Custodire la Parola. Il verbo THPEIN nell'Apocalisse alla luce della tradizione giovannea 8810302281

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Custodire la Parola. Il verbo THPEIN nell'Apocalisse alla luce della tradizione giovannea
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CUSTODIRE LA PAROLA

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·~ ustodire la Parola: è questa l'esigenza che emerge dal presente lavoro, teso alla

riscoperta di una categoria biblica fondamentale. La parola di Dio deve essere eseguita. Se rimanesse nel vago di un ascolto indeterminato, incorrerebbe nella condanna espressa verso colui che costruisce la sua casa sulla sabbia. In tutti gli scritti giovannei troviamo l'insistenza marcata sul «fare la verità ... Ma il passaggio dall'ascolto alla prassi non è istantaneo. Fra l'ascolto della Parola e la sua traduzione in termini operativi, si richiede uno stadio intermedio: quello appunto che consiste nel mantenere la Parola. È proprio mediante la Parola mantenuta che lo Spirito scrive la sua legge nel cuore dell'uomo. L.:esigenza di mantenere la Parola attraversa tutta la Bibbia. La ritroviamo irì tutto l'Antico Testamento e, con particolare insistenza, nel Deuteronomio, nei Salmi e nei libri sapienziali. È ancora più marcata negli scritti giovannei, specialmente nel IV vangelo e nell'Apocalisse. Questa ricerca attorno a una categoria biblica si trasforma in «un richiamo martellante all'interiorità. Se la Parola non viene "mantenuta" recede. Diventerà un formalismo, si ridurrà a uno schema giuridico arido e improduttivo, degenererà. Non sarà più la parola di Dio viva, efficace, che dà gioia e senso alla vita, ma rischierà di diventare una delle tante parole. È proprio il richiamo a questa esigenza imprescindibile, la sua documentazione instancabilmente rigorosa, presentata in uno stile awincente, portata a contatto con la vita che è il segreto di questo libro" {dalla Prefazione di U. Vanm) .

••••• MARCELLO MARINO, è nato a Livorno nel 1961. Ha conseguito il dottorato in teologia biblica presso la Pontificia università gregoriana. È docente di Sacra Scrittura presso la Facoltà teologica dell'Italia centrale (Firenze), lo Studio teologico di Camaiore, l'Istituto superiore di scienze religiose di Pisa e la Scuola di teologia di Livorno. È membro del comitato di redazione di Oecumenica Civitas, rivista del centro di documentazione del Movimento ecumenico italiano (CeDoMEI) .

•••••

MARCELLO MARINO

CUSTODIRE LA PAROLA Il verbo TT/peìv nell'Apocalisse alla luce della tradizione giovannea

EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA

c 2003 Centro editoriale dehoniano via Nosadella, 6 - 40123 Bologna EDB (marchio depositato) ISBN 88-10-30228-1 Stampa: Grafiche Dehoniane, Bologna 2003

A mia madre «Non si vede bene che col cuore, l'essenziale è invisibile agli occhi» (da «Il Piccolo Principe» di Antoine de Saint-Exupéry)

Sigle e abbreviazioni 1

Anné Canonique An ton BbbOr BETL Bib BiLeb BTrans Carth CBQ DBS DTAT Eranos EsprVie EstBib EstTrin ETL EuntDoc EvQ EX Fai Vie GLNT Greg HTR HUCA

Antonianum Bibbia e Oriente Bibliotheca, Ephemerides Theologicae Lovanienses Biblica Bibel und Leben Bible Translator Carthaginensia Catholic Biblica! Quarterly Dictionaire de la Bible. Supplément Dizionario Teologico dell'Antico Testamento

IDB

Esprit et Vie Estudios Bfblicos Estudios Trinitarios Ephemerides Theologicae Lovanienses Euntes Dacele Evangelica! Quarterly Ecclesiastica Xaveriana Fai et Vie Grande Lessico del Nuovo Testamento Gregorianum Harvard Theological Review Hebrew Union College Annua! The Interpreter's Dictionary of the Bible

Illif Review lnter

Interpretation

1 Le sigle delle abbreviazioni vengono prese da New Tesrament Absrracls, da E/enchus Bibliographims Biblicus e dal fascicolo estratto di Biblica 1982 (Jstructions for Contributors).

8

IrTO JBL JJS JStNT JTS KerDo Le Monde de la Bible LibAn LumièreV Mar Neo t NRT NTS PSV RasT RB RechSR RHPhR RivB RivLtg RSB RTL SacDot Sal m Se meia Spiritus ST StMor TLZ TS TWAT VT ZNW

Custodire la Parola

Irish Theological Quarterly Journal of Biblica! Literature Journal of Jewish Studies Journal for the Study of the NT Journal ofTheological Studies Kerigma und Dogma Studi Biblici Franciscani Liber Annus Lumière et Vie Marianum Neotestamentica Nouvelle Revue Théologique New Testament Studies Parole Spirito e Vita Rassegna di Teologia Revue Biblique Recherches de Science Religieuse Revue d'Histoire et de Philosophie Religieuses Rivista Biblica Rivista di Liturgia Ricerche Storico Bibliche Revue théologique de Louvain Sacra Dottrina Salmanticensis

Studia Theologica Studia Moralia Theologische Literaturzeitung Theological Studies Theologisches Worterbuch zum Alten Testament Vetus Testamentum Zeitschrift flir die Nuetestamentliche Wissenschaft

Presentazione

Il presente contributo propone la terza parte della tesi di dottorato difesa nel Febbraio del 2000 nella Facoltà di Teologia Biblica dell'Università Gregoriana con il titolo: «Il verbo TT/PEìv nell'Apocalisse alla luce della tradizione giovannea. Indagine teologico-biblica». Il fine della ricerca era di palesare l'importanza attribuita al verbo Tljpetv dagli scritti posti sotto l'autorità di Giovanni. L'analisi dei testi ha dimostrato che la sua accezione semantica ha una valenza segnatamente interiore. Nelle versioni moderne invece TljpEiv viene tradotto, in genere, con un vago > del testo a partire dal XVlll secolo, tra cui Lowth che scopri il parallelismo dei membri. Bengel che fu il primo a notare il chiasmo, fino agli autori del XIX, Jebb e Boys. Si deve al contributo di Lund, nella metà del sec. XX, il rinnovato interesse per la ricerca anuale in questo campo. Meynel presenta poi nella seconda parte dell'opera un'esposizione articolata del metodo; cf. inoltre lo., E ora, scrivete per voi questo cantico. In-

troduzione pratica all'analisi retorica. Roma 1996: per una panoramica critica sui metodl esegetici c r.

J. CABA, «Métodos exegéticos en el estudio del Nuevo Testamento», in Greg 73(1992), 61 1-669; riguardo alla valutazione del metodo dell'analisi retorica si fa ampio riferimento ai contributi di Meyne! (pp.647-658). I limiti intravisti dall'autore per questo tipo di approccio sono sopra!lu!lo quelli derivanti dall'organizzazione estetica del testo che potrehhe porlare ad operazioni viziate da

so~geni­

vismo (p. 658). Per un agile manuale cf. B. MoRTARA GARAVELLI, Manuale di retorica, Milano 1989. 9 Cf. PONTLFtClA COMMISSIONE BIBLICA, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, Roma 1993; il documento della Pontificia Commissione Biblica si esprime cosl a proposito dell'analisi retorica: «Le analisi retoriche, per l'arricchimento che apportano allo studio critico dei lesti, meritano molla stima. sopra!!u!!o nei loro approfondimenti recenti. Esse rimediano ad una negligenza durata a lungo e fanno scoprire o mettono maggiormente in luce prospettive originali». Ne metle poi in evidenza i possibili rischi quando >. L'imperativo «ama queste parole» si risolve nell'indicativo «conservò in cuore le parole». Ciò che il re conserva nel cuore non è tanto l'enigma del sogno, quanto la spiegazione del medesimo che riguarda il futuro. La custodia amorosa della spiegazione del sogno data da Daniele gli permetterà di poterne discernere l'attuazione storica. Il libro presenta un secondo passo pertinente al nostro interesse. Nell'anno primo di Baldassarre, re di Babilonia, Daniele scrisse la visione avuta in sogno circa le quattro bestie che salivano dal mare, l'Antico dei giorni e il Figlio dell'uomo (7,1-28). Profondamente turbato nel suo spirito (v. 15; LXX e soprattutto Th: ai òpétcrEtc; Tijc; ICE~À.ijc; IJ.OU Ététpacrcròv ~J.E). Daniele chiede la spiegazione di tutte queste cose a un angelus interpres, uno di quelli che stavano là attorno al trono, e questi dichiara il senso del sogno (v. 16 LXX). La visione- gli viene detto- riguarda le persecuzioni che si abbatteranno sul popolo di Dio da parte di quattro potenze pagane. Ma infine trionferà il popolo santo dell' Altissimo (vv. 16-27a), « ... il cui regno sarà eterno e tutti i re lo serviranno e gli saranno soggetti» (v. 27b ). Terminata la spiegazione, Daniele rimane sconvolto a lungo nei suoi pensieri e «conservò nel cuore la parola udita». Riportiamo per praticità e chiarezza il testo del v. 28 nelle tre versioni, quella greca della LXX e Th, e quella del TM: v.28 LXX: Éy!Ìl ~avt1]À. cr~Bpa ÉKcrtacrEt 1tEptEl)(ÒIJ.1]V ... ICQl tò PiiiJ.a Èv ~eapliiQ IJ.OU~t9J

