Ermeneutica e psicologia del linguaggio
 9788858763735

Table of contents :
Cover......Page 1
Occhiello......Page 2
Frontespizio......Page 3
Copyright......Page 4
Monografia introduttiva......Page 5
Notizia biografica......Page 107
Nota editoriale......Page 117
Ermeneutica e psicologia del linguaggio......Page 127
Sezione I - Filosofia del linguaggio......Page 128
Sezione II - Psicologia dei popoli......Page 484
Sezione III - Filologia......Page 630
Note ai testi......Page 778
Bibliografia......Page 834

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HEYMANN

STEINTHAL ERMENEUTICA E PSICOLOGIA DEL LINGUAGGIO GRAMMATICA, LOGICA E PSICOLOGIA / PSICOLOGIA DEI POPOLI / TIPI E FORME DELL’INTERPRETAZIONE / STORIA E FILOLOGIA

A cura di Davide Bondì

BOMPIANI IL PENSIERO OCCIDENTALE

Testo tedesco a fronte

BOMPIANI IL PENSIERO OCCIDENTALE Direttore

GIOVANNI REALE

HEYMANN STEINTHAL ERMENEUTICA E PSICOLOGIA DEL LINGUAGGIO Testo tedesco a fronte

Monograf ia introduttiva, traduzione, note e apparati di Davide Bondì

BOMPIANI IL PENSIERO OCCIDENTALE

Direttore editoriale Bompiani Elisabetta Sgarbi Direttore letterario Mario Andreose Editor Bompiani Eugenio Lio

ISBN 978-88-58-76373-5 © 2013 Bompiani/RCS Libri S.p.A. Via Angelo Rizzoli 8 - 20132 Milano Realizzazione editoriale: Vincenzo Cicero Prima edizione digitale 2013 da Prima edizione Il Pensiero Occidentale ottobre 2013

MONOGRAFIA INTRODUTTIVA DI

DAVIDE BONDÌ

HEYMANN STEINTHAL UMANITÀ, ESPERIENZA E LINGUAGGIO

I. IDEA DI UMANITÀ. Psicologia dei popoli ed etica* 1. Ai margini dell’idealismo: dalla dialettica alla teoria genetica Il 28 maggio 1883, quando i monumenti marmorei di Wilhelm e Alexander von Humboldt furono posti all’ingresso dell’università di Berlino dove ancora si trovano, Heymann Steinthal, invitato dalle autorità politiche a commemorare la figura del grande linguista, fece appello all’idea di umanità (Idee der Menschheit) che ne animava la produzione e l’intera coscienza. Nell’opera di Wilhelm von Humboldt, Steinthal ipotizzava un unico principio filosofico, un solo metodo: lo sforzo di rintracciare nei fatti le idee, di accertare le idee che sgorgano dalla ragione attraverso i fatti, di chiarire e, per quanto possibile, concepire i fatti attraverso le idee1. Nei mesi successivi di quello stesso anno, lo studioso concluse anche un’importante edizione delle opere di filosofia del linguaggio di Humboldt, poi apparsa nel 18842. I giorni * Il saggio qui proposto ha come scopo l’interpretazione storica del pensiero di Steinthal con sguardo rivolto alla sua intera produzione. Una brevissima storia della critica è presentata come paragrafo conclusivo, sebbene le tesi più significative degli studiosi che si sono occupati del pensiero di Steinthal siano discusse nel corso del testo in relazione a singoli problemi interpretativi. Il saggio introduttivo è stato concluso nel maggio del 2011, pertanto non vi si troverà una discussione della letteratura posteriore. Il lettore troverà, invece, il resoconto della vita dell’autore nella notizia biografica posposta. Indicazioni sulla genesi e sulla storia editoriale degli scritti tradotti nel volume sono date sia nella biografia sia nelle note introduttive a ciascuna traduzione. Per le abbreviazioni utilizzate cfr. Sigle. 1 Steinthal, Über Wilhelm von Humboldt bei Gelegenheit der Enthüllung der Humboldt-Denkmäler. Montag, den 28. Mai 1883. Im Festsaale des Rathauses. Ferd. Dümmlers Verlagsbuchhandlung 1883, p. 9. 2 Die sprachphilosophischen Werke Wilhelm’s von Humboldt, herausge-

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dedicati all’elaborazione di questa edizione critica, che sarebbe stata letta da Benjamin e Cassirer e avrebbe circolato non poco a cavallo tra Otto e Novecento, li considerava tra i più felici della sua vita. Il progetto era diventato concreto intorno al 1880, quando i manoscritti humboldtiani erano stati messi a disposizione degli studiosi dalla biblioteca reale di Berlino, subito dopo la morte di Buschmann, che fino ad allora ne era stato custode geloso, pronto a difendere le carte del maestro dai «suoi falsi amici» ed estimatori. Steinthal, dunque, può attingere al fondo e approntare la sua edizione filologica degli scritti di Humboldt in età matura, quando s’è ormai distanziato dalle ricerche teoretiche. La filologia per lui rappresenta un punto d’arrivo e non di partenza; un approdo che, come si capirà meglio più avanti, non è soltanto il portato delle circostanze, ma anche l’esito di un percorso teorico coerente. Negli anni in cui redige l’edizione humboldtiana, l’autore rende conto del suo lavoro filologico nei termini di una rinuncia, di un distanziamento dal mondo delle ricerche teoriche. La sua Denkweise, scrive, «non è più parte del presente», giacché «irrompe un mondo con bisogni nuovi» e «il suo tempo è ormai trascorso»3. Le sue opere precedenti, inversamente, erano state concepite come una vera e propria impresa teorica, «una battaglia ingaggiata nel nome di Humboldt contro lo stesso Humboldt», una guerra per difendere le intuizioni geniali della sua ricerca empirica dalle implicazioni sistematiche che egli stesso ne traeva, «una guerra combattuta per geben von H. Steinthal, mit einer allgemeinen Einleitung, der Abhandlung „Der Styl Humboldts“, und mit Einführungen und Erklärungen des Herausgebers zu den einzelnen Schriften Humboldts, Dümmler, Berlin 1884. Per un accurato resoconto della linguistica di Steinthal in rapporto a quella di Humboldt può vedersi M. Ringmacher, Organismus der Sprachidee. H. Steinthals Weg von Humboldt zu Humboldt, Schöning, Paderborn-München-Wien-Zürich, 1996, partic. pp. 28-98. In proposito, anche: J. Trabant, Ideelle Bezeichnung. Steinthal Humboldts Kritik, in A. Eschbach e J. Trebant (a cura di) History of Semiotics, Benjamins, Amsterdam-Philadelphia, 1983, pp. 251-276 e M. Barba, Die Humboldt Rezeption Steinthals, in Humboldt-Grimm-Konferenz, hrsg. von Arwed Spreu in Zusammenarbeit mit Wilhelm Bondzio, Bd. I, Humboldt-Universität, Sektion Germanistik, Berlin 1986, pp. 293-302. 3 Steinthal, OSP, II (1877), p. 309.

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lui contro il nemico che era in lui, e per lui vinta»4. Questa interpretazione lo aveva portato in più occasioni al confronto serrato, e alla disputa, con Pott, Haym e la gran parte dei linguisti-storici del suo tempo che di Humboldt «non avevano conosciuto che il nome, nonostante lo considerassero una divinità e lo onorassero come un Buddha»5. Nel 1884, apparentemente lontano da quelle polemiche, ostentatamente distante dalle ricerche teoriche, ora, insomma, che il passaggio dalla filosofia alla filologia è compiuto, Steinthal non manca, ancora una volta, di dedicare quest’ultima fatica «ai seguaci del credo humboldtiano nell’idea di umanità»6. Il riferimento all’idea di “umanità”, alla centralità delle idee, alla forza creativa e plasmante dello spirito è il pilastro su cui poggia, dall’inizio alla fine, la Weltanschauung filosofica dell’Humboldt di Steintha e, sarebbe meglio dire, di Steinthal stesso. Il pilastro che rimane saldo in tante battaglie per assimilare e sintetizzare gli impulsi culturali e scientifici di un’epoca di transizione. Questa la vera continuità, dunque, nonostante la convinzione che un tempo non si era compreso tutto o non lo si era compreso pienamente7. In un altro discorso commemorativo, tenuto alcuni anni prima, in occasione del centenario della nascita di Wilhelm von Humboldt, si legge: Qual è l’impulso spirituale che ha prodotto la sua filosofia del linguaggio e la anima in ogni parte? Nient’altro che il più vivo sentimento dell’umanità; il profondo rispetto della dignità dell’uomo in quanto tale […] il sentore dell’infinita forza creativa che in lui è innata con la sua essenza, nella profondità del suo animo […] Mentre prima non si comprese affatto, per servirmi di una nota espressione di Goethe, «che nell’uomo vi è qualcosa, quand’anche non sia giunta a lui 4

Steinthal, OSP, I (1852), pp. 4-5. Steinthal, GLP (1855), p. 231. 6 Steinthal, SH (1883), p. 5. 7 Cfr. D. Bondì, I rapporti di filosofia storia e psicologia in H. Steinthal in «Annali del Dipartimento di Filosofia di Firenze», XIV (2008), pp. 179222. 5

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dall’esterno», Humboldt al contrario colse, come all’uomo non potesse giungere dall’esterno nulla, che non fosse già stato originariamente in lui e come ogni influsso proveniente dall’esterno funga solo da stimolo per lasciar emergere ciò che è interno8.

Entro la cornice della filosofia tedesca dell’Ottocento, il pensiero di Humboldt e quello dello stesso Steinthal – che sente su di sé la responsabilità di esserne l’interprete, come Aristarco o Lachmann furono per Omero e Teofrasto per Aristotele9 – sviluppano e articolano il tema della centralità etica e conoscitiva dell’uomo attraverso la riflessione sulla lingua. Proprio la filosofia del linguaggio, pertanto, si configura come l’altare di una religione laica dell’umanità: una religione dell’uomo intento alla «considerazione conoscitiva del tutto, all’operante trasformazione della natura terrestre e allo scambio con tutto ciò che è spirituale» (1867); capace, aggregandosi in consorzi e popoli, di creare – assieme alla lingua e attraverso le lingue – gli stati e le istituzioni politiche, gli edifici e i mestieri, i commerci, le arti e le scienze, e per mezzo delle sue forze spirituali più alte e libere, di innalzare il proprio carattere alle idee morali. Fin qui, i termini di “idealismo” e “umanesimo” sono stati utilizzati in riferimento a un orizzonte storico-culturale ampissimo, a un’intera generazione di filosofi, pensatori, poeti e scienziati, al movimento di un’epoca, potremmo dire, che ha posto al centro della sua Weltanschauung la spontaneità e la libertà dello spirito. Ma se restringiamo l’angolo prospettico alla storia del solo pensiero filosofico, i riferimenti cruciali di Steinthal furono i più fieri avversari dell’hegelismo. Accanto a Wilhelm Humboldt e August Boeckh, soprattutto Friedrich Herbart. La difficoltà che gli interpreti hanno incontrato nel collocare adeguatamente il pensiero di Steinthal è dipesa da questi riferimenti incrociati da un lato alla tradizione dell’i8 Steinthal, Gedächtnisrede auf Wilhelm von Humboldt an seinem hundertjährigen Geburtstage, Sonnabend, den 22. Juni 1867, Ferd. Dümmlers Verlagsbuchhandlung 1867, p. 17. 9 Rispettivamente Steinthal, OSP, I (1852), p. 5 e Steinthal, OSP, II (1877), p. 318.

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dealismo linguistico, dall’altro a quegli sviluppi del kantismo che andavano verso una filosofia e una psicologia dell’esperienza. L’espressione usata nel titolo di questo paragrafo, ai margini dell’idealismo, deve servire a uscire da questa difficoltà. In via preliminare, e necessariamente concisa, diremo che il pensiero di Steinthal è in rapporto con l’idealismo filosofico perché poggia su un’assunzione metafisica idealistica. Sull’idea, cioè, che lo spirito è soggetto e non sostanza, movimento o processo e non staticità e fissità. D’altro canto, la sua concezione si pone ai margini dell’idealismo giacché, in questo caso, il processo non è concepito come il passaggio di determinazione concettuale in determinazione concettuale, ma come l’insieme delle variazioni psichiche individuali e collettive. Se in Hegel la soggettività è il processo ideale stesso nel suo dispiegamento, per Steinthal il «soggetto» coincide con il movimento complessivo dei rapporti psichici nei diversi ambiti dell’esperienza vitale e scientifica, in uno sviluppo privo di compimento, sempre intrecciato con il linguaggio, sempre intersoggettivo. Il passo che riassume in termini esemplari questa differenza si trova in uno scritto del 1864, su cui più avanti dovremo soffermarci a lungo. Vi si legge: io esprimo letteralmente la stessa cosa che Hegel osservò nei confronti di Spinoza, quando chiedo che la sostanza venga risolta nel processo. Ma per processo io non intendo quello dialettico che è soltanto un movimento della coscienza intorno a sostanze o concetti fissi, ma quello reale sia esso naturale o psichico10.

L’attenzione per il «movimento reale», naturale o psichico, è la ragione per cui lo studioso sostituisce ai nomi di dialettica e di metodo dialettico quelli di genesi e di metodo genetico11. 10

Steinthal, PGP (1864), p. 66 (ed. it, p. 246). Com’è noto, anche Feuerbach, nel saggio Zur Kritik der Hegel’schen Philosophie, apparso nel 1839 pone la necessità che il metodo logico-critico di Hegel si trasformi in un metodo genetico-critico, che tenga conto dell’empiria dei sensi e del dialogo tra ragione e realtà. In Steinthal, tuttavia, non si trovano riferimenti a Feuerbach. In proposito, credo debba solo 11

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La filosofia genetica, non solo va collocata a margine dell’idealismo e – bisognerebbe aggiungere – dell’herbartismo, ma anche al di fuori della Lebensphilosophie dell’Ottocento, secondo cui la vita nella sua genuinità e immediatezza è inattingibile, l’esperienza in senso proprio è inoggettivabile. Nella concezione guadagnata da Steinthal, infatti, il linguaggio rappresenta lo strumento idoneo per la comprensione delle strutture fondamentali dell’esperienza: una volta intesi la sua natura, la sua origine, il suo funzionamento, si è in possesso di una via d’accesso per la comprensione dell’intera vita psichica. Nei prossimi paragrafi analizzeremo in quali direzioni i confini della cultura idealistica sono forzati. E, tuttavia, porremo anche in evidenza che in alcuni nodi focali del pensiero di Steinthal, in modo particolare nella teoria della storia e della classificazione delle lingue e dei popoli, l’orizzonte teorico e discorsivo dell’idealismo riemerge e lascia traccia di sé. Per ora basti dire che sebbene questo umanesimo non rompa del tutto con il paradigma spiritualistico e, come vedremo, sia soggetto a oscillazioni che non trovano soluzione, può pur essere considerato il sintomo di una sensibilità filosofica nuova, sollecita una riflessione sull’ampliamento dei diritti e sul riconoscimento delle culture diverse e delle storie altre, segna un passaggio importante nella storia dell’idealismo. D’altro canto, è solo attraverso la ricostruzione dei caratteri specifici che le categorie storiografiche divengono quello che possono essere e non solo quello che sono state12.

dirsi che l’autore si colloca a suo modo nel quadro generale di un’intera cultura che spinge, in forme e con fini diversi, verso una riconsiderazione del metodo dialettico. 12 Lia Formigari, inserisce la trattazione della filosofia del linguaggio di Steinthal, come ultimo paragrafo del capitolo Idealism and Idealistic Trends in Linguistics and the Philosophy of Language contenuto nel IV volume dell’importante Storia delle teorie linguistiche curata da Peter Schmitter (Geschichte der Sprachtheorien, 4, pp. 246-253). Al paragrafo su Steinthal l’autrice, in verità, dà il titolo: The refutation of linguistic idealism. Una confutazione dell’idealismo che merita, per dir così, di rimanere all’interno dell’orizzonte idealistico!

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2. I popoli e l’oggettivazione delle idee (Lazarus e Steinthal) a) Un tratto peculiare dell’idea di umanità è posto con l’elaborazione della psicologia dei popoli. Steinthal vi si dedicò a partire dal 1852 a stretto contatto con Moritz Lazarus, il più sodale e intrinseco dei suoi amici, il suo fratello stellare13. Le linee di ricerca generali della Völkerpsychologie furono elaborate assieme nel 1858 e possono leggersi nel saggio dato in traduzione nella II parte di questo libro. Già nel 1851, però, Lazarus aveva dato alle stampe un intervento sulla possibilità e il concetto di una psicologia dei popoli14. La maggior parte dei problemi legati alla “nuova scienza” furono poi illustrati dallo stesso Lazarus in alcune ricerche teoriche e metodologiche apparse tra il 1860 e il 1865 nella Zeitschrift für Völkerpsychologie und Sprachwissenschaft e da Steinthal in un numero davvero cospicuo di studi, in cui il metodo della psicologia dei popoli è applicato a diversi indirizzi delle scienze umane e storiche. La scienza del linguaggio, si legge in Grammatik, Logik und Psychologie (1855), introduce nel modo più vivace alla Völkerpsychologie. La lingua, infatti, non appartiene all’individuo in sé, «l’individuo, piuttosto, parla in società». «La lingua è pertanto prodotto della comunità, del popolo»15. Se la lingua è autocoscienza istintiva, visione del mondo e logica istintiva «ciò significa allora che essa è l’autocoscienza, la visione del mondo e la logica dello spirito del popolo». Accanto alla lingua, tra le attività spirituali di un popolo vi è «l’intero patrimonio delle rappresentazioni e dei concetti», a cui «devono essere ancora aggiunti i costumi e le abitudini, dall’alimentazione e il vestiario fino all’amministrazione del diritto e alla costi13 Anche per Lazarus la psicolgia del linguaggio occupa un ruolo centrale all’interno della psicologia dei popoli. Appena un anno dopo la pubblicazione di Grammatik, Logik und Psychologie, a cui Steinthal lavorava però dal 1853, Lazarus dà alle stampe, Geist und Sprache, come secondo volume di Das Leben der Seele in Monographien über seine Erscheinungen und Gesetze, II Band, Dümmler, Berlin 1856. 14 M. Lazarus, Sul concetto e la possibilità di una psicologia dei popoli (1851) in LaPP (2008), 59-76. 15 Steinthal, GLP (1855), intra, I, p. 392.

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tuzione dello stato, l’esercizio delle arti, l’attività delle aziende e la cultura scientifica, in ultimo, la religione»16. Nel definire l’ambito di pertinenza della psicologia dei popoli, dunque, l’accento è posto da Steinthal sui prodotti dell’attività psichica che non possono essere ricondotti al singolo individuo. La lingua, le rappresentazioni e i concetti con essa intrecciati, le forme della cultura scientifica, i costumi e le norme etiche, le costituzioni, le leggi e le aziende sono oggettivazioni dell’interazione psichica che ha luogo tra gli individui e non dell’attività psichica che si compie nel singolo. Come si vedrà subito, era questo l’aspetto più problematico della psicologia dei popoli, perché queste formulazioni sembravano lasciar spazio a un soggetto dell’attività psichica diverso dall’individuo, a una sostanza sovra-individuale. I principi di psicologia dei popoli esposti negli scritti metodologici di Lazarus17 diedero di fatto luogo, nella seconda metà dell’Ottocento, a un vivace dibattito sul modo in cui il concetto di spirito del popolo (Volksgeist) dovesse essere inteso. Tra le critiche mosse alla nozione di Volksgeist godettero di grande attenzione quelle formulate da Wundt e Paul, il fondatore della psicologia sperimentale e il più influente rappresentante della scuola degli Junggrammatikern18. Paul, in particolare, nella seconda edizione dei suoi Prinzipien (1886), obiettava a Lazarus e Steinthal che «tutti i processi psichici si realizzano nella psiche dell’individuo e non altrimenti». Per questo lo spirito del popolo non può essere altro che una mera astrazione: «né lo spirito del popolo né gli elementi del16

Lazarus-Steinthal, EGV (1860), intra, II, p. 30. Scritti raccolti in una pregevole edizione tedesca curata da K. C. Köhnke, LaVK (2003), e in una più completa edizione italiana a cura di A. Meschiari, LaPP (2008). In proposito: D. Bondì, Recensione di M. Lazarus, Psicologia dei popoli come scienza e filosofia della cultura, a cura di A. Maschiari, in «Rivista di storia della filosofia», 2/2010, pp. 370-374. 18 Per Wundt si veda soprattutto: Über Ziele und Wege der Völkerpsychologie (1886), apparso la prima volta nei «Philosophischen Studien», IV (1888), pp. 1-27. Wundt, come è noto, sviluppò un’interpretazione personale della psicologia dei popoli, differente da quella di Steinthal e Lazarus, in: Völkerpsychologie. Eine Untersuchung der Entwicklungsgesetze von Sprache, Mythus und Sitte, X Bde, Engelmann, Kröner, Leipzig 1900-1920. 17

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lo spirito del popolo come l’arte, la religione etc. hanno un’esistenza concreta e di conseguenza nulla può compiersi in essi e tra loro»19. A dire il vero, l’obiezione di Paul non era infondata giacché poggiava su alcune formulazioni ambigue contenute nello scritto del 1860, ma forzava la tesi che il Volksgeist fosse il soggetto delle produzioni sociali e trascurava l’aspetto davvero innovativo di quel concetto. Con esso, infatti, Lazarus e Steinthal tentavano una riformulazione filosofica delle nozioni tradizionali di società e individuo. «All’interno del consorzio umano», scrivevano i due studiosi, «si presentano rapporti psicologici, eventi e creazioni del tutto peculiari, che non riguardano per nulla l’uomo in quanto essere singolo, che non emergono dal singolo in quanto tale», «si tratta di rapporti tra gli uomini», «di destini a cui l’uomo sottostà» «perché appartiene a una totalità che esperisce la stessa cosa»20. Il Volksgeist è «ciò in cui il diverso fare spirituale dei singoli concorda con quello degli altri, assunto nel suo complesso», «ciò che è comune, nell’attività interna, a tutti gli individui del popolo, secondo il contenuto e la forma», giacché lo «spirito del popolo vive solo nei singoli e non ha un’esistenza separata dallo spirito del singolo»21. L’aspetto più innovativo della psicologia dei popoli, avrebbe aggiunto Lazarus in seguito, sta nel nuovo significato attribuito al rapporto di totalità e singolo. «La totalità non costituisce una semplice addizione di singoli, […] bensì un’unità 19

H. Paul, Einleitung ai Prinzipien der Sprachgeschichte, Max Niemeyer, Halle (18862) 19205, p. 11. All’obiezione sollevata da Paul fecero riferimento, in Italia, sia Antonio Labriola sia Benedetto Croce. Cfr. A. Labriola, Recensione a Ideen zur Psychologie der Gesellschaft, von Gustav Adolph Lindner (Sohn, Wien 1871) in Opere III, a cura di L. Dal Pane, Feltrinelli, Milano 1962, rispettivamente pp. 285-286 e 300; B. Croce, Recensione a W. Wundt, Völkerpsychologie, vol I., Die Sprache (Engelmann, Leipzig 1900) ora in Conversazioni critiche, serie prima, Laterza, Bari 19242, pp. 121-125. In proposito: D. Bondì, Il giovane Croce e Labriola. Ricezione e circolazione della Völkerpsychologie in Italia alle soglie del Novecento in «Rivista di storia della filosofia», 4/2004, pp. 895-920. 20 Lazarus-Steinthal, EGV (1860), intra, II, p. 5. 21 Lazarus-Steinthal, EGV (1860), intra, II, p. 29.

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nella cui formazione e sviluppo entrano in campo processi e leggi che non riguardano affatto il singolo in quanto tale, ma solamente in quanto egli è qualcosa di diverso da un singolo, vale a dire in quanto è parte e membro di un tutto»22. Parlare «del singolo tout court come di un essere che se ne sta per sé è soltanto una finzione scientifica», «in realtà il singolo, in ogni sviluppo e raffigurazione della sua vita interiore, appare condizionato dalla totalità e da essa dipendente»23. Per questa ragione l’unità individuale non è un dato originario, ma «il risultato di una sintesi e della coesione di una pluralità», e anzi «il tipo, il grado e il contenuto dell’individualità sono e diventano tutt’altra cosa proprio a secondo del diverso rapporto che gli individui hanno con la totalità». Nello stesso anno in cui Lazarus teorizzava questa destrutturazione dell’individuo e la sua ricomposizione in rapporto alla totalità dei rapporti psichici di una comunità, Steinthal metteva alla prova la tenuta della nozione di “soggettività” attraverso una serie di indagini storico-psicologiche sulla cultura dei popoli antichi. In uno studio sulla mentalità filosofica in età classica, mostrava che la personalità soggettiva non è un dato caratteristico o naturale, bensì il prodotto di un preciso sviluppo storico-culturale, nello specifico dello sviluppo della cultura greca del V e del IV sec. a. C.24 L’idea di umanità a cui abbiamo fatto riferimento, quindi, attraverso questi percorsi, viene scissa tanto dall’immagine statica e sostanziale dell’individuo singolo quanto dall’immagine di uno spirito sovraindividuale, come paventava Paul. Alla nozione tradizionale dell’ “individuo-soggetto”, infatti, Steinthal e Lazarus non oppongono quella di un “soggetto sovra-individuale”, di un individuo ingigantito, ma oppongono una teoria dei rapporti tra singolo e totalità, al cui centro sono poste le nozioni di relazione e di sistema. Nel corso del Sei e del Settecento, l’im22

Lazarus, Sul rapporto del singolo con la totalità (1862), LaPP (2008),

p. 93. 23

Lazarus, Sul rapporto del singolo con la totalità (1862), LaPP (2008),

p. 97. 24

Steinthal, Der Durchbruch der subjectiven Persönlichkeit bei den Griechen. Ein Geschichts-psychologischer Versuch in ZVS, II (1862), pp. 279342.

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magine dell’individuo era assunta come metafora per spiegare l’unità nazionale, la coesione giuridica e politica di un gruppo sociale. La raffigurazione forse più ricorrente, e certo quella di più alto valore simbolico, di questa metafora è consegnata alla copertina del Leviatano (1651), in cui i membri della comunità sono immediatamente identificati con le membra del corpo del sovrano, in cui gli individui singoli si uniscono in un altro individuo, un individuo “collettivo”25. Nella psicologia dei popoli la relazione tra corpo umano e corpo sociale è capovolta, la priorità viene assegnata al sistema sociale dei rapporti psichici a scapito della compattezza spirituale e dell’autonomia dell’individuo, grande o piccolo, singolo o collettivo che sia. b) Se la priorità della dimensione sistemica su quella individuale apre uno spazio teorico per la sociologia del Novecento, un altro aspetto molto rilevante della Völkerpsychologie di Lazarus e Steinthal è l’insistenza sulla dimensione propriamente psichica del legame comunitario. Il movimento complessivo del romanticismo, si era opposto alle teorie convenzionalistiche della società, richiamandosi alla dimensione originaria e spirituale delle nazioni; ora, la cultura accademica tedesca continuava a opporvisi, rivendicando la spontaneità del legame nazionale sul piano della razza e della discendenza. La posizione di Steinthal e Lazarus, in rapporto a queste due tendenze anticonvenzionalistiche, si profila con una sua specifica fisionomia. Da un lato, in continuità con l’indirizzo egemone della filosofia romantica, i due studiosi insistono sull’unità psichica, spirituale, dei popoli; dall’altro, in molti passi della loro opera, concepiscono il nesso spirituale come “carattere istintivo”. La contrapposizione classica di spirito e natura, in questa prospettiva, si arricchisce di un terzo elemento, quello dell’ “istinto spirituale”, il punto in cui la natura non è più materia e non è ancora storia. Proprio sul piano dell’“istinto spirituale” si costituisce, per i due studiosi, il legame nazionale, e 25 Un esame iconologico dell’immagine del Leviatano è offerto in H. Bredekamp, Thomas Hobbes. Der Leviathan. Das Urbild des modernen Staates und seine Gegenbilder. 1651-2001, Akademie Verlag, Berlin 2006, pp. 95-113.

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proprio per questo il legame nazionale va considerato come il momento originario della storia e non della natura. La “natura” o l’“essenza” dell’istinto spirituale, infatti, è di svilupparsi e divenire, ovvero di essere storia e arricchimento formale. «Il popolo», si legge nel saggio del 1860, è un’«unità spirituale e non materiale o biologica». Esso non poggia su rapporti obiettivi di discendenza, ma sulla prospettiva soggettiva che interviene e a volte sovverte i rapporti naturali dati: ciò che rende tale un popolo non dipende essenzialmente da alcuni rapporti oggettivi, come la discendenza, ma a rendere un popolo tale è soltanto la prospettiva soggettiva dei membri del popolo, i quali si considerano tutti insieme come un unico popolo. Il concetto di popolo poggia sulla considerazione soggettiva che i membri del popolo stesso hanno di sé, della propria identità e reciproca appartenenza […] un popolo è un insieme di uomini che si considerano un popolo, che si ascrivono a un popolo […] Il francese considera qualcuno appartenente al popolo francese secondo determinati contrassegni, secondo contrassegni diversi il tedesco considera tale il tedesco, e secondo altri ancora il libero nordamericano reputa qualcuno suo concittadino26.

Un concetto di popolo in senso assoluto, per questa ragione, non può darsi. Sono le visioni soggettive, le rappresentazioni che gli uomini sviluppano della loro appartenenza a un gruppo sociale a conferire oggettività ai rapporti che s’istaurano tra gli individui: detto più precisamente, il popolo è la prima produzione dello spirito del popolo; dunque gli individui costituiscono il popolo non in quanto singoli, ma in quanto si elevano al di sopra del loro isolamento. La coscienza di questo autoinnalzamento e di questo librarsi verso uno spirito generale del popolo si esprime nella rappresentazione del popolo. Lo spirito del popolo dà vita alla rappresentazione e con ciò anche al popolo stesso e in questa rappresentazione consegue la sua autocoscienza27. 26 27

Lazarus-Steinthal, EGV (1860), intra, II, p. 35. Lazarus-Steinthal, EGV (1860), intra, II, p. 36.

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La discendenza comune è rilevante non in quanto dato oggettivo, ma perché sviluppa nei membri di un gruppo sociale la rappresentazione di una storia condivisa e la lingua non lo è in quanto prodotto naturale, ma in quanto opera soggettiva delle comunità. Se le razze, le famiglie, le stirpi sono determinazioni naturali, il popolo è l’esito di un processo di costituzione storica, sempre mobile e soggetto a trasformazione. Esso procede secondo una direzione o un carattere spirituale specifico, che si esprime nelle fasi originarie della produzione linguistica e mitologica, ma è poi destinato ad arricchirsi di contenuti e mutare di forma nel corso dello sviluppo del popolo. La soggettività dello spirito del popolo, insomma, data originariamente come “carattere”, è destinata a trasformarsi nel corso della storia e può essere concepita come “libertà”. «Lo spirito», si legge nel saggio del 1860, «costituisce, per dir così, la vetta più alta della natura e parimenti l’innalzamento al di sopra di essa. Il suo operare è posto nel mezzo e costituisce il passaggio da una realtà ancorata unicamente alla legge universale a un’idealità liberamente creatrice»28. Questo legame tra dimensione istintuale e dimensione storica dello spirito, tra il carattere potenziale e originario della libertà e il suo sviluppo nella storia, è la prospettiva da cui è possibile per Steinthal prendere posizione nella variegatissima gamma di tesi che o si richiamano direttamente alle teorie della discendenza e del sangue oppure, insistendo unilateralmente sulla dimensione istintuale del carattere dei popoli, si tengono a un’istanza naturalistica e razziale. Contro Ernest Renan che in un discusso saggio apparso nel «Journal asiatique» del 1859, riconduceva il carattere nazionale degli ebrei a un istinto religioso profondamente monoteistico, Steinthal, nello stesso numero della Zeitschrift, obiettava che il monoteismo ebraico è la tappa di un’evoluzione storico-culturale radicata in precisi processi psicologici29. Più avanti, in un arti28

Lazarus-Steinthal, EGV (1860), intra, II, p. 17. Renan, Nouvelles considérations sur le caractère général des peuples sémitiques, et en particulier sur leur tendance au monothéisme in «Journal asiatique ou Recueil de Mémoires, d’extraits et de notices relatifs à l’histoire, à la philosophie, aux langue set à la littérature des peuples orientaux», 29

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colo sull’identità nazionale ebraica apparso nella «Allgemeine Zeitung des Judentums», Steinthal ribatteva al Prof. Albrecht Weber che gli errori da cui gli ebrei tedeschi avrebbero dovuto retrocedere erano il frutto di un lungo processo di adattamento a dure condizioni storiche, processo, tra l’altro, già in corso di trasformazione30. c) In ultimo, se il dato rilevante e innovativo della Völkerpsychologie, non è la nozione astratta dello spirito del popolo, ma lo studio dei rapporti psicologici che presiedono alle formazioni culturali, l’orizzonte teorico entro cui Steinthal e Lazarus muovono è ben diverso da quello entro cui muovono le filosofie della storia ottocentesche. Ai due studiosi non interessa la deduzione ragionata del soggetto o dei soggetti della storia, «l’esposizione ben ordinata e raziocinante del contenuto spirituale, della quintessenza di essa»31, ma l’indagine dei processi di costituzione di tutto ciò che è storico, dei prodotti dell’interazione umana e sociale. Questo passaggio concettuale era definitivamente acquisito attraverso l’elaborazione del concetto di spirito oggettivo32. «Devo affermare, in breve», scriveva Steinthal nel 1887, «che chi, dalla psicologia dei popoli, non ha colto il concetto di “spirito oggettivo”, non capisce nulla di storia né del suo 1859, pp. 214-282, 417-450 e Steinthal, Zur Charakteristik der semitischen Völker, in ZVS, I (1860), pp. 328-345. 30 Steinthal, An Herrn Professor Albrecht Weber (1900) in Über Juden und Judentum. Vorträge und Aufsätze von Prof. Dr. H. Steinthal, hrsg. von Gustav Karpeles, Poppelauer, Berlin 1906 p. 86. L’articolo fu pubblicato quando l’autore era già morto. 31 Lazarus, Sul concetto e la possibilità di una psicologia dei popoli (1851), cit., p. 60. 32 Cfr. per questo: A. Meschiari, Psicologia delle forme simboliche. «Rivoluzione copernicana», filosofia del linguaggio e «spirito oggettivo», Le Lettere, Firenze 1999, pp. 72-81 e Id., Introduzione a LaPP, pp. 23-56; I. Kalmar, The Völkerpsychologie of Lazarus and Steinthal and the modern concept of culture in «Journal of History of Ideas», 48 (1987), pp. 671-689; K. C. Köhnke, Einleitung a M. Lazarus, Grundzüge der Völkerpsychologie und Kulturwissenschaft, Meiner, Ingelheim am Rhein 2003, pp. IX-XLII; H-U. Lessing, Bemerkungen zum Begriff des «objektiven Geistes» bei Hegel, Lazarus und Dilthey in «Reports on Philosophy», B. 9 (1985), pp. 49-62.

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oggetto, né del modo in cui essa progredisce»33. Quel concetto era stato presentato per la prima volta da Lazarus in un saggio pubblicato nella rivista nel 1865. Lo spirito oggettivo, vi si legge, consta da un lato di «elementi spirituali: concezioni, convinzioni, disposizioni, forme di pensiero modi del sentimento», dall’altro di «incarnazioni reali o simboliche del pensiero: opere d’arte, documenti, scritti, costruzioni di tutti i tipi, prodotti dell’industria», «tra questi due estremi si collocano di nuovo da un lato gli strumenti in genere», dall’altro «le istituzioni»34. Le oggettivazioni del fare spirituale, pertanto, si estendono fino ai confini della natura, vi rientra tutto ciò che l’uomo e le società hanno prodotto nella vita pratica e teoretica. Lo spirito oggettivo, in senso proprio, è il regno stesso della storia. Uno degli aspetti più interessanti di questa teoria dell’oggettivazione è l’ampliamento della dimensione storico-spirituale a sfere che nella filosofia tradizionale ne rimanevano escluse: le macchine, gli strumenti, gli oggetti della quotidianità, finanche i vestiti e le abitudini alimentari. Nel mercato settimanale, nei pasti e nel bere in comune, nell’orologio da taschino, nel recapito postale, si offrono altrettanti esempi di idee condensate e tramandate di generazione in generazione. Per questo la realtà che ci si presenta, che ci si fa innanzi, non vale come dato naturale, ma come simbolo dell’attività psichica di chi ci ha preceduto. Riformulando in senso moderno il concetto hegeliano di spirito oggettivo, Lazarus e Steinthal fanno coincidere l’intera realtà sociale con l’attività plasmatrice e simbolica degli uomini e radicano quest’ultima nella concretezza del vivere storico. La nozione di Bildung perde così la sua connotazione soggettivistica legata all’istruzione e acquista il significato di formazione continua della realtà umana. L’idealismo, allora, si configura come un processo di umanizzazione e simbolizzazione della realtà nei suoi molteplici aspetti, un processo di integrazione della molteplicità, piuttosto che di esclusione e selezione all’interno di essa. Steinthal 33

Steinthal, BV (1887), p. 255. Lazarus, Alcuni concetti sintetici per una psicologia dei popoli (1865), LaPP (2008), pp. 188-189. 34

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e Lazarus sferzano le visioni gerarchiche e ascensionali della filosofia tradizionale: lo spirito, sottratto alle altezze della speculazione, viene a coincidere con l’ordine stesso delle cose, di tutte le cose che sono a portata di mano, perché nessuna cosa si trova nel suo stato originale e naturale. È a partire da questi presupposti teorici che la filosofia stessa può trasformarsi da discorso sull’essere o sulle sfere alte dei concetti a meditazione e interpretazione delle cose del mondo. 3. Idealismo morale e religione dell’umanità a) La Weltanschauung che sorregge le teorie dell’individuo-totalità e dell’oggettivazione dello spirito è anche alla base della filosofia morale di Steinthal. L’autore si dedicò agli studi di etica a partire dagli anni Settanta dell’Ottocento, dopo aver dato alle stampe il primo volume (1871) del Compendio di scienza della lingua, in cui erano ricapitolati, in prospettiva sistematica, tutti i motivi delle opere precedenti di linguistica. In una lettera a Glogau del 1888, lo studioso racconta che era stata la perdita dei due figli, David e Agathe, a far scemare in lui l’interesse per la Sprachwissenschaft e a far crescere quello per l’etica35. Belke, che ha curato i carteggi di Steinthal e Lazarus in tre grandi volumi apparsi nelle storiche edizioni Mohr di Tubinga, invita poi, correttamente, a contestualizzare il progetto dell’Allgemeine Ethik all’interno dei grandi rivolgimenti scientifici dell’epoca. Soprattutto la prospettiva meccanicistica, ormai affermatasi in tutte le scienze, imponeva un ripensamento dei presupposti idealistici della filosofia: «dobbiamo porre le idee entro la prospettiva meccanicistica», «nel pieno riconoscimento del mondo meccanico», scrive Steinthal, «dobbiamo confermare l’idealismo del nostro sentimento»36. Assieme ai dolorosissimi eventi della vita privata e ai rivolgimenti del mondo scientifico, erano i motivi principali 35

Lettera di Steinthal a Glogau del 6 dicembre 1888, BelLS, II/1, p.

269. 36

Steinthal, AE (1885), p. 18.

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del dibattito politico tedesco ed europeo della II metà del secolo a confluire nell’etica anticonfessionale di Steinthal. Alla questione sociale, deflagrata dopo la promulgazione delle leggi bismarckiane del 1878 contro le organizzazioni socialiste, Steinthal dedica un importante Excursus dell’Allgemeine Ethik, in cui auspica «una trasformazione dei rapporti di proprietà e del salariato» per vie parlamentari e non violente37. E non meno rilevante è la polemica antisemita, divampata dopo le illazioni del predicatore di corte Adolf Stöcker e dello storico Heinrich von Treitschke38: «quando improvvisamente diveniamo consapevoli che le colonne della nostra Weltanschauung, della cui solidità non si è mai data prova o da lungo tempo non si dà prova, sono marce e tarlate» – scrive Steinthal – e non possono reggere ai contraccolpi delle tempeste che incombono sul mondo contemporaneo, è necessario allora «costruire nuovamente», è necessaria «una nuova etica», un’ «etica assolutamente ideale»39. Ora, se l’Allgemeine Ethik è scritta su impulso dei sommovimenti che scuotono la vita pubblica e scientifica di fine Ottocento e dei dolorosissimi eventi che si sono abbattuti sulla vita familiare dello studioso, la concezione idealistica della morale espressa in questa fase non è tuttavia in contrasto con l’analisi völkerpsicologica della religione e del mito sviluppata negli anni Sessanta. Per mostrarlo, piuttosto che i numerosi articoli sull’argomento apparsi sulla rivista in un lungo arco di tempo, conviene soffermarsi sulla sistemazione teorica data dall’autore ai rapporti di mito e religione in un saggio del 187040. Il mito si legge qui, in linea con le teorie di Vico e Herder, non è un contenuto, come si apprende nelle scuole quando si studiano i miti greci, bensì il modo di pensare tipico dei bam37

Steinthal, AE (1885), pp. 265-279. A. Stöcker, Das moderne Judenthum in Deutschland, besonders in Berlin, Wiegandt und Grieben, Berlin 1880 e H. von Treitschke, Unsere Aussichten in «Preußische Jahrbücher», 44 (1879), pp. 559-576. 39 Steinthal, AE (1885), p. VI. 40 Steinthal, Mythos und Religion, Lüderitz’sche Verlagsbuchhandlung, Berlin 1870. Sull’origine collettiva della poesia epica e omerica Steinthal tornò in un altro saggio teorico: Das Epos in ZVS, V (1868), pp. 1-57. 38

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bini e dei popoli primitivi. L’uomo primitivo connette le percezioni esterne della natura circostante attraverso sentimenti e intuizioni; non sa comparare, istituire nessi causali o dedurre, non sa astrarre e analizzare, la sua «coscienza è vincolata a percezioni indeterminate dell’esterno e a ciò che egli coglie immediatamente dal suo corpo e al suo interno: sentimenti, sforzi e movimenti»41. Ora, col progresso delle generazioni, a questa forma di pensiero viene sostituendosi quella logica e razionale, ma in modo tale che la prima non scompaia del tutto: «il mito sopravvive oggi», scrive Steinthal, «nella poesia, nelle saghe, nei giochi dei bambini e nella superstizione, come anche negli usi e nei costumi […] il mito è pure diventato religioso»42. Anche la religione, pertanto, in quanto contenuto o sezione particolare dell’esperienza umana, può essere oggetto di un’elaborazione mitica. Lo è certo nei popoli incolti o ai primi stadi della vita storica, ma, a ben guardare, la forma mitica persiste anche nelle religioni monoteistiche. Per quanto il senso religioso dei profeti ebrei sia elevato, per quanto superi l’ispirazione poetica che sta alla base delle religioni politeistiche, il rapporto del finito con l’infinito nella religione ebraica continua ad essere pensato miticamente: attraverso le nozioni di “creazione”, “rivelazione”, “popolo eletto”, “messia”, “figlio di Dio” e “sacrificio”. Il compito del mondo moderno, allora, è dissolvere questo involucro mitico e far rifulgere il contenuto autentico, ideale, della religione, ovvero l’impulso morale a elevarsi al di sopra di ciò che è dato, verso la perfezione43. Come si vede, l’idealismo dell’Allgemeine Ethik è già implicito nelle analisi storico-psicologiche dei fenomeni religiosi svolte negli anni precedenti, per quanto in questa fase manchi la cornice sistematica che l’opera del 1885 le fornirà. In proposito, deve anche essere notato che la lettura del mito 41

Steinthal, Mythos und Religion, cit., p. 10. Steinthal, Mythos und Religion, cit., pp. 18-19. Corsivo mio. 43 Numerosi sono i richiami all’idealismo morale che possono essere rintracciati nel carteggio sin dagli anni ’50. A mo’ d’esempio si veda la lettera inviata a Lazarus da Berlino il 12 giugno 1861 in BelLS, I, pp. 324-326. 42

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come forma del pensiero circola in alcuni contesti intellettuali dell’Europa post-quarantottesca, collimando con certi orientamenti del Risorgimento italiano, ove si manteneva il riconoscimento del ruolo pedagogico e della funzione etico-civile che la religione esercita sulle masse44. In ogni caso, sarebbe affrettato assumere la cornice sistematica dell’Etica del 1885 come una garanzia di coerenza interna. È, invece, necessario uno sforzo interpretativo per ricostruire la coerenza della filosofia morale di Steinthal, senza occultare le evidenti oscillazioni presenti nell’opera. La più significativa è forse quella indicata da Simmel a proposito del contrasto tra la storia concepita come spirito oggettivo e storia concepita come dimensione dell’eticità45. Se la storia coincide con la sfera dell’eticità, scriveva quest’ultimo, essa non può allora coincidere con l’objektiver Geist che contiene anche ciò che non è etico: «la fede nella stregoneria e l’antisemitismo, la tortura e il sacrificio dell’autonomia morale» sono, come la scienza, l’arte e le istituzioni morali, «altrettanti momenti dello spirito oggettivo»46. Aveva ragione Simmel a obiettare a Steinthal che storia e moralità non coincidono interamente? Poteva forse sfuggire a Steinthal, nel momento in cui la polemica antisemita divampava, in cui i diritti dei lavoratori erano negati, che la storia fosse anche violenza e sopruso? La teoria del regno degli intelligibili, in verità, era introdotta dall’autore per spiegare che tutto ciò che è umano entra nel regno dell’oggettivazione, che al di fuori dell’“oggettività” vi è solo l’ “onda caotica” del caso, l’“abisso della realtà”47. Anche le idee morali costituiscono un momento di questo processo di oggettivazione: si danno nel mondo umano dei fenomeni, 44 Cfr. Miccolis, Antonio Labriola e la destra storica in Silvio Spaventa. Filosofia, diritto, politica, a cura di Saverio Ricci, Istituto Italiano degli Studi filosofici, Napoli MDCCCCXCI, pp. 275-301, partic. pp. 298 e sgg. . 45 Steinthal, AE (1885), pp. 413-424. 46 Simmel, Rezension H. Steinthal, Allgemeine Ethik (1885), in «Vierteljahresschrift für wissenschaftliche Philosophie», 1886, pp. 487-503, p. 209. 47 Cfr. Steinthal, Zur Religionsphilosophie, zweiter Artikel in «ZVS», IX (1877), pp. 1-50, partic. pp. 14-15.

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delle azioni, delle realizzazioni e dei giudizi. Si danno, insomma, nella storia. Ma questa immanenza delle idee morali non implica che ogni forma di oggettivazione storica sia di per sé morale. O, detto altrimenti: l’intramondanità delle idee morali non implica la coincidenza delle idee morali con l’intera estensione delle oggettivazioni storiche. Moralità e storia coincidono solo entro una sezione alta dell’oggettività, in cui non vi è alcun commercio con la sfera sensibile poiché gli ideali sono generati da sentimenti puri o puramente formali48. Nell’oggettività, nella storia, insomma si dà una gradazione che va dalla semplice percezione sensibile, passando per i concetti e le incarnazioni spirituali, fino alle idee etiche ed estetiche e per questo Steinthal scrive «quel che innalza, rassicura, amplia lo spirito oggettivo, ciò che a esso si aggiunge, è etico»49. È nell’ampliamento e nell’approfondimento dell’oggettività – e non in ogni forma di oggettività – che va cercata la realizzazione compiuta dell’uomo. «Lo spirito oggettivo è il luogo delle idee e di tutta la verità, bellezza e bontà […] il contenuto sviluppato della ragione (della moralità, dell’umanità), l’essenza di ogni perfezione concepibile, la più compiuta oggettività»50. Il restringimento riconosciuto da Simmel c’è, ma mi pare non si tratti del restringimento dello spirito oggettivo al solo regno dell’eticità, bensì del restringimento dell’eticità alle sezioni alte e assolutamente autonome dello spirito oggettivo. Solo per questa via, la dimensione prescrittiva e normativa dell’etica kantiana mantiene una funzione all’interno della prospettiva storicistica dell’oggettivazione proposta dalla Völkerpsychologie. b) Steinthal – come accennato – aveva vissuto in prima persona i problemi dell’assimilazione e dell’integrazione ed era parte del milieu universitario berlinese che nel 1881 rispon48 Steinthal, AE (1885), p. 63 e sgg. Più volte Steinthal, nel corso della sua opera, torna sulla natura delle idee in una prospettiva psicologica ed ermeneutica. Più avanti prenderò in esame il ruolo che viene assegnato alle idee nella storia. 49 Steinthal, AE (1885), p. 416. 50 Steinthal, AE (1885), p. 424.

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de con sessantasei firme di personaggi pubblici e accademici, tra cui Lazarus, Cohen, Droysen, Mommsen e Virchow, alla famigerata «petizione degli antisemiti» sottoscritta da circa la metà degli studenti dell’università di Berlino. Sin dal 1872 inoltre lo studioso aveva ottenuto incarichi di insegnamento di critica biblica e filosofia della religione presso la Hochschule für die Wissenschaft des Judentums e negli anni precedenti aveva preso parte all’attività culturale di altre importanti istituzioni ebraiche della capitale prussiana. Da quella cattedra e attraverso numerosi interventi su giornali ebraici, raccolti poi in volume da Karpeles, Steinthal aveva lucidamente interpretato e combattuto l’antisemitismo. Insegnamento religioso e impegno civile in questi anni vanno dunque di pari passo e, anzi, l’impegno civile di Steinthal contro l’antisemitismo dilagante deve essere compreso alla luce della sua teoria dell’ebraismo come religione dell’umanità. La fondazione della Hochschule für die Wissenschaft des Judentums era stata deliberata nel 1869, ma in ragione delle tensioni franco-tedesche la scuola era stata istituita solo il 6 maggio 1872. Sin dal nome l’istituzione richiama il programma del Verein für Kultur und Wissenschaft des Judentums fondato da Leopold Zunz nel 1819, il primo circolo ebraico in cui si sperimenta un tentativo di riforma religiosa ispirato ai principi della scienza moderna. In effetti, l’insegnamento di Steinthal prosegue nella direzione, trasmessa da Zunz ad almeno tre generazioni successive, dell’applicazione del metodo storico allo studio della Torah e del Talmud. Gershom Scholem ha scritto che l’approccio così sperimentato trasformava l’ebraismo in oggetto di scienza, mutandolo in semplice artefatto del passato51. La ricerca di Steinthal, tuttavia, non si arrestava alla delucidazione della religione ebraica in una prospettiva storica. La specificità dell’ebraismo non consisteva certo negli involucri mitologico-linguistici dell’“alleanza”, della “rivelazione”, del “popolo eletto”; ma – d’altro canto – la critica storica di quelle nozioni non poteva toccare il contenuto etico, l’idealità formale racchiusi in quegli involucri. 51 Cfr. G. Scholem, Die Wissenschaft von Judentum, Suhrkamp, Frankfurt a. M., 1997.

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Per intendere a pieno la filosofia della religione di Steinthal, la sua interpretazione dell’ebraismo deve allora essere accostata alla sua etica e all’idea di umanità che sta al fondo della psicologia dei popoli. Alla domanda sul significato di “essere ebrei”, infatti, lo studioso rispondeva deprecando l’identificazione della religione ebraica con le pratiche cerimoniali e comportamentali e sorvolando sulle questioni di ermeneutica e di esegesi biblica52. L’essenza della fede ebraica consisteva, piuttosto, nel suo contenuto morale. Judentum ist Humanität53, scriveva. Se ogni religione è un’incarnazione della religione dell’umanità attraverso la mediazione del vincolo nazionale, «allora l’ebraismo si associa naturalmente con ogni nazione che aspira all’umanità». Gli ebrei tedeschi, ai suoi occhi, erano sospinti a servire lo spirito dell’umanità da un doppio impulso: da quello che veniva loro dai profeti e dall’altro che veniva loro da Lessing e Herder, Kant, Fichte e Schiller, Goethe e i fratelli Humboldt54. In conclusione, è la natura formale dell’idea di umanità a salvare la specificità dell’ebraismo e, in linea di principio, a divincolare il contenuto di ogni religione dalla prospettiva di un’integrale storicizzazione. In quanto sfera alta dello spirito oggettivo, atta ad «ampliarlo e approfondirlo», l’idea di umanità ha un valore assoluto che la distingue dagli altri artefatti del passato e la proietta nel futuro: «la Wissenschaft des Judentums», si legge in un passaggio fondamentale, «per noi non è semplicemente uno studio del nostro passato, ma il piano insito nella cultura ebraica per il futuro»55. 52 Steinthal, Die Stellung der Semiten in der Weltgeschichte (postuma, 1901) in Über Juden und Judentum, cit., p. 124. 53 Steinthal, Judentum und Patriotismus (1892) in Über Juden und Judentum, cit., p. 69. 54 Steinthal, Das auserwählte Volk oder Juden und Deutsche (1890) in Über Juden und Judentum, cit., p. 15. Cfr. C. Kunze, Heymann Steinthal, Über Juden und Judentum im Kontext des aufkommenden Antisemitismus in Chajim H. Steinthal. Sprachwissenschaftler und Philosoph im 19. Jahrhundert, herausgegeben von Hartwig Wiedebach und Annette Winkelmann, Brill, Leiden-Boston-Köln 2002, pp. 153-170. 55 Steinthal, Über Juden und Judentum, cit., p. 247. Cfr. D. Adelmann, H. Steinthal und der Begriff der Wissenschaft des Judentums, in Chajim H. Steinthal. Sprachwissenschaftler und Philosoph im 19. Jahrhundert, cit., pp. 113-134.

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II. CRITICA DELL’ESPERIENZA. Filosofia, psicologia e storia 4. Teoria del pensiero a) Il problema centrale della filosofia di Steinthal è costituito dall’assunzione della psicologia come scienza fondamentale delle Geisteswissenschaften. Nell’introduzione generale alla psicologia dei popoli del 1860 si legge: «la ricerca naturale ha sviluppato una doppia serie di discipline, anzitutto la storia descrittiva della natura», poi, «su un piano parallelo e fondativo», «le discipline razionali della natura, quali la fisica e la chimica, la fisiologia delle piante e degli animali, e infine la matematica. Mentre la prima serie descrive la vita e l’esistenza naturale […] l’altra serie sviluppa le leggi universali secondo cui queste forme della realtà sorgono e svaniscono». E «la considerazione dello spirito non esigerà un’ulteriore disciplina, corrispondente alla teoria sintetica della natura?»56. Gli studiosi, nello stesso scritto, mettevano subito in luce il fatto che un’equiparazione assoluta di discipline razionali della natura e psicologia, a cui era demandato il compito fondativo delle scienze dello spirito, non è possibile, perché se la natura è il regno del meccanismo in cui le condizioni di partenza degli eventi rimangono uguali, l’attività dello spirito muta di continuo e le condizioni di partenza degli eventi spirituali non sono mai uguali. Ciononostante l’insistenza sul valore fondativo della psicologia, sull’individuazione delle leggi del meccanismo psichico, sembra sufficiente ad attribuire alla prospettiva di Steinthal un’aura di positivismo e riduzionismo. D’altro canto le difficili e frammentarie formulazioni gnoseologiche dell’autore non facilitano l’individuazione dell’o56

Lazarus-Steinthal, EGV (1860), intra, II, p. 19.

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rizzonte filosofico che supporta la sua interpretazione delle scienze e dei loro nessi. Wilhelm Dilthey, ad esempio, che aveva conosciuto sia Steinthal sia Lazarus, aveva incluso la psicologia dei popoli tra le filosofie della storia con metodo deduttivo57. Altri, anche di recente, hanno letto il richiamo alle scienze empiriche in continuità con gli indirizzi del positivismo accademico tedesco, o di quello inglese e francese. In verità, Steinthal giudicava la «filosofia positiva» di Comte «niente più che un entusiastico ragionamento sulle scienze empiriche esatte»58 e, per quanto si esprimesse in più di un’occasione positivamente nei confronti del metodo empirico di Mill, l’orizzonte filosofico entro cui è comprensibile il valore da lui assegnato alla psicologia è del tutto diverso. In una lettera del 26 dicembre 1854, Steinthal scrive a Lazarus di considerare Hermann Lotze «il massimo filosofo dell’epoca post-herbartiana» per la sua tendenza a una piena valutazione del metodo empirico entro un orizzonte idealistico59. Lotze non aveva inteso a pieno il valore della psicologia60, ma aveva colto e aveva saputo derivare dalla sua impostazione del problema metafisico il rapporto di spirito e natura, il ruolo della logica e delle categorie del pensiero61. Nemmeno il riferimento a Lotze, tuttavia, deve essere utilizzato in modo esclusivo. Per cogliere l’angolatura e la fisionomia specifica 57

Dilthey, Grundriß der Logik und des Systems der philosophischen Wissenschaften. Für Vorlesungen in Gesammelte Schriften, XX, Vandenhoeck und Ruprecht, Göttingen 1990, p. 30. In proposito si veda anche la lettera di Steinthal a Lazarus del 1 dicembre 1860 (BelLS, I, pp. 318-319), in cui lo studioso riferisce all’amico le considerazioni svolte da Dilthey sul programma della «Zeitschrift». Vi torneremo nel pargrafo 6. 58 Lettera di Steinthal a Lazarus da Parigi del 12 settembre 1852, BelLS, I, p. 266. 59 Lettera di Steinthal a Lazarus da Parigi del 26 dicembre 1854, BelLS, I, p. 279. 60 Cfr. Steinthal, Niederer und höherer Verlauf der Vorstellungen in «ZVS», IV (1866), pp. 115-132. 61 Steinthal, PGP (1864), p. 13 (p. 194). Anche se, nel secondo articolo con cui recensisce il terzo volume del Microcosmo, Steinthal solleva alcuni appunti critici all’idea di “educazione del genere umano” proposta da Lotze: cfr. Steinthal, Die Geschichte als Erziehung des Menschengeschlechts, in «ZVS», IV (1866), pp. 211-225.

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della filosofia di Steinthal, bisogna partire dalle idee esposte nelle prime opere, dove gnoseologia e metafisica s’intrecciano e l’autore, attraverso una riflessione filosofica sul metodo piuttosto che una riflessione metodologica su singole scienze, traccia “una sua via” tra quelle di Hegel, Humboldt, Boeckh e Trendelenburg. Sin dallo scritto di abilitazione all’insegnamento universitario del 1848 sulla scienza della lingua di Wilhelm von Humboldt e la filosofia hegeliana62, Steinthal nega la possibilità che alla filosofia sia ascritto un ambito di pertinenza diverso da quello degli altri saperi. Gli epigoni di Hegel, in particolare, sbagliavano a interpretare la dialettica come logica del pensiero puro, dal momento che la filosofia non può essere separata dalle scienze per innalzarsi alla sfera celestiale del “concetto”. Esiste, invece, un unico metodo della conoscenza, valido in tutti gli ambiti e i gradi del sapere: il metodo genetico o dell’osservare pensando (beim Anschauen denken). Prima di addentrarci nell’interpretazione di questa teoria, bisogna dire che il metodo genetico non è introdotto per avvalorare le procedure della psicologia empirica a fronte di quelle della filosofia. Nel 1848 Steinthal non è ancora approdato alla psicologia herbartiana e il problema che si pone non è quello della genesi delle rappresentazioni e dei concetti, ma quello della struttura complessiva della conoscenza e della natura del sapere. Per questo il metodo genetico ha qui il senso di una legge generale del pensiero, configura – potremmo dire – una teoria genetica del pensiero in rapporto a una metafisica della realtà concepita come soggetto. È essenziale – è bene ripeterlo – soffermarsi su questi aspetti filosofici del discorso di Steinthal, sui quali manca ancora un’interpretazione critica adeguata, essendosi gli interpreti soffermati soprattutto sui problemi connessi alla sua psicologia della lingua e della conoscenza. Nell’opera di Steinthal, tuttavia, una vera e propria elaborazione filosofica, sebbene non sviluppata in sistema, è presente. Importantissimo, dunque, è il fatto che tale filosofia deve essere tenuta ben distinta dalla psicologica della conoscenza e del linguaggio. E ciò, anzitutto, perché queste ultime trovano una giustifica62

Steinthal, SHHP (1848).

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zione solo all’interno di quella; e, in secondo luogo, perché, curiosamente, la filosofia di Steinthal non presenta, come ci si potrebbe aspettare, punti di contatto con la metafisica di Herbart63. Proprio ciò, proprio la capacità di inserire l’apparato psicologico-scientifico herbartiano, ai fini di supportarlo, entro un contesto e un orizzonte filosofico molto diverso da quello elaborato dallo stesso Herbart, giustifica il tentativo di un’interpretazione complessiva e di una chiarificazione accurata del suo diverso orizzonte teorico. Come è stato detto nel primo paragrafo di questo scritto, l’intuizione metafisica fondamentale di Steinthal è che la realtà sia soggetto e che questo soggetto debba essere concepito come processo. Un’assunzione schiettamente idealistica, riconducibile alle prime battute della Fenomenologia dello spirito di Hegel. Eppure si tratta di un idealismo tradito nel momento stesso in cui lo si enuncia, un idealismo eretico, giacché qui il processo non deve essere concepito dialetticamente ma geneticamente, non è movimento di determinazioni concettuali, ma movimento dello spirito psicologicamente inteso e movimento della natura. Proprio questa teoria genetica della realtà e del pensiero fungerà da contesto filosofico per una psicologia, che vuol spiegare i rapporti psichici a partire dalla loro costituzione, permettendo di assegnare a una siffatta psicologia il ruolo di scienza fondativa delle Geisteswissenschaften. Sin dalle prime battute del libro del 1848, Steinthal annuncia l’impossibilità di un procedere del pensiero puramente deduttivo. E tuttavia, alla luce di questa tesi, lo studioso non prende nemmeno posizione in favore di un empirismo radicale, di un procedere del pensiero interamente induttivo. L’una e l’altra prospettiva, piuttosto, sono contestate, perché 63 Lo stesso Steinthal lo afferma in alcuni luoghi della sua opera. La prima volta in Steinthal, HZS (1850) in KSS, pp. 116-117. Per Herbart cfr. Metafisica generale, con elementi di una teoria filosofica della natura, a cura di Renato Pettoello, Utet, Torino 2003 e il saggio introduttivo di Pettoello qui contenuto (pp. 9-35). Si veda anche R. Pettoello, Idealismo e realismo. La formazione filosofica di J. F. Herbart, La Nuova Italia, Firenze 1986, partic. pp. 221-251.

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dei due modi di procedere è contestata la scissione, è a dire la separazione dei concetti e delle forme dai contenuti empirici e dal loro sviluppo. Seguiamo, anzitutto, la polemica nei confronti dell’empirismo radicale. «Noi vogliamo che si guardi e si pensi contemporaneamente», scrive l’autore, «la nostra scienza non si appoggia su intuizione ed esperienza [non è meramente empirica], bensì è essa stessa intuizione, ma pensante; è essa stessa esperienza, ma pensante»64. Se «Bacone ha condannato la scolastica medievale», si legge nel 1871, «la più recente e quella recentissima l’ha condannata Kant mentre distruggeva l’insensatezza di una scienza puramente empirica»65. Alla recisa negazione della scolastica medievale, e delle sue riedizioni, che metteremo a fuoco tra pochissimo, si accompagna la negazione della scolastica “recente e recentissima”, del sensismo e dell’empirismo radicale. In ciò la teoria del metodo genetico, ovvero del procedere unitario del pensiero o della natura unitaria della conoscenza, convergeva con i principi filosofici scoperti da Humboldt e sintetizzati nel famoso scritto sul compito dello storico. «Comprendere», vi si legge, «non è affatto un mero svolgersi del soggetto, ma nemmeno un mero desumere dall’oggetto, bensì entrambi contemporaneamente»66: «non è dunque puro pensiero» – commentava Steinthal – «non semplice osservare, ma un osservare pensando»67. D’altro canto, l’interpretazione logico-teologica dell’idealismo, questa “riedizione” della scolastica medievale, doveva essere rifiutata con vigore ancora maggiore. In proposito, a Steinthal premeva mettere in chiaro che se i concetti filosofici, in quanto potenze della formazione spirituale, sono già in atto nell’universo molteplice delle scienze, è del tutto insensato voler duplicare la filosofia in una sfera ideale. Il peggior errore della tradizione filosofica da Aristotele a Hegel, anzi, era stato 64

Steinthal, SHHP (1848), 25 (63). Steinthal, AS, I (1871), p. 21. 66 W. von Humboldt, Il compito dello storico (1821) in Id., Scritti filosofici, a cura di Giovanni Moretto e Fulvio Tessitore, UTET, Torino 2004, pp. 521-540, partic. 532. 67 Steinthal, SHHP (1848), p. 27 (65). 65

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proprio «l’assunzione che i concetti siano in qualche modo esistenze nel cui ambito si deve porre lo spirito, esistenze che noi comprendiamo, di cui possiamo appropriarci»68. I concetti e le forme superiori dello spirito, invece, non sono qualcosa di auto-sussistente o esistente per sé, ma risultati di processi conoscitivi, essi insomma nascono dalla stessa vita della coscienza. Se i concetti non sono ipostasi separate da noi, se sono generati nella nostra comprensione del mondo ed esistono solo nella nostra conoscenza, allora il momento concettuale o a priori non deve essere isolato da quello contenutistico o a posteriori, la “filosofia” non deve essere isolata e scissa dalla “scienza d’esperienza”. E, d’altro canto, secondo l’autore, lo stesso Hegel aveva conosciuto questo punto di vista, e, anzi, tutto ciò che di grande aveva prodotto, lo aveva realizzato portandosi a questa altezza69. In ragione di questa legge suprema del pensiero – permanente sintesi di pensare (a priori) e osservare (a posteriori), permanente genesi – alla filosofia, in quanto disciplina autonoma, non rimane altro spazio, altro compito, che quello di studiare i concetti generalissimi delle scienze, i principi attivi in tutti gli ambiti del sapere, di ritrovare se stessa negli altri saperi. b) Apparentemente, queste conclusioni, non si distanziavano molto dalle posizioni assunte da Trendelenburg e dalla sua riproposizione della dottrina aristotelica delle categorie. Lo si coglie con grande perspicuità nelle pagine introduttive dell’Introduzione alla scienza della lingua (1871), dove Steinthal ricapitola il suo sistema e assegna alla filosofia un posto centrale all’interno dell’enciclopedia delle scienze. «Tutta la nostra conoscenza degli accadimenti naturali e spirituali», vi si legge, «poggia su un intreccio di elementi a priori e a posteriori» e «la filosofia è lo studio di ogni elemento a priori della nostra conoscenza in sé», che «considera i più generali tra i principi, le categorie, le massime e le forme del pensiero»70. 68

Steinthal, AS, I (1871), p. 20. Steinthal, SHHP (1848), p. 25 (64). 70 Steinthal, AS, I (1871), p. 22. 69

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Ciò, poi, – come abbiamo detto – non significa, che la filosofia debba essere separata dagli altri saperi. Steinthal, infatti, alcune pagine prima, aveva scritto che «il contenuto costitutivo [della filosofia] è istantaneamente ampliato per il fatto che, essendo il sapere del fondamento di tutte le connessioni, diventa anche il sapere dell’unità di tutte le conoscenze, il nesso che tiene assieme tutte le discipline»71. In questa accezione, la filosofia può contemporaneamente costituire un sapere a sé (nella logica e nella metafisica) ed essere implicata in tutte le scienze, in quanto discorso sui principi ultimi delle diverse determinazioni della realtà. Tale concezione della filosofia come vertice dell’enciclopedia delle scienze e, al contempo, coincidenza con ogni punto dell’enciclopedia stessa è in linea con alcune tesi della Metafisica di Aristotele e, in particolare, del libro K, dove si dice che se «tutte le scienze ricercano, relativamente a ciascuno degli oggetti che rientrano nel loro ambito di conoscenza, determinate cause e determinati principi», solo la filosofia è «scienza dell’essere in quanto essere», avendo per oggetto non solo una sezione della realtà, ma l’aspetto fondamentale e unitario di tutta la realtà72. E, tuttavia, la prospettiva in cui Steinthal concepisce l’enciclopedia delle scienze e l’unità della filosofia e degli altri saperi non può essere interamente ricondotta ad Aristotele e all’interpretazione di Aristotele fatta circolare, in quegli anni, da Trendelenburg. L’enciclopedia dei saperi, infatti, non è per Steinthal un sistema statico, ma un’articolazione soggetta a uno sviluppo e a un arricchimento continuo. Per questo tra filosofia come concettualità immanente in ogni conoscenza e storia come genesi e articolazione di questa concettualità viene a instaurarsi un circolo. «La filologia [la storia]», scrive Steinthal in riferimento a Boeckh, «dal momento che vuole comprendere è filosofica, deve pensare, produrre idee; e poiché tutto ciò che ha vita si sviluppa, essa deve comprendere lo spirito vivente nel suo sviluppo, deve esporre le idee che si formano e come si formano nello sviluppo dello spirito»73. Il tema 71

Steinthal, AS, I (1871), p. 2. Aristotele, Metafisica, K 7, 1064 a, 4. 73 Steinthal, SHHP (1848), p. 34 (71). 72

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della circolarità di filosofia e storia sarà approfondito negli scritti su Boeckh del 1878 e del 1880, presentati in traduzione nella terza sezione di questo libro. In quest’ultima fase le nozioni di filosofia e storia non appaiono più, soltanto, nel significato disciplinare che prima Steinthal attribuiva loro, ma acquisiscono anche i significati di conoscenza e comprensione o secondo l’espressione usata da Boeckh, e ripresa da Steinthal, di gnosis e anagnosis, ossia di momenti ideali dello spirito di cui bisogna indagare i nessi74. Il passaggio chiave in cui questa circolarità-coincidenza di filosofia e storia è tematizzata lo troviamo espresso proprio in questi scritti in forma di mito, a indicare insieme l’alto valore del problema e l’inadeguatezza del ragionamento ad avvicinarsi a queste altezze del pensiero; nella forma di mito, dunque, e con accenti di lirismo difficili da rintracciare nel resto dell’opera di Steinthal: e tirando tre volte dal sigaro e soffiando il fumo in alto [Boeckh si rivolge così a un allievo di Schleiermacher] «tu credi di dominare da solo il tutto; io invece divido questo dominio con te, e invero non in modo tale che a te, al filosofo, appartenga solo la metà e a me, al filologo, l’altra metà; al contrario, tu domini sul tutto e anch’io; e come tu domini me io domino te […] tu sei il signore di tutte le costruzioni, io sono il signore di tutte le ricostruzioni; tu conosci tutto, io comprendo tutto. Io sono la tua immagine riflessa, ma l’immagine è più penetrante e più profonda dell’originale, infatti io ti comprendo […] Dove tu inizi, esattamente lì termino io; ma dove tu termini, là inizio io. Dal momento, però, che tu non puoi finire senza di me e che io non posso iniziare senza di te, allora ognuno di noi termina là dove inizia e inizia là dove termina. E così ci incontriamo nella danza divina e quando ci separiamo continuiamo a raggiungerci, tenendoci per mano, tanto nel concetto come nel fenomeno […] noi 74

Questa coppia concettuale di sostantivi, che ho traslitterato dal greco, possono essere resi sia con i sostantivi conoscenza/comprensione sia, in modo equipollente, con gli infiniti conoscere/riconoscere quali forme verbali sostantivate, che esprimono forse meglio la corrispondenza concettuale coi termini greci. Per un approfondimento di questo aspetto si veda D. Bondì, I rapporti di filosofia storia e psicologia in H. Steinthal, p. 217 e sgg.

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non costituiamo semplicemente una coppia divina, in cui ognuno di noi è tanto l’uomo come la donna, in cui ci fecondiamo a vicenda e a vicenda siamo l’uno dall’altro, in un solo abbraccio, fecondati; ma siamo anche l’un per l’altro genitori e figlio, ci generiamo reciprocamente in un duplice parto e [produciamo] con ciò, l’uno-tutto75.

Il mito è attribuito a Boeckh, e presentato a commento della sua Enciclopedia, ma, sin dalle prime opere, come s’è visto, Boeckh è individuato come il pensatore che meglio ha inteso e messo a fuoco la circolarità di filosofia e storia. Questo tema cardinale è affrontato anche, questa volta con un approccio saldamente argomentativo, in rapporto alla dialettica. Se quest’ultima non dev’essere scolastica, non deve operare con concetti pronti, dividendoli e riconnettendoli, cosa può dunque essere? Nel 1855, l’autore ribadisce che la dialettica non è una sfera della conoscenza separata dalla scienze, ma una riflessione critica nata per risolvere le contraddizioni che si manifestano nelle “cose”. Non è «qualcosa di speciale», «ma ciò che accompagna ovunque la scienza e non può mai mancare». La dialettica «non è nient’altro che la critica» che domanda: «è qui offerto un pensiero o una vuota parola? E, se si tratta di un pensiero, è esso pensabile? E, in particolare: il fatto concorda con se stesso e il pensiero concorda con quello?». In questo senso soggettivo, la dialettica è «logica applicata», «misura del pensato alle leggi del pensiero, è la critica che accompagna il pensare»76. È il rapporto, potremmo dire, che si istituisce tra i contenuti delle scienze e la filosofia come dottrina dei principi regolativi del sapere77. A questo significato soggettivo della dialettica, Steinthal non manca però di accostare un significato oggettivo: «dal punto di vista soggettivo la critica è una comparazione del particolare con l’universale, ma noi possiamo trovare questo universale stesso solo nel particolare», se la critica «è comparazione della cosa col suo 75

Steinthal, DKBE (1880), intra, III/3, p. 311 Steinthal, GLP (1855), p. 69. 77 Cfr anche Steinthal, OSP I (1852), pp. 5-7. 76

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concetto», «a noi non è dato di trarre il concetto da nessun’altra parte che dalla cosa», pertanto «riconoscere questa critica oggettiva è il compito dello storico, del filologo»78. La soluzione delle contraddizioni, infatti, «non si lascerà operare sempre per mezzo della semplice elaborazione dei concetti attraverso divisioni e nuove scissioni; piuttosto si presentano fatti nuovi, e i vecchi devono essere nuovamente sottoposti a ricerca e appresi in nuovi concetti»79. Nel suo lato oggettivo, allora, la dialettica è la genesi dei concetti e consiste nella configurazione di determinazioni sempre nuove delle cose, determinazioni che si evincono dallo sviluppo progrediente delle scienze. Per questa via, nella sua accezione legittima e necessaria, la dialettica è ricondotta da Steinthal al metodo genetico, al costituirsi dei concetti entro le sfere dei saperi, in modo tale che la filosofia rimanga vincolata alla storia delle scienze. Il tema del movimento soggettivo e oggettivo della dialettica, rimanda insomma, anche da un punto di vista saldamente argomentativo, alla circolarità di filosofia e storia. Proprio per l’impossibilità del pensiero di trovare un punto fermo, per la necessità che la storia delle scienze debba sempre essere sottoposta al controllo della critica filosofica e che quest’ultima, a sua volta, non possa che far ritorno al concreto sviluppo storico delle conoscenze, Steinthal enunciava come motto del libro del 1855: Denken ist schwer: pensare è difficile80. Non soggettivamente, dunque, ma oggettivamente difficile, giacché dalla storicità del pensiero non è mai possibile uscire, per riparare su un’isola sicura, in cui presupposti e principi ultimi siano garantiti. Dimessa, per questa via, la forma aulica e sistematica della filosofia, Steinthal la ritrovava nel concreto operare della coscienza conoscitiva, come il suo permanente momento critico e formale, come coscienza della sua permanente storicità.

78

Steinthal, SHHP (1848), p. 137 (p. 152). Steinthal, GLP (1855), intra, I, p. 357. 80 Cfr. intra, I/ nota 19. 79

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5. Teoria dell’esperienza a) Attribuire alla filosofia-storia questo significato di “coscienza critica della storicità del sapere” non significava però rinunciare a elaborare una Weltanschauung, che circoscriva l’ambito delle domande ultime con cui «noi riuniamo l’intera attività della filosofia», realizzando così davvero «l’unità e l’armonia dell’intera coscienza». Questa suprema scienza, anzi, «perviene interamente all’altezza del suo compito solo attraverso la filosofia della religione»: solo dando risposta ai quesiti che sempre si ripresentano all’animo umano: «qual è il valore di tutto l’essere»? «che significa questo ininterrotto mutarsi d’atomi»?81 Il bisogno da cui queste domande scaturiscono muove «dal sapere, dall’agire e dal dolore», nasce dalla concretezza dell’esperienza umana. Per questo, il metodo genetico, ritrovato come legge fondamentale del pensiero, deve guidare anche la ricerca filosofica intorno a questi principi ultimi o primi, deve cioè consentire l’elaborazione di un punto di vista sintetico sull’esperienza nel suo complesso (conoscitiva e pratica), una prospettiva unitaria, che integri i risultati delle scienze e dei concetti da esse utilizzati. Nella parte iniziale di uno scritto del 1863 sui rapporti di psicologia, storia e filologia, su cui avremo ancora modo di tornare nel prossimo paragrafo, si trovano i primi cenni della teoria dell’esperienza psichica di Steinthal. Lo studioso vi sostiene che «la vera dottrina del metodo» insegna che pensare significa proprio «essere attivi come soggetti»82. Il “soggetto”, lo abbiamo già più volte detto, deve essere concepito come il reale processo della coscienza e non come «il movimento della coscienza intorno a concetti fissi»83. Già i sensi, come le ricerche della fisiologia di Müller e Helmholtz mostravano, sono in tutto e per tutto soggettivi: «mai un uomo ha percepito sensibilmente una cosa», piuttosto ha sempre «solo interpretato un complesso di sensazioni in modo tale che pose a loro fondamento nel mondo esterno un oggetto, e questo 81

Steinthal, AS (1871), I, 5-7. Steinthal, PGP (1864), 11, 12 (192). 83 Steinthal, PGP (1864), p. 66 (246). 82

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fissò come una cosa con le sue proprietà»84. È quindi il nostro pensiero a fissare e costituire questo oggetto, interpretando «con l’attività sua propria il contenuto che riceve dal meccanismo psico-fisico»85. Gli oggetti della conoscenza sono così il frutto di un graduale processo di costituzione, in cui entra in gioco l’attività soggettiva dei sensi e l’attività interpretativa del pensiero. Nell’Introduzione del 1871 si legge: non bisogna credere che le cose e i rapporti spaziali delle cose, le loro forme e la loro posizione [...] facciano il loro ingresso nella nostra coscienza come immagini pronte, quasi venissero riflesse in uno specchio. La coscienza è del tutto diversa da un specchio […] essa non accoglie nessun impulso esterno senza avergli dato forma secondo la propria misura86.

Già al livello della coscienza sensibile, infatti, sono implicati un elemento a posteriori, un elemento della natura (l’aria, l’etere), e uno a priori, gli organi di senso. Così la sensazione di un determinato suono, di un colore particolare, sorge dall’interazione dello stimolo con i sensi. «L’uomo non vede dalla natura, ma dallo spirito», «non accoglie immediatamente, bensì si appropria [degli stimoli] attraverso una mediazione molteplice, attraverso una combinazione». L’intuizione delle singole cose nello spazio e i rapporti spaziali sorgono attraverso l’elaborazione rappresentativa delle sensazioni, che entrano ora nella coscienza come materia da plasmare secondo nuove forme. Le rappresentazioni sono il prodotto delle categorie linguistiche applicate al materiale offerto dalle intuizioni. L’intuizione “ricordata” – come vedremo – permette allo spirito di creare la rappresentazione della “cosa”, fissandola nella “parola”. I concetti, infine, nascono come ambito particolare di oggetti (oggetti logici o formali), dall’elaborazione dei rapporti universali che si danno tra le rappresentazioni. Così, ogni prodotto della coscienza può diventare materia per un nuovo prodotto, «ogni conoscenza può diventare mezzo di una nuova, più alta conoscenza» e 84

Steinthal, PGP (1864), p. 13 (193-194). Steinthal, PGP (1864), p. 13 (193-194). 86 Steinthal, AS (1871), I, p. 12. 85

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«ogni passo nello sviluppo della coscienza è compiuto per l’intreccio di un momento a priori con uno a posteriori»87. L’esperienza della realtà, in questo orizzonte, si configura come il regno dei prodotti della nostra coscienza, disposti secondo una scala graduale di oggettivazione. Sensazioni, intuizioni, rappresentazioni e concetti sono sfere dell’oggettività realizzatesi grazie a diversi processi di costituzione, è a dire per l’azione di forme e categorie differenti (percettive, linguistico-rappresentative e logiche). Allo stesso modo le singole scienze costituiscono sfere peculiari di oggetti, poiché anche le forme e i concetti delle conoscenza intellettiva sono tra loro differenti e valgono entro sfere differenti. Le regole della chimica e della matematica elaborano i contenuti dell’esperienza sensibile in modo diverso dalle idee storiche, che poggiano su rapporti tra le rappresentazioni. È questa molteplicità dei processi di costituzione, dunque, a giustificare la molteplicità e la relativa autonomia delle leggi vigenti all’interno di ciascun dominio scientifico. Ma, come accade per la coscienza, in cui a nessun livello – escluso quello dello stimolo sensibile – è data solo materia e passività, in cui, a ogni stadio, è in atto una sintesi di materia e forma, così «nessuna scienza che indaghi ciò che esiste per davvero, che voglia rappresentare la natura o la storia, può essere puramente costruttiva o speculativa e nessuna può essere del tutto priva di costruzione e speculazione. I fatti non sono mai dati, ma sono costituiti da qualcosa di dato e da un elemento a priori»88. Per quanto differenti siano dunque i gradi dell’oggettività (sensazioni, intuizioni, rappresentazioni e concetti) e differenti i concetti e le forme validi nelle sfere dell’oggettivazione (scienze della natura e scienze dello spirito), unica è la natura del sapere, processo di costituzione che non incontra mai un semplice “dato” e non si configura mai come mera ricezione, e unico è il modo in cui gli oggetti dell’esperienza sono costitutiti, essendo tutti intessuti di forma e contenuto, elementi a priori e a posteriori.

87 88

Citazioni precedenti tratte da Steinthal, AS I (1871), pp. 12-14. Steinthal, AS I (1871), p. 16.

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b) Queste riflessioni confluiranno, infine, in un articolo Sulla filosofia della religione89 stimolato dalla seconda edizione (1873-1875) della Storia del materialismo di Lange, dove Steinthal mette a punto una teoria trascendentale della fenomenicità (Erscheinungstheorie), volta a giustificare la distinzione della realtà nelle due sfere della natura e dello spirito90. Essa può essere considerata un approfondimento della teoria della coscienza e del sapere presentata tra il 1864 e il 1871 e improntata a quella forma di costruttivismo “impuro” – cioè non assoluto, non idealistico – che è stato descritto. Le sfere dello spirito e della natura – scrive dunque Steinthal – sono riconducibili all’unica modalità dell’oggettivazione spirituale, ma secondo legalità e categorie differenti. «Tutto ciò che pensiamo con natura è un prodotto del nostro spirito», di natura può solo parlarsi nella misura in cui lo spirito se ne rende consapevole o se la costituisce. A un livello più basilare della distinzione di “natura” e “spirito” c’è un piano di unitarietà in cui accanto all’ “apparire” vi è lo spirito – non come opposto alla natura – ma come “ciò a cui l’apparire appare”: da questa verità trascendentale non si può prescindere e oltre essa non è possibile andare. Quest’assunzione, tuttavia, non trascina in un idealismo assoluto, perché nella costituzione di quel che ci sta di fronte non ci comportiamo in modo arbitrario, ma «ci costringe il reale»91. Il reale è «l’abisso assoluto del nostro pensiero», di cui non si può dire altro se non che esso «è la base del fenomeno e di ciò che appare»92. Quel che appare però si mostra o come “natura” o come “spirito”. In proposito Steinthal può allora affermare: 89

Steinthal, Zur Religionsphilosophie (1877), zweiter Artikel, cit. Cfr. in proposito: Meschiari, Introduzione a H. Steinthal, La scienza della lingua di Wilhelm von Humboldt e la filosofia hegeliana, cit., pp. 2228 e Trautmann-Waller, Aux origines d’une science allemande de la culture, Linguistique et psychologie des peuples chez Heymann Steinthal, cit., pp. 232-235. 91 Steinthal, Zur Religionsphilosophie (1877), zweiter Artikel, cit., p. 14. 92 Steinthal, Zur Religionsphilosophie (1877), zweiter Artikel, pp. 14-15. Cfr. in proposito C. T. Craig, Reflex Sounds and The experiential Manifold: Steinthal on the Origin of Language in Theorien vom Ursprung der Sprache, hrsg. von W. von Rahden und J. Gessinger, W. de Gruyter & Co., Berlin 1989, pp. 523-547. 90

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Noi non siamo per nulla legittimati ad assumere due principi per spirito e natura, anima e materia, ma lo siamo altrettanto poco ad assumere un principio esclusivo sia questo la materia o l’anima. Spirito e natura come differenze fatte da noi poggiano sull’unitarietà del fenomeno [sull’unicità dell’apparire, auf der einheitlichen Erscheinung…]. Non c’è dunque in verità o realiter né la natura né lo spirito93.

Natura e spirito, realiter, sono l’apparire del fenomeno, ma colto da due diversi punti di vista. La natura si costituisce come il fenomeno in relazione alla costrizione sensibile; lo spirito come il fenomeno svincolato dallo stimolo sensibile, ove il contenuto è libero dalle condizioni spazio-temporali. Così il contenuto fenomenico nuovo può essere combinato in nessi e secondo leggi totalmente diverse da quelle che valgono nella natura. «Le rappresentazioni e gli oggetti della natura, sebbene in relazione al contenuto sono gli stessi fenomeni, sono diversi nella forma della loro esistenza e perciò nelle leggi della loro vita. Questi fenomeni seguono le leggi naturali, quelli le leggi psicologiche»94. Il ruolo della psicologia come scienza sintetica o razionale delle discipline storiche, allora, non poggia su un’istanza realistica, ma su una filosofia genetica o una filosofia dell’oggettivazione per cui né le leggi psicologiche, né la storia sono realtà supposte e date. La storia – piuttosto – è il modo di costituirsi dei fenomeni secondo una legalità specifica, quella appunto della psicologia, ossia dei fenomeni quali contenuti rappresentativi liberi dalla costrizione sensibile. Essa, in definitiva, è l’apparire dello spirito a se stesso, mentre la natura è il fenomeno, o l’apparire, considerato indipendentemente dallo spirito. Questa forma di ideal-realismo, in cui, per distinguere tra regno dello spirito e della natura, bisogna partire dalla diversa genesi delle due sfere del reale è dunque la cornice filosofica entro cui la psicologia è assunta a dottrina dei principi della filologia e della storia. Inoltre, se “natura” e “storia” sono differenti modi di costituirsi del fenomeno è impossibile una riduzione metodologica 93 94

Steinthal, Zur Religionsphilosophie (1877), zweiter Artikel, p. 19. Steinthal, Zur Religionsphilosophie (1877), zweiter Artikel, p. 23.

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delle scienze dello spirito a quelle della natura, dello psichico al fisico o viceversa; i due ambiti corrono su piani paralleli che non si incontrano e ciascuno di essi ha a oggetto il tutto95. Nel 1877, Steinthal reagisce così al riduzionismo scientistico avanzante, come aveva reagito nel 1848 al riduzionismo idealistico degli epigoni di Hegel. In entrambi i casi il riduzionismo è l’esito di una prospettiva dualistica non radicalmente confutata. La fondazione genetica del sapere come è ribadito nell’Introduzione all’Allgemeine Ethik (1885)96, non comporta una ricostruzione dei saperi su un piano ideale e non impone la rinuncia ai contenuti e ai metodi storici delle scienze che volgono verso la spiegazione meccanica della natura e dello spirito, ma piuttosto corregge la tendenza a trasformare il meccanismo psicologico e il meccanicismo fisico da legge dei fenomeni, in metafisica della realtà. 6. Teoria della storia e forme dell’interpretazione a) Nei paragrafi precedenti è stato esposto il metodo genetico come legge fondamentale del pensiero ed è stato mostrato come una filosofia concepita geneticamente permetta di assegnare alla psicologia un ruolo fondamentale e fondativo per l’interpretazione delle scienze umane e culturali. Ora, bisogna vedere in che modo il discorso sulla storia possa essere interpretato psicologicamente. Nella conferenza Philologie, Geschichte und Psychologie in ihren gegenseitigen Beziehungen letta al congresso filologico di Meissen del 1863 e ripubblicata come saggio autonomo nel 1864, si trova lo sforzo di argomentare il passaggio da una filosofia della storia a priori a una teoria psicologica della storiografia, per cui «tutte le categorie con le quali il filologo caratterizza creazioni spirituali […] designano determinati processi nell’anima e forme determinate di questi processi che la psicologia ha da analizzare»97. Questa conclusione, che 95

Steinthal, Zur Religionsphilosophie (1877), zweiter Artikel, 39. Steinthal, AE (1885), 16 e sgg. 97 Steinthal, PGP (1864), p. 52 (233). 96

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richiama da vicino quelle esposte da Lazarus soprattutto nella prima parte del saggio Sulle idee nella storia del 1863/186598, segna un passaggio importante nella teoria della storiografia dell’Ottocento perché consente di radicare, come aveva ben visto Labriola, nella concretezza fisiologica-psicologica, di chi pensa e scrive la storiografia, le idee e leggi del processo99. Permette, altresì, di denunciare l’«errore di formalismo» linguistico per cui idee, generi e leggi, da modi di connettere e categorizzare i fatti storici, funzioni del filologo di cui è possibile venire a capo attraverso l’analisi psicologica (individuale e sociale), sono trasformati in soggetti dotati di vita autonoma, come voleva Hegel, o costanti del processo, secondo gli intendimenti di Comte e Buckle: A certa arrogante speculazione vien meno il terreno, non appena si presti attenzione al fatto che anche per rapporti noi formiamo sostantivi e questi poi congiungiamo nel nominativo come soggetto con verbi, dai quali essi vengono linguisticamente rappresentati come energiche personalità, come cause agenti. E poiché la lingua li rappresenta in questo modo, ci si è lasciati indurre a credere che così si comporti la cosa100.

La critica psicologico-linguistica, la “sprachvergleichende Logik”, scriveva Labriola a Engels, con una utilizzazione invero non appropriata dell’aggettivo, diventa la «chiave per ritrovare le cause, ossia le origini di tutte le deviazioni (metafisiche) del pensiero»101. Proprio perché le “connessioni storiche” sono radicate nel fare spirituale degli uomini, quindi, Steinthal porta il discorso 98

Cfr. Lazarus, LaPP (2008), pp. 227-314, partic. p. 242-246. Era il discorso rettorale tenuto a Berna il 14 novembre 1863 e rielaborato per la rivista nel 1865. 99 A. Labriola, I problemi della filosofia della storia in Labriola. Scritti varii editi e inediti di filosofia e politica, raccolti e pubblicati da B. Croce, Gius. Laterza & Figli, Bari 1906, pp. 191-228, partic. p. 202. 100 Steinthal, PGP (1864), 63-64 (p. 243). Corsivo mio. 101 Labriola, lettera a Friedrich Engels del 11 agosto 1894, Carteggio, III, 1890-1895, a cura di Stefano Miccolis, Bibliopolis, Napoli 2003, p. 432.

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sulle “leggi” dal piano oggettivo della storia a quello dei meccanismi e dei processi psichici che presiedono la produzione storiografica: comprendendo questi processi si comprenderà anche cosa le “leggi storiche” effettivamente siano e in cosa si distinguano dalle altre leggi. L’autore definisce il processo psichico che presiede alla “comprensione storica”, appercezione armonizzante (harmonisirende Apperception). Un tipo di appercezione, scrive, diversa dall’ «appercezione per sussunzione» delle scienze naturali «per il fatto che non produce ragionamenti perfetti (vollkommene Schlüsse), ma solo entimemi (Enthymemata)»102. Attraverso questi ragionamenti «non si sussume il singolo sotto un universale, ma lo si pone in un tutto di determinazioni tra loro connesse»103. Se l’appercezione armonizzante rimane la costante (la legge, potremmo dire) del meccanismo psichico che presiede alla comprensione storica, al contrario, la “legge storica” non soggiace ad alcuna permanenza, rispecchiando il modo, ogni volta diverso, in cui il singolo è connesso col tutto104. «Il contrassegno più sicuro di ciò che è storico nei confronti della natura e dello spirito non storico», scrive Steinthal, «mi sembra risiedere nel fatto che esso ci presenta sempre un caso individuale», se «la scienza infatti ha a che fare solo con l’universale», «la storia col singolare. Ma la storia è scienza per il fatto che il suo singolare è sui generis, in sé solo esso rappresenta un genere»105. Le leggi storiche, dunque, non sono altro che le forme sui generis (individuali) attraverso cui i fatti storici vengono connessi, forme scoperte e create dalla e nella sintesi dello storico, nel suo concreto lavoro di tessitura del materiale documentario. Solo nell’atto stesso della sintesi storiografica esse acquistano anche un valore oggettivo (idealmente oggettivo).

102

Steinthal, AS I (1871), p. 215. Steinthal, AS I (1871), p. 215. 104 Lazarus scrive in proposito che non può darsi alcuna legge ideale dello sviluppo storico o alcuna legge dello sviluppo del contenuto storico, ma solo leggi dei processi psicologici in relazione a cui sono prodotti i contenuti: Lazarus, Alcuni concetti sintetici per una psicologia dei popoli (1865) in LaPP (2008), pp. 141-225, partic. pp. 216-225. 105 Steinthal, PGP (1864), p. 40 (221). 103

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Come si vede, non si restituisce la giusta portata al pensiero sulla storia di Steinthal quando si fa coincidere la psicologia dei popoli con la ricerca delle “leggi psicologiche della storia”. Questa stessa dizione è ambigua e non spiega nulla. Il saggio introduttivo alla rivista che presentiamo nella II parte di questo scritto non ha certo aiutato a dirimere quest’ambiguità, che invece viene del tutto meno alla luce dei testi appena presi in esame. Lo stesso Dilthey, come racconta Steinthal in una lettera a Lazarus del 1 dicembre 1860, non aveva colto nel segno sostenendo che gli sviluppi della filosofia della storia avvenuti da Gervinus in avanti erano la sola cosa importante e «le leggi psicologiche erano del tutto indifferenti»106. In realtà – come si è dimostrato – l’approccio psicologico non implica la determinazione di “leggi psicologiche”, sibbene una concezione funzionalistica delle idee dello storico e delle idee nella storia. La “percezione armonizzante” serve solo come criterio di interpretazione di connessioni e forme sempre diverse. Anche per ciò che riguarda il suo “idealismo oggettivo”, Steinthal seguiva il passo decisivo del Compito dello storico (1821), che abbiamo già avuto modo di citare. È bene ribadire che in questo importante saggio, raccolto da Steinthal nella sua edizione humboldtiana del 1884, Humboldt dichiarava che le forme e le connessioni della storia non esistono per sé e separatamente, ma solo unitamente al lavoro dello storico che le estrae «dagli avvenimenti, labirinticamente aggrovigliati», è a dire in virtù di una «concordanza originaria tra soggetto e oggetto»107. Così lo storico, nel produrre, doveva anche ritrovare le forme o idee come il contenuto proprio della storia. Quel contenuto che Droysen – con la stessa insistenza sul pensiero che deve pensarlo perché sia ravvivato – vedeva realizzato nelle “comunanze” o “potenze etiche” e Boeckh circoscritto al “già conosciuto” (Erkannten). Anche per Steinthal ciò che rivive nella sintesi dello storico non è la “realtà”, 106

Cfr. BelLS, I, p. 319. Humboldt, Il compito dello storico (1821) in Id., Scritti filosofici, cit., pp. 521-540, partic. 532. Cfr. anche H. Steinthal, SHHP (1848), pp. 26-27 (65). 107

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ma il contenuto spirituale in essa oggettivato. Solo perché il regno della storia non è altro che “spirito” oggettivato e condensato, lo “spirito dello storico” può ritrovare in sé, in una consonanza originaria, le forme e le trame del suo procedere. Per questa via, le riflessioni di Steinthal sulla storia si dispongono sul solco della tradizione della Scienza Nuova di Vico e della Critica del giudizio teleologico di Kant, e sono in linea con quelle di Droysen, Boeckh, Simmel e Dilthey. Ma ai tentativi dei suoi predecessori l’autore intende conferire dignità scientifica, interpretando il processo sintetico, che pone di volta in volta l’unità di particolare e universale, attraverso il ricorso a una funzione psichica specifica (l’appercezione armonizzante). Si tratta di un modello di scientificizzazione, come si vede, che va in una direzione ben diversa rispetto a quegli indirizzi del positivismo ottocentesco che pensavano la legge storica nella forma della regolarità e prevedibilità del processo o della statistica. Si può, allora, affermare che il meccanismo psico-genetico è, in prima istanza, il piano metodologico su cui Steinthal ricerca l’unità e la coerenza della storia. Essa non sta in alcuna forma sostanziale e autonoma – non nelle idee e nemmeno nelle leggi – bensì nei processi psichici individuali e sociali implicati nell’attività della comprensione filologica, nelle rappresentazioni individuali e collettive dispiegate dallo storico, nell’orizzonte culturale e linguistico del popolo a cui egli appartiene e nelle pratiche regolate della comunità scientifiche da cui proviene. Esattamente come nello studio delle formazioni collettive (lingua, mito, religione, saghe e credenze popolari) la psicologia dei popoli funge da modello scientifico unitario, nell’elaborazione della conoscenza storica sono i nessi tra psicologia individuale e collettiva a fornire il dispositivo unitario108. L’elemento di grande novità di questa teoria della storia, non sta nemmeno – in verità – nell’individuazione di una funzione psichica specifica come l’ “appercezione armonizzante”, ma nel fatto che tale impostazione apre un angolo prospettico ricco di conseguenze. Alla teoria logicometafisica e a quella meramente empirica della storia oppone 108

Cfr. Steinthal, AFI (1877), intra, III/1.

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una teoria funzionalistica della storiografia. Da questo punto di vista ciò che interessa è studiare la struttura e il modo in cui la comprensione storica si costituisce, come i fatti storici vengono categorizzati, secondo quali modalità la funzione del categorizzare produca sempre forme diverse. b) La prospettiva psicologico-funzionalistica su presentata è sviluppata nello scritto sull’interpretazione del 1877, elaborato dopo una lunga meditazione dell’opera di Schleiermacher, Ast e Boeckh e dopo i primi significativi interventi di Wilhelm Dilthey. Il saggio dato in traduzione nella terza parte di questo volume, più che ridurre l’interpretazione a operazioni stabili del meccanismo psichico, mostra quali siano gli strumenti che la psicologia può offrire per rendere consapevole l’esperienza dell’interpretazione. L’interpretazione, anzitutto, è definita da Steinthal come il processo che conduce alla comprensione. Quest’ultima, poi, non viene identificata con l’assimilazione di un contenuto precostituito, ma è concepita come l’esito di un atto creativo con cui l’interprete, stimolato dall’opera, si pone in consonanza con il creatore dell’opera stessa, sia esso un individuo o un popolo, e fa nuovamente ciò che è stato fatto. Il concetto della comprensione – scrive l’autore – è posto necessariamente in modo intercambiabile con il concetto di lingua […] il comprendere avviene immediatamente ed è soltanto contenuto nel processo psicologico per cui i suoni linguistici sentiti o i segni scritti osservati stimolano in chi ascolta o in chi legge gli stessi pensieri attraverso cui quei suoni e quei segni furono suscitati in chi parla e in chi scrive109.

Per comprendere, dunque, bisogna compiere un percorso psichico corrispondente a quello di chi ha dato vita all’opera. L’opera, il suono, il segno, fungono da stimolo capace di sollecitare questo movimento psichico orientato nella stessa di109

Steinthal, AFI (1877), intra, III/1, p. 28. Sulla comprensione (Verstehen) in quanto atto basilare dello spirito inerente all’origine del linguaggio ci soffermeremo nel paragrafo 9.

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rezione; la parola detta, scriveva Humboldt, sollecita in colui che comprende, l’«impulso a porsi in armonica consonanza con l’altro»110. Lo storico-filologo, pertanto, per comprendere, non può far altro che rifare in sé quella connessione originaria di rappresentazioni che ha dato forma all’opera. Qual è, dunque, la differenza tra il comprendere comune, il comprendere come “dato” basilare della vita e il comprendere filologico e storico? Il primo è un «evento» spiega Steinthal, mentre l’altro un «atto». Se lo spettatore dell’opera o chi ascolta qualcuno parlare attiva, per comprendere, un processo di immediata consonanza con il creatore o colui che parla, lo storico e il filologo si trovano al di fuori di questo orizzonte di immediatezza e immedesimazione. Il filologo per riesperire quella connessione sui generis che ha condotto all’opera storica, sia opera d’individuo o di popolo, deve ricreare le condizioni originarie dell’atto passato, attraverso un percorso sintetico che segue momenti precisi. Questi momenti sono l’interpretazione grammaticale, reale, stilistica, storica e propriamente psicologica. È evidente che questa suddivisione è solo formale, nel lavoro del filologo questi momenti sono tutti necessari e tutti interconnessi, pertanto possiamo spiegarne il senso in una prospettiva unitaria. “Ri-esperire” l’originaria connessione psichica che ha prodotto una data opera, per lo storico significa sì riviverla, ma riviverla consapevolmente. La «comprensione filologica», a differenza di quella comune, è «un comprendere concettuale», un ripetere consapevole di sé. Il filologo, in breve, deve «penetrare nel meccanismo spirituale»111 dello scrittore e mostrare in che modo il meccanismo psichico ha dato vita a quella connessione individuale (sui generis) espressa nell’opera, «rendendo conto di tutti i momenti dello spirito comune e dello spirito individuale, tanto formali quanto materiali, tanto teorici quanto pratici, coinvolti nella creazione»112. Lo stesso può dirsi quando l’opera 110 Cfr. Humboldt, HuDL (1836), p. 44. Si vedano in proposito le riflessioni di Donatella Di Cesare, Introduzione, HuDL, p. LXXXIII e sgg. 111 Steinthal, AFI (1877), intra, III/1, p. 33. 112 Steinthal, AFI (1877), intra, III/1, p. 35.

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da interpretare è l’opera di un popolo, con la sola differenza che se in quest’ultimo caso è concesso trascurare i momenti formali e materiali delle spirito individuale, al contrario, per interpretare l’opera individuale, non è mai concesso trascurare i momenti dello spirito comune (lingua, simboli e rappresentazioni collettive intrecciate allo stile e alle tonalità individuali). Nel compiere questa deduzione e sintesi, comunque, lo storico o il filologo non sta semplicemente attivando una mimesis, ma sta dando corso a una ripetizione “consapevole” o a un’immedesimazione concettualmente controllata. Il filologo, scrive Steinthal, «non conosce solo il contenuto comunicato, ma l’intera conoscenza che ha conseguito attraverso la sua sintesi», egli «rende chiaro ciò che nell’autore si trovava solo in forma immediata ed effettiva»113. Questo controllo concettuale, tuttavia, non riduce – come è stato sostenuto – la comprensione a uno schematismo psicologico, giacché la dizione “comprensione concettuale” deve rendere esplicito il fatto che il momento dell’atto creativo o del “ri-fare” e quello della coscienza dei momenti formali di quest’atto, vanno di pari passo, il momento dell’espressione e della concettualizzazione, insomma, sono convergenti114. Proprio in ciò sta l’uni113

Steinthal AFI (1877), intra, III/1, p. 29. Credo, pertanto, che Lessing colga nel segno assumendo che la teoria dell’interpretazione di Steinthal è orientata a un ideale di esattezza e a un paradigma di decifrazione degli atti spirituali, ma non credo si possa parlare di una «psicologia pensata meccanicisticamente». Hans-Ulrich Lessing ripete quanto già sostenuto da Wach e, di passaggio, da Gadamer. Nel caso dell’interpretazione storico-psicologica, in realtà, Steinthal si distanzia, piuttosto che approssimarsi, «a un ideale di obiettività almeno implicitamente volto alle scienze della natura». Infatti, come s’è visto, il risultato dell’appercezione armonizzante che ha dato vita all’opera non può essere inteso se non ripetendo l’atto originario, l’appercezione armonizzante cioè è una funzione non scomponibile in passaggi elementari, una funzione che dà corso a una sintesi creativa. La consapevolezza concettuale che deve accompagnare questo processo non deve essere intesa come una decomposizione in elementi e leggi del processo appercettivo, ma come la comprensione dei nessi fondamentali della connessione psichica individuale, ovvero in senso descrittivo. Inoltre, non mi è nemmeno facile cogliere, come sostiene Lessing, uno stacco così netto tra l’idea di spirito oggettivo di Dilthey e la dottrina dell’interpretazione che qui vien proposta da Steinthal. Nella «interpretazione reale [sachliche]», o meglio, reale-psicologica, 114

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cità della creazione dello storico-filologo: «dove il filologo ha compiuto pienamente il suo compito», scrive Steinthal «la sua comprensione non è soltanto un semplice evento, non solo un atto, bensì una creazione»115. Lo scritto sull’interpretazione del 1877 rappresenta, dunque, l’ultimo sviluppo di quell’analisi funzionale del categorizzare, di cui l’interpretazione storico-psicologica è un singolo momento. In questo modo Steinthal crede d’aver contribuito alla delucidazione di ciò che Scheliermacher e Ast hanno lasciato implicito. c) Un’ultima domanda è lecito porsi in merito alla filosofia e alla psicologia della storia di Steinthal. Il punto di vista funzionalistico così conseguito conduce Steinthal così distante dalle versioni idealistiche e romantiche della filosofia della storia? In parte la risposta a questa domanda si profilerà con chiarezza nell’ultimo paragrafo di questo saggio, dedicato alla teoria della classificazione delle lingue. La conferenza di Meissen del 1864, tuttavia, ci consente già di trarre alcune conclusioni. L’analisi psicologica del modo di procedere dello storico, recita un passo dell’opera, rimanda alla natura della storia a parte objecti: «le leggi psicologiche [le forme del meccanismo psichico]», scrive Steinthal, «sono da un lato il principio conoscitivo della storia», dall’altro «il principio di realtà dei fenomeni spirituali che sono oggetto della storia». Quest’affermainfatti, «il discorso è spiegato attraverso il circolo completo degli elementi oggettivi e soggettivi dello spirito nazionale, è a dire dalle intuizioni e dai concetti, dunque, dai tipi di rappresentazione, dalle vedute, dalle opinioni e dai giudizi, così come si sono costituiti nello spirito del popolo». Per Lessing cfr. H. Steinthals Beitrag zur Hermeneutik, in Chajim H. Steinthal. Sprachwissenschaftler und Philosoph im 19. Jahrhundert, cit., pp. 62 e 63. Joachim Wach ha dedicato a questo tema alcune pagine che hanno ispirato il giudizio di Lessing e quello di Gadamer cfr. J. Wach, Das Verstehen, Grundzüge einer Geschichte der hermeneutischen Theorie im 19. Jahrhundert (1933), Georg Olms, Hildesheim, 1966, III, partic. 243-244. Cfr. anche H-G. Gadamer, Wahrheit und Methode (1960), Gesammelte Werke, 1, Hermeneutik/I, J. C. B. Mohr (Siebeck), Tuebingen 1990, p. 190 (Verità e Metodo, Milano, Bompiani 2004, p. 234). 115 Steinthal, AFI (1877), intra, III/1, p. 35.

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zione, che muove dal piano soggettivo, della categorizzazione dei fatti storici, a quello oggettivo della struttura della storia, è consonante con le idee esposte da Lazarus nello stesso periodo. Quest’ultimo, infatti, nel saggio Sulle idee nella storia, accanto alla critica dell’ipostasi hegeliana delle idee come soggetti autonomi, alla tesi che esse sono forze di comprensione e plasmazione che «esistono e operano nell’uomo», «forme psicologiche» di «serie concettuali […] sempre aperte» di cui ciascun uomo è erede eppure contribuisce a costituire, accanto alle idee, insomma, come «forma della conoscenza», invita a considerare la loro «valenza oggettiva», invita a concepire le idee come «i principi reali del mondo in se stesso», «che stanno a fondamento delle cose»116. È certamente vero, e lo si è già visto, che questa “oggettività”, l’oggettività delle idee, è l’oggettivazione o esplicitazione dello spirito umano, dell’interiorità dell’uomo, e non un “dato” a cui la conoscenza dello storico si adegua. Lo storico interpretando ripercorre le trame ideali, il mondo dei fini, che ha condotto gli uomini a creare la realtà storica e solo così è possibile la coincidenza tra ciò che è pensato dallo storico e ciò che effettivamente è stato prodotto nella storia. E tuttavia rimane il fatto che in questa concezione si delinea una tensione tra due differenti orizzonti: quello che verte sui “principi reali” della storia e quello che tenta di sgravarsene alla luce di un’indagine condotta soltanto sulle operazioni spirituali compiute dallo storico. Insistendo sui principi reali, la nozione di “storia” subisce un restringimento che nell’orizzonte funzionalistico non ha motivo di essere. Se l’ambito della storia, infatti, è il prodotto di funzioni categorizzanti aperte sempre a nuovi sviluppi, orientate sempre alla trasformazione del “campo storico” stesso, – «serie concettuali sempre aperte» scriveva Lazarus –, in linea di principio non si danno ambiti della realtà sociale esclusi dalla storia. Se l’insistenza cade invece sui “principi reali”, dal campo storico devono essere esclusi tutti quei popoli e quelle organizzazioni sociali che 116 Lazarus, Sulle idee nella storia (1865) in LaPP (2008), rispettivamente pp. 267, 298, 285, 299, 304 e sgg., 275, 279. I corsivi di queste ultime citazioni sono miei.

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non rientrano nel modello prescrittivo delineato secondo quei principi. In proposito, nella conferenza del 1864, si legge: «la differenza tra popoli non storici e popoli storici è esattamente la stessa che c’è tra malattia [mancato sviluppo] e salute»117. Lo schema di esclusione dei popoli non storici ricalca, seppure con variazioni di non poco conto, le condanne senza appello di buona parte dei romantici: Se parlo di popoli non storici, comprendendo in essi le razze africane (ad eccezione degli Egiziani che sono originari dell’Asia) e americane, i Malesi e anche i Mongoli (esclusi i Cinesi), e dunque la più grande parte dell’umanità, non intendo con ciò affermare che questi popoli sono assolutamente incapaci di pervenire a una vita storica. Affermo solamente la loro relativa incapacità; vale a dire che mentre i popoli preistorici attendono soltanto l’occasione propizia per fare il loro ingresso nella storia e recitare la loro parte sul palcoscenico dell’umanità, ai popoli non storici manca ancora tanto per un simile ingresso, che prima deve venir trasformata l’intera costituzione della loro vita e del loro essere118.

Questa forte oscillazione tra una teoria funzionalistica e una sostanzialistica della storia è un tratto comune a pensatori come Gervinus, Droysen, Boeckh e un tratto caratteristico della Geschichtsphilosophie della II metà dell’Ottocento. La nozione di “popoli non storici”, come è noto, è mantenuta persino da Engels, per quanto entro un contesto argomentativo assai diverso119. In conclusione, potremmo forse adattare anche a ciò la critica che l’autore rivolse alla sua stessa psicologia del linguaggio dopo aver fatto i conti con la teoria darwiniana dell’evoluzione. Nella terza edizione (1877) di Der Ursprung der 117

H. Steinthal, PGP (1864), p. 39 (220). H. Steinthal, PGP (1864), 40 (221). 119 Cfr. Roman Rosdolsky, Friedrich Engels e il problema dei “popoli senza storia”: la questione nazionale nella rivoluzione del 1848-1849 secondo la visione della “Neue Rheinische Zeitung”, Graphos, Genova 2005. In proposito si veda anche Eric Wolf, Europe and the People Without History (1982), University of California Press, Berkeley and Los Angeles 1997. 118

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Sprache, come si vedrà anche più avanti, l’autore spiegava che il genus homo (che qui potrebbe essere considerato il contrappunto del concetto di Civilitation) non deve essere ritenuto una specie astratta, regolata da processi psicologico-linguistici stabili, da escludersi nelle altre specie. Le leggi psicologiche non possono essere poste una volta e per sempre, ma devono essere evinte dalla storia della specie. L’uomo insomma non può essere presupposto, ma deve essere colto nella varietà delle sue espressioni storiche. Per le stesse ragioni, si sarebbe potuto pensare che anche i concetti di “popolo storico”, “civiltà” e “cultura” (i principi reali della storia), e le leggi psicologiche dello spirito dei popoli su cui poggiano, non debbano essere presupposte e anzi possano essere sottoposte a critica e decostruite. In modo tale che, non più esclusivamente presenti in certe “costituzioni” spirituali, siano valutate come il frutto di configurazioni ogni volta specifiche, prodottesi secondo modalità di interazione psichica sempre diverse.

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III. NATURA, ORIGINE E CLASSIFICAZIONE DELLE LINGUE. Filosofia e psicologia della lingua 7. Grammatica e logica Abbiamo già detto che a partire dalla metà degli anni Settanta, Steinthal si allontanò gradualmente dagli studi di linguistica. Gli pareva stesse sorgendo un mondo con bisogni nuovi, difficile da comprendere. Invero, la questione che si pone a chi ripercorra le vicende della linguistica dell’Ottocento è se il metodo e la concezione che Steinthal sviluppò in questi studi sin dalla fine degli anni Quaranta fossero affini a quelli in uso nei vari indirizzi della linguistica storica e comparativa. Ringmacher, ad esempio, insiste sulla “marginalità” dell’approccio di Steinthal rispetto agli sviluppi della ricerca glottologica coeva120 e uno sguardo anche veloce alla letteratura contemporanea conferma questa tesi121. Per mettere a fuoco e poter valutare adeguatamente questa “inattualità” della filosofia del linguaggio di Steinthal, conviene tornare alle battaglie teoriche combattute dall’autore e ai problemi ideologici e culturali in esse implicati. In un saggio, redatto su impulso della II edizione (1859) delle Ethymologische Forschungen di August Pott, Steinthal drammatizza, identificandosi nella figura di Socrate, reduce da un incontro nei Campi Elisi con Wilhelm von Humboldt, 120 Ringmacher, Organismus der Sprachidee. H. Steinthals Weg von Humboldt zu Humboldt, cit., pp. 3-14. 121 Si vedano, ad esempio, le ricostruzioni della linguistica dell’Ottocento contenute nel IV volume di Geschichte der Sprachtheorie: Sprachtheorien der Neuzeit, I, hrsg. Von Peter Schmitter, Gunter Narr Verlag, Tübingen 1996.

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la sua posizione nell’orizzonte dei dibattiti coevi sul compito della Sprachwissenschaft. «In effetti», dice Socrate al linguista “contemporaneo” che gli sta di fronte, «mi sembra che voi spesso conosciate molto, davvero molto, ma che pensiate male, poiché il vostro spirito è compresso dalle vostre conoscenze»122. Questa mancanza di consapevolezza teorica è, per Steinthal, una caratteristica diffusa tra quei glottologi che tanto avevano contribuito alla conoscenza effettiva delle diverse lingue, soprattutto dopo la scoperta del sanscrito e dei suoi rapporti con le lingue europee. Non era ormai possibile per nessuno studioso prescindere dall’approccio comparativistico di Franz Bopp e da quello storico-etimologico di Jacob Grimm e tuttavia, anche coloro che si richiamavano a quei lavori imprescindibili, tra cui Lepisus, Huber, Schott, Schwartze e molti altri insigni studiosi, non avevano maturato un’adeguata coscienza filosofica dei problemi implicati in quei cambiamenti paradigmatici. Nella Prefazione del 1855 a Grammatik, Logik und Psychologie, Steinthal addebita ad Aufrecht – uno dei più importanti sanscritisti viventi, direttore assieme a Franz Kuhn della «Zeitschrift für vergleichende Sprachforschung» – un errore tipico per i “grammatici-storici” dell’epoca: l’aver considerato la teoria un impedimento all’indagine dei fatti123. Al contrario, per Steinthal, la filosofia del linguaggio non è un impedimento posto allo sviluppo della conoscenza empirica delle lingue, ma la stessa circostanza di fatto (Thatbestand selbst) della loro conoscenza empirica, poiché, come s’è visto, il fatto non è un dato, ma l’esito di un processo di elaborazione dei contenuti conoscitivi per mezzo di elementi a priori. Nelle scienze della natura questa consapevolezza era già stata raggiunta. Il fisiologo Müller e il botanico Schleiden, ad esempio, nelle loro importanti opere, 122 Steinthal, Ueber den Idealismus in der Sprachwissenschaft (Auf Veranlassung von: A. F. Pott, Ethymologische Forschungen auf dem Gebiete der indo-germanischen Sprachen. 2. Auflage. Erster Theil. Prepositionen. 1859) in ZVS, I (1860), pp. 294-328, partic. p. 308. 123 Cfr. T. Aufrecht, Vorrede alla lettera di Humboldt “Über den Infinitiv” in «Zeitschrift für vergleichende Sprachforschung», Bd. 2 (1854), p. 241.

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si appellavano a un’ “esperienza filosofica”, ritenevano essenziale il contributo dei concetti filosofici per il progresso della scienze sperimentali124. «Il signor Aufrecht», al contrario, «considera la filosofia del linguaggio prematura». «In verità», scrive Steinthal, «ciò significa soltanto, che egli non ne sente, non ne comprende il bisogno e che, ancor meno, conosce il mezzo per soddisfare questo bisogno»125. La Prefazione del 1855 consta, dunque, di una riflessione sul giusto metodo della Sprachwissenschaft, che deve mantenersi equidistante dalla filosofia astratta e dall’empirismo radicale126. Steinthal scorgeva certamente in Carl W. L. Heyse, che gli era stato maestro a Berlino e con cui intratteneva in quegli anni un fitto carteggio, un decisivo sostegno contro queste ondate di unilaterale empirismo, in favore di una concezione che fosse assieme empirica e filosofico-sistematica della linguistica. A voler esplicitare le assunzioni di storici e comparativisi come Aufrecht, ai suoi occhi, si sarebbe colta l’insostenibilità di principi radicalmente empiristici e la loro inadeguatezza a cogliere e rispettare l’individualità delle lingue. «I linguisti storici», scrive Steinthal nel 1848, «non hanno saputo fare astrazione dalle categorie della lor propria lingua madre o piuttosto, poiché anche questa la si era già ficcata nella camicia di forza della grammatica classica, dell’antica grammatica greca, e le han ritrovate in tutte le lingue»127. Per questo, l’individualità delle lingue non era davvero concepita, da storici e comparatisti, per se stessa, ma era colta per mezzo del raffronto delle diverse grammatiche con le strutture morfologiche del sanscrito e del greco. «Avete tanto rispetto dei fatti», continuava il Socrate-Steinthal, «costituitevi allora principi 124

Johannes Müller, Handbuch der Physiologie des Menschen für Vorlesungen, II Bd., Verlag v. J. Hölscher, Coblenz 1840, p. 522 e Matthias J. Schleiden, Grundzüge der wissenschaftlichen Botanik als induktive Wissenschaft, I Bd., Engelmann, Leipzig 1842, p. 7. La consapevolezza della necessità della filosofia, però, in Schleiden, a giudizio di Steinthal, non è supportata dalla scelta della giusta filosofia. Lo scienziato, infatti, s’appellava alla filosofia kantiano-friesiana. 125 Steinthal, GLP (1855), p. XVII. 126 Cfr. anche BelLS, II/2, pp. 392-394. 127 Steinthal, SHHP (1848), p. 82 (109).

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tali, che giustifichino tale rispetto; quelli che avete non lo fanno»128. A Steinthal, insomma, pareva che i grammatici storici assumessero surrettiziamente il principio della grammatica filosofica, non rifiutassero, quindi, il pensiero speculativo, ma assumessero, senza averne piena coscienza, una cattiva metafisica. Diverso era il caso dei “grammatici filosofi” che del principio logico avevano coscienza fermissima. In essi non mancava certo la consapevolezza della necessità della filosofia, ma veniva reiterato l’errore insinuatosi in questi studi per secoli, da quando Aristotele aveva considerato i nessi grammaticali una riproduzione dei nessi delle categorie: la logica della lingua la riproduzione fonetica della logica dei concetti129. Da questo errore non era stata esente nemmeno la filosofia del linguaggio di Humboldt, il genio capace di sovvertire le fondamenta di tutta la linguistica precedente, colui che, nella ricerca empirica, aveva per primo riconosciuto e posto in luce il valore dell’individualità. La prima parte di Grammatik, Logik und Psychologie – che non abbiamo dato in traduzione – è interamente dedicata alla confutazione della “grammatica universale” esposta da Ferdinand Becker nel suo Organism der Sprache (1827, II ed.: 1841). Se Aufrecht è l’esempio della “cattiva coscienza” filosofica, che nega ogni approccio speculativo, Becker è l’esempio più insigne dell’erronea coscienza filosofica, che, comunque, rappresenta un avanzamento rispetto alle visioni mitologiche ancora diffuse tra i linguisti130: Becker, scrive Steinthal, «ottiene il suo diritto per il contrasto in cui si trova con i suoi contemporanei»131. La suddivisione tra storici e logici, alle cui coordinate l’autore riconduce i due partiti egemoni della Sprachwissenschaft dell’Ottocento, tuttavia, a una più attenta analisi, viene meno e i due indirizzi rivelano una base comune: «il fondamento 128

Steinthal, Ueber den Idealismus in der Sprachwissenschaft, cit., p.

309. 129

Steinthal, GSGR (1863), I, pp. 196 e sgg. . Quelle, ad esempio, di Bunsen, Max Mueller o Kaulen. Cfr. Steinthal, GLP (1855), pp. IX-XII e BelLS, II/2, pp. 372 e sgg. 131 Steinthal, GLP (1855), p. IX. 130

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comune di Becker e degli storici, anche di Pott», scrive Steinthal, «si palesa nella loro comune contrapposizione al nostro punto di vista, il quale abbandona del tutto il piano logico, su cui stanno entrambi»132. Proprio dalla critica dell’impostazione di August Pott, del più insigne degli studiosi di etimologia, è possibile introdurre, per contrasto, i principi basilari della linguistica di Steinthal. L’autore delle Ethymologische Forschungen, aveva curato, dopo l’edizione Buschmann del 1836, un’edizione della Diversità delle lingue apparsa nel 1876 per la casa editrice Calvary di Berlino133. Dopo pochi anni, nel 1884, sarebbe apparsa, come abbiamo detto, l’edizione di Steinthal degli scritti filosofici di Humboldt per la casa editrice universitaria Dümmler. A partire dall’interpretazione di Humboldt, dunque, i due studiosi facevano ricorso a metodi divergenti, basati su divergenti teorie del linguaggio. Pott centrava l’indagine linguistica sulla ricostruzione etimologica delle radici, mentre Steinthal rimproverava al metodo etimologico d’ipostatizzare nelle radici linguistiche rapporti e forme logiche, che si trovano al di fuori del dominio delle lingue stesse. Pott, insomma, pur avvalorando il richiamo humboldtiano all’individualità delle lingue, non concepiva adeguatamente la natura di tale individualità. E ciò perché la riconduceva al modo sempre diverso con cui ciascuna lingua esprime un ordine dato di oggetti esterni, ideali o reali134. A questa idea Steinthal oppone la differente interpretazione del principio humboldtiano, secondo cui la lingua appartiene al popolo, «è il pensiero del popolo». Ogni lingua, in quanto creazione soggettiva di una comunità, non esprime in modo singolare, rapporti stabili e assoluti esistenti al di fuori di essa, non rispecchia, variamente, uno stesso ordine ideale precostituito. Gli oggetti e le loro relazioni, anziché preesistere alle lingue, vengono prodotti nelle lingue e attraverso 132

Steinthal, GLP (1855), p. XIII. W. von Humboldt, Über die Verschiedenheit des menschlichen Sprachbaues und ihren Einfluß auf die geistige Entwickelung des Menschengeschlechts, hrsg. von A.F. Pott, Calvari, Berlin 1876. 134 Steinthal, Ueber den Idealismus in der Sprachwissenschaft, cit., p. 304. 133

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le lingue. Il linguista, continua Steinthal, deve rinunciare a qualsiasi dato oggettivo che stia a fondamento delle lingue e considerare queste ultime «costruzioni soggettive», che non rimandano ad alcun oggetto, se non a quelli che hanno prodotto da sé. Se l’oggetto è sempre il risultato dell’azione del concetto, si legge ancora in un articolo del 1865, gli oggetti “linguistici” sono il prodotto dell’azione esercitata dai concetti linguistici sul nostro mondo interiore. L’unica cosa data al di fuori di questo processo psicologico di costituzione dei significati sono le nostre percezioni soggettive, le nostre sensazioni e le nostre intuizioni135. Così gli oggetti linguistici sono un’elaborazione soggettiva della vita soggettiva dei sensi, un’elaborazione, insomma, «doppiamente soggettiva»136. «Le lingue sono in sé mondi intellettuali e non segni di mondi», esse producono un pensiero proprio, piuttosto che riflettere il pensiero logico137: si dovrà concedere che ci possono essere, e ci sono, diversi modi del pensiero; che la logica abituale sviluppa solo le leggi del pensiero intellettivo, di fronte a cui gli altri modi del pensiero hanno il loro proprio corso, la loro logica propria. Alla logica dell’intelletto deve essere disconosciuto sia il primato sia il diritto di chieder conto alle altre, di intervenire in esse, di vigilare su di esse, di delimitare i confini del loro dominio; piuttosto, le altre logiche, per dir così, sono differenti, sovrane nel proprio dominio, operanti secondo leggi che si sono autoconferite138.

L’identità dei significati linguistici non attinge a quella delle idealità logiche, concepite come concetti, al modo di Frege, o come intuizioni pure, al modo di Husserl. L’identità dei significati coincide con le categorie grammaticali, con una struttura indipendente dalle idealità logiche e solo parzialmente in rapporto con le intuizioni sensibili. Steinthal met135

Steinthal, Ueber den Idealismus in der Sprachwissenschaft, cit., p. 236. Steinthal, GLP (1855), intra, I, p. 305. 137 Steinthal, Anti-Kaulen oder mythische Vorstellungen der Völker und Sprachen, in «ZVS», III (1865), p. 236. 138 Steinthal, GLP (1855), intra, I, p. 224. 136

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teva a fuoco in questo modo un’idea ripresa da importanti figure della filosofia primo-novecentesca – da Croce, Cassirer, Benjamin, Gadamer e molti altri –: l’idea che la lingua è un mondo autonomo, un «mondo concettuale a sé stante», capace di esprimere-costituire la realtà in una forma diversa dalla logica. A differenza di queste tradizioni novecentesche, tuttavia, l’assoluta alterità degli oggetti linguistici (i significati) rispetto a quelli logici (i concetti), la soggettività e autonomia delle lingue, sono interpretate da Steinthal, come vedremo meglio nel prossimo paragrafo, dispiegando l’apparato concettuale della psicologia herbartiana139. Era su questo piano, comunque, della differenza tra grammatica e logica, che Steinthal sentiva aprirsi una distanza incolmabile tra sé e i principali orientamenti della linguistica coeva. Se, anche al fondo della concezione dei migliori storici della lingua come Pott, permaneva questo riferimento della grammatica alle categorie della logica, la più compiuta formulazione della loro coincidenza era quella proposta da Becker nel libro prima citato. Becker, come si è accennato, era il rappresentante più insigne di un errore tenacissimo, insinuatosi da Platone e Aristotele, passando per gli stoici, Duns Scotus e Giulio Cesare Scaligero, fino alla Grammatica ragionata di Port-Royal e alla filosofia del linguaggio dell’Ottocento140. L’identificazione di grammatica e logica, che è il tratto comune di questa secolare tradizione, dipendeva dall’aver mal interpretato il principio secondo cui la lingua è «espressione dell’interno», «rappresentazione dell’intelligenza»141. I grammatici-filosofi ritenevano così che i fenomeni linguistici fossero costituiti dall’unità di un elemento sensibile, il suono, con uno logico, il concetto. In questo quadro, la differenza tra le lingue veniva concepita come il prodotto dei diversi modi in cui l’elemento sensibile si unisce a quello logico, del diverso modo in cui l’elemento interno, logico, è espresso. La lingua, 139 Un interessante confronto tra la linguistica idealistica di Croce e quella di Steinthal è offerto in Luciano Dondoli, Genesi e sviluppo della teoria linguistica di Benedetto Croce, I, Bulzoni, Roma, 1988. 140 Steinthal, AS I (1871), pp. 44-45. 141 Steinthal, AS I (1871), p. 46.

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sostiene Steinthal, per questa via è concepita come «il pensiero stesso», «la parola come il concetto stesso, la frase come il giudizio stesso», ma «percepibili attraverso i suoni»142. Nella seconda parte di Grammatik, Logik und Psychologie l’autore, al contrario, vuol offrire le prove della mancata coincidenza di “pensare” e “parlare”. Lo fa, insistendo sul fatto che l’attività del “pensare” determina il complesso della vita psichica, di cui il “parlare” in senso proprio e il “pensiero propriamente logico” non sono che momenti particolari: anche gli animali, i sordomuti, l’uomo che sogna e l’uomo nel pieno delle sue facoltà, mentre disegna un triangolo o scrive una formula chimica, “pensano”, ma senza parlare143. La dimostrazione più appropriata della differenza di lingua e pensiero è data, però, quando si rifletta sulla natura della lingua come rappresentazione del pensiero e non come pensiero in senso proprio. «Ogni rappresentazione», scrive Steinthal, «è essenzialmente inadeguata al suo oggetto»144. Essa procede secondo leggi peculiari che dipendono dal suo mezzo e dal suo fine, ma non sono dettate dalla cosa da rappresentare. «La lingua è rappresentazione del pensiero, come il teatro è rappresentazione del mondo, il ritratto è rappresentazione di una persona. Come il ritratto non è la persona, come il teatro non è il mondo, così la lingua non è il pensiero»145. Le forme della vita rappresentata su un palcoscenico sono le istituzioni dello stato, della famiglia, della società, sono le scienze e l’arte; le forme della rappresentazione teatrale sono gli attori, le leggi del dramma, le impalcature. Allo stesso modo le forme del pensiero sono intuizioni e concetti, mentre quelle della lingua, che devono rappresentarle, sono le categorie grammaticali: soggetto e predicato, copula, generi e casi. Queste categorie sono espressione di istanze spirituali che operano in maniera peculiare, istanze rese dal geniale concetto humboldtiano di forma interna della lingua. La innere Sprachform è appunto il terzo elemento tra pensiero 142

Steinthal, GLP (1855) intra, I, p. 152. Steinthal, GLP (1855), intra, I, p. 153. 144 Steinthal, AS I (1871), p. 62. 145 Steinthal, GLP (1855) intra, I, p. 357. 143

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e suono, il principio spirituale propriamente linguistico che la generazione dei grammatici-filosofi e degli storici non ha saputo pensare adeguatamente, lasciandosi così sfuggire l’essenza della lingua e la ragione della sua autonomia dalla logica. La forma interna della lingua, scrive Steinthal nel 1848, «è l’autentica torre di Babilonia», in cui «sono attive tutte le forze dell’animo, sentimento, fantasia e intelletto», le quali «operano in maniera peculiare, conformemente alla natura dello spirito del popolo»146. Della nozione di innere Sprachform Steinthal dà interpretazioni molteplici in momenti diversi della sua opera, e, anzi, interpreta l’intera sua opera come una delucidazione e un approfondimento di essa. Nel 1855, ad esempio, scrive: «il presente libro» (Grammatik, Logik und Psychologie) «non è altro che un commento del concetto di forma interna della lingua» di Humboldt147. La teoria che ne viene proposta, anzitutto, permette un chiarimento della Bedeutungslehre, o semasiologia, genialmente approntata da Reisig e condotta avanti dal suo allievo Haase148. La semasiologia altro non è che la «rappresentazione della forma interna della lingua», giacché i significati, totalmente separati dalla logica e differenti dalle fantomatiche copie delle cose, sono in realtà il prodotto del principio individuale della lingua. Il concetto di forma interna è, infatti, subordinato a quello di forma della lingua, secondo cui sono costituiti, da un lato, la struttura fonetica della lingua, dall’altro, il suo sistema di rappresentazioni e relazioni rappresentative – il principio – insomma – che conferisce unità 146

Steinthal, SHHP (1848), p. 111 (p. 132). Steinthal, GLP (1855), p. XX. 148 Agli occhi di Steinthal era questo l’indirizzo di studi più promettente della linguistica a lui coeva, l’indirizzo a cui sentiva la sua ricerca più affine. L’elaborazione proposta da Haase della Bedeutungslehre nell’ambito specifico delle lingue classiche rappresentava un buon esempio di come condurre gli studi sull’individualità delle lingue. Com’è noto, Bréal sviluppò le intuizioni di Reisig e del suo allievo Haase, mutando il nome di Bedeutungslehre in quello di semantica. Cfr. Michel Bréal, Essai de sémantique, (science des significations), Librairie Hachette et cie, Paris 1897. 147

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e rende la lingua un organismo e imprime a ciascuna singolarità il conio attraverso cui essa è rapportata all’intero149.

L’interpretazione psicologica della forma interna della lingua, di questa modalità tipicamente umana del pensare, è esposta a più riprese tra il 1855, il ’57 e il ’71 e ce ne occuperemo tra breve150. Bisogna solo osservare, in conclusione di questo paragrafo, che il processo linguistico di categorizzazione del reale per Steinthal non è, come nella tradizione idealistica novecentesca, scisso dalla dimensione corporea, ma si trova nel più intimo rapporto con l’insieme delle percezioni sensibili, degli stimoli fisici, della struttura nervosa del nostro corpo. L’accostamento di lingua e poesia, lingua e pittura, lingua e teatro, riproposto in vari luoghi della sua opera, se conferisce alla lingua il valore di una modalità autonoma dello spirito, non le conferisce il valore assoluto di una categoria dello spirito. E, tanto meno, le conferisce il valore di unica categoria. È qui che il pensiero di Steinthal può rappresentare un suggerimento per uscire dal panlinguismo dominante nel Novecento. Il linguaggio ha una funzione primaria nella costituzione del mondo e della coscienza. Esso intesse delle sue categorie l’intera realtà e pertanto ogni concezione della realtà deve necessariamente tenere conto della tessitura grammaticale, dell’ossatura linguistica del mondo. E, tuttavia, del linguaggio si può e si deve rendere conto attraverso altri discorsi, che da esso si sono resi parzialmente autonomi per il supporto dei concetti. L’esperienza è penetrabile in ogni suo aspetto 149

Steinthal, GLP (1855), p. XXII. Anche in questo caso Steinthal prendeva solo spunto da Humboldt, in realtà sviluppava la nozione di forma interna in un’accezione ben diversa. In proposito si vedano le riflessioni contenute in D. Di Cesare, “Innere Sprachform”, Humboldts Grenzbegriff, Steinthal Begriffgrenze, in «Historiographia Linguistica», XXIII, 3 (1996), pp. 321-346. Per storia del concetto di innere Form fino a Humboldt si veda: R. Schwinger, Innere Form. Ein Beitrag zur Definition des Begriffes auf Grund seiner Geschichte von Shaftesbury bis W. v. Humboldt, in R. Schwinger – H. Nicolai, Innere Form und dichterische Phantasie. Zwei Vorstudien zu einer neuen deutschen Poetik, hrsg. von K. J. Obenauer, München, Beck 1935. 150

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per mezzo del linguaggio, ma al linguaggio è possibile tornare dispiegando un sistema di concetti reso saldo dall’esperienza. Il discorso della psicologia è per Steinthal la forma adeguata attraverso cui rendere conto del fenomeno e dell’evento del linguaggio. 8. Rappresentazione e appercezione a) Steinthal riteneva che l’apporto più significativo della sua opera allo sviluppo della linguistica contemporanea fosse la teoria psicologica della rappresentazione. Ai suoi occhi era stato Karl Ludwig Heyse, suo maestro a Berlino, a porre le basi per una trattazione sistematica della linguistica151. Lo studioso berlinese aveva, infatti, compreso che lo sviluppo degli idiomi coincide con lo sviluppo dello spirito e aveva indicato, se non percorso fino in fondo, la via dell’analisi psicologica152. In ciò Heyse aveva superato perfino Humboldt. Quest’ultimo, infatti, pur individuando adeguatamente la natura spirituale del linguaggio – su ciò ci soffermeremo nel prossimo paragrafo – continuava a concepire lo spirito in termini metafisici, come sostanza e unità, entrando in un circolo di contraddizioni, di cui non era stato in grado di venire a capo153. Per Steinthal, comunque, le intuizioni di Heyse sulla natura processuale della lingua dovevano essere sviluppate attraverso la psicologia di Herbart. Bisognava, ora, individuare con esattezza il «punto dello sviluppo spirituale in cui erompe la lingua»154. Una delle assunzioni più significative di Steinthal è quella secondo cui «i germi e le condizioni preparatorie allo sviluppo della lingua» sono già dati nei processi inferiori dell’ani151 Steinthal stesso aveva curato, dopo la morte dello studioso, la pubblicazione del System der Sprachwissenschaft (Dümmler, Berlin 1856). Nell’introduzione all’opera aveva dato una magistrale esposizione delle teorie di Heyse. Le lettere inviate dal giovane studioso al maestro mostrano l’intensità intellettuale e psicologica del loro rapporto. Cfr. Lettere di Steinthal a Karl e Paul Heyse in BelLS, II/2, soprattutto pp. 398-414. 152 Steinthal, US IV (I ed.: 1851, IV ed.: 1888), p. 93. 153 Steinthal, US IV(I ed.: 1851, IV ed.: 1888), p. 77. 154 Steinthal, GLP (1855) intra, I, p. 234.

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mo: «per trovare» – scrive – il punto in cui erompe la lingua «dovremmo seguire l’intera scala dello sviluppo [dello spirito], dagli stadi più bassi in su e valutare a quale stadio diventano visibili l’attività e l’opera sua»155. Dopo la lettura del manuale di Johannes Müller e della Fisiologia generale di Lotze, Steinthal s’era convinto che i fenomeni linguistici sono un caso particolare di movimenti riflessi, ovvero di movimenti immediati, causati da uno stimolo fisico156. In particolare, il suono emergerebbe come movimento riflesso in cui tra stimolo ed effetto non si dà nessuna analogia, allo stesso modo in cui lo sbadiglio è effetto della noia e il riso del solletico. Il primo impulso all’emergenza dei fenomeni linguistici è dato quindi dall’organizzazione del sistema nervoso, in ragione della necessità meccanica che domina il corpo. «L’uomo» – scrive Steinthal – «parla come le fronde stormiscono», giacché «l’aria, che porta suoni e rumori, l’etere e i raggi del sole, e il soffio dello spirito varcano il corpo umano ed esso risuona»157. In questa consapevolezza dell’incidenza della complessione fisica sull’attività spirituale, sta certo uno dei punti di maggiore interesse della filosofia del linguaggio di Steinthal. L’attività linguistica è posta come il punto di passaggio tra soma e psiché, testimonia a un tempo della loro necessaria implicazione e della loro differenza qualitativa. Il lato ferino dell’origine della lingua non basta a offrirne l’intera definizione: il movimento riflesso rappresenta soltanto il suo genus proximum. Anche gli animali mugolano, lacrimano, emettono suoni e respirano, ma non parlano. Af155

Steinthal, GLP (1855) intra, I, p. 234. J. Müller, Handbuch der Physiologie des Menschen für Vorlesungen, cit.; H. Lotze, Allgemeine Physiologie des körperlichen Lebens, Weidmann, Leipzig 1851; Id., Medicinische Psychologie oder Physiologie der Seele, Weidmann, Leipzig 1852; Kempelen, Le mécanisme de la parole, suivi de la description d’une machine parlante, et enrichi de XXVII planches, Wien, Bauer 1791. I riferimenti precisi a questi libri sono dati nelle note di commento alle traduzioni. Per la teoria della lingua come specie particolare dei movimenti riflessi cfr. GLP (1855) intra, I/ §§. 87, 90 e 91 e AS I (1871), pp. 359-365. 157 Steinthal, GLP (1855) intra, I, p. 294. 156

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finché il suono riflesso si trasformi in parola è necessaria la coscienza di questo suono, è necessario l’atto spirituale che istituisce una connessione tra il movimento riflesso e lo stato d’animo che l’ha suscitato. Proprio quando questo nesso tra il suono, come movimento riflesso, e il sentimento, come effetto dello stimolo esterno, è istituito, quando l’urlo è inteso come il segno della paura di fronte a un pericolo, ci troviamo al cospetto di un significato o di una “parola” e non a una semplice emissione vocale. Proprio adesso, la vita della coscienza che prima si aggirava tra sentimenti e intuizioni oscure, si trasforma in vita autocosciente e «guadagna la luce»: i sentimenti e le intuizioni divengono saputi, e con la lingua in senso proprio, con questo sapere di se stessi non mediato dal concetto, o con questo sapersi istintivo, sorge lo spirito. Il sentimento “saputo”, fermato nella lingua, è dunque all’origine del significato, all’origine cioè della vita spirituale. La filosofia del linguaggio di Steinthal in questo modo rimette in gioco la distinzione tra sfera pratica e sfera teoretica dello spirito, tipica della tradizione razionalistica moderna e mantenuta nella sistemazione delle facoltà spirituali proposta da Kant. La rivalutazione del sentimento come momento interno della conoscenza ha certo il suo più importante precedente storico nella filosofia cristiana di Pascal e un valore non secondario nella riflessione ermeneutica di Schleiermacher, ma nella filosofia del linguaggio di Steinthal penetra probabilmente per altre vie. Non è escluso che un peso abbiano avuto alcune tesi dell’illuminismo scozzese che potrebbero esser filtrate durante il soggiorno parigino della prima metà degli anni cinquanta – nel perido di elaborazione di Grammatik, Logik und Psychologie – attraverso la lettura delle voci dell’Encyclopédie di cui abbiamo testimonianza. In ogni caso non è un dato di poco conto considerare all’origine della costituzione dei significati linguistici, delle forme basilari dell’esperienza conoscitiva del mondo, un elemento estraneo alla sfera intellettiva. Nel processo costitutivo dell’autocoscienza è così posto il sentimento di sé, il sensus sui, rompendo quell’unità autoreferenziale del sapere tipica della tradizione razionalistica.

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La lingua, dunque, erompe come uno stadio preciso di sviluppo della coscienza, segna il passaggio dalla coscienza all’autocoscienza. Con la lingua è posta la conoscenza di sé, ma ancora priva della mediazione del concetto, è posto lo spirito istintivo, il sentimento di sé. Questo processo, scrive Steinthal, ha luogo quando una nuova intuizione stimola l’animo a volgersi all’interno, al deposito delle intuizioni conservato nella memoria. Alcune delle intuizioni serbate, allora, vengono evocate, rammemorate, e così si delinea un nesso tra l’intuizione attuale e quelle precedenti in modo tale che l’anima le fissi nel suono. Il processo della rammemorazione e il nesso istituito tra ricordo e suono è dunque il meccanismo psichico basilare che consente di fissare i contenuti percettivi. Anche questa rivalutazione della memoria e il nesso di memoria e lingua richiederebbe un excursus storico che non è possibile proporre in questa sede. Nell’opera del 1855, comunque, Steinthal chiama il risultato di questo processo di rammemorazione linguistica dell’intuizione: intuizione dell’intuizione e lo descrive sostenendo che «l’intuizione dell’intuizione è il trasferimento dell’intuizione nel suono, la connessione di entrambi, la forma interna della lingua»158. È a questo punto dello sviluppo spirituale che emerge la lingua in senso proprio. Un altro aspetto essenziale di tale argomentazione è l’identificazione dell’intuizione intuita per mezzo del suono con la rappresentazione. Io, scrive Steinthal, concepisco la rappresentazione [Vorstellung] unicamente come linguistica [sprachliche Darstellung]159. Il “rappresentare”, in questa accezione, esula dai contenuti delle singole rappresentazioni e vale come espressione della forza spirituale, dell’attività formatrice, orientata in una direzione che non è né la semplice intuizione né il concetto, ma pure una direzione capace di istituire un ordine simbolico. Chi vuol studiare la lingua deve entrare in contatto con i principi spirituali che presiedono all’attività rappresentativa e danno vita alle grammatiche, deve studiare il modo in cui un dato popolo ha intuito l’intuizione. 158 159

Steinthal, GLP (1855) intra, I, p. 304. Steinthal, OSP I (1852), p. 17.

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Ora, la Vorstellungstheorie di Steinthal, è andata incontro a molti fraintendimenti in ragione della duplicità di natura che l’autore attribuisce alla rappresentazione160. Su questo aspetto dobbiamo pertanto soffermarci. La rappresentazione in origine è l’abbreviazione sonora o l’interpretazione di un’intuizione; in quanto tale, può essere, quindi, considerata “piena”161. «Dal complesso delle qualità che per noi costituiscono la cosa», scrive Steinthal, «ne viene astratta una ed essa deve valere per la cosa in sé, ad esempio lo sbranante per il lupo»162. Lo sbranante è un contenuto propriamente rappresentativo, un significato linguistico, diverso sia dalle singole intuizioni del lupo sia dal concetto di lupo. E, tuttavia, se allo stadio etimologico o caratterizzante della forma interna della lingua in cui ci troviamo qui, la rappresentazione è “piena”, nei tempi storici, quando la forma interna della lingua scompare, il contenuto propriamente linguistico va perso. Allora, scrive Steinthal, nel lupo «conosciamo tante relazioni, e relazioni per noi ben più importanti di quella che si trova nella parola, perché la relazione che si trova nella parola […] si adombra progressivamente e infine cade completamente nell’oblio»163. La forma interna della lingua, infatti, è un principio dinamico con una differente funzione a secondo degli stadi che attraversa. In quanto onomatopea ed etimo essa «esprime quel che coglie dall’intuizione e come lo coglie», in quanto parola storica non esprime nulla, ma significa il pensiero164. 160

Un’interessante esposizione della Vorstellungstheorie di Steinthal si trova, invece, in L. Formigari, Filosofia e semantica: il caso Steinthal, in Ai limiti del linguaggio. Vaghezza significato e storia, a cura di Federico Albano Leoni, Daniele Gambarara, Stefano Gensini, Franco Lo Piparo, Raffaele Simone, Laterza, Roma-Bari, 1997, pp. 211-227. 161 Steinthal, GLP (1855) intra, I, p. 334. A più riprese Steinthal aveva già affrontato la questione della natura della rappresentazione negli scritti precedenti, ad esempio in OSP, I (1852) e in Entwickelung der Schrift. Nebst einem offenen Sendschreiben an Herrn Professor Pott, Dümmler, Berlin 1852, p. 87. 162 Steinthal, GLP (1855) intra, I, p. 325. 163 Steinthal, GLP (1855) intra, I, p. 314. 164 Steinthal, GLP (1855) intra, I, p. 384.

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Questi due sensi della rappresentazione linguistica non erano stati interamente recepiti e mantenuti nemmeno dai lettori più attenti di Steinthal. Attribuendo pienezza di contenuto alla rappresentazione nello stadio onomatopeico ed etimologico, Steinthal, già nel 1855, apre la via all’interpretazione che Lazarus ne dà in Geist und Sprache, il secondo volume di Das Leben der Seele165. Qui intuizione, rappresentazione e concetto sono considerati come tre livelli distinti di sviluppo della coscienza. La rappresentazione, in particolare, si staglia tra l’intuizione e il concetto con un suo preciso contenuto, non riducibile né al contenuto dello stadio inferiore della coscienza né a quello dello stadio superiore. Cosicché Lazarus recepisce una delle direzioni proposte da Steinthal nel 1855 e non commenta, implicitamente non accoglie, l’altra. Non mancano, come s’è detto, passi che confermino in Grammatik, Logik und Psychologie questa interpretazione tradizionale di una rappresentazione portatrice di un contenuto proprio o “piena” e, anzi, non manca nemmeno una focalizzazione del suo ruolo mediano, tra intuizione e concetto: «per noi», si legge, «la rappresentazione è uno stadio intermedio e coordinato dell’elaborazione psichica tra i livelli dell’intuizione e del concetto»166. Ciò che qui deve essere segnalato, comunque, è che a partire dal 1857, Steinthal sottolinea solo l’elemento formale o vuoto della rappresentazione. Forse perché anche Lazarus, che tanto aveva da insegnare in merito alla funzione appercettiva della lingua, non aveva colto con precisione la natura “assolutamente vuota” della rappresentazione. A ben vedere, scrive Steinthal recensendo proprio Geist und Sprache, la rappresentazione è «soltanto una forma psicologica, un modo in cui ciò che è intuito, pensato, il contenuto, è presente nella coscienza»167, è un «certo modo della nostra interna attivi165 Lazarus, Geist und Sprache, secondo volume di Das Leben der Seele, in Monographien über seine Erscheinungen und Gesetze, Dümmler, Berlin (1857, II ed.: 1878) III ed.: 1885, p. 300 e sgg. 166 La duplicità a guardar bene è adombrata anche in questa definizione. Cfr. Steinthal, GLP (1855) intra, I, p. 330. 167 Steinthal, ZS (1857), p. 197.

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tà»168. Nel ’71 scriverà anche che alla rappresentazione può conferirsi solo il titolo di nomen actionis: in senso proprio essa significa solo rappresentare. Ora, l’etimo (lo “sbranante”) non è più il contenuto proprio della rappresentazione, ma il risultato dell’attività del rappresentare, la relazione tra contenuto intuitivo e coscienza. In quanto rapporto del contenuto con la coscienza, la rappresentazione non può coincidere con il contenuto stesso. In questo senso essa opera come lo zero opera nell’aritmetica, come una forma capace di cambiar valore al contenuto. La potenza del rappresentare, per Steinthal, è d’ora innanzi identificata con l’attività a cui il rappresentare è chiamato. In questa seconda fase, il significato fissato nel suono, non vale più come un dato statico, ma come potenza sintetica che dà vita a nuovi significati, a partire da qui è allora possibile fissare il rapporto tra rappresentazione e concetto. I processi dell’astrazione concettuale si costituiscono sulla base della potenzialità mai esaurita di creare significati, di analizzare e decomporre l’intuizione, intuirne aspetti diversi, ovvero di predicare aspetti molteplici del medesimo soggetto: e ciò giacché, il concetto è l’analisi conoscitiva completa dell’intuizione, è a dire dei momenti di essa, in sé, nella loro reciproca compenetrazione e nel loro valore per l’intero. Tanto più sono sviluppate le frasi, tanto più saldamente la parola equivale alla cosa in sé. Tanto più questo processo avanza, però, tanto più scompare il significato etimologico della parola, in cui una sola caratteristica vale come cosa in sé. Alla fine, alla parola in sé non rimane altro che il suono, così come si configura nel tempo storico, in cui l’etimologia è perduta dalla coscienza: così, la rappresentazione non è nient’altro che la vuota relazione della coscienza con l’intuizione ovvero la cosa reale, e riceve un contenuto soltanto nel predicato169.

b) Lazarus, certamente il lettore più attento e acuto di queste tesi di Steinthal, in Geist und Sprache, aveva anche ri168 169

Steinthal, AS I (1871), p. 441. Steinthal, GLP (1855), intra, I, p. 331.

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chiamato l’importanza della categoria herbartiana dell’appercezione per lo studio dei fenomeni linguistici170. Sarà questo, di certo, uno dei contributi maggiore della psicologia herbartiana accolto da Steinthal. La categoria di appercezione fu introdotta nel dibattito filosofico da Leibniz che, nei Nouveaux Essais (II, 9, 4), le attribuisce il senso di una consapevolezza interna delle nostre percezioni. Essa venne ripresa in seguito da Kant nella Critica della ragion pura (Analitica dei concetti, §§. 16, 19, 25), ove, com’è noto, si distingue tra appercezione empirica e trascendentale. È nel senso herbartiano, però, che Lazarus usa la categoria di appercezione in riferimento alla lingua. Nei §§. 125 e sgg. della seconda parte della Psychologie als Wissenschaft, Herbart discute l’appercezione anche in relazione allo sviluppo cognitivo e all’apprendimento dei bambini. Si tratta ai suoi occhi del meccanismo basilare della vita psichica, per cui ogni nuovo contenuto rappresentativo viene accolto ed elaborato dalla nostra coscienza sulla base di masse rappresentative già acquisite. L’appercezione, in altri termini, è un processo in cui le nuove rappresentazioni sono generate dall’azione di masse rappresentative già esistenti sul materiale percettivo nuovo, in modo tale che il contenuto della singola rappresentazione sia fissato per mezzo del contenuto di altre171. Il bambino, così – spiega Herbart – accoglie le parole nuove in consonanza con quelle già sentite; Don Chisciotte – dice Lazarus – può scambiare i mulini a vento per minacciosi giganti e ciascuno interpretare lo stesso contenuto percettivo in modo diverso, secondo quel che porta in animo. Le operazioni appercettive avvengono in maniera del tutto inconscia e meccanica, in maniera istintiva, sono espressione della vita fisiologica dello spirito172. La categoria di appercezione spiega in termini psicologici il necessario prospettivismo del conoscere e per le sue implicazioni sul piano pedagogico diventa uno dei temi più dibattuti nella seconda metà dell’Ottocento dalla miglior parte 170

Lazarus, Geist und Sprache (1857), cit., pp. 29 e sgg. Lazarus, Geist und Sprache (1857), cit., p. 250 e sgg. e Steinthal, ZS (1857), p. 79 e 87. 172 Cfr. A. Meschiari, Psicologia delle forme simboliche, cit. pp. 122 e sgg. 171

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degli interpreti di Herbart: Schilling, Drobisch, Volkmann, per restare al mondo tedesco, ne propongono numerose esposizioni e interpretazioni173. A partire dal 1857, è a dire dalla trattazione fattane da Lazarus nelle pagine di Geist und Sprache, in cui la lingua è presentata, appunto, come “organo appercettivo” e si usa l’espressione finora inedita di “appercezione linguistica”, Steinthal dà avvio a una rielaborazione in proprio di questo concetto che, senza sovvertire le assunzioni precedenti, ne consente un ulteriore sviluppo. Molto significativo in questo senso è il saggio Zur Sprachphilosophie dello stesso 1857, un saggio scritto immediatamente a ridosso della pubblicazione di Geist und Sprache, ragion per cui abbiamo già avuto modo di citarlo in relazione alla critica rivolta alla nozione di rappresentazione “piena” proposta da Lazarus. Nella prima parte di questo saggio Steinthal discute anche la nozione di appercezione. Durante il processo appercettivo, scrive l’autore, muta sia il contenuto della rappresentazione che deve essere pensata sia il contenuto delle masse rappresentative “forti” già acquisite, attraverso cui quella deve essere pensata. In questo modo l’appercezione è un vero e proprio processo creativo dello spirito, in cui niente di ciò da cui s’origina rimane stabile, un processo che dà vita a qualcosa d’interamente nuovo. Essa, continua l’autore, è il meccanismo basilare del pensiero in tutte le sue forme, la lingua, l’arte e il procedimento logico-concettuale; presiede a operazioni di identificazione, sussunzione e analisi, ai processi creativi dell’arte e finanche alla trasformazione dei sentimenti in rapporti morali ed estetici. La lingua, all’interno di questo sviluppo complessivo dell’esperienza, occupa un posto privilegiato. Parlando, l’uomo appercepisce le sue impressioni e intuizioni, appercepisce la sua interiorità senza voce. La lingua rende poi possibile, in un secondo momento, la mediazione con i concetti e il mondo esterno. Il processo della coscienza linguistica già presentato in Grammatik, Logik und Psychologie – e da noi descritto nel 173

Steinthal, ZS (1857), pp. 72-74. Cfr. Ignazio Volpicelli, Herbart e i suoi epigoni. Genesi e sviluppo di una filosofia dell’educazione, Utet, Torino 2003.

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punto a) di questo paragrafo – può essere ora ripresentato alla luce della categoria dell’appercezione. Attraverso vecchie intuizioni serbate nella memoria (masse appercepiente) è accolto un aspetto della nuova intuizione. La massa delle vecchie percezioni esercita un’attrazione sulla nuova in virtù di un elemento comune tra le due. L’appropriazione del nuovo contenuto da parte delle massa già esitente, costituisce il tertium appercettivo, il significato del costrutto linguistico, della parola, mentre il modo di questa connessione è la forma interna della lingua. L’etimo o la “parola caratterizzante”, così guadagnata, fissa definitivamente nel suono un aspetto singolare dell’intuizione, tralasciando gli altri, configurandosi come qualcosa di interamente nuovo e del tutto soggettivo. La parola diventa poi l’aggregato rappresentativo forte per esprimere i giudizi d’identità: “padre!”, “fame”. Queste prime frasi esclamative fungono, quindi, da masse appercettive, condensate nel suono, per nuovi giudizi identitari e via via che i giudizi linguistici di questo tipo si moltiplicano, via via che si determinano predicazioni ulteriori, le parole ampliano il loro spettro semantico e diventano il puntello su cui s’innesta il pensiero concettuale. La lingua, in definitiva, in quanto strumento appercettivo, consente, attraverso le parole, la formazione delle idee e d’idee sempre nuove174: la lingua, secondo la sua propria essenza, la sua origine e il suo fine non è altro che un mezzo appercettivo, un mezzo, che sta tra il regno del singolare e il regno universale delle conoscenze e delle idee, un mezzo attraverso cui il singolare entra in possesso del regno universale, è a dire attraverso cui da un lato ci si appropria della conoscenza già acquisita, dall’altro si produce nuova conoscenza175.

Così la lingua spiega anzitutto la nostra conoscenza come appropriazione soggettiva del mondo interiore. Questa potenza di appropriazione soggettiva è, però, in grado, moltiplicando le sue operazioni, di cogliere lati sempre nuovi dell’in174 175

Steinthal, ZS (1857), pp. 85-90. Steinthal, ZS (1857), pp. 92-93.

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tuizione e delle cose, d’innalzarsi all’universalità e dar voce al concetto. L’appercezione, come Steinthal scrive più accuratamente nella Einleitung in die Psychologie und Sprachwissenschaft del 1871, è la categoria psicologica più duttile perché offre la possibilità di unificare sotto il suo dominio i diversi processi del pensiero e della vita spirituale176. Essa mostra come la psicologia offra alcuni tra gli strumenti più idonei all’analisi dell’esperienza in generale, inserendosi così nel quadro della filosofia genetica e della teoria della fenomenicità, che abbiamo descritto in uno dei paragrafi precedenti. 9. Origine del linguaggio e Verstehen a) Il problema dell’origine della lingua è già, in parte, stato chiarito dalle considerazioni su esposte sulla natura della rappresentazione. La lingua, infatti, coincide per Steinthal con quella fase di sviluppo dell’anima o della psiche segnata dall’avvento della rappresentazione. Essa nasce, dunque, quando la coscienza si trasforma in autocoscienza e il sapere immediato dato nelle sensazioni e nelle intuizioni si trasforma nel sapere mediato dato con l’attività del rappresentare. Le radici di questa soluzione, a prima vista semplice, affondano nel confronto storico-critico con le più importanti teorie sull’origine del linguaggio del Settecento e dell’Ottocento. Da questo stesso confronto, pertanto, è necessario prendere le mosse in questo paragrafo. Steinthal consegnò questa ricostruzione al suo libro forse più fortunato: L’origine del linguaggio in rapporto alle domande ultime di tutto sapere, onorato da ben quattro edizioni (1851, 1858, 1877, 1888) e altrettanti ampliamenti, mentre era ancora in vita. Nella prefazione alla seconda edizione del libro, lo studioso spiega che il primo impulso a occuparsi della questione gli era stato fornito dal trattato sull’argomento letto da Schelling nella seduta dell’Accademia delle Scienze di Ber176 La presentazione esaustiva dei processi appercettivi è data in Steinthal, AS, I (1871), pp. 198-216.

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lino del 25 novembre 1850177. Steinthal approvava la premessa schellinghiana secondo cui la questione dell’origine della lingua non può essere trattata isolatamente, «capitolo per capitolo», giacché «il problema», «in tutti i suoi lati», è «strettamente connesso con le più profonde domande di ogni speculazione»178. Similmente, in Grammatik, Logik und Psychologie (1855) si legge che l’origine della lingua non può essere indagata sul piano della causalità storica, giacché «la storia dell’invenzione è realmente compresa» solo quando si conoscono le condizioni spirituali in cui ha avuto luogo e «da ciò, in certa misura, si riesce a derivare l’invenzione stessa e il suo corso»179. È innegabile che per questa via l’autore assumesse una posizione eccentrica all’interno del dibattito glottogonico. L’indagine storica sul momento preciso in cui la lingua è nata, ai suoi occhi, portava necessariamente a ipotesi non comprovabili, dal momento che un documento dell’atto di nascita della lingua è una contraddizione in termini. Accanto a ciò andavano rifiutati anche i diversi tentativi compiuti dai comparatisti per ricostruire l’origine della lingua attraverso il metodo genealogico. Dopo la scoperta dell’affinità tra il sanscrito e le lingue europee, erano proliferate molte opinioni sui rapporti di filiazione all’interno della famiglia indoeuropea, che si raccoglievano attorno a due principali ipotesi: che il sanscrito vedico fosse la lingua originaria da cui erano derivate quelle europee antiche e moderne o che il sanscrito e le altre lingue indeuropee derivassero da una lingua più antica ormai scom177 Steinthal, Prefazione alla seconda edizione (1858) tratto da US II, p. VI. Assieme al trattato di Schelling Steinthal cita quello di Grimm, cfr. rispettivamente: Vorbemerkungen zu der Frage über den Ursprung der Sprache. Gelesen in der Klassensitzung der Wissenschaften in Berlin, 25 November 1850 in F. W. J. Schelling, Sämtliche Werke, sez. 1, vol. 10, Cotta, Stuttgart/Augsburg 1861, pp. 503-510 e J. Grimm, Über den Ursprung der Sprache. Gelesen in der Akademie am 9. Januar 1851, Druckerei der königlichen Akademie der Wissenschaften, 1851. Entrambi possono leggersi in traduzione italiana: J. Grimm – F. W. J. Schelling, Sull’origine del linguaggio, a cura di Giampiero Moretti, traduzione e note di Tristan Weddigen, Marinotti Edizioni, Milano 2004. 178 Schelling, Sull’origine del linguaggio (1850), cit., p. 33. 179 Steinthal, GLP (1855), intra, I, p. 229.

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parsa180. Nell’uno o nell’altro caso, agli occhi di Steinthal, la questione dell’origine era convertita in quella della priorità di una lingua rispetto all’altra e un velo impenetrabile continuava a celare la vera soluzione. La questione era stata impostata filosoficamente in modo appropriato soltanto da Humboldt. Proprio per questo la filosofia di Humboldt, nell’edizione del 1851 di Der Ursprung der Sprache, è posta «al vertice della trattazione», dopo la presentazione delle tesi di Herder e Hamann181. D’altro canto, anche nelle successive edizioni, progressivamente ampliate a nuovi contributi, il perno attorno a cui la soluzione ruota rimane Humboldt. È forse opportuno ripetere, lo abbiamo già accennato nel paragrafo introduttivo a questo saggio, che Steinthal non accoglie il pensiero di Humboldt per intero. Divide piuttosto il lascito imperituro delle ricerche empiriche e delle implicazioni rivoluzionarie che da esse possono essere tratte sul piano teorico, dalla reale consapevolezza che Humboldt ne ebbe. In più passi della sua opera, Steinthal accusa Humboldt d’aver ritenuto la lingua una sostanza, rimanendo, come Kant, entro l’alveo di Spinoza. Ancora nel 1883 scrive a Paul Heyse che Humboldt «si rivela come il più puro degli spinozisti e insieme kantiano, così da rappresentare un tipo del tutto particolare di connessione tra Kant e Spinoza»182. 180 In proposito cfr. S. Timpanaro: Friedrich Schlegel e gli inizi della linguistica indoeuropea in Germania e Il contrasto tra i fratelli Schlegel e Franz Bopp sulla struttura e la genesi delle lingue indoeuropee in Sulla linguistica dell’Ottocento, Il Mulino, Bologna, 2005, rispettivamente pp. 7-56 e 57-103. 181 Steinthal, Prefazione alla seconda edizione (1858) tratto da US IV, p. X. – Per Herder si veda l’Abhandlung über den Ursprung der Sprache (1772) in Herders Sämtliche Werke, B. V, hrsg. von B. Suphan, Weidmann, Berlin 1891, pp. 1-154. Sul trattato di Herder, Hamann era tornato, con corrosiva ironia filosofica, in cinque diverse occasioni cfr. Hamann, Schriften zur Sprache, Suhrkamp, Frankfurt 1967, pp. 9-80. Le Premesse di Schelling, al di là del riferimento ai due autori e un’implicita propensione per Hamann, non contengono una tesi personale sull’origine del linguaggio e per questo Steinthal non inserisce la loro trattazione nella prima edizione del suo libro (1851). Le tesi di Schelling sull’essenza del linguaggio sono invece esposte nell’Introduzione alla filosofia della mitologia (1852) e pertanto Steinthal riprenderà e discuterà accuratamente il contenuto di quest’opera nella II edizione di Der Ursprung (1858). 182 Cfr. Lettera a Paul Heyse del 20 gennaio 1883 in BelLS, II/2, p. 471.

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Nelle sue ricerche empiriche, invece, Humboldt aveva squarciato il velo d’incomprensione che da secoli nascondeva la verità sul linguaggio identificandone «l’origine con l’essenza» e trasformando la domanda sulla sua provenienza in quella sulla sua natura183. Grazie alle ricerche empiriche di Humboldt, scrive Steinthal, sappiamo che la lingua non è una cosa, «ein Ding», ma ciò che «in ogni istante» diviene, non «un morto prodotto, ma una continua produzione», «non opera, ergon, ma attività, energeia»184. La lingua, insomma, coincide interamente con lo spirito, ovvero con l’attività, con la soggettività, e non la si può considerare come un suo prodotto o un suo derivato. Nell’opera del vero fondatore della linguistica moderna traluce finanche l’intuizione secondo cui «tanto poco si può considerare la lingua creata dallo spirito, quanto al contrario bisognerebbe dire che è stata lei a creare lo spirito»185. Come ha mostrato dettagliatamente Ringmacher186, in realtà, Steinthal assume la posizione di Humboldt in senso teorico più che filologico e a partire da essa avanza la sua. L’anima diviene spirito, scrive, «poiché in essa sorge la lingua», «dal momento che crea la lingua», l’anima «compie il primo atto spirituale»187. Per queste ragioni, il problema dell’origine della lingua deve essere risolto sul piano psicologico «della descrizione del sorgere dello spirito dalla natura, ovvero dalle attività basse dell’anima»188, piuttosto che sul piano storico o genealogico. Assieme agli approcci storico e comparativista, l’interpretazione psicologica del problema glottogonico metteva in scacco una terza tendenza, maggiormente avversata dallo studioso, perché attecchita con maggior vigore entro la cerchia della linguistica scientifica coeva. Da quando F. Schlegel, recependo i più torbidi stimoli della Naturphilosophie dell’inizio dell’Ottocento, aveva concepi183

Steinthal, US IV (1888), p. 68. Steinthal, US IV (1888), p. 59. 185 Steinthal, US IV (1888), p. 64. 186 Per i riferimenti alla monografia di Ringmacher cfr. Introduzione, nota 2. 187 Steinthal, US IV (1888), p. 110. 188 Steinthal, US IV (1888), p. 111. 184

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to la flessione come una specie di «vegetazione della parola», una miracolosa germinazione della radice189, i nessi istituiti tra linguistica e scienze naturali si erano fatti tanto stretti da far perdere del tutto di vista la natura spirituale e storica delle lingue. Agli occhi di Steinthal queste affrettate e misticheggianti analogie tra linguistica e biologia erano ora progredite tanto da assumere un apparente carattere scientifico nelle opere di August Schleicher, sebbene quest’ultimo, come Bopp, fosse sensibile alla biologia meccanicistica piuttosto che a quella vitalistica190. Schleicher interpretava le lingue come organismi, ricchi di forme grammaticali nella fase aurorale e preistorica, e destinati a impoverirsi e decadere una volta varcata la soglia della storia. Spostato così il problema dell’origine delle lingue nella preistoria, le lingue stesse potevano essere considerate entità a-storiche o schiettamente naturali, la loro nascita poteva essere illustrata dispiegando e trascegliendo tra le diverse ipotesi biologiche relative alla generazione degli organismi191. Ciò che andava perso, comunque, nella generalizzazione di Schleicher, era quel che veramente doveva essere indagato, ovvero il concetto dell’individualità delle lingue, per cui Steinthal faceva ricorso, lo si è visto più volte, alla nozione humboldtiana di forma interna della lingua. La rivendicazione dell’individualità storica delle lingue era in realtà confermata anche dal dibattito biologico e botanico, purché rettamente inteso. Già a partire dal 1855, infatti, Steinthal polemizzava con quegli indirizzi della biologia che riducevano la vita organica, e il concetto di individualità posto al livello degli organismi, alla materia inorganica. In questo senso, ad esempio, andavano le ricerche sulla cellula di Schleiden e Schwann, che tentavano una riconduzione dell’individualità delle piante ad 189 Cfr. Timpanaro, Friedrich Schlegel e gli inizi della linguistica indoeuropea in Germania, cit., p. 30. 190 Sulla fortuna dell’opera di August Schleicher nella storia della linguistica dell’Ottocento si veda: K. R. Jankowsky, Development of Historical Linguistics from Rask and Grimm to the Neogrammarians, in Geschichte der Sprachtheorien, 5, hrsg. von P. Schmitter, Sprachtheorien der Neuenzeit II, Gunter Narr Verlag, Tübingen 1996, pp. 193-215, partic. pp. 203 e sgg. 191 Cfr. Steinthal, PGP (1864), pp. 18 e sgg. (pp. 199 e sgg.) e GLP (1855), intra, I, p. 232 e sgg.

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aggregati cellulari dominati da forze meccaniche e da leggi elementari della materia. Senza poter ripercorrere qui il complesso dibattito tra Schleiden e il biologo schellingiano Nees von Esenbeck, Mohl e Schultz192, diciamo solo che Steinthal nelle prime pagine di Grammatik, Logik und Psychologie prendeva le distanze dal tentativo riduzionistico di Schleiden, richiamandosi soprattutto all’Allgemeine Physiologie (1851) di Lotze e all’Handbuch (II, 1840) di Müller. L’individualità degli organismi, a suo giudizio, andava considerata come una complessità guadagnata non per aggregazione, ma per trasformazione (Umgestaltung), in modo tale che il semplice, nell’intreccio con le altre forze, divenisse in qualcosa di assolutamente diverso193. Questo significava che la vita, fosse essa situata al livello della cellula, dei tessuti o di altri costituenti, rimaneva dominata da un principio di organizzazione individuale irriducibile all’azione di forze e leggi fisico-meccaniche. Se, dunque, all’interno delle scienze era necessario far ricorso al concetto di individualità organica, a maggior ragione era necessario mantenere questo approccio olistico nell’ambito degli organismi linguistici; anche l’individualità delle lingue, come quella degli organismi naturali, non poteva essere concepita nei termini di uno sviluppo per stadi o gradi, non poteva essere sussunta entro leggi universali. Persino alla luce di una riflessione sugli esiti del dibattito biologico e botanico più aggiornato, Steinthal prendeva le distanze da Schleicher e dal nesso tra linguistica e biologia. Alla luce di quelle discussioni, era piuttosto necessario stringere il nesso tra individualità delle lingue e istinto spirituale dei popoli, e, ancora, tra individualità delle lingue e storia delle produzioni spirituali di un popolo. 192 In proposito si veda Julius Sachs, Geschichte der Botanik von 16. Jahrhundert bis 1860, Oldenbourg Muenchen 1875, pp. 202 e sgg; Olaf Braidbach, Schleidens Kritik an der spekulativen Naturphilosophie in Schleiden, Schellings und Hegels Verhältnis zur Naturwissenschaft, hrsg. von Olaf Braidbach, VCH, Weinheim 1988, pp. 1-56, Karl Mägdefrau, Geschichte der Botanik, Fischer, Stuttgart 1973, pp. 161-165; Emanuel Rádl, Geschichte der biologischen Theorien in der Neuzeit, II, Engelmann, Leipzig 1909, pp. 63-75. 193 Steinthal, GLP (1855), pp. 18-22.

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Offrono un’immagine chiara degli indirizzi di studi linguistici su citati e della eccentricità della posizione di Steinthal rispetto ad essi anche le pagine conclusive dedicate alla Sprachwissenschaft nella Encyklopädie und Methodologie der philologischen Wissenschaften (1877) di Boeckh. Nelle lezioni universitarie, di cui quest’opera postuma raccoglie le tesi fondamentali, il filologo tedesco osservava che la storia della lingua si divide in due rami, la Sprachkunde o linguistica generale e la grammatica delle singole lingue. Mentre la prima è rivolta al livello più basso dello sviluppo delle lingue, alle etimologie e ai rapporti sintattici, le grammatiche speciali indagano il lato artistico e individuale delle lingue. Proprio questa suddivisione, secondo Boeckh, aveva portato autori come E. Curtius, Schleicher e Max Müller a considerare l’ambito della Sprachkunde come la parte naturale e le grammatiche speciali come la parte storica e culturale della linguistica. Ma la lingua, scrive Boeckh, «anche in relazione alla parte naturale è un prodotto dello spirito umano e in nessun punto può essere considerata un prodotto della natura». Nel sostenere che la linguistica è sempre ricostruzione storica, Steinthal aveva agli occhi di Boeckh pienamente ragione194. b) Quest’ultima riflessione ci conduce all’indagine del ruolo che la comprensione gioca nel processo linguistico e, più in particolare, nella nascita della lingua. Nell’istituire il nesso tra origine del linguaggio e comprensione, Steinthal segue consapevolmente Humboldt: «è stato un grande servizio di Humboldt l’aver mostrato come il parlare e il comprendere si coappartengano sempre, che essi sono concetti relativi – e la domanda: come sorge la lingua? Coincide con l’altra com’è possibile la comprensione?»195. Se lo studio dell’origine del linguaggio implica la comprensione, esso non può certo risolversi nella creazione o nella scoperta di un singolo, deve 194

Boeckh, BoeEM (1877), II, pp. 726-727. Cfr. in proposito C. T. Craig, Reflex Sounds and The experiential Manifold: Steinthal on the Origin of Language in Theorien vom Ursprung der Sprache, hrsg. von W. von Rahden und J. Gessinger, W. de Gruyter & Co., Berlin 1989, pp. 523-547. 195 Steinthal, US 1 (1851), p. 12

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rimandare all’opera di una collettività, al movimento spirituale di un popolo. Quest’ultima affermazione deve essere intesa nelle sue implicazioni filosofiche. Lo spirito collettivo, abbiamo visto nel paragrafo 2, non è un’entità sovraindividuale e nemmeno la somma degli individui. A ciò possiamo ora finalmente aggiungere che esso è la struttura interindividuale che si costituisce nel linguaggio. Il comprendere, l’attività interindividuale è l’embrione della parola, letteralmente “del parlare”: «verstehen ist der Keim des Sprechens»196. Come per la tradizione dell’ermeneutica linguistica, per Steinthal, la comprensione è un evento interamente spontaneo e inintenzionale, “immediato” abbiamo detto nel paragrafo 6, riferendoci all’ “interpretazione comune”. Un evento, aggiungiamo ora, costitutivo del linguaggio: «la comprensione è il punto spirituale da cui la lingua balza fuori»197. Prima di spiegare in che senso e in che modo la lingua balzi fuori dalla comprensione reciproca, ovvero dal popolo, dall’uomo sociale, bisogna dire che Steinthal pone nella simpatia, o concordanza delle predisposizioni spirituali, la condizione di possibilità di questa comprensione originaria. Ora, la consonanza originaria o simpatia è illustrata dall’autore in diversi passaggi della sua opera. In generale viene presentata come un’analogia di tratti fisici e fisiologici e una consonanza di tonalità sentimentali ed espressive, che lega tra loro individui appartenenti a gruppi, comunità e popoli. In riferimento ad essi, scrive: «ciò che pensa l’uno lo pensa anche l’altro e l’altro articola i suoni come il primo»198. In un ospedale, un’intera sala piena di malati ha gli stessi spasimi che i malati hanno prima scorto in uno solo. La danza di San Vito, la tarantella, l’esaltazione delle baccanti, dei rivoluzionari, la sete di sangue dei terroristi, il coraggio delle truppe d’assalto, e molte altre cose, ci mostrano l’effetto di questa simpatia attraverso cui l’uomo è sospinto, senza in196

Steinthal, ZS (1857), p. 209. Steinthal AS I (1871), p. 372. 198 Steinthal, AS (1871), p. 387 e GLP (1855), intra, I/ §. 102. 197

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tenzione, qualche volta anche contro la propria intenzione, a fare quello che vede fare199.

In ragione di questa simpatia, “l’altro” entra nella sfera del “sé” sin dal processo di formazione della coscienza, e, in particolare, in quel punto in cui la coscienza si trasforma in autocoscienza. “L’altro”, come componente costitutiva del “sé”, rompe insomma l’adamantina identità dell’autocoscienza, e questa è un’altra delle ragioni per cui i confini dell’impostazione idealistica sono forzati nella direzione di una filosofia del dialogo e del colloquium200. Bisogna ora, però, soffermarsi sull’argomentazione con cui Steinthal mostra che la lingua balza fuori dalla comprensione reciproca, sulla dimostrazione che tra comprensione e lingua si istituisce un legame originario. Nel testo del 1871 lo studioso propone una finzione letterario-etnologica come exemplum che spiega la “legge”. Bisogna partire dalla premessa che affinché un suono sia significativo e diventi lingua, deve essere “inteso” o appercepito. Questo processo di appercezione del suono, di associazione del suono a una serie di sentimenti in199

Steinthal, GLP (1855) intra, I, p. 317. Johachim Wach e più tardi Gadamer, che in generale però vi accenna soltanto, si sono accorti del ruolo che il pensiero di Steinthal gioca all’interno dell’ermeneutica dell’Ottocento e in particolare dell’ermeneutica linguistica che ha preso avvio da Humboldt. Cfr. J. Wach, Die hermeneutische Lehre Steinthals in Das Verstehen, Grundzüge einer Geschichte der hermeneutischen Theorie im 19. Jahrhundert (1933), cit., pp. 207-250. Per Gadamer, soprattutto Wahrheit und Methode, Gesammelte Werke, 1, Hermeneutik/I, cit., p. 410 e Gesammelte Werke, 2, Hermeneutik/II, pp. 15, 99, 464 (scritti rispettivamente del 1985, 1968 e 1972). In proposito si veda anche M. Ferraris, Storia dell’ermeneutica, Bompiani, Milano 1988, pp. 143-147. Il testo di riferimento dell’ermeneutica linguistica è la terza parte di Verità e metodo: Svolta ontologica dell’ermeneutica lungo il filo conduttore del linguaggio. Sull’ermeneutica linguistica all’interno del dibattito filosofico contemporaneo si vedano: Donatella Di Cesare, Essere e linguaggio nell’ermeneutica filosofica in “L’essere che può essere compreso, è linguaggio”. Omaggio a Hans-Georg Gadamer, a cura di D. Di Cesare, Il Melangolo, Genova 2001, pp. 7-27 e Id., Utopia del comprendere, Il Nuovo Melangolo, Genova 2003. Sull’ermeneutica linguistica di Humboldt si veda la già citata introduzione di Donatella Di Cesare a HuDL, in particolare pp. LXXXIV e sgg. 200

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terni ed eventi esterni, può avvenire solo attraverso il vedere rispecchiato nell’altro, in chi ascolta, lo stesso sentimento che il suono suscita in chi parla. Due uomini primitivi, ad esempio, imparano ad associare l’urlo al sentimento di pericolo e alla circostanza rischiosa insieme. Vedo un pericolo, lo temo ed emetto un urlo. Qualcuno ascolta l’urlo, esso risveglia in lui l’immagine del pericolo e lo induce a scappare. Così, vedendo l’altro, imparo che l’urlo da me emesso è associato al sentimento di paura emerso al cospetto di una certa immagine; vedendo rispecchiato nell’altro il legame che si istituisce tra suono e interiorità, capisco quello che si era istituito in me, capisco il significato del suono e da ciò sgorga la prima forma di autocoscienza, l’autocoscienza linguistica201. Il suono si trasforma in lingua, dall’urlo balza fuori la parola, solo perché l’urlo è stato compreso attraverso l’altro, solo perché l’altro mi ha offerto un’immagine speculare di me. «Colui che parla», spiega Steinthal, «comprende se stesso e il suo suono, comprendendo colui che ascolta, il quale attraverso il suo fare e i suoi suoni, dà notizia che ha accolto la sensazione di chi parla per ciò che veramente è»202. Pertanto la comprensione è posta nel cuore stesso del processo di formazione dell’autocoscienza, lì dove sgorgano la lingua e la prima percezione di sé. «Autocoscienza linguistica», continua l’autore «significa comprendere se stessi, comunicazione, di colui che parla, con se stesso», ma uno si comprende solo dal momento che si vede «comprendere dall’altro» e questo «è l’inizio della lingua»203. Per questo Steinthal definisce la lingua «il prodotto dello spirito collettivo, la sua autocoscienza»204. L’uomo – scrive nel 1855 – in origine, pensa sempre in comunità e pensare è per l’uomo primitivo parlare. Egli parla con l’altro perché è uomo con l’altro e perché l’essere uomo è pensare, e il pensare umano è originariamente parlare; di conseguenza il convivere è colloquio205. 201

Steinthal, AS (1871), pp. 372-375 (§§. 498-500). Steinthal, AS (1871), p. 385. 203 Steinthal, AS (1871), p. 386. 204 Steinthal, AS (1871), p. 387. 205 Steinthal, GLP (1855) intra, I, p. 317. 202

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E nel 1860: la lingua ha particolare importanza per la formazione dello spirito del popolo stesso [giacché] in quanto organo universale dell’appercezione spirituale, causa l’appercezione di una persona per mezzo di un’altra persona, attraverso il cui processo, le persone si accolgono reciprocamente l’una nell’altra in modo tale da costituire un popolo e da determinare in sé lo spirito del popolo206.

Attraverso la lingua, dunque, non si appercepisce solo il proprio mondo interiore, come abbiamo detto nel paragrafo precedente, ma contemporaneamente si appercepiscono gli altri e il mondo interiore degli altri. È questa la ragione vera per cui è necessario passare dall’individuo inteso come monade all’individuo sociale, la vera ragione per cui è necessario passare da una psicologia individuale a una psicologia collettiva o dei popoli: «l’individuo non può esser compreso perfettamente senza il riferimento alla comunità spirituale in cui è nato e vive»207. La possibilità stessa della comunicazione come dato empirico-pragmatico non poggia sugli atti linguistici degli individui singolarmente intesi, ma sul fatto che una previa comprensione tra essi sia già avvenuta. Lo spirito storico-individuale, insomma, è sempre intrecciato allo spirito collettivo, è un prodotto dell’interazione spontanea e simpatetica degli uomini. Lì dove la simpatia originaria capace di produrre la comprensione s’interrompe, scompare anche la possibilità che ci si capisca attraverso la comunicazione intenzionale. Lo si vede in ogni fenomeno della vita quotidiana: «ascoltate le dispute dei partiti e apprenderete come risuona ininterrottamente: voi non ci capite»208! c) Bisogna chiedersi, infine, quali siano le implicazioni ideologiche dell’interpretazione dell’origine del linguaggio proposta dallo studioso. Da un lato, in linea con una consistente tradizione della filosofia sensistica e materialistica 206

Lazarus-Steinthal, EGV (1860), intra, II, p. 40. Steinthal, GLP (1855) intra, I, p. 388. 208 Steinthal, AS (1871), p. 387. 207

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del Settecento, Steinthal ritiene che il linguaggio nasca dal basso, abbia origine ferina. Esso, come s’è visto, è anzitutto un movimento riflesso, si sviluppa come effetto della complessione fisica e dell’organizzazione funzionale del sistema nervoso dell’uomo, «quot membra tot linguae», scrive l’autore nel 1855 e ripete nel 1871. D’altro lato, però, gli elementi che abbiamo appena descritto: la comprensione originaria, la tonalità spirituale, la simpatia da cui promana la forma interna della lingua di un popolo, rimandano a un dato essenzialmente connaturato all’uomo in quanto uomo. L’elemento davvero notevole della concezione di Steinthal è che questa struttura spirituale, pur essendo qualcosa di qualitativamente diverso, non è separata e priva di rapporti con la complessione fisica, con il contesto ambientale ed etologico. Prima di mostrare quali siano le trame di questo rapporto tra costituzione psichica e fisica, va subito osservato che nell’attribuzione all’uomo di una struttura psico-fisica invariabile si annida lo spettro dell’origine divina o soprannaturale dei fenomeni linguistici, che Steinthal aveva così fieramente combattuto nei suoi predecessori, senza davvero riuscire a estirparla da sé. Lo studioso, infatti, nella fase centrale della sua meditazione, innalza un vallo tra la costituzione corporea dell’uomo e quella degli animali. La sua argomentazione richiama le pagine dedicate da Herder al confronto tra uomo e animale nel Saggio sull’origine del linguaggio (1772). Pagine, in cui il filosofo tedesco interpretava la carenza di forti istinti e di attitudini specifiche innate nell’uomo, la mancanza di un contesto ambientale adatto alla sua costituzione, il suo svantaggio fisico, insomma, come un vantaggio spirituale. La facoltà o potenza del linguaggio, infatti, costituiva per Herder, secondo l’espressione di Gehlen, il risarcimento per quella dispersione degli appetiti, un privilegio, per l’uomo, che scaturisce dal «centro della sua deficienza»209. Steinthal affronta la questione in un paragrafo del libro del 1855, poi ripreso nel 1871: 209 J. G. Herder, Saggio sull’origine del linguaggio (1772), ed. it. a cura di A. P. Amicone, Pratiche editrice, Parma 1995, pp. 46-58 e A. Gehlen, L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, tr. it. a cura di C. Mainoldi, Feltrinelli, Milano 1983, p. 112.

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Comparazione dell’anima degli animali e degli uomini 210. La forza delle sensazioni dovuta alla particolare ricettività degli organi sensori degli animali è ignota agli uomini, ma la tenue ricettività degli organi umani è compensata da una loro maggiore interconnessione. Dallo svantaggio fisico, così, l’uomo ricava un vantaggio per l’organizzazione complessiva della vita interiore. In lui il movimento riflesso non esaurisce l’energia interiore e questa, pertanto, può accumularsi e conservarsi fino a creare un’eccedenza capace di dar corso alla vita dello spirito. La lingua è l’effetto di questa eccedenza, rientra nella sfera delle energie non consumate. Lo si è già detto, Steinthal, facendo tesoro dell’analisi fisiologica e psicologica più avanzata di quegli anni, desiste dalla seduzione secolare di isolare la psyché dal soma. E, tuttavia, questo notevole risultato non basta a mettere fuori pericolo la nozione di uomo da una sua sussunzione entro la sfera dei concetti religiosi. Si legga questo passaggio: potremmo esprimere la differenza tra anima umana e animale, dicendo, brevemente, che l’animale ha un’anima; ma l’anima umana non è, in senso proprio, anima, bensì spirito sopito e diverrà spirito desto nel momento in cui è scomparsa una certa pressione e si è accumulata una certa forza […] l’anima animale è l’anima cristallizzata; l’anima umana, al contrario, è lo spirito già presente, ma non ancora giunto a maturazione211.

Il linguaggio, o lo spirito, è dunque una disposizione essenziale che appartiene solo all’uomo e gli appartiene in potenza, è a dire da sempre e per sempre. Per quanto la lingua non sia manifestazione delle funzioni alte dell’intelletto, per quanto sgorghi spontaneamente e in modo inconscio e per quanto, tra le disposizioni spirituali, sia la meno lontana dalla vita biologica, nel presupposto che l’uomo, tra i viventi, sia l’unico in grado di sviluppare lo spirito, che egli sia da sempre depositario del germe potenziale della lingua, rimane un retaggio 210 211

Steinthal, GLP (1855), pp. 271-292 e AS I (1871), pp. 332-358. Steinthal, GLP (1855), intra, I, p. 302.

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dell’origine divina del linguaggio. La sua essenza linguistica, infatti, pone l’uomo, come nella tradizione biblica, al centro dell’universo, gli assegna una superiorità di grado, un privilegio di rango e lo rende signore della storia, da cui gli altri esseri sono destinati a rimanere esclusi. Lo spirito linguistico, che non si forma storicamente, è posto “per essenza”, e dunque, lo si voglia o no, rimanda al concetto di creazione. Nella terza edizione (1877) di Der Ursprung der Sprache, Steinthal, sospinto dal suo allievo prediletto Glogau a rimeditare il problema dell’origine della lingua in rapporto alla teoria della discendenza, dichiarava e criticava il suo stesso errore e denunciava il formalismo della prospettiva antropocentrica212. Chiariva che il genus homo non deve essere concepito come una specie astratta, predisposta da sempre a processi psicologico-linguistici stabili 213. L’uomo, piuttosto, come insegna la teoria della discendenza, è un prodotto della storia delle specie e le leggi che presiedono alla formazione della coscienza sono anch’esse storiche. Quando sgorga la lingua, quando il primo universo dei significati sorge, sorge la coscienza e con essa l’uomo, che non può preesistere a quell’evento. Nascendo alla storia, l’uomo nasce sempre di nuovo, sempre diverso, come sempre nuova e diversa è la parola che sgorga. Steinthal dispiega così il piano di un’antropologia storica e culturale e, nella fase conclusiva del suo pensiero, propone una riconsiderazione complessiva dei rapporti di psicologia generale e psicologia dei popoli, di scienza e storia: La psicologia generale ha solo a che fare con leggi e forme astratte dei processi spirituali. La lingua, però, è una creazione concreta […] pertanto si mostra che la psicologia generale, mentre da un lato costituisce la base razionale per la psicologia dei popoli, dall’altro dipende da quest’ultima. Si mostra che le forme e leggi stesse dei processi psichici hanno uno sviluppo storico214. 212 Glogau, Zur Seelenfrage. Kritik von Steinthals Ansicht über Menschen- und Tierseele in ZVS, VIII (1875), pp. 385-428. In proposito, cfr. Meschiari, Psicologia della forme simboliche, cit., pp. 130-135. 213 Steinthal, US 3 (1877), pp. 304 e sgg. 214 Steinthal, US 3 (1877), pp. 305-306.

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Dal momento che la lingua non è una disposizione essenziale data da sempre e posta per sempre, dato che essa, come l’uomo con cui coincide, non è una categoria metafisica stabile, non può nemmeno essere considerata soggetta a leggi eterne. La psicologia dei popoli, secondo queste riflessioni conclusive, deve essere concepita non solo come una psicologia sociale, che studia la lingua come fenomeno originariamente collettivo, inscindibile dalla comprensione reciproca e dall’inclusione dell’altro nella sfera dell’io, ma anche come fenomeno eminentemente storico, che studia la nascita dell’uomo in un momento preciso di una connessione più ampia, rappresentata dalla specie. La psicologia generale, pertanto, deve poggiare sullo studio storico-genetico dei fenomeni psichici collettivi e assumere le leggi solo in via ipotetica. Questo consente di attribuire alle stesse leggi psicologiche un carattere contingente, di porre tali leggi in rapporto alle connessioni complessive del pensiero, di intenderle in termini genetici. Anche qui si tratta di una concettualità che si arrichisce di determinazioni sempre nuove ed è indefinitamente integrabile. 10. Classificazione delle lingue a) Come il problema dell’origine del linguaggio, quello della classificazione delle lingue ha una lunga storia e notevoli implicazioni ideologiche. Nel corso dell’Ottocento dare una classificazione delle lingue significò spesso esprimere un giudizio di valore sui popoli che le parlavano. Uno dei luoghi comuni della teoria della classificazione fu, ad esempio, l’assegnazione di un primato alle lingue flessive del ceppo indoeuropeo, o, come a volte ci si esprimeva, indo-germanico215. Al primato linguistico era poi associato quello spirituale e morale, sociale ed economico. Il primato linguistico si configurava così come il segno più tangibile della civiltà che sopravanza la barbarie, dell’uomo colto destinato a educare il selvaggio, e dei vari altri binomi oppositivi che funsero via via 215

Cfr. intra, II/ nota 28.

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da copertura ideologica per la violenza perpetrata contro popoli e territori di conquista nella prima fase dell’imperialismo ottocentesco. Esemplare in questo senso sono le vicende di Friedrich Schlegel e del barone Eckstein, le cui riflessioni sulla lingua s’intrecciavano a filosofie della storia teleologiche e gerarchiche, ma questo nesso potrebbe essere seguito in molti altri pensatori della prima metà dell’Ottocento. Celine Trautmann-Waller, nella sua monografia su Steinthal, scrive: Steinthal critica i principi allora in voga di classificazione delle lingue in ragione delle gerarchie che implicano e dell’ideologia della superiorità delle lingue indoeuropee, ovvero dei popoli indoeuropei che le hanno fondate. Egli contribuisce in questo modo a far evolvere la classificazione verso una tipologia, organizzata a suo parere attorno alla nozione di «forma interna»216.

Prendendo spunto da queste riflessioni, in quest’ultimo paragrafo, dobbiamo valutare in che misura la teoria della classificazione di Steinthal contribuisca a quella trasformazione del concetto classico di umanesimo, che abbiamo proposto come contenuto filosofico del suo pensiero. A mio parere, se Steinthal taglia davvero i ponti con il paradigma indoeuropeo e apre alla tesi dell’equipollenza di lingue flessive e cinese, la sua classificazione – come accennavo all’inizio di questo saggio – non rompe interamente con un paradigma spiritualistico e valutativo e rimane segnata da forti tensioni e oscillazioni. Di ciò può essere forse utile, in conclusione, cercare di intendere le ragioni. La gran parte dei tentativi di suddivisione delle lingue proposta dai comparatisti e dagli storici della prima metà dell’Ottocento, a partire da Friedrich Schlegel fino a Pott, poggia su un modello di classificazione lineare e progressivo. Alla base di esso stanno le lingue isolanti come il cinese: lingue prive di rapporti grammaticali, costituite solo da elementi materiali o 216 Trautmann-Waller, Aux origines d’une science allemande de la culture, cit., p. 10.

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da radici. Più in alto si trovano le lingue agglutinanti, costituite da elementi materiali congiunti a elementi formali, normalmente individuati nelle desinenze; e all’apice le lingue flessive, in cui le radici creano le desinenze, piuttosto che associarsi ad esse in modo meccanico, come avviene nelle lingue agglutinanti. Rispetto a questo modello generale, naturalmente, i linguisti tedeschi della prima metà dell’Ottocento dibatterono e si divisero anche su punti sostanziali. Bopp, ad esempio, riconduceva le desinenze del sanscrito, cioè della lingua flessiva per eccellenza, a radici pronominali originariamente separate, riducendo così la flessione a processi più raffinati di associazione meccanica. Nella dissertazione dottorale del 1847 sul pronome relativo anche Steinthal attribuisce al pronome una funzione linguistica materiale217, ma non, come fa Bopp, per sottolineare la natura meccanica dell’associazione di desinenze e radici, bensì per mostrare che anche i processi di agglutinazione sono forme rozze di flessione. Ciò a suo giudizio suggeriva che le lingue allora considerate agglutinanti, come il tartaro, il finnico, il turco, sono, come quelle propriamente flessive, lingue provviste di forma. In questo modo iniziava a prender corpo in Steinthal l’idea che alla tripartizione morfologica classica fosse necessario sostituire una bipartizione fisiologica di tutte le lingue entro le classi delle lingue provviste di forma (Sprachen mit Formen o Form-Sprachen) e delle lingue prive di forma (Formlose Sprachen). A partire dal saggio sulla classificazione del 1850, fino al libro sui principali tipi delle strutture linguistiche del 1860, l’autore lavorò a supportare teoreticamente ed empiricamente questa tesi218. Anche in questo caso, in polemica con Pott, Steinthal riteneva che la classificazione così concepita potesse essere tratta da una lettura selettiva dell’opera di Humboldt219. Già da alcuni passi dell’Introduzione alla Lingua Kawi, infatti, si evinceva che la tripartizione delle lingue in flessive, agglutinanti e isolanti è astratta perché in ciascuna lingua è dato trovare sia processi di flessione sia processi di agglutinazione sia processi misti, 217

Steinthal, PR (1847), pp. 11. Steinthal, CS (1850), pp. 80 e sgg. e Steinthal, CTS (1860), p. 327. 219 Steinthal, OP (1852), pp. 8-9. 218

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mentre la bipartizione è concreta perché, lasciate da parte le suddivisioni estrinseche, rimanda soltanto alla capacità dello spirito dei popoli di creare strutture grammaticali. Se i processi di agglutinazione e flessione si trovano in misura diversa in ogni lingua provvista di grammatica, se non è possibile separare nettamente tra lingue agglutinanti e flessive, l’unica differenza che è possibile tracciare tra le lingue è la differenza tra quelle provviste e quelle prive di forme grammaticali. Le lingue provviste di forma, secondo Steinthal, sono quelle lingue che hanno sviluppato elementi formali propriamente linguistici, le lingue prive di forma quelle che non hanno avuto la forza di farlo ed esprimono i rapporti del pensiero soltanto attraverso elementi linguistici materiali220. La bipartizione individuata da Steinthal, dunque, poggia sul principio che grammatica e logica siano separate, che le forme del pensiero, le relazioni concettuali, non abbiano un corrispettivo linguistico necessario, ma possano essere espresse sia da elementi linguistici propriamente formali sia da elementi linguistici materiali. La tripartizione classica, al contrario, poggiava proprio sull’assunzione del punto di vista della grammatica-logica. Infatti, se le relazioni tra i concetti, le forme del pensiero, coincidono con quelle della lingua, le lingue isolanti, prive di elementi formali, occupano il gradino più basso della classificazione perché non possono esprimere adeguatamente i rapporti tra i concetti, mentre le flessive, in cui gli elementi formali si trovano in grado più alto e complesso, occupano l’apice. Una volta, però, che la corrispondenza di forme del pensiero e della lingua è spezzata, è possibile riconoscere a lingue radicali, come il cinese, o ad altre lingue agglutinanti, la capacità di esprimere a pieno, da un punto di vista materiale, i rapporti concettuali. E quando si voglia stabilire che posto, ad esempio, il cinese occupi all’interno della classificazione delle lingue, bisognerà tornare a studiarlo da un punto di vista prettamente linguistico e senza occuparsi delle forme concettuali, bisognerà cioè intendere in che modo il cinese è stato capace di sopperire alla povertà di forme grammaticali e guadagnare un posto all’apice della classifica220

Steinthal, GLP (1855), intra, I/ §§. 127 e 128.

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zione, accanto a lingue flessive “esemplari” come il sanscrito e il greco. L’unico criterio valido, oggettivo, per la classificazione rimane dunque la forma interna della lingua, mentre le partizioni legate ai suoni e quelle legate all’espressione dei rapporti concettuali sono valutate per quel che sono, criteri soggettivi e arbitrari221. È questo il punto di vista argomentato nell’ultimo capitolo di Caratteristica dei principali tipi di struttura linguistica (1860): le lingue stesse devono dirci come stanno l’una rispetto all’altra; noi dobbiamo interrogarle ed esse stesse devono rivelarsi a noi come gradi determinati dello sviluppo. Dobbiamo volgerci alla loro essenza interna […] la critica oggettiva non crea o assume nessun criterio, ma lascia che esso si dia222.

Non giudicare le lingue secondo criteri extralinguistici (logici o univocamente fonetici), evincere l’ordinamento e la disposizione delle lingue secondo una misura interna, significava, oltre tutto, sottrarre la classificazione a logiche soggettive, a interessi inconsciamente o consciamente “politici”, in definitiva, eradicarla dal sottobosco delle ideologie. Fin qui senz’altro Steinthal si divincola dalle interpretazioni gerarchie e dai criteri allotri – anzitutto quello della logica – su cui quelle gerarchie sono fondate. La questione che a questo punto si pone, però, è se Steinthal, con ciò, sia compiutamente riemerso dalle secche in cui larga parte della cultura e della mentalità romantica ottocentesca restava impigliata. A ben guardare a questa domanda bisogna rispondere negativamente. La visione gerarchica delle lingue e dei popoli non era davvero scalzata, giacché ciò avrebbe richiesto una riformulazione in maggior misura radicale dell’immagine dell’uomo, avrebbe richiesto un’antropologia costruita a partire dalla singolari221 In proposito si veda Mario Barba, Lautform, innere Sprachform, Form der Sprachen: Il problema della comparazione e classificazione delle lingue in Heymann Steinthal in Leibniz, Humboldt and the Origins of Comparativism, hrsg. Von Tullio De Mauro und Lia Formigari, John Benjamins, Amsterdam und Philadelphia 1990, 263-280. 222 Steinthal, CTS (1860), p. 312.

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tà e irriducibilità dei bisogni materiali e spirituali dei popoli. La gerarchia piuttosto, nel quadro di Steinthal, subiva uno spostamento dall’esterno all’ “interno”. Una volta sciolte da criteri soggettivi e allotri di classificazione, infatti, le lingue presentano comunque agli occhi di Steinthal, una progressione, delineano comunque una scala di valori ascendenti. Da un lato l’autore afferma che la classificazione non permette una comparazione tra le lingue, giacché ciascuna lingua realizza un concetto linguistico caratteristico, è un sistema chiuso, indifferente ai concetti realizzati dalle altre: «il porre un livello più basso e uno più alto è un’operazione che rimane estranea alla lingua stessa, un fare soggettivo; come il “comparare” è in generale un’attività soggettiva dal momento che le cose non si comparano tra di loro»223. In questa stessa direzione vanno altre affermazioni che è possibile rintracciare nelle opere dallo studioso dedicate a questo problema. L’affermazione, ad esempio, dell’impossibilità di una progressione lineare della classificazione o quella della coincidenza dell’idea della lingua con l’organismo di tutte le lingue e, infine, il paragone dell’ “organismo” a un albero i cui rami volgono da ogni parte, intrattenendo l’un con l’altro molteplici rapporti224. Tutte tesi, che testimoniano l’equipollenza e la pari dignità delle lingue e dei principi individuali che le sorreggono. Eppure, in altre pagine di quella stessa opera, si legge che il compito della classificazione è quello «di esporre il progresso che nelle diverse lingue dà notizia di sé», «i diversi gradi del loro ascendere», la misura della loro perfezione o compiutezza. E, se ogni lingua persegue un fine suo e “nei singoli casi” non può essere deciso per l’una o per l’altra, è pur vero che «nella classificazione delle lingue, nel complesso, una scala si dà»225. Affermazioni, dunque, che vanno nel senso opposto, di una interpretazione gerarchica. Non meno tormentata è l’enunciazione dei criteri di qualificazione delle differenze tra le lingue. Essa fa perno su una teoria teleologica di stampo naturalistico, che dispiega i con223

Steinthal, CTS (1860), p. 314. Steinthal, CTS (1860), p. 105. 225 Steinthal, CTS (1860), p. 106. 224

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cetti di bisogno, fine, forza, capacità226 e ricorda da vicino modelli di classificazione delle scienze del vivente, ancora intrisi di aristotelismo: l’uomo trova nella scimmia e nella rosa capacità, forze, momenti concettuali che nel polipo e nel fungo non sono presenti, e dal momento che attraverso la considerazione di questi ultimi conosce una carenza è sospinto più in alto. – Con la stessa evidenza – abbiamo nostalgia, nel birmanico, di qualcosa che conosciamo dal greco e pertanto siamo sospinti da quello a questo227.

Steinthal sottolineò sempre la dimensione storico-spirituale delle lingue e quindi l’utilizzazione di modelli classificatori naturalistici non è volta a comprimere le lingue entro una dimensione materiale e biologica, ma è volta alla determinazione di una «misura oggettiva» della classificazione, che si «mostri da sé». Oggettiva e non soggettiva, spirituale e non materiale, questa “misura interna” mostra, comunque, che nel birmanico manca qualcosa che è invece presente nel greco e pertanto, “nel complesso”, una scala di valore delle lingue, oggettiva e spirituale, si dà228. Al di là delle forti oscillazioni che si sono dette, nell’organismo delle lingue si profila uno sviluppo per stadi (Stufenentwickelung) secondo cui non tutte le lingue e non tutte le culture hanno pari dignità spirituale: vi sono lingue prive di forma (le polinesiane, altaiche, messicane, azteche)229 e popoli privi di cultura, scrittura e storia. Le categorie di “perfezione della lingua”, “civiltà” e “storicità dei popoli”, come si vede, non vengono completamente abbandonate. L’individuale, certo, non è più assoggettato al movimento dell’universale, ma in esso tuttavia l’universale si esprime in gradi di compimento diversi. In conclusione bisogna dire che, se la visione gerarchica non è più fondata sulla teoria dei gradi ascendenti della co226

Steinthal, CTS (1860), 314. Steinthal, CTS (1860), p. 315 e 316. 228 Steinthal, CTS (1860), 313. 229 Steinthal, CTS (1860), pp. 148-230. 227

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scienza o sul paradigma indo-europeo, con le venature nazionalistiche che vi si addensano, essa permane come qualificazione del diverso sviluppo psicologico-linguistico dei popoli. La scala gerarchica qui ha mutato pelle, il ceppo indoeuropeo non ne occupa più l’apice; accanto ad esso, pari per valore, si trovano il ceppo cinese e quello semitico. Ciò, tuttavia, non fa retrocedere Steinthal dall’idea che una gerarchia esista, semplicemente tale gerarchia è costruita su un modello storicopsicologico piuttosto che naturalistico. b) La distinzione tra gerarchia naturalistica e storico-psicologica dà luogo nell’Ottocento a forme differenti di giustificazione della superiorità dei popoli. È noto che le teorie antropologiche ed etnologiche fondate sulla nozione di razza ed elaborate soprattutto nella prima metà di quel secolo, hanno spesso svolto una funzione di copertura ideologica delle forme più abiette di sfruttamento e sterminio. Le teorie razzistiche producevano una despecificazione di tipo naturalistico230, nel cui quadro erano motivati ora la tratta degli schiavi ora lo sterminio di massa dei pellerossa d’America, quello degli idigeni del Congo per mano dei belgi, quello della setta indiana dei Thugs da parte degli inglesi e molte altri delitti di massa avvenuti nelle prime fasi del colonialismo. Anche le persecuzioni e le ghettizzazioni degli ebrei a partire dall’Ottocento sono giustificate con i modelli argomentativi della despecificazione naturalistica, piuttosto che con il ricorso alla tradizionale accusa di deicidio231. La classificazione delle lingue e dei popoli proposta da Steinthal, con tutte le oscillazioni che si sono viste e che è sempre utile tenere a mente, è d’altro tipo, essa rientra nel quadro di una despecificazione che potremmo definire psichico-spirituale. In questo caso, ai popoli non è assegnato un valore sul piano dei caratteri somatici, della struttura fisica o più in generale sul piano biologico, ma su quello dello sviluppo psichico e delle forme di conviven230 Cfr. in proposito D. Losurdo, Il revisionismo storico. Problemi e miti, Roma-Bari, Laterza 2002. 231 Cfr. G. Rota, Intellettuali dittatura razzismo di stato, Franco Angeli, Milano 2008.

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za civile. Per questo, i popoli selvaggi non vengono espunti dal genere umano in via definitiva, non sono cioè destinati a rimanere esclusi dal genere umano per sempre, ma fintanto che il loro svantaggio storico-psichico non sia colmato. Si ricordi il passo, precedentemente citato, in cui Steinthal scrive di non voler affermare che alcuni popoli sono «assolutamente incapaci di pervenire a vita storica», ma «solamente la loro relativa incapacità», vale a dire che essi sono destinati in un futuro più o meno lontano – più lontano i popoli non storici, meno lontano quelli preistorici – a un pieno ingresso nella storia232. Proprio questa possibilità di progredire, almeno in linea di principio, legittima l’opera di pedagogizzazione e civilizzazione compiuta dai “popoli storici” a favore di quelli non storici o non ancora storici. In conformità a un siffatto ragionamento – secondo l’indicazione di Croce – uno studioso attento e un acuto interprete della psicologia dei popoli come Labriola, rispondeva alla domanda di uno studente, sui metodi da adottare con un ipotetico papuano, dicendo che «provvisoriamente» lo avrebbe fatto schiavo, «salvo a vedere se pei suoi nipoti e pronipoti si sarebbe potuto cominciare ad adoperare qualcosa della pedagogia» dei popoli civili233. Come mostra questo episodio, tanto più significativo per il fatto che Antonio Labriola era, al tempo, certo il massimo teorico italiano del materialismo storico, la despecificazione su base etico-psicologica si prestava bene a offrire una copertura ideologica, se non allo sterminio o alla schiavitù, alle conquiste coloniali e alle guerre di civiltà. Le questioni discusse nelle università da glottologi, antropologi e filosofi del linguaggio, come si vede, non erano avulse dal dibattito politico europeo e americano sulle colonie. Appena un anno dopo la pubblicazione del testo di Steinthal sulla classificazione – per richiamare un altro evento emblematico – nel continente nord-americano, deflagra la guerra tra unionisti e stati confederati del sud che porterà all’abolizione della schiavitù, 232

H. Steinthal, PGP (1864), p. 40 (p.221). Riportato in B. Croce, Conversazioni critiche, serie II, cap. XIV, Laterza 19242, pp. 60-61. 233

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ma da cui non seguirà la sospensione dell’ondata di conquiste imperialistiche nelle Filippine o nel continente meridionale, da cui non seguirà cioè l’interruzione dell’opera civilizzatrice dei popoli storici nei confronti di quelli che ancora rimanevano esclusi dalla storia. In definitiva, la teoria della classificazione, con la sua insistenza sul valore spirituale delle lingue rompe con il conferimento di dignità alle razze su base biologica, ma negli esiti, non si pone completamente al di fuori di un paradigma spiritualistico fortemente gerarchizzante, un paradigma che esercitò un certo peso sul dibattito pubblico e funse spesso da copertura per la politica espansionistica delle potenze occidentali. Ciò mostra una difficoltà anche di forme scientificamente avanzate e progressive della cultura europea della seconda metà dell’Ottocento di sottoporre a una critica radicale quella eredità ideologica, punto di convergenza di romanticismo e illuminismo, che ipostatizza un’immagine ideale dell’uomo e delle sue forme.

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IV. BREVISSIMI CENNI DI STORIA DELLA CRITICA L’interpretazione su esposta del pensiero di Steinthal può forse risultare utile a chiarire in una prospettiva unitaria i suoi riferimenti molteplici alla tradizione humboldtiana, hegeliana, herbartiana e alla filologia-ermeneutica dell’Ottocento. È necessario conseguire un punto di vista unitario sul pensiero dell’autore, giacché rimanendo ancorati a letture che prendono in esame singoli aspetti della sua opera, si rischia di lasciar dileguare la sua fisionomia in un moto centrifugo. Allora si dirà che in lui hanno agito modelli scientifici eterogenei, che la sua psicologia non si salda davvero con il suo idealismo linguistico e con la prospettiva ermeneutica. A Steinthal non è forse possibile assegnare uno scranno nell’Eden dei grandissimi, ma è giusto riconoscere l’originalità e l’unità del suo pensiero. Come ha scritto Ingrid Belke, Steinthal «ha percorso la sua strada e ha pensato a modo suo»234. La psicologia e l’ermeneutica del linguaggio di Steinthal s’inseriscono in un orizzonte filosofico che ruota attorno al concetto di genesi. Il passaggio dalla dialettica alla teoria genetica implica la rivalutazione dell’elemento individuale e concreto a fronte di quello universale. E ciò non per recidere i nessi tra i due, ma per valutare l’universalità, l’idea, a partire dal suo “nascimento”. È il metodo genetico che consente, ad esempio, di criticare la nozione essenzialistica di lingua e interpretare i fenomeni lingustici a partire dal corpo, dalla comprensione e la simpatia tra le coscienze e dalla storicità del loro legame. In questo idealismo eretico, che offre la possibilità di spiegare il linguaggio a partire dai suoi processi costitutivi e 234

BelLS, II/1, p. XVII.

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di spiegare la coscienza a partire dal linguaggio, mi sembra risieda l’interesse dell’opera di Steinthal anche per il pensiero contemporaneo, in cui spesso avviene che linguaggio ed esperienza, linguaggio e coscienza rimangano separati e isolati. A questo punto, può essere forse utile delineare brevemente la storia recente delle interpretazioni di Steinthal, anche per collocare meglio quella che abbiamo proposto235. La ripresa d’interesse per Steinthal – dopo un lungo periodo di silenzio seguito alla sua morte, rotto solo da qual235 Quanto si dirà di seguito è riferito alla storia della critica del pensiero di Steinthal a partire dal 1965. Per il periodo precedente si veda l’ultimo capitolo di Céline Trautmann-Waller, Aux origines d’une science allemande de la culture, cit., pp. 263-296. In proposito preme solo ricordare quanto segue. Nell’Ottocento è apparsa una monografia sul pensiero di Steinthal per mano del suo allievo di Berlino Gustav Glogau. Il testo di Glogau, invero, è centrato sugli aspetti meno rilevanti del pensiero dell’autore e consiste nel tentativo di ridurre in formule le leggi psicologiche individuate nel primo volume del Abriß der Sprachwissenschaft. Cfr. G. Glogau, Steinthals psychologische Formeln zusammenhängend entwickelt, Dümmler, Berlin 1876. Glogau e Steinthal intrattennero, tuttavia, un lungo carteggio, utile anche ai fini della ricostruzione delle idee preparatorie agli scritti composti tra il 1874/75 e il 1885 (Cfr. BelLS II/1). In merito ai temi del carteggio e alla differenza di spessore tra i due studiosi si veda l’introduzione preposta da Belke al primo tomo del II volume: BelLS, II/1, pp. XIV-XXXVI. Per l’incidenza del pensiero di Steinthal sulla filosofia italiana dell’Ottocento cfr. Eugenio Garin, Antonio Labriola e i saggi sul materialismo storico in A. Labriola, La concezione materialistica della storia, a cura di E. Garin, Laterza, Roma-Bari 19765, VII-LXV; Nicola Badaloni, Il marxismo di Gramsci. Dal mito alla ricomposizione politica, Torino 1975, pp. 3-29; Stefano Poggi, Antonio Labriola: herbartismo e scienze dello spirito alle origini del marxismo italiano, Longanesi, Milano 1978; A. Meschiari, Per una storia dell’herbartismo in Italia in «Rivista di filosofia», n. 16 (feb. 1980), pp. 98-124; Beatrice Centi, Antonio Labriola, dalla filosofia di Herbart al materialismo storico, Dedalo, Bari 1984; Sandro Barbera, Labriola e il positivismo. Alcune osservazioni in Antonio Labriola nella cultura europea dell’Ottocento, a cura di F. Sbarberi, Presentazione di E. Garin, Manduria-Bari-Roma 1988, pp. 251279; Luciano Dondoli, Genesi e sviluppo della teoria linguistica di Benedetto Croce, I, Bulzoni, Roma 1988; Davide Bondì, Il giovane Croce e Labriola. Ricezione e circolazione della Völkerpsychologie in Italia alle soglie del Novecento in «Rivista di storia della filosofia», 4/2004, pp. 895-920 e Id., Il problema dell’unità della storia. Antonio Labriola e Heymann Steinthal in Antonio Labriola. Celebrazioni del centenario della morte, a cura di Luigi Punzo, Vol. III, Università degli studi di Cassino, Cassino 2006, pp. 603-622.

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che sporadico riferimento che, però, è possibile rintracciare nelle opere di pensatori del calibro di Bertrando Spaventa, Dilthey, Labriola, Croce, Cassirer e Benjamin – ha avuto inizio con una monografia apparsa nel 1965 a firma di Waltraud Bumann, in cui sono presentate le linee principali del pensiero di Steinthal in rapporto alla linguistica e alla psicologia dell’Ottocento236. Bumann ha certo proposto un’indagine storiograficamente accurata e analitica, da cui emerge un’immagine dell’opera di Steinthal filologicamente fedele. E, tuttavia, rimane l’impressione che questo studio non chiarisca sufficientemente la specificità del pensiero di Steinthal. Tanto che una volta stabiliti riferimenti a Humboldt, Herbart, Böckh e, sullo sfondo, Hegel, risulta difficile comprendere quale sia, e se vi sia stato, al di là dell’applicazione delle categorie psicologiche herbartiane alla linguistica, un suo contributo specifico alla storia delle idee. Poco più tardi, a partire dal 1971, Ingrid Belke avviava l’edizione critica dei carteggi, portandola a termine nel 1986 con la pubblicazione di due poderosi volumi (il secondo costituito da due tomi)237. Dai carteggi emerge un’immagine concreta della vita e degli studi di Steinthal nel panorama del dibattito politico e scientifico della seconda metà dell’Ottocento, in un frangente estremamente significativo per l’Europa e per la Prussia. Si tratta di un affresco davvero originale della realtà scientifica, sociale e politica del tempo perché originale è la prospettiva da cui l’autore, ebreo e tedesco, studioso di Humboldt e Herbart, sinologo d’eccezione, umanista e scienziato, 236

Waltraud Bumann, Die Sprachtheorie Heymann Steinthals, dargestellt im Zusammenhang mit seiner Theorie der Geisteswissenschaft, Anton Hain, Meisenheim am Glan, 1965. 237 M. Lazarus und H. Steinthal: die Begründer der Völkerpsychologie in ihren Briefen, Mit einer Einleitung herausgegeben von Ingrid Belke, Bd I (lettere di Lazarus a diversi destinatari; di Steinthal a Lazarus e di Berthold Auerbach a Lazarus), Bd II/1 (carteggio tra Heymann Steinthal e Gustav Glogau); Bd II/2 (lettere di Steinthal e Lazarus a diversi destinatari) J. C. B. Mohr (Paul Siebeck), Tübingen rispettivamente 1971, 1983, 1986. Di questi carteggi sono anche molto rilevanti, ai fini di un’adeguata collocazione del pensiero di Steinthal, le introduzioni della curatrice e qui più volte citate.

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socialista e kantiano, interpreta quelle vicende, dialoga con i suoi contemporanei e si colloca all’interno della sua epoca. A partire dalla pubblicazione delle lettere, sono apparsi numerosi contributi sul pensiero di Steinthal, alcune monografie e alcune traduzioni in italiano238. Ora, osservando questi lavori nell’insieme, è possibile mettere a fuoco tre linee interpretative che hanno il merito di individuare il significato o, per lo meno, un significato della sua opera in rapporto al contesto delle filosofie dell’Ottocento e in relazione ad alcune importanti esperienze teoriche del Novecento. La linea di chi ha scorto nella psicologia dei popoli una elaborazione ante litteram della Kulturwissenschaft del Novecento, la linea di chi ha insistito di più sulla collocazione di Steinthal entro l’ermeneutica linguistica dell’Ottocento e quella di coloro che hanno studiato la psicologia del linguaggio di Steinthal in rapporto alla glottologia storica e comparativa. Entro una prospettiva di storia della filosofia e della cultura, negli ultimi anni, Köhnke, Meschiari e Trautmann-Waller hanno letto l’opera di Steinthal, associandola a quella di Lazarus, come sintomo della dissoluzione dei grandi disegni sistematici della filosofia classica tedesca. Assieme a larga parte degli indirizzi accademici d’ispirazione kantiana e herbartiana, essa ha rappresentato, secondo questa tendenza interpretativa, un’alternativa teorica alla filosofia della storia dei primi decenni del secolo. La Völkerpsycologie, in particolare, ha fornito il quadro di riferimento per riordinare, in una prospettiva prevalentemente empirica e psicologica, i frammenti impazziti della frantumazione della dialettica hegeliana. La psicologia dei popoli – scrive, ad esempio, Trautmann – tende a porre innanzi, poco prima della rottura per la quale vanno a costituirsi le scienze sociali, le continuità tra quelle 238 H. Steinthal, La scienza della lingua di Wilhelm von Humboldt e la filosofia hegeliana, a cura di Alberto Meschiari, Guida, Napoli, 1998, in cui sono tradotti sia il libro omonimo del 1848 (pp. 41-180) sia Filologia storia e psicologia nei loro reciproci rapporti del 1864 (pp. 181-255). Meschiari ha da poco dato alle stampe, in bella edizione, anche M. Lazarus, Psicologia dei popoli come scienza e filosofia della cultura, a cura di Alberto Meschiari, Bibliopolis, Napoli 2008.

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e le tradizioni che vengono dalla filosofia, dalla storiografia, dalla psicologia e dalla filosofia tedesca. Incarna una fase di passaggio […] e – attraversando il campo col suo tentativo di sintesi […] – delinea una episteme in forma di crisi, di decomposizione e ricomposizione239.

Attraverso la riformulazione del concetto di spirito oggettivo, ampliato all’intero spettro delle produzioni sociali, infatti – ha insistito Meschiari – diventa possibile scorgere nelle diverse forme della cultura, tanto nelle espressioni scientifiche come «nella fiera annuale e nella cassetta della posta, nei principi della divisione del lavoro e dello scambio dei bisogni», «in una semplice data» o «nell’orologio», «i risultati di tutta una storia dell’uomo», ovvero le forme della «vita spiritualmente ordinata» finalizzate «alla vita civile». In esse è possibile scorgere, insomma, altrettante condensazioni simboliche dell’attività psichica collettiva240. E giacché ognuna di queste condensazioni della vita psichica delle collettività soggiace alle medesime condizioni di possibilità o alle stesse leggi dell’interazione storico-psichica, di volta in volta, con una certa oscillazione, la psicologia dei popoli è investita di un compito trascendentale o descrittivo, in entrambi i casi unitario e fondativo rispetto allo sviluppo delle conoscenze, delle istituzioni e delle pratiche umane241. Sull’efficacia di tale impresa, naturalmente, vige tra i critici un ampio dissenso, ma è condivisa l’opinione che la psicologia dei popoli occupi un posto di diritto nel dibattito tardottocentesco su Geistes- e Naturwissenschaften, perché, ridefinendo nel senso detto il concetto di Kultur, impone un ripensamen239 Céline Trautmann-Waller, Aux origines d’une science allemande de la culture, Linguistique et psychologie des peuples chez Heymann Steinthal, CNRS Editions, Paris 2006, p. 159. 240 Cfr. A. Meschiari, La psicologia delle forme simboliche. «Rivoluzione copernicana», filosofia del linguaggio e «spirito oggettivo», Le Lettere, Firenze, 1999, p. 77. 241 Cfr. A. Meschiari, Introduzione a M. Lazarus, Psicologia dei popoli come scienza e filosofia della cultura, cit., pp. 23-56 e Klaus Christian Köhnke, Einleitung in Moritz Lazarus, Grundzüge der Völkerpsychologie und Kulturwissenschaft, herausgegeben von Klaus Christian Köhnke, Felix Meiner, Amburg 2003, pp. IX-XLII.

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to delle connessioni dell’operare umano e un ordinamento dei saperi, entro il quale alla filosofia è assegnato il compito di Wissenschaftlehre. Anche sul Novecento, secondo Meschiari, Köhnke, Trautmann-Waller – a cui in questo caso bisogna aggiungere Hans-Ulrich Lessing – la Völkerpsychologie esercita un’influenza ricca di risonanze. La filosofia della cultura di Simmel e la sociologia di Léwy-Bruhl, la filosofia delle forme simboliche di Cassirer, le analisi semiologiche di Benjamin sulla frammentata quotidianità della metropoli contemporanea recepiscono il concetto di spirito oggettivo e il metodo della psicologia dei popoli, che si rivela così «come un percorso di straordinaria fecondità per comprendere un certo apporto tedesco all’elaborazione del concetto moderno di cultura»242, la fase aurorale, insomma, della Kulturwissenschaft del Novecento243. Bisognerebbe forse aggiungere che se per Köhnke e Meschiari, questo ruolo fondativo è orientato a un modello trascendentale, per Trautmann è più ispirato dalla tradizione positivistica. Altri studiosi hanno insistito di più sull’originalità di Steinthal in rapporto alla linguistica del suo tempo. Jürgen Trabant, Mario Barba e Donatella Di Cesare, riprendendo gli studi di Eugenio Coseriu, hanno richiamato l’attenzione sul posto che Steinthal occupa all’interno dell’ermeneutica linguistica dell’Ottocento, con particolare riferimento agli scarti teorici e alle rielaborazioni di alcune nozioni chiave244. J. Wach e 242 Céline Trautmann-Waller, Aux origines d’une science allemande de la culture, Linguistique et psychologie des peuples chez Heymann Steinthal, cit., p. 16. 243 Con i testi citati di Köhnke, Meschiari e Trautman-Waller, gli interventi della stessa Belke, di H.-U. Lessing, Eckardt e Naumann segnalati in bibliografia, indagano, entro queste coordinate teoriche, aspetti specifici della psicologia dei popoli. 244 Cfr. Jürgen Trabant, Ideelle Bezeichnung. Steinthal Humboldts Kritik, in History of Semiotics, a cura di A. Eschbach e J. Trabant, Benjamins, Amsterdam-Philadelphia, 1983, pp. 251-276 e Id., “…und die Seele leuchtet aus dem Style hervor”. Zur Sprachtheorie im 19. Jahrhundert: Heymann Steinthal in Logos semantikos. Studia linguistica in honorem Eugenio Coseriu 1921-1981, Bd. I, Geschichte der Sprachphilosophie und der Sprachwissenschaft, hrsg. von Jürgen Trabant, De Gruyter, Gredos, Berlin/Madrid 1981, pp. 245-258; D. Di Cesare, “Innere Sprachform”, Humboldts Grenzbegriff, Steinthal Begriffgrenze, in «Historiographia Linguistica», XXIII,

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Gadamer hanno assegnato anch’essi alla psicologia linguistica dello studioso ebreo-tedesco un ruolo singolare, ma rilevante, all’interno di quella storia dell’ermeneutica che va da Schleiermacher e Humboldt fino a Dilthey. Gli interventi degli storici delle teorie linguistiche Lia Formigari e Christy Craig hanno invece insistito di più sulla funzione degli studi di Steinthal per la semantica e la separazione di logica e linguaggio, con le numerose conseguenze che essa innesca245. L’opera di Steinthal, d’altra parte, è stata a buon diritto considerata eccentrica rispetto allo sviluppo ottocentesco delle ricerche storiche e comparative di fonetica e fonologia. Nella sua monografia sull’autore, pubblicata nel 1996, Manfred Ringmacher pone in evidenza la marginalità del linguista rispetto alla linea egemone che da Bopp e Pott, passando per Schleicher, conduce a Brugmann/Delbrück e a Paul. Anche la sua incidenza sugli studi del Novecento sarebbe trascurabile. Se si esclude l’attenzione per l’approccio psicologico mostrato da alcuni studiosi di semantica come Hjelmslev e Weisgerber, né lo strutturalismo né la tipologia del linguaggio avrebbero un nesso diretto con la sua opera246. La centralità di Steinthal emerge, invece, entro la tradizione degli studi 3 (1996), pp. 321-346; M. Barba, Die Humboldt Rezeption Steinthals, in Humboldt – Grimm-Konferenz, hrsg. von Arwed Spreu in Zusammenarbeit mit Wilhelm Bondzio, vol. I, Humboldt-Universität, Sektion Germanistik, Berlin 1986, pp. 293-302 e Id., Lautform, innere Sprachform, Form der Sprachen: Il problema della comparazione e classificazione delle lingue in Heymann Steinthal in Leibniz, Humboldt and the Origins of Comparativism, hrsg. von T. De Mauro und L. Formigari, John Benjamins, Amsterdam und Philadelphia 1990, 263-280. 245 Cfr. L. Formigari, Filosofia e semantica: il caso Steinthal, in Ai limiti del linguaggio. Vaghezza significato e storia, a cura di Federico Albano Leoni, Daniele Gambarara, Stefano Gensini, Franco Lo Piparo, Raffaele Simone, Laterza, Roma-Bari, 1997, pp. 211-227. C. T. Craig, Humboldt’s „inner language form“ and Steinthal’s Theory of Signification in Semiotics, hrsg. von John Deely, Plenum Press, New York 1985, pp. 251-259 e Id., From Concept to Word: The Homophonic Principle and Steinthal’s Theory of Writing in History of Linguistics, edited by K. R. Jankowsky, John Beniamins, Amsterdam/Philadelphia 1995, pp. 199-207. 246 Manfred Ringmacher, Organismus der Sprachidee. H. Steinthals Weg von Humboldt zu Humboldt, Schöning, Paderborn-München-Wien-Zürich, 1996. Cfr. soprattutto pp. 3-7 e 207-213.

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humboldtiani. Ma anche in questo caso si tratta di un legame non pacificato. L’«immagine [di Humboldt] costruita» da Steinthal «non può che entrare in un rapporto di tensione con il Wilhelm von Humbodlt storico» giacché «lo studio comparativo delle lingue dovrebbe avere la sua pietra angolare e la sua vetta nell’indagine del carattere» mentre Steinthal «vorrebbe lasciar culminare la Sprachwissenschaft in una classificazione»247. Attraverso l’elaborazione della nozione di innere Sprachform e la classificazione tipologica delle lingue Steinthal imporrebbe una sferzante torsione al pensiero di Humboldt, rivestendolo con panni hegeliani e soggettivistici. Non vi è dubbio, quindi, che da questi studi la fisionomia di Steinthal emerga con grande nettezza rispetto a Humboldt, ma rimangono oscuri la natura del suo riferimento a Hegel e in generale la complessa rielaborazione del concetto di genesi. Va segnalato, in ultimo, la ripresa d’interesse per l’ebraismo di Steinthal, non riconducibile a istanze propriamente religiose, ma caratterizzato, come abbiamo detto, da una morale universalistica. Molte osservazioni in proposito si trovano già nelle introduzioni preposte da Ingrid Belke ai primi due volumi del carteggio e, più di recente, all’argomento è stata dedicata una sezione di una monografia promossa dal Leopold Zunz Centre for The Study of European Judaism e dalla Konrad Adenauer Fondation248.

247 M. Ringmacher, Organismus der Sprachidee. H. Steinthals Weg von Humboldt zu Humboldt, cit., p. 34 e pp. 54-55. 248 Chajim H. Steinthal. Sprachwissenschaftler und Philosoph im 19. Jahrhundert, herausgegeben von Hartwig Wiedebach und Annette Winkelmann, Brill, Leiden-Boston-Köln 2002, pp. 113-188. Il saggio di Silke Schaeper qui contenuto (pp. 247-280) è dedicato al lascito di Steinthal nella Biblioteca Nazionale ebraica e nella Biblioteca dell’Università di Gerusalemme. Nelle edizioni Georg Olms è prevista la ristampa anastatica di Ueber Juden und Judentum (1906).

NOTIZIA BIOGRAFICA Heymann (Chajim) Steinthal nasce a Gröbzig, una piccola città del ducato Anhalt-Bernburg (oggi Sassonia Anhalt), il 16 maggio 1823. Il padre David, proprietario di una piccola manifattura, era un membro stimato della ristretta comunità ebraica della città. La sua morte prematura e improvvisa, avvenuta nel 1832, lascia la moglie Henriette e i figli in condizioni economiche non facili. Grazie al sostegno di alcuni influenti membri della comunità, Heymann può compiere comunque la prima formazione nella Scuola ebraica della città, dove oltre all’ebraico classico studia grammatica tedesca e francese. La stratificazione sociale e linguistica, prodotta dall’incontro-scontro tra orizzonte familiare e vita pubblica, tra religiosità domestica e vita del ducato, è tra le esperienze più significative della sua infanzia. A casa, quando non dominano le preoccupazioni, l’atmosfera è segnata da canti e melodie religiose che assecondano il tratto malinconico e sensibile del suo carattere: «in triste isolamento», scrive all’amico Lazarus molti anni dopo, «cantavo quelle canzoni tra me e me. Iniziando con le più tristi e passando a melodie sempre più liete, m’innalzavo dalla più sconsolata malinconia alla più serena solitudine» (BelLS, I, p. LXXXIV). Grazie all’ospitalità di un vecchio zio, Heymann compie la formazione ginnasiale a Bernburg, dove profonde un grande impegno nell’apprendimento del greco e del latino, applicandosi anche negli studi talmudici, le cui lezioni gli vengono impartite privatamente dal rabbino Salomon Herxheimer. Nel 1842 consegue il diploma di maturità, sostenendo una conversazione in inglese su Romeo e Giulietta. Lascia Bernburg alla volta di Berlino nel 1843. La città s’era ormai affermata come il centro culturale più importante di lingua tedesca e sebbene la fondazione della sua università fosse avvenuta solo nel 1809 – sotto gli auspici di Wilhelm

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von Humboldt, allora direttore della sezione “Insegnamento pubblico” del ministero dell’interno prussiano –, per l’eccezionale qualità dei suoi docenti, era già tra i centri più importanti d’Europa. Dopo la morte di Hegel, nell’università veniva diffondendosi l’indirizzo filosofico di Adolf Trendelenburg, mentre la fama del vecchio Schelling richiamava ancora in città studenti di diverse nazionalità. La capitale prussiana, inoltre, si proponeva come patria delle scienze empiriche, o, meglio, di quella rinascita scientifico-umanistica propiziata dalle opere e dalle personalità dei fratelli Humboldt. In questo clima Steinthal s’iscrive alla facoltà di teologia dell’Alma Mater per passare quasi subito a quella di filosofia. Impressionano l’ampiezza degli interessi e delle curiosità scientifiche profilatasi in questa fase, le sue straordinarie doti d’apprendimento e di assimilazione. Heymann ascolta le lezioni del filologo classico August Boeckh, studia sanscrito con Franz Bopp, impara a decifrare i geroglifici sotto la guida dell’egittologo Karl Richard Lepsius. Apprende lo slavo antico con Adalbert Wojcieck Cybulski, il persiano il cinese il turco il mongolico il tibetano e il giapponese con il sinologo e orientalista Johann Wilhelm Schott, la grammatica copta con Moritz Gotthilf Schwartze. August Mahn lo guida nell’apprendimento delle lingue neolatine, del basco e del russo. Con Wilhelm Grimm s’immerge nella lettura delle opere in medio-alto tedesco, con Victor Aimé Huber in quelle dell’antica poesia spagnola. Segue anche le lezioni degli hegeliani Werder sulla logica e la metafisica, Gabler sull’antropologia e sulla psicologia e Vatke sulla storia della religione. Frequenta i corsi di Benary sull’origine del Pentateuco, mentre con Schultz-Schultzstein acquisisce i principi della botanica e con Carl Ritter quelli della nuova geografia. Nel suo primo semestre universitario legge l’opera che più avrebbe segnato la sua formazione: La diversità delle lingue (1836) di Wilhelm von Humboldt. L’approccio teorico di Humboldt diventa ai suoi occhi la pietra angolare attraverso cui acquisire un punto di vista sintetico sulle diverse lingue e l’opera nel suo complesso è letta come il maggiore saggio di filosofia dello spirito prodotto dalla svolta romantica in avanti: una rivoluzione concettuale capace di rendere conto degli impulsi della cultura di un’intera epoca.

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Portato a buon fine l’iter studiorum, il 1 novembre 1847 si addottora in absentia a Tübingen con una dissertazione sulla funzione filologico-filosofica del pronome relativo, condotta dal punto di vista storico-filosofico di Humboldt e Boeckh: De pronomine relativo commentatio philosophico-philologica cum excursu de nominativi particula. L’opera apparve a stampa lo stesso anno per le edizioni accademiche Dümmler, presso cui lo studioso avrebbe pubblicato la parte maggiore dei sui scritti successivi. Circa due anni dopo, il 24 novembre 1849, Steinthal consegue l’abilitazione all’insegnamento nell’università di Berlino con La scienza della lingua di Wilhelm von Humboldt e la filosofia hegeliana, ricerca discussa al cospetto del filosofo Adolf Trendelenburg e di Franz Bopp. In quello stesso anno Steinthal stringe amicizia con Karl Wilhelm Ludwig Heyse, di cui aveva in precedenza ascoltato le lezioni. Heyse era il massimo rappresentante della filosofia hegeliana del linguaggio, padre del poeta Paul, e autore di un apprezzato dizionario della lingua tedesca. In Heyse gli pare di trovare quella visione sistematica che poteva integrare gli spunti geniali di Humboldt. Lo studioso più anziano, a sua volta, accoglie Steinthal come “un secondo figlio”. «Egli», scrive, «di fatto è l’unica conoscenza degli ultimi anni che mi sia cresciuta in animo. Lo considero come un figlio adottivo e sono tanto orgoglioso di lui e sì poco geloso dei suoi successi come lo si è di un figlio» (BelLS, p. LXXXIX, nota 39). Sin dagli scritti degli anni ’50, Steinthal riconosce Heyse come il suo unico maestro vivente. A partire dalla seconda edizione di L’origine della lingua (1858) gli confersce un ruolo di primo piano nella storia delle teorie del linguaggio e, più tardi, avrebbe considerato la sua opera più ampia, lo Abriß der Sprachwissenschaft (1871), come il lavoro sistematico che sviluppa e porta a compimento le intuizioni filosofiche del maestro. A Heyse, Steinthal affida la prima correzione delle bozze di Grammatik, Logik und Psychologie (1855) e con lui intrattiene un intenso carteggio da Parigi. In una lettera del 10 gennaio 1855, scritta sul finir del giorno, in uno stato di commozione e orrore per la malattia che attanaglia il maestro, si legge: «deve vivere più a lungo […] io perdo, con Lei, il mio unico maestro […] io non posso rinunciare a Lei»

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(BelLS, II/2, p. 405). Quando Heyse muore, il 25 novembre 1855, Steinthal si trova ancora a Parigi. Nel 1856 appare, corredato da un’introduzione analitica scritta dopo un lungo studio, il Sistema di filosofia del linguaggio di Heyse, curato da Steinthal. Nel 1848, Steinthal, attraverso Heyse, era entrato in contatto anche con Moritz Lazarus. Inizia così un’amicizia il cui significato non può essere sopravvalutato, qualcosa, scrive Steinthal, di simile all’«apparire del sole». I due giovani ricercatori iniziano subito un’intensa frequentazione, che si arricchisce di discussioni e incontri a volte allargati a un ristretto numero di studiosi. In quegli anni l’interesse di Lazarus per la questione nazionale e la psicologia herbartiana, uniti nel primo schizzo di una psicologia dei popoli (1851), fanno breccia nell’amico, che se ne appropria con tratto personalissimo e li sviluppa nel solco della visione filosofica delle lingue. Il loro rapporto intellettuale d’allora in avanti s’infittisce e articola sempre più, le loro opere si sviluppano come battute d’un dialogo a due voci. Il 15 marzo del 1858, Steinthal scrive a Paul Heyse «il mio affetto per Lazarus non può crescere di più, ma la mia stima per lui cresce di giorno in giorno». Nel 1871, dedicandogli la sua maggiore fatica (L’introduzione alla psicologia e alla scienza della lingua), Steinthal scrive: «ti restituisco ciò che è emanazione della tua personalità, noi c’innalziamo d’uno spirito solo, come un ginnasta che afferrando un piolo si fa avanti sulla scala e solleva il corpo con un braccio mentre l’altra mano si tiene al polo sovrastante e, poi, sospinge il corpo verso l’alto in modo tale che la prima sia di nuovo libera di procedere» (AS, I, IX). Tra l’inizio del 1850 e l’estate del 1852, Steinthal tiene dei corsi sulla storia della grammatica, la classificazione delle lingue, la storia e la psicologia della lingua alla Reale Università di Berlino, ma con una posizione che non gli garantisce alcuna sicurezza economica. Sono comunque anni di intenso lavoro e produzione. Nel 1850 appare La classificazione delle lingue, un’interpretazione critica dei tentativi di classificazione precedenti. Una riedizione ampliata dell’opera sarà pubblicata dallo stesso Steinthal nel 1860 col titolo Descrizione (Charakteristik) dei principali tipi di struttura della lingua;

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quest’ultima versione, infine, sarà ampliata e riedita nel 1893 da Franz Misteli, come secondo volume del Compendio di scienza della lingua. Nel 1851 appare la prima edizione del trattato L’origine della lingua in rapporto con le questioni ultime del sapere, dove alle teorie di Hamann, Herder e Humboldt, articolate sulla differenza tra origine divina o ferina, spontanea o convenzionale, storica o preistorica, è opposta una teoria psicologica della nascita della lingua fondata sullo sviluppo delle funzioni cognitive superiori a partire da quelle corporee. L’opera ha altre tre edizioni, che si arricchiscono delle tesi di ricercatori coevi e registrano i mutamenti d’accento, a volte le vere e proprie riformulazioni, dello stesso Steinthal. La prima è del 1858, la seconda del 1877 e l’ultima del 1888. S’infittiscono, intanto, le polemiche con Pott sull’eredità e il senso dell’opera di Humboldt, che sfociano in una lettera aperta, pubblicata come prologo a un originale trattato su Lo sviluppo della scrittura (1852). Nel 1851 Steinthal è insignito dall’ “Institut de France” del premio Volney per un saggio su quattro lingue africane, che sarà stampato solo nel 1867. Il premio era il riconoscimento internazionale di linguistica comparata più ambito del tempo. Negli anni precedenti era stato assegnato a Lepsisus, Benfey, Schwartze, Pott e Max Müller, fungendo per alcuni di loro da trampolino di lancio per una carriera accademica internazionale. Si profilava, dunque, come asse di scambio privilegiato per gli studi linguistici d’aria tedesca e francese. Al giovane ricercatore il premio Volney offre l’occasione di trascorrere alcuni anni a Parigi, dove soggiorna dal settembre 1852 all’estate del 1856, con un’unica interruzione di alcuni mesi alla fine del 1852 per un viaggio di studi a Londra. Nella capitale francese Steinthal entra in contatto con i sinologi Stanislas Julien e Antoine P. L. Bazin, con Ernst Renan e il barone d’Eckstein. Studia la filosofia positivistica di Comte, segue le pubblicazioni della “Società d’etnologia” e rilegge gli illuministi. Ma l’esperienza intellettuale parigina è segnata soprattutto dall’approfondimento della conoscenza del cinese. Nella capitale francese aveva insegnato nei primi anni del secolo il grande sinologo Abel-Rémusat e qui Humboldt si era recato per dedicarsi allo studio della veneranda

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lingua, approfittando dei ricchissimi fondi della biblioteca nazionale. Nel 1854 Steinthal è insignito, per la seconda volta, del premio Volney per un trattato sulle radici di diversi dialetti cinesi. La rottura concettuale rappresentata dal cinese, in quegli anni, conduce Steinthal a un bilancio critico della tradizione tedesca e del paradigma sanscrito. La stroncatura degli indirizzi storico-comparativistico (Grimm, Pott e Bopp) e logicistico (Becker) della glottologia coeva è consegnata, da Parigi, alle pagine di Grammatica, logica e psicologia (1855). Il già citato primo volume del Compendio di scienza della lingua pubblicato a Berlino nel 1871 con il titolo Introduzione alla psicologia e alla scienza della lingua, è uno sviluppo della terza parte di questo libro che chiosa l’esperienza parigina. Steinthal lascia Parigi per rientrare a Berlino nel 1856, dopo aver rinunciato all’offerta del governo francese di accompagnare l’ambasciatore in Cina con l’incarico di traduttore ufficiale. Il soggiorno parigino, decisivo sul piano intellettuale, sul piano umano era stato segnato da una sconfortante nostalgia per Berlino e per gli amici lontani, da una costante frustrazione per la situazione economica che non accennava a migliorare, e, soprattutto, dalla mancanza di prospettive professionali favorevoli. Stati d’animo che, nelle lettere a Lazarus, lo fanno irrompere in invettive e moti d’ira contro i lassi costumi della capitale francese e romantiche idealizzazioni della vita e degli ambienti della madrepatria. Il 1856, l’anno del rientro a Berlino, coincide forse con il periodo di maggiore difficoltà. Senza un lavoro stabile e sufficientemente retribuito, Steinthal tiene, con la qualifica di docente privato, corsi universitari sulla grammatica generale, sulla linguistica comparativa, sulle lingue prive di forma, sulla mitologia comparativa, sulla storia della poesia epica e sulla grammatica cinese. Le cose iniziano a cambiare nel 1861. L’8 gennaio di quell’anno, dopo aver ricevuto il telegramma con la risposta di Jeannette Lazarus alla sua proposta di matrimonio, Steinthal informa Moritz d’aver cantato le melodie ebraiche di gioia e ringraziamento: il periodo più tormentato della sua esistenza è alle spalle. Il 20 ottobre viene celebrato il matrimonio con

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Jeannette Lazarus, sorella minore dell’ineguagliabile amico. Nel dicembre del 1862, grazie all’intervento dell’orientalista Justus Olshausen, consigliere presso il ministero della cultura prussiana, Steinthal è chiamato come professore straordinario all’università di Berlino. In ragione del suo ebraismo non otterrà mai il titolo di ordinario. Alle cariche universitarie, comunque, si aggiungono quelle propriamente accademiche. Nel 1862, infatti, è nominato “membro corrispondente” della “Società reale di scienze” di Uppsala. Si fa così avanti un periodo di serenità affettiva e relativa tranquillità economica. Attraverso l’amico di sempre inizia anche una fase di riconciliazione con i gruppi intellettuali della città. Collabora ai lavori della “Società berlinese per l’antropologia, l’etnologia e la preistoria”, presieduta dal medico Rudolf Virchow e sostenuta dall’antropologo Adolf Bastian e dal fisiologo Emil du Bois-Reymond; è vicino al circolo di studiosi che si raccoglie attorno alla casa editrice Dümmler e in particolare al suo presidente, il botanico Julius Harrwitz e frequenta il “salotto” Kluger. Nel 1878 è tra i fondatori e poi membro a vita del comitato direttivo dell’“Accademia Humboldt”, considerata la prima università popolare, animata da ideali di diffusione democratica della cultura e formazione universale. Conseguito il titolo di professore straordinario, Steinthal tiene corsi universitari sulla grammatica generale e comparativa, sulla storia della letteratura, sull’origine e il carattere delle lingue romane in rapporto alle antiche lingue tedesche, sulla forma e il carattere delle lingue indogermaniche in riferimento al greco, al latino e al tedesco, sulla psicologia dei popoli, sulla storia della grammatica, sulla metodologia e l’enciclopedia della filologia, sull’origine delle lingue e dell’umanità, sulla Bibbia in una prospettiva storico-estetica e sulla poesia provenzale. Questi anni coincidono, inoltre, con la fase centrale della sua produzione intellettuale, volta da un lato all’approfondimento dei problemi di filosofia e psicologia del linguaggio già delineati e, dall’altro, all’elaborazione della psicologia dei popoli. L’impresa di certo maggiore è la fondazione, avvenuta assieme a Moritz Lazarus nel 1860, della «Rivista di psicologia dei popoli e scienza del linguaggio», un organo destinato a di-

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venire uno dei principali punti di riferimento per un approccio interdisciplinare alle scienze umane, una tribuna che ospiterà alcune tra le voci più significative del dibattito scientifico tedesco della seconda metà dell’Ottocento. Steinthal ne è il direttore, il redattore più assiduo e il vero animatore. Articoli, saggi, commenti, recensioni a sua firma sono presenti in pressoché ogni numero, fino all’ultimo, il XX, apparso nel 1890, quando la pubblicazione dovette essere sospesa, per riprendere, invero, nel 1891 con il nuovo titolo «Rivista dell’associazione per l’etnologia». Lo spettro dei temi affrontati nella «Zeitschrift für Völkerpsychologie und Sprachwissenschaft» in un trentennio di vita va dall’etnologia al confronto con gli indirizzi della linguistica e della glottologia, dalla poesia popolare e il folklore alla filologia, alla mitologia e alla religione, dalla questione dello spirito oggettivo alla teoria della conoscenza. Così accanto ai contributi di Steinthal e di Lazarus, si trovano quelli di un’intera generazione di studiosi: geografi, antropologi, storici della cultura, fisiologi, linguisti e filosofi. Nell’insieme si tratta di un’opera collettiva, che tra i protagonisti annovera personalità come Ritter, Tobler, Paul Heyse, Delbrück, Goldziher, Pott, Misteli, Holtzendorff, Flügel, Windelband, Cohen, Fischer e Simmel. La direzione della rivista, comunque, non distoglie Steinthal dal suo impegno teorico. In questo intervallo appaiono le riedizioni e gli ampliamenti già menzionati delle opere composte negli anni cinquanta, testi rifatti da cima a fondo, o, come si esprime l’autore, non più trattati giovanili, ma veri e propri libri: La descrizione dei principali tipi di struttura della lingua (1860), La lingua Mande (1867) il primo volume del Compendio di scienza della lingua (1871) e la III edizione dell’Origine del linguaggio (1877). Nel 1863 Steinthal pubblica in due volumi la fortunata Storia della linguistica dei greci e dei romani con particolare riferimento alla logica, nel 1864 il saggio teorico Filologia, storia e psicologia nei loro reciproci rapporti e nel 1870 Mito e religione. In questo stesso anno Heymann perde la sua amata figlia Agatha e nel giro di poco tempo il piccolo David. «Da quel momento», scrive più tardi al discepolo Glogau, «non ho più avuto interesse per la scienza della lingua, sono stato occupa-

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to dall’etica e dalla filosofia della religione». Le cose, di fatto, non sono andate così. Nella terza edizione di L’origine della lingua del 1877, Steinthal abbandona, alla luce della teoria darwiniana, la precedente tesi sulla nascita “continua” della lingua, per avanzare l’altra secondo cui essa ha origine storica, nasce assieme al genus homo. Dopo il 1870, inoltre, nella «Rivista di psicologia dei popoli» appaiono ancora saggi di linguistica a suo nome e riedizioni di lavori minori (Raccolta di scritti brevi, 1880). L’ultima, notevole, fatica è l’edizione critica delle opere di filosofia del linguaggio di Humboldt, apparsa nel 1884, a testimonianza del lungo studio e del grande amore per quell’impareggiabile personalità. È certo, tuttavia, che il periodo tra il 1877 e il 1899 può essere considerato la fase conclusiva della sua produzione intellettuale. Al dolore per la morte di due dei suoi tre figli, si aggiunge la disillusione per la cupa atmosfera politica della Germania post-unitaria e l’amarezza per il divampare dell’Antisemitismusstreit, una vera e propria battuta d’arresto per lo spirito di modernizzazione e democratizzazione della società tedesca. Inoltre, sin dal 1872, Steinthal, aveva ricoperto ruoli di rilievo nelle organizzazioni culturali ebraiche della città, fino a diventarne uno dei maggiori promotori e protagonisti. Insegna Critica biblica e Filosofia della religione presso la “Scuola d’alti studi per la scienza dell’ebraismo” (“Hochschule für die Wissenschaft des Judentums”), che in quello stesso anno ha contribuito a fondare assieme a Lazarus e Salomon Neumann. È nominato membro permanente del direttivo della “Scuola della comunità ebraica” di Berlino e più tardi della “Società degli amici”, un’associazione ebraica non confessionale. Ricopre infine la carica di presidente del “Comitato degli affari scolastici dell’unione delle comunità israelite della Germania”. Quando l’attività propagandistica di Treitschke sollecita la famigerata «petizione degli antisemiti», sottoscritta da circa la metà degli studenti dell’università di Berlino, Steinthal aderisce al “Comitato ebraico del 1 dicembre 1880” e, assieme a Lazarus, Cohen, Droysen, Mommsen, Virchow, e altre sessantasei firme di illustri accademici, risponde pubblicamente al

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movimento antisemita universitario. L’apparizione in questo contesto dell’Etica (1885) può essere letta come un appello convergente alla tradizione umanistica tedesca e all’universalismo della morale ebraica. Nel 1890, Steinthal raccoglie ancora gli scritti sulla filosofia della religione e sull’antisemitismo nel volume Sulla Bibbia e sulla filosofia della religione, ampliato e riedito nel 1895. Nel 1906, Gustav Karpeles consegna alle stampe un’edizione postuma di altri suoi scritti col titolo Sugli ebrei e sull’ebraismo. A partire dal 1893 una grave malattia inizia a erodere le forze di quest’uomo combattivo e vulcanico, introverso e solitario. I suoi ultimi anni di vita trascorrono all’insegna di un sentimento di pace, di raccoglimento e di riconciliazione. È circondato dall’affetto familiare e premurosamente assistito dalla moglie Jeannette e dalla figlia Irene. Si spegne nella sua dimora berlinese il 14 marzo 1899. Qualche giorno dopo la sua salma è tumulata nel cimitero ebraico di Berlino Weißensee dove ancora si trova. In un necrologio apparso in «The Menorah» pochi giorni dopo la sua morte, K. Kohler lo ricorda così: «Il suo percorso di ebreo e intellettuale è stato curioso e notevole. Ebreo per educazione, e, se l’affiliazione religiosa implica un intimo convincimento, per fede, fu fortemente incline nei suoi primi anni a una filosofia che non riconosce né Dio né l’anima e scorge in ogni religione solo uno stadio del processo psichico dell’uomo. Egli ha amato l’ebraismo per la sua superiorità sopra ogni credo, ma la sua teologia fu un’antropologia e un’etica».

