in costante calo per il generale miglioramento delle condizioni igieniche e alimentari e per lo sviluppo della medicina. Le cause di questo fenomeno, particolarmente evidente a partire dal Novecento, sono da ricercare: ƒnel progressivo innalzamento della scolarità; ƒnell’inserimento delle donne nel sistema produttivo; ƒnella difusione dei metodi di controllo delle nascite. In sintesi, la civiltà industriale determinò la ine di quel mondo patriarcale e contadino, in cui la nascita di un iglio era vista come una benedizione del cielo e l’arrivo di nuove braccia per la terra.

L’EMIGRAZIONE Il considerevole aumento della popolazione a livello mondiale tra Ottocento e Novecento si realizzò nonostante la grande depressione legata alla crisi industriale e agricola del tempo. Tuttavia la risposta alla crisi agraria non fu la stessa in tutti i Paesi: negli Stati maggiormente evoluti, infatti, la crisi funzionò come incentivo per la ristrutturazione delle aziende agricole in senso capitalistico, con la riconversione delle colture e l’ammodernamento delle tecniche di allevamento. COMPETENZE

USARE LE FONTI

Ellis Island e il sogno americano Pag. 447

Great Hall di Ellis Island, principale punto d’ingresso per gli emigranti che sbarcavano negli Stati Uniti.

443

La seconda rivoluzione industriale

AUMENTO DEMOGRAFICO

LE CAUSE DELL’EMIGRAZIONE

ECCESSO DI POPOLAZIONE IN DIFFICOLTÀ ECONOMICA

CRISI AGRICOLA

EMIGRAZIONE

Immigrazione negli Stati Uniti per aree di provenienza 1960 1950

Europa nord-occidentale e Germania Europa centro-meridionale e orientale Altri Paesi

1940 1930 1920 1910 1900 1890 1880 1870 1860 1850 1840 1830 1820 1

2

3 milioni di emigranti

4

5

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Che cosa si intende con l’espressione «grande depressione»? ƒ Quali furono le cause della grande depressione? ƒ Perché il capitalismo divenne finanziario? ƒ Perché nelle aree maggiormente progredite la natalità iniziò a decrescere?

APPROFONDIMENTO

Nei Paesi più arretrati, il disastro agricolo andò ad aggravare la crisi sociale causata dalla scomparsa delle strutture economiche di tipo feudale. In questi Stati gli agricoltori non avevano la forza e le conoscenze scientiiche per efettuare da soli l’ammodernamento della produzione: si erano da poco liberati dalla condizione di servi. Soprattutto negli Stati dell’Europa centro-orientale, si determinò così una forte esuberanza di popolazione nelle campagne, che non trovò altro modo di sopravvivere se non emigrando verso le città, verso altri Paesi d’Europa e anche oltreoceano. L’emigrazione verso le città andò a incrementare un fenomeno già in atto, quale conseguenza della rivoluzione industriale, mentre l’emigrazione continentale e tra diversi Paesi europei fu causata innanzitutto dal carattere stagionale di determinati lavori agricoli e dalle esigenze lavorative nei centri urbani. Infatti le grandi opere pubbliche, i cantieri edili e le imprese commerciali avevano bisogno di manodopera lessibile, poco costosa e disposta ad accettare lavori pesanti, sovente svolti, come nel caso delle miniere, in condizioni drammatiche. Il movimento migratorio dall’Europa verso gli Stati Uniti che si manifestò alla ine del XIX secolo rappresenta un fatto senza precedenti, e mai più ripetuto con le medesime proporzioni. Per comprenderne l’entità, basti pensare che dei 55 milioni di Europei emigrati dal 1821 al 1924, la maggior parte, 21 milioni, partirono tra il 1870 e il 1900.

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Dal passato al presente

Abraham Archibald Anderson, Thomas Alva Edison, 1890 ca. Washington, National Portrait Gallery.

Che mondo sarebbe se non ci fosse stata la seconda rivoluzione industriale? Ovviamente non lo sappiamo. Quel che sappiamo è che non ci sarebbe il mondo che conosciamo, con le automobili, gli aerei, la televisione, la radio, i supermercati ecc. In particolare l’invenzione della lampadina fu una vera e propria «rivoluzione della luce» che permise di illuminare facilmente le abitazioni, le strade e anche le fabbriche per il lavoro notturno.

La rivoluzione della luce

L’INVENZIONE DELLA LAMPADINA

IERI

L’energia elettrica non era ancora sfruttata appieno per problemi legati alla sua distribuzione. La tensione massima disponibile consentiva infatti di raggiungere distanze solamente di 15-20 km OGGI

Con la diffusione del trasformatore, che permette l’innalzamento della tensione, si garantisce un impiego diffuso dell’energia elettrica su vaste aree

Thomas Alva Edison nacque a Milan, nell’Ohio, ultimo di una famiglia di sette igli. Nel 1854 i suoi genitori decisero di trasferirsi a Port Huron, nel Michigan. Bambino eccentrico e dotato di una vivace intelligenza, ma con problemi di udito a causa di una malattia infantile, frequentò la scuola solo per tre mesi e con estrema difficoltà: era troppo creativo per riuscire a integrarsi. Sua madre, che era un’insegnante, decise allora di occuparsi personalmente dell’educazione del iglio. Lo ritirò da scuola e lo lasciò libero di fare i suoi esperimenti, di leggere molto e di tralasciare le materie che meno gli piacevano. Nel 1859 Edison cominciò a lavorare per la Grand Trunk Herald, una linea ferroviaria che univa Port Huron a Detroit. Il suo compito era assai modesto: vendere giornali e snacks. Ma poiché nelle ore di attesa dei treni si annoiava, prese a frequentare la Detroit Library, una biblioteca assai fornita. Ebbe inoltre l’opportunità di imparare a usare il telegrafo e ciò gli permise di abbandonare il lavoro sui treni e di impiegarsi come telegraista.

Licenziatosi, nel 1876 fondò a Menlo Park, nel New Jersey, la Invention Factory. Poco dopo cominciò gli esperimenti che lo portarono alla scoperta della lampadina. Da tempo Humphry Davy, uno scienziato inglese, aveva fatto brillare la luce elettrica. Ma i materiali usati a questo scopo bruciavano in fretta. Fallimentari o inadeguati si erano anche dimostrati i tentativi compiuti da Sir Joseph Wilson Swan e da Charles Francis Brush. Edison fece migliaia di esperimenti con materiali diversi, ino a che nel 1879 non scoprì che i ilamenti di carbone in un bulbo con un riempimento gassoso si riscaldavano ma non bruciavano, e resistevano ino a 40 ore (che successivamente divennero 1500!). Era nata la lampadina.

UN BENE DI MASSA Ora si trattava di commercializzare questa straordinaria invenzione. Tutti avevano bisogno della luce. All’Edison Light Company, la società fondata da Edison nel 1878, produrre una lampadina costava, il primo anno, un dollaro e 25 centesimi. Edison decise che era una cifra eccessiva: tutti dovevano essere messi in condizione di poter acquistare quante lampadine desiderassero. Solo così la luce avrebbe rivoluzionato la vita umana. Il secondo anno il costo venne abbassato a 70 centesimi, mentre il prezzo di vendita restava isso a 40 centesimi; ma le perdite furono maggiori del primo anno perché la richiesta era cresciuta. Il terzo anno, portate le spese di fabbricazione a 50 centesimi, le perdite aumentarono ancora, poiché il numero di lampadine richieste era sempre maggiore. Il quarto anno, inine, si raggiunse il costo di produzione di 37 centesimi. I tre centesimi guadagnati su ogni unità per-

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La seconda rivoluzione industriale

INNOVAZIONI TECNOLOGICHE SORPRENDENTI All’inizio del XX secolo, l’energia elettrica non era ancora sfruttata appieno per problemi legati alla sua distribuzione: la tensione massima disponibile consentiva di raggiungere distanze solamente di 15-20 km; oggi invece con la difusione del trasformatore, che permette l’innalzamento della tensione, si garantisce un impiego difuso su vaste aree. Il XIX secolo è stato sicuramente il più ricco di applicazioni nel campo dell’elettricità: in meno di cento anni dall’invenzione della pila, fecero la loro comparsa le prime centra-

li elettriche per produrre energia da utilizzare in tutti i campi. Il XX secolo ha visto le innovazioni tecnologiche più sorprendenti nel settore dell’applicazione dell’energia elettrica: dalla radio alla televisione, dal computer alle auto elettriche. La prima pellicola dei fratelli Lumière fu L’uscita dalla fabbrica Lumière, di circa un minuto, ripresa il 18 marzo 1895. Il 28 dicembre 1895 venne proiettata al Grand Café, a Parigi, davanti a 33 persone. Nel 1896 portarono la loro invenzione a Londra e New York. Ovunque riscosse grande successo, con qualche piccolo incidente: quando venne proiettato l’ingresso di un treno in stazione, l’efetto realistico fu tale che gli spettatori furono presi dal panico e fuggirono temendo di essere travolti dal treno stesso. L’interesse per i ilm dei Lumière iniziò presto a esaurirsi. Gli stessi due inventori non riponevano molta iducia nel cinema. La ritenevano «un’invenzione senza futuro», perché pensavano, e in questo avevano ragione, che il pubblico si sarebbe stancato dei loro brevi ilm, pure riproduzioni di semplici situazioni quotidiane. Abbandonarono quindi il cinema e si dedicarono al perfezionamento delle tecniche fotograiche. Fu la gente comune a indicare al cinema la strada del successo, mostrando di gradire più l’illusione della realtà. Presto, infatti, le storie raccontate con questo nuovo mezzo iniziarono a commuovere e a divertire milioni di spettatori facendo del cinema l’arte più amata dalle masse popolari.

TUTE BLU È un’espressione che serve a indicare i lavoratori salariati delle fabbriche, gli operai. È facile intuire che questa espressione è originata dall’abbigliamento indossato dai lavoratori durante il lavoro nelle officine, una tuta di robusto cotone di colore blu che serve a proteggerli dagli oli, dalle vernici, o da altri agenti che possono danneggiare la persona. La tuta blu, con la diffusione delle fabbriche, divenne una sorta di divisa identificativa del proletariato industriale. COLLETTI BIANCHI Anche l’espressione «colletti bianchi» nasce dal mondo del lavoro e si riferisce, proprio in contrapposizione alle tute blu, al personale che svolge attività amministrative e dirigenziali. Sono gli impiegati degli uffici che per le mansioni che svolgono indossano generalmente la camicia e la cravatta. BUS È l’abbreviazione del termine «autobus» che a sua volta è una trasformazione fonetica del latino omnibus, utilizzato nell’espressione francese voiture omnibus, ossia veicolo per tutti. In Inghilterra fu utilizzato un autobus a vapore nel 1827, ma la versione a motore, che ancora oggi viaggia in tutte le città del mondo, è legata all’invenzione del motore a scoppio ed è del 1895. Disponeva di otto posti a sedere, una forza di 5 cavalli e viaggiava a una media di 15 km/h.

PAROLE IN EREDITÀ

misero a Edison non solo di annullare tutte le perdite accumulate ma anche di iniziare a guadagnare. Il quinto anno, quando si vendevano ormai milioni e milioni di lampadine, il costo di produzione era ulteriormente ridotto a 22 centesimi: il guadagno era di 18 centesimi su ogni unità prodotta e venduta! La rivoluzione della luce era diventata un colossale afare. Negli anni successivi, Edison e i suoi collaboratori brevettarono 1093 invenzioni che sono all’origine di molti strumenti che oggi noi usiamo, dal registratore al proiettore. Ma nessuno di questi brevetti ebbe conseguenze così rivoluzionarie come l’invenzione della lampadina. Edison morì nel 1931. La sua creatività aveva «illuminato» il mondo.

Un omnibus porta i turisti a Monaco nel 1903.

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COMPETENZE: USARE LE FONTI

La catena di montaggio DOCUMENTO

La produzione a catena fu perfezionata nella fabbrica di automobili di Henry Ford e il successo fu enorme. Ford si ispirò al sistema utilizzato per la macellazione degli animali e la lavorazione della carne nel mattatoio di Chicago, un lavoro organizzato e suddiviso in fasi che permetteva di abbattere tempi e costi. Nella produzione a catena il lavoratore era chiamato a svolgere una sola

mansione, ripetutamente e in modo sempre uguale per tutto l’orario di lavoro, con azioni meccaniche e spersonalizzanti. Si calcola che tra il 1908, primo anno di produzione, e il 1927, anno della ine della produzione, furono vendute 15 milioni di auto del modello T, la prima «utilitaria» che rivoluzionò il sistema di trasporto privato.

1. Divisione del lavoro. Ogni operaio era destinato a svolgere una sola mansione e a occuparsi di un solo componente dell’auto. In questo modo la produzione risultava velocizzata.

2. Insoddisfazione. Per quanto nelle industrie Ford i salari degli operai fossero il doppio (5 dollari al giorno) rispetto a quelli delle altre industrie, il lavoro ripetitivo e poco professionalizzante generava insoddisfazione presso gli operai.

3. Sistema della «caduta dall’alto». Una novità introdotta da Ford fu il sistema della «caduta dall’alto» dell’abitacolo sul telaio. L’abitacolo montato pezzo per pezzo in altri settori della fabbrica veniva successivamente fatto scivolare dall’alto sul telaio che avanzava lentamente sul nastro trasportatore.

4. Nastro trasportatore. Un’altra innovazione fu l’utilizzo dei nastri trasportatori per il collegamento tra i vari settori. 6. Praticità e convenienza. Questo era il motto delle industrie Ford che, non a torto, introdussero il concetto di «utilitaria». La praticità era dimostrata dal fatto che per le riparazioni non bisognava più sdraiarsi sotto l’auto, ma bastava sollevare il cofano; inoltre il motore poteva essere facilmente tolto dal telaio.

5. Nero. La Ford T era disponibile solo di colore nero; anche questa scelta era determinata dalla necessità di ridurre i costi. A proposito del colore era famosa la battuta di Henry Ford: «Potete averla di qualsiasi colore, purché sia nera!».

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

ƒ Che cosa rappresenta l’immagine riprodotta nel documento? ƒ Quale era il segreto del successo delle industrie Ford? ƒ A che cosa si era ispirato Ford nel metterlo a punto? ƒ Che cosa si intendeva per sistema della «caduta dall’alto»? ƒ Quale era lo scopo del nastro trasportatore? ƒ Quale era l’obiettivo che si prefisse Henry Ford? Come riuscì a raggiungerlo? ƒ Quali erano i motivi di insoddisfazione degli operai?

ƒ Per quali motivi nella seconda metà dell’Ottocento diversi settori industriali, tra cui l’industria automobilistica, conobbero un rapido sviluppo? ƒ Che cos’è il taylorismo? Quali conseguenze ebbe sulla produzione industriale? ƒ Quali erano secondo Taylor i princìpi cui doveva attenersi chi dirigeva un settore produttivo? ƒ Perché la scomposizione del processo produttivo portò all’abbassamento del costo della manodopera e all’innalzamento dei salari?

447

La seconda rivoluzione industriale

Ellis Island e il sogno americano DOCUMENTO

Dal 1892 al 1954 nell’ediicio di Ellis Island, nella baia di New York, sbarcarono milioni di emigranti provenienti dall’Europa con un grande sogno: trovare un lavoro e diventare cittadini statunitensi. Ellis Island era un centro di prima accoglienza, in cui gli emigranti appena arri-

vati, dopo un viaggio lungo e molto faticoso, venivano registrati e sottoposti a controlli medici preliminari. Nell’isola gli emigranti vivevano in una situazione di angosciosa incertezza sul futuro. Dall’esito dei controlli dipendeva la loro permanenza o il loro rimpatrio.

1. All’interno della stazione di controllo gli immigrati venivano schedati, controllati e nutriti prima di entrare nella prospera nazione americana. 2. Nei periodi di forte emigrazione dall’Europa, a Ellis Island giungevano anche 10 000 persone al giorno: il melting pot americano, la mescolanza delle diverse etnie, ha origine proprio in questo periodo. 3. Gli emigranti si affollavano all’interno di corsie divise da corrimani; erano obbligati a percorrere lentamente e in fila il tragitto che li avrebbe condotti al controllo sanitario, all’ispezione doganale e poi all’ufficio registrazione. 4. Gli emigranti portavano pochissimo bagaglio, le poche cose fondamentali che possedevano in patria, raccolte in sacchi o in valigie tenute chiuse con la corda. 5. L’edificio era ampio e organizzato in modo tale che i maschi, molto più numerosi, fossero rigorosamente separati dalle femmine. Spesso gli uomini arrivavano negli Stati Uniti senza la famiglia, che li avrebbe raggiunti in un secondo tempo, ma in molti casi la famiglia non si ricongiungeva più.

6. Appena arrivati, gli emigranti erano smarriti e curiosi allo stesso tempo: si trattava di persone non qualificate, con comuni aspettative e paure di fronte a un mondo sconosciuto.

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

ƒ Che cosa rappresenta la fotografia? ƒ Come era organizzato l’interno dell’edificio e dove venivano accolti gli emigranti appena sbarcati? ƒ Che cosa si intende con il termine melting pot e qual è la sua origine? ƒ Quante persone al giorno potevano arrivare al centro di prima accoglienza, nei periodi di forte emigrazione? ƒ Quali erano le operazioni alle quali erano sottoposte le persone subito dopo lo sbarco? ƒ Con quale stato d’animo si ponevano gli emigranti nei confronti del Nuovo Mondo?

ƒ Quali furono le cause e le conseguenze del movimento migratorio verso gli Stati Uniti che si manifestò alla fine del XIX secolo? ƒ Da quali Paesi provenivano gli emigranti? Perché? ƒ Oltre all’emigrazione continentale si verificarono anche altri tipi di emigrazione. Verso quali luoghi si diressero questi flussi migratori e quali ne furono le cause?

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COMPETENZE: USARE LE FONTI

L’uomo alla catena di montaggio DOCUMENTO La catena di montaggio rappresenta sicuramente il simbolo dell’epoca della seconda rivoluzione industriale. Essa introdusse nelle fabbriche una nuova organizzazione del lavoro, basata sulla suddivisione dei processi produttivi in diverse fasi separate che gli operai dovevano eseguire all’ininito e sempre alla stessa maniera, con l’obiettivo di rendere i processi di produzione il più possibile eicienti e razionali. Questo radicale mutamento dei metodi di lavoro diede una forma completamente nuova non solo al mondo del lavoro ma anche alla vita privata e sociale degli individui, che cominciò a essere scandita e determinata dai ritmi ripetitivi e costanti della fabbrica moderna. Riflettendo sul sistema di produzione adottato negli stabilimenti Ford degli Stati Uniti d’America, detto appunto fordista, Antonio Gramsci, nell’opera del 1934 intitolata Americanismo e fordismo, scriveva: «Il fordismo è il maggiore sforzo collettivo veriicatosi inora per creare, con rapidità inaudita e con una coscienza del ine mai vista nella storia, un tipo nuovo di lavoratore e di uomo». Agli occhi di alcuni critici la catena di montaggio rappresentava la forma più avanzata dell’alienazione teorizzata da Marx: l’operaio veniva ridotto a puro ingranaggio di un meccanismo, a semplice esecutore di ordini che in qualunque momento poteva essere sostituito. Il suo apporto al prodotto inale era minimo, ed enorme era la distanza tra lavoratore e oggetto del suo lavoro.

Céline: non siete venuti qui per pensare

zo Viaggio al termine della notte (1932), di cui si presenta qui un brano. La critica feroce, mossa dall’autore al mondo creato dalla catena di montaggio, riguarda essenzialmente la fabbrica, in cui l’uomo si sente estraneo, circondato da un ambiente ostile che non riesce a comprendere; e il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore che cancella ogni dimensione umana considerando l’uomo un mero esecutore di ordini privo di intelligenza. E ho visto infatti grandi costruzioni e massicce vetrate, della specie di acchiappamosche senza fine, in cui si vedevano degli uomini muoversi, ma muoversi appena, come se si dibattessero solo debolmente contro un non so che d’impossibile. Era quello Ford? E poi tutt’intorno e al di sopra sino al cielo un rumore pesante e multiplo e sordo di torrenti d’apparecchi, duro, l’ostinazione dei meccanismi nel girare, roteare, gemere, sempre in procinto di rompersi, ma che non si rompono mai. «E dunque qui – mi sono detto – non è eccitante, era persin peggio di tutto il resto.» […] «Sapete, signore, ho dell’istruzione io e ho persin iniziato degli studi in medicina...» Di colpo m’han guardato con occhio brutto. Ho sentito che avevo commesso una gaffe a mio danno. «Non vi serviranno a nulla i vostri studi qui, ragazzo mio! Non siete venuto qui per pensare, ma per fare i gesti che vi si comanderà di eseguire… Non abbiamo bisogno d’immaginativi nell’officina, è di scimpanzé che abbiamo bisogno... Un consiglio ancora. Non parlate mai più della vostra intelligenza! Ci saranno altri che penseranno per voi! Tenetevelo per detto.» L.-F. Céline, Viaggio al termine della notte, Dall’Oglio

L’alienazione dal lavoro è appunto il tema affrontato dallo scrittore francese Louis-Ferdinand Céline (1894-1961), nel suo roman-

Produzione a catena del «modello T» nello stabilimento della Ford.

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La seconda rivoluzione industriale

Ford: la maggioranza delle persone preferisce la ripetitività Se, per Céline, la catena di montaggio provocava la perdita dell’identità dell’uomo, e dunque la sua alienazione, per Henry Ford, invece, essa si adattava bene a quelli che erano i desideri dell’uomo medio. In questo brano, tratto dalla sua autobiografia, egli sostiene infatti che la ripetitività del lavoro non è affatto un aspetto terribile per la maggioranza delle persone; al contrario ritiene che l’operaio medio preferisce eseguire quei tipi di lavoro che non richiedono la fatica del pensiero. Il lavoro ripetitivo, il fare continuamente sempre nello stesso modo, un’unica cosa, è una prospettiva terrificante per un certo genere di mentalità. È terrificante anche per me. Io non riuscirei a fare la stessa cosa tutti i giorni, ma per altri tipi di persone, e direi forse per la maggioranza delle persone, le operazioni ripetitive non sono motivo di terrore. In realtà, per alcuni tipi di mentalità il pensiero è veramente una pena. I lavori nei quali è necessario mettere cervello e muscoli hanno pochi aspiranti. Noi abbiamo sempre bisogno di uomini a cui piace un determinato lavoro perché è più difficile; l’operaio medio, mi spiace doverlo dire, desidera un lavoro nel quale non debba erogare molta energia fisica, ma soprattutto desidera un lavoro nel quale non debba pensare. Coloro che hanno quella che potremmo definire una mentalità creativa e che aborrono totalmente la monotonia sono portati a immaginare che tutte le altre menti siano altrettanto irrequiete e quindi riversano una simpatia non desiderata sull’uomo lavoratore, il quale svolge dalla mattina alla sera un’operazione che è quasi esattamente la stessa. H. Ford, La mia vita e la mia opera, tratto da R. Romano, H. Ford, in I protagonisti, CEI

Ford accanto a uno dei suoi primi prototipi.

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

ƒ Che cosa rappresenta il «fordismo» secondo Antonio Gramsci? ƒ Qual è, secondo Céline, la caratteristica principale del sistema di produzione basato sulla catena di montaggio? ƒ Come viene descritto da Céline l’ambiente della fabbrica? ƒ Perché Céline quando si presenta alla Ford commette una gaffe? ƒ Qual era l’opinione di Henry Ford riguardo ai desideri dell’uomo medio nell’ambito lavorativo? Perché? ƒ Mettendo a confronto i due brani, spiega le principali ragioni a favore e contro il sistema di produzione fordista.

ƒ Quali erano i vantaggi apportati dal sistema produttivo basato sulla scomposizione del lavoro? ƒ Perché l’avvento della tecnologia motoristica significò la fine di un’epoca e l’ingresso in un’età nuova? ƒ Quali sono le differenze tra l’operaio moderno e l’artigiano? ƒ Perché Ford riteneva che fosse conveniente distribuire salari più elevati?

ƒ Prima e Dopo ƒ Video - Gli Stati Uniti nella seconda rivoluzione industriale ƒ Immagine commentata - Il laboratorio della Bayer ƒ Immagine commentata - La catena di montaggio

ƒ Immagine commentata - Ellis Island e il sogno americano ƒ Online STO - Alle origini delle grandi imprese ƒ Online STO - Le cause dell’emigrazione ƒ Audiosintesi Unità 12

IN DIGITALE

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MISURARE LE COMPETENZE

GLI EVENTI

IL TEMPO

Completa la frase. 1. Nel corso della seconda rivoluzione industriale il ruolo della scienza fu fondamentale per un gran numero di scoperte e innovazioni fu limitato alla sola industria chimica rimase legato all’attività di singole personalità geniali ma con scarsa istruzione

Unisci opportunamente avvenimento e data, indicando il numero corrispondente della data nella colonna a destra di ogni avvenimento.

2. Le nuove fonti di energia utilizzate furono il carbone e l’elettricità la benzina e l’energia eolica l’elettricità e il petrolio 3. L’introduzione della catena di montaggio nelle fabbriche permetteva di controllare il comportamento corretto dei lavoratori permetteva di ridurre notevolmente il numero degli operai riduceva notevolmente i tempi di produzione 4. Nel periodo che va dal 1870 al 1914 si verificò una grande depressione ci fu una grande depressione seguita da un rapido sviluppo si ebbe una grande crescita seguita da una depressione 5. Il modello capitalistico che si affermò alla fine del secolo XIX privilegiava le piccole industrie era di tipo finanziario era controllato dallo Stato 6. La principale direttrice dell’emigrazione fu quella dall’Europa all’America dall’Africa all’Europa dall’Europa meridionale all’Europa settentrionale

LE PAROLE Definisci le seguenti espressioni: a. cottimo b. fordismo c. cartello d. trust e. monopolio f. holding g. oligopolio h. Borsa

Avvenimento a Fine della fase di rapido sviluppo b Inizio della seconda rivoluzione industriale c

Fine della grande depressione

d Inizio della grande depressione

Data 1

1870

2 1873 3 1896 4 1914

VERSO L’ESAME DI STATO a. Rispondi alle seguenti domande. ƒChe cosa s’intende per seconda rivoluzione industriale? ƒPerché si parla di organizzazione scientifica del lavoro? ƒPerché la fabbrica divenne una «macchina»? ƒCome cambiò la finanza? ƒChe cosa accadde in ambito demografico? ƒQuali fattori favorirono l’emigrazione? b. Il saggio breve: interpreta e confronta i seguenti testi. ƒp. 441 – Movimento dei prezzi in Europa dal 1849 al 1914 ƒp. 443 – Immigrazione negli Stati Uniti per aree di provenienza Successivamente, utilizzando anche le tue conoscenze, sviluppa l’argomento proposto nella forma del saggio breve, attribuendo alla composizione un titolo appropriato. Argomento. L’impatto dell’industrializzazione sulla popolazione europea

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La società dell’Ottocento e le sue contraddizioni PRIMA: Un’Europa rurale e una società immobile dominata dall’aristocrazia Prima della Rivoluzione francese e della prima rivoluzione industriale le principali potenze mondiali erano tutte europee. L’Europa era però un continente dove prevalevano la campagna sulla città e l’agricoltura, condotta con metodi arretrati, sull’industria. La società era divisa in Stati: l’aristocrazia e il clero detenevano il potere e condizionavano la politica. Non esisteva nessuna mobilità sociale.

CAUSE

EVENTI

CONSEGUENZE

Darwin conduce per molti anni studi e osservazioni di carattere biologico

X

1859: Charles Darwin pubblica L’origine delle specie

X

Nasce la teoria dell’evoluzione biologica

Si diffondono le idee socialiste di giustizia e solidarietà fra i lavoratori

X

1864: Nasce la Prima Internazionale Socialista

X

Il socialismo scientifico di Marx diventa la dottrina dominante nel movimento operaio

La Chiesa cattolica non accetta i grandi mutamenti sociali, economici e politici

X

1864: Papa Pio IX pubblica il Sillabo

X

La Chiesa cattolica condanna il mondo moderno e si isola da esso

L’introduzione della macchina a vapore favorisce la costruzione delle fabbriche nelle città

X

XIX secolo: Urbanesimo e trasformazioni urbanistiche nelle grandi città

X

Nelle grandi città industriali nascono nuovi quartieri, cambiano la viabilità e l’illuminazione

In diverse discipline scientifiche avvengono grandi scoperte e invenzioni

X

Metà XIX secolo: Si sviluppa il Positivismo

X

Nasce una visione del mondo fiduciosa nella scienza e nel progresso

L’industrializzazione mette in evidenza profonde diseguaglianze economiche e sociali

X

Seconda metà XIX secolo: Sorge la questione sociale che riguarda il proletariato industriale

X

I lavoratori lottano per l’affermazione dei loro diritti e per una società giusta, ponendo nuovi problemi alla politica

DOPO: La società e la politica sono profondamente mutate e nuove potenze si affacciano sulla scena La prima rivoluzione industriale ha modificato la società a partire dai metodi di produzione: sono sorte le città industriali e fa la sua comparsa una nuova classe sociale: il proletariato. L’Antico regime e l’assolutismo sono stati abbattuti dalla Rivoluzione francese: prevalgono le monarchie costituzionali; la borghesia è la classe dominante e impone i suoi nuovi valori. Stati Uniti e Giappone crescono come potenze economiche e politiche.

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1. Città e campagna LA PROPRIETÀ TERRIERA E IL MONDO CONTADINO Nonostante lo straordinario sviluppo industriale e la crescente importanza assunta dalle città, la maggior parte della popolazione attiva dell’Ottocento continuava a vivere in campagna. Nel mondo contadino europeo erano presenti realtà economiche e sociali assai diversiicate, soprattutto in considerazione delle diverse aree geograiche. In Russia, ad esempio, rimase in vigore ino al 1861 la servitù della gleba, condizione nella quale si trovavano 20 milioni di contadini poveri che, con la liberazione dal servaggio, non migliorarono di molto la loro situazione economica: molti divennero semplici braccianti senza terra e inirono per lavorare sotto i vecchi padroni. La Gran Bretagna contava invece un gran numero di contadini salariati. La forma più difusa di conduzione della terra era la piccola proprietà, favorita dalla progressiva scomparsa, anche in seguito a leggi ispirate alla Rivoluzione francese, della proprietà ecclesiastica. In Francia 4 milioni di capifamiglia contadini su un totale di 5 milioni e mezzo erano proprietari di piccoli o medi appezzamenti di terreno. Altrove, come in Germania e nell’Impero asburgico, era stato il lavoro servile a essere abolito per legge, e anche in quei Paesi ne aveva tratto beneicio la piccola e media proprietà. I piccoli proprietari terrieri coltivavano per l’autoconsumo o per la vendita diretta dei loro prodotti. Gli interventi statali contro il regime feudale o la proprietà ecclesiastica favorirono anche il latifondo come in gran parte dell’Europa orientale e nel Meridione d’Italia. Nel complesso la situazione degli abitanti e dei lavoratori delle campagne appariva dificile. Nella scala sociale il contadino (il «villano», come si diceva in Italia) era ritenuto superiore al solo montanaro. I lavoratori salariati ricevevano paghe molto basse, i piccoli proprietari sopravvivevano con fatica, sempre minacciati dalle cattive condizioni atmosferiche o dai debiti contratti con le banche o con i grandi proprietari. L’alimentazione era povera e scarsa, lo stile di vita misero, il livello culturale basso, legato alla tradizione e alla religione nelle sue forme più inclini alla superstizione. Di fronte alle diicili condizioni di vita, per molti contadini la scelta dell’emigrazione divenne obbligata: a milioni, nella seconda metà dell’Ottocento, abbandonarono le isole britanniche o l’Europa centro-meridionale per dirigersi soprattutto verso l’America del Nord. In alternativa, restava ancora la possibilità di trasferirsi nelle grandi città industriali per trovare un posto di lavoro nelle fabbriche o, nel caso delle donne, come domestiche o balie presso le famiglie borghesi. Ma la campagna permetteva anche l’accumulo di ingenti ricchezze. I grandi proprietari

Lo schema di una trebbiatrice in una stampa del 1881.

La società dell’Ottocento e le sue contraddizioni

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terrieri potevano sfruttare l’enorme quantità di manodopera contadina a disposizione; gli imprenditori più illuminati o i maggiori gruppi inanziari introdussero innovazioni tecniche per migliorare e aumentare la produzione: nacquero così aziende agricole a conduzione capitalistica. Molti proprietari terrieri ottennero grandi proitti dalla vendita degli appezzamenti di terra richiesti per la costruzione delle ferrovie e per l’ampliamento delle città, fenomeni che nella seconda metà dell’Ottocento conobbero una crescita tumultuosa. Soprattutto nell’Europa centro-settentrionale, a ianco dell’aristocrazia terriera, si formò così una nuova borghesia agraria che assimilò dalla nobiltà lo stile di vita rainato e lussuoso.

LA FORMAZIONE DEL PROLETARIATO La difusione delle industrie e la lenta ma inarrestabile scomparsa delle botteghe artigianali portarono all’aumento del proletariato urbano. In generale un operaio viveva meglio di un contadino: i salari infatti tendevano a salire, sia pure limitandosi ad assicurare un livello minimo di sussistenza. Ma neppure l’operaio poteva contare su un lavoro sicuro, su un’abitazione sana e confortevole o su orari e condizioni di lavoro sopportabili. Il contrasto fra la condizione degli operai e lo stile di vita dei ricchi borghesi appariva particolarmente evidente – e sempre meno tollerabile – nella comune appartenenza al mondo della città. Ai miseri e sudici quartieri operai si contrapponevano le case opulente e i negozi lussuosi, espressioni della ricchezza dei padroni. Inoltre i lavoratori di città, privati dei sistemi di riferimento tipici della vita di campagna, come la parrocchia, inirono per abbandonare in massa la pratica religiosa: i luoghi di incontro divennero sempre più la taverna o le sedi delle nascenti associazioni operaie. In questo contesto si formò una coscienza di classe: la coscienza cioè dei lavoratori di appartenere allo stesso gruppo sociale, con interessi comuni, diritti da difendere e uno stesso avversario da combattere, i padroni, considerati sfruttatori della fatica operaia. Già prima del 1848 erano sorte associazioni operaie. Il loro obiettivo era principalmente l’organizzazione di cooperative o il mutuo soccorso fra i soci: i lavoratori inanziavano le associazioni versando una parte dei loro salari, e le società di mutuo soccorso fornivano loro aiuto economico in caso di malattia, infortuni o morte sul luogo di lavoro. Gli aiuti scattavano anche nel caso di scioperi prolungati, allorché i lavoratori restavano addirit-

Contrapposizione di due classi sociali, quella padronale e quella operaia, in questo dipinto del 1859, I signori visitano l’acciaieria, di autore anonimo.

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454 tura per settimane senza stipendio: erano allora le associazioni a sostenere le famiglie grazie ai fondi accumulati. Nel 1868 venne fondato in Inghilterra il Trades Union Congress, che raccoglieva i delegati dei sindacati più importanti; sul continente, invece, dopo le repressioni del 1848, si difusero le dottrine dei teorici del socialismo. In Francia, Paese dove prevaleva il ceto contadino ed era ancora forte la presenza dell’artigianato, ebbe successo la dottrina di Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865), che propugnava una struttura sociale fondata su associazioni di lavoro, autonome ma fra loro collegate: in tal modo, secondo Proudhon, sarebbe stata abolita l’opprimente presenza dello Stato. In Italia, dove il proletariato industriale rimase a lungo numericamente trascurabile, oltre a quello di Proudhon era forte l’influsso di Mazzini che, al di là dei progetti politici per l’Italia repubblicana, era a favore della cooperazione e contro la lotta di classe. In Germania la classe operaia, che cresceva invece rapidamente, aderì in gran parte alle dottrine di Ferdinand Lassalle (1825-1864), sostenitore, a diferenza di quanto pensava Marx, di un progetto di conquista dello Stato da parte del proletariato mediante l’utilizzo del sufragio universale. Lassalle fondò nel 1863 l’Associazione generale dei lavoratori tedeschi, il primo abbozzo di un grande partito operaio. Più lenta fu invece la penetrazione del pensiero di Karl Marx (1818-1883) all’interno del movimento operaio europeo. Tuttavia, la radicalità della sua analisi e la coerenza del percorso rivoluzionario che proponeva erano tali che a partire dalla seconda metà dell’Ottocento si impose gradualmente tra i lavoratori dell’Europa continentale ino a diventare la dottrina socialista dominante verso la ine del secolo, mentre rimase marginale in Inghilterra.

I VALORI DEL PROLETARIATO E LE FORME DI LOTTA La coscienza di classe del proletariato si concretizzò in un insieme di valori che i lavoratori sentivano come propri, in contrasto con quelli borghesi. Il primo di questi valori era la solidarietà che nasceva dalla consapevolezza che il singolo lavoratore non avrebbe mai potuto difendere da solo i suoi diritti: occorreva la forza fornita dal numero e dalla compattezza delle organizzazioni operaie. La solidarietà si manifestava anche nel lottare non soltanto per gli interessi della classe operaia, ma per una società più giusta, dove tutti – uomini e donne, giovani e vecchi – potessero vivere in uguaglianza e liberi dallo sfruttamento.

A sinistra, il manifesto di una protesta organizzata dalle Trade Unions a Londra nel 1873. A destra, Pierre-Joseph Proudhon in una foto del 1860.

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Importanti valori erano poi l’istruzione e la cultura. I lavoratori erano infatti coscienti che le diferenze di classe non si esprimevano soltanto nella quantità di ricchezza o di beni, ma anche nel possesso di conoscenze e nella cultura. Come la borghesia e l’aristocrazia avevano i loro teatri e le loro biblioteche, le organizzazioni degli operai fondarono luoghi e strutture dove poter approfondire i loro interessi. Nacquero così le Case del popolo, ediici in cui si svolgevano attività ricreative e culturali, come scuole di musica, conferenze, corsi di istruzione a vari livelli. I lavoratori potevano formarsi sui testi fondamentali del socialismo, come quelli di Marx, ma si potevano leggere anche romanzi di denuncia sociale, come quelli del francese Émile Zola in cui i protagonisti erano operai o minatori abbrutiti dallo sfruttamento e dalla miseria, ma pronti a lottare per il loro riscatto. Nei Paesi dove la censura era debole o assente, venivano anche stampati libri e giornali: nel 1904 il socialista francese Jean Jaurès lanciò il giornale «Humanité», che divenne assai influente; il quotidiano dei socialisti tedeschi «Vorwärts» era uno dei più difusi nel Paese e, alla vigilia del primo conflitto mondiale, i giornali stampati dai socialisti tedeschi erano circa 90. Nelle Case del popolo e nelle sedi dei partiti operai si discutevano gli obiettivi delle rivendicazioni e si organizzavano gli scioperi, con modalità di astensione dal lavoro che andavano dal blocco della produzione in un particolare settore, a causa di qualche speciico problema, a quello di tutta l’azienda quando la protesta verteva su argomenti generali. Inizialmente lo sciopero era considerato un inadempimento contrattuale, per cui il datore di lavoro poteva licenziare chi vi aderiva. Il riconoscimento del diritto di sciopero fu quindi una conquista fondamentale. La risposta dei capitalisti era la serrata, cioè la chiusura delle fabbriche: in questo modo agli operai era impedito di lavorare e quindi di percepire lo stipendio. Gli imprenditori ricorrevano anche all’assunzione di altra manodopera, scelta fra disoccupati disposti a lavorare a qualunque condizione. Costoro venivano chiamati crumiri dagli altri operai che li consideravano come nemici di classe.

GUIDA ALLO STUDIO

Stanislaw Lentz, Sciopero, 1910. Varsavia, Museo Nazionale. Lo sciopero si impose sempre più come strumento di lotta per i lavoratori.

LESSICO

CRUMIRI Il termine trae origine da una popolazione della Tunisia settentrionale, i Crumiri appunto, che nel 1881 si ribellarono al signore di Tunisi il quale chiamò in suo aiuto i Francesi. Furono proprio i Francesi a usare per primi questo termine in senso spregiativo, forse per la ferocia delle azioni dei guerrieri crumiri. Dal mondo coloniale, il termine passò poi a quello sociale per definire coloro che durante uno sciopero andavano ugualmente al lavoro, danneggiando così la lotta degli altri lavoratori. In questo caso, probabilmente, si voleva mettere sullo stesso piano la ferocia dei guerrieri crumiri con coloro che erano disposti a tutto per il loro interesse. In Italia, il termine divenne di uso comune dopo uno sciopero del 1901 nel porto di Marsiglia, durante il quale fu avanzata l’ipotesi di sostituire i lavoratori, molti dei quali italiani, con degli Arabi chiamati dagli scioperanti con disprezzo «crumiri».

ƒ Quali erano le principali caratteristiche del mondo rurale europeo? ƒ Quali fattori portarono alla nascita del proletariato? ƒ Quali erano le forme di lotta?

UNITÀ 13

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SPECULAZIONE EDILIZIA Così viene definito l’acquisto o la vendita di edifici o di terreni edificabili al solo fine di lucrare sull’andamento del mercato. Si acquista infatti in una fase in cui i prezzi sono bassi per poi rivendere nella fase successiva, quando sono saliti.

Una strada di New York in una fotografia di fine Ottocento, epoca in cui la città conobbe un’espansione impetuosa.

LESSICO

2. La trasformazione urbana I profondi cambiamenti introdotti nella società dall’industrializzazione provocarono nell’Ottocento anche il fenomeno dell’urbanesimo, un processo che avrebbe condotto la maggioranza della popolazione a lasciare le campagne per trasferirsi appunto nelle città. Il processo fu graduale e non omogeneo nelle diverse aree geograiche: ancora una volta fu la Gran Bretagna a guidare il cambiamento. Negli anni Quaranta la popolazione urbana britannica aveva superato quella rurale; alla metà del secolo circa 30 città britanniche potevano essere considerate grandi centri, con almeno 100 000 abitanti, mentre Londra aveva già superato il milione di abitanti all’inizio del secolo e avrebbe raggiunto i due milioni e mezzo cinquant’anni dopo. L’aumento della popolazione cittadina ebbe in alcuni casi carattere impetuoso, come nelle città industriali o portuali inglesi: una città come Manchester passò in soli cento anni (da metà Settecento a metà Ottocento) da 30 000 a più di 300 000 abitanti; meno impressionanti ma analoghe le cifre per città come Liverpool o Birmingham. Si trattava di centri rimasti per secoli ai margini della vita economica ma investiti dall’urbanizzazione per la loro posizione geograica, prossima a grandi vie di comunicazione o a zone minerarie. Una rapida e tumultuosa crescita urbana si veriicò anche negli Stati Uniti dove, con l’uso urbanistico di costruire un centro dedicato agli afari e lo sfruttamento delle aree periferiche per l’ediicazione di sobborghi, si impose un modello destinato a durare nel tempo. In questo modo una città come New York passò nel corso dell’Ottocento da 50 000 a 3 milioni e mezzo di abitanti. Le città europee, spesso ancora legate alla struttura medievale, subirono grandi trasformazioni: tutti gli spazi disponibili venivano utilizzati, le vecchie mura abbattute, ediici storici ritenuti inutili venivano demoliti. Si trattava infatti di trovar spazio per nuove priorità: la stazione e le linee ferroviarie, la Borsa, i quartieri commerciali o degli afari, i tribunali. Erano i nuovi punti di riferimento della società industriale e borghese, che soppiantavano i simboli del passato: il palazzo pubblico, la cattedrale, la piazza del mercato.

LA NASCITA DI NUOVI QUARTIERI Facevano le spese di questo rinnovamento edilizio interi quartieri del centro, i cui abitanti, per lo più appartenenti ai ceti popolari, inirono in periferia: qui vennero costruiti i quartieri operai, ediicati in zone prima disabitate o inglobando piccoli villaggi un tempo separati dalla grande città. I nuovi quartieri popolari erano spesso ediicati senza criteri urbanistici in quanto frutto di grandi speculazioni edilizie. Spesso venivano eretti vicino

alle fabbriche che emanavano fumo e rumori, mancavano di acqua corrente e di impianti di riscaldamento, infrastrutture che invece distinguevano i quartieri abitati dalla borghesia. Nella città industriale si veriicava quindi la separazione isica fra le classi sociali, ignota nelle epoche passate quando i palazzi dei nobili e le case dei poveri sorgevano ianco a ianco. In città sempre più estese si pose inevitabilmente il problema dei collegamenti: per facilitare gli spostamenti le vecchie strade di terra, fangose o polverose in base alle condizioni meteorologiche, furono pavimentate. Lampioni a gas furono disposti in tutte le vie rendendole più sicure di notte; vennero organizzati nuovi sistemi di trasporto all’interno delle città, a partire dalle carrozze a cavalli, dette omnibus, aiancate poi o sostituite da linee tranviarie elettriche. Ancora più rivoluzionario fu inine il sistema di trasporto interrato, la metropolitana, che fu realizzato a Londra, dove la prima linea venne inaugurata il 10 gennaio 1863. Seguirono nel 1896 l’inaugurazione della prima linea della metropolitana di Budapest e nel 1900 quella di Parigi. La necessità di spostarsi all’interno della città era legata alla nuova disponibilità di servizi: si erano moltiplicati i negozi, le botteghe, ma anche teatri, biblioteche, cafè e ristoranti; anche i poteri pubblici contribuirono allo sviluppo delle città con la costruzione di scuole, uici, posti di polizia.

IL RINNOVAMENTO URBANO IN ALCUNE GRANDI CITTÀ In Italia molte città subirono importanti trasformazioni in seguito ai cambiamenti indotti, direttamente o meno, dall’avvento dell’industrializzazione. Nel 1865 vennero issate per legge le norme relative ai piani regolatori delle città in crescente espansione. Un esempio di grande trasformazione urbanistica fu quello di Parigi: negli anni Sessanta dell’Ottocento Napoleone III incaricò il prefetto Georges-Eugène Haussmann di ristrutturare il centro della città secondo un meditato progetto di modernizzazione. Gran parte del centro medievale venne abbattuto: gli stretti vicoli vennero sostituiti dagli ampi viali detti boulevards che, oltre a rendere più scorrevole la circolazione, avrebbero dovuto rendere impossibile la costruzione di barricate nel caso di sommosse (il ricordo del 1848 era ancora ben vivo). I boulevards principali vennero disposti a raggiera attorno all’Arco di Trionfo, che celebrava la potenza imperiale. Sotto la direzione di Haussmann furono aperti a Parigi 165 km di nuove strade e costruiti quindici ponti e quattro stazioni ferroviarie.

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LESSICO

La società dell’Ottocento e le sue contraddizioni

PIANO REGOLATORE È lo strumento che regola l’attività edificatoria dando ordine allo sviluppo delle città. Già le civiltà antiche – come quella mesopotamica, cinese e romana – avevano introdotto regolamenti che pianificavano lo sviluppo delle città. Questa esigenza, tuttavia, divenne ancora più necessaria con l’avvento della rivoluzione industriale e la conseguente necessità di scegliere i luoghi più idonei dove costruire le strade, le fabbriche, i nuovi quartieri, le stazioni ferroviarie ecc. Interno della Gallerie Lafayette Haussmann a Parigi.

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Quali furono le cause della trasformazione urbana? ƒ In che modo le città si trasformarono?

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3. La mentalità borghese LA FORMAZIONE DELLA BORGHESIA

In basso, William Robinson Leigh, Ritratto di Sophie Hunter Colston, 1896. Washington, Smithsonian American Art Museum. A destra, una famiglia borghese in viaggio in Canada nel 1897.

Al fallimento delle rivoluzioni del 1848-49 seguì un periodo di ritorno all’ordine. Insieme alle velleità democratiche, però, quella breve stagione rivoluzionaria indebolì il tradizionale predominio aristocratico sulla società, per quanto l’aristocrazia mantenesse la maggior parte delle cariche politiche e le vecchie gerarchie non fossero del tutto abbandonate. Tuttavia l’aristocrazia, legata per sua natura alla tradizione, non poteva restare al passo con i grandi cambiamenti determinati dalla rivoluzione industriale e gradualmente cedette il suo ruolo di guida della società alla borghesia. Attorno alla metà dell’Ottocento, aveva così inizio l’«età della borghesia» con l’afermazione di una nuova mentalità i cui comandamenti erano: libertà di iniziativa e di concorrenza, merito individuale, innovazione tecnologica e iducia illimitata nel progresso. La borghesia tuttavia era una classe sociale per nulla omogenea; al suo interno infatti si articolava in tre diverse componenti per fortuna economica e prestigio sociale anche molto distanti tra loro. Ne facevano infatti parte: ƒla piccola borghesia, composta da artigiani, piccoli proprietari terrieri, piccoli commercianti, insegnanti e impiegati; ƒla media borghesia, composta da ricchi commercianti, medici, dirigenti e professionisti; ƒl’alta borghesia, composta da grandi imprenditori, grandi proprietari terrieri e banchieri. Nonostante le diferenze tra queste componenti, a unire la borghesia era soprattutto il suo stile di vita. Molta importanza era attribuita per esempio all’abbigliamento, che era una sorta di biglietto da visita nella società del tempo: alla metà dell’Ottocento, in Francia, si calcola che la spesa per il vestiario di una famiglia borghese fosse di poco inferiore a quella per il cibo e pari a quella per l’aitto della casa. Per confronto, una famiglia operaia spendeva per alimentazione e aitto quasi la totalità delle proprie entrate. Anche l’arredamento era molto curato. Pur evitando, in genere, il lusso e lo sfarzo delle dimore aristocratiche e dando maggiore importanza alla solidità e alla funzionalità, le case borghesi si distinguevano per il gran numero di mobili, soprammobili, quadri: la ricchezza e la condizione sociale venivano espresse con il possesso di oggetti che andavano esibiti.

La società dell’Ottocento e le sue contraddizioni

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I VALORI DELLA BORGHESIA

COMPETENZE

L’etica borghese si fondava su valori molto distanti da quelli degli aristocratici, che amavano ostentare la propria ricchezza sperperando il denaro. Al contrario, l’attitudine al risparmio, all’austerità, alla moderazione, all’onestà erano qualità che dovevano distinguere il borghese e renderlo rispettabile, degno cioè del suo appartenere alla classe dirigente e svolgere la funzione di guida della società. D’altronde, questa funzione dipendeva per il borghese dall’immagine che si aveva di lui, dal suo essere stimato e ammirato per il successo raggiunto, mentre per l’aristocratico derivava in modo immediato dall’appartenenza a un ordine privilegiato. La famiglia era ovviamente il primo ambito in cui le virtù borghesi dovevano essere messe in pratica ed esibite. Al suo interno il compito di capofamiglia spettava all’uomo, mentre la donna era relegata al ruolo di «angelo del focolare», simbolo dell’unità familiare. La rispettabilità riguardava in primo luogo la morale sessuale: almeno esteriormente e nelle enunciazioni di principio, monogamia e fedeltà erano al primo posto fra le virtù coniugali, e ogni infrazione evidente a questo codice era fonte di scandalo. I critici della morale borghese mettevano però alla berlina un modo di vivere che badava più all’esteriorità che alla sostanza delle virtù coniugali: Marx affermava che «il matrimonio borghese è la comunanza delle donne sposate», poiché tradimento e infedeltà erano assai praticati nelle apparentemente rispettabili famiglie borghesi. L’importanza della famiglia come segno della condizione sociale agiata e rispettabile era testimoniata dal ricorso al ritratto o alla fotograia di famiglia, uno dei soggetti più richiesti ai primi fotograi. Alcune tipologie iconograiche erano comuni a tutta Europa: la famiglia riunita, con anche tre o quattro generazioni, tutti in posa davanti alla villa o in giardino. Non si trattava di semplice vanità o esibizione del proprio status, ma in un certo senso della necessità di rassicurarsi sui propri valori, sul proprio potere, sulla propria esistenza e rispettabilità.

La supremazia maschile sulle donne Pag. 470

RICCHEZZA E POVERTÀ COME INDICATORI DELLA MORALE

LESSICO

I comportamenti contrari alla morale borghese non si limitavano alla sfera familiare e sessuale: cronache e romanzi dell’epoca narrano di trufatori e speculatori, di uomini che avevano sperperato al gioco o con le donne le fortune di famiglia. Tuttavia la mentalità borghese riconosceva l’esistenza di un legame fra qualità etiche, successo economico e status sociale elevato. In altre parole, soltanto chi si impegnava nel lavoro poteva legittimamente aspirare a salire la scala sociale o a mantenervi un grado elevato. Ne discendeva una inevitabile conclusione: colui che occupava i gradi inferiori della società non possedeva quelle qualità o non si impegnava ad acquisirle. La povertà era dunque un peccato, oppure la conseguenza di colpe risalenti indietro nel tempo. Era evidente, secondo questa mentalità, che i poveri non volevano lavorare o risparmiare o controllare i loro istinti più bassi. Ed era altrettanto evidente il motivo per cui delinquenza, prostituzione, alcolismo, ignoranza fossero prerogativa delle classi inferiori. Nella visione borghese, tuttavia, restava aperta la possibilità, MORALE / ETICA Il termine «morale» deriva dal latino mores, sostantivo che indica gli usi, i costumi e le consuetudini collettive; l’etimologia è affine a quella di «etica», dal greco éthos. Entrambi i termini fanno riferimento ai valori a cui si ispira il comportamento umano. Il termine morale viene talora usato anche con una connotazione negativa: per alcuni sembra infatti rimandare a un sistema di valori e comportamenti imposti dall’alto, da un’autorità, in particolare religiosa, alla quale non si è più disposti a dare ascolto. Anche l’aggettivo «moralista» ha una sfumatura negativa: indica infatti una persona che fa derivare i suoi comportamenti da valori assunti in modo acritico, pronta a stigmatizzare i comportamenti altrui piuttosto che a valutare la fondatezza dei propri. Al contrario, etica richiama un atteggiamento di maggiore autonomia nella scelta e nell’adesione ai valori. Infine, alcuni sistemi filosofici intendono la morale come l’oggetto dell’etica, in quanto la morale si occuperebbe delle norme ispirate all’etica, intesa quale riflessione generale. In realtà una distinzione universalmente accettata fra morale ed etica non è mai stata definita; per questo spesso i due termini sono usati come sinonimi.

USARE LE FONTI

UNITÀ 13

460 per il povero che intendesse abbandonare il suo stile di vita riprovevole e si impegnasse a essere laborioso e parsimonioso, di risalire nella considerazione pubblica e di migliorare notevolmente la propria condizione. Il possesso di denaro non era dunque per il borghese la semplice possibilità di acquistare diversi tipi di beni, né soltanto la garanzia per una vecchiaia serena (l’assicurazione obbligatoria per la vecchiaia, ossia la pensione, venne istituita in Germania solo negli anni Ottanta del XIX secolo), ma il segno della propria superiorità morale e sociale.

GUIDA ALLO STUDIO

APPROFONDIMENTO

ƒ Da chi era composta la borghesia? ƒ Quali erano i valori della borghesia? ƒ Quale importanza aveva la famiglia? ƒ Perché ricchezza e povertà non erano semplici condizioni economiche?

TUTOR

MENTALITÀ A CONFRONTO Valori aristocratici

Valori borghesi

Sfarzo

Austerità

Spreco

Risparmio

Rendita

Lavoro

Tradizione

Progresso

Esibizione

Moderazione

Prestigio sociale

Successo negli affari

Morale ispirata all’onore

Coerenza morale (almeno apparente)

Rispettabilità ereditata

Rispettabilità conquistata

Il salotto borghese Opera del tedesco Friedrich Wilhelm Doppelmayr (1776-1850), questo dipinto dal titolo Gruppo di famiglia descrive il gusto «dell’onesto uomo qualunque» per il salotto, il luogo della casa che più di ogni altro traduce esteticamente i valori in cui la famiglia borghese crede: il successo nel lavoro, innanzitutto, che si manifesta nella ricerca di un

arredamento ricco di innumerevoli oggetti tutti scelti con grande cura; l’onestà, che si esprime nella pulizia e nel decoro; l’austerità, che si riflette nella mancanza di eccessi tipici delle abitazioni aristocratiche. L’insieme vuole essere gradevole, come si conviene a una famiglia rispettabile che fa della moderazione il suo stile di vita.

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La società dell’Ottocento e le sue contraddizioni

4. Un’ondata di ottimismo: il Positivismo IL POSITIVISMO COME FIDUCIA NELLA SCIENZA

Auguste Comte in una fotografia.

Il concetto positivista di progresso Il termine «progresso» – dal latino progredi, «camminare in avanti, avanzare» – è di solito utilizzato nel senso di sviluppo. In ambito storico e filosofico, la credenza nel progresso comporta la certezza che il cammino della Storia vada in direzione di un graduale ma inarrestabile miglioramento della condizione umana. Questo miglioramento comporta innanzitutto una crescita della felicità umana, verificabile sia sul piano del benessere materiale sia su quello del compimento spirituale. Nonostante antecedenti teologici – come la dottrina medievale di Gioacchino da Fiore di una futura età dello Spirito – è con l’Illuminismo che il concetto di progresso si impone: nella visione laica della Storia proposta dagli illuministi la natura umana appare perfettibile e la felicità è realizzabile sulla terra e non solo nell’aldilà o dopo la morte. I romantici si impadronirono del concetto di progresso integrandolo in visioni storiciste o idealistiche e la Storia apparve loro guidata dallo spirito universale che conduce l’umanità, anche al di là delle sue intenzioni (secondo la dottrina dell’eterogenesi dei fini già avanzata da Giambattista Vico), a realizzazioni spirituali e materiali sempre più elevate.

Nell’età del Positivismo, soprattutto nella seconda metà del XIX secolo, il progresso è diventato l’ideale-guida della cultura e della società borghese e appare come l’inevitabile risultato di leggi scientifiche che agiscono all’interno del mondo umano, manifestandosi soprattutto con le scoperte tecnologiche e il miglioramento del tenore di vita generale. Già alla fine dell’Ottocento, però, il concetto positivista di progresso sembrava non rispondere più ai cambiamenti della società. Diversi intellettuali denunciavano i rischi di una cieca fiducia nel progresso, di uno stile di vita dominato dalle macchine e dalla massificazione. Le stragi e le distruzioni della prima guerra mondiale, combattuta con le armi e le tecnologie messe a punto grazie proprio alle scoperte scientifiche, dimostrarono che l’ottimismo legato all’idea di progresso non era fondato e che la felicità del genere umano non era un traguardo garantito. Le successive vicende del Novecento, con le esperienze dei regimi totalitari, la tragedia del secondo conflitto mondiale e il rischio di distruzione del pianeta conseguente alla proliferazione delle armi nucleari, hanno reso obsoleta una visione acriticamente ottimistica del progresso.

APPROFONDIMENTO

Le grandi scoperte scientiiche e le novità in tutti i settori provocarono un’ondata di ottimismo senza precedenti nei confronti dell’avvenire del genere umano. Per la prima volta si presentava all’uomo la possibilità di mutare il suo destino, grazie esclusivamente alla sua intelligenza e all’opera delle sue mani. La iducia nei confronti della scienza e della tecnica divenne una vera e propria fede. Si difuse una corrente intellettuale che permeò un’epoca, ino a diventare un clima culturale, una mentalità comune, che prese il nome di «Positivismo»: termine coniato dal ilosofo francese Henri Saint-Simon (1760-1825) per indicare la validità delle scienze sperimentali, deinite «positive» in contrapposizione alle astratte ilosoie allora dominanti. Il termine ebbe fortuna soprattutto grazie all’opera di Auguste Comte (1798-1857), che elaborò un’applicazione del metodo scientiico anche all’ambito della società umana: nasceva così quella che lui chiamò «sociologia», una scienza che avrebbe dovuto studiare la struttura della società e i suoi cambiamenti, improntati al progresso dell’umanità. Le dottrine di Comte ispirarono intellettuali, scrittori e uomini politici su entrambe le sponde dell’Atlantico: nel 1889 il Brasile adottò una bandiera sulla quale campeggia il motto Ordem e Progresso, «ordine e progresso», ispirato a una frase di Comte: «L’amore come principio, l’ordine come base, il progresso come ine». L’esaltazione delle macchine divenne argomento di romanzi e testi poetici che intendevano mostrare come queste rendessero l’uomo libero dalla fatica permettendogli di raggiungere il pieno sviluppo e la realizzazione spirituale. Anche la descrizione degli ambienti sociali o di lavoro presentata da diversi romanzieri intendeva ritrarre gli uomini nella loro oggettiva condizione senza indulgere in analisi psicologiche: gli scrittori si proponevano di denunciare le situazioni di ingiustizia nella convinzione di contribuire anch’essi al progresso dell’umanità.

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La «sala delle macchine» all’Esposizione Universale di Parigi del 1898, dove si potevano ammirare i macchinari più moderni e tecnologicamente avanzati.

LA SCIENZA CREA SCANDALO: DARWIN E L’EVOLUZIONISMO Nel contempo Charles Darwin (1809-1882) formulava una rivoluzionaria teoria biologica: l’evoluzionismo. Fu decisivo per Darwin un lungo viaggio di carattere scientiico, compiuto dal dicembre 1831 all’ottobre 1836 sulla nave Beagle che lo portò in America Latina, a Tahiti, in Nuova Zelanda e in Australia. Egli scoprì infatti fossili diferenti da quelli ino ad allora conosciuti; notò inoltre come le stesse specie viventi si fossero evolute in maniera diversa, in funzione dell’ambiente in cui per millenni erano vissute e si erano riprodotte. Ritornato in Inghilterra, Darwin lavorò per oltre vent’anni alla raccolta di un’immensa quantità di dati sulla base dei quali pubblicò nel 1859 L’origine delle specie. In quest’opera sosteneva che la natura era dominata da due leggi fondamentali tra loro strettamente col-

Una raffigurazione della nave Beagle nelle acque dello Stretto di Magellano, durante il viaggio di studio di Charles Darwin.

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La società dell’Ottocento e le sue contraddizioni

L’origine dell’uomo o di Darwin? Nel 1860 il vescovo anglicano di Oxford rivolse a Darwin questo ironico interrogativo: «È veramente credibile che le rape abbiano la tendenza a diventare degli uomini?». Nel 1869 un certo dottor Francesco Barrago tenne a Cagliari una conferenza dal titolo volutamente provocato-

Un ritratto di Charles Darwin, opera di John Collier (1881-1883).

rio: «L’uomo fatto a immagine di Dio, fu anche fatto a immagine della scimmia». Darwin divenne anche oggetto di innumerevoli vignette satiriche che ironizzavano sulla sua teoria mostrando i tratti scimmieschi del suo volto.

In questa vignetta satirica viene messa in ridicolo la teoria evoluzionistica di Darwin, raffigurato come una scimmia.