Th: Éy!Ìl ~avt 1]À., É1tÌ1t0À.Ù oi litai..oytcr~J.oi IJ.OU 0'\JVEtétpacrcròv ILE··· ICQl tò Piilla Èv -rft Kaplii~ IJ.OU GUVe~flGO

TM: :1Ì~ ~-·, Mf;IÌO :1;()-,.11 'l'l'l •#?;:T:;:• '}i'11} l M'~ '?M'l1 :nj~l ·;:~.,::~

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24

Custodire la Parola

Daniele benché smarrito da questa profezia, custodisce nel cuore il suo contenuto. La versione greca di Teodozione utilizza il verbo «mantenere fermo» (atepiçCil) al posto di «conservare>> (cruvtepEtv), 12 ma il senso del testo rimane fondamentalmente inalterato. Nel TM troviamo l'aramaico ìt:ll che corrisponde all'ebraico;;;: e al suo sinonimo ìl:liV. 1.2

Conclusione

La custodia della rivelazione è un elemento che caratterizza la letteratura apocalittica. Provenendo dall'ambito sapienziale segna un tratto del saggio apocalittico, di cui Daniele rappresenta l'emblema. La successione di alcuni elementi fissi ne fa uno schema letterario che possiano definire «sapienziale-apocalittico>>. La custodia della rivelazione costituisce la condizione essenziale per scorgere l'attuarsi del disegno di Dio sulla storia; in altre parole, per l'attuazione del discernimento sapienziale. Ecco perché in alcuni passi il luogo ideale della custodia è il cuore, che la tradizione biblica, come quella apocalittica, concepisce come il centro della persona, luogo del discernimento e della decisione. Ci troviamo dinanzi a una forma letteraria: alla visione-rivelazione segue uno stato di turbamento, misto a stupore, per la gravità delle cose viste e l'incapacità di comprenderne il significato. Si invoca quindi l'aiuto di un mediatore celeste per cercare di comprendere il significato della visione. La custodia della comprensione ricevuta si presenta come condirio per poterne discernere la realizzazione nella storia. Questi due passi offrono certamente un retroterra particolarmente significativo per comprendere l'invito alla custodia delle visioni presente in modo così significativo nel prologo e nell'epilogo dell'Apocalisse.

2.

IL VERBO THPEIN NEL PROLOGO E NELL'EPILOGO (AP

1,3; 22,7.9)

La presenza di TT)pciv nel prologo e nell'epilogo (1,3; 22,7.9) determina un'inclusione che inquadra tutto il contenuto del libro. 13 Con questo accorgi-

12 Cf. G. HARDER, •, su e con esse. 30 La riuscita dell'esperienza apocalittica sembra essere sospesa a questo duplice atteggiamento interiore: all'ascolto coinvolto, vissuto nell'ambito liturgico, deve seguire la custodia meditativa di ciò che si è ascoltato per affrontare in modo fecondo, una volta sciolta l'assemblea, l'impatto drammatico con la storia. Il verbo 't!JPEi v guarda quindi su un doppio versante: quello liturgico e quello storico-esistenziale, deve cioè fare da «cerniera>> tra la liturgia e la storia. 31 Guardiamo ora più da vicino l'inclusione determinata dal nostro verbo.

24 Cf. 1,~; 22,6-21. Per quanto riguarda 1,4-8 Vanni afferma: «L'ipotesi di un genere letterario dialogico-liturgico permette di riscoprire la pericope l ,4-8. Essa appare con una fisionomia letteraria che le è propria e che ne spiega sia l'unità di fondo sia le variazioni brusche riscontrate nel suo svolgimento. Intesa nella sua forma dialogica, la pericope l ,4-8 permette di mettere adeguatamente in risalto la comunità ecclesiale come protagonista che interagisce, dialogando, col lettore, con Cristo. con Dio» («Un esempio di dialogo liturgico», p. 467). 25 Cf. R. NuscA. Heavenly Worship, Ecc/esial Worship: a •Liturgica/ Approach» to rhe Hymns of rhe Af.ocalypse of John. Roma 1998. 2 Cf. W. RoRDORF. Der Sonntag, Ztirich 1962; W. Srorr. «A Note on the Word KYPIAKH in Rev. 1,10», in NTS 12(1965-1966). 70-75; K.A. STRAND,«Another Look at "Lord's Day" in the Early Church and Rev 1,10», in NTS 13(1966-1967). 174-181. 27 La Formgeschichre distingue il macarismo apocalittico da quello sapienziale (cf. K. KoCH, Was isr Formgeshichte? Neue Wege der Bibelexegese, Neukirchen 1964. pp. 8s). "'Cf. VANNI, «Liturgica! dialogue», p. 371. Il lettore interpreta principalmente il ruolo di Giovanni (1,9 in prima persona; 1,4 in terza persona): quando presta la voce a Dio. a Cristo o all' Angelo dobbiamo collocarci su un livello idealizzato. La possibilità di comprendere, da parte dell'assemblea, l'identità del soggetto che sta parlando sarà facilitata dal tono della voce, variato con modulazioni adeguate, e dal contenuto dell'intervento (cf. anche p. 364). 29 Cf. SoNNE, «Synagogue», in The lnterprerers Dicrionary of the Bible, IV, R-Z, New York 1962, PJ:· 489-490. Cf. VANNI, L'Apocalisse, p. 229: «Quando siano stati identificati e valutati, nell'orizzonte storico in cui si vive, gli elementi a cui si può applicare il contenuto espresso dal simbolo. si imporranno quasi automaticamente delle conclusioni operative. Non si tratterà necessariamente di conclusioni a effetto immediato. Occorrerà "mantenere" (tTJpElv), conservare viva la parola a questo livello di presa sulla realtà (cf.1,3). Giungerà presto l'occasione di applicarla alla pratica:"il tempo è vicino" (1,3)•: ID., «L'annuncio e l'ascolto della Parola di Dio», p. 665. 31 Si tratta di un vero atteggiamento di carattere profetico-sapienziale; sulla !ematica cf. U. VANNI, «L'assemblea ecclesiale ·'soggetto interpretante" dell'Apocalisse•, in RasT 23(1982). 497513; ID., «La rinessione sapienziale come atteggiamento ermeneutico costante nell'Apocalisse», in RivB 24(1976). 185-197.

Il verbo TTIPEÌv nel prologo e nell'epilogo 3.

LA RELAZIONE DEI VERBI AKOTEIN E THPEIN IN

3.1

Il senso del macarismo

29

AP 1,3

La proclamazione del macarismo, secondo il genere letterario della beatitudine biblica, 32 è un modo con cui si riconosce nel destinatario una realtà portatrice di felicità. Il macarismo e la benedizione sono concettualmente confinanti, ma non coincidono; la specificità di questo genere letterario è così definita da Mattioli: «Pronunziata da Dio, la benedizione è produttrice di un bene, e quindi concorre a creare la felicità umana. Ma il macarismo, più che nella sua fonte, considera il bene felicitante nel suo esistere[ ... ] chi lo pronunzia intende congratularsi e felicitarsi per la presenza, nel destinatario, di una realtà da tutti stimata felicitamente. o che da tutti dovrebbe essere stimata tale>>.33

Esso ora è proclamato per coloro che costituiscono l'assemblea, cioè «lettore» e «ascoltatori». Il contesto in cui dobbiamo collocarci, come già detto, è quello della celebrazione liturgica, all'interno della quale si realizza una sorta di dialogo tra lettore e ascoltatori. La nostra beatitudine, 34 la prima delle sette che troviamo all'interno del libro, riguarda proprio la situazione di assemblea liturgica: si vuoi far prendere coscienza a coloro che la compongono che sta per accadere qualcosa di importante da cui dipende la loro felicità; l'unica condizione richiesta è la piena disponibilità a lasciarsi coinvolgere, chi nella lettura, 35 chi nell'ascolto, nel messaggio veicolato attraverso le visioni. Al termine dell'esperienza apocalittica il macarismo non poteva acquistare maggiore enfasi: la bea-