NOTA EDITORIALE Nella I sezione è data la traduzione di una scelta dei paragrafi della II e della quasi totalità dei paragrafi della III parte di Grammatik, Logik und Psychologie, ihre Prinzipien und ihr Verhältnis zueinander. Il libro apparve nel 1855 per le edizioni Dümmler di Berlino, ma ne esiste una ristampa anastatica nelle edizioni Georg Olms (Hilsheim 1968) e un’altra nelle Elibron classics series (2006). Quasi tutti i paragrafi sono tradotti per intero, nei rari casi in cui ciò non avviene lo si indica con “[…]”. Sia nella versione tedesca sia in quella italiana sono state riportate nel corpo del testo tra parentesi quadrate i numeri di pagina dell’originale. In questa traduzione e nelle altre, le espressioni che negli originali si trovano in s p a z i a t o sono rese in corsivo, come sono resi in corsivo i titoli dei libri e dei saggi che spesso Steinthal, secondo l’uso tedesco, dà tra virgolette. Le parti scelte per la traduzione restituiscono tutti gli aspetti fondamentali della filosofia del linguaggio di Steinthal. Quest’opera, infatti – nonostante le tesi in essa esposte siano state oggetto di ulteriori svolgimenti (soprattutto in AS I) – può essere considerata, per il suo tentativo di ricapitolazione, sintesi e sviluppo dei contenuti precedenti e per la sua funzione di segnavia per le ricerche successive, il punto medio, e quello di maggior concentrazione, dell’elaborazione teoretica dell’autore. Essa contiene in chiave sistematica tutte le direzioni in cui la sua filosofia si è sviluppata e tutte le implicazioni essenziali di essa: la teoria della nascita del linguaggio, della sua articolazione storica in tre livelli, della comprensione e dell’apprendimento linguistici, della innere Sprachform, della classificazione e del suo rapporto con la psicologia dei popoli. La Prefazione, in cui sono discusse le teorie coeve, offre un punto di vista privilegiato per collocare Steinthal in rapporto alla storia delle teorie linguistiche dell’Ottocento. La mancanza di precedenti traduzioni in italiano e in altre

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lingue ha comportato scelte, a volte difficili, sempre segnalate e discusse in nota. La II sezione contiene la traduzione del saggio programmatico voluto da Moritz Lazarus e Heymann Steinthal in apertura della Zeitschrift für Völkerpsychologie und Sprachwissenschaft (1860-1890): gli Einleitende Gedanken über Völkerpsychologie, als Einladung zu einer Zeitschrift für Völkerpsychologie und Sprachwissenschaft, tratto da «ZVS», I (1860), pp. 1-73. Una ristampa anastatica del saggio è data in KSS, pp. 307-379 e una recente riedizione in Völkerpsychologie – Versuch einer Neuentdeckung, Texte von Lazarus, Steinthal und Wundt, Beltz, Weinheim, 1997, hrsg. von Georg Eckardt, pp. 127-202. Anche in questo caso si è ritenuto opportuno riportare nel corpo del testo, tra parentesi quadre, i numeri di pagina dell’originale, nella versione tedesca seguiti anche dai numeri di pagina dell’edizione Bumann. La numerazione delle note ricomincia da 1 all’inizio di ciascuna sezione. Lo scritto presenta il programma di ricerca della psicologia dei popoli. È un documento di straordinaria originalità, proprio per il tentativo di ristabilire, in prospettiva sintetica e al contempo storica, un ordine e un punto di vista unitario a cui ricondurre le scienze umane e sociali dopo la frammentazione della dialettica hegeliana e la poderosa proliferazione di nuovi ambiti disciplinari. Esso muove in media res, dal centro dei dibattiti di diverse discipline – l’antropologia, l’etnologia, la critica biblica, la filologia, la linguistica, la teoria letteraria e dell’arte, la mitologia – e mostra come la psicologia dei popoli possa contribuire a una ricomposizione e risoluzione dei problemi metodologici ed ermeneutici dei diversi ambiti del sapere. La III sezione contiene i seguenti saggi: 1) Die Arten und Formen der Interpretation, tratto da Verhandlungen der 32. Versammlung deutscher Philologen und Schulmänner in Wiesbaden von 26.-29. September 1877, O. R. Reisland, Leipzig 1878, pp. 25-35, ripubblicato in KSS, pp. 532-542 e in Seminar: Philosophische Hermeneutik, hrsg. von Hans-Georg Gadamer und Gottfried Boehm, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1976, pp. 166-181; 2) «Beurteilung von August Böckh, Encyklopädie und Methodologie der philologischen Wissenschaf-

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ten», tratto da ZVS, X (1878), pp. 235-255 e ripubblicato in KSS, pp. 543-563; 3) Darstellung und Kritik der Böckhschen Encyklopädie und Methodologie der Philologie: Erster Artikel in ZVS, XI (1880), pp. 80-96 e Zweiter Artikel in ZVS, XI (1880), pp. 302-326, contenuti anche in KSS, pp. 564-580 e pp. 581-605. Nel corpo del testo si dà sempre l’indicazione delle pagine dagli originali tra parentesi quadre. Nei tre saggi, Steinthal rielabora nel modo più compiuto la sua ermeneutica e la sua teoria delle scienze filologiche, attraverso un confronto serrato con la tradizione che da Humboldt e Schleiermacher giunge fino a Boeckh e Dilthey. Il saggio introduttivo di questo volume è stato redatto con l’obiettivo di proporre un’interpretazione e una storicizzazione del pensiero di Steinthal nel contesto del dibattito europeo della seconda metà dell’Ottocento. Ogni testo è introdotto da una breve storia della sua stesura e pubblicazione. Le note contengono invece il commento al testo, un commento ispirato, per esprimermi con la coppia oppositiva proposta da Hans Ulrich Gumbrecht (The Powers of Philology, University of Illinois Press, Urbana and Chicago 2003), più a una logica dell’efficienza che a un’estetica dell’opulenza e della copia. Di seguito si spiegheranno nel particolare i criteri seguiti per la compilazione delle note. In generale ho cercato di attenermi alle indicazioni fornite da Stefano Miccolis in una recensione apparsa postuma su «Belfagor». Un’indicazione di passaggio, che mi piace riportare, perché significativa dello stile del filologo, che, per non pochi, è stato un esempio di precisione ed esattezza: «l’indispensabile apparato esplicativo deve chiarire al lettore fatti e circostanze che il passare del tempo ha illanguidito nella memoria, rendere puntualmente conto dei riferimenti bibliografici, fornire i dati biografici delle persone citate. È bene che queste ultime note siano apposte alla prima citazione della persona, anche se fatta per mezzo di una perifrasi; ed è opportuno che siano calibrate, per estensione e ricchezza di dati in modo proporzionale alla rilevanza della persona e in misura inversamente proporzionale alla sua notorietà». (cfr. «Belfagor» LXV, luglio 2010, p. 506).

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Indicazioni per la lettura delle note Le note d’autore sono contrassegnate da un asterisco e si trovano nel margine basso della pagina. Le note del curatore sono contrassegnate da numerazione araba e si trovano alla fine delle traduzioni. La maggior parte delle N. d. C. sono note al testo. Capita anche che si diano N. d. C. alle N. d. A. Anche in questo caso, tuttavia, vengono segnalate nel corpo del testo, immediatamente dopo l’asterisco. Vi sono 4 tipologie di note: a) di commento alla traduzione, quando essa si discosta dal significato letterale del termine o quando lo spettro semantico del termine è tale da richiedere una chiarimento; b) esplicative o di sostegno alla comprensione del testo; c) di integrazione al testo rispetto alle parti non tradotte (nella prima sezione). Non saranno date, invece, le indicazioni relative ai passi richiamati dall’autore che siano contenuti in questa traduzione; d) volte a individuare i riferimenti dell’autore, a esplicitare i nessi delle tesi esposte qui con quelle presenti nel resto della sua opera, a collocare queste tesi in rapporto alle vicende biografiche di Steinthal o nel più ampio orizzonte del dibattito culturale a cui prese parte. Queste ultime note sono così strutturate: – Le citazioni, a cui Steinthal fa seguire tra parentesi tonde titolo e pagina del libro: 1) sono integrate con data, luogo di pubblicazione e casa editrice dell’edizione da cui Steinthal trae 2) se l’autore non trae dalla prima edizione, di quest’ultima si dà la data tra parentesi tonde prima delle altre indicazioni 3) si indica, poi, il passo dell’editio princeps corrispondente alla citazione, se ne esiste una; 4) si riporta infine, tra parentesi tonde immediatamente dopo quella tedesca, la pagina corrispondente della traduzione italiana, se ve n’è una. – Così si procede anche nei numerosi casi in cui Steinthal cita senza specificare i riferimenti. – A quasi tutti i nomi – esclusi quelli universalmente noti, per lo meno a un pubblico di cultori di filosofia – sono af-

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fiancati data e luogo di nascita e di morte, oltre a una brevissima indicazione dell’opera (ciò non avverrà ad esempio per Hegel o Schelling, ma avverrà per Lotze, Bopp, Grimm, Weisse, Voß e così via). Maggiori indicazioni sono date sulle personalità che esercitarono un’influenza diretta sull’opera di Steinthal. – I riferimenti interni sono indicati in questo modo: “intra, numero romano della sezione, numero arabo della pagina originaria, sempre indicati nel corpo del testo tra parentesi quadre (e non numero di pagina di questo libro)” ovvero “intra, numero romano della sezione/numero di nota. Esempio: intra, III/3, p. 303 (ove s’intende la pagina originaria) ovvero intra, III/ nota 48.

SIGLE Scritti di Steinthal PR

De pronomine relativo commentatio philosophico-philologica cum excursu de nominativi particula, Dümmler, Berlin 1847; anche in Kleine Sprachteorethische Schriften (KSS), pp. 1-113.

SHHP

Die Sprachwissenschaft Wilhelm von Humboldt’s und die Hegel’sche Philosophie, Ferd. Dümmler, Berlin 1848 (La scienza della lingua di W.v Humboldt e la filosofia hegeliana, a cura di Alberto Meschiari, Guida, Napoli 1998, pp. 41-180).

CS

Die Classification der Sprachen, dargestellt als die Entwickelung der Sprachidee, Dümmler, Berlin 1850.

HZS

Der heutige Zustand der Sprachwissenschaft, «Allgemeine Monatschrift für Literatur», I (1850), pp. 97-110 e 208217; anche in KSS, pp. 114-138.

US 1

Der Ursprung der Sprache im Zusammenhange mit dem letzten Fragen alles Wissens. Eine Darstellung, Kritik und Fortentwicklung der vorzüglichsten Ansichten, Dümmler, Berlin 1851.

US 2

1858.

US 3

1877.

US 4

1888.

OSP I

Offenes Sendschreiben an Herrn Professor Pott, in Die Entwicklung der Schrift. Nebst einem offenen Sendschreiben an Herrn Professor Pott, Dümmler, Berlin 1852; anche in KSS, pp. 139-164.

SIGLE

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GLP

Grammatik, Logik und Psychologie, ihre Prinzipien und ihr Verhältnis zueinander, Dümmler, Berlin 1855.

ZS

Zur Sprachphilosophie, da «Zeitschrift für Philosophie und philosophische Kritik», XXXII (1857), pp. 68-95 e 194-224; anche in KSS, pp. 248-306.

EGV

Einleitende Gedanken über Völkerpsychologie als Einladung zu einer Zeitschrift für Völkerpsychologie und Sprachwissenschaft, 1860 in «ZVS», I (1860), pp. 1-73; anche in KSS, pp. 307-379.

CTS

Charakteristik der hauptsächlichsten Typen des Sprachbaues, Berlin, Dümmler, 1860.

IS

Ueber den Idealismus in der Sprachwissenschaft. – Auf Veranlassung von A.F. Pott, Etymologische Forschungen auf dem Gebiet der ing. Sprachen. 2 Aufl. 1859, I Teil: Präpositionen in «ZVS», I (1860), pp. 294-328, l’articolo prosegue col titolo Anti-Kaulen oder mythische Vorstellungen vom Ursprunge der Völker und Sprachen in ZVS, III (1865), pp. 225-245. Anche in KSS, pp. 380-435.

GSGR I e II Geschichte der Sprachwissenschaft bei den Griechen und Römern mit besondere Rücksicht auf die Logik, II B.de, Dümmler, Berlin, 1863; II ed. 1890/91. PGP

Philologie, Geschichte und Psychologie in ihren gegenseitigen Beziehungen, Dümmler, Berlin 1864 (Filologia, storia e psicologia nei loro rapporti reciproci in Steinthal, La scienza della lingua di W. v. Humboldt e la filosofia hegeliana, a cura di Alberto Meschiari, Guida, Napoli 1998, pp. 181-255); anche in KSS, pp. 436-511.

GH

Gedächtnisrede auf Wilhelm von Humboldt an seinem hundertjährigen Geburtstage. – Sonnabend, den 22. Juni 1867, Dümmler, Berlin, 1867.

AS I

Die Sprache im Allgemeinen. Einleitung in die Psychologie und Sprachwissenschaft, I Teil vom Abriss der Sprachwissenschaft, Berlin, Dümmler, 1871 (II ed. ampliata 1881).

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SIGLE

AFI

Die Arten und Formen der Interpretation in Verhandlungen der 32. Versammlung deutscher Philologen und Schulmänner in Wiesbaden von 26.-29. September 1877, O. R. Reisland, Leipzig 1878, pp. 25-35; anche in KSS, pp. 532542.

OSP II

Offenes Sendschreiben an Herrn Professor Pott, 1877 in «ZVS», IX (1877), pp. 304-323; anche in KSS, pp. 512531.

BEM

August Böckh Enzyklopädie und Methodologie der philologischen Wissenschaften, in «ZVS», X (1878), pp. 235255; anche in KSS, pp. 543-563.

DKBE

Darstellung und Kritik der Böckhschen Enzyklopädie und Methodologie der Philologie, 1880 in «ZVS», XI (1880), pp. 80-96 e 302-326; anche in KSS, pp. 564-605.

GKS

Gesammelten kleinen Schriften, Sprachwissenschaftliche Abhandlungen und Rezensionen, Dümmler, Berlin, 1880.

SH

Der Styl Humboldt, Einleitung zu Die sprachphilosophischen Werke Wilhelm von Humboldt, Dümmler, Berlin, 1884.

AE

Allgemeine Ethik, Georg Reimer, Berlin 1885.

BV

Begriff der Völkerpsychologie in «ZVS», XVII (1887), pp. 233-264; anche in KSS, pp. 606-637.

BelLS, I Moritz Lazarus und Heymann Steinthal: die Begründer der Völkerpsychologie in ihren Briefen, Mit einer Einleitung herausgegeben von Ingrid Belke, BAND I, J. C. B. Mohr (Paul Siebeck), Tübingen 1971. BelLS, II/1 BAND II/1, 1983. BelLS, II/2 BAND II/2, 1986. ZVS

«Zeitschrift für Völkerpsychologie und Sprachwissenschaft», I-XX, 1860-1890.

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SIGLE

Scritti di altri autori: BoeEM August Boeckh, Encyklopädie und Methodologie der philologischen Wissenschaften, herausgegeben von E. Bratuscheck, Teubner, Leipzig 1877 (La filologia come scienza storica. Enciclopedia e metodologia delle scienze filologiche, a cura di Antonio Garzya, traduzione di Rita Masullo, Guida, Napoli 1991). GoeSW Johann Wolfgang Goethe, Sämtliche Werke. Briefe, Tagebücher und Gespräche, Vierzig Bände, Deutscher Klassiker Verlag, Frankfurt a M., 1987 e sgg. HegW

Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Werke in 20 Bände, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1971 e sgg.

HeSW

Johann Friedrich Herbart, Sämtliche Werke. In chronologischer Reihenfolge, hrsg. von K. Kehrbach und O. Flügel, 19 Bde. (Langensalza, 1887-1912); Scientia Verlag, Aalen 1964 .

HuGS

Wilhelm von Humboldts Gesammelte Schriften [«Akademieausgabe»], im Auftrag der (Königlich) Preußischen Akademie der Wissenschaften, hrsg. von Leitzmann et alii, Behr, Berlin 1903-36 (Rist. De Grutyer, Berlin 1968).

HuDL

Wilhelm von Humboldt, La diversità delle lingue, traduzione e introduzione a cura di Donatella Di Cesare, Laterza, Roma-Bari 2000 .

KaGS

Kant’s gesammelte Schriften, herausgegeben von der Königlich-Preußischen [poi: Deutschen] Akademie der Wissenschaften, Berlin-Leipzig 1900 e sgg.

LaGV

Moritz Lazarus, Grundzüge der Völkerpsychologie und Kulturwissenschaft, a cura di Klaus Christian Köhnke, Felix Meiner, Amburg 2003.

LaPP

Moritz Lazarus, Psicologia dei popoli come scienza e filosofia della cultura. Scritti, a cura di Alberto Meschiari, Bibliopolis, Napoli 2008.

RINGRAZIAMENTI Ringrazio il Dottor Beniamino Fortis (Università di Firenze), la Dottoressa Maritta Schleyer (Università di Heidelberg) e il Prof. Florian Schui (Royal Holloway, University of London) per aver discusso con me alcuni passaggi delle traduzioni; la Professoressa Cornelia Nenz (Direttrice del Fritz Reuter Literaturmuseum di Stavenhagen) per l’indicazione della poesia di Fritz Reuter; il Dottor Giovanni Rota (Università di Milano) e la Dottoressa Myriam Giargia (Università di Milano) per le indicazioni sulla storia dei termini gnosis e anagnosis; la Professoressa Chiara Cappelletto (Università di Milano), i Dottori Emiliano Ferrari (Università di Milano), Roberto Tibaldeo Franzini (Università di Torino), Carlo Tatasciore (Università di Firenze), Gianmario Andreani (Università di Milano) ed Enrico Rini (Università di Milano), per avermi indicato alcuni riferimenti in traduzioni italiane, a me, per ragioni contingenti, allora inaccessibili; la Dottoressa Dagmara Kraus (Università di Ginevra) per aver rivisto gli originali in tedesco di questo libro. Ringrazio i Professori: Gianluca Garelli (Università di Firenze), Marco Ivaldo (Università di Napoli), Alfredo Marini (Università di Milano), Andrea Orsucci (Università di Cagliari), Renato Pettoello (Università di Milano) e Ignazio Volpicelli (Università La Sapienza – Roma) per avermi segnalato alcuni riferimenti o aiutato a trovare informazioni utili a chiarire il testo steinthaliano; la Professoressa Lia Formigari (Università La Sapienza – Roma) per gli importanti suggerimenti circa l’interpretazione della filosofia del linguaggio di Steinthal; la Professoressa Céline Trautmann-Waller (Università Sorbonne – Parigi ), per le indicazioni biografiche sull’autore e per l’indicazione della traduzione russa del saggio di Steinthal e Lazarus; il Professor Giuseppe Veltri (Università di Halle-Wittenberg) per le delucidazioni sull’insegnamento religioso di Steinthal. I Professori Remo Bodei (UCLA) e Giuseppe Cacciatore (Università Federico II di Napoli) hanno seguito le prime fasi delle mie ricerche su Steinthal. Gli scritti del Professor Alberto Meschiari (Scuola Normale di Pisa) e i colloqui avuti con lui hanno rappresentato per me la chiave d’accesso all’interpretazione del suo pensiero. La sua amichevole franchezza, in questi anni, mi ha giovato sotto molti profili. I vagiti della piccola Leda fanno ora da giusto contrappunto a questi scritti sul linguaggio. A Laura dedico questo libro.

ERMENEUTICA E PSICOLOGIA DEL LINGUAGGIO

SEZIONE I

FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO

GENESI E STORIA EDITORIALE DI GRAMMATIK, LOGIK UND PSYCHOLOGIE, IHRE PRINZIPIEN UND VERHÄLTNIS ZUEINANDER Nella lettera aperta al Prof. Pott, pubblicata nel volume Lo sviluppo della scrittura del 1852, Steinthal promette pubblicamente al collega che prima o poi avrebbe affrontato accuratamente i rapporti di grammatica e logica. Alcune lettere inviate da Steinthal ai suoi corrispondenti negli ultimi mesi del 1852, durante il suo breve soggiorno a Londra, confermano questo proposito. In una missiva del 26 settembre diretta a C. W. L. Heyse, l’autore scrive di voler elaborare un’introduzione sistematica sul metodo comparativo della linguistica e «forse anche qualcosa sulla forma interna della lingua», da anteporre alla pubblicazione (avvenuta poi solo nel 1867) del suo saggio sulle lingue africane [cfr. BelLS, II/2, p. 399]. Il 14 dicembre comunica a Lazarus d’aver scritto, ma non ancora inviato, una lettera ad August Mahn sui rapporti di grammatica e logica, una questione su cui regna «da lungo tempo» la più grande «confusione» e di volersi «fare strada» tra questa confusione [cfr. BelLS, I, p. 269]. Già a questi anni, dunque, bisogna far risalire l’idea centrale che anima Grammatik Logik und Psychologie. Abbiamo poi una testimonianza indiretta del 31 luglio 1853. Allora Lazarus, rispondendo da Berlino a una precedente lettera dell’amico, lettera purtroppo non rintracciata, si sofferma sulla questione dei rapporti tra logica, estetica ed etica [cfr. BelLS, I, p. 80]. A metà del 1853, dunque, già da alcuni mesi Steinthal sta ripensando i rapporti generali di grammatica e logica e progetta di farlo alla luce del concetto di forma interna della lingua. Non abbiamo notizie certe sull’inizio della stesura del libro e le fasi di composizione. È sicuro, tuttavia, che il termine a quo della stesura di Grammatik, Logik und Psychologie non può essere retrocesso oltre il gennaio del 1853, dopo il rientro di Steinthal da Londra a Parigi, se nel dicembre del 1852 – come abbiamo visto – non vi è altro che il «proposito» di farsi strada tra «quella confusione». A determinare, invece, il termine ad quem torna utile una lettera del 15 novembre 1854, in cui Steinthal trasmette a Julius Harrwitz,

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presidente e proprietario dal 1847 della casa editrice universitaria Dümmler di Berlino, alcune correzioni da apportare al manoscritto [cfr. BelLS, II/2, p. 371]. Testimonianza, questa, da cui si evince che il termine ad quem della stesura non va oltre l’ottobre del 1854. Dal carteggio risulta anche che la revisione del manoscritto, non potendo essere seguita dall’autore stesso che se n’era separato per inviarlo a Berlino, era stata affidata da Steinthal al filosofo del linguaggio Carl Wilhelm Ludwig Heyse e allo studioso di filologia romanza August Mahn, con cui l’autore continuava una proficua collaborazione dall’estero. La fase di stesura della prefazione del libro è documentata ancor meglio. Essa inizia nel novembre del 1854 e termina nei primissimi giorni di gennaio del 1855. Il 2 di quel mese, infatti, Steinthal scrive a C. W. L. Heyse di averla «quasi conclusa» [cfr. BelLS, II/2, p. 402], mentre il 3 febbraio scrive a Paul Heyse d’averla inviata e di disporre già di alcune copie fuori commercio del libro, evidentemente prive di prefazione [cfr. BelLS, II/2, p. 418]. Il 12 febbraio sono ancora comunicate a Harrwitz alcune integrazioni alla prefazione e di seguito l’autore rivendica la legittimità dei toni aspri in essa utilizzati contro le teorie linguistiche di Aufrecht, Max Müller, Bunsen, Böhtlingk [cfr. BelLS, II/2, pp. 390-391]. Il riferimento a quest’ultimo andrà poi in una nota dell’ultima parte del libro [GLP, nota a p. 387]. Il 2 aprile del 1855 Steinthal scrive a Paul Heyse: «è appena apparso il mio libro Grammatik, Logik und Psychologie, un peccato commesso contro i miei studi sul cinese, a cui ho sottratto tempo e spazio, e contro la moderazione e il galateo: una critica più corrosiva non si è ancora vista […] ma tuo padre [Carl W. L.] mi ha lodato e ha definito la mia critica magistrale» [cfr. BelLS, II/2, p. 427]. Il 4 aprile, Steinthal accusa Harrwitz d’aver affidato la seconda correzione di un’opera così difficile «a un novellino» [cfr. BelLS, II/2, p. 392], la prima, come detto, era stata portata a termine da Heyse e da Mahn. Nella stessa lettera informa l’editore d’aver inviato copie del testo anche a Trendelenburg e Wecker, Heyse e Lazarus, perché quest’ultimo, a sua volta, ne recapitasse una copia a Hartenstein, il curatore delle opere di Herbart [cfr. BelLS, II/2, pp. 391-392]. Il 16 settembre 1855, quando il libro è ormai in commercio da 5 mesi, l’autore scrive a Paul Heyse di non potersi risolvere a comporre le molte aggiunte che avrebbe richiesto e che sarebbe piuttosto stata necessaria una seconda edizione ampliata e migliorata, un’edizione in cui quei pensieri assumessero forma diversa

INTRODUZIONE

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[cfr. BelLS, II/2, p. 429]. L’autore diede questa diversa e nuova forma ai principi trattati nella terza parte di Grammatik, Logik und Psychologie solo nel 1871, nel primo volume dell’Abriß der Sprachwissenschaft. Ma si trattava, appunto, di un nuovo e per molti aspetti ben diverso libro.

GRAMMATIK, LOGIK UND PSYCHOLOGIE, IHRE

PRINZIPIEN UND IHR VERHÄLTNIS ZUEINANDER (1855)

Denken ist schwer

GRAMMATICA, LOGICA E PSICOLOGIA, I LORO PRINCIPI E IL LORO RAPPORTO RECIPROCO

(1855)

Pensare è difficile

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SEZ. I - FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO

INHALTS-VERZEICHNISS Vorwort Zweiter Theil: GRAMMATIK UND LOGIK. I. Allgemeine Vorbemerkungen A. Von der Sprachwissenschaft im Allgemeinen: §§. 56-58. B. Von der Logik im Allgemeinen: §§. 59-60. II. Nähere Darlegung des Unterschiedes zwischen Grammatik und Logik: Sind Sprechen und Denken identisch?: §§. 61-63. Ist die Sprache logisch?: §§. 81-82. Dritter Theil: GRUNDSÄTZE DER GRAMMATIK: §. 83. A. Allgemeines Wesen der Sprache und ihre Beziehung zum geistigen Leben: §. 84. 1. Entstehung und Entwickelung der Sprache: §. 85. a. Vorbildung und Anlage der Sprache im Menschen: §§. 87, 91. b. Hervortreten der Sprache: §§. 92-96. c. Stufenentwickelung der innern Sprachform: §§. 97-101. d. Mittheilung, Verständniß, Sprechenlernen der Kinder: §. 102.

GRAMMATICA, LOGICA E PSICOLOGIA

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INDICE Premessa dalla Parte seconda: GRAMMATICA E LOGICA. I. Premesse generali A. Sulla scienza della lingua in generale: §§. 56-58. B. Sulla logica in generale: §§. 59-60. II. Esposizione più accurata della differenza di grammatica e logica: Parlare e pensare sono identici?: §§. 61-63. La lingua è logica?: §§. 81-82. dalla Parte terza: PRINCIPI DI GRAMMATICA: §. 83. A. Essenza universale della lingua e suo rapporto con la vita spirituale: §. 84. 1. Genesi e sviluppo della lingua: §. 85. a. Preparazione e disposizione alla lingua nell’uomo: §§. 87, 91. b. Comparsa della lingua: §§. 92-96. c. Sviluppo per gradi della forma interna della lingua: §§. 97-101. d. Comunicazione, comprensione e apprendimento: §. 102.

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2. Leistung der Sprache für das Denken: a. Wesen der Vorstellung im Allgemeinen: §§. 103-105. b. Nähere Darlegung des Wesens der Vorstellung und ihrer Entwickelung: §§. 106-113. B. Die Grammatik: 1. Die Principien der Grammatik: §. 114. a. Inneres und Aeußeres: §. 115. b. Bedeutung: §§. 116-118. c. Sprechen und Sprachmaterial: §. 119. 2. Hauptpunkte der Grammatik: b. Innere Sprachform: §§. 125-128. Verschiedenheit der Sprachen: Grund der Sprachverschiedenheit: §§. 132-134. Organismus, Princip und Individualität der Sprache: §. 135. Allgemeines Kategorienschema: §. 136. Die Classification der Sprachen: §. 137. Sprachwissenschaft als Moment der Völkerpsychologie: §§. 138-143.

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2. Contributo reso al pensiero dalla lingua: a. Essenza della rappresentazione in generale: §§. 103105. b. Esposizione più accurata dell’essenza della rappresentazione e del suo sviluppo: §§. 106-113. B. La grammatica: 1. I principi della grammatica: §. 114. a. Interno ed esterno: §. 115. b. Significato: §§. 116-118. c. Parlare e materiale linguistico: §. 119. 2. Aspetti principali della grammatica: b. Forma interna della lingua: §§. 125-128. Diversità delle lingue: Ragione della diversità delle lingue: §§. 132-134. Organismo, principio e individualità della lingua: §. 135. Schema universale delle categorie: §. 136. La classificazione delle lingue: §. 137. Scienza della lingua come momento della psicologia dei popoli: §§. 138-143.

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VORWORT [V] Im Begriffe, vorliegendes Buch, des Verfassers erstes Werk von einigem Umfange, der Oeffentlichkeit zu übergeben, regen sich in mir, nach den Erfahrungen, die ich bei Gelegenheit meiner kleinen Schriften gemacht habe, mancherlei Befürchtungen rücksichtlich der Aufnahme, die es finden dürfte. Ich habe aber weder die Macht noch die Absicht, allen möglichen Mißverständnissen, Unterschiebungen und ungehörigen Urtheilen zuvorzukommen; am allerwenigsten könnte dies in einem kurzen Vorworte geschehen. Denen, die meine Eigenthümlichkeit nicht begreifen, werde ich mich nie aufschließen können; und die, welche, von der Sache abspringend, in voreiligster Weise mit ethischer Beurtheilung bei der Hand sind, muß ich unbeachtet lassen. So will ich mich denn hier nur für diejenigen, die mich verstehen und kennen, über einige Punkte näher erklären. Was zunächst meine hier gegebene Kritik Beckers betrifft, so muß sie wohl allen, die den Ansichten dieses Sprachforschers anhängen, sehr streng, hart, bitter erscheinen. Aber konnte ich denn wohl anders reden? Ich hätte diesen und jenen Satz unterdrücken, dieses und jenes Wort streichen können; gemildert hätte ich die Sache dadurch keineswegs. Eine Kritik, wie die vorliegende, so gänzlich zerstörend, das Gebäude und den Grund; so vollständig zersetzend, im Ganzen und im Einzelnen; die Fehler von der äußersten Oberfläche bis in die innerste Tiefe aufsuchend – eine solche Kritik kann [VI] dem, der von ihr betroffen wird, auch durch die zartesten Redewendungen und die süßesten Worte nicht gemildert werden. Es thut mir leid, es schmerzt mich – wer mich kennt, weiß es – wenn ich Personen verletze; aber ich kann es nicht ändern; denn die Systeme leben in den Personen und bilden ihre Substanz. Wenn der Schmerz das Vorrecht fühlender Wesen genannt worden ist: so ist der Schmerz über

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PREFAZIONE [V] Nell’accingermi a dare alle stampe il presente libro, prima opera dell’autore di una certa ampiezza, si agita in me, in ragione delle esperienze fatte in occasione dei miei piccoli scritti, qualche timore riguardo all’accoglienza che potrà incontrare. Ma non ho né la forza né l’intenzione di prevenire tutti i possibili fraintendimenti, le illazioni e i giudizi inopportuni; in alcun modo poi ciò sarebbe dato fare in una breve prefazione. Non potrò mai dischiudere il mio animo a coloro che non comprendono la peculiare curvatura dei miei pensieri e devo esimermi dal rispondere a coloro che senza addentrarsi nella questione esprimono valutazioni etiche nel più avventato dei modi. Qui dunque mi spiegherò meglio su alcuni punti solo per quelli che mi comprendono e mi conoscono. Per quel che riguarda, anzitutto, la critica di Becker1 qui proposta, essa sembrerà di certo molto severa, dura, aspra a tutti coloro che si rifanno alla prospettiva di questo linguista. Ma avrei potuto esprimermi diversamente? Avrei potuto eliminare questa o quella frase, avrei potuto cancellare questa o quella parola, con ciò non avrei in alcun modo addolcito la cosa. Una critica come quella che presento, che distrugge per intero l’edificio e le fondamenta, che frantuma completamente il quadro generale e i particolari, che scova gli errori dalla superficie più esterna alla più intima profondità – una tale critica non può essere resa più mite [VI], per colui che ne è fatto oggetto, nemmeno dalle più delicate espressioni e dalle più dolci parole. Mi dispiace, mi addolora – chi mi conosce lo sa – ferire le persone; ma non è in mio potere cambiar ciò, poiché i sistemi vivono nelle persone e costituiscono la loro sostanza. Se il dolore è stato chiamato la prerogativa degli esseri sensibili, allora il dolore per i sistemi di pensiero distrutti è la prerogativa delle persone pensanti. Non si creda, però,

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vernichtete Gedankensysteme das Vorrecht denkender Personen. Man glaube aber nicht, der Kritiker auf den Trümmern, die er angerichtet, sei voll von Siegeslust; er hat höchstens das Gefühl von Befriedigung, das aus dem Bewußtsein entsteht, seine Pflicht gethan zu haben, so gut er konnte und wie er konnte. Auch diese meine Kritik Beckers ist eine Ehrenbezeugung, die ich ihm darbringe. Weil er einen so umfassenden Raum in der Geschichte der Sprachwissenschaft einnimmt, habe ich ihm so viel Mühe gewidmet. Dem scheint zu widersprechen, daß, nach meiner Kritik Beckers, nicht nur des Haltbaren in seinem Systeme wenig oder überhaupt kaum etwas zu finden ist, sondern auch daß Becker selbst – um es nur kurz zu sagen – fast unverständig erscheint. Daß dies der Sinn meiner Darstellung ist, wie könnte ich das läugnen? Ich habe mir selbst die Frage vorgelegt: wie ist es möglich, daß ein Werk, wie Beckers Organism, welches nach deiner Darstellung das leerste Nichts sein soll, das je veröffentlicht wurde, dessenungeachtet seit einem Vierteljahrhundert als Meisterwerk gilt und der Mittelpunkt einer Schule geworden ist, die mehr Anhänger zählt als jemals eine? und zwar dies allein und lediglich durch den innern Einfluß des Buches auf die Geister; denn ich wüßte nicht, welcher äußerliche Einfluß hier obgewaltet hätte – ich fragte mich: wie ist es möglich, daß ein Mann einerseits seit Jahrzehenden als Gründer der neuen Grammatik anerkannt wird, und andererseits dir in einem Lichte erscheint, daß du Mühe hast, ihn von denen zu unterscheiden, die man geisteskrank nennt? Und hier ist die Antwort, die ich mir gab. Ist denn dieser Fall Beckers so einzig? Fragt doch Trendelenburg und viele andere, ob sie Hegel und seine Schule von den Bewohnern Bedlams zu unterscheiden wissen. Noch andere Fälle legte ich [VII] mir vor und überhaupt die Schwierigkeit, bestimmt zu sagen, welcher geistige Zustand es ist, den wir als Krankheit bezeichnen. Und weiter sagte ich mir: es giebt, ja es giebt Krankheiten des Geistes in der Geschichte der Menschheit, die durch die einmal vorhandenen Umstände eben so nothwendig und für die Entwickelung des menschlichen Geistes eben so heilsam sind, wie körperliche Krankheiten im Leben des Körpers; und diejenigen Männer, welche der classische Ausdruck dieser Geisteskrankheiten sind, sind sogar groß zu nennen, und wir schicken sie nicht ins Irrenhaus, weil wir dorthin nur die bringen, welche an einer individuellen

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che il critico si erga sulle macerie che ha lasciato dietro di sé tronfio di compiacimento per la vittoria. Egli prova, tutto al più, un appagamento che promana dalla coscienza d’aver compiuto il suo dovere come meglio poteva. Anche questa critica che muovo a Becker è un atto d’omaggio offertogli. Gli ho dedicato tanta fatica perché occupa un posto così importante nella storia della linguistica. Pare contraddire ciò il fatto che, secondo la mia critica a Becker, non solo nel suo sistema si trova poco o pressoché nulla di sostenibile, ma lo stesso Becker – per dirla in breve – appare quasi fuori di senno. Come potrei negare che questo è il senso della mia esposizione? Io stesso mi sono posto la domanda: com’è possibile che un’opera come lo Organism di Becker, che secondo la tua esposizione dovrebbe essere il più vacuo nulla, pure fu pubblicata e, nonostante quel che tu credi, è considerata da un quarto di secolo un capolavoro ed è divenuta il punto di riferimento di una scuola che conta più proseliti di qualsiasi altra? E ciò solo e unicamente per l’influenza interiore che il libro ha esercitato sugli spiriti; poiché io non sapevo quale influenza esterna il libro avesse esercitato – mi chiedevo: com’è possibile che, da una parte, un uomo da decenni è riconosciuto come il fondatore della nuova grammatica, e, d’altra parte, a te appare in una luce tale che fatichi a distinguerlo da coloro che si chiamano malati mentali? Ecco la risposta che mi diedi. È poi il caso di Becker tanto singolare? Si chieda pure a Trendelenburg e a molti altri se costoro sanno distinguere Hegel e la sua scuola dai pazienti di Bedlam2. Mi sono figurato altri casi [VII], in merito soprattutto alla difficoltà di esprimere con precisione quale sia lo stato spirituale che indichiamo con “malattia”. E poi mi sono detto: ci sono, sì, ci sono nella storia dell’umanità malattie dello spirito che, in ragione delle circostanze un tempo presenti, sono esattamente tanto necessarie ed esattamente tanto benefiche per lo sviluppo dello spirito umano quanto le malattie che colpiscono il fisico lo sono per la vita del corpo; e quegli uomini che incarnano l’espressione classica di queste malattie spirituali, devono essere definiti persino grandi, né noi li spediamo in manicomio, giacché lì conduciamo solo coloro

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Krankheit leiden, an einem ihnen eigenthümlichen Irrthume, dessen Möglichkeit auf ganz besondern Verhältnissen beruht, an denen sonst niemand Theil nimmt. Jene Männer aber hegen einen Irrthum, der durch die allgemeinen Zustände vorbereitet ist, dem Tausende erliegen und dem jeder, in diese Zustände versetzt, erliegen würde. Ihr Wahn ist also ein objectiver, kein bloß subjectiver. Als Becker auftrat, war Organismus das Schlagwort, das in allen Kreisen geistiger Thätigkeit widertönte. Er führte daher dasselbe in die Grammatik ein, und alle, die diese Wissenschaft betrieben, mußten um so eher davon ergriffen werden, je dunkler das Wort blieb. Man glaubte sich zu verstehen, weil man für einen gemeinsamen dunkeln Drang ein gemeinsames Wort hatte. So wirken Schlagwörter allemal um so weiter, je weniger sie verstanden werden; und die Parteien zerfallen, sobald sie sich ihr Schlagwort klar machen wollen. Das ist also das Verdienst Beckers, einem allgemein herrschenden dunkeln Drange ein Wort gegeben zu haben; und dann auch, die alte Grammatik vollendet, auf die Spitze getrieben zu haben; denn die Vereinheitlichung der Grammatik mit der Logik ist ihr Erbkrankheit. Ich will nicht so weit gehen zu läugnen, daß nicht auch manche Mängel Beckers rein subjectiv sind; jedoch sind diese gewiß unwesentlich, und auch sie fließen ursprünglichst aus den objectiven Schwächen. Auch diese Kritik Beckers, wie alle meine übrigen Kritiken, ist eine Kritik meiner selbst: denn theils habe ich selbst Beckers Fehler gehabt, theils hätte ich sie leicht haben können. [VIII] Durch meine Kritik Beckers habe ich also theils mich von wirklichen Fehlern zu befreien, theils mich vor möglichen zu wahren gesucht. Daher die lebendige Erregung meines Innern, die sich in der Darstellung meiner Kritik offenbart. Wie könnte ich meinen Gefühlen Schweigen gebieten, da sie so innig mit meinen Gedanken verschlungen sind! In meiner Kritik Humboldts sehe ich eine Art Tragödie, in Humboldt einen Hamlet, der sich eine große Aufgabe gestellt

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che sono affetti da una malattia individuale, da un errore che è peculiare soltanto a loro, un errore la cui possibilità riposa su rapporti del tutto specifici, rapporti a cui solitamente nessun altro prende parte. Gli altri uomini invece serbano in animo un errore che è preparato dalle condizioni universali a cui soggiacciono migliaia di altri e a cui ciascuno, posto nelle medesime condizioni, soggiacerebbe. La loro è dunque una follia oggettiva, non meramente soggettiva. Quando Becker entrò in scena “organismo” era la formula ricorrente che risuonava in tutti gli ambiti dell’attività spirituale. Egli pertanto la introdusse nella grammatica e tutti coloro che praticavano questa scienza dovettero esserne tanto più facilmente conquistati quanto più oscura restava la parola. Si credeva di comprendersi perché si era in possesso di una parola condivisa per un impulso che era oscuro in tutti. Accade sempre, infatti, che le formule raggiungano una diffusione tanto più ampia quanto meno le si comprende; mentre si ci si divide in fazioni non appena si cerca di chiarire la propria formula. Il servizio reso da Becker è pertanto l’aver dato un nome a un impulso oscuro che domina tutti e inoltre l’aver perfezionato e condotto a un punto estremo l’antica grammatica, giacché l’identificazione della grammatica con la logica è la malattia ereditaria dell’antica grammatica. Non voglio spingermi così in là da negare che alcune insufficienze di Becker siano interamente soggettive; e tuttavia queste sono di certo inessenziali e anch’esse sgorgano originariamente da difetti oggettivi. Anche questa critica di Becker, come tutte le mie precedenti, è una critica di me stesso: giacché in parte io stesso sono stato vittima degli errori di Becker, in parte avrei potuto facilmente esserne vittima. [VIII] Attraverso la mia critica di Becker ho dunque in parte cercato di affrancarmi da errori effettivamente commessi, in parte cercato di salvaguardarmi da errori possibili. Da ciò la vivace eccitazione del mio animo che si palesa nell’esposizione della mia critica. Come potevo imporre ai miei sentimenti di tacere, dal momento che essi sono tanto intrinsecamente intrecciati ai miei pensieri3! Nella mia critica a Humboldt io scorgo una sorta di tragedia4, in Humboldt vedo un Amleto che s’è fatto carico di

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hat, an deren Ausführung ihn tausend Bedenklichkeiten hindern. Und vorzüglich auch darin ist Humboldt dem Hamlet ähnlich, daß, wie dieser endlich im Augenblicke seines Unterganges, sterbend noch sich aufrafft und seine That vollführt: so auch Humboldt, nachdem er seine gehaltvolle Anschauung schon der Reflexion aufgeopfert hat, sich mit einem „dennoch“ aufrafft und dieselbe hinstellt allem Vorangehenden zum Trotz. Eine so strenge Tragödie bietet die Kritik Beckers nicht. Es ist das Schauspiel eines Leichtsinnigen, der ohne alle Vor- und Umsicht handelt. Humboldt ringt fortwährend mit allen Schwierigkeiten; Becker sieht deren nie und nirgends. Aber ein anziehendes Seelengemälde bietet auch er dar. Wie er Schritt vor Schritt in den Abgrund des Nichts fallen mußte, wie ein Irrthum den andern herbeiführte, und jeder neu hinzugekommene die Rückkehr erschwerte, das Bewußtsein abstumpfte: das glaube ich klar gesehen und gezeigt zu haben. Auch hoffe ich, man werde finden, daß ich meinen Gegner nicht leicht genommen habe. Ich habe mir viel Mühe gegeben, ihn zu erklären und zu vertheidigen. Ohne einen Mann im Innersten und Tiefsten zu erfassen, würde man seine Fehler nicht begreifen. Ich habe mit Lebhaftigkeit dargestellt, weil mich die Sache lebhaft ergriffen hat. Ich hoffe aber, man werde nie finden, daß ich mich so weit hätte hinreißen lassen, die positive Seite Bekkers zu übersehen; ich habe sie hervorgehoben. Ich habe Bekkers Verdienst anerkannt, das freilich nur in seinem Streben liegt. Aber man höre doch auf von Unbescheidenheit zu reden, wo es sich um Erforschung der Wahrheit handelt. Wissenschaftliche Darstellung verlangt erstlich Entschiedenheit und Bestimmtheit des Ausdruckes. Begriffe und Ideen müssen fest begrenzt [IX] werden, und man darf die Urtheile nicht dem Schwanken und der Willkür der Deutung überlassen. Ferner aber denke ich mit Göthe: „Bescheidenheit gehört eigentlich nur für persönliche Gegenwart... In alle freien schriftlichen Darstellungen gehört Wahrheit, entweder in Bezug auf den Gegenstand oder in Bezug auf das Gefühl des Darstellenden, und, so Gott will, auf beides. Wer einen Schriftsteller, der sich und die Sache fühlt, nicht lesen mag, der darf überhaupt das Beste ungelesen lassen“.

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un compito impari, la cui realizzazione è ostacolata da migliaia di rovelli. E Humboldt è simile ad Amleto soprattutto perché, come costui, alla fine, nell’istante del suo declino, mentre muore, raccoglie ancora una volta le proprie forze e porta a compimento il suo atto; anch’egli, dopo aver ormai sacrificato la sua pregevole intuizione alla riflessione, in un ultimo sussulto pone un “ciò nondimeno”, conferendo valore all’intuizione a dispetto di tutto quel che ha sostenuto prima. La critica di Becker non offre la rappresentazione di una sì grave tragedia. È il dramma di una mente spensierata che opera senza cautela e senza prudenza. Humboldt combatte ininterrottamente con ogni difficoltà, Becker non ne scorge mai e in nessun luogo. Ma anch’egli mette in scena un avvincente affresco dell’animo. Credo d’aver scorto e mostrato con chiarezza come egli passo dopo passo doveva precipitare nell’abisso del nulla, come un errore provocava l’altro e ciascuno di quelli sopraggiunti rendeva più difficile retrocedere, intorpidiva la coscienza. Spero anche che il lettore troverà che non ho preso in considerazione superficialmente il mio nemico. Ho faticato molto per spiegarlo e giustificarlo. Senza capire un uomo nel suo lato più intimo e profondo, non si comprenderebbero i suoi errori. La mia esposizione è animata perché la questione mi sta a cuore. Spero però non si troverà mai che io mi sia lasciato trasportare tanto da trascurare gli aspetti positivi dell’opera di Becker, io li ho posti in evidenza. Ho riconosciuto il servizio reso da Becker che però sta solo nel suo sforzo. Ma si smetta di parlare di mancata modestia ove è in gioco la ricerca della verità. L’esposizione scientifica richiede anzitutto risolutezza e precisione d’espressione. Concetti e idee devono essere saldamente [IX] delimitati e non bisogna lasciare i giudizi all’oscillazione e all’arbitrarietà dell’interpretazione. Inoltre, credo come Goethe che «la modestia in senso proprio si addice solo al discorso a tu per tu… a tutte le esposizioni scritte in spirito di libertà si addice la verità, o in relazione alla questione trattata o in relazione al sentimento di chi la espone e, se Dio vuole, in rapporto a entrambi. Chi non è interessato a leggere uno scrittore, consapevole di sé e con senso della cosa, deve rinunciare a leggere quel che è più importante in assoluto»5.

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Becker erhält endlich seine Berechtigung durch den Gegensatz, in welchem er zu seinen Zeitgenossen steht; und diese Berechtigung erstreckt sich, wiewohl mit geminderter Kraft, auch auf seine heutigen Anhänger. Denn wenn auch allerdings seit dem Erscheinen des Organism nicht bloß Humboldts letzte umfassende Arbeit ans Licht getreten ist, sondern auch sämmtliche deutsche Sprachforscher ein tieferes Gefühl vom Wesen der Sprache in sich tragen, als Beckers Zeitgenossen hatten; so ist doch die alte Ansicht von einem reflectirenden Machen der Sprachen noch nicht völlig, noch nicht allgemein überwunden; und einer so falschen Anschauung gegenüber muß ich dem Beckerschen Begriffe vom Organismus der Sprache, so mangelhaft er auch ist, seines Strebens wegen den Vorrang einräumen. Die hier erwähnte, noch nicht ganz verschwundene Ansicht von einem über Mittel und Zweck der Sprache nachsinnenden Machen der Sprachen hat neuerdings wieder ihren Ausdruck gefunden in einem Werke, das nicht verfehlen wird, die Aufmerksamkeit der Sprachforscher auf sich zu ziehen: Bunsen, Outlines of the philosophy of universal history, applied to language and religion. London 1854. 2 voll. In diesem Werke sind lange Stücke von Hrn. Aufrecht und noch mehr von Hrn. Müller, dem Herausgeber des Rigveda; und er ist es, der das Recht der Beckerianer in unsern Augen klar darthut. Hr. Müller nämlich theilt die Sprachen in drei Klassen ein (a. a. O. I S. 281 ff.): Family-, Nomad- and State-Languages, welche ganz den Klassen der alten Eintheilung entsprechen: es sind nämlich die einsylbigen, agglutinirenden und flectirenden Sprachen. Das Semitische und die sanskritischen Sprachen bilden die dritte Klasse, zu der auch das Aegyptische gehört, das nur [X] eine frühe Abzweigung des Semitischen sein soll. Zur ersten Klasse gehört das Chinesische; alle übrigen Sprachen der Erde sollen Nomaden- oder Turanische Sprachen sein. Alle Sprachen aber stammen von einer Mutter. Nämlich, so lautet der ganz naive Mythos des Hrn. Müller (das. I. S. 310), vor vielen Jahrtausenden, oder Kalpas, lebte ein Mann, oder ein König – denn er und seine Familie waren noch die einzigen Menschen –, genannt Feridun. Er hatte drei Söhne, Tur, Silim und Irij. Der Mann hatte die Sündfluth durchlebt, und in seinem Hause sprach man nicht mehr die antediluvianische Sprache, welche bloß aus Wurzeln bestand (das. S. 487). Wie der Mythos dies meint, weiß ich nicht. Denn diese

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Becker ottiene infine il suo diritto per il contrasto in cui si trova con i suoi contemporanei; e questa giustificazione si estende, sebbene con forza ridotta, anche ai suoi seguaci d’oggi. Giacché quand’anche senza dubbio, non solo dalla comparsa dell’Organismo è venuto alla luce l’ultimo ampio lavoro di Humboldt6, ma oltre ciò, tutti i linguisti tedeschi sono in possesso di un senso dell’essenza della lingua più profondo di quello che avevano i contemporanei di Becker, pur tuttavia la vecchia concezione di un fare riflettente delle lingue non è pienamente e universalmente superata e contro una sì falsa concezione devo accordare preferenza, in virtù della sua aspirazione, al concetto beckeriano di organismo della lingua, per quanto esso rimanga inadeguato7. La qui citata, non ancora del tutto scomparsa, concezione di un fare delle lingue che riflette sul mezzo e il fine della lingua, ha di recente trovato espressione in un’opera che non mancherà di attirare a sé l’attenzione dei linguisti: gli Outlines of the philosophy of universal history, applied to language and religion. London 1854. 2 voll., di Bunsen8. In quest’opera si trovano ampi passi di Aufrecht e ancor di più di Müller, il curatore dei Rigveda9: ed egli è colui che ai nostri occhi dimostra chiaramente il diritto dei beckeriani. Müller infatti suddivide le lingue in tre classi (ivi, I, p. 281 e sgg.): Family-, Nomad- and State-Languages, che corrispondono esattamente alle classi dell’antica classificazione: si tratta, infatti, delle lingue monosillabiche, agglutinanti e flessive. Le lingue semitica e sanscrita costituiscono la terza classe, a cui appartiene anche l’egiziano, che deve [X] essere soltanto una precedente ramificazione del semitico. Alla prima classe appartiene il cinese; tutte le lingue restanti della terra devono essere lingue nomadi o turaniche. Tutte le lingue, però, derivano da una lingua-madre. Infatti, così recita il mito assai ingenuo di Müller (op. cit., I, p. 310), molti millenni fa, o molti Kalpa fa10, viveva un uomo, o un re, – dal momento che egli e la sua famiglia erano per il momento gli unici uomini – chiamato Feridun. Costui aveva tre figli, Tur, Silim e Irij. L’uomo era sopravvissuto al diluvio universale e a casa sua non si parlò più la lingua antidiluviana che era costituta semplicemente da radici (op. cit. p. 487). Per che ragione il mito creda ciò, non saprei. Giacché questa lingua antidiluviana deve

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antediluvianische Sprache soll zwar eine andere sein als die Famillensprache d. h. die Sprache in der Familie Feriduns, in welcher aber doch auch nur „Juxtaposition“ herrschte, wie heute noch im Chinesischen, wo also Wurzel neben Wurzel gestellt wird; und weniger als dies können doch auch die antediluvianischen Menschen nicht gethan haben. Wir dürfen indeß vom Müllerschen Mythos nicht mehr Klarheit erwarten, als von jedem andern, deutschen oder indischen oder persischen. Verfolgen wir also nur den Mythos weiter. Feriduns Söhne verließen das väterliche Haus, um sich auf die Wanderschaft zu begeben. Was wird nun aus der Sprache, die sie am heimathlichen Herde gelernt hatten? Hören wir den Mythos in seinem heiligen Urtexte, da zu fürchten steht, daß durch eine Uebersetzung in unser abstractes Deutsch, seine ganze Naivität verwischt werde (das. S. 310): „What they carried away from home were roots and pronouns. Two of them, Silim and Irij seem both to have held the secret how a root could be divided and changed so that it might be used as a subject or as a predicate. Tur also may have known it; but he either forgot it, or he did not like to tamper with those sacred relics which he had carried away from his father’s house... Now there were at least four things which Tur had to express with his roots and pronouns. If he possessed a root for cutting, he wanted to say, I cut (present); I cut (past); cutter i. e. knife, and my cutter i. e. my knife. These four little phrases were indispensable for him, if he wished [XI] to get on in the world. As long as he was alone with his family and children, he no doubt could make them understand by some expressive accent when ngò. tà (moi battre) meant „I beat“ and when ngò.tà meant „my stick“ (moi-bâton). What followed would generally remove all incertainty, if it existed; for ngo. ta. ni, I-strike-thou (moi battre vous) could only mean „I strike thee“. All this may seem so natural, as far as construction goes, that at first one hardly discovers any thing peculiar in these different modes of expression. Still in the construction of these two expressions, ngo. ta, I beat and ngo-ta my stick there is something so individual and peculiar, that neither Silim nor Irij could imitate it. This is the li-

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invero essere diversa dalla lingua della famiglia, è a dire dalla lingua parlata nella famiglia di Feridun, in cui di certo vigeva solo la “giustapposizione”, come accade ancora oggi nel cinese in cui le radici sono poste appunto accanto ad altre radici; e meno di questo non possono aver fatto nemmeno gli uomini antidiluviani. Ma dal mito di Müller non possiamo aspettarci maggiore chiarezza che da qualsiasi altro, tedesco, indiano o persiano che sia. Di seguito allora atteniamoci semplicemente al mito. I figli di Feridun abbandonarono la dimora paterna per mettersi in viaggio. Cosa accade ora alla lingua che avevano imparato nella casa natia? Ascoltiamo ora il mito dal suo sacro testo originario, giacché è da temere che traducendolo nel nostro tedesco astratto ne venga cancellata per intero l’immediatezza (op. cit. p. 310): «Quello che portarono con sé da casa erano radici e pronomi. Due di questi, Silim e Irij, sembrano aver mantenuto il segreto di come una radice possa essere divisa e trasformata, così da poter essere usata come un soggetto o un predicato. Anche Tur deve aver saputo questo; ma o lo ha dimenticato oppure non gli piaceva tentare di corrompere le sacre reliquie che aveva portato con sé dalla casa paterna… Ora c’erano almeno quattro cose che Tur doveva esprimere con le sue radici e i suoi pronomi. Se era in possesso di una radice per tagliare, diceva: io taglio (al presente); io taglio (al passato); tagliatore per coltello, e il mio tagliatore per il mio coltello. Queste quattro piccole frasi gli erano indispensabili, se voleva [XI] condursi nel mondo. Fintanto che rimaneva solo con la sua famiglia e i suoi bambini poteva senza dubbio farsi intendere da loro per mezzo di un qualche accento espressivo nel caso in cui ngò . tà (moi battre) significava “Io batto” e in quello in cui ngò – tà significava “il mio bastone” (moi bâton). Ciò che seguiva toglieva in genere ogni incertezza, ammesso che ve ne fossero; perché ngo . ta . ni, io vi colpisco (moi battre vous), poteva soltanto significare “io ti colpisco”. Tutto ciò può sembrare tanto naturale, nel progredire della costruzione, che difficilmente all’inizio si scopre un che di peculiare in questi differenti modi di espressione. Ancora, nella costruzione di queste due espressioni: ngo .ta, io colpisco, e ngo – ta, il mio bastone, si trova qualcosa di tanto individuale e peculiare che né Silim né Irij potevano imitarlo.

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berty of putting the predicate first in one sentence and last in another. Silim could say ngo. ta I beat (e’. qtol) but never ngo-ta mystick... Irij again, at least in his early youth, could say ngo. ta my stick (mad-danda) but never ngo. ta I-striking. Instead of this he had to say striking-I (tudâmi). Silim divided his roots into simple nouns and fuller verbs;... he had only one difficulty, which, with all his acuteness, he could not overcome: he could never, think a predicate without first having thought his subject... The opportunity, however, which he had of forming at least these two verbal compounds, beating (of) me, and I-beating, was not lost by Silim; and as he found it essential to make his friends understand either that he had paid or that he meant to pay, he took the first form, paying (of) me, in the sense of the preterite, while the were assertion of I-paying was left to answer the purpose of a present or a future payment. – The mind of Irij was more comprehensive than that of Silim... How then could Irij express his preterite?... Silim when he found himself in the same dilemma etc. etc.“ Wir wollten einen Mythos nicht mit profanen Fragezeichen und Bemerkungen unterbrechen. Wem dieser gefällt, der mag ihn weiter lesen und ganz ausführlich a. a. O. In bestimmter dogmatischer Form mag er dann noch lesen (das. S. 477): As in the formation of political societies, we do not require the admission of any powerful individual mind to account for the presence of governed and governing classes, or of laws against theft and [XII] murder, but can explain these as the necessary result of social agglutination, we see nothing in the organisation of the Turanian languages that betrays the influence of some individual poetical genius, as the framer of peculiar laws, or the author of certain grammatical principles. In the Semitic and Arian languages, on the contrary, we find institutions, laws, and agreements, which, like the laws of inheritance and succession at Rome or in India, show the stamp of an individual will impressed on the previous traditions of scattered tribes. It is possible that the Semitic and Arian languages also passed through a stage of mechanical crystallisation, or uncontrolled conglomera-

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E cioè la libertà di porre il predicato entro una frase all’inizio e entro un’altra alla fine. Silim poteva dire ngo . ta io colpisco (e’ . qtol) ma non avrebbe mai potuto dire ngo – ta, il mio bastone… Irij d’altra parte, nella sua prima giovinezza poteva dire ngo – ta, il mio bastone (mad-danda), ma non avrebbe mai potuto dire ngo . ta, io – colpendo. Al posto di questo doveva dire colpendo – io (tudâmi). Silim divideva le sue radici in nomi semplici e verbi completi;… aveva solo una difficoltà che nonostante tutta la sua perspicacia non poteva superare: non poteva mai pensare un predicato senza aver prima pensato il suo soggetto… L’opportunità comunque che aveva di formare almeno questi due composti verbali, battendo (di) me, e io-battendo, non fu persa da Silim; e quando egli ritenne essenziale far intendere ai suoi amici o che aveva pagato o che voleva pagare, assunse la prima forma in senso passato mentre la mera asserzione, io pagando, rimase per indicare lo scopo di un pagamento presente o futuro. – La mente di Irij era più ampia di quella di Silim… Come poteva Irij esprimere il suo passato?... Silim quando si trovava nello stesso dilemma etc. etc.». Non volevamo interrompere un mito con profani punti di domanda e osservazioni. Chi vuole può proseguire nella lettura e affrontarla nel dettaglio continuando a seguire le pagine citate. In forma decisamente dogmatica costui può ancora leggere quanto segue (op. cit. p. 477): «come nella formazione delle società politiche non abbiamo bisogno di ammettere un qualche potente spirito individuale per spiegare la presenza di classi dominate o dominanti, o di leggi contro il furto e contro [XII] l’omicidio, ma possiamo spiegare queste ultime come il risultato necessario dell’agglutinazione sociale, nello stesso modo, nell’organizzazione delle lingue turaniche, non scorgiamo nulla che rimandi all’influenza di qualche genio poetico individuale quale fondatore di leggi peculiari o quale autore di qualche principio grammaticale. Nelle lingue semitiche o ariane, al contrario, troviamo istituzioni, leggi e accordi, che come le leggi di eredità e successione a Roma o in India, mostrano il conio di un volontà individuale impresso sulle precedenti tradizioni di tribù sparse sul territorio. È possibile che le lingue ariane e semitiche passarono attraverso uno stadio di cristallizzazione meccanica o di incontrollata

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tion of grammatical elements; but they left it, and entered into a new phase of growth and decay, and that through the agency of one creative genius grasping the floating elements of speech, and preventing by his fiat their further atomical concretion. Beckerianer, ihr seid gerechtfertigt! Bunsen hat seine frühere Ansicht von der Dreitheilung der Sprachen und Völker nach Sein, Ham und Japhet der Müllerschen nach Tur, Silim und Irij, also den semitischen Mythos dem arischen geopfert. Mythos gegen Mythos: ob das wohl der Mühe des Tausches lohnt? – Ich erinnere mich, daß vor mehreren Jahren ein Mann in Berlin lebte, Namens Schwartze, welcher in zwei dicken Quartbänden und in einer Koptischen Grammatik bewies, daß die ägyptische Sprache weder die Ursprache des Semitischen und Sanskritischen sei, wie Bunsen ehemals meinte, noch ein bloßer Zweig des Semitischen, wie er jetzt meint; sondern ein Stamm neben den beiden andern Stämmen. Der Mann verstand das Koptische vortrefflich und, hatte eine feine sprachwissenschaftliche Bildung. Beckers Ansichten fanden bei den historischen Sprachforschern von vorn herein Widerspruch, und ein Etymologe, wie Pott , konnte sieh keinen Augenblick mit Beckers Werk über „das Wort“ vertragen. Aber ich wüßte doch nicht zu sagen, wie weit wohl die historischen Sprachforscher über diesen bloßen Widerspruch gegen Becker hinausgekommen sind. Ja, in seiner Sphäre, d. h. in der allgemeinen Grammatik, hat man [XIII] ihn sogar, principiell wenigstens, anerkennen müssen; man wollte sich nur nicht von der allgemeinen Grammatik in die besondere hineinreden lassen, und noch weniger die allgemeine als die wichtigere oder gar als die allein wichtige angesehen wissen: da sie doch vielmehr nur ein Organon der historischen Sprachwissenschaft sein sollte. Potts Verdienste um eine vernünftige Auffassung der Sprache warten nicht auf des Verfassers Anerkennung. Käme es darauf an, dafs wir diese besonders aussprächen, wir würden uns wahrlich nicht begnügen, ihn denjenigen Sprachforscher zu nennen, der unter allen die meisten Sprachen kennt; wir würden Besseres von ihm zu sagen wissen; denn er strebt nach höherem Ruhme. Die gemeinsame Grundlage Beckers aber und der Histo-

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conglomerazione di elementi grammaticali; ma lo abbandonarono e entrarono in una nuova fase di crescita e declino, e ciò attraverso l’azione di un genio creativo capace di cogliere il flusso di elementi discorsivi e di prevenire, attraverso il suo fiat, la loro eventuale concrezione atomica». Beckeriani, siate voi giustificati! Bunsen ha sacrificato la sua precedente concezione della tripartizione delle lingue e dei popoli in Sem, Ham e Japhet alla concezione mülleriana in Tur, Silim e Irij, ha sacrificato insomma il mito ebraico a quello ariano. Mito contro mito: vale forse ciò la fatica della sostituzione? – Ricordo che molti anni or sono visse a Berlino un uomo, si chiamava Schwartze, che in due consistenti volumi e in una grammatica copta dimostrò che la lingua egiziana non è né la lingua madre delle lingue semitiche e delle lingue sanscrite, come Bunsen un tempo sosteneva, né un semplice ramo delle lingue semitiche come crede ora; ma un ceppo separato da entrambi. Quell’uomo comprendeva il copto perfettamente ed ebbe una fine formazione linguistica11. Le vedute di Becker hanno fin da principio incontrato l’opposizione dei linguisti storici e un etimologista come Pott non poteva assolutamente condividere l’opera di Becker su “la parola”12. Eppure non saprei dire quanta strada i linguisti storici abbiano percorso al di là di questa unica opposizione a Becker. Di certo nella sua sfera, è a dire nella grammatica universale, si è perfino dovuto [XIII] tributargli un grande riconoscimento, per lo meno di principio; soltanto, non si voleva lasciare che interferisse nella grammatica particolare a partire da quella universale e tanto meno si voleva che la grammatica universale fosse ritenuta più importante o l’unica importante giacché essa piuttosto doveva semplicemente fungere da organon della linguistica storica. I servigi di Pott a favore di una concezione razionale13 della lingua non aspettano il nostro riconoscimento. Fosse in gioco il fatto di tributargli questo riconoscimento in particolare, in vero non ci accontenteremmo di definirlo come quel linguista che tra tutti conosce il maggior numero di lingue; fosse in gioco quel riconoscimento in particolare, sapremmo dire di lui ben di meglio, giacché egli aspirerebbe a maggior gloria. Il fondamento comune di

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riker, auch Potts, zeigt sich in ihrem gemeinsamen Widerspruche gegen unsere Ansicht, welche den logischen Boden, auf dem beide stehen, gänzlich verläßt. Darum muß es uns bedeutsamer erscheinen, daß ein Sprachphilosoph auf philosophischem Boden sich der Beckerschen Ansicht entgegenstellt. Dies ist Heyse. Der volle und reine Ausdruck seines Systems ist leider noch nicht veröffentlicht. Jedoch schadet es vielleicht nicht viel, daß es so lange auf sich warten läßt; denn der größte Theil des Publicums scheint noch wenig vorbereitet, seine Ideen zu würdigen. Das hat sich in der Aufnahme seines Wörterbuches und seiner Grammatik der deutschen Sprache gezeigt. Wiewohl diese Werke nicht der strengen Wissenschaft angehören, so hätten sie doch mehr Beachtung verdient, als ihnen gewidmet worden ist. Namentlich würde Jacob Grimm, wenn er Heyses Wörterbuch einer näheren Prüfung unterzogen hätte oder bei seiner jede andere ausschließenden Richtung die eigenthümlichen Leistungen dieses Sprachforschers überhaupt gehörig zu würdigen vermöchte, jene durchaus selbstständige, gründliche Arbeit schwerlich in eine Reihe mit fabrikmäßig angefertigten Auszügen und Compilationen gestellt und mit diesen in Bausch und Bogen als nutz- und werthlos verurtheilt haben. Ich kenne Grimms hohe Bedeutung und habe daher seine Schrift: über den Ursprung der Sprache, die in der That nur in sofern von Interesse ist, als sie die Unzulänglichkeit des historischen Standpunktes zur Lösung solcher [XIV] über seinen Gesichtskreis hinaus liegenden Fragen im hellsten Lichte zeigt, mit der seinen großen Verdiensten gebührenden achtungsvollen Rücksicht behandelt. Wenn er aber jetzt die Werke meines verehrten Lehrers und Freundes, dessen Streben er verkennt, weil es auf ein ihm fremdes Ziel gerichtet ist, nicht bloß, wie bisher, gänzlich ignorirt, sondern geringschätzig verurtheilt: so wird mir kein Unparteiischer verargen, daß ich ihm entschieden entgegentrete. Ich kann aber noch nichts Näheres über Heyses Ansicht sagen, so lange sie nicht der Oeffentlichkeit angehört. Nur muß ich ausdrücklich bemerken, daß, so oft ich allgemein von der bisherigen Grammatik rede, Heyse nicht mit eingeschlossen ist.

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Becker però e degli storici, anche di Pott, si palesa nella loro comune contrapposizione al nostro punto di vista, il quale abbandona del tutto il piano logico su cui stanno entrambi. Deve pertanto apparirci più importante il fatto che un filosofo del linguaggio si contrapponga su un piano filosofico alla prospettiva beckeriana. Questo filosofo è Heyse. L’autentica e completa espressione del suo sistema purtroppo non è ancora stata data alle stampe. E tuttavia non è forse molto grave che si faccia attendere così a lungo, giacché la maggior parte dei lettori pare ancora non adeguatamente preparata ad apprezzare le sue idee. Il che s’è palesato nell’accoglienza del suo dizionario e della sua grammatica della lingua tedesca14. Per quanto queste opere non appartengano alla scienza in senso stretto, avrebbero meritato certo maggiore attenzione di quella che è stata loro tributata. In particolar modo se Jacob Grimm avesse sottoposto a un esame più accurato il dizionario di Heyse o se, nel suo approccio parziale, fosse soprattutto stato in grado di valutare come si deve le peculiari prestazioni scientifiche di questo linguista, difficilmente avrebbe collocato quell’opera assolutamente fondamentale e autonoma in una serie costituita da compendi e lavori compilatori confezionati in massa e difficilmente l’avrebbe, con quelli, condannata in blocco come inutile e scadente15. Conosco l’alto valore di Grimm e pertanto ho trattato con la rispettosa considerazione dovuta al suo importante ufficio il suo scritto sulla nascita del linguaggio che, invero, è d’interesse solo perché [XIV] porta a piena luce l’inadeguatezza del punto di vista storico a fornire la soluzione di quelle questioni che trascendono l’orizzonte storico stesso16. Se però costui non solo ignora del tutto, come ha fatto finora, le opere del mio venerato maestro e amico di cui misconosce l’ispirazione, dal momento che è orientata a un fine da lui non condiviso17, bensì attribuisce loro un valore infimo, allora nessuna persona imparziale mi biasimerà se lo avverso con fermezza. Non posso tuttavia esprimermi con maggior precisione sulla concezione di Heyse fintanto che essa non sia consegnata alle stampe. Devo solo dire apertamente che nel prendere in considerazione in generale la grammatica fino ai giorni nostri, l’opera di Heyse non vien contemplata nel mio discorso18.

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Es liegt mir nun an, einiges über das Motto dieses Buches zu sagen. „Denken ist schwer“: das ist der Wahl- oder Warnspruch der Kritik, wie ich sie verstehe, und welche ich von der Kritik einer gewissen Partei der Sprachforscher geschieden wissen will. Um nicht im Dunkel zu lassen, was und wen ich meine, so will ich einen Vertreter dieser Partei nennen, den sie wohl als solchen wird gelten lassen: Herrn Dr. Aufrecht. Auch will ich sogleich auf eine specielle Aeußerung Rücksicht nehmen. Wir waren so glücklich, siebenzehn Jahre nach dem Tode Humboldts noch ein ungeahntes posthumes Werk von ihm zu erhalten, wenn es auch nur ein Brief ist. Wir meinen den in der Zeitschr. f. vergl. Sprfschg. von Aufrecht und Kuhn Bd. II. abgedruckten Brief über den Infinitiv. Nun stimmt freilich kein Wort Humboldts zur Tendenz jener Zeitschrift. Die Aufnahme des Briefes mußte entschuldigt werden; und dies geschieht durch folgende Vorbemerkung des Hrn. Aufrecht: „Wie die Naturwissenschaften erst seit der Zeit zu reichster Entfaltung gelangt sind, seitdem das Experiment in die einzelnen Disciplinen derselben eingeführt wurde.“ – Seit wann mag denn wohl letzteres geschehen sein? ersteres natürlich erst in unserm Jahrhunderte; auch letzteres? Hr. Aufrecht will uns dies glauben machen! Wer wird ihm folgen? Der müßte z. B. nicht bedenken, daß die Chemie als Wissenschaft noch nicht seit einem Jahrhundert existirt [XV], wiewohl man das ganze Mittelalter hindurch viel experimentirt hat und sogar zu allen Zeiten und an allen Orten, selbst unter den Wilden, chemische Erfahrungen hatte. Gerade die Theorie war es, die Verstand und Vernunft in diese sinnlosen Experimente brachte; und vorzüglich auch mit der rationellen Entwickelung der Theorie ist die Chemie zu dieser „reichsten Entfaltung gelangt,“ deren sie sich heute erfreut. Ebenso, wenn der Fortschritt der Physiologie und der medicinischen Wissenschaft in geradem Verhältnisse zu den Experimenten stünde, welche man täglich am Krankenbette macht: wie glänzend würde es um dieselbe stehen! Aber nicht das Experiment allein, sondern auch die Theorie macht den Fortschritt. Auch Newton übertrifft Kepler dadurch, daß er zu seiner Beobachtung die Theorie brachte. Doch hören wir nach obigem Wie auch das So: „so wird die Sprachwissenschaft erst dann zu wahrem Gedeihen gelangen, wenn mehr und mehr das Erfahrungsmäßige in derselben zum Bewußtsein gebracht sein wird.“

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Mi preme dir qualcosa sul motto di questo libro. “Pensare è difficile”19: si tratta del motto o del monito della critica, così come io la concepisco e che desidero separare dalla critica nell’accezione usata da una certa parte dei linguisti. Affinché non rimanga ignoto cosa intendo e a chi alludo, voglio chiamar per nome un rappresentante di questa parte, che tale parte considererà volentieri in quanto tale: il Dottor Aufrecht. Voglio anche far subito riferimento a una particolare esternazione. Eravamo così felici di beneficiare, diciassette anni dopo la morte di Humboldt, di un’altra sua inopinata opera, sia pure una lettera. Alludiamo alla lettera sull’infinito pubblicata nel II volume della Rivista di linguistica comparativa di Aufrecht e Kuhn20. E però nemmeno una parola, in Humboldt, s’accorda alla tendenza di questa rivista. L’aver accolto quella lettera doveva esser giustificato, il che è accaduto attraverso questa premessa di Aufrecht: «come le scienze naturali sono approdate al più ricco sviluppo da quando l’esperimento è stato introdotto nelle loro singole discipline» – a partire da quando è accaduta l’ultima cosa? La prima, anzitutto, nel nostro secolo; anche la seconda? Aufrecht vuol farcelo credere! Chi gli crederà? Costui non dovrebbe, ad esempio, tener conto del fatto che la chimica come scienza non esiste ancora da un secolo, [XV] sebbene durante tutto il medioevo si è sperimentato molto e sono state fatte esperienze chimiche in ogni epoca e in ogni luogo, anche tra i selvaggi. Era la teoria a usare intelletto e ragione in questi esperimenti insensati; ed esattamente nello stesso modo, proprio attraverso lo sviluppo razionale della teoria, la chimica «è approdata» a questo «accrescimento tra i più ricchi» di cui oggi ci si rallegra. Proprio allo stesso modo, se il progresso della fisiologia e della scienza medica fosse in rapporto diretto con gli esperimenti che quotidianamente sono condotti con i degenti, come andrebbe bene a quelle scienze! In realtà, non solo l’esperimento, ma anche la teoria genera il progresso. Anche Newton è superiore a Keplero perché alla propria osservazione associò la teoria. E dopo quel che è stato detto nella citazione sul “come”, ascoltiamo anche il “così”: «così anche la linguistica approderà a un reale progresso, quanto più quel che in essa è conforme all’espe-

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Schwerlich hat sich Hr. Aufrecht klar gemacht, was er hier gesagt hat. Denn wenn die Erfahrung zum Bewußtsein gebracht werden soll, so geschieht dies eben nur durch die Theorie. Hr. Aufrecht wollte freilich sagen, das Heil der Sprachwissenschaft hänge davon ab, daß man wisse, sie sei empirisch. So fragen wir denn, war etwa die Grammatik nicht zu allen Zeiten empirisch? War es nicht besonders auch die Theorie, welche die neue Sprachwissenschaft schuf? war es nicht die tiefere philosophische Ansicht vom Wesen der Sprache? War Bopp, der Gründer der vergleichenden Grammatik, der erste Sanakritist? Verstand vor Grimm, dem Gründer der historischen Grammatik, niemand altdeutsch und die beiden classischen Sprachen? – Hr. Aufrecht fährt fort: „Apriorische Theorien“ – giebt es deren denn? – haben von jeher die Wissenschaft nicht gefördert, sondern sie zuweilen ganze Jahrhunderte gehemmt.“ Ein Beispiel, wenn’s beliebt! nur eins! Wo wuchern denn die Theorien? nicht unter den Empirikern? Wenn die Annahme einer besondern Lebenskraft z. B. der Physiologie geschadet, waren es nicht Empiriker, welche sie hegten? sind es nicht Philosophen, welche sie verbannen? Endlich aber, wenn Hr. Aufrecht die Elemente der wahren [XVI] Kritik kennte, hätte er sich nicht fragen müssen, warum sind denn diese falschen Theorien Jahrhunderte lang festgehalten worden? Denn wenn Hr. Aufrecht nicht so abstract, d. h. einseitig wäre, wenn er die Sachen concret, d. h. in ihrer Totalität, allseitig, anzuschauen fähig wäre, so würde er gesehen haben, daß die falschen Theorien nicht die Ursache, sondern der Thatbestand selbst der gehemmten Wissenschaften waren und sind, welcher Thatbestand nun eben erst Erklärung verlangt, aber nicht durch die Theorien selbst erklärt werden kann, weil dies ein idem per idem wäre. Wenn man sich auf die Naturforscher berufen will, so muß man sie besser kennen als Hr. Aufrecht sie zu kennen scheint, der z. B. übersehen oder nicht beherzigt hat, was der Physiologe Johannes Müller, der doch gewiß „das Erfahrungsmäßige in der Physiologie zum Bewußtsein gebracht hat“ (Handbuch der Physiologie des Menschen*) II. S. 522) sagt: „Die wichtigsten * Der zweite Band des oben citirten Werkes hat bekanntlich nur eine Auflage. Für den ersten Band haben wir im Laufe unseres Buches immer die dritte Auflage benutzt.

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rienza sarà portato a consapevolezza». Difficilmente Aufrecht aveva chiaro ciò che egli stesso ha qui enunciato. Giacché se l’esperienza deve esser resa consapevole, ciò accade, appunto, soltanto grazie alla teoria. Ma Aufrecht intendeva dire che la salvezza della linguistica dipenderebbe dal fatto che si sappia che essa è empirica. Domandiamo dunque: non fu forse la grammatica in tutte le epoche empirica? Non fu in particolare la teoria a dar corso alla nuova linguistica? Non fu la più profonda concezione filosofica dell’essenza della lingua? Non fu forse Bopp, il fondatore della grammatica comparativa, il primo sanscritista? Comprese forse qualcuno prima di Grimm, il fondatore della grammatica storica, l’antico tedesco e le due lingue classiche? – Aufrecht prosegue: «da sempre le teorie a priori» – ne esistono poi davvero? – non sono state di sostegno alla scienza, bensì hanno talvolta frenato interi secoli». Un esempio, di grazia! Almeno uno! Dove proliferano le teorie? Non tra gli empirici? Quando la supposizione di una particolare forza vitale, ad esempio, ha danneggiato la fisiologia, non erano forse gli empirici a sostenerla? Non sono forse i filosofi a bandirla?21 Infine, se Aufrecht conoscesse gli elementi della vera [XVI] critica non si sarebbe dovuto chiedere perché queste false teorie sono state mantenute per secoli? Giacché se il ragionamento di Aufrecht non fosse così astratto, così unilaterale, se egli fosse capace di cogliere le cose concretamente, è a dire nella loro totalità, complessivamente, avrebbe visto che le false teorie non sono state e non sono la causa, ma la stessa circostanza di fatto delle scienze raffrenate, circostanza di fatto che appunto richiede anzitutto d’esser spiegata, ma che non può esser spiegata in riferimento alle teorie, perché ciò significherebbe porre un idem per idem. Se ci si vuol richiamare agli scienziati bisogna allora conoscerli meglio di come mostri di conoscerli Aufrecht, il quale ad esempio ignora o trascura ciò che dice il fisiologo Johannes Müller (Handbuch der Physiologie des Menschen*, II, p. 522), * Il secondo volume dell’opera su citata è apparso, com’è noto, solo in prima edizione. Per quel che riguarda il primo volume, nel corso del testo, ci siamo serviti della terza edizione.

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Wahrheiten in den Naturwissenschaften sind weder allein durch Zergliederung der Begriffe der Philosophie, noch allein durch bloßes Erfahren gefunden worden, sondern durch eine denkende Erfahrung... eine philosophische Erfahrung. In allen Wissenschaften kommen Begriffe vor, denn sie sind das wirklich vorhandene Allgemeine, was durch die Sinne selbst nicht mehr erfahren, sondern durch den Geist abstrahirt wird... aber so weit Begriffe in einer Wissenschaft vorkommen, aus welchen Erscheinungen abgeleitet werden, so weit ist sie auch philosophisch.“ Auch Schleiden mögen diejenigen, die ihn für eine hohe Autorität halten, erst recht verstehen lernen; sie mögen von ihm hören (Botanik 1849 I. S. 7): „Nun aber hat umgekehrt die Naturwissenschaft erst wieder von der Philosophie zu empfangen.“ – (S. 8): „Hier versteckt sich die empirische Unfähigkeit immer hinter die Vieldeutigkeit unbestimmter und mangelhafter Abstraction, über welche die gesunde Empirie selbst keine Macht [XVII] hat, deren Aufklärung sie vielmehr allein von der Philosophie erwarten muß.“ Nur ob die das gerade von der Friesisch-Kantischen Philosophie zu erwarten hat, sei zu bezweifeln erlaubt. Wir sind hinaus über den Gegensatz von Theorie und Empirie, a priori und a posteriori. – Hr. Aufrecht hält die Sprachphilosophie für verfrüht. Das will in Wahrheit doch nur sagen, daß er das Bedürfniß derselben nicht fühlt, nicht begreift, noch weniger die Mittel kennt, dasselbe zu befriedigen. Statt des Vielen, was hier zur Berechtigung dieses Bedürfnisses, über seinen Umfang und über seine Bedeutung und endlich über das Streben und die Möglichkeit es zu befriedigen, gesagt werden könnte, stellen wir vielmehr die Frage, ob nicht, nach Hrn. Aufrechts strenger Ansicht, die Sprachphilosophie auf die griechischen Kalenden zu verschieben sei. Wenn jemand bekennt; „ich bilde mir nicht ein etwas Rechtes zu wissen,“ so ist zu bedenken, wie Faust diesen seinen Ausspruch erklärt, indem er weiterhin sagt: „Ihr Instrumente freilich spottet mein, Mit Rad und Kämmen, Walz’ und Bügel. Ich stand am Thor, ihr solltet Schlüssel sein; Zwar euer Bart ist kraus, doch hebt ihr nicht die Riegel.

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che di certo «nella fisiologia ha portato a consapevolezza ciò che è conforme all’esperienza»: «le più importanti verità nelle scienze naturali non sono state trovate né semplicemente attraverso la scomposizione dei concetti filosofici, né attraverso la mera esperienza, ma attraverso un’esperienza pensante… un’esperienza filosofica. In ogni scienza si fanno avanti concetti, giacché essi sono l’universale che si realizza, quel che non può più essere esperito per mezzo dei semplici sensi, ma viene astratto dallo spirito… e fintanto che in una scienza si fanno avanti concetti da cui vengono derivati fenomeni, quella scienza è anche filosofica»22. Anche coloro che considerano Schleiden un’insigne autorità, imparino anzitutto a comprenderlo, ascoltino quel che dice (Botanik 1849, I, p. 7): «e, anzitutto, al contrario, la scienza deve ora nuovamente imparare dalla filosofia» – (p 8): «si cela qui, dietro l’equivocità dell’astrazione indeterminata e difettosa, l’incapacità empirica; sull’equivocità dell’astrazione la sana empiria non ha alcun [XVII] potere, essa può attenderne la chiarificazione solo dalla filosofia». Sia solo concesso di dubitare che tale chiarificazione bisogni aspettarsela dalla filosofia friesiano-kantiana23. Noi siamo al di fuori dell’opposizione di teoria ed empiria, a priori e a posteriori. – Aufrecht ritiene prematura la filosofia del linguaggio. Ciò in verità può solo significare che egli non ne sente, non ne concepisce il bisogno e ancor meno conosce il mezzo per soddisfarne il bisogno. Più del molto che si potrebbe dire, e sarebbe qui a giustificazione di questo bisogno, sull’estensione, sul significato e infine sullo sforzo e la necessità di soddisfarlo, poniamo la questione se secondo la più rigorosa concezione di Aufrecht, la filosofia del linguaggio non sia da ricondurre alle calende greche. Se si ammette la seguente frase: «non pretendo di sapere ciò che è vero», allora bisogna accettare come Faust spiega questa sua massima, affermando di seguito: Con le vostre ruote e dentiere, con i vostri cilindri e manubri, voi di certo, o strumenti vi fate beffe di me. Mi trovavo alle porte; dovevate essermi chiavi. Non dico che il vostro ingegno non sia ritorto; ma il chiavistello non vi riesce ad

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Geheimnißvoll am lichten Tag, Läßt sich Natur des Schleiers nicht berauben, Und was sie deinem Geist nicht offenbaren mag, Das zwingst du ihr nicht ab mit Hebeln und mit Schrauben.“

Wenn ihr Göthe verstehen wollt, so eignet euch sein „Vermächtniß“ an. Hr. Schleiden hat sich neuerdings noch einmal ganz entschieden dahin erklärt, alle Streitigkeiten in der Wissenschaft rührten bloß von der Methode her; und sobald man sich nur erst über diese verständigt habe, so würde der ewige Friede da sein. Es gäbe nämlich überall nur zwei Methoden: die gute und die schlechte („im Garten gehn zwei Schafe, ein schwarzes und ein weißes“); die gute ist nach ihm die naturwissenschaftliche, die schlechte ist die historische; erstere ist Selbstdenken, letztere ist Autoritätsglaube. [XVIII] Das sogenannte Selbstdenken ist aber vielmehr ein Selbstsehen und Selbstbetasten; und wie könnte es nun an Adepten dieser Doctrin fehlen, die so streng sind, die Existenz Amerikas und Napoleons zu läugnen; denn sie haben beide nicht selbst gesehen. Es fehlt diesen Herren an dem ABC der Psychologie und der geschichtlichen Anschauung. Sie bilden sie ein, es genüge, um ein tiefer Selbstdenker zu werden, dass man sich eines schönen Morgens niedersetzt und zu sich spricht: ich will selbstdenken, ich will zweifeln. Da werden denn Sonne, Mond und Sterne verpufft, Himmel und Erde bei Seite gezweifelt, um alles sogleich darauf doch wider anzuerkennen – aber selbstdenkendend! Wüßten die Herren etwas von Geschichte, so wüssten sie, dass wir seit Bacon und Descartes über diese Skepsis hinaus sind. Sie würden wissen , dass seit jener Zeit jedes Menschenalter schrie: „Kritik, Kritik! Ja wir, wir sind nicht wie unsere Väter, kein Autoritätsglaube mehr; wir leben im Zeitalter der Kritik, wir sind nicht mehr im Mittelalter, wir!“ Und indem man zu jeder Zeit so schrie, verurtheilte jede die vergangene als unkritisch. Fern von uns, in solche Lächerlichkeit mit einzustimmen! Wir wissen, dass jede Zeit so denkt, wie sie denken kann, denken muß. Die Kritik weiß, dass mit solchem Vorsatz, einmal alles zu bezweifeln, noch nicht das Mindeste geschehen ist, und dass man

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alzarlo. Misteriosa nella luce stessa del giorno, la natura non si lascia strappare il suo velo. E quel che a lei non piace di manifestare al tuo spirito, non con forza di leve e di viti riuscirai certo a strapparglielo! 24

Se volete comprendere Goethe, appropriatevi del suo testamento. Schleiden si è di recente espresso ancora una volta in modo risoluto sul fatto che tutte le dispute nella scienza hanno avuto origine solo dal metodo e non appena fosse raggiunto un accordo sul metodo, nella scienza regnerebbe l’eterna pace. Esisterebbero infatti soltanto due metodi: quello buono e quello cattivo («nel giardino pascolano due pecore, una nera e una bianca»25); il buon metodo, a suo modo di vedere, è quello scientifico, il metodo cattivo è quello storico; il primo è un pensare autonomamente, l’altro un credere per autorità. [XVIII] Il cosiddetto pensare autonomamente però è piuttosto un veder da sé e un auscultare in proprio; e come potrebbero gli adepti di questa dottrina, che son così rigorosi, esimersi dal negare l’esistenza dell’America e di Napoleone, dal momento che non li hanno visti da sé. A queste persone manca l’ABC della psicologia e della prospettiva storica26. S’immaginano che sia sufficiente, per divenire un profondo pensatore autonomo, mettersi a sedere un bel mattino e dire rivolgendosi a se stessi: voglio pensar da me, voglio dubitare. Quindi, il sole, la luna e le stelle vengono oscurati perché tutto ciò venga subito, nuovamente riconosciuto – ma questa volta pensando autonomamente! Capissero questi signori qualcosa di storia, saprebbero che da Bacone e Cartesio siamo oltre questa scepsi. Saprebbero che da allora ogni generazione ha gridato: «critica, critica! Noi non siamo, non siamo come i nostri padri, basta con il sapere per autorità; noi viviamo nell’epoca della critica, non siamo più nel Medioevo, noi!» E poiché si è gridato così in ogni epoca, ognuna ha condannato la precedente come dogmatica. Lungi da noi il far comunella con una tale ridicolaggine! Noi sappiamo che ogni epoca pensa come può, come deve pensare. La critica sa che con questo proposito di mettere in discussione tutto una volta per tutte, non si è ancora dato

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dadurch nicht zur Erkenntniß und Ablegung des kleinsten oder größten Irrthums kommt; daß alle Irrthümer eben Erzeugniß des Selbsdenkens sind. Die Kritik weiß: „Denken ist schwer,“ und vollkommenes, absolutes Denken unmöglich. Behutsam ist der Kritiker, und nennt man dies zweifeln, so betonen wir stark, dass er vor allem räth, am eigenen Zweifel zu zweifeln. Das dürfte jenen Skeptikern wohl nie in den Sinn gekommen sein, dass nichts zweifelhafter ist, als ihr Zweifel. Ist denn nicht, höre ich fragen, die Bezweifelung des Zweifels eine doppelte Negation, also eine Bejahung des Dogmatismus? – Das will uns eine sophistische Dialektik einreden; dem [XIX] ist aber keineswegs so. Es muß gezweifelt werden, ob der Zweifel gründlich, werth- und gehaltvoll ist; ob er zu einer wirklichen That des Denkens geworden, oder bloßes Wort, bloßer abstracter Vorsatz geblieben ist: das treibt zu sorgfältiger Untersuchung, d. h. zur Kritik. Ist denn Zweifeln so leicht? das Wort auszusprechen, allerdings gar sehr. Aber manchem, der sich Kritiker dünkt, sind tausende der berechtigtesten Zweifel rein unmöglich, weil ihm alle Vorbedingungen dazu fehlen; und tausende der berechtigtesten Sätze will er nicht anerkennen, weil er nicht fähig ist, sie zu begreifen. Man muß viel wissen, sehr geübt sein im Denken, viel Scharfsinn haben, um den Punkt des Zweifels zu entdecken; und der, einzelne, noch so hoch Begabte, steht immer noch unter dem Einflusse seiner Zeit und kann gewisse Dinge nicht bezweifeln. Doch genug hiervon! wir haben im Buche selbst Gelegenheit gehabt, von Dialektik zu reden; und der Zweifel, der nicht zur Dialektik, zur Kritik wird, verdient nicht die mindeste Beachtung. Lernt die Natur des menschlichen Denkens kennen, die Natur des Objects und der allgemeinen Kategorien; studirt also Psychologie, Metaphysik, Logik. Studirt auch Geschichte, die vorzüglich geeignet ist, uns von Irrthümern zu reinigen und vor der Eitelkeit zu bewahren, daß jeder närrische Gedanke, der uns durch den Kopf fliegt, eine nagelneue Wahrheit sei, indem nämlich die Geschichte lehrt, daß die Erzeugnisse unsers sogenannten Selbstdenkens meist schon vor Jahrhunderten und Jahrtausenden in

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corso a nulla, con ciò non si è giunti alla conoscenza e all’abbandono di un qualsivoglia errore; la critica sa che tutti gli errori sono proprio l’effetto del pensare in proprio. La critica sa che «pensare è difficile» e il pensare perfetto, assoluto, è impossibile. Cauto è il critico, e se dubitare significa questo, dobbiamo allora insistere con forza sul fatto che egli anzitutto suggerisce di dubitare del proprio dubbio. Quegli scettici non dovettero mai comprendere quanto detto nel senso che nulla è più sospetto del loro dubbio. Non è per caso, sento domandare, il “dubitare del dubbio” una doppia negazione, dunque un’affermazione del dogmatismo? – Una dialettica sofistica vuol persuaderci di ciò; questo [XIX] però non è il caso. Deve esser posto in dubbio che il dubbio sia fondato, valido e appropriato; che esso sia divenuto un reale atto di pensiero o sia rimasto mero verbo, semplice astratto proposito: ciò spinge a una ricerca più accurata, è a dire alla critica. È poi dubitare tanto facile? Enunciare la parola, lo è di certo. Ma per colui che si crede critico, migliaia dei più fondati dubbi sono assolutamente impossibili, perché per lui mancano tutti i presupposti per quei dubbi; e migliaia dei più fondati principi non saranno da lui riconosciuti perché non è capace di intenderli. Bisogna sapere molte cose, esser molto esercitati nel pensiero, essere in possesso di un grande acume, per scoprire il punto di cui dubitare; e il singolo, per quanto altamente dotato, rimane sempre sotto l’influsso della sua epoca e non può dubitare di certe cose. Di ciò abbiamo detto abbastanza! Nel prosieguo del libro abbiamo avuto occasione di discorrere della dialettica27 e il dubbio che non diviene dialettica, critica, non merita la pur minima attenzione. Si vuol conoscere la natura del pensiero umano, la natura dell’oggetto e delle categorie universali? Si studino dunque la psicologia, la metafisica e la logica. Si studi anche la storia, che è particolarmente adatta a depurarci dagli errori e a proteggerci dalla vanità di credere che ogni stravagante pensiero che ci passa per la mente sia una verità nuova di zecca, giacché la storia insegna che i prodotti del nostro, cosiddetto, autonomo pensare sono stati meditati già da secoli e millenni in modo ben più profondo, sono stati portati a

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viel tieferer Weise erdacht, umfassender durchgeführt und schon längst gründlich widerlegt sind. Mit vorliegendem Werke wollte ich ein doppeltes Versprechen einlösen. Erstich habe ich Herrn Pott öffentlich (siehe meine Abhandlung „Die Entwickelung der Schrift“ S. 19) versprochen, das Verhältniß der Grammatik zur Logik ausführlich zu erörtern; und zweitens war meine Schrift „Der Ursprung der Sprache“ ein stillschweigendes Versprechen, die daselbst gestellte Aufgabe zu übernehmen. In gegenwärtigem Werke sind beide Punkte dem einen Zwecke untergeordnet, das Princip der [XX] Grammatik zu bestimmen, und nur so weit und in so fern sie zu diesem Zwekke gehörten, sind sie besprochen worden. Bei der Untersuchung über den Ursprung der Sprache zumal wollte ich die Aufgabe in ihrer größten Einfachheit, in ihrer reinsten Gestalt bearbeiten, abgelöst von allen Problemen, die sich an sie knüpfen, aber wesentlich anderen Gedankenkreisen angehören. Diese Vorsicht war nöthig, mindestens rathsam, indem die Sache, wie ich sie faßte, auch so noch unübersteigliche Schwierigkeiten darbot. Ich mußte mich damit begnügen, die Frage nur erst zurecht gerückt und auf ihren wahren Boden gestellt zu haben, und konnte nicht hoffen, indem sich sie in dieser ihrer wahren Gestalt zum ersten Male angriff, sie zur vollen Befriedigung zu lösen. Wenn ich nun um Nachsicht bitte, so wird zwar mancher glauben, solche Bitte stimme wenig zu dem Tone, den ich überall anschlage; andere aber, hoffe ich, werden mir wohl die Nachsicht gewähren, deren ich bedarf; indem sie meine Eigenthümlichkeit besser verstehen und nicht übersehen werden, wie gewissenhaft ich gestrebt habe, und wie ich in meinem Buche überall das Bewußtsein davon habe: es ist alles angefangen, vollendet nichts. Die Quellen, aus denen ich geschöpft, die Männer, deren Werke mich angeregt haben, sind im Buche gelegentlich genannt. Den jüngeren Mitarbeitern, die mir Vertrauen schenken, empfehle ich hier besonders die Arbeiten Lotzes, des größten Denkers unserer Zeit. Seine Metaphysik und Logik sind mir leider erst bekannt geworden, nachdem ich die Handschrift zu diesem Buche schon aus Händen gegeben hatte. Besonders was ich über die Logik im Allgemeinen gesagt habe, dürfte nach Lotze besser zu sagen sein.

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compimento in modo più esteso e già da lungo tempo confutati a fondo. Con quest’opera intendevo tener fede a una duplice promessa. Anzitutto ho pubblicamente promesso a Pott (si veda il mio trattato Die Entwickelung der Schrift, p. 19) di prendere in esame dettagliatamente il rapporto della grammatica con la logica; e, in secondo luogo, il mio scritto Der Ursprung der Sprache era una tacita promessa di intraprendere il compito lì stesso posto28. In quest’opera entrambi i punti sono subordinati all’unico fine di determinare [XX] il principio della grammatica e sono stati trattati solo nella misura in cui ed entro i limiti in cui rispondevano a questo fine. Nella ricerca sull’origine della linguaggio intendevo soprattutto elaborare questo compito nella sua massima semplicità, nella sua forma più pura, separato da tutti i problemi che vi si collegano, ma che, per essenza, appartengono ad altri ambiti speculativi. Tale precauzione era necessaria, o quanto meno consigliabile, giacché la cosa, anche così come la intendevo, presentava insormontabili difficoltà. Dovevo accontentarmi d’aver anzitutto condotto la questione ai giusti termini e d’averla posta sul terreno che le è proprio e non potevo sperare d’averla risolta in modo pienamente soddisfacente per il fatto d’averla considerata, per la prima volta, nella forma che le è appropriata. Se ora domando indulgenza, qualcuno crederà di certo che una tale richiesta s’accordi male con il tono che tengo in ogni parte di quest’opera; ma altri, spero, mi concederanno l’indulgenza di cui ho bisogno perché comprenderanno meglio la mia peculiarità e non trascureranno quanto scrupolosamente mi sono prodigato e quanto in qualsiasi punto del mio libro sia consapevole che tutto ha avuto inizio e nulla è stato portato a compimento. Le fonti da cui ho attinto, le persone dalla cui opera ho tratto stimolo, sono di volta in volta nominate nel libro. Ai più giovani collaboratori, che mi accordano fiducia, consiglio qui in particolare i lavori di Lotze, il più grande pensatore della nostra epoca. Purtroppo, sono venuto a conoscenza della sua metafisica e della sua logica solo dopo aver consegnato il manoscritto di questo libro. Soprattutto ciò che ho sostenuto a proposito della logica in generale, sarebbe stato necessario in riferimento a Lotze dirlo meglio29.

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Die tiefste Anregung erhielt ich durch den Humboldtschen Begriff der inneren Sprachform; und das vorliegende Buch ist nur die Erläuterung dieses Begriffes. Ich sehe immer noch Humboldt als den Urheber desselben an, wiewohl ich einerseits nicht zurücknehmen kann, was ich in meiner Kritik Humboldts (vergl. meine Schrift: Die Classification der Sprachen) überzeugend bewiesen zu haben glaube, daß er nämlich in keiner Grundfrage [XXI] der Sprachphilosophie zu einer entschiedenen Ansicht und einem klaren Begriffe gelangt ist, und andererseits zugestanden werden muß, daß nicht bloß überall und längst die innere Sprachform geahnt worden ist, nicht bloß die neuere vergleichende Etymologie ihren lexikalischen Theil fleißig bearbeitet hat, sondern daß auch innerhalb der historischen Grammatik selbst die Bedeutungslehre aufgetaucht ist, die doch wohl nichts Anderes sein wird, als die Darstellung der innern Sprachform. Reisig ist der Urheber dieser Bedeutungslehre, die freilich bei ihm noch einen sehr beschränkten Sinn hat, indem sie nur die Bedeutungen der Wörter zum Gegenstande hat. Wir hoffen, daß es seinem Herausgeber und Nachfolger Haase gelingen wird, das begonnene Werk seines Lehrers glücklich fortzuführen. Es steht ihm aber noch die Aufgabe bevor, die Bedeutungslehre wirklich zu begründen, nur erst einmal ihr wahres Wesen und ihren Umfang, wie ihre allseitigen Beziehungen darzustellen, sei es theoretisch, begrifflich, oder an dem Beispiele einer besondern Grammatik. Pott und Benary haben Reisigs Idee sehr bereitwillig anerkannt. Benary hat ihren Gegenstand erweitert, indem er auch die Bedeutung der Wortformen hineinzog. Es will mir aber kaum scheinen, als hätten sie die Sache richtig erfaßt: sie würden sonst eben den Humboldtschen Begriff der innern Sprachform besser erkannt haben. Die Bedeutungslehre kann nicht im mindesten apriorisch sein; sie kann gar nichts mit der Logik zu thun haben. Sie wird zunächst ganz individuell und historisch sein, Bedeutungslehre der lateinischen, der griechischen u.s.w., Sprache und wird ferner, in einem allgemeinen Theile, auf allgemeine psychologische Gesetze zu gründen sein. Wir gestehen also nicht bloß eine Verwandtschaft zwischen Bedeutungslehre und innerer Sprachform zu,

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Ho ricevuto il più profondo impulso dal concetto humboldtiano di forma interna della lingua; e questo libro non è altro che un commento di quel concetto. Io riconosco ancora a Humboldt la paternità di quel concetto, sebbene da un lato non possa ritirare ciò che credo d’aver dimostrato in modo convincente nella mia critica a Humboldt (si veda il mio scritto: Die Classification der Sprachen30), è a dire che, in nessuna questione [XXI] fondamentale della filosofia del linguaggio, egli è pervenuto a una concezione risolutiva e a un concetto perspicuo, e sebbene dall’altro lato deve essere concesso non solo che la forma interna della lingua è stata presagita in lungo e in largo, non soltanto che la più recente etimologia comparativa ha diligentemente elaborato la sua parte lessicale, ma anche che all’interno della stessa grammatica storica è emersa la teoria del significato, che certo non può essere considerata nulla di diverso dalla rappresentazione della forma interna della lingua. Reisig è colui che ha fondato questa teoria del significato, che tuttavia in lui ha ancora un senso molto limitato poiché si occupa solo dei significati delle parole31. Speriamo che al curatore dei suoi scritti e seguace Haase riuscirà di proseguire l’opera che il suo maestro ha iniziato32. Ha ancora davanti a sé il compito di dar effettivo fondamento alla teoria del significato, come prima cosa illustrandone una volta per tutte la vera essenza e l’estensione, assieme alle molteplici relazioni, avvenga ciò da un punto di vista teoretico, concettuale, o in riferimento a una grammatica speciale. Pott e Benary hanno riconosciuto con molta prontezza le idee di Reisig33. Benary ha ampliato il loro ambito di applicazione includendovi anche il significato delle forme della parola. A me non pare che costoro abbiano concepito la cosa del tutto nei giusti termini, altrimenti avrebbero avvalorato di più proprio il concetto humboldtiano di forma interna della lingua. La teoria del significato non può essere niente affatto a priori, non può avere nulla a che fare con la logica. Essa anzitutto sarà interamente individuale e storica, teoria del significato del latino, del greco etc. e inoltre, all’interno di una parte generale, dovrà essere fondata su leggi psicologiche universali. Dunque, non solo ammettiamo un’affinità tra teoria del significato e forma interna della lingua, ma crediamo che la teoria del signi-

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sondern meinen, die Bedeutungslehre, wahrhaft aufgefafst, sei eben Darstellung der innern Sprachform. Trotzdem schließen wir uns lieber dem Sprachgebrauche Humboldts an, weil der Begriff Humboldts doch bestimmter, entwickelter scheint als der Reisigs und selbst der Benarys, und dies deswegen, weil die Benennung „innere Sprachform“, wie ihr Inhalt, sich als Glied eines Systems von Begriffen und Namen [XXII] kund giebt. Sie weist nämlich sogleich auf den übergeordneten Begriff, Sprachform, hin, worunter, wie in diesem Buche gezeigt ist, Humboldt das individuelle Princip einer Sprache versteht, nach welchem der lautliche Bau der Sprache einerseits und ihr System von Vorstellungen und Vorstellungsbeziehungen andererseits gebildet ist – das Princip, welches die Sprache zur Einheit, zum Organismus, macht und jeder Einzelheit das bestimmte Gepräge aufdrückt, durch welche sie auf das Ganze bezogen wird. Alles dies und das Viele, was damit verknüpft ist und daraus folgt, liegt nicht eben so klar und bestimmt in Bedeutungslehre: darum spricht sie auch mit weniger Entschiedenheit ihren Unterschied von der Logik aus. Noch ein anderes Verhältniß scheint mir zu beweisen, daß das Wesen der Bedeutungslehre, wie sie jetzt aufgefaßt wird, noch sehr ungenügend bestimmt ist. Man will die Grammatik in drei Theile zerfallen lassen: Etymologie, Bedeutungslehre und Syntax. Diese Eintheilung will mir wenig einleuchten. Bedeutungslehre ist kein Begriff, der in derselben Reihe mit Etymologie und Syntax steht, weder als nebengeordnet, noch als Stufenentwickelung, noch als vermittelnd. Man sage statt Bedeutungslehre innere Sprachform, und man wird eben so wohl das Unpassende dieser Dreitheilung fühlen, als auch sogleich das richtige Verhältniß erkennen. Bedeutung und innere Form ist sowohl in der Etymologie, als auch in der Syntax, wie auch in beiden die Lautform ist. Der Unterschied zwischen dem etymologischen und dem syntaktischen Theile der Grammatik liegt doch wohl einfach darin, daß jener die einzelnen Sprachelemente, dieser die Zusammenfügung der Elemente bespricht. Vor diesen beiden Theilen könnte wohl noch ein anderer als erster behandelt werden, nämlich die Lehre von

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ficato intesa adeguatamente sia proprio la rappresentazione della forma interna della lingua. Ciò nonostante preferiamo rifarci all’uso linguistico di Humboldt, perché il concetto di Humboldt ci pare decisamente più preciso e più sviluppato di quello di Reisig e finanche di quello di Benary, e ciò perché la denominazione e il contenuto dell’espressione “forma interna della lingua” palesano quest’ultima come parte di un sistema [XXII] di concetti e nomi. La denominazione rimanda, infatti, al concetto sovraordinato di forma della lingua sotto cui, come è dimostrato in questo libro, Humboldt comprende il principio individuale di una lingua secondo il quale sono formati da una parte il costrutto fonetico della lingua, dall’altra il suo sistema di rappresentazioni e relazioni rappresentative – il principio che conferisce unità e rende la lingua un organismo e imprime a ciascuna singolarità il conio attraverso cui essa è rapportata all’intero. Tutto ciò, e il molto che con ciò è connesso e che da ciò segue, non si trova in modo così chiaro e preciso nella teoria del significato, anche per questa ragione tale teoria esprime con minore risolutezza la sua diversità dalla logica. Ancora un altro rapporto mi pare mostri che l’essenza della teoria del significato, nel senso in cui la si intende adesso, è determinata in modo molto insoddisfacente. Si vuol suddividere la grammatica in tre parti: etimologia, teoria del significato e sintassi. Questa suddivisione a me pare poco convincente. La teoria del significato non è un concetto che si trova nella stessa serie con l’etimologia e la sintassi, né in quanto concetto subordinato, né in quanto stadio di sviluppo e nemmeno in quanto concetto che medi tra i due termini. Si dica al posto di teoria del significato: forma interna della lingua e tanto si coglierà con esattezza l’inadeguatezza di questa tripartizione, quanto si riconoscerà immediatamente il giusto rapporto. Il significato o la forma interna della lingua si trova tanto nell’etimologia come nella sintassi, come in entrambe si trova la forma fonetica. La differenza tra parte etimologica della grammatica e parte sintattica di essa sta quindi solo nel fatto che quella si occupa dei singoli elementi linguistici, questa della loro combinazione. Prima di queste due parti potrebbe certo esser presa in considerazione un’altra parte che le precede, è a dire la teoria della tecnica linguistica (la cui

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der Sprachtechnik (deren wichtigster Theil die Lautlehre sein würde) oder von den Mitteln, welche eine Sprache hat ihre Formen zu bilden, wie Lautwandel, Reduplication, Stellung u.s.w. Der zweite, der etymologische Theil, würde zeigen, wie diese Mittel zur Erzeugung wirklicher Formen verwandt sind, die Syntax endlich, wie sich diese Formen an einander schließen. Die Lehre von der Technik würde nicht [XXIII] bloß die Formenlehre, sondern auch die Syntax vorbereiten, denn es giebt nicht nur eine etymologische, sondern auch eine syntaktische Technik. Sie würde sich also zu Etymologie und Syntax verhalten, wie die Physik zur Kosmologie, d. h. sie würde die abstracten Kräfte darstellen, welche in der Erzeugung und Bewegung der Sprache herrschen. In allen drei Theilen der Grammatik aber, in der abstracten Lehre von der Technik der Sprache, in der Lehre vom Wort und den Wortformen, und in der Syntax, in jedem ist die Bedeutungslehre oder die Darstellung der innern Form neben der äußern oder Lautform zu geben. Die Lehre von der Technik bespricht also z. B. die Reduplication in doppelter Beziehung, sowohl als lautlichen Proceß, als auch nach ihrer Bedeutung. Reduplication aber herrscht sowohl in der Etymologie, als in der Syntax. Nachdem nun ihr lautliches und inneres Wesen abstract festgestellt ist, zeigt die Wortlehre die concrete Bildung des Perfectums, lautlich und innerlich; und die Syntax endlich zeigt die Verwendung dieser Form im Satze und Satzgefüge. In der Syntax wird weniger Gelegenheit sein, äußere und innere Form zu scheiden, weil es weniger syntaktisch erst zu bildende Formen giebt. Aber streng genommen läßt sich auch hier die Unterscheidung machen. Denn es ist doch nur ein Lautproceß, daß neben eine bestimmte Substantivform eine bestimmte Adjectivform gesetzt wird; und es ist Sache der Innern Form oder Bedeutungslehre, daß solche lautliche Zusammenstellung das attributive oder prädicative Verhältniß bezeichnet. Hieraus wird also wohl klar geworden sein, daß die Bedeutungslehre nicht ein Theil der Grammatik neben oder zwischen Etymologie und Syntax ist; sondern daß sie die Grammatik nach ganz entgegengesetzter Richtung durchschneidet,

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sezione più importante sarebbe la teoria fonetica) ovvero la teoria dei mezzi di cui una lingua è in possesso per costituire le sue forme, quali il mutamento fonetico, la duplicazione, la posizione etc. La seconda parte, quella etimologica, dovrebbe mostrare come questi mezzi siano congiunti per la produzione di forme effettive, la sintassi, infine, come queste forme si connettano l’una con l’altra. La teoria della tecnica non dovrebbe [XXIII] solo preparare la morfologia, ma anche la sintassi, giacché non esiste solo una tecnica etimologica, ma anche una tecnica sintattica. Essa dovrebbe rapportarsi dunque all’etimologia e alla sintassi come la fisica si rapporta alla cosmologia, è a dire dovrebbe presentare le forze astratte che vigono nella produzione e nel movimento della lingua. In tutte e tre le parti della grammatica però, nella teoria astratta della tecnica della lingua, nella teoria della parola e delle forme della parola, e nella sintassi, in ciascuna, la teoria del significato o la rappresentazione della forma interna della lingua deve essere data accanto a quella della forma esterna o fonetica. La teoria della tecnica si occupa ad esempio della duplicazione in duplice senso, sia in quanto processo fonetico sia secondo il significato. La duplicazione tuttavia vige tanto nell’etimologia come nella sintassi. Ora, poiché la sua essenza fonetica e interna è astrattamente appurata, la teoria della parola mostra la formazione concreta del passato dal punto di vista fonetico e dal punto di vista interno e la sintassi, infine, mostra l’utilizzazione di questa forma nella frase e nel periodo. Nella sintassi ci sarà meno occasione di separare forma interna e forma esterna, anzitutto perché le forme che si costituiscono da un punto di vista eminentemente sintattico sono in numero minore. Ma, in senso stretto, la separazione è possibile anche in questo caso. Giacché è invero solo un processo fonetico quello per cui accanto a una forma sostantivata è posta una forma aggettivale; ed è una questione relativa alla forma interna o alla teoria del significato che questa connessione fonetica designi un rapporto attributivo o predicativo. Da quanto detto sarà dunque risultato perspicuamente che la teoria del significato non è una parte della grammatica che sta accanto o tra l’etimologia e la sintassi, ma che essa seziona la grammatica in una direzione opposta e questa sezione

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und dieser Durchschnitt sowohl die Etymologie als auch die Syntax trifft, wie auch die Lehre von der Sprachtechnik, die abermals nicht in derselben Linie wie Etymologie und Syntax steht. Und in allen diesen sechs Theilen der Grammatik hat jede Sprache ein besonderes, gar nicht logisches, sondern eben sprachliches Princip. Alles dies deutet mir der Name innere Sprachform so deutlich an, als ein Name es thun kann [XXIV]; aber nicht ebenso Bedeutungslehre. Die dargelegte Verwirrung ihrer Verhältnisse aber zeigt, wie wichtig ein Name sein kann. Ich habe hier von der Bedeutungslehre gesprochen, wie ich sie, von einer allgemeinen Anschauung und von Begriffen ausgehend, nicht anders auffassen kann, muß aber abwarten, wie ein Mann, wie Hr. Haase, die Sache ansehen wird, der sich die specielle Bearbeitung der Bedeutungslehre auf klassischem Sprachgebiete zur besonderen Lebensaufgabe gestellt zu haben scheint. Was er in der Halleschen Literaturzeitung von 1838 ausgesprochen hat, nämlich seine Abneigung gegen logisches Schematisiren in der Grammatik und Anerkennung der Individualität der Sprachen, läßt mich hoffen, daß wir zusammentreffen werden, so verschieden auch unsere Ausgangspunkte sein mögen. Es führen viele Wege zur Wahrheit, und nicht bloß einer, nicht bloß gerade dieses Buch und dieser Philosoph, wie der Dogmatiker meint. Was nun endlich die Darstellung betrifft, so hoffe ich, vorliegendes Buch werde klarer sein, als alles, was ich früher veröffentlicht habe, sowohl wegen der Ausführlichkeit, als auch wegen der bessern Form. Das muß man freilich nie erwarten, daß philosophische Untersuchungen über die schwierigsten Probleme der Wissenschaft im Gewande der gemeinen Umgangs-und Haussprache erscheinen. Die Philosophie, wie jede Wissenschaft, hat ihre Kunstausdrücke, und die strenge Entwickelung von Begriffen, die genaue Verfolgung und sorgfältige Scheidung psychologischer Thatsachen wird immer Anstrengung von Seiten des Lesers erfordern. Der leichtsinnige Recensent, der selbst eingesteht, daß er mich nicht verstehe und sich beklagt über meinen „Hang, Dinge, die sich einfach mit wenigen Worten sagen ließen, durch philosophischen Phrasenkram aufzustutzen,“ sollte doch bedenken, wenn er denken könnte, daß er nicht im mindesten wissen kann, ob etwas, was ihm dunkel mid unverständlich geblieben

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incrocia tanto l’etimologia quanto la sintassi, come anche la teoria della tecnica della lingua che, di nuovo, non si trova nella stessa linea dell’etimologia e della sintassi. E in ognuna di queste sei parti della grammatica ciascuna lingua ha un principio peculiare, per nulla logico, ma appunto linguistico. Il nome “forma interna della lingua” per me indica tutto ciò in modo così perspicuo quanto può fare [XXIV] un nome; ma ciò non accade con la formula: “teoria del significato”. L’esposta confusione dei loro rapporti mostra tuttavia fino a che punto un nome può essere importante. Mi sono qui espresso sulla teoria del significato in rapporto al modo in cui mi è possibile coglierla a partire da una prospettiva generale e da un punto di vista concettuale, è però necessario attendere come valuterà la questione un uomo della statura di Haase, il quale sembra essersi posto come scopo peculiare di vita l’elaborazione speciale della teoria del significato nell’ambito delle lingue classiche. Ciò che ha sostenuto nella «Halleschen Literaturzeitung» del 183834, è a dire la sua avversione per la schematizzazione logica nella grammatica e il riconoscimento dell’individualità delle lingue mi lascia sperare che ci incontreremo per quanto i nostri punti di partenza possano essere differenti. Molte vie, e non una sola, portano alla verità, non solo, come crede il dogmatico, questo libro e questo filosofo. Infine, per quel che riguarda l’esposizione, spero che questo libro risulterà più chiaro di tutto ciò che ho pubblicato in precedenza tanto in ragione dell’ampiezza quanto per la forma migliore. Ma non bisogna mai aspettarsi che le ricerche filosofiche sui più difficili problemi della scienza si presentino nella veste del linguaggio comune e familiare. La filosofia, come ogni scienza, ha il suo linguaggio specifico e il rigoroso sviluppo dei concetti, l’esatto procedimento e l’accurata analisi dei fatti psicologici, richiederanno sempre uno sforzo da parte del lettore. Lo sconsiderato recensore, che confessa di non comprendermi e si lamenta della mia «propensione a sostenere con un ciarpame di espressioni filosofeggianti cose che si potrebbero esprimere semplicemente con poche parole», dovrebbe pensare al fatto, se fosse in grado di pensare, che egli quantomeno non può sapere se qualcosa che per lui è

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ist, sich mit einfachen Worten sagen lasse. Montaigne fragt: Ne tient-il qu’aux mots, qu’ils n’entendent tout ce qu‘ils trouvent par escrit? Aber wie kann man [XXV] von solchem Recensenten verlangen, er solle sich eingestehen, es gäbe Gedanken und Arbeiten, die seiner Fähigkeit unzugänglich sind! Stößt er auf solche, so schiebt er ihnen seine Gedanken unter, die sich freilich „einfach mit wenigen Worten“ sagen lassen, am besten aber ungesagt bleiben. Ich habe S. 157 auf eine Arbeit von mir über die chinesische Sprache verwiesen, von der ich glaubte, daß sie vor dem gegenwärtigen Buche erscheinen würde. Mancherlei Umstände haben es veranlaßt, daß dieselbe noch ungedruckt ist; sie wird jedoch vermuthlich noch im Laufe dieses Jahres der Oeffentlichkeit übergeben werden. Die Correctur dieses Buches ist, Dank der Verlagshandlung und meinen Berliner Freunden, mit vieler Sorgfalt betrieben worden. Trotzdem sind mehrere Fehler stehen geblieben, die der Leser zu verbessern gebeten wird; ich lasse sie auf der Rückseite folgen und ergreife zugleich diese Gelegenheit, die von mir bemerkten Fehler in meiner “Entwickelung der Schrift” zu verbessern. Paris im Januar 1855.

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rimasto oscuro e incomprensibile si lasci esprimere con semplici parole35. Montaigne domanda: Ne tient-il qu’aux mots, qu’ils s’entendent tout ce qu’ils trouvent par escrit?36 Ma come si può pretendere [XXV] da un tale recensore che ammetta che ci sono pensieri e lavori inaccessibili alla sua capacità! Nel caso che vi si imbatta sostituisce a essi i suoi pensieri, i quali però si lasciano «semplicemente dire con poche parole», ma che sarebbe meglio rimanessero inespressi. A p. 157 ho rimandato a un mio lavoro sulla lingua cinese, che credevo sarebbe stato pubblicato prima di questo libro37. Per alcune circostanze quel lavoro non è ancora stato dato alle stampe; esso tuttavia sarà presumibilmente pubblicato nel corso di quest’anno. La correzione di questo libro, grazie alla casa editrice e ai miei amici berlinesi38, è stata condotta con molta accuratezza. Ciononostante sono rimasti molti errori che il lettore è pregato di emendare, li indico nella pagina che segue39. E colgo anche l’occasione di correggere gli errori che ho rintracciato nel mio Entwickelung der Schrift. Parigi, gennaio 1855.

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GRAMMATIK UND LOGIK I. ALLGEMEINE VORBEMERKUNGEN A. Von der Sprachwissenschaft im Allgemeinen Die Sprachwissenschaft setzt, wie jede andere Wissenschaft, das Dasein ihres Gegenstandes und das Bewußtsein davon voraus. Der Gegenstand muß jedoch sogleich beim Eingange deutlich angegeben, bezeichnet, vorgewiesen werden, damit man von vornherein außer Zweifel darüber ist, wovon im Laufe der Untersuchung die Rede sein solle. Wir haben also mit einer NominalDefinition zu beginnen; die Real-Definition liegt in der ganzen Darstellung der Wissenschaft. §. 56. Definitionen. Gegenstand der Sprachwissenschaft ist die Sprache oder Sprache überhaupt, d. h. Aeußerung der bewußten innern, seelischen und geistigen, Bewegungen, Zustände und Verhältnisse durch den articulirten Laut. – Wir unterscheiden hierbei näher: Sprechen, d. h. die gegenwärtige, oder als gegenwärtig gedachte, Handlung oder Ausübung der Sprache. Sprachfähigkeit, d. h. einerseits die physiologische Kraft articulirte Laute hervorzubringen und dazu noch andererseits der sämmtliche Gehalt des Innern, welcher als der Sprache vorausgehend gedacht wird und durch sie geäußert werden soll. Sprachmaterial, d. h. die von der Sprachfähigkeit im Sprechen einmal geschaffenen Elemente, welche immer von neuem angewandt werden, so oft derjenige innere Gegenstand wieder [138] geäußert werden soll, für dessen Aeußerung sie geschaffen wurden, als er zum ersten Male so geäußert wurde; oder richtiger: die bei der jedesmaligen ersten Aeußerung irgend eines besondern innern Elementes ausgeübte Handlung, welche bei jeder Gele-

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GRAMMATICA E LOGICA40 I. PREMESSE GENERALI A. Sulla scienza della lingua in generale La scienza della lingua, come ogni altra scienza, presuppone l’esistenza del suo oggetto e la consapevolezza di esso. Tuttavia, l’oggetto deve essere immediatamente indicato, designato, mostrato, in modo tale che sin dal principio sia chiaro su che debba vertere il discorso nel corso della ricerca. Dobbiamo dunque iniziare con una definizione nominale, la definizione reale si trova nella trattazione scientifica nel suo complesso. §. 56. Definizioni Oggetto della scienza della lingua è la lingua o la lingua in generale, è a dire l’espressione per mezzo del suono articolato dei movimenti, degli stati e dei rapporti interni – affiorati a coscienza – dell’anima e dello spirito. – Distinguiamo di seguito in modo più preciso: Parlare: l’azione o l’utilizzazione della lingua nel presente, ovvero pensata “in atto”. Capacità linguistica: da un lato la forza fisiologica di produrre suoni articolati e dall’altro l’intero contenuto dell’interiorità, pensato come ciò che precede la lingua e deve essere espresso per suo tramite. Materiale linguistico: gli elementi una volta forgiati nel parlare dalla capacità linguistica, che vengono riutilizzati ogni qualvolta deve essere espressa quella condizione interna [138] per la cui espressione furono forgiati quando la prima volta venne così espressa. O, più correttamente: l’azione eseguita in ogni caso nella prima esternazione di uno specifico elemento

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genheit, wo dasselbe innere Element wieder geäußert werden soll, wiederholt wird. Eine Sprache oder die einzelne Sprache ist der gesammte Inbegriff des Sprachmaterials eines Volkes. §. 57. Betrachtungsweise der Sprachwissenschaft und Beziehungen derselben zu andern Wissenschaften. Es kann aber nicht genügen, den Gegenstand bloß anzugeben, wie oben geschehen ist; es muß erst noch gezeigt werden, nach welcher Beziehung von ihm die Rede sein solle. Denn man kann von jedem Gegenstande, in mannigfacher Beziehung reden, ihn von verschiedenen Seiten und auf mancherlei Weise ansehen. Das Denken z. B. ist Gegenstand der Logik, der Metaphysik und der Physiologie, aber in jeder dieser Wissenschaften nach einer andern Beziehung; die Pflanzen sind Gegenstand der Botanik und der Materia medica, aber in beiden von verschiedenen Seiten. Man weiß auch schon im voraus, daß die Sprachwissenschaft die Sprache nicht von allen möglichen Seiten untersucht. Niemand wird z. B. von ihr darüber Aufschluß fordern, ob es erlaubt sei, anvertraute Geheimnisse auszusprechen; ob Parlamente und Sprechzimmer schätzenswerthe Einrichtungen sind. Die Wissenschaft aber hat sich zu bestimmen und so zu erklären, daß man einsieht, was und was nicht, warum dies oder jenes nicht von ihr zu verlangen ist, wenn auch noch Niemand daran denkt, es von ihr zu fordern. Sie kann und soll sich natürlich nicht negativ von andern Wissenschaften und geistigen Sphären abschließen; sie soll nicht erklären, dies und jenes sei sie nicht; sondern sie soll sich positiv in sich einschließen, und sie soll dadurch ihre Gränzen bestimmen, daß sie erklärt, was sie ist. Die theoretischen Thätigkeiten des Menschen lassen sich unter zwei allgemeinen Classen zusammenfassen, oder beruhen sämmtlich auf zwei geistigen Handlungen: urtheilen und beurtheilen. Im Urtheil liegt eine Erkenntniß; in der Beurtheilung liegt ein ausgesprochenes Lob oder ein Tadel. Man erkennt, was ist, und wie beschaffen etwas ist; man beurtheilt, ob etwas schön oder häßlich, gut oder schlecht, wahr oder falsch und, [139] wenn auch nach minder hohen Rücksichten, richtig oder unrichtig, zweckmäßig oder unzweckmäßig sei. Es giebt also Wissenschaften, welche Thatsachen und thatsächliche Verhältnisse, Existenzen und Gesetze zu erkennen, zu ergründen suchen; und

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interno, che viene ripetuta in ogni occasione in cui il medesimo elemento interno deve essere nuovamente espresso. Una lingua o la singola lingua è la quintessenza del materiale linguistico di un popolo. §. 57. Prospettiva della scienza della lingua e i suoi rapporti con le altre scienze Non può tuttavia bastare, come è stato fatto sopra, indicare semplicemente l’oggetto, deve anche essere mostrato da che punto di vista ci si debba occupare di esso, giacché di ciascun oggetto si può discorrere in modo diverso, lo si può considerare sotto aspetti diversi e secondo prospettive disparate. Il pensiero, ad esempio, è oggetto della logica, della metafisica e della psicologia41, ma in ciascuna di queste scienze secondo un diverso punto di vista; le piante sono oggetto della botanica e della materia medica42, ma valutando in ciascuna aspetti diversi. Si sa già in anticipo che la scienza della lingua non indaga la lingua da tutti i punti di vista possibili. Nessuno, ad esempio, si aspetterà che essa chiarisca se sia concesso rivelare i segreti confidati o se parlamenti e gabinetti siano istituzioni apprezzabili. La scienza tuttavia deve costituirsi e spiegarsi in modo tale che, quand’anche nessuno pretenda di saperlo, si capisca perché da essa si esige qualcosa e non qualcos’altro, perché questo e non quello. Essa naturalmente non può e non deve scindersi dalle altre scienze e dalle altre sfere spirituali in modo negativo, non deve illustrare ciò che non è, ma deve determinarsi in se stessa positivamente e definire i suoi confini in modo tale da spiegare ciò che è. Le attività teoriche dell’uomo possono essere ricondotte a due classi generali o nel complesso poggiano su due attività spirituali: giudicare e valutare43. Nel giudizio sta una conoscenza, nella valutazione sta l’espressione di un’approvazione o di una disapprovazione. Si conosce che cos’è, e come è fatto qualcosa, si valuta se qualcosa è bello o brutto, buono o cattivo, vero o falso e, [139] quand’anche da punti di vista meno elevati, giusto o sbagliato, più o meno appropriato. Ci sono dunque scienze che cercano di conoscere, di sondare fatti e rapporti effettivi, esistenze e leggi e ce ne sono altre che

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es giebt auch andere, welche Maßstäbe der Beurtheilung, Grunde für Lob und Tadel aufzufinden streben. Ist nun die Sprachwissenschaft eine erkennende, oder eine beurtheilende Wissenschaft? Wir antworten: eine erkennende. Etwas Gesprochenes ist nicht wahr und nicht falsch; wahr oder falsch ist nur das Gesagte, d. h. das Gedachte. Wenn ferner Sprechen sittlich gut oder schlecht ist, so ist es eine That, und es gehört dann, wie jede andere, der Beurtheilung des Sittenrichters an; denn der Gegenstand der Sprachwissenschaft ist das Sprechen als Handlung und nicht als That. Ferner die Beurtheilung, ob schön oder häßlich gesprochen worden sei, gehört der Rhetorik und Poetik an, nicht der Sprachwissenschaft. Darüber endlich, ob etwas richtig oder unrichtig gesprochen sei, entscheidet sie allerdings, aber nur indirect. Indem sie nämlich zeigt, wie man spricht, verbietet sie, anders zu sprechen, oder tadelt es. Die Sprachwissenschaft ist also wesentlich oder ursprünglich erkennend, nicht beurtheilend, nicht – wie man die beurtheilenden Wissenschaften auch genannt hat – ästhetisch. Sie nähert sich aber den letztern oder nimmt auch wohl gänzlich das Wesen derselben an in einigen ihrer Zweige. Dies ist klar in der Metrik, welche reine Kunstlehre ist. Doch die Metrik könnte man von der Sprachwissenschaft gänzlich absondern und der Poetik zuweisen. Denn wenn es auch der Sprache nicht zufällig geschieht, daß sie nach metrischen Gesetzen behandelt wird, so gehört doch diese metrische Behandlung nicht zum Wesen der Sprache als Aeußerung des bewußten Innern. Weil die Sprache ein Tönen ist, so kann sie als Tongebilde künstlerisch geformt werden; diese Formung aber bleibt ihrem innern Wesen und Zwecke durchaus fremd. Die Bedeutung wird vom Rhythmus nicht berührt, und völlig bedeutungslose Sylben wurden denselben metrischen Erfolg hervorbringen als Wörter. Zur Sprachwissenschaft gehört aber allerdings nicht bloß die Betrachtung der Sprache überhaupt, auch nicht bloß die jeder einzelnen Sprache an sich nach ihren einzelnen Elementen; [140] sondern in ihren Kreis fällt auch die Anwendung einer Sprache in den verschiedenen Arten der Literatur; d. h. nicht nur die Form

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si sforzano di rintracciare criteri di valutazione, le basi su cui approvare e disapprovare. Ora, la scienza della lingua è una scienza conoscitiva o valutativa? È una scienza conoscitiva. Ciò che è espresso attraverso la lingua non è vero o falso, vero o falso è solo ciò che viene detto, è a dire ciò che è pensato. Se inoltre si valuta il parlare buono o cattivo in senso etico, allora lo si considera un atto e come ogni altro atto è sottoposto al giudizio di chi valuta dell’eticità, poiché l’oggetto della scienza della lingua è il parlare in quanto azione44 e non in quanto atto. Inoltre, la valutazione che individua un’espressione come bella o brutta, appartiene alla retorica e alla poetica, non alla scienza della lingua. Il fatto, infine, che qualcosa di espresso attraverso la lingua sia giusto o sbagliato, lo decide certo la scienza del lingua, ma solo in modo indiretto. Mostrando come si parla infatti vieta di esprimersi in modo diverso ovvero disapprova che lo si faccia. La scienza della lingua è dunque essenzialmente e originariamente conoscitiva e non valutativa, non – come sono chiamate altrimenti le scienze valutative – estetica. Si avvicina tuttavia a queste ultime o ne acquista interamente la natura in alcune sue ramificazioni. Ciò è palese nella metrica, che è teoria estetica in senso puro. Certo, si potrebbe interamente separare la metrica dalla scienza della lingua e assegnarla alla poetica. Poiché, sebbene alla lingua non accada casualmente d’essere elaborata secondo leggi metriche, tuttavia di sicuro questa elaborazione metrica non appartiene alla scienza della lingua come espressione dell’interiorità affiorata a coscienza. Dal momento che la lingua è un risuonare essa può, in quanto costrutto sonoro, essere formata artisticamente. Questa forma tuttavia rimane del tutto estranea alla sua natura e al suo scopo interno. Il significato non è toccato dal ritmo e sillabe del tutto prive di significato potrebbero dar luogo allo stesso successo metrico di parole. Alla scienza della lingua tuttavia non appartiene soltanto la trattazione della lingua in generale e nemmeno solo quella di ogni singola lingua in sé, secondo i suoi singoli elementi, [140] ma rientra nel suo dominio anche l’utilizzazione di una lingua nei diversi tipi di letteratura: non solo la forma della

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einer Sprache ist Gegenstand der Sprachwissenschaft, sondern auch ihr Charakter und die in ihrer Literatur entwickelten Style; und hier wird die Sprachwissenschaft allerdings ästhetisch. Die Rhetorik und Poetik zwar wird hierbei von ihr nur berührt; denn sie giebt keine Anweisung zum Reden und Dichten, sondern bleibt historisch, indem sie eigenthümliche Style darlegt; aber sie greift dadurch in die Literaturgeschichte ein. Nur so viel können wir zugestehen, nicht mehr. In der Literaturgeschichte ist ein sprachwissenschaftliches Element, und ein sehr bedeutendes; aber sie ist nicht nach der Gesammtheit ihrer Aufgabe und Leistung ein Theil der Sprachwissenschaft; denn sie umfaßt außer jenem sprachwissenschaftlichen Elemente noch andere, wesentlichere, mit welchen jene nichts zu thun haben kann. Die Literaturgeschichte nämlich ist ein Theil der Kunstgeschichte, und zwar derjenige Theil, welcher die Künste umfaßt, deren Darstellungsmaterial Anschauungen und Gedanken, also auch Sprache ist. Dies sind, wie bekannt, im Allgemeinen sechs Künste: die epische, lyrische, dramatische, und die historische, philosophische und rhetorische Kunst. Insoweit nun das Darstellungsmaterial dieser Künste die Sprache ist, entlehnt die Literaturgeschichte von der Sprachwissenschaft. Zu diesem Darstellungsmaterial aber gehört mehr als die Sprache; es gehören dazu noch gedankliche Elemente, die gar nicht der Sprachwissenschaft, sondern ausschließlich dem Literarhistoriker angehören. Wir vergessen hierbei durchaus nicht Böckhs Warnung davor, in die Literaturgeschichte mehr hineinzuziehen, als die Form der Darstellung. Alles was zum Inhalt gehört, zum Dargestellten, darf nicht in sie hineinkommen, sondern gehört der Geschichte der Realien an. Die Darstellungsform, der Styl Platos gehört in die Literaturgeschichte, seine Philosophie in die Geschichte der Philosophie. Die Darstellungsform aber, der Styl, beruht nicht bloß auf der Sprache. Der Platonische Styl wird nicht erschöpft durch seinen sprachlichen Ausdruck. Der Styl hängt allemal auch, und ursprünglicher und bedeutungsvol-

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lingua è oggetto della scienza della lingua, ma lo sono anche il suo carattere e gli stili sviluppati nella sua letteratura45; in relazione a ciò la scienza della lingua diventa di certo estetica. Invero, la retorica e la poetica, in questa prospettiva, ne sono solo sfiorate, dal momento che la scienza della lingua non offre alcuna indicazione su come si debba parlare e poetare e piuttosto rimane storica, occupandosi soltanto dell’esposizione dei differenti stili; e tuttavia con ciò s’inserisce nella storia della letteratura. Solo questo possiamo concedere, non di più. Nella storia della letteratura vi è un elemento di pertinenza della scienza della lingua, e un elemento molto importante, ma essa non è, nella totalità dei suoi compiti e della sua estensione, una parte della scienza della lingua; e ciò perché la storia della letteratura, al di fuori di quegli elementi di pertinenza della linguistica, ne comprende altri, essenziali, coi quali la scienza della lingua non può avere nulla a che fare. La storia della letteratura è infatti una parte della storia dell’arte e invero quella parte che comprende le arti il cui materiale rappresentativo è costituito da intuizioni e pensieri, dunque anche dalla lingua. In generale, come è noto, si tratta di sei diverse arti: l’epica, la lirica, il dramma, la storia, la filosofia e la retorica. Nella misura in cui il materiale rappresentativo di queste arti è la lingua, la storia della letteratura prende a prestito dalla scienza della lingua. Di questo materiale rappresentativo tuttavia fanno parte più cose della sola lingua, ne fanno parte anche elementi del pensiero che non sono riconducibili alla scienza della lingua, ma esclusivamente al lavoro dello storico della letteratura. Non dimentichiamo a questo punto il monito di Böckh contro chi vuol prendere in considerazione nella storia della letteratura più della sola forma della rappresentazione46. Tutto ciò che appartiene al contenuto, a ciò che è rappresentato, non vi deve trovar spazio, ma è piuttosto riconducibile alla storia dei ‘realia’. La forma della rappresentazione, lo stile di Platone appartengono alla storia della letteratura, la sua filosofia alla storia della filosofia. La forma della rappresentazione, però, e lo stile non poggiano semplicemente sulla lingua. Lo stile platonico non si esaurisce nella sua espressione linguistica. Lo stile di certo è posto anche in rapporto – e più originariamente ed essenzialmente

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ler als an der Sprache, an der Anordnung und Verbindung der Gedanken selbst, und diese Betrachtung gehört ausschließlich der Literaturgeschichte, nicht der Sprachwissenschaft. Nehmen wir noch ein anderes Beispiel. Die Geschichte des griechischen [141] Dramas muß doch zur griechischen Literaturgeschichte gehören; wohin wollte man sie sonst bringen? Auch gehört sie hieher mit ihrem gesammten Wesen und wird hier erschöpfend behandelt. Die Geschichte der griechischen Sage an sich gehört freilich nicht in die Literaturgeschichte, weil die Sage nicht ein formales, sondern das materiale Element des Dramas ist. Die Geschichte des griechischen Dramas aber beschäftigt sich nur mit der dramatischen Formung dieser Sagen, und überlässt letztere selbst der Geschichte der griechischen Sage. So viel Berührungspunkte es also auch für die Geschichte des Dramas und die der Sage geben mag, sie fallen nicht zusammen. Von Seiten der Sage kommt also auch kein der Sprachwissenschaft fremdes Element in die Geschichte der Tragödie. Sie wird aber dennoch mancherlei erzählen, wie z. B. daß Aeschylos zwei redende Personen auf die Bühne brachte, Sophokles drei, daß in der spätern Komödie der Chor wegblieb u.s.w., was alles die dramatische Form wesentlich und unmittelbar betrifft, die sprachliche Darstellung aber entweder gar nicht, oder erst mittelbar. Der Literarhistoriker muß also wohl Sprachwissenschaft verstehen; aber die Literaturgeschichte geht nicht in ihr auf. Die Sprachwissenschaft ragt weit in die Literaturgeschichte hinein, füllt sie aber bei weitem nicht aus. Wir machen also hier begrifflich eine Scheidung, die aber praktisch verschwinden muß. Ein solches Verhältniß kann nicht wundernehmen, wenn man bedenkt, daß die Sprachwissenschaft aus der Philologie herausgeschnitten ist*. Einen ästhetischen, beurtheilenden Charakter aber nimmt die Sprachwissenschaft in einer Disciplin an, die ihr ganz wesentlich und eigenthümlich ist, nämlich in der systematischen Anordnung oder Classificirung der Sprachen. Hierbei nämlich begnügt sie sich nicht, die Sprachen nur nach den an ihnen erkannten gemeinsamen Merkmalen in Classen und Familien zusammenzufas* Wie ich dies schon in meiner Schrift De pronomine relativo auf den ersten Seiten dargelegt habe, in Uebereinstimmung mit Böckh.

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che con la lingua – con l’ordine e la connessione dei pensieri; e questo tipo di considerazione appartiene esclusivamente alla storia della letteratura, non alla scienza della lingua. Facciamo un altro esempio. La storia del dramma greco [141] deve ben appartenere alla storia della letteratura greca, a che si vorrebbe altrimenti ricondurre quest’ultima? Anch’essa gli appartiene interamente e in riferimento a esso è trattata in modo esaustivo. La storia della saga greca in sé però non appartiene alla storia della letteratura, perché la saga non è l’elemento formale, ma quello materiale del dramma. La storia del dramma greco d’altro canto si occupa soltanto dell’attribuzione di forma drammatica a queste saghe e lascia queste ultime alla storia della saga greca. Per quanti punti di contatto dunque possano pur darsi tra storia del dramma e quella della saga, esse non coincidono. Di conseguenza, anche da parte della saga nessun elemento estraneo alla scienza della lingua perviene nella storia della tragedia. Quest’ultima, tuttavia, narrerà come – ad esempio – Eschilo fece recitare sul teatro due persone, Sofocle tre, come nella commedia tarda il coro mancasse etc., tutte questioni che riguardano essenzialmente e immediatamente la forma drammatica, ma nient’affatto, o solo mediatamente, la rappresentazione linguistica. Lo storico della letteratura deve dunque ben comprendere la scienza della lingua, ma la storia della letteratura non si esaurisce a ciò. La scienza della lingua si addentra nella storia della letteratura per lungo tratto, ma non la occupa del tutto. Allora poniamo qui una distinzione concettuale, che da un punto di vista pratico deve invece sparire. Un tale rapporto non può stupire se si riflette sul fatto che la scienza della lingua è ritagliata dalla filologia* 47. La scienza della lingua però assume un carattere estetico e valutativo in una disciplina che le appartiene in modo essenziale e le è peculiare, è a dire nell’ordinamento sistematico o nella classificazione delle lingue. Per essa infatti non è sufficiente raccogliere le lingue in classi e famiglie, secondo le caratteristiche comuni in esse conosciute, ma a partire da * Come ho già spiegato, in accordo con Boeckh, nelle prime pagine del mio libro De Pronomine relativo.

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sen; sondern sie bildet aus diesen Classen eine Stufenleiter und Rangordnung. Sie beurtheilt also hier den Werth der Sprachen, ihre Würdigkeit als geistige Erzeugnisse und zugleich wieder als Mittel zur geistigen Entwickelung. Endlich noch eine Unterscheidung. Sprechen ist eine Seelenthätigkeit [142] und folglich gehört die Sprachwissenschaft in den Kreis psychologischer Wissenschaften: gerade wie auch die Lehre vom Denken und Wollen, d. h. wie Gedanken und Willensregungen entstehen – nicht wie sie sein sollen – in die Psychologie gehört. Daß die Betrachtung der Sprache überhaupt und der Sprachfähigkeit durchaus und rein psychologisch ist, hat man immer anerkannt; auch hat man ihr einen Abschnitt in den Lehrbüchern der Psychologie gewidmet. Die Sprachwissenschaft ragt mit ihrem Haupte vollständig in die Psychologie hinein. Das Sprachmaterial aber, d. h. die einzelnen Sprachen sind besondere Erzeugnisse des menschlichen Geistes, die nicht mehr der Psychologie, sondern der Geschichte, d. h. der Sprachwissenschaft, angehören*, eben so wie die einzelnen bestimmten Willensregungen und Gedanken nicht mehr Gegenstand der Psychologie sind. Das Sprechen aber, d. h. wie wir oben definirten, die gegenwärtige oder als gegenwärtig gedachte Handlung der Sprache, kann sowohl Gegenstand der Sprachwissenschaft, als der eigentlichen Psychologie sein, natürlich nach verschiedenen Beziehungen. Insofern in jedem Sprechen Sprache überhaupt gegeben und Sprachmaterial geschaffen oder angewandt ist, ist dieses Sprechen Gegenstand der Sprachwissenschaft. Das Sprachmaterial aber besteht aus Vorstellungen, und selbst die bloßen Laute, die Articulationen, sind eine Reihe von Seelen-Erregungen: als solche können sie der rein psychologischen Betrachtung unterworfen werden, welche vom Inhalte der Seelen-Erzeugnisse absieht. So hat z. B. Herbart in einem Aufsatze „über Kategorien und Conjunctionen“ (Sämmtliche Werke VII. S. 482 ff.) die Sprache zum Gegenstande psychologischer Untersuchungen gemacht, die nicht zur Sprachwissenschaft gehören, eben so wenig wie desselben Philosophen psychologische Betrachtung der Farben- und

* Auf diesen Punkt werden wir am Schlusse des Buches zurückkommen.

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queste classi essa istituisce una scala e un ordine di rango. Qui pertanto, la classificazione giudica il valore delle lingue, la loro dignità in quanto prodotti spirituali e anche come mezzi per lo sviluppo spirituale. Infine, ancora una distinzione. Parlare è un’attività [142] spirituale e di conseguenza la scienza della lingua appartiene al circolo delle scienze psicologiche, esattamente come appartengono alla psicologia le teorie del pensiero e del volere, è a dire le teorie che studiano come i pensieri e gli stimoli del volere sorgono e non come devono essere. Che la considerazione della lingua in generale e della capacità linguistica sia assolutamente e puramente psicologica, lo si è sempre riconosciuto; le si è anche dedicata una sezione nei manuali di psicologia. La scienza della lingua con l’estremità superiore s’innalza interamente nella psicologia. Il materiale linguistico però, è a dire le singole lingue, è un prodotto particolare dello spirito umano che non appartiene più alla psicologia ma alla storia ovvero alla scienza della lingua*48, così come non sono più oggetto della psicologia gli stimoli della volontà e i pensieri singoli e determinati. Il parlare tuttavia, come lo abbiamo definito sopra, l’azione della lingua nel presente ovvero pensata in atto, può essere sia oggetto della scienza della lingua sia della psicologia in senso proprio, naturalmente da punti di vista differenti. Nella misura in cui in ogni parlare è data la lingua in generale ed è costituito o utilizzato materiale linguistico, questo parlare è oggetto della scienza della lingua. Il materiale linguistico consiste però di rappresentazioni e persino i semplici suoni, le articolazioni fonetiche, sono una serie di stimoli spirituali e, in quanto tali, possono essere oggetto di una pura considerazione psicologica che prescinde dal contenuto dei prodotti spirituali. Così Herbart, ad esempio, in un saggio Sulle categorie e le congiunzioni (Sämmtliche Werke, VII, pp. 482 e sgg.)49 ha fatto oggetto la lingua di ricerche psicologiche che non appartengono alla scienza della lingua, esattamente come la considerazione psicologica delle rappresentazioni dei colori e dei suoni, proposta dallo * Torneremo su questo punto in conclusione del libro.

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Tonvorstellungen für Farben- und Compositionslehre gelten könnte. Alles Nähere über das eigenthümliche Wesen der Sprachwissenschaft kann nur aus dem genauern Studium derselben hervorgehen und ist bis heute noch in den wichtigsten Punkten sogar streitig. Denn der Charakter der Wissenschaft hängt, im tiefsten Grunde, von ihrer Erkenntniß ihres Gegenstandes ab. Je nach dem, was man in der Sprache sucht oder an ihr zu [143] haben meint, richtet man auch die Betrachtungsweise ein. Was aber in der Sprache zu finden ist, was man wirklich an ihr hat, soll die Wissenschaft erst ausmachen – einer von den tausend Kreisen, in denen sich die philologische Forschung ihrem Wesen nach bewegt. §. 58. Bestimmung unserer Aufgabe. Die vorliegende Arbeit ist nun gerade ein Versuch, das Princip und damit den Charakter der Sprachwissenschaft mit Sicherheit festzustellen und genau zu bestimmen. Unsere Absicht ist nicht, ein System der Sprachwissenschaft aufzustellen, sondern nur erst den Weg dazu anzubahnen, ihm einen Boden zu bereiten, eine Grundlage zu geben. Wir können natürlich, wie so eben bemerkt worden, das Princip der Grammatik nicht anders finden, als indem wir uns in das allgemeine Wesen ihres Gegenstandes zu vertiefen suchen. Denn nichts anderes als das innerste und eigenste Wesen der Sprache, nichts anderes als das Moment, auf welchem ihr Sein und Wirken beruht, von welchem alle Verhältnisse, in denen sie steht, ganz vorzugsweise und im letzten Punkte abhängen – weil mit diesem Momente sogleich die eigenthümliche Thätigkeit der Sprache beginnt, und ohne dasselbe nur todtes Material zur Sprache vorhanden sein kann, welches erst von ihm zu lebendiger Sprache organisirt, ja sogar von ihm erst herbeigeschafft wird –: nichts anderes als dies kann, darf das Princip der Grammatik sein. Ohne Sicherheit über dieses Princip würde sich nur der Bau, der Lautkörper der Sprache, die Sprache so weit sie in die Sinnlichkeit fällt, äußerlich beschreiben lassen; aber die ihr inwohnende Seele und lebendige Bewegung, ihr geistiger Inhalt und seine Verhältnisse würden sich der Erkenntniß so vollständig entziehen können, daß man sie ganz und gar übersähe und statt ihrer der Sprache ein ganz fremdes Wesen unterschöbe. Daß es der bisherigen Gram-

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stesso filosofo, non può valere come teoria dei colori e della composizione. Tutto ciò che di più specifico si può dire sulla peculiare natura della scienza della lingua può risultare solo dallo studio più esatto di essa e rimane ancora oggi, negli snodi principali, perfino oggetto di disputa. Poiché il carattere della scienza nei suoi fondamenti più profondi dipende dalla conoscenza del suo oggetto, [143] il modo di procedere si realizza anche secondo ciò che si cerca nella lingua e che si ritiene le sia proprio. Ma quel che bisogna trovare nella lingua, ciò che davvero è di sua pertinenza, deve prima scoprirlo la scienza: uno dei tanti circoli in cui la ricerca filologica muove secondo la propria natura50. §. 58. Determinazione del nostro compito Il presente lavoro è, appunto, solo un tentativo di appurare con sicurezza e determinare con certezza il principio e, con ciò il carattere, della scienza della lingua. Non è nostra intenzione istituire un sistema di scienza della lingua, ma vogliamo solo indicare la via per preparare il terreno a questo sistema e assegnargli un fondamento. Naturalmente, come è stato notato, non possiamo trovare il principio della grammatica altrimenti che cercando di penetrare a fondo la natura universale del suo oggetto. Giacché nient’altro il principio della grammatica può e dev’essere che la natura più intima e propria della lingua, nient’altro che il fattore su cui poggiano il suo essere e il suo operare da cui, in ultima istanza, dipendono tutti i rapporti in cui consiste – giacché con questo fattore inizia immediatamente la peculiare attività della lingua e senza di esso non può esserci per la lingua null’altro che morto materiale, il quale viene organizzato solo per suo mezzo e per suo tramite viene finanche procurato. Senza la certezza in merito a questo principio potrebbe essere descritta esclusivamente la struttura, il corpo sonoro della lingua, la lingua in rapporto alla mera dimensione sensibile. Ma l’anima che la abita e il movimento vitale, il suo contenuto spirituale e i suoi rapporti si sottrarrebbero alla conoscenza a tal punto che ne rimarrebbe preclusa la comprensione stessa della lingua e un’essenza del tutto diversa sarebbe sostituita alla sua. Che alla grammatica

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matik so ergangen sei, daß sie fälschlich der Sprache eine logische Seele statt der eigenthümlich sprachlichen geliehen habe, ist nach unserer voranstehenden Kritik mindestens sehr wahrscheinlich geworden und muß zur Gewißheit gelangen je nach dem Grade, in welchem es uns im Folgenden gelingen wird, das wahre Wesen der Sprache, ihre Momente und ihre Verhältnisse zu den übrigen geistigen Thätigkeiten, ihre Stellung und Function in der Oekonomie des geistigen Leben ins rechte Licht zu setzen. [144] Da es bei allen Untersuchungen höchst wichtig ist, falsche Ansichten, welche sich festgesetzt haben und das Aufkommen der Wahrheit verhindern, wegzuschaffen, so müssen wir mit unserm ausscheidenden Bemühen noch fortfahren: und zwar dies um so mehr, als jede gründliche Negation auf eine Position hinweist; denn diese Position ist eben der Grund des Negirens und der wahre Kern und die Kraft der Negation. Wir werden uns aber bei diesen negativen Untersuchungen nicht abermals an Personen wenden; sondern wir werden an die Sache selbst gehen. Sie selbst werden wir fragen, ob die bisher herrschenden Ansichten die richtigen sind. Wir werden also die Sprache fragen, ob Sprechen und Denken identisch sei, wie man doch behauptet; ob Grammatik und Logik ein und dasselbe seien, wie man doch behaupten müßte, und endlich ob und in wiefern in der Sprache Logik, also die Sprache logisch gebildet sei, was Becker wenigstens fast absolut behauptet. Haben wir auf diese Fragen negative Antworten bekommen, so werden wir uns dann bernühen, in positiver Weise das wahre Wesen der Sprache und ihre wahren Verhältnisse zu finden. Obwohl uns nun bei diesen Untersuchungen über das Verhältniß von Logik und Grammatik zu einander eigentlich nur die Grammatik anliegt, weil wir nur in ihrem Dienste stehen: so ist es doch durchaus unthunlich, nicht auch einen Blick auf die Logik an sich zu werfen und rein logische Fragen in Betracht zu ziehen, eben weil wir hier Gebietsstreitigkeiten zu schlichten, ungerechte Besitznahmen rückgängig zu machen versuchen. Wir können im voraus noch gar nicht wissen, was in Wahrheit der Logik angehört, und was der Grammatik: wir haben dies erst zu prüfen; und wo sich ein Verdacht ergiebt, muß weiter das wahre Eigenthumsrecht erforscht werden. Wir wollen die Logik aus der Grammatik ausweisen, die Sprachwissenschaft von ungehörigen logischen

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finora in vigore sia da imputare di aver erroneamente attribuito alla lingua un’anima logica al posto di quella peculiarmente linguistica, sarà divenuto ormai, grazie alla nostra precedente critica51, almeno altamente probabile e deve pervenire a certezza quanto più, procedendo, ci riuscirà di porre nella giusta luce la vera natura della lingua, i suoi tratti costitutivi e i suoi rapporti con la restante attività spirituale, la sua posizione e la sua funzione nell’economia della vita spirituale. [144] Dacché in ogni ricerca è di estrema importanza sgomberare le false opinioni che si sono sedimentate e hanno impedito di stabilire la verità, dobbiamo procedere coi nostri sforzi di rimozione e ciò tanto più, quanto più ogni radicale negazione rimanda a un’istanza positiva, in cui consiste appunto la ragione del negare e il vero nerbo e la forza della negazione. Tuttavia in queste ricerche orientate a confutare non ci volgeremo di nuovo a persone, ma andremo alle cose stesse. Le interrogheremo per sapere se le opinioni in voga siano giuste. Domanderemo pertanto alla lingua se pensare e parlare, come si dice, siano identici; se grammatica e logica, come si dovrebbe dire, siano uno e lo stesso; e infine se e in che misura la logica si trovi nella lingua ovvero la lingua sia costituita in modo logico; ciò che, per lo meno Becker, dà quasi per certo. Se riceveremo per queste domande risposte negative, ci sforzeremo allora di trovare in modo positivo la vera essenza della lingua e i suoi veri rapporti. Ora, sebbene in queste ricerche sul rapporto reciproco di logica e grammatica ci interessi in senso proprio soltanto la grammatica, perché stiamo solo a servigio di essa, non possiamo tuttavia esimerci dal gettare uno sguardo anche alla logica in sé e prendere in considerazione questioni puramente logiche, proprio perché cerchiamo di appianare le controversie presenti in quest’ambito e di revocare illegittime prese di possesso. Non possiamo certo sapere in anticipo cosa in verità appartenga alla logica e cosa alla grammatica: questa è la questione da esaminare prima di ogni altra e lì dove emerge un sospetto è necessario approfondire la ricerca per intendere quel che appartiene a ciascun ambito di diritto. Intendiamo bandire la logica dalla grammatica, purificare la scienza della

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Elementen reinigen; wir dürfen aber auch der Logik nichts Grammatisches lassen und müssen sie von allem unrecht erworbenen Gute reinigen, das wir für die Grammatik in Anspruch zu nehmen haben. Wir denken zwar hierbei auch der Logik zu nützen, handeln aber zunächst immer nur im Dienste der Grammatik. Denn lassen wir jener, was vielmehr dieser gehört: so scheint es, da sie ihres Eigenthums nicht entbehren kann, als müsse sie es von jener borgen; und diesen Schein haben wir zu zerstören. Alle diese Auseinandersetzungen [145] lassen sich aber nicht machen ohne Grundsätze; und ferner, um die Grenze zu bestimmen, muß man sie erst überschritten haben. Das nöthigt also, näher auf die Logik einzugehen, so ungern wir es auch thun, wohl wissend, daß wir dort nicht einheimisch sind, und gerade genug dort bekannt, um die Schwierigkeiten nicht zu übersehen, welche da zu überwinden sind, besonders mißtrauisch aber gegen uns selbst, da wir so oft im Widerspruche zu anerkannten Männern oder Lehren stehen. Was uns ermuthigt, unsere Ansicht frei und entschieden herauszusagen, sowohl hier wie anderswo, das ist, daß durch das Aussprechen einer Ansicht, welche man mit Gründen zu unterstützen sucht, niemals etwas verdorben wird – auf Autorität aber kann niemand weniger Anspruch machen, als wir hier oder dort oder irgendwo machen –; und daß es bei manchen Punkten einer Wissenschaft leichter ist, von außen hineinblickend das Richtige zu sehen, als wenn man sich ausschließlich in ihr bewegt. Solche Punkte der Logik hoffen wir gerade hier zu betrachten, und von einem günstigen Orte aus. So möge man prüfen, was wir bieten, und abweisen oder annehmen, wie die Wahrheit es verlangt. B. Von der Logik im Allgemeinen. §. 59. Bestimmung der Logik und Verschiedenheit des wissenschaftlichen Charakters derselben von dem der Sprachwissenschaft. Wir haben vorhin bemerkt, daß die Sprachwissenschaft eine erkennende, urtheilende Wissenschaft sei; die Logik aber – so unterscheidet sie sich von vorn herein durch ihren Charakter von der Sprachwissenschaft – ist eine beurtheilende, eine ästhetische Wissenschaft. Die Logik nämlich will nicht, wenigstens nicht

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lingua dagli elementi logici allotri; non possiamo nemmeno lasciare alla logica niente di ciò che appartiene alla grammatica e dobbiamo purificarla da ogni bene acquisito illegittimamente, che dobbiamo esigere per la grammatica. Pensiamo con ciò di rendere anche un servigio alla logica, ma agiamo sempre anzitutto a servigio della grammatica. Dal momento che lasciamo alla logica quel che appartiene alla grammatica, sembra che quest’ultima, non potendo fare a meno di ciò che le è proprio, debba prenderlo in prestito dalla logica: è questa la parvenza che dobbiamo dissolvere. Non è però possibile affrontare tutte [145] queste discussioni senza ricorrere a principi; e inoltre per determinare i confini è necessario averli prima attraversati. È pertanto necessario accostarsi alla logica, per quanto lo facciamo malvolentieri, consapevoli che non è ambito di nostra pertinenza e avvertiti a sufficienza da non trascurare le difficoltà che devono essere superate; diffidenti, infine, soprattutto verso noi stessi, dal momento che avversiamo uomini e teorie autorevoli. Qui, come altrove, ci incoraggia a esprimere liberamente e con decisione la nostra opinione il fatto che l’esprimere un’opinione, che si cerchi di giustificare attraverso il ricorso a ragionamenti fondati, non ha mai rovinato nulla – faremo ricorso all’autorità il meno possibile e comunque non più d’altri – e ci incoraggia poi il fatto che in relazione ad alcuni punti di una scienza è più facile scorgere il giusto dall’esterno, piuttosto che muovendosi esclusivamente al suo interno. Questi sono i punti della logica che vogliamo sottoporre a esame e speriamo da una prospettiva favorevole. Si possa così valutare ciò che offriamo e respingere o accettare secondo verità. B. Sulla logica in generale §. 59. Determinazione della logica e diversità del suo carattere scientifico da quello della scienza della lingua Abbiamo prima notato che la scienza della lingua è una scienza conoscitiva, giudicante. La logica invece – per questo si differenzia sin dall’inizio per mezzo del suo carattere dalla scienza della lingua – è una scienza valutativa, estetica. La logica infatti non vuole – o per lo meno non vuol soltanto – cono-

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bloß, thatsächlich vorhandene Gegenstande und Verhältnisse erkennen; sondern sie will beurtheilen und sucht Maßstäbe zu Beurtheilungen. Sie fragt aber, ob ein Gedanke richtig oder unrichtig gebildet sei, oder ob etwas, das sich für ein Gedachtes ausgiebt, wirklich gedacht werden könne; denn was nicht richtig gedacht ist, ist vielmehr gar nicht gedacht, sondern nur vorgeblich. Da sie bloß fragt, ob ein Gedachtes richtig oder wirklich gedacht sei, oder nicht, so sucht sie ihre Maßstäbe nur in der Natur des Denkens selbst, und die Denkfähigkeit ist ihr allgemeinster Maßstab. Hieraus ergeben sich zwei Bemerkungen. Erstens nämlich [146] folgt aus dem Gesagten, daß die Logik, wie alle Ästhetischen Wissenschaften, eine hypothetische Wissenschaft ist, womit ich sagen will, daß sie bloß erklärt: wenn etwas gedacht wird, so muß es so und so beschaffen sein; sie zeigt aber gar nicht, wie man dazu kommt, dieses zu denken, d. h. sie ist nicht genetisch. Die Logik zeigt also gar nicht, wie wir zu richtigen und falschen Gedanken kommen, weil sie überhaupt nicht darauf sieht, wie em Gedachtes im Denken entsteht. Sie beurtheilt die Gedanken, die ihr gegeben werden, aber erklärt dieselben nicht; sie billigt sie als richtig gedacht, oder verurtheilt sie als unrichtig gedacht, ohne zu fragen, woher sie im einen oder andern Falle kommen. Sie zeigt also die Beschaffenheit des richtig Gedachten, nicht seine Genesis. – Die Sprachwissenschaft ganz im Gegentheil ist eine genetische Wissenschaft, die ihren Gegenstand nicht bloß als seiend nimmt, sondern dessen Werden und Entwickelung darlegt; denn hierin liegt das Wesen des Gegenstandes und seine Verhä1tnisse im Innern, wie seine Beziehung zu andern; was alles eben erkannt werden soll. Die zweite Bemerkung betrifft die formale Natur der Logik. Weil nämlich der zu beurtheilende Gegenstand der Logik das gegebene Gedachte ist, und zwar dieses rein an sich als Erzeugniß des Denkens: so sieht sie nicht bloß von der psychologischen Entstehung des Gedachten im Denken ab, sondern auch von der Beziehung desselben zur Wirklichkeit, zum Daseienden, dessen Gedachtes es ist. Wegen dieser letztern Eigenthümlichkeit nennt man die Logik formal. Wie bei der Betrachtung des Dreiecks in der reinen Mathematik es gleichgültig ist, von welchem Stoffe das Dreieck ist, indem eben bloß diese Form des Dreiecks in Betracht

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scere oggetti o rapporti effettivamente esistenti, ma vuol valutare e cerca criteri per le valutazioni. Si chiede se un pensiero sia costruito correttamente52 o no, o se qualcosa, che risulta come qualcosa di pensato, possa davvero essere pensato, giacché quel che non è pensato correttamente, per lo più non è pensato affatto, è pensato vanamente. Dal momento che chiede soltanto se qualcosa di pensato sia pensato correttamente o realmente oppure no, la logica cerca i suoi criteri solo nella natura del pensiero stesso e la pensabilità è il suo più universale criterio. In proposito due osservazioni. Da quanto detto infatti [146] segue anzitutto che la logica, come tutte le scienze estetiche, è una scienza ipotetica, col che intendo dire che spiega soltanto: «se qualcosa è pensato, allora dev’essere fatto così e così», ma non mostra per nulla come si giunga a pensare questo qualcosa, è a dire non è una scienza genetica. Essa dunque non mostra come perveniamo a pensieri corretti o erronei giacché non scruta come qualcosa di pensato nasca nel pensiero. Valuta i pensieri che le sono dati, ma non li spiega; li approva come pensati in modo corretto o li disapprova come pensati in modo non corretto, senza domandare per quale via siano pervenuti all’una o all’altra formulazione. Mostra dunque la struttura di ciò che è pensato correttamente, non la sua genesi. – Al contrario, la scienza della lingua è una scienza genetica che non assume il suo oggetto semplicemente come dato, ma ne espone divenire e sviluppo; poiché in questo divenire e svilupparsi sta l’essenza del suo oggetto e in ciò sono dati i suoi rapporti interni, come la sua relazione con altri oggetti, quindi tutto ciò che deve essere conosciuto. La seconda considerazione riguarda la natura formale della logica. Giacché l’oggetto del giudizio di valutazione della logica è qualcosa di pensato e dato, e in verità si occupa di ciò che è pensato in sé quale prodotto del pensiero, essa non solo prescinde dalla nascita psicologica, nel pensiero, di ciò che è pensato, ma anche dalla relazione del pensiero con la realtà, con l’esistente di cui è il pensamento. In ragione di questa sua peculiarità, la logica si definisce formale. Come nella trattazione del triangolo, nella matematica pura, è indifferente di che materia è fatto il triangolo, trattandosi appunto soltanto della forma del triangolo, così l’oggetto pensato che

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kommt: so ist der Gegenstand des der Logik vorliegenden Gedachten dieser Wissenschaft gleichgültig und nur die Denkform des Gedachten fällt ihrer Beurtheilung anheim. Wegen dieser einseitigen Betrachtungsweise ist die Logik unfähig zu beurtheilen, ob ein Gedanke wahr ist oder nicht; sie weiß bloß, ob er richtig gedacht ist; d. h. sie weiß, ob in einem Gedanken die Anforderungen des Denkens an sich erfüllt sind, weiß aber nicht, ob dieser Gedanke das Gedachte der Wirklichkeit ist. Diesen Mangel hat sie mit der reinen Mathematik gemein. Gesetzt es zöge jemand einen Kreis und den Durchmesser, und sagte uns: ich habe hier ein Quadrat mit einer Diagonale und werde nun beweisen, daß die [147] beiden durch die Diagonale entstandenen Dreiecke im Quadrate sich so oder so verhalten: so wird weder der Logiker noch der Mathematiker hiergegen etwas einwenden können; und dennoch ist alles was er sagt unwahr. Wer sein Vermögen berechnet, aber dabei sein debet und habet nicht richtig ansetzt, mag immerhin sehr richtig rechnen: eine wahre Einsicht in den Bestand seines Vermögens erlangt er nicht; die formalen Forderungen sind wohl erfüllt, aber nicht die materialen. Mag nun auch die formale Logik eine sehr einseitige Wissenschaft sein: sie ist es nicht mehr, als die reine Mathematik, und die Erfüllung ihrer Gesetze bildet die Grundlage der Wahrheit. Sie bietet durchaus keine Bürgschaft für die Erkenntniß der Wahrheit; aber was noch nicht einmal richtig gedacht wäre, würde gewiß noch weniger wahr sein. Die Logik macht die Voraussetzung, daß in der Wirklichkeit keine Verhältnisse vorkommen, die nur gegen die Gesetze der Logik gedacht werden könnten; denn, kämen sie vor, so würden sie eben gar nicht gedacht werden können und außerhalb unserer Einsicht und Erkenntniß fallen. Denn ein der Logik widersprechendcr Gedanke ist eben gar nicht gedacht, und noch weniger also kann mit ihm etwas begriffen sein. So einseitig also auch die Logik ist, so wenig sie Wahrheit bietet, so ist sie dennoch von höchster Wichtigkeit, da die Erfüllung ihrer Gesetze die conditio sine qua non der Wahrheit und alles Denkens ist. Wir sehen es darum für ein Unglück an, daß man sie in unserm Jahrhundert verachtet und vernachlässigt hat. Sie ist das Ein-Mal-Eins der Wahrheit und sollte daher vorzüglich im Knabenalter und auf den Gymnasien nicht bloß gelernt, sondern eingeübt werden.

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precede la logica è indifferente a questa scienza e soltanto la forma del pensiero di ciò che è pensato spetta alla sua valutazione. In ragione di questo modo di considerare univoco, la logica è incapace di valutare se un pensiero è vero o no; sa solo se esso è pensato correttamente, è a dire che sa se in un pensiero sono soddisfatte le esigenze del pensiero in sé, ma non se questo pensiero sia pensamento della realtà. Essa ha in comune questa lacuna con la matematica pura. Si assuma che qualcuno disegni un cerchio e un diametro e ci dica: «ho qui un quadrato con una diagonale e dimostrerò che i [147] due triangoli sorti dalla diagonale, si rapportano nel quadrato così e così»; né il logico né il matematico potrà obiettare contro ciò qualcosa; e ciononostante tutto quel che l’uomo dice è “non vero”. Chi calcola il proprio patrimonio, ma con ciò non preventiva adeguatamente il proprio debet e habet, può pur svolgere il calcolo correttamente, ma non guadagna una prospettiva vera sullo stato dei suoi averi; le esigenze formali sono ben soddisfatte, ma quelle materiali non lo sono. Possa pure la logica formale essere una scienza in larga misura parziale, non lo è più della matematica pura e la soddisfazione delle sue leggi costituisce il fondamento della verità. Essa non offre assolutamente alcuna cittadinanza alla conoscenza della verità, ma ciò che non fosse previamente pensato in modo corretto, non potrebbe certo nemmeno esser vero. La logica pone la premessa secondo cui nella realtà non si presentano rapporti che possano essere pensati contro le leggi della logica stessa; giacché, fossero presenti, non potrebbero essere assolutamente pensati e rimarrebbero al di fuori della nostra prospettiva e conoscenza. Poiché un pensiero che contraddica la logica per l’appunto non è pensato e tanto meno, attraverso esso, può essere concepito qualcosa. Per quanto la logica, dunque, sia parziale, per quanto sia insufficiente alla verità, è tuttavia di suprema importanza dal momento che la soddisfazione delle sue leggi è la conditio sine qua non della verità e di tutto il pensiero. Riteniamo pertanto una sciagura che nel nostro secolo la si sia disprezzata e trascurata. Essa è la coincidenza della verità con se stessa e dovrebbe pertanto non solo essere insegnata nel modo migliore nell’infanzia e nei ginnasi, ma dovrebbe finanche essere esercitata.

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§. 60. Vertheidigung der formalen Logik. Von den absurden Angriffen der Identitätsphilosophen gegen die formale Logik zu reden, wäre ein Anachronismus. Der Weltgeist ist über diese eben so wahnsinnig anmaßende als inhaltsleere Philosophie hinaus. Aber Trendelenburgs Kritik der formalen Logik müssen wir näher betrachten. Trendelenburg hat ein schönes kritisches Princip oder das wahre kritische Verfahren. Dasselbe ist mit seinen eigenen Worten (Logische Untersuchungen I. S. 13) so auszusprechen: „Wir fragen, wie weit ist es der Logik gelungen, ihre Aufgabe zu lösen? ... Wenn wir hiernach das Werk dieser Wissenschaft [148] zu prüfen versuchen, so haben wir dahin zu sehen, ob sich die formale Logik innerhalb ihres Kreises vollendet, oder ob sie in sich Elemente aufnimmt, welche die Form des Denkens überschreiten und den Inhalt der Gegenstande berühren. Wenn sich dies Letzte erwiese, so würde sie sich damit selbst das Urtheil sprechen.“ Solche Kritik muß sich die formale Logik gefallen lassen. Es versteht sich aber auch von selbst, daß der Kritiker den Kreis der formalen Logik nicht über ihre wahren Grenzen ausdehnen, ihr nichts zumuthen und nichts zuschreiben darf, was nicht in sie gehört. Welches dieser Kreis sei, welches ihre Aufgabe und Tendenz sei, haben wir so eben, ich hoffe genügend, dargelegt. Sollten Andere über die Grenzen der Logik hinaus dieselbe haben ausdehnen wollen, so sind sie mit Recht von Trendelenburg gewarnt: ne ultra! Wir können uns hier natürlich nur um unsere Darstellung kümmern. Schon von vornherein hat Trendelenburg eine ungehörige Zumuthung an die Logik gestellt. Er geht nämlich, um sogleich Zweifel gegen die Möglichkeit derselben zu erregen, von einer Analogie aus. Alle Sinne und Organe, sagt er, werden nur begriffen, wenn sich die Aufmerksamkeit zugleich auf ihre Form richtet und auf ihren Zweck, auf den Gegenstand, den zu erfassen sie bestimmt sind. Das Auge begreift man nur, indem man neben der Form desselben auch die Natur des Lichts betrachtet u.s.w. Ebenso würden die Formen des Denkens nur begriffen, indem man zugleich die Beziehung des Denkens zum Gegenstande hervortreten läßt. Wenn nun gar die Logik die Wahrheit als die Ue-

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§. 60. Difesa della logica formale. Discutere degli assurdi attacchi dei filosofi dell’identità53 contro la logica formale sarebbe un anacronismo. Lo spirito del tempo ha superato questa filosofia tanto arrogantemente delirante quanto priva di contenuto. Ma la critica rivolta da Trendelenburg alla logica formale dobbiamo prenderla in considerazione più da vicino. Trendelenburg è in possesso di un notevole principio critico o del vero procedere critico. Esso con le sue stesse parole (Logische Untersuchungen, I, p. 6)54 è così espresso: «Domandiamo fino a che punto la logica è riuscita ad assolvere il suo compito … Se poi cerchiamo di sottoporre a esame l’opera di questa scienza [148], dobbiamo vedere se la logica formale si compie all’interno del proprio circolo o se accolga in sé elementi che travalicano la forma del pensiero e toccano il contenuto degli oggetti. Se accadesse ciò, sarebbe con ciò stesso evidente quale debba essere il giudizio». La logica formale deve essere disposta a tollerare una tale critica. S’intende da sé, però, che anche al critico non è concesso estendere il dominio della logica formale al di là dei suoi veri confini, non è concesso di aspettarsi da lei e ascriverle qualcosa che non le appartiene. Quale sia questo dominio, quale siano il suo compito e il suo orientamento, lo abbiamo esposto, spero, in modo soddisfacente. Se altri dovessero mai voler estendere la logica oltre i suoi limiti, sono giustamente ammoniti da Trendelenburg: ne ultra! Noi qui, naturalmente, possiamo occuparci soltanto della nostra esposizione. Sin dall’inizio Trendelenburg ha avanzato nei confronti della logica una pretesa inopportuna. Egli infatti, per metterne in dubbio la possibilità, fa uso di un’analogia. Tutti i sensi e gli organi, dice, sono concepiti adeguatamente se si rivolge l’attenzione tanto alla loro forma quanto al loro fine, all’oggetto insomma per cogliere il quale sono costituiti. Si comprende adeguatamente l’occhio soltanto se si prende in considerazione, assieme alla sua forma, la natura della luce etc. Le forme del pensiero allo stesso modo sono concepite adeguatamente soltanto lasciando emergere il rapporto esistente tra pensiero e cosa. Ora, se la logica illustrasse la verità

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bereinstimmung des Gedankens mit dem Gegenstande erkläre, so stehe sie ,,von vornherein dem Bekenntniß ihrer Unzulänglichkeit nahe.“ Die Logik, erwiedern wir, steht dem Bekenntnisse ihrer Unzulänglichkeit nicht bloß nahe, sondern spricht es frei und offen aus. Die Logik lehrt nur Richtigkeit des Gedachten, nicht Wahrheit; und sie macht nicht den Anspruch, das Denken zu begreifen, wie die Physiologie unsere Organe und Sinne erkennt: das überläßt sie theils der Psychologie, theils der Metaphysik. Sie erforscht bloß die Beschaffenheit des richtig Gedachten. Die Bemerkungen Trendelenburgs über den Begriff, wie ihn die Logik ansieht, mögen wohl alle ganz richtig sein. Der Begriff ist wirklich für die Logik weiter nichts als eine Zusammenfassung von Merkmalen. Das ist eine sehr abstracte, sehr [149] unvollständige Auffassung des Begriffs; es ist aber eben die der formalen Logik. Die materialen Wissenschaften treten ergänzend hinzu, und selbst indem sie dies thun, muß die Logik sie bewachen. Die Logik hat gegen einen Fisch oder einen Löwen mit dem Kopfe und der Brust eines Weibes keine Einwendung zu machen. Ihr ist der Begriff der Sphinx gegeben, als eine Zusammenfassung von Merkmalen, welche sich als gedachte Momente unter einander nicht stören; also findet sie den Begriff nicht unrichtig. Der vergleichende Anatom findet allerdings, daß sich jene Merkmale stören, daß sie unvereinbar sind; und nun ist es die Anatomie, oder vielmehr die Logik des Anatomen, welche die Sphinx für einen unrichtigen Begriff erklärt. Hiermit soll nicht gesagt sein, daß es mehrere Logiken giebt, sondern wir meinen Folgendes. Dem Logiker sind mit dem Begriffe der Sphinx die beiden Merkmale eines menschlichen Oberkörpers und eines thierischen Unterkörpers gegeben. Da dies völlig disparate Begriffe sind, so hält er ihre Vereinigung nicht für unrichtig. Die Anatomie zeigt ihm aber, daß diese Begriffe nicht disparat sind, daß im menschlichen Oberkörper ganz bestimmte Beziehungen liegen, und ebenso im thierischen Unterkörper, und daß diese verschiedenen Beziehungen in conträrem Gegensatze stehen. Jetzt corrigirt sich der Logiker; wenn dem so ist, sagt er, so ist die Sphinx ein durchaus unstatthafter Begriff. Hiermit ist aber die formale Logik schon zur angewandten geworden. Es ist hier noch eine andere Bemerkung zu machen. Trendelenburg scheint auch nicht gehörig beachtet zu haben, was es hei-

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come la coincidenza del pensiero con la cosa sarebbe certo «sin dall’inizio vicina all’ammissione della sua insufficienza». Replichiamo che la logica così concepita non solo è vicina all’ammissione della sua insufficienza, ma la dichiara liberamente e apertamente. La logica insegna soltanto la correttezza di ciò che è pensato, non la verità, e non avanza la pretesa di comprendere il pensiero come la fisiologia comprende i nostri organi e sensi, lascia questo compito in parte alla psicologia e in parte alla metafisica. Indaga solo la struttura di ciò che è pensato correttamente. Le osservazioni di Trendelenburg riguardo al modo in cui la logica coglie il concetto, possono certo essere giuste. Il concetto per la logica non è davvero nulla di diverso da un insieme di note55. È questa una concezione molto astratta, molto [149] incompleta del concetto, ma è appunto adeguata alla logica formale. Le scienze materiali apportano elementi di completamento e proprio per questa ragione la logica deve sorvegliarle. La logica non ha nulla da obiettare contro un pesce o un leone con la testa o il busto da donna. Il concetto della sfinge le è dato come un insieme di note, le quali non si disturbano reciprocamente in quanto aspetti pensati; la logica pertanto non trova quel concetto inappropriato. Lo studioso di anatomia comparativa però trova che quelle note si disturbano, che non sono conciliabili ed è dunque l’anatomia, o meglio, la logica degli studiosi di anatomia che mostra la sfinge come un concetto inappropriato. Non si intende qui che vi siano più logiche, ma questo: al logico col concetto della sfinge sono date entrambe le note di una parte superiore del corpo umano e di una parte inferiore del corpo animale. Poiché questi sono concetti del tutto differenti egli non ritiene sbagliata la loro unione. L’anatomia gli mostra però che questi concetti non sono riconducibili a sfere differenti, che nella parte superiore del corpo umano si trovano rapporti particolari e che ciò accade anche nella parte inferiore del corpo animale e che questi rapporti diversi stanno in contrasto come contrari. Il logico allora si corregge: se è così, dice, la sfinge è un concetto del tutto illegittimo. Qui però la logica formale si è già trasformata in logica applicata. Bisogna fare ancora un’altra osservazione. Sembra anche che Trendelenburg non abbia considerato opportunamente

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ße, wenn die formale Logik sagt, sie betrachte bloß das Gedachte, nicht das Ding. Er bemerkt (S. 7): „Man wird die Dinge doch nicht los; denn die Vorstellungen führen immer auf das, dessen Gegenbild sie sind.“ Die Logik hat es aber nicht bloß nicht mit den Dingen zu thun, sondern auch nicht mit bestimmten Vorstellungen und Begriffen sondern nur mit dem Gedachten überhaupt in Form von Begriffen, und Urtheilen und Schlüssen. Ihr Gegenstand ist nicht dieser und jener Begriff oder Schluß, sondern der Begriff, der Schluß überhaupt, das Denken in diesen Formen. Der Begriff ist allerdings für sie bloß eine Zusammenfassung von Merkmalen; aber sie weiß, daß in jedem bestimmten Begriffe die Merkmale in einer bestimmten Beziehung stehen. Von dieser Bestimmtheit der Beziehung muß [150] sie absehen, und so bleiben ihr freilich die Merkmale ohne das dieselben einende Band; d. h. es bleibt ihr die Merkmalheit, wenn ich so sagen darf, d. h. die Eigenthümlichkeit des Begriffs, Merkmale zu haben. Aber die Beziehung der Begriffe überhaupt, das Band an sich, nur kein bestimmtes, ist wohl eine wichtige Kategorie der Logik. So lehrt sie z. B., daß selbst conträre Begriffe sich wohl mit einander vertragen, wenn sie nämlich in der bloßen Beziehung der Summe stehen. Bei der Anwendung gelangt die formale Logik natürlich zu ganz besondern Bestimmungen, d. h. diese werden ihr gegeben, und so werden auch ihre Beziehungen bestimmter; aber bei dieser ganz bestimmten Beurtheilung wendet sie doch nur ihre ganz allgemeinen Kategorien und Maßstäbe an. Der Grund des conträren Verhältnisses zweier Begriffe liegt freilich in ihrem Inhalte. Dieser Inhalt muß ihr gegeben sein; aber nicht ihn betrachtet sie, sondern nur das daran hervortretende Verhältniß des conträren Gegensatzes. Wenn auch der Grund desselben im besondern Inhalte liegt: die Logik bestimmt dasselbe ganz allgemein nach der Natur des Denkens als das Verhältniß zweier Begriffe, die nicht zusammen gedacht werden können, weil das Denken des einen das Denken des andern aufhebt und unmöglich macht. Das 1ehrt und übt eben die formale Logik, zu scheiden, so nahe an einander das zu Unterscheidende auch liegen mag. Auch für alles Folgende, was Trendelenburg gegen die formale Logik vorbringt, wiederholen wir die schon gemachte Be-

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cosa significhi quando la logica formale sostiene di trattare solo ciò che è pensato, non la cosa. Scrive (p. 7) «non si lasciano le cose, dal momento che le rappresentazioni conducono sempre a ciò di cui sono immagini riflesse». La logica però non ha a che fare con le cose e neanche con rappresentazioni e concetti determinati, ma solo con ciò che è pensato in generale nella forma di concetti, giudizi e sillogismi. Il suo oggetto non è questo o quel concetto particolare, non un determinato sillogismo, ma il concetto, il sillogismo in generale, il pensiero in queste forme. Il concetto tuttavia è per sé solo un insieme di note, ma la logica sa che in ogni concetto determinato le note stanno in un determinato rapporto. Da questa determinatezza del rapporto essa deve [150] prescindere e le rimangono soltanto le note senza il nesso che le unisce, rimane cioè soltanto, se posso esprimermi così, la contrassegnabilità ovvero la peculiarità del concetto di essere determinato da note. Il rapporto dei concetti in generale, il nesso in sé – e non qualche nesso specifico – è certo un’importante categoria della logica. Così, ad esempio, essa insegna che concetti contrari possono essere accostati, quando ad esempio si trovano nella pura relazione della somma. Nell’applicazione la logica formale consegue naturalmente determinazioni ben specifiche, il che significa che queste le sono date e pertanto i suoi rapporti si particolarizzano, ma in questo tipo di valutazione del tutto particolare essa apporta soltanto categorie e criteri universali. La ragione del rapporto contrario di due concetti sta certamente nel loro contenuto. Questo contenuto dev’esserle dato, ma la logica non si occupa di ciò nello specifico, bensì del rapporto di opposizione tra contrari che lì si manifesta. Quand’anche la ragione di questo rapporto stia nel contenuto specifico, la logica determina questo rapporto del tutto in generale secondo la natura del pensiero, come il rapporto tra due concetti che non possono essere pensati assieme perché il pensiero dell’uno toglie e rende impossibile quello dell’altro. La logica formale appunto insegna ed esercita a distinguere, per quanto siano prossimi i termini di ciò che è da distinguere. Anche per tutto ciò che nel seguito Trendelenburg adduce contro la logica, ripetiamo quanto detto, che Trendelenburg

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merkung, daß Trendelenburg ganz richtig gesehen hat; daß er aber theils Zumuthungen an sie stellt, denen sie vermöge ihrer beschränkten Tendenz nicht zu genügen unternehmen kann und will, und daß er ihr das Recht abspricht, Gegebenes aufzunehmen, wiewohl doch ihr ganzes Dasein auf dem gegebenen Gedachten beruht. Er wirft ihr z. B. vor (S. 11), die Verneinung plötzlich einzuführen, ohne die Abstammung und Bedeutung derselben für das Erkennen gezeigt zu haben. Es ist hierauf einfach zu erwiedern, daß ihr die Negation gegeben ist, wie der Begriff und das Gedachte überhaupt, und sie dieselbe da einführt, wo es ihr angemessen scheint. Nicht in der Logik kann die Entstehung der Verneinung erörtert werden, sondern in der Psychologie, die überhaupt das Entstehen des Gedachten zeigt. Die formale Logik ist zwar nicht die aristotelische, aber sie ist doch von Aristoteles eigentlich geschaffen, und er ist ihr [151] Vater. Trendelenburg möchte dies läugnen. Indessen alles was er zur Unterscheidung der aristotelischen und formalen Logik vorbringt, beweist keine wesentliche Verschiedenheit, noch weniger etwa einen Rückschritt der formalen Logik, wenn man ihre heutige Bearbeitung mit der aristotelischen vergleicht. Die Scheidung und Reinigung der Wissenschaften hat sich überhaupt seit Aristoteles weiter ausgebildet, und so hat sich auch die Logik strenger begrenzt und ist endlich rein formal geworden. So streng formal war sie bei Aristoteles noch nicht, der noch nicht einmal die Grammatik von ihr abgeschieden hat; aber die Tendenz zu ihrem reinen Formalismus war ihr schon von Aristoteles eingehaucht. Die formale Logik ist die Frucht seines Samens. Wir fordern mit Kant und Herbart strenge Abgrenzung der wissenschaftlichen Gebiete, mindestens strenge begriffliche Absonderung. Auch Göthe wollen wir hören, den Trendelenburg vielleicht noch hoher schätzt (Propyläen, Einleitung): „Die Künste selbst, so wie ihre Arten, sind unter einander verwandt, sie haben eine gewisse Neigung, sich zu vereinigen, ja sich in einander zu verlieren“ – gerade wie die Wissenschaften –; ,,aber eben darin besteht die Pflicht, das Verdienst, die Würde des echten Künstlers, daß er das Kunstfach, in welchem er arbeitet, von andern abzusondern, jede Kunst und Kunstart auf sich selbst zu stellen und sie aufs möglichste zu isoliren wisse.“ Und in der Wissenschaft sollte es anders sein?

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ha colto la questione con esattezza, ma che da un lato avanza alla logica richieste a cui essa, in ragione della sua natura circoscritta, non può e non vuol provare a rispondere e che dall’altro le disconosce il diritto di assumere qualcosa come dato, sebbene la sua intera esistenza poggi su ciò che è pensato come dato. Le rimprovera, ad esempio (p. 11), di introdurre improvvisamente la negazione senza aver mostrato la sua origine e il suo significato per la conoscenza. In proposito è facile replicare che per lei la negazione è data, come sono dati il concetto e ciò che è pensato in generale e che essa la introduce lì dove le pare opportuno. La nascita della negazione non può essere presa in esame nella logica, ma nella psicologia, che in generale mostra la nascita di ciò che è pensato. La logica formale non è invero quella aristotelica, ma è stata costruita in senso proprio da Aristotele ed egli ne ha la paternità56 [151]. Trendelenburg vorrebbe negarlo. Ma tutto ciò che adduce per separare la logica aristotelica da quella formale57, se se ne confronta l’odierna elaborazione con la versione che ne diede Aristotele, non mostra alcuna differenza essenziale e ancora meno un qualche regresso della logica formale. La distinzione e purificazione delle scienze in generale è progredita rispetto alla formulazione datane da Aristotele e così anche la logica è stata delimitata più rigorosamente per divenire infine puramente formale. Tanto rigorosamente formale non era ancora per Aristotele, che da essa non aveva ancora separato la grammatica, eppure la tendenza al puro formalismo le fu già ispirata da lui. La logica formale è frutto del suo seme. Noi esigiamo con Kant e Herbart una rigorosa delimitazione dei domini scientifici, per lo meno una separazione concettuale rigorosa. Ascoltiamo anche Goethe, che Trendelenburg forse stima ancor più (Propyläen, Einleitung)58: «Le arti stesse, come i loro tipi, sono imparentate l’una con l’altra, hanno una certa inclinazione a unificarsi, perdersi l’una nell’altra» – esattamente come le scienze –; «ma proprio in ciò sta il dovere, il servigio, la dignità del vero artista, nell’isolare dagli altri l’ambito artistico in cui opera, nel saper porre ogni arte e tipo d’arte su se stesso e nell’isolarla il più possibile». E dovrebbe esser diverso nell’ambito della scienza?

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Bleiben wir also bei der formalen Natur der Logik, so haben wir in ihr abermals einen Unterschied gegen die Grammatik. Auch sie zwar ist formal, in so fern sie nicht den Inhalt der Rede, sondern nur die sprachliche Form betrachtet. Aber im Verhältniß zur Logik ist die Grammatik, wie die reine Mathematik, schon etwas Materiales, indem in beiden ganz bestimmte Denkprocesse vorkommen, welche sich als ein bestimmter Inhalt in logischer Form offenbaren. Die sprachliche Form ist ein Stoff, eine besondere Anwendung und Verkörperung der logischen Form. Daher steht die Grammatik, wie jede andere Wissenschaft, unter der Logik und ist in keiner Weise mit ihr identisch. Diese hier im Allgemeinen begründete Verschiedenheit zwischen Grammatik und Logik wollen wir nun in der schon angegebenen Weise ins Einzelne verfolgen. [152]

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Rimaniamo dunque alla natura formale della logica, vi troviamo ancora una differenza con la grammatica. Anche essa in verità è formale, nella misura in cui non si occupa del contenuto del discorso ma solo della forma linguistica. In rapporto alla logica però la grammatica, come la matematica pura, è già qualcosa di materiale, dal momento che in entrambe si presentano già processi determinati del pensiero che si manifestano come un contenuto determinato in forma logica. La forma linguistica è una materia, un’applicazione e un’incarnazione particolare della forma logica. Pertanto la grammatica sta, come tutte le altre scienze, sotto la logica e non è in alcun modo identica a essa. Vogliamo ora seguire nel particolare, secondo la prospettiva già indicata, questa differenza di grammatica e logica finora argomentata in generale. [152]

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II. NÄHERE DARLEGUNG DES UNTERSCHIEDES ZWISCHEN GRAMMATIK UND LOGIK. 1. Sind Sprechen und Denken identisch? §. 61. Vorgebliche Untrennbarkeit und Einheit von Sprechen und Denken. Wenn man, wie auch wir thun, die Sprache Ausdruck des Innern, Darstellung der Intelligenz, genannt hat, so hat man, von Plato bis auf Becker, dieser aber in strengster und durchgeführtester Weise, damit behaupten wollen, daß die Sprache mit der Intelligenz durchaus identisch sei, d. h. daß die Bedeutung der Sprachlaute durchaus nichts anderes sei, als die Erzeugnisse der Intellectualität selbst, Anschauungen, in weiterer Ausbildung Begriffe, und Gedanken. Die Sprache sollte hiernach zwei Seiten haben, eine äußere und eine innere, welche sich zu einander wie Körper und Geist verhalten sollten; die äußere, die Lautseite der Sprache, meinte man, sei das körperliche Element, in welchem die innere Seite, die Intellectualität, lebe, wohne und geboren werde, und durch welches Element sie sich zugleich äußere und darstelle zu sinnlicher Wahrnehmbarkeit. Sprache ist Gedanke selbst, Wort ist Begriff selbst, Satz ist Urtheil selbst, nur zugleich sprachlich ausgedrückt, lautlich wahrnehmbar. So streng hat man die Einheit von Sprechen und Denken genommen, daß das eine ohne das andere organisch unmöglich sein sollte, daß wenn sie nach ihrer organischen Natur heranwüchsen, jedes mit dem andern nothwendig zugleich gegeben sein müßte, weil sie eben gar nicht zwei verschiedene Wesenheiten seien, sondern nur eine. Der Laut, d. h. der organisch articulirte, ist nicht ein selbständiges Wesen für sich, begründet nicht etwa ein Wesen, Sprache genannt, abgesondert und verschieden vom Gedanken;

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II. ESPOSIZIONE PIÙ ACCURATA DELLA DIFFERENZA DI GRAMMATICA E LOGICA

1. Parlare e pensare sono identici? §. 61. Presunta indivisibilità e unità di parlare e pensare Quando si è detto, come facciamo anche noi, che la lingua è espressione dell’interno, rappresentazione dell’intelligenza, con ciò si è inteso affermare da Platone a Becker, quest’ultimo nel modo più rigoroso e compiuto, che la lingua sia assolutamente identica all’intelligenza, è a dire che il significato del suono linguistico non sia nulla di diverso dai prodotti della stessa attività psichica: intuizioni, che una volta elaborate, si trasformano in concetti e pensieri. Secondo questa prospettiva la lingua dovrebbe avere due parti, una esterna e una interna, che dovrebbero comportarsi l’una rispetto all’altra come fanno corpo e spirito: quella esterna, la parte della lingua costituita dai suoni, si crede sia l’elemento corporeo in cui vivrebbe, risiederebbe e nascerebbe la parte interna, l’attività intellettiva, e quest’ultima acquisterebbe consistenza esterna e si presenterebbe alla percezione sensibile per mezzo dell’altro elemento. La lingua è il pensiero stesso, la parola il concetto stesso, la frase il giudizio stesso, ma espressi al contempo linguisticamente, percepibili attraverso i suoni. L’unità di parlare e pensare è stata assunta in un senso tanto intrinseco che dovrebbe essere impossibile che uno fosse organico senza l’altro, in un senso tanto intrinseco che, qualora si sviluppassero secondo la loro natura organica, l’uno dovrebbe necessariamente esser dato immediatamente assieme all’altro, perché non si tratterebbe punto di due differenti entità ma di una soltanto. Il suono, il suono articolato organico, non è un’entità autonoma, non fonda qualcosa come un’essenza chiamata lingua, separata e diversa dal pensiero; piuttosto il

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sondern der Laut gehört dem Denken selbst, ist ihm organisch so nothwendig, wie eine Materie der Kraft, ein Leib der Seele. Man hat sich von diesem Drange, Sprechen und Denken zu vereinheitlichen, so weit treiben lassen, daß man vergaß, sich zu fragen, was denn nun eigentlich der Name Sprache noch bedeuten solle, jetzt, da selbst der Laut ein Element des organischen Denkens ist? Auf diese Frage würde ich nach Beckers Theorie nur antworten können, Sprache bezeichne die organische Eigenschaft des Denkens, tönen zu müssen. [153] Dem Denken fehle das Lauten niemals. Denn – und diese Thatsache ist richtig – selbst unser stilles, lautloses Denken ist ein mindestens beabsichtigtes Sprechen; die innere Ansicht der Articulation begleitet dasselbe allemal. Stilles Denken ist gedachtes Sprechen, Sprechen nur gesprochenes Denken. Ich habe an mir eine Beobachtung gemacht, die gewiß auch jeder andere an sich schon gemacht hat oder machen kann. Wenn ich nämlich auswendig gelernte Reden und Gedichte schweigend in Gedanken wiederholte, wobei allerdings auch eine gewisse Aufmerksamkeit auf das äußere, wiewohl unterdrückte, Element des Vortrags gerichtet war, so konnte ich sehr deutlich ein leises Zucken in der Zunge, ein schwaches, oft nur beabsichtigtes, Nachahmen aller Articulationen an mir bemerken. Auch Herbart sagt (Bemerkungen über die Bildung und Entwickelung der Vorstellungsreihen, S. W. VII. S. 320): „Das stille Denken ist großentheils merklich ein zurückgehaltenes Sprechen; und man hat allen Grund anzunehmen, daß wirklich ein Handeln dabei vorgeht, welches für die Seele schon ein äußeres Handeln ist; nämlich ein Anregen der Nerven, welche die Sprachorgane regieren; nur nicht stark genug, um die Muskeln zu bewegen.“ §. 62. Ablösbarkeit des Denkens vom Sprechen, erwiesen durch Thatsachen. Dies halten wir für richtig. Wenn aber hieraus die Unzertrennlichkeit von Sprechen und Denken folgen mag, so folgt daraus noch nicht ihre Einheit und Selbigkeit. Ja man darf daraus noch nicht einmal ihre Unzertrennlichkeit schließen; denn andere, nicht minder sichere Thatsachen, oder noch sichrere, beweisen die Trennbarkeit. Das Thier denkt ohne zu sprechen. Wir werden hierauf zurückkommen. Nur kann es uns nicht einfallen, beweisen zu wol-

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suono appartiene al pensiero stesso, gli è organico in modo così necessario come la materia lo è alla forza, l’anima al corpo. Ci si è lasciati indurre così lontano da questo impulso a unificare parlare e pensare, che si è dimenticato di domandare cosa dovrebbe propriamente significare il nome lingua dal momento che il suono stesso è un elemento del pensiero organico. A questa domanda, secondo la teoria di Becker, potrei rispondere soltanto che la lingua indica la proprietà organica del pensiero di dover erompere in suoni. [153] Al pensare non manca mai il suono. E ciò poiché – e questo fatto è giusto – anche il nostro pensare silenzioso e privo di suoni è, per lo meno tendenzialmente, un parlare, la prospettiva interna dell’articolazione lo accompagna sempre. Il pensare silenzioso è parlare pensato, parlare è solo un pensare parlato. Ho fatto un’osservazione su me stesso che ciascuno ha certo già fatto da sé o può fare. Infatti, quando ripetevo mentalmente discorsi o poesie imparate a memoria in cui si realizzava una certa propensione, per quanto trattenuta, all’elemento esterno della esecuzione, potevo notare in me, in modo evidente, un tenue tremito della lingua, una debole, spesso solo accennata, imitazione di tutte le articolazioni. Anche Herbart scrive: (Bemerkungen über die Bildung und Entwickelung der Vorstellungsreihen, S. W., VII, p. 320)59: «il pensare silenzioso è visibilmente un parlare trattenuto; e si ha ogni ragione di credere che sia accompagnato da un’azione che rispetto all’anima è già esterna, è a dire da una eccitazione dei nervi che reggono gli organi della voce, una eccitazione però non sufficientemente forte da mettere in moto i muscoli». §. 62. Separabilità del pensare dal parlare dimostrata attraverso il ricorso ai fatti Questo lo riteniamo giusto. Se da ciò però potrebbe seguire l’inseparabilità di parlare e pensare, non segue la loro unità e medesimezza. E, a ben vedere, da ciò, ancora una volta, non se ne può concludere nemmeno l’inseparabilità, giacché altri fatti, non meno sicuri o anzi più sicuri, dimostrano la scindibilità di parlare e pensare. L’animale pensa senza parlare. Su questo torneremo. Non possiamo attardarci a dimostrare che l’animale pensa – sareb-

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len, daß das Thier denkt – es wäre überflüssige Mühe –, noch daß es nicht spricht – es wäre verschwendete Mühe. Wir wollen aber schon hier bemerken, daß das Thier nicht bloß empirisch denkt, in rein sinnlicher Gegenwart lebt; sondern es hat Gedächtniß, erkennt wieder – und hierin liegt ein Keim zum Bewußtsein der Vergangenheit –, ja noch mehr, es vermuthet und erwartet die Zukunft, berechnet sie und macht überhaupt Schlüsse: das ist sogar schon ein apriorisches Element. ,,Das sind Thiere; aber der Mensch!“ – Nun, auch er denkt in manchen Fällen ohne Sprache. Der Taubstumme denkt oft verständiger als mancher Redende; er ist sogar meist schlau, [154] und selbst ohne besondern Unterricht hat er religiöse Vorstellungen. Er lernt in Handwerk und wird ein nützliches Glied der menschlichen Gesellschaft. Er erzählt, läßt sich erzählen, ist der Unterhaltung fähig. „Das ist der verstümmelte, unorganische Mensch! aber der organische, der im Besitze aller menschlichen Kräfte ist! aber wir!“ – Nun, auch wir denken oft genug ohne zu sprechen. Wir träumen, und Träumen ist doch ein Denken. Es werde zugestanden, daß geträumte Reden, wie unser leises Denken, von schwachen Erregungen der Nerven der Sprachorgane begleitet werden, und manchmal sind ja diese Nervenerregungen stark genug, um die Muskeln der Sprachorgane in Bewegung zu setzen und hörbares Schlafsprechen zu erzeugen. Die ganzen Traumbilder aber und Handlungen und Begebenheiten sind doch sicherlich nicht ein bloßes leises Erzählen. Träumen ist Phantasiren, also ein intellectuelles Handeln, aber ohne Worte. „Das ist der träumende Mensch; aber der wachende!“ – Auch er denkt gelegentlich ohne Wort, und gerade da, wo er am besten denkt: in der Logik und in den mathematischen Wissenschaften. Der Geometer zeichnet seine Figur, zieht seine Hülfslinien und durchläuft in Gedanken eine lange Demonstration, ohne daß ihm dazu die Sprache unentbehrlich wäre. Der Chemiker sieht Mn O2 + SO3 = O + Mn O, SO3 und erkennt hieraus eine ganze Geschichte von Trennungen und Verbindungen. Der mathematische Psycholog giebt durch c = b ¥a/a+b zu verstehen, unter welchen Umständen zwei Vorstellungen eine dritte aus dem Bewußtsein verdrängen. Der Logiker sieht MPPM SMSM SPSP

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be una fatica superflua – e nemmeno che non parla – sarebbe fatica sprecata. Qui vogliamo solo notare che l’animale non pensa in modo meramente empirico e non vive nel puro presente sensibile, ma possiede una memoria, riconosce – è qui si trova un germe di coscienza del passato – inoltre suppone qualcosa del futuro e ha aspettative su di esso, lo calcola e in generale trae conclusioni, il che costituisce già un elemento a priori. “Così gli animali, ma l’uomo!” – Ora, anch’egli pensa in alcuni casi senza lingua. Il sordomuto60 di frequente pensa in modo più assennato di coloro che possiedono la facoltà di parlare, spesso è perfino astuto [154] e, senza particolari insegnamenti, è in possesso da sé di rappresentazioni religiose. Impara un lavoro artigianale e diventa un membro utile della comunità umana. Racconta, lascia che gli si racconti ed è capace di conversare. “Questo è l’uomo mutilato, inorganico! Ma l’uomo organico, in possesso di tutte le forze umane! ma noi!” – Ora, anche noi pensiamo abbastanza spesso senza parlare. Sogniamo e sognare è certo un pensare. Sia concesso che i discorsi sognati, come il nostro pensare silenzioso, sono accompagnati da deboli eccitazioni dei nervi degli organi della fonazione e qualche volta queste stimolazioni nervose sono forti a sufficienza da mettere in movimento i muscoli degli organi della fonazione e produrre sonniloqui udibili. Ma è sicuro che l’insieme delle immagini oniriche, e le azioni e gli eventi del sogno, non si esauriscono a un mero sussurrare. Sognare è fantasticare, dunque un’attività psichica priva di parole. “Questo è l’uomo che sogna, ma l’uomo desto!” – Anch’egli occasionalmente pensa senza parole, e proprio quando pensa nel modo migliore: nella logica e nelle scienze matematiche. Il geometra disegna la sua figura, le sue linee ausiliarie e scorre nel pensiero una lunga dimostrazione senza che la lingua sia per lui indispensabile. Il chimico vede Mn O2 + SO3 = O + Mn O, SO3 e da qui riconosce un’intera storia di divisioni e connessioni. Lo psicologo matematico per mezzo della formula c = b ¥a/a+b lascia intendere in quali circostanze due rappresentazioni scalzino dalla coscienza una terza. Il logico vede: MPPM SMSM SPSP

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und erfaßt den Inhalt dieser Formel mit einem Blicke, ohne Wort. Alle solche Formeln werden nicht gelesen, nicht gesprochen; sie werden gesehen und gedacht. Sie lassen sich allerdings in die Sprache übersetzen und gewinnen dann wohl an Faßlichkeit, aber sicherlich nicht an Klarheit, und verlieren sogar an Schärfe und Bestimmtheit. Und die größere Faßlichkeit rührt nur von unserer Gewohnheit her, sprechend zu denken. Das Denken wird uns leichter mit Hülfe des Wortes, weil wir an diese Krücke gewöhnt sind. So gelangt man durch [155] die Sprache zum Verständniß jener Formeln; aber das Ziel ist, sie zu schauen, sie zu denken ohne Wort. Wer eine Beethovensche Symphonie verfolgt, der denkt, aber ohne Wort. Wer ein Gemälde betrachtet, die Gesichtszüge eines Menschen, die Construction einer Maschine zu erfassen sucht: der denkt ohne Wort. Wenn wir über eine Rinne schreiten, eine Treppe auf- oder absteigen, ein Loth oder zehn Pfund heben oder niedersetzen: so messen wir genau das Maß der anzuwendenden Kraft ab, bestimmen auch die Richtung unserer Kraft, denken also, ohne zu sprechen. Hieraus folgt nun, daß die unterste Stufe des Denkens, das Anschauen von äußern oder innern Bildern, des Wortes nicht bedarf; daß das gewöhnliche Denken des gemeinen menschlichen Lebens wenigstens thatsächlich und in der Regel an die Sprache gebunden ist; daß aber endlich der Geist auf einer höhern Stufe der Ausbildung sich von der Last des Lautes zu befreien sucht. Nur irgend ein sinnliches Zeichen muß er auch auf der höchsten Höhe haben als Stab und Stütze, als Leitfaden; oder, nach einem andern Bilde, die Zeichen sind dem Geiste, indem er dem Begriffe nachspürt, eingeschlagene Pfähle an den Stellen, wo er die Fußstapfen des Begriffs erkannt hat, um die Schritte und den Weg desselben um so leichter von neuem durchlaufen zu können. Dazu ist ihm aber das Wort oft zu grob, und er wählt statt dessen das algebraische Zeichen. Auf der untersten Stufe des Denkens bedarf er des Zeichens nicht; hier ist es die Anschauung selbst, die er will, die ihm stehen soll. Nur im mittleren Denkreiche herrscht gewöhnlich das Wort. Daß es aber auch hier eben nur ein Zeichen ist, als Zeichen dient und keinen höhern Werth

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e apprende il contenuto di questa formula con uno sguardo, senza parole. Tutte queste formule non sono lette, non sono espresse attraverso la lingua, sono viste e pensate. Si lasciano tuttavia tradurre nella lingua e divengono certo più comprensibili, ma non per questo conseguono maggiore chiarezza e anzi perdono in precisione e determinatezza. E la maggiore comprensibilità dipende solo dalla nostra abitudine di pensare parlando. Il pensare ci è più facile per il supporto della parola, perché noi siamo adusi a un tale appoggio. Così attraverso [155] la lingua si perviene alla comprensione di quelle formule, ma il fine è guardarle, pensarle senza parole. Chi segue una sinfonia di Beethoven pensa, ma senza parole. Chi osserva un dipinto, chi cerca di cogliere i tratti del viso di un uomo, di apprendere la costruzione di una macchina, pensa senza parole. Se camminiamo ai margini di un solco, saliamo o scendiamo per una scala, se solleviamo o abbassiamo un peso misuriamo esattamente la portata della forza da impiegare, ne determiniamo anche la direzione, pensiamo dunque senza parlare. Da ciò segue che il più basso livello del pensare, la visione di immagini esterne o interne, non ha bisogno della parola; che il pensare nella vita umana associata è in genere, almeno di fatto e in linea di principio, legato alla lingua; e infine che lo spirito, a un livello più alto di formazione, cerca di affrancarsi dal peso del suono. Al livello supremo il pensiero ha bisogno solo di un segno sensibile di qualche tipo come sostegno e appoggio, come guida. O secondo un’altra immagine, i segni sono per lo spirito, dal momento che esso segue le orme del concetto, pali infissi nei punti in cui ha scorto quelle orme affinché sia possibile ripercorrere più facilmente i momenti e le vie tracciati dal concetto. La parola tuttavia per lo spirito è spesso inadeguata a raggiungere questo scopo e lo spirito sceglie al suo posto i segni algebrici. Al più basso livello del pensiero lo spirito non necessita del segno; a questo livello esso coincide con la stessa intuizione a cui aspira, l’intuizione che gli sta di fronte. Solo nelle sfere medie del pensiero domina in genere la parola. Che anche in queste sfere tuttavia la parola sia soltanto un segno, funga da segno e in sé non possegga al-

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hat, zeigt sich daran, daß es beim unterrichteten Taubstummen durch Fingersprache und Schriftzeichen vollständig ersetzt wird. Auch ist für den Taubstummen, der sich von Kindheit auf an ein künstliches Fingeralphabet gewohnt hat, die Fingerbewegung fast eben so unzertrennlich vom Denken, eben so nothwendig für dasselbe geworden, wie bei uns das Wort. In den Anstalten, in denen ein Fingeralphabet als gewöhnliche Umgangssprache dient, hat man bemerkt, daß die Taubstummen bei ihrem stillen Denken die Finger bewegten. Auch im Traume thun sie es oft. Die Fingerbewegung ist also bei ihnen eben so sehr mit dem Denken [156] verschmolzen, wie bei uns der Laut, die Articulation; was darauf führt, auch die Verbindung der Articulation mit dem Denken als den Erfolg einer Gewohnheit anzusehen. Späterhin freilich werden wir sehen, daß zwischen Gewohnheit und Gewohnheit ein Unterschied ist, daß nämlich die eine von der Natur vorgezeichnet und angeordnet, die andere nur zum Ersatz angenommen ist. Hier aber war zu zeigen, daß die behauptete Unzertrennlichkeit von Denken und Sprechen eine Uebertreibung ist, und daß der Mensch nicht im Laute und durch Laute denke, sondern an und in Begleitung von Lauten. Denn weder ist die Wirklichkeit des Denkens von dieser Anknüpfung desselben an den Laut durchaus abhängig und ohne sie unmöglich, noch wird durch ihre Aneinanderknüpfung Wort und Begriff, Sprache und Gedanke identisch. Es ist eine schlechte Ausrede, zu behaupten, das lautlose Denken sei unorganisch. Denn erstlich das Denken als Anschauung, als Bildschöpfung, ist ohne Zeichen durchaus organisch. Das algebraische Denken ferner ist eine ganz nothwendige, also organische Stufe in der organischen Entwickelung des menschlichen Geistes, auf welche Stufe derselbe in ganz organischer Weise seiner organischen Natur nach gelangen muß. Endlich aber, wäre der Laut dem Denken so organisch nothwendig, wie ein Leib der Seele, ein Stoff der Kraft: so müßte die Trennung des Lautes vom Denken für beide eben so zerstörend und tödtlich wirken, wie die Trennung des Leibes von der Seele, oder so unmöglich sein, wie die des Stoffes von der Kraft. Das ist aber nicht der Fall; sondern es findet das Wunder Statt, daß das Denken, obwohl unorganisch, doch fortlebt – gewiß eine wunderliche Unsterblichkeit und Unzerstörbarkeit des Gedankens.

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cun valore, risulta chiaro dal fatto che il sordomuto istruito la sostituisce interamente con il linguaggio delle dita e con i segni scritti. Anche per il sordomuto, che sin dalla fanciullezza è stato abituato a un alfabeto mimico artificiale, il movimento delle dita è divenuto quasi inseparabile e tanto necessario al pensiero [156] come per noi lo è la parola. In istituti in cui un alfabeto delle dita funge da abituale strumento di comunicazione è stato notato che i sordomuti muovevano le dita quando pensavano tra sé e sé. Anche nel sogno lo fanno spesso. Il movimento delle dita per loro è tanto intrinsecamente associato al pensiero come per noi lo sono il suono e l’articolazione; il che ci conduce a ritenere che anche la connessione dell’articolazione col pensiero sia il risultato di un’abitudine. Più avanti vedremo che certamente tra abitudine e abitudine c’è differenza, che una infatti è tracciata e disposta dalla natura, l’altra è assunta solo come sostitutiva. Ma qui bisognava mostrare che l’affermata inseparabilità di pensare e parlare è un’esagerazione e che l’uomo non pensa in suoni e per mezzo dei suoni, ma accompagna e sostiene il pensiero con i suoni. Dunque, né la realtà del pensiero è dipendente in modo assoluto dal suo legame col suono e impossibilitata a prescindere da questo legame, né parola e concetto, lingua e pensiero, diventano identici per mezzo di questo reciproco legame. È solo un cattivo pretesto affermare che il pensiero senza suoni sia inorganico. Anzitutto per il fatto che il pensare, in quanto intuizione, creazione di immagini, è assolutamente organico pur senza segni. Inoltre il pensiero algebrico è uno stadio del tutto necessario, dunque organico, nello sviluppo organico dello spirito umano, il quale deve giungere a questo livello in modo del tutto organico secondo la sua natura organica. Infine, se il suono fosse così necessariamente organico al pensiero come il corpo all’anima, la materia alla forza, la separazione del suono dal pensiero dovrebbe agire per entrambi in modo così distruttivo e dissolvente come accade nella separazione del corpo dall’anima, o essere impossibile come la divisione della materia dalla forza. Ma non è questo il caso; piuttosto ha luogo il prodigio che il pensare, sebbene inorganico, continua pur a vivere: – un’immortalità e indistruttibilità del pensiero certo prodigiosa.

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Ich will zu den oben angeführten Beispielen des Denkens mit Zeichen noch ein höchst merkwürdiges hinzufügen, wo man nicht aus dem Mangel eines Sinnesorganes und nicht bloß zu beschränkten Zwecken, zu wissenschaftlichen Formeln, sondern wo ein Volk zur Darstellung von Gedanken sich schriftlicher Zeichen bedient. Dies geschieht in China. Kein Chinese ist im Stande, im alten erhabenen Style abgefaßte Schriftstücke, die man ihm vorliest, durch bloßes Hören aufzufassen. Dies ist eine vielfach versicherte und für den Kenner des Chinesischen leicht begreifliche Thatsache. Diese chinesische Literatur alten [157] Styles ist so umfangsreich wie irgend eine; sie ist ganz vorzüglich reich an Darstellung von Reflexionen und Gefühlen, besonders an Betrachtungen über die sittlichen Verhältnisse der menschlichen Gesellschaft; sie ist weniger beschreibend, sinnlich, anschauungsvoll, als reflectirend, rein denkend; sie wird gepflegt und studirt mit demselben Fleiße, wie der chinesische Ackerbau, seit mehr denn zwei Jahrtausenden und diese Literatur ist in der That keine sprachliche, sondern eine Zeichenliteratur; denn nicht sprechend wird sie mitgetheilt und hörend vernommen; sondern in Zeichen geschrieben, wird sie nur durch Anschauung aufgefaßt. Zwar hat jedes Zeichen einen Laut, mit dem es ausgesprochen wird; aber was kann das nützen, da dieser Laut, der das Zeichen trägt, bloß ausgesprochen, völlig unverständlich bleibt, das Zeichen aber, gesehen, beim ersten Blicke eine Vorstellung anregt? Hier redet also eine weite und tiefe Literatur nicht zum Ohre, sondern zum Auge; hier wird also gar nicht mit Lauten, sondern mit Schriftzeichen gedacht; und diese Literatur ist das höchste Erzeugniß des Geistes eines der ältesten und cultivirtesten Völker der Erde. Dies ist noch nicht alles. An einem andern Orte, wo ich den Charakter dieser Literatur weitläufiger dargelegt, habe ich auch gezeigt, daß diese Zeichen-Literatur durch die Eigenthümlichkeit der chinesischen Sprache selbst veranlaßt wurde; daß diese, unfähig dem Gedanken bei seinem höhern Schwunge die nöthige Unterstützung zu geben, dazu zwang, eine andere Stütze zu suchen; daß sie, schon ursprünglich lose an den Gedanken gebunden und nicht mit ihm verschmolzen, die Scheidung des Gedankens von ihr erleichterte.

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Voglio aggiungere agli esempi su riportati del pensiero connesso a segni, un esempio del più alto valore, dove non ci si serve di segni scritti in ragione della deficienza di un organo sensibile e nemmeno semplicemente in vista di obiettivi specifici, di formule scientifiche, un esempio in cui a servirsi di segni scritti è un popolo al fine di rappresentare il pensiero. Ciò accade in Cina. Nessun cinese è capace di comprendere attraverso il semplice udito scritti redatti nel sublime stile antico, che gli vengano letti. Questo è un fatto ampiamente accertato e facilmente comprensibile per il sinologo. Questa letteratura cinese in stile antico [157] è più ampia d’ogni altra, è straordinariamente ricca di riflessioni e sentimenti, in particolare di considerazioni sui rapporti etici della società umana, è permeata più dalla riflessione e dal pensiero puro che dalla descrizione, dalla dimensione sensibile e intuitiva; viene coltivata e studiata da più di due millenni con lo stesso zelo impiegato dai cinesi nell’agricoltura: e di fatto questa letteratura non è una letteratura di parole, ma di segni, perché non è comunicata per mezzo dell’espressione linguistica e appresa con l’udito, ma, scritta in segni, viene compresa soltanto attraverso la percezione visiva. In verità ciascun segno ha un suono con cui è espresso per mezzo della lingua. Ma a che può servire ciò dal momento che questo suono che corrisponde al segno, se espresso attraverso la lingua, non è minimamente compreso; mentre il segno osservato suscita una rappresentazione al primo sguardo? In questo caso, dunque, una grande e profonda letteratura non parla all’orecchio, ma all’occhio, qui non si pensa per nulla in suoni, ma in segni scritti; e questa letteratura è la più alta produzione spirituale di uno dei più antichi e dotti popoli della terra. E non è tutto. In un altro luogo, dove ho esposto più estesamente il carattere di questa letteratura, ho anche mostrato che la letteratura cinese, costituita da segni, è il prodotto della peculiarità della lingua cinese stessa; che la lingua cinese, incapace di offrire al pensiero l’appoggio necessario al suo considerevole slancio, costrinse a cercare per esso un altro sostegno; che la lingua cinese stessa, già in origine debolmente connessa al pensiero e non fusa con esso, ne permise il distacco da sé61.

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Man überlege sich dies recht, und man wird finden, daß, so sehr auch das menschliche Denken immer und überall dasselbe ist, doch in dem hier besprochenen Falle in dem ersten Hülfsmittel des Denkens, in der Sprache, eine Verschiedenheit von dem regelmäßigen Vehältniß Statt findet, welche unmöglich gleichgültig sein kann für die Weise des Denkens selbst, d. h. für diese psychologische Thätigkeit; und es liegt also hier der Psychologie einer der merkwürdigsten Gegenstände zur Betrachtung vor. Denn wenn sich schon das erste Denken des Kindes an eine Sprache schließt, die nur ein unvollkommener Träger des Gedankens ist; wenn dann ferner der Knabe und das Mädchen ihren Unterricht und ihre Studien von Anfang bis [158] zu Ende, und das heißt sehr oft bis zum Greisenalter und zum Tode, in einer sprachlosen Zeichenliteratur durchlaufen, die überdies wegen der Form und wegen des Inhalts die allgemeinste höchste Verehrung genießt; wenn man solche Literatur nicht nur unausgesetzt studirt, sondern auch unaufhörlich seine eigenen Gedanken nach dem Muster derselben darzustellen sich bemüht; wenn aller Umgang nur mit Männern geschieht, die gerade eben so ihre intellectuelle Bildung erworben haben, und alle Unterhaltung, ernste und heitere, sich um die alte Literatur bewegt und tausendfach auf sie anspielt, auch im Ausdruck sich ihr nähert: wie muß nicht in einer solchen Intelligenz das Verhältniß von Denken und Sprechen ganz anders sein, als dies bei uns Statt findet! Man nenne nur immerhin ein solches Verhältniß unorganisch. Damit hat man nur nichts erklärt, und hat sogar einen Unsinn ausgesprochen. Denn ein organisches Wesen ist entweder, und dann ist es nothwendig organisch; oder es ist gar nicht: so ist es doch niemals unorganisch. Endlich noch ein Beispiel, das viel näher liegt, als das der chinesischen Sprache und Schrift, und doch mit ihm die größte Aehnlichkeit hat. Es wird gewiß Vielen, die nur englische Schriften gelesen, aber nicht englisch gesprochen haben, eben so gehen wie mir, daß sie nämlich, wenn sie englisch hören, sich das Gehörte schnell als geschrieben vergegenwärtigen und so erst verstehen, d. h. den Gedanken auffassen. Das rührt von der Verschiedenheit zwischen Schreibung und Aussprache und der Gewöhnung her, immer die Schreibung dem Geiste gegenwärtig zu haben. Ich denke, dies beweist, daß, wenn man englisch zu uns spricht, wir nicht in englischen Lauten, sondern in englischer Schrift denken;

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Si rifletta bene su ciò e si troverà che per quanto l’umano pensare è sempre e ovunque lo stesso, nel caso appena discusso, all’interno del primo supporto del pensiero, all’interno della lingua, ha luogo una deviazione dalla norma che non può essere indifferente nemmeno per il modo di pensare, è a dire per questa attività psicologica; e proprio qui sta uno degli oggetti di considerazione maggiormente degni di nota per la psicologia. Poiché se già la forma elementare del pensare del bambino è connessa a una lingua che è solo un portatore imperfetto di esso; se, inoltre, il ragazzo e la fanciulla compiono la loro formazione e i loro studi, dall’inizio alla [158] fine e spesso fino alla vecchiaia e alla morte, su una letteratura costituita da segni e priva di lingua, la quale gode anche della più alta venerazione per la forma e il contenuto; se non solo questa letteratura si studia ininterrottamente, ma ci si sforza anche continuamente di rappresentare i propri pensieri secondo i suoi modelli; se ogni relazione avviene con uomini che hanno acquisito la loro formazione intellettuale proprio così e ogni alta e seria conversazione riguarda l’antica letteratura e mille volte allude a essa e le si avvicina anche nell’espressione; se accade tutto ciò, come potrebbe succedere che in un’attività psichica così costituita il rapporto di pensare e parlare non si configuri in modo diverso da quello che ha luogo in noi? Si chiami pure un tale rapporto inorganico, con ciò non si è spiegato nulla e si è perfino espresso un nonsenso. E ciò perché o il rapporto di lingua e pensiero è un’essenza organica e allora deve esserlo necessariamente o non lo è, allora non lo è mai. Infine ancora un esempio che è ben più familiare di quello della lingua e della scrittura cinese e tuttavia gli assomiglia molto. Vi sono, certo, molti che hanno letto scritti inglesi, ma non hanno parlato l’inglese; a costoro accadrà, come accade a me, che quando ascoltano l’inglese si figurano velocemente quanto ascoltato come qualcosa di scritto e per questa via lo intendono, è a dire comprendono il pensiero che vi è espresso. Ciò dipende dalla differenza tra scrittura ed espressione orale e dall’abitudine di aver presente sempre la scrittura. Credo ciò dimostri che quando qualcuno ci parla in inglese, noi non pensiamo in suoni inglesi, ma in caratteri scritti in

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daß folglich Denken und Sprechen wohl zertrennlich und also noch mehr verschieden sind. §. 63. Verschiedenheit von Denken und Sprechen, bewiesen durch Reflexion. Wir haben uns im Vorhergehenden auf Thatsachen berufen. Wir fügen nun noch folgende Reflexion hinzu. Die Fähigkeit, eine fremde Sprache verstehen und sprechen zu lernen, beweist schon mindestens die Möglichkeit, meine Gedanken von meiner Sprache abzulösen. Ja, Uebersetzungen wären sonst rein unmöglich. Man meint aber, indem dem Gedanken eine Sprache genommen wird, so werde ihm ja dafür sogleich die andere untergeschoben, und es werde nicht die organische Einheit des Gedankens mit der einzelnen Sprache, sondern mit der Sprache [159] überhaupt angenommen; alle Sprachen seien am Ende nur eine Sprache und die Sprache. Das mag sein, und überhaupt, ist das Denken in organischer Weise an den Laut gebunden, so ist die Verschiedenheit der Sprachen wohl schwerlich zu erklären, und man thut wohl daran, sie als unwesentlich auszugeben. Nur mußte diese Unwesentlichkeit so groß sein, daß jeder Mensch unmittelbar jede Sprache verstehen könnte. Denn selbst vermöge der Beckerschen „organischen Freiheit“ dürfte keine Sprache sich so sehr von meiner organischen Sprach- und Verstehkraft entfernen, daß ich sie nicht unmittelbar verstände. So groß auch irgendwo das sogenannte „Spiel der organischen Freiheit“ sein mag in Blättern und in Formbildung aller Art, es ist nicht so groß, um nicht diese Blätter und Formen sogleich wiederzuerkennen, wenn man überhaupt ihre Art kennt. Und wie es mit Pflanzen und Thieren ist, so müßte es auch mit der Sprache sein. So mannigfach auch Gesicht und Gestalt des Menschen geformt sein mag: man wird jeden Menschen sogleich als solchen erkennen; also müßte ich auch den Begriff Mensch, wäre er im Sprachlaute organisch ausgedrückt, aus jedem Worte, welches in den verschiedenen Sprachen Mensch bedeutet, unmittelbar heraushören. Es dürfte also bei der Voraussetzung der Identität von Sprechen und Denken keinen mir unverständlichen Sprachlaut geben. Hiermit wird zugleich behauptet, es müsse auch unmöglich

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inglese. Di conseguenza pensare e parlare sono ben separabili e, ancor più, diversi. §. 63. Differenza di pensare e parlare mostrata attraverso la riflessione Nel paragrafo precedente abbiamo fatto ricorso a fatti. Aggiungiamo ora la seguente riflessione. La capacità di imparare a comprendere e parlare una lingua diversa dimostra già per lo meno la possibilità di separare i miei pensieri dalla mia lingua. Le traduzioni sarebbero altrimenti puramente impossibili. Si pensa però che essendo stata sottratta al pensiero una lingua, gliene sia stata subito assegnata un’altra in modo tale che non venga assunta l’unità organica del pensiero con la singola lingua, ma con la lingua [159] in generale62. Tutte le lingue sarebbero alla fine solo una lingua e l’unica lingua. È possibile che sia così e in generale si considera che il pensiero è legato alla lingua in maniera organica in modo tale che risulti ben difficile spiegare la diversità delle lingue e si può bene, pertanto, far passare quest’ultima per inessenziale. Solo che tale irrilevanza dovrebbe essere tanto grande che ogni uomo dovrebbe poter comprendere immediatamente ogni lingua. Così in virtù della beckeriana «libertà organica»63 nessuna lingua dovrebbe potersi distanziare tanto dalla mia capacità linguistica e di comprensione da ostacolare il fatto che io la intenda immediatamente. Per quanto grande inoltre il cosiddetto «specchio della libertà organica» possa essere per strati e formazioni relativi a ciascun tipo, non lo sarà tanto da impedire di riconoscere immediatamente questi strati e queste formazioni quando in generale se ne conosca il tipo. E come accade con le piante e gli animali, lo stesso dovrebbe accadere con la lingua. Per quanto il volto e l’aspetto dell’uomo siano costituiti diversamente, ciascun uomo sarà immediatamente riconosciuto in quanto tale; allo stesso modo, se fosse espresso in suoni linguistici organici, dovrei cogliere immediatamente il concetto di uomo dalla parola che lo esprime nelle diverse lingue. Secondo la premessa dell’identità di parlare e pensare non dovrebbe pertanto esistere per me alcun suono linguistico incomprensibile. Col che si dice anche che dovrebbe essere im-

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sein, künstlich einen Sprachlaut zu bilden, eine Sylbe, ein Wort, welches keine Bedeutung hätte. Jeder articulirte Laut müßte eine Bedeutung haben, und die reinste und vollendetste Quelle der Begriffsbildung müßte diejenige sein, welche aus dem Bemühen entstünde, Wortlaute zu bilden. Wer ein unerhörtes Gebilde eines Wortlautes gestaltet hätte, müßte eben damit einen völlig neuen Begriff gebildet haben. Becker dürfte nicht abgeneigt sein, letztere Forderung zuzugestehen; nur wird er sie näher bestimmen wollen, und zwar so (Organism S. 2): „Begriffe, die für uns lange Zeit dunkel und unbestimmt gewesen, werden uns oft mit einem Male klar und bestimmt, indem wir sie besprechen“ (wahre Zauberei! Die Philosophen aber, die man ehemals für Zauberer hielt, machen sich heute die Begriffe dadurch klar, daß sie dieselben nicht besprechen, sondern bedenken). „Es wird uns oft schwer, einem Dinge den rechten Namen zu geben, weil uns der Begriff des [160] Dinges noch nicht klar geworden; aber sehr oft wird uns ein lange Zeit dunkeler Begriff, wie mit einem Schlage, klar, wenn wir zufällig den rechten Namen finden“ (das rechte Wort, die gehörigen Sylben geschmiedet haben! Der Denker aber sucht nicht den Namen, sondern die Kategorie des Ganzen und die Beziehungen seiner Theile, was sich allerdings alles an Laute, wenigstens meist, anschließt und immer anschließen kann). „Endlich“ (heißt das drittens? viertens? fünftens u.s.w.? nein! zweitens! denke ich) „gehört hierher, daß nichtausgesprochene Begriffe und Gedanken oft lange Zeit in dem Geiste gleichsam schlummern, als seien sie nicht vorhanden; aber einmal ausgesprochen üben sie plötzlich über das Urtheil und die Handlung einzelner Menschen und ganzer Völker eine unwiderstehliche Gewalt aus.“ Das heißt denn doch die Schöpferkraft großer Männer herabsetzen – oder vielmehr nicht begreifen. Das wären die Heroen der Geschichte der Menschheit, Wecker schlummernder Gedanken? weiter nichts? Plato hätte die schlummernden Ideen bloß geweckt? Kant die schlummernde Kritik des Geistes geweckt? O nein, geschaffen haben sie die Gedanken, neu, ursprünglich. Man sagt wohl, die Flamme schlummre im Holze, und das mag man geistreich finden. In Wahrheit aber ist doch die Flamme, die man schlummernd nennt, gar nicht vorhanden: man kann sie erzeugen, wenn man die noch fehlenden Bedingungen, unter denen sie entsteht,

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possibile costruire arbitrariamente un suono linguistico, una sillaba, una parola, priva di significato. Ogni suono articolato dovrebbe avere un significato, e la più pura e compiuta fonte della costituzione di significati dovrebbe esser quella che deriva dallo sforzo di costruire i suoni di una parola. Chi avesse dato forma al costrutto mai ascoltato prima di un suono che costituisce una parola, con ciò dovrebbe appunto aver costituito per la prima volta un significato. Becker non dovrebbe essere restio a concedere quest’ultima esigenza; egli vorrà solo specificarla meglio, ovvero così (Organism, p. 2): «concetti, rimastici oscuri e indeterminati per lungo tempo, ci diventano d’un tratto chiari e determinati per il fatto d’averli espressi attraverso la lingua» (autentico prodigio! Ma i filosofi, che un tempo erano considerati maghi, al giorno d’oggi si spiegano i concetti non tanto esprimendoli, ma pensandoli). «È spesso difficile attribuire a una cosa il nome giusto perché il concetto della [160] cosa non ci è ancora divenuto chiaro, ma molto spesso un concetto per lungo tempo oscuro ci diventa chiaro come d’un sol colpo, quando per caso ne ritroviamo il giusto nome» (la parola giusta, che sillabe pertinenti hanno forgiato! Il pensatore però non cerca il nome, ma la categoria dell’intero e le relazioni delle sue parti che certo si unisce ai suoni, almeno in generale, e che sempre può esservi associata). «Infine (s’intende con ciò in terzo luogo, in quarto o quinto luogo? no! in secondo! dico io) «va ricondotto a ciò il fatto che concetti e pensieri non espressi spesso, per dir così, rimangono sopiti per lungo tempo nello spirito quasi non fossero presenti, ma una volta espressi esercitano improvvisamente il loro irresistibile potere sul giudizio e l’attività di singoli uomini e interi popoli». Ciò significa depotenziare la forza creativa dei grandi uomini – e ancor più non coglierla. Furono questo gli eroi della storia dell’umanità? sveglie di pensieri sopiti? Null’altro? Platone avrebbe semplicemente destato idee sopite? Kant la sopita critica dello spirito? O no, costoro hanno creato i pensieri dal nulla, li hanno forgiati dall’origine. Si dice che la fiamma riposi nel legno, e lo si può trovare profondo. In verità però la fiamma che si considera dormiente, non è punto presente: la si può produrre apportando al legno le condizioni mancanti

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zum Holze hinzubringt. So haben die großen Männer in noch viel höherem Grade nicht schlummernde Gedanken, die also doch schon vorhanden gewesen wären, bloß geweckt, sondern nichtvorhandene erzeugt, indem sie zu den vorhandenen etwas eigenes, sei es auch nur eine eigene Combination derselben hinzubrachten. Und auch dies zeigt die Zusammenhangslosigkeit von Sprechen und Denken; denn mit dem alten Laute wird der neue Begriff ausgesprochen. Wenn sich ferner bei Kindern Sprache und Gedanke gleichen Schrittes entwickeln, so folgt daraus eben so wenig ihre Identität, wie Becker meint, als die Identität von Seele und Leib, oder von Physiologie und physikalischer Optik daraus, daß beide sich gleichen Schrittes entwickeln. Eine sehr innige Beziehung des Denkens zum Sprechen, eine viel innigere als zu jedem andern Zeichen, eine von Natur selbst gesetzte, wird nicht geläugnet und wird später dargestellt [161] werden. Die innigste Beziehung aber ist noch nicht Identität. Diese wird hier abgewiesen. Becker sagt: „Es ist ein allgemeines Gesetz der lebenden Natur, daß in ihr jede Thätigkeit in einem Stoffe, jedes Geistige in einem Leiblichen in die Erscheinung tritt, und in der leiblichen Erscheinung seine Begrenzung und Gestaltung findet. Nach diesem Gesetze tritt auch der Gedanke nothwendig in die Erscheinung, und wird ein Leibliches in der Sprache. Die Sprache ist nichts anderes als der in die Erscheinung tretende Gedanke, und beide sind innerlich nur eins und dasselbe.“ Hier wird also die Identität von Sprechen und Denken nach einer allgemeinen Analogie aller natürlichen Existenzen beurtheilt. Dabei macht man den Fehler, von allen specificirenden Merkmalen abzusehen und das Wesen eines eigenthümlichen Daseienden mit dem abstractesten, allgemeinsten Merkmale des Daseins überhaupt erfassen zu wollen. Doch davon ist oben ausführlich gesprochen. Gestehen wir hier die Analogie zu und sehen nur, ob die Vergleichung richtig angestellt ist. Nun fragen wir: ist denn Thätigkeit und Stoff darum identisch, weil jene in diesem in die Erscheinung tritt? ist Geistiges und Leibliches identisch, darum weil jenes in diesem lebt? (denn Begrenzung und Gestaltung findet das Geistige im Leiblichen nie und nimmer. Wie soll Geist von Körper begrenzt werden!) Und eben so wenig ist Sprechen und Denken

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grazie a cui essa sorge. Così, a un livello ancora più alto, i grandi uomini non hanno semplicemente svegliato pensieri sopiti che sarebbero già stati presenti, ma hanno prodotto pensieri prima inesistenti apportando a quelli presenti qualcosa di proprio, sia pur soltanto una peculiare combinazione di essi. E anche ciò mostra la mancanza di connessione di parlare e pensare, giacché con il vecchio suono è espresso il concetto nuovo. Se inoltre nei bambini lingua e pensiero compiono gli stessi passi, da ciò non segue, come crede Becker, la loro identità, come l’identità di anima e corpo o di fisiologia e ottica non segue dal fatto che le due si sviluppano parallelamente. Non si intende negare, e anzi lo si esporrà [161] più avanti, un rapporto molto intimo di pensare e parlare, un rapporto ben più intimo di quello che il pensiero intrattiene con ogni altro segno, un rapporto posto dalla natura stessa. Il più intrinseco rapporto tuttavia non è ancora identità. È questo ciò che respingiamo. Becker sostiene: «È una legge universale della natura vivente che in essa ogni attività si manifesti nella materia, ciò che è spirituale in ciò che è corporeo, trovando nel corporeo la sua delimitazione e forma. Secondo questa legge anche il pensiero necessariamente si manifesta nel fenomeno e diviene qualcosa di corporeo nella lingua. La lingua non è nient’altro che il pensiero resosi manifesto ed entrambi sono internamente una cosa sola». Qui pertanto l’identità di parlare e pensare è giudicata in base all’analogia generale con tutte le esistenze date in natura. Così si commette l’errore di prescindere da tutte le caratteristiche specifiche e di voler apprendere l’essenza di una peculiare esistenza attraverso il carattere astratto e universale dell’esistenza in generale. Di ciò si è discusso dettagliatamente in precedenza. Ammettiamo qui l’analogia e vediamo solo se il paragone è istituito correttamente. Domandiamo: l’attività e la materia sono identiche per il fatto che l’attività si manifesta nella materia? Ciò che è spirituale è identico a ciò che è corporeo per il fatto che vive in esso? (Ciò che è spirituale non potrà mai trovare una delimitazione e una forma in ciò che è corporeo; come può mai lo spirito esser delimitato dal corpo!) E allo stesso modo parlare e pen-

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identisch, weil dieses in jenem erscheint. Man beachte Beckers Wort „innerlich“; Sprechen und Denken sind „innerlich nur eins und dasselbe.“ Und äußerlich? Und was ist hier innerlich und äußerlich? Hier ist Becker inconsequent geworden, d. h. mit dem Worte innerlich durchbricht entweder eine alte Erinnerung oder ein Funke der Wahrheit Beckers Grundanschauung. Becker gehört, wie wir oben sahen, der Identitätsphi1osophie an, der Alles in einander lief und eins ward. Wenn Becker die Einheit von Stoff und Thätigkeit, Leiblichem und Geistigem, Sprechen und Denken behauptet, so ist dies gegen die Unterscheidung der Kategorien Inneres und Aeußeres gerichtet, deren Berechtigung die Identitätsphilosophie nicht anerkennt. Es giebt kein Inneres und kein Aeußeres; es giebt nur die Einheit, Eins. So giebt es auch kein Sprechen als etwas Aeußeres, und kein Denken als etwas Inneres; es giebt nur Eins: Denk-Sprechen, Sprech-Denken. Der Gedanke gehört der Sprache, ist Sprache, und der Laut gehört dem Denken, [162] ist Gedanke. Das ist Beckers Ansicht, welche durch obiges „innerlich“ durchbrochen wird. Wir werden später das Verhältniß von Innerem und Aeußerem zu betrachten haben. Beckers unbestimmte Auffassung dieser Kategorien aber und die Verwirrung, die er mit seiner Identität anrichtet, berechtigt uns schon hier eine Analogie vorzubringen, in der ebenfalls ein Inneres und Aeußeres, ein Geistiges und Leibliches sich findet, also auch ihre Einheit. Ich zeige eine Bildsäule Cäsars. Hier ist offenbar ein Geistiges im Leiblichen in die Erscheinung getreten, gerade wie bei der Sprache der Gedanke im Laute erscheint. Darum sagt man, die Sprache sei der lautgewordene, verlautlichte, in der Sprache leiblich gewordene Begriff oder Gedanke. Wenn ich nun eben so sagte: diese Bildsäule ist der Stein gewordene, versteinerte, im Steine leiblich gewordene Cäsar, was würde man dazu meinen? oder umgekehrt, wenn ich sagte, diese Bildsäule sei der Cäsar gewordene Stein? – Diese Analogie ist noch nicht streng; ich kann sie strenger machen. Sie würde nämlich nur passen, wenn Becker gesagt hätte, die Sprache sei die lautgewordene oder in Laute verwandelte Welt, d. h. eine vergeistigte, wenigstens dem Geiste genäherte Welt, wie Humboldt

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sare non sono identici per il semplice fatto che quest’ultimo si manifesta nel primo. Si presti attenzione alla parola usata da Becker “internamente”, parlare e pensare sono «internamente una cosa sola». Ed esternamente? Che significano qui “internamente” ed “esternamente”? Becker è qui inconseguente, giacché con la parola “internamente” o si manifesta un vecchio ricordo o una scintilla di verità dell’intuizione fondamentale di Becker. Becker, come abbiamo visto, appartiene alla filosofia dell’identità in cui tutto confluì e si unificò. Quando Becker asserisce l’unità di materia e attività, corpo e spirito, parlare e pensare, fa ciò contro la separazione delle categorie di interno ed esterno, di cui la filosofia dell’identità non riconosce la legittimità. Non c’è nessun interno e nessun esterno, c’è solo l’unità, l’uno. Così non c’è nemmeno alcun parlare come qualcosa di esterno e alcun pensare come qualcosa d’interno, c’è soltanto l’uno: il parlare-pensare, il pensare-parlare. Il pensiero appartiene alla lingua, è lingua; e il suono appartiene al pensare, [162] è pensiero. Questa è la prospettiva di Becker emergente dal suddetto termine: “internamente”. Prenderemo in considerazione in seguito il rapporto di interno ed esterno. La comprensione generica che Becker ha di queste categorie, tuttavia, e la confusione che cagiona con la sua identità, ci consente di presentare già qui un’analogia in cui si trovano altresì un interno e un esterno, uno spirituale e un corporeo e, pertanto, anche la loro unità. Mostro una statua di Cesare. Qui palesemente qualcosa di spirituale si è reso manifesto in qualcosa di corporeo, proprio come nella lingua il pensiero si manifesta nel suono. Per questa ragione si sostiene che la lingua sarebbe il concetto o il pensiero divenuto suono, sonorizzato, divenuto corporeo nella lingua. Se ora dicessi così: questa statua è Cesare divenuto pietra, pietrificato, divenuto corporeo nella pietra, che s’intenderebbe? O al contrario, se dicessi: questa statua è la pietra fattasi Cesare? – Quest’analogia non è ancora rigorosa, posso renderla ancor più rigorosa. Essa sarebbe infatti stata ammissibile se Becker avesse detto che la lingua è il mondo articolato in suoni o trasformato in suoni, è a dire un mondo spiritualizzato o per lo meno avvicinato allo spirito, come ha notato

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bemerkt hat, der allemal zwei Seiten an den Dingen erkennt, wo Becker nur eine sieht. Da also Becker in der Sprache keinen Vergeistigungsproceß sieht, sondern nur die Verleiblichung des Gedankens, so müßten wir auch sagen, diese Bildsäule ist unser verleiblichter Gedanke Cäsars, unsere Stein gewordene, versteinerte Vorstellung von Cäsar; und unsere Vorstellung von Cäsar und die Bildsäule sind – soll ich „innerlich“ hinzusetzen? – nur eins und dasselbe. So viel Wahrheit hierin liegt, so viel Wahrheit liegt in der Einheit von Denken und Sprechen. Die Beckerianer mögen sich wohl hüten, mir dies zuzugestehen; sie mögen sich wohl vorsehen! denn die Bildsäule ist nach Becker unorganisch; folglich, wenn die Einheit des Geistigen und Leiblichen rücksichtlich der Sprache nicht diejenige ist, welche Eisen und Magnetismus, Gase und Wärme verbindet, sondern diejenige, welche den Gedanken mit dem Material eines Kunstwerks vereinigt: so ist die Sprache nicht mehr organisch. Wie verhält es sich denn nun aber mit dieser Einheit des Geistigen und Leiblichen im Kunstwerke? Wir sehen erstlich, wie schief sich Becker ausdrückt, wenn er von Einheit des [163] Sprechens und Denkens redet. Denn wie im Kunstwerke Stein und Idee sich vermählen: so sollte man sagen, in der Sprache vermähle sich die Idee mit dem Laute. Idee aber bleibt Idee, und wird weder Stein noch Laut; Vermählung ist nicht Identität: hierin wird mir mancher beipflichten. Schief ausgedrückt oder nicht, wird der Beckerianer sagen, allemal ist doch das Innere der Sprache die Idee, die Intellectualität selbst; und das ist es, was Becker mit seiner Identität von Sprechen und Denken sagen will. – Sehen wir nun die Sache näher an. Jemand verlangt von mir, ich soll ihm die Bildsäule Cäsars beschreiben: so verlangt jemand, der eine Sprache lernen will, von seinem Lehrer, daß er sie ihm darlege. Ich sage nun, um dem an mich gestellten Verlangen nachzukommen, die Bildsäule sei aus Parischem Marmor, in doppelter Menschengröße ausgearbeitet: der Sprachlehrer, um seinem Schüler zu genügen, giebt ihm die Lautlehre. Beide Hörende sind damit noch nicht befriedigt; von mir wird verlangt, ich solle auch die Idee mittheilen, die man dem Marmor eingebildet habe: der Sprachlehrling will die innere, geistige Seite zur lautlichen haben. Was thut nun der Beckersche Sprachlehrer? er giebt ihm die Logik und den Begriffsschatz, d.