APPROFONDIMENTO

legate: la «lotta per la vita e la selezione naturale. Dalla lotta per la vita derivava la selezione naturale che consentiva la sopravvivenza solo di quegli individui in grado di adattarsi meglio all’ambiente; tutti gli altri erano condannati all’estinzione. Inoltre Darwin sostenne che tutte le specie, compresa quella umana, erano in relazione tra loro: si sarebbero evolute e diferenziate solo per efetto della selezione naturale. Un’afermazione di questo genere, alla metà del XIX secolo, apparve a dir poco scandalosa: contraddiceva infatti la Bibbia che descrive la creazione successiva di diversi animali, coronata dalla creazione di una specie superiore, l’uomo. Ebbe una grandissima importanza nel determinare una violenta reazione antidarwiniana anche l’idea che gli stessi uomini si fossero evoluti a partire da altre specie animali. Nel 1871 Darwin pubblicò L’origine dell’uomo in cui mise in evidenza le prove riguardanti la discendenza dell’uomo, non già dalle scimmie viventi, come erroneamente disse qualcuno, ma da antenati scimmieschi: in altri termini, l’uomo e le scimmie antropomorfe (gorilla, scimpanzé, orango) avrebbero un antenato comune. Questa afermazione scatenò la più dura contestazione, in quanto andava contro le credenze religiose e varie correnti ilosoiche e poi, secondo la mentalità corrente, urtava la sensibilità e il buon gusto! Anche in Italia le reazioni furono esplosive. L’evoluzionismo rappresentò tuttavia in biologia quello che in astronomia aveva rappresentato la teoria copernicana. Se con la rivoluzione astronomica di Copernico muta l’ordine spaziale (l’uomo non è più al centro dell’universo), con la rivoluzione biologica di Darwin muta l’ordine temporale: il mondo infatti non viene più descritto come popolato da specie isse e immutabili esistenti sin dalla creazione; al contrario, tutte le specie viventi, compreso l’uomo, sono in continua evoluzione. Il che, come aveva sostenuto a suo tempo Galileo difendendo la teoria copernicana, non va posto in contraddizione con la Bibbia, per la semplice ragione che la Bibbia non è un libro di scienza, ma di fede: contiene il messaggio della salvezza, non la descrizione scientiica della natura.

APPROFONDIMENTO

UNITÀ 13

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L’evoluzione dell’uomo Oggi sulla Terra vive una sola specie umana, ma per molto tempo sono esistite sul pianeta diverse specie di ominidi. In base ai ritrovamenti effettuati – in alcuni casi non abbiamo che poche ossa – due studiosi tedeschi, Ottmar Kullmer e

Wolfgang Schnaubelt, hanno dato un volto a questi nostri antenati. Così oggi li possiamo ammirare al Museo di Scienze naturali di Darmstadt, in Germania.

Australopithecus anamensis 4,2-3,8 milioni di anni fa

Australopithecus afarensis 3,7-2,9 milioni di anni fa

Australopithecus africanus 2,5 milioni di anni fa

Homo rudolfensis 2,5-1,8 milioni di anni fa

Homo habilis 2,5-1,5 milioni di anni fa

Homo erectus 1,8-0,3 milioni di anni fa

Homo sapiens neanderthaliensis 150 000-30 000 anni fa

Homo sapiens sapiens da 150 000 anni fa a oggi

L’EVOLUZIONISMO E LA POLITICA: IL DARWINISMO SOCIALE

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Quali erano i principali caratteri del positivismo? ƒ Quali erano i meccanismi dell’evoluzione secondo Darwin? ƒ Perché il darwinismo suscitò tanto scandalo? ƒ Che cosa si intende per darwinismo sociale?

La dottrina dell’evoluzione venne utilizzata per giustiicare teorie sociali e politiche molto diverse tra loro, anche di segno opposto. Questa utilizzazione del pensiero di Darwin viene deinita darwinismo sociale. Una prima interpretazione razzista e militarista del darwinismo poneva l’accento sulla selezione naturale: i suoi sostenitori ne deducevano la legittimità della guerra come necessità biologica. La guerra consentiva infatti di eliminare gli elementi più deboli della società e di costruire a livello internazionale una gerarchia di Stati e razze con a capo i più forti. Il generale e storico tedesco Friedrich von Bernhardi scriveva nel 1911: «Così la guerra contribuirà al progresso umano, poiché è chiaro che i fattori che conferiscono la superiorità in guerra, in particolare quelli spirituali e morali, sono gli stessi che rendono possibile un’evoluzione progressiva. Essi danno la vittoria proprio perché custodiscono in sé gli elementi del progresso. Ma senza la guerra le razze inferiori o decadenti sofocherebbero facilmente quelle sane e feconde, con la conseguenza del decadimento generale». Queste teorie giustiicavano quindi le tensioni internazionali e le rivalità nazionalistiche, come pure il colonialismo in quanto sottomissione dei popoli più arretrati a opera di quelli più evoluti. Un’altra interpretazione del darwinismo mise invece in evidenza la possibilità di un progresso ininito del genere umano. Secondo questa interpretazione, l’evoluzione non si fondava soltanto sulla selezione naturale: gli animali avevano infatti sviluppato, man mano che si sale nella catena evolutiva, anche la capacità di cooperare e di aiutarsi reciprocamente, non solo l’egoismo e la violenza. Inoltre, l’esaltazione della guerra come necessità biologica ignorava completamente gli efetti disastrosi dei conflitti armati: la guerra infatti non eliminava gli individui deboli e malati, ma proprio gli individui migliori per forza e intelligenza, i più sani e i più adatti, mandati a combattere e a esporsi al fuoco nemico.

La società dell’Ottocento e le sue contraddizioni

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5. La critica del progresso LA PRIMA INTERNAZIONALE Il Manifesto del Partito Comunista, che Marx aveva scritto nel 1848 con Engels (vedi Unità 7, par. 5), terminava con il celebre invito: «Proletari di tutti i Paesi, unitevi». I proletari, infatti, di qualunque Paese fossero avevano un interesse comune: porre ine al loro sfruttamento da parte dei capitalisti. Inoltre, solo una collaborazione delle diverse organizzazioni dei lavoratori poteva contrastare la volontà internazionale di reprimere il difondersi della protesta. Nel 1864, così, nacque a Londra l’Associazione Internazionale dei Lavoratori, meglio nota come Prima Internazionale.

Fin dalla sua fondazione, però, la Prima Internazionale fu animata dalle più diverse convinzioni ideologiche: dal sindacalismo inglese di tendenza riformista, ai marxisti che proponevano di abbattere la società borghese con la rivoluzione; dai mazziniani che giustiicavano le rivendicazioni democratiche con argomenti morali, agli anarchici che negavano ogni forma di autorità sia religiosa che politica. Marx preparò l’Indirizzo inaugurale e gli Statuti dell’organizzazione, ma le sue posizioni suscitarono immediate contestazioni. Signiicativo fu il caso di Mazzini, che ritirò la sua collaborazione: egli infatti non poteva in alcun modo accettare di far parte di un’organizzazione sempre più dominata dai princìpi della lotta di classe e del materialismo ateo. I lavori della Prima Internazionale, dunque, furono caratterizzati dallo scontro tra le diverse componenti che la costituivano. La polemica più aspra fu quella che oppose Marx a Bakunin, il massimo teorico dell’anarchismo.

L’ESPULSIONE DI BAKUNIN Michail Bakunin era nato nel 1814 in Russia da una famiglia appartenente alla piccola nobiltà contadina. Secondo Bakunin la causa della mancanza di libertà non andava cercata nello sfruttamento economico, come sosteneva Marx, ma nello Stato. Era questo infatti, insieme alla religione, lo strumento utilizzato dalle classi dominanti per opprimere la maggioranza della popolazione. Una volta abbattuto lo Stato con la rivoluzione, anche lo sfruttamento economico fondato sulla proprietà privata sarebbe cessato. Al suo posto, si sarebbe immediatamente instaurato il comunismo, inteso come società anarchica: la società degli uomini liberi. Per

LESSICO

La tipica bandiera rossa di un’associazione di lavoratori ottocentesca con la scritta in tedesco «Proletari di tutti i Paesi unitevi».

ANARCHIA Termine di derivazione greca che significa «mancanza di governo». Fino all’Ottocento fu usato in senso negativo per indicare una situazione di disordine, di caos. In seguito, invece, il termine venne inteso dal movimento anarchico in senso positivo: la mancanza di governo, con l’abbattimento dello Stato, era infatti l’obiettivo da raggiungere. Solo così l’uomo sarebbe tornato a essere libero e non oppresso dall’autorità, rifiutata in tutti i suoi aspetti (autorità politica, religiosa, familiare ecc.).

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466 giungere a questo risultato, del tutto analogo a quello prospettato dai socialisti, occorreva però non cadere in tre errori di Marx: ƒla dittatura del proletariato come fase di transizione; ƒindividuare il soggetto rivoluzionario nel proletariato; ƒil permanere dello Stato dopo l’instaurazione del comunismo. Secondo Bakunin erano i diseredati, i sottoproletari e i braccianti agricoli i soggetti rivoluzionari per eccellenza. Solo dalla loro spontanea ribellione e dalla lotta armata sarebbe sorto il mondo nuovo. Marx riteneva invece che la rivoluzione andasse preparata da una serie di battaglie e conquiste della classe operaia già all’interno del sistema capitalista. Le divergenze tra Marx e Bakunin erano dunque insanabili: lo scontro si concluse con l’espulsione nel 1872 di Bakunin dall’Associazione Internazionale dei Lavoratori. Ma ormai era l’intera organizzazione a traballare. Il Congresso dell’Aja del 1872 vide infatti approfondirsi la divisione fra l’ala marxista e quella anarchica: il pretesto fu la decisione di Marx di trasferire la sede dell’Internazionale da Londra a New York. Gli anarchici si opposero, ritenendo che tale iniziativa fosse stata assunta in modo unilaterale. Con questa scelta Marx mirava di fatto a esaurire l’esperienza dell’Internazionale, ritenuta ormai un’organizzazione inutile e ineicace; il futuro del movimento operaio stava invece, a suo parere, nella nascita di forti partiti socialisti nazionali per attirare e organizzare la maggioranza della classe operaia. La crisi economica che esplose nel 1873 diede il colpo di grazia alla Prima Internazionale: dimostrò infatti che essa non era più in grado di difendere gli interessi dei lavoratori. Nel 1876, il Congresso di Filadelfia ne decise lo scioglimento. Anarchici e bakuniniani mantennero tuttavia un’influenza notevole in diversi Stati europei, in particolare quelli ancora poco interessati dall’industrializzazione e dove si poteva contare sull’appoggio dei contadini e sulla loro tendenza alla ribellione contro i grandi proprietari. L’avanzare della rivoluzione industriale inì però per ridurre o far scomparire i ceti simpatizzanti per l’anarchismo, come appunto i contadini, favorendo invece la nascita e il raforzamento di una classe operaia moderna, generalmente attratta dal socialismo marxista.

LA CONDANNA DELLA CHIESA CATTOLICA Il progredire e l’estendersi della rivoluzione industriale nella seconda metà dell’Ottocento posero la Chiesa cattolica di fronte a numerosi problemi e interrogativi. Già in precedenza, nella prima parte del secolo, erano apparsi evidenti i segni di una società in rapida evoluzione, ma la Chiesa non aveva saputo andare al di là di una ferma, quanto generica condanna di tutto quanto di nuovo, sotto il proilo teorico, politico e sociale, si andava afermando. Questa condanna venne ribadita con particolare forza da papa Pio IX. Dopo un inizio di TUTOR

LO SCONTRO IDEOLOGICO Marx

Bakunin

Lo sfruttamento economico genera la diseguaglianza sociale.

La causa fondamentale della diseguaglianza sociale è la tirannia dello Stato.

Solo con la rivoluzione si può abbattere lo Stato borghese. Prima però di giungere al comunismo, inteso come società senza classi, è necessario un periodo di transizione: la dittatura del proletariato.

All’abbattimento rivoluzionario dello Stato borghese segue immediatamente il comunismo, inteso come libera società anarchica.

Il proletariato organizzato politicamente è il vero soggetto rivoluzionario.

Diseredati, sottoproletari e braccianti agricoli sono i soggetti rivoluzionari per eccellenza.

Il proletariato, per agire come classe, deve organizzarsi in un partito politico che deve guidare la rivoluzione.

Il partito politico, in quanto caratterizzato dalla delega, è una struttura autoritaria. Gli oppressi devono invece agire in modo diretto, spontaneo.

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pontiicato aperto alle riforme, Pio IX si ritirò su posizioni conservatrici, difendendo con vigore l’ortodossia dottrinale. Particolare cura riservò al culto mariano, concepito in opposizione agli errori del mondo moderno. Nel 1854 proclamò il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria, secondo il quale la Madre di Dio era stata concepita libera dal peccato originale: Maria veniva quindi oferta alla devozione dei fedeli come modello di purezza e perfezione in contrasto con un mondo che inseguiva i beni e i piaceri materiali. Il culto alla Madonna ricevette un ulteriore impulso dalle apparizioni del 1858 a Lourdes, nel Sud della Francia, cittadina che divenne meta di pellegrinaggi soprattutto in seguito a miracolose guarigioni lì accadute per intercessione della Vergine. Nel 1864 Pio IX pubblicò l’enciclica Quanta cura contenente un’articolata denuncia degli errori più comuni del tempo; errori poi evidenziati in un secondo documento, il Sillabo (termine di origine greca, che signiica «raccolta, sommario, catalogo»). Il Sillabo era formato da 80 proposizioni contenenti, secondo Pio IX, i più gravi errori del periodo. Vennero così condannati: la morale laica, il liberalismo, il socialismo e il comunismo, la separazione fra Chiesa e Stato, il non ritenere la religione cattolica come religione di Stato, il sostenere che l’abolizione del potere temporale potesse giovare «alla libertà e alla prosperità della Chiesa», la libertà di culto, la piena libertà di pensiero e di stampa. Inine, quasi a sintesi conclusiva di tutte le afermazioni ritenute errate, con l’ultima proposizione si condannava la convinzione secondo cui «il Romano Ponteice può e deve riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col liberalismo e colla modernità». Il contrasto fra Pio IX e il mondo laico-borghese raggiunse un altro punto critico con la proclamazione del dogma dell’infallibilità pontificia, deinita nel corso del Concilio Vaticano I (1870): Pio IX afermava che, nel caso di interventi uiciali in ambito di fede e di morale, il ponteice era da ritenersi infallibile. Ciò signiicava svalutare qualsiasi altra autorità, come quella dei sovrani e dei governi. Ma il dogma indeboliva anche l’autorità dei vescovi. Per questo, oltre alle critiche provenienti dai Paesi non cattolici o indiferenti in ambito religioso, il dogma non fu apprezzato anche dai governi degli Stati cattolici. L’isolamento della Santa Sede apparve evidente quando, all’ingresso degli Italiani a Roma nel settembre 1870, nessun Paese prese le armi in difesa del papa.

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Con quale intento nacque la Prima Internazionale? ƒ Quando e perché venne sciolta la Prima Internazionale? ƒ Secondo Bakunin chi erano i soggetti rivoluzionari? ƒ Che cos’era il Sillabo e che cosa condannava? ƒ Quali dogmi furono definiti da Pio IX?

LIBERALISMO / LIBERALE / LIBERISTA / LIBERTARIO Liberale è chi aderisce al liberalismo, ovvero a quella dottrina politica che rivendica il riconoscimento delle libertà dell’individuo da parte dello Stato, mentre il termine liberista fa riferimento all’aspetto economico del pensiero liberale. Libertario è invece chi rivendica una libertà senza limiti, il che implica l’abolizione delle leggi e di ogni forma di autorità. Il libertario è dunque un anarchico.

LESSICO

Vignetta del 1870 che mostra Pio IX che cammina in bilico con i suoi cardinali verso il dogma dell’infallibilità: il cartello la definisce pericolosa (dangerous in inglese).

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Dal passato al presente La medicina fu uno dei settori più avvantaggiati dalle novità della seconda rivoluzione industriale, in particolare grazie ai progressi della chimica, che realizzò nuovi farmaci tutt’oggi indispensabili; l’aspirina entrò sul mercato nel 1899 e nel 1909 si produsse il primo antibiotico. Anche la psicanalisi, la terapia elaborata dal medico viennese Sigmund Freud che tanto successo ha avuto soprattutto nel corso del Novecento, ebbe origine proprio in questi anni.

È meglio produrre aspirina o eroina? UNA MEDICINA «EROICA»

IERI

La medicina è una pratica dagli incerti risultati e i pazienti venivano sottoposti a operazioni chirurgiche senza anestesia. La lotta al dolore veniva fatta con sistemi rudimentali e poco efficaci OGGI

La medicina è diventata una scienza moderna. La lotta al dolore ha raggiunto livelli straorinari grazie al diffondersi dell’anestesia. Tuttavia nella lotta al dolore si è pervenuti alla scoperta di nuove droghe, come l’eroina

Le storie dell’aspirina e dell’eroina, le più influenti «medicine» del XX secolo – una legale, l’altra illegale – sono intrecciate fra loro attraverso la igura di un chimico della Bayer, Heinrich Dreser. Dreser era stato un chimico assai promettente: ottenne il dottorato a Heidelberg, poi lavorò presso numerosi laboratori e insegnò all’Università di Bonn. Quando venne assunto dalla Bayer, colosso della farmaceutica tedesca, gli venne aidato il compito di testare la qualità e la sicurezza dei nuovi prodotti. Nel 1897 Felix Hofmann sintetizzò l’aspirina e la raccomandò, entusiasta, a Dreser, che la riiutò dopo un esame molto supericiale. Infatti, Dreser aveva in mente un altro prodotto, dalle grandi potenzialità: l’eroina. Da tempo gli scienziati cercavano un prodotto che potesse sostituire la morina come antidoloriico senza provocare dipendenza: Dreser era convinto che l’eroina avrebbe soddisfatto questa esigenza, diventando così una grossa fonte di introiti per la sua ditta. Testò la sostanza su cavie animali e anche su dipendenti della Bayer: furono proprio questi ultimi a descrivere gli efetti della droga, dicendo che li faceva sentire «eroici». La nuova sostanza fu così chiamata «eroina» e presentata nel 1898 come un medicinale eccellente contro la tosse ma soprattutto molto più eicace della morina per calmare il dolore, senza peraltro che ci fosse pericolo di assuefazione. In un periodo in cui tubercolosi e polmonite erano tra le principali cause di morte, l’eroina – rallentando la respirazione e

consentendo agli ammalati riposanti notti di sonno – ebbe subito grande successo. Ma nei successivi dieci anni si compresero ino in fondo le conseguenze di questo «farmaco».

CONSEGUENZE DESIDERATE L’eroina dà uno stato di benessere difuso che si accompagna alla scomparsa di angosce, timori e all’annullamento del dolore isico. Chi assume eroina va alla ricerca in particolare del flash, una sensazione improvvisa e acuta di euforia, benessere e calore.

CONSEGUENZE INDESIDERATE Anche l’assunzione di poche dosi di eroina genera rapidamente una dipendenza isica e psichica, richiede un continuo aumento del dosaggio e genera crisi d’astinenza. L’uso continuo provoca la scomparsa degli efetti piacevoli, ino ad arrivare all’assunzione dell’eroina semplicemente per restare normali e combattere la crisi d’astinenza. Sotto il proilo isico, si assiste poi al decadimento dello stato generale di salute. Si abbassano le difese immunitarie con conseguente debolezza dell’organismo che diventa facile preda delle più diverse malattie. A ciò si aggiungano carie e perdita di denti, flebiti, ascessi. In poco tempo l’individuo che fa uso di eroina perde ogni interesse sociale e l’unica preoccupazione della sua vita diventa il procurarsi l’eroina. Manca l’eroina: paranoia; l’ho trovata: gioia (e questo più volte al giorno).

La società dell’Ottocento e le sue contraddizioni

Ben presto, dunque, i dirigenti della Bayer si resero conto degli efetti devastanti dell’eroina e compresero che questo nuovo «medicinale» non sarebbe stato quella grande fonte di guadagno che avevano sperato. Per fortuna, gli studi sull’aspirina, nonostante la prima bocciatura da parte di Dreser, non erano stati abbandonati e il nuovo prodotto, registrato già nel 1899, ebbe subito un enorme successo, soppiantando l’eroina come

fonte di guadagno per la Bayer. Nel 1913 fu sospesa la produzione di eroina, il cui uso senza prescrizione fu vietato nel 1914. Nel 1919 fu dichiarata illegale anche la prescrizione ai tossicodipendenti. Alla Bayer ora non interessava più questo prodotto (guadagnava di più con la nuova arrivata aspirina, i cui proventi costituivano il 60% dei suoi introiti). Ma ormai l’eroina era stata inventata, con conseguenze che arrivano drammaticamente ino ai giorni nostri.

OPPIO Con l’Ottocento l’oppio divenne di gran moda, e da allora il termine è diventato di uso comune. Tuttavia fin dalla preistoria è accertato l’uso dell’oppio estratto dal papavero: Sumeri, Assiri e Babilonesi lo usavano come calmante, gli Egizi lo consigliavano per calmare il pianto dei bambini. Nel mondo greco, sappiamo da Omero che si usava una misteriosa bevanda rilassante che faceva dimenticare fatica e dolori: è famoso l’episodio della Maga Circe, nell’Odissea, che diede da bere ai compagni di Ulisse del vino mescolato con un succo che cancellava il ricordo della propria terra. Tra i medici naturalisti dell’epoca romana solo Plinio il Vecchio accenna esplicitamente a certe erbe dispensatrici di ilaritatem, in uso, pare, nei banchetti. L’uso dell’oppio fu particolarmente intenso in Cina, secondo alcuni a partire già dal 2800 a.C., ma essenzialmente come medicinale. Il suo impiego come droga risale al XVII-XVIII secolo. Ma fu nel XIX secolo che l’oppio ebbe una larga diffusione tra la popolazione cinese, tanto da provocare lo scontro tra la Cina, che ne voleva vietare l’uso, e la Gran Bretagna che dalla sua vendita traeva vantaggi economici. HASHISH Oltre all’oppio, anche l’hashish prese a diffondersi nell’Ottocento, sebbene dall’Oriente fosse giunto in Europa nel Medioevo. Il termine hashish significava tra gli Arabi «erba», e fu l’elemento destinato a rendere storicamente famosa la setta musulmana degli Hashashin o «Assassini » (da cui deriva il vocabolo italiano). Hashashin, significava infatti in arabo volgare «mangiatore di hashish» perché ne facevano uso i membri della setta per stordirsi e inebriarsi prima di commettere i loro delitti. Furono i Crociati a portare la parola in Europa. L’hashish è il nome della cannabis indica, una pianta della famiglia delle Urticacee originaria dell’Himalaya settentrionale. Essa produce una densa resina che, polverizzata e filtrata, può essere usata come bevanda. L’uso dell’hashish venne importato negli Stati Uniti nel 1926 dal Messico: l’abitudine di fumarlo cominciò a New Orleans in Louisiana, negli ambienti del jazz. Presto risalì a nord attraverso i battelli a ruote del Mississippi, e nel 1930 non esisteva grande città degli Stati Uniti dove non si conoscesse questa droga. MORFINA Nel 1803 un farmacista tedesco, Adam Sertürner, scoprì un derivato dell’oppio, capace di provocare il sonno quasi immediato. Dal dio greco del sonno, Morfeo, lo chiamò morphium. Questa scoperta aveva spalancato le porte alla tossicomania da morfina, prima usata per terapia, poi come stupefacente: fondamentale fu l’associazione con la siringa ipodermica, che permise l’assunzione in vena. Mietendo vittime fra medici, farmacisti e dentisti, la morfina divenne una protagonista della belle époque, nella seconda metà dell’Ottocento. COCAINA La cocaina è l’alcaloide contenuto nelle foglie della coca, una piccola pianta che cresce in Bolivia, Perù, Cile, Brasile, nelle Indie orientali e in Sri Lanka. I contadini delle Ande già nell’antichità ne masticavano le foglie, talvolta mischiandovi cenere o calce, poiché in questo modo non avvertivano i morsi della fame e della sete, o la fatica. L’alcaloide fu estratto in Europa nel 1860, prendendo appunto il nome di cocaina, e questa nuova droga si diffuse rapidamente nell’Europa occidentale e in Russia.

PAROLE IN EREDITÀ

MEGLIO L’ASPIRINA

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COMPETENZE: USARE LE FONTI

La supremazia maschile sulle donne STORIOGRAFIA

La storica statunitense Mary Jo Maynes analizza i rapporti sociali del XIX secolo e in particolare si soferma sulla vita domestica e familiare della borghesia. La sua rilessione riguarda le ideologie della famiglia che emergono in un particolare momento storico e che continuano a condizionare per secoli il pensiero comune. In particolare l’autrice individua due novità speciiche dei ceti medi dell’Ottocento: innanzitutto una distinzione tra la sfera pubblica e la sfera privata, cioè una netta separazione fra l’ambito in cui si svolgono gli afari, le relazioni sociali, la vita politica e la vita familiare intima e afettiva; la seconda novità riguarda la diversità delle caratteristiche individuali tra il sesso femminile e quello maschile e la conseguente separazione dei ruoli sociali.

May Jo Maynes

Una rivoluzione borghese Mary Jo Maynes (1949) è una storica americana impegnata nella ricerca sulla storia sociale e di genere, in particolare nell’Europa ottocentesca. Docente presso l’Università del Minnesota, ha numerosi incarichi presso alcune riviste storiche americane. Ha pubblicato L’infanzia nella storia moderna europea (2009).

La manifestazione più evidente della cultura familiare dell’élite fu forse l’innovazione nei ruoli dei sessi, che divennero – come hanno osservato numerosi storici – molto più nettamente distinti di quanto non fossero mai stati. In passato le donne erano disprezzate come moralmente inferiori agli uomini, ma lavoravano al loro fianco, almeno nella maggior parte dell’Europa settentrionale e occidentale, dove prevalevano i sistemi di lavoro a domicilio. La supremazia maschile sulle donne, i bambini e i servi – tutte categorie ritenute moralmente inferiori agli uomini – era stata costruita con i cambiamenti nel diritto di famiglia e nella pratica della vita familiare del periodo della Riforma. Ma anche nelle regioni culturali d’Europa più formalmente patriarcali, le donne avevano pesanti responsabilità nella gestione dell’economia familiare. Ad esempio, dopo la Riforma il diritto e il pensiero politico tedeschi scoprirono un collegamento diretto fra le autorità dei «tre padri»: Dio Padre, il sovrano come padre dello Stato e il pater familias (Gottesvater, Landesvater e Hausvater). Il capofamiglia era il rappresentante politico dell’intera comunità familiare, comprendente, oltre alla moglie e ai figli, gli altri parenti e i servi. Ma anche la moglie, la

Hausmutter, aveva dei compiti prestabiliti: secondo una definizione dell’epoca, ella era «una donna sposata che, soggetta alla volontà e all’autorità del marito, dirige la casa ed è anche a capo della servitù». Per contro, la concezione dei sessi emersa sul finire del tardo Settecento innalzava moralmente la donna in quanto madre, ma la caratterizzava come una creatura diversa e complementare rispetto all’uomo; alla fine, ella apparteneva al sesso moralmente superiore, ma il regno su cui esercitava l’autorità era separato e di livello inferiore. «L’organizzazione della famiglia era associata di solito alla soggettività, alla parzialità e all’intimità affettiva, mentre quella dello Stato era associata all’oggettività e all’imparzialità della giustizia. La distinzione fra pubblico e privato serviva a giustificare l’attribuzione agli uomini e alle donne di certe caratteristiche individuali e di certi ruoli sociali». Alcune enciclopedie tedesche, destinate a un pubblico colto appartenente al ceto medio, rispecchiano l’evolversi nell’ultimo trentennio del Settecento di una nuova concezione «scientifica» dei ruoli sociali da attribuire ai sessi. L’operazione culturale ivi documentata aveva un duplice scopo: in primo luogo, costruire modelli normativi che evidenziassero le differenze tra i sessi e la loro complementarità; in secondo luogo, fondare la nuova concezione dei sessi sulla legge naturale, anziché su un’arbitraria autorità giuridica o religiosa. È illuminante questo passo, tratto dall’articolo «L’indole dei sessi» incluso nell’edizione 1848 del Grosse Conversations-Lexicon di Hermann Meyer: «La donna è una creatura più sensibile, mentre nell’uomo, per la sua maggiore individualità, prevale l’atteggiamento reattivo: è un essere più portato a pensare. [...] Nella donna la tendenza all’universalità fa prevalere la simpatia e l’amore; mentre nell’uomo predomina l’individualità, quindi l’antagonismo e l’odio: perciò la donna è più comprensiva e gentile, più morale e religiosa, mentre l’uomo, più rude e spesso duro di cuore, tende a valutare ogni cosa con riferimento a se stesso. [...] Va poi considerata la diversa funzione a cui sono destinati i due sessi nel mondo esterno. [...] Per riprodursi è indispensabile la cooperazione di entrambi, anche se qui il ruolo principale spetta indubbiamente al sesso femminile; in generale la donna è all’origine dei vincoli che tengono unita la famiglia, ma è l’uomo a collegarla con il mondo esterno: è lui il tramite fra una famiglia e l’altra, è lui il fondamento dello Stato». In Germania i nuovi ruoli dei sessi assunsero la forma più compiuta nelle famiglie dei dipendenti statali, che nell’Europa centrale furono i primi «uomini in carriera» provenienti dal

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La società dell’Ottocento e le sue contraddizioni ceto medio; in altri Paesi, i primi ad accettare la vita domestica borghese e i nuovi rapporti fra uomini e donne furono gli industriali e i professionisti. Nei ceti inferiori i sociologi hanno osservato invece una minore polarizzazione dei sessi, e l’hanno attribuita a un tipo di divisione del lavoro tra uomini e donne considerato più rudimentale. Ad esempio, Wilhelm Riehl ha notato che nelle campagne uomini e donne erano poco differenziati tra loro: «Il lavoro è per

molti aspetti lo stesso, [...] in questo ceto inferiore la voce, la fisionomia e il comportamento sono molto simili nei due sessi; evidentemente le differenze caratteristiche emergono solo nell’ambito di gruppi sociali più progrediti». M.J. Maynes, Culture di classe e modelli di vita familiare, in M. Barbagli e D.J. Kertzer, Storia della famiglia in Europa. Il lungo Ottocento, Laterza José Ferraz de Almeida Junior, La famiglia di Adolfo Pinto, (particolare), 1891. San Paolo, Pinacoteca Statale.

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

Come cambia la concezione della ƒ donna nel passato rispetto a quella che si forma sul finire del Settecento? ƒ In quale ambito la donna esercitava il suo potere? In che cosa era diverso da quello dell’uomo? ƒ Quali specificità caratteriali venivano riconosciute alle donne e agli uomini? ƒ Che scopo aveva l’operazione culturale di distinguere gli ambiti di competenza tra i due sessi? ƒ La distinzione di ruoli sociali tra i due sessi aveva lo stesso peso anche nelle campagne?

Da quali categorie era costituita la ƒ borghesia? ƒ Quale fu il ruolo economico della borghesia nel corso dell’Ottocento? ƒ Quali furono i valori della borghesia? ƒ Qual era lo stile di vita della borghesia? Vi erano differenze nello stile di vita fra le diverse fasce economiche della borghesia? ƒ Di quali valori etici era rappresentante la borghesia ottocentesca?

ƒ Prima e Dopo ƒ Video - Donne lavoratrici e donne borghesi nella pittura dell’Ottocento ƒ Online DOC - Lo sviluppo urbanistico di Parigi e Londra ƒ Online DOC - La Borsa di Parigi

RIELABORARE, DISCUTERE, REINTERPRETARE La questione della condizione delle ƒ donne nella società, del loro ruolo nel mondo del lavoro e della famiglia è un tema dibattuto a lungo. Oggi, da un punto di vista giuridico, la donna ha raggiunto la parità, ma nella realtà poche sono ancora le donne che occupano posizioni dirigenziali nel mondo del lavoro e sembra che debbano sempre dimostrare maggiori competenze rispetto agli uomini per ottenere riconoscimenti ufficiali. Ritieni che questa riflessione sia fondata? Pensi che lo Stato crei le condizioni adeguate affinché le donne abbiano davvero pari opportunità lavorative rispetto agli uomini?

ƒ Online DOC - Lo spirito positivo ƒ Online DOC - L’evoluzione dell’uomo ƒ Online STO - Passività dell’acquirente e stimoli al consumo ƒ Audiosintesi Unità 13

IN DIGITALE

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MISURARE LE COMPETENZE

GLI EVENTI

IL TEMPO

Completa la frase. 1. La forma di conduzione agricola più diffusa nell’Ottocento era il latifondo la servitù della gleba la piccola proprietà

Unisci opportunamente avvenimento e data, indicando il numero corrispondente della data nella colonna a destra di ogni avvenimento.

2. L’obiettivo delle associazioni operaie era l’organizzazione di cooperative o il mutuo soccorso dei soci lo sviluppo della coscienza di classe la preparazione della rivoluzione 3. La risposta dei capitalisti allo sciopero dei lavoratori era la rappresaglia lo sciopero bianco la serrata 4. Per positivismo si intende un clima culturale di fiducia nella scienza il rifiuto del pessimismo dell’età della Restaurazione la fiducia nella democrazia liberale 5. Secondo Bakunin i soggetti rivoluzionari erano gli operai specializzati e i salariati gli artigiani e i commercianti i sottoproletari e i braccianti agricoli 6. La dottrina sociale della Chiesa trovò espressione nell’enciclica Quanta cura Rerum novarum Unam sanctam

LE PAROLE Definisci le seguenti espressioni: a. crumiri b. speculazione edilizia c. piano regolatore d. morale o etica e. anarchia f. liberalismo g. liberale h. liberista i. libertario

Avvenimento a Pio IX pubblica il Sillabo b Viene fondato il Trade Union Congress c

Bakunin viene espulso dalla Prima Internazionale

d È inaugurata la prima linea di metropolitana a Londra e Darwin pubblica L’origine delle specie f

Si tiene il Concilio Vaticano I

g Si scioglie la Prima Internazionale Data 1

1859

2 1863 3 1864 4 1868 5 1870 6 1872 7 1876

VERSO L’ESAME DI STATO a. Rispondi alle seguenti domande. ƒPerché si verificò la trasformazione urbana? ƒIn che cosa consisteva l’istruzione presso le classi operaie? ƒQuali erano i valori della borghesia? ƒQuali influenze ebbe il darwinismo? ƒQuale dibattito caratterizzò la Prima Internazionale? ƒQuale fu la posizione della Chiesa cattolica verso il progresso? b. Il saggio breve: interpreta e confronta i seguenti documenti. ƒp. 461 – Il concetto positivista di progresso ƒp. 464 – L’evoluzione dell’uomo Successivamente, utilizzando anche le tue conoscenze, sviluppa l’argomento proposto nella forma del saggio breve, attribuendo alla composizione un titolo appropriato. Argomento. Evoluzione e progresso come caratteri della mentalità ottocentesca

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Le grandi potenze PRIMA: Il primato dell’Europa nella politica e nell’economia internazionali Prima della metà dell’Ottocento l’Europa possedeva il primato assoluto nella politica e nell’economia internazionali. Le nazioni europee avevano imposto il loro dominio su vasti territori fuori dal continente; in particolare la sfera d’influenza britannica era su scala davvero mondiale. Inoltre l’Europa si trovava al centro di una rete di scambi commerciali che avevano nel Vecchio continente il punto di partenza e di arrivo.

CAUSE

EVENTI

CONSEGUENZE

Caduta dell’impero di Napoleone III

X

1870: Nasce in Francia la Terza Repubblica

X

Politica di riforme in un clima di tensioni autoritarie

Vittoria contro la Francia e unificazione della Germania

X

1871-1890: Bismarck cancelliere del Secondo Reich

X

Politica di repressione ma anche di riforme

Sviluppo industriale e buon tenore di vita in Inghilterra

X

1837-1901: Età vittoriana

X

Stabilità politica e predominio britannico nell’economia mondiale

Espansione demografica ed economica e conquiste territoriali degli USA

X

1860: Gli Stati dell’Unione sono 33

X

Grande sviluppo industriale e agricolo in alcune zone

Differenze economiche fra Nord e Sud degli USA e questione della schiavitù

X

1861-1865: Guerra di secessione

X

Vittoria del Nord e imposizione del suo modello economico

Gli USA pongono fine all’isolamento del Giappone

X

1867-1912: «Governo illuminato» dell’imperatore Mutsuhito

X

Rapido e impressionante processo di modernizzazione del Giappone

DOPO: Nuove potenze si inseriscono nello scenario internazionale Dopo la metà dell’Ottocento l’Europa non fu più l’unico centro della politica e dell’economia internazionali. Due nazioni in particolare (Stati Uniti e Giappone) entrarono nella rete di relazioni tra le grandi potenze del mondo; e l’America iniziava il suo cammino per diventare il centro del sistema economico mondiale. Da allora le trasformazioni politiche ed economiche innescate dalla rivoluzione industriale riguardarono il mondo intero.

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1. La Francia della Terza Repubblica LA TERZA REPUBBLICA Dopo la sconitta contro la Prussia e la caduta di Napoleone III, il 4 settembre 1870 la Francia proclamò la Terza Repubblica. Superata nel maggio del 1871 la tragica esperienza della Comune, sul governo francese pesava l’eredità della guerra: i Tedeschi presidiavano il suo territorio a garanzia del pagamento alla Germania delle ingenti riparazioni di guerra (cinque miliardi di franchi). Adolphe Thiers (1797-1877), presidente della Repubblica francese, afrontò con grande energia la situazione: pagò il debito anticipatamente attraverso un prestito nazionale e chiuse così il contenzioso con i Tedeschi, che lasciarono il territorio francese. La Francia era infatti animata da una ferma volontà di riscatto, come dimostrò subito l’introduzione (1872) del servizio militare obbligatorio. Le dificoltà tuttavia non mancavano. Durante il decennio 1870-80 il duro scontro politico fra monarchici e democratici fu pericoloso per la stessa Repubblica. Nel 1873, il vecchio presidente Thiers, repubblicano dichiarato, fu costretto a dimettersi da una maggioranza parlamentare monarchica e lasciò il posto a Patrice de Mac-Mahon (1808-1893) . Ma l’oltranzismo e le divisioni all’interno dello schieramento monarchico spinsero i più moderati a trovare accordi con i difensori della Repubblica. Il risultato di questa intesa fu la Costituzione del 1875, approvata con la maggioranza di un solo voto, in grado però di garantire deinitivamente l’assetto repubblicano della Francia. Patrice de Mac-Mahon ritratto in un episodio della battaglia di Magenta. Collezione privata.

LA COSTITUZIONE DELLA TERZA REPUBBLICA La nuova Costituzione, emanata dall’Assemblea Nazionale nel 1875, mantenne inalterata la struttura centralista dello Stato francese e ediicò un sistema caratterizzato da tre istituzioni fondamentali: ƒla Camera dei deputati, che deteneva il potere legislativo ed era eletta a sufragio universale ogni quattro anni; ƒil Senato, che divideva con la Camera dei deputati il potere legislativo ed era solo in parte eletto; ƒil presidente della Repubblica, che era a capo del governo e aveva ampi poteri fra cui quello di sciogliere le Camere; non era responsabile di fronte al Parlamento, mentre il Consiglio dei ministri lo era. Si trattava di una costituzione che attraverso il Presidente e il Senato era orientata in senso conservatore, ma aveva nella Camera dei deputati un’apertura democratica: era insomma il frutto del compromesso fra le forze conservatrici e quelle democratiche.

LE RIFORME L’indirizzo conservatore e ilomonarchico non durò a lungo. Nel 1879 i repubblicani conquistarono la maggioranza in entrambe le Camere del Parlamento e Mac-Mahon si dimise. I governi che si susseguirono ino all’inizio della prima guerra mondiale (ben 50 tra il 1875 e il 1914) restarono sempre in mano ai repubblicani moderati e ai radicali. Questa relativa stabilità politica consentì di realizzare delle riforme importanti per la Francia. Nel contesto economico di un progressivo sviluppo industriale del Paese, i governi repubblicani estesero la democrazia e laicizzarono lo Stato: ƒfurono garantite la libertà di stampa e di associazione;

ƒla giornata lavorativa fu ridotta a dieci ore; ƒfu riconosciuto il diritto all’organizzazione sindacale; ƒfu riformato il diritto di famiglia con l’introduzione del divorzio e del matrimonio civile; ƒfu sancita la separazione dello Stato dalla Chiesa e il monopolio statale dell’istruzione, che doveva essere laica e per il ciclo elementare anche obbligatoria e gratuita. La riforma del sistema scolastico, realizzata negli anni Ottanta dal ministro radicale Jules Ferry, aprì un contrasto con la Chiesa che perse gran parte della sua inluenza sull’educazione dei giovani.

SPINTE AUTORITARIE L’afermazione dei repubblicani e del parlamentarismo non impedì che si manifestassero tentativi di sovversione autoritaria delle istituzioni dello Stato. Monarchici e reazionari per due volte provarono a rovesciare la Repubblica. Una prima volta nel 1877 fu il presidente Mac-Mahon a sciogliere le Camere dopo la vittoria elettorale dei repubblicani. Ma il suo tentativo non ebbe successo. Un secondo tentativo fu realizzato nel 1889 dal generale ed ex ministro della Guerra Boulanger (1837-1891). Boulanger si proponeva di instaurare un governo forte, un regime presidenziale non soggetto al Parlamento, che portasse la Francia alla competizione coloniale con la Gran Bretagna e alla revanche (la «rivincita») contro la Germania.

PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

NOMINA

ELEGGONO PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

VOTANO LE PROPOSTE DI LEGGE

CAMERA DEI DEPUTATI

SENATO

ELEGGE

ELEGGE

COLLEGIO DIPARTIMENTALE

CORPO ELETTORALE (CITTADINI MASCHI CON PIÙ DI 21 ANNI)

ELEGGE

LESSICO

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Le grandi potenze

REVANSCISMO Il termine deriva dalla parola francese revanche e designa l’atteggiamento politico che mira ad annullare gli svantaggi di una sconfitta subìta e spinge per una rivincita contro i vincitori di una guerra precedente. Per la prima volta questo termine fu utilizzato per indicare lo spirito che animava la politica francese dopo la sconfitta subìta a opera della Prussia a Sedan nel 1870. Il revanscismo attecchì soprattutto negli ambienti nazionalisti e autoritari, e alimentò la campagna antisemita che caratterizzò l’affare Dreyfus. Dopo la prima guerra mondiale si parlò di revanscismo in riferimento al rifiuto della Germania di accettare le condizioni di pace del trattato di Versailles. Dal revanscismo trasse giovamento il partito nazionalsocialista di Hitler.

LA COSTITUZIONE DELLA TERZA REPUBBLICA FRANCESE

UNITÀ 14

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Che cos’è la Terza Repubblica francese? ƒ Quali partiti si confrontarono nel governo della Francia? ƒ Quali riforme furono attuate in questo periodo? ƒ In che modo furono regolati i rapporti con la Germania?

476 Appoggiato da forze diverse, dalla destra oltranzista ai nazionalisti ino a dissidenti radicali, il complotto di Boulanger fu scoperto e sventato dalle autorità di governo. Accusato di tradimento contro la Repubblica, Boulanger riuscì a fuggire in Belgio dove poco dopo si uccise (1891). Ma il suo progetto revanscista si inseriva in un clima di forti tensioni antidemocratiche che difondevano nel Paese un’ideologia nazionalista, militarista e razzista. Nel frattempo, l’opinione pubblica francese era scossa da una furibonda campagna antisemita, l’afare Dreyfus: nel 1894 venne ingiustamente accusato di spionaggio a favore dei Tedeschi un capitano d’origine ebrea, Alfred Dreyfus. Il caso ebbe un’enorme risonanza anche in ambito internazionale. Nei primi anni del Novecento la destra reazionaria riprese vigore e si espresse attraverso il movimento dell’Action Française, fondato nel 1908 da Charles Maurras. Maurras vedeva nella repubblica e nella democrazia l’origine di tutti i mali, progettava uno Stato forte, autoritario e nazionalista, fondato sull’esercito e su un cattolicesimo reazionario e antisemita.

IL MOVIMENTO OPERAIO E I SOCIALISTI Le spinte autoritarie e antidemocratiche non indebolirono lo schieramento repubblicano che rimase al potere ino al 1912. Furono anni di crescenti agitazioni sindacali guidate dalla CGT (Confédération Générale du Travail). Nel movimento operaio si manifestarono anche tendenze estremiste volte all’azione violenta e rivoluzionaria. Ci furono scioperi e tumulti di piazza. I socialisti si arroccarono sempre più su posizioni rivoluzionarie e di opposizione antimilitarista verso il governo, ma in questo modo aprirono uno spazio politico ai conservatori. Tra il 1912 e il 1914, favoriti da un clima internazionale sempre più aggressivo, i conservatori portarono al governo Raymond Poincaré (1860-1934), revanscista convinto e militarista. Il nuovo governo di destra approvò subito una legge che portava il servizio militare a tre anni. Nel 1914 i radicali riguadagnarono il consenso della maggioranza dei Francesi, ma proprio quando ridussero la leva a due anni, la Francia entrò nella prima guerra mondiale. Illustrazione tratta da un giornale francese dell’ottobre 1898, in cui è raffigurato un cantiere presidiato da soldati di fronte agli operai in sciopero.

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Le grandi potenze

2. L’affare Dreyfus UN’INCHIESTA CONDOTTA MALE Il caso Dreyfus ebbe inizio nel 1894 quando i servizi segreti francesi trovarono nell’ambasciata tedesca materiali utilizzati dall’esercito francese, compresa la dislocazione delle truppe sulle frontiere franco-tedesche. Seguì immediatamente un’inchiesta, durante la quale si scoprì che vi era una certa somiglianza tra la scrittura presente in quei materiali e quella del capitano Alfred Dreyfus, ufficiale dello Stato Maggiore. Nel clima antisemita che regnava in quel periodo in Francia, le origini ebree del comandante giocarono a suo svantaggio: Dreyfus venne incarcerato. Nuove analisi grafologiche misero però in dubbio che si trattasse della sua scrittura, per cui il capitano avrebbe dovuto essere rilasciato. Ma la rivelazione della colpevolezza di Dreyfus, diede avvio a una campagna di stampa che impedì al governo di tornare sui propri passi: il processo divenne inevitabile. Inutilmente Dreyfus protestò la propria innocenza: il Consiglio di Guerra lo dichiarò all’unanimità colpevole di spionaggio. La condanna fu durissima: il 5 gennaio 1895, nel cortile della scuola militare, davanti a una folla carica d’odio, Dreyfus fu solennemente degradato e condannato ai lavori forzati nel terribile carcere della Guiana francese.

«UNA DELLE PIÙ GRANDI INIQUITÀ DEL SECOLO» La condanna di Dreyfus divenne occasione per una furibonda campagna antisemita. La famiglia e gli amici del capitano si battevano intanto per dimostrare la sua innocenza. La graia incriminata era infatti simile anche a quella di un altro ufficiale, il comandante Esterhazy, un nobile oberato dai debiti di gioco e con sospette frequentazioni con ufficiali tedeschi. Per scagionare Esterhazy, i servizi segreti francesi guidati dal colonnello Henry produssero altri documenti che accusavano Dreyfus. Grazie a questi documenti, il APPROFONDIMENTO

Il caso Dreyfus 1. Il caso Dreyfus ebbe risonanza in tutta Europa, come testimonia la vignetta satirica apparsa sul «Pappagallo», un settimanale stampato a Bologna.

2. La fornace dell’opinione pubblica alimentata da Zola e da tutti gli innocentisti produce un sano vapore formato da verità e giustizia che esce dalla caldaia. È necessario se si vuole capire che cosa abbia fatto scoppiare il caso Dreyfus. 3. Gli «innocentisti» (coloro che ritenevano Dreyfus innocente) sono rappresentati da Zola, intento a caricare di «carbone liberale» la caldaia dell’opinione pubblica.

4. I personaggi appollaiati sulla cisterna sono i «colpevolisti»: coloro cioè che giudicavano Alfred Dreyfus colpevole e avevano fabbricato delle prove palesemente false contro di lui.

UNITÀ 14

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ In che modo ebbe inizio l’affare Dreyfus? ƒ Perché il caso Dreyfus non era un semplice errore giudiziario? ƒ Perché il caso Dreyfus è legato al nome di Émile Zola? ƒ Da chi erano costituiti lo schieramento dei dreyfusardi e quello degli antidreyfusardi? ƒ Come si concluse l’affare Dreyfus?

Dreyfus solennemente degradato; illustrazione apparse su «Le Petit Journal» del gennaio 1895. Parigi, Musée des Invalides.

478 processo contro Esterhazy, tenutosi nel 1898, si concluse con il suo proscioglimento. Ciò permise al primo ministro francese Méline di afermare in maniera perentoria: «Non c’è nessuna questione Dreyfus», polemizzando così con il celebre scrittore Émile Zola che il 13 gennaio 1898 aveva pubblicato sul giornale repubblicano «L’Aurore» un articolo intitolato J’Accuse («Io accuso») nel quale accusava tutto lo Stato Maggiore francese di avere inquinato le prove macchiandosi «di una delle più grandi iniquità del secolo». L’articolo ebbe un efetto esplosivo. Per la sua pubblicazione, Zola venne condannato a un anno di prigione, ma lo scrittore scelse di fuggire in esilio. Il processo a Zola divise la Francia tra dreyfusardi – socialisti, radicali, parte dei repubblicani – e antidreyfusardi – monarchici, clericali, nazionalisti di destra. Erano due concezioni che si scontravano: una fondata sull’onore dei militari, l’altra sulla giustizia.

LA RIABILITAZIONE DI DREYFUS Nell’agosto 1898, un nuovo colpo di scena modiicò le cose: preso da rimorsi, il colonnello Henry, in una lettera aperta al ministro della Guerra ammise di aver fabbricato false prove per incolpare Dreyfus. Arrestato, si tagliò la gola nella sua cella. Nel frattempo Esterhazy s’afrettò a lasciar la Francia per l’Olanda. Questi elementi ridiedero coraggio agli amici di Dreyfus, che ripresero la campagna di riabilitazione facendo riaprire il processo ino a che la Corte di Cassazione nel 1906 non emise la sentenza deinitiva: Dreyfus era innocente. Subito venne reintegrato nell’esercito e nel cortile della scuola militare, dove aveva avuto luogo nel 1895 la terribile scena della sua degradazione, Dreyfus venne decorato con la Legione d’onore. C’erano voluti 12 anni prima che la sua innocenza venisse riconosciuta. La riabilitazione di Dreyfus sancì anche, sul piano simbolico, la vittoria dello schieramento progressista francese, già confermata dai successi elettorali e dal crescente consenso popolare, in particolare dei radicali.

3. La Germania da Bismark a Guglielmo II IL REICH TEDESCO Nel 1871 con la vittoria della Prussia contro la Francia venne proclamato l’Impero tedesco, il Secondo Reich. La Germania si presentava così come la maggiore potenza militare ed economica del continente europeo. Bismarck, il cancelliere che aveva costruito l’uniicazione nazionale, guidò ancora la Germania per un ventennio (1870-90) durante il quale esercitò l’egemonia sull’Europa e divenne il garante dei difficili equilibri internazionali. All’interno dell’impero l’azione di Bismarck fu orientata al raforzamento dell’autorità centrale dello Stato, nel quale tutto il popolo tedesco doveva identiicarsi. Questa visione politica era sostenuta da un forte blocco sociale costituito dalla ricca borghesia industriale e dalla grande aristocrazia terriera degli Junker che forniva gli alti gradi dell’esercito e della burocrazia. A vantaggio di queste classi, il Cancelliere attuò una politica economica protezionistica a difesa dell’industria e dell’agricoltura.

LA COSTITUZIONE Il nuovo Impero tedesco si fondava sulla Costituzione approvata il 14 aprile 1871. Con essa, la Germania mantenne una struttura federale formata da 25 Stati, ognuno dei quali aveva: ƒun proprio governo; ƒproprie assemblee legislative; ƒpropri apparati amministrativi. La direzione della politica interna, estera, economica e delle forze armate era invece affidata al cancelliere del Reich e ai suoi ministri.

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LESSICO

Le grandi potenze

CANCELLIERE È il termine con cui in Germania e in Austria viene chiamato il Primo ministro, cioè il capo del governo. Nell’Impero romano venivano chiamati cancellieri (cancellarii) alcuni guardiani particolarmente importanti, come gli ufficiali che sorvegliavano le stanze dell’imperatore, oppure gli uscieri che introducevano le persone davanti al giudice: spesso svolgevano questo lavoro stando vicino a un cancello. Con il tempo il significato del termine è diventato quello di segretario, di assistente di fiducia del re o del giudice. Anche oggi, in fondo, il cancelliere o primo ministro non è altro che un altissimo «segretario» che ha il potere di amministrare, cioè di governare, lo Stato: naturalmente in tutti gli Stati democratici questo potere gli viene concesso dal Parlamento eletto dai cittadini e il capo del governo deve rispondere delle sue azioni al Parlamento stesso.

Il palazzo del Reichstag e la Colonna della Vittoria in una cartolina postale tedesca del 1900. Il palazzo del Reichstag venne ultimato nel 1884; nel 1933 venne danneggiato da un incendio e subì ulteriori devastazioni durante la seconda guerra mondiale.

UNITÀ 14

480 Il potere legislativo del Reich era esercitato: ƒdal Parlamento, il Reichstag, eletto a sufragio universale; ƒdal Consiglio federale, il Bundesrat, formato dai delegati degli Stati, a cui spettava il potere di ratiicare o meno le leggi. Ma nella realtà il potere era concentrato nella Cancelleria, perno di un sistema né pienamente parlamentare né federale, che rispondeva solo al Kaiser. L’imperatore infatti: ƒaveva diritto di veto sulle leggi del Parlamento; ƒnominava e destituiva il Cancelliere, che quindi era responsabile solo di fronte all’imperatore e non al Parlamento. Si trattava dunque di un regime politico autoritario con qualche elemento apparentemente democratico.

LA COSTITUZIONE DEL SECONDO REICH

KAISER (IMPERATORE)

NOMINA

DIRITTO DI VETO CANCELLIERE (PRIMO MINISTRO)

VOTA LE PROPOSTE DI LEGGE

REICHSTAG (PARLAMENTO)

RATIFICA IL VOTO

BUNDESRAT (CONSIGLIO FEDERALE)

ELEGGE

ELEGGONO

CORPO ELETTORALE (CITTADINI MASCHI CON PIÙ DI 25 ANNI)

25 STATI TEDESCHI (LÄNDER)

LA POLITICA INTERNA Bismarck si preisse un duplice obiettivo: in politica estera, l’afermazione dell’Impero tedesco come grande potenza; in politica interna, la lotta contro i nemici della Germania, da lui identiicati nei cattolici e nei socialisti. Contro i cattolici, politicamente organizzati nel partito del Zentrum, Bismarck lanciò una vera battaglia culturale che ebbe l’appoggio anche dei liberali. In nome della modernità e del laicismo dello Stato sin dal 1871 fu avviato il Kulturkampf, ossia la lotta per la civiltà. Bismarck abolì alcuni ordini religiosi, come la Compagnia di Gesù, impose il controllo statale sulle scuole cattoliche e persino sulla formazione dei sacerdoti, suscitando la condanna della Santa Sede. Il cattolicesimo tedesco aveva tuttavia solide basi, soprattutto nelle campagne degli Stati meridionali come la Baviera, e non si fece piegare. Anzi, il partito cattolico si raf-

Kulturkampf: una partita a scacchi La lotta per la civiltà – in tedesco Kulturkampf – lanciata dal cancelliere Bismarck alimentò un acceso dibattito in Germania e trovò molto spazio sui giornali. In questa caricatura pubblicata nel 1875 sulla rivista satirica «Kladderadatsch» lo scontro politico tra Bismarck e 1. Il cancelliere tedesco Otto von Bismarck ha appena effettuato una mossa nella sua partita a scacchi con Pio IX.

papa Pio IX viene rappresentato come un’ideale partita a scacchi. Le figure degli scacchi rappresentano uomini di Chiesa, politici, giornalisti e altri personaggi favorevoli o contrari ai provvedimenti di Bismarck.

2. Papa Pio IX medita su come rispondere alla mossa del cancelliere tedesco nella conduzione del Kulturkampf, la politica anticlericale della Germania, che introdusse riforme per affermare il carattere laico dello Stato.

3. Sulla scacchiera le figure rappresentano uomini di Chiesa, politici, giornalisti, che simboleggiano i favorevoli e i contrari ai provvedimenti di Bismarck.

4. Sulla scacchiera è presente l’enciclica Quod nunquam, scritta all’episcopato prussiano per deplorare le leggi anticlericali del Kulturkampf contro la libertà e i diritti della Chiesa cattolica.

5. La scatoletta con la scritta Internirt, cioè «internati» richiama gli arresti e le espulsioni di numerosi vescovi e sacerdoti cattolici che erano rimasti fedeli al papa e avevano rifiutato il controllo statale.

Bismarck e Pio IX giocano a scacchi; caricatura tratta dalla rivista tedesca «Kladderadatsch», 1875.

forzò e nelle elezioni del 1874 passò da 70 a 100 deputati. Visto il fallimento, Bismarck abbandonò la politica anticattolica, anche perché stava emergendo prepotentemente sulla scena politica un nuovo pericolo: il movimento socialista. Il rapido sviluppo industriale della Germania aveva infatti dato un forte impulso alla protesta operaia. Nel 1875 venne fondata la SPD, il Partito socialdemocratico tedesco, che alle elezioni del 1877 ottenne subito il 9% dei voti. L’atteggiamento adottato per sconiggere il socialismo seguì due linee: quella della repressione e quella della riforma sociale.

REPRESSIONE E RIFORME Per colpire «le tendenze sovvertitrici del socialismo» Bismarck limitò la libertà di stampa e mise fuori legge le organizzazioni operaie ritenute più pericolose per lo Stato. Di conseguenza, i sindacati e il Partito socialdemocratico furono costretti ad agire in condizioni di estrema difficoltà. Contemporaneamente, però, il Cancelliere mirò a ridurre il disagio dei lavoratori introducendo un vero e proprio sistema di sicurezza sociale. Con lui nacque lo Stato sociale, più tardi battezzato dagli Inglesi Welfare State.

DOCUMENTO

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Le grandi potenze

UNITÀ 14

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Quando nacque il Secondo Reich tedesco? ƒ Quale politica seguì Bismarck dopo la vittoria sulla Francia? ƒ Quali importanti riforme furono introdotte da Bismarck in Germania? ƒ Perché Bismarck diede le dimissioni?

482 Bismarck fece infatti votare dal Parlamento del Reich una serie di provvedimenti a favore dei lavoratori: ƒnel 1883, la legge sull’assicurazione contro le malattie; ƒnel 1884, la legge per l’assicurazione contro gli infortuni; ƒnel 1889, la legge per l’assicurazione d’invalidità e vecchiaia. Era la prima volta che lo Stato dava vita a una previdenza pubblica, ovvero a un sistema di assicurazioni sociali obbligatorie che mettevano i lavoratori al riparo dai rischi di malattia, infortunio, invalidità e vecchiaia. Obiettivo di queste riforme era alleggerire le tensioni sociali e sottrarre il movimento operaio alla propaganda socialista, cercando di integrare i lavoratori nel sistema dello Stato. Ma né le leggi repressive né quelle sociali impedirono alla socialdemocrazia di accrescere i consensi. Alla ine degli anni Ottanta il Partito socialdemocratico tedesco aveva quasi raddoppiato i suoi voti, ottenendo il 18% dei sufragi con 35 deputati al Parlamento. La politica bismarckiana fallì dunque anche nella lotta al socialismo.

IL NUOVO CORSO DI GUGLIELMO II I fallimenti nella politica contro il cattolicesimo e contro il socialismo e la moderazione in politica estera segnarono la ine del sistema bismarckiano. Nel 1888 salì al trono del Reich Guglielmo II e nel 1890 Bismarck diede le dimissioni: per la Germania era una svolta epocale. Bismarck del resto aveva perso tutta la sua popolarità anche presso quei gruppi sociali che lo avevano sostenuto in passato. L’alta borghesia capitalista lo giudicava inadeguato alla politica aggressiva degli altri Stati europei e troppo cauto per condurre la Germania all’espansione coloniale. D’altra parte, Guglielmo II ambiva a un governo personale e il Cancelliere rappresentava un ostacolo ai suoi disegni. I successori di Bismarck cercarono una maggiore compattezza delle forze politiche a sostegno del governo: fecero concessioni ai cattolici e abolirono le leggi antisocialiste. Il protezionismo risultò insufficiente a tutelare gli interessi economici tedeschi e la Germania si avviò verso una politica aggressiva che puntava all’espansione coloniale. Una politica di respiro mondiale, la Weltpolitik, era ciò che la Germania guglielmina voleva. L’ideologia nazionalista, intanto, alimentava le ambizioni del Kaiser, sostenute anche dalle alte sfere dell’esercito.

Guglielmo II (al centro) in una foto dell’epoca. Il nuovo Kaiser, salito al trono nel 1888, fu fautore di una politica estera aggressiva.

Le grandi potenze

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4. L’età vittoriana L’INGHILTERRA VITTORIANA La regina Vittoria (1819-1901) salì al trono del Regno Unito nel 1837, a soli diciotto anni e regnò per ben sessantatré anni. La sua personalità schiva e la sua morale rigorosa segnarono per l’Inghilterra un’epoca: l’«età vittoriana» (1837-1901). L’Inghilterra vittoriana era un Paese di grande prosperità economica, di stabilità politica, di pace sociale e di sviluppo. Era la maggiore potenza coloniale del mondo con un impero che nel 1900 contava circa 400 milioni di persone: quasi un quarto della popolazione mondiale. Lo sviluppo industriale superava quello degli altri Paesi europei con un numero di addetti nel settore pari all’incirca alla metà della popolazione attiva. La produzione di ferro e carbone si avvicinava alla metà di quella prodotta nel mondo intero. L’Inghilterra deteneva la rete ferroviaria più sviluppata d’Europa e una lotta mercantile di gran lunga superiore a quella degli altri Paesi. Londra era il centro finanziario e commerciale di riferimento per tutti gli Stati europei. Il Paese aveva la popolazione più alfabetizzata e le istituzioni politiche più libere d’Europa. Gli Inglesi godevano di un tenore di vita decisamente superiore agli altri. La borghesia dell’età vittoriana, la cosiddetta «classe media», elaborò un modello di vita che diventò lo stile borghese per eccellenza. Laboriosità, moderazione, rispettabilità, uniti al culto del lavoro e all’orrore per lo spreco del denaro, furono i valori dominanti alla ine dell’Ottocento.

Un ritratto fotografico della regina Vittoria.

Il Crystal Palace, costruito a Londra per l’Esposizione Universale del 1851, interamente in vetro e metallo, simbolo del progresso industriale raggiunto dalla Gran Bretagna. Innalzato a Hyde Park, nel 1854 venne smontato e ricostruito a Sydenham Hill; infine, venne distrutto da un incendio nel 1936.