32 Cf. W. BtEDER, •Die sieben Seligpreisungen in der Offenbarung des Johannes», in TLZ 10(1954), 13-30, p. 15; U. VANNI. «Benedizioni e maledizioni nell'Apocalisse», in PSV 30(1994), 205217. L'Apocalisse non conosce i vocaboli. tipicamente biblici. di ((benedizione» e >-, dall'altra: nell'invito rivolto alla comunità perché custodisca le parole del libro si indica il mezzo attraverso cui i credenti possono diventare profeti o martiri (cf. Ap 11). 611

"' Il testo più vicino sembra essere quello di Gv 15.15: il contesto diverso richiede di comprendere il significato del termine «Servi)) esallamente al contrario di come deve essere inteso qui in A p: ~li •amici• del Quarto Vangelo sono i •servi» dell'Apocalisse. 'Cf. PRIGENT, L'Apocalisse, pp. 702-703 nota 6: •Si può notare con Satake il doppio movimento di questo testo. L'autore sembra meuersi sullo stesso piano dei suoi letlori: non ci sono dif·

ferenze degne di rilievo tra quelli che profetizzano e quelli che custodiscono le parole di questo libro, cioè i cristiani. Ma d· altra parte è chiaro che qui viene enunciata una pretesa radicale: si ha da un lato il messaggio dell"Apocalisse e il profeta che l"ha consegnata e dall'altro tuili gli altri (profeti compresi!) la cui sola vocazione è di ricevere e di obbedire[ ... ] È da notare con interesse che nel passo parallelo (19.10) i profeti non sono stati oggetto di una menzione speciale: davanti all'autorità assoluta dell"Apocalisse di Gesù Cristo si ha effettivamente solo lo strumento umano unico di questa stessa rivelazione da una parte e tutti gli altri, chiunque essi siano. dall'altra» (cf. SATAKE, Die Gemeindeordnung, pp. 57-61). 66 Sul complesso problema del ruolo creativo dei profeti cf. D. HtLL, «O n the evidence for the creative role of Christian Prophels». in NTS 20(1973-1974). 262-274. 7 • LOHMEYER, Die Offenbarung, pp. 178-179. fl.li Il termine martirio è utilizzato nel suo senso etimologico di «testimonianza». senza la valenza tecnica di «testimonianza nella morte)) che ha assunto in seguito. Ci pare però importante uti-

lizzare «martirio>~ anziché «testimonianza)> per far risaltare che, secondo l'Apocalisse, questa testimonianza è potenzialmente aperta al martirio (cf. 1,9; 2.13; 6,9; 11,13; 12.17: 17,6; 20,4): cf. A.A. TRITES, «MapT1,1>. in NTS 15(1973). 72-80; lo., The New Testamenr Concepl ofWitness, Cambridge 1978.

Il verbo 'rTIPEiv nel prologo e nell'epilogo

41

Alla luce di quanto già detto a proposito di Ap 1,1-3, appare ora evidente dal parallelismo tra 22,9 e 19.10 come l'invito a «custodire le parole del lihro» (22,9), espresso alla fine dell'esperienza apocaliUica, sia stn:Uamente rela:lionato al possesso della testimonianza (19,10}. L'EXEtv 'tÌ]v J.!Optupia si presenta, infatti, come la condizione di possibilità perché il dono della rivelazione. radicato nell'interiorità del credente, si trasformi nella testimonianza vissuta a caro prezzo. Questa testimonianza è infatti la traduzione esistenziale delle parole profetiche mediate da Giovanni e dal circolo dei profeti (cf. 1,3; 22,6) grazie allo Spirito della profezia (19,10b). Ma questo non basta sembra dire il testo, il possesso della testimonianza deve accompagnarsi alla custodia di essa. La valenza semantica propria dei due verbi TIIPEtV e EXElV si evidenzia così nella loro reciprocità. Ciò che li accomuna è il tratto tipico di interiorità: il possesso interiore della testimonianza e la custodia di essa tendono a plasmare l'identità della comunità come comunità di testimoni-profeti. 69 L'i':xnv indica però, prima di tutto, il dono della testimonianza di Cristo, veicolata dalla rivelazione contenuta nel libro; il TIIPEtv, invece, rimanda piuttosto alla risposta fedele che deve corrispondere a questo dono. Di conseguenza, possiamo notare in questo parallelismo anche una valenza prassologica: il possesso della testimonianza e la custodia delle parole del libro, puntano all'impegno profetico della comunità ponendosi come sua conditio. Il soggetto ultimo della testimonianza profetica dei credenti è lo Spirito,7° ma l'Apocalisse ne rappresenta una mediazione fondamentale in quanto . In breve la testimonianzaprofezia. il libro dell'Apocalisse, deve essere custodita e comunicata, o custodita per essere comunicata.7 1 «In altre parole: profetizzare significa rendere attuale la testimonianza di Gesù nella testimonianza dei cristiani. L'Apocalisse non ha altro scopo che di far risuonare l'appello di questa profezia» n Concludendo ci sembra di poter affermare che il parallelismo dei versetti ha apportato un contributo degno di nota: alla luce di quanto detto a proposito del sull'intreccio semantico di Apocalisse, testimonianza e profezia. gli elementi desunti dal parallelismo tra 22,9 e 19,10 sembrano apportarvi una con-

69 Cf. J.P.M. SwEET. •Maintaining the Testimony of Jesus: the Suffering of Christians in the Revelation of John», in W. HoRBURY- B. McNEILL a cura di, Suffering an d Martyrdom in the N. T. Sru· dies presented to C.M. Sty/er by the Cambridge New Testament Seminary. Cambridge 1981, pp. 101117; a p. l 04 commentando il passo 19,1 O afferma: •[ ... ) sebbene il genitivo possa essere oggettivo, molti studiosi lo considerano soggettivo a motivo dell'espressione parallela .. parola di Dio", "co-

mandamento di Dio" che, insieme con il termine "mantenuta'' (hehl). implica qualcosa di ricevuto. Essi mantengono la testimonianza di Gesù che. come la Parola di Dio, è stata comunicata loro». 711 Cf. FILIPPINI, «Sul concetto di testimonianza,. pp. 104-105. 71 Cf. SwEET, «Maintaining the Testimony», p. 104 (nota). 72 PRIGENT, L'Apocalisse, p. 703.

42

Custodire la Parola

ferma: coloro che .

S4

Custodire la Parola

solo nel tempo escatologico46 secondo la descrizione dei cc. 21-22 dove ritroviamo l'adempimento delle promesse (cf. il sintagma reiterato: > del settenario. 411 L'oioa di Cristo risorto riferito alle «opere>> delle chiese manifesta la sua conoscenza, intima e immediata, della loro situazione storica. Possiamo sintetizzare con Vanni il pensiero dell'Apocalisse a riguardo: «[ ... ) Le opere sono nell'Apocalisse - come altrove nel NT, specialmente in Giacomo- l'espressione necessaria e adeguata, in termini di comportamento. dei valori di una persona, intesa in senso individuale e collettivo. Le "opere" rappresentano dunque tutta le realtà concreta, specialmente quella esterna, che riguarda la chiesa. Sono la chiesa in quella traduzione che essa fa di se stessa sul piano della storia, rileva bile sociologicamente». 49

Il passo di 14,1350 enfatizza l'importanza che viene attribuita dall'Apocalisse alle «opere>>, da esse dipende infatti il destino eterno dell'uomo: «Scrivi: Beati fin d'ora coloro che muoiono nel Signore. Sì, dice il Signore, riposeranno dalle (oro fatiche, infatti )e )oro opere li seguono ( tà yàp Epya aÙtOOV IÌKOÀ.OlJ6Et j.!Et. aùt!iiv )>>. Solo nel settenario delle lettere si esplicita però il loro contenuto. Possiamo perciò arguire che qui vengano elencate le «opere» che, per la loro caratteristica «paradigmatica>>, assorbono tutte le altre che, in diverso modo, ne possono essere un'esplicitazione.