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Humboldt che nelle cose distingue sempre due aspetti, mentre Becker ne vede uno solo. Dal momento che Becker nella lingua non scorge un processo di spiritualizzazione, ma solo il rivestimento corporeo del pensiero, dovremmo sostenere che questa statua è il nostro pensiero di Cesare resosi corporeo, la nostra rappresentazione di Cesare divenuta pietra, pietrificata; e la nostra rappresentazione di Cesare e la statua sono – devo forse aggiungere “internamente”? – una cosa sola. In questa tesi si trova tanta verità, quanta se ne trova nell’unità di pensare e parlare. I beckeriani potrebbero ben guardarsi dal concedermelo; potrebbero ben astenersene, giacché la statua secondo Becker è inorganica. Di conseguenza, se l’unità di spirituale e corporeo in riferimento alla lingua non è la stessa che lega il ferro e il magnetismo, il gas e il calore, ma quella che unisce il pensiero col materiale di un’opera d’arte, la lingua allora non è più organica. Ma che accade con l’unità di spirituale e corporeo nell’opera d’arte? Anzitutto però notiamo come si esprime erroneamente Becker quando parla dell’unità di [163] parlare e pensare. Infatti, come nell’opera d’arte si sposano pietra e idea, allo stesso modo si dovrebbe dire che nella lingua si sposano idea e suono; matrimonio non è identità, ciò qualcuno me lo concederà pure. Espresso erroneamente oppure no, il beckeriano dirà che la parte interna della lingua sarà sempre idea, l’intellettualità stessa; ed è questo che Becker intende dire con la sua identità di pensare e parlare. – Vediamo come stanno le cose più da vicino. Qualcuno mi chiede di descrivere la statua di Cesare, allo stesso modo qualcuno, che vuol imparare una lingua, chiede al maestro che gliela esponga. Io, per rispondere alla richiesta che mi è stata avanzata, dico soltanto che la statua è fatta in marmo parigino, forgiata a grandezza doppia rispetto a quella dell’uomo; l’insegnante di lingua, per rispondere al suo allievo, gli mostra la fonetica. Entrambi gli uditori non sono soddisfatti, a me viene richiesto di comunicare anche l’idea che ha plasmato il marmo, lo studente di lingua vuol conoscere la parte interna, spirituale, assegnata al suono. Come si comporta ora l’insegnante di lingua beckeriano? Gli indica la logica e il patrimonio concettuale, è a dire la forma e il con-

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h. Form und Inhalt unserer Intellectualitat, unseres Denkens. Wenn ich nun eben so meinem Hörer die Vorstellung von Cäsar mittheilte, er sei ein großer Feldherr, Staatsmann, Schriftsteller, mild und liebenswürdig gewesen, würde mein Zuhörer befriedigt sein? Nicht? – nun so ist es Beckers Lehrling, oder ich bin es mindestens auch nicht. Also: so gewiß die Idee einer Bildsäule Cäsars nicht unsere Vorstellung von Cäsars Charakter, Talent, Verdiensten, Thaten, nicht unsere Idee von Cäsar ist: so gewiß ist auch die Idee des Lautes nicht der Inhalt und die Form unseres Denkens. Folglich sind Denken und Sprechen völlig von einander verschieden. Oder, um Beckers eigene Analogien anzuwenden: so wenig die Idee oder das Innere des menschlichen Leibes der menschliche Geist ist: eben so wenig ist auch die Idee der Laute der Inhalt und die Form des Gedankens; folglich sind Sprache und Gedanke nicht eins und dasselbe. [215] 3. Ist die Sprache logisch? Wenn weder Denken und Sprechen identisch sind, noch auch die grammatischen Kategorien die logischen sind: wie sollte die Sprache logisch, ein logisches Wesen, ein bewußtes oder unbewußtes Erzeugniß der dem menschlichen Denken inwohnenden Logik sein? Auch ist sie dies ganz und gar nicht. § 81. Allgemeines Mißverhältniß zwischen Grammatik und Logik. Wäre die Sprache logisch, und ihre Form der organische Abdruck der logischen Form des menschlichen Denkens: was würde daraus folgen? Es würde mit unläugbarer Nothwendigkeit aus dieser Voraussetzung Beckers folgen, daß es unmöglich sein müßte, das unlogisch, d. h. das logisch falsch Gedachte, den logischen Irrthum, sprachlich und sprachrichtig ausdrücken. Wir würden also in der Fähigkeit einen Gedanken sprachlich auszudrücken [216] einen Prüfstein für die Richtigkeit dieses Gedankens haben. Wenn z. B. zwei conträre Begriffe sich nicht als Subject und Prädicat in einem Urtheile mit einander verknüpfen können; wenn das Urtheil: der Kreis ist viereckig, oder ein viereckiger Kreis, un-

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tenuto della nostra intellettualità, del nostro pensiero. Ora, se anch’io comunicassi al mio uditore la rappresentazione di Cesare: è stato un grande comandante, uomo politico, scrittore, indulgente e degno di stima, rimarrebbe soddisfatto il mio uditore? No? – e nemmeno lo è lo scolaro beckeriano, o per lo meno io. In conclusione: come l’idea di una statua di Cesare non è la nostra rappresentazione del suo carattere, del suo talento, della sua opera, delle imprese da lui compiute, non è la nostra idea di Cesare, di certo l’idea del suono non è il contenuto e la forma del nostro pensiero. Di conseguenza pensare e parlare sono del tutto diversi l’uno dall’altro. O, per utilizzare l’analogia di Becker, sì poco l’idea o l’interno del corpo umano è lo spirito umano, quanto poco l’idea del suono è il contenuto e la forma del pensiero; di conseguenza la lingua e il pensiero non sono la stessa cosa. [215] 3. La lingua è logica? Se pensare e parlare non sono identici e nemmeno lo sono le categorie grammaticali e quelle logiche64, come potrebbe la lingua essere logica, un’essenza logica, un prodotto consapevole o inconsapevole della logica che risiede nel pensiero umano? Essa non è nemmeno questo. §. 81. Eterogeneità di grammatica e logica in generale Se la lingua fosse logica e la sua forma fosse il calco organico della forma logica del pensiero umano, che ne seguirebbe? Da questa premessa di Becker seguirebbe con innegabile necessità l’impossibilità di esprimere attraverso la lingua, in modo appropriato dal punto di vista linguistico, ciò che è illogico, è a dire ciò che è pensato male da un punto di vista logico, l’errore logico. Avremmo pertanto nella capacità di esprimere [216] un pensiero attraverso la lingua, una salda prova della correttezza di questo pensiero. Se, ad esempio, due concetti contrari non possono legarsi l’un l’altro come soggetto e predicato in un giudizio, se il giudizio il cerchio è quadrato o

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denkbar, logisch unrichtig ist: so müßte dergleichen auch in der Sprache unausdrückbar sein. So oft der Mensch auf dem Punkte stünde, sich zu einem logischen Denkfehler hinreißen zu lassen, falsch, d. h. genau genommen, nicht zu denken: so müßte ihn der Gebrauch der Sprache verlassen; er müßte um das Wort oder um die grammatische Form in Verlegenheit sein; es müßte wenigstens jeder Denkfehler mit einem Sprachfehler, jeder Verstoß gegen die Logik mit einem entsprechenden gegen die Grammatik unablöslich und unvermeidlich verknüpft sein. So ist es doch nun aber nicht; sondern der tollste Unsinn läßt sich richtig und sogar in schönem Satzbau ausdrücken. Längst haben die abstract logischen Köpfe das unlogische Wesen der Sprache verspottet. Die neuere grammatische Theorie bemüht sich freilich, die Naivetät und sinnvoll phantastische Anschauung der Sprache in Schutz zu nehmen. Damit wird ja aber zugestanden, daß die Sprache kein Erzeugniß logischen Denkens ist. Wäre die Sprache die organische Darstellung des Gedankens, die vom Gedanken selbst geschaffene Aeußerung seiner selbst, so müßte sich die Sprache vollständig der Form des Gedankens anschmiegen; die Gliederung und Zusammensetzung der Sätze müßte ein getreuer Abguß der Gliederung und Construction der Gedanken sein. Ist sie denn das? Schon Herbart bemerkte (Ueber Kategorien und Conjunctionen §. 22.) „das sonderbare Mißverhältniß zwischen der Sprache, welche genöthigt ist, alle Worte in die g e r a d e Linie einer Zeitreihe zu stellen, und der, davon vielfach abweichenden, innern Construction der Gedanken. Man bemerkt dies am leichtesten, wenn ein räumlicher Gegenstand, mit seinen drei Dimensionen, und mit den verschiedenen Eigenschaften seiner einzelnen Theile, soll beschrieben werden; wozu die Reihe der Worte, die nur eine Dimension haben kann, durchaus nicht passt.“ Freilich hat die Sprache Mittel, dieses Mißverhältniß auszugleichen: sonst könnte man ja nichts vermöge der Sprache darstellen und mittheilen. Aber diese Ausgleichung liefert eigenthümlich sprachliche Kategorien [217], welche gar nicht logisch sind, deren Wesen vielmehr auf einer Abweichung von der Logik beruht. Ferner können solche Ausgleichungen vieles, aber nicht

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un cerchio quadrato è impensabile e dunque scorretto da un punto di vista logico, allora dovrebbe del pari essere inesprimibile dal punto di vista linguistico. Ogni qualvolta l’uomo si trovasse sul punto di lasciarsi indurre in errore logico, fosse propenso a pensare qualcosa di falso, è a dire, più precisamente, a non pensare, l’utilizzazione della lingua dovrebbe abbandonarlo, dovrebbe esser in difficoltà in merito alla parola o alla forma grammaticale, o, per lo meno, quell’errore del pensiero dovrebbe esser collegato a un errore della lingua, quel colpo inferto alla logica dovrebbe essere indivisibilmente e inesorabilmente connesso a un corrispondente colpo inferto alla grammatica. Ma così non è, piuttosto la più eclatante insensatezza può essere espressa correttamente e finanche in bella forma. A lungo le astratte intelligenze logiche hanno deriso l’essenza illogica del linguaggio. La più recenti teorie grammaticali si sforzano invece di difendere la spontaneità e l’ingegnosa e fantasiosa intuizione della lingua. Con ciò però si ammette implicitamente che la lingua non è un prodotto del pensiero logico. Se la lingua fosse la rappresentazione organica del pensiero, l’espressione di sé voluta dal pensiero stesso, la lingua dovrebbe aderire completamente alla forma del pensiero; la divisione e la composizione delle frasi dovrebbero essere una fedele copia della divisione e costruzione dei pensieri. La lingua è questo? Già Herbart notava (Ueber Kategorien und Conjunctionen, §. 22.)65 «il singolare contrasto tra la lingua, che è obbligata a porre tutte le parole nella linea dritta di una serie temporale e la costruzione interna del pensiero, che vi si discosta in svariati modi. Ciò si coglie nel modo più evidente quando deve essere descritto un oggetto spaziale con le sue tre dimensioni e con le differenti qualità delle sue parti singole, a cui non si addice per nulla la serie delle parole che possono avere soltanto una dimensione». Ma il mezzo linguistico deve appianare questo contrasto: altrimenti attraverso la lingua non si potrebbe di certo comunicare e descrivere nulla. Questo bilanciamento però produce categorie [217] linguistiche peculiari, che non sono punto logiche e la cui essenza per lo più poggia su una deviazione dalla logica. Tali bilanciamen-

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alles wieder gut machen. Mit Recht bemerkt Herbart (das. §. 61.): „Hat man vom physischen Mechanismus und von der möglichen Verschiedenheit und Bewegung der Vorstellungsmassen auch nur den ersten Begriff gefaßt: so weiß man, daß alle Sprachen der Welt, sammt allen ihren Conjunctionen und Hülfsmitteln jeder Art, immer nur einen unvollkommenen Ausdruck für die Structur der Vorstellungsmassen liefern können; . . . indem selbst der Periodenbau mit aller seiner Mannigfaltigkeit noch lange nicht hinreicht, um das Innere völlig auszusprechen.“ Noch einen argen Irrthum habe ich zu rügen. Gesetzt, die Sprache wäre nichts als das im Laute gewissermaßen gefrorene Denken: so wäre doch in der Sprache, da es unsere Sprache ist, auch unser Denken gegeben. Ist denn unser Denken logisch? – Psychologisch ist unser Denken. Das logische Denken ist unser Ideal, das wir nie erreichen. Das drückt Herbart am bestimmtesten aus, der die Logik eine Ethik des Denkens nennt; aber auch die metaphysische Logik unterscheidet das objective Denken vom psychologischen, und nur letzteres ist das gewöhnliche, übliche. Also kann auch die Sprache sich gar nicht an die Logik anschließen, sondern nur an die Psychologie. Ferner aber könnte hier immer noch der Zweifel entstehen, ob die Sprache die Richtung und Absicht hat, unser Denken darzustellen, ob sie nicht vielmehr die Realität wiedergeben will. Die Sprache belebt alle Dinge und begabt sie mit einem Geschlecht. Hätte die Sprache ihre Aufmerksamkeit auf unsere Vorstellungen und Begriffe gerichtet, wie käme sie darauf? Die Vorstellung Mann ist nicht männlich, und die Vorstellung Weib ist nicht weiblich, und beide sind so wenig geschlechtlich und eben so wenig oder eben so sehr lebendig, als die Vorstellung Stein. Nur wenn die Wirklichkeit sprachlich abgebildet werden sollte, konnten solche Unterschiede in die Sprache eintreten. – Auch die sprachliche Copula, welche alle Sätze zu Existentialsätzen macht, beweist, daß die Sprache nicht unsere Denkthätigkeit, sondern die Wirklichkeit vor den Sinn des Hörenden stellen will. Humboldt bemerkt über die Copula (Einleitung in die Kawi-Sprache S. CCLXVI oder 251): [218] Das Verbum „knüpft durch das Sein das Prädicat mit dem Subjecte zusammen, allein so, daß das Sein,

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ti, inoltre, possono riprodurre bene molte cose, ma non tutto. Herbart nota giustamente (§. 61.)66: «se si è colto anche solo il più elementare concetto del meccanismo psichico67, dei possibili movimenti e delle possibili differenze delle masse rappresentative, si sa che tutte le lingue del mondo, insieme a tutti i tipi delle loro congiunzioni e particelle, possono solo offrire un’espressione imperfetta della struttura delle masse rappresentative; … dal momento che la costruzione del periodo con tutte le sue molteplici forme non è sufficiente a esprimere interamente l’interiorità». Devo ancor far giustizia di un errore tenace. Ammesso che la lingua non fosse altro che il pensare, per dir così, coagulato nel suono, sarebbe allora dato nella lingua, dal momento che si tratta della nostra lingua, anche il nostro pensiero. Il nostro pensiero è dunque logico? – Il nostro pensiero è psicologico. Il pensiero logico è il nostro ideale, l’ideale che non raggiungiamo mai. Ciò lo esprime nel modo più preciso Herbart che chiama la logica un’etica del pensiero68, ma anche la logica metafisica separa il pensare oggettivo da quello psicologico e solo quest’ultimo è quello abituale, ordinario. Anche la lingua pertanto non può punto essere legata alla logica, ma deve essere connessa alla psicologia. Potrebbe inoltre a questo punto sorgere ancora il dubbio se la lingua sia volta e abbia lo scopo di descrivere il nostro pensiero o se piuttosto voglia restituire la realtà. La lingua ravviva tutte le cose e le dota di un genere; se fosse [esclusivamente] orientata alle nostre rappresentazioni e ai nostri concetti come giungerebbe a ciò? La rappresentazione uomo non è maschile e la rappresentazione donna non è femminile ed entrambe sono assai poco connotate secondo il genere e né più né meno vive della rappresentazione pietra. Solo se la realtà deve essere riprodotta da un punto di vista linguistico, queste differenze si presentano nella lingua. – Anche la copula linguistica, che rende esistenziali tutte le proposizioni, dimostra che la lingua non vuol porre di fronte a chi ascolta la nostra attività di pensiero, ma la realtà. Humboldt osserva sulla copula (Einleitung in die Kawi-Sprache, S. CCLXVI o 251)69: [218] il verbum «annoda per mezzo dell’essere il predicato al soggetto, ma in modo tale che l’essere, che con un

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welches mit einem energischen Prädicate in ein Handeln übergeht, dem Subjecte selbst beigelegt, also das bloß als verknüpft Gedachte zum Zustande oder Vorgange in der Wirklichkeit wird. Man denkt nicht bloß den einschlagenden Blitz, sondern der Blitz ist es selbst, der herniederfährt; man bringt nicht bloß den Geist und das Unvergängliche als verknüpfbar zusammen, sondern der Geist ist unvergänglich.“ Es ist nicht Humboldts Ansicht, daß die Sprache die Welt malen wolle, sondern er meint, wie es unmittelbar weiter heißt: „Der Gedanke, wenn man sich so sinnlich ausdrücken könnte, verläßt durch das Verbum seine innere Wohnstätte und tritt in die Wirklichkeit über;“ d. h. es ist zwar nicht die Welt, die Wirklichkeit, die in der Sprache dargestellt wird, sondern der Gedanke, unser subjectiver Gedanke; aber dieser wird nicht als solcher, sondern als Wirklichkeit dargestellt. Die Sprache ist also weder Darstellung der Wirklichkeit, noch des Gedankens, sondern des Gedankens als Wirklichkeit. Becker sagt (Organism S. XV): Will man „läugnen, daß die allgemeinen formalen Denkgesetze sich in der Sprache wieder finden, so läugnet man nicht allein die organische Natur der Sprache, sondem auch die organische Natur des Denkens“. – Keins von beiden; man trennt nur beides, die organische Natur der Sprache von der des Denkens. §. 82. Inwiefern die Sprache logisch und nicht logisch ist. Und so hoffen wir, man werde uns nicht den absurden Einwand machen, wenn die Sprache nicht logisch ist, so sei sie unlogisch, unvernünftig, was doch der Sinn der eben citirten Bemerkung Beckers war. In diesem Einwande liegt ein ganz gemeiner Fehler gegen die formale Logik: man schiebt einem contradictorischen Verhältnisse den Werth des conträren Gegensatzes unter. Wir können dasselbe, was wir so eben sagten, auch so ausdrücken: man beachte nicht die Doppelbedeutung des Wortes logisch. Dieses Adjectivum bedeutet eben sowohl, was zur Wissenschaft der Logik gehört, z. B. eine logische Frage, ein logisches Gesetz, als auch was den Gesetzen der Logik gemäß, überhaupt vernünftig eingerichtet ist. Nur nach dem ersten [219] Sinne wird behauptet, die Sprache sei nicht logisch; nicht nach dem zweiten.

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energico predicato si converte nell’agire, venga attribuito al soggetto stesso, ossia che quel che era semplicemente concepito come congiungibile divenga uno stato o un processo nella realtà. Non si pensa semplicemente alla caduta del fulmine, ma è il fulmine stesso che si abbatte; non ci si limita a mettere insieme, ritenendoli congiungibili, lo spirito e l’eterno, ma piuttosto lo spirito è eterno». Non è opinione di Humboldt che la lingua voglia ritrarre il mondo, ma egli crede, come dice immediatamente di seguito, che «il pensiero, se lo si potesse esprimere sensibilmente in modo adeguato, abbandonerebbe attraverso il verbum la sua posizione e entrerebbe nella realtà», è a dire che non è il mondo, la realtà, a esser rappresentata nella lingua, ma il pensiero, il nostro pensiero soggettivo, ma questo stesso pensiero soggettivo non viene rappresentato in quanto pensiero, ma in quanto realtà. La lingua pertanto non è né rappresentazione della realtà, né del pensiero, ma del pensiero come realtà. Becker scrive (Organism, p. XV): «si vuol negare che le leggi formali e universali del pensiero si ritrovino nella lingua, non si nega così soltanto la natura organica della lingua, ma anche la natura organica del pensiero». – Nessuna delle due, esse sono solo divise, la natura organica della lingua è divisa da quella del pensiero. §. 82. In che misura la lingua è logica e non logica Speriamo dunque non ci venga rivolta l’obiezione assurda che poiché la lingua non è logica, allora sarebbe illogica, irrazionale, che era appunto il senso della su citata osservazione di Becker. In questa obiezione sta un errore piuttosto comune contro la logica formale, si sostituisce a un rapporto contraddittorio il valore di un’opposizione di contrari. Possiamo esprimere ciò che abbiamo detto sopra anche così: non si presta attenzione al doppio significato della parola logico. Questo adjectivum indica sia ciò che appartiene alla scienza della logica, ad esempio una questione logica, una legge logica, sia ciò che, commisurato alle leggi della logica, è disposto in generale in modo razionale. Si è affermato che la lingua non è logica solo nel primo [219] senso, non nel secondo.

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Um sich an diesen Unterschied zu gewöhnen, um ihn fest halten zu lernen, wende man den Blick einmal auf andere Wissenschaften. Die Physik, Chemie, Mathematik u.s.w. sind nicht logisch, die Natur ist nicht logisch, d. h. es sind in ihnen keine logischen Thatsachen, Kategorien und Lehrsätze gegeben; aber sie sind darum doch sehr logisch, indem ihre Entwickelungen nach den Gesetzen der Logik durchgeführt sind. Dasselbe gilt von der Geschichte, und wenn man meint, und wenn Hegel selbst gemeint hat, aus seinem Satze: „alles, auch die Geschichte sei logisch, vernünftig“ müsse gefolgert werden, in der Geschichte seien logische Kategorien darzustellen, und die Völker und die Ereignisse und Zustände seien als die geschichtlichen Verwirklichungen der logischen Kategorien aufzufassen: so scheint mir dies gerade derselbe Fehler, wie der, welchen wir hier rücksichtlich der Sprache tadeln. Der Gegenstand der einzelnen Wissenschaften ist ihnen eigenthümlich, nicht bloß der Stoff, sondern auch die an ihm hervortretenden allgemeinen Verhältnisse, die man eben Kategorien nennt, wie die Kenntniß der chemischen Stoffe und die Verhältnisse, nach denen sie sich mit einander verbinden; wie Kreis, Peripherie, Durchmesser und die Verhältnisse, in denen sie zu einander stehen. Indem aber unsere Thätigkeit des verständigen Denkens diese Gegenstände betrachtet, diese Verhältnisse erforscht, so verfährt sie hierbei in einer Weise, in welcher die Formen der Logik sichtbar werden; denn die Logik ist eben die Analyse des Denkens, d. h. der Denkthätigkeit, abgesehen von dem Gegenstande, auf den sie angewandt wird. Noch mehr, die Natur erzeugt Gegenstände und verfährt dabei durch Mittel und in einer Weise, welche die specielle Naturwissenschaft als ihren besondern Gegenstand darzustellen hat. Indem wir diese Verfahrungsweise im Denken reproduciren und den realen Gang des Werdens der Sache in einen subjectiven Gang des Werdens des Begriffs umwandeln, d. h. bloß abbilden, bemerken wir im Denken nicht bloß, sondern in der wirklichen Natur selbst logische Verhältnisse, die ihr inne wohnen, logische Gesetze, die sie unverbrüchlich befolgt. Ganz eben so wie die Natur und die Naturwissenschaften, ist auch die Sprache und die Sprachwissenschaft logisch und [220] nicht logisch: nämlich ihr Gegenstand mit seinen Verhältnissen

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Per abituarsi a questa distinzione, per imparare a mantenerla, volgiamo lo sguardo ancora una volta alle altre scienze. La fisica, la chimica, la matematica etc. sono non logiche, la natura è non logica, è a dire in esse non sono dati fatti, categorie e teoremi logici; e tuttavia sono molto logiche poiché i loro sviluppi avvengono secondo le leggi della logica. Lo stesso vale per la storia e se invece si crede, come ha pensato Hegel stesso, che dal suo principio secondo cui: «tutto, anche la storia è logica, razionale» debba discendere che nella storia si devono illustrare categorie logiche e che popoli, eventi e circostanze siano da intendere come le realizzazioni storiche delle categorie logiche70, ebbene mi pare qui si commetta lo stesso errore di quello che in questa sede critichiamo in riferimento alla lingua. L’oggetto delle singole scienze, loro peculiare, non è costituito solo dalla materia, ma anche dai rapporti generali che nella materia si manifestano, che si chiamano appunto categorie, come accade per la conoscenza delle sostanze chimiche e i rapporti secondo cui si connettono le une con le altre e come accade per il cerchio, la circonferenza, il diametro e i rapporti in cui stanno l’uno rispetto all’altro. La nostra attività razionale71, però, prendendo in considerazione questi oggetti, indagando questi rapporti, procede in un modo tale da render manifeste le forme della logica; poiché la logica non è altro che l’analisi del pensare, è a dire dell’attività di pensiero a prescindere dall’oggetto a cui viene applicata. Ancor di più, la natura produce oggetti e, nel farlo, procede con mezzi e in un modo che deve esser presentato dalla scienza speciale della natura come ambito di sua pertinenza. Riproducendo questi sviluppi nel pensiero e trasformando il corso reale del divenire delle cose nel corso soggettivo del divenire del concetto – il che significa semplicemente, riproducendone l’immagine – non osserviamo rapporti logici solo nel pensiero, ma scorgiamo leggi logiche che risiedono all’interno della stessa natura reale, leggi logiche che essa segue incrollabilmente. La lingua e la scienza della lingua sono logiche e [220] non logiche esattamente come la natura e le scienze della natura: il loro oggetto e i suoi rapporti, infatti, le sono peculiari; ma

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ist ihnen eigenthümlich; aber indem man diesen Gegenstand und diese Verhältnisse denkt, bemerkt der Logiker, daß sowohl der Sprachforscher nach logischen Gesetzen handelt, als auch, daß bei dem Verfahren der Sprache, ihre Elemente zu bilden und nach eigenthümlichen Gesetzen zusammenzufügen, logische Rücksichten und Gesetze unbewußt gewaltet haben. Diese logischen Gesetze, welche die Sprache und der Sprachforscher, der Chemiker und Physiker und die Natur befolgen, sind die gemeinen logischen Gesetze, deren Darlegung der Sprach- und Naturforscher voraussetzt, die er nicht erforscht, die nicht sein besonderer Gegenstand sind. Nach allem, was vorangegangen ist, kann die allgemeine Scheidung der sprachlichen oder grammatischen Verhältnisse von den Verhältnissen des Denkens und der Logik nicht mehr ungewiß, noch auch schwierig sein. Wir geben aber doch noch ein neues Beispiel. Es tritt jemand an eine runde Tafel und spricht: diese runde Tafel ist viereckig: so schweigt der Grammatiker, vollständig befriedigt; der Logiker aber ruft: Unsinn! Jener spricht: dieser Tafel sind rund, oder hic tabulam sunt rotundum: der Logiker an sich versteht weder Deutsch, noch Latein und schweigt, der Grammatiker tadelt. Giebt man aber dem Logiker zu seinem allgemeinen logischen Maßstabe noch das besondere grammatische Gesetz der Congruenz, so würde auch er tadeln. Ein solcher Logiker, der zu den logischen Gesetzen noch ein grammatisches hinzubringt, ist eben der Grammatiker. Denn dieser ist, außerdem daß er Grammatiker ist, noch überdies Logiker, d. h. nach logischen Gesetzen denkend und beurtheilend; aber der Logiker ist nicht auch Grammatiker. Würde nun der obige Satz corrigirt: hoc tabulum est rotundum, so wäre der Logiker selbst mit Kenntniß der Congruenzregel befriedigt. Der Grammatiker aber hat eine fernere Kenntniß der Sprache und verbessert: tabula. Dies genügt dem Logiker, um das Uebrige zu corrigiren; d. h. nun ist der Grammatiker gezwungen, eine logische Anwendung der Regel der Congruenz zu machen. Also die Congruenz-Regel und das bestimmte Genus des Wortes tabula sind Verhältnisse, die ausschließlich der Grammatik gehören, und sie mit ihresgleichen machen den Gegenstand der Grammatik, die Sprache aus. In dem formalen Verfahren aber, in der Anwendung der sprachlichen [221] Gesetze auf sprachliche Stoffe tritt nothwendig die Logik ein.

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poiché questo oggetto e questi rapporti sono pensati, il logico osserva che da un lato il linguista agisce secondo leggi logiche, dall’altro che nel processo stesso della lingua, per costituire e associare i suoi elementi secondo leggi peculiari, hanno operato inconsapevolmente prospettive e leggi logiche. Queste, che la lingua e il linguista, il chimico, il fisico e la natura stessa seguono, sono le leggi logiche universali la cui esposizione è presupposta, non indagata, né dal linguista né dal naturalista, giacché esse non costituiscono l’oggetto specifico delle loro ricerche. Dopo ciò che è stato detto, la distinzione generale dei rapporti linguistici o grammaticali da quelli del pensiero e della logica non può esser più incerta e nemmeno difficile. Offriamo comunque un altro esempio. Qualcuno siede a una tavola rotonda e dice: questa tavola rotonda è quadrata: il grammatico allora tace del tutto soddisfatto; ma il logico replica: insensato! Quello dice: questa tavola sono rotonda o hic tabulam sunt rotundum: il logico, in quanto tale, non capisce né il tedesco né il latino e tace, il grammatico obietta. Si offrisse però al logico, assieme ai suoi criteri logici universali anche la legge grammaticale specifica della congruenza, allora obietterebbe anch’egli. Il linguista è per l’appunto un tale logico, che alle leggi logiche aggiunge quelle grammaticali. E ciò dal momento che egli, oltre al fatto che è esperto di grammatica, è anche logico, è a dire pensa e valuta secondo leggi logiche; ma il logico non è contemporaneamente grammatico. Se la suddetta frase fosse corretta così: hoc tabulum est rotundum, anche il logico addottrinato con la regola della congruenza allora ne sarebbe soddisfatto. Ma il grammatico ha una conoscenza migliore della lingua e corregge ulteriormente: tabula. Ciò è sufficiente al logico per correggere il resto; ciò significa che il grammatico adesso è costretto a un’applicazione logica della regola di congruenza. Ovvero la regola di congruenza, e il genere particolare della parola tabula, sono rapporti che appartengono esclusivamente al grammatico e assieme ai rapporti dello stesso tipo determinano l’oggetto della grammatica, la lingua. Nel procedimento formale però, nell’applicazione delle leggi del linguaggio [221] alla sua materia, vi entra necessariamente la logica.

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Von einem Knaben wird das perfectum indicat. activi von laudare verlangt; er wird diese Form durch eine Reflexion, durch einen logischen Schluß finden, vorausgesetzt, daß er die lateinische Conjugation versteht. Die logische Operation ist sogar ziemlich lang, so schnell der Knabe sie auch macht. Er operirt mit sprachlichem Stoffe in logischer Form. Was aber hier in Beziehung auf die logische Denkform sprachlicher Stoff heißt, das sind nicht bloß die Wurzelwörter, sondern auch die grammatischen Formen und Verhältnisse, überhaupt alles, was die Sprache ausmacht. Wie es also chemische Kategorien giebt – z. B. Sauerstoff, Stickstoff, Wahlverwandtschaft –, physikalische und physiologische – z. B. Wärme, Elektricität, Athmen, Verdauen –: so giebt es grammatische, z. B. Substantivum, Verbum, Attribut; wie die Natur und der Naturforscher mit ihren Kategorien logisch operiren: so auch die Sprache und der Sprachforscher; wie aber hierdurch die Naturwissenschaft und die Natur nicht logisch werden: so auch nicht Sprachwissenschaft und Grammatiker; sondern hier wie dort bleiben die Kategorien jeder Wissenschaft eigenthümlich, von denen die Logik nichts weiß, um deren Gehalt, Berechtigung, Herkunft sie sich nicht kümmert, zufrieden damit, daß jene Kategorien, sowohl jede an sich, als auch die Beziehung mehrerer zu einander, denkbar, d. h. logisch richtig gedacht seien. Das formalste Element der Sprache, ihre formalste Thätigkeit, ist immer noch Stoff, ein ganz besonderer Stoff, ein Beispiel für die Logik, und kann eintreten in die Logik, wie tausend andere Beispiele; aber weder ist die Sprache Herr in der Logik, daß sie dort in irgend einem Abschnitte gebietend auftreten könnte, noch kann sie sich das Einreden der Logik gefallen lassen, sobald es sich um ihre Elemente als solche, um den Inhalt derselben handelt. Die Sprache ist also gerade darum nicht unlogisch (dieses Wort als conträren Gegensatz zu logisch genommen, also im Sinne von: die Logik verletzend, gegen sie verstoßend), weil sie nicht logisch ist (d. h. keine logischen Kategorien und Gesetze aufstellt, sondern ganz eigenthümliche). Die sprachlichen und logischen Kategorien sind also disparate Begriffe, die ruhig [222] neben einander bestehen, wie Kreis und roth; und es beweist schon ein Mißverstehen des wahren Verhältnisses, wenn man die Sprache

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Si chiede a un giovane il perfectum indicat. activi di laudare; troverà questa forma attraverso una riflessione, per mezzo di una conclusione logica, posto che conosca la coniugazione latina. L’operazione logica, per quanto il giovane la porti a termine celermente, è perfino piuttosto lunga. Il giovane opera in forma logica con una materia linguistica. Ciò che qui, però, in relazione alla forma logica del pensiero, si chiama materia linguistica, non è semplicemente costituito dalle radici delle parole, ma anche dalle forme e dai rapporti grammaticali, in generale da tutto ciò che riguarda la lingua. Come vi sono categorie chimiche – ossigeno, azoto, e affinità di legame –, fisiche e fisiologiche – calore, elettricità, respiro, digestione –, così ve ne sono di grammaticali – substantivum, verbum, attributo –; come la natura e il naturalista, con le loro categorie, operano in modo logico, allo stesso modo fanno anche la lingua e il linguista; come però la natura e la scienza naturale non diventano logiche per il fatto di aver così operato, nemmeno diventano logici la scienza della lingua e il linguista. Qui è lì, invece, le categorie di ciascuna scienza rimangono peculiari e di ciò la logica non sa nulla, non si occupa punto del loro contenuto, della loro giustificazione, della loro origine, rassicurata solo dal fatto che quelle categorie sia in sé, sia in relazione alle altre, siano pensabili, è a dire pensate in modo corretto da un punto di vista logico. L’elemento più formale della lingua, la sua attività più formale è pur sempre, per la logica, materia, una materia del tutto particolare, un esempio; e può rientrare in essa, ma come mille altri esempi. Tuttavia né la lingua regna nella logica, in modo tale da poter dominare in una qualche sua parte, né può accettare la preminenza della logica per ciò che riguarda i suoi elementi in quanto tali e il loro contenuto. La lingua pertanto non è illogica (se si assume l’aggettivo nel senso di contrario a “logico”, è a dire che offende la logica, le si oppone) per il fatto che essa non è logica (è a dire non istituisce categorie e leggi logiche, ma ne pone di proprie). Categorie logiche e linguistiche sono pertanto concetti eterogenei, che stanno l’uno vicino all’altro senza infastidirsi [222], come cerchio e rosso; e già costituisce un fraintendimento del vero rapporto che intercorre tra esse, il voler commisurare la

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an der Logik messen will, sei es um ihre Uebereinstimmung mit dieser, sei es, um ihren Widerstreit gegen dieselbe zu erweisen. Die Stoiker behaupteten, die Sprache sei anomal; d. h. nämlich, indem sie die Sprache nach dem Maßstabe der Logik beurtheilten, fanden sie, daß die Sprache bei solcher Messung nicht Stich hielt. Die Aristarchianer, wozu sämmtliche moderne Philologen – Humboldt ausgenommen; auch Buttmann wußte von Aristarchs Schwäche – und Becker mit den Beckerianern gehören, behaupteten im Gegentheil, die Sprache sei nicht anomal, sie sei analog, logisch geformt, und man müsse nur den logischen Maßstab recht zu handhaben wissen. Die einen sind so unlogisch, wie die andern; sie irren beide. Wie es mit Beckers Grammatik stehe, der Spitze der analogetischen Schule Aristarchs, das haben wir ausführlich genug gezeigt; dem Anomalisten aber, der sich darüber aufhält, daß man die ewigen Götter unsterblich nenne, was völlig gegen die Logik sei, dem ist zu erwidern, daß es gerade eben so unlogisch ist, die Sprache anomal zu nennen, sie, die sich um den QRYPR~ der Logik nicht kümmert. Es ist echt logisch und organisch, daß die Sprache unlogisch ist. Die beste Analogie zur Sprache bietet allemal die Kunst: sie haben beide das wesentlichste Merkmal gemeinsam, die Darstellung. Die Kunst stellt die Wirklichkeit dar, die Sprache den Gedanken. Nun ist es aber doch ein gemeiner Fehler, die Wirklichkeit zum Maßstabe des Kunstwerks zu machen, in der vollendeten Kunst nur das getreue Abbild der Wirklichkeit zu sehen und nach dieser Treue den Werth des Kunstwerks zu bestimmen. Man begeht aber ganz denselben Fehler, wenn man in der Sprache, als der Darstellung des Gedankens, nur ein Abbild desselben sieht. Wie weit steht die Oper von der Wirklichkeit ab, welche sie darstellt! darum ist sie in sich nicht unlogisch, nicht unwahr. Und so ist auch die Sprache in sich vernünftig und wahr, obwohl sie die Logik nicht in sich faßt. Ferner: die Malerei stellt Körper dar, aber – wie unlogisch! – in der Fläche, oder sie zeigt die Fläche als Körper. Wer die drei Dimensionen kennt, weiß noch nichts von Schattirung [223] und Perspective; und diese Kategorien der Malerei an sich werden von dem Begriffe der Dimensionen eben nur berührt, sind aber ganz anderer Natur.

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lingua alla logica, per provarne la coincidenza o il contrasto. Gli stoici affermavano che la lingua fosse anomala; infatti, giudicandola secondo il criterio della logica, trovarono che la lingua non regge alla prova di quel criterio. I seguaci di Aristarco72 a cui appartengono tutti i filologi moderni e Becker e i beckeriani, escluso Humboldt, ma anche Buttmann73 ne conosceva la debolezza, affermavano al contrario che la lingua non fosse costituita in modo anomalo, ma in modo analogo, in modo logico, e fosse soltanto necessario avere l’adeguata padronanza del criterio logico. Gli uni pertanto sono tanto illogici quanto gli altri, entrambi sbagliano. Come stiano le cose con la grammatica di Becker, l’apice della scuola analogica di Aristarco, lo abbiamo mostrato in modo sufficientemente dettagliato. Al propugnatore della tesi dell’anomalia della lingua, che si sofferma sul fatto che gli dei eterni siano definiti immortali, il che contraddirebbe la logica, bisogna replicare che è appunto illogico definire la lingua anomala, essa che non si occupa del QRYPR~ della logica. È davvero logico e organico che la lingua non sia logica. La migliore analogia con la lingua la offre sempre l’arte, hanno infatti in comune la caratteristica più essenziale: la rappresentazione. L’arte rappresenta la realtà, la lingua il pensiero. Ma è un errore corrente fare della realtà il criterio dell’opera d’arte, nell’arte migliore scorgere solo la riproduzione fedele della realtà e giudicare il valore dell’opera d’arte secondo il grado di questa fedeltà. Si commette esattamente lo stesso errore quando si considera la lingua, in quanto rappresentazione del pensiero, come una semplice riproduzione di esso. Quanto è diversa l’opera dalla realtà che rappresenta! Ma non per questo è illogica e falsa. E allo stesso modo la lingua è in sé razionale e vera sebbene non comprenda in sé la logica. Inoltre la pittura rappresenta corpi, ma – fin a che punto illogicamente! – sulla superficie della tela o mostra la superficie della tela come se vi fossero dei corpi. Chi conosce le tre dimensioni non sa ancor nulla dell’ombreggiatura [223] e della prospettiva; e queste categorie della pittura sono per l’appunto, in sé, soltanto toccate dal concetto delle dimensioni, ma sono di tutt’altra natura.

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Wir sind also durch unsere bisherigen Betrachtungen zu der Forderung gelangt, der Sprache und Grammatik ein ganz eigenthümliches System von Kategorien, Begriffen, gedanklichen Verhältnissen zuzuschreiben, welche allerdings wohl richtig gedacht, aber doch nicht der Logik zugehörig sein sollen; und nun entsteht die Frage: was soll die Sprache bedeuten, wenn nicht den Gedanken? was kann ihr Inneres sein, wenn nicht Anschauung und Begriff? und welche Formen und Beziehungen können also in dem Innern, in dem Bedeuteten der Sprache auftreten, wenn nicht die der Anschauungen und Begriffe? was kann also endlich die Grammatik untersuchen und finden, wenn nicht dasselbe wie die Logik? Die Darstellung des Gedankens ? aber diese ist ja auch gedacht! und so kommen wir nur zu einem Denken des Denkens, welches doch sicherlich der Logik angehört. Oder sollte dieses darstellende Denken des Gedachten oder Denkens sich in eigenthümlichen Formen bewegen und eigenthümliche Gesetze offenbaren? sollte es also neben dem logischen Denken noch ein anderes geben, und sollte es dieses nicht-logische Denken sein, welches in der Sprache in Lauten tönt? Wäre das wohl so unwahrscheinlich? oder scheint das gar unmöglich? Wie? kennt man denn nicht auch sonst schon ein sehr erlaubtes, berechtigtes Denken, welches in seinen Formen unbekümmert um Logik, in seinem Inhalte unbekümmert um das reale Verhältniß der Sachen, welches die einzelnen Wissenschaften darstellen, seinen eigenen Weg geht: das poetische Denken? Auf dieser Verschiedenheit des poetischen Denkens vom gewöhnlichen logischen beruht die Schwierigkeit des Verständnisses der Poesie, z. B. einer Ode. Denn das nennen wir hier verstehen: das Uebersetzen des lyrischen Denkens in logisches Denken. Das Verstehen des Aesthetikers geht noch weiter: er begreift auch die Formen des poetischen, also hier des lyrischen Denkens an sich, d. h. er kennt die Logik der Lyrik, die ganz andere Gesetze und Formen hat, als die Logik des Verstandes. Ein Beispiel: „Grau, theurer Freund, ist alle Theorie, Grün ist des Lebens goldner Baum“. Diese Verse verhöhnen alle Logik, alle Botanik, alle Farbenlehre – wenn man die Thorheit [224] begeht, dieses poetische Denken am verständigen logischen Denken zu messen. Diese Gedanken sind nicht logisch, also auch nicht un-

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Per mezzo delle considerazioni svolte finora, siamo dunque giunti all’esigenza di ascrivere alla lingua e alla grammatica un sistema del tutto peculiare di categorie, concetti, rapporti di pensiero, che devono essere pensati nel modo corretto, ma non per questo devono appartenere alla logica. E adesso si pone la domanda: che deve significare la lingua se non il pensiero? Da cosa può essere costituita la sua parte interna se non dall’intuizione e dal concetto? E quali forme e relazioni possono dunque presentarsi al suo interno, in ciò che è significato dalla lingua, se non quelle delle intuizioni e dei concetti? Infine e conseguentemente, che può cercare e trovare la grammatica se non la stessa cosa che cerca e trova la logica? La rappresentazione del pensiero? Ma questa è pur pensata! E per questa via giungiamo soltanto a un pensare del pensare che di certo appartiene alla logica. O questo pensiero che rappresenta ciò che è pensato ovvero il pensare, dovrebbe muoversi in forme peculiari e manifestare leggi peculiari? Dovrebbe dunque darsi vicino al pensiero logico un altro pensiero e dovrebbe essere un pensiero non logico a risuonare nella lingua? Ciò è tanto improbabile? O sembra forse del tutto impossibile? Perché? Non ci è già noto, forse, un pensiero legittimo e lecito che percorre la sua via, nelle forme che gli sono proprie indifferente alla logica, nel contenuto indifferente al rapporto reale delle cose descritto dalle singole scienze? è a dire: il pensiero poetico? La difficoltà di comprensione della poesia, ad esempio di un’ode, poggia sulla differenza del pensiero poetico dal pensiero logico abituale. Poiché qui definiamo il comprendere: la traduzione del pensiero lirico nel pensiero logico. Il comprendere dell’esperto di estetica va ancora oltre: egli coglie anche le forme del pensiero poetico, in questo caso del pensiero lirico in sé, è a dire conosce la logica della lirica, la quale ha tutt’altre leggi e forme della logica dell’intelletto. Un esempio: “eh, fedele amico, tutte le teorie son grigie, ma l’albero aureo della vita è verde”74. Questi versi scherniscono ogni logica, ogni botanica, ogni teoria dei colori, se si compie la follia [224] di commisurare questo pensiero poetico al pensiero logico razionale. Questi pensieri non sono logici e

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logisch, d. h. nicht antilogisch. Eben darum lassen sie eine Uebersetzung in logisches Denken zu und entsprechen dann allen Gesetzen desselben. Man kann obige Verse in die strenge Form eines logischen Schlusses bringen. Man wird also zugestehen müssen, daß es mehrere Denkweisen geben könne und giebt; daß die gewöhnliche Logik nur die Gesetze des verständigen Denkens entwickelt, wogegen die andern Denkweisen ihren eigenen Gang, ihre eigene Logik haben. Es soll der Logik des Verstandes weder der Vorrang, noch ihr Recht, die andern zur Rechenschaft zu ziehen, in sie einzugreifen, sie zu überwachen, die Grenzen ihrer Herrschaft zu bestimmen, abgesprochen werden; aber die andern Logiken, so zu sagen, sind von ihr verschieden und innerhalb ihres Kreises Selbstherrscher, nach Gesetzen waltend, die sie sich selbst geben. So darf man nun auch die Chemie die Logik der natürlichen Körper, die Physik die Logik der physischen Bewegungen nennen; aber die Logik der Natur ist nicht die Logik des Verstandes: diese beiden Logiken identificiren, ist sehr unlogisch. Fassen wir nun zusammen. Ist die Sprache nicht unzertrennlich vom Denken, begleitet sie aber dennoch andrerseits dasselbe meistentheils; – giebt es mehrere Denkweisen und folglich mehrere Logiken, und verbindet sich die Sprache mit ihnen allen, mit jeder so gut wie mit der andern, jedoch so, daß sie das Denken immer nur begleitet, aber dabei ihren eigenen Gang geht, ihren eigenen Gesetzen folgt, ihre eigenen Kategorien offenbart; – ist also die Sprache weder mit dem Denken überhaupt, noch mit einer besondern Weise desselben identisch, und ist sie dennoch mehr als bloßes Tönen, ein bedeutungsvolles Tönen mit eigenthümlichen Begriffen und Verbindungen derselben: so scheint sich nur die eine Annahme zu empfehlen, daß auch die Sprache ein ganz eigenthümliches Denken sei und sich nach gewissen, diesem Denken besonders angehörenden Gesetzen und Kategorien entfalte, welche eben die Grammatik darstellt. Was sich hier als eine Vermuthung darstellt, worauf die gewonnenen negativen Resultate hinweisen, das mag im Folgenden positiv begründet und näher erörtert werden. [225]

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nemmeno illogici, è a dire antilogici. Appunto per questo ammettono una traduzione nel pensiero logico e corrispondono a tutte le sue leggi. I suddetti versi possono essere ridotti nella forma rigorosa di un sillogismo. Si dovrà allora concedere che ci possono essere, e ci sono, diversi modi del pensiero; che la logica abituale sviluppa solo le leggi del pensiero intellettivo, di fronte a cui gli altri modi del pensiero hanno il loro proprio corso, la loro logica propria. Alla logica dell’intelletto deve essere disconosciuto sia il primato sia il diritto di chieder conto alle altre, di intervenire in esse, di vigilare su di esse, di delimitare i confini del loro dominio; piuttosto, le altre logiche, per dir così, sono differenti, sovrane nel proprio dominio, operanti secondo leggi che si sono autoconferite. Quindi, si possono anche definire la chimica la logica dei corpi naturali e la fisica la logica dei movimenti fisici; ma la logica della natura non è la logica dell’intelletto: identificare queste due logiche è piuttosto illogico. Riassumiamo. La lingua non è inseparabile dal pensare e tuttavia spesso lo accompagna. Vi sono diversi modi di pensare e di conseguenza più logiche; la lingua si connette con ciascuna logica senza esclusione, in modo tale però da accompagnare il pensare e contemporaneamente seguire il suo corso e le leggi sue proprie, presentando categorie che le sono peculiari. La lingua dunque non è identica né con il pensare in generale, né con una sua modalità specifica e tuttavia è qualcosa di più d’un mero emettere suoni, è un risuonare che rimanda interamente a dei significati secondo concetti e connessioni che le sono peculiari. Appare allora legittima solo l’assunzione per cui anche la lingua sia un pensare del tutto peculiare, che si dispiega secondo categorie e leggi particolari che gli appartengono nello specifico: categorie e leggi che proprio la grammatica descrive. Quel che qui si presenta come una supposizione a cui rimandano le risposte negative che abbiamo ricevuto, deve essere di seguito fondato in modo positivo e sottoposto a una più accurata disamina. [225]

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GRUNDSÄTZE DER GRAMMATIK. §. 83. Wir gehen jetzt an die eigentliche oder positive Lösung unserer Aufgabe, das Princip der Grammatik darzulegen und die allgemeinsten Punkte, die sich daran knüpfen, zu erörtern. Ohne schon in die Einzelheiten hinabzusteigen, kommt es vor allem darauf an, die Momente näher zu bestimmen, welche das Einzelne beherrschen und ihm seine Stellung und Bedeutung in dem Ganzen anweisen. Wenn uns das Princip der Grammatik ihren Ausgangspunkt, ihren Gegenstand, die Begrenzung ihres Gebietes gezeigt hat, so bedürfen wir noch gewisser Grundsätze über die Weise, wie die unter die Grammatik fallenden Gegenstände anzusehen sind. Wir werden also erstlich, um das Princip der Grammatik aufzuklären, das Wesen der Sprache an sich, ihre Entstehung und Entwicklung, wie ihre Beziehung zum geistigen Leben zu betrachten haben. Hierzu fügen wir dann die Erörterung einiger Begriffe, deren Wichtigkeit wir schon bei unserer Kritik kennen gelernt haben und deren unklare Auffassung so viel Verwirrung angerichtet hat, wie: Inneres und Aeußeres, Stoff und Form, und endlich Copula, welcher Begriff schon in allen Einzelheiten der Grammatik lebendig wirksam ist. Diese Betrachtungen beschränken sich auf Sprache und Sprachmaterial überhaupt ohne Rücksicht auf die einzelnen Sprachen. In Bezug auf diese entsteht nun die Frage, wie sie sich zu einander, zum ganzen Sprachwesen des menschlichen Geschlechts verhalten, und endlich was von einer allgemeinen Grammatik zu halten sei. [226]

A. Allgemeines Wesen der Sprache und ihre Beziehung zum geistigen Leben. §. 84. Wie dürfte man hoffen, das Princip der Grammatik zu finden, ohne das Wesen der Sprache und ihre mannigfachen Beziehungen zu den geistigen Thätigkeiten, ihre Function in der geistigen Oekonomie, ihre Wirksamkeit für die Entwickelung des Geistes

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PRINCIPI DELLA GRAMMATICA §. 83 Giungiamo ora alla soluzione propria o positiva del nostro compito, esporre il principio della grammatica ed esaminare gli aspetti più generali a ciò connessi. Senza addentrarsi subito nei particolari, si tratta prima di determinare più accuratamente gli aspetti costitutivi di ciò che è singolare e assegnargli una posizione e un significato nel tutto. Quando il principio della grammatica ci ha svelato la sua scaturigine, il suo oggetto e i suoi confini, abbiamo ancora bisogno di certi principi che ci indichino come concepire gli oggetti che rientrano nel dominio della grammatica. Per far chiarezza sul principio della grammatica, dobbiamo anzitutto prendere in considerazione l’essenza della lingua in sé, la sua nascita e il suo sviluppo, così come il suo rapporto con la vita spirituale. A ciò aggiungiamo poi l’esame di alcuni concetti, di cui abbiamo già conosciuto l’importanza nel corso della nostra critica e la cui concezione incerta ha ingenerato tanta confusione, ad esempio quelli di interno ed esterno, materia e forma e infine di copula, concetto già presente in tutti gli aspetti particolari della grammatica75. Queste considerazioni si restringono alla lingua e al materiale linguistico in generale senza prendere in considerazione le singole lingue. A proposito delle singole lingue si esamina soltanto come si comportino reciprocamente e rispetto all’essenza linguistica complessiva del genere umano e, infine, cosa si debba sostenere di una grammatica universale. [226]

A. Essenza universale della lingua e suo rapporto con la vita spirituale §. 84 Come si potrebbe sperare di trovare il principio della grammatica senza aver analizzato in modo esatto e indagato a fondo l’essenza della lingua e i suoi molteplici rapporti con le attività psichiche, la sua funzione nell’economia dello spi-

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genau analysirt und gründlich erforscht zu haben? Diese Untersuchungen aber haben wir mit der Erforschung des Ursprungs der Sprache zu beginnen. Selbst ohne Hoffnung, diesen geheimnißvollen Punkt, wenigstens für jetzt, vollständig zu enthüllen, können wir uns doch der Aufgabe, ihm einige Blicke, einige Lichtstrahlen abzugewinnen, nicht entziehen. Denn es bleibt uns kein anderes Mittel, um alle in dem Leben der Sprache wirksam in einander greifenden Elemente aufzufinden, weder eins zu übersehen, noch eins hinzuzufügen, und ihren beziehungsweisen Werth für dieses Leben der Sprache richtig zu bestimmen, als die Sprache von ihrem Keime aus verfolgend durch die Entwicklungsstufen ihres Werdens hindurch zu begleiten. Nur wenn wir ihr Keimen, Hervorsprossen und weiteres Wachsen erkannt haben, können wir sicher sein, ihr ganzes Wesen erfaßt zu haben; denn so allein wird uns sichtbar, wo ihr Springpunkt liegt, welches Wesens er ist, und was alles allmählich zu ihm hinzutritt, was ihm als Nahrung dient bei seiner Ausdehnung von innen heraus, was er beim Bauen seines Organismus sich assimilirend verwendet, und was so endlich das Wesen der Sprache bei ihrer Reife in sich schließt. Eine Definition der Sprache verlangt man, trotz der häufig gemachten Bemerkung, daß gehaltreiche Dinge sich nicht einfach definiren lassen, daß ihre Definition entweder nicht ihr volles Wesen ausspricht, sondern abstract und leer bleibt, oder, indem man die Worte äußerlich an Menge und innerlich an Bedeutung anschwellen läßt, unverständlich wird. Könnte man die Sachen zu Anfang der Wissenschaft definiren, man brauchte der Wissenschaft nicht mehr; wer aber die Entwicklung der Wissenschaft durchgegangen ist, bedarf der Definition nicht. Nominaldefinitionen, welche die Deutlichkeit und Klarheit fördern, sind oben gegeben. [227] Noch eine andere Betrachtung kann ebenfalls die Ungehörigkeit einer Definition der Sprache erweisen. Eine Definition kann, wie ein Gemälde, nur etwas Ruhendes oder nur einen Augenblick darstellen. Wie soll sie etwas bestimmen, das nicht bloß in sich mannigfaltig ist, sondern das sich auch durch mehrere Stufen hindurch entwickelt und auf jeder Stufe ein verschiedenes,

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rito, la sua incidenza sullo sviluppo dello spirito? Noi, però, dobbiamo iniziare queste ricerche con l’indagine sull’origine della lingua. Senza la speranza, almeno per ora, di disvelare a pieno questo misterioso aspetto, non possiamo certo sottrarci al dovere di rivolgergli uno sguardo, di conseguire qualche chiarimento. Infatti, non ci rimane altro mezzo, per scoprire tutti gli elementi tra loro connessi operanti nella vita della lingua – senza trascurarne nessuno e senza alcuno aggiungerne – e per determinare in modo appropriato il loro valore relativo rispetto alla vita della lingua, che accompagnare la lingua seguendo i gradi di sviluppo del suo divenire, a partire dal suo embrione. Solo dopo averne conosciuto il germogliare, il sorgere e il successivo crescere, possiamo esser sicuri d’aver appreso la sua natura complessiva; giacché soltanto in questo modo possiamo discernere dove sia la sua scaturigine, di che tipo di essenza si tratti e cosa gradualmente vi si aggiunga, cosa ne costituisca il nutrimento nel processo di crescita dall’interno verso l’esterno, cosa utilizzi, assimilandolo, nella costituzione del suo organismo e cosa, infine, racchiuda in sé la natura della lingua, una volta conseguito lo stadio di maturazione. Si richiede una definizione della lingua nonostante l’osservazione fatta spesso che un oggetto in sé ricco di valore non si lascia definire facilmente, che la sua definizione o non esprime la sua piena essenza e rimane astratta e vuota, o risulta incomprensibile, lasciando che le parole siano amplificate, esternamente, in relazione alla quantità, e internamente, in rapporto al significato. Se le cose si potessero definire all’inizio della scienza, non si avrebbe più bisogno della scienza; chi però ha percorso lo sviluppo della scienza, non ha bisogno della definizione. Definizioni nominali, che giovino alla chiarezza e perspicuità, sono date sopra. [227] Ancora un’altra considerazione può tuttavia mostrare l’inopportunità di una definizione della lingua. Una definizione, come un quadro, può rappresentare soltanto qualcosa di statico e solo un istante di un processo. Come potrebbe determinare qualcosa che, non solo è in sé molteplice, ma che si sviluppa anche attraverso differenti gradi e, a ogni stadio, mostra un’essenza diversa, più ricca, più

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reicheres, gebildeteres Wesen zeigt und in andere Verhältnisse nach innen und außen tritt? Und so verhält es sich mit der Sprache. Wenn man fragt, wie sie ist, so lautet die richtige Antwort: sie ist, was sie wird; d. h. ihre Definition liegt in ihrer Entwickelung. 1. ENTSTEHUNG UND ENTWICKLUNG DER SPRACHE. Es ist bei jeder Untersuchung von größter Wichtigkeit, klar darüber zu sein, was man sucht. Ueber falsch gestellte, unklar gedachte Fragen kann man Jahrhunderte streiten, ohne daß man sich der Sache in Wahrheit nähert; man geht vorwärts, aber ins Blaue. Die richtige Stellung der Frage schließt oft die Lösung gewissermaßen schon in sich, und ist in jedem Falle der erste Schritt zu ihr, und wär’ es auch nur, daß sie durch sich selbst lehrte: nur die Frage gebührt dem Menschen; es gehört ihm nicht die Antwort. Gehen wir also an die Untersuchung des Ursprungs der Sprache nicht ohne vorher gesehen zu haben, welche Forderung diese Frage in sich schließt, welche Bedeutung sie nur haben kann. §. 85. Stellung der Aufgabe. Man macht einen Unterschied zwischen der Anfertigung eines Dinges und der Erfindung desselben, und nur letztere scheint das eigentlich Große und Bemerkenswerthe. Die erste Räder-Uhr, die erste Dampfmaschine, die man construirt hat, zieht die Neugier an, nicht die Hunderttausende, die man darauf aller Orten gebaut hat, die wie die Schatten jener ersten erscheinen. Erfinden ist das Schwere, Nachahmen und Lernen geht von selbst. Wie die Erfindung gemacht worden ist, wie die Sache angefangen hat, wie man auf den Einfall gekommen ist, wie man den glücklichen Einfall verfolgt hat: das möchte man wissen. Gerade so hat man – bis heute, kann man sagen – von einer Erfindung der Sprache durch die Urmenschen geredet. Erfindung will man es nun freilich nicht mehr nennen; [228] man nennt es Schöpfung. Das Erlernen der Sprache durch die Kinder sah man wie neue Anfertigungen desselben schon erfundenen Dinges an. Die erste Schöpfung der Sprache kennen zu lernen, darauf gingen die Untersuchungen über den Ursprung der Sprache. Wie Adam und Eva im Paradiese mit einander gekost haben, das hätte man gar zu gern wissen

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composita ed entra in differenti rapporti sia in relazione alla sfera interna sia a quella esterna? Proprio questo accade con la lingua. Quando si chiede com’è, la risposta giusta suona così: è come diviene, è a dire la sua definizione sta nel suo sviluppo. 1. GENESI E SVILUPPO DELLA LINGUA In ogni ricerca è di grande importanza far chiarezza su ciò che si cerca. Su domande mal poste, pensate confusamente, si può disputare per secoli, senza avvicinarsi davvero alla cosa, si avanza, ma nel buio. Una domanda posta correttamente racchiude in certa misura già in sé la soluzione e, in ogni caso, è il primo passo verso essa; si tratti pure soltanto del fatto che di per sé è istruttiva: solo la domanda, infatti, spetta all’uomo, la risposta non gli appartiene. Volgiamo dunque alla ricerca dell’origine del linguaggio, non senza aver prima visto quale esigenza questa domanda racchiuda in sé, quale significato essa possa davvero avere. §. 85. Inquadramento del compito Si stabilisce una differenza tra la produzione di qualcosa e la sua invenzione e solo quest’ultima appare davvero grande e importante. L’orologio meccanico e la macchina a vapore costruiti per primi sollecitano la curiosità, a differenza di tutti quelli successivi prodotti in ogni dove, i quali sembrano quasi ombre dei primi. Inventare è il difficile, copiare e imparare va da sé. Si aspira a conoscere come è stata portata a compimento l’invenzione, come la cosa ha avuto inizio, come si è pervenuti all’idea, cosa ha fatto seguito all’idea propizia. Proprio in questo senso si è discusso fino ai nostri giorni, si può dire, dell’invenzione della lingua da parte dell’uomo primitivo, sebbene non la si intenda più chiamare invenzione, ma [228] creazione. L’acquisizione della lingua da parte dei bambini è stata concepita come una riproduzione avvenuta in seguito alla sua invenzione. Le ricerche sull’origine della lingua hanno aspirato a scoprirne la prima creazione. Si sarebbe voluto conoscere come Adamo ed Eva in paradiso abbiano

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mögen. Was man aber nicht wußte und gern wissen möchte, das träumte man. Es werde zugestanden, daß die Erfindung der Dampfmaschine wichtiger ist, als ihre heutige Vervielfältigung; und die Geschichte der Anfertigung der ersten Maschine mag anziehender sein, als die Beschreibung des Verfahrens, welches man heute beim Baue derselben anwendet. Nichtsdestoweniger giebt es doch etwas Wichtigeres und Anziehenderes sowohl als dieses, wie als jenes, nämlich die Naturgesetze zu erforschen, welche sowohl bei der ersten, als bei jeder heute gebauten Maschine die bezweckte Wirkung hervorbringen. Denn während uns die Erzählung der Erfindung und allmählichen Verbesserung eines Dinges doch nur Zeitliches und mehr oder weniger Zufälliges bietet: so lehren uns jene Gesetze das diesem Zeitlichen zu Grunde liegende Ewige. Und so schließen wir auch für die Sprache, daß es wichtiger und anziehender ist, die Gesetze zu erforschen, nach denen sie sowohl ursprünglich geschaffen wurde, als auch heute noch geschaffen wird, und daß weniger daran liegt, die Besonderheiten zu kennen, unter denen die erste Schöpfung und jede folgende von Statten gegangen sein mag. So gestaltet sich also die Frage nach dem Ursprunge der Sprache schon ganz anders, selbst wenn wir die rohe Anschauungsweise gelten lassen, welche die Sprache als ein Ding ansieht, und welche der obigen Analogie zu Grunde liegt. Und sie zunächst noch nicht abändernd, fahren wir fort, indem wir darauf hinweisen, daß es doch nicht gleichgültig ist, in welchem Zeitalter diese Erfindung gemacht ist. Jede Erfindung setzt die Anlage dazu im Geiste der Menschheit voraus, nicht bloß eine angeborne Fähigkeit, sondern eine gewisse vorläufige Bildung und Bekanntschaft mit andern Erfindungen. Ohne diese Vorbereitung des erfinderischen Geistes würden ihm die günstigsten Zufälle ungenutzt vorübergehen. Gewisse Erfindungen sind unmöglich, wenn nicht schon gewisse andere gemacht sind, oder wenn nicht gewisse Ansichten, Erkenntnisse und Bestrebungen vorhanden sind; sie werden überflüssig gemacht durch spätere, [229] die aber unmöglich gewesen wären, wären ihnen nicht jene vorangegangen. Es lassen sich also Zustände der Zeiten begreifen, in denen eine Erfindung fast nothwendig, leicht, natürlich erscheint; denn selbst das Zufällige, das allemal noch hinzukommen mußte, konnte derartig

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fatto esperienza l’uno dell’altro. Quel che non si seppe e che si sarebbe voluto sapere, lo si sognava. Concederemo che l’invenzione della macchina a vapore è più importante dell’ennesima riproduzione che se ne fa oggi e la storia della produzione della prima macchina può essere più interessante della descrizione del processo utilizzato oggi per la sua costruzione. Ciò nondimeno, vi è certo qualcosa di più importante e interessante sia di questo sia di quello, è a dire la ricerca delle leggi naturali che hanno dato luogo all’effetto desiderato sia nella prima macchina sia in ogni altra oggi prodotta. Poiché, mentre il racconto dell’invenzione e del progressivo perfezionamento di una cosa ci offre soltanto una connotazione temporale e più o meno casuale, quelle leggi ci insegnano l’eterno che sta a fondamento di questa essenza temporale. Ne deriviamo che, anche a proposito della lingua, è più importante e interessante ricercare le leggi secondo cui essa fu forgiata originariamente, e secondo cui lo è ancora oggi, e meno rilevante è conoscere i particolari della prima creazione e di quelle seguenti. Già così la questione dell’origine della lingua è posta in modo ben diverso, anche se manteniamo il grossolano punto di vista secondo cui la lingua è concepita come una cosa, punto di vista che sta a fondamento della suddetta analogia. E, senza ancora modificare questo punto vista, proseguiamo rimandando al fatto che non è nemmeno indifferente l’epoca in cui avviene l’invenzione. Ogni invenzione presuppone la disposizione a essa nello spirito dell’umanità: non solo una capacità innata, ma anche una certa cultura del tempo e la familiarità con altre invenzioni. Senza questo presupposto allo spirito inventivo sfuggirebbero le circostanze più favorevoli. Certe invenzioni sono impossibili se certe altre non hanno già avuto luogo, o se certe prospettive, conoscenze e sforzi non sono presenti; esse, poi, sono rese superflue da invenzioni successive, [229] che tuttavia sarebbero state impossibili se queste non le avessero precedute. È dunque possibile cogliere le condizioni delle epoche sotto le quali un’invenzione appare quasi con necessità, facilmente, spontaneamente; l’elemento casuale stesso, che sarebbe ancora dovuto sopraggiungere perché l’invenzione avesse luogo, doveva essere tale che una

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sein, daß es, wie es auch fiel – und fallen mußte doch der Zufall nothwendig – die Erfindung oder Entdeckung fördern mußte*). Lehrreicher nun als zu wissen, nach welchen mancherlei Irrgängen und nach wie vielen mißglückten Versuchen eine Erfindung gelang, in welcher Ordnung die Stücke einzeln erfunden wurden, welches zuerst und welches zuletzt, und wie sie zusammengefügt wurden – lehrreicher, sage ich, als dies ist es, jene Zustände zu erforschen, welche eben sowohl das vielfache Mißlingen, als das endliche Gelingen bewirkten, sowohl die Hindernisse als auch die Mittel, diese zu überwinden, darboten. Wirklich begriffen ist die Geschichte der Erfindung auch nur dann, wenn man diese geistigen Zustände begreift und daraus die Erfindung und ihren Gang gewissermaßen ableiten kann. Indem man dies thut, enthebt man sich ebenfalls über die Zeitlichkeit und das Zufällige in das Reich des Nothwendigen und allwaltender Gesetze. Wie man gar zu gern die Ursache leibhaftig kennen gelernt hätte, so suchte man auch die Erfindung der Sprache in Zusammenhang zu bringen mit dem gesammten materiellen und intellectuellen Zustande der Urmenschen. Dieser Zustand war aber ebenfalls unbekannt. Er muß hypothetisch erschlossen werden und zumeist aus dem Wesen der Sprache selbst; aus dem Erzeugnisse muß die erzeugende Kraft gefolgert werden. Nun war aber das Wesen dieses Erzeugnisses, der Sprache, verkannt; wie sollte also sein Ursprung richtig erschlossen werden! Hier stoßen wir auf eine Kreisbewegung. Das wahre Wesen der Sprache muß wohl unbekannt bleiben, wenn ihr Ursprung nicht aufgehellt werden kann, und der Ursprung läßt sich nur ergründen bei der tiefen Erkenntniß des Wesens. [230] Wie ist denn nun dennoch der Fortschritt gemacht worden? Denn er ist wirklich schon gemacht, von Humboldt gemacht, und wie? Man ist aus dem Kreise ganz und gar herausgetreten. Den Zusammenhang zwischen Wesen und Ursprung der Sprache konnte man nicht aufheben; mit zwei unbekannten Größen mag * Wir reden hier nicht den weisen Herren das Wort, die alle Erfindungen, wenn sie gemacht sind, sehr einfach finden und mit ihrem Neide und ihrer Verkleinerungssucht große Männer, bedeutende Verdienste am wenigsten schonen. Ihnen erzähle man das Anekdötchen von den auf die Spitze zu stellenden Eiern. Was wir im Obigen wollen, das ist, um es kurz auszudrücken: dem Allgemeinen die Ehre, ohne die Person zu beeinträchtigen, die eben das Allgemeine darstellt.

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volta presentatosi – e l’elemento casuale doveva presentarsi di necessità – favorisse l’invenzione e la scoperta* 76. Più istruttivo di sapere secondo quali errori e secondo quali tentativi sfortunati sia riuscita un’invenzione, in che ordine siano state scoperte le parti, quale prima e quale dopo, e come siano state associate – più istruttivo di questo, dico, è ricercare quelle condizioni che causarono tanto i numerosi fallimenti quanto il successo finale, che cagionarono tanto gli impedimenti quanto i mezzi per venirne a capo. La storia dell’invenzione è realmente compresa solo quando si conoscono queste condizioni spirituali e da ciò in certa misura si riesce a derivare l’invenzione stessa e il suo corso. Facendo ciò, ci s’innalza altresì al di sopra della temporalità e della casualità, per far ingresso nel regno della necessità e delle leggi eternamente valide. Se si volesse conoscere la vera e propria lingua originaria77, bisognerebbe cercare di mettere in rapporto l’invenzione della lingua con il complesso delle condizioni materiali e psichiche degli uomini primitivi. Questa condizione, nondimeno, rimase ignota. In generale dovrebbe essere ipotizzata a partire dalla natura stessa della lingua: dal prodotto deve essere appresa la forza produttiva. Ma l’essenza di questi prodotti, della lingua, era oscura; come si sarebbe potuto dunque accedere alla sua origine? Ci imbattiamo qui in un movimento circolare. La vera natura della lingua deve ben rimanere ignota se la sua origine non può essere chiarita e l’origine si lascia sondare solo per mezzo della più profonda penetrazione della natura. [230] In che modo è stato allora compiuto un progresso? Poiché un progresso è stato compiuto veramente, è stato compiuto da Humboldt, e come? Si è usciti completamente dal circolo. La connessione tra natura e origine della lingua non si poteva cancellare: con due grandezze sconosciute si * Non ci esprimiamo in favore di quei savi che trovano tutte le invenzioni, se sono già state fatte, molto semplici e con la loro invidia e il loro tentativo di denigrare uomini grandi non hanno quasi per nulla riguardo degli importanti servigi resi da quelli. Gli si racconti l’aneddoto delle uova poste sulla cima di un cuneo. Ciò che intendiamo, brevemente, è questo: conferire l’onore all’universale senza nuocere alla persona che rappresenta, appunto, l’universale.

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man rechnen, wie man will, man gelangt zu keiner bekannten. Von einem dritten Punkte her aber traf beide zugleich ein tief eindringender Lichtstrahl. Der ganze menschliche Geist, die Intellectualität und das Gefühl, nahm in Kants Epoche – die wir nach dem größten Namen so benennen, zu der wir aber Lessing, Herder, Göthe und Schiller, den Philologen Wolf und so viele Naturforscher rechnen – einen höhern Aufschwung. Das Gefühl und Bewußtsein der menschlichen Würde erlangte eine früher ungekannte Anspannung*, und damit war die höhere Würdigung des menschlichen Erzeugnisses, der Sprache, schon gegeben. Die höhere Würdigung war schon ein Anfang der bessern Erkenntniß. Die Kantianer jedoch waren zu formal logisch, trocken und schlechte Psychologen. Man hatte vor der Sprache immer noch nicht recht gestaunt: darum hatte man sie noch nicht begriffen. Dem Kantischen Geiste und Zeitalter mußte eine Zeit folgen, der Männer wie Böckh, Grimm und Bopp und Genossen, und Naturforscher wie der Geograph Ritter ihren geistigen Hauch verliehen, damit, von solchem Geiste unterstützt, ein Mann wie Wilhelm von Humboldt uns lehrte, ein Wunderwerk anzustaunen, bei dessen Schöpfung die ganze Menschheit, der ganze Mensch nach seinem allseitigen mikrokosmischen Wesen, Natur, Instinct, Geist, wirksam ist – ein Wunderwerk, aus dem wir den Urzustand des Menschengeschlechts, seine vorgeschichtlichen Schicksale kennen lernen und das Schicksal der Völker, wie es in ihrem eigenen Geiste vorgezeichnet und bestimmt ist, zu deuten unternehmen dürfen – ein Wunderwerk endlich, das immer vollendet ist und sich ewig neu gebiert; das auf der Individualität des Geistes beruhend, seine Schöpfung und sein getreuester Spiegel, doch über allen individuellen Geist hinausweist auf eine Einheit und Allgemeinheit des Geistes. Das hat uns Humboldt gelehrt; es ist sehr viel, und er hat auch nur wenig mehr gelehrt. Genau genommen ist doch die [231] Sprache noch eine verschleierte Göttinn; die Blicke, die Humboldt durch den Schleier hat dringen lassen, sind nicht klar genug

* Wir reden oben nur von Deutschland, und es ist durchaus nicht unsere Ansicht, wenn man das Gesagte auch auf Frankreich ausdehnen wollte.

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può calcolare quanto si vuole, non si giunge a nulla di conosciuto; da un terzo punto di vista, però, entrambe traggono contemporaneamente un raggio rischiarante. L’intero spirito dell’umanità, tanto l’intellettualità quanto il sentimento, compì nell’epoca di Kant – epoca che definiamo così per la personalità più importante da cui prese il nome, ma a cui ascriviamo anche Lessing, Herder, Goethe e Schiller, il filologo Wolf e molti altri naturalisti – un importante balzo in avanti. Il sentimento e la coscienza della dignità umana pervennero a una tensione prima ignota* 78 e con ciò era già data una più alta considerazione della produzione umana, della lingua. Una più alta considerazione della lingua era già il principio di una conoscenza migliore. I kantiani, tuttavia, erano scialbi e cattivi psicologi, psicologi logici in senso troppo formale. Non si era ancora provata meraviglia di fronte alla lingua, per questo non la si era ancora compresa. Allo spirito e all’epoca kantiana doveva seguire una nuova epoca, a cui conferirono il loro soffio spirituale uomini come Böckh, Grimm, Bopp e sodali, oltre a naturalisti come il geografo Ritter, e così, sostenuto da questo spirito, un uomo come Wilhelm von Humboldt ci insegnò a osservare con meraviglia un’opera straordinaria, alla cui creazione prende parte l’umanità intera, l’uomo intero con la sfaccettata essenza del suo microcosmo, la sua natura, il suo istinto, il suo spirito; – un’opera straordinaria, da cui impariamo la condizione originaria del genere umano, il suo destino preistorico e da cui possiamo cominciare a interpretare il destino dei popoli, così com’è tracciato e configurato nel loro spirito; – un’opera straordinaria, infine, che è sempre compiuta e sempre si rigenera nuovamente, un’opera che, poggiando sull’individualità dello spirito, diffonde la sua creazione e il suo riflesso più intimo oltre ogni spirito individuale, sull’unità e l’universalità dello spirito stesso. Questo ci ha insegnato Humboldt! è molto ed egli non ha insegnato molto più di questo. Considerata adeguatamente la lingua è [231] ancora una dea velata, gli sguardi che Humboldt ha lasciato cadere attraverso il velo non sono sufficien* Parliamo soltanto della Germania e non condividiamo per nulla l’opinione di chi volle estendere quanto vien detto anche alla Francia.

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und haben auf seine Mit- und Nachwelt wenig Einfluß gewonnen. Wir haben gesehen, wie uns eine über ganz Deutschland verbreitete Richtung der Sprachwissenschaft, eine mechanische Mengung von naturphilosophischen Phrasen und abstract- logischen Kategorien, als eine den Manen Humboldts gewidmete Sprachlehre dargeboten wird; sie soll mit seinen Ideen übereinstimmend gebildet sein, sie, die in jeder Einzelheit, wie nach ihrem allgemeinen Geiste Humboldt widerspricht. Mit den Sprachhistorikern aber rechten wir nicht. Sie haben ihn nie anders als dem Namen nach gekannt, und da wir anfangen, es ernstlich mit Humboldt zu nehmen, mit seiner Verehrung und seinen Ideen: so wird er ihnen auch schon lästig. Indem man noch aus Gewohnheit oder Heuchelei die Phrase im Munde hat, ,,daß man ihn nie genug rühmen könne: beklagt man sich doch, daß er wie eine Gottheit verehrt werde, uns als ein Buddha gelte – er, der doch nicht einmal habe geläufig sanskritisch conjugiren können! O, ihr ewigen Sextaner! Wir haben hier nicht die Aufgabe, alle die so eben angedeuteten Punkte über das wundervolle Wesen der Sprache darzulegen und zu erläutern, ihre Bezüge zu entwickeln zur Metaphysik, zur Ethik, zu allen höchsten Ideen, zu allem was uns lieb und heilig ist. Wir beschränken uns hier auf das, was unser nächster Zweck erfordert, die trockne Entwicklung des Ursprungs der Sprache, und wollen froh sein, wenn es uns gelingt, hier einiges Licht zu gewinnen. Wir lassen mit Humboldt die zeitliche Thatsache der Schöpfung der ersten Menschen, wie der ersten Sprache, als unerforschlich bei Seite. Wie der Naturforscher die Frage, wie die Thierarten und der Mensch entstanden seien, gar nicht aufwirft, als eine Frage, die außer dem Bereiche menschlicher Wissenschaft liegt, so fragt auch der Sprachforscher nicht, wie die Sprache als einmalige Begebenheit geschaffen worden sei. Nur die Schöpfung, wie sie als das ewige Leben der Natur sich auch heute noch offenbart und zu allen Zeiten offenbart hat, gehört der Erforschung der Wissenschaft: und eben so bedeutet auch der Sprachwissenschaft der Ursprung der Sprache bloß, wie sie sich im Munde des Säuglings und im Munde des Redenden im Augenblicke des Sprechens erzeugt. [232] Bei dieser gleichen Beschränkung des Sprach-, wie des Naturforschers aber scheint uns doch der Sprachforscher

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temente chiari e hanno esercitato poca influenza nel mondo a lui contemporaneo e in quello successivo. Abbiamo visto come un indirizzo della scienza della lingua diffusosi nell’intera Germania, un insieme meccanico di proposizioni di filosofia naturale e di categorie logico-astratte, ci è stata offerta come una teoria linguistica ispirata a Humboldt79; così dovrebbe essere in accordo con le idee di Humboldt proprio esso, che in ogni singola parte, come nello spirito generale, lo contraddice. Non intendiamo tuttavia disputare con gli storici della lingua. Di Humboldt non hanno conosciuto che il nome, e poiché noi iniziamo a prendere Humboldt sul serio, a coltivarlo e a studiarne le idee, per questo semplice fatto, gli diverrà sgradito80. Chi ancora, per abitudine o ipocrisia, si compiace di dire «che Humboldt non potrà mai essere abbastanza onorato», si lamenti poi che venga onorato come una divinità e sia considerato un Buddha – egli, che non avrebbe mai saputo coniugare correntemente il sanscrito! Oh eterno studentello81! Qui non abbiamo il compito di esporre e chiarire tutti i punti su accennati sulla meravigliosa essenza della lingua, di sviluppare i suoi rimandi alla metafisica, all’etica e a tutte le idee più alte, a tutto ciò che amiamo e veneriamo. Qui ci restringiamo a ciò che è richiesto dal nostro fine, alla genesi della lingua, e saremo lieti se ci riesce d’attingere un po’ di luce. Lasciamo con Humboldt da parte, come non indagabile, la questione temporale della creazione del primo uomo e della prima lingua. Come il naturalista non domanda come sono sorti l’uomo e le specie naturali, reputandola una questione che travalica il dominio della scienza umana, anche il linguista non domanda come è stata forgiata la lingua in quanto evento originario82. La ricerca scientifica deve indagare soltanto come la creazione, quale vita eterna della natura, si manifesta ancora oggi e s’è manifestata in tutte le epoche e, allo stesso modo, la scienza della lingua interpreta l’origine della lingua come si produce nella bocca del poppante e in quella di chi parla nell’istante del parlare. [232] A proposito di questa delimitazione equivalente dello studioso di linguistica e dello scienziato, ci pare però che

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glücklicher gestellt, als der andere; und dies beruht darauf, daß die ursprüngliche Sprachschöpfung von der ewig wiederholten nicht wesentlich abwelchen konnte, und daß wir den Zustand der menschlichen Seele, in welchem die Sprache entstand, heute noch wie immer theils beobachten, theils erschließen können. Die Spracherzeugung ist niemals eine Geburt ex oro und war ursprünglich keine generatio aequivoca oder wie man sonst die erste Schöpfung einer Thierart nennen will. Die Sprache entspringt immer in gleicher Weise der Seele des Menschen, und dieser Quellpunkt ist ewig derselbe. Die Sprache ist eine Emanation, eine Entwickeluug der Seele, die mit natürlicher, organischer Nothwendigkeit dann eintritt, wenn die Seelenbildung an einen gewissen Punkt gelangt; und die Seele und ihre Entwickelung ist beute und immer dieselbe. Wie jedes Embryo in einer bestimmten Epoche seiner Entwickelung dieses oder jenes Organ bildet, so bildet die Seele auf einem gewissen Punkte nothwendig Sprache, heute, wie in der Urzeit. Den Ursprung der Sprache erforschen heißt also, die Seelenbildung verfolgen, den seelischen Zustand kennen lernen, der unmittelbar der Spracherzeugung vorangeht, und begreifen, was die Seele durch die Sprachschöpfung gewinnt. Der Unterschied zwischen der Urschöpfung und der täglich wiederholten existirt also rücksichtlich der Sprache gar nicht. Und warum nicht? Betrachten wir den ausgesprochenen Satz näher, so entspringt daraus eine Folge, die vielmehr dessen Ursache ist. Wenn nämlich die Einsicht in den Ursprung der Sprache darauf beruht, daß man einen Seelenzustand begreift, der durch die in ihm wirkenden Elemente gedrängt wird, sich im Laute zu äußern, in Lauten auszubrechen, und daß man ferner erkennt, was die Seele durch solchen sprachlichen Ausbruch gewinnt: so heisst das eben das ganze Wesen der Sprache erkennen, und die Folge also ist die: daß Wesen und Ursprung der Sprache identisch sind; ihr Wesen liegt in ihrem Ursprunge, und ihr Entspringen ist ihr Sein und Wesen. Die Sprache ist nichts als ihre Entstehung, nichts als ewig sich neu erzeugende Thätigkeit, ein Werden, das zu keinem Dasein erstarrt.

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il linguista sia in posizione più propizia dell’altro: ciò perché la creazione linguistica originaria non può deviare in modo sostanziale da ciò che si è eternamente ripetuto e perché noi, oggi come sempre, in parte possiamo osservare, in parte dedurre, la condizione dello spirito umano in cui sorge la lingua. La produzione linguistica non è mai una nascita ex ovo e originariamente non si trattò di generatio aequivoca, o come altrimenti si vuol chiamare la prima creazione di una specie animale83. La lingua nasce dall’anima dell’uomo sempre nello stesso modo e questa scaturigine rimane uguale in eterno. La lingua è un’emanazione, uno sviluppo dell’anima, la quale compare con necessità naturale e organica quando la formazione dell’anima è pervenuta a un punto preciso; e l’anima e il suo sviluppo, oggi, come sempre, sono uguali. Come un embrione, in un determinato momento del suo sviluppo, dà vita a questo o a quell’organo, così lo spirito, giunto a un certo grado di sviluppo, produce con necessità la lingua, oggi come nei tempi preistorici. Indagare l’origine della lingua significa pertanto seguire lo sviluppo dell’anima, conoscere lo stato dell’anima che precede immediatamente la produzione della lingua e comprendere ciò che l’anima consegue attraverso la creazione della lingua. La differenza tra la creazione originaria e quella quotidianamente ripetuta, in rapporto alla lingua, non esiste punto. E perché no? Prendiamo in considerazione più da vicino quest’ultima frase, da essa deriva una conseguenza che in verità ne costituisce la causa. Se infatti la prospettiva sull’origine della lingua poggia sul fatto che si individua uno stato dell’anima che, in ragione degli elementi in esso operanti, è sospinto a estrinsecarsi, a prorompere in suoni, e anche sul fatto che si conosce ciò che lo spirito guadagna per mezzo di questo erompere linguistico; se così è, questa prospettiva sull’origine non implica altro che la conoscenza dell’intera essenza della lingua e la conseguenza è dunque questa: l’essenza e l’origine della lingua sono identiche, la sua essenza risiede nella sua origine e la sua nascita è il suo essere e la sua essenza. La lingua non è nient’altro che la sua nascita, nient’altro che attività eternamente autoproducentesi, un divenire che non si irrigidisce in nessuna esistenza.

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Und diese Folge ist vielmehr die Ursache davon, daß die erste Schöpfung der Sprache und ihre heutige und ihre ewige [233] Neugeburt immer dieselbe ist. Denn ist das Wesen die Entstehung selbst, so kann sich die Entstehungsweise so wenig ändern, wie das Wesen selbst sich ändern darf; entstünde sie anders, so wäre auch das Wesen verändert, wir hätten nicht mehr die Sprache, sondern ein anderes Seelenerzeugniß. Ist unsere Sprache (im allgemeinen Sinne) dieselbe, wie die der Urmenschen, dasselbe Wesen, dieselbe Kraft und Thätigkeit, so ist auch ihre Entstehung in der Urzeit keine andere als die heutige. Man sieht nun wohl, wie roh die Ansicht war, wonach man die Erfindung der Sprache wie die einer Maschine betrachtete, und das Sprechenlernen von heute wie eine neue Anfertigung einer schon gemachten Erfindung. Gehen wir aber auf diese Analogie ein, so bemerken wir, daß der Sprachforscher glücklicher gestellt ist, als wer die Geschichte einer sonstigen Erfindung erkundet, insofern die Gesetze, die heute noch beim Erlernen der Sprache sich in jedem Kinde wirksam zeigen, auch die treibenden Kräfte bei der Erfindung waren. Denn eine Erfindung, die von den Naturkräften selbst gemacht worden ist, bei der der Mensch nicht freiwillig und bewußt handelte, zu der er durch den geistigen Instinct getrieben ward, kann auch bei der wiederholten Anfertigung immer nur wieder durch dieselben instinctiven Kräfte hervorgebracht werden; und kennen wir letztere, so kennen wir auch die erste Erfindung. Darum aber nennen wir eben die Sprache nicht eine Erfindung, sondern eine Erzeugung. Hierin liegt aber noch etwas ausgedrückt. Wir haben oben nicht bloß die Erfindung einer Maschine von ihrer Anfertigung geschieden, sondern noch ein Drittes hinzugefügt, dessen Kenntniß wesentlicher, als die Geschichte jener und die Beschreibung dieser ist: die Gesetze der Natur, welche in der Maschine wirksam sind. Auch diese Scheidung schwindet bei der Untersuchung über den Ursprung der Sprache. Denn hier werden nicht mannigfache Materialien, die sich ursprünglich einander fremd und gleichgültig sind, nach einer bestimmten Absicht des Menschen zu einem Zwecke, der die Materialien nichts angeht, zusammengefügt, wie dies bei der Dampfmaschine geschieht; sondern in der Sprache wirken Ursachen blind nach inwohnender Nothwendigkeit, sind aber von

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E questa conseguenza è, tanto più, la causa del fatto che la prima creazione della lingua e la sua attuale ed eterna [233] riproduzione è sempre uguale. Se poi l’essenza è l’origine stessa, allora il modo in cui la lingua nasce non può cambiare come non può cambiare la sua essenza. Se nascesse diversamente, ne sarebbe mutata anche l’essenza e non avremmo più la lingua, ma un altro prodotto spirituale. La nostra lingua (in senso generale) è sempre uguale a quella dell’uomo primitivo, la stessa essenza, la stessa forza e attività, dunque anche la sua genesi in tempi preistorici non fu diversa da quella attuale. Si vede bene ora quanto fosse grossolana la prospettiva per cui s’è paragonata l’invenzione della lingua a quella di una macchina, e l’acquisizione della lingua alla riproduzione di un’invenzione già compiuta. Se ci inoltriamo in questa analogia, notiamo che il linguista guadagna una posizione più propizia rispetto a colui che esplora la storia di un’altra invenzione, poiché le leggi che si mostrano attive ancora oggi in quel bambino che apprende la lingua, erano le stesse forze portanti quando la si inventò. E ciò perché un’invenzione che è stata compiuta dalle medesime forze naturali, un’invenzione in cui l’uomo non agì liberamente e arbitrariamente, ma sospinto dall’istinto spirituale, deve anche essere compiuta in ogni nuova produzione per mezzo delle stesse forze istintive; e se conosciamo queste ultime, conosciamo anche la prima invenzione. Per questo definiamo allora la lingua non un’invenzione, ma una produzione. In questo termine vi è espresso ancora qualcos’altro. Su non abbiamo solo separato l’invenzione di una macchina dalla sua produzione, ma abbiamo aggiunto un terzo elemento, la cui conoscenza è più essenziale della storia dell’invenzione e della descrizione della produzione: le leggi della natura che sono attive nella macchina. Anche questa distinzione scompare nella ricerca sull’origine della lingua. Giacché, in questo caso, non sono assemblati materiali diversi, eterogenei e generici, in vista di uno scopo concepito dall’uomo, uno scopo che non è di pertinenza dei materiali stessi, come accade nel caso della macchina a vapore. Nella lingua piuttosto operano ineluttabilmente cause che rispondono a una necessità interna, le quali sono riunite verso un

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der Natur selbst zu einem Zwecke vereint; in der Sprache sind die Gesetze selbst zugleich auch die ausführenden Mächte. Das heißt aber eben, die Erfindung ist von der Natur selbst gemacht, [234] oder es ist eine natürliche Schöpfung, eine Zeugung und Geburt. Indem also der Sprachforscher bloß die Gesetze, die wirksamen Ursachen erforscht, lernt er zugleich die Weise der Anfertigung und die Geschichte der Erfindung der Sprachmaschine kennen; oder vielmehr alle diese Unterschiede sehwinden, weil die Sprache keine erfundene Maschine, sondern ein natürliches Organ ist, d. h. ein seelisches Organ. Unsere Erforschung des Ursprungs der Sprache bewegt sich also nicht um den zeitlichen, zufälligen, sondern um den ewigen, unwandelbaren Ursprung in der Seele des Menschen überhaupt oder um die Gesetze des Seelenlebens, nach denen Sprache entsteht, welche uns aber zugleich das wirkliche Entstehen derselben von heute sowohl, wie von der Urzeit enthüllen. Hiermit sind wir in die Psychologie versetzt. Glückliche Fortschritte in der Sprachwissenschaft setzen eine entwickelte Psychologie voraus. Umgekehrt freilich mag auch diese von jener Hülfe erwarten. Der Sprachforscher darf sich dadurch nicht abschrecken lassen, daß sein Gegenstand, weil derselbe dem ganzen menschlichen Wesen entsprossen ist, auch dessen allseitige Natur an sich trägt. Ist er dadurch genöthigt und berechtigt, von allen Seiten Hülfe in Anspruch zu nehmen, so ist er darum auch verpflichtet, sie nach allen Seiten hin zu leisten. Es wäre nun also der Punkt der geistigen Entwickelung zu suchen, wo die Sprache hervorbricht. Um diesen zu finden, müßten wir die ganze Leiter dieser Entwickelung von der untersten Stufe an verfolgen und darauf achten, auf welcher Stufe die Wirksamkeit und eine Leistung der Sprache sichtbar wird. Ihr Ursprung müßte zwischen den letzten Punkt, auf welchem sie noch ruht, und den ersten, auf welchem sich ihr Einfluß zeigt, in die Mitte fallen. Hierbei hätten wir uns aber davor zu hüten, die Wirksamkeit der Sprache da schon zu erkennen, wo sie noch nicht ist; da noch nicht, wo sie schon ist; und da immer noch, wo sie schon wieder ruht; und auch davor hat man sich in Acht zu nehmen, daß man ihr Wirkungen zuschreibt, die sie gar nicht haben kann. Um dieser Gefahr zu entgehen, ist eine längere psychologische Entwickelung nothwendig oder mindestens rathsam. Um

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solo fine dalla natura stessa. Nella lingua le leggi sono contemporaneamente le stesse potenze realizzatrici. Ciò però significa che l’invenzione è compiuta [234] dalla natura stessa, ovvero che è una creazione naturale, una procreazione e un parto. Dal momento che il linguista ricerca semplicemente le leggi, le cause efficienti, egli conosce anche il procedimento della produzione e la storia dell’invenzione della macchina linguistica; o meglio, tutte queste differenze scompaiono, perché la lingua non è una macchina inventata, bensì un organo, è a dire un organo spirituale. La nostra ricerca sull’origine della lingua non muove dunque attorno all’origine temporale, casuale, ma a quella eterna, immutabile, che avviene nello spirito dell’uomo in generale, volge alle leggi della vita dell’anima secondo le quali sorge la lingua, leggi che ci disvelano contemporaneamente la sua nascita reale, tanto oggi quanto negli uomini preistorici. Con ciò ci troviamo nell’ambito della psicologia. Progressi vantaggiosi nella scienza della lingua presuppongono una psicologia sviluppata. Ma anche questa, inversamente, può aspettarsi aiuto dalla scienza della lingua. Il linguista non deve lasciarsi intimorire dal fatto che poiché il suo oggetto è germogliato dall’essenza integrale dell’uomo ne porti anche in sé la sfaccettata natura. Egli è obbligato e giustificato a pretendere aiuto da ogni parte, così ha anche il dovere di dare aiuto a ciascuna parte. Bisognerebbe dunque cercare il punto dello sviluppo spirituale in cui erompe la lingua. Per trovarlo dovremmo seguire l’intera scala dello sviluppo dagli stadi più bassi in su, e valutare a quale stadio diventa visibile l’attività e l’opera della lingua. La sua origine dovrebbe cadere nel mezzo tra l’ultimo stadio in cui ancora è sopita e il primo su cui esercita la sua influenza. Nel far ciò dovremmo guardarci dal riconoscere l’attività della lingua lì dove non vi è ancora, e dal non riconoscerla là dove è già presente, e ancora una volta dal riconoscerla lì dove di nuovo si trova inattiva. E bisogna anche guardarsi dall’ascriverle effetti che non può avere. Per sfuggire a questi rischi è necessario, o per lo meno consigliabile, prendere in considerazione un più lungo sviluppo psicologico. Per conoscere con maggiore certezza l’impresa

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die Leistung der Sprache sicherer zu erkennen, die doch in das [235] ganze Räderwerk des geistigen Mechanismus angemessen eingreifen muß, haben wir überhaupt die Entwicklungsweise des Geistes, den in ihr waltenden Trieb, das in ihr liegende Streben genauer zu beobachten; wir müssen Analogien zu gewinnen suchen zwischen den einzelnen Fortschritten des Geistes durch Vergleichung derselben mit einander, um durch diese Analogien das zu unterstützen, was wir bei dem Auftreten und Wirken der Sprache zu entdecken meinen. So erkennen wir gewissermaßen einen Ausgangs- und einen Zielpunkt des geistigen Ganges und also eine Linie, in welcher auch der Quellpunkt der Sprache liegen muß. Ferner aber haben wir die untern Entwicklungsstufen der Seele nicht sowohl überhaupt und an sich darzulegen, als vielmehr nur zu zeigen, in wie fern in ihnen die Keime und Vorbereitungen zur Sprache liegen. Und so zerfällt diese Untersuchung über den Ursprung der Sprache von selbst in drei Theile; denn wir haben zuerst die Anlage zur Sprache in dem Zustande des Menschen, der ihr vorangeht, zweitens das Hervorbrechen der Sprache und drittens die weitere Entwickelung derselben zu betrachten. Der erste Theil umfaßt also das embryonische Leben der Sprache, der zweite ihre Geburt, der dritte ihr Wachsthum. a) Vorbildung und Anlage der Sprache im Menschen. Die Sprache zeigt sich darin als recht eigenthümliche Schöpfung des Menschen, daß sie weder bloß dem Geiste, noch bloß dem Körper angehört; sondern aus dem ganzen einheitlichen Wesen des Menschen entspringend, wie der Mensch selbst, Einheit von Körper und Geist ist und auf der Verbindung der menschlichen Seele mit dem Leibe beruht. Weil sie auf dieser Verbindung beruht, ist sie doppelseitig vorgebildet: in der Seele und im Körper, und besonders in den Punkten, wo der Leib sich in den Dienst der Seele begiebt, sich vergeistigt, und wo die Seele, aus sich heraustretend, in den Körper bewegend eingreift. Das Erste, das wahrhaft Thätige und Regierende, bleibt natürlich die Seele, und so beginnen wir mit ihrer Entwickelung.

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della lingua, che deve giocare un ruolo appropriato nell’ingranaggio [235] complessivo del meccanismo spirituale, dobbiamo osservare con maggiore esattezza il modo in cui lo spirito si sviluppa, cogliere l’impulso in esso dominante, la tendenza in esso attiva. Dobbiamo cercare di giungere a delle analogie tra i singoli progressi dello spirito attraverso il loro reciproco confronto, per supportare, con queste analogie, quel che vogliamo scoprire sulla comparsa e l’opera della lingua. In questo modo conosciamo, in certa misura, il punto d’avvio e quello d’arrivo del corso spirituale e, dunque, una linea in cui deve risiedere anche la scaturigine della lingua. Dobbiamo inoltre esporre gli stadi di sviluppo inferiori dell’anima non tanto in generale e in sé, ma per mostrare in che misura risiedano in essi i germi e le condizioni preparatorie allo sviluppo della lingua. E pertanto questa ricerca sull’origine della lingua si divide in tre parti. In primo luogo, dobbiamo prendere in considerazione la disposizione alla lingua in quello stato dell’uomo che la precede; poi, l’emergere della lingua; infine, il suo sviluppo successivo. La prima parte comprende dunque la vita embrionale della lingua; la seconda, la sua nascita; la terza, la sua crescita. a) Preparazione e disposizione alla lingua nell’uomo84 La lingua, quale creazione peculiare dell’uomo in senso proprio, è caratterizzata dal fatto di non appartenere né semplicemente allo spirito né semplicemente al corpo; ma risultando, come l’uomo stesso, dalla natura unitaria complessiva dell’uomo, è unità di corpo e spirito e poggia sulla connessione dell’anima e del corpo umani. Poiché si basa su questa connessione, è formata in modo duplice: a partire dall’anima e dal corpo, e in particolare dai punti in cui il corpo si pone a servizio dell’anima, si spiritualizza e dai punti in cui l’anima, emergendo da sé, s’innesta nel corpo conferendogli il movimento. L’elemento primario, quello veramente attivo e propulsivo, rimane naturalmente l’anima.

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§. 87. Reflexion und Association von Seelenthätigkeit und Körperbewegung. Mit dem Namen Association bezeichnet man die Erscheinung, daß etwas Empfundenes oder Gefühltes oder Gedachtes, welches mit einem andern Seelenerzeugnisse in irgend eine Verbindung gesetzt war (weil sie gleichzeitig oder dicht nach einander statthatten, oder weil beide eine gewisse Aehnlichkeit oder [247] eine andere äußere oder innere Beziehung zeigen), durch seine Reproduction bewirkt, daß auch das andere zugleich mit reproducirt wird; oder daß eine Bewegung zugleich noch eine andere erzeugt, sei es aus Ungeschicklichkeit oder Gewohnheit; oder daß ein Gedachtes und eine Bewegung sich gegenseitig hervorrufen, und zwar ohne Willen und bewußte Absicht. Unter Reflexion versteht man die Erseheinung, daß eine Nervenerregung, die zum Gehirn oder Rückenmark geleitet worden ist, daselbst nicht endet, sondern von da aus auf andere Nerven übergeht. Reflexion ist also z. B. die Uebertragung der Erregung eines Empfindungsnerven vermittelst des Gehirns auf einen Bewegungsnerven. Sie thut sich dadurch kund, daß auf gewisse Empfindungen oder Bewegungen nach dem Gesetze der Nervenmechanik unausbleiblich noch eine andere Bewegung erfolgt. Diese Uebertragung geschieht allemal ohne Absicht, oft gegen die Absicht, nach bloßen Naturgesetzen. Die Association der Bewegung sowohl mit andern Bewegungen, als mit Vorstellungen mag von der Uebertragung nicht immer bestimmt zu unterscheiden sein. Im Allgemeinen aber wird es genügen zu bemerken, daß die Association ursprünglich zwar ebenfalls bewußtlos geschieht, aber durch Absicht eben so wohl entwickelt, als auch aufgehoben werden kann; daß sie nicht unvermeidlich ist, sondern durch Zufall und Absicht erzeugt und gestört werden kann. Associationen sind oft nur übele Angewohnheiten, welche bei höherer Bildung nicht vorkommen. Leute, deren Hand leichter den Pflug und ein Gespann, als die Feder regiert, verzerren beim Schreiben das Gesicht gar wunderlich. Ueberhaupt bewegt der Ungebildete immer Massen von Nerven oder Gliedern, während der Gebildete gelernt hat, nur das je-

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§. 87. Riflessione e associazione dell’attività dell’anima e del movimento del corpo Con il termine associazione si indica il fenomeno per cui qualcosa di percepito o sentito o pensato, che era in qualche modo connesso con un altro prodotto dell’anima (perché essi avevano avuto luogo contemporaneamente o uno immediatamente dopo l’altro o perché in certa misura erano simili o [247] mostravano un altro tipo di relazione interna o esterna), riproducendosi, induce a una riproduzione anche dell’altro elemento; oppure, con quel termine, si indica il fenomeno per cui un movimento ne produce immediatamente un altro, accada ciò per inettitudine o per abitudine; o il fenomeno per cui qualcosa di pensato e un movimento si richiamano reciprocamente e, invero, in modo involontario e non intenzionale. Con riflessione s’intende il fenomeno per cui una eccitazione nervosa, pervenuta al cervello o al midollo spinale, non termina lì, ma da lì passa ad altri nervi. La riflessione, ad esempio, è il passaggio dell’eccitazione di un nervo percettivo a un nervo deputato al movimento, attraverso la mediazione del cervello. Si manifesta per il fatto che da certe sensazioni o movimenti segue inevitabilmente un altro movimento secondo la legge della meccanica dei nervi. Questa trasmissione avviene sempre senza intenzione, spesso contro la propria intenzione, secondo semplici leggi di natura. L’associazione del movimento tanto con altri movimenti quanto con rappresentazioni, non sempre può essere distinta con precisione dalla trasmissione. In generale però è sufficiente osservare che l’associazione, pur avvenendo originariamente in modo inconsapevole, può essere sviluppata, come anche disciolta, in modo intenzionale; osservare poi che l’associazione non è inevitabile, ma può essere prodotta e interrotta sia casualmente sia intenzionalmente. Le associazioni sono spesso soltanto cattive abitudini che scompaiono quando si raggiunge una migliore educazione. Persone la cui mano è più adusa a un aratro e a un animale da traino che a una penna, distorcono sensibilmente il viso nello sforzo di scrivere. In generale, chi non ha avuto educazione muove sempre masse di nervi o di membra, mentre chi l’ha avuta ha imparato a muovere soltanto la parte di volta in volta neces-

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desmal nothwendige Glied zu bewegen. Die Associationen sind theils nützlich und zweckmäßig, theils unnütz und zweckwidrig; erstere hat man sich anzueignen, von letztern sich loszumachen. Das Klavierspiel und jedes geschickt geübte Handwerk liefert Beispiele von abgewöhnter und angelernter Association, von isolirter und combinirter Seelenerregung, die zur zweiten Natur geworden sind. Die Uebertragung dagegen, die weder gelernt, noch abgewöhnt wird, scheint auch immer zweckmäßig zu sein, selbst in den Fällen, wo sie unnütz erscheint, weil eine zu große fremde Gewalt den Zweck nicht erreichen läßt. Soviel im Allgemeinen. Nun einiges Nähere, wobei uns besonders die Verbindung [248] und Uebertragung eines Gedachten, Vorgestellten mit und auf eine Bewegung von Wichtigkeit ist. Müller (a. a. O. II, S. 89.) sagt hierüber: „Gewisse Gruppen der Muskeln des animalischen Systems sind beständig in einer Disposition zu unwillkürlichen Bewegungen wegen der Leichtigkeit der Affection ihrer Nerven, oder vielmehr der Reizbarkeit der Hirntheile, von welchen sie entspringen. In diesem Falle befinden sich alle respiratorischen Nerven, den Nervus facialis eingeschlossen … Die Zustände der Seele können die Entladung des Nervenprincips nach den Athemmuskeln bedingen. Jeder schnelle Uebergang in den Zuständen der Seele ist im Stande eine Entladung nach diesen Nerven von der Medulla oblongata aus zu bewirken. Das Sensorium wirkt hier gerade so, wie der einzelne Nerv, in dem jede schnelle Veränderung seines Zustandes, auf was immer für eine Art, das Nervenprincip in Thätigkeit setzt. Hiernach ist es zu beurtheilen, daß selbst ohne alle Leidenschaft ein so schneller Uebergang der Vorstellungen, wie er bei dem Eindruck des Lächerlichen stattfindet, jene Entladung bewirkt, die sich dann in den Gesichtsmuskeln und Athemmuskeln äußert. – Hierher gehört auch das Gähnen, insofern es durch die Vorstellung des Gähnens oder durch das Hören oder Sehen des Gähnens veranlaßt werden kann. Die Disposition zu den respiratorischen und Gesichtsbewegungen des Gähnens ist nämlich dann schon vorher da gewesen; sie tritt in Erscheinung, indem durch die Vorstellung die Bewegung des

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saria. Le associazioni, in parte sono utili e orientate a un fine, in parte inutili e prive di fine; bisogna adeguarsi alle prime, rifuggire le altre. Il suono del violino e ogni opera artigianale esercitata con maestria forniscono esempi di associazione scissa dall’abitudine e acquisita con l’esercizio, di eccitazione dell’anima isolata e combinata, che si è trasformata in una seconda natura. La trasmissione, al contrario, la quale non è né acquisita né scissa dall’abitudine, sembra sempre rivolta a un fine, anche nei casi in cui appare inutile perché una forza estranea troppo grande non consente che il fine sia raggiunto. Questo in generale. Adesso qualcosa di più particolareggiato, in cui è per noi di grande importanza la questione relativa alla connessione [248] di qualcosa di pensato e di rappresentato con un movimento e la sua trasmissione ad esso. Müller (idem, II, p. 89)85 scrive in proposito: «Alcuni gruppi di muscoli del sistema animale si trovano costantemente in una disposizione a movimenti involontari in ragione della facilità con cui i loro nervi possono essere sollecitati o, meglio, in ragione dell’eccitabilità delle zone del cervello da cui si dipartono. Sono riconducibili a questo caso tutti i nervi respiratori, incluso il nervus facialis … Gli stati in cui si trova l’anima possono condizionare lo scaricamento del principio nervoso sui muscoli respiratori. Ogni celere trasformazione degli stati dell’anima è in grado di provocare uno scaricamento su questi nervi dalla medulla oblongata. Il sensorium agisce qui come ogni singolo nervo, nel quale ogni repentino cambiamento di stato attiva il principio nervoso sempre secondo la stessa modalità86. In proposito bisogna osservare come, per quanto asettico, un passaggio tanto veloce di rappresentazioni come quello che ha luogo nell’impressione suscitata da qualcosa che induce al riso, provoca quello scaricamento che si manifesta poi nei muscoli del viso e in quelli respiratori. – A questa categoria appartiene anche lo sbadiglio, nella misura in cui può essere provocato dall’immaginarsi lo sbadiglio stesso o dal fatto d’aver ascoltato o visto qualcuno sbadigliare. La disposizione ai movimenti respiratori e ai movimenti del viso tipici dello sbadiglio, infatti, era già lì in precedenza; si realizza perché il movimento del principio nervoso acquista una direzione precisa in virtù della

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Nervenprincips die bestimmte Direction erhält. Auch bei dieser Bewegung wirken die Respirationsnerven und der N. facialis.... Plötzlich hervorgerufene Vorstellungen von furchtbaren oder verabscheuungswürdigen Gegenständen erregen, auch wenn sie durch bloße erdichtete Erzählungen hervorgerufen werden, bei reizbaren Menschen zuweilen die Muskelbewegung des Schauders, und dasselbe geschieht zuweilen bei der bloßen Vorstellung eines ekelhaften Arzneistoffes; ja die Vorstellung eines ekelhaften Geschmackes kann sogar Vomiturition hervorbringen.“ Wir sehen also hier ein Doppeltes oder Dreifaches. Vorstellungen einer Bewgung erzeugen absichtslos die wirkliche Ausführung der vorgestellten Bewegung; sie erzeugen ferner die Gefühle, welche das wirkliche Vorhandensein des vorgestellten Dinges oder Vorganges erzeugen würde, und diese bloß durch [249] Vorstellungen verursachten Gefühle erzeugen, wie die auf die Wirklichkeit begründeten Gefühle, neue Bewegungen. Für alles dies finden sich in dem genannten Werke noch viele lehrreiche Beispiele und Betrachtungen, von denen wir noch einiges mittheilen. Zuschauer beim Fechten begleiten die Streiche mit leisen unwillkürlichen Bewegungen ihres Körpers. Ferner: „Chevreul hat die Tendenz zu Bewegung, die durch Vorstellung von Bewegungen entsteht, aufgeklärt und an einem verwickelten Fall, nämlich an den Schwingungen eines mit der Hand gehaltenen Pendels erläutert. Die Bewegung des Pendels bei scheinbar unbewegtem Arme wird nämlich nach seinen Untersuchungen durch eine unbewußte leichte Muskelbewegung ausgeführt, in die man unwillkürlich geräth, wenn man, indem man das Pendel hält, zugleich darauf sieht, die aber bei verbundenen Augen wegfällt“. An einer andern Stelle heißt es (I, S. 729): „Ist auch ein Empfindungsnerv“ (hier wird der von uns oben gemachte Unterschied zwischen Gefühl und Empfindung nicht beachtet; letzteres Wort bedeutet hier beides) „für gewöhnlich nicht im Stande, eine reflectirte Bewegung hervorzurufen, so tritt sie doch bei einiger Heftigkeit der Empfindung sogleich auf, und das Rückenmark und Gehirn reflectiren dann die von Seiten der Empfindungsnerven erhaltene Strömung oder Schwingung in diejenigen motorischen Nerven, zu welchen die Leitung von jenen Empfindungsnerven durch die Fasern des Gehirns und Rückenmarkes am

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rappresentazione. Anche in questo movimento operano i nervi respiratori e il n. facialis … Rappresentazioni di circostanze spaventose e abominevoli emerse all’improvviso, anche se soltanto evocate da racconti inventati, a volte, in uomini sensibili, stimolano i movimenti muscolari del rabbrividire, e a volte capita lo stesso per il semplice fatto che ci si immagina un medicinale disgustoso; addirittura l’immaginarsi un sapore nauseante può indurre al vomito». Scorgiamo qui qualcosa di duplice o triplice. Rappresentazioni di un movimento producono in modo non intenzionale il compimento reale del movimento rappresentato; producono, inoltre, i sentimenti che avrebbe prodotto la reale presenza delle cose o dei processi immaginati; e questi sentimenti provocati dalle [249] semplici rappresentazioni danno luogo, come i sentimenti fondati sulla realtà, a nuovi movimenti. In proposito, nell’opera succitata, si trovano molti altri esempi e considerazioni istruttivi, ad alcuni di essi faremo riferimento nel seguito. Spettatori della scherma accompagnano i colpi con lievi, involontari, movimenti del corpo. Inoltre, «Chevreul ha spiegato la tendenza al movimento che sorge attraverso la rappresentazione dei movimenti, e l’ha spiegata in un caso complesso, è a dire in rapporto alle oscillazioni di un pendolo tenuto in mano. Il movimento del pendolo sorretto da un braccio apparentemente fermo, secondo le sue ricerche, è compiuto a causa di un semplice movimento muscolare inconsapevole in cui ci si imbatte involontariamente quando, tenendo il pendolo, lo si osserva, ma che s’interrompe quando si hanno gli occhi bendati87». In un altro luogo si legge (I, p. 729): «Seppure un nervo deputato alla percezione sensibile» (qui non viene considerata la distinzione su proposta tra sentimento e sensazione88; con il termine “percezione sensibile” qui si allude a entrambi i significati) «in genere non è nella condizione di provocare un movimento riflesso, tale movimento si presenta ugualmente a cospetto di una sensazione violenta, in questo caso il midollo spinale e il cervello riflettono la tensione o l’oscillazione dei nervi della percezione su quei nervi motori più facilmente raggiungibili per la disposizione delle fibre cerebrali e del

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leichtesten ist“. Und schon vorher hieß es (S. 728): „Die großen Sinnesnerven sind vorzüglich geneigt, reflectirte Bewegungen der motorischen Gehirnnerven zu verursachen, und namentlich der N. opticus und acusticus; beide bewirken bei grellem Lichte und starkem Schall eine reflectirte Erregung des N. facialis und dadurch Schließen oder Blinzeln der Augenlider“. II. S. 562 ff. ist ausführlich die Rede von den „Wirkungen der Vorstellungen und Strebungen auf den Organismus“, „welche an das Wunderbare grenzen“. Wir entnehmen von dem dort Gesagten nur Folgendes. Die Vorstellungen erregen die Sinne, so daß man glaubt zu sehen, was man nur vorstellt: dies sind die Phantasmen und Hallucinationen. Ferner (S. 561): „Bei Vorstellungen von Zuständen, die durch ein bestimmtes Organ ausgeführt werden, entsteht ein Strom nach diesem Organ, sei [250] es ein Muskel oder eine Drüse“. So läuft das Wasser im Munde zusammen bei der Vorstellung einer angenehm schmeckenden Speise. Lüsterne Gedanken erregen die Geschlechtstheile. „Die Wirkung einer Vorstellung auf Bewegung erfolgt noch leichter, als auf die Sinne. 1) Der Entschluß zu einer Bewegung setzt die ihr entsprechenden Hirnfasern in Thätigkeit, und sie wird ausgeführt, in wie weit es durch das System der CerebroSpinalnerven geschehen kann“ (dies sind nämlich die Nerven der willkürlichen Bewegung). „2) Die Vorstellung einer Bewegung bewirkt einen Strom nach dem Organ der Bewegung, und führt sie ohne Willen aus. Dies ist hier ganz dasselbe, als die Ausführung einer Vorstellung in der räumlichen Ausdehnung des Sinnesorgans. Dahin gehören die ohne den Willen nachgeahmten Bewegungen des Gähnens, Lachens, Seufzens, der Krämpfe beim Sehen derselben. Die mimischen Bewegungen sind gemischte Erscheinungen, bei denen willkürliche Darstellungen mit einlaufen. 3) Plötzliche, ganz leidenschaftslose Veränderungen der Vorstellungen, welche vollkommen objective Verhältnisse betreffen, können unwillkürliche Bewegungen hervorrufen, wie die Bewegung des Lachens. Dahin gehört der plötzliche Widerspruch zweier Vorstellungen oder die überraschende Auflösung eines Widerspruchs“. Die Association der Bewegung und Vorstellung scheint, wie schon bemerkt, nicht immer bestimmt von der Reflexion getrennt

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midollo spinale». E già prima aveva scritto (p. 728): «I più grandi nervi della sensibilità sono particolarmente propensi a provocare movimenti riflessi dei nervi motori cerebrali e, in particolare, il n. opticus e il n. acusticus; entrambi provocano, in presenza di una luce abbagliante e di un suono acuto, un’eccitazione riflessa del n. facialis e attraverso ciò la chiusura o la strizzatura delle palpebre». In II, p. 562 e sgg. è dettagliatamente sviluppata la discussione degli «effetti delle rappresentazioni e delle tensioni sull’organismo», effetti che «conducono al limite del prodigioso». Citiamo da lì solo quel che segue. Le rappresentazioni stimolano i sensi a tal punto che si crede di vedere ciò che soltanto ci si immagina: sono questi i fantasmi e le allucinazioni. Inoltre (p. 561) «A fronte di rappresentazioni di stati, realizzati da un organo particolare, sorge in quest’organo una tensione, sia [250] esso un muscolo o una ghiandola». Così viene l’acquolina in bocca al cospetto della rappresentazione di un cibo particolarmente saporito. Pensieri libidinosi stimolano gli organi deputati alla rigenerazione. «L’effetto di una rappresentazione si riverbera anche più facilmente sul movimento che sui sensi. 1) La risoluzione a un movimento pone in attività le fibre cerebrali a esso corrispondenti ed è eseguita nella misura in cui ciò è possibile in rapporto al sistema dei nervi cerebrospinali» (sono questi, infatti, i nervi deputati al movimento volontario) «2) La rappresentazione di un movimento provoca un flusso sull’organo del movimento e gli dà impulso senza volerlo. Accade qui lo stesso di quel che succede nel dare esecuzione a una rappresentazione che si trovi nell’estensione spaziale degli organi di senso. A ciò appartengono i movimenti involontariamente imitati dello sbadigliare, del ridere, del sospirare, dei crampi alla vista dei crampi. I movimenti mimici sono fenomeni misti in cui s’innestano rappresentazioni volontarie. 3) Cambiamenti improvvisi e asettici di rappresentazioni che si riferiscono integralmente a rapporti oggettivi possono provocare movimenti involontari, come quello del ridere. A questa specie appartiene il contrasto di due rappresentazioni o l’inaspettata risoluzione di un contrasto». Sembra che l’associazione di movimento e rappresentazione, come già notato, non possa sempre essere distinta in

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werden zu können; die Association beruht vielleicht auf einer ursprünglich schwachen Reflexion, die aber theils aufgehoben, theils durch häufiges Eintreten verstärkt wird. Müller sagt (II, S. 104): „Die Verkettung der Vorstellungen und Bewegungen kann so innig werden, wie die der Vorstellungen unter sich, und hier ist es in der That der Fall, daß, wenn eine Vorstellung und Bewegung oft verbunden gewesen sind, die letztere sich oft unwillkürlich zu der erstern gesellt. Durch diese Verkettung geschieht, daß wir bei einer drohenden Bewegung vor den Augen, selbst beim Herabfahren der Hand eines Andern vor unsern Augen, unwillkürlich die Augen schließen; daß wir uns angewöhnen, gewisse Vorstellungen nicht ohne gewisse Gesticulation auszusprechen; daß wir unwillkürlich nach einem uns entfallenden Körper mit den Händen hinfahren; überhaupt je häufiger Vorstellungen und Bewegungen willkürlich zusammen vorkommen, [251] um so leichter werden letztere bei dem Anlaß der erstern mehr durch Vorstellung, als durch Willen bestimmt oder dem Einflusse des Willens entzogen... Die Verkettung der Vorstellungen und Bewegungen scheint darauf hinzudeuten, daß bei jeder Vorstellung eine Bewegungstendenz im oder nach dem Apparate ihrer Darstellung durch Bewegung entsteht, eine Tendenz zu Bewegungen, die durch Uebung und Gewöhnung einen solchen Grad der Leichtigkeit erhält, daß die in gewöhnlichen Fällen bloße Disposition jedesmal in Action tritt.“ In den zuletzt angeführten Fällen ist jedoch das Verhältniß noch ein anderes, als beim Gähnen und Nachahmen des Fechtens; denn man ahmt nicht die gesehene Bewegung vor dem Auge nach, eben so wenig wie das Fallen eines Dinges; sondern man thut etwas ganz anderes, was an sich mit dem Anblick jener Bewegung nicht im Zusammenhange steht. Offenbar schiebt sich hier zwischen den Anblick und die danach ausgeführte Bewegung ein Gedanke ein, nämlich der Gedanke des Unheils, wenn die gesehene Bewegung uns träfe, und dann noch ein neuer Gedanke, nämlich an das Mittel, das vor der drohenden Gefahr schützen könnte. Wir sehen also hier eine

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modo preciso dalla riflessione; l’associazione poggia forse su una riflessione originariamente debole, che in parte è disciolta, in parte rafforzata dal fatto che si ripresenta di frequente. Müller, scrive (II, p. 104): «la concatenazione di rappresentazioni e movimenti può divenire tanto intima quanto quella di rappresentazioni tra loro, e qui, di fatto, si presenta il caso in cui, se una rappresentazione e un movimento sono stati connessi spesso, il movimento si accompagna involontariamente alla rappresentazione. In ragione di questa concatenazione accade che noi, al cospetto di un movimento minaccioso che avvenga davanti agli occhi, anche in presenza di quello della mano di un altro che si abbassa davanti al nostro sguardo, chiudiamo gli occhi involontariamente; accade che siamo adusi ad esprimere alcune rappresentazioni ricorrendo ad una certo modo di gesticolare, accade, ancora, che involontariamente seguiamo con le mani un corpo che ci sta cadendo. In generale, tanto più spesso rappresentazioni e movimenti si presentano arbitrariamente in concomitanza, [251] tanto più è facile che gli ultimi vengano determinati dalle prime, più attraverso la rappresentazione stessa, cioè, che non per mezzo della volontà, ossia vengono sottratti all’influsso di quest’ultima .... La concatenazione di rappresentazioni e dei movimenti sembra indicare il fatto che, in presenza di una qualsiasi rappresentazione, sorge una tendenza al movimento nell’apparato – o è provocata una tendenza al movimento nell’apparato – usato per rappresentare il movimento, una tendenza la quale, attraverso l’esercizio e l’abitudine, raggiunge un grado di spontaneità tale, che la semplice disposizione si attiva ogni qual volta si sia di fronte a casi consueti». Nei suddetti casi però il rapporto è diverso da quello che si ha nello sbadiglio o nell’imitazione della scherma; poiché in essi non si tratta di imitare il movimento osservato, come non si tratta di imitare la caduta di un oggetto; ma si fa qualcosa di completamente diverso, che in sé non ha alcuna connessione con il fatto di aver visto quel movimento. Spesso s’inserisce qui, tra la vista e il movimento poi eseguito, un pensiero, ad esempio: il pensiero della sciagura qualora il movimento osservato ci si facesse incontro, e quindi un altro pensiero: quello del mezzo che fosse in grado di proteggerci dal pericolo che ci minaccia. Qui

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Vergesellschaftung dreier Vorstellungen, deren letzte zur Bewegung wird. Die Bewegung schließt sich nicht unmittelbar an eine Wahrnehmung, sondern erst vermittelst einer Reihe von Gedanken, die aber durchaus unentwickelt bleibt und gar nicht in das Bewußtsein tritt. Eben so sahen wir oben eine Bewegung sich verbinden mit einer Wahrnehmung vermittelst des Gefühls. Denn die Vorstellung eines ekelhaften Gegenstandes erregt zunächst das Gefühl des Ekels und dann die Bewegung des Erbrechens. Was lehrt uns denn nun alles dies? die Entstehung der Sprache? Keineswegs. Die Verknüpfung einer Vorstellung mit einem articulirten Lautgebilde, also mit einer vielfach zusammengesetzten Bewegung der Lautorgane, ist durch die dargestellte Verknüpfung der Vorstellung einer Bewegung mit dem Streben, diese Bewegung auszuführen, keineswegs gleichartig. Die Vorstellung schlagen mag auf die Nerven wirken, welche den Arm heben, die Faust ballen; aber wirkt sie auf die Sprachorgane zur Hervorbringung des Lautes schlagen? Das sind noch zwei sehr verschiedene Wirkungen. Wir haben indeß doch etwas kennen gelernt: nämlich die Verbindung des Gefühls, der Empfindung, der theoretischen Seelenthätigkeit [252] überhaupt mit Bewegungen; und eine solche Verbindung liegt unläugbar in der Sprache vor. Wir haben also die Gattung oder Classe kennen gelernt, zu der die Sprache als eine ganz besondere Art gehört. Fahren wir also nur fort, jene allgemeine Verbindung von theoretischer und practischer Thätigkeit der Seele näher zu betrachten, in ihr Unterabtheilungen und Arten zu unterscheiden. Wir müssen durch immer mehr hinzugefügte Bestimmungen endlich die Art finden, die wir suchen. Unter den angeführten Beispielen können wir schon leicht zwei Classen scheiden. Das Nachahmen der Fechtbewegungen, überhaupt das Ausführen einer Vorstellung ist leicht als verschieden zu erkennen von dem Erbrechen auf eine ekelhafte Vorstellung, vom Lachen auf Kitzel oder einen unerwarteten Gedanken, vom Weinen und Schluchzen oder Aechzen auf körperlichen Schmerz oder eine Trauer erregende Vorstellung. Denn in diesen letztern Fällen wird etwas ganz anderes ausgeführt, als was in der Vorstellung liegt, und Bewegung und Vorstellung stehen hier in

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dunque osserviamo un accostamento di tre rappresentazioni, l’ultima delle quali diviene un movimento. Il movimento non si connette immediatamente a una percezione, ma vi si connette attraverso una serie di pensieri, la quale rimane però del tutto implicita e non diventa cosciente. Esattamente allo stesso modo, prima abbiamo visto un movimento connettersi a una percezione per mezzo di un sentimento, giacché la rappresentazione di un oggetto nauseante, prima stimola il sentimento della nausea e poi il moto del vomito. Che ci insegna tutto questo? La nascita della lingua? Per nulla. La connessione di una rappresentazione con un costrutto sonoro articolato, dunque con un movimento variamente composto degli organi fonatori, non equivale in alcun modo alla tendenza a porre in esecuzione il movimento in ragione della connessione con la rappresentazione su descritta. La rappresentazione colpire può agire sui nervi che sollevano la mano, che serrano il pugno; ma opera sugli organi fonatori producendo il suono colpire? Si tratta di due effetti completamente diversi. E tuttavia abbiamo certo imparato qualcosa, è a dire la connessione del sentimento, della sensazione, dell’attività teoretica dell’anima [252] con i movimenti; e una tale connessione è presente innegabilmente nella lingua. Abbiamo dunque imparato il genere o la classe di cui la lingua, in quanto specie particolare, fa parte. Proseguiamo soltanto nella considerazione di quella connessione generale di attività teoretica e pratica dell’anima, proseguiamo a distinguere in essa sottosezioni e specie. Aggiungendo determinazioni sempre più particolari dobbiamo infine pervenire alla specie che cerchiamo. A partire dai suddetti esempi possiamo già ricavare facilmente due classi. L’imitazione dei movimenti della scherma, l’esecuzione in generale di una rappresentazione, può facilmente esser considerata diversa dal rimettere al cospetto di una rappresentazione nauseante, dal ridere per il solletico o per un pensiero inatteso, dal piangere e singhiozzare o gemere per il dolore fisico o per una rappresentazione che induce tristezza. E ciò poiché in questi ultimi casi è posto in atto qualcosa di completamente diverso rispetto al contenuto della rappresentazione, e movimento e rappresentazione

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gar keinem erkennbaren Zusammenhange. Das Gähnen, wenn es durch den Anblick eines Gähnenden entsteht, gehört zur ersten Classe; das ursprüngliche Gähnen als Erfolg der Langenweile gehört zur zweiten. Das Lachen gehört ebenfalls zu beiden Classen; denn es entsteht nicht bloß durch Kitzel und Anblick oder Vorstellung des Lächerlichen, als zur zweiten Classe gehörig, sondern auch durch Nachahmung des Lachenden, also als Ausführung der Vorstellung des Lachens, und selbst durch den Gedanken des Nicht-Lachens. Man denke an das Spiel der Kinder, die sich ernsthaft ins Gesicht sehen und in Lachen ausbrechen, gerade weil sie den Gedanken, die Absicht des Nicht-Lachens haben. Die Sprache gehört offenbar in die zweite der beiden obigen Classen, wenigstens nach dem, was wir bis jetzt von der Sprache wissen. Ob und inwiefern wir bei näherer Kenntniß des Wesens der Sprache ihre Stellung anders bestimmen, wird sich später zeigen. Für jetzt genügt uns hier die Bemerkung: die Sprache, als Verbindung von Vorstellung und Laut, hat mit den Erscheinungen der zweiten Classe nicht bloß d i e Aehnlichkeit, daß die mit der Vorstellung oder Empfindung verbundene Bewegung durchaus keine Analogie, keinen Zusammenhang mit der Vorstellung oder Empfindung zeigt, auf welche sie erfolgt; sondern die Sprache zeigt mit jenen Erscheinungen auch noch [253] die nähere Verwandtschaft, daß sie ebenso, wie die andern Bewegungen dieser Classe, eine Athembewegung ist. Denn die Erzeugung der Sprachlaute, wie das Lachen, Gähnen, Niesen, Aechzen, Stöhnen sind nichts als ein eigenthümlich abgeändertes Athmen, welches im ruhigen, leidenschafts- und affectlosen Zustande des Menschen unhörbar, tonlos, vorgeht, durch leidenschaftliche Erregungen und Affecte aber gestört, gehemmt, tönend wirkt und hörbar wird. Tönen und Hörbarkeit könnte also als dritte Aehnlichkeit der Sprache mit den Erscheinungen der obigen zweiten Classe gelten. Die Verwandtschaft der Sprache mit den letztern ist also wohl klar und sicher. In der ersten Classe treten wohl auch Athembewegungen auf, aber eben nur unter unzähligen andern Bewegungen. Das Athmen ist hier nicht das Charakteristische. Weil gerade eine Athembewegung vorgestellt, gesehen wird, wird sie ausgeführt, wie es jeder andern eben so hatte widerfahren können; und der Zusammenhang mit der Vorstellung ist klar. –

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non sono posti punto, in questo caso, entro una connessione evidente. Lo sbadigliare, quando sorge dall’osservazione di qualcuno che sbadiglia, appartiene alla prima classe; quando erompe originariamente come effetto della noia, alla seconda. Il ridere appartiene in ogni caso a entrambe le classi; giacché esso non sorge soltanto per il solletico e per l’osservazione o la rappresentazione di cose che fanno ridere, come appartenente alla seconda classe, ma anche per imitazione di chi ride, è a dire come esecuzione della rappresentazione del ridere, ed è suscitato anche dal pensiero del non ridere. Si pensi al gioco dei bambini che si guardano seri in viso e scoppiano a ridere proprio perché hanno il pensiero, l’intenzione, di non ridere. La lingua appartiene evidentemente alla seconda delle suddette classi, per lo meno per quanto ne sappiamo finora. Vedremo più avanti se e in che misura, attraverso una più precisa conoscenza della natura della lingua, la sua posizione sarà determinata diversamente. Per ora sia sufficiente l’osservazione che la lingua, in quanto connessione di rappresentazione e suono, non solo somiglia ai fenomeni della seconda classe per il fatto che il movimento connesso con la rappresentazione o con la sensazione non mostra alcuna analogia con la rappresentazione o la sensazione da cui segue; ma ancor di più [253] per il fatto che, come gli altri movimenti di questa classe, è un movimento respiratorio. Infatti, la produzione dei suoni linguistici, il ridere, lo sbadigliare, lo starnutire, il gemere, il sospirare, non sono altro che modi peculiari di alterazione del respiro; quest’ultimo in circostanze in cui l’uomo è sereno, non turbato da passioni e affetti, procede senza che possa essere udito e senza suono, ma sollecitato e impedito da eccitamenti passionali e da affetti, emette suoni e diviene udibile. Il risuonare e l’udibilità potrebbero dunque valere come terza affinità della lingua con i fenomeni della suddetta seconda classe. La parentela della lingua con questi fenomeni è pertanto certa ed evidente. Anche nella prima classe rientrano movimenti respiratori, ma solo tra innumerevoli altri movimenti. Il respiro qui non è l’elemento caratteristico. Nella prima classe infatti un movimento respiratorio è eseguito proprio perché è rappresentato e osservato, come sarebbe potuto accadere per ogni altro movimento; e la connessione con

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Bei den Erscheinungen der zweiten Classe bleibt es zwar nicht immer bei einer bloßen Athembewegung; sondern es verknüpft sich mit ihr noch manche andere Bewegung. Wenn ein Stein vom Dache vor uns niederfällt, wenn wir plötzlich einen Lärm hören, so fahren wir erschrocken zusammen, indem wir ein h e ! ausstoßen. Aber die Sprache wird ja gerade ebenso von mancherlei Gesticulationsbewegungen begleitet! Und so finden wir hier in einer scheinbaren Unähnlichkeit eine neue Aehnlichkeit. Wird uns nun die reflectirte Athembewegung besonders wichtig, so wollen wir sie uns auch noch vollständiger zu vergegenwärtigen suchen. Kempelen (Le Mécanisme de la parole, Vienne 1791) sagt §. 32: ,,Nous savons que tous les mouvemens violens et les efforts du corps humain causent des variations dans la respiration, la ralentissent ou l’accêlèrent et l’interrompent même quelques fois entièrement pendant quelque temps. Mais aussi les plus legers mouvemens donnent lieu à des variations GHFHWWHQDWXUH,OVXIÀWSDUH[HPSOHGHWRXUQHUVHXOHPHQWOHV yeux sur un autre objet, de porter la main sur une autre chose, pour troubler une respiration régulièrement périodique. – §.  /HV FKDQJHPHQV TXH VXELW QRWUH DPH LQÁXHQW DXVVL VXU OD respiration. Le saisissement, la peur, la colère, la pitié, la joie, l‘amour, tout cela fait une impression sur nos poumons, comme sur le coeur. Mais ce ne sont pas les mouvemens et les passions violentes de [254] l’ame qui seules font cet effet; les plus petites bagatelles occasionnent à proportion les mêmes changemens. /RUVTXHO·HVSULWÀ[HVRQDWWHQWLRQVXUOHSOXVSHWLWREMHWFRPPH sur un grain de sable, la respiration s’arréte quelquefois entièrement, pour ne pas occasioner le moindre mouvement du corps qui pourrait affaiblir l‘application de nos sens .... On pourrait à-peu-près deviner, en faisant seulement attention à la respiration d’une personne sans qu’elle dise un mot, la situation de son esprit, si elle est tranquille, inquiète, contente ou irritée. Nous observons souvent dans des personnes qui se trouvent dans le plus parfait repos de l’ame, un changement subit et nous pourrons souvent déterminer le moment, où une idée est suivie d’une autre. Cela s’observe non seulement lorsque la nouvelle idée est triste ou désagréable, mais même lorsqu’elle est absolument indifferente. L’esprit suivant son chemin uniforme, est arrêté momentanément et doit prendre une autre tournure; pour

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la rappresentazione è evidente. – Nei fenomeni della seconda classe non sempre invero ci si arresta a un semplice movimento respiratorio, ma si connette a esso qualche altro movimento. Quando una pietra del soffitto precipita davanti a noi, quando improvvisamente udiamo un rumore, ci spaventiamo e urliamo ah! Ma la lingua è anche accompagnata da alcuni movimenti della gesticolazione! E pertanto, qui, al cospetto di un’apparente difformità, troviamo una nuova affinità. Il movimento respiratorio riflesso è per noi di particolare importanza, per questo dobbiamo comprenderlo con maggior precisione. Kempelen (Le Mécanisme de la parole, Vienne 1791)89 scrive §. 32: «Noi sappiamo che tutti i movimenti violenti e gli sforzi del corpo umano causano delle variazioni nella respirazione, il suo rallentamento o la sua accelerazione e talvolta persino la interrompono del tutto per qualche tempo. Ma anche i più lievi movimenti danno luogo a variazioni dello stesso tipo. Basta per esempio semplicemnte volgere lo sguardo su un altro oggetto, toccare con la mano un’altra cosa, per alterare una respirazione regolare e periodica. – § 33. Anche i cambiamenti che subisce la nostra anima influiscono sulla respirazione. L’emozione, la paura, la collera, la pietà, la gioia, l’amore, tutto ciò esercita una pressione sui nostri polmoni, come sul cuore. Ma questi effetti non sono determinati solo dai movimenti e dalle passioni violente [254] dell’anima; le più inconsistenti inezie causano in proporzione gli stessi mutamenti. Quando lo spirito fissa la sua attenzione su un oggetto minuscolo, come un granello di sabbia, la respirazione talvolta si arresta del tutto, per non causare il minimo movimento del corpo che potrebbe indebolire l’applicazione dei nostri sensi... Si potrebbe press’a poco indovinare, prestando soltanto attenzione alla respirazione di una persona, senza che questa dica una sola parola, la condizione del suo spirito: se è tranquilla, inquieta, contenta o irritata. Noi osserviamo spesso nelle persone che si trovano nella più perfetta quiete dell’anima un mutamento improvviso e spesso possiamo determinare il momento in cui a un’idea ne segue un’altra. Questo si osserva non soltanto quando l’idea emergente è triste o sgradevole, ma anche quando è del tutto indifferente. Lo spirito che segue il suo cammino uniforme è improvvisamente arrestato e deve prendere un’altra direzione;

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cela il a besoin de nouvelles forces qu’il trouve dans l’air frais respiré en abondance.“ Hören wir nun noch, wie einer der besten Denker unserer Zeit, Lotze, den Einfluß der Reflexbewegung auf die Entwickelung der Seele, überhaupt die Zweckmäßigkeit dieser physiologischen Einrichtung des Leibes darlegt (Medicinische Psychologie S. 289ff.): „Unbekannt mit der Structur und den Kräften ihres Körpers, würde die Seele nie errathen, daß ihre Glieder zur Bewegung bestimmt sind, und nie sie in Bewegung zu setzen lernen, wenn nicht unabhängig von ihr in dem Körper selbst Motive zur Vollziehung von Bewegungen lägen, deren spontan erfolgende Wirkung sie beides „(Bewegung und Wirkung)“ lehrt. So lange ein thieriseher Körper lebt, müssen wir uns in seinen motorischen Nerven und in ihren Centralorganen einen geringen Grad der Thätigkeit beständig fortgehend denken, durch welchen die elastische Haltung auch des ruhig und tief schlafenden sich noch sehr von der Erschlaffung des todten Körpers unterscheidet. Wirkten keine äußern Reize ein, welche bestimmte Bewegungen zu erzeugen geeignet wären, so würde vielleicht die Reizlosigkeit der Nerven selbst ihre Erregbarkeit so wachsen lassen, daß sie unter dem Einfluß der kleinen Anstöße, die ihnen der fortgehende Stoffwechsel immer zuführt, zu ungeordneten Bewegungen ausbrechen müßten. Aber die Geburt eines Thieres führt ohnedies einen so großen Wechsel der äußern [255] Umstände mit sich, daß alle Nerven des Körpers und mit ihnen die Centralorgane eine bedeutende Veränderung ihres Erregungszustandes erfahren müssen; eine Mannigfaltigkeit von Bewegungen begleitet daher ebenso wie mancherlei Gefühle der Unlust, die ersten Lebensaugenblicke unvermeidlich. Doch die Seele würde bei der Ueberzahl der gleichzeitigen Eindrücke, die hier auf sie einstürmen, und bei der Stumpfheit ihrer ungeübten Wahrnehmungskraft wenig Nutzen von ihnen ziehen, wenn nicht auch späterhin die Bewegungen der Glieder noch häufig auf diesem mechanischen Wege durch das periodische Wachsen der physischen Nervenerregungen sich wiederholten. Und da diese Bewegungen von den Centraltheilen ausgehen, in denen die Nerven so verflochten sind, daß ein einzelner Anstoß sie gruppenweis in zweckmäßiger Verbindung anregt, so wird dieser physiologische

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pertanto necessita di nuove forze che trova nell’aria fresca che inspira in abbondanza». Ascoltiamo ora come uno dei massimi pensatori della nostra epoca – Lotze – spiega l’influenza del movimento riflesso sullo sviluppo dell’anima e in generale il finalismo della costituzione fisiologica del corpo (Medicinische Psychologie, p. 289 e sgg.)90: «Inconsapevole della struttura e delle forze del proprio corpo, l’anima non immaginerebbe mai che le sue membra sono fatte per il movimento e non imparerebbe mai a porle in movimento, se, indipendentemente da essa, nel corpo stesso non risiedessero ragioni sufficienti al compimento dei movimenti, dal cui effetto spontaneo essa apprende l’esistenza di entrambi» (del movimento e dell’effetto). «Fintanto che un corpo animale è in vita, dobbiamo figurarci, nei suoi nervi motori e nei suoi organi centrali, un minimo grado di attività permanente, grazie a cui la struttura elastica anche dei corpi profondamente sopiti si distingue significativamente dal logoramento dei corpi senza vita. Se non operassero stimoli esterni adeguati a produrre determinati movimenti, sarebbe probabilmente la mancanza di stimolazione stessa dei nervi a lasciar crescere la loro eccitabilità in misura tale che essi, sotto l’influsso dei più piccoli impulsi che il permanente metabolismo rimanda loro ininterrottamente, darebbero in movimenti disordinati. Ma la nascita di un animale porta comunque con sé un tale mutamento delle circostanze esterne [255], che tutti i nervi del corpo, e con essi gli organi centrali, devono andar incontro a un’importante trasformazione del loro stato d’eccitamento; una molteplicità di movimenti pertanto accompagna inevitabilmente i primi istanti di vita, proprio come alcune sensazioni di riluttanza. Certo l’anima, in ragione del soprannumero di impressioni simultanee che in questo caso la assalgono e per l’insensibilità della sua forza percettiva non ancora esercitata, potrebbe trarre da queste impressioni poco giovamento, se, anche più avanti, i movimenti delle membra non si ripetessero spesso, secondo questo corso meccanico, grazie alla crescita periodica delle eccitazioni fisiche nervose. E poiché questi movimenti promanano dalle zone centrali, in cui questi nervi sono così intrecciati che un singolo impulso li stimola a gruppi connessi tra loro in modo appropriato allo

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Mechanismus jedem Thiere die seiner Gattung eigenthümlichen Bewegungen öfter wieder vorführen, ehe es lernt, sie für seine Zwecke zu benutzen.... Dieselben Bewegungen, die wir durch innere Erregung der Centralorgane zwecklos und ohne Bezug auf äußere Objecte entstehen sahen, werden jedoch auch auf demselben automatischen Wege durch äußere Reize erweckt. Sensible Nerven leiten ihre Erschütterung bis zu den Centralorganen; dort kann der Strom der Erregung sich in zwei Arme theilen, deren einer zu dem Sitze der Seele dringend, in ihr eine Empfindung des Reizes erweckt, während der andere unmittelbar auf die motorischen Organe fortwirkend, in ihnen mit mechanischer Nothwendigkeit eine zweckmäßig gruppirte Bewegung erzeugt.“ (S. 291.) „Diese Reflexbewegungen erscheinen daher, wie die Buchstaben des Alphabets, als die einfachen Elemente der Zweckmäßigkeit, welche die Natur mechanisch determinirt der Seele zu Gebote stellt, indem sie es ihr überläßt, unter dem vereinigten Einflusse der Sinnesempfindungen und der Ueberlegung sie zu hinlänglich feinen und lenksamen Mitteln zu combiniren, um der unendlichen Mannigfaltigkeit möglicher Reize gewachsen zu sein ... Nur die Beherrschung eines gegebenen Mechanismus kann für die Seele von Werth sein; ihn selbst hervorzubringen und zu dirigiren, würde nur eine lästige und überflüssige Erschwerung ihrer Aufgabe sein ... Wie schlecht würde es um unser Leben stehen, sollte die Ueberlegung es vertheidigen, und nicht der Mechanismus! Man frage Jemand, wie er es anfangen würde, um fremde Körper aus der Luftröhre zu [256] entfernen: er wird vielleicht eher auf Tracheotomie rathen, als auf Husten“ (welches eine mechanische, unwillkürliche und unumgängliche Reflexbewegung ist, veranlaßt durch das Gefühl, den Reiz des fremden Körpers); „und wie würde das Neugeborene zur Nahrungsaufnahme gelangen, wenn es Saug- und Schlingbewegungen erst zu erfinden hätte?“ (Sobald die hintere Zunge gereizt wird, entsteht durch dieses Gefühl die Reflexbewegung des Schlingens; daher muß man einen Bissen oder einen harten Kern, der zufällig etwas zu weit in den hintern Theil des Mundes gerathen ist, gegen den Willen hinunterschlucken). „Mißtrauisch gegen den Erfindungsgeist der Seele hat vielmehr die Natur dem Körper diese Bewegungen, als mechanisch vollkommen bedingte Wirkungen der Reize mitgegeben. Und auch wo Bewegungen nach innern Zuständen der Seele

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scopo, di frequente questo meccanismo fisiologico riporterà ad ogni animale i movimenti tipici della sua specie, prima che esso impari a utilizzarli per i suoi fini … Gli stessi moti che vedemmo sorgere attraverso un’eccitazione interna degli organi centrali senza un fine e senza relazione a oggetti esterni, sono risvegliati anche attraverso stimoli esterni grazie allo stesso processo automatico. Nervi sensibili conducono la loro commozione sino agli organi centrali; lì l’energia dell’eccitamento può dividersi in due rami, uno dei quali, penetrando nella sede dell’anima, risveglia in essa una sensazione di stimolo; mentre l’altro continuando a operare immediatamente sugli organi motori, produce in essi con necessità meccanica un movimento adeguatamente coordinato» (p. 291). «Questi movimenti riflessi appaiono quindi come le lettere dell’alfabeto, come gli elementi semplici del finalismo, che la natura offre all’anima secondo una determinazione meccanica, così da lasciare che essa, sotto l’influsso unitario delle sensazioni e della riflessione, li trasformi in mezzi sufficientemente docili e malleabili da essere all’altezza dell’infinita molteplicità degli stimoli possibili … Solo il dominio di un meccanismo dato può avere valore per l’anima; produrlo e dirigerlo sarebbe soltanto un pesante e superfluo aggravio del suo compito … Come sarebbe difficile stare in vita se fosse la riflessione, e non il meccanismo, a dover proteggere! Si chieda a qualcuno come farebbe a [256] espellere un corpo estraneo dalla trachea, costui, probabilmente, consiglierebbe una tracheotomia piuttosto che la tosse» (che è un movimento riflesso meccanico, involontario e semplice, causato dalla sensazione, dallo stimolo del corpo esterno); «e come riuscirebbe a nutrirsi il neonato se dovesse prima inventare i movimenti del suggere e dell’inghiottire?» (Non appena è stimolata la parte bassa della lingua sorge, attraverso questa sensazione, il movimento riflesso dell’inghiottire; per questo si devono inghiottire controvoglia un boccone o un seme duro che siano scivolati casualmente un po’ troppo in profondità all’interno del cavo orale). «Con diffidenza verso lo spirito inventivo dell’anima, la natura ha assegnato al corpo questi movimenti come effetti dello stimolo condizionati in modo assolutamente meccanico. Anche lì dove i movimenti devono seguire da stati interni

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erfolgen sollen“ (wie bei der Sprache), „war es zweckmäßig, daß die Natur nicht die Erfindung des erzeugenden Anstoßes zu ihnen, sondern nur die eventuelle Verhinderung ihres Entstehens der Seele überließ“ (also nicht die Erfindung der Sprache, sondern das Schweigen), „so daß im Allgemeinen der Naturzustand darin besteht, daß die Bewegungen unwillkürlich dem Laufe der innern Zustände folgen, während die Bildung die allzugroße Leichtigkeit dieses Ueberganges hemmt.“ – Nun noch Folgendes zum Schlusse dieses Auszuges: „In den Reflexbewegungen war eine Mitwirkung der Seele überhaupt nicht nothwendig, obgleich sie nebenbei häufig stattfand, indem nicht nur der veranlassende Reiz wahrgenommen, sondern auch die von selbst entstehende Bewegung noch außerdem gewollt werden konnte. In den physiognomischen oder mimischen Bewegungen sehen wir andere Beispiele eines solchen Mechanismus, in welchen jedoch der Anfangspunkt des ganzen Processes ein innerer Seelenzustand, die bestimmte Art und Größe der Gemüthserregung ist. Doch hängen diese Bewegungen weder von unserer Intelligenz, noch von unserm Willen ab; denn weder wüßten wir einen Grund, warum Lachen mit Lust, Weinen mit Schmerz verbunden sein müßte, und nicht umgekehrt, noch vermögen wir ohne Uebung und gewaltsame Anstrengung die unwillkürliche Entstehung der Gebärden zu unterdrücken. Auch sie sind deshalb Erfolge, welche ein Zug der physischen Organisation unsern innern Zuständen mit mechanischer Nothwendigkeit zugesellt hat, und ihnen schließt sich die Sprache an, die so [257] wenig, als der Ausdruck des Gesichtes, eine Erfindung menschlichen Scharfsinnes ist. Jedes unwillkürliche Seufzen, jeder Schmerzenslaut, so wie der Gesang stimmbegabter Thiere überzeugt uns, daß eine physiologische Nothwendigkeit die Erregung sensibler Nerven und der Centralorgane vorzugsweise auf die Muskeln der Respiration und der Stimme überführt, theils um eine erleichternde Ausgleichung der physischen Nervenerschütterung zu bewirken, theils um der Seele auch dieses Mittel des Ausdrucks innerer Zustände vorzuführen und es ihrer ausbildenden Besitznahme und Verwendung zu übergeben.“ Sobald ich die Erscheinuugen der associirten und reflectirten Bewegungen, zunächst in Müllers Vorlesungen, dann in seinem Werke Über die Physiologie, kennen lernte, gerieth ich auf den Ge-

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dell’anima» (come nel caso della lingua), «era appropriato che la natura lasciasse agli stati dell’anima non l’invenzione degli impulsi produttivi, ma solo l’eventuale impedimento del loro nascere al suo interno» (non dunque l’invenzione della lingua, ma del tacere), «tanto che lo stato di natura in generale consiste nel fatto che i movimenti seguono involontariamente il corso delle disposizioni interne, mentre la cultura raffrena l’eccessiva facilità di questa conversione in movimento». – Ancora quel che segue, per concludere questa citazione: «nei movimenti riflessi una cooperazione dell’anima non era proprio necessaria, sebbene essa ebbe luogo in aggiunta, perché non solo poteva essere percepito lo stimolo prodotto, ma si poteva anche voler dominare al di là di quello, il movimento sorto da sé. Nei movimenti fisiognomici o mimici scorgiamo altri esempi di un tale meccanismo in cui il punto di partenza dell’intero processo è una disposizione interna dell’anima, un tipo e una quantità specifica di eccitazione dell’anima. Certo, questi movimenti non dipendono né dalla nostra intelligenza né dalla nostra volontà; poiché non fummo in grado di scoprire la ragione per cui il ridere dovesse essere collegato al piacere e il piangere al dolore e non piuttosto il contrario; e mai possiamo, senza esercizio e uno sforzo violento, sopprimere il nascere involontario dei gesti. Anche i gesti pertanto sono effetti che una parte dell’organizzazione psichica ha associato con necessità meccanica agli stati interni, e a essi è riconducibile la lingua, che non è [257] un’invenzione del senno umano, come l’espressione del volto non è invenzione dell’umana intelligenza. Ogni gemito involontario, ogni grido di dolore, anche il canto di animali dotati di voce, ci convince del fatto che una necessità fisiologica trasferisce di preferenza l’eccitazione dei nervi sensibili e del sistema nervoso sui muscoli della respirazione e della voce; e ciò in parte per dar luogo a una compensazione che scarica la commozione fisica dei nervi, in parte per apportare all’anima anche questo mezzo per l’espressione delle disposizioni interne, passandolo a essa perché ne prenda possesso e lo utilizzi per il suo sviluppo». Da quando sono venuto a conoscenza dei fenomeni dei movimenti associati e riflessi, anzitutto attraverso le lezioni di Müller91, poi nella sua opera sulla fisiologia, mi sono persuaso

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danken, daß auch die Sprache nur eine weitere und höchst merkwürdige Ausbildung einer ursprünglich mechanisch entstandenen Reflexbewegung sei, und bin erfreut, diese Ansicht schon bei Kempelen, noch mehr aber bei Lotze zu finden, wodurch mir die Sache zur Gewißheit wird. Daß die Sprache eine Erfindung sei, davon kann heute nur noch als von einer ehemaligen Ansicht geschichtlich geredet werden. Immer aber blieb doch die Ansicht der Sprachforscher, Humboldts sowohl, wie der historischen, nur unbestimmt und schwankend. Nicht Erfindung; aber was denn? das wußte man nicht klar zu sagen. Jetzt kennen wir die ganze Gattung von Erscheinungen, denen die Sprache als besondere Art unterzuordnen ist; und ich denke, die obigen Citate sind allgemein verständlich. Hiermit ist jedoch erst die Hälfte der Definition gegeben. Zwischen dem Lachen und allen sonstigen Reflexbewegungen einerseits und der Sprache andererseits liegt eine große Kluft, die wir erst noch, so weit es geschehen kann, auszufüllen uns bemühen müssen. Zunächst noch eine anatomisch-physiologische Bemerkung. Die Sprachbewegungen unterscheiden sich zuerst vom Lachen und Weinen durch ihre größere Mannigfaltigkeit. Schon die Interjectionen des Schmerzes und der Freude sind mannigfaltiger, als Lachen und Weinen; außerdem aber giebt es noch andere Interjectionen, und diese überhaupt sind doch noch nicht einmal die Anfänge der Sprache. Der Ausdruck der Gesichtszüge aber, je nach den verschiedenen innern Erregungszuständen, dürfte eine gleiche Mannigfaltigkeit und Verschiedenheit zeigen, [258] wie die Interjectionen. Er wird durch den N. facialis erzeugt, und Müller bemerkt hierüber (II, S. 92.): „Der so äußerst verschiedene Ausdruck der Gesichtszüge in den verschiedenen Leidenschaften zeigt, daß je nach der Art der Seelenzustände ganz verschiedene Gruppen der Fasern des N. facialis in Thätigkeit oder Abspannung gesetzt werden. Die Gründe dieser Erscheinung, dieser Beziehung der Gesichtsmuskeln zu besondern Leidenschaften sind gänzlich unbekannt.“ Der N. facialis, der physiognomische Nerv, ist „der sensibelste Leiter leidenschaftlicher Zustände“ (ebenda), und wir sehen an ihm, wie ein Nervenfaden vermöge der Spaltung seiner Fasern mannigfach und verschiedenseitig wirken kann. Der Nervus facialis ist nicht eigentlich ein Nerv für die Sprachbewegung; aber er geht doch auch in die Muskeln, wel-

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che anche la lingua non sia altro che una formazione ulteriore e suprema di un movimento riflesso sorto originariamente in modo meccanico; e sono lieto di ritrovare questa prospettiva già in Kempelen e, ancor di più, in Lotze, grazie a cui la questione è stata risolta con certezza. Del fatto che la lingua sia un’invenzione, oggi può ormai discutersi in senso storiografico, solo come di una prospettiva del passato. La prospettiva dei linguisti, anche quella di Humboldt, e quella degli storici della lingua, tuttavia, rimase sempre imprecisa e oscillante. Non si tratta di un’invenzione, di cosa allora? Non si era in grado di dirlo con chiarezza. Ora conosciamo l’intero genere dei fenomeni di cui la lingua fa parte come specie particolare; e credo che le citazioni su riportate siano universalmente comprensibili. Con ciò è data la metà della definizione. Tra il ridere e tutti gli altri movimenti riflessi da una parte e la lingua dall’altra vi è un’ampia frattura che dobbiamo sforzarci, per quanto possibile, di ripianare. Prima, ancora un’osservazione anatomico-fisiologica. I movimenti linguistici si distinguono dal ridere e dal piangere anzitutto per la loro maggiore varietà. Già le interiezioni di dolore e gioia sono più varie del ridere e del piangere; oltre a queste, ci sono però altre interiezioni e nemmeno queste, d’altra parte, costituiscono gli inizi della lingua. L’espressione dei tratti del volto, tuttavia, come le interiezioni, dovrebbe mostrare [258] una varietà e differenziazione corrispondenti ai diversi stati d’eccitazione interni. L’espressione del volto è prodotta dal n. facialis e Müller osserva in proposito (II, p. 92): «L’espressione dei tratti del viso, in sommo grado diversa in relazione a passioni diverse, mostra che, secondo il tipo di stato d’animo, sono posti in attività o in tensione gruppi completamente diversi di fibre del n. facialis. Le ragioni di questo fenomeno, di questa relazione dei muscoli del volto con passioni particolari, sono completamente ignote». Il n. facialis, il nervo fisionomico, è «il conduttore più sensibile degli stati passionali» (ibidem), grazie a esso scorgiamo come un unico nervo può operare, in ragione della divisione delle sue fibre, in modo vario e diverso. Il n. facialis, in verità, non è un nervo preposto al movimento linguistico; ma giunge ai muscoli che traggono la ma-

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che die Kinnlade abziehen und das Zungenbein erheben; und so, denke ich, muß er auch die Zunge irgendwie ein wenig erregen, indem er dem Gesicht den Ausdruck giebt. Wird aber die Zunge bewegt, so müssen doch dadurch auch wohl die Nervenfasern der Zunge, welche besonders die Sprachbewegungen leiten, in Reizung versetzt werden. Also muß der N. facialis mittelbar wohl auch zur Erzeugung der Töne wirken*. Gewiß ist, daß „er bei allen verstärkten and angestrengten Athembewegungen, besonders bei geschwächten Menschen, mitafficirt ist“ (das. I, 792.). Die eigentlichen Nerven der Sprachbewegungen sind der N. vagus und N. hypoglossus; der erstere „verbreitet sich constant in den Stimm- und Athemwerkzeugen“, der andere ist „der motorische Nerv der Zunge bei allen Bewegungen dieses Organs zum Sprechen, Kauen, Schlingen u.s.w. Er ist aber auch der Bewegungsnerv der großen Muskeln des Kehlkopfes und Zungenbeins“ (I, 795.); und hier, denke ich, muß er, der eigentlich articulirende Nerv, mit dem so leicht reizbaren physiognomischen N. facialis sich mittelbar begegnen. Wenn dies richtig wäre, so hätten wir jetzt nicht bloß das Athmen und Tönen, sondern auch die Articulation überhaupt, also die Elemente der Sprache, als von innern Erregungen reflectirte Ausdrucks- [259] oder physiognomische Bewegungen kennen gelernt. Hierzu nehme man nun noch, daß die Reflexionsbewegung durch die wachsende Bildung der Seele, die steigende Selbstherrschaft des Menschen gehemmt und dadurch unterdrückt und geschwächt wird, woraus wir rückwärts schließen müssen, daß sie ursprünglich beim Neugebornen und beim Wilden, noch mehr aber beim Urmenschen ungleich kräftiger, durchgängiger, und darum auch bestimmter war, als wir sie heute an uns beobachten können: so wird man es nicht allzu gewagt finden, wenn wir meinen, daß bei den Urmenschen erstlich keine Seelenerregung vorging ohne eine entsprechende, reflectirte körperliche Bewegung; und zweitens auch, daß jeder bestimm-

* Von solcher Erregungsweise eines Nerven mittelst eines andern, nämlich daß ein Nerv durch den Muskel, in welchem er verläuft, gereizt wird, weil dieser von einem andern Nerven, der ebenfalls auf ihn wirkt, zur Behegung gebracht ist, habe ich zwar nichts gelesen; sollte sie aber unmöglich sein?

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scella e sollevano lo ioide92; per questo penso che esso, dal momento che dà l’espressione al volto, debba anche in certa misura stimolare la lingua. Ma se la lingua è posta in movimento, allora devono essere eccitate anche le fibre nervose della lingua preposte nello specifico ai movimenti linguistici. Il n. facialis deve dunque operare in modo mediato anche per la produzione dei suoni*. È certo che «il n. facialis è affetto da tutti i movimenti respiratori potenziati e intensi, soprattutto negli uomini debilitati» (ivi, I, p. 792). I nervi preposti ai movimenti linguistici in senso proprio sono il n. vagus e n. hypoglossus; «il primo si riverbera costantemente sugli organi fonatori e respiratori», l’altro è «il nervo motorio della lingua, in tutti i movimenti di quest’organo funzionali al parlare, al masticare, all’inghiottire etc. È anche però il nervo motorio dei grandi muscoli della laringe e dello ioide» (I, 795); e qui, credo, il n. hypoglossus, il nervo preposto in senso proprio all’articolazione, deve incontrarsi indirettamente con il n. facialis fisiognomico tanto facilmente eccitabile. Se ciò fosse giusto, allora avremmo conosciuto come movimenti fisiognomici o espressivi [259], riflessi di eccitazioni interne, non solo il respiro e l’emissione di suoni, ma anche in generale l’articolazione, ovvero tutti gli elementi della lingua. A ciò si aggiunga ancora che il movimento riflesso è impedito, e pertanto trattenuto e indebolito, per mezzo della crescente cultura93, dell’autocontrollo crescente dell’uomo; dal che, andando indietro, dobbiamo trarre che il movimento riflesso originariamente, nel neonato, nel selvaggio e ancor di più nell’uomo primitivo, era incommensurabilmente più potente, più diffuso, e pertanto anche più marcato di come oggi possiamo osservarlo in noi: non si troverà allora eccessivamente audace la nostra opinione secondo cui negli uomini primitivi non si presentava alcuna eccitazione dell’anima che non fosse seguita da un corrispondente movimento corporeo riflesso; e in secondo luogo, che ogni preciso particolare moto dell’ani* Di questa eccitazione di un nervo tramite un altro, è a dire del fatto che un nervo sia stimolato da un muscolo a cui s’intreccia, giacché il muscolo è posto in movimento da un altro nervo che altresì agisce su di esso, invero non ho mai letto nulla; dovrebbe tuttavia ritenersi ciò impossibile?

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ten, besondern Seelenbewegung eine bestimmte körperliche entsprach, welche physiognomisch und tönend zugleich war. Nachdem wir so die Elemente der Sprache, wie sie gewissermaßen im vorsprachlichen Zustande der Menschen gegeben sind, kennen gelernt haben, könnten wir versuchen, sie in das lebendige Spiel der Sprachthätigkeit zu versetzen. Wir müssen jedoch zuvor den innern Besitzstand der Seele auf ihrer vorsprachlichen und also – da man die Sprache immer als Scheidungszeichen zwischen Mensch und Thier angesehen hat – thierischen Bildungsstufe etwas näher betrachten. Dies wird natürlich bloß darauf hinauslaufen, das Wesen der Empfindungserkenntnisse, der Wahrnehmung, zu entwickeln. Wir können diese Arbeit nicht umgehen. Denn wir müssen doch den Boden ausbreiten, auf oder aus welchem sich die Sprache erhebt, um dann weiter sehen zu können, was und wie die Sprache, in Gemäßheit des ihr in der Seele Vorangehenden und der allgemeinen Entwicklungsweise der Seele, für die Fortbildung derselben, für die Entfaltung ihres Wesens wirkt; was die Seele durch sie gewinnt, was sie sich in ihr schafft und giebt. §. 90. Vergleichung der menschen- und Thierseele [...] [291] Wir fügen nun zum Beschlusse dieser Vergleichung des Menschen mit dem Thiere noch eine Bemerkung hinzu, die das Wesen der Sprache näher als alles früher Erwähnte betrifft und diese Betrachtung mit der vorangehenden über den Zusammenhang von Leib und Seele zusammenschließt. Nämlich: die Thierseele wird von jeder leiblichen , sinnlichen Affection, von Schmerzund Lustgefühl, wie von der Empfindungen , aufs lebhafteste mit ergriffen, ohne Herr der Affection zu werden. Umgekehrt wird beim Menschen der Leib durch die Affectionen der Seele mitbewegt. Denn hat die menschliche Seele die Uebermacht über den Leib, muß sie ihn ernähren, waren, schützen, bleibt sie den Sinneseindrücken gegenüber ihrer selbst mächtig und wird nicht hingerissen in den Strudel sinnlicher Empfindung: so wirkt sie auch aus eigener Erregung so kräftig auf den Leib zurück, dass dieser zum treuen Spiegel ihrer Bewegungen wird. Die Thierseele ist der Reflex des thierieschen Leibes; beim Menschen reflectiert der Leib die Seele. Sicht- und hörbare leibliche Veränderungen, veranlasst durch Seelenerregungen, verrathen uns die unsichtbaren Seelenbewegungen, deren Reflex sie sind. Dies ist der Quell der Sprache.

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ma corrispondeva a uno specifico movimento corporeo, equivalente dal punto di vista fisiognomico e sonoro. Dopo aver conosciuto in questo modo gli elementi della lingua che, per dir così, sono dati nella condizione prelinguistica dell’uomo, potremmo tentare di trasferirli nel gioco vivente dell’attività linguistica. Prima, tuttavia, dobbiamo prendere in considerazione un po’ più da vicino il patrimonio dell’anima al suo livello di formazione prelinguistico ovvero animale, dal momento che si è sempre considerata la lingua come carattere distintivo dell’uomo rispetto all’animale. Ciò ci condurrà subito a sviluppare la natura della conoscenza sensibile, della percezione. Non possiamo evitare questa ricerca. Dobbiamo poi spiegare su che piano s’innalza e da che piano emerge la lingua, per poter quindi vedere come essa opera in conformità agli stadi dell’anima che la precedono e in rapporto al suo sviluppo generale, in funzione del suo avanzamento e per il dispiegamento della sua essenza; cosa l’anima consegua grazie ad essa, cosa si produca e si dia nella lingua94. §. 90. Comparazione dell’anima animale e umana […] [291] Aggiungiamo solo, in conclusione di questo paragone dell’uomo con l’animale, un’osservazione che coglie l’essenza della lingua in modo più accurato di tutto ciò che è stato detto finora e mette in rapporto questa trattazione con quella precedente relativa alla connessione di corpo e anima. L’anima animale è colpita nel modo più violento da ogni affezione corporea e sensibile, dal dolore, dal piacere e dalle sensazioni, e non è in grado di dominare l’affezione stessa; al contrario, nell’uomo, il corpo è commosso dalle affezioni dell’anima. Poiché l’anima dell’uomo esercita una superiorità sul corpo, deve nutrirlo, proteggerlo, sostenerlo, allora rimane di fronte alle impressioni sensibili padrona di sé e non è travolta nel vortice della sensazione; essa quindi, a partire dalla propria eccitazione, reagisce così potentemente sul corpo che quest’ultimo diviene lo specchio fedele dei suoi moti. L’anima dell’animale è il riflesso del corpo dell’animale; nell’uomo, il corpo riflette l’anima. Mutamenti corporei della vista e dell’udito provocati da eccitazioni dell’anima ci disvelano i moti invisibili dell’anima di cui sono il riflesso. È questa

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Der Körper ist stumm, wenn er seine eigene Masse, sein eigenes Gewicht gelten lässt; er spricht, indem er die Form annimmt, die ihm die Seele aufprägt. Die Herrschaft des Geistes über den Körper [292] bricht in Tönen aus, und Freiheit ist das Wesen der Sprache. §. 91. Sprache als Befreiungsact der Seele. Das Sprechen ist also eine Befreiungsthätigkeit. Das fühlen wir ja alle heute noch, wie wir unsere Seele erleichtern, von einem Drucke befreien, indem wir uns äußern. Die Sprache wirkt hier wie ein Thränenerguß, und oft zusammen mit ihm. Besonders aber das erste Hervorbrechen der Sprache beim Kinde und beim Urmenschen ist eine Befreiung der Seele von dem Drucke der auf sie eindringenden Sinnesempfindungen. Denn je größer bei der fortschreitenden Entwickelung des Geistes die Selbstbeherrschung wird, desto mehr lernen wir schweigen, d. h. die von außen kommenden Eindrücke auch ohne Sprache überwinden; gemäß dem ursprünglichen Verhältnisse aber muß man ganz eigentlich, und nicht bloß bildlich, sagen: so wie ein elastischer Körper, der erschüttert wird, in einen tönenden Zustand versetzt wird und sich durch dieses Tönen von dem empfangenen Stoße losmacht, indem er ihn der Luft weiter giebt: eben so tönt der Mensch, erregt durch die auf ihn einstürmenden Gefühle und Anschauungen, in der Sprache und befreit sich von den empfangenen Eindrücken, indem er sie an die Luft abgiebt durch das Wort. Wie gesagt, wir bewegen uns hier nicht in Metaphern, sondern stehen auf dem Boden der genauen Lehre von den physikalischen Kräften. Es ist zu interessant, die Sprache als Reflexbewegung unter das allgemeine Gesetz der physikalischen Kräfte zu bringen, und sie so von dem umfassendsten Standpunkte aus anzusehen, als daß ich mir versagen könnte, die hierauf bezüglichen Bemerkungen aus Lotzes Allgemeiner Physiologie (S. 450 ff.) ausführlicher mitzutheilen. Gehen wir nämlich davon aus, daß jede Wirkung einer Kraft auf einen Körper, nach dem Gesetze der Trägheit, so lange fortdauert, als sie nicht durch entgegengesetzte Widerstände aufgezehrt wird, wenn auch nicht nur ihre Richtung, sondern auch ihre Form sich so umgestalten kann, daß sie nur in einem ihrer Größe entsprechenden Aequivalent eines anderen von ihr angeregten Processes fortdauert: so bemerken wir nun auch, daß auf den lebendigen Körper in jedem Augenblicke

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la fonte della lingua. Il corpo è muto quando prevale la sua massa, il suo peso; parla quando assume la forma che l’anima gli imprime. Il dominio dello spirito sul corpo [292] prorompe in suoni, e la libertà è l’essenza della lingua. §. 91. La lingua come atto liberatorio dell’anima Il parlare è dunque un’attività liberatoria. Ancora oggi tutti noi sentiamo come nell’esprimerci alleggeriamo la nostra anima, la liberiamo da una compressione. La lingua opera qui come un’emissione di lacrime e di frequente insieme a essa. È però il primo erompere della lingua nel bambino e nell’uomo primitivo a configurarsi, in particolare, come una liberazione dell’anima dalla pressione che le sensazioni esercitano su di essa. Giacché, quanto più con lo sviluppo progressivo dello spirito cresce il dominio di sé, tanto più impariamo a tacere, è a dire a far fronte alle impressioni che ci giungono dall’esterno anche senza la lingua; riguardo al rapporto originario però bisogna dire, in senso proprio e non meramente figurato, che come un corpo elastico che viene scosso è posto in una condizione tonale e attraverso il suono si libera dall’urto ricevuto perché quest’ultimo trapassa nell’aria, così l’uomo eccitato dai sentimenti e dalle intuizioni che si dibattono in lui risuona nella lingua e si libera dalle impressioni ricevute consegnandole, per mezzo della parola, all’aria. Come detto, qui non muoviamo entro il dominio delle metafore, ma rimaniamo saldi sul terreno dell’esatta teoria delle forze fisiche. È troppo interessante ricondurre la lingua, come movimento riflesso, sotto la legge universale delle forze fisiche e osservarla dalla più ampia prospettiva possibile, perché io possa astenermi dal riferire in modo dettagliato le riflessioni al riguardo tratte dalla Allgemeine Physiologie di Lotze (p. 450 e sgg.)95. Partiamo allora dal fatto che ogni effetto della forza su un corpo, secondo la legge dell’inerzia, dura finché non viene dissolto da ostacoli che si frappongono, almeno che, assieme alla direzione, non ne muti la forma tanto da proseguire in un processo equivalente da esso stimolato, conforme alla sua grandezza: osserviamo anche che in ogni istante della sua sussistenza operano sul corpo vivente un gran numero di forze

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seines Bestehens eine große Anzahl physischer Kräfte einwirken, deren Wirkungen ebenfalls entweder auf andere Körper übertragen, oder sonst wie [293] aufgezehrt werden müssen. Es ist doch auch wohl ferner vorauszusetzen, daß der organische Körper, wie eine jener sinnvollsten Maschinen, die zufälligsten und formverschiedensten Einwirkungen von außen nicht nur zu überdauern, sondern ihnen zugleich einen benutzbaren Effect für seine eigenen Zwecke abzugewinnen vermag. Ein Perpetuum mobile freilich ist auch er nicht. Gewaltsamen Erschütterungen vermag er nicht zu widerstehen. „Geringere Erschütterungen dagegen müssen wir bei Pflanzen, wie bei Thieren, als aufgenommen in den Plan des Lebens ansehen, bei diesen als unvermeidliche Folgen der Muskelbewegung, bei jenen als Nebenumstände, welche mit dem Genusse des adäquaten Lebensreizes, der atmosphärischen Luft, gleich unabtrennbar verbunden sind. Ein großer Theil dieser zugeführten Erschütterungen geht nun allerdings nutzlos verloren; der Organismus theilt seine Bebungen dem Boden und der umgebenden Luft mit; ein anderer Theil der Bewegung wird auf Erzeugung von Schallschwingungen, ein kleinerer vielleicht noch auf Bildung von Wärme verwandt.“ Andererseits aber sind diese Erschütterungen förderlich für die Saftbeweguug und den Stoffwechsel, sowohl bei Thieren als bei Pflanzen. Betrachten wir jetzt die Nervenwirkungen. Die Erregung motorischer Nerven findet ihre Ausgleichung in der Contraction der Muskeln, und diese verliert sich in Wärmeerzeugung und chemische Processe, außerdem daß die Glieder ihre Bewegung nach außen mittheilen: dies ist leicht zu sehen. Aber „wohin verlieren sich die unzähligen zum Theil so starken Eindrücke, denen unser sensibles Nervensystem jeden Augenblick ausgesetzt ist? Diese Frage läßt sich nicht mit Sicherheit entscheiden, doch giebt es einige Spuren, die wir verfolgen können.“ Nämlich der Nerv nutzt sich ab, und so wird also auch seine Erregung in chemische Processe umgewandelt. Doch dies geschieht nicht schnell genug, und wir erkennen leicht noch zwei Möglichkeiten, wodurch sich der Körper von den Nervenerregungen befreit, Muskelbewegung und Absonderung. „Die Natur hat die erste Art der Ausgleichung sensibler Erregung, ihre Uebertragung nämlich auf motorische Nerven, nicht nur höchst ausgedehnt verwirklicht, sondern zugleich das Unvermeidliche zum Besten gekehrt. Zwar nicht immer, aber überall,

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fisiche, i cui effetti devono parimenti o essere trasferiti su altri corpi o essere [293] dissolti. Bisogna anche premettere che il corpo organico, come una di quelle macchine particolarmente ingegnose, non solo può sopravvivere alle più casuali e multiformi azioni provenienti dall’esterno, ma da queste azioni può anche ricavare un effetto utilizzabile per i suoi scopi particolari. Il corpo organico, tuttavia, non è un perpetuum mobile. Non può resistere a urti violenti. «Di contro, dobbiamo considerare urti più leggeri come contemplati nel piano di vita delle piante e degli animali; negli animali come conseguenze inevitabili del movimento muscolare, nelle piante come circostanze accessorie connesse, in modo egualmente inscindibile, col consumo degli stimoli vitali necessari e dell’aria. Una gran parte delle commozioni così apportate, tuttavia, vanno perse senza alcun esito; l’organismo condivide le sue vibrazioni con il terreno e l’aria circostante; un’altra parte del movimento è utilizzata per la produzione di oscillazioni sonore, una parte più piccola, forse, per la formazione del calore». D’altro canto, però, queste commozioni sono necessarie per il movimento linfatico e il metabolismo, sia negli animali sia nelle piante. Prendiamo ora in considerazione le azioni dei nervi. L’eccitazione dei nervi motori trova la sua compensazione nella contrazione dei muscoli ed essa si converte nella produzione di calore e nei processi chimici, oltre il fatto che le membra, come si vede, comunicano il loro movimento all’esterno. Ma «dove si disperdono le innumerevoli impressioni, in parte tanto forti, da cui il nostro sistema nervoso è scosso in ogni istante? A questa domanda non è dato rispondere con certezza, eppure vi sono alcune tracce che possiamo seguire». Il nervo, infatti, si logora e così anche la sua eccitazione si trasforma in processi chimici. Ma ciò non avviene così velocemente e conosciamo ancora due possibilità attraverso cui il corpo si libera dalle eccitazioni nervose: il movimento muscolare e la secrezione. «La natura non ha solo realizzato ampiamente il primo tipo di compensazione dell’eccitazione sensibile, è a dire il suo trasferimento ai nervi motori, ma ha contemporaneamente volto al meglio l’inevitabile. Non sempre, ma ovunque la funzione di

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wo die Function eines Organs dazu Veranlassung gab, erscheinen diese Reflexbewegungen nicht nur als Ableitungen [294] der Erregung in den sensiblen Nerven, sondern zugleich als Auslösungen nützlicher Leistungen. Ein heftiger Lichteindruck bringt sofort Schließung der Augenlieder hervor ... Dem Gehörnerven scheint kein so lenksamer Muskelapparat eigen zu sein, durch dessen Erregungen er seine eigenen beruhigt; doch dürften leicht theils die Stimmorgane, theils die gesammten Körpermuskeln, in denen wenigstens jede rhythmische Musik so leicht Bewegungstriebe hervorbringt, eine Ableitung jener Erregungen enthalten ... Ueberraschende Reize, welche eine große Hautfläche zugleich treffen, oder intensive Schmerzen der äußern und der innern Theile, bringen besonders deutliche Nachwirkungen in den Bewegungen des Athmens und der Circulation hervor“, wobei wenigstens eine Ausgleichung der sensiblen Erregung, wenn auch keine teleologische Benutzung stattfindet. Nur kann man recht wohl in den durch Reflexion der sensiblen Erregungen auf die Tonorgane hervorgebrachten Lauten „eine zweckmäßige Darbietung eines Ausdrucksmittels innerer Zustände sehen, dessen sich die Ueberlegung“ (dies Wort ist nicht eigentlich zu nehmen) „weiter bedient, um durch Gedankenmittheilung eine Hilfe zu suchen, die nicht unmittelbar durch organische Processe geleistet wird.“ Und endlich heißt es (S. 462.): „Nur dies möchten wir bitten, daß man die physiologische Nothwendigkeit nicht überhaupt verkennt, die in dem Zusammenhange dieser Processe, z. B. der sensiblen und der motorischen obwaltet, und daß man an seine Stelle nicht eine unbestimmte psychische Verknüpfung setzt. Der Schrei des Leidenden ist keine Handlung, die aus psychischen Motiven folgt, sie gehört gewiß zur nothwendigen Verkettung physiologischer Processe ... Es hat einen großen Reiz, das ästhetisch Bedeutsame des Lebens oder die psychisch nothwendigen Veranstaltungen mit unvermeidlichen mechanischen Verhältnissen zusammenhängen zu sehn. So ist die Sprache nicht allein eine Erfindung des Menschen, sondern in der Anregung der Stimme durch innere Zustände überhaupt liegt ein natürlicher Trieb zu ihrer Erfindung und Benutzung; und selbst dieser Trieb ist von der Natur nicht blos willkürlich an jene innern Zustände geknüpft, sondern enthält zugleich die unentbehrliche mechanische Ausgleichung, die sie erfordern.“

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un organo vi dà adito, questi movimenti riflessi appaiono,non solo come deviazioni [294] dell’eccitazione nei nervi sensibili, ma anche come produzioni di opere più utili. Una più acuta impressione visiva produce subito la chiusura delle palpebre … Non sembra che per i nervi dell’orecchio vi sia un apparato muscolare tanto sensibile, grazie a cui le eccitazioni muscolari compensino quelle nervose; certo in parte gli organi della fonazione in parte l’insieme dei muscoli corporei, almeno quelli in cui ogni musica ritmica produce tanto facilmente gli impulsi al movimento, dovrebbero permettere di scaricare le eccitazioni nervose dell’orecchio … Stimoli improvvisi che si facciano incontro a una grande superficie cutanea, o intensi dolori provenienti dalla parte esterna o interna, producono ripercussioni particolarmente evidenti nei movimenti del respiro e della circolazione», in cui ha luogo, per lo meno, una compensazione dell’eccitazione sensibile se non, perfino, una utilizzazione teleologica. Solo nei suoni prodotti per via di riflessione degli stimoli sensibili sugli organi della fonazione è ben possibile «scorgere l’adeguata esibizione di un mezzo espressivo di condizioni interne, del quale il ragionamento» (questo termine non va assunto in senso proprio) «continua ad avvalersi per cercare, attraverso la comunicazione del pensiero, un aiuto che non è immediatamente fornito dai processi organici». E, infine, (p. 462): «chiediamo solo questo, che non si disconosca in generale la necessità fisiologica che domina nella connessione di questi processi, ad es. dei processi motori e sensibili, e che non si ponga al suo posto un indeterminato legame psichico. Il grido di chi soffre non è un’azione provocata da stati psichici, essa appartiene sicuramente alla necessaria concatenazione di processi fisiologici ... Ha un gran fascino il veder connesso con inevitabili processi meccanici l’importante dimensione estetica della vita o le necessarie manifestazioni psichiche. La lingua, pertanto, non è soltanto un’invenzione dell’uomo e, piuttosto, nella stimolazione della voce per mezzo degli stati interni risiede un impulso della natura all’invenzione e all’utilizzazione della lingua; e questo stesso impulso non è semplicemente connesso dalla natura a quegli stati interni in modo arbitrario, ma contempla contemporaneamente la compensazione meccanica irrinunciabile che quegli stati interni richiedono».

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Wir dürfen also jetzt in ganz eigentlichem Sinne sagen: der Mensch spricht, wie der Hain rauscht. Luft, welche Töne und Gerüche trägt, Lichtäther und Sonnenstrahlen, und der [295] Hauch des Geistes fahren über den menschlichen Leib dahin, und er tönt. b) Hervortreten der Sprache. Nach allem Vorangegangenen dürfen wir uns nun vorstellen, daß der Urmensch in größter Lebhaftigkeit alle Wahrnehmungen, alle Anschauungen, die seine Seele empfing, mit leiblichen Bewegungen, mimischen Stellungen, Gebärden und besonders Tönen, ja sogar articulirten Tönen, begleitete. Diese Reflexbewegungen bedeuten nun thatsächlich schon die Seelenerregungen, deren Reflex sie sind. Was nun noch zur Sprache fehlt, ist freilich nicht unbedeutend, ist vielmehr das Wichtigste, nämlich das Bewußtsein dieser Bedeutung, die Verwendung der Aeußerung. Die bewußte Verbindung erst der reflectirten Körperbewegung mit der Seelenerregung giebt den Anfang der Sprache. Die Seelenerregung aber, Gefühl, Empfindung, Anschauung, ist schon Bewußtsein; also ist das Bewußtsein vom Bewußtsein Anfang und Quell der Sprache, oder mit der Sprache wird die Seele Bewußtsein des Bewußten, also Selbstbewußtsein; die Seele wird Geist. Dieser Uebergang von Seele in Geist ist also das Erste, was uns hier beschäftigt. §. 92. Anschauung der Anschauung. Wir denken uns hier den Menschen als anschauend; aber wir dürfen noch nicht sagen, er besitze Anschauungen. Denn er hat wohl Gedächtniß, wie auch das Thier, aber noch keine Erinnerung, keine erinnerte Anschauung. Unser Mensch, wie wir ihn hier als Fiction hinstellen, lebt, wie das Thier, im schnellen Wechsel gegenwärtiger, sinnlicher Anschauungen. Jede Anschauung ist begleitet von einer Reflexbewegung, deren Zweck Ableitung des Druckes von der Seele, Erleichterung ist. Hiermit ist beim Thiere die Sache aus; beim Menschen noch nicht, sondern sie schreitet fort. Die menschliche Seele entledigt sich ebenfalls des empfangenen Eindruckes; aber sie hat einen doppelten Vortheil gegen

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Pertanto, possiamo finalmente dire, in senso assolutamente proprio, che l’uomo parla come le fronde stormiscono. L’aria, che porta suoni e rumori, l’etere e i raggi del sole, e il [295] soffio dello spirito, varcano il corpo umano ed esso risuona. b) Comparsa della lingua Secondo ciò che è stato esposto96, dovremmo immaginarci che l’uomo primitivo accompagnava molto animatamente, con movimenti corporei, posizioni mimiche, gesti e in particolar modo suoni, perfino suoni articolati, tutte le percezioni e le intuizioni che la sua anima riceveva. I movimenti riflessi in questa fase significano già effettivamente le eccitazioni dell’anima di cui sono riflesso. Ciò che manca ancora alla lingua non è tuttavia poco rilevante, è piuttosto quanto vi sia di più importante, è a dire la coscienza di questo significato, l’utilizzazione dell’espressione. Solo la connessione consapevole del movimento corporeo riflesso con l’eccitazione dell’anima provoca l’inizio della lingua. La stimolazione dell’anima però – sentimento, sensazione, intuizione – è già coscienza; dunque scaturigine e fonte della lingua è la coscienza della coscienza; ovvero l’anima con la lingua diventa coscienza della coscienza, dunque autocoscienza; l’anima diventa spirito. Questo passaggio dall’anima allo spirito è allora la prima cosa di cui ci occuperemo. §. 92. Intuizione dell’intuizione Qui noi ci figuriamo l’uomo come intuente, ma non possiamo ancora dire che possieda intuizioni. Giacché egli ha sì memoria come l’animale, ma ancora nessun ricordo, nessuna intuizione ricordata97. Il nostro uomo, che qui poniamo per ipotesi, vive come l’animale nel mutamento repentino di intuizioni momentanee e sensibili. Ogni intuizione è accompagnata da un movimento riflesso il cui fine è lo scaricamento della pressione esercitata sull’anima, l’alleggerimento. In questo modo la vicenda è conclusa per quel che riguarda gli animali, non ancora per l’uomo in rapporto a cui va ben oltre.

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die thierische. Bei der thierischen Empfindung ist, wie wir oben gesehen haben, die leibliche Erregung überwältigend für die Seele und darum die Gegenwirkung der Seele schwach. Beim Menschen ist umgekehrt die leibliche Erregung viel schwächer, die Seelenreaction viel stärker. Sollte dies der Grund sein, warum der Mensch ein längeres Leben [296] hat, als das Thier, obwohl sein Körper schwächer ist? Das Thier wird so stark von der Außenwelt ergriffen, hat so wenig natürlichen oder künstlichen Schutz gegen außen, daß es sich schnell abnutzt und aufreibt. Des Menschen Körper, in feinerer Weise und schwächer erregt und alle Stöße von außen kräftig zurückgebend, erhält sich länger durch die Macht und Weisheit der Seele. Die menschliche Seele also, fern davon ein Parasit ihres Körpers zu sein, benimmt sich gegen ihn wie ein Herr, der seinem Knecht aus milder Gesinnung und im eigenen Vortheil allen Schutz angedeihen läßt, um ihn länger zu bewahren. Einwirkung von außen und Gegenwirkung der Seele stehen also in umgekehrtem Verhältnisse. Die thierische Seele giebt einen starken Eindruck schwach zurück und ist erschöpft; die menschliche Seele giebt einen schwachen Eindruck mit Kraft zurück, ihre Thätigkeit ist erregt, und es ist ein Ueberschuß von Kraft da, der seiner Verwendung harret. Selbst die durch die Reflexionsbewegung verlorene Kraft erhält die Seele unmittelbar wieder. Hier sehen wir, wie der psychisch-physische Organismus jenen vorzüglichsten Maschinen gleicht, welche den durch ihre eigene Thätigkeit nothwendig entstandenen Verlust im Verluste selbst sogleich wieder ersetzen. Denn die Seelenerregung reflectirt sich auf die Athembewegung und verstärkt diese. Das Athemholen aber wirkt erregend auf die Seele und führt ihr Kraft zu. Die menschliche Seele also, durch die Anschauung erregt, tritt hervor; und weil sie in der Anschauung nicht erschöpft, weil eine größere Kraft erregt, als verwendet worden ist, so ist nun die Seele nach Vollendung dieses Vorganges der Anschauung und Reflexbewegung noch da als eine Kraft, die nach Thätigkeit drängt. Die Empfindung hat die Seele heraufbeschworen; diese

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Anche l’anima umana si libera dell’impressione sensibile, ma rispetto a quella animale ha un doppio vantaggio. Nella sensazione degli animali, come abbiamo visto su, l’eccitazione fisica è schiacciante per l’anima e pertanto la reazione dell’anima è debole. Al contrario, negli uomini, l’eccitazione fisica è molto più debole, la reazione dell’anima molto più forte. Potrebbe essere questa la ragione per cui l’uomo ha una vita [296] più lunga dell’animale, sebbene il suo corpo sia più debole? L’animale è così potentemente catturato dal mondo esterno, ha contro l’esterno così poca protezione naturale e artificiale, che si consuma e si logora velocemente. Il corpo dell’uomo, stimolato in modo più fine e meno violento, e atto a restituire vigorosamente tutti i colpi provenienti dall’esterno, si conserva più a lungo grazie alla potenza e alla saggezza dell’anima. L’anima umana pertanto, lontana dall’esercitare un’azione parassitaria nei confronti del suo corpo, vi si rapporta come un signore, che, animato da sentimenti benevoli e senza trascurare il proprio vantaggio, concede ogni protezione al suo paggio per serbarlo più a lungo. Azioni provenienti dall’esterno e reazioni dell’anima stanno dunque nell’uomo e nell’animale in un rapporto inverso. L’anima animale restituisce debolmente un’impressione forte e si esaurisce; l’anima umana restituisce con forza un’impressione debole, da ciò la sua attività viene stimolata e si crea un’eccedenza di forza che attende con impazienza di essere utilizzata. La stessa forza che l’anima ha perso in ragione del movimento riflesso è immediatamente riacquisita. Vediamo qui come l’organismo psico-fisico eguagli quelle macchine perfette che rimpiazzano immediatamente, e in tutta la sua portata, la perdita necessariamente prodotta dalla loro stessa attività. L’eccitazione dell’anima si riflette quindi sul movimento respiratorio e lo intensifica, l’inspirazione, però, agisce stimolando l’anima e le procura forza. L’anima umana, dunque, emerge stimolata dall’intuizione; e poiché non si esaurisce nell’intuizione, poiché è stata stimolata una forza più grande di quella che è stata utilizzata, dopo che questo processo dall’intuizione al movimento riflesso è compiuto l’anima è ancora lì, come una forza che spinge all’attività. La sensazione ha evocato l’anima; ma essa,

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aber, einmal aufgetreten, begnügt sich nicht damit, die Empfindung bloß zu empfangen; ihre Kraft treibt nach einer Verwendung, und nun, was wird sie thun? – Was kann sie thun? Der Stoß von außen ist vorüber; sie hat ihn zurückgestoßen, das ist auch vorüber; aber der Eindruck des ganzen Vorganges bleibt in der Seele (im Gedächtniß). Es bleibt ihr also gar nichts anderes zu thun, als in sich zurückzukehren; denn es bleibt gar kein anderer Gegenstand, kein anderer Reiz, der die Thätigkeit der Seele auf sich ziehen könnte, als der Eindruck, den das Vorgefallene in ihr selbst zurückgelassen hat. Auf diesen [297] Eindruck richtet sie jetzt ihre Aufmerksamkeit, ihre Thätigkeit. Hierzu kommt noch etwas. Es liegt folgende Einwendung sehr nahe. Die menschliche Seele wird wahrscheinlich nicht nach der ersten Anschauung, die sie hatte, nach dargelegter Weise in sich gehen; und zwar aus dem einfachen Grunde, weil nach Ablauf der ersten Anschauung und ihrer leiblichen Reflexion eine zweite auftritt, und dann wieder eine andere Sinnesempfindung die Seele einnehmen wird u. s. f.; so daß die Seele in ewiger Zerstreuung, von einer Anschauung zur andern übergehend, nie Kraft und Zeit gewinnt, in sich zu gehen und auf sich selbst aufzumerken. Was also nach der ersten Anschauung nicht geschieht, wird auch nach der hundertsten nicht geschehen; denn an diese schließt sich die folgende, wie an jene, und läßt die Seele nicht zu sich selbst kommen. Die Sache ist indeß nicht so. Wir haben oben schon bemerkt, daß zwar das Nothwendige immer in gleicher Weise geschieht; daß aber Lust und Annehmlichkeit, also Interesse und Empfänglichkeit nach jeder Befriedigung abnimmt. Der Mensch schaut nicht nur an, sondern er freut sich zugleich seiner Anschauung. Das Thier starrt an, der Mensch schaut mit Interesse und Wohlgefallen. Durch Wiederholung derselben Anschauungen aber sinkt die Empfänglichkeit, man wird gleichgültig dagegen. Das Nothwendige bleibt dasselbe. Ein gesundes Auge sieht denselben Gegenstand zum hundertsten Male eben so, wie zum ersten. Das Nothwendige ist aber bloß das Leibliche. In der Seele aber hat sich das Verhältniß verändert. Der zum hundertsten Male wiederholten Anschauung setzt sie den im Gedächtnisse haftenden Eindruck von neun-und-neunzigmaligem Anschauen entgegen. Die Seelenkraft, die jetzt der gegenwärtigen Anschauung entge-

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una volta emersa, non è soddisfatta semplicemente del fatto d’aver percepito la sensazione. La sua forza spinge verso un impiego e ora che farà? – Che può fare? L’urto dell’esterno è passato, essa glielo ha reso, anche questo è passato. Ma l’impressione dell’intero processo rimane impressa nell’anima (nella memoria). Non le rimane dunque altro da fare che volgersi in sé; giacché non rimane nessun altro oggetto, nessun altro stimolo, che possa attrarre a sé l’attività dell’anima quanto l’attrae l’impressione che quel che è accaduto ha lasciato al suo interno. A questa [297] impressione rivolge ora la sua attenzione, la sua attività. A ciò bisogna aggiungere ancora qualcosa. Incombe la seguente obiezione. L’anima umana probabilmente non si volgerà a sé, come è stato esposto, dopo la prima impressione che ha avuto e ciò per il semplice fatto che, dopo il decorso della prima intuizione e del riflesso del corpo, ne sopraggiunge una seconda e poi l’anima accoglierà ancora un’altra impressione sensibile e così di seguito, in modo tale che essa, in stato di continua dispersione, passando da un’intuizione all’altra, non guadagna mai forza e tempo sufficienti per volgersi e prestare attenzione a sé. Quel che non accade dopo la prima intuizione, pertanto, non accadrà nemmeno dopo la centesima, giacché a questa come a quella si connette la successiva, non lasciando che l’anima pervenga a se stessa. Ma le cose non stanno così. Abbiamo notato sopra che quel che è necessario accade sempre nello stesso modo; ma che piacere e gradevolezza, interesse e recettività, dopo ogni appagamento vengono meno. L’uomo non intuisce semplicemente, ma gioisce della sua intuizione. L’animale guarda sempre allo stesso modo, l’uomo guarda con interesse e piacere. Con la ripetizione delle stesse intuizioni, però, la recettività cala, alla stessa intuizione si diventa indifferenti98. Ciò che è necessario rimane. Un occhio in salute vede il medesimo oggetto la centesima volta così bene come la prima. Necessario però è soltanto il processo corporeo. Nell’anima il rapporto è mutato. L’intuizione ripetuta per la centesima volta si oppone all’impressione rimasta nella memoria delle novantanove intuizioni che l’hanno preceduta. La forza dell’anima che si oppone all’intuizione attuale è pertanto decisamente più poten-

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gentritt, ist also ungleich mächtiger, als der äußere Eindruck. Und so dient die neue Anschauung bloß dazu, um die Gesammtmasse der mit einander verschmolzenen, im Gedächtnisse ruhenden wiederholten gleichen Anschauungen, wie einen verborgenen Schatz aus der Tiefe der Seele an das Licht zu heben und vor ihr Auge zu stellen. Sie sieht also im Aeußern nicht mehr bloß das Aeußere, sondern zugleich ihr Inneres; oder vielmehr ihr Blick gleitet schnell vom Aeußern ab und richtet sich auf ihren eigenen Besitz; d. h. sie wird sich ihrer selbst bewußt. [298] Dieses erste Erwachen des Selbstbewußtseins geht noch auf dem Boden der Anschauung vor, oder erhebt sich aus ihr. Die Seele, sich von der äußern Anschauung abwendend und in sich kehrend, ihren Gedächtnißbesitz von Anschauungen wahrnehmend, wird zur Anschauung ihrer Anschauungen. Und so bestimmen wir die erste Stufe des Selbstbewußtseins als Anschauung der Anschauung. §. 93. Instinctives Selbstbewußtsein. Dieses erste Erwachen des Selbstbewußtseins geschieht aber selbst noch ohne Bewußtsein. Es ist das unbewußte Selbstbewußtsein, und das nennen wir das instinctive Selbstbewußtsein. Der Mensch hat einen instinctiven Verstand, vermöge dessen er urtheilt und schließt. Wir sagten oben, es fühle der Mensch unmittelbar; empfinden aber müsse er lernen durch Erfahrung. Wir sehen z. B. bloß Flächen, keine Körper; wir sehen Körper, aber keine Entfernungen, d. h. leere Räume. Wir lernen jedoch, durch mancherlei Erfahrungen, Schlüsse und Urtheile, einen Kreis und eine Kugel, ein Quadrat und einen Würfel unterscheiden. Doch dieses ganze experimentirende Nachdenken, wodurch die ersten Erkenntnisse räumlicher Verhältnisse erworben werden, wodurch wir lernen die Hand nach dem Munde oder nach dem Fuße zu führen, was alles nicht unmittelbar gegeben ist, sondern gelernt werden muß: dieses Nachdenken sage ich, geschieht bewußtlos; es ist instinctiver Verstand, der Instinct des Menschen. Dem Thiere scheint dieser Instinct zu fehlen und durch den unmittelbarer wirkenden leiblichen Instinct ersetzt zu sein. Daher das Thier alles das, was der Mensch durch seinen instinctiven Verstand langsam erwirbt, viel schneller erlangt.

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te dell’impressione esterna. E così, la nuova intuizione serve a far riemergere dalla profondità dell’anima e porre di fronte a sé, quasi fosse un tesoro nascosto, la massa complessiva delle intuizioni uguali avute in precedenza, che si trovano fuse insieme nella memoria. Essa coglie nell’esterno non più soltanto l’esterno, ma contemporaneamente l’interno; o meglio, il suo sguardo si discosta velocemente dall’esterno e si rivolge al suo contenuto interno; è a dire diviene cosciente di se stessa. [298] Questo primo risveglio dell’autocoscienza procede ancora sul terreno dell’intuizione o s’innalza da esso. L’anima, che si discosta dall’intuizione esterna e si volge a sé, che percepisce il patrimonio di intuizioni depositato nella memoria, diventa intuizione delle sue intuizioni. E così determiniamo il primo livello dell’autocoscienza come intuizione dell’intuizione. §. 93. Autocoscienza istintiva Questo primo risveglio dell’autocoscienza avviene però ancora senza coscienza. È l’autocoscienza inconsapevole, e noi la definiamo autocoscienza istintiva. L’uomo è in possesso di un intelletto istintivo grazie a cui giudica e conclude. Abbiamo detto sopra che l’uomo proverebbe sentimenti in maniera immediata; a percepire sensazioni l’uomo dovrebbe invece imparare attraverso l’esperienza99. Noi, ad esempio, vediamo semplicemente macchie, non corpi; vediamo corpi, ma non vediamo distanze, è a dire spazi vuoti. Tuttavia impariamo, attraverso alcune esperienze, conclusioni e giudizi, a distinguere un cerchio da una sfera, un quadrato da un cubo. Certo, questa riflessione interamente vincolata all’esperienza, attraverso cui vengono acquisite le prime esperienze dei rapporti spaziali, attraverso cui impariamo a portare la mano alla bocca e al piede, attraverso cui apprendiamo quel che non è dato in modo immediato e deve essere imparato, questa riflessione, dico, ha luogo inconsapevolmente; qui è in atto un intelletto istintivo, l’istinto dell’uomo. Sembra che all’animale questo istinto manchi e sembra che sia sostituito dall’istinto corporeo che opera in modo immediato. Pertanto, l’animale ottiene molto più velocemente ciò che l’uomo acquisisce lentamente attraverso il suo intelletto istintivo.

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Zum menschlichen Instincte gehören außer der Ergänzung der Empfindungen zu wahren Empfindungserkenntnissen alle jene sogenannten angeborenen Ideen; und man sieht also, wie beide Parteien, sowohl die, welche dieselben annahmen, als auch die, welche behaupteten, sie würden erst später als Werk der Cultur gebildet, im Irrthume waren. Jene Grundideen der menschlichen Erkenntniß werden dem Menschen nicht so angeboren, wie seine Glieder, wie den Thieren die instinctive Kunstfertigkeit; sie werden aber auch nicht mit Bewußtsein durch Verstandescultur gebildet; denn sie gehen aller Verstandesbildung voraus und liegen ihr zu Grunde: sie werden erworben – so weit haben [299] Letztere Recht – aber ohne Bewußtsein – so weit haben Erstere Recht: sie werden instinctiv erworben. Auch die Sprache ist eine solche angeborene Idee, und nach dem eben Bemerkten kann man beurtheilen, wie weit bei einem ganz ähnlichen Streite sowohl diejenigen, welche meinten, die Sprache sei dem Menschen angeboren (oder von Gott gegeben), als auch diejenigen, welche meinten, die Sprache sei ein künstliches Erzeugniß des Nachdenkens, wie weit beide, sage ich, theils irrten, theils Recht hatten. Der Instinct des Thieres ist wesentlich practisch, Kunstfertigkeit; und dies stimmt zu dem oben angemerkten Charakterzuge des Thieres, daß es practisch utilistisch ist. Das Theoretische spielt in den thierischen Instinct nur in so weit hinein, als es die nothwendige Voraussetzung zum practischen Wesen ist, oder als es nothwendig mit der Praxis in Verbindung steht. Der menschliche Instinct ist rein theoretisch, Erkenntnisse gewinnend, Vorausnahme des Verstandes, und, als Sprache, Vorbild des Selbstbewußtseins. In dem Begriffe des instinctiven Verstandes liegt keine Schwierigkeit, wenigstens kein Widerspruch; jener ist nämlich der Verstand der Anschauung. Hierbei verstehen wir unter Verstand, mit Herbart, die Fähigkeit, unser Denken nach der Beschaffenheit des Gegenstandes zu richten. Warum sollte nun die Anschauung, rein in ihrem Kreise beharrend, nicht die Kraft haben, nach mehreren Fehlgriffen sich allmählig corrigirend, sich endlich dem Gegenstande gemäß einzurichten, dessen Anschauung sie ist? Aber im unbewußten Selbstbewußtsein scheint ein Widerspruch zu

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All’istinto umano appartengono, oltre la capacità di portare a compimento il passaggio da sensazioni a vere conoscenze sensibili, tutte le cosiddette idee innate; e si vede bene come entrambi i partiti, tanto quelli che le accettavano, quanto gli altri che affermavano che si sarebbero costituite più tardi quale opera della cultura, erano in errore. Quelle idee fondamentali della conoscenza umana, per l’uomo, non sono innate come lo sono le sue membra, come negli animali è innata un’abilità istintiva; non vengono però nemmeno costituite consapevolmente attraverso la cultura intellettuale, giacché precedono ogni formazione intellettuale e ne sono alla base; quelle idee sono acquisite – in ciò hanno [299] ragione gli ultimi – ma senza consapevolezza – in ciò hanno ragione i primi –: sono acquisite istintivamente. Anche la lingua è una siffatta idea innata e, secondo quanto appena osservato, si può valutare fino a che punto in una disputa molto simile, tanto coloro che ritenevano che la lingua fosse innata nell’uomo (o conferitagli da Dio), quanto gli altri che opinavano che la lingua fosse un prodotto artificiale della riflessione, fino a che punto, dico, entrambi fossero in parte in errore e in parte nel giusto. L’istinto dell’animale è essenzialmente pratico, è abilità; è ciò s’accorda con quanto osservato sopra sul carattere degli animali che è pratico e volto a perseguire l’utilità100. Ciò che è teoretico ha un ruolo nell’istinto animale solo nella misura in cui funge da presupposto necessario alla sua natura pratica o è necessariamente connesso con l’azione pratica. L’istinto umano è puramente teoretico, atto a conseguire conoscenze, tale da anticipare l’intelletto e, in quanto lingua, modello dell’autocoscienza. Nel concetto di intelletto istintivo non si trova alcuna difficoltà e tanto meno alcuna contraddizione; esso è infatti intelligenza dell’intuizione. Qui intendiamo con intelletto, con Herbart, la capacità di orientare il nostro pensiero secondo la costituzione dell’oggetto101. Perché l’intuizione, perseverando nel proprio dominio, non dovrebbe aver la forza, correggendo gradualmente i suoi molteplici errori, di costituirsi infine in modo adeguato alla cosa di cui è intuizione? Ma nell’autocoscienza inconsapevole sembra risiedere una contraddizio-

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liegen. Suchen wir ihn aufzulösen, indem wir die ihm zu Grunde liegenden Verhältnisse klarer von einander scheiden. In der Anschauung erkennt die Seele etwas außer sich. Wir haben aber schon oben bemerkt, daß der thierischen Anschauung – und die Anschauung des Menschen vor der Sprache ist nichts besseres – die Einheit, welche ihr der Mensch später durch die Kategorie des Dinges giebt, noch fehle. Um so weniger dürfen wir annehmen, daß die Seele in jener primitiven Anschauung schon klar sich selbst von dem Angeschauten absondere. Vielmehr ist anzunehmen, daß hier noch, wie bei der Empfindung, die Seele zwar das Aeußere als Aeußeres auffaßt, doch aber noch nicht sich selbst als ein Inneres erkennt, [300] und, Aeußeres vom Inneren scheidend, also auf beides achtend, sich selbst dem Aeußern entgegenstellt, sich als anschauend dem Angeschauten gegenüber. Diese selbstlose und der Innerlichkeit ermangelnde Natur des Anschauens kann auch bei der Anschauung der Anschauung noch nicht geändert sein. Die Seele wird also hier ihre eigene Anschauung noch nicht als sich selbst erkennen; sie wird nicht sich selbst, insofern sie anschaut, und sich selbst, insofern sie selbst es ist, welche von ihr angeschaut wird, unterscheiden; d. h. sie wird kein Bewußtsein davon haben, daß sie hier Subject und Object zugleich ist, Denkendes und Gedachtes auf einmal, weil sie sich überhaupt noch nicht als Subject, als Denkendes, weiß. Obwohl also hier thatsächlich die Seele Subject und Object ist, so fehlt ihr doch das Bewußtsein hierüber; sie ist also thatsächliches, aber noch unbewußtes Selbstbewußtsein. Weil hier die Seele bloß anschauend ist, so ist für sie die angeschaute Anschauung auch nur eine Anschauung überhaupt und ein Aeußeres. Anschauung ist Bewußtsein von einem Objectiven, Gegenständlichen. Das Bewußtsein von diesem Bewußtsein ist noch nicht Selbstbewußtsein, weil das Bewußtsein überhaupt hier noch kein Selbst, sondern nur Gegenständliches kennt. Dieses gegenständliche Bewußtsein von einem derartigen Bewußtsein wird also das letztere, gedachte Bewußtsein, wiederum nur selbstlos als ein gegenständliches Wesen auffassen, ja sogar unmittelbar an den äußern Gegenstand selbst anknüpfen und kaum oder nur sehr schwach von ihm scheiden. Die Seele schreibt die angeschaute Anschauung nicht sich zu, freilich auch nicht entschieden dem

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ne. Cerchiamo di venirne a capo distinguendo più chiaramente l’un dall’altro i rapporti che vi stanno alla base. Nell’intuizione l’anima conosce qualcosa di esterno a sé. Abbiamo, però, già notato che all’intuizione animale – e l’intuizione dell’uomo prima della lingua non è migliore – manca ancora l’unità che l’uomo le conferisce in seguito grazie alla categoria di cosa102. E altrettanto poco possiamo assumere che l’anima, in quella intuizione primitiva, distingua già chiaramente se stessa da ciò che è intuito. Dobbiamo invece assumere che qui, come nella sensazione, l’anima coglie davvero l’esterno in quanto tale, ma non succede ancora che conosca se stessa come qualcosa di interno, [300] e, distinguendo l’esterno dall’interno, ovvero prestando attenzione a entrambi, opponga se stessa all’esterno, le si ponga di fronte come ciò che intuisce rispetto a ciò che è intuito103. Questa natura dell’intuire, priva di sé e carente di interiorità, può anche non esser ancora mutata nell’intuizione dell’intuizione. L’anima qui non conoscerà ancora la propria intuizione in quanto coincidente con se stessa; non distinguerà ancora se stessa in quanto è lei a intuire e se stessa in quanto è lei quel che da lei viene intuito; è a dire non avrà ancora alcuna coscienza del fatto che essa è qui contemporaneamente soggetto e oggetto, pensante e pensato a un tempo, giacché non sa ancora se stessa come soggetto, come pensante. Sebbene qui, allora, l’anima è effettivamente soggetto e oggetto, tuttavia le manca ancora la coscienza di ciò; essa è dunque effettivamente autocoscienza, ma inconsapevole. Poiché qui l’anima è semplicemente atta a intuire, per essa l’intuizione intuita è semplicemente intuizione in generale e soltanto qualcosa di esterno. Intuizione è coscienza di qualcosa di oggettivo, coscienza di qualcosa. La coscienza di questa coscienza non è ancora autocoscienza, perché la coscienza in generale qui non conosce ancora se stessa, ma solo qualcosa. Tale consapevolezza oggettiva di una simile coscienza coglierà, dunque, l’ultima cosa pensata dalla coscienza ancora senza consapevolezza di sé, come un’essenza oggettiva; perfino connetterà se stessa immediatamente alla cosa esterna e quasi non si distinguerà da essa o lo farà molto debolmente. L’anima non ascrive a sé l’intuizione intuita, ma nemmeno risolutamente la ascrive alla cosa. Giacché non

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Dinge. Denn die ganze Scheidung der Seele vom Dinge ist noch nicht vollzogen. Und so giebt es hier überall noch kein Selbst, d. h. kein gewußtes Selbst, wiewohl ein thatsächliches. Dieses thatsächliche, instinctiv wirkende, anschauende Selbstbewußtsein ist die Vorbereitung des bewußten Selbstbewußtseins, der Keim desselben, und findet in der Sprache sein Leben und seine Entwickelung. §. 94. Uebergang der Seele in den Geist. Das Wirken des instinctiven Selbstbewußtseins, der Sprache, ist die Thätigkeit der Seele, sich in Geist, bewußtes Selbstbewußtsein, umzusetzen. Die anschauende Seele wird denkender Geist. Hierbei kommen nun manche Schwierigkeiten und Widersprüche zum Vorschein, die überhaupt im Begriffe des Werdens, [301] der Veränderung liegen and hier nur nach den besondern Umständen eine besondere Gestalt annehmen. In der Sprachschöpfung ist nicht mehr die anschauende Seele, und doch noch nicht der denkende Geist, auch nichts Mittleres; sondern sie ist der Uebergang von jener in diesen, also beides und keins von beiden. Dies ist der Widerspruch, der in jeder Grenze liegt; denn sie gehört den beiden begrenzten Dingen und ist keins von beiden. Die Sprache kann angesehen werden als das Erwachen des Geistes aus seinem Schlafe im Zustande der Seele. Hier haben wir denselben Widerspruch. Erwachen ist noch nicht Wachen und doch nicht mehr Schlafen. Diese Widersprüche können wir hier ruhig bei Seite lassen; sie gehören in die Metaphysik, der sie von den Special-Wissenschaften übergeben worden. Ein anderer Widerspruch aber geht uns näher an. Das Erwachen ist ein Selbstwecken; aber wie kann das schlafende Wesen sich selbst wecken? muß man nicht wach sein, um wecken zu können? Die menschliche Seele kann nur erwachen, insofern sie Geist ist; das weckende Princip in ihr ist der Geist. Bevor aber die Seele wacht, ist der Geist noch nicht; wie kann er also wecken? Erst mit dem Erwachen wird die Seele zum Selbst, und doch ist dieses Selbst das Weckende; also wäre das vor dem Erwachen schon da, was erst durch das Erwachen entstehen soll. Und warum erwacht nicht auch die thierische Seele zum Geiste?

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è ancora compiuta la completa separazione dell’anima dalla cosa. E così, qui, non c’è ancora nessun sé, è a dire nessun sé saputo, per quanto ve ne sia uno effettivo. Questa autocoscienza intuitiva effettiva, operante istintivamente, è la preparazione dell’autocoscienza consapevole, il germe di essa, e trova nella lingua la sua vita e il suo sviluppo. §. 94. Passaggio dall’anima allo spirito L’opera dell’autocoscienza istintiva, della lingua, consta dell’attività compiuta dall’anima per trasformarsi in spirito, in autocoscienza consapevole. L’anima intuente diviene spirito pensante. Ora, con ciò, si presentano alcune difficoltà e contraddizioni, le quali in generale risiedono nel concetto del divenire, [301] del cambiamento e qui assumono forma speciale solo in rapporto al caso specifico104. Nella creazione della lingua non vi è più l’anima intuente eppure non vi è ancora il pensiero pensante e nemmeno nulla di intermedio; essa è bensì il passaggio da quello a questo, dunque entrambi e nessuno dei due. Questa è la contraddizione che risiede in ogni confine, esso appartiene a entrambe le cose delimitate e non coincide con nessuna delle due. La lingua può esser concepita come il risveglio dello spirito dal sonno che lo avvolge al livello dell’anima. Abbiamo qui la stessa contraddizione. Risveglio non è ancora veglia e non è più sonno. Tali contraddizioni, in questo caso, possiamo tranquillamente lasciarle da parte. Appartengono alla metafisica a cui furono trasmesse dalle scienze speciali. Un’altra contraddizione invece ci riguarda più da vicino. Il risveglio è uno svegliarsi, ma come può un’essenza dormiente risvegliare se stessa? Non si deve essere svegli per poter svegliare? L’anima umana può risvegliarsi soltanto in quanto è spirito. Il principio destante in lei è lo spirito. Ma prima che l’anima si svegli lo spirito non è ancora; come può allora destarsi? L’anima diventa se stessa anzitutto per mezzo del risveglio, eppure questo se stessa è ciò che sveglia; così sarebbe già lì, prima del risveglio, ciò che deve sorgere per mezzo del risveglio. E perché non si desta a spirito anche l’anima animale?

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Um dies zu erklären, bleiben wir bei der Analogie des leiblichen Schlafes stehen. Man erwacht nicht mit einem andern seelischen oder geistigen Wesen, als mit dem man sich niedergelegt hat; sondern man ist schlafend und wachend ganz derselbe. Der Unterschied aber beruht darauf, daß im Schlafe ein Druck des ermüdeten Leibes auf dem Bewußtsein lastet; und eben so überall, wo Bewußtlosigkeit eintritt. Wie das Einschlafen durch die immer wachsende Kraft des Druckes geschieht, so kommt umgekehrt das Erwachen dadurch zu Stande, daß der sich erholende Körper mit seinem Drucke in gleichem Verhältnisse nachläßt, als er an Spannkraft gewinnt; und endlich wird die Nervenerregung durch die angesammelte Kraft von selbst so groß, daß der Druck völlig schwindet, und die Thätigkeit des Leibes und der Seele neu beginnt. Anders kann es auch in unserm Falle nicht sein. Wir müssen schon im Urmenschen und im [302] Kinde dasselbe geistige Wesen annehmen, welches der ausgebildete Mensch zeigt; aber theils noch unter einem leiblichen Drucke, theils noch ohne volle leibliche Unterstützung und noch nicht im Besitze ideeller Hülfsmittel, die es sich freilich selbst erschaffen muß. In diesem Sinne sagen wir, das Kind und der Urmensch besitzen sämmtliches menschliches Wissen und Können im Keime, in der Anlage; d. h. sie besitzen es zwar noch nicht; aber sie können es erwerben. Von den Thieren aber kann dies keineswegs gesagt werden. Der Druck ihres Leibes auf ihre Seele, seine schwächere Unterstützung der Seele schwindet nie, weil diese Beschaffenheit des Leibes der thierischen Seele angemessen ist, weil es eben gar kein Druck ist, der von der Seele als Druck empfunden würde, und endlich weil die Thierseele sich nicht jene ideellen Hülfsmittel des Menschen zu verschaffen vermag. Daher können wir letztlich den Unterschied zwischen menschlicher und thierischer Seele so ausdrücken, daß wir kurz sagen: das Thier hat Seele; aber die menschliche Seele ist nicht eigentlich dies, sondern sie ist schlafender Geist und wird zum wachenden Geiste werden, sobald ein gewisser Druck geschwunden ist, eine gewisse Kraft sich angesammelt hat. Wie dies nun aber geschieht, das haben wir im Vorangehenden schon vielfach bemerkt, und werden es noch weiter sehen. Die Anlage zur Sprache in dem Sinne, wie wir sie so eben dargelegt haben, diese Anlage, welche wir dem Thiere absprechen, dem Menschen aber zuerkennen (indem wir ihre Seelen nicht zu

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Per spiegarlo, rimaniamo all’analogia del sonno corporeo. Non ci si risveglia con un’essenza dell’anima o dello spirito diversa da quella con cui si è andati a dormire, ma nel sonno e da svegli si è gli stessi. La differenza, però, sta nel fatto che nel sonno la pressione del corpo affaticato pesa sulla coscienza; ed accade lo stesso ovunque vi sia mancanza di coscienza. Come il prender sonno avviene per mezzo della forza crescente della pressione, il risveglio avviene invece per il fatto che il corpo ridestantesi riduce la pressione nella stessa misura in cui guadagna in energia e infine la stimolazione dei nervi diviene, per mezzo della forza accumulata, così grande che la pressione scompare del tutto e ricomincia l’attività del corpo e quella dell’anima. Anche nel nostro caso non può trattarsi di qualcosa di diverso. Già nell’uomo primitivo e nel [302] bambino dobbiamo presumere la stessa essenza spirituale che mostra l’uomo ben istruito; ma in parte soggetta a una pressione corporea e in parte ancora priva di un adeguato sostegno fisico e non ancora in possesso dell’ideale strumento d’ausilio che deve costituirsi da sé. In questo senso, diciamo che il bambino e l’uomo primitivo possiedono in embrione, quale disposizione, l’intero sapere e potere umano; è a dire che in verità non lo possiedono ancora ma possono acquisirlo. Ciò non può esser detto, però, degli animali. In loro, la pressione del corpo sull’anima e la struttura più debole dell’anima non scompaiono mai, poiché una tale costituzione del corpo è adeguata alla sua anima, perché appunto non vi è alcuna pressione che sia percepita dall’anima come pressione e infine perché l’anima animale non può costituire quei mezzi ausiliari ideali che l’uomo costruisce. Pertanto, in ultima istanza, potremmo esprimere la differenza tra anima umana e animale dicendo brevemente che l’animale ha un’anima; ma l’anima umana non è anima in senso proprio, bensì spirito sopito e diverrà spirito desto nel momento in cui è scomparsa una certa pressione e si è accumulata una certa forza. Come ciò accada, lo abbiamo già visto più volte in ciò che precede e torneremo a vederlo in quel che segue. Non sapremmo cosa si potrebbe obiettare alla disposizione alla lingua nel senso in cui l’abbiamo esposta, a questa disposizione che neghiamo all’animale e attribuiamo all’uo-

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derselben Art rechnen), welche auch beim Menschen ursprünglich schlummert und dann hervorbricht: wir wüßten nicht, was gegen dieselbe, selbst auf dem Standpunkte der Herbartischen Metaphysik, eingewendet werden könnte. Denn wir haben hier keine ursprüngliche Anlage, sondern ein Werk, ein Organ, das die Seele nach ihrer durchaus einfachen Natur sich erschaffen muß, die thierische Seele aber nie zu erschaffen vermag, weil sie nicht schlafender Geist ist, nicht als Geist erwachen wird. Die thierische Seele ist sehr bald alles was sie sein kann; die menschliche Seele ist der Keim einer Frucht, welche wir Geist nennen; und die Sprache ist in dieser Analogie der Proceß des Reifens. Die thierische Seele ist ein seelischer Krystall; die menschliche Seele ist dagegen der schon vorhandene, obwohl noch unreife Geist. Derjenige seelische [303] Keim des Geistes nun, der nicht mehr bloßer Keim, sondern schon befruchtet und reifend ist, ist Sprache oder instinctives Selbstbewußtsein. Der Sprachlaut ist der Blütenstaub, der Samen, der in die Seele dringt und sie befruchtet, daß sie den Geist gebäre. §. 95. Verknüpfung der Anschauung mit dem Laute. Woher nimmt die Seele den Laut? wie kommt sie darauf, ihn zu ihrer Stütze für die weitere geistige Entwickelung zu wählen? – Sie wählt ihn nicht, ist die Antwort; sie nimmt ihn sich nicht. Er ist ihr gegeben, und sie ergreift ihn mit Nothwendigkeit, instinctiv, absichtslos. Die Seelenthätigkeit bedarf materieller Stützen. Sie ist ursprünglich an die Sinnlichkeit gebunden, und selbst in ihre höchsten, freiesten Abstractionen mischen sich sinnliche Bilder. Indem also die Seele die Anschauung ihrer Anschauung bildet, knüpft sie dieselbe an den Laut. Wie sollte sie bei dem ersten Blicke, den sie in sich thut, schon die Kraft haben, ohne materielle, sinnliche Stütze zu wirken? Indem sie zum ersten Male ein ihr eigenes Erzeugniß, eine Anschauung, betrachtet, stützt sie dieselbe körperlich durch den Laut, um sie gegenständlicher zu machen. Der Laut ist ein Aeußeres, aber ein Aeußeres, welches aus dem Innern stammt, ein Körperliches, welches die Seele selbst geschaffen, ihrem Körper abgerungen hat. Es theilt also die Natur des Aeußern und des Innern und ist insofern höchst

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mo (dal momento che non consideriamo le loro anime dello stesso tipo), contro questa disposizione che anche nell’uomo originariamente è sopita e poi emerge, non sapremmo cosa potrebbe essere obiettato nemmeno dal punto di vista della metafisica herbartiana. E ciò poiché qui non abbiamo alcuna disposizione originaria, ma un’opera, un organo, che l’anima deve costituirsi secondo la sua natura assolutamente semplice, ma che l’anima dell’animale non può mai costituire giacché, non essendo spirito sopito, non si desterà come spirito. L’anima dell’animale diviene molto velocemente ciò che può essere, l’anima umana è il seme di un frutto che definiamo spirito e la lingua, secondo quest’analogia, è il processo di maturazione. L’anima animale è l’anima cristallizzata; l’anima umana, al contrario, è lo spirito già presente, ma non ancora giunto a maturazione. Ora quel [303] seme dello spirito sito nell’anima, che non è più seme, ma è già fecondato e sta maturando, è la lingua o l’autocoscienza istintiva. Il suono linguistico è il polline, il principio generativo, che s’inoltra nell’anima e la feconda affinché essa generi lo spirito. §. 95. Connessione dell’intuizione col suono Donde trae l’anima il suono? Come giunge a sceglierlo come sostegno per il suo sviluppo spirituale successivo? – La risposta a questa domanda è la seguente: essa non lo sceglie, non lo assume. Le è dato e lo accoglie con necessità, istintivamente, in modo non intenzionale. L’attività dell’anima abbisogna di supporti materiali. È legata originariamente alla sensibilità e anche nelle sue più alte e libere astrazioni si mescolano immagini sensibili. L’anima quindi, nel costituire105 l’intuizione della sua intuizione, la connette al suono. Come potrebbe l’anima avere già la forza di operare senza sostegni materiali, sensibili, al primo sguardo che volge a se stessa? Nel prendere in considerazione per la prima volta un proprio prodotto, un’intuizione, l’anima le offre per mezzo del suono un sostegno fisico al fine di porla di fronte a sé, quasi fosse una cosa. Il suono è qualcosa di esterno, ma qualcosa di esterno che sgorga dall’interno, qualcosa di corporeo che l’anima stessa ha fatto, che ha estorto al suo corpo. Qualcosa che partecipa dunque della natura dell’ester-

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geeignet, sich einem Innern, der Anschauung, anzuschließen, dieselbe mit sich selbst vereinigt von der Seele abzuziehen und dem Seelenauge fester und sicherer vorzuhalten, damit sie nicht mehr an der Seele haftend, sondern ihr als Object gegenüberstehend, ruhig ihrem Blicke Stand halte. Dazu bedarf aber für immer der Geist körperlicher Zeichen, sinnlicher Anhaltepunkte, um, wie das leibliche Auge alles, was es sehen soll, in einer gewissen Entfernung von sich haben muß, so auch dem geistigen Auge das Object seiner Betrachtung in einer gewissen Aeußerlichkeit und Ferne vorzustellen. Das kann nur erreicht werden, wenn der innere Gegenstand an einen äußern, der nur als Zeichen dient, angeknüpft wird, durch welches Verfahren mit dem äußerlichen Zeichen zugleich der innere Gegenstand, den es bezeichnet, dem Geiste wie ein äußerer Gegenstand vorgehalten werden kann. Diese Weise des Geistes, seinen Inhalt in Zeichen zu legen und sich dadurch äußerlich vorzustellen [304], muß der Seele, wo sie zum ersten Male so verfahren soll, instinctiv gegeben werden; sie würde sonst schwerlieh von selbst darauf gekommen sein. Das Zeichen konnte also nichts Willkürliches haben und mußte durch seine eigene Natur zu solcher Verwendung auffordern; es mußte von selbst vorhanden sein, von selbst an den innern Gegenstand geknüpft sein, und von selbst sich und das daran geknüpfte Innere heraussetzen, der Seele gegenüber. So thut es der Laut. Denn der Laut entspringt der Brust als Rückwirkung der Seele auf die sinnliche Erregung; so ist er da, ohne daß ihn die Seele gewollt hätte, dennoch, obwohl als ein Sinnliches, durch die Seele. Als etwas Sinnliches wird er nun von der Seele, die ihn erzeugt hat, wahrgenommen, während die Anschauung, in Folge deren er ausgestoßen ward, noch im Bewußtsein ist. Der wahrgenommene Laut associirt sich daher unmittelbar mit der Anschauung, nach dem Mechanismus der Seele, und gerade eben so unabsichtlich, als er entstanden ist. Jetzt kann weder die Anschauung zurückgerufen werden, ohne den Laut zu reproduciren, noch kann der Laut wieder hervorgebracht, noch auch nur gehört werden, ohne zugleich die damit associirte Anschauung zu reproduciren, also

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no e dell’interno, e in ragione di ciò è perfettamente adeguato a connettersi a un interno, a un’intuizione, perfettamente adeguato a sottrarre l’intuizione, unendola a se stesso, all’anima, e a porla di fronte al suo sguardo con maggior saldezza e certezza; in modo tale che l’intuizione, non aderendo più all’anima, una volta posta di fronte ad essa come oggetto, si conceda comodamente al suo sguardo. Inoltre, lo spirito ha sempre bisogno di segni corporei, di punti fermi, perché, come l’occhio del corpo necessita d’avere a una certa distanza da sé tutto ciò che deve vedere, accade anche all’occhio dell’anima di dover porre l’oggetto della sua considerazione a una certa distanza da sé e in un certo grado di esteriorità. Ma ciò può esser raggiunto soltanto quando l’oggetto interno è connesso a un oggetto esterno che ha solo la funzione di segno; grazie a questo procedimento, assieme al segno esterno può esser posto di fronte allo spirito, come fosse esterno, anche l’oggetto interno a cui il segno rimanda. Questo processo dello spirito, che pone il suo contenuto in segni e così si rappresenta [304] esteriormente, deve essere dato all’anima – se deve procedere in questo modo sin dalla prima volta – in modo istintivo; in caso contrario, non vi sarebbe potuta giungere in modo autonomo. Il segno, dunque, non poteva avere nulla di arbitrario e doveva, in ragione della sua stessa natura, invitare a una siffatta utilizzazione; doveva esser presente da sé, da sé essere connesso all’oggetto interno, e da sé porre al di fuori, di fronte all’anima, se stesso e l’interno che gli è connesso. Lo stesso fa il suono. Dal momento che il suono emerge dal petto come reazione dell’anima alla stimolazione sensibile, è presente senza che l’anima lo abbia voluto, e tuttavia è tale grazie all’anima, seppure in quanto esistenza sensibile. Come qualcosa di sensibile, dunque, è ora percepito dall’anima che lo ha prodotto, mentre l’intuizione grazie a cui è stato emesso si trova ancora nella coscienza. Il suono percepito secondo il meccanismo dell’anima si associa pertanto immediatamente con l’intuizione e in modo involontario, come involontariamente è sorto. Ora né l’intuizione può esser richiamata senza riprodurre il suono, né il suono può esser riprodotto, o anche soltanto sentito, senza riprodurre contemporaneamente l’intuizione a esso associata, è a dire senza che l’intuizione si

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mit sich zugleich die Anschauung aus dem Innern in das Aeußere zu versetzen und so das Innere der Seele vorzustellen. So wird der Laut zum Zeichen der Anschauung; die lautliche Vergegenwärtigung dieser Anschauung ist Anschauung der Anschauung; eine so angeschaute Anschauung aber ist eine Vorstellung; und die Vorstellung also ist die Bedeutung des Lautzeichens. Die Anschauung der Anschauung ist die Versetzung der Anschauung in den Laut, die Verbindung beider, die innere Sprachform; während der Laut die äußere Sprachform ist, und die Vorstellung zu dem Stoffe des Bewußtseins gehört. Das Wesen der innern Sprachform ist nun näher darzulegen. Es entwickelt sich aber stufenweise, und hat auf jeder Stufe einen andern Werth. §. 96. Inhalt der innern Sprachform im Allgemeinen. Es liegt uns zunächst noch an, den Inhalt dessen, was wir Anschauung der Anschauung oder innere Sprachform nennen, im Allgemeinen näher zu bestimmen. Der Inhalt einer Anschauung, überhaupt unseres Bewußtseins von einem Dinge, ist nicht immer der volle Gehalt des Dinges, sondern nur soviel, als wir von demselben wirklich erfaßt haben. Der Inhalt der [305] Anschauung eines Dinges im Bewußtsein des Tauben ermangelt aller Bestimmungen, welche das Tönen des Dinges betreffen, und auch wir Vollsinnigen lernen die Dinge immer besser, d. h. von den Dingen immer mehr kennen. Der Inhalt und Werth unseres Bewußtseins ist also gerade das, was wir von den Dingen erfassen; nicht mehr, nicht das Ding, wie es in der Fülle seines Inhaltes vorhanden ist, oder wie es von einem umfassendern, tiefern Blicke gesehen wird. Die innere Sprachform oder die Anschauung der Anschauung ist ebenfalls, wie das Anschauen und Fühlen, eine Art des Bewußtseins, nicht aber ein Bewußtsein von äußern Gegenständen, sondern von innern, von Anschauungen. Der Gegenstand also desjenigen Bewußtseins, welches als innere Sprachform qualificirt ist, ist die Anschauung; der Inhalt und Werth der innern Sprachform aber oder dieses Bewußtseins, welches Anschauung der Anschauung ist, ist gar nicht gleich dem Inhalte, welchen die gegenständliche, angeschaute Anschauung hat, gerade wie der Inhalt der Anschauung nicht gleich dem des Dinges ist.

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sposti contemporaneamente dall’interno all’esterno e pertanto senza rappresentare l’interno dinanzi all’anima106. Il suono diviene così il segno dell’intuizione; il richiamo fonico di questa intuizione è l’intuizione dell’intuizione, un’intuizione così intuita è però una rappresentazione e la rappresentazione, pertanto, è il significato del segno fonico. L’intuizione dell’intuizione è il trasferimento dell’intuizione nel suono, la connessione di entrambi, la forma interna della lingua; mentre il suono è la forma esterna della lingua e la rappresentazione appartiene alla materia della coscienza. Ora bisogna esporre più accuratamente la natura della forma interna della lingua. Essa, tuttavia, si sviluppa secondo diversi livelli e su ciascun livello ha valore diverso. §. 96. Contenuto della forma interna della lingua in generale Ci rimane ancora da determinare più precisamente il contenuto di ciò che definiamo intuizione dell’intuizione o forma interna della lingua. Il contenuto di un’intuizione, in generale il contenuto della nostra consapevolezza di una cosa, non è mai l’intero contenuto di una cosa, ma soltanto ciò che abbiamo realmente appreso da essa. Il contenuto dell’intuizione [305] di una cosa, nella coscienza del sordo, è privo di tutte le determinazioni che riguardano l’aspetto sonoro della cosa; e anche noi, in possesso della pienezza dei sensi, impariamo le cose sempre meglio, è a dire conosciamo le cose sempre più. Il contenuto e il valore della nostra coscienza è, dunque, proprio ciò che apprendiamo dalle cose; non di più, non la cosa che si presenta nella pienezza del suo contenuto o come è colta da uno sguardo profondo e capace di abbracciarla per intero. La forma interna della lingua o l’intuizione dell’intuizione è altresì, come l’intuire e il sentire, un tipo di coscienza e tuttavia non una coscienza degli oggetti esterni, ma degli oggetti interni, delle intuizioni. L’oggetto, dunque, di quella coscienza che è qualificata come forma interna della lingua, è l’intuizione; il contenuto e il valore della forma interna della lingua, però, o di questa coscienza che è intuizione dell’intuizione, non è per nulla uguale al contenuto che ha l’intuizione oggettiva intuita, esattamente come il contenuto dell’intuizione non è uguale alla cosa stessa.