LA STABILITÀ POLITICA Gli anni tra il 1870 e il 1914 furono anni di stabilità politica per l’Inghilterra anche se i progressisti whigs e i conservatori tories si alternarono alla guida del Paese. I cambiamenti non si tradussero mai in inversioni di rotta brusche: sia gli uni che gli altri governarono all’insegna del liberalismo, condividendo gli orientamenti di fondo riguardo alle riforme sociali e alla politica coloniale; entrambi dovettero confrontarsi con la questione operaia e con quella irlandese. Gladstone (1809-1898), leader liberale, e Disraeli (1804-1881), leader conservatore, furono i protagonisti della politica inglese ino al 1886. In questo contesto, si aprì per il Paese una lunga stagione di riforme e di progressiva democratizzazione della vita politica che portò a un’importante riforma elettorale nel 1885: il sufragio venne esteso a tutti i cittadini maschi con famiglia a carico. Altri provvedimenti toccarono il mondo del lavoro e i diritti sindacali: fu concesso il diritto di sciopero e il riconoscimento legale delle Trade Unions, i sindacati ino ad allora solo

UNITÀ 14

484 tollerati. Fu introdotto inoltre l’obbligo scolastico elementare. Sul piano sociale sia i progressisti che i conservatori adottarono una politica di grande apertura verso i lavoratori per evitare una contrapposizione frontale con il movimento sindacale. Nel periodo successivo i governi conservatori accentuarono la politica imperialista dell’Inghilterra in linea con il clima fortemente nazionalista del resto dell’Europa. La crisi economica, la ine della stagione delle riforme sociali, l’insoddisfazione del mondo del lavoro per la politica governativa raforzarono le organizzazioni del movimento operaio inglese. I lavoratori iniziarono ad acquisire maggiore coscienza politica e agli inizi del nuovo secolo nacque il Labour Party (1906), il partito laburista, il partito riformista di ispirazione socialista ma non marxista: divenne il terzo partito inglese, con cui conservatori e liberali dovettero fare i conti.

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Che cos’è l’«età vittoriana»? ƒ Qual era lo stato dell’economia inglese nel XIX secolo? ƒ Che cos’è il Labour Party e quando nacque? ƒ Quali erano le condizioni dell’Irlanda sotto la dominazione inglese?

LA QUESTIONE IRLANDESE

APPROFONDIMENTO

LESSICO

Tra i problemi più gravi per l’Inghilterra vi era la questione irlandese che aveva radici lontane. Da secoli gli Irlandesi avevano preso a ribellarsi agli Inglesi che dominavano l’isola. Ma in Irlanda vi erano anche contrasti interni fra cattolici e protestanti e fra chi voleva l’indipendenza e chi puntava alla semplice autonomia politica. A questi problemi si aggiunsero quelli economici di una terra esclusa dalla rivoluzione industriale e con un’agricoltura arretrata e improduttiva. La crisi agricola degli anni Settanta non fece che aggravare la situazione. La ribellione irlandese assunse forme sempre più violente, con atti di terrorismo, attentati e insurrezioni. L’ala più estremista, come l’organizzazione dei Feniani, voleva la completa indipendenza dall’Inghilterra. Ma il movimento più seguito era quello di Charles Stewart Parnell (1846-1891) che rivendicava l’autonomia dell’Irlanda, l’Home rule, ossia l’autogoverno all’interno del Regno Unito. Parnell sosteneva una linea moderata, proponeva la lotta parlamentare e riiutava il terrorismo. La rappresentanza irlandese alla Camera dei Comuni di Londra fece forti pressioni per portare all’ordine del giorno il problema dell’autonomia dell’Irlanda. Gladstone nel 1886 tentò di appoggiare la causa irlandese presentando un suo progetto di Home rule, ma si trovò contro i conservatori e anche il suo partito. Solo nel 1914, dopo essere stata più volte bocciata, la Home rule fu approvata ma non poté essere applicata a causa dello scoppio della prima guerra mondiale. PARTITO LABURISTA Con questa espressione si indicano alcuni partiti politici di sinistra e di centro-sinistra in varie nazioni del mondo, come il Regno Unito, l’Irlanda, la Norvegia, Israele. Il termine «laburista» deriva dalla parola inglese labour, che significa lavoro, perciò il partito laburista è il «partito del lavoro». Il primo partito laburista nacque proprio in Inghilterra nel 1906, quando le Trade Unions (i sindacati inglesi) e altre associazioni di sinistra decisero di presentare dei loro candidati alle elezioni politiche. Le elezioni furono vinte dai liberali ma i laburisti riuscirono a portare in parlamento 29 rappresentanti; alcuni anni dopo, nel 1918, vinsero le elezioni e ottennero per la prima volta il governo del Paese. In tutto il mondo la politica dei partiti laburisti si ispira alla tradizione e al pensiero del riformismo socialista (non marxista) e liberaldemocratico. Naturalmente si tratta di una politica molto attenta alle esigenze dei lavoratori e delle classi più povere.

La popolazione della Gran Bretagna, dell’Impero britannico e del mondo intorno al 1900 Gran Bretagna e Irlanda 43 000 000 impero britannico 400 000 000

0

500 000 000

1 000 000 000 Numero di abitanti

1 500 000 000

popolazione mondiale 1 700 000 000 2 000 000 000

Oscar Wilde nasce a Dublino nel 1854. Studia a Oxford e ottiene molto presto una grande fama: gli editori fanno a gara per stampare i suoi scritti. Vive per lo più tra Londra e Parigi, nei cui salotti sono apprezzate le sue doti di brillante e sagace conversatore. Nel 1884 si sposa con Constance Mary Lloyd, ma il matrimonio naufraga in breve tempo. Nel 1895 lo travolge lo scandalo: condannato ai lavori forzati per omosessualità, non troverà più la gloria di un tempo. Muore nel 1900 a Parigi. Tra le sue opere più importanti, Il ritratto di Dorian Gray (1891), le commedie Il ventaglio di Lady Windermere (1892), L’importanza di chiamarsi Ernesto (1895), il dramma Salomè (1893). È anche autore di saggi, racconti, poesie. In carcere scrive l’epistola De profundis e La ballata del carcere di Reading. La vicenda giudiziaria che vede Oscar Wilde come protagonista ha inizio da una denuncia per diffamazione che lo stesso scrittore sporge contro il marchese di Queensberry. L’odio del marchese è scatenato dalla relazione che lega suo figlio, lord Alfred Douglas, a Wilde. Il processo contro lord Queensberry si apre il 3 aprile 1895. Durante il suo svolgimento, Wilde ammette di aver coabitato in varie occasioni con Alfred Douglas e di aver frequentato ambienti equivoci. Le opere dello scrittore, che rivelano il suo edonismo, sono citate come confessioni autobiografiche. Lord Queensberry viene rapidamente assolto. Ma se non ha calunniato, ciò che afferma è vero, e la magistratura non può che incriminare Wilde. L’ac-

cusa è quella di «atti immorali e corruzione di giovani». Il primo processo contro lo scrittore si apre il 26 aprile e si conclude con l’assoluzione: l’avvocato di Wilde dimostra che le testimonianze a carico del suo cliente sono inattendibili. La magistratura ordina però un secondo processo. Le accuse sono le stesse. I testimoni anche. Il 25 maggio viene emesso il verdetto: lo scrittore è riconosciuto colpevole e condannato a due anni di carcere e di lavori forzati. Inizia per lui un declino inesorabile. Le sue opere vengono ritirate dalle librerie. Le sue commedie scompaiono dai cartelloni. Tutti i suoi beni vengono venduti. Scontata la pena, Wilde lascia l’Inghilterra e cerca, senza risultati, di tornare a scrivere. Muore di meningite, solo e povero, a Parigi. La vicenda è emblematica della mentalità vittoriana: la società dell’epoca si era infatti molto divertita a vedere Wilde dettar legge nel campo della moda e dell’arte, e lo aveva coperto di onori per le sue doti di abile conversatore e di geniale scrittore. La sua vita privata non era un mistero per nessuno. Ma non appena lo scandalo emerse pubblicamente, le convenzioni di quella società ne imposero l’esemplare repressione. In più, l’aristocrazia non poteva permettere che si sapesse che un suo membro aveva frequentato giovani di bassa estrazione sociale: Wilde, facendolo, aveva infranto tutti i tabù, più di quanto non fosse accaduto con la relazione con lord Douglas. Dunque, ciò che contava era salvare le apparenze. A costo di rovinare un uomo.

La miseria del popolo irlandese Ai primi dell’Ottocento la maggioranza degli Irlandesi era cattolica e viveva in condizioni di estrema miseria. La povertà covava soprattutto tra i braccianti che non avevano alcuna certezza lavorativa visto il numero eccessivo degli addetti all’agricoltura. Spesso con una famiglia numerosa alle spalle, mandavano moglie e figli a chiedere l’elemosina. Non migliori erano le condizioni dei contadini che prendevano in affitto dei fazzoletti di terra dove coltivavano patate e allevavano maiali. Il ricavato del loro lavoro era destinato alla manutenzione degli edifici, al pagamento dell’affitto e delle tasse. I pescatori non avevano imbarcazioni che consentissero la pesca d’altura e si limitavano a pescare le aringhe. In comune questi miseri avevano – come scrive lo storico Jacques Chastenet – le abitazioni.

Le catapecchie del bracciante agricolo, del piccolo affittuario, e del pescatore si somigliavano ed erano egualmente squallide. Talvolta raggruppate in umili villaggi, più spesso isolate, erano fatte di fango secco mescolato a qualche ciottolo mal sistemato, erano coperte di rami e di zolle d’erba ed erano costituite di una sola stanza, dove la famiglia viveva sulla terra battuta in compagnia dei suoi maiali. Niente finestra, talvolta niente camino, una porta ad assi sconnesse. Niente mobili tranne una cassapanca e una panca. Erba e paglia facevano da letto. Il solo combustibile era la torba e il contadino doveva pagare al proprietario il diritto di raccoglierla. La ventilazione era inesistente, l’odore soffocante e dal pavimento, reso spugnoso da una pioggia quasi continua, emanava un’umidità penetrante. J. Chastenet, La vita quotidiana in Inghilterra ai tempi della regina Vittoria

Wilde in un ritratto fotografico del 1899.

DOCUMENTO

Oscar Wilde, uno scandalo vittoriano

I PROTAGONISTI

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Le grandi potenze

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CINEMA E STORIA

UNITÀ 14

Jane Eyre Italia - Gran Bretagna - Francia - Stati Uniti, 1996 (durata: 116’) Regia: Franco Zeffirelli Attori principali: Charlotte Gainsbourg, William Hurt, Joan Plowright

Tratto dal romanzo di Charlotte Brontë (1847), il film racconta la storia di Jane Eyre, orfana e povera. Quando è ancora bambina, Jane vive con una zia crudele, che dopo qualche anno la affida a un istituto dove viene sottoposta a un regime di ferrea disciplina e di duro lavoro. Jane cresce con un carattere chiuso, ma anche forte

e sensibile. Quando esce dall’istituto diventa insegnante della figlia del signor Rochester, un uomo affascinante che custodisce un segreto. Tra Jane e il signor Rochester scoppia l’amore, ma le rigide convenzioni sociali dell’epoca non concedono ai due la possibilità di amarsi. Il film si presenta come uno splendido affresco dell’età vittoriana, di cui mostra le consuetudini, gli ambienti, l’abbigliamento, ma anche il modo di pensare inflessibile e i comportamenti austeri, che sono la causa dell’infelicità dei due protagonisti.

TUTOR

LEADER A CONFRONTO

BENJAMIN DISRAELI (1804-1881)

WILLIAM EWART GLADSTONE (1809-1898)

Origini e Nacque in una famiglia ebrea ma si convertì alla carriera politica religione anglicana. Prima di dedicarsi alla politica era già famoso come romanziere. Iniziò la sua carriera politica con i whigs, ma dopo una sconfitta elettorale passò ai tories. Condusse una politica estera aggressiva e nel 1876 fece proclamare la regina Vittoria imperatrice delle Indie.

Era figlio di un ricco commerciante di origini scozzesi. Iniziò la sua carriera politica con i tories, ma presto rifiutò l’ideologia conservatrice e aderì a una visione più umanitaria e pacifista. Limitò le conquiste coloniali e favorì i commerci abolendo le tariffe doganali. Promosse l’autonomia dell’Irlanda, anche se con scarso successo.

Principali riforme interne

Nel 1875 abolì il reato di sciopero, inoltre emanò una serie di leggi per migliorare le abitazioni e le condizioni igieniche dei poveri. Tra il 1874 e il 1878 ridusse per legge le ore di lavoro delle donne e dei bambini, e vietò il lavoro minorile sotto i dieci anni di età.

Nel 1870 introdusse l’obbligo scolastico elementare. Nel 1871 ufficializzò le Trade Unions come associazioni dei lavoratori. Nel 1885 promosse la riforma elettorale che concedeva il suffragio a tutti i cittadini maschi con famiglia a carico.

Periodi di governo

27 febbraio – 3 dicembre 1868 20 febbraio 1874 – 23 aprile 1880

3 dicembre 1868 – 20 febbraio 1874 23 aprile 1880 – 23 giugno 1885 1 febbraio – 25 luglio 1886 15 agosto 1892 – 5 marzo 1894

La regina Vittoria in visita a Dublino nell’aprile 1900.

Le grandi potenze

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5. L’espansione degli Stati Uniti NASCITA DI UNA GRANDE POTENZA Nella prima metà del XIX secolo gli Stati Uniti conobbero una rapida espansione territoriale e un forte sviluppo economico. Grazie al costante flusso migratorio dall’Europa, la popolazione passò dai 23 milioni del 1850 ai 30 milioni di abitanti del 1860. I conini degli Stati Uniti superarono i limiti delle 13 colonie originarie, per estendersi a sud e soprattutto a ovest, ino in California dove nel 1848 furono scoperti giacimenti d’oro. Cacciatori, coloni e cercatori d’oro si avventurarono su quei territori, strappando con le armi la terra agli indigeni. Il mito della «frontiera» conquistata con l’intraprendenza e il coraggio dei coloni, lascerà segni profondi e duraturi nella mentalità americana. Talvolta immensi territori, compresi tra Atlantico e Pacifico, divennero proprietà degli Stati Uniti in seguito agli accordi con le potenze europee, come nel caso dell’Oregon acquistato dall’Inghilterra nel 1846. La guerra contro il Messico (1845-48), invece, assegnò agli Stati Uniti i territori dal Nuovo Messico alla California. Nel 1860 gli Stati dell’Unione erano saliti a 33, e ben presto furono dotati di strade e linee ferroviarie. Anche la produzione agricola ebbe una rapida ascesa, mentre nel Nord si sviluppava la produzione industriale e il commercio marittimo. Tale sviluppo tuttavia non fu uguale in tutti gli Stati americani e determinò una profonda frattura tra gli Stati industriali e quelli latifondisti.

Una veduta di Broadway, celebre strada di New York, in una foto del 1861: sono già evidenti i segni dello straordinario sviluppo urbano ed economico, che aveva interessato anche altre importanti città degli Stati del Nord.

UNITÀ 14

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STATI INDUSTRIALI E STATI LATIFONDISTI

STORIOGRAFIA

Il Nord divenne il polo dello sviluppo industriale del Paese. Negli Stati del Nord, infatti, sorgevano le città più ricche e progredite, come New York, Boston, Philadelphia. Queste città erano le sedi del commercio con l’Europa, le basi dove approdava l’immigrazione. Dominato da un’attiva borghesia industriale e in presenza di una vasta classe operaia, il Nord era una società aperta al progresso e alla libera iniziativa. Gli interessi della borghesia del Nord furono rappresentati dal Partito repubblicano. Al contrario di quelli del Nord, gli Stati del Sud si basavano su di un’economia essenzialmente agricola. Le vaste estensioni di terreno fertile e il clima mite avevano infatti favorito lo sviluppo delle colture latifondiste con grandi piantagioni di cotone e, in minor misura, di tabacco e canna da zucchero. La produzione del cotone assicurava il 75% di quella mondiale, anche se la lavorazione avveniva soprattutto nelle manifatture del Nord o in Europa. Le piantagioni erano in mano a una ristretta minoranza di proprietari terrieri, mentre la manodopera era costituita dagli schiavi neri. Nel 1860 vivevano negli Stati del Sud quattro milioni di schiavi neri e circa sei milioni di bianchi. Duemila famiglie di grandi coltivatori costituivano il ceto che dominava la vita politica e sociale degli Stati del Sud. I grandi coltivatori del Sud governavano in modo paternalistico le loro piantagioni ed erano rappresentati politicamente dal Partito democratico, fondato da Andrew Jackson (1767-1854), che fu presidente dell’Unione dal 1828 al 1836. Un paradosso per questo partito che era sorto con l’intento di democratizzare la vita politica del Paese.

La frontiera fonda l’America Il brano che segue è tratto da uno studio dello storico statunitense Frederick Jackson Turner, e analizza il significato della «frontiera» nella storia degli Stati Uniti. L’esistenza di una superficie di terre libere e aperte alla conquista, la sua retrocessione continua e l’avanzata dei coloni verso occidente, spiegano lo sviluppo della nazione americana. Dietro alle istituzioni, dietro alle forme e alle trasformazioni costituzionali, stanno le forze pulsanti e operose che danno vita a questi organismi e li modellano per affrontare le mutevoli condizioni della storia. Il tratto caratteristico delle istituzioni americane consiste nel fatto che esse sono state costrette a adattarsi ai cam-

biamenti di un popolo in espansione. Lo sviluppo sociale americano è stato un inizio continuo, un punto di partenza sempre nuovo, su una frontiera mobile. La frontiera è la linea dell’americanizzazione più rapida ed effettiva. La grande distesa solitaria domina il colono, s’impadronisce del suo animo. Egli è vestito all’europea, ha strumenti europei, viaggia e pensa all’europea. La grande distesa solitaria lo spoglia dei vestiti della civiltà, lo veste con la casacca del cacciatore; il colono deve accettare le condizioni che trova o perire, e così si adatta alla radura e segue le piste degli Indiani. Nasce con lui un prodotto nuovo e genuino: l’americano. F.J. Turner, La frontiera nella storia americana

IL CONTRASTO TRA NORD E SUD Negli anni Quaranta-Cinquanta del XIX secolo lo sviluppo industriale non si limitò più solo alla produzione del cotone, ma investì altri settori: siderurgico, meccanico, chimico ecc. Di conseguenza, la dipendenza del Nord dal Sud si allentò. Nel contempo, si crearono rapporti più stretti tra industria del Nord e gli agricoltori degli Stati dell’Ovest. I prodotti dell’Ovest agricolo avevano trovato lo sbocco naturale nelle città del Nord, e l’Ovest rappresentava un ottimo mercato per vendere macchine agricole. Le tensioni tra Nord e Sud si intensiicarono per diversi motivi. Le alte tarife doganali applicate dal Nord alle merci provenienti dall’Europa costringevano il Sud ad acquistare esclusivamente i prodotti degli Stati settentrionali; nel contempo ostacolavano le esportazioni degli Stati del Sud verso l’Europa che, per ritorsione, aveva alzato le proprie tarife doganali. Ma l’elemento che fece scatenare la guerra fu la questione della schiavitù. Gli schiavi neri erano infatti il pilastro su cui si fondava il sistema economico del Sud. Quando si trattò di

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Le grandi potenze

VERMONT

MINNESOTA Lago Superiore Lago

WISCONSIN Michigan

Lago Huron

Lago Ontario

Lago MICHIGAN Erie

NEBRASKA

PENNSYLVANIA

IOWA

Gettysburg

OHIO ILLINOIS Washington INDIANA VIRGINIA VIRGINIA OCC. Richmond Appomattox MISSOURI KENTUCKY CAROLINA DEL NORD TENNESSEE ARKANSAS CAROLINA DEL SUD MISSISSIPPI Fort Sumter GEORGIA Vicksburg ALABAMA LOUISIANA

NEW HAMPSHIRE MASSACHUSETTS RHODE ISLAND CONNECTICUT NEW JERSEY DELAWARE MARYLAND

Miss

issip

pi

KANSAS

NEW YORK

MAINE

GLI STATI UNITI ALL’EPOCA DELLA GUERRA DI SECESSIONE

TEXAS

Stati unionisti FLORIDA

Stati confederati Territorio indiano Territori non ancora riconosciuti come Stati Battaglie

estendere la schiavitù agli Stati di recente colonizzazione, lo scontro divenne inevitabile. L’opinione pubblica del Nord diede voce a un vasto movimento abolizionista che chiamò a raccolta tutte le forze interessate a uniicare il Paese in un unico sistema sociale omogeneo, quello del Nord. Il Partito repubblicano, decisamente antischiavista, divenne l’espressione politica del movimento abolizionista, delle rivendicazioni degli industriali e delle aspirazioni dei coloni dell’Ovest. Il Partito democratico, invece, divenne il partito degli schiavisti del Sud.

LA SECESSIONE DEL SUD Nel 1854 il Congresso approvò il Kansas-Nebraska Act, secondo il quale i nuovi Stati di Kansas e Nebraska avevano la piena libertà di decidere se adottare o meno il regime schiavista. Il decreto scatenò una violenta guerriglia tra schiavisti e antischiavisti per il controllo del Kansas. Nel 1859 in Virginia, un tentativo d’insurrezione di schiavi neri, guidata dal leader John Brown, ebbe come conseguenza la sua impiccagione e una feroce repressione. In questa atmosfera di estrema tensione, l’elezione nel 1860 del presidente repubblicano Abraham Lincoln (1809-1865) fece precipitare la situazione. L’opinione pubblica del Sud vide nella vittoria repubblicana la vittoria degli Stati industriali del Nord e l’emarginazione degli Stati schiavisti. In realtà Abraham Lincoln, un avvocato proveniente da una modesta famiglia di agricoltori del Kentucky, non era un abolizionista radicale; anzi, durante la sua campagna elettorale aveva annunciato che non avrebbe abolito la schiavitù negli Stati dove era già in vigore. L’intenzione di Lincoln era piuttosto quella di trasformare gli Stati Uniti in una grande repubblica unitaria, espressione politica di un unico vasto mercato nazionale. Tuttavia, nel timore di inir relegati a un ruolo politico ed economico subordinato al Nord, gli Stati del Sud reagirono. Decisa nel febbraio 1861 la secessione (separazione) dall’Unione, costituirono la Confederazione autonoma del Sud, composta da undici Stati con capitale Richmond e presidente Jeferson Davis. A quel punto, lo scontro divenne inevitabile. La guerra di secessione tra unionisti (Stati del Nord) e confederati (Stati del Sud) durò dal 1861 al 1865.

UNITÀ 14

490

LA GUERRA DI SECESSIONE

VIDEO

La prima guerra totale della Storia

Le ostilità si aprirono il 12 aprile 1861 con l’attacco dei confederati alla guarnigione nordista di Fort Sumter, nella Carolina del Sud. Gli Stati della Confederazione potevano contare su un esercito ben addestrato, ma erano nettamente inferiori agli avversari per numero di uomini e mezzi. Gli Stati nordisti, infatti, avevano una popolazione tre volte superiore e una maggiore potenzialità economica. I confederati conidavano tuttavia nell’intervento di Francia e Gran Bretagna al loro ianco, principali acquirenti del cotone americano, interessate a indebolire la potenza industriale nordista. Francia e Gran Bretagna optarono invece per la neutralità, e le forze confederate dovettero contare solo su se stesse. Nei primi due anni di guerra ebbero la meglio le truppe sudiste grazie all’ottima strategia del loro comandante, il generale Robert Edward Lee. I nordisti, dal canto loro, dovettero impiegare tutte le loro risorse umane ed economiche per vincere, ricorrendo anche alla propaganda politica. Per ottenere l’appoggio dei contadini e degli schiavi neri, nel 1862 Lincoln emanò due leggi storiche: la prima assegnava gratuitamente ai contadini le terre libere dello Stato; la seconda legge sanciva l’abolizione della schiavitù nei territori ribelli. Nel 1863 ci furono i primi successi nordisti. Il generale nordista Ulysses S. Grant avanzò con le sue truppe lungo il Mississippi e con la conquista della città di Vicksburg, riuscì a dividere in due il fronte avversario. Una nuova ofensiva del generale Lee, giunta a minacciare Washington, venne bloccata sempre nel 1863 nella battaglia di Gettysburg. L’ultima fase della guerra vide l’avanzata delle truppe nordiste attraverso Tennessee, Georgia e Carolina. Circondati da ogni lato, i sudisti tentarono la disperata difesa di Richmond, ma il 9 aprile 1865 ad Appomattox, il generale Lee dovette arrendersi deinitivamente a Grant.

LA PRIMA GUERRA TOTALE

La guerra civile americana fu la prima guerra a poter essere documentata attraverso la fotografia: una guerra moderna, dunque, che utilizzò gli ultimi ritrovati della tecnica. Anche sul piano militare mise in campo la più avanzata tecnologia bellica dell’epoca, dall’artiglieria pesante alle corazzate. Fu la prima guerra totale perché impegnò milioni di soldati e coinvolse l’intera società americana, una guerra di massa che anticipò quelle del XX secolo.

LESSICO

La guerra di secessione durò in tutto quattro anni, impegnò tre milioni di uomini e costò circa 600 000 morti. Nel corso del conlitto furono utilizzati moderni mezzi bellici e tecnologici, come il telegrafo e la ferrovia. Fu pertanto la prima guerra totale della storia: una guerra combattuta con le armi prodotte dalla rivoluzione industriale e con il coinvolgimento di tutta la società, una guerra di massa. La vittoria dell’Unione non diede subito i frutti sperati: cinque giorni dopo la resa, il 14 aprile 1865 il presidente Lincoln fu assassinato da un fanatico sudista. La legge sulla distribuzione della terra ai contadini fu revocata pochi anni dopo, mentre gli schiavi liberati non cambiarono di fatto la loro situazione economica e non poterono cancellare i pregiudizi razziali nei loro confronti. Il Sud subì una vera e propria occupazione militare, cui reagì con la violenza. Nel 1866 nacque nel Sud un’organizzazione clandestina, il Ku Klux Klan, con lo scopo di terrorizzare i neri, impedendo loro di esercitare il diritto di voto e, più in generale, di partecipare alla vita politica.

GUERRA TOTALE Con questa espressione si indica una guerra che coinvolge ogni aspetto della vita dei Paesi che partecipano al conflitto. In una guerra totale i contendenti non si limitano a scontrarsi sul campo di battaglia con i rispettivi eserciti, ma cercano di annientare completamente il nemico anche dal punto di vista economico, politico, psicologico. Perciò rivolgono i loro attacchi contro le strutture che consentono alla nazione nemica di vivere e di sostenere la guerra: le fabbriche che producono le armi e i generi di prima necessità, i mezzi di trasporto, le fonti di energia. Non solo: anche la popolazione civile diventa un obiettivo da colpire; infatti, una popolazione decimata, spaventata, stanca non sarà più in grado di sostenere lo sforzo bellico nella vita di tutti i giorni e sarà più favorevole alla fine del conflitto o addirittura alla resa. Guerra totale per antonomasia è la seconda guerra mondiale.

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Le grandi potenze

Un episodio delle guerre indiane: le «giacche blu» (i soldati dell’Unione) attaccano e distruggono l’accampamento cheyenne sulle rive del fiume Sand Creek in Colorado, nel 1864.

COMPETENZE

USARE LE FONTI

Quale integrazione per gli Indiani d’America? Pag. 498

TUTOR

Le guerre indiane

L. Superiore

3

L. Huron

4

L. Ontario L. Michigan L. Erie

2

Ohio

Miss

5

issip

pi

1

Pricipali battaglie tra il 1846 e il 1890 Riserve indiane nel 1875

1. L’Indian Removal Act (1830) fu la legge con cui il governo degli Stati Uniti costrinse gli Indiani a spostarsi a ovest del fiume Mississippi. A partire dalla metà dell’Ottocento, perciò, negli Stati Uniti orientali non esistevano tribù indiane che non fossero ormai assimilate ed entrate a far parte del mondo dei bianchi. Di conseguenza, da quel momento i principali scontri avvennero nella parte occidentale del Paese, nel cosiddetto West, dove gli Indiani e i coloni si contendevano le terre su cui abitare. 2. Lo scontro avvenne sulle rive del fiume Sand Creek, il 29 novembre 1864: più che una vera battaglia, fu un massacro compiuto dall’esercito americano contro 150200 Indiani indifesi, la maggior parte dei quali erano vecchi, donne e bambini. Il maggiore John Chivington, che organizzò e guidò la spedizione, fu processato dalla corte marziale e condannato. 3. La battaglia di Little Big Horn, avvenuta il 25-26 giugno 1876, fu una delle più gravi sconfitte inflitte dai pel-

lerossa all’esercito degli Stati Uniti. Un distaccamento del 7° Cavalleggeri, comandato dal tenente colonnello George Armstrong Custer, fu annientato da un esercito di 1200 Indiani delle tribù Lakota e Cheyenne, guidate da grandi capi come Toro Seduto e Cavallo Pazzo. Nello scontro morirono 268 soldati americani. 4. Il massacro di Wounded Knee avvenne il 29 dicembre 1890. In quella occasione alcune centinaia di Sioux fuggiti dalle riserve furono uccisi dall’esercito americano che cercava di portarli indietro. Pare che la carneficina fosse iniziata per sbaglio, ma l’episodio rimane uno dei più tristi nella storia degli Stati Uniti. 5. Poco a poco gli Indiani furono costretti a vivere nelle riserve, spazi limitati dai quali non potevano uscire. Spesso questi territori erano molto distanti dai luoghi dove le tribù avevano vissuto fino a quel momento. Erano generalmente molto differenti dal punto di vista ambientale, perciò le popolazioni trovavano difficoltà a adattarsi.

UNITÀ 14

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LA PRIMA POTENZA ECONOMICA DEL MONDO

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Quali erano le differenze tra il Nord e il Sud del Paese? ƒ Quali erano i principali partiti della politica americana? ƒ Perché tra il Nord e il Sud scoppiò la guerra di secessione? ƒ Quale fu la politica del governo americano nei confronti dei pellerossa?

Al termine della guerra, la conquista dei territori dell’Ovest fu portata a termine. Nel 1890 gli Stati Uniti raggiunsero l’estensione attuale. Ma furono i pellerossa a pagare il prezzo più caro. Costretti dalle campagne militari del governo federale a ritirarsi in territori sempre più ristretti, gli Indiani subirono la sconitta decisiva nella battaglia di Wounded Knee nel 1890. Decimate da guerre e privazioni, le tribù superstiti furono coninate nelle riserve. Alla ine del secolo la popolazione indiana era ridotta a 250 000 unità. Al contrario la popolazione statunitense aumentò progressivamente grazie all’immigrazione dall’Europa: nel 1871 vi erano 39 milioni di abitanti, nel 1894 se ne contavano 62 milioni e nel 1914 si raggiunsero i 97 milioni. Nel 1890 la rete ferroviaria si estendeva per ben 190 000 miglia: una lunghezza superiore a quella di tutte le ferrovie europee. Gli Stati Uniti uscirono dunque dalla guerra civile con una struttura economica ancora molto vitale, che consentì loro negli ultimi anni del secolo un nuovo spettacolare boom economico. Superata la Gran Bretagna, alla ine dell’Ottocento gli Stati Uniti divennero la più grande potenza economica del mondo. Presto ne sarebbero diventati anche la principale potenza politica.

CINEMA E STORIA

I due tronchi della Central Pacific Railroad e della Union Pacific Railroad si incontrano e si uniscono, creando la First Transcontinental Railroad (Prima Ferrovia Transcontinentale), la linea ferroviaria che doveva collegare New York a San Francisco. Nella foto la cerimonia d’inaugurazione a Promontory Summit (Utah), il 10 maggio 1869.

Piccolo grande uomo Stati Uniti, 1970 (durata: 142’) Regia: Arthur Penn Attori principali: Dustin Hoffman, Faye Dunaway, Richard Mulligan

Attraverso la storia di Jack Crabb, interpretato da Dustin Hoffman, il film ripercorre tutta l’epopea del West, con i suoi miti, i suoi eroi e anche i lati oscuri e negativi. All’età di dieci anni Jack viene adottato dagli Indiani, che lo allevano come un vero pellerossa. Per il suo coraggio e per la sua bassa statura gli India-

ni lo chiamano «Piccolo grande uomo». Per non farsi uccidere da un soldato americano, Jack svela di non essere un vero indiano, e da quel momento inizia la sua vita tra i bianchi: in questo periodo diventa giocatore d’azzardo, commerciante, pistolero, soldato. Come soldato partecipa alla battaglia di Little Big Horn, ma quando sta per essere ucciso, viene salvato da un suo exrivale indiano. Dopo la battaglia si avvia a ritornare ancora una volta tra gli Indiani.

Le grandi potenze

493

6. La nascita del Giappone moderno IL GIAPPONE ALLA METÀ DEL XIX SECOLO Il Giappone di metà Ottocento era strutturato come nei secoli precedenti: era, di fatto, una società feudale. Al vertice si trovava l’imperatore che aveva però solo un potere simbolico e rivestiva il ruolo di capo religioso. Chi governava a tutti gli efetti era lo shogun (governatore militare), carica che da più di due secoli era controllata dalla famiglia Tokugawa. Lo shogun aveva alle sue dipendenze i samurai (la piccola nobiltà guerriera). I daimyo (i grandi feudatari) erano invece legati allo shogun da rapporti di vassallaggio. Nel 1800 i daimyo erano circa 250 e governavano regioni molto estese con funzionari ed esercito proprio. L’economia del Giappone si basava sullo scambio in natura, soprattutto di riso, mentre le rare industrie di armi e navi da guerra erano controllate dallo shogun. L’80% della popolazione si dedicava all’agricoltura, soprattutto alla coltivazione del riso. Le condizioni dei contadini erano pesanti, a causa della pressione iscale dei daimyo a cui era dovuto un terzo del raccolto. L’isolamento del Paese dal resto del mondo era quasi totale e voluto: nessun rapporto diplomatico legava il Giappone all’Occidente, mentre il commercio con l’estero era vietato. Solo il porto di Nagasaki era aperto agli stranieri. L’isolamento del Giappone terminò nel 1853, con l’arrivo di una squadra navale degli Stati Uniti nella Baia di Uraga. Gli Americani chiesero ufficialmente allo shogun l’apertura dei rapporti con l’Occidente e il libero accesso ai porti. Alle richieste degli Stati Uniti si unirono presto quelle di Francia, Gran Bretagna e Russia. Nel 1858 lo shogun fu costretto a irmare i cosiddetti «Trattati ineguali», con i quali venivano concessi agli Occidentali privilegi commerciali che limitavano fortemente la sovranità giapponese. Ma l’apertura dei porti al commercio estero sconvolse il sistema economico del Giappone

Un ritratto dell’imperatore Mutsuhito, artefice della modernizzazione del Giappone.

Gruppo di samurai in una stampa e in una fotografia della seconda metà del XIX secolo.

UNITÀ 14

COMPETENZE

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USARE LE FONTI

La missione dei 100 samurai Pag. 500

Dignitari imperiali ritratti dal pittore Yamazaki Toshinobu nel 1877.

e generò una crescente crisi economica. Inoltre, la irma dei Trattati suscitò il risentimento del Paese che si espresse nella rivolta dei daimyo e di una parte dei samurai contro lo shogun. Tra il 1858 e il 1867 scoppiarono 86 rivolte contadine, mentre la lotta politica contrappose lo shogun ai daimyo. Nel 1868 le forze dei daimyo occuparono Kyoto, costringendo lo shogun ad abdicare e a restituire il potere all’imperatore. Terminava così l’epoca Tokugawa e cominciava la restaurazione Meiji, ossia del «governo illuminato», denominazione scelta dall’imperatore Mutsuhito (1867-1912) per il suo regno. Una rara fotografia dell’imperatore Meiji (nato Mutsuhito), ripreso nel 1872 con gli abiti tradizionali di corte.

LESSICO

MODERNIZZAZIONE Termine coniato nel Novecento dalla sociologia e dalla scienza politica. Indica il passaggio dall’Ancien régime al mondo moderno tra il XVIII e il XX secolo. Nel linguaggio politico il concetto di modernizzazione sostituisce quello di «progresso» e interessa il piano economico, politico e sociale: crescita economica, che coincide col passaggio da un’economia agricola a quella industriale; autonomia dell’autorità statale dal potere religioso; capacità di far rispettare le proprie decisioni a tutti i cittadini; differenziazione dei ceti sociali e loro partecipazione politica; diffusione dell’istruzione; aumento della mobilità geografica e sociale della popolazione.

LA «RIVOLUZIONE DALL’ALTO» La restaurazione Meiji non rappresentò soltanto la reazione nazionalista di fronte all’intervento straniero. La sostituzione dello shogun con l’imperatore era stato certamente l’obiettivo dei daimyo, ma la nuova classe dirigente formata da intellettuali, militari e funzionari provenienti dal ceto dei samurai si pose uno scopo ancora più grande: trasformare il Giappone in un Paese moderno. Per coronare un sogno così ambizioso, ogni settore del Giappone subì una profonda ristrutturazione, prendendo come modello l’Occidente, grazie alla dettagliata relazione di una delegazione giapponese che dal 1871 al 1873 visitò gli Stati Uniti e l’Europa. A diferenza delle tante rivoluzioni avvenute in Occidente, quella giapponese fu una «rivoluzione dall’alto», guidata e controllata dall’imperatore Mutsuhito. Nel 1871 fu proclamata l’uguaglianza giuridica di tutti i Giapponesi, fu abolito il feudalesimo e il Giappone fu diviso in prefetture, seguendo il modello di Stato francese. Lo Stato divenne così il maggior proprietario dei terreni che furono venduti per incoraggiare la piccola e media proprietà. I feudatari furono indennizzati con titoli di Stato, mentre i samurai ebbero una pensione vitalizia. Gran parte dei samurai si occupò di riorganizzare l’esercito con l’aiuto di consiglieri tedeschi. Negli anni successivi il Giappone ebbe un esercito nazionale sulla base della coscrizione obbligatoria, una moneta unica, un nuovo sistema iscale e l’istruzione elementare obbligatoria.

LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE La modernizzazione economica del governo puntò soprattutto sul processo d’industrializzazione, grazie a massicci investimenti da parte dello Stato e all’importazione di tecnologia straniera. Nel 1870 nacquero il ministero per l’Industria e la Banca del Giappone, per sostenere lo Stato nello sforzo economico. La rivoluzione industriale investì le strutture già esistenti, come il settore tessile, e si volse alla creazione dell’industria pesante, bellica, meccanica, mineraria e siderurgica.

Le grandi potenze

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Per favorire gli scambi commerciali, vennero sviluppate rapidamente le comunicazioni ferroviarie e la rete telegraica. Una simile ristrutturazione non fu accolta sempre paciicamente da tutte le classi sociali: dal 1875 una serie di rivolte guidate da samurai o da daimyo scosse il Paese, mentre tra il 1870 e il 1880 ci furono rivolte contadine, causate dall’oppressione iscale. Anche la vita politica venne modernizzata. Nel 1890 venne varata una Costituzione che trasformò il Giappone in una monarchia costituzionale, con un Parlamento formato in parte da membri eletti su base censitaria. Alla ine dell’Ottocento l’Impero giapponese si era trasformato in una grande potenza pronta a competere con le maggiori nazioni dell’Occidente. Non solo sul piano economico, ma anche su quello militare.

GUIDA ALLO STUDIO

La modernizzazione del Giappone Rotta della flotta americana del commodoro Perry (1853) Porti giapponesi aperti al commercio entro il 1860 Porti bombardati dalle potenze occidentali (1863-64) Aree di sviluppo industriale (fino al 1914) Avanzata dell’esercito imperiale

1. L’isolamento del Giappone terminò nel 1853, quando una squadra navale degli Stati Uniti arrivò nella baia di Uraga, vicino a Tokyo. In quella occasione gli Americani, comandati dal commodoro Matthew Perry, pretesero dallo shogun l’apertura degli scambi con i Paesi occidentali.

HOKKAIDO Sapporo

3

Battaglie GIFU Prefetture

Hakodate

maggiori

AOMORI

2 Industrie: manifatturiere tessili navali chimiche

Hokkaido

Honshu

AKITA Morioka Akita IWATE Sakata

YAMAGATA

Mare del Giappone Kanazawa

FUKUSHIMA

1

NAGANO Edo (Tokyo)

HIROSHIMA Shimonoseki

HYOGO

GIFUNagoya Yokohama Kyoto SHIZUOKA Fushimi Shimoda

OKAYAMA

Osaka TOKUSHIMA

Yawata

KOCHI MIYAZAKI

Shikoku

4. L’introduzione delle prefetture eliminò il sistema feudale. Il territorio giapponese, prima suddiviso in feudi di proprietà degli aristocratici, fu organizzato in prefetture, cioè aree amministrate dallo Stato. Questa organizzazione amministrativa è ancora in vigore nel Giappone odierno.

5

Kyushu

Kagoshima KAGOSHIMA

5. La prefettura di Osaka fu una delle prime zone a sviluppare una moderna industria. Oggi è parte di un’enorme area intensamente popolata e industrializzata che comprende anche le città di Kobe e Kyoto.

L’ultimo samurai Stati Uniti, 2003 (durata: 144’) Regia: Edward Zwick Attori principali: Tom Cruise, Ken Watanabe, Billy Connolly

Il film è ambientato nel periodo della cosiddetta restaurazione Meiji, quando l’imperatore Mutsuhito iniziò la grande opera di modernizzazione del Giappone. La storia racconta di un capitano americano, Nathan Algren, che viene ingaggiato dal governo giapponese con il compito di guida-

re la repressione contro alcuni samurai ribelli. Durante i combattimenti, il capitano viene ferito e catturato dai samurai, che lo curano e lo trattano con tutti gli onori. Il capitano, perciò, impara a comprendere le ragioni dei samurai, che non vogliono rinunciare alle antiche tradizioni del Giappone, e si schiera dalla loro parte. Dopo una serie di aspre battaglie i samurai vengono sterminati e sconfitti, ma il capitano Algren si salva e decide di vivere con gli ultimi samurai rimasti.

CINEMA E STORIA

4

3. Le forze dello shogun si ritirarono sull’isola di Hokkaido, ma dopo la battaglia di Hakodate furono costrette ad arrendersi. Il potere dello shogun, durato quasi settecento anni, era finito per sempre.

Sendai Fukushima

Niigata

NIIGATA

Nagasaki

2. Il passaggio del potere dallo shogun all’imperatore non fu affatto pacifico. Negli anni 1868-69 scoppiò una vera e propria guerra civile tra le forze dello shogun e i daimyo che sostenevano l’imperatore. L’esercito imperiale dovette percorrere tutto il territorio giapponese per affermare il potere del sovrano.

TUTOR

ƒ Che caratteristiche presentavano la società e l’economia giapponesi nel XIX secolo? ƒ Quali erano le cause dell’arretratezza del Giappone? ƒ In che modo avvenne la modernizzazione del Paese?

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Dal passato al presente L’eredità più importante del periodo di espansione delle grandi potenze è l’assetto politico ed economico che caratterizza il mondo attuale. Proprio in quest’epoca, infatti, si formò la grande spaccatura tra Nord e Sud che ancora divide il pianeta in termini di ricchezza e di qualità della vita. In questi anni ha origine anche lo Stato sociale che nacque in Germania per opera del cancelliere Otto von Bismarck: consiste in un insieme di servizi che oggi molti Stati, tra cui l’Italia, offrono ai loro cittadini, in modo da attenuare le più marcate diseguaglianze sociali. Ma forse l’eredità più di successo presso la popolazione di tutto il mondo sono i jeans: il capo d’abbigliamento che ha rivoluzionato il modo di vestire venne creato nel 1874 dagli americani Jacob Davis e Levi Strauss.

L’invenzione dello Stato sociale NON CERTO PER AMORE DEI LAVORATORI

IERI

Le cure mediche, l’istruzione erano accessibili soltanto ai ricchi, mentre gli altri cittadini vivevano in uno stato di miseria e di profonda insicurezza OGGI

In quasi tutti i Paesi civili e industrializzati, i cittadini hanno acquisito il diritto a essere garantiti nei loro bisogni essenziali, come la salute, l’istruzione, una vecchiaia dignitosa

Il sistema previdenziale tedesco fu il primo al mondo, ed è servito da modello a tutti gli altri Paesi civili. Ma Bismarck promosse le sue riforme sociali non certo per amore dei lavoratori tedeschi. La partecipazione umana e l’afetto non erano mai state le sue migliori qualità. L’obiettivo era quello di rendere i lavoratori meno scontenti o, per usare un’espressione più dura, più ubbidienti. «Chiunque abbia una pensione per la vecchiaia – dichiarò nel 1881 – è molto più soddisfatto e malleabile di chi è privo di tale prospettiva. Osservate la diferenza fra un impiegato privato e un impiegato della Cancelleria o della corte: il secondo sopporterà ogni cosa molto meglio perché può conidare nella pensione.» La sua immaginazione e la sua sensibilità erano tormentate dal pensiero che i lavoratori non disponevano di nessuna forma di protezione contro gli infortuni e la vecchiaia. Un giorno predicava il rigore, l’indomani la sicurezza. Non avrebbe tollerato forme di controllo sulle condizioni di lavoro nelle fabbriche né limitazioni dell’orario di lavoro: l’imprenditore doveva essere «padrone in casa sua». Ma propose di assicurare tutti i lavoratori tedeschi contro gli infortuni, le malattie e la vecchiaia. Alla ine parlava di «diritto al lavoro» e pensava a una forma di assicurazione contro la disoccupazione: l’ultimo passo verso lo Stato assistenziale del XX secolo.

Queste idee erano troppo innovative per i contemporanei di Bismarck. La maggioranza le avversava in nome dei princìpi dell’economia liberale. Perino i socialdemocratici erano più interessati alla conquista del potere politico che alle riforme sociali. Anche al momento di varare il sistema di previdenza sociale il Reichstag sconisse Bismarck su un punto essenziale: abolì il contributo dello Stato e lasciò che l’assicurazione fosse inanziata dai contributi diretti dei lavoratori e degli imprenditori. Anche se contribuì ad accrescere la fama postuma di Bismarck, sul piano concreto, come mossa politica – ciò che a Bismarck stava maggiormente a cuore – il sistema di previdenza sociale non fu un successo.

LE DIFFICOLTÀ PARLAMENTARI Bismarck presentò la proposta al Reichstag nel febbraio del 1881: la data non era casuale. Bismarck sapeva molto bene che stava per scadere la legislatura e aveva bisogno di una nuova parola d’ordine per le elezioni imminenti. Ma la manovra fallì. Senza dubbio il Reichstag fece il suo gioco. Ridusse il contributo dovuto dagli imprenditori ed eliminò completamente il contributo dello Stato: i liberali in nome dell’individualismo, il Centro in difesa del federalismo. Bismarck rispose convincendo il Consiglio imperiale a riiutare la legge emendata. Poi sciolse il Reichstag. L’elettorato, però, non reagì o,

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Le grandi potenze piuttosto, reagì in un modo per Bismarck spiacevole e inaspettato. Gli elettori, anche quelli che appartenevano alla classe operaia, votarono a favore dei liberali antibismarckiani che così superarono il Centro diventando il partito di maggioranza. A questi deputati progressisti si unirono poi quelli del Centro, i socialdemocratici e i vari gruppi dell’opposizione (Polacchi, Alsaziani, Danesi dello Schleswig del Nord, gueli dell’Hannover). Il Reichstag tedesco disponeva così per la prima volta di una maggioranza consapevolmente antibismarckiana, anche se priva di qualunque motivo d’accordo in positivo. Dopo le elezioni Bismarck accettò gli emendamenti apportati dal Reichstag: «Avete respinto il contributo dello Stato, e io mi sono inchinato a questa vostra decisione per ottenere almeno qualcosa». Lo Stato non avrebbe pagato nulla, mentre venne aumentato il contributo versato dal lavoratore. Con questi cambiamenti, nel 1883 fu istituita l’assicurazione contro le malattie, e nel 1884 quella contro gli infortuni. Quando queste misure cessarono di essere utili come armi nella lotta politica, Bismarck perse per loro ogni interesse. Nelle sue Memorie non dedicò neanche una frase per ricordare la politica sociale.

tutti i cittadini dei livelli minimi di reddito, alimentazione, salute, abitazione, educazione, affinché ognuno possa vivere dignitosamente. Bismarck fu il primo ad attuare un intervento organico da parte dello Stato per migliorare le condizioni di vita della popolazione. Tuttavia, una compiuta realizzazione dello Stato sociale si ebbe solo con la politica adottata in Gran Bretagna a partire dal secondo dopoguerra, quando venne afermato il principio secondo il quale tutti i cittadini, indipendentemente dal loro reddito, hanno diritto a essere protetti dalla collettività. Da allora molti Paesi, tra cui l’Italia, hanno seguito questo esempio; altre nazioni civili e industrializzate, come gli Stati Uniti, hanno preferito seguire altre strade, mantenendo anche forti diseguaglianze tra i cittadini. Una fotografia del cancelliere Bismarck, circondato da alcuni collaboratori, al Reichstag.

LA COMPIUTA REALIZZAZIONE DELLO STATO SOCIALE

J’ACCUSE È l’inizio del famoso articolo che lo scrittore Émile Zola compose per il giornale «L’Aurore», il 13 gennaio 1898 con l’intento di denunciare gli errori e le violazioni della legalità che furono commesse durante il processo al capitano Dreyfus. Il clamore fu tale che l’espressione j’accuse cominciò a essere usata anche in altre circostanze per indicare un severo atto d’accusa contro qualcuno che si ritiene riprovevole o immorale. REALPOLITIK È un’espressione tedesca composta dall’aggettivo real (realistico, concreto) e dal sostantivo politik (politica), perciò significa «politica realistica, concreta»; una politica di questo genere è basata sulla valutazione obiettiva delle situazioni ed è diretta verso uno scopo preciso, senza badare troppo al rispetto dei princìpi morali e ai mezzi che vengono usati. Il cancelliere tedesco Otto von Bismarck è passato alla storia come un rappresentante di questo tipo di politica, e l’espressione realpolitik fu coniata proprio per descrivere il suo modo di governare.

PAROLE IN EREDITÀ

Lo Stato sociale, deinito anche «Stato del benessere» (dall’inglese Welfare State) o «Stato assistenziale», è un insieme di misure attuate dallo Stato per assicurare a

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COMPETENZE: USARE LE FONTI

Quale integrazione per gli Indiani d’America? STORIOGRAFIA

Nel 1830 l’Indian Removal Act, cioè l’atto di rimozione, impose agli Indiani residenti a est del Mississippi di lasciare le loro terre. Furono i coloni del Sud, desiderosi di impossessarsi delle terre indiane, a premere perché tale legge fosse applicata. Le tribù riiutarono di essere inglobate nel sistema americano e si opposero all’avanzata dei bianchi: iniziava così la ine per queste popolazioni. Eppure la paciica convivenza per un certo periodo era parsa possibile.

William McLoughlin

I sentieri delle lacrime William McLoughlin (1922-1992) è stato uno storico statunitense che si è occupato principalmente delle religioni negli Stati Uniti, dei nativi americani, dell’abolizionismo. Ha inoltre ottenuto riconoscimenti per il suo impegno nella battaglia per i diritti civili. Tra le sue ultime opere, Rhode Island: A History («Rhode Island: una storia», 1986), The Cherokees and Christanity, 1794-1870 («Cherokee e cristanità, 1794-1870», 1994).

Quando nel 1783 gli Stati Uniti conquistarono l’indipendenza, i loro tre milioni e mezzo di cittadini erano concentrati sulla costa atlantica. I duecentomila Indiani, invece, divisi in ottanta tribù – ognuna con la propria lingua – occupavano l’area situata tra i monti Appalachi e il Mississippi. Tra il 1789 e il 1830 i coloni bianchi fondarono nove Stati proprio in questa regione, inglobando i territori degli Indiani. Si presentò allora il grande problema della convivenza delle nazioni indiane con quella americana. Gli Indiani erano proprietari delle terre su cui vivevano? Erano sovrani in quei territori? E questa sovranità non era in contrasto con quella degli Stati Uniti? Per l’illuminato presidente George Washington ciascuna tribù doveva essere considerata una nazione. E con ciascuna tribù era necessario stipulare trattati che garantissero l’autogoverno e proteggessero i confini dalle intrusioni dei bianchi. In cambio, gli Indiani avrebbero dovuto rimanere fedeli agli Stati Uniti: si voleva evitare che Francia e Spagna trovassero in loro comodi alleati per ricacciare gli Americani verso est. Il pensiero di Washington era ispirato dal ministro della Guerra, Henry Knox, fautore di una politica illuminata e umana, che partiva dal presupposto che gli Indiani, fisicamente e mentalmente pari agli Europei, fossero i legittimi proprietari delle terre su cui vivevano. I coloni bianchi,

però, si stavano spostando in modo inarrestabile verso ovest, e avrebbero volentieri sterminato i nativi americani pur di guadagnare territori. Come risolvere la situazione? Non certo con le guerre: sarebbero state troppo costose (specie se avessero coinvolto Francesi o Inglesi): meglio, allora, instaurare buoni rapporti con le tribù. I progetti di Knox, però, non contemplavano la sopravvivenza delle nazioni indiane, né erano così disinteressati. Prevedevano che gli indigeni si convertissero all’agricoltura, perché la selvaggina sarebbe stata sempre più scarsa. L’uomo bianco avrebbe insegnato loro la tecnica agricola, e avrebbe fornito gli attrezzi necessari, gratuitamente. Gli Indiani, in questo modo, si sarebbero convinti a vendere le terre in eccedenza: per l’agricoltura occorrevano terreni meno estesi di quelli che servivano per la caccia. Infine, gli Indiani si sarebbero convertiti al cristianesimo: in

Una tribù indiana, costretta a trasferirsi a ovest, attraversa le Montagne Rocciose affrontando la neve e il vento gelido.

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Le grandi potenze questo modo, nel giro di cinquant’anni sarebbero stati totalmente assimilati. Sarebbero divenuti cittadini americani e i loro diritti di proprietà sulle terre si sarebbero estinti: ogni famiglia indiana avrebbe conservato solo una piccola fattoria a titolo di proprietà privata. In effetti, cinque delle maggiori tribù fecero progressi molto rapidi sulla via dell’assimilazione: arrivarono, nel 1830, a possedere quasi tremila schiavi africani per la coltivazione dei campi. Molte terre vennero cedute, come previsto, al governo federale: quest’ultimo vendeva gli appezzamenti ai coloni, e con il ricavato finanziava lo sviluppo economico delle tribù. A un certo punto, però, qualcosa non andò per il verso giusto. Da una parte, i bianchi furono sempre più allettati dai territori abitati dagli Indiani. Dall’altra, gli Indiani iniziarono a rifiutare di essere fagocitati dal mondo dei bianchi. Nel 1812 all’Ovest scoppiò la guerra. Gli Shawnee si erano alleati con gli Inglesi e avevano formato, insieme ad altre tribù, una confederazione che si oppose a ogni ulteriore avanzata dei bianchi a ovest degli Appalachi. Gli Stati Uniti ebbero la meglio, e l’ostilità nei confronti degli Indiani «traditori», ovviamente, crebbe. In più, con la guerra, l’industria tessile aveva conosciuto un rapido incremento: occorrevano campi di cotone, e le tribù indiane occupavano i territori più adatti a tale coltura. Gli Indiani a poco a poco si erano resi conto che non solo l’integrazione avrebbe cancellato la loro cultura, ma anche che ben pochi Americani li avrebbero accettati come concittadini dotati degli stessi diritti. La seconda vittoria sugli Inglesi, nel frattempo, aveva alimentato, tra i bianchi, la convinzione generale che gli Stati Uniti fossero stati scelti da Dio come guida del mondo intero. Erano quindi destinati a espandersi fino alle coste del Pacifico. Gli Indiani, però, si rifiutarono di cedere le ultime terre. Col crescere del fervore nazionalistico americano, crebbe anche quello degli Indiani. I Cherokee nel 1827 affermarono la propria sovranità adottando una Costituzione, un sistema giudiziario, e un Parlamento elettivo. Una clausola

della Costituzione statunitense, però, affermava l’impossibilità di creare nuovi Stati entro la giurisdizione di uno Stato. La Georgia se ne avvalse per considerare inesistenti le nazioni cherokee e creek, e per invalidare i trattati che queste tribù avevano stipulato con il governo federale. Ne nacque un conflitto tra la sovranità federale e quella statale. La Corte Suprema degli Stati Uniti cercò di porre ordine nella controversia, affermando che la Georgia, come singolo Stato, non aveva il potere di denunciare i trattati. Il nuovo presidente Jackson – che era stato l’eroe delle guerre contro gli Indiani del 1812 – rifiutò in modo sprezzante di attenersi alle decisioni della Corte. D’altra parte, il Congresso aveva già approvato l’Indian Removal Act. La legge, che suscitò la ferma opposizione del partito Whig, imponeva alle tribù residenti a est del Mississippi di firmare un trattato di trasferimento. In alternativa sarebbero rimasti sul posto come cittadini di seconda categoria. Così migliaia di Indiani si incamminarono verso ovest, scortati dai soldati su quelle piste che da allora presero il nome di «sentieri delle lacrime». Molti di loro morirono su quei sentieri, che li allontanavano per sempre dalle terre dei loro padri. Ecco come John Ross, il capo cherokee che aveva guidato la resistenza al trasferimento forzato della sua gente, descrisse nel 1834 la condizione degli Indiani che avevano percorso i «sentieri delle lacrime»: «Siamo stati costretti a bere l’amaro calice dell’umiliazione; trattati come cani, mentre la nostra vita e la nostra libertà divenivano trastullo dell’uomo bianco; la nostra patria e le tombe dei nostri padri ci sono state strappate dallo spietato vincitore finché, scacciati, nazione dopo nazione, ci ritroviamo fuggiaschi, vagabondi e stranieri nella nostra stessa terra, e contempliamo un futuro in cui i nostri discendenti saranno completamente estinti […], sospinti in punta di baionetta nell’Oceano occidentale, o ridotti alla condizione di schiavi». W. McLoughlin, I sentieri delle lacrime, in «Storia e Dossier», n. 48

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

ƒ Quando sorse il problema della convivenza tra le tribù indiane e la popolazione americana? ƒ Qual era, secondo il ministro della Guerra del governo Washington, Henry Knox, il modo migliore di risolvere la questione? ƒ Che cosa prevedeva l’Indian Removal Act? ƒ Perché i percorsi degli Indiani verso ovest vennero chiamati «i sentieri delle lacrime»?

ƒ Da chi era abitato in origine il territorio degli Stati Uniti? ƒ Quali fattori favorirono l’espansione americana? ƒ Quale fu la causa delle guerre indiane? ƒ Quale politica attuò il governo americano nei confronti dei pellerossa?

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COMPETENZE: USARE LE FONTI

La missione dei 100 samurai STORIOGRAFIA

La rapida modernizzazione giapponese, avvenuta nella seconda metà dell’Ottocento, ebbe inizio in seguito al deciso intervento americano che, nel 1853, strappò il Giappone dall’isolamento in cui viveva da secoli. In questo articolo, lo storico Sergio Romano mette in luce come il nuovo imperatore giapponese Mutsuhito decise di modernizzare il Paese a tappe forzate proprio per evitare che fosse di nuovo una potenza occidentale a dettare in futuro la sua volontà ai Giapponesi, così attaccati alla propria storia e alle proprie tradizioni. Dai «barbari dell’Occidente» i protagonisti della restaurazione Meiji presero, come in un grande supermercato, i prodotti che meglio si adattavano alle esigenze di rapida crescita economica e di razionalizzazione politico-amministrativa del proprio Paese.

Sergio Romano Sergio Romano (1929) ha svolto attività diplomatica, diventando ambasciatore in Unione Sovietica. Ha poi insegnato Storia delle relazioni internazionali all’Università Bocconi di Milano; scrive regolarmente sul «Corriere della Sera» e ha al suo attivo una vasta pubblicistica di argomento storico-politico. Tra le sue opere più recenti, ricordiamo: Storia d’Italia dal Risorgimento ai nostri giorni (1978); Disegno della storia d’Europa dal 1789 al 1989 (1991); I falsi protocolli. «Il complotto ebraico» dalla Russia di Nicola II a oggi (1992); L’Italia scappata di mano (1993); I luoghi della storia (2000); La pace perduta (2001); Memorie di un conservatore (2002); Europa, storia di un’idea. Dall’impero all’unione (2006); Con gli occhi dell’Islam (2007); L’Italia disunita (2011).

Che cosa deve fare un Paese arretrato per diventare «moderno»? Quale strategia politica deve adottare per uscire dal proprio Medioevo [...] e ricominciare a correre con i Paesi più progrediti? Da Pietro il Grande a Stalin, da Mohammed Alì, khedive (viceré) d’Egitto, a Kemal Atatürk, fondatore della Repubblica turca, quello della modernizzazione è uno dei capitoli più avvincenti nella storia dell’umanità. E in questo capitolo una delle pagine più affascinanti è certamente quella scritta dal Giappone negli anni ’60 e ’70 dell’Ottocento. Sto lavorando con un computer giapponese, ascolto messaggi registrati da una segreteria telefonica giapponese, [...] registro le mie interviste con un registratore giapponese. Do un’occhiata alla pagina economica per sapere di quanti punti lo yen abbia distanziato il dollaro.