46 D. BAUERFEIND, «VlKOOl, vincere•. in GLNT, VII, 1011·1022, 1019. La testimonianza come espressione della fede trova una conferma nella sua capacità di vittoria nella l Gv 5,4ss: «Chiunque è generalo da Dio vince il mondo... chi è colui che vince il mondo se non colui che crede che Gesù è il Figlio di Dio?•. 47 Cf. per esempio: alla chiesa di Efeso è promesso l'albero della vita (2,7 > 22,2); alla chiesa di liàtira la stessa luminosa del mattino (2,28 > 22.16): alla chiesa di Filadelfia la permanenza nel tempio di Dio (3.12 > 21,2); alla chiesa di Laodicea il consedere sul trono del Risorto (3,21 > 21,5). 411 Nella lettera a Efeso (2,2.5.6): a Tiàtira (2,19bis.22.23.26): a Sardi (3.1.2): a Filadelfia (3,8); a Laodicea (3.15). La tradizione manoscritta, probabilmente per un bisogno di coerenza, ha inserito il termine in 2.9.13. Nel resto dellihro compare in 9,20; 14,13; 15.3; 16,11: 18,6;20,12.13:22,12. Delle 20 riccorrenze hen 12 risultano essere presenti nel setlenario delle chiese. 49 VANNI. L'Apocalisse. p. 147. 50 C'i anche 20,12.13; 22,12.

Il verbo

Tr!PEÌv nel

55

settenario delle lettere

Ritorniamo ora alla nostra lettera per notare le cinque ricorrenze di epya per mezzo di una sinossi:

OiSci crou tàlpya Kai 'tÌ]v àyan11v KQl 'tÌ]V ltlO'tl VKOÌ tÌ]v OtaKoviav Kai tÌ]v UnOJ.lOvflv OOU, KQÌ 'tiÌ ÉPYa CJOU 'tà eoxata n;\Eiova t fondamentali che devono caratterizzare la vita dei credenti (2,19). Anche il passo di 3,10, di cui af-

l/verbo TTIPEìv nel senenario delle lettere

57

fronteremo la difficoltà di traduzione, 54 sembra indirizzarsi in questa stessa linea: «hai mantenuto la parola della mia (di Cristo) perseveranza ('tòv J..oyov tft> (1ì1à tòv 'A.éyov tiic;llaprupiaç aù·niìv), cioè nella ripresentazione della testimonianza stessa di Cristo che essi hanno accolto (cf. 12,17; 19,10) e interiorizzato (aùtOiv); la partecipazione all'amore di Cristo (al sangue dell'Agnello) permette così ai discepoli di rivivere nella loro vita quello stesso amore nel rinnegamento di sé fino alla morte ( oùK iJyanT]aav tr,v IVUXÌlV aùtOiv ìixp1 Oavatou ). La lettura circolare tra il settenario e la parte profetica permetterebbe, anche in questo caso, un confronto fecondo: l'amore della chiesa di Tiàtira (2.19) si manifesta nella capacità di non amare se stessi fino alla morte (12,11 ), come l'Agnello immolato (cf. 1,5; 3,9). In questa luce l'elenco delle quattro opere, amore-diaconia-fedeltà-costanza, sembra trovare una sua omogeneità semantica alla luce della vicenda storica di Cristo, presentato nelle visioni con l'immagine suggestiva dell'Agnel-

on

62 Cf. 1,5 e 3,9 si riferiscono all'amore di Cristo: il primo passo, al participio presente. funziona quasi come un titolo: il secondo è all'aoristo. In 12.11 il verbo è riferito ai discepoli che «non han· no amato,, la loro vita fino alla morte; in 20,9 si fa riferimento alla ~~citta amata» cinta d'assedio nel combattimento escatologico. 63 Cf. PRIGENT, L'Apocalisse, p. 33.

64

Custodire la Parola

lo immolato ritto in piedi. Il prino termine, l'amore, si rivela come la radice e la linfa degli altri: le della chiesa di Tiàtira sono la declinazione della testimonianza storica di Cristo. Abbiamo cercato di comprendere il contenuto delle opere della comunità a partire dal loro riferimento cristologico. Questa linea interpretativa sembra essere confermata da un ultimo elemento: al termine della lettera, nella promessa al vincitore, compare l'espressione > ( KpaTI)cratE) e «custodire>> ( ò tTIPWV ), dei rispettivi oggetti, (o E)(EtE) e «le mie opere>> ( tà Epya IJ.OU ), come dell'espressione temporale: «fino a che non venga>> ( ii)(ptç où iìv iisw) e «fino alla fine>> (a)(pt ttì..ouc;). In base a questo parallelismo la preoccupazione dell'autore sembra sbilanciata sulla ortoprassi della comunità a partire però da un atteggiamento che riguarda la sfera dell'interiorità, il v. 25 infatti orienta la traduzione di tTIPÉlv con un termine inerente al campo semantico della custodia anziché della prassi. 69 Concludendo, data la difficoltà interpretativa del v. 25, preferiamo mantenere aperta, anche in questo caso, la duplice possibilità di riferimento sia alla

(col. 1346). Tra gli oggetti del verbo troviamo: «vita eterna» (Gv 3.15).1a «parola• (Gv 5.38).1'«amore di Dio• (Gv 5,42), la «luce» (Gv 8.12). i «comandamenti» (Gv 14,21; al sing. d. 1Gv 2,7;4,21;2Gv 5), la «pace• (Gv 16,33), la «gioia• (17.13); il possesso non riguarda solo i ùoni divini, ma le persone stesse: «Dio» (1Gv 2.23; 2Gv 9). il «Figlio• (IGv 5.12). 6? Cf. BROTSCii, La clarré, p. 71; BoNSIRVEN. L'Apocalisse. p. 114. ""Cf. PRtGEl'H, L'Apocalisse. p. 115: SWETE. The Apncalypse. p. 46; ALLO, Apoca/ypse. p. 44; CHARLES. A Cri fica/ Commemary, p. 74; quest'ultimo fa riferimento ai decreti della legge riferita da At 15.28ss che invita a non mangiare le carni immolate e quindi ad astenersi dalla partecipazione ai banchetti per i rischi di >. Il problema riguarda l'identificazione della realtà a cui questi angeli rimandano.85 Alla luce di 1.16.20 è plausibile pensare che, attraverso il simbolismo cosmologico proprio della stella, si voglia evocare, attraverso gli angeli, la dimensione trascendente della chiesa. Infatti, mediante la ripresa del termine «angelo>> all'inizio di ciascuna lettera e l'utilizzo della seconda persona singolare da parte di Cristo risorto nei confronti della chiesa, si esprime una sorta di identificazione tra chiesa e angelo.Mii Attraverso la ripresa del verbo exe:tv (1,16; 3,1) viene intessuta una continuità letteraria tra i tre passi in questione: il suo utilizzo in 3,1 per entrambi gli attributi di Cristo, i sette spiriti -lo Spirito- e le sette stelle- la trascendenza della chiesa significata dagli angeli -.li pone in relazione molto stretta tra loro: la dimensione trascendente evocata dal simbolismo cosmico della stella non è infatti che una realtà propriamente pneumatica. In 1,16, attraverso il simbolismo antropologico della «mano destra>>, si indica che la dimensione trascendente della chiesa è garantita dalla potenza pneumatica di Cristo: niente e nessuno potrà prevalere su di essa anche quando fosse minacciata mortalmente (cf.Ap 12). I tratti simbolici dell'autopresentazione di Cristo vogliono quindi richiamare la comunità di Sardi alla sua identità più profonda, ma invisibile agli occhi: è partecipe della trascendenza divina grazie al dono dello Spirito di Cristo Risorto; questa partecipazione, talvolta, può apparire soggetta alle vicende storiche avverse, in realtà non è così; la comunità può fare affidamento, in qualunque situazione, sulla potente energia del Risorto.