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Noch eins. Der Inhalt unseres ganzen Bewußtseins ist bekanntlich subjectiv, von unsern Empfindungen abhängig. Wir sagen: der Zucker ist süß; d. h. in dem Inhalte unseres Bewußtseins vom Zucker liegt unter andern auch die Bestimmung, daß derselbe uns durch unsere Geschmacksorgane die Empfindung süß erregt; was das aber für den Zucker an sich ist, daß er uns süß erscheint, kommt bei diesem Bewußtsein gar nicht in Betracht. Was der Zucker an sich ist, geht unser Bewußtsein gar nicht an; es hat nur Interesse an dem, was er für es ist. Also nicht der Zucker an sich, seine Bestimmung an sich, sondern was er für dieses Bewußtsein ist, süß, weiß, hart, nur das macht den Inhalt desselben aus. Ganz ebenso verhält es sich mit der Art des Bewußtseins, welche als innere Sprachform bestimmt ist: der Inhalt dieses Bewußtseins ist nicht der Inhalt der Anschauung an sich, welche sein Gegenstand ist, sondern wie diese Anschauung ihm erscheint, welche Bestimmungen es an ihr heraushebt, das ist sein Inhalt. Wenn also die Anschauung und unser ganzes Bewußtsein von den Objecten subjectiv ist, so ist die innere Sprachform, die Anschauung der Anschauung, doppelt subjectiv; denn ihr Bewußtsein von der schon an sich subjectiven Anschauung wird nochmals nach subjectiver Rücksicht gewonnen. [306] Die Subjectivität unseres Bewußtseins überhaupt von den Dingen beruht auf der Beziehung der Dinge zu unsern Empfindungen; worauf beruht denn die neu hinzutretende Subjectivität des Bewußtseins als innerer Sprachform von den Anschauungen? Auf der Verbindung der Anschauung mit dem Laute. Wie unserm Bewußtsein überhaupt die Dinge so viel und gerade das sind, wie viel und was sie auf unsere Sinnesorgane wirken: so ist auch der innern Sprachform die Anschauung nur das und so viel, was und wie viel in der Verbindungsform der Anschauung mit dem Laute liegt. Das nun eben, was in dieser Verbindungsweise liegt, ist Inhalt der innern Sprachform und entwickelt sich vorzüglich durch drei Stufen.

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Rimane da osservare soltanto ciò: il contenuto della nostra intera coscienza è notoriamente soggettivo, dipendente dalle nostre sensazioni. Diciamo: lo zucchero è dolce; ciò significa che nel contenuto della nostra coscienza dello zucchero è presente, tra le altre, anche la determinazione secondo cui esso suscita in noi attraverso gli organi del gusto la sensazione dolce; cosa significhi, tuttavia, per lo zucchero in sé, che esso a noi risulti dolce, non entra in questione in una tale coscienza. Cosa lo zucchero è in sé non riguarda per nulla la nostra coscienza, essa si interessa soltanto di ciò che lo zucchero è per lei. Non, dunque, lo zucchero in sé, la sua determinazione in sé, ma ciò che è per questa coscienza – dolce, bianco, duro – solo ciò ne determina il contenuto. Esattamente allo stesso modo succede con il tipo di coscienza che è determinato come forma interna della lingua: il contenuto di questa coscienza non è il contenuto dell’intuizione in sé, che piuttosto è il suo oggetto, ma è costituito dal modo in cui l’intuizione le appare, dalle determinazioni che essa vi scorge. Se dunque l’intuizione, come la nostra coscienza complessiva degli oggetti, è soggettiva, la forma interna della lingua, l’intuizione dell’intuizione, lo è doppiamente, giacché la sua coscienza dell’intuizione, già in sé soggettiva, è conseguita ancora una volta per mezzo di una considerazione soggettiva. [306] In generale, la soggettività della nostra coscienza delle cose, poggia sulla relazione che le cose intrattengono con le nostre sensazioni; su che cosa poggia, dunque, l’emergente soggettività della coscienza, intesa come forma interna della lingua delle intuizioni? Essa poggia sulla connessione dell’intuizione col suono. Come per la nostra coscienza in generale, le cose sono solo ciò che opera sui nostri organi di senso e solo nella misura in cui ciò accade, anche per la forma interna della lingua l’intuizione è solo quel che si trova, e nella misura in cui ciò accade, nella forma di connessione che lega intuizione e suono. Ora, il contenuto della forma interna della lingua è esattamente ciò che sta in questo tipo di connessione e si sviluppa compiutamente attraverso tre livelli.

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c) Stufenentwickelung der innern Sprachform. Die Sprache ist die Verknüpfung von Laut und Anschauung, welche letztere aber bei diesem Processe in eine Vorstellung verwandelt wird, so daß sie nach dieser Verknüpfung mit dem Laute, in der sprachlichen Darstellung nicht mehr Anschauung, sondern Vorstellung ist, von welchem Unterschiede noch später zu reden sein wird. Jene Verbindung aber ist instinctiv, mit Nothwendigkeit vollzogen; dies führt schon darauf, daß beide in ihrer Natur eine gewisse Verwandtschaft haben, sonst könnte ihre Verbindung gar nicht stattfinden. Diese Verwandtschaft liegt nicht bloß in ihrem gleichzeitigen Ursprunge; sondern noch mehr, es liegt ein wahres Zeugungsverhältniß vor. Die Anschauung reflectirte sich auf den Körper und dadurch entstand der Laut; sie ist also Ursache, Erzeugerin desselben. Die Verbindung der Anschauung also mit dem Laute beruht auf einer Verwandtschaft und Gleichheit beider Momente, und dieses Verwandtschafts- oder Einheitsverhältniß ist der Inhalt der innern Sprachform, ist das, was das Bewußtsein von ihrer Anschauung erfaßt, indem es dieselbe anschaut. Dieses Verhältniß aber zwischen Laut und Anschauung ist kein festes, ein für allemal gebildetes, sondern ändert sich ab, und die verschiedenen Weisen ihrer Verwandtschaft und Einheit stellen eine Stufenentwickelung der innern Sprachform, des instinctiven Selbstbewußtseins dar. Dieses nämlich erhält eine immer größere Klarheit, wird immer geistiger, gewinnt an Form und Gestaltung. [307] D. Pathognomische Stufe. §. 97. Reflex der Gefühle – Interjectionen. Wenn ein unangenehmes Gefühl in einem Schmerzenslaute ausbricht, ein angenehmes in einem Freudenrufe, so ist hier noch nicht eigentlich Sprache gegeben. Denn Gefühl und Laut sind zwar mit einander verbunden, und jenes stellt sich in diesem dar; es kann die Absicht, der Wunsch hinzutreten, der Andere möge das Gefühl erkennen, und der Andere wird es auch aus den Tönen erkennen. Dies wäre allenfalls anzusehen als die Sprache des Gefühls, die thierische Sprache. Was hier aber fehlt ist die innere

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c) Sviluppo per gradi della forma interna della lingua La lingua è la connessione del suono con l’intuizione; tale intuizione, però, in questo processo è trasformata in rappresentazione, cosicché essa, dopo questo legame col suono, entro la sfera dell’elaborazione linguistica non è più intuizione ma rappresentazione; sulla diversità di intuizione e rappresentazione bisognerà tornare. Quella connessione di suono e intuizione è però compiuta istintivamente, con necessità, il che conduce già al fatto che entrambe hanno nella loro natura una certa affinità, altrimenti la loro connessione non potrebbe aver luogo. Questa affinità non è dovuta soltanto alla loro simulatanea origine, ma ancor più si presenta come un vero rapporto di produzione. L’intuizione si riflette sul corpo e attraverso questo processo sorge il suono, l’intuizione è dunque la causa originaria, produttrice del suono. Il legame dell’intuizione col suono poggia dunque su un’affinità e un’uguaglianza di entrambi i momenti e questo rapporto di affinità o unità è il contenuto della forma interna della lingua, è ciò che la coscienza coglie della sua intuizione intuendola. Questo rapporto di suono e intuizione però non è un rapporto stabile, costituito una volta per sempre, ma si evolve e i diversi tipi della loro affinità e unità danno luogo a uno sviluppo per gradi della forma interna della lingua e dell’autocoscienza istintiva. Questa infatti consegue una chiarezza sempre maggiore, diventa sempre più spirituale, progredisce nella forma e nella struttura. [307] DLivello patognomico107 §. 97. Riflesso del sentimento – interiezione Quando un sentimento spiacevole prorompe in un urlo di dolore, uno piacevole in un grido di gioia, non è ancora data lingua in senso proprio. Il sentimento e il suono difatti sono certamente connessi e il sentimento appare nel suono; può anche sopravvenire l’intenzione, il desiderio, che l’altro possa conoscere il sentimento e l’altro lo conoscerà anche dai suoni. Questa al massimo potrebbe essere considerata la lingua del sentimento, la lingua animale. Ciò che manca qui, però, è

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Sprachform, die Anschauung des Gefühls. Die innere Sprachform enthält allemal ein Verhältniß zwischen Laut und Bedeutung; hier aber existirt ein solches Verhältniß noch nicht, sondern Laut und Gefühl sind unmittelbar identisch. Der Laut ist hier nicht zum Zeichen eines Innern gesetzt; hier ist bloß Aeußeres; und der Laut, das Aechzen, Stöhnen z. B., ist nicht Zeichen des Schmerzes, sondern Wirkung desselben, ist der Schmerz selber. Die Zuckungen eines in Krämpfen sich wälzenden Unglücklichen werden wir nicht für das Zeichen der Krämpfe halten; sondern die Zuckungen sind eben die Krämpfe. Das glühende Antlitz, das funkelnde Auge, die geschwollene Stirnader, das Schnauben der Nase, sind nicht Zeichen des Zorns, sondern sind eben die Wirklichkeit des Zorns. Lachen, Seufzen, Schluchzen sind nichts anderes, als solche Wirklichkeiten der Gefühle. Sie sind nicht Zeichen, sondern, wie wir es wohl am genauesten benennen, Schein eines Innern, das Wort Schein im philosophischen Sinne genommen als Offenbarung innerer Realität. Der Mimiker stellt die Gefühle nicht dar, indem er die Zeichen derselben uns vorhält, sondern indem er den Schein derselben annimmt und gewährt. Wir stehen hier bei einem rein pathologischen Verhältnisse, einem physiologischen Processe. Wenn nun aber alle diese Gefühlsausbrüche, im weitesten Sinne des Wortes, noch nicht wesentlich zur Sprache gehören, so stehen sie ihr doch nahe, zumal wenn man in den Gefühlen Unterschiede macht. Sie entspringen theils mehr aus dem Körper, theils mehr aus der Seele. Wenn auf einen körperlichen Schlag oder Stoß, welcher Schmerz erregt, ein Schrei erfolgt: so liegt hier die Vermittlung zwischen Schlag und Schrei rein [308] körperlich, mechanisch, im Centralorgan. Eine Wirkung der Seele ist hier nicht sichtbar. Es ist auch gleichgültig, ob der Schrei auf einen Schlag von außen erfolgt, oder auf einen Schmerz, der rein innerlich im Leibe entstanden ist. Wo die Seele nicht wirkt, kann keine Sprache sein. Es entstehen nun aber auch Gefühle, die dem Leibe von der Seele her zukommen. Sie wirken im Allgemeinen schwächer auf denselben, als körperliche Gefühle, und ihre körperlichen Ausbrüche sind sanfter, zarter; wiewohl wir nicht übersehen, daß ein Seelenschmerz oft genug den Körper in das erschütterndste Leiden und die heftigsten Ausbrüche versetzt.

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la forma interna della lingua, l’intuizione del sentimento. La forma interna della lingua contiene sempre un rapporto tra suono e significato, mentre qui un tale rapporto non esiste e il suono e il sentimento sono immediatamente identici. Il suono qui non è posto come segno di qualcosa di interno, qui vi è soltanto qualcosa di esterno; e il suono, il gemere, il sospirare ad es., non è segno del dolore ma effetto di esso, è il dolore stesso. Non considereremo le convulsioni di uno sfortunato che si rigira tra gli spasimi il segno degli spasimi, piuttosto le convulsioni sono gli spasimi stessi. Il volto paonazzo, l’occhio scintillante, la vena frontale rigonfia, lo sbuffare col naso, non sono segni d’ira, ma sono la realtà dell’ira. Ridere, sospirare, singhiozzare non sono altro che la realtà di tali sentimenti. Non sono segni, ma secondo la loro esatta definizione, l’apparire dell’interiorità, assumendo il termine apparire nel senso filosofico di un palesamento della realtà interna. Il mimico non rappresenta i sentimenti ponendoci davanti i segni di essi, ma assumendo e recando la loro apparenza. Ci troviamo qui di fronte a un rapporto puramente patologico, a un processo fisiologico. Ora, se queste esternazioni del sentimento nel senso più ampio del termine non appartengono ancora essenzialmente alla lingua, le stanno piuttosto vicino una volta che tra i sentimenti si tracci una distinzione. Essi in parte provengono dal corpo in parte dall’anima. Quando a un urto, o a un colpo inferto sul corpo che provoca dolore, segue un grido, allora la mediazione tra colpo e grido sta qui nel sistema nervoso secondo un nesso puramente corporeo [308] , meccanico. Qui non è dato cogliere l’effetto di un’azione dell’anima. È anche indifferente che il grido segua a un colpo proveniente dall’esterno o a un dolore che è sorto all’interno del corpo senza alcuna connessione con l’esterno. Dove non è in opera l’anima non può esserci lingua. Ora, nascono però anche sentimenti che pervengono al corpo dall’anima. Questi in generale agiscono su di esso più debolmente dei sentimenti corporei e le loro esternazioni corporee sono più tenui, più lievi, per quanto non vogliamo trascurare il fatto che un dolore dell’anima piuttosto di frequente pone il corpo nella sofferenza più sconvolgente e lo induce alle più violente esternazioni. I più

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Die sanftesten der hierbei ausgestoßenen Töne werden von der Sprache schon aufgenommen als das untergeordnete Element der Interjectionen. Nun giebt es aber Gefühle, die nichts oder nur wenig mit Lust und Unlust zu thun haben, wie Verwunderung, Ueberlegenheit, Spott u.s.w. Diese vorzüglich liefern der Sprache Interjectionen. Die Interjectionen bilden jedoch noch keinen Redetheil. Sie ragen aus einer überwundenen Stufe in die Sprache hinein. Ungebildete haben deren mehr als Gebildete, die südlichen Völker mehr als die nördlichen. Wenn bei den rein körperlichen Gefühlen und ihrem Ausdrucke in pathologischen Tönen nichts von innerer Sprachform auftritt, weil zwischen Gefühl und Laut bloß der physiologisch causale Mechanismus liegt; wenn auch bei Seelenschmerz und Seelenlust Bedeutung und Aeußerung durch ein bloßes Naturband an einander geknüpft sind: so tritt bei den zuletzt genannten Gefühlen, die einen viel bestimmtern Inhalt haben, als Schmerz und Lust überhaupt, auch schon zugleich etwas von innerer Sprachform auf, ein Analogon, ein Vorbild derselben. Zwischen einem Kitzel oder einem Witz und dem Lachen, zwischen dem Gedanken an einen Verlust und dem Seufzen ist kein deutbarer Zusammenhang, keine innere Sprachform. Wenn man aber vor Verwunderung ah! ausruft, so fühlt man einen Zusammenhang: die Seele wird von einem unerwarteten Anblicke betroffen; die neue Anschauung findet in dem Vorrathe der früher gehabten Anschauungen keine, an welche sie sich anschließt; alles, was in der Seele liegt, wird also zurückgedrängt, die neue Anschauung nimmt ganz allein das ganze Bewußtsein ein und will sich darin behaupten. Bei so starker plötzlicher Veränderung im Bewußtsein leidet die Seele und [309] dadurch auch der Leib. Man athmet stärker und der ganze Luftweg ist angespannt; auch die Stimmbänder sind es, und so tönen sie. Daher entsteht mit vieler Kraft der ursprünglichste, absichtsloseste, reinste Laut a. In dieser Deutung liegt noch wenig Sprachliches; aber der Laut a hat noch zu wenig sprachliches Element: er ist Stimmton, und weiter nichts. Nehmen wir dagegen die Interjection der Geringschätzung pah! so haben wir hier schon etwas mehr. Es liegt darin ausgedrückt, man achte eine Sache nicht mehr als die ausgeschnellte Luft. Dieser Gedanke ist die innere Sprachform dieser Interjec-

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lievi tra i suoni emessi in questo modo sono già accolti dalla lingua come l’elemento subordinato all’interiezione. Ora, ci sono però sentimenti che non hanno nulla a che fare con la gioia e il dolore, come la meraviglia, il senso di superiorità, la derisione etc. Questi forniscono alla lingua interiezioni, per eccellenza. Le interiezioni tuttavia non costituiscono ancora una parte del discorso e promanano da un livello che nella lingua è superato. I popoli incivili ne posseggono di più dei popoli civili, i popoli del sud di più di quelli del nord. Se nei sentimenti corporei e nelle loro espressioni in suoni patologici non si presenta nulla della forma interna della lingua, perché tra il sentimento e il suono vi è soltanto il meccanismo causale, fisiologico; se anche nel dolore e nel piacere in quanto affezioni dell’anima, significato ed esternazione sono legati soltanto da un nesso naturale; nei sentimenti definiti per ultimo, che hanno un contenuto più determinato rispetto alla gioia o al dolore in generale, si presenta già qualcosa della forma interna della lingua, un analogo, un equivalente di essa. Tra il solletico o uno scherzo e il ridere, tra il pensiero della morte e il sospirare, non c’è nessuna connessione interpretabile, nessuna forma interna della lingua. Quando però per meraviglia si emette un ah! allora si avverte una connessione: l’anima è colpita da una visione inaspettata; la nuova visione, nella riserva delle intuizioni avute prima, non ne trova una a cui connettersi; tutto ciò che si trova nell’anima è dunque sospinto indietro, la nuova intuizione occupa da sola l’intera coscienza e vuole affermarsi in essa. In ragione di un così violento e repentino cambiamento all’interno della coscienza, l’anima patisce e [309] attraverso di lei anche il corpo. Si respira più affannosamente e l’intero canale respiratorio è in tensione, lo sono anche le corde vocali e, per questo, risuonano. Da ciò promana con forza maggiore il più originario, inintenzionale e puro suono a. In questa interpretazione c’è ancora poco di linguistico, il suono a possiede ancora pochissimo di ciò che connota un elemento linguistico: è un suono vocale e nient’altro. Assumiamo invece l’interiezione di sottovalutazione pah! Qui abbiamo già qualcosa di più consistente. In questo caso è espresso il pensiero che si valuta una cosa come non più rilevante di un soffio d’aria. Questo pensiero è

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tion, das Band zwischen ihrer Bedeutung und ihrem Lautgehalt. – „Eh, laß mich doch in Ruhe“; hier ist der ausgestoßene Laut wie eine Hand, welche zurückstößt. Kurz mit diesen Interjectionen treten wir schon auf die Stufe der sogenannten Onomatopöie. Wie man diese als den ursprünglichsten Sprachtrieb, der alle Elementarwörter geschaffen hat, läugnen könne, sehen wir nicht ein – oder man muß völlig auf allen und jeden innern Zusammenhang zwischen Laut und Bedeutung Verzicht leisten, und in deren Verknüpfung nichts als den sinnlosesten Zufall, „das Spiel organischer Freiheit“ sehen. Aber vor einem Mißverstande ist zu warnen. Man muß die Onomatopöie nicht, wie Plato und alle folgenden, als eine Lautnachahmung des angeschauten Gegenstandes betrachten. Zwischen Laut und Ding ist gar keine unmittelbare Beziehung. Die Onomatopöie beruht lediglich auf der Verwandtschaft des Lautes mit der Anschauung, und nur vermittelst dieser mit dem Dinge. Und noch mehr! auch zur Anschauung steht der Laut nur in vermittelter Beziehung; der Laut malt nur die Anschauung der Anschauung, d. h. dasjenige Merkmal oder Element der Anschauung, welches das Bewußtsein, als innere Sprachform bestimmt, aus dem Complex der Merkmale oder Elemente der Anschauung heraushebt und erfaßt. Denn es ist schon gesagt, daß die Anschauung der Anschauung nicht die ganze Anschauung in sich aufnimmt und umfaßt, sondern nur das was sie an ihr bemerkt; und nur dies legt sie in den Laut oder knüpft sie an ihn. Dieses an der Anschauung von der innern Sprachform Erkannte ist aber verbunden mit der Anschauung, und so wird mittelbar durch Anschauung der Anschauung oder innere Sprachform die Anschauung als Bedeutung an den Laut geknüpft. [310] §. 98. Speciellere Definition der Sprache. Ich denke, man unterscheidet bei diesen onomatopoetisch gebildeten Wörtern, wie bei den Interjectionen, etwa pah, sehr leicht die drei Factoren oder constitutiven Elemente der Sprache: die Anschauung des Dinges und den Werth der Interjection als Bedeutung (z. B. bei pah! etwa: dies Ding ist nichts werth, geht mich nichts an), den Laut (die bestimmte Articulation der Lippen mit dem kurzen a), und die innere Sprachform, das Band zwischen Laut und Bedeutung, das Merkmal der Anschauung,

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la forma interna di questa interiezione, il nesso tra il significato e il contenuto sonoro. – “Eh, lasciami in pace”; qui il suono emesso è come una mano che respinge. In breve, con queste interiezioni siamo già al livello della cosiddetta onomatopea. Non capiamo come si possa negare che questa sia l’impulso linguistico originario che ha costituito tutte le parole elementari – o bisogna rinunciare del tutto a ogni connessione interna tra suono e significato e nel loro legame non cogliere null’altro che il caso più insensato, “il gioco della libertà organica”108. Ma bisogna mettere in guardia da un fraintendimento. Non bisogna considerare l’onomatopea, come Platone e tutti quelli che seguono, l’imitazione sonora di un oggetto intuito. Tra il suono e la cosa non vi è alcuna imitazione immediata. L’onomatopea poggia solo sull’affinità del suono con l’intuizione e, solo attraverso l’intuizione, sull’affinità del suono con la cosa. E ancora, anche nei confronti dell’intuizione il suono si pone in una relazione mediata; il suono ritrae solo l’intuizione dell’intuizione è a dire quel carattere o elemento dell’intuizione che la coscienza, determinata come forma interna della lingua, estrapola e apprende dal complesso dei caratteri o degli elementi dell’intuizione. Poiché è stato già detto che l’intuizione dell’intuizione non accoglie e abbraccia in sé l’intera intuizione, ma solo ciò che coglie in essa, e soltanto questo pone nel suono o connette al suono. Quanto dell’intuizione è conosciuto nella forma interna della lingua è, tuttavia, legato all’intuizione e così l’intuizione in quanto significato è legata al suono per mezzo dell’intuizione dell’intuizione o della forma interna della lingua. [310] §. 98. Definizione più precisa della lingua Penso che in queste parole costituite in modo onomatopeico, come nell’interiezione pah, possano essere divisi molto facilmente i tre fattori o elementi costitutivi della lingua: l’intuizione della cosa e il valore dell’interiezione come significato (ad es. pah! Significa qualcosa come: la cosa non è di nessun valore, non mi importa), il suono (la particolare articolazione delle labbra con la a breve), e la forma interna della lingua, il nesso tra suono e significato, il carattere dell’intuizione che

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welches das Bewußtsein, indem es die gewonnene Anschauung anschaut, heraushebend bemerkt (ich schätze dies Ding wie einen Hauch). Welches Merkmal aber wird das Bewußtsein aus dem ganzen Complex der Empfindungen, aus denen die Anschauung gebildet ist, hervorheben? Und woher kommt es, daß es nicht die ganze ungetheilte Anschauung anschaut, sondern dieselbe nur theilweise ergreift? Hierüber scheint mir Folgendes zu bemerken. Daß Vorstellungen von Thätigkeiten unmittelbar auf die Nerven wirken, welche die wirkliche Ausübung dieser Thätigkeiten veranlassen, scheint mir nicht besonders räthselhaft; denn was ist die Absicht, der Wille anderes, als eine vorgestellte Thätigkeit oder die Vorstellung einer Thätigkeit? Bei dem innigen Zusammenhange zwischen Seele und Leib bedarf nicht diese Erscheinung einer Erklärung, daß nämlich der Körper unmittelbar vollzieht, was die Seele vorstellt; sondern nur die entgegengesetzte Erscheinung verlangt begreiflich gemacht zu werden: daß wir nämlich so viel vorstellen, was wir nicht ausführen; und die Erklärung hiervon liegt in der Selbstbeherrschung des Geistes. Daß ferner Gefühle Bewegungen verursachen durch ihre Reflectirung mittelst des Centralorgans auf naheliegende Bewegungsnerven, hat wiederum nichts Auffallendes. Daß aber Anschauungen Bewegungen verursachen, die gar nichts mit der Verwirklichung jener Anschauungen zu thun haben, wie dies in der Sprache vorliegt – da das Tönen und Articuliren keine Ausführung der angeschauten Dinge oder Bewegungen ist –: dies scheint mir nur dadurch erklärbar zu sein, daß wir die Anschauungen von Gefühlen begleitet sein lassen. Das aber kann uns nicht in Verwunderung setzen, da die Anschauungen sowohl mannigfach mit Gefühlen in der Seele associirt sind, als auch an sich auf Empfindungen beruhen, die nur ganz besonders bestimmte [311] und begrenzte Gefühle, und immer von Gefühlen begleitet sind. Das die Anschauung begleitende Gefühl also ist das Schöpferische in der Sprache; denn nur dieses setzt Stimme und articulirende Organe in Bewegung. In der ursprünglichen Sprache, auf der Stufe der Onomatopöie, ist das Gefühl das eigentlich Tönende; und weil dieses ein viel bestimmteres Gefühl ist, als bloß Lust und Schmerz im Allgemeinen, weil es ein ganz besonderes, auf eigenthümlichen Associationen und begrenzten Empfindungen beruhendes Gefühl ist: darum wirkt es auch in viel feinerer, begrenzterer Weise

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la coscienza nota mettendolo in risalto dal momento che intuisce l’intuizione ottenuta (valuto la cosa non più di un soffio). Quale carattere però la coscienza metterà in risalto dal complesso delle sensazioni da cui è costituita l’intuizione? E da cosa dipende il fatto che la coscienza non intuisce l’intera intuizione indivisa, ma la coglie solo in parte? In proposito mi sembra debba essere notato quel che segue. Il fatto che rappresentazioni di attività operano immediatamente sui nervi, che causano l’esecuzione effettiva di queste attività, non mi pare particolarmente enigmatico; cos’altro sono infatti l’intenzione, la volontà, se non attività rappresentata o la rappresentazione di un’attività? In riferimento al nesso interno di anima e corpo questo fenomeno non ha bisogno di una spiegazione, giacché il corpo compie immediatamente ciò che l’anima rappresenta; solo il fenomeno opposto deve essere spiegato: il fatto che noi rappresentiamo molte cose che non vengono compiute, e la spiegazione di ciò sta nell’autocontrollo dello spirito. Inoltre, il fatto che sentimenti causano movimenti per il loro riflesso mediato dall’organo centrale sui veri e propri nervi di movimento, non ha nulla di straordinario. Ma il fatto che le intuizioni causano movimenti che non hanno nulla a che fare con la realizzazione di quelle intuizioni, come accade nella lingua – dal momento che l’emettere o l’articolare suoni non è la realizzazione di una cosa o di un’intuizione osservata –, mi pare spiegabile solo perché consideriamo le intuizioni accompagnate dai sentimenti. Questo tuttavia non può meravigliarci dal momento che le intuizioni sono associate nell’anima con i sentimenti in vario modo e dal momento che, anche in sé, poggiano su sensazioni che non sono altro che sentimenti particolarmente determinati [311] e circoscritti109, e sempre accompagnate da sentimenti. Il sentimento che accompagna l’intuizione è pertanto l’elemento creativo nella lingua, esso soltanto pone in movimento la voce e gli organi articolatori. Nella lingua originaria, al livello dell’onomatopea, è il sentimento ciò che in senso proprio risuona; e poiché si tratta di un sentimento molto più determinato del semplice piacere o del dolore, giacché è un sentimento del tutto particolare, che poggia su associazioni di sensazioni peculiari e specifiche, opera anche in modo molto

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nicht bloß auf den Athem, sondern auch auf einzelne Organe, und bringt dadurch nicht ein unbestimmtes Aechzen, Schluchzen, Lachen, sondern eine Articulation hervor. Die bestimmte Articulation als bloße Reflexbewegung einer Anschauung hat nicht mehr Räthselhaftes, als der verschiedene Gesichtsausdruck bei verschiedenen leidenschaftlichen und Gefühls-Erregungen, welcher Ausdruck, bei gebildeten Menschen sehr fein abgeschattet, immer nur durch denselben physiognomischen Gesichtsnerv (N. facialis) hervorgebracht wird. Diese Betrachtung dient uns erstlich dazu, unsere Definition von der Sprache zu vervollständigen. Wenn wir aber die Sprache als eine pathologische Reflexbewegung auffaßten, so haben wir damit die allgemeine Classe der physiologischen Erscheinungen erkannt, zu der die Sprache gehörte; haben das Genus proximum der Sprache angegeben. Damit aber ist die Definition erst halb gegeben; wir verlangen noch das specifische Merkmal, und dies ist nun gefunden. Sprache ist diejenige pathognomische Reflexbewegung, welche auf rein theoretische Anschauungen erfolgt, was vermittelst gewisser mit den Anschauungen in mannigfacher Weise verbundener Gefühle geschieht. §. 99. Inhalt der innern Sprachform auf der Stufe der Onomatopöie. Indem nun das Bewußtsein die Anschauung anschaut und gerade, während sie dies thut, zugleich den reflectirten Laut wahrnimmt: so associirt sich nicht bloß der Laut mit der Anschauung im Bewußtsein; sondern die Anschauung erhält auch nur den Werth, den der Laut von ihr verkündet. Das Bewußtsein erfaßt von dem ganzen Inhalte der Anschauung natürlich nur das, was sich ihm durch den Laut in einer gegenwärtigen Wahrnehmung so lebendig aufdrängt. Indem sich die [312] Seele fragt, was sie an der Anschauung, an diesem Complex von Empfindungen besitze: antwortet ihr der eigene Laut, was diese angeschaute Anschauung sei, verdrängt die andern Merkmale derselben aus dem Bewußtsein und stellt sich demselben dar als Aequivalent der ganzen Anschauung. Die Anschauung der Anschauung, die innere Sprachform hat also den Werth, den Inhalt, welchen der durch Reflex erzeugte onomatopoetische Laut in sich trägt. So reich also auch z. B. die Thätigkeit des Essens oder die Anschau-

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più fine e circoscritto non solo sul respiro, ma anche su singoli organi e così produce non tanto un particolare gemere, singhiozzare, ridere, ma un’articolazione. L’articolazione specifica, come mero movimento riflesso di un’intuizione, non ha più nulla di enigmatico, come non è nulla di enigmatico la diversa espressione del volto in presenza di diverse stimolazioni provocate dalle passioni e dal sentimento; espressione, che negli uomini civili è molto più sfumata per quanto prodotta dallo stesso nervo fisiognomico del viso (n. facialis). Questa considerazione ci serve anzitutto a completare la nostra definizione della lingua. Quando abbiamo concepito la lingua come un movimento patologico riflesso, abbiamo individuato la classe generale dei fenomeni fisiologici a cui la lingua apparteneva; abbiamo indicato il genus proximum della lingua. Con ciò però la definizione è data solo a metà; noi esigiamo ancora il carattere specifico del genere, ed esso ora è trovato. La lingua è quel movimento riflesso patognomico che segue da intuizioni puramente teoretiche110, il che accade per mezzo di certi sentimenti connessi alle intuizioni in vario modo. §. 99. Contenuto della forma interna della lingua al livello dell’onomatopea Dal momento che la coscienza intuisce l’intuizione e contemporaneamente percepisce il suono riflesso, non solo nella coscienza il suono si associa con l’intuizione, ma l’intuizione ottiene soltanto il valore che il suo suono trasmette. La coscienza dell’intero contenuto dell’intuizione, apprende naturalmente solo ciò che le viene così vivacemente inculcato attraverso il suono in una percezione presente. Dal momento che l’anima [312] si chiede cosa possieda nell’intuizione, in questo complesso di sensazioni, il suo stesso suono le risponde cosa sia questa intuizione intuita, sospinge al di fuori della coscienza gli altri caratteri dell’intuizione e si presenta, al cospetto della coscienza, come l’equivalente dell’intera intuizione. L’intuizione dell’intuizione, la forma interna della lingua, ha dunque il valore, il contenuto, che porta in sé il suono onomatopeico prodotto per mezzo del riflesso. Per quanto possa pur essere ricca di caratteri, ad es. l’attività del man-

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ung davon an Merkmalen sein mag, bei der Wurzel pa, bibo, pappen ist der Inhalt der Anschauung dieser Anschauung, der innern Sprachform, bloß die durch die Lippenarticulation angedeutete Lippenbewegung. Unser deutsches Wort plump ist noch ganz die Interjection plumps, plautz! So viele Merkmale nun auch in der Anschauung des Plumpen liegen mögen, das Bewußtsein, indem es als innere Sprachform die Anschauung jener Anschauung bildet, hat als solches nur den Inhalt des breiten, schweren Aufschlagens nach einem Falle, welchen Inhalt es vom reflectirten Laute empfängt. Daß bei Anschauungen, in denen eine Lautempfindung liegt, vorzüglich diese reflectirt werden wird, läßt sich wohl erwarten. Daher so viele schallnachahmende Wörter. Ueberhaupt aber läßt sich doch wohl annehmen, daß der reflectirte Laut eine gewisse Aehnlichkeit mit der Anschauung haben wird, und diese ist also das Wesen der Onomatopöie. Aber diese Aehnlichkeit ist nicht Folge einer Nachahmung, wobei immer Absicht vorausgesetzt wird; sondern es ist ein Lautreflex, wobei sich die Sprachorgane wie ein Spiegel, wie die Netzhaut des Auges, verhalten, indem sie zurückspiegeln, was auf sie wirkt. Bei Anschauungen, in denen eine Tonempfindung liegt, wird die Onomatopöie klarer sein, als bei andern, in denen keine solche gegeben ist, aus einem dreifachen Grunde: zuerst nämlich wegen der Gleichheit des Elements; ferner weil die Tonempfindungen die lebhaftesten, erregendsten sind; drittens aber auch noch aus einem andern Grunde. Man erinnere sich, daß wir oben die Reflexbewegungen in zwei große Classen theilten: in diejenigen, welche die Anschauung einer Bewegung unmittelbar ausführen, und in diejenigen, welche auf ein Gefühl, eine Empfindung erfolgen, ohne mit diesen selbst etwas ersichtlich Gemeinsames zu haben. Zur letztern Classe zählten wir die Sprache. Man sieht aber wohl, daß bei Wörtern für Anschauungen mit [313] Tonempfindungen jene beiden Classen zusammenfallen; denn hier entsteht in Folge einer Anschauung eine Bewegung, die mit jener eigentlich nichts zu thun hat; andererseits aber wird doch die Tonempfindung, welche in das Bewußtsein tritt, so gut es gehen will, unbewußt nachgeahmt, wie das gesehene Gähnen, Fechten u.s.w.

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giare o la sua intuizione, nella radice pa bibo, pappen il contenuto dell’intuizione di questa intuizione, il contenuto della forma interna della lingua, consiste semplicemente nel movimento delle labbra abbozzato attraverso l’articolazione. La nostra parola tedesca plump111 coincide ancora interamente con l’interiezione plumps, plautz!112 Per quanti caratteri possano risiedere oggi nell’intuizione del “goffo”, la coscienza, producendo l’intuizione di quella intuizione come forma interna della lingua, ha in quanto tale solo il contenuto di un ampio e pesante andare in pezzi dopo una caduta, contenuto che la coscienza riceve dal suono riflesso. Ci si può aspettare che nelle intuizioni in cui si trova una sensazione sonora, sia quest’ultima per lo più a venir riflessa. Per questo vi sono così tante parole che imitano il suono. In generale, però, bisogna assumere che il suono riflesso abbia una certa affinità con l’intuizione e questa è dunque l’essenza dell’onomatopea. Ma questa affinità non è la conseguenza di un’imitazione, in cui è sempre presupposta un’intenzione; si è piuttosto in presenza di un suono riflesso in cui l’organo linguistico si comporta come uno specchio, come la retina dell’occhio che riflette ciò che la colpisce. Nelle intuizioni in cui vi è una sensazione sonora, l’onomatopea sarà più evidente che in quelle in cui non c’è, per tre ragioni: anzitutto, per l’uguaglianza degli elementi; poi, perché le sensazioni sonore sono le più vivaci e stimolanti; in terzo luogo, per la ragione seguente. Si ricordi che sopra abbiamo diviso i movimenti riflessi in due grandi classi, in quelli che realizzano immediatamente l’intuizione di un movimento e in quelli che seguono a un sentimento, a una sensazione, senza avere intenzionalmente qualcosa in comune con questi. Abbiamo assegnato la lingua a quest’ultima classe. Si vede bene, però, che nelle parole provocate da intuizioni composte [313] da sensazioni sonore quelle due classi coincidono. E ciò perché, in questo caso, in conseguenza di un’intuizione nasce un movimento che in senso proprio non ha nulla a che fare con quella intuizione. D’altro canto, però, la sensazione sonora che entra nella coscienza viene involontariamente imitata al meglio, come lo sbadiglio, l’incontro di scherma etc.

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Man könnte hier noch mancherlei untergeordnete Stufen innerhalb des Standpunktes der Onomatopöie aufführen. Diese Einzelheiten jedoch gehören nicht zu unserm Zwecke. §. 100. E. Charakterisirende Stufe. Hier wird das instinctive Selbstbewußtsein, die innere Sprachform, viel klarer und inhaltsvoller, und diese Stufe liefert den eigentlichen Wirkungskreis der Etymologie. Wir rechnen nämlich hierher diejenigen Wörter, welche Anschauungen in der Weise bedeuten, daß sie ein charakteristisches Merkmal dieser Anschauung angeben. Der größte Theil der Substantiva gehört hierher, indem die Dinge durch Thätigkeiten und Eigenschaften angedeutet werden. Beispiele sind hier überflüssig. Doch auch Verba, denke ich, gehören vielfach hierher, und Adjectiva. Oder sollte man nicht z. B. das griechischeILOHL`Q, das gothische frijôn (amare) so ansehen müssen, daß die Thätigkeit der Liebe durch ihre Freude (Saskr. prî, freuen) gekennzeichnet wird? Und wie der Freund dargestellt wird als der, mit dem man sich freut, so auch im Armenischen die Eigenschaft gut pari als diejenige, an der man sich erfreut, oder schon in doppelt charakteristischer Stufe, was man liebt. Auch hierzu bieten sich die Beispiele vielfach dar. Eine scharfe Abgrenzung dieser Stufe von der vorigen ist nicht gut möglich; denn sie ist auch in der Wirklichkeit nicht vorhanden. Es giebt hier vielmehr mannigfache Uebergange, die uns zeigen, wie man zu dieser höhern Stufe aufstieg. Wenn die Anschauung von einem Thiere durch einen reflectirten Laut bezeichnet wird, wenn die Katze (im Chinesischen) Miau, das Pferd vom Wiehern (Saskr. hrêsch) Roß heißt: so wird hier schon eine Anschauung, die vielfache Merkmale in sich schließt, durch eine besonders auffallende, kennzeichnende, benannt. Hiermit ist also auf der onomatopoetischen Stufe das Princip der folgenden schon gegeben; nur werden auf dieser höhern Stufe [314] nicht mehr ursprüngliche Reflexlaute, sondern schon aus denselben gebildete Wurzelwörter verwandt. Der Inhalt der innern Sprachform auf dieser Stufe, das was das Bewußtsein hier in seiner Anschauung anschaut, ist klar; es ist nämlich eben das zur Bezeichnung dienende Merkmal; und die Etymologie ist es, welche uns den Sinn der innern Sprachform,

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Potrebbero essere addotti altri livelli subordinati interni al grado dell’onomatopea. Queste particolarità tuttavia non riguardano il fine che ci siamo proposti. §. 100 ELivello caratterizzante Qui l’autocoscienza istintiva, la forma interna della lingua, diventa molto più chiara e ricca di contenuto e questo livello fornisce la sfera d’azione dell’etimologia. Assegniamo a questo livello quelle parole che significano le intuizioni indicandone una qualità caratteristica. Vi appartengono la maggior parte dei substantiva, giacché le cose sono indicate attraverso attività e qualità. È superfluo darne degli esempi. Credo che a questa sfera appartengano anche svariati verba e adjectiva. O non si sarebbe forse dovuto concepire il greco ILOHL`Q, il gotico frijôn (amare) così da contrassegnare l’attività dell’amore in rapporto alla Freude113 (Sanscrito: prî, freuen114) che produce? E come il Freund115 è rappresentato come colui con cui si gioisce (freut), così anche nella lingua armena la qualità buono (gut) “pari” è rappresentata come colui di cui si gioisce o, già a un doppio livello caratteristico, come quel che si ama. Anche per questo vi sono molteplici esempi. Una netta delimitazione di questo livello rispetto a quello precedente non è possibile poiché non si presenta nemmeno nella realtà. Vi sono qui numerosi passaggi che ci mostrano come ci s’innalza a questo più alto livello. Quando l’intuizione di un animale è indicata con un suono riflesso, quando il gatto si chiama (in cinese) miau, il cavallo che nitrisce (in sanscrito hrêsch) Roß116, allora già qui un’intuizione che racchiude in sé molteplici caratteri è nominata per mezzo di un carattere particolarmente significativo e distintivo. Quindi al livello dell’onomatopea è già dato il principio del livello seguente, solo che a questo più alto livello [314] non sono più usati suoni riflessi originari, ma sono usate già radici delle parole costruite a partire da essi. Il contenuto della forma interna della lingua a questo livello, ciò che la coscienza a questo grado di sviluppo intuisce nella sua intuizione, è evidente. Si tratta esattamente del carattere che serve per la designazione; e l’etimologia è ciò che

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den Gedanken des instinctiven Selbstbewußtseins aufschließt. Das griechische Volk erkannte an seiner JXQKY (der Engländer an seiner Queen), die Gebärende, an Sohn haben wir den Erzeugten, an ÀOLXV den saugenden, an unserm Wolf den zerreißenden, an der Maus den Dieb u.s.w. Vieles wäre hierbei noch zu bemerken; doch es ist alles schon bekannt. §. 101. Dritte Stufe der innern Sprachform. Eine dritte Weise der Wortschöpfung giebt es eigentlich nicht. Doch müssen wir eine dritte Stufe der innern Sprachform, des instinctiven Selbstbewußtseins anerkennen, wo zwar nichts Neues auftritt, aber das Alte sich ändert. Dies ist die Stufe der geschichtlichen Zeit, wo Laut und objective Anschauung oder Bedeutung ohne Vermittlung verbunden sind, gerade so unmittelbar, wie Kitzel mit Lachen, ein Reiz in der Schleimhaut der Nase mit Niesen und alle jene rein mechanischen Reflexbewegungen, welche auf Gefühle erfolgen. Diese Unmittelbarkeit in der Verbindung der Sprachfactoren rührt daher, daß die innere Sprachform aus dem Bewußtsein geschwunden ist; so ist es bei uns heute. Wie bei jenen Gefühlsreflexionen die Vermittlung der beiden Momente im physiologischen Mechanismus liegt: so ist in geschichtlicher Zeit das Band von Bedeutung und Laut der reine psychische Mechanismus, das Gesetz der Association. Die innere Sprachform ist jetzt nur noch der Punkt, wo Laut und Bedeutung sich berühren, ein Punkt ohne Ausdehnung und Inhalt. Wir haben eben das instinctive Selbstbewußtsein nicht mehr; es ist verdrängt durch das wirkliche Selbstbewußtsein, oder mindestens durch ein viel reicheres Bewußtsein, als jenes instinctive. Wir lernen am Wolfe, an der Maus, am Weibe u.s.w. so viele Beziehungen kennen, und Beziehungen, die wichtiger für uns sind, als die im Worte liegende, daß diese letztere vor der hellen Beleuchtung, welche jene vom Bewußtsein erhalten, allmählich in den Schatten tritt und endlich ganz in die Nacht der Vergessenheit sinkt. Dies wird weiterhin noch klarer werden.

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ci dischiude il senso della forma interna della lingua, il pensiero dell’autocoscienza istintiva. Il popolo greco conobbe nel suo JXQKY (il popolo inglese nel suo queen) la partoriente117, in Sohn118 noi abbiamo colui che è partorito, in filius il poppante, nel nostro Wolf lo sbranante, in Maus119 il ladro etc. Ci sarebbe ancora da notare molto, ma quel che era necessario conoscere lo si è già detto. §. 101. Terzo livello della forma interna della lingua In verità un terzo modo per creare la parola non c’è. Dobbiamo tuttavia riconoscere un terzo livello della forma interna della lingua, dell’autocoscienza istintiva, dove in realtà non entra nulla di nuovo, ma i prodotti degli altri due livelli si trasformano. Si tratta dello stadio delle epoche storiche, in cui il suono e l’intuizione oggettiva, o il significato, sono connessi senza mediazione in modo così immediato come il solletico col ridere, uno stimolo che solleciti la mucosa del naso con lo starnutire e come lo sono tutti quei movimenti riflessi puramente meccanici che seguono dai sentimenti. Questa immediatezza della connessione dei fattori linguistici dipende dal fatto che la forma interna della lingua è scomparsa dalla coscienza; e così accade oggi a noi. Come nei movimenti riflessi del sentimento, la mediazione dei due momenti risiede nel meccanismo fisiologico, così in epoca storica il nesso di significato e suono sta nel puro meccanismo psichico, nella legge dell’associazione. La forma interna della lingua ora è soltanto il punto in cui il suono e il significato si toccano, un punto senza estensione e contenuto. Quel che ci manca ormai è proprio l’autocoscienza istintiva; essa è soppiantata dall’autocoscienza reale o per lo meno da una coscienza molto più ricca di quella istintiva. Noi nel lupo, nel topo, nella moglie etc. conosciamo tante relazioni, e relazioni per noi ben più importanti di quella che si trova nella parola, perché la relazione che si trova nella parola, in ragione della maggiore chiarificazione che le altre ricevono dalla coscienza, si adombra progressivamente e infine cade completamente nell’oblio. Ciò diverrà più chiaro di seguito.

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[315] d) Mittheilung, Verständniß, Sprechenlernen der Kinder. §. 102. Die vorzüglichste Ursache, warum man früher das Wesen und den Ursprung der Sprache mißverstand, oder das vorzüglichste Mißverständniß über die Sprache lag darin, daß man sie als bloße Mittheilung auffaßte, während sie im Gegentheil wesentlichst und zunächst ein Selbstbewußtsein, d. h. eine Mittheilung an den Sprechenden selbst ist, eine Darstellung und Auffassung zuerst für und durch den Redenden selbst, und dann erst für Andere. An eine Kritik der ältern Ansichten kann ich hier nicht denken. Ich habe anderwärts Herder und Haman einander entgegengesetzt und zu zeigen gesucht, wie sie sich an sich selbst und an einander aufreiben. Hier will ich aber Herbarts Ansicht über die Entstehung der Sprache anführen. Sie ist schwach genug und könnte allen Psychologen zur Warnung dienen, die sich der Sprachforschung entschlagen zu können meinen*. Aber immer noch ist unsere Absicht, durch die folgende Anführung Herbarts statt vieler andern Citate diesen größten Psychologen und eigentlichen Gründer der wissenschaftlichen Psychologie zu ehren; denn seine Ansicht ist doch werthvoller als die Herdersche, und schließt das Wahre der ganzen Vergangenheit in sich. Zu seiner Entschuldigung mag noch dienen, daß Wilhelm von Humboldts großes Werk erst erschien, als er seinem Tode schon nahe war. „Worin liegt denn das Wunderbare der Sprache?“ fragt er (Psych. §. 130. Werke VI, S. 217.) unwillig über die „zu starken“ Ausdrücke, in denen man vom „Wunderbaren“ der Sprache redet. Man sieht sogleich wieder, daß er sich gegen die Uebertreibung stemmt. Er fährt in der Absicht, das Wunder zu erklären, fort: „Wenn Sprache, ihrem Begriffe nach, absichtliche Mittheilung der Gedanken durch willkürliche Zeichen ist, so konnten die ersten Mittheilungen unmöglich durch Sprache geschehen. Denn willkürliche Zeichen müssen verabredet werden, sonst wür-

* Oder klagen vielleicht die Psychologen die Sprachforscher an, daß ihnen dieselben nicht in die Hand arbeiten? Wenn sie es thun – wir müssen verstummen.

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[315] d) Comunicazione, comprensione, apprendimento della lingua da parte dei bambini §. 102 Il motivo principale per cui in passato si fraintesero la natura e l’origine della lingua, o il più significativo fraintendimento della lingua, fu l’averla concepita come semplice comunicazione, mentre al contrario prima d’ogni altra cosa è un’autocoscienza, è a dire una comunicazione che si realizza in chi parla, una rappresentazione e una comprensione anzitutto per chi parla e per suo tramite, e poi per gli altri. Qui non posso addentrarmi in una critica delle antiche prospettive. In altro luogo ho contrapposto Herder e Hamann e ho cercato di mostrare come si annientino da sé e vicendevolmente120. Qui, invece, voglio citare la prospettiva di Herbart sulla nascita della lingua. È una concezione abbastanza debole e potrebbe fungere da monito per tutti gli psicologi che credono di potersi esimere dalla ricerca linguistica*. Ma è comunque nostra intenzione, rimandando alle parole di Herbart invece che alle tante altre citazioni possibili, onorare il più grande psicologo e il vero fondatore della psicologia scientifica. E ciò poiché la sua prospettiva ha maggior valore di quella di Herder e racchiude in sé la parte vera di tutto quello che in passato si è pensato in proposito. A giustificazione delle lacune della sua concezione della lingua può anche valere il fatto che la grande opera di Wilhelm von Humboldt apparve quando egli era ormai prossimo alla dipartita121. «In che sta il prodigio della lingua?» chiede (Psych. §. 130, Werke VI, p. 217)122, indignato dalle espressioni «troppo forti», con cui si discute di “prodigi” della lingua. Anche qui si vede come Herbart si opponga all’esagerazione. Egli prosegue nell’intenzione di spiegare il prodigio: «se la lingua, secondo il proprio concetto, è comunicazione intenzionale dei concetti secondo segni arbitrari, le prime comunicazioni dunque non potettero avvenire per mezzo della lingua. Poiché segni arbitrari devono essere concordati, altrimenti o * O forse gli psicologi rivolgono ai linguisti l’accusa di non lavorare assieme? E noi? che stiamo facendo?

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den sie entweder nicht verstanden, oder höchstens [316] errathen werden; auf des Errathen aber kann der Sprechende nicht rechnen. Die Sprache setzt also Verabredung, diese aber setzt Sprache voraus; mithin drehen wir uns im Kreise. Man schlage nun den „(Herbartischen)“ Weg ein; d. h. man entschlage sich des ungereimten Gedankens, und setze dessen Gegentheil an die Stelle. Die ersten Mittheilungen also geschahen entweder nicht absichtlich, oder nicht durch willkürliche Zeichen; sie waren nicht Sprache. Gleichwohl verstand man einander; und glaubte sich verstanden. Dies errieth man aus dem zusammenstimmenden Handeln, welches den gemeinsamen Gedanken gemäß war; es konnte aber leicht zusammenstimmen, wenn man unter gleichen Umständen gleiche Bedürfnisse hatte. Die Naturlaute, oder zufälligen Aeußerungen bei Gelegenheit des gemeinsamen Handelns, reproducirten sich bei jedem in wiederkehrender Lage, riefen jedem den nämlichen Gedanken zurück, und waren mit Erwartung eines ähnlichen gemeinsamen Handelns von beiden Seiten ohne weiteres Fragen und Zweifeln verknüpft.“ (So weit ist der große Denker unverkennbar; im Folgenden ist er es weniger.) „Wie es zugehe, daß Einer den Andern verstehe; und ob er wohl verstehen oder mißverstehen werde? das wurde nicht gefragt noch bedacht“ (aber wir fragen und bedenken das); „sondern das Handeln war es, worauf, ohne alles Denken an das Denken des Andern, die Erwartung und die Aufmerksamkeit sich richtete. Blieb nun aber das erwartete Handeln des Andern aus, dann legte man mehr Anstrengung in den damit complicirten Laut.“ Als wenn eine mir fremde Sprache dadurch verständlich für mich würde, daß man sie mir in die Ohren schreit! Die Meinung des Volkes ist dies allerdings. Denn so wie Mißverständniß eintritt oder Verständniß ausbleibt, so giebt es Zank und Schlägerei – und der Thurmbau von Babel ist gestört. Herbart fährt fort: „Da fing die Absichtlichkeit des Sprechens an“; also da, wo das Verständniß ausblieb; absichtliche Mittheilung konnte ja aber noch weniger verstanden werden! Das Folgende lassen wir aus Ehrfurcht vor dem großen Denker ganz weg. Wir haben also in unserer Darstellung den entgegengesetzten Weg eingeschlagen. Nicht Mittheilung, sondern das Selbstbewußtsein ist Quell der Sprache. Das Bedürfniß zur Mittheilung würde nie zur Sprache führen; aber die Sprache, im Gange der

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non verrebbero compresi o al più dovrebbero essere [316] indovinati. Chi parla, però, non può affidarsi all’eventualità di indovinare. La lingua pertanto presuppone un accordo, ma l’accordo presuppone la lingua; così giriamo in circolo. Si imbocchi a questo punto la via» (herbartiana) «è a dire ci si affranchi dal pensiero insensato e si ponga al suo posto il pensiero sensato. Dunque o le prime comunicazioni non accaddero intenzionalmente o non accaddero per mezzo di segni arbitrari; esse non costituivano una lingua. Tuttavia ci si comprese l’un l’altro e si fu convinti di comprendersi. Lo si suppose in ragione del concorde agire commisurato a pensieri comuni. Ma si poteva concordare facilmente avendo bisogni uguali in circostanze uguali. I suoni naturali, o le casuali esternazioni in occasione di un agire comune, in situazioni che si ripresentavano, si riproducevano a loro volta in ciascuno allo stesso modo; per tutti risuonavano gli stessi pensieri e da ogni parte, senza domande né dubbi, erano legati all’aspettativa di un agire comune, di un’azione condotta in modo simile». (Fin qui il grande pensatore è inconfondibile, in ciò che segue lo è di meno). «Come accada che uno comprenda l’altro, e che lo comprenda nel modo giusto o lo fraintenda, non venne domandato né vi si meditò» (ma noi lo domandiamo e vi riflettiamo); «era l’agire, ciò su cui, senza minimante pensare al pensiero dell’altro, erano rivolte l’aspettativa e l’attenzione. Ma l’agire dell’altro, l’agire atteso, non si verificava, allora si pose maggior attenzione per il suono a ciò connesso». Come se una lingua straniera mi divenisse comprensibile perché mi è urlata nelle orecchie! L’opinione del popolo tuttavia è questa. Per questo, quando ci si imbatte nel fraintendimento o si fatica a comprendersi, si arriva alla lite e alla zuffa – e la torre di Babele va in pezzi. Herbart prosegue: «Allora ebbe inizio l’intenzionalità del parlare», è a dire proprio lì dove mancava la comprensione; eppure la comunicazione intenzionale poteva venir compresa ancor meno! Quel che segue lo omettiamo in ragione della riverenza per il grande pensatore. Noi, nella nostra presentazione, abbiamo calcato il sentiero opposto. Non la comunicazione, ma l’autocoscienza è la scaturigine della lingua. Il bisogno di comunicare non potrebbe mai condurre alla lingua; la lingua, invece, una volta sorta

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Entwickelung der individuellen Seele einmal entsprungen, [317] wird Werkzeug der Mittheilung, und zwar zunächst eben so absichtslos, wie sie absichtslos entstanden ist. Die Sprache ist an sich Darstellung der Anschauungen für den Sprechenden selbst. Der Mensch ist aber in Gesellschaft; eine lange Kindheit zwingt ihn dazu und macht ihm die Gesellschaft auch für spätere Zeit unentbehrlich. Er denkt also ursprünglich fast immer in Gesellschaft, und Denken ist für den Urmenschen Sprechen. Er spricht also mit dem Andern, weil er mit dem Andern ist, und weil menschliches Sein Denken, und das menschliche Denken ursprünglich Sprechen ist; folglich ist Zusammensein Unterredung. Esse oder vivere = cogitare, cogitare = loqui, folglich vivere = loqui, und convivium = colloquium. Herbart denkt bloß an gemeinsames Arbeiten. Wäre es bloß dies, ich meine, der Mensch würde so wenig Sprache geschaffen haben, wie die Bienen und Ameisen. Der Mensch aber ist kein arbeitendes Thier. Man aß und trank zusammen und ruhte zusammen, und freute sich zusammen an sich und an der Natur, man dachte zusammen und erzählte einander. Nicht die Arbeit, nicht Bedürfniß – Freude und Schmerz, die schönen verschwisterten Götterfunken, entzünden die Sprache; das Herz springt, das Gefühl strebt nach Gestaltung und bestimmter Form; und so brach es in der Urzeit in bestimmten, articulirten Lauten aus, wie heute noch die Beethovensche Symphonie nach dem Worte greift. Wie sollte das nicht verstanden werden, was in Gemeinschaft erzeugt ist? Das Verständniß war da vor der Mittheilung, und Mittheilung war Sein, Leben. Was der Eine dachte, dachte der Andere und sprach der Andere aus, wie der Erste: das war Sympathie. Im Krankenhause bekommt ein ganzer Saal voll Kranker die Krämpfe, welche sie zuerst an Einem sehen. Der St. Veits-Tanz, die Tarantella, die Schwärmerei der Bacchanten, der Revolutionäre, der Blutdurst der Terroristen, der Muth der stürmenden Soldaten: alles dies und vieles andere beweist uns die Wirkung dieser Sympathie, durch welche der Mensch hingerissen wird, ohne Absicht, ja zuweilen gegen seine Absicht, das zu thun, was er thun sieht. Das aber heißt verstehen: reproduciren, nachmachen. Wie wir bei lebhafter Freude es heute noch sehen, daß die Stimme jauchzt, das Auge leuchtet, der Fuß und der ganze Leib

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[317] nel corso dello sviluppo dell’anima individuale, diventa strumento di comunicazione e, in verità, in un primo momento senza intenzione alcuna come quando comparve. La lingua è in sé rappresentazione delle intuizioni per colui che parla. Ma l’uomo è tale in società; una lunga infanzia lo costringe a crescere in società e gli rende irrinunciabile la società anche per il tempo avvenire. Egli in origine pensa sempre in comunità e pensare è per l’uomo primitivo parlare. Egli parla con l’altro perché è uomo con l’altro e perché l’essere uomo è pensare, e il pensare umano è originariamente parlare; di conseguenza il convivere è colloquio. Esse o vivere = cogitare; cogitare = loqui; quindi vivere = loqui e convivium = colloquium. Herbart pensa soltanto al lavoro svolto in comune. Si trattasse solo di questo, dico io, l’uomo non avrebbe forgiato la lingua, come non lo hanno fatto le api e le formiche. Ma l’uomo non è un animale che lavora. Si mangiò e si bevve insieme, si riposò insieme, si gioì insieme per sé e per la natura, si pensò insieme e si narrò insieme. Né il lavoro, né il bisogno – ma la gioia e il dolore, le belle e inseparabili scintille divine, fecero divampare la lingua; il cuore sobbalza, il sentimento tende a costituirsi e ad acquisire una forma compiuta, e così nei tempi preistorici il sentimento proruppe in suoni articolati e particolari, come ancora oggi la sinfonia di Beethoven aspira alla parola. Come poteva non essere compreso quel che è prodotto nella comunità? La comprensione era lì prima della comunicazione e la comunicazione era essere, vivere. Ciò che uno pensava, pensava anche l’altro e lo esprimeva come il primo: questa coincidenza era frutto della simpatia. In un ospedale un’intera sala piena di malati ha gli stessi spasimi che i malati hanno prima scorto in uno solo. La danza di San Vito, la tarantella, l’esaltazione delle baccanti, dei rivoluzionari, la sete di sangue dei terroristi, il coraggio delle truppe d’assalto, e molte altre cose, ci mostrano l’effetto di questa simpatia attraverso cui l’uomo è sospinto, senza intenzione, qualche volta anche contro la propria intenzione, a fare quello che vede fare. Ma comprendere significa questo: riprodurre, imitare. Come noi ancora oggi vediamo che per un’intensa gioia la voce giubila, l’occhio luccica, il piede e l’intero corpo danza-

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tanzt, Alles in elastischer Spannung ist und der ganze [318] Mensch spricht: so sprach auch der Urmensch; quot membra tot linguae. Je mehr der Geist sich entwickelte, je bestimmter die Vorstellungen wurden, um so kälter wurde das Gefühl; wie sich die Lautsprache hervorthat, so wurde die Mimik des Leibes stummer, – auch unnöthiger. Hier sehen wir abermals, wie die Sprache nicht bloß zu der einen der beiden Classen von Reflexbewegungen gehört, sondern auch zu der andern, der Classe der uubewußten Nachahmungen. Sich mittheilen und verstanden werden, überhaupt Gesellschaft ist von höchst günstigem Einflusse für die Entwickelung der Sprache und des Sprechenden selbst. Die Gegenwart des Andern treibt an zum Denken und Sprechen, während man in der Einsamkeit schläft oder dumpf hinbrütet. Weil die Gesellschaft der Entwikkelung des Denkens nothwendig ist, darum ist sie es auch für die Sprache. Die Sprache aber, die sich in der Gesellschaft entwickelt, ist das gemeinsame, wechselwirkend sympathetische Werk des Menschen, und darum schließt sie das Verständniß schon in sich. Daß alles Verständniß auf Sympathie beruhe, das geht auch daraus hervor, daß es nur so weit reicht wie diese, und da aufhört, wo diese schwindet. Hört auf den Streit der Parteien und ihr werdet vernehmen, wie es unaufhörlich herüber und hinüber schallet: ihr versteht uns nicht. Wie oft werden wir, obgleich wir uns klar genug ausdrückten, selbst vom Freunde nicht verstanden, weil eine zufällige Association einer Vorstellung mit einer andern in ihm die Sympathie unterbrochen hatte. Das Kind lernt heute noch, wie der Urmensch, in Gesellschaft denken, und erlernt die Sprache, durch welche sein Denken von außen her angeregt wird. 2. LEISTUNG DER SPRACHE FÜR DAS DENKEN. a) Wesen der Vorstellung im Allgemeinen. Wir haben die Entstehung der Sprache kennen gelernt und die bildenden Momente, in deren Zusammenwirken ihr Sein und Leben liegt. Fragen wir uns nun, was durch dieselbe für die geistige Entwickelung gewonnen ist. Die Entwickelung der Sprache,

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no, tutto si trova in una tensione elastica e l’uomo [318] parla, allo stesso modo parlò l’uomo primitivo; quot membra tot linguae. Tanto più si sviluppò lo spirito, tanto più si delinearono le rappresentazioni, tanto più si raffreddò il sentimento; quando fece il suo ingresso la lingua dei suoni, la mimica del corpo si dileguò – non fu più necessaria. Qui vediamo ancora una volta come la lingua non appartenga solo a una delle due classi dei movimenti riflessi, ma anche all’altra, alla classe delle imitazioni inconsce. Comunicar se stessi ed essere compresi: la società in generale esercita l’influsso più propizio per lo sviluppo della lingua e di chi parla. La presenza dell’altro spinge a pensare e a parlare mentre nella solitudine si dorme o si rimugina cupamente. Poiché la società è necessaria per lo sviluppo del pensiero, lo è anche per la lingua. Ma la lingua che si sviluppa nella società è la comune e reciproca opera simpatetica dell’uomo e per questo racchiude già in sé la comprensione. L’intera comprensione poggia sulla simpatia, da ciò dipende anche il fatto che essa giunga lontano quanto la simpatia e s’interrompa lì dove quella viene meno. Date ascolto alle dispute dei partiti e sentirete come risuonano ininterrottamente attorno a questo principio: voi non ci comprendete. Com’è frequente che, sebbene ci siamo espressi perspicuamente, non veniamo compresi nemmeno da un amico perché una associazione casuale di una rappresentazione con un’altra ha prima interrotto in lui la simpatia. Il bambino ancora oggi, come faceva l’uomo primitivo, impara a pensare in società e in società apprende la lingua per mezzo della quale il suo pensiero è stimolato dall’esterno. 2. CONTRIBUTO RESO AL PENSIERO DALLA LINGUA a) Essenza della rappresentazione in generale Abbiamo studiato la nascita della lingua e i momenti costitutivi nella cui cooperazione consistono il suo essere e la sua vita. Domandiamoci ora cosa venga conseguito dallo sviluppo psichico grazie ad essa. Lo sviluppo della lingua, abbiamo

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das haben wir gesehen, ist selbst eine Stufe des sich bildenden Bewußtseins, die wir sogar in drei sehr verschiedene Unterstufen eintheilen mußten. Auf der dritten Stufe der innern [319] Sprachform kann das Bewußtsein nicht mehr da sein, wo wir es beim Aufgehen der Sprache fanden. §. 103. Wesen der Vorstellung. Die Anschauung, in der die Sprache ihre Wurzeln schlägt und aus der sich ihr Stamm erhebt, ist, wie wir oben sahen, ein Zusammen, ein Complex vieler Empfindungen, aber keine Einheit. Diese Einheit wird nun eben in der Sprache gebildet, und durch dieselbe wird die Anschauung zur Vorstellung. Eine vermittelst der innern Sprachform erfaßte, durch diese sich im Bewußtsein bewegende Anschauung ist Vorstellung. Diese ist also die Einheit der Anschauung und der innern Sprachform. Da letztere an den Laut geknüpft ist, theilweise sogar ganz und bloß im Laute liegt, so müssen wir statt ihrer den Ausdruck setzen, welcher ihre Einheit oder Verbindung mit dem Laute bezeichnet, nämlich: das Wort. Wort ist die Einheit eines Gedankens der innern Sprachform (oder des instinctiven Selbstbewußtseins), oder die Einheit einer Anschauung von einer Anschauung mit dem zur Stütze dienenden Laute. Die Vorstellung also ist die Einheit des Wortes und der durch dieses Wort ausgedrückten Anschauung; oder sie ist eine durch das Wort gedachte Anschauung. Das Bewußtsein setzt beim Denken an die Stelle der Anschauung die innere Sprachform derselben, und eine solche Anschauung, welche dem Bewußtsein nicht unmittelbar gegenwärtig ist, auf welche aber das Bewußtsein mittelbar bezogen ist, indem es ihren Stellvertreter, das Wort, vergegenwärtigt, ist Vorstellung. Wodurch ist denn nun die Anschauung, die zunächst eine Summe von Wahrnehmungen war, zu einer eigentlichen Einheit geworden; wodurch ist die Kategorie des Dinges entstanden? Hier begreifen wir das zwar noch nicht vollkommen; aber etwas Bedeutendes erkennen wir schon. Indem nämlich durch die Anschauung der Anschauung ein Moment herausgehoben wurde, welches die Sprache zur Bezeichnung der ganzen Anschauung, d.

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visto, è esso stesso un livello della coscienza che viene costituendosi, un processo di costituzione che dovemmo a sua volta suddividere addirittura in tre gradi differenti. Al terzo livello della forma interna [319] della lingua la coscienza non può più risiedere lì dove l’avevamo trovata quando la lingua emerge. §. 103. Essenza della rappresentazione L’intuizione, in cui la lingua affonda le proprie radici e da cui nasce, è, come abbiamo visto, un insieme, un complesso di molte sensazioni ma non un’unità123. Questa unità viene costituita, appunto, nella lingua e attraverso essa l’intuizione diventa rappresentazione. Un’intuizione appresa per mezzo della forma interna della lingua, attraverso di essa trasformatasi in coscienza, è rappresentazione. Quest’ultima è dunque l’unità dell’intuizione e della forma interna della lingua. Poiché la forma interna della lingua è legata al suono, in certa misura risiede perfino interamente nel suono, dobbiamo sostituirle l’espressione che indichi la sua unità o connessione col suono, è a dire: la parola. La parola è l’unità di un pensiero della forma interna della lingua (o l’unità dell’autocoscienza istintiva), o l’unità dell’intuizione dell’intuizione, col suono che le serve da sostegno. La rappresentazione è dunque l’unità della parola e dell’intuizione espressa da questa parola ovvero è un’intuizione pensata per mezzo della parola. La coscienza pone nel pensiero, al posto dell’intuizione, la forma interna della lingua dell’intuizione, e una siffatta intuizione che non è immediatamente presente alla coscienza, a cui la coscienza piuttosto si rapporta in modo mediato, avendo presente ciò che la rappresenta, la parola, una siffatta intuizione è rappresentazione. In che modo allora l’intuizione, che una volta era una somma di percezioni, è diventata un’unità in senso proprio? Donde proviene la categoria di “cosa”? A questo punto non lo comprendiamo ancora perfettamente, ma conosciamo già qualcosa d’importante. In ragione del fatto che la lingua, al fine di indicare l’intera intuizione, è a dire la somma di tutti i suoi momenti, ne ha posto in evidenza soltanto uno per mezzo dell’intuizione dell’intuizione, e per il fatto che

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h. der Summe aller Momente, verwendet; indem dann ferner das Bewußtsein es sich gefallen läßt, das so entstandene Wort für die Anschauung selbst gelten zu lassen: so ist gerade durch das Wort die Summe in eine Einheit versammelt worden; denn die ganze Summe wird auf das Wort bezogen, so daß sich gewissermaßen eine Pyramide bildet oder ein Kegel, dessen Grundfläche [320] die einzelnen zu der Anschauung gehörenden Wahrnehmungen bilden, die aber alle in die eine Spitze auslaufen, welche das Wort bildet. §. 104. Das Wort – das Ding an sich. So erhält nun das Wort die Bedeutung des Dinges an sich: es bezeichnet die Einheit, an welcher die Summe der Wahrnehmungen haftet, den unveränderlichen Kern, welcher fest bleibt, was er ist, wenn auch einzelne Merkmale sich ändern. Der Mensch kennt z. B. den Wolf, d. h. er hat diesen bestimmten, aus solchen und so verbundenen Wahrnehmungen bestehenden Complex. Die innere Sprachform, das instinctive Selbstbewußtsein, erfaßt diesen Complex an einer besonders hellen Stelle, an der Anschauung des Zerreißens. Das Bewußtsein bildet also eine einheitliche Anschauung von diesem Anschauungscomplex, indem es den Wolf sich vor stellt als den Zerreißer. Nun ist der Zerreißer der Wolf an sich. Der sich darbietende Wolf, die einzelne wirkliche Anschauung ist nicht immer ganz dasselbe: das Grau ist bald heller, bald dunkler; die Größe, das Alter, die Wuth, die Kraft das eine Mal geringer, als das andere Mal. In allen diesen Anschauungen aber bleibt trotz aller Verschiedenheit in den einzelnen Wahrnehmungen, die in dem jedesmaligen Falle die Anschauungssumme ausmachen, die Einheit, in welcher die Summe vorgestellt wird, der Zerreißende, durchaus beständig. Diese Einheit ist also das Band aller einzelnen Wahrnehmungen; sie scheint der Grund, welcher uns nöthigt, die Wahrnehmungen so, in solcher Anzahl und solcher Form zusammenzufassen – und diese Einheit ist das Wort; so bezeichnet das Wort das Ding an sich. Auch hatte ja das einfache Volksbewußtsein und die Mystik immer den Glauben, im Worte liege das Wesen des Dinges, sein Leben; daher seine Bedeutung für alle Zauberei.

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la coscienza si compiace di far valere la parola sorta in questo modo al posto dell’intuizione stessa, è allora proprio attraverso la parola che la somma di tutti i momenti è stata trasformata in un’unità; ciò per il fatto che l’intera somma è ricondotta alla parola in modo tale che si configuri all’incirca una piramide o un cono, la cui base [320] è costituita dalle singole percezioni appartenenti all’intuizione, le quali, a loro volta, confluiscono tutte in un vertice che costituisce la parola stessa. §. 104. La parola – la cosa in sé Soltanto la parola ottiene il significato di cosa in sé: indica l’unità a cui aderisce la somma delle percezioni, il nucleo immutabile che rimane stabilmente ciò che è quand’anche mutino le singole qualità. L’uomo, ad esempio, conosce il lupo, è a dire è in possesso di questo determinato complesso che consiste in certe percezioni connesse tra loro in un certo modo. La forma interna della lingua, l’autocoscienza istintiva, rileva questo complesso in un luogo particolarmente evidente, nell’intuizione dello sbranare. La coscienza costituisce allora un’intuizione unitaria di questo complesso di intuizioni rappresentandosi il lupo come colui che sbrana. Lo “sbranante” è ora il lupo in sé. Il lupo che appare, la singola intuizione reale non rimane sempre la stessa: il lupo grigio diviene ora più chiaro ora più scuro; la grandezza, la vecchiaia, l’aggressività, la forza, una volta minori una volta maggiori. In tutte queste intuizioni, però, rimane assolutamente stabile, nonostante tutte le differenze presenti al livello delle singole percezioni che di caso in caso costituiscono la somma data nell’intuizione, l’unità in cui è rappresentata la somma: lo “sbranante”. Quest’unità è dunque il nesso di tutte le singole percezioni, essa appare come la causa per cui siamo costretti a sintetizzare le percezioni in questo modo, in questa quantità e in questa forma – e questa unità è la parola. La parola indica pertanto la cosa in sé. Già la semplice coscienza comune e la mistica credevano che nella parola stesse l’essenza della cosa, la sua vita; da ciò il suo significato per tutta la magia.

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§. 105. Das Wort – Allgemeines, die Art. Dies ist nun ein unermeßlicher Gewinn für das Bewußtsein: diese Verwandlung der Anschauungssumme in die vorgestellte Einheit eines Dinges, an welchem jene Summe hängt, und welches eben die Ursache ist, daß die Summe so groß und gerade so gebildet ist. Mit dieser Einheit ist sogleich zum ersten Male ein Allgemeines gegeben. Eine allgemeine sinnliche Anschauung ist an sich ein Widerspruch. Die Vorstellung ist das erste allgemeine Erzeugniß des Bewußtseins; und [321] sie wird gebildet durch das Wort, welches immer allgemein ist. Denn der innere Gehalt des Wortes, die Anschauung einer Anschauung, gehört nicht dieser und nicht jener einzelnen Anschauung allein; sondern sie findet sich in allen Anschauungen derselben Art wieder. Sie ist ja, wie oben bemerkt wurde, nicht auf Veranlassung einer einfachen gegenwärtigen Anschauung gebildet, sondern durch Vereinigung der gegenwärtigen Anschauung mit der ganzen Masse der gleichartigen Anschauungen, die man schon gehabt hat, und die als eine unklare Masse durch die gegenwärtige Anschauung aus dem Gedächtnisse hervorgerufen werden. Durch die Anschauung der Anschauung aber, oder durch das Wort, wird nicht bloß eine Anschauungssumme zu einer Einheit verbunden, sondern es werden damit zugleich auch alle ähnlichen Einheiten (d. h. alle Anschauungssummen, denen dasselbe einheitliche Ding als Band angelegt wird, welche unter derselben Anschauung vom instinctiven Selbstbewußtsein angeschaut werden), zur Einheit einer Art zusammengefaßt. Der Mensch hat viele Anschauungen vom Wolfe; sie werden sämmtlich unter derselben Anschauung des Zerreißenden angeschaut oder vorgestellt. Es giebt also nur Eine Vorstellung vom Wolfe und von jeder Anschauung; und sie ist das Allgemeine, und das Wort bezeichnet die Art. Weiter können wir zunächst die Sache noch nicht verfolgen. Man sieht aber schon hier, wie sich die Seele, indem sie in der Sprache eine Welt von Dingen an sich und eine Welt von Allgemeinheiten schuf, ein wahrhaftes neues Organ gewonnen hat, das zugleich die größte Gefügigkeit zeigt, weil es, von der Seele selbst geschaffen, von wenig Sinnlichkeit belastet ist. Nur die Natur dieses Organs konnten wir hier darlegen, woraus schon auf seinen Werth zu schließen ist. Um seine volle Leistung zu er-

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§. 105. La parola – l’universale, il tipo Quel che costituisce per la coscienza un immenso guadagno è questa conversione della somma delle intuizioni nell’unità rappresentata di una cosa a cui quella somma rimane coesa, la cosa che è appunto la causa originaria per cui la somma è costituita proprio in questo modo. Con quest’unità è contemporaneamente dato per la prima volta un universale. Un’intuizione sensibile universale è una contraddizione in termini. La rappresentazione è il primo prodotto universale della coscienza e [321] viene costituita attraverso la parola, la quale è sempre universale; e ciò poiché il contenuto interno della parola, l’intuizione dell’intuizione, non appartiene solo a questa o a quella singola intuizione, ma si trova anche in tutte le intuizioni dello stesso tipo. Come è stato osservato, essa non è costituita in ragione di una semplice intuizione presente, ma per mezzo dell’unificazione dell’intuizione presente con l’intera massa delle intuizioni dello stesso tipo di cui si è già in possesso, la quale, per mezzo dell’intuizione presente, viene richiamata dalla profondità della memoria come una massa indistinta. Attraverso l’intuizione dell’intuizione, però, o attraverso la parola, non viene condotta a unità semplicemente una somma data nell’intuizione, ma con ciò tutte le unità simili (è a dire tutte le somme date nell’intuizione a cui è posto come nesso lo stesso elemento unitario e che sono colte nella stessa intuizione dell’autocoscienza istintiva) sono ricondotte all’unità di un tipo. L’uomo ha molte intuizioni del lupo, esse sono complessivamente colte e rappresentate sotto la medesima intuizione dello “sbranante”. C’è dunque soltanto una rappresentazione del lupo e di ogni intuizione del lupo: la rappresentazione è l’universale e la parola indica il tipo. In questa sede non possiamo addentrarci di più nella questione. Si vede però già qui come l’anima, creando nella lingua un mondo di cose in sé e un mondo di universali, ha conseguito un organo davvero nuovo, che mostra la massima elasticità giacché, costituito dall’anima stessa, è quasi affrancato dal peso della sensibilità. Qui potevamo solo esporre la natura di quest’organo; a partire da ciò bisogna determinarne il valore. Per conoscere la sua azione complessiva dobbiamo

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kennen, müssen wir es wirken sehen. Die Wirkung der Sprache aber enthält ihre eigene Entwickelung, d. h. die Ausbreitung und dabei Gestaltung und Gliederung ihrer Elemente. Und so haben wir uns zuerst diese klar zu machen, wodurch wir die nähere Betrachtung der Grammatik vorbereiten. [322] b) Nähere Darlegung des Wesens der Vorstellung und ihrer Entwickelung. §. 106. Auf dem Punkte, wo wir hier stehen, ist allerdings die Entwikkelung der Sprache und des Gedankens identisch; denn wir wollen eben zeigen, was das Denken durch das Sprechen gewinnt, welchen Zuwachs das Denken an Formbildung und Klarheit durch die Entwickelung der Sprache erhält. Die Sprache, angesehen als instinctives Selbstbewußtsein, bildet eine Stufe in der Entwickelung des Gedankens; und so weit diese Stufe reicht, fällt also die Entwickelung des Denkens mit der des Sprechens zusammen. Auch in der Zeit giebt es eine Epoche, in der Geschichte des Urmenschen sowohl, wie im geistigen Wachsen des Kindes, eine Epoche, sage ich, in welcher das Bewußtsein bestimmt ist als instinctives Selbstbewußtsein, und deren Wesen darin besteht, daß die Entwickelung des Denkens Sprache ist. In dieser Epoche löst das Bewußtsein die Aufgabe, den sämmtlichen gewonnenen Vorrath von Anschauungen nach und nach durch das Wort in einen Schatz von Vorstellungen umzuwandeln. Dies giebt eine neue Definition der Sprache; denn sie ist hiernach: der geistige Vorgang des Umwandelns der Anschauung in Vorstellung. Die Seele läßt also allmählich ihr inneres Auge auf allen einzelnen Anschauungen, die sie erworben hat, ruhen und erhebt sie dadurch, jede einzeln, in das instinctive Selbstbewußtsein, wodurch sie zu Vorstellungen werden. §. 107. Stoff und Form. Bei diesem Wandel, der also keineswegs mit einem Schlage zauberhaft vollbracht wird, treten nun mancherlei formale Elemente hervor. Wir haben bisher nur materiale Verhältnisse des Denkinhaltes betrachtet: die Anschauung ist für das Denken ein gegebener Stoff und hat noch keine dem Gedanken angehörende

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vederla in opera. L’azione della lingua però coincide con il suo particolare sviluppo, con la sua propagazione e, insieme, con la formazione e la suddivisione dei suoi elementi. Dobbiamo quindi anzitutto far chiarezza su questi, preparando così una più accurata trattazione della grammatica. [322] b) Esposizione più accurata dell’essenza della rappresentazione e del suo sviluppo §. 106 Al punto in cui siamo, lo sviluppo della lingua e del pensiero sono certamente identici; giacché vogliamo appunto mostrare ciò che il pensiero guadagna attraverso il parlare, quale accrescimento in rapporto alla sua formazione e chiarezza è arrecato al pensiero per mezzo dello sviluppo della lingua. La lingua, concepita come autocoscienza istintiva, costituisce un livello dello sviluppo del pensiero e sin dove si estende questo livello lo sviluppo del pensiero coincide con quello della lingua. C’è anche una fase del tempo, tanto nella storia dell’uomo primitivo come nella crescita spirituale del bambino, vi è un’epoca – dico – in cui la coscienza è determinata come autocoscienza istintiva e la sua essenza sta nel fatto che lo sviluppo del pensiero è lingua. In quest’epoca la coscienza svolge il compito di trasformare di volta in volta, attraverso la parola, il deposito di intuizioni guadagnato in un tesoro di rappresentazioni. Ciò consente una nuova definizione della lingua, poiché da questo punto di vista essa è il processo spirituale che consiste nella trasformazione dell’intuizione in rappresentazione. L’anima posa gradualmente il suo occhio interno su tutte le singole intuizioni che ha acquisito e innalza così ciascuna all’autocoscienza istintiva e, attraverso questo processo, esse diventano rappresentazioni. §. 107. Materia e forma In questa trasformazione, che non è compiuta magicamente in un sol colpo, entrano in gioco vari elementi formali. Finora abbiamo preso in considerazione solo rapporti materiali del contenuto di pensiero: l’intuizione, per il pensiero, è ancora una materia data e non ha ancora nessuna forma che

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Form. Nach einer gewissen philosophischen Betrachtungsweise läßt sich wohl sagen, alles was Form genannt werden kann, sei schon ein Erzeugniß der Seele. Das Wesen der Anschauung an sich ist schon eine seelische Form. Denn eigentlich liefert nur Empfindung und Gefühl Stoff. Wenn aber die Anschauung eine bestimmte Summe der Empfindungen ist, wie z. B. Gold und Silber zwei verschiedene bestimmte Summen [323] von Gesichts-, Tast- und Gehörempfindungen sind, so ist diese bestimmte Weise der Summirung schon eine Form, welche die Seele zu den Empfindungen hinzuthut. Daß wir nicht bloß keine andern Empfindungen hinzuzählen, sondern auch gerade diese in solcher Weise vereinigen; daß wir die gelbe Farbe mit solchem Klange und Gewichte u.s.w., als Gold, die weiße Farbe mit anderm Klange und Gewichte, und nicht mit jenen, als Silber zusammenfassen: das ist schon Formthätigkeit der Seele. Eben so die räumlichen geometrischen Formen. Indessen alle diese Formen, die schon bei der Anschauung auftreten, haben ihren Grund in den Objecten selbst; diese sind es, welche die Seele zwingen, die Empfindungen in solchen bestimmten Formen aufzufassen; es sind Formen der Objecte selbst, nicht Formen der Auffassung der Objecte, nicht Formen des Denkens; materiale Formen, möchte ich sagen, nicht formale; Bestimmungen am Stoffe, Bestimmungen des Gedachten, nicht der Denkthätigkeit. Erst mit der Vorstellung, erst mit dem Selbstbewußtsein, zunächst nur dem instinctiven, treten Formbestimmungen des Denkens auf; denn erst hier wird das Denken rein thätig, während es in der Wahrnehmuug nur empfängt, leidet. Mit der Vorstellung beginnt die selbstthätige Entwickelung des Denkens auf seinem eigenen Boden. Hier beginnen die eigenthümlichen Operationen des Denkens mit dem Erkenntnißschatze, den die Seele durch die Sinne von der Außenwelt erlangt hat; und dieser Anfang liegt in der Sprache. §. 108. Benennungen als erste Form der Sätze. Wir stellen uns nun den Urmenschen oder das Kind vor, die menschliche Seele, der alle Dinge noch neu genug sind, deren Sinne noch frisch genug sind, um am bloßen Wahrnehmen der Dinge ihre Freude zu haben, wie sich die Glieder ihres Leibes an der bloßen nutzlosen Spielbewegung erfreuen. Ihre Erkenntniß

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appartenga al pensiero. Secondo un certo tipo di considerazione filosofica si può ben dire che tutto ciò che è possibile chiamare forma sia già un prodotto dell’anima124. L’essenza dell’intuizione in sé è già una forma spirituale. Giacché solo la sensazione e il sentimento offrono materia in senso proprio. Se però l’intuizione è una determinata somma di sensazioni, come ad esempio oro e argento sono due differenti e determinate somme [323] di sensazioni visive, tattili e uditive, allora questo particolare modo di comporle è già una forma che l’anima ha aggiunto alle sensazioni. Il fatto che noi non aggiungiamo nessun’altra sensazione, ma unifichiamo proprio queste in questo modo specifico, che identifichiamo il colore giallo, assieme a questo tintinnio, peso etc., con l’oro; e il colore bianco, accompagnato da quest’altro tintinnio e peso, con l’argento: questi fatti sono già attività formativa dell’anima. Lo stesso vale per le forme geometriche spaziali. Ma tutte queste forme, che appaiono già nell’intuizione, hanno la loro ragione negli oggetti stessi; sono essi a costringere l’anima ad apprendere le sensazioni in questo modo specifico. Si tratta di forme degli oggetti stessi, non di forme di comprensione degli oggetti, non di forme del pensiero. Forme materiali, potrebbe dirsi, non formali; determinazioni della materia, determinazioni del pensato, non dell’attività di pensiero. Solo con la rappresentazione, solo con l’autocoscienza, anzitutto con quella istintiva, appaiono determinazioni formali del pensiero e il pensiero diviene qui, per la prima volta, puramente attivo; mentre nella percezione è solo senziente, ricettivo. Con la rappresentazione inizia lo sviluppo autonomo e attivo del pensiero sul terreno che gli è proprio. Iniziano qui le operazioni peculiari che il pensiero compie sul patrimonio di conoscenze che l’anima ha ottenuto attraverso i sensi del mondo esterno; e quest’inizio risiede nella lingua. §. 108. Le denominazioni come prima forma delle frasi Immaginiamoci ora l’uomo primitivo o il bambino, l’animo umano a cui tutte le cose appaiono ancora tanto nuove, i cui sensi sono ancora così giovani, da indurlo a gioire di fronte alle semplici percezioni delle cose, come le parti del suo corpo gioiscono al semplice gioco di movimenti privi di utili-

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ergeht sich munter im Wiedererkennen schon gesehener Dinge und im Aufsuchen und Auffassen neuer; das heißt: im Benennen der Dinge. „Das ist das!“ und „was ist das?“ dies sind die allgemeinen Kategorien, in denen sich dieses Denken bewegt; wirklich sprachlich aber treten hier die Ausrufe-Sätze auf: Hund! (oder Wauwau) Kuh! Auch wir brechen in solche Ausrufesätze aus, sobald wir bei dem Erkennen eines Dinges in Affect gerathen, weil es uns angenehm oder unangenehm ist, weil wir es anfangs nicht erkennen konnten, oder es nicht [324] erwarteten; z. B. Feuer! Land! Der Feind! Der König! Carl! Man könnte dies auch Erkennungssätze nennen. Das psychologische Ereigniß, das hier vorliegt, ist einfach. Bei der gegenwärtigen Anschauung tritt die ganze in einander verschmolzene und verwirrte Masse der gleichartigen schon vergangenen, aber von der Seele aufbewahrten Anschauungen hervor, und die neue verschmilzt mit den alten. Diese Verschmelzung heißt eben Erkennen. An die alte Masse verwirrter Anschauungen ist das Wort geknüpft. Die Aufnahme der neuen Anschauung in die alte Masse, das Erkennen, spricht sich dadurch aus, daß der Name, welcher an die letztere geknüpft ist und mit ihr hervortritt, auf jene übertragen wird. So wird das Wort gewissermaßen ein Netz, welches die Seele auswirft, um die neue Anschauung einzufangen. Und so kann ich mir den Anfang der Sprache nicht anders denken, als durch Benennung der Dinge, welche freilich noch keine Substantiva giebt. Wenn Becker meint, Verba hätten den Anfang der Sprache gebildet, so verkennt er das Wesen der Verba, wie alle sprachliche Entwickelung. Trendelenburg erkennt an (II, S. 146.), daß die Wurzel weder Substantivum, noch Verbum ist; meint aber dennoch: „Wenn man die ersten Wörter wieder auffinden könnte, so müßten sie schon einen vollen Gedanken enthalten; denn dahin drängt die Seele. Dem Verbum allein ist dieser „„Act des synthetischen Setzens““ als grammatische Function beigegeben... Daher werden die Anfänge der Sprache in den Verben liegen.“ Aber von „grammatischer Function“ ist eben hier noch gar nichts zu finden. Trendelenburg setzt hinzu: „Will man noch in der Sprache von der Benennung ausgehen und daher die Namengebung der ruhenden, abgeschlossenen Dinge für das Erste erklären: so verfährt man äußerlich.“ Dieser Vorwurf trifft die

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tà. La sua conoscenza si compiace del riconoscimento di cose già viste e della ricerca e dell’apprendimento di cose nuove, è a dire del denominare le cose. «È questo!» e «cos’è?», ecco le categorie generali in cui muove questo livello del pensiero, ma per quel che riguarda il linguaggio in senso proprio appaiono qui le proposizioni esclamative: cane! (o baubau), mucca! Anche noi rompiamo in frasi esclamative quando, al contatto con una cosa, c’imbattiamo in uno stato d’agitazione perché è per noi piacevole o spiacevole, perché prima ci era preclusa la sua vista o non [324] ce lo aspettavamo: fuoco! terra! il nemico! il re! Carlo! Potremmo anche definire queste proposizioni identificative125. L’evento psicologico che si presenta qui è semplice. A contatto con l’intuizione presente emerge l’intera massa fusa, e confusa, delle intuizioni dello stesso tipo già trascorse ma custodite dall’anima, e la nuova si fonde con le vecchie. Questa fusione si chiama appunto conoscere126. La parola è associata alla vecchia massa di intuizioni confuse. L’assunzione della nuova intuizione nella massa già presente, il conoscere, si esprime nel fatto che il nome collegato alla massa, ed emerso con essa, viene trasmesso alla nuova intuizione. Così la parola è in certa misura una rete che l’anima getta per catturare le nuove intuizioni. Per questo non posso pensare che la lingua inizi in altro modo se non con la denominazione delle cose, che però non offre ancora substantiva. Quando Becker ritiene che i verba avrebbero costituito l’inizio della lingua127, egli fraintende l’essenza dei verba come l’intero sviluppo linguistico. Trendelenburg riconosce (II, p. 146)128 che la radice non è né substantivum né verbum e tuttavia ritiene: «se si potessero ritrovare la prime parole, esse dovrebbero già contenere un intero pensiero, giacché in esse incalza l’anima. Solo al verbum è assegnata «come funzione grammaticale» d’essere «“l’atto del porre sintetico”... ragion per cui gli inizi della lingua risiederanno nei verbi». Ma nelle prime parole, appunto, non si trova ancora nulla della “funzione grammaticale”. Trendelenburg aggiunge: «Se si intende ancora nella lingua partire dalla denominazione e spiegare l’assegnazione dei nomi a cose stabili e isolate come elemento prioritario, allora si adotta un procedimento esteriore». Questo rimpro-

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alten Grammatiker, nicht unsere obige Darstellung. Denn nach dieser handelt es sich nicht um eine „Namengebung der ruhenden, abgeschlossenen Dinge,“ zu welcher der Mensch, man weiß nicht, wodurch? veranlaßt würde, sondern um ein Erkennen. Daher billigen wir, was Trendelenburg hinzusetzt: „Selbst die Sprachentwickelung in dem Kinde kann nicht als Analogie“ (für jene alte Ansicht) „angeführt werden. Sind die ersten Wörter des Kindes nur Namen? Freilich erscheinen sie isolirt. Aber schon sind sie ein Satz. Die Kinder sprechen mit feinem Sinne dasjenige Wort [325] als den Repräsentanten des ganzen Satzes, auf welches noch in der gegliederten Periode als auf den Hauptbegriff des Ganzen die vorwiegende Betonung fallen würde... Was an dem Urtheil in dem Ausdrucke der Sprache fehlt, das ersetzt die seelenvolle Betonung oder die lebhafte Geberde. Der Ton des Staunens bezeichnet das Urtheil der Wirklichkeit“ (was wir oben Erkennungssätze nannten), „das eilende Drängen im Tone das Verlangen.“ An die obigen Ausrufungs- oder Erkennungssätze schließen sich leicht die Befehlsätze; und wenn das ausgesprochene Wort im erstern Falle für uns ein Prädicat ist, wozu die gegenwärtige Anschauung das verschwiegene Subject bildet, so ist es im andern Falle, wie: Brod! Apfel! (sc. will ich haben, gieb mir) das Object. Das Verbum wird in beiden Fällen unterdrückt. Der Anfang der Sprache liegt in Sätzen, aber in verblosen. Die Synthesis, welche das Wesen der ganzen Sprache ausmacht, fehlt hier nicht: es ist die doppelte Synthesis der neuen Anschauung mit den alten und mit dem Worte. Die Verschmelzung der neuen Anschauung mit der alten Masse ist für uns die Copula; grammatisch aber, sprachlich, ist letztere noch nicht vorhanden, und eben darum ist auch noch kein Verbum da. Was sagen wir denn nun zu der Thatsache, „daß es verhältnißmäßig sehr wenige Substantiva giebt, in denen nicht noch die Thätigkeit, also das Element des Urtheils, als das Ursprüngliche könnte erkannt werden?“ Nach allem was oben über die innere Sprachform gesagt ist, kann diese Thatsache für uns schon als erklärt gelten. Die Thätigkeiten, welche in den Substantiven lie-

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vero investe i vecchi grammatici, non la spiegazione su presentata. Poiché, secondo ciò che è stato detto, non si tratta di un’യ“assegnazione di nomi a cose stabili e isolate”, a cui non si sa come l’uomo sia pervenuto, ma si tratta di un conoscere. Per questo approviamo quel che Trendelenburg aggiunge: «anche lo sviluppo psicologico del bambino non può essere addotto per analogia» (con quella vecchia prospettiva). «Le prime parole del bambino sono soltanto nomi? Certo appaiono isolati. Ma sono già una frase. I bambini pronunciano, con senso squisito, come rappresentante dell’intera frase, quella parola [325] su cui sarebbe ricaduto l’accento preponderante anche all’interno del periodo strutturato, proprio in quanto concetto prevalente dell’intero... Ciò che manca rispetto alla capacità di giudicare data con l’espressione linguistica, lo sostituiscono l’accentuazione calorosa e il gesto vivace. L’accento di meraviglia indica un giudizio di realtà» (quel che sopra chiamammo proposizioni identificative) «l’emissione di suono repentina indica il conseguimento di ciò che si desidera». Alle suddette proposizioni esclamative o identificative si uniscono facilmente le proposizioni imperative, soprattutto quando la parola pronunciata nella proposizione esclamativa è per noi un predicato in relazione a cui l’intuizione presente costituisce il soggetto nascosto; così, nel caso di proposizioni imperative come: pane! mela! (ovvero: li voglio, dammeli), la parola pronunciata costituisce l’oggetto. Il verbum è soffocato in entrambi i casi. L’inizio della lingua avviene nelle frasi, ma in quelle prive di verbo. La sintesi che costituisce l’essenza di tutta lingua qui non manca: è la doppia sintesi dell’intuizione nuova con la vecchia e con la parola. La fusione della nuova intuizione con la massa già presente è per noi la copula; in senso grammaticale, però, in senso linguistico, la copula non è ancora presente e proprio per questo non vi è nemmeno alcun verbum. Cosa rispondiamo poi al fatto «che proporzionalmente vi sono pochi substantiva in cui l’azione, è a dire l’elemento del giudizio, non può ancora essere conosciuto come l’elemento originario»? Questo fatto per noi può essere già considerato chiaro per tutto quel che s’è detto in merito alla forma interna della lingua. Le azioni che risiedono nei sostantivi non sono

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gen, sind keine Verba, sondern allenfalls Adjectiva, Merkmalwörter; das Merkmal ist das Attribut, durch welches das instinctive Selbstbewußtsein die Anschauung als Einheit erfaßt, sie sich vorstellt. So wie wir nie das Ding an sich erkennen, so hat auch die Sprache keine eigentlichen, ursprünglichen Dingwörter; wie uns der Complex der Merkmale eines Dinges für das Ding selbst gilt, so giebt es auch in der Sprache nur Merkmalwörter. Ein Merkmal aber wird aus dem Complex von Merkmalen, welche für uns das Ding bilden, herausgehoben und muß für das Ding an sich gelten, so z. B. der Reißende für den Wolf. Der Reißende ist also an sich ein Merkmalwort, nach der Absicht und Verwendung in der Sprache aber ein Dingwort. So ist Trendelenburgs „primitives Urtheil“ aufzufassen. [326] [326] Bevor man den Wolf als den Reißenden bezeichnen konnte, mußte freilich ein Wort für reißen, für die Thätigkeit an sich, gebildet sein. Wir sahen ja auch, daß die Stufe, auf welcher die innere Sprachform zu solcher Bildungsweise gelangte, nach welcher Wolf gebildet ist, keineswegs die erste ist. Wir sind aber in unserer Entwickelung noch nicht weit genug vorgerückt, und haben noch gar nicht gesehen, wie die Seele zur Auffassung von Thätigkeiten gelangt. Dies soll nun gezeigt werden. §. 109. Der explicite Satz. Wir stehen hier noch ganz am Anfange der Entwickelung der Vorstellung; sie ist noch weiter nichts, als eine Anschauung, deren Merkmale gedacht werden als sich an eines aus ihrer Mitte anschließend. Hier ist nicht bloß noch kein grammatisches Verbum, kein grammatisches Substantivum, sondern auch das Ding und die Thätigkeit oder das Merkmal überhaupt sind noch nicht streng von einander abgeschieden. Es ist wohl ein Merkmal aus dem Complex hervorgehoben; aber dasselbe liegt doch noch in ihm, es bildet den Mittelpunkt, oder, wie wir oben sagten, die Spitze des Kegels; es umfaßt also sich und alle Merkmale der Anschauung zugleich. Das Urtheil der Seele in der Anschauung lautet: das wahrgenommene Object ist die Summe meiner Empfindungen von demselben. In der Vorstellung wird hieran zunächst nur dies geändert, daß durch eine Abkürzung statt der sämmtli-

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verba, ma semmai adjectiva, parole che indicano una qualità. La qualità è l’attributo attraverso cui l’autocoscienza istintiva apprende, si rappresenta, l’intuizione come unità. Come non conosciamo mai la cosa in sé, così anche la lingua non possiede, in senso originario e peculiare, parole che indichino cose. Come per noi il complesso delle qualità di una cosa equivale alla cosa stessa, così anche nella lingua vi sono solo parole che indicano qualità. Dal complesso delle qualità che per noi costituiscono la cosa, però, ne viene astratta una ed essa deve valere per la cosa in sé, ad esempio lo sbranante per il lupo. Lo sbranante è dunque in sé una parola caratterizzante129; nella prospettiva della lingua però, e per l’utilizzazione che in essa ne vien fatta, è una parola che indica una cosa. Così va concepito il “giudizio primitivo” di Trendelenburg. [326] Prima che si possa indicare il lupo come lo sbranante dovrebbe però essere costituita una parola per sbranare, per l’azione in sé. Vedemmo anche che il livello su cui la forma interna della lingua è giunta in questa fase di formazione in cui è costituita la parola lupo, non è per nulla il primo. Ma non ci siamo ancora inoltrati abbastanza nella nostra argomentazione e non abbiamo ancora visto come l’anima pervenga alla comprensione delle azioni. È questo ciò che bisogna mostrare ora. §. 109. La frase esplicita Siamo qui ancora appena all’inizio dello sviluppo della rappresentazione. Essa non è ancora altro che un’intuizione le cui caratteristiche sono pensate come connesse a una caratteristica prevalente che sgorga dal mezzo di esse. Qui non vi è ancora nessun verbum o substantivum in senso grammaticale, ma nemmeno la cosa, l’azione o la qualità in generale sono distinte. Una caratteristica è astratta dal complesso, ma si trova ancora in esso, ne costituisce il punto medio o, come abbiamo detto sopra, la vetta del cono; abbraccia pertanto se stessa e contemporaneamente tutte le altre caratteristiche dell’intuizione. Il giudizio dell’anima risuona nell’intuizione: l’oggetto percepito è la somma delle mie sensazioni di esso. Rispetto a ciò, nella rappresentazione cambia in primo luogo soltanto questo: che per mezzo di un’abbreviazione, invece

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chen Empfindungen von einem Dinge nur eine im Laute reflectirte und mit diesem Laute associirte gesetzt wird. Der Werth und das Wesen dieses anschauenden Urtheils ist noch nicht geändert, nur die Ausdrucksweise, die eine abkürzende ist. Bei diesem ersten Auftreten der Vorstellung hat das eine, zusammenfassende Merkmal, welches den ganzen Complex vertritt, noch nicht die Bedeutung des Dinges an sich, die wir oben als bezeichnend für die Vorstellung angaben; aber sie wird diese Bedeutung sogleich erhalten, und damit wird erst das Ding von seinen Thätigkeiten und Merkmalen geschieden. Und wie geschieht dies? Man begreift wohl schon, daß wenn der Complex von Merkmalen der Anschauung einmal so zugespitzt ist, daß ein Merkmal sie alle vor dem Bewußtsein vertritt, vorstellt, bedeutet (gewissermaßen wie ein Abgeordneter eine Gesammtheit vertritt oder vorstellt), man begreift, sage ich, wie jetzt die Seele gezwungen wird, sich klar zu machen, welche Merkmale es sind, [327] die durch jenes eine vertreten werden. Sie findet aber hierzu auch noch in der Außenwelt mancherlei Aufforderung. Die Anschauung eines bestimmten Dinges umfaßt allemal eine Menge gegenwärtiger, sinnlicher Wahrnehmungen. Diese Menge, dieser Complex ist aber rücksichtlich desselben Dinges nicht immer gleich; sondern es fehlen bald einige Merkmale, bald sind einige mit andern vertauscht. Das Kind sieht den Hund liegend, sieht ihn aufstehen und gehen, hat also drei Anschauungen, alle drei identisch und doch verschieden. Wir denken uns hier das Kind eben auf der Stufe, auf welcher unsere Darlegung steht. Die Anschauung ist ihm zu einem Merkmale zugespitzt; der ganze Hund wird vor seinem Bewußtsein vertreten, vorgestellt durch Wauwau. Dieses Wauwau ist nicht Substantiv, nicht Verb, nicht Ding, nicht Thätigkeit, sondern alles was der Hund ist und thut; es gilt dem Kinde für alles was es vom Hunde weiß, ist ihm das Aequivalent der ganzen Masse von Anschauungen, welche es von ihm hat. Also Wauwau liegt, erhebt sich, geht, ist bald schwarz, bald weiß – denn zunächst weiß das Kind nicht, daß der schwarze ein anderer ist, als der weiße –; das Kind sieht dann auch mehrere Wauwaus, große und kleine, schwarze und weiße beisammen. Und auf alle diese verschiedenen Anschauungen bezieht sich sein Wauwau. Haben wir hier nicht schon die

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del complesso delle sensazioni di una cosa, ne è posta solo una, la quale viene riflessa nel suono e con questo suono associata. Il valore e l’essenza di questo giudizio intuitivo non è ancora mutato, è mutato solo il modo d’espressione che ora è abbreviante. In questa prima comparsa della rappresentazione, l’unica caratteristica sintetica che rappresenta l’intero complesso non ha ancora il significato di una cosa in sé, che su abbiamo indicato come specifico della rappresentazione, ma otterrà presto questo significato e in questo modo la cosa sarà divisa dalle azioni che compie e dalle sue qualità. Come avviene ciò? Si comprende che quando il complesso delle caratteristiche dell’intuizione è diventato così appuntito, che una caratteristica supplisce, rappresenta, significa tutte le altre di fronte alla coscienza (all’incirca come un deputato sostituisce e rappresenta una totalità), a questo punto, dico, s’intende che l’anima è costretta a spiegarsi quali siano le caratteristiche [327] che sono supplite da quell’unica. Essa trova anche qualche esortazione a far ciò nel mondo esterno. L’intuizione di una determinata cosa abbraccia sempre un insieme presente di percezioni sensibili. Questo insieme, questo complesso, però, rispetto alla cosa stessa non è sempre uguale, ma a volte mancano alcune caratteristiche a volte alcune sono sostituite con altre. Il bambino vede il cane che riposa, lo vede alzarsi e avanzare, ha dunque tre intuizioni, tutte e tre identiche e pure diverse. Immaginiamoci qui il bambino esattamente allo stesso livello a cui è giunta la nostra esposizione. L’intuizione per lui è confluita verso la vetta di una sola caratteristica, il cane nel suo complesso, nella sua coscienza, è supplito e rappresentato da baubau. Questo baubau non è un sostantivo, non è un verbo, non una cosa, non un’azione, ma è tutto ciò che il cane è e fa. Per il bambino vale come tutto ciò che sa del cane, è l’equivalente dell’intera massa delle intuizioni che possiede di esso. Dunque baubau è accucciato, si alza, avanza, ora è nero, ora è bianco – all’inizio il bambino non sa che il cane nero è diverso dal cane bianco –. Il bambino poi vede anche molteplici baubau, grandi e piccoli, neri e bianchi. È il suo baubau si connette a tutte queste intuizioni differenti. Non siamo forse già in presenza, qui,

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Einheit in der Verschiedenheit? Nun wird Wauwau ein fester Punkt, eine Einheit, an welche sich die bemerkten Verschiedenheiten anreihen; d. h. Wauwau wird Subject, und die veränderlichen Merkmale werden Prädicat. Wenn in der Anschauung die Summe der empfundenen Merkmale gewissermaßen das Prädicat des Dinges, des wirklichen Objects sind, welches als Subject gilt: so ist auf der ersten Stufe der Vorstellung nur der Unterschied eingetreten, daß sämmtliche Wahrnehmungen am Dinge, also z. B. am Hunde, durch das eine Prädicat wauwau ersetzt werden. Jetzt aber sahen wir die zweite Stufe eintreten, wo Wauwau zum Subjecte der veränderlichen Merkmale wird, welche als Prädicate gelten. Nun erst erhält Wauwau die Bedeutung des Hundes an sich, der Substanz, des Dinges, und das Ding wird von seinen Thätigkeiten und Eigenschaften geschieden. Die Wahrnehmungen dieser veränderlichen Eigenschaften und Thätigkeiten sind es jetzt, welche das Interesse des kindlichen Geistes erregen und sich in Lauten reflectiren. Der Urmensch, kräftiger, als das [328] Kind, wird solche Laute ursprünglich schaffen; das Kind spricht gehörte Laute nach. So denken wir uns den Vorgang der Schöpfung der Ding-, Merkmal- und Thätigkeitswörter. Sie werden geschaffen, wie wir dies oben bei der Darlegung der innern Sprachform gezeigt haben. Uebrigens werden nun auch absolute Thätigkeiten wahrgenommen, Thätigkeiten ohne Thuendes: blitzen, donnern, heulen, fließen, leuchten u.s.w. Sie werden benannt, und die Wörter für sie werden nicht anders gebildet, als wir oben dargelegt haben. Wenn man also meint, Dingwörter seien nicht die ersten, da ihnen allemal Merkmalswörter zu Grunde liegen: so ist ganz dasselbe von den Thätigkeitswörtern zu sagen, denen ebenfalls immer Merkmale zu Grunde liegen. Die Thätigkeit wird ganz wie eine Substanz betrachtet, und der Eindruck, den sie auf die Seele ausübt, reflectirt sich in einem Laute. Auch hat eine Thätigkeit viele Merkmale, von denen eines endlich alle vertritt und die Thätigkeit selbst bedeutet. Die ersten Wörter sind also Merkmalsbezeichnungen und mithin, wollte man einen grammatischen Ausdruck gebrauchen, Adverbia. Dies ist nun also der vorzüglichste Unterschied zwischen Anschauung und Vorstellung, daß jene einen Complex von Emp-

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dell’unità nella differenza? Ora baubau è un punto fisso, un’unità, a cui si affiliano le differenze dette; baubau cioè diventa soggetto e le caratteristiche mutevoli diventano predicato. Se nell’intuizione la somma delle caratteristiche percepite è in certa misura il predicato della cosa, dell’oggetto reale, il quale a sua volta vale come soggetto; così al primo livello della rappresentazione è entrata in gioco solo la differenza per cui l’insieme delle percezioni relative a una cosa, ad esempio a un cane, sono sostituite da un solo predicato baubau. Abbiamo però appena visto presentarsi il secondo livello, in cui baubau diventa il soggetto delle diverse caratteristiche, le quali a loro volta valgono come predicati. Solo ora baubau ottiene il significato di cane in sé, di sostanza, di cosa e la cosa è divisa dalle azioni che compie e dalle sue qualità. Sono ora le percezioni di queste qualità e azioni mutevoli a stimolare l’interesse dello spirito infantile e riflettersi nei suoni. L’uomo primitivo, più forte [328] del bambino, costituirà questi suoni dal nulla; il bambino ripete suoni ascoltati. Ci immaginiamo così il processo di creazione delle parole che indicano cose, qualità e azioni. Esse sono costituite come abbiamo mostrato nell’esposizione della forma interna della lingua presentata prima. Per il resto, sono ora percepite anche attività assolute, attività prive di qualcuno che le compia: il lampeggiare, il tuonare, il mugghiare, il fluire, il rifulgere etc. Tutte queste attività sono denominate e le parole per farlo non sono costituite altrimenti da come abbiamo esposto sopra. Quindi, quando si sostiene che le parole che indicano cose non siano le prime a manifestarsi giacché alla base di esse si trovano le parole caratterizzanti, bisogna dire lo stesso anche delle parole che indicano azioni, a cui comunque stanno a fondamento caratteristiche. L’attività è considerata esattamente come una sostanza e l’impressione che esercita sull’anima si riflette nel suono. Anche l’attività ha molte caratteristiche, una delle quali alla fine rappresenta tutte e significa l’attività stessa. Le prime parole sono dunque contrassegni e con ciò, se si volesse utilizzare un’espressione grammaticale, adverbia. La principale differenza tra intuizione e rappresentazione consiste dunque nel fatto che l’intuizione attualizza un com-

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findungen ungeschieden vergegenwärtigt, die Vorstellung dagegen Ding und Merkmal scheidet. Da es nun aber dennoch darauf ankommt, Anschauungen auszudrücken, also den Complex von Ding und Merkmal: so kann dies nicht anders geschehen, als indem man die einzelnen Ding- und Merkmalsvorstellungen im Urtheile zusammensetzt. Darum lebt die Vorstellung nur im Satze, während sie als isolirtes Wort eine aus dem Empfindungscomplex einer Anschauung herausgerissene, abgelöste einzelne Empfindung ist, also ein todtes Abstractum, ein abgestorbenes Glied eines lebendigen Organismus. Vorstellung ist wesentlich Satz; der Satz ist das Urtheil der Vorstellung. Und so wird nun erst im Satze recht klar, was es heißt, wenn wir sagen, Sprache sei Anschauung der Anschauung; denn das Subject des Satzes ist die angeschaute Anschauung, und das Prädicat ist das Ergebniß dieses Anschauens der Anschauung, das an der Anschauung Geschaute, das als was das Angeschaute erkannt, vorgestellt wird. Streng genommen aber sollten wir sagen, der Satz sei die Vorstellung der Vorstellung. Denn das Wort als Vorstellung ist schon die Anschauung der Anschauung, das Wort [329] ist das Urtheil der Anschauung; der Satz aber behandelt das Wort gerade eben so, wie dieses die Anschauung behandelt hat, d. h. wenn das Wort Vorstellung ist, so ist der Satz Vorstellung der Vorstellung. Das Subject ist die Vorstellung, welche unter einer andern, dem Prädicate, aufgefaßt wird; eben so ist das Attribut die Vorstellung, als welche die Vorstellung des Substantivs vorgestellt wird, und ferner ist das Object das, was an der Vorstellung der Thätigkeit vorgestellt, erkannt wird. Hören wir hierüber noch den alten Kant (Kritik der reinen Vernunft, Von dem logischen Verstandesgebrauche überhaupt, Ausg. v. Hartenstein 1853. S. 99): „Da keine Vorstellung unmittelbar auf den Gegenstand geht, als bloß die Anschauung, so wird ein Begriff niemals auf einen Gegenstand unmittelbar, sondern auf irgend eine andere Vorstellung von demselben (sie sei Anschauung oder selbst schon Begriff) bezogen. Das Urtheil ist also die mittelbare Erkenntniß eines Gegenstandes, mithin die Vorstellung einer Vorstellung desselben. In jedem Urtheil ist ein Begriff, der für viele gilt, und unter diesen vielen auch eine gegebene Vorstellung begreift, welche letztere

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plesso di sensazioni senza scomporlo, la rappresentazione al contrario divide cosa e qualità. Dal momento però che si giunge solo a esprimere intuizioni, cioè il complesso di cose e qualità, ciò non può accadere altrimenti che unificando nel giudizio le rappresentazioni delle cose e quelle delle qualità. Pertanto la rappresentazione vive solo nella frase, mentre la frase, in quanto “parola isolata”, è una singola sensazione separata dal complesso di sensazioni di un’intuizione, ovvero qualcosa di esanime e astratto, una componente morta di un organismo vivente. La rappresentazione è essenzialmente frase. La frase è il giudizio della rappresentazione. E così nella frase diviene chiaro in modo particolare che debba intendersi quando diciamo che la lingua sia intuizione dell’intuizione: poiché il soggetto della frase è l’intuizione intuita mentre il predicato è il risultato di tale intuire dell’intuizione, l’intuito nell’intuizione, ciò nei cui termini l’intuito viene conosciuto, rappresentato. In senso proprio dovremmo dire che la frase sia la rappresentazione della rappresentazione. E ciò poiché la parola, in quanto rappresentazione, è già l’intuizione dell’intuizione, la parola [329] è il giudizio dell’intuizione, ma la frase tratta la parola esattamente come la parola ha trattato l’intuizione, è a dire, se la parola è rappresentazione, allora la frase è rappresentazione della rappresentazione. Il soggetto è la rappresentazione che viene sussunta in un’altra, nel predicato; e così, per l’appunto, l’attributo è la rappresentazione sotto la cui forma la rappresentazione del sostantivo viene rappresentata e inoltre l’oggetto è ciò che, nella rappresentazione dell’attività, viene rappresentato e conosciuto. Ascoltiamo, in proposito, ancora il vecchio Kant (Kritik der reinen Vernunft. Von dem logischen Verstandesgebrauche überhaupt, ed. Hartenstein 1853, p. 99)130: «poiché nessuna rappresentazione, tranne la sola intuizione, si riferisce immediatamente all’oggetto, così un concetto non si riferisce mai immediatamente ad un oggetto, ma a qualche altra rappresentazione di esso (sia essa intuizione o anche già concetto). Il giudizio dunque è la conoscenza mediata di un oggetto, e perciò la rappresentazione di una rappresentazione del medesimo. In ogni giudizio c’è un concetto che si conviene a molti e che tra questi molti comprende anche una rappresentazione data, la quale ultima

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dann auf den Gegenstand unmittelbar bezogen wird. So bezieht sich z. B. in dem Urtheile: alle Körper sind theilbar der Begriff des Theilbaren auf verschiedene andere Begriffe; unter diesen aber wird er hier besonders auf den Begriff des Körpers bezogen, dieser aber auf gewisse uns vorkommende Erscheinungen. Also werden diese Gegenstände durch den Begriff der Theilbarkeit mittelbar vorgestellt.“ Ueber der Aehnlichkeit dieser Stelle Kants mit unserer Darstellung aber werden wir die Verschiedenheit nicht übersehen. Bei Kant „ist Denken die Erkenntniß durch Begriffe“, und der Verstand ist ein besonderes „Vermögen zu urtheilen“; der Begriff aber nichts als „das Prädicat zu einem möglichen Urtheile“. Das ist aber alles höchst einseitig und willkürlich. Bei Trendelenburg sind umgekehrt gerade die Subjecte der Urtheile die Begriffe. Die Begriffe können als Subject und als Prädicat stehen, und in diesem wie in jenem Falle beziehen sie sich nicht mehr und nicht weniger auf einen Gegenstand. – Verstand ferner ist kein besonderes Vermögen; Urtheilen ist nicht die besondere Thätigkeit eines besondern Vermögens; und Denken ist nicht bloß Erkenntniß durch Begriffe, d. h. durch Urtheile. – Kant unterscheidet Anschauung und Begriff, wie [330] wir; Vorstellung aber ist ihm der allgemeine Ausdruck für jene beiden zugleich, sie umfassend, ihnen untergeordnet. Uns ist Vorstellung eine coordinirte mittlere Stufe der Seelenempfängnisse zwischen den Stufen der Anschauung und des Begriffs. Urtheil ist eine Form der Denkthätigkeit, die sich, verschieden gestaltet, auf allen drei Stufen findet. Das Urtheil ist je nach der Stufe, auf der es auftritt: Anschauung der Anschauung (Wort), Vorstellung der Vorstellung (Satz), Begriff des Begriffs (logisches Urtheil). Die Sätze und Urtheile sind nicht aus zwei Vorstellungen oder Begriffen zusammengesetzt; sondern die Anschauung, d. h. die Einheit ist das Erste, und das Urtheil ist die Auflösung dieser Einheit. Von den vielen Momenten, den Merkmalen einer Anschauung oder eines Begriffs wird eines hervorgehoben, nur dieses, als Prädicat, wird gedacht, und nur als dieses wird in dem Augenblicke des Urtheils der Begriff des Subjects gedacht, nur in ihm liegt der Werth des Subjects. In dem Urtheile z. B. alle Körper sind theilbar sind Subject und Prädicat gleich, und zwar

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vien riferita immediatamente all’oggetto. Così, ad esempio, nel giudizio tutti i corpi sono divisibili, il concetto del divisibile si riferisce a diversi altri concetti; ma fra questi, qui, viene particolarmente riferito al concetto del corpo, il quale, per altro, si riferisce a certi fenomeni che si presentano a noi. Così dunque questi concetti vengono rappresentati per mezzo del concetto della divisibilità, mediatamente». Non dobbiamo però trascurare le differenze che vi sono al di là della somiglianza tra questa posizione di Kant e la nostra esposizione. In Kant il «pensare è conoscere attraverso concetti» e l’intelletto, in particolare, è «facoltà di giudizio»; il concetto, però, non è altro che «il predicato di un giudizio possibile»131. Tutto ciò però è parziale e arbitrario nel più alto grado. In Trendelenburg, al contrario, i concetti sono proprio i soggetti del giudizio. I concetti possono valere sia come soggetto sia come predicato e, in questo come in quel caso, non si rapportano né più né meno a una cosa. – L’intelletto inoltre non costituisce nessuna particolare facoltà; il giudizio non è l’attività particolare di una particolare facoltà e il pensiero non è semplice conoscenza attraverso concetti, ovvero attraverso giudizi. – Kant separa, come [330] noi, intuizioni e concetti; la rappresentazione però è per lui l’espressione universale di entrambi, estesa a entrambi ed a essi subordinata. Per noi la rappresentazione è uno stadio intermedio e coordinato dell’elaborazione psichica tra i livelli dell’intuizione e del concetto. Il giudizio è una forma dell’attività del pensiero con una sua differente configurazione in ciascuno dei tre livelli. Secondo il livello in cui appare, il giudizio è: intuizione dell’intuizione (parola), rappresentazione della rappresentazione (frase), concetto del concetto (giudizio logico). Le frasi e i giudizi non sono composte da due rappresentazioni o concetti; ma ciò che vien prima è l’intuizione, l’unità; il giudizio è la scissione di questa unità. Dalla molteplicità dei momenti, dei caratteri di un’intuizione o di un concetto, ne è posto in rilievo uno e solo questo è pensato come predicato; e solo in quanto predicato è pensato, nell’istante del giudizio, il concetto del soggetto, solo nel predicato risiede il valore del soggetto. Ad esempio, nel giudizio tutti i corpi sono divisibili soggetto e predicato sono uguali e lo sono, invero, per il fatto

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deswegen gleich, weil aus der unbestimmten Menge der Merkmale des Körpers hier nur eines in das Bewußtsein gehoben wird, das der Theilbarkeit; diese ist alles, was in jenem Urtheile bei der Vorstellung Körper gedacht wird. Subject und Prädicat sind also wirklich identisch; denn das Prädicat sagt aus, was das Subject ist. Der Hund läuft bedeutet: der Hund ist ein laufender Hund; dieser Vogel ist grau bedeutet: dieser Vogel ist ein grauer Vogel oder dies ist ein grauer Vogel. §. 110. Ausbildung der Begriffe. Nun aber vervielfältigen sich die Sätze: der Hund läuft, sitzt, ist schwarz, weiß, braun, grau u. s. w. Jeder Satz vervollständigt die Analyse der Anschauuug. Damit hält die Schöpfung der Merkmalwörter und die Entwickelung des Begriffs gleichen Schritt. Denn der Begriff ist die vollständige analytische Erkenntniß der Anschauung, d. h. der Momente derselben sowohl an sich, als in ihrer gegenseitigen Durchdringung und ihrem Werthe für das Ganze. Je mehr Sätze entwickelt werden, um so fester gilt das Wort als Ding an sich; um so mehr aber schwindet die etymologische Bedeutung des Wortes, wobei ein Merkmal als Ding an sich gilt. Bleibt nun zuletzt [331] dem Worte an sich nichts mehr übrig als der Laut, wie dies in geschichtlicher Zeit Statt findet, wo die Etymologie aus dem Bewußtsein verloren ist: so ist die Vorstellung nichts weiter, als die leere Beziehung des Bewußtseins auf die Anschauung oder das wirkliche Ding, und erwartet erst im Prädicate einen Inhalt. Wenn man sagt: der Körper ist theilbar, so wird bei Körper gar nichts gedacht; das Wort Körper bewirkt aber eine Beziehung des Bewußtseins auf die Anschauung des wirklichen Körpers, eine Beziehung jedoch, die durchaus leer ist (weil die Etymologie des Wortes Körper vergessen ist), und die erst durch das Prädicat theilbar einen Inhalt erhält. Wenn sich nun diese Beziehungen vielfach wiederholen und immer verschieden ausgefüllt werden; wenn, nach unserem obigen Gleichnisse, von der inhaltslosen Spitze des Kegels der Anschauung nach allen Punkten der Basis Linien gezogen werden und durch diese Linien alle Punkte nach ihrem Zusammenhange mit einander und mit dem Ganzen ins Bewußtsein gelangt sind: so erhalten wir den Begriff, der eine große Fülle von Urtheilen in sich schließt.

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che dall’insieme indeterminato delle caratteristiche dei corpi, qui ne è sollevata a coscienza soltanto una, quella della divisibilità: questo è tutto ciò che è pensato della rappresentazione del corpo in quel giudizio. Soggetto e predicato sono allora davvero identici, giacché il predicato esprime quel che è il soggetto. Il cane corre significa il cane è un cane che corre; questo uccello è grigio significa questo uccello è un uccello grigio o questo è un uccello grigio. §. 110. Formazione del concetto Ma ora le frasi si moltiplicano: Il cane corre, è a cuccia, è nero, bianco, marrone, grigio etc. Ogni frase completa l’analisi dell’intuizione. Così la creazione delle parole caratterizzanti e lo sviluppo del concetto mantengono lo stesso passo. E ciò giacché il concetto è l’analisi conoscitiva completa dell’intuizione, è a dire dei momenti di essa, in sé, nella loro reciproca compenetrazione e nel loro valore per l’intero. Tanto più sono sviluppate le frasi, tanto più saldamente la parola equivale alla cosa in sé; tanto più questo processo avanza, però, tanto più scompare il significato etimologico della parola in cui una sola caratteristica vale come cosa in sé. Alla fine, [331] alla parola in sé, non rimane altro che il suono così come si configura nel tempo storico in cui l’etimologia è perduta dalla coscienza: così, la rappresentazione non è nient’altro che la vuota relazione della coscienza con l’intuizione ovvero con la cosa reale, e riceve un contenuto soltanto nel predicato. Quando si dice il corpo è divisibile, con corpo non è pensato proprio nulla; la parola corpo produce invece una relazione della coscienza con l’intuizione del corpo reale e tuttavia una relazione che è interamente vuota (perché l’etimologia della parola corpo è dimenticata), una relazione, la quale ottiene un contenuto solo per mezzo del predicato divisibile. Ora, quando queste relazioni sono ripetute sempre in modi diversi e riempite sempre in modo differente; quando, secondo l’equivalenza su presentata, dalla vetta priva di contenuto del cono dell’intuizione sono tratte linee verso tutti i punti della base e, attraverso queste linee, sono pervenuti a coscienza tutti i punti secondo la loro connessione reciproca e secondo la loro connessione con l’intero, allora otteniamo il concetto che racchiude in sé una grande quantità di giudizi.

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Wie schwerfällig würde unser Denken sein, wenn wir dabei immer die volle Anschauung oder gar den Begriff, so weit wir ihn gebildet haben, gegenwärtig im Bewußtsein haben müßten, um daran neue Erkenntnisse zu knüpfen! Ja dies wäre bei der Natur unseres Bewußtseins, welches nur sehr wenige einfache Vorstellungen zugleich klar denken kann, rein unmöglich. Das Wort kommt also hier dem Bewußtsein zu Hülfe. Denn, indem es, ohne ihm etwas zu denken zu geben, dennoch den ganzen Complex der Empfindungen, die in einer Anschauung liegen, festhält, kann das Bewußtsein in völliger Freiheit sein Auge ausschließlich auf diejenigen Punkte heften, um deren Erkenntniß es ihm gerade jetzt zu thun ist; und kann, da auch diese Erkenntnisse an Wörter gebunden sind, mit denselben mancherlei Operationen vornehmen, ohne sie sich lebendig zu vergegenwärtigen, indem es mit dem inhaltsleeren Worte als dem vorgestellten Aequivalent des Erkannten operirt. Wie sollte man etwas Allgemeines, etwa von Pflanzen und Thieren, auffassen können, wenn man fortwährend die Anschauungen aller Einzelheiten gegenwärtig haben müßte! Die Vorstellung, auf ihrer niedrigsten Stufe der Allgemeinheit, bedeutet eine Art. So vermittelt sie die höhere Allgemeinheit des Begriffs mit der Anschauung, die nur Einzelnes erfaßt. [332] §. 111. Fernere Betrachtuugen über die Leistungen der Sprache für das Denken. Ehe wir diesen Abschnitt abschließen, wollen wir noch Herbart hören von der Wirkung der Sprache (a. a. O.): „Etwas schwerer“ (als die Entstehung der Sprache) „mag die Frage von der Wirkung der Sprache sein; doch hat man auch hievon zu viel Aufhebens gemacht. Daß man vermittelst der Sprache denke, ist ganz unrichtig. Man kann nicht ohne die Worte denken, nachdem die Vorstellung der letztern“ (d. h. ihr Wortlaut) „mit den Begriffen complicirt ist . . . Die Summe aber, oder der Grad des Vorstellens, oder die Innigkeit der Verbindung unter den Merkmalen eines Begriffs, dies alles, worauf die Wirksamkeit unserer Vorstellungen beruht, wächst nicht im geringsten durch das angeheftete Zeichen. Eine Täuschung, als ob ein Ding ohne Namen nur unvollständig erkannt wäre, kann daher entstehen,

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Come sarebbe goffo il pensiero se per connettervi nuove conoscenze dovessimo aver sempre presente nella coscienza l’intuizione completa o in generale il concetto fin dove siamo giunti a forgiarlo! Anzi per la natura della nostra coscienza, che può pensare contemporaneamente in modo chiaro solo poche e semplici rappresentazioni, ciò sarebbe semplicemente impossibile. La parola giunge quindi qui in aiuto della coscienza. Giacché trattenendo l’intero complesso delle sensazioni che risiedono in un’intuizione, pur senza impegnare la coscienza a doverle pensare, quest’ultima può rivolgere lo sguardo, in piena libertà e senza far altro, a quei punti della cui conoscenza deve ora appropiarsi; e può, dal momento che anche queste conoscenze sono a loro volta connesse a parole, intraprender con queste parole diverse operazioni senza aver presente le conoscenze nel vivo, poiché con la parola priva di contenuto opera come con un equivalente, rappresentato, di ciò che è conosciuto. Come potrebbe mai cogliersi qualcosa di universale, qualcosa delle piante o degli animali, se contemporaneamente si dovessero aver presenti le intuizioni di tutte quelle singolarità! La rappresentazione, al suo più basso stadio di generalità, indica un tipo. Essa media così la suprema universalità del concetto con l’intuizione che coglie solo il singolare. [332] §. 111. Ulteriori considerazioni sul contributo della lingua per il pensiero Prima di concludere questo capitolo vogliamo sentire ancora quel che Herbart (ivi) dice sull’effetto della lingua132: «la domanda sull’effetto della lingua può esser più difficile» (di quella sull’origine della lingua). «E tuttavia, anche in merito a ciò s’è fatto troppo chiasso. Che si pensi per mezzo della lingua è assolutamente sbagliato. Non è possibile pensare senza le parole, dato che la loro rappresentazione» (cioè il loro suono) «è implicata nei concetti. La somma o il grado del rappresentare, però, o l’intimità della connessione tra le note del concetto, tutto ciò su cui riposa l’efficacia delle nostre rappresentazioni, non cresce minimamente per mezzo dei segni ad essi attaccati. L’illusione secondo cui una cosa non sarebbe perfettamente conoscibile senza il nome, può sorgere

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weil, nachdem alle andern Dinge den Ballast eines Worts an sich tragen, dem Namenlosen ein Zusatz zu fehlen scheint, wenn es mit jenen ins Gleichgewicht treten soll“ (Hier haben wir das Gegenstück zu Becker, dem die Wortschöpfung gleich gilt mit der Ideenschöpfung. Jedes dieser Extreme gereicht dem andern zur Entschuldigung). „So bildet sich wohl auch Einer, der eine fremde Sprache, noch außer der Muttersprache, gelernt hat, ein, es fehle ihm etwas an der Kenntniß des Gegenstandes, den er in die fremde Zunge nicht übersetzen kann!“ Einen solchen „Einen“ möchte ich kennen. In Deutschland lebt er schwerlich! wo man nicht einmal, wenn man das Ding nicht in der Muttersprache zu benennen weiß, einen Mangel fühlt. Man sieht übrigens von selbst, daß dieser Stelle die allerniedrigste Ansicht von der Sprache zu Grunde liegt. Die Sprache ist also „ein Ballast“, von dem gar nicht eingesehen werden kann, wie der Mensch dazu kommt. Sie ist eben darum auch als ein Uebel anzusehen: „Aller Vorteil der Sprache beruht auf dem geselligen, gemeinsamen Gebrauch; auf der Verlängerung und Berichtigung der eignen Gedanken durch die der Andern. Aber für den Einzelnen ist das Anheften der Gedanken an die Sprache sogar nachtheilig. Denn hierdurch treten für ihn die mehr und die minder verstandenen Worte, – diejenigen, die für ihn mehr und weniger Sinn haben, – scheinbar in einen Rang. Daher so viel thörichter Wortkram, und so [333] viel Eitelkeit, Unlauterkeit, falsche Schätzung des Wissens, Dreistigkeit des sinnlosen Plauderns!“ Und der große Psychologe merkt nicht, daß er den Mephistopheles spielt, der vom Menschen meint, er habe die Vernunft nur, um das unvernünftigste Vieh zu sein. Die Sprache ist also ein nothwendiges Uebel, unsern Gedanken „angeheftet“. Es kommt darauf an, zu erkennen, wie innig sich die Sprache in das Denken hineinschlingt. Das Wichtigste hierfür haben wir schon geleistet in dem, was wir über das Hervorbrechen der Sprache, die Entwickelung der innern Sprachform und der Vorstellung dargethan. Denn dort haben wir das Denken durch mehrere nothwendige Stufen seiner Entwickelung verfolgt. Dort haben wir also schon theils geradezu die Identität, theils die Durchdringung von Sprechen und Denken erkannt; und so ist

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per il fatto che, dal momento che tutte le altre cose traggono con sé la zavorra di una parola, alla cosa priva di nome, a paragone con le altre, sembra mancare un completamento» (Abbiamo qui la posizione opposta a quella di Becker, secondo cui la creazione delle parole equivale alla creazione delle idee. Ognuno di questi estremi serve all’altro da scusa). «Così anche uno che, oltre la sua, ha imparato una lingua straniera, presume che gli manchi qualcosa nella conoscenza dell’oggetto che non riesce a tradurre nella lingua straniera». Vorrei proprio conoscerlo un tipo del genere. Di certo non vive in Germania! Dove quand’anche non si sia in grado di nominare una cosa nella propria lingua madre non lo si reputa una lacuna. Si coglie immediatamente che alla base di questa posizione sta la più bassa considerazione della lingua. La lingua è dunque una “zavorra” e non è possibile scorgere come l’uomo vi sia giunto. Essa è da considerare, pertanto, anche come un male: «Tutti i vantaggi della lingua poggiano sul suo uso sociale, comunitario; sul prolungamento e la giustificazione del pensiero di uno attraverso quello dell’altro. Ma per il singolo l’aderenza del pensiero alla lingua è perfino nociva. Poiché, in ragione di questa connessione, le parole a cui egli attribuisce maggiore o minore significato – quelle che per lui hanno senso maggiore o minore – acquisiscono apparentemente un’importanza speciale. E perciò tanto stolto ciarpame di parole e perciò [333] sì tanta futilità, disonestà, erronea valutazione del sapere, impudenza d’una vana chiacchiera!» E così il grande psicologo non nota che egli gioca la parte di Mefistofele, che crede che l’uomo sia in possesso della ragione solo per essere la bestia più irragionevole133. La lingua è dunque un male necessario “attaccato come un peso” ai nostri pensieri. Si giunge a riconoscere quanto intimamente la lingua s’insinui nel pensiero. L’aspetto più importante in relazione a ciò l’abbiamo già affrontato prendendo in considerazione l’erompere della lingua, lo sviluppo della forma interna della lingua e della rappresentazione. Poiché lì abbiamo seguito il pensiero attraverso i molteplici stadi necessari del suo sviluppo. Lì, perciò, abbiamo già conosciuto in parte finanche l’identità, in parte la compenetrazione di parlare e pensare; pertanto per

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es für uns völlig unstatthaft, von „Ballast“ und „anheften“ zu reden. Nun bricht aber die Wirksamkeit der Sprache noch nicht ab. Durch alle Urtheile hindurch, vermittelst deren die Anschauung zum Begriffe wird, begleitet die Sprache das Denken ganz offenbar. Und diese Begleitung, die ihren Grund in der innigsten Verschlingung hat, sollte einflußlos auf das Denken bleiben? ihm rein äußerlich angeheftet werden? §. 112. Leistung der Vorstellung. Das Wort, sagten wir, ist die inhaltslose Beziehung des Bewußtseins auf die Anschauung und dadurch Stützpunkt der Seele bei der Bildung des Begriffs. Man sieht also hieraus, daß allerdings die Vorstellung nicht eigentlich in gleicher Linie mit Anschauung und Begriff steht; sondern wie die Wahrnehmung auf einer ganz andern Linie, als Gefühl, Empfindung und Anschauung, lag: so liegt auch die Vorstellung nicht auf derselben, die sich zum Begriffe verlängert. Die Vorstellung ist vielmehr eine Fortsetzung der Linie, auf der die Wahrnehmung liegt. Wahrnehmung ist die Vermittlung der leiblichen Bewegungen mit der Seele, die Beziehung der Seele auf den Leib, ohne welche kein Bewußtsein, weder von der Außenwelt, noch von der eigenen Leiblichkeit, entsteht. Wie viele Bewegungen gehen in unserm Leibe vor, von denen wir nichts wissen, weil wir sie nicht wahrnehmen, d. h. weil die Seele, das Bewußtsein, nicht darauf bezogen ist. Das Für-uns-sein oder das Bewußtsein der Gefühle, Empfindungen und Anschauungen wird durch [334] diese Weise der Beziehung der Seele bewirkt, welche wir Wahrnehmung nennen. Wenn die Seele eine gehabte Anschauung wieder hervortreten läßt, so nennen wir diese Beziehung der Seele auf die Anschauung Erinnerung. Dieser Name bezeichnet aber die Beziehung der Seele auf jedwedes schon gehabte Seelenerzeugniß, also auch die Reproduction von Begriffen. Die Vorstellung ist die Beziehung des Bewußtseins auf die erinnerte Anschauung oder den erinnerten Begriff während der Thätigkeit des Geistes, Anschauungen in Begriffe zu verwandeln und Begriffe gemäß der Idee zu construiren. Die Vorstellung ist

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noi è del tutto inappropriato parlare di “zavorra” e di qualcosa di “attaccato come un peso”. Ma l’efficacia della lingua non si interrompe qui. La lingua accompagna visibilmente il pensiero in tutti i giudizi attraverso cui l’intuizione diventa concetto. E questo accompagnamento che ha la sua ragione nel più intimo intreccio dovrebbe rimanere senza influenza per il pensiero? Essere attaccato ad esso in senso puramente esteriore? §. 112. Opera della rappresentazione La parola, abbiamo detto, è la relazione priva di contenuto della coscienza con l’intuizione e, per questo, funge da punto d’appoggio dell’anima nella formazione del concetto. A partire da qui, però, si vede che la rappresentazione non sta propriamente sulla stessa linea in cui si trovano intuizione e concetto. Bensì, come la percezione fu posta in una linea completamente diversa rispetto a quella su cui si trovavano il sentimento, la sensazione e l’intuizione, anche la rappresentazione non si trova nella linea che giunge fino al concetto. La rappresentazione è piuttosto una prosecuzione della linea su cui sta la percezione134. La percezione è la mediazione dei movimenti corporei con l’anima, la relazione dell’anima col corpo senza cui non sorge alcuna coscienza né del mondo esterno né della corporeità in senso proprio. Quanti movimenti attraversano il nostro corpo senza che ne sappiamo niente perché non li percepiamo, è a dire perché l’anima, la coscienza, non vi entra in relazione. L’essere-per-noi o la coscienza dei sentimenti, delle sensazioni e delle intuizioni, è provocata da [334] questo tipo di relazione dell’anima che chiamiamo percezione. Quando l’anima lascia riemergere un’intuizione già avuta, definiamo questa relazione dell’anima all’intuizione ricordo. Questo nome però indica la relazione dell’anima a qualsiasi prodotto di cui l’anima è già stata in possesso, dunque anche la riproduzione di concetti. La rappresentazione è la relazione della coscienza con l’intuizione ricordata o con il concetto ricordato nel corso dell’attività dello spirito per trasformare intuizioni in concetti e per costruire concetti in modo conforme all’idea. La rappre-

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ursprünglich nicht ganz leer, sie ist die Abbreviatur der Anschauung, wird aber endlich völlig leer. Dann wirkt sie, wie die Null in der Arithmetik. Zwischen 3. 30. 0,3 besteht der Unterschied, daß 3 sich an verschiedenen Orten findet. Diese Verschiedenheit des Ortes verändert den Werth, und diese Werthveränderung wird bewirkt durch eine leere Stelle, eine Null. Man denke sich den Zehner als die Anschauung und als das Subject eines zu bildenden Urtheils, d. h. als Multiplicanden einer Multiplication. Denn durch den Proceß des Urtheilens, des Multiplicirens, wird der Begriff, das Facit, gebildet. Das Prädicat aber ist eigentlich das, was dem Subjecte den Werth leiht, dessen Werth bestimmt, das Urtheil bildet, der Multiplicator. Welch ein mühseliges Rechnen findet nun Statt, wenn man den Zehner wirklich und voll auftreten läßt, also hinschreibt X x III = XXX! Um wie viel leichter und einfacher werden alle Operationen, wenn der Inhalt des Zehners bloß durch die Stellung angedeutet und bloß der Multiplicator ausdrücklich genannt wird! Dieselbe Erleichterung, welche dem Rechner die Stellung der Zahl verschafft, gewährt dem Urtheilenden die Vorstellung, welche die Stelle der Anschauung im Urtheile vertritt. Wir nannten hier immer die Vorstellung leer; dies muß aber richtig verstanden werden. Sie ist zugleich leer und gefüllt; denn sie ist, wie wir oben sagten, die Anschauung selbst, insofern sie durch die Sprache gedacht wird, also Einheit der Anschauung und des Wortes, welches die Beziehung der Seele auf die Anschauung enthält. Insofern sie also bloß Wort ist, ist sie leer; insofern sie aber Anschauung ist, ist ja sie es gerade, welche durch die Erkenntnisse in den Urtheilen an Inhalt gewinnt. Ferner: die Vorstellung ist in Wahrheit der Satz; [335] insofern sie nun Subject ist, wird sie leer und unbestimmt hingestellt; durch jedes Prädicat aber, welches sie gewinnt, nimmt sie zu an Inhalt und Klarheit. Die Vorstellung, insofern sie die Anschauung ist, ist die Bedeutung des Wortes. Das Wort wird aber durch die vielfachen Urtheile, in denen es angewandt wird, immer reicher an Bedeutung; sein Sinn wird immer feiner und bestimmter. Die Vorstellung ist also die sich aufklärende und immer mehr ihre wesentlichen Bestimmungen entfaltende Anschauung. Tritt aber die Vorstellung

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sentazione in origine non è del tutto vuota, è l’abbreviazione dell’intuizione, alla fine però lo diviene completamente. Essa opera, infatti, come lo zero opera nell’aritmetica. Tra 3. 30. 0,3 vi è la differenza che il tre si trova in posizioni diverse. Questa differenza di posizione cambia il valore e questa differenza di valore è provocata da una posizione vuota, uno zero. Si consideri il dieci come un’intuizione e come il soggetto di un giudizio da costituire, ovvero come il moltiplicando di una moltiplicazione. Ora, attraverso il processo del giudicare, del moltiplicare, è costituito il concetto, il risultato. Il predicato, invece, è proprio ciò che conferisce valore al soggetto, che ne determina il valore, che ne costituisce il giudizio, è il moltiplicatore. Che conto faticoso ha luogo se si lascia davvero entrare la decina e si scrive X x III = XXX! E quanto diventano più facili e semplici tutte le operazioni se il contenuto della decina è indicato solo attraverso la posizione e solo il moltiplicatore è definito esplicitamente! La stessa facilitazione, che la posizione del numero arreca a chi conta, la fornisce a chi giudica la rappresentazione, la quale sostituisce nel giudizio la posizione dell’intuizione. Noi qui abbiamo sempre definito la rappresentazione “vuota”; ma ciò va inteso correttamente. Essa è al contempo vuota e piena. Poiché essa, come abbiamo detto sopra, è l’intuizione stessa nella misura in cui è pensata attraverso la lingua, dunque l’unità dell’intuizione e della parola, che contiene la relazione dell’anima con l’intuizione. Nella misura in cui dunque è semplice parola, essa è vuota. Nella misura in cui è intuizione, però, è proprio lei che guadagna in contenuto attraverso le conoscenze conseguite nei giudizi. Inoltre, la rappresentazione è in verità la frase. [335] Nella misura in cui è soggetto, viene posta in modo vuoto e indeterminato; attraverso ogni predicato che ottiene, però, cresce in contenuto e chiarezza. La rappresentazione, nella misura in cui è intuizione, è il significato della parola. La parola, però, attraverso i molteplici giudizi in cui è utilizzata diviene sempre più ricca di significato, il suo senso diventa sempre più fine e determinato. La rappresentazione è dunque l’intuizione che si chiarifica e dispiega sempre più le sue determinazioni essenziali. Se la rappresentazione, tuttavia, entra nella frase come

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im Satze auf als Subject, von dem im Prädicate etwas erkannt wird: so vertritt sie eben nur die Stelle der Anschauung, läßt ihren Inhalt bei Seite und wirkt als Null. Die Vorstellung als Subject ist eine nackte Bettlerin, der das Almosen des Prädicates gegeben wird; sie ist aber nur eine verstellte Bettlerin, die zu Hause im Verborgenen einen reichen Schatz von Prädicaten besitzt. Dieser Schatz ist die Bedeutung des Wortes. Die Wörter sind Benennungen der Dinge oder Anschauungen; durch die Wörter werden uns die Anschauungen überliefert, durch Wörter halten wir die selbständig gebildeten Anschauungen fest. Kann es denn nun wohl für unser Denken gleichgültig sein, wie reich die mit dem Worte gegebene Vorstellung an Inhalt, an Bedeutung ist? oder ist es gleichgültig, welche Prädicate wir als Bedeutung an die Wörter hängen? Die Wörter sind die Vorstellungen, d. h. die Beziehungen unseres Bewußtseins auf die Dinge; und es soll gleichgültig sein, was in diesen Beziehungen gegeben ist? Die Sprache ist also geradezu das Bindeglied zwischen unserm Denken und der Außenwelt, eine geistige Hand, die Dinge zu erfassen – denn so erfassen, begreifen wir zunächst die Dinge und Begriffe, wie das Wort sie vorstellt – und dieses Seelenorgan soll unserm Bewußtsein gleichgültig, unserm Denken ein Ballast sein? Man sieht z. B. etwas, und fragt: was ist das? ein Thier wird geantwortet. Vor dieser Antwort sah man doch schon eine gewisse Gestalt, Größe, Farbe; hat man nun durch diese Antwort keinen weitern Zuwachs erlangt, als einen Lautballast? Alles was man sieht oder überhaupt wahrnimmt, ist eine Anschauung. Indem man das Wort dazu erhält, gewinnt man die Erkenntniß der Art, Gattung u.s.w. kurz des Allgemeinen, zu dem jene Anschauung gehört. Und ist die Bedeutung des Wortes recht scharf bestimmt, so hat man durch das Wort – mit [336] einem Schlage – eine sehr bedeutende Erkenntniß gewonnen. So wird oft der größte Fortschritt in der Erkenntniß der Dinge dadurch gemacht, daß ihnen der rechte Name gegeben wird. Wie sehr endlich in dem eigentlichen Kreise der hohen Abstractionen fein geschiedene Synonyma das Denken anregen und befruchten: daran soll nur kurz erinnert werden.

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soggetto di cui deve essere conosciuto qualcosa nel predicato, allora semplicemente supplisce il posto dell’intuizione, lascia da parte il suo contenuto e diventa come uno zero aritmetico. La rappresentazione come soggetto è un mendicante senza sostanza a cui è fatta l’elemosina dal predicato, ma essa è soltanto un mendicante cambiato di posto, il quale possiede un ricco tesoro di predicati nascosto a casa. Questo tesoro è il significato della parola. Le parole sono denominazioni delle cose o delle intuizioni; attraverso le parole ci vengono trasmesse le intuizioni, attraverso le parole tratteniamo le intuizioni costituite autonomamente. Può dunque essere indifferente per il nostro pensiero quanto è ricca in contenuto, in significato, la rappresentazione data con la parola? O è indifferente quali predicati associamo alle parole come significato? Le parole sono le rappresentazioni, è a dire le relazioni della nostra coscienza con le cose e dovrebbe essere indifferente ciò che è dato in queste relazioni? La lingua è perfino l’anello di congiunzione tra il nostro pensiero e il mondo esterno, una mano spirituale volta ad apprendere le cose – poiché noi in primo luogo cogliamo, concepiamo le cose e i concetti come li rappresenta la parola – e questo organo dell’anima dovrebbe essere indifferente per la nostra coscienza, dovrebbe essere una zavorra per il nostro pensiero? Si vede ad es. qualcosa e si chiede: cos’è questo? Un animale, vien risposto. Prima di questa risposta, si vedevano già una certa forma, una certa grandezza, un certo colore; ora, con questa risposta non si è ottenuto alcun accrescimento ulteriore, ma solo una zavorra sonora? Tutto ciò che si vede o si percepisce in generale è un’intuizione. Dal momento che sopravviene la parola, si ottiene la conoscenza del tipo, del genere, in breve dell’universale di cui quell’intuizione fa parte. E se il significato della parola è davvero ben determinato, attraverso la parola si è conseguita – in [336] un sol colpo – una conoscenza molto importante. Così, spesso, il maggior progresso nella conoscenza delle cose avviene per il fatto che è loro assegnato il giusto nome. Deve essere, infine, solo brevemente ricordato quanto spesso sinonimi sottilmente separati stimolino e rendano fecondo il pensiero nel circolo proprio delle alte astrazioni.

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Wahr aber bleibt Herbarts Schlußbemerkung: „Diejenigen, welche die intellectuale Anschauung anpreisen, und das discursive, in der Sprache ausgedrückte Denken herabsetzen, haben insofern nicht ganz Unrecht, als das Kleben am Symbol, wenn man sich darauf lehnt und stützt, das wahre Wissen zerbröckelt, und das Scheinwissen einschwärzt. Es wäre nur zu wünschen, daß jene selbst sich aus dem Wust ihrer Worte herauszuarbeiten verstünden. Gäbe es eine intellectuale Anschauung: so würde ihr Angeschautes unaussprechlich sein. Gerade dieselbe Eigenschaft hat aber auch das wahre Wissen, welches aus dem discursiven Denken am Ende hervorgeht. Resultate vieljähriger Forschungen bedürfen vieler Worte, um vorgetragen zu werden; aber der Vortrag, der alle diese Worte auf einen langen Faden reiht, ist nicht das Wissen selbst, welches in beinahe ungetheilter Ueberschauung die ganze Kette der allmählich ausgebildeten Gedanken trägt und festhält.“ Diese Worte eines der klarsten, ich möchte sagen, discursivsten Denker erinnern mich an eine Aeußerung Mozarts, wonach er Musik, deren Wesen doch auf der Zeitfolge zu beruhen scheint, sich zeitlos, dauernd gegenwärtig, wie ein Bild, vorstellt, also in „ungetheilter Ueberschauung“. Mozart nämlich schreibt: „Wenn ich recht für mich bin und guter Dinge etwa auf Reisen im Wagen, oder nach guter Mahlzeit beim Spazieren, und in der Nacht, wenn ich nicht schlafen kann, da kommen mir die Gedanken stromweis und am besten . . . Das erhitzt mir nun die Seele, wenn ich nämlich nicht gestört werde; da wird es immer größer, und ich breite es immer weiter und heller aus, und das Ding wird im Kopfe wahrlich fast fertig, wenn es auch lang, so daß ich’s hernach mit einem Blick, gleichsam wie ein schönes Bild, oder einen hübschen Menschen, im Geist übersehe, und es auch gar nicht nacheinander, wie es hernach kommen muß, in der Einbildung höre, sondern wie gleich alles zusammen. Das ist nun ein Schmaus! Alles das Finden und Machen geht in mir nun wie in einem [337] schönen, starken Traum vor. Aber das Ueberhören, so alles zusammen, ist doch das Beste.“

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Rimane vera comunque l’osservazione conclusiva di Herbart135: «Coloro che conferiscono valore all’intuizione intellettuale e pongono al di sotto di essa il pensiero discorsivo espresso linguisticamente non sbagliano del tutto, giacché l’aderire a simboli, quando ci si sostiene e ci si appoggia, frammenta il vero sapere e pone un sapere apparente. Ci sarebbe solo da augurarsi che costoro imparassero a trarsi fuori dal deserto delle loro parole. Se ci fosse un’intuizione intellettuale, quel che fosse così intuito risulterebbe inesprimibile. Esattamente la stessa qualità ha, però, anche il vero sapere, che alla fine deriva dal pensiero discorsivo. Risultati di ricerche pluriennali necessitano per essere esposti di molte parole; ma la relazione che dispone in una lunga serie tutte queste parole non è il sapere stesso, il quale porta e contiene in una visione quasi indivisa l’intera catena dei pensieri costituiti gradualmente». Queste parole di uno, vorrei dire, dei più perspicui pensatori discorsivi mi riportano a una dichiarazione di Mozart in cui egli si figura la musica, la cui essenza sembra poggiare su serie temporali, come priva di tempo, durevolmente presente, come un’immagine, dunque, in una “visione indivisa”. Mozart scrive136: «Quando sono davvero tra me e me e di buon umore viaggio su un carro, oppure dopo un buon pasto faccio una passeggiata, o di notte non riesco a dormire, i pensieri mi sopravvengono impetuosamente e in forma eccelsa … Ciò, se non vengo disturbato, mi riscalda l’anima, perciò il pensiero diventa sempre più grande e lo dipano sempre di più e in modo sempre più chiaro e la cosa si fissa in testa, sebbene questo processo non sia immediato, in modo tale che subito dopo io la scorga nello spirito con un solo sguardo, come un bel dipinto o un uomo gradevole, e che nella fantasia non l’ascolti per nulla in sequenza, come deve accadere in seguito, ma contemporaneamente e tutt’insieme. È una vera gioia! Tutto ciò che bisogna trovare e fare, ora, avanza in me come in un potente, bel [337] sogno. Ma l’ascolto totale, di tutto contemporaneamente, è la cosa migliore».

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§. 113. Unterschied zwischen Satz und Urtheil, Vorstellung und Begriff. So viel über das Verhältniß der Vorstellung zur Anschauung und zum Begriffe. Versuchen wir jetzt, uns das Wesen des Urtheils der Vorstellung klar zu machen. Es ist doppelter Art, wie die Vorstellung selbst doppelter Natur ist. Denn sie ist die Einheit des Wortes und seiner Bedeutung. Nach der Seite der Bedeutung hin ist das Urtheil der Vorstellung vom Urtheile des Begriffs nur dadurch verschieden, daß der Inhalt des erstern etwas für die Anschauung Zufälliges und Unwesentliches, Einzelnes ist. „Ich habe gegessen und werde mich nun schlafen legen. Hr. N. ist gestorben u.s.w.“ sind Urtheile der Vorstellung. Wenn aber der Physiolog die Urtheile ausspricht: der Mensch ißt, schlaft, ist sterblich: so haben wir hier Allgemeinheit und Nothwendigkeit, und also Urtheile des Begriffs. Das ganze gemeine Leben bewegt sich in Vorstellungen; denn es dreht sich um Zufälligkeiten und Einzelheiten und gelangt nie dazu, die Merkmale der Anschauung zu vervollständigen und aufzuklären, und besonders nach ihrer Würdigkeit abzuschätzen. Die Wissenschaft ist der Kreis des Begriffs. Insofern aber die Vorstellung Wort, innere Sprachform, ist, hat sie ebenfalls ein Urtheil, nämlich eine Anschauung: von der Gliederung der Anschauung oder des Begriffs, kurz der Bedeutung. Wie die innere Sprachform Anschauung der Anschauung ist, so ist sie auch Anschauung des Urtheils, d. h. Satz; und wie nun überhaupt die innere Sprachform nicht denselben Inhalt hat, wie die bedeutete Anschauung, sondern nur eine Auffassungsweise derselben ist: so ist auch der Satz nur eine besondere Anschauungsweise des Urtheils. Dies führt aber specieller in die Grammatik, die eben, weil sie nur die instinctive Anschauung der Logik ist, nicht die Logik selbst ist. Wir sagten oben, daß in historischer Zeit, nachdem die Etymologie des Wortes vergessen sei, der Laut ohne Vermittlung der innern Sprachform unmittelbar mit der bedeuteten Vorstellung zusammenhänge, und daß dieses Verschwinden der innern Sprachform von dem wachsenden Reichthum des Bewußtseins und der Ausbildung der Vorstellung zum Begriffe herrühre. Hier

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§. 113. Differenza tra frase e giudizio, rappresentazione e concetto Quel che è stato detto valga per il rapporto della rappresentazione con l’intuizione e con il concetto. Cerchiamo ora di far chiarezza sull’essenza del giudizio della rappresentazione. Tale essenza è duplice, come di duplice natura è la rappresentazione stessa. E ciò poiché essa è l’unità della parola e del suo significato. Dalla parte del significato, il giudizio della rappresentazione è separato dal giudizio del concetto per il fatto che il contenuto del giudizio rappresentativo è per l’intuizione qualcosa di casuale e inessenziale, di singolo. «Ho mangiato e ora vado a dormire. Il signor N. è morto etc.» sono giudizi della rappresentazione. Ma se il fisiologo esprime il giudizio secondo cui l’uomo è, dorme ed è mortale, siamo qui di fronte a universalità e generalità e quindi a giudizi del concetto. L’intera vita comune si muove in rappresentazioni; si aggira sempre tra casualità e singolarità e non perviene mai a completare e chiarire i caratteri dell’intuizione e soprattutto a soppesarli secondo la loro dignità. La scienza è il circolo del concetto. Nella misura in cui, però, la rappresentazione è parola, forma interna della lingua, essa contiene di certo un giudizio, è a dire un’intuizione: l’intuizione dell’articolazione dell’intuizione o del concetto, in breve, del significato. Come la forma interna della lingua è intuizione dell’intuizione, essa è anche intuizione del giudizio, cioè frase; e come in quanto intuizione dell’intuizione in generale, la forma interna della lingua non ha lo stesso contenuto dell’intuizione significata ma è solo un modo di concepirla, così anche la frase è soltanto un modo particolare di concepire il giudizio. Ciò però conduce in modo particolare alla grammatica, la quale, essendo soltanto l’intuizione istintiva della logica, non è la logica stessa. Abbiamo detto su, che nel tempo storico, dopo che l’etimologia della parola vien dimenticata, il suono si connette, senza la mediazione della forma interna della lingua, direttamente alla rappresentazione significata e questa dimenticanza della forma interna della lingua deriva dal dominio ampliato della coscienza e dalla costituzione della rappresentazione

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sehen wir nun aber, daß bei der Entwickelung des Begriffs dieser, als die reale Bedeutung des Wortes, die Stelle [338] der ehemals vom Worte bedeuteten Vorstellung einnimmt, und die Vorstellung dadurch eine ganz ähnliche Rolle spielt, wie die ehemalige innere Sprachform. Ein Beispiel mag uns den Ursprung dieses Verhältnisses und den Unterschied zwischen Vorstellung und Begriff, psychologischem und logischem Urtheil klar machen. Wenn man im gemeinen Leben sagt: das Wasser macht naß, so denkt man hierbei wenig mehr als Laute; denn bei Wasser bildet man nicht die Anschauung des Wassers; und eben so wenig bildet man bei naß eine bestimmte Anschauung; die Seele gleitet also bei jenen Worten nur ganz leise über jene Anschauungen hin, bezieht sich bloß auf sie. Will man aber bei jenem Satze sich etwas klar denken, so wird man sich wahrscheinlich die Anschauung eines von Wasser benetzten Gegenstandes vergegenwärtigen, auch wohl noch die Thätigkeit des Benetzens selbst im Hintergrunde, und dies alles als ein einheitlich angeschautes Bild in der Seele haben. Diese Anschauung ist auch wirklich die Bedeutung jenes Satzes, welcher dieselbe in Form der Vorstellung ausdrückt. Diese Form der Vorstellung unterscheidet sich also von der der Anschauung erstlich durch die Theilung der Elemente, welche die Anschauung als zusammenhängendes Bild besitzt, und zweitens durch die Blässe, Abstractheit, Allgemeinheit dieser Elemente, wie sie in den Wörtern naß, machen, Wasser, ausgedrückt liegen. Obgleich wir nun hier auf der Stufe stehen, wo die Vorstellung mit der innern Sprachform verschmolzen, oder letztere verschwunden ist: so glaube ich doch, daß gerade in unserm Beispiele der Satz an sich nach seiner innern Sprachform noch etwas anderes bedeutet, als das psychologische Urtheil der Vorstellung. Denn dieses meint gewiß bloß, daß etwas durch Wasser, es sei absichtlich oder zufällig darauf gegossen, naß werde, während die innere Sprachform, der Satz, das Wasser als lebendiges energisches Subject ansieht, welches aus eigner Kraft „naß macht“. Wenn aber der Chemiker von Wasser spricht, er, der den Begriff des Wassers gebildet hat: so denkt er bei diesem Worte etwas ganz anderes, als die gemeine Vorstellung und Anschauung; und sein Begriff naß hat einen

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in concetto. Vediamo ora, però, che durante il suo sviluppo il concetto, in quanto significato reale della parola, prende il posto [338] della rappresentazione prima significata dalla parola e la rappresentazione, in questo processo, gioca un ruolo molto simile a quello un tempo giocato dalla forma interna della lingua. Un esempio chiarifica l’origine di questo rapporto e la differenza tra rappresentazione e concetto, tra giudizio psicologico e logico. Quando nella vita comune si dice: l’acqua bagna, con ciò non vien pensato altro che i suoni, poiché con acqua non si costruisce l’intuizione dell’acqua e, allo stesso modo, con bagna non si costituisce alcuna intuizione determinata. L’anima pertanto, con quelle parole, sfiora soltanto molto leggermente quelle intuizioni, semplicemente si relaziona a esse. Ma se con quella frase si vuol pensare chiaramente qualcosa, allora probabilmente bisogna richiamare alla mente l’intuizione di un oggetto bagnato dall’acqua, e anche in sottofondo l’attività del bagnare stesso, e aver presente tutto ciò come un’immagine intuita unitariamente. Questa intuizione è anche il significato di quella frase che esprime l’intuizione stessa nella forma della rappresentazione. Questa forma della rappresentazione si differenzia pertanto da quella dell’intuizione, anzitutto, per la partizione degli elementi che l’intuizione possiede invece come un’immagine connessa e, in secondo luogo, per il pallore, l’astrattezza, la generalità del modo in cui questi elementi vengono espressi nelle parole acqua, bagna. Che qui ci si trovi al livello in cui la rappresentazione è fusa con la forma interna della lingua o in cui la forma interna della lingua è sparita, credo comunque che proprio nel nostro esempio la frase in sé, secondo la sua forma interna della lingua, significa qualcosa di diverso rispetto al giudizio psicologico della rappresentazione. Poiché quest’ultimo significa di certo soltanto che qualcosa con l’acqua, sia essa versata casualmente o appositamente, si bagna, mentre la forma interna della lingua, la frase, coglie l’acqua come un soggetto energico vivente che per sua propria forza “bagna”. Se il chimico parla dell’acqua però, egli, che ha costruito il concetto di acqua, con queste parole pensa a qualcosa di completamente diverso dalla comune rappresentazione e dall’intuizione comune; e il suo concetto di bagnato ha un valore

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ganz andern Werth. Bei ihm ist der Satz: Wasser macht naß ein Urtheil, welches zu einem ganzen System von Urtheilen über das Wasser gehört: dieses System von Urtheilen ist sein explicirter Begriff des Wassers. Er denkt also bei jenem Satze das Urtheil, daß die [339] chemische Verbindung zweier einfachen Körper (des Sauerstoffes und Wasserstoffes) nach bestimmten Aequivalenten, durch welche derjenige zusammengesetzte Körper entsteht, den man Wasser nennt, die Eigenschaft der Adhäsion habe, welche das Quecksilber z. B. nicht hat. Spricht er den Satz aus: das Wasser ist flüssig: so liegt darin ein Urtheil, welches wohl weiß, daß Flüssig-sein kein wesentliches Element des Wassers ist, und er wird dabei vielmehr an Temperatur and Luftdruck denken. Für diese logischen Urtheile nun und diese Begriffe dient die Vorstellung des gemeinen Lebens, wie sie im Worte und im Satze liegt, gerade eben so als eine gewisse Stütze, wie ehemals die innere Sprachform der Vorstellung als Stütze diente. Wie dem instinctiven Selbstbewußtsein zum Festhalten der Vorstellung des Wassers (unda, X^GZU von der Wurzel und fließen) die Anschauung des Flüssigen diente, zum Festhalten der Vorstellung naß (madere, Wurzel sna waschen) die Anschauung des Gewaschenen: eben so dient dem wissenschaftlichen Selbstbewußtsein zur Fixirung des Begriffes Wasser, naß, die gemeine Vorstellung davon. Wie verschieden ist der naturwissenschaftliche Begriff Feuer von der gemeinen Vorstellung, die im Feuer ein wunderliches, die Dinge verzehrendes und dann spurlos verschwindendes Wesen sieht! Diese Vorstellung dient dem Begriffe zur Stütze, wie ursprünglich der Vorstellung die sprachliche Anschauung des Reinen (Feuer, SX`U, Wurzel p) reinigen) diente. Der Unterschied zwischen dem Urtheil der Vorstellung oder dem psychologischen und dem des Begriffs oder dem logischen besteht ebenso darin, daß jenes allemal nur assertorisch, dieses dagegen apodictisch ist oder zu werden strebt. „Cäsar ist über den Rubicon gegangen“ kann wohl ein Urtheil des Begriffs sein, wenn es eben Glied einer philosophisch-geschichtlichen Anschauung von Cäsars Leben ist, Glied eines Systems von Urtheilen, welche die Idee Cäsar umfaßt. Als Urtheil der Vorstellung bedeutet jener Satz nur eine vereinzelte That. Daß aber das Urtheil der innern Sprachform, also der Satz, noch etwas anderes sei, als das Urtheil

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completamente diverso. Per lui la frase l’acqua bagna è un giudizio che appartiene a un intero sistema di giudizi sull’acqua, questo sistema di giudizi è il suo concetto esplicito dell’acqua. Egli, con quella frase, pensa il giudizio secondo cui [339] la connessione chimica tra due corpi semplici (ossigeno e idrogeno), per mezzo di determinati equivalenti grazie a cui sorge quel corpo composto che si chiama acqua, ha una densità che manca ad es. al mercurio. Egli pronuncia la frase: l’acqua è liquida, e in ciò è espresso un giudizio in cui è noto il fatto che l’ “essere liquido” non è un elemento essenziale dell’acqua, pertanto il chimico fa piuttosto riferimento alla temperatura e alla pressione. Ora, la rappresentazione della vita comune, come si trova nella parola e nella frase, funge proprio da appoggio a questi giudizi logici e a questi concetti, come una volta la forma interna della lingua fungeva da appoggio alla rappresentazione. Come all’autocoscienza istintiva serviva l’intuizione dell’esser liquido137 per ritenere la rappresentazione dell’acqua (unda, dalla radice X^GZU e fließen138), come, per ritenere la rappresentazione bagnato (madere, dalla radice sna waschen139) le serviva l’intuizione di ciò che è lavato, allo stesso modo all’autocoscienza scientifica è necessaria, per la fissazione dei concetti acqua, bagnato, la rappresentazione comune di essi. Come è diverso il concetto scientifico di fuoco dalla rappresentazione comune che vede nel fuoco un’essenza prodigiosa, che consuma le cose e scompare senza lasciar traccia! Questa rappresentazione serve da sostegno al concetto, come originariamente alla rappresentazione del fuoco serviva l’intuizione linguistica della purezza (Feuer140, radice SX`Uradice p) reinigen141). La differenza tra il giudizio della rappresentazione o psicologico e il giudizio del concetto o logico consiste allora nel fatto che il giudizio psicologico è sempre assertorio, quello logico invece è apodittico o tenta di diventarlo. “Cesare ha passato il Rubicone” può essere un giudizio del concetto se è parte di un’intuizione storico-filosofica della vita di Cesare, membro di un sistema di giudizi che abbraccia l’idea di Cesare. Come giudizio della rappresentazione quella frase indica soltanto un fatto singolo. Che, però, il giudizio della forma interna della lingua, è a dire la frase, sia ancora qualcosa di di-

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der Vorstellung und des Begriffs; daß das grammatische Urtheil weder das gemeine psychologische der Vorstellung, noch das logische des Begriffs ist: geht daraus hervor, daß derselbe Inhalt in eine andre Satzform gegossen werden kann, ohne eine Veränderung zu erleiden. „Cäsar hat den Rubicon überschritten“, oder „ist über den R. gesetzt“, [340] oder „der Rubicon ist von Cäsar überschritten worden“. Jede dieser Satzformen dient aber in gleicher Weise als Ausdruck des Urtheils der Vorstellung, wie des Begriffs.

B. Die Grammatik. In der vorangegangenen ausführlichen Betrachtung des Wesens und der Entstehung der Sprache ist der wesentlichste Theil der hier gestellten Aufgabe schon gelöst. Es bleibt uns aber noch übrig, die Folgerungen für die Grammatik daraus zu ziehen. Zunächst sind die Principien der Grammatik und ihre gegenseitige Beziehung noch näher zu betrachten; und weiter ist dann zu sehen, wie sich die Sprache in ihre grammatischen Elemente gliedert. 1. DIE PRINCIPIEN DER GRAMMATIK. §. 114. Aus allem schon Gesagten ergeben sich mit Klarheit zwei Principien für die Grammatik: der Laut und das instinctive Selbstbewußtsein oder die Anschauung der Anschauung; dieses zweite Princip heißt, insofern es mit dem ersten verbunden ist, die innere Sprachform. Der Laut, das leibliche Element der Sprache, fehlte dem grammatischen Bewußtsein niemals, obwohl erst in neuester Zeit eine wissenschaftliche Betrachtung desselben erreicht worden ist. Man hat ihn früher verachtet, weil man ihm nichts abzugewinnen verstand. Die innere Sprachform hat sich den frühern Grammatikern nur in dunkeln Ahnungen offenbart. Durch die neuesten Etymologen ist sie kräftig ins empirische Bewußtsein gedrungen. Unsere Aufgabe war es hier, sie ins philosophische Bewußtsein zu erheben und dadurch zu begründen, aufzuklären und schärfer zu bestimmen. Ihre Abscheidung vom realen Denken, vom ausgesprochenen Inhalte der Rede, wird

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verso dal giudizio della rappresentazione e del concetto, che il giudizio grammaticale non è né il giudizio psicologico comune della rappresentazione né il giudizio logico del concetto, risulta dal fatto che lo stesso contenuto può essere posto in un’altra forma proposizionale senza subire un mutamento. “Cesare ha superato il Rubicone” o “Cesare è oltre il Rubicone” [340] o “il Rubicone è stato superato da Cesare”: ognuna di queste proposizioni funge parimenti da espressione sia del giudizio della rappresentazione sia del giudizio del concetto.

B. La grammatica Nella precedente, dettagliata, considerazione dell’essenza e della nascita della lingua, è già stata affrontata la parte più importante del compito che ci siamo posti qui. Nel rimanente dobbiamo trarne le conseguenze per la grammatica. Anzitutto, bisogna prendere in considerazione più da vicino i principi della grammatica e la loro reciproca relazione, poi bisogna vedere come la lingua si divida nei suoi elementi grammaticali. 1. I PRINCIPI DELLA GRAMMATICA §. 114 Da tutto quel che è stato detto risultano con chiarezza due principi per la grammatica: il suono e l’autocoscienza istintiva o l’intuizione dell’intuizione; questo secondo principio, in quanto è connesso al primo, si chiama forma interna della lingua. Il suono, l’elemento corporeo della lingua, fu sempre presente alla coscienza grammaticale, sebbene a una considerazione scientifica di esso si è pervenuti solo in tempi recenti142. Prima lo si è trascurato perché non si riusciva a ricavarne nulla. La forma interna della lingua si è palesata ai grammatici di un tempo solo in oscuri presagi. Grazie ai più recenti studiosi di etimologia è penetrata vivacemente nella coscienza empirica143. Il nostro compito, qui, era di levare questa nozione a coscienza filosofica e così di fondarla, spiegarla, determinarla in modo più penetrante. La sua distinzione dal pensiero reale, dal contenuto espresso nel discorso, non presenterà più

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nach unserer Auseinandersetzung keine Schwierigkeit mehr bieten. Man wird jetzt auch die vielfachen Andeutungen verstehen, die in den beiden ersten Abschnitten dieses Buches als Ergebnisse theils der Kritik, theils der Vergleichung mit der Kunst nur erst im Halblichte und mehr als Hypothese auftraten. Wir haben also jetzt einen eigenthümlichen Boden und [341] Gedankenstoff als ausschließliches Eigenthum der Grammatik gewonnen, an welchem weder Logik, noch Metaphysik, noch eine specielle Wissenschaft Antheil hat; wir haben ein Denken gefunden, das sich nach grammatischen Gesetzen hewegt. Wenn nun das instinctive Selbstbewußtsein hier als das Innere des Lautes erscheint, so müssen wir zuvörderst das Verhältniß von Innerem und Aeußerem, wie es hier zu fassen ist, näher bestimmen. Daran schließt sich die Betrachtung über das Wesen der Bedeutung und den Untersehied zwischen Sprechen und Sprache. a.Inneres und Aeußeres. §. 115. Ursprünglich ist das Innere dasjenige, was vom Aeußern umschlossen wird, und das Aeußere ist das Umschließende. Dieses Verhältniß auf das menschliche Wesen übertragen, ergab die Seele und alle geistige Thätigkeit als das Innere, welches vom Körper, dem Aeußern, eingeschlossen wird. So wurden Inneres und Seelisches, Aeußeres und Körperliches synonyme Ausdrücke. Der Mensch aber beseelte, zunächst phantastisch, später wissenschaftlich, die ganze Welt und alle Dinge in der Welt; diese erscheinen uns zwar äußerlich, hinter der äußern Erscheinung aber sollte ein Inneres verborgen sein. Gegen diese Betrachtung wurde mit Recht angekämpft. So weit die Natur reicht, ist Aeußeres; ihre Stoffe und ihre Kräfte, alles an ihr ist Aeußeres. Hier soll natürlich nicht gewissen metaphysischen Ansichten widersprochen werden, welche aller Erscheinung ein inneres Wesen zu Grunde legen; man merkt wohl, daß wir uns nur gegen Beckers Ansicht richten, wie wir sie kennen gelernt haben. Alles Wirken der Natur ist Mechanismus, Aeußerlichkeit. Die Seele, der Geist, ist das Innere. Man mag immerhin den im Keime ruhenden Trieb, der aus ihm die Wurzeln nach unten und den Stamm nach oben sendet, der aus dem Stamme Zweige und Blätter und Blüten hervortreibt, ein Inneres

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alcuna difficoltà per la nostra discussione. Ora si comprenderanno anche i molteplici accenni che nelle prime due parti di questo libro sono apparsi in luce opaca e quali ipotesi, in parte come risultato della critica in parte del confronto con l’arte. Ora abbiamo dunque conseguito un terreno e [341] una materia di pensiero peculiari, di esclusiva pertinenza della grammatica, a cui non prende parte né la logica né la metafisica e nessuna scienza speciale; abbiamo trovato un pensiero che muove secondo leggi grammaticali. Ora, se l’autocoscienza istintiva appare qui come la parte interna del suono, dobbiamo anzitutto determinare con maggiore precisione il modo in cui qui va compreso il rapporto dell’interno con l’esterno. A ciò si collega la trattazione della natura del significato e la differenza tra il parlare e la lingua. a. Interno ed esterno §. 115 In origine l’interno è ciò che è circondato dall’esterno e l’esterno è ciò che circonda. Questa relazione, in rapporto all’essenza dell’uomo, impose di guardare all’anima e a tutta l’attività spirituale come un interno che è delimitato dal corpo, dall’esterno. Così interno e spirituale, esterno e corporeo, divennero espressioni sinonimiche. L’uomo però conferì un’anima, anzitutto in una prospettiva fantastica poi in una scientifica, al mondo intero e a tutte le cose del mondo: queste cose, in verità, ci appaiono esteriormente, ma dietro il fenomeno esteriore doveva celarsi un interno. Ci si è giustamente opposti a questa concezione. Ovunque giunga la natura è esterno, la sua materia e la sua forza, tutto in essa è esterno. Qui, naturalmente, non s’intende contraddire certe prospettive metafisiche secondo cui alla base di ogni fenomeno vi è un’essenza interna144; si capisce bene che noi contestiamo soltanto la prospettiva di Becker secondo quanto esposto in precedenza. Ogni operare della natura è meccanismo, esteriorità. L’anima, lo spirito, è l’interno. L’impulso sito nel seme, che genera da sé le radici verso il basso e il tronco verso l’alto, che dal tronco trae fuori i rami e le foglie e i fiori, può sempre essere chiamato un interno, ma allora si ha anche ragione di

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nennen, aber dann hat man auch Recht, zu sagen, Aeußeres und Inneres sei identisch, und jedes reiche so weit, wie das andere. In der Sprache ist das Verhältniß von Innerem und Aeußerem ein anderes; denn in ihr ist wirklich ein körperliches und ein davon wesentlich völlig verschiedenes seelisches Element [342] vereinigt. Wir haben also hier Natur und Seele, zwar eine Verbindung beider, aber keine Identität. Nun ist es höchst wichtig zu erkennen, wie eng diese Verbindung ist. Es ist dies darum so wichtig, weil wir kein Mittel haben, das Innere zu erkennen, wenn nicht vermittelst des Aeußern. Die innere Sprachform ist uns nur so weit offenbar, als sie es durch die Lautform wird. Es ist also eine Grundfrage für die Grammatik: Ist die Einheit von Laut- und innerer Form so innig, daß jeder Punkt im Innern sich in einem entsprechenden Punkte des Aeußern offenbart oder ankündigt? Wenn aus dem Vorangehenden die Beantwortung dieser Frage nicht mit Bestimmtheit hervorgehen sollte: so könnte ich sie hier nicht geben. Ich denke aber, daß allerdings die unbedingte Bejahung daraus hervorgeht. Die Verbindung des Lautes mit der innern Sprachforrn, wie wir sie kennen gelernt haben als Product des Mechanismus der Seele und ihres Zusammenhanges mit dem Leibe, kann unmöglich so lose angenommen werden, daß ursprünglich etwas in der innern Sprachform liegen könnte, was nicht vollständig in der Lautform ausgeprägt wäre. Nur ein wenig erläutert mag dies noch im Folgenden werden. Wir haben gesagt, das Verhältniß zwischen der innern Sprachform und dem Laute sei wirklich das des Innern zum Aeußern, wie das Verhältniß der Seele zum Leibe. Diese Analogie bedarf näherer Bestimmung um so mehr, da das Verhältniß zwischen Seele und Leib in dem wesentlichsten Punkte Gegenstand des Streites ist. Auf diesen Streit aber brauchen wir uns nicht einzulassen. Denn in jedem Falle steht so viel fest, daß die innern seelischen und geistigen Erzeugnisse etwas Unkörperliches, Unräumliches, nicht sinnlich Wahrnehmbares sind: und ebenso ist es die innere Sprachform, welche eine bestimmte Weise des Denkens ist. Diesem Innern gegenüber steht ein Aeußeres; aber der Leib

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dire che interno ed esterno sarebbero identici, e quello arriva dove giunge l’altro. Nella lingua il rapporto di interno ed esterno è diverso, poiché in essa, sono davvero uniti un elemento corporeo e un elemento [342] spirituale totalmente separato da esso. Nella lingua abbiamo dunque natura e anima, invero una connessione di questi elementi, ma non la loro identità. Ora è di estrema importanza conoscere quanto sia intima questa connessione. È così importante per il fatto che non siamo in possesso di alcun mezzo che ci consenta di conoscere l’interno se non per mezzo dell’esterno stesso. La forma interna della lingua ci si manifesta solo nella misura in cui si realizza attraverso la forma fonetica. Per la grammatica si tratta, pertanto, di una questione fondamentale: è l’unità di suono e forma interna della lingua tanto intrinseca che ogni punto dell’interno si manifesta o dà notizia di sé in un punto corrispondente dell’esterno? Se la risposta a questa domanda non dovesse emergere con precisione da quanto è stato detto, non potrei certo darla qui. Ma credo che, da quel che s’è detto, emerga una risposta incondizionatamente affermativa. La connessione del suono con la forma interna della lingua, che abbiamo appreso come prodotto del meccanismo dell’anima e della sua connessione col corpo, non può essere assunta tanto debolmente da supporre che nella forma interna della lingua possa esservi originariamente qualcosa che non sia anche perfettamente impressa nella forma fonetica. Di ciò può offrirsi di seguito soltanto un’ulteriore delucidazione. Abbiamo affermato che il rapporto della forma interna della lingua col suono si configura davvero come un rapporto di interno ed esterno, come il rapporto di anima e corpo. Questa analogia deve essere determinata più precisamente dal momento che il rapporto di anima e corpo, in relazione al suo aspetto più rilevante, è oggetto di disputa. Non è però necessario addentrarsi in questa disputa, poiché, in ogni caso, è sicuro che i prodotti psichici e spirituali interni sono qualcosa di incorporeo, di non spaziale, di non percepibile con la sensibilità, e lo è altrettanto la forma interna della lingua, la quale è un modo particolare del pensiero. Di fronte a questo interno

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verhält sich doch ganz anders zur Seele, als der Laut zur innern Sprachform. Dies rührt daher, daß die Sprache schon ein Product des Zusammenhanges von Leib und Seele, des Einwirkens der Seele auf den Leib ist. Die innere Sprachform ist ein Erzeugniß der Seele, welches den Leib zum Tönen reizt; und so ist jene die Ursache, der Ton die Wirkung derselben, wiewohl der Leib nicht die Wirkung der Seele ist. [343] In der Natur, sagten wir, sei nur Aeußeres; Ursache und Wirkung, Kraft und Stoff, sind in gleicher Weise Aeußeres. Dieselben Kategorien treten auch in der Seele auf, wo alles Inneres ist. Eine Seelenerregung ist Ursache der andern; die verschiedenen Seelenerzeugnisse sind Stoffe, die mit einer verschiedenen Größe der Kraft wirken. In der Sprache aber liegt das Verhältniß vor, daß die Ursache ein Inneres ist, und die Wirkung ein Aeußeres; und so ist es in allen Bewegungen, welche auf Gedanken erfolgen, sowohl den gewollten, als auch den bloßen Reflexbewegungen. Die innere Sprachform ist also anzusehen als Ursache, als Reiz für die Erzeugung des Lautes; sie ist aber eine unbewußte, instinctive, mechanisch wirkende Ursache, in welcher an sich zunächst noch gar keine sprachliche Absicht liegt, d. h. noch nicht die Absicht, den Ton, welchen sie erzeugen wird, mit ihr zu associiren und so Lautsprache zu bilden. Erst wenn sie gewirkt, wenn sie den Laut erzeugt hat, wird eine andere Eigenthümlichkeit der Seele wirksam, welche den blind erzeugten Laut zweckgemäß, wiewohl immer noch mit Nothwendigkeit und absichtslos, verwendet. Bei diesem nothwendigen, blind bewirkten, mechanischen Zusammenhange von Laut und innerer Sprachform, wie wäre es da wohl möglich, daß ursprünglich in dieser etwas sein könnte, was in jenem nicht ertönte oder wiederklänge? Wie wäre es möglich, daß diese ein Leben für sich führte, das nicht im Laute, im Worte, sein klares Abbild fände? Diese Möglichkeit behaupten, heißt, die nothwendige – und um gegen Becker zugleich in seiner Sprache zu reden – die organische Entstehung der Sprache,

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sta un esterno, ma il corpo si comporta rispetto all’anima in modo ben diverso da come il suono si comporta rispetto alla forma interna della lingua. Ciò dipende dal fatto che la lingua è già un prodotto della connessione di anima e corpo, dell’azione esercitata dall’anima sul corpo. La forma interna della lingua è un prodotto dell’anima che spinge il corpo a emettere suoni. Pertanto l’anima è la causa, il suono è l’effetto, mentre il corpo non è l’effetto dell’anima. [343] Abbiamo affermato che nella natura si darebbe soltanto qualcosa di esterno; causa ed effetto, forza e materia, sono esterni allo stesso modo. Le stesse categorie però compaiono anche nell’anima, dove tutto è interno. Una stimolazione dell’anima è causa dell’altra, i diversi prodotti dell’anima sono gli elementi materiali che operano secondo una diversa intensità della forza. Nella lingua, invece, si trova un tipo di rapporto per cui la causa è un interno e l’effetto un esterno; e così è per tutti i movimenti che seguono dai pensieri, sia quelli intenzionali sia i semplici movimenti riflessi. La forma interna della lingua deve esser dunque concepita come la causa originaria, lo stimolo per la produzione del suono. Ma si tratta di una causa operante in modo inconsapevole, istintivo, meccanico, che non ha in sé, all’inizio, alcuna intenzione linguistica, è a dire che non presenta alcuna intenzione di associare a sé il suono che essa stessa produrrà e, in questo modo, costruire una lingua fatta di suoni. Solo una volta che la forma interna della lingua opera, una volta che ha prodotto il suono, si attiva un’altra peculiarità dell’anima, quella di utilizzare in modo appropriato il suono prodotto ciecamente, per quanto utilizzarlo sempre con necessità e in modo non intenzionale. In questa connessione di suono e forma interna della lingua, necessaria, meccanica, operata in modo non intenzionale, come potrebbe accadere che nella forma interna della lingua possa esservi originariamente qualcosa che non si rifletta e prorompa nel suono? Come può accadere che questa conduca una vita isolata, che non trovi nel suono e nella parola un’immagine speculare? Affermare questa possibilità significa negare la nascita necessaria – e per esprimersi al modo di Becker, sebbene contro di lui – negare la nascita organica

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die organische Natur nicht bloß des Sprechens, sondern auch des Denkens läugnen. Aber wohl gemerkt: die innere Sprachform ist es, welche so innig am Laute hängt, in ihm tönt, nicht die Bedeutung: deswegen nicht, weil die innere Sprachform dieselbe Bedeutung in mancherlei Weise anschauen kann. Denn die innere Sprachform ist nicht selbst die Bedeutung, sondern nur die instinctiv gebildete Anschauung von derselben. Ferner wird im Laufe der Zeit diese innige Verbindung von Laut und innerer Form zerrissen, weil jener verfällt, und diese sich feiner ausbildet. So wird in der englischen Sprache freilich Niemand mehr die innere Form vollständig in der Lautform finden. Aber auch hier [344] noch sind es die Reste der Lautformen und ihre Geschichte, welche die innere Form suchen und deuten lehren. b. Bedeutung. §. 116. Etwas, das auf etwas Anderes hindeutet, hinweist, so daß wir dieses Andere, obwohl es fern oder versteckt ist, dennoch aus jenem zu erkennen vermögen, bedeutet dieses Andere; und diese seine Bedeutung wird erkannt, indem wir es deuten. In diesem Sinne genommen ist alles und jedes in der Welt bedeutsam; denn jedes steht in vielseitiger Beziehung zu anderm, deutet also auf anderes. Jedes Ding, jedes Erscheinende ist eine Wirkung und bedeutet seine Ursache. Wir deuten jeden Schein auf ein Wesen, jede Eigenschaft auf ein Ding, und umgekehrt. Hiernach wäre es sehr nichtssagend, wollten wir die Sprache definiren als: bedeutsames Tönen. Denn jedes Ding, jede Bewegung, und auch speciell jedes Tönen ist im obigen Sinne bedeutsam. Es muß also noch gesagt werden, in wiefern das sprachliche Tönen ganz besonders bedeutsam genannt werde, und was es bedeute.

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della lingua, la natura organica non solo del parlare, ma anche del pensare. Ma bisogna sottolineare opportunamente questo: è la forma interna della lingua a essere attaccata al suono tanto intrinsecamente, è essa a risuonare in lui, non il significato; e ciò per il fatto che la forma interna della lingua può cogliere il significato in vari modi. E ciò poiché la forma interna della lingua non è il significato, ma solo l’intuizione di esso costituita istintivamente. Nel corso del tempo questa intima connessione di suono e forma interna della lingua si spaccherà, perché il suono decade e la forma interna della lingua si determina in modo più fine. Così, di certo, nessuno nell’inglese troverà ormai compiutamente, nella forma fonetica, la forma interna della lingua. Ma anche qui [344] sono le vestigia delle forme fonetiche e la sua stessa storia che permettono di cercare e individuare la forma interna. b. Significato §. 116 Qualcosa che addita, indica qualcos’altro, in modo tale che da quel “qualcosa” riusciamo a conoscere l’ “altro” – sia pur lontano o nascosto –, significa quest’ “altro”. E questo suo significato è conosciuto in ragione del fatto che lo interpretiamo. Assunto in questo senso, tutto nel mondo è portatore di significato, giacché ogni cosa si trova in una relazione molteplice con l’altra, rimanda dunque ad altro. Ogni cosa, ogni fenomeno è un effetto e significa la sua causa. Noi riconduciamo ogni apparire a un’essenza, ogni qualità a una cosa e viceversa. Dopodiché apparirebbe superfluo il voler definire il linguaggio come un risuonare che veicola significati, giacché ogni cosa, ogni movimento, e specialmente ogni emissione di suono, è nel suddetto senso portatore di significato. In più, bisogna dire in che misura i suoni linguistici sono definiti portatori di significato in senso particolare e cosa ciò significhi.

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§. 117. Wie die Sprache bedeutet. Jeder Ton deutet auf ein Tönendes, welches irgendwie zum Tönen gebracht worden ist; d. h. er deutet auf eine Ursache, und seine Deutung wäre demnach seine ursächliche Erklärung. Er erzeugt aber auch eine Wirkung, und so verlangt er abermals eine Deutung. Ich meine hier die Wirkung, welche alle Wahrnehmungen auf die Seele, auf das Gefühl ausüben. Hierauf beruht zum Theil die Wirkung aller Künste; denn sie alle reden durch Anschauungen zum Gefühl. Nur ist ihre Wirkung schon zu mannigfach, ihre Anschauungen sind so zusammengesetzt, daß hier die Analyse sehr schwer wird. Aber jede einfache Empfindung wirkt auf unser Gefühl. Wie stark stimmt uns der Anblick einer Farbe oder einer Zusammenstellung mehrerer Farben! und wie noch viel mächtiger ergreifen uns einfache Töne, Geräusche! Wenn ich hier das Aechzen und Stöhnen der Leidenden anführe: so könnte man sagen, das dadurch erweckte Gefühl entstehe nur durch die Vorstellung des Schmerzes, welcher das Tönen erzeuge, nicht durch den Ton selbst. [345] Aber auch das Rauschen der Blätter, das Plätschern des Baches, das Heulen des Sturmes, kurz das Tönen der leblosen Natur, wirkt eben so auf unser Gefühl; und in Folge dessen belebte die Phantasie kindlicher Völker die Natur. Und nun erst gar die Musik, die sämmtliche Tonverhältnisse verwendet, in einer so mannigfaltigen Combination, wie sie der menschliche Geist sonst nirgends erzeugt! Diese Wirkung der Sinnes-Empfindungen auf unser Gefühl mag darauf beruhen, daß sie die Nerven in Zustände versetzen, wobei der Zusammenhang ihrer Elemente, wie auch ihr Verhältniß zum Centralorgan eigenthümlich gestaltet wird. Kommen uns nun aber die Töne, um bei diesen stehen zu bleiben, von einem lebenden, fühlenden, denkenden Wesen zu: so werden wir allemal, z. B. beim Gesang, stillschweigend voraussetzen, dieses Wesen habe das Gefühl, welches auch uns, wenn wir es hätten, veranlassen würde, eben so zu tönen. Daher ist das Gefühl, welches durch den Gesang erzeugt wird, lebendiger, aber auch gemischter, als das durch reine Instrumental-Musik erzeugte. Aber auch rücksichtlich der letztern werden wir, wenn wir uns ihre Wirkung auf unser Gemüth klar deuten wollen, wie die Aesthetik

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§. 117. Come la lingua significa Ogni suono rimanda a un risuonante, il quale in qualche modo è stato indotto a emettere dei suoni. Ciò significa che rimanda a una causa originaria e ciò a cui rimanda145 sarebbe quindi la sua spiegazione causale. Esso, però, produce anche un effetto e per questo ottiene anche un’altra interpretazione. Penso qui all’azione che tutte le percezioni esercitano sull’anima, sul sentimento. Su ciò in parte poggia l’effetto di ogni arte, giacché tutte le arti, attraverso l’intuizione, parlano al sentimento. Solo che il loro effetto è così variegato, le loro intuizioni sono tanto interconnesse, che qui l’analisi diviene molto difficile. Ma ogni semplice sensazione agisce sul nostro sentimento. Quanto ci colpisce la vista di un colore o di un insieme di colori! E con che forza, finanche maggiore, ci colpiscono semplici suoni e rumori! In rapporto ai gemiti e ai lamenti del sofferente, si potrebbe dire che il sentimento ridestato da essi sorge soltanto attraverso la rappresentazione del dolore che ha prodotto il suono e non dal suono stesso. [345] Ma anche lo stormire delle foglie, il mormorare del rivo, l’infuriare della tempesta, in breve, il risuonare della natura, agisce allo stesso modo sul nostro sentimento, e in ragione di ciò la natura animò la fantasia dei popoli primitivi. Oggi è soprattutto la musica a utilizzare l’insieme dei rapporti sonori in una combinazione tanto complessa, che lo spirito umano non sarebbe mai in grado di produrre in modo diverso! Questo effetto delle sensazioni sul nostro sentimento potrebbe poggiare sul fatto che esse pongono i nervi in uno stato in cui la connessione dei loro elementi e il loro rapporto con gli organi centrali sono determinati secondo una forma peculiare. Ma se i suoni, per rimanere a essi, giungono a noi da una natura vivente, senziente e pensante, allora presupporremo implicitamente, a esempio nel canto, che quella natura abbia un sentimento che avrebbe indotto anche noi, qualora ne fossimo stati in possesso, a emettere quegli stessi suoni. Per questo il sentimento prodotto dal canto è più vivace, ma anche più spurio, di quello prodotto dalla musica strumentale. Anche in relazione alla musica strumentale, tuttavia, dobbiamo presupporre, se ne vogliamo intendere con chiarezza come fa

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es thut, voraussetzen müssen, daß dieselben Gefühle, die sie in uns erregt hat, zwar nicht in den Instrumenten oder in den Musikanten, aber doch im Tondichter gewaltet und ihm solche Töne eingegeben haben, wie sie nothwendig in jedem hörenden dieselben Gefühle bewirken müssen, von denen sie verursacht sind. Bei solcher Untersuchung der innern Bedeutung der Töne fällt also die Deutung der Ursache und die der Wirkung zusammen. Eben so wie die musikalischen und Naturtöne, sind auch die Sprachtöne in doppelter Weise zu deuten: einmal von Seiten der mechanischen Causalitat, nach welcher z. B. ein Ton zurückgeführt wird auf die Schwingungen einer Saite, welche aus diesem oder jenem Stoffe besteht; in solchem oder einem andern Grade gespannt, so oder so lang und stark, irgendwie in Schwingung versetzt ist, und solchen Resonanzboden hat; das andere Mal von Seiten der innern Ursache, welche identisch ist mit der innern Wirkung. Hierdurch wird also der Grammatik die Aufgabe gestellt, zuerst die Sprache als Laute in ihrer äußern Ursächlichkeit zu erklären, ihre Entstehung durch die Sprachorgane: Lautlehre; und ferner die innere Ursache zu [346] deuten, welche zugleich die innere Wirkung im Hörenden wird: Bedeutungslehre. Die Wirkung der Sprache ist aber eben so, wie ihre Ursache eine doppelte. Wie die Sprache überhaupt ein Doppelwesen ist, so wird sie von innen her durch die Bedeutung, von außen her durch die tönenden Organe erzeugt. Und so wirkt sie auch doppelt: sie erweckt erstlich im Hörenden dieselbe Bedeutung, aus der sie hervorgegangen ist; sie wirkt aber auch außerdem noch als bloßes Tönen. Hieher gehört zunächst die Wirkung des Wohl- oder Uebellauts der Sprache, sowohl der Sprache eines Volkes, als auch des Einzelnen, der etwas Heiseres, Rauhes, Hartes, Schreiendes in seiner Stimme hat. Ferner beruht hierauf die rhythmische Schönheit der Verse, wie der Prosa, und endlich die Declamation, der pathetische Vortrag. Im Gesange nun gar wird die Sprache selbst zugleich Musik.

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l’estetica l’effetto sul nostro animo, che gli stessi sentimenti che essa ha stimolato in noi devono aver agito, dettandogli quei suoni, se non sugli strumenti o sui musicisti, sul compositore; allo stesso modo in cui quei suoni devono necessariamente provocare in chi ascolta gli stessi sentimenti che ne sono stati all’origine. In questa ricerca sul significato interno dei suoni, allora, l’interpretazione della causa e dell’effetto coincidono. Come i suoni musicali e quelli naturali anche i suoni linguistici devono essere interpretati in modo duplice: una volta in riferimento alla causalità meccanica secondo cui, ad esempio, un suono è ricondotto all’oscillazione di una corda fatta di questo o quel materiale, sottoposta a maggiore o minore tensione, con una certa lunghezza e resistenza, posta in una determinata oscillazione e con una particolare cassa di risonanza; un’altra volta in riferimento alla causa interna che è identica con l’effetto interno. Pertanto, alla grammatica è assegnato il compito anzitutto di spiegare la lingua come suono, nella sua causalità esterna, il suo nascere per mezzo degli organi della fonazione: la teoria del suono; e poi quello di [346] interpretare la causa interna, che diviene contemporaneamente l’effetto interno in colui che ascolta: la teoria del significato146. L’effetto della lingua, però, esattamente come la sua causa, è doppio. Come la lingua in generale ha natura duplice, così essa vien prodotta dall’interno, attraverso il significato, e dall’esterno, per mezzo degli organi fonatori. E, allo stesso modo, opera in modo duplice: essa anzitutto risveglia in colui che ascolta lo stesso significato da cui è scaturita; ma opera anche come semplice suono. A ciò soprattutto è dovuto l’effetto piacevole o greve del suono di una lingua, sia della lingua di un popolo sia della lingua di un singolo che abbia nella voce qualcosa di roco, sgradevole, duro o stridente. Su questo secondo effetto riposa anche la bellezza ritmica dei versi come quella della prosa; su esso riposano, infine, la declamazione e la recitazione drammatica. Solo nel canto la lingua diventa anche musica.

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§. 118. Was die Sprache bedeutet. Verlangt man nun eine Definition von der Sprache, so würden wir sagen: sie sei das pathologische articulirte Tönen der Vorstellung und vermittelst derselben der Intelligenz und des Gefühls, des menschlichen Innern überhaupt. Als Tönen ist die Sprache von jeder stummen Aeußerung des Innern abgeschieden. Sie ist es ferner von sonstigen pathognomischen Tönen, wie Lachen, Seufzen, durch die Articulation, äußerlich genommen, und durch die Vorstellung, nach der innern Seite; denn was in jenen Tönen liegt, ist bloßes Gefühl. Dieser Umstand bewirkt auch den Unterschied zwischen Sprache und Musik. In letzterer tönt das Gefühl, aber nicht in Geräuschen, wie Lachen, Seufzen, sondern in reinen Tönen und vorzüglich vermöge der gegenseitigen Verhältnisse der Töne zu einander. Das Gefühl kann wohl auch sprachlich ausgedrückt werden; aber nicht unmittelbar, sondern nur die Vorstellung davon. Es muß angeschaut werden, wie die Empfindung; und so wird nicht das Gefühl, sondern die Anschauung des Gefühls als innere Sprachform an den Laut geknüpft. Wie denn überhaupt beachtet werden muß, daß, wenn man die Sprache bedeutsames Tönen nennt, und wenn man der Lautlehre die Bedeutungslehre hinzufügt, unter Bedeutung ein Doppeltes verstanden wird; denn unmittelbar bedeutet der Laut die innere [347] Sprachform; diese aber bedeutet den Denkinhalt, Gefühl, Anschauung, Begriff, Begierde, Wille, kurz das vorgestellte Innere. c. Sprechen und Sprachmaterial. §. 119. Die Verflechtung des Bedeuteten, der innern Sprachanschauung, und des Lautes wird immer fester. Durch das fortgesetzte Urtheilen sind eine große Fülle von Subjecten und Prädicaten, Ding- und Merkmalswörtern gebildet. Indem aber dasselbe Subject mit vielen Prädicaten, dasselbe Prädicat mit vielen Subjecten verbunden wird, indem sich die Urtheile durchkreuzen: so zerschneiden sie sich und Subjects- und Prädicatswörter zerfal-

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§. 118. Ciò che la lingua significa Se si richiede ora una definizione della lingua, diremmo che essa è il risuonare patologico e articolato della rappresentazione e, per suo tramite, dell’intelligenza e del sentimento, dell’interiorità umana in generale. In quanto risuonare, la lingua è distinta da ogni espressione muta dell’interno. Dagli ulteriori suoni patognomici – come il ridere, il sospirare – è distinta, dalla parte esterna, per mezzo dell’articolazione, dalla parte interna, attraverso la rappresentazione; perché quel che si trova in ogni risuonare è semplice sentimento. Questa circostanza pone anche la differenza tra la lingua e la musica. Nella musica risuona il sentimento, ma non nei rumori, nel ridere o nel sospirare, bensì nei suoni puri e più precisamente in ragione dei rapporti tra i suoni. Il sentimento può certo essere espresso anche linguisticamente, sebbene non in modo immediato, ma soltanto attraverso la sua rappresentazione. Esso deve essere concepito come la sensazione, cosicché al suono non viene collegato il sentimento, ma l’intuizione del sentimento in quanto forma interna della lingua. Deve anche essere notato in generale che quando si definisce la lingua come un risuonare che veicola significati e si aggiunge alla teoria del suono la teoria del significato, con significato s’intende qualcosa di duplice, giacché il suono significa, in modo immediato, la forma interna [347] della lingua; quest’ultima, però, significa il contenuto di pensiero, il sentimento, l’intuizione, il concetto, il bisogno, il volere, in breve l’interiorità rappresentata. c. Parlare e materiale linguistico §. 119 L’intreccio di ciò che è significato, dell’intuizione linguistica interna e del suono, diviene sempre più saldo. Con l’avanzare dei giudizi vengono costituiti una grande quantità di soggetti e predicati, di parole che indicano cose e qualità. Dal momento, però, che lo stesso soggetto è legato a molti predicati e lo stesso predicato lo è a molti soggetti, dal momento che s’incrociano, i giudizi frammentano anche se stessi, e le parole-soggetto e

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len im Bewußtsein aus der Einheit des Urtheils. Eben so ergeht es den Attributen, den Objecten. So bildet sich also durch das Sprechen in der Seele ein „Schutt“, nach einem geistreichen Ausdrucke Herbarts, lauter Material, das ehemals ein Gebäude von an einander hängenden Urtheilen bildete; das Gebäude ist im Laufe der Zeit verfallen und nur die Steine und Balken liegen ohne Ordnung und Zusammenhang durch einander. Jedes Stück dieses Materials aber trägt noch die Spuren seines Zusammenhanges an sich. Nun zeigt aber derselbe Stein einen vielfältigen Zusammenhang, und dieselbe Verbindungsweise zeigt sich an mehreren Steinen und Balken in gleicher Weise. So trennt sich der Stoff, das Material selbst, von der Methode, nach welcher es gefügt war. Zum Sprachschutte gehört also Material und Fugen. Im Augenblicke des Redens greift die Seele immer von neuem nach diesem Schutte, und verwendet das Material, den daran befindlichen Fugen folgend. Das Sprachmaterial wird dargestellt in der Grammatik sowohl, als im Wörterbuche. Beide haben genau genommen denselben Inhalt, aber in verschiedener Weise behandelt. Das Wörterbuch stellt das Material auf und weist an jedem Stücke besonders seine mögliche Fügung auf; die Grammatik geht von der Fügungsweise aus, und zeigt, wie alle Stücke gefügt werden müssen. Die Praxis hat der Bequemlichkeit wegen dieses Verhältniß, wonach alles zweimal gesagt werden müßte, so umgestaltet, daß sie das Ueberflussige wegläßt und dem Wörterbuche vorzugsweise das Material, der Grammatik vorzugsweise die Fügungsweise zuertheilt. 2. HAUPTPUNKTE DER GRAMMATIK. [355] Innere Sprachform. Die innere Sprachform umfaßt sämmtliche Kategorien der Vorstellung, nach welchen das instinctive Selbstbewußtsein Anschauungen und Begriffe auffaßt. Es liegt uns hier an, einige ganz allgemeine Punkte, welche für dieselbe leitend und maßgebend werden, zu erörtern.

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le parole-predicato si scindono nella coscienza dall’unità del giudizio. Proprio così succede per gli attributi e i complementi oggetti. Così si costituiscono nell’anima attraverso il parlare delle “macerie” – secondo un’arguta espressione di Herbart147 – materiale fonetico, che un tempo costituiva un edificio di giudizi reciprocamente connessi, l’edificio nel corso del tempo è crollato e rimangono soltanto le pietre e le travi, senza ordine e connessione. Ogni pezzo di questo materiale, però, porta in sé ancora le tracce della sua connessione. Ora, però, la stessa pietra mostra una connessione da diversi punti di vista e lo stesso modo di connettersi è appropriato a pietre e travi diverse. Così la materia, il materiale stesso, si divide dal modo in cui era congiunto. Delle macerie della lingua fanno dunque parte materiale e giunture. Nel momento della discussione l’anima ricorre sempre a queste macerie e utilizza il materiale seguendo le giunture in esso impresse. Il materiale linguistico è presentato sia nella grammatica sia nel vocabolario. Entrambi, considerati esattamente, hanno lo stesso contenuto, ma trattato da punti di vista diversi. Il vocabolario presenta il materiale e indica per ogni parte le sue possibili giunture; la grammatica parte dai modi di connettere e mostra come tutte le parti devono essere congiunte. La prassi ha cambiato per comodità il suddetto rapporto, secondo cui tutto doveva esser detto due volte, in modo tale che fosse lasciato da parte il superfluo e assegnato al vocabolario soprattutto il materiale, alla grammatica soprattutto i modi di connessione. 2. ASPETTI PRINCIPALI DELLA GRAMMATICA148 [355] Forma interna della lingua La forma interna della lingua abbraccia l’insieme delle categorie della rappresentazione, secondo cui l’autocoscienza istintiva coglie le intuizioni e i concetti. Qui è nostro compito proporre una disamina di alcuni punti del tutto generali, per essa preminenti e decisivi.

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Stoff und Form. §. 125. Von relativen Begriffen und Gegensätzen überhaupt. Stoff und Form sind bezügliche Begriffe; d. h. jeder derselben wird nur mit Bezug auf den andern gedacht. Daraus folgt aber nur, daß derselbe Gegenstand des Denkens oder derselbe Begriff im Verhältnisse zu verschiedenen Begriffen, oder zwar zu demselben Begriffe, aber nach anderer Rücksicht, beziehungsweise bald als Form, bald als Stoff angesehen werden muß. Diese Verschiedenheiten der Beziehungen oder Rücksichten müssen aber klar geschieden werden, und nur eine trügerische [356] oder blöde Dialektik kann den Unterschied verwischen wollen. Dieselbe Größe kann sowohl positiv, als negativ angesehen werden; aber sofern sie als eines von beiden, etwa als negativ angenommen ist, hat sie nothwendig die positive Größe sich gegenüber und kann nicht selbst in derselben Beziehung positiv und negativ zugleich sein. Eben so verhält es sich mit Stoff und Form. Die Formbestimmung ändert nie den Stoff; ändert etwas den Stoff: so ist es Bestimmung des Stoffes, nicht der Form. Man darf die Kategorien nicht ungehörig anwenden und muß wissen, wohin eine jede gehört. Der Grundsatz der Verschiedenheit entgegengesetzter Begriffe steht a priori so fest, daß andererseits, wenn man uns eine Einheit derselben vorhält, eine zu Grunde liegende Täuschung nothwendig und a priori vorausgesetzt werden muß. Denn die Gleichheit entgegengesetzter Begriffe ist undenkbar und folglich noch weniger wirklich. Die Einheit des Widerspruches von Positivem und Negativem ist nicht „der Grund“; sondern der Grund dieser Einheit ist eine Täuschung. Allem Gegensatze muß wohl eine Einheit zu Grunde liegen; Einheit und Gegensatz sind bezügliche Begriffe, und keiner ist ohne den andern. Insofern aber zwei Begriffe entgegengesetzt sind, sind sie nicht identisch; und insofern sie identisch sind, sind sie nicht entgegengesetzt. Was der Verstand trennt, mag die Vernunft vereinigen; aber sie darf es nicht vermengen und verwirren. Denn Verstand und Vernunft sind nur dieselbe Intelligenz, die immer nach denselben logischen Gesetzen erkennt, bald scheidend, bald zusammenfassend; und diese eine Intelligenz kann nicht als Vernunft ihrer verständigen Thätigkeit Hohn sprechen.

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Materia e forma §. 125. Sui concetti relativi e sui contrari in generale Materia e forma sono concetti correlati; ciò significa che ciascuno di essi è pensato solo in relazione all’altro. Da ciò però segue solo che lo stesso oggetto del pensiero, o lo stesso concetto, deve essere concepito in rapporto a diversi concetti o, invero, in rapporto allo stesso concetto, ma secondo diverse prospettive, ora come forma ora come materia. Queste differenze di relazioni o prospettive devono però essere chiaramente separate e solo un’ingannevole [356] o stolta dialettica può voler cancellare la differenza. La stessa grandezza può essere concepita come positiva o negativa; ma nella misura in cui essa è assunta come una delle due, ad es. come negativa, ha di fronte a sé necessariamente la grandezza positiva e non può essere contemporaneamente positiva e negativa nello stesso rapporto. Esattamente lo stesso avviene con la materia e la forma. La determinazione formale non trasforma mai la materia, se qualcosa trasforma la materia, si tratta di una determinazione della materia, non della forma. Non si possono utilizzare le categorie in modo inopportuno e bisogna sapere ciò a cui ciascuna appartiene. Il principio della differenza di concetti contrari è tanto sicuro a priori che qualora ci fosse invece posta davanti la loro unità, alla sua base dovrebbe essere presupposta necessariamente, e a priori, un’illusione. E ciò poiché l’uguaglianza di concetti contrari è impensabile e di conseguenza irreale. L’unità della contraddizione di positivo e negativo non è il “fondamento”, ma il fondamento di questa unità è un’illusione. Alla base di ogni opposizione di contrari deve pur esservi un’unità, unità e opposizione di contrari sono concetti relativi e nessuno dei due sta senza l’altro. Nella misura in cui, però, due concetti sono contrari, non sono identici e nella misura in cui sono identici, non sono contrari. La ragione può riunire ciò che l’intelletto divide, ma non deve mischiarlo e confonderlo. E questo poiché intelletto e ragione sono soltanto la stessa intelligenza che conosce sempre secondo le stesse leggi logiche, in parte separando, in parte riunendo; e quest’unica intelligenza non può, in quanto ragione, farsi beffe della sua attività intellettuale.

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Dergleichen sich von selbst verstehende Dinge müssen freilich gesagt werden, wenn einmal die bis zum Wahnwitze gesteigerte, sich mit dem Widerspruche gegen den gemeinen Sinn kitzelnde Eitelkeit in die Philosophie und bis in die Logik selbst gedrungen ist; wobei man denn vor allem natürlich auch sich selbst vergißt. Denn wäre die Identität des Widerspruches denkbar, so würde, da der Widerspruch allein das Treibende in der dialektischen Selbstbewegung des sich denkenden Begriffs sein soll, diese ganze Bewegung gar nicht Statt haben, und der Geist ruhig im ersten Widerspruche zwischen Sein und Nichtsein verharren, ohne Bedürfniß aus ihm herauszutreten und fortzuschreiten. [357] Die Dialektik beruht also auf der Anerkennung der Undenkbarkeit des Widerspruchs, und da nun die dialektische Philosophie nichts anderes thut, als Widersprüche aufdecken, ohne ihnen je zu entfliehen, ohne sie je zu lösen, von ihnen im Kreise herumgejagt: so verurtheilt sie sich selbst als die Philosophie des Falschen, welche nur erst Vorbereitung der wahren Philosophie ist. Da das Gesetz des Widerspruchs unserm Geiste so unverletzlich angehört, so sucht er, so oft er sich in einem Widerspruche befangen sieht, denselben aufzulösen, indem er die ihm zu Grunde liegenden Beziehungen ändert. Diese Aenderung, Verbesserung der Beziehungen wird sich aber nicht immer durch bloße Bearbeitung der Begriffe, durch Spalten und neues Spalten bewirken lassen; sondern es werden neue Thatsachen hinzutreten, und alte Thatsachen von neuem untersucht und in neuen Begriffen erfaßt werden müssen. Wenn wir nun von Laut- und innerer Sprachform reden, also überhaupt die Sprache Form nennen: so müssen wir uns klar zu machen suchen, in welehen Beziehungen hier Stoff und Form auftreten, und wo der Stoff zur innern Sprachform liegt. §. 126. Die Sprache als Form des Gedankens. Man hat die Sprache Form des Gedankens genannt, insofern sie ihn darstellt; der Gedanke umgekehrt sei der dargestellte Inhalt. Wir können uns, denke ich, dies recht wohl gefallen lassen. Aber wir müssen uns klar vorhalten, was hierin liegt. So gut wie die Sprache Darstellung von Gedanken ist, ist auch die Bühne Darstellung der Welt, das Portrait Darstellung einer Person. So wenig das Portrait die Person selbst, so wenig die Bühne die

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Ma si devono pur dire cose comprensibili quando la futilità, una volta innalzatasi fino alla follia, titillandosi con la contraddizione contro il senso comune, è penetrata nella filosofia e fin nella logica, ove naturalmente, prima d’ogni altra cosa, dimentica anche se stessa. Poiché se fosse pensabile l’identità della contraddizione, dal momento che solo la contraddizione deve essere l’elemento attivo nell’auto-movimento dialettico del concetto pensante, questo stesso movimento non avrebbe luogo per nulla e lo spirito riposerebbe staticamente nella prima contraddizione tra essere e non essere, senza il bisogno di uscire da essa e procedere. [357] La dialettica poggia dunque sul riconoscimento della non pensabilità della contraddizione e poiché la filosofia dialettica non fa altro che scoprire contraddizioni e vi gira intorno senza mai sfuggirvi, senza mai risolverle, così essa stessa si condanna come la filosofia del falso, che è soltanto la preparazione della vera filosofia. Dal momento che la legge della contraddizione appartiene al nostro spirito in modo così inviolabile, esso, ogniqualvolta rimanga imprigionato in una contraddizione, cerca di risolverla mutando le relazioni che vi stanno alla base. Questa trasformazione, questo miglioramento delle relazioni, non si lascerà però operare sempre per mezzo della semplice elaborazione dei concetti attraverso divisioni e nuove scissioni; piuttosto si presentano fatti nuovi, e i vecchi devono essere nuovamente sottoposti a ricerca e appresi in nuovi concetti149. Se noi ora discutiamo di forma fonetica e forma interna della lingua, definiamo dunque in generale forma la lingua, ebbene dobbiamo cercare di far chiarezza sul tipo di relazioni in cui si presentano qui materia e forma e chiarire dove si trovi la materia rispetto alla forma interna della lingua. §. 126. La lingua come forma del pensiero La lingua è stata chiamata forma del pensiero perché lo rappresenta; il pensiero, inversamente, sarebbe il contenuto rappresentato. Credo che questo possa essere accettato, ma dobbiamo capire con chiarezza che s’intenda con ciò. La lingua è rappresentazione del pensiero come il teatro è rappresentazione del mondo, il ritratto è rappresentazione di una persona. Come il ritratto non è la persona, come il teatro non

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Welt ist: eben so wenig ist die Sprache der Gedanke; sondern wie die Bühne die Welt bedeutet, eben so bedeutet die Sprache den Gedanken. Wir werden durch die Bühne sogar an einen vollen Gegensatz zwischen Wirklichkeit und Schein erinnert; denn darstellen heißt bloß den Schein erregen. Und wir wissen ja, wie oft leider Worte Gedanken nur darstellen, d. h. den Schein von Gedanken erregen. Darstellen heißt allerdings ursprünglich eine Sache hinstellen, vor Augen stellen. Niemals aber wird der Gedanke so nackt hingestellt, wie er geboren ist; nie tritt er aus dem Verstecke des Geistes, aus der Stätte seiner Empfängniß hervor. Eben darum bedürfen wir eines Darstellungsmittels, welches die [358] Person, für welche dargestellt wird, mit dem Gedanken vermittelt, mitten zwischen beide tritt. Dann sagen wir, der Gedanke werde gewissermaßen in das Mittel gelegt und in ihm zur Darstellung gebracht. Das Mittel an sich jedoch ist nicht der Gedanke selbst, sondern Zeichen desselben. So hätten wir denn zwar in der Darstellung einen Stoff und eine Form; aber diese Form, welche das Darstellungsmittel des Stoffes ist, ist gar nicht die Form dieses Stoffes. Die Bühne ist nicht die Form der Welt, das Portrait nicht die Form der Person, die Sprache nicht die Form des Gedankens, sondern Schein. Der Schein besteht eben bloß aus Form; und so ist auch die Sprache bloße Form, bei deren Betrachtung der dargestellte Inhalt nicht eingemischt werden darf. Wenn das Wort Schein nicht gefällt: so sage man, die Sprache sei die Erscheinung des Gedankens. Wie ein Stern emporsteigt und erscheint, indem er uns seine Strahlen zusendet: so erscheint uns der Gedanke, indem er unserm Ohre in zugesandten Lauten tönt. – Es sei! Aber die Strahlen sind nicht der Stern, und die Laute nicht der Gedanke. Der Inhalt hat nun aber noch an sich seine ihm eingeborene Form, abgesehen von dem Scheine, welcher ihn darstellt; und der Schein hat noch an sich einen Stoff. Um bei unsern Beispielen zu bleiben, die Welt hat ihre Formen, die mit der Bühne nichts zu thun haben; eben so der Mensch, dessen Portrait gezeigt wird. Die Bühne hat aber auch ihren Stoff: das Brettergerüste und die Schauspieler; und das Portrait hat den seinigen: Leinwand und Farbe. So hat auch der Gedanke seine Formen, die nichts mit

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è il mondo, così la lingua non è il pensiero. Ma come il teatro significa il mondo, così la lingua significa il pensiero. Attraverso il teatro siamo richiamati perfino a un’opposizione totale tra realtà e apparenza perché rappresentare significa semplicemente produrre l’apparenza. E noi sappiamo quanto di frequente, purtroppo, le parole rappresentino soltanto i pensieri, è a dire producano apparenza di pensieri. Rappresentare significa tuttavia originariamente porre qualcosa, metterla di fronte150. Mai tuttavia il pensiero è posto di fronte a noi nudo, come è nato, mai si manifesta dal nascondiglio dello spirito, dai luoghi della sua concezione. Appunto per questo abbiamo bisogno di un mezzo di rappresentazione che medi tra la [358] persona, per cui qualcosa è rappresentato, e il pensiero, di un mezzo che si ponga tra essi. Allora diciamo che il pensiero in certa misura è trasferito nel mezzo e in esso è portato a rappresentazione. Il mezzo in sé, però, non è il pensiero stesso, ma segno di esso. Così avremmo nella rappresentazione una materia e una forma; ma questa forma, che è il mezzo di rappresentazione della materia, non è per nulla la forma di questa materia. Il teatro non è la forma del mondo, il ritratto non è la forma della persona, la lingua non è la forma del pensiero, ma il suo apparire. L’apparire consiste proprio nella forma e così anche la lingua è soltanto forma, alla cui considerazione non deve essere immischiato il contenuto rappresentato. Se la parola “apparire” non piace, si dica che la lingua è il fenomeno del pensiero. Come una stella s’innalza nel firmamento e appare inviandoci i suoi raggi, allo stesso modo il pensiero ci appare giacché risuona per mezzo di suoni inviati al nostro udito. – E sia! Ma i raggi non sono la stella e i suoni non sono il pensiero. Il contenuto conserva in sé la sua forma innata a prescindere dall’apparenza che lo rappresenta; e anche l’apparenza ha ancora in sé la sua materia. Per rimanere ai nostri esempi, il mondo ha le sue forme, che non hanno nulla a che fare col teatro, come le sue forme ha l’uomo di cui viene mostrato il ritratto. Ma, d’altro canto, il teatro ha la sua materia: le impalcature e gli attori; e il ritratto ha la propria: la tela e i colori. Così anche il pensiero ha le sue forme che non hanno

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seinem sprachlichen Scheine zu thun haben, seine logischen und metaphysischen Formen; und so hat auch die Sprache ihren Stoff. Dieser Stoff ist das Mittel; und wir kennen ja schon das doppelte Mittel der Sprache: den Laut und das instinctive Selbstbewußtsein. Der Laut ist also gewissermaßen die Leinwand, und das instinctive Selbstbewußtsein liefert die Farben und die Zeichnung fur die Abbildung des Gedankens durch den Sprechenden. So sehen wir also auf beiden Seiten, auf Seiten des Scheines sowohl, wie des erscheinenden Inhaltes, Stoff und Form. Wie wir aber vom Bilde sagen, es sei bloß Form, deswegen weil die Form von dem Stoffe, den Farben und der Leinwand, ganz unablösbar ist; und andererseits auch Farbe und Leinwand gar [359] keinen andern Werth und keine andere Bedeutung haben, als die in ihrer Form liegt, also als Form zu sein: so ist auch die Sprache, sowohl Laut, als instinctives Selbstbewußtsein, bloß Form, oder bloß geformt. So wie Farbe und Leinwand des Bildes gar nicht als Farbe und Leinwand gelten wollen, sondern als etwas ganz anderes: so wollen auch Laut und instinctives Selbstbewußtsein für etwas anderes gelten; und hier, wie dort beruht die Geltung auf der Form, also bei der Sprache auf der bestimmten Articulation oder Lautform und der bestimmten Anschauung der Anschauung. Nun geschieht aber ferner jede Thätigkeit, jede Bewegung nach gewissen Formen, Bestimmungen, Gesetzen, Regeln, in gewissen Bahnen, Kategorien. Das Athmen geschieht durch Ausund Einathmen, welche beide man die Hauptkategorien des Athmens nennen könnte; beim Blutumlauf kommt das Zusammenziehen und Ausdehnen des Herzens, die beiden Kammern des Herzens, der Unterschied von Arterie und Vene, der Puls in Betracht, und das sind seine Kategorien oder Formen; der Tanz hat seine Schritte, kreisend oder einfaeh vorschreitend, oder auf derselben Stelle beharrend; die Metrik hat Füße, Verse, Cäsuren u.s.w.; der Tischler hobelt, sägt, fügt in einander und leimt zusammen. So hat auch die Sprache ihre Kategorien, wie Sylbe, Wort, Wortbeugung, Wortfügung, Lautgesetze und syntaktische Gesetze. Wir haben hier einen Unterschied aufgestellt, der besonders bei der groben Vergleichung mit dem Tischler klar wird, zwischen formender Thätigkeit und der dadurch erzeugten Form. Das Hobeln, Sägen, u.s.w. sind die formbildenden Thätigkeiten,

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nulla a che fare con l’apparire linguistico, le sue forme logiche e metafisiche; e, d’altro canto, la lingua ha la sua materia; e conosciamo già il duplice mezzo della lingua: il suono e l’autocoscienza istintiva. Il suono è dunque in certa misura la tela e l’autocoscienza istintiva fornisce i colori e il disegno per l’immagine del pensiero prodotta dai parlanti. Così vediamo da entrambe le parti, tanto dalla parte dell’apparire, come da quella del contenuto che appare, materia e forma. Come dell’immagine, tuttavia, diciamo che è pura forma, per la ragione che la forma è del tutto inseparabile dalla materia, dai colori e dalla tela e, d’altra parte, anche i colori e la tela non hanno nessun altro [359] valore e nessun altro significato da quello che risiede nella forma, ovvero non hanno nessun altro valore a parte quello di essere forma; così la lingua, tanto il suono quanto l’autocoscienza istintiva, è mera forma o semplicemente formata. Come i colori e la tela del quadro non vogliono per nulla valere come colori e come tela, ma come qualcosa di completamente differente; così il suono e l’autocoscienza istintiva vogliono valere per qualcosa d’altro. Sia qui sia lì, il valore poggia sulla forma; nella lingua poggia dunque sull’articolazione, o forma fonetica determinata, e sulla specifica intuizione dell’intuizione. Ora, però, ogni attività, ogni movimento, si realizza anche secondo certe forme, determinazioni, leggi, regole e seguendo certi binari, secondo precise categorie. Il respirare avviene attraverso l’espirazione e l’inspirazione, che si potrebbero chiamare le categorie fondamentali del respiro; nella circolazione sanguigna sono implicati il contrarsi e il dilatarsi del cuore, entrambi i ventricoli, la differenza di arterie e vene, il battito, e queste sono le sue categorie o forme; la danza ha i suoi passi, giri, semplici avanzamenti o lo stesso rimaner fermi; la metrica ha piedi, versi, cesure etc.; il falegname pialla, sega, incastra e incolla. Così anche la lingua ha le sue categorie come sillaba, parola, flessione, costrutto, leggi fonetiche e sintattiche. Abbiamo messo in evidenza una differenza che diventa chiara in particolare nel suddetto paragone con il falegname, quella tra l’attività formativa e la forma così prodotta. Il piallare, il segare etc. sono attività elargitrici di forma, attività attraverso cui una forma sorge in una materia, attraverso cui è

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wodurch eine Form an einem Stoffe, ein geformtes Ding entsteht. Beim Tanze beschreibt der Fuß und der ganze Körper Linien in der Luft und auf dem Boden; diese Linien sind die geformten Dinge, die Ergebnisse der formbildenden Bewegung des Fußes und des Körpers. So scheint es nun, als erhielten wir eine doppelte Classe der Kategorien: Bestimmungen der Form, welche für die Dauer als Erfolge gewisser Bewegungen entstanden sind; und Bestimmungen dieser gestaltenden Bewegungen selbst. So würden für die Sprache die Lautgesetze die Bestimmungen der Bewegung sein, durch welche die feste Wortform entsteht; die Wortfügung hat eben so ihre Gesetze und durch sie entstehen die Casus, Redetheile u. s. w. als gebildete [360] Formen. Der Sprachforscher jedoch erkennt auf seinem Gebiete, für die Sprache, diesen Unterschied nicht an. Für die deutschen Sprachforscher ist es ja nun wohl schon eine gemeine Bemerkung, daß die Sprache kein fertiges Werk ist, daß sie gar kein ruhendes Dasein hat, sondern reine Thätigkeit, bloße Bewegung ist. Nichts in der Sprache ist starr, alles flüssig; und so ist auch das Wort und die bestimmte Bewegungsform des Wortes nur die fließende Form einer Thätigkeit, ein Schritt des Sprachganges, der verschwindet, wenn er vorüber ist; der keine materialen Spuren zurückläßt, sondern bloß dynamische in der Seele; der wohl wiederholt werden kann, aber dann eben so materialiter verschwindet, und nur dynamisch zurückbleibt. Der Laut, d. h. die allgemeine Fähigkeit des Lautens, und das instinctive Selbstbewußtsein sind der Stoff, die Dynamis, der Sprache; das wirkliche Sprechen ist die Energie; die Sprachform, sowohl Laut- als innere Form, ist die Entelechie, d. h. die Bewegung, welche die Dynamis zur Wirklichkeit umgestaltet, den Stoff formt. Aber Energie und Entelechie sind nur verschiedene Auffassungen desselben Wesens. Die Sprachform ist allemal bewegtes Leben, dessen Wirken seine Geburt, dessen Sein Wirken ist. Denn die Sprache ist ein geistiges Wesen; und im Geiste ist nichts Wirkung, ist alles Wirken. §. 127. Stoff und Form in der Sprache. Abgesehen also davon, daß man die allgemeine Fähigkeit zur Sprache als Stoff, die Verwirklichung als Form ansehen kann, haben wir innerhalb der Sprache noch keinen Unterschied zwischen

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prodotto un oggetto formato. Nella danza il piede e l’intero corpo disegnano linee nell’aria e sul pavimento, queste linee sono gli oggetti formati, i risultati del movimento plasmatore del piede e del corpo. In tal modo pare che si ottengano due classi di categorie: determinazioni della forma che sono sorte, per la durata, come risultati di certi movimenti; e determinazioni dei movimenti formativi stessi. Così, per la lingua, le leggi del suono sarebbero le determinazioni del movimento attraverso cui sorge la forma stabile della parola. Il costrutto sintattico ha, esattamente allo stesso modo, le sue leggi e attraverso di esse sorgono il caso, le parti del discorso etc. come forme costruite [360]. Il linguista, tuttavia, non accetta nel suo territorio, per la lingua, questa differenza. Già ora fa parte del patrimonio generale di conoscenze del linguista tedesco il fatto che la lingua non è un prodotto stabile, che non ha un’esistenza in quiete, ma è pura attività, semplice movimento. Niente nella lingua è fisso, tutto è fluido; così anche la parola e la forma dello specifico movimento della parola rappresentano solo la forma mobile di un’attività, un passo nel cammino della lingua, che scompare una volta che quello è trascorso; che non lascia nell’anima tracce materiali, ma solo dinamiche; che può certo esser ripetuto, ma poi, allo stesso modo, scompare dal punto di vista materiale e rimane solo in senso dinamico. Il suono, è a dire la capacità universale di emettere suoni, e l’autocoscienza istintiva sono la materia, la dynamis, della lingua; il parlare reale è l’energia; la forma della lingua, tanto quella del suono quanto quella interna, è entelechia, è a dire il movimento che trasforma la dynamis in realtà, che forma la materia. Ma energia ed entelechia sono solo concezioni diverse della stessa essenza. La forma della lingua è sempre vita in movimento il cui operare è la sua nascita, il cui essere è l’operare suo. La lingua è dunque un’essenza spirituale e nello spirito nulla è effetto, tutto è operare. §. 127. Materia e forma nella lingua A prescindere dal fatto che l’universale capacità di parlare si può considerare come materia e la realizzazione come forma, non possiamo tuttavia trovare all’interno della lingua

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Stoff und Form auffinden können. Die Sprache ist also nichts als Form; ihr Stoff, der Gedanke, liegt außer ihr. Sie ist darum reine Form, weil sie bloße Anschauung, Darstellung, Schein des Gedankens ist. Der Gedanke aber enthält Stoff und Form: Stoff, wie er ihn durch Sinnesempfindungen und Gefühle erlangt; Form, wie der Geist sie nothwendig jenem Stoffe anthut, indem er denselben auffaßt – denn die geistige Auffassung ist nur Formung des durch die Sinne von außen gewonnenen Stoffes. In der Sprache nun ist der Schein von beiden Elementen des Gedankens, vom Stoff und von der Form. Die Sprache ist also Darstellung oder Form sowohl des Gedankenstoffes, als der Gedankenform. Hätten wir nun etwa hiermit schon den Unterschied von materialen und formalen Elementen der Sprache gewonnen? Schwerlich! [361] Die Sprache bleibt immer noch rein formal; Stoff und Form des Gedankens aber sind beide in gleicher Weise für die Sprache ihr Stoff. Sie mögen für uns, die Logiker, sie mögen an sich verschieden sein – was kümmert das die Sprache? Sie ist Form für beide in gleicher Weise; sie sind nicht für die Sprache verschieden. Das mag ein Beispiel klar machen und bestätigen. Alle Bewegung ist Formänderung: die Bewegung ist rein formal und eben darum eine Abstraction, die nur in lebendiger Einheit mit dem Stoffe wirklich ist. Beobachtet spielende, ringende Knaben; beobachtet die Wellen des Wassers, der Kornfelder: ihr habt den bleibenden Stoff in Bewegung, d. h. in fortwährend sich ändernder Form. Die Sprache schaut den Stoff und die Form an; ein Wort bezeichnet den Stoff: die Knaben, das Wasser, ein anderes die Form: spielen, wogt. Wer hat nun je gesagt, die Verba seien Formwörter? und doch bedeuten alle Verba und alle Merkmalwörter Formverhältnisse; sind sie darum Formwörter? O ja, antworte ich, wenn man will. Nun sind aber, wie wir gesehen haben, alle Wörter der Sprache, auch die Ding- und Thätigkeitswörter, ursprünglich Merkmalwörter, Adjectiva oder Adverbia; folglich besteht die Sprache bloß aus Formwörtern, und so wären

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nessuna distinzione di materia e forma. La lingua, dunque, non è nient’altro che forma; la sua materia, il pensiero, si trova al di fuori di essa. Essa è pertanto pura forma, giacché è mera intuizione, rappresentazione, apparenza del pensiero. Il pensiero, però, contiene materia e forma: materia, che ottiene attraverso le sensazioni e i sentimenti; forma, che esso stesso assegna necessariamente a quella materia, comprendendola – giacché la comprensione spirituale è soltanto formazione della materia ottenuta dall’esterno per tramite dei sensi. Ora, nella lingua vi è solo l’apparire dei due elementi del pensiero, della materia e della forma. La lingua è dunque rappresentazione o forma tanto della materia del pensiero quanto della sua forma. Ora, avremmo già con ciò conseguito la differenza di elementi formali e materiali della lingua? Ben difficilmente! [361] La lingua rimane sempre puramente formale; materia e forma del pensiero, però, costituiscono per la lingua, allo stesso modo, la sua materia. Siano materia e forma differenti per noi, per i logici, lo siano pure in sé, – in che modo ciò riguarderebbe la lingua? Essa rimane forma per entrambi allo stesso modo, per la lingua materia e forma non sono diversi. Ciò può venir chiarito e confermato da un esempio. Ogni movimento è mutamento di forma: il movimento è puramente formale ed esattamente per questo è un’astrazione, la quale è reale soltanto nell’unità vivente con la materia. Osservate i fanciulli che giocano e fanno alla lotta, osservate le onde dell’acqua, dei campi di grano, avete sempre la materia avanzante in movimento, è a dire in una forma che viene mutandosi progressivamente. La lingua intuisce la materia e la forma, una parola indica la materia: i fanciulli, l’acqua, un’altra, la forma:giocano, ondeggia. Chi ha mai detto che i verba siano parole provviste di forma? Nondimeno, tutti i verba e tutte le parole caratterizzanti rimandano a rapporti di forma; sono per questo parole provviste di forma? O di certo, rispondo, se si vuole. Ma, come abbiamo visto, tutte le parole della lingua, anche le parole che indicano oggetti e le parole che indicano azioni, sono originariamente parole caratterizzanti, adjectiva o adverbia; di conseguenza la lingua consiste solo di parole provviste di forma151 e così ci troveremmo di nuovo, come

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wir wieder auf demselben Punkte, wie vorhin, zu behaupten, die Sprache sei rein formal, enthalte nur formale Elemente. Wir haben nun aber doch schon den Punkt gefunden, auf den es ankäme, wenn die Sprache in sich einen Unterschied zwischen Form und Stoff, materialen und formalen Elementen, ausgebildet haben sollte. Es käme nämlich nur darauf an, daß der Unterschied von Stoff und Form, welcher im Gedanken, sowohl an sich, als für den Logiker, vorliegt, auch für die Sprache werde; d. h. daß nicht nur alle Elemente des Gedankens von der Sprache angeschaut und gleichmäßig dargestellt werden, sondern daß dieselbe zugleich den Unterschied der materialen und formalen Momente des Gedankens anschaue und auch diesen Unterschied darstelle. Die Sprache bliebe also ihrer unveränderlichen Natur gemäß rein formal; sie wäre aber theils Form des Gedankenstoffes, theils Form der Gedankenform; und zwar dies nicht bloß für uns, sondern sie müßte es auch an sich und für sich selbst sein. Das instinctive Selbstbewußtsein muß den Unterschied von materialen und formalen Momenten des Gedankens aufgefaßt haben, und demgemäß auch als Trieb [362] auf den Laut eingewirkt und dem Laute den erkannten Unterschied eingehaucht haben. Die Sprache kann nicht den Unterschied als ein drittes selbständiges Element neben dem Stoff- und Formelement darstellen; sondern sie muß ihren Elementen, welche den Stoff des Gedankens darstellen, und ihren Elementen, welche die Form desselben darstellen, eine verschiedenartige Färbung oder Schattirung geben, damit hieraus dem Sprechenden selbst, wie dem Hörenden, der Unterschied zwischen den formalen und materialen Elementen des Gedankens auch aus den Worten zart entgegentönt; damit nicht bloß die Gedankenelemente selbst vollständig im Laute erscheinen, sondern so, daß sie zugleich ihrer verschiedenen Natur entsprechend in verschiedenem Lichte erscheinen. Die Sprache erreicht dies durch die den Wurzeln angefügten Endungen: die Wurzel bedeutet den Stoff, die Endung die Form. Stoff oder Form in der Sprache ist also dasjenige, was für sie als das eine oder das andere gilt, was sie als das eine oder das andere darstellt, was in ihr und für sie als das eine oder das andere erscheint; beides unterscheidet sich nicht so, wie wir die Sache ansehen, nicht wie die Zergliederung des Gedankens an sich die Sache beurtheilt. Dieser Unterschied zwischen der Sprache und

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prima, al punto di affermare che la lingua sia solo puramente formale, contenga soltanto elementi formali. Ma siamo ormai giunti al punto a cui si perverrebbe se la lingua stessa avesse dovuto costituire in sé una differenza tra forma e materia, elementi materiali e formali. Potrebbe dipendere, infatti, soltanto da ciò che la differenza di forma e materia che è posta nel pensiero – sia in sé, sia per il logico – sia posta anche per la lingua; è a dire che non solo tutti gli elementi del pensiero siano intuiti e simmetricamente rappresentati dalla lingua, ma che quest’ultima intuisca anche contemporaneamente la differenza dei momenti materiali e formali del pensiero e rappresenti anche questa differenza. La lingua rimarrebbe dunque, secondo la sua natura immutabile, puramente formale, sarebbe però in parte forma della materia del pensiero, in parte forma della forma del pensiero; e dovrebbe essere ciò, invero, non solo per noi, ma anche in sé e per sé. L’autocoscienza istintiva deve aver colto la differenza dei momenti materiali e formali del pensiero e deve aver operato in modo corrispettivo anche nel dare impulso [362] al suono, insufflandovi la differenza conosciuta. La lingua non può rappresentare la differenza come un terzo elemento autonomo vicino a quello materiale e formale, ma deve conferire ai suoi elementi che rappresentano la materia del pensiero, e a quelli che ne rappresentano la forma, una diversa tinta e ombreggiatura, affinché da ciò, anche per mezzo delle parole, risuoni tenuemente, per colui che parla e per chi ascolta, la differenza tra elementi formali e materiali del pensiero. Deve farlo in modo tale che non solo nel suono compaiano in modo completo gli elementi stessi del pensiero, ma che essi appaiano contemporaneamente in luce diversa, rispecchiandone la diversa natura. La lingua raggiunge questo effetto per mezzo delle desinenze aggiunte alle radici: la radice significa la materia, la desinenza la forma. Materia e forma nella lingua è dunque ciò che per essa vale come l’una o come l’altra, ciò che essa rappresenta come l’una o come l’altra, ciò che in essa e per essa si manifesta come l’una o come l’altra. Le due si distinguono non come cogliamo la cosa noi, non come valuta la cosa la suddivisione del pensiero in sé. Questa diversità tra la lingua e la nostra analisi logica è

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unserer logischen Analyse ist ungeheuer und setzt eine tiefe Kluft zwischen Sprach- und reiner Gedankenanalyse, zwischen Grammatik und Logik. Ich wiederhole das schon angeführte Beispiel: alle Merkmale und Bewegungen sind Formbestimmungen für die Logik; für die Grammatik sind sie materiale Elemente, weil die Sprache, das instinctive Selbstbewußtsein, jene Formbestimmungen als materiale Elemente der Anschauung auffaßt und vorstellt. Das Substantivum als Subject gilt der Sprache für das Ding an sich, für die Substanz, also den Stoff vorzugsweise. Der Inhalt dieser Substanz aber wird gerade in den Merkmalwörtern erfaßt; auch diese sind also Stoffwörter. §. 128. Formwörter und formlose Sprachen. Wir hätten oben bei der Darstellung des Satzes die Redetheile der Sprache zu entwickeln gehabt, oder hätten es weiter unten zu thun. Dies würde uns aber weiter in das Einzelne geführt haben, als hier unsere Absicht ist darauf einzugehen. Wir setzen also die Redetheile hier voraus, und fragen nur, wie sie sich zu Stoff und Form verhalten. Nun ist es aber gar keine [363] Frage, daß Substantiva und Verba, wie auch Adjectiva und Adverbia, Stoffelemente sind. Wie steht es aber mit dem Pronomen? Ich habe heute noch die Ansicht, die ich schon in den einleitenden Bemerkungen zu meiner Schrift De pronomine relativo ausgesprochen, daß die Pronomina Stoffwörter sind. Die Sache ist mir zu wichtig – denn die Eintheilung der Sprachen in formlose und Formsprachen, also der Kern der Classification der Sprachen beruht hierauf – als daß ich nicht hier dabei verweilen müßte. Ich habe meine Ansicht aus Humboldt geschöpft, ein Umstand, dessen ich mir damals, als ich sie zuerst aussprach, gar nicht bewußt war. Um dies Versehen wieder gut zu machen, werde ich hier an Humboldt anknüpfen und die betreffenden Stellen aus seiner Einleitung angeben. Sie finden sich nämlich S. 332. (oder CCCXLVIII.), 275 (oder CCXCI.), wo bestimmt das Pronomen von dem Personalzeichen am Verbum geschieden wird. Nun sagt zwar Humboldt nicht, worin der Unterschied liege, und doch gilt ihm derselbe für so groß und wichtig, daß hierauf im Wesent-

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enorme e pone una voragine profonda tra analisi linguistica e pura analisi del pensiero, tra grammatica e logica. Ripeto l’esempio già portato: tutti i caratteri e i movimenti sono per la logica determinazioni formali, per la grammatica sono invece elementi materiali, perché la lingua, l’autocoscienza istintiva, coglie e rappresenta quelle determinazioni formali come elementi materiali dell’intuizione. Il substantivum in quanto soggetto, vale per la lingua come la cosa in sé, come la sostanza, quindi solitamente come materia. Il contenuto di questa sostanza è colto proprio, però, nelle parole caratterizzanti, anche queste dunque sono parole materiali. §. 128. Parole provviste di forma e lingue prive di forma Se su, nel prendere in considerazione la rappresentazione della frase, avessimo dovuto sviluppare le parti del discorso della lingua o se dovessimo continuare a farlo nel seguito, la cosa ci avrebbe condotto ulteriormente a casi singoli, come se qui fosse nostra intenzione occuparci di questo. Piuttosto, diamo qui per presupposte le parti del discorso e chiediamoci solo come si comportino rispetto alla materia e alla forma. Ora, non vi è dunque alcun [363] dubbio che substantiva e verba, così come adjectiva e adverbia siano elementi materiali152. Ma come stanno le cose in merito al pronomen? Ancora oggi sono dell’opinione, come ho già detto nelle osservazioni introduttive al mio scritto De pronomine relativo153, che i pronomina siano parole che esprimono una determinazione linguistica materiale. La questione per me è di estrema importanza – giacché la partizione delle lingue in lingue provviste di forma e prive di forma, è a dire il principio della classificazione poggia su ciò – sebbene qui non mi sia dato soffermarmi su questo aspetto. Ho tratto il mio punto di vista da Humboldt, una circostanza di cui allora, quando la espressi per la prima volta, non ero consapevole. Per correggere questa svista, mi collegherò qui a Humboldt e citerò i punti esatti dalla sua Introduzione. Si trovano, infatti, a p. 332 (o CCCXLVIII) e 275 (o CCXCI), dove il pronomen è separato con decisione dalla persona del verbum154. Ora, Humboldt invero non dice dove stia la differenza, eppure essa è per lui tanto grande e importante che la

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lichsten die Reinheit und Vollkommenheit oder Unreinheit und Unvollkommenheit der Sprachen beruht. Wir glauben nun aber nicht bloß die Sache, sondern Humboldts Sinn, sein sprachwissenschaftliches Gefühl zu deuten, indem wir annehmen, daß die Pronomina ursprünglich Stoffwörter sind, die Personalendungen dagegen formale Elemente. Daher haben alle Sprachen, welche das Pronomen mit dem Particip verbinden, z. B. statt amo nur ego amans sagen, wie alle hinterasiatisehe Sprachen, das Tibetische, Mandschurische, Mongolische mit inbegriffen, alle diese Sprachen, sage ich, haben keine Verbalflexion, keine Formen, sind formlose Sprachen. Was ist denn wohl für ein Unterschied zwischen amo und ego amans? ist es denn so wesentlich, daß dort das Element für ego mit der Verbalwurzel verbunden, hier von ihr getrennt ist und für sich bleibt? Diese lautliche Beschaffenheit an sich ist sehr gleichgültig, und auf solche Merkmale eine Classification der Sprachen gründen heißt auf Sand bauen. Wir sagen „ich spreche“ in zwei völlig getrennten Wörtern, die aber doch nur eine Verbalform und eine ganz reine Form bilden; während jene Völker, und sprächen sie selbst egºamans, immer noch keine Form hätten; denn j’aime ist nicht reinere Form, [364] als je parle. So wenig also je parle weniger vollkommene und reine Form ist, als j’aime: so wenig würde auch ein mongolisches, tibetisches u.s.w. eg amans mehr Form sein, als ego amans. Nicht der Laut, sondern die innere Sprachform ist das Entscheidende; denn sie ist es, die dem Laute seinen Werth, seine Geltung und Bedeutung giebt: der Laut ist bloß Zeichen der innern Sprachform. Der innere Unterschied aber zwischen ego amans und amo besteht darin, daß uns dort ein Pronomen als Subject neben einem Merkmalsworte, also zwei Stoffwörter ohne formales Element gegeben sind; hier aber, in amo, ein Merkmal, eine Thätigkeit, ausgedrückt durch ein Stoffwort, welches durch seine Form in Beziehung zu einer Person gesetzt ist. Zwischen Pronomen und Personalendung herrscht der Unterschied, daß jenes eine wirkliche Person als ein materiales Wesen bedeutet: ich heißt der hier jetzt sprechende Mensch, du heißt der hier jetzt angeredete Mensch, er, sie, es das jetzt hier besprochene Wesen;

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purezza e la perfezione o la mancata purezza e l’imperfezione delle lingue poggia essenzialmente su ciò. Non crediamo solo d’interpretare la cosa, ma il senso, il sentimento linguistico di Humboldt, se assumiamo che i pronomina siano originariamente parole che esprimono una determinazione linguistica materiale, le desinenze personali al contrario elementi formali. Pertanto tutte le lingue che legano il pronomen al participio, ad es. invece di amo dicono ego amans, come tutte le lingue interasiatiche, comprese il tibetano, il manduco, il mongolo, tutte queste lingue, dico, non hanno flessione verbale, non hanno forme, sono lingue prive di forma. In cosa consiste, ora, la differenza tra amo ed ego amans? È poi così essenziale che lì l’elemento che sta per ego è connesso con la radice verbale e che qui rimane separato da essa? Questa struttura sonora in sé è indifferente ed erigere su queste caratteristiche una classificazione delle lingue significa costruire sulla sabbia. Noi diciamo “ich spreche” in due parole completamente divise, che però costituiscono una sola forma verbale e una forma completamente pura; mentre quei popoli, dicessero pure proprio egºamans, sarebbero ancora prive di forma; e ciò perché j’aime non è una forma più pura [364] di je parle. Così come je parle non è forma meno perfetta e pura di j’aime, nemmeno un mongolico, tibetano, etc. eg amans avrebbe più forma di ego amans. Non il suono, ma la forma interna della lingua è decisiva, giacché è lei che assegna al suono il suo valore, la sua validità e il suo significato: il suono è semplicemente segno della forma interna della lingua. La differenza interna, però, tra ego amans e amo, consiste nel fatto che nel primo è dato un pronomen in quanto soggetto accostato a una parola di qualità155, sono dunque date due parole che esprimono determinazioni linguistiche materiali senza elemento formale; qui invece, in amo, un carattere, un’attività, è reso attraverso una parola che esprime una determinazione linguistica materiale, la quale, attraverso la sua forma, è posta in relazione alla persona. Tra pronomen e desinenza personale vige la differenza che il pronomen indica la persona reale come un’essenza materiale, io significa l’uomo che sta parlando, tu significa l’uomo a cui ci si sta rivolgendo, lui, lei, esso le essenze di cui si sta parlando, non sono for-

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sind das nicht lauter Stoffelemente? Im Pronomen wird also ein Stoff*, eine Person angeschaut, und zwar als redende, angeredete oder besprochene unterschieden. Das Pronomen ist ein abstractes Wort, ohne Zweifel. Ist aber Person, Rede, Schönheit, Scharfsinn weniger abstract? Es sind abstracte Stoffe. Das Pronomen hat zum Inhalt die Person und bezeichnet dieselbe nach ihrem dreifach möglichen Bezuge zum Inhalt der Rede. Die Personalendung aber bezeichnet nur diesen Bezug, und nicht die Person, den Stoff selbst. Sie bezeichnet die Beziehung der Thätigkeit auf die Persönlichkeit, oder sie drückt die persönliche Beziehung der Thätigkeit aus. Für das instinctive Selbstbewußtsein ist jede Thätigkeit an eine Person geknüpft, selbst wenn es diese Person nicht kennt, wie in: es blitzt. Die Persönlichkeit, oder die Verknüpfung der Thätigkeit mit derselben, ist also eine Form, die jeder Thätigkeit, welche als wirklich gedacht wird, nothwendig zukommt; eine Kategorie derselben, so nothwendig wie die Zeit. Und diese Kategorie ist dreifach: erste, zweite und dritte Person. Liegt in amo, amat ein Subject? Nein! denn es liegt nur die Thätigkeit und ihre Beziehung auf ein Subject vor. Der [365] Satz aber ist doch vollständig; denn das fehlende Subject wird nothwendig hinzugedacht, da die Thätigkeit nur in Bezug auf dasselbe ausgesprochen wird. Wir fassen uns zusammen. Es sei eine Anschauung gegeben, z. B. die eines laufenden Hundes. Das instinctive Selbstbewußtsein tritt hinzu und erhebt diese Anschauung in das Gebiet der Vorstellung, indem es das Ding von dem Merkmal, der Bewegung, scheidet, also aus der einen Anschauung zwei Vorstellungen bildet, welche aber im Satze wieder vereinigt werden: der Hund läuft. Alle Sprachen stehen insofern auf der Stufe der Vorstellung, daß sie die einheitliche Anschauung in zwei Wörtern als Zeichen für zwei Vorstellungen auffassen. Hiermit aber ist bloß der Stoff der Vorstellung bezeichnet, wie ihn die Anschauung liefert. Das instinctive Selbstbewußtsein erfaßt nun aber nicht bloß die Elemente, welche den Stoff der Anschauung ausmachen, sondern * Sollte es nöthig sein ausdrücklich zu versichern, daß ich nicht glaube daß die Pronomina von Verbalwurzeln abgeleitet sind?