Ma il Giappone della metà del XIX secolo era un arcipelago isolato, chiuso ai traffici, allergico a qualsiasi influenza esterna, formalmente dominato dalla sacra figura di un imperatore impotente, soggetto in realtà a un generale supremo (lo shogun) e a una casta di guerrieri (i samurai) che imponevano le loro aristocratiche stranezze a un popolo di sudditi silenziosi e obbedienti. Che cosa accadde da allora perché una nazione così antica e antiquata balzasse alla testa dei Paesi più avanzati? Il prologo della storia risale all’8 luglio 1853, quando quattro navi comandate dal commodoro Matthew Perry gettarono l’àncora nel porto di Uraga e consegnarono allo shogun Tokugawa un brusco messaggio col quale il presidente degli Stati Uniti gli ingiungeva di aprire il Giappone al commercio mondiale. Sconvolta da questa mancanza di rispetto, la classe dirigente nipponica [...] dapprima si piegò alle richieste americane e firmò un «trattato di amicizia» che riservava agli Stati Uniti una sorta di protettorato sulla politica estera giapponese, poi decise di reagire cacciando i «barbari dell’Occidente» e ne subì le rappresaglie, [...] infine decise di ratificare i trattati. Nel 1867 l’imperatore Mutsuhito riuscì a liberarsi dello shogun e a riprendere il potere perduto. Intraprese così una nuova strategia contro i bianchi: copiarne scrupolosamente le armi, le tecniche, le istituzioni, i metodi politici e amministrativi. Per avviare questa modernizzazione – la più vasta e radicale della Storia – occorreva raccogliere informazioni, studiare sul posto le arti del «nemico». Grazie ai consigli di un missionario, [...] venne deciso di inviare in America e in Europa una grande spedizione, composta da 107 persone: politici, diplomatici, funzionari governativi, studenti – fra questi, cinque ragazze – che avrebbero completato gli studi all’estero. Dovevano studiare l’organizzazione della giustizia, il sistema finanziario e assicurativo, il regime dei cambi e delle dogane, la rete dei trasporti e delle comunicazioni, le istituzioni scolastiche, l’apparato militare e industriale. Dovevano visitare tribunali, caserme, porti, cantieri, zecche, scuole elementari, ginnasi e licei, università, palestre, stazioni ferroviarie, redazioni di giornali. La scoperta dell’Occidente prese avvio da Yokohama il 24 dicembre 1871 e si concluse nella stessa città il 13 settembre 1873. In quel periodo la spedizione visitò tra l’altro gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia, i Paesi Bassi, il Belgio, la Germania, la Russia, la Danimarca, l’Italia, l’Austria – a Vienna si teneva in quel periodo una Esposizione Universale –, la Svizzera. Come in un grande supermercato, i Giapponesi ispezionaro-

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Le grandi potenze no tutte le mercanzie e scelsero quel che meglio si adattava alle loro esigenze: dalla Germania – che aveva da poco vinto brillantemente la guerra con la Francia – appresero l’organizzazione dell’esercito; dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti, grandi potenze marittime, quella della flotta; dalla Francia, l’apparato amministrativo secondo il sistema dei prefetti. E dall’Occidente in generale, il sistema metrico decimale, il calendario gregoriano, la coscrizione obbligatoria, i censimenti, il servizio postale, l’utilizzo dell’oro come standard finanziario. Quando tornò in patria, la missione compilò una relazione ufficiale in cinque volumi, divisi in cento libri, per un totale di 2110 pagine: questa relazione fu venduta per anni sul mercato giapponese come un bestseller. Dei cento libri, venti furono dedicati agli Stati Uniti, altrettanti alla Gran Bretagna, altri, in numero minore, alle altre nazioni visitate. All’Italia, che la missione visitò dall’8 maggio al 3 giugno 1873, furono dedicati sei libri. [...] Dopo una sosta a Firenze, i Giapponesi arrivarono a Roma, [...] dove fecero visita al re Vittorio Emanuele II, proseguirono per Napoli e Pompei, ritornarono a Roma e partirono infine per Venezia, ultima tappa del loro viaggio italiano. L’interesse per la tecnica, l’industria e l’organizzazione politica italiane fu scarso: la relazione citava la fabbrica di ceramiche del conte Ginori presso Firenze, le botteghe artigianali, le coltivazioni dei gelsi di Toscana e Lazio, due caserme e un ospedale militare a Roma, le vetrerie di Murano. Fu invece insaziabile la curiosità storica e artistica. La missione visitò chiese, palazzi, acquedotti romani, scavi archeologici, musei, particolarmente significativa fu la visita agli Uffizi di Firenze. Non si trattava però di semplice turismo: i Giapponesi giunsero alla conclusione che l’Italia era la culla di tutte le arti, nonché la custode di tutti i modelli artistici dei Paesi moderni. Non bastava, infatti, essere «moderni»: occorreva che questa modernità si vestisse con

Iwakura Tomomi (al centro), il capo della missione diplomatica giapponese, in una foto scattata a Londra nel 1872.

gli abiti e le decorazioni elaborati dalla cultura occidentale nel corso dei secoli, e che proprio in Italia erano stati meglio custoditi. Negli anni successivi, scultori, incisori e architetti italiani furono assunti dal governo giapponese per fondare scuole, progettare edifici, incidere le banconote per l’Istituto Poligrafico dello Stato nipponico. Nel 1871 cominciava così l’irresistibile ascesa del Giappone moderno. Nessun grande modernizzatore della Storia è stato così minuzioso, sistematico e razionale quanto la classe dirigente giapponese dell’epoca Meiji. Nessun altro Paese ha digerito tante novità in meno di una generazione. Vi è riuscito perché aveva una forte motivazione: impedire che un altro commodoro Perry si presentasse con le sue navi di fronte a un porto giapponese e imponesse al Paese la sua volontà. S. Romano, La missione dei 100 samurai, in «La Stampa», 31 luglio 1994

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

ƒ Qual era la situazione del Giappone intorno alla metà del XIX secolo? ƒ Quale fu la strategia dell’imperatore Mutsuhito per proteggere il Giappone dalla colonizzazione economica dei bianchi? ƒ Da chi era composta la grande spedizione inviata in America e in Europa dall’imperatore? ƒ A che proposito lo storico Sergio Romano parla di «supermercato»? Perché usa questa espressione?

ƒ Come era strutturata la società giapponese alla metà dell’Ottocento? ƒ Quali erano le cause dell’arretratezza del Giappone? ƒ Che cos’erano i «Trattati ineguali» e perché furono chiamati così? ƒ In quale anno fu abolito il feudalesimo? Con quali conseguenze? ƒ Quale altra nazione, in quegli stessi anni, si stava trasformando in una grande potenza mondiale?

ƒ Prima e Dopo ƒ Video - La prima guerra totale della storia ƒ Immagini commentate - Kulturkampf: una partita a scacchi ƒ Online DOC - Memorie di uno schiavo fuggiasco ƒ Online DOC - I «Trattati ineguali»

ƒ Online STO - Il conservatore che inventò lo Stato sociale ƒ Online STO - La febbre dell’oro ƒ Online STO - Il killer del palcoscenico ƒ Audiosintesi Unità 14 ƒ Schede cinema - Amistad

IN DIGITALE

UNITÀ 14

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MISURARE LE COMPETENZE

GLI EVENTI

IL TEMPO

Completa la frase.

Unisci opportunamente avvenimento e data, indicando il numero corrispondente della data nella colonna a destra di ogni avvenimento.

1. Nella Costituzione della Terza Repubblica francese l’elemento di apertura democratica era rappresentato dalla Camera dei Deputati dalla figura del presidente dal frequente ricorso ai plebisciti

Avvenimento a Bismarck avvia il Kulturkampf b Finisce l’età vittoriana c

Scoppia l’affare Dreyfus

2. Secondo la Costituzione tedesca il Cancelliere era nominato dal Parlamento era eletto a suffragio universale maschile era nominato dall’imperatore

d Nasce la Terza Repubblica francese

3. L’alternanza di governo fra conservatori e liberali in Inghilterra comportò gravi squilibri e tensioni sociali venne interrotta negli anni Ottanta dalla nascita del partito laburista non portò mai a cambiamenti radicali

h Progetto di Home rule per l’Irlanda

4. Le principali differenze fra il Nord e il Sud degli Stati Uniti riguardavano la politica: maggioranza democratica al Nord, repubblicana al Sud l’economia: industria e protezionismo al Nord, agricoltura e liberismo al Sud la politica estera: isolazionismo al Nord, militarismo ed espansionismo al Sud 5. Dopo la guerra di secessione Nord e Sud ritrovarono subito la concordia i neri rimasero in condizione subalterna ai bianchi i neri migliorarono in breve la loro condizione 6. Per il Giappone della seconda metà dell’Ottocento si parla di «rivoluzione dall’alto» perché fu l’imperatore a guidare il cambiamento i principali mutamenti furono imposti da stranieri, in particolare Americani si cominciò con mutamenti istituzionali, seguiti da quelli economici

LE PAROLE Definisci le seguenti espressioni: a. revanscismo b. cancelliere c. partito laburista d. modernizzazione

e Costituzione del Giappone f

Inizia l’età vittoriana

g Inizio della guerra di secessione

Data 1

1837

2 1861 3 1870 4 1871 5 1886 6 1890 7 1894 8 1901

VERSO L’ESAME DI STATO a. Rispondi alle seguenti domande. ƒQuali tensioni dovette affrontare la Terza Repubblica francese? ƒQuale significato ebbe per la Francia l’affare Dreyfus? ƒChe cosa caratterizzò la politica interna di Biasmarck? ƒQuali furono i caratteri dell’età vittoriana? ƒPer quali motivi scoppiò la guerra di secessione negli Stati Uniti? ƒIn che modo venne avviata la modernizzazione del Giappone? b. Il saggio breve: interpreta e confronta i seguenti documenti. ƒp. 481 – Kulturkampf: una partita a scacchi ƒp. 485 – La miseria del popolo irlandese Successivamente, utilizzando anche le tue conoscenze, sviluppa l’argomento proposto nella forma del saggio breve, attribuendo alla composizione un titolo appropriato. Argomento. Tra politica e società: le contraddizioni di un’epoca

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UNITÀ 15

La spartizione imperialistica del mondo PRIMA: Il colonialismo come dominio politico di un territorio Prima del Congresso di Berlino (1878) che regolò i rapporti tra gli Stati, la corsa alla colonizzazione che caratterizza l’età dell’imperialismo era soltanto agli inizi. L’Inghilterra possedeva già un vastissimo impero (dal Mare dei Caraibi alla Nuova Zelanda); l’Olanda si era insediata stabilmente nelle Antille e in Indonesia; alla Spagna e al Portogallo erano rimasti gli ultimi brandelli delle grandi conquiste avvenute nei secoli XVI e XVII.

CAUSE

EVENTI

CONSEGUENZE

Competizione fra le potenze coloniali

X

1884-1885: Conferenza di Berlino

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Viene sancito il principio dell’occupazione di fatto

Motivazioni economiche, politiche e ideologiche

X

1870-1914: Età dell’imperialismo

X

Corsa alla colonizzazione per l’estensione dei confini nazionali

La Compagnia delle Indie non riesce a controllare l’India

X

1876: La regina Vittoria è incoronata imperatrice dell’India

X

Il governo britannico assume il controllo diretto dell’India

Il consumo dell’oppio era vietato dalle autorità cinesi

X

1842 e 1859-1860: Guerre dell’oppio fra Gran Bretagna e Cina

X

La Gran Bretagna esporta l’oppio dall’India alla Cina

Guglielmo II di Germania avvia una politica aggressiva

X

1907: Si forma la Triplice Intesa fra Gran Bretagna, Francia e Russia

X

La Germania è accerchiata da Stati ostili

Spinte indipendentiste nell’Impero turco

X

1912 e 1913: Guerre balcaniche

X

Indebolimento dell’Impero turco e aumento delle tensioni nell’area balcanica

DOPO: L’imperialismo come dominio e sfruttamento economico Dopo il Congresso di Berlino (1878) e la Conferenza che si tenne nella stessa città (1884-85), la corsa alla colonizzazione ebbe una forte accelerazione. In questi incontri, infatti, le grandi potenze decisero che le conquiste coloniali erano un modo per espandere le proprie economie, entrate in crisi a causa della «grande depressione» di fine Ottocento; e stabilirono il principio secondo cui la nazione che occupava un territorio ne entrava automaticamente in possesso.

PROTETTORATO Nell’epoca del colonialismo si parlava di protettorato quando una nazione assumeva il governo di un’altra nazione, limitando l’autorità del governo locale. Per esempio, quando la Francia assunse il protettorato della Tunisia (1881) pretese di gestire la politica estera del Paese e di riformare l’amministrazione pubblica che, poco a poco, passò sotto il controllo dei Francesi. In questo modo gli Stati «protettori» diventavano di fatto «padroni» degli Stati protetti e li governavano secondo i propri interessi. Per estensione, il termine protettorato viene usato anche per indicare lo Stato «protetto»: si può dire per esempio: «La Tunisia divenne un protettorato francese».

Anton von Werner, Congresso di Berlino, 13 luglio 1878, 1881. Berlino, Rotes Rathaus. In primo piano si riconosce Bismark (Germania) fra l’ungherese Andrássy (Austria) e Šuvalov (Russia), a cui stringe la mano.

504

LESSICO

UNITÀ 15

1. L’imperialismo LA DEFINIZIONE Il termine «imperialismo» venne coniato in Francia negli anni Cinquanta dell’Ottocento in relazione alle mire espansionistiche di Napoleone III; poi si difuse in Inghilterra negli anni Settanta per deinire il programma di espansione coloniale del governo britannico. Inine, il termine passò a indicare la politica di conquista territoriale delle potenze europee, degli Stati Uniti e del Giappone. L’imperialismo proseguì la politica coloniale europea iniziata con la scoperta dell’America, ma diede a essa una forte accelerazione. Questo fenomeno caratterizzò soprattutto il periodo che va dal 1870 al 1914, deinito dagli storici l’età dell’imperialismo. In pochi anni circa un quarto della supericie terrestre del globo venne spartito fra pochi Stati: la Gran Bretagna aumentò i propri territori di circa 10 milioni di kmq, la Francia di 9 milioni, la Germania di 3 milioni, Belgio e Italia di 2 milioni e mezzo. In sintesi, l’imperialismo fu una corsa alla colonizzazione guidata dai governi in accanita competizione tra loro, che ebbe come obiettivo l’estensione dei conini nazionali. Si vennero così a formare degli imperi costituiti da colonie (territori governati direttamente) e protettorati (territori controllati indirettamente attraverso i governi locali).

IL CONTESTO POLITICO L’uniicazione tedesca, seguita alla vittoria della Germania sulla Francia (1870), aveva radicalmente cambiato i rapporti di forza in Europa. La Germania era diventato il perno dell’equilibrio e Bismarck il protagonista delle relazioni internazionali. L’abile politica diplomatica del cancelliere tedesco fu in grado di garantire la pace nel ventennio 187090. Si trattava però di una pace carica di tensioni. Due erano le questioni più preoccupanti: ƒlo spirito di rivincita (revanscismo) della Francia dopo la sconitta del 1870; ƒle rivendicazioni nazionaliste nei Balcani, unite alle ambizioni territoriali dell’Austria e della Russia, desiderose di espandersi in quell’area. Bismarck ricercò una politica d’equilibrio tra gli Stati europei. Per quanto riguarda la Francia:

La spartizione imperialistica del mondo

505

ƒda un lato le concesse di estendere i propri domini coloniali dando così sfogo al suo revanscismo; ƒdall’altro la isolò politicamente con vari accordi internazionali, il principale dei quali fu il trattato della Triplice Alleanza fra Germania, Austria e Italia (1882). Per dirimere invece la crisi balcanica, nel 1878 Bismarck convocò il Congresso di Berlino che ridimensionò le pretese russe in quell’area e sancì l’indipendenza dal dominio turco della Serbia, della Romania e della Bulgaria. La Bosnia-Erzegovina divenne invece un protettorato austriaco. La crisi fu provvisoriamente fermata, ma i Balcani restarono uno dei punti più conlittuali d’Europa. La stessa procedura venne attuata da Bismarck per dirimere le controversie coloniali: convocò le potenze coloniali nella Conferenza di Berlino del 1884-85. La competizione sulle conquiste coloniali richiedeva infatti delle regole che stabilissero deinitivamente le aree di inluenza dei rispettivi Stati. La Conferenza sancì il principio dell’occupazione di fatto come criterio di possesso. In questo modo, però, anziché limitare e risolvere le controversie, scatenò ancor di più la competizione coloniale, coinvolgendo inine la stessa Germania che ino ad allora Bismarck aveva tenuto sostanzialmente fuori dalla corsa alle colonie. I musicanti europei: Crispi, Bismarck, Kálnoky (ministro degli Esteri austriaco). Vignetta satirica dell’epoca che prende di mira la Triplice Alleanza.

IL CONTESTO ECONOMICO E CULTURALE Tra il 1873 e il 1896 l’economia internazionale attraversò un periodo di crisi, passata alla storia come la «grande depressione» di ine Ottocento. A questa crisi gli Stati risposero intervenendo nella vita economica: si passò dal «capitalismo concorrenziale» al «capitalismo organizzato». Nel senso che sotto la pressione della grande industria, dei monopoli e degli oligopoli gli Stati presero a sostenere l’economia nazionale in tre modi: ƒcon il protezionismo, ovvero con l’introduzione di alte tarife doganali al ine di proteggere la produzione nazionale dalla concorrenza estera; ƒincentivando la produzione nazionale con le commesse statali (specie nel settore militare) e agevolando inanziariamente la grande industria nazionale; ƒcon la politica imperialista: infatti l’estensione territoriale ofriva nuovi sbocchi commerciali alle produzioni nazionali, penalizzate dalle varie «guerre doganali» scoppiate con il difondersi del protezionismo; inoltre permetteva, nei casi più fortunati, di accaparrarsi materie prime a basso costo.

UNITÀ 15

506 La politica imperialista fu sorretta da forti motivazioni ideologiche, fondate sul nazionalismo, sul razzismo e sul mito della missione civilizzatrice degli Europei. Efficace a questo proposito fu l’immagine del «fardello dell’uomo bianco», elaborata dallo scrittore di origine inglese Rudyard Kipling (1865-1936), secondo cui gli Europei avevano un compito storico: portare la civiltà alle popolazioni selvagge. L’attività dei missionari, l’eco delle grandi esplorazioni e il fascino delle spedizioni di uomini come David Livingstone (I protagonisti - p. 510), Henry Morton Stanley (I protagonisti p. 510), Pietro Savorgnan di Brazzà resero popolare l’avventura imperialista. L’opinione pubblica dell’epoca, infatti, vide ovunque con grande favore l’espansione territoriale del proprio Paese.

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Che cos’è l’imperialismo? ƒ Quali condizioni politiche favorirono l’imperialismo? ƒ Quale fu la politica economica degli Stati in questo periodo? ƒ Perché il contesto culturale incoraggiò l’imperialismo?

COMPETENZE

LA DINAMICA IMPERIALISTA

IMPERIALISMO

USARE LE FONTI PROGRAMMA ESPANSIONISTICO

Il fardello dell’uomo bianco Pag. 522

CAPITALISMO ORGANIZZATO: LO STATO SOSTIENE L’ECONOMIA

SPARTIZIONE DEI TERRITORI ASIATICI E AFRICANI FRA LE POTENZE EUROPEE

SUPERIORITÀ EUROPEA E MISSIONE CIVILIZZATRICE

CORSA ALLA COLONIZZAZIONE

POLITICHE DI CONQUISTA A CONFRONTO Colonialismo

TUTOR Imperialismo

Epoca

Nell’antichità e nell’età moderna tra XVI e XVIII secolo.

Periodo compreso fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, grossomodo dal 1870 al 1914.

Causa della colonizzazione

Eccesso di popolazione nella madrepatria o ricerca di posizioni strategiche.

Sostegno allo sviluppo industriale della madrepatria.

Obiettivo

Conquista di colonie per rapinarne i beni (in particolare colonialismo spagnolo del XVI secolo), per acquisire vantaggi commerciali (Portogallo e Olanda nel XVI e XVII secolo) o per trasferirvi popolazione (colonialismo antico) e sfruttare sistematicamente le risorse della colonia (in particolare colonialismo inglese del Seicento).

Conquista o controllo economico su aree ricche di risorse materiali, sfruttamento della popolazione locale. Le colonie diventano aree di sbocco commerciale per i prodotti industriali della madrepatria.

Principali Paesi conquistatori

Nell’antichità Greci e Romani, in età moderna Spagna, Portogallo, Inghilterra, Olanda, Francia.

Gran Bretagna, Francia, Russia, USA, Giappone.

Principali terre di conquista

Americhe e parte dell’Asia.

Africa, Asia.

Le esplorazioni dell’Africa 1. Nella seconda metà dell’Ottocento l’Africa si presentava ancora come un continente in gran parte sconosciuto. Alcune aree, come quelle costiere, erano note agli Europei già dal XV secolo, grazie alle prime esplorazioni spagnole e portoghesi. Vastissime regioni, soprattutto quelle più aride e meno popolate, come il deserto del Sahara, continuarono a rimanere totalmente inesplorate fino al XX secolo.

Algeri Mar M editerra neo Tripoli

Tangeri

1

Assuan

4

Nilo

Timbuctù

Khartoum Kukawa L. Ciad

Berbera

2. Fino alla metà dell’Ottocento gli Europei ignoravano le sorgenti del fiume Nilo. Negli anni compresi tra il 1850 e il 1880, diversi esploratori inglesi compirono spedizioni alla loro ricerca. Tra questi, John Hanning Speke e James Augustus Grant, che le individuarono nel lago Vittoria.

5

Lagos

2 Oceano Atlantico

TUTOR

507

La spartizione imperialistica del mondo

Congo Loango Luanda

Brazzà, 1875-78 Bottego, 1892-97 Bruce, 1768-72 Mungo Park, 1795-1806 Livingstone, 1840-73 Speke, 1858 Speke e Grant, 1861-62 Stanley, 1871-77 Rohlfs, 1861-69 Nachtigal, 1869-75 Regioni inesplorate nel 1900

L. Vittoria

3

L. Tanganica

Malindi Zanzibar

Zambesi

L. Ngami

Cascate Vittoria

Kilimane

3. Le sorgenti del Nilo furono ricercate anche dagli inglesi David Livingstone e Henry Morton Stanley, che fecero importanti scoperte nelle regioni del Congo e dello Zambesi; tuttavia Livingstone sbagliò nell’individuare l’origine del Nilo, perché confuse il Nilo con il fiume Congo. 4. L’esplorazione dell’Africa non fu condotta solo dagli Inglesi. Tra il 1860 e il 1880 il tedesco Gerhard Rohlfs si addentrò nell’Africa nera, e nei decenni successivi Gustav Nachtigal viaggiò da Tripoli alla catena montuosa del Tibesti, al lago Ciad, al Sudan, all’Egitto.

Pretoria

Oceano Indiano Port Elizabeth Città del Capo

5. Anche Pietro Savorgnan di Brazzà, di famiglia italiana ma trasferitosi in Francia, fece importanti scoperte nel territorio che si estende tra i fiumi Congo e Ogooué. La sua attività non fu solo di esplorazione ma anche di diplomazia e di conquista; infatti pose le basi della vastissima colonia che la Francia creò in quella regione e che fu chiamata Africa Equatoriale Francese.

Kim Rudyard Kipling (1865-1936)

Questo romanzo, pubblicato nel 1901, racconta la storia di Kim, un tredicenne orfano di un soldato irlandese nell’India coloniale. Il giovane Kim deve affrontare varie difficoltà prima di essere ritrovato dall’esercito del padre e mandato a scuola. Ma proprio nel momento più difficile della sua vita, quando è costretto a vagabondare tra la miseria e i pericoli dell’ambiente in cui si trova, impara le regole

e le abitudini degli Indiani, prendendo il meglio delle due civiltà, quella inglese e quella indiana. Kipling era nato in India da genitori inglesi ed era un convinto sostenitore del colonialismo: attraverso la storia di Kim ha cercato di affermare la necessità di un incontro tra la cultura occidentale e indiana, anche se, secondo Kipling, il ruolo di guida e di comando spetta agli Occidentali, cioè agli Inglesi, ritenuti dall’autore una civiltà superiore.

LETTERATURA E STORIA

Ufficiali tedeschi a Lomé, capitale del Togo, arruolano i nativi per formare battaglioni indigeni. La colonizzazione tedesca del Togo avvenne tra il 1884 e il 1894; dopo la prima guerra mondiale, la colonia fu smembrata fra un mandato britannico a ovest e uno francese a est.

UNITÀ 15

508

2. La spartizione dell’Africa L’ESPANSIONE IN AFRICA

La spartizione coloniale dell’Africa

TUNISIA MAROCCO

1. L’espansione dei possedimenti francesi era iniziata nell’Africa occidentale: l’occupazione dell’Algeria risaliva al 1830, mentre in Senegal vi erano insediamenti francesi fin dal XVII secolo. In pochi decenni quasi un terzo del continente fu conquistato dalla Francia.

Mar M editerra neo

Canarie

1

ALGERIA

EGITTO

LIBIA

o

SAHARA SP.

GAMBIA

Nil

RIO DE ORO

SUDAN- 4 ANGLO EGIZIANO

AFRICA OCC. FRANCESE

CESE AN

R AF

. FR

Fernando Pó RIO MUNI

IC A

E

Stati indipendenti Colonie: inglesi francesi portoghesi spagnole tedesche italiane belghe Direttrici della penetrazione: inglese francese

ERITREA

2

SOMALIA FR.

ETIOPIA

SOMALIA BRIT.

Fashoda

5

UGANDA KENYA SOMALIA IT. CONGO AFRICA BELGA ORIENTALE TEDESCA Zanzibar Is.Comore NYASSA

2. Nella parte orientale del continente, la Francia possedeva la Somalia francese (l’odierno Gibuti) comprata dai sultani locali nel 1862. Si trattava di un piccolo possedimento collocato in una zona strategica, tra il Mar Rosso e l’Oceano Indiano. I Francesi iniziarono perciò a coltivare il desiderio di unire le loro colonie in un unico territorio che attraversasse l’Africa da ovest a est.

o

CAMERUN

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TOGO

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COSTA D'ORO

NIGERIA

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GUINEA PORT. SIERRA LEONE LIBERIA

Co

TUTOR

Prima del 1870 solo un decimo del territorio africano era stato colonizzato: la Gran Bretagna possedeva la Colonia del Capo (la parte più meridionale del Sudafrica), la Francia l’Algeria e il Senegal, mentre il Portogallo occupava l’Angola e il Mozambico. Negli anni successivi, l’Africa venne quasi interamente occupata dall’espansione europea. Le antiche civiltà locali furono sostituite dalle colonie e dai protettorati i cui conini venivano tracciati seguendo meridiani e paralleli, senza considerare le divisioni tribali o le caratteristiche etniche e linguistiche delle popolazioni. L’espansione imperialista iniziò dalla Tunisia e dall’Egitto tra il 1881 e il 1882. Entrambi i Paesi dipendevano dall’Impero turco, ma erano amministrati da governi locali indipendenti. Francia e Gran Bretagna avevano rilevanti interessi economici nei due Stati: in particolare, da quando era stato aperto il Canale di Suez, l’Egitto rappresentava la principale via per l’Oriente. Il controllo della Tunisia era nelle ambizioni della Francia che possedeva già l’Algeria e intendeva estendere il suo impero coloniale lungo l’asse ovest-est dell’Africa centro-settentrionale. L’espansione dell’Inghilterra invece si spingeva lungo l’asse nord-sud partendo dall’Egitto. Le due direttrici erano inevitabilmente in rotta di collisione.

ANGOLA

RHODESIA SETT. MOZAMBICO RHODESIA MERID. MADAGASCAR

AFRICA DEL SUD-OVEST BECHUANIA

3 UNIONE SUDAFRICANA

OCEANO INDIANO

3. Gli Inglesi iniziarono la loro marcia di conquista partendo dall’estremo Sud, dove già alla fine del XVIII secolo avevano istituito la Colonia del Capo. Da qui partirono per arrivare fino al Kenya e all’Uganda. In seguito, dopo il conflitto anglo-boero (1889-1902), crearono l’Unione Sudafricana. 4. Nel 1882 gli Inglesi occuparono l’Egitto. Il possesso dell’Egitto servì anche per assumere il controllo del vastissimo territorio del Sudan. A questo punto gli Inglesi considerarono indispensabile unire i loro possedimenti in un unico dominio che andasse dal Mar Mediterraneo al Capo di Buona speranza.

5. I piani dei Francesi e degli Inglesi si bloccavano a vicenda nella parte centrale dell’Africa. Le tensioni tra le due nazioni esplosero nell’incidente di Fashoda (1898). Inoltre, c’erano altre nazioni che avevano importanti possedimenti nell’Africa centrale e che ostacolavano le conquiste francesi e inglesi: è il caso del Belgio, stabilitosi nel Congo, e della Germania, che aveva possedimenti in Africa orientale e sud-occidentale.

L’OCCUPAZIONE DI TUNISIA, EGITTO E SUDAN A partire dal 1870 Tunisia ed Egitto avevano tentato la via della modernizzazione, ma per le scarse risorse e l’amministrazione corrotta avevano rischiato la bancarotta. Per tutelare i propri interessi, Francia e Gran Bretagna, i principali Paesi creditori, optarono per l’intervento armato. Nel 1881 un incidente accaduto alla frontiera con l’Algeria fornì il pretesto per l’occupazione militare francese della Tunisia che si trasformò in protettorato. L’anno successivo fu la volta dell’occupazione dell’Egitto da parte delle truppe britanniche: il movimento nazionalista egiziano guidato da Arabi Pascià (1839-1911) stava mettendo in pericolo gli interessi economici europei e lo sfruttamento internazionale del Canale di Suez. Nel 1882 il governo britannico inviò un contingente militare e prese il controllo dell’Egitto. Anche in Sudan, sotto il controllo egiziano, era scoppiata una rivolta, guidata dal Mahdi (profeta) Muhammed Ahmad e appoggiata dalla setta religiosa dei dervisci. Le truppe sudanesi del Mahdi si lanciarono in una guerra contro gli Anglo-Egiziani; nel 1885 riuscirono a conquistare Khartoum e a fondare uno Stato indipendente che solo nel 1898 gli Inglesi riuscirono a sconiggere.

LA CONFERENZA DI BERLINO Le iniziative della Gran Bretagna e della Francia aprirono la corsa alla conquista dell’Africa. La questione più spinosa riguardò il Congo dove il Belgio dal 1876 aveva importanti interessi economici. La scoperta dei ricchi giacimenti minerari del Katanga spinse il re del Belgio Leopoldo II a raforzare il suo dominio e a estenderlo ino all’Atlantico. Il Portogallo, che controllava la coninante Angola sin dal XV secolo, riteneva quella zona di propria competenza. Ne nacque una controversia internazionale che venne dibattuta alla Conferenza di Berlino tra il novembre 1884 e il febbraio 1885. La questione del Congo fu risolta con una spartizione: a Leopoldo del Belgio fu riconosciuta la sovranità personale sullo Stato Libero del Congo, con un piccolo sbocco sull’Atlantico; la Francia ebbe i territori sulla riva destra del iume Congo e dell’alto Niger; la Germania il protettorato su Togo e Camerun; l’Inghilterra il territorio dell’attuale Nigeria.

509

LESSICO

La spartizione imperialistica del mondo

DERVISCIO Il termine derviscio deriva dalla lingua persiana e significa propriamente «povero». Indica innanzitutto chi appartiene alla confraternita musulmana dei dervisci, discepoli religiosi che si propongono l’unione con Dio attraverso la danza e la meditazione. Oggi questa confraternita è presente soprattutto in Turchia e in Egitto. Nell’Ottocento il termine indicava anche i mahdisti, cioè i seguaci del Mahdi, il leader religioso dell’Africa nord-orientale, conosciuto anche con il nome di Muhammed Ahmad (1844-1885), che guidò la grande rivolta contro gli Inglesi. Nel presente capitolo il termine viene usato con questo secondo significato.

In questa vignetta satirica l’Africa, raffigurata come una grossa torta, viene divisa fra le potenze europee, che fanno a gara per accaparrarsi la fetta più grande.

UNITÀ 15

510

L’AFRICA SUD-ORIENTALE Il progetto della Gran Bretagna prevedeva l’unione dei territori della regione del Nilo con i possedimenti dell’Africa sud-orientale. Per questa ragione, tra il 1885 e il 1895, gli Inglesi partirono dalla Colonia del Capo, risalirono il continente ino al bacino dello Zambesi e al Lago Niassa e occuparono il Kenya e l’Uganda. Nelle loro conquiste si scontrarono però con la presenza della Germania in Tanganica. Nel 1890 la Gran Bretagna riconobbe la presenza tedesca in Africa orientale e in cambio ebbe l’isola di Zanzibar, importante base commerciale tra l’India e l’Africa. I Francesi nella loro espansione si erano spinti ino in Sudan: nel 1898 le truppe britanniche si scontrarono con una guarnigione francese che aveva occupato la fortezza di Fashoda, sull’alto Nilo. L’incidente portò a siorare la guerra. Si ricompose perché sia la Francia che la Gran Bretagna erano consapevoli di dover fare fronte comune per contenere l’aggressiva espansione tedesca. Da quel momento i rapporti tra Francia e Inghilterra furono più distesi e ciò aprì la strada a un’intesa.

GUIDA ALLO STUDIO

ƒ Quali furono le prime regioni africane a essere colonizzate? ƒ Perché gli interessi francesi e inglesi erano destinati a scontrarsi? ƒ Quale fu il ruolo della Germania nella spartizione imperialistica dell’Africa? ƒ Anche l’Italia possedeva delle colonie? ƒ Quale origine e quale esito ebbe la guerra anglo-boera?

IL SUDAFRICA E LA GUERRA ANGLO-BOERA

I PROTAGONISTI

La regione del Capo di Buona Speranza era stata colonizzata nel XVII secolo dagli Olandesi ed era divenuta poi britannica al tempo delle guerre napoleoniche con il nome di Colonia del Capo. I discendenti dei coloni olandesi, i Boeri o afrikaners, avevano fondato più a nord le due repubbliche indipendenti dell’Orange e del Transvaal. La scoperta dei giacimenti d’oro e di diamanti avevano poi spinto la Gran Bretagna a concentrare nella regione i propri interessi. Grazie a un ricco uomo d’afari, Cecil Rhodes, gli Inglesi poterono espandere le loro conquiste ino allo Zambesi, dove fu fondata la Rhodesia. Nel 1885-86 la scoperta di altri ricchi giacimenti nel Transvaal e nell’Orange, favorì la massiccia immigrazione inglese (gli uitlanders) alla ricerca di fortuna, scatenando l’accesa opposizione dei Boeri. Gli uitlanders furono decisamente discriminati dai Boeri e la tensione crebbe ino alla dichiarazione di guerra. Il conflitto anglo-boero durò dal 1889 al 1902, e si concluse con la vittoria della Gran Bretagna. Transvaal e Orange furono annessi all’Impero britannico. Nel 1910 furono uniti alla Colonia del Capo, per formare l’Unione Sudafricana.

David Livingstone.

Livingstone e Stanley, l’incontro tra due mondi David Livingstone nacque a Blantyre, in Scozia, nel 1813. La sua famiglia, di rigorosi princìpi calvinisti, non era ricca, e a dieci anni fu costretto ad andare a lavorare. Ben presto, però, si ribellò al suo destino, decidendo di diventare medico missionario. Malgrado le difficoltà economiche, Livingstone riuscì a laurearsi in medicina. Nel 1840 partì per l’Africa australe. I viaggi di Livingstone saranno in tutto tre: dal 1841 al 1856 esplorerà soprattutto il corso dello Zambesi, scoprendo le cascate che chiamerà Vittoria in onore della regina; tra il 1858 e il 1864 si dedicherà alla zona tra lo Zambesi e il Lago Niassa; nel 1866 tornerà in Africa, nella regione del Lago Tanganica, ma farà perdere le proprie tracce. Lo ritroverà, nel 1871, la missione guidata da Stanley. L’impatto con l’Africa fu violento, e le missioni

si rivelarono realtà deludenti. Gli indigeni trovavano utile l’azione dei missionari, che riparavano i fucili e curavano i malati, ma difficilmente si convertivano. In più, il carattere portò Livingstone a scontrarsi con gli altri missionari. Così decise che l’unica soluzione possibile fosse spostarsi in continuazione. Nel frattempo aveva sposato Mary Moffat, figlia di un missionario, che gli diede cinque figli in sei anni. La famiglia rischierà più volte di morire di stenti durante i viaggi. Livingstone compì numerose scoperte, ma a poco a poco sprofondò in una sorta di delirio: incalzato dalla paura che gli altri lo precedessero nelle scoperte, si sbarazzò di moglie e figli imbarcandoli per l’Inghilterra, dove per quattro anni vissero di carità. Livingstone aveva bisogno dell’appoggio della madrepatria, perciò incitò numerosi Inglesi a partire per l’Africa,

Cuore di tenebra Joseph Conrad (1857-1924)

Joseph Conrad pubblicò questo romanzo nel pieno dell’età dell’imperialismo, quando l’ideologia della superiorità dell’uomo bianco sollecitava le potenze occidentali a sottomettere gli altri popoli per civilizzarli, e quando le grandi esplorazioni portarono a scoprire immense aree del pianeta rimaste fino ad allora sconosciute. La vicenda è molto semplice: un uomo di nome Marlow compie un lungo viaggio lungo il fiume Congo per ritrovare Kurtz, un agente

commerciale scomparso nella foresta; l’uomo scopre che Kurtz, ormai malato e privo di senno, è prigioniero degli indigeni, che lo venerano come una divinità; alla fine, Marlow riesce a strappare Kurtz agli indigeni e a riportarlo nel mondo civile. Attraverso il terribile viaggio di Marlow nella foresta africana, Conrad esplora le più profonde paure dell’uomo, ma mette in luce anche i sentimenti contrastanti – di fascino e di terrore – degli Occidentali verso le terre e i popoli appena conquistati.

LETTERATURA E STORIA

511

La spartizione imperialistica del mondo

Lo storico incontro fra Livingstone e Stanley in una stampa dell’epoca.

da lui descritta come un «paradiso di ricchezza»: molti di loro morirono di malaria. Ormai scriveva dispacci che non spediva, in cui annunciava nuove scoperte, ma omettendo date e luoghi. Livingstone morì nel 1873 in un villaggio a sud-est del Lago Bangweulu. Il celebre incontro del 1871 tra Stanley e Livingstone non fu solo un incontro fra due uomini, ma fra due mondi diversi, l’uno al tramonto, l’altro agli albori. Livingstone può essere considerato l’ultimo degli esploratori eroici. Stanley, al contrario, è il primo della nuova generazione di spietati cacciatori di fortune planetarie. Henry Morton Stanley nacque in Galles nel 1841. Fuggito giovanissimo negli Stati Uniti, diventò giornalista. In un’epoca in cui la stampa seguiva con interesse le esplorazioni, il diret-

tore del «New York Herald» ebbe l’idea di una spedizione alla ricerca di Livingstone, disperso in Africa centrale da ormai sei anni. Per l’impresa scelse Stanley, allora trentenne, il più intelligente e attivo dei suoi corrispondenti. Dopo aver trovato Livingstone e proseguito con lui l’esplorazione della regione settentrionale del Tanganica, Stanley rientrò in America. Ritornò però presto in Africa: tra il 1874 e il 1877 guidò una spedizione finanziata da due giornali statunitensi e appoggiata da re Leopoldo II del Belgio. Proprio per conto di quest’ultimo tornò in Congo tra il 1879 e il 1884, gettando le basi della colonizzazione belga. Qualche anno dopo Stanley riprese la cittadinanza britannica, e fu eletto alla Camera dei Comuni, dove si occupò di politica coloniale e internazionale fino alla morte, che lo colse nel 1904 a Londra.

Henry Morton Stanley.

UNITÀ 15

512

3. La spartizione dell’Asia LA COLONIZZAZIONE IN ASIA La colonizzazione europea dell’Asia era già cominciata prima dell’età dell’imperialismo: la Francia si era attestata nella penisola indocinese; la Gran Bretagna, in India, Ceylon, Hong Kong e Singapore; gli Olandesi dominavano l’arcipelago indonesiano; i Portoghesi occupavano Macao, Goa e parte dell’isola di Timor; gli Spagnoli possedevano le Filippine; inine la Russia si stava espandendo verso la Siberia e l’Asia centrale. Nell’età dell’imperialismo, la possibilità di accedere dal Mediterraneo al Mar Rosso, tramite il Canale di Suez diede nuovo impulso all’espansione europea in Asia.

IL DOMINIO INGLESE IN INDIA Colonia britannica dal Settecento, per un centinaio di anni l’India fu governata dalla Compagnia delle Indie, per conto della Gran Bretagna. Nell’Ottocento la Compagnia delle Indie controllava un territorio vastissimo che comprendeva l’odierna India, il Pakistan e il Bangladesh, con una popolazione che nel 1881 aveva raggiunto circa i 200 milioni di persone. La politica della Compagnia delle Indie mirava alla modernizzazione dell’India con la difusione della legislazione e della civiltà occidentale. Ma le trasformazioni avevano causato malcontento tra la popolazione. L’episodio più grave scoppiò nel 1857 con la rivolta dei sepoys (soldati indiani arruolati dall’esercito britannico), estesa nella valle del Gange e dell’India centrale. Dopo una violenta repressione, il governo britannico decise di sciogliere la Compagnia e di assumere il controllo diretto della colonia tramite un viceré con poteri quasi assoluti. L’azione politica britannica fu più cauta rispetto a quella della Compagnia delle Indie: burocrazia ed esercito furono ristrutturati in modo da affiancare funzionari indiani a elementi britannici. Le esigenze amministrative dell’impero diedero vita a poco a poco a una

TUTOR

Un sepoy indiano.

Le colonie in Asia all’inizio del XX secolo

IMPERO OTTOMANO

Mar Caspio

IMPERO RUSSO

Pechino

CINA

Tientsin

Port Arthur

COREA Kiaochow

PERSIA

AFGHANISTAN Brahmaputra

KUWAIT

o

Shanghai

Ind

Nilo

Bahrein

FORMOSA

INDIA Diu (Port.)

ARABIA

OCEANO INDIANO Colonie: inglesi francesi tedesche statunitensi giapponesi olandesi

tze

ng

Ya

Goa (Port.)

2 IMPERO GIAPPONESE

Hong Kong Macao (Port.)

BIRMANIA

1 SIAM

OCEANO PACIFICO

5

INDOCINA FRANCESE

FILIPPINE

3 4 INDIE ORIENTALI OLANDESI

La spartizione imperialistica del mondo

classe media locale istruita, composta da maestri, funzionari, impiegati e professionisti. Dal punto di vista economico il governo britannico si concentrò nella costruzione di grandi opere pubbliche, ponti, strade e ferrovie, per incrementare gli scambi commerciali e il controllo militare di tutto il Paese. Nel 1876 la regina Vittoria assunse il titolo di «imperatrice dell’India», a conferma del grande interesse del governo per la colonia indiana. Molto meno positiva fu invece l’amministrazione delle aree rurali dove viveva l’80% della popolazione indiana. La mancata riforma agraria, la forte pressione iscale e l’importazione di tessuti dalla Gran Bretagna, che aveva distrutto l’industria cotoniera locale, resero ancora più dura la vita dei contadini. Nel 1885, dalla fusione di varie organizzazioni della classe media indiana nacque il Congresso Nazionale Indiano. Il Congresso in origine non era un partito, ma una libera assemblea i cui rappresentanti una volta all’anno potevano avanzare le loro proposte al governo. Per esempio, dal Congresso venne formulata la richiesta di riforme graduali e di una rappresentanza degli interessi indiani al Parlamento di Londra. Per reazione alle scarse concessioni del governo, nel 1910 nacque all’interno del Congresso una corrente estremista guidata da Bal Gangadhar Tilak (1856-1920). Tilak rivendicò il diritto dell’India all’autogoverno e i suoi uomini compirono atti di violenza verso i funzionari britannici e gli Indiani collaborazionisti. Il governo britannico reagì con la repressione, ma cominciò a concedere contemporaneamente una certa autonomia alle assemblee locali.

1. L’impero britannico, che era il più vasto, possedeva in Asia enormi territori, che andavano dalla penisola arabica alla Cina e all’Indonesia, e avevano come centro il subcontinente indiano; esso comprendeva l’India e gli attuali Pakistan e Bangladesh, nazioni nelle quali il colonialismo inglese ha lasciato un’impronta culturale molto forte. 2. L’unica grande potenza asiatica, il Giappone, aveva indirizzato i suoi interessi verso le aree vicine: la Corea, che da sempre i Giapponesi consideravano un’estensione naturale del loro impero, e l’isola di Formosa (attuale Taiwan), che il Giappone strappò alla Cina con la prima guerra cino-giapponese (1894-95). 3. I possedimenti degli Stati Uniti in Asia erano rappresentati dalle Filippine, sottratte alla Spagna nella guerra ispano-americana (1898). Le Filippine erano appartenute alla Spagna per più di tre secoli. 4. I primi insediamenti olandesi in Asia risalivano al Seicento. Si trattava di avamposti commerciali situati sulle coste dell’India, delle isole di Sri Lanka, Malacca e Giacarta. Fu nel corso dell’Ottocento che l’espansione olandese arrivò a comprendere quasi tutta l’Indonesia. 5. La Francia iniziò la sua espansione nella penisola indocinese con l’occupazione della Cocincina (attuale Vietnam) nel 1862; seguirono Cambogia e Laos tra gli anni 1883-93. Dalla conquista francese rimase fuori il regno del Siam (attuale Thailandia), uno dei pochi Stati asiatici che si mantennero indipendenti; l’Inghilterra e la Francia, infatti, attribuirono al Siam la funzione di «stato cuscinetto», cioè di territorio autonomo che separa i possedimenti di due nazioni potenzialmente ostili.

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Theodore Blake Wirgman, Pace con onore; la regina Vittoria firma con Benjamin Disraeli il trattato di Berlino del 1878.

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VIDEO

La Cina e le guerre dell’oppio

L’interesse delle potenze europee, degli Stati Uniti e del Giappone in area asiatica, si concentrò soprattutto sulla Cina. A metà del XIX secolo l’Impero cinese era il Paese più popolato del mondo con una popolazione di 400 milioni di abitanti. Dotata di enormi potenzialità economiche, la Cina mostrava tuttavia i sintomi della decadenza: all’immenso territorio dell’impero – che comprendeva anche la Mongolia, la Birmania, la Manciuria, il Vietnam e la Corea – non corrispondeva una reale forza politica e amministrativa. Il malcontento verso la dinastia imperiale Manciù e i suoi funzionari (i mandarini) era difuso. Per questa ragione, tra il 1849 e il 1868, scoppiarono numerose rivolte contadine, puntualmente represse con durezza dal governo. Isolato completamente dall’esterno, l’Impero cinese non aveva relazioni diplomatiche con nessuna potenza estera; solo il porto di Canton era accessibile ai commercianti stranieri. Nei primi decenni dell’Ottocento erano cresciuti particolarmente i traffici commerciali con gli Inglesi, interessati a importare tè, seta, tessuti e porcellane. La merce più richiesta dai Cinesi, poco attratti dai prodotti occidentali, era invece l’oppio che tuttavia in Cina era proibito. Le tensioni tra gli Inglesi e il governo imperiale causarono la prima guerra dell’oppio, così chiamata perché determinata dal riiuto cinese di importare l’oppio. La guerra si concluse nel 1842 con la vittoria della Gran Bretagna. La pace impose alla Cina di aprire i porti agli stranieri e di cedere la città di Hong Kong agli Inglesi. La seconda guerra dell’oppio (1856-60) terminò con la completa sconitta della Cina che fu costretta ad aprirsi al commercio straniero e a stabilire relazioni diplomatiche con gli Stati occidentali.

Gli Inglesi trasferivano in Cina tonnellate di oppio prodotto a bassissimo costo in India; in cambio importavano prodotti come le preziose porcellane, le sete, il tè. Gli effetti sulla salute pubblica di tale sostanza spinsero il governo cinese a vietarne l’importazione intaccando però pesantemente gli interessi economici britannici. Nel corso degli anni Trenta i Cinesi attaccarono più volte le navi inglesi cariche di oppio, ma la Gran Bretagna non intendeva rinunciare a quel commercio così redditizio e fu la guerra.

COMPETENZE

LO SGRETOLAMENTO DEL «CELESTE IMPERO» Lo scontro con l’Occidente mise in evidenza la debolezza militare della Cina e aprì la strada all’intervento delle altre potenze. La Russia estese la sua inluenza nell’Asia nord-orientale e fondò nel 1860 la città di Vladivostok («la dominatrice dell’Oriente»). La Gran Bretagna occupò la Birmania. La Francia aveva già avviato la sua espansione in Indocina a metà dell’Ottocento con l’apertura di qualche base commerciale e numerose missioni cattoliche. Proprio le persecuzioni contro i missionari fornirono il pretesto ai Francesi di occupare nel 1862 la Cocincina (la parte meridionale del regno di Annam, attuale Vietnam). L’anno seguente la Francia impose il protettorato sulla Cambogia, tra il 1883 e il 1885 lo estese all’intero regno di Annam e nel 1893 al Laos.

USARE LE FONTI

Le incredibili guerre dell’oppio Pag. 523

Scontro fra giunche cinesi e navi da guerra inglesi al largo di Canton, durante la prima guerra dell’oppio.

LE GUERRE DELL’OPPIO E L’APERTURA DELLA CINA

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La spartizione imperialistica del mondo

XENOFOBIA La xenofobia è un atteggiamento di generica avversione e di rifiuto nei confronti degli stranieri. Da una parte può essere considerata una forma di nazionalismo, quando tende a rafforzare il sentimento di identità nazionale in contrapposizione ai modelli culturali provenienti dall’estero; dall’altra può essere definita come una forma di razzismo tra gruppi etnici diversi, derivante, soprattutto nelle società multietniche contemporanee, dalla paura nei confronti degli immigrati, visti come una minaccia sociale, economica e culturale per le comunità in cui si inseriscono.

LESSICO

GUIDA ALLO STUDIO

55 giorni a Pechino

CINEMA E STORIA

Il Giappone era invece interessato alla Corea e alla Manciuria. Nel 1894 tra Cina e Giappone scoppiò un conlitto che si risolse con la sconitta cinese. La Cina rinunciò alla Corea, cedette ai vincitori l’isola di Formosa e la penisola di Liaodong in Manciuria; fu inoltre costretta ad aprire quattro porti al commercio giapponese. L’opprimente presenza straniera in Cina alimentò nella popolazione sentimenti xenofobi e nazionalisti. Il malcontento trovò la sua espressione armata nella società segreta detta dei boxers («pugili»). Nel 1900, istigati dall’imperatrice Tzu-hsi, i boxers attaccarono le sedi delle missioni occidentali, uccidendo centinaia di stranieri e di Cinesi convertiti al cristianesimo. Poi assediarono per quasi due mesi le sedi delle delegazioni occidentali a Pechino, provocando l’intervento armato di un contingente internazionale: 16000 soldati tedeschi, giapponesi, francesi, inglesi, russi, americani, italiani e austriaci occuparono Pechino e sedarono la rivolta. Per i Cinesi questo fu l’ennesimo smacco: l’imperatrice fuggì, i rivoltosi furono arrestati e processati e la Cina dovette risarcire i danni agli occidentali.

Stati Uniti, 1963 (durata: 150’) Regia: Nicholas Ray Attori principali: Charlton Heston, Ava Gardner, David Niven

Il film rievoca la rivolta dei boxers, la società segreta che nel 1900 attaccò gli Occidentali presenti in Cina. Un gruppo di Europei e di Americani si trova assediato nel quartiere diplomatico di Pechino e tenta in tutti i modi di difendersi, fino a quando, dopo 55 giorni di terribile assedio, giungono i rinforzi: la rivolta viene sedata e gli Occidentali sono salvi. Si tratta del tipico

colossal hollywoodiano, realizzato con alcuni grandi divi dell’epoca (Charlton Heston, David Niven, Ava Gardner) e un grande dispendio di capitali per le scene di massa. La ricostruzione degli eventi è fondamentalmente corretta, anche se il punto di vista è quello degli Occidentali: gli Americani e gli Europei rappresentano i «buoni», infatti sono tratteggiati come individui pacifici e portatori di civiltà; mentre l’imperatrice cinese e i boxers sono i «cattivi», persone violente e infide, rappresentanti di un mondo arretrato che merita di scomparire.

ƒ Quali colonie esistevano in Asia prima dell’età dell’imperialismo? ƒ In quali territori si estendevano i domini della Francia e dell’Inghilterra? ƒ Qual era la situazione dell’India durante la dominazione britannica? ƒ Come reagì la Cina all’aggressione delle potenze occidentali? ƒ Che cosa furono le guerre dell’oppio?

Johannes Koekkoek, Boxers, 1900 circa. La rivolta dei boxers scoppiò in Cina nel 1900 contro gli stranieri europei.

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4. La crisi delle relazioni internazionali DUE BLOCCHI CONTRAPPOSTI Nel 1890 Bismarck si ritirò dalla vita politica: la guida della Germania passò nelle mani di Guglielmo II che abbandonò la politica d’equilibrio del «cancelliere di ferro» e diede alla politica estera tedesca un indirizzo più aggressivo. La rete di alleanze creata da Bismarck venne sempliicata e l’Europa si divise in due blocchi: alla Triplice Alleanza (Germania, Austria e Italia), si contrappose nel 1907 la Triplice Intesa (Gran Bretagna, Francia e Russia). L’isolamento francese voluto da Bismarck era terminato; la Germania invece si trovava accerchiata dall’alleanza tra Russia e Francia. Il nuovo sistema internazionale era stato costruito in modo tale che se uno degli Stati europei avesse attaccato un altro, tutta l’Europa sarebbe stata coinvolta nello scontro. Nei primi anni del Novecento la lotta per la supremazia mise in crisi le relazioni internazionali.

LA TRIPLICE INTESA CONTRO LA GERMANIA DI GUGLIELMO II

LA RUSSIA SI AVVICINA ALLA FRANCIA SOPRATTUTTO PER CONTRASTARE L’AUSTRIA, CUI SI CONTRAPPONE NEL BALCANI

LA GERMANIA ABBANDONA LA POLITICA D’EQUILIBRIO DI BISMARCK (VOLTA A ISOLARE LA FRANCIA DI CUI TEMEVA IL REVANSCISMO) E RINSALDA SOPRATTUTTO L’ALLEANZA CON L’AUSTRIA. INTERVIENE INOLTRE NELLA COMPETIZIONE COLONIALE E RAFFORZA LA SUA FLOTTA

REVANSCISMO FRANCESE CONTRO LA GERMANIA, VOLTO IN PARTICOLARE AL RECUPERO DELL’ALSAZIA E DELLA LORENA

TRIPLICE INTESA

LA GRAN BRETAGNA, MINACCIATA DALLA CONCORRENZA INDUSTRIALE E COMMERCIALE DELLA GERMANIA, DECIDE DI USCIRE DAL SUO TRADIZIONALE ISOLAMENTO E SI AVVICINA A FRANCIA E RUSSIA

LE CRISI MAROCCHINE Il primo focolaio di tensioni fu costituito dal Marocco, ultimo territorio nordafricano rimasto indipendente. L’intesa fra Francia e Inghilterra del 1904 riconosceva alla Gran Bretagna il controllo dell’Egitto e alla Francia il diritto al dominio sul Marocco che si sarebbe aggiunto alla Tunisia e all’Algeria. Questa iniziativa allarmò la Germania che aveva in Marocco interessi economici e vedeva sfumare una possibilità di accrescere il suo modesto impero coloniale. Nel 1905 così la Germania si presentò come garante dell’indipendenza marocchina e costrinse la Francia a cedere. Una conferenza internazionale tenutasi ad Algeciras in Spagna nel 1906 chiuse questa prima crisi assegnando alla Francia il protettorato sul Marocco. La seconda crisi iniziò nel luglio 1911 quando la Francia, per consolidare il suo dominio, occupò militarmente alcune città marocchine. La Germania allora, con un’azione dimostrativa, portò una corazzata nella rada di Agadir. La Germania indietreggiò solo di fronte alla minaccia di guerra da parte del governo inglese. Le trattative portarono al riconoscimento del dominio francese su tutto il Marocco in cambio della cessione alla Germania di una parte del Congo francese, coninante con il Camerun tedesco.

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La spartizione imperialistica del mondo LA QUESTIONE MAROCCHINA

GUGLIELMO II INTERFERISCE CON GLI INTERESSI FRANCESI IN AFRICA. SOSTIENE L’INDIPENDENZA DEL MAROCCO, MINACCIANDO LA FRANCIA

LA FRANCIA È COSTRETTA A CEDERE UNA PARTE DEL CONGO ALLA GERMANIA, PER AVERE LIBERTÀ D’AZIONE IN MAROCCO

L’INGHILTERRA, ALLEATA DELLA FRANCIA, MINACCIA DI GUERRA LA GERMANIA

LA POLVERIERA BALCANICA Un altro pericoloso focolaio di tensioni era rappresentato dall’area balcanica. Le rivendicazioni delle popolazioni balcaniche sotto il dominio ottomano si univano ai conlitti politici delle grandi potenze europee. Si creò così una miscela esplosiva che coinvolse vari Paesi europei: ƒl’Austria, che non aveva colonie, considerava i Balcani la sua naturale area di espansione; ƒla Russia intendeva crearsi uno sbocco sul Mediterraneo attraverso i Dardanelli e giustiicava il suo interesse con la difesa dei popoli slavi e ortodossi; ƒl’Italia guardava con interesse ai Balcani per giungere al pieno controllo del Mar Adriatico; ƒla Gran Bretagna riteneva quest’area vitale per i suoi interessi commerciali in Oriente. C’erano inoltre le ambizioni degli stessi Stati balcanici: la Serbia intendeva guidare i movimenti nazionalisti antiturchi e costituire una «grande Serbia». In questo disegno era appoggiata dalla Russia; mentre altri Stati, come la Romania, il Montenegro e la Grecia, aspiravano all’espansione territoriale. La rivoluzione dei Giovani Turchi (un movimento difuso soprattutto tra gli ufficiali dell’esercito), scoppiata a Istanbul nel 1908, pose ine all’assolutismo del sultano, ma innescò una catena di rivalità che sfociarono nelle guerre balcaniche.

LE GUERRE BALCANICHE Il movimento dei Giovani Turchi intendeva trasformare l’impero in una moderna monarchia costituzionale. Non riuscì, però, a contenere le spinte indipendentiste presenti nel territorio turco e aprì una crisi che portò alla disintegrazione dell’impero. Approittando della rivoluzione, l’Austria si impossessò della Bosnia-Erzegovina, sulla quale aveva già il protettorato. Questa iniziativa provocò le proteste della Serbia, della Russia e dell’Italia. La questione fu risolta diplomaticamente, ma inasprì le tensioni di quell’area. I Turchi subirono un’ulteriore sconitta nel 1912 con l’occupazione italiana della Libia, che faceva parte del loro impero. Nel 1912 e nel 1913 esplosero le guerre balcaniche, due conlitti che piegarono inesorabilmente l’Impero ottomano. Serbi, Greci e Bulgari, appoggiati dalla Russia, volevano dividersi la Macedonia, ricca regione sotto la sovranità turca. L’ Impero ottomano venne sconitto, ma Serbi e Bulgari non riuscirono ad accordarsi sulla spartizione della Macedonia e iniziarono il secondo conlitto. La pace di Bucarest del 1913 divise la maggior parte della Macedonia tra Serbia e Grecia, ridusse il territorio ottomano alla sola Turchia e a una parte della Tracia. La Bulgaria fu la grande sconitta e perse parte del suo territorio. La Serbia invece uscì dalle due guerre vittoriosa e si presentò come la più grande potenza in quella regione. Non aveva però ancora raggiunto due dei suoi obiettivi: ƒil controllo della Bosnia-Erzegovina; ƒlo sbocco sul mare, impedito dalla formazione dello Stato d’Albania nel 1913.

Particolare di una stampa di inizio Novecento sulle guerre balcaniche.

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I Balcani dopo le guerre del 1912-13 1. Le guerre balcaniche furono un duro colpo per l’Impero ottomano: il territorio di questo antico impero, che nei secoli XVIXVIII si estendeva dall’Algeria al Golfo Persico e dalla Slovenia alla penisola arabica, venne fortemente ridimensionato. I suoi confini divennero grosso modo quelli dell’attuale Turchia.

Impero ottomano Annessioni dell’Austria-Ungheria (1908) Annessioni dell’Italia (Dodecaneso) Annessioni della Grecia nel 1913 AUSTRIA-UNGHERIA BOSNIA

Belgrado

Bucarest Danubio

Sarajevo

2. Il conflitto per la Libia (scoppiato nel 1911) procurò all’Italia importanti vantaggi. Anche le isole greche del Dodecaneso furono occupate e poi annesse dall’Italia: rimasero un possedimento italiano fino alla fine della seconda guerra mondiale.

ROMANIA

ERZEGOVINA

Dobrugia

SERBIA Sofia

MONTENEGRO

Mar Nero

BULGARIA

5 4

Adrianopoli

Macedonia

Kosovo

Tracia

Istanbul

Salonicco

ALBANIA

1 Tessaglia Corfù

Mar Ionio

Mar Egeo

GRECIA

TURCHIA

Atene

Morea

Dodecaneso

3. La Grecia fece un ulteriore passo avanti sulla strada dell’indipendenza e dell’unificazione: riuscì infatti a strappare all’Impero ottomano l’isola di Creta, uno degli ultimi territori di tradizione greca che non si erano ancora ricongiunti con la madrepatria. 4. Grazie ai rivolgimenti che le guerre balcaniche produssero nella regione, raggiunse l’indipendenza anche l’Albania, una nazione antichissima, per secoli sotto il dominio dell’Impero ottomano. 5. La Serbia uscì vittoriosa, avanzando nel territorio del Kosovo. La Bosnia-Erzegovina, però, in gran parte abitata da Serbi, era entrata a far parte dell’Impero austro-ungarico. Proprio questa mancata annessione alla Serbia sarà la causa scatenante della prima guerra mondiale: nel 1914, infatti, un giovane serbo della Bosnia ucciderà con un colpo di pistola l’erede al trono austro-ungarico, causando l’inizio del conflitto.

2 Rodi

Creta

3

L’ESPANSIONISMO AMERICANO Nel corso dell’Ottocento, gli Stati Uniti si dedicarono alla colonizzazione interna estendendo il loro territorio ino a raggiungere l’Oceano Paciico. Di conseguenza gli USA manifestarono la tendenza a non occuparsi di questioni internazionali che non avessero immediate ripercussioni sul continente americano: la loro fu una politica che si è soliti deinire isolazionista. Alla ine del secolo, però, questa posizione mutò gradualmente e anche gli Stati Uniti entrarono a far parte del gruppo delle potenze imperialiste, sebbene con un atteggiamento particolare: infatti, non mirarono tanto alla conquista territoriale ma all’egemonia economica. Questa egemonia venne innanzitutto esercitata nei confronti dell’America Latina e ciò determinò l’inevitabile scontro con la Spagna.

LESSICO

TUTOR

UNITÀ 15

ISOLAZIONISMO Il termine isolazionismo ha una connotazione prevalentemente ideologica e indica la netta volontà di uno Stato di non assumere impegni in politica estera. L’isolazionismo è di norma favorito da una posizione di isolamento geografico che, assicurando l’integrità dei confini naturali, rende meno indispensabile il coinvolgimento nelle questioni politiche riguardanti gli Stati esteri. Gli esempi storicamente più rilevanti di isolazionismo sono rappresentati dal Giappone tra la prima metà del XVII secolo e l’inizio della restaurazione Meiji nel 1868, e dagli Stati Uniti tra gli anni Venti del XIX secolo (a partire dall’enunciazione della dottrina Monroe) e l’inizio del XX. Soprattutto per quanto riguarda gli Stati Uniti, ma in misura minore anche per il Giappone, l’isolazionismo si limita alla sola sfera politica e non impedisce lo sviluppo di rapporti economici. Anzi, il non coinvolgimento politico fu spesso ritenuto dagli Americani – ma anche dalla Gran Bretagna – come la strategia migliore per controllare e favorire gli scambi commerciali a livello internazionale.

La spartizione imperialistica del mondo

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La guerra, scoppiata nel 1898, si concluse con la facile vittoria degli Stati Uniti che ottennero, oltre all’allontanamento della Spagna dal continente americano, i possedimenti spagnoli delle Filippine. Inoltre, gli Stati Uniti posero sotto il loro controllo Cuba e fomentarono la rivolta di Panama, perché si staccasse dalla Colombia. Il territorio di Panama costituiva in efetti un punto strategico, in quanto gli Stati Uniti miravano a costruire sul suo territorio un canale che consentisse alle navi di passare dall’Oceano Atlantico all’Oceano Paciico senza circumnavigare l’America del Sud. I lavori di costruzione del Canale di Panama vennero completati nel 1916.

GUIDA ALLO STUDIO

LA POLITICA DEL «BIG STICK» La politica imperialista degli Stati Uniti nei confronti dell’America Latina venne ben sintetizzata da Theodore Roosevelt (1858-1919), presidente degli Stati Uniti nei primi anni del Novecento. In un celebre discorso del 1904 citò un vecchio proverbio: «Parla piano e porta con te un grosso bastone (big stick) se vuoi andare lontano». Intendeva così afermare il diritto degli Stati Uniti a intervenire in qualsiasi momento nelle vicende dell’America Latina per ribadire la propria egemonia: per gli Stati Uniti infatti l’America Latina costituiva «l’impero in casa». Questa politica, chiamata del «big stick», venne raforzata da numerosi trattati commerciali che resero sempre più dipendente l’economia dell’America Latina da quella degli Stati Uniti.

ƒ Perché le grandi potenze crearono due alleanze contrapposte? ƒ Quali furono le principali tensioni che portarono sull’orlo della guerra? ƒ Perché la situazione nei Balcani era complicata e instabile? ƒ Quali erano gli interessi dell’Italia e in quali conflitti fu coinvolta? ƒ In che modo gli Stati Uniti parteciparono alla spartizione coloniale?