84 Cf. ALLO, Apocalypse, p. 68; BoNSIRVEN, L'Apocalisse, p. 115; LoHSE. L'Apocalisse, p. 62; SWETE. The Apocalypse, p. 48: CAIRO, The Revelation. p. 48: BROTSCH. La c/arté, p. 27: PRIGENT. L'Apocalisse, p. 121; HEMER, The Lellers, p. 142: VANNI. L"Apocalisse, pp. 21 nota 6: 110 nola 16: 184-188; cf. anche B. MoRIK È!16ì..uvav tà t!latta aùtcòv ). Le vesti qualificano globalmente la persona: sono il segno esteriore che rivela la verità interiore, invisibile agli occhi; la veste rivela la persona per quello che essa è attraverso quello che di essa appare.MM Dall'insieme degli elementi che emergono dal settenario si può arguire che la metafora della «macchia>> faccia riferimento al sincretismo praticato da alcuni membri della comunità (nicolaiti, baalamiti e la pseudo profetessa Gezabele ). Nella promessa al si afferma che Cristo (3,5: Ò!lOÀOyeì v) di coloro che hanno vinto; si può quindi supporre che il conseguimento della vittoria di alcuni componenti la comunità si riferisca al rifiuto radicale opposto alla minaccia di compromesso con l'ambiente sincretista e pagano: coloro che non hanno macchiato le loro vesti sono coloro che si sono mantenuti fedeli. vigili. È verosimile pensare che coloro che hanno vinto abbiano il nome di Cristo, gli siano cioè rimasti fedeli, forse anche a costo di una certa emarginazione sociale, o addirittura della vita (2,10). 89 In questa luce si comprende meglio il peso del primo imperativo: «divieni vigilante>> (yivou YPllYOpcòv). Il verbo yivo11at, secondo il suo valore costante nell'Apocalisse, indica un divenire, un passaggio da una situazione a un'altra. Si tratta di svegliarsi da una sorta di torpore che impedisce alla chiesa di rendersi cosciente della situazione di contraddittorietà in cui è caduta per evitare di morire definitivamente, riassorbendo così la distanza tra apparenza e realtà. Ecco, appunto, il secondo imperativo: (Kat a'tftptaov tà ì..otJtà éì E!lEMov àJto9aveìv). Il Kaì. potrebbe assumere anche una sfumatura finale: . A questo punto, dopo che la chiesa si è svegliata e si è impegnata a > (llE> (Oioa aou 'tà epya) viene infatti ripresa dal primo on, dopo l'espressione parentetica: (v. 8b )? Un contributo per l'interpretazione può venire dalla frase che segue al v. 8b, posta in parallelismo, «non hai rinnegato il mio nome>> (Kat oÙK itpvi!aw ~ò ovo~J.a IJ.Ou): si può supporre, coerentemente, che la indichi una resistenza attiva alla dominante cultura paganeggiante e sincretista portata fino all'accettazione del martirio. Tale resistenza diviene così una forma eloquente di testimonianza capace di scuotere le coscienze aprendole alla conversione (cf. 3,9; anche 11,13). La comunità, custodendo il contenuto della parola di Cristo (rivelazione), è divenuta, con il suo , lievito per la conversione degli uomini. Questa prospettiva missionaria di carattere centripeto sarà oggetto di un paragrafo a parte più avanti. Tale interpretazione. nel contesto immediato, è corroborala dalla ripresa dello stesso sintagma con una piccola ma significativa aggiunta (v. 10). 4.3.2 Il sintagma

É~pT]aac; ~òv

J...Oyov "tft> (che trova il suo centro nella perseveranza) sia collocato dall'autore in una prospettiva missionaria centripeta. È l'accenno alla conversione di un gruppo di giudei a sollecitare questa prospettiva. 4.3.3 La prospettiva missionaria Abbiamo già accennato al parallelismo tra i due sintagmi: l(Q

t

I(Qt

J.IO'UtÒV WlOV tò OVOJ.IO J.IO'U.

Tale parallelismo potrebbe essere di tipo sinonimico: sia la coppia verbale ( «custodire>>f) che l'oggetto (parola/nome) hanno infatti una valenza semantica in comune. Oltre al già richiamato pericolo di sincretismo, la comunità di Filadelfia poteva essere continuamente tentata di lasciarsi attrarre dai tentativi dei giudei di indurre i cristiani provenienti dal giudaismo ad allontanarsi dalla fede (cf. Ap 2,9). Il lungo v. 9 pone infatti il problema del rapporto conflittuale tra la comunità cristiana e quella giudaica che si trovavano a convivere nella città. Questo rapporto è interpretato in modo diverso dai commentatori a seconda di come viene intesa l'autopresentazione di Cristo all'inizio della lettera e l'immagine della . Gli studiosi sono divisi tra chi riconosce una tensione missionaria nella lettera- a questi va la nostra simpatiae chi invece la ritiene estranea a essa. Vorremmo presentare in breve questi due orientamenti fondamentali con le rispettive motivazioni. Partiamo dal secondo gruppo di cui fanno parte Lohse, Lohmeyer e Prigent.121 Il problema che rimane aperto, come dicevamo, è il significato che assume l'immagine della «porta aperta>> e, di conseguenza, l'identità di coloro che vi devono entrare. Secondo questi autori Cristo apre la porta del regno, la Gerusalemme celeste, alla comunità stessa di Filadelfia per farla partecipe della sua gloria. Lohse afferma: «Essa trionferà con lui su tutti gli avversari che ora la opprimono. Tra questi vanno annoverati i Giudei i quali non meritano più il nome onorifico di giudei e di popolo di Dio (cf. 2,9) perché sono diventati nemici dell'Israele di Dio (Gal6,15ss). Le profezie che parlano della sottomissione dei re pagani sono applicate ora ai

121 Cf. LOHMEYER, Die Offenbarung, p. 35; loHSE, L'Apocalisse, pp. 64-65; PRIGENT, L'Apocalisse, pp. 133-134.

Il verbo

tTJPEÌV nel settenario

delle

letter~

83

Giudei: il Signore in persona farà in modo che essi debbano comparire umiliati davanti alla comunità e geltarsi ai suoi piedi>>. 122 L'interpretazione dei giudei è soggettiva, il verbo che viene utilizzato è quello tecnico dell'adorazione (npooKuvt:iv) e niente, nel contesto, indica una sua accezione negativa. 123 Lohmeyer cita a sostegno della mancanza di una prospettiva missionaria un passo delle Odi di Salomone (42,22ss ) 124 dove si annuncia la discesa di Cristo nell'Ade e la sua risalita insieme con gli uomini per ricondurli alla vita. Nel passo i morti lo invocano: ; Cristo risponde: . Questa lettura avrebbe il vantaggio di riprendere l'immagine di Cristo risorto con le chiavi della morte e dell'Ade (cL l,l8) e quella del nome nuovo di cui si parla al v. 12. Ma le domande che sorgono sono: quale rappòrto si instaura Ira la prima e la seconda parte del v. 8?; si dovrebbe comprendere la comunità di Filadelfia come l'Ade di cui parlano i Salmi di Salomone? Ci sembra che questa interpretazione apra più domande di quante ne risolva. Infine Prigent si limita a richiamare questi autori e a riproporre le loro posizioni ritenendo che il passo delle Odi di Salomone invocato da Lohmeyer sia un >. La comunità di Sardi è «morta>>, quella di Laodicea è «tiepida>> e si vanta della propria ricchezza (3,17; cf. 18,7). Al contrario viene esaltata quella povertà che a Smirne non impedisce di raggiungere la vera ricchezza (2,9). L'idolatria della prosperità materiale che caratterizza l'impero romano- la città di Babilonia -si è in filtrata nella comunità pervertendone l'i-

1411 L'invito a «CUstodire le parole della profezia» che troviamo nel prologo e nell'epilogo (cf. 1,3; 22,7.9) sembra soggetto allo stesso dinamismo; la riuscita dell'esperienza apocaliltica dipenderà infalti dal verificarsi di questa condizione fondamentale richiesta alla comunità (l J: 22.7.Y): la /_,ti· monianz.a pro/etico- a cui essa è chiamata una volla sciolta l'assemblea liturgica- potrà essen: resa al mondo nella misura in cui quelle parole saranno custodite fedelmente. In realtà il contenuto della parola di rivelazione a cui si accenna nel sctlenario (3,3.8.10), d" l momento in cui il lettore ac· costa il libro dell'Apocalisse non può ora non includere anche le parole della profezia in esso contenute ( 1.3: 22,7.9). 149 Cf. BAUCKHAM, La teologia, pp. 145-150; cf. inoltre E. ScHOSSLER FtoRENZA, •Apocalyptic and Gnosis in the Boolc of Revelation and in Pau!», in JBL 92(1973), 565-581. 570-571; A. YARURO COLL!NS, Crisis and Catharsis. The Puwer of the Apocalypse, Philadelphia 1984, pp. 74-75.