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se questi elementi sonori materiali? Nel pronomen, dunque, viene intuita una materia* 156, una persona, e questa è distinta come colui che parla, che ascolta o di cui si parla. Il pronomen è, senza dubbio, una parola astratta. Ma tuttavia persona, discorso, bellezza, acume, sono parole meno astratte? Esse sono materia astratta. Il pronomen ha come contenuto la persona e la designa secondo la sua triplice possibilità di connessione al contenuto del discorso. La desinenza personale, invece, designa solo questo riferimento e non la persona, non la materia stessa. Designa la relazione dell’azione alla personalità o esprime la relazione personale dell’azione. Per l’autocoscienza istintiva ogni azione è connessa alla persona, anche quando essa non conosce questa persona come nel caso di lampeggia. Il carattere personale, o la connessione dell’azione con il carattere personale, è dunque una forma che si confà necessariamente a quella azione che è pensata come reale, una categoria di essa, tanto necessaria quanto il tempo. E questa categoria è triplice: prima, seconda e terza persona. Vi è in amo, amat un soggetto? No! È presente solo l’attività e la relazione a un soggetto. La [365] frase però è completa giacché il soggetto mancante è apportato dal pensiero in modo necessario dal momento che l’attività è espressa soltanto in relazione a esso. Riassumiamo. Sia data un’intuizione, ad es. quella di un cane che cammina. Entra l’autocoscienza istintiva e innalza questa intuizione alla sfera della rappresentazione, distinguendo la cosa dalla caratteristica, dal movimento, costruendo così, da una sola intuizione, due rappresentazioni che tuttavia vengono nuovamente riunite nella frase: il cane cammina. Tutte le lingue sono al livello della rappresentazione, per il fatto che l’intuizione unitaria è colta in due parole come segni che stanno per due rappresentazioni. Con ciò però è designata soltanto la materia della rappresentazione così come la offre l’intuizione. L’autocoscienza istintiva, tuttavia, non coglie solo i due elementi che costituiscono la materia * Dovrebbe essere necessario assicurare esplicitamente che non ritengo che i pronomi sono derivati da radici verbali?

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auch die Beziehung dieser Elemente auf einander. Der Hund wird also als Subject bezeichnet und dadurch sogleich nicht absolut, sondern in Bezug auf eine Thätigkeit vorgestellt; umgekehrt wird auch wieder die Thätigkeit nicht absolut, sondern in Bezug auf das Subject als die Person gesetzt. So sind beide Vorstellungen geformt. Aber nicht im Geiste aller Völker hat das instinctive Selbstbewußtsein diese Macht gehabt, sowohl den Stoff der Anschauungen, als auch die Form ihrer Elemente in der Vorstellung zu erfassen; und solche Völker und Sprachen haben wohl Pronomina, aber keine Personalendungen, also keine geformten Verba; in Folge dessen auch keine geformten Substantiva, folglich keine Form. Man sieht also, daß die Formen der Sprache, der Wörter, Formen der Vorstellung bezeichnen, daß diese aber weder logische Beziehungen der Begriffe, noch auch nur reale Beziehungen den Dinge sind, sondern ein eigenthümliches Product des instinctiven Selbstbewußtseins. Es ist eben darum auch gar nicht unumgänglich nöthig, daß reale Beziehungen der Dinge durch Beziehungen der Wörter bezeichnet werden; denn es kommt erst noch darauf an, wie das instinctive Selbstbewußtsein die gegebene Anschauung, z. B. eines A hinter einem B, auffaßt: ob es nämlich überhaupt die reale Beziehung von A und B mit in die Vorstellung aufnimmt, und selbst wenn es dies thut, ob es die Beziehung der Dinge als eine Form derselben, oder als [366] ein drittes Stoffelement der Anschauung vorstellt neben den beiden Dingen, welche zwei andere Stoffelemente der Anschauung sind. So giebt es also Sprachen, welche die Anschauung „A hinter B“ als drei Stoffelemente darstellen: „A Rücken B“, oder in welcher Ordnung sie nun diese Elemente aufstellen mögen. Solche Sprachen stellen die gegebene Form als Stoff dar, und sind also formlose Sprachen. [373] C. Verschiedenheit der Sprachen. Wir haben versucht, die Sprache überhaupt entstehen zu sehen, in ihrem Entstehen ihr Wesen und Wirken zu erkennen, aus ihrem Wesen die Principien der Grammatik abzuleiten, und nach diesen Principien einige Hauptpunkte derselben zu ergründen.

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dell’intuizione, bensì anche la relazione reciproca di questi elementi. Il cane è pertanto designato come soggetto, e non per questo è rappresentato come soggetto assoluto, ma in rapporto a un’azione; d’altra parte anche l’azione non è posta in modo assoluto, bensì in relazione al soggetto in quanto persona. Così sono formate entrambe le rappresentazioni. Ma l’autocoscienza istintiva non ha avuto nello spirito di tutti i popoli questo potere di rilevare nella rappresentazione tanto la materia delle intuizioni, quanto la forma dei loro elementi; e quei popoli e quelle lingue in cui ciò non è accaduto hanno sì pronomina, ma non hanno desinenze personali, è a dire verbi provvisti di forma; di conseguenza non hanno neanche substantiva provvisti di forma, dunque non hanno forma. Si vede dunque che le forme delle lingue, delle parole, designano forme della rappresentazione, ma che queste non sono né relazioni logiche del concetto né semplici relazioni reali tra le cose, ma un prodotto peculiare dell’autocoscienza istintiva. Esattamente per questo non è per nulla indispensabile che le reali relazioni delle cose siano designate da relazioni delle parole. Ciò dipende anzitutto dal modo in cui l’autocoscienza istintiva comprende l’intuizione data, ad es. di una A dietro una B: se essa in generale accoglie nella rappresentazione la reale relazione di A e B e, se lo fa, se rappresenta la relazione delle cose come una forma che appartiene loro o come [366] un terzo elemento materiale dell’intuizione accanto alle due cose, che sono gli altri due elementi materiali dell’intuizione. Ci sono dunque lingue che rappresentano l’intuizione “A dietro B” come tre elementi materiali “A (alle) spalle (di) B” o in qualsivoglia ordine possano esse disporre questi elementi. Tali lingue rappresentano la forma data come materia e sono pertanto lingue prive di forma. [373] C. Diversità delle lingue Abbiamo cercato di cogliere in una prospettiva generale come sorge la lingua, di riconoscere nel suo sorgere la sua essenza e il suo operare, di derivare dalla sua essenza i principi della grammatica e di sondare, secondo questi principi, alcuni

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[374] Bei letzterer Gelegenheit war es schon nicht mehr möglich, von der Verschiedenheit der Sprachen abzusehen. Die Natur dieser Verschiedenheit haben wir uns jetzt klarer zu machen. 1. GRUND DER SPRACHVERSCHIEDENHEIT. Zuerst fragt es sich: worin liegt die Verschiedenheit der Sprachen? und wie ist sie möglich? bei der Einheit der menschlichen Natur und des menschlichen Geistes! Sie liegt sowohl in den einzelnen Lauten und der Weise ihrer Aneinanderreihung, also in der Lautform an sich, als auch in der innern Sprachform an sich, und auch in der Verbindung dieser mit jener, so daß dieselbe Vorstellung in den verschiedenen Sprachen verschiedene lautliche Bezeichnung findet. §. 132. Verschiedenheit in der Lautseite der Sprachen. Was zuerst die verschiedene Erzeugung der Laute betrifft, so ist offenbar, daß die eine Sprache Laute hat, die der andern ganz fehlen, und umgekehrt. Streng genommen aber läßt sich geradezu behaupten, daß keine Sprache auch nur einen Laut mit der andern wirklich und vollkommen gemein hat. Man vergleiche z. B. das französische und englische Alphabet: jeder Consonant und jeder Vocal der einen Sprache lautet anders, als der entsprechende der andern. Valentin (Grundriß der Physiologie des Menschen, §. 1428) sagt: „Die physiologische Prüfung der einzelnen Laute in den verschiedenen Sprachen und Dialekten kann viele Fragen der vergleichenden Sprachkunde aufklären... Jeder Dialekt beruht auf einer eigenthümlichen Einstellung, auf einer besondern Erziehung der Sprachwerkzeuge. Es erklärt sich hieraus, weshalb gewisse Reihen von Lauten eigenthümlicher klingen oder nicht, warum eine bestimmte fremde Sprache von den Angehörigen des einen Landes leichter und besser, als von denen eines andern gesprochen wird, aus welchem Grunde einzelne Accente der Muttersprache nachklingen. Solche physiologische Betrachtungen erläutern häufig die Schicksale, denen dasselbe Wurzelwort im Laufe der Zeiten oder in verschiedenen verwandten Sprachen unterworfen wurde, und selbst manche Verhältnisse der Quantität oder Metrik in überraschender Weise.“

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dei suoi aspetti fondamentali. [374] Già in rapporto a ciò, non era quasi più possibile trascurare la diversità delle lingue. Ora dobbiamo chiarire la natura di questa diversità. 1. RAGIONE DELLA DIVERSITÀ DELLE LINGUE Anzitutto ci si chieda: in cosa consiste la diversità delle lingue? e come è possibile, data l’unità della natura umana e dello spirito umano? La diversità sta sia nei singoli suoni e nel modo di ordinarli, ovvero nella forma fonetica in sé, sia nella forma interna della lingua in sé e altresì, nella connessione di questa con quella, ragion per cui la stessa rappresentazione trova in lingue diverse una differente designazione fonetica. §. 132. Diversità nel lato fonetico delle lingue Per ciò che concerne la produzione dei suoni, anzitutto è evidente che una lingua possiede suoni che mancano del tutto alle altre e viceversa. In senso rigoroso, tuttavia, si può perfino affermare che nessuna lingua ha realmente e perfettamente in comune anche solo un suono con le altre. Si paragonino, ad esempio, l’alfabeto francese e inglese, ogni consonante e vocale di una delle due lingue risuona in modo diverso da quella corrispondente dell’altra. Valentin (Grundriß der Physiologie des Menschen, §. 1428)157 dice «l’esame fisiologico dei singoli suoni in lingue e dialetti diversi può chiarire molte questioni della linguistica comparata … Ogni dialetto poggia su una disposizione peculiare e su una peculiare educazione degli organi della fonazione. Da ciò si spiega perché certe serie di suoni si configurino in modo più o meno caratteristico, perché una specifica lingua straniera è parlata più facilmente e meglio da coloro che appartengono a un certo paese piuttosto che da quelli di un altro, per quale ragione riecheggino alcuni suoni della lingua madre. Queste considerazioni fisiologiche spiegano spesso in modo sorprendente le evoluzioni a cui è soggetta la stessa radice della parola nel corso dei tempi o in lingue diverse tra loro imparentate, e spiegano anche alcuni rapporti di quantità e metrica».

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Ich sollte meinen, nicht bloß die „eigenthümliche Einstellung der Sprachwerkzeuge“, sondern auch ihre Form müsse bei [375] verschiedenen Völkern verschieden sein, und beide müssen sich wechselseitig bestimmen. Wie nicht bloß die Gesichtszüge des Engländers, sondern auch die ganze Form des englischen Kopfes etwas Eigenthümliches hat, ebenso müssen auch seine Sprachorgane in entsprechender Weise eigenthümlich gebildet sein. Nun weiß man auch, wie eine gewohnte Arbeit die Entwickelung der Glieder, die bei derselben vorzüglich beschäftigt sind, in auffallender Weise bestimmt und diese Glieder besonders formt. Ein englisches Kind also, das im ersten Lebensjahre nach Frankreich gebracht würde und die französische Sprache als Muttersprache erlernte, und ein anderes, das in Rußland russisch lernte, müßten beide ganz anders entwickelte und geformte Sprachorgane bekommen, als die Engländer, aber auch andere, als die Franzosen und Russen, und jedes müßte andere Organe haben, als das andere. Meßbar freilich, anatomisch bestimmbar, mögen diese Verschiedenbeiten nicht sein. Kann man aber einen mongolischen und einen europäischen Kopf ansehen und meinen, sie hätten nicht verschiedene Sprachorgane? Die Sprachen erscheinen lautlich immer noch ähnlicher, als man nach kraniologischen Verschiedenheiten vermuthen dürfte. Daß dieselben Wahrnehmungen sich bei den verschiedenen Völkern in verschiedenen Lauten reflectiren, kann eben so wenig Wunder nehmen, als daß der Zorn und jeder andere Affect, jede Leidenschaft, sich auf verschiedenen Gesichtern doch ganz verschieden offenbart, und bei den Menschen verschiedene pathologische Erfolge hat. Den Einen treibt der Zorn zum Toben; dem Andern benimmt er den Athem, daß er nicht sprechen kann; dem Dritten erregt er einen Erguß der Galle. Kurz alles Leiden des Leibes in Folge von Seelenerregungen zeigt sich so mannigfach gestaltet je nach der individuellen Constitution des Leibes, daß die Verschiedenheit der Lautreflexe auf dieselben Wahrnehmungen bei verschiedenen Völkern nicht auffallen kann.

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Sarei portato a ritenere che in [375] popoli diversi non solo debbano esser diverse le «disposizioni peculiari degli organi fonatori», ma anche la loro forma ed entrambe debbano determinarsi reciprocamente. Come non hanno qualcosa di caratteristico solo i tratti del viso degli inglesi, ma anche la forma complessiva della loro testa, così anche i loro organi fonatori devono essere costituiti, rispettivamente, in modo caratteristico. Ora, si sa pure come un lavoro costante determini in modo decisivo lo sviluppo delle componenti che vi sono coinvolte e contribuisca a formare queste componenti. Un bambino inglese, dunque, che fosse portato in Francia nei primi anni di vita e imparasse il francese come lingua madre e un altro, che imparasse il russo in Russia, dovrebbero, per questo, ricavarne organi della fonazione sviluppati e costituiti diversamente da quelli degli altri bambini inglesi, ma differenti anche da quelli dei francesi e dei russi, e ognuno dei due dovrebbe avere organi diversi dall’altro. Ma queste diversità non possono essere misurabili, determinabili da un punto di vista anatomico. È però possibile osservare la testa di un mongolo e di un europeo e credere che non abbiano organi differenti della fonazione? Le lingue dal punto di vista fonetico appaiono sempre più somiglianti di quanto si potrebbe supporre a partire dalle differenze nella forma del cranio. Il fatto che le stesse percezioni in popoli diversi si riflettano in suoni diversi, non può suscitare più meraviglia del fatto che la collera e ogni altro sentimento e passione si manifestano in modo del tutto differente su volti diversi e producono nell’uomo effetti patologici disparati. La collera porta uno all’agitazione, all’altro toglie il respiro fino a impedirgli di parlare, al terzo provoca un travaso di bile. In breve, ogni affezione del corpo derivata da stimolazioni dell’anima si manifesta con una ben diversa configurazione a secondo della costituzione fisica individuale, cosicché non può certo stupire la diversità, presso popoli differenti, di suoni riflessi provocati dalle stesse percezioni.

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§. 133. Verschiedenheit in der innern Sprachform. Der wesentlichste Punkt der Sprachverschiedenheit beruht auf der innern Sprachform, auf der Weise, wie das instinctive Selbstbewußtsein die Anschauungen sich aneignet und in Vorstellungen umsetzt. Wir haben oben die Sprache mit der sogenannten angeborenen Idee, d. h. den allgemeinen Kategorien der geistigen Thätigkeit [376], zusammengestellt. Dies ist auch rücksichtlich des allgemeinsten Punktes, auf dem die Sprache beruht, nämlich des Wandels der Anschauung in die Vorstellung, durchaus richtig. Ueber diesen Punkt hinaus aber bricht ein Unterschied hervor. Man vergesse nicht, daß die Vorstellung ein Doppeltes in sich schließt; denn sie ist die durch eine sprachliche Anschauung dargestellte Anschauung. Die sprachliche Anschauung ist Mittel; die durch dieses Mittel dargestellte Anschauung ist der Inhalt und die eigentliche Sache der Vorstellung. Nennen wir nun diese Anschauung des Inhaltes vorzugsweise Vorstellung, so müssen wir sagen, daß es zwar für die Klarheit und vollkommene Entwikkelung der Vorstellung zum Begriffe höchst förderlich ist, wenn sie von einer parallel laufenden Entwickelung des sprachlichen Mittels, der innern Sprachform, begleitet wird; ja nach dem Einflusse, den die Sprache auf das Denken ausübt, wie wir ihn oben kennen gelernt haben, dürfen wir sicher behaupten, die Vorstellung, wenn sie nicht so weit von der innern Sprachform begleitet wird, als dies möglich ist, wird nie zu einer gewissen Höhe des Begriffs gelangen; aber es ist doch mit diesem Vortheil, welchen die Vorstellung für ihre Entwickelung aus der des Mittels ihrer Darstellung zieht, noch nicht gegeben, daß die Entwickelung des einen Elements nothwendig eben so vor sich gehen müsse, wie die des andern. Die Vorstellung entwickelt sich nothwendig in Bahnen, nach Formen und Gesetzen, die ganz unabänderlich und unausweichlich sind. Die drei Dimensionen des Raumes, die einfache Ausdehnung der Zeit, die Zahlenreihe, und alles was man Kategorien nennt, das Ding mit seinen Eigenschaften, Ruhe und Bewegung, Sein und Werden, Veränderung: das sind solche Formen geistiger Thätigkeit, welche die Natur des Geistes constituiren, von denen sich die Seele nicht losmachen kann, Organe und Gefäße des Geistes. Hiervon aber ist die wirkliche Thätigkeit

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§. 133. Diversità nella forma interna della lingua L’aspetto più rilevante della diversità delle lingue poggia sulla forma interna della lingua, sul modo in cui l’autocoscienza istintiva si appropria delle intuizioni e le trasforma in rappresentazioni. Su abbiamo associato la lingua alle cosiddette idee innate, è a dire alle categorie universali dell’attività [376] spirituale. Ciò è del tutto giusto anche in riferimento all’aspetto più universale su cui si basa la lingua, è a dire alla trasformazione dell’intuizione in rappresentazione. In rapporto a questo aspetto si profila tuttavia una differenza. Non si dimentichi che la rappresentazione racchiude in sé una duplicità, poiché è l’intuizione rappresentata per mezzo di un’intuizione linguistica. L’intuizione linguistica è il mezzo; l’intuizione rappresentata da questo mezzo è il contenuto e l’oggetto proprio della rappresentazione. Se ora vogliamo definire questa intuizione del contenuto “rappresentazione”, allora dobbiamo dire che, per la purezza e il perfetto sviluppo della rappresentazione in concetto, è di estrema importanza che essa sia accompagnata da uno sviluppo parallelo del mezzo linguistico, della forma interna della lingua. Per l’incidenza che la lingua esercita sul pensiero, come abbiamo imparato sopra, possiamo affermare con certezza che la rappresentazione, se non è accompagnata quanto più possibile dalla forma interna della lingua, non perverrà mai a un elevato livello del concetto. Ma, in ragione di questo giovamento che la rappresentazione trae per il suo sviluppo dallo sviluppo del mezzo della sua rappresentazione, non è certo dato il fatto che lo sviluppo di un elemento debba per forza procedere come quello dell’altro. La rappresentazione di necessità si sviluppa su binari, secondo forme e leggi, del tutto invariabili e ineluttabili. Le tre dimensioni dello spazio, la semplice estensione del tempo, la serie dei numeri, e tutto ciò che si definisce con la nozione di categorie, la cosa con le sue qualità, la quiete e il movimento, l’essere e il divenire, il mutamento: sono queste le forme dell’attività spirituale che costituiscono la natura dello spirito da cui l’anima non può divincolarsi, sono questi gli organi e i condotti dello spirito. L’attività reale dello spirito, il

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des Geistes, das wirkliche Denken verschieden. Jene Formen sind allerdings der Seele nicht eingeboren, es sind nicht ihr anerschaffene Organe; sie haben sich selbst erst durch die Thätigkeit des Geistes gebildet. Aber nicht nur sind sie nothwendig der Seele entsprungen, und sind in allen Menschen unabänderlich dieselben, unserer Willkür völlig entzogen; sondern sie bilden sich auch bewußtlos aus und bleiben von dem größten Theile der Menschen unbeachtet. Nur die philosophische Bildung richtet [377] die Aufmerksamkeit auf jene Kategorien, obwohl dieselben in jedem Augenblicke des Denkens wirklich thätig sind: gerade wie die Gesetze des Blutumlaufes wirken, ohne daß sich der Mensch dessen bewußt wird, wenn er nicht Physiologie studirt. Jene Kategorien wirken also im Denken, wie die Gesetze in der Natur, unbekümmert darum, ob man ihrer bewußt wird. Sie sind mithin der Weise ihrer Entstehung und Existenz nach von allem sonstigen Inhalte des Geistes verschieden. Denn ob der Geist diese oder jene Kenntniß oder Vorstellung hat, hängt nicht von ihm selbst ab; die Kenntnisse werden ihm von außen gegeben: jene Kategorien aber werden ihm nicht gegeben; sondern er bildet sie aus, indem er Vorstellungen bildet, sie seien, welche sie wollen, auf diesen oder jenen Theil der Welt bezüglich, wahr oder falsch. Die Kategorien sind darum auch ihrem Inhalte nach und in ihrem Verhältnisse zu den wirklichen Gedanken ganz eigener Art. Wie der Strom sich selbst sein Bett wühlt, so graben die Vorstellungen, welche der Geist faßt, in der Seele Bahnen, in denen sich die folgenden Vorstellungen ebenfalls weiter wälzen. Für das Bett ist es gleichgültig, ob das darin fließende Wasser aufgelösten Kalk oder Eisen enthält, oder ob es gar von flüssiger Lava ausgefüllt wird: solch ein Bett sind die Formen des Geistes. Sie bezeichnen nur Verhältnisse, deren Factoren die Wirklichkeit und das materiale Denken liefert; sie entspringen mit und an dem materialen Denken, wie Spuren, welche dieses auf seinem Wege zurückläßt. Ding und Eigenschaft z. B. sind zwei leere Plätze, die in Beziehung zu einander stehen, die aber erst durch das materiale Denken ausgefüllt werden müssen. Für uns ist es vorzüglich wichtig dies festzuhalten, daß diese Kategorien – Spuren, welche sich beim Denken durch dasselbe bilden, durchaus bewußtlos entstehen. Millionen Menschen unterscheiden fortwährend Dinge und Eigenschaften, ohne die

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pensiero reale, però è diverso da ciò. Quelle forme non sono di certo innate nell’anima, non sono organi originari; si sono costituite attraverso l’attività dello spirito. Non solo, però, sono scaturite dall’anima con necessità, sono uguali in tutti gli uomini e sono interamente sottratte al nostro arbitrio, ma si formano anche inconsapevolmente e la maggior parte degli uomini non vi presta attenzione. Solo la cultura filosofica è [377] attenta a quelle categorie, sebbene esse siano davvero attive in ogni istante del pensare: esattamente come le leggi della circolazione del sangue operano senza che l’uomo ne sia consapevole, almeno che non studi fisiologia. Quelle categorie operano, dunque, nel pensiero come le leggi operano nella natura, indifferenti al fatto che si sia consapevoli di esse. Sono, per il modo in cui sorgono e per la loro esistenza, differenti da qualsiasi altro contenuto dello spirito. Ed è così, perché se lo spirito è in possesso di questa o quella conoscenza o rappresentazione non dipende da lui: le conoscenze gli vengono fornite dall’esterno; quelle categorie però non gli sono date: se le forma lui costituendo rappresentazioni, siano esse ciò che si vuole, riferite a questa o a quella parte del mondo, vere o false. Pertanto, le categorie sono di tipo del tutto peculiare secondo il loro contenuto e secondo il rapporto che intrattengono con il pensiero reale. Come il torrente scava da sé il letto su cui scorre, così le rappresentazioni che lo spirito produce tracciano nell’anima binari in cui le rappresentazioni seguenti si dipanano ulteriormente. Per il letto del torrente è indifferente che l’acqua che vi scorre contenga calcare o ferro disciolto o se è pieno di lava liquida: le forme dello spirito sono equivalenti a questo letto. Designano solo rapporti, i cui fattori sono offerti dalla realtà e dal pensiero materiale. Essi sorgono assieme al pensiero materiale, come tracce che questo lascia sulla sua via. Cosa e qualità, ad esempio, sono due luoghi vuoti che stanno in relazione l’un con l’altro, luoghi che devono tuttavia essere riempiti in primo luogo col pensiero materiale. Per noi è di particolare importanza il fatto che queste categorie-tracce, che si costituiscono nel pensiero e attraverso di esso, sorgano del tutto inconsapevolmente. Milioni di uomini separano ininterrottamente cose e qualità, senza essere consa-

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Kategorien hiervon, Substanz und Attribut, im Bewußtsein zu haben. Das Kind, der Wilde urtheilt schon nach causalem Zusammenhange, ohne Bewußtsein über die Kategorie der Ursache. Diese Kategorien, Substanz, Ursache, leben also im Geiste des Wilden, sind energisch in ihm, werden ihm aber nicht bewußt. Wie könnte also die Entstehung dieser Kategorien von seinem Bewußtsein abhängen? sie entstehen von selbst mit und an dem Denken in nothwendiger Weise. [378] Diese Kategorien gehören aber nicht der Sprache; denn sie gehören der Vorstellung, an der sie sich blind entwickeln, nicht der innern Sprachform; sie sind ein Product des geistigen Instincts. Die innere Sprachform aber ist instinctives Selbstbewußtsein; nicht die ganze Vorstellung liegt in ihr, sondern nur so viel, als das instinctive Selbstbewußtsein von der materialen Anschauung erfaßt, und nur in der Weise, wie dies geschieht. Vorstellung oder materiale Anschauung und innere Sprachform stehen also unter ganz verschiedenen Gesetzen der Entwickelung: jene schafft sich ihre Bahnen und Formen mit unausweichbarer und unabänderlicher Nothwendigkeit, im blinden Drange; die innere Sprachform entwickelt, in einem Analogon von Selbstbewußtsein, sich selbst ihre Formen, wie sie dieselben an der Anschauung aufzufassen versteht. Das instinctive Selbstbewußtsein ist also instinctive Freiheit, ist Subjectiviät, d. h. eine subjective Auffassung des Objectiven; und somit ist die Möglichkeit zu der größten Verschiedenheit ihres Erzeugnisses, der innern Sprachform, gegeben. Diese wird bald gewisse Formen besitzen, bald nicht, bald solche und bald andere. §. 134. Tiefster Grund der Sprachverschiedenheit. Diese Verschiedenheit des instinctiven Selbstbewußtseins kann aber nicht unbedingt sein; sie muß, so zu sagen, ihren genügenden Grund haben. Dieser ist ein doppelter: er liegt ursprünglich und am tiefsten in der geistigen Organisation der Völker, und dann auch in der Eigenthümlichkeit der Sprachorgane und der Weise, wie diese die Anschauung reflectiren. Zunächst, auf der ursprünglichsten onomatopoetischen Stufe fällt die innere Sprachform mit dem Laute zusammen; das instinctive Selbstbewußtsein erwacht in und an dem reflectirten Laute. Was im Laute liegt, das ist der erste Inhalt des Selbstbewußtseins. Dann trennt

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pevoli delle corrispondenti categorie di sostanza e attributo. Il bambino, il selvaggio, giudicano già secondo il nesso causale, pur non essendo consapevoli della categoria di causa. Queste categorie di sostanza e causa vivono dunque nello spirito del selvaggio, vi sono attive, ma non gli sono note. Come potrebbe, allora, la nascita di queste categorie dipendere dalla sua consapevolezza? Esse sorgono da sé, in modo necessario, con e nel pensiero. [378] Ma queste categorie non appartengono alla lingua, perché appartengono alla rappresentazione assieme a cui si sviluppano inconsapevolmente, non alla forma interna della lingua; sono un prodotto dell’istinto spirituale. La forma interna della lingua, però, è autocoscienza istintiva, in essa non sta l’intera rappresentazione, ma solo quella parte che l’autocoscienza istintiva apprende dell’intuizione materiale, e solo nella misura in cui ciò accade. Rappresentazione o intuizione materiale e forma interna della lingua si trovano dunque dominate da leggi di sviluppo diverse: quella si costituisce i propri binari e le proprie forme con invariabile e ineluttabile necessità e secondo un cieco impulso; la forma interna della lingua sviluppa, in un analogon dell’autocoscienza, le sue forme da sé, come è capace di coglierle nell’intuizione. L’autocoscienza istintiva è dunque istintiva libertà, è soggettività, è a dire conoscenza soggettiva dell’oggettivo; e per questo è data la possibilità della massima differenziazione del suo prodotto, della massima differenziazione della forma interna della lingua. Questa a volte possiederà certe forme altre no, a volte queste altre quelle. §. 134. La ragione più profonda della diversità delle lingue Questa diversità dell’autocoscienza istintiva, però, non può essere incondizionata; deve, per dir così, avere la sua ragion sufficiente. Essa è duplice. Originariamente e più profondamente, sta nell’organizzazione spirituale dei popoli; poi, nella peculiarità degli organi fonatori e nel modo in cui essi riflettono l’intuizione. La forma interna della lingua coincide col suono anzitutto al livello primario dell’onomatopea; l’autocoscienza istintiva sorge assieme al suono riflesso. Ciò che risiede nel suono è il primo contenuto dell’autocoscienza. Poi

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sich die Entwickelung beider, aber doch nicht so, daß dadurch die engste Wechselwirkung zwischen beiden ausgeschlossen würde. Sie bestimmen sich gegenseitig, so lange sie sich bilden, und dieses Bilden hört genau genommen nie auf. Ueber diesen Zusammenhang der Verschiedenheit der Sprachen mit der der Völker selbst, wird unten noch einiges gesagt werden. [379] 2. ORGANISMUS, PRINCIP UND INDIVIDUALITÄT DER SPRACHE. §. 135. Man wird uns fragen, ob wir die Sprache einen Organismus nennen wollen? – Was soll uns aber, frage ich, ein Wort, das auf seinem einheimischen Boden niemals einen klaren Sinn gehabt hat und schon seit langer Zeit alle Bedeutung mehr und mehr zu verlieren droht? Doch sehen wir davon ab, welchen Sinn kann für uns das Wort organisch haben? Es kann nicht bestehen ohne seinen Gegensatz, das Unorganische; und wo läge für die Sprache ein solcher Gegensatz? Das Wort organisch könnte für uns nur einen übertragenen Sinn haben; denn die Sprache gehört wesentlich dem Geiste, ist ein geistiges Erzeugniß. Eine rein natürliche Bedeutung könnte es sicherlich nicht haben. Soll es uns nun andeuten, daß der Ursprung der Sprache in dem nothwendigen Gange der geistigen Entwickelung liegt? und noch specieller, im Zusammenhange von Seele und Leib? Man gestatte mir die Hoffnung oder, wenn man will, die Einbildung, daß ich diese Punkte viel bestimmter erfaßt und gründlicher erörtert habe, als das Wort organisch auszudrükken vermag, und sie zugleich von allen Schiefheiten und Uebertreibungen gereinigt habe, zu denen dasselbe veranlaßt hatte. Dies Wort hat seine Epoche ausgelebt. In einer andern Beziehung könnte uns das Wort Organismus wichtiger werden, als es für Becker war, der die Individualität der Sprachen nicht zu erfassen vermochte, weil er nicht einmal ihre Verschiedenheit begriff. Indem wir nun hier von der Verschiedenheit der Sprachen reden, müssen wir eben bemerken, daß jede Sprache als eine vom instinctiven Selbstbewußtsein gebildete Anschauung der äußern und innern Welt des Menschen anzusehen

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lo sviluppo di suono e autocoscienza si dividono, ma non in modo tale da escluderne il più intimo rapporto. Essi si determinano reciprocamente fintanto che si costituiscono e questo costituirsi, in senso rigoroso, non s’interrompe mai. Su questa connessione della diversità delle lingue con la diversità dei popoli stessi, si dirà ancora qualcosa più avanti. [379] 2. ORGANISMO, PRINCIPIO E INDIVIDUALITÀ DELLA LINGUA §. 135 Ci verrà chiesto se intendiamo definire la lingua un organismo. – Che può dirci, domando, un termine che nel suo dominio abituale non ha mai conseguito un senso chiaro e già da molto tempo minaccia sempre più di perdere ogni significato? Possiamo prescindere dal senso che il termine organico può avere per noi? Esso non può sussistere senza il suo contrario, l’inorganico; e dove risiederebbe per la lingua un siffatto contrasto? La parola organico potrebbe assumere per noi solo un senso improprio giacché la lingua appartiene essenzialmente allo spirito, è un prodotto spirituale. Un significato puramente naturale, non potrebbe certo averlo. Ciò, per noi, deve significare che l’origine della lingua si trova nel corso necessario dello sviluppo spirituale? E in modo ancora più preciso, nella connessione di anima e corpo? Mi si conceda la speranza, o se si vuole, la fantasia, di aver compreso e analizzato questi aspetti in modo ben più analitico di quanto possa esprimere il termine “organico” e di averli altresì purificati da tutte le storture ed esagerazioni a cui quella stessa parola li aveva condotti158. Questa parola ha fatto il suo tempo. In un altro senso il termine “organismo” potrebbe divenire per noi più importante di quanto non lo è stato per Becker, che non fu capace di cogliere l’individualità delle lingue, perché non seppe concepirne la diversità. Dal momento che noi discutiamo qui, finalmente, della diversità delle lingue, dobbiamo notare che ciascuna lingua deve essere intesa come un’intuizione del mondo esterno e interno dell’uomo costruita

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ist. Dieser instinctiven Welt- und Selbstanschauung liegt aber ein individuelles Princip zu Grunde; sie ist ein zusammenhängendes System, dessen Theile alle einen gemeinsamen Typus tragen, der ihnen von dem Principe aufgeprägt ist, dessen Entwickelung sie sind. Durch diesen gemeinsamen Charakter geben sie sich kund als aus demselben Quell entsprungen und zu demselben Ziele wirkend, und dieser Quell und dieses Ziel ist eben ihr Princip. Diese in jeder Sprache liegende Einheit, welche daher rührt, daß das Ganze [380] die Theile bestimmt, und jeder Theil als bestimmtes, besonderes Glied des Ganzen charakterisirt ist, könnten wir mit dem Worte Organismus bezeichnen. Doch wozu? die gebrauchten Wörter tragen eine geistigere Bedeutung in sich; und so ziehen wir es vor, jede Sprache ein aus einem einheitlichen Principe geflossenes System, ein individuelles geistiges Gebilde, zu nennen. Der Grund aber dieser Einheit und Individualität der Sprachen liegt in der Eigenthümlichkeit des Volksgeistes. Wir haben schon im ersten Theile dieses Buches gezeigt, wie wir hiermit ganz im Sinne Humboldts verfahren. Die individuelle Einheit, das besondere Princip jeder Sprache ist nach drei Seiten darzustellen: nach der Seite des Lautes an sich, der innern Form an sich, und des Verhältnisses beider zu einander. So liegt z. B. das Individuelle der semitischen Sprachen schon in ihrem Alphabete und in der Verknüpfung der Laute. Vielleicht geschieht es ausschließlich in diesen Sprachen, daß man Lautverbindungen wie tk, tp, kp im Anlaute des Wortes bildet. Ferner ist die innere Form dieser Sprachen durchaus individuell, und eben so ist es drittens die Weise, wie die innere Form durch die Lautform ihre Bezeichnung findet, wobei namentlich der Unterschied zwischen der Verwendung der Vocale und der der Consonanten eine so auffallende Erscheinung darbietet. Höchst wichtig ist nun bei dem Princip der Sprachen die Consequenz, mit welcher es durchgeführt wird; und in dieser Beziehung, fürchte ich, sind die semitischen Sprachen von dem Vorwurf der Inconsequenz nicht frei. Ihre Wortbeugung geschieht theils durch innern Wandel des Wurzelvocals, theils durch Affixa.

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dall’autocoscienza istintiva. Alla base di questa intuizione del mondo e di se stessi sta però un principio individuale; essa è un sistema interconnesso159, le cui parti veicolano un tipo comune, plasmato in ciascuna di esse dal principio stesso di cui queste parti rappresentano lo sviluppo. In ragione di questo carattere comune, le diverse parti si manifestano come sorte dalla stessa scaturigine e operanti verso il medesimo fine, e questa scaturigine e questo fine coincidono appunto con il loro principio. Questa unità che risiede in ogni lingua, e dipende dal fatto che l’intero [380] determina le parti e che ogni parte è caratterizzata come componente determinata e specifica dell’intero, possiamo designarla con il termine organismo. E perché mai dovremmo? Le parole che abbiamo usato possiedono un significato più penetrante, per questo preferiamo definire ogni lingua un sistema scaturito da un principio unitario, un costrutto spirituale individuale. Ma la ragione dell’unità e individualità delle lingue risiede nella specificità dello spirito del popolo. Abbiamo già mostrato, nella prima parte di questo libro, che in rapporto a ciò procediamo esattamente nella stessa direzione di Humboldt160. Bisogna illustrare l’unità individuale, il principio particolare di ogni lingua, sotto tre aspetti: sotto quello del suono in sé; della forma interna in sé; e del rapporto dell’uno con l’altra. Così, ad esempio, il carattere individuale delle lingue semitiche risiede già nel loro alfabeto e nella connessione dei suoni. Accade, forse solo in queste lingue, che si costituiscano gruppi consonantici come tk, tp, kp all’inizio della parola. Inoltre, la forma interna di queste lingue è assolutamente individuale e lo stesso vale, in terzo luogo, per il modo in cui la forma interna è designata dalla forma fonetica, nella quale segnatamente la differenza tra l’utilizzazione della vocale e quella della consonante offre un fenomeno tanto evidente. Di estrema importanza, in riferimento al principio delle lingue, è la consequenzialità con cui esso viene attuato; e, sotto questo rispetto, temo che le lingue semitiche non siano esenti dal rimprovero di mancata consequenzialità. La flessione delle loro parole avviene in parte attraverso la trasformazione interna della vocale radicale, in parte per mezzo degli affixa.

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Die Darstellung der Einheit der Sprachen zerfällt aber nach einer andern Beziehung in zwei Theile: Einheit des Wortschatzes, des materialen Elements der Sprache, und Einheit der Formbildung. In jedem dieser Theile treten die obigen drei Rücksichten auf. Die Einheit der Grammatik wird allemal eine engere sein, als die des Wortschatzes, und ist auch besser begriffen worden, als diese, rücksichtlich welcher noch Mißverständniß herrscht. Beckers verunglückten Versuch, die lexikalische Einheit darzulegen, haben wir schon kennen gelernt. Wir sehen aber jetzt seinen Fehler klarer. Er wendet sich an die Begriffe statt an die Sprachform, und so giebt er eine logische Construction statt einer lexikalischen. [381] Soll das System der Wörter einer Sprache gebildet werden, so ist als leitendes Prinzip die innere Sprachform in ihrem Zusammenhange mit dem Laute zu nehmen (vergl. Humboldt, Einl. S. 108 ff. oder CXXIV.). Zuerst sind die Wörter auf ihre Wurzeln zu reduciren, wobei mit aller Vorsicht die ursprünglichste Lautform und innere Anschauung der Wurzel festzustellen ist. Dann werden sich die Wurzeln, nach der Aehnlichkeit ihrer Laute und ihrer innern Anschauung zugleich, in Gruppen oder Familien zusammenstellen. Es ist danach zu streben, solcher Gruppen möglichst große und möglichst wenige zu erhalten. Doch muß man sich vor Uebertreibung hüten; es wird nicht bloß nicht möglich sein, die Wurzeln alle von einer abzuleiten, sondern auch nicht von zehn oder zwölf. Auch wird es Wurzeln geben, die ganz isolirt bleiben und sich gar keiner Gruppe anschließen. Für die hebräische Sprache und für die griechische hat man solche Gruppirung der Wurzeln schon längst versucht, indem man Wurzeln, welche ein wesentliches consonantisches Element gemeinsam haben, so daß sie wie Variationen eines Wurzellautes erscheinen, und welche zugleich eine verwandte Bedeutung haben, zusammenfaßte; z. B. hebr. qara (rufen), engl. to cry, hebr. karas, NUDY]Z NUZY]Z NKUXYVVZ; oder hebr. zahal, zahar, sahar, halal, zalal; zacha, zachar; zaha, zahab; saha sahab; tahar, tachar, welche alle in verschiedenen Abstufungen und Färbungen das Hell ausdrücken, das Glänzen, das Reine, das Gelbe (Gold), das moralisch Reine, den hellen Klang; oder das griechische NHYOOZ NLYOOZNXOLYQTZL>OOZHL>OZH-OLYVVZ u.s.w.

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L’illustrazione dell’unità delle lingue, tuttavia, si scinde in due parti anche secondo un’altra relazione: l’unità del patrimonio lessicale, dell’elemento materiale della lingua, e l’unità della formazione [grammaticale]. In ognuna di queste parti si presentano i tre suddetti aspetti. L’unità della grammatica sarà senz’altro più intima di quella del patrimonio lessicale, ed è stata anche meglio compresa di quest’ultima, riguardo alla quale invece regna ancora il fraintendimento. Abbiamo già conosciuto il poco fortunato tentativo di Becker di rappresentare l’unità lessicale161. Ora, però, scorgiamo il suo errore con maggiore chiarezza. Egli si volge ai concetti invece che alla forma della lingua e offre, pertanto, una costruzione logica al posto di una lessicale. [381] Deve essere costruito il sistema di parole di una lingua, allora bisogna assumere come principio guida la forma interna della lingua nella sua connessione col suono (si veda W. v. Humboldt, Ein., p. 108 e sgg o CXXIV)162. Anzitutto le parole devono essere ridotte alle loro radici; con riferimento a ciò bisogna accertare con ogni cautela la forma fonetica più originaria e l’intuizione interna della radice. Poi le radici si raccoglieranno, secondo la somiglianza dei loro suoni e insieme della loro intuizione interna, in gruppi o in famiglie. Bisogna poi sforzarsi di mantenere tali gruppi quanto più possibile grandi e in numero il più possibile esiguo. Bisogna inoltre guardarsi dall’esagerare: non solo non sarà possibile derivare tutte le radici da una, ma nemmeno ricondurle a dieci o dodici. Vi saranno anche radici che rimangano del tutto isolate e non si legano a nessun gruppo. Per le lingue ebraiche e quelle greche questo raggruppamento delle radici è stato tentato già da molto tempo, associando tra loro radici che hanno in comune un elemento consonantico essenziale, così da apparire come variazioni di un solo suono radicale, e hanno contemporaneamente un significato affine. Ad esempio in ebraico qara (chiamare), ing. to cry, ebr. karas, NUDY]ZNUZY]ZNKUXYVVZ o ebr. zahal, zahar, sahar, halal, zalal; zacha, zachar; zaha, zahab; saha, sahab; tahar, tachar, i quali tutti in diverse gradazioni e sfumature esprimono il luminoso, il brillante, il puro, il giallo (l’oro), il moralmente puro, il suono distinto; o i termini greci NHYOOZNLYOOZNXOLYQTZL>OOZHL>OZH-OLYVVZ etc.

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Schon hierbei kann man wahrnehmen, wie dieselbe Grundbedeutung sich mannigfach umgestaltet durch verschiedenartige Färbung und metaphorische Verwendung. Das Wichtigste bleibt aber, die eigenthümlichen Grundsätze aufzufinden, nach denen in der Sprache sowohl durch Wortbildung, als im Laufe der Zeit, mit der Entwickelung des Geistes, die Grundbedeutungen sich entwickeln. Diese Einheit der in allen Bildungen, Wandlungen und Ableitungen herrschenden Gesetze ist die wahre Einheit des Wortschatzes. [382] 3. ALLGEMEINES KATEGORIENSCHEMA. §. 136. Es hat sich unter dem Einflusse der aristotelischen und auch der stoischen Philosophie eine besondere Disciplin gebildet: die philosophische Grammatik, welche die Absicht hat, ein für alle Sprachen gültiges Kategorienschema aus der Natur der Sprache und des Gedankens als absolut nothwendig und a priori bestimmbar abzuleiten. Dieses Schema soll ein Skelett sein, das nur mannigfach umkleidet ist. Auch komme es vor, daß dort gewissermaßen ein Knochen sich in zwei getheilt habe, hier zwei zusammengewachsen seien; oder daß der eine sich zu kräftig entwickelt habe, und darüber der andere gänzlich verloren gegangen sei. Dieses Schema umfaßt nun sowohl den Wortschatz, als auch besonders die Grammatik. Es fragt sich: ist eine solche Disciplin, eine allgemeine Grammatik, berechtigt und möglich? Sehen wir von der angeblichen aprioristischen Ableitung ab, die doch nur eine Täuschung ist, so liefern die philosophischen Grammatiken die vorzüglichsten, wenn nicht alle Kategorien der am höchsten organisirten Sprachen. Dabei hat man jedoch, weil man die logischen Formen in der Sprache suchte, die Bedeutung der grammatischen Formen verkannt. Hiervon aber auch abgesehen, wird also ein Sprachskelett geliefert, welches nur für den einen Sprachstamm, den sanskritischen, wirklich gültig ist, wenigstens ungefähr; denn vollständig paßt es für keine der zu diesem Stamme gehörenden Sprachen. Diese Arbeit könnte, nach richtigen Grundsätzen unternommen, sehr bedeutend werden, wenn man nämlich, zunächst rein em-

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Già da qui si può percepire come lo stesso significato di base si trasforma in modo molteplice attraverso una diversa tonalità e utilizzazione metaforica. La cosa più importante, comunque, rimane evincere i principi peculiari secondo cui nella lingua, sia attraverso la formazione della parola sia nel corso del tempo, si sviluppano, assieme allo sviluppo dello spirito, i significati fondamentali. Questa unità delle leggi imperanti in tutte le formazioni, trasformazioni e derivazioni, è la vera unità del patrimonio lessicale. [382] 3. SCHEMA UNIVERSALE DELLE CATEGORIE §. 136 Sotto l’influsso della filosofia aristotelica, e anche della filosofia stoica, si è costituita una disciplina speciale, la grammatica filosofica, che ha lo scopo di derivare dalla natura della lingua e del pensiero, in modo assolutamente necessario e determinabile a priori, uno schema categoriale valido per tutte le lingue. Questo schema deve essere un’ossatura rivestita in modo diverso. Accade anche, per dir così, che lì un osso si è diviso in due, qui due sono cresciuti in uno, ovvero che uno si è sviluppato con grande impulso e un altro, più in là, è andato del tutto perso. Ora questo schema abbraccia sia il patrimonio lessicale sia, in modo particolare, la grammatica. Si domanda: è una tale disciplina, una grammatica universale, legittima e possibile? Prescindiamo dall’asserita derivazione a priori, che certo è soltanto un’illusione, pure le grammatiche filosofiche forniscono le categorie principali, se non tutte, delle lingue col più alto livello di organizzazione. In tal modo, tuttavia, andando alla ricerca nella lingua di forme logiche, si è disconosciuto il significato delle forme grammaticali. Ma pur a prescindere da ciò, è così fornita un’ossatura linguistica che è realmente valida soltanto per un ceppo linguistico, quello sanscrito, e ciò per lo meno in generale, giacché in verità non si confà esattamente a nessuna delle lingue appartenenti a questo ceppo. Questo lavoro, intrapreso secondo principi corretti, potrebbe divenire molto importante qualora, procedendo anzitutto in modo puramente empirico,

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pirisch verfahrend, die Bedeutung der allen Sprachen des Stammes gemeinsamen Formen entwickelte, darauf dieselbe rationell aus der Eigenthümlichkeit des Sprachstammes begründete; dann aber gerade die Verschiedenheit der einzelnen Sprache hervorhöbe und aus dem individuellen Formprincipe derselben ableitete. Dies würde eine allgemeine und rationelle Grammatik des sanskritischen Sprachstammes geben. Für die übrigen Stämme aber müßten besondere Arbeiten unternommen werden; denn für sie ist das sanskritische Kategorienschema nicht gültig. Man meint, alle Sprachen erfüllen trotz ihrer Verschiedenheit den Zweck, Ausdruck des Gedankens zu sein. Um diesem Zwecke zu genügen, müssen sie gewisse allgemeine Forderungen [383] erfüllen, welche sich aus demselben nothwendig ergeben. Diese Forderungen nun sollen eine Grundlage bilden, auf welcher alle Sprachen, auch die verschiedensten, mit einander verglichen werden können, indem man bei jeder einzelnen untersuche, in welcher Weise sie den Forderungen nachzukommen strebe. Die Gesammtheit derselben würde also einen festen Ausgangspunkt für die Erforschung der Verschiedenheiten gewähren und einen sichern Maßstab darbieten, um danach die Höhe der Organisationsstufe zu bestimmen. Ferner sagt man: die logischen und metaphysischen Formen des Gedankens sind gegeben und stehen ein für alle Mal fest. Sie werden aber in der Sprache irgendwie ausgedrückt, wenn auch mehr oder weniger rein und vollständig. Sie bilden also das einende Band aller Sprachen, und es muß mithin immer möglich sein, zu fragen: „wie wird diese oder jene logische Form in den verschiedenen Sprachen dargestellt?“ Eben so, sagt man, verhalte es sich mit dem Thierreiche. Die Thiere mögen noch so verschieden sein: man kann sie doch mit einander vergleichen, z. B. selbst die Mücke mit dem Elephanten, wenn auch nicht in der Weise, wie letztern mit dem Pferde. Der Begriff des Thieres nämlich schließt gewisse Forderungen in sich, denen jedes Wesen, welches ein Thier sein soll, entsprechen muß, als z. B. Athmen, Verdauen. Diese Forderungen des Begriffs bilden die Einheit aller Thiere, und nun wird erst ihre Verschiedenheit recht klar, wenn man bei jeder Art danach fragt, wie sie die allgemeinen Forderungen des Begriffs erfülle. Ganz ebenso verhalte es sich mit den Sprachen, welche gewisse Punkte gemein

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sviluppasse il significato delle forme comuni a tutte le lingue del ceppo e, fatto questo, fondasse razionalmente lo stesso significato a partire dalla specificità del ceppo linguistico; sempre che poi, però, sottolineasse proprio la diversità delle singole lingue e la derivasse dai principi formali e individuali che le dominano. Ciò fornirebbe una grammatica universale e razionale del ceppo linguistico sanscrito. Per gli altri ceppi, però, dovrebbero essere intrapresi lavori particolari, giacché per essi lo schema categoriale sanscrito non è valido. Si crede che tutte le lingue, nonostante la loro diversità, soddisfino il fine di essere espressione del pensiero. Per soddisfare questo fine devono rispondere ad alcune esigenze universali [383] che risultano necessariamente dal pensiero stesso. Ora, queste esigenze devono costituire una base su cui tutte le lingue, anche le più diverse, possono essere paragonate, dal momento che in ciascuna è indagato il modo in cui essa si sforza di ottemperare a quelle esigenze. La totalità delle esigenze dovrebbe recare un saldo appiglio per l’indagine delle differenze e offrire un sicuro criterio per determinare l’altezza del livello di organizzazione. Si dice inoltre: le forme logiche e metafisiche del pensiero sono date e poste saldamente una volta per tutte. In qualche modo esse sono poi espresse nella lingua, sia pure più o meno puramente e compiutamente. Costituiscono dunque il nesso unitario di tutte le lingue e pertanto deve essere sempre possibile domandare: «come è presentata questa o quella forma logica nelle diverse lingue?» Allo stesso modo, si dice, accade nel regno degli animali. Siano pure gli animali tanto diversi, li si può comunque confrontare l’un con l’altro; la stessa zanzara, ad esempio, con l’elefante, seppure non nel modo in cui l’elefante si paragona al cavallo. Il concetto dell’animale infatti racchiude in sé certe esigenze a cui deve corrispondere ogni essenza che si reputa un animale, come il respiro e la digestione. Queste caratteristiche richieste dal concetto costituiscono l’unità di tutti gli animali e la loro differenza diviene palese soltanto se, in seguito, ci si domanda per ogni tipo come ottemperi alle esigenze del concetto. Esattamente così ci si regolerebbe con le lingue, le quali devono avere in comune alcuni aspetti, astratti quan-

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haben müßten, wären diese auch an sich ganz abstract, weil sie vom Begriffe der Sprache unausweichlich gefordert würden. Diese Anschauungsweise aber, entgegnen wir, ist falsch. Solche allgemeine Forderungen seitens der Logik oder eines andern Systems existiren für die Sprache nicht; denn die Sprache ist vor der Logik und vor dem verständigen Denken. Man vergegenwärtige sich unsere obige Darstellung, und man wird begreifen, wie völlig unangemessen jede Forderung ist, die an die Sprache, d. h. an die Gestaltung der innern Sprachforrn, gestellt wird. Wir sahen zunächst die Anschauung: sie ist formlos, d. h. hat keine Gedankenform. Die erste Form, die der Geist während seiner Denkthätigkeit aus sich bildet, ist diejenige, [384] in welcher das instinctive Selbstbewußtsein die Anschauung auffaßt und dadurch zur Vorstellung umwandelt. Auf diesem Wandel der Anschauung in die Vorstellung beruht alle Sprache, und die Sprache bleibt immer auf ihn beschränkt. Sie geht also aller Logik voran; sie schafft ihre Formen vollständig, bevor die Logik die ihrigen ausbildet. Sprache und Logik entwickeln ganz unabhängig von einander ihre Formen. Und es ist gar nicht wahr, daß die Sprache den Gedanken ausdrückt; sie bedeutet ihn wohl, aber drückt nur aus, was sie an der Anschauung erfaßt, und wie sie es erfaßt. Selbst insofern die Sprache den Begriff und das rein logische Urtheil darstellt, z. B. Gott ist absolut, geschieht dies nicht so, daß die Logik mit der Sprache unterhandelte: „dies soll ausgedrückt werden; es steht dir aber frei, es in einer beliebigen Weise zu thun: dies fordere ich; du magst es aber erfüllen, in welcher Form und Gestalt dir beliebt“. Sondern die Sprache behandelt auch die ihr dargebotenen Begriffe wie die Anschanungen; d. h. die Begriffe werden Gegenstand des instinctiven Selbstbewußtseins, und dieses erfaßt dieselben nach seiner Weise, wie es kann, unbekümmert um jede Forderung, in seiner naiven und durchaus individuellen Weise. Das instinctive Selbstbewußtsein bildet sich selbst eine Logik, und in den verschiedenen Volksgeistern in verschiedener Weise. Folglich sind wir auch nicht im Stande, die verschiedenen Logiken, welche in den Sprachen liegen, sei es unter einander, oder mit unserer systematischen Logik zu vergleichen, wenn sich die Aehnlichkeit nicht von selbst vollständig darbietet.

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to si vuole, ma comuni perché ineluttabilmente richiesti dal concetto della lingua. Questa prospettiva però, obiettiamo, è falsa. Queste esigenze universali, tipiche della logica o di un altro sistema, in relazione alla lingua non esistono. Giacché la lingua è prima della logica e prima del pensiero razionale163. Si richiami alla mente la spiegazione che abbiamo proposto in precedenza e si comprenderà come risulti del tutto inappropriata quell’esigenza qualora sia posta alla lingua, è a dire alla costituzione della forma interna della lingua. Considerammo anzitutto l’intuizione: essa è priva di forma, è a dire non ha alcuna forma propria del pensiero. La prima forma che lo spirito costituisce da sé, in ragione della sua attività di pensiero, è quella [384] in cui l’autocoscienza istintiva comprende l’intuizione e, con ciò, la trasforma in rappresentazione. Su questa trasformazione dell’intuizione in rappresentazione poggia ogni lingua e la lingua rimane sempre circoscritta ad essa. La lingua precede dunque l’intera logica, costituisce integralmente le sue forme prima che la logica costituisca le proprie. Lingua e logica sviluppano le loro forme del tutto indipendentemente l’una dall’altra. E non è per nulla vero che la lingua esprima il pensiero, essa certo lo significa, ma esprime soltanto ciò che ha appreso dall’intuizione e così come lo ha appreso. Proprio perché la lingua rappresenta il pensiero e il giudizio logico, ad esempio Dio è assoluto, ciò non accade in modo tale che la logica prenda accordi con la lingua: «deve essere espresso questo, sta a te farlo come credi. Io richiedo ciò, tu puoi ottemperare a questa richiesta nella forma che credi». Piuttosto, la lingua tratta come le intuizioni anche i concetti che le sono offerti, i concetti cioè diventano oggetto dell’autocoscienza istintiva ed essa li apprende nel modo che le è proprio, come può, indifferente a ogni richiesta, nel suo modo immediato e assolutamente individuale. L’autocoscienza istintiva costituisce da sé una logica e, nei diversi spiriti dei popoli, in modi diversi. Di conseguenza non siamo nemmeno nelle condizioni di mettere a confronto, sia tra loro sia in relazione al nostro sistema logico, le diverse logiche che risiedono nelle lingue, almeno che la somiglianza non si offra perfettamente da sé.

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Vergleichen freilich kann man alles: das beweisen Witz und Humor. Die vergleichende Wissenschaft aber will durch Vergleichung das Wesen der Dinge, ihr Werden, erkennen, und darf nicht in witzige Spielerei ausarten. Die comparative Anatomie war eine kurze Zeit solcher Gefahr ausgesetzt; jetzt ist sie längst überwunden. Man sieht ein, daß man die Construction der Gliederthiere nicht besser begreift, wenn man, sie mit den Wirbelthieren vergleichend, annimmt que les Articulés sont des Vertébrés renversés sur le dos. Man hat freilich eine Einheit der menschlichen Hand und des Pferdehufes gefunden, wenn man sagt, sie seien beide das letzte Glied der vordern Extremitäten; aber was wird damit erkannt? Der Satz: ich werde von dir geliebt enthält eine Umkehrung der logischen Construction, [385] nach welcher ich das Leidende, also das Object, und von dir das Subject wäre; und so verhält sich, wie wir oben schon gezeigt haben, die Sprache zur Logik, und eine Sprache zur andern, gar oft wie das Gliederthier und Weichthier zum Wirbelthier. Wir stoßen auf irrationale Größen, die keine Vergleichung gestatten. Man hat also erstlich jeden Sprachstamm für sich selbst zu betrachten, und weder mit einem andern, noch mit irgend welcher allgemeinen, über diesen Stamm hinausliegenden Sprachform oder gar logischen Kategorientafel zu vergleichen. Dann ist, zweitens, jedes Formschema, welches allen Sprachen gemeinsam angehören sollte, und zumal a priori bestimmbar wäre, ein Unding; weil, drittens, Logik und Grammatik völlig irrationale Größen sind, und jede Sprache eine rein subjective Schöpfung von Formen und Kategorien ist, entstanden unter subjectiven Einflüssen, die außerhalb jeder Berechnung liegen. Die innere Sprachform hört auf keine andern Forderungen, als diejenigen, die sie sich selbst stellt; und daß sie sich gerade diese stellt, geht aus den Formen hervor, welche sie gebildet hat. Aus den Formen jeder Sprache also sind die Forderungen kennen zu lernen, welche jede an sich stellt; denn für die Sprachen ist zwischen ihren Forderungen und ihren Leistungen kein Zwischenraum, da sich diese wie Ursache und Wirkung zu einander verhalten.

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Tutto può essere paragonato, come mostrano il motto di spirito e lo humor164. La scienza comparativa però, attraverso la comparazione, vuol conoscere l’essenza delle cose, il loro divenire, e non deve degenerare in giochi di spirito. L’anatomia comparativa fu per breve tempo esposta a questo rischio, ora lo ha superato da lungo tempo. Si vede che la costituzione degli animali articolati non si comprende meglio, quando comparandola con quella dei vertebrati, si assume que les Articulés sont des Vetébrés renversés sur le dos165. Si è forse trovata un’unità della mano umana e dello zoccolo del cavallo quando si dice che entrambe sarebbero l’ultima componente delle estremità anteriori; ma che cosa si conosce effettivamente con quest’affermazione? La frase io sono amato da te contiene un capovolgimento della costruzione logica [385], secondo cui io sarebbe colui che subisce l’azione, dunque l’oggetto, e da te il soggetto. E, come abbiamo mostrato, la lingua si rapporta alla logica, e una lingua alle altre, come gli animali articolati e i molluschi ai vertebrati. Ci imbattiamo in grandezze incommensurabili che non consentono alcun confronto. Anzitutto, dunque, bisogna prendere in considerazione ciascun ceppo linguistico per sé e né paragonarlo con un altro né con una qualche forma linguistica universale che vi s’innalzi al di sopra o, in generale, con una tavola di categorie logiche. In secondo luogo, quello schema formale che dovrebbe essere in comune a tutte le lingue e che, ancor più, sarebbe determinabile a priori, è un nonnulla; e ciò perché, in terzo luogo, logica e grammatica sono grandezze assolutamente incommensurabili e ogni lingua è una creazione puramente soggettiva di forme e categorie, scaturita da ragioni soggettive che si trovano al di là di ogni possibilità di previsione. La forma interna della lingua non risponde a nessuna esigenza, se non a quelle che si pone da sé; e il fatto che si ponga proprio queste specifiche esigenze, si evince dalle forme che ha costituito. Dunque, bisogna apprendere le esigenze che ciascuna lingua si pone a partire dalle sue forme, giacché per le lingue non vi è, tra le esigenze che pone e le realizzazioni che porta a compimento, alcuna soluzione di continuità, dal momento che esse si rapportano come causa ed effetto.

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Bei Abfassung der Wörterbücher wird von einem doppelten Punkte ausgegangen, indem theils das Wort der zu erklärenden Sprache durch die bekannte Sprache erläutert, theils angegeben wird, welches Wort der fremden Sprache einem bestimmten Worte der bekannten Sprache entspricht. So könnte es auch eine doppelte Grammatik geben; und es könnte gefordert werden, man sollte ein Mal die vorhandenen Formen der fremden Sprache darstellen und durch die entsprechenden Formen unserer eigenen Sprache oder durch genaue Angabe ihres Werthes erklären, das andre Mal aber von einer allgemeinen abstracten Grammatik ausgehend, angeben, welche Form der zu bearbeitenden Sprache einer bestimmten Form der abstracten Grammatik entspreche. Wie man also Wörterbucher zum Uebersetzen aus der einheimischen in die fremde Sprache hat, so muß es auch eine Grammatik geben, welche zeigt, wie die Formen der einheimischen oder besser einer allgemeinen Grammatik durch [386] die Formen der fremden Sprache wiederzugeben sind. Und in diesem Sinne sind ja die meisten Grammatiken bisher wirklich gemacht. Wir haben aber hierauf mit einer alten, vielfach wiederholten Bemerkung zu erwiedern. Es läßt sich wohl alles ungefähr aus einer Sprache in die andere übersetzen, aber eben nur ungefähr; man weiß, wie die Wörter zweier Sprachen für dieselbe Vorstellung sich meist wie Synonyma verhalten, d. h. neben der Gleichheit der Bedeutung einen feinen Unterschied zeigen. Diese Verschiedenheit der Wörter verschiedener Sprachen wird noch größer, wenn man auf die innere Sprachform, d. h. die Etymologie, zurückgeht. Unser Sohn und Tochter sind nicht die lateinischen ÀOLXV und ÀOLD, wie sie es auch juristisch, im Verhältniß zu den Eltern, nicht sind. Gemeinsam haben jene Wörter nur das reale Verhältniß, welches aber jenseits der Sprache liegt. Ein solches Gemeinsames findet sich aber nicht einmal überall, sondern nur da, wo dasselbe Ding nothwendig zu benennen war. Wo es aber auf abstracte Begriffe ankommt, wo also das zu Bezeichnende selbst erst zu erschaffen war, da fehlt oft geradezu ein dem Worte der einen Sprache entsprechendes der andern, weil das andere Volk diesen Begriff nicht gebildet hat. Auch hat man immer erkannt, daß nur die Wörterbücher, welche die darzustellende Sprache zum Ausgangspunkte nahmen, den wirklichen Wortschatz dieser Sprache darstellen und die wahrhafte Bedeutung der Wörter angeben.

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Nella redazione di un dizionario si procede in due modi: da un lato, la parola della lingua da spiegare è illustrata per mezzo della lingua conosciuta; dall’altro, è indicato quale parola della lingua straniera corrisponde a una determinata parola della lingua nota. Allo stesso modo potrebbe darsi una grammatica doppia: una volta, infatti, si potrebbe richiedere che si espongano le forme della lingua straniera e siano illustrate per mezzo delle forme corrispondenti della nostra lingua o attraverso l’indicazione esatta del loro valore; un’altra volta, invece, si potrebbe indicare, a partire da una grammatica astratta e universale, quale forma della lingua da trattare corrisponda a una determinata forma della grammatica astratta. Allora, come si è in possesso di dizionari per tradurre dalla lingua madre in una straniera, deve anche darsi una grammatica che mostri come le forme della lingua madre, o meglio di una grammatica universale, sono rese dalle [386] forme delle lingua straniera. E la maggior parte delle grammatiche finora sono davvero fatte in questo modo. Dobbiamo però replicare a ciò con una vecchia osservazione più volte avanzata. Tutto si lascia tradurre da una lingua in un’altra, ma solo in modo generico166; si sa che le parole di due lingue relative a una stessa rappresentazione si comportano per lo più come sinonimi, è a dire mostrano, vicino all’uguaglianza di significato, una sottile differenza. Questa differenza tra parole di lingue diverse diventa anche maggiore quando si rinvii alla forma interna della lingua, è a dire all’etimologia. Il nostro Sohn e Tochter non sono i latini filius e filia, come non sono tali neppure dal punto di vista giuridico, in rapporto ai genitori. Quei termini hanno in comune solo il rapporto reale, che tuttavia sta al di là della lingua. Una tale comunanza però non si trova dappertutto, ma si è realizzata solo nel caso in cui bisognava denominare la stessa cosa. Quando invece si hanno di fronte concetti astratti, dove ciò che bisognava designare lo si doveva prima costituire, alla parola di una lingua manca addirittura la parola corrispondente dell’altra, giacché l’altro popolo non ha costituito questo concetto. Si è anche sempre riconosciuto che solo i vocabolari che assumono come punto di partenza la lingua da illustrare, rendono il reale patrimonio lessicale di questa lingua e indicano i veri significati delle pa-

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Und bei der Grammatik sollte es anders sein? hier, wo es sich nur um abstracte Formelemente handelt? wo alles, was bezeichnet werden soll, selbst erst innerlich, subjectiv erkannt, geschaffen werden muß; wo nichts gegeben ist, sondern alles auf der Energie des instinctiven Selbstbewußtseins beruht? Welche Formen hat eine Sprache? Das soll die Grammatik lehren; nicht aber: welche Form entspricht dieser deutschen, jener lateinischen, oder einer abstract logischen? Denn dies ist oft unsagbar, weil gar keine genau entspricht. Endlich sei noch bemerkt, daß der allgemeinen Grammatik, als dem gemeinsamen Kategorienschema aller Sprachen, die oberflächlichste und abstracteste Bedeutung des Allgemeinen zu Grunde liegt. Das wahrhaft Allgemeine ist völlig untrennbar von dem Einzelnen, dessen schöpferische Kraft es ist. Doch dies führt auf [387] 4. DIE CLASSIFICATION DER SPRACHEN. §. 137. Sie stellt das allgemeine Wesen der Sprache dar, wie es sich in den einzelnen Sprachen in individuellen Formen verwirklicht hat, und ist die wahre allgemeine Grammatik. Sie stellt jede Sprache dar als eine individuelle Verwirklichung des Begriffs der Sprache, und zeigt die Einheit der Sprachen, indem sie dieselben sämmtlich zu einander in Beziehung setzt und nach der Verwandtschaft und Würde ihrer Organisation zu einem Systeme zusammenstellt. Ich will hier nicht weiter auf diesen Punkt eingehen; es wäre mehr darüber zu sagen, als der beabsichtigte Umfang dieses Buches erlaubt*.

* Nur muß ich bemerken, daß seit dem Erscheinen meiner Schrift „die Classification der Sprachen, dargestellt als die Entwickelung der Sprachidee“ auch Böhtlingk über diesen Punkt sich geäußert hat, jedoch in einer wenig befriedigenden Weise. (Böhtlingk, Ueber die Yakutische Sprache). Ich kann nur bedauern, daß ein so verdienstvoller Mann sich auf ein Gebiet einlassen konnte, wo er nicht einheimisch ist, auf Probleme eingehen konnte, deren Wesen er nicht begriffen hat. Ich würde aus Achtung vor seinen vortrefflichen Leistungen auf dem historischen Sprachboden dies gern ignorirt haben, wäre ich nicht

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role. E dovrebbe essere diverso per la grammatica? Qui, dove si tratta soltanto di elementi formali astratti? Dove tutto ciò che deve essere indicato, deve prima essere conosciuto, costituito internamente, soggettivamente; dove non è dato nulla, ma tutto poggia sull’energia dell’autocoscienza istintiva? Quali forme ha una lingua? Questo deve insegnare la grammatica e non quale forma corrisponde a questa forma tedesca, a quella forma latina, a una forma logica astratta, giacché questo è spesso indecidibile167, dal momento che nessuna forma corrisponde esattamente. Sia infine notato, che solo il più superficiale e astratto significato di universale sta a fondamento della grammatica universale, come dello schema categoriale comune a tutte le lingue. Il vero universale è assolutamente inseparabile dall’individuale di cui è la forza creatrice; e proprio questo ci conduce a [387] 4. LA CLASSIFICAZIONE DELLE LINGUE §. 137 La classificazione descrive l’essenza universale della lingua come si è realizzata, in forme individuali, nelle singole lingue ed è la vera grammatica universale. Essa presenta ogni lingua come realizzazione individuale del concetto della lingua e mostra l’unità delle lingue ponendole tutte in rapporto tra loro e componendole in un sistema secondo l’affinità e la dignità della loro organizzazione. Non voglio inoltrarmi altrimenti in quest’aspetto, su ciò vi sarebbe da dire di più di quanto consenta l’estensione prevista per questo libro*168. * Devo solo notare, in questa sede, che da quando è apparso il mio scritto Die Classification der Sprachen, dargestellt als die Entwickelung der Sprachidee anche Böhtlingk si è espresso, per quanto in modo non soddisfacente, su questo aspetto (Ueber di Yakutische Sprache). Posso solo dolermi del fatto che un uomo tanto meritevole sia entrato in un territorio che non gli è familiare, abbia potuto occuparsi di problemi la cui essenza gli sfugge. Lo avrei ignorato volentieri per la stima che nutro nei confronti dei suoi eccellenti lavori nell’ambito della linguistica storica, se non mi

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5. SPRACHWISSENSCHAFT ALS MOMENT DER VÖLKERPSYCHOLOGIE. Wir haben schon in unsern Vorbemerkungen gesagt, daß die Sprache nicht bloß als eine Seelenthätigkeit, wie jede andere, ein Gegenstand psychologischer Betrachtung ist, sondern daß auch der Nachweis ihrer Entstehung, ihres Wesens im Allgemeinen, ihrer Stellung in der Entwickelung und Thätigkeit des [388] Geistes einen eigenthümlichen und wesentlichen Abschnitt in der Psychologie bildet. Mit unserer ganzen Darlegung der Sprache und Grammatik überhaupt bis an die Wirklichkeit der verschiedenen Sprachen bewegten wir uns durchaus auf psychologischem Gebiete. Auch mit der Verschiedenheit der Sprachen treten wir noch nicht aus diesem Gebiete heraus; wir verlassen nur die eine Provinz desselben, auf welehe heute allerdings die Psychologie noch beschränkt ist, treten aber in eine andere, die nicht minder zu ihm gehört, obwohl sie nur erst sehr gelegentlich bearbeitet worden ist. Die heutige Psychologie nämlich ist individuell e Psychologie, d. h. ihr Gegenstand ist das seelische Individuum, wie es sich ganz allgemein in jedem beseelten Wesen, dem Menschen und auch, bis auf einen gewissen Punkt, dem Thiere offenbart. Nun ist es aber eine wesentliche Bestimmung der menschlichen Seele, nicht ein für sich allein stehendes Individuum zu sein, sondern einer Gemeinsehaft anzugehören, und zwar zunächst, leiblich und seelisch, einem Volke. Und so verlangt die individuelle Psychologie wesentlich eine Ergänzung durch die Völkerpsychologie. Durch Geburt gehört der Mensch einem Volke an, und er wird hierdurch in seiner geistigen Entwickelung mannigfach beöffentlich (durch Pott) aufgefordert worden, zu sagen, was ich über seine Ansicht und seine Bekämpfung der meinigen denke. Ueber letztere muß ich hier schweigen, da es besser ist, nichts zu sagen, als ein Weniges statt des Vielen, was zu sagen wäre, hier aber nicht gesagt werden kann. In einem Seitenstücke zum vorliegenden Buche, in einer Arbeit über die Methode der Grammatik, werde ich Gelegenheit haben, auf alles hier in dem Abschnitte über die Verschiedenheit der Sprache nur Angedeutete ausführlich zurückzukommen. Was aber Hrn. Böhtlingks sogenannte eigene Ansicht betrifft, die keineswegs neu ist, sondern schon im Mithridates, wenn nicht Adelungs, wenigstens Vaters, vorliegt: so genügt dagegen eine Verweisung auf Humboldts Einleitung in die Kawi-Sprache S. CCLXVIII oder 252.

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5. SCIENZA DELLA LINGUA COME MOMENTO DELLA PSICOLOGIA DEI POPOLI

Nelle nostre considerazioni precedenti abbiamo già detto che la lingua non è soltanto, come ogni altra attività spirituale, oggetto di considerazione psicologica, ma che la dimostrazione della sua nascita, della sua essenza in generale, del suo posto nello sviluppo e nell’attività dello [388] spirito, costituisce un capitolo particolare ed essenziale della psicologia. Con tutta la nostra esposizione della lingua e della grammatica in generale, fino alla realtà delle diverse lingue, ci muovemmo in un territorio assolutamente psicologico. Anche nel prendere in considerazione la diversità delle lingue non usciamo ancora da questo territorio, abbandoniamo soltanto la provincia di esso in cui oggi è confinata la psicologia e entriamo in un’altra, che non appartiene meno a quel territorio, sebbene per il momento sia stata elaborata soltanto occasionalmente. La psicologia odierna, infatti, è psicologia individuale, è a dire che il suo oggetto è l’individuo spirituale, come si manifesta del tutto in generale in ciascuna natura animata, nell’uomo e anche, fino a un certo punto, nell’animale. Ora, però, una caratteristica essenziale dell’anima umana è quella di non essere un individuo isolato, ma di appartenere a una comunità e anzitutto di appartenere, col corpo e con lo spirito, a un popolo. E per questo la psicologia individuale ottiene un completamento, essenzialmente, attraverso la psicologia dei popoli. Per nascita l’uomo appartiene a un popolo e attraverso di esso è determinato in modo molteplice nel fosse stato richiesto pubblicamente (da Pott) di dire cosa pensi della sua prospettiva e della lotta da lui ingaggiata contro la mia. Su quest’ultima questione, qui devo tacere, ché è meglio non dir nulla piuttosto che dir poco, al posto del molto che si dovrebbe, ma che qui non può esser detto. In una sezione aggiuntiva di questo libro, in un lavoro sul metodo della grammatica, avrò occasione di tornare dettagliatamente su tutto ciò che qui, nel capitolo sulla diversità delle lingue, ho solo potuto accennare. Per ciò che concerne però la cosiddetta prospettiva di Böhtlingk, che non è per nulla nuova ma che ha almeno dei progenitori già in Mitridate, se non in Adelung, contro ciò è sufficiente rimandare all’Einleitung in die KawiSprache: pp. CCLXVIII o 252.

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stimmt. Das Individuum kann also gar nicht vollständig begriffen werden ohne Rücksicht auf die geistige Gesammtheit, in der es entstanden ist und lebt. §. 138. Aufgabe der Völkerpsychologie überhaupt. Die Völkerpsychologie, sagen wir, ist nicht nur eine neue Wissenschaft; sondern sie ist noch nicht einmal als solche, als ein zusammenhängendes System von Begriffen und Erkenntnissen, gegründet. Wir wissen wenigstens noch immer nichts weiter darüber anzuführen, als einen Aufsatz von Dr. Lazarus im deutschen Museum von 1851. Andeutungen zu einer solchen Wissenschaft finden sich indessen allerdings bei unsern großen Denkern. Ich erwähne hier nur Herbarts Bemerkungen über die Anwendung der mathematischen Psychologie auf staatliche und gesellschaftliche Verhältnisse in der Einleitung zu seiner Psychologie; und führe noch eine sehr klare Aeußerung über unsere Wissenschaft von Carl Ritter an, dem Schöpfer der wissenschaftlichen Geographie, einem Naturforscher, der umfassende Kenntniß und Tiefe des Gedankens in seltener Weise vereinigt. Er sagt (Erdkunde I, S. 19), er mache es sich zur Aufgabe: [389] „alle wesentlichen Naturverhältnisse darzulegen, in welche die Völker auf diesem Erdenrunde gestellt sind, und es sollen aus diesen alle Hauptrichtungen ihrer entwickelten Zustände, welche die Natur bedingt, hervorgehen. Wäre dieses Ziel dann wirklich erreicht: so würde eine Seite der Historie im Allgemeinen einen Fortschritt gewonnen haben, indem das erregende Wesen der Antriebe der äußern Naturverhältnisse auf den Entwickelungsgang der Menschheit, welche dem Forscher der Alten schon mehr als der Neuern Geschichte manche Aufschlüsse gegeben haben, dadurch zu größerer Klarheit gekommen sein müßte. Es bliebe ein anderes Gebiet, das derinnern Antriebe der von dem Aeußern unabhängigen rein geistigen Natur in der Entwickelung des Menschen, der Völker und Staaten, zur vergleichenden Untersuchung übrig, als würdiger Gegenstand einer leicht noch glücklichern Betrachtung und nicht minder lohnenden Forschung“. So spricht ein Mann, der bei seiner speciellen Wissenschaft die Gesammtheit der wissenschaftlichen Bestrebungen im Auge behält. Seine Andeutung genügt wohl, das Wesen unserer Wissenschaft klar zu machen. Wie könnten wir endlich Humboldts vergessen, der die sieben ersten Paragraphen seines großen Werkes ganz Betrachtungen ge-

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suo sviluppo spirituale. L’individuo non può esser compreso perfettamente senza il riferimento alla comunità spirituale in cui è nato e vive. §. 138. Compito della psicologia dei popoli in generale La psicologia dei popoli, diciamo, non soltanto è una nuova scienza; ma, pare, non è ancora stata fondata in quanto tale, come sistema interconnesso di concetti e conoscenze. Per lo meno, non sapremmo ancora ascriverle più di un saggio del Dr. Lazarus, apparso nel «Deutsches Museum» del 1851169. Accenni a una tale scienza si trovano, invece, nei nostri più grandi pensatori. Qui ricordo soltanto le osservazioni di Herbart sull’applicazione della psicologia matematica ai rapporti statali e sociali, contenute nell’Introduzione alla sua Psychologie170 e cito anche una davvero limpida dichiarazione sulla nostra scienza di Carl Ritter, dell’iniziatore della geografia scientifica, di un naturalista che coniuga in modo raro ampiezza di conoscenza e profondità di pensiero. Egli dichiara (Erkunde I, p. 19)171 che si pone come compito: [389] «di esporre tutti i rapporti essenziali della natura in cui i popoli sono posti su questo globo e da questi devono emergere tutte le direzioni principali degli stadi del loro sviluppo condizionati dalla natura. Se questo fine fosse davvero raggiunto, allora una pagina della storia universale avrebbe conseguito un progresso, giacché, per suo tramite, dovrebbe esser pervenuto a maggior chiarezza lo stimolo che gli impulsi dei rapporti naturali esterni esercitano sul corso di sviluppo dell’umanità, rapporti che hanno fornito alcuni chiarimenti al ricercatore di cose antiche più che a quello di cose moderne. Alla ricerca comparativa rimane un altro ambito come oggetto degno di una considerazione probabilmente ancor più proficua e di una ricerca non meno gratificante, quello degli impulsi interni della natura spirituale, del tutto indipendente dall’esterno, sullo sviluppo dell’uomo, dei popoli e degli stati». Parla così un uomo che ha presente, dal punto di vista della sua scienza particolare, la totalità degli sforzi scientifici. Il suo accenno è sufficiente a render chiaro l’essenza della nostra scienza. Come potremmo dimenticare Humboldt, che ha dedicato interamente i primi sette paragrafi della sua grande opera172 a

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widmet hat, welche die Grundlage der Völkerpsychologie bilden, wie: der Zusammenhang der Völker zu einer Einheit des Menschengeschlechts, Zusammenwirken der Individuen und Nationen u.s.w. §. 139. Das Volk als geistige Individualität. Das Volk ist das Subject der Völkerpsychologie. Es ist aber, wie der einzelne Mensch, im Verhältnisse zu den andern Völkern und zur Menschheit eine Individualität. Die Grundlage derselben sind die eigenthümlichen körperlichen Verhältnisse, sowohl die leiblichen, als die der umgebenden Natur. Diese darzulegen – und wer könnte ihre Wichtigkeit für das geistige Leben läugnen? – ist Aufgabe der Erdkunde und physischen Ethnologie. Auf dieser körperlichen Grundlage, zum Theil zwar sicherlich unabhängig von derselben, aber immer in Wechselwirkung mit ihr, von ihr bestimmt und sie bestimmend, und von dieser selbstthätigen Bestimmung die Rückwirkung empfindend, erhebt sich die geistige Individualität des Volkes, der Gegenstand der Völkerpsychologie. [390] §. 140. Der Einzelne und das Volk. Wir können uns den Menschen gar nicht anders denken, denn als sprechend und folglich als Glied einer Volksgemeinschaft, und folglich die Menschheit nicht anders, denn als getheilt in Völker und Stämme. Jede andere Auffassung, die den Menschen nimmt, wie er vor der Bildung der Völker und Sprachen war, kann eine nothwendige wissenschaftliche Fiction sein, wie die mathematische Linie, der mathematische Punkt, der Fall im luftleeren Raume; ergreift aber den Menschen keineswegs nach seinem wirklichen Dasein. Die Völkerpsychologie versetzt uns also sogleich mitten in die Wirklichkeit des menschlichen Lebens mit der Geschiedenheit der Menschen nach Völkern und kleinern Gemeinschaften innerhalb dieser. Jedes Volk nun bildet eine abgeschlossene Einheit, eine individuelle Darstellung des menschlichen Wesens; und alle Individuen desselben Volkes tragen das Gepräge dieser individuellen Natur des Volkes an ihrem Leibe und an ihrer Seele. Diese Gleichheit rührt nach der leiblichen Seite her von der Gleichheit des Blutes, d. h. der Abstammung, ferner der äußern Einflüsse der Natur und der Lebensart; für die Gleichheit der Seelenbildung aber kommt

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considerazioni che costituiscono il fondamento della psicologia dei popoli: alla connessione dei popoli fino all’unità del genere umano, alla cooperazione di individui e nazioni etc. §. 139. Il popolo come individualità spirituale Il popolo è il soggetto della psicologia dei popoli. Esso però, in rapporto agli altri popoli e all’umanità, è, come il singolo uomo, un’individualità. La base di tale individualità sono i rapporti corporei peculiari, tanto quelli connessi alla costituzione interna, quanto quelli comuni alla natura circostante. Esporre questi – e chi potrebbe metterne in dubbio l’importanza per la vita spirituale? – è compito della geografia e dell’etnologia fisica. Su questa base corporea – in parte di certo indipendentemente da essa, ma sempre in interazione con essa, così da determinarla e da esserne determinata, e percependo gli effetti retroattivi di questa determinazione spontanea – s’innalza l’individualità spirituale del popolo, l’oggetto della psicologia dei popoli. [390] §. 140. Il singolo e il popolo173 Non possiamo per nulla pensare l’uomo in altro modo che come parlante e, dunque, membro di una comunità nazionale, e, allo stesso modo, non possiamo pensare l’umanità se non come divisa in popoli e stirpi. Ogni altra concezione che assume l’uomo come esistente prima della formazione dei popoli e delle lingue, può essere una necessaria ipotesi scientifica, come la linea matematica, il punto matematico, la caduta di un grave nel vuoto, ma mai coglie l’uomo nella sua reale esistenza. La psicologia dei popoli ci sposta dunque immediatamente, nel mezzo della realtà della vita umana, per mezzo della suddivisione degli uomini in popoli e piccole comunità all’interno di essi. Ora, ogni popolo costituisce un’unità conchiusa, una rappresentazione individuale dell’essenza umana. E tutti gli individui dello stesso popolo portano impressa l’impronta di questa natura individuale del popolo nel loro corpo e nella loro anima. Questa uguaglianza, dal punto di vista fisico, dipende dall’uguaglianza del sangue, è a dire della discendenza e, inoltre, dagli influssi esterni della natura e dal modo di vivere; per quel che riguarda l’uguaglianza della struttura spirituale,

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in Betracht das Zusammenleben, d. h. das Zusammendenken. Es wird ursprünglich nur in Gemeinschaft gedacht; jeder knüpft seinen Gedanken an den eines Andern seines Stammes, und der daraus gebildete neue Gedanke gehört also sogleich dem Andern eben sowohl, als ihm, wie das Kind dem Vater und der Mutter gehört. Der gleiche Leib und die gleichen Eindrücke von außen erzeugen gleiche Gefühle, Neigungen, Begehrungen, und diese wiederum gleiche Gedanken, gleiche Sprache. Den Menschen als nur im Volke lebend denken können: das heißt sogleich, ihn nur als gleich mit vielen Individuen –, das heißt, den Begriff Mensch nur als verschiedene Volkseinheiten, deren jede viele gleichgestimmte Individuen umfaßt, denken können. §. 141. Producte des Volksgeistes. Die Einwirkung der körperlichen Einflüsse auf die Seele verursacht gewisse Neigungen, Richtungen, Anlagen, Eigenschaften des Geistes, und zwar bei allen Individuen in gleicher Weise, weswegen sie alle denselben Volksgeist haben. Dieser Volksgeist thut sich kund zunächst in der Sprache, dann in Sitten [391] und Gewohnheiten, Institutionen und Thaten, Ueberlieferungen und Gesängen: dies sind die Erzeugnisse des Volksgeistes. §. 142. Eintheilung der Völkerpsychologie. Die Völkerpsychologie gliedert sich in folgende Zweige: sie ist, erstlich, analytisch, indem sie die allgemeinen Gesetze darlegt, nach welchen die im Volksleben wirkenden Kräfte sich entwikkeln und in einander eingreifen; sie ist synthetisch, indem sie aus dieser Wirkungsweise der Kräfte die einzelnen Producte entwikkelt, und dieselben als einen aus vielfachen Organen und Functionen zusammengesetzten Organismus betrachtet, und zwar zunächst als einen auf sich fest beruhenden und in seiner Constitution beharrenden, dann aber auch als sich in einem geschichtlichen Leben entwickelnd; sie ist endlich psychische Ethnologie, indem sie alle Völker der Erde als ein Reich von Volksgeistern nach seinen individuellen Gestalten darstellt. So bildet die Völkerpsychologie die allseitige Grundlage zur Philosophie der Geschichte.

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però, bisogna far riferimento alla convivenza, è a dire alla comunanza dell’attività psichica. Originariamente si pensa soltanto in comune, ciascuno lega il suo pensiero a quello di un altro della propria stirpe e il nuovo pensiero, così scaturito, appartiene tanto all’altro quanto a lui stesso, come il bambino appartiene al padre e alla madre. La stessa costituzione fisica e le medesime impressioni provenienti dall’esterno producono i medesimi sentimenti, le stesse inclinazioni e gli stessi desideri e, questi ultimi, ancora pensieri uguali, una stessa lingua. Poter pensare l’uomo solo in quanto conduce la sua esistenza all’interno di un popolo, significa poterlo pensare solo come uguale a molti individui – è a dire, pensare il concetto di uomo solo in quanto coincidente con unità nazionali differenti, ciascuna delle quali abbraccia molti individui concordi. §. 141. Prodotti dello spirito del popolo L’azione degli influssi corporei sull’anima provoca certe inclinazioni, orientamenti, disposizioni, qualità dello spirito e, invero, in tutti gli individui allo stesso modo; per la qual cosa hanno tutti lo stesso spirito del popolo. Questo spirito del popolo si manifesta, anzitutto, nella lingua, poi nei costumi [391], nelle abitudini, nelle istituzioni e nelle opere, nelle tradizioni e nei canti: sono questi i prodotti dello spirito del popolo174. §. 142. Suddivisione della psicologia dei popoli La psicologia dei popoli si suddivide nei seguenti rami: essa è anzitutto analitica, dal momento che espone le leggi universali secondo cui si sviluppano e s’intersecano le forze operanti nella vita dei popoli; è sintetica, giacché a partire da questo modo di operare delle forze, sviluppa i singoli prodotti e li tratta come un organismo composto da molteplici organi e funzioni; e in verità, prima, come un organismo saldamente ancorato a se stesso e consistente nella sua struttura; poi, come un organismo che si sviluppa nella vita storica.യInfine, essa è etnologia psichica, in quanto descrive tutti i popoli della terra come un regno degli spiriti dei popoli articolato secondo le sue formazioni individuali. Così la psicologia dei popoli costituisce il fondamento universale della filosofia della storia.

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§. 143. Sprache und Volksgeist. Ueberall in diesen Betrachtungen nun spielt die Erforschung der Sprache die bedeutendste Rolle, und die Sprachwissenschaft führt am lebendigsten in die Völkerpsychologie ein; ja, wie die Entwickelung des allgemeinen Wesens der Sprache geradezu ein Capitel der individuellen Psychologie ist: so ist die Erforschung der individuellen Sprachen als eigenthümlicher Verwirklichungsformen der Sprache überhaupt und als besonderer einheitlicher Systeme einer instinctiven Weltanschauung, deren jedes sein besonderes Princip hat, ein Capitel aus der psychischen Ethnologie. Denn wenn man auch die Entstehung und Entwickelung der Sprache überhaupt aus dem individuellen Geiste heraus zu verfolgen hat – wiewohl man auch hierher schon auf den Menschen als ein gesellschaftliches Wesen stößt – : so fragt sich nun, wenn man die wirkliche, geschaffene, und also sogleich individuelle Sprache betrachtet: wem gehört sie? wer hat sie geschaffen? Nicht das Individuum an sich; sondern das Individuum spricht in Gesellschaft. Indem es sprechend die Sprache schuf, ward es verstanden; folglich war das was der Eine sprach, und wie er es sprach, schon bevor er dies gethan hatte, eben so im Geiste des Hörenden. Der Sprechende hat also zugleich aus seiner Seele und aus der des Hörenden die [392] Sprache geschaffen, und so gehört das gesprochene Wort nicht bloß ihm, sondern auch dem Andern. Die Sprache ist also wesentlich Erzeugniß der Gemeinschaft, des Volkes. Nannten wir die Sprache das instinctive Selbstbewußtsein, eine instinctive Weltanschauung und Logik: so bedeutet dies also, daß sie das Selbstbewußtsein, die Weltanschauung und Logik des Volksgeistes ist. Wie muß also auf alle Principien der Völkerpsychologie seitens der Sprache das hellste Licht fallen! Die Einheit der Individuen als Volk spiegelt sich in der gemeinsamen Sprache ab; die bestimmte Individualität des Volksgeistes kann sich nirgends klarer abdrücken, als in der individuellen Form der Sprache; ihr individuell gestaltendes Princip ist der eigentlichste Kern des Volksgeistes; das Zusammenwirken des Individuums mit seinem Volke beruht vorzüglich auf der Sprache, in der und durch wel-

GRAMMATICA, LOGICA E PSICOLOGIA

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§. 143. Lingua e spirito del popolo Ora, in tutte queste considerazioni, la ricerca linguistica gioca il ruolo più importante e la scienza del linguaggio introduce nel modo più vivace alla psicologia dei popoli. Esattamente come lo sviluppo dell’essenza generale della lingua costituisce addirittura un capitolo della psicologia individuale, la ricerca delle lingue individuali, come forme di realizzazione particolari della lingua in generale e come sistemi unitari peculiari di una visione del mondo istintiva ognuna delle quali ha il suo principio specifico, costituisce un capitolo dell’etnologia psichica. Se poi si devono anche seguire la nascita e lo sviluppo della lingua dallo spirito individuale – per quanto anche qui ci si imbatta già nell’uomo come essenza sociale – ci si chiede allora, prendendo in considerazione la lingua reale parlata e individuale: a chi appartiene? chi l’ha fatta? Non l’individuo in sé, l’individuo piuttosto parla in società. Dal momento che egli parlando costituì la lingua, fu capito. Di conseguenza, ciò che uno disse e il modo in cui lo disse, già prima che l’avesse fatto, si trovava esattamente nello stesso modo nello spirito di chi ascoltava. Il parlante ha costituito perciò la [392] lingua contemporaneamente, a partire dalla sua anima e da quella di chi ascoltava e così la parola pronunciata non appartiene solo a lui, ma anche all’altro. La lingua dunque, essenzialmente, è prodotto della comunità, del popolo. Abbiamo chiamato la lingua l’autocoscienza istintiva, una visione del mondo e una logica istintiva, ciò significa allora che essa è l’autocoscienza, la visione del mondo e la logica dello spirito del popolo. Quale luce supremamente chiarificatrice deve dunque ricadere, a partire dalla considerazione linguistica, su tutti i principi della psicologia dei popoli! L’unità degli individui come popolo si rispecchia nella lingua comune; l’individualità determinata dello spirito del popolo non può imprimersi in nessun altro luogo più chiaramente che nella forma individuale della lingua; il principio di formazione individuale della lingua è il nucleo più caratteristico dello spirito del popolo; la cooperazione dell’individuo col suo popolo poggia soprattutto sulla lingua, in cui e attraverso cui egli pensa e che certo

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che er denkt, und die doch seinem Volke gehört. Und auf das Innigste durchdringen sich die Geschichte der Sprache und die geschichtliche Entwickelung des Volksgeistes, die Bildung neuer Völker und neuer Sprachen. Der Verfall des lautlichen Baues der Sprachen and dagegen die feinere Ausbildung der innern Form ist einer der wichtigsten Punkte für die Erkenntniß des individuellen Volksgeistes. Hiermit beschließen wir diese Andeutungen über die Völkerpsychologie und unser Buch überhaupt. Unsere Aufgabe, das Princip der Grammatik fest zu bestimmen, sie von der Logik scharf abzuscheiden und ihren Zusammenhang mit der Psychologie zu zeigen, ist im Vorliegenden gelöst, so gut dies möglich war, ich sage nicht: nach den heutigen Umständen überhaupt, sondern nur nach meinen Mitteln und Verhältnissen. Möge auch in dieser Beschränktheit meine Arbeit die Wissenschaft fordern!

GRAMMATICA, LOGICA E PSICOLOGIA

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appartiene al suo popolo. E la storia della lingua e lo sviluppo storico dello spirito del popolo, la costituzione di nuovi popoli e la formazione di nuove lingue, si compenetrano nel modo più intimo. Il declino della struttura fonetica delle lingue e, di contro, la più fine istituzione della forma interna sono uno dei punti più importanti per la conoscenza dello spirito individuale del popolo. Concludiamo qui questi accenni alla psicologia dei popoli e in generale il nostro libro. Il nostro compito di determinare saldamente il principio della grammatica, di separare profondamente la grammatica dalla logica e di mostrarne la connessione con la psicologia, è stato risolto così bene com’era possibile al presente, non dico, secondo le circostanze attuali in generale, bensì secondo le mie capacità e gli strumenti di cui dispongo. Possa il mio lavoro, nonostante la sua limitatezza, giovare alla scienza!

SEZIONE II

PSICOLOGIA DEI POPOLI

GENESI E STORIA EDITORIALE DI EINLEITENDE GEDANKEN ÜBER VÖLKERPSYCHOLOGIE L’idea di dar vita a una rivista sulla psicologia dei popoli e la linguistica nasce in Steinthal molto presto. Ne troviamo un primo indizio in una lettera inviata a Lazarus il 6 aprile 1852: «come ti parrebbe se fondassimo una rivista per l’etnologia psichica? Per allettare gli studiosi di linguistica, che certo potrebbero costituire un ampio circolo di lettori, potremmo fare un’aggiunta al titolo del tipo: con particolare riferimento alle lingue» [cfr. BelLS, I, p. 255]. La pubblicazione del primo numero della rivista, costituito da 4 fascicoli, fu conclusa nel 1860, ma i singoli fascicoli furono stampati separatamente. Il testo che presentiamo di seguito – il programma con le idee-guida della «nuova scienza», a cui i collaboratori della rivista avrebbero dovuto attenersi – apparve come primo articolo del primo fascicolo. Attraverso il carteggio è possibile ricostruirne le fasi di elaborazione. Il 1 novembre 1858 Lazarus scrive alla cugina, Augusta Jauch: «Steinthal e tanto più l’editore spingono molto per uscire col primo fascicolo della Rivista per la psicologia dei popoli». Il lavoro con Steinthal è pieno di soddisfazione e brio, scrive Lazarus: «discutiamo il pomeriggio ciò a cui ho pensato la mattina, sempre di pomeriggio – [dopo la discussione] – lui scrive, e la sera io mi dedico all’elaborazione stilistica [di quel che è stato scritto]». A volte Steinthal chiede all’amico di completare ed esprimere meglio quello che egli stesso ha pensato, ma, continua Lazurus nella lettera citata, «dopo il mio intervento, Steinthal deve concedere che ho solo espresso [la cosa] con maggior chiarezza di come egli l’avesse pensata, ma non con maggiore penetrazione» [BelLS, I, pp. 95-96]. Lazarus e Steinthal, pertanto, scrissero insieme i Pensieri introduttivi secondo le loro competenze. Dati gli interessi dei due autori e i loro specifici ambiti di ricerca mi pare plausibile che il primo abbia ideato le tesi principali della parte generale, relativa al concetto, al metodo e alla possibilità della psicologia dei popoli, fino, circa, a p. 40 e il secondo l’altra parte, relativa all’applicazione della nuova “scienza” alla linguistica e ad altri ambiti disciplinari. È certo, tuttavia, che ogni

punto fu discusso e rielaborato insieme e che il testo finale è l’esito della revisione stilistica di Lazarus. In una lettera del 25 novembre, inviata da Lazarus a Paul Heyse, inoltre, leggiamo: «un trattato più lungo [del prospetto che l’autore annuncia di inviare allo stesso Paul in seguito], una specie di programma e introduzione alla scienza è pronto» [cfr. BelLS, II/2, p. 583]. Il saggio introduttivo che presentiamo fu dunque scritto tra l’ottobre e il novembre del 1858. Il fascicolo fu stampato nell’aprile del 1859.

MORITZ LAZARUS – HEYMANN STEINTHAL EINLEITENDE GEDANKEN ÜBER VÖLKERPSYCHOLOGIE, FÜR

ALS EINLADUNG ZU EINER ZEITSCHRIFT VÖLKERPSYCHOLOGIE UND SPRACHWISSENSCHAFT

(1860)

MORITZ LAZARUS – HEYMANN STEINTHAL PENSIERI INTRODUTTIVI SULLA PSICOLOGIA DEI POPOLI COME INVITO PER UNA RIVISTA DI PSICOLOGIA DEI POPOLI E LINGUISTICA

(1860)

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SEZ. II - PSICOLOGIA DEI POPOLI

[1/307] Wir wenden uns nicht bloß an diejenigen Männer, denen die Bearbeitung der Psychologie berufsmäßig und namentlich obliegt, sondern auch an alle, welche die geschichtlichen Erscheinungen der Sprache, der Religion, der Kunst und Literatur und Wissenschaft, der Sitte und des Rechts, der gesellschaftlichen, häuslichen und staatlichen Verfassung, kurz an alle, welche das geschichtliche Leben der Völker nach irgend einer seiner mannigfaltigen Seiten derartig erforschen, daß sie die gefundenen Thatsachen aus dem Innersten des Geistes zu erklären, also auf ihre psychologischen Gründe zurückzuführen streben. Denn die Aufgaben, zu deren Lösung diese Zeitschrift bestimmt ist, überschreiten allerdings den Kreis der Psychologie in ihrem engeren, bisher allein üblichen Sinne und Umfange. Sie erstrekken sich aber über einen bestimmten, in sich abgeschlossenen Kreis seelischer Thatsachen und bilden darum eine besondere, und zwar psychologische Disciplin, welche ihre eigenthümlichen Ideen zu entwickeln hat. Diese Wissenschaft nun, um die es sich hier handelt, ist noch nicht einmal gegründet, ja ihr Gedanke noch völlig neu und vermuthlich vielen unserer Leser noch unerhört. Darum, indem wir zu gemeinsamem Bemühen um ihre Begründung und ihren Weiterbau einladen, haben wir die Pflicht übernommen, uns mit den [2/308] Lesern und den erbetenen Mitarbeitern über ihren Begriff, ihren Inhalt und Umfang, ihre Principien und Ideen, ihre Stellung im System der Wissenschaften und ihren besonderen Zusammenhang mit einigen Disciplinen, auch über ihre Möglichkeit und über die Mittel, die uns zu ihrer Verwirklichung vorliegen, wenn auch zunächst nur vorläufig, zu verständigen. Wir wollen demgemäß in vorliegender Abhandlung versuchen, den allgemeinen Zweck des zu errichtenden Gebäudes und, ungefähr wenigstens, den Plan zu demselben, den Umriß und die innere Eintheilung und Einrichtung – natürlich durchaus unmaßgeblich – darzulegen, und zugleich auch darauf hinzuweisen, wo und wie ihr mit oder ohne Absicht schon vorgearbeitet ist. Scharf und fest

PENSIERI INTRODUTTIVI SULLA PSICOLOGIA DEI POPOLI

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[1] Non ci rivolgiamo soltanto a coloro che in modo preminente e per mestiere attendono all’elaborazione della psicologia, ma anche a tutti quelli che studiano i fenomeni storici della lingua, della religione, dell’arte, della letteratura e della scienza, del costume e del diritto, della costituzione sociale, privata e statale, in breve a tutti coloro che si occupano della vita storica dei popoli secondo uno qualsiasi dei suoi molteplici rami, sforzandosi di spiegare i fatti trovati a partire dall’interno dello spirito, è a dire riconducendoli alle loro cause psicologiche. Pertanto, i compiti alla cui soluzione questa rivista è votata superano senza dubbio il cerchio della psicologia nel suo senso ristretto e finora consueto e nella sua altrettanto ristretta e consueta estensione. Tali compiti si estendono invece al di là di un circoscritto e in sé conchiuso circolo di fatti psichici e pertanto costituiscono una disciplina speciale, e veramente psicologica, che deve sviluppare le sue peculiari idee. Ora, la scienza qui presa in considerazione non è ancora stata fondata una volta per tutte, anzi la sua concezione si trova ancora in una fase aurorale e presumibilmente non è ancora nota a molti dei nostri lettori. Pertanto, invitando a uno sforzo comune per la sua fondazione e la sua costruzione, ci siamo assunti il compito di spiegarci, seppure in un primo momento solo in modo provvisorio, [2] coi lettori e con gli ambiti collaboratori, riguardo al suo concetto, al suo contenuto e alla sua estensione, ai suoi principi e alle sue idee, alla sua posizione nel sistema delle scienze, alla sua peculiare connessione con alcune discipline, anche in merito alla sua possibilità e ai mezzi che ci si presentano per la sua realizzazione. In relazione a ciò, nel presente trattato, vogliamo tentare di esporre – naturalmente senza pretese di esclusività – il fine generale dell’edificio da erigere e, per lo meno nel complesso, vogliamo tentare di determinarne il piano, l’ampiezza, la suddivisione interna e la direzione, e anche di indicare dove e come a tale costruzione si è già lavorato intenzionalmente o

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hat eben erst noch die Wissenschaft selbst ihr Wesen nach Inhalt und Form zu bestimmen; denn es gehört zur Natur alles menschlichen Wissens, daß man erst im rüstigen Fortschritt die Wege desselben, an erreichten Zielen neue Bahnen und nach gefundenen Lösungen neue Probleme deutlich erkennt. Hier aber kommt es uns nur darauf an, im Allgemeinen anzudeuten: dem Leser der Zeitschrift, was er zu erwarten hat, dem Mitarbeiter, um welche Arbeiten er gebeten wird. Wir gelangen zu einem Einblick in unsere Wissenschaft von drei verschiedenen Standpunkten aus: von einem psychologischen, einem anthropologischen und einem geschichtiichen. Von allen drei Standpunkten aus hat sich auch im Grunde schon längst das Bedürfniß einer solchen Wissenschaft kund gegeben, und an vortrefflichen Vorarbeitem für sie fehlt es gar nicht; nur ist man sich bisher offenbar weder jenes Bedürfnisses, noch auch dieses Zweckes der Vorarbeiten recht bewußt geworden. Der erste der genannten Standpunkte ist der wesentlichste und dringt am tiefsten in die Sache; und doch ist gerade er bis jetzt am wenigsten beachtet worden. Es ist in unserer Zeit ganz allgemein und auch unter wissenschaftlichen Männern – Historikern, Ethnologen, Philosophen und Juristen – die Rede von dem „Volksgeist“ und verschiedenen „Volksgeistern“; soll aber auf wissenschaftliche Weise davon geredet werden können, so muß natürlich dieser Begriff selbst erst eine Stelle in der Wissenschaft haben, wo sein Inhalt, Umfang und seine Bedeutung in der [3/309] Form wissenschaftlicher Erkenntniß gewonnen und festgestellt wird. Diese Stelle müßte offenbar, da von einem „Geiste“ gesprochen wird, in der Wissenschaft des Geistes sein, in der Psychologie. Wir suchen in den bisherigen Werken über dieselbe vergebens danach; allenthalben in der Geschichte und deren Philosophie, Geographie, Sprachwissenschaft u.s.w. wird der Volksgeist genannt, einzelne, zerstreute Erscheinungen und Verhältnisse desselben werden gelegentlich – also unwissenschaftlich – besprochen, nur hier, wo man es erwarten, ja fordern kann, wo alles Einzelne gesammelt und verbunden sein sollte zur Wissenschaft – hier wird er nicht einmal erwähnt. Von dem Geiste des Einzelnen, allenfalls auch in seinem Verhältnisse zum Staate und

PENSIERI INTRODUTTIVI SULLA PSICOLOGIA DEI POPOLI

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meno. La scienza stessa deve anzitutto specificare con precisione e risolutezza la propria natura secondo il contenuto e la forma; è tipico infatti della natura dell’umano sapere che le sue vie si dipanino prima con un avanzamento vigoroso che, una volta raggiunti i fini, si rivelino nuovi percorsi e, dopo aver trovato le soluzioni, emergano con chiarezza nuovi problemi. Qui però ci interessa soltanto indicare nel complesso al lettore della rivista cosa debba aspettarsi, al collaboratore a quali lavori è pregato di attendere. Perveniamo a uno sguardo sulla nostra scienza da tre punti di vista diversi: da una prospettiva psicologia, da una antropologica e da una storica. In fondo il bisogno di una siffatta scienza ha dato già da tempo notizia di sé da tutti e tre questi punti di vista e agli eccellenti lavori preliminari svolti per essa non manca nulla; ma finora non si è davvero divenuti consapevoli né di questo bisogno e nemmeno dello scopo dei lavori preparatori. Il primo dei suddetti punti di vista è il più essenziale e si addentra nella questione più profondamente; e tuttavia proprio ad esso fino a oggi si è prestata meno attenzione. Nella nostra epoca il discorso sullo “spirito del popolo”, sui diversi “spiriti dei popoli”, è di dominio comune anche presso uomini di scienza – storici, etnologi, filosofi e giuristi –; perché si possa parlare di ciò in termini scientifici però questo concetto deve prima di tutto avere una collocazione nella scienza, una collocazione in cui siano conseguiti e accertati [3] in forma di conoscenza scientifica il suo contenuto, la sua estensione e il suo significato. Questa collocazione, dal momento che si parla di “spirito”, dovrebbe palesemente trovarsi nella scienza dello spirito, nella psicologia. In merito a ciò tuttavia cerchiamo inutilmente nelle opere di psicologia finora prodotte. Lo spirito del popolo viene nominato in ogni disciplina, nella storia e nella filosofia, nella geografia, nella linguistica etc.; sono discussi occasionalmente – è a dire in modo non scientifico – singoli, sparuti fenomeni di esso; solo qui, dove ce lo si può aspettare, finanche pretendere, dove tutto ciò che è singolare deve essere raccolto e connesso a fine scientifico, soltanto qui non viene menzionato nemmeno una volta. Dello spirito del singolo anche nei suoi rapporti con lo stato e la

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der Gesellschaft – von dem „Volksgeist“ wird nicht gehandelt. – Doch wir wollen nicht weiter erörtern, was oder gar weshalb es versäumt ist, sondern zeigen, was geschehen muß. Die Psychologie lehrt, daß der Mensch durchaus und seinem Wesen nach gesellschaftlich ist; d. h. daß er zum gesellschaftlichen Leben bestimmt ist, weil er nur im Zusammenhange mit seines Gleichen das werden und das leisten kann, was er soll; so sein und wirken kann, wie er zu sein und zu wirken durch sein eigenstes Wesen bestimmt ist. Auch ist thatsächlich kein Mensch das, was er ist, rein aus sich geworden, sondern nur unter dem bestimmenden Einflusse der Gesellschaft, in der er lebt. Jene unglücklichen Beispiele von Menschen, welche in der Einsamkeit des Waldes wild aufgewachsen waren, hatten vom Menschen nichts als den Leib, dessen sie sich nicht einmal menschlich bedienten: sie schrien wie das Thier und gingen weniger, als sie kletterten und krochen. So lehrt traurige Erfahrung selbst, daß wahrhaft menschliches Leben der Menschen, geistige Thätigkeit nur möglich ist durch das Zusammen- und Ineinander-Wirken derselben. Der Geist ist das gemeinschaftliche Erzeugniß der menschlichen Gesellschaft. Hervorbringung des Geistes aber ist das wahre Leben und die Bestimmung des Menschen; also ist dieser zum gemeinsamen Leben bestimmt, und der Einzelne ist Mensch nur in der Gemeinsamkeit, durch die Theilnahme am Leben der Gattung. Die Grundlage für das, über das thierische Dasein sich erhebende, [4/310] Sein und Wirken des Menschen ist demnach zuerst die Gemeinsamkeit mit gleichzeitigen Nebenmenschen. Doch diese gibt nur erst den ungebildeten Menschen, den Wilden, durch welchen der Geist nur erst hindurchschimmert, ohne leuchtend und wärmend aus ihm hervorzustrahlen. Das Bewußtsein des gebildeten Menschen beruht auch noch auf einer durch viele Geschlechter hindurch fortgepflanzten und angewachsenen Ueberlieferung. So ist der einzelne, welcher an der gemeinsamen Geistesbildung Theil nimmt, nicht nur durch seine Zeitgenossen, sondern noch mehr durch verflossene Jahrhunderte und Jahrtausende bestimmt und von ihnen abhängig im Denken und Fühlen und Wollen. Er lebt aber nicht mit allen seinen Zeitgenossen und allen Zeiten seiner Vergangenheit in gleich innigem Zusammenhange. Es bilden sich innerhalb des großen Kreises der Gesellschaft kleinere Kreise und immer engere bis hinab zur Familie. Diese Kreise

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società – dello “spirito del popolo” –, insomma, non ci si occupa. Non vogliamo tuttavia esaminare ulteriormente cosa o per quale ragione viene trascurato, ma vogliamo mostrare cosa sia necessario fare. La psicologia insegna che l’uomo è in generale e secondo la propria natura un essere sociale; ciò significa che è destinato alla vita sociale giacché solo nella connessione con i suoi pari può divenire ciò che, secondo la propria natura, è destinato a essere e può operare nel modo in cui è destinato a farlo. Nessun uomo di fatto è diventato ciò che è semplicemente da sé, quanto piuttosto sotto la decisiva influenza della società in cui vive. Quegli uomini infelici, cresciuti selvaggiamente nella solitudine della foresta, non avevano degli uomini null’altro che il corpo, di cui mai si servirono in modo umano: gridarono come gli animali e non camminarono più di quanto si arrampicassero e strisciassero. Così la stessa triste esperienza insegna che la vera vita umana, l’attività spirituale, è possibile solo nella reciproca cooperazione umana. Lo spirito è il prodotto comunitario della società umana. La creazione dello spirito però è la vera vita e la vera natura degli uomini; l’uomo insomma è destinato alla vita in comune e l’individuo è uomo solo nella comunità, per il fatto di prender parte alla vita del genere. È anzitutto la comunanza con gli individui a noi prossimi per luogo e tempo, il fondamento dell’essere e dell’operare dell’uomo, quell’essere e quell’operare che s’innalza oltre la vita ferina [4]. Proprio questa concede all’inizio agli uomini incolti, ai selvaggi, ciò attraverso cui lo spirito balugina appena, senza risplendere pienamente da se stesso, rischiarante e riscaldante. La coscienza degli uomini civili poggia anche su una tradizione istauratasi e progredita attraverso molte generazioni. Così il singolo, che prende parte alla comune costituzione spirituale, non solo è condizionato dai suoi contemporanei, ma – ancor più – dai secoli e dai millenni trascorsi e da essi rimane dipendente nel pensare, nel sentire e nel volere. Egli, pure, non si trova nella stessa connessione interna con tutti i suoi compagni e con ogni epoca del suo passato. All’interno del grande circolo della società si costituiscono circoli più piccoli e sempre più ristretti fino alla famiglia. Ora, questi circoli non sono disposti l’uno vicino all’altro, ma si

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nun stehen nicht neben einander, sondern durchschneiden und berühren sich mannigfach. So entsteht innerhalb der Gesellschaft ein höchst vielfach in sich verschlungenes Verhältniß von Verbindung und Absonderung. Demgemäß ist auch die Theilnahme des Einzelnen am Gesammtgeiste eine höchst verschiedene nach Richtung und Innigkeit und gestattet die unermeßbare Mannigfaltigkeit persönlicher Individualitäten. Aber wie scharf begrenzt, und welcher Art, wie reich, wie werth- und kraftvoll die Persönlichkeit sein mag; sie ist immer in ihrer Entwickelung durch die räumlichen Verhältnisse eines bestimmten Ortes, durch die zeitlichen eines bestimmten Zeitpunktes, durch einen besonderen Volks-, Familienund Standes-Geist, sowohl nach dem Grade ihrer möglichen Bildung, wie auch nach Inhalt und Form des Geistes bedingt. Nicht nur sein Wissen, sondern auch sein Gewissen, sein Fühlen und sein Wollen, sein Thun und sein Genießen, sein Empfangen und darum auch sein Schaffen, ist mit seiner Geburt an diesem Punkte der geistigen Gesammtentwickelung im Voraus bestimmt. Folglich – und das ist schon anerkannt und ausgesprochen – „bleibt die Psychologie immer einseitig, so lange sie den Menschen als allein stehend betrachtet“ (Herbart, Lehrb. z. Psych. 2. Ausg. §. 240). [5/311] Die Sache ist nun aber damit nicht abgethan, daß man diese Einseitigkeit hinterher durch gewisse Zusätze, durch eine gewisse Rücksicht auf die Verhäitnisse des Menschen in der Gesellschaft, zu ergänzen sucht; sondern diese Ergänzung ist überhaupt erst dann möglich, wenn zuvor der Mensch als gesellschaftliches Wesen, d. h. wenn die menschliche Gesellschaft, also ein ganz anderer Gegenstand als der einzelne Mensch, zum Gegenstande einer besonderen Untersuchung gemacht ist. Denn innerhaib des Menschen-Vereines treten ganz eigenthümliche psychologische Verhältnisse, Ereignisse und Schöpfungen hervor, welche gar nicht den Menschen als Einzelnen betreffen, nicht von ihm als solchem ausgehen. Es sind nicht mehr sowohl Verhältnisse im Menschen, als zwischen Menschen; es sind Schicksale, denen er nicht unmittelbar unterliegt, sondern nur mittelbar, weil er zu einem Ganzen gehört, welches dieselben erfährt. Kurz es handelt sich um den Geist einer Gesammtheit, der noch verschieden ist von allen zu derselben gehörenden einzelnen Geistern, und der sie alle beherrscht.

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intersecano e si toccano in svariati modi. Sorge così all’interno della società un rapporto molto complesso e intrecciato di legami e articolazioni. In conformità a ciò, la partecipazione del singolo allo spirito collettivo è sommamente diversificata a secondo della direzione e della intimità dei legami e ciò permette che emerga l’incommensurabile molteplicità delle personalità individuali. Per quanto tuttavia la personalità possa essere nettamente delimitata e per il modo in cui ciò avvenga, per quanto possa essere ricca, intrisa di valore e ricolma di forza, è sempre condizionata nel suo sviluppo dai rapporti spaziali di un preciso luogo, da quelli temporali di una precisa epoca, da un particolare spirito del popolo, della famiglia, del ceto, e ciò sia in relazione al grado di cultura possibile, sia in relazione al contenuto e alla forma dello spirito che gli è propria. Non soltanto il suo sapere, ma anche la sua coscienza morale, il suo sentire, il suo volere, il suo fare e il suo godere, il suo recepire, e pertanto anche il suo produrre, sono predeterminati dal fatto che è nato in un punto preciso dello sviluppo complessivo dello spirito. Di conseguenza – e ciò è già riconosciuto ed espresso – «la psicologia rimane sempre unilaterale se considera l’uomo come isolato» (Herbart, Lehrb. z. Psych. 2 Ausg. § 240)1. [5] La questione però non è risolta cercando di completare questa unilateralità attraverso alcune aggiunte o una certa considerazione retrospettiva dei rapporti dell’uomo in società; tale completamento, piuttosto, è possibile solo se l’uomo, concepito come essere sociale, ovvero se la società umana, un oggetto dunque totalmente diverso dall’uomo singolo, è fatta previamente oggetto di una trattazione speciale. Infatti, all’interno del consorzio degli uomini si presentano rapporti psicologici, eventi e creazioni del tutto peculiari che non riguardano per nulla l’uomo in quanto essere singolo, che non emergono dal singolo in quanto tale. Non si tratta più di rapporti negli uomini, quanto di rapporti tra gli uomini; si tratta di destini a cui l’uomo non sottostà in modo immediato, ma solo in modo mediato, perché appartiene a una totalità che esperisce la stessa cosa. Si tratta, in breve, dello spirito di una comunità che è diversa da tutti gli spiriti singoli che ne fanno parte, una comunità che domina su tutti loro.

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Es verbleibe also der Mensch als seelisches Individuum Gegenstand der individuellen Psychologie, wie eine solche die bisherige Psychologie war; es stelle sich aber als Fortsetzung neben sie die Psychologie des gesellschaftlichen Menschen oder der menschlichen Gesellschaft, die wir Völkerpsychologie nennen, weil – um hier nur kurz auszusprechen, was die Wissenschaft selbst zu beweisen hat – für jeden Einzelnen diejenige Gemeinschaft, welche eben ein Volk bildet, sowohl die jederzeit historisch gegebene als auch im Unterschied von allen freien Culturgesellschaften, die absolut nothwendige und im Vergleich mit ihnen die allerwesentlichste ist. Einerseits nämlich gehört der Mensch niemals bloß dem Menschengeschlechte als der allgemeinen Art an, und andererseits ist alle sonstige Gemeinschaft, in der er etwa noch steht, durch die des Volkes gegeben. Die Form des Zusammenlebens der Menschheit ist eben ihre Trennung in Völker, und die Entwickelung des Menschengeschlechts ist an die Verschiedenheit der Völker gebunden. Was wir aber hier als anerkannten Sachverhalt voraussetzen, hat die Völkerpsychologie als nothwendig zu erweisen, und zwar sowohl in causaler, als in [6/312] teleologischer Hinsicht; d. h. sie hat sowohl die Ursachen darzulegen, aus denen die Vertheilung des Menschengeschlechts in verschiedene Völker erfolgt, als auch zu zeigen, wie dieser Umstand der Entwickelung des menschlichen Geistes förderlich ist. Wenn im Laufe der Geschichte hie und da gesellige Elemente die Schranken der Volkseinheit durchbrechen, wenn Religionen, Staaten, wissenschaftliche Richtungen und Kunstepochen Einheiten oder Kreise bilden, welche aus Segmenten verschiedener Nationen zusammengesetzt sind, so wird die Völkerpsychologie solche Erscheinungen natürlich nicht minder zum Gegenstande wissenschaftlicher Betrachtung zu machen haben. Es liegt im Begriff der Völkerpsychologie, ob sie ihren Grundgedanken auch zunächst auf das natürlichste und allzeitige Band der menschlichen Gesellung richtet, durchaus nicht, irgend eine Form menschlicher Gesellschaft von der psychologischen Erforschung auszuschließen. Wo große, allgemeine Ideen ihre Kraft über mehrere Völker ausbreiten, wo ein Gedanke den Genius mehrerer Nationen ergreift und beherrscht, und ihn unterdrückt oder belebt, da wird die psychologische Untersuchung nicht bloß auf das Verhalten des Volksgeistes, sondern auf die Natur und das Gesetz jener Gemein-

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Rimanga dunque l’uomo, in quanto individuo animato, oggetto di una psicologia individuale tale e quale fu finora la psicologia; si ponga però vicino a quella, come sua prosecuzione, la psicologia dell’uomo sociale o della società umana che chiamiamo psicologia dei popoli, giacché – per esprimere qui soltanto brevemente ciò che la scienza stessa deve provare – quella comunità che costituisce appunto un popolo, come quelli dati ogni volta storicamente e in modo diverso dalle libere associazioni culturali, è assolutamente necessaria per ciascun singolo e assolutamente naturale in confronto alle altre unioni. Da un lato, infatti, l’uomo non appartiene esclusivamente al genere umano in quanto classe universale e dall’altro ogni altra comunità in cui egli si trova è data attraverso quella del popolo. La forma del convivere degli uomini è appunto la loro suddivisione in popoli e lo sviluppo del genere umano è legato alla diversità dei popoli. Ma ciò che qui presupponiamo come stato di fatto accertato, la psicologia dei popoli deve mostrarlo come qualcosa di necessario sia in una prospettiva causale [6] sia teleologica; ciò significa che la psicologia dei popoli deve, da un lato, esporre le cause di fondo da cui segue la divisione del genere umano in differenti popoli, dall’altro mostrare come questa circostanza è utile allo sviluppo dello spirito umano. Quando nel corso della storia qui e là elementi comunitari rompono i limiti dell’unità del popolo, quando le religioni, gli stati, gli orientamenti scientifici e le epoche artistiche costituiscono unità o circoli, composti da segmenti di diverse nazioni, la psicologia dei popoli dovrà naturalmente sottoporre a considerazione scientifica anche tali fenomeni. Sta nel concetto della psicologia dei popoli, sebbene essa rivolga anzitutto le sue idee fondamentali al più naturale e comune legame del consorzio umano, non escludere assolutamente dalla ricerca psicologica alcun’altra forma della società umana. Quando grandi, universali idee estendono la loro forza su più popoli, quando un pensiero scuote e domina il genio di più nazioni e lo assoggetta o lo anima, lì la ricerca psicologica sarà rivolta non solo al comportamento dello spirito del popolo, ma alla natura e alla legge di tutte le comunità che trascendono i suoi confini. Se però, anche in questo

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schaften gerichtet sein, welche über diesen hinausgehen. Ob sich aber nicht auch hier der Volksgeist, sowohl in causaler wie in teleologischer Beziehung, als der wesentlichste Ausgangs- und Zielpunkt erweisen wird, ist eine Frage, welche die Wissenschaft erst zu lösen hat. Wenigstens in dem großen Beispiele der Geschichte des Mittelalters, wo politische und religiöse Ideen die Bestimmtheit der Volksgeister zu überspringen und ihre Bedeutung zu verwischen scheinen, möchte vielleicht gerade die Ausnahme die Regel bestätigen; um so viel mehr, als am Ende desselben, in der Zeit der Reformation, sowohl in politischer wie in religiöser und aller Culturbeziehung, gerade die ursprüngliche Bestimmtheit des germanischen Volksgeistes einen so ungeheuren, wesentlichen und günstigen Rückschlag ausübt, daß man bekanntlich lange genug das ganze Mittelalter für eine bloße Nacht chaotischer Gährung ansehen konnte, aus welcher die moderne Welt des national-gesonderten Geisteslebens wie ein junger Tag sich leuchtend emporhebt. – Andererseits ist auch beim Hinblick auf die Einheit der [7/313] Volksgeister im Mittelalter nicht zu vergessen, daß dieselbe auf der Einheit der germanischen Stämme beruht. Alle schaffenden Culturkräfte des europäischen Mittelalters sind germanisch, nicht celtisch, nicht iberisch. Das Hervortreten der gesonderten eigenthümlichen Nationalitäten um das l6te Jahrh. dagegen ist verbunden mit dem Untergange der germanischen Elemente in den romanischen Ländern und dem Aufschwunge des germanischen Geistes in den rein deutschen Völkern. So hat unsere Wissenschaft sich selbst zu begründen – neben der Wissenschaft von der individuellen Seele – als Wissenschaft vom Volksgeiste, d. h. als Lehre von den Elementen und Gesetzen des geistigen Völkerlebens. Es gilt: das Wesen des Volksgeistes und sein Thun psychologisch zu erkennen; die Gesetze zu entdecken, nach denen die innere, geistige oder ideale Thätigkeit eines Volkes – in Leben, Kunst und Wissenschaft – vor sich geht, sich ausbreitet und erweitert oder verengt, erhöht und vertieft oder verflacht, sich verschärft und belebt oder ermattet und abstumpft; es gilt, die Gründe, Ursachen und Veranlassungen, sowohl der Entstehung als der Entwickelung und letztlich des Unterganges der Eigenthümlichkeiten eines Volkes zu enthüllen. Soll der Begriff des Volksoder Nationalgeistes nicht eine bloße Phrase, ein sachleerer Name, soll er nicht ein bloß unbestimmtes, willkürliches Zusammenfassen

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caso, non sia lo spirito del popolo a manifestarsi attraverso un nesso sia causale sia teleologico come la scaturigine e il punto d’arrivo più naturale, è una questione che deve essere risolta anzitutto dalla scienza. Per lo meno riguardo al grande esempio della storia del Medioevo, dove le idee politiche e religiose sembrano oltrepassare i confini degli spiriti dei popoli e cancellarne il significato, l’eccezione potrebbe forse confermare la regola; tanto più che giunti al suo epilogo nell’epoca della riforma, proprio l’originaria consistenza dello spirito del popolo tedesco assestò, in relazione sia alla dimensione politica sia a quella religiosa e anche in relazione alla complessiva situazione culturale, un immane, essenziale e vantaggioso contraccolpo, tale che, com’è noto, fu possibile per un tempo abbastanza lungo guardare all’intero Medioevo come a una mera notte di caotico fermento da cui si solleva, splendendo come una nuova alba, il mondo moderno della vita spirituale divisa in nazioni. – D’altra parte non bisogna neanche dimenticare, con riguardo [7] all’unità degli spiriti dei popoli nel Medioevo, che essa poggia sull’unità delle stirpi tedesche. Tutte le forze culturali produttive del Medioevo europeo sono germaniche, non celtiche, non iberiche. L’emergenza delle singole nazionalità particolari intorno al 16o sec., al contrario, è legata alla discesa di elementi germanici nelle terre latine e allo sviluppo dello spirito germanico nei puri popoli tedeschi. Così la nostra scienza deve fondarsi – vicino alla scienza dell’anima individuale – come scienza dello spirito del popolo, è a dire come teoria degli elementi e delle leggi della vita spirituale dei popoli. Bisogna conoscere psicologicamente l’essenza dello spirito del popolo e il suo operare; scoprire le leggi secondo cui l’attività interna spirituale o ideale di un popolo procede, si estende e si amplia o si restringe, s’innalza e si rafforza o s’indebolisce, s’acuisce e vivifica o scema e s’incupisce nella vita, nell’arte e nella scienza; bisogna rivelare le ragioni, le cause e le circostanze tanto della nascita come dello sviluppo e infine del declino delle peculiarità di un popolo. Non deve essere, il concetto di spirito del popolo o spirito nazionale, una mera frase, un vaniloquio, non deve essere semplicemente una sintesi indeterminata e arbitraria o un’immagine

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oder ein phantastisches Bild der inneren Eigenthümlichkeit eines Volkes sein, sondern (wie der „Geist“ des Individuums) den Quell, das Subject aller inneren und höheren Thätigkeit ausdrücken: dann muß die Auffassung desselben nicht diese und jene einzelnen und zufälligen Richtungen und Thatsachen seiner Erscheinung, sondem die Totalität derselben umfassen und die Gesetze seiner Bewegung und Fortbildung offenbaren. Der Geist, im höheren und wahren Sinne des Wortes, ist ja eben: die gesetzmäßige Bewegung und Entwickelung derinneren Thätigkeit. Herbart war an der oben angeführten Stelle nahe daran, die Völkerpsychologie zu finden. Er hat sie aber, wie die sogleich auf jene Worte folgenden Bemerkungen zeigen, nicht gefunden, sondern ist an ihr vorüber gegangen. Dies wollen wir hier mit wenigen Worten zeigen, nicht um für uns ein Verdienst in Anspruch zu [8/314] nehmen; es scheint nur geeignet, in diesen zur Verständigung angestellten Betrachtungen, auch darauf hinzuweisen, was die Völkerpsychologie nicht ist, und wofür man sie leicht nehmen könnte. Sie ist aber nicht „eine politische Grundlehre“, zu der Herbart ablenkt; vielmehr verhält sie sich zu einer solchen nur so, wie sich die Psychologie auch zur Pädagogik, zur Aesthetik, überhaupt zu den Kunstlehren verhält, nämlich als ihre synthetische Grundlage. Was Herbart wollte, ist nur dies. Er hat auf die Bewegung der Vorstellungen eine Methode angewandt, welche gar „nicht unmittelbar aus dem Begriff eines erkennenden Wesens abgeleitet“, also auch gar nicht eigentlich, weder ausschließlich noch specifisch, psychologisch ist (Ges. W. VI, S. 31); sie paßt „vielmehr auf alle inneren Bestimmungen irgend welcher Gegenstände, sofern dieselben unter einander entgegengesetzt sind und dergestalt zusammentreffen, daß sie nach dem Maße ihres Gegensatzes einander hemmen, daß ihr Gehemmtes sich in ein Zurückstreben zum vorigen Zustande verwandele, und daß die noch ungehemmten Reste zu Gesammtkräften verschmelzen“ (das.). Ein solches Verhältniß zeigt sich nun aber auch unter den in der Gesellschaft wirksamen Kräften; und so, meint Herbart, müssen seine psychologischen Grundlehren auch auf den Staat, die Politik, sich anwenden lassen, was er Behufs der Erläuterung seiner Psychologie beispielsweise weiter ausführt. Er hegt aber auch die Hoffnung, daß die nämlichen Grundsätze auch das organische

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fantastica dell’interna peculiarità di un popolo, ma (come lo spirito dell’individuo) deve esprimere la fonte e il soggetto di ogni attività interna ed eccelsa: la sua comprensione deve allora abbracciare non questi o quei singoli e casuali orientamenti e fatti del suo apparire, ma la totalità di essi e rendere manifeste le leggi del suo movimento e perfezionamento. Lo spirito, nel più alto e vero senso della parola, non è appunto nient’altro che il movimento e lo sviluppo regolato dell’attività interna. Herbart fu, nel luogo su citato, prossimo a scoprire la psicologia dei popoli, ma, come mostrano le osservazioni che seguono subito quelle parole, non la trovò e andò oltre. Intendiamo mostrar brevemente ciò non perché ci venga riconosciuto un merito; [8] ma semplicemente perché pare opportuno in queste considerazioni volte a informare, segnalare anche cosa la psicologia dei popoli non è e per cosa la si potrebbe facilmente scambiare. Essa non è «la dottrina dei fondamenti della politica» a cui Herbart rinvia; piuttosto, si rapporta alla politica come la psicologia si rapporta alla pedagogia, all’estetica e in generale alle teorie dell’arte, è a dire come suo fondamento sintetico. Herbart voleva solo questo. Ha adoperato per il movimento delle rappresentazioni un metodo che «non è immediatamente derivato dal concetto di un’essenza da conoscere» e nemmeno è psicologico in senso proprio, né in modo esclusivo né in modo specifico (Ges. W. VI, S. 31)2; quel metodo è adeguato, piuttosto, «a tutte le determinazioni interne di oggetti qualsiasi, laddove essi siano posti in contrapposizione reciproca e si incontrino in modo tale da ostacolarsi a vicenda in proporzione al loro contrasto, così che con uno slancio all’indietro l’ostacolato ritorni alla condizione precedente mentre i residui ancora non ostacolati confluiscano nella forza complessiva» (ibidem). Ora, però, un tale rapporto si manifesta anche nelle forze operanti nella società; e per questo Herbart crede che le sue teorie psicologiche fondamentali siano anche utilizzabili per lo stato e la politica e questo fa nel prosieguo, a sostegno della spiegazione della sua psicologia. Coltiva inoltre la speranza che gli stessi principi renderanno allo stesso modo comprensibile anche la vita organica; giacché anche questa

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Leben auf ähnliche Weise begreiflich machen werden; denn auch dieses sei eine Verkettung einfacher Wesen, unter denen ähnliche Verhältnisse wie unter den Vorstellungen stattfänden (das. S. 46). Es handelt sich also bei Herbart höchstens nur um Analogien mit seiner psychologischen Betrachtungsweise, genau genommen aber um noch weniger, nämlich bloß um die vorläufige Einübung der Methode, die auf die Psychologie angewandt werden soll, an einem hier gleichgültigen Beispiele. Würden nun auch die Politik und Physiologie um ihrer selbst willen und vollständig nach jener Methode bearbeitet: so würden sie darum doch noch keine psychologischen Disciplinen sein. Daher kommen auch natürlich nicht nur in letzterer, sondern auch in ersterer, in der Statik und Mechanik des Staates, Verhältnisse [9/315] mit Nothwendigkeit zur Sprache, die fern von aller Psychologie sind: wie das Gleichgewicht der Mächte Europas, welches Herbart gleichwohl ganz passend dem Gleichgewicht der Vorstellungen in uns analog stellt. Eben so wenn er vom Verhältnisse zwischen Freien und Unfreien spricht, welches an sich ein rein politisches ist, ob es allerdings auch psychologische Folgen hat. So nahe sich also auch die politische Grundlehre und die Psychologie berühren: so bleiben sie dennoch verschieden; während z. B. die Politik die Bedeutung jenes Verhältnisses zwischen Freien und Unfreien für die Gesellschaft zu untersuchen hat, für die Gesundheit und Festigkeit des Staates: hat die Psychologie die Seelen-Erregungen, die Forderungen und Hemmungen der geistigen Entwickelung, die Antriebe zur Charakter-Bildung, die Stimmungen des Gefühlslebens zu prüfen, die dem Unfreien aus seiner politischen Gedrücktheit entstehen. Aus dieser Erkenntniß kann der Politiker wieder seinen Vortheil ziehen; aber seine Betrachtungsweise ist immer nicht die psychologische, sondern die praktische. Er bedarf bloß der Hülfe der Psychologie, weil die Kräfte, die er leiten will, psychologischer Art sind; Mittel und Ziel dieser Leitung aber sind es nicht. Ganz abgesehen also von ihrer Methode, stehen zwar Politik und Völkerpsychologie darum in inniger Verbindung, weil sie beide auf denselben Gegenstand gerichtet sind: auf die Kräfte des Volksgeistes; aber in der Absicht sind sie von einander verschieden: diese will bloß erkennen, jene will leiten und wirken; diese ist eine rein theoretische Wissenschaft, jene ist die Ethik der Völker und

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sarebbe una concatenazione di essenze semplici, in cui avrebbero luogo rapporti simili a quelli che intercorrono tra le rappresentazioni (idem, 46). Dunque per Herbart si tratta tutt’al più di analogie con il suo procedimento psicologico, e per essere precisi si tratta d’ancor meno, ovvero della provvisoria applicazione del metodo che deve essere usato per la psicologia in un caso equivalente. Fossero pure, però, finanche la politica e la fisiologia elaborate con quel metodo, secondo la propria natura e in modo compiuto, tuttavia non sarebbero ancora discipline psicologiche. Per questo non solo nella seconda, ma anche nella prima – nella statistica e nella meccanica dello stato – emergono necessariamente [9] dei rapporti estranei a ogni psicologia come l’equilibrio delle potenze europee, che Herbart nondimeno considera analoghe, in modo del tutto pertinente, all’equilibrio delle rappresentazioni che si trovano in noi. Lo stesso accade quando parla del rapporto tra uomini liberi e non liberi, che in sé è puramente politico, sebbene abbia conseguenze psicologiche. Per quanto le teorie politiche fondamentali e la psicologia si avvicinino, rimangono pur sempre differenti. Mentre la politica, ad esempio, deve indagare il significato di quel rapporto di liberi e non liberi per la società, per la salute e la solidità dello stato, la psicologia deve verificare gli stati d’eccitamento psichici, gli incrementi e le inibizioni dello sviluppo spirituale, gli stimoli alla formazione del carattere, le disposizioni della vita emotiva che sorgono nell’uomo non libero a causa del suo stato di oppressione politica. Da tale conoscenza il politico può trarre nuovamente il suo vantaggio; ma il suo modo di procedere rimane sempre diverso da quello psicologico, giacché, a differenza di quest’ultimo, è pratico. Gli serve l’aiuto della psicologia semplicemente perché le forze che vuol dirigere sono di tipo psicologico; il mezzo e il fine di chi le dirige però non lo sono. A prescindere interamente dal loro metodo, politica e psicologia dei popoli stanno davvero in intima connessione perché sono rivolte entrambe allo stesso oggetto, alle forze dello spirito del popolo; ma si differenziano per l’intenzione che le anima: questa vuol soltanto conoscere, l’altra vuol guidare e agire, questa è una scienza teoretica pura, l’altra è l’etica dei

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die Technik oder Aesthetik der Staaten. So erwartet die Politik ihre wissenschaftliche Begründung von der Völkerpsychologie, wie die Pädagogik sie von der individuellen Psychologie empfängt. Dies ist aber nur die eine Seite des Verhältnisses zwischen Politik und Völkerpsychologie, nach welcher der Staat als eine Wirkungsform geistiger Kräfte angesehen wurde. Der Staat ist aber auch ein Complex äußerer Verhältnisse, Thätigkeiten und Mittel zur Thätigkeit, und bildet als solcher eine reale, vom Volksgeiste verschiedene Macht. Die Kräfte der Gesellschaft und die Beziehungen innerhalb derselben mögen immerhin geistiger Art sein; andererseits aber bleibt [10/316] auch zu beachten, daß der Volksgeist in der gesellschaftlichen Verfassung und in allem, was den Staat ausmacht, wie eine Seele in ihrem Leibe wohnt. Jeder Staat ist eine geäußerte, der Realität eingebildete Idee eines Volkes, ist also ein Aeußeres, an sich ungeistig, und nur darum und insofern von idealem Werth und Wesen, als er die Ausprägung eines Innern ist. Von dieser Seite aus betrachtet wird das Verhältniß zwischen jenen Wissenschaften ein ganz anderes: die Politik wird sich nun zur Völkerpsychologie verhalten, wie die Physiologie zur Psychologie. Welche Wirkung die Unterdrückung einer Partei, die Nothwendigkeit eines großen stehendes Heeres, Krieg, Aufruhr, Sieg oder Niederlage, einträglicher Handel u.s.w. für den Staat haben, das ist eine rein politische Frage; denn diese Wirkung betrifft zunächst nur äußere Verhältnisse, wie politische Macht, Reichthum der Bürger u.s.w. Diese staatlichen Verhältnisse aber sind für den Volksgeist von derselben Wichtigkeit, wie Gesundheit oder Krankheit des Leibes, Verlust oder Lähmung eines Gliedes für den Geist des Einzelnen. Umgekehrt wird auch der Volksgeist noch ungleich größeren Einfluß auf die Form des gesellschaftlichen Lebens üben als die Seele auf ihren Leib, und er wird dem Staate immer noch mehr zurückgeben, als er von ihm empfängt. Ein Sieg kann seinen nächsten Grund in einer Aeußerlichkeit haben; der tiefere Grund ist doch schon der Volksgeist. Dieser errungene Vortheil hat vor allem seine rein äußerlichen Folgen, Erbeutung von Kriegsmaterial, Wachsthum an Land, Vermehrung der Macht überhaupt; er hat aber auch seine psy-

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popoli e la tecnica o l’estetica degli stati. Quindi la politica aspetta la sua fondazione scientifica dalla psicologia dei popoli, come la pedagogia la riceve dalla psicologia individuale. Questa però è solo una parte del rapporto di politica e psicologia dei popoli, per cui lo stato è stato visto come la forma effettiva delle forze spirituali. Ma lo stato è anche un complesso di rapporti esterni, attività e mezzi per l’attività, e costituisce in quanto tale una potenza reale, diversa dallo spirito dei popoli. Le forze della società e le relazioni al suo interno possono esser sempre di tipo spirituale; d’altro canto però rimane [10] da osservare che lo spirito del popolo abita la costituzione sociale e tutto ciò che costituisce lo stato come un’anima abita il suo corpo. Ogni stato è l’idea che un popolo ha della realtà, dapprima solo figurata e poi concretamente espressa, è pertanto qualcosa di esteriore, di non spirituale in sé e possiede un valore e una natura ideale solo per il fatto d’essere frutto di una forma impressa da un principio interno. In questa prospettiva il rapporto tra quelle scienze è completamente diverso: la politica ora si relaziona alla psicologia dei popoli come la fisiologia si rapporta alla psicologia. Quale effetto la repressione di un partito, la necessità di mantenere un grande esercito, la guerra, l’insurrezione, la vittoria o la disfatta o un accordo vantaggioso hanno per lo stato è questione di ordine puramente politico; giacché l’effetto che ne consegue riguarda soprattutto rapporti esterni come il potere politico, la sovranità dei cittadini etc. Questi rapporti statali però hanno per lo spirito del popolo la stessa importanza che la salute o la malattia del corpo, la perdita o la paralisi di un membro hanno per lo spirito del singolo. Di contro, lo spirito del popolo eserciterà anche sulla forma della vita sociale un’influenza infinitamente maggiore di quella che l’anima del singolo esercita sul corpo di esso e darà indietro allo stato sempre più di quanto ha ricevuto da esso. Una vittoria può avere la sua causa prossima in qualcosa di esteriore, ma la ragione più profonda risiede già nello spirito del popolo. Il vantaggio così acquisito ha anzitutto le sue conseguenze puramente esterne: la cattura del materiale di guerra, l’espansione in termini di territorio, la crescita della potenza in generale; ma ha anche le sue conseguenze psicologiche: l’elevazione del

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chologischen Folgen: Hebung des Muths, des Nationalgefühls, der schöpferischen, geistigen Kräfte überhaupt; und diese inneren Wirkungen fließen abermals in den Leib des Staates. So setzen sich Politik und Völkerpsychologie einander voraus. Sie müssen zusammenwirken, um die Thatsachen zu begreifen. Aber sie sind verschiedene Wissenschaften, mit verschiedenen Principien und Zwecken. – Wir kommen jetzt auf das Verhältniß der Völkerpsychologie zur individuellen zurück. Da der Volksgeist doch nur in den Einzelnen lebt und kein vom Einzelgeist abgesondertes Dasein hat: so kommen auch in ihm natürlich nur dieselben Grundprocesse vor, wie in diesem, [11/317] welche die individuelle Psychologie näher erörtert. Es handelt sich auch in der Völkerpsychologie um Hemmungen und Verschmelzungen, Apperception und Verdichtung; ein Volk hat in seiner Dichtung seine Einbildungskraft, zeigt seinen Verstand und seine Sittlichkeit im praktischen Leben, zeigt überall sein Gefühl, besonders in seiner Religion. Die Verhältnisse, welche die Völkerpsychologie betrachtet, liegen theils im Volksgeiste, als einer Einheit gedacht, zwischen den Elementen desselben (wie z. B. das Verhältniß zwischen Religion und Kunst, zwischen Staat und Sittlichkeit, Sprache und Intelligenz u. dgl. m.), theils zwischen den Einzelgeistern, die das Volk bilden. Es treten also hier dieselben Grundprocesse hervor, wie in der individuellen Psychologie, nur complicirter oder ausgedehnter. Daher könnte man sich die Gliederung der Psychologie so denken: sie hat einen allgemeinen und einen pragmatischen Theil; jener enthält die synthetische Grundlage für diesen; dieser aber zerfiele in die individuelle und die Völkerpsychologie. Oder, wenn man diese Spaltungen, die nicht durchzuführen sein werden, nicht liebt, so wird man eben nur bemerken, daß die individuelle Psychologie zugleich die Grundlage der Völkerpsychologie enthält. – Und dies über ihr beiderseitiges Verhältniß Gesagte mag vorläufig genügen. Gerade weil dieser Punkt zu wichtig ist für unsere Wissenschaft, so kann er nur mit einem sorgfältigen Eingehen in dieselbe erörtert werden, nachdem sie das Verhältniß des Einzelgeistes und Volksgeistes zu einander schon dargelegt hat. Dieses aber bildet eine ihrer hauptsächlichsten und schwierigsten Aufgaben. Wir gehen daher

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coraggio, del sentimento nazionale, delle forze creative e spirituali in generale; e tali effetti interni sfociano di nuovo nel corpo dello stato. Così politica e psicologia dei popoli si presuppongono a vicenda. Devono cooperare per comprendere i fatti. Ma sono scienze diverse, con fini e principi diversi – Torniamo ora al rapporto della psicologia dei popoli con quella individuale. Dal momento che lo spirito del popolo vive solo nei singoli e non ha un’esistenza separata dallo spirito del singolo, in esso si presentano naturalmente gli stessi processi di base che si danno nello spirito del singolo [11], processi che la psicologia individuale analizza più accuratamente. Anche nella psicologia dei popoli si tratta di inibizioni e fusioni, appercezione e condensazione; un popolo condensa la propria immaginazione nella sua poesia, mostra il proprio intelletto e la propria moralità nella vita pratica, rivela il suo sentimento ovunque, soprattutto nella religione. I rapporti che la psicologia dei popoli prende in considerazione in parte risiedono nello spirito del popolo, pensato come un’unità dei suoi elementi (come ad esempio i rapporti tra religione e arte, stato e moralità, lingua e intelligenza e così via), in parte tra gli spiriti individuali che costituiscono il popolo. Qui pertanto si presentano gli stessi processi basilari che si presentano nella psicologia individuale, solo più complicati ed estesi. Pertanto la suddivisione della psicologia si potrebbe pensare così: essa è composta da una parte generale e da una parte prammatica; la prima contiene i fondamenti sintetici dell’altra, la parte prammatica, però, si divide in psicologia individuale e dei popoli. O se non piacciono queste suddivisioni, che è meglio non siano compiute, si noterà semplicemente che la psicologia individuale contiene anche i fondamenti della psicologia dei popoli. – E quanto detto sul loro reciproco rapporto provvisoriamente può bastare. Proprio perché questo punto è troppo importante per la nostra scienza, può esser preso in esame solo per mezzo di un’indagine scrupolosa che vi s’addentri, dopo che la suddetta scienza abbia preliminarmente esposto il rapporto tra spirito individuale e del popolo. Questo però costituisce uno dei suoi principali e più ardui compiti. Pertanto conviene per il momento passare alla seconda prospettiva in relazione

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jetzt über zum zweiten Eingange in dieselbe, der sich von Seiten der Anthropologie her eröffnet. Es pflegt nämlich in der Anthropologie von der Differenz der Volkscharaktere und den Gründen derselben gehandelt zu werden. Viel Treffendes, Schönes und Brauchbares ist hier gesagt worden; aber weder ist eine vollständige Darstellung aller geistigen Lebensmomente auch nur eines Volkes nur versucht worden, noch könnte das auch innerhalb der Anthropologie im engern und üblichen Sinne des Wortes jemals geschehen. Dieselbe hat sich nämlich mit dem Kreise von Erscheinungen des menschlichen Lebens beschäftigt, welcher zwischen den rein physiologischen [12/318] und eigentlich psychischen Thatsachen in der Mitte schwebt, und bei dem die Abhängigkeit des Seelischen vom Leiblichen vorwiegt; z. B. die Zustände von Schlafen und Wachen, die Verschiedenheit der Geschlechter, der Lebensalter u.s.w. Auf dem Grunde der Lehre von den Temperamenten hat sie dann eine Charakteristik der Völker zu erbauen gesucht. Demnach können die anthropologischen – physiologischen und klimatischen – Verhältnisse, wie viel sie auch zur Darstellung und Erklärung eines Volkscharakters beitragen, doch niemals zureichende Gründe zur Erklärung des Volksgeistes mit allen seinen psychischen Thatsachen darbieten. Hegel’s Einwand gegen die anthropologische Begründung: „Rede man nichts von ionischem Himmel, denn jetzt wohnen da Türken, wo ehemals Griechen wohnten, damit Punctum und laßt mich in Frieden!“ läßt sich allerdings – wie dies von Gruppe geschehen (Antäus S. 396 f.), – durch die Behauptung widerlegen, daß der Charakter der Türken schon auf einem anderen Boden gewachsen, selbständig und erhärtet war und sich als solcher dem Einfluß des neuen Klimas entziehen kann. Aber – ohne mit einer vollständigen Erörterung der Frage hier vorgreifen zu wollen – Herr Gruppe und Jeder bedenke nur dies: welch’ eine Mannigfaltigkeit und Differenz der geistigen Fahigkeit hat unter den Ioniern selbst zur Zeit der ionischen Blüthe unter demselben ionischen Himmel statt gehabt? und – unter demselben ionischen Himmel, wo d er griechische Geist blühte, hat er auch abgeblüht und ist verwelkt; allgemeiner: der Verfall der Nationen unter demselben Himmel, unter welchem sie emporwuchsen, beweist, daß ihre Entwickelung nicht von diesem allein abgeleitet werden darf. Oder will man sich hiergegen darauf berufen, daß eben unter demselben Himmel auch gar

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alla nostra scienza, prospettiva che ci è aperta dal lato dell’antropologia. Nell’antropologia, infatti, ci si cura di prendere in considerazione la differenza tra il carattere del popolo e le sue cause. Al riguardo sono state già dette molte cose esatte, belle e utili, eppure né è stata data una spiegazione completa di tutti i momenti della vita spirituale anche di un solo popolo, né ciò poteva mai accadere entro l’antropologia nel più stretto e consueto senso della parola. Essa infatti si è occupata del circolo dei fenomeni della vita umana che oscilla [12] tra i fatti puramente fisiologici e quelli propriamente psichici in cui predomina la dipendenza dello psichico dal corporeo; ad esempio gli stati del sonno e della veglia, la differenza di genere ed età etc. Sulla base della teoria dei temperamenti ha tentato poi di erigere una descrizione dei popoli. Pertanto i rapporti antropologici – fisiologici e climatici –, sebbene contribuiscano all’illustrazione e alla spiegazione del carattere d’un popolo, non possono mai offrire ragioni sufficienti per spiegare lo spirito del popolo e il complesso dei suoi fatti psichici. All’obiezione che Hegel muove alla fondazione antropologica: «non mi si parli di cielo ionico, ché ora, ove un tempo abitavano i greci, vivono i turchi e con ciò basta, e mi si lasci in pace!» si può tuttavia rispondere – come ha fatto Gruppe (Antäus, p. 396 e sgg.) – affermando che il carattere dei turchi cresciuti su un altro suolo era già autonomo e consolidato e in quanto tale poteva sottrarsi all’influsso del nuovo clima3. Ma – senza voler qui precorrere i tempi con un esame completo della questione – il Sig. Gruppe e tutti gli altri riflettano su ciò: quale molteplicità e differenza di capacità spirituale ha avuto luogo tra gli stessi ioni nel tempo della fioritura ionica sotto lo stesso cielo ionico? E – sotto il medesimo cielo ionico, dove lo spirito greco fiorì, esso pure sfiorì e appassì; così in generale può dirsi che il declino delle nazioni sotto lo stesso cielo ove sorsero, mostra che il loro sviluppo non può essere dedotto soltanto da ciò4. O contro ciò ci si vuol richiamare al fatto che sotto lo stesso cielo crescono addirittura animali e piante e che sotto il medesimo sole il fiore sboccia e appassisce? – invero, con questa argomentazione, si è anche concesso che lo sviluppo della

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manche Pflanzen und Thiere wachsen, daß unter derselben Sonne auch die Blume blüht und welkt? – nun so hat man auch schon zugestanden, daß die Entwickelung der Fauna und Flora nicht bloß von Sonne, Luft und Boden abhängt, sondern wesentlich durch den organischen Keim je nach seiner Artbestimmtheit bedingt ist. Ebenso ist die Entwickelung des Geistes wesentlich von seiner inneren Bestimmtheit abhängig. Gerade diese aber konnte die bisherige Anthropologie nur wenig [13/319] oder doch nicht streng wissenschaftlich beachten. Indeß werden wir in derselben an Bemerkungen, Anregungen und dergl. viel Schätzbares finden. Eng an die Anthropologie schließt sich die Ethnologie. Diese Wissenschaft freilich, wie sie bisher vorzugsweise bearbeitet worden ist, möchte man ein Capitel der Zoologie nennen; denn ihr Gegenstand ist eigentlich der Mensch als Thier, als NaturErzeugniß, abgesehen von seiner geistigen Entwickelung, bloß nach dem Bau seines Körpers, im Ganzen und in seinen Varietäten, in denen er über die Erde verbreitet ist, endlich nach seiner leiblichen Lebensweise, wie sie von dem jedesmaligen Boden und Klima bedingt ist. Auch werden dabei berücksichtigt die Abstammungs- oder Verwandtschafts-Verhältnisse der Völker, ihre vorgeschichtlichen Wanderungen und Mischungen, oder so zu sagen, ihre Verpflanzungen und Pfropfungen*. Der Mensch aber ist schon von Natur mehr als Thier; denn in seiner Natur an sich schon ist die Anlage zur Vergeistigung gegeben; der Geist gehört zu seiner Natur. Der Mensch ist ein geistiges Thier, mit, um es kurz auszudrücken, angeborenen geistigen Anlagen, Neigungen, Strebungen, Gefühlen, noch ganz abgesehen von seiner geistigen Entwickelung und Bildung in der Geschichte. Ja sogar diese traditionellen geistigen Elemente muß man, insofern sie ganz unbewußt angeeignet, mit der Muttermilch, wie man sagt, eingesogen werden, zur menschlichen Natur rechnen. Auch von dieser Seite sollte natürlich der Mensch betrachtet werden. Hiermit würde das Gebiet der Ethnologie, also, wenn man will, der Zoologie noch nicht verlassen; wir würden nur zu der bisherigen physikalischen Ethnologie die psychische Ethnologie hinzuzufügen haben, und d. i. eben die Völkerpsy* Einzelne Bearbeitungen der Ethnologie, wie z. B. Vollgraff’s, sind schon auf psychologische Art und werden daher eine größere Berücksichtigung verdienen.

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fauna e della flora non dipende solo dal sole, dall’aria e dal suolo, ma è condizionato dall’embrione organico della sua determinazione specifica. È proprio questo che l’antropologia finora ha potuto prendere in considerazione soltanto in minima parte o in termini [13] non propriamente scientifici. In essa troveremo, invece, molto di apprezzabile in termini di osservazioni, stimoli e spunti di questo genere. L’etnologia si connette intimamente all’antropologia. Ma questa scienza, per il modo in cui è stata per lo più elaborata finora, si potrebbe considerare un capitolo della zoologia; il suo oggetto infatti è proprio l’uomo in quanto animale prodotto della natura, l’uomo considerato indipendentemente dal suo sviluppo spirituale, soltanto secondo la costituzione del suo corpo nel complesso e nelle diverse forme in cui è diffuso sulla terra, in ultimo l’uomo secondo il tipo di vita corporea condizionata dal suolo e dal clima. Nell’etnologia sono anche presi in considerazione le discendenze o le parentele e i rapporti dei popoli, le loro trasmigrazioni e commistioni in epoca preistorica, o, per dir così, i loro radicamenti e innesti*5. Ma l’uomo è qualcosa di più dell’animale già con riguardo alla natura, poiché nella sua natura è già data la disposizione allo sviluppo spirituale; lo spirito appartiene alla sua natura. L’uomo è un animale spirituale – per esprimersi brevemente – con disposizioni, inclinazioni, tendenze e sentimenti spirituali, ancor prima del suo sviluppo spirituale e indipendentemente da esso e dalla sua formazione nella storia. Persino questi elementi spirituali trasmessi per tradizione, dal momento che ce ne si appropria in modo assolutamente inconsapevole, che sono assimilati, come si dice, col latte materno, devono essere assegnati alla natura umana. L’uomo naturalmente dovrebbe essere studiato anche in questa prospettiva. Col che non verrebbe ancora abbandonato il terreno dell’etnologia, se si vuole della zoologia; avremmo solo aggiunto all’etnologia fisica finora praticata l’etnologia psichica, è a dire, precisamente, la * Singole elaborazioni dell’etnologia, come ad esempio quella di Vollgraff, sono già di tipo psicologico e in ragione di ciò otterranno una maggiore considerazione.

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chologie. Sie hat die specifischen Lebensweisen und Thätigkeitsformen der verschiedenen Volksgeister zu ergründen, insofern sie die geistige Natur der Völker bilden. Hiernach wäre die Völkerpsychologie zu bestimmen als die Erforschung der geistigen [14/320] Natur des Menschengeschlechts, der Völker, wie dieselbe die Grundlage zur Geschichte oder dem eigentlich geistigen Leben der Völker wird. Dies ist der Gesichtspunkt, welchen Carl Ritter, der große Geograph, hervorhob, anknüpfend an die Geographie, die er so geistvoll zu machen verstand. Er sagt (Erdkunde I. S. 19), er mache es sich zur Aufgabe: „alle wesentlichen Naturverhältnisse darzulegen, in welche die Völker auf diesem Erdenrunde gestellt sind, und es sollen aus diesen alle Hauptrichtungen ihrer entwikkelten Zustände, welche die Natur bedingt, hervorgehen. Wäre dieses Ziel dann wirklich erreicht: so würde eine Seite der Historie im Allgemeinen einen Fortschritt gewonnen haben, indem das erregende Wesen der Antriebe der äußeren Naturverhältnisse auf den Entwickelungsgang der Menschheit dadurch zu größerer Klarheit gekommen sein müßte. Es bliebe ein anderes Gebiet, das der inneren Antriebe der von dem Aeußere nun abhängigen rein g e i stigen Natur in der Entwickelung des Menschen, der Völker und Staaten, zur vergleichenden Untersuchung übrig, als würdiger Gegenstand einer leicht noch glücklicheren Betrachtung und nicht minder lohnenden Forschung.“ Aber auch Wilhelm v. Humboldt betrachtete zuerst die Sache von diesem Gesichtspunkte aus und scheute sich nicht vor der starken zoologischen oder botanischen Beleuchtung (Ankündigung einer Schrift über die Baskische Sprache und Nation). Später hebt er mehr das psychologische Element hervor; so heißt es z. B. im Anfange der Abhandlung: Ueber den Zusammenhang der Schrift mit der Sprache, Ges. W. IV. S. 427. „Die Gesetze, nach welchen das geistige Streben im Einzelnen erwacht und zur Reife gedeiht, könnte man die Physiologie des Geistes nennen. Aehnliche Gesetze muß es auch für eine ganze Nation geben. Die Nation ist ein Wesen so wohl, als der Einzelne.“ Daß wir in den Werken solcher Männer wie Klemm, Berghaus, Frankenheim, Riehl, Andrée, Golz u. A. reiche historische

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psicologia dei popoli. Essa deve sondare i modi di vivere specifici e le forme di attività dei diversi spiriti dei popoli nella misura in cui questi costituiscono la natura [14] spirituale dei popoli. Con ciò si dovrebbe costruire la psicologia dei popoli come la ricerca della natura spirituale del genere umano, la ricerca della natura spirituale dei popoli, del modo in cui tale natura spirituale diventa il fondamento per la storia dei popoli o per la loro vita spirituale in senso proprio. Questo è il punto di vista a cui Carl Ritter6, il grande geografo, diede risalto, connettendolo alla geografia, disciplina che fu capace di elaborare in modo così geniale. Egli stesso dice (Erdkunde I. S. 19), di perseguire il compito di: «esporre tutti i rapporti essenziali della natura in cui i popoli sono posti su questo globo e da questi devono emergere tutte le direzioni principali degli stadi del loro sviluppo, condizionati dalla natura. Se questo fine fosse davvero raggiunto, allora una pagina della storia universale avrebbe conseguito un progresso, giacché, per suo tramite, dovrebbe esser pervenuto a maggior chiarezza lo stimolo che gli impulsi dei rapporti naturali esterni esercitano sul corso di sviluppo dell’umanità. Alla ricerca comparativa rimane un altro ambito, come oggetto degno di una considerazione probabilmente ancor più proficua e di una ricerca non meno gratificante, quello degli impulsi interni della natura spirituale del tutto indipendente dall’esterno, sullo sviluppo dell’uomo, dei popoli e degli stati». Ma anche Wilhelm v. Humboldt considerò per primo la cosa da questo punto di vista e non indietreggiò di fronte alla spiegazione fortemente connotata in senso zoologico e botanico (Ankündigung einer Schrift über die Vaskische Sprache und Nation)7. Più tardi diede maggior risalto all’elemento psicologico; così ad esempio all’inizio del trattato Ueber den Zusammenhag der Schrift mit der Sprache (Ges. W. IV. S. 427)8, è scritto «le leggi secondo cui la tendenza spirituale cresce nel singolo e giunge a maturità si potrebbero chiamare la fisiologia dello spirito. Leggi simili devono darsi anche per un’intera nazione. La nazione è un’essenza, tanto quanto lo è il singolo». Che in opere di uomini come Klemm, Berghaus, Frankenheim, Riehl, Andrée, Golz9 e altri troviamo significativi risul-

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Ausbeute finden, braucht kaum gesagt zu werden; auch in solchen Zeitschriften wie das Ausland, die Cotta’sche Vierteljahresschrift, das Magazin für Litteratur des Auslandes, liegt gar Mancherlei aus der Gegenwart und Vergangenheit aufgespeichert. – [15/321] Hier müssen wir auch die historisch-ethnologischen Untersuchungen von Eckstein empfehlen. In seinen, in Pariser Zeitschriften erschienenen, Abhandlungen hat dieser ungemein belesene und geistvoll combinirende Forscher der geschichtlichen Ethnologie einen ganz neuen Anstoß gegeben. Wie der Geologe Schichten der Steinarten in der Erdrinde unterscheidet, so er Schichten von Völkern, deren eine über der anderen lagert. Freilich sind es hier lebendige Schichten, die nicht ruhig lagern, sondern sich gegenseitig mittheilen. Nicht nur die leibliche und sprachliche Mischung kommt hier in Betracht; sondern das gesammte Volksleben nach allen seinen Seiten, der religiösen, politischen, häuslichen u.s.w. Seite, wird von Herrn v. Eckstein erforscht, und so das Charakteristische der verschiedenen Völkerstämme und die Verwandtschaft der zu einem Stamme gehörigen Völker allseitig dargelegt. Wir haben in dem eben Gesagten schon den dritten Standpunkt berührt, von dem aus ein allgemeiner Blick auf die Völkerpsychologie leicht zu gewinnen ist: den geschichtlichen. Wie es nur zwei Formen alles Seins und Werdens giebt, Natur und Geist: so kann es auch, nach Abzug der formalen und ästhetischen Wissenschaften, nur zwei Classen von realen Wissenschaften geben, eine, deren Gegenstand die Natur, und eine andere, deren Gegenstand der Geist ist. Demnach stehen sich gegenüber Naturgeschichte und Geschichte der Menschheit. Man kann Bedenken tragen, in welche dieser Classen man die Psychologie versetzen solle. Sehen wir die Sache ein wenig genauer an. Das Wesen des natürlichen Geschehens ist blinde Nothwendigkeit, das der geistigen Geschichte Freiheit. Mit diesem Gegensatze ist zugleich der andere gesetzt: die Natur lebt in einem streng mechanischen Ablauf und einem organischen Kreislauf ihrer gesetzmäßigen Processe. Diese Läufe bleiben vereinzelt, jeder für sich: sie wiederholen sich ewig von neuem; aber die Wiederholung ist nur die Wiedererzeugung des schon Dagewesenen: es entsteht nichts Neues. Der Geist hingegen lebt in einer zusammenhängenden Reihe von Schöpfungen, deren jede die frühere voraussetzt, aber, gegen sie gehalten, etwas Neues bietet; er zeigt

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tati della ricerca storica quasi non è necessario dirlo; anche in riviste come «das Ausland», la «Cotta’sche Vierteljahrsschrift» il «Magazin für Literatur des Auslandes»10 sono accumulate alcune notizie sul presente e sul passato. – [15] In proposito dobbiamo consigliare anche le ricerche storico-etnologiche di Eckstein11. Questo studioso, che unisce all’acume una non comune erudizione, nei suoi trattati apparsi nelle riviste parigine ha dato all’etnologia storica un impulso del tutto nuovo. Come il geologo suddivide gli strati della crosta terrestre così egli suddivide gli strati dei popoli che si adagiano l’uno sull’altro. Ma qui si tratta di strati viventi che non giacciono inermi, ma comunicano reciprocamente. Qui diviene oggetto di considerazione non solo la commistione fisica e linguistica; da Eckstein piuttosto è indagata l’intera vita del popolo in tutti i suoi aspetti, religioso, politico, privato etc. ed è così esposto in modo completo ciò che è caratteristico delle diverse stirpi e la parentela di popoli appartenenti a un’unica stirpe. In ciò che s’è detto abbiamo già toccato la terza prospettiva, a partire da cui è facile conseguire una visione più generale della psicologia dei popoli: il punto di vista storico. Giacché vi sono solo due forme di tutto l’essere e il divenire: la natura e lo spirito, allo stesso modo, tolte le scienze formali ed estetiche, possono esservi soltanto due classi di scienze reali, una il cui oggetto è la natura e l’altra il cui oggetto è lo spirito. Per questa ragione storia naturale e storia dell’umanità sono opposte. Si può dubitare in quale classe, tra queste, debba essere posta la psicologia. Vediamo la cosa un po’ più nello specifico. L’essenza di ciò che accade in natura è la cieca necessità, quella della storia spirituale è la libertà. Con questa opposizione ne è posta, al contempo, un’altra: la natura si sviluppa secondo un corso rigidamente meccanico e secondo il ricorso organico dei suoi processi regolati. Questi decorsi rimangono isolati, ciascuno per sé: si ripetono sempre dall’inizio; ma tale ripetersi è soltanto la riproduzione di ciò che è già esistito, senza che sorga nulla di nuovo. Lo spirito di contro vive entro una serie di creazioni tra loro connesse, ciascuna delle quali presuppone la precedente ma, rispetto a essa, offre qualcosa di nuovo; lo spirito presenta un progresso. Il seme spirituale non

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einen Fortschritt. Der geistige Keim erzeugt nicht, wie der natürliche, bloß wieder einen gleichartigen Keim, sondern durch Hinzunahme [16/322] und unter Begünstigung anderer geistiger Elemente bringt er etwas von sich selbst und diesen mitwirkenden Elementen Verschiedenes hervor, etwas was ihn selbst und diese umgestaltet in sich trägt, aber auch noch mehr umfaßt, als in der bloßen Summe der verzehrten Elemente lag, was also von dem anfänglichen Keime im Wesen verschieden, reichhaltiger, gebildeter, entwickelter ist. Im Allgemeinen gilt also auf dem geistigen Gebiete fortschreitender Entwickelung der Satz, daß das Folgende immer das gehaltvollere, vorzüglich aber, daß es etwas Anderes, noch nicht Dagewesenes ist. Darum ist denn auch die Zeit von ganz anderer Wichtigkeit für den Geist als für die Natur; sie ist hier das Maß der Wiederkehr, dort der Abwechselung, hier des Umschwungs, dort des Aufschwungs. Hiernach müßten wir wohl Bedenken tragen, die Psychologie zu den Wissenschaften des Geistes zu zählen. Sie entwickelt nur eine mechanische Gesetzmäßigkeit gewisser Processe, einen unvermeidlichen Ablauf innerer Bewegungen, die Entstehung gewisser Erzeugnisse im Bewußtsein, wie der Vorstellungen, der Kategorien von Raum, Zeit u.s.w., welche in jedem Menschen nothwendig und in gleicher Weise wie im anderen entstehen, welche sich also in eben der Weise wiederholen, wie ein Keim die gleiche Wiederholung des anderen ist. Es fehlt hier sowohl die Freiheit, wie der Fortschritt, und darum kommt auch die Zeit für die psychologische Entwickelung nicht in Betracht – kurz es fehlt dieser alles, was wir so eben als bezeichnend für den Geist erklärten. Wir könnten demnach veranlaßt sein, die Psychologie als eine dritte Wissenschaft zwischen die Naturwissenschaft und Geschichte zu stellen. Denn von der Naturwissenschaft einerseits unterscheidet sie sich entschieden dadurch, daß sie eben den Geist zum Gegenstand ihrer Forschung hat; man müßte denn als Materialist die geistigen Schöpfungen nur für Blüthen der körperlichen Processe erklären: dann ist freilich die Lehre vom Geistesleben ein bloßer Appendix der Physiologie; andererseits aber sucht sie am Geiste das zu erklären, was er, im Unterschiede von seiner freien und geschichtlichen Entwickelung, mit den Naturwesen [17/323] gemein hat, nämlich die gleichbleibende allgemeine Gesetzmäßigkeit der einzelnen psychischen Processe.

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produce come quello naturale un seme sempre equivalente al primo, ma attraverso [16] l’aggiunta e grazie al favore di altri elementi spirituali, crea da sé qualcosa e qualcosa di diverso dagli elementi che cooperano a questo processo, qualcosa che porta in sé, trasformati, se stesso e quegli elementi, ma che li contiene in modo diverso da come starebbero nella semplice somma di elementi isolati, qualcosa dunque di diverso per essenza dal seme originario, perché più ricco in contenuto, in forma e più sviluppato. In generale, sul terreno spirituale dello sviluppo progressivo vale il principio secondo cui ciò che segue è sempre più ricco in contenuto rispetto a quel che lo precede, ma soprattutto è qualcosa di diverso da esso, qualcosa che non è ancora esistito. Pertanto, il tempo è per lo spirito di ben altra importanza che per la natura; nella natura è la misura del ricorso, nello spirito quella della variazione, nella natura è misura della rotazione, nello spirito, dello slancio in avanti. Per quanto detto, dovremmo dubitare di poter annoverare la psicologia tra le scienze dello spirito. Essa prende solo in considerazione la regolarità meccanica di certi processi, il corso inevitabile di movimenti interni, la nascita nella coscienza di certi prodotti quali le rappresentazioni, le categorie dello spazio, del tempo etc., che sorgono in ogni uomo con necessità e allo stesso modo che in ogni altro momento; prodotti che si ripetono, dunque, esattamente come un seme è la ripetizione di un altro. Qui allora manca tanto la libertà quanto il progresso e pertanto nemmeno il tempo è attinente allo sviluppo psicologico – in breve alla psicologia manca tutto ciò che considerammo tipico dello spirito. Potremmo pertanto essere indotti a porre la psicologia come una terza scienza tra le scienze naturali e la storia. Da un lato, infatti, si differenzia decisamente dalle scienze di natura perché oggetto della sua indagine è proprio lo spirito; se le creazioni spirituali dovessero essere spiegate in senso materialistico, come prodotti dei processi corporei, la teoria della vita spirituale si ridurrebbe a mera appendice della fisiologia; d’altro lato, la psicologia, piuttosto che lo sviluppo libero e storico dello spirito, cerca di spiegare ciò che esso ha in comune con l’essenza della natura: [17] la costante regolarità universale dei singoli processi psichici.

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In der That muß man im Wesen des Geistes selbst immer diese Zwiefältigkeit erkennen, daß er einerseits alle seine Thätigkeiten auf dem Grunde einer sich gleichbleibenden Gesetzmäßigkeit vollzieht, worin seine ewige Verwandtschaft mit der Natur besteht, und andererseits zu historisch fortschreitenden, neuen und freien Schöpfungen sich aufschwingt, wodurch er ewig von aller Natur sich unterscheidet. Der Geist bildet demnach so zu sagen die höchste Spitze der Natur und damit zugleich die Erhebung über dieselbe hinaus. Sein Wirken ist in die Mitte gestellt und bildet den Uebergang von einer lediglich an das allgemeine Gesetz gefesselten Realität und einer freischöpferischen Idealität. Allein, wenn wir die Aufgabe der Psychologie näher betrachten, so erkennen wir, daß dieselbe nicht bloß das Vorhandensein dieser beiden Seiten oder Formen des geistigen Lebens, sondern auch die Vermittelung und Durchdringung beider, d. h. der Gebundenheit des Gesetzes und der Freiheit der Entwickelung nachzuweisen hat. In der That nun liegt diese Durchdringung in der specifischen Natur der geistigen Gesetzmäßigkeit selbst. Denn obgleich diese mit der in allen realen Naturwesen waltenden darin gleich ist, daß das Gesetz selber gleichbleibend und unveränderlich ist: so unterscheiden sich doch die Elemente und Processe, welche dem psychischen Gesetz unterworfen sind, eben dadurch von allen natürlichen Elementen und Processen, daß in ihnen der Keim zu einem Fortschritt gelegt ist. Wenn eine Mehrheit von Vorstellungen oder Gefühlen in eine Bewegung gerathen, so wird diese auf eine gesetzmäßige Weise verlaufen. Allein der Erfolg dieses gesetzmäßigen Verlaufs wird es sein, daß durch eine combinatorische Verschmelzung neue psychische Elemente entstehen, deren Werth und Bedeutung, zumal in fortgesetzter Verbindung, unendlich größer ist, als die der ursprünglichen Masse. Die Processe der Naturwesen sind nicht bloß darin gleichbleibend, daß unter gleichen Bedingungen immer auch gleiche Erfolge stattfinden, sondern auch, daß wenigstens seit Menschengedenken auch die Bedingungen immer die gleichen waren; so daß die Productivität der Natur einen fast wandellosen Kreislauf darstellt. Das [18/324] Gleichbleibende der psychischen Gesetze aber zeichnet sich eben dadurch aus, daß zwar ebenfalls unter gleichen Bedingungen stets gleiche Erfolge hervorgehen, daß es aber in der Natur der psychischen Bedingungen

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Di fatto bisogna sempre riconoscere nell’essenza dello spirito stesso questa duplicità, per cui da un lato esso compie tutte le sue attività sulla base di una legalità permanente – e in ciò consiste la sua sempiterna parentela con la natura – e dall’altro s’innalza a nuove e libere creazioni che importano un progresso storico, ragion per cui esso si differenzia da tutto ciò che è naturale. Lo spirito pertanto costituisce, per dir così, la vetta più alta della natura e parimenti l’innalzamento al di sopra di essa. Il suo operare è posto nel mezzo e costituisce il passaggio da una realtà ancorata unicamente alla legge universale a un’idealità liberamente creatrice. Solo quando analizziamo più da vicino il compito della psicologia, riconosciamo che essa deve dimostrare non solo la compresenza di queste due parti o forme della vita spirituale, ma anche la loro fusione e compenetrazione, è a dire il legame tra legge e libertà dello sviluppo. Ora, di fatto, tale compenetrazione sta nella natura peculiare della legalità spirituale stessa. Infatti, sebbene tale legalità è uguale a quella che domina in tutti i fenomeni naturali reali per il fatto che la legge rimane sempre uguale e immutabile, pur tuttavia gli elementi e i processi sottoposti alla legge psichica si distinguono da tutti gli elementi e processi naturali proprio perché in essi il seme è destinato a un progresso. Quando una pluralità di rappresentazioni o sentimenti sono coinvolti in un movimento, questo si svolgerà secondo leggi precise. Il risultato di tale decorso regolato consisterà nel fatto che attraverso una fusione combinatoria sorgono nuovi elementi psichici il cui valore e significato, anche per il fatto che tali elementi si trovano in ininterrotta connessione, è infinitamente maggiore del valore e del significato della massa originaria. I processi dei fenomeni naturali non sono permanenti solo perché sotto le stesse condizioni hanno luogo i medesimi effetti, ma anche perché, almeno da quando vi è memoria umana, anche le condizioni sono sempre state uguali così che la produttività della natura presenta un ricorso privo di variazioni. [18] L’invariabilità delle leggi psichiche, al contrario, si contraddistingue giacché, seppure – come prima – dalle stesse condizioni derivano sempre gli stessi effetti, tuttavia, nella natura stessa delle condizioni psichiche è insito il produrre

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liegt, Erfolge zu haben, welche einen Fortschritt einschließen, der selbst wieder eine neue Bedingung zu einem neuen Schritte wird. Die gesetzmäßig gleichbleibende Thätigkeit des Geistes also ist Entwickelung, und der Fortschritt gehört so sehr zur Natur des Geistes, daß eben deshalb der Geist nicht zur Natur gehört. Nicht bloß in praktischer, sondern auch in theoretischer Beziehung ist, was Franklin in seiner Definition des Menschen hervorgehoben hat, von der wesentlichsten Bedeutung. „Der Mensch ist ein Werkzeug machendes (tool-making) Thier.“ Eine Reihe von erfindenden Vorstellungen gewinnt im Werkzeug ihre Verwirklichung und wird zu einer Kraft, welche von den durch die Natur selbst gegebenen Kräften verschieden ist; sie bewirkt den Fortschritt und die Erhebung über die Natur hinaus, während alle Thiere auf die Art und das Maß der von Natur gegebenen Kräfte beschränkt bleiben. Und das Werkzeug und sein Product wirkt wieder auf den Geist und seine That zurück: zur Erfindung anreizend und befähigend. Tiefer liegend aber und nicht minder wichtig ist die Betrachtung, daß innerhalb des menschlichen Geistes, rein in dem Wesen seiner Thätigkeit es gegeben ist, fast mit jeder geistigen Arbeit zugleich ein geistiges Werkzeug zu schaffen, was hier nur im Allgemeinen angedeutet werden mag. Die vorhandenen Vorstellungen werden zu appercipirenden Massen, welche so Inhalt wie Form des künftigen geistigen Stoffes gestalten helfen. In ihnen liegt wiederum die Möglichkeit, Regeln, Normen und Gesetze zu bilden, welche die Auffassung der Welt und die Einwirkung auf sie zu ordnen und zu leiten vermögen. Daraus bilden sich endlich herrschende Ideen, welche allem einzelnen geistigen Thun Zweck, Rhythmus und Adel verleihen. – So schließt die Bewegung der Vorstellungen ein organisches System ein zur Erzeugung von geistigen Werkzeugen, welche einander helfen, heben und fortbilden. Ist es nun klar, daß wir es bei der Zweitheilung der Wissenschaften [19/325] bewenden lassen können, und die Psychologie zu denen des Geistes gezogen werden muß: so kann uns eine andere Betrachtung noch näheren Aufschluß über deren Stellung zur Geschichte geben. Die Naturforschung hat eine doppelte Reihe von Disciplinen entwickelt, nämlich erstlich die beschreibende Naturgeschich-

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effetti che implicano un progresso, il quale a sua volta diviene condizione nuova per un avanzamento ulteriore. L’attività permanentemente conforme a leggi dello spirito consiste dunque nello sviluppo e il progresso appartiene a tal punto alla natura dello spirito che lo spirito, in virtù di ciò, non appartiene alla natura. Ciò che Franklin ha posto in luce nella sua definizione dell’uomo è di estrema importanza sia dal punto di vista pratico sia da quello teorico: «L’uomo è un animale che produce strumenti (tool-making)»12. Una serie di rappresentazioni produttive si concreta in strumento e si traduce in una forza diversa rispetto a quelle assegnate dalla natura stessa; tale forza produce il progresso e l’innalzamento oltre la natura, mentre tutti gli animali rimangono vincolati al modo e alla misura delle forze assegnate loro dalla natura. E lo strumento e il suo prodotto, a loro volta, retroagiscono sullo spirito e sulla sua attività, stimolando e sviluppando l’attitudine all’invenzione13. Ma non meno importante e ancor più profonda è la considerazione secondo cui entro lo spirito umano, puramente all’interno della sua attività, è dato produrre uno strumento spirituale assieme a quasi tutte le elaborazioni psichiche, cosa che qui può essere illustrata solo in generale. Le rappresentazioni presenti si trasformano in masse appercettive che servono a plasmare contenuto e forma della materia spirituale a venire. In esse risiede anche la possibilità di costituire regole, norme e leggi che posseggono la facoltà di ordinare e orientare la comprensione del mondo e l’azione rivolta a esso. Da ciò si costituiscono infine idee dominanti che assegnano a ogni singolo atto spirituale fine, ritmo ed elevatezza. – Così il movimento delle rappresentazioni include un sistema organico per la produzione di strumenti spirituali che si aiutano, si accrescono e si perfezionano vicendevolmente. È allora certo che possiamo accontentarci della bipartizione delle [19] scienze e che la psicologia dev’essere assegnata a quelle dello spirito: un’altra spiegazione ci fornirà poi un chiarimento ancora più preciso sulla posizione della psicologia rispetto alla storia. La ricerca naturale ha sviluppato una doppia serie di discipline, anzitutto la storia descrittiva della natura, a cui, oltre

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te, wozu Mineralogie, Botanik und Zoologie, aber auch Astronomie und Geologie gehören. Neben diesen aber, parallel laufend und sie begründend, stehen die rationalen Disciplinen der Naturlehre, nämlich die Physik und Chemie, die Pflanzen- und Thier-Physiologie, und endlich die Mathematik. Während die erste Reihe ein natürliches Leben und Sein, die vorhandenen Dinge, das Reich der Wirklichkeit nach den in ihm hervortretenden Formen beschreibt: entwickelt die andere Reihe die allgemeinen Gesetze, nach welchen diese Formen der Wirklichkeit entstehen und vergehen, sucht die abstracten Urelemente und ElementarKräfte der Natur auf; jene beobachtet: diese experimentirt. – Die Betrachtung des Geistes muß nothwendig eine analoge doppelte Wissenschaft erzeugen. Nun entspricht aber die Geschichte der Menschheit nur der beschreibenden Naturgeschichte; sie ist Darstellung der gewordenen Wirklichkeit im Reiche des Geistes. Wird sie nun nicht auch eine der synthetischen Naturlehre parallel laufende Disciplin fordern? wird sie nicht einer Darstellung der in der Geschichte waltenden Gesetze bedürfen, um synthetisch begründet und begriffen werden zu können? – Wo ist denn aber die Physiologie des geschichtlichen Lebens der Menschheit? Wir antworten: in der Völkerpsychologie. Wie die Biographie der einzelnen Persönlichkeit auf den Gesetzen der individuellen Psychologie beruht: so hat die Geschichte, d. h. die Biographie der Menschheit, in der Völkerpsychologie ihre rationale Begründung zu erhalten. Die Psychologie in ihren beiden Zweigen hat also für Biographie und Geschichte zu leisten, was die Physiologie für die Zoologie. Man glaube nicht, daß diese Aufgabe von der Philosophie der Geschichte schon gelöst, oder daß ihre Lösung von derselben zu erwarten sei. Daß sie ihr oft vorgeschwebt habe, ist allerdings anzuerkennen; allein sie hat, statt Entdeckung der Gesetze der [20/326] Völkerentwickelung, meist nur eine übersichtliche und räsonnirende Darstellung des geistigen Inhaltes, der Quintessenz der Geschichte gegeben; wobei denn auch gewöhnlich von einem bestimmten Begriffe ausgegangen wurde, welcher als die Idee und das Ziel der Menschheit von vornherein festgestellt war, das zu erreichen der Gang der Geschichte sei. So kam es ihr denn auch mehr darauf an, den Geist der einzelnen Völker summarisch zu schildern, um dann besonders die relativen Fortschritte von

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all’astronomia e alla geologia, appartengono la mineralogia, la botanica e la zoologia. Vicino a queste tuttavia, su un piano parallelo e fondativo, si trovano le discipline razionali della natura, quali la fisica e la chimica, la fisiologia delle piante e degli animali e infine la matematica. Mentre la prima serie descrive la vita e l’esistenza naturale, le cose presenti, il regno della realtà secondo le forme che vi si manifestano, l’altra serie sviluppa le leggi universali secondo cui queste forme della realtà sorgono e svaniscono, esegue una ricognizione degli elementi astratti di base e delle forze elementari della natura; quella osserva, questa sperimenta. – La considerazione dello spirito deve in modo analogo produrre necessariamente una scienza duplice. Ora, se la storia dell’umanità corrisponde soltanto alla storia descrittiva della natura, essa è allora descrizione della realtà divenuta nel regno dello spirito. Ma la considerazione dello spirito non esigerà un’ulteriore disciplina, corrispondente alla teoria sintetica della natura? Non necessiterà, per poter essere concepita e fondata in modo sintetico, di un’illustrazione delle leggi valide nella storia? – Dove si trova dunque la fisiologia della vita storica dell’umanità? Rispondiamo: nella psicologia dei popoli. Come la biografia della personalità individuale poggia sulle leggi della psicologia individuale, così la storia, ovvero la biografia dell’umanità, deve ricevere il suo fondamento razionale dalla psicologia dei popoli. La psicologia, nelle sue due diramazioni, deve realizzare per la biografia e la storia, ciò che la fisiologia pone in atto per la zoologia. Non si creda che questo compito sia già stato adempiuto dalla filosofia della storia o che ci si debba aspettare da essa la sua soluzione. Bisogna certo riconoscere che la filosofia della storia si è sempre posta tale compito; ma, piuttosto che la scoperta delle leggi [20] dello sviluppo dei popoli, essa ha in genere fornito una esposizione sintetica e raziocinante del contenuto spirituale, della quintessenza della storia; nel farlo abitualmente si è preso avvio da un concetto determinato, il quale era posto sin dall’inizio come l’Idea o il fine dell’umanità, al cui conseguimento sarebbe stata orientata la marcia della storia. Per questo le fu ancor più congeniale descrivere sommariamente lo spirito dei singoli popoli, per mettere in evidenza

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einem zum andern ins Auge zu fassen, und so ein concentrirtes Bild der gesammten Menschheit zu gewinnen. Davon, daß auch die Zukunft schon mit in den Kreis hineinprophezeit wurde, wollen wir hier nicht reden. So viel ist gewiß, daß nicht die Gesetze der Entwickelung, sondern vielmehr eine Schilderung derselben allemal die Hauptsache war. Nur einzelne Bemerkungen zielten darauf hin, vielfach wiederholte historische Thatsachen als gesetzmäßig zu bezeichnen. – Das Beste hat auf diesem Gebiete unstreitig Hegel geleistet; allein ihm erschien es hier, wie in der Psychologie überhaupt, überflüssig, eine Gesetzmäßigkeit in der Entfaltung der bloßen Erscheinung aufzusuchen; ihm genügt vielmehr die Entwickelung der Idee nach ihrer immanenten Reihenfolge, d. i. die Erkenntniß, daß und worin sich auch hier der dialektische Proceß im Großen und Ganzen manifestire. Hegel sieht auch die einzelnen psychologischen Thatsachen – die Sammlung und Bewegung, das Gehen und Kommen, die Anziehung und Trennung der Vorstellungen in der Seele – gleichsam als die bloße Technik des Denkens an, welche in der Psychologie ebensowenig zu beachten sei, als die technischen Regeln der Künste in der Aesthetik; wenn wir in der Seelenthätigkeit nur die nach der dialektischen Stufenfolge aufsteigende That der Ideen nachweisen können, so sei die Arbeit gethan, zu welchem Behufe es hinreicht, alle jene Erscheinungen summarisch zu betrachten und zu classificiren, nach einem Gesetze aber gar nicht zu fragen. Gegen diese bloße dialektische Schematisirung der subjectiven Thätigkeiten den Werth und die Nothwendigkeit der wissenschaftlichen Erforschung der psychischen Causalität weitläufig zu vertheidigen, ist hier der Ort nicht. Nur zweierlei sei angemerkt: erstens, daß die Gesetzmäßigkeit der psychischen Erscheinungen [217/327] bei weitem nicht so äußerlich, deshalb auch deren wissenschaftliich-theoretische Erkenntniß nicht so gleichgültig sein kann, da auch bei Hegel’s Voraussetzung, daß die Idee allein die treibende Kraft ist, welche die Erscheinungen hervorbringt, gewiß zugestanden werden muß, daß die Idee nicht nach Zufall oder Willkür, sondern nach bestimmten, bis in die einzelnsten Thatsachen hin angewendeten, Gesetzen dieselben erzeugt; Gesetze, die zu erkennen uns ebenso wichtig sein muß, als die Erkenntniß der Gesetze der Natur auch für den Theologen, welcher Gott für das

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i relativi progressi dell’uno rispetto all’altro, ottenendo così un’immagine concentrata dell’intera umanità. Non vogliamo ora soffermarci sul fatto che in tal modo, in questo circolo, era stato profetizzato perfino il futuro. Per lo meno rimane certo che in ogni caso la cosa principale non erano le leggi dello sviluppo, bensì la sua descrizione. Solo sparute osservazioni miravano a indicare come conformi a legge fatti più volte ripetuti. – In quest’ambito, il lavoro migliore è stato compiuto incontestabilmente da Hegel; solo che in questo caso, come in generale nella psicologia, gli sembrò superfluo sondare una qualche legalità nel dispiegarsi del semplice fenomeno, gli bastò piuttosto indagare lo sviluppo dell’idea secondo la sua serie immanente, è a dire gli bastò la conoscenza del fatto e del modo in cui anche qui si manifesti nel complesso il processo dialettico –. Hegel considera anche i singoli fatti psicologici – la composizione e il movimento, l’andare e il venire, l’attrazione e la separazione delle rappresentazioni nell’anima – per dir così, come mera tecnica del pensiero che non sarebbe da prendere in considerazione nella psicologia, come le regole tecniche dell’arte non devono essere trattate nell’estetica. Se nell’attività dell’anima possiamo solo dimostrare lo sviluppo ascendente delle idee secondo gli stadi del processo dialettico, allora è presto fatto il lavoro per cui sono sufficienti la trattazione e la classificazione sommaria di tutti quei fenomeni, ma non si è minimamente giunti a indagarne la legge. Non è qui il luogo per difendere, addentrandosi di più nella questione, il valore e la necessità della ricerca scientifica sulla causalità psichica contro questa mera schematizzazione dialettica delle attività soggettive. Siano solo notate due cose. Anzitutto, che la conformità a legge dei fenomeni psichici [21] non può essere tanto esteriore, e perciò la conoscenza teorico-scientifica di essi tanto indifferente14, se, anche in ragione del presupposto di Hegel secondo cui soltanto l’idea sarebbe forza motrice che produce i fenomeni, deve essere certamente concesso che l’idea non produce i fenomeni secondo il caso o l’arbitrio, ma secondo leggi precise, che trovano applicazione fin dentro ai fatti più particolari; leggi, la cui conoscenza per noi deve essere tanto importante, quanto è importante la conoscenza delle leggi della natura finanche per il teologo che reputa Dio

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einzige Agens in der letzteren hält. Nicht bloß daß, sondern auch wie Gott oder die Idee in der Natur oder Geschichte wirksam ist, soll die Wissenschaft zeigen. Zweitens ist auf die praktische Seite der Psychologie, nämlich als Fundament der Pädagogik – im weitesten Sinne, hinzuweisen; welches sie nur dann werden kann, wenn sie die Gesetzmäßigkeit aller einzelnen psychischen Erscheinungen und Thatsachen erkennt. – Von der praktischen Seite der Völkerpsychologie ist theils schon einiges gesagt, theils wird noch weiter unten einiges bemerkt werden. Wir hoffen doch, es werde Niemand unserer Behauptung, daß die Geschichte aus allgemeinen psychologischen Gesetzen zu begreifen sei, den Vorwurf machen, der die Versuche einer früheren Zeit, die großen Ereignisse der Geschichte aus kleinen und kleinlichen Beweggründen der handelnden Personen zu erklären, mit allem Rechte trifft. Es handelt sich in der Völkerpsychologie noch weniger als in der individuellen um jene eingebildete Menschenkennerei, sondern nur, wie gesagt, um die Gesetze, denen der Geist unterworfen ist, da er eben so wenig, wie die Natur, jemals ohne Gesetz oder gar gegen das Gesetz wirkt. Man fürchte also nicht, daß eine psychologisch begriffene Geschichte etwas von ihrer Würde und Erhabenheit verlieren könne; eben so wenig wie unsere Anschauung der Natur dadurch sich verkleinert, daß sie durch die Physik als gesetzmäßig begriffen wird. Einen anderen Einwand werden wir mehr zu fürchten haben. Man wird sagen, und mit Recht, die scheinbar dem schwankenden Zufall anheimgegebene Natur kann in unserer Schätzung nur gewinnen, wenn wir sie feste Gesetze befolgen sehen; der Geist aber, das ist ein Axiom unseres Vernunftglaubens, ist Freiheit; [22/328] sein Leben, die Geschichte, ist das Erzeugniß der Freiheit. Kaum erträgt man’s, daß diese Freiheit durch die Pläne der göttlichen Vorsehung beschränkt werde: um wie viel weniger, daß sie durch eine unwandelbare, unverletzliche und unentrinnbare Causalität gebunden, und d. h. vernichtet werde. Denn wird dadurch nicht der Geist entgeistet und um nichts weniger geläugnet als vom Materialismus? Diesem Einwurfe könnten wir uns zunächst ganz im Allgemeinen dadurch entziehen, daß wir darauf hinweisen, wie er die individuelle Psychologie in noch höherem Grade treffen würde,

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il solo Agens nell’ambito della natura. La scienza, infatti, non deve solo mostrare che, ma anche come Dio o l’Idea siano attivi nella natura e nella storia. In secondo luogo, bisogna rimandare al lato pratico della psicologia quale fondamento della pedagogia nel senso più ampio; ed essa può divenire ciò solo conoscendo la legalità di tutti i singoli fenomeni e fatti psichici. – Del lato pratico della psicologia dei popoli in parte è già stato detto, in parte si dirà qualcosa più avanti15. Vogliamo anche sperare che nessuno rivolgerà alla nostra considerazione, secondo cui la storia debba essere spiegata per mezzo di leggi psicologiche universali, il rimprovero, che colpisce legittimamente i tentativi compiuti in un’epoca precedente, di spiegare i grandi eventi della storia a partire dalle minute e insignificanti ragioni delle singole persone. Nella psicologia dei popoli si tratta ancor meno che nella psicologia individuale di quella pseudo-conoscenza artificiale dell’uomo, ma solo, come abbiamo già detto, delle leggi a cui lo spirito è sottoposto, giacché, esattamente come la natura, esso non agisce mai eslege o contro la legge. Non si tema dunque che una storia concepita psicologicamente possa perdere qualcosa della sua dignità ed elevatezza; ciò accade tanto poco quanto la nostra prospettiva sulla natura è rimpicciolita per il fatto che essa sia concepita, attraverso la fisica, come conforme a legge. Dovremo temere di più un’altra obiezione. Si dirà, e con ragione, che la natura, apparentemente abbandonata alle oscillazioni del caso, può soltanto salire nella nostra opinione quando la vediamo seguire leggi stabili; ma lo spirito, è questo un assioma della nostra fede razionale,– è [22] libertà; la sua vita, la storia, è il prodotto della libertà. Si tollera a mala pena che tale libertà sia contenuta entro i piani della provvidenza divina, e molto meno che essa sia costretta in ragione di una causalità immutabile, inviolabile, senza via d’uscita, è a dire che essa sia negata. Con ciò non viene dunque, lo spirito, despiritualizzato e occultato, non meno di quanto non faccia il materialismo? A questa obiezione potremmo sottrarci anzitutto in via molto generale, indicando come essa colpirebbe in misura ancora maggiore la psicologia individuale, giacché il bisogno

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weil das Bedürfniß nach der Annahme einer persönlichen Freiheit noch entschiedener ist. Nichts desto weniger haben auch die Lehrer der absolutesten Willensfreiheit eine individuelle Psychologie vorzutragen, Stoff und Ursache gefunden. Sodann aber läßt sich dieser Einwand schon durch einen flüchtigen Hinblick auf das Wesen der Freiheit beseitigen. Neben dem Willen, auch wenn er unbedingt frei gesetzt wird, erscheint in dem psychischen Processe eine Reihe von ihm verschiedener Elemente. Nicht nur in der Sphäre der Erkenntniß und des Gefühls, sondern auch in der des Handelns bestehen die Erscheinungen des geistigen Lebens weder in dem bloßen Willen noch durch ihn. Betrachtet man nun auch den Willen als die alleinige bewegende Kraft für diese verschiedenen Elemente, so kann doch diese Bewegung keine durch den Willen allein bedingte sein. Vielmehr folgen dieselben gewissen psychologischen Gesetzen, innerhalb deren allein der Wille mit ihnen operiren kann. Denken wir uns den Willen gleichsam wie einen Feldherrn, welcher eine Truppenmasse nach seinem Befehl in Bewegung setzt, so ist offenbar, daß, wie frei dieser Befehl auch sei, er an die einfachen Gesetze der Truppenbewegung, die sich aus der Natur derselben ergeben, gebunden ist. Die räumlichen Bedingungen der Ausdehnung einer Masse, der Fortbewegung ihres Kriegsbedarfs, schließen Gesetze ein, welche kein Befehl verändert, und denen kein Führer ungestraft sich entziehen kann. So wie nun der Befehl des Feldherrn nur darauf gerichtet und darauf gegründet sein kann, die, eigenen Gesetzen unterworfenen, Kräfte gemäß denselben in Bewegung zu setzen: so auch kann der freie Wille die [23/329] Vollziehung der verschiedenen Processe im menschlichen Geiste nur in so fern und dadurch lenken, daß er die psychischen Elemente innerhalb der ihnen selbst einwohnenden Gesetze in Bewegung bringt. – Die Erforschung nun dieser Gesetze, welche der freie Wille in Dienst zu nehmen befähigt ist, bildet eben eine Aufgabe der Psychologie. Hieran aber knüpft sich die weitere Aufgabe, sowohl die Frage nach der Freiheit des Willens überhaupt zu entscheiden, als auch das Maß seiner Einwirkung, da er nur eine Kraft unter den Kräften ist, zu bestimmen. An die Bestrebungen der Philosophie der Geschichte knüpfen sich die der geistvollen Historiker, namentlich der Culturhistoriker, der Philologen und Sprachforscher, wie Humboldt, Grimm,

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di acquisire una libertà personale è ancora più decisivo. Ciò nondimeno anche i maestri del libero arbitrio hanno trovato materia e ragioni per presentare una psicologia individuale. Tale obiezione si lascia poi circoscrivere per mezzo di uno sguardo fugace all’essenza della libertà. All’interno del processo psichico, accanto alla volontà, quand’anche sia posta in modo incondizionatamente libero, appare una serie d’elementi diversi. Come nella sfera della conoscenza e del sentimento, anche in quella dell’azione i fenomeni della vita spirituale non consistono nella mera volontà e neppure sono dati soltanto attraverso di essa. Si consideri ora anche il volere come l’unica forza motrice per i due differenti elementi, tale movimento non potrà certo essere condizionato dal solo volere. Quegli elementi seguono piuttosto le stesse sicure leggi psicologiche, all’interno delle quali la volontà può operare esclusivamente assieme a loro. Immaginiamoci il libero volere come un comandante, che, con un suo ordine, fa marciare le truppe; è evidente che, per quanto quest’ordine possa essere libero, rimane vincolato alle leggi fondamentali del movimento delle truppe che risultano dalla loro natura. Le condizioni spaziali dell’espansione di una massa, del progredire del suo bisogno di guerra, racchiudono leggi che nessun ordine può cambiare e a cui nessun comandante può sottrarsi impunemente. Ora, come l’ordine del comandante può essere soltanto basato e orientato a porre in movimento le forze sottoposte a leggi proprie in modo conforme a esse stesse, parimenti il libero volere [23] può condurre al compimento di molteplici processi nello spirito umano solo per il fatto di porre in movimento gli elementi psichici secondo le leggi che vigono in essi e solo nel misura in cui ciò avviene. – Ora, la ricerca di queste leggi che può entrare a servizio del libero volere, costituisce proprio un compito della psicologia. A questo si collegano gli altri compiti, tanto quello di dirimere la questione della libertà del volere in generale, quanto quello di determinare l’incidenza della sua azione, dal momento che esso è soltanto una forza tra le forze. Agli sforzi della filosofia della storia si connettono quelli degli storici geniali, è a dire di storici della cultura, di filologi e linguisti, come Humboldt, Grimm, Böckh, Wachsmuth,

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Böckh, Wachsmuth, Gagen und ihre Genossen und Schüler, bei denen wir eigentlich Materialien finden, welche unmittelbar den Stoff der psychologischen Bearbeitung abgeben. Die Werke dieser Männer können uns freilich nur die concreten Erscheinungen des inneren und äußeren Lebens der Völker, einzelner oder mehrerer zugleich, also die Thatsachen, in denen die Volksgeister sich manifestiren, und die historische Entfaltung darbieten. Der Völkerpsychologie fällt nun die Aufgabe zu, aus diesen concreten Erscheinungen heraus auf wissenschaftliche Weise und in wissenschaftlicher Form die Gesetze zu finden, nach denen sie sich erzeugt haben. Es verhalten sich jene Arbeiten zur Völkerpsychologie wie Biographien und Novellen zur Psychologie: die besseren liefern reichen Stoff und häufige Winke, welche der Psychologe wohl benutzen und kaum entbehren kann; aber sie überheben ihn seiner Arbeit nicht. Aus dem eben Gesagten geht hervor, was dennoch ausdrücklich wiederholt werden muß: daß die Völkerpsychologie nur von den Thatsachen des Völkerlebens ausgehen kann, daß sie aus der Beobachtung, Ordnung und Vergleichung der Erscheinungen allein hoffen kann, die Gesetze des Volksgeistes zu finden. Daß eine Construction der verschiedenen Volksgeister und der aufsteigenden Kräfte nach irgend welchen fertigen Kategorien keinerlei Art wissenschaftlich begründeter Resultate ergeben kann, wird man heutzutage gern zugestehen. Die Construction kann sich – geistvoll behandelt – ganz dem Gesetze [24/330] der Wirklichkeit fügen, finden wird sie es nimmermehr! Von den Thatsachen also muß ausgegangen werden, ja um bloß die Aufgabe der Völkerpsychologie vollständig richtig zu bestimmen, wird eine reiche und wiederholte Sammlung derselben nöthig sein. Die Quelle der Thatsachen strömt auch hier nicht sparsamer als bei den Individuen, obwohl sie, umfassender an Form und Inhalt, bei weitem schwieriger zu finden und zu fassen ist. Die Culturgeschichte aller Nationen, so weit sie uns irgend bekannt, mit all’ ihren einzelnen Zweigen liefert uns eine so reiche Ausbeute des mannigfaltigsten Materials, daß sich uns ein unabsehbares Feld der Beobachtung und Combination eröffnet; und eine Zusammenstellung und Vergleichung der verschiedenen Richtungen in dem Leben eines und desselben Volkes, dann wiederum der verschiedenen Völker, ist offenbar auch für die volle und klare Erkenntniß

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Gagern16 e dei loro sodali e allievi, nella cui opera troviamo davvero documenti che restituiscono in modo immediato la materia da sottoporre all’elaborazione psicologica. Le opere di questi uomini possono però offrirci soltanto i fenomeni concreti della vita interiore ed esteriore dei popoli, sia di singoli sia di molti popoli, è a dire i fatti in cui i diversi spiriti dei popoli si manifestano e il loro stesso dispiegamento storico. Ora, alla psicologia dei popoli spetta il compito di estrarre in modo e forma scientifica da questi fenomeni concreti le leggi secondo cui essi sono stati prodotti. Quei lavori pertanto si rapportano alla psicologia dei popoli come le biografie e i racconti si rapportano alla psicologia. I migliori forniscono ricca materia e numerosi indizi che lo psicologo può utilizzare e da cui quasi non può prescindere e tuttavia non lo dispensano dal suo lavoro. Dalle cose dette emerge quindi ciò che nondimeno è d’uopo ripetere espressamente: che la psicologia dei popoli può procedere soltanto dai fatti della vita del popolo, che può sperare di trovare le leggi dello spirito del popolo unicamente per mezzo dell’osservazione, della classificazione e della comparazione dei fenomeni. Bisogna pertanto ormai ammettere che la costruzione degli spiriti dei popoli e delle forze crescenti secondo una qualsiasi categoria fissa, non può fornire nessun tipo di risultati fondato scientificamente. La costruzione – se genialmente praticata – può adattarsi [24] pienamente alla legge della realtà, trovarla essa non potrà giammai! Bisognerà allora che si proceda dai fatti; per determinare in modo adeguato il compito della psicologia dei popoli sarà necessaria una ricca e ripetuta raccolta di fatti. La fonte dei fatti, in questo caso, scorre in misura non minore che nel caso degli individui, per quanto, più ampia in forma e in contenuto, sia di gran lunga più difficile da trovare e da comprendere. La storia della cultura di tutte le nazioni, nella misura in cui ci è nota, ci offre con tutti i suoi singoli rami un provento tanto ricco di molteplici materiali da aprirci uno sterminato campo di osservazione e combinazione; e una raccolta e una comparazione delle diverse direzioni di vita di un solo popolo, come quella di popoli diversi, è evidentemente necessaria anche per la piena e perspicua conoscenza di un

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eines einzigen erforderlich. Nur auf einem Punkte scheint uns die Beobachtung beschränkt, nämlich die der Kindheit, welche für die individuelle Psychologie gewiß von hoher Bedeutung und Fruchtbarkeit ist. Indeß reicht, wenn gleich nicht die directe, so doch die indirecte Kenntniß der Menschheit bis zu den frühesten Zeiten der Bildung hinauf; nämlich durch die etymologischen Studien, besonders eines Grimm (Geschichte der deutschen Sprache) werden uns durch die Sprache auch die Vorstellungen und Sitten u.s.w. selbst der ersten Jugend der gebildeten Nationen auf überraschende Weise vor die Augen gestellt. In dieser Richtung dürfen wir von künftigen weiteren Forschuungen noch vieles hoffen, und die täglich sich erweiternde genauere kenntniß der roheren und ungebildeteren Stämme wird uns in anderer Weise das Bild der Kindheit eines Volkes zeigen. Von der anfänglichen Staaten- und Gesellschaftsbildung liefert uns das jüngere America höchst mannigfache und interessante, und, wenn auch durch das Wesen der Einwanderung eigentümlich geartete, dennoch allgemein belehrende Thatsachen. Für die empirische Psychologie könnte man also diese Lücke mit der Zeit ausfüllen. Der metaphysische Streit aber: ob die Geschichte des Menschengeschlechts mit einem allmählichen Fortschritt beginnt oder bare mit einem Rückschritt, einem Abfall vom einem besseren [25/331] Sein – bleibt uns fern; denn jedenfalls muß die Wissenschaft, um sich nicht selbst aufzuheben, von jener mythischen Voraussetzung, daß Elemente einer untergegangenen antediluvianischen Culturwelt auf die Entwickelung der gegenwärtigen gewirkt hätten, absehen, und es versuchen, aus den geschichtlich festehenden Thatsachen und der geistigen Natur des Menschen, wie sie heute sich noch offenbart, die Entwickelung des Menschengeschlechts genügend zu begreifen. _____________ Sind wir durch vorstehende Betrachtungen in den Kreis völkerpsychologischer Thatsachen eingetreten, so wollen wir uns nun hier ein wenig umsehen und versuchen, ob wir nicht einen gewissen Plan, nach dem sich das Einzelne gruppirt, erkennen mögen. Wir sehen aber sogleich, wie sich das Ganze in zwei Theile zerlegt. Es soll geredet werden vom Volksgeiste und von den Volksgeistern, und zwar beides zugleich mit Bezug auf Geschichte. Denn von der Psychologie ausgehend, kamen wir vom Einzel-

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popolo singolo. Solo riguardo a un punto l’osservazione ci pare ancora lacunosa, quello relativo all’infanzia, che per la psicologia individuale è certo del più alto significato e della più grande utilità. È sufficiente invece se non la conoscenza diretta, certo quella indiretta dell’umanità fino agli albori della formazione; infatti attraverso gli studi etimologici, soprattutto di un Grimm (Geschichte der deutschen Sprache17) ci vengono mostrati in modo sorprendente, attraverso la lingua, anche le rappresentazioni e i costumi proprio della prima giovinezza delle nazioni civili. In tale direzione possiamo sperare ancora molto dalle ricerche a venire, e la precisa conoscenza che avanza quotidianamente delle stirpi incolte e incivili ci mostrerà in un modo alternativo l’immagine dell’infanzia di un popolo. È la giovane America a fornirci nel miglior modo possibile i fatti più numerosi e interessanti relativi agli stati e alle formazioni sociali nascenti che, sebbene emersi specialmente attraverso l’immigrazione, risultano comunque universalmente istruttivi. Per la psicologia empirica queste lacune si potrebbero dunque colmare col tempo. Ma la disputa metafisica, se la storia del genere umano inizi con un progresso graduale o con un puro regresso, con una caduta da un condizione [25] più elevata, non ci riguarda; in ogni caso la scienza deve prescindere, per non negare se stessa, da quei presupposti mitologici secondo cui elementi di un mondo culturale antidiluviano ormai trascorso, avrebbero condizionato lo sviluppo del mondo presente e bisogna cercare di comprendere adeguatamente lo sviluppo del genere umano a partire dai fatti storici accertabili e dalla natura spirituale degli uomini come si manifesta ancora oggi. _____________ Con le considerazioni precedenti siamo entrati nel circolo dei fatti che riguardano la psicologia dei popoli, ora vogliamo guardarci un po’ attorno e cercare se non sia dato conoscere un qualche piano secondo cui si raggruppa il particolare. Vediamo subito come l’intero si divida in due parti. Bisogna che si parli dello spirito del popolo e degli spiriti dei popoli, e invero di entrambi in relazione alla storia. Partendo dalla psicologia siamo infatti giunti dallo spirito del singolo

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geiste zum Volksgeiste; von der Ethnologie aus gelangen wir vom Menschen als einem natürlichen, sich in Varietäten spaltenden, Geschlecht zu den Völkern als den Modificationen des menschlichen Geistes; und durch beide Betrachtungen verlangte die Geschichte Einsicht in ihren gesetzlichen Gang. So verhalten sich nun zwar beide Theile der Völkerpsychologie zur Geschichte als synthetische Grundlage derselben; davon aber abgesehen, steht der erste Theil zum zweiten selbst wieder in gleichem Verhältnisse, was näher zu betrachten ist. Die synthetischen, rationalen Disciplinen haben zum Gegenstande die Urelemente (die Chemie), aus denen, und die allgemeinen Gesetze (Physik und Physiologie), nach denen das einzelne Dasein entsteht, sich erhält und vergeht; die beschreibenden Disciplinen betrachten eben dieses wirkliche Dasein nach den Formen, die es durch die eigenthümliche Combination jener Elemente und Gesetze in jedem Falle erhalten hat. Die ersteren sind abstract; denn jene Elemente und Gesetze zeigen sich seltener oder [26/332] niemals in selbständiger Vereinzelung, und haben meist nur eine künstliche Existenz durch das Experiment, die Ausscheidung des Forschers. Die einfachen Körper der Chemie existiren meist nur in den zusammengesetzten Körpern; und die Fälle der Physik kommen in der Wirklichkeit fast nie so rein vor, wie die Wissenschaft sie darstellt; sondern es greifen dort immer mehrere physikalische Gesetze in einander. – Die andere Klasse ist concret; ihr Gegenstand ist die gegebene Wirklichkeit, die lebenden Thierarten, Pflanzenarten, die Erde als Ganzes und mit ihren vielen mineralogischen Bildungen. – So gehört nun die Psychologie zur ersten Klasse, im Gegensatze zu Biographie und Geschichte; relativ aber genommen, steht erstlich, wie schon bemerkt, die individuelle Psychologie zur Völkerpsychologie in demselben Gegensatze, und abermals nun auch der erste Theil der Völkerpsychologie zum zweiten derselben. Denn der erste Theil soll zeigen, was überhaupt der Volksgeist ist, unter welchen ganz allgemeinen Bedingungen und Gestzen er lebt und wirkt; welches überall seine costitutiven Elemente sind, wie diese sich bilden, in welche Verhältnisse sie zueinander treten, und was jedes für das Ganze wirkt; so daß hieraus die Entste-

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a quello del popolo; partendo dall’etnologia siamo pervenuti dall’uomo, quale specie naturale differenziatesi in molte varietà, ai popoli quali modificazioni dello spirito umano; e attraverso entrambe le trattazioni la storia ha conseguito un punto di vista in merito al suo decorso regolato. Così, invero, entrambe le parti della psicologia dei popoli si rapportano alla storia quale fondamento sintetico di essa; ma prescindendo da ciò, la prima parte si rapporta alla seconda nello stesso modo, e ora è necessario prendere in considerazione questo aspetto più accuratamente. Le discipline sintetico-razionali hanno a oggetto gli elementi originari (la chimica) da cui nasce e le leggi universali (la fisica e la fisiologia) seguendo cui sorge, permane e trascorre l’esistenza individuale; le discipline descrittive prendono in considerazione questa esistenza reale secondo le forme che ha ottenuto attraverso la peculiare combinazione, di volta in volta determinatasi, di quegli elementi e di quelle leggi. Le prime sono astratte; infatti, quegli elementi e quelle leggi si mostrano separatamente e autonomamente di rado oppure [26] mai e, per lo più, hanno soltanto un’esistenza artificiale in virtù dell’esperimento, il precipitato dello scienziato. I corpi semplici della chimica esistono esclusivamente nei corpi composti; e i processi della fisica non si trovano nella realtà quasi mai in una configurazione tanto pura come quella in cui la scienza li presenta; nella realtà invece si intrecciano sempre una molteplicità di leggi fisiche. – L’altra classe di discipline è concreta; il suo oggetto è la realtà data, le specie animali e vegetali viventi, il globo terrestre nel suo complesso e con i suoi molteplici composti minerali. – Ora, la psicologia appartiene, a differenza della biografia e della storia, alla prima classe; come abbiamo già notato però, in senso relativo, prima è la psicologia individuale a trovarsi in quella stessa posizione rispetto alla psicologia dei popoli, poi la prima parte della psicologia dei popoli rispetto alla sua seconda parte. La prima parte dunque deve mostrare cosa sia lo spirito del popolo in generale, sotto quali condizioni e leggi universali viva e operi; quali siano i suoi elementi costitutivi in ogni dove, come si formino, in che rapporti entrino tra loro e quale ruolo abbia ciascuno per l’intero; cosicché da qui sia

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hung und Entwickelung des Volksgeistes klar werde. Dieser Theil also ist abstract und allgemein, natürlich nicht ohne Rücksicht auf die einzelnen Völker und ihre Geschichte, aber, mit Beseitigung des Eigenthümlichen, nur das Allgemeine heraushebend. Es ist hier die Rede von der Menschheit als Volk; von Sprache, Religion u.s.w. wie diese als Aeußerungen des zum Volksgeiste bestimmten Menschengeistes sich offenbaren. – Der andere Theil dagegen ist concret; er behandelt die wirklich existirenden Volksgeister und ihre besonderen Entwickelungsformen. Jener stellt die Gesetze auf, die für alle Völker gelten: dieser beschreibt, charakterisirt die einzelnen Völker als die besonderen zur Wirklichkeit gelangten Formen jener Gesetze. Bei einem tieferen monographischen Eingehen auf den Gegenstand können auch andere als gerade die Volkseinheiten dieser zwiefachen Betrachtung unterworfen werden; es kann von den psychischen Gesetzen des Staatslebens, der Religionsgenossenschaft u. dergl. überhaupt und dann wiederum von bestimmten Staaten und [27/333] Kirchen gehandelt werden, in denen jene Gesetze zu einer individualisirten Verwirklichung gelangt sind. Demnach könnten wir den ersten Theil völkergeschichtliche (ethnologische und politische) Psychologie nennen, den zweiten aber psychische Ethnologie, während für das Ganze der Name Völkerpsychologie gelten mag. Wie die individuelle Psychologie aus den einfachsten Seelen-Ereignissen und den Gesetzen, nach welchen sie sich mit einander verbinden und im Bewußtsein auf- und niedertauchen, das verwickelte Getriebe des ausgebildeten Bewußtseins sich entwickeln lassen soll: so hat die völkergeschichtliche Psychologie aus den einfachsten Erzeugnissen der menschlichen Geselligkeit den umfassenden Organismus des Volksgeistes zu erklären. Es ist also zu zeigen, wie sich die einfacheren, elementaren Kräfte des menschlichen Bewußtseins combiniren zu complicirten Gesammtkräften und Gebilden des Volksgeistes; so daß wir allmählich alle wesentlichen Formen und Erzeugnisse des Zusammenlebens der Menschheit, wie Familie, Staat, Stände, Religion, Literatur u.s.w. nach und neben einander entstehen, sich gegenseitig fördern und auch hemmen sehen. _____________

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fatta chiarezza sulla nascita e lo sviluppo dello spirito del popolo. Questa parte è dunque astratta e universale, anche se non priva di riferimenti naturalmente ai singoli popoli e alla loro storia, e tuttavia, mettendone tra parentesi la peculiarità e dando rilievo soltanto all’aspetto universale. Qui il discorso verte sull’umanità in quanto popolo; sulla lingua, sulla religione e così via, su come tali formazioni si manifestino quali espressioni dello spirito dell’uomo configurato come spirito del popolo. – L’altra parte, al contrario, è concreta; prende in considerazione gli spiriti dei popoli realmente esistenti e le loro peculiari forme di sviluppo. Quella stabilisce le leggi che valgono per tutti i popoli; questa descrive, caratterizza, i singoli popoli quali forme particolari, giunte a realizzazione, di quelle leggi. Per mezzo di una più approfondita considerazione monografica della questione possono essere sottoposti a questa duplice considerazione anche altre unità a parte le vere e proprie unità del popolo; può trattarsi delle leggi psichiche della vita dello stato, dell’associazione religiosa e altro e, in secondo luogo, di stati particolari e [27] chiese singole, in cui quelle leggi sono pervenute a una realizzazione individuale. Potremmo, dunque, chiamare la prima parte psicologia storica (etnologica e politica) dei popoli e la seconda parte etnologia psichica, mentre per il tutto può restar valido il nome di psicologia dei popoli. Come la psicologia individuale, dai più semplici eventi dell’anima e dalle leggi secondo cui questi elementi si connettono l’un l’altro o emergono e scompaiono dalla coscienza, deve lasciar che si sviluppi il complesso meccanismo della coscienza evoluta, così la psicologia storica dei popoli deve spiegare dai più semplici prodotti del consorzio umano l’organismo complessivo dello spirito dei popoli. Bisogna dunque mostrare come le più semplici, elementari forze della coscienza umana si combinino in complicate forze unitarie e in costrutti dello spirito del popolo, in modo tale che per noi sia possibile scorgere via via come tutte le forme e i prodotti essenziali della convivenza dell’umanità, come la famiglia, lo stato, i ceti, la religione, la letteratura etc., sorgano uno dopo l’altro e uno vicino all’altro, come si sostengano e si ostacolino reciprocamente. ________________

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Wir haben bis hierher den Begriff, die Methode und die Möglichkeit der Völkerpsychologie nur ganz im Allgemeinen besprochen; es kommt nun darauf an, wenigstens die wesentlichsten Momente derselben als Wissenschaft näher zu beleuchten. Zunächst könnte die Anwendung des Begriffs der Psychologie auf das Völkerleben, d. h. die Gründung einer solchen Wissenschaft, Zweifel gegen sich dadurch erregen, daß, weil eine Psyche des Volkes im eigentlichen Sinne des Wortes undenkbar, die Substanz, welche als Träger der Thätigkeit gedacht werden muß, zu fehlen scheint. Fassen wir aber die Sache näher ins Auge, so leuchtet bald ein daß die Erkenntniß der Seele, d. h. der Substanz und Qualitat derselben, keineswegs das Ziel oder auch nur das Wesentliche der Aufgabe ist, welche die Psychologie zu lösen hat. Vielmehr besteht diese wesentlich in der Darstellung des psychischen Processes und Progresses, also in der Entdeckung der Gesetze, nach denen jede innere Thätigkeit des Menschen (vom [28/334] Rechnen bis zum Dichten, vom sinnlichen Begehren bis zum sittlichen Wollen, von der materiellen bis zur ästhetischen Anschauung der Dinge) vor sich geht, und in der Auffindung der Ursachen und Bedingungen jedes Fortschrittes und jeder Erhebung in dieser Thätigkeit. Wir könnten deshalb, da man in unserer Sprache fast allgemein und sicher den Unterschied zwischen Seele und Geist darin begreift, daß jene eine Substanz, ein reales Etwas, dieser aber mehr die bloße Thätigkeit bedeutet – die Psychologie in Seelenlehre und Geisteslehre unterscheiden, so daß jene, welche mehr das Wesen oder die Substanz und Qualität der Seele an sich betrachtet, eigentlich einen Theil der Metaphysik oder Naturphilosophie, diese aber (die Geisteslehre), welche die Thätigkeiten der Seele und deren Gesetze betrachtet, die eigentliche Psychologie ausmacht*. Demgemäß ist leicht ersichtlich, wie von einer Völkerpsychologie, analog der individuellen Psychologie, die Rede sein kann: nämlich als Volksgeisteslehre in dem eben

* Die wissenschaftlichen Resultate beider werden zwar mit einander innig zusammen – aber darum doch nicht von einander abhängen. So hat die frühere empirische Psychologie eine bedeutende Summe von Erfahrungen und Beobachtungen zusammengetragen, ohne den Begriff der Seele in den Kreis der Betrachtung zu ziehen.

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Finora abbiamo discusso il concetto, il metodo e la possibilità della psicologia dei popoli solo entro una prospettiva generale; è giunto ora il momento di chiarire in modo più preciso almeno i momenti più importanti della psicologia dei popoli in quanto scienza. Anzitutto l’applicazione del concetto di psicologia alla vita dei popoli, è a dire la fondazione di una tale scienza, potrebbe sollevare perplessità giacché sembra impensabile una psiche del popolo nel senso proprio della parola e pare così mancare la sostanza che deve essere considerata come il portatore dell’attività. Ma analizziamo la cosa più da vicino. Allora appare subito chiaro che la conoscenza dell’anima, della sua sostanza e qualità, non è in alcun modo il fine o anche soltanto l’essenziale del compito a cui la psicologia deve adempiere. Tale fine, piuttosto, consiste essenzialmente nella spiegazione dei processi e dei progressi psichici, dunque nella scoperta delle leggi secondo cui procede ogni attività interna dell’uomo (dal [28] far di conto al poetare, dal desiderio sensibile al volere morale, dalla visione materiale a quella estetica delle cose) e nel rinvenimento delle cause e delle condizioni di ogni progresso e di ogni innalzamento di questa attività. Potremmo quindi – dal momento che nella nostra lingua, in modo sicuro e condiviso dai più, la differenza di anima e spirito indica che l’anima è una sostanza, qualcosa di reale, lo spirito invece è semplice attività – dividere la psicologia in teoria dell’anima e teoria dello spirito, in modo tale che la prima teoria, che prende in considerazione più l’essenza o la sostanza e la qualità dell’anima in sé, costituisca una parte della metafisica o della filosofia della natura; invece la seconda (la teoria dello spirito), che prende in considerazione le attività dell’anima e le sue leggi, costituisca la vera psicologia* 18. Conformemente a ciò è anzitutto evidente come il discorso su una psicologia dei popoli possa svilupparsi in modo analogo a quello sulla psicologia individuale, e cioè come teoria dello spirito del * I risultati scientifici di entrambe saranno, invero, intimamente connessi tra loro, ma non per questo dipenderanno l’uno dall’altro. In ragione di ciò la precedente psicologia empirica ha potuto raccoglier un’ampia somma di esperienze e osservazioni senza chiamare in causa il concetto di anima.

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bezeichneten, engeren Sinne. (In diesem Sinne pflegt man denn auch von dem Volksgeist analog dem individuellen, von der moralischen Persönlichkeit einer Nation, eines Staates, einer Gesellschaft zu reden). – Wenngleich nun aber auch eine Substanz des Volksgeistes, eine substantielle Seele desselben nicht erfordert wird, um die Gesetze seiner Thätigkeit zu begreifen, so müssen wir doch jedenfalls und nur um so mehr den Begriff des Subjects als einer bestimmten Einheit feststellen, um von ihm etwas prädiciren zu können. Die bloße Summe aller individuellen Geister in einem Volke – welche allerdings das substantielle Wesen des Volksgeistes ist – kann den Begriff ihrer Einheit nicht ausmachen, denn dieser ist etwas Anderes und bei weitem mehr als jene; – ebenso wie der Begriff eines Organismus (einer organischen Einheit) bei weitem nicht durch die Summe der zu ihm gehörenden Theile erschöpft wird; vielmehr fehlt dieser Summe [29/335] gerade noch das, was sie zum Organismus macht, das innere Band, das Princip, oder wie man es sonst nennen mag. – So ist auch der Volksgeist gerade das, was die bloße Vielheit der Individuen erst zu einem Volke macht, er ist das Band, das Princip, die Idee des Volkes und bildet seine Einheit. Diese Einheit nun ist die des Inhaltes und der Form oder Weise seiner Thätigkeit, in der gemeinschaftlichen Erzeugung und Erhaltung der Elemente seines geistigen Lebens. Denn in dem geistigen Thun aller Individuen eines Volkes herrscht eine Uebereinstimmung und Harmonie, welche sie zusammenschließt und zu einer organisch verbundenen Einheit macht. Das nun, was an dem verschiedenen geistigen Thun der Einzelnen mit dem aller Andern übereinstimmt und jene Harmonie bildet, zusammengenommen, ist die geistige Einheit des Volkes, der Volksgeist. In der Form einer Definition wird die Völkerpsychologie den Volksgeist als das Subject, von welchem sie etwas prädiciren will, demnach etwa so bezeichnen: das, was an innerer Thätigkeit, nach Inhalt sowohl wie nach Form, allen Einzelnen des Volkes gemeinsam ist; oder: das allen Einzelnen Gemeinsame der inneren Thätigkeit. (Eine viel schärfere und prägnantere Fassung ist gewiß nicht nur möglich, sondern zu hoffen; einstweilen gelte diese als unvorgreifender Versuch, der überdies sogleich weiter ergänzt werden soll).

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popolo nel senso più ristretto su indicato. (In questo senso si ha cura di parlare anche a proposito dello spirito del popolo, come si fa per lo spirito individuale, di personalità morale di una nazione, di uno stato, di una società). – Ora, anche se per comprendere le leggi della sua attività, non è richiesta una sostanza dello spirito del popolo, una sua anima sostanziale, tuttavia, per poter predicare qualcosa di esso, dovremmo in ogni caso a maggior ragione attestare il concetto di soggetto come unità determinata. La semplice somma di tutti gli spiriti individuali di un popolo – che, senza dubbio, è l’essenza sostanziale dello spirito del popolo – non può rappresentare il concetto della sua unità, poiché questo concetto è qualcosa d’altro e di gran lunga più rilevante di quella somma; – nello stesso modo in cui il concetto di un organismo (di un’unità organica) non è punto determinato dalla somma delle parti che gli appartengono e piuttosto a questa somma manca [29] proprio ciò che la rende un organismo, il nesso interno, il principio o come lo si vuole altrimenti chiamare. – Così lo spirito del popolo è esattamente ciò che trasforma la semplice molteplicità degli individui anzitutto in un popolo, è il nesso, il principio, l’idea del popolo, e costituisce la sua unità. Questa unità è ora quella del contenuto e della forma o del modo della sua attività nella produzione e nel mantenimento collettivi degli elementi della sua vita spirituale. Nel fare spirituale di tutti gli individui di un popolo, infatti, dominano un accordo e un’armonia che li lega e li trasforma in un’unità organica connessa. Ora, ciò in cui il diverso fare spirituale dei singoli concorda con quello degli altri assunto nel suo complesso, è l’unità spirituale del popolo, lo spirito del popolo. In forma di definizione, pertanto, la psicologia dei popoli indicherà lo spirito del popolo come soggetto di cui intende predicare qualcosa all’incirca in questo modo: ciò che è comune, nell’attività interna, a tutti gli individui del popolo, secondo il contenuto e la forma; oppure: ciò che, dell’attività interna, è comune a tutti gli individui. (Una formulazione più sottile e pregnante è di certo non solo possibile, ma anche auspicabile; frattanto valga questa come tentativo non prematuro, che deve essere perfezionato al più presto).

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Nach dieser Definition des Subjects könnte man, bei der ungeheuren Verschiedenheit der Individuen, von denen fast niemals auch nur zwei einander völlig gleichen, wohl fürchten, daß die Prädicate desselben gar dürftig ausfallen müßten. Aber man stelle nur einmal zwei Völker zusammen, und gleich wird man aus dem Grade ihrer Verschiedenheit den der Gleichheit aller Einzelnen innerhalb eines jeden dieser Völker wahrnehmen; man denke zwei Individuen aus ihnen, etwa einen Perser und einen Griechen – von specifisch gleichem Range und Stande, so ähnlich an Charakter, Intelligenz u.s.w. als immer möglich, und Jeder wird zugeben, daß sie, psychologisch näher betrachtet, dennoch bei weitem mehr von einander verschieden sind, als jeder der beiden von einem seiner ihm an Rang und Bildung entferntesten Stammgenossen. Um sich diesen Gesammteindruck deutlicher [30/336] zu machen und ihn begreiflich zu finden, bedenke man nur, daß die wichtigsten Elemente des geistigen Lebens, trotz aller Verschiedenheit ihrer Handhabung bei den Individuen, Allen gemeinsam sind; vor allem z. B. die ganze Sprache – bis auf die verhältnißmäßig höchst geringe Ausnahme künstlicher Formen – also der ganze Schatz von Vorstellungen und Begriffen ist das Allen gemeinsame Eigenthum der Nation (wie sehr auch die Individuen in dem Maße und Grade der Erwerbung – Auffassung der Begriffe – und Anwendung dieses Eigenthums abweichen mögen). – Mit der Sprache hängen dann die psychologischen Formen des Denkens aufs Innigste zusammen, und jeder, dem das Wesen der Sprache im wahren Lichte erscheint, wird erkennen, daß grundverschiedene Redeformen nur die Erscheinung grundverschiedener Denkformen sind. – Dazu kommen noch Sitten und Gewohnheiten von der Nahrung und Bekleidung bis hinauf zur Pflege des Rechts und der Verfassung des Staates, Uebung der Künste, Betrieb der Handwerke und Cultur der Wissenschaften, endlich die Religion – Alles specifisch-verschiedene Prädicate des Volksgeistes und dennoch gemeinsames Gut aller Einzelnen – (diese mögen sich affirmativ oder sogar negativ dazu verhalten; denn der griechische Irreligiöse, Kunstlose u.s.w. ist von dem persischen eben so sehr verschieden, als der Gläubige, Künstler u.s.w.). So

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Secondo questa definizione di soggetto, si potrebbe certo temere che debbano miseramente mancare i suoi predicati a causa della sconcertante differenza esistente tra gli individui, differenza tale da non consentire di equipararne a pieno nemmeno due. Ma si prendano insieme in una volta due popoli e si percepirà subito a partire dal grado della loro differenza, il grado dell’uguaglianza di tutti i singoli appartenenti a ciascuno di questi popoli; si pensi a due individui provenienti da ciascuno di quei popoli, per esempio un persiano e un greco – di condizione e ceto corrispondente e per quanto è possibile simili per carattere, intelligenza etc. e ciascuno concederà che questi, considerati da un punto di vista psicologico in modo più accurato, sono di gran lunga più diversi tra loro di quanto ciascuno dei due lo sia da un membro della stessa stirpe, sia pure il più distante per ceto ed educazione. Per rendere maggiormente perspicua e comprensibile questa [30] caratterizzazione generale, si rifletta solo sul fatto che i più importanti elementi della vita spirituale, nonostante la differenza nella loro utilizzazione da parte degli individui, sono comuni a tutti; anzitutto l’intera lingua – fino alle eccezioni, in proporzione oltremodo rare, delle forme artistiche – poi l’intero patrimonio delle rappresentazioni e dei concetti è proprietà della nazione a tutti comune (per quanto gli individui possano anche differire nella misura e nel grado dell’acquisizione-comprensione dei concetti e nell’utilizzazione di tale proprietà). – Le forme psicologiche del pensiero sono unite con la lingua dall’interno e chiunque abbia colto davvero l’essenza della lingua, riconoscerà che forme della lingua radicalmente diverse sono solo la manifestazione di forme del pensiero radicalmente diverse. – Agli elementi spirituali citati devono essere ancora aggiunti i costumi e le abitudini dall’alimentazione e il vestiario fino all’amministrazione del diritto e alla costituzione dello stato, l’esercizio delle arti, l’attività delle aziende e la cultura scientifica, in ultimo, la religione19 – Tutti predicati specifici, diversi, dello spirito del popolo e tuttavia bene comune di tutti gli individui – (costoro possono rapportarsi in modo affermativo o perfino negativo a questi elementi; ma il greco irreligioso, privo di senso artistico etc. è tanto diverso dal persiano quanto lo è il greco credente, artista etc.). E inoltre, quasi tutti i

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bilden ferner fast alle Momente des geistigen Lebens, der inneren Thätigkeit, trotz ihrer Differenz und Zersplitterung in den Individuen, durch ihren inneren Zusammenhang unter einander, eine wahrhafte Monas im Volksgeiste, sind der geforderten Einheit des Subjects darin völlig angemessen und dadurch geeignet als Prädicate desselben bezeichnet zu werden. Andererseits aber ist doch der Volksgeist nicht eine solche Monas, daß der Einzelne sich gänzlich in ihr verlöre; es ist vielmehr auch dies wesentlich für den Volksgeist, von den Einzelnen fortwährend getragen und geschaffen zu werden. Indem sich nun zwar das Gemeinsame der individuellen Geister als der Inhalt des Volksgeistes erwiesen hat, dieser sich aber dennoch nicht anders als in den einzelnen Individuen manifestirt, und zwar so, daß – was am wichtigsten ist – die Blüthen [31/337] und Höhen desselben, die specifisch höhere und fördernde Intelligenz und reinere und exemplarische Sittlichkeit, die besseren Kunstwerke, nur wenigen zukommen: so ist die nächste und wichtigste Aufgabe der Völkerpsychologie, das Verhältniß der Gesammtheit zum Einzelnen zu untersuchen und festzustellen. Daß sich dies Verhältniß durchschnittlich als eine Wechselwirkung darstellt, wird man auf den ersten Blick begreifen. Denn alle und jede geistige Thätigkeit eines Individuums, sie mag sich noch so sehr über die der Andern, über den ganzen zeitigen Standpunkt des Volkes erheben, wurzelt dennoch in dem Geiste des Volkes, ist ein Product desselben, oder hat wenigstens in ihm einen der wesentlichsten Factoren. Andererseits wirken diese Thaten der Individuen – unmittelbar oder mittelbar – wieder auf den Volksgeist zurück, sie bleiben nicht isolirt, sie werden vielmehr Eigenthum und bildendes Element desselben. (So wird jeder zugestehen, daß die Werke eines Aeschylus, Phydias und Plato, wie weit sie sich auch über frühere Leistungen in ihren Fächern emporheben, dennoch dem griechischen Volksgeist eigen und eigenthümlich, durch ihn entstanden sind und nur in ihm entstehen konnten; daß aber auch die gesammte Anschauung der Griechen in Leben, Kunst und Wissenschaft durch diese Werke geläutert und gehoben wurde). Das Gesetz dieser Wechselwirkung und ihre näheren Bestimmungen zu finden, ist eine würdige Aufgabe der Psychologie.

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momenti della vita spirituale, dell’attività interiore, nonostante la loro differenza e frammentazione negli individui, grazie alla loro interna connessione, costituiscono una vera monàs20 all’interno dello spirito del popolo, sono pienamente idonei alla richiesta unità del soggetto e adeguati a essere connotati come suoi predicati. D’altro canto però lo spirito del popolo non è certo una monàs tale che l’individuo si disperda completamente in essa; piuttosto, per lo spirito del popolo è essenziale anche il poter essere continuamente condotto e costituito dagli individui. Poiché quanto è comune agli spiriti individuali s’è dimostrato coincidente con il contenuto dello spirito del popolo e nondimeno questo si manifesta solo nei singoli individui, e in verità in modo tale che – ciò è di particolare importanza – il suo fiorire e [31] innalzarsi, la più elevata intelligenza specifica e progressiva e la più pura ed esemplare moralità, le opere d’arte migliori, s’addicono solo a pochi; poiché ciò è vero, allora il primo e più importante compito della psicologia dei popoli è indagare e appurare il rapporto della totalità con il singolo21. Che normalmente tale rapporto si presenti come un’interazione s’intenderà al primo sguardo. Infatti, ognuna delle attività spirituali di un individuo, per quanto possa elevarsi di gran lunga oltre quella degli altri, oltre il livello epocale complessivo del popolo, nondimeno si radica nello spirito del popolo, è un suo prodotto o, per lo meno, ha in esso uno dei suoi più importanti fattori. D’altro canto questi atti degli individui retroagiscono ancora – immediatamente o mediatamente – sullo spirito del popolo e non rimangono isolati, divenendo piuttosto sua proprietà ed elementi costitutivi di esso. (Così ciascuno concederà che le opere di un Eschilo, Fidia e Platone, per quanto entro i loro ambiti s’innalzino sulle precedenti imprese, tuttavia, quali opere proprie e peculiari dello spirito del popolo greco, sono sorte grazie a esso e potevano aver luogo soltanto al suo interno; ma ciascuno concederà anche che la visione complessiva dei greci nella vita, nell’arte e nella scienza è stata affinata ed elevata grazie a queste opere). Trovare la legge di questa interazione e le sue più prossime determinazioni è un compito degno della psicologia.