LE ALLEANZE ALLA VIGILIA DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE

CRISI MAROCCHINE 1905-1911 TRIPLICE INTESA (1907) GRAN BRETAGNA FRANCIA - RUSSIA

TRIPLICE ALLEANZA (1882) GERMANIA AUSTRIA - ITALIA GUERRE BALCANICHE 1912-13

Il transito di una nave attraverso il Canale di Panama il giorno della sua inaugurazione, nel 1916.

UNITÀ 15

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Dal passato al presente Sono di questi anni le grandi infrastrutture che hanno reso possibile le comunicazioni in aree prima inaccessibili. I colonizzatori costruirono strade, ponti, dighe, canali, ma anche scuole, ospedali e strutture amministrative. Anche in questo caso si trattò di opere realizzate secondo la visione e gli obiettivi dei colonizzatori, ma contribuirono a far compiere ai Paesi colonizzati qualche passo avanti verso la modernizzazione. Questa fu l’epoca delle grandi esplorazioni, che senza dubbio ci hanno lasciato nuove conoscenze relative alla geograia, alla natura e alle varie culture presenti nel nostro pianeta. E inine il cinema: nasce in questo periodo uno strumento di comunicazione di massa, frutto del lavoro dei fratelli Lumière, che è ancora in piena espansione.

L’epoca delle grandi opere UN SOGNO ANTICHISSIMO Da Erodoto sappiamo che già gli antichi faraoni nel VI secolo a.C. avevano pensato di aprire un varco in terra d’Egitto verso il Mar Eritreo. I lavori di scavo furono però presto sospesi perché un oracolo aveva predetto che quel canale avrebbe favorito il passaggio dei barbari. Alcuni cippi ritrovati fra il Lago Timsah e i Laghi Amari stanno a testimoniare che tra il VI e il V secolo a.C., ai tempi del re persiano Dario, si tentò di congiungere il Mar Rosso al Nilo e quindi al Mediterraneo. Secoli dopo, anche i Veneziani proposero al sultano d’Egitto il taglio dell’istmo: un’opera che avrebbe favorito la Serenissima nei suoi commerci. Quel progetto interessò anche Napoleone Bonaparte che, durante la spedizione in Egitto, fece fare dei rilievi per veriicarne la possibilità di realizzazione. I suoi tecnici conclusero, però, che il dislivello tra i due mari avrebbe imposto lavori eccessivamente complicati e costosi. IERI

Il Canale di Suez era controllato dall’Inghilterra, e aveva un traffico di 22 milioni di tonnellate OGGI

Appartiene all’Egitto, è stato ampliato e ha un traffico di 270 milioni di tonnellate, in gran parte petrolio

IL PROGETTO DI NEGRELLI I Francesi continuarono tuttavia ad accarezzare quell’idea. Nel 1846 venne fondata la Societé d’études du Canal de Suez con il compito di fare i rilievi sul terreno ed elaborare il programma dei lavori; sarebbe stato poi un nobile francese, il visconte Ferdinand de Lesseps, a iniziare la più grande impresa d’ingegneria del XIX secolo. Nel 1854 de Lesseps approdò in terra egiziana come un ospite di rango; egli vantava

un’amicizia con Mohammed Said, viceré d’Egitto. I due avevano studiato insieme a Parigi, avevano stima l’uno dell’altro e da questa stima nacque l’accordo del 30 novembre 1854 che decise il taglio e l’esercizio del canale. De Lesseps si proponeva di realizzare il progetto dell’ingegnere italiano Luigi Negrelli, un trentino alle dipendenze austriache e a capo del ministero dei Lavori Pubblici nel Lombardo-Veneto. Nel 1856, il progetto di Negrelli era pronto. Perché lo scavo del canale potesse procedere occorrevano ora i inanziamenti e il consenso del khedive, il viceré d’Egitto. La Societé d’études si trasformò in Compagnie Universelle pour le Canal de Suez, che ofrì, nel 1858, 400 000 azioni da 500 franchi l’una per inanziare l’impresa. In quell’anno, l’ingegner Negrelli, che avrebbe dovuto dirigere i lavori e partecipare agli utili, morì a Vienna. De Lesseps non ebbe scrupoli: comprò il progetto dalla vedova Negrelli, per il prezzo stracciato di 20 000 franchi. Il visconte aveva fretta, voleva cominciare lo scavo e aveva bisogno di 200 milioni di franchi: i Francesi ne sottoscrissero 107 milioni, 23 milioni furono forniti da altre nazioni. Mancavano ancora 70 milioni che furono versati dal viceré d’Egitto, attingendoli dalle casse dello Stato.

LA REALIZZAZIONE Il 25 aprile 1859 de Lesseps, con una zappa in pugno dichiarò solennemente: «Noi diamo il primo colpo di piccone a questo suolo

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che aprirà la via dell’Oriente al commercio e alla civiltà dell’Occidente». Una troupe gigantesca iniziò a trasferirsi in terra egiziana: 36 000 operai, tecnici, ingegneri «brulicavano» nelle sabbie africane. Erano coordinati dall’ingegner Gioia, uno dei veri arteici dell’opera, sempre presente nei luoghi più ostili, fra carenze di ogni genere. Nel cantiere mancavano medici, igiene, acqua potabile, e il colera era sempre in agguato. Per sveltire gli scavi e migliorare le condizioni di lavoro dei 25 000 operai egiziani, Gioia progettò una draga che riusciva a muovere mezzo milione di metri cubi di terra in un tempo molto breve. Questa macchina si aggiungeva ad altri mezzi come gli escavatori a vapore, importati per l’occasione dall’Europa. Il progetto prevedeva di scavare un canale lungo 161 chilometri e largo dai 90 ai 160 metri; in alcuni punti fu necessario scavare ino a 12 metri di profondità: un’impresa colossale. I lavori di realizzazione durarono circa dieci anni e la spesa superò il doppio di quella inizialmente prevista.

L’INAUGURAZIONE E IL RUOLO DELLA GRAN BRETAGNA L’inaugurazione del Canale di Suez fu un evento mondano senza precedenti. A Port Said (il nome Said fu dato in onore del viceré d’Egitto), il 17 novembre 1869, si radunarono scienziati, ambasciatori, ministri, sovrani, principi e 5000 invitati da ogni parte d’Europa. Per il commercio internazionale fu una svolta. Si calcolò che i costi e il tempo impiegato per i viaggi in Oriente si sarebbero dimezzati e il giro d’afari sarebbe decuplicato. La Gran Bretagna aveva ostacolato sempre la costruzione del Canale di Suez. Aveva sostenuto l’impossibilità tecnica di realizzare quel lavoro; ma era un gioco ipocrita che nascondeva la preoccupazione che altre potenze si aprissero una facile via verso l’India o l’Oriente. Quando de Lesseps e Negrelli presentarono il loro progetto, in Gran Bretagna il primo ministro Palmerston lo giudicò «una sciocchezza»; anche il «Times», prestigioso quotidiano londinese, si allineò a que-

sto giudizio. Londra agiva in malafede per difendere i suoi interessi in India. Quando il canale fu completato e le inanze egiziane erano ormai in via di esaurimento, il governo inglese colse il momento propizio. Il primo ministro Disraeli non ebbe nemmeno il tempo di consultare il Parlamento: s’accordò con il banchiere Rothschild, si fece prestare 4 milioni di sterline e li passò al viceré d’Egitto che gli consegnò il 43% del pacchetto azionario della compagnia del canale. Nel 1882 la Gran Bretagna assunse il controllo diretto del canale e occupò l’Egitto. Un colpo di mano che garantì all’Inghilterra il controllo del canale ino al 1954.

ALTRI SCAVI Nel 1956, il presidente egiziano Nasser nazionalizzò il Canale di Suez, ed esso diventò a tutti gli efetti patrimonio dello Stato egiziano. Nel frattempo le estrazioni di petrolio nei Paesi che si afacciano sul Golfo Persico aumentarono e il passaggio divenne ancora più importante per il transito delle petroliere. Perciò il governo egiziano attuò grandi lavori, che portarono all’allargamento e al raddoppiamento del canale. Anche la profondità fu accresciuta, dagli 8 metri dell’inaugurazione ai 15-20 metri, consentendo il passaggio di navi molto più grandi. I lavori furono interrotti varie volte a causa dei conlitti tra gli Stati arabi e Israele; per ben otto anni, dal 1967 al 1975, il canale rimase chiuso. Nel 1976 fu deinitivamente riaperto e da allora utilizzato da decine di migliaia di navi all’anno. Inine il 6 agosto 2015 è stato inaugurato il nuovo raddoppio di una parte del Canale di Suez così da consentire il transito giornaliero di 97 navi, mentre in precedenza ne potevano transitare solo 49.

Suez Nilo

La spartizione imperialistica del mondo

EGITTO

Mar Rosso Porto Said Porto Fuad

Lago Manzala

Lago Manzala

El Qantara

Ismailia

Lago Timsah

Grande Lago Amaro

Piccolo Lago Amaro Suez Port Taufiq G. di Suez

IL CANALE DI SUEZ

Il canale come si presenta oggi.

UNITÀ 15

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COMPETENZE: USARE LE FONTI

Il fardello dell’uomo bianco DOCUMENTO Lo scrittore inglese Rudyard Kipling, autore del Libro della giungla, scrisse nel 1899 la poesia Il fardello dell’uomo bianco, di cui riportiamo un brano. In questa poesia, composta in occasione dell’occupazione delle Filippine da parte degli Americani, Kipling elogia la nobile missione dell’uomo bianco che difonde la civiltà tra i popoli selvaggi. L’idea che la colonizzazione fosse una missione civilizzatrice era molto difusa nell’opinione pubblica europea di ine Ottocento.

Addossatevi il fardello del Bianco – Mandate i migliori della vostra razza – Andate, costringete i vostri figli all’esilio Per servire ai bisogni dei sottoposti; Per custodire in pesante assetto Gente inquieta e sfrenata – Popoli truci, da poco soggetti, Mezzo demoni e mezzo bambini.

Addossatevi il fardello del Bianco – Resistere con pazienza, Celare la minaccia del terrore E frenare l’esibizione dell’orgoglio; In parole semplici e chiare, Cento volte rese evidenti, Per cercare il vantaggio altrui, E produrre l’altrui guadagno. Addossatevi il fardello del Bianco – Le barbare guerre della pace – Riempite la bocca della carestia E fate cessare la malattia; E quando più la meta è vicina, Il fine per altri perseguito, Osservate l’ignavia e la follia pagana Ridurre al nulla tutta la vostra speranza. Addossatevi il fardello del Bianco – Non sgargiante governo di re, Ma fatica di servo e di spazzino – La storia delle cose comuni, I porti in cui non entrerete, Le strade che non calpesterete, Andate, costruitele coi vostri vivi, E segnatele coi vostri morti! R. Kipling, Poesie Un gruppo di Inglesi in Africa ritratti tra i trofei di caccia. I colonizzatori spesso si facevano ritrarre in pose che esaltavano il loro ruolo di conquistatori.

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

ƒ A chi si rivolge l’autore della poesia? ƒ Che compito si devono assumere gli Europei? ƒ Chi sarebbero i popoli definiti «mezzo demoni e mezzo bambini»? Perché sono definiti con questi termini? ƒ Perché l’uomo bianco si è caricato di un «fardello»? Che cosa rappresenta il «fardello»? ƒ Che cosa otterrà in cambio l’uomo bianco dai popoli che vorrà aiutare? ƒ Che mentalità esprime questa poesia?

ƒ In quale circostanza fu scritta la poesia? ƒ Quale periodo copre l’età dell’imperialismo? ƒ In quale contesto politico si realizzò la politica imperialista? ƒ Perché dalla poesia traspare una mentalità razzista? ƒ Quali furono le motivazioni economiche e culturali di sostegno alla politica imperialista? ƒ Quali aree del mondo furono sottomesse all’imperialismo inglese? E a quello francese?

523

La spartizione imperialistica del mondo

Le incredibili guerre dell’oppio STORIOGRAFIA

Le due guerre dell’oppio che opposero la Gran Bretagna alla Cina verso la metà dell’Ottocento ebbero efetti duraturi sulla società e sull’economia cinesi. Al termine del conflitto, infatti, gli Inglesi imposero ai Cinesi la libertà di commercio dell’oppio e «convertirono» il Paese alla droga. Le ragioni che spinsero gli Inglesi ad adottare una politica così cinica riguardavano i guadagni delle grandi compagnie commerciali che esportavano l’oppio in Cina e l’esigenza di aprire il mercato cinese. Le domande che seguono sono rivolte a una storica francese del mondo cinese, Marie-Claire Bergère.

facevano venire dall’India per mare. [...] L’oppio divenne una moneta di scambio nelle relazioni commerciali, non solo con la Cina, ma anche con tutta l’Asia orientale, in particolare con le Indie olandesi. Nel corso del XIX secolo l’esplosione congiunta dell’offerta e della domanda diede un’ampiezza considerevole a questo commercio. Nel 1800 la Cina importava circa 4000 casse (ogni cassa conteneva circa 60 kg d’oppio raffinato). A partire dal 1800 i volumi d’affari aumentarono incessantemente: 20 000, 30 000 casse e, nel 1830, quasi 40 000, circa 2400 tonnellate d’oppio.

Marie-Claire Bergère

I Cinesi consumavano già l’oppio? Sì. Esisteva già una piccola cultura locale. L’oppio era conosciuto in Cina dal X secolo per le sue virtù terapeutiche. Ma solo nel XVIII secolo i Cinesi cominciarono a consumarlo per piacere. A quell’epoca era un passatempo limitato alle classi più agiate. [...] Dall’inizio del XIX secolo la domanda aumentò molto rapidamente, aprendo un mercato straordinario.

Marie-Claire Bergère (1933) è una storica francese del mondo cinese di fama internazionale. Insegna presso l’Istituto nazionale di lingue e civiltà orientali dell’Università di Parigi ed è direttore di studi all’École des hautes études en sciences sociales. Collabora inoltre ad alcune riviste storiche di livello internazionale. Si occupa principalmente della borghesia e della storia della Cina del XX secolo. In italiano ha pubblicato: La Cina. Dalle guerre dell’oppio al conflitto franco-cinese (18401885), Vol. 1 (1973); La Cina. Dalla guerra franco-cinese alla fondazione del Partito Comunista Cinese (1885-1921), Vol. 2 (1974); La Cina dal 1949 ai giorni nostri (2003).

È difficile credere oggi che la Gran Bretagna fece una spedizione militare contro la Cina per difendere la libertà di commercio della droga... Il pretesto del conflitto [...] fu il commercio dell’oppio che occupava un posto che oggi si fa fatica a immaginare. Ma la vera posta in gioco era l’apertura della Cina alle relazioni internazionali. [...] Detto questo, se il conflitto scoppiò per il commercio dell’oppio, è perché allora rappresentava la principale merce di scambio tra la Gran Bretagna e la Cina. Da quanto tempo l’oppio aveva un posto così importante nel commercio tra Inghilterra e Cina? Non si trattava dell’Inghilterra in quanto Stato, ma dei commercianti inglesi della Compagnia delle Indie [...]. Nel XVIII secolo questi commercianti acquistavano dai Cinesi tè e soia, ma non potevano vendere le loro mercanzie sul mercato di Canton. [...] Per equilibrare gli scambi, alla fine del XVIII e all’inizio del XIX secolo cominciarono a vendere l’oppio che

Vignetta tedesca del periodo della prima guerra dell’oppio con un commerciante britannico che obbliga un cinese a comprare il proprio oppio.

UNITÀ 15

524

COMPETENZE: USARE LE FONTI

Nel Bengala la Compagnia delle Indie Orientali sviluppò allora una produzione che le permetteva di finanziare da una parte la conquista e l’amministrazione dell’India, dall’altra le sue importazioni di tè. [...] Come reagì il governo imperiale cinese? I primi editti imperiali contro l’oppio sono degli anni 17291731. Nel 1813 si aggravarono le pene per consumatori e trafficanti. Gli alti funzionari che infrangevano il divieto erano condannati alla gogna e dovevano dimettersi dal loro incarico. A partire dal 1830 il commercio di contrabbando s’intensificò e il consumo aumentò considerevolmente. A questo punto, le autorità imperiali si preoccuparono seriamente degli effetti nocivi della droga sulla sanità pubblica. [...] Ma che cosa rese inevitabile la rottura? Nel 1839 l’imperatore inviò il suo funzionario Lin Zexu a Canton da dove transitava la maggior parte dell’importazione d’oppio. Lin Zexu cominciò a dare la caccia ai trafficanti locali, ai consumatori, poi ordinò agli Inglesi di consegnare tutto l’oppio stoccato e di cessarne l’importazione. I commercianti rifiutarono. Lin Zexu fece circondare dalle truppe le agenzie commerciali e centinaia di Inglesi furono presi in ostaggio. A questo punto, il capitano della guarnigione britannica, Elliott, ordinò ai commercianti di consegnare l’oppio, promettendo che il governo inglese li avrebbe risarciti. Gli ostaggi furono liberati e l’oppio distrutto. Ma i commercianti inglesi non avevano per nulla intenzione di cessare il commercio dell’oppio. Nel luglio 1839 spostarono solo il centro della loro attività a Macao. Proprio là avvennero i primi incidenti [...]. Di scaramuccia in scaramuccia si arrivò a una situazione di guerra non dichiarata. [...] Per proteggere i loro interessi, i commercianti chiesero l’intervento militare dell’esercito britannico. [...] Nel gennaio 1839, uno dei prin-

cipali commercianti d’oppio, William Jardine, arrivò a Londra con le tasche piene di denaro per perorare la causa dell’intervento militare inglese in Parlamento. [...] Ci fu un dibattito sulla moralità del commercio dell’oppio [...] e alla fine fu decretato l’invio della spedizione militare, anche se per soli cinque voti di maggioranza. [...] I Britannici impiegarono 25 navi da guerra e un corpo di sbarco di 10 000 uomini. [...] Quando le truppe britanniche raggiunsero Nanchino, il governo imperiale si rassegnò a negoziare. Che cosa ottennero gli Inglesi dopo la prima guerra dell’oppio? Nel Trattato di Nanchino del 1842 quasi tutte le rivendicazioni furono accolte: il commercio inglese non fu più limitato a Canton e altri porti furono aperti. [...] Tuttavia il trattato non menzionò l’oppio. Così il commercio dell’oppio continuò a essere praticato di contrabbando e tollerato. [...] Dopo la seconda guerra dell’oppio il commercio fu infine legalizzato. [...] Come conseguenza, le importazioni fecero un balzo in avanti: tra il 1840 e il 1880 si moltiplicarono per due fino a raggiungere le 80 000 casse. In Cina l’oppio venne autorizzato nel 1890. [...] Secondo gli osservatori stranieri, alla fine del XIX secolo il 10% della popolazione cinese consumava la droga, ma in certe province si raggiungeva il 70-80%. Le fumerie d’oppio divennero una realtà? Sì, alla fine del XIX secolo le fumerie erano molto numerose soprattutto nelle città: [...] solo Shangai ne contava 1700. [...] L’oppio si consumava sdraiati su un divano con una pipa ad acqua. [...] Le fumerie erano sovente posti sporchi e modesti, ma c’erano anche fumerie lussuose, in cui letterati e facoltosi mercanti andavano a gustare raffinatezze di ogni genere e anche l’oppio. M.-C. Bergère, Le «guerre dell’oppio» in Cina, in «L’Histoire», 266

COMPRENDERE

CONTESTUALIZZARE

ƒ Quali prodotti venivano scambiati tra i mercanti inglesi della Compagnia delle Indie e i Cinesi nell’Ottocento? ƒ Da dove proveniva l’oppio che l’Inghilterra vendeva in Cina? ƒ Da quando i Cinesi iniziarono a consumare l’oppio? ƒ Dove avvennero i primi incidenti tra Inglesi e Cinesi per il commercio dell’oppio? ƒ Che cosa ottennero gli Inglesi con il Trattato di Nanchino? ƒ Che importanza ebbe il traffico di oppio per lo sviluppo economico della Cina?

ƒ In quali condizioni politiche ed economiche si trovava la Cina nella seconda metà dell’Ottocento? ƒ Che rapporti economici c’erano fra la Cina e le altre potenze? ƒ Come nacque il contrasto fra Cinesi e Inglesi sulla questione dell’oppio? ƒ Quando e come si concluse la prima guerra dell’oppio? ƒ Quali conseguenze produsse l’indebolimento dell’Impero cinese?

IN DIGITALE

ƒ Prima e Dopo ƒ Video - La Cina e le guerre dell’oppio ƒ Immagine commentata - Stanley incontra Livingstone ƒ Online DOC - I lager inglesi in Sudafrica

ƒ Online DOC - Stanley incontra Livingstone ƒ Online DOC - Contro l’imperialismo ƒ Online STO - Le conseguenze della rivolta dei Boxers ƒ Audiosintesi Unità 15

MISURARE LE COMPETENZE

525

GLI EVENTI

IL TEMPO

Completa la frase. 1. Con la definizione di imperialismo si indica la politica di Napoleone Bonaparte la nascita dell’Impero tedesco la massiccia colonizzazione a opera di vari governi

Unisci opportunamente avvenimento e data, indicando il numero corrispondente della data nella colonna a destra di ogni avvenimento.

2. Il Congresso di Berlino fu convocato per accordarsi sulla spartizione delle colonie firmare la Triplice Alleanza risolvere la crisi balcanica 3. L’espansione francese in Africa aveva come centro di propulsione il Marocco si estendeva su un asse ovest-est si estendeva su un asse nord-sud 4. I Boeri, che combatterono contro gli Inglesi in Sudafrica, erano discendenti dei primi coloni olandesi discendenti dei primi coloni tedeschi una popolazione nera 5. La regione detta Cocincina o Vietnam divenne una colonia inglese francese giapponese 6. Alla fine dell’Ottocento il governo cinese incentivò il consumo dell’oppio ma fu ostacolato dalla Gran Bretagna per motivi etici gestì insieme a compagnie inglesi il traffico dell’oppio si oppose al consumo dell’oppio per motivi di sanità pubblica 7. Mediante il controllo di Panama gli Stati Uniti intendevano opporsi alla presenza spagnola nell’area costruire un canale navigabile costruire una importante base navale

LE PAROLE Definisci le seguenti espressioni: a. protettorato b. derviscio c. xenofobia d. isolazionismo

Avvenimento a Incidente di Fashoda tra Francia e Inghilterra b Rivoluzione dei Giovani Turchi c

Seconda guerra balcanica

d Rivolta dei boxers e La Francia occupa la Tunisia f

Congresso di Berlino

g La regina Vittoria incoronata imperatrice delle Indie h Fine della guerra anglo-boera Data 1

1876

2 1878 3 1881 4 1898 5 1900 6 1902 7 1908 8 1913

VERSO L’ESAME DI STATO a. Rispondi alle seguenti domande. ƒIn quale contesto politico si sviluppò l’imperialismo? ƒChe cosa stabilì la Conferenza di Berlino? ƒPerché scoppiò la guerra anglo-boera? ƒQuali caratteri ebbe il dominio inglese in India? ƒChe cosa furono le guerre dell’oppio? ƒQuali blocchi si formarono agli inizi del XX secolo? ƒQuali erano le principali tensioni nell’area balcanica? b. Il saggio breve: interpreta e confronta i seguenti materiali. ƒp. 507 – Le esplorazioni dell’Africa ƒp. 508 – La spartizione coloniale dell’Africa Successivamente, utilizzando anche le tue conoscenze, sviluppa l’argomento proposto nella forma del saggio breve, attribuendo alla composizione un titolo appropriato. Argomento. L’Africa da continente sconosciuto a obiettivo dell’imperialismo europeo

526

Indice dei nomi A

Agulhon, Maurice 136, 137 Alembert, Jean-Baptiste Le Rond detto d’ 51, 52, 56, 57, 58, 64 Alessandro I (zar di Russia) 160, 245, 246, 248 Angiulli, Andrea 373 Anna Stuart (regina d’Inghilterra) 30 Arabi Pascià 509 Arkwright, Richard 171 Armellini, Carlo 315

B

Babeuf, François-Noël (detto Gracco) 123, 277 Baekeland, Leo 436 Bailly, Jean-Sylvain 198 Bakunin, Michail Aleksandroviˇc 465, 466 Balbo, Cesare 281, 306, 307 Bandiera, Attilio 305, 318, 319 Bandiera, Emilio 305, 318, 319 Barras, Paul 125, 144, 217 Battarra, Giovanni 215 Bava Beccaris, Fiorenzo 203, 379 Beauharnais, Giuseppina de 144, 151, 153, 225, 229 Beccaria, Cesare 62, 63, 69, 72 Beethoven, Ludwig van 149, 221 Bell, Alexander Graham 380, 436 Bentham, Jeremy 258 Benz, Karl 416, 436 Berchet, Giovanni 278 Bergeron, Louis 149 Bessemer, Henry 436 Bianco, Carlo Angelo (conte di Saint-Jorioz) 303, 322 Bismarck, Otto Eduard Leopold von 329, 341, 342, 343, 344, 346, 366, 375, 408, 409, 410, 473, 479, 480, 481, 482, 496, 497, 504, 505, 516 Bixio, Nino 338 Blanc, Louis 261, 262, 310 Bobbio, Norberto 203 Boito, Camillo 421 Bolívar, Simón 289, 290, 291, 296, 297 Bonaparte, Carlo 151, 229 Bonaparte, Carlo Luigi Napoleone (Napoleone III) 151, 158, 230, 235, 242, 270, 299, 310, 311, 312, 329, 333, 334, 335, 336, 340, 341, 342, 344, 345, 347, 365, 366, 421, 422, 457, 473, 474, 504 Bonaparte, Carolina 144, 151, 223, 295 Bonaparte, François-Joseph-Charles 144 Bonaparte, Gerolamo 150, 151 Bonaparte, Giuseppe 151, 152, 383 Bonaparte, Luigi 150, 151 Bonaparte, Napoleone (imperatore dei Francesi e re d’Italia) 32, 120, 124, 125, 136, 143, 144, 145, 149, 155, 156, 158, 221, 222, 223, 234, 235, 242, 295, 310, 311, 319, 520 Bonaparte, Paolina 150, 151, 223 Boulanger, Georges-Ernest-Jean-Marie 475, 476 Boulton, Matthew 210 Bresci, Gaetano 203, 379 Brissot, Jacques-Pierre 112 Broglie, Victor de 198 Brown, John 489 Brush, Charles Francis 444 Buonarroti, Filippo 123, 276, 277, 303 Burke, Edmund 249, 252 Byron, George Gordon 282

C

Cadorna, Raffaele 367 Camus, Albert 203 Carducci, Giosue 373 Carlo Alberto (re di Sardegna) 275, 281, 299, 313, 314, 315, 405 Carlo Emanuele III (re di Sardegna) 46, 69 Carlo Emanuele IV (re di Sardegna) 124 Carlo Felice (re di Sardegna) 281 Carlo Filippo di Borbone (conte d’Artois) 198, 227 Carlo I Stuart (re d’Inghilterra) 203 Carlo II Stuart (re d’Inghilterra) 29 Carlo III di Borbone (re di Spagna e re di Napoli) 65, 69

Carlo VI (imperatore d’Austria) 33, 36 Carlo VIII (re di Francia) 157 Carlo X (re di Francia) 235, 269, 275, 283 Carlo XII (re di Svezia) 34, 245 Cartesio, Renato 53 Castlereagh, Robert Stewart 242, 243, 271 Caterina II (imperatrice di Russia) 52, 64, 66 Cattaneo, Carlo 305, 306, 313, 324 Cavaignac, Louis-Eugène 310 Cavour, Camillo Benso, conte di 306, 307, 319, 329, 330, 331, 332, 333, 334, 335, 336, 337, 339, 344, 349, 350, 353, 360, 367, 369, 372, 391 Chabod, Federico 327, 352 Chambers, Ephraim 57 Chastenet, Jacques 485 Chateaubriand, René de 88 Chrzanowski, Wojciech 315 Clemente XIII (papa) 58 Clemente XIV (papa) 65 Cobban, Alfred 135 Condorcet, Jean-Antoine-Nicolas 54 Confalonieri, Federico 278, 306, 307 Confalonieri, Teresa Casati 306, 307 Conrad, Joseph 151, 511 Cook, James 42, 44, 45, 47 Corday, Charlotte 118, 216, 220 Corsieri, Pietro 278 Costa, Andrea 369 Crispi, Francesco 327, 337, 338, 353, 359, 375, 376, 377, 378, 379, 403 Croce, Benedetto 269, 270, 368 Crompton, Samuel 171 Cromwell, Oliver 29 Curchod, Suzanne 100

D

D’Azeglio, Massimo 306, 307, 330, 331, 372 Daimler, Gottlieb 417, 436 Danton, Georges-Jacques 110, 111, 117, 120, 121 Darwin, Charles 414, 451, 462, 463, 464 Davis, Jacob 496 Davis, Jefferson 489 Davy, Humphry 444 Dawson, Frank 296 Depretis, Agostino 350, 359, 368, 369, 370, 375, 379, 381 Di Rudinì, Antonio 375, 378, 379 Diderot, Denis 51, 52, 56, 57, 100 Diesel, Rudolf 416 Disraeli, Benjamin 483, 486, 521 Dreser, Heinrich 468, 469 Dreux-Brézé, Michel de 198 Dreyfus, Alfred 475, 476, 477, 478, 497 Duby, Georges 149 Duke, David 427 Dunant, Henry 347, 348

E

Edison, Thomas Alva 410, 411, 436, 444, 445 Elgin, Thomas Bruce 158 Engelberg, Ernst 409 Engels, Friedrich 262, 263, 264, 268, 327, 465 Enrico IV (re d’Inghilterra) 197, 223 Erodoto 157, 520

F

Federico Guglielmo I (il re Sergente, re di Prussia e Brandeburgo) 27, 28, 68 Federico Guglielmo IV (re di Prussia) 312, 317, 341, 409 Federico I (re di Prussia e Brandeburgo) 27 Federico II (re di Prussia e Brandeburgo, detto il Grande) 36, 37, 52, 64, 68, 69, 75 Ferdinando I (imperatore d’Austria) 311 Ferdinando I (re di Napoli) 247, 280 Ferdinando II (re delle Due Sicilie) 313, 314, 330, 405 Ferdinando III d’Asburgo-Lorena (granduca di Toscana) 69, 247 Ferdinando VII di Borbone (re di Spagna) 275, 280 Ferry, Jules 475 Fichte, Johann Gottlieb 267

Filippo V (Filippo d’Angiò, re di Spagna) 32 Fleming, Alexander 436 Ford, Henry 408, 410, 411, 417, 433, 434, 438, 446, 448, 449 Fornés, Paul 228 Forshufvud, Sten 227, 228, 229 Foscolo, Ugo 278 Fourier, François-Marie-Charles 261 Francesco Giuseppe d’Asburgo (imperatore d’Austria) 311, 317, 409, 417 Francesco II (re delle Due Sicilie) 338, 362, 392, 405 Francesco IV d’Este (duca di Modena) 247, 285 Francesco Stefano di Lorena (Francesco I, imperatore d’Austria) 245 Franklin, Benjamin 84, 92 Frapolli, Francesco 414 Furet, François 129, 135, 136, 137, 229

G

Galante Garrone, Alessandro 353 Galasso, Giuseppe 350, 351 Galbraith, John Kenneth 291 Galiani, Ferdinando 62, 100 Galilei, Galileo 53, 463 Galli della Loggia, Ernesto 349, 353 Garibaldi, Anita 307 Garibaldi, Giuseppe 304, 306, 316, 322, 323, 329, 331, 332, 335, 336, 337, 338, 339, 353, 355, 356, 357, 365, 366, 368, 377, 392, 395, 400, 402, 404, 405, 406, 407 Genovesi, Antonio 62 Gentile, Emilio 353, 399 Gervinus, Georg 269 Giacomo II Stuart (re d’Inghilterra) 29, 30, 46 Ginsborg, Paul 322, 323 Gioberti, Vincenzo 306, 313, 325 Giolitti, Giovanni 350, 359, 375, 377, 379 Giorgio I di Hannover (re d’Inghilterra) 30 Giovanni VI (re del Portogallo) 280, 289 Giuseppe II d’Asburgo (imperatore d’Austria) 52, 67, 69, 415 Gladstone, William Ewart 395, 483, 484, 486 Gobetti, Piero 349, 350 Goethe, Johann Wolfgang 251 Goubert, Jean-Pierre 18 Gouges, Olympe de 129 Gramsci, Antonio 349, 350, 351, 352, 404, 448 Grant, James August 507 Grant, Ulysses 490 Gregorio XVI (papa) 257, 313 Gua de Malves, Jean-Paul (abate) 57 Guericke, Otto von 209 Guerrazzi, Francesco Domenico 315 Guglielmo I (re di Prussia e imperatore di Germania) 270, 341, 344, 409, 410 Guglielmo II (re di Prussia e imperatore di Germania) 409, 410, 417, 479, 482, 503, 516, 517 Guillotin, Joseph-Ignace 200 Guizot, François-Pierre 308, 309

H

Hardenberg, Karl August von 242, 243 Hébert, Jacques-René 110, 111, 119, 120 Herder, Johann Gottfried 251 Hobbes, Thomas 23, 46, 203 Hobsbawm, Eric J. 269, 270, 271 Hoffmann, Felix 468 Hugo, Victor 185, 230, 231, 232, 233, 294, 422

I J

Isabella II di Borbone (regina di Spagna) 428, 429

K

Kant, Immanuel 54, 64, 203 Kay, John 171 Kintz, Pascal 228 Kipling, Rudyard 506, 507, 522 Kissinger, Henry 269, 270, 271

Jackson, Andrew 488, 499 Jaurès, Jean 134, 135, 455 Jefferson, Thomas 84, 88, 92

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Indice dei nomi Montanelli, Giuseppe 315 Montanelli, Indro 354 Montesquieu, Charles de Secondat, barone di 56, 59, 60, 64, 70, 87, 110, 119, 256 Montholon, Charles-Tristan 227, 229 Morelli, Michele 280 Moro, Tommaso 264 Murat, Gioacchino 151, 152, 160, 161, 295, 334 Mussolini, Benito 294, 349, 350 Mutsuhito (imperatore del Giappone) 473, 493, 494, 495, 500

Klinger, Friedrich Maximilian 251 Knox, Henry 498 Kossuth, Lajos 311

L

La Fayette, Joseph de 105, 106, 110, 111, 112 La Loggia, Enrico 377 La Mennais, Félicité de 257 La Révellière-Lepaux, Louis Marie de 125 Lacordaire, Jean-Baptiste-Henri 257 Lambruschini, Pietro 313 Las Cases, Emmanuel (conte di) 160, 234 Launay, Bernard-René-Jourdan 105 Lavoisier, Antoine-Laurent 53, 118 Le Baron Jenney, William 436 Le Breton, André 57 Lee, Robert Edward 490 Lefebvre, Georges 119, 134 Leibnitz, Gottfried 28 Leopoldo di Hohenzollern Leopoldo di Sassonia-Coburgo (re del Belgio) 284 Leopoldo I (imperatore d’Austria) 33 Leopoldo II (granduca di Toscana) 32, 67, 69, 313, 314, 315 Leopoldo II (re del Belgio) 509, 511 Lesseps, Ferdinand de 520, 521 Lilienthal, Otto 416 Lilley, Peter 172 Lincoln, Abraham 489, 490 Lindberg, Charles 416 Livingstone, David 506, 507, 510, 511 Lobkowitz, Franz Joseph von 149 Locke, John 30, 46, 47, 49, 52, 59, 60, 70, 92, 95, 110, 131, 202, 256 Louis, Antoine 200 Ludd, Ned 177 Luigi Filippo d’Orléans (re di Francia) 106, 230, 235, 269, 275, 283, 284, 308, 309, 345, 422 Luigi XII (re di Francia) 157 Luigi XIV (il re Sole, re di Francia) 17, 24, 29, 31, 32, 40, 53 Luigi XV (re di Francia) 21, 65, 100 Luigi XVI (re di Francia) 65, 101, 101, 102, 103, 104, 106, 108, 109, 112, 113, 115, 129, 136, 137, 196, 197, 198, 199, 200, 202, 203, 204, 205, 206, 207, 217, 219, 229, 234, 244 Luigi XVIII (re di Francia) 155, 244, 245, 246, 283

Patrice 246, 424, 474, 475 M Mac-Mahon, Mack Smith, Denis 368, 395 Maistre, Joseph de 249, 250, 252 Marat, Jean-Paul 110, 111, 118, 217, 219, 220 Marchand, Louis 227 Marconi, Guglielmo 436 Maria Antonietta (regina di Francia) 102, 109, 113, 115, 118, 129, 204, 205, 206, 207 Maria Luisa d’Austria (duchessa di Parma) 151, 153, 155, 247 Maria Stuart (regina di Scozia) 29, 48 Maria Teresa (imperatrice di Germania e regina di Ungheria e Boemia) 32, 36, 52, 64, 67, 69, 102, 204, 247 Martino, Angelo 396, 397 Marx, Karl 19, 262, 263, 264, 268, 305, 318, 326, 327, 377, 448, 451, 454, 455, 459, 465, 466 Massari, Giuseppe 383 Masséna, André 126 Maurras, Charles 476 Mayer, Arno J. 19 Mazzini, Giuseppe 303, 304, 305, 306, 314, 315, 317, 321, 322, 323, 326, 327, 331, 332, 349, 353, 355, 368, 377, 454 Menelik (imperatore d’Etiopia) 375, 376, 378 Menotti, Ciro 285 Metternich, Klemens Wenzel Lothar von 242, 243, 269, 271, 281, 285, 311, 409 Meucci, Antonio 380, 436 Michelet, Jules 134, 176 Mill, James 258 Mill, John Stuart 258 Minghetti, Marco 368, 369, 379 Minichini, Luigi 280 Mirabeau, Gabriel-Honoré 110, 111, 137 Molière 21 Monier, Joseph 436 Monroe, James 288, 289, 518

N

S

Saffi, Aurelio 315, 327 Said, Mohammed 520, 521 Saint-Jorioz, Carlo Bianco di 303, 322, 323, Saint-Just, Louis-Antoine-Léon de 115, 119, 121, 200 Saint-Simon, Claude-Henri (conte di) 261, 461 Salasco, Carlo 315 San Martín, José de 289, 290 Santamaria, Gianni 353 Santarosa, Santorre di 281, 282 Santerre, Antoine 202 Sarti, Roland 326 Savery, Thomas 209 Savorgnan di Brazzà, Pietro 506, 507 Schiller, Friedrich 251 Sella, Quintino 364, 379 Sertürner, Adam 469 Sestan, Ernesto 273 Settembrini, Domenico 326, 327 Siemens, Werner von 436 Sieyès, Emmanuel-Joseph 104 Silvati, Giuseppe 280 Smith, Adam 51, 60, 61, 256, 260, 262, 440 Smith, Denis Mac 368, 395 Smith, Hamilton 227 Sobieski, Giovanni (re di Polonia) 33 Soboul, Albert 134 Speke, John Hanning 507 Staël, Madame de (Anne-Louis-Germaine Necker) 100, 145, 229 Stanley, Henry Morton 506, 507, 510, 511 Staps, Frédéric 161 Stephenson, George 210, 293 Strang, Herbert 418 Strauss, Levi 318, 496 Sucre, Antonio José de 296, 297 Swan, Joseph Wilson 444

T

Tacito 272 Talleyrand-Périgord, Charles-Maurice de 160, 235, 242, 243, 244 Tallien, Thérésa 217 Tanucci, Bernardo 69, 399 Taylor, Frederick Winslow 433, 434, 437, 438 Thiers, Adolphe 345, 346, 474 Tilak, Bal Gangadhar 513 Tocqueville, Alexis de 175, 259 Trevithick, Richard 210, 292, 293 Tulard, Jean 160, 161 Turati, Filippo 327, 350, 379 Turgot, Anne-Jacques-Robert 65 Turner, Frederick Jackson 488

U

Umberto I (re d’Italia) 203, 375, 378, 379, 419, 420

V

Venturi, Franco 52 Verdi, Giuseppe 318, 373 Verri, Alessandro 57, 62 Verri, Pietro 57, 62 Viglione, Massimo 127, 353 Villari, Lucio 117, 119, 197, 200, 201, 202 Villermé, Louis-René 175, 218 Viroli, Maurizio 203, 326 Vittorio Amedeo III (re di Sardegna) 124 Vittorio Emanuele I (re di Sardegna) 247, 281, 405 Vittorio Emanuele II (re d’Italia) 315, 330, 332, 335, 336, 337, 339, 349, 368, 374, 403, 405, 407, 501 Vittorio Emanuele III (re d’Italia) 379 Voltaire (François-Marie Arouet) 52, 56, 58, 64, 68

Namier, Lewis 327 Necker, Jacques 100, 101, 137, 197 Negrelli, Luigi 520, 521 Nelson, Horatio 126, 150 Nesselrode, Karl Vasil’eviˇc 242, 243 Newcomen, Thomas 167, 173, 209 Newton, Isaac 53 Nicola I (zar di Russia) 285, 311, 317 Nicola II (zar di Russia) 417, 500 Novalis (Friedrich von Hardenberg) 249

Alfredo 327, 349 O Oriani, Orsini, Felice 334 Ottone I di Baviera (re di Grecia) 282 Oudinot, Nicolas-Charles-Victor 316, 317 Owen, Robert 260, 261 Ozanam, Frédéric 262 Ozouf, Mona 117, 135

P

Palmerston, Henry John Temple 521 Panckoucke, Charles-Louis-Fleury 58 Pareto, Vilfredo 368 Parnell, Charles Stewart 484 Pellicciari, Angela 353 Pellico, Silvio 278 Pelloux, Luigi Girolamo 359, 379 Pepe, Guglielmo 280, 281 Perry, Matthew 495, 500, 501 Persano, Carlo Pellion (conte di) 365 Pietro I (il Grande, zar di Russia) 17, 24, 25, 26, 34, 66, 500 Pietro III (zar di Russia) 66 Pietro Leopoldo di Lorena Asburgo (vedi Leopoldo II) Pilo, Rosolino 337 Pio VI (papa) 108 Pio VII (papa) 148, 223, 247 Pio IX (papa) 313, 314, 315, 325, 330, 351, 353, 367, 368, 451, 466, 467, 481 Pisacane, Carlo 323, 332 Platone 264 Poincaré, Raymond 476 Polanyi, Karl 269, 270 Polignac, Jules Auguste Armand Marie de 283 Porro Lambertenghi, Luigi 278 Proudhon, Pierre-Joseph 262, 454 Pugaˇcëv, Emmelian 66 Puškin, Aleksandr 119

Q Quesnay, François 51, 60 Johann Joseph 313, 314, 315, 330 R Radetzky, Ramolino, Letizia 151, 223, 229 Rao, Anna Maria 127 Rattazzi, Urbano 330, 365, 366, 369 Rémond, René 112 Reubell, Jean-François 125 Rhodes, Cecil 510 Ricardo, David 262 Ricasoli, Bettino 360, 379 Richet, Denis 135 Robespierre, Maximilien de 101, 109, 110, 111, 112, 113, 115, 117, 118, 119, 120, 121, 122, 129, 134, 136, 137, 199, 200, 216, 219 Romano, Ruggiero 410, 411, 449 Romano, Sergio 500, 501 Romeo, Rosario 350, 352 Roosevelt, Theodore 237, 519 Ross, John 499 Rouget de l’Isle, Claude 113 Rousseau, Jean-Jacques 54, 56, 59, 60, 70, 92, 119, 137, 144, 214, 258, 261, 270, 326 Rubattino, Raffaele 371 Ruffo, Fabrizio 126, 127

George 79, 84, 86, 88, 89, 91, 498 W Washington, Watt, James 167, 171, 173, 209, 210, 292, 434, 435 Weber, Max 174 Weider, Ben 227, 228, 229 Wellesley, Arthur (duca di Wellington) 152 Wilde, Oscar 485 Wright, Orville 171, 416, 417, 436 Wright, Wilbur 171, 416, 417, 436

Y Z

Ypsilanti, Alexandros 281, 282 Zanardelli, Giuseppe 375, 379 Zeppelin, Ferdinand von 417 Zola, Émile 455, 477, 478, 497

Gli Autori rivolgono un sincero ringraziamento a quanti hanno collaborato a quest’opera: Miryam Bergero, Franco Bisio, Stefania Franco, Fernanda Marchiol

Coordinamento editoriale: Paolo Casari Coordinamento redazionale e redazione: Ombretta Ranzanigo Cartografia: Daniela Blandino Videoimpaginazione: Ediweb, Como

In copertina: Jacques-Louis David, L’incoronazione di Napoleone, 1805-1807. Parigi, Musée du Louvre.

Le immagini sono di proprietà dell’Archivio fotografico dell’Editrice La Scuola. Altre referenze iconografiche: Bigstock, Shutterstock.

Gli articoli che compongono l’inserto Magazine (193-240) sono stati adattati da: pp. 197, 200, 202: AAVV, 1789-1799 I dieci anni che sconvolsero il mondo, La presa della Bastiglia, supplemento a «La Repubblica», n. 1, 1989 ƒ p. 203: Norberto Bobbio, È lecito uccidere il tiranno?, La Stampa, 21 settembre 1986 – La violenza oscura, La Stampa, 27 dicembre 1984 ƒ p. 209: Nadeije Laneyerie-Dragon, La machine à vapeur, le rail e le Chemin de fer, in «Memoire» 2000, Larousse ƒ p. 210: Joel Mokyr, Leggere la rivoluzione industriale. Un bilancio storiografico, il Mulino ƒ p. 213: Mirella Serri, La mamma? Nasce col cittadino, in «La Stampa», 12 novembre 1997 ƒ p. 214: Maria Rosa Sobrero Come si viveva. La vita nella società industriale, Paravia, 1981 ƒ p. 216: Daria Galateria, in 1789-1799 I dieci anni che sconvolsero il mondo, La rivoluzione in crisi, Aspettando l’imperatore, supplementi a «La Repubblica», n.5 e 6, 1989 ƒ p. 227: Thierry Lentz, Napoleon est-il mort empoisonné à l’arsenic?, in «L’Histoire», 257 ƒ p. 234: Lionel Jospin, Le mal napoléonien, Ed. du Seuil. Gli articoli che compongono l’inserto Magazine (385-432) sono stati adattati da: ƒ p. 390: Alessandro Barbero, in «La Stampa», 21 ottobre 2012 ƒ p. 392: Antonio Pagano, Due Sicilie - Anno IV Numero 4 - Luglio 1999 ƒ p. 396 Recensioni, Angelo Martino, 5 settembre 2013 ƒ p. 398 Pino Aprile, Terroni, Piemme ƒ p. 399: Emilio Gentile, Italiani senza padri. Intervista sul Risorgimento, a cura di Simonetta Fiori, Laterza ƒ p. 408: Alan Palmer, Bismarck, Editoriale Nuova, 1976 ƒ p. 410: Ruggiero Romano, H. Ford, in I protagonisti, CEI, Milano, 1966 ƒ p. 413: Anne Vincent-Buffault, Maschio e femmina e il piacere di piangere nei secoli XVIII e XIX, in «Storia e Dossier», 10 ƒ p. 414 Giorgio Maggioni, Sulla pelle dei contadini, in «Storia e Dossier», 45 ƒ p. 416 Richard Overy, The wheels and wings of progress, in «History Today», 42/9 ƒ p. Guido Lopez, Milano 1881, con l’Expo nasce l’Italia industriale, in «Storia», Mondadori, 281 ƒ p. André Kaspi, Le temps de la ségrégation, in «Les Collections de l’Histoire», 7 – André Kaspi, Le Ku Klux Klan: une secte terroriste, in «L’Histoire».

L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare nonché per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nelle citazioni delle fonti dei brani riportati nel presente volume. I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm), sono riservati per tutti i Paesi. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/ fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941, n. 633. Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana n. 108, 20122 Milano, e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org

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2

INDICE

SEZIONE 1 - L’ESSENZIALE

L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare nonché per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nelle citazioni delle fonti dei brani riportati nel presente volume. I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm), sono riservati per tutti i Paesi. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941, n. 633. Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana n. 108, 20122 Milano, e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org © Copyright by Editrice La Scuola, 2017 Stampa: Errestampa S.r.l.

3

1. L’Europa tra Sei e Settecento

4

2. La primavera dei Lumi

9

3. La Rivoluzione americana

13

4. La Rivoluzione francese

15

5. L’età napoleonica

22

6. La prima rivoluzione industriale

25

7. Restaurazione e opposizioni

28

8. I moti degli anni Venti e Trenta

32

9. Le rivoluzioni del 1848

35

10. L’unificazione italiana e tedesca

38

11. L’Italia nell’età della Destra e della Sinistra storica

42

12. La seconda rivoluzione industriale

48

13. La società dell’Ottocento e le sue contraddizioni 50 14. Le grandi potenze

55

15. La spartizione imperialistica del mondo

60

SEZIONE 2 - COMPETENZE E METODO

63

1. Fare una relazione

64

2. Costruire un dossier

66

3. Individuare la tesi dell’autore

77

4. Individuare informazioni storiche in un testo letterario

81

5. Comprendere le posizioni di un dibattito

89

6. Comporre un tema storiografico

94

SEZIONE 1 L’ESSENZIALE

L’appartamento di Napoleone presso il museo del Louvre a Parigi.

SEZIONE 1

4

L’ESSENZIALE

1. L’Europa tra Sei e Settecento NOZIONE CHIAVE

1. CHE COSA INDICA L’ESPRESSIONE «ANTICO REGIME»?

ORDINE L’insieme degli individui che godono degli stessi diritti. Si appartiene a un ordine per motivi giuridici e non economici. In uno stesso ordine coesistono persone di ricchezza assai diversa. Per esempio, appartengono al Terzo stato sia i banchieri che i contadini.

Alla ine del Settecento i rivoluzionari francesi usarono l’espressione «Antico regime», in riferimento alla società dell’Europa settecentesca, per indicare il sistema che volevano abbattere. Attualmente con questa espressione gli storici indicano l’insieme di aspetti economici, politici, sociali e giuridici, caratteristici della storia europea tra il XIV secolo e il 1789.

GENTILUOMO Questo termine veniva usato nell’antico regime per indicare l’appartenente alla nobiltà, colui che discendeva da una gens importante: aveva quindi un preciso significato sociale. Nel linguaggio odierno indica più semplicemente colui che ha un comportamento signorile, educato, o che agisce in modo onesto.

Chi erano i nobili e i borghesi? La nobiltà rappresentava circa il 2% della popolazione europea ma controllava il 50% dei feudi più importanti. Il gentiluomo doveva disinteressarsi del denaro e disporre con liberalità delle ricchezze e anche quando, a causa di questo, iniva in miseria, manteneva comunque i privilegi onoriici. La borghesia doveva la sua fortuna all’impegno negli afari o nelle professioni liberali ed era caratterizzata dallo spirito imprenditoriale, dalla dedizione professionale e dall’attenzione nella gestione del proprio patrimonio.

Quali aspetti caratterizzavano le società d’Antico regime? Le società d’Antico regime erano fondate su un’economia agricola, socialmente suddivise in ordini, e politicamente caratterizzate da uno Stato assoluto concepito come una proprietà del sovrano. I diritti erano considerati come privilegi elargiti e garantiti dall’autorità e la distinzione nei tre ordini corrispondeva alle funzioni che dovevano essere esercitate nella società: il clero doveva pregare per la comunità e amministrare il culto divino, la nobiltà doveva garantire la difesa dello Stato e il Terzo stato doveva lavorare per garantire i mezzi di sussistenza.

2. LO STATO D’ANTICO REGIME Che cos’era lo Stato assoluto? Fino al XV secolo il potere sovrano era subordinato al rispetto dei privilegi degli ordini e il re era considerato un supremo magistrato. Progressivamente, però, i sovrani rivendicarono un potere assoluto, che fosse sciolto dal rispetto della legge e costituisse il principio di ogni legalità. Il sovrano assoluto: ƒpretendeva obbedienza e collaborazione dal clero, poiché si presentava come portatore di un potere sacro di origine divina. L’identiica-

UNITÀ 1 - L’Europa tra Sei e Settecento

5

zione Chiesa-Stato era alla base dell’intolleranza verso le minoranze religiose; ƒconsiderava lo Stato come un patrimonio della dinastia regnante, come un bene di sua proprietà che passava in eredità ai igli.

3. L’ASSOLUTISMO IN RUSSIA E PRUSSIA Quali sono stati i meriti dello zar Pietro il Grande? Lo zar Pietro I il Grande, dopo aver assunto il potere nel 1689, tentò di far uscire il suo Paese dall’isolamento in cui era rimasto ino ad allora, applicando alla Russia i modelli di organizzazione statale assolutistica occidentale. Per rendere più eiciente l’organizzazione dello Stato sostituì la Duma dei boiari con un Senato costituito da nove membri, nel 1722 introdusse la Tavola dei ranghi con cui sancì il criterio del merito per la promozione sociale, sottomise la Chiesa ortodossa aidandone il governo al Santo Sinodo, costituì un esercito permanente e una lotta militare, necessari per garantire al Paese uno sbocco sul mare. Inoltre fondò San Pietroburgo come nuova capitale, e tentò di creare un apparato culturale e un sistema scolastico sul modello europeo. Quali riforme caratterizzarono la Prussia di Federico Guglielmo? La Prussia degli Hohenzollern si presentava come un regno frammentato territorialmente, povero e arretrato. Federico Guglielmo I (1713-1740) diede l’avvio a un’opera di rinnovamento cercando di costruire un apparato statale centralistico interamente sottoposto al suo controllo. Istituì, perciò, un Commissario generale per amministrare in modo unitario i diversi domini della corona, eliminò le autonomie cittadine, organizzò un eficiente sistema iscale e raforzò l’esercito istituendo il servizio militare obbligatorio. Inoltre promosse la cultura fondando l’università di Halle, l’Accademia delle Arti e l’Accademia delle Scienze.

4. L’ALTERNATIVA INGLESE: LA MONARCHIA COSTITUZIONALE Come si giunse alla Gloriosa Rivoluzione e quali furono le sue conseguenze? Dopo la dittatura di Cromwell, il tentativo della monarchia Stuart di reimporre l’assolutismo fece precipitare lo scontro con il Parlamento che, nel 1688, ofrì la corona a Guglielmo d’Orange. Nella discussione che portò a questa decisione, i diversi orientamenti presenti nel Parlamento si costi-

NOZIONE CHIAVE DUMA DEI BOIARI In origine era un consiglio di Stato che affiancava i principi della Moscovia e esprimeva soprattutto le pretese della grande nobiltà. Nel Cinquecento, infatti, lo zar Ivan IV, che tentò di assicurarsi un potere assoluto, ne ridimensionò drasticamente il ruolo.

SEZIONE 1

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L’ESSENZIALE tuirono per la prima volta in partiti: i whigs, iloparlamentari, e i tories, difensori delle prerogative regie. Il Parlamento impose a Guglielmo di rinunciare all’assolutismo e di giurare una Dichiarazione dei diritti (1689) che garantiva la limitazione del potere regio, il raforzamento dei poteri del Parlamento e il rispetto dei diritti dei cittadini. La monarchia era così vincolata a un preciso patto di garanzie giuridiche contenute nella costituzione. Sulla base di questi princìpi, nel 1689 venne approvato anche l’Atto di tolleranza che poneva ine all’epoca delle persecuzioni religiose. Come si passò dall’Inghilterra alla Gran Bretagna? Morto Guglielmo d’Orange, la corona passò ad Anna, iglia di Giacomo II e ultima Stuart. Nel 1707 fu approvato un Atto di Unione con la Scozia, esteso nel 1800 anche all’Irlanda; nacque così il Regno Unito di Gran Bretagna che uniicò il Parlamento e il governo dei tre Stati.

5. UN ALTRO SECOLO DI GUERRE A che cosa portarono le pretese di supremazia della Francia? Il Re Sole, approittando della crisi della Spagna e dell’Impero austriaco, intendeva imporre la supremazia francese in Europa. Dopo aver sconitto la Spagna nella guerra dei Trent’anni, con la Dieta di Ratisbona (1684) la Francia raggiunse l’apice della sua supremazia. La situazione cambiò con la guerra di successione spagnola che, attraverso le paci di Utrecht (1713) e di Rastadt (1714), segnò la sconitta delle pretese di predominio francesi. Quando fu data un’organizzazione stabile all’area italiana? La pace di Aquisgrana (1748), giunta al termine della guerra di successione austriaca, stabilì che il Regno di Napoli doveva andare a Carlo di Borbone e la Lombardia agli Asburgo d’Austria. Il Piemonte sabaudo, che aveva già ottenuto il Monferrato, la Sardegna e il titolo regio, allargò i propri conini ino a Vigevano e Voghera. Come avvenne il tramonto della potenza ottomana? Nel 1683 l’esercito ottomano giunse ad assediare Vienna che fu salvata dall’intervento del sovrano polacco. La vittoria imperiale avviò il declino dell’Impero ottomano che venne sconitto dalla Lega Santa nel 1699. Una seconda umiliante sconitta fu portata ai Turchi nel 1717 dall’imperatore austriaco Carlo VI che confermò l’Austria come una delle maggiori potenze europee.

UNITÀ 1 - L’Europa tra Sei e Settecento

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Perché si combatté la seconda guerra del Nord (1700-21)? La Russia afrontò la Svezia nella seconda guerra del Nord per ottenere il controllo del Baltico e garantirsi così una «inestra sull’Europa». Le paci di Stoccolma (1720) e Nystadt (1721) chiusero la guerra e segnarono la ine dell’egemonia svedese sul Baltico a favore della Russia e della Prussia. Chi era Federico II detto il Grande? Federico II, sovrano di Prussia, era un personaggio determinato e spregiudicato che, sfruttando i problemi della successione austriaca emersi alla morte dell’imperatore Carlo VI, riuscì ad allargare i propri conini e a raddoppiare le sue risorse demograiche ed economiche ottenendo il controllo della Slesia. Chi furono i protagonisti della guerra dei Sette anni? L’aumento della potenza prussiana preoccupava Austria e Russia che, alleate con la Francia, contro la Prussia, appoggiata dall’Inghilterra, diedero il via alla guerra dei Sette anni (1756-63). Al termine del conlitto la pace di Hubertsburg lasciò la Slesia alla Prussia, mentre sul fronte coloniale la Gran Bretagna dimostrò la sua superiorità che fu ratiicata dalla pace di Parigi (1763).

Benjamin West, La morte del generale Wolfe, 1770. Ottawa, National Gallery of Canada. L'inglese James Wolfe è ricordato per le sue vittorie in Canada sui Francesi durante la guerra dei Sette anni.

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L’ESSENZIALE

6. LE NUOVE FRONTIERE DELL’OCCIDENTE Perché, alla ine del Settecento, l’Europa era il continente più ricco e potente? All’origine dello sviluppo europeo del Settecento vi erano fattori culturali, collegati alla ricerca scientiica e tecnologica, che favorirono l’accrescimento delle conoscenze geograiche, botaniche ed etnograiche dei mondi lontani. L’Inghilterra si distinse nel dominio coloniale grazie all’afermazione di un sistema politico che garantiva diritti e libertà e alla tutela della proprietà privata. In quest’epoca i progressi nel campo della navigazione condussero il navigatore James Cook a scoprire l’Australia, le Hawaii e a compiere la prima circumnavigazione del globo da est a ovest. Le navi di Cook nel 1776, durante il terzo viaggio del navigatore inglese, all’ancora nella baia di Huahine, un’isola a 175 chilometri (a nordovest) di Tahiti.

Quali erano le peculiarità dei grandi imperi asiatici? In Cina gli Europei incontrarono una cultura evoluta e rainata ma chiusa in se stessa. Grazie al commercio di tè, porcellane e sete con la Compagnia delle Indie Orientali e all’aumento demograico del XVIII secolo, la Cina conobbe una grande crescita economica ma questa velocità di espansione mise in crisi la capacità produttiva. In India, invece, il Paese fu indebolito a causa dei contrasti tra la cultura induista e quella musulmana che favorirono la conquista inglese. In Giappone, inine, si avviò un processo di accentramento del potere che, chiudendo il Paese in isolamento, riuscì a garantire la pace e l’ordine sociale.

UNITÀ 2 - La primavera dei Lumi

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2. La primavera dei Lumi 1. L’ILLUMINISMO: I PRINCÌPI FONDAMENTALI Quali furono le principali novità dell’Illuminismo? L’Illuminismo, il più importante movimento intellettuale dell’Europa del Settecento, conobbe la massima ioritura tra il 1763 e il 1789 (primavera dei Lumi). Il suo carattere fondamentale fu la iducia nella ragione applicata all’esperienza, che deve illuminare l’uomo. Per gli illuministi: ƒla ragione, che dev’essere applicata all’esperienza secondo il metodo della scienza sperimentale di Galileo, appartiene a tutti gli uomini: essi perciò sono uguali. Bisogna pertanto combattere i privilegi di ceto e promuovere il cosmopolitismo; ƒlo spirito critico porta a riiutare la tradizione e l’oscurantismo del passato. Le religioni positive, basate sulla cieca fede, sono da riiutare: si promuove la tolleranza religiosa propria della religione naturale; ƒla ragione può fornire modelli di organizzazione dello Stato migliori e più eicaci e la Storia è un progressivo passaggio a forme superiori di civiltà; ƒl’intellettuale ha un ruolo politico: deve educare gli uomini all’esercizio della ragione e liberarli dall’ignoranza, impegnandosi per divulgare le conoscenze e per far sì che esse siano applicate nella società. Perché l’Illuminismo fu caratterizzato da un atteggiamento ottimista? Per gli illuministi «naturale» è sempre sinonimo di «razionale» e ovunque rappresenta un «bene». Buona è in particolare la natura umana: in quanto soggetto razionale, ogni uomo ha diritto alla libertà, in una prospettiva egualitaria e cosmopolita. In conclusione, l’ottimismo illuminista è fondato sull’identiicazione natura-razionalità-bene e consiste sostanzialmente nel riconoscere all’uomo la possibilità di raggiungere la felicità.

2. INTELLETTUALI E OPINIONE PUBBLICA: L’ENCICLOPEDIA Quale importanza ebbe Voltaire? Voltaire fu il modello dell’intellettuale anticonformista e impegnato. Si batté contro le ingiustizie dell’Antico regime attraverso la mobilitazione dell’opinione pubblica. Teorizzava il rispetto delle libertà individuali, uno Stato tollerante e un cittadino sottoposto solo alla legge.

NOZIONE CHIAVE RELIGIONE POSITIVA È una religione fondata su verità che non sono naturali (cioè che non possono essere colte dalla ragione) ma che sono positivamente affermate da un’autorità, per esempio dalle Chiese o dalla rivelazione. OPINIONE PUBBLICA È l’insieme delle opinioni che i cittadini si formano circa un problema d’interesse generale. Parliamo di «opinione pubblica» perché riguarda interessi comuni, appunto «pubblici»; e perché si forma non come riflessione privata, ma attraverso un dibattito che coinvolge l’intera società, basandosi su informazioni che tutti possiedono.