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Custodire la Parola

dentità. Biguzzi coglie bene il pericolo mortale che minaccia l'integrità della chiesa coinvolta in questa «cultura del benessere»: «[ ... ) In tutto questo però la vera insidia per la fede delle comunità, più che nelle isolate iniziative anticristiane dei magistrali locali e imperiali. era per Giovanni probabilmente nello spirito del tempo, fatto d'amore del benessere e di mediocrità. che tarpava le ali agli ideali evangelici. A p. oltre che libro di resistenza alla persecuzione, come si presenta a prima vista. è dunque libro di resistenza allo stile di vila molle e decadente della "pax romana". Si spiega così come mai l'idolatria della bestia polarizzi l'interesse e la conseguente condanna di Giovanni più che l'idolatria tradizionale: non tanto o non soltanto a motivo del suo lato duro, quello della persecuzione. bensì soprattutto a motivo del lato suadente. e cioè a motivo dell'allettante prospettiva del benessere che rammolliva gli spiriti>>.tso

Questo clima di benessere costituisce quindi il contesto entro cui si inserìve la polemica antiidolatrica propugnata da Giovanni nelle lettere ad Efeso, Tiàtira e Pergamo. 5.3.2 La corrente eterodossa (nicolaiti, baalamiti, Gezabele): gli idolotiti e la fornicazione Nelle città di Efeso, Pergamo e liàtira emerge un problema interno di eterodossia, rappresentato da diversi gruppi nicolaiti. baalamiti. pseudoprofetessa Gezabele, tra cui sembra sussistere uno stretto rapporto ideologico. 151 Questi infatti propagano )'«idolatria» e la «fornicazione» all'interno della chiesa (2,14.20), i mali tipici della società pagana (cf. 9.20.21; cf. 21,8; 22,15), rappresentata. emblematicamente, dalla bestia (c. 13) e dalla città di Babilonia (c. 17). Il rapporto tra la cultura del benessere propugnata dall'impero. descritta in particolare nel c. 18, e la polemica antiidolatrica di Giovanni sembra essere molto stretto. Come già detto, i lavoratori riuniti in corporazioni, le gilde, dovevano partecipare al culto imperiale per non essere esclusi dalla vita sociale e commerciale. La partecipazione alle gilde diveniva perciò problematica per un cristiano che voleva attenersi alle indicazioni dell'autore dell'Apocalisse. Rinunciare a parteciparvi poteva rappresentare una lenta ma inesorabile esclusione dal circolo commerciale. I nicolaiti propugnavano così di rimanere nel giro degli affari, partecipando ai riti sacrificai i e a ciò che essi comportavano - idolotiti e fornicazione - affermando che l'omaggio agli dei e all'imperatore era un gesto solo formale.l 52

150 BIGUZZI,/ settenari. pp. 326-327: in questa analisi l'autore cita a suo sostegno lo studio della A. YARBRO COLLINS, Crisis and Catharsis. 151 Cf. CHARLES, A Critica/ Commentary,l, p. 53: HEMER, The lellers. p. 88. 152 Cf. ScHOSSLER FIORENZA. «Apocalyptic and Gnosis•, p. 570: ID. The Book of Revelation. lustice and Judgement, Philadelphia-United Slales of America 1985, p. 195; P. PRIGENT, «AU temps de I'Apoc.,ll», in RHPR 55(1975), 235; CAIRD, The Revelation, p. 40; BoGUZZI, l sellenari, p. 326.

Il verbo fTIPEiv nel setteMrio delle lettere

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L'opzione di Giovanni sarebbe equivalsa a un suicidio economico. Osserva ancora Biguzzi: «Culto imperiale e benessere promosso da Roma erano di fatto strettamente collegati. Il mondo civilizzato riposava sull'ordine della "pax romana", e di quella prosperità erano artefici. simbolo e garanzia l'imperatore e la dea Roma, madre di tutte le città e province dell'impero. Nel vissuto quotidiano l'imperatore era il dio concreto e vicino. Egli era incarnazione della "divina providentia", con l'approntamento di strutture e servizi sociali un po' ovunque, con le sue sovvenzioni in tempo di carestie. incendi e terremoti. Tra imperatore e province c'era come uno scambio reciproco, di protezione da una parte e di gratitudine dall'altra. per cui più che di culto dell'imperatore si dovrebbe parlare di culto del "Benefattore "». 153

Il discorso antiidolatrico- nicolaiti, baalamiti e gezabeliti - risulta essere quindi segnatamente antiromano e antiimperiale. È soprattutto l'idolatria della bestia che polarizza l'interesse e la conseguente condanna di Giovanni piuttosto dell'idolatria tradizionale. Il culto imperiale viene infatti descritto attraverso i tratti apocalittici dell'Anticristo. t54 Come già dello, probabilmente, questi gruppi propugnavano un tentativo di conciliazione tra la fede e la cultura dominante allo scopo di evitare un isolamento sociale eccessivo e ritenuto, tutto sommato. inutile. La pseudoprofetessa Gezabele > secondo una fraseologia tipica deuteronomista. La composizione dei vv. 4-5 è organizzata secondo uno schema tipico: nel contesto dell'Alleanza all'atteggiamento di fedeltà e di amore di YHWH corrisponde la fedeltà e l'amore del popolo. 11 Questo atteggiamento speculare è indicato dall'uso del verbo "tllPEtv (LXX), o del suo sinonimo iliUÀacrcrnv (Th), con soggetto YHWH in relazione all' Alleanza e il popolo in riferimento ai comandamenti. Dopo questo quadro ideale (v. 4), è invece presentata l'infedeltà del popolo (v. 5), stigmatizzata in una densa sequenza verbale si noni mica che tocca il suo climax nel riferimento alla mancata osservanza dei comandi (7tapÉ~TJJ.lEV tàc; ÈvtoÀ.ac; crou Kaì tà KpiJ.latci crou; cf. anche vv. 10.11.13.14). Daniele al termine della preghiera viene gratificato, attraverso la mediazione dell'angelo Gabriele, della comprensione definitiva del passo di Geremia, considerato secondo la tradizionale esegesi giudaica come un criptogramma il cui senso ultimo può essere compreso solamente nel tempo della fine dagli uomini che Dio ha scelto: il tempo è quello che sta vivendo Daniele, e lui è l'eletto. Ma il libro non si ferma qui, propone uno spiraglio sul futuro. 1.1.3 Il martirio dei saggi (Dn 12,1-3; cf. 11,33-35) Non è possibile affrontare tutti i problemi relativi alle difficoltà interpretative poste da questa breve pericope. Vogliamo semplicemente cogliere ciò che interessa il nostro tema: l'insegnamento e il martirio dei saggi condurrà «molti» a una nuova esperienza di fedeltà a Dio o, in altri termini, di Giustizia (cf. 12,3.10; cf. anche 11 ,35). 12 In che cosa consista il loro insegnamento non è detto esplicitamente, ma è plausibile pensare alle sacre scritture che presentavano già alcune feconde chiavi di lettura 13 per l'interpretazione del piano di Dio nel momento

11 12

Cf. Dt7.9·11:26.17·19;Es 19.4·5. Cf. CoLUNS. Danie/, p. 393: «Il motivo dell'esaltazione si trova in ls 52.13. È degno di nota che qui (12.3) il saggio rende giuste le persone comuni. mentre in 11.33 i saggi le aiutano a comprendere. Le due nozioni sono evidentemente strettamente correlate, se non equivalenti>>. Secondo Collins con l'espressione > di YHWH dalla storia.27 Dietro l'osservanza di uno di questi precetti - fosse anche «semplicemente>> alimentare (6,21-22) - si celava una questione di ordine teologico (6,26-27). 2H Emerge così una grande unità di senso nella complessità delle relazioni tra le varie mediazioni salvifiche - Legge (leggi), elezione, patria, tempio _29 in cui la Legge gioca un ruolo certamente primario, anche se il fine ultimo rimane, bisogna ricordarlo, la salvaguardia dell'elezione (5.19), e con l'elezione il riconoscimento dell'unica signoria di YHWH, le cui leggi sante santificano il popolo (6,23). Parlare di 30 non ci pare perciò aderente alla prospettiva religiosa che emerge dal testo.

26 Cf. E. BtCKERMANN, The Good of the Maccabees. Studies o" the Mea"i"g and Origin of the Maccabean Revo/t. Leiden 1979. p. 22. 27 Cf. a questo proposito, al di là della possibilità di collocare storicamente il salmo, le acute rinessioni di B. CoSTAClJRTA. «L'aggressione contro Dio. Studio del Salmo 83». in Bib 64(1983).518-541. 28 Cf. E. VALLAlJRI. /-2 Maccahei. Brescia 1982, p. 108: «( ... )per l'autore- secondo una con-

cezione tipicamente farisaica in senso positivo- sembra non darsi gradazione quando si è di fronte alla volontà di Dio. che la legge esprime. Quanto Dio comanda, non può essere mercanteggiato e anche una disposizione sui cibi poteva chiamare in causa l'adesione al Dio d'Israele. come l'insieme della presentazione dei cc. 6· 7 tende a mettere in risalto. specialmente il c. 7 con la scenografica presenza del re Antioco. quasi anti-Dio che sollecita. minacciando a scegliere tra lui e il Dio d'Israele». 29 Cf. R. DoRAN, «2 Maccahees and "Tragic Hislory"». in HUCA 50(1979), 107-114; lo., Tempie Propaganda the P11rpose a"d Character o[ l Maccabees. Washington 1981. 30 Cf. per esempio la posizione di Renaud (cf. sopra, nola 23).