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Schon der erste Theil der Völkerpsychologie hat die Verschiedenheit der Völker zu berücksichtigen, wenn auch nur in noch abstracter Weise, insofern er nämlich zu zeigen hat, wie dieselbe möglich ist. Jene Elemente, welche den Volksgeist constituiren, können und müssen sich, trotz ihrer Nothwendigkeit und allgemein menschlichen Natur, dennoch aus inneren, in ihnen selbst oder im Volks-Subject liegenden, wie aus äußeren durch das Schicksal des Volkes gegebenen Gründen, in sehr verschiedener Weise offenbaren. Die causalen Verhältnisse, durch welche die Elemente erzeugt werden, und dann wieder diese Elemente selbst, welche den Volksgeist bilden, erlauben unter sich, und je nach den verschiedenen äußeren Schicksalen, äußeren Förderungen und Hemmungen, die mannigfaltigsten Combinationen. [32/338] Es entsteht also hier die Frage: was ist ein Volk? was macht dasselbe zu diesem bestimmten Volke? Durch die Beantwortung dieser Frage hoffen wir der obigen Definition von Volksgeist festeren Halt und bestimmtere Bedeutung zu geben. Bei der Definition von Volk – und um eine solche handelt es sich hier – hat man gemeint, als die wesentlichen Merkmale angeben zu können: Gemeinsamkeit der Abstammung und der Sprache derer, die zu demselben Volk gehören. Hiermit ist aber die Sache keineswegs getroffen. Die Zweige eines Volkes kommen nicht allemal von einem Stamm, sondern dasselbe hat sich oft genug durch Vermischung von Zweigen ganz verschiedener Stämme gebildet. Ganz ungemischt dürften nur wenige Völker sein. Andererseits aber greift die Gemeinsamkeit der Abstammung weit über ein Volk hinaus, da auch mehrere, und sogar viele Völker von einem Urstamme (z. B. dem germanischen, dem slavischen u.s.w. und noch weiter hinab: dem indoeuropäischen) sich abgezweigt haben, noch abgesehen von der Ansicht, daß das Menschengeschlecht einem Paare entsprossen sei. – Oder soll die Gleichheit der Abstammung bedeuten, daß diejenigen zu einem Volke gehören, deren Väter schon ein Volk bildeten? Das wäre ein klares idem per idem. In anderer Weise geräth man mit dem zweiten Merkmal, der Gleichheit der Sprache, in einen Kreis. Hat man nämlich zuerst gehört: ein Volk ist eine Menge Menschen, welche eine Sprache

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Già la prima parte della psicologia dei popoli ha da considerare la differenza dei popoli, seppure in modo più astratto, dovendo mostrare soltanto come sia possibile. Quegli elementi, che costituiscono lo spirito del popolo, possono e devono manifestarsi in modi molto differenti nonostante la loro necessità e la loro natura universalmente umana e ciò sia per ragioni interne, le quali risiedono in essi stessi o nel popolo-soggetto, sia per ragioni esterne, assegnate al popolo per destino. I rapporti causali attraverso cui sono prodotti gli elementi e ancora questi elementi stessi che costituiscono lo spirito del popolo rendono possibili al loro interno le più varie combinazioni, a secondo dei diversi destini esterni, degli stimoli e degli impedimenti esterni. [32] Sorge allora qui la domanda? Cos’è un popolo? Cosa rende questo un popolo determinato? Attraverso la risposta a questa domanda speriamo di assegnare un contenuto più sicuro e un significato più preciso alla su citata definizione di spirito del popolo. Con la definizione di popolo – e qui si tratta di questo – si è creduto di poter assegnare qualcosa come le caratteristiche essenziali di comunanza, di discendenza e di lingua di coloro che appartengono allo stesso popolo. Con ciò però è stata del tutto elusa la soluzione del problema. I rami di un popolo non giungono sempre da un solo ceppo; il popolo piuttosto si è spesso costituito attraverso un incrocio di rami appartenenti a ceppi completamente diversi. Soltanto pochi popoli potrebbero essere del tutto puri. D’altra parte la comunanza di discendenza oltrepassa il popolo singolo, giacché un consistente numero, e finanche un gran numero, di popoli sono discesi da un unico ceppo originario (ad es. dal ceppo germanico, da quello slavo e, risalendo ancora, da quello indoeuropeo), e ciò pur a prescindere dalla prospettiva secondo cui il genere umano sia disceso da una sola coppia. O uguaglianza di discendenza deve significare che appartengono a un popolo coloro i cui antenati facevano già parte del popolo? Questo sarebbe un ovvio idem per idem. Con la seconda caratteristica, con l’uguaglianza della lingua, ci si imbatte in un circolo per altro verso. Abbiamo, infatti, anzitutto ascoltato che un popolo è un insieme di uomini

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reden, und fragt dann weiter, was ist eine Sprache? so erhält man die Antwort: die Gesammtheit der Redemittel, deren sich ein Volk bedient. So wird der Begriff Volk auf den Begriff Sprache gegründet, und dieser wiederum auf jenen zurückgeführt. – Es ist auch in der That eben so schwer zu sagen, was eine Sprache ist, wie was ein Volk ist. Denn die Gleichheiten und Verschiedenheiten der menschlichen Rede sind keinesweges immer so deutlich und streng in der Stufenfolge, daß man auf einem festen Punkte dieser Leiter die Einheit einer Sprache fixiren könnte. So gelten z. B. das Schwedische, das Dänische, das Niederländische als eigene Sprachen neben der Deutschen; gleichwohl finden sich innerhalb der deutschen Sprache Unterschiede, wonach wir nur die verschiedenen Dialecte unterscheiden, [33/339] welche durchaus nicht geringer sind, als die von jenen Sprachen; ja die Allemannische und selbst die Schwäbische und Elsässische Mundart ist von der hochdeutschen sicher eben so weit entfernt, wie das Niederländische vom Niederdeutschen, welches doch mit zur deutschen Sprache gezählt wird. Aufwärts also in der Stufenleiter sind die verschiedenen Sprachen einander oft so gleich, daß man erst im Sprach-stamm eine geschlossene Einheit oder eine Sprache erblicken kann; und abwärts erscheinen die Dialecte wieder von einander so verschieden, daß man schon in ihnen verschiedene Sprachen erblicken möchte. Ueberblicken wir das ganze Gebiet menschlicher Sprache, so finden wir als äußerste und wirkliche feste Grenzen nur, daß einerseits aller Menschen Rede darin gleich ist, daß sie eben menschliche Sprache ist, daß andererseits aber ein jedes Individuum eine gewisse Besonderheit und Eigenthümlichkeit der Sprache besitzt. Dazwischen aber liegt eine so beträchtliche Anzahl von Abstufungen, in welchen die Sprache von Individuen mit einander gleich und gegen alle übrigen verschieden ist, daß ein fester Punkt der Spracheinheit kaum zu finden ist. Nächst dem Individuum hat bekanntlich jede Familie und jede Stadt einen gewissen gleichmäßigen Sprachtypus; wiederum bilden dann die Provinzen nach ihrer geographischen Lage und die Volksstämme nach ihrer genealogischen Stufe Mundarten, denen weiterhin Dialecte folgen; und wenn nach dieser die Sprachen kommen, so gehen diese wieder zusammen in Sprachstämme und in Racenspracheinheiten.

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che parlano una lingua, ma si chieda poi: “cos’è una lingua?” si otterrà la risposta: “la totalità dei mezzi linguistici di cui si serve un popolo”. Così il concetto di “popolo” è fondato sul concetto di “lingua” e questo riconduce nuovamente a quello. – Di fatto dire cosa sia una lingua è tanto difficile quanto dire cos’è un popolo. Infatti, le analogie e le differenze dei modi di parlare umani non si trovano per nulla all’interno di una sequenza così chiara e stringente da poter fissare l’unità di una lingua in un punto preciso di questa scala. Così, ad esempio, lo svedese, il danese e l’olandese valgono come lingue in senso proprio accanto al tedesco; nondimeno tra le lingue tedesche si trovano differenze sulla base di cui individuiamo semplicemente diversi dialetti, [33] che non sono assolutamente di minor importanza rispetto a quelle delle lingue su citate; di certo il dialetto alemanno, lo Schwebisch22 e l’alsaziano si distanziano dal Hochdeutsch quanto l’olandese si distanzia dal basso-tedesco, che appartiene senz’altro alle lingue tedesche. Dunque, alla sommità della scala a pioli, le diverse lingue sono così simili tra loro da poter scorgere un’unità prima conchiusa nel ceppo linguistico o una sola lingua; mentre verso il basso, i dialetti appaiono ancora tanto divergenti che in essi si potrebbero già scorgere lingue diverse. Abbracciamo con lo sguardo l’intero ambito delle lingue umane, troviamo allora quali confini più esterni e realmente solidi solo questi: da un lato, il modo di parlare di tutti gli uomini è uguale per il fatto che si tratta sempre di lingua umana; d’altro lato, però, ciascun individuo è portatore di una certa particolarità e peculiarità della lingua. In mezzo vi è una quantità tanto considerevole di livelli nei quali la lingua degli individui è uguale e insieme diversa da tutte le restanti, che quasi non è possibile trovare un punto fermo per l’unità linguistica. Accanto all’individuo, come è noto, ciascuna famiglia e ciascuna città è portatrice di un particolare tipo linguistico uniforme; anche le province, secondo la loro disposizione geografica e le stirpi, secondo il loro ordine genealogico, elaborano particolari vernacoli a cui seguono poi i dialetti; e quando dopo i dialetti sopraggiungono le lingue, queste ultime si ricongiungono nei ceppi linguistici e nelle unità linguistiche della razza.

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Zur bloßen Mannigfaltigkeit dieser Elemente der Gleichheit und Verschiedenheit in der Redeweise der Menschen kommt noch hinzu, daß sie auf den verschiedenen Stufen einander durchkreuzen. Es liegt daher in der Stufenleiter der Verwandtschaftsgrade der Sprechweisen nicht mehr Grund, irgendwo eine scharfe Grenze zu ziehen, als in den Verwandtschaftsgraden, nach welchen die Menschen sich zu einander ordnen. Nun liegt aber außerdem noch auf der Hand, daß das Verhältniß der Sprachen zu einander mit dem der Völker andererseits gar nicht immer denselben Lauf inne hält. Die niederdeutsche Sprache steht der niederländischen viel näher als der [34/340] oberdeutschen; aber die Holländer bilden ein Volk für sich und die Niederdeutschen und Oberdeutschen gehören zu einem Volke. Die Beantwortung der Frage: was ist ein Volk? scheint zunächst den Sinn zu haben, als handle es sich um eine, in naturgeschichtlicher Weise gemachte Eintheilung der Menschen-Art nach ihren Varietäten und nach den immer geringer werdenden Unterschieden und Trennungen, und der dagegen in gleichem Grade wachsenden Aehnlichkeit und Zusammengehörigkeit; und als früge es sich dann: wo liegt auf dieser Stufenleiter von geringerer oder größerer Verbindung und Gesondertheit und daraus erfolgenden Ueber- und Unterordnungen der Grad und der Umfang, den wir als Volk bezeichnen. Wie man fragt: welchen Grad der Aehnlichkeit, welche gleichen Merkmale müssen zwei Pflanzen oder Thiere haben, welche zu einer Familie oder einer Art gerechnet werden sollen? so meint man fragen zu müssen: was werden zwei Menschen gemeinsam haben, die zu einem Volke gehören sollen? – Eine solche Classification des Menschengeschlechts würde eine genealogische sein müssen. Allein in der Reihe der so entstehenden vom ganzen Geschlechte abwärts immer geringer an Umfang werdenden Classen, auf dieser Stufenleiter der Aehnlichkeiten liegt der Punkt, die Classe Volk nirgends, weil er überhaupt nicht auf diesen natürlichen Verhältnissen beruht, weil thatsächlich fast bei jedem Volke andere genealogische Verhältnisse obwalten, weil also der Begriff Volk gar nicht vom leiblichen, zoologischen Gesichtspunkt aus gebildet ist, sondern von einem geistigen. Demnach ist die Frage, wie sie vorstehend

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Alla mera molteplicità di questi elementi di somiglianza e differenza nei diversi linguaggi degli uomini va anche aggiunto il fatto che essi si incrociano su diversi piani. Nella scala a pioli che stabilisce i gradi di parentela delle lingue non vi è più ragione di tracciare in qualche punto un limite netto, di quanta ve ne sia per i gradi di parentela in cui gli uomini sono disposti tra loro. Ora, è anche evidente che il rapporto che le lingue intrattengono tra loro, non segue sempre lo stesso corso di quello dei popoli. La lingua basso-tedesca è molto più vicina all’olandese che [34] all’alto-tedesco; ma gli olandesi costituiscono un popolo a sé, mentre i basso-tedeschi e gli alto-tedeschi appartengono a un unico popolo. La risposta alla domanda: “cos’è un popolo?” sembra acquistare in un primo momento significato quasi si tratti di una partizione del genere umano realizzata in modo storiconaturale secondo le varietà della specie e secondo le sue differenze e scissioni sempre decrescenti, a fronte di somiglianze e parentele proporzionalmente crescenti; e quasi poi si chieda dove risiedano il grado e l’estensione di ciò che chiamiamo popolo su questa scala a pioli fatta di più o meno significative connessioni e separazioni, e da conseguenti subordinazioni e sopraordinazioni. Come si domanda, che grado di affinità, quali caratteri comuni, debbano avere due piante o due animali considerati appartenenti a una sola famiglia o a una stessa specie, così si crede di poter domandare cosa hanno in comune due uomini che devono appartenere allo stesso popolo. – Una tale classificazione del genere umano dovrebbe essere genealogica. Soltanto che nella serie delle classi che discendono in questo modo dall’intera stirpe umana, le quali, via via che si sviluppano, si riducono in estensione, su questa scala a pioli delle somiglianze, il punto – la classe del popolo – non si trova in alcun luogo, dal momento che essa non poggia minimamente su questi rapporti naturali, giacché di fatto quasi in ogni popolo dominano rapporti genealogici differenti, perché, insomma, il concetto di popolo non è per nulla costituito in una prospettiva fisica, zoologica, bensì da un punto di vista spirituale. Pertanto la domanda così come è stata formulata in precedenza è mal posta e quindi non si pre-

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gegeben ist, falsch gestellt und darum nicht zu beantworten; sie ist vor allem anders zu fassen. In die natürliche Vertheilung des Menschengeschlechts nämlich nach Racen, größeren und kleineren Stamm-Gruppen, Stämmen, Familien-Vereinen, Familien, greift der Geist, die Freiheit, die Geschichte ein, und trennt natürlich Zusammengehöriges, vermischt natürlich Verschiedenes oder ähnlicht dasselbe einander an. Die geistige Verwandtschaft und Verschiedenheit ist also unabhängig von der genealogischen. Aus diesem Eingriff nun der geistigen, geschichtlichen Verhältnisse in die natürlich gegebenen Unterschiede beruht der Begriff Volk; und das, was ein Volk [35/341] zu eben diesem macht, liegt wesentlich nicht sowohl in gewissen objectiven Verhältnissen wie Abstammung, Sprache u.s.w. an sich als solchen, als vielmehr bloß in der subjectiven Ansicht der Glieder des Volks, welche sich alle zusammen als ein Volk ansehen. Der Begriff Volk beruht auf der subjectiven Ansicht der Glieder des Volkes selbst von sich selbst, von ihrer Gleichheit und Zusammengehörigkeit. Handelt es sich um Pflanzen und Thiere, so ist es der Naturforscher, der sie nach objectiven Merkmalen in ihre Arten versetzt; Menschen aber fragen wir, zu welchem Volke sie sich zählen. Race und Stamm bestimmt auch dem Menschen der Forscher objectiv; das Volk bestimmt sich der Mensch selbst subjectiv, er rechnet sich zu ihm. So scheint uns nun die einzig mögliche Definition etwa folgende: ein Volk ist eine Menge von Menschen, welche sich für ein Volk ansehen, zu einem Volke rechnen. Mit dieser Definition ist dann – schon um den logischen Fehler, den sie enthält, zu corrigiren – die Aufgabe gestellt, zu zeigen, was diese subjective Ansicht der Glieder eines Volkes enthält, welche Gleichheit unter einander sie meint, nach der sich die Einzelnen zusammenrechnen; worauf sie beruht und wie sie sich bildet. Nicht wir also haben aus uns, d. h. aus der Prüfung objectiver Verhältnisse eine Definition von Volk zu geben, als von einem festen, objectiven Begriffe, der einem festen Objecte entspräche; sondern wir haben die vorhandenen subjectiven, von den Völkern stillschweigend (implicite) gegebenen Definitionen von sich selbst zu erläutern. Denn es leuchtet auch ein, daß nicht jedes Volk dieselbe Defi-

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sta a una risposta; è necessario anzitutto formularla in modo diverso. Nella suddivisione naturale del genere umano in razze, gruppi tribali più ampi o ristretti, stirpi, gruppi familiari, famiglie, interviene lo spirito, la libertà, la storia, dividendo ciò che per natura è apparentato, mescolando ciò che per natura è separato o rendendo simile quel che è diverso. L’affinità o la differenza spirituale è dunque indipendente da quella genealogica. Ora, il concetto di popolo poggia su questo intervento dei rapporti spirituali e storici sulle differenze naturali date; e ciò che rende tale un popolo [35] non dipende essenzialmente da alcuni rapporti oggettivi, come la discendenza, la lingua etc., ma piuttosto, a rendere un popolo tale, è soltanto la prospettiva soggettiva dei membri del popolo, i quali si considerano tutti insieme come un unico popolo. Il concetto di popolo poggia sulla considerazione soggettiva che i membri del popolo stesso hanno di sé, della propria identità e reciproca appartenenza. È lo scienziato a porre piante e animali all’interno delle loro specie secondo contrassegni oggettivi; agli uomini, invece, bisogna chiedere a quale popolo ritengono di appartenere. Il ricercatore determina razza e stirpe obiettivamente anche per quel che riguarda l’uomo; l’appartenenza al popolo, la stabilisce da sé l’uomo stesso: in modo soggettivo, annoverandosi tra i suoi membri. Allora, l’unica possibile definizione ci sembra all’incirca questa: un popolo è un insieme di uomini che si considerano un popolo, che si ascrivono a un popolo. Con tale definizione poi – per correggere subito l’errore logico che racchiude – è posto il compito di mostrare cosa contenga questa prospettiva soggettiva dei membri di un popolo, a quale uguaglianza, secondo cui gli individui si uniscono, essa rimandi; è posto il compito di mostrare su cosa questa prospettiva poggi e come si costituisca. Non siamo noi pertanto a dover dare, a partire dall’esame dei rapporti oggettivi, una definizione di popolo, come si trattasse di un concetto stabile e oggettivo che corrisponde a un oggetto altrettanto saldo. Ma dobbiamo spiegare le auto-definizioni soggettive esistenti che ci sono tacitamente (implicite) date dai popoli. Risulta anche evidente che non tutti i popoli hanno bisogno di aver la stessa definizione o lo

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nition oder denselben Begriff Volk zu haben braucht, wie auch jedes auf besonderem Grunde ruht. Nach anderen Merkmalen rechnet der Franzose jemanden zum französischen Volke, nach anderen sieht der Deutsche den Deutschen als solchen an, und nach wieder anderen nennt der freie Nordamerikaner jemanden seinen Mitbürger: wiewohl es diesen Definitionen nicht so sehr an gemeinsamen Elementen fehlt, daß sich nicht auch sollte allgemein sagen lassen, was die Völker unter Volk verstehen. Man wundere sich nicht über die subjective Natur, die wir dem Begriffe Volk zuerkennen. Das Volk ist ein rein geistiges Wesen ohne irgend etwas was man anders als bloß nach Analogie, [36/342] ganz eigentlich seinen Leib nennen könnte, wenn es auch nicht unabhängig ist von materiellen Verhältnissen. Volk ist ein geistiges Erzeugniß der Einzelnen, welche zu ihm gehören; sie sind nicht ein Volk, sie schaffen es nur unaufhörlich. Genauer ausgedrückt ist Volk das erste Erzeugniß des Volksgeistes; denn eben nicht als Einzelne schaffen die Einzelnen das Volk, sondern insofern sie ihre Vereinzelung aufheben. Das Bewußtsein von dieser Selbstaufhebung und von dem Aufgehen in einem allgemeinen Volksgeiste spricht sich aus in der Vorstellung Volk. Der Volksgeist schafft die Vorstellung und damit auch die Sache Volk, und hat in dieser Vorstellung sein Selbstbewußtsein, in dem Grade etwa wie der Mensch, der sich als besonderen Menschen weiß, also wie das Kind, welches sich mit seinem Namen bezeichnet, oder auch schon wie die große Masse der Menschen ein empirisches Ich hat. Es ist bemerkenswerth, daß ein gewisser mongolischer Stamm keinen besonderen Namen hat und sich nur „Wir“ nennt, aber auch von den anderen Stämmen nur so genannt wird. Wie jedes Individuum, also hat auch jedes Volk sein eigenthümliches Selbstbewußtsein, wodurch es erst zu einem besonderen Volke wird, wie jenes zu einer besonderen Person; und wie jedes Einzelnen, so beruht auch des Volkes Selbstbewußtsein auf einem bestimmten objectiven Inhalt; das Selbstbewußtsein geht aus dem Bewußtsein hervor, seine Kraft und seine Würde richtet sich nach letzterem; so wird auch das Selbstbewußtsein des

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stesso concetto di popolo e, anche, che ciascun popolo riposa su una causa specifica. Il francese considera qualcuno appartenente al popolo francese secondo determinati contrassegni, secondo contrassegni diversi il tedesco considera tale il tedesco, e secondo altri ancora il libero nordamericano reputa qualcuno suo concittadino; sebbene a tali definizioni non manchino elementi comuni in sì larga misura da escludere di poter dire in generale cosa i popoli comprendano sotto la nozione di popolo. Non ci si stupisca della natura soggettiva che ascriviamo al concetto di popolo. Il popolo è una pura essenza spirituale priva di qualsiasi cosa che, al di fuori di una semplice analogia, [36] è a dire in modo appropriato, possa esser definita il suo corpo, per quanto esso non sia neppure indipendente da rapporti materiali. Il popolo è una produzione spirituale degli individui che gli appartengono; essi non sono un popolo, essi, piuttosto, lo costituiscono ininterrottamente. Detto più precisamente, il popolo è la prima produzione dello spirito del popolo; dunque gli individui costituiscono il popolo non in quanto singoli, ma in quanto si elevano al di sopra del loro isolamento. La coscienza di questo auto-innalzamento e di questo librarsi verso uno spirito generale del popolo si esprime nella rappresentazione del popolo. Lo spirito del popolo dà vita alla rappresentazione e con ciò anche al popolo stesso e in questa rappresentazione consegue la sua autocoscienza; ciò avviene in certa misura come avviene nell’uomo che ha consapevolezza di sé in quanto uomo particolare, o nel bambino che indica se stesso attraverso il proprio nome, o come avviene per la gran massa degli uomini che possiede un io empirico. È degno d’esser richiamato il fatto che una certa stirpe mongola non ha alcun nome speciale e si definisce solo “noi” e anche dalle altre stirpi è chiamata solo in questo modo23. Come ogni individuo dunque anche ciascun popolo ha la sua autocoscienza peculiare, grazie alla quale anzitutto si trasforma in un popolo particolare, come quello, grazie alla sua, si trasforma in una persona particolare. E come la coscienza di ogni individuo anche quella del popolo poggia su un preciso contenuto oggettivo. L’autocoscienza sorge dalla coscienza, la sua forza e dignità si raggiungono dopo aver superato quello

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Volkes sich immer auch auf solche objective Verhältnisse wie Abstammung, Sprache u.s.w. stützen; der springende Punkt in ihm aber, oder das Licht, womit er sich beleuchtet, ist jener subjective, freie Act der Selbsterfassung als ein Ganzes und als ein Volk. Diese Eigenthümlichkeit jedes Selbstbewußtseins hindert aber nicht, das Selbstbewußtsein auch an sich als allgemeines Erzeugniß des Bewußtseins im Einzelgeiste und im Volksgeiste nach Inhalt und Form in Betracht zu ziehen. Die Ansicht, welche jedes Volk von sich hat, und nach welcher es die Einzelnen alle zu sich zählt, gewinnt eben dadurch, obwohl sie an sich etwas Subjectives ist, eine objective, schöpferische Macht und kann also niemals irren. Ob z. B. der Ungar ein Indoeuropäer ist, ob er zur kaukasischen Race gehört, daß weiß er [37/343] als Ungar nicht, das muß er sich von der Ethnologie sagen lassen, und diese kann irren; aber, daß er Ungar ist, das weiß er unmittelbar als solcher und unfehlbar, weil er sich unaufhörlich dazu macht. Hier ist der Fall, wo eine Erkenntniß ihren Gegenstand schafft, also mit ihm zugleich ist. Es rechnet jeder den anderen in einem Volke mit sich zusammen; es findet also Wechselseitigkeit statt. Dies muß eine gewisse Gleichheit zur Ursache haben, wird aber auch selbst wieder Ursache dieser Gleichheit. Der Inhalt dieses Gleichen ist der Volksgeist. Der Volksgeist – d. h. also ein gleiches Bewußtsein Vieler mit der Bewußtheit von dieser Gleichheit, und also mit der Vorstellung der Zusammengehörigkeit dieser Vielen, in jedem Einzelnen derselben – entsteht ganz ursprünglich durch die äußeren Verhältnisse der gleichen Abstammung und der Nähe der Wohnorte. Beides nämlich, obwohl an sich nur äußerlich, ist doch unmittelbar wirksam auf den Geist. Mit der Verwandtschaft der Geburt ist Aehnlichkeit der Physiognomie, überhaupt des Leibes, gegeben. Abgesehen nun von der mechanischen Abhängigkeit der Seele vom Leibe, wirkt der gegenseitige Anblick der im Aeußern einander Aehnlichen auch innerlich einander annähernd. Die bloß leibliche Aehnlichkeit wird geistig anerkannt und hört hiermit auf ein lediglich objectives Verhältniß zu sein, sondern wird eine Vorstellung und eine subjective Macht. – Noch wichtiger aber ist, daß durch Gleichheit der Geburt und des Wohn-

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stadio; così anche l’autocoscienza del popolo si sosterrà sempre su alcuni rapporti oggettivi come la discendenza, la lingua etc., ma il punto propulsivo o la luce con cui si rischiara coincide con quel libero atto soggettivo di comprensione di sé quale intero e quale popolo. Questa peculiarità di ogni autocoscienza non impedisce tuttavia di prendere in considerazione, entro lo spirito dell’individuo e in quello del popolo, il contenuto e la forma dell’autocoscienza in sé, quale prodotto universale della coscienza. La concezione che ciascun popolo ha di sé e grazie a cui ascrive a sé tutti i suoi individui, acquista proprio per questo, sebbene in sé sia soggettiva, una potenza creativa oggettiva e pertanto non può giammai sbagliare. Se un ungherese, ad esempio, sia indoeuropeo o se appartenga alla razza caucasica, egli, in quanto ungherese, non lo sa [37] e deve lasciarselo dire dall’etnologia; ma che è ungherese, di ciò ha una consapevolezza immediata e infallibile, giacché si costituisce in quanto tale ininterrottamente. Ci troviamo qui nel caso in cui una conoscenza costituisce il proprio oggetto e coincide con esso. Ciascuno riconosce assieme a sé, come appartenenti al popolo, gli altri, ha così luogo la reciprocità. Tutto ciò deve avere a fondamento una certa uguaglianza ma diviene, a sua volta, causa di quell’uguaglianza; il contenuto di questo essere uguali è lo spirito del popolo. Lo spirito del popolo – è a dire una stessa coscienza di molti individui con la consapevolezza di questa uguaglianza e, pertanto, con la rappresentazione, in ciascuno, della loro reciproca appartenenza – sorge in origine grazie ai rapporti esteriori di comune discendenza e vicinato. Entrambe questi aspetti infatti, per quanto in sé soltanto esteriori, agiscono sullo spirito in modo immediato. Con la parentela per nascita è data la somiglianza della fisionomia, soprattutto del corpo. Ora, a prescindere dalla dipendenza meccanica dell’anima dal corpo, la reciproca osservazione delle rispettive somiglianze nell’aspetto esteriore agisce anche avvicinando reciprocamente dal punto di vista interiore. La semplice somiglianza fisica è riconosciuta con lo spirito e pertanto cessa di essere un rapporto meramente oggettivo e diviene una rappresentazione e una forza soggettiva. – Ma è ancora più rilevante il fatto

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ortes die Schicksale gleich werden müssen. Dieselben Eindrücke werden aufgenommen, dieselben Arbeiten werden vollzogen, dieselben Gefahren bestanden, dieselben Freuden genossen, und sie werden sogar in Gemeinsamkeit vollzogen, bestanden, genossen; man verbindet sich zur Ueberwindung der Allen in gleicher Weise im Wege stehenden und nur durch gemeinsame Kraft überwindlichen Hindernisse, zur gemeinsamen Bekämpfung und Abwehr der Allen gleich sehr drohenden Gefahren. So bildet sich ein durchgreifendes Zusammenleben, ein gemeinsames Bewußtsein und Gemüth im Volksgeist. Jeder Einzelne weiß, daß der Erfolg ihm nur zum Theil gehört; daß er aber vernichtet wäre ohne die Anderen. So ist jeder Genuß und all sein Vorstellen immer mit dem Gedanken an die Anderen verbunden. Sie sind in seinen [38/344] Geist hineingewachsen; denn er hat keine Erinnerung von sich, die nicht die Anderen einschlösse. Verstärkt wird dieses Gefühl der Zusammengehörigkeit durch das Bewußtsein, daß die Gemeinsamkeit nicht bloß von ihnen gestiftet, sondern von den Vätern, die sich schon derselben erfreuten, ererbt ist, d. h. also durch das Bewußtsein einer gemeinsamen Geschichte, eines gemeinsamen alten Ruhmes, durch den Anblick der gemeinsamen Bauten der Väter, durch den Genuß von Vortheilen, welche die Eltern gemeinsam für die Nachkommen bereitet haben. Darum löst sich sehr leicht ein Zweig von einem Volke ab, wenn er Gefahren zu bestehen hat, von denen die anderen Zweige nicht getroffen werden, zu deren Bekämpfung sie ihm nicht beistehen können oder wollen. Dann bildet sich dieser Zweig ein besonderes Leben, eine besondere Geschichte. So riß sich Holland von Deutschland ab; eben so die Schweiz. __________ Die verschiedenen objectiven Elemente oder Mächte des Volksgeistes wie Sprache, Religion u. s. w. sind nun die verschiedenen Formen und Stufen des Selbstbewußtseins eines Volkes. Von der untersten Stufe eines wirren empirischen Selbstbewußtseins, das, weniger in sich gekehrt als nach außen gerichtet, sich nur erfaßt, indem es sich dem anderen Volke entgegenstellt, steigt der Volksgeist auf zum reinen Selbstbewußtsein in der Wissenschaft, vorzüglich in der Philosophie.

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che per l’uguaglianza di nascita e vicinato diverranno uguali i destini. Si ricevono le stesse impressioni, si svolgono gli stessi lavori, si affrontano gli stessi pericoli, si godono i medesimi piaceri e quelli saranno persino svolti, affrontati, goduti assieme; e ci si congiunge nel superamento degli ostacoli che si frappongono a tutti nello stesso modo, ostacoli sormontabili solo attraverso la forza comune, per mezzo della comune battaglia e della comune difesa dai pericoli che minacciano tutti allo stesso modo. Nello spirito del popolo si costituisce così una convivenza profonda, una comune coscienza e un’indole condivisa. Ogni individuo sa che il successo gli appartiene solo in parte, ma che sarebbe annientato senza gli altri. Così ogni sua azione24 e la sua attività rappresentativa complessiva è sempre connessa, col pensiero, agli altri. Essi sono [38] cresciuti all’interno del suo spirito; pertanto, egli non ha alcun ricordo di sé che non includa gli altri. Tale sentimento di reciproca appartenenza è rafforzato per la coscienza che la comunità non è stata eretta soltanto da costoro, ma è stata ereditata dai padri che ne hanno già goduto; tale sentimento è pertanto rafforzato per la coscienza di una storia condivisa, di una comune antica gloria, per l’osservazione di ciò che è stato eretto dai fondatori, per il godimento dei vantaggi che i genitori hanno preparato, in comune, per i posteri. Per questo da un popolo si distacca molto facilmente un ramo, quando deve affrontare pericoli in cui gli altri rami non incorrono, nella cui battaglia essi non vogliono o non possono affiancarlo. Allora questo ramo si costruisce una vita peculiare, una storia particolare. Così l’Olanda si staccò dalla Germania, così fece la Svizzera. _______________ I diversi elementi oggettivi o le diverse potenze oggettive dello spirito del popolo come la lingua, la religione etc. non sono altro che le diverse forme o i diversi livelli dell’autocoscienza di un popolo. Dai livelli più bassi, vincolati a una fallace autocoscienza empirica, che, rivolta più all’esterno che a se stessa, si comprende solo opponendosi al popolo diverso da sé, lo spirito del popolo perviene alla compiuta autocoscienza nella scienza e soprattutto nella filosofia.

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Es sind zunächst in einem besonderen Kapitel die Einflüsse der Natur, des Bodens, des Klimas, der Nahrung, des Reichthums an Natur-Erzeugnissen überhaupt, und an gewissen besonderen u.s.w. u.s.w. zu erwägen. Dieses Kapitel muß besonders dem Naturforscher empfohlen werden. Denn will man auch nicht bis zu der äußersten Behauptung gehen, daß alle Verschiedenheit der Volksgeister nur von der Verschiedenheit des Wohnortes abhänge: so wäre es doch eben so sehr nur das andere Aeußere, wollte man den Einfluß der Natur auf die Bildung des Volksgeistes völlig läugnen. Es ist vorzüglich zu beobachten, daß, wenn auch der unmittelbare Einfluß des Leibes auf [39/345] den Geist im Besondern dunkel bleibt, ein unmittelbarer (mystischer) Einfluß der äußeren Natur auf den Geist aber geradezu abzuweisen ist: so doch ein mittelbarer um so klarer und bestimmter vorliegt, wie ihn geistvolle Geographen und Geologen schon vielfach nachgewiesen haben. Die Natur gestaltet den Geist nicht: das ist festzuhalten; aber der Geist gestaltet sich selbst so oder anders je nach der Anregung, die ihm die Natur gewährt. Nähe des Meeres mit bequemen Häfen macht ein Volk noch nicht zu Seefahrern; reiche Kohlenlager machen ein Volk noch nicht industriell; aber sie können Neigung zur Schiffahrt wecken oder nähren, die Industrie unterstützen, die Bemühungen erleichtern, lohnen, und die Erfolge sichern, dadurch die Kräfte und Bestrebungen anspornen und von anderen Richtungen ablenken: so können sie nützen und schaden. Kein Volksgeist ist Erzeugniß der Natur; und keiner ist so, wie er ist, ohne Mitwirkung der Natur. Es ist nicht gleichgültig für den Volksgeist, ob das hauptsächlichste Nahrungsmittel des Volkes in Fleisch oder Kartoffeln besteht; aber daß dieses oder jenes der Fall ist, hängt schon selbst wieder von dem, noch durch ganz andere Verhältnisse bestimmten, Volksgeist ab. Weil der Irländer den irischen Volksgeist hat, ist er durch solche Schicksale gegangen, und aus beiden Gründen lebt er von Kartoffeln. Jetzt ist, in Folge der Rückwirkung, der irische Volksgeist durch die Kartoffel mitbestimmt. Wichtiger noch als die Natur sind die Schicksale der Völker; und besonders von constitutiver Wichtigkeit für den Volksgeist

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Bisogna anzitutto esaminare, in un capitolo speciale, gli effetti della natura, del suolo, del clima, dell’alimentazione, dell’abbondanza di prodotti naturali in generale e di alcuni prodotti particolari etc. Questa parte della ricerca dev’essere affidata soprattutto allo scienziato. Ma non si intende neppure giungere alla più estrinseca affermazione secondo cui ogni diversità degli spiriti dei popoli dipende solo dalla differenza dei luoghi di appartenenza: in questo modo, si volesse pur negare del tutto l’incidenza della natura sulla formazione dello spirito del popolo, l’influenza su di esso sarebbe addebitata ancora una volta a qualcosa di esterno. È da osservare in modo preminente che se anche un effetto immediato del corpo sullo [39] spirito rimane oscuro nei particolari, un effetto immediato (mistico) della natura esterna sullo spirito deve essere addirittura respinto, e tuttavia ha certo luogo un effetto mediato ben più chiaro e determinato, così come hanno già più volte appurato geografi e geologi geniali. La natura non plasma lo spirito: questo principio va fermamente mantenuto. Ma lo spirito plasma se stesso in questo o in un altro modo a secondo dello stimolo che la natura gli trasmette. La vicinanza del mare con comodi porti non rende ancora un popolo navigatore; ricchi giacimenti di carbone non fanno ancora un popolo industriale; ma possono destare e rendere incipiente l’inclinazione alla navigazione, incentivare l’industria, alleviare e ripagare gli sforzi, assicurarne il buon esito, con ciò spronando le forze e le aspirazioni in questa direzione e distogliendole da altre: possono pertanto essere utili o nocivi. Nessuno spirito del popolo è una produzione della natura; e nessuno è tale senza il concorso della natura. Non è indifferente per lo spirito del popolo se il suo prevalente mezzo di sussistenza siano il pesce o le patate; ma il fatto che si tratti dell’uno o dell’altro dipende prima d’ogni altra cosa – ancora una volta – dallo spirito del popolo, il quale si determina attraverso ben altri rapporti. Poiché l’irlandese possiede uno spirito del popolo irlandese, ha avuto il destino che ha avuto e, per queste due ragioni, vive di patate. Ora, per la retroazione, lo spirito del popolo irlandese è determinato col concorso delle patate. Ancora più importanti della natura sono i destini dei popoli; e in particolar modo i destini preistorici sono determinanti

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nach seinem inneren Wesen sind die vorgeschichtlichen Schicksale. Es gehört jedes Volk erstlich einem Völker-Stamme, einer Race an. Es ist nicht nöthig über die Wichtigkeit dieses AbstammungsVerhältnisses ausführlich zu sein, und es sei nur erwähnt, daß durch dasselbe nicht bloß der Leib mit seinen noch unbegriffenen Wirkungen auf die Seele, sondern auch die Form der Sprache, gewisse religiöse und sittliche Grundanschauungen, Grundzüge des häuslichen und staatlichen Lebens gegeben sind, welche eben das Volk mit den verwandten Völkern, den Zweigen desselben Stammes, gemeinsam hat. – Hierauf folgt die Losreißung des Volkes vom gemeinsamen Stamme, die Auswanderung aus dem Ursitz, die Gewinnung eines neuen Wohnortes, [40/346] wo eben ein Volk oder ein Menschen-Haufe erst zu diesem bestimmten Volke wird. Unter den Elementcn des Volksgeistes selbst, zu deren Betrachtung wir nun übergehen, steht obenan die Sprache: sie ist das erste geistige Erzeugniß, das Erwachen des Volksgeistes. Weil nun alles was der Geist einmal geschaffen hat, ihn für die folgenden Schöpfungcn bestimmt, anregt und beschränkt: so übt die Sprache einen constitutiven Einfluß auf die innerste Eigenthümlichkeit des Volksgeistes aus, wie er sich in seinen folgenden Schöpfungen weiter entwickelt. Daher ist die, allerdings übertriebene, Behauptung Humboldts und Schellings, daß die Sprache, früher als die Volkseigenthümlichkeit, diese erst schaffe, wohl verzeihlich, zumal einer niedrigen Ansicht von der Sprache gegenüber. Wir haben aber jetzt die Sache auf ihr rechtes Maß zurückzuführen. Die Sprache ist nur ein Geschöpf des Volksgeistes, in welchem er zuerst individuell offenbar wird; aber sie ist von mächtiger Rückwirkung auf den Geist, welche um so bedeutsamer wird, als sich für die Bildung der Sprache auch etwas äußerliche Einflüsse neben den rein innerlichen geltend machen. Ueberdies ist sie der vollkommenste Ausdruck des Volksgeistes, da sie ihn nicht nur nach allen Richtungen, in denen er wirkt, darstellt, sondern auch eine durch alle Geschlechter gehende ununterbrochene Arbeit ist, welche jeden neuen Zuwachs an innerem Gehalt in sich aufnimmt. Zugleich ist sie so weich und schmiegsam, daß sich die Eigenthümlichkeit des Volksgeistes in ihr scharf und vollkommen ausprägen kann.

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per lo spirito del popolo secondo la sua essenza interna. Ogni popolo appartiene anzitutto a una stirpe, a una razza. Non è necessario soffermarsi dettagliatamente sull’importanza di questo rapporto di discendenza, sia solo detto che con esso non solo è dato il corpo con i suoi ancora ignoti effetti sull’anima, ma sono anche dati la forma della lingua, alcune basilari intuizioni religiose ed etiche, i tratti fondamentali della vita privata e pubblica, tutte cose che il popolo ha in comune coi popoli imparentati, con le diramazioni della stessa stirpe. – A ciò segue la separazione di un popolo dalla stirpe comune, l’emigrazione dal luogo d’origine, la conquista di un nuovo territorio in cui abitare, [40] appunto, un popolo o un insieme di uomini si trasformano in questo popolo particolare. Tra gli elementi dello spirito del popolo alla cui considerazione ora passiamo, la lingua occupa il posto più rilevante: essa è la prima produzione spirituale, il risveglio dello spirito del popolo. Dal momento che quel che lo spirito ha prodotto una volta, continua a determinarlo, stimolarlo e delimitarlo nei suoi prodotti successivi, la lingua esercita un’influenza costitutiva sulla più interna peculiarità dello spirito del popolo e su come esso si sviluppa nelle sue creazioni successive. Pertanto l’affermazione di Humboldt e Schelling, secondo la quale la lingua avrebbe costituito questi prodotti per prima, addirittura prima della peculiarità del popolo25, è ben perdonabile, tanto più nei confronti di una bassa considerazione della lingua. Ora dobbiamo però ricondurre la cosa alla sua giusta misura. La lingua è solo una creazione dello spirito del popolo, in cui esso per la prima volta si manifesta in modo individuale; ma una creazione che reagisce con forza sullo spirito e questa reazione diviene tanto più importante se per la costituzione della lingua acquistano valore, accanto agli influssi puramente interni, in qualche misura anche quelli esterni. Inoltre, la lingua è la più compiuta espressione dello spirito del popolo, dal momento che non solo lo rappresenta in tutte le direzioni in cui opera, ma anche perché si configura come un lavoro ininterrotto attraverso tutte le generazioni, il quale accoglie in sé ogni nuovo accrescimento in contenuto. Parimenti, è così permeabile e malleabile che la peculiarità dello spirito del popolo vi si può imprimere profondamente e in modo compiuto.

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Besondere Wichtigkeit für die Bildung des Volksgeistes selbst hat aber die Sprache noch dadurch, daß sie, als das allgemeine geistige Apperceptions-Organ, auch die Apperception der einen Person durch die andere bewirkt, durch welchen Proceß sich eben die Personen gegenseitig so in einander aufnehmen, daß sie sich zu einem Volke machen, in sich den Volksgeist bilden. Sprechend lernen und lehren sie einander ihr Inneres verstehen, und verständigen, d. h. einigen sie sich im Geiste. Wir begreifen jetzt, warum man bei der Definition des Volkes so viel Gewicht auf Abstammung und Sprache gelegt hat. Man hat sogar Recht daran gethan und nur darin geirrt, daß man in denselben als objectivcn Elementen das Wesentliche zu finden [41/347] meinte, während sie nur als subjective Auffassungen des Volkes selbst von Bedeutung sind. Nicht die Abstammung an sich ist das Bedeutsame, sondern die damit verbundene Vorstellung von der Gleichheit der abstammenden Personen, ihrer Eltern, ihrer Geschichte, ihrer Bestimmung, ihrer ganzen Vergangenheit und folglich auch ihrer Zukunft. Nicht die Gleichheit der angewandten Wörtcr ist das bedeutsame, sondern das dem Redenden sowohl als dem Hörenden im gegenseitigen Verständniß erwachsende Bewußtsein und erwachende Gefühl der Gleichheit miteinander. – Auch begreifen wir das oben erwähnte irrationale Verhältniß zwischcn den Völkern und ihrer Abstammung und Sprache. Nur scheinbar steht der Niederdeutsche sprachlich dem Holländer näher als dem Oberdeutschen. Er ist dennoch besser mit diesem verständigt als mit jenem, zwar nicht durch seinen besonderen Dialekt, aber durch die allgemeine deutsche (hochdeutsche) Sprache, jenes Product des deutschen Volksgeistes, das erhaben über allen besonderen Dialekten schwebt, dem Ganzcn angehörig, dem Volke als rein geistigem Individuum. Der Holländer wollte dieses Deutsch nicht verstehen und nicht gebrauchen, sich mit dem Deutschen nicht verständigen, d. h. einigen, ihn nicht appercipiren und sich nicht von ihm appercipiren lassen, d. h. nicht mit ihm ein geistiges Volk sein, einen Volksgeist bilden. So riß er sich ab. – Für die ganze Geschichte des Mittelalters

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Ma la lingua ha particolare importanza per la formazione dello spirito del popolo stesso anche perché, in quanto organo universale dell’appercezione spirituale, causa l’appercezione di una persona per mezzo di un’altra persona, attraverso il cui processo le persone si accolgono reciprocamente l’una nell’altra in modo tale da costituire un popolo e da determinare in sé lo spirito del popolo. Le persone, parlando, imparano reciprocamente e reciprocamente insegnano a comprendere la loro interiorità e s’intendono, è a dire si uniscono nello spirito26. Capiamo ora perché si è assegnata per la definizione di popolo così tanto peso alla discendenza e alla lingua. Si è persino avuto ragione a far ciò e si è errato soltanto nell’aver creduto di trovare l’essenziale in quegli elementi in quanto elementi oggettivi, [41] mentre essi sono importanti soltanto in quanto concezioni soggettive del popolo stesso. Non la discendenza in sé è importante, ma la rappresentazione ad essa connessa dell’uguaglianza dei discendenti, dei loro padri, della loro storia, della loro costituzione, del loro intero passato e, di conseguenza, anche del loro futuro. Non l’uguaglianza delle parole utilizzate è importante, ma la coscienza che sorge nella comprensione reciproca di colui che parla e di colui che ascolta e il sentimento che si desta dell’ uguaglianza reciproca. – E comprendiamo anche il su menzionato rapporto irrazionale tra i popoli e la loro discendenza e lingua. Solo apparentemente chi fa parte della genia basso-tedesca è più vicino dal punto di vista linguistico all’olandese che all’alto-tedesco. Il basso-tedesco, in verità, è compreso meglio da quest’ultimo piuttosto che da quello e, invero, non in ragione del suo particolare dialetto, ma attraverso la lingua tedesca classica, quel prodotto dello spirito nazionale tedesco che si libra in modo sublime al di sopra di tutti i dialetti particolari partecipando dell’intero, appartenendo al popolo in quanto puro individuo spirituale. L’olandese non voleva comprendere e utilizzare questo tedesco, non voleva intendersi, cioè unirsi con il tedesco, non voleva appercepirlo e lasciarsi appercepire da lui, il che significa che non voleva essere assieme a lui un popolo in comunione spirituale, non voleva costituire uno spirito del popolo. Così si distaccò. – È della massima impor-

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und für die Einsicht in die Ursachen, warum seine Einheitsbestrebungen immer wieder scheitern mußten, ist es von der größesten Wichtigkeit, daß diese Einheiten außerhalb des Nationalgeistes standen, und daß im officiellen Verkehr eine fremde Sprache das Bindemittel der Völker sein mußte. Wegen dieser besonderen Wichtigkeit der Sprache für den Volksgeist, wenden wir uns ganz besonders an die Sprachforscher. Diejenigen unter ihnen, welche in Humboldts Fußstapfen treten wollen, mögen Ernst damit machen, in den Sprachen die Abbilder der eigenthümlichen Volksgeister nachzuweisen. Uns scheint, als schlösse die psychologisch bearbeitete Sprachwissenschaft einen Reichthum der anziehendsten und wichtigsten Aufgaben in sich, der bis jetzt kaum von fern geahnt worden ist. Man kann im Bewußtsein Inhalt und Form unterscheiden. [42/348] Der Inhalt liegt in den Empfindungen und den daraus gebildeten Vorstellungen und Begriffen nebst den ihnen anhaftenden Gefühlen. Die Form liegt in der Bewegung dieses Inhaltes durch das Bewußtsein hindurch, oder in der Verbindung der Elemente desselben. Sowohl im Inhalte wie in der Form bekundet sich die Volkseigenthümlichkeit, aber feiner, zarter und inniger in der Form. Alle Elemente nun, die das Volksbewußtsein ausmachen, Religion, Sitte, Verfassung u.s.w. sind ein GedankenInhalt; die Sprache allein stellt neben dem Vorstellungs-Inhalt in den Wörtern auch die Gedanken-Form dar, die GedankenBewegung, in der Wortbeugung und den Satzbildungsmitteln. Die Sprache enthält nicht nur die Weltanschauung des Volkes, sondern ist auch das Abbild der anschauenden Thätigkeit selbst. Erst in späten Zeiten der Cultur eines Volkes tritt die Wissenschaft auf und setzt in einzelnen Individuen die Kundgebung der psychischen Bewegung fort, welche in der Sprache sich allgemein geäußert hatte. Die nächste Aufgabe wäre demnach die Betrachtung des Wortschatzes als des Umfanges des Begriffskreises eines Volksgeistes. Charakteristisch ist schon die Weite des Umfanges, ob eine Sprache überhaupt wortreich ist. Wichtiger aber noch ist der Reichthum oder die Armuth innerhalb der besonderen Gebiete,

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tanza per l’intera storia del Medioevo e per la comprensione delle ragioni fondamentali per cui gli sforzi di unificazione allora compiuti dovevano sempre naufragare, il fatto che queste unità sorsero al di fuori dello spirito nazionale e che, negli scambi ufficiali, il mezzo d’unione dei popoli doveva essere una lingua straniera. In ragione del particolare rilievo della lingua per lo spirito del popolo ci rivolgiamo specialmente ai linguisti. Tra costoro, quelli che intendono seguire le orme di Humboldt, potrebbero mettere in pratica questo proposito per mostrare nelle lingue le prime immagini di peculiari spiriti dei popoli. Ci pare che la linguistica elaborata psicologicamente racchiuda in sé un intero patrimonio – finora solo presagito – dei più attraenti e importanti compiti. Nella coscienza si possono scindere contenuto e forma. [42] Il contenuto sta nelle sensazioni e nelle rappresentazioni e nei concetti costruiti a partire da esse, assieme ai sentimenti che vi sono connessi. La forma sta nel movimento di questo contenuto all’interno della coscienza o nella connessione dei suoi elementi. Sia nel contenuto sia nella forma si rivela la peculiarità del popolo, ma lo fa più finemente, sensibilmente e intrinsecamente nella forma. Ora, tutti gli elementi che determinano la coscienza del popolo, la religione, il costume, la costituzione etc., sono un contenuto del pensiero; solo la lingua presenta nelle parole accanto al contenuto rappresentativo anche la forma del pensiero: il movimento del pensiero insito nella flessione e nelle forme grammaticali. La lingua non contiene soltanto la Weltanschauung del popolo, ma è anche la riproduzione della sua stessa attività intuente. La scienza compare solo nelle epoche mature della cultura di un popolo e, nei singoli individui, prosegue la manifestazione del movimento psichico che si era espresso, nella sua forma universale, attraverso la lingua. Il compito successivo sarebbe dunque la trattazione del patrimonio lessicale e dell’estensione del circolo dei concetti dello spirito di un popolo. È già caratteristica l’ampiezza dell’estensione, è a dire se una lingua è in generale ricca di vocaboli. Ancora più importante tuttavia è la ricchezza o la penuria all’interno di ambiti particolari; se, ad esempio,

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wie z. B. ob die Sprache reich ist an Bezeichnungen sinnlicher Eigenschaften, religiöser Vorstellungen, innerer Gefühlsverhältnisse überhaupt. Aber nicht sowohl auf die Mannigfaltigkeit der Vorstellungen kommt es an, als auf die Tiefe und Schärfe, womit Völker das Wesen der Dinge und Begriffe erfassen; auf die Wesentlichkeit mehr, als auf die Feinheit der Unterschiede, welche sie hervorheben. Die ursprüngliche, etymologische Bedeutung erschöpft fast bei keinem Worte die innere Form desselben; oder, wie man zu sagen pflegt, fast jedes Wort hat mehrere Bedeutungen, welche sich aus der etymologischen entwickelt haben. Die Gesetze dieser Entwickelung und somit auch die Gesetze der Entwickelung des Wortschatzes aus der verhältnißmäßig geringen Anzahl von Urwurzeln – denn beides hängt eng zusammen – sind sowohl im Allgemeinen als auch mit Bezug auf das Charakteristische der [43/349] einzelnen Völker darzulegen. – Dasselbe ist zu thun für die Wortbildungs- und Flexions-Mittel, aber in entgegengesetzter Weise. Denn während die Fülle der Wörter und der durch sie bezeichneten Begriffe auf eine möglich geringste Anzahl von Wurzeln und ursprünglichen Anschauungen zurückzuführen ist, stellt uns z. B. die Declination der Nomina die Aufgabe, zu zeigen, wie eine kleine Anzahl von Casusformen aus einer ehemals bedeutend größeren herausgehoben ist. – Endlich sind Gesetze aufzustellen für die Entwickelung und Geschichte der Sprachen überhaupt. Es ist nicht zu verkennen, daß die Lösung dieser Aufgaben noch bedeutender, rein historischer, bis jetzt noch nicht ausgeführter Vorarbeiten bedarf, und wir werden solche historische Arbeiten, welche das angegebene Ziel fest im Auge behalten und sichtbar darauf lossteuern, gern in unsere Zeitschrift aufnehmen. Von ihr ausgeschlossen bleiben natürlich alle Untersuchungen über bloße Lautverhältnisse und Etymologien als solche, für welche unser geehrter Freund, Herr Prof. Kuhn, ein anerkanntes Organ leitet. In unseren Blättern ist es lediglich die psychologische Ausbeute der bekannten, und besonders sicher gestellten Etymologien, um die es zu thun ist, weswegen es wesentlich allein auf die durch Etymologie und Sprachgebrauch entwickelte Bedeutung ankommt.

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la lingua è in generale ricca di riferimenti a qualità sensibili, rappresentazioni religiose, fenomeni delle vita emotiva. Ma ciò non dipende tanto dalla molteplicità delle rappresentazioni, quanto dalla profondità e precisione con cui i popoli colgono l’essenza delle cose e dei concetti; dipende più dall’essenzialità che dalla finezza della distinzione che mettono in luce. Quasi in nessuna parola il significato originale, etimologico, esaurisce la forma interna che vi domina; o, come si è soliti dire, quasi ogni parola ha più significati che si sono sviluppati da quello etimologico. Le leggi di questo sviluppo e – dal momento che entrambi sono intimamente connessi – anche le leggi dello sviluppo del patrimonio lessicale dal numero relativamente [43] ristretto di radici originarie devono essere esposte sia in generale sia in riferimento a ciò che è caratteristico dei singoli popoli. – Bisogna fare lo stesso per quanto riguarda il modo di formazione e flessione delle parole, ma seguendo la via contraria. Infatti, mentre l’insieme delle parole e dei concetti espressi da esse è da ricondurre al minor numero possibile di radici e intuizioni originarie, la declinazione dei nomina – ad esempio – ci impone di mostrare come un ristretto numero di casi sia potuto discendere da un numero in passato significativamente maggiore. – Devono essere, infine, stabilite leggi che presiedono allo sviluppo e alla storia delle lingue in generale. Non è da misconoscere che la soluzione di questi compiti necessita di lavori preparatori di tipo puramente storico ancor più importanti, lavori che finora sono stati svolti in modo non sufficientemente dettagliato. Accoglieremo quindi volentieri nella nostra rivista siffatte ricerche storiche che sono orientate al suddetto fine e lo perseguono senza esitazione. Da queste rimangono naturalmente escluse tutte le ricerche sui rapporti puramente fonetici e le etimologie in quanto tali, per cui il nostro egregio amico, Prof. Kuhn, dirige un’autorevole tribuna27. Nella nostra rivista è esclusivamente il risultato psicologico di etimologie conosciute e poste come particolarmente sicure ciò che preme; per cui bisogna far perno sul significato già sviluppato per via di etimologia e di uso linguistico.

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Es mag hier ein Beispiel eingeschaltet werden, wie es deren viele giebt, das anregen könnte. Die sanskritischen Sprachen* haben alle die Kategorie des Adjectivums. Der Gebrauch der Adjectiva ist aber durchaus nicht in allen diesen Sprachen gleich. Was mag es z. B. für eine Bewandtniß damit haben, daß unsere deutsche Sprache nicht die schöne Fähigkeit besitzt, die nicht nur die griechische und römische besaß, sondern auch noch die heutigen romanischen Sprachen kennen, das Adjectivum zu substantiviren [44/350] in Fällen wie Poëtik, Grammatik, Insect, Mammalia u.s.w.? Warum müssen wir mit ausdrücklicher Hinzunahme eines Substantivs und dem Proceß einer Zusammensetzung sagen: Sprach-Lehre, Kunst-Lehre, Kerbthier, Säugethier? Dieses umständliche, pedantische Verfahren kann nicht bloß in dem Mangel an elliptischer Kraft gegründet sein, da dieser selbst erst aus der Bedeutung der Adjectiva zu erfolgen scheint. Wir können eben deswegen nicht sagen: die Sprachliche, Buchstäbliche, Künstliche u.s.w., weil wir auch nicht sagen können: die sprachliche, buchstäbliche u.s.w. Lehre statt Buchstaben-Lehre u.s.w. Mit der Sprache eng verknüpft ist Mythologie. Es scheint uns ein verderblicher Irrthum, den man aber meist begangen hat, dieselbe mit Religion für eins zu nehmen. Daß beide mit einander verwebt sind, kann zwar Niemand läugnen; ja wir gestehen sogar zu, daß die Mythologie einen religiösen Charakter trägt; aber nur um so mehr müssen sie in der Forschung auseinander gehalten werden; denn dem Wesen nach sind sie völlig von einander verschieden. Dies zeigt sich thatsächlich schon darin, daß nicht alles Mythologische religiös ist, und nicht die ganze Religion in Mythologie steckt. Auch ist Mythologie nicht wesentlich Polytheïsmus, obwohl dieser immer und nothwendig viel Mythisches hat. Aber auch der Monotheïsmus kann seine Mythologie haben.

* Die Benennung „sanskritische Sprachen“ statt der üblichen sowohl unbequemen als unpassenden ,,indogermanisch“ oder ,,indoeuropäisch“ hat längst Wilhelm v. Humboldt und neuerdings wieder Bopp empfohlen; wir werden sie anwenden. Sie scheint um so zweckmäßiger, als heute ein Mißverständniß derselben nicht mehr befürchtet werden darf. Für Laien in der Sprachwissenschaft sei ausdrücklich bemerkt, daß sie nur aussagt: mit der Sanskrit-Sprache verwandt; wörtlich aber bedeutet Sanskrit: vollkommen, classisch.

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Può forse funger da stimolo l’inserimento, a questo punto, di uno dei molti esempi che potrebbero essere riportati. Le lingue sanscrite* 28 hanno tutte le categorie dell’adjectivum. L’uso degli adiectiva, però, non è per nulla uguale in tutte queste lingue. Quale, per esempio, può essere il motivo del fatto che la nostra lingua tedesca non possieda la bella capacità, che non solo possedettero il greco e il latino, ma che conoscono anche le attuali lingue neolatine, di sostantivare [44] l’aggettivo in casi come poetica, grammatica, insetto, mammalia29 etc.? Perché noi dobbiamo dire con l’evidente aggiunta di un sostantivo e col processo di una composizione: Sprach-Lehre; Kunst-Lehre; Kerbthier; Säugethier30? Questo prolisso e pedante modo di procedere non può dipendere soltanto dall’insufficienza di forza ellittica, poiché questa insufficienza sembra derivare dal significato degli adjectiva. Proprio per questo non possiamo dire: Sprachliche, Buchstäbliche, Künstliche etc, giacché non possiamo nemmeno dire: die sprachliche, buchstäbliche etc. Lehre al posto di Buchstaben-Lehre (alfabeto) etc. La mitologia è connessa intimamente con la lingua. Ci pare un errore fatale, e ciò nondimeno commesso di frequente, il reputarla uguale alla religione. Che siano imparentate non può smentirlo nessuno e concediamo perfino che la mitologia abbia un carattere religioso; ma vieppiù devono esser tenute separate nella ricerca, dal momento che per essenza sono completamente diverse. Ciò appare già per il fatto che non tutto quel che è mitologico ha carattere religioso e non tutta la religione sfocia nella mitologia. E nemmeno può dirsi che la mitologia sia, per essenza, politeismo, sebbene il politeismo abbia sempre e necessariamente molto di mitologico. Tuttavia, anche il monoteismo può racchiudere aspetti mitologici. * La dizione “lingue sanscrite”, che utilizzeremo al posto delle restanti “indogermaniche” o “indoeuropee”, tanto scomode quanto illegittime, è stata da lungo tempo suggerita da Wilhelm von Humboldt e più di recente da Bopp. Essa pare tanto più appropriata per il fatto che ormai non può più essere fraintesa. Sia comunque osservato espressamente per i profani della linguistica che con l’espressione “lingue sanscrite” si intende soltanto lingue apparentate con quella sanscrita. Ma letteralmente “sanscrito” significa: perfetto, classico.

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Denn Mythologie ist, wie das Wort der Sprache, eine Apperceptionsform der Natur und des Menschen, eine Anschauungsweise auf einer gewissen Stufe der Entwickelung des Volksgeistes; sie schließt keinen Inhalt aus, welcher Gegenstand des Volks-Bewußtseins werden kann, also auch nicht die Idee Gottes und der Sittlichkeit. So ist nun die Religion allerdings ihr vorzüglichster Inhalt, aber keineswegs der einzige; noch weniger aber ist die Religion an diese Form gebunden. Nicht also aus Religiosität, wie man gemeint hat, sehen die ältesten Zeiten alles mythologisch an – als wären sie religiöser gewesen als wir und überhaupt als die Zeit späterer, höherer Entwickelung – sondern weil der Volksgeist zuerst nur mythologisch appercipirt, bildete er in der Urzeit auch seine Religion mythologisch; und so waren es alle seine Erkenntnisse. Weil aber seine Religion mythologisch [45/351] war, so wurden auch alle seine Erkenntnisse, indem sie mythologisch wurden, zugleich auch religiös. Das mythische Erkennen greift immer nach religiös-mythischen Kategorien (Göttern, Heroen); und so gilt alle Mythologie als religiös, eben weil sie große allgemeine Apperceptionen enthält, die Religion selbst aber die Sehnsucht und theilweise Erfüllung der Apperception der Natur und Welt durch einen höchsten Begriff ist; und wie theoretisch auch praktisch; Apperception des Ethischen unter einem EthischHöchsten. – Daher ist auch Philosophie mit Religion verwandt und vertritt in den Individuen ihre Stelle; ja die Zusammenfassung und Harmonisirung der mannigfaltigen und widerspruchsvollen Masse der Endlichkeit geschieht in der Philosophie oft eben so unvollkommen wie in der Mythologie: Spinoza’s Substanz ist ein mythisches Wesen wie nur Eines in den Kosmogonien; abstracter aber nicht klarer. Man kann heute noch beobachten, wie das Volk Mythen dichtet, und jedes Kind hat seine kleine Mythologie. Die Mythologie, überhaupt die Sage, ist darum so wichtig für die Völkerpsychologie, weil sich hier, wie nirgends sonst, die Processe der Apperception und Verschmelzung in den großartigsten Zügen studiren lassen. Die Umgestaltungen, welche die Sage im Laufe der Jahrhunderte und Jahrtausende erfährt, bieten die anziehendste Erscheinung der Geschichte des Volksgeistes dar. Die

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Giacché la mitologia è, come la parola della lingua, una forma dell’appercezione della natura e dell’uomo, un modo d’intendere tipico di un certo livello di sviluppo dello spirito del popolo, essa non esclude alcun contenuto che possa essere oggetto della coscienza del popolo, nemmeno l’idea di Dio e della morale. La religione tuttavia è di certo il suo contenuto privilegiato, ma non è per nulla l’unico; e, ancor meno, la religione rimane legata a questa forma. Nei tempi antichi dunque si concepiva tutto in termini mitologici non, come si è creduto, a causa della religione – quasi gli uomini di allora fossero più religiosi di noi e delle epoche successive che hanno conosciuto un più alto sviluppo –, ma piuttosto avvenne che, poiché lo spirito del popolo percepiva anzitutto in modo mitologico, nei tempi antichi costituì mitologicamente anche la sua religione e tutte le sue conoscenze erano dello stesso tipo. Ed essendo la sua religione [45] mitologica, anche le sue conoscenze, in quanto mitologiche, divennero religiose. La conoscenza mitologica procede sempre secondo categorie mitico-religiose (dei, eroi) e così tutta la mitologia ha un valore religioso proprio perché contiene grandi appercezioni universali; la religione stessa però si configura – sia da un punto di vista teoretico sia da un punto di vista pratico – come la nostalgia e, in parte, il completamento dell’appercezione della natura e del mondo per mezzo di un concetto supremo, l’appercezione di ciò che è etico per mezzo del concetto della suprema eticità. – Pertanto anche la filosofia è imparentata con la religione e occupa il suo posto negli individui. Certo la sintesi e l’armonizzazione delle masse molteplici e contraddittorie della vita temporale31 spesso ha luogo nella filosofia in un modo altrettanto imperfetto che nella mitologia: la sostanza di Spinoza è un’essenza mitica come, nella cosmogonia, l’uno: più astratta, non più chiara. Oggi si può ancora osservare come il popolo costituisce poeticamente miti e ciascun bambino ha la sua piccola mitologia. La mitologia, e soprattutto la saga, è tanto importante per la psicologia dei popoli, perché qui, meglio che in ogni altro luogo, possono essere studiate le caratteristiche principali dei processi dell’appercezione e della fusione. Le trasformazioni che la saga compie nel corso dei secoli e dei millenni, offrono il fenomeno più allettante della storia dello spirito del popolo.

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Schöpferkraft, welche die Volksgeister auf diesem Gebiete bewiesen haben, kann nicht Staunen genug erregen. Die vergleichende Mythologie, die noch nicht zwei Jahrzehnte alt ist, hat doch schon den Beweis geliefert, daß der gesammte, unübersehbare Sagenschatz der sanskritischen Völker sich aus einem Keime entwickelt hat, der im Verhältniß zu ihm gewiß geringfügiger erscheint als die Wurzeln der sanskritischen Sprachen zu dem ganzen Wortund Gedanken-Reichthum derselben. Es schien uns überflüssig, etwas zur Empfehlung der vergleichenden Grammatik zu sagen; aber über die Bestrebungen der vergleichenden Mythologie dürfen wir wohl noch nicht schweigend hinweggehen. Es sollte zwar die Anerkennung des Werthes von Arbeiten, wie sie unser geehrter Freund, Hr. Kuhn liefert, ebensowohl unumstößlich fest, als allgemein sein; indessen ist zu bemerken, [46/352] daß auf diesem Gebiete früher so vielfach nicht nur, sondern auch so stark geirrt worden – obwohl wesentlich doch nicht schlimmer, als in der vergleichenden Etymologie der Wörter – daß man es denen nicht so sehr verargen kann, welche auch an die neuesten Versuche noch nicht glauben wollen, da sie selbst nicht im Stande sind, die vorgetragenen Combinationen gründlich zu prüfen. Sie fürchten, daß nur neue Verwirrungen auftauchen, welche nächstens eben so wie die ältere sich in ihrer Blöße zeigen werden. Vielleicht nun kann folgende einfache Betrachtung Vertrauen einflößen. Wer zweifelt heute noch an der ursprünglichen Gemeinschaft der sanskritischen Sprachen und Völker? Höchstens doch nur Jemand, der Bopps vergleichende Grammatik und Grimms Geschichte der deutschen Sprache nicht einmal gelesen hat. Man braucht dies nicht nothwendig gethan zu haben und kann ein ganz vortrefflicher, verdienstvoller, ja ein großer Philologe sein; nur darf man sich dann nicht öffentlich über die Verhältnisse der Sprachverwandtschaft äußern. Wer aber öffentlich die Ergebnisse jener Werke läugnet, ja angreift, ohne sie genau geprüft zu haben, begeht einen Verstoß gegen die Sittlichkeit, und es hilft nicht zu sagen, Andere haben es auch nicht gethan. Die Einheit also jener Sprachen und Völker vorausgesetzt, kann man dann weiter bezweifeln, daß neben jener Ursprache auch eine Urreligion, eine Urmythologie, urthümliche Sitten im öffentlichen und häuslichen Leben stattgefunden haben müssen? Dieser Folge wird man sich doch schwerlich entziehen können. Nun lehren

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La forza creativa che gli spiriti dei popoli hanno mostrato in questo ambito non può sollevare troppa meraviglia. La mitologia comparativa, che non esiste da più di due secoli, ha già dimostrato che l’intero, sterminato, patrimonio di saghe dei popoli sanscriti si è sviluppato da un nucleo che appare di certo meno esteso di quel patrimonio, come le radici delle lingue sanscrite appaiono meno estese del patrimonio di parole e pensieri che hanno prodotto. Ci pare superfluo suggerire alcunché in merito alla grammatica comparativa; ma in relazione agli sforzi della mitologia comparativa non possiamo ancora tacere. Il riconoscimento del valore di lavori come quelli offerti dal nostro egregio amico, Sig. Kuhn32, dovrebbe essere tanto irrefutabile, quanto universale; tuttavia bisogna notare [46] che in passato, in questo campo, non solo si è sbagliato tanto, ma anche in modo grave – sebbene non di più di quanto si sia sbagliato nell’etimologia comparativa delle parole – ragion per cui non è possibile prendersela troppo con coloro che ancora non vogliono dar credito alle più recenti ricerche, dal momento che nemmeno esse sono in grado di provare in modo certo le combinazioni proposte. Costoro temono che affiorino solo nuove confusioni, che si paleseranno in seguito, esattamente come accadde per le vecchie. Ora, può forse infondere fiducia la semplice considerazione che segue. Chi ancora oggi dubita della comunanza originaria delle lingue e dei popoli sanscriti? Al più, soltanto chi non ha mai studiato la grammatica comparativa di Bopp e la storia della lingua tedesca di Grimm33. Si può essere un eccellente, meritevole e grande filologo anche senza aver fatto ciò, ma in tal caso non bisogna comunque esprimersi apertamente sui rapporti di parentela tra le lingue. Chi invece smentisce pubblicamente i risultati di quelle opere, chi le attacca senza averle esaminate accuratamente, offende il senso morale e non serve osservare che anche altri non le hanno prese in esame. Presupposta l’unità di quelle lingue e di quei popoli, si può ancora dubitare che vicino a quella lingua originaria debbano aver avuto luogo una religione originaria, una mitologia originaria e, nella vita pubblica e privata, costumi condivisi? Difficilmente ci si potrà sottrarre a questa conseguenza. Mol-

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aber doch viele Erscheinungen, wie zäh solche Urschöpfungen vom Volksgeiste festgehalten werden. Wenn selbst das Christenthum so manche heidnische Anschauung und Sitte, mehr oder weniger modificirt, bis heute noch lebendig sehen muß: durch welche Kraft hätten im Alterthum jene Vorstellungen der Urzeit sollen vertilgt werden können? Sie haben also die Völker bei ihrer Auswanderung aus den Ursitzen in neue Heimathen begleitet, haben sich dort mannigfach modificirt, sind aber im eigentlichen Stoffe dieselben geblieben. Mehr behauptet die vergleichende Mythologie nicht; der Wahn, als hätten sich die Griechen Sprache, Götter, Sitten aus Indien geholt, ist ihr fremd. [47/353] Wir begreifen, wie abstoßend es im ersten Augenblick einem Kenner und Liebhaber der griechischen Schönheit sein muß, den Hermes auf den indischen Hund der Unterwelt, auf einen Kerberos, zurückgeführt zu sehen. Aber soll ihn nicht andererseits auch bald die höchste Bewunderung vor der Schöpferkraft des griechischen Schönheitssinnes erfüllen, welcher aus einem Scheusal die herrliche Göttergestalt hervorzubilden gewußt hat? Solche Metamorphosen zu begreifen ist die Aufgabe der Völkerpsychologie. Es ist nicht eben vergleichende Mythologie, Geschichte der Mythen als solche, als philologische Disciplinen, welche wir in unseren Blättern besprochen wünschen; sondern es sind nur die mit den dort gefundenen Thatsachen gestellten psychologischen Aufgaben. Es soll das Wesen der mythischen Anschauungsweise, die Entstehung der Mythen, ihre mannigfaltige Umgestaltung im Volke und später durch die Dichter und endlich ihr Schicksal unter der Herrschaft des Christenthums, resp. des Buddhismus u.s.w., sowohl aus den in ihnen selbst liegenden Bedingungen, wie auch aus dem Gesammtzustande des Volksgeistes begriffen werden. Wenn Sprache und Mythologie uns die tiefsten Aufschlüsse über die intellectuelle Seite des Volksgeistes zu geben haben: so lernen wir ein Volk aus seinem Verhältnisse zur Religion zugleich von der theoretischen, praktischen und gemüthlichen Seite kennen. In der Religion zeigt sich der ganze Mensch. Hier enthüllen sich seine Ideale, was er als das Letzte und Erste erkennt, als das Höchste verehrt, als den eigentlichen Zweck erstrebt.

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ti fenomeni oggi mostrano quanto tenacemente siano state mantenute quelle creazioni originarie dello spirito del popolo. Se lo stesso cristianesimo deve ancora oggi riconoscere in sé alcune prospettive e consuetudini pagane, da quale forza quelle rappresentazioni preistoriche avrebbero potute essere cancellate nell’antichità? Esse hanno dunque accompagnato i popoli nella loro trasmigrazione da un luogo primitivo verso nuove patrie, lì si sono modificate variamente, ma sono rimaste uguali nella loro struttura; più di questo la mitologia comparativa non afferma. La follia, secondo cui i greci avrebbero acquisito lingua, dei e costumi dall’India, le è estranea. [47] Comprendiamo quanto debba essere ripugnante, di primo acchito, per un conoscitore e amante della bellezza greca veder ricondotto Hermes al cane indiano degli inferi, a un Cerbero. Ma, d’altro canto, non deve anche gremirlo la suprema meraviglia per l’energia poietica del senso greco della bellezza, che da un mostro ha saputo plasmare la forma magnifica di un dio? Comprendere queste metamorfosi è il compito della psicologia dei popoli. Nella nostra rivista non intendiamo esattamente discutere di mitologia comparativa, di storia dei miti in quanto tale, in quanto disciplina filologica, ma vogliamo piuttosto dar risposta ai compiti psicologici posti dai fatti così rintracciati. In breve, bisogna comprendere l’essenza della prospettiva mitologica, la nascita dei miti, la loro complessa trasformazione all’interno del popolo e, in seguito, all’interno dell’elaborazione compiutane dai poeti, fino a giungere al loro destino sotto l’imperio del cristianesimo, del buddismo etc.; e tutto ciò va fatto sia a partire dalle condizioni interne dei miti stessi sia in relazione allo stato complessivo dello spirito del popolo. Se la lingua e la mitologia devono fornirci le spiegazioni più approfondite sull’aspetto intellettuale dello spirito del popolo, attraverso i suoi rapporti con la religione impariamo a conoscere un popolo sia sotto l’aspetto teoretico sia sotto quello pratico e intimo. Nella religione si mostra l’uomo intero. Si disvelano qui i suoi ideali, ciò a cui conferisce la dignità di ultimo e primo, ciò che onora come supremo e il fine proprio a cui tende.

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Es ist hier wieder zuerst die uranfängliche Entstehung der Religion, der Gottes-Idee und Gottes-Verehrung allgemein psychologisch zu zeigen; dann, wie, auf welchen Wegen, die Verschiedenheit entstehen konnte, in der die religiöse Idee sich ausbildete. Zwei entgegengesetzte Fehler wollen wir hier abweisen, die sich nur durch das Geistreiche und das Großartige des Irrthums einschmeicheln konnten. Unbefangen betrachtet, können wir wohl nur eine Gedankenlosigkeit erstlich darin sehen, wenn man die verschiedenen Religionen für nichts anderes als „den getreuen Widerschein der Natur der Länder“ erklärt. Als wenn der Volksgeist [48/354] nur der passive, an sich leere, rein aufnehmende Spiegel der Oertlichkeit wäre, in der das Volk lebt! – Nicht weniger gedankenlos ist genau genommen die andere Ansicht, die freilich durch eine großartige Weltanschauung getragen wird. Nach ihr ist jede Religionsform eine Offenbarung, und d. h. Selbstschöpfung des Absoluten, Gottes, selbst. Diese Ansicht Hegels, die bei ihm durch die bald menschenvergötternde, bald gottvermenschlichende Dialektik verwirrt und abgestumpft wird, tritt positiver hervor bei Weiße, am positivsten, ich hätte beinahe gesagt am crassesten, bei Schelling. Nicht die Völker haben sich hiernach ihre Religionen gebildet, sondern in den Völkern hat Gott die Religionen, und in den Religionen sich selbst geschaffen. Zeus war eine Wirklichkeit, ein wirklicher Gott, war wirklich der ewige, einige Gott, der und wie er sich im griechischen Volksgeiste schuf. Das heißt doch in kräftiger Weise den Menschen als Gefäß Gottes auffassen: wenn nicht vielmehr in einer schlaffen, menschliches Wesen zerstörenden Weise. Dahin führte der unschuldige Gedanke, daß in allem Wirklichen Vernunft ist! Wie es sich mit der Wahrheit und dem Irrthum der heidnischen Religionen und aller Religion verhält, dies zu untersuchen, gehört der Religions-Philosophie. Der Völkerpsychologie liegt es nur an, die Religion aus dem Volksgeiste, der sie schuf, zu entwikkeln oder die Eigenthümlichkeit des Volksgeistes in ihm wiederzuerkennen, und zwar mit Ausschluß jeder anderen Wirkungsweise als der allgemeinen psychologischen Causalität. Man täusche sich auch darüber nicht: jedes Volk hat seine Religion; die Katholicität ist und war unmöglich. Der Deutsche, der

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Anche qui è anzitutto necessario mostrare in una prospettiva psicologica universale il sorgere primitivo della religione, l’origine dell’idea di Dio e della sua venerazione; poi bisogna mostrare come, per quali vie, abbia potuto determinarsi la diversità delle idee religiose. Vogliamo qui respingere due errori opposti che hanno potuto insinuarsi solo a causa dell’arguzia e della grandezza dell’errore medesimo. Anzitutto con una considerazione imparziale scorgeremo solo un’ingenuità nello spiegare le differenze religiose come “il fedele riflesso della natura dei diversi territori”34. Come se lo spirito [48] del popolo fosse solo lo specchio passivo, in sé vuoto, che riflette semplicemente le caratteristiche del luogo in cui il popolo vive! – Non meno ingenua, quando la si consideri con precisione, è l’altra prospettiva, indubbiamente condotta da una grandiosa Weltanschauung. Per essa ogni forma religiosa è una rivelazione, un’autocreazione dell’assoluto o di Dio stesso. Questa concezione, che in Hegel è intrecciata e smussata ora con la dialettica della deificazione dell’uomo ora con quella dell’umanizzazione di Dio35, perviene a maggior compiutezza con Weisse36 e alla massima perfezione, vorremmo quasi dire alla più estrema, con Schelling37. Secondo questa prospettiva non sono stati i popoli a costruire le loro religioni, ma Dio ha costituito le religioni nei popoli e nelle religioni ha creato se stesso. Zeus era una realtà, un Dio reale, era davvero l’eterno, unico Dio, che si costituì, secondo il modo in cui lo fece, nello spirito del popolo greco. Ciò significa intendere l’uomo nel modo più energico quale vaso di Dio, quando non significa intenderlo schiettamente in un modo fiacco, in un modo che ne distrugge l’essenza. A tanto ha portato l’innocente pensiero che la razionalità domina in tutto ciò che è reale! Indagare come questo si rapporta con la verità e con l’errore delle religioni pagane e di ogni religione spetta alla filosofia della religione. La psicologia dei popoli si occupa solo di derivare la religione dallo spirito del popolo che l’ha creata o di riconoscere nel popolo la peculiarità dello spirito del popolo, escludendo ogni altro approccio all’infuori di quello che indaga l’universale causalità psicologica dei fenomeni. Non ci si illuda nemmeno su ciò: ogni popolo ha la sua religione; il “cattolicesimo”38 fu ed è impossibile. I tedeschi, gli

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Italiener und der Grieche haben und hatten zu allen Zeiten verschiedene Religionen, weil sie verschiedene Völker sind. Man rede also weniger vom Christenthum, als von den christlichen Völkern und zwar von jedem derselben besonders. Denn der Volksgeist ist das eigentliche Agens, das die Botschaft hört und sie deutet und versteht, wie es kann. Wenn es eine wirkliche Katholicität geben kann, so ist es die der Theologie oder jeder Wissenschaft. Diese eignen zunächst nicht dem Volke und können demselben auch fern bleiben; die Individuen aber können sich wohl von den Schranken des Volksgeistes befreien, sie können [49/355] von allgemeinen Ideen so sehr ergriffen und durchdrungen werden, daß ihre ursprüngliche Bestimmung durch den Volksgeist dadurch verschwindet oder auf ein Minimum reducirt wird. Diese Individuen können dadurch befähigt werden, die Vermittelung allgemeiner Ideen mit dem besonderen Volksgeist zu bewirken; wenn sie nur nicht, was im Mittelalter von Theologen und Juristen gleich sehr und vielfach geschehen ist, bei dem Anschluß an eine außernationale Allgemeinheit der Ideen es verlernen, den echten Sinn des eigenen Volkes zu achten und zu beachten. Daher z. B. ein Luther kommen mußte, um den geraderen Weg vom deutschen Volksgeist zum Christenthum zu zeigen. Der Cultus ist eine ideale Praxis; es sind die Höflichkeitsformen im Betragen gegen die Gottheit. In ihm zeigt sich die Kraft des Volksgeistes, religiöse Gedanken in Handlungen zu symbolisiren. Er ist also auch eine Sprache, eine mimische, insofern nicht die Wortsprache hinzutritt im Gebet. Wie nun bei der Lautsprache Wohlklang eine schöne Seite derselben sein kann, aber keineswegs das Wesentliche ist, welches vielmehr in der Bedeutsamkeit liegt: so ist es auch beim Cultus nicht die Schönheit der Form, auf die es ankommt, sondern die Tiefe der Bedeutsamkeit. In dieser Rücksicht aber unterscheiden sich eben die Völker, indem bald diese, bald jene Seite vorwiegt. In Sage und Cultus liegen die ersten Elemente der Dichtung und der übrigen Künste. Hymnus, also Lyrik, und Epos und Drama, im Ursprung kaum geschieden, treten dann, unter günstigen Umständen, gesondert und selbständig hervor. Wie Sprache, Mythos und Religion Schöpfungen des Volksgeistes sind: so sind auch die Anfänge der Poesie Volksdichtung, die sich besonders in der Lyrik, am wunderbarsten im Epos offenbart.

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italiani e i greci hanno ed ebbero in ogni età religioni diverse perché sono popoli diversi. Si parli pertanto di popoli cristiani piuttosto che di cristianesimo e si faccia riferimento a ciascuno di essi singolarmente. Poiché lo spirito del popolo è l’Agens in senso proprio che ascolta il messaggio, che lo interpreta e comprende come può. Se può esservi un reale “cattolicesimo” si tratta di quello della teologia o di una scienza. Esse non appartengono in modo preminente al popolo e possono anche rimanere distanti da esso; ma gli individui possono certo liberarsi dalle restrizioni dello spirito del popolo, possono [49] essere catturati e penetrati dalle idee universali in sì larga misura da far sparire o ridurre al minimo la connotazione originaria impressa loro dallo spirito del popolo. Questi individui possono in tal modo divenir capaci di mediare le idee universali e lo spirito particolare del popolo; ma ciò solo se, aderendo a un orizzonte universale, extranazionale, di idee, non disimparano a stimare e rispettare il senso originario del proprio popolo come in genere è accaduto nel medioevo a teologi e giuristi. Così, per esempio, doveva arrivare un Lutero per mostrare la via adeguata al cristianesimo per lo spirito del popolo tedesco. Il culto è una praxis ideale; si tratta delle forme di condotta nei confronti della divinità. In esso si manifesta la forza dello spirito del popolo di simboleggiare i pensieri religiosi nelle azioni. Esso è anche una lingua, una lingua mimica, dal momento che non implica una lingua fatta di parole. Ora, come la musicalità può costituire un aspetto bello della lingua fonetica sebbene non quello essenziale, il quale piuttosto rimanda ai significati, così l’essenziale del culto non sta nella bellezza della forma a cui perviene, ma nella profondità dei significati. E proprio in riferimento a questo i popoli si dividono in modo tale che ora prevalga il primo aspetto ora l’altro. Nella saga e nel culto si trovano i primi elementi della poesia e delle rimanenti arti. L’hymnus, ovvero la lirica, e l’epos e il dramma, all’inizio quasi per nulla scissi, si presentano in seguito, in presenza di condizioni propizie, separati ed autonomi. Come lingua, mito e religione sono creazioni dello spirito del popolo, allo stesso modo le fasi iniziali della poesia si esprimono nella poesia popolare, la quale si manifesta specialmente nella lirica e in modo eccellente nell’epica.

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Hierüber walten noch viel Mißverständnisse ob, und der Streit über Homer ist noch fern von seiner Schlichtung. Der Grund aber, weswegen man bisher in der Behandlung der homerischen Frage nicht recht glücklich war, liegt nicht bloß darin, daß man meist den Gesichtskreis zu beschränkt hielt – indem man den Blick nicht von Homer wandte, da man doch nur durch Erforschung und Vergleichung alter epischen Dichtungen aller Völker zum Ziele zu gelangen hoffen kann; – sondern es kommt [50/356] noch der Mangel der Völkerpsychologie hinzu, die den letzten Aufschluß über das Wesen der Volkspoesie, über das Verhältniß des Dichters zum Volksgeiste zu geben hat. Der Philologe Wolf hätte also über den Philosophen Fichte, der ihm freundlich sagen ließ, daß er schon selbst ähnliche Gedanken wie Wolf über Homer gehabt habe, nicht spötteln sollen; er hat sich dabei eben nur in der philologischen Eigenschaft gezeigt, welche schon die Alexandriner besaßen. Auch werde ich mich wohl hüten, Herdern, der ebenfalls schon vor Wolf rnanches über Homer gedacht haben wollte, ohne weiteres „Perfidie“ vorzuwerfen. Herder war schwach, nicht gemein. Ein Mann, der soviel Volksliteratur kannte, wie er, und wer so viel über den Volksgeist nachgedacht hatte, wie Fichte, konnte recht wohl eine Vorstellung von Homer gewinnen, die sich um so viel der Wahrheit näherte, als sie sich von der herrschenden Ansicht entfernte. Hatte doch auch schon der Italiener Vico eine schöne Ahnung vom wahren Homer. Und wie viel mehr als Ahnung ist Wolf’s Ansicht? Nach unserer Ueberzeugung kann auch die genaueste Untersuchung der homerischen Gedichte die Frage über ihre Entstehung nicht zum Ziele führen. Die Erforschung des vorliegenden Thatbestandes muß zwar die Grundlage aller weiteren Betrachtung bilden; sie muß sich aber anschließen an die vergleichende Erforschung aller Volksliteraturen. Durch die Vergleichung soll hier so wenig wie irgendwo das Eigenthümliche jedes Volkes verwischt werden; sondern durch Gegeneinanderstellung der Volksgeister soll der Charakter eines jeden und so auch die Einzigkeit Homers ans rechte Licht treten. Das letzte Wort hierbei aber bleibt der Völkerpsychologie. Wie wenig selbst unter den besseren Philologen mancher sich in die streitige Frage und in die Ansicht seiner Gegner zu verset-

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In proposito sono ancora frequenti molti fraintendimenti e la disputa su Omero è ancor lontana dall’essere composta. La ragione però, per cui finora non si è davvero avuta fortuna nella soluzione della questione omerica, non è riconducibile semplicemente al fatto che l’orizzonte è rimasto troppo limitato – non si distolse lo sguardo da Omero, mentre si può solo sperare di pervenire alla soluzione attraverso la ricerca e la comparazione delle poesie epiche di tutti i popoli; – ma è riconducibile anche [50] alla mancanza di una psicologia dei popoli, che sola può fornire la spiegazione esclusiva dell’essenza della poesia popolare e del rapporto del poeta con lo spirito del popolo. Il filologo Wolf non avrebbe dovuto schernire il filosofo Fichte, il quale, amichevolmente, consentì che a Wolf stesso venisse comunicato che egli, su Omero, aveva già avuto pensieri simili ai suoi39. Fichte così non ha fatto altro che mostrare d’avere la stessa competenza filologica che già possedevano gli alessandrini40. Mi guardo anche bene dall’attribuire proprio “perfidia” a Herder, che parimenti riteneva d’aver pensato qualcosa su Omero prima di Wolf41. Herder fu debole, non perfido. Un uomo che conosceva sì tanta letteratura popolare come lui e uno che aveva riflettuto tanto sullo spirito del popolo come Fichte potevano, certo, avere un’immagine di Omero che si avvicinava tanto alla verità quanto si allontanava dalla prospettiva dominante. Già l’italiano Vico aveva sicuramente una bella intuizione del vero Omero42. Ma la prospettiva di Wolf è poi molto più di un’intuizione? Secondo il nostro convincimento anche la più precisa ricerca sulla poesia omerica non può risolvere la questione della sua nascita. La ricerca dello stato di fatto presente deve costruire la base di ogni ulteriore considerazione, ma essa deve connettersi alla ricerca comparativa di tutte le letterature popolari. Non bisogna qui, attraverso la comparazione, cancellare ciò che è peculiare di ogni popolo, come non bisogna farlo da qualsiasi altra parte; ma per mezzo del confronto degli spiriti dei popoli è posto nella giusta luce il carattere di ognuno e dunque anche la singolarità di Omero. L’ultima parola in proposito tuttavia spetta alla psicologia dei popoli. Che nemmeno tra i migliori filologi vi sia qualcuno capace di orientarsi nella dibattuta questione e di cogliere il punto di

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zen weiß, mag der verdienstvolle Grote beweisen, der es tadelte, daß sich die Untersuchung bis zum Erscheinen seiner Geschichte Griechenlands so vorzüglich um die Ilias bewegt habe, statt mit dem Leichteren anzufangen, und das Leichtere sei die Odyssee! – Was nun aber auch dieses letztere Epos betrifft, ist denn wohl seine Einheit derartig, daß sie für die Frage augenblickliche Entscheidung herbeiführen muß? Ist es etwa die Einheit einer Antigone? [51/357] oder auch eines Lear? Welche Einheit, bei der so viel Gelegenheit zu Einschiebseln bleibt! Die Concentration, die man so sehr bewundert, ist doch, genau besehen, weniger eine Einheit als bloß ein geschickter Rahmen, der das Mannigfaltige, ohne inneren Zusammenhang an einander Gereihte, in einer und derselben Peripherie zusammenhält. Und, was die Hauptsache ist, wer hat denn schon ergründet, welche Einheit in einer Volksdichtung möglich ist, und welche nicht? welche nothwendig den bewußten Plan eines besonnenen Dichters erfordert? Könnte nicht sogar jene zusammenfassende Anordnung der Odyssee statt der bloß anreihenden mehr ein Ereigniß in der Geschichte der Volksdichtung als eine poetische That sein? Doch nicht erörtern wollen wir hier die Aufgaben der Völkerpsychologie, sie nur bezeichnen. Die deutsche Sage ist viel durchsichtiger als die griechische. Der Mythos von Siegfried würde dem Völkerpsychologen, nachdem er von den Germanisten so vortrefflich bearbeitet ist, ein schönes Thema darbieten. Als Volksdramen haben wir die Spiele anzusehen, die Festaufzüge, die bei den Heiden von streng religiöser Bedeutung waren und sich zum Theil noch heute als Vergnügungen an Festtagen und als Kinderspiele erhalten haben. Hier ist Action, Unterredung und Chor. Noch eines eigenthümlichen Zweiges der Volksdichtung ist zu gedenken: das Sprichwort, woran sich die Fabel knüpft. Man findet beide, wie es scheint, bei allen Völkern der Erde. Klugheit und Weisheit eines Volkes, tiefe und scharfe Beobachtung und tüchtiger Charakter, Witz, Phantasie und sogar echter Humor zeigt sich im Sprichwort. Dasselbe verdiente wohl, zunächst Gegenstand einer geschichtlich vergleichenden, dann einer psycho-

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vista dei suoi nemici, può dimostrarlo il benemerito Grote, il quale criticò il fatto che la ricerca, fino all’apparizione della sua Geschichte Griechenlands, si orientasse prevalentemente all’Iliade, invece di iniziare da ciò che è più semplice, è a dire dall’Odissea!43 – Ora, però, anche in merito a quest’ultima opera epica, può dirsi che la sua unità sia tale da procurare una risposta immediata alla questione? È simile all’unità di un Antigone? [51] O di un Re Lear? Quale unità può rimanere a una così grande occasione di interpolazione! La concentrazione che meraviglia tanto, se scrutata da vicino, si rivela certamente piuttosto che come un’unità, come un’ampia cornice che tiene assieme entro un unico perimetro una molteplicità di cose accostate l’un l’altra senza una connessione interna. E – quanto è più importante – chi ha già sondato quale unità sia possibile nella poesia popolare e quale no? Quale unità necessariamente esiga il piano consapevole di un poeta ispirato? E perfino quella disposizione sintetizzante, invece che assemblante, dell’Odissea non potrebbe essere il risultato della storia della poesia popolare piuttosto che un fatto poetico? Non vogliamo certo qui svolgere i compiti della psicologia dei popoli, ma solo indicarli. La saga tedesca è molto più trasparente di quella greca. Il mito di Sigfrido, dopo essere stato elaborato così eccellentemente dai germanisti, offrirebbe allo psicologo dei popoli un tema interessante. Dobbiamo prendere in considerazione i giochi, i cortei festivi, che presso i pagani avevano un così forte significato religioso e ancora oggi si sono in parte conservati come svaghi nei giorni di festa e giochi dei bambini, come poesie popolari; dobbiamo farlo giacché qui si trova azione, conversazione e coro. Bisogna ancora rammentare un ramo specifico della poesia popolare: il proverbio a cui è associata la favola. Entrambi, come si vede, si trovano presso tutti i popoli della terra. Nel proverbio si manifestano l’intelligenza e la saggezza di un popolo, la profonda e penetrante osservazione, il carattere spiccato, il motto, la fantasia e persino l’autentico senso dell’humor44. Esso meriterebbe dunque di divenire prima oggetto di una ricerca storico-comparativa, poi di una ricerca

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logischen Forschung zu werden. – Die Fabel aber erscheint im germanischen Mittelalter als ein vollkommenes Thier-Epos, das von Jacob Grimm gelehrt und geistvoll bearbeitet ist. Hier liegt eine Aufgabe vor, die an Interesse keiner Sagen-Forschung nachsteht, und deren Lösung von unmittelbarem Einfluß auf die oben berührte epische Frage sein würde. Die Bildung der Schrift ist noch ein Erzeugniß des Volksgeistes, [52/358] ein rein völkerpsychologisches Object. Aber die Verbreitung derselben macht in der Entwickelung des Bewußtseins eines Volkes den wichtigsten Abschnitt. Mit ihr tritt dasselbe in die Geschichte, erhält es ein staatliches, geschichtliches Bewußtsein, und hiermit beginnt das wirkliche Selbstbewußtsein des Volkes. Diese Epoche im Völkerleben gleicht derjenigen des Einzelnen, wo er zum ersten Male sich mit Ich bezeichnete. Mit ihr beginnt die Civilisation. Jetzt gewinnt das Ich des Einzelnen eine höhere Bedeutung; denn jetzt beginnt die Zeit, wo sich der Einzelne dem Volke gegenüberstellt, sich aus der Gesammtheit heraushebt, eine individuelle Eigenthümlichkeit gewinnt. Auch im Naturzustande des Volkes herrscht eine ungleiche Begabung der Einzelnen; es zeichnet sich das eine und das andere Individuum vor Allen aus, aber nur i n einer allgemein herrschenden Eigenschaft durch einen ungewöhnlich hohen Grad, nicht durch eine Eigenschaft, welche die Andern nicht hätten. Die Personen unterscheiden sich nach dem Grade der geistigen Kraft, nicht durch eine individuelle Richtung. Sie alle enthalten in sich nichts als den Volksgeist, das Allgemeine, ohne individuelle Form, nur daß der Eine und der Andere ihn vorzüglich vollständig, besonders tief, kräftig darstellt. Alle leben noch concentrisch, nur daß der Kreis des Einen umfassender ist als der des Andern. Erst durch die Cultur und Civilisation bildet sich der Einzelne seinen Kreis um ein besonderes Centrum, das freilich immer noch innerhalb der Peripherie des National-Kreises liegen muß. Dieses Verhältniß des Einzelnen zum Volksgeiste vor und nach dem Entstehen der individualisirenden Cultur ist einer vorzüglichen Beachtung zu empfehlen. Es bildet den Kernpunkt gar mancher völkerpsychologischen Frage. Es unterscheiden sich hier nicht nur die einzelnen Völker je nach der Macht, mit welcher das Allgemeine den Einzelnen beherrscht, oder nach der

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psicologica. – La fiaba tuttavia appare nel Medioevo tedesco come una perfetta epica degli animali, che Jacob Grimm ha insegnata e elaborata genialmente45. Si fa qui avanti un compito che, per interesse, non è secondo a nessuna ricerca sulle saghe e la cui soluzione sarebbe di effetto immediato per la questione epica su toccata. Anche l’elaborazione della scrittura è un prodotto dello spirito [52] del popolo, un puro oggetto della psicologia dei popoli. Ma il suo ampliamento costituisce il capitolo più importante dello sviluppo della coscienza di un popolo. Con essa il popolo entra nella storia, acquisisce una coscienza pubblica e storica, inizia così la reale autocoscienza del popolo. Quest’epoca, nella vita del popolo, corrisponde a quella in cui l’individuo per la prima volta si riferisce a sé con “io”. Con quest’epoca inizia la civilizzazione. Ora l’“io” dell’individuo acquisisce un più alto significato; ora inizia l’epoca in cui l’individuo si contrappone al popolo, si pone al di fuori della comunità, guadagna una peculiarità individuale. Anche nello stato naturale del popolo esistono differenti talenti individuali, gli individui si distinguono dal tutto, ma ciò accade solo in virtù di una qualità universalmente diffusa e presente in lui in grado notevolmente superiore, piuttosto che in virtù di una qualità di cui gli altri non sono in possesso. Le persone si distinguono per il grado di forza spirituale non per un orientamento individuale. Tutti contengono in loro nient’altro che lo spirito del popolo, l’universale privo di forma individuale, solo che qualcuno lo presenta in modo straordinariamente vigoroso o particolarmente profondo. Tutti vivono ancora concentricamente, solo che il cerchio di uno è più ampio di quello dell’altro. Con la cultura e la civiltà per la prima volta l’individuo costituisce il proprio cerchio attorno a un centro particolare, ma pure esso deve rimanere entro il margine del cerchio-nazionale. Bisogna suggerire come uno studio privilegiato questo rapporto dell’individuo con lo spirito del popolo, prima e dopo la nascita della cultura individualizzante. Esso costituisce infatti il punto nodale di una moltitudine di questioni connesse alla psicologia dei popoli. A tal proposito i singoli popoli si distinguono non solo per la potenza con cui l’universale

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Freiheit, mit der sich letzterer eigenthümlich bewegt und auf das Allgemeine selbständig wirkt; sondern auch die besonderen Thätigkeitsweisen des Volksgeistes gestatten hier dem Einzelnen mehr oder weniger freien Spielraum. In den politischen Einrichtungen z. B., in der Leitung des Staates, ist die Wirksamkeit des Einzelnen entschiedener sichtbar als in der Sprache oder in der Sitte. Auch beginnt [52/359] meist die zweite, selbstbewußte Periode der Völker mit einem großen Staatsmanne, welcher eine Grundform des Staates schafft und sie schriftlich feststellt, also mit der Wirksamkeit der Schrift und einer Persönlichkeit. Die Sprache nun dürfte auch für diese Frage die lehrreichsten Aufschlüsse gewähren, gerade weil in ihr die Macht des Volksgeistes am entschiedensten, die des Einzelgeistes am unwirksamsten ist. Und dennoch, was hat Luther für die deutsche Sprache geleistet! wie viel Lessing, Göthe, Voß! Dies ist in dieser Allgemeinheit und Unbestimmtheit schon so oft ausgesprochen, daß es uns wohl an der Zeit zu sein scheint, die Sache nun endlich einmal sorgfältig bis ins Einzelne und doch nach allgemeinen Gesichtspunkten zu erörtern. Schade, daß das Wörterbuch der Gebrüder Grimm noch nicht fertig ist. – Man wird verwandte Erscheinungen in den anderen Literaturen zur Vergleichung herbeiziehen müssen: Dante, Boccaccio für das Italienische; Descartes, Pascal für das Französische u.s.w. – Hier wäre auch das Verdienst der griechischen Dichter um ihre Kunstsprache zu erforschen. Das Dorisch der tragischen Chöre ist nirgends so gesprochen worden, wie es der Dichter zeigt; es mag sich zum dorischen Volksdialekt verhalten, wie die durch die Kunst des Gärtners veredelte Blume zu der natürlich wachsenden. Nicht nur durch die Sprache, selbst durch die Kunstform ist der Schriftsteller an den Volksgeist gebunden. Denn so objectiv und absolut die allgemeinen literarischen Formen, der Poesie zumal, aber auch der Prosa, sind: so erscheinen sie dennoch bei den Völkern je nach ihrer Eigenthümlichkeit individualisirt. Die dramatische Form vorzüglich, aber auch die lyrische, und selbst die epische, ist bei jedem Volke anders entwickelt. Verweilen wir hier nur ein wenig bei der ersten. Außer den Athenern haben

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domina sull’individuo o per la libertà con cui l’individuo si muove secondo la propria peculiarità e agisce autonomamente sull’universale, ma a concedere all’individuo più o meno opportunità di movimento sono anche le forme specifiche di attività dello spirito del popolo. Nelle istituzioni politiche, ad esempio, nella amministrazione dello stato, l’attività dell’individuo è palesemente più determinante che nella lingua o nel costume. Il secondo [53] periodo dell’autocoscienza del popolo inizia, anch’esso, con un importante uomo pubblico, che pone la forma elementare dello stato e la fissa per iscritto, dunque con l’attività della scrittura e di una personalità. Ora, anche riguardo a tale questione, la lingua potrebbe fornire le spiegazioni più istruttive, proprio perché in essa la forza dello spirito del popolo è incisiva al massimo, quella dell’individuo è del tutto priva d’efficacia. E tuttavia, cosa ha potuto Lutero per la lingua tedesca! E quanto hanno fatto Lessing, Goethe, Voß46! La questione è già stata discussa in termini generali e indeterminati così spesso che ci pare sia giunto il tempo di esaminar finalmente la cosa una volta per tutte in modo dettagliato, sia in riferimento ai suoi aspetti particolari sia a quelli universali. Peccato che il dizionario dei fratelli Grimm non sia ancora terminato47. – Al fine di un’analisi comparativa si dovranno prendere in considerazione fenomeni simili, emersi all’interno di altre letterature: Dante e Boccaccio per la letteratura italiana; Descartes e Pascal per quella francese etc. – Qui sarebbe anche il caso di indagare il servigio reso dai poeti greci alla lingua poetica. Il dorico del coro tragico non è mai stato parlato nello stesso modo in cui lo presenta il poeta; esso si rapporta al dialetto dorico del popolo, come il fiore innestato dall’arte del giardiniere a quello che cresce naturalmente. Non solo attraverso la lingua lo scrittore è legato al popolo, ma anche per mezzo della forma d’arte. Tanto le forme letterarie universali, anzitutto della poesia ma anche della prosa, sono oggettive e assolute, quanto nei popoli appaiono individualizzate secondo la loro peculiarità. Soprattutto la forma drammatica, ma anche la lirica e la stessa epica, si sono sviluppate presso ogni popolo in modo diverso. Soffermiamoci qui per un poco sulla prima. Oltre gli ateniesi, solo quattro

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bloß die vier modernen Völker eine wirkliche für die Weltliteratur bedeutsame dramatische Form entwickelt, zwei romanische und zwei germanische: jedes in eigenthümlicher Weise. Es war nicht etwa bloß ein Mißverständniß des Aristoteles, was dem französischen Drama seine Beschränktheit gab; sondern diese lag im Schönheits-Sinne des französischen Volksgeistes. Die ins Corsett gesteckte Tragödie war schon vorausbestimmt durch den in der Mitte [54/360] geschnürten Alexandriner, dessen sie sich bediente. – Dieser geschmackloseste aller Verse, diese Carricatur des schönen iambischen Trimeters, eignet sich indessen gerade wegen seiner scharfen Einschnitte recht gut für Sinnsprüche und Antithesen; und so ist er in Deutschland von Rückert vortrefflich angewandt. Auch zu Schlag-Phrasen paßt er. Kein Volk aber liebt Sinnsprüche und Schlagwörter so sehr wie das französische. Darum ist auch die moralisirende Fabel von ihm geliebt und begünstigt, wie von keinem anderen Volke. Wenn nicht Aesop, sagt man, schon früher gelebt hätte: Lafontaine würde sie erfunden haben. Wie sich aber eine Fabel Lafontaines vom altfranzösischen Roman du Renart unterscheidet, so überhaupt der neue Franzose von dem des Mittelalters. Die kathartische Ansicht des Aristoteles von der Tragödie ist kürzlich neu erklärt worden und zwar unzweifelhaft richtig. Nur darin irrt der ausgezeichnete Forscher, der diese Erklärung gefunden hat, Bernays, wenn er uns diese Ansicht als die absolut das Wesen der Tragödie aussprechende empfiehlt, da sie doch höchstens nur das der attischen Tragödie trifft, die germanische aber, Shakespeares und Schillers, durchaus verfehlt. Dieser Dichter Tragödien sind eben wesentlich von den griechischen verschieden. Der Ruhm des Sophokles wird ewig unangetastet bleiben; aber auf unsere heutige Bühne bringt ihn nur die Romantik. Was aber von der Literatur, das gilt überhaupt von allen Künsten. Am mächtigsten aber zeigt sich der Volksgeist in der Baukunst, wo freilich auch die Elemente mitbestimmend wirken: Klima und Baumaterial. – Das Psychologische in den Kunststylen und ihr Zusammenhang mit den übrigen Culturerscheinungen konnte so geistvollen Forschern wie Schnase und Kugler nicht entgehen.

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popoli moderni hanno sviluppato una vera forma drammatica importante per la letteratura mondiale, due latini e due tedeschi, ciascuno in modo peculiare. La ragione dell’angustia del dramma francese non è solo riconducibile al fatto d’aver frainteso Aristotele; essa dipese piuttosto dal senso del bello dello spirito del popolo francese. La tragedia fissata in corsetto fu già predeterminata dal verso alessandrino con la cesura nel mezzo [54] di cui si servì48. – Questo, il più disarmonico di tutti i versi, questa caricatura del bel trimetro giambico, si adatta invece proprio bene, in ragione delle sue nette cesure, agli aforismi e alle antitesi; e per questa ragione in Germania è stato utilizzato in modo eccellente da Rückert49, inoltre è appropriata anche ai modi di dire. Nessun popolo però ama gli aforismi e i detti come quello francese. Per questo anche la favola moralizzatrice è amata e gradita da esso più che da ogni altro popolo. Se Esopo, si dice, non fosse già vissuto, le favole le avrebbe inventate Lafontaine. E tuttavia una favola di Lafontaine è tanto diversa dall’antico Roman du Renart francese50, quanto in generale il francese moderno da quello medioevale. La prospettiva catartica attribuita da Aristotele alla tragedia è stata di recente, in breve, nuovamente spiegata, e invero in modo incontestabilmente esatto. L’onorevole ricercatore, che s’è fatto carico d’una tale spiegazione, Bernays, incorre in errore soltanto quando, enfatizzando, ci suggerisce tale prospettiva come quella che corrisponde in assoluto all’essenza della tragedia, dal momento che essa riguarda soprattutto l’essenza della tragedia attica, ma non riguarda minimamente quella germanica di Shakespeare e Schiller51. Le tragedie di questi poeti sono essenzialmente diverse da quelle greche. La gloria di Sofocle rimarrà per sempre intatta, ma solo il romanticismo lo porta sui nostri moderni teatri. Ciò che vale per la letteratura, vale anche, in generale, per tutte le altre arti. Lo spirito del popolo tuttavia si esprime nel modo più energico nell’architettura, a cui cooperano anche elementi come il clima e il materiale di costruzione. – La dimensione psicologica negli stili artistici e la loro connessione con i restanti fenomeni della cultura non possono sfuggire a ricercatori tanto ingegnosi come Schnase [sic] e Kugler52.

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So zeigt sich überall, auch noch in den freiesten Schöpfungen der Kunst, das Wirken des Volksgeistes. Er fehlt selbst in der Wissenschaft nicht, nicht in der tiefsten Speculation der individuellen Persönlichkeit. Denn was wir denken, ist abhängig von dem, was wir leben. Plato und Aristoteles sind immer noch Griechen, zumal in ihrer Ethik, Religion und Aesthetik, wie wir [55/361] soeben an einem Beispiel sahen; wenn es die Stoiker und Epikuräer weniger sind, so rührt es daher, weil das echte Griechenthum mit Alexanders Geschlecht ausstirbt. – Eben so hängt der Ruhm der deutschen Literatur und Wissenschaft, wie ihre Mängel, eng zusammen mit dem deutschen Volksgeiste überhaupt. Göthe, diese Persönlichkeit von seltener Kraft und Größe, hat dennoch dem deutschen Volksgeiste immer noch weniger gegeben, als er von demselben empfangen und – gelitten hat. Und weil nun der gegenwärtige deutsche Volksgeist so verschieden ist von dem des vorigen Jahrhunderts nicht nur, sondern auch des ersten Theils des gegenwärtigen Jahrhunderts, so ist es wahrlich nicht Göthes Geist, der die „echten Söhne“ unserer Zeit beherrscht. Der Einzelne geht nicht immer in derselben Richtung mit dem Volksgeiste; häufig widersetzt er sich ihm. Aber noch im Gegensatze zu ihm wird er durch ihn bestimmt, noch abgesehen von der gleichen Grundlage, welche die Glieder eines Gegensatzes allemal voraussetzen. _________________ Im Vorstehenden haben wir nur der intellectuellen Seite des Volkslebens gedacht. Das praktische Leben des Volksgeistes bietet der Psychologie nicht minder eine große Fülle der anziehendsten Aufgaben, die wir noch kurz bezeichnen müssen. In jedem Zwecke, der gewollt wird, wie in der Gesammtheit der uns zur Erreichung desselben zu Gebote stehenden inneren und äußeren Mittel liegt die Weise schon vorbereitet, wie irgend eine Handlung, in der die Mittel zum Zwecke angewandt werden, ausgeübt wird. Bei der Wiederholung dieser Handlung wirkt theils dieselbe Prädisposition, theils die Reproduction der bei der früheren Ausübung erregten und associirten Vorstellungen. So bildet sich Gewohnheit und Sitte in der Handlungsweise. – Aber auch der Zweck selbst, noch als Gedanke, als Bestrebung wird

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Così l’opera dello spirito del popolo si mostra dappertutto, anche nelle più liberali creazioni dell’arte. Non manca nemmeno nella scienza e neppure nella più profonda speculazione della personalità individuale. Infatti, ciò che pensiamo dipende da ciò che viviamo. Platone e Aristotele sono pur sempre greci, tanto più per quel che concerne la loro etica, la loro religione e la loro estetica, come [55] prima vedemmo in un esempio; se gli stoici e gli epicurei lo sono meno, ciò dipende dal fatto che la grecità in senso proprio con la generazione di Alessandro cessò. – Allo stesso modo la gloria della letteratura e della scienza tedesca è intimamente connessa, così come la sue carenze, allo spirito del popolo tedesco. Goethe, questa personalità di rara forza e grandezza, ha dato allo spirito del popolo tedesco in ogni caso meno di quanto abbia ricevuto e recepito da esso. E poiché l’attuale spirito del popolo tedesco è tanto diverso da quello dei secoli scorsi, non è lo spirito di Goethe, in verità, a dominare “gli autentici figli” della nostra epoca. L’individuo non procede sempre nella stessa direzione dello spirito del popolo; spesso gli si oppone. Ma anche in contrapposizione a esso ne è determinato, pur a prescindere dal fatto che i membri di un’opposizione presuppongono sempre lo stesso fondamento. _________________ Nella parte precedente abbiamo solo riflettuto sull’aspetto intellettuale della vita del popolo. Anche la vita pratica dello spirito del popolo offre alla psicologia un gran numero di compiti estremamente affascinanti che dobbiamo ancora brevemente illustrare. In ogni fine che si intende raggiungere, come nella totalità dei mezzi interni ed esterni che ci si offrono per conseguirlo, è già dato il modo in cui è eseguita una qualsiasi azione in cui i mezzi vengano utilizzati per uno scopo. Nella ripetizione di questa azione opera in parte la predisposizione medesima, in parte la riproduzione delle rappresentazioni associate e innescate dall’atto precedente. Si costituisce così nel modo d’agire l’abitudine e il costume. – Ma anche il fine stesso, come pensiero, come aspirazione, è già condizionato, in parte in sé, in

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theils schon an sich überhaupt, theils nach seiner näheren Modification, durch den Volksgeist und durch äußere Umstände bedingt, und damit die Sitte noch tiefer begründet. So entsteht die Sitte unbewußt, unbeabsichtigt; und so wird [56/362] sie vererbt von Geschlecht zu Geschlecht. Sie ist die väterliche Sitte und gehört wie die Sprache, wie der Leib zur Nationalität selbst. Ihre Entstehungsgründe, wenn man sie je im Gedanken erfaßt hat, werden vergessen; und sie erscheint als eine Macht über den Einzelnen um so mehr, als er auch alle anderen Emzelnen von derselben Macht beherrscht sieht. Die Sitte wird ihm also zu einer Satzung der Gottheit oder ihrer Boten, der Heroen. Oft ist diese Ansicht nicht einmal unrichtig, da gewiß oft genug die Handlungsweise, die Einrichtung einer allgemein verehrten Persönlichkeit, sei es wegen der Zweckmäßigkeit oder wegen der Verehrung, zur allgemeinen Sitte geworden ist. Ursprünglich beherrscht die Sitte das ganze praktische Leben. Sie ist zugleich Sittlichkeit und ist in so fern ein Ausfluß der Religion, als sie für die Satzung der Gottheit gilt, welche ihre Verletzung bestraft. Denn Vernunft wird Unsinn, und Wohlthat Plage; die Herrschaft der Sitte wird, wie sie zu gewissen Zeiten der Völkergeschichte regiert, dem Volke unerträglich; sie wird abgeschüttelt, und es werden zum Ersatz Gesetze geschrieben. Die Anwendung der Schrift, deren hohe Wichtigkeit für das theoretische Leben wir schon hervorgehoben haben, ist noch früher für das praktische Leben von Bedeutung. Die erste ausgedehntere Anwendung der Schrift findet statt bei der Aufzeichnung von Gesetzen. Es kann keine kurze Entwickelung sein, welche ein Volk durchzumachen hat, bevor es von der Sitte zum Gesetz gelangt. Denn so lange die Sitte wahrhaft lebendig ist, bedarf sie nicht, niedergeschrieben zu werden. Sie muß also abgestorben sein. Das Gesetz soll neues Leben schaffen. Dieses ist wohl überall nur die reformirte alte Sitte. So ist es zwar dem Inhalte nach von dieser in wesentlichen Punkten gar nicht verschieden. Der wesentliche Unterschied liegt aber auf der formalen Seite, d.h. in der Weise wie beide im Volksgeiste leben. Ursprünglich lag das Rechte, d.h. das der Sitte Gemäße, unmittelbar im Bewußtsein des Einzelnen;

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parte in rapporto alla sua più prossima modificazione, dallo spirito del popolo e dalle circostanze esterne e con ciò è fondato anche più radicalmente il costume. Il costume sorge pertanto inconsapevolmente, involontariamente. E inconsapevolmente è [56] tramandato di generazione in generazione. Si tratta del costume dei padri, che, come la lingua e il corpo, appartiene alla nazionalità stessa. Le ragioni della sua nascita, se mai le si è colte, vengono dimenticate e appare come una potenza che domina l’individuo tanto più quanto egli scorge tutti gli altri individui dominati da quella stessa potenza. Il costume si trasforma allora, ai suoi occhi, in un ordinamento voluto dalla divinità o dai suoi messaggeri, gli eroi. Spesso questa prospettiva non è neppure sbagliata, giacché spesso il modo d’agire, la consuetudine di una personalità universalmente ammirata sia per i fini che si pone sia per la venerazione di cui gode, si trasforma in costume generale. In origine il costume domina l’intera vita pratica. Esso è, al contempo, moralità ed è emanazione della religione in quanto vale come ordinamento della divinità che punisce chi lo viola. La ragione in seguito diventa insensatezza e l’opera buona fatica; l’imperio del costume diventa, nel suo regnare in certi periodi della storia dei popoli, insopportabile al popolo stesso; allora viene abbattuto e al suo posto sono scritte le leggi. L’utilizzazione della scrittura, di cui abbiamo già posto in evidenza la grande importanza per la vita teoretica, è ancor prima importante per la vita pratica. La prima, più diffusa utilizzazione della scrittura ha luogo con la redazione delle leggi. Lo sviluppo che un popolo deve attraversare prima di pervenire dal costume alla legge non può essere breve. Infatti, fintanto che il costume rimane valido non necessita d’esser messo per iscritto. Prima deve esaurire la sua energia. La legge deve creare una vita nuova. Essa, in ogni luogo, non è altro che l’antico costume riformato. Nei punti fondamentali e per contenuto quindi la legge non è diversa in nulla dal costume. La differenza essenziale riguarda piuttosto l’aspetto formale, è a dire il modo in cui quelle due dimensioni vivono entro lo spirito del popolo. Originariamente il giusto, è a dire la conformità al costume, si trovava immediatamente nella co-

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es hatte hier ein bloß subjectives, aber um so frischeres Leben und fand einen äußeren Halt wieder nur an und in Subjecten, nämlich in den höchsten Persönlichkeiten, [57/363] im Vater, im König, in den Edeln; das Gesetz hat freilich die Sitte objectivirt, hat ihr durch die Schrift gewissermaßen ein äußeres Dasein noch außerhalb des Volksgeistes gegeben, und hat sie dadurch gesichert, gefestigt; aber es hat sie eben dadurch auch veräußerlicht, dem Gesammtgeiste des Volkes, dem unmittelbaren Bewußtsein mehr oder weniger entzogen. Bedenkt man nun, daß die Sitte zugleich religiös und Moral war, so zeigt sich sogleich, welch’ eine Umgestaltung der Volksgeist durch den Wandel derselben in das Gesetz erfährt. Wir heben hier nur folgende drei Punkte heraus. Erstlich: wenn das Verhalten der Person zum Gesetz und damit auch zur Sittlichkeit nicht mehr das unmittelbare ist, welches dieselbe zur Sitte hatte, sondern erst vermittelt werden muß: so kann diese Vermittelung in verschiedenen Graden, ja in verschiedenen Weisen geschehen, und sie wird und muß dies auch, weil zu dieser Zeit überhaupt die Lebenskreise und in Folge dessen die Denkweisen der verschiedenen Personen schon sehr verschieden sind. Die Edeln stehen mit ihrem Bewußtsein längst nicht mehr innerhalb des Volkes; sie haben schon eine Bildung und dadurch eine persönliche Eigenthümlichkeit, welche sie sowohl unter sich, wie sie alle vom Volke scheidet. So wird nun auch die Vermittelung mit dem Gesetz und der Moral, die doch Jeder nur durch sich selbst vollziehen muß, nur je nach dem Bildungsgrade und dem eigenthümlichen Charakter eines Jeden vollzogen werden. Was sich für den Einen schickt, schickt sich nicht mehr für Alle. So entstehen in verschiedenen Volksschichten verschiedene moralische Anschauungsweisen; es entsteht eine bürgerliche, eine adlige u.s.w. Sittlichkeit. Zweitens aber führt die Entäußerung der Moral, welche durch das Gesetz bewirkt wird, noch weiter dazu, daß die Vermittelung des Einzelnen mit der Moral, der Religion, nicht mehr durch jeden Einzelnen für sich selbst vollzogen, sondern Andern übertragen wird. Das Innere, das sonst in Jedem ganz lebte, und nur in dieser Unmittelbarkeit und Subjectivität lebte, erhält jetzt seine besonderen Vertreter in gewissen Personen, in Lehrern, Priestern, Rechtskundigen.

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scienza dell’individuo; qui aveva una semplice, ma ben più intensa, vita soggettiva e trovava un appiglio esterno, ancora una volta, solo nei soggetti, nelle personalità più degne, [57] nel padre, nel re, nei nobili. La legge però ha oggettivato il costume, attraverso la scrittura gli ha conferito, per dir così, un’esistenza esterna, un’esistenza al di fuori dello spirito del popolo e con ciò l’ha reso certo e stabile; ma proprio in tal modo, l’ha anche reso esteriore, l’ha più o meno sottratto allo spirito complessivo del popolo e alla coscienza immediata. Si rifletta ora sul fatto che il costume aveva sia valore religioso sia valore morale, diviene allora chiaro quale mutamento lo spirito del popolo compia attraverso la trasformazione del costume in legge. Poniamo di seguito in evidenza soltanto tre punti. Primo: se il rapporto della persona con la legge, e dunque con la moralità, non è più immediato come quello che la persona aveva con il costume, ma deve essere mediato, tale mediazione allora può avvenire in diversi gradi, in modi differenti, e ciò accade e deve accadere perché in quest’epoca gli ambiti della vita e di conseguenza i modi di pensare delle diverse persone sono già molto differenti. Per livello di consapevolezza, gli aristocratici già da lungo tempo non sono più costretti entro i confini del popolo; hanno già una cultura e pertanto una personalità peculiare che li distingue tanto l’uno dall’altro, quanto dal resto del popolo. Pertanto, adesso anche la mediazione con la legge e la morale che ciascuno deve attuare da sé, sarà compiuta secondo il grado di cultura e il carattere particolare di ognuno. Ciò che è adeguato a uno, non lo è per gli altri. In diversi ceti sorgono così diverse prospettive morali, sorge una morale borghese, una morale aristocratica etc. Secondo: l’esteriorizzazione della morale, operata attraverso la legge, conduce anche al fatto che la mediazione degli individui con la morale e la religione non è più compiuta a opera del singolo, ma è affidata ad altri. L’interiorità, che un tempo visse interamente in ciascuno e solo nell’immediatezza e nella soggettività, ha ora i suoi speciali rappresentanti in determinate figure, negli insegnanti, nei preti, negli esperti di diritto.

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Drittens tritt nun auch die Unterscheidung der göttlichen [58/364] und menschlichen Verhältnisse, der Religion, Sittlichkeit und des Rechts auf. Conflicte lehren, daß es ewige, ungeschriebene, göttliche, und geschriebene, vergängliche Gesetze gibt. In den angegebenen Punkten sind nun natürlich wieder nicht alle Völker gleich: was hier weiter auszuführen nicht nöthig ist. Dagegen fügen wir hinzu, daß sowohl die Spaltung rücksichtlich der Moral als die Entfremdung von ihr immer weiter geht, indem später die Bemühungen auftreten, die alten moralischen und religiösen Vorstellungen durch die Vernunft zu begründen. Denn dies geschieht nicht nur überhaupt in mannigfach verschiedener Weise; sondern es bildet sich selbst der Gegensatz des Esoterischen und Exoterischen, d. h. man glaubt, daß die volle Wahrheit und das tiefste Innere vor der Menge zu verbergen und nur den Eingeweiheten mitzutheilen sei; oder auch man kommt zur sophistischen Leugnung aller festen Wahrheit und objectiven Gültigkeit der herrschenden Satzungen. Alles was der Geist geschaffen, was er aus sich herausgesetzt hat, wirkt auf ihn zurück. Darum hilft die Beschäftigung des Menschen seinen Charakter bilden; oder genauer: in den Handlungen bildet sich der Charakter des Menschen. Auf der untersten Stufe der Cultur aber wird dem Menschen die Lebensweise von der Natur dictirt, und bei jenen elenden Fischervölkern ist der Geist fast ganz der Natur unterworfen. – Das frischeste Leben zeigen die Jager-Völker, aber doch noch kein geistiges. In den Hirten-Völkern träumt der Geist; und ihre Träume sind oft poetisch und Quell der Poesie nicht nur, sondern auch der Wissenschaft. – Jedoch erst der Ackerbau ist der Anfang und Grund der Civilisation. Zuerst haben alle Glieder eines Volkes nur eine und dieselbe Beschäftigung. Auch die Fürsten sind Hirten und Ackerbauer. Aber der Ackerbau verlangt mannigfache Geräthe. Ferner veranlaßt er feste Wohnsitze, welche wieder mit manchen Geräthschaften ausgerüstet sein wollen. Ursprünglich macht sich jeder selbst alles, was er braucht. Dann aber tritt die Theilung der Arbeit auf. Neben den Ackerbauern erheben sich Handwerker. Hiermit ist nun schon die Nothwendigkeit des Handels gegeben. [59/365] Zunächst tritt er auf in der Form des Tauschhandels. Aber nicht jedes Volk wird darum ein Handels- und

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Terzo: compare ora anche la divisione tra [58] rapporti divini e umani, tra religione, moralità e diritto. I conflitti insegnano che ci sono leggi eterne, non scritte, divine e leggi scritte, provvisorie. Rispetto ai suddetti punti, naturalmente non tutti i popoli, ancora una volta, sono uguali e in proposito non è necessario dilungarsi. Aggiungiamo invece, che sia la scissione della morale sia l’estraniazione da essa avanzano sempre, mentre con il passare del tempo si pongono in atto sforzi per fondare con la ragione le antiche rappresentazioni morali e religiose. E non solo ciò accade in modi diversi, ma si costituisce da sé il contrasto tra esoterico ed essoterico, si crede cioè che la piena verità e la più profonda interiorità sia da nascondere alla massa e da comunicare soltanto agli iniziati; oppure si giunge alla negazione sofistica di ogni salda verità e del valore obiettivo degli statuti vigenti. Tutto ciò che lo spirito ha prodotto, che ha posto in essere da sé, torna ad agire su di lui. Per questo l’occupazione dell’uomo contribuisce a formare il suo carattere; o in termini più esatti: il carattere degli uomini si costituisce nelle azioni. Al più basso livello della cultura però il modo di vivere è dettato all’uomo dalla natura; e in quei popoli miseri di pescatori lo spirito è quasi del tutto sottomesso alla natura. – I popoli di cacciatori mostrano la forma di vita più vivace, ma non ancora una vita spirituale. Nei popoli di pastori lo spirito è sognante e i loro sogni sono spesso poetici e non solo fonte di poesia, ma anche di scienza. – È però anzitutto l’agricoltura l’inizio e la causa dell’incivilimento. In un primo tempo tutti i membri di un popolo hanno un’unica occupazione. Anche i sovrani sono pastori e agricoltori. Ma l’agricoltura richiede molteplici attrezzi. Col passare del tempo induce a stabili residenze che per essere allestite richiedono a loro volta molte attrezzature. In origine ciascuno fa da sé tutto ciò di cui ha bisogno. In seguito però sorge la divisione del lavoro. Vicino ai contadini si fanno avanti gli artigiani. Con ciò è già posta la necessità del commercio. [59] All’inizio il commercio compare nella forma dello scambio, ma non per questo ogni popolo diventa un popolo votato al com-

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industrielles Volk. Wird es dies aber, so mag es unter den begünstigenden Verhältnissen leicht auch Seefahrt treiben. Welch ein Unterschied aber zwischen einem Volke, dessen Macht auf die See gegründet ist, und einem anderen, das nur seine Landmacht pflegt! Nicht nur die Beschäftigungsweise, nicht nur das StaatsLeben ist in jedem anders gestaltet; sondern auch der Volksgeist selbst, bis in die innersten Regungen seines Wesens, offenbart andere Formen und einen anderen Inhalt. Das Haus- und Familien-Leben wird wesentlich von der Beschäftigung und dem öffentlichen Leben bestimmt. Die Stellung und Schätzung der Frauen ist hier der Mittelpunkt. Der Jäger blickt anders auf die Frau, als der Ackersmann, weil diese an der Beschäftigung und dem Leben beider sich verschieden betheiligt. – Doch mehr noch hängt das Verhältniß der Frauen von dem ganzen Gemüthsleben eines Volkes ab. Das Gemüthsleben, wie es selbst sich seine Arbeit bestimmt, wird freilich auch wiederum wesentlich von der Arbeit bedingt. Wie ein Volk arbeitet, so fühlt es auch; so genießt und besitzt es, so freut es sich, so sehnt es sich, so klagt es. Die Stellung der Frauen ist aber der Angelpunkt aller gesellschaftlichen Beziehungen, der Heerd des Gemüthsfeuers. Sie bestimmt nicht nur die Auffassung der Ehe, das Verhältniß des Vaters zu den Kindern, sondern auch das des Mannes zu anderen Männern. Es ist wohl beachtenswerth, daß gerade da, wo die Frauen eine würdige Stellung einnahmen, wie bei den Spartanern und Deutschen, auch schöne Männerbündnisse sich bilden, während in Athen neben der Geringschätzung des Weibes unnatürliches Laster auftritt. Zu den wundersamsten Erscheinungen, welche das menschliche Leben in seiner Ausbreitung über die Erde und durch die Jahrtausende bietet, gehört die Gynaikokratie, eine der ältesten Formen religiöser und politischer Civilisation, die sich aber heute noch über einen weiten Raum Asiens und Afrikas erstreckt, vielfach dicht neben dem mohamedanischen Harem, dem sie äußerlich [60/366] gerade entgegengesetzt, innerlich dennoch verwandt ist (vergl. Eckstein, de la gynécocratie des Cariens, in der Revue archéologique, XVe année). Endlich werde noch der Erziehung der Jugend gedacht, deren Wesen allseitig mit dem Volksgeiste zusammenhängt.

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mercio e all’industria. Se ciò accade, in presenza di rapporti favorevoli, può anche intraprendere la navigazione. Quale differenza però tra un popolo il cui potere si fonda sul mare e un altro che ha soltanto cura del suo potere territoriale! Non solo il tipo di attività, non solo la vita pubblica, è differente in ciascun popolo, ma anche lo stesso spirito del popolo, fin nei più intimi impulsi della sua essenza, palesa forme diverse e un diverso contenuto. La vita domestica e familiare è essenzialmente determinata dall’occupazione e dalla vita pubblica. La posizione e la considerazione delle donne qui è la questione centrale. Il cacciatore considera la donna in modo diverso dall’agricoltore perché la donna prende parte in modo diverso all’occupazione e alla vita dell’uno e dell’altro. – Ancor di più, il rapporto con le donne dipende dalla vita interiore di un popolo nel suo complesso. Così come la vita interiore determina da sé il proprio lavoro, ne è anche condizionata in modo essenziale. Un popolo sente a secondo di come lavora; in relazione a come gode i beni e li possiede, si rallegra, prova nostalgia, si lamenta. La posizione delle donne è però il perno di tutte le relazioni sociali, la fiamma del fuoco spirituale. Tale posizione non determina solo la concezione del matrimonio, il rapporto del padre con i bambini, ma anche quello dell’uomo con gli altri uomini. È ben degno d’esser notato che lì dove le donne occupano una posizione dignitosa, come presso gli spartani e i tedeschi, si costituiscono anche buoni legami maschili; mentre in Atene, accanto alla sottovalutazione della moglie, si fa avanti il vizio innaturale. Tra i più straordinari fenomeni che offre la vita umana nella sua diffusione sulla terra attraverso i secoli, vi è la ginecocrazia, una delle più antiche forme di civiltà religiosa e politica, che ancora oggi si estende in un ampio territorio dell’Asia e dell’Africa ed è molto fitta vicino all’harem islamico, a cui esteriormente [60] si oppone, e tuttavia, è intimamente apparentata (si veda: Eckstein, de la gynécocratie des Cariens, nella «Revue archéologique», XVe année)53. Infine, bisogna riflettere ancora sull’educazione dei giovani la cui essenza è sempre connessa con lo spirito del popolo.

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Wir haben bei der vorstehenden Darlegung der Momente des Volksgeistes schon mehrfach ihrer gegenseitigen Wechselwirkung gedacht. Wir schalten hier über das Verhältniß derselben zu einander im Allgemeinen noch folgende zwei Bemerkungen ein. Erstlich: so wie in dem Geiste des Individuums, trotz seiner geschlossenen Einheit, verschiedene – in gewissem Sinne höhere und niedere – Thätigkeiten unterschieden werden*, und die Psychologie dann zu zeigen hat, daß und wie die höhere Thätigkeit einen gesetzmäßigen Einfluß, resp. eine Herrschaft, auf die niederen, etwa die moralischen Grundsätze oder die praktische Vernunft auf das sinnliche Begehren, ausübt und ausüben soll und kann: ebenso erkennen wir in jedem Volke höhere und niedere Thätigkeiten des Geistes, – gleichviel ob sie sich auf verschiedene Classen und Stände des Volkes vertheilen oder nicht – und die Völkerpsychologie hat zu zeigen: daß und wie die höheren Thätigkeiten einen gesetzmäßigen Einfluß auf die niederen ausüben können, etwa die Wissenschaften und Künste auf Sitte und Lebensweise. Wie viel die ästhetische Bildung der Griechen auf die Einrichtung ihres Privat- und öffentlichen Lebens eingewirkt hat, ist bekannt. Der Einfluß der Theologie auf die religiöse und der Jurisprudenz auf die Rechtsanschauung bieten im Mittelalter reiche, nicht immer erfreuliche Thatsachen. Am klarsten liegt vor uns der Einfluß, den heute die Naturwissenschaft auf Industrie, Handel und Verkehr übt. – Auch die umgekehrte Richtung, der Einfluß der niederen Thätigkeitskreise auf die höheren bleibe nicht unbeachtet, wie ja auch in Einzelnen die niedere Seelenthätigkeit die höhere bedingt, sie nährt oder verschlingt. Wie in guten Zeiten die ideale Kunst alle Forderungen und Befriedigungen [61/367] des Lebens idealisirt: so entgeistet in unglücklichen Jahrhunderten ein materielles Vegetiren oder Schwelgen die Kunst. Ferner erwähnen wir ein psychisches Verhältniß, welches an und für sich wichtig und bedeutsam genug, es dadurch noch mehr

* Man mag nun diese Verschiedenheit auf verschiedene geistige Kräfte oder Vermögen wie die ältere Psychologie, oder, wie die neuere, bloß auf eine gradweise Verschiedenheit in der Täthigkeit selbst zurückführen.

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Nella precedente esposizione dei momenti dello spirito del popolo abbiamo già più volte riflettuto sulla loro reciproca interazione. Dobbiamo qui inserire ancora due considerazioni sul rapporto che in generale intrattengono tra loro. Anzitutto, come nello spirito dell’individuo, nonostante la sua conchiusa unità, sono distinte attività diverse* – in un certo senso più alte e più basse – e la psicologia ha pertanto il compito di mostrare se la facoltà più alta esercita, e deve e può esercitare, un influsso regolare, un predominio, sulla più bassa, all’incirca come accade per l’influsso dei principi morali o della ragione pratica sul desiderio sensibile, tutto ciò oltre al fatto che deve mostrare come ciò avvenga; così riconosciamo in ciascun popolo attività più alte e più basse dello spirito – a prescindere dal fatto che esse si distribuiscano o no in diverse classi e ceti del popolo stesso – e la psicologia dei popoli ha il compito di mostrare se le attività più alte possono esercitare un influsso regolare sulle più basse, come avviene per l’azione delle scienze e delle arti sui costumi e i modi di vita, e in che modo ciò avvenga. Quanto l’educazione estetica dei greci ha inciso sull’orientamento della loro vita privata e pubblica, è noto. L’effetto della teologia sull’orientamento religioso e della giurisprudenza sulla concezione del diritto sono testimoniati nel Medioevo da numerosi fatti, ma non sempre degni d’ammirazione. Nel modo più evidente ci sta innanzi l’influenza che oggi la scienza della natura esercita sull’industria, sul commercio e sul traffico. – Anche la direzione inversa, l’effetto del circolo delle attività più basse sulle più alte, non deve rimanere inevasa, come anche negli individui l’attività dell’anima più bassa condiziona la più alta, la accosta e le si intreccia. Come nelle epoche luminose l’arte ideale innalza tutti i bisogni e le soddisfazioni [61] della vita, così nei secoli bui il vegetare materiale e la crapula despiritualizzano l’arte. Poi menzioniamo un rapporto psichico che, in sé e per sé sufficientemente importante e significativo, lo diviene ancor * Si può, ora, ricondurre tale differenza, come faceva la psicologia più antica, a forze o facoltà spirituali diverse, oppure, come fa la più nuova, semplicemente a una differenza di grado nell’attività stessa.

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wird, daß man es selbst in der individuellen Psychologie selten, bei der Betrachtung des Volksgeistes noch seltener berücksichtigt hat. Es ist nämlich die sehr einfache, aber vielfach unbeachtbare Thatsache, welche Herbart treffend mit der „Enge des menschlichen Geistes“ bezeichnet: daß von allen den Vorstellungen, die ein Mensch in sich trägt, und an welche man ihn erinnern kann, in jedem Augenblicke nur ein äußerst geringer Theil im Bewußtsein gegenwärtig ist. Von einer längeren Vorstellungsreihe kann jedesmal nur ein geringer Theil im Bewußtsein sich gegenwärtig befinden; je mehr die Reihe nach der einen Seite hin ins Bewußtsein aufgenommen wird, um so mehr entschwindet von der anderen Seite aus demselben. Will der Mensch dennoch mehr Vorstellungen als gewöhnlich zugleich umfassen, werden alle an Klarheit verlieren; immer nur eine kleine Reihe von Vorstellungen kann der Geist gegenwärtig und klar im Bewußtsein haben. Für dies Verhältniß scheint kein analoges im Volksgeiste vorhanden zu sein; denn bei der Vielheit der Individuen des Volkes kann die ganze Summe der Vorstellungen, welche den Volksgeist ausmachen, in demselben Augenblicke im Bewußtsein sich befinden. Näher betrachtet werden wir jedoch auch im Volksgeiste eine ganz ähnliche Enge finden. Die Thatkraft des Volksgeistes gliedert sich in verschiedene Richtungen, religiöse, ästhetische, politische, militärische u.s.w. Zu verschiedenen Zeiten kommt mehrentheils nur je eine derselben zum Bewußtsein des Volkes, e i n Gedanke oder Zweck nimmt sein ganzes Interesse in Anspruch: wir nennen dies das Zeitbewußtsein; alle anderen Richtungen des Geistes (Vorstellungsreihen), sind dann nicht verschwunden – wie auch beim Einzelnen nicht – aber gehemmt, lebenslos und ohnmächtig, ohne Productionskraft. Man denke nur an die römischen Kriege – an die Kreuzzüge ganz besonders – an die Reformationszeit – an die Freiheitskriege u.s.w. – Was aber beim Individuum Augenblicke, das sind beim Volke Jahre und Jahrzehende. Das Maß dieser Enge [62/368] des Geistes ist bei verschiedenen Menschen und Völkern natürlich verschieden; wie wichtig dasselbe ist, ist offenbar; denn von der Frage: wie viele Gedanken und Beziehungen im Menschen zugleich lebendig sein, und einander g egenseitig bestimmen können, hängt das Ganze des geistigen Vermögens und Thuns ab. Das bedeutendste Ge-

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più per il fatto che lo si è preso in considerazione solo saltuariamente nella psicologia individuale e ancor più raramente nella psicologia dei popoli. Si tratta infatti del fatto molto semplice, ma spesso trascurato, che Herbart indica con precisione come «ristrettezza dello spirito umano»54, il che significa che di tutte le rappresentazioni che un uomo porta in sé e per le quali lo si può ricordare, in ogni istante è presente nella coscienza soltanto una parte estremamente ridotta. Nella coscienza può trovarsi ogni volta solo una parte ridotta d’una più lunga serie di rappresentazioni; tanto più una serie è recepita nella coscienza da una parte, tanto più essa scompare dall’altra. Se un uomo tuttavia vuol abbracciare più rappresentazioni di quanto è abitualmente capace di fare, tutte allora perderanno in chiarezza; lo spirito può aver sempre presenti e chiare alla coscienza soltanto una piccola parte di rappresentazioni. In relazione a tale rapporto sembra non esservi nulla di analogo nello spirito del popolo, dal momento che nella moltitudine degli individui di un popolo può essere presente contemporaneamente alla coscienza la somma complessiva delle rappresentazioni che costituiscono lo spirito del popolo. Eppure, indagando questo aspetto in modo più accurato, troveremo anche nello spirito del popolo una ristrettezza del tutto simile. L’energia dello spirito del popolo si divide in differenti direzioni: religiosa, estetica, politica, militare, etc.. In tempi diversi solo una di queste direzioni giunge alla coscienza del popolo, un unico pensiero, o fine, richiede il suo totale interesse: definiamo questo pensiero la coscienza del tempo; tutte le altre direzioni dello spirito (serie rappresentative) non sono sparite – come anche nell’individuo non lo sono – ma ostacolate, spente, esangui, prive di forza produttiva. Si pensi solo alle guerre romane – soprattutto alle crociate – all’epoca della riforma – alle guerre di la libertà etc. – Ma ciò che per l’individuo è un istante per il popolo ammonta ad anni e decenni. La misura [62] di tale ristrettezza dello spirito presso uomini e popoli diversi è naturalmente differente; quanto ciò sia importante è manifesto; infatti dalla questione relativa a quanti pensieri e rapporti possono contemporaneamente essere attivi nell’uomo e determinarsi reciprocamente, dipende il complesso della facoltà e dell’opera spirituale. Il più importante

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gengewicht gegen diese Enge liegt, um es nur kurz anzudeuten, in der Beweglichkeit des Geistes. Durch diese werden z. B. einem gebildeten Menschen bei einer Ueberlegung, wenn ihm jetzt die Gründe im Bewußtsein vorschwebten, im nächsten Augenblicke auch die Gegengründe im Bewußtsein erscheinen, und bei seiner Entscheidung werden beide mit größerer oder geringerer, wohl selten mit ganz gleicher Klarheit ihn bestimmen. Dadurch ist es dann auch im Stande mehrere Interessen und Zwecke besser auszugleichen oder zu verbinden. Ebenso wird ein Volk bei größerer Beweglichkeit des Geistes rnehrere oder alle seine Interessen – die materiellen mit denen der Ehre, die humanen mit denen der Klugheit, die religiösen mit den politischen und wissenschaftlichen u.s.w. – auszugleichen und zu verbinden wissen. Diese Enge wie die Beweglichkeit aber haben ihre Gründe und Gesetze. –––––––––––––––– Wir wiederholen aber, daß die Geister der Völker sowohl in jedem Elemente, als auch vorzüglich in ihrer innersten und allgemeinen Richtung weit von einander verschieden sein können. Welch ein Unterschied z. B., ob die wichtigsten Quellen der Fortbildung eines Volkes diesem als Schöpfung des menschlichen Geistes und der menschlichen Kraft (wie den Griechen ihr Homer), oder als ein Übermenschliches, transcendentales Werk Gottes (wie den Israeliten die Bücher Mosis) überliefert sind; es ist offenbar, daß dort eine größere und freiere muthige Schaar von Nach- und Fortbildnern – hier aber nur die Männer der höchsten Begeisterung und tiefsten Einsicht, die als Gottesmänner auftreten können, sich zu dem Ausbau des Gedankens entschließen werden. Ferner: ob die Verfassung der Gesellschaft eine monarchisch-despotische, [63/369] oder eine freie; ob die Tendenz des Gemeinlebens auf innere Entwickelung, oder Ausbreitung der Macht gerichtet ist u.s.w. Die Volksgeister sind auch, wie aus dem eben Gesagten hervorgeht und schön öfter angedeutet ist, nichts Starres, ewig sich gleich Bleibendes; sie verändern sich in der Geschichte. Wenn nun im ersten Theile der Völkerpsychologie die Gesetze solcher Veränderungen dargelegt sind, so ist im zweiten Theile zu zeigen,

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contrappeso a tale ristrettezza sta, per indicarlo solo brevemente, nella mobilità dello spirito. Grazie ad essa, ad esempio, ad un uomo colto in una data circostanza si faranno presenti alla coscienza, per quanto sul momento solo le ragioni, negli istanti successivi anche le contro-ragioni, e le une e le altre lo determineranno in merito alla scelta con maggiore o minore chiarezza e solo raramente con eguale chiarezza. Con ciò si è poi anche nella posizione di soppesare o connettere meglio una molteplicità di interessi e fini. Allo stesso modo un popolo con una maggiore mobilità dello spirito saprà soppesare e connettere molti o tutti i suoi interessi – gli interessi materiali con quelli dell’onore, gli umani con quelli della saggezza, gli interessi religiosi con quelli politici e scientifici etc. – Tale ristrettezza come questa mobilità hanno però le loro ragioni e leggi. –––––––––––––––– Ripetiamo però che gli spiriti dei popoli tanto in ogni singolo elemento quanto in ogni più interna e universale direzione possono essere molto diversi. Quale differenza, ad esempio, se le fonti più importanti del perfezionamento sono tramandate a un popolo come creazione di uno spirito e di una forza umana (come per i greci avvenne con Omero) o come una sovraumana e trascendente opera di Dio (come successe agli israeliani grazie ai libri di Mosè); è manifesto che lì saranno decisivi nella costituzione del pensiero una più grande e libera e valorosa serie di uomini più o meno capaci di progredire – qui, invece, soltanto gli uomini compresi della più alta ispirazione e più profonda visione, i quali possono presentarsi come messaggeri di Dio. Quale differenza inoltre se la costituzione della società è monarchico-dispotica [63] o libera, se la tendenza della vita comunitaria è orientata allo sviluppo interiore o all’ampliamento del potere etc. Gli spiriti del popolo, come emerge da quanto è già stato detto e come è già stato spesso illustrato, non sono nulla di stabile, di eternamente uguale a sé; essi si trasformano nella storia. Ora, se nella prima parte della psicologia dei popoli sono esposte le leggi di queste trasformazioni, nella seconda

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wie diesen Gesetzen gemäß und nach den jedesmaligen individuellen Bedingungen der Geist in den geschichtlichen Völkern sich umgewandelt hat. Man kann also, wenigstens in abstracto, zum Behufe der Deutlichkeit unterscheiden zwischen Volkscharakteristik und Entwickelung der Nationalgeister. Diese haben etwas Substantielles, einen unveränderlichen Kern, in sich, der selbst alle Veränderungen der Geister bestimmt. In dieser Veränderung der Volksgeister nun ist ein Fortschritt und ein Verfall, aber niemals eigentlich ein Rückschritt, erkennbar. Denn beim Verfall, der einen Volksgeist im Allgemeinen trifft, sind – abgesehen davon, daß er an sich ein negativer Fortschritt, ein Fortschritt der Negation, der Auflösung ist – doch auch positive Fortschritte in einzelnen Richtungen sehr wohl möglich, wie dies in der Geschichte vor Augen liegt. Dem tieferen Blicke aber offenbart sich im Verfall die Vorbereitung zu einer neuen Erhebung, die Entstehung neuer Keime zu einer neuen Entwikkelungsbahn. – Es ist hier nicht unsere Absicht, den Fortschritt in der Weltgeschichte zu beweisen; vielmehr wollen wir nur, ihn als anerkannt voraussetzend, darauf hinweisen, daß er sowohl bei der Betrachtung der Geschichte nur eines Volkes, als auch bei der Vergleichung der neuen Völker mit den alten, noch in tieferer Weise vorhanden ist, als man wohl meinen mag; daß er sich nämlich auf den eigentlichen Denkproceß selbst und auf die Weise und die Macht des Gefühls erstreckt. Die Verschiedenheit des Letzteren beweist sich am entschiedensten in der Religion und dem Cultus und in der mit ihnen zusammenhängenden Kunst, vorzüglich in der Baukunst und der Musik. Es ist eine andere Gefühlswelt, welche im gothischen Dome [64/370] beim Orgelton und Glockenklang vor dem Bilde des gekreuzigten Gottes und der Jungfrau lebt, als die im Parthenon und Erechtheion Wirklichkeit hatte*. * Von diesem Unterschiede ist auch der Sprachlaut ergriffen. Die neuesten Untersuchungen über den Accent der alten Sprachen haben gelehrt, daß der Unterschied, den man immer so ausgesprochen hat, daß man den modernen Versbau accentuirend, den alten quantitativ nannte, viel umfassender und tiefer ist. Was wir Accent nennen, Betonung, nachdrückliche Hervorhebung, Wechsel von Arsis und Thesis, worauf bei uns die Einheit des Wortes und des Satzes, der Periode ruht – Wort-Accent und rhetorischer Accent –: dieser scheint im classischen Alterthum nur dem Verse und der Musik angehört zu haben, gar nicht der Sprache als solcher. Die Vocale in der gewöhnlichen Rede modificirten sich

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parte bisogna mostrare come lo spirito si è mutato nei popoli storici secondo tali leggi e secondo le condizioni individuali del momento. Si può dunque, almeno in abstracto, per amor di chiarezza, scindere tra descrizione del popolo e sviluppo degli spiriti nazionali. Gli spiriti nazionali hanno qualcosa di sostanziale in sé, un nucleo permanente che da sé determina tutte le evoluzioni degli spiriti. In tale cambiamento dello spirito del popolo è riconoscibile un progresso e un deperimento, mai, invero, un regresso. Poi, in presenza del deperimento, che riguarda lo spirito del popolo in generale, – indipendentemente dal fatto che esso sia in sé un avanzamento negativo, un progresso della negazione, della dissoluzione – sono ben possibili anche progressi in singole direzioni, come mostra la storia. A uno sguardo acuto, nella caduta si rivela la preparazione a un nuovo innalzamento, la nascita di un nuovo germoglio verso una nuova direzione di sviluppo. – Non è nostra intenzione dimostrare qui il progresso nella storia universale; piuttosto, presupponendolo come noto, vogliamo solo indicare che il progresso, sia quando si prenda in considerazione la storia di un solo popolo sia paragonando i nuovi popoli agli antichi, è presente in modo ancora più profondo di quanto si possa credere, e che, infatti, si estende al processo di pensiero in senso proprio e al modo e alla forza del sentimento. La diversità del sentimento si mostra nel modo migliore nella religione e nel culto e nell’arte a essi connessa, specialmente nell’architettura e nella musica. Quello che vive nel duomo gotico [64] di Orgelton e Glockenklang, davanti all’immagine del Dio crocifisso e della giovane donna, è un mondo di sentimenti diversi da quelli prodotti nel Partenone e nell’Eretteo*. * Dalla differenza del sentimento è toccato anche il suono linguistico. Le più recenti ricerche sull’accento delle lingue antiche hanno insegnato che la differenza, sempre stata ricondotta al fatto che la metrica moderna si è chiamata “accentuativa” e quella antica “quantitativa”, è in realtà di gran lunga più ampia e profonda. Ciò che chiamiamo accento, intonazione, enfasi fonetica, cambiamento di arsis e thesis, su cui per noi poggia l’unità della parola e della frase, del periodo – l’accento-parola e l’accento retorico: sembra che tutto ciò, in epoca classica, sia appartenuto solo al verso e alla musica, per nulla alla lingua in quanto tale. La vocale nel discorso abituale

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Ist der Unterschied des Gefühls mächtiger, so ist doch der Unterschied im Denken noch bemerkenswerther, und er ist ein klarer Fortschritt. Auch ihn zeigt uns die Sprache, und nur sie, durch den verschiedenen Styl der Literaturen. Der Styl ist nicht nur eine eigenthümliche, dem Denken aber gleichgültige Anwendung der Sprachform; sondern er beruht wesentlich auf der Gedankenbewegung selbst. Den modernen Styl der Prosa haben die Franzosen gebildet, und dies ist das weltgeschichtliche Verdienst ihrer Literatur. Boccaccio und Cervantes haben noch keinen modernen Styl, sondern latinisiren. Sie sind breit und weitschweifig; und weil ihre Sprache die alte Periodik nicht nachbilden kann, so ist ihre Rede schlaff; die Sätze kollern auf einander, wie Sand von einem Haufen, den man berührt. Vico schreibt noch in dieser ungebundenen, haltlosen Weise. Descartes beginnt die moderne Periodik zu bilden, und Pascal erreicht gelegentlich schon die volle Höhe rhythmischen Satzbaues. Der hier angedeutete Unterschied zwischen der antiken und der modernen Prosa beruht aber darauf, daß wir schneller denken, als die Alten, daß wir vieles verschweigen, was wir darum doch nicht ungedacht lassen; und dies wird dadurch möglich, daß die Vorstellungen, wie sie uns unsere Sprache in Wörtern und Formen bietet, dichter sind, d. h. daß mehr Inhalt in ihnen zusammengewickelt [65/371] liegt. So bewegen wir lange Reihen im zusammengepreßten Zustande durch ein Wort oder eine Construction im Nu, welche die Alten, um sie klar zu denken, aus einander wickelten, was wir nicht brauchen, was wir, wenn es noch heute geschähe, langweilig finden würden. Zu schreiben wie Boccaccio hat ein heutiger Schriftsteller, und es zu lesen der heutige Leser keine Zeit mehr. Dieser Fortschritt im Denken selbst ist ähnlich dem, und beruht auf denselben Grundsätzen wie der, welcher sich kund giebt beim Vergleich zwischen dem geübten Mathematiker oder dem Anfänger. Was sich dieser mühselig aus einander legen muß, um es klar und sicher zu denken, faßt jener massenhaft verdichtet

nach Quantität und nach Höhe und Tiefe; unser rhetorischer Accent aber wurde durch die Wortstellung ersetzt. Unsere Sprachen sind rhythmischer, die alten waren melodischer. Die Untersuchungen sind freilich noch fern vom Abschluß.

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Tanto più energica è la differenza del sentimento, tanto più degna di considerazione quella del pensiero e ciò costituisce un chiaro progresso. La lingua, ed essa soltanto, ci mostra anche questo per mezzo del differente stile delle letterature. Lo stile non è soltanto un modo peculiare, indifferente al pensiero, di utilizzare la forma della lingua, ma poggia essenzialmente sul movimento stesso del pensiero. I francesi hanno costruito il moderno stile della prosa e questo è il servizio prestato alla storia universale dalla loro letteratura. Boccaccio e Cervantes non posseggono ancora uno stile moderno, ma latinizzano. Sono prolissi e verbosi e poiché la loro lingua non può riprodurre l’antica sintassi del periodo, la loro esposizione è lassa, le loro frasi gorgogliano l’una dall’altra come la sabbia da un cumulo che vien scosso. Vico scrive ancora in questo modo sconnesso e privo di ritmo. Descartes inizia a costruire la sintassi moderna del periodo e Pascal raggiunge già, a tratti, la perfezione della sintassi ritmica. La qui illustrata differenza tra la prosa antica e moderna, però, poggia sul fatto che noi pensiamo più velocemente degli antichi, che noi passiamo sotto silenzio molto di ciò che pure vagliamo; e questo diviene possibile perché le rappresentazioni che la nostra lingua ci offre in parole e forme sono più dense, in esse è cioè concentrato un [65] contenuto maggiore. Pertanto, in un istante, muoviamo lunghe serie compresse di rappresentazioni per mezzo di una parola o di una costruzione, serie che gli antichi per pensare in modo perspicuo svolgono l’un dall’altra, mentre ciò per noi non è più necessario e se accadesse ancora lo considereremmo noioso. Manca il tempo a uno scrittore contemporaneo per scrivere come Boccaccio e a un lettore odierno per leggere quel tipo di scrittura. Il progresso nel pensiero stesso è simile a – e poggia sugli stessi principi di – quello che si manifesta nel confronto tra il matematico esperto e il neofita. Ciò che il neofita della matematica deve sciogliere faticosamente al fine di pensarlo si modificò secondo la quantità e secondo l’altezza e la profondità; il nostro accento retorico però fu sostituito dalla posizione della parola. Le nostre lingue sono più ritmiche, le antiche più melodiche. Le indagini tuttavia son certo ancora ben lontane dall’esser portate a compimento.

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zusammen und denkt es doch sicherer, schärfer, bestimmter. – Dies erinnert überhaupt an die wachsende Macht der Lernfähigkeit und die zunehmende Schnelligkeit des Lernens. Wie viel hat heute ein Abiturient gelernt! und er ist 19, 17 Jahr alt. Drei Jahre später wird er Doctor, welche Würde vor drei Jahrhunderten nur Männer erlangten. Das Maß der geistigen Kraft des Menschen hat allerdings der Schöpfer ein für alle Mal festgestellt; sie wächst nicht. Aber der Geist (vergl. oben S. 188, i.d.B. S. 144f.) schafft sich unaufhörlich neue, materielle und geistige Organe, und mittelst ihrer wirkt er immer schneller und immer mehr. In Bezug auf die Geschichte eines Volkes ist folgende Betrachtung die wichtigste. Sowie ein Individuum sich im Laufe der Erziehung und in der Zeit der Bildsamkeit aus einzelnen Anschauungen, Urtheilen, Empfindungen, Gewohnheiten u.s.w. einen Charakter bildet, welcher nach psychologischen Gesetzen eine so feste Gestalt annimmt, daß er, weit entfernt, von späteren Ereignissen und Erfahrungen noch modificirt zu werden, vielmehr die Form und Beschaffenheit aller späteren Einwirkung auf ihn bedingt und so eine Selbständerung unmöglich macht – wie sich, wissenschaftlicher zu reden, aus einer gegebenen Reihe sowohl receptiver als productiver geistiger Thaten eines Menschen, verbunden mit dem Maße der ursprünglichen und dann durch jene Thaten mehr oder minder geübten, dadurch so oder so veränderten Fähigkeiten endlich auf einem gewissen, und [66/372] nach psychologischen Gesetzen zu bestimmenden Punkte die geistige Beschaffenheit (der Charakter im weitesten Sinne) des Menschen zu einer geschlossenen Totalität abrundet und die fernere Bildsamkeit ausschließt (eine Thatsache, die man jederzeit wahrnehmen kann): so gibt es unbestritten auch in dem geistigen Leben der Völker ein Maß ihrer Entwickelung, welches, wenn es erfüllt ist, den Charakter, oder, wenn man lieber will, die Idee des Volkes umschließt; und ebenso wie das Aufsteigen der Volksbildung bis zur Vollendung des Charakters, geschieht diese, die Abschließung der Bildung, aus bestimmten Gründen und Ursachen nach unzweifelhaft bestimmten Gesetzen, welche die Psychologie zu entdecken hat.

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in modo chiaro e sicuro, il matematico esperto lo sintentizza condensandolo in masse e lo pensa in modo più sicuro, acuto e dettagliato. – Ciò è dovuto soprattutto al potere crescente della capacità di apprendimento e alla sua crescente velocità. Quanto ha già imparato oggi uno studente che affronta la maturità! Ed ha 19, 17 anni. Tre anni più tardi è già dottore, dignità che tre secoli prima conseguivano solo gli uomini. Il creatore tuttavia ha posto una volta per tutte la misura della forza spirituale degli uomini; la forza spirituale non cresce. Ma lo spirito (si veda p. 18) si crea ininterrottamente nuovi organi materiali e spirituali e grazie a essi opera sempre più celermente e sempre di più. In relazione alla storia di un popolo la seguente considerazione è la più importante. Come un individuo si costituisce un carattere nel corso dell’educazione e nel periodo della recettività a partire da singole intuizioni, giudizi, sensazioni, abitudini etc.; carattere che, secondo leggi psicologiche, assume una forma tanto stabile che, anziché essere modificato da eventi ed esperienze successive, condiziona la forma e la misura dell’effetto di quelle esperienze su se stesso, rendendo così impossibile ogni trasformazione di sé – come, per esprimersi in termini scientifici, l’indole spirituale (il carattere nel senso più vasto) dell’uomo si perfeziona in una totalità conchiusa, escludendo l’ulteriore ricettività (un fatto che può esser sempre osservato), [66] e questo perfezionarsi dell’indole spirituale in una totalità conchiusa avviene a partire da una serie data di fatti spirituali, sia recettivi sia produttivi, connessi con una insieme di capacità originarie e, poi, più o meno esercitate attraverso quei fatti, e, ancora, trasformate in questo e quest’altro modo, fino, in ultimo, a un punto preciso da determinare secondo leggi psicologiche –; come avviene tutto ciò in relazione all’individuo, così, incontestabilmente, vi è anche nella vita spirituale dei popoli una misura del loro sviluppo, che, quand’è colma, abbraccia l’intero carattere o se si vuole l’idea del popolo; e così come il sorgere della formazione del popolo fino al compimento del carattere, accade in ragione di determinati fondamenti e cause, secondo leggi fuor di dubbio precise che la psicologia deve scoprire, lo stesso accade in merito all’esclusione d’ogni possibilità di formazione.

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Wir haben die Völker bisher nur in ihrer Abgeschlossenheit betrachtet, über die Wirkung des Verkehrs mit anderen in Krieg und Handel, über den Erfolg der Reisen begabter Männer in fremde Länder und den Einfluß der erworbenen Kenntnisse auf den Volksgeist können wir nicht sprechen. Im Vorbeigehen nur dies: daß ein Volk nur dann von der Berührung mit einem anderen Bildungsstoff und Bildungsfähigkeit empfängt, wenn es vorher so weit gediehen ist, eine solche Gedankenfülle und Geisteskraft zu besitzen, daß es für die fremden Gedanken und Verhältnisse in den eigenen Gleichungsformeln zu finden vermag. So haben die Griechen von den Phöniciern, nicht aber die Perser von jenen gelernt. – Unter den neueren Völkern sind wir Deutsche bekanntlich am meisten geeignet und geneigt das Fremde zu erkennen und aufzunehmen; wir haben leider mehr aufgenommen, als wir mit dem eigenen Volksgeiste amalgamiren können. Aber es wird hoffentlich eine Zeit kommen, da wir unseres eigenen Besitzthums, des eigenen Nationalgeistes uns bewußt werden und ihn zum Mittelpunkte unserer Gedanken wieder erheben, das Fremde aber sichten und nur was davon möglich und angemessen für uns verwenden werden. – Diese Zeit herbeizuführen wird eine wissenschaftlich strenge psychologische Betrachtung des deutschen Nationallebens und seiner Geschichte gewiß nicht wenig beitragen. Abgesehen aber von dem was ein Volk vom anderen empfängt, [67/373] ist es noch wichtiger zu beobachten, wie eins das andere ansieht; ob es zu ihm hinauf- oder hinabblickt. Denn wie ein Individuum das Bild des anderen in seinem Geiste trägt, es beurtheilt: so auch ein Volk das andere. Von dieser Ansicht, die ein Volk vom anderen hat, hängt es eben ab, welchen Einfluß es von ihm erdulden mag. Es ist auch noch allgemein die Frage zu beantworten, wie sich überhaupt ein Volk allen anderen gegenüber auffaßt und sich zu ihnen stellt; welch ein Selbstgefühl es hat, wie viel Neigung zum Verkehr mit anderen Völkern, und welcher Art dieser Verkehr ist. Wie mächtig ist der Trieb zur Vereinigung, oder zur Abschließung? Wie groß ist die Sucht über die Völker zu herrschen, und welche Weise der Herrschaft wird geliebt? In all dem werden sich kaum zwei Völker gleichen. So können wir denn endlich auch die Frage aufwerfen: wie geht ein Volksgeist zu Grunde? Es sind hierbei allerdings meist

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Abbiamo finora considerato i popoli nel loro isolamento, possiamo esimerci dal discutere delle conseguenze dello scambio con altri nella guerra e nel commercio, dell’effetto dei viaggi di uomini dotati in terre straniere e dell’influenza delle conoscenze così acquisite sullo spirito del popolo. Andando oltre, si ricordi solo questo: che un popolo riceve dal contatto con un altro popolo contenuti e capacità culturali solo se esso è prima prosperato tanto nell’acquisizione di una gran copia di pensieri e forza spirituale da essere nelle condizioni di trovare ai pensieri e ai rapporti che gli giungono dall’esterno formule equivalenti nei propri. Così i greci, non i persiani, hanno imparato dai fenici. – Tra i popoli moderni, com’è risaputo, noi tedeschi siamo i più adatti e inclini a conoscere e accogliere ciò che viene dall’esterno; abbiamo purtroppo recepito più di quanto potessimo amalgamare col nostro spirito del popolo. Ma speriamo giunga un’epoca in cui diverremo coscienti del nostro patrimonio, del nostro spirito nazionale e lo innalzeremo nuovamente a punto nodale delle nostre riflessioni, vaglieremo quanto è straniero e di ciò utilizzeremo soltanto quel che è possibile e adatto a noi. – A condurci a quest’epoca contribuirà di certo non poco una rigorosa considerazione psicologica, di stampo scientifico, della vita nazionale tedesca e della sua storia. A prescindere tuttavia da ciò che un popolo riceve da [67] un altro, è ancora più importante osservare come un popolo vede l’altro; se lo guarda dall’alto o dal basso. Come un individuo porta nel proprio spirito l’immagine di un altro e la valuta, così fa un popolo con un altro popolo. Da questa immagine che un popolo si fa di un altro, dipende appunto quale influenza esso possa subire da quello. Bisogna anche in generale dar risposta alla domanda su come un popolo si concepisca rispetto a tutti gli altri e come si ponga nei confronti di quelli; quale sentimento di sé abbia, quanto sia incline a rapportarsi con altri popoli e di che tipo sia tale rapporto. Quanto è forte l’istinto all’isolamento o all’esclusione? Quanto è grande la brama di dominare gli altri popoli e a quale modo di dominio è portato? In tutto ciò non sarà possibile trovare nemmeno due popoli uguali. Possiamo infine sollevare la seguente questione: perché un popolo decade? In relazione a ciò sono certo determinanti le

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auch äußere Schicksale und Berührungen mit anderen Völkern wirksam, aber doch nur in zweiter Linie. Es ist freilich nicht gleichgültig, ob ein Volk die Römer zu Nachbaren hat. Aber die Römer haben kein einziges lebendiges Volk vernichtet; sie haben nur die todten begraben; selbst der griechische Volksgeist war nicht mehr. Daß ferner durch die Einwirkung dieses letzteren der römische Geist geschwächt ward, das lag abermals in der Schwäche des römischen Geistes. Schließlich also muß man immer sagen, es stirbt ein Volk nur von innen heraus. Die Gründe davon sind mannigfach. Hier nur eine Andeutung. Der Volksgeist beruht auf den Einzelgeistern und steht dennoch im Gegensatz zu ihnen. Vieles, was letztere stärkt, schwächt ihn. Eine zu kräftige Entwickelung der Eigenthümlichkeiten der Einzelnen muß dem Gesammtgeist schaden. Das Volk wird sich in Parteien spalten und dadurch erschöpfen. Denn der Zwiespalt wird zunächst schon praktisch übele Folgen haben; aber auch ideell. Die eigentlichen Volksideen werden immer geringer an Zahl, immer ärmer an Einfluß auf das Bewußtsein. Schwingen sich einzelne Geister zu besonderer Höhe und steigern in sich den Inhalt des Volksgeistes, so bleiben sie einsam, das Volk [68/374] folgt ihnen nicht und sinkt vielmehr zuruck. Sie nehmen dem Volke, und dieses kann nicht aufnehmen, was ihm jene als Ersatz bieten. Man denke an Sokrates. So entschwinden dem Volksgeiste seine alten Ideale, indem Einzelne sie am glänzendsten entfalten. Ganz im Gegentheile wurden im jüdischen Volke zur Zeit seines Unterganges die Ideale lebendig, welche früher nur das Eigenthum der Wenigen waren. Daher die völlig abweichende Geschichte dieses Volkes. Wenn aber ein Volk sich in Parteien spaltet, so ist es auch allemal der Volksgeist selbst, der von den Elementen, den Thätigkeitsforrnen oder Mächten, die ihn ausmachen, gesprengt wird; d. h. diese Elemente fallen aus einander und gerathen zu einander in einen Gegensatz, in welchem sie sich einander vernichten, indem ein jedes von ihnen, besonderen Einflüssen ausgesetzt, eine eigenthümliche Entwickelung erfährt, einen besonderen Inhalt gewinnt und so für sich eine Einheit bildet, unbekümmert um die Gesammtheit des Volksgeistes. Natürlich wird hierdurch auch zugleich eine reale Spaltung des Volkes bewirkt, indem je-

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vicende esterne e i contatti con altri popoli, ma solo in seconda battuta. Non è privo d’importanza che un popolo abbia vicino i romani. Ma i romani non hanno annientato nessun popolo in salute, hanno solo seppellito popoli morti; lo stesso spirito del popolo greco ormai non c’era più. Inoltre, il fatto che lo spirito romano era cresciuto per effetto di quello greco, dipese dalla debolezza dello spirito romano. In definitiva, bisogna sempre dire che un popolo tramonta solo per causa sua. Le ragioni di ciò sono molteplici. Basti qui soltanto un accenno. Lo spirito del popolo poggia sugli spiriti dei singoli e nondimeno è opposto a essi. Molto di ciò che rafforza gli individui, lo indebolisce. Uno sviluppo troppo possente delle peculiarità degli individui deve nuocere alla spirito complessivo. Il popolo si frantumerà in partiti e si consumerà in quanto popolo. Il contrasto avrà infatti anzitutto cattive conseguenze pratiche, ma anche ideali. Le idee tipiche del popolo saranno sempre meno numerose, sempre meno influenti sulla coscienza. Se gli spiriti individuali si librano a determinate altezze e innalzano in sé il contenuto dello spirito del popolo, allora rimangono soli e il popolo [68] non li segue e piuttosto ritorna indietro. Essi traggono dal popolo e questo non può più accettare ciò che essi gli offrono in cambio. Si pensi a Socrate. Così si dileguano per lo spirito del popolo i suoi antichi ideali, mentre i singoli li dispiegano nella forma più straordinaria. Del tutto all’opposto, nel popolo ebraico, al tempo del suo declino, divennero vitali gli ideali che prima erano proprietà solo di pochi. Da qui la storia interamente diversa di questo popolo. Quando un popolo si frantuma in partiti, allora è senz’altro lo spirito del popolo stesso a esser dissolto dagli elementi, dalle forme di attività o dalle forze che lo costituiscono; è a dire che questi elementi cadono l’uno fuori dall’altro e si dispongono l’un l’altro in una contrapposizione in cui si annientano reciprocamente, dal momento che ciascuno di essi, esposto a influssi particolari, compie uno sviluppo peculiare, guadagna un contenuto proprio e costituisce per sé un’unità, incurante della totalità dello spirito del popolo. Naturalmente in questo modo è provocata anche una reale frammentazione

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des Element innerhalb einer Masse der Einzelnen besonders vorherrscht. So gewinnt jede dieser Massen ein besonderes Interesse und verfolgt Ideen, welche außer dem Boden des Nationalgeistes stehen. Ein Volksgeist kann sich geradezu, gänzlich oder in gewissen Elementen seines Wesens, ungetreu werden, und dann stirbt er gewiß; so der spartanische, der römische. Der Volksgeist nämlich steht immer in Beziehung zu einem Aeußeren, auf welches er wirken, in welchem er sich erhalten und bethätigen muß. Gelingt ihm dies: so ändert er das Aeußere um. Der alte Zustand des Aeußeren war aber ein Lebensmittel für ihn; indem er ihn abänderte, verdarb er sich durch seine eigene Lebensenergie die Luft, und nun erstickt er – wenn er nicht die Kraft hat, sich ein neues Mittel zu suchen. Rom und Sparta sind nicht ohne Schuld untergegangen; sie bewiesen ihre Schwäche gerade in der Zeit ihrer höchsten Kraft, die Gehaltlosigkeit ihres Ideals, als es verwirklicht war. Athen dagegen zeigt uns, daß ein Volksgeist auch untergehen könne, wie eine Blume, die verblüht. Er hat alles hervorgebracht, [69/375] was in seinem Keime lag: alle Ideen, die er entwickeln konnte, waren entwickelt; alle Combinationen desselben waren versucht – nun war er todt. Er war endlich, und, wie alles Endliche, vergänglich. _________________ Wir glauben genug gesagt zu haben, um so verstanden werden zu können, daß nun jeder aufmerksame Leser nicht nur weiß, was wir unter Völkerpsychologie uns denken, sondern auch gemäß solcher Ansicht sich selbst die Aufgaben bilden kann, durch deren Lösung er die zu erbauende Wissenschaft fördern mag. Oder sollte uns unsere Hoffnung auf ein Zusammenwirken der Philosophen mit einander, und der Historiker und Empiriker mit ihnen für jetzt noch täuschen? Sollte man dieses Ideal aller Zeiten für die wissenschaftliche Wirksamkeit auch heute noch, und auch für diese unsere Angelegenheit noch, in weite Ferne gerückt halten? Es käme auf einen Versuch an, und auf den muthigen Glauben, die ersehnte Zeit sei gekommen. Wir geben zu bedenken:

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del popolo, dal momento che ciascun elemento predomina in modo speciale su un gruppo di individui. Così ognuno di questi gruppi è dominato da un interesse particolare e persegue idee che si trovano al di fuori dell’ambito dello spirito nazionale. Uno spirito del popolo può perfino divenire del tutto o per alcuni aspetti disonesto e allora di certo perisce; come accadde al popolo spartano e a quello romano. Lo spirito del popolo infatti è sempre in relazione a un esterno su cui deve operare, in cui si conserva e deve attuarsi. Se ciò gli riesce, modifica l’esterno. La vecchia condizione esterna però rappresentava per lui un mezzo di sopravvivenza; dal momento che esso l’ha modificata, s’è danneggiato l’atmosfera a causa della sua stessa energia vitale e ora esso soffoca, se non ha la forza di trovare per sé nuove condizioni di sopravvivenza. Roma e Sparta non sono tramontate senza colpa; mostrarono la loro debolezza proprio nel momento della loro maggior forza, la vacuità del loro ideale così com’era realizzato. Atene ci mostra invece che uno spirito del popolo può anche tramontare come un fiore che appassisce. Esso ha prodotto tutto [69] ciò che era dato nel suo seme: tutte le idee che poteva sviluppare, furono sviluppate; tutte le sue combinazioni sono state tentate – ora, doveva perire. Era destinato a finire e, come tutto ciò che lo è, era passeggero. _________________ Crediamo di aver detto abbastanza da poter essere compresi, in modo tale che ogni attento lettore non solo sappia ciò che intendiamo con psicologia dei popoli, ma in relazione a tale prospettiva possa individuare da sé i compiti attraverso la cui soluzione può dar sostegno alla scienza da realizzare. O dovrebbe ancora essere un’illusione la nostra speranza di una cooperazione dei filosofi tra loro e degli storici ed empirici con i filosofi? Questo ideale d’attività scientifica, sposato da ogni epoca, dovrebbe esser mantenuto lontano ancora oggi, anche in relazione a questo nostro progetto? Bisognerebbe far conto su questo tentativo e sul coraggioso convincimento che l’epoca eletta sia giunta. Offriamo le seguenti ragioni per riflettervi:

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Erstlich ist die Psychologie überhaupt oder an sich nicht nothwendig eine philosophische Wissenschaft; sie ist es nicht mehr als die Naturwissenschaft. Sie hat ihr empirisches oder historisches Gebiet; und in so weit als es sich nur um die Feststellung und sorgfältige Darstellung von Thatsachen handelt, mag recht wohl aller bloß theoretische Zwist schweigen. Was nun aber zweitens das rationale Wesen der Psychologie betrifft, so können wir auch hier noch die eigentlich metaphysischen Fragen über das Wesen der Seele völlig unberührt lassen. So wenig der Physiker sich in das metaphysische Problem der Bewegung, der Kraft, zu vertiefen nöthig hat: so wenig braucht es der Psycholog. Allerdings bedarf die rationale Psychologie gewisser Voraussetzungen. Wir ernpfehlen die Herbartischen. Man hat gemeint, man dürfe oder brauche sich nicht auf Herbarts Psychologie einzulassen, so lange die Einwendungen gegen seine Metaphysik [70/376] nicht beseitigt wären – ganz grundlos. Man kann, wie Herbart selbst es empfohlen hat, seine psychologischen Grundsätze, abgelöst von aller Metaphysik, als Hypothesen ansehen, deren wissenschaftlicher Werth sich durch die Anwendung offenbaren mag. Aber auch als Hypothesen betrachtet, hat man ihre Berechtigung und ihre Brauchbarkeit bestritten. Wir selbst sind ebenfalls keine genauen Anhänger derselben. Wir meinen nur folgendes: Worauf es in der Psychologie ankommt, das ist wesentlich dasselbe, wonach auch die Naturwissenschaften streben, und was ihnen so gut gelingt, nämlich die Dinge und die Eigenschaften aufzulösen in Verhältnisse. So löst die Naturwissenschaft Feuer und Leben, Wasser und Brod, Licht und Schall, Tag und Jahr, Sonnund Mondfinsterniß in Verhältnisse auf und befreit uns dadurch von eingebildeten Dingen, Substanzen, Kräften. Der ganze Sinn und das außerordentliche Verdienst der Herbartischen Bemühungen um die Psychologie scheint uns nun eben darin zu liegen, daß er die Seelenvermögen aufzulösen und auf Vorstellungs-Verhältnisse zurückzuführen gesucht hat. Wie weit ihm dies geglückt ist, ist eine andere Frage. Nur dasselbe Streben haben auch wir inne zu halten und fortzusetzen. So, scheint uns nun, müssen sämmtliche psychologische Epitheten, mit denen man einzelne Personen

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In primo luogo, la psicologia in generale o in sé non è necessariamente una scienza filosofica; essa non lo è più della scienza della natura. Muove su un terreno empirico o storico che le appartiene e solo nella misura in cui si tratti dell’accertamento e della spiegazione dettagliata di fatti può a buon diritto dileguarsi ogni disaccordo teorico. In secondo luogo, anche per ciò che riguarda la natura razionale della psicologia, ci è lecito non occuparci delle questioni metafisiche circa la natura dell’anima. Come il fisico non ritiene necessario addentrarsi nel problema metafisico del movimento e della forza, così non ne sente l’esigenza nemmeno lo psicologo. Nondimeno, la psicologia razionale ha bisogno di alcuni presupposti. Noi raccomandiamo quelli herbartiani. Si è pensato – in modo del tutto privo di fondamento – che non fosse lecito o necessario ricorrere alla psicologia herbartiana fintanto che le obiezioni contro la sua metafisica [70] non fossero state combattute. È possibile, come Herbart stesso ha suggerito, concepire i suoi principi psicologici a prescindere da ogni istanza metafisica, come ipotesi di cui si può manifestare il valore scientifico per mezzo dell’utilizzazione. Pur considerati come ipotesi, la giustificazione e utilizzabilità di questi principi sono state contestate. Noi stessi, in ogni modo, non siamo fedeli seguaci di queste ipotesi. Ma pensiamo semplicemente questo: ciò a cui si perviene nella psicologia è esattamente ciò a cui tendono anche le scienze naturali e che riesce loro tanto bene, è a dire risolvere le cose e le qualità in rapporti. Così la scienza naturale risolve in rapporti il fuoco e la vita, l’acqua e il vapore acqueo, la luce e il suono, il giorno e l’anno, l’eclissi solare e lunare e con ciò ci libera dalle presunte cose, sostanze e forze. Ci pare che tutto il senso e lo straordinario servigio delle ricerche herbartiane sulla psicologia sia stato quello d’aver cercato di risolvere e ricondurre le facoltà dell’anima ai rapporti tra le rappresentazioni. Fino a che punto questo sforzo sia stato coronato da successo è una questione diversa. Anche noi dobbiamo solo perseguirlo e far progredire la ricerca. Ci pare così che l’insieme degli epiteti psicologici con cui si cerca di caratterizzare singole persone o interi popoli, inge-

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und ganze Völker zu charakterisiren sucht: geistreich, gutmüthig, scharfsinnig, tief, gemüthlich, einfach, edel u.s.w. auf Verhältnisse des Vorstellens, Fühlens, Strebens und dieser unter einander zurückgeführt werden. Erst so wird es auch möglich sein, uns ein psychologisches Bild einer Person, eines Volkes zu entwerfen, während es jetzt unmöglich ist, die mannigfachen Prädicate, die einem Einzelnen oder einer Gemeinschaft gegeben werden, zur Einheit zusammen zu fassen. Die Fragen, auf welche zuletzt alles ankommt, sind: wie bewegen sich die Elemente des Bewußtseins gegen einander? mit welcher Kraft verbinden, stützen sie sich, wo im Gegentheil machen sie sich das Bewußtsein streitig? welches Element beherrscht die anderen, und welche Richtung zeichnet es vor? wie mächtig ist diese Herrschaft? welche Elemente schließt sie aus? welchen Widerstand hat sie niederzuhalten? u.s.w. [71/377] So abstract und allgemein gehalten ist der Boden, den wir vorzeichnen, und den zu betreten nicht das geringste Verfängliche haben kann, da es Jedem überlassen bleibt, nach seiner besonderen Ansicht sich diesen Boden schärfer zu bestimmen. Recht wohl wissend, daß feste und zugleich ausreichende psychologische Principien erst noch zu schaffen sind, wünschen wir, daß auch diese durch das Zusammenarbeiten Vieler erstehen mögen. Wir rathen indessen, diese Grundfragen für’s erste noch nicht zu Gegenständen besonderer Prüfung zu machen. Es habe jeder seine Principien und suche sie für sich selbst und die Anderen nur dadurch zu empfehlen, daß er an specielleren Aufgaben ihre Brauchbarkeit zeigt. Wenigstens bitten wir, niemals anders Principien zu erörtern, als sogleich mit Anwendung auf den besonderen Fall. Auf diesem Wege, hoffen wir, werde sich nicht nur die allgemeine Verständigung, sondern auch die wahre Begründung der Psychologie viel leichter erzielen lassen. Man suche, das Allgemeine aus dem Besondern sich gleichsam von selbst erheben zu lassen; man halte den Blick fest auf die wirklichen Erscheinungen gerichtet, stelle sie sorgfältig dar, versuche die Analyse, so weit wie möglich, und lasse sich selbst von den letzten Ergebnissen überraschen. So wird unnützer Streit vermieden, und die Sache wahrhaft gefördert werden. Auch sage man nicht, daß die Völkerpsychologie nicht eher in Angriff genommen werden könne, bevor nicht die individuelle besser begründet und weiter durchgearbeitet ist; sondem man bedenke, ob wohl diese letztere gedeihen könne, wenn ihr nicht

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gnoso, indulgente, perspicace, profondo, affabile, semplice, nobile etc., siano da ricondurre a rapporti di rappresentazioni, sentimenti, aspirazioni e, questi, l’uno all’altro. Solo così sarà anche possibile schizzare l’immagine psicologica di una persona o di un popolo, mentre ora è impossibile sintetizzare in un’unità i molteplici predicati che sono assegnati a un individuo o a una comunità. Le questioni a cui infine tutto è riconducibile sono: come si muovono gli elementi della coscienza l’uno rispetto all’altro? Con quale forza si connettono e si sostengono; dove, al contrario, si contendono la coscienza? Quale elemento domina gli altri e quale direzione traccia? Quanto è potente questo dominio? Quali elementi esclude? Che resistenza deve vincere? etc. [71] In questo modo il terreno che tracciamo è mantenuto molto astratto e generale e percorrerlo non può rappresentare la minima insidia giacché a ciascuno rimane la libertà di tracciare più accuratamente questo terreno secondo la propria prospettiva. Sapendo bene che devono prima essere elaborati principi psicologici saldi e soddisfacenti, ci auguriamo che anche questi possano sorgere per mezzo della collaborazione di tanti. Noi frattanto consigliamo di non porre subito a oggetto di un esame speciale tali questioni di fondo. Abbia ciascuno i propri principi e li cerchi da sé e cerchi altresì di suggerirli agli altri solo mostrando la loto utilizzabilità per compiti speciali. Preghiamo, per lo meno, di non discutere i principi senza utilizzarli immediatamente in un caso particolare. Per questa via, speriamo, non solo si lascerà raggiungere molto più facilmente l’accordo generale, ma pure la vera fondazione della psicologia. Si provi a lasciar sorgere da sé l’universale dal particolare; si tenga lo sguardo saldamente orientato ai fenomeni reali, li si descriva dettagliatamente, se ne tenti l’analisi finché è possibile e ci si lasci sorprendere dai risultati finali. Sarà così evitata la disputa sterile e la cosa sarà argomentata in modo appropriato. Non si dica nemmeno che non si può porre mano alla psicologia dei popoli prima che sia stata meglio fondata e ulteriormente elaborata quella individuale; ma si consideri se quest’ultima possa prosperare senza che le stia a fianco la psicologia dei popoli. Dobbiamo ricordare Platone, che cerca la

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die Völkerpsychologie zur Seite steht. Sollen wir an Plato erinnern, der die Natur des Menschen im Wesen des Staates sucht, weil sie hier in größeren, erkennbareren Zügen gezeichnet ist? Jede nur einigermaßen schwierige Aufgabe wird nicht mit dem ersten Angriffe zu lösen sein. Die Analyse wird bald ins Stocken gerathen; die bisherigen Beobachtungen werden sich als ungenau, ungenügend erweisen, man wird mehr und bessere Thatsachen wünschen. Wir verlangen für unsere Blätter keine vollendeten, durchaus reifen Arbeiten. Verschieden von anderen Zeitschriften für eine specielle Wissenschaft, kann die unsrige nicht die Früchte der Arbeit pflücken, sondern nur den Samen streuen [72/378] wollen. Nicht den Ausbau sondern allererst den Anbau dieser Disciplin haben wir zu bewirken. Wir wünschen dabei das Ineinandergreifen der verschiedenen Forscher. Jeder theile mit, was ihm gelungen ist; der Andere möge aus seinen Mitteln hinzufügen, fortsetzen. Eine Hand voll Körner reicht oft nicht zu, ein Brod zu backen; aber man streue sie als Samen in einen fruchtbaren Boden und sie werden hundertfältig aufgehen und eine reiche Nahrung bieten; und wie oft hat Jemand solche geistige Samenkörner gefunden, die erst auf dem Boden eines anderen Geistes zu ihrer vollen Bedeutung herauswachsen müssen; ja auch dem eigenen Geiste tritt ein öffentlich kundgegebener Gedanke zuweilen anreizender und befruchtender entgegen. Wir werden zu diesem Behufe bestimmte Rubriken anlegen, unter denen wir, skizzenhaft, Thatsachen und Reflexionen mittheilen werden, wie sie uns zugehen, oder wie wir selbst sie geben können. – Auch noch mit Vermeidung aller principiellen Discussionen werden sich manche Gelegenheiten zu widersprechenden Ansichten darbieten; wir werden gern Jedes Ansicht aufnehmen, und unsere Blätter mögen correspondirende Verhandlungen darbieten, den mündlichen Verkehr ersetzend. Sie mögen ein lebendiges psychologisches Parlament sein. Wer mit uns im Rückblick auf die hier gezeichneten Grundlinien die ganze Breite und Tiefe der Aufgaben übersieht, welche dieser neue Zweig der Wissenschaft darbietet, möchte leicht die Schwierigkeit derselben für eine unüberwindliche halten; aber die Größe der Aufgabe muß eher dazu dienen, den Muth zu stärken und zu spornen, als ihn erschlaffen zu lassen und abzuspannen. Auch hat dieselbe Betrachtung uns gezeigt, wie reich und mannigfaltig die Quellen der Erkenntniß von allen Seiten her für diese Wissenschaft fließen.

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natura degli uomini nell’essenza dello stato, giacché in esso quella natura è delineata secondo tratti più ampi e più facilmente riconoscibili55? Ogni compito, anche solo parzialmente difficile, non deve essere risolto al primo tentativo. L’analisi giungerà presto a un punto morto, le analisi compiute sinora si riveleranno incerte e insufficienti, ci si augurerà una maggior copia di fatti e fatti migliori. Non pretendiamo per le nostre pagine lavori compiuti e conclusi. Diversamente dalle altre riviste dedicate a una scienza particolare, la nostra non può raccogliere i frutti del lavoro, ma vuol spargerne [72] i semi. Dobbiamo mettere in opera non il completamento, ma l’avvio di questa disciplina. Speriamo pertanto nella cooperazione di diversi ricercatori. Ciascuno comunichi ciò che gli è riuscito; l’altro possa, coi suoi mezzi, aggiungere, proseguire. Una manciata di chicchi di grano spesso non basta a fare un pane; ma li si sparga quale semente in un campo fecondo e cresceranno a centinaia e offriranno una ricca messe. E quanto spesso è accaduto che qualcuno abbia trovato semi spirituali che dovevano raggiungere il loro stato di piena maturazione sul terreno di un altro spirito; certo anche allo spirito singolo si fa incontro un pensiero manifestamente rivelatore, talvolta stimolante e fecondo. Allegheremo in proposito alcune rubriche, in cui comunicheremo, in abbozzo, fatti e riflessioni così come ci giungono o come possiamo trasmetterli noi. – Pur evitando tutte le dispute principali, si offriranno alcune occasioni per mettere in luce prospettive divergenti. Accetteremo volentieri ogni punto di vista e i nostri fogli potrebbero offrire dibattiti che sostituiscano i confronti verbali. Essi potrebbero costituire un parlamento psicologico vivente. Chi osservi con noi, per mezzo di uno sguardo retrospettivo sulle linee di fondo qui esposte, l’intera estensione e profondità dei compiti che questo nuovo ramo della scienza pone, potrebbe certo considerare insuperabile la sua difficoltà; ma l’ampiezza del compito deve servire a rafforzare e a spronare il coraggio piuttosto che indebolirlo e infiacchirlo. La stessa trattazione ci ha anche mostrato con che ricchezza e varietà per questa scienza le fonti della conoscenza sgorghino d’ogni parte.

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Das Ziel aber, welchem sie entgegen geht: daß der menschheitliche Geist sich selber zur klareren Erkenntniß komme, daß in den Geist der Nationen, der vergangenen wie der gegenwärtigen, dergestalt eingedrungen werde, daß wir das Gesetz ihres Wirkens und die Gründe ihrer Erhebung begreifen, und dadurch lernen, diese auf rechtem Wege zu fördern – dieses Ziel ist ein so erhabenes, daß wir hoffen, es werden alle sittlich strebenden [73/379] Kräfte aller Wissenschaften mit ihrem Antheil sich demselben zuwenden. So wollen und dürfen wir, in der Zuversicht, daß der menschliche Geist, die Aufgaben, die er klar erkannt hat, auch zu lösen vermöge, erwarten, daß unsere Hoffnung zur Wahrheit werde. M. Lazarus H. Steinthal

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Ma il fine a cui volge, che lo spirito dell’umanità giunga da sé a una più chiara conoscenza, che penetri nello spirito delle nazioni, delle antiche e delle presenti, tanto da permetterci di comprendere la legge del suo operare e le ragioni del suo innalzarsi, e da permetterci pertanto d’imparare a perseguire quella legge e quelle ragioni nella giusta direzione – questo fine è talmente sublime che speriamo che le avanzanti forze morali [73] di tutte le scienze si consacreranno a esso, fornendo ciascuna il proprio contributo. Tanto vogliamo e possiamo aspettarci – confidando che lo spirito umano abbia la facoltà di dar soluzione ai compiti di cui è venuto a conoscenza –; che la nostra speranza possa trasformarsi in verità. M. Lazarus H. Steinthal

SEZIONE III

FILOLOGIA

1.

DIE ARTEN UND FORMEN DER INTERPRETATION (1877)

Bei allen den mannichfaltigen Fragen um das Wesen, die Aufgaben und die Methode der Philologie liegt es daran, die thatsächlich vorliegenden Leistungen und herrschenden Bestrebungen der Philologen aller Orte und Jahrhundente in allgemeinen Begriffen zu erfassen. Durch den Gewinn dieser Begriffe (das wird man zugestehen müssen) wird die philologische Tüchtigkeit noch nicht erworben; aber wohl wird sie durch dieselben gelenkt und geklärt und dadurch auch erhöht. Die grössten Philologen haben sich um solche begriffliche Bestimmungen bemüht, und zwar, was wohl bemerkenswerth ist, namentlich dann, wenn sie gefürchteten oder schon erwachten Widerspruch zu dämpfen suchten, wie z. B. Lachmann in seiner Praefatio ad N. T. (und wer wird Lachmann philosophisch dialektischer Gelüste zeihen?), oder wenn sie Lobreden auf verstorbene Meister hielten, deren Werth sie messen wollten. Gerade so werden auch die strengen Formen der Logik bei Angriffen und bei Vertheidigungen, kurz da, wo man die grösste Sicherheit und Unwidersprechlichkeit erstrebt, mit Vorliebe in Anwendung gebracht. Hieran knüpft sich aber ein noch umfassenderer Gesichtspunkt. Wenn man so oft den philosophischen Bemühungen die Unbeständigkeit ihrer Ergebnisse als besonders klaren Beweis ihrer principiellen und darum ausnahmslosen Ungesundheit vorgeworfen hat, so wird gerade aus unserem Falle klar, dass sich in dem vermeintlichen Wechsel und Umschlagen der philosophischen Principien nur der Fortschritt der menschlichen Entwicklung abspiegelt; denn in den verschiedenen Definitionen der Philologie liegt die ganze Geschiebte der Philologie nach ihren Grundzügen angedeutet. Die Methodologie der Philologie nun insbesondere kann nichts anderes sein, als die möglich schärfste und vollständigste

1.

I TIPI E LE FORME DELL’INTERPRETAZIONE1 (1877)

[25] Tra le molteplici questioni riguardanti l’essenza, i compiti e il metodo della filologia vi è quella di comprendere in concetti generali le imprese effettivamente compiute e gli sforzi più significativi dei filologi di tutti i luoghi e i secoli. Attraverso il conseguimento di questi concetti (questo dev’essere concesso) la capacità filologica non è ancora acquisita; ma da essi è certo guidata e spiegata e, con ciò, innalzata. I più grandi filologi si sono adoperati per conseguire tali determinazioni concettuali, e invero – quanto è degno di nota – proprio quando cercarono di scongiurare una contraddizione temuta o già rivelatasi, come fece ad esempio Lachmann nella sua prefazione al N. T.2 (e chi accuserà Lachmann di smanie filosofico-dialettiche?), oppure quando tennero discorsi commemorativi su maestri morti di cui volevano giudicare il valore. Allo stesso modo, anche le più rigorose forme della logica sono utilizzate di preferenza in presenza di attacchi e difese, in breve lì dove s’aspira alla maggiore sicurezza e assenza di contraddizione. A ciò si collega tuttavia una prospettiva ancora più ampia. Se si è imputata agli sforzi filosofici l’instabilità dei loro risultati come prova particolarmente chiara della loro principale – e pertanto priva d’eccezioni – insanità, risulta con chiarezza dal nostro caso che nel presunto cambiamento e rivolgimento dei principi filosofici si rispecchia solo il progresso dello sviluppo umano; pertanto nelle diverse definizioni della filologia sta l’intera storia della filologia abbozzata secondo i suoi tratti fondamentali. Ora, la metodologia della filologia in particolare non può essere niente di diverso che l’analisi il più possibile approfon-

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Analyse der philologischen Operationen, welche unsere besten Philologen geübt haben. Ob eine solche Disciplin, die Analyse des philologischen Geistes in seiner Thätigkeit, noch abgesehen von ihrem Nutzen, rein an sich allgemein wichtig und wissenschaftlich anziehend ist, das darf der nicht fragen, dem kein Zweifel besteht, dass es Aufgabe der Wissensehaft ist, jeden Wurm und jeden Pilz zu analysiren, und das wird auch den nicht fragen, der es für unzweifelhafte Aufgabe hält, jedes anakreontische Liedchen und jede Schand-Inschrift von Pompeji zu analysiren. Wer nun jemals ernstlich an die Bearbeitung der Methodologie der Philologie gegangen ist, wird wohl eben so wie ich das Ziel dieser Disciplin bis zur Verzweiflung schwierig gefunden haben; denn nicht nur erscheinen die Momente, welche in den philologischen Operationen wirksam sind, nicht so gering an Anzahl, sondern sie sind auch so innig in einander geschlungen, dass sie nur sehr schwer dem Blicke Stand halten, der sie isoliren und jedes in seiner besonderen Natur erfassen möchte, um ihr Zusammenwirken [26/533] zu begreifen. Daher ist mir auch das mühselige Ringen, das sich bei Schleiermacher zeigt, der doch auf beiden Gebieten, auf dem der Philosophie wie auf dem der Philologie, eine erste Stelle einnimmt, nur zu erklärlich. Die Ansicht, die ich Ihnen hier vorzutragen die Ehre habe, ist mir aus der Prüfung von Ast, Schleiermacher und Böckh erwachsen. In kurzer Zeit wird Böckhs Encyclopädie und Methodologie der Philologie erscheinen. Durch die Güte des Herausgebers, des Herrn Prof. Bratuscheck, und der Teubner’schen Verlagshandlung besitze ich die Aushängebogen des Buches bis auf den geringen Theil, der heute noch fehlt. Ueber dieses Grundwerk eines Philologen aus dem Geschlechte der Scaliger ein dürres oder auch in Lobeserhebungen sich ergehendes Urtheil auszusprechen schiene mir nicht angemessen. Ich muss aber auch die Gewohnheit, meine Ansichten so darzulegen, wie sie mir aus der Kritik hervorgegangen sind, an dieser Stelle fallen lassen. Denn in solcher kritischen Darstellungsweise glaube ich zwar erstlich meine Dankbarkeit gegen hervorragende Männer am geeignetsten kund zu geben und zweitens die eigentlichen Motive meines Denkens und die Berechtigung meiner Ansicht dem prüfenden Hörer und Leser so am deutlichsten vorzulegen; aber die blosse Charakterisirung des Böckh’schen Werkes, ja auch nur die kriti-

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dita e completa delle operazioni filologiche che i nostri migliori filologi hanno compiuto. Se una tale disciplina, l’analisi dello spirito filologico nella sua attività, a prescindere dalla sua utilità, sia universalmente importante e scientificamente desiderabile semplicemente in sé, non può metterlo in questione colui per il quale è fuor di dubbio che sia compito della scienza analizzare ogni verme e ogni fungo e nemmeno colui che reputa dovere indiscutibile analizzare ogni breve composizione di Anacreonte e ogni iscrizione oscena di Pompei. Chi abbia mai seriamente tentato l’elaborazione della metodologia della filologia, avrà certo trovato come me il compito di questa disciplina difficile fino alla disperazione; giacché non solo i momenti attivi nelle operazioni filologiche non sono poco numerosi, ma sono anche così intimamente intrecciati, che solo molto difficilmente rimangon fermi per lo sguardo che vorrebbe isolarli e coglierli nella loro natura peculiare al fine di comprendere [26] il loro cooperare. Per questo mi è sin troppo comprensibile la tremenda lotta che si trova in Schleiermacher, il quale occupa una posizione di rilievo in entrambi gli ambiti, in quello della filosofia e in quello della filologia. Il punto di vista che ho qui l’onore di presentarvi mi viene dall’esame di Ast3, Schleiermacher e Böckh. In breve tempo apparirà l’Enciclopedia e la metodologia della filologia di Böckh. Grazie al beneplacito del curatore, del Prof. Bratuscheck, e della casa editrice Teubner sono in possesso di una versione tipografica del testo fino alla piccola parte che ancora manca4. Esprimere uno scarno giudizio o anche un giudizio che si profonda in alte lodi su quest’opera fondamentale di un filologo dello stessa genia di uno Scaligero5 non mi parrebbe adeguato. Ma qui devo anche lasciar cadere l’abitudine di presentare le mie opinioni così come sono emerse dalla critica. E ciò poiché, in questo modo di presentare criticamente le questioni, credo anzitutto di esprimere nella forma più appropriata la mia gratitudine nei confronti di uomini straordinari e in secondo luogo di presentare nel modo più chiaro agli ascoltatori e ai lettori che devono giudicare, i motivi propri del mio pensiero e la giustificazione del mio punto di vista; ma la semplice caratterizzazione dell’opera di Böckh, e già

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sche Vorführung seiner Ansicht über die Interpretation würde die mir zugemessene Zeit überschreiten. Gehen wir also unmittelbar an unsere Aufgabe. Philologie ohne Interpretation scheint kaum möglich; mit ihr ist sie ohne weiteres gegeben. So lange wir nur die stummen Erzeugnisse eines Volkes betrachten, so lange z. B. nur die Bauwerke, die Steinbilder, die Malereien, die Gerätschaften der Aegypter oder der Babylonier und Assyrer angeschaut wurden, so lange waren auch jene Völker nur Gegenstand der Anthropologie und Ethnologie, der politischen und der Kunstgeschichte, aber noch nicht der Philologie. Erst seitdem man angefangen hat, die Hieroglyphen, die Keilinschriften zu interpretiren, gibt es eine ägyptische, eine babylonisch-assyrische Philologie. Indem wir das Schriftzeichen beleben, den Sprachlaut wieder erwecken, die verklungene Rede wieder begeisten, gewinnen auch die stummen Zeugen des verschollenen Volkslebens ihren ORYJR~ wieder. So schafft die neu gelungene Interpretation ein neues philologisches Gebiet. Demgemäss können wir uns auch den classischen Philologen in der Zeit des Wiedererwachens vorstellen, wie ihm zunächst nur eine Menge von Schriftwerken vorlag, die er zu interpretiren hatte. Interpretation war also die erste philologische Function und anfänglich auch die einzige. Die Kritik gesellte sich bald dazu. Wie man aber auch das Wesen der Kritik bestimmen mag, immer wird sie, sei es in Begleitung, sei es in Vorbereitung der Interpretation erscheinen. Wie grosse Genialität der Kritiker auch bethätigen mag, wie schwierig die von ihm überwundenen Hindernisse, wie überraschend und staunenswerth seine Leistungen sein mögen, immer bleibt die Kritik ihrem Begriffe nach im Dienste der Interpretation. Ferner ist leicht zu bemerken, wie die Interpretation ihre Begründung in der Sache, nämlich in der Natur der geschichtlichen Entwicklung der Völker findet, und wir können uns die Geschichte der Menschheit, den Begriff der Humanität nicht denken ohne diese wissenschaftliche Function. Die philologische Kritik dagegen hat ihre Nothwendigkeit nicht in der Natur der Sache, sondern in der Schwäche des Menschen, in der Unsicherheit der Tradition. Die Wichtigkeit der Erkenntniss, dass eine Schrift nicht von dem [27/534] durch die Ueberlieferung bezeichneten Verfasser,

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soltanto la presentazione critica del suo punto di vista sull’interpretazione, travalicherebbe il tempo che mi è assegnato. Andiamo allora immediatamente al nostro compito. Filologia senza interpretazione non sembra quasi possibile; essa è senz’altro data con quella. Fintanto che prendiamo soltanto in considerazione i prodotti muti di un popolo, fintanto ad esempio che erano osservati solo le architetture, le sculture, le pitture, gli attrezzi degli egiziani o dei babilonesi e degli assiri, quei popoli erano soltanto oggetto di studio dell’antropologia e della etnologia, della storia politica e artistica, ma non ancora della filologia. Solo da quando si sono iniziati a interpretare i geroglifici e le iscrizioni cuneiformi, esistono una filologia egizia e una filologia assiro-babilonese. Ravvivando il segno della scrittura, risvegliando il suono della parola, rianimando i discorsi spentisi, anche le mute testimonianze della vita di popoli scomparsi ottengono nuovamente il loro ORYJR~. Così la nuova interpretazione, che è stata compiuta, determina un nuovo ambito filologico. In modo corrispondente possiamo rappresentarci anche il filologo classico nell’epoca della rinascita, come per lui vi fosse soltanto un insieme di opere scritte che doveva interpretare. L’interpretazione era dunque la prima funzione filologica e inizialmente anche l’unica. La critica le si unì presto. Ma si determini pure l’essenza della critica come si vuole, essa si manifesterà sempre quale accompagnamento o preparazione dell’interpretazione. Al di là di come la grande genialità del critico sia esercitata, per quanto possano essere difficili gli ostacoli da lui superati, per quanto sorprendenti e degne d’ammirazione possano essere le sue imprese, sempre la critica rimane, secondo il suo concetto, a servizio dell’interpretazione. È inoltre da osservare come l’interpretazione trovi il suo fondamento nella cosa, è a dire nella natura dello sviluppo storico dei popoli, e non possiamo figurarci la storia dell’umanità, il concetto di Umanità, senza questa funzione scientifica. La critica filologica, al contrario, non ha la sua necessità nella natura della cosa, ma nella debolezza dell’uomo e nell’incertezza della tradizione. L’importanza della conoscenza del fatto che uno scritto derivi [27] non dall’autore indicato dalla tradizione, ma da questo

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sondern von diesem oder jenem andern Schriftsteller rühre, oder dass an dieser Stelle einer Schrift nicht so wie überliefert gelesen werden dürfe, sondern so wie die Kritik das Ursprüngliche herstelle – die Wichtigkeit solcher Erkenntnisse kann nicht geleugnet werden; aber sie besteht bloss darin, dass nun erst richtig interpretirt werden kann. Interpretation und Kritik erschöpfen aber die philologische Thätigkeit noch nicht. Denn wenn man auch nicht zugestehen will, dass die Philologie, wie Böckh sie nimmt (und ich stimme ihm bei), in dem weitesten Sinne als Geschichte des menschlichen Geistes schlechthin zu fassen sei, so würde doch die Behauptung, Interpretation und Kritik bilden die vollständige Thätigkeit des Philologen, nur dann zutreffend sein, wenn man den Begriff der Philologie dahin beschränken wollte, dass damit nur das verständnissvolle Lesen der Schriftwerke benannt würde. Dann wäre ja aber die Philologie vielleicht die Beschäftigung des HXMGDLYPRQ, nur ohne Ergebniss, und also keine Wissenschaft. Sie hätte das werthvollste Object, an dem sie geübt wird, aber keinen Inhalt, den sie erzeugte. Eine Wissenschaft aber muss doch eigenthümliche Werke hervorbringen, die ihr einen Inhalt geben, in dem sie ihren Werth hat. Nehmen wir also die Philologie in dem engsten Sinne, der wenigstens möglich ist, ohne ihr den Charakter einer vollen Wissenschaft zu nehmen, so müssen wir zur Interpretation und Kritik als den philologischen Functionen wenigstens noch Grammatik und Litteraturgeschichte als die eigenthümlichen philologischen Werke hinzudenken. Dann aber erweisen sich jene beiden Functionen augenblicklich als nicht ausreichend, um die Erzeugnisse der Philologie herzustellen. Wenigstens sehe ich nicht ein, wie die Wirkung und Leistungsfähigkeit der Interpretation und Kritik darüber hinausreichen solle, dass man ein Werk der classischen Litteratur nach dem andern liest, dass man womöglich auf’s tiefste in jedes Werk eindringt – Grammatik und Litteraturgeschichte wird dadurch nicht geschaffen. Ohne diese Disciplinen ist aber die Interpretation und Kritik sogar unmöglich; die philologische Beschäftigung als solche ist ohne die philologischen Werke undenkbar: welche Function erzeugt also diese Werke? Sicher ist freilich auch, dass Grammatik und Litteraturgeschichte nicht ohne Interpretation und Kritik geschaffen werden können; nur werden sie nicht lediglich aus diesen Functionen erwachsen.

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o da quell’altro scrittore, o del fatto che in questo punto uno scritto non debba essere letto come è stato tramandato, ma nel modo in cui la critica ne ha stabilito l’autenticità – l’importanza di una tale conoscenza non può essere negata, ma consiste semplicemente nel fatto che ora quello scritto può essere interpretato correttamente. Interpretazione e critica, però, non esauriscono ancora l’attività filologica. Giacché se non si vuol concedere che la filologia, come la assume Böckh (e io concordo), sia da intendere nel senso più ampio come storia dello spirito umano per antonomasia, l’affermazione secondo cui l’interpretazione e la critica costituiscono tutta l’attività del filologo sarebbe esatta, solo se si volesse delimitare il concetto della filologia in modo tale che con essa fosse solo definito il leggere che consente una piena comprensione delle opere scritte. Allora la filologia sarebbe forse soltanto l’occupazione dell’HXMGDLYPRQ ma senza risultato, e dunque non sarebbe una scienza. Avrebbe l’oggetto più pregiato su cui esser esercitata, ma non produrrebbe nessun contenuto. Una scienza, però, deve certo produrre opere peculiari che le diano un contenuto in cui consiste il suo valore. Assumiamo pure, dunque, la filologia nel senso più ristretto possibile, senza assegnarle il carattere di una scienza compiuta, all’interpretazione e alla critica come funzioni filologiche dobbiamo comunque aggiungere perlomeno la grammatica e la storia della letteratura, come peculiari opere filologiche. Ma quelle due funzioni si mostrano allora immediatamente insufficienti a creare i prodotti della filologia. Quanto meno io non vedo come l’effetto e l’efficacia dell’interpretazione e della critica possano essere sufficienti a leggere un’opera della letteratura classica dopo l’altra, a penetrare nel modo più profondo lì dove è possibile in ogni opera – se con ciò non sono create la grammatica e la storia della letteratura. Senza queste discipline, piuttosto, l’interpretazione e la critica sono addirittura impossibili; l’attività filologica in quanto tale è impensabile senza le opere filologiche: quale funzione allora produce queste opere? È poi anche sicuro che grammatica e storia della letteratura non possono essere costituite senza interpretazione e critica; esse tuttavia non derivano soltanto da queste funzioni.

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Halten wir also fest, dass Functionen und Werke der Philologen sich einander bedingen, so scheint mir, müsse noch eine besondere, dritte philologische Function angenommen wetden, durch welche die philologischen Werke, Grammatik und Litteraturgeschichte, und welche Disciplinen man sonst noch zur Philologie in ihrem weiteren Sinne zählen mag, erst geschaffen, aus Bausteinen, welche durch Interpretation und Kritik gewonnen sind, errichtet werden. Und diese Function mag Construction heissen. So hätten wir durch eine, wie ich meine, eben so einfache als einleuchtende Betrachtung den Satz gewonnen: dass die Methodenlehre der Philologie drei Abschnitte habe: Methode der Interpretation, Methode der Kritik, Methode der Construction den philologischen Disciplinen. Für unsern gegenwärtigen Zweck aber, die Richtungen, und also die Formen und Weisen, also kurz die Arten der Interpretation zu bestimmen, ist dieser Satz insofern wichtig, als wir uns nun davon zu hüten haben werden, der Interpretation eine Aufgabe zu stellen, welche sie nicht lösen kann, welche vielmehr der Construction obliegt. Um [28/535] dieser Verwirrung zu entgehen, begrenzen wir die Wirksamkeit der Interpretation dahin, dass ihr Object allemal nur ein Redewerk ist, während die Gesammtheit von Werken oder ein Complex homogener Werke, als ein solcher in sich geschlossener Kreis, der Construction anheimfällt. Die Interpretation geht nicht über das einzelne Werk hinaus. Sie mag dabei Rücksicht nehmen auf andre Werke und Kreise vor Werken, wie überhaupt die Construction von ihr vorausgesetzt wird: es lässt sich keine Schrift interpretiren, wenn man nicht beachtet, in welchen Kreis sie gehört; aber die Bildung dieses Kreises ist Sache der Construction. Man darf z. B. nie vergessen, dass man ein Drama oder ein Epos interpretirt, den Aeschylus oder Sophokles; aber den Kreis von Dramen oder von Epen, der Charakter dieses oder jenes Dichters wird durch die Construction gestaltet. Ist hiermit das Object der Interpretation bestimmt, so sagen wir weiter: ihr Ziel ist Verstehen; den Weg aber zum Verständniss, oder die Operation, durch welche das Verständniss erwirkt wird, nennen wir Interpretation oder Deutung. Wir interpretiren oder deuten, um zu verstehen. Verständniss ist zunächst das Ziel; ist dieses Ziel erreicht, so ist das Verständniss ein Ergebniss gewor-

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Teniam fermo dunque che le funzioni e le opere dei filologi si condizionano l’un l’altra, mi sembra allora che dovrebbe essere ancora assunta una terza funzione filologica speciale, attraverso cui, sulle fondamenta poste dall’interpretazione e dalla critica, vengono prodotte le opere filologiche, grammatica e storia della letteratura, e quelle discipline che si possono altrimenti annoverare alla filologia nel senso più ampio; questa funzione può esser chiamata costruzione6. Così avremmo raggiunto attraverso una trattazione, credo, tanto facile quanto perspicua, questo principio: che la dottrina del metodo della filologia comprende tre parti: il metodo dell’interpretazione, il metodo della critica, il metodo della costruzione delle discipline filologiche. Riguardo al nostro compito attuale, però, di determinare le direzioni, e quindi le forme e i modi, in breve i tipi dell’interpretazione, questo principio risulta importante nella misura in cui dovremo guardarci dall’assegnare all’interpretazione un compito che essa non può risolvere e che piuttosto spetta alla costruzione. Per [28] sfuggire a questa confusione delimitiamo l’attività dell’interpretazione al fatto che il suo oggetto è sempre un’opera linguistica, mentre la totalità delle opere o un complesso omogeneo di opere, come un circolo in sé concluso, pertiene alla costruzione. L’interpretazione non va oltre la singola opera. Può prendere in considerazione altre opere o circoli di opere, come in generale la costruzione è presupposta da essa, dal momento che nessuno scritto si lascia interpretare se non si considera con attenzione a quale circolo appartiene; ma la formazione di questo circolo è di pertinenza della costruzione. Ad esempio, non bisogna mai dimenticare che si interpreta un dramma o un poema epico, Eschilo o Sofocle; ma l’insieme dei drammi e dei poemi epici, il carattere di questo o di quel poeta, è configurato per mezzo della costruzione. È determinato con ciò l’oggetto dell’interpretazione, quindi diciamo ancora: suo fine è il comprendere; ma la via alla comprensione o l’operazione attraverso cui la comprensione è prodotta, la chiamiamo interpretazione o significazione. Noi interpretiamo o significhiamo per comprendere. Il fine è anzitutto la comprensione; se questo fine è raggiunto, ne è

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den, unser erworbener Besitz; Deutung ist die Thätigkeit, durch welche wir uns in den Besitz des Verständnisses setzen. Verstehen schlechthin ist allgemein menschlich, wie sprechen und mittheilen; Verständniss schlechthin ist ein mit dem Begriffe der Sprache nothwendig gesetzter Wechselbegriff. In jedem Augenblicke wird innerhalb der Menschheit unzählig vieles verstanden, sowohl einfache Natur- und Bedürfnissrede, Noth- und Umgangssprache, als die künstlerische Rede eines Gedichts oder eines Volksvertreters. – Von diesem gemeinen Verstehen unterscheidet sich das philologische vor allem durch die künstliche Herbeiführung aller der Bedingungen, unter denen allein das Verständniss möglich ist. Dies muss ein wenig entwickelt werden. Das gemeine Verstehen geschieht unmittelbar und ist lediglich in dem psychologischen Processe enthalten, dass gehörte Sprachlaute oder gesehene Schriftzeichen im Hörenden oder Lesenden dieselben Gedanken erregen, durch welche sie im Sprechenden oder Schreibenden veranlasst waren. Dieser Process mag gar nicht einfach sein, und ihn zu erklären mag die Psychologie immerhin viel Mühe haben; aber er ist mit dem Leben schlechthin gegeben: wer vollsinnig und gesunden Geistes ist und in menschlicher Gesellschaft lebt, der versteht auch. Das gemeine Verständniss ist freilich nicht bedingungslos; aber die Bedingungen sind unmittelbar durch die menschliche Organisation und das gesellige Leben gegeben. Die Formel für solches Verständniss kann darum einfach angesetzt werden: ein Gedankeninhalt P veranlasst im Redenden eine Lautreihe L, und diese Lautreihe L erregt im Hörenden wiederum jenen Gedankeninhalt P. Also P = L und L = P. Anders das philologische Verstehen. Hier müssen die nicht unmittelbar gegebenen Bedingungen des Verständnisses künstlich herbeigeschafft werden; es ist ein vermitteltes Verstehen. Das gemeine unmittelbare Verstehen ist ein Ereigniss; das philologisch vermittelte ist eine That. Dem Philologen ist streng genommen zunächst nur ein Laut gegeben, und der Geist, der ihn geäussert hat, ist unbekannt; also x = L und folglich L = x. Vorausgesetzt wird nun, dass x ein Moment P im Geiste des Philologen sei, wie es in dem des Autors war, oder dass es wenigstens im Geiste des

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risultata la comprensione, essa è nostro possesso acquisito; l’interpretazione è l’attività attraverso cui ci poniamo in possesso della comprensione. Comprendere è per eccellenza umano, come parlare e comunicare; il concetto della comprensione è posto necessariamente in modo intercambiabile col concetto di lingua. In ogni istante all’interno dell’umanità si comprende moltissimo: tanto la semplice lingua naturale e legata ai bisogni, la lingua immediata e corrente, quanto il discorso artistico di una poesia o di un rappresentante del popolo. – La comprensione filologica si distingue da quella comune anzitutto per mezzo della produzione artificiale di tutte quelle condizioni sotto cui, soltanto, la comprensione è possibile. Questa considerazione deve essere un po’ sviluppata. Il comprendere comune avviene immediatamente ed è soltanto contenuto nel processo psicologico per cui i suoni linguistici sentiti, o i segni scritti osservati, stimolano in chi ascolta e in chi legge gli stessi pensieri attraverso cui quei suoni e quei segni furono suscitati in chi parla e in chi scrive. Questo processo può non essere per nulla semplice e per spiegarlo la psicologia può far molta fatica; ma è dato in assoluto con la vita: chi è uno spirito assennato e sano, e vive in una società umana, comprende anche. La comprensione comune tuttavia non è priva di condizioni; ma le condizioni sono date immediatamente attraverso l’organizzazione umana e la vita sociale. La formula per questo tipo di comprensione può pertanto esser posta semplicemente in questo modo: un contenuto di pensiero P provoca in chi parla una serie di suoni S, e questa serie di suoni S stimola in chi ascolta di nuovo il contenuto di pensiero P. Dunque P = S e Sയ=യP. Qualcosa di diverso è il comprendere filologico. Qui le condizioni della comprensione che non sono date immediatamente, sono procurate in modo artificiale; si tratta di un comprendere mediato. Il comprendere comune immediato è un evento; quello filologico mediato è un atto7. Al filologo è dato, in senso rigoroso, anzitutto soltanto un suono e lo spirito che lo ha emesso è sconosciuto; dunque x = S e di conseguenza S = x. Si supponga ora che x sia un momento P nello spirito del filologo, come lo fu in quello dell’autore, o che esso possa

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Philologen ein solches Moment P werden könne; und darauf wird die Forderung gegründet, der Philologe [29/536] solle dem x das P substituiren. Das ist eine Rechnung, eine freie wissenschaftliche Thätigkeit, eben Interpretation oder Deutung. Diese Substitution des P statt des x ist nicht möglich durch eine Analyse des L, denn L ist eben nur x, ein Fragezeichen, eine Null; sondern eine Synthesis, eine mehr oder weniger verzweigte, thut noth: das gesuchte P kann nur durch Vergleichung und Deduction gefunden werden. Daher ergibt sich aus dem ersten, eben dargelegten Unterschied zwischen gemeinem und philologischem Verstehen, der in der Vermittlung liegt, sogleich der andere, dass das gemeine Verstehen nur die einzelne Mittheilung erfasst, das philologische dagegen das Mitgetheilte als ein Einzelnes in seinem allseitigen Zusammenhange mit den allgemeinen Mächten, welche das Bewusstsein constituiren, wissenschaftlich erkennt. Es wird z. B. ein Wort nur dann philologisch verstanden, wenn es auf einen Stamm zurückgeführt wird, der das Allgemeine zu unzähligen einzelnen Wörtern bildet, und auf eine grammatische Bildungsweise, welche in noch höherem Sinne das Allgemeine bildet, in welchem die gegebene Wortform entstanden ist. Darin liegt eben zunächst die Vermittlung des philologischen Verstehens, dass das einzelne gehörte oder gelesene Wort auf Stamm und Formungsregel zurückgeführt wird. So ergibt sich aber auch ohne weiteres noch ein dritter Unterschied. Indem der Philologe bemüht ist, sich die Bedingungen zum Verständniss künstlich herbeizuschaffen, kann er nur dadurch zum Ziele gelangen, dass er sich die Bedingungen klar macht, unter denen sowohl das P als auch das L, der Gedankeninhalt und die Sprachform, im Bewusstsein des Redenden erzeugt sind. Das liegt im Wesen des Verstehens. Soll im Bewusstsein des Philologen die Gleichung L = P entstehen, so ist dies streng genommen nur dadurch möglich, dass er die primitivere Gleichung P = L herstellt, d. h. den Process, der im Geiste des Autors stattgefunden hat, in seinem Geiste wiederholt. Aus diesen Unterschieden wird weiter klar, dass im philologischen Verstehen weit mehr liegt als im gemeinen; während nämlich dieses bloss das enthält, was eben in der Mittheilung lag, trägt der Philologe in sein Verständniss nicht nur den mit-

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per lo meno diventare un tale momento P nello spirito del filologo; e su ciò è fondata la pretesa che il filologo [29] debba sostituire alla x la P. Il che è un calcolo, una libera attività scientifica, appunto l’interpretazione o la significazione. Questa sostituzione di P al posto di x non è possibile attraverso un’analisi di S, giacché S è appunto soltanto x, un punto di domanda, un nulla; ma è necessaria una sintesi più o meno ramificata: il contenuto P ricercato può essere trovato solo attraverso la comparazione e la deduzione. Pertanto dalla prima differenza esposta tra comprendere comune e filologico, che consiste nella mediazione di quello filologico, risulta l’altra secondo cui il comprendere comune coglie soltanto la singola comunicazione, quello filologico, al contrario, conosce scientificamente quel che è comunicato come qualcosa di singolo nelle sue molteplici connessioni con le facoltà generali che costituiscono la coscienza. Ad esempio, una parola è compresa filologicamente soltanto quando è ricondotta a una radice che costituisce l’universale per innumerevoli singole parole o a un tipo di costruzione grammaticale che costituisce l’universale in senso ancora più alto, [quell’universale] entro cui è sorta la forma della parola data. In questo, appunto, consiste anzitutto la mediazione del comprendere filologico, che la singola parola ascoltata o letta è ricondotta alla radice e alla regola di formazione. In tal modo risulta però, senz’altro, una terza differenza. Dal momento che il filologo si sforza di procurarsi artificialmente le condizioni per la comprensione, può conseguire questo fine solo rendendosi chiare le condizioni sotto le quali tanto P quanto S, il contenuto di pensiero e la forma linguistica, sono prodotte nella coscienza di chi parla. Questo sta nell’essenza del comprendere. Deve sorgere nella coscienza del filologo l’uguaglianza S = P? Considerato in modo rigoroso, ciò è possibile soltanto se egli pone la primitiva uguaglianza P = S, è a dire ripete nel suo spirito il processo che ha avuto luogo nello spirito dell’autore. Da queste differenze diventa anche chiaro che nel comprendere filologico sta ben di più che in quello comune; mentre infatti quest’ultimo contiene soltanto ciò che sta appunto nella comunicazione, il filologo non porta nella sua compren-

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getheilten Inhalt hinein, sondern er hat daneben zugleich die ganze Erkenntniss, die er durch seine Synthesen gewonnen hat. Sein Verständniss ist eine mehr oder weniger reiche deductive Erkenntniss. – Aus gleichem Grunde aber liegt im philologischen, im erkennenden Verstehen auch mehr als in der Rede an sich, und der Philologe versteht den Redner und Dichter besser als dieser sich selbst und besser als ihn die Zeitgenossen schlechthin verstanden haben: denn er macht klar bewusst, was in jenem nur unmittelbar und thatsächlich vorlag. Soviel über Interpretation überhaupt. Kommen wir nun zu ihren verschiedenen Formen oder Richtungen. Die Kenntniss der Schrift vorausgesetzt, ist dasjenige, was für den Philologen als Gegebenes gilt, eine Reihe von Lauten. Diese aber haben einen Sinn; sie deuten auf Geist. Den Sinn aufdecken, auf den der Laut deutet, heisst den Laut deuten. Man muss also nicht fragen, was gedeutet werde, der Laut oder der Sinn? Sie werden mit einem Schlage beide gedeutet, indem der Sinn zum Laute gefunden wird. Die Interpretation beginnt also damit, den Sinn des Wortes, weiter den des Satzes und dann die Verbindung der Sätze zu bestimmen: und so ist die erste Form der Interpretation, welche die Grundlage für alle weitere philologische Operation bietet, die [30/537] grammatische Interpretation. So heisst sie, weil sie den geschriebenen Sprachlaut deutet, d. h. den Sinn der Rede entziffert, insoweit er im Worte an sich liegt, in den Sprachelementen. Der Sinn liegt aber in der That nur zum Theil im Worte an sich. Wir verschweigen beim Reden sehr viel, und zwar sehr Wesentliches, was doch hinzugedacht werden muss, wenn es verstanden werden soll. Wir sprechen immer aus bestimmten Lagen und Verhältnissen, äusseren und inneren, heraus, und erst durch die Beziehung des Gesagten auf diese realen Verhältnisse erhält die Rede ihren concreten Sinn. Das an sich immer nur abstracte Wort wird erst dadurch erfüllt, dass es auf die concreten Anschauungen und Begriffe von Dingen und Sachen bezogen oder gedeutet wird. Jede Mittheilung ist eine Hindeutung des Redenden auf gewisse Punkte der körperlichen oder geistigen Umgebung, von welcher Hindeutung das Wort nur einen abstracten

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sione solo il contenuto comunicato, ma assieme a esso ha anche l’intera conoscenza che ha conseguito attraverso la sua sintesi. La sua comprensione è una più o meno ricca conoscenza deduttiva. – Per la stessa ragione nel comprendere filologico, nel comprendere conoscitivo, sta anche più di quanto vi è in ciò che è detto in sé e il filologo comprende chi parla, il poeta, meglio di come costui comprende se stesso, meglio di come lo hanno compreso i contemporanei tout court, giacché egli, consapevolmente, rende chiaro ciò che in quello si trovava solo in forma immediata ed effettiva. Questo a proposito dell’interpretazione in generale. Passiamo ora alle sue diverse forme o direzioni. A parte la conoscenza della scrittura, quel che vale come dato per il filologo è una serie di suoni. Questi hanno però un senso, rimandano allo spirito. Scoprire il senso a cui il suono rimanda significa interpretare il suono. Non bisogna allora chiedere cosa è interpretato, il suono o il senso. Sono entrambi interpretati in un sol colpo dal momento che il senso è trovato col suono. L’interpretazione inizia dunque in questo modo: determinare il senso della parola, più avanti quello della frase, e poi quello dell’associazione di frasi; e così, la prima forma dell’interpretazione, quella che offre la base per ogni ulteriore operazione filologica, è [30] l’interpretazione grammaticale8. Essa si chiama così perché interpreta il suono linguistico scritto, è a dire decifra il senso del discorso nella misura in cui esso si trova nella parola in sé, negli elementi della lingua. Il senso sta però nell’atto, e solo in parte nella parola in sé. Noi nel discorso taciamo molto, e invero qualcosa di molto essenziale, ciò che, se dev’essere compreso, deve essere aggiunto col pensiero. Noi prorompiamo in parole sempre a partire da determinate condizioni e rapporti, esterni e interni, e il discorso ottiene il proprio senso concreto attraverso la relazione di ciò che è detto con questi rapporti reali. La parola, in sé sempre soltanto astratta, è riempita anzitutto per il fatto che è rapportata e interpretata in relazione alle intuizioni concrete e ai concetti delle cose e dei fatti. Ogni comunicazione è un riferimento di chi parla a punti precisi dell’ambiente corporeo o spirituale e di una tale indicazione la parola con-

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Theil enthält. Die Kenntniss der natürlichen und menschlichen Lebensverhältnisse, in denen der Redner und ebenso der zeitgenössische unmittelbare Hörer athmet und denkt und fühlt, muss vom Philologen künstlich zum Verständniss herangebracht werden. Denn nur insofern sie mittelbar oder unmittelbar vorhanden ist, kann das Verständniss gelingen; und wo sie fehlt, muss Missverständniss eintreten. Dies kann durch philologische Fehler, aber auch ebensowohl durch manche Anekdote aus dem Leben verdeutlicht werden. Ich erinnere der Kürze halber nur an den Soldatenburschen, von dem Reuter erzählt: er sollte die Besuchsfahrt seines Officiers neben dem Kutscher mitmachen und bei den betreffenden Herrschaften die Karten abgeben. Er hatte dazu bei der Abfahrt den Befehl erhalten, die Karten einzustekken. Diesem Befehle kam der Bursche pünktlich nach und reichte bei den Besuchen den Herrschaften bald die grüne Dame, bald Schellensieben u.s.w. ab. Wer dem armen Burschen die wirkliche Aufklärung hätte geben wollen, hatte ihm zu den Worten seines Officiers, deren grammatisches Verständniss er hatte, eine Sacherklärung, die interpretatio rerum, geben müssen. Bei dieser zweiten, der sachlichen Interpretation, erklärt man die Rede durch den gesammten Kreis von objectiven und subjectiven Elementen des Nationalgeistes, also aus den Anschauungen und Begriffen, aus den Vorstellungsweisen, Ansichten, Meinungen und Urtheilen, wie sie sich aus umgebenden Naturgegenständen und Naturverhältnissen und auch aus geschichtlichen Ereignissen, aus Einrichtungen und Sitten, Zuständen und Beschäftigungen im Volksgeiste gebildet haben. Solche Interpretation können die naivsten Schriftsteller am wenigsten entbehren, z. B. Homer. Ohne homerische Alterthümer, homerische Theologie und Ethik wird Ilias und Odyssee nicht verstanden. Ueber „guten Morgen“ mag die grammatische Interpretation viel zu sagen wissen – dies Wort bliebe unverstanden, wenn nicht die sachliche Interpretation lehrte, dass es nach üblicher Sitte eine Grussformel ist. Die reflectirteren Autoren aber wimmeln von absichtlichen Anspielungen auf Personen, Ereignisse, Denkweisen; sie bedienen sich vielfach der Termini und der Schlagwörter. Das ganze Werk verdankt seine Entstehung oft einer geschichtlichen oder

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tiene soltanto una parte astratta. La conoscenza dei rapporti vitali naturali e umani, nei quali respirano, pensano e sentono colui che parla e chi immediatamente e contemporaneamente ascolta, deve essere portata dal filologo a comprensione in modo artificiale. Giacché solo nella misura in cui essa è mediatamente o immediatamente presente, la comprensione può riuscire e dove essa manca si è in presenza della mancata comprensione. Ciò può essere illustrato per mezzo di errori filologici, ma anche, altrettanto bene, da alcuni aneddoti tratti dalla vita. Ricordo solo in breve l’attendente di cui parla Reuter: egli doveva solo seguire vicino al cocchiere la visita del suo ufficiale e consegnare le carte alle autorità interessate. Alla partenza perciò aveva avuto l’ordine di portarsi le carte. E tale ordine l’attendente adempì puntualmente e porse alle autorità, durante la visita, ora la donna di fiori ora il sette di quadri etc.9. Chi avesse voluto dare al povero attendente la spiegazione reale, avrebbe dovuto offrirgli riguardo alle parole del suo ufficiale, di cui aveva una comprensione grammaticale, una spiegazione reale, l’interpretatio rerum. In relazione a questo secondo tipo, l’interpretazione reale, il discorso è spiegato attraverso il circolo completo degli elementi oggettivi e soggettivi dello spirito nazionale, è a dire dalle intuizioni e dai concetti, dunque, dai tipi di rappresentazione, dalle vedute, dalle opinioni e dai giudizi, così come si sono costituiti nello spirito del popolo a partire dagli oggetti della natura circostante e dai rapporti naturali dati e anche dagli eventi storici, dalle istituzioni e dai costumi, dalle condizioni in cui lo spirito del popolo si trova e dalle attività che in esso hanno luogo. Gli scrittori più immediati, ad esempio Omero, non possono quasi rinunciare a tale interpretazione. Senza le antichità omeriche, senza la teologia e l’etica omerica, l’Iliade e l’Odissea non sono comprese. Su “buon giorno” l’interpretazione grammaticale può esser in grado di dir molto – questa parola, tuttavia, rimarrebbe incompresa se l’interpretazione reale non insegnasse che essa, secondo l’uso comune, è una formula di saluto. Gli autori più portati all’elaborazione riflettente10, però, brulicano di allusioni intenzionali a persone, eventi, modi di pensare; si servono variamente di espressioni e formule. L’intera opera spesso deve la sua nascita a una ra-

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gerichtlichen Veranlassung, einem Ereignisse oder einer Sitte: dies alles muss man kennen, um ein Werk zu verstehen. Die Interpretatio rerum soll nicht antiquarische und historische Kenntnisse entwickeln und darstellen: denn das ist Aufgabe der Construction; aber sie hat aus der gewonnenen Kenntniss des Lebens der antiken Völker die vorliegende Stelle eines Schriftwerks [31/538] zu deuten: gerade wie die Interpretatio verborum nicht Etymologie und Grammatik construiren, sondern aus diesen und aus dem Sprachgebrauch den Sinn des vorliegenden Wortes und Satzes finden soll. Die grammatische Interpretation wird durch die sachliche ergänzt; sie bedarf aber einer weitern Ergänzung. Sie erklärt das Wort und dessen syntaktische Fügung aus dem allgemeinen Sprachbewusstsein des Volkes, und sie sucht auch den Zusammenhang der Sätze auf; aber das kann sie doch nur, insoweit die Sätze durch Conjunctionen und sprachliche Mittel überhaupt verbunden sind. Sie muss auch ohne solche sprachliche Stützen den Zusammenhang erfassen, weil sie sonst den Sinn der Sätze an sich und der einzelnen Worte nicht finden könnte. Abgeschlossen aber wird diese Bemühung, die sich auf das Ganze richtet, erst durch eine eigenthümliche Form der Interpretation, die stilistische. Wie die Grammatik durch die Stilistik ergänzt wird, so die grammatische durch die stilistische Interpretation. Ihr liegt es ob, den Grundgedanken, die Tendenz des Ganzen, die Einheit des Redewerks darzulegen, und wie sich der Hauptgedanke entweder wie ein rother Faden durch alle Einzelheiten hindurchzieht, oder wie er sich zerlegt und gliedert, sich entwickelt. Ihr Object ist also die Composition des Redewerkes. Wenn die grammatische Interpretation den Sinn in seinem Zusammenhange erfasst, so betrachtet die stilistische das Ganze in seiner Gliederung; jene mag inductiv heissen, dann wäre diese deductiv. Sie erst macht aus Tendenz und Composition jeden Gedanken und den Bau jedes Satzes, die Wortstellung und selbst die Anwendung gerade dieses einzelnen Wortes begreiflich. Sie erklärt auch die Wahl des Metrums oder des Rhythmus. So haben wir drei Interpretationsweisen gefunden. Man hat auch von einer logischen Interpretation gesprochen. Ich wüsste

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gione storica o giudiziaria, a un evento o a un motivo di costume, bisogna conoscere tutto ciò per comprendere un’opera. L’interpretatio rerum non deve sviluppare e esporre conoscenze antiquarie e storiche: poiché questo è compito della costruzione; ma deve interpretare la posizione presente di un’opera scritta a partire dalla conoscenza conseguita della vita dei popoli [31] antichi: esattamente come l’interpretatio verborum non deve costruire l’etimologia e la grammatica, ma deve scovare a partire da queste e dall’uso linguistico il senso delle parole e delle frasi presenti. L’interpretazione grammaticale è completata da quella reale; ma necessita di un ulteriore completamento. Essa spiega la parola e il suo costrutto sintattico a partire dalla coscienza linguistica generale del popolo e cerca di spiegare anche la connessione delle frasi; ma può far ciò solo nella misura in cui le frasi sono legate per mezzo di congiunzioni e, in generale, di mezzi linguistici. Essa deve cogliere la connessione anche senza tali sostegni linguistici, perché altrimenti potrebbe non trovare il senso delle frasi in sé e delle singole parole. Questo sforzo che si orienta al tutto, però, è portato a termine per mezzo di una forma peculiare di interpretazione, quella stilistica. Come la grammatica è completata attraverso la stilistica, così l’interpretazione grammaticale è completata attraverso l’interpretazione stilistica. E’ suo compito esporre il pensiero di fondo, la tendenza dell’intero, l’unità dell’opera linguistica ed è suo compito mostrare come il pensiero principale ricorra quale filo rosso che attraversa tutte le singolarità o come esso si scomponga, si articoli e si sviluppi. Il suo oggetto è dunque la composizione dell’opera linguistica. Se l’interpretazione grammaticale coglie il senso nella sua connessione, l’interpretazione stilistica prende in considerazione l’intero nella sua suddivisione; quella può chiamarsi induttiva, allora questa sarebbe deduttiva. Essa rende anzitutto comprensibile ogni pensiero e la costruzione di ogni frase, la posizione della parola e la stessa utilizzazione di ogni singola parola a partire dalla tendenza e dalla composizione. Spiega anche la scelta del metro o del ritmo. Così abbiamo trovato tre modi dell’interpretazione. Si è anche parlato di un’interpretazione logica. Non saprei quale

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nicht, welche Aufgabe einer solchen nach der gegebenen Auffassung der grammatischen und der stilistischen Deutung noch zufallen könnte. Wollte man aber eine dieser beiden oder beide zusammengenommen logisch nennen, so wäre das wohl nicht richtig: denn nicht jeder Zusammenhang, wie sehr auch begründet, ist darum logisch, wie so oft in der Poesie. Mit den drei besprochenen Interpretationsweisen aber deuten wir bloss das Vorliegende ohne jede über dasselbe hinausgehende Rücksicht; deuten es zwar nach seinem Inhalte und seiner Form, deuten es mit allem, was in und an ihm ist, aber lediglich aus drei allgemeinen geistigen Mächten, nämlich aus dem nationalen Sprachgeist, aus dem nationalen praktischen und theoretischen Leben und, was für die Darstellung besonders zu erwägen ist, aus den nationalen Kunstformen, ohne jedoch etwaige besondere Modificationen zu beachten. Auch dies aber ist für das volle und treue Verständniss unentbehrlich. Um eine Rede wahrhaft und vollkommen zu verstehen, muss man auch beachten, wer da spricht: denn duo cum dicunt idem, non est idem. Das Redewerk verlangt also nach jenen drei Interpretationen aus dem allgemeinen Geiste oder dem Gemeingeiste viertens auch eine individuelle Interpretation, d. h. Deutung aus der Eigenthümlichkeit des Schriftstellers. Der Grundgedanke, der Zusammenhang der einzelnen Theile, der Fortgang der Gedanken wird oft nur verstanden, und selbst das einzelne Wort nur dann richtig erfasst, wenn die eigenthümliche Denk- und Darstellungsweise des Schriftstellers beachtet wird. Demnach ist natürlich sowohl die grammatische als auch die stilistische Interpretation von der individuellen häufig beeinflusst; diese dürfen das Wort nicht immer so [32/539] fassen, wie es im allgemeinen Volksbewusstsein liegt, sondern zuweilen so, wie der Schriftsteller es individuell gestempelt hat, und müssen beachten, wie die allgemein herrschende Compositionsform individuell umgestaltet ist. Darum aber versteht es sich auch von selbst, dass die individuelle Interpretationsweise gar nicht als eine für sich bestehende Art gedacht werden kann, dass sie nur die drei erst genannten Arten begleitet und modificirt, dass sie also immer

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compito potrebbe ancora addirsi a una tale interpretazione dopo la concezione offerta dell’interpretazione grammaticale e dell’interpretazione stilistica. Ma se si volesse definire logica una di queste due o le si volesse definire logiche entrambe, ciò sarebbe senz’altro inesatto: giacché non ogni connessione, per quanto – pure – ben fondata, è per questo logica, come accade spesso nella poesia. Con i tre modi d’interpretazione detti, però, interpretiamo soltanto ciò che è presente senza quella considerazione che si eleva oltre esso; lo interpretiamo invero secondo il suo contenuto e la sua forma, lo interpretiamo con tutto ciò che è in esso, ma soltanto a partire dalle tre potenze spirituali universali, è a dire dallo spirito linguistico nazionale, dalla vita nazionale pratica e teoretica e, ciò che è da menzionare in modo particolare per la rappresentazione, dalle forme dell’arte nazionale e tuttavia senza prestare attenzione a eventuali modificazioni particolari. Anche questo però è indispensabile per una piena e fedele comprensione. Per comprendere un discorso in modo veritiero e completo bisogna anche considerare con attenzione chi parla: giacché duo cum dicunt idem, non est idem.11 Il discorso richiede anche, dopo quelle tre interpretazioni prodotte dallo spirito universale o dallo spirito comune, in quarto luogo, un’interpretazione individuale, è a dire un’interpretazione che parta dalla specificità dello scrittore. Il pensiero di fondo, la connessione delle singole parti, il processo del pensiero spesso sono compresi soltanto, e la stessa singola parola è colta nel modo esatto soltanto, se è preso in considerazione il peculiare modo di rappresentare e di pensare dello scrittore. Di conseguenza spesso sia l’interpretazione grammaticale sia quella stilistica sono influenzate da quella individuale; queste possono coglier la parola non sempre così [32] come si trova nella coscienza del popolo, ma a volte così come lo scrittore l’ha plasmata individualmente, ed esse devono considerare con attenzione come la forma di composizione dominante in generale è trasformata in senso individuale. Si capisce pertanto da sé che il modo d’interpretazione individuale non può esser pensato per nulla come un tipo d’interpretazione che sta a sé, si capisce che esso accompagna e modifica

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nur als individuell-grammatisch oder individuell-stilistisch oder individuell-sachlich geübt werden kann. Ich sage: auch individuell-sachlich: denn wie der Sprachschatz nicht allen Individuen in gleichem Masse zu Gebote steht, so verfügt ja der Schriftsteller noch weniger über den ganzen Schatz von Anschauungen und Begriffen, von Kenntnissen und Urtheilen des Volksgeistes. Dies zu beachten ist namentlich für die Interpretation des Dramas wichtig, bei welchem eine doppelte Individualität zur Erscheinung kommen kann, in der des Dichters auch die der dramatischen Person. Der Charakter einer Rolle aber wird kaum so sehr durch das Wort als durch den Kreis seiner Anschauungen und seine Art, die Dinge anzuschauen, gezeichnet: denn die Anschauungsweise ist das primäre; das Wort ergibt sich erst aus dieser. Dies gilt aber ganz allgemein; wir verstehen die Rede des Demosthenes nicht ohne seine Stellung zu Philipp, und diese nicht ohne Kenntniss seines sittlichen Charakters, seiner Sympathien und Antipathien. Durch Lebensstellung und Charakter wird aber auch Stil und Wort bedingt. Ja, auf diesem Gebiete, dem Gebiete, welches der sachlichen Interpretation anheimfällt, geschieht es sogar am leichtesten, dass sich ein Schriftsteller dem Geiste seines Volkes widersetzt, dass er sich einen Kreis von Gefühlen und Urtheilen individuell ausbildet, wie wenn z. B. ein Hellene kosmopolitische Ansichten hegt. Nach dieser Rücksicht auf die Individualität des Autors dürfen wir eine andre nicht lange vermissen, welche in der Natur des philologischen Objects liegt. Der Geist ist geschichtlich, und so verbindet sich die historische Rücksicht mit den vorher genannten vier Formen der Interpretation als eine fünfte Interpretationsweise, die historische. Wir mögen aus dem Gemeingeiste oder einem individuellen Geiste sprachlich, sachlich oder stilistisch interpretiren, immer muss uns gegenwärtig sein: zu welcher Zeit, also unter welcher historischen Beschränkung ist dieser und jener Satz geschrieben? Das Wort und die syntaktische Fügung hatten nicht zu allen Zeiten die gleiche Bedeutung; die Sitten und nationalen Vorstellungsweisen, die politische und die sociale Lage, die Formen der privaten Beschäftigung und Lebenseinrichtung, die Masse, die Kriegführung, die Religion, die Wissenschaft und

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i tre tipi suddetti, che esso può sempre e soltanto essere usato come interpretazione individuale-grammaticale, individualestilistica e individuale-reale. Dico: anche “individuale-reale”, poiché come il patrimonio linguistico non è offerto a tutti gli individui nella stessa misura, così lo scrittore dispone ancora meno dell’intero patrimonio di rappresentazioni e concetti, di conoscenze e giudizi, dello spirito del popolo. Prendere in considerazione ciò è particolarmente importante per l’interpretazione del dramma, in cui può apparire una duplice individualità, in quella del poeta, anche quella della persona drammatica12. Il carattere di un ruolo però è designato meno dalla parola che dal circolo delle sue intuizioni e dal suo modo di vedere le cose: poiché il modo di intuire è ciò che è primario; la parola risulta anzitutto da questo. Ciò vale però del tutto in generale. Non comprendiamo il discorso di Demostene senza comprendere la sua posizione nei confronti di Filippo13, né questa senza la conoscenza del suo carattere morale, delle sue simpatie e antipatie. Dal tipo di vita e dal carattere tuttavia sono condizionati anche stile e parola. Sì, in quest’ambito, nell’ambito che spetta all’interpretazione reale accade perfino con grande facilità che uno scrittore si opponga allo spirito del suo popolo, che egli si costituisca un circolo di sentimenti e giudizi individuali, come quando ad esempio un greco ha a cuore prospettive cosmopolite. Dopo questo riferimento all’individualità dell’autore non dobbiamo a lungo rimaner privi d’un altro che sta nella natura dell’oggetto filologico. Lo spirito è storico, e così la considerazione storica deve connettersi con le quattro forme precedentemente menzionate dell’interpretazione come un quinto tipo di interpretazione, quella storica. Noi possiamo a partire dallo spirito comune o a partire da uno spirito individuale interpretare linguisticamente, realisticamente o stilisticamente, ma sempre deve esserci presente ciò: in che periodo o entro quale orizzonte storico questa o quella frase è scritta. La parola e la costruzione sintattica non hanno avuto in tutte le età lo stesso significato; i costumi e i tipi di rappresentazione nazionale, le condizioni politiche e sociali, le forme dell’attività e della vita privata, la massa, il modo di condurre la guerra, la religione, la scienza e l’arte, dunque anche le forme stilistiche, tutto,

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die Künste, also auch die stilistischen Formen, alles, alles ist dem historischen Wandel unterworfen, und auch das Individuum hat seine Entwicklung. Der junge Plato ist noch nicht der alte; der alte ist nicht mehr der junge. Ja, noch mehr, die ganze Erscheinungsweise von Individualitäten, ich meine diese Weise oder Lebensform des allgemeinen Geistes, sich im Auftreten individueller Geister zu bethätigen, hat eine Geschichte: denn nicht jedes Volk und nicht jede Zeit hat Raum für die Thätigkeit individueller Geister; und sind solche vorhanden, so hat die Individualität nicht überall und immer dieselbe Macht und Bedeutung. Athen und Rom, Athen und Sparta unterscheiden sich hier wesentlich. Wir haben jetzt drei Interpretationsarten kennen gelernt: die grammatische, sachliche und stilistische, deren jede auf ein andres objectives Moment der Rede gerichtet ist; [33/540] und diese drei Arten oder Richtungen der Deutung werden sowohl mit Rücksicht auf die Individualität des Schriftstellers als mit Rücksicht auf die geschichtlichen Verhältnisse des Volkes und auch des Autors gepflegt. Mit all dem kommen wir nicht über die Auffassung des Gegebenen hinaus. Allerdings wird dieses Verstehen vollständig und ein erkennendes sein; kann aber wohl, dies wäre die Frage, der Philologe noch höher steigen? Die deutsche Philologie hat längst die Antwort hierauf gegeben, und zwar in bejahendem Sinne: der Philologe soll das erkennende Verstehen noch zum begreifenden vertiefen. Dies geschieht durch die causale Betrachtung des Redewerkes, welche eine sechste Interpretationsweise ergibt: die psychologische. Das Redewerk soll nicht bloss aufgenommen und genossen, auch analytisch charakterisirt werden, sondern auch die Genesis desselben soll begriffen, der Schöpfungsact selbst als solcher, der innere Hergang, in welchem das Bild erwuchs, soll durch die psychologische Deutung verstanden werden. Es soll, nach einem Schleiermacherschen Ausdrucke, das Werk und jeder einzelne Gedanke und die Reihung und Verkettung der Gedanken desselben als „ein hervorbrechender Lebensmoment“ begriffen werden. Es gilt einen Blick in die geistige Werkstätte. Erst hierdurch wird erfüllt, dass nicht bloss L = P, sondern auch P = L gesetzt wird. Die psychologische Interpretation setzt nicht nur voraus, dass die früher genannten Weisen ihr Amt schon bis auf einen hohen

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tutto è sottoposto al cambiamento storico, e anche l’individuo ha il suo sviluppo. Il giovane Platone non è ancora il vecchio; il vecchio non è più il giovane. E, ancor di più, l’intero modo di apparire delle individualità, intendo dire questo modo o questa forma di vita dello spirito universale per attivarsi in uno spirito individuale, ha bisogno di una storia: giacché non ogni popolo e non ogni età ha spazio per l’attività degli spiriti individuali; e se questi ci sono, l’individualità non ha ovunque e sempre lo stesso significato14. Atene e Roma, Atene e Sparta qui si differenziano in modo essenziale. Abbiamo ora conosciuto tre interpretazioni: quella grammaticale, quella reale e quella stilistica, ognuna delle quali è orientata a un diverso momento obiettivo del discorso; [33] e questi tre tipi o indirizzi dell’interpretazione sono esercitati tanto con riferimento all’individualità dello scrittore, quanto con riferimento ai rapporti storici del popolo e anche dell’autore. Con tutto ciò non giungiamo oltre la comprensione di ciò che è dato. E tuttavia questo comprendere sarà completo e avrà valore conoscitivo; ma può il filologo, questo dovrebbe interessare, salire ancor più in alto? La filologia tedesca già da lungo tempo ha risposto a ciò, ed invero in modo positivo15. Il filologo deve approfondire il comprendere conoscitivo fino al comprendere per concetti. Ciò avviene per mezzo della considerazione causale dell’opera linguistica, che produce un sesto modo di interpretazione: l’interpretazione psicologica. L’opera linguistica non deve soltanto esser recepita e goduta oppure essere caratterizzata analiticamente, ma deve essere anche compresa concettualmente la sua genesi, attraverso l’interpretazione psicologica devono essere compresi l’atto creativo in quanto tale e lo svolgimento interno originario in cui l’immagine è emersa. L’opera, ogni singolo pensiero, la serie e la concatenazione dei pensieri di essa devono essere compresi concettualmente, secondo un’espressione di Schleiermacher, come l’യ“erompere di un momento vitale”16. In proposito è opportuno uno sguardo nell’officina dello spirito. Attraverso ciò è possibile cogliere che non solo è posto Sയ=യP, ma anche Pയ=യS. Non solo l’interpretazione psicologica presuppone che i tipi prima menzionati abbiano compiuto il loro ufficio in

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Grad vollzogen haben; sondern sie ist auch nur in Verbindung mit ihnen allen möglich. So erscheint sie zwar unselbständig; aber sie bringt erst alle zu ihrer vollen Feinheit. Sie soll in die Mechanik des schriftstellerischen Geistes eindringen, indem sie alle an der Schöpfung eines Werkes betheiligten praktischen wie theoretischen, materiellen wie formalen Momente, des Gemeingeistes wie des individuellen Geistes aufzählt, mögen sie in der Zeit des Autors herrschend oder ihm aus der Vergangenheit überliefert gewesen sein; und dann soll sie diese mannichfaltigen Momente in ihrer gegenseitigen Bewegung und in ihrem Zusammenarbeiten betrachten, wie sie sich stärken durch Harmonie, sich schwächen durch Widerspruch, sich zu vollster Klarheit und Macht heben durch den Gegensatz, in den sie sich stellen: wobei es von besonderer Wichtigkeit ist, zu beachten, ob der Autor in einer Zeit des Aufstrebens oder der Reife oder des Verfalls lebte. Das soll aber die psychologische Interpretation nur zum Behufe des bestmöglichen Verstehens: denn ich verstehe am besten, was und wie etwas ist, wenn ich begreife, warum es so ist. Eben darum hat sie keinen besonderen Ort ihres Wirkens; beim durchgebildeten Philologen ist sie allgegenwärtig, und wo immer er das Höchste leistet, sei es in irgend einer Art der Deutung, in irgend einer Construction philologischen Wissens oder in irgend einer Form der Kritik: immer ist sie es, welche dem Unternehmen den eminent wissenschaftlichen Charakter verleiht. In welchem Masse ein Autor den Schatz der nationalen Sprache an Wörtern und Fügungen beherrschte, muss doch wohl der Philolog erforschen. Leistet er dies in der individuellen Interpretation? Ich meine, er leiste dies allerdings, aber nur dann, wenn sich zur individuellen die psychologische Interpretation fügt. Denn zunächst wird nur erkannt, wie viel Wörter und Fügungen ein Autor vielleicht verwendet, und wie viele er liegen lässt, wie viele er dagegen neu schafft. So weit reicht die einfache Observation. Sie mag noch weiter beachten, wie scharf begrenzt oder wie überschwankend oder auch zu eng der Ausdruck ist, wie fein die Synonyma unterschieden sind. Aber die Observation [34/541]

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alto grado, ma è resa anche possibile solo per mezzo della connessione con tutti loro. Per questa ragione, invero, appare non autonoma; ma soprattutto essa conduce tutti quei tipi alla loro più compiuta esattezza. L’interpretazione psicologica deve penetrare il meccanismo spirituale dello scrittore rendendo conto di tutti i momenti dello spirito comune e dello spirito individuale, tanto formali quanto materiali, tanto teorici quanto pratici, coinvolti nella creazione di un’opera, siano essi stati dominanti nell’epoca dell’autore o a lui tramandati dal passato; e deve poi prendere in considerazione questi momenti nel loro reciproco movimento e nella loro cooperazione, è a dire come si rafforzano attraverso l’armonia, si indeboliscono attraverso il contrasto, s’innalzano alla più compiuta chiarezza e potenza, attraverso l’opposizione in cui si pongono17: ragion per cui è di grande importanza considerare con attenzione se l’autore visse in un’epoca di sviluppo, di maturità o di declino. Ma l’interpretazione psicologia deve far ciò solo in aiuto della migliore comprensione possibile: giacché comprendo nel miglior modo cos’è e com’è qualcosa, quando afferro concettualmente perché è così. Proprio per questa ragione non vi è nessun posto particolare in cui l’interpretazione psicologica è in opera; è presente a ogni filologo istruito e ovunque costui realizzi l’impresa più alta, avvenga in un tipo qualsiasi d’interpretazione, in un tipo qualsiasi di costruzione del sapere filologico o in una qualsiasi forma di critica, è sempre l’interpretazione psicologica a conferire all’impresa eminente carattere scientifico. È il filologo a dover ricercare in che misura un autore domini il patrimonio della lingua nazionale in parole e strutture. Compie forse quest’impresa nell’interpretazione individuale? Credo che egli lo faccia di certo, ma solo se l’interpretazione psicologica si accorda a quella individuale. E ciò poiché all’inizio forse si sa soltanto quante parole e quante strutture l’autore utilizza, quante ne trascura e quante, al contrario, ne crea di nuove. La semplice osservazione giunge fin qua. Essa può ancora prendere in considerazione quanto l’espressione è finemente delimitata, o quanto è appesantita o anche fino a che punto è angusta o quanto finemente sono distinti i sinonimi. Ma l’osservazione [34] deve ben divenire psicologica, se

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muss doch wohl psychologisch werden, wenn weiter gefragt wird, warum hat er neue Wörter gebildet, alten Wörtern neue Bedeutungen gegeben? Entbehrte die nationale Sprache des Ausdrucks für des Autors neuen Gedanken? Wenn dies, warum griff er zu seiner Befriedigung gerade nach diesen Mitteln? wenn aber nicht, welchen Werth haben seine Neuschöpfungen? Um dies zu bestimmen, muss erwogen werden, wie sich des Verfassers Gedankenreichthum zum nationalen Sprachschatz verhielt. War er so reich an Begriffen? und waren diese so neu? und sind seine neuen Gebilde dem nationalen Geiste angemessen? Erst nach alle dem lässt sich sagen, wie er die Sprache beherrscht habe. – Dieselben und ähnliche Fragen kehren wieder in Bezug auf die Darstellung, die Composition. Beherrschte ein Autor die Formen der litterarischen Gattung, in der er schrieb? schreitet er in den gewohnten Geleisen einher, oder hat er sich neue Bahnen geebnet? Hat er neue Stoffe zur Bearbeitung ergriffen, und inwiefern hat er dabei den nationalen Gesichtskreis erschöpft oder gar erweitert? Wie verhält sich die Welt- und Lebensanschauung, die er bekundet, zur nationalen? Ist dies beantwortet, so handelt es sich weiter darum, seine Stärke und seine Schwäche aus dem Blicke des Autors zu erklären, aus der Weite und dem Umfang, aus der Schärfe und Eindringlichkeit oder Stumpfheit und Oberflächlichkeit des Blickes und aus der Eigenthümlichkeit des überblickten Kreises von Objecten, d. h. aus der Richtung des Blickes, ob er mehr in das eigene Innere oder nach aussen, mehr auf Menschen oder mehr auf Sachen, mehr auf Charaktere und Thaten oder auf Ereignisse und Schicksale gelenkt war. Daraus lässt sich dann Inhalt und Form seiner Erkenntnisse und Beurtheilungen, lassen sich seine Sympathien und Antipathien begreifen, lässt sich begreifen, welche Einflüsse ihm befruchtend zuströmen, und welche an ihm unbeachtet und erfolglos vorbeirauschen oder von ihm abprallen mussten. Nicht immer besteht ja zwischen den Momenten, welche das Individuum und sein Werk constituiren, diejenige Harmonie, welche wahrhaft Classisches, Vollendetes hervorbringt; sehr oft sind Auffassungsfähigkeit und Gestaltungskraft nicht in günstigem Verhältniss, und eben so oft stehen Object, Tendenz, Stilform, Nationalsprache, Metrum unter sich oder mit dem geistigen Charakter des Autors in Discrepanz. Dadurch entstehen Hemmungen und Schädigungen des auszuführenden Werkes,

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si domanda inoltre perché l’autore ha costruito nuove parole e ha dato alle vecchie nuovi significati. La lingua nazionale fu forse sprovvista delle espressioni adeguate ai nuovi pensieri dell’autore? Se ciò accadde, perché cercò soddisfazione proprio con quel mezzo? ma se non fu così, che valore hanno le sue nuove creazioni? Per determinare ciò dev’essere esaminato come il patrimonio di pensieri dell’autore si rapportò al patrimonio linguistico nazionale. Possedeva un patrimonio concettuale tanto ricco? E questi concetti erano così nuovi? E le sue nuove creazioni sono conformi allo spirito nazionale? Anzitutto, attraverso tutto ciò, si può dire in che modo egli ha dominato la lingua. – Domande come queste e simili a queste sono poste anche alla rappresentazione, alla composizione. Ha dominato un autore le forme del genere letterario in cui ha scritto? Ha marciato impettito sui binari abituali o ha spianato percorsi nuovi? Ha assunto nuovo materiale d’elaborazione e in che misura con ciò ha scandagliato o ampliato l’orizzonte nazionale? Come si rapportano la visione del mondo e della vita che egli mostra con quelle nazionali? Quando si è risposto a ciò, si tratta poi di spiegare ancora la sua forza e la sua debolezza a partire dal suo sguardo, dall’ampiezza e dall’estensione, dall’acutezza e dalla capacità di penetrazione o dall’opacità e dalla superficialità dello sguardo e dalla peculiarità del circolo degli oggetti osservati, è a dire dalla direzione dello sguardo, se esso era rivolto più all’interno o all’esterno, più agli uomini o alle cose, ai caratteri e alle azioni o agli eventi e ai destini. A partire da ciò è possibile cogliere il contenuto e la forma delle sue conoscenze e dei suoi giudizi, le sue simpatie e antipatie, quali influssi dovettero essere per lui fecondi e quali scorsero via inosservati e senza conseguenze o rimasero per lui senza effetti. Non sempre tra i momenti che costituiscono l’individuo e la sua opera vi è quell’armonia che la reale classicità e perfezione produce; molto spesso la facoltà di comprendere e la forza plasmatrice non si trovano in una relazione favorevole, e altrettanto spesso l’oggetto, la tendenza, la forma dello stile, la lingua nazionale, il metro sono in discrepanza tra di loro o col carattere spirituale dell’autore. In ragione di ciò sorgono ostacoli e danni nell’opera da produrre, come d’altra parte aiuti e arricchimenti essenziali

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wie andererseits durch den Einklang wesentliche Förderungen und Bereicherungen herbeigeführt werden. So begreift sich denn auch hier die Leichtigkeit des Fortgangs, die sachgemässe Entwicklung, voll Grazie im Vorschreiten, dort die Abgerissenheit, das Ringen mit Inhalt oder Form oder beidem; hier die Objectivität, d. h. das Aufgehen der Persönlichkeit in der Sache, dort die Subjectivitat. Da zeigt sich denn auch die Macht der Gemüthsstimmung, etwa die Ironie, in welcher der eine mit der Sache, der andere mit seiner Person spielt; die Heiterkeit und die Schwermuth, die Milde und die Bitterkeit; das Einschmeicheln, womit der Leser geführt wird, ohne es zu merken, oder das gewaltige Ergreifen, von dem er unwiderstehlich hingerissen wird. Das Gemüth erklärt den Stil; aber es verlangt auch selbst eine Erklärung: das muss doch wohl psychologische Deutung heissen. Nur noch ein ganz allgemeiner Punkt mag erwähnt werden. Im Bewusstsein jedes Autors kann die zweckmässige Composition leicht in Widerstreit gerathen mit der rein mechanisch-zufälligen Association, unter deren Mechanismus der Geist immer bleibt: dies ist der Kampf der Freiheit des Geistes mit seiner Unfreiheit. Der Reflexion, welche Gedanken sucht, sich aber dabei in bestimmter Richtung bewegt, und dabei auch der [35/542] Logik folgen will, und dann auch noch innerhalb der Compositionsformen gebannt ist, fügt sich der seelische Mechanismus, in welchem Zufall und Gewohnheit eine solche Macht üben, nicht immer derartig, dass er ihr alles darböte, was sie braucht, und gerade nur das, ohne Beimischung: wodurch sie von ihrer gewollten Richtung ganz abgelenkt werden kann. Vielleicht zeigt sich hier am klarsten der Unterschied zwischen der psychologischen und den übrigen Interpretationsformen, nämlich wo sie in Widerstreit gerathen. Die stilistische und die individuelle Deutung fordern, dass man aus dem Grundgedanken den logischen Accent bestimme, den das Wort, der Satz und der Complex von Sätzen trägt, d. h. den Grad der Wichtigkeit, der jedem für das Ganze zukommt: was Haupt-, was Nebensache ist; was Ausschmückung und Beispiel, was wirkliche und eigentliche Darlegung. Wir würden aber hierbei durch die rein sachgemässe, logische Interpretation zuweilen in Verlegenheit gerathen. Wir sehen klar, wie ein grosser Geist auf diesen Satz fällt, und wie

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sono cagionati dall’accordo di quegli elementi. Così si capisce anche perché qua regni la facilità dell’andamento, lo sviluppo adeguato, la perfetta grazia del procedere, là la mancanza di connessione, il lottare con il contenuto o la forma o con entrambi; qui l’oggettività, è a dire l’innalzarsi della personalità nella cosa, lì la soggettività. E quindi si mostra anche il potere del temperamento, una certa ironia, grazie a cui l’uno gioca con la cosa, l’altro con la sua persona; la serenità e la malinconia; la dolcezza e l’amarezza; la lusinga con cui il lettore, senza accorgersene, è guidato o la presa potente da cui egli è irresistibilmente rapito. Lo spirito spiega lo stile; ma anche esso richiede una spiegazione: questa deve chiamarsi interpretazione psicologica18. Può essere ancora citato un solo punto, del tutto generale. Nella coscienza d’ogni autore la composizione orientata a un fine può facilmente entrare in contraddizione con la pura associazione meccanica-accidentale entro cui il meccanismo dello spirito è destinato a rimanere: ciò rappresenta la lotta della libertà dello spirito e della sua mancanza di libertà. Il meccanismo psichico, in cui il caso e l’abitudine esercitano un potere tanto grande, non sempre si piega alla riflessione – che cerca i pensieri, [35] che si orienta con ciò in una determinata direzione, che inoltre vuol anche seguire la logica ed è instradata entro le forme della composizione – non sempre si accorda con la riflessione, così da offrirle tutto ciò di cui ha bisogno e soltanto questo, senza una mescolanza di elementi, a causa della quale la riflessione può essere completamente deviata dalla direzione perseguita. Forse qui si mostra, nel modo più chiaro, la differenza tra la forma d’interpretazione psicologica e le restanti, proprio dove esse entrano in contraddizione. L’interpretazione stilistica e individuale richiedono che dai pensieri fondamentali si determini l’accento logico che la parola, la frase, il complesso delle frasi portano, è a dire che si determini il grado di importanza che ognuno ha rispetto all’intero, ciò che è principale e ciò che è secondario; ciò che è ornamento ed esempio e ciò che è vera e propria esposizione. In proposito saremmo talvolta in difficoltà con la pura interpretazione logica oggettiva. Vediamo chiaramente come un grande spirito ricade su que-

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nebensächlich jener ist; im Bewusstsein des Autors aber hat sich das Verhältniss durch irgend einen mechanischen Einfluss verschoben. Das Nebensächliche hat eine Macht gewonnen, die ihm nicht zukommt, und dadurch ein wichtiger Satz seine Bedeutung verloren. So nimmt denn natürlich der Gedankengang eine Wendung, die nach einfacher Interpretation unverständlich wird, und die nur durch psychologische Deutung aufgeklärt wird. So lehrt die psychologische Betrachtung begreifen, warum ein vielleicht sehr begabter Dichter den Kranz in diesem Falle, aber nicht in jenem erreicht hat. Indem wir aber so die Genesis des Werkes begreifen, verstehen wir erst den Schriftsteller auch genetisch und erst damit vollständig. Allerdings muss sich der Philologe auch zuweilen auf die geistige Pathologie verstehen. Nach dieser Darlegung der Interpretationsrichtungen wird wohl das vollkommen gerechtfertigt sein, was ich oben über das Verhältniss des philologischen Verstehens zum gemeinen bemerkt habe, und inwiefern in jenem unendlich mehr liegt als in diesem. Das Wichtigste aber scheint mir nun Folgendes zu sein. Das gemeine Verstehen kann richtig sein: so nennen wir es, wenn es die Meinung des Redenden erfasst. Niemals aber kann das gemeine Verständniss wahr heissen. Denn wenn auch eine Wahrheit mitgetheilt wird, so kann auch sie nur richtig verstanden werden; und das Unwahre wird genau eben so richtig verstanden. – Das philologische Verständniss dagegen erhebt sich von der einfachen Auffassung eines Mitgetheilten zur Erkenntniss und zum Begreifen einer geistigen Thatsache. Solch ein genetisches Begreifen einer Rede kann an sich, ohne Rücksicht auf den Werth der verstandenen Rede, wahr und tief, kann eine erhebende Erkenntniss sein, gerade so wie der Werth einer naturwissenschaftlichen Erkenntniss unabhängig ist von dem Werthe des erkannten Wesens. Das philologische Verständniss hat, noch abgesehen von seinem Object, auch an sich einen werthvollen Inhalt. Wo der Philologe seine Aufgabe völlig gelöst hat, da ist sein Verständniss nicht nur kein blosses Ereigniss, und nicht nur eine That; sondern da ist es eine Schöpfung. (Bravo.)