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L’ESSENZIALE Come avvenne lo sviluppo dell’opinione pubblica? La formazione dell’opinione pubblica presuppone l’esistenza di mezzi di informazione che consentano la circolazione delle idee e di un potere politico che non la impedisca. Per questo la crescita dell’opinione pubblica si realizzò soprattutto nell’Inghilterra liberale del Settecento. Le notizie e i temi oferti dalla stampa iniziarono a circolare anche grazie alla nascita dei cafè, dei salotti, delle società di lettura e delle società scientiiche e accademiche. Perché venne pubblicata l’Enciclopedia? Per educare gli uomini all’uso della ragione era importante far conoscere le novità scientiiche. Ciò che serviva era un’opera di divulgazione, una sintesi delle conquiste più importanti cui l’uomo era pervenuto. A questa esigenza rispose l’Enciclopedia o dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri pubblicata, sotto la direzione di Denis Diderot (1713-1784) e Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert (1717-1783), tra il 1751 e il 1772. L’Enciclopedia fu il progetto attorno a cui si aggregò il partito ilosoico in Francia. Era un’opera libera impegnata nella battaglia per la conquista della libertà: combatteva contro la censura, i privilegi, il dispotismo, i procedimenti penali arbitrari, nella convinzione che sapere e libertà coincidessero. Nonostante tutte le opposizioni, in particolare della monarchia francese e della Chiesa cattolica (papa Clemente XIII la mise all’Indice), l’opera giunse al termine: l’edizione deinitiva in 35 volumi fu pubblicata nel 1777 ed ebbe un grande successo.

3. DOTTRINE POLITICHE ED ECONOMICHE Perché Montesquieu ritenne necessario introdurre il principio della separazione dei poteri? Montesquieu fu un deciso avversario dell’assolutismo e della tradizione giusnaturalistica. Al contrario di questa, egli riteneva che i sistemi giuridici dovessero essere adattati alle condizioni culturali, ambientali e politiche diverse da Stato a Stato. L’unico elemento comune in tutti gli Stati deve essere costituito da uno dei fondamentali princìpi giuridici moderni: la separazione dei poteri. Il potere legislativo (potere di fare le leggi), l’esecutivo (potere di governare applicando le leggi) e il giudiziario (potere di punire i delitti e giudicare le liti) devono appartenere a organi separati che si controllino a vicenda.

UNITÀ 2 - La primavera dei Lumi In che cosa consisteva la teoria della sovranità popolare di Rousseau? Secondo Rousseau originariamente l’uomo viveva in modo autosuiciente in uno stato di natura in cui le diseguaglianze non esistevano. Lo Stato è un’istituzione creata in seguito alla nascita della proprietà privata, che ha generato le diseguaglianze sociali, per proteggere i padroni e i potenti. Nello Stato politico l’uomo dipende dagli altri per soddisfare bisogni creati artiicialmente. Rousseau propose un nuovo contratto sociale per dar vita a uno Stato democratico e repubblicano, fondato sulla sovranità popolare e sulla democrazia diretta, al ine di ripristinare l’uguaglianza iniziale di tutti gli uomini. Quali erano i princìpi della scuola isiocratica? Con la scuola isiocratica nacque la scienza economica, volta a spiegare scientiicamente i meccanismi della produzione e della distribuzione della ricchezza. Per i isiocratici solo l’agricoltura crea nuova ricchezza, cioè una quantità di merci superiore a quella introdotta nel processo produttivo. Industria e commercio si limitano invece a trasformare e a spostare le merci. Occorre «lasciar dominare la natura» e le sue leggi: lo Stato non deve intervenire nell’economia. Perché è importante Adam Smith? Adam Smith fondò la più importante scuola economica illuminista, il liberismo. Secondo Smith l’origine della ricchezza è il lavoro e l’intervento dello Stato nell’economia è dannoso: il mercato, attraverso la legge della concorrenza, è in grado di autoregolarsi e di garantire la massima valorizzazione possibile di tutte le risorse e la difusione del benessere.

4. L’ILLUMINISMO IN ITALIA Come si difusero in Italia le idee illuministiche? In Italia le idee illuministiche si difusero soprattutto in Lombardia per opera del gruppo di illuministi che si raccolse attorno all’Accademia dei Pugni, fondata nel 1761-62 dai fratelli Verri. Tra di loro merita di essere ricordato Giuseppe Parini che, con la sua satira pungente, rappresentò una delle voci di critica illuministica alla nobiltà del suo tempo. Nel Mezzogiorno d’Italia, la vivacità intellettuale degli illuministi non trovò invece il terreno adatto alla realizzazione di riforme signiicative. Perché fu molto importante l’opera di Beccaria? L’esponente principale dell’Illuminismo in Italia fu Cesare Beccaria che, nel

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L’ESSENZIALE trattato Dei delitti e delle pene, si pronunciò contro la pena di morte e la tortura sostenendo che il ine delle pene è quello di «impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi concittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali e che le leggi devono essere fondate sul contratto sociale, il cui obiettivo è la massima felicità nel maggior numero». L’impostazione di Beccaria proponeva una laicizzazione del diritto penale e avviò in tutta Europa un vivace dibattito sulla giustizia.

5. IL DISPOTISMO ILLUMINATO

Dmitry Levitzky, Caterina II, 1782. Mosca, Tretyakov Gallery.

Come risposero i sovrani alle richieste degli illuministi? Molti sovrani assoluti, inluenzati dalle idee illuministe, realizzarono una serie di riforme. In realtà intendevano raforzare l’autorità dello Stato sui poteri della nobiltà e della Chiesa, perciò il dispotismo illuminato non intaccò signiicativamente l’Antico regime. Le riforme si proponevano di: ƒrendere più razionale l’organizzazione burocratica dello Stato; ƒimporre le tasse anche a nobiltà e clero; ƒestendere la giurisdizione sulle Chiese nazionali (giurisdizionalismo) per sottrarre loro proprietà, antichi privilegi e il monopolio della cultura e dell’istruzione. Molti sovrani illuminati introdussero nuovi codici di leggi che abolivano la tortura e limitavano il ricorso alla pena di morte. Inoltre cercarono di diffondere la scolarizzazione e la tolleranza religiosa. Spesso l’opposizione dei ceti privilegiati, ma anche dei contadini, che difendevano la religione tradizionale, determinò il fallimento delle riforme. In quale Stato italiano vi furono riforme signiicative? Le riforme furono promosse in Russia da Caterina II, in Austria da Maria Teresa e dal iglio Giuseppe II, in Prussia da Federico II il Grande. In Italia le riforme furono realizzate soprattutto in Lombardia e in Toscana, la prima, sotto il dominio asburgico, conobbe una rinascita economica e culturale, nella seconda, governata da Pietro Leopoldo, venne introdotto il primo codice penale moderno: il Codice Leopoldino (1786). Nel Regno di Napoli, nonostante l’attivismo di alcuni intellettuali, non ci furono riforme di rilievo. Merita di essere ricordato il caso del Regno di Sardegna dove Vittorio Amedeo II (1675-1730) e Carlo Emanuele III (1730-1773), pur non richiamandosi all’Illuminismo, dimostrarono una capacità riformatrice interessante per la sua precocità che addirittura anticipò la stagione del dispotismo illuminato.

UNITÀ 3 - La Rivoluzione americana

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3. La Rivoluzione americana 1. IL NORD AMERICA NEL SETTECENTO Chi erano i pellerossa? Le popolazioni di indiani d’America che abitavano il territorio corrispondente agli attuali Stati Uniti e a parte del Canada erano chiamati dagli Europei «pellerossa» per la loro usanza di dipingersi il corpo di rosso in occasione delle battaglie. Erano organizzati in tribù e vivevano di caccia, allevamento e coltivazione. Chi aveva colonizzato l’America del Nord? Tra Sei e Settecento la parte orientale dell’America del Nord era stata colonizzata da Francesi, Spagnoli e Inglesi. Le prime comunità erano formate da Europei fuggiti a causa delle persecuzioni religiose o politiche, e da avventurieri. La società coloniale era multietnica e non conosceva privilegi di nascita. Ciò che contava era l’operosità e l’ingegnosità. Si trattava di un mondo aperto alla libertà, alla cultura e alla tolleranza. Le tredici colonie inglesi avevano organismi di autogoverno che ampliarono progressivamente le proprie prerogative. Com’era l’economia delle colonie? L’economia delle colonie era diversiicata: quelle del Nord si basavano su agricoltura cerealicola, allevamento di bestiame e pesca; quelle del Sud poggiavano invece sulla coltivazione intensiva di tabacco e cotone e sullo sfruttamento degli schiavi neri.

2. LA GUERRA DI INDIPENDENZA Perché si scatenò la rivoluzione? Con la crescita economica, i coloni inglesi rivendicarono maggiore libertà e il diritto di essere rappresentati nel Parlamento britannico. La madrepatria, invece, intendeva solo sfruttare la ricchezza delle colonie con tasse e vincoli al commercio. Gli Americani si ribellarono e boicottarono le merci inglesi, ma la repressione aumentò e iniziarono gli scontri armati. Gli Americani crearono un esercito alla cui guida fu posto George Washington. Il 4 luglio 1776 il Congresso continentale votò la Dichiarazione d’indipendenza in

NOZIONE CHIAVE MADREPATRIA La parola, composta da madre e patria, indica in genere la patria d’origine di chi si trova a vivere in un territorio straniero. Il termine indica anche lo Stato che esercita il dominio sulle proprie colonie, come nel caso dell’Inghilterra rispetto alle colonie americane.

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L’ESSENZIALE cui si afermava che gli uomini hanno uguali diritti e che i governi debbono fondarsi sul consenso del popolo. La tesi dell’indipendenza dalla Gran Bretagna spaccò il fronte della protesta in lealisti e indipendentisti. Come si giunse all’indipendenza? La guerra iniziò nel 1776. Le prime fasi del conlitto furono sfavorevoli per Washington ma, nell’ottobre del 1777, l’esercito americano ricevette il sostegno della Francia e gli Inglesi subirono la loro prima sconitta a Saratoga. L’esercito inglese fu deinitivamente sconitto nel 1781 e il Trattato di Versailles (1783) sancì l’indipendenza delle tredici colonie. La Gran Bretagna rimase comunque la prima potenza commerciale e coloniale.

3. GLI USA, UNO STATO FEDERALE

George Washington in un ritratto dell’epoca.

Come sorsero gli Stati Uniti d’America? Le tredici colonie dovevano dar vita a un nuovo Stato unitario, operazione assai diicile per territori che non volevano rinunciare alla propria autonomia. Si trattava di scegliere tra essere una federazione oppure una confederazione. Il primo progetto di costituzione federale rimase un semplice patto di alleanza ma, a guerra vinta, l’Ordinanza del Nord-ovest ammise a far parte dell’Unione nuovi Stati con pari dignità. La ine della guerra portò con sé anche una crisi economica da cui si poteva uscire solo aidando il governo a una forte autorità centrale, così si impose la linea federalista e repubblicana e nacquero gli Stati Uniti d’America, di cui Washington fu il primo presidente. La nuova Costituzione, deinita il 17 settembre 1787 e ancora in vigore: ƒassegna agli organi centrali (federali) la difesa nazionale, il commercio, la politica estera e quella economica e inanziaria. Ai singoli Stati vanno le altre competenze; ƒ attua la divisione dei poteri assegnando il legislativo al Congresso, l’esecutivo al presidente e il giudiziario alla Corte Suprema. Il diritto di voto era prerogativa dei maschi maggiorenni che godevano di un certo livello di ricchezza.

UNITÀ 4 - La Rivoluzione francese

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4. La Rivoluzione francese 1. LA CRISI DELL’ANTICO REGIME IN FRANCIA Come andò in crisi l’Antico regime in Francia? In Francia la crisi dell’Antico regime sfociò in una rivoluzione: il Terzo stato rivendicò i propri diritti contro i privilegi e gli abusi di clero e nobiltà. L’Illuminismo e la Rivoluzione americana inluenzarono quest’evento, che si veriico in un momento di impopolarità della monarchia e di crisi economica. La rivoluzione si articolò in tre rivoluzioni parallele: quella parlamentare della borghesia medio-alta, quella contadina, quella dei sanculotti delle città. Qual era la situazione della Francia alla ine del Settecento? Alla ine del Settecento l’economia francese era ancora agricola. Clero e nobiltà costituivano il 2%della popolazione, ma possedevano il 40% delle terre e sostanzialmente non pagavano tasse. I contadini erano invece gravati da imposte, oneri feudali e servitù personali. Le inanze statali erano in grave deicit per le spese militari: per rimediare occorreva tassare i ceti privilegiati. Per riiutare questa prospettiva, la nobiltà pretese la convocazione degli Stati Generali, l’antica assemblea dei tre ordini che deteneva appunto il potere di approvare le nuove tasse.

2. DAGLI STATI GENERALI ALL’ASSEMBLEA COSTITUENTE Perché il Terzo stato si proclamò Assemblea Nazionale Costituente? Il 5 maggio 1789 gli Stati Generali si riunirono. Il Terzo stato chiese che si votasse «per testa» e non «per ordine», come si era sempre fatto. Il re riiutò, mostrando di non tenere in considerazione il Terzo stato. Quest’ultimo allora si proclamò Assemblea Nazionale Costituente giurando di non sciogliersi prima di aver dato alla Francia una Costituzione. Perché fu assaltata la Bastiglia? La situazione precipitò quando a Parigi si difuse la notizia che il re si preparava a sciogliere con la forza l’Assemblea Costituente. Allora il popolo pa-

NOZIONE CHIAVE ANTICO REGIME La definizione di Antico regime risale proprio alla Rivoluzione francese. Furono i rivoluzionari a definire Ancien régime il sistema sociale che volevano abbattere. Successivamente gli storici hanno utilizzato questa definizione per indicare il tipo di società che caratterizzò l’Europa tra il XIV e il XIX secolo.

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L’ESSENZIALE rigino si ribellò e il 14 luglio 1789 assalì e distrusse la Bastiglia, carcere politico e simbolo dell’Antico regime: questo episodio fu subito considerato come l’inizio della rivoluzione. Con la presa della Bastiglia la rivolta popolare si unì a quella parlamentare. Contemporaneamente nelle campagne si difusero rivolte disordinate e i borghesi proprietari di terre iniziarono a temere una radicalizzazione delle richieste dei contadini: per questo l’Assemblea Costituente abolì gli obblighi feudali.

Scuola francese, La presa della Bastiglia. Collezione privata.

Perché la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino è l’atto più importante dell’Assemblea Nazionale Costituente? Perché la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, approvata il 26 agosto 1789 sul modello americano, proclamò gli inviolabili diritti dell’uomo: la vita, la liberta, l’uguaglianza, la proprietà e la resistenza all’oppressione. La Dichiarazione, nella sostanza, conteneva i princìpi che progressivamente si sarebbero imposti in tutto il mondo occidentale. Come si modiicò il potere del re? In un primo momento il potere di Luigi XVI non fu in discussione. Il sovrano però fu costretto ad accettare l’autorità dell’Assemblea Costituente: di fatto ciò conferì alla monarchia un carattere costituzionale. In ottobre, inoltre, Luigi fu proclamato re «dei Francesi» non «della Francia»: ciò

UNITÀ 4 - La Rivoluzione francese signiicava che la Francia non doveva essere più considerata un patrimonio del re. Perché l’Assemblea Nazionale Costituente intervenne sull’organizzazione del clero? L’Assemblea Costituente rese il clero un corpo di dipendenti statali e ne requisì i beni per risanare il deicit pubblico. Di fronte a questo provvedimento il clero si spaccò: quello costituzionale giurò fedeltà alla Costituzione; quello refrattario, invece, rimase obbediente al papa, opponendosi alla rivoluzione.

3. LA COSTITUZIONE DEL 1791 Perché il re tentò di fuggire? Subito dopo la presa della Bastiglia, iniziarono le fughe all’estero dei nobili che non accettavano la rivoluzione. Il 20 giugno 1791 anche il re tentò di abbandonare la Francia travestito da servo, ma fu riconosciuto presso Varennes e ricondotto a Parigi. L’episodio incrinò profondamente il prestigio della monarchia: come ci si poteva idare di un re che tentava di fuggire dal suo Paese? Che cos’erano i club politici e quali erano i più importanti? Le fazioni rivoluzionarie si organizzarono in club che si riunivano pubblicamente, permettendo alla popolazione di partecipare alla vita politica: ƒi giacobini di Robespierre erano repubblicani; ƒi foglianti di Mirabeau e La Fayette auspicavano una monarchia costituzionale; ƒi cordiglieri di Danton, Hebert e Marat chiedevano la repubblica, aumenti salariali e garanzie occupazionali. Quali furono le principali novità della Costituzione del 1791? Il 3 settembre 1791 l’Assemblea approvò la Costituzione: ƒapplicando il principio di separazione dei poteri, al re spettò la nomina dei ministri (potere esecutivo), mentre il potere legislativo fu attribuito a un’assemblea elettiva; ƒvenne scelto il sufragio censitario e non quello universale: fu così tradito il principio di uguaglianza della Dichiarazione dei diritti. La Costituzione era espressione dell’alta borghesia e della nobiltà illuminata, che intendevano cambiare la Francia con riforme moderate.

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4. LA FRANCIA IN GUERRA Quali furono i principali problemi che dovette afrontare l’Assemblea Legislativa? L’Assemblea Legislativa che sostituì la Costituente dovette afrontare due gravi problemi: ƒla radicalizzazione della rivoluzione, che si manifestava con rivolte sociali spontanee nelle città e nelle campagne; ƒl’alleanza delle monarchie estere contro la rivoluzione. Perché le monarchie europee si allearono contro la rivoluzione? I sovrani stranieri temevano il difondersi nei loro Paesi delle idee rivoluzionarie, tuttavia fu la Francia a iniziare la guerra perché si sentiva minacciata da una congiura internazionale controrivoluzionaria. Il 20 aprile 1792, l’assemblea, con il voto contrario dei giacobini guidati da Robespierre, votò a favore della guerra contro Prussia e Austria. L’esercito francese, male organizzato, subì subito gravi sconitte. Quale fu la prima conseguenza della guerra? Con la guerra l’ostilità verso la monarchia, sospettata di collaborazione con le potenze straniere, aumentò. I sanculotti, artigiani e salariati di città, diventarono protagonisti della rivolta e ottennero l’imprigionamento del re e della sua famiglia, ritenuto non più rappresentativo della volontà nazionale. I sanculotti, inoltre, promossero la creazione di una Convenzione che redigesse una nuova Costituzione.

5. LA CONVENZIONE (1792-93) Quali erano gli schieramenti nella Convenzione? La Convenzione fu eletta a suffragio universale maschile. Gli schieramenti (la cui posizione determinò i termini destra, sinistra e centro) erano: ƒi girondini (che dominavano la Convenzione), ricchi borghesi moderati e liberisti, seduti a destra del presidente dell’assemblea; ƒi montagnardi (giacobini e cordiglieri), espressione della piccola borghesia e del popolo minuto, radicali e seduti a sinistra; ƒla pianura, spregiativamente detta la Palude, un gruppo di centro che non aveva un preciso orientamento politico.

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Quali furono i primi atti della Convenzione? La Convenzione assunse i suoi primi atti all’indomani della vittoria militare dei Francesi a Valmy, che diede nuova forza alla rivoluzione. Per prima cosa, il 21 settembre 1792 proclamò la repubblica; successivamente, su sollecitazione dei giacobini, processò il re per tradimento. Il 21 gennaio 1793 Luigi XVI venne giustiziato. Quali furono le conseguenze della radicalizzazione del rivoluzione? La svolta violenta della rivoluzione: ƒalienò ai Francesi la simpatia di numerosi intellettuali europei; ƒspinse i sovrani europei a creare la prima coalizione, che arrestò i tentativi francesi di «esportare» la rivoluzione con la conquista di nuovi territori.

6. IL TERRORE (1793-94) Quali furono le innovazioni determinate dalla Costituzione del 1793? La guerra, la crisi economica e la rivolta controrivoluzionaria dei contadini in Vandea, organizzati in un movimento armato legato alla Chiesa e al re, causarono la sconitta dei girondini. Si afermarono i giacobini che nel 1793 approvarono una Costituzione che proclamava la repubblica e il sufragio universale maschile, ma che non entrò mai in vigore. Infatti fu creato un Comitato di salute pubblica che assunse i pieni poteri. Il Terrore fu il periodo (1793-94) in cui il governo giacobino, guidato da Robespierre, assunse le caratteristiche della dittatura: ƒi processi ai dissidenti controrivoluzionari, giudicati da un tribunale rivoluzionario, divennero sempre più numerosi e sommari; ƒfu avviata la scristianizzazione: le chiese vennero chiuse e fu proclamato il culto della Dea Ragione. Venne anche adottato un nuovo calendario rivoluzionario che contava gli anni non dalla nascita di Gesù ma a partire dalla proclamazione della repubblica e aboliva le domeniche e le festività religiose. La politica di scristianizzazione creò divisioni fra gli stessi rivoluzionari e non fu ben accolta dalla popolazione legata alle tradizioni religiose. Quando terminò il Terrore? Robespierre inasprì la politica del Terrore eliminando anche gli oppositori interni alle forze rivoluzionarie.

NOZIONE CHIAVE CALENDARIO Il calendario che i rivoluzionari tentarono di riformare è quello gregoriano, così chiamato perché fu introdotto da papa Gregorio XIII nel 1582. Il calendario gregoriano sostituì quello che Giulio Cesare aveva adottato nel 46 a.C. La riforma realizzata da papa Gregorio XIII era necessaria perché il calendario giuliano perdeva un giorno sull’inizio delle stagioni ogni 126 anni.

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L’ESSENZIALE Ma il 27 luglio 1794 (9 termidoro, secondo il nuovo calendario rivoluzionario) gli avversari di Robespierre riuscirono a realizzare un colpo di Stato noto appunto come Termidoro: Robespierre fu accusato di voler diventare un tiranno e il giorno successivo fu ghigliottinato insieme ad alcuni suoi collaboratori.

7. IL GOVERNO DEL DIRETTORIO (1795-99) In che cosa consistette la reazione termidoriana? Il 9 termidoro segnò l’inizio della reazione della borghesia benestante. Durante l’età termidoriana: ƒgiacobini e preti costituzionali furono perseguitati; ƒla politica economica liberista provocò inlazione e rivolte popolari; ƒl’esercito liberò il territorio nazionale e conquistò nuove aree. La prima coalizione si sgretolò; ƒla Costituzione dell’anno III (1795) eliminò il principio di uguaglianza giuridica, ripristinò il sufragio censitario e aidò l’esecutivo a un Direttorio di 5 membri sostituiti periodicamente. Perché il Direttorio lanciò la campagna d’Italia? Le minacce di colpo di Stato erano continue e il Direttorio, per guadagnare prestigio, decise di attaccare l’Austria su due fronti: Italia e Renania. La campagna d’Italia fu aidata al generale Napoleone Bonaparte, il quale: ƒconquistò parte del territorio italiano e creò le «repubbliche sorelle» (come la Repubblica cisalpina), Stati in cui vennero imposti regimi simili a quello francese; ƒsconisse l’Austria e irmo con essa il Trattato di Campoformio (1797). In questo trattato, utilizzò Venezia come merce di scambio, tradendo coloro che lo avevano accolto come un liberatore, in quanto rappresentante della Francia, simbolo della lotta alla tirannide. Quali furono le conseguenze del colpo di Stato di fruttidoro? Data l’instabilità politica, il 4 settembre 1797 il Direttorio, con un colpo di Stato, aidò il potere a un triumvirato che impose leggi eccezionali e limitò la libertà di stampa. Perché fu promossa la spedizione in Egitto e quali conseguenze determinò? La Francia nel 1798 tentò di conquistare l’Egitto per danneggiare i commer-

UNITÀ 4 - La Rivoluzione francese ci della Gran Bretagna, rimasta l’ultima avversaria, ma la lotta di Napoleone venne distrutta dagli Inglesi. L’Inghilterra organizzò una seconda coalizione che costrinse la Francia ad abbandonare i territori conquistati e minacciò lo stesso territorio francese. Ciò indebolì ulteriormente il Direttorio e favorì una ulteriore svolta in senso autoritario. Che cosa fu il 18 brumaio? Il 9 novembre 1799, un nuovo colpo di Stato (detto del 18 brumaio) determinò la sostituzione del Direttorio con tre consoli, tra i quali Napoleone era il più potente. Si tradivano cosi molti princìpi della rivoluzione, ma non si tornò brutalmente all’Antico regime: Napoleone, infatti, contrastò i tentativi di radicalizzazione democratica ma anche la controrivoluzione aristocratica.

8. IL BILANCIO: L’AVVENTO DI UN MONDO NUOVO Quale bilancio si può fare della rivoluzione? La Rivoluzione francese produsse un mondo politico completamente nuovo, sovvertendo profondamente l’Antico regime: non a caso gli storici indicano tradizionalmente la data della presa della Bastiglia (14 luglio 1789) come l’inizio dell’età contemporanea. Il signiicato della Rivoluzione francese, tuttavia, non va esagerato: il mondo odierno, in realtà, trasse origine anche da altre rivoluzioni (in particolare da quella industriale) e in un tempo ben più lungo del decennio rivoluzionario. Quale fu il contributo della rivoluzione al riconoscimento dei diritti delle donne? Il rinnovamento prodotto dalla Rivoluzione francese non fu risolutivo in proposito. Sebbene le donne avessero preso parte attivamente a tutte le fasi della rivoluzione, i costituenti non riconobbero politicamente il loro ruolo. Non si trattava di una deliberata opposizione al ruolo politico delle donne, ma dell’espressione di un modo di pensare che voleva la donna dedita alla casa e alla famiglia «per natura». Tuttavia negli anni della rivoluzione circolarono diversi cahiers de doléances che rivendicarono per la prima volta i diritti politici e denunciarono l’emarginazione femminile. Particolarmente signiicativo fu il coraggio di Olympe de Gouges (1748-1793), autrice di una Dichiarazione dei diritti tutta al femminile.

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5. L’età napoleonica 1. NAPOLEONE BONAPARTE Quale fu la formazione giovanile di Napoleone? Napoleone nacque ad Ajaccio, in Corsica, nel 1769. Formatosi nelle scuole militari francesi, si dedicò allo studio delle arti belliche ma anche dei classici, con particolare interesse per le opere di Rousseau. Dopo essersi distinto a Tolone per le sue abilità militari, ottenne dal Direttorio nuovi incarichi sempre più prestigiosi come la vittoriosa campagna d’Italia del 1796, e la campagna d’Egitto. Quando la paura di una nuova invasione straniera generò tra i ceti dominanti l’esigenza di un governo forte che garantisse l’ordine e la pace, Napoleone sembrò essere l’uomo giusto: così, con il colpo di Stato del 18 brumaio, assunse pieni poteri dal governo francese. Come nacque il mito del petit caporal? Napoleone seppe sfruttare, per fare carriera, tutte le occasioni che la situazione della Francia post-rivoluzionaria gli presentò, e utilizzò la stampa come canale di difusione per esaltare il mito della sua persona e della sua imbattibilità. Il mito del petit caporal nacque proprio per sottolineare la sua infaticabilità di generale dalle abitudini semplici che non esitava a porre a repentaglio la sua stessa vita al ianco dei suoi soldati.

2. L’ASCESA DI NAPOLEONE: DAL CONSOLATO ALL’IMPERO (1799-1804) Come il Consolato riorganizzò la Francia? Durante il periodo del Consolato la Francia fu riorganizzata sotto il punto di vista istituzionale e legislativo: ƒla Costituzione dell’anno VIII (1799) raforzò l’esecutivo e lo aidò a un Primo Console (Napoleone), che controllava tutti i settori della vita politico-amministrativa; ƒsi consolidò il legame tra alta borghesia e regime napoleonico anche grazie ai provvedimenti assunti contro le organizzazioni dei lavoratori; ƒnel 1804 venne redatto il Codice Civile, documento su cui poggiavano tutte le istituzioni, che riprendeva alcuni princìpi della rivoluzione (libertà, proprietà, uguaglianza giuridica ma non sociale);

UNITÀ 5 - L’età napoleonica

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ƒsi raggiunse la paciicazione con la Chiesa attraverso un Concorda-

to (1801) con cui il cattolicesimo fu riconosciuto come religione della maggioranza dei Francesi, ma il controllo del potere civile sulle gerarchie ecclesiastiche fu ribadito. Negli stessi anni Napoleone afrontò con successo la guerra con la seconda coalizione, irmando la pace con l’Austria, con il Regno di Napoli, con la Russia e, dopo lunghe trattative, con l’Inghilterra.

Attraverso quali tappe Napoleone giunse all’impero? Napoleone dimostrò di saper mantenere l’ordine e la pace sul piano interno e di saper conquistare una posizione di forza su quello internazionale. Il consenso popolare cresceva e Napoleone: ƒnel 1802 ottenne il consolato a vita; ƒnel 1804, con la Costituzione dell’anno XII, divenne imperatore dei Francesi e, riprendendo la tradizione imperiale di Carlo Magno, si fece consacrare imperatore da papa Pio VII nella cattedrale di Notre-Dame. In entrambi i casi la nuova posizione di Napoleone fu confermata da un plebiscito.

3. L’IMPERO NAPOLEONICO (1804-15) Sconitta la terza e la quarta coalizione, come si comportò Napoleone in Italia? Nel 1803 ripresero le ostilità con l’Inghilterra. La terza e poi la quarta coalizione non fermarono Napoleone, che conquistò l’intera Europa continentale, creando dei regni che furono aidati a membri della sua famiglia. Con la vittoria di Marengo (1800) la Francia era giunta a controllare anche tutta l’Italia. La Repubblica cisalpina divenne dapprima Repubblica italiana e poi Regno d’Italia, di cui, nel maggio del 1805, Napoleone si proclamò re. Il Regno di Napoli fu aidato al fratello Giuseppe; Piemonte, Repubblica ligure e Toscana furono annesse alla Francia e lo Stato Pontiicio venne smembrato. Nonostante il saccheggio e la perdita di autonomia degli Stati italiani, la presenza di Napoleone in Italia ebbe conseguenze positive in termini di progresso economico, modernizzazione e riforma delle istituzioni. Perché Napoleone decise il blocco continentale? Napoleone decise di danneggiare la Gran Bretagna, rimasta sola a fron-

NOZIONE CHIAVE PLEBISCITO Il plebiscito (da «plebe») è l’espressione del popolo convocato a rispondere su una determinata richiesta. Formalmente esso è uno strumento di democrazia diretta simile al referendum, perché il cittadino, senza passare attraverso i suoi rappresentanti, è chiamato a decidere su una questione politica. Nella realtà storica, però, è stato spesso impiegato dai dittatori per legittimare il proprio potere.

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L’ESSENZIALE teggiare l’egemonia francese, vietando a tutti i Paesi europei il commercio con essa. Il blocco continentale si rivelò tuttavia un fallimento perché gli Inglesi riuscirono a forzarlo e risposero con un contro-blocco che danneggiò invece gravemente l’economia francese privando il Paese delle materie prime e dei prodotti di consumo. Allo scopo di far rispettare il blocco, Napoleone intraprese una politica di annessioni, che iniziò con la conquista di Portogallo e Spagna. In quest’ultimo Paese vi fu una grande resistenza: era ormai crollato il mito di Napoleone liberatore.

NOZIONE CHIAVE TERRA BRUCIATA Questa espressione indica una tattica militare che prevede la distruzione di tutto ciò che potrebbe servire al nemico per spostarsi e per procurarsi cibo, acqua e altri generi necessari alla sopravvivenza. Di solito è utilizzata quando ci sono scarse possibilità di battere il nemico in uno scontro sul campo: si tratta infatti di una difesa che ha enormi costi economici e umani.

Quali contraddizioni presentava l’impero? L’impero era fondato su un potere centralizzato e personalistico, che portava in sé alcune contraddizioni: ƒNapoleone aveva combattuto l’Antico regime, ma aveva creato una nuova nobiltà a lui fedele, fondata sui meriti militari o sui servizi resi allo Stato; ƒdopo aver conquistato l’Europa in nome della libertà, Napoleone ricercò il consenso attraverso l’eliminazione di qualsiasi opposizione e la limitazione della libertà di stampa e di associazione; ƒpur avendo contribuito allo svecchiamento della Francia e dei Paesi sottomessi, la politica di Napoleone fece aumentare il malcontento per il continuo stato di guerra, le imposte, le diicoltà create dal blocco continentale. Come si giunse dall’apogeo dell’impero alla sconitta di Napoleone? Fra il 1810 e il 1812 l’Impero napoleonico raggiunse la massima estensione. Ma l’intera Europa era ostile alla Francia a causa del blocco continentale: la Russia si ritirò dal blocco e impose dazi alle importazioni francesi. Napoleone organizzò una spedizione in Russia, ma il suo esercito, vittima della tattica della terra bruciata adottata dai Russi e decimato dal rigido inverno, si ritirò: la potenza francese non si sarebbe più ripresa da questo colpo. La sesta coalizione (Gran Bretagna, Russia, Svezia, Prussia e Austria) sconisse Napoleone a Lipsia nel 1813, mandando in frantumi l’impero. In Francia venne restaurato il regime borbonico, Napoleone accettò di ritirarsi in esilio all’isola d’Elba e nel 1814 venne convocato un Congresso a Vienna per decidere il nuovo assetto europeo. Conidando nel malcontento generato dalla Restaurazione, Napoleone tornò al potere per una breve parentesi (i cento giorni) ma fu sconitto deinitivamente a Waterloo, nel 1815, e costretto all’esilio nell’isola di Sant’Elena, dove morì il 5 maggio 1821. In Europa il ritorno all’Antico regime, auspicato dai reazionari, era ormai impossibile.

UNITÀ 6 - La prima rivoluzione industriale

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6. La prima rivoluzione industriale 1. UNA DEFINIZIONE, MOLTI ASPETTI Dove e quando ebbe inizio la prima rivoluzione industriale? La prima rivoluzione industriale si avviò verso il 1780 in Inghilterra e poi, nel secolo successivo, si estese anche nel resto dell’Europa e negli Stati Uniti. L’Inghilterra alla ine del Settecento era un Paese ricco di materie prime, dotato di una eiciente rete di trasporti, e dove le merci erano libere di circolare. Quale cambiamento introdusse la rivoluzione industriale? La prima rivoluzione industriale rappresentò un grande cambiamento nel modo di produrre: si cominciò a utilizzare una nuova fonte di energia, il carbone, e un nuovo mezzo, la macchina a vapore. L’attività principale divenne l’industria, che si difuse in modo incessante: la sua presenza si impose nelle città come nelle campagne

NOZIONE CHIAVE Quali furono i momenti fondamentali della rivoluzione industriale? Nell’evoluzione della prima rivoluzione industriale si possono riconoscere due momenti: ƒil primo periodo, dal 1770 al 1830, fu caratterizzato dall’espansione della produzione tessile, che con l’afermazione dell’industria cotoniera rappresentò il settore di punta; ƒil secondo periodo, dal 1830 in poi, fu dominato dall’avvento delle ferrovie e la siderurgia diventò il settore trainante dello sviluppo. Lo sviluppo del sistema produttivo industriale manifestò, in dalle origini, un andamento caratterizzato dalla ciclicità.

2. LE PRINCIPALI INNOVAZIONI TECNOLOGICHE Quale settore venne trasformato per primo dall’introduzione delle macchine? Nel settore tessile l’avvento delle macchine causò una «reazione a catena». Infatti, l’introduzione di una nuova macchina in una fase del processo produttivo determinava un tale aumento della produzione da imporre la meccanizzazione della fase successiva.

CICLICITÀ Gli economisti definiscono «ciclico» un andamento economico in cui a una fase di espansione, caratterizzata dalla crescita di investimenti, profitti e consumi, segue una fase di crisi e di recessione, costituita da diminuzione di investimenti e utili e dalla disoccupazione. Dopo di che si ripresenta una fase di sviluppo.

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L’ESSENZIALE Quale fu l’importanza della macchina a vapore? L’ingegnere scozzese James Watt nel 1769 perfezionò la macchina a vapore inventata da Newcomen. Essa permetteva lo sfruttamento dell’energia chimica del carbone e poté essere utilizzata nei più svariati settori: ƒnelle attività minerarie; ƒnell’agricoltura, con l’introduzione delle macchine agricole; ƒnei trasporti, con l’avvento della ferrovia e del battello a vapore; ƒnell’industria, con la possibilità di situare le fabbriche nelle città.

La macchina a vapore di James Watt.

3. LE RISORSE ECONOMICHE E LO SPIRITO D’IMPRESA Da dove provenivano i capitali? In un primo momento lo sviluppo dell’industria inglese fu sostenuto da capitali provenienti dalle attività agricole e commerciali. Poi si passò all’autoinanziamento: le imprese reinvestivano i proitti ottenuti. Nacquero in seguito le società per azioni, quotate in Borsa, cui potevano contribuire piccoli e grandi risparmiatori. Inine ci fu un sempre maggior intervento delle banche e dello Stato. Qual era la mentalità degli imprenditori dell’epoca? Perché ci sia sviluppo industriale non sono suicienti i capitali, ma anche un’attività imprenditoriale: perché questa si manifesti occorrono volontà e spirito d’iniziativa. Il ruolo dell’imprenditore implica non solo disponibilità al rischio ma anche capacità creative e organizzative. Secondo l’economista tedesco Weber il difon-

UNITÀ 6 - La prima rivoluzione industriale dersi di una mentalità di questo tipo fu favorita dal protestantesimo (soprattutto calvinista), perché pone l’accento sull’importanza del successo economico, da intendersi come segno della benevolenza divina nei confronti dell’individuo. Altri studiosi hanno sottolineato il ruolo dell’istruzione, con lo sviluppo delle scuole tecniche; o l’importanza della cultura dell’intrapresa, formatasi attraverso secoli di impegno nelle attività commerciali, come nel caso inglese.

4. LA QUESTIONE SOCIALE Quali erano le condizioni di vita dei proletari? Il proletariato industriale aumentò in modo vertiginoso. Le città industriali moltiplicarono rapidamente i loro abitanti: i lavoratori e le loro famiglie vivevano in quartieri sudici e privi dei più elementari servizi. La giornata lavorativa poteva durare anche 16-18 ore. L’uso delle macchine causò all’inizio disoccupazione: una macchina poteva sostituire molti operai e portava spesso alla scomparsa di antiche professioni. Il malcontento degli operai si espresse con distruttive manifestazioni luddiste (gli operai distruggevano le macchine) ma un po’ alla volta si fece strada una rilessione più matura sulla questione sociale. Coloro che lottavano per una maggiore giustizia sociale vennero chiamati socialisti.

5. LA RIVOLUZIONE AGRICOLA E DEMOGRAFICA Come cambiò l’agricoltura nel periodo dell’industrializzazione? L’introduzione delle macchine nel sistema produttivo riguardò anche il settore agricolo, nel quale si veriicò una vera e propria rivoluzione grazie: ƒall’abolizione degli obblighi nei confronti dei nobili, che rese i contadini liberi di coltivare terreni prima abbandonati; ƒall’adozione della tecnica della rotazione quadriennale; ƒall’introduzione di macchine agricole e all’uso di fertilizzanti. Perché si parla di rivoluzione demograica? Mentre il regime demograico dell’antico regime era caratterizzato dalla stabilità, con la rivoluzione industriale si veriicò un’impennata nella crescita della popolazione, che iniziò nella seconda metà del Settecento e continuò ino ai giorni nostri: questo sviluppo demograico ininterrotto viene deinito rivoluzione demograica. Un fattore determinante di questo cambiamento fu la diminuzione del tasso di mortalità.

27 NOZIONE CHIAVE GIORNATA LAVORATIVA È la durata del lavoro giornaliero, vale a dire il tempo che il lavoratore dedica ogni giorno al proprio lavoro. TASSO DI MORTALITÀ È il rapporto tra il numero dei morti e la quantità di popolazione in un certo periodo di tempo. Un alto tasso di mortalità indica difficili condizioni di vita, un basso tasso di mortalità indica la presenza di fattori che permettono una maggiore durata della vita.

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7. Restaurazione e opposizioni 1. IL CONGRESSO DI VIENNA NOZIONE CHIAVE GRANDI POTENZE L’espressione venne coniata nel contesto del Congresso di Vienna per definire gli Stati vincitori, incontrastati dominatori della politica internazionale.

Con quale avvenimento iniziò la Restaurazione? L’età della Restaurazione (1815-30) ebbe inizio con il Congresso di Vienna, che fu dominato dalle grandi potenze vincitrici dello scontro con Napoleone: Austria, Inghilterra, Prussia e Russia. Esse stabilirono il nuovo assetto europeo. Quali furono le inalità del Congresso di Vienna? I princìpi guida del Congresso furono: ƒequilibrio: si cercò di bilanciare la potenza fra gli Stati perché nessuno di essi afermasse la sua egemonia in Europa; ƒlegittimità: il potere legittimo proviene dalla tradizione e da Dio. I sovrani che regnavano prima della rivoluzione erano legittimi. Quale potenza non ebbe ampliamenti territoriali in Europa? Per evitare l’espansionismo francese vennero raforzati gli Stati coninanti. Al posto del Sacro Romano Impero sorse la Confederazione Germanica, presieduta dall’Austria. Le grandi potenze ebbero vantaggi territoriali in Europa, a eccezione dell’Inghilterra che però fu libera di espandere i suoi possedimenti coloniali. Con quali alleanze si cercò di mantenere l’ordine sancito a Vienna? Gli efetti della Restaurazione furono avvertiti sia all’interno dei singoli Stati, sia nelle relazioni internazionali: ƒpolitica interna: i sovrani vennero restaurati e tentarono di ripristinare il sistema politico in vigore prima della rivoluzione; ƒpolitica estera: le potenze perseguirono l’obiettivo di conservare l’ordine internazionale sancito a Vienna. A questo scopo furono stipulate tre alleanze (la Santa Alleanza, la Quadruplice Alleanza e la Quintuplice Alleanza).

2. RESTAURAZIONE E ROMANTICISMO Quali intellettuali ispirarono principalmente la Restaurazione? La Restaurazione fu appoggiata dalla rilessione di alcuni intellettuali. Secondo Edmund Burke la Rivoluzione francese pretendeva di creare dal nulla un nuovo Stato: per questo era degenerata. È invece la tradizione il deposito della saggezza di un popolo.

UNITÀ 7 - Restaurazione e opposizioni

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Per Joseph de Maistre la radice di tutti i mali contemporanei è la Riforma protestante che ha sostituito l’obbedienza con la liberta. Il fondamento dell’ordine sociale è invece rappresentato dalla Chiesa cattolica: con l’ultramontanismo («guardare al di la dei monti», cioè al papa) tornava l’idea medievale dell’unità del potere politico e spirituale nella persona del ponteice. Che cos’è il Romanticismo? Il Romanticismo fu una cultura, un modo di pensare e di agire, in particolare dei giovani intellettuali che vissero tra slanci eroici e malinconia. Contrappose al freddo razionalismo illuminista la spontaneità dei sentimenti, i valori della tradizione e l’amore per la propria nazione. Quali furono le tendenze politiche del Romanticismo? Politicamente, il Romanticismo manifestò due tendenze opposte: ƒtendenza conservatrice e reazionaria. Condannò l’Illuminismo e la Rivoluzione francese, esaltò il passato, l’assolutismo e l’alleanza trono-altare. Fu sostenuta dai teorici della Restaurazione; ƒtendenza progressista. Ritenne che solo il rinnovamento dell’ordine sociale e politico costituisse una risposta adeguata alle nuove esigenze.

NOZIONE CHIAVE REAZIONARIO È reazionario colui che, contrapponendosi a forze o a idee innovatrici, cerca di far regredire la società a stadi precedenti.

Franz Ludwig Catel, da Copenaghen, Thorvaldsens Museum. Questo dipinto è quasi un manifesto dell’iconografia romantica, con il parallelismo tra lo stato d’animo turbato e il paesaggio tempestoso.

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3. L’IDEA DI «NAZIONE» Quale signiicato ha il termine nazione? La nazione è una collettività umana unita dalla coscienza dei suoi membri di avere in comune origine, lingua, razza, religione, economia, territorio e destino storico. Nell’Ottocento i valori di uguaglianza, fraternità e libertà vennero reinterpretati in un’accezione nazionale. Uguaglianza – Sono tra loro uguali le persone a cui le vicende della Storia hanno attribuito lingua, cultura e tradizioni comuni. Fraternità – Fratelli sono coloro che appartengono a una stessa nazione. Libertà – La nazione deve liberarsi del potere del sovrano assoluto e degli stranieri. Quale diferenza c’è tra nazione e Stato? Nell’Ottocento le idee di nazione e di Stato entrarono in contatto. Tuttavia, la coscienza nazionale di un popolo non basta a dar vita a uno Stato: infatti, la formazione di uno Stato è legata al concreto sviluppo dello scontro politico e militare.

4. LIBERALI E DEMOCRATICI Che cosa afermò il liberalismo? Per il liberalismo, nato dal pensiero di Locke, Montesquieu e Smith, la libertà individuale consente a ognuno di ricercare la felicita. Lo Stato liberale: ƒrespinge l’assolutismo: la Costituzione e la divisione dei poteri evitano abusi; ƒgarantisce le libertà pubbliche e l’uguaglianza giuridica (di fronte alla legge); ƒnon interviene nella vita economica (liberismo) né sulla diseguaglianza sociale. Che cosa sostenevano i democratici? L’idea democratica nacque con Rousseau e fu elaborata da Jeremy Bentham, James Mill e John Stuart Mill. A diferenza dei liberali, i democratici sostennero l’uguaglianza politica e il sufragio universale: con il voto si esprime la sovranità popolare su cui il regime democratico si fonda. Lo Stato modera le ingiustizie sociali con gli strumenti iscali e garantisce l’istruzione a tutti.

UNITÀ 7 - Restaurazione e opposizioni

5. I SOCIALISTI Che cosa voleva il socialismo e quali furono le sue principali correnti? Il socialismo, sorto in risposta alla questione sociale, ricerca una società giusta, caratterizzata da un’equa distribuzione della proprietà e della ricchezza. Per i socialisti occorre: la limitazione o l’eliminazione del diritto di proprietà; la solidarietà tra i lavoratori contro l’individualismo liberale. Il socialismo inglese fu riformista: accettò l’economia di mercato ma richiese riforme per attenuarne le conseguenze sociali. Il socialismo francese fu più utopico e per superare il degrado della società industriale propose: ƒun governo di tecnici per realizzare una società armoniosa e fondata sui valori del cristianesimo delle origini (Claude-Henri de Saint-Simon); ƒuna società divisa in piccoli nuclei economicamente e politicamente autonomi (François-Marie-Charles Fourier); ƒla costruzione di ateliers sociaux («fabbriche sociali») cioè di fabbriche gestite dagli stessi operai (Louis Blanc); ƒl’«anarchia positiva»: una società fondata sull’autogestione economica e politica e senza la proprietà privata (Pierre-Joseph Proudhon). Come la rielaborazione del socialismo portò Marx ed Engels al comunismo? Marx ed Engels rielaborarono il socialismo, riiutandone la componente utopica. Sostennero che non sono le idee a cambiare la società ma l’evolversi della sua organizzazione economica, che ne è la struttura. La civiltà umana ha attraversato quattro fasi: la comunità primitiva, il regime di schiavitù, la società feudale e la società capitalistico-borghese; in ognuna vi è stato lo scontro tra oppressi e oppressori. Tutta la Storia, dunque, è storia della lotta di classe e il passaggio da uno stadio all’altro è determinato dal cambiamento dei mezzi di produzione e dall’afermarsi della classe che meglio sa sfruttarli. Nella società capitalistica i borghesi detengono i mezzi di produzione e sfruttano il proletariato, il quale ha il compito di liberare l’umanità. Una rivoluzione abolirà la proprietà, fondamento dell’oppressione e della divisione in classi, e la Storia giungerà alla sua meta: il comunismo.

31 NOZIONE CHIAVE SOCIALISMO Il termine è di origine settecentesca. Assunse il significato odierno in Inghilterra, negli anni Venti dell’Ottocento, quando iniziò a indicare il progetto politico, sostenuto dai lavoratori, di una società giusta, caratterizzata da un’equa distribuzione della proprietà e della ricchezza.

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8. I moti degli anni Venti e Trenta 1. LE SOCIETÀ SEGRETE Che cos’è la Carboneria? Sul modello della Massoneria era organizzata la Carboneria, presente in Italia e in Spagna, la più nota e importante tra le società segrete operanti in questo periodo. I massoni traevano i loro simboli dai muratori; i carbonari si rifacevano ai carbonai e avevano come obiettivo la costituzione liberale. Chi si oppose ai regimi della Restaurazione? Nell’età della Restaurazione il dissenso politico era vietato o molto limitato: perciò il principale strumento di lotta politica fu costituito dalle società segrete. Qual era il metodo seguito dalle società segrete? Il metodo di lotta delle società segrete consisteva generalmente nell’organizzare delle insurrezioni che obbligassero il sovrano a concedere la costituzione. Tuttavia il mancato coinvolgimento delle masse popolari nelle società segrete porterà, nella stragrande maggioranza dei casi, al fallimento della loro azione.

2. I MOTI DEGLI ANNI VENTI Che cosa accadde fra il 1820 e il 1821? Negli anni 1820-21 un’ondata rivoluzionaria dei liberali partì dalla Spagna e si estese a tutta l’Europa. Ferdinando VII di Spagna fu costretto a ripristinare la Costituzione di Cadice del 1812, una costituzione liberale che sarebbe diventata il punto di riferimento per i successivi moti. L’esempio spagnolo spinse i carbonari di Napoli all’insurrezione nel luglio 1820: anche in questo caso il re Ferdinando I di Borbone fu costretto a concedere una Costituzione e un Parlamento. Poco dopo si ribellò Palermo, chiedendo però l’indipendenza dell’isola dal Regno delle Due Sicilie. Quali furono i principali moti del 1820-21? Nel 1821 in Piemonte insorse la guarnigione di Alessandria; Vittorio Emanuele I abdicò in favore del fratello Carlo Felice; in attesa che questi tornasse da Modena, Carlo Alberto, in qualità di reggente, concesse la Costituzione

UNITÀ 8 - I moti degli anni Venti e Trenta di Cadice ma la sua azione fu sconfessata da Carlo Felice e i rivoltosi furono poco dopo sconitti. Come reagì la Santa Alleanza ai moti del 1820-21? Di fronte all’ondata rivoluzionaria la Santa Alleanza (Austria, Prussia, Russia), a cui si unirono Francia e Inghilterra, inviò i propri eserciti a combattere gli insorti nei vari Paesi europei, sconiggendoli, a eccezione del Portogallo dove la repressione venne attuata dai conservatori locali. Invece l’insurrezione scoppiata in Grecia nel 1821 coinvolse gran parte del popolo e trascinò nella lotta anche molti volontari occidentali, come il poeta inglese George Byron. La repressione turca fu spietata, ma nel 1827 il popolo greco con l’aiuto della Russia, dell’Inghilterra e della Francia ottenne la vittoria. Nel 1832 venne proclamata l’indipendenza del Regno di Grecia.

3. I MOTI DEGLI ANNI TRENTA Che cosa provocò l’avvento al trono di Luigi Filippo? Nel luglio 1830, il re Carlo X di Borbone emanò delle ordinanze che limitavano la libertà di stampa e di associazione. Parigi insorse: la rivoluzione fu breve e infatti è passata alla storia come le «Tre gloriose giornate di luglio». Il nuovo sovrano Luigi Filippo d’Orléans, parente della famiglia di Borbone e di idee liberali, soprannominato il «re borghese», fu incoronato re dei Francesi, giurò fedeltà alla Costituzione e adottò la bandiera tricolore al posto dei gigli di Francia. Quali altri moti scoppiarono nel 1830? Ancora nel 1830 fu il Belgio a chiedere e ottenere l’indipendenza dai Paesi Bassi. Poco dopo la Polonia insorse contro la Russia. Nel 1830-1831 in Italia scoppiarono moti rivoluzionari nel Ducato di Modena e Parma e nello Stato Pontiicio. Erano moti ispirati dalla Carboneria, che ancora una volta non trovò appoggio nella popolazione. Le sollevazioni furono represse duramente e il principale organizzatore, Ciro Menotti, inì impiccato.

4. L’INDIPENDENZA DELL’AMERICA LATINA Quali furono le cause dell’indipendenza dell’America Latina? Le cause interne dell’indipendenza dell’America Latina vanno ricercate nelle tensioni in atto nella società latino-americana, dovute al monopolio delle ricchezze della regione da parte dei Creoli (l’élite bianca discendente dagli

33 NOZIONE CHIAVE INSURREZIONE È la ribellione di un gruppo consistente di individui contro il potere politico dominante o contro un potere straniero. Si caratterizza per la breve durata nel tempo, se non sfocia nella rivoluzione, e si manifesta con sommosse o sedizioni.

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L’ESSENZIALE antichi conquistatori) che non controllavano, però, il potere politico. Le cause esterne furono, invece: ƒil declino militare e commerciale della Spagna e del Portogallo; ƒl’atteggiamento della Gran Bretagna che, per difendere i suoi interessi commerciali, impedì in ogni modo alle potenze europee di intervenire in Sud America; ƒla «dottrina Monroe», sostenuta dal presidente degli Stati Uniti, che enunciò il divieto per gli Europei di colonizzare il territorio americano («l’America agli Americani»).

NOZIONE CHIAVE CAUDILLOS In origine erano i capi militari che combatterono contro la Spagna a partire dal 1810: una volta saliti al potere, molti di essi governarono in modo autoritario e paternalistico, giungendo spesso a vere dittature personali.

Dipinto del XIX secolo che celebra l’indipendenza del Messico, avvenuta il 27 settembre 1821.

L’America Latina come si liberò dal dominio di Spagna e Portogallo? Tra il 1810 e il 1830 l’America Latina si liberò dal secolare dominio di Spagna e Portogallo, potenze in declino. Tra il 1809 e il 1812 scoppiarono le prime rivolte, che quasi ovunque divennero vere guerre civili. Negli anni Venti Argentina, Perù, Paraguay, Brasile e molti altri Stati raggiunsero l’indipendenza, grazie anche a igure eroiche come Simón Bolívar e José de San Martín. Il Sud America risultò alla ine frammentato in Stati piccoli e indeboliti dalle guerre, guidati spesso da caudillos autoritari e violenti. Quasi tutti si diedero costituzioni democratico-repubblicane, destinate però a essere abolite da una serie di colpi di Stato. Perché si parla di crisi da indebitamento? Poiché l’economia era agricola e rivolta all’esportazione, il continente continuò a dipendere dalle potenze straniere; solo a ine Ottocento, con i regimi autoritari, iniziò l’industrializzazione. La spinta alla modernizzazione generò anche un continuo avvicendarsi di rivoluzioni e controrivoluzioni. Già all’epoca di Bolívar l’Inghilterra fornì importanti prestiti ai rivoltosi, attratta dal potenziale economico del continente latino-americano. Nei decenni successivi gli investimenti inglesi si moltiplicarono, costringendo i fragili Paesi del Sud America a indebitarsi sempre di più.

UNITÀ 9 - Le rivoluzioni del 1848

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9. Le rivoluzioni del 1848 1. L’ARRETRATEZZA DELL’ITALIA Perché l’Italia era un Paese arretrato? Il 70% della popolazione era impiegata nell’agricoltura, ancora praticata in modo estensivo e con poche innovazioni. Solo il 18% della popolazione lavorava nell’industria, ma anche in questo campo era presente un ritardo dovuto a: ƒmancanza di materie prime, di una rete viaria adeguata e di investimenti; ƒbasso reddito e autoconsumo, che impedivano lo sviluppo del mercato interno; ƒdivisione politica, che ostacolava la circolazione di merci e persone.

2. IL DIBATTITO RISORGIMENTALE Come nacque l’idea dell’unità d’Italia? Nel corso dei secoli si era sviluppata una nazione italiana, nel senso che si era sviluppata un’identità culturale italiana (linguistica e religiosa) e la consapevolezza di un comune interesse economico. Il primo a parlarne, nelle sue opere, era stato Dante, che aveva deinito le caratteristiche che la lingua italiana doveva avere. Dopo di lui il tema era stato ripreso sempre nel Trecento anche da Petrarca, da Machiavelli nel Cinquecento e da Foscolo e Alieri tra Settecento e Ottocento. In che cosa diferisce la repubblica che Mazzini voleva realizzare da quella di Cattaneo? Mazzini nel 1831 fondò il movimento politico Giovine Italia ainché l’Italia diventasse «una, indipendente e repubblicana». Per Cattaneo l’organizzazione statale ideale era quella repubblicana, ma riteneva che le varie regioni fossero troppo diverse tra loro per realizzare uno Stato accentrato. Sosteneva perciò la creazione di una repubblica federale. Quali erano le idee di Gioberti e Balbo? Gioberti e Balbo appartengono entrambi alla destra risorgimentale. Gioberti avanzò la proposta «neoguelfa»: auspicava una confederazione di Stati presieduta dal papa e sostenuta dal re di Sardegna. Balbo invece riteneva che l’azione diplomatica sabauda avrebbe dovuto

NOZIONE CHIAVE FEDERALISMO Indica la tendenza a costruire un’unione di entità statali o sociali che si governano in parte da sé, mentre altre funzioni sono delegate alla federazione, cioè a un organismo centrale e superiore.

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L’ESSENZIALE spingere l’Austria verso i Balcani in modo da permettere la nascita di una confederazione di Stati sotto i Savoia.

3. L’ESPLOSIONE DEL QUARANTOTTO Dove iniziò la rivolta? Gli anni Quaranta dell’Ottocento furono un periodo di crisi economica e sociale. La rivolta iniziò in Francia, dove regnava Luigi Filippo d’Orléans, e fu scatenata dalla politica economica del governo. Gli oppositori comprendevano socialisti, democratici, repubblicani e legittimisti. Parigi insorse il 22 febbraio 1848 quando fu proibito un comizio elettorale. Gli insorti, dopo tre giorni di scontro, proclamarono la Seconda Repubblica. Nell’aprile del 1848 si tennero in Francia le elezioni a sufragio universale maschile in cui prevalsero i moderati. Venne varata una costituzione che prevedeva l’elezione diretta del presidente, che aveva forti poteri. A dicembre venne eletto Luigi Bonaparte, nipote di Napoleone, che in pochi anni trasformò il governo repubblicano in una dittatura personale e nel 1852 con un plebiscito si fece proclamare imperatore col nome di Napoleone III.

NOZIONE CHIAVE AUTONOMIA Una situazione di indipendenza e separazione di un gruppo o un ente da un altro, così da potersi autodeterminare attività e poteri senza sottostare ad altre autorità.

Che cosa accadde nell’Impero asburgico e in Germania? La notizia dell’insurrezione di Parigi diede il via alle rivolte in tutta Europa. Il 13 marzo la rivolta scoppiò a Vienna, per poi difondersi in tutto l’impero, Italia compresa, e in Germania. Il 14 marzo 1848 la rivolta scoppiò a Berlino e di lì si propagò in tutta la Germania. Fu istituita un’Assemblea Nazionale per l’elaborazione della Costituzione del futuro Stato unitario che ofrì la corona imperiale al re di Prussia Federico Guglielmo IV. Questi però riiutò perché non voleva che il suo potere fosse limitato da una Costituzione. Poco dopo l’assemblea fu sciolta con la forza: falliva così la via liberale al rinnovamento.

4. IL QUARANTOTTO IN ITALIA Come e quando iniziò la prima guerra d’indipendenza? La rivolta partì il 12 gennaio 1848 proprio dal Regno delle Due Sicilie dove erano anche molto forti le spinte autonomistiche della Sicilia. Ferdinando II proclamò l’autonomia della Sicilia e concesse la Costituzione. Di fronte alle insurrezioni di altre città italiane anche il papa e i sovrani del Piemonte e della Toscana concessero la Costituzione.

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La rivolta scoppiò a Venezia e Milano quando giunse la notizia dell’insurrezione di Vienna. Milano, con le cinque giornate, cacciò gli Austriaci. Carlo Alberto, dopo molti indugi, il 23 marzo dichiarò guerra all’Austria allo scopo di acquisire nuovi territori e di impedire che l’iniziativa indipendentista fosse condotta da repubblicani e democratici. Iniziava così la prima guerra di indipendenza. In che cosa consistette la «guerra federale»? La prima fase della prima guerra d’indipendenza è detta anche «guerra federale» perché papa Pio IX, Leopoldo II di Toscana e Ferdinando II di Napoli inviarono truppe in aiuto di Carlo Alberto per non lasciare troppo spazio a democratici e repubblicani. Gli Austriaci, guidati da Radetzky, furono sconitti a Goito e Pastrengo e si asserragliarono nelle fortezze del «quadrilatero» (Mantova, Peschiera, Legnago e Modena). Ma l’Austria minacciò uno scisma e così il papa si ritirò dal conlitto, seguito subito da Leopoldo II e Ferdinando II. Che cosa fece Carlo Alberto dopo il ritiro degli alleati? Inizialmente Carlo Alberto vinse a Curtatone, Montanara, Goito e Peschiera e annesse al Regno di Sardegna Milano, Parma, Modena e Venezia. Ma gli Austriaci riuscirono a riorganizzarsi e sconissero le truppe piemontesi a Custoza. Carlo Alberto chiese l’armistizio che venne irmato il 9 agosto 1848 (armistizio Salasco). Poi, sotto la pressione dei democratici, Carlo Alberto riprese la guerra, ma il suo esercito fu pesantemente sconitto a Novara. Il sovrano abdicò in favore del iglio Vittorio Emanuele II e con l’armistizio di Vignale (24 marzo 1849) il Piemonte tornò ai suoi conini precedenti.

Felice Cerruti Bauduc, La battaglia di Goito, 1850-54. Torino, Museo del Risorgimento.

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10. L’unificazione italiana e tedesca 1. LA POLITICA INTERNA DI CAVOUR NOZIONE CHIAVE TARIFFE DOGANALI La tariffa doganale è la misura del dazio che si applica a ciascuna merce. Il dazio doganale è l’imposta che si deve versare per poter introdurre una merce in un territorio diverso da quello di produzione.

Quali furono le scelte di Cavour in politica interna? Cavour era liberale e liberista. Voleva modernizzare il Piemonte: abbassò le tarife doganali, migliorò le infrastrutture, fece canalizzare il Vercellese, rendendo in pochi anni il Piemonte la regione più evoluta d’Italia. Nei rapporti con la Chiesa sosteneva il principio «libera Chiesa in libero Stato»: lo Stato doveva consentire a tutti di professare la propria religione, ma la Chiesa non doveva avere alcun privilegio. Perché i fallimenti insurrezionali favorirono Cavour? Negli anni Cinquanta in Italia ci furono alcuni tentativi insurrezionali da parte di democratici e mazziniani. Il più famoso di essi è la spedizione di Sapri, organizzata da Carlo Pisacane, che aveva l’obiettivo di far insorgere i contadini del Regno delle Due Sicilie. Tutti questi tentativi si conclusero con dei fallimenti. Ciò convinse sempre più l’opinione pubblica che l’unica via per raggiungere l’uniicazione era quello ilosabauda. Nel 1857 a Torino fu costituita la Società Nazionale Italiana, a cui aderì anche Garibaldi, che si proponeva di realizzare l’unità d’Italia sotto la guida di casa Savoia.