108

Custodire la Parola

1.2.3 Confronto tra l e 2 Maccabei Giuda Maccabeo è presentato in 2Mac, a differenza di lMac, come il pio osservante fin dal suo primo apparire (5,27); rispetta il giorno del sabato (8,26; 12,38); si premura di seppellire i morti e si fa carico delle vedove e degli orfani (8,28); nemico dei bestemmiatori (15,32ss ); si preoccupa di coloro che sono morti per impetrare la loro salvezza (12.39-45). Al di là della forma militaristica con cui si presenta, del resto non accentuata nel libro e dovuta alla situazione, Giuda è colui che sta dalla parte di Dio e lotta a qualunque costo per la sua causa. 31 Rispetto a 1Mac, in 2Mac è manifesta la volontà di presentare il martirio come la condizione per la riuscita della rivolta maccabaica (7,38; 8,5). 32 Come l'ira di Dio si era riversata sul popolo per la disobbedienza alla Legge, così, al contrario, per la dedizione a essa fino alla morte, l'ira del Signore si cambia in misericordia per il popolo e in vendetta sui nemici del popolo, in realtà suoi stessi nemici (10,26). Conseguentemente, rispetto a lMac, in 2Mac, pur venendo ricordata larivolta di Giuda Maccabeo (8,lss), non viene però enfatizzata l'insurrezione armata come adeguata e unica risposta alla violenza attuata dal persecutore. Se i due racconti di martirio la precedono, posti come sono al centro del libro, significa che l'interesse dell'autore è piuttosto quello di enfatizzare la disponibilità al «dono della vita» per le sante leggi, cioè per YHWH stesso (7,2.9.11). Anche nelle narrazioni delle battaglie questo motivo ritorna sovente (8,21; 13,14; ecc.). Ciò che interessa l'autore è ricordare con fermezza che Dio non abbandona mai il suo popolo e che presto farà vendetta dei nemici (8,5).J 3 L'autore sostiene quella corrente teologica che vede la vittoria provenire esclusivamente da Dio: è Lui l'Alleato su cui contare per vincere la battaglia (8,18-24; 10,28;

31 Cf. VALLAlJRl, 1·2 Maccabei, pp. 106-1 07; a p. 47: «siamo di fronte a un netto ridimensiona· mento della figura guerriera del M acca beo, a una specie di demitizzazione, che nel nostro caso possiamo dire a rovescio in quanto vengono smorzate le virtù propriamente guerresche dell'eroe. e quindi l'elemento umano. a vantaggio della sua pietà, la vera ragione dei suoi successi militari, quindi dell'elemento spirituale [... ] il vero protagonista del racconto è Dio che agisce secondo tempi e modi suoi propri ma conduce il popolo a salvezza con interventi decisivi. attuati, sì. attraverso la mediazione di personaggi eh~ però più spesso appaiono semplici tramiti della sua azione liberatrice». 32 Cf. ibid., p.I09: «E evidente che all'autore le figure dei martiri sono care: vi indugia e le col· )oca in maniera tale che ad alcuni sembrano costituire il punto centrale o per lo meno la svolta decisiva della narrazione. Il martirio ha certamente ai suoi occhi una rilevanza tutta particolare: è il modo ~iù sublime per attuare la propria risRosta al Dio d'Israele». -'Cf. VALLAURt, 1-2 Maccahei, p.46: «E chiaro che il raggiungimento della libertà politica non interessa l'autore di 2Mac come avviene invece per lMac. Se con l'autore di questo libro egli condivide l'attenzione alla liberazione di Israele, lo fa con molto minore interesse per le implicazioni politiche: non certo che le escluda. né tanto meno che si limiti a una nozione puramente spirituale della liberazione. ma non è così sensibile come IMac al tema dell'indipendenza nazionale. La sua preoccupazione è che Israele possa svolgere serenamente la sua vita religiosa, raggruppato intorno al Tempio, nella fedeltà alle istituzioni dei padri. e mostrare che Dio in definitiva interviene per li· berare da tutti quelli che in qualche maniera attentano a questo ideale, si tratti di giudei rinnegati o pagani altezzosi••.

Il verbo fr!pelv nella sezione profetica

109

11,9.13; 12,11; 13,17; 15,8.26-27). Thtto si svolge in un clima di preghiera: di invocazione prima dello scontro (8,23; 10,25-26; 11,6; 12,15.28; 13,10-12) e di ringraziamento dopo il successo (8,27; 10,38). 34 Mentre in Daniele assistiamo alla duplice possibilità dell'intervento di YHWH, sia prima della morte (Dn 3 e 6) che dopo (11 e 12), in 2Mac questo intervento è aspettato soprattutto con la risurrezione. La risurrezione si offre così come l'orizzonte che nutre la speranza dei martiri e li incoraggia ad affrontare la morte. Il martirio è poi visto nella sua propria profondità teologica: come strumento di purificazione a vantaggio di tutto il popolo per stornare l'ira di Dio, prima rivolta sugli eletti a causa del peccato del popolo, sui nemici che tentano di cancellarne l'identità. 35 Forse è insita nel martirio anche una valenza salvifica universale: grazie alla morte della vittima il persecutore è condotto al riconoscimento dell'unica signoria di YHWH. Questo riconoscimento diventa ancora più significativo perché Antioco IV considerava se stesso la manifestazione di Zeus. 36 Morire per la Legge diviene un (int6&tyJ.La) da seguire per le generazioni future, gravido di frulli (6,24 ). Anche se l'atteggiamento del vecchio Eleazaro sembra in primo luogo dovuto a una sana etica, improntata all'onestà greca, emerge però con forza il fondamento religioso nell'affermazione della scelta della morte a causa del giusto giudizio di Dio a cui nessun uomo può sottrarsi, quindi per un autentico timor Dei (6,26.30)_37 Come si è potuto constatare, tra i due libri vi sono elementi comuni, ma anche elementi divergenti. L'elemento che li accomuna, anche se con prospettive diverse, riguarda l'importanza attribuita alla fedeltà alla Legge come mezzo privilegiato per resistere all'ellenizzazione forzata promossa da Antioco IV. Tra gli elementi di discontinuità emerge soprattutto la diversa valutazione del martirio.3 8 L'autore di 1Mac vede la resistenza armata come l'unico modo per raggiungere la libertà e vivere in comunione con Dio l'esistenza terrena, unica e sola possibilità data all'uomo (cf. 2,62-64). Il suo silenzio sul valore del

34

Si discute se per questi libri si debba parlare di genere letterario di >, la donna e il drago. 50 Nel c. 14, in contrapposizione alla visione precedente che presentava le due bestie e i loro adepti, appare l'Agnello e coloro che gli appartengono, i 144.000. È probabile che la pericope svolga il ruolo di presentare, come in prolessi, l 'esito

48 Cf. BtGuzzt./ serrenari, pp. 298-300. L'autore mette in discussione la proposta di Vanni per il quale ci troviamo all'interno della quarta sezione che ha il suo inizio in 11.15 e la sua conclusione in 16.16 (cf. VANNI, La srrurrura. pp. 195-205); in questa lunga sezione, che segnerebbe il climax della seconda parte del libro, l'elemento letterario strutturante sarebbe costituito dal «triplice segno» (12.1.3; 15, l). Secondo Biguzzi, che recepisce le perplessità di M.E. Boismard (recensione al contributo di Vanni sulla struttura letteraria in RB 81[1974],151) e A. Feuillet ( della . I tre passi che dovremo affrontare (12,17; 14,12; 16,15) vogliono infatti descrivere, a nostro avviso, quale deve essere la loro per uscire vittoriosi da questo scontro mortale. Il capitolo si può facilmente suddividere in tre sottosequenze che ne determinano lo sviluppo: i vv. 1-6 contengono la presentazione dei primi due «segni», la yuvJi e illìpciKrov; i vv. 7-12 costituiscono una sorta di parentesi di approfondimento che interrompe il racconto; infine i vv. 1317, riprendendo il filo narrativo dei vv. 1-6, descrivono la lotta tra il drago, la donna e la sua discendenza. 2.2.1 I vv. 1-9: la yuvJi e illìpciKrov I protagonisti della pericope, la yuvJi e il lìpciKrov, rappresentano, rispettivamente, il «grande segno>> (12,1: crTIJ.lEtov J.1Éya) e l' (12,3: aìJ..o crTIJ.lEtov); in questo modo il veggente mostra l'intento di intessere una precisa relazione tra essi. La yuvil è descritta attraverso due livelli simbolici tra loro «discontinui», 53 quello celeste (12,1) e quello antropologico delle doglie (12,2). Il primo quadro