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sta frase e quanto quella sia marginale; eppure nella coscienza dell’autore il rapporto si è spostato attraverso un qualche influsso meccanico. Ciò che è marginale ha guadagnato un potere che non gli si addice e così una frase importante ha perso il suo significato. Così il corso dei pensieri compie una svolta che è incomprensibile secondo l’interpretazione semplice e che è spiegata soltanto dall’interpretazione psicologica. La considerazione psicologica comprende concettualmente perché un poeta dotato s’è cinto d’alloro in questo caso, ma non in quello. Comprendendo concettualmente in questo modo la genesi dell’opera, comprendiamo anche geneticamente lo scrittore e con ciò lo comprendiamo a pieno. Tuttavia, talvolta, il filologo deve anche volgersi alla comprensione della patologia spirituale. Secondo questa esposizione delle direzioni dell’interpretazione sarà anche pienamente giustificato quanto ho notato prima a proposito del rapporto tra comprendere filologico e comprendere comune, e in qual misura in quello sia contenuto infinitamente più che in questo. Mi sembra però che la cosa più importante sia la seguente. Il comprendere comune può essere giusto: lo definiamo così, quando capisce ciò che intende chi parla. Ma la comprensione comune non può mai dirsi vera. Giacché quand’anche è comunicata una verità, essa, così, può soltanto essere compresa nel modo giusto; e ciò che non è vero può essere compreso, parimenti, nel modo giusto. – La comprensione filologica, al contrario, s’innalza dal semplice intendimento di ciò che è comunicato alla conoscenza e alla comprensione concettuale di un fatto spirituale. Una tale comprensione genetica di un discorso può essere vera e profonda in sé, senza riferimento al valore del discorso compreso, può essere una conoscenza che innalza, così come il valore di una conoscenza scientifica della natura è indipendente dal valore dell’essenza conosciuta. La comprensione filologica, a prescindere dal suo oggetto, ha anche in sé un contenuto ricco di valore. Dove il filologo ha compiuto pienamente il suo compito, la sua comprensione non è soltanto un semplice evento, non solo un atto, bensì una creazione.

2.

AUGUST. BÖCKH, ENCYKLOPÄDIE UND METHODOLOGIE DER PHILOLOGISCHEN WISSENSCHAFTEN. (1878)

An den Früchten erkennt man den Baum. Wahrlich, der Baum, der Böckhs Encyklopädie zeitigte, ist längst bekannt, bekannt als einer der edelsten im Garten der Geschichte; es ist die Humanitäts-Idee, gepflegt von Winkelmann und Lessing, Herder und Kant, Schiller und Goethe. Was er gespendet ist so mannichfach an Fleisch und Farbe, an Saft und Duft, und doch gleichartig im innersten Kern. – Doch wozu davon reden? Man lernt an den Früchten noch etwas kennen: nicht bloß den Baum, der sie getragen hat, sondern auch den Geschmack und das Urteil der Menschen, denen sie zum Genusse geboten sind. Doch auch dies, wozu davon reden? Dass Böckh unter den Männern seiner Zeit eine ausgezeichnete Stellung einnimmt, das sage ich nur, um den Anknüpfungspunkt zu gewinnen; dass aber das angezeigte Buch die Quintessenz der Philologie jener Zeit enthält, den Geist jener Bestrebungen am vollständigsten und reinsten, also auch am fassbarsten ausgesprochen hat: das sollte in dem Folgenden klar gemacht werden. Ich bin kein müßiger Lobredner der vergangenen Zeit; ich bilde mir ein, die Mängel derselben so gut und besser zu kennen, als alle diejenigen, welche sich deren Geiste widersetzen, von ihm abwenden zu müssen glauben. Kritik üben – [236/544] wer hat das gelehrt, wenn nicht gerade das zurückgelegte Jahrhundert? Aber die eine Richtung aufgeben und die entgegengesetzte einschlagen ist nicht Kritik, sondern ist der Gang des Taumelnden. – Sorgfältiges Aufsuchen des Tatsächlichen, Achtung vor demselben – wer kann darin die Meister der deutschen Philologie übertreffen? Aber wer, aus Furcht sich zu zersplittern, sich in einem Winkel der Wissenschaft einwühlt, der macht sich von vorn

2.

DISAMINA DELL’ENCICLOPEDIA E METODOLOGIA AUGUST BÖCKH19

DELLE SCIENZE FILOLOGICHE DI

(1878)

[235] Dai frutti si riconosce l’albero. In verità, l’albero che l’Enciclopedia di Böckh ha prodotto è conosciuto da lungo tempo e lo è come uno dei più nobili nel giardino della storia; è l’Idea di Umanità coltivata da Winkelmann e Lessing, Herder e Kant, Schiller e Goethe. Quel che quest’albero ha offerto è tanto vario per polpa e colore, linfa e profumo e persino nel più interno nocciolo, che bisogna chiedersi a che scopo parlarne? Dai frutti si conosce ancora qualcosa d’altro. Non solo l’albero che li ha prodotti, ma anche il gusto e il giudizio degli uomini a cui sono offerti. Anche di ciò, dunque, perché parlare? Che Böckh occupi tra i suoi contemporanei un posto privilegiato, lo dico solo come punto d’avvio; ma che il libro indicato contenga la quintessenza della filologia di ogni età, esprima nel modo più compiuto, puro e comprensibile, lo spirito di tutti gli sforzi precedenti: ciò dovrebbe essere spiegato da quanto segue. Io non sono un ozioso panegirista del passato; presumo di conoscerne le insufficienze tanto bene e (perfino) meglio di tutti coloro che si oppongono a quegli spiriti e credono di dover volgere al passato le spalle. Esercitar la critica – [236] chi ha insegnato ciò se non, proprio, il secolo scorso? Ma l’abbandonare una direzione e l’imboccar l’opposta non è “critica”, quanto il modo di procedere dell’ebbro. – L’accurata ricerca del realmente accaduto, il rispetto di esso – chi può in ciò superare il modello della filologia tedesca? Ma chi, per il timore di andare in frantumi, si nasconde in un cantuccio della scienza, sin dall’inizio si riduce a un frammento. – Che

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herein zum Splitter. – Dass all unser Wissen Bruchstück ist; dass der Wahrheitssinn fordert, die Grade der Gewissheit unserer Erkenntnisse abzumessen; dass er uns die Entsagung auferlegt, nicht da wissen zu wollen und ein Wissen zu behaupten, wo wir niemals oder jetzt noch nichts wissen können; dass alle Zusammenfassungen and Allgemeinheiten, alle Kategorien und Ideen, in der Wissenschaft der Geschichte nur so viel Wert haben, als sie durch den Umfang und die Menge der in ihnen zusammengeschauten Einzelheiten und durch die Sicherheit der mit ihnen gewonnenen historischen Erkenntnisse beanspruchen können: all das, wer hat es ausgesprochen und musterhaft betätigt? Aber das heißt nicht, Tatsachen wie Sandkörner häufen und ideenlos ansammeln. Concentriren soll sich jeder und allmählich, wie er kann, seine Peripherie ausfüllen; und fragst du, wo das Centrum liege, so antwortet Böckh: dort, wo immer du stehst oder dich hinstellen willst. Du kannst von jedem Punkte zu jedem gelangen: denn jedes hängt mit jedem zusammen. Nur musst du die Zusammenhänge erkennen. Dein Auge schafft das Centrum und die Peripherie; vom Einzelnsten gelangst du zum Ganzen, ja du stehst beim Einzelnen im Ganzen. So wissen wir, von den Altmeistern belehrt, jede mit Bewusstsein vollzogene Selbstbeschränkung zu würdigen und die Ergebnisse derselben zu schätzen. Nichts ist klein, wenn unser Geist nicht klein ist. Aber es geschähe auch nicht im Sinne unsrer Alten, ihre Werke für unübertrefflich zu halten. Sie nach ihrer eigenen Methode durch Fortbildung ihrer Principien und folgerechte Durchführung derselben zu ergänzen, zu klären und zu verbessern, zu erweiten und zu vertiefen: das wäre die uns von [237/545] ihnen gestellte Aufgabe. Auch meine ich nicht, dass wir bloß an diesen Philosophen und an jenen Historiker anknüpfen sollen; sondern den Gesammtgeist jener großen Zeit sollen wir uns gegenwärtig halten und weiter entwickeln. Selbst der überwältigende Glanz eines Kant darf uns nicht verblenden gegen die nachfolgenden romantischen Spinozisten, denen wir höchst bedeutsame Wahrheiten verdanken. Ich habe schon angekündigt (diese Zeitschr. IX, 5 f.), dass ich eine Reihe kritischer Artikel der Böckhschen Encyklopädie zu widmen gedenke. Jetzt habe ich zunächst die dankbarere Aufgabe, dieses Werk selbst dem Leser vorzuführen, es nach Inhalt

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tutto il nostro sapere sia un frammento; che il senso della verità esiga di commisurare le nostre conoscenze ai gradi della certezza; che ci imponga la rinuncia a voler sapere e ad affermare un sapere là dove mai possiam sapere o finora non abbiam potuto; che tutte le sintesi e gli universali, tutte le categorie e le idee, nella scienza della storia abbiano tanto valore, quanto possono pretenderne per l’estensione e la quantità delle particolarità in esse contemplate e per la certezza delle conoscenze storiche ottenuta grazie a queste: tutto ciò! chi ha espresso ed esemplarmente elaborato tutto ciò? Ma ciò non significa ammucchiare fatti come granelli di sabbia e ammassarli senza il contributo delle idee. Ciascuno deve porsi al centro e gradualmente, come può, occupare la propria periferia; e se chiedi dove sarebbe posto il centro, Böckh risponde così: lì dove ti trovi sempre o dove vuoi porti. Da ciascun punto puoi raggiungere ogni altro punto, perché ciascun punto è connesso ad ogni altro. Solo devi conoscer tu le connessioni. Il tuo occhio determina il centro e la periferia; da quel che è più singolare giungi all’intero; sì! dimorando presso i singoli tu sei già nell’intero. Così sappiamo, per averlo appreso dal venerando maestro, conferir valore a ogni autolimitazione compiuta consapevolmente e apprezzarne i risultati. Nulla è piccolo, se il nostro spirito non è piccolo. Sarebbe contrario alla lezione dei nostri antenati considerare insuperabili le loro opere. Integrarle con il loro proprio metodo, attraverso il perfezionamento dei loro principi e il coerente compimento di essi, chiarire e migliorare, ampliare e approfondire: questo sarebbe il compito [237] lasciatoci in consegna da loro. Né ritengo che dobbiamo collegarci esclusivamente a questi filosofi e a quegli storici, ma dobbiamo tener presente e ulteriormente sviluppare lo spirito complessivo di quella grande epoca20. Persino lo stravolgente splendore di un Kant non deve impedirci, abbagliandoci, di scorgere l’importanza degli spinozisti romantici21 che gli seguirono e a cui dobbiamo verità altamente significative. Ho già annunciato (in questa rivista, IX, 5 sgg.)22 che ho intenzione di dedicare una serie di articoli critici all’Enciclopedia di Böckh. Ora ho anzitutto il grato compito di presentare al lettore questo lavoro, di caratterizzarlo secondo il contenuto e la forma.

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und Form zu charakterisiren. Und da niemand ein Kleinod, an dessen Schönheit er sich erfreut, jemanden zeigen wird, von dem er weiß, dass er einen andern Geschmack hat und das gar nicht würdigen und genießen kann, was ihn so entzückt: so werde auch ich an dieser Stelle nur mit mir gleichgestimmte Leser voraussetzen, vor deren Augen ich gewissermaßen das Schöne enthüllen will, das uns gemeinsam geschenkt worden ist. Die Philologie, so beginnt Böckh die Einleitung, ist kein Aggregat. Sie ist eine Wissenschaft, und darum wird sie nicht durch Aufzählung ihrer Teile definirt, sondern es muss ein Begriff von ihr festgestellt werden. Der Begriff einer Wissenschaft muss sich gegen die Teile derselben so verhalten, dass er das Gemeinsame der Begriffe aller Teile umfasst, dass also einerseits die Teile alle in ihm als Begriffe enthalten sind, und andrerseits jeder Teil den ganzen Begriff wieder in sich darstellt, nur mit einer bestimmten Modification. Jede Wissenschaft hat einen Stoff, den sie bearbeitet, und eine Form, die in ihrer Behandlungsweise liegt. Beides muss im Begriffe dieser Wissenschaft enthalten sein. Sollen nun die Definitionen der Philologie geprüft werden, so hat diese Kritik drei Rücksichten festzuhalten. Erstlich ist die Frage: bietet die gegebene Definition einen wissenschaftlichen Begriff, welcher die Philologie eigentümlich bezeichnet? Zweitens: bezeichnet dieser Begriff diejenigen Bestrebungen, [238/546] welche tatsächlich unter Philologie zusammengefasst wurden? Drittens: die Begrenzung darf nicht willkürlich und kleinlich sein. An diesem Maßstabe gemessen, zeigt sich die Definition, Philologie sei Altertumsstudium, als nicht historisch zutreffend: denn ILORORJLYD ist nicht DMUFDLRORJLYD, und das Studium der Litteratur der neuern Völker ist entschieden ein philologisches Bestreben. Jene Definition ist aber auch begrifflich mangelhaft: denn alt und neu sind willkürliche und nicht begriffliche Bestimmungen. Die Beschränkung der Philologie auf das griechische und römische Altertum nun gar ist ganz unhaltbar, da es auch ein orientalisches Altertum gibt. Philologie ist auch nicht, wie Andre wollten, Sprachstudium. Denn ORYJR~ ist nicht Sprache, JOZ`VVD, und von jeher umfasste die Philologie mehr als Grammatik. Noch weniger darf sie als Polyhistorie bestimmt werden: denn hierin liegt gar kein wissenschaftlicher Begriff und keine Begrenzung.

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E poiché nessuno mostrerà un gioiello della cui bellezza si rallegra a qualcuno che sa avere un altro gusto e non potere apprezzare e stimare ciò che lo riempie tanto di gioia: così anch’io, qui, presupporrò con me solo lettori concordi, ai cui occhi, per così dire, intendo svelare la bellezza che ci è stata donata. La filologia, così inizia Böckh l’Introduzione, non è un aggregato23. Essa è una scienza; e per questo essa non è definita dal numero delle sue parti, ma deve esserne constato il concetto. Il concetto di una scienza deve relazionarsi con le parti della medesima in modo tale da comprendere quel che è comune ai concetti di ogni parte; dunque in modo tale che, da un lato, tutte le parti, in quanto concetti, siano contenute in esso e – d’altro lato – che ogni parte rappresenti in sé, di nuovo, l’intero concetto secondo una determinata modificazione. Ogni scienza ha una materia che essa elabora e una forma che sta nel modo in cui essa elabora. Entrambe devono essere contenute nel concetto di questa scienza. Devono ora essere esaminate le definizioni di filologia, pertanto questa critica deve attenersi a tre tipi di considerazioni. Anzitutto la questione: la definizione data offre un concetto scientifico che designi la filologia in modo peculiare? In secondo luogo, la questione: questo concetto designa quelle aspirazioni [238] che sono riunite sotto la filologia? Terza questione: la delimitazione non deve essere arbitraria e ristretta. In relazione a questo criterio, la definizione secondo cui la filologia sarebbe lo studio dell’antichità24 si mostra non storicamente esatta: poichéILORORJLYD non è DMUFDLRORJLYD e lo studio della letteratura dei popoli nuovi è certamente un’aspirazione della filologia. Quella definizione, però, è anche concettualmente carente: giacché vecchio e nuovo sono determinazioni arbitrarie e non concettuali. La delimitazione della filologia all’antichità greca e romana è poi affatto insostenibile, dal momento che esiste anche un’antichità orientale. La filologia non è nemmeno, come intesero altri, studio della lingua. Poiché ORYJR~ non è lingua, JOZ`VVD, e da sempre la filologia comprese qualcosa in più della sola grammatica. Ancora meno può essere designata come polistoria; giacché qui non si trova affatto alcun concetto scientifico e alcuna delimitazione25.

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Mangelhaft ist ferner die Bestimmung, Philologie sei Kritik: denn Kritik bezeichnet etwas rein Formales, eine Tätigkeit; also ist diese bloß Mittel, nicht Zweck. Auch die Litteraturgeschichte kann nur ein Teil der Philologie, nicht sie selbst sein. Endlich wird die Philologie als Humanitäts-Studium bezeichnet. Diese Definition hebt nur den Nutzen hervor, zu dem die Philologie Mittel sein würde. Ueberdies muss jede Wissenschaft dasselbe Ziel gewähren, zur Humanität bilden. Man merkt es der ganzen Böckhschen Encyklopädie an, dass sie mit Liebe und Wohlbehagen gearbeitet ist, mit der geistigen Freiheit und Beweglichkeit, welche die Herschaft über den ganzen Umfang des Stoffs und das tiefste Eindringen in denselben gewährt. Daher wird nicht leicht eine Ansicht nur kurz abgewiesen; sondern es findet jede ihre bedingte Berechtigung. Das zeigt sich besonders in dieser Kritik, welche Böckh an den Definitionen der Philologie übt. Seine eigene Ansicht ist nun folgende. »Die Wissenschaft überhaupt ist nur Eine ungeteilte«, sagt er, »die begriffliche [239/547] Erkenntnis des Universums«. Klingt uns das heute nicht, wie eine Geister-Stimme aus der Höhe? – oder soll ich sagen: aus dem Grabe? Seid nur ruhig. Diese Stimme wird auch das Princip der Teilung anerkennen innerhalb der Einheit. »Je nach der Betrachtungsweise«, fährt Böckh fort, »ob das All von materieller oder ideeller Seite genommen wird, als Natur oder Geist, als Notwendigkeit oder Freiheit, ergeben sich zwei Wissenschaften, die wir Physik und Ethik nennen«. Natur und Geist unterscheiden also nicht zwei verschiedene Welten oder Reiche von Dingen, sondern nur zwei Betrachtungsweisen, deren jede das All zum Gegenstande hat. Die Philologie aber, so fährt Böckh fort, gehört weder in die Physik noch in die Ethik. Andererseits umfasst sie beide. Denn der Philologe muss die naturwissenschaftlichen Werke eben so sehr verstehen, wie ethische, Platons Timäus, wie seine Republik; er muss die Geschichte der Naturwissenschaft, wie die geschichtliche Entwicklung der gesammten Ethik erforschen. Also »die eigentliche Aufgabe des Philologen ist das Erkennen des vom menschlichen Geiste Producirten, d. h. des Erkannten« (S. 10).

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Carente è inoltre la determinazione secondo cui la filologia sarebbe critica: poiché la critica designa qualcosa di puramente formale, un’attività; il che significa che essa è soltanto mezzo e non fine. Anche la storia della letteratura può essere soltanto una parte della filologia, non la filologia stessa. Infine la filologia è designata quale studio umanistico. Questa definizione mette in evidenza solo lo scopo rispetto a cui la filologia rappresenterebbe un mezzo. Inoltre ogni scienza deve attendere allo stesso obiettivo; educare all’Umanità. Dell’intera Enciclopedia di Böckh si osserva che è elaborata con amore e agio, con la libertà e la mobilità spirituale che il dominio di tutta l’estensione della materia e la più profonda penetrazione di essa consentono. Pertanto una qualsiasi immagine di essa non può essere liquidata in breve, ma ogni immagine trova entro certe condizioni la sua giustificazione. Il che appare specialmente nella critica che Böckh muove alle definizioni di filologia. La sua visione è questa: «la scienza in generale» – egli dice – «è solo Una indivisa, la conoscenza [239] concettuale dell’universo». Non risuona ciò per noi, oggi, come una voce spirituale proveniente da eccelse altezze? – O dovrei forse dire dalla tomba? Ma siate pazienti. Tale voce conoscerà, all’interno dell’unità, anche il principio della divisione. «Secondo il modo di considerazione,» – prosegue Böckh – «a secondo che il tutto sia inteso dal lato materiale o da quello ideale, quale natura o quale spirito, necessità o libertà, risultano due scienze che chiamiamo fisica ed etica». Natura e spirito non separano allora due diversi mondi o regni di cose, ma sono solo diversi modi di considerazione, di cui ciascuno ha a oggetto il tutto. La filologia, però, così prosegue l’autore, non appartiene né alla fisica né all’etica. E d’altra parte le contiene entrambe. Poiché il filologo deve comprendere tanto le opere di scienze naturali come quelle di etica, il Timeo di Platone come la sua Repubblica, egli deve studiare la storia delle scienze naturali, così come lo sviluppo storico dell’intera etica. Dunque «il compito proprio del filologo26 è la conoscenza di ciò che è prodotto dallo spirito umano; è a dire del conosciuto» (p. 10) [45]

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Demnach scheint die Philologie Geschichte der Wissenschaft zu sein, und auch von derjenigen Disciplin, welche man Geschichte nennt, sich so zu unterscheiden, dass sie die Geschichte der Ueberlieferung der Geschehenen wäre, nicht aber Auffassung und Darstellung des Geschehenen selbst; sie wäre nicht Geschichtswissenschaft, sondern Geschichte derselben. Indessen »fällt vielmehr der Begriff der Philologie mit dem der Geschichte zusammen«. Denn »das geschichtlich Producirte ist ein Geistiges, welches in Tat übergegangen ist« (S. 11), und Philologie ist Erkenntnis alles Geistigen. Böckh hält diesen Sinn »der Philologie oder, was dasselbe sagt, der Geschichte« durchaus fest. Erkanntes nennt er auch alle Schöpfungen der Poesie und der Kunst und auch des praktischen Lebens. [240/548] Nachdem er so seinen Begriff bestimmt hat, kommt er noch einmal auf die schon als einseitig erwiesenen Definitionen der Philologie zurück und zeigt, wie sie in der seinigen enthalten sind, womit er ihren positiven Wert und ihre begrenzte Geltung dartut. Es leuchtet seine Freude an diesem dialektischen Spiel hervor – Spiel, sage ich, im höhern Sinne des Wortes natürlich, wonach es die Form der Bewegung der Denktätigkeit bezeichnet, insofern sie auch an sich, selbst noch ohne Rücksicht auf den Inhalt, etwas Befriedigendes hat, einen ästhetischen Wert in sich schließt. Dieses Spiel zieht sich durch den größten Teil des Buches und verleiht ihm den eigentümlichen Reiz; ja schließlich liegt in ihm eben die Systematik selbst, und es ist ganz und gar objectiv. Doch hat es auch eine subjective Seite. Indem nämlich die härtesten Gegensätze an einander zerrieben werden, so klingt doch oft ein ironischer Ton durch als Ausdruck der Erhabenheit über die menschliche Schwäche; diese Erhabenheit jedoch folgt nur aus der Klarheit und Vollständigkeit des Bewusstseins von der Schwäche des Einzelnen, Endlichen gegenüber dem Unendlichen und bekundet nur diese*. * Mit meiner obigen Bemerkung stimmt dem Ausdrucke nach genau was Dilthey (Leben Schleiermachers S. 360) als Friedrich Schlegels Begriff der Ironie darstellt: »Ironie ist das Zeichen der über jede Idee, jedes Kunstwerk, jede Gedankenform übergreifenden Macht des Unendlichen im Geist. Sie ist der Ausdruck des tiefen Bewusstseins, dass zwischen jenem Unendlichen und seiner Mitteilung auch in der vollendetsten Schöpfung eine unübersteigliche Kluft bleibt«. Von der Böckhschen, echt sokratischen Ironie aber unterscheidet sich

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Pertanto la filologia pare essere storia della scienza e anche di quella disciplina che si chiama storia, così da distinguersi da quest’ultima, poiché essa sarebbe la storia di ciò che è tramandato degli eventi accaduti, ma non la comprensione e la rappresentazione dell’accaduto; essa non sarebbe scienza storica, ma storia della scienza storica. D’altro canto «il concetto della filologia coincide vieppiù con quello della storia» dal momento che «quanto è prodotto storicamente è qualcosa di spirituale, che è passato nell’azione» (p. 11) [47] e la filologia è conoscenza di tutto ciò che è spirituale. Böckh fissa recisamente questo senso della filologia o, che è lo stesso, della storia. Egli considera “conosciuto” tutte le creazioni della poesia, dell’arte e anche della vita pratica. [240] Dopo che ha determinato così il suo concetto, egli torna, ancora una volta, sulle definizioni della filologia già dimostrate parziali e mostra come siano contenute nella sua e, in questa guisa, mostra il loro valore positivo e, assieme, il loro esser solo limitatamente valide. La sua gioia rifulge in questo gioco dialettico – gioco, dico, naturalmente nel senso alto della parola, secondo cui il gioco indica la forma del movimento della attività pensante, in quanto essa ha anche in se stessa, senza riferimento al contenuto, qualcosa di appagante, racchiude in sé un valore estetico. Tale gioco si protrae per la maggior parte del libro, conferendogli il suo peculiare fascino; in definitiva si trova in esso proprio la sistematica ed esso è del tutto obiettivo. Certo, ha anche un lato soggettivo. Dal momento infatti che i più ardui opposti sono annientati l’uno nell’altro, trapela spesso un tono ironico quale espressione dell’innalzamento sulla debolezza umana; tale innalzamento, tuttavia, segue solo dalla coscienza chiara e completa della debolezza delle singole posizioni, quali parti finite di contro all’infinito e dà notizia solo di ciò* 27. * Con la mia notazione combacia secondo la lettera ciò che Dilthey (La vita di Schleiermacher, p. 360) presenta come il concetto di ironia di Friedrich Schlegel: «l’ironia è il segno del potere dell’infinito all’interno dello spirito, il quale si propaga al di sopra di ogni singola idea, opera d’arte o forma del pensiero. L’ironia è l’espressione della profonda consapevolezza che tra ogni infinito e la sua “comunicazione”, pur nella più compiuta creazione, rimane un’insormontabile frattura». L’ironia di Schlegel, però,

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Dies zeigt sich z. B. sogleich in den folgenden Betrachtungen, inwiefern die Philologie unmöglich und möglich sei, [241/549] wie sich Philologie und Philosophie einander bedingen (S. 1518), wie die Philologie nur ein fremdes Wissen zu haben scheine, in Wahrheit ein eigenes Wissen sei (S. 19), und endlich wie sie einander entgegengesetzte Fähigkeiten voraussetzt. Und alles dies und was über Zweck und Nutzen der Philologie gesagt wird, ist so durch und durch human und liebenswürdig. Das zweite Capitel spricht dann von dem Begriff der Encyklopädie. Sie ist die allgemeine Darstellung einer Wissenschaft in Gegensatz zu ihren speciellen Teilen; und, soll sie selbst Wissenschaft sein, so hat sie vorzugsweise den Zusammenhang der Teile aufzuzeigen. Nun werden wieder zuerst die bisherigen Versuche zu einer Encyklopädie der philologischen Wissenschaften, d. h. zu einer Systematik der Philologie geprüft; und nachdem die Encyklopädie von der Methodologie unterschieden ist (obwohl es vorteilhaft sei, beide zu verbinden), entwirft Böckh seinen eigenen Plan. Soll eine wissenschaftliche Construction der Philologie zu Stande kommen, so müssen die Teile derselben und ihre Ordnung aus dem Begriffe hervorgehen. Nun ist als Begriff der Philologie aufgefunden Erkenntnis des Erkannten, d. h. Verstehen. Wie nun die Philosophie in der Logik (Dialektik, Kanonik) den Act des Erkennens selbst und die Momente der Erkenntnistätigkeit betrachtet, so muss auch die Philologie den Act des Verstehens und die Momente des Verständnisses wissenschaftlich erforschen. Die hieraus entstehende Theorie ist das philologische Organon. Sie bildet den ersten Teil der Philologie, den formalen, wozu

dennoch diese Schlegelsche wie eine Fratze von einem charaktervollen Gesicht. Diese letztere, verzerrte Ironie ist (wie Schlegel selbst sagt, das.) für die schöpferische Genialität dasselbe, was der Witz für die Bildung, »eine Zersetzung geistiger Stoffe«. – Die echte Ironie poetisch gestaltet erkenne ich im Humor, der aber nicht »Witz der Empfindung« ist, welcher wieder nur das romanticistische Zerrbild des Humors bildet, sondern in dem Humor, den Lazarus (Leben der Seele I S. 231-320) analysirt, im Humor eines Cervantes, Shakespeare, Sterne, Jean Paul, den eben darum die Romanticisten so wenig verstanden.

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Ciò appare subito, ad esempio, nelle considerazioni che seguono, in relazione al modo in cui la filologia sarebbe assieme impossibile e possibile, [241] o in relazione alla questione di come filologia e filosofia si condizionino reciprocamente (p.15-18) [49-52], in relazione al fatto che la filologia sembri aver solo un sapere estraneo, mentre invece quel sapere le sarebbe proprio (p. 19) [52] e, infine, in relazione al fatto che essa presupponga facoltà tra loro contrapposte. E tutto questo, e quel che è detto sul fine e sulla utilità della filologia, è pieno d’umanità e degno d’ammirazione. Il secondo capitolo illustra poi il concetto di enciclopedia. Essa è la rappresentazione universale di una scienza in contrapposizione alle sue parti speciali e, dal momento che essa stessa dev’essere una scienza, dovrebbe mostrare la connessione delle parti. Dunque sono ora esaminati nuovamente i tentativi precedenti di un’enciclopedia delle scienze filologiche, è a dire di una sistematica della filologia; e, dopo che l’enciclopedia è separata dalla metodologia (per quanto sarebbe vantaggioso unirle), Böckh tratteggia il suo piano. Deve essere realizzata una costruzione scientifica della filologia, pertanto le parti di essa e il loro ordine devono essere derivati dal concetto. Però è stato trovato quale concetto della filologia [la] “conoscenza del conosciuto”, è a dire il comprendere. Come la filosofia prende in considerazione nella logica (dialettica, canonica) l’atto stesso del conoscere e i momenti dell’attività conoscitiva, così anche la filologia deve sottoporre a disamina scientifica l’atto del comprendere e i momenti della comprensione. La teoria che così sorge è l’organon filologico28. Essa costituisce la prima parte della filologia, quella differisce da quella di Böckh, davvero riconducibile all’ironia socratica, come una smorfia differisce da un volto espressivo. Quest’ultima [di Schlegel], stravolta ironia, è (come Schlegel stesso dice) per la genialità creativa, ciò che il motto di spirito è per la cultura: «una frantumazione di materiali spirituali». La vera ironia, configurata poeticamente, io la riconosco nello humor, che non è “motto di spirito della sensibilità”, il quale, ancora una volta, costituisce la caricatura romantica dello humor, ma nello humor che Lazarus (La vita dell’anima, I, pp. 231-320) analizza, nello humor di un Cervantes, di uno Shakespeare, di uno Sterne, di un Jean Paul, quello humor che, proprio per questo, i romantici capiscono così poco.

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als zweiter ein materialer Teil kommt, der das Verstandene, das Product des Verständnisses, den Inhalt, die realen Disciplinen der Philologie umfasst. Wie nun diese beiden Teile in einander greifen, sich einander voraussetzen wird hier in reizender Dialektik vorgeführt, und später wird unzählige Male hierauf zurück verwiesen*. Nur dies will ich zur [242/550] Charakteristik der Böckhschen Dialektik hervorheben. Die Begriffe verwandeln sich hier nicht und schlagen nicht wie bei Hegel und Schleiermacher unversehens in einander um – oder vielmehr unversehens würden sie allerdings in einander umschlagen; aber Böckhs Verstand und Vorsehen lässt dies nicht zu; er beugt dem Irrtum vor, dem viele Andere verfallen sind. Bei ihm also behalten die Begriffe ihre Festigkeit und ihr unwandelbares Wesen in der Fülle und Mannichfaltigkeit ihrer Beziehungen: das ist der Beweis ihrer Wahrheit. Nun findet zuerst der formale Teil seine Unterabteilungen. Er enthält die Theorie des Verstehens. Das Verstehen aber ist teils absolut, teils relativ, d. h. man hat jedes Object an sich und auch im Verhältnis zu anderen zu verstehen. Letzteres Verständnis setzt ein Verhältnis zwischen einem Einzelnen und dem Ganzen oder einem andern Einzelnen oder durch Beziehung auf ein Ideal, und spricht sich aus mittelst eines Urteils: dies ist Kritik, während das einfache Verstehen Hermeneutik ist. Philologie ist Erkenntnis des Erkannten. Die Glieder des formalen Teils sind so vielfach als die philologische Erkenntnis, und die des materialen Teils so vielfach wie das philologisch Erkannte. Das Erkannte liegt nicht bloß in der Sprache und wissenschaftlichen Litteratur eines Volkes; sondern dessen ganze sittliche und

* Den Gedanken, wie sich der Philologe in seinen Aufgaben überall in einen Kreis gestellt findet, den er zu lösen hat ohne eine petitio principii zu begehen, bekennt Böckh selbst von Schleiermacher gelernt zu haben. Hierin hat er sich getäuscht. Jener Gedanke findet sich kaum bei Schleiermacher und gewiss nicht in origineller Weise. Dagegen gehört er ganz ursprünglich Ast an, aus dessen philologischem Erkenntnis-Princip er sich mit Notwendigkeit und in voller Klarheit ergibt. Ast muss es verschuldet haben, dass ihm sein Eigentum nicht anerkannt ward; wir aber glauben Gerechtigkeit zu üben und ihm zu geben was sein ist.

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formale a cui, come seconda, va aggiunta una parte materiale, che abbraccia ciò che è compreso, il prodotto della comprensione, il contenuto, le reali discipline della filologia. Ora come queste due parti si compenetrino e si presuppongano reciprocamente è stato qui mostrato attraverso il ricorso alla mobile dialettica e poi vi si rinvia innumerevoli volte* 29. Voglio [242] porre in evidenza, quale caratteristica della dialettica di Böckh, solo questo. I concetti qui non si convertono e non si rovesciano improvvisamente l’uno nell’altro, come in Hegel e in Schleiermacher: eppure si muterebbero ben più improvvisamente l’uno nell’altro, ma l’intelletto e la cautela di Böckh non lasciano che ciò accada, egli previene l’errore in cui molti altri sono caduti. In lui i concetti mantengono la loro stabilità e la loro immutabile essenza nella pienezza e molteplicità delle loro relazioni: ciò è la dimostrazione della loro verità. Di seguito trova anzitutto la sua sottosezione la parte formale. Essa contiene la teoria del comprendere. Il comprendere però è in parte assoluto, in parte relativo; il che significa che bisogna comprendere ogni oggetto in sé e anche in relazione agli altri. Questo ultimo tipo di comprensione pone un rapporto o tra un particolare e il tutto o tra un particolare e un altro o in relazione a un ideale, e si formula per mezzo di un giudizio: in ciò consiste propriamente la critica, mentre il semplice comprendere è l’ermeneutica. Filologia è conoscenza del conosciuto. I membri della parte formale sono tanto molteplici quanto è molteplice la conoscenza filologica, e quelli della parte materiale lo sono tanto quanto lo è il filologicamente conosciuto. Il conosciuto non sta solamente nella lingua e nella letteratura scientifica di un popolo, ma l’intera attività morale e spirituale di un popolo * Böckh stesso riconosce di avere appreso da Schleiermacher la concezione che il filologo si trovi posto, nell’affrontare i propri compiti, sempre entro un circolo, che deve risolvere senza commettere una “petitio principii”. Qui si è ingannato. Quel pensiero quasi non si scorge in Schleiermacher e certamente non lo si trova in una forma originale. Al contrario, appartiene originariamente ad Ast, dal cui principio della conoscenza filologica esso risulta con necessità e piena chiarezza. Bisogna addebitare ad Ast di non aver riconosciuto ciò che gli è proprio, ma crediamo [di dovere] esercitare giustizia e [dover]gli conferire ciò che è suo.

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geistige Tätigkeit ist Ausdruck eines bestimmten Erkennens. In der Poesie, in der Kunst, und so auch im Staats- und FamilienLeben – überall ist ein inneres Wesen, eine Vorstellung oder Idee, also Erkenntnis eines Volkes entwickelt, realisirt. In allen Richtungen [243/551] des praktischen Lebens ist ein ORYJR~ enthalten, und in den gebildeten Völkern verbreitet sich auch über alle diese die bewusste Erkenntnis und Reflexion: und so unterliegen sie in doppelter Beziehung der philologischen Betrachtung, z. B. der griechische Staat als Staat und als Wissenschaft der Griechen vom Staat (oder als Politik der Griechen). Die Philologie des classischen Altertums, auf die sich Böckh beschränkt, enthält als Stoff der Erkenntnis die gesammte historische Erscheinung des Altertums. Dieses soll seiner allseitigen Eigentümlichkeit nach als ein in sich selbst vollendeter Organismus, in seinem Werden, Wachsen und Vergehen, erkannt werden. Vor allem nun muss das einheitliche Lebensprincip dieses Organismus gefunden werden, das Gemeinsame, in welchem alles Besondere enthalten ist. Nicht deducirt sollen die Einzelheiten werden (das wäre nicht historisch); aber sie sollen hervorgehen aus einer allgemeinen Anschauung, und diese muss sich wieder in jedem einzelnen Teile bewähren, wie die Seele die Glieder des Leibes als die zusammenhaltende ordnende Ursache durchdringt. Der materiale Teil beginnt also mit der Darlegung der Idee des Antiken an sich. Dies ist der allgemeine Teil des materialen Teils oder die allgemeine Altertumslehre. Aus ihr geht die besondere Altertumslehre hervor. Das gesammte geistige Handeln eines Volkes ist teils ein reales, praktisches, teils ein ideales, theoretisches, oder teils schaffend, teils bildend. Das erstere ist die Basis des Lebens, aus welcher sich das andere herausbildet. Die praktische Seite des historischen Lebens wird also zuerst zu behandeln sein. »Sie umfasst zunächst die sinnliche Existenz und ihre Erhaltung, wobei jedoch von Anfang an ein innerer Bildungstrieb nach der Idee des Guten bestimmend wirkt« (S. 58)*. Je nachdem nun der Mensch seine Individuali-

* Solch ein Satz genügt, um Böckh zum Platoniker zu stempeln.

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è espressione di un conoscere determinato. Il conosciuto sta nella poesia, nell’arte e anche nella vita dello stato e della famiglia – ovunque è sviluppata, realizzata, un’essenza interna, una rappresentazione o un’idea, dunque ovunque è sviluppata e realizzata una conoscenza di un popolo. [243] In tutte le direzioni della vita pratica è contenuto un ORYJR~ e, nei popoli civili, la conoscenza consapevole e la riflessione consapevole si espandono anche su tutte queste direzioni pratiche: per questo essi sono oggetto della considerazione filologica in una duplice relazione, lo stato greco – ad esempio – in quanto stato e in quanto scienza dello stato (è a dire politica) dei greci. La filologia dell’antichità classica, a cui Böckh si restringe, abbraccia quale materia della conoscenza l’intero fenomeno storico dell’antichità. Essa deve essere conosciuta, secondo la sua molteplice peculiarità, come un organismo in sé compiuto, nel suo divenire, crescere e trascorrere. Ora, prima d’ogni cosa, deve essere trovato il principio vivente unitario di questo organismo, l’elemento comune in cui è contenuto tutto ciò che è particolare. Le singolarità non devono essere dedotte (ciò non sarebbe storico); ma devono profilarsi da un’intuizione universale, e questa deve, di nuovo, dar prova di sé in ogni singola parte, nello stesso modo in cui l’anima penetra le componenti del corpo quale originaria causa ordinatrice che le tiene assieme. La parte materiale inizia dunque con l’esposizione dell’idea dell’antico in sé. Questa è la parte universale della materiale o la dottrina universale dell’antichità. Da essa risulta la dottrina speciale dell’antichità. L’azione spirituale complessiva di un popolo è in parte qualcosa di reale, di pratico; in parte qualcosa di ideale, di teoretico, ovvero in parte effettivamente realizzatrice, in parte formativa. La prima è la base della vita da cui si sviluppa l’altra. Il lato pratico della vita storica deve essere dunque trattato per primo. «Esso abbraccia anzitutto l’esistenza sensibile e il suo mantenimento, in cui tuttavia sin dall’inizio opera un impulso formativo interno orientato all’idea del bene» (p. 58)*30 [97]. Soltanto dopo che l’uomo offre la sua individualità al * Una tale proposizione è sufficiente a tacciare Böckh di platonismo.

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tät an das Ganze der Gesellschaft hingibt oder selbständig hervortreten lässt, entsteht das öffentliche Leben, der Staat, oder das [244/552] Privatleben und die Familie. Dort wiegt die Objectivitat, hier die Subjectivität vor. Auch das theoretische Leben gestaltet sich doppelt: rein innerlich, in der Wissenschaft, beginnend mit dem Mythos, und dann sich objectivirend im Cultus und in der Kunst: aus der THZULYD geht die SRLYKVL~ hervor (aus dem Schauen das Bilden). So erhalten wir, vom Objectivern ausgehend zum Subjectivern folgende vier Teile der besondern Altertumskunde: 1) Vom Staatsleben oder öffentlichen Leben. 2) Vom Familien- oder Privatleben. 3) Von der äußern Religion (dem Cultus) und der Kunst. 4) Von der Religions-Lehre oder innerlichen Religion als Erkenntnis und der Wissenschaft. Diese Anordnung wird ausführlich begründet. Der Grundgedanke hierbei ist: »Unsere Anordnung führt das Leben der Nationen von ihrem sinnlichen Wirken stufenweise bis zur höchsten geistigen Production vor, sodass darin die in allem Handeln sich ausprägende Erkenntnis nach den Graden ihrer Potenzirung dargestellt wird« (S. 62). Nur ist nicht daran zu denken, dass auch nach solchem Gange die Philologie zu studiren sei. Aber man muss auch nicht umgekehrt den methodisch gerechtfertigten Gang der Studien als die Ordnung der wissenschaftlichen Encyklopädie ansehen wollen. So weit die Einleitung. Nun verfolgt Böckh im eigentlichen Werke die eben angeführten Teile. Zuerst also kommt er zur Hermeneutik. Unterschiede der Auslegung müssen aus dem Wesen der hermeneutischen Tätigkeit abgeleitet werden, d. h. sie lassen sich nur aus der Analyse dessen gewinnen, »wodurch der Sinn und die Bedeutung des Mitgeteilten oder Ueberlieferten bedingt und bestimmt wird«. Nun ist die objective Bedingung die Sprache. Diese aber wird subjectiv modificirt durch die Individualitat des Sprechenden oder Schreibenden. So erhalten wir die grammatische und die individuelle Interpretation. Ferner aber ist der Sinn jeder Mitteilung bedingt durch die objective Beziehung auf die realen Verhältnisse, [245/553] unter denen sie geschieht: dies ergibt die historische Interpretation. Aber auch durch die subjectiven Ver-

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complesso sociale, o emerge autonomamente, sorgono la vita pubblica, lo stato ovvero [244] la vita privata e la famiglia. Lì prevale l’oggettività, qui la soggettività. Anche la vita teoretica si forma in modo duplice: in modo puramente interiore, nella scienza, principiando col mito e poi oggettivandosi nel culto e nell’arte: dalla THZULYD risulta la SRLYKVL~ (dalla visione l’immagine)31. Così otteniamo, passando dall’oggettivo al conseguente soggettivo, quattro parti della dottrina speciale dell’antichità: 1) della vita dello stato o della vita pubblica 2) della vita della famiglia o della vita privata 3) della religione esteriore (culto) o dell’arte 4) della dottrina religiosa o della religione interiore come conoscenza e della scienza. Questo ordinamento è giustificato dettagliatamente. Il pensiero che vi sta alla base è il seguente: «il nostro ordinamento, procedendo per stadi, presenta la vita delle nazioni dalla loro attività sensibile fino alla più alta produzione spirituale; così la conoscenza, che compenetra ogni attività, è rappresentata secondo i gradi del suo potenziamento» (p. 62) [100]. Ora, non bisogna credere che la filologia sia da studiare seguendo tale percorso. Ma non si deve nemmeno considerare, al contrario, il percorso di studi giustificato dal punto di vista metodico come l’ordinamento dell’enciclopedia scientifica. Fin qui l’introduzione. Ora Böckh tratta, nel lavoro vero e proprio, le parti introdotte. Anzitutto l’ermeneutica. Differenze di interpretazione devono essere derivate dall’essenza dell’attività ermeneutica, è a dire possono essere conseguite soltanto dall’analisi di ciò «da cui sono determinati e condizionati il senso e il significato di quel che è comunicato e tramandato»32. La lingua è dunque la condizione obiettiva. Essa è però modificata soggettivamente attraverso l’attività dei parlanti e degli scriventi. Così otteniamo l’interpretazione grammaticale e individuale. Inoltre, il senso di ogni comunicazione è condizionato dal riferimento oggettivo ai rapporti reali [245] entro cui avviene: ciò produce l’interpretazione storica. Ma il senso è determinato più precisamente anche dai

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hältnisse der Individualität wird der Sinn näher bestimmt, nämlich durch den Zweck der Mitteilung, woraus die Redegattungen, Poesie und Prosa mit ihren Arten, entstehen. So ergibt sich die generische (oder ästhetische) Interpretation. – Wie nun diese vier Arten der Auslegung in einander spielen, zeigt wieder eine fein durchgeführte Dialektik. Dann wird jede Art in einem besondern Capitel für sich behandelt und durch Beispiele erläutert, die meist aus Sophokles, Pindar, Horaz und Tacitus gewählt sind. Jedes Capitel hat seinen methodologischen Zusatz, und nach allen vier Capiteln folgt eine Betrachtung über Uebersetzungen und Commentare. Dann folgt die Theorie der Kritik. Bei der Kritik ist das Erkennen eines Verhältnisses des vorliegenden Gegenstandes zu etwas anderem der Zweck; und solches Verhältnis spricht sich aus in einem Urteil. Die Arten der Kritik können nicht nach den Arten der von ihr gefällten Urteile bestimmt werden. Es handelt sich auch hier nur um die Bedingungen des Mitgeteilten. Bei der Interpretation soll das Mitgeteilte an sich aus den Bedingungen verstanden werden; in der Kritik ist das Verhältnis des Mitgeteilten zu seinen Bedingungen zu verstehen. Es kann also nur dieselben vier Arten der Kritik geben, wie die der Auslegung; also grammatische, historische, individuelle und generische Kritik. Das Mitgeteilte kann seinen Bedingungen angemessen sein oder nicht. Demnach hat die Kritik erstlich zu untersuchen, ob ein gegebenes Sprachwerk oder dessen Teile dem grammatischen Wortsinne der Sprache, der historischen Grundlage, der Individualität des Autors und dem Charakter der Gattung angemessen seien oder nicht. Wenn nicht, so muss sie zweitens feststellen, wie es angemessener sein würde. Da aber die Bedingung dafür, dass eine Schrift für uns da sei, die Ueberlieferung ist, so ist auch das Verhältnis der alten Schriftwerke zur Ueberlieferung zu untersuchen, d. h. die Kritik hat drittens zu sehen, ob das Ueberlieferte ursprünglich ist oder nicht. Text-Kritik liegt in [246/554] allen vier Arten. Die diplomatische Kritik aber kann nicht als besondere Art gelten. Sie ist die Prüfung der Urkunden (Inschriften, Handschriften), der äußeren Zeugnisse, und so bildet sie einen Anhang zur grammatischen Kritik. In das Einzelne einzugehen behalte ich den spätern Artikeln vor. Ich gedenke nur noch der allgemeineren Bemerkungen über

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rapporti soggettivi dell’individualità, è a dire dal fine della comunicazione, da cui sorgono i generi del discorso, la poesia e la prosa coi loro diversi tipi. Così emerge l’interpretazione per generi (o estetica)33. Ora, una dialettica finemente realizzata mostra, ancora una volta, come questi quattro modi d’interpretazione si intersechino. Poi, ogni modo è trattato singolarmente in un capitolo speciale e illustrato attraverso esempi scelti, per lo più, da Sofocle, Pindaro, Orazio e Tacito. Ogni capitolo ha la sua aggiunta metodologica, e dopo i quattro capitoli34 segue una postilla sulle traduzioni e il commento. Segue poi la teoria della critica. Nella critica, il fine è la conoscenza del modo in cui l’oggetto presente si rapporta a qualcos’altro. E tale rapporto si esprime attraverso un giudizio. I modi della critica non possono essere determinati secondo i modi dei giudizi da essa contemplati. Anche qui si tratta soltanto delle condizioni di ciò che è comunicato. Nell’interpretazione, ciò che è comunicato deve essere compreso in sé a partire dalle condizioni. Nella critica bisogna comprendere il rapporto tra ciò che è comunicato e le sue condizioni. Dunque, come per l’interpretazione, possono solo darsi questi quattro modi della critica: grammaticale, storica, individuale e di genere. Ciò che è comunicato può, oppure no, essere coerente e conseguente con le sue condizioni. Dunque la critica ha anzitutto da accertare se un’opera linguistica data, o parti di essa, siano coerenti o no col senso grammaticale della lingua, con il fondamento storico, con l’individualità dell’autore e col carattere del genere letterario. Se ciò non accade, essa deve, in secondo luogo, stabilire in che modo sarebbero coerenti. Ma dal momento che la condizione perché uno scritto per noi sia presente è la tradizione, allora bisogna anche appurare il rapporto degli scritti antichi con la tradizione, il che significa che la critica, in terzo luogo, deve constatare se ciò che è tramandato è originale oppure no. La critica testuale [246] consta di tutti e quattro i modi. Ma la critica diplomatica non può valere quale tipo particolare. È l’esame dei documenti (iscrizioni, manoscritti), delle testimonianze esterne e pertanto costituisce un’aggiunta alla critica grammaticale. Mi riservo di entrare nel particolare nei prossimi articoli. Di seguito ricordo ancora le osservazioni generali sul valore

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den Wert der Kritik, das kritische Talent, die Grade der kritischen Wahrheit und das Verhältnis der Kritik zur Hermeneutik (S. 171-179), wo sich überall ein allseitiger Geist offenbart, der vor einseitiger Ueberhebung geschützt ist. Wörtlich angeführt werde der Schluss der Darlegung der Gattungskritik (S. 250): »In der Tat sind auch die vier von uns erörterten Arten der Kritik in ihrer Gesammtheit nichts anderes als das, was man im gewöhnlichen Sprachgebrauch literarische Kritik nennt und als Aufgabe der Recensionen in modernem Sinne ansieht. Eine vollständige Recension muss den Charakter einer Schrift in Bezug auf ihre Sprache, ihre historischen Voraussetzungen, die Individualität des Autors und die Erfordernisse ihrer literarischen Gattung, bei wissenschaftlichen Werken vor allem in Bezug auf die erreichte Wahrheit und die in der Schrift enthaltene wissenschaftliche Leistung darstellen und würdigen; es soll mithin hier das ganze Problem der Kritik gelöst werden«. Darum »verdienen offenbar nur wenige sogenannte Recensionen diesen Namen. Das gewöhnliche oberflächliche Recensiren, das leichtfertige Aburteilen über fremde Leistungen ist als frivol zu verwerfen und gehört zu den schlimmsten Schäden unserer Zeit« (sagen wir lieber: aller Zeiten); »aber gute Recensionen sind von der größten Bedeutung für die Entwicklung der gesammten Literatur und ganz besonders auch für die Entwicklung unserer philologischen Wissenschaft, die der beständigen Selbstkritik bedarf«. Wie viele von den Recensionen, welche der Schreiber dieser Blätter verfasst hat, dürften wohl, an diesem Maßstabe gemessen, den Namen verdienen? und in welchem Maße mögen sie ihn verdienen? Den Uebergang von dem formalen zum materialen Teil macht Böckh durch ein besonderes Capitel: »Philologische [247/555] Reconstruction des Altertums« (S. 255 ff.). »Die Grammatik wird durch die grammatische Interpretation der gesammten Literatur erzeugt; aber die generische Auslegung muss hinzutreten; aus ihr geht die höchste grammatische Theorie, die Stilistik hervor. Diese setzt als Grundlage die Literaturgeschichte voraus, welche durch die individuelle Interpretation in Verbindung mit der generischen geschaffen wird. Die Geschichte der Wissenschaften endlich, die wieder als die notwendige Voraussetzung der Literaturgeschichte erscheint, ist ebenfalls ein Erzeugnis der generischen

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della critica, sul talento critico, sui gradi della verità critica e sul rapporto di critica ed ermeneutica (171-179) [215-222], parti tutte in cui si manifesta uno spirito ampio dispensato da una unilaterale presunzione. Sia citata letteralmente la conclusione della esposizione della critica dei generi letterari (250) [295]: «Di fatto, i quattro modi della critica da noi esaminati nel loro complesso non sono niente di diverso rispetto a ciò che, nell’uso linguistico comune, si chiama critica letteraria o rispetto a ciò che è considerato compito delle recensioni in senso moderno. Una recensione completa deve illustrare e valutare il carattere di uno scritto in relazione alla sua lingua, ai suoi presupposti storici, all’individualità dell’autore, ai requisiti del suo genere letterario e, nelle opere scientifiche, anzitutto in relazione alla verità raggiunta e al contributo scientifico realizzato; pertanto qui deve essere risolto l’intero problema della critica». Per questo motivo «come è noto, solo poche cosiddette recensioni meritano un tale nome. Il modo superficiale in cui abitualmente si recensisce, il semplicistico sentenziare su lavori d’altri, è da stigmatizzare come un atto frivolo ed è uno dei più gravi danni del nostro tempo» (diciamo meglio: di ogni tempo) «ma le buone recensioni sono del più alto significato per lo sviluppo dell’intera letteratura e, in modo del tutto particolare, per lo sviluppo della nostra scienza filologica, che abbisogna di una autocritica permanente». Quante recensioni, tra quelle che lo scrittore di queste pagine ha vergato, dovrebbero ben meritar questo nome in relazione a tale criterio? e in che misura potrebbero guadagnarlo35? Il passaggio dalla parte formale a quella materiale è scandito da un capitolo speciale: «La ricostruzione [247] filologica dell’antichità» (255 e sgg.) [301-302]. «La grammatica è prodotta attraverso l’interpretazione grammaticale dell’intera letteratura; ma le si deve aggiungere l’interpretazione per generi; da quest’ultima risulta la più alta teoria grammaticale, la stilistica. Questa presuppone, come base, la storia della letteratura, che è costituita dalla interpretazione individuale in connessione con quella per generi36. La storia delle scienze, infine, che appare a sua volta quale presupposto necessario della storia della letteratura è certamente un prodotto dell’interpretazione per generi, in modo tale che questa deve valere

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Interpretation, sodass diese als beherrschender Mittelpunkt der gesammten Auslegung gelten muss. Da aber zugleich überall die historische Interpretation vorausgesetzt wird, erfordert die Erklärung der Sprachdenkmäler selbst, die ja ihrerseits ohne die drei durch sie erzeugten realen Wissenschaften (die Grammatik, die Literaturgeschichte und die Geschichte der Wissenschaften) nicht möglich ist, eine Ergänzung durch die übrigen geschichtlichen Denkmäler. Es werden bei diesen« (z. B. den Bildwerken, Geräten) »dieselben Arten der Interpretation zur Anwendung kommen, wie bei den Sprachdenkmälern mit Ausnahme der grammatischen Auslegung... Eine solche gibt es hier nicht, weil sich in den nicht schriftlichen Denkmälern überhaupt nichts den Sprachelementen Entsprechendes findet. Bei jedem Werke der Kunst oder Industrie und bei jeder Aeußerung des praktischen Handelns sind die äußern Formen, welche der menschliche Geist geschaffen hat, selbst objective Anschauungen, die in Worte umgesetzt, d. h. beschrieben werden können, während bei der grammatischen Spracherklärung die Worte auf Anschauungen zurückgeführt werden sollen. Aber . . . es gibt für alle Denkmäler eine Gattungskritik, welche Zweck und Bedeutung der menschlichen Erzeugnisse ermittelt und daraus Stoff und Form derselben erklärt, und zu ihr treten die historische und individuelle Interpretation in demselben Sinne wie bei den Sprachdenkmälern hinzu«. Da ich auf diesen Punkt, die Anwendung der Theorie der Interpretation und Kritik auf die nicht schriftlichen Denkmäler, [248/556] auch später nicht einzugehen denke, so möchte ich mir darüber an diesem Orte ein paar Bemerkungen erlauben. Dass es bei den Erzeugnissen der Kunst und Industrie etwas dem grammatischen Verstehen entsprechendes gar nicht gebe, will mir nicht scheinen; nur wird es allerdings, wie Böckh in der angeführten Stelle treffend gezeigt hat, etwas von grammatischem Wesen sehr verschiedenes sein müssen. Was nämlich dort die Auffassung der Sprach-Elemente, das Wort-Verständnis, zu leisten hat, nämlich mitgeteilte Anschauungen zu reproduciren: das soll hier durch die unmittelbare Tätigkeit der Sinne, namentlich des Gesichtssinnes, erzielt werden. Mit Hülfe unsres Auges soll die Anschauung eines Apollo, einer Vase, eines Schildes oder eines Pilum erzeugt werden. Bevor dies gelungen, ist das volle Verständnis gewisser Wörter unmöglich: denn wie soll das Wort pilum auf die »An-

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come punto medio di riferimento dell’intera interpretazione. Ma dal momento che, allo stesso modo, l’interpretazione storica è presupposta dappertutto, la spiegazione dei monumenti linguistici stessi, la quale già da parte sua non è possibile senza le tre scienze reali (la grammatica, la storia della letteratura e la storia delle scienze) da essa prodotte, richiede di essere completata per mezzo dei restanti monumenti storici. Anche per questi» (opere raffigurative, strumenti) «si utilizzano gli stessi modi dell’interpretazione utilizzati per i monumenti linguistici, con l’eccezione dell’interpretazione grammaticale … che in questo caso non è praticabile perché non si trova nei monumenti non scritti nulla di corrispondente agli elementi linguistici. In ogni opera dell’arte o dell’industria e in ogni manifestazione dell’attività pratica le forme esteriori, che lo spirito umano ha realizzato, sono le stesse intuizioni oggettive, che possono essere volte in parole, è a dire descritte, mentre nella spiegazione linguistico-grammaticale le parole devono essere ricondotte a intuizioni. E tuttavia … c’è per ogni monumento una critica per generi, la quale accerta il fine e il significato dei prodotti umani e attraverso ciò spiega la materia e la forma di essi; ad essa si aggiungono l’interpretazione storica e individuale nello stesso senso in cui ciò accade per i monumenti linguistici». Dal momento che credo di non soffermarmi nemmeno in seguito su questo punto dell’utilizzazione della teoria [248] dell’interpretazione e della critica sui monumenti non scritti, in merito a ciò mi permetterò qui un paio di considerazioni. Che nei prodotti dell’arte e dell’industria non si dia alcunché di corrispondente all’interpretazione grammaticale, non mi pare esatto; e tuttavia, come Böckh ha mostrato con precisione nel luogo citato, dovrà esservi qualcosa di molto diverso dall’essenza della grammatica. Infatti ciò che lì ha da compiere la comprensione degli elementi linguistici, la comprensione della parola, è a dire la riproduzione delle intuizioni comunicate, qua deve essere raggiunto attraverso l’attività immediata dei sensi, in particolare dal senso della vista. Con l’aiuto degli occhi deve essere prodotta l’intuizione di un Apollo, di un vaso, di uno scudo, di un giavellotto. Prima che ciò riesca, la comprensione piena di certe parole è impossibile: come

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schauung zurückgeführt werden«, wenn diese Anschauung noch gar nicht gebildet ist? So steht die Bildung der Sinnes-Anschauung der grammatischen Interpretation allerdings gegenüber, ist aber in ihrem Vorgange von letzterer wesentlich verschieden und bis auf einen gewissen Punkt ihre Voraussetzung. Es wird auch schwerlich eine Theorie von ihr geben, aber wohl eine praktische Anweisung und eine Uebung des Blickes. Die drei andern Interpretations-Arten werden leicht auch auf jene sachlichen Denkmäler anzuwenden sein; nur wird ihre Theorie nach der Verschiedenheit des Stoffes verschieden sein. Nur einen gemeinsamen Punkt will ich hervorheben. Die Werke der Kunst sind sämmtlich als Unica anzusehen, als individuell, und unterscheiden sich dadurch von den Werken der Industrie, welche wie die Naturproducte nur eine Betrachtung nach Arten und Gattungen gestatten. Genau so sind auch die Werke der rednerischen Kunst von der Umgangs-Sprache verschieden. Von beiden Seiten gilt ferner auch dies: jene sind theoretisch, diese praktisch. – Aber auch innerhalb der Praxis besteht ein ganz analoger Unterschied, der von der Einteilung in öffentliches und privates Leben nicht gedeckt wird, und den ich durch Tat und [249/557] Handlung bezeichnen möchte. Eine Tat ist ein Unicum, weltgeschichtlich, z. B. eine Schlacht, Einrichtung oder Aufhebung eines politischen oder gerichtlichen Amtes, das Geben oder Durchbringen, Aendern oder Aufheben eines Gesetzes u. s. w. kurz jede Schöpfung, aber auch jede Erfindung, Entdekkung, gleichviel ob im Staats- oder Privat-Leben. Handlungen dagegen werden philologisch nur nach Arten und Gattungen betrachtet, wie die Amts-Handlung irgend eines N. N. oder sein Gewerbe, seine Ehe, seine Reise u.s.w. Alles praktische Auftreten ist Verwirklichung einer Idee; aber jene Unica, die wir Taten nennen, sind Schöpfungen oder Umwandlungen der Idee selbst, die Handlungen dagegen werden nach Maßgabe einer Idee geübt; jene betreffen die Arten selbst, diese sind nur Exemplare einer Art; jene gestalten das ganze Leben eines Volkes oder Staates, diese sind nur augenblickliche Wiederholungen. In Handlungen können aber auch Taten ausgeführt werden. Sokrates war einmal Richter, wie unzählige Athener, und so vollzog er eine Handlung;

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può infatti la parola pilum «essere ricondotta all’intuizione», se tale intuizione non è ancora stata costruita? Per quanto dunque la costituzione dell’intuizione sensibile stia di fronte all’intuizione grammaticale, tuttavia nel suo processo è essenzialmente diversa da quest’ultima e insieme fino ad un certo punto ne costituisce il presupposto. Difficilmente si darà una teoria di essa, sì bene una disposizione pratica e un’esercitazione dello sguardo37. Gli altri tre modi dell’interpretazione saranno utilizzati facilmente anche per i monumenti materiali; solo che la loro teoria sarà diversa a secondo della diversità della materia. Voglio porre in rilievo solo un punto in comune. Le opere d’arte sono normalmente considerate quali unica, come individuali, e perciò si differenziano dalle opere dell’industria, che, come i prodotti naturali, ammettono solo una considerazione secondo le specie e i generi. Esattamente allo stesso modo, le opere dell’arte oratoria sono diverse da quelle del linguaggio comune. In entrambi i casi vale poi ciò: quelle sono teoretiche, queste pratiche. – Ma anche all’interno della praxis si dà una differenza analoga, la quale non coincide con la ripartizione in vita pubblica e privata e che io vorrei indicare come atto [249] e azione. Un atto è un unicum in relazione alla storia universale, ad esempio, una battaglia, la creazione o l’abolizione di un ufficio politico o giuridico; l’emanazione, l’approvazione, l’emendamento o l’abrogazione di una legge e così via, in breve ogni creazione, ma anche ogni invenzione o scoperta, indistintamente della vita pubblica o della vita privata. Le azioni, di contro, sono considerate filologicamente soltanto secondo le specie e i generi, come l’azione d’ufficio di una persona qualsiasi38 o la sua attività, il suo matrimonio, il suo viaggio e così via. Ogni attività pratica è la realizzazione di un’idea; ma quegli unica, che chiamiamo “atti”, sono creazioni o trasformazioni dell’idea stessa; le azioni, di contro, sono compiute secondo la forma già data di un’idea; gli atti sono i modi stessi dell’idea, le azioni ne costituiscono soltanto un esemplare; quelli danno forma all’intera vita di un popolo o di uno stato, queste sono soltanto ripetizioni momentanee. Ma nelle azioni possono anche essere portati a compimento atti. Socrate fu un tempo giudice, come innumerevoli ateniesi, e in

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bei einer bestimmten bedeutungsvollen Gelegenheit aber führte er als solcher durch seine Handlung eine berühmte Tat aus. – Von dieser philologischen Beurteilung, wonach sich die Tätigkeit eines Menschen als Tat oder Handlung erweist, ist die ethische Beurteilung verschieden. Diese fasst nicht bloß das gesammte Volksleben als Einheit und Idee auf, sondern auch das Individuum gilt ihr als Noumenon, und die Handlung gestaltet oder verwirklicht dasselbe. In diesem Sinne gilt jede Handlung eines Einzelnen als seine sittliche oder unsittliche Tat. – Doch wir kehren zu Böckh zurück (S. 256f.) und kommen nun zum Mittelpunkt seines Systems und seiner ganzen Weltanschauung. »Außer den erhaltenen directen Wirkungen eines Volkes werden die Denkmäler der Kunst und vor allem die Sprachdenkmäler ihrem Inhalte nach die Quelle für die Geschichte des Staats- und Privatlebens . . . Das letzte Ziel ist immer die Aufgabe der Gattungskritik, alle rnenschlichen Werke nach ihrem Zweck, nach den zu Grunde liegenden Ideen zu messen... Das höchste Ideal für das praktische [250/558] Handeln ist nun das der Sittlichkeit, und die sittliche Kritik besteht darin, dass das gesammte Handeln nach diesem Ideal geprüft wird; das höchste Ideal der Kunst aber ist die Schönheit, der Maßstab für alle ästhetische Kritik. Diese beiden Ideen haben mit der W ahrheit ihre gemeinsame Wurzel in der Idee der Humanität; das Reinmenschliche ist das Göttliche auf Erden... So entwickelt sich in der gesammten Culturgeschichte die tatkräftige Erkenntnis der Humanität, und wenn daher die höchste Aufgabe der Kritik darin besteht, das gesammte geschichtliche Leben einer Nation oder Zeit nach dem Ideal der Humanität zu messen, so darf letzteres doch wieder nicht als gegeben vorausgesetzt, sondern muss aus der Entwicklung selbst gewonnen werden. Bei der Betrachtung des Altertums kann dies nur so geschehen, dass man die Totalitat aller seiner Erzeugnisse in formaler und materialer Hinsicht zusammenfasst und ihre Geltung in der Entwicklungsskala der Menschheit bestimmt; es entsteht hierdurch die Anschauung des Antiken im Gegensatz zu dem aus demselben hervorgehenden Modernen«. Dies ist es, weswegen mir Böckh immer nicht nur in seiner Ironie liebenswürdig, sondern als Forscher verehrungswürdig war und bleiben wird. Seine Ironie ist durchaus jene hohe Selbst-

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quanto tale compì un’azione. In una precisa occasione ricca di significato però egli, in quanto giudice, attraverso la sua azione portò a compimento un atto degno d’esser ricordato39. – Da tale giudizio filologico, secondo cui l’attività di un uomo si mostra come atto o azione, il giudizio etico è diverso. Esso comprende come unità e idea non soltanto l’intera vita del popolo, bensì l’individuo stesso vale per il giudizio etico come noumeno e l’azione dà forma o realizza il noumeno stesso. In questo senso ogni azione di un singolo vale come un suo atto morale o immorale. – Ma torniamo a Böckh (p. 256 e sgg.) [302-303] e giungiamo al centro del suo sistema e della sua intera Weltanschauung. «Esclusi gli effetti di un popolo che riceviamo direttamente40, i monumenti artistici e soprattutto i monumenti linguistici, secondo il contenuto loro proprio, diventano le fonti per la storia dello stato e della vita privata. … Il fine ultimo è sempre il compito della critica per generi: valutare tutte le opere umane in relazione al fine e alle idee che vi stanno alla base … Il più alto ideale nell’attività pratica [250] è dunque quello della moralità e la critica morale consiste in ciò: nell’esaminare l’agire complessivo in relazione a questo ideale; ma il più alto ideale dell’arte è la bellezza, il criterio per qualsiasi critica estetica. Entrambe queste idee, e l’idea di verità, hanno radice comune nell’idea di Umanità, il puramente umano è il divino sulla terra … così si sviluppa nell’intera storia della cultura la conoscenza fattiva dell’Umanità, e se il più alto compito della critica sta pertanto nel valutare l’intera vita storica di una nazione o di un’epoca alla luce dell’ideale di Umanità, così quest’ultimo non può essere presupposto come già dato, ma deve essere conseguito dallo sviluppo stesso. Nella considerazione dell’antichità ciò può accadere solo sintetizzando da un punto di vista materiale e formale la totalità dei suoi prodotti e determinando il valore di questa totalità entro la scala di sviluppo del genere umano; sorge in questo modo l’intuizione dell’antico in contrapposizione al moderno da esso risultante». Questa è la ragione per cui Böckh fu sempre ai miei occhi e sempre rimarrà non soltanto apprezzato per la sua ironia, ma anche amato con devozione per la sua scienza. La sua iro-

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ironie, welche aus dem klaren Bewusstsein des Endlichen vom Unendlichen entsteht. Sie ist im Gefühl die reine Mischung der entgegengesetzten Wirkungen des Erhabenen, nämlich seiner niederdrückenden und seiner erhebenden Kraft. In solcher Stimmung schuf er die Idee seiner Philologie, welche, wie mir immer schien, nicht nur neben der Philosophie der Geschichte in gleicher Würde steht, sondern kurzweg die wahre Auffassung des Menschen lehrt. Man muss von dem Werte dieser hohen Stellung, welche Böckh in den angeführten Worten einnimmt, tief ergriffen sein, und zugleich lebendigen Sinn für wissenschaftliche Form haben, um dann auch den ganzen Reiz der sich daran knüpfenden Systematik zu fühlen. Hier, auf der höchsten Höhe der Philologie findet naturgemäß die Peripetie statt: [251/559] ist man vermittelst der Interpretation und Kritik in ihren vier Arten so hoch gestiegen, so gilt es jetzt wieder in die speciellen Disciplinen des materialen Teiles hinabzusteigen. Hier, mit »den äußern realen Bedingungen des Volkslebens« beginnend, tritt uns zuerst das Staatsleben entgegen, dann das Privatleben, »worin sich innerhalb der großen sittlichen Gemeinschaft das rein Menschliche individuell entwickelt. Alle leitenden Ideen, die so hervortreten, objectiviren sich dann in der Kunst«. Wenn dort die historische Auslegung herrscht, so hier die generische (ästhetische). »Zugleich wird aber auch die Form, durch welche der Geist alle diese Erkenntnisse* schafft, der ORYJR~, objectivirt in der Sprache. In dieser wird zunächst der gesammte Stoff der Erkenntnis zum Inhalt des Wissens; durch die wirkende Kraft der Individualität wird der Inhalt ferner der geistigen Form zweckgemäß eingefügt, woraus die literarischen Gattungen entstehn, und nach Maßgabe der letzteren bildet sich die in der Sprache ausgeprägte Form selbst in dem Volke mit immer klarerem Bewusstsein hervor, sodass also die Geschichte der Wissenschaften, die Literaturgeschichte und die Sprachgeschichte (die Grammatik) das Wissen der Nation in drei dem Begriffe nach aufsteigenden Stufen darstellen«. So ist der Volksgeist historisch, individuell und generisch »und auf seiner höchsten Stufe gram* Der Leser wolle beachten, dass Böckh auch in allen praktischen Schöpfungen Erkanntes sieht.

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nia è in senso assoluto quell’alta autoironia che sorge dalla limpida consapevolezza della finitudine dell’infinito. Come sentimento, tale consapevolezza, è la pura mescolanza degli effetti del sublime che si contrappongono, è a dire della sua forza, che ora comprime verso il basso, ora eleva verso l’alto. In questa condizione d’animo egli concepì l’idea della sua filologia che, come mi fu chiaro da sempre, non solo può essere posta con pari dignità vicino alla filosofia della storia, ma piuttosto insegna la vera comprensione dell’uomo. Bisogna essere profondamente rapiti dal valore dell’alta istanza che Böckh assume nelle parole citate e possedere al contempo il senso vivente della forma scientifica per sentire poi l’intero stimolo della sistematica che si connette a quella posizione. Qui sul punto più alto della filologia ha luogo, secondo natura, la peripezia: [251] ci si è alzati attraverso i quattro modi dell’interpretazione e della critica così in alto, ora tocca di nuovo tornare in basso, nelle discipline speciali della parte materiale. Qui, iniziando con le condizioni esterne reali della vita del popolo, ci si fa incontro anzitutto la vita dello stato, poi la vita privata, «ove, all’interno della grande comunità morale, si sviluppa individualmente il puramente umano. Tutte le idee guida che così si manifestano, si oggettivano quindi nell’arte». Se lì domina l’interpretazione storica, qui quella per generi (estetica). «Ma anche la forma attraverso cui lo spirito plasma tutte queste conoscenze*, il ORYJR~, è oggettivata nella lingua. In essa, in primo luogo, l’intera materia della conoscenza diventa contenuto del sapere. Più avanti, attraverso la forza operante dell’individualità, il contenuto è penetrato adeguatamente dalla forma spirituale, da ciò sorgono i generi letterari e, secondo la misura di questi ultimi, si costituisce nel popolo con sempre più chiara coscienza la forma stessa plasmata nella lingua, cosicché la storia delle scienze, quella della letteratura e quella della lingua (la grammatica) rappresentino il sapere della nazione in tre gradi ascendenti secondo il concetto». Sicché lo spirito del popolo è da interpretare in una prospettiva storica, individuale o secondo i generi letterari e * Il lettore voglia prestare attenzione al fatto che Böckh scorge il conosciuto anche in tutte le creazioni pratiche.

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matisch auszulegen«. »Die realen Disciplinen der Altertumskunde folgen hiernach aus dem Princip, der Gesammtanschauung des Antiken, in umgekehrter Reihenfolge, als sie bei der Auslegung der einzelnen Denkmäler von der grammatischen Interpretation aus, die naturgemäß den Anfang bildet, erzeugt werden. Sämmtliche formalen und materialen Disciplinen der Philologie schließen sich hierdurch, indem die Sprache den Anfang und das Ende bildet, zu einem Kreise zusammen« (S. 257. 258). Ich weiß nicht, ob der Leser den empfänglichen Sinn für den Reiz dieser Systematik hat. Durch die formalen [252/560] Functionen des Philologen gelangt er zuerst zur Grammatik, dann zur Stilistik und Litteraturgeschichte, zur Geschichte der Wissenschaften, weiter zur Kunstgeschichte, endlich zur Geschichte des Privatlebens und des Staates. So zur Anschauung des Antiken gelangt ergeben sich aus dieser in umgekehrter Folge, in immer tieferem Eindringen vom Aeußern in das Innere des Nationallebens: die Geschichte des Staates, die Privat-Altertümer, die Geschichte der Kunst, Religion und Wissenschaft, Litteraturgeschichte, endlich Grammatik. Letztere, für uns das Erste (um aristotelisch zu reden), wird für sich das Letzte. Auch an Hegel kann ich erinnern, der den objectiven Geist genau so systematisirt: Staat, Kunst, Religion, Wissenschaft. Jetzt kommen wir zum zweiten Hauptteil, der die materialen Disciplinen der Altertumslehre umfasst, dessen erster Abschnitt aber die allgemeine Altertumslehre, d. h. die Charakteristik des Antiken im allgemeinen, enthält. Dies ist eine Disciplin, die wir, wenn ich nicht irre, ganz und gar Böckh zu verdanken haben. Man muss aber diesen Abschnitt lesen; ich mag keinen Auszug geben. Der nun folgende besondere Teil umfasst sämmtliche einzelne Disciplinen der griechischen und römischen Philologie mit ihren Hülfs-Disciplinen. Für jede wird die Idee und der Zweck, das Wesen und die Beziehung derselben zu andern dargelegt; es werden also die Grundbegriffe gegeben und die daraus folgende Einteilung. Auch an Skizzirungen fehlt es nirgends, z. B. wird Plato verhältnismäßig nicht kurz entwickelt*. Dann werden die Quel-

* Von den etwas über 800 Seiten, aus denen das Werk besteht, fallen etwa 300 auf die Einleitung, den formalen Teil und die Allgemeine Altertumslehre,

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«al suo livello più alto, secondo una prospettiva grammaticale». «Le discipline reali della scienza dell’antichità seguono poi dal principio, è a dire dall’intuizione complessiva dell’antico, in serie contraria rispetto al modo in cui sono prodotte dall’interpretazione dei singoli monumenti attraverso l’interpretazione grammaticale, che ne costituisce il punto di partenza naturale. Il complesso delle discipline formali e materiali della filologia si uniscono in un circolo per il fatto che la lingua ne costituisce l’inizio e la fine» (p. 257-258) [303-304]. Non so se il lettore sia ricettivo rispetto allo stimolo offerto da questa sistematica. Attraverso le sue funzioni [252] formali il filologo perviene anzitutto alla grammatica, poi alla stilistica e alla storia della letteratura, alla storia delle scienze, e, oltre, alla storia della cultura, infine alla storia della vita privata e dello stato. Così, una volta giunti all’intuizione dell’antico, ne discendono in serie contraria, con un giro sempre più penetrante dall’esterno verso l’interno della vita nazionale: la storia dello stato, l’antichità privata, la storia dell’arte, la religione e la scienza, la storia della letteratura e infine la grammatica. Quest’ultima, per noi la prima (per discorrere aristotelicamente), è l’ultima per sé41. Io potrei ricordare anche Hegel, che sistematizzò in modo esattamente uguale lo spirito oggettivo: stato, arte, religione, scienza42. Giungiamo ora alla seconda parte, che abbraccia le discipline materiali della dottrina dell’antichità, il cui primo capitolo contiene la dottrina generale dell’antichità, è a dire la caratteristica dell’antico in generale. Questa, se non erro, è una disciplina che dobbiamo interamente a Böckh. Questa parte però bisogna leggerla; non intendo darne un estratto. La parte speciale seguente contempla insieme singole discipline della filologia greca e romana e le discipline ausiliarie. Di ciascuna è presentata l’idea e il fine, l’essenza e la relazione con le altre; sono poi esposti i concetti basilari e la partizione che segue da essi. Anche negli abbozzi essa non è carente, ad esempio il pensiero di Platone è sviluppato proporzionalmente in modo non breve*. Poi sono indicate le fonti. Assieme a * Delle circa 800 pagine di cui l’opera consiste, circa 300 sono dedicate all’introduzione, alla parte formale e alla dottrina generale dell’antichità,

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len verzeichnet. Mit all dem werden Winke für methodisches Forschen und Lernen erteilt, wie sich der Studirende zu üben, wo anzufangen und [253/561] wie vorzuschreiten, wovor sich zu hüten habe. Die Bibliographie endlich wird fast vollständig gegeben, und der Herausgeber hat es sich angelegen sein lassen, sie bis zur Zeit des Druckes zu ergänzen. Bei den bedeutendsten Erscheinungen und auch sonst oft fügt Böckh dem genau angegebenen Titel auch noch eine kurze Kritik bei. So ist wohl alles geschehen, um zu zeigen, was bisher geleistet ist, und wie und auf welchem Wege es geleistet ist, und was noch zu leisten übrig bleibt – soweit dies in der Encyklopädie möglich ist, die doch eine Geschichte der Philologie nicht ersetzen kann. Kaum bedarf es des Zusatzes, dass Böckh auf allen Gebieten der Philologie den Fortschritten bis zu seinem Ende gefolgt ist. So dürfte hier wohl der Begriff einer Encyklopädie und Me thodologie vollständiger erfüllt sein als jemals in irgend einem ähnlichen Werke; und, so sehr es möglich ist, dürfte hier geleistet sein, was Bernhardy (Grundlinien zur Encyklop. S. V) mit folgenden Worten bezeichnet: »Wir müssten es von einem Meister erwarten, welcher am Ende seiner Laufbahn sich entschließen könnte, mit rühmlicher Unbefangenheit des Gemüts seine Lehrjahre, Freuden und Leiden, Erwartungen und Irrgänge, Wahrheiten und Wünsche niederzulegen; dorthin würden wie zur Beschauung einer reichen Werkstätte die Kunstgenossen wandern, um sich mit der praktischen Fülle von Erfahrung, Begriffen und mannichfacher Anregung auszustatten«. Auch über das Werden, die Entstehung des Systems in Böckhs Geiste möchte man gem etwas wissen. Vielleicht gibt uns hierüber Böckhs Biograph, Hr. Prof. Stark in Heidelberg, recht bald vollern Aufschluss. Zunächst wüsste ich hierüber nur folgendes zu sagen. Böckhs Bildung vollzog sich ganz im Geiste des classischen Deutschland im Uebergange aus dem vorigen in das gegenwärtige Jahrhundert. Schiller und Goethe, Schelling, Fr. Aug. Wolf und Friedrich Schlegel – die Ideen dieser Männer sind 500 auf die besondere Altertumslehre. Hiervon gehören dem öffentlichen Leben über 50, dem Privatleben beinahe 50, der Kunst und dem Cultus über 100, der Mythologie und der Wissenschaft fast 100, der Litteratur über 100, der Sprache 75 Seiten. Das Register endlich füllt 19 dreigespaltene Seiten.

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tutto ciò sono impartiti cenni per la ricerca e l’apprendimento metodico, sul modo in cui lo studente debba esercitarsi, dove debba iniziare e [253] come proseguire, ciò da cui debba guardarsi. La bibliografia infine è data quasi in modo completo e il curatore ha avuto a cuore di perfezionarla fino alla data della stampa43. Per le pubblicazioni più significative e spesso anche per il resto Böckh aggiunge al titolo indicato con precisione anche una breve critica. Così l’intera tessitura dell’opera è volta a mostrare ciò che è stato compiuto finora, come e per quale via, e cosa ancora debba essere intrapreso – per quanto tutto questo sia possibile nell’enciclopedia, la quale certo non può sostituire una storia della filologia. È quasi superfluo aggiungere che Böckh ha seguito i progressi in tutti i campi della filologia fino alla morte. Così qui il concetto di un’enciclopedia e di una metodologia dovrebbe essere conseguito pienamente come mai prima in un’opera simile e, per quanto è possibile, dovrebbe qui essere realizzato ciò che Bernhardy (Grundlinien zur Encyklop. p. V) indica con le seguenti parole: «Dovremmo aspettarci da un maestro, che al termine della propria carriera potesse risolversi a mettere per iscritto, con onorevole imparzialità dello spirito, le avventure dei suoi anni di insegnamento, le gioie e i patimenti, le aspettative e i percorsi insidiosi, le verità e i desideri; davanti a questo lavoro i compagni d’arte passerebbero come a visita di una ricca officina, per dotarsi della pienezza pratica di esperienza, concetti e di stimoli molteplici»44. Si desidererebbe anche sapere qualcosa in merito alla nascita e alla maturazione del sistema nello spirito di Böckh. Forse, in proposito, il biografo di Böckh, il Prof. Stark di Heidelberg, ci darà davvero presto maggiori chiarimenti45. Per il momento rispetto a ciò saprei solo dire quanto segue. La formazione di Böckh si è compiuta interamente nello spirito della Germania classica, durante il passaggio dal secolo precedente al presente. Schiller e Goethe, Schelling, Fr. Aug. 500 alla scienza speciale dell’antichità. Qui oltre 50 pagine sono dedicate alla vita pubblica, pressoché 50 a quella privata, oltre 100 all’arte e al culto, quasi 100 alla mitologia e alla scienza, oltre 100 alla letteratura, 75 pagine alla lingua. Il registro finale riempie 19 pagine divise in 3 colonne.

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die Milch, mit der er heranwächst. Romantiker war er niemals. Schleiermacher ist durch seine Vorlesungen und den ersten Band seines Plato [254/562] gewiss von bedeutendem Einflusse auf ihn. Indessen hat Böckh, wie überhaupt, so auch als Philosoph sich die vollste Selbständigkeit bewahrt, und der Charakter seiner Intelligenz war von Schleiermacher durchaus verschieden. Dies hat nicht gehindert, dass er diesem Manne durch sein Leben hindurch die treueste Freundschaft widmete. Zu den schon oben gelegentlich angedeuteten Punkten, in denen sich Böckh von aller Romantik unterschied, füge ich hier nur die Stellung der Religion hinzu, die bei Böckh eine völlig andre als bei Schleiermacher ist. Was zumal die Theorie der Hermeneutik und Kritik betrifft, so hat hier Böckh alles, was Fr. Schlegel in geistvollen Aphorismen um sich wirft und woran sich Ast versucht hat und Schleiermacher in seiner Weise abmüht, in ein klares System zusammengefasst. Dieses ist ganz und gar seine Schöpfung. Wir dürfen uns nicht denken, dass diese Schöpfung stückweise vorgegangen wäre: ein System entsteht mit einem Schlage, durch eine Conception. Der concipirte Gedanke, dieser befruchtete Keim des Systems, mag noch lange Zeit ein embryonisches Dasein im Bewusstsein verbringen, und selbst schon an das Licht getreten noch Glieder entwickeln, noch Rück- und Neubildungen gestatten. Ueberhaupt will ein System nicht bloß concipirt, sondern auch durchgearbeitet sein, und diese Arbeit erfordert Zeit. – Böckhs System scheint erst zwischen 1810 und 1816 entstanden. In dieser Zeit, den ersten Jahren seiner Wirksamkeit in Berlin, scheint Böckh zum Manne gereift. In seinen Recensionen bis zum Jahre 1810, wie namentlich in der Kritik Heindorfs (Ges. kl. Schr. VII S. 47. 69. 73. 74), findet man wohl Bausteine zu seinem Systeme; aber man merkt es denselben an, dass sie noch nicht systematisch gefügt sind. Aber im Jahre 1820 in der akademischen Abhandlung über die Kritik Pindars tragen die Andeutungen über Interpretation und Kritik den Charakter, den der systematische Zusammenhang gewährt. Bedeutsam scheint die Tatsache, dass Böckh zwar schon 1809 Vorlesungen über Encyklopädie hielt, in den folgenden Jahren [255/563] aber nicht wieder bis 1816. Zu dieser Zeit nun kündigte er mit eigen-

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Wolf e Friedrich Schlegel – le idee di questi uomini sono il latte di cui si è nutrito. Non fu mai romantico. Schleiermacher certo, con le sue lezioni e la prima parte del suo Platone46, [254] esercita una significativa influenza su di lui. Però Böckh ha mantenuto, in generale e da filosofo, la sua piena autonomia e il carattere della sua intelligenza fu assolutamente diverso da quello di Schleiermacher. Ciò non ha impedito che egli onorasse quest’uomo per tutta la sua vita della più fedele amicizia. Ai punti già occasionalmente ricordati in cui Böckh si distanzia da tutti i romantici, aggiungo qui soltanto la sua posizione rispetto alla religione, in Böckh completamente diversa da quella di Schleiermacher47. Specialmente per quanto riguarda la teoria dell’ermeneutica e della critica, così, Böckh ha qui sintetizzato in un chiaro sistema tutto ciò che Fr. Schlegel ha espresso in aforismi ispirati, in cui Ast si è cimentato e quanto ha impegnato Schleiermacher nel modo che gli è proprio48. Questa è in tutto e per tutto una sua creazione. Non dobbiamo figurarci che questa creazione fosse in parte già compiuta: un sistema nasce in un sol colpo, per mezzo di una concezione. Il pensiero concepito, questo fecondo germe del sistema, può trascorrere ancora per molto tempo un’esistenza embrionale nella coscienza e, perfino una volta sbocciato, può sviluppare ancora diramazioni, dar luogo a vecchie e nuove formazioni. In generale un sistema ha non solo bisogno di essere concepito, ma elaborato e tale lavoro richiede tempo. – Il sistema di Böckh sembra che sia comparso la prima volta tra il 1810 e il 1816. Durante questo periodo, nei primi anni della sua attività a Berlino, sembra che Böckh sia maturato. Nelle sue recensioni fino al 1810, come, appunto, nella critica di Heindorf (Ges. Kl. Schrft. VII p. 47, 69, 73, 74)49, si trovano certo gli elementi costitutivi del suo sistema, ma si nota che non sono ancora disposti sistematicamente. Ma nel 1820, nel trattato accademico sulla critica di Pindaro50, i cenni sull’interpretazione e sulla critica hanno il carattere che la connessione sistematica reca. Appare significativo il fatto che Böckh, già nel 1809, tenne lezioni sull’Enciclopedia, mentre negli anni successivi [255] non più, fino al 1816. In questo periodo diede notizia con particolare rilievo: encyclopædiam

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tümlichem Nachdruck an: encyclopædiam philologicam ex suis schedis docebit; und von 1818/19 ab noch ex schedis suis, welche Worte endlich 1841 wegfielen. Was sollte damit gesagt sein? Wenn nun aber auch das Gebäude als Ganzes seit 1816 fertig dagestanden haben mag, so sind damit einzelne Ausführungen in späterer Zeit nicht ausgeschlossen. So vermute ich z. B., dass Böckhs Erklärung des Begriffs der Kritik S. 170 in ihrer bestimmten Fassung erst aus dem letzten Jahrzehnt seines Lebens stammt. Nicht nur in der Abhandiung über die Kritik Pindars, sondern noch in unserm Werke S. 77. 54f. ist die Definition weniger genau oder vollständig. Schließlich müssen wir dem Herausgeber für die höchst mühevolle Arbeit der er sich unterzogen hat, unsern Dank aussprechen. Es galt nicht ein fertig hinterlassenes Manuscript nur zum Druck zu befördern; es musste vielmehr aus höchst mannichfachem Material ein Werk erst hergestellt werden. Soweit ein Urteil möglich ist, glauben wir sagen zu dürfen, dass Hr. Prof. Bratuscheck in der Gestaltung des Textes mit eben so viel Treue als Geschick in der Erhaltung der gedanklichen und stylistischen Eigentümlichkeiten Böckhs verfahren ist.

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philologicam ex suis schedis docebit; e dal 1818/19 ancora ex schedis suis, parole che infine scompaiono nel 184151. Cosa doveva significare ciò? Ora, quand’anche l’edificio nella sua interezza può esser stato pronto sin dal 1816, con ciò non è da escludere che singoli svolgimenti siano sopraggiunti in seguito. Presumo, ad esempio, che la spiegazione che Böckh avanza del concetto di critica a p. 170 [214], nella sua accezione specifica derivi principalmente dagli ultimi dieci anni della sua vita. Non solo nel trattato sulla critica di Pindaro, ma anche nel nostro lavoro (p. 77 e 54 sg.) [115, 93], la definizione è meno esatta o compiuta. Dobbiamo infine esprimere la nostra gratitudine al curatore per il lavoro in massimo grado faticoso a cui si è sottoposto. Non si trattò soltanto di promuovere la stampa di un manoscritto lasciato in eredità già pronto; doveva piuttosto essere realizzata un’opera da un materiale frastagliato nel più alto grado. Per quanto un giudizio sia possibile, crediamo di poter dire che il Prof. Bratuscheck nel dar forma al testo ha proceduto con tanta fedeltà quanto talento, nel rispetto delle peculiarità concettuali e stilistiche di Böckh.

3.

DARSTELLUNG UND KRITIK BÖCKHSCHEN ENCYKLOPÄDIE UND METHODOLOGIE DER PHILOLOGIE. DER

(1880)

Erster Artikel. [80] Bernhardy sagte in der Vorrede zu seinen »Grundlinien zur Encyklopädie der Philologie« S. V: »Wir müssten es von einem Meister erwarten, welcher am Ende seiner Laufbahn sich entschließen könnte, mit rühmlicher Unbefangenheit des Gemütes seine Lehrjahre, Freuden und Leiden, Erwerbungen und Irrgänge, Wahrheiten und Wünsche niederzulegen; [81/565] dorthin würden wie zur Beschauung einer reichen Werkstätte die Kunstgenossen wandern, um sich mit der praktischen Fülle von Erfahrungen, Begriffen und mannichfacher Anregung auszustatten.« Bernhardy, damals noch jung, lehnte ein solches Unternehmen ab. Haben wir nun in Böckhs Hinterlassenschaft ein solches Museum? Sicherlich war Böckh ein Meister der Philologie, wie Wenige, einer der größten Philologen aller Zeiten; und gerade in den Eigenschaften, welche für den Verfasser einer Encyklopädie vorzugsweise notwendig sind, war er hervorragend. Ihm lebte das Altertum wie in einer intellectualen Anschauung; er schaute es, wie es lebte und sprach, dichtete und dachte. Denn mit der umfassendsten Kenntnis der Einzelheiten verband er eine durchdringende philosophische Auffassung. Indem er einerseits die Summanden sorgfältig berechnete und mit Genauigkeit aufstellte, verstand er es auch, das allgemeine, ideengestaltende Facit zu ziehen. Darum gab es für ihn nichts Kleines; denn er sah es in der Idee eines Ganzen. Wenn nun auch wohl das vorliegende posthume Werk das Ideal nicht verwirklicht, wie es Bernhardy in den angeführten Worten zeichnet, so ist es

3.

PRESENTAZIONE E CRITICA

DELL’ENCICLOPEDIA E METODOLOGIA DELLA FILOLOGIA DI

(1880)

BÖCKH

Primo articolo [80] Nella prefazione alle sue Grundlinien zur Encyklopädie der Philologie (p. V) Bernhardy scrisse: «Dovremmo aspettarci da un maestro, che al termine della propria carriera potesse risolversi a mettere per iscritto, con onorevole imparzialità dello spirito, le avventure dei suoi anni di insegnamento, le gioie e i patimenti, le aspettative e i percorsi insidiosi, le verità e i desideri; [81] davanti a questo lavoro i compagni d’arte passerebbero come a visita di una ricca officina, per dotarsi della pienezza pratica di esperienza, concetti e di stimoli molteplici»52. Bernardy, allora ancora giovane, non portò a termine un’impresa tanto ardua. Possediamo ora, nel lascito di Böckh, un siffatto museo? Di certo Böckh fu maestro di filologia come pochi, uno dei più grandi filologi di tutti i tempi, ed eccelse proprio in quelle qualità che sono necessarie in particolare all’autore di un’enciclopedia. In lui l’antichità visse come in un’intuizione intellettuale; Egli la colse così come la visse e la espresse, la poetò e la pensò. Inoltre, seppe coniugare a un’estesa conoscenza dei singoli aspetti della filologia una penetrante comprensione filosofica. Mentre da una parte valutò accuratamente e presentò con precisione le parti da comporre, comprese, dall’altra, a trarne l’universale Facit, plasmante le idee53. Pertanto per lui non vi fu nulla di angusto; perché seppe cogliere ciò che è piccolo in rapporto all’idea del tutto. Quand’anche quest’opera postuma non realizzi pienamente l’alto ideale prospettato da Bernhardy nelle

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doch unbedingt eine so vollkommne Encyklopädie der Philologie, wie wir sie bisher noch nicht hatten; und wenn auch Böckhs Collegen über manchen Punkt anders gedacht haben oder denken mögen, als er: so werden sie mir zugestehn, dass ich mit vollstem Recht in jenem Werke den klarsten Ausdruck des wissenschaftlichen Geistes der deutschen Philologie erkenne. So wollen wir denn mit Liebe und Hingabe, fast hätte ich gesagt: mit Andacht, an die Betrachtung des Dargebotenen gehen und versuchen, dabei doch unbefangen zu prüfen. Zuvor will ich nur wiederholt bemerken, dass das Publicum dem Herrn Prof. Bratuscheck zu Dank verpflichtet ist für die Treue und Aufopferung, mit welcher er das mühselige Geschäft vollbracht hat, aus einem reichhaltigen Material von Manuscripten des verstorbenen Verfassers und aus vielen nachgeschriebenen Heften der Vorlesungen aus den entferntesten Semestern ein angenehm lesbares und nicht nur in [82/566] den Citaten und in der Bibliographie (trotz mancher Fehler und manches Ueberflussigen) correctes, sondern auch ein Böckhs Eigentümlichkeit in der Darstellung widerspiegelndes Buch zu schaffen, welches alle, die für Philologie Teilnahme zeigen, gern und gewissermaßen als ein letztes Erinnerungsgeschenk des Verstorbenen aufnehmen werden. 1. Begriff der Encyklopädie der Philologie. Das Werk beginnt mit einer Einleitung, welche sechs Capitel hat: »I. Die Idee der Philologie oder ihr Begriff, Umfang und höchster Zweck. II. Begriff der Encyklopädie in besonderer Hinsicht auf die Philologie. III. Bisherige Versuche zu einer Encyklopädie der philologischen Wissenschaft. IV. Verhältnis der Encyklopädie zur Methodik. V. Von den Quellen und Hülfsmitteln des gesammten Studiums. Bibliographie. VI. Entwurf unseres Planes«. Es mag für die Sache nicht viel bedeuten, wenn ich meine, dass diese sechs Punkte nicht coordinirt sind. Eine Encyklopädie kann allerdings nur in der Einleitung sagen, was eine Encyklopädie ist, wie jede Darstellung einer Wissenschaft eine Definition derselben nur in der Einleitung geben kann; auch könnte nur hier eine vorläufige Inhaltsangabe ihren Platz finden. Daher muss Capitel II, woran sich Cap. III, IV, V schließen, einleitungsweise stehen; und ebenso bleibt die Disposition der Encyklopädie noch

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parole citate, si tratta di certo di una enciclopedia della filologia come finora non se ne sono avute; e quand’anche i colleghi di Böckh abbiano avuto opinioni diverse in merito a qualche punto o possano averne, mi concederanno senz’altro di salutare in quell’opera, a pieno diritto, la più fulgida espressione dello spirito scientifico della filologia tedesca. Vogliamo allora con amore e abnegazione, con devozione – mi verrebbe da dire –, passare alla considerazione di quanto ci è stato offerto e provare a esaminarlo in modo imparziale. Prima di tutto voglio ripetere54 che il pubblico è obbligato verso il Prof. Bratuscheck per la fedeltà e lo spirito di sacrificio con cui egli ha portato a compimento la faticosa impresa di approntare – da un copioso materiale consistente in manoscritti dell’autore scomparso e da molti quaderni d’appunti di lezioni risalenti ai semestri più lontani – un libro di piacevole lettura, e, non solo [82] corretto nelle citazioni e nella bibliografia (nonostante alcuni errori e alcuni pleonasmi), ma anche corrispondente al peculiare modo di Böckh di presentare la materia. Un libro che tutti coloro che s’interessano di filologia, accoglieranno volentieri, per dir così, come l’ultimo dono e ricordo dell’autore scomparso. 1. Concetto dell’enciclopedia della filologia L’opera inizia con un’introduzione in sei paragrafi: «I. L’idea o il concetto della filologia. Sua estensione e finalità ultima. II. Concetto di enciclopedia con particolare riguardo alla filologia. III. Tentativi finora compiuti per un’enciclopedia della scienza filologica. IV. Rapporto dell’enciclopedia con la metodica. V. Delle fonti e dei sussidi di tutto lo studio. Bibliografia. VI. Schema del nostro sistema». Può non essere molto significativo se penso che questi sei punti non siano coordinati. E tuttavia un’enciclopedia può dire solo nell’introduzione cosa sia un’enciclopedia, come ogni presentazione di una scienza può darne una definizione solo nell’introduzione; solo qui potrebbe inoltre trovare il suo posto una provvisoria indicazione del contenuto. Pertanto il cap. II, a cui si connettono il III, il IV e il V, deve stare in guisa di introduzione; esclusi questi, il lavoro proprio dell’en-

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außerhalb derselben an ihrem Eingange stehen. Ganz anders aber verhält es sich mit den Cap. I und VI, welche die Idee und die Gliederung, nicht der Encyklopädie, sondern der Philologie besprechen. Diese Erörterungen gehören nicht in die Einleitung, sondern finden ihren wahren Ort nur in der Encyklopädie selbst, und zwar bilden sie den ersten Teil ihrer Aufgabe. Was nämlich hier »VI. Entwurf unseres P1anes« heißt, ist nicht ein Inhaltsverzeichnis, eine Disposition der Encyklopädie; sondern dieses Capitel ist die Fortsetzung von I., wo auch der Umfang der Philologie erörtert ward, der nun genauer und so zu sagen nach innen begrenzt, d. h. eingeteilt und geordnet wird. Nachdem nämlich die Grenzen [83/567] des ganzen Reiches gezeichnet sind, werden die Provinzen desselben gegen einander abgegrenzt. Dies zu tun ist Aufgabe der Encyklopädie und gehört zu ihrem eigentlichen Inhalt. So hat also Böckh den ersten Teil der Encyklopädie mit ihrer Einleitung zusammengefasst oder jenen in diese hineingeschoben, wenn man nicht lieber umgekehrt sagen will, es sei die Einleitung (Cap. II-V) in den ersten Teil (Cap. I u. VI) geschoben. Es besteht hier eine Verwechslung der Encyklopädie der Philologie mit der Philologie. Die Disposition für jene ist nicht zugleich die Disposition für diese. – Die Bedeutung dieses Fehlers wird im Folgenden noch völlig klar werden. Was ist denn die Encyklopädie? Ist sie eine besondere philologische Disciplin, welche innerhalb des Systems der philologischen Disciplinen ihren bestimmten Platz hat? Böckh scheint keine besonders hohe Meinung von ihr zu haben. Er bleibt bei der Bedeutung derHMJNXYNOLR~SDLGHLYD der alexandrinisch-römischen Zeit stehen. Dieses Wort bedeutet aber nur die allgemeine, von jedem Jüngling aus gutem Hause zu erwartende Bildung, noch abgesehen von der speciellen Fach- und Berufsbildung. Keineswegs aber, meint Böckh, sei damit ein in sich abgeschlossenes und zusammenhängendes Ganzes der Wissenschaften ausgedrückt. Eine encyklopädische Darstellung einer Wissenschaft könne darum recht wohl auch alphabetisch gegeben werden. Demnach wäre, so muss ich annehmen, die treffendste Uebersetzung von HMJNXYNOLR~ populär. Böckh trägt eine wahre Verachtung der Encyklopädie zur Schau. Die »allgemeine« Kenntnis erklärt er für eine »gewisse keineswegs approfundirte Kenntnis von allem«, so »in omnibus aliquid«. Böckh dachte wohl an die encyklopädische Bil-

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ciclopedia deve ancora iniziare. In modo del tutto diverso ci si comporta con i capitoli I e VI, i quali trattano l’idea e la suddivisione in parti non dell’enciclopedia, ma della filologia. Queste disamine non fanno parte dell’introduzione, ma trovano la loro adeguata dislocazione solo nella stessa enciclopedia, invero costituendone la prima parte. Con «VI. Schema del nostro sistema» qui non è segnalato un indice, un piano dell’enciclopedia; questo capitolo, piuttosto, è la prosecuzione del I., in cui era presa in esame l’estensione della filologia, che ora è limitata più precisamente e – per così dire – dall’interno, cioè è suddivisa e ordinata. Infatti dopo essere stati disegnati i confini [83] dell’intero regno, vengono delimitate le province tra loro. Fare ciò è compito dell’enciclopedia ed è parte del suo peculiare contenuto. Così Böckh ha messo insieme la prima parte dell’enciclopedia con l’introduzione o l’ha inserita in questa, se non si vuole dire l’opposto, che cioè l’introduzione (cap. II-V) sarebbe spostata nella prima parte. Si ha qui uno scambio dell’enciclopedia della filologia con la filologia. Il piano di quella non è uguale al piano di questa. – Il significato di ciò diverrà di seguito ancora più chiaro. Cos’è, dunque, l’enciclopedia? È una speciale disciplina filologica, che ha il suo posto determinato all’interno del sistema delle discipline filologiche? Böckh sembra non avere di essa un’opinione particolarmente alta. Si tiene al significato di HMJNXYNOLR~SDLGHLYD dell’età romano-alessandrina. Ma questa parola indica soltanto la cultura generale che bisogna aspettarsi da ciascun giovane di buona famiglia, ancora privo di una specifica formazione accademica e professionale. Per nulla però secondo Böckh, sarebbe con ciò espresso un complesso unitario di scienze in sé conchiuso e connesso. Una presentazione enciclopedica di una scienza potrebbe quindi essere data in questa accezione, a buon diritto, anche seguendo l’ordine alfabetico. Nel qual caso, devo supporre, che la più esatta traduzione di HMJNXYNOLR~ sia “popolare”55. Böckh mostra un vero disprezzo dell’enciclopedia. Egli spiega la conoscenza «universale» come «una certa conoscenza, per nulla approfondita, di tutto», così: «in omnibus aliquid» [71]. Pensava certamente alla cultura enciclopedi-

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dung Ciceros und seiner aristokratischen Genossen wie so vieler jungen Männer, die in Alexandria und Athen studirten; er dachte auch wohl an die encyklopädische Kenntnis der Geschichte und Philosophie, die er bei so manchem Diplomaten und geachteten Schriftsteller fand, der (man verzeihe den unencyklopädischen Ausdruck) es nicht nötig hatte. Der ehemalige Hörer Böckhs aber wird hierin die Ironie des Mannes nicht verkennen. [84/568] Solche Encyklopädie will natürlich Böckh nicht geben; seine Vorträge gelten dem angehenden Philologen*. Also fährt er fort: »Soll aber eine Encyklopädie einer Wissenschaft selbst als Wissenschaft dargestellt werden, so muss darin allerdings der strengste Zusammenhang sein. Dies liegt in dem Wesen der Wissenschaft überhaupt, wird aber insbesondre bei einer solchen Encyklopädie hervortreten müssen, eben weil hier das Allgemeine, worauf doch der Zusammenhang beruht – denn das Besondre wird durch das Allgemeine verknüpft – das Hervorstechende ist.« Also so wenig in dem Titel eines Lehrbuches der Botanik an sich schon ausgedrückt ist, dass hier wissenschaftliche Botanik geboten werde, so wenig liegt es in Encyklopädie schlechthin. Doch kann diese auch streng wissenschaftlich gehalten sein. Da es sich nun in ihr jedenfalls vorzugsweise um das Allgemeine handelt, so wird in der populären Darstellung das Allgemeine im niedrigen Sinne genommen, in der wissenschaftlichen Bearbeitung aber in dem höhern Sinne, wonach es alles Besondre erzeugt, durchdringt und verknüpft. Darum wird, ungewollt, die Einheit einer Wissenschaft und der Zusammenhang ihrer Teile die wahre und eigentliche Richtung der höhern encyklopädischen Darstellung derselben werden. Und demgemäß erklärt Böckh zum Schluss: »Bei unserer Bearbeitung ist der Hauptzweck, das Bewusstsein von dem wissenschaftlichen Zusammenhange der Philologie hervorzubringen.« Was folgt hieraus für unsre zweite Frage, die wir oben aufwarfen: ist die Encyklopädie eine besondre Disciplin unter den

* Freilich auch dem fertigen. Sie soll, wie die Logik bei Hegel, der Anfang und das Ende sein, das Studium der Jünglinge und Greise, und dem Manne unvergessen. Ich komme später hierauf zurück.

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ca di Cicerone e dei suoi compagni aristocratici, uguale a quella di molti giovani che studiarono ad Alessandria e ad Atene; pensava anche alla conoscenza enciclopedica della storia e della filosofia che trovò in un certo diplomatico e stimato scrittore, che (si perdoni l’espressione non enciclopedica) avrebbe fatto meglio a non occuparsene56. Il vecchio uditore di Böckh, però, non mancherà qui di riconoscere la sua ironia57. [84] Böckh non intende offrire, naturalmente, una tale enciclopedia; i suoi contributi sono rivolti al giovane studioso di filologia*. Pertanto, prosegue: «l’enciclopedia di una scienza deve però, essa stessa, esser presentata come scienza, in essa allora deve darsi la più rigorosa connessione delle parti. La necessità di tale connessione sta nell’essenza della scienza in generale, ma dovrà manifestarsi nello specifico in una simile enciclopedia, proprio perché qui deve risaltare l’universale su cui la connessione poggia – dal momento che il particolare è collegato attraverso l’universale»58. Come dal semplice titolo di un manuale di botanica difficilmente può evincersi il fatto che si tratti davvero di una botanica scientifica, allo stesso modo ciò è garantito ben poco nel caso del semplice termine “enciclopedia”. È certo che in generale l’enciclopedia è considerata rigorosamente scientifica, dal momento che vi si prende sempre in considerazione ciò che è universale – che lo si assuma nell’accezione popolare in senso basso o in quella scientifica in senso alto, è a dire in quello per cui l’universale produce, penetra e connette tutto ciò che è particolare. Pertanto, spontaneamente, l’unità di una scienza e la connessione unitaria delle sue parti diventeranno il vero e proprio fine della rappresentazione enciclopedica di essa nel senso più alto. E conseguentemente Böckh, in conclusione, spiega: «nella nostra elaborazione il fine principale è produrre la consapevolezza della organicità scientifica della filologia»59. Cosa segue da ciò, in relazione alla seconda questione, che abbiamo posto sopra: è l’enciclopedia una disciplina speciale * Ma anche allo studioso maturo. L’enciclopedia, come la logica in Hegel, deve essere l’inizio e la fine, presente al giovane, al vecchio e all’uomo maturo. Vi tornerò più avanti.

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philologischen Disciplinen? und welchen Platz nimmt sie unter denselben ein? Hierüber spricht Böckh nicht. Wie es unbestimmt bleibt, ob in dem »Entwurf des Planes« die Philologie oder die Encyklopädie geplant wird, vermutlich doch, weil Böckh meinte, dass beides dasselbe sei: so kann [85/569] auch die Frage, ob die Encyklopädie in der Philologie einen besondern Platz habe, gar nicht aufgeworfen werden. Ist A = B, und B = a + b + c . . . so kann die Frage, ob A (Encyklopädie) unter a + b + c . . . einen Platz habe, nicht aufkommen; denn a + b + c . . . sind die Teile von B (Philologie), und also von A. Aus demselben Grunde sahen wir oben Einleitung und ersten Teil der Encyklopädie mit einander verwirrt. Denn ist A = B, so kann ein Capitel von A (Encyklopädie), das nicht unter a + b + c . . . = B (den Gliedern der Philologie) erscheint, nur zur Einleitung gerechnet werden. Ist dies nun richtig, so wird es auch nicht schwer sein, die Verwirrung aufzulösen. Wir werden teils aus den Capiteln der Einleitung, teils aus dem System der philologisehen Disciplinen, wie Böckh beide aufstellt, das herausziehen müssen, was der Encyklopädie angehört, woran sich dann wohl noch manche andre Aufklärung schließen wird. Nun meint Böckh, wo er den Stoff der Philologie oder die materialen Disciplinen derselben ordnen will (S. 56), dass »alle Einzelheiten unter einer Einheit begriffen sind. Es muss ein Gemeinsames gefunden werden, in welchem alles Besondre enthalten ist . . . Dies ist der allgemeine Teil oder die allgemeine Altertumslehre«. Da nun, wie wir schon gelesen haben, die Encyklopädie (S. 36) »die allgemeine Darstellung einer Wissenschaft im Gegensatz zu ihren speciellen Teilen« ist, und in ihr »das Allgemeine, durch welches das Besondere verknüpft wird, das Hervorstechende ist«, so wird wohl, ich kann nicht anders denken, die Encyklopädie jene allgemeine Altertumslehre sein: obwohl Böckh dies nicht gesagt hat. Ueber dieses Allgemeine äußert sich Böckh, es sei (S. 56) »dasjenige, was die Philosophen das Princip eines Volkes oder Zeitalters nennen, der innerste Kern seines Gesammtwesens. Die Einzelheiten sollen nicht aus diesem Princip deducirt werden, was bei historischen Dingen nicht möglich ist, aber sie sollen hervor-

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fra le discipline filologiche? E che posto occupa tra esse? Sulla questione Böckh non si esprime. Così come rimane indeterminato se nello «Schema del sistema» [sic] sia progettata l’enciclopedia o la filologia – presumibilmente perché Böckh pensava che fossero la stessa cosa, [85] e nemmeno è sollevata la questione se l’enciclopedia occupi un posto speciale all’interno della filologia. A è uguale a B e B è uguale ad a + b + c … così ci si può esimere dal sollevare la questione se A (l’enciclopedia) occupi un posto tra a + b + c…, dal momento che a + b + c… sono le parti di B e dunque anche di A. Per la stessa ragione abbiamo visto sopra tra loro confuse introduzione e prima parte dell’enciclopedia. Se poi A è uguale a B, un capitolo di A (enciclopedia) che non appaia tra a + b + c … = B (tra le parti della filologia), può essere assegnato solo all’introduzione. Se ciò è giusto, non sarà nemmeno difficile risolvere la confusione. Dovremo trarre in parte dai capitoli dell’introduzione, in parte dal sistema delle discipline filologiche – secondo la configurazione data a entrambi da Böckh – ciò che appartiene all’enciclopedia, al che si aggiungerà qualche altra spiegazione. Ora, Böckh crede – lì dove vuole ordinare il contenuto della filologia o le discipline materiali della medesima (p. 56) [85] – che «tutti i particolari devono essere ricondotti a unità. Deve essere trovato un denominatore comune in cui è contenuto tutto ciò che è particolare. Questa è la parte generale o dottrina generale dell’antichità». Poiché, come abbiamo già letto, l’enciclopedia (p. 36) [71] è «la rappresentazione generale di una scienza in contrapposizione alla sue parti speciali» e, in essa, « ciò che deve essere posto in rilievo è l’universale, attraverso cui il particolare è connesso», allora l’enciclopedia sarà – non posso pensare altrimenti, sebbene Böckh non abbia detto questo – quella dottrina generale dell’antichità. Su questo universale Böckh si pronuncia, esso sarebbe (p. 56) [95] «quello che i filosofi chiamano il principio di un popolo o di un’epoca, il più interno nucleo della sua essenza complessiva. Le particolarità non devono essere dedotte dal principio, il che non è possibile per le cose storiche, ma

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gehen aus einer allgemeinen Anschauung, und diese muss sich wieder in jedem einzelnen [86/570] Teile bewähren; sie ist die Seele des Leibes, durchdringt den irdischen Stoff als die zusammenhaltende ordnende Ursache, wie die Griechen die Seele mit Recht nennen: durch diese Beseelung wird die Wissenschaft eben organisch. Eine solche allgemeine Anschauung kann bei der Philologie des Altertums nichts anderes sein, als die Idee des Antiken an sich.« Sie darf nicht, führt Böckh weiter aus, eine bloße Abstraction sein, sondern es muss das Einzelne lebendig darin liegen als in einer concreten Anschauung. Eben darum nennt er dieses Allgemeine die Idee des Antiken, und nicht den Begriff; denn Begriffe sind eben immer Abstractionen. Besonders stark betont er dann, wie Allgemeines und Besonderes einander voraussetzen, formiren, in einander greifen und nicht auseinander gerissen werden können. Für den geneigten Leser werde ich nicht nötig haben, diesen letzten Gedanken, den ich schon mehrfach sehr ausführlich dargelegt habe, hier weiter zu erörtern. Ich bemerke nur, dass dieser Satz von der Einheit des Allgemeinen und Besondern für Böckh ein Satz des wissenschaftlichen Glaubens war, den er durchweg in seiner Wissenschaft zu betätigen suchte und in der Encyklopädie oft ausspricht, ohne es für nötig zu halten, ihn zu begründen. Aus der allgemeinen Altertumslehre »geht die besondre hervor« (S. 57). Dies nachzuweisen, d. h. zu erkennen, wie die einzelnen philologischen Disciplinen sich aus der Idee des Antiken entwickeln, dies gehört doch wohl noch in die allgemeine Altertumslehre oder, wie wir nun sagen können, in die Encyklopädie. Hat nun die allgemeine Altertumslehre die Aufgabe, die Idee des Antiken erstlich an sich darzustellen, zweitens nach ihrer Gliederung in die besondern philologischen Disciplinen, so ergibt sich diese Aufgabe selbst wiederum erst aus der Idee der Philologie. Diese Idee zu bestimmen, kann nicht Sache einer Einleitung sein, welcher allemal entweder die wissenschaftliche Schärfe der Ableitung, also der Charakter der Notwendigkeit, oder die Vollständigkeit der Entwicklung fehlt, und welche allemal aus Lehrsätzen besteht und sich auf [87/571] herrschende Vorstellungen beruft oder auf die Beweise, welche in einer andern Disciplin gegeben werden. Was in der Einleitung gesagt werden kann, ist so, dass der Leser es hinnehmen muss, in der Hoffnung, dass

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devono scaturire da un’intuizione universale, ed essa deve a sua volta dimostrarsi [86] in ogni singola parte; essa è l’anima del corpo, penetra la materia terrestre come la causa originaria ordinatrice che la tiene unita, così i greci, a ragione, chiamano l’anima: attraverso questa animazione la scienza diventa appunto organica. Una tale intuizione universale nella filologia dell’antichità non può essere nient’altro che l’idea dell’antichità in sé». Essa non può, continua Böckh, essere una semplice astrazione, ma ciò che è particolare deve trovarsi in essa vitalmente come in una intuizione concreta. Proprio per questo chiama tale universale l’idea dell’antichità e non il concetto; dal momento che i concetti sono sempre appunto astrazioni. In modo particolarmente forte, egli poi sottolinea, come universale e particolare si presuppongano, si formino a vicenda, si compenetrino e non possano essere separati l’uno dall’altro. Per il lettore ben disposto non avrò bisogno qui di esaminare ulteriormente questi pensieri, che ho già più volte esposti molto dettagliatamente. Osservo solo che questa tesi dell’unità dell’universale e del particolare fu per Böckh un principio del suo credo scientifico, che cercò senza eccezione di mettere in atto nel suo lavoro e che esprime spesso nell’enciclopedia senza ritenere necessario fondarlo. Dalla dottrina generale dell’antichità «procede quella particolare» (p. 57) [96]. Dimostrare questa, è a dire riconoscere come le singole discipline filologiche si sviluppino dall’idea dell’antichità, fa certo ancora parte della dottrina generale dell’antichità o, come ora possiamo affermare, dell’enciclopedia. Ora, la dottrina generale dell’antichità ha anzitutto il compito di presentare l’idea dell’antico in sé e, poi, come appare nelle discipline filologiche particolari, questo compito stesso promana principalmente dall’idea della filologia. Determinare quest’idea non può essere oggetto di un’introduzione, a cui manca sempre o la precisione scientifica della deduzione, dunque il carattere di necessità, o la completezza dello sviluppo e che consta sempre di tesi generali e si richiama [87] a rappresentazioni egemoni o a prove date in un’altra disciplina. Quel che può esser detto in una introduzione è tale che il lettore deve assumerlo nella speranza che il libro

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das Buch das dort Aufgestellte bewahrheiten werde. Kann man nun daran zweifeln, dass die allgemeine Altertumslehre (oder Encyklopädie) vor allem die Idee der Philologie darzustellen hat, um aus ihr die Aufgabe einer Darlegung der Idee des Antiken erst zu folgern? Und wenn sie nicht selbst diese Idee der Philologie in strengster Wissenschaftlichkeit entwickelt, woher sollte sie dieselbe nehmen? Also nicht als entlehnt und anderweitig bewiesen, in der Einleitung, besitzt sie dieselbe; sondern sie hat dieselbe eigentlich zu produciren. Dies ist ihre erste Aufgabe. Hiernach ist wohl schon hinlänglich klar, wie die Encyklopädie nicht bloß eine andere Darstellung desselben Stoffes ist, welchen auch die speciellen Disciplinen darzustellen haben; sondern sie ist eine ganz eigentümliche Disciplin, welche eine ganz andere Aufgabe hat, als jene. Die Encyklopädie der Philologie kann niemals ein Ersatz sein für die einzelnen philologischen Disciplinen; sie ist nicht ein Auszug oder eine Abkürzung derselben für pädagogische Zwecke. Es ist daher auch nicht zufällig, dass man in neuer Zeit aus dem Wortgefüge der Alten HMJNXYNOLR~SDLGHLYD, HMJNXYNOLD PDTKYPDWD oder SDLGHXYPDWD, encyclios disciplina, das Compositum Encyklopädie gebildet hat. Denn dieses Wort hat auch einen andern Sinn, als jenes Wortgefüge. Es ist der Name einer bestimmten Disciplin, während letzteres teils die allgemeine Bildung, teils die Disciplinen welche derselben dienen, bezeichnet. _______________ Während wir zunächst nur an der Disposition der Einleitung einen logischen Anstoß nahmen, der geringfügig erschien, hat uns die weitere Verfolgung desselben schon so weit geführt, dass wir für die Encyklopädie eine andre Stellung zu den speciellen philologischen Disciplinen gewonnen haben. Sachlich freilich hat sich damit gegen Böckhs Aufstellungen [88/572] nichts geändert. Nur einige Umstellungen und Aenderungen von Ueberschriften hätten wir vorzunehmen. Betrachten wir nun weiter das Verhältnis der Encyklopädie zur Methodologie, welche beide die Philologen gewohnt sind in einem Atem auszusprechen. Böckh bemerkt hierüber (S. 45): »Man würde sehr irren, wenn man eine Encyklopädie an sich auch für eine Methodik halten wollte. Die Encyklopädie hat einen rein theoretischen wissenschaftlichen Zweck, die Methodik einen an-

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lo comprovi. Può dubitarsi del fatto che la dottrina generale dell’antichità (o l’enciclopedia) abbia anzitutto da illustrare l’idea di filologia, per poi far seguire da essa il compito di un’esposizione dell’idea dell’antico? E se essa non sviluppa da sé nel senso più rigorosamente scientifico quest’idea di filologia, donde dovrebbe prenderla? Pertanto l’enciclopedia non possiede l’idea di filologia nell’introduzione, come presa in prestito o dimostrata altrove, ma deve davvero delinearla. Questo è il suo primo compito. E poi sufficientemente chiaro che l’enciclopedia non è solo una rappresentazione della stessa materia che devono anche rappresentare le discipline speciali; ma che essa è una disciplina del tutto particolare, che ha un compito completamente diverso da quelle. L’enciclopedia della filologia non può mai essere un sostituto delle singole discipline filologiche; non è un estratto o una sintesi di quelle a fini pedagogici. Non è nemmeno casuale che in tempi più recenti dal sintagma degli antichi HMJNXYNOLR~SDLGHLYD, HMJNXYNOLDPDTKYPDWD, o SDLGHXYPDWD si sia formato encyclios disciplina, il Compositum dell’enciclopedia. Giacché la parola “enciclopedia” possiede anche un altro senso rispetto a quel sintagma. È il nome di una disciplina determinata, mentre il sintagma indica in parte la cultura generale, in parte le discipline che servono ad essa. _______________ Se all’inizio dissentimmo, dal punto di vista logico, dallo schema dell’introduzione, cosa che poté apparire futile, lo svolgimento di questo dissenso ci ha condotto così avanti da attribuire all’enciclopedia una posizione diversa rispetto alle discipline filologiche speciali. Con ciò però, oggettivamente, non è mutato nulla rispetto [88] alle formulazioni di Böckh. Dovremmo eseguire solo alcuni spostamenti e cambiamenti dei titoli. Prendiamo ora in considerazione il rapporto dell’enciclopedia con la metodologia, discipline che i filologi abitualmente fanno coincidere. Böckh osserva in proposito (p. 45) [83]: «si sbaglierebbe di molto nel ritenere un’enciclopedia equivalente a una metodica. L’enciclopedia ha un fine puramente teoretico e scientifico, la metodica ne ha un altro, ossia insegnare

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dern, nämlich die Unterweisung, wie man sich die Theorie zu erwerben habe«. Indessen, meint doch auch Böckh (S. 48): »Es gibt außer der Praxis selbst keinen schicklichern Ort die Grundsätze der Methodologie anzugeben als in der Encyklopädie.« So müsse doch die Encyklopädie selbst zu ihrem eigenen Studium »methodische Anleitung geben« (S. 47). Böckh warnt mit gleicher Nachdrücklichkeit vor dem Selbstgenügen in faden Allgemeinheiten und flüchtiger Vielseitigkeit wie vor der »abscheulichen Einseitigkeit« und der Zersplitterung in zusammenhangslose Einzelheiten. Er rät dem Studirenden, er solle das Studium der Encyklopädie als »Correctiv des speciellen Studiums anwenden, indem man sie sich im Anschluss an dieses und neben demselben aneignet«. Indessen meine ich, dass alles was in diesem Sinne an methodologischen Winken geboten wird (z. B. ob eine Disciplin früher oder später zu studiren sei, wie und mit welchen Hülfsmitteln sie studirt werden müsse S. 48), doch eben nur Winke sind, von relativem Werte, die eben darum am besten dem Takte des Lehrers, der die Individualität seines Schülers kennt, vorbehalten bleiben. Er wird dem Einen raten, erst dies und dann das mit solchen Hülfsmitteln, dem Andern aber, erst das und dann dies mit andern Hülfsmitteln zu studiren. Eine Zusammenstellung solcher Winke wird aber noch keine philologische Methodenlehre, d. h. keine Wissenschaft der philologischen Methode, sondern im besten Falle nur eine Didaktik der Philologie. Es ist aber auch Böckh gar nicht entgangen, dass noch ein tieferes, innigeres Band zwischen Encyklopädie und [89/573] Methodologie besteht. Nämlich (S. 58): »Gleichwie die Philosophie in der Logik, Dialektik oder Kanonik den Act des Erkennens selbst und die Momente der Erkenntnistätigkeit betrachtet, so muss auch die Philologie den Act des Verstehens und die Momente des Verständnisses wissenschaftlich erforschen. Die daraus entstehende Theorie, das philologische Organon, setzt die allgemeine Logik voraus, ist aber eine besondere selbständige Abzweigung derselben«. Dieses Organon der Philologie umfasst zwei Teile: die Hermeneutik und die Theorie der Kritik. – Wie verhält sich nun dasselbe zur Encyklopädie? Darüber spricht sich Böckh nicht besonders aus. Indessen gilt doch die Theorie der Exegese und der Kritik als ein Teil der Encyklopädie. Dieser ist aber »ganz methodisch; er lehrt die Methode der philologischen Forschung selbst«. So sind

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come vada acquisita la teoria». Ma Böckh ritiene anche che (p. 48) [85]: «non c’è, al di fuori della prassi stessa, nessun luogo più adatto dell’enciclopedia per stabilire i principi della metodologia». Così l’enciclopedia stessa dovrebbe «fornire la guida metodica» (p. 47) [85] al suo stesso studio. Böckh mette in guardia, con la stessa energia, dall’autosufficienza delle noiose universalità e delle inconsistenti generalità come dalle «ignobili unilateralità» e dalla frantumazione in unità prive di connessione. Consiglia allo studente di utilizzare lo studio dell’enciclopedia quale «correttivo dello studio specialistico, poiché ci si appropria di essa insieme a questo e con questo»60. Ma credo che tutto ciò che qui è offerto come cenno metodologico (se, per esempio, una disciplina sia da studiare prima o dopo, come e con quali strumenti essa debba essere studiata p. 48 [85]) coincida con semplici indicazioni di valore relativo, suggerimenti che, proprio per questo, rimangono riservati al tatto del docente, che conosce l’individualità del proprio allievo. A uno suggerirà di studiare questo e poi quello con tali sussidi, all’altro prima quello e poi questo con altri sussidi. Un elenco di cenni di questo tipo non è ancora una dottrina filologica del metodo, non è cioè una scienza del metodo filologico, ma, nel caso migliore, una semplice didattica della filologia. Ma non è per nulla sfuggito a Böckh che tra enciclopedia e metodologia vi è un legame ancora [89] più profondo e intimo. Infatti (p. 58)61: «Come la filosofia studia l’atto stesso della conoscenza e i momenti dell’attività conoscitiva nella logica e nella dialettica o canonica, così anche la filologia deve indagare scientificamente l’atto del comprendere e i momenti della comprensione. La teoria che sorge da ciò, l’organon filologico, presuppone la logica generale, ma ne costituisce una diramazione speciale e autonoma». Quest’organon della filologia contiene due parti: l’ermeneutica e la teoria della critica. – Come si rapporta ora l’organon filologico all’enciclopedia? Su ciò Böckh non si sofferma. Ma ritiene la teoria dell’esegesi e della critica una parte dell’enciclopedia. Tale parte, però, è «interamente metodologica; insegna il metodo della ricerca filologica stessa»62. Di conseguenza enciclopedia e metodologia

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folglich Encyklopädie und Methodologie ihrem Begriffe nach mindestens teilweise identisch. Und so wird sich freilich an die encyklopädische Darstellung der Philologie passend alles anschließen können, was sonst noch zur Methodik gehört. Hier entsteht aber ein Bedenken. Wenn Böckh meint, dass »Encyklopädie und Methodologie ganz und gar verschieden sind« (S. 47): so wird es auch fraglich, ob die Theorie der Interpretation und Kritik, die philologische Methodenlehre, in die Encyklopädie gehöre. Ast hat sie von derselben fern gehalten. Freilich wenn die Encyklopädie eine allgemeine Darstellung der gesammten Philologie ist, und wenn zu den einzelnen philologischen Disciplinen auch die philologische Methodenlehre gehört (was beides Böckh voraussetzt), so muss die Encyklopädie auch diese letztere enthalten. Aber man fühlt hier doch eine gewisse Incongruenz: die politischen Altertümer, die Litteraturgeschichte u.s.w. lassen sich leicht doppelt darstellen, allgemein encyklopädisch und in strenger specieller Ausführung. Dass die Interpretation und Kritik in solcher Weise jemals doppelt behandelt worden wäre, habe ich nie gehört. Dem Leser der Böckh’schen Encyklopädie gebe ich auch folgendes zu beachten. Böckh meint, wie in der Philosophie [90/574] das Organon, die Logik, formal heißt, so sei auch das philologische Organon, die Theorie der Interpretation und Kritik, formal. Diese formale Disciplin stellt er den übrigen philologischen Disciplinen als materialen gegenüber. Nun achte der Leser darauf: nicht selten spricht Böckh (z. B. S. 55) vom »materialen Teil der Philologie« ; niemals aber (wenn ich nichts übersehen habe) sagt er: der formale Teil der Philologie. Wohl aber steht Seite 48: »der formale Teil der letzteren« d. i. der Encyklopädie. Ist das Zufall? Schwerlich. Auch ist ja der »Entwurf unseres Planes« (S. 52) ein Plan der Encyklopädie, nicht eigentlich der Philologie. So wird also doch wohl nach Böckhs Grundgedanken die Methodenlehre in einer wirklichen Beziehung zur Encyklopädie stehen. Andererseits aber gewinnen wir hier auch wieder das Ergebnis, dass die Encyklopädie vielmehr eine eigentümliche Disciplin ist. Nur steht sie nicht als philologische Disciplin unter den an-

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sono, secondo il loro concetto, almeno in parte identiche. E pertanto si potrà certamente ritenere adatto alla rappresentazione enciclopedica della filologia tutto ciò che appartiene anche alla metodica. Ma qui sorge una dubbio. Se Böckh ritiene che «l’enciclopedia e la metodologia sono del tutto diverse» (p. 47) [84], diviene allora anche incerto se la teoria dell’interpretazione e della critica, la dottrina filologica del metodo, appartenga all’enciclopedia. Ast ha tenuto la teoria dell’interpretazione e della critica separata dall’enciclopedia63. Ma se l’enciclopedia è una rappresentazione universale dell’intera filologia e se la dottrina filologica del metodo fa parte delle singole discipline filologiche (cose, entrambe, presupposte da Böckh), allora l’enciclopedia deve contenere anche quest’ultima. A questo punto però si coglie una certa incongruenza: le antichità politiche, la storia della letteratura e il resto spesso si lasciano rappresentare in modo doppio, dal punto di vista generale enciclopedico e in forma rigorosamente speciale. Che l’interpretazione e la critica siano mai state prese in considerazione, allo stesso modo, in senso doppio, io non l’ho mai sentito. Invito il lettore dell’enciclopedia di Böckh a riflettere ancora su quanto segue. Böckh ritiene che come nella filosofia [90] l’organon, la logica, è detta formale, così anche l’organon filologico, la teoria dell’interpretazione e della critica, sia formale. Egli contrappone questa disciplina formale alle restanti discipline filologiche in quanto materiali. Ora, il lettore presti attenzione a ciò: non raramente Böckh parla (ad esempio p. 55) [94] di «parte materiale della filologia»; mai però (almeno ché non mi sia sfuggito) dice: la parte formale della filologia. A p. 48 [85] tuttavia c’è scritto: «parte formale di quest’ultima», col che s’intende dell’enciclopedia. Si tratta di qualcosa di fortuito? Difficilmente. Anche lo «schema del nostro sistema» (p. 52) [91] è uno schema dell’enciclopedia e non invero della filologia. Pertanto la dottrina del metodo starà di certo secondo i pensieri fondamentali di Böckh in una relazione reale con l’enciclopedia. D’altro canto giungiamo anche qui, ancora una volta, alla tesi che l’enciclopedia è vieppiù una disciplina speciale. Solo che, quale disciplina filologica, non si trova

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dern philologischen Disciplinen, denselben beigeordnet; sondern sie steht an der Spitze der Philologie, den besondern Disciplinen als allgemeine Grundlage aller übergeordnet. Sie lehrt nicht bloß, von welcher Idee alle Philologie und speciell die classische beherrscht wird; sie entwickelt nicht bloß den Begriff und den Umfang der Philologie und die Idee des Antiken; sondern sie zeigt auch die Methode aller philologischen Forschung. Kurz die Encyklopädie ist die Philosophie der Philologie, diejenige Disciplin, welche die speciellen philologischen Disciplinen mit der Philosophie verbindet, indem sie die Logik und allgemeine Erkenntnislehre mit besonderer Beziehung auf die Aufgaben der Philologen zur philologischen Methodenlehre erweitert. Wenn nun zur philosophischen Methodenlehre nicht bloß die Logik, sondern auch die Metaphysik gehört, so begreift sich auch leicht, wie die Theorie der Exegese und der Kritik als Ausfluss oder »Abzweigung« der Logik die Kanonik der Philologie noch nicht erschöpft, sondern dass auch aus der Metaphysik, wie einerseits die Naturphilosophie, so andererseits philologisch die allgemeine Altertumslehre sich abzweigt. Wenn wir also der Encyklopädie sowohl die [91/575] Kanonik der Philologie als auch die allgemeine Idee des Antiken zuweisen: so gehen wir damit über den Begriff der philologischen Erkenntnis- oder Methodenlehre nicht hinaus. Diese ist sowohl regulativ als constitutiv: jenes in der Theorie der Exegese und der Kritik, dieses in der allgemeinen Altertumslehre. In beiden Teilen hat sie die RLMMNHL`DLDMUFDLY da der Philologie darzuthun, und so mag sie auch allgemeine philologische Principienlehre heißen. So treiben uns Böckhs Ansätze zu einem ganz andern Begriff der Encyklopädie als derjenige ist, welchen er zu Grunde legt. Er dachte bei Methodik an etwas ganz andres als was wir hier Methodenlehre nennen. Die Theorie der Exegese und Kritik, die er den formalen Teil nennt, sie »lehrt die Methode der philologischen Forschung«. Davon verschieden, und nur sich daran anknüpfend ist »die Methodologie, welche die Methode der Aneignung der Wissenschaft lehren soll« (S. 48). Diese Disciplin aber ist vielmehr Didaktik, die gar nicht eine Disciplin im strengen Sinne des Wortes heißen kann. Sie erteilt nicht sowohl »Vorschriften«, als vielmehr praktische Ratschläge.

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tra le altre discipline filologiche coordinata con loro; ma sta al vertice della filologia, sovraordinata alle discipline speciali come fondamento universale di tutte. L’enciclopedia non insegna solo da quale idea sia dominata tutta la filologia e in particolar modo quella classica; non sviluppa solo il concetto, l’estensione della filologia e l’idea dell’antico; ma mostra anche il metodo di tutta la ricerca filologica. In breve, l’enciclopedia è la filosofia della filologia, quella disciplina che connette le discipline filologiche speciali con la filosofia, estendendo la logica e la teoria generale della conoscenza con riferimento particolare ai compiti dei filologi, in relazione alla dottrina filologica del metodo. Ora, se della dottrina filosofica del metodo non fa parte soltanto la logica, ma anche la metafisica, si comprende facilmente come la teoria dell’esegesi e della critica, in quanto risultato o «ramificazione» della logica, non esauriscono ancora la canonica della filologia; e piuttosto, così come dalla metafisica si dirama da una parte la filosofia della natura, dall’altra parte, dal punto di vista filologico, dalla metafisica si dirama la dottrina generale dell’antichità. Se dunque assegniamo all’enciclopedia [91] tanto la canonica della filologia come l’idea universale dell’antico, con ciò non oltrepassiamo il concetto della teoria filologica della conoscenza o del metodo. Tale teoria è sia regolativa sia costitutiva: regolativa nella teoria dell’esegesi e della critica, costitutiva nella dottrina generale dell’antichità. In entrambe le parti ha da mostrare la RLMN M HL`DLDMUFDLY della filologia e così si può anche chiamare dottrina generale dei principi filologici. Così gli accenni iniziali di Böckh ci spingono a un concetto dell’enciclopedia del tutto diverso da quello che egli pone alla base di essi. Egli pensava, con la nozione di metodica, a qualcosa di completamente diverso da ciò che noi chiamiamo qui dottrina del metodo. La teoria dell’esegesi e della critica, che egli chiama la parte formale, «insegna il metodo della ricerca filologica». Da ciò distinta, e soltanto in rapporto a essa, è «la metodologia, che deve insegnare il metodo di appropriazione della scienza» (p. 48) [85]. Tale disciplina però è piuttosto una didattica, la quale non può essere considerata una disciplina nel senso rigoroso del termine. Essa non impartisce tanto «prescrizioni» quanto consigli pratici.

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Wir tun endlich den letzten Schritt in der Erkenntnis, dass die Encyklopädie nicht eine eigentümliche Darstellungsweise desselben Inhalts ist, den auch die einzelnen philologischen Disciplinen ausführlich und in voller Sachgemäßheit darstellen. Neben der letzteren ist gar keine an sich berechtigte Darstellung weiter denkbar. Ich will sagen: keine andere als die rein sachliche ist objectiv berechtigt. Aus subjectiven Gründen freilich mag es angemessen sein auch andre Darstellungen zu geben, und so namentlich aus didaktischen Rücksichten und auch mit Hinsicht auf die Bedürfnisse des allgemeinen gebildeten Publicums. Nur ist dies nicht Aufgabe der Encyklopädie. – Die letztere aber bleibt auch gar nicht, wie es nach dem Bisherigen scheint, den speciellen philologischen Disciplinen gegenüber ganz im Allgemeinen. Sondern, wie ich anderweitig* ausgeführt habe, [92/576] jedes Einzelne, was erkannt werden soll, wird nur dann wahrhaft begriffen, wenn es in allseitiger Weise durch alle Stufen niederer und höherer Allgemeinheiten mit den letzten Principien in Verbindung gesetzt wird. »Nach der Reichhaltigkeit dieser Vermittlung, sagte ich, wird der Wert der Erkenntnis geschätzt.« Wenn das Einzelne nicht durchaus stufenweise in die nächst höhere Gattung gesetzt wird, wenn vom concreten Gegebenen sogleich in die hohen Allgemeinheiten hinaufgesprungen wird mit Uebergehung aller mittleren Grade, so ist dem Irrtum und der Sophisterei Tür und Tor weit und von allen Seiten geöffnet. Der Philologe soll nie unlogisch sein; was nützt ihm aber für irgend ein besonderes Problem das logische Denkgesetz und die metaphysische Kategorie! Wenn nun aber zwischen jene philologische Vorlage und diese allgemeine Erkenntnislehre die Theorie der Exegese und Kritik und auch noch die Darstellung der Idee des Antiken eingeschoben wird, wie allgemein und wie fern vom Einzelnen bleiben dann letztere immer noch! Die Vermittlung muss also, so fordert es die echte Methodenlehre, noch inhaltsvoller werden, dem Einzelnen noch näher treten. Nicht nur die Philologie überhaupt fordert nächst der allgemeinen Erkenntnislehre eine philologische Erkenntnislehre;

* Philologie, Geschichte und Psychologie S. 14 f.

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Facciamo infine l’ultimo passo nella conoscenza, osserviamo che l’enciclopedia non è un modo peculiare di rappresentazione dello stesso contenuto, che le singole discipline filologiche rappresentano dettagliatamente e in modo pienamente adeguato. Vicino alla rappresentazione delle discipline speciali non ne è pensabile alcun’altra in sé legittima. Voglio dirlo: nessun’altra è obiettivamente giustificata a parte quella puramente materiale. Ma per ragioni soggettive può anche essere adeguato fornire altre rappresentazioni, ad esempio con intenzioni didattiche e anche in relazione ai bisogni di un pubblico con una cultura generale. Ma, semplicemente, ciò non è compito dell’enciclopedia. – Quest’ultima non rimane neanche, com’è apparso finora, contrapposta alle discipline filologiche speciali come se fosse qualcosa di completamente generale. Ma, come ho spiegato da un’altra parte* 64, [92] ogni singolo, ovvero ciò che deve essere conosciuto, può essere concepito secondo verità solo se è messo in relazione nel modo più ampio, attraverso tutti i livelli degli universali più bassi e più alti, con i principi ultimi. «Il valore della conoscenza, dicevo, è stimato in base alla ricchezza di questa mediazione»65. Quando il singolo è posto in modo assolutamente non mediato nel genere prossimo più alto, quando dai dati concreti si salta subito alle più alte generalità, omettendo tutti i gradi intermedi, allora si spalancano da ogni parte le porte all’errore e alla sofisticheria. Il filologo non deve mai essere illogico; piuttosto ciò che gli serve per risolvere qualsiasi problema particolare sono la legalità logica del pensiero e le categorie metafisiche! Ora però, seppure tra quella teoria filologica e questa dottrina generale della conoscenza sono inserite la teoria dell’esegesi e della critica e anche la rappresentazione dell’idea dell’antico, quanto si rimane ancora nel generale e lontani dalle individualità! La mediazione deve dunque, così richiede l’esatta dottrina del metodo, diventare ancora più piena di contenuto, avvicinarsi di più al particolare. Non solo la filologia in generale richiede accanto alla dottrina generale della conoscenza una dottrina della conoscenza * Philologie, Geschichte und Psychologie, pp. 14 s.

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sondern es fordert auch noch einmal jede specielle philologische Disciplin ihre specielle Methodenlehre. Und auch diese zu geben, ist Aufgabe der Encyklopädie. Diese wird also ihren allgemeinen Teil haben, Methodik der Philologie überhaupt, und außerdem ihren besondern Teil, der in so viele speciellere Theorien zerfällt, als es specielle philologische Disciplinen gibt. Und dieser besondre Teil, als wesentliche Specificirung des allgemeinen Teils, wird wiederum zum Teil zwar auch regulativ, besonders und meist aber constitutiv sein. So wird allerdings die Encyklopädie einen allgemeinen und einen besondern Teil enthalten, durchweg aber formal bleiben; sie wird die formale und apriorische Seite der Philologie darstellen, während die Philologie mit ihren sämmtlichen Disciplinen natürlich material bleibt. Nicht die [93/577] Philologie, noch auch die Encyklopädie, hat einen formalen und daneben einen materialen Teil; sondern die Encyklopädie stellt die Form, die Methode und das Princip, kurz die apriorischen Momente der Philologie dar; die Philologie aber ist der Inbegriff der concreten Ergebnisse der Forschung, welche in einzelnen Disciplinen ihre Darstellung finden. Hierzu noch eine ergänzende Bemerkung. Zwischen der allgemeinen philologischen Methodenlehre, wie sie der erste Teil der Encyklopädie gibt, Interpretation und Kritik umfassend, und der speciellen Methodenlehre für die einzelnen philologischen Disciplinen, wie sie der zweite Teil geben soll, besteht ein wesentlicher Unterschied. Die specielle Methodik ist nicht bloß eine nähere Determination der Interpretation und Kritik, sondern etwas ganz andres. Wir werden erst in folgenden Artikeln die Idee, den Umfang, die Gliederung der Philologie erörtern können. Nehmen wir hier voraus was mit Böckhs Ansicht übereinstimmt, heute auch wohl kaum noch Gegner findet, dass zu den philologischen Disciplinen Grammatik, Litteratur-Geschichte, Altertümer, politische wie private, politische Geschichte, Geschichte der Kunst und der Wissenschaft gehören: so leuchtet wohl augenblicklich ein, dass durch Interpretation und Kritik die formale Tätigkeit, die Function, die Methode der Philologie nicht erschöpft wird. Interpretation und Kritik schaffen dem Philologen das Verständnis der Schriftwerke und aller aus dem Altertum uns aufbewarten

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filologica; ma anche ogni disciplina filologica speciale richiede la propria speciale dottrina del metodo. E fornirla è un compito ulteriore dell’enciclopedia. Questa dunque avrà la sua parte generale, la metodica della filologia in generale, e oltre a ciò la sua parte speciale, che si divide in così tante teorie particolari quante sono le discipline filologiche speciali. E questa parte speciale, come specificazione essenziale della parte generale, sarà, di nuovo, in parte regolativa, ma soprattutto costitutiva. Così l’enciclopedia comprenderà una parte generale e una speciale, ma rimarrà assolutamente formale; essa rappresenterà la parte formale e a priori della filologia, mentre la filologia con l’insieme delle sue discipline rimane naturalmente materiale. Non [93] la filologia e nemmeno l’enciclopedia hanno una parte formale e, vicino a essa, una materiale; ma l’enciclopedia rappresenta la forma, il metodo e il principio, in breve il momento aprioristico della filologia; mentre la filologia è la quintessenza dei risultati concreti della ricerca, che trovano la loro rappresentazione nelle singole discipline. Si aggiunga a ciò ancora un’osservazione. Tra la teoria generale del metodo filolgico che, come delineato dalla prima parte dell’enciclopedia, comprende l’interpretazione e la critica, e la dottrina speciale del metodo delle singole discipline filologiche, come deve darla la seconda parte dell’enciclopedia, vi è un’essenziale differenza. La metodica speciale non è semplicemente una determinazione più particolareggiata dell’interpretazione e della critica, ma qualcosa di completamente diverso. Potremo analizzare soprattutto nel prossimo articolo l’idea, l’estensione e la suddivisione della filologia. Anticipiamo qui quanto coincide col punto di vista di Böckh, e oggi non è quasi più contestato da nessuno, ossia che alle discipline filologiche appartengano la grammatica, la storia della letteratura, le antichità pubbliche e private, la storia politica, la storia dell’arte e della scienza: così risulta immediatamente evidente che attraverso l’interpretazione e la critica non vengono esauriti l’attività formale, la funzione, il metodo della filologia. L’interpretazione e la critica procurano al filologo la comprensione delle opere scritte e di tutti i monumenti che ci

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Denkmäler – nicht mehr. Mit dem eindringendsten Verständnis aber wird noch keine einzige der genannten geschichtlichen Disciplinen gewonnen. Denn umgekehrt setzt ja das Verständnis und die Kritik vielmehr jene Disciplinen, wie Grammatik, LitteraturGeschichte u.s.w. voraus. Die Construction der Grammatik, der Altertumslehre u.s.w. ist eine ganz andre Function des Philologen, als Interpretation. Die speciellere Betrachtung dieser Function, der Construction der einzelnen philologischen Disciplinen, mag Constructionslehre [94/578] oder Historik heißen*. Sie ist, wenn der erste Teil der Encyklopädie Interpretation und Kritik umfasst, Gegenstand des zweiten Teils derselben. In beiden Teilen ist die Encyklopädie durchaus formal, nichts als Methodenlehre der Philologie, deren materialer Teil in den Ergebnissen der drei Functionen des Philologen liegt, in den besondern philologischen Disciplinen. – Ist nun zwar einerseits die Encyklopädie mit der Methodologie identisch: so ist sie doch namentlich in der Constructionslehre nicht bloß regulativ, sondern constitutiv. Sie ist zugleich Methodenund Principienlehre der Philologie. Unsere Encyklopädie der Philologie würde sich also folgendermaßen gliedern: Einleitung: Aufgabe und Gliederung der Encyklopädie. I. Allgemeine Methodik der Philologie. A. Theorie der Interpretation. B. Theorie der Kritik. II. Constructionslehre. A. Idee des Antiken oder allgemeine Altertumslehre. B. Historik. a) Stufen der Entwicklung des Geistes im Allgemeinen, Wesen des Fortschrittes u.s.w. b) Bildung der besondern Disciplinen: Hülfsmittel, Gesichtspunkte, Probleme, bisherige Leistungen. * Vergl. meinen Vortrag in der Vers. der Philologen in Wiesbaden 1877. »Die Arten und Formen der Interpretation« Einleitung.

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sono stati serbati dall’antichità – non di più. Ma con la comprensione più penetrante non è ancora ottenuta nessuna delle cosiddette discipline storiche. Al contrario, la comprensione e la critica presuppongono vieppiù quelle discipline come la grammatica, la storia della letteratura ecc. La costruzione della grammatica, della dottrina dell’antichità etc., è una funzione dei filologi completamente diversa dall’interpretazione. La più speciale considerazione di questa funzione, la costruzione delle singole discipline filologiche, può chiamarsi [94] dottrina della costruzione o istorica* 66. Se la prima parte dell’enciclopedia comprende l’interpretazione e la critica, l’istorica è oggetto della sua seconda parte. In entrambe le parti l’enciclopedia è del tutto formale, nient’altro che dottrina del metodo della filologia, la cui parte materiale consta dei risultati delle tre funzioni del filologo, conseguite nelle discipline filologiche speciali67. – Se è vero che l’enciclopedia è in parte identica alla metodologia, allora essa nella dottrina della costruzione non è semplicemente regolativa, ma costitutiva. È, insieme, dottrina del metodo e dei principi della filologia. La nostra enciclopedia della filologia dovrebbe esser suddivisa pertanto nel modo seguente: Introduzione: Compito e suddivisione dell’enciclopedia I. Metodica generale della filologia A. Teoria dell’interpretazione B. Teoria della critica II. Dottrina della costruzione A. Idea dell’antico o dottrina generale dell’antichità B. Istorica a) Stadi di sviluppo dello spirito in generale, essenza del progresso etc. b) Formazione delle discipline speciali; strumenti ausiliari, punti di vista, problemi, imprese portate a termine finora. * Si veda la mia conferenza al congresso dei filologi di Wiesbaden del 1877. I modi e le forme dell’interpretazione.

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Demnach würde beispielsweise unter II. B. b im Abschnitt Litteraturgeschichte eine vollständige Kunde der Handschriften und Ausgaben der alten Autoren zu geben sein, während die Litteratur-Geschichte selbst sich dieser Aufgabe entschlagen könnte. Hiermit glaube ich nur klar ausgesprochen zu haben, was jeder Philologe, der Encyklopädie gelehrt hat, als notwendig gefühlt hat und was auch Böckh vorgeschwebt hat. Auch meine ich nicht, Bernhardy zu widersprechen. Wenn [95/579] er die Behauptung aufstellt, die Encyklopädie sei »statistisch«, so hat er sicherlich hierbei die bloß didaktische oder praktische Bedeutung der Methode im Auge und namentlich unser II. B. b. Zu dieser Behauptung führte ihn wohl die andre, die Encyklopädie sei »nicht legislatorisch«. Das ist sie aber in der Tat (wir setzten oben den mildern Ausdruck regulativ), so gut wie die Logik und Metaphysik und alle Erkenntnislehre. Am besten wird sie freilich verfahren (und wird gar nicht umhin können, es so zu machen), wenn sie dem Lernenden großartige philologische Leistungen vorführt. Jede Tat aber, die als Muster dient, wird eben damit zum Gesetz: sie ist eine Darstellung oder Verwirklichung des Gesetzes. So mag die Theorie der Exegese und Kritik immerhin an sich rein beschreibend oder erzählend bleiben; sie ist trotzdem für den Lernenden gesetzgeberisch. Fragt man nun endlich, wie sich der Studirende der Philologie zur Encyklopädie verhalten solle, so kann allerdings auch unsre Antwort nur so lauten wie die von Böckh gegebene: er muss sie sich neben dem Special-Studium aneignen und von dieser immer wieder zu ihr zurückkehren. Das Ziel aber ließe sich wohl bestimmter so ausdrücken: Wenn die Encyklopädie gewissermaßen den geistigen Aether darstellt, der alle philologische Specialkenntnisse umweht und durchhaucht, so muss ihr Inhalt im Kopfe des Philologen aus der Transscendenz, in welcher er geboten und von dem Jünger aufgenommen wird, in die Immanenz versetzt werden, welche ihm in Wahrheit eignet. Er muss aufhören, als besondres Material ein besondres Dasein neben dem speciellen philologischen Inhalt zu führen, und muss bloß als Kraft im Denken und Wissen wirken. Der Meister aber wird in seinen Forschungen, wenn sie auch auf bestimmte einzelne Aufgaben gerichtet sind, doch eben damit

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Poi, ad esempio, bisognerebbe dare sotto il punto II. B. b, nel capitolo sulla storia della letteratura, un’informazione completa dei manoscritti e delle edizioni degli autori antichi, mentre la storia della letteratura stessa potrebbe essere dispensata da questo compito. Con ciò credo solo di aver chiaramente espresso ciò che ogni filologo, che ha insegnato l’enciclopedia, ha sentito necessario e ciò che aleggiava anche davanti agli occhi di Böckh. Né ho inteso contraddire Bernhardy: quando [95] egli afferma che l’enciclopedia sarebbe «statistica», ha con ciò di certo di fronte il semplice significato didattico e pratico del metodo, circoscrivibile al nostro II. B. b. A questa affermazione lo condusse l’altra secondo cui l’enciclopedia non sarebbe «legislatrice»68. Ma essa lo è di fatto (noi utilizziamo sopra l’espressione più tenue di «regolativa»), tanto quanto la logica, la metafisica e la teoria della conoscenza. L’enciclopedia procederà nel miglior modo (e non potrà fare a meno di far così) mostrando al lettore le più significative imprese filologiche. Ogni atto però, che funge da modello, si trasforma per questo in legge: è una rappresentazione o realizzazione della legge. Rimanga pur sempre la teoria dell’esegesi e della critica in sé puramente descrittiva o narrativa, per chi impara essa è comunque dispensatrice di legalità. Ci si domandi infine come debba comportarsi colui che studia la filologia nei confronti dell’enciclopedia, così anche la nostra risposta non può che suonare come quella data da Böckh: deve appropriarsene assieme allo studio speciale e da questo69 tornare di nuovo a quella70. Tale fine si lascerebbe esprimere più precisamente così: se l’enciclopedia rappresenta, per così dire, l’etere spirituale, che ammanta e inspira tutte le conoscenze filologiche speciali, il suo contenuto nella testa del filologo deve essere posto dalla trascendenza, in cui è offerto ai giovani e da loro accolto, nell’immanenza che in verità gli si confà. Il contenuto dell’enciclopedia deve smetterla di condurre un’esistenza particolare, in quanto materiale a sé stante vicino al contenuto filologico speciale, e deve solo operare come forza nel pensiero e nel sapere. Così il maestro nelle sue ricerche, seppure orientate a singoli compiti determinati, e anzi proprio per questo, darà

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zugleich jenes Allgemeine, jene apriorischen Momente, immer vollkommner gestalten und sogar schöpferisch bereichern. Auch insofern ist die Encyklopädie, wenn man es so nennen will, nur statistisch, als sie freilich bloß lehren kann, welche apriorischen Momente bisher in der [96/580] Philologie geschaffen sind, während vor hundert Jahren noch nicht so viel in den Geistern gelebt hatten; und dies wird sie lehren in der Hoffnung, dass nach einem neuen Jahrhundert nicht nur der Kreis philologischer Kenntnisse erweitert sein wird, sondern dabei auch neue allgemeine Sätze hervorgetreten sein werden, welche die Encyklopädie späterer Geschlechter darzustellen haben wird. Jede Encyklopädie kann nur für ihre Zeit gelten.

[302/581]

Zweiter Artikel. Idee der Philologie.

a) Stellung der Philologie im System der Wissenschaften. Der Begriff einer Wissenschaft, sagt Böckh, könne nicht durch den Stoff bestimmt werden (S. 4f.): »Es kann derselbe Stoff mehreren Wissenschaften gemeinsam sein, und es ist gleich ohne Weiteres klar, dass z. B. die Philosophie und Philologie denselben Stoff haben, und der Philologie und Geschichte viele Gebiete des Stoffes gemeinsam sind, ebenso [303/582] wie der Philosophie und Naturkunde«. Dies ist unleugbar. Der Mensch z. B. ist Gegenstand der Anatomie, der Physiologie, der Chemie, der Pathologie und Therapie, der Psychologie, der Anthropologie, der Geschichte, der Volkswirtschaft und der Ethik. Will man also eine Wissenschaft definiren, so hat man außer dem Stoffe auch die Form der Wissenschaft, d. h. die Behandlungsweise anzugeben; es ist zugleich zu sagen, in welcher Hinsicht der Stoff Gegenstand der Betrachtung sein soll. Hören wir nun Böckhs Definition der Philologie. Er selbst gibt uns, indem er die Definitionen Anderer kritisirt, den Maßstab, woran wir nun auch seine Ansicht prüfen müssen (S. 4):

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contemporaneamente forma sempre più perfetta a quell’universale e a quei momenti aprioristici, e persino li arricchirà creativamente. Anche per questo l’enciclopedia è, se la si vuol dire così, soltanto statistica, dal momento che può semplicemente insegnare quali momenti a priori [96] sono stati costituiti nella filologia finora, [momenti a priori che] un secolo prima non avevano ancora abitato gli animi nella stessa misura; e insegnerà ciò nella speranza che, dopo un altro secolo, non solo sarà ampliato il cerchio delle conoscenze filologiche, ma con ciò saranno portati alla luce nuovi principi universali, che l’enciclopedia delle generazioni future dovrà rappresentare. Ogni enciclopedia può aver valore solo per la sua epoca.

[p. 302]

Secondo articolo Idea della filologia

a) Posizione della filologia nel sistema delle scienze Il concetto di una scienza, dice Böckh, non potrebbe essere determinato attraverso la materia (p. 4 e sgg.) [37-38]: «la stessa materia può essere comune a più scienze ed è senz’altro chiaro che, ad esempio, la filosofia e la filologia hanno la stessa materia e che alla filologia e alla storia sono comuni molti ambiti della stessa materia, così come [303] alla filosofia e alle scienze naturali». Ciò è innegabile. L’uomo, ad esempio, è oggetto dell’anatomia, della fisiologia, della chimica, della patologia e della terapia, della psicologia, dell’antropologia, della storia, dell’economia e dell’etica. Quindi se si vuole definire una scienza bisogna indicare, oltre la materia, anche la forma, il modo di elaborarla; bisogna poi dire in che prospettiva la materia deve essere oggetto di considerazione. Ascoltiamo adesso la definizione che Böckh dà della filologia. Egli stesso ci offre, criticando le definizioni altrui, il criterio con cui adesso bisogna valutare anche la sua opinione (p.

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1) liegt ihr ein wissenschaftlicher Begriff zu Grunde, wodurch die Philologie als etwas von andern Wissenschaften Unterschiedenes bezeichnet wird? 2) enthält dieser Begriff »dasjenige was historisch nach der wirklichen Bedeutung des Wortes und nach den Bestrebungen, die der Philologie der Erfahrung gemäß eigen sind, zu derselben gezählt werden kann?« – Wenn aber, meine ich, der erste dieser beiden Kanones unbedingt zugestanden werden muss, weil er nur die Grundregel aller Definition enthält: so scheint der andre ganz unbegründet. Danach könnte jemand verlangen, man solle ihm den Fisch definiren, aber so, dass die Definition auch den Walfisch umfasse. Welche Zumutung an den Begriff, dass er den erfahrungsmäßigen Betrieb der Sache dekke! Vielleicht soll er gerade die Wirklichkeit corrigiren, erweitern oder verengen. Wie wenig wir aber nötig haben, dies Böckh zu sagen, zeigt der dritte Kanon, den Böckh zu den zwei angeführten hinzufügt, und welcher gerade dies fordert, dass der wahre Begriff »alle willkürlichen Schranken, die der gemeine Sinn dem Begriffe beilegt, aufhebe« und »bloß die notwendigen innern Beziehungen« geltend mache. Widersprechen sich aber der zweite und der dritte Kanon, so wäre es, um Böckhs wirkliche Meinung zu finden, durchaus unstatthaft, den einen oder den andern Kanon nur kurzweg zu streichen. Man merkt augenblicklich, wie sehr jemand gegen den dritten Kanon verstoßen würde, welcher [304/583] definirte, Philologie sei die Beschäftigung mit den auf den Gymnasien gelesenen klassischen Autoren; man merkt aber auch, wie unerlaubt es wäre, zur Philologie auch Geologie und Anthropologie zu rechnen, was gegen den zweiten Kanon wäre. So viel ist indessen klar, dass diese beiden Kanones, weil sie einander widersprechen, und weil jeder unbegrenzt ist und eben deswegen den andern herbeizieht, aber ohne dadurch eine feste, sachgemäße Grenze zu finden – dass darum, sage ich, beide für die Kritik unbrauchbar sind. Um ihre richtige Bedeutung zu finden, müssen wir sie erst auf ihren wahren Grund zurückführen. Dies wollen wir sogleich versuchen. Jeder Begriff hat, wie die Logik lehrt, einen Inhalt und einen Umfang. Die Definition eines Begriffes hat nur den Inhalt anzugeben und nicht auch den Umfang; ganz falsch aber wäre es, bloß den Umfang zu bezeichnen ohne den Inhalt zu bestimmen. Darum sagte Böckh, es sei falsch die Philologie durch Aufzählung ih-

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4) [38]: 1) si trova alla sua base un concetto scientifico per cui la filologia è designata come una scienza diversa dalle altre? 2) contiene questo concetto «ciò che può essere ricondotto ad essa storicamente, secondo il significato effettivo del termine e le finalità che le sono proprie in conformità dell’esperienza?» – Ma io credo che se il primo di questi due canoni deve essere concesso senz’altro, giacché esso contiene soltanto la regola fondamentale di ogni definizione, l’altro appare invece del tutto infondato. Conformemente a ciò qualcuno potrebbe pretendere che si debba definire il pesce, in modo tale che la definizione comprenda anche la balena. Quale pretesa nei confronti del concetto, che esso renda il funzionamento della cosa secondo esperienza! Forse esso deve proprio correggere la realtà, ampliarla o restringerla. Quanto sia superfluo dire ciò a Böckh lo mostra il terzo canone, che egli aggiunge ai due citati, il quale richiede proprio che il vero concetto tolga «tutte le delimitazioni arbitrarie che il senso comune assegna al concetto» e renda valide «solo le relazioni interne necessarie»71. Ma se il secondo e il terzo canone si contraddicono, è inammissibile, al fine di trovare la vera opinione di Böckh, cancellare semplicemente l’uno o l’altro canone. Si vede all’istante come contravverrebbe al terzo canone, chi [304] definisse la filologia come lo studio degli autori classici letti nei ginnasi; ma si vede anche che non è concesso assegnare alla filologia anche la geologia e l’antropologia, quanto è contrario al secondo canone. È pertanto chiaro che entrambi questi canoni, giacché si contraddicono, giacché ciascuno dei due è privo di limiti e proprio per questa ragione trae a sé l’altro, ma senza poter tracciare un confine saldo e certo che lo distingua dall’altro – per queste ragioni è chiaro, dico, che entrambi questi canoni sono inutilizzabili per la critica. Per trovare il loro giusto significato, dobbiamo anzitutto ricondurli al loro vero fondamento. Vogliamo tentare subito. Ogni concetto ha, come insegna la logica, un contenuto e un’estensione. La definizione di un concetto deve solo indicare il contenuto, senza far riferimento all’estensione; ma sarebbe del tutto sbagliato indicare semplicemente l’estensione del concetto senza determinarne il contenuto. Per questo Böckh affermò che sarebbe improprio definire la filologia attraverso

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res Stoffes zu definiren; denn das hieße ja, in den Umfang hinabsteigen, ohne den Inhalt zu beachten. Böckhs erster Kanon dringt also auf die Bestimmung des begrifflichen Inhaltes. Gleichgültig aber ist doch wahrlich der Umfang eines Begriffes auch nicht. Nur muss sich der Umfang aus dem Inhalt ergeben, muss sich aus ihm nach der ersten Schlussfigur erschließen lassen. Es handle sich z. B. um die Definition des Säugetieres. Man sagt also: Das Säugetier ist ein Tier, welches . . . So ist der Inhalt des Begriffes gegeben. Nun wird weiter der Umfang erschlossen: Das Säugetier ist ein Tier, welches . . . Der Hund, der Walfisch u.s.w. sind Tiere, welche . . . ______________________________________________________________________________________

Also die Classe der Säugetiere umfasst Hund, Walfisch u.s.w. Wir werden also mit Böckhs erstem Kanon fordern, dass uns ein wissenschaftlicher Inhalt bestimmt werde, durch welchen »die Philologie als etwas von andern Wissenschaften Unterschiedenes bezeichnet wird«; und werden dann statt seines zweiten und dritten Kanons fordern, dass uns der [350/584] Umfang aus dem Inhalt deducirt werde. (Dagegen kümmert es uns für diesen Zweck gar nicht, was das Wort ILORORJLYD im Altertum bedeutet haben möge.) Dies drückt Böckh sehr schön so aus (S.Begriffe aller Teile umfasst, die Teile alle in ihm als Begriffe enthalten sind und jeder Teil den ganzen Begriff wieder in sich darstellt, nur mit einer bestimmten Modification, die aus der Einteilung entsteht«. Der allgemeine Begriff ist der Gattungsbegriff, die Teile bilden die Arten der Gattung, haben jenen Begriff in sich, aber durch das specifische Merkmal modificirt. Die Sache hat aber noch eine andere Seite. Der Inhalt eines Begriffes kann nur aus dem Umfang (der Gattungsbegriff nur aus den Arten) durch Induction gefunden werden. Es sei z. B. das Säugetier zu definiren:

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l’enumerazione della sua materia; poiché ciò significherebbe addentrarsi nell’estensione senza riferirsi al contenuto. Il primo canone di Böckh spinge dunque alla determinazione del contenuto concettuale. In verità però, non è nemmeno indifferente l’estensione di un concetto. Solo che essa deve risultare dal contenuto, deve lasciarsi desumere dal contenuto come dalla prima premessa di un sillogismo. Si tratta, ad esempio, della definizione dei mammiferi. Allora si dice: il mammifero è un animale che…così è dato il contenuto del concetto. Poi se ne desume l’estensione: il mammifero è un animale che… Il cane, la balena ecc. sono animali che… _____________________________________________________________________________________

Pertanto la classe dei mammiferi contiene il cane, la balena ecc. Richiederemo dunque col primo canone di Böckh che sia determinato per noi un contenuto scientifico attraverso cui «la filologia venga designata come scienza diversa dalle altre»; e chiederemo poi, invece di richiamarci al secondo e al terzo canone, che [305] l’estensione sia dedotta dal contenuto. (A tale scopo invece, non ci riguarda per nulla cosa possa aver significato la parola ILORORJLYD nell’antichità). Böckh esprime ciò molto bene così (p. 3) [37]: «Il concetto autentico di ogni scienza deve rapportarsi alle parti così da comprendere quanto c’è di comune nei concetti delle singole parti, in modo tale che tutte le parti, in quanto concetti particolari, siano contenute in esso e così che ogni parte rappresenti nuovamente, in sé, l’intero concetto, ma secondo una determinata modificazione derivante dal fatto di essere appunto una parte del concetto». Il concetto universale è il concetto di genere, le parti sono le specie del genere, hanno in sé quel concetto, ma modificato secondo un carattere specifico. La questione presenta però ancora un altro aspetto. Il contenuto di un concetto può essere ritrovato solo per induzione a partire dall’estensione (il concetto di genere solo dalle specie). Il mammifero sarebbe, ad esempio, da definire in questo modo:

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Der Hund hat folgende Eigenschaften und ist ein Säugetier Der Walfisch hat folgende Eigenschaften und ist ein Säugetier u.s.w. u.s.w. _________________________________________________________________________________________

Also ist das Säugetier ein Tier, welches . . . Wenn bei diesem inductorischen Ueberblick über den Umfang des Begriffes Säugetier etwa der Walfisch ausgelassen wäre, so würde die Definition auch einen andern Inhalt gewinnen, als sie gewinnt, wenn der Walfisch eingeschlossen ist. In letzterm Falle darf man nicht sagen, Säugetiere seien Landtiere, welche sich auf vier Füßen bewegen. Wenn demnach der Umfang vom Inhalt nicht mehr abhängig ist, als auch umgekehrt der Inhalt vom Umfang, so könnte es scheinen, als müsste man auf jede zwingende Definition des Begriffs verzichten, und es sei unmöglich objectiv notwendige Begriffe zu bilden, weil man sich im Kreise bewege. Welcher Umfang anzunehmen sei, das werde vom Inhalt bestimmt; welcher Inhalt aber zu setzen sei, das werde vom Umfang gegeben: also sei nichts bestimmt und gegeben. Böckh verweist oft genug auf diese Kreisbewegung. Hier kann es genügen, daran zu erinnern, wie niemand vom Umfange [306/585] der Säugetiere den Walfisch auslassen kann, und also jeder den Inhalt der Säugetiere mit Hinsicht auf denselben bilden müsse. Ob aber unsere Aufgabe, den Begriff der Philologie zu bilden, so günstig liege, wie das angeführte Beispiel, ist doch sehr fraglich. Kant (Logik, Einleit. VI S. 212. Ausg. Rosenkranz) definirt als verschiedene, wenn auch verwante Begriffe, Polyhistorie, Polymathie, Pansophie, Philologie, Humaniora, endlich den Belletristen. Wahrhafte Wissenschaften will er mit allen diesen Namen nicht bezeichnen. Er legte sich den Umfang dieser Begriffe zurecht, wie es ihm passte, und bestimmte danach den Inhalt derselben. Er spricht an der angegebenen Stelle nicht als Kritiker der Vernunft, sondern als durchdringender, geistvoller Menschenkenner, als welcher er sich so häufig kund gibt. In allem was er hier sagt, muss ich ihm recht geben. Böckh und ich freilich wir suchen etwas andres; wir suchen den Begriff einer Wissenschaft Philologie, einen Begriff, von dem Kant nie etwas gehört hat (jene Aeußerung stammt vielleicht aus dem Jahre

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Il cane ha queste caratteristiche ed è un mammifero La balena ha queste caratteristiche ed è un mammifero ecc. ecc. _______________________________________________________________________________

Dunque il mammifero è un animale che… Se da questa ricognizione induttiva sull’estensione del concetto di ‘mammifero’ per caso fosse esclusa la balena, anche la definizione otterrebbe un contenuto diverso, da quello che consegue se la balena è inclusa. Nell’ultimo caso non è lecito sostenere che i mammiferi siano animali terrestri che si muovono su quattro zampe. Se, pertanto, l’estensione non è più dipendente dal contenuto di quanto il contenuto lo sia dall’estensione potrebbe allora sembrare che si debba rinunciare a ogni stringente definizione del concetto e risulterebbe dunque impossibile costruire concetti obiettivamente necessari perché ci si muoverebbe in circolo. Infatti, quale estensione sia da assumere, sarebbe determinato dal contenuto; ma quale contenuto sia da porre, sarebbe dato dall’estensione: dunque nulla sarebbe determinato e dato. Böckh rimanda abbastanza spesso a questo movimento circolare. Qui può essere sufficiente ricordare come nessuno può escludere [306] dall’estensione dei mammiferi la balena e pertanto ognuno dovrebbe costruire il contenuto dei mammiferi con riguardo all’estensione. Che però il nostro compito, costruire il concetto della filologia, sia tanto benevolo come l’esempio citato, è ben dubbio. Kant (Logica, Introduzione, VI, p. 212, edizione Rosenkranz) definisce come concetti diversi anche se imparentati la polistoria, la polimatia, la pansofia, la filologia, gli studi umani, infine la belletristica72, per quanto con tutti questi nomi non intenda designare scienze vere e proprie. Come gli si addiceva, pose l’estensione di questi concetti e in secondo momento ne determinò il contenuto. In questa circostanza pertanto non si esprime quale critico della ragione, ma come penetrante e geniale conoscitore degli uomini, quale spesso si rivela. Devo dargli ragione in tutto ciò che dice in proposito. Ma Böckh e io cerchiamo qualcosa di diverso. Cerchiamo il concetto di una filologia come scienza; un concetto di cui Kant non ha

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1765 oder der nächst folgenden Zeit), den er auch nirgends tatsächlich verwirklicht fand. Ob wir ihn finden werden? Nur unter einer Bedingung; und diese ist: wenn die deutschen Philologen, angeregt von Kants Geist, es verstanden haben, dem Cyklopen der Polyhistorie das ihm fehlende zweite Auge, das philosophische, zu geben. Mut macht uns Schelling, der schon im Anfange dieses Jahrhunderts, also doch ungefähr ein Menschenalter später als Kant, sich über den Philologen ganz anders auslässt (bei Böckh S. 25). Dieser, sagt er, »steht mit dem Künstler und Philosophen auf den höchsten Stufen, oder vielmehr durchdringen sich beide in ihm. Seine Sache ist die historische Construction der Werke der Kunst und Wissenschaft, deren Geschichte er in lebendiger Anschauung zu begreifen und darzustellen hat«. Er kannte freilich schon Gottfried Hermann und den jungen Friedrich Schlegel, echte Vertreter der deutschen Philologie. Und doch mochte der tiefsinnige Mann mit diesem Worte mehr geahnt als gesehen haben. [307/586] Böckh prüft sechs Ansichten vom Wesen der Philologie und findet sie sämmtlich nicht falsch, aber einseitig. Die Philologie ist nicht (d. h. nicht bloß) 1) Altertumsstudium, 2) Sprachstudium, 3) Polyhistorie, 4) Kritik, 5) Litteraturgeschichte, 6) Humanitätsstudium. Darauf werden sie (S. 12) noch einmal in andrer Ordnung aufgeführt: 2, 1, 3, 5, 4, 6. In der ersten Ordnung wird recht deutlich, wie die folgende Auffassung die jedesmal vorangehende als mangelhaft erweist und ihre Lücke deckt; in der andern Ordnung wird begreiflich, wie jede vorangehende durch ihren Inhalt umschlägt in die folgende Auffassung. Diese Kritik, welche Böckh übt, ist ein reizendes dialektisches Kabinetsstück, dessen vollen Reiz man freilich nur fühlt, wenn man den Geschmack für dergleichen mitbringt. Ehemals hatte ich ihn in hohem Grade; jetzt überwiegt die rein historische Seite in mir die dialektische. Ich meine also, jene Definitionen der Philologie müssten in der Reihenfolge betrachtet werden, wie sie historisch entstanden sind. Eine Geschichte der Philologie, die wir leider noch nicht besitzen (ich denuncire diese Lücke bei der historischen Commission in München), würde wohl zeigen können, dass jede der Definitionen das Wesen der Philologie ausdrückte, wie dieselbe in jener Zeit

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mai sentito nulla (la sua asserzione proviene forse dal 1765 o dal periodo immediatamente successivo)73, non avendolo potuto trovare in nessun luogo, come un concetto realizzato. Lo troveremo noi? Solo a una condizione, questa: che i filologi tedeschi, stimolati dallo spirito di Kant, abbiano compreso la necessità di dare al ciclope della polistoria il secondo occhio a lui mancante, quello filosofico74. Ci incoraggia Schelling, che già all’inizio di questo secolo, circa una generazione dopo Kant, si espresse sul filologo in modo molto diverso (in Böckh, p. 25 [59]). Questo, scrive, «occupa con l’artista e il filosofo il livello supremo, o, meglio, entrambi si compenetrano in lui. Il suo compito è la costruzione storica delle opere dell’arte e della scienza, la cui storia egli deve comprendere e rappresentare in un’intuizione vivente»75. Ma Schelling conosceva già Gottfried Hermann76 e il giovane Friedrich Schlegel, veri rappresentanti della filologia tedesca. Sebbene il profondo pensatore, a dire il vero, con questa massima abbia più presagito che effettivamente visto. [307] Böckh saggia sei punti di vista sull’essenza della filologia e nel complesso non li trova falsi, ma unilaterali. La filologia non è (ovvero, non è soltanto) 1) studio dell’antichità 2) studio delle lingue 3) polistoria 4) critica 5) storia della letteratura 6) studio umanistico. Più avanti (p. 12) [46] questi punti sono posti da Böckh in un altro ordine: 2, 1, 3, 5, 4, 6. Nel primo ordine diviene davvero chiaro come la prospettiva seguente mostri quella che di volta in volta la precede carente e ne scopra le manchevolezze; nel secondo ordine diviene comprensibile come ogni precedente si volga, secondo il proprio contenuto, nella concezione seguente. Tale critica, esercitata da Böckh, è un pezzo raro di stimolante dialettica, di cui però si avverte a pieno lo stimolo solo se se si possiede il gusto per queste cose. Un tempo io lo possedevo nel più alto grado; ora la parte puramente storica supera in me quella dialettica. Io credo dunque, che quelle definizioni della filologia debbano essere prese in considerazione seguendo l’ordine in cui sono sorte storicamente. Una storia della filologia, che purtroppo non possediamo ancora (ho denunciato questa lacuna alla Commissione storica di Monaco)77, potrebbe mostrar bene che ognuna di quelle definizioni espresse l’essenza

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getrieben ward, wo die Definition entstand oder in Geltung war. So würde sich in ihnen die Geschichte der Philologie abspiegeln. Es gab eine Zeit, wo die Philologie wirklich Humanismus war, und eine andre, wo sie nichts als Polymathie war u.s.w. – Was ist (oder war?) nun die Philologie in Böckhs Zeit? Böckh beginnt (S. 9): »Die Wissenschaft überhaupt ist nur Eine, ungeteilte, und zwar im Gegensatz gegen die Kunst, welche zusammen mit ihr die ideelle Seite des Lebens und der menschlichen Tätigkeit bildet, die begriffliche Erkenntnis des Universums. Die gesammte Wissenschaft as ein Ganzes ist Philosophie, Wissenschaft der Ideen. Aber je nach der Betrachtungsweise, ob das All von materieller oder ideeller Seite genommen wird, als Natur oder Geist, als Notwendigkeit oder Freiheit, ergeben sich, abgesehen von formalen Disciplinen, zwei Wissenschaften, die wir Physik und Ethik [308/587] nennen«. Diese Construction ist ganz antik und könnte an der Spitze eines Hauptwerkes der Stoa stehn, und ist doch auch wiederum ganz modern, und es weht Schellingscher Geist in ihr. Böckh fragt nun, unmittelbar anschließend an die angeführten Worte, ob die Philologie in die Physik oder die Ethik gehöre? »Sie umfasst gewissermaßen beide und ist doch keine von beiden.« Der Philologe muss z. B. den platonischen Timäos verstehen, so gut wie eine Tragödie, und er muss die Geschichte der Naturphilosophie philologisch bearbeiten; hingegen Naturphilosophie produciren ist nicht seine Aufgabe. Eben so muss er die geschichtliche Entwicklung der Ethik erforschen, aber nicht ein System der Ethik entwerfen. Und ebenso verhält es sich mit den einzelnen Zweigen der Physik und Ethik. »Physische Speculationen und Experimente sind nicht Aufgabe der Philologie, ebensowenig als logische oder politische Untersuchungen; aber die Werke eines Plinius, Dioskorides und Buffon sind Objecte derselben.« »Hiernach scheint die eigentliche Aufgabe der Philologie das Erkennen des vom menschlichen Geiste Producirten d. h. des Erkannten zu sein. Es wird überall von der Philologie ein gegebenes Wissen vorausgesetzt, welches sie wiederzuerkennen hat. Die Geschichte aller Wissenschaften ist also philologisch. Allein hiermit ist der Begriff der Philologie nicht erschöpft, vielmehr fällt er mit dem der Geschichte im weitesten Sinne zusammen.« Wieso dies? Die geschichtlichen Taten, antwortet Böckh, sind nicht minder als die Producte der Wissenschaft ein Erkanntes, »d.

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della filologia, così come essa fu praticata nel tempo in cui la definizione sorse o ebbe valore. Così in esse si rispecchierebbe la storia della filologia. Ci fu un tempo in cui la filologia fu davvero Umanesimo e un altro in cui essa non fu null’altro che polimatia. – Ora, cos’è (o fu?) la filologia nell’epoca di Böckh? Böckh inizia (p. 9) [43]: «La scienza in generale è Una indivisa e, al contrario dell’arte, che assieme a lei costituisce il lato ideale della vita e dell’attività umana, è la conoscenza concettuale dell’universo. Tutta la scienza, in quanto intero, è filosofia, scienza delle idee. Ma secondo il modo di considerazione, a secondo che il tutto sia inteso dal lato materiale o da quello ideale, quale natura o quale spirito, necessità o libertà, risultano, prescindendo dalle discipline formali, due scienze che chiamiamo fisica [308] ed etica». Questa costruzione è molto antica e potrebbe stare all’apice di un’opera della scuola stoica, ed è altresì del tutto moderna e spira in essa lo spirito di Schelling. Böckh dunque domanda, in relazione diretta con le parole citate, se la filologia appartenga alla fisica o all’etica. «Essa abbraccia in certa misura entrambe, ma non è nessuna delle due». Il filologo deve, ad esempio, comprendere il Timeo di Platone, come una tragedia, e deve elaborare in senso filologico la storia della filosofia della natura; di contro, non è compito suo produrre la filosofia della natura. Allo stesso modo deve indagare lo sviluppo storico dell’etica, ma non deve progettare un sistema di etica. E si relaziona nello stesso modo con i singoli rami della fisica e dell’etica. «Le speculazioni e gli esperimenti fisici non sono compito della filologia, come non lo sono le ricerche logiche o politiche; ma le ricerche di un Plinio78, di un Dioscoride79 e di un Buffon80 sono suoi oggetti di ricerca». «Perciò il compito proprio della filologia pare che sia la conoscenza di ciò che è prodotto dallo spirito umano, la conoscenza cioè del conosciuto. La filologia presuppone sempre un dato sapere, che essa deve conoscere di nuovo. La storia di tutte le scienze è dunque filologica. Con ciò il concetto della filologia non è trattato esaurientemente, esso coincide piuttosto con quello della storia nel senso più ampio». Perché? I fatti storici, risponde Böckh, non sono meno dei prodotti della scienza qualcosa di conosciuto, «è a

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h. sie enthalten Ideen«. »Das geschichtlich Producirte ist ein Geistiges, welches in Tat übergegangen ist.« Ferner aber: nicht bloß die Begriffe der Wissenschaft und auch die Taten der Geschichte als in Tat verwandelte Ideen sind Erkanntes und also Object der Philologie, sondern »unter dem Erkannten sind auch alle Vorstellungen begriffen«, wie sie in der Sprache, in der Poesie, in der Kunst liegen. »So ist die Philologie – oder, was dasselbe sagt, die Geschichte Erkenntnis des Erkannten«. [309/588] Um diese Ansicht scharf zu fassen, recapitulire ich: All unser Wissen ist entweder ein unmittelbares Erkennen von Objecten, und so heißt es in seiner Gesammtheit und Einheit Philosophie. Diese ist entweder Physik oder Ethik, unter welch letzterer alle geistigen Producte verstanden werden. Neben diesem unmittelbaren Erkennen gibt es ein mittelbares, auf ein gegebenes Erkennen als Object gerichtetes, also Erkenntnis eines Erkannten. Solches ist philologische Erkenntnis oder Geschichte. Die Philosophie ist Production von Ideen; die Philologie oder Geschichte ist Reproduction, und zwar reproducirt sie nicht bloß die philosophischen Ideen, sondern auch alles sonstige geistige Product. Kurz: Philosophie ist Erkennen; Philologie (Geschichte) Verstehen. Man erkennt die Lebensform der Auster, die Zusammensetzung des Wassers und den Urgrund alles Seins; man versteht die Rede von Vatter Schuster, die Tragödie des Aeschylos und die Blüte des athenischen Staates. Aufgabe der Philologie also ist: Nachconstruction der Constructionen des menschlichen Geistes in ihrer Gesammtheit. Diese Ansicht scheint so paradox, verstößt so sehr gegen alle heute herrschenden Anschauungen über die Gliederung des Systems der Wissenschaften, dass man auf die Vermutung kommen könnte, sie sei aus bloßer Ironie geschaffen. Sei es auf einer jener welthistorischen Rutschpartien von Tivoli, oder in der nicht minder welthistorischen Conditorei von Stehely: da mag Böckh einst mit Hegel oder mit Schleiermacher, kurz mit einem jener weltconstruirenden Philosophen zusammengetroffen sein. Der mag Böckh mit seiner kleinlichen Polyhistorie oder Kritik oder sonst einer der obigen Definitionen der Philologie geneckt haben. Da erwiderte Böckh dem Weltconstructor: »Nicht so, o Bester«, zog drei Züge aus der Cigarre und blies den Rauch in die Höhe,

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dire, contengono idee». «Quanto è prodotto storicamente è qualcosa di spirituale, che è passato nell’azione». E inoltre: non solo i concetti della scienza e gli atti della storia in quanto idee convertite in azioni sono conoscenza e dunque oggetto della filologia, ma «tra ciò che è conosciuto sono comprese anche tutte le rappresentazioni», come si trovano nella lingua, nella poesia e nell’arte. «Così la filologia o, che è lo stesso, la storia è conoscenza del conosciuto»81. [309] Ricapitolo al fine di comprendere a fondo questa prospettiva: tutto il nostro sapere è in parte una conoscenza immediata degli oggetti, e in questo senso, nella sua totalità e unità, si chiama filosofia. La filosofia è o fisica o etica, comprendendo sotto quest’ultima tutti i prodotti spirituali. Vicino questa conoscenza immediata, ce n’è una mediata, orientata verso una conoscenza già data in quanto oggetto, è a dire conoscenza del conosciuto. Questa è conoscenza filologica o storia. La filosofia è produzione di idee; la filologia o storia è riproduzione, e invero essa riproduce non soltanto le idee filosofiche, ma anche ogni altro prodotto spirituale. In breve: La filosofia è conoscere; la filologia (storia) comprendere. Si conosce la forma di vita dell’ostrica, la composizione dell’acqua, e la ragione ultima di tutto l’essere; si comprende il discorso di padre Schuster82, la tragedia di Eschilo, il fiorire dello stato ateniese. Il compito della filologia è dunque la ricostruzione delle costruzioni dello spirito umano nella loro totalità. Tale prospettiva appare tanto paradossale, contravviene a tal punto tutte le opinioni in voga sull’articolazione del sistema delle scienze, che si potrebbe presumere che sia derivata semplicemente dall’ironia. Sembra trattarsi di uno di quei giri di Tivoli sulla storia universale o di un discorso in quella pasticceria di Stehely83, non meno intrisa di storia universale: è possibile che Böckh si sia incontrato lì, una volta, con Hegel o con Schleiermacher, con uno di quei filosofi costruttivistici. Un tale filosofo costruttivista potrebbe aver punzecchiato Böckh per la sua ristretta polistoria o critica o, altrimenti, per una delle suddette definizioni di filologia. Allora, al costruttivista, Böckh avrebbe risposto: «Non esattamente, o eccelso», e tirando tre volte dal sigaro e soffiando il fumo in alto «tu

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»du glaubst das All allein zu beherrschen; indessen ich teile diese Herrschaft mit dir, und zwar nicht etwa so, dass dir, dem Philosophen, nur die Hälfte gehörte, die andre Hälfte aber mir, dem Philologen; sondern du herrschest ungeteilt, und ich ebenso ungeteilt; und wie du mich, so beherrsche ich dich«. [310/589] »Ah bah! wie wäre das?« fragte jener. »Nun so«, sagte Böckh; »du bist Herr aller Constructionen, ich bin Herr aller Nachconstructionen; du erkennst alles; ich verstehe alles. Ich bin dein nachgeschaffenes Ebenbild; aber das Ebenbild ist umfassender und tiefer als das Original: denn ich verstehe dich« und wieder sog er an seiner Cigarre. Jenem ward schwül; er schien sich ein Ormuzd, dem der leibhaftige Ahriman zur Seite rückt. »Hab’ ich das Reich der Welt nicht gut unter uns verteilt?« fuhr Böckh fort; »wir sitzen beide im Mittelpunkt des Alls. Ich habe das All vom innersten Grunde aus ideell unter uns geteilt; wir sind einander coordinirt: JLJQZY VNHL~ – DMQDJLJQZYVNZPDQTDYQZ. Du erfindest das All, ich lerne das All. Aber ich stehe über dir als ein primus inter pares; ich bin dein jüngerer Zwillings-Bruder, der älter ist als der ältere: denn, wie Plato sagt, der mich wie dich mit seinem Blute genährt, deine JQZ`VL~ ist ja selbst nur DMQM DYJQZVL~«. Da Böckh durch die Cigarre gezwungen war, eine kleine Pause zu machen, fiel Einer von den Umstehenden ein (denn schnell hatte sich um die beiden ein großer Kranz von Zuhörern gebildet; auch Lachmann war darunter. Der Zwischenredner aber war, wie ich glaube, ein theologischer Schleiermacherianer: der also rief zu Böckh gewant, weil er vor Entzücken außer sich geraten war: »Wahrlich, wenn du auch nicht sein Bruder und Herr bist, wahrlich, wahrlich, du bist sein Sohn, heute hat er dich gezeuget.« »Vielleicht ist es so«, fuhr Böckh nun fort, da die Cigarre wieder brannte, »vielleicht auch noch ein wenig anders. Lass uns sehen! Ich muss also erkennen um wiederzuerkennen, und du erkennst nichts ohne gelernt zu haben; die Philologie bedarf der Philosophie, die Philosophie aber auch der Philologie. Denn dir zwar der Begriff, mir aber die Erscheinung; nun muss ich zwar von der Erscheinung zum Begriff gelangen, du aber musst vom Begriff aus die Erscheinung erreichen. Wo du nun beginnst, da eben ende ich; wo du aber endest, da beginne ich. Da du aber nicht enden kannst ohne mich, wie ich nicht beginnen kann ohne dich: so endet auch jeder von uns beiden da wo

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credi di dominare da solo il tutto; io invece divido questo dominio con te, e invero non in modo tale che a te, al filosofo, appartenga solo la metà e a me, al filologo, l’altra metà; al contrario, tu domini sul tutto e anch’io; e come tu domini me io domino te». [310] «E come sarebbe?», chiede quello; «semplicemente così», risponde Böckh, «tu sei il signore di tutte le costruzioni, io sono il signore di tutte le ricostruzioni; tu conosci tutto, io comprendo tutto. Io sono la tua immagine riflessa, ma l’immagine è più penetrante e più profonda dell’originale giacché io ti comprendo» e dopo aver detto ciò Böckh aspira ancora dal sigaro. Il fumo diventa per l’altro soffocante; si sente come un Ormuzd a cui si accosta un Ahriman in carne e ossa84. «Non ho ben diviso il regno del mondo tra noi?», continua Böckh, «sediamo entrambi al centro del tutto. Ho diviso il tutto idealmente tra noi partendo dal fondamento più interno; siamo l’un l’altro coordinati: JLJQZYVNHL~ – DMQDJLJQZYVNZ PDQTDYQZ. Tu inventi il tutto, io imparo il tutto. Ma io sto sopra te come un primus inter pares; io sono il tuo più giovane gemello, che è più vecchio del più vecchio, giacché, come dice Platone, che col suo sangue ha nutrito entrambi, la tua JQZ`VL~ è soltanto la mia stessa DMMQDYJQZVL~»85. E poiché Böckh a causa del sigaro è costretto a fare una piccola pausa, interviene uno degli astanti (giacché attorno ai due si è velocemente raccolto un grande circolo di uditori, tra cui vi è anche Lachmann86. L’interlocutore di Böckh però credo che sia un seguace della teologia di Schleiermacher che sovreccitato, perché per l’entusiasmo è fuori di sé, si rivolge a Böckh così: «In verità, seppure tu non sei suo fratello e il suo signore, in verità, tu sei suo figlio, oggi egli ti ha generato». «Forse è così», prosegue Böckh, dal momento che il sigaro è di nuovo acceso, «forse in un modo un po’ diverso. Vediamo! Io devo dunque conoscere per riconoscere, e tu non conosci nulla senza averlo imparato; la filologia ha bisogno della filosofia; anche la filosofia però ha bisogno della filologia. Per te è necessario il concetto, per me il fenomeno; poiché io devo giungere dal fenomeno al concetto, ma tu dal concetto devi raggiungere il fenomeno. Dove tu inizi, esattamente lì termino io; ma dove tu termini, là inizio io. Dal momento però che tu non puoi finire senza di me e che io non posso iniziare senza

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er beginnt, und [311/590] beginnt auch da wo er endet. Und so begegnen wir uns im göttlichen Tanz; und so oft wir uns zwar trennen, reichen wir uns doch auch die Hand, sowohl im Begriff, als in der Erscheinung.« Fast wäre die Cigarre erloschen; aber Böckh fuhr fort: »Ich habe ja unter vielen andern Disciplinen doch auch die Geschichte der Philosophie: das ist eine Wissenschaft, in welcher die Philologie in Philosophie aufgeht und die Philosophie in Philologie ausläuft; und du hast unter allen andern Disciplinen doch auch die Philosophie der Geschichte: das ist eine Wissenschaft, in welcher die Philosophie sich in Philologie wandelt, und sich die Philologie auf ihrem höchsten Standpunkte in Philosophie auflöst. So wechseln wir den Platz; jeder von uns tritt an des Andern Stelle, und von jedem heißt es: hic et ubique.« Gewaltig sog Böckh an der Cigarre und warf sie sodann fort und schloß mit folgenden Worten: »Scheine ich also auch vielleicht zeitlich und in der Erscheinung dein Sohn zu sein, wie unser junger Freund soeben bemerkte, so ist es doch in der Sache an und für sich selbst, in der Idee ganz anders. Denn, wie ich meine, bilden wir nicht bloß ein göttliches Ehepaar, in welchem jeder von uns sowohl der Mann ist als auch das Weib, befruchten sowohl einander als wir auch von einander befruchtet werden, in derselben Umarmung; sondern wir sind auch einander beides Eltern und Kind, erzeugen einander in Doppelgeburt und damit das eine All.« Da erscholl ein lautes vielstimmiges Bravo von allen Seiten. Wenn jemand, meine ich, uns diesen Mythos vom Ursprung der Böckhschen Idee der Philologie vortrüge, so dürfte nicht die Frage sein, ob er schön wäre, sondern man hätte nur zu sehen, ob er richtig wäre, d. h. ob er Böckhs Gedanken richtig, zutreffend darstellte. Das scheint mir aber allerdings. Denn einerseits enthält Böckhs Darlegung in Wahrheit den Geist der damals gleichzeitig blühenden Philologie und Philosophie; und andrerseits glaube ich fest, dass sie voll Ironie ist. Man kann den Ton, der verklungen ist, nicht vor Gericht fordern; aber ich berufe mich auf diejenigen, welche [312/591] jene Darlegung aus Böckhs Munde gehört haben – sie werden mir zugestehn: er sprach von der Philosophie und ihrem Gegensatze zur Philologie mit Ironie. Nicht mit jener abscheulichen Ironie der Romantiker, aber mit echt sokratischer Ironie, d. h. mit dem vorwaltenden Gefühle von der Endlichkeit unseres Geistes bei seiner unab-

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di te, allora ognuno di noi termina là dove inizia e [311] inizia là dove termina. E così ci incontriamo nella danza divina e quando ci separiamo continuiamo a raggiungerci, tenendoci per mano, tanto nel concetto come nel fenomeno». Il sigaro è quasi spento, ma Böckh continua: «Io tratto, insieme a molte altre discipline, anche la storia della filosofia, che è una scienza in cui la filologia si dischiude alla filosofia e la filosofia confluisce nella filologia; tu tratti, assieme a tutte le altre discipline, anche la filosofia della storia: che è una scienza in cui la filosofia si trasforma nella filologia, e la filologia si risolve, nel suo punto più alto, in filosofia. Così ci scambiamo il posto; ognuno di noi entra al posto dell’altro e di ciascuno può dirsi: hic et ubique». Böckh tira impetuosamente dal sigaro, poi lo getta via e conclude con queste parole: «Quindi sembra forse a prima vista, che io sia tuo figlio, come ha osservato il nostro giovane amico, il che è certamente così nella cosa in sé e per sé, ma in modo ben diverso nell’idea. Ché, come credo, noi non costituiamo semplicemente una coppia divina, in cui ognuno di noi è tanto l’uomo come la donna, in cui ci fecondiamo a vicenda e a vicenda siamo l’uno dall’altro, in un solo abbraccio, fecondati; ma siamo anche l’un per l’altro genitori e figlio, ci generiamo reciprocamente in un duplice parto e produciamo con ciò, l’uno-tutto». A questo punto da ogni parte risuona un roboante “bravo”. Se qualcuno ci proponesse questo mito dell’origine delle idee di Böckh sulla filologia, non si dovrebbe, credo, domandare se sia bello, ma bisognerebbe giudicare soltanto se sia giusto; ossia, se rappresenti nel modo giusto, con esattezza, i pensieri di Böckh. Così, di certo, pare a me. Poiché, per un verso, l’esposizione di Böckh contiene in verità la filologia e la filosofia fiorite allora simultaneamente; per l’altro, io credo che essa sia del tutto intrisa d’ ironia. Non si può portare in giudizio la voce che ormai è risuonata; ma io mi rifaccio a coloro che [312] hanno ascoltato quella esposizione dalla bocca di Böckh – costoro mi concederanno che egli parlò della filosofia e della sua opposizione alla filologia con ironia. Non con quell’ignobile ironia dei romantici, ma con la vera ironia socratica, ossia con quel sentimento dominante della finitudine del nostro spirito nella sua non mai so-

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weisbaren Forderung des Unendlichen. Nicht gegen Hegel oder sonst jemand war sie gerichtet; gegen sich selbst war Böckh ironisch. Denn wie sehr er auch forderte, dass die Philologie alle geschichtlichen Ideen nach ihrer eigenen empirischen Methode erschöpfend zu erkennen habe, sodass (abgesehen von den allgemeinen formalen Disciplinen) keine Lücke der Erkenntnis bliebe, welche der Philosoph auszufüllen hätte: so lebte doch in ihm die unüberwindliche, durch die alte wie die neuere Philosophie bestätigte Ueberzeugung von der ewigen Notwendigkeit der Philosophie. Er sah ein, dass ihm der Philosoph für die materialen Wissenschaften nichts geben könne, was dieser nicht vom Philologen und Naturforscher erhalten hätte; und dennoch glaubte er fest, sich vom Philosophen manches holen zu müssen, was zur Erkenntnis absolut notwendig sei. Dies ist der Grund für Böckhs ironische Stimmnung an unserer Stelle. Die Ironie hat aber vielleicht immer, wenigstens oft, sicherlich hier ihre Tragik. Wohin meine Kritik Böckhs führen soll, habe ich schon oft genug ausgesprochen: zurück zur antiken Einfachheit der Anschauung, in welcher alle später entwickelten Gegensätze nur als Momente enthalten sind. Also nicht zurück zu einer alten Denkweise, die schon aufgelöst ist: das wäre törichte Reaction; und auch nicht ein bloßes Wegwerfen der später hervorgetretenen Gegensätze: das wäre Gedankenlosigkeit; sondern ein Wiedergewinnen der Einheit mit dem vollen Gehalt der bisherigen Entwicklung. Böckh selbst hat es ja versucht, sich in die antike Anschauung zu versetzen; mit ihr beginnt er seine Darlegung. Er konnte aber hier nicht festen Fuß fassen, weil er sein Ohr den Rufen seiner Zeit (die Rufe seiner Zeit sind jedem [313/592] allemal der verlockendste Sirenen-Gesang) nicht verschließen konnte. Heute sind jene Rufe für jeden wahrhaften Denker widerlegt. Nicht ich werde Böckh kritisiren; die Zeit hat es getan. Ich werde die Kritik der Zeit nur niederzuschreiben haben. Indem ich also zuerst die Ansicht darstelle, mit welcher Böckh begann, gebe ich zugleich die Betrachtungsweise, auf welche die Kritik abzielt. Wir sagen mit Böckh: »Die Wissenschaft überhaupt ist nur Eine ungeteilte . . . die begriffliche Erkenntnis des Universums.