2. LA POLITICA ESTERA DI CAVOUR Perché il Piemonte partecipò alla guerra di Crimea? Cavour inizialmente cercava l’espansione del Regno di Sardegna nel Nord Italia: il nemico era l’Austria e la Francia l’alleata ideale. Cavour partecipò alla guerra di Crimea a ianco di Inghilterra e Francia per poter approittare della conferenza di pace e dare rilievo europeo alla questione dell’unità d’Italia. Che cosa sono gli Accordi di Plombiéres? Sono accordi irmati da Cavour e Napoleone III nel 1858. Prevedevano l’aiuto francese al Piemonte in caso di attacco austriaco, in cambio della cessione di Nizza e della Savoia. In Italia avrebbero dovuto costituirsi tre Stati: quello dell’Italia del Nord sarebbe toccato ai Savoia.

UNITÀ 10 - L’unificazione italiana e tedesca Quali furono i principali avvenimenti della seconda guerra d’indipendenza? Cavour provocò l’Austria che dichiarò guerra al Piemonte il 29 aprile 1859. Una serie di vittorie permise la conquista della Lombardia: Napoleone III e Vittorio Emanuele II entrarono l’8 giugno a Milano. Nel frattempo scoppiarono insurrezioni in Toscana e Emilia, inalizzate all’annessione di questi territori al Regno di Sardegna. A sorpresa Napoleone III, temendo un eccessivo raforzamento del Piemonte, irmò l’armistizio di Villafranca con l’Austria. Il Piemonte otteneva Lombardia, Emilia e Toscana, ma doveva cedere Nizza e la Savoia.

3. LA SPEDIZIONE DEI MILLE Come nacque la spedizione dei Mille? Garibaldi organizzò la spedizione dei Mille perché cresceva il malcontento nell’Italia meridionale. Partito con poco più di mille volontari da Quarto, Garibaldi sbarcò a Marsala l’11 maggio 1860. In pochi giorni i garibaldini, appoggiati dagli abitanti, ottennero importanti successi contro l’esercito borbonico. Garibaldi assunse il potere in nome di Vittorio Emanuele II. Perché gli abitanti dell’Italia meridionale appoggiarono la spedizione dei Mille? Il popolo sperava nella ine del latifondismo e in un’equa divisione delle terre. La classe dirigente puntava invece a una trasformazione politica. Ma Garibaldi aveva bisogno dell’appoggio della classe dirigente: per questo represse tutte le rivolte contadine, come accadde a Bronte. Perché Cavour intervenne? I Mille arrivarono a Napoli e costrinsero alla fuga il re Francesco II. Cavour, che inizialmente aveva osteggiato l’impresa, inviò a sud l’esercito sabaudo temendo sia la proclamazione di una repubblica nelle terre conquistate sia l’intervento francese nel caso Roma fosse stata occupata. L’esercito conquistò Umbria e Marche. In tutti i territori l’annessione al Regno di Sardegna fu approvata attraverso plebisciti. Il 17 marzo 1861 si riunì a Torino il primo Parlamento nazionale e Vittorio Emanuele II fu proclamato primo re d’Italia. Cavour morì il 6 giugno.

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L’ESSENZIALE

4. IL SECONDO IMPERO FRANCESE E L’UNIFICAZIONE TEDESCA In che modo governò Napoleone III? Il Secondo Impero di Napoleone III fu caratterizzato da un particolare modo di governare, deinito bonapartismo, caratterizzato dalla ricerca del consenso popolare e dell’autoritarismo. La libertà di stampa e di associazione furono poste sotto controllo, mentre l’imperatore faceva ricorso ai plebisciti con i quali stabiliva un rapporto diretto con le masse senza la mediazione dei partiti e del parlamento. In politica estera Napoleone III cercò di fare della Francia la maggior potenza europea, senza tralasciare le ambizioni coloniali. Qual era il sogno di Napoleone III? Napoleone III aveva capito che il principio destinato a trionfare nel suo secolo era quello della nazionalità; si era così persuaso che la Francia, facendosene sostenitrice, avrebbe acquistato una potenza morale preponderante, e sarebbe forse potuta arrivare a quei conini delle Alpi e del Reno da essa sospirati come i conini naturali del Paese. La Francia era la sola grande potenza che non aveva da perdere alcun territorio per il trionfo di quel principio che avrebbe invece indebolito le altre potenze, come Italia o Germania. Il nuovo ordine europeo avrebbe portato a una pace perpetua.

NOZIONE CHIAVE JUNKER Nella Prussia dell’Ottocento il termine indicava gli aristocratici proprietari terrieri, spesso ai vertici dell’esercito e dell’amministrazione.

Chi era Bismarck? Otto von Bismarck era uno Junker, cioè un nobile proprietario terriero prussiano. Nel 1861 divenne Cancelliere (primo ministro) del re Guglielmo I. Bismarck intendeva fare della Prussia lo Stato promotore dell’unità tedesca, non attraverso vie costituzionali, ma attraverso la guerra. A tal ine potenziò l’esercito tedesco ino a farlo diventare il più forte d’Europa. Quali guerre combatté e vinse Bismarck? L’unità tedesca si realizzò attraverso tre guerre. La prima (1864-1865) fu combattuta e vinta contro la Danimarca per sottrarle le regioni dello Schleswig e dell'Holstein. La seconda fu combattuta contro l’Austria (1866). La Prussia si alleò con l’Italia e sbaragliò gli Austriaci a Sadowa, ma l’Italia venne vinta a Custoza e a Lissa. Il trattato di pace stabilì il passaggio del Veneto dall’Austria all’Italia e la divisione della Germania in due confederazioni: quella del Nord (presieduta dalla Prussia) e quella del Sud.

UNITÀ 10 - L’unificazione italiana e tedesca

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La terza guerra (1870) venne combattuta contro la Francia perché Bismarck era interessato a due regioni francesi, l’Alsazia e la Lorena. Inoltre la Francia voleva che la Confederazione del Sud rimanesse indipendente dalla Prussia. L’esercito francese fu pesantemente sconitto a Sedan (2 settembre 1870).

5. LA COMUNE DI PARIGI Che cosa accadde in Francia dopo la sconitta di Sedan? Parigi insorse e proclamò la repubblica (Terza Repubblica). Il 18 gennaio 1871 a Versailles fu proclamato il Secondo Reich (il secondo impero) e Guglielmo I fu incoronato imperatore di Germania. Nelle elezioni tenute in Francia vinsero moderati e conservatori e Adolphe Thiers, divenuto primo ministro, irmò la pace con la Germania. Le condizioni di pace erano molte dure e la Francia dovette cedere alla Germania l’Alsazia e la Lorena. Perché il popolo di Parigi insorse il 26 aprile 1871? Parigi insorse contro il governo che aveva accettato una pace così dura e instaurò un consiglio comunale sovrano di matrice socialista, la Comune. La Comune rimase però isolata: il resto della Francia era ancora nelle mani dei conservatori. Che cosa volevano i ribelli della Comune? I comunardi, pur non avendo un vero progetto politico comune, condividevano alcune idee: ƒuno Stato fatto di villaggi e città autonome, su cui la Comune avrebbe avuto una posizione di preminenza; ƒla democrazia diretta, l’istruzione pubblica, la laicità, la lotta alla povertà e all’ingiustizia. La Comune introdusse il sufragio universale e innovazioni di carattere socialista, come la creazione di cooperative di operai per la gestione delle fabbriche. Come fu sconitta la Comune? Thiers, con l’appoggio di Bismarck, ricostituì l’esercito francese, assediò e poi attaccò Parigi, attuando una violentissima repressione. La Comune cadeva dopo solo due mesi.

NOZIONE CHIAVE COMUNE Il termine «comune» nella lingua francese è di genere femminile e nel linguaggio storiografico ha mantenuto anche in italiano questa caratteristica. «Comune» indica semplicemente la municipalità, l’organo di autogoverno dei cittadini.

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11. L’Italia nell’età della Destra e della Sinistra storica 1. LA DESTRA STORICA AL POTERE Che cosa si intende per «Destra storica»? Dal 1861 al 1876 l’Italia fu governata dalla Destra storica, così chiamata perché, come la Sinistra di quel periodo, ebbe un ruolo «storico» nella formazione dell’Italia. Di fatto la Destra storica occupò una posizione centrale nel dibattito politico. Questi erano gli schieramenti parlamentari dell’epoca: ƒil centro composto dai moderati eredi di Cavour (la Destra storica), esponenti dell’aristocrazia terriera; ƒla destra in senso stretto costituita dai clericali e dai reazionari; ƒla sinistra formata dalla Sinistra storica (mazziniani e garibaldini) espressione per lo più della borghesia cittadina.

NOZIONE CHIAVE PREFETTO La figura del prefetto venne istituita nell’ordinamento italiano nel 1861. Rappresentava il potere esecutivo nelle province: sovrintendeva alla pubblica sicurezza, alla sanità, all’istruzione e disponeva della forza pubblica, con compiti di controllo sugli enti locali.

Quale modello di Stato fu scelto per l’Italia? Il successore di Cavour alla presidenza del Consiglio fu Bettino Ricasoli. La Destra storica dovette decidere l’assetto del nuovo Stato. Fu scelto il modello di Stato accentrato. L’Italia fu divisa in province e il governo nominò per ciascuna di esse un prefetto. Anche i sindaci dei comuni erano nominati dal governo. Il centralismo e l’estensione del modello piemontese al resto della Penisola indicavano come l’Italia fosse considerata un’estensione del Regno di Sardegna. La Destra storica fu perciò accusata di piemontesismo. Quali furono le cause del grande brigantaggio? La caduta del regime borbonico aveva fatto nascere nelle masse meridionali la speranza di un rinnovamento politico e sociale. Da un punto di vista politico, il nuovo Stato si limitò invece a smantellare le istituzioni borboniche senza sostituirle in modo adeguato; da un punto di vista sociale, il popolo meridionale si trovò di fronte: ƒall’aumento della pressione iscale; ƒall’estensione del servizio militare obbligatorio; ƒal brutale abbattimento delle barriere doganali; ƒall’assegnazione delle commesse statali quasi esclusivamente a imprese del Nord.

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Il difuso malcontento esplose in una violenta protesta che prese il nome di grande brigantaggio che coinvolse ino a 80 000 briganti (ex soldati borbonici, contadini indebitati, criminali comuni, renitenti alla leva) sostenuti anche da Francesco II di Borbone. In che modo il governo afrontò il brigantaggio? Dal punto di vista militare, il brigantaggio fu un’attività di guerriglia che dal 1860 al 1865 divampò in diverse zone del Meridione. A operare erano diverse bande, che spesso godevano dell’appoggio della popolazione. I generali piemontesi consideravano ogni contadino un probabile brigante, e scatenarono spesso il terrore bruciando villaggi e massacrando la popolazione civile, dando il via a una spirale di rappresaglie. La guerra costò migliaia di morti e impose allo Stato uno sforzo pesantissimo: in certi momenti nella repressione furono impegnati anche 120 000 uomini. Decisiva fu l’applicazione della legge Pica (agosto 1863), che aidava la repressione ai tribunali militari. Nella sostanza, i governi della Destra storica afrontarono la questione del brigantaggio solo in un’ottica repressiva, senza cercare di rimuoverne le cause sociali profonde. Come nacque la maia? L’incomprensione dello Stato italiano per le cause profonde del grande brigantaggio si manifestò anche nei confronti della maia, già presente in Sicilia dagli inizi dell’Ottocento. Alcuni grandi proprietari terrieri aidavano la gestione delle loro terre a dei gabellotti. Questi aittavano la terra dal proprietario per poi subaittarla ai contadini: per costringere i contadini a pagare l’aitto delle terre si circondarono di uomini in armi formando delle bande armate. Queste bande armate divennero in seguito autonome: nacque così la maia, che chiedeva somme di denaro sia ai contadini sia ai proprietari terrieri. La maia, o Cosa Nostra, si difuse anche nelle città senza diicoltà: lo Stato italiano, infatti, era percepito come incapace di comprendere i veri problemi del popolo meridionale. Analoga fu la vicenda di due altre organizzazioni criminali: la camorra, da tempo presente in Campania, e la n ̓ drangheta, sorta in Calabria probabilmente dopo il 1850. Quali furono le scelte di politica economica? L’Italia era uno Stato arretrato e il bilancio era in deicit. Per risolvere questi problemi la Destra storica:

NOZIONE CHIAVE MAFIA / CAMORRA / ‘NDRANGHETA Termini di incerta origine (mafiuso in siciliano significava genericamente prepotente, malandrino) indicanti associazioni di carattere criminale, diffuse rispettivamente in Sicilia, Campania e Calabria, che tendono ad approfittare della debolezza dello Stato per accaparrarsene con la forza le funzioni.

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L’ESSENZIALE ƒavviò una politica liberista favorendo il libero scambio sia all’interno

del Paese sia verso l’esterno;

ƒricercò il pareggio del bilancio (soprattutto dietro l’impulso del mini-

stro delle Finanze Quintino Sella) per dare credibilità all’Italia nell’ambito della comunità inanziaria internazionale e attirare capitali stranieri, i quali avrebbero accelerato lo sviluppo economico. A questo scopo vennero venduti terreni ecclesiastici e del demanio pubblico. Ma soprattutto vennero introdotte pesanti imposte, in particolare indirette come la tassa sul macinato (1868).

2. IL COMPLETAMENTO DELL’UNITÀ D’ITALIA Perché nel 1864 la capitale fu spostata da Torino a Firenze? Mentre mazziniani e garibaldini sollecitavano la conquista armata di Roma, la Destra storica era contraria: temeva la reazione della Francia, cattolica e schierata con il papa. Si cercò allora l’accordo: con la Convenzione di Settembre (1864) l’Italia si impegnò a difendere lo Stato Pontiicio in cambio del ritiro delle truppe francesi da Roma. La capitale venne spostata da Torino a Firenze in segno di rinuncia a Roma. Quali furono i principali avvenimenti della terza guerra d’indipendenza? Nel 1866 l’Italia aiancò la Prussia nella guerra contro l’Austria. La terza guerra d’indipendenza, nonostante le sconitte italiane a Custoza e Lissa, venne vinta dagli Italo-Tedeschi grazie alla vittoria dei Prussiani a Sadowa. Con la pace di Vienna l’Italia ottenne il Veneto. Come si giunse a spostare la capitale a Roma? I mazziniani e i garibaldini si riorganizzarono per liberare Roma. Nel 1867 Garibaldi, penetrato con 3000 volontari nello Stato Pontiicio, si scontrò con i Francesi a Mentana e fu sconitto. Fu grazie alla caduta del Secondo Impero francese a opera dei Prussiani che l’esercito italiano il 20 settembre 1870 poté entrare in Roma, che venne annessa al Regno d’Italia (1870). Il trasferimento della capitale avvenne nel luglio 1871. Il papa Pio IX dichiarò illegittima la presa di Roma e la conseguente ine dello Stato della Chiesa: divenne così un iero nemico del Regno d’Italia e aprì una frattura fra il mondo cattolico e quello laico all’interno del nuovo Stato.

UNITÀ 11 - L’Italia nell’età della Destra e della Sinistra storica

3. LA SINISTRA STORICA AL POTERE Quali riforme auspicava Depretis? La Destra, sempre più divisa al suo interno, nel 1876 perse l’appoggio della maggioranza. Le nuove elezioni furono vinte dalla Sinistra storica, che avrebbe governato ino al 1896. La Sinistra, guidata da Agostino Depretis, aveva attenuato la sua tendenza democratica, ma rimaneva promotrice di riforme: ƒl’obbligo scolastico fu innalzato a nove anni di età; ƒsi cercò una politica iscale meno oppressiva ma ciò fece lievitare la spesa pubblica e ricomparire il deicit del bilancio; ƒnel 1882 una riforma elettorale allargò il diritto di voto. In che cosa consistette il trasformismo? La Sinistra vinse le elezioni del 1882 ma la Destra ottenne un buon risultato elettorale. Depretis allora si rivolse ai deputati della Destra invitandoli a entrare nella maggioranza. Questo fenomeno fu detto trasformismo e segnò la ine della distinzione di programmi e idee fra Destra e Sinistra. Nasceva di fatto in Parlamento un’ampia formazione di centro che portò a scambi di favori fra governo e parlamentari: in sintesi favorì il dilagare della corruzione. Quale fu la politica economica della Sinistra storica? Nel 1887 il governo, spinto da blocchi di agrari e industriali, abbandonò la politica liberoscambista e adottò alte tarife doganali per proteggere la produzione nazionale dalla concorrenza straniera. Gli efetti del protezionismo furono positivi sulla produzione industriale, negativi per l’agricoltura del Sud, colpita dalla ritorsione degli altri Paesi. Inoltre, si veriicò un generale aumento dei prezzi che causò il peggioramento delle condizioni di vita delle masse popolari, con conseguente crescita dei conlitti sociali e dell’emigrazione. Che cosa cambiò nella politica estera? Nel 1882 l’Italia cercò di uscire dall’isolamento internazionale e si alleò a Germania e Austria dando vita alla Triplice Alleanza, un accordo difensivo. Questa alleanza: ƒsuscitò le proteste degli irredentisti, in quanto l’Italia rinunciava implicitamente alle terre ancora in mano austriaca, ovvero Trentino e Friuli Venezia Giulia;

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L’ESSENZIALE ƒfu economicamente vantaggiosa: l’alusso di capitali tedeschi permise il

inanziamento dell’industria italiana. Contemporaneamente prendeva il via l’avventura coloniale, ma il tentativo di conquistare l’Etiopia fallì con la grave sconitta di Dogali (1887).

4. COME FARE GLI ITALIANI? Perché occorreva costruire un’identità nazionale? A Massimo d’Azeglio viene attribuita la frase: «L’Italia è fatta, adesso bisogna fare gli Italiani!». In efetti, la difusa convinzione risorgimentale che gli Italiani esistessero già non era del tutto fondata. Occorreva dunque costruire l’identità nazionale, la coscienza cioè di appartenere a un’unica collettività. L’uniicazione italiana era infatti avvenuta per la combinazione di un’iniziativa dall’alto (guidata da Cavour e dai Savoia) e di un’iniziativa dal basso, rappresentata dalle insurrezioni e dalla spedizione garibaldina: la maggioranza del popolo italiano era rimasta indiferente, o decisamente contraria. Quale fu la «pedagogia nazionale» messa in atto? La costruzione dell’identità nazionale fu un’operazione molto complessa di pedagogia nazionale, perseguita con grandi sforzi e con vari strumenti, i principali dei quali furono la cultura e l’istruzione. Da un punto di vista culturale vanno ricordati poeti come Giosue Carducci, musicisti come Giuseppe Verdi, scrittori come Edmondo De Amicis e Francesco De Sanctis Per quanto riguarda l’istruzione, venne estesa a tutto il regno una legge piemontese che prevedeva l’obbligo di frequenza del primo biennio della scuola elementare. L’attuazione della legge era demandata ai comuni. Mancavano però le scuole e gli insegnanti erano impreparati. La difusione delle scuole portò molte donne a emanciparsi dai lavori tradizionali per diventare insegnanti. Alla maestra lo Stato aidò la missione di difondere la lingua nazionale e di educare i bambini agli ideali risorgimentali. Come nacque il mito dell’Italia unita? Oltre all’istruzione, al «fare gli Italiani» contribuirono grandemente le feste patriottiche, i monumenti, così come il cambiamento della toponomastica urbana con l’intitolazione delle strade agli eroi del Risorgimento. Ebbe molta importanza anche il servizio militare obbligatorio con lo spostamento delle reclute in altre regioni e il difondersi dell’orgoglio della divisa.

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La morte inine di Vittorio Emanuele II, avvenuta il 9 gennaio 1878, gettò il Paese in una sincera costernazione, largamente difusa tra tutti gli strati della società, ancora legati all’idea del re quale padre afettuoso.

5. DALLO STATO FORTE DI CRISPI ALLA CRISI DI FINE SECOLO Di quali iniziative fu promotore il governo Crispi? Francesco Crispi, il successore di Depretis, governò l’Italia dal 1887 al 1896 (con l’eccezione del biennio 1891-93). Crispi cercò di rilanciare la politica coloniale ma la maggioranza, data la crisi economica, era preoccupata dei costi dell’operazione. Così nel 1891 Crispi si dimise. La presidenza del Consiglio passò prima a di Rudinì poi a Giovanni Giolitti, che dovette affrontare il moto popolare dei Fasci siciliani, aggregazione eterogenea di lavoratori che protestavano contro le pesanti tasse e contro i latifondisti. Giolitti, accusato di debolezza per non aver adottato metodi repressivi nella gestione dei moti e di aver coperto lo scandalo della Banca Romana, alla ine del 1893 si dimise. Chi salì al potere dopo la caduta di Giolitti? Tornato al potere, Crispi: ƒrepresse duramente la protesta dei Fasci; ƒrilanciò la politica coloniale puntando alla conquista dell’Etiopia (Abissinia), ma nel 1896 gli Italiani furono sconitti presso Adua. Travolto dalle critiche, Crispi si dimise. Terminava l’età della Sinistra storica e si apriva un periodo di crisi politica e istituzionale. Il nuovo presidente del Consiglio, di Rudinì, concluse con Menelik II (l’imperatore d’Etiopia) un trattato con cui l’Italia rinunciava alle pretese sull’Etiopia e limitava il suo dominio all’Eritrea e alla Somalia. Che cosa accadde negli ultimi due anni dell’Ottocento? Nel 1898 una grave crisi economica colpì l’Italia. A causa dell’aumento del prezzo del pane, ci fu un’ondata di proteste e a Milano il generale Bava Beccaris (poi decorato da Umberto I) ordinò di cannoneggiare la folla causando una strage. Il primo ministro Pelloux tentò di imporre delle leggi fortemente lesive della libertà di stampa e di riunione, ma il Parlamento si oppose. Il 29 luglio 1900 l’anarchico Bresci uccise il re Umberto I. Il nuovo re Vittorio Emanuele III aidò il governo a Zanardelli. Giovanni Giolitti divenne ministro degli Interni: iniziava così l’età giolittiana.

NOZIONE CHIAVE FASCI SICILIANI I Fasci siciliani erano un movimento (il termine fascio significa unione) di carattere popolare – comprendeva operai, artigiani e zolfatari – che protestava contro le tasse del governo e i latifondisti.

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NOZIONE CHIAVE ELETTRICITÀ Si tratta non tanto di una fonte di energia, ma di un modo di muovere e distribuire energia prodotta da altre fonti, come il calore del vapore o il movimento dei corsi d’acqua. Il successo dell’elettricità fu dovuto soprattutto alla sua enorme versatilità. MONOPOLIO È la concentrazione nelle mani di un’unica impresa di tutto un settore produttivo. Il monopolio delle aziende private viene combattuto per evitare che una sola azienda possa imporre prezzi altissimi detenendo l’esclusiva di un prodotto. FORDISMO È il modello di organizzazione del lavoro, basato sui princìpi del taylorismo, che prende il nome da Henry Ford, che per primo lo realizzò nella sua fabbrica di automobili.

L’ESSENZIALE

12. La seconda rivoluzione industriale 1. DALLA PRIMA ALLA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE Che cosa accadde nel corso dell’Ottocento? Nel corso dell’Ottocento la rivoluzione industriale si difuse in Europa e negli Stati Uniti. Dal 1870 iniziò la seconda rivoluzione industriale, caratterizzata da: ƒl’utilizzo della ricerca scientiica nell’innovazione tecnologica; ƒnuove fonti di energia (elettricità e combustione a petrolio); ƒlo sviluppo di nuovi settori (chimica, siderurgia, industria automobilistica ecc.); ƒmonopoli e oligopoli; ƒla catena di montaggio e la produzione in serie; ƒla società di massa: tutti iniziarono a fruire degli stessi prodotti (creati in serie) e servizi; ƒuno Stato sempre più presente nel sistema economico ed evoluto in senso democratico. Questo processo giungerà a maturità, nei Paesi più progrediti (Stati Uniti, Gran Bretagna), negli anni Venti e Trenta del Novecento.

2. LA CATENA DI MONTAGGIO Che cosa accadde nelle fabbriche? Le fabbriche si rinnovarono non solo per l’utilizzazione delle grandi innovazioni tecnologiche, ma anche perché il sistema produttivo fu riorganizzato in modo da massimizzare la produzione. Il primo a occuparsi di questo tema fu l’ingegnere americano Taylor. Da lui prende il nome il taylorismo, o organizzazione scientiica del lavoro. Secondo Taylor era necessario scomporre il più possibile il processo di produzione di un determinato oggetto. In questo modo si organizzavano meglio i movimenti da compiere e i tempi di lavorazione. Che cos’è la catena di montaggio? La teoria di Taylor venne applicata per la prima volta su vasta scala da Ford nella sua nota fabbrica di automobili. Grazie alla catena di montaggio, i pezzi da lavorare erano portati all’operaio che doveva limitarsi a ripetere una mansione sempre uguale: nacque così la prima automobile di serie, la Ford modello T.

UNITÀ 12 - La seconda rivoluzione industriale

3. IL CAPITALISMO MONOPOLISTICO E FINANZIARIO Come si modiicò il capitalismo? Tra il 1870 e il 1914 la produzione industriale mondiale quadruplicò, ma negli anni 1873-96 si veriicò quella che viene deinita la grande depressione. Fu una crisi dovuta alla sovrapproduzione: si produsse in eccesso rispetto alla domanda. Ovunque (salvo in Inghilterra) il libero scambio fu sostituito con il protezionismo. Le industrie meno competitive fallirono. Quelle che si riorganizzarono uscirono dalla crisi raforzate e si ingrandirono. Le banche concessero prestiti alle aziende importanti piuttosto che a quelle piccole. Nasceva il fenomeno della concentrazione industriale: tra le sue forme, il monopolio è quando un’unica impresa controlla un settore produttivo. Perché crebbe il peso delle banche? Il capitalismo, oltre che monopolistico, divenne inanziario in quanto l’interesse inanziario prese a dominare su quello industriale. Di conseguenza crebbe l’importanza delle banche che concedevano prestiti alle industrie. Rappresentanti delle banche sedevano nei consigli di amministrazione delle grandi industrie, e viceversa. Si sviluppò il sistema della cosiddetta banca mista, che assommava in sé le caratteristiche della banca commerciale (raccolta del risparmio e gestione del credito) e della banca d’afari (specializzata negli investimenti industriali). Perché il boom demograico riguardò solo i Paesi più arretrati? Tra il 1850 e il 1914 vi fu un boom demograico nei Paesi più arretrati. Nei Paesi industrializzati, nonostante il miglioramento delle condizioni di vita, la natalità prese a decrescere per: ƒl’innalzamento della scolarità; ƒl’inserimento delle donne nel sistema produttivo; ƒla difusione dei metodi di controllo delle nascite. Perché aumentò in modo impressionante l’emigrazione? I Paesi industrializzati reagirono alla crisi agricola ammodernando il settore, mentre in quelli arretrati – soprattutto in Europa centro-orientale – si creò un esubero di popolazione nelle campagne. Iniziarono così i lussi migratori verso le città, verso altri Paesi d’Europa e oltreoceano. Alla ine del XIX secolo si veriicò un’ondata migratoria senza precedenti dall’Europa verso gli Stati Uniti.

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13. La società dell’Ottocento e le sue contraddizioni 1. CITTÀ E CAMPAGNA Come si trasformò il mondo delle campagne nell’Ottocento? La maggior parte della popolazione attiva dell’Ottocento continuava a vivere in campagna, dove le realtà economiche e sociali erano molto diversiicate: in Russia permaneva la servitù della gleba, in Gran Bretagna era presente un gran numero di contadini salariati. La forma più difusa di conduzione della terra era la piccola proprietà, in cui si coltivava per l’autoconsumo o per la vendita diretta dei prodotti. In gran parte dell’Europa orientale e nel Meridione d’Italia era difuso il latifondo. Nel complesso la situazione degli abitanti e dei lavoratori delle campagne appariva diicile. Ma la campagna permetteva anche l’accumulo di ingenti ricchezze. I grandi proprietari terrieri sfruttavano l’enorme quantità di manodopera contadina a disposizione; alcuni imprenditori o grandi gruppi inanziari introdussero innovazioni tecniche per migliorare e aumentare la produzione: nacquero cosi aziende agricole a conduzione capitalistica. Molti proprietari terrieri ottennero grandi proitti dalla vendita degli appezzamenti di terra richiesti per la costruzione delle ferrovie e per l’ampliamento delle città. Come si formò il proletariato? La difusione delle industrie e la scomparsa delle botteghe artigianali portarono all’aumento del proletariato urbano. Anche per gli operai le condizioni di vita e di lavoro erano diicili. Il contrasto fra la condizione degli operai e lo stile di vita dei ricchi borghesi appariva particolarmente evidente. Nelle sedi delle nascenti associazioni operaie si formava così una coscienza di classe: i lavoratori comprendevano di appartenere allo stesso gruppo sociale, con interessi comuni, diritti da difendere e uno stesso avversario da combattere: i padroni. Le prime associazioni operaie, destinate al mutuo soccorso fra i soci, erano nate prime dal 1848, e negli anni successivi si difusero ulteriormente. Quali erano le principali teorie socialiste? In Francia ebbe grande successo la dottrina di Pierre-Joseph Proudhon, che propugnava una struttura sociale fondata su associazioni di lavoro, autonome ma fra loro collegate.

UNITÀ 13 - La società dell’Ottocento e le sue contraddizioni In Italia, dove il proletariato industriale era numericamente trascurabile, era forte l’inlusso di Mazzini che si era schierato a favore della cooperazione e contro la lotta di classe. In Germania la classe operaia, che cresceva rapidamente, aderì numerosa alle dottrine di Ferdinand Lassalle sostenitore della conquista dello Stato da parte del proletariato con l’utilizzo del sufragio universale. Più lenta fu invece la penetrazione del pensiero di Karl Marx all’interno del movimento operaio europeo. Tuttavia, la radicalità della sua analisi e la coerenza del suo percorso rivoluzionario imposero la sua dottrina come dominante tra i lavoratori dell’Europa continentale verso la ine dell’Ottocento. Quali erano i valori del proletariato e le forme di lotta? Il primo dei valori che i proletari sentivano propri era la solidarietà: occorreva infatti la forza fornita dal numero e dalla compattezza delle organizzazioni operaie per lottare per i diritti. I lavoratori sentivano poi di battersi per una società più giusta dove tutti potessero vivere in uguaglianza e liberi dallo sfruttamento. Importanti valori erano poi l’istruzione e la cultura, coltivati nelle Case del popolo e attraverso libri e giornali, laddove la censura era debole o assente. Per dare forza alle rivendicazioni venivano organizzati gli scioperi, secondo diverse modalità di astensione dal lavoro. Inizialmente chi scioperava poteva essere licenziato, per cui il riconoscimento del diritto di sciopero fu una conquista fondamentale.

2. LA TRASFORMAZIONE URBANA Come avvenne la trasformazione delle città? I profondi cambiamenti introdotti nella società dall’industrializzazione provocarono nell’Ottocento anche il fenomeno dell’urbanesimo, un processo che avrebbe condotto la maggioranza della popolazione a lasciare le campagne per trasferirsi nelle citta. Il processo fu graduale e non omogeneo nelle diverse aree geograiche: ancora una volta fu la Gran Bretagna a guidare il cambiamento. Una rapida e tumultuosa crescita urbana si veriicò anche negli Stati Uniti dove il modello seguito fu la costruzione di un centro dedicato agli afari e lo sfruttamento delle aree periferiche per l’ediicazione di sobborghi. In questo modo New York passò nel corso dell’Ottocento da 50 000 a 3 milioni e mezzo di abitanti.

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L’ESSENZIALE Le citta europee, spesso ancora legate alla struttura medievale, subirono grandi trasformazioni: tutti gli spazi disponibili venivano utilizzati, le vecchie mura abbattute, ediici storici ma ritenuti inutili venivano demoliti. Si trattava infatti di trovar spazio per nuove priorità: la stazione e le linee ferroviarie, la Borsa, i quartieri commerciali o degli afari, i tribunali. Quali nuovi quartieri nacquero? In periferia vennero costruiti i quartieri operai, ediicati in zone prima disabitate o inglobando piccoli villaggi un tempo separati dalla grande città. I nuovi quartieri popolari spesso venivano eretti vicino alle fabbriche che emanavano fumo e rumori, mancavano di acqua corrente e di impianti di riscaldamento. In città sempre più estese si pose inevitabilmente il problema dei collegamenti: furono pavimentate le strade, si difuse l’illuminazione a gas, vennero organizzati nuovi sistemi di trasporto all’interno delle città, a partire dalle carrozze a cavalli, dette omnibus, aiancate poi o sostituite da linee tranviarie elettriche.

3. LA MENTALITÀ BORGHESE Perché si parla di «età della borghesia»? Il biennio 1848-49 indebolì sia le velleità sia il predominio aristocratico sulla società: i cambiamenti determinati dalla rivoluzione industriale portarono a una «età della borghesia», con l’afermazione di una nuova mentalità i cui comandamenti erano: libertà di iniziativa e di concorrenza, merito individuale, innovazione tecnologica e iducia illimitata nel progresso. Anche se la borghesia non era una classe sociale omogenea, aveva un comune stile di vita, in cui molta importanza era attribuita all’abbigliamento e all’arredamento. Quali erano i valori della borghesia? L’etica borghese si fondava su valori molto distanti da quelli degli aristocratici: l’attitudine al risparmio, all’austerità, alla moderazione, all’onestà erano qualità che dovevano distinguere il borghese e renderlo rispettabile. La famiglia, dominata dal padre, aveva un valore fondamentale: in linea di principio, monogamia e fedeltà erano al primo posto fra le

UNITÀ 13 - La società dell’Ottocento e le sue contraddizioni virtù coniugali, e ogni infrazione evidente di questo codice era fonte di scandalo. La mentalità borghese riconosceva l’esistenza di un legame fra qualità etiche, successo economico e status sociale elevato. Soltanto chi si impegnava nel lavoro poteva legittimamente aspirare a salire la scala sociale o a mantenervi un grado elevato: dunque, colui che occupava i gradi inferiori della società non possedeva quelle qualità o non si impegnava ad acquisirle. La povertà era dunque considerata un vizio e un peccato.

4. UN’ONDATA DI OTTIMISMO: IL POSITIVISMO Che cos’è il Positivismo? Le grandi scoperte scientiiche e le innovazioni provocarono un’ondata di ottimismo nei confronti dell’avvenire del genere umano. La iducia nella scienza e nella tecnica divenne una vera e propria fede. Nel contempo Charles Darwin, sulla base degli studi e delle osservazioni da lui compiuti, formulava una rivoluzionaria teoria biologica: l’evoluzionismo. Secondo Darwin, tutte le forme di vita sono il risultato di graduali mutazioni delle specie, da forme primitive a forme più complesse. Ciò vale anche per l’uomo che dunque discende da animali inferiori. Le ripercussioni di questa teoria furono enormi: l’uomo appariva come un animale in grado di evolversi sempre di più. La iducia nel progresso dell’umanità veniva dunque esaltata. Il clima culturale che ne scaturì prese il nome di Positivismo.

5. LA CRITICA DEL PROGRESSO Che cos’era la Prima Internazionale? L’Associazione Internazionale dei Lavoratori, più nota come Prima Internazionale, nacque nel 1864: i lavoratori proletari di tutto il mondo si organizzavano per porre ine allo sfruttamento da parte dei capitalisti. Fin dalla sua fondazione, però, la Prima Internazionale fu animata da diverse convinzioni ideologiche: dal sindacalismo inglese di tendenza riformista, ai marxisti che proponevano di abbattere la società borghese con la rivoluzione; dai mazziniani che giustiicavano le rivendicazioni democratiche con argomenti morali, agli anarchici che negavano ogni forma di autorità sia religiosa sia politica.

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L’ESSENZIALE Perché Bakunin venne espulso? La polemica più aspra fu quella tra Marx e Bakunin, teorico dell’anarchismo. Secondo Bakunin: ƒla diseguaglianza sociale è generata non dallo sfruttamento economico (come sosteneva Marx) ma dallo Stato, che va abbattuto; ƒcon la rivoluzione si instaurerà la società anarchica: non sarà necessaria una transitoria dittatura del proletariato; ƒi rivoluzionari per eccellenza sono i diseredati, i sottoproletari e i braccianti, non il proletariato come sosteneva Marx. Bakunin fu espulso dall’Internazionale. La crisi economica del 1873 dimostrò l’incapacità della Prima Internazionale di difendere i lavoratori e nel 1876 l’organizzazione si sciolse. Qual era la posizione della Chiesa cattolica? Nel 1864 papa Pio IX condannò i mutamenti apportati dalla rivoluzione industriale con l’enciclica Quanta cura. Un secondo documento, il Sillabo, elencava gli errori più comuni del tempo. Vennero condannati: la morale laica, il liberalismo, il socialismo e il comunismo, la separazione fra Chiesa e Stato, la libertà di culto, di pensiero e di stampa.

In questa litografia a colori del 1890 il socialismo è rappresentato come l’erede della rivoluzione francese.

UNITÀ 14 - Le grandi potenze

14. Le grandi potenze 1. LA FRANCIA DELLA TERZA REPUBBLICA Quali problemi dovette afrontare la Terza Repubblica francese? Dopo la sconitta contro la Prussia e la caduta di Napoleone III, nel 1870 la Francia proclamò la Terza Repubblica. Superata l’esperienza della Comune, si trovò ad afrontare: ƒle diicoltà dovute alle pesanti condizioni imposte dai Tedeschi; ƒla nascente volontà di riscatto nei confronti della Germania (revanscismo); ƒlo scontro tra monarchici e repubblicani. Quali furono i principali avvenimenti del periodo? Fino al 1912 il governo rimase in mano a repubblicani moderati e radicali. In questi anni: ƒvennero realizzate riforme che estesero la democrazia e laicizzarono lo Stato; ƒmonarchici e reazionari provarono a rovesciare la repubblica (nel 1877 con Mac-Mahon e nel 1889 con il generale Boulanger); ƒsi difusero il revanscismo, le tensioni antidemocratiche e l’antisemitismo; ƒci furono agitazioni sindacali e tumulti. I socialisti estremizzarono le loro posizioni. Ciò favorì i conservatori, che tra il 1912 e il 1914 andarono al governo con Poincaré, revanscista e militarista. Nel 1914, alla vigilia della prima guerra mondiale, i radicali tornarono al governo.

2. L’AFFARE DREYFUS Come ebbe origine il caso Dreyfus? Il caso Dreyfus ebbe inizio nel 1894 quando i servizi segreti francesi trovarono nell’ambasciata tedesca materiali utilizzati dall’esercito francese: una successiva inchiesta portò ad attribuire i documenti al capitano Alfred Dreyfus. Questi venne incarcerato: nel clima di antisemitismo dilagante, le sue origini ebraiche lo rendevano sospetto. Nonostante la sua protesta d’innocenza, Dreyfus venne degradato e condannato ai lavori forzati.

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L’ESSENZIALE Il processo scatenò una furibonda campagna antisemita, e a nulla valsero ulteriori indagini che portavano a scagionare Dreyfus. Quali rilessi ebbe l’afare Dreyfus sul Paese? A difesa di Dreyfus si schierò fra gli altri lo scrittore Émile Zola, che pubblicò un durissimo articolo contro lo Stato Maggiore dell’esercito, accusato di aver inquinato le prove. Per questo motivo Zola fu condannato e dovette lasciare la Francia. Il processo a Zola spaccò il Paese fra dreyfusardi (progressisti) e antidreyfusardi (conservatori e reazionari). Soltanto nel 1906, dopo che le macchinazioni contro Dreyfus erano venute alla luce e il vero colpevole identiicato, Dreyfus venne riconosciuto innocente e riabilitato.

3. LA GERMANIA DA BISMARCK A GUGLIELMO II Com’era costituito il Reich tedesco? La Germania unita era la maggiore potenza militare d’Europa. La Costituzione del 1871 stabilì: ƒl’assetto federale della Germania; ƒun regime politico autoritario: il potere era concentrato nella Cancelleria che rispondeva solo al Kaiser (l’imperatore).

NOZIONE CHIAVE CANCELLIERE È il termine con cui in Germania e in Austria viene chiamato il primo ministro, cioè il capo del governo.

Quale politica seguì Bismarck? Bismarck fu cancelliere ino al 1890. In politica estera fu moderato ma cercò l’afermazione dell’Impero tedesco come grande potenza. Sul piano della politica interna: ƒcostruì uno Stato centralista; ƒattuò il protezionismo; ƒtentò di estirpare il cattolicesimo in nome della modernità e dello Stato laico; ƒcombatté il socialismo sia con la repressione sia con le riforme. Creò infatti lo Stato sociale per migliorare le condizioni dei lavoratori. Nonostante ciò l’SPD, il Partito Socialdemocratico, guadagnò terreno. Quale nuovo corso fu avviato da Guglielmo II? Nel 1888 salì al trono Guglielmo II e nel 1890 Bismarck diede le dimissioni. La politica del cancelliere di ferro non era infatti più ritenuta adeguata dall’alta borghesia capitalista e dal Kaiser, che desideravano una politica estera più aggressiva e una decisa espansione coloniale. L’Europa perdeva così un’importante fattore di equilibrio tra gli Stati.

UNITÀ 14 - Le grandi potenze

4. L’ETÀ VITTORIANA Quali furono i caratteri dell’Inghilterra vittoriana? Il regno della regina Vittoria (1837-1901) viene comunemente deinito l’«età vittoriana». Questo periodo fu caratterizzato da: ƒuna grande prosperità economica: il tenore di vita inglese era superiore a quello degli altri Paesi; ƒstabilità politica: whigs (progressisti, il cui leader era Gladstone) e tories (conservatori, guidati da Disraeli) si alternarono al potere ma ebbero in comune molti orientamenti. Realizzarono riforme all’insegna della democratizzazione e della ricerca della pace sociale. A ine Ottocento la crisi economica e la ine della stagione delle riforme sociali raforzarono i movimenti operai. Il Labour Party (nato nel 1906), socialista ma non marxista, divenne il terzo partito inglese. Che cosa si intende per questione irlandese? La questione irlandese riguardava la situazione dell’Irlanda nei confronti del dominio inglese. L’Irlanda da secoli lottava contro la Corona britannica. Al suo interno si scontravano cattolici e protestanti, indipendentisti e autonomisti. Accanto a forme violente di protesta vi fu la linea moderata di Parnell, che si batté per l’autogoverno (Home rule) all’interno del Regno Unito. La Home rule fu concessa, ma non fu applicata a causa dello scoppio della prima guerra mondiale.

5. L’ESPANSIONE DEGLI STATI UNITI Quali fattori favorirono l’ascesa degli Stati Uniti come grande potenza? Nella prima metà del XIX secolo gli Stati Uniti conobbero: ƒuna rapida crescita demograica dovuta al costante lusso migratorio; ƒl’espansione territoriale a sud e a ovest; ƒun forte sviluppo economico, che però non fu uguale ovunque. Quale contrasto sussisteva tra Nord e Sud? Il Nord era il polo dello sviluppo industriale, aperto al progresso e alla libera iniziativa. La borghesia del Nord votava il Partito repubblicano. Il Sud era il polo agricolo, con colture latifondiste e una ristretta élite conservatrice. Il lavoro degli schiavi neri era il pilastro su cui poggiava l’economia e dove dominava il Partito democratico.

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L’ESSENZIALE La tensione tra Nord e Sud fu alimentata da numerosi fattori, in particolare dal contrasto tra le posizioni antischiaviste del Nord e quelle schiaviste del Sud.

NOZIONE CHIAVE GUERRA TOTALE Si indica così una guerra che coinvolge ogni aspetto della vita delle nazioni che vi prendono parte, e in particolare la popolazione civile, che diventa un obiettivo da colpire.

Fancis Bicknell Carpenter, Prima lettura del Proclama di emancipazione del 22 luglio 1862, 1864. Washington, Campidoglio. Da sinistra a destra: Edwin Stanton, Salmon Chase, Abraham Lincoln, Gideon Welles, Caleb Smith, William Seward, Montgomery Blair, Edward Bates.

Perché scoppiò la guerra di secessione? Nel 1860 il repubblicano Lincoln venne eletto presidente. Temendo di inire relegati a un ruolo subordinato, gli Stati del Sud nel 1861 decisero la secessione e costituirono la Confederazione autonoma del Sud. Iniziò così la guerra di secessione tra unionisti (Stati del Nord) e confederati (Stati del Sud) che durò dal 1861 al 1865 e vide la vittoria degli unionisti. Fu la prima guerra totale: venne combattuta con le armi prodotte dalla rivoluzione industriale e con il coinvolgimento di tutta la società. Dopo l’assassinio di Lincoln, che intendeva frenare i radicali nordisti, il Sud subì un’occupazione militare a fronte della quale reagì con durezza. Inoltre gli schiavi liberati non cambiarono la loro situazione economica e le discriminazioni razziali continuarono. Quale sviluppo ebbero gli Stati Uniti dopo la guerra? La vittoria nella guerra di secessione signiicò anche l’afermazione del modello economico del Nord: l’industria divenne il settore trainante del Paese. A ine Ottocento gli Stati Uniti:

UNITÀ 14 - Le grandi potenze ƒraggiunsero l’estensione attuale, ma l’espansione venne attuata strap-

pando i territori agli Indiani, che furono decimati da guerre e privazioni e poi chiusi in riserve; ƒgrazie al boom economico divennero la più grande potenza economica del mondo, superando la Gran Bretagna. Presto sarebbero diventati anche la principale potenza politica.

6. LA NASCITA DEL GIAPPONE MODERNO Qual era la situazione del Giappone a metà Ottocento? A metà Ottocento il Giappone: ƒera una società feudale, al cui vertice si trovava l’imperatore. Il potere era in realtà detenuto dallo shogun (governatore militare); ƒaveva un’economia agricola basata sullo scambio in natura; ƒriiutava i contatti con il resto del mondo. Nel 1853 gli Stati Uniti costrinsero il Paese ad aprirsi al commercio estero. L’intervento straniero mandò in crisi il sistema politico ed economico. Iniziarono i disordini e lo scontro politico portò lo shogun a perdere il potere, che tornò nelle mani dell’imperatore (restaurazione Meiji). In che cosa consistette la «rivoluzione dall’alto»? La nuova classe dirigente trasformò il Giappone in un Paese moderno, sul modello occidentale. A diferenza delle rivoluzioni avvenute in Occidente, fu una «rivoluzione dall’alto», guidata dall’imperatore Mutsuhito. La modernizzazione (a cui molti si opposero con rivolte) riguardò tutti i settori, da quello politico a quello economico. Alla ine dell’Ottocento il Giappone si era trasformato in una grande potenza, pronta a competere con l’Occidente sul piano economico e militare.

59 NOZIONE CHIAVE MODERNIZZAZIONE Termine usato da sociologi e politologi per indicare il passaggio dall’Ancien régime al mondo moderno tra il XVIII e il XIX secolo.

Takahashi Yuichi, L’imperatore Meiji. Tokyo, Collezione imperiale.

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15. La spartizione imperialistica del mondo 1. L’IMPERIALISMO

NOZIONE CHIAVE PROTETTORATO Nell’epoca del colonialismo venne coniato il termine protettorato per indicare il controllo (protezione) di uno Stato da parte di un altro Stato.

Che cosa si intende per imperialismo? L’imperialismo fu una corsa alla colonizzazione guidata dai governi in competizione tra loro, che ebbe come obiettivo l’estensione dei conini nazionali. Tra il 1870 e il 1914 un quarto del mondo venne spartito tra pochi Stati. Nacquero degli imperi costituiti da colonie e protettorati. In quale contesto politico si sviluppò l’imperialismo? Dopo la vittoria sulla Francia, la Germania era diventata il punto di equilibrio dei rapporti di forza in Europa. Bismarck aveva garantito la pace con una politica di equilibrio, ma la tensione salì a causa: ƒdel revanscismo francese; ƒdelle tensioni nei Balcani; ƒdella competizione coloniale.

Il cancelliere Bismarck in una fotografia dell’epoca.

UNITÀ 15 - La spartizione imperialistica del mondo Quale contesto economico e culturale favorì l’imperialismo? Grande importanza ebbe la «grande depressione» (1873-96): in quel periodo gli Stati presero a sostenere l’economia nazionale con il protezionismo, le commesse statali e la politica imperialista. Quest’ultima: ƒgarantì nuovi sbocchi commerciali e materie prime a basso costo; ƒfu sorretta da motivazioni ideologiche, fondate sul nazionalismo, sul razzismo e sul mito della missione civilizzatrice degli Europei: il «fardello dell’uomo bianco» di Kipling.

2. LA SPARTIZIONE DELL’AFRICA Quali direttrici ebbe l’espansione coloniale in Africa? La Francia, che possedeva già l’Algeria, intendeva estendere il suo impero coloniale lungo l’asse ovest-est dell’Africa centro-settentrionale partendo dalla Tunisia occupata nel 1881. L’espansione dell’Inghilterra invece si spingeva lungo l’asse nord-sud partendo dall’Egitto, occupato nel 1882. Che cosa stabilì la Conferenza di Berlino? La Conferenza di Berlino (1884-85) sancì il principio dell’occupazione di fatto come criterio di possesso dei territori africani: ciò scatenò ancor di più la competizione coloniale, con il coinvolgimento della stessa Germania, ultima arrivata nella corsa alle colonie. Perché si scatenò un conlitto fra Boeri e Inglesi? Nella zona del Sudafrica la scoperta di giacimenti d’oro e di diamanti scatenò il conlitto tra Boeri (i vecchi coloni olandesi) e Inglesi. Questi ultimi ebbero la meglio e nel 1910 formarono l’Unione Sudafricana.

3. LA SPARTIZIONE DELL’ASIA Quale evento favorì la colonizzazione in Asia? La possibilità di accedere dal Mediterraneo al Mar Rosso tramite il Canale di Suez, costruito tra il 1859 e il 1869, diede nuovo impulso all’espansione europea in Asia, già in atto prima dell’età dell’imperialismo. Che cosa caratterizzò il dominio inglese in India? Dopo lo scoppio della rivolta dei sepoys (soldati indiani arruolati nell’e-

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L’ESSENZIALE sercito inglese), nel 1857 il governo britannico assunse il controllo diretto dell’India, prima governata per conto della Gran Bretagna dalla Compagnia delle Indie. Nel 1885 nacque il Congresso Nazionale Indiano, un’assemblea della classe media indiana che passò da posizioni di collaborazione con gli Inglesi alla richiesta di autogoverno.

NOZIONE CHIAVE XENOFOBIA È un atteggiamento di generica avversione e di rifiuto nei confronti degli stranieri.

Quale fu la sorte della Cina? Le tensioni tra gli Inglesi e il governo imperiale causarono due guerre dell’oppio (tra il 1842 e il 1860), così chiamate perché determinate dal riiuto cinese di importare l’oppio. Le varie potenze approittarono della crisi dell’Impero cinese per occuparne alcune zone. Una rivolta condotta dalla società segreta xenofoba dei boxers venne sedata da un contingente internazionale: ormai la sovranità del governo imperiale era limitata.

4. LA CRISI DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI Perché in Europa si formarono due blocchi contrapposti? Dopo il ritiro di Bismarck (1890): ƒla Germania adottò una politica estera più aggressiva; ƒalla Triplice Alleanza (Germania, Austria, Italia) si contrappose nel 1907 la Triplice Intesa (Gran Bretagna, Francia e Russia). Nei primi anni del Novecento la lotta per la supremazia mise in crisi le relazioni internazionali. Che cosa si intende per «polveriera balcanica»? L’area balcanica, sotto il dominio ottomano, era una zona di tensione per: ƒle rivendicazioni nazionalistiche; ƒgli interessi contrapposti, soprattutto di Austria e Russia. Nel 1908 la rivoluzione dei Giovani Turchi pose ine all’assolutismo del sultano, ma aprì una crisi che portò alla disintegrazione dell’impero. Quali caratteri assunse l’espansionismo americano? A ine Ottocento gli Stati Uniti abbandonarono l’isolazionismo ed entrarono nella competizione imperialista, puntando non alla conquista territoriale ma all’egemonia economica. Il loro primo obiettivo fu l’America Latina.

SEZIONE 2 COMPETENZE E METODO

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COMPETENZE E METODO

1. Fare una relazione IL METODO La relazione (dal latino relatus, riportato, riferito) è un testo espositivo in cui si presenta, si «riferisce», un tema o una questione elaborati da altri. La relazione dunque non prevede un’opinione o una tesi personale, deve essere oggettiva e riportare ciò che si è acquisito leggendo un testo, ascoltando una conferenza, visitando un museo o una mostra. Per fare una relazione occorre: ƒdeinire con chiarezza l’argomento che si vuole trattare; ƒdeinire il materiale utilizzato per costruire la relazione; ƒevidenziarne gli aspetti principali; ƒordinare le conoscenze acquisite in modo logico attraverso una scaletta; ƒscrivere un testo con frasi brevi, semplici e chiare.

L’ESEMPIO Dopo aver studiato le pagine del manuale relative alla Civiltà dei Lumi (Volume 2 pagg. 51-74), osserviamo la carta sulla difusione dell’Illuminismo a p. 52 ed elaboriamo una relazione sui fondamenti culturali della cultura illuministica e sulla sua difusione in Europa. La scaletta dei punti della relazione ƒDeinizione del termine “Illuminismo” ƒL’Enciclopedia come simbolo dell’Illuminismo ƒArea geograica della difusione del movimento ƒIl pensiero politico ƒIl pensiero economico Il testo della relazione L’Illuminismo è stato il maggiore movimento culturale europeo del XVIII secolo. Questo movimento utilizza la metafora della luce per indicare lo strumento che gli uomini utilizzano, insieme all’esperienza, per conoscere e comprendere la realtà. La luce è quindi la ragione che illumina e guida gli uomini. Simbolo della cultura dell’Illuminismo è l’Enciclopedia o dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri: un’opera monumentale fondata sulla ragione, con lo scopo di scardinare le false conoscenze, i pregiudizi e le superstizioni della tradizione. Diretta da Denis Diderot (1713-1784) e

Comprendere la continuità o la discontinuità nella storia Jean-Baptiste d’Alembert, l’Enciclopedia si proponeva la divulgazione del sapere ed era rivolta alla borghesia, per cambiare la società dei privilegi dell’Antico Regime in una società fondata sul diritto e sulla legge. Il movimento dei Lumi iniziò nell’Inghilterra della ine del Seicento quando furono messi in discussione i princìpi dello stato assoluto e delle sue basi autoritarie. In tutti i paesi europei questo movimento mantenne, nella sua deinizione, la metafora della ragione come luce: Auklärung, cioè «rischiaramento» in Germania, Einlightment, cioè «illuminazione» in Inghilterra, Lumière, in Francia, Illuminismo in Italia. Anche i sovrani, colsero le indicazioni avanzate dai philosophes, gli intellettuali, per rinnovare lo stato e la società. Il rinnovamento culturale coinvolse il pensiero politico: la rilessione sullo stato si caratterizzò per una decisa opposizione all’assolutismo monarchico e alla società del privilegio. Montesquieu, nel suo saggio Lo spirito delle leggi, elaborò la teoria della divisione dei poteri dello stato. Rousseau assunse posizioni più radicali: criticò la proprietà privata, come contraria allo stato di natura e origine della diseguaglianza fra gli uomini. Per superare questa situazione, secondo Rousseau, occorreva ediicare uno stato fondato sulla volontà generale. Proponeva in sintesi lo Stato democratico e repubblicano. In questo panorama di nuove idee ci fu anche chi rivendicava nuovi diritti per le donne: il primo atto di una vera battaglia femminista venne da Mary Wollstonecraf. Il periodo dell’illuminismo conobbe anche la nascita della scienza economica: si cercava cioè di dare una spiegazione scientiica al sistema della produzione e della distribuzione della ricchezza. Una prima teoria economica, chiamata isiocrazia, elaborata da François Quesnay, si fondava sull’idea di lasciare dominare la natura, si riteneva cioè che solo la produzione agricola potesse creare nuova ricchezza. Era una forma di liberismo economico. Il mercantilismo, al contrario, auspicava il ruolo dello Stato in economia. La teoria più signiicativa di questa epoca fu il liberismo di Adam Smith: Smith pensava che ogni individuo che lavora per migliorare le proprie condizioni, contribuisce contemporaneamente alla ricchezza nazionale. La legge naturale del mercato, cioè la legge della concorrenza, interviene inftti come una “mano invisibile” a regolare l’economia, lo stato deve solo lasciar fare.

L’ESERCIZIO Seguendo lo stesso metodo, scrivi una relazione sull’Illuminismo in Italia dopo aver letto il manuale dalla pagina 48 alla pagina 51.

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COMPETENZE E METODO

2. Costruire un dossier IL METODO Il dossier è una sorta di raccoglitore di informazioni diverse, storicamente rilevanti, riguardanti un particolare argomento. Costruire un dossier su un argomento o un personaggio della storia signiica: ƒindividuare un argomento che non sia troppo ampio e che eventualmente possa essere ancora limitato; ƒavviare una ricerca della documentazione scritta e iconograica attinente all’argomento; ƒraccogliere tutte le informazioni possibili su questo argomento, considerando che le fonti possono essere di diverso tipo (scritti, immagini, reperti archeologici, documenti dell’epoca, testi storiograici, testi letterari ecc.); ƒselezionare le informazioni organizzandole in varie parti, secondo un ordine logico e secondo la inalità che si pone il dossier stesso e gli aspetti che intende evidenziare; ƒdare un titolo al dossier e alle sue parti, sulla base dei contenuti presenti; ƒindicare la bibliograia e le fonti utilizzate per la raccolta dei documenti del dossier.

L’ESEMPIO Costruiamo un dossier che presenti la condizione delle donne durante la Rivoluzione francese. Il dossier sarà costituito da documenti che colgono le donne nella mentalità dell’epoca, nel loro quotidiano, nell’impegno culturale e nella lotta politica e sociale: ƒun articolo sulla mentalità degli illuministi nei confronti delle donne che, come si vedrà, è meno progressista di quanto si possa pensare; ƒun articolo che chiarisce come la dignità femminile e la maternità erano tutelate e difese solo in quanto riguardavano la funzione di madre del cittadino; ƒun documento iconograico che mostra le donne impegnate in un’attività culturale, di lettura e di commento delle vicende politiche nei circoli rivoluzionari; ƒun documento iconograico che rappresenta la forza delle donne in lotta per il pane, durante la protesta del 5 ottobre 1789; ƒun cahier de doléance che dimostra non solo l’alto livello culturale di alcune donne, ma anche la loro sensibilità nel rivendicare uno spazio politico.

Comprendere la continuità o la discontinuità nella storia Dossier: La rivoluzione era femmina?

I pregiudizi degli illuministi La Rivoluzione francese ha davvero rappresentato un progresso signiicativo nel processo di emancipazione femminile? Nonostante qualche voce fuori dal coro e la proclamazione dei diritti universali degli uomini, le donne furono escluse dalla vita politica durante la rivoluzione. Eppure, proprio quegli anni possono essere considerati l’inizio della loro emancipazione. La storica francese Mona Ozouf tenta qui di fornire una spiegazione a questo paradosso. [...] Anche i filosofi illuministi erano prigionieri di pregiudizi nei confronti delle donne. Per Montesquieu le donne erano specialiste nell’intrigo e nell’inganno, pericolose come uno Stato nello Stato. [...] Faceva eccezione Jean-Jacques Rousseau, anche se nell’Emilio, un romanzo dedicato all’educazione, per il maschio era prevista un’istruzione completa, mentre per la femmina erano sufficienti conoscenze molto sommarie. Inoltre, è facile trovare nelle sue opere una serie di citazioni dispregiative nei confronti delle donne. [...] Tuttavia, Rousseau fu riconosciuto da molte donne del Settecento e del periodo rivoluzionario come il loro «padre spirituale». In Julie o la nuova Eloisa, Rousseau descrive con simpatia i personaggi di Saint-Preux e di Julie, amanti passionali, ed esalta il matrimonio democratico, guidato cioè dall’inclinazione naturale e non dalle convenienze sociali o familiari. [...] Si può così comprendere come la rivendicazione del diritto delle donne a scegliere il loro amante e marito abbia fatto di Rousseau il paladino di un’idea di libertà femminile del tutto nuova in Europa. [...] Per quanto riguarda la Rivoluzione francese, va innanzitutto ricordato che nessuna donna sedette nell’assemblea che diede inizio alla rivoluzione. Questa esclusione non aveva bisogno nemmeno di essere giustificata, perché nella cultura politica del tempo le donne erano considerate «al di fuori della storia», e quindi il problema del loro voto non si poneva neppure. [...] Il moderato Sieyès affermava, per esempio, che bisognava escludere dal voto i pazzi, i minorenni, i domestici, e «almeno allo stato attuale» le donne. [...] Quando nel 1793, durante la lotta tra le fazioni rivoluzionarie, venne richiesta la chiusura del club delle cittadine repubblicane rivoluzionarie, si giustificò questa decisione con la «destinazione naturale» delle donne, invitate piuttosto a occupazioni più appropriate: ma nel contempo, si riconosceva che, in quel modo, «per un attimo si gettava un velo sui princìpi». Quei princìpi solennemente dichiarati secondo cui tutti gli esseri umani nascono uguali e liberi. [...] In fondo, già all’epoca, la dichiarazione dei princìpi veniva interpretata più come una promessa di futura uguaglianza – aperta quindi anche alle donne – che come la descrizione della situazione presente. Il filosofo marchese di Condorcet scrisse nel 1790 un testo Sull’ammissione delle don-

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COMPETENZE E METODO ne al diritto di cittadinanza, poiché anche loro erano esseri dotati di ragione. Ma era un isolato: i suoi argomenti erano inoltre molto diversi dalla mentalità di allora; rifiutava infatti di attribuire la civetteria e la frivolezza femminili a un’inclinazione naturale, ma riconosceva in esse un calcolo razionale. [...] Non era comunque un illuso e teneva conto dell’epoca in cui viveva: proponendo un piano di educazione, Condorcet chiedeva un’uguaglianza assoluta nell’istruzione, la presenza dei due sessi nello stesso edificio scolastico e la possibilità per le donne di accedere ai gradi più alti di studio. Ma non propose mai di accordare alle donne alcuni diritti politici, poiché era chiaro che una richiesta del genere non sarebbe mai stata accettata. Il 1792 rappresentò una data importante nella storia dell’emancipazione femminile. Venne introdotto il matrimonio civile, mentre nell’Antico regime valeva solo il matrimonio cattolico, come sacramento e come contratto. Per la rivoluzione il matrimonio era un semplice contratto, stabilito tra volontà autonome. In questo modo la famiglia cessava di essere una società specifica, a parte: per essa valevano gli stessi princìpi di libertà e di eguaglianza che reggevano la società civile. Quanto al divorzio, esso sanciva l’eguaglianza perfetta tra uomo e donna: i motivi di divorzio erano rigorosamente gli stessi per i due sessi – condanne penali, ingiurie gravi, condotta scandalosa, emigrazione e anche semplice incompatibilità di carattere. La donna poteva prendere l’iniziativa della dissoluzione del contratto. Dal 1792 al 1795 il numero dei divorzi crebbe, e furono più donne che uomini a chiedere il divorzio. La legge voleva esplicitamente offrire una possibilità alle donne mal maritate, picchiate o abbandonate: bisognava rendere alla donna «la libertà che sarebbe persa con un impegno matrimoniale indissolubile». La legge fu approvata senza contrasti: solo dopo il Termidoro gli oppositori al divorzio ripresero voce, soprattutto contro il motivo dell’incompatibilità di carattere. Il Codice Civile napoleonico finì poi per accogliere queste critiche. [...] In alcuni salotti riuniti sotto la guida di donne si discutevano le idee illuministe e poi quelle rivoluzionarie: si possono ricordare i nomi di Sophie de Condorcet e di Manon Roland. [...] Ma la figura più famosa è quella di Olympe de Gouges, una girondina ghigliottinata nel 1793. Si batté contro l’esclusione delle donne dal suffragio e fu l’autrice di una Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, presentata nel 17911. 1 Sul modello della Dichiarazione dei diritti emanata dall’Assemblea Nazionale il 26 agosto 1789, Olympe affermava che «l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti della donna sono le sole cause delle pubbliche sciagure e della corruzione dei governi». Veniva riconosciuta al sesso femminile la superiorità «per bellezza e per coraggio, nelle sofferenze materne», ma per il resto Olympe dichiarava che «la donna nasce libera e rimane uguale all’uomo per quanto riguarda i diritti». Da un punto di vista più strettamente politico, si affermava che tutte le cittadine e tutti i cittadini dovevano concorrere alla volontà generale, che avrebbe espresso la legge: era la richiesta del diritto di voto anche per le donne. In modo esplicito, Olympe sosteneva che «tutte le cittadine e tutti i cittadini, essendo uguali davanti alla legge, dovranno essere ugualmente ammessi a tutti gli uffici e incarichi pubblici, secondo le loro capacità». Del resto, se «la donna ha il diritto di salire al patibolo, deve ugualmente avere anche il diritto di salire sulla tribuna», ovvero avere pieno diritto di espressione.

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Anche se non si possono applicare meccanicamente al passato i concetti contemporanei, potremmo considerarla come una femminista. Ma al di là delle singole figure, le manifestazioni collettive delle donne furono importanti nel corso della rivoluzione: la loro partecipazione fu decisiva ogni volta che si ponevano in modo acuto i problemi della sussistenza. [...] Furono inoltre soprattutto le donne a opporre la resistenza più ostinata alla scristianizzazione, al nuovo sistema di feste, al calendario rivoluzionario. Furono loro a recarsi sotto i campanili per reclamare la voce consolante delle campane – vietate dalla legge rivoluzionaria – a difendere i preti refrattari, a boicottare i preti giurati, a organizzare il culto cattolico clandestino. Furono loro a pretendere che la rivoluzione avesse un volto umano. M. Ozouf, La Révolution a-t-elle ignorée les femmes?, «L’Histoire», n. 245, luglio-agosto 2000

La mamma nasce con il cittadino Come madri del futuro cittadino della repubblica, le donne francesi in attesa venivano tutelate dalle pubbliche autorità. Insomma le donne acquisivano nuova dignità solo in quanto madri: era una novità se si considera che per tutta l’età moderna le madri, quelle di un ceto sociale elevato, non erano affatto ritenute in grado di badare ai loro igli e pertanto i bambini venivano preferibilmente aidati alle balie. «Merita ogni venerazione e rispetto la donna che si trova in questo stato... per cui ogni buona polizia deve cercare di proteggerne la dignità...», così recita un testo di polizia medica della metà del Settecento, esortando i responsabili dell’igiene e dell’ordine pubblico alla cura e alla protezione delle donne in stato di gravidanza. Un ammonimento oggi per noi totalmente scontato da essere quasi superfluo, ma che lasciava stupiti gli uomini del tempo. Si trattava infatti di una delle prime prese di posizione pubbliche in cui ci si preoccupava esplicitamente della salvaguardia e della tutela delle donne in gravidanza. Il rapporto di polizia metteva in luce come la donna in stato interessante portasse nel suo ventre dei «cittadini» in erba, fulcro dell’umanità a venire: le mamme acquisivano improvvisamente un rilievo e un’importanza mai avuti prima. [È una novità perché] nei confronti della maternità vi è un preconcetto difficile da sradicare: che il rapporto madre-figlio come oggi lo concepiamo – con la figura materna al centro nell’esistenza della prole – sia stato pressappoco lo stesso in tante epoche e culture occidentali. Al contrario, nella mentalità dell’uomo medie-

Ritratto (presunto) di Olympe de Gouges.

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Adélaide LabilleGuiard, Ritratto di donna, 1787. Quimper, Museo delle Belle Arti. Alla donna ritratta viene attribuita l’identità di Madame Roland, promotrice di uno dei più colti salotti rivoluzionari.

COMPETENZE E METODO vale e di quello rinascimentale non c’era affatto un posto di rilievo per le mamme. Dopo il parto era diffusa la consuetudine di mandare a balia l’infante. E la madre non aveva alcuna voce in capitolo: nella Firenze del Cinquecento erano addirittura i padri a scegliere la persona più adatta al delicato compito. Appena finito il cosiddetto «baliatico» (28-30 mesi, quanto durava l’allattamento), la genitrice non era considerata adatta all’educazione dei figli. «Sì tosto che più non ciucciano il latte, toglili dal fianco di tutte le donne et precipuamente da quello dell’istessa madre, né lasciagli più a quelle vedere fin che non siano usciti de tutta la vezzosa età», consigliava un anonimo del Cinquecento. Come mai? Ben ne riassume le ragioni il filosofo Montaigne, osservando che la donna opera nei confronti dei pargoli «scelte sempre ingiuste e cervellotiche». Circondati da uno stuolo di precettori, tate e servitori, i piccini di sangue blu crescono affidati alle cure di una molteplicità di inservienti; i ragazzetti meno abbienti, invece, spesso abbandonano la casa natale e vengono rilevati dai cosiddetti «genitori affidatari» per far da garzoni, apprendisti, aiutanti. Oppure, ancora in fasce, sono deposti sul sagrato di qualche chiesa o convento, oppure vivono quasi da soli, abbandonati tutto il giorno, nelle campagne. Ancora nel 1811 è così alto il numero di bambini che nelle zone montuose della Calabria finiscono nei precipizi o nei dirupi che le autorità raccomandavano alle «madri – chiamate ai lavori domestici o campestri – che mantenessero legati i loro figlioli a un palo ficcato innanzi alle porte delle proprie case in modo da non far correre loro ulteriori pericoli». Insomma, per secoli nella cultura occidentale non è la madre l’essere delegato per eccellenza all’educazione e alla cura dei bambini. Un’eccezione è rappresentata dagli Ebrei. Mamme quasi bambine, le ragazze giudee andavano spose verso i 16-18 anni. Sconosciute le balie, inesistenti nelle comunità torinesi, fiorentine e veneziane i trovatelli, che erano invece molto diffusi nel mondo cattolico. I figli vengono considerati un affare esclusivamente di famiglia. Un cambiamento nel rapporto madre-figlio si verifica tra Settecento e Ottocen-

Comprendere la continuità o la discontinuità nella storia to con l’Illuminismo e la Rivoluzione francese. Mentre diminuiscono le nascite, il bambino diventa sempre più il principe della casa, cresce di prestigio la figura della madre. Rousseau, nell’Émile, esalta il legame affettivo che nasce dalla vicinanza fisica. Intanto, si diffonde tra le donne la coscienza dei propri diritti, tra cui quello alla maternità e all’assistenza dei figli. Di conseguenza i magistrati cominciano a prendere in considerazione, in caso di separazione, l’affidamento dei figli alle madri, consuetudine che si diffonde per tutto l’Ottocento. Nell’Italia unita la donna viene incoronata regina del focolare. È l’esaltazione della mamma nutrice e devota capace soprattutto di abnegazione e rinuncia, il cui modello è destinato a durare anche nel dopoguerra. E oggi che immagine ne abbiamo? L’essere buona madre comporta senza dubbio la conoscenza dei propri diritti; il che implica la capacità di organizzare il proprio tempo e quello famigliare in relazione alla vita sociale. In sintesi, l’essere cittadina-madre. M. Serri, La mamma? Nasce con il cittadino, in «La Stampa», 12 novembre 1997

Le donne nei circoli rivoluzionari Nell’immagine proposta alla pagina seguente è rappresentato un momento di discussione tra donne all’interno di un circolo rivoluzionario. Nonostante il loro impegno e la loro dedizione alla causa della Rivoluzione, le donne dovettero attendere ancora molti anni prima di ottenere i diritti politici fondamentali. Durante la rivoluzione le donne avevano partecipato ai grandi avvenimenti anche con le armi in mano, ma non si videro riconosciuto alcun diritto politico: non potevano votare e non potevano essere elette come rappresentanti del popolo. La questione era già molto sentita prima che esplodesse la Rivoluzione. Basti pensare che nei Quaderni delle lamentele del 1789 una donna scriveva: «La donna è considerata incapace di padroneggiare se stessa e deve essere sottoposta prima al padre e poi al marito. La sua dote è inalienabile, non può esercitare attività commerciali. Chi invieranno le donne come loro rappresentanti, degli uomini? No, le donne dovrebbero essere rappresentate da altre donne». Il periodo rivoluzionario fece emergere alcune importanti igure di donne, in un certo senso antesignane delle femministe. Una tra le più note fu sicuramente quella di Olympe de Gouges, autrice di una Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina nella quale afermò l’uguaglianza dei diritti civili e politici tra i due sessi. Le loro proposte non furono sempre ben accolte e la stessa Olympe morì ghigliottinata nel 1793 perché si era opposta all’esecuzione di Luigi XVI e aveva osato criticare

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COMPETENZE E METODO Robespierre. Nonostante gli ideali rivoluzionari, i giacobini infatti rimasero dell’idea che le donne avrebbero fatto meglio a occuparsi degli afari domestici. Se in campo politico il desiderio di rappresentanza delle donne non fu ascoltato, il governo rivoluzionario si mostrò un po’ più comprensivo nei confronti della sfera privata: le leggi sull’eredità furono modiicate per dare gli stessi diritti a igli maschi e alle iglie femmine, mentre la legislazione sul divorzio introdusse la parità tra uomini e donne.

1. Negli anni rivoluzionari le donne fondarono alcuni circoli di discussione politica ai quali erano ammesse solo donne. Inoltre, a partire dal 1790, le donne potevano partecipare (ma solo come spettatrici) alle riunioni dei circoli maschili. Nel 1793 i circoli femminili vennero chiusi.

2. Le attività dei circoli femminili erano la lettura e la discussione di documenti politici, l’organizzazione di manifestazioni pubbliche, la raccolta di fondi, l’assistenza a malati e prigionieri.

Club Patriotique de Femmes. Parigi, Museo Carnavalet.

3. In alcuni circoli femminili si pubblicavano giornali e volantini di protesta, o si scrivevano lettere ai giornali, ponendo in primo piano la questione femminile.

4. Le iscritte a questi circoli femminili erano poche: raramente superavano il numero di 60. L’istruzione era un fondamentale tema di discussione: era diffusa la convinzione che alle donne spettasse un’istruzione migliore.

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Le donne protestano per il pane È questa la celebre protesta per il pane che, il 5 ottobre 1789, vide scendere in piazza, con una marcia verso la residenza del re a Versailles, le donne di Parigi. I cittadini e le cittadine, in diicoltà per l’alto costo della vita e dopo essere venuti a conoscenza di un banchetto offerto dal re alle guardie della reggia, chiesero indignati la riduzione del prezzo del pane. 1. Questa stampa rappresenta le donne armate in corteo durante la protesta per il pane del 5 ottobre 1789.

2. Le donne forzarono l’Hotel de Ville e poi si diressero a Versailles per protestare sotto le finestre del re.

3. L’avanguardia delle donne ha un atteggiamento aggressivo: sono armate di attrezzi da lavoro branditi come armi. Compare anche l’immagine della bilancia, simbolo della giustizia.

Le donne protestano per il pane. Parigi, Biblioteca Nazionale.

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La rivendicazione dei diritti della donna e della cittadina Durante la Rivoluzione francese, fra il 1789 e la nascita dell’Impero napoleonico, le donne che avevano preso parte ai circoli rivoluzionari presero la parola e si espressero attraverso scritti come questo, che dimostra una cultura profonda e soprattutto una intensa sensibilità per ricordare agli uomini che fanno le leggi che esse sono la «metà del cielo». Agli uomini di buon senso. Il corpo legislativo si è riunito ventisei mesi fa e da allora esamina i principi assurdi che ci hanno governato, le istituzioni difettose che ne sono derivate. Da ventisei mesi uno dei più importanti oggetti dell’ordine sociale è o sembra essere ignorato. Metà della specie umana viene privata dei suoi diritti naturali ed è precisamente quella che gli antichi considerarono sacra perché ne valutavano l’essenza e i benefici. Adesso essa langue in uno stato che in realtà è peggiore della schiavitù. Voi, profondi politici, che avete dovuto istruirvi alla scuola dei secoli in cui gli uomini innalzavano altari alla giustizia e alla libertà, ricordatevi della Gallia, della Germania, della Grecia nei giorni di gloria e di felicità, riconducete alla memoria i tempi e i luoghi in cui si mostrano sul globo dei modelli di perfezione sociale. Scoprirete che tra i membri dello stato erano comprese quelle che adesso nascono, soffrono, producono e muoiono in un vero e proprio asservimento. […] Era il periodo in cui le madri della patria sedevano ancora nelle assemblee legislative, accanto ai loro figli e ai loro mariti, e ci si ricordava che erano state le loro voci a fermare o a suscitare i combattimenti, a seconda se li avevano ritenuti ingiusti o necessari. Le pratiche religiose strapparono le donne alle occupazioni politiche e le condussero alla vita contemplativa; esse si consacrarono all’umiltà, servirono i loro simili, dimenticarono il mondo reale per quello rivelato. Fu allora che l’ambiziosa perizia tolse loro gradatamente i diritti che esse abbandonavano. […] Dopo averci fuorviato con le illusioni religiose, rotto l’incantesimo, vollero sviarci con falsi omaggi che sembravano restituirci quello che avevamo perduto. Furono messi in pratica tutti i mezzi per paralizzare gli esseri organizzati con maggiore criterio. Le donne ignorarono e dimenticarono se stesse, lasciandosi coinvolgere nei complotti dei nemici. Se ne vedono ancora dedite a frivolezze degradanti... Rousseau, lusingandole, rese loro una delle più belle e dolci funzioni; ma lui stesso non aveva individuato il sistema generale atto a riabilitarle o, quand’anche lo avesse conosciuto, il tempo, i costumi, le abitudini non permettevano che lo mettesse in atto. Dire tutto nei suoi libri, nel momento in cui scriveva, sarebbe stato non ottenere nulla. Nella crisi salutare che attraversiamo, è lecito scoccare il dardo che rivela lo scopo da raggiungere. Non si è meditato affatto su questa importante materia, senza cui peraltro non c’è alcuna vera civiltà: è tempo che gli uomini di buon senso

Comprendere la continuità o la discontinuità nella storia se ne occupino. Si vuole salute, forza, giustizia, si vogliono buoni costumi, sì, si vogliono buoni costumi, si vuole che le donne si onorino, sì, si vuole che le donne si onorino, allora bisogna restituire loro diritti e proprietà, sacrosanti quanto i diritti e le proprietà degli uomini. Come ricompensate nella vostra costituzione sociale il più sacro dei doveri, quello di produrre, curare, allevare i figli che migliorino il mondo? Con gli onori? No, la donna deve restare ignorata. Con le ricchezze? No, i suoi beni non le appartengono più dal momento in cui si è dedicata ad adempiere ciò che la società domanda a ogni individuo: la sua riproduzione, debito naturale. La fine della sudditanza di una madre coincide con quella della vita dello sposo. Coloro che le devono la vita hanno una proprietà, mentre lei non ne possiede. Essi vengono considerati, mentre lei è ignorata; sono indipendenti e lei invece è ancora schiava; non ha diritti, né proprietà, né stato, né potere. Finché lo sposo respira, lei non è niente. Lui può arbitrariamente costringere e diffondere dolore. Ma non è qui il caso di dipingere le infelicità domestiche. L’istituzione del matrimonio, come quasi tutte quelle che ci regolano, passò sotto la direzione sacerdotale; le catene delle spose furono ribadite da coloro che si rendevano padroni delle coscienze. [...] Legislatori, consultate Buffon e Spallanzani, per non rimandarvi alla polvere delle biblioteche; compenetratevi delle verità naturali nascoste da spesse cortine, ascoltate il grido della natura, della giustizia e della riconoscenza. La natura vi dirà che siete figli, sposi e padri; la giustizia vi dirà che la maggior parte delle vostre qualità e delle vostre virtù le avete acquisite con l’aiuto delle vostre madri, delle vostre spose, di quegli esseri amanti, inclini per natura al bene; la riconoscenza vi dirà che quelle che vi hanno dato vita e ve la fanno amare non devono essere dimenticate e sacrificate. Come sarebbero superbi e in torto, coloro che negassero che la maggior parte delle loro aspirazioni siano state prodotte da quel senso cui le fibre sottili, l’anima ardente e lo spirito penetrante cercano, colgono, stimolano i progetti e i piani che potrebbero rendere felici le generazioni in esso racchiuse! Sì, Signori, coloro che tra voi meritano onore (e sono parecchi), ammettono che la voce toccante di colei che devono amare, ha spesso risvegliato o sostenuto o fortificato il loro genio; che essi hanno attinto dalle donne nobili pensieri, raccolto dalle loro conversazioni illuminanti indicazioni, talvolta grandi opinioni e grandi risultati. Esse sanno di avere il potere di mostrarvi, come se ve le facessero scoprire, utili verità: ma generose per la maggior parte, attribuiscono a voi il loro operato. Troppo disinteressate, si sono occupate solo di voi, pensando ai figli, dimenticando le figlie per paura che il proprio interesse, insieme a quello di queste ultime, nuocessero all’interesse pubblico. […] Grégoire de Tours ci fa sapere che nel XII secolo, in un famoso concilio, si discusse se l’anima della donna potesse essere considerata tale ... questi orrori, Signori, non vi appartengono. Forse c’è ancora qualcuno in grado di riprodurli che declamerebbe come nel XII secolo, se si volesse modificare il suo piccolo dispotismo individuale o qualcuno che, dividendo le coppie, promette ai celibi certe dolcezze che non vorrebbero offerte in condizione di pace e di uguaglianza. La maggior parte

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COMPETENZE E METODO di voi arrossirebbe nel mostrarsi figlio ingrato, padre despota; voi avete deciso di occuparvi del destino delle donne per le leggi penali: ma non c’è qualche errore nella vostra enunciazione? Art. 29: «Nel caso in cui la legge commini la pena della degradazione civica, se è ritenuto colpevole dei suddetti crimini uno straniero, una ragazza o una donna, la sentenza sarà: l’uno o l’altra è condannata alla gogna. Ogni straniero, donna o ragazza ecc.». Sì, Signori, senza volerlo certamente, avete assimilato le donne e le ragazze francesi agli stranieri. Ma no! Le donne non sarebbero forse cittadine! Potete privarle di questo titolo prima che ne siano rese indegne? E non le punite forse tutte quante quando non avete degradato effettivamente quelle che, colpevoli, meriterebbero di perderlo? Punite le donne con rigore, perché le loro virtù sono ancora più necessarie delle vostre e si imprimono fin dalla nascita, dal momento che esse ve le fanno, per così dire, succhiare col latte. Ma che uno dei loro maggiori castighi sia quello di essere respinte dalla patria, da quella patria che esse ripopolano e devono ripopolare e che amano di tenerezza infinita, poiché nascono dai loro dolori tutti coloro che ne fanno parte. Cahiers de doléances, Donne e Rivoluzione francese, a cura di P.M. Duhet, La Luna, Palermo 1989

L’ESERCIZIO Seguendo lo stesso metodo, arricchisci il dossier di altri documenti utili ad approfondire questo argomento oppure scegli il periodo successivo, ad esempio le donne nell’Ottocento, per creare un nuovo dossier e compararlo a questo.

Comprendere collegamenti e relazioni

3. Individuare la tesi dell’autore IL METODO La tesi dell’autore in un testo è il suo pensiero circa un determinato argomento, è in un certo senso la sua verità, la sua convinzione, la sua risposta a un problema o a un interrogativo. In un testo ci possono essere più tesi che riguardano lo stesso argomento e che non devono essere in contraddizione tra loro. Per individuare la tesi dell’autore occorre: ƒriconoscere quale sia il problema afrontato; ƒdistinguere i fatti oggettivi dalle opinioni; ƒcogliere la posizione assunta da chi scrive riguardo a quel problema, individuando le espressioni e le parole più signiicative. La convinzione dell’autore talvolta è molto esplicita, altre volte è meno chiara e occorre individuarla attraverso espressioni implicite.

L’ESEMPIO Individuiamo la tesi dell’autore in questo brano storiograico che afronta il tema della pratica religiosa nel corso del XVIII secolo, quando cioè la diffusione dell’Illuminismo potrebbe aver modiicato il sentimento cattolico della popolazione europea. Sottolineiamo le espressioni che indicano l’opinione dell’autore. Il testo

Si può parlare di «scristianizzazione» delle masse a partire dal XVIII secolo? Una storia del cristianesimo che voglia essere «globale», e che rifiuti le semplificazioni, deve, almeno a partire dal XVIII secolo, far luce nello stesso tempo su due curve che si intersecano, l’una che sale, e l’altra che scende. La prima esprime una religione qualitativa, la seconda una adesione quantitativa; la prima traduce la fedeltà ad un messaggio evangelico meglio compreso, la seconda un conformismo che palesa crepe e fenditure nella misura in cui l’ambiente sociale si trasforma. [...] Che il divaricarsi delle due curve inizi a partire dal XVIII secolo, è ciò che lasciano indovinare sia lo sforzo pastorale dell’Aufklärung [rischiaramento] sia molte ricerche

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COMPETENZE E METODO recenti che permettono di conoscere un aumento delle vocazioni sacerdotali nel clero secolare, dopo il calo del periodo precedente, e ciò sia a Rouen, che a Reims e a Magonza, negli anni Ottanta. Questo rinnovamento si manifesta anche, alla vigilia della Rivoluzione, in più ordini religiosi [...]. In Francia, la Rivoluzione mise in piena luce l’abisso che separa fede e conformismo. Alcuni pastori si «spretarono», molti laici cessarono di praticare. Il cattolicesimo uscì dalla prova quantitativamente diminuito, ma qualitativamente purificato. Nell’impiegare qui, per ragioni di comodità, la parola «scristianizzazione» (sulla quale, seguendo G. Le Bras, faremo ben presto riserve), si può dire che, nel nuovo mondo che prende gli avvii col XVIII secolo, cristianizzazione e scristianizzazione hanno progredito di pari passo: cristianizzazione di una minoranza e scristianizzazione di una maggioranza. In verità, ciò che troppo frequentemente si definisce «scristianizzazione» spesso non è altro, a livello di massa, che abbandono del conformismo – abbandono sensibile in Francia, che resta sempre il Paese su cui esiste il maggior numero di studi, fin dal secolo XVIII, e particolarmente dopo il 1750. Nell’atteggiamento «cristiano» di un tempo, quale parte toccava alla fede, quale alla consuetudine e alla costrizione? La costrizione certamente esisteva ed era esercitata congiuntamente dalle due giurisdizioni, l’ecclesiastica e la civile. Dopo il IV Concilio del Laterano (1215) ogni fedele arrivato all’età della ragione doveva comunicarsi almeno una volta all’anno nella chiesa della sua parrocchia tra la domenica di Passione e la domenica in Albis sotto pena di scomunica e, in caso di morte, della privazione del funerale religioso. Se il Concilio di Trento insistette talmente sulle visite pastorali, fu soprattutto perché la pratica religiosa dei fedeli fosse meglio sorvegliata. Così possiamo vedere, dopo il Concilio, statuti sinodali prescrivere la tenuta di un registro dei non praticanti la Pasqua, mentre poi le liste degli inadempimenti dovevano essere spedite al vescovo, o portate ai sinodi. [...] Il potere civile non si immischiava nella sorveglianza e punizione di coloro che contravvenivano al precetto pasquale – questioni dell’autorità religiosa – ma garantiva e favoriva l’adempimento dei doveri domenicali. Il Traité de la police di Delamare consacra un libro intero alla religione e afferma che esso è il primo e principale oggetto di sorveglianza per la polizia. Lo Stato difende dunque l’ordine ecclesiastico, proibisce agli osti di tenere aperta l’osteria durante la messa parrocchiale, e vieta in linea di principio nelle domeniche e negli altri giorni di festa religiosa i mercati e le fiere, i lavori e i commerci non necessari alla sussistenza, e le distrazioni profane. In pratica, le sanzioni religiose o civili sembrano essere state relativamente rare, almeno nel XVIII secolo. [...] «Appare evidente – scrive G. Le Bras – come nel XVIII secolo la denuncia sia irregolare, e non sfoci, di solito, se non in semplici avvertimenti.» Quanto allo Stato, interviene solo saltuariamente, per assicurare che si rispetti la domenica. In taluni casi vengono inflitte condanne a osti, o a persone che danno scandalo, o a inadempimenti ai doveri religiosi. Ma, in altri

Comprendere collegamenti e relazioni casi, la polizia non cura i lamenti dei curati in merito alle osterie, a meno che essi non paghino perché si proceda. Un po’ dovunque il clero parrocchiale si lamenta della permissività delle autorità civili. Se, dunque, la costrizione giuridica talvolta esiste, essa non è la principale responsabile del conformismo religioso. Giocano in suo favore, e con ben altro vigore nel mondo rurale, le pressioni sociali, cioè la «consuetudine del clan», le abitudini campagnole e familiari, l’autorità del clero locale, l’azione del signore «che, anche se seguace dei principi della Encyclopédie, giudicava bene che il popolo praticasse». In tutti i casi nelle campagne dell’Ancien régime, dove vivevano più dei tre quarti della popolazione, l’osservanza del precetto pasquale era quasi unanime. [...] Alla vigilia della Rivoluzione francese, il 95% della popolazione rurale osservava il precetto pasquale, se non assiduamente quello domenicale. Tuttavia ricerche recenti, che vanno approfondite, hanno scoperto alcune zone di tiepidezza nel paesaggio apparentemente monotono del conformismo religioso e della «civiltà della consuetudine». [...] Da questa indifferenza si passa talvolta all’aperta ostilità. Questi fatti provano, contrariamente agli schemi semplicisti, che l’abbandono della pratica religiosa e il processo di «scristianizzazione» non sono stati unicamente legati alla civiltà industriale, al proletariato e alla urbanizzazione. [...] Ciò non vuol dire che la diminuzione dell’osservanza, e magari l’ostilità verso la religione, non siano stati subito molto più evidenti nel contesto urbano, che non nel mondo rurale. [...] Più significative ancora sono le acquisizioni dovute alle recenti ricerche concernenti le confraternite, le vocazioni e il comportamento sessuale nel XVIII secolo. Esse fanno in effetti apparire una flessione e indebolimento generale della pietà tradizionale, una diminuzione dell’interesse per il sacerdozio, nella misura in cui era considerata come una carriera, e una minor paura degli interdetti morali della Chiesa. Le strutture del conformismo erano già discretamente corrose. J. Delumeau, Il cattolicesimo dal XVI al XVIII secolo, Ugo Mursia Editore, Milano 1991

La tesi Delumeau intende dimostrare che durante l’Illuminismo non ci fu un vero e proprio processo di scristianizzazione, come troppo semplicisticamente si tende ad afermare. Ci fu invece un cambiamento nel sentimento religioso che portò a una maggiore consapevolezza della propria fede. Intende sottolineare soprattutto l’abbandono del conformismo religioso che costringeva le masse contadine, e non solo, a praticare il culto religioso in modo «costrittivo» o consuetudinario. L’abbandono del conformismo nel XVIII secolo è stato inoltre favorito anche da una sorta di allentamento del controllo da parte delle autorità dello Stato e da una minore paura degli interdetti morali della Chiesa.

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COMPETENZE E METODO

L’ESERCIZIO Come illustrato nell’esempio, ricerca nel seguente brano di Mario Rosa, che affronta il tema dell’Illuminismo cattolico, la tesi sostenuta dall’autore. Il testo

L’«Aufklärung» cattolica Movimento composito e contraddittorio, questo della Aufklärung cattolica. [...] Esso accetta la ragione come strumento, ma non le sue conseguenze, donde l’uso del termine Aufklärung (rischiaramento) più neutro rispetto agli ideologicamente pregnanti termini lumières, lumi, illuminismo e l’appropriazione dell’aggettivo «cattolico», che non vorrebbe restringere il fenomeno a una sola confessione, escludendo il mondo riformato, ma sottolineare come di una più generale Aufklärung cristiana le forze trainanti siano in sostanza cattoliche. Nella prospettiva del giuseppinismo e del dispotismo illuminato, l’Aufklärung cattolica appare nell’Europa occidentale, soprattutto a partire dagli anni Settanta, a prima vista come prassi, ed è interpretata come un mezzo supplementare di governo: di un governo che si affranca, nella sua pratica politica, dalla tutela pontificia, con confini incerti tra cattolicesimo e Illuminismo in Austria e Baviera, con accentuazioni marcatamente illuministiche nei Paesi renani, come è il caso dell’elettorato di Magonza. Né il quadro sostanzialmente muta, se l’Aufklärung cattolica si esprime come movimento al di fuori delle sfere governative, come nella Toscana leopoldina, dove è affidata alla mediazione di un episcopato riformatore, o nel Portogallo di Pombal [capo del governo dal 1750 al 1777], nel quale le sue sorti sono sintetizzate nell’opera del Pereira, al tempo stesso consigliere di governo e rappresentante di una tradizione teologica che sopravvive alle contingenze politiche. [...] Quali che siano state le più specifiche ragioni politiche, sociali e pastorali, le migliori energie dell’Aufklärung cattolica, varie e stratificate, ma legate al fondo comune dei «lumi», convergono sempre più [...] verso un dinamismo strutturale. Si mira così a rompere con la fissità controriformistica per modellare un nuovo volto della Chiesa, nella sostanza consapevole del suo passato, autonoma a livello diocesano e nelle materie disciplinari e liturgiche, liberata dal peso del vertice tridentino e inserita, secondo le parole di van Espen [celebre insegnante di diritto canonico all’Università di Lovanio, ch’ebbe grande influenza nei territori asburgici], «nell’ordine naturale dello Stato», al servizio del popolo cristiano, privata cioè di ogni superflua ricchezza e di ogni dispendioso apparato, «intelligibile» per tutti, vale a dire resa semplice nei riti e purificata da inutili devozioni e ogni tendenza al miracolismo e al misticismo. [...] M. Rosa, Politica e religione nel ‘700 europeo, Sansoni, Firenze 1974

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4. Individuare informazioni storiche in un testo letterario IL METODO Che cos’è un documento letterario? I documenti letterari sono fonti primarie: si tratta cioè di documenti le cui origini risalgono al periodo del passato che lo storico intende studiare. Quindi un documento letterario è un testo scritto che fornisce allo storico informazioni dirette su un determinato periodo storico. Perché utilizzare documenti letterari? Nei documenti letterari lo scrittore espone vicende reali sovente del proprio Paese e del proprio tempo: trae cioè ispirazione da eventi a lui contemporanei, reinterpreta attraverso una narrazione letteraria la cultura e la mentalità di un’epoca. È appunto su questi aspetti che lo storico deve rilettere. Lo storico infatti, studiando il documento letterario, scopre e s’interroga sulle vicende dei personaggi del documento, ricerca il modo di pensare del tempo e ne indaga le ragioni. Veriica poi se le informazioni raccolte nella narrazione hanno un riscontro anche in altre fonti, considerando che il documento letterario è fortemente condizionato: ƒin primo luogo, dalla personalità e dai valori dello scrittore; ƒin secondo luogo, dalle esigenze stilistiche proprie di un’opera letteraria che inluiscono sul modo di presentare la narrazione. Per recuperare da un documento letterario informazioni utili alla ricerca storica è allora necessario attivare la capacità di: ƒvalutare una fonte diretta: recuperare informazioni sull’autore e sulla composizione del testo (perché l’ha scritto?, in quali condizioni? ecc.); ƒselezionare le informazioni: separare le notizie che riguardano la vicenda storica dai giudizi personali dell’autore; ƒriconoscere le espressioni proprie dello stile letterario: isolare le formule tipiche dei generi letterari (igure retoriche, similitudini, inzioni ecc.); ƒindividuare le problematiche esposte nel testo: ricercare l’oggetto del testo e collocarlo nell’epoca in cui è stato scritto.

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COMPETENZE E METODO Come si può procedere? Innanzitutto è necessario elaborare uno schema nel quale compaiano: ƒnotizie sul periodo storico narrato e sugli ambienti rappresentati; ƒnotizie sull’autore: le sue idee, la sua personalità, l’ambiente di provenienza; ƒnotizie sui giudizi contrastanti degli storici, nel caso in cui il tema trattato sia oggetto di controversie storiograiche. Quindi si può procedere ad analizzare il testo: ƒdistinguendo tra gli aspetti letterari e quelli storici utili alla comprensione del periodo (rappresentazione di personaggi, di ambienti, di mentalità, di stili di vita ecc.); ƒeliminando gli elementi della inzione letteraria; ƒevidenziando gli elementi reali, cioè storicamente fondati, della narrazione; ƒinserendo nello schema le informazioni storiche ritenute importanti.

L’ESEMPIO Analizziamo il seguente brano tratto dall’opera teatrale Il borghese gentiluomo di Molière, il letterato di corte autore di numerose opere rappresentate per Luigi XIV. Il testo Atto II scena V1 IL GARZONE2 Mio signore, di grazia, date qualcosa di mancia ai garzoni. IL SIGNOR JOURDAIN Com’è che mi avete detto? IL GARZONE Mio signore. Il signor Jourdain fa di tutto per comprare un vestito che gli dia almeno l’apparenza del nobile. I nuovi nobili, generalmente disprezzati dall’antica aristocrazia, venivano definiti con l’espressione peggiorativa noblesse de robe, cioè «nobiltà d’abito». Si distingueva così la nobiltà acquistata, considerata una nobiltà d’apparenza, dalla «nobiltà di spada», cioè l’antica nobiltà militare, discendente dai signori e dai cavalieri medievali. 2 I garzoni di un sarto aiutano il signor Jourdain a indossare un vestito nuovo, che Jourdain ha voluto identico a quello che portano i nobili.

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IL SIGNOR JOURDAIN «Mio signore»! Pensa che cosa vuol dire vestirsi in un certo modo. Andate in giro sempre vestiti da borghesi, e mai nessuno vi dirà «Mio signore»! Tenete: ecco qua, per il «Mio signore». IL GARZONE Eccellenza, vi siamo obbligati. IL SIGNOR JOURDAIN «Eccellenza», oh, oh! «Eccellenza!». Aspetta un momento, amico mio: «Eccellenza» non è cosa da poco, un «Eccellenza» si merita qualcosa. Tenete: questo ve lo dà Sua Eccellenza. IL GARZONE Eccellenza, berremo tutti alla salute di Vostra Altezza. IL SIGNOR JOURDAIN «Vostra Altezza»! Oh, oh, oh! Aspettate, non andate via. A me «Vostra Altezza»! Parola mia, se arriva a dirmi Maestà, gli do tutta la borsa. Tenete: ecco qua per la Mia Altezza. Atto III scena XII3 CLEONTE Signore […] trovo che ogni forma di impostura sia indegna di una persona dabbene, e che vi è una certa vigliaccheria nel nascondere i natali che il cielo ci ha dato, nell’adornarsi agli occhi del mondo di un titolo preso a prestito, e nel farsi passare per quel che non si è. I miei genitori, non c’è dubbio, hanno ricoperto cariche onorevoli. Io stesso, sotto le armi, ho acquisito l’onore di sei anni di servizio, e godo di una fortuna sufficiente a mantenere nel mondo un decoroso tono di vita. Ma con tutto questo non voglio attribuirmi un titolo che altri nella mia posizione pretenderebbero tranquillamente, e pertanto vi risponderò francamente che no, signore, non sono gentiluomo4. IL SIGNOR JOURDAIN Qua la mano5, signore: mia figlia non è per voi.

Nella sua smania di nobiltà, Jourdain vuole a tutti i costi che la figlia sposi un nobile. In questa scena dialoga con Cleonte, un giovane spasimante della figlia che però non è nobile, né rivendica origini nobili. 4 Gentiluomo: nobile. 5 Qua la mano: gesto che sancisce un accordo. 3

Il signor Jourdain in un disegno di Edmond Geffroy. Parigi, 1871.

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COMPETENZE E METODO CLEONTE Come? IL SIGNOR JOURDAIN Non siete gentiluomo, non avrete mia figlia. LA SIGNORA JOURDAIN Cosa vorreste dire, con questo «gentiluomo»? Perché noi, che cosa siamo: discendiamo da San Luigi di Francia? IL SIGNOR JOURDAIN Zitta, voi: so dove volete arrivare. LA SIGNORA JOURDAIN Non siamo tutti e due di famiglie borghesi? IL SIGNOR JOURDAIN Ma la senti, che lingua? LA SIGNORA JOURDAIN E vostro padre non faceva il mercante, proprio come il mio? IL SIGNOR JOURDAIN Maledetta donna, non ne perde una! Se vostro padre faceva il mercante tanto peggio per lui; quanto a mio padre, quelli che lo dicono sono dei male informati. Io vi dico una cosa sola: voglio che mio genero sia un gentiluomo. LA SIGNORA JOURDAIN A vostra figlia occorre un marito che sia giusto per lei; e per lei va meglio un brav’uomo, che un nobile, senza un soldo e storpio. NICOLETTA6 È vero. Anche da noi, il figlio del gentiluomo del villaggio è il peggior aborto e il più grande babbeo che io abbia mai visto. IL SIGNOR JOURDAIN Tu stai zitta, sfacciata. Tu t’infili sempre tra i discorsi degli altri. Soldi per mia figlia ce ne ho io quanto basta; a me serve soltanto un titolo, e di mia figlia voglio fare una marchesa. LA SIGNORA JOURDAIN Una marchesa? IL SIGNOR JOURDAIN Sì, una marchesa. LA SIGNORA JOURDAIN Ohimè! Dio ce ne scampi e liberi! IL SIGNOR JOURDAIN È una cosa che ho definitivamente deciso.

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Nicoletta: si tratta della serva che presta servizio in casa Jourdain.

Comprendere collegamenti e relazioni La ricerca di elementi storici e il loro signiicato Il titolo della commedia, Il borghese gentiluomo, è già indicativo del tema che il drammaturgo intende afrontare: la borghesia e la nobiltà, le loro caratteristiche sociali, il loro prestigio e i loro rapporti con il potere. L’autore presenta il borghese, il signor Jourdain, in un atteggiamento di pura emulazione dello stile di vita dei nobili. Fa di tutto per comprare un vestito che gli dia almeno l’apparenza del nobile, se non le maniere, che invece appaiono chiaramente grossolane e poco aristocratiche. In questo passaggio è infatti presente la polemica, caratteristica di questa epoca, tra la «nuova» nobiltà deinita con un termine peggiorativo: noblesse de robe e la «nobiltà di spada», ossia l’antica nobiltà di origine feudale. La deinizione di noblesse de robe ovvero, letteralmente, «nobiltà di vestito» intendeva sottolineare la nobiltà acquistata con il denaro, considerata cioè solo una nobiltà d’apparenza, ben diversa era invece la «nobiltà di spada», cioè l’antica nobiltà militare, quella «vera» discendente dai cavalieri e dai signori del Medioevo. Molière ci mostra dunque una mentalità, personiicata dal signor Jourdain, molto difusa nel Seicento e durante tutto l’Antico regime: la vanità del borghese spinta all’estremo, tanto da condurre all’idiozia, che diventa poi il motivo comico dell’opera. Jourdain sarebbe disposto a sperperare tutte le sue ricchezze pur di realizzare la sua ambizione a essere nobilitato. Anche nella storia personale Jourdain rappresenta la sua categoria, e cioè la borghesia che si è arricchita con i commerci (in questo caso il commercio di tessuti) e che cerca di nascondere i propri natali perché vorrebbe appartenere all’aristocrazia. Per questo Jourdain, come altri, per essere nobilitato usa la dissimulazione e l’impostura; vorrebbe sistemare la propria iglia nell’aristocrazia, magari attraverso il matrimonio, per accedere a uno stato prestigioso. Nel Seicento, però, la borghesia utilizzava altri metodi più eicaci per raggiungere il suo scopo: acquistava i titoli nobiliari, i fondi o gli uici burocratici che erano venduti dallo stesso re Luigi XIV. Il testo di Molière dunque, pur attraverso la inzione letteraria, ci dà indicazioni precise sulla società dell’Ancien régime: essere nobile signiicava appartenere a un ordine che godeva di prestigio sociale e di privilegi, mentre la borghesia, anche se ricca, rientrava nel Terzo stato, cioè l’ordine di chi lavorava per vivere. La nobiltà non era dunque una categoria economica: esistevano anche nobili spiantati, senza un quattrino, i quali continuavano però a mantenere i privilegi onoriici. Si distingueva, infatti, la «grande nobiltà di corte» che

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COMPETENZE E METODO viveva nel lusso e in un ricco universo culturale, e la «piccola nobiltà provinciale», piuttosto povera e senza concreta inluenza politica. Autore

Molière.

Tipo di testi

Opera teatrale: commedia.

Periodo storico

Rappresentata nel 1670.

Temi affrontati

Società d’Antico regime: i rapporti tra la borghesia e la nobiltà, la polemica tra noblesse de robe e «nobiltà di spada», il senso di inferiorità della borghesia verso la nobiltà, la vendita delle cariche.

Informazioni presenti nei testi

In chiave satirica si ironizza sulle ambizioni della borghesia che per arrivare alla nobilitazione della famiglia si serve della dissimulazione e dell’impostura, nascondendo la propria origine.

L’ESERCIZIO Utilizzando lo stesso metodo dell’esempio, analizza il seguente brano tratto dal poemetto Il Giorno di Giuseppe Parini, scritto tra il 1763 e il 1767, l’opera in cui il poeta ironizza sullo stile di vita degli aristocratici mettendolo in contrasto con il duro lavoro del contadino e dell’artigiano. Il brano

Il risveglio del giovin signore Giovin Signore, o a te scenda per lungo di magnanimi lombi ordine il sangue purissimo celeste1, o in te del sangue emendino il difetto i compri onori e le adunate in terra o in mar ricchezze dal genitor frugale in pochi lustri2, me precettor d’amabil rito3 ascolta.

Sia che a te il sangue purissimo discenda da una lunga stirpe di nobili antenati. Sia che il titolo nobiliare sia stato comprato e le ricchezze messe insieme in pochi lustri dal padre parsimonioso con l’agricoltura o il commercio. 3 Le usanze della moda (per la nobiltà sacre come un rito). 1

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Comprendere collegamenti e relazioni Come ingannar questi noiosi e lenti giorni di vita cui sì lungo tedio e fastidio insoffribile accompagna, or io t’insegnerò. Quali al mattino, quai dopo il mezzodì, quali la sera esser debban tue cure apprenderai, se in mezzo a gli ozii tuoi, ozio ti resta pur di tender gli orecchi a’ versi miei. […] Or primamente odi quali il Mattino a te soavi cure debba guidar con facil mano. Sorge il Mattino in compagnia dell’Alba innanzi al Sol che di poi grande appare su l’estremo orizzonte a render lieti gli animali e le piante e i campi e l’onde. Allora il buon villan sorge dal caro letto cui la fedel sposa e i minori suoi figlioletti intiepidir la notte; [...] Allora sorge il Fabbro, e la sonante officina riapre, e all’opre torna l’altro dì non perfette4, o se di chiave ardua e ferrati ingegni all’inquieto ricco l’arche assecura5, o se d’argento e d’oro incider vuol gioielli e vasi per ornamento a nuove spose o a mense. Ma che? tu inorridisci, e mostri in capo, qual istrice pungente, irti i capegli al suon di mie parole? Ah non è questo, signore, il tuo mattino. Tu col cadente sol non sedesti a parca mensa, e al lume dell’incerto crepuscolo non gisti6 ieri a corcarti in male agiate piume, come dannato è a far l’umile vulgo. A voi, celeste prole, a voi, concilio di Semidei terreni altro concesse

Torna ai lavori non terminati il giorno precedente. Sia che costruisca una chiave difficile da contraffare o congegni di ferro per rendere sicure le casseforti al ricco (che ha sempre paura di essere derubato). 6 Non andasti. 4 5

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COMPETENZE E METODO Giove benigno: e con altr’arti e leggi per novo calle7 a me convien guidarvi. Tu tra le veglie e le canore scene8 e il patetico gioco oltre più assai producesti la notte; e stanco alfine in aureo cocchio, col fragor di calde precipitose rote e il calpestìo di volanti corsier, lunge agitasti il queto aere notturno, e le tenèbre con fiaccole superbe intorno apristi […]. Così tornasti a la magion; ma quivi a novi studii ti attendea la mensa cui ricoprìen pruriginosi cibi e licor lieti di Francesi colli, o d’Ispani, o di Toschi, o l’Ongarese bottiglia a cui di verde edera Bacco concedette corona, e disse: Siedi de le mense reina. Alfine il Sonno ti sprimacciò le morbide coltrìci di propria mano, ove, te accolto, il fido servo calò le seriche cortine: e a te soavemente i lumi chiuse il gallo che li suole aprire altrui.

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Per una strada diversa da quella dei comuni mortali. Il teatro dell’opera.

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5. Comprendere le posizioni di un dibattito IL METODO Un dibattito storiograico è una rassegna di argomentazioni, ognuna delle quali presenta una tesi, su una determinata questione controversa. Si tratta di diverse interpretazioni di un evento che presentano punti di vista e opinioni talvolta opposti. Comprendere le posizioni di un dibattito signiica: ƒconoscere la questione su cui si confrontano le opinioni; ƒdistinguere i fatti dalle opinioni; ƒindividuare le diverse opinioni; ƒdistinguere la tesi, cioè l’opinione principale o tradizionale, dall’antitesi, cioè l’opinione che è contraria alla tesi; ƒindividuare le argomentazioni e/o le fonti presentate a sostegno della tesi e dell’antitesi; ƒelaborare uno schema a doppia colonna (o a più colonne) indicando le argomentazioni delle diferenti posizioni.

L’ESEMPIO Presentiamo un dibattito storiograico sul signiicato del Risorgimento. Per individuare le diverse posizioni analizziamo la tesi di Antonio Gramsci presentata da Giuseppe Galasso, che ofre il punto di vista marxista del Risorgimento, e il testo dello storico Rosario Romeo, che critica l’impostazione di Gramsci in un’ottica liberale. ƒLa questione: l’argomento afrontato dai due storici riguarda il valore da attribuire al Risorgimento, la valutazione complessiva del fenomeno. ƒLa tesi di Gramsci: Gramsci parte dall’idea che il Risorgimento si svolse sotto l’«egemonia» delle forze moderate su quelle democratiche presenti nel Paese. Tuttavia, la guida moderata va considerata positivamente perché fu in grado di rappresentare gli interessi nazionali e di conquistare l’egemonia nella fase di conquista dell’unità; ma anche negativamente, perché una volta al governo nel regno uniicato impose il dominio del suo interesse di classe. Solo un grande movimento popolare, innescato

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COMPETENZE E METODO dai democratici, avrebbe potuto impedire tale dominio, ma ciò avrebbe presupposto come obiettivo principale del Risorgimento non tanto l’unità del Paese, quanto la riforma agraria. ƒLa tesi di Romeo: Rosario Romeo, rappresentante della storiograia liberale, contesta la posizione di Gramsci negando la possibilità della costruzione di un vasto movimento popolare e dell’introduzione di una riforma agraria che, peraltro, non era neppure auspicabile. Testo 1

Il Risorgimento, secondo Gramsci Il Risorgimento italiano si prospetta, per Gramsci, come aspetto italiano di un più generale sviluppo europeo nell’età prima della Riforma, poi della Rivoluzione francese e, infine, del liberalismo. Come tale, i suoi termini cronologici si estendono a tutto il secolo XVIII, per cogliere fin dall’inizio il «processo di formazione delle condizioni e dei rapporti internazionali che permetteranno all’Italia di riunirsi in nazione e alle forze interne nazionali di svilupparsi ed espandersi» allo stesso fine. Inoltre, esso va colto […] «come ripresa di vita nazionale, come formazione di una nuova borghesia, come consapevolezza crescente di problemi non solo municipali e regionali ma nazionali, come sensibilità a certe esigenze ideali». […] Per Gramsci solo a partire dalla Rivoluzione francese il Risorgimento, così inteso, acquista effettiva concretezza, poiché è solo da allora in poi che esso non è più soltanto una tendenza generale della società e della cultura italiane in sintonia con quelle europee, ma si trasforma in azione «consapevole in gruppi di cittadini disposti alla lotta e al sacrificio», diventando così una spinta storica effettiva operante attraverso forze specifiche e consistenti. Ed è proprio il discorso sulla natura e sul comportamento delle forze sociali nel momento decisivo del Risorgimento, quando l’unità italiana viene realizzata, a costituire l’oggetto dominante delle riflessioni storiche di Gramsci. Da questo punto di vista, il suo giudizio è assai netto: il processo risorgimentale fu caratterizzato da una netta egemonia delle forze moderate su quelle democratiche. Ma, contrariamente a un’opinione molto diffusa, ciò non significa affatto che Gramsci abbia una concezione negativa del Risorgimento e che ne condanni gli esiti. Egli, anzi, polemizza contro coloro che mostrano di non «valutare adeguatamente lo sforzo compiuto dagli uomini del Risorgimento, sminuendone la figura e l’originalità, sforzo che non fu solo verso i nemici esterni, ma specialmente contro le forze interne conservatrici che si opponevano all’unificazione». […] Gramsci riconosce nel «potere d’attrazione» dei moderati sui democratici un caso di attrazione «spontanea» di una forza sociale su altre, ossia l’attrazione di un «gruppo sociale realmente progressivo», perché «fa avanzare realmente l’intera società, soddisfacendo non solo alle sue esigenze esistenziali, ma ampliando continuamente i propri quadri»: dunque, e sempre

Comprendere collegamenti e relazioni in termini gramsciani, un caso di «egemonia», non di «dominio», e tanto valido e forte da essere perfino «riuscito a suscitare la forza cattolico-liberale» e a ottenere che, sia pure per poco, addirittura un papa (Pio IX) si conformasse al movimento liberale, realizzando così «il capolavoro politico del Risorgimento» e superando uno degli ostacoli maggiori di resistenza al movimento nazionale. La condizione di base dell’egemonia dei moderati sta nel fatto che «essi rappresentavano un gruppo sociale relativamente omogeneo, mentre il cosiddetto Partito d’azione non si appoggiava specificatamente a nessuna classe storica», mancava «addirittura di un programma concreto di governo» e traeva ispirazione – rispetto ai moderati – in molti dei suoi uomini in ragioni «più di «temperamento» che di carattere organicamente politico». […] Gramsci imputa al Partito d’azione di non aver saputo opporre all’omogeneità spontanea dei moderati l’organizzazione di un grande movimento popolare di massa. Nelle condizioni dell’Italia di allora ciò avrebbe voluto dire, in sostanza, guidare i contadini a una lotta per la terra specialmente nel Mezzogiorno. Ciò ha fatto riassumere, non a torto, le vedute di Gramsci a questo riguardo nella formula del Risorgimento come «rivoluzione agraria mancata» (che però non ricorre mai in lui). E, in effetti, anche se egli ha presente che al di là di una certa democratizzazione non si poteva «forse giungere date le premesse fondamentali del moto» risorgimentale nel suo insieme, a suo avviso il fallimento del Partito d’azione impedì «di inserire il popolo nel quadro statale». […] La soluzione unitaria ha realizzato una promozione e modernizzazione del Paese e ha corrisposto agli interessi preminenti della nazione, ma le classi che hanno diretto il movimento nazionale […] hanno agito su una base essenzialmente conservatrice e moderata, limitando la positività del processo e che si è andata accentuando col tempo […]. G. Galasso, Risorgimento, in AA. VV., Antonio Gramsci, Editrice l’Unità, Roma 1987

Testo 2

Contro Gramsci Al di là di ogni discussione metodologica generale vanno poste, a proposito delle tesi del Gramsci, due questioni fondamentali, relative da una parte alla reale possibilità di una rivoluzione agraria, all’effettiva esistenza cioè di una alternativa al Risorgimento quale si è concretamente realizzato; e dall’altra al carattere più o meno progressivo, rispetto alla soluzione storicamente raggiunta, di questa presunta alternativa. Che è questione non meno importante della prima: perché appunto sul non aver saputo spingere fino in fondo tutte le possibilità di progresso «oggettivamente» contenute nella situazione italiana si accentra la critica del Gramsci alla classe dirigente risorgimentale; e soprattutto perché da una giusta valutazione del significato della mancata rivoluzione agraria dipende un’esatta impostazione dei reali problemi dello sviluppo capitalistico moderno in Italia nel secolo XIX.

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COMPETENZE E METODO Ora, nonostante gli elenchi sempre più folti di insurrezioni e moti contadini che la storiografia – non solo quella marxista, d’altronde – ci viene apprestando; nonostante la indubbia esistenza di condizioni di grande miseria o di disagio in gran parte delle campagne italiane e la persistenza di larghi residui feudali, specie nel Mezzogiorno; nonostante il fatto massiccio della presenza di una popolazione contadina di oltre quindici milioni nel 1860, di cui la maggior parte contadini poveri o braccianti o «salariati», e i propositi talora affacciatisi di mobilitare questa massa contro i vecchi regimi assolutistici, sembra innegabile che la presunta alternativa rimane fuori della realtà storica e politica. E ciò, non tanto per il tenace sanfedismo delle campagne, magari superabile con l’impostazione del problema della terra; quanto per le condizioni storiche di fondo in cui era destinato a svolgersi il Risorgimento. Sembra certo anzitutto che una rivoluzione agraria e giacobina in Italia avrebbe provocato uno schieramento antitaliano di tutte le maggiori potenze europee, interessate alla conservazione sociale, e legate a una visione della civiltà e dei rapporti internazionali profondamente ostile a quel genere di sovvertimenti. Il problema dei rapporti internazionali è stato energicamente sottolineato a questo proposito dallo Chabod; e già Gramsci si era chiesto (e aveva risposto negativamente) se in Italia fosse possibile una rivoluzione di tipo giacobino nella mancanza di «autonomia internazionale» del nostro Paese. Un discorso più complesso richiede il preteso carattere progressivo dell’alternativa della rivoluzione agraria, l’affermazione cioè che la struttura sociale ed economica realizzata in Italia attraverso il Risorgimento rappresenti una fase storicamente più arretrata di quella raggiungibile attraverso la rivoluzione agraria. È proprio questo concetto che anima gran parte della polemica marxista contro il Risorgimento; ed è appunto in esso che più chiaramente si rileva la genesi «dottrinaria», oltre che pratico-politica della tesi del Gramsci. […] Essa ha il suo nucleo originario nella visione marxista dello sviluppo capitalistico, che il Gramsci applica all’Italia soprattutto rifacendosi al modello della rivoluzione borghese di Francia; benché non debba essere sottovalutata, a questo proposito, l’esperienza che il Gramsci fece, prima attraverso gli scritti di Lenin, e poi direttamente nel suo soggiorno in Russia, dell’impostazione del problema agrario nei Paesi a struttura arretrata dell’Europa orientale, dove appunto la questione nazionale e quella della rivoluzione antifeudale erano apparse strettamente congiunte agli occhi del pensiero democratico. Sennonché, il problema dello sviluppo capitalistico in Italia non può essere identificato né con quello della rivoluzione agraria nei Paesi arretrati dell’Oriente europeo, caratterizzati da un’estrema debolezza dello sviluppo cittadino e borghese, né con quello dello sviluppo capitalistico in Francia, che si distingue dall’analogo processo italiano per uno svolgimento delle città e del capitalismo urbano incomparabilmente più rapido e più vigoroso. […] Ben diversa la situazione italiana fin oltre la metà del secolo XIX. Qui l’industria aveva ancora un peso quasi trascurabile nel quadro dell’attività economica del Paese, e anche il commercio, nonostante avesse certo un rilievo assai maggiore, era tuttavia subordinato all’agricoltura, esaurendo

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Comprendere collegamenti e relazioni quasi interamente il suo compito nel mettere in movimento i prodotti delle colture locali. Persino nella regione più avanzata, la Lombardia, lo Jacini calcolava che nell’agricoltura si investisse una somma sei volte maggiore di quella investita nel commercio e nell’industria messi insieme; e la stessa Milano era ancora una città nello stadio commerciale del suo sviluppo. […] Accadeva perciò che da noi, ancora verso il 1860, i soli fenomeni capitalistici su vasta scala e capaci di dar luogo a forme moderne di organizzazione produttiva di dimensioni rilevanti si riscontravano nell’agricoltura. […] È su tale sfondo di debole sviluppo del capitalismo cittadino e di incipiente capitalismo agrario che va studiato il significato della mancata rivoluzione contadina auspicata da parte marxista. In un Paese come l’Italia del secolo XIX, […] una rivoluzione contadina mirante alla conquista della terra avrebbe inevitabilmente colpito – dovunque avesse potuto consolidarsi e dunque, si può presumere, specialmente nel Nord e nel Centro della Penisola – anche le forme di più avanzata economia agraria, liquidando gli elementi capitalistici dell’agricoltura italiana per sostituirvi un regime di piccola proprietà indipendente, e imprimendo all’Italia agricola una fisionomia, appunto, di democrazia rurale. A tutto ciò si sarebbe certo accompagnata la liquidazione dei residui feudali; fatto, questo, grandemente positivo nel quadro dei rapporti agrari italiani. Ma nel processo generale dello sviluppo capitalistico in Italia questa rivoluzione avrebbe avuto un valore assai diverso: e basta guardare alle conseguenze della Rivoluzione nelle campagne francesi per rendersene conto. Se infatti essa migliorò le condizioni di larghi strati di contadini […], è un fatto incontestabile ch’essa bloccò in pari tempo lo sviluppo del capitalismo nelle campagne francesi. […] Una volta liquidato dalla rivoluzione contadina il più progredito capitalismo agrario, e nella generale debolezza industriale e mobiliare, il Paese avrebbe subìto un colpo d’arresto nella sua evoluzione a Paese moderno, e non solo sul piano della vita economica, ma in genere dei rapporti civili e sociali. R. Romeo, Risorgimento e capitalismo, Laterza, Bari 1972 La tesi di Gramsci

La tesi di Romeo

Le forze moderate liberali e borghesi hanno acquisito l’egemonia nella fase di conquista dell’unità d’Italia. L’aspetto negativo riguarda invece il dominio che hanno esercitato una volta conquistato il governo del regno. Ci sarebbe invece voluto un vasto movimento popolare, istigato dai democratici, che avesse avuto come obiettivo la riforma agraria del Paese.

Le condizioni storiche in cui si svolse il processo risorgimentale non erano adeguate per la formazione di un movimento rivoluzionario popolare e per la riforma agraria indicata da Gramsci. Né del resto una rivoluzione agraria sarebbe stata auspicabile, perché nel contesto della debole economia italiana, tale rivoluzione avrebbe condannato la Penisola all’arretratezza economica.

L’ESERCIZIO Seguendo lo stesso metodo, utilizza i testi presenti nel manuale alle pp. 349354 per comprendere le diverse e nuove posizioni sul Risorgimento.

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COMPETENZE E METODO

6. Comporre un tema storiografico IL METODO Il tema storiograico è un testo che espone e interpreta un problema, un processo o una vicenda della Storia. Il testo può avere una forma: ƒnarrativo-descrittiva, e raccontare e descrivere vicende, mutamenti, permanenze ecc.; ƒargomentativa, e spiegare un problema attraverso lo sviluppo di un’ipotesi o di una tesi. Le vicende storiche possono riguardare eventi avvenuti contemporaneamente, e allora i fatti vengono esposti in maniera «sincronica» (dal greco s´ yn, insieme, e chrónos, tempo); oppure possono riguardare eventi avvenuti in successione, e allora i fatti vengono esposti in maniera «diacronica» (dal greco día, attraverso, e chrónos, tempo). La composizione del tema storico è una sorta di «traguardo» nello studio: nel testo occorre infatti saper raccogliere e organizzare tutte le informazioni acquisite su un determinato argomento. Svolgere un tema storico signiica:

ƒconoscere approfonditamente l’argomento da trattare; ƒutilizzare un linguaggio e un lessico appropriati. Questi sono acquisiti

solo da un precedente lavoro di lettura, analisi, comprensione e interpretazione di testi storiograici; ƒselezionare, ordinare e organizzare le conoscenze, le fonti, i giudizi secondo un criterio logico (cronologico, geograico, di causa ed efetto ecc.) coerente con il titolo assegnato; ƒesporre in modo puntuale e dettagliato gli elementi temporali, spaziali e fattuali (vale a dire le date, i luoghi, i personaggi e gli eventi ecc.); ƒricostruire il contesto; occorre infatti collocare l’argomento nel tempo, nell’ambiente, nell’intreccio con altri eventi. Per elaborare il tema storico occorre: 1. leggere attentamente il titolo per individuare il tipo di testo richiesto e l’argomento;

Rielaborare le conoscenze e applicare la sintesi 2. veriicare, selezionare e ordinare le conoscenze; 3. distinguere i fatti dalle opinioni e dalle ipotesi; 4. costruire una scaletta; la scaletta è il «piano di costruzione» del tema e deve prevedere: – un’introduzione al discorso – una parte centrale articolata, costituita da descrizione, narrazione e argomentazione – una conclusione; 5. procedere alla stesura del testo rimanendo fedeli alla scaletta. In primo luogo, è necessario che l’esposizione sia chiara e scorrevole: è meglio usare una struttura sintattica semplice (periodi brevi con poche subordinate). Quando si citano le fonti storiograiche occorre riportare il nome dello storico e mettere tra virgolette la citazione se la ricordi a memoria, altrimenti basta riferire il concetto; 6. controllare e rivedere il testo; si tratta della rilettura attenta del lavoro per controllare che: – quanto scritto sia una risposta appropriata agli interrogativi posti dal titolo; – le informazioni siano precise, corrette e complete; – il ragionamento risponda a criteri logici; – la sintassi sia corretta e la narrazione sia eicace.

L’ESEMPIO Organizziamo la stesura di un tema storico utilizzando le conoscenze acquisite attraverso lo studio dell’Unità 15 del manuale. La traccia L’imperialismo della ine del XIX secolo si colloca nel contesto di un’espansione capitalistica dell’economia europea e americana, ma anche di un clima culturale fortemente segnato dall’idea di una superiorità razziale dei bianchi sulle altre popolazioni. Si afronti questo argomento facendo riferimento anche alle opinioni più difuse sulle cause e sulle conseguenze delle politiche imperialistiche. La scaletta ƒL’imperialismo come politica che risponde alle esigenze di un mondo sempre più complesso nell’economia.

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COMPETENZE E METODO ƒLe aree geograiche interessate: Africa e Asia, ma anche l’America Latina,

e per certi aspetti i Balcani.

ƒLa spinta imperialista ha anche altri risvolti oltre a quello economico: un

risvolto tecnologico (vedi ad esempio la costruzione del Canale di Suez), un risvolto culturale, che si esprime attraverso ideologie razziste che considerano inferiori i popoli extraeuropei. ƒUn insieme di cause, seppur diversamente interpretate, che sfociano in alleanze militari e inine nella guerra.

L’ESERCIZIO Seguendo lo stesso metodo, elabora una scaletta per poi svolgere un tema storico sulla seguente traccia: «La seconda rivoluzione industriale determinò molti cambiamenti che toccarono non solo l’economia, ma anche la società e la vita quotidiana dei cittadini. Affronta questo argomento utilizzando documenti utili all’approfondimento».

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