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pita esigenza di infinito87. La sua ironia non era rivolta contro Hegel o qualcun altro; con se stesso Böckh era ironico. Giacché come richiese che la filologia con il suo metodo empirico abbia da riconoscere esaurientemente tutte le idee storiche, affinché (a prescindere dalla discipline formali) non rimanga alcun buco della conoscenza che il filosofo debba poi riempire, allo stesso modo visse pure in lui l’invitta convinzione, confermata dalla vecchia come dalla nuova filosofia, dell’eterna necessità della filosofia. Egli scorse che il filosofo non poteva offrirgli nulla per le scienze materiali, che quest’ultimo non avesse a sua volta tratto dal filologo o dal ricercatore naturale; e tuttavia credette fermamente di dover prendere dal filosofo qualcosa di assolutamente necessario per la conoscenza. Questa è la ragione della disposizione ironica di Böckh nel passo da noi proposto. Ma l’ironia probabilmente ha sempre, o comunque spesso, di certo qui, il suo lato tragico. Dove la mia critica a Böckh debba condurre, l’ho espresso a sufficienza: indietro, all’antica semplicità dell’intuizione, in cui tutte le opposizioni sviluppatesi successivamente sono contenute soltanto come momenti. Non, dunque, a un modo di pensare antico che si è già dissolto, il che sarebbe stolta reazione; e nemmeno a un mero disfarsi delle opposizioni sorte in seguito, il che sarebbe assenza di pensiero; ma a un recupero dell’unità, col pieno contenuto dello sviluppo finora compiuto. Böckh stesso ha cercato di porsi entro la visione antica; con essa egli inizia la sua esposizione. Ma in essa non ha potuto reggersi saldamente, perché non fu in grado di chiudere le orecchie [313] ai richiami del suo tempo (i richiami del proprio tempo sono sempre, per ognuno, il più suadente canto delle sirene). Oggi quei canti per ogni vero pensatore sono confutati. Non io criticherò Böckh; lo ha fatto il tempo. Io dovrò soltanto trascrivere la critica del tempo. Presentando dunque, anzitutto, la prospettiva con cui Böckh iniziò, do contemporaneamente il punto di vista a cui la critica mira. Diciamo con Böckh: «la scienza in generale è Una indivisa … la conoscenza concettuale dell’universo. In quanto

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Als ein Ganzes ist sie Philosophie, Wissenschaft der Ideen.« Also nur das Ganze ist Philosophie; Charakter der letztern ist Totalität, Einheit. Hingegen die einzelnen naturwissenschaftlichen und ethischen Disciplinen in ihrer Vereinzelung, jede für sich genommen, sind nicht Philosophie, sondern Empirie. Philosophie ist nicht etwas, was man abgelöst zeigen könnte; sie ist objectiv die Organisation, subjectiv der zusammenschauende Blick, wodurch die besondern Disciplinen nicht unorganisch vereinzelt, sondern als Glieder eines Ganzen erfasst werden; sie liegt also gänzlich in der Empirie. Daher besteht auch zwischen ihr und der Empirie kein andrer Gegensatz als der zwischen dem Ganzen des Organismus und den unorganischen Teilen. Die einzelnen Disciplinen für sich (in der Empirie) sind Teile des Wissens; in Wahrheit aber und in der Philosophie sind sie die Glieder der Wissenschaft. Alles Menschliche aber ist geschichtlich; und wie das Selbstbewusstsein das Wesen und der Boden aller Hunianität ist: so wird nicht nur der gegenwärtige Augenblick ein selbstbewusster, sondern die ganze Entwicklung des Individuums, des Volkes, der Menschheit gelangt zum begrifflichen Selbstbewusstsein in der Wissenchaft der Geschiclite oder in der Philologie. Diese ist Reproduction des geschichtlichen Verlaufes geistiger Entwicklung. Wenn nun aber das Wissen, die Philosophie, notwendig auch das geschichtliche Selbstbewusstsein umfasst, so ist natürlich Philologie innerhalb der Philosophie. Insofern die [314/593] Reproduction sich auf einzelne Erscheinungen, einzelne Disciplinen beschränkt, ist sie empirisch; wenn aber auch sie zusammengefasst wird zur Gesammtheit der Reproduction alles Humanen, und noch weiter die Reproduction mit allen geistigen Schöpfungen, so ist sie Philosophie. Wollte man also die Grundconstruction des Systems alles Wissens in folgender Weise aufstellen:

{

} Verstehen – Philologie

Erkennen – Philosophie Physik Ethik

wie es vielleicht Böckh ursprünglichst vorgeschwebt hat: so läge hierin schon ein verhängnisvoller Fehler. Denn die Philologie darf nicht so aus der Einen ungeteilten Wissenschaft der Ideen ausgelöst, darf nicht so der Philosophie gegenübergestellt werden. Sondern so muss die Aufstellung gemacht werden:

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intero essa è filosofia, scienza delle idee»88. Dunque, soltanto l’intero è filosofia; il carattere di quest’ultima è la totalità, l’unità. Di contro, le singole discipline scientifiche ed etiche nel loro isolamento, ognuna presa per sé, non sono filosofia, ma empiria. La filosofia non è qualcosa che possa mostrarsi scissa; essa è obiettivamente l’organizzazione, soggettivamente lo sguardo sintetico attraverso cui le discipline speciali non sono isolate in modo inorganico, ma sono concepite come membri di un tutto; essa sta dunque interamente nell’empiria. Pertanto bisogna anche dire che tra essa e l’empiria non vi è alcun altra opposizione che quella che esiste tra l’intero organismo e le parti inorganiche. Le singole discipline per sé (nell’empiria) sono parti del sapere; ma in verità e nella filosofia sono membri della scienza. Ma tutto ciò che è umano è storico; e come l’autocoscienza è l’essenza e la base di tutta l’umanità, così non solo nella scienza della storia o nella filologia diventa autocosciente l’attimo presente, ma giunge all’autocoscienza concettuale l’intero sviluppo dell’individuo, del popolo, dell’umanità. La filologia è la riproduzione del corso storico dello sviluppo spirituale. Ora se il sapere, la filosofia, comprende necessariamente anche l’autocoscienza storica, allora la filologia è naturalmente interna alla filosofia. Nella misura in cui [314] la riproduzione si restringe ai fenomeni singoli, alle singole discipline, essa è empirica; ma quando è riunita nella totalità della riproduzione di tutto l’umano, e inoltre come riproduzione di tutte le creazioni spirituali, allora essa è filosofia. Se si volesse, dunque, rappresentare lo schema fondamentale del sistema di tutto il sapere nel modo seguente:

{

}

Conoscere – filosofia Fisica Comprendere – filologia Etica come forse Böckh originariamente ha in mente, vi sarebbe già contenuto un errore fatale. La filologia non può esser scissa così dall’Una indivisa scienza delle idee, non può essere opposta in questo modo alla filosofia. Ma lo schema deve essere fatto così:

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Diese kleine Tafel ist wohl so klar, dass sie für sich selbst spricht; und auch ihr Gegensatz zur erstern wird offenbar sein. Dort sind Gegensätze, während hier Subordination. Wäre nun die Annahme richtig, dass Böckh anfänglich das erstere Schema im Geiste getragen hätte: so wäre erstlich leicht begreiflich, welche Macht unser zweites Schema nicht zur Gestaltung kommen ließ und in das erstere umwandelte. Das kann nichts anderes gewesen sein, als die Neigung der Zeit sich in Gegensätzen zu sehen – eine Neigung, welcher antike Termini wie JQZ`VL~ DMMQDYJQZVL~ besonders entgegen kamen. Wir würden aber auch zweitens begreifen, wie sehr bald die Gegensätze sich mehren und das erstere Schema vielfältiger gestalten, ja völlig umgestalten mussten. Dem zunächst hingestellten Gegensatz zwischen Erkennen und Wiedererkennen oder Erkennen und Verstehen schob sich unmittelbar und unbemerkt der ganz andre Gegensatz [315/594] von Philosophie und Empirie unter, und zwar nicht in der oben von uns dargestellten Relativität der Kategorie des Ganzen und der Teile, sondern in der ausgeprägtesten Gestalt, welche er in Böckhs Zeit angenommen hatte, in der Form von Apriori und Aposteriori. Das Erkennen (JQZ`VL~), sollte apriori, das Wiedererkennen (DMMQDYJQZVL~) sollte aposteriorisch sein. Damit war das erste Schema völlig verschoben, gerade weil der in ihm gegebene Keim entwickelt war. Denn nun verstand es sich (S. 18), dass gerade so wie die Ethik (die Geisteswissenschaft) des Philosophen apriorisch ist, die Philologie dagegen zwar denselben Stoff behandelt, aber in andrer Weise erkennt, nämlich historisch und aposteriorisch: auch die philosophische und die empirisch beobachtende Naturwissenschaft sich unterscheiden, nämlich nicht durch den Stoff, sondern durch die Art des Erkennens. Jetzt erscheint folgendes Schema:

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Questa piccola tavola è così perspicua che parla da sé; e sarà chiara anche la sua contrapposizione alla prima. Lì vi sono opposizioni, mentre qui coordinazioni. Se fosse giusta la supposizione che originariamente aveva indotto Böckh a elaborare il primo schema, sarebbe certo facile capire quale forza impedisse di conferire valore al nostro secondo schema trasformandolo nel primo. Non può essere stato altro che l’inclinazione del tempo a concepirsi in opposizioni – un’inclinazione con cui contrastavano in modo particolare termini antichi, come JQZ`VL~ e DMQM DYJQZVL~ Capiremmo allora anche che le opposizioni dovessero moltiplicarsi velocemente e mutare il primo schema in modi molteplici, anzi trasformarlo del tutto. Anzitutto, all’opposizione lì posta tra conoscere e riconoscere, o conoscere e comprendere, si sostituirebbe immediatamente, e senza che ciò fosse notato, quella totalmente [315] diversa di filosofia ed empiria, e invero non nel senso della relatività, da noi su rappresentata, della categoria del tutto e della parte, ma nella forma più diffusa che quella opposizione aveva ricevuto nel tempo di Böckh, nella forma dell’a priori e dell’a posteriori. Il conoscere (JQZ`VL~) doveva essere a priori, il riconoscere (DMMQDYJQZVL~) doveva essere a posteriori. Con ciò il primo schema era del tutto cambiato, dal momento che il nucleo in esso contenuto si era sviluppato. Allora si pensò (p. 18) [51], che così come l’etica (la scienza dello spirito) del filosofo è a priori, mentre la filologia tratta sì la stessa materia, ma conosce in altro modo, cioè storicamente e a posteriori, anche la scienza della natura filosofica e quella improntata all’osservazione empirica si dividono, non in relazione alla materia, ma per il modo di conoscere. Da qui il seguente schema:

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{

}

Philosophie Physik / beobachtende Naturwissenschaft Erfahrung. Ethik / Geschichte (Philologie)

Hier ist klar, wie die Philologie ihre beherrschende Stellung verloren hat, wie aber damit ihr Wesen völlig geändert ist. Sie ist ja jetzt nur ein Teil der der Philosophie parallelen Erfahrung und steht jetzt nicht mehr der ganzen Philosophie, sondern nur einem Teil, der Ethik, gegenüber. Das ist ja aber geradezu falsch, d. h. es ist nicht gemäß der Böckhschen Ansicht, wonach die Philologie sich auch auf die Philosophie der Natur und ebenso auch auf die empirische Naturwissenschaft erstrecken muss, welche in dem Schema ebenfalls von ihrem Gebiete ausgeschlossen wird. Man könnte auf den Gedanken kommen, diese Mängel, die nicht in Böckhs Ansicht liegen, seien nur durch die mangelhafte Schematisirung, also nur scheinbar und durch meine Schuld entstanden; es liege hier kein Fehler der Ansicht, sondern des schlechten Schemas vor. Ich versuche, es umzugestalten in einer Weise, wobei alle Rücksichten klarer hervortreten: [316/595]

Hier hat die Philoiogie wieder ihre beherrschende Stellung eingenommen – so scheint es. Sehen wir genau zu. Das vorige Schema konnte nicht verraten, dass Platons Timäus und die Physik des Aristoteles, dass aber auch Dioskorides und Buffon Objecte der Philologie seien; hier ist dies klar angedeutet. Wir erhalten hier vier erkennende Disciplinen als Objecte der reconstruirenden Philologie. So wären wir ja aber der merkwürdigen Ironie verfallen, dass wir in dem Streben, der Philologie eine der Gesammtwissenschaft parallele Stellung zu geben, dieselbe zur bloßen Geschichte der Wissenschaften beschränkten. Sie hätte dann vier Haupt-Disciplinen: 1) Geschichte der Natur-Philo-

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{

}

Filosofia Fisica / Scienza empirica della natura Esperienza Etica / Storia (Filologia)

Qui è chiaro che la filologia ha perso il suo ruolo dominante e che con ciò è interamente cambiata la sua essenza. Ora è soltanto una parte dell’esperienza parallela alla filosofia e non sta più di fronte all’intera filosofia, ma soltanto a una parte di essa, all’etica. Ma ciò è addirittura sbagliato, è a dire non è adeguato alla prospettiva di Böckh, secondo cui la filologia deve riguardare sia la filosofia della natura sia la scienza empirica della natura, scienza empirica della natura che in ogni caso nello schema è esclusa dal dominio della filologia. Si potrebbe pensare che queste carenze, che non appartengono alla prospettiva di Böckh, siano sorte soltanto a causa di una inadeguata schematizzazione, ovvero solo in apparenza e per colpa mia; qui non si presenterebbe alcun errore di prospettiva, ma dello schema inadeguato. Cerco di trasformare lo schema in un modo tale da farne emergere più chiaramente tutte le implicazioni: [316]

Qui la filologia ha riassunto il proprio posto dominante – così almeno sembra. Vediamo esattamente come stanno le cose. Lo schema precedente non era in grado di rivelare che il Timeo di Platone e la Fisica di Aristotele, ma anche Dioscoride e Buffon, sono oggetto di studio della filologia; qui ciò è indicato chiaramente. Noi abbiamo qui quattro discipline conoscitive come oggetti della filologia ricostruttiva. Saremmo così caduti nella curiosa situazione ironica per cui, nello sforzo di assegnare alla filologia una posizione parallela alla scienza totale, la avremmo ristretta a mera storia delle scienze. Essa avrebbe allora quattro discipline principali: 1) la storia

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sophie, 2) Geschichte der empirischen Naturwissenschaft, 3) Geschichte der Philosophie der Geschichte, 4) Geschichte der empirischen Geschichte. Dazu käme 5) Geschichte der formalen Wissenschaften der Metaphysik und Logik. Demnach wären wohl die griechischen und lateinischen Historiker, Thukydides, Livius u.s.w. vom Philologen zu behandeln; aber ihre Aufgabe wäre es nicht die Geschichte der Griechen und der Römer zu schreiben. Dies ist wenigstens ganz gegen Böckhs Ansicht; gegen solche Beschränkung, gegen die Sonderung von Geschichte und Philologie, kämpft er ja sehr entschieden. Wer sich nun aber gerade wegen dieser Sonderung der Philologie von der Geschichte für die obige Construction entscheiden möchte, weil er eben meint, der Philologe habe als solcher nicht Geschichte zu schreiben: der sehe sich wohl vor, ob ihm jene Construction nicht dennoch wesentliche Gebiete raube. Denn nicht nur die politische Geschichte mit den politischen Altertümern wird ihm genommen, sondern auch die Cultur-Geschichte mit den religiösen, den Kunst- und Privat-Altertümern. Ja noch mehr; auch die Geschichte [317/596] der Litteratur wird ihm nicht gelassen; endlich wird ihm sogar die Grammatik der griechischen und lateinischen Sprache genommen. Denn alle diese Disciplinen sind in dem obigen Schema in d. enthalten, und er hätte zwar die Geschichte der Grammatik bei den Alten, die Geschichte der Litteraturgeschichte bei den Alten u.s.w. zu bearbeiten, aber nicht selbst Grammatik und Litteraturgeschichte zu construiren. Endlich: was hindert denn, dass wir die Philologie selbst in doppeller Gestalt als philosophische und als historische Philologie setzen? Ja, zwingt nicht die Consequenz zu diesem Schritt, da wir doch einmal die Physik und die Ethik doppelt denken? Sehen wir also, wie der anfängliche in der Sache begründete Gegensatz von Erkenncn und Wiedererkennen oder Construction und Reconstruction oder Production und Reproduction von Böckh verquickt ward mit dem ganz andern Gegensatz von Philosophie und Empirie (oder Historie), und wie dadurch mit jeder Reflexion, welche man anstellen mag, sich die Schwierigkeiten und Discrepanzen nur häufen: so werden wir wohl gut tun, wenn wir, diesen letztern Gegensatz wieder ausscheidend, zur anfäng-

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della filosofia della natura, 2) la storia della scienza empirica della natura, 3) la storia della filosofia della storia, 4) la storia della storia empirica. A ciò si aggiungerebbe 5) la storia delle scienze formali della metafisica e della logica. Per cui storici greci e latini come Tucidide, Livio etc. dovrebbero essere presi in considerazione dal filologo; ma il compito dei filologi non sarebbe di scrivere la storia dei greci e dei romani. Di certo ciò è del tutto contrario alla prospettiva di Böckh; contro tale delimitazione, contro la separazione di storia e filologia egli si batte in modo molto deciso. Ora, chi volesse decidersi, in ragione della separazione della filologia dalla storia, per lo schema su proposto, giacché pensa che il filologo in quanto tale non debba scrivere la storia, stia bene attento che quella costruzione non sottragga al suo lavoro un ambito essenziale. Poiché non solo gli verrebbe sottratta la storia politica con le antichità politiche, ma anche la storia della cultura con le antichità religiose, artistiche e private. E di più: non gli sarebbe [317] lasciata nemmeno la storia della letteratura; in ultimo gli verrebbe perfino sottratta la grammatica della lingua greca e latina. Giacché tutte queste discipline, nello schema su tratteggiato sono contenute nel punto “d” e pertanto egli dovrebbe elaborare la storia della grammatica degli antichi, la storia della storia della letteratura degli antichi etc., ma non dovrebbe costruire la grammatica e la storia della letteratura in sé. Infine: cosa impedisce ancora che si ponga la stessa filologia in forma doppia, quale filologia filosofica e filologia storica? Non spinge infatti a questo passo la necessità di essere conseguenti, dal momento che abbiamo già una volta pensato la fisica e l’etica in senso duplice? Vediamo dunque come l’opposizione di Böckh, inizialmente fondata nei fatti, di conoscere e riconoscere o costruzione e ricostruzione o produzione e riproduzione, è stata fusa con l’opposizione totalmente diversa di filosofia ed empiria (o storia) e vediamo altresì che, per via di questa fusione, in ragione della riflessione che può essere sviluppata a partire da essa, si accumulano difficoltà e discrepanze; per questa ragione faremmo bene, dopo aver nuovamente eliminato quest’ultima opposizione, a tornare alla semplicità iniziale, che Böckh

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lichen Einfachheit zurückkehren, welche Böckh vorgeschwebt haben muss, die er aber nicht rein erfassen konnte. b) Die Formel »Erkenntnis des Erkannten«. Bleiben wir nun aber dabei, dass die Natur und der Geist, als Objecte einer einheitlichen Wissenschaft, nur in einer Weise und nicht in zwei entgegengesetzten Weisen zu erkennen sind: so stehn wir vor der Schwierigkeit, zu sagen, was Geist ist? – oder Ethik, wie der antike Terminus lautete. Die Summe des vom Menschengeschlecht Erkannten! Recht wohl; aber was ist ein Erkanntes? Nicht bloß, sagt Böckh, die wissenschaftliche Erkenntnis, nicht bloß die Vorstellung in einer beliebigen Form, also die poetischen, künstlerischen, religiösen Schöpfungen u.s.w.; sondern auch die geschichtlichen Taten, die Einrichtungen des Lebens, alles Materielle was von Menschenhänden geformt ist und zweckmäßig [318/597] gebraucht wird u.s.w. alles dies, alles »geschichtlich Producirte ist ein Geistiges, welches in Tat übergegangen ist« und solche »geschichtliche Taten sind selbst ein Erkennen, d. h. sie enthalten Ideen, welche der Geschichtsforscher wiederzuerkennen hat« (S. 11). Kühn hat Böckh begonnen; noch kühner ist diese seine Fortsetzung. Wie kam Böckh zu der eben angeführten Behauptung? Es scheint mir fast, als läge hier lediglich eine Consequenz der Formel »Erkenntnis des Erkannten« vor. Der Leser frage sich nur, ob er folgende Gedanken-Reihe zwingend findet. Der Philologe liest den Platon. Wozu? bloß um den Text kritisch zu castigiren? Ja, ja, es sei. Dann muss er aber auch den Text interpretiren können. Soll er nun Platon übersetzen, aber nicht verstehn? Das wäre eine wunderliche Wissenschaft. Also der Philologe muss die Werke Platons sprachlich und inhaltlich erkennen, nämlich verstehen. Platons Werke aber enthalten Erkenntnisse; also muss der Philologe Erkenntnisse erkennen. Was heißt denn überhaupt jemanden verstehn? Desselben in Worte gelegten Geist erkennen; und da dieser Geist Erkenntnisse enthält, so heißt ihn verstehn: Erkenntnisse erkennen. Und so kann, ganz allgemein genommen, der Philologe nicht frei aus sich oder durch Betrachtung der Natur oder des Geistes an sich einen Gedanken produciren; er bedarf immer einer von einem Andern geschaffenen Erkenntnis als

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deve aver pensato, ma che non fu in grado di cogliere nella sua purezza. b) La formula «conoscenza del conosciuto» Soffermiamoci ora sulla tesi che la natura e lo spirito in quanto oggetti di una scienza unitaria devono essere conosciuti in un solo modo e non in due modi contrapposti: così ci troviamo di fronte alla difficoltà di dire cosa sia lo spirito? – o l’etica, come suonava il termine antico. La somma di ciò che è conosciuto dal genere umano! Giusto, ma cosa è un conosciuto? Non solo, dice Böckh, la conoscenza scientifica, non solo la rappresentazione in una forma qualsiasi, dunque le creazioni poetiche, artistiche, religiose etc; ma anche le azioni storiche, le istituzioni della vita, ogni cosa materiale che è plasmata da mani umane [318] e usata per fini umani etc., tutto questo, «quanto è prodotto storicamente è qualcosa di spirituale, che è passato nell’azione o che di fatto è trascorso» e tali «azioni storiche sono essi stessi un conoscere, è a dire contengono idee, che lo storico deve riconoscere» (p. 11) [45]. Böckh ha iniziato con audacia, ancora più audace è il suo modo di proseguire. Come giunse Böckh alla suddetta affermazione? Mi sembra quasi che qui si sia di fronte a una conseguenza della formula «conoscenza del conosciuto». Il lettore si chieda solo se trova stringente la seguente serie di pensieri. Il filologo legge Platone. Per che ragione? Semplicemente per offrire un’interpretazione critica del testo? Sia pure. Ma deve anche poter interpretare il testo. Deve semplicemente tradurre Platone, senza comprendere? Sarebbe una scienza stravagante. Il filologo deve dunque conoscere le opere di Platone dal punto di vista linguistico e contenutistico, cioè comprendere. Le opere di Platone però contengono conoscenze; dunque il filologo deve conoscere conoscenze. Che significa poi in generale, comprendere qualcuno? Conoscere il suo spirito posto in parole; e poiché questo spirito contiene conoscenze, comprenderlo significa ‘conoscere conoscenze’. Così, del tutto in generale, il filologo non può produrre un pensiero liberamente da sé o attraverso la considerazione della natura o dello spirito in sé; egli necessita sempre come

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Vorlage. Nun aber ist nicht bloß Plato solche Vorlage für den Philologen; auch Sophokles ist es. Ist nun die Philologie Erkenntnis des Erkannten, Wiedererkenntnis, so muss auch in der Dichtung eine gewisse Erkenntnis anerkannt werden. Nun, hat denn nicht jede Dichtung eine Idee? Und könnt ihr euch ein Kunstwerk denken ohne Idee? Und sind etwa die Historiker und die Redner ohne Erkenntnis, ohne Idee? Wenn nun aber Thucydides voll ist von Ideen, Erkenntnissen, ist denn das Leben des Perikles, ist seine praktische, staatsmnännische Wirksamkeit ideenlos? War der Staatshaushalt von Athen, die solonische Staats- und Rechtsverfassung ideenlos? Also lassen wir uns ruhig den Schluss gefallen: Das [319/598] geschichtliche Leben ist voll von Ideen, und wer es erkennt, hat Ideen oder Erkanntes wiederzuerkennen. Die Schlacht bei Marathon und der Obolos und der Schnitt der Kleider und die platonischen Ideen sind Ideen, Erkenntnisse, welche der Philologe wiedererkennt. – Die glückliche Formel, gleichgültig wie Böckh zu ihr gekommen sein mag, ob so, wie ich hier soeben den Leser geführt habe, ob angeregt durch die Formel vom Denken des Denkens, QRYKVL~QRKYVHZ~, und durch den Gegensatz von JQZ`VL~ und DMMQDYJQZVL~ – immer musste die Formel dazu führen, die ganze Geschichte, das ganze allseitige historische Leben aus der vermeintlichen Aeußerlichkeit und Materialität hereinzuziehen in den Geist, und den gesammten geschichtlichen Inhalt in Ideen oder Erkenntnissen zu finden. Ich weiß nicht, ob die dargelegte Gedankenkette dem Leser so fest und so bindend erscheint, wie sie Böckh erschien. Mich, das habe ich schon mehrfach bekannt, hat sie mit unwiderstehlicher Gewalt gefangen genommen von dem Augenblicke an, wo ich sie kennen lernte, bis heute. Andern aber erschien sie doch anders. Und darum müssen wir sie noch näher ansehen. Vielleicht fehlt ihr hier und da noch ein Gelenk, vielleicht hat sie noch nicht die volle Fügsamkeit, vielleicht gar ist die Böckhsche Formel eine Form, welche wir zerbrechen müssen, um den darin liegenden Gehalt um so sicherer, um so reiner zu erfassen. Vor allem müssen wir doch zugestehn, dass die consequente Verfolgung einer Formel schon oft genug in völlig leeren, ganz inhaltlosen Formalismus geführt hat. Sollte das auch hier Böckh so ergangen sein? Ist es nicht gewaltsame Abstraction, bei welcher die Natur der zu betrachtenden Dinge verloren geht, wenn man

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oggetto proprio di una conoscenza prodotta da un altro. Ora però non solo Platone costituisce un oggetto in senso proprio per il filologo; anche Sofocle lo è. Se la filologia è conoscenza del conosciuto, riconoscimento, allora anche nella poesia deve essere riconosciuta una certa conoscenza. Non possiede forse ciascuna poesia un’idea? E potreste immaginarvi un’opera d’arte senza idea? E lo storico e l’oratore sono forse senza conoscenza, senza idea? Ma ora, se Tucidide è pieno di idee, di conoscenze, forse la vita di Pericle, la sua attività pratica di uomo di stato è priva di idee? Fu la gestione dello stato di Atene, la costituzione dello stato e del diritto di Solone priva di idee? Lasciateci dunque trarre tranquillamente la conclusione che la [319] vita storica è piena di idee e chi la conosce deve riconoscere idee o qualcosa di conosciuto. La battaglia di Maratona e l’obolo e il taglio del vestito e le idee platoniche sono idee, conoscenze, che il filologo riconosce. La fortunata formula – al di là di come Böckh possa esservi giunto, se come io vi ho or ora condotto il lettore o stimolato dalla formula ‘pensiero del pensiero’, QRYKVL~ QRKYVHZ~, e attraverso l’opposizione di JQZ`VL~ e DMMQDYJQZVL~ – dovrebbe sempre condurre a riportare l’intera storia, l’intera sfaccettata vita storica, dalla presunta esteriorità e materialità all’interno dello spirito e a trovare l’intero contenuto storico nelle idee o nelle conoscenze. Non so se la catena di pensieri presentata appare al lettore così rigorosa e stringente come apparve a Böckh. A me, l’ho confessato tante volte, mi tiene prigioniero con forza irresistibile dal momento in cui ne venni a conoscenza fino a oggi. Ad altri pare diversamente. E per questo dobbiamo prenderla in considerazione ancor più da vicino. Forse qui e là le manca ancora un nesso, forse essa non si concede ancora arrendevolmente, forse la formula di Böckh è una forma che dobbiamo infrangere del tutto per appropriarci di ciò che vi è contenuto in modo più sicuro e puro. Bisogna anzitutto concedere che il conseguente perseguimento di una formula già abbastanza frequentemente ha condotto a un vuoto formalismo, totalmente privo di contenuto. Che ciò sia accaduto anche nel caso di Böckh? Non si compie un’astrazione forzata, in cui va persa la natura stessa

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Schlachten und Münzen und Töpfe und ein anakreontisches Gedicht und des Aristoteles Metaphysik u.s.w. u.s.w. alles unter der einen Kategorie einer Erkenntnis oder einer Idee, die zu reconstruiren ist, zusammenfasst? Groß und tief mag solche Anschauung sein: ist sie auch klar? ist ihre Tiefe nicht trübe? [320/599] Und wie wär’s, wenn wir sie noch größer machten und, noch consequenter als Böckh, noch weiter gingen? Nicht umsonst soll er uns auf Schelling verwiesen haben, mit dem er ja »im Geiste ganz« (Enc. S. 26) übereinstimmt. Wie wär’s also, wenn wir auf gut Schellingisch sagen wollten: auch die Producte der Natur sind Ideen, nämlich verkörperte, materialisirte Ideen der schöpferischen Potenz? Wenn also der Philologe die Ideen zu reconstruiren hat, so muss er auch die Idee der Pflanze, des Lichts reconstruiren. Schließlich sind die historischen Ideen, wie die Ideen der Natur, doch die Ideen des Absoluten, welche die Wissenschaft wiederzuerkennen, im menschlichen Bewusstsein wiederzuerzeugen hat. – Warum dürften wir nicht so sagen? Worte auf die Wagschale legen kann sehr dumm sein, dumme Malice, maliciöse Dummheit. Aber jeder wird zugestehen, dass es Worte gibt, an Stellen ausgesprochen, deren Sinn sehr scharf und genau genommen werden muss, wenn man in das Innere eines Schriftstellers eindringen will. Nun also! Böckh beginnt seine Darlegung (S. 9) mit den Worten: »Je nach der Betrachtungsweise, ob das All von materieller oder ideeller Seite genommen wird, als Natur oder Geist, als Notwendigkeit oder Freiheit, ergeben sich Physik und Ethik.« Dürfen wir diese Worte streng nehmen? Also das All ist nicht Materie und ist nicht Idee, ist nicht Natur und nicht Geist: nur die menschliche Betrachtung nimmt es einmal so und einmal so. Aber festhalten muss man doch wohl, dass in Wahrheit die ideelle Seite auch materiell erscheint (darum sieht Böckh in den Materialien der Geschichte Ideen), und die materielle Seite auch ideal ist: darum sollten wir in den Natur-Dingen auch Ideen sehen. Wenn aber auch Böckh diese Consequenz als eine ihm fremde zurückweist, wenn er auch nur im Ethischen Ideen sehen will: so bleibt doch andrerseits zu beachten, dass auch die Ideen in der Geschichte nicht an sich schon etwas Erkanntes sind. Die Ideen in der Geschichte sind oft eine unbewusste, man kann sagen ob-

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delle cose trattate, se si uniscono battaglie e monete e pentole e una poesia di Anacreonte e la metafisica di Aristotele etc. etc. sotto una sola categoria, una conoscenza o un’idea, da ricostruire? Tale intuizione può sì essere grande e profonda, ma è anche perspicua? La sua profondità non è torbida? [320] E cosa accadrebbe, se noi rendessimo ciò ancora più grande e, in modo ancora più conseguente di Böckh, andassimo oltre? Egli non deve averci rimandato invano a Schelling, con cui «nello spirito» (Encicl. p. 26) [59-60] concorda completamente. Come sarebbe allora se noi volessimo dire come buoni schellinghiani: anche i prodotti della natura sono idee, è a dire idee incorporate, materializzate della potenza creatrice? Se il filologo deve ricostruire le idee, deve allora ricostruire anche l’idea della pianta e della luce. In conclusione, le idee storiche sono, come le idee della natura, idee dell’Assoluto che la scienza deve riconoscere e deve riprodurre nella coscienza umana.– Perché non dovremmo dir così? Soppesare tutte le parole può esser molto stolto, una stolta malizia, una maliziosa stoltezza. Ma ognuno concederà che ci sono parole, pronunciate in alcuni luoghi, di cui deve essere appreso in profondità e molto esattamente il senso se si vuole penetrare nell’interiorità di uno scrittore. Lo si faccia dunque ora! Böckh inizia la sua esposizione (p. 9) [43] con queste parole: «secondo il modo di considerazione, a secondo che il tutto sia inteso dal lato materiale o da quello ideale, quale natura o quale spirito, necessità o libertà, risultano la fisica e l’etica» [sic]. Dobbiamo prendere queste parole in senso rigoroso? Allora il tutto non è materia e non è idea, non è natura e non è spirito: solo la considerazione umana lo assume una volta in questo modo una volta in quest’altro. Ma bisogna certo tener fermo che in verità il lato ideale appare anche materialmente (per questo Böckh vede idee nei materiali della storia) e che il lato materiale è anche ideale: per questo dovremmo vedere nelle cose della natura anche idee. Ma quando Böckh respinge anche questa conseguenza come estranea al suo pensiero, quando egli vuol vedere idee solo nell’eticità, rimane allora da osservare che anche le idee nella storia non sono già in sé qualcosa di conosciuto. Le idee nella storia sono spesso un potere ignoto, si può dire ogget-

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jective Macht, unter deren Herrschaft die Menschen leben. Welcher Grieche kannte die [321/600] Idee des Hellenentums, wie wir sie jetzt bestimmen? Vor dem Abschlusse der hellenischen Entwicklung konnte er sie nicht vollständig haben, vor den Perserkriegen aber fehlten alle Bedingungen dazu. Selbst die Wissenschaft wird ja von unbewussten Ideen geleitet. Ferner aber: wenn es das Eigentümliche der Philologie sein soll, dass sie nicht unmittelbar an die Objecte geht, sondern nur an die Erkenntnis der Objecte; wenn sie eben darum die Ideen der Natur nicht berührt, sondern nur die erkannten Natur-Ideen wiedererkennt: so kann sie auch nicht an die Ideen des geistigen Lebens sich unmittelbar wenden, sondern nur an die Wissenschaft vom Geiste. Es kann doch unmöglich der Unterschied unbeachtet bleiben, dass, wenn auch des Aristoteles Zoologie und ein Gerichtshof und eine Vase als Ideen oder Erkanntes gelten dürfen, doch das wissenschaftliche Erkennen ein Object hat und ein Erkanntes ist, die Institution und das Gerät hingegen kein Object haben, sondern Objecte sind, und also nicht Vorlage der Philologie sein könnten. So nötigt uns eine gründliche Behandlung der Definition der Philologie zu der Grundfrage: was ist Natur? was ist Geist? Nicht nur, wenn wir vom Schellingschen Gesichtspunkt ausgehn, wie ich hier in dialektischer, polemischer Absicht tat (aber Böckh hat uns doch dazu berechtigt), sondern auch wenn wir den Unterschied von Natur und Geist als in der gewöhnlichen Anschauung gegeben aufnehmen wollen: so können wir doch die Erörterung dieses Unterschiedes nicht umgehen. Denn wir müssen doch erstlich der methodologischen Forderung Böckhs nachkommen, eine Disciplin nicht durch Bezeichnung und Aufzählung des Stoffes zu definiren. Hiergegen würden wir ja verstoßen, wenn wir bloß sagten: Stoff der Philologie ist der Geist; darum ist Philologie Geschichte. Böckh verlangt (S. 1), dass in der Definition ein Begriff (und nicht ein Inbegriff) geboten werde. Also muss gesagt werden, was Geist ist. Zweitens aber: können wir denn mit Böckhs Bestimmung des Geistes einverstanden sein? Ohne weitere Untersuchung setzt Böckh [322/601] (S. 10) die Natur als Notwendigkeit, den Geist als Freiheit, und gründet darauf die beiden Zweige des Wissens, die er Physik und Ethik nennt. Hier scheint mir ein Punkt vorzuliegen, wo das Charakteristische an Böckhs

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tivo, sotto il cui dominio gli uomini vivono. Quale greco conobbe l’idea [321] di Ellenismo, come la concepiamo oggi? Prima della conclusione dello sviluppo ellenico egli non poteva certo averla in senso pieno e prima delle guerre persiane mancavano tutte le condizioni perché ciò accadesse. La scienza stessa è guidata da idee ignote. E ancora di più: se la peculiarità della filologia deve essere che essa non si rivolge direttamente agli oggetti, ma solo alla conoscenza degli oggetti; se essa, proprio per questo, non tocca le idee della natura, ma riconosce soltanto le idee della natura già conosciute, allora non può nemmeno volgersi in modo immediato alle idee della vita spirituale, ma deve passare per la scienza dello spirito. Non può rimanere inosservata la differenza per cui sebbene tutti, la zoologia di Aristotele, un tribunale, un vaso, possono valere in quanto idee o come qualcosa di conosciuto, tuttavia la conoscenza scientifica ha un oggetto ed è un conosciuto, mentre l’istituzione e l’utensile non hanno alcun oggetto, ma sono oggetti e per questo non possono essere oggetto in senso proprio della filologia. Così una trattazione radicale della definizione di filologia ci costringe a porre questa questione di fondo: cos’è la natura? Cos’è lo spirito? Siamo costretti a porla non solo se partiamo dal punto di vista di Schelling, come feci qui in una prospettiva dialettica e polemica (e lo stesso Böckh ce lo consente), ma anche se vogliamo assumere la differenza tra natura e spirito così come è pensata abitualmente: pertanto non possiamo aggirare l’esame di questa differenza. Dovremo allora anzitutto seguire l’esigenza metodologica di Böckh di non definire una disciplina attraverso l’indicazione e l’enumerazione della materia. Vi contravverremmo, invece, se dicessimo semplicemente: materia della filologia è lo spirito, pertanto la filologia è storia. Böckh richiede (p. 1) [37] che nella definizione sia offerto un concetto (e non un contenuto essenziale). Deve essere dunque detto cos’è lo spirito. Ma poi, possiamo esser d’accordo con la definizione di spirito di Böckh? Senza una ricerca ulteriore, Böckh pone [322] (p. 10) [43] la natura come necessità, lo spirito come libertà e su ciò fonda i due rami del sapere, che chiama fisica ed etica. Qui mi pare vi sia un punto, in cui si rivela adeguatamente ciò che è

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Geist recht einleuchtet, nämlich jene den modernen Menschen seltsam anmutende (für mich wirklich anmutige) innige Verbindung antiker und moderner Denkweise, welche sich auch im Stil seiner Reden kund gibt. Die Wissenschaft vom Geiste kurzweg Ethik: so können wir heute nicht mehr reden. Ist Geist und Freiheit identisch? ist in ihm nur Freiheit und nicht auch Notwendigkeit? Und andrerseits, ist Natur ausschließlich Notwendigkeit und gar nirgends und in keiner Weise auch Freiheit? Vielleicht aber ist in beiden, in Natur und Geist, nur Notwendigkeit, Mechanismus? Freiheit aber, Ethik, nirgends, sondern ist nur eine falsche Einbildung? – Ist ferner Geist und Geschichte identisch? Bei den Wilden finden wir unleugbar Geist, geistige Producte, nämlich Sprache, Religion und Mythos, Sitten und Institutionen: haben sie nun auch Geschichte? auch Ideen? geben auch die Kanibalen und die Papuas und die Buschmänner Stoff zur Philologie? So ist mir nicht mehr ersichtlich, wozu die Formel »Erkenntnis des Erkannten« dienen könnte. Dadurch wird die Philologie weder nach Seiten der Philosophie hin, noch nach Seiten der Naturwissenschaft genügend abgegrenzt; noch auch wird dadurch das Wesen der Philologie in sich genau bestimmt. Die Form der Böckhschen Bestimmung ist hiermit gebrochen; der Inhalt bleibt uns. Mit Weglassung der falschen Gegensätze und der zugespitzten Formel sagen wir einfach Folgendes. Die Wissenschaft ist: I. formal und apriorisch – Philosophie: 1. wie soll ich denken? – Logik und Metaphysik. 2. wie soll ich handeln? – Ethik. 3. wie soll ich künstlerisch schaffen? – Aesthetik. [323/602] II. material; das Object ist: 1. die Natur – Naturwissenschaft und Mathematik. 2. der Geist – Geschichte (oder Philologie) und Psychologie.

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caratteristico dello spirito di Böckh: quella interna connessione, solitamente non gradita agli uomini moderni (per me davvero piena di grazia), di pensiero antico e moderno, la quale si manifesta anche nello stile dei suoi discorsi. La scienza dello spirito, è a dire l’etica: oggi non possiamo più esprimerci in questi termini. Sono spirito e libertà identici? Vi è in esso solo libertà e non anche necessità? E d’altra parte è la natura esclusivamente necessità e in nessun luogo e in nessun modo libertà? O forse, in entrambi, nella natura e nello spirito, vi è solo necessità e meccanismo? E libertà, etica, in nessun luogo, trattandosi solo di una fallace immaginazione? – Sono, inoltre, spirito e storia identici? Presso i selvaggi troviamo innegabilmente spirito, prodotti spirituali: lingua, religione e mito, costumi e istituzioni: hanno essi allora anche storia? Anche idee? Anche i cannibali e i papuani e i boscimani offrono materia di studio per la filologia? Così non mi è più chiaro a cosa possa servire la formula «conoscenza del conosciuto». In tal modo la filologia non è adeguatamente delimitata né rispetto alla filosofia né rispetto alla scienza della natura; e pertanto non è nemmeno esattamente determinata l’essenza della filologia. La forma della determinazione di Böckh in questo modo è spezzata; ci rimane il contenuto. Lasciando da parte le false opposizioni e la formula estrema diciamo semplicemente quanto segue: La scienza è: I. formale e a priori – Filosofia: 1. Come devo pensare? – Logica e metafisica. 2. Come devo agire? – Etica. 3. Come devo creare artisticamente? – Estetica. [323/602] II. materiale; il cui oggetto può essere: 1. La natura – scienza della natura e matematica. 2. Lo spirito – Storia (o filologia) e psicologia.

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c) Folgerungen. Hiernach ist erstlich das Verhältnis der Philologie zur Philosophie ein sehr einfaches und ohne Gegensatz. Die Philosophie ist die allgemeine Lehre von der Form des Denkens und Erkennens, wie des Handelns und Bildens; und weil sie nur allgemein und formal ist, so kann sie auch a priori sein. Durch die Encyklopädie wird die Philologie, eine materiale Wissenschaft, mit der Logik und Metaphysik in einen formalen Zusammenhang gebracht. Um die religiöse, sittliche, politische und sociale Entwicklung zu begreifen, bedarf der Philologe der Vertrautheit mit der Ethik und Rechtsphilosophie, wie der Religionsphilosophie; wie er auch Aesthetiker sein muss, um die Kunst und Poesie zu begreifen. Diese formalen und rationalen Disciplinen, kurz die Philosophie bildet die apriorische Voraussetzung der Geschichtsconstruction. Noch mehr aber gilt dies, wie ich schon anderweitig ausgeführt habe, von der Psychologie, die sich zur Geschichte genau so verhält, wie die Physik und Chemie zur Naturgeschichte, wie die rationale Naturlehre zur Naturbeschreibung. Und die Encyklopädie (deren ganzes Wesen, wie wir in diesem Bande S. 80-96 erkannt haben, in Methodologie besteht) ist es, welche das Gelenk zwischen Philologie und jenen Voraussetzungen bildet, indem sie den philosophischen Sätzen die speciellere Richtung auf die philologischen Probleme gibt. Die Psychologie ist eine empirische Wissenschaft. So bedarf der Philologe auch anderer empirischer Disciplinen als Hülfsdisciplinen, wie National-Oekonomie und Statistik. Natürlich kann die Encyklopãdie nicht die Hülfswissenschaften lehren, sondern nur auf die Art der Hülfe hinweisen, die jede gewähren kann. Zweitens. Dies also bleibt uns von Böckhs Definition: Philologie ist Geschichte. Wir bedürfen keiner Formel und [324/603] keines specifischen Merkmals, um den Gegensatz zur Philosophie auszudrücken, und so beschränkt uns auch keine Formel etwa auf die Geschichte der Litteratur (Poesie, Beredsamkeit und Wissenschaft). Wie wollte man die Philologie beschränken, dass wir nicht wieder zur Ausdehnung gedrängt würden! Und so sagen wir kurzweg, die Vase und die Kleidung u.s.w. und die Processführung and die Schlacht bei Marathon sind etwas, woran

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c) Conseguenze Qui, anzitutto, il rapporto della filologia con la filosofia è molto semplice e privo di opposizione. La filosofia è la dottrina generale della forma del pensare e del conoscere, come dell’agire e del fare creativo, estetico; e dal momento che essa è soltanto universale e formale, può anche essere a priori. Attraverso l’enciclopedia, la filologia, una scienza materiale, è posta in una connessione formale con la logica e con la metafisica. Per comprendere lo sviluppo religioso, morale, politico e sociale, il filologo ha bisogno di aver dimestichezza con l’etica e la filosofia del diritto, così come con la filosofia della religione; allo stesso modo in cui deve essere conoscitore dell’estetica per comprendere l’arte e la poesia. Queste discipline formali e razionali, in breve, la filosofia, costituiscono il presupposto a priori della costruzione storica. Ma ancora di più ciò vale, come ho già sostenuto altrove, della psicologia, che si comporta nei confronti della storia esattamente come la fisica e la chimica nei confronti della storia della natura, come la dottrina razionale della natura con la descrizione della natura89. E l’enciclopedia (il cui intero sapere, come abbiamo appreso in questo fascicolo, pp. 80-9690, sta nella metodologia) è ciò che costruisce il nesso tra la filologia e quei presupposti, conferendo ai principi filosofici l’orientamento più specifico verso i problemi filologici. La psicologia è una scienza empirica. Allo stesso modo, il filologo ha bisogno anche di altre discipline empiriche come discipline ausiliarie, quali l’economia e la statistica. Naturalmente, l’enciclopedia non può insegnare le discipline ausiliarie, ma solo indicare il tipo di aiuto che ciascuna può offrire. In secondo luogo, ci rimane questo della definizione di Böckh: la filologia è storia. Non abbiamo bisogno di nessuna formula e [324] di nessun contrassegno specifico per esprimere l’opposizione alla filosofia, e allo stesso modo nessuna formula ci restringe in un qualche modo alla storia della letteratura (poesia, eloquenza e scienza). In qualsiasi modo si volesse delimitare la filologia, noi saremmo di nuovo spinti a una dilatazione91! E così in breve diremo: il vaso e l’indumento etc. e la procedura e la battaglia di Maratona sono qualcosa

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die philologische Forschung als an ein geschichtlich Gegebenes unmittelbar herantritt, wie sie auch eben so unmittelbar an ein Drama und an Aristoteles geht. Mag des letztern Physik Erkanntes enthalten, das Kleid des Griechen aber nicht oder doch auch Erkanntes sein: der Philologe geht an jene, wie an dieses gerade so unmittelbar, wie der Naturforscher an das Natur-Object; und findet er in allem was er erforscht Ideen, so sind es diese Ideen, welche er erkennt, und welche sein ihm eigenes Product sind. Nur eins bleibt zu tun, um die Definition: Philologie ist Geschichtswissenschaft, zu vervollständigen, nämlich dass wir angeben, was Geschichte ist. Und das wollen wir jetzt versuchen. Zuvor nur noch Drittens: das Verhältnis der Philologie zu den beiden andern noch unberührten Facultäten Theologie und Jurisprudenz. Böckh spricht hierüber S. 18-20 in derselben widerspruchsvollen Weise, wie über das Verhältnis der Empirie zur Philosophie. Philologie und die speciellen Wissenschaften sollen sich wechselseitig bedingen; aber die Philologie habe doch ihr eigenthümliches Wissen. Auch hier lasse ich ruhig zusammen fallen, was durch keine objective Rücksicht auseinander gehalten wird. Wir nehmen hier die Jurisprudenz natürlich bloß von ihrer theoretischen Seite, sehen also davon ganz ab, dass der Jurist auch Richter und Gesetzgeber sein kann. Die Wissenschaft des Juristen aber ist teils philosophisch, nämlich ethisch, teils philologisch, nämlich Geschichte des Rechts. Demnach müssten wir sagen: der Jurist ist ein Mann der Praxis, dessen Tätigkeit auf dem philosophischen and philologischen Studium beruht, gerade so wie die Praxis des Arztes auf naturwissenschaftlichem [325/604] Studium. – Ebenso sehen wir in Bezug auf die Theologie davon ab, dass sie die Praxis der Seelsorge einschließt. Insofern sie aber bloß Wissenschaft ist, setzt sie sich aus einem philosophischen Teil (Religionsphilosophie) und einem philologischen (Religionsgeschichte) zusammen. Die Philologie hat gar keinen Grund, eifersüchtig darüber zu wachen, dass ihr ein eigentümliches Wissen bleibe; was ihr der Theologe, der Jurist u.s.w. nimmt, wird ihr nicht entfremdet. Zugestehn aber muss man andrerseits, dass auch Theologe, Jurist u.s.w. nichts an sich ziehen, was nicht ihnen gehörte. Dies führt

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a cui la ricerca filologica si rivolge immediatamente come a qualcosa di storicamente dato, esattamente nello stesso modo in cui si rivolge immediatamente a un dramma e ad Aristotele. Possa pure la fisica di quest’ultimo contenere qualcosa di conosciuto, mentre il vestito del greco no – essendo invece qualcosa di conosciuto –: il filologo si rivolgerà a quella, come a questo, nello stesso modo immediato con cui il ricercatore di scienze naturali si rivolge all’oggetto della natura; e il filologo troverà in tutto ciò che indaga idee, in modo tale che queste idee siano quelle che egli stesso conosce e produce. Rimane da fare solo una cosa per completare la definizione “filologia è scienza storica”, è a dire esplicitare cosa sia la storia. A ciò, ora, ci volgiamo. Ma soltanto una cosa ancora: la terza, relativa al rapporto della filologia con gli altri due saperi non ancora presi in considerazione, teologia e giurisprudenza. Böckh parla di ciò (pp. 18-20) [52-54] nello stesso modo contraddittorio in cui aveva affrontato la questione del rapporto di empiria e filosofia. La filologia e le scienze speciali si devono condizionare reciprocamente; ma la filologia mantiene il suo proprio sapere. Anche qui faccio coincidere con certezza ciò che senza un’obiettiva considerazione è ritenuto separato. Noi, naturalmente, consideriamo qui semplicemente il lato teoretico della giurisprudenza, prescindendo del tutto dal fatto che il giurista può essere anche giudice e legislatore. Ma la scienza del giurista è in parte filosofica, l’etica appunto, in parte filologica, è a dire la storia del diritto. Pertanto dovremmo dire: il giurista è un uomo di prassi, la cui attività poggia sullo studio filosofico e filologico, proprio come la prassi del medico poggia sullo studio della scienza della [325] natura. – Allo stesso modo in rapporto alla teologia prescindiamo dal fatto che essa include la prassi della cura dell’anima. Ma nella misura in cui è soltanto scienza, essa è composta da una parte filosofica (la filosofia della religione) e una filologica (la storia della religione). La filologia non ha assolutamente alcuna ragione di sorvegliare gelosamente che le rimanga un sapere proprio. Ciò che il teologo, il giurista etc. le tolgono, non le diventa estraneo. D’altra parte bisogna concedere che anche il teologo, il giurista etc. non traggono a sé nulla che non appartenesse loro. Ciò conduce all’importante

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auf einen wichtigen Punkt, nämlich die doppelte Gliederung der Philologie, über welche Böckh S. 21 spricht, und welche ich öfter, zuletzt und am vollständigsten in meinem Abriss I S. 38-41 besprochen habe. Nur wenn man einerseits beide Gliederungen als gleich berechtigt, weil gleich notwendig, ansieht, und zwar nicht bloß subjectiv, sondern objectiv berechtigt; und doch andrerseits beide Gliederungen nur als die beiden Momente der Philologie erkennt: begreift man, wie der Jurist als Rechtshistoriker, der Sprachforscher als Sprachhistoriker, der Theologe als Religionshistoriker Philologen sind. Böckh zieht die Gliederung der Philologie »nach Raum und Zeit« der andern nach Disciplinen vor, welche »die Teile des Begriffs auseinander reißt«. Dieser Vorwurf wiegt für mich nicht schwer. Es liegt aber darin etwas anderes, was auch für mich wichtig ist: »der Volksgeist« wird zerrissen, wenn Religion, Kunst, Sprache u.s.w. zu besondern Disciplinen gestaltet werden. Wer das hellenische Volksleben geschichtlich erforscht, hat im hellenischen Volksgeist die reale Einheit, welche alle Einzelheiten zusammenhält, und aus welcher alle Mannichfaltigkeit erklärt wird. Wer dagegen z. B. Kunstgeschichte betreibt, welche Einheit hat der für agyptische, indische, griechische u.s.w. Kunst? Eine Einheit der Idee? Diese wäre hier lediglich subjectiv. Die Einheit des menschlichen Geistes: das ließe sich hören; aber sie hat wohl in solchen Dingen wenig Macht. Und doch ist beides zusammen genommen, die Einheit der Idee und der menschlichen Natur, [326/605] auf manchem Gebiete mächtig genug, um auch eine solche Zusammenfassung in eigentümlicher Weise fruchtbar zu gestalten. Besonders wichtig aber wird sie in dem Falle sein, wo in der Tat historische Einheiten vorliegen, in welchen mehrere Völker zusammengefasst sind. So ruht die Philologie der Sprache, insofern sie einen Sprachstamm umfasst, wie die Sprachen des indogermanischen oder semitischen Stammes, oder die Philologie des Mythos in derselben Hinsicht auf der concreten Einheit des indogermanischen, semitischen Geistes. Und selbst wenn die Sprachen der Erde zusammengefasst werden: so ist für dieses Object die Einheit der menschlichen Natur ein wesentlicher Factor. Für die Kunst aber kommt in Betracht, dass hier geschichtliche Einflüsse der Kunst des einen Volkes auf die des andern obgewaltet haben.

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punto della doppia articolazione della filologia, di cui Böckh parla a p. 21 [54-55] e che io ho di frequente discusso, in ultimo e nel modo più completo nel I vol. del Compendio pp. 38-4192. Solo se, da un lato, si vedono entrambe le articolazioni come parimenti giustificate perché parimenti necessarie, e non soltanto soggettivamente ma oggettivamente giustificate, e, dall’altro lato, entrambe le articolazioni si riconoscono come momenti della filologia, può intendersi come il giurista in quanto storico del diritto, il linguista in quanto storico della lingua, il teologo in quanto storico della religione, siano filologi. Böckh preferisce la struttura della filologia «secondo lo spazio e il tempo» a quella secondo le discipline, che «fa a pezzi il concetto riducendolo in parti»93. Tale rimprovero a mio parere non è fondato. Ma lì vi è qualcosa d’altro che è importante anche per me: «lo spirito del popolo» è dilacerato se religione, arte, lingua etc. si costituiscono a discipline speciali. Chi indaga la vita del popolo ellenico da un punto di vista storico, ha nello spirito del popolo ellenico la reale unità, che tiene unite tutte le individualità e a partire da cui è spiegata l’intera molteplicità. Chi al contrario, ad esempio, si occupa di storia dell’arte, che unità ha per l’arte egiziana, indiana, greca etc.? Un’unità dell’idea? Questa sarebbe qui solamente soggettiva. L’unità dello spirito umano: questo sì che sarebbe interessante; ma in queste cose tale unità ha poco potere. E tuttavia entrambe prese insieme, l’unità dell’idea e della natura umana, [326] in qualche ambito sono talmente potenti da rendere questa stessa sintesi feconda in modo speciale. Tale connessione sarà però particolarmente importante dove esistono, di fatto, unità storiche in cui sono riuniti più popoli. Tale è la filologia della lingua, dal momento che essa riguarda un ceppo linguistico, come nel caso delle lingue del ceppo indogermanico o semitico; e tale è la filologia del mito, per il riferimento stesso all’unità concreta dello spirito indogermanico o semitico. E lo stesso se le lingue della terra vengono riunite: per la lingua in generale come facoltà del parlare, infatti, l’unità della natura umana è un fattore essenziale. Ma riguardo all’arte va preso in considerazione che gli influssi storici dell’arte di un popolo hanno dominato quelli di un altro.

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Wir gestatten jedem, nach zufälligen und äußerlichen Rücksichten sich einen Ausschnitt aus dem unendlichen Gebiete der Philologie zur Bearbeitung auszuwählen, wenn es nur, wie Böckh fordert, »mit Bewusstsein der Beschränkung« geschieht. Dann wird auch allemal die durch jene Rücksicht nötig gewordene besondere Methode und Construction in die allgemeine des unbeschränkten Begriffes einmünden. So muss man darauf gefasst sein, nach verschiedenen Rücksichten dieselben Objecte nach verschiedenen Seiten hin gezogen zu sehen. Was haben türkisch, persisch und arabisch vor dem Auge des Sprachforschers mit einander gemein? Nichts. Aber jene drei Litteraturen werden zusammengefasst von der muhammedanischen Philologie. Die buddhistische Philologie verbindet noch mehr und zwar ganz heterogene Elemente. Die Geschichte verbindet, was von Natur (nach der Race) gesondert sein mag. Dieser Punkt aber erinnert uns von neuem daran, dass wir fragen müssen, was Geschichte ist.

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Noi concediamo a ciascuno di sceglier per sé un settore dall’infinito ambito della filologia secondo considerazioni casuali ed esteriori, ma solo se ciò accade, come richiede Böckh, «con la consapevolezza della delimitazione»94. Il metodo e la costruzione particolare divenuti necessari in quella prospettiva sfoceranno nel metodo e nella costruzione universale del concetto illimitato. Così si deve esser pronti a vedere trattati gli stessi oggetti secondo diverse prospettive da diversi punti di vista. Cos’hanno in comune agli occhi del linguista il turco, il persiano e l’arabo? Niente. Ma quelle tre letterature sono riunite dalla filologia islamica. La filologia buddistica unisce un numero ancora maggiore, e invero altamente eterogeneo, di elementi. La storia collega ciò che può essere isolato dalla natura (secondo la razza). Ma questo punto ci ricorda, ancora una volta, che dobbiamo domandare cosa sia la storia.

NOTE AI TESTI

NOTE A «GRAMMATICA, LOGICA E PSICOLOGIA» 1

Karl Ferdinand Becker (Lieser/Mosel, 14 aprile 1775 - Offenbach am Main, 4 settembre 1849) studiò a Göttingen medicina e per alcuni anni praticò la professione in diverse città tedesche. A partire dalla II metà degli anni venti dell’Ottocento si dedicò prevalentemente all’attività pedagogica e agli studi linguistici, entrando in contatto epistolare con Wilhelm von Humboldt e i fratelli Grimm. La sua più importante pubblicazione scientifica fu, certo, Organism der Sprache als Einleitung zur deutschen Grammatik, 1827 (zweite neubearbeitete Ausgabe, Verlag von G. F. Kettembeil, Frankfurt am Main 1841: Steinthal trae sempre da questa edizione), ma gli toccò anche una relativa notorietà per la stesura di un manuale di grammatica adottato in molti ginnasi tedeschi (Schulgrammatik der deutschen Sprache, Verlag von G. F. Kettembeil, Frankfurt am Main 1831). La prima parte di Grammatik, Logik und Psychologie – da noi non data in traduzione –, intitolata La grammatica logica, è una confutazione delle tesi espresse da Becker nell’Organism der Sprache. Le obiezioni di Steinthal sono volte, soprattutto, a confutare l’interpretazione logicistica e insieme organicistica delle lingue lì esposta. In proposito cfr. Introduzione, par. 7. 2 “Bedlam” è storpiatura di “Bethlem”. Steinthal fa ironicamente riferimento al noto Bethlem Royal Hospital, un ospedale per disturbi psichici fondato a Londra nel XIV sec. – Friedrich Adolf Trendelenburg (Eutin 30 novembre 1802 - Berlin, 24 gennaio 1872) studiò nelle università di Kiel, Lipsia e Berlino. Qui, tra il 1826 e il 1833, fu precettore di Karl von Nagler, rampollo di una famiglia altolocata, imparentata con l’allora ministro prussiano dell’Istruzione Altenstein. In ragione delle importanti pubblicazioni sul pensiero aristotelico di questi anni, e, a detta dello storico dell’università di Berlino Max Lenz, delle sue frequentazioni, nello stesso 1833 Trendelenburg fu nominato da Altenstein professore straordinario nell’università di Berlino e membro della Commissione d’esami per accedere all’insegnamento nelle scuole superiori. Nel 1837 divenne professore ordinario. Nel 1846 fu nominato membro dell’Accademia prussiana delle scienze, ove dal 1847 al 1871 ricoprì la carica di segretario della classe di scienze storico-filologiche. Tra le sue opere più importanti ricordiamo le Logische Untersuchungen (1840), la Geschichte der Kategorienlehre (1845) e gli Historische Beiträge zur Philosophie (1846-1867). Nel corso della carriera accademica lo studioso aveva prima fieramente avversato la scuola hegeliana, poi contestato a Kuno Fischer la sua interpretazione della dottrina kantiana dello spazio, osteggiando l’accesso dei neokantiani all’università di Berlino. A proposito della polemica sulla dialettica

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hegeliana, a cui Steinthal fa su riferimento, si vedano i due scritti di Trendelenburg apparsi nella «Neue jenaische allgemeine Literaturzeitung» dell’apr. 1842 e del feb. 1843, con il titolo Die logische Frage in Hegels System. Zwei Streitschriften. – Trendelenburg aveva fatto parte, assieme a Bopp, della commissione che giudicò la tesi d’abilitazione di Steinthal (SHHP), discussa a Berlino nel 1848. Notevole, come ormai ampiamente documentato dalla critica, fu l’impulso che la sua filosofia diede alla teoria del “metodo genetico” di Steinthal. È noto che anche Becker riteneva il suo progetto di unificazione della grammatica e della logica affine alla filosofia di Trendelenburg, e lo scriveva nella prefazione alla II edizione (1841) di Organism, né il filosofo ebbe mai esplicitamente a contraddire questa tesi. Anzi Trendelenburg si schierò più volte a fianco di Becker contro l’hegeliano Heyse. L’accostamento della pazzia di Becker a quella di Hegel proposto da Steinthal, risponde dunque a una precisa strategia, messa in atto per sottrarre legittimità alle lusinghe che Becker rivolgeva a Trendelenburg e, bisogna aggiungere, messa in atto nonostante il favore da Trendelenburg accordato a Becker. 3 Harrwitz, il proprietario della casa editrice Dümmler in cui il libro sarebbe stato pubblicato, aveva più volte invitato Steinthal a uno stile espositivo meno aggressivo. Cfr. BelLS, II/2, pp. 372-395. 4 Prima della pubblicazione di GLP (1855), Steinthal aveva esposto la sua critica a Humboldt in CS (1850), US 1 (1851) e in OSP 1 (1852). In CS, l’autore aveva sostenuto che la teoria humboldtiana della lingua fosse inficiata di misticismo e risultasse essenzialmente dualistica. Nello stesso scritto aveva poi contrapposto all’approccio teorico di Humboldt, ancora intriso di dogmatismo, le sue ricerche sulle singole lingue, in cui i dualismi erano superati e si delineava nettamente il concetto di individualità delle lingue (pp. 15-23). In US I (1851) Steinthal metteva in luce, dopo aver attribuito a Humboldt il merito indiscusso d’aver concepito la nozione di lingua come “attività” e non semplice Ding (“cosa”), tre contraddizioni sull’origine del linguaggio da lui non risolte (pp. 10-19). In OSP I (1852) infine l’autore, polemizzando con Pott, riprendeva l’argomentazione proposta in CS ed enunciava la tesi del destino tragico di Humboldt dibattuto tra teoria e prassi, sistema e genio, passato e futuro. 5 Steinthal trae dalla recensione di Goethe a Bildnisse jetzt lebender berlinern Gelehrten, mit ihren Selbstbiographien, hrsg. von J. S. M. Lowe (Quien, Berlin 1805), apparsa in «Jenaische allgemeine Literaturzeitung», 26 febb. 1806, n. 48, sp. 379. Quando Steinthal scrive, la recensione era anche stata pubblicata nei Goethe’s Werke, XXXIII Band, Cotta’schen Buchhandlung, Tübingen 1830, il passo si trova alle pp. 129-130. La si veda ora in GoeSW, XIX, pp. 277-281, partic. p. 279. 6 Steinthal allude qui alla pubblicazione postuma dell’importante introduzione di Humboldt all’opera sulla lingua Kawi: Über die Verschiedenheit des menschlichen Sprachbaues und ihren Einfluß auf die geistige Entwickelung des Menschengeschlechts, edita da E. Buschmann nel 1836, mentre la prima edizione di Organism Becker la pubblicò, come si è visto, nel 1827.

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7 L’espressione “fare riflettente delle lingue” pone dei problemi interpretativi. Nel suo volume su Steinthal, Céline Trautmann-Waller le attribuisce il significato di una concezione in cui l’origine della lingua è ricondotta a una «création intentionnelle» (Aux origines d’une science allemande de la culture, cit., p. 103). Di certo i miti della creazione presentati da Bunsen e Müller ed esposti nel seguito di questa prefazione richiamano l’antica concezione creazionistica a cui Steinthal si oppone. Tuttavia qui l’autore sembra voler rigettare, seguendo Heyse, la concezione della lingua quale manifestazione dell’“intelletto”. Qui, cioè, “riflettente” è opposto a “organico”, “intelletto” a “ragione”. Per questo la concezione che Becker ha della lingua come organismo razionale, per quanto imperfetta, è considerata da Steinthal superiore all’altra. Entrambe però sono superate dalle teorie di Humboldt e Heyse, secondo cui la lingua non è espressione né dell’intelletto né della ragione, né un fare riflettente, né un procedere organicamente, ma è la manifestazione dell’“istinto spirituale” dei popoli. Per il concetto di “istinto spirituale” cfr. Introduzione, par. 2 8 Cfr. Christian K. J. Bunsen, Outlines of the philosophy of universal history, applied to language and religion, 2 voll., Longman, Brown, Green and Longmans, London 1854. Di quest’opera, Bunsen scrive le introduzioni generali e le parti relative all’egiziano e ai geroglifici su cui ha una competenza specifica. La gran parte di essa però, come Steinthal dice subito dopo, reca la firma di altri studiosi, o ripresentando scritti già apparsi o, più raramente, presentando saggi inediti. L’intera seconda sezione (pp. 263-488), dedicata agli ultimi risultati della ricerca sulle lingue non iraniane e non semitiche dell’Asia e dell’Europa, alle lingue turaniche (uralo-altaiche) dunque, è tratta da uno scritto di Müller. I capitoli della prima sezione sull’altotedesco e le lingue italiche sono vergati da Aufrecht, quelli sul sanscrito e il persiano ancora da Müller. Per questo di seguito Steinthal citerà Müller direttamente dagli Outlines di Bunsen. – Christian Karl Josias Freiherr von Bunsen (Korbach, 25 agosto 1791 - Bonn, 28 novembre 1860) studiò, a partire dal 1809, teologia e filologia a Gottinga. Dopo gli anni di università intraprese dei viaggi di studio a Parigi, Leida e Copenhagen. Fu quindi assistente di Niebuhr mentre il grande storico ricopriva la carica di ambasciatore prussiano a Roma e lì iniziò a interessarsi alla decifrazione dei geroglifici su suggestione dei lavori condotti da Jean-François Champillion sulla stele di Rosetta. Quando Niebuhr fu chiamato a insegnare a Bonn, acquisì egli stesso la carica di ambasciatore a Roma e fu tra i fondatori dell’Istituto di corrispondenza archeologica. Dal 1841 fu mandato a Londra con lo stesso incarico. Qui condusse avanti i suoi studi sui geroglifici e intrattenne rapporti con numerosi circoli intellettuali. Negli anni seguenti convinse il ministero prussiano a finanziare una spedizione culturale in Egitto e sostenne la candidatura di Lepsius a guidarla, invitando quest’ultimo a terminare il lavoro di Champillion. I suoi interessi e le sue curiosità spaziavano dalla linguistica, alla filosofia della storia e allo studio comparativo delle religioni. Per questo venne a volte tacciato di dilettantismo. Negli anni successivi conobbe e divenne sodale con Florence Nightingale (1820-1910) e diede

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un contributo essenziale alla fondazione di un ospedale sorto nel quartiere londinese di Dalston nell’ottobre del 1845. Tra le sue opere siano almeno ricordate, oltre quella citata: Ägyptens Stelle in der Weltgeschichte, 5 Bände, 1844-57, Die Zeichen der Zeit, 2 Bände, 1855, Die Geschichte oder der Fortschritt des Glaubens an eine sittliche Weltordnung, 3 Bände, 1857/58. Nella prima opera citata Bunsen aveva sostenuto che l’egiziano è la linguamadre sia del sanscrito sia delle lingue semitiche. 9 Friedrich Max Müller (Dessau, 6 dicembre 1823 - Oxford, 28 ottobre 1900) studiò filosofia e filologia nell’università di Leipzig, affiancando queste discipline, con lo studio del sanscrito e dell’arabo. Nel semestre invernale del 1844/45 apprese il persiano nell’università di Berlino. Nello stesso ’45 si trasferì a Parigi – e qui nel 1849 sarebbe stato insignito del Premio Volney ottenuto più tardi da Steinthal – e un anno dopo a Londra. A partire dallo stesso 1849, su commissione della Compagnia delle Indie Orientali, iniziò a pubblicare i più antichi testi dei Veda: i Rigveda, assieme a un dettagliato commento di Sayana. Il sesto e ultimo volume dell’opera apparve nel 1874. A partire dal 1850 tenne nell’università di Oxford corsi di grammatica comparata e storia della letteratura. Nel 1854 divenne professore ordinario di lingue e letterature comparate nella stessa università. Nel 1868 fu fondata a Oxford la cattedra di religione comparata e Müller fu il primo a sedervi. A partire dal 1875 gli venne affidata dall’università la direzione di una serie di pubblicazioni di testi sacri orientali conclusa nel 1894, che annoverava 41 volumi. Nel maggio di quell’anno per i suoi meriti scientifici fu chiamato come membro del Consiglio Privato di Sua Maestà. La sua opera ebbe enorme risonanza e diffusione. Tra i suoi scritti più importanti, oltre le edizioni citate: gli Essay on comparative mythology (London 1858), la History of ancient Sanskrit literature (London 1859), le Lectures on the science of language, 2 Series (London 1861–64), le Lectures on the origin and growth of religions as illustrated by the religions of India (London 1878), i Contributions to the science of mythology. 2 voll. (London 1897) e The six systems of Indian Philosophy (London 1899). Steinthal avversò Müller non solo sul piano teorico, come si vedrà nelle pagine seguenti del testo, ma anche perché, ai suoi occhi, quest’ultimo rappresentava la tipologia dei tedeschi naturalizzati inglesi, tanto «detestabili» quanto i naturalizzati francesi (cfr. BelLS II/2, p. 384 e Trautmann Waller, Aux Origines…, cit., pp. 81 e sgg.) – Theodor Aufrecht (Leschnitz, Oberschlesien, 7 gennaio 1822 - Bonn, 3 aprile 1907), conseguì a Berlino nel 1847, sotto la guida di Bopp, il diploma di laurea con un trattato sull’utilizzazione dell’accento in sanscrito. Nel 1852 divenne direttore, assieme ad A. Kuhn, della «Zeitschrift für vergleichende Sprachforschung auf dem Gebiete des Deutschen, Griechischen und Lateinischen», la tribuna ottocentesca europea più importante per gli studi di linguistica comparativa (cfr. intra, II/ nota 27). Nello stesso anno divenne bibliotecario della Bodleyan Library e si trasferì a Londra. Qui, entrato in contatto con Müller, fu invitato da quest’ultimo a prender parte all’edizione dei Rigveda. Dal 1862 al 1875 occupò la cattedra di Sanscrito nell’università di Edimburgo. Nel 1875 venne richiamato a Bonn,

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dove insegnò fino al 1889. Oltre che per l’attività di direzione della rivista, Aufrecht si distinse per la pubblicazione del Catalogus Catalogorum, apparso in 3 volumi, tra il 1891 e il 1903, il primo tentativo di catalogare in ordine alfabetico tutti i manoscritti in sanscrito allora noti. 10 Nella cosmologia induista e buddhista, un kalpa indica un ciclo cosmico, detto anche giorno di Brahma: un lungo periodo di tempo che sta alla base della teoria dell’evoluzione e dell’involuzione dell’universo. 11 Moritz Gotthilf Schwartze (Roßleben, 24 febbraio 1802 - Berlin, 3 settembre 1848) si laureò a Halle nel 1828, con la dissertazione De Ammone et Osiride. Nel 1833 conseguì l’abilitazione a Berlino con lo scritto Prolegomena in religionem veterum Aegyptiorum. Si dedicò, dunque, allo studio della religione egizia che intendeva fondare su salde basi filologiche attraverso la decifrazione dei geroglifici. Per questa via, individuò il nesso tra scrittura geroglifica e antica lingua copta e si dedicò con ogni sforzo allo studio di quest’ultima. Versato anche nelle lingue indo-europee, Schwartze raccolse i risultati di una decennale ricerca comparativistica nell’opera in due volumi Das alte Aegypten, oder: Sprache Geschichte, Religion und Verfassung des alten Aegyptens (Leipzig, 1843). Sono questi i due grossi volumi a cui Steinthal fa riferimento nel testo. La tesi secondo cui l’egiziano è un ceppo separato da quello sanscrito e da quello semitico è il motivo principale del secondo volume di quest’opera: Darstellung und Beurtheilung des koptischen Sprachgebrauches, im Vergleich mit dem semitischen und indogermanischen Sprachbau. Mentre si dedicava a questi studi, Schwartze teneva corsi di grammatica copta all’università di Berlino e le sue lezioni furono seguite dallo stesso Steinthal. Nel 1846 apparve quindi il primo volume e nel 1847 il secondo dei Memphitisch-Koptische Evengelien. La grammatica copta fu pubblicata postuma per le cure di Steinthal che nella Prefazione tornava sull’alto ufficio dello studioso per la scienza del linguaggio e sulla profondità della sua prospettiva filosofica: Koptische Grammatik von M. G. Schwartze, herausgegeben nach des Verfassers Tode von Dr. H. Steinthal, Ferd. Dümmler’s Buchhandlung, Berlin 1850. 12 Steinthal fa qui riferimento a K. F. Becker, Das Wort in seiner organischen Verwandlung, Kettembeil, Frankfurt a. M. 1833, in cui si sostiene che i significati delle parole derivano dai loro referenti concettuali e la differenza tra esse dipende dalla capacità organica del suono di rendere lo stesso significato in forme molteplici. Pott, al contrario, proponeva di studiare le parole attraverso la loro riduzione fonetica agli etimi, conseguita con metodo comparatistico. – August Friedrich Pott (Nettelrede, 14. novembre 1802 - Halle, 5 luglio 1887) fu assieme a Bopp e Grimm tra gli studiosi di linguistica più influenti di metà Ottocento. Studiò a Gottinga filosofia, filologia e storia, con particolare interesse per le lingue antiche. Negli anni universitari apprese l’ebraico, il greco e il latino. Si addottorò nel 1827 con la dissertazione De relationibus quae praepositionibus in Linguis denotantur. Continuò poi gli studi nell’università di Berlino, dove seguendo le lezioni di Franz Bopp acquisì una notevole conoscenza del sanscrito. A Berlino si abilitò nel 1830. Nel 1833 fu chiamato all’università di Halle come professore

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straordinario di linguistica generale e nel 1838 fu promosso alla dignità di professore ordinario. A Halle tenne lezioni di filosofia del linguaggio, grammatica generale, ma anche di sanscrito, cinese e geroglifici. Nel 1845 fondò la «Deutsche morgenländische Gesellschaft» che pubblicava un’omonima rivista su cui apparvero alcune recensioni polemiche dei primi scritti di Steinthal. La sua opera più importante apparve in edizione completa in 6 volumi tra il 1859 e il 1876 con il titolo «Etymologische Forschungen auf dem Gebiete der indo-germanischen Sprachen, mit besonderem Bezug auf die Lautumwandlung im Sanskrit, Griechischen, Lateinischen, Littauischen und Gotischen». Nel primo volume, pubblicato nel 1833, era professata l’estensione del metodo fonetico comparativo usato da Grimm per la grammatica tedesca alle lingue indo-europee al fine di tracciare le trasformazioni di significato delle parole e le etimologie fondamentali. Più tardi apparvero a suo nome anche opere sull’etimologia dei nomi di persona e dei nomi geografici. Tra le sue opere più importanti bisogna ricordare infine quella sulla lingua dei gitani: Die Zigeuner in Europa und Asien (1844/45). Il confronto con l’opera e il pensiero di Pott fu uno dei motivi ricorrenti dell’attività intellettuale di Steinthal. La polemica a volte aspra tra i due fu sempre venata da un profondo rispetto reciproco. Steinthal e Pott agirono come degni avversari, avversari che parlavano lo stesso linguaggio pur assumendo posizioni differenti. Non è possibile qui ripercorrere analiticamente le ragioni e i contenuti del loro dissenso o dei loro molteplici dissensi, legati a questioni teoriche e d’interpretazione storica. In generale può vedersi il parag. 7 dell’Introduzione e in particolare alcune note successive richiamano gli aspetti essenziali della loro contesa (su Humboldt, sulla classificazione, sul metodo etimologico, sul rapporto di logica e grammatica). Si aggiunga soltanto che Pott come Steinthal avversò le posizioni misticheggianti e confessionali di Kaulen e denunciò come insufficienti e scientificamente infondate le posizioni razzistiche di Arthur de Gobineau. 13 Qui da intendersi in senso generico: non come “razionale”, ma nel senso di “adeguata”, “appropriata”, “vera”. 14 Carl Wilhelm Ludwig Heyse (Oldenburg, 15 ottobre 1797 - Berlin, 25 novembre 1855) studiò filologia nell’università di Berlino seguendo le lezioni di Böckh e frequentando i corsi di linguistica di Bopp e di filosofia di Hegel. Fu poi precettore nella casa di Wilhelm von Humboldt e in casa Mendelssohn-Bartholdy. Nel 1827 si abilitò all’università di Berlino e nel 1829 divenne professore straordinario di filologia classica e linguistica comparativa. Il suo hegelismo lo ostacolò non poco nella carriera accademica, ragion per cui non divenne mai ordinario. Dedicò gran parte della sua attività scientifica a correggere, completare e ampliare due imprese iniziate dal padre, Johann Christian August Heyse. Anzitutto il dizionario tedesco, apparso col titolo: Handwörterbuch der deutschen Sprache: mit Hinsicht auf Rechtschreibung, Abstammung und Bildung, Biegung und Fügung der Wörter, so wie auf deren Sinnverwandtschaft (Magdeburg 1833-1849, 3 Bände) e poi la Theoretisch-praktische deutsche Grammatik (1832), apparsa più tardi col titolo: Ausführliches Lehrbuch der deutschen Sprache (Hannover, 1.

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Band 1838, 2. Band 1849). Sono questi il dizionario e la grammatica a cui Steinthal fa riferimento nel testo. Le opere di Heyse non riuscirono a imporsi come opere di riferimento, i contemporanei preferirono quelle sulla grammatica di Becker e il dizionario dei fratelli Grimm. L’opera più importante di Heyse, il System der Sprachwissenschaft, fu pubblicato da Steinthal nel 1856, dopo la morte dell’autore. È questa dunque «l’autentica e completa espressione del suo sistema» nel 1855 «non ancora data alle stampe». – Steinthal riconobbe a più riprese Heyse come il suo unico maestro. Tentò sempre di difenderne l’opera e combattere l’oblio a cui la si voleva condannare. Con Heyse e con il figlio Paul intrattenne un intenso carteggio da Parigi, pubblicato nei volumi di Belke (cfr. BelLS, II/2, pp. 396-472). Rispetto al rapporto intellettuale e umano tra due studiosi rimandiamo alla Nota biografica e all’Introduzione preposte a queste traduzioni. Qui si aggiunga solo un breve passo tratto da una lettera inviata da Steinthal a Karl Heyse il 10 gennaio 1855, passo da cui si evince sia il posto che Steinthal conferisce al maestro nella storia della linguistica sia l’irritazione per la sottovalutazione che gli riservarono gli studiosi coevi: «la Sua posizione nei confronti di Humboldt è stata ovvia … Egli sarebbe potuto essere Suo padre, egli appartenne all’epoca che La precedette. Lei non sarebbe certo potuto venir prima di lui, ma, dieci anni dopo la sua morte, sarebbe dovuto comparire Lei. Le circostanze però non erano favorevoli. Non ogni cosa tuttavia, per quanto in ritardo, è ancora persa. Ciò che Lei pubblicherà anche adesso mostrerà che Lei non avrebbe avuto bisogno di aspettare Humboldt e Le assicurerà un posto di primo piano nella storia della nostra scienza. Questo posto, se io rimango vivo, Le è garantito nonostante Grimm e Becker; giacché io scriverò la storia della nostra scienza. Io, dopo Humboldt, non posso porre nessuno a parte Lei, e posso assegnarLe un posto al di sopra di lui solo perché Lei è un suo seguace» (BelLS, II/2, p. 405). 15 Grimm, nella Prefazione al primo volume del Deutsches Wörterbuch, apparso nel 1854, aveva diviso i dizionari tedeschi precedenti in due categorie: quella dei lavori “scientifici” e quella dei lavori “utili”. Giunto all’analisi dei dizionari coevi, aveva messo in dubbio il valore scientifico del dizionario di Heyse, affiancandolo a quelli di Moritz, Heinsius e Kaltschmidt (cfr. J. Grimm, Vorrede, DW, 1854, p. XXVI). Bisogna anche ricordare, a dir il vero, che nel IV volume della Deutsche Grammatik (1837) Grimm aveva accolto la Theoretisch-praktische deutsche Grammatik (1832) di Johann e Karl Heyse nell’indice delle fonti (Quellenverzeichnis). – Jacob Grimm (Hanau, 4 gennaio 1785 - Berlin, 20 settembre 1863) fu il fondatore della filologia tedesca. A Kassel iniziò la pubblicazione (1919, 1926) dei primi due volumi della Deutsche Grammatik (gli altri due sarebbero apparsi a Göttingen nel 1837) in cui tentò di tracciare lo sviluppo storico della lingua tedesca e propose lo studio comparativo dei mutamenti fonetici di vocali e consonanti in diverse lingue del ceppo indo-europeo. Le corrispondenze così individuate nei mutamenti fonetici delle lingue gli permisero di formulare la famosa legge di sviluppo delle lingue conosciuta come legge di Grimm e di aprire la strada alla ricerca dei mutamenti di significato, poi perseguita da Pott con

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le ricerche etimologiche. Dopo alcuni incarichi statali di bibliotecario, nel 1830 Grimm fu chiamato all’università di Gottinga. Nel 1840 si trasferì con il fratello Wilhelm a Berlino quale membro della più importante Accademia tedesca. Qui inziò l’elaborazione del Deutsches Wörterbuch, la cui pubblicazione iniziò nel 1854. A Kassel nel 1812 aveva pubblicato assieme a Wilhelm le fortunatissime Kinder und Hausmärchen, tra il 1816 e il 1818 le Deutschen Sagen. Tra le sue opere scientifiche più influenti, accanto a quelle citate, va ricordata la Geschichte der deutschen Sprachen in due volumi del 1848, di cui si dirà meglio più avanti. 16 Lo scritto di Grimm sull’origine del linguaggio è Über den Ursprung der Sprache. Gelesen in der Akademie am 9. Januar 1851, Druckerei der königlichen Akademie der Wissenschaften, 1851. Steinthal in realtà nel 1855 non ha ancora pubblicato nulla su questo scritto. Ad esso avrebbe dedicato un capitolo nella seconda edizione di Der Ursprung der Sprache, apparsa solo nel 1858 (cfr. US 2, pp. 98-106). È possibile che l’autore faccia qui confusione e pensi alla sua recensione, apparsa nel I volume (1852) della rivista di Aufrecht e Kuhn, di un altro trattato accademico di Grimm dedicato all’amore per Dio (H. Steinthal, Rezension zu J. Grimm, Über den Liebesgott – Akademische Abhandlung, Berlin 1851 – in «Zeitschrift für vergleichende Sprachforschung auf dem Gebiete des Deutschen, Griechischen und Lateinischen», I (1852), pp. 566-570). D’altro canto il trattato sull’amore per Dio e quello sull’origine della lingua erano stati letti da Grimm in due sedute accademiche tenutesi a tre giorni di distanza, la prima il 6 e l’altra il 9 gennaio 1851. 17 Il fine dell’opera di Heyse sul linguaggio è sistematico-filosofico, quello di Grimm, lo si è già visto, storico. 18 Steinthal comunicava ciò a Heyse anche in una lettera del 2 gennaio 1855, cfr. BelLS, II/2, p. 402. 19 Il motto scrive Steinthal ad Albrecht Weber il 14 novembre 1875, in polemica con Pischel, «è tratto da Goethe». Secondo Belke si tratta di una variazione di un’esternazione di Goethe contro Friedrich von Müller (cfr. BelLS, II/2, p. 513, nota 4.) 20 Si tratta della lettera di Humboldt, pubblicata con il titolo Über den Infinitiv nel secondo numero della rivista diretta da Aufrecht e Kuhn, «Zeitschrift für vergleichende Sprachforschung auf dem Gebiete des Deutschen, Griechischen und Lateinischen», Bd. 2 (1854) pp. 242-251. La lettera è preceduta da una prefazione firmata dalla redazione e da Steinthal attribuita ad Aufrecht (p. 241). 21 La Lebenskraft (forza vitale), il concetto secondo cui il regno organico è distinto dal regno inorganico in ragione di una forza rigenerativa e attiva che rende gli organismi irriducibili al meccanismo naturale, è uno dei concetti chiave della filosofia della natura tedesca di tradizione romantica. Utilizzato da autori come Schelling e Lorenz Oken, fu anche mantenuto, sebbene in un contesto argomentativo assai diverso, da Johannes Müller, il fondatore della fisiologia tedesca (cfr. intra, I/ nota 22). Per questo Steinthal sostiene che gli stessi ricercatori empirici lo difesero. Vi si opposero

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invece fermamente, come si vedrà, Schleiden e Lotze, quest’ultimo in un famoso articolo apparso con il titolo Lebenskraft nel Handwörterbuch der Physiologie di Rudolf Wagner. La storia della nozione di “forza vitale” è comunque troppo complessa e articolata per poterne offrire un sia pur minimo resoconto in questa sede. Tra le pubblicazioni italiane in proposito possono vedersi: V. Cappelletti, Entelechia. Saggio sulle dottrine biologiche del secolo decimonono, Sansoni, Firenze 1965 e S. Fabbri Bertoletti, Impulso, formazione e organismo. Per una storia del concetto di Bildungstrieb nella cultura tedesca, Olschki, Firenze MCMXC. 22 Johannes Peter Müller (Koblenz, 14 luglio 1801 - Berlin, 28 aprile 1858) fu il più importante fisiologo tedesco dell’Ottocento. Laureatosi in Medicina a Bonn, nel 1826 iniziò l’attività accademica nella stessa città. A partire dal 1833 fu chiamato a Berlino, dove insegnò Anatomia e Fisiologia fino agli ultimi anni di vita. Durante la sua lunga carriera scientifica fu impegnato in indagini ad amplissimo raggio, da quelle sul funzionamento dell’apparato digerente a quelle sulla struttura del sistema nervoso, da quelle sugli organi della fonazione a quelle sulla struttura ossea e sugli organi interni. Accanto all’Handbuch der Physiologie des Menschen, per quanto meno rilevanti di esso, vanno almeno ricordati Zur vergleichenden Physiologie des Gesichtssinns (1826) e Über die Compensation der physischen Kräften am menschlichen Stimmorgan (1839). Alla scuola di Müller si formarono i massimi scienziati tedeschi dell’Ottocento: Helmholtz, du Bois-Reymond, Schwann, Haeckel e Virchow, per i quali il grande fisiologo rappresentò un modello di metodo capace di affrancare le scienze naturali dalla filosofia della natura hegeliana e schellingiana. Non può dirsi tuttavia che il metodo di Müller fosse improntato a un empirismo radicale. La sua opera, anzi, fu costellata da motivi ispirati alla filosofia della sua epoca. In proposito sia solo detto che in intimo sodalizio con Trendelenburg Müller accettò, e considerò conforme ai risultati delle sue indagini sugli organi di senso, la categoria aristotelica del finalismo e fece uso della nozione di “forza vitale”. – Steinthal non seguì i corsi di Müller durante gli anni di studio all’Università di Berlino (BelLS, I, pp. LXXXV e sgg.). Sappiamo però che Lazarus fu assieme agli allievi del grande fisiologo – Virchow, Du Bois-Reymond e Bastian – tra i fondatori, nel 1869, della Berliner Gesellschaft für Anthropologie, Ethnologie und Urgeschichte, mentre Steinthal partecipò intensamente all’attività della rivista fondata da Bastian che era espressione di quella società: la Zeitschrift für Ethnologie. Attorno a questi circoli scientifici e culturali della capitale prussiana prenderà corpo il progetto della psicologia dei popoli (Cfr. Nota biografica e sezione II). La fisiologia di Müller tuttavia non ebbe solo questo nesso indiretto con Steinthal, ma come dimostrano queste pagine e i numerosi richiami contenuti in AS I rappresentò un contenuto essenziale per l’elaborazione della sua filosofia del linguaggio. 23 Cfr. Introduzione par. 7 e nota 129. – Matthias Jacob Schleiden (Hamburg, 5 aprile 1804 - Frankfurt am Main, 23 giugno 1881), dopo la formazione giuridica nell’università di Heidelberg, nel semestre 1832-33 s’iscrisse alla facoltà di medicina di Gottinga, per trasferirsi nel 1835 a Berlino, ove si

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dedicò con particolare zelo agli studi di embriologia delle piante. Nel 1839 si addottorò in filosofia e fu chiamato all’università di Jena, dove nel 1850 divenne professore ordinario, assumendo anche la direzione del giardino botanico dell’università. La sua formazione fu dunque assai ampia e così il suo insegnamento. Applicò, sulle orme dello scozzese Robert Brown, la teoria cellulare fino ad allora relegata al solo ambito della biologia alle piante. Pose, assieme a Theodor Schwann, i fondamenti della patologia cellulare poi sviluppata da Virchow. Fu inoltre tra i primi scienziati tedeschi ad accogliere la teoria dell’evoluzione di Darwin. Attentissimo ai problemi filosofici inerenti al dibattito scientifico, corredò le sue opere di botanica di riflessioni metodologiche, rifacendosi al metodo induttivo e fisicalistico di Fries e opponendosi fermamente alla filosofia della natura di Schelling e Hegel. In particolar modo ebbe a contestare fermamente la nozione allora assai diffusa di Lebenskraft (cfr. M. J. Schleiden, Schellings und Hegels Verhältnis zur Naturwissenschaft (1844), Zum Verhältnis der physikalischen Naturwissenschaft zur spekulativen Naturphilosophie, hrsg. und erläutert von Olaf Breidbach, VCH Verlagsgesellschaft, Weinheim 1988, 1-56). La sua opera più importante apparve con il titolo Grundzüge der wissenschaftlichen Botanik nebst einer methodologischen Einleitung als Anleitung zum Studium der Pflanze, in due volumi (Leipzig 1842-1843) e venne poi pubblicata con il titolo: Die Botanik als inductive Wissenschaft bearbeitet. – Steinthal critica la prospettiva di Schleiden in più punti della sua opera. Per il linguista tuttavia non si tratta di respingere i progressi compiuti nella botanica grazie all’elaborazione della teoria cellulare (di cui Schleiden è ritenuto insieme a Schwann il fondatore), o di biasimare l’atteggiamento sarcastico e a tratti violento dello scienziato contro la nozione di forza vitale e neppure di assumere posizione contro gli studi sulla morfologia e la fisiologia delle cellule e dei tessuti, sulla sistematica generale delle piante o sull’organologia. I risultati di Schleiden erano parte del dibattito sulla botanica cui Steinthal partecipava come osservatore. Il problema è piuttosto legato alla questione del riduzionismo a base induttiva proposto da Schleiden sulla linea della tradizione kantiano-friesiana. 24 J. W. Goethe, Faust, I, vv. 668-675 (cfr. ora in GoeSW, VII/1, pp. 4243). Per la traduzione del passo faustiano ci siamo serviti dell’ed. it. a cura di Guido Manacorda, BUR, Milano 2008). 25 È un verso tratto da una melodia cantata ai bambini prima del sonno (Wiegenlied). La melodia in questione s’intitola Schlaf, Kindlein, schlaf! (Fai la nanna, piccolo, fai la nanna) e fu composta nel 1781 da Johann Friedrich Reichardt (1752-1814). 26 der geschichtlichen Anschauung. “Anschauung” nel linguaggio filosofico dell’Ottocento è “intuizione”, e così sarà tradotto in seguito, ma qui vale in senso generico come “concezione”, “visione”, “prospettiva”. 27 Cfr. GLP, pp. 66-69 (parte non tradotta, ma in proposito si veda l’Introduzione, par. 4) e pp. 355-357 (tradotte di seguito). 28 Cfr. Die Entwicklung der Schrift. Nebst einem offenen Sendschreiben an Herrn Professor Pott, Dümmler, Berlin 1852 e Der Ursprung der Sprache,

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im Zusammenhange mit dem letzten Fragen alles Wissens. Eine Darstellung, Kritik und Fortentwicklung der vorzüglichsten Ansichten, Dümmler, Berlin, 1851. 29 Rudolf Hermann Lotze (21 maggio 1817, Bautzen - 1 luglio 1881, Berlin), s’iscrisse, diciassettenne, nella facoltà di medicina dell’università di Lipsia, ove frequentò soprattutto i corsi di scienze naturali, appassionandosi alle teorie di Gustav Fechner e i corsi di filosofia di Christian Hermann Weisse. A questi anni risale anche l’interesse per l’idealismo di Fichte e Hegel. Nel 1839 si addottorò in medicina e qualche mese dopo in filosofia. Nel 1844 fu chiamato come professore a Gottinga sulla cattedra che era stata di Herbart. Gli studi di Lotze si svilupparono secondo i due filoni principali della fisiologia e della filosofia. In generale, tentò di accordare un’interpretazione radicalmente meccanica dei fenomeni naturali con una prospettiva metafisica di stampo idealistico. Steinthal, come si vedrà in seguito, seguì sia i suoi lavori di fisiologia: le voci da lui compilate per lo Handwörterbuch der Physiologie di Rudolf Wagner, la Allgemeine Physiologie des Korperlichen Lebens (1851) e Medizinische Psychologie oder Physiologie der Seele (1852), sia le sue opere propriamente filosofiche: la Metaphysik del 1841 (Weidmann, Leipzig), la Logik del 1843 (Weidmann, Leipzig), a cui l’autore fa riferimento nel testo, e i tre volumi del Microcosmo (1856-1864). 30 Per la critica della teoria di Humboldt in CS cfr. intra, I/ nota 4. 31 Karl Christian Reisig (Weißensee/Thüringen, 17 novembre 1792 - Venezia, 17 gennaio 1829) fu studente a Lipsia, dove sotto la guida di Gottfried Hermann si dedicò con particolare interesse alla letteratura greca. Al primo scritto su Senofonte ne fece seguire uno sulle commedie di Aristofane pubblicato all’università di Gottinga, ove frattanto si era trasferito. Fu fervido patriota durante la guerra di liberazione dall’occupazione francese. Nel 1816, pubblicò il Coniectaneorum in Aristophanem liber I, dissertazione con cui conseguì il titolo di dottore in filosofia presso l’università di Jena. In questa stessa università divenne nel 1819 professore straordinario e l’anno successivo fu chiamato con lo stesso titolo all’università Halle-Wittenberg. Qui fondò una Societas Graeca sul modello di quella fondata a Lipsia da Hermann, che ebbe tra i suoi membri lo stesso Friedrich Haase. Nel 1824 divenne professore ordinario e nel 1826 fu chiamato a Kiel. Negli anni di Jena e Halle si dedicò anche agli studi sulla grammatica latina, intrecciando analisi etimologica e semantica. Fu dunque il fondatore della teoria dei significati, termine da lui tradotto nei corsi sulla grammatica latina del 1822 e del 1824 con “semasiologia”. Più tardi M. Bréal avrebbe conferito allo sviluppo di questa disciplina il nome di semantica. Le sue lezioni furono pubblicate dall’allievo Haase nel 1839. Si vedano nell’edizione più tarda apparsa per Calvary: Ch. K. Reisig, Vorlesungen über lateinische Sprachwissenschaft von Christian Karl Reisig mit den Anmerkungen von Friedrich Haase, Calvary, Berlin 1881-1890, 3 Bde. 32 Friedrich Haase (Magdeburg, 4 gennaio 1808 - Breslau, 16 agosto 1867) fu allievo di Reisig a Halle. Insegnò poi per breve tempo nel Köllnisches Gymnasium di Berlino. Nel 1833 diede alle stampe, volgendola in

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latino con il titolo di De Republica Lacedaemoniorum, l’importante opera di Tucidide. Dal 1834 al 1840 ebbe incarichi impiegatizi nell’amministrazione berlinese. Nel 1839, come detto, pubblicò con un importante commento le lezioni universitarie del suo maestro (Vorlesungen über lateinische Sprachwissenschaft, 1839). Nel 1840, dopo un viaggio di studi a Parigi, fu chiamato come professore straordinario a ricoprire la cattedra di filologia nell’università Breslau, mentre nel 1846 fu promosso alla dignità di professore ordinario. Negli anni cinquanta pubblicò alcune opere di Seneca e di Tacito. Nel 1851 infine divenne direttore del seminario filologico di Breslau. Non avvenne dunque ciò che Steinthal si augurava: Haase non sviluppò le geniali intuizioni di Reisig, ma si limitò a criticare alcuni aspetti di esse nel suo commento. 33 Pott nelle Etymologische Forschungen II, p. 376, aveva riconosciuto il valore della Bedeutungslehre di Reisig e la legittimità degli ampliamenti proposti alla dottrina del maestro da Benary, in un articolo apparso nei «Jahrbüchern für wissenschaftliche Kritik», I, 1 (1833), pp. 68 e sgg. – Karl Albert Agathon Benary (Kassel, 1807 - Berlin, 1861), fratello dell’orientalista Franz Ferdinand che era stato tra i docenti di Steinthal nell’università di Berlino, studiò filologia classica a Göttingen e Halle tra il 1824 e il 1827. A Halle fu tra gli allievi di Reisig. Sotto la sua guida scrisse la dissertazione dottorale “De Aeschyli Prometheo soluto”. A Berlino occupò a partire dal 1833 una cattedra presso il Kölnisches Realgymnasium e tenne anche lezioni come Privatdocent all’università. Tentò di applicare il metodo comparativo di Bopp alle grammatiche greca e latina. La sua opera del 1837 Die römische Lautlehre sprachvergleichend dargestellt, (I. Bd., Jonas Verlagbuchhandlung, Berlin 1837), è un notevole tentativo di studio comparativo della grammatica latina e di analisi semasiologica. Benary pubblicò alcuni articoli sull’applicazione della semasiologia nei «Jahrbüchern für wissenschaftliche Kritik» e nella «Zeitschr. für vergleich. Sprachforschung» di Kuhn e Aufrecht. Tra i primi, come indicato sopra, quello a cui Steinthal fa riferimento nel testo. 34 Steinthal fa riferimento a quanto sostenuto da Haase nel saggio Übersicht über 9 lateinische Grammatiken, pubblicato negli Ergänzungsblätter, N. 65-70 (agosto 1838) della «Allgemeine Literatur-Zeitung» di Halle e Leipzig. 35 Non mi è purtroppo riuscito di individuare il recensore a cui Steinthal fa riferimento. 36 M. de Montaigne, Essais, Livre premier, Des prieres (chapitre LVI), Éditions Gallimard, p. 306 (in tr. it. Saggi, I, a cura di Fausta Garavini, Adelphi 1982, p. 414.) 37 Die Wurzeln der verschiedenen chinesischen Dialekte, per i riferimenti cfr. intra, I/ nota 61. 38 Gli amici che eseguirono la prima correzione del manoscritto furono Carl W. L. Heyse e August Mahn. 39 Steinthal si era lamentato con l’editore che la seconda correzione delle bozze fosse stata affidata a un “novellino” (cfr. nota sulla genesi di GLP).

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40 In questo capitolo sono tradotti i paragrafi più importanti della Parte seconda del libro. La prima parte, La grammatica logica, è dedicata alla disamina critica della filosofia del linguaggio di K. F. Becker, di cui già s’è detto. 41 Errata corrige di Steinthal, anteposta all’indice del libro. Nel testo si legge, invece, “der Physiologie” (della fisiologia). 42 In latino nel testo. I termini tecnici, in latino, non saranno tradotti e nemmeno posti in corsivo. 43 Urteilen e Beurteilen. Questa prima classificazione degli atti spirituali a fondamento del sistema delle scienze sarà ripresa e verrà approfondita alla luce dell’altra differenza di Erkennen e Widererkennen, presentata da Steinthal negli scritti su Boeckh e la filologia, cfr. intra, III/3, pp. 309 e sgg. 44 That und Handlung: per la differenza tra i due termini cfr. intra, III/2, pp. 248-249. 45 Il tema del carattere della lingua è trattato nell’opera di Steinthal sempre in riferimento a Humboldt. Steinthal vi si sofferma ad es. in SHHP, pp. 92-95 (pp. 117-119). 46 Steinthal riportava quanto appreso nelle lezioni di Boeckh, il cui contenuto sarà assemblato in BoeEM (cfr. intra, III/ nota 4): «secondo il suo concetto autentico, la storia della letteratura viene a essere la conoscenza della forma delle opere in lingua», BoeEM, p. 8 (p. 42). 47 Cfr. PR, pp. 4-7 e intra, III/2. – Le considerazioni generali di Steinthal dovevano riprendere ben da vicino quanto sostenuto da Boeckh nelle sue lezioni, se in un conciso passo della BoeEM, p. 7 (p. 41) si leggono al contempo le due tesi di fondo qui presentate, quella dell’appartenenza della scienza della lingua alla filologia e quella della maggiore estensione della storia della letteratura rispetto alla linguistica: «la grammatica non esaurisce il grosso della scienza filologica, ma ne costituisce una parte … già la storia della letteratura … verrebbe a essere esclusa dalla linguistica; perciò se si volesse includerla nella linguistica, bisognerebbe dare a quest’ultima un’estensione più grande di quanto si faccia generalmente». 48 Cfr. intra I, pp. 387 e sgg. 49 Steinthal cita sempre dall’edizione Hartenstein: Johann Friedrich Herbart, Sämmtliche Werke, hrsg. von G. Hartenstein, 13 Bde., Verlag von Leopold Voss, Leipzig, 1850-1852. In essa il saggio Ueber Kategorien und Conjunctionen si trova, come indicato da Steinthal, in VII/3, pp. 482-561. Ora lo si può vedere tra le Psychologische Untersuchungen del 1840 nelle HeSW, XI, pp. 284-343. Nel corso del testo d’ora in avanti segnaleremo i passi dell’edizione Kerhbach-Flügel (HeSW), corrispettivi a quelli citati da Steinthal dall’ed. Hartenstein. 50 La tesi dei circoli e delle petizioni di principio in cui s’imbatte la ricerca filologica è tesi espressa da Boeckh in diversi passi della BoeEM, in proposito si veda intra, III/2, p. 241. 51 La critica della filosofia del linguaggio di Becker. 52 richtig. – Nel corso di questo paragrafo e del prossimo sarà tradotto, a secondo del contesto, come “giusto”, “corretto”, “esatto” o “appropria-

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to”. Questi aggettivi, dovendo rispecchiare il significato di “richtig”, sono utilizzati in riferimento alla logica, in senso alternativo a “wahr” (vero), che è una determinazione della realtà, d’ambito di pertinenza della metafisica. 53 Come si evince dal confronto con intra, I, p. 356 qui Steinthal pensa alla teoria dell’identità dei contrari di Hegel, piuttosto che alla filosofia di Schelling. Il rapporto di Steinthal con l’hegelismo e la dialettica, tuttavia, è estremamente complesso e non può essere ridotto a questo giudizio negativo. Si veda in proposito il paragrafo 4 dell’Introduzione e intra, I/ nota 149. 54 Adolf Trendelenburg, Logische Untersuchungen, Erster Band, Gustav Bethge, Berlin 1840 (in italiano è stato tradotto il III cap. della prima parte dell’opera in Il metodo dialettico, a cura di Marco Morselli, Il Mulino, Bologna-Napoli 1990). Le citazioni di Trendelenburg che Steinthal riporta di seguito, almeno che non sia espressamente specificata un’altra fonte, sono tratte dal I e dal II volume della suddetta edizione delle Untersuchungen. 55 «Die Logik faßt den Begriff als eine Zusammenfassung von Merkmalen» si legge in A. Trendelenburg, Logische Untersuchungen, cit., p. 8. – Merkmalen sta per “caratteri” o “qualità” in riferimento alle cose, per “note” in riferimento ai concetti. Nel corso della traduzione, e a secondo del contesto, Merkmal si tradurrà anche diversamente. Cfr. intra, I/ nota 129. 56 La più accurata esposizione di Steinthal sulla separazione voluta da Aristotele tra logica formale e pensiero psicologico si trova in GSGR, I, pp. 196 e sgg. Ai suoi occhi questa teoria rimane un importante guadagno del magistero del filosofo, mentre il mancato riconoscimento di una logica interna della lingua diversa dalla logica formale del pensiero è il sintomo più significativo della debolezza teorica di un’intera epoca, che giunge fino agli stoici e, in avanti, fino alla scuola di Port-Royal. Steinthal tuttavia spiega più volte l’importanza del sistema aristotelico della conoscenza, ritenendo che sia necessario tornarvi dopo l’infausta separazione voluta dalla filosofia moderna tra conoscenza sensibile e regno delle categorie. Per questo si vedano in GSGR I le pagine dedicate alla dottrina degli Analitici Primi e Secondi (pp. 223-235), in PGP, pp. 2-3 (pp. 183-185), in AS, I, pp. 25-26 e intra, III/3, p. 312. Di certo per il riferimento ad Aristotele agì da stimolo il I volume della Geschichte der Kategorienlehre di Trendelenburg apparso nel 1846. 57 Trendelenburg si chiede se si abbia ragione di chiamare la logica formale aristotelica: «Aristotele non esprime mai l’intenzione di concepire le forme del pensiero a partire unicamente da esse. Una tale divisione è estranea ad Aristotele, è un’invenzione nuova» (Logische Untersuchungen, cit., p. 18). Le ragioni addotte da Trendelenburg per la separazione di logica aristotelica e formale si trovano nelle pagine seguenti a questa citazione. 58 «Propyläen. Eine periodische Schrift». hrsg. von J. W. v. Goethe, Cotta, Tübingen 1798-1799. Si veda ora in GoeSW, XVIII, pp. 457-793, partic. p. 468. 59 Raccolto tra le Psychologische Untersuchungen del 1839. In HeSW, XI, pp. 146-147.

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60 Steinthal aveva dedicato a quest’argomento l’articolo Über die Sprache der Taubstummen apparso nel «Deutsches Museum, Zeitschrift für Literatur, Kunst und öffentliches Leben» di Prutz e Wolfsohn, Jg. 1 (Leipzig 1851), pp. 904-925, raccolto anche in GKS, pp. 21-45. 61 Steinthal aveva già affrontato il problema della scrittura nella lingua cinese in Die Entwicklung der Schrift (Dümmler, Berlin 1852, pp. 81 e sgg., anche in KSS, pp. 215 e sgg.), ma qui fa riferimento a Die Wurzeln der verschiedenen chinesischen Dialekte, ricerca vincitrice del premio Volney nel 1854. (La si veda ora in Zur vergleichenden Erforschung der chinesischen Sprache, hrsg. von Jerold A. Edmondson in The Prix Volney III, Contributions to Comparative Indo-European, African and Chinese Linguistics: Max Müller and Steinthal, edited by Joan Leopold, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht/Boston/London 1999, pp. 415-498). La composizione di quest’opera fu eseguita durante la prima parte del suo soggiorno parigino (1852-1853), segnato dall’approfondimento degli studi di sinologia nella prospettiva di una ricostruzione della classificazione delle lingue alternativa all’egemonia del paradigma sanscrito. Una prima volta Steinthal aveva vinto il premio Volney nel 1851, con un trattato su quattro lingue africane, le lingue Soso, Bambara, Mande e Vai. Questo materiale sarebbe confluito poi nel libro Die Mande-Neger-Sprachen. Psychologisch und phonetisch betrachtet, Dümmler, Berlin 1867. 62 Lo spunto per questa argomentazione più volte ripresa dai sostenitori dell’unità di lingua e pensiero viene da un’indicazione humboldtiana contenuta nel §. 9 di La diversità delle lingue: «ogni lingua traccia attorno al popolo cui appartiene un cerchio da cui è possibile uscire solo passando, nel medesimo istante, nel cerchio di un’altra lingua.» HuDL, p. 47. 63 Per quanto l’espressione compaia anche in Organism der Sprache, Steinthal fa qui riferimento alla teoria esposta da K.F. Becker in Das Wort in seiner organischen Verwandlung, Kettembeil, Frankfurt a. M. 1833, pp. 255 e sgg. Becker vi sostiene che la varietà dei fenomeni organici dello stesso tipo, ad esempio i vari esemplari di una stessa pianta, poggia sulla libertà della forza organica interna di assumere diverse forme fenomeniche. Anche la molteplicità dei fenomeni fonetici relativi allo stesso tipo concettuale è segno della libertà con cui si estrinseca la forza unitaria interna della lingua che per Becker coincide con la logica stessa. Il concetto beckeriano di “libertà organica” è criticato da Steinthal nel §. 5 (La libertà, partic.: pp. 8-10) della prima parte di questo libro. 64 Steinthal dimostra la differenza di categorie grammaticali e logiche nel secondo capitolo (Grammatica e Logica sono identiche? – §§. 64-80) della II sezione (Esposizione più accurata della differenza di grammatica e logica) di questa seconda parte. La prima sezione della II parte del libro è stata tradotta per intero (§§. 56-60.); della seconda sezione abbiamo riportato in traduzione il cap. I (§§. 61-63) e segue quella del cap. III (§§. 81-82). 65 HeSW, XI, p. 297. 66 Ivi, pp. 328-329.

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67 Errata corrige segnalata dallo stesso Steinthal, nel testo si legge, invece, “physischen Mechanismus”. 68 Letteralmente: «die ganze Logik eine Moral fuer das Denken ist». Steinthal trae dal Lehrbuch zur Psychologie in Hartenstein, III, p. 127. Ora in HeSW, IV, p. 394 (Manuale di psicologia, a cura di Ignazio Volpicelli, Armando, Roma 1982, p. 126). 69 Steinthal nel corso del testo cita l’opera di Humboldt sulla diversità delle lingue da W. v. Humboldt, Über die Verschiedenheit des menschlichen Sprachbaues und ihren Einfluß auf die geistige Entwickelung des Menschengeschlechts, hrsg. von E. Buschmann, Gedruckt in der Druckerei der Königlichen Akademie der Wissenschaften, Berlin 1836 (numerazione araba) e dal sesto volume (1848, pp. 1-425) delle Wilhelm von Humboldt’s Gesammelte Werke, hrsg. von G. Brandes, 7 Bde., Reimer, Berlin 1841-1852 (numerazione romana). Per la citazione specifica vd. HuDL, pp. 175-176. D’ora in poi si darà in nota il riferimento nell’edizione italiana. 70 Il principio hegeliano non è tratto in modo letterale dall’opera a stampa di Hegel. Una ricerca sulla versione digitalizzata dell’edizione Moldenhauer-Michel delle opere hegeliane tuttavia ha consentito di individuare molti passi a cui Steinthal avrebbe potuto rimandare. Il più significativo, per contenuto e forma, è questo delle Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte: «Es hat sich also erst aus der Betrachtung der Weltgeschichte selbst zu ergeben, daß es vernünfitig in ihr zugegangen sei, daß sie der vernünftige, notwendige Gang des Weltgeistes gewesen» («Solo dall’esame della storia mondiale stessa dovrà risultare che quest’ultima ha proceduto in maniera razionale, ossia che la storia è stata il cammino razionale, necessario dello spirito del mondo»), HegW, XII, p. 22 (Lezioni sulla filosofia della storia, a cura di Giovanni Bonacina e Livio Sichirollo, Laterza, Bari-Roma 2008, p. 11). È possibile anche riscontrare una analogia della citazione di Steinthal con un passo che Hegel, nelle Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, riporta dal Adversus mathematicos (VII, § 127) di Sesto Empirico: «Alles, was uns umgibt, sei selbst logisch und verständig» («tutto ciò che ci circonda sarebbe logico, razionale»), HegW, XVIII, p. 339 (Lezioni sulla storia della filosofia, a cura di Ernesto Codignola e Giovanni Sanna, vol. I, La Nuova Italia, Firenze 1967, p. 324). 71 “Thätigkeit des verständigen Denkens”. Anche di seguito verständig è tradotto con “razionale”, con l’avvertenza che l’aggettivo è riferito a Verstand (intelletto) e non Vernunft (ragione) e indica l’attività logica dell’intelletto. – D’altro canto per Steinthal, tra attività dell’intelletto e della ragione non si innalza alcun vallo, ma si realizza una semplice progressione conforme ai dettami della logica. È lecito, infatti, mantenere la distinzione tra intelletto e ragione solo alla luce di quella tra concetti e idee, senza far ricorso all’ipostatizzazione di funzioni della coscienza separate e autonome. D’altro canto anche la distinzione di concetti e idee non è assoluta: le idee, per Steinthal, sono serie infinite, connessioni aperte, di concetti realizzati e sviluppatesi storicamente; come i concetti, dunque, anch’esse sono riconducibili al meccanismo dell’attività psichica. In una nota di GLP, qui non

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tradotta, l’autore scrive: «la differenza dell’idea dal concetto non è difficile. Il concetto esprime il principio universale, ancora astratto. Al suo interno tuttavia è contenuta la forza creativa per costituire la realtà; ma solo la conoscenza del concetto realizzato e sviluppato in singole e svariate creazioni secondo tutte le direzioni offre l’idea. Il concetto del diritto, ad esempio, è il punto di partenza tanto delle forme del diritto e delle istituzioni legali di un popolo o di un legislatore, quanto della ricerca e della dottrina dei giuristi; l’idea del diritto è il diritto concepito nell’estensione del suo sviluppo, il risultato complessivo della giurisprudenza. Il concetto è astratto, l’idea è la realizzazione e l’esser vivo di esso» (GLP, nota pp. 260-261). Sulle idee o le forme in rapporto alla conoscenza storica Steinthal si sofferma in PGP, pp. 48 e sgg. (pp. 228 e sgg) e intra, III/2 e III/3. Lazarus aveva esposto la sua teoria delle idee in Sulle idee nella storia (1865), cfr. LaPP, pp. 227-314 (in relazione a idee e conoscenza storica si veda Introduzione 2 c.). 72 Alla scuola stoica di Aristarco di Samotracia Steinthal dedicherà un capitolo della sua GSGR II (pp. 82-111): «non dobbiamo farci una rappresentazione troppo alta del livello del suo sviluppo filologico; egli è appunto l’origine e l’inizio (della filologia), non il (suo) culmine e la (sua) perfezione» (II, p. 84). Se Aristarco, come gli altri membri della scuola stoica, non raggiunse la coscienza della distinzione di principio logico e grammaticale secondo Steinthal, grazie ai diligenti e assidui studi, conseguì comunque un tatto e un sentimento filologico che gli permisero di esprimere la massima interpretazione di Omero che l’antichità potesse offrire. Le sue edizioni critiche dell’Iliade e dell’Odissea, per quanto fondate sul ricorso all’analogia, racchiudevano la massima competenza grammaticale dell’epoca. – Aristarco di Samotracia (216 a C. circa - Cipro, 144 a. C.) fu bibliotecario ad Alessandria d’Egitto, commentatore di molti poeti antichi, tra cui Archiloco, Aristofane, Eschilo, rimase celebre per le due edizione critiche, emendate secondo i manoscritti di cui disponeva, dell’Iliade e dell’Odissea e per la loro attribuzione a Omero, in polemica con la scuola di Zenodoto (cfr. intra, II/ nota 40). 73 Philipp Karl Buttmann (Frankfurt a. M. 1764 - Berlin 1829) studiò all’università di Göttingen e nel 1811 divenne segretario della sezione storico-filologica della Akademie der Wissenschaften di Berlino. Fu sodale a Humboldt e Lachmann. La sua opera maggiore è probabilmente la Griechische Grammatik, apparsa nel 1792. 74 Così Mefistofele si rivolge allo studente nella prima parte del Faust, Studierzimmer II, vv. 2038-39 cfr. GoeSW, VII/1, p. 87. (Ed. italiana a cura di Guido Manacorda, BUR, Milano 2008, p. 145). 75 I §§. 130-131, in cui sono discussi il concetto e la funzione della copula non sono stati tradotti. La funzione delle copula rappresentò un problema nodale della filosofia del linguaggio per la scuola logica di Port-Royal e per tutti gli indirizzi logicisti che a essa si richiamavano: per Becker, naturalmente, che, agli occhi di Steinthal, ne fu il massimo rappresentante ottocentesco, ma anche per Bopp, il quale fece largo uso dell’analisi perifrastica dei verbi nella sua Vergleichende Grammatik (1832-1852), sebbene

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con l’intento di dimostrare la parentela interna delle lingue indoeuropee e non di tutte le lingue cfr. intra, II/ nota 33. Per i “filosofi del linguaggio”, o “grammatici logici” – come li designa Steinthal – la copula è il verbo originario di ciascuna lingua; in senso proprio è l’unico verbo, da cui derivano tutti gli altri, espressione dell’identità. I grammatici di Port-Royal, infatti, sostengono che Pietro vive possa essere scomposto nella perifrasi Pietro è vivente e così ciascun verbo possa essere oggetto di questa trasformazione in predicato nominale. Cfr. A. Arnauld e C. Lancelot, Grammaire générale et raisonnée (1660, 16673), edition critique présentée par Herbert E. Brekle, Frommann, Stuttgart 1966, I, p. 94 e sgg. (R. Simone, Grammatica e logica di Port-Royal, Ubaldini, Roma 1969, p. 48 e sgg.). Da ciò deriverebbe che il processo di costituzione di ogni verbo è originariamente avvenuto per associazione della funzione universalmente predicativa della copula e di quella caratterizzante del participio. Se i verbi di tutte le lingue sono costruiti allo stesso modo, se tutti sono espressione dell’identità logica della copula, tutte le lingue rispettano allora, invariabilmente, i dettami della logica. E da qui la centralità dell’analisi della copula per l’asserzione della natura logica della lingua. Steinthal, dal canto suo, nega che i verbi siano stati costituiti in questo modo. Le parole, piuttosto, hanno tutte originariamente una funzione “caratterizzante” (cfr. intra, I, p. 324 e sgg.) e solo in seguito è dato distinguere tra diverse funzioni grammaticali (verbo, participio, aggettivo, avverbio). La connotazione di “universalità” attribuita alla copula dai grammatici logici non è dovuta alla sua originarietà e invariabilità, ma è piuttosto il prodotto dell’analisi astratta a cui i verbi possono essere soggetti dopo essere stati codificati. La copula, per Steinthal, da un lato deve coincidere con la funzione predicativa del solo verbo “essere” (a cui gli altri verbi non sono riducibili), dall’altro esprime la potenza sintetica generale di ogni elemento linguistico provvisto di forma e non dei soli verbi. Un pronome relativo, che connette due frasi, una preposizione, che costituisce il legame di due parole, possono essere considerati, in virtù di ciò, copule (GLP, pp. 367-368). 76 Il riferimento all’“uovo in bilico” nella nota a pie’ di pagina richiama ironicamente l’aneddoto popolare dell’uovo di Colombo. 77 Errata corrige di Steinthal: nel testo si legge, invece di “Ursprache”, “Ursache”. – A proposito del problema glottogonico o della lingua originaria in Friedrich Schlegel, cfr. intra, II/ nota 28. 78 Cfr. Introduzione, par. 1. 79 Si allude all’indirizzo beckeriano. 80 Sprachhistorikern, così Steinthal definisce qui i linguisti storici (geschichtliche Sprachforscher). Sono tutti quegli studiosi che nonostante i loro meriti nella ricerca storica e comparata «non hanno saputo far astrazione dalle categorie della loro lingua madre o piuttosto … dell’antica grammatica greca». SHHP, p. 82 (p. 109). Steinthal in questa fase associa linguistica storica, il cui più importante rappresentante del tempo fu Jacob Grimm, e linguistica comparativa, che ebbe la sua figura più autorevole in F. Bopp. Ciò perché l’analisi morfologico-comparativa condusse spesso a conside-

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razioni di tipo storico-genealogico, ovvero alla teoria della derivazione di una lingua o di un gruppo di lingue da una lingua madre originaria, nota o ormai scomparsa (riguardo alla famiglia sanscrita Bopp ipotizzava che la lingua madre da cui lo stesso sanscrito discendeva fosse ormai scomparsa, mentre F. Schlegel riteneva che proprio il sanscrito antico fosse la lingua madre di quelle appartenenti alla stessa famiglia). D’altro canto anche Jacob Grimm e i linguistici storici facevano largo uso della comparazione, per quanto orientata alle strutture fonetiche e non a quelle morfologiche, per quanto prevalentemente interessati ai mutamenti interni a una sola lingua e non ai rapporti di discendenza tra lingue diverse. 81 Steinthal molto probabilmente pensa a Pott. Che Humboldt non potesse essere onorato abbastanza era l’accusa rivoltagli da Pott in due recensioni polemiche di CS, citate in intra, I/ nota 168. Non mi è riuscito di rintracciare il luogo in cui Pott lamenta che Humboldt non avesse un’effettiva conoscenza del sanscrito. 82 The Origin of Species di Darwin sarà pubblicato nel 1859 e tradotto in tedesco da Haeckel nel 1860. Steinthal ne riconoscerà l’incidenza per la scienza della lingua in un capitolo della III ed. (1877) di Der Ursprung der Sprache (cfr. US 3, 300-319), su sollecitazione di Gustav Glogau (Zur Seelenfrage. Kritik von Steinthals Ansicht über Menschen- und Tierseele in ZVS, VIII (1875), 385-428). La meditazione sulle teorie di Darwin indurrà allora Steinthal ad abbandonare «la finzione» di un uomo «predisposto alla produzione della lingua, ma ancora privo di essa» (US 3, p. 304), ad abbandonare quindi la teoria esposta di seguito (§§. 86-91). Per questi sviluppi del pensiero di Steinthal cfr. Introduzione, par. 9. 83 Generatio aequivoca (o generazione spontanea) e la nascita ex ovo (o generazione ereditaria) sono le tesi opposte che animano il dibattito scientifico sulla generazione degli essere viventi tra XVII e il XIX sec. Le posizioni dei sostenitori della prima e della seconda tesi in realtà non possono essere troppo semplificate, dal momento che insigni sostenitori della teoria ovista, come Buffon e Spallanzani, ritenevano che, dovendosi distinguere tra preformismo e preesistenza dei germi, la tesi della preformazione embrionale potesse anche essere assunta all’interno dell’ipotesi epigenetica. – Per Steinthal non si tratta comunque di scegliere tra l’una o l’altra ipotesi. La sua critica, piuttosto, è volta a coloro che derivano i criteri d’interpretazione dei fenomeni linguistici dalle scienze biologiche e naturalistiche. Sia Friedrich Schlegel e la scuola romantica sia gli indirizzi positivistici di Bopp e Schleicher, avevano tentato di risolvere il problema glottogonico, introducendo parametri e categorie tratti dalla biologia. F. Schlegel, ad esempio, riconduceva il fenomeno grammaticale della flessione a una specie di vegetazione della parola, che a partire dalla radice crea le forme nominali e verbali, mentre l’agglutinazione le avrebbe costituite per giustapposizione meccanica. In ragione della potenza creativa e vegetativa della flessione, Schlegel poteva attribuire alle lingue flessive un’origine divina, radicalmente diversa dall’origine ferina delle lingue agglutinanti e meccaniche. Schleicher, a sua volta, accogliendo la teoria dell’evoluzione darwiniana, parago-

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nava la vita delle lingue a quella degli organismi naturali, collocandone la nascita e il perfezionamento nei tempi preistorici e la decadenza nei tempi storici. Steinthal polemizza qui contro la riduzione delle lingue a organismi naturali. Il problema dell’origine delle lingue deve essere posto sul terreno spirituale che gli è proprio e deve essere risolto dal punto di vista della psicologia herbartiana, che elabora i suoi apparati categoriali entro questa specifica sfera di fenomeni. 84 Di questo primo capitolo diamo una traduzione parziale, presentando i §§. 87, 91 e la parte conclusiva del §. 90. Le altre questioni affrontate nel capitolo sono relative agli stadi dello sviluppo dell’anima prima della comparsa della lingua: al sentimento, alla sensazione, all’intuizione (§. 86); alla natura particolare della percezione (§. 88); agli stadi di sviluppo dell’anima animale (§. 89) e al confronto tra lo sviluppo degli animali e quello degli uomini (§. 90) al fine di mostrare che la disposizione alla lingua è iscritta sia nella costituzione anatomico-fisiologica dell’uomo sia nelle potenzialità della sua anima, mentre è assente in quella degli animali. – Tesi che sarà abbandonata in US 3. 85 Steinthal trae da Johannes Müller, Handbuch der Physiologie des Menschen für Vorlesungen, II Bde., Verlag v. J. Hölscher, Coblenz 1833-1840. 86 Müller ascriveva agli organi percettivi un conatus: «Siamo costretti ad ascrivere a ciascun nervo sensorio determinate energie nel senso di Aristotele, che sono le sue qualità vitali, al modo in cui la contrazione è la proprietà vitale del muscolo» (Ivi, II, p. 255). Il principio nervoso è la forma universale del conatus che si attiva nei nervi ponendoli in funzione. 87 Handbuch der Physiologie des Menschen, II, p. 105. Müller dichiara come fonte dell’esperimento di Chevreul le Notizen aus dem Gebiet der Natur- und Heilkunde, N. 831, periodico d’informazione scientifica, di cui Robert Friedrich Froriep fu coeditore dal 1830. Non ho potuto purtroppo consultare il passo delle Notizen con il riferimento a Chevreul. – Michel Eugène Chevreul (Angers, 31 agosto 1786 - Paris, 9 aprile 1889) fu insigne chimico francese. A partire dal 1830 ricoprì la cattedra di chimica organica del Museo Nazionale di Storia Naturale di Parigi e qui condusse importanti studi sugli acidi grassi. È anche ricordato come pioniere della gerontologia. 88 Nel paragrafo precedente, l’autore aveva distinto tra sensazione (Empfindung) e sentimento (Gefühl). Se quest’ultimo è lo stato soggettivo dominato dalle categorie del piacere e del dolore, «differenza e delimitazione fanno la loro comparsa anzitutto nella sensazione e, anzitutto, in quanto delimitazione spaziale, localizzazione. Pertanto potremmo definire la sensazione, in primo luogo, come sentimento localizzato». (§. 86., p. 240). 89 J. W. Kempelen, Le mécanisme de la parole, suivi de la description d’une machine parlante, et enrichi de XXVII planches, Wien, Bauer 1791 Johann Wolfgang Ritter von Kempelen de Pázmánd (Pressburg, 23 gennaio 1734 - Alservorstadt-Wien, 26 marzo 1804) dopo aver studiato diritto a Vienna, entrò a servizio della corte austriaca, fino a ricoprire la carica di Hofkammerat. In seguito divenne consigliere per la Cancelleria d’Ungheria. Fu anche studioso di meccanica e costruì apparecchiature per giochi d’ac-

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qua, per la produzione del vapore e un meccanismo per parlare (Sprechmaschine). La sua costruzione più nota fu «Il turco» un apparato meccanico per giocare a scacchi, presentato alla corte di Vienna nel 1769, il quale, dopo molte peripezie, finirà negli Stati Uniti, per mano di Johann Nepomuk Maelzel. Sia detto solo per inciso, la fama del “turco” risale a un famoso racconto di Edgar Allan Poe del 1835, ispirato all’automa di Kempelen: Maelzel’s Chess-Player. Walter Benjamin, che aveva letto il racconto di Poe nella traduzione francese di Baudelaire, nella I tesi di Sul concetto di storia (1940) scrive: «In Wahrheit saß ein buckliger Zwerg darin, der ein Meister im Schachspiel war und die Hand der Puppe an Schnueren lenkte» («in verità c’era seduto dentro un nano gobbo, maestro nel gioco degli scacchi, che guidava per mezzo di fili la mano del manichino»). 90 Rudolph Hermann Lotze, Medicinische Psychologie oder Physiologie der Seele, Weidmann, Leipzig 1852. Qui Steinthal trae dal secondo libro (Von den Elementen und dem physiologischen Mechanismus des Seelenlebens). – Non solo la fisiologia e la psicologia di Lotze ebbero una grande importanza per l’opera di Steinthal, ma anche la sua gnoseologia e filosofia. Già in una lettera a Lazarus del 26 dicembre 1854, Steinthal apostrofa Lotze come «il massimo filosofo dell’epoca post-herbartiana». (BelLS I, p. 279) e il giudizio è ripetuto nella prefazione a questo libro (p. XX). Lotze stesso, nel 1864, si premura col suo editore, Salomon Hirzel, che fosse inviata la terza parte del Microcosmo da poco pubblicata a Steinthal (Cfr. Lotze H., Briefe und Dokumente, zusammengestellt, eingeleitet und kommentiert von Reinhardt Pester mit einem Vorwort herausgegeben von Ernst Wolfgang Orth, Königshausen und Neumann, Würzburg 2003, 430-431). Nel 1866 il Microcosmo sarà oggetto di una accurata disamina nella «ZVS» (IV-1866, pp. 115-138 e 211-225). La filosofia di Lotze esercita anche un considerevole peso in una ricapitolazione che nel 1877 Steinthal propone della propria Weltanschauung filosofica, delle domande ultime e prime che hanno orientato la sua ricerca: Zur Religionsphilosophie, ZVS, IX (1877), pp. 1-50 (cfr. Introduzione, par. 5). 91 Come detto, non risulta che Steinthal, negli anni degli studi universitari, sia stato formalmente iscritto a corsi berlinesi tenuti da Müller; è tuttavia possibile che ne abbia frequentato singole lezioni e molto probabile che in più d’una occasione assistette a sue conferenze pubbliche. 92 Osso impari a forma di ferro di cavallo, situato nella parte anteriore del collo, che entra a far parte dello scheletro della radice della lingua. 93 “Bildung der Seele” è una traduzione del latino “cultura animi”. 94 A esclusione dei paragrafi dedicati alla natura della percezione, sono tradotte di seguito le parti relative agli altri argomenti toccati da Steinthal. 95 R. H. Lotze, Allgemeine Physiologie des körperlichen Lebens, Weidmann, Leipzig 1851. Di seguito Steinthal cita alcuni passi compresi tra le pp. 450 e 462. 96 Steinthal fa riferimento in particolare ai §§. 89-90 non tradotti. 97 Steinthal aveva esposto la differenza tra memoria (Gedächtniß) e ricordo (Erinnerung) nel §. 89 (pp. 265-266): «il cane ha memoria; ciò, in-

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fatti, non significa altro che ha un’anima capace di percepire impressioni sensibili ben definite; l’impressione sensibile ripetuta deve dunque parergli qualcosa di già noto … La consuetudine con una percezione ripetuta non è ancora coscienza dell’estensione del tempo … il ricordo cerca nella memoria e stabilisce una serie e una suddivisione temporale del passato custodito dalla memoria; allora esso non costituisce semplicemente la facoltà di preservare nell’anima il passato, ma implica la coscienza dell’estensione del tempo trascorso. E ancor di più, esso è riattualizzazione del passato, di un preciso punto del passato, cercato e richiamato intenzionalmente, proprio adesso». 98 Steinthal (nel §. 90) aveva assegnato alla struttura psichica dell’uomo una capacità di percezione estetico-valutativa e non solo utilitaristica della realtà: «l’animale annusa e assapora per riconoscere il nutrimento che fa per lui e sapere quando s’è nutrito a sufficienza. L’uomo sa distinguere il buon odore e il buon sapore». Questa tipologia estetica della percezione diventa rilevante da un punto di vista antropologico nel gioco: «il gioco» che, come la ricerca generale del piacere, è fondato sull’eccedenza di energia e capacità dell’anima umana, «si sazia in fretta di una cosa, richiede variazioni, non tollera l’abituale» (GLP, p. 287). A questo sentimento estetico che accompagna la percezione della realtà bisogna far riferimento per cogliere a pieno la teoria dell’appagamento e del disinteresse per quel che viene ripetutamente percepito. 99 La differenza tra sentimento e sensazione è introdotta da Steinthal nel §. 86. Nella sensazione «l’anima, assieme al suo corpo, si oppone al mondo esterno o si pone al cospetto di un oggetto» (p. 243). Con la sensazione, quindi, l’anima «sperimenta [...] casualmente e in modo non intenzionale» il mondo esterno (pp. 244-245), appunto ne fa esperienza e ciò «non accade nel sentimento», che «è l’unione del corpo col mondo esterno» (p. 243). 100 Nel §. 90, p. 286, Steinthal scriveva che l’animale non può esser considerato “egoista”, ma completamente pervaso da un sentimento pratico o “utilitaristico”. 101 «L’intelletto è la facoltà dell’uomo di adeguare i suoi pensieri alla costituzione di ciò che è pensato». Steinthal trae dall’appendice al Lehrbuch zur Psychologie, ed Hartenstein (cit.), III, p. 175, in cui Herbart propone delle integrazioni al §. 17. La citazione risulta integrata in HeSW, IV, p. 316. 102 Nel §. 89, Steinthal aveva notato che «la coscienza degli oggetti» nell’animale «è ancora debole. Qui … manca la cosa … la categoria di cosa non è ancora diventata attiva» (p. 267). Le cose scriveva nel §. 88 si presentano come intuizioni, ovvero come un «complesso di conoscenze sensibili» tra loro associate: «si vede un certo colore e una certa forma, si ha una certa sensazione tattile e uditiva, da questo complesso di sensazione diverse tra loro associate risulta l’intuizione unitaria del tavolo, della “cosa”» (p. 260). 103 Già «la sensazione» è «la prima forma» della conoscenza dell’esterno, ma con la sensazione, prosegue Steinthal, «l’anima non sa ancora che essa si oppone all’esterno come qualcosa di interno» (§. 86, p. 245, corsivo mio).

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104 Alla «controversia circa l’intelligibilità del divenire», Steinthal aveva dedicato alcune pagine del suo scritto d’abilitazione del 1848, mettendo a confronto le teorie hegeliane sul divenire e il mutamento, presentate nella Logica e nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche, e le argomentazioni humboldtiane relative alla incomprensibilità della lingua nel punto esatto della sua produzione, contenute nella Diversità delle lingue. Da questo confronto traeva la conclusione che «solo attraverso il salto di Hegel si supera l’abisso di Humboldt» e insomma che «per Hegel il vero e proprio divenire della cosa» è «altrettanto incomprensibile o comprensibile che per Humboldt». Si veda SHHP, pp. 61-66 (pp. 93-96); per le citazioni: pp. 64, 66 (pp. 95, 96). 105 Nel testo “indem…hildet”: ma il verbo non è attestato. Si tratta probabilmente di un errore di stampa in cui “hildet” sta per “bildet”. L’errore non è riportato da Steinthal nell’errata corrige premessa all’indice. Steinthal d’altro canto non corregge i semplici errori di stampa e capita, ad esempio, di trovare nel testo: “nnd” al posto di “und” o “fär” al posto di “für”. 106 Si noti l’affinità di questa pagina con la celebre pagina humboldtiana del §. 9 di La diversità delle lingue : «l’attività dei sensi deve collegarsi sinteticamente con l’azione interna dello spirito e da tale collegamento si distacca la rappresentazione, che si fa oggetto di contro alla facoltà soggettiva, facendo in essa ritorno, per venire in quanto tale percepita in modo nuovo. A tal fine è indispensabile il linguaggio: mentre in esso la tensione spirituale si crea un varco attraverso le labbra, il suo stesso prodotto fa ritorno all’orecchio del parlante. La rappresentazione viene promossa a effettiva oggettività, senza per questo essere privata della soggettività.» HuDL, p. 43. 107 Con il termine “patognomico”, Steinthal indica i fenomeni espressivi corporei che si trovano in rapporto immediato con i sentimenti dell’animo. Il termine «patognomica», o «semiotica degli affetti», fu coniato da Lichtenberg nel 1778 (Über Physiognomik wider die Physiognomen) contro la fisiognomica di Lavater. Lichtenberg vi attribuiva il significato di «conoscenza dei segni naturali dei moti dell’animo secondo tutte le loro gradazioni». 108 Cfr. intra, I/ nota 63. 109 Abbiamo già detto che nel §. 88., Steinthal aveva definito l’intuizione il complesso unitario delle conoscenze sensibili o sensazioni di un’essenza reale. Se però, come si è visto, «la sensazione è in primo luogo sentimento localizzato», allora le intuizioni, in quanto complessi di sensazioni, possono anche essere definite come complessi dei sentimenti localizzati. 110 Questo particolare movimento riflesso è quindi uno stadio preciso della coscienza che si eleva oltre la vita fisiologica dell’anima. Il fatto, poi, che le intuizioni teoretiche siano accompagnate e finanche derivino dai sentimenti, ma non coincidano interamente con essi, mostra come questo stadio non sia espressione diretta della vita pratica dello spirito. 111 tozzo, goffo. 112 In italiano somiglia a “tonfete”, quindi all’interiezione utilizzata di fronte a qualcuno che cade.

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gioia, letizia. gioire. 115 l’amico. 116 destriero. 117 In tedesco, infatti, die Gebärende è riconducibile alla stessa radice etimologica di JXQKY sposa)equeen e ne restituisce il significato originario. Così procede Steinthal anche negli esempi che seguono. 118 Figlio maschio. 119 Le parole tedesche su citate da Steinthal per trarne l’etimologia significano rispettivamente in italiano: lupo (Wolf) e topo (Maus). 120 Cfr. US I. Nelle edizioni successive i capitoli su Herder e Hamann cambieranno disposizione ma non contenuto. 121 La prima edizione di La diversità delle lingue apparve, a cura di Buschmann, nel 1836 (cfr. intra, I/ nota 69), Herbart morì nel 1841. 122 Psychologie als Wissenschaft, II, HeSW, VI, p. 160. 123 Cfr. intra I/ nota 102. 124 Il riferimento è molto generico, ma Steinthal pensa alla tradizione della filosofia kantiana. 125 Erkennungssätze – Erkennung ha uno spettro semantico molto ampio, oltre a identificazione sta per constatazione, riconoscimento, conoscenza. 126 Erkennen: il verbo tedesco esprime la duplicità del significato di questo atto che consiste nel conoscere la nuova intuizione associandola alle vecchie dello stesso tipo, ovvero riconoscendola per mezzo di quelle già presenti. Non vie è soltanto, tuttavia, la duplicità del conoscere/riconoscere. Lo stesso riconoscimento è duplice: attraverso le vecchie, infatti, si conosce la nuova intuizione, ma, come s’è visto nel §. 92, è grazie alla nuova intuizione che le vecchie possono riemergere ed essere unificate. Questo processo sarà poi ricondotto da Steinthal alla dinamica dell’“appercezione” (ZS, pp. 86-87), a partire da una categoria della psicologia herbartiana già discussa da Drobisch (Empirische Psychologie nach naturwissenschaftlicher Methode, Voss, Leipzig 1842, p. 45 e sgg.) e utilizzata da Lazarus a proposito della funzione categorizzante della lingua (Geist und Sprache in Das leben der Seele, Zweiter Band, Schindler, Berlin 1857, pp. 28 e sgg.). Lo stesso Steinthal darà un’interpretazione ampia e originale delle diverse categorie dell’appercezione in AS 1, pp. 166-261. Per il circolo di conoscere/riconoscere in senso ermeneutico-filologico, con riferimento quindi alla dottrina platonica delle idee, Steinthal pensava senz’altro alle lezioni di Boeckh. In proposito vd. intra, III/3. 127 Si vedano i §§. 60-62 di K. F. Becker, Organism der Sprache, cit., pp. 230-236. 128 Cfr. intra, I/ nota 54. 129 “Merkmalwort”. “Merkmal”, infatti, in riferimento, alla “cosa”, in senso metafisico, può essere espresso con “qualità”; in senso linguistico, come corrispettivo di “Dingwort” (“parola che indica la cosa”) o “Thätigkeitwort” (“parola che indica l’azione”), può essere reso con “parola 114

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che indica la qualità”. (Si ricordi anche che Merkmal in riferimento al “concetto” è stato tradotto con “nota”). Ma qui Steinthal, con Merkmalwort, indica qualcosa di diverso dalla funzione grammaticale “sviluppata”: indica la funzione grammaticale originaria della parola, ovvero il processo psicologico attraverso cui si giudica un’intuizione astraendo dal complesso delle caratteristiche dell’intuizione un aspetto che valga come sostitutivo e rappresentativo dell’intera intuizione. Merkmalwort, quindi, è qui tradotto con “parola caratterizzante” per distinguere la funzione grammaticale originaria dalle determinazioni storico-grammaticali. Si è già visto, infatti, che la forma interna della lingua ha uno sviluppo storico ed è caratterizzata da diversi stadi: nello stadio in cui si costituiscono le “parole caratterizzanti” non si danno ancora determinazioni grammaticali differenti tra loro, né Dingwörter, né Thätigkeitwörter e nemmeno Merkmalwörter. Piuttosto, le “parole caratterizzanti” stanno a fondamento di ogni distinzione linguistica ulteriore. Per questo di seguito Steinthal afferma che lo sbranante è grammaticalmente un sostantivo, ma “in sé”, cioè in senso originario, una parola caratterizzante. 130 Immanuel Kant, Kritik der reinen Vernunft, hrsg. von G. Hartenstein, Leopold Voss, Leipzig 1853. Hartenstein aveva anche editato, ancor prima di Rosenkranz, le opere complete di Kant (Immanuel Kant’s Werke, sorgfältig revidierte Gesammtausgabe in zehn Bänden, hrsg. von Gustav Hartenstein, Modes & Baumann, Leipzig 1838-1839). Il passo riportato da Steinthal lo si veda ora in KaGS, III, pp. 85-86 e in ed. italiana Critica della ragione pura, a cura di Pietro Chiodi, UTET, Torino 1967, pp. 137-138. 131 Sono passi contenuti nello stesso paragrafo da cui è tratta la citazione riportata nel corpo del testo: Dell’uso logico dell’intelletto in generale, p. 86 (p. 138). 132 Psychologie als Wissenschaft, II, HeSW, VI, p. 161. 133 «Der kleine Gott der Welt bleibt stets von gleichem Schlag, / Und ist so wunderlich als wie am ersten Tag. / Ein wenig besser würd’ er leben, / Hätt’st du ihm nicht den Schein des Himmelslichts gegeben; / Er nennt’s Vernunft und braucht’s allein, / Nur tierischer als jedes Tier zu sein.» («Codesto piccolo dio del mondo rimane sempre dello stesso conio: stravagante né più né meno che nel primo giorno. Vivrebbe un poco meglio se tu non gli avessi dato un barlume di luce celeste. Lo chiama ragione e se ne serve soltanto per essere più bestia di tutte le bestie»): Così Mefistofele apostrofa l’uomo nel Prolog im Himmel della prima parte del Faust: vv. 281-286: cfr. GoeSW, VII/1, p. 27 (p. 25). 134 La questione è affrontata nel §. 88. Carattere dell’intuizione sensibile. Si legge: «in che punto nella suddetta serie» (in cui si trovano sentimenti e sensazioni) «assegneremo un posto alla percezione? In nessun punto, perché essa è dovunque! … il concetto della percezione, secondo il suo contenuto, si trova in una serie completamente diversa. La percezione indica solo il fatto, in rapporto all’intero corso dello sviluppo dell’anima attraverso tutte le conoscenze sensibili, che la stimolazione corporea, per mezzo dei nervi e dell’organo centrale, è pervenuta all’anima, è percepita da essa.» (p.

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261). La questione della natura della rappresentazione viene affrontata da Steinthal nuovamente in ZS, pp. 197 e sgg e in AS, pp. 432-445. 135 Psychologie als Wissenschaft, II, HeSW, VI, p. 161. 136 Lettera pubblicata da Rochlitz nella «Allgemeine Musikalische Zeitung», XVII/34 (1815), pp. 563-564, era stata ristampata nel «Wiener Theaterzeitung» nel 1824 e nel 1852. Si tratta di una lettera di cui è andato perso l’originale. Nell’edizione Rochlitz pare sia stata indirizzata al barone “P”, intorno al 1790. Ciò indurrebbe a credere che possa trattarsi del barone Puchberg, confratello massone di Mozart e suo sostenitore, oltre che creditore. In ogni caso il passo non è attestato nelle lettere inviate a Puchberg intorno al 1790, pubblicate nella Gesamtausgabe della Internationale Stifitung Mozarteum di Salzburg: Briefe und Aufzeichnungen. Gesamtausgabe, hrsg. von der internationalen Stiftung Mozarteum Salzburg, gesammelt und erläutert von Wilhelm A. Bauer und Otto Erich Deutsch, 7 Bde., Bärenreiter Verlag, Kassel, Basel, London, New York, 1962-1975. 137 In tedesco “fließen” (scorrere) e “Flüssigen” (“esser liquido”, ma anche “scorrevolezza”). 138 scorrere. 139 lavare. 140 fuoco. 141 purificare. 142 Steinthal allude agli studi ottocenteschi di fonetica storica, il cui esempio classico, per il tedesco, era allora rappresentato dalle ricerche sulle mutazioni consonantiche di Grimm (le Morphologische Untersuchungen di K. Brugmann sarebbero state pubblicate più tardi, nel 1878). Steinthal, tuttavia, pur riconoscendo i progressi in ambito fonetico della linguistica storica, rimase sempre scettico e a più riprese espresse il proprio disappunto nei confronti di una linguistica ridotta a semplice studio di regolarità e variazioni fonetiche. Questo libro di linguistica, al contrario, scrive nella Prefazione, «non è altro che una spiegazione del concetto humboldtiano di forma interna della lingua». GLP, p. XX. 143 Tra costoro di certo A. F. Pott e Benary, ma Steinthal pensa soprattutto alla teoria dei significati elaborata da Reisig e sviluppata dal suo allievo Haase. (Cfr. intra, I/ note 31 e 32). 144 Anzi Humboldt e il miglior Hegel, secondo Steinthal, convergono nel dar sostanza a questa prospettiva metafisica. L’illustrazione di questa teoria, in relazione alla filosofia del linguaggio di Humboldt, occupa quasi per intero il II cap. di SHHP. 145 seine Deutung: anche “la sua interpretazione”. 146 «Reisig», aveva scritto Steinthal «è l’artefice di questa teoria del significato, che in lui però ha ancora un senso molto ristretto, avendo a oggetto soltanto i significati delle parole». GLP, p. XXI. 147 Elegantemente Steinthal sorvola qui su un’espressione poco felice di Herbart «Nei bambini saputelli – e negli ebrei – salta fuori un’avventata inclinazione al giudizio. Molte serie disgregate, molte macerie, devono essersi precocemente accatastate in queste persone e ora sopraggiunge una

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riproduzione superficiale di esse. Questo tipo di uomini è in possesso di molta lingua». Steinthal cita dagli Aphorismen zur Psychologie tratti dall’ed. Hartenstein, VII/3, partic. p. 676; ora in HeSW, XI, p. 426-427 (il corsivo è mio). Alla tesi herbartiana secondo cui la lingua sarebbe per il pensiero una “zavorra”, Steinthal aveva già risposto (cfr. intra, I, p. 335). 148 Questo secondo capitolo, della seconda sezione (La grammatica) della terza parte del libro (Principi di grammatica), comprende, secondo la suddivisione già accennata da Steinthal nei §§. 83 e 117, una breve sottosezione sulla Fonologia (§§. 120-124), una più ampia sulla Forma interna della lingua e un’altra, breve, sulla Copula (§§. 130-131). Di seguito si dà la traduzione solo dei paragrafi sulla forma interna della lingua. 149 La dialettica, per Steinthal, accanto al significato negativo di “pensiero della contraddizione”, o mera “divisione di concetti”, ha anche un significato positivo. Nella I parte del libro (§§. 30-31), infatti, Steinthal rimprovera a Becker la mancanza di senso dialettico, precisando che la dialettica è «la critica che accompagna il pensiero», «la ricerca scientifica stessa» e che, pertanto, non può essere cancellata senza che la ricerca scientifica smarrisca «la propria essenza». (GLP, pp. 69, 68 – si veda in proposito il 4 paragrafo dell’Introduzione). Questa tesi della coesistenza, nella filosofia hegeliana, di un aspetto positivo e geniale e di uno negativo e caduco, è formulata estesamente dall’autore nel I cap. di SHHP. Nel 1852, nel corso di una polemica con Pott, Steinthal ribadisce: «io distinguo in Hegel la sua hegelianità dalla sua genialità» (OSP I, 7). Molto brevemente può dirsi che Steinthal considera guadagni permanenti della filosofia hegeliana la nozione di “dialettica” sia nel senso (suddetto) di momento speculativo e critico inseparabile dal reale processo della scienza, sia nel senso di “critica oggettiva” o vero e proprio sviluppo storico della realtà spirituale. Quest’ultimo significato è più volte ribadito dall’autore attraverso il richiamo allo spirito come soggetto, in polemica con le Weltanschauungen filosofiche in cui lo spirito è concepito come sostanza. Al contrario: nella tendenza alla logicizzazione di tutto il reale, nella concezione della dialettica come mero movimento attorno a determinazioni concettuali e nella divinizzazione che Hegel fa dell’uomo, Steinthal coglie i tratti fondamentali di quella Hegelei o Schwärmerei che accomuna molti degli epigoni del geniale pensatore. 150 Si noti come attraverso la contiguità dei termini “darstellen” (raffigurare, descrivere, ma anche rappresentare), “hinstellen” (porre), “vor Augen stellen” (porre di fronte, lett. davanti agli occhi), risulta efficace in tedesco l’argomentazione. 151 Formwörter. – L’argomentazione di questo paragrafo è volta proprio a distinguere tra i due sensi del termine parola provvista di forma, che, con l’avvertenza che segue, sarà sempre tradotta così. Ogni parola, infatti è “provvista di forma” in rapporto alla determinazione del pensiero (1): nel senso che ogni parola originariamente indica una determinazione, un carattere specifico (forma) dell’intuizione o del concetto (cfr. §. 108). Proprio in quanto “ciò che è indicato”, però, questa forma o carattere specifico “del pensiero” non è “forma” della lingua, ma è la sua

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materia (1a), come sarà chiaro in conclusione del paragrafo. Pertanto, lo scopo di Steinthal è mostrare che il termine “parola provvista di forma” in questo caso non è usato in senso proprio. D’altro canto, le parole possono essere “provviste di forma” in rapporto alla determinazione grammaticale (2), è a dire all’interno della lingua stessa, in modo tale che riflettano “tenuemente”, attraverso rapporti linguistici, i rapporti formali logici o reali. In sintesi, Formwort può essere utilizzato, impropriamente, alludendo all’indicazione di elementi formali del pensiero (1) e, propriamente, alludendo a elementi formali della lingua stessa (2). Allo stesso modo Stoffwort può essere utilizzato in quanto la parola rimanda sempre a un contenuto reale o logico, che rispetto ad essa è qualcosa di materiale (equivalente di “1a”): nel qual caso traduciamo con parola materiale; oppure per indicare il fatto che all’interno della lingua vi sono parole non deputate a esprimere rapporti formali (opposto di 2), ovvero parole che non sono espressione di nessi e rapporti tra le parti del discorso, nel qual caso si traduce con la perifrasi “parola che esprime una determinazione linguistica materiale”. La critica, esposta in questo paragrafo, dell’utilizzazione generica che la tradizione fa del termine Formwort, costituisce, per Steinthal, il primo passo verso la determinazione di un diverso criterio di classificazione delle lingue. Secondo l’utilizzazione odierna Formwort e Stoffwort, in senso grammaticale, corrispondono rispettivamente ai sincategoremi e ai categoremi. 152 Qui nel senso doppio secondo cui gli aspetti del pensiero che rappresentano sono, rispetto alla lingua, sempre elementi materiali (infatti tutte le determinazioni grammaticali si sviluppano da parole caratterizzanti) e che anche in rapporto alla lingua stessa non esprimono rapporti formali. 153 PR, p. 11. 154 HuDL, p. 228 e p. 191. Anche in OSP I, p. 8-9, Steinthal rivendica, contro Pott, il suo punto di vista sulla classificazione come autenticamente humboldtiano. 155 Merkmalsworte – in questo caso una parola che ha una funzione aggettivale in senso proprio e non una parola caratterizzante originaria. 156 Cfr. PR. 157 Gabriel G. Valentin, Grundriß der Physiologie des Menschen, Friedrich Vieweg und Sohn, Braunschweig 1846, p. 451. – Gabriel Gustav Valentin (Wroclau, 8 luglio 1810 - Bern, 24 maggio 1883) fu allievo, nell’università di Breslavia, del fisiologo Purkyne, alle cui ricerche collaborò fino al 1836. In questo stesso anno acquisì la cattedra di fisiologia e anatomia animale presso l’università di Berna, dove la carriera accademica non era preclusa a studiosi di origine ebraica. Condusse importanti ricerche sui nuclei delle cellule, sulla circolazione sanguigna, la digestione e la fisiologia dei sensi. Tra le sue opere più importanti vi è anche il Lehrbuch der Physiologie des Menschen (1844). 158 La questione dei significati che possono essere attribuiti al termine “organismo” è affrontata da Steinthal nel §§. 1-15 della I parte del libro (La grammatica logica).

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159 ein zusammenhängendes System: è a dire, insieme, di connessioni e che crea connessioni. 160 Steinthal fa riferimento al §. 54: L’organismo in Humboldt, non tradotto in questa edizione. 161 Cfr. i §§. 25-26, partic. p. 60 (non tradotti). Steinthal rimanda qui a Becker, Das Wort, cit., p. 24. 162 HuDL, p. 80. 163 vor verständigen Denken: propriamente pensiero intellettivo, ma come si è visto la dimensione concettuale tipica dell’intelletto e quella delle idee tipica della ragione, nella psicologia di Steinthal, non sono di natura diversa: in entrambe sono attive le stesse leggi e gli stessi principi logici. 164 Cfr. intra, III/ nota 27. 165 Steinthal trae da Henri Milne-Edwards, Introduction a la zoologie générale, V. Masson, Paris 1853, p. 85. – Henri Milne-Edwards (Bruges, 23 ottobre 1800 - Paris, 29 luglio 1885), dopo la laurea in medicina conseguita a Parigi nel 1823, fu allievo di Georges Cuvier. Insegnò igiene e storia naturale al «Collegio Centrale delle Arti e dell’Artigianato» e poi entomologia al «Museo Nazionale di Storia Naturale» di Parigi. Tra i suoi libri più importanti vi sono la Histoire naturelle des Crustacés (3 voll., 1837-1841) e le Leçons sur la physiologie et l’anatomie comparée de l’homme et des animaux (1857-1881), in 14 volumi. 166 “nur ungefähr”. Obiezione, questa, avanzata tra l’altro da Humboldt a proposito delle critiche rivolte da Langlois a Schlegel per non aver sempre tradotto con la stessa parola latina il medesimo termine sanscrito. Humboldt, dunque, prendendo posizione in questa disputa scriveva: «giudicando una traduzione si deve sempre partire anzitutto dal presupposto che il tradurre è un compito insolubile, giacché le varie lingue non sono sinonimi di concetti costruiti nello stesso modo … Ogni traduzione può essere soltanto un avvicinamento, non solo alla bellezza, ma anche al senso dell’originale», Ueber die Bhagavad-Gîtâ. Mit Bezug auf die Beurtheilung der Schlegelschen Ausgabe im Pariser Asiatischen Journal (1825), HuGS, V/1, pp. 158-189 (W. v. Humboldt, Scritti su Bhagavadgita, a cura di F. Ghia, Morcelliana, Brescia 2008). 167 unsagbar: letteralmente “indicibile”. 168 L’opera di Otto von Böhtlingk a cui Steinthal fa riferimento è Über die Sprache der Jakuten. Grammatik, Texte und Wörterbuch, Buchdruckerei der Kaiserlichen Akademie der Wissenschaften, St. Petersburg 1851. Böhtlingk dedica l’intera Einleitung di questo libro a confutare l’articolazione proposta da Steinthal in CS, secondo cui non si danno che due diverse classi delle lingue: quelle provviste forma e quelle prive di forma. Böhtlingk ne reca in dubbio la validità proprio in rapporto alle sue ricerche sulla lingua jakuta, rimandando anche agli studi sul turco di Schott e alla classificazione di Pott. Per Steinthal, come risulta da queste pagine, non si tratta di opporre alle tre classi delle lingue isolanti, agglutinanti e flessive, individuate da Pott in continuità con la tradizione degli studi storicocomparativi, le due classi suddette. E, d’altro canto, entro l’articolazione

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secondo “criteri fisiologici” (lingue con forma e prive di forma), Steinthal manterrà la suddivisione morfologica classica (lingue isolanti, agglutinanti, flessive), anche in CHTS, pp. 324 e sgg. L’introduzione delle caratteristiche fisiologiche delle lingue piuttosto costringe a ripensare il criterio o il metodo stesso della classificazione e deriva dalla tesi della separazione di logica e grammatica (cfr. Introduzione, par. 10). – Non mi è purtroppo riuscito di rinvenire lo scritto in cui Pott invita Steinthal a rispondere a Böhtlingk. In una lettera a Julius Harrwitz (direttore della casa editrice Dümmler) della fine del 1854, si trova un cenno a proposito della redazione di questa nota che commentiamo. Steinthal, da Parigi, scrive a Harrwitz che Pott lo avrebbe invitato a rispondere in una recensione apparsa o nei «Blätter zur literarischen Unterhaltung» oppure nella «Zeitschrift der orientalischen Gesellschaft» (BelLS, II/2, p. 378). Il passo, però, non si trova né in Die neuere Sprachwissenschaft, «Blätter zur literarischen Unterhaltung», 22 (1852), pp. 505-517, né nell’altra recensione polemica richiamata da Steinthal, che Pott aveva dato alle stampe dopo la pubblicazione di CS, è a dire: Zur Frage über die Classification der Sprache, mit besonderer Rücksicht auf die Schrift: Die Classification der Sprachen, in «Zeitschrift der Deutschen morgenländischen Gesellschaft», VI (1852), pp. 287-293. D’altro canto, Steinthal, a Parigi, non aveva a portata di mano gli scritti di Pott e lo stesso Harrwitz non inserirà la citazione precisa, giacché non la potette trovare seguendo le indicazioni dell’autore. È certo, dunque, che Steinthal dà indicazioni sbagliate a proposito della citazione. Non vi sono però riscontri sufficienti a mostrare che commetta un errore anche nell’attribuire a Pott l’invito rivoltogli di rispondere a Böhtlingk. – Le pagine in cui Humboldt critica il sistema classificatorio basato sull’enumerazione di tempi e modi del verbo, piuttosto che sulla forma in cui la «forza sintetica del verbo si estrinseca», si trovano in HuDL, p. 176. Il lavoro metodico in cui Steinthal tornerà sulla questione della classificazione è CHTS (1860), il cui contenuto sarà ulteriormente sviluppato da F. Misteli in AS, II (1893). – Otto von Böhtlingk (S. Petersburg, 11 febbraio 1815 - Leipzig, 1 aprile 1914) studiò lingue orientali a Lubecca e poi sanscrito a Berlino e Bonn. Nel 1842 rientrò in Russia, divenendo membro dell’Accademia Imperiale delle Scienze. La sua opera più importante fu il Sanskrit-Wörterbuch (1855-1875), curato assieme a Rudolph Roth. 169 M. Lazarus, Über den Begriff und die Möglichkeit einer Völkerpsychologie in «Deutsches Museum», I (1851), pp. 112-126. Ora in LaGV, pp. 3-25 e LaPP, pp. 59-76. 170 Cfr. Psychologie als Wissenschaft, II, HeSW, VI, pp. 16-17. 171 Cfr. il primo volume di Carl Ritter, Die Erkunde im Verhältniß zur Natur und zur Geschichte des Menschen oder allgemeine vergleichende Geographie, XIX Bde., Reimer, Berlin 1817-1859. – Carl Ritter (Quedlinburg, 7 agosto 1779 - Berlin, 28 settembre 1859) è considerato l’antesignano e il fondatore della geografia umana e culturale. A partire dal 1820, dopo alcuni anni di insegnamento nel Ginnasio di Francoforte, città in cui aveva conseguito il diploma di laurea, fu chiamato alla cattedra di Geografia

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dell’Università di Berlino. Le sue lezioni furono molto amate non solo dagli studenti della Regia Università, ma anche da parte della società colta e progressista delle città. Ritter contò tra i suoi allievi anche Karl Marx e Otto von Bismarck. Il suo interesse scientifico per i territori africani lo portarono anche a divenire un fermo oppositore della tratta degli schiavi. Steinthal seguì, durante gli anni di studio all’Università di Berlino, un corso di Ritter sulla geografia dell’antica Palestina. 172 HuDL, pp. 9-34. 173 Lazarus esporrà analiticamente questo rapporto in un saggio apparso nella ZVS, II (1862), pp. 393-453: Ueber das Verhältniß des Einzelnen zur Gesamtheit; ora in LaGV, pp. 39-130 (ripreso dalla versione ampliata, apparsa nella terza ed. 1883 di Das Leben der Seele, I, pp. 321-411) e LaPP, pp. 87-140 (dalla versione originaria). 174 La più completa teoria delle diverse configurazioni in cui si oggettiva lo spirito dei popoli si trova in una saggio di Lazarus apparso in ZVS, III (1865): Einige synthetische Gedanken zur Völkerpsychologie; ora in LaGV pp. 131-238 e in LaPP, pp. 141-226.

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NOTE A «PSICOLOGIA DEI POPOLI» 1

HeSW, IV, p. 424 (Manuale di psicologia, cit., p. 160). Psychologie als Wissenschaft, II, HeSW, VI, p. 24. 3 La citazione hegeliana, tratta di seconda mano da Antäus. Ein Briefwechsel über speculative Philosophie in ihrem Conflict mit Wissenschaft und Sprache, (hrsg. von O.F. Gruppe, Nauckschen Buchhandlung, 1831, p. 396) e contestata da Gruppe nelle pagine successive, corrisponde a un passo delle Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte che riportiamo di seguito. Gruppe naturalmente non poteva averla tratta dalle Lezioni, dal momento che la prima edizione di esse è di sei anni posteriore all’Antäus; pertanto o riportava parole direttamente udite dalla voce del filosofo o traeva da appunti d’altri. Delle Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte, nel 1859, quando questo scritto di Lazarus e Steinthal fu redatto, non ne esistevano che due edizioni, quella del 1837 a opera di Eduard Gans e quella del 1840 assemblata da Karl Hegel, figlio maggiore del filosofo. In entrambi i casi si trattava di Nachschriften, i quali sintetizzavano, attraverso alcuni fogli manoscritti del filosofo e i quaderni degli uditori, il contenuto dei cinque corsi universitari dedicati da Hegel all’argomento tra il 1822/23 e il 1830/31, ma non separavano, come nella edizione da poco avviata da Hilting, il contenuto dei corsi relativo a ciascun semestre. Nell’edizione assemblata da Karl Hegel si legge: «Die Natur darf nicht zu hoch und nicht zu niedrig angeschlagen werden; der milde ionische Himmel hat sicherlich viel zu Anmut der Homerischen Gedichte beigetragen, doch kann er allein keine Homere erzeugen; auch erzeugt er sie nicht immer; unter türkischer Botmäßigkeit erhoben sich keine Sänger» («non dobbiamo stimare la natura né troppo né troppo poco. Certo il mite cielo ionico ha contribuito molto alla grazia dei poemi omerici, tuttavia da solo non può generare poeti come Omero, né li genera sempre; sotto la dominazione turca non sono sorti altri cantori»): Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte, hrsg. von Eduard Gans, besorgt von Karl Hegel, Verlag von Duncker und Humblot, Berlin 1840, p. 99, ora in HegW, XII, p. 106 (Lezioni sulla filosofia della storia, cit., p. 70). – Otto Friedrich Gruppe (Danzik, 15 aprile 1804 - Berlin, 7 gennaio 1876) dopo gli studi filosofici e di filologia classica all’università di Berlino diresse, a partire dal 1835, il Feuilleton letterario della «Preußischen Staatzeitung». Lavorò anche al ministero della cultura e dal 1844 fu professore straordinario di Filosofia e Storia nella stessa università. A partire dal 1862 ricoprì la carica di segretario dell’Accademia dell’arte di Berlino. 4 Il periodo che inizia con «All’obiezione che Hegel…» e arriva fin 2

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qui è ripreso da M. Lazarus, Über den Begriff und die Möglichkeit einer Völkerpsychologie (1851), in LaGV, p. 7 (LaPP, p. 62). 5 Carl Friedrich Vollgraff (Schmalkalden, 4 novembre 1794 - Marburg, 5 marzo 1863), dopo gli studi giuridici condotti a Gottinga e Marburgo, svolse la funzione di avvocato e procuratore e approdò alla docenza universitaria nel 1824, insegnando prima Scienze politiche e dal 1832 Economia politica. Il suo interesse era rivolto principalmente all’incidenza delle condizioni fisiche e ambientali sullo sviluppo delle diverse culture dei popoli e di questo sviluppo sull’ambiente stesso. Steinthal e Lazarus pensano probabilmente alle teorie esposte nei tre volumi, apparsi tra il 1851 e il 1855, che costituiscono lo Erster Versuch der Begründung sowohl der allgemeinen Ethnologie aus der Anthropologie wie auch der Staats- und Rechtsphilosophie durch die Ethnologie oder Nationalität der Völker. 6 Cfr. intra, I/ nota 171. 7 Lo scritto apparso nel dicembre del 1812 nel «Deutsches Museum» di Schlegel (II, pp. 485-502) non era stato raccolto nell’edizione Brandes delle opere (1841-1852). Lo si veda ora in HuGS, III, pp. 288-300. 8 Lazarus e Steinthal traggono la citazione non letterale dal VI (1848) vol. dell’ed. Brandes, in cui il saggio humboldtiano si trova alle pagine pp. 426-525 e non, come indicano, dal IV (1843). Lo si veda ora in HuGS, V, pp. 31-106, partic. p. 32. 9 Gustav Friedrich Klemm (Chemnitz, 12 novembre 1802 - Dresden, 25 agosto 1867), direttore della Biblioteca Reale di Dresda, scrisse tra il 1843 e il 1852 una Allgemeine Kulturgeschichte der Menschheit in dieci volumi, in cui, sulla base dello studio dei sistemi dell’organizzazione sociale, individuava uno sviluppo culturale dell’umanità in tre livelli: ferino, dell’addomesticamento e della libertà. – Heinrich Berghaus (Kleve, 3 maggio 1797 Stettin, 17 febbraio 1884), dopo alcuni anni d’insegnamento all’Accademia delle Costruzioni di Berlino, aprì una scuola privata di geografia e cartografia. Su stimolo di Alexander von Humboldt, tra il 1838 e il 1848, diede alle stampe un atlante geografico tematico che riscosse un grande successo. – Moritz Ludwig Frankenheim (Braunschweig, 26 giugno 1801 - Dresden, 14 gennaio 1869) svolse importanti ricerche in ambito scientifico sulla formazione dei cristalli e dal 1850 acquisì il titolo di professore ordinario di Fisica-Geografia-Matematica nell’Università di Breslau. Lazarus e Steinthal fanno qui riferimento alla sua Völkerkunde (1852). – Wilhelm Heinrich Riehl (Biebrich 6 maggio 1823 - München 16 novembre 1897) fu redattore di importanti testate giornalistiche del distretto della Ruhr. L’amicizia con il re del Bayern Massimiliano II lo portò in seguito a Monaco di Baviera, dove insegnò Storia della Cultura e Statistica e divenne membro ordinario dell’Accademia Bavarese delle Scienze. È considerato uno dei fondatori tedeschi della storia della cultura a cui dedicò molte opere. Ricordiamo tra queste: Die Pfälzer. Ein rheinisches Volksbild (1857), Kulturgeschichtliche Charakterköpfe (1859), Kulturstudien aus drei Jahrhunderten (1859) – Carl Theodor Andrée (Braunschweig, 20 ottobre 1808 - Bad Wildungen, 10 agosto 1875), dopo gli studi di storia condotti a Jena, si dedicò alle ri-

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cerche di geografia al seguito di Ritter e A. von Humboldt ed entrò nella redazione del «Bremer Handelsblatt». Nel 1862 fondò la rivista di geografia illustrata «Globus». Il suo ambito di ricerche venne definendosi negli anni sessanta attorno ai fondamenti etnografici del commercio, ne espose i risultati nell’opera in tre volumi Geographie des Welthandels (1862-1877). – Bogumil Goltz (Warschau, 20 marzo 1801 - Thorn, 12 novembre 1870), a partire dal 1846 si dedicò alla scrittura e viaggiò attraverso l’Europa e l’Egitto. Tra le sue opere di etnologia Ein Kleinstädter in Ägypten (1853), Zur Charakteristik und Naturgeschichte der Frauen (1859) e Die Deutschen. Ethnographische Studie (1860), in due volumi. 10 «Das Ausland. Tagblatt/Wochenschrift für Kunde des geistigen und sittlichen Lebens der Völker» fu edita dalla Cotta’sche Buchhandlung dal 1828 al 1893. La «Deutsche Vierteljahrsschrift», fondata da Johann Georg Freiherr Cotta von Cottendorf (1796-1863) nel 1838, interruppe le sue pubblicazioni nel 1870. Il «Magazin für Literatur des Auslandes» nacque come Feuilleton della «Preußische Zeitung», da cui si rese autonomo nel 1832 per volontà di Joseph Lehmann (1801-1871) che ne divenne direttore. La sua pubblicazione s’interruppe nel 1872. Si tratta di organi di informazione e divulgazione scientifica nati dall’intreccio di studi etnologici, etnografici, antropologici e di storia della cultura, a cui però mancava un chiaro orientamento scientifico, che nei propositi di Lazarus e Steinthal proprio la ZVS avrebbe potuto fornire. 11 Ferdinand Baron von Eckstein (Kopenhagen, settembre 1790 - Paris, 25 novembre 1861), d’origine ebraica, per educazione familiare di fede protestante, si convertì al cattolicesimo nel 1809. L’evento segnò profondamente la sua vita interiore e la sua attività intellettuale e politica, da allora improntata a un torbido conservatorismo. Nel 1812 si arruolò nel corpo franco di Lützow e partecipò alla battaglia di Lipsia contro le truppe napoleoniche. In piena restaurazione prestò servizio presso i ministeri francesi della guerra e di polizia, mentre conduceva una febbrile attività divulgativa nell’ambito dell’etnologia e della linguistica. Rappresentò un punto di riferimento per l’ondata restauratrice dei cattolici in Europa e fu, a sua volta, influenzato dai più intransigenti rappresentanti del cattolicesimo filosofico dei primi decenni dell’Ottocento: Görres e Friedrich Schlegel. Hegel commentò polemicamente i suoi scritti di linguistica e filosofia della religione, incentrati sull’idea schlegeliana dell’esistenza di un popolo originario (Urvolk) portatore di un messaggio religioso universale e di una lingua comune da cui sarebbero discese tutte le altre. Eckstein fondò e, tra il 1826 e il 1829, diresse a Parigi la rivista «Catholique» e collaborò assiduamente a testate ultraconservatrici come il «Journal de Marseille», il «Drapeau blanc», «Le correspondent», ma anche con organi di più alto profilo scientifico come la «Revue archéologique». A fogli di questo genere Lazarus e Steinthal pensano qui con ogni probabilità. – Steinthal conobbe Eckstein durante il suo soggiorno parigino (1852-1856) e della sua simpatia per l’uomo è rimasta testimonianza in una lettera del 10 gennaio 1855 a C. Heyse, cfr. BelLS, II/2, p. 406. È certo, in ogni modo, che Steinthal dissente dalle tesi mono-

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geniste e dall’interpretazione biblica dell’origine della lingua come risulta, oltre che dall’intera impostazione della sua psicologia del linguaggio, dalla ironica stroncatura rivolta alle ricerche teologico-linguistiche dell’intransigente Franz Kaulen – cfr. ZVS, III (1865), pp. 225-229 – e, d’altro canto, anche questo riferimento a Eckstein è indirizzato soltanto al metodo sintetico della sua etnologia. Un suo saggio sul ruolo della cultura nel mondo primitivo fu ospitato nel primo numero della ZVS. 12 Nel 1778 James Boswell scrisse («Journal Entry», 7 April 1778) che Franklin avrebbe pronunciato questa frase in presenza di Samuel Johnson (si veda: George Birkbeck Hill, ed., Boswell’s Life of Johnson, vol. III, Clarendon Press, Oxford 1887, p. 245). – Benjamin Franklin (Boston, 17 gennaio 1706 - Filadelfia, 17 aprile 1790), dopo essersi specializzato a Londra, divenne intorno al 1730 direttore del massimo stabilimento editoriale della città di Filadelfia. Partecipò attivamente ai moti d’indipendenza delle Colonie dal Regno Unito, fu deputato alla Convenzione e, assieme a Thomas Jefferson, fu tra i primi firmatari della Dichiarazione d’indipendenza del 4 luglio 1776. Dopo la vittoria dei coloni americani sulle truppe britanniche (1783), si distinse per alcune operazioni diplomatiche condotte presso diversi stati europei. Nella sua vasta opera pubblicistica, oltre i molti pamphlets politici si ricordano la sua Autobiografia (1868) e alcuni scritti di economia, tra cui: A modest inquiry into the nature and necessity of a paper currency (1729) e Position to be examined concerning national wealth (1769). Fu anche affascinato dai fenomeni elettrici e si dedicò agli studi di scienza naturale, giungendo all’invenzione del parafulmine (1752). Raccolse i risultati delle sue ricerche scientifiche in Experiments and observations on electricity (1769). 13 Lazarus avrebbe riaffrontato il tema della facoltà dell’uomo di forgiare strumenti come vantaggio evolutivo rispetto alle altre specie e passaggio dalla vita istintiva a quella culturale in Ueber den Ursprung der Sitten, ZVS, I (1860), 448-449. L’esposizione filosofica più accurata che diede di questa tesi si trova però nel §. 10 di Einige synthetische Gedanken zur Völkerpsychologie (1865). Cfr. LaGV, pp. 180-186 e LaPP, pp. 180-185. 14 «Nur zweierlei sei angemerkt: erstens, daß die Gesetzmäßigkeit der psychischen Erscheinungen bei weitem nicht so äußerlich, deshalb auch deren wissenschaftlich-theoretische Erkenntniß nicht so gleichgültig sein kann» (corsivo mio). Meschiari, traendo da Ueber den Begriff und die Möglichkeit einer Völkerpsychologie in «Deutsches Museum. Zeitschrift für Literatur, Kunst und öffentliches Leben» I/1851, p. 114, traduce: «…e perciò così indifferente alla conoscenza scientifico-teoretica di essi» (LaPP, p. 61). Mi pare, però, che “deren” sia un genitivo e “conoscenza scientifica” il soggetto della proposizione diretta da “kann”. 15 Il passo che inizia da «Bisogna certo riconoscere…» e arriva fin qui è ripreso da M. Lazarus, Über den Begriff und die Möglichkeit einer Völkerpsychologie (1851), in LaGV, pp. 4-6 (LaPP, pp. 60-62). 16 Kurt Wachsmuth (Naumburg, 27 aprile 1837 - Leipzig, 8 giugno 1905), dopo gli studi condotti a Bonn e Berlino, si abilitò all’insegnamen-

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to di Filologia classica e Storia antica, discipline che insegnò a Marburg, Göttingen, Heidelberg e Leipzig. Le sue opere più importanti furono la Einleitung in das Studium der alten Geschichte (1895) e Die Stadt Athen im Altertum in due volumi (1874-90). Nel 1860 era noto per il De Timone Phliasio ceterisque sillographis graecis (1859) e il De Cratete Mallota (1860). – Maximilian J. L. F. von Gagern (Weilburg, 25 marzo 1810 - Wien, 17 ottobre 1889), rampollo dell’alta nobiltà tedesca, ricoprì importanti incarichi politici, si dedicò a un’intensa attività giornalistica e all’insegnamento della storia. Il fratello Heinrich presiedette il Parlamento di Francoforte del 1848, ai cui lavori prese parte anche lui. Fallita l’esperienza politica francofortese, Maximilian prestò servizio ministeriale per lo Stato di Nassau. Nel 1855 entrò a servizio del Ministero degli Esteri dell’impero asburgico, ricoprendo diversi incarichi. 17 Jacob Grimm, Geschichte der deutschen Sprache, 2 Bde., Weidmannschen, Leipzig 1848. L’opera, costituita da una silloge di saggi, rappresenta una continuazione ideale della Deutsche Grammatik apparsa in quattro volumi tra il 1819 e il 1837, che tenta di applicare i risultati della filologia storico-comparativa all’etnologia e alla storia della cultura degli antichi popoli tedeschi. 18 Per la differenza di spirito e anima, cfr. Lazarus, Über den Begriff und die Möglichkeit einer Völkerpsychologie (1851), in LaGV, pp. 10 e sgg. 19 Steinthal aveva già recepito ed esposto sistematicamente le forme dello spirito oggettivo nell’ultimo cap. di GLP cfr. intra, I, pp. 388 e sgg. 20 monade, unità. 21 Cfr. intra, I/ nota 173. 22 Dialetto attualmente in uso nella zona sud-occidentale della Germania. 23 Non mi è purtroppo riuscito di trovare dove gli autori traessero la notizia. 24 jeder Genuß: lett. godimento o consumo 25 Per Humboldt cfr. HuDL, p. 12. Per Schelling Steinthal traeva da Einleitung in die Philosophie der Mythologie in Friedrich Wilhelm Joseph von Schellings Sämmtliche Werke, 2 Abt., 1 Bd., Cotta’scher Verlag, Stuttgart/ Augsburg 1856, p. 61. Steinthal stesso indica questi luoghi dell’opera di Humboldt e Schelling in US IV, p. 64 e p. 82. 26 Cfr. I/§. 102. 27 Gli autori alludono alla «Zeitschrift für vergleichende Sprachforschung auf dem Gebiete des deutschen, Griechischen und Lateinischen», fondata da A. Kuhn nel 1851 e diretta da questi assieme a T. Aufrecht, con cui Steinthal polemizza nella prefazione di GLP (p. XIV e sgg.). Alla rivista fu mutato il titolo nel 1875 («Zeitschrift für vergleichende Sprachforschung auf dem Gebiete der indogermanischen Sprachen») e nel 1988: «Historische Sprachforschung». – Franz Felix Adalbert Kuhn (Königsberg in der Neumark, 19 novembre 1812 - Berlin, 5 maggio 1881) studiò sanscrito e filologia all’Università di Berlino. Ispirato dalla Deutsche Mythologie (1835) di Jacob Grimm, si dedicò allo studio delle storie e delle saghe germaniche. Raccolse i risultati di queste ricerche in Märkische Sagen und Märchen

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(1843) e Norddeutsche Sagen, Märchen und Gebräuche (1848). Si distinse anche negli studi di linguistica e storia dei popoli indogermanici. I suoi capolavori in quest’ambito sono: Zur ältesten Geschichte der Indogermanischen Völker (1845), nel quale cercò di render conto delle originarie civiltà tedesche, confrontando ed analizzando i significati delle più antiche parole e delle loro derivazioni nelle differenti lingue; Die Herabkunft des Feuers und des Göttertrankes (1859) e Über Entwicklungsstufen der Mythenbildung (1873), in cui sostenne che le origini dei miti devono essere ricercate nel dominio della lingua. Con riferimento al libro del 1859, Steinthal pubblicò – in «ZVS», II (1862), pp. 1-29 – l’importante saggio Die ursprüngliche Form der Sage von Prometheus. 28 L’affinità per Steinthal, come per Bopp e Humboldt, non dipende da una derivazione delle lingue sanscrite dalla lingua sanscrita, ma è il dato che si ricava dalla somiglianza delle strutture morfologiche delle lingue così denominate. Vi è quindi una presa di distanza dalla tesi espressa da F. Schelgel in Über die Sprache und Weisheit der Inder (1808), secondo cui l’affinità grammaticale testimonierebbe la derivazione genealogica delle lingue europee e persiana antica (zoroastriana, Zend) da quella sanscrita, come vi è una presa di distanza dall’altra tesi, di larga diffusione dopo l’abbandono della prospettiva schlegeliana, di una derivazione di tutte le lingue sanscrite da una lingua originaria scomparsa. Anche in quest’ultimo caso si tratta di un’ipotesi metafisica non comprovabile dal punto di vista storico e quindi di nessun interesse scientifico. Il problema, secondo Steinthal, va posto e risolto in termini scientifici attraverso l’analisi psicologica della nascita della lingua (cfr. intra, I, p. 228 e sgg.) – Non pare che Humboldt abbia mai esplicitamente suggerito di sostituire alla nozione di “lingue indogermaniche”, quella di “lingue sanscrite”. Lo suggerì, piuttosto, implicitamente, scegliendo la nozione di lingue sanscrite con riferimento alle lingue flessive imparentate con il sanscrito, in molti passaggi di Über die Verschidenheit der menschlichen Sprachbaues (1836) e in particolare nel §. 21 (cfr. HuDL, pp. 172-174). Nella Prefazione al primo volume della seconda edizione, interamente rielaborata, della Vergleichende Grammatik – volume apparso nel 1857 – Franz Bopp scriveva di preferire la dizione lingue “indoeuropee” a quella di “lingue indogermaniche”, giacché non intendeva la ragione per cui proprio i popoli germanici dovessero essere scelti come rappresentanti degli altri popoli appartenenti a questo ceppo linguistico. D’altro canto rispetto alla designazione di “indoeuropee” considerava anche migliore quella di lingue “indo-classiche”, perché gli pareva che il greco e, in misura minore il latino, avessero serbato, nel modo più fedele di ogni altro idioma imparentato, il tipo fondamentale di questa famiglia linguistica. A proposito della scelta di Humboldt che verte sul nome di lingue “sanscrite” osservava che essa era, in effetti, la più adatta, poiché non rimanda a una nazionalità, ma a una carattere fondamentale, a cui prendono più o meno parte tutte queste lingue. Cfr. F. Bopp, Vergleichende Grammatik des Sanskrit, Zend, Griechischen, Lateinischen, Litthauischen, Gothischen und Deutschen (1833-1852), Zweite gänzlich umgearbeitete Ausgabe, Erster Band, Dümmler, Berlin 1857, p. XXIV.

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29 Nomi, in verità, in uso nella lingua tedesca, ma di derivazione latina, non deducibili dunque dalla radice germanica. 30 In modo corrispondente ai termini di origine latina su citati. 31 Endlichkeit: anche “finitudine”. 32 Cfr. intra, II/ nota 27. 33 F. Bopp, Vergleichende Grammatik des Sanskrit, Zend, Griechischen, Lateinischen, Litthauischen, Gothischen und Deutschen, Druckerei der Königlichen Akademie der Wissenschaften, Berlin, 1833-1852. L’opera descrive il sistema grafico e fonetico di ciascuna lingua della famiglia, iniziando dal sanscrito, cosicché ogni suono è confrontato con quello etimologicamente corrispondente delle lingue sorelle. Si procede poi allo studio delle radici, della declinazione pronominale e nominale, della flessione verbale e della formazione delle parole, ponendo in luce gli elementi comuni dei sistemi morfologici delle lingue raffrontate. Per Grimm cfr. intra, II/ nota 17). 34 La citazione è tratta dal capitolo che J. F. Lauer dedica al Parsismo (religione dei Parsi, seguaci di Zoroastro) in System der griechischen Mythologie, II Band, hrsg. von Hermann Wichmann, Reimer, Berlin 1853, p. 65: «Der Parsismus ist der getreue Widerschein der Natur von Iran» («Il parsismo è il riflesso fedele della configurazione naturale dell’Iran»). L’ingenuità denunciata dagli autori dunque è quella che si legge nel Nachlass di Lauer da cui fu redatto il succitato libro, ma essa testimonia di un’interpretazione angusta dell’incidenza della natura sullo spirito in voga in certa antropologia positivistica dell’epoca. – Julius Franz Lauer (Anklam, 25 luglio 1819 - Berlin 22 marzo 1850) studiò con Lachmann all’università di Berlino. Si occupò e scrisse di letteratura omerica e di mitologia. La pubblicazione della sua opera maggiore, gli Homerische Studien (1851), fu portata a termine, dopo la prematura morte dello studioso, dai suoi amici. 35 Hegel spiegò la sua filosofia della religione nelle lezioni universitarie sull’argomento tenute tra il 1821 e il 1831 (cfr. Vorlesungen über Philosophie der Religion, HegW, I-II). La teoria nel seguito attribuita a Hegel della auto-manifestazione di Dio nelle diverse forme delle religioni dei popoli, deriva secondo Steinthal da un fraintendimento del rapporto di universale e particolare. Steinthal aveva già criticato il processo di «deificazione dell’uomo e umanizzazione di Dio» come esito “ironico” della filosofia dello spirito «in virtù del quale Hegel consegue troppo poco, per aver voluto troppo» in SHHP, pp. 9-10 (51-52). 36 Christian Hermann Weisse (Leipzig, 10 agosto 1801 - 19 settembre 1866), aderì inizialmente alla filosofia hegeliana, ma mutò poi indirizzo divenendo seguace della filosofia di Schelling. Fu ideatore di un teismo speculativo avverso all’idealismo panteistico di Hegel. Le sue opere di filosofia della religione più importanti furono Die evangelische Geschichte kritisch und philosophisch bearbeitet (1838), in due volumi, e la Philosophische Dogmatik oder Philosophie des Christentums (1855-1862), in tre. 37 L’opera schellingiana volta nello specifico al tema è Philosophie und Religion (1804), ma anche nelle Philosophische Untersuchungen über das Wesen der menschlichen Freiheit und die damit zusammenhängende Gegen-

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stände (1809) è sviluppato il tema della necessità di Dio di uscire da sé stesso, dalla pura identità, per creare l’esistenza e garantire la libertà. Questo spiegherebbe la religione dei popoli come auto-manifestazione di Dio, piuttosto che espressione del popolo che l’ha prodotta. 38 Utilizzato qui in senso letterale: l’ecumenismo, l’universalismo religioso. 39 Fichte aveva fatto pervenire a Wolf, tramite Hülsen, che si recava in visita presso il filologo, questa “amichevole” ambasciata: «anche a me, seguendo la via a priori della mia ricerca, è parso evidente non tanto che determinati componimenti che attribuiamo a Omero non provengono da un solo autore – ciò infatti è ovvio – , piuttosto che non è tipico della natura originaria dello spirito umano principiare con ciò che, a partire da Aristotele, si definisce un’epopea o in generale produrre qualcosa di tal fatta senza uno stimolo esterno … ; in breve, l’epopea non è fondata sullo spirito umano …, ma sorta in lui casualmente» (Ne abbiamo notizia da una lettera (del 1796) di Fichte allo stesso Wolf: Briefwechsel 1796-1799 in Gesamtausgabe, III/3, hrsg. von Reinhard Lauth und Hans Gliwitzky, FrommannHolzboog, Stuttgart Ban Cannstatt 1972, p. 9). Hülsen riferì a Fichte che Wolf non aveva accettato l’ambasciata di buon grado. Da una lettera del 27 novembre 1798, indirizzata da Friedrich Schlegel a Karoline Schlegel, poi, sappiamo che l’ambasciata di Hülsen fu accolta da Wolf con i suoi tipici “Ironismen” (Cfr. Fichte im Gespräch, hrsg. von E. Fuchs, I/1, FrommannHolzboog, Stuttgart Ban Cannstatt 1978, p. 333). A questo episodio fanno qui riferimento gli autori. – F. A. Wolf, nei suoi fortunatissimi Prolegomena ad Homerum (I vol, 1795), aveva sostenuto la tesi, invero già avanzata da F. Hédelin d’Aubignac (1664-1715) sulla base di una notizia più antica di Flavio Giuseppe, che i poemi omerici fossero stati messi insieme nell’età di Pisistrato unendo canti separati dei rapsodi – dal momento che prima non sarebbe esistita scrittura. L’unità dell’Iliade doveva pertanto discendere dall’unità della leggenda da cui quei canti dipendevano e non dalla forma poetica conferita dall’autore. Le tesi di Wolf sembravano avvalorare con saldi criteri filologici – sebbene la critica successiva ne abbia denunciato l’inconsistenza – l’idea romantica della poesia omerica come espressione della cultura storica di un popolo. 40 Già Xenone ed Ellanico d’Allesandria, i cosiddetti “separanti” allievi di Zenodoto, cercarono di dimostrare che Iliade e Odissea non potevano essere opera dello stesso poeta. 41 Anche l’accusa di perfidia e plagio era stata rivolta a Herder da Wolf, in un furioso articolo apparso nel «Intelligenzblatt der Allgemeine Literatur-Zeitung» del 24 ottobre 1795. Wolf, in particolare, faceva riferimento a un saggio herderiano apparso poco più di un mese prima (settembre 1795) nel mensile schilleriano di «Die Horen»: Homer ein Günstling der Zeit (ora in Johann Gottfried Herder, Sämtliche Werke, XVIII, Weidmann Verlag, Anstalt 1883, pp. 420-445), nel quale Herder avrebbe surrettiziamente usato i risultati del I vol. dei suoi recenti Prolegomena con estrema superficialità, mal comprendendoli e senza un’adeguata preparazione filologica. Il

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filosofo, in verità, s’era già interessato a più riprese alla questione omerica, interpretando Omero come poeta che raccoglie nel suo canto favole, sage e miti di un intero popolo e il cui esametro non è altro che “il metro dei greci”. Col suddetto trattato precisava che la forza della poesia omerica sta nei singoli episodi, più che nell’unità dell’intero. Queste considerazioni coincidevano quindi in larga parte con quelle precedenti sulla nascita della poesia e il suo rapporto con lo spirito dei popoli. 42 Così scriveva Vico: crediamo «quest’Omero sia egli stato un’idea ovvero un carattere eroico d’uomini greci, in quanto essi narravano, cantando, la loro storia.» (Principj di una Scienza Nuova (1744)/ 874). Ma l’intero capitolo sulla Discoverta del vero Omero presenta la tesi protoromantica di un Omero espressione della potenza poetica di un’intera nazione. Solo in un’occasione la ZVS dedicherà attenzione specifica all’opera di Vico: cfr. intra, III/ nota 10. 43 La suddetta critica è esposta da Grote nel XXI capitolo, Grecian Epic. – Homeric Poems, della prima parte (Continuation of Legendary Greece) del II volume di A History of Greece. L’autore vi sostiene la probabile unità e paternità omerica dell’Odissea, ma non dell’Iliade, opera composita e maggiormente frammentaria, difficilmente riconducibile a un’unica fonte. Lazarus e Steinthal, nel testo, fanno però riferimento alla traduzione tedesca dell’opera di Grote: Geschichte Griechenlands, nach der 2 Auflage aus dem Englischen übertragen von N. N. W. Meißner, 6 Bde., Dyt’schen Buchhandlung, 1850-1857. La seconda edizione inglese, da cui quella tedesca è tratta (A History of Greece; from the earliest period to the close of the generation contemporary with Alexander the Great), apparve in 12 volumi a Londra tra 1849 e il 1856. La numerazione tedesca dei volumi pertanto non corrisponde a quella inglese, il capitolo su citato si trova nel I Band dell’edizione tedesca. – George Grote (Cley Hill, oggi London, 17 novembre 1794 - London, 18 giugno 1871) fu discendente di una famiglia prussiana, trasferitasi nel Regno Unito e lì divenuta proprietaria di un importante istituto bancario. Di idee radicali e repubblicane, tra la seconda e la terza decade del secolo, si dedicò alla politica fino all’elezione nella Camera dei Comuni con il partito dei Whigs. Nel 1841 tornò a lavorare nell’istituto bancario di famiglia. Allora terminò la redazione della sua Storia della Grecia, intrapresa probabilmente già a partire dal 1823. Dopo il grande successo riscosso dall’opera ottenne riconoscimenti accademici di rilievo, coronati dalla carica di vice rettore dell’Università di Londra. Pubblicò anche sulla filosofia platonica e aristotelica scritti che non incontrarono la stessa fortuna della Storia. 44 Cfr. intra, III/ nota 27. 45 Jacob e Wilhelm Grimm, Kinder-und Hausmärchen, 2 Bde., 18121815. 46 Johann Heinrich Voss (Sommersdorf, 20 febbraio 1751 - Heidelberg, 29 marzo 1826), studente a Göttingen, fu tra i capi di quell’associazione poetica che nel Musenalmanach di Boie raccolse (1772-1774) i giovani ammiratori di Klopstock. Sposata la sorella di Boie, si trasferì prima a Ottendorf

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e poi a Eutin, ove diresse la scuola della città. Nel 1780 tradusse l’Odissea e l’opera rimase la classica traduzione tedesca di Omero, letta e studiata lungo tutto l’Ottocento. Voss pubblicò anche componimenti poetici propri, evocando figure e luoghi della sua campagna nordica nell’esametro classico. Fino al 1800, compose circa una ventina d’idilli, ma il suo capolavoro lo diede con Luise (1782-1784). Goethe riconobbe d’esserne stato influenzato per Hermann und Dorothea. A Heidelberg dal 1805, Voss redasse ancora traduzioni di testi classici e varie opere polemiche, di cui bisogna ricordare almeno quelle scritte contro Heine (Mythologische Briefe, 2 Bde., 1794) e Creutzer (Antisymbolik, 2Bde., 1824-26), ovvero contro l’avanzante ondata romantica. 47 Il primo volume del Deutsches Wörterbuch di Jacob e Wilhelm Grimm apparve nel 1854. I due studiosi progettarono il dizionario come un’opera monumentale, in cui raccogliere, illustrandone l’etimologia e la storia, tutto il patrimonio linguistico tedesco da Lutero a Goethe. Alla morte degli autori (Wilhelm, 1859; Jacob, 1863) erano redatti i primi quattro volumi, fino alla voce Frucht. All’opera hanno lavorato in seguito numerose generazioni di valenti filologi. L’ultimo volume, il 33esimo, è apparso nel 1960. 48 L’alessandrino deve il suo nome al poema francese Roman d’Alexandre di Bernay, redatto alla fine del XII secolo, in cui questo verso venne utilizzato per la prima volta. La denominazione di «Alexandrin» in Francia risale tuttavia al XIV secolo. L’alexandrin classique è formato da due emistichi di senari con forte cesura. 49 Friedrich Rückert (Schweinfurt,16 maggio 1788 - Neuses bei Coburg, 31 gennaio 1866) divenne popolare coi suoi Geharnischten Sonetten. Animati da un forte spirito patriottico e dalla contestazione contro l’occupazione napoleonica, apparvero sotto lo pseudonimo di Freimund Raimar nel 1814, senza indicazione di luogo e casa editrice. A Stuttgart, dopo la guerra di liberazione dalle truppe napoleoniche, l’autore lavorò alla redazione della «Cotta’sche Morgenblatts» e pubblicò Kranz der Zeit (1817) e Napoleon, eine politische Komödie in zwei Stücken (1816-1818). A queste opere, probabilmente, gli autori fanno riferimento. Rückert insegnò anche Lingue orientali e Letteratura nell’Università di Erlangen, per passare quindi, nel 1841, a Berlino su invito di Federico Guglielmo IV. 50 Il Roman de Renart è una raccolta di racconti medievali francesi del XII e XIII secolo, nei quali sono protagonisti animali al posto di esseri umani. Si tratta di favole satiriche, scritte talvolta in prosa, ma il più delle volte in versi ottosillabici in lingua d’oïl. 51 Bernays spiega l’effetto catartico della tragedia, considerandola l’essenza stessa del genere, nella sua famosa memoria sul trattato aristotelico perduto: Grundzüge der verlorenen Abhandlung des Aristoteles über Wirkung der Tragödie, apparso negli Abhandlungen historisch-philosophische Gesellschaft in Breslau, I, Verlag von Eduard Trewendt Breslau 1858, pp. 135-202. – Jacob Bernays (Hamburg, 11 settembre 1824 - Bonn, 26 maggio 1881) dal 1866 fu bibliotecario capo e professore straordinario a Bonn. Studiò Eraclito e Lucrezio e nel 1855 apparve il suo influente libro

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su G. G. Scaligero. Seguirono altri lavori sulla Cronaca di Sulpicio Severo (1861), Aristotele (1863), Teofrasto (1866), la traduzione dei primi tre libri della Politica di Aristotele (1872), lo studio su Luciano e i cinici (1879). Su suo consiglio, l’Accademia di Berlino iniziò la pubblicazione dei commentatori greci di Aristotele. 52 Carl Julius Ferdinand Schnaase (Danzig, 7 settembre 1798 - Wiesbaden, 20 maggio 1875), dopo gli studi di diritto compiuti a Heidelberg e Berlino, entrò a servizio dello Stato prussiano, ricoprendovi a partire dal 1826 cariche amministrative e politiche. Si interessò agli studi di storia dell’arte, assumendo una posizione critica nei confronti della filosofia dell’arte hegeliana e riconoscendo autorevolezza al metodo storico di Savigny. Concepì gli stili artistici in rapporto allo sviluppo complessivo dello spirito dei popoli e alle diverse configurazioni in cui quest’ultimo si manifesta: la poesia, la religione e la politica. Sotto i suoi auspici, e secondo questi principi metodologici, apparve la monumentale Geschichte der bildenden Künste in sette volumi (1843-1864), che ritrae la storia dell’arte dagli antichi fino al XV sec. – Franz Theodor Kugler (Stettin, 18 gennaio 1808 - Berlin, 18 marzo 1858) condusse studi di storia dell’arte presso l’Università di Berlino, disciplina che insegnò poi all’Accademia d’Arte della stessa città. Ricoprì anche incarichi pubblici nel Ministero Prussiano della Cultura. La sua opera più rilevante fu probabilmente Handbuch der Kunstgeschichte (1842) in due volumi, ispirato ai principi metodologici che furono anche di Schnaase; ma la sua fama è legata alla fortunatissima Geschichte Friedrichs des Großen (1840). 53 Non ho potuto consultare il XV volume della rivista, è possibile che il saggio indicato dagli autori sia uno sviluppo di F. Eckstein, Les Cares ou Cariens dans l’Antiquité in «Revue archéologique», anno XIV (1857), n. 6-7. 54 «Enge des menschlichen Geistes» – Cfr. Lehrbuch zur Einleitung in die Philosophie, Textkritisch revidierte Ausgabe mit einer Einleitung hrsg. von Wolfhart Henckmann, Meiner, Hamburg 1993, p. 315 (Introduzione alla filosofia, tradotta da G. Viddosich, Laterza, Bari 1908, p. 260). Non indico, come ho sempre fatto, l’edizione Kehrbach (HeSW) perché essa presenta come testo base la prima edizione, del 1813, del Lehrbuch, mentre il §. 159, da cui la citazione è tratta, è aggiunto nell’edizione del 1837, la quarta. 55 Così Socrate-Platone si rivolge ad Adimanto: «Forse dunque in ciò che è più grande potrebbe esserci una giustizia più grande e più facile da esaminare. Se volete perciò cercheremo innanzitutto nella città che cosa mai sia la giustizia; e poi in questo modo la osserveremo anche in ciascuno preso singolarmente, considerando la somiglianza di ciò che è più grande nell’idea di ciò che è più piccolo» Repubblica, II, 368e-369a.

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NOTE ALLA SEZIONE DI FILOLOGIA 1

La genesi di questo scritto si trova in una lettera a Hermann Usener, presidente dell’adunanza dei filologi di Wiesbaden, datata 26 agosto 1877: «mi permetto di domandare se fosse possibile inserire l’intervento nella sessione plenaria. … Esso tratterebbe la stessa questione che Schleiermacher ha discusso in un trattato accademico cfr. intra, III/ nota 16. Dilthey, di cui il prossimo fascicolo della nostra rivista ospiterà un lungo saggio sulla Fantasia del poeta, dice qui che la teoria dell’interpretazione da Schleiermacher e Boeckh non ha più fatto progressi. Credo di poter fare un passo oltre questi maestri in relazione alla chiarezza nell’analisi del processo di interpretazione filologica». Sui tempi e le difficoltà legate all’elaborazione dello scritto Steinthal informava Glogau in una lettera del 21 ottobre 1877: «in agosto sono stato invitato da Usener … tanto gentilmente a Wiesbaden da non poter rifiutare. E se vado, non vado a mani vuote. L’intervento sui tipi dell’interpretazione, sebbene su questo argomento abbia tenuto lezioni all’università ben quattro volte, mi è costato quattro settimane, ossia l’intero periodo delle ferie. La questione è difficile e volevo venirne a capo definitivamente. La conferenza sarà stampata negli atti del convegno». Cfr. BelLS II/2, p. 505 e II/1, pp. 63-64. 2 “N. T.” sta per Novum Testamentum. Lachmann ne diede una Editio minor, senza prefazione e apparato critico, nel 1831 (18372; 18463). La Prefazione citata da Steinthal è quella in latino anteposta al Tomus prior dell’Editio maior (Novum Testamentum Graece et Latine, Carolus Lachmannus recensuit, Philippus Buttmannus Graece lectionis auctoritates apposuit, G. Reimer, Berlin 1842-1850; Tomus Prior, pp. V-XLIV) in cui Lachmann discute le questioni metodologiche di fondo del suo lavoro: rifiuto del “textus receptus” erasmiano e ritorno alle fonti manoscritte; soluzione della questione dei vangeli sinottici nel senso di una derivazione di Luca e Matteo da Marco; elaborazione del “principio locale o geografico” per la scelta delle lezioni autentiche. Lachmann antepone una Prefazione anche al Tomo Alter (1850), pp. III-XXVI. – Karl Konrad Friedrich Wilhelm Lachmann (Braunschweig, 4 marzo 1793 - Berlin, 13 marzo 1851) fu chiamato alla Friedrich-Wilhelms-Universität di Berlino sin dal 1825, dal 1827 come ordinario della cattedra di Filologia classica. In seguito fu insignito della carica di Decano (1836/1837 e 1846/1847) e Rettore (1843/1844). Dal 1830 fu anche membro dell’Accademia delle Scienze di Berlino. Fu tra i più importanti riformatori del metodo filologico in relazione alla critica testuale; non sembra tuttavia che Steinthal abbia frequentato le sue lezioni durante gli anni di formazione (1843-1847). Lo conobbe invece personalmente, sebbene occasionalmente, Lazarus (BelLS I, p. 20).

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NOTE AI TESTI

3 Georg Anton Friedrich Ast (Gotha, 29/12/1878 - München 31/10/1841). Tra i massimi esponenti dell’ermeneutica, studiò filosofia e filologia a Jena con Friedrich Schlegel, Fichte e Schelling. Dopo un lungo periodo di insegnamento all’Università di Landshut (1805-1825) fu chiamato all’università di Monaco di Baviera (1826), dove insegnò fino alla morte. È ricordato, oltre che per la sua teoria dell’ermeneutica, per la traduzione in latino in nove volumi dell’opera di Platone (Platonis Opera, 9 Bde und 2 Bde Kommentar, 1819-1832) e per il suo Lexicon Platonicum (3 Bde, 18341839). Cfr. intra, III/2, p. 241. 4 Nella Prefazione del 24 novembre 1877 alla Enzyklopädie di Boeckh – BoeEM, p. V (p. 25) – Bratuscheck informa: «i professori Ernst Curtius, Hultsch, Kiepert, Ad. Michaelis, Preuner, Stark e Steinthal hanno avuto la gentilezza di rivedere singoli capitoli del libro prima della stampa». Com’è noto, l’Enciclopedia di Boeckh apparve a dieci anni dalla morte dell’autore grazie al lavoro di elaborazione e connessione dei materiali delle lezioni compiuto Bratuscheck. – Il lavoro più importante di Ernst Karl Ludwig Bratuscheck (Auleben bei Nordhausen, 2/3/1837 - Gießen, 15/1/1883) è di certo l’edizione dell’Enzyklopädie. Terminati gli studi universitari a Berlino Bratuscheck insegnò fino al 1871 nelle scuole ginnasiali. Nel 1873 conseguì l’ordinariato e gli vennero assegnate le cattedre di Filosofia e di Pedagogia all’Università di Gießen. 5 Giulio Cesare Scaligero (Riva del Garda, 1484 - Agen, 1558). Medico e umanista italiano, noto soprattutto per le sue satire e invettive contro il Ciceronianus di Erasmo, scrisse nel 1540 il De causis linguae latinae, che rappresenta il primo tentativo scientifico di una grammatica latina. Steinthal cita l’opera, annoverandola tra gli esempi classici di grammatica filosofica, anche in AS, I, p. 45. Per questo probabilmente pensa a lui, piuttosto che al figlio, Giuseppe Giulio Scaligero (Agen, 5 agosto 1540 - Leiden, 21 gennaio 1609), il quale fu insigne filologo e umanista, docente a Ginevra e a Leida, dove fu maestro di personalità come Grozio e Heinsius. A Giuseppe Scaligero è normalmente riconosciuto il merito d’essere stato il primo a distinguere le lingue europee secondo quattro famiglie (latina, germanica, slava e greca) individuando la finnica, l’ungherese, l’irlandese, l’albanese e la tartarica come lingue a sé stanti. 6 Cfr., intra, III/3, p. 94. 7 Qui si tratta della differenza tra ciò che è immediato e ciò che è intenzionale, più avanti Steinthal introdurrà un’importante differenza tra “atto” e “azione”. Cfr. intra, III/2, p 249 e sgg. 8 Con le sei forme di interpretazione che seguono, grammaticale, reale, stilistica, individuale, storica, psicologica, Steinthal discute implicitamente la dottrina dell’interpretazione proposta da Boeckh, che nella sua Enciclopedia individua quattro tipi di interpretazione: grammaticale, individuale, storica e per generi (cfr. intra, III/2, p. 244 e sgg.). A Schleiermacher invece Steinthal, come è stato notato da Wach e Gadamer, si richiama per il concetto di interpretazione psicologica al quale, tuttavia, conferisce senso diverso. Per l’interpretazione psicologica in Schleiermacher si veda la seconda

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parte di Hermeneutik und Kritik (testo assemblato da Lücke nel 1838), Friedrich Schleiermacher’s sämmtliche Werke, herausgegeben von Friedrich Lücke, Reimer, Berlin 1838, I Abtheilung, Bd. VII, p. 143 e sgg. 9 Steinthal fa qui riferimento all’aneddoto in versi De Korten pubblicato da Fritz Reuter nella raccolta in dialetto basso tedesco (Plattdeutsch) Läuschen und Rimels, 1853 (ora in Reuters Werke. herausgegeben von Prof. Dr. Wilhelm Seelmann, im Verein mit Dr. Prof. Conrad Borchling und Prof. Dr. Ernst Brandes, Bibliographisches Institut, Leipzig und Wien 1905, Bd I, pp. 205-381, partic. pp. 224-225), sebbene per i segni delle carte Reuter usi i nomi francesi Karo e Pik e non, come Steinthal, quelli tedeschi Schellen e Nichel. Steinthal cita di certo a memoria e il suo ricordo in proposito non è preciso, d’altra parte era un riferimento piuttosto noto al tempo e certo familiare per i filologi a cui si rivolgeva. – Fritz Reuter (Stavenhagen, 7/11/1810 - Eisenach, 12/7/1874) s’iscrisse durante gli anni di studio a Jena (1831) alla Burschenschaft Germania, un’associazione radicale che aveva come programma l’unità e la libertà della Germania. Per questo nel 1833 fu arrestato e nel 1836 condannato a morte con l’accusa di alto tradimento, poi commutata in 30 anni di reclusione. Nel 1840 fu amnistiato e di lì a poco iniziò la sua carriera letteraria in dialetto basso tedesco e, con Läuschen und Rimels, il suo successo. Tra le sue opere più importanti, a parte la raccolta su citata del 1853, Ut mine Festungtid (1862), autobiografia in cui l’autore narra i duri anni di prigionia. Di Reuter esiste anche una traduzione in italiano: F. Reuter, Quand’ero agricoltore. Prima traduzione dal dialetto maclemburghese di Mario Andreis, Edizioni Paoline, Catania 1961. 10 Qui si tratta del contrasto tra naivste, riferito sopra a Omero, e reflectirtere Schriftsteller: quegli scrittori in cui, cioè, l’elaborazione poetica è più immediata e quelli per cui essa è mediata dall’elaborazione teorica, dall’attività riflettente. Era un motivo vichiano accolto dalla psicologia dei popoli e dal dibattito tedesco ottocentesco, quello dell’emergenza della poesia omerica come opera, di un intero popolo (Cfr. intra, II, p. 50). Cfr. in proposito Gustav Eberty, Beurteilung G. B. Vico. Studi critici e comparativi di Carlo Cantoni (Crivelli, Torino 1867), ZVS, VI (1869), pp. 429-464. 11 È possibile che per questa sentenza in latino Steinthal traesse ispirazione da un frammento del De Physis di Gorgia, riportato da Boeckh: «RXMGHL~H^WHUR~H-WHYYUZWDXMWR HMYQQRHL`» (nessuno pensa lo stesso di quel che pensa un altro, nessuno pensa nello stesso modo). Secondo il riferimento di Garzya: fr. 3 bis, 26 Dk; cfr. BoeEM (1877), p. 86 (p. 126). 12 Qui Steinthal riprende Boeckh che aveva scritto: «in uno storico i discorsi dei personaggi possono essere riportati parola per parola, sicché li si deve spiegare secondo la sola personalità di chi li pronuncia, in un dramma invece dietro al carattere dei personaggi c’è sempre la personalità del poeta» BoeEM, p. 125 (p. 165). 13 Steinthal fa genericamente riferimento alle Filippiche I (351 a. C.); II (344 a.C.); III (341 a. C.). 14 A questo problema Steinthal, anche in relazione alla questione omerica e probabilmente al Die Kultur der Renaissance in Italien (1860) di

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Burckhardt, aveva dedicato Der Durchbruch der subjectiven Persönlichkeit bei den Griechen. Ein geschichts-psychologischer Versuch in ZVS II (1862), pp. 279-342. 15 Come detto, Steinthal allude all’interpretazione psicologica di Schleiermacher. 16 L’espressione si trova in Über den Begriff der Hermeneutik mit Bezug auf F.A. Wolfs Andeutungen und Asts Lehrbuch in Friedrich Schleiermacher’s sämmtliche Werke, herausgegeben von L. Jonas, Reimer, Berlin 1835, III Abtheilung, Bd. III, pp. 344-366, precisamente p. 353. (Sulla nozione di ermeneutica con riferimento alle indicazioni di F. A. Wolf e al manuale di Ast in F. Schleiermacher, Ermeneutica, a cura di Massimo Marassi, Bompiani, Milano 2000, pp. 406-487, partic. p. 423). Si tratta del famoso discorso tenuto da Schleiermacher nella seduta plenaria dell’Accademia delle Scienze di Berlino del 13 agosto 1829. L’individuazione di questo riferimento consente anche di chiarire quel passo della lettera a Hermann Usener citata in nota 1, lasciato da Ingrid Belke senza commento. «Il trattato accademico» in cui Schleiermacher discute la questione dell’interpretazione, infatti, è il discorso accademico del 1829, da cui Steinthal trae la citazione qui presa in esame. In ultimo, bisogna ricordare il peso avuto da Dilthey su questo e i saggi che seguono. Il riferimento di Dilthey a Boeckh e Schleiermacher, a cui rimanda Steinthal nella lettera a Usener, si trova in Über die Einbildungskraft der Dichter in «ZVS», X (1878), pp. 42-104, p. 64. In ogni modo non si tratta solo del saggio diltheyano pubblicato nella ZVS. Steinthal scorgeva in Dilthey e nella sua recente interpretazione della filosofia di Schleiermacher (La vita di Schleiermacher, 1870), il punto d’avvio di una nuova stagione filosofica per l’ermeneutica. Punto d’avvio tanto più significativo quanto più inteso a una ricostruzione dettagliata della tradizione ermeneutica tedesca dell’Ottocento. Non è un caso che Steinthal disponga il suo scritto in relazione alla linea Schleiermacher-Boeckh individuata da Dilthey. 17 Il riferimento è alla meccanica delle rappresentazioni di Herbart. Steinthal ne dà l’esposizione più completa in AS I, pp. 110-163. 18 Come hanno osservato Johachim Wach (Das Verstehen. Grundzüge einer Geschichte der hermeneutischen Theorie im 19. Jahrhundert, III, Das Verstehen in der Historik von Ranke bis zum Positivismus, Verlag von J.C.B. Mohr (Paul Siebeck), Tübingen 1933, pp. 244-245) e, più tardi, Hans-Georg Gadamer (Verità e metodo, a cura di Gianni Vattimo, Milano Bompiani, p. 226), queste considerazioni di Steinthal vanno lette in rapporto alle teorie di Schleiermacher sulla meditazione e composizione contenute in Hermeneutik und Kritik (1838), cit., p. 152 e sgg. 19 L’unico riferimento a questi scritti su Böckh che è dato trovare nel carteggio risale a una lettera del 24 agosto 1877, indirizzata da Steinthal a Glogau, ove si dice che l’articolo sull’Enciclopedia di Böckh sta per terminare, cfr. BelLS II/1, p. 59. – Encyklopädie und Methodologie der philologischen Wissenschaften, herausgegeben von E. Bratuscheck, Teubner, Leipzig 1877. Non sempre, nel tradurre i passi di Boeckh riportati da Steinthal, ci

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siamo attenuti alla traduzione italiana di Masullo-Garzya (cfr. Sigle). Solo in pochi casi è stato necessario segnalare un dissenso o alcune lacune. Il lettore tenga anche presente che Steinthal cita dalla prima edizione, curata da Bratuscheck, mentre la traduzione italiana è condotta sulla II ed., accresciuta, di Klussmann (Teubner, Leipzig 1886). Inoltre, dell’opera, è stata tradotta in italiano solo la prima parte, Teoria formale della scienza filologica, pertanto le citazioni che Steinthal trae dalla seconda, Teoria materiale della scienza filologica, non hanno corrispettivo. Per non appesantire le note, ogni qualvolta Steinthal cita nel corpo del testo tra parentesi tonde la pagina dell’Enciclopedia da cui trae, noi aggiungiamo subito dopo tra parentesi quadre la pagina corrispondente nell’edizione italiana. Così che il lettore dovrà interpretare la numerazione contenuta tra parentesi quadre in due modi. Quando segue una numerazione contenuta tra parentesi tonde, essa indicherà le pagine della traduzione italiana dell’Enciclopedia, quando non segue altra numerazione indicherà semplicemente le pagine del testo di Steinthal. Steinthal, ancora, non ricopia Boeckh sempre in modo esatto, a volte tralascia alcuni sintagmi, allora lo si indicherà con un sic dopo la chiusura delle virgolette che riportano la citazione da Boeckh. – Va infine osservato che nella seconda edizione Klussmann mette in bibliografia nel capitolo sulla Teoria dell’ermeneutica: BoeEM (18862), p. 79 (p. 113), lo scritto di Steinthal sull’interpretazione che abbiamo presentato come traduzione della sezione Filologia. 20 Il riferimento, in questo caso generico è ai filosofi romantici del primo Ottocento. 21 Con la nozione di “spinozismo”, Steinthal apostrofa negativamente, a partire dal 1850, la riflessione teorica di Humboldt sulla lingua. In essa lo spinozismo si configurerebbe come mantenimento della sostanza al di fuori del fenomeno. Nell’indagine storica delle singole lingue, invece, Humboldt avrebbe davvero fatto valere il principio della coincidenza di universale e individuale, dello spirito come soggetto (cfr. CS, pp. 15-19 e sgg., 57 e CTS, pp. 20-31). Per una trattazione sistematica di questo motivo cfr. Ringmacher, Organismus der Sprachidee, cit., pp. 28-98. Qui Steinthal comunque non intende riabilitare lo spinozismo come istanza metafisica, ma sottolineare l’esigenza del momento teorico o unitario espressa dal romanticismo a fronte della prospettiva meramente empirica degli “storici puri”, come risulterà chiaro di seguito. 22 Zur Religionsphilosophie, «ZVS», IX (1877), pp. 1-49. 23 Cfr. BoeEM, p. 3 e sgg (p. 37 e sgg.). 24 Altertumsstudium – Nel discutere questa e le definizioni di filologia che seguono e nell’utilizzazione dei termini greci, Steinthal fa riferimento a BoeEM, pp. 5-9 (pp. 39-43). Cfr. anche intra, III/3, p. 307. 25 Secondo Boeckh, infatti, «è chiaro che la polistoria non è un concetto scientifico, in quanto è privo di unità distintiva … è una semplice e rozza empiria senza una qualsivoglia delimitazione precisa e senza idea». BoeEM, p. 7 (p. 41). Già Kant scriveva: «Il sapere storico senza confini precisi è polistoria» (I. Kant, Logica (1800), a cura di Leonardo Amoroso, Laterza,

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Bari 1995, p. 39). Steinthal ne segue qui l’argomentazione. – La nozione di Polyhistorie è ampiamente documentata in numerosi testi del XV e XVI secolo. Con essa si allude in senso generico a un ideale di sapere enciclopedico, risalente alla Ars Magna di Lullo 1235-1316. Se ne trova testimonianza anche nella Pansofia (Pampaedia, 1656) di Comenio (1592-1570). La codificazione della Polyhistorie, tuttavia, risale all’opera di Daniel Georg Morhof 1639-1691, Polyhistor literarius, philosophicus et praticus cum accessionibus a Johannes Frick et Johannes Moller (1704), Neudruck der 4. Ausgabe, Peter Bockmann, Lübeck, 3 t., 1747, Scientia Verlag Alaen Darmstadt 1970. Prima di morire Morhof vide stampati solo i primi due libri del primo tomo. L’aspirazione del volume è quella costruire un organo unitario dello sviluppo storico in relazione ad ambiti disciplinari diversi riconducibili a una stessa epoca, corredando tale organo con la letteratura secondaria nota. 26 Qui Steinthal riporta “des Philologen” invece che “der Philologie”, come si trova nel testo di Boeckh. 27 La citazione diltheyana Steinthal la trae da Leben Schleiermachers, erster Band, Georg Reimer, Berlin 1870, p. 360. La si veda ora in W. Dilthey, Gesammelte Schriften, hrsg. von Martin Redeker, Vandenhoeck & Ruprecht in Göttingen 1970, Band XIII/1, p. 379 (nell’ed. italiana il secondo libro di La vita di Schleiermacher, dove si trovano i passi qui riportati: Fülle des Lebens, die Epoche der anschaulichen Darstellung seiner Weltanschauung, 1796-1802, non è stato tradotto cfr. W. Dilthey, La vita di Schleiermacher, a cura di Francesca D’Alberto, con nota di Fulvio Tessitore, Liguori, Napoli 2008). – Il passo di Schlegel, riportato da Steinthal, secondo cui “il motto di spirito è per la cultura una frantumazione di materiali spirituali” si trova nel frammento 34 di Lyceum. Lo si veda ora in F. Schlegel, Charakteristiken und Kritiken (1796-1801), hrsg. von Hans Eichner, in Kritische FriedrichSchlegel-Ausgabe, Schöningh-Thomas, München-Paderborn-Wien 1967, Band II, pp. 147-163, partic. p. 150 (Frammenti critici e poetici, a cura di M. Cometa, Einaudi, Torino 1998, sezione I, p. 9). Steinthal lo trae, di seconda mano da Dilthey (1870, p. 360; 1970, p. 379). Tutta la tematica della genialità è sviluppata da Dilthey, in questo contesto, a partire dai Lyceum- e dagli Athenäums-Fragmente (1967, pp. 165-255). – Il testo di Lazarus è Das Leben der Seele, I, Dümmlers Verlag, Berlin 1855, ma qui Steinthal cita dalla II ed. del primo volume, del 1876. Il saggio di Lazarus Über Humor era apparso nel «Morgenblatt für gebildete Leser» del 1853 (Nr. 33, 34, 36 e 37). Steinthal lo aveva commentato criticamente in una lettera inviata all’amico da Parigi il 6 maggio 1855, dove lo humor è definito una lex inversa, cfr. BelLS, I, p. 284. 28 Anche se Steinthal non mette il periodo tra virgolette, qui segue alla lettera BoeEM, p. 53 (p. 91). Cfr. intra, III/3, p. 89. 29 Il richiamo di Boeckh a Schleiermacher in relazione alla teoria del circolo ermeneutico, Steinthal lo trae da BoeEM, pp. 84-85 (pp. 124-125). Qui Boeckh segnala come Schleiermacher fosse stato l’unico a scoprire il procedimento compositivo di Platone, risolvendo il circolo tra comprensione del filosofo e comprensione della sua composizione, probabilmente

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pensando a Kritik der Übersetzung des Platon von Schleiermacher (1808). Ma che il compito proprio del filologo sia quello di risolvere la petito principii tra funzione formale e presupposti materiali del comprendere, Boeckh lo aveva già sostenuto a p. 54 (p. 92). Nel richiamo al principio della conoscenza filologica di Ast, con ogni probabilità, Steinthal pensa alla teoria esposta da Ast nelle Grundlinien der Grammatik, Hermeneutik und Kritik del 1808, ma nello stesso anno separatamente dalla teoria dell’interpretazione e della critica, Ast pubblica il suo Grundriss der Philologie. Entrambe le opere sono citate in BoeEM, p. 38 (p. 74) e p. 75 (p. 113). 30 Per l’idea del bene in Platone, cfr. Repubblica, VI, 504a-509b. 31 Anche qui Steinthal segue Boeckh, cfr. BoeEM, p. 60 (p. 98). 32 BoeEM, pp. 81-82 (pp. 121-122). 33 Nel suo scritto sull’interpretazione Steinthal non conferisce a quella per generi alcun valore, per il rischio di formalizzazione e ipostatizzazione implicito nella teoria delle forme letterarie. Nel passo della conferenza di Meissen, in cui Steinthal presenta questa critica, tuttavia, non vi sono cenni espliciti a Boeckh – cfr. PGP, p. 67 e sgg. (p. 246 e sgg.). Boeckh non mancava però di rispondere: «H. Steinthal critica il metodo ideografico per il fatto che in esso le forme letterarie sono considerate idee, cosicché viene ascritta loro una forza autonoma (innewohnende) per cui si sviluppano da sé. Ciò non è vero per lo meno nel caso della mia dottrina. Le forme letterarie non si sviluppano da sé, ma sono realizzate dal popolo attraverso l’opera degli spiriti eletti e sotto l’influsso di tutti i rapporti culturali» BoeEM, p. 709. 34 BoeEM, pp. 155-167 (pp. 197-209). 35 Un amplissima parte del lavoro di Steinthal nella ZVS fu dedicata alle Beurteilungen, così si chiamava la sezione dei fascicoli della ZVS dedicata alle recensioni; quest’articolo stesso ne fa parte. Per la distinzione tra ‘beurteilen’ e ‘urteilen’, in quanto atti spirituali che stanno all’origine della distinzione tra le scienze cfr. intra, I, p. 139 e sgg. Qui, però, si profila un altro motivo della concezione e dell’opera dell’autore. Egli infatti concepì sempre il suo lavoro teorico in connessione all’opera dei pensatori che lo avevano preceduto, quasi un recensire ideale e produttivo. Oltre la testimonianza che ne dà nell’intervento al congresso dei filologi di Wiesbaden sui tipi dell’interpretazione (intra, III/1, p. 26), si veda US 2, p. XII: «… senza un’origine e un movimento indipendente, non posso che esistere nel flusso del corso della scienza, da esso sospinto, fossi pure la più piccola onda». 36 Mi pare che qui Masullo-Garzya siano incorsi in un fraintendimento, infatti Boeckh scrive: «Diese (la stilistica) setzt als Grundlage die Literaturgeschichte voraus, welche durch die individuelle Interpretation in Verbindung mit der generischen geschaffen wird», Enzyklopädie (1886), p. 255 e nella traduzione italiana si legge: «quest’ultima presuppone come base la storia della letteratura che l’interpretazione individuale mette in relazione con quella per generi» (p. 301): ma mettere in relazione è ‘in Verbindung treten/setzen’, mentre qui ‘geschaffen wird’ (‘è fatta’, ‘è costituita’) va accordato con ‘durch’.

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37 Per la teoria steinthaliana dell’intuizione sensibile in relazione alla forma grammaticale si vedano AS I, pp. 96 e sgg., 307-323 e 366-375. 38 Nel testo N.N. abbreviazione riconducibile al latino nomen nescio. 39 Fu giudice, e compì un’ “azione”, quando nel 406 a.C. fu tra i pritani (i 50 buleuti in carica) che accusarono gli strateghi sconfitti nella battaglia navale delle Arginuse di non aver provveduto adeguatamente alle onoranze funebri per i caduti ateniesi; compì un “atto” quando, nel 399 a. C., rispose alle accuse di Meleto, Anito e Licone, giudicò il giudizio dei suoi concittadini e si diede la morte. Steinthal utilizza l’immagine di Socrate anche in un dialogo ideale in cui il filosofo, che ha conosciuto Humboldt nei Campi Elisi e che impersona le idee dello stesso Steinthal, s’interroga e interroga un immaginario linguista “contemporaneo”, uno “Steinthal ancora inconsapevole”, a proposito della linguistica di August Pott e della vera scienza della lingua. Cfr. IS, p. 297 e sgg. 40 La traduzione di questa frase manca nell’edizione italiana. Cfr. BoeEM (18862), p. 256 (p. 302). 41 Cfr. intra, I, pp. 139 e sgg. 42 In verità Hegel suddivide lo spirito oggettivo in diritto, moralità, famiglia, società civile e stato, mentre arte, religione e filosofia sono momenti dello spirito assoluto, cfr. C. W. F. Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, III, Die Philosophie des Geistes, § 483-552 (per lo spirito oggettivo) e § 553-577 (per lo spirito assoluto). 43 Cfr. intra, III/ nota 4. 44 Grundlinien zur Encyklopädie der Philologie, Eduard Anton, Halle 1832, p. V. Nella bibliografia anteposta al III paragrafo dell’Introduzione dell’Enzyklopädie, Boeckh scrive: «la migliore elaborazione enciclopedica è data dai Grundlinien zur Encyklopädie di Bernhardy» (p. 38, Ed. it. p. 74). È piuttosto singolare che Joachim Wach, nel suo Das Verstehen, III (1933), cit., p. 235, dopo aver sostenuto, confondendo i nomi, che Steinthal nell’Enciclopedia di Boeckh «vede realizzato ciò che una volta ‘A. F. Bernhardi’ ha richiesto con parole, che egli cita alla lettera per ben due volte», raccomandi al lettore in nota 3 della stessa pagina di non scambiare ‘August Ferdinand Bernhardi’ con ‘Gottfried Bernhardy’, cioè di persistere nell’errore che lui stesso ha commesso, giacché la citazione che in effetti Steinthal riporta per ben due volte (cfr. intra, III/3, pp. 80-81) è tratta proprio dalla su indicata opera di Gottfried Bernhardy. A G. Bernhardy, comunque, e alla sua Enciclopedia, lo stesso Wach dedica, nella sua storia dell’ermeneutica, il paragrafo immediatamente successivo al capitolo su Steinthal, (pp. 251-266). – Gottfried Bernhardy (Landsberg, 20 marzo 1800 - Halle, 14 maggio 1875) fu dal 1825 professore straordinario a Berlino, mentre nel 1829 successe a Christian Karl Reisig come professore ordinario e direttore del Seminario di filologia di Halle. Le sue opere più significative furono il Grundriß der römischen Literatur (1830) e il Grundriß der griechischen Literatur (1836). Non risulta che Steinthal l’abbia conosciuto personalmente, Lazarus sì, in occasione della discussione della sua dissertazione dottorale (De educatione aesthetica) all’Università di Halle, il 30 novembre 1849 (Cfr. BelLS I, p. 45).

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45 Karl Bernhard Stark (Jena, 2/12/1824 - Heidelberg, 12/10/1879). Studiò filologia classica a Lipsia, Berlino e Jena, dove fu professore straordinario dal 1850 e dal 1851 vicedirettore del Museo Archeologico. A partire dal 1855 fu chiamato a ricoprire la cattedra di archeologia appena istituita a Heidelberg, dove rimase a insegnare fino alla morte. Stark ereditò il Nachlaß di Boeckh, lo commemorò nel 1868 dianzi alla “Versammlung der Würzburger Philologen” e redasse la voce Böckh, August P. della Allgemeine Deutsche Biographie (II, Leipzig 1875, pp. 770-783), ma non portò mai a termine la biografia che qui Steinthal auspica sulla base dell’indicazione datane da Bratuscheck nella Premessa del 24 novembre 1877 alla prima edizione, cfr. BoeEM, p. III (p. 23). 46 Schleiermacher tradusse le opere platoniche in due diversi momenti. La prima e la seconda parte, in cinque volumi, tra il 1805 e il 1810, a questa Steinthal allude qui; una riedizione delle prime 2 parti a cui ne venne aggiunta una 3, in sei volumi, tra il 1817 e il 1828. Furono poi raccolte in: Platons Werke, I Teil/2 Bände, II Teil/3 Bände, III Teil/1 Band, übersetzt von Friedrich Schleiermacher, Reimer, Berlin 1850-1862. 47 Steinthal pensava alla teoria della religione come “intuizione e sentimento universale” esposta da Schleiermacher in Ueber die Religion. Reden an die Gebildeten unter ihren Verächtern del 1799, (ora in Friedrich Schleiermacher Kritische Gesamtausgabe, hrsg. von Günter Meckenstock, Walter de Gruyter, Berlin-New York 1995, Band 12; Id, Sulla religione, traduzione di S. Spera, Queriniana, Brescia 1989), anche in questo caso stimolato dalle pagine dedicate da Dilthey nella sua monografia del 1870 ai discorsi sulla religione di Schleiermacher (cfr. i paragrafi VIII e IX del II libro di Leben Schleiermachers, cit., pp. 383-426). Boeckh non criticò mai apertamente questa teoria, come ad esempio aveva fatto con l’edizione dei dialoghi platonici per questo molto probabilmente, Steinthal apprese il dissenso di Boeckh dalle lezioni universitarie. Tra i vari passi sulla religione presenti nell’Enciclopedia, mi pare particolarmente significativo questo: «la filologia è scienza; il cristianesimo … è una religione positiva … Scienza e religione sono su campi totalmente diversi … la scienza va tenuta affatto distinta dalla religione, altrimenti si sfocia necessariamente nella confusione senza limiti dei tempi nostri» BoeEM, p. 29 (p. 63). Si vedano anche in relazione al dissenso tra Schleiermacher e Boeckh, gli intensissimi passaggi del dialogo immaginario tra Boeckh e il ‘filosofo della storia’, seguace del teologo berlinese: intra, III/3, p. 310 e sgg. 48 Per il riferimento a F. Schlegel cfr. intra, III/ nota 27; per quello a Schleiermacher e Ast, intra, III/ nota 29. 49 La critica boeckhiana all’edizione dei dialoghi platonici di Heindorf (1802-1810) apparve nel fasciolo del luglio 1808 della «Jenaische Allgemeine Literatur-Zeitung». Steinthal la trae però da August Boeckh’s Kritiken, hrsg. von Ferdinand Ascherson und Paul Eichholtz in August Boeckh’s Gesammelte Kleine Schriften, Teubner, Leipzig 1872, Band VII, pp. 46-79. 50 Ueber die kritische Behandlung der Pindarischen Gedichte, letto nelle sedute accademiche del 3 marzo 1820, 13 luglio 1821 e 7 marzo 1822. Stein-

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thal probabilmente lo legge in August Boeckh’s Akademische Abhandlungen, vorgetragen in den Jahren 1815-1834 in der Akademie der Wissenschaft zu Berlin, hrsg. von Paul Eichholtz und Ernst Bratuscheck in August Boeckh’s Gesammelte Kleine Schriften, cit., 1871, Band V, pp. 248-396. 51 Steinthal trae queste notizie dalla Prefazione di Bratuscheck del 24 novembre 1877: «Dal 1809 al 1865, in ventisei semestri, Boeckh tenne lezioni sull’enciclopedia della filologia, alle quali si iscrissero complessivamente 1696 uditori. L’annuncio di tali lezioni suonava originariamente … dal 1816 Encyclopaediam philologicam ex suis schedis docebit…». Cfr. BoeEM, p. III (p. 23). 52 Cfr. intra, III/ nota 44. 53 Con la partizione di Summanden e Facit Steinthal allude qui alla differenza tra parti disgregate da comporre e fare spirituale come principio unitario della composizione. La distinzione vale per l’intera concezione della vita dello spirito e deriva dalla filosofia del linguaggio di Humboldt, il cui merito maggiore agli occhi di Steinthal fu proprio quello d’aver saputo distinguere tra la lingua come materia disgregata, opera – Ergon – e l’essenza della lingua come attività spirituale formativa – Energheia –. Steinthal trae la distinzione da HuDL, p. 35. 54 Cfr. intra, III/1, p. 26 e III/2, p. 255. 55 Steinthal segue qui gli argomenti presentati da Boeckh a proposito della nozione di HMJNXYNOLR~ SDLGHLYD ma anche di HMJNXYNOLD PDTKYPDWD, o SDLGHXYPDWD in rapporto alle attestazioni di Esichio, Isocrate, Aristotele, Gellio, Plutarco, Strabone, Quintiliano e Vitruvio, in BoeEM, p. 34 e sgg. (p. 69 e sgg). Per le citazioni di Boeckh dai maestri greci e latini si rimanda quindi all’edizione italiana. 56 Avanzo l’ipotesi che Steinthal pensi qui al diplomatico e filologo Christian Karl Josias Freiherr von Bunsen (1791-1860), amico di Niebuhr e conosciuto da Boeckh durante una sua visita a Roma, dove il diplomatico era stato inviato prima del suo trasferimento a Londra. Bunsen era inviso a Steinthal, che lo aveva conosciuto proprio a Londra, per il suo Outlines of the Philosophy of Universal History (1854) Cfr. GLP, p. IX e BelLS, II/2, p. 374, nota 6. 57 Steinthal, aveva seguito le lezioni di Boeckh tra il 1843 e il 1847 (cfr. BelLS, p. LXXXV). 58 BoeEM, p. 36 (p. 71). 59 BoeEM, p. 37 (p. 71). 60 BoeEM, 47 (p. 85). 61 Qui Steinthal dà un’indicazione inesatta, in realtà il passo è tratto da BoeEM, p. 53 (p. 91). 62 BoeEM, p. 48 (p. 85). 63 Cfr., intra, III/ nota 29. 64 Ed. it., pp. 195-196. 65 Ed. it., pp. 195-196. 66 Si veda anche PGP dove Steinthal fa più volte riferimento a Die Erhebung der Geschichte zum Rang einer Wissenschaft (1863) di Droysen, soste-

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nendo le sue ragioni contro la History of Civilisation in England (1857-61) di Buckle cfr. PGP, Vorrede der Verfasser non numerato, p. 54 e sgg. e p. 74, la seconda nota asteriscata (pp. 181, 235 e sgg. e p. 237 nota 39). 67 Ermeneutica, critica e costruzione storica, appunto. 68 «L’estensione e il contenuto di un’enciclopedia filologica è determinato e condizionato dall’ampiezza che la filologia s’è acquistata o è capace d’acquistarsi, pertanto le spetta un valore semplicemente storico, un significato come quello della statistica e non è possibile attribuirle un valore legislativo valido per sempre». G. Bernhardy, Grundlinien zur Encyklopädie der Philologie (1832), cit., p. 1. 69 Dovrebbe essere “von diesem” cioè “von dem Special-Studium” e non “von dieser”, come riporta il testo. Si tratta probabilmente di un refuso. Anche Bumann, in KSS, p. 579 riporta, come l’originale, “von dieser”. 70 Cfr. BoeEM, p. 48 (p. 85). 71 BoeEM, 5; (p. 39). 72 Steinthal trae da Immanuel Kant’s Prolegomena zu einer jeden künftigen Metaphysik, die als Wissenschaft wird auftreten können und Logik, in Immanuel Kant’s Sämmtliche Werke, Dritter Theil, hrsg. von Karl Rosenkranz und Friedr. Wilh. Schubert, Leopold Voss, Leipzig 1838. Con “VI” Steinthal non indica il volume delle Sämmtliche Werke, che è invece il III, ma il paragrafo interno della Einleitung della Logik, che titola: Besondere logische Vollkommenheiten des Erkenntnisses. (pp. 205-217). Si veda ora in KaGS, IX, p. 45. (Logica, cit., p. 39). Con bellettistrica è designata la produzione letteraria superficiale, per i concetti di polistoria, pansofia e polimatia cfr. intra, III/ nota 25. 73 L’incertezza di Steinthal deriva dal fatto che la Logica pubblicata da Gottlob Benjamin Jäsche a Königsberg nel 1800 nacque dalla sintesi di materiali disparati, quaderni d’appunti presi a lezione e manoscritti consegnatogli da Kant, tra cui i commenti e le annotazioni allo Auszug aus der Vernunftlehre (1752) di Georg Friedrich Meier, usato da Kant nelle lezioni universitarie fin dal 1755. Non è pertanto possibile una datazione esatta, ma è presumibile come osserva Steinthal, che quelle considerazioni siano riconducibili alle lezioni tenute da Kant tra il 1755 e il 1770. 74 Cfr. KaGS, IX, p. 45 (p. 39): «La polistoria da sola è una dottrina ciclopica a cui manca un occhio, l’occhio della filosofia». 75 È un passo della Terza – Ueber die ersten Voraussetzungen des akademischen Studiums – delle Lezioni sul metodo dello studio accademico del 1803, cfr. Fiedrich Wilhelm Joseph Schelling, Vorlesungen über die Methode des akademischen Studiums in Sämmtliche Werke, hrsg. von K. F. A. Schelling, Cotta’scher Verlag, Stuttgart und Augsburg 1859, I Abteilung, Bd. 5, pp. 207-352, partic. p. 246 (Lezioni sul metodo dello studio accademico, a cura di C. Tatasciore, Guida editori, Napoli 1989, p. 95). Come riportato nel testo, Steinthal trae la citazione da Boeckh. 76 Gottfried Hermann (Leipzig, 28 novembre 1772 - Leipzig, 31 dicembre 1848) fu tra i più importanti rappresentanti dell’indirizzo formale della filologia classica. Dal 1797 professore straordinario a Lipsia, a partire dal

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NOTE AI TESTI

1803 assunse l’ordinariato nella cattedra di eloquenza della stessa città e dal 1809 di eloquenza e poesia. Curò molte edizioni critiche di poeti e filosofi greci e una grammatica (De emendanda ratione graecae grammaticae, 1801) in cui le lingue greca e latina sono considerate, in prospettiva kantiana, sistemi razionali. Attraverso accurati studi sulle interpolazioni negli inni omerici giunse alla tesi secondo cui la nostra Iliade e la nostra Odissea rappresenterebbero allargamenti di due poemi primitivi unitari. 77 La Commissione Storica dell’Accademia bavarese delle Scienze fu fondata nel 1858 dal re Massimiliano II su suggerimento di Leopold von Ranke per dare nuovo impulso alla ricerca della storia tedesca. Non ho trovato nei carteggi notizie che consentano di confermare e datare, la denuncia di Steinthal, ma in una lettera del 19 maggio 1890 a Glogau, Steinthal riferisce d’essere stato un tempo incaricato dalla Commissione di Monaco di scrivere una storia della linguistica tedesca (BelLS II/1, p. 294). Nella sua Einleitung al volume appena citato (pp. IX-LIII), Belke non nomina tra le accademie di cui Steinthal fu membro quella bavarese cfr. p. XXXII. 78 Plinio il Giovane (Como 62 d. C. - 114 probabile). Nella sua complessa produzione ci è rimasto l’epistolario in dieci libri e il Panegirico a Traiano. 79 Dioscoride Pedanio (40 circa d. C. - 90 circa), medico, botanico e farmacista greco, attivo a Roma durante il regno di Nerone. 80 Georges-Louis Leclerc Buffon (Montbard, 7 settembre 1707 - Paris, 16 aprile 1788). Fondatore del Muséum d’Histoire Naturelle, con la sua Histoire Naturelle générale e particulière, pubblicata in più volumi a partire dal 1749 fin quasi alla morte, fu il più importante riformatore settecentesco del metodo degli studi naturalistici. 81 Citazioni tratte da BoeEM, pp. 9-11 (pp. 43-45). 82 Ignaz Schuster (Ellwangen, 5 dicembre 1813 - Unterailingen bei Friedrichshafen, 24 aprile 1869) godette, a metà Ottocento, di una certa notorietà per il suo Catechismo della religione cattolica (1845). 83 Si tratta del famoso Caffè berlinese di Charlottenstraße 36, animato da intellettuali, scrittori e giornalisti, che, durante il Vormärz, aspiravano all’unificazione del paese e all’instaurazione di un regime costituzionale. 84 Così sono anche chiamati Ahura Mazda e Angra Mainyu nella religione di Zoroastro. Entrambi generati dal sommo principio dello Zeruana Akarana (la zona del tempo) rappresentano rispettivamente la luce e le tenebre, il bene e il male, l’inseparabile coppia di gemelli che abita l’universo. 85 Steinthal leggeva in BoeEM, p. 16 (p. 50): «tuttavia questo contrasto (tra filologo e filosofo) non è assoluto, giacché ogni conoscenza, ogniJQZ`VL~, secondo la profonda intuizione di Platone, è sempre una DMMQDYJQZVL~ a un più alto livello speculativo, e perciò la filologia dovrà pervenire ricostruttivamente agli stessi risultati ai quali perviene la filosofia con procedimento opposto». Boeckh, qualche rigo prima, aveva fatto riferimento alla dottrina del sapere come ricordo contenuta nel Menone (84a-85d). Questa è la catena di pensieri che vi si evince: ‘ricordo’ (riferimento al Menone) come ‘rilettura di ciò che è impresso nell’anima’, ovvero ‘rinnovarsi del conosce-

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re’, che nella tradizione della teologia cristiana significa appunto lettura o ri-lettura della sacra scrittura. Pertanto la nozione di DMQDJLJZYVNHL da Boeckh è messa in rapporto alla ‘profonda intuizione’ platonica del ricordo. E così anche in Steinthal. 86 Qui dovrebbe trovarsi la chiusura della parentesi tonda aperta dopo ‘astanti’, che manca, probabilmente per un refuso, sia nel testo originale sia in Steinthal, KSS, p. 589. 87 Cfr. intra, III/ nota 27. 88 BoeEM, p. 9 (p. 43). 89 PGP, pp. 52-52 (pp. 233-234). 90 Cfr. intra, III/1. 91 Cfr. intra, III/2, p. 238. 92 La duplice articolazione della filologia è quella che si determina secondo i diversi popoli e secondo i momenti interni dello spirito (arte, vita privata, lingua, istituzioni politiche). Le pagine del I volume del Compendio indicate da H. Steinthal nel corpo del testo sono quelle del AS I. Per le altre numerose volte in cui l’autore si sofferma sull’argomento si veda almeno: PGP, p. 29 (p. 210). 93 BoeEM, p. 21 (pp. 54-55). 94 BoeEM, p. 21 (p. 55).

BIBLIOGRAFIA La bibliografia è divisa in due sezioni: nella prima si trovano le fonti, nella seconda la letteratura. La sezione fonti contiene gli scritti di Steinthal così suddivisi: 1. Libri; 2. Edizioni postume; 3. Libri curati dall’autore; 4. Articoli e recensioni; 5. Scritti biografici e carteggi; 6. Riedizioni e più importanti ristampe anastatiche di libri e articoli; 7. Traduzioni delle opere di Steinthal in altre lingue. La sezione letteratura è composta dai seguenti studi critici su: 8. Studi su Steinthal 9. Studi sulla Völkerpsychologie. La Zeitschrift für Völkerpsychologie und Sprachwissenschaft è indicata con: «ZVS».

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BIBLIOGRAFIA

SCRITTI DI STEINTHAL 1. Libri De pronomine relativo commentatio philosophico-philologica cum excursu de nominativi particula (Dissertation Tübingen 1847) Dümmler, Berlin 1847 (raccolto nei Kleine Sprachtheoretische Schriften, pp. 1-113). Die Sprachwissenschaft Wilhelm von Humboldt’s und die Hegel’sche Philosophie, Dümmler, Berlin 1848. Die Classification der Sprachen, dargestellt als die Entwickelung der Sprachidee, Dümmler, Berlin 1850. Der Ursprung der Sprache, im Zusammenhange mit dem letzten Fragen alles Wissens. Eine Darstellung, Kritik und Fortentwicklung der vorzüglichsten Ansichten, Dümmler, Berlin, 1851; II ed. ampliata 1858; III ed. ancora ampliata 1877; IV ed. ulteriormente ampliata 1888. Die Entwicklung der Schrift. Nebst einem offenen Sendschreiben an Herrn Professor Pott, Dümmler, Berlin 1852; anche in KSS, pp. 139-164. (raccolto nei Kleine Sprachtheoretische Schriften, pp. 139-247). Grammatik, Logik und Psychologie, ihre Prinzipien und ihr Verhältnis zueinander, Dümmler, Berlin 1855. Gesammelte sprachwissenschaftliche Abhandlungen, Dümmler, Berlin 1856. Charakteristik der hauptsächlichsten Typen des Sprachbaues, Dümmler, Berlin 1860. Geschichte der Sprachwissenschaft bei den Griechen und Römern mit besondere Rücksicht auf die Logik, II Bände., Dümmler, Berlin 1863; II ed. 1890/91. Philologie, Geschichte und Psychologie in ihren gegenseitigen Beziehungen. Ein Vortag, gehalten in der Versammlung der Philologen zu Meißen 1863, Dümmler Berlin, 1864 (raccolto nei Kleine Sprachtheoretische Schriften, pp. 436-511). Die Mande-Neger-Sprachen. Psychologisch und phonetisch betrachtet, Dümmler, Berlin 1867. Gedächtnisrede auf Wilhelm von Humboldt an seinem hundertjährigen Geburtstage, Sonnabend, den 22. Juni 1867, Ferd. Dümmlers Verlagsbuchhandlung 1867 Mythos und Religion. Heft 97 der Sammlung gemeinverständlicher wissenschaftlicher Vorträge, hrsg. von R. Virchow und F. von

BIBLIOGRAFIA

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Holtzendorff, Lüderitz’sche Verlagsbuchhandlung, Berlin 1870. Abriss der Sprachwissenschaft, I Teil, Die Sprache im Allgemeinen. Einleitung in die Psychologie und Sprachwissenschaft, Dümmler, Berlin 1871; II ed. ampliata 1881. Abriss der Sprachwissenschaft, II Teil, Rielaborazione di Charakteristik der hauptsächlichsten Typen des Sprachbaues, a cura di F. Misteli, Dümmler, Berlin, 1893. Gesammelten kleinen Schriften, I, Sprachwissenschaftliche Abhandlungen und Recensionen, Dümmler, Berlin, 1880 (d’ora in avanti GKS). Ueber Wilhelm von Humboldt. Bei Gelegenheit der Enthüllung der Humboldt-Denkmäler. Montag, den 28 Mai 1883, im Festsaale des Rathauses, Dümmler, Berlin 1883. Allgemeine Ethik, Georg Reimer, Berlin 1885. Zu Bibel und Religionsphilosophie. Vorträge & Abhandlungen, Georg Reimer, Berlin 1890. Zu Bibel und Religionsphilosophie. Vorträge & Abhandlungen. Neue Folge. Georg Reimer, Berlin 1895. 2. Edizioni postume Ueber Juden und Judentum. Vorträge und Aufsätze. In der reihe der Schriften der Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaft des Judentums, hrsg. von G. Karpeles, Poppelauer, Berlin 1906; II ed. hrsg. von N. M. Nathan 1910, III ed. 1925. Kleine sprachtheoretische Schriften, neu zusammengestellt und mit einer Einleitung versehen von Waltraud Bumann, Georg Olms Verlag, Hilsheim-New York 1970. Zur vergleichenden Erforschung der chinesischen Sprache, hrsg. von Jerold A. Edmondson in The Prix Volney III, Contributions to Comparative Indo-European, African and Chinese Linguistics: Max Müller and Steinthal, edited by Joan Leopold, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht/Boston/London 1999, pp. 415498. 3. Libri curati dall’autore Koptische Grammatik von M. G. Schwartze, Dümmler, Berlin 1850. System der Sprachwissenschaft von C.W.L. Heyse, Dümmler, Berlin 1856.

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BIBLIOGRAFIA

Grundzüge einer Grammatik des Hereró (im westlichen Afrika), nebst einem Wörterbuche von C. H. Hahn, Berlin Wilhelm Hertz, Berlin 1857. Nachtrag zur Chronik der Gesellschaft der Freunde in Berlin (zur Feier ihres fünfzigjährigen Jubiläums, hrsg. von L. Lesser, Berlin 1842) vom Jahre 1842-1872, bearbeitet von H. Steinthal, Friedländer’sche Buchdruckerei Berlin 1873. Die sprachphilosophischen Werke Wilhelm’s von Humboldt, mit einer Allgemeinen Einleitung, der Abhandlung „Der Styl Humboldts“, und mit Einführungen und Erklärungen des Herausgebers zu den einzelnen Schriften Humboldts, Dümmler, Berlin 1884. 4. Articoli e recensioni 1849 Rezension von Johann Christian August Heyse’s ausführlichem Lehrbuch der deutschen Sprache, hrsg. von Carl Wilhelm Ludwig Heyse (II Bde, Hannover, 1838, 1849) in «Hallische Allgemeine Literaturzeitung», Nr. 256, pp. 889-894; 257, pp. 897-904 e 258, pp. 907-912 (anche in GKS, pp. 1-21). 1850 Der heutige Zustand der Sprachwissenschaft in «Allgemeine Monatsschrift für Literatur», I, pp. 97-110 e pp. 208-217. (anche in KSS, pp. 114-138). 1851 Über die Sprache der Taubstummen in «Deutsches Museum», I, pp. 904-925 (anche in GKS, pp. 21-45). 1852 Die deutsche Sprachwissenschaft im Auslande (in Verbindung mit einer Rezension von J. Stecher, Analyse des doctrines linguistiques de Guillaume de Humboldt, Tournai 1851) in «Allgemeine Monatsschrift für Wissenschaft und Literatur», 3, pp. 437-439. Sendschreiben an Pott in «Blätter für literarische Unterhaltung», Nr. 22 e in «Zeitschrift der Deutschen Morgenländischen Gesellschaft», 6, pp. 287-293. Rezension zu J. Grimm, Über den Liebesgott (Akademische Abhandlung, Berlin 1851) in «Zeitschrift für vergleichende Spra-

BIBLIOGRAFIA

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chforschung auf dem Gebiete des Deutschen, Griechischen und Lateinischen», I, pp. 566-570. 1853 Rezension zu M. Rapp, Grundriß der Grammatik des indisch-europäischen Sprachstammes, (Stuttgart/Tübingen 1852), in «Zeitschrift für vergleichende Sprachforschung auf dem Gebiete des Deutschen, Griechischen und Lateinischen», 2, pp. 276-288. 1856 Zur Sprachphilosophie in «Leipziger Zeitung, Wissenschaftliche Beilege», Nr. 94 e 95, 23 e 27 November 1856, pp. 493-496 e pp. 497-500. 1857 Zur Sprachwissenschaft in «Zeitschrift der Deutschen Morgenländischen Gesellschaft», 11, pp. 396-426. 1858 Zur Sprachphilosophie in «Zeitschrift für Philosophie und philosophische Kritik», Neue Folge XXXII, pp. 68-95 e pp. 194-224. (anche in GKS, pp. 45-97 e in KSS, pp. 248-306). Rezension von A. F. Pott, Geschlecht (grammatisches) in Allgemeine Encyclopädie der Wissenschaften und Künste, Ersch-Gruber, I/62 (1856), pp. 393-460, e in Beiträge zur vergleichenden Sprachforschung, 1, pp. 292-307. 1860 Einleitende Gedanken über Völkerpsychologie als Einladung zu einer Zeitschrift für Völkerpsychologie und Sprachwissenschaft (Zusammen mit Moritz Lazarus) in «ZVS», I, pp. 1-73. (anche in KSS, 307-379 e Lazarus-Steinthal-Wundt, Völkerpsychologie. Versuch einer Neuentdeckung, mit einer Einleitung herausgegeben von Georg Eckardt, Beltz, Weinheim 1997, pp. 127-202). Über die unpersönlichen Zeitwörter, in «ZVS», I, pp. 73-89. Assimilation und Attraktion, psychologisch beleuchtet (Auf Veranlassung von J. Grimm, Über einige Fälle der Attraktion, Abhandlung der Akademie der Wissenschaften, Berlin 1858) in «ZVS», I, pp. 93-179 (anche in GKS, pp. 107-190). Wilhelm von Humboldt’s Briefe an F. G. Welcker, hrsg. von R. Haym (Berlin 1859) besprochen von Steinthal, in «ZVS», I, pp. 221244.

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Über den Idealismus in der Sprachwissenschaft. (Auf Veranlassung von A.F. Pott, Etymologische Forschungen auf dem Gebiet der indogermanischen Sprachen. 2 Auf. Lemgo 1859, I Teil: Präpositionen) in «ZVS», I, pp. 293-294 (anche in GKS, pp. 190-238 e in KSS, pp. 380-414). Zur Charakteristik der semitischen Völker (Auf Anlaß von E. Renan Nouvelles considérations sur le caractère général des peuples sémitiques, et en particulier sur leur tendance au monothéisme, Extrait du Journal Asiatique, 1859), in «ZVS», I, pp. 328-345. Über den Wandel der Laute und des Begriffs. Mit Bezug auf G. Curtius, Grundzüge der griechischen Etymologie, I Teil, Leipzig 1858, in «ZVS», I, pp. 416-432 (anche in GKS, pp. 238-253). Mathematische Sprachwissenschaft. (Auf Veranlassung von: A. Schleicher, Zur Morphologie der Sprache, Leipzig 1859) in «ZVS», I, pp. 432-435. Über Substanz und Person, (F. Fabri, Die Entstehung des Heidentums und die Aufgabe der Heidenmission. Nebst zwei Beilagen: Über den Ursprung der Sprache und Über den christlichen Staat, Barmen 1859) in «ZVS», I, pp. 501-510. 1862 Die ursprüngliche Form der Sage von Prometheus. (Auf Veranlassung von T. Kuhn, Die Herabkunft des Feuers und des Göttertranks, Berlin 1859) in «ZVS», II, pp. 1-29. Über den Aberglauben (Ad. Wuttke, Der deutsche Volksglaube der Gegenwart, Hamburg 1860) in «ZVS», II, pp. 83-101. Die jüdische Literatur als Quelle für die Volksanschauungen der Griechen. Das Bohren in dem Sonnenrade, in «ZVS», II, p. 126. Die Simsonsage nach ihrer Entstehung, Form und Bedeutung und der Heraclesmythos (Besprechung der gleichnamigen Abhandlung von Prof. Roskoff, Leipzig 1860) in «ZVS», II, pp. 110-120 (e col titolo: Die Sage von Simson, pp. 129-178, in Zu Bibel und Religionsphilosophie, Neue Folge, pp. 35-77). Über Charakteristik der Sprachen. (Auf Veranlassung von A. Schleicher, Die deutsche Sprache, Stuttgart 1860) in «ZVS», II, pp. 224-242. Über das Passivum (H. G. von der Gabelentz, Über das Passivum. Eine sprachvergleichende Abhandlung, Abhandlung der Kgl. Sächs. Akademie der Wissenschaft, Bd. VIII, Leipzig 1860) in «ZVS», II, pp. 244-254. Der Durchbruch der subjectiven Persönlichkeit bei den Griechen. Ein geschichts-psychologischer Versuch in «ZVS», II, pp. 279-342.

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Heinrich Ewald, Über den Bau der Thatwörter im Koptischen, Abhandlung der Kgl. Gesellschaft der Wissenschaft zu Göttingen (Bd. IX, 1861) beurteilt von Steinthal in «ZVS», II, pp. 378-391. Kern und Schale. Bemerkungen über den Wert der Lautlehre in «ZVS», II, pp. 391-392. Über die Wurzeln der Sprache (A. F. Pott, Etymologische Forschungen auf dem Gebiet der indogermanischen Sprachen, II Teil, 1 Abt.: Wurzeln, Einleitung Lemgo 1861) in «ZVS», II, pp. 453472 (anche in GKS, pp. 253-271). Der Ursprung des Adverbs, in «ZVS», II, pp. 480-486. (anche in GKS, pp. 444-450). Aus Syrien (Petermann, Reisen im Orient, Berlin 1860; Wetzstein, Reisebericht über Hauran und die Trachonen, Berlin 1860) in «ZVS», II, pp. 487-497. Rezension von G. F. Schoemann, Die Lehre von den Redeteilen, nach den Alten dargestellt (Berlin 1862), in «ZVS», II, pp. 509-511. Rielaborata in «Zeitschrift für die österreichischen Gymnasien», 1863, pp. 274-291 (anche in GKS, pp. 357-382). 1864 Über den gegenwärtigen Zustand der Sprachwissenschaft in «Preußische Jahrbücher», 13, pp. 563-587. Das Verhältnis des Romanischen zum Latein in den Bedeutungen der Wörter in «Archiv für das Studium der neueren Sprachen und Literaturen», 19, Bd. 36, pp. 129-142. 1865 Formalismus und Forschung in «ZVS», III, pp. 134-136. Beurteilung von F. A. Pott, Anti-Kaulen oder mythische Vorstellungen vom Ursprung der Völker und Sprachen. Nebst zwei sprachwissenschaftliche Abhandlungen H. von Ewalds. in «ZVS», III, pp. 225-245. (anche in KSS, 415-435). Beurteilung von F. A. Pott, Doppelung (Reduplication, Germination) als Bildungsmittel der Sprache (Lemgo 1862) in «ZVS», III, pp. 245-248 (anche in GKS, pp. 351-354). Beurteilung von G. Curtius, Grundzüge der griechischen Etymologie, Teil II (Leipzig 1862) in «ZVS», III, pp. 249-255. Beurteilung von H. K. Brandes, Die neugriechische Sprache und die Verwandtschaft der griechischen Sprache mit der deutschen (Lemgo 1862) in «ZVS», III, pp. 255-256. Die Zählmethode der Mandenga-Neger in «ZVS», III, 360-369.

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Beurteilung von Th. Möbius, Über die altnordische Philologie im skandinavischen Norden, ein vor der germanistischen Sektion der Philologen-Versammlung zu Meißen gehaltener Vortrag (1864) in «ZVS», III, p. 370-373 (anche in GKS, pp. 283-286). Beurteilung von R. Liebich, Die Zigeuner in ihrem Wesen und in ihrer Sprache (Leipzig 1863) in «ZVS», III, pp. 373-376. Beurteilung von E. Curtius, Göttinger Festreden (Berlin 1864) in «ZVS», III, pp. 377-382. Beurteilung von E. Zeller, Die Entwicklung des Monotheismus bei den Griechen (Stuttgart 1862) in «ZVS», III, pp. 382-384. Beurteilung von J. Caesar, Das finnische Volksepos Kalewala (Stuttgart 1862) in «ZVS», III, p. 384. Beurteilung von J. F. Horn, Zur Philosophie. Drei Abhandlungen (Kiel 1862) in «ZVS», III, p. 384. Aug. Schleicher, Die Unterscheidung von Nomen und Verbum in der lautlichen Form, Abhandlung der philologisch-historischen Klasse der Kgl. Sächs. Gesellschaft der Wissenschaft (1865, pp. 501-586) in «ZVS», III, p. 497-506. Neuere Arbeiten über vergleichende Mythenforschung in «Zeitschrift für die Österreichischen Gymnasien», 16, pp. 36-53. 1866 Zur Geschichte der Wissenschaft in «ZVS», IV, pp. 133-138. Über H. Lotze Mikrokosmos (Leipzig 1856-64). I. Niederer und höherer Verlauf der Vorstellungen in «ZVS», IV, pp. 115-132; II. Die Geschichte als Erziehung des Menschengeschlechts in «ZVS», IV, pp. 211-225. Beurteilung von A. Geiger, Das Judentum und seine Geschichte (Breslau 1864), in «ZVS», IV, pp. 225-234. Beurteilung von F. v. Miklosich, Die Verba impersonalia im Slawischen (Wien 1865), in «ZVS», IV, pp. 235-242. (anche in GKS, pp. 421-428). Beurteilung von R. Gosche, Jahrbuch für Literaturgeschichte, Bd. 1 (Berlin 1865) in «ZVS», IV, pp. 242-246. Beurteilung von W. Scherer, Jacob Grimm (Berlin 1865) in «ZVS», IV, pp. 247-252. Beurteilung von F. L. W. Schwartz, Sonne, Mond und Sterne. Ein Beitrag zur Mythologie und Culturgeschichte der Urzeit (Berlin 1864), in «ZVS», IV, pp. 253-258. Zur Stilistik in «ZVS», IV, pp. 465-480. Beurteilung von W. Arnold, Kultur und Rechtsleben (Berlin 1865), in «ZVS», IV, pp. 505-514.

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1867 Von der Liebe zur Muttersprache in Berthold Auerbachs Deutschem Volks-Kalender, Berlin, pp. 29-38 (anche in GKS, pp. 97-107). 1868 Das Epos in «ZVS», V, pp. 1-57. Zum Ursprung der Sprache in «ZVS», V, pp. 73-82 (anche GKS, pp. 288-296). Zur Physiologie der Sprachlaute. Beurteilung von drei Werken über Physiologie der Laute; F. H. du Bois-Reymond, Kadmus oder allgemeine Alphabetik vom physikalischen, physiologischen und graphischen Standpunkt (Berlin 1862); M. Yhausing, Das natürliche Lautsystem der menschlichen Sprache (Leipzig 1863); C. L. Merkel, Physiologie der menschlichen Sprache (Leipzig 1866) in «ZVS», V, pp. 82-95. (anche in GKS, pp. 338-350). Beurteilung von J. H. Oswald, Das grammatische Geschlecht und seine sprachliche Bedeutung (Paderborn 1866) in «ZVS», V, pp. 95-106 (anche in GKS, pp. 396-406). Aus Paris in «ZVS», V, pp. 111-112. Beurteilung von A. F. von Schack, Poesie und Kunst der Araber in Spanien und Sicilien (Berlin 1865) in «ZVS», V, pp. 232-240. Beurteilung von G. Curtius, Zur Chronologie der indogermanischen Sprachforschung (Leipzig 1867) in «ZVS», V, pp. 340-358 (anche in GKS, pp. 296-314). Beurteilung von A. F. Pott, Wurzel-Wörterbuch der indogermanischen Sprachen (Detmold 1867) in «ZVS», V, pp. 359-364 (anche in GKS, pp. 271-274). Beurteilung von W. D. Whitney, Language and the study of language (New York 1867) in «ZVS», V, pp. 364-366. Beurteilung von Aug. Boltz, Die Sprache und ihr Leben (Offenbach a. M. 1868) in «ZVS», V, pp. 366-367. Beurteilung von B. Werneke, Über die Bedeutung des Lautes in der Sprache (Paderborn 1864) in «ZVS», V, pp. 367-368 (anche in GKS, pp. 350-351). Beurteilung von W. Scherer, Zur Geschichte der deutschen Sprache (Berlin 1868) in «ZVS», V, pp. 464-490. (anche in GKS, pp. 314338). 1869 Poesie und Prosa, in «ZVS», VI, pp. 285-352. Beurteilung von L. Geiger, Ursprung und Entwicklung der men-

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