51 CC. per la storia d~ll'esegesi: P. PRIGENT, Apocalypse 12. Histoire de /'exégèse, TUbingen 1959; per l'esegesi: P. FARKAS, La •donna• di Apocalisse Il.. Storia, bilancio, nuove prospettive. Roma 1997; H. GoLLINGfR. Das «Grosse Zeichen» von Apokalypse Il.. Stuttgart 1971, pp. 185-197: J. LòPEZ, La figura de la bestia entre historia y pro[tcfa. lnvestigacitm teològico-biblica de Apo>, in BbbOr 15(1973), 27-32; J. PtKAZA, «Apocalipsis Xli: cl nacimiento pascual del Salvator>>. in Sa/m 23(1976), 217-256; E. TESTA, «La struttura di Ap 12,1-17•, in LibAn 34(1984), 225-238; U. VANNI, •La decodificazione del •·grande segno" in Apocalisse 12.1-6>>, in Mar 40(1978), 121-152; l'articolo è ripreso in lo., L'Apocalisse, pp. 227251.343-347; A. YARDRO COLLINS, The Combat Myth in the Book of Reve/ation, Missoula 1976, pp. 57-85: «The Combat Myth in Revelation 12>> (c. Il); pp. 101-156: «Jewish and Christian Use of the Combat Myth in Revelation 12• (c. 111). 52 Cf. A. FEUILLET, «Le chapitre XII de l' Apocalypse. Son caractère synthétique et sa richesse doctrinal>>, in EsprVie 88(1978). 672-683. 53 Per l'interpretazione dell'uso del simbolismo nell'Apocalisse cf. VANNI, L'Apocalisse, pp. 31-61.

Il verbo rTJPEìv nella sezione profetica

115

simbolico (12,1: nEptjk~À.TU.lÉVIl tòv i\ì..wv, Kai...) evoca la partecipazione della chiesa alla dimensione della trascendenza: la sua identità più profonda, e quindi l'esito finale del suo destino, si può cogliere, in modo autentico, solo da questo punto di vista; essa, pur essendo coinvolta nel dramma storico, nel contempo, lo trascende, in qualche misura partecipa già del mondo proprio di Dio. Questa prospettiva le permette di guardare ai fatti della cronaca con un maggior distacco e con nuova profondità, al di là delle apparenze. Di fronte a qualsiasi pressione esercitata dali 'ambiente esterno a lei ostile, nella contemplazione dell'icona della donna può ritrovare il coraggio necessario e rinvigorire le proprie forze. Il simbolismo aritmetico delle 12 stelle evoca l'identità della donna a partire dalla continuità storico-salvifica intessuta dal libro tra le dodici tribù e i dodici apostoli: la chiesa è il vero compimento di Israele e perciò partecipa già da ora al compimento escatologico (cf. 2l,l2-14). Il secondo quadro simbolico, quello delle doglie (12,2: Év yaatpl. EJ(O\JO'a, Kal. KpaçEt eìJ5ivoucra Kaì ~cravtçoi!ÉVI'l tEKE'iv), indica il doloroso compito della comunità ecclesiale nella «generazione>> del suo Cristo; in termini realistici si tratta di innervare nella storia i valori della sua risurrezione attraverso la testimonianza profetica.:~>, trova le sue radici nell'ambito veterotestamentario, ma viene rielaborata creativamente secondo il genio dell'autore. La propria della si risolve ora nella sua :55 il Figlio di Dio, il Cristo, dovrà essere continuamente dalla comunità fino alla sua piena manifestazione. propria della fase escatologica. L'assemblea viene confortata dalla visione del : i valori cristologici che saranno dal resto della discendenza, la donna incinta, non potranno subire alcuna menomazione nonostante la feroce aggressione delle forze sociologicamente rilevabili a lei ostili (12,4b). Il bene cristologico a cui la comunità darà vita nella sua vicenda drammatica sarà posto al sicuro nell'ambito della trascendenza presso il trono di Dio, simbolo del suo dominio assoluto nel governo della storia (12,5b ). L'allusione al salmo messianico (12,5a; cf. Sal 2,9) evoca l'ironia di Dio nei riguardi dei re della terra, che tentano, ingenuamente, di sopraffare il suo messia. 56 La signoria messianica di Cristo è ora

54

Se è chiaro il riferimento veterotestamentario non deve essere considerato impossibile un

riferimento alla figura di Maria come ultima realizzazione dell'identità della •donna•. •madre• e «Sposa~). propria di Israele ne1r AT. La comunità è chiamata a vivere una maternità >, venendo dal cielo, la zona della trascendenza, indica che si tratta di una rivelazione. Secondo un ) che è stato gettato (é~MihJ; cf. Gv 12,31 sulla terra), dove i credenti continuano ad attualizzare quella vittoria riportata da Cristo. Essi possono vincere (éviKTICJav) perché in loro opera quell'energia che si sprigiona dal sangue (lha 1:ò aiJ.La) di Cristo, l'energia propria del mistero pasquale.7° Ma non solo, il «sangue>> evoca anche la tipologia di questa vittoria: essi vinceranno «attraverso la parola della loro testimonianza>> ( lìtà tòv 'A.Oyov tflc; J.laptupiac; aùtciiv) cioè se stessi (oùK i]ya1t11csav), attraverso cioè il dono della loro vita (cf. Gv 3,16-17; 10,17-18). 71 La della loro testimonianza non indica in primo luogo l'attività kerigmatica, ma la rivelazione che si sprigiona attraverso la loro vita e la loro morte; è questa la parola eloquente della loro testimonianza. La testimonianza che i credenti hanno ricevuto da Cristo è divenuta loro proprietà, li ha plasmati a tal punto da esserne, a loro volta, testimoni (cf. 19,10). Si viene a intessere un profondo rapporto semantico con il prologo (1,2): come la ('A.Oyoc; toil6eoil). veicolo di rivelazione, si esprime in pienezza nella (f!aptupia "lllCJOU Xptcstoil), una volta che i discepoli hanno assimilato interiormente questa testimonianza diventano essi stessi, con tutta la loro vita, testimonianza rivela t oria ( lìtà tòv 'A.Oyov tflc; J.!Op1:Upiac; aùtciiv); l'espressione indica pertanto che la rivelazione continua a irradiarsi nella storia attraverso la testimonianza dei testimoni, mimesi puntuale di quella stessa dell'Agnello immolato.7 2 Il sistema menzognero terrestre viene così infranto sin dalle fondamenta da coloro che gli si sottraggono e accettano di perdere anche la vita pur di non esserne irretiti: la tenebra della menzogna viene così diradata dallo splendore della verità (rivelazione) che rifulge nella testimonianza dei discepoli 73 È questo il motivo della gioia (lìtà toilto EÙcilpaivEcs6E) di coloro che abitano nei cieli

69

Può esserci un contatto letterario-tematico con il Sal 2, già evocato nel contesto (cf. v. 5): il

Regno si attua di fatto nello scontro con i re della terra; l'ironia del salmo sottolinea l'impotenza di questi regni umani. 711 Cf. U. VANNI. «Il sacerdozio dei cristiani e il sangue di Cristo nell'Apocalisse•. in F. VATTIONt, a cura di, Sangue e Antropologia nella Liturgia. Alli della IV Sellimana, Roma 191!4-1987. pp. 835-862. 71 Cf. Gv 12,20.36: il giudizio del principe del mondo, «gettato fuori• (v. 31), si realizza, di fatto, attraverso il dono che Gesù fa di sé (vv. 24-25; cf. anche Gv 10.17-18). 72 Lo stesso dinamismo lo abbiamo riscontrato nel Quarto Vangelo a proposito del possesso del Aòyoç della rivelazione (cf. sotto, pp. 169-170): Gesù. rivolgendosi ai discepoli parla della «vostra Parola• (15.20) e della «lnro Parola» (17,20);dai contesti si comprende che si lralla della parola del-

la rivelazione che è stata consegnata loro. In breve. la rivelazione deve «incarnarsi)> nella vita dci discepoli, trasformandosi così in testimonianza. 71 La nuova traduzione della CE l ci sembra pertanto adeguata: «... testimonianza del loro martirio>> (cf. Nuovo Testamento, LEV. Città del Vaticano, Roma 1997).

120

Custodire la Parola

(12,12): i fratelli che percorrono il difficile cammino della testimonianza sanno di non essere soli, essi fanno parte di una famiglia celeste ( O"KT]VOUVtE.;-)14 che li accompagna e gioisce per la loro vittoria, anche quando, paradossalmente, questa si dovesse realizzare in una apparente sconfitta. La gioia degli abitanti del cielo esprime così la verità, dal punto di vista della trascendenza, di quella sconfitta. In evidente contrasto con questa gioia che esplode nel cielo, la voce pronuncia un «guai>> (oùai) che imcombe sulla terra e nel mare.75 Due note antropomorfiche attribuite al diavolo ne tratteggiano le caratteristiche attuali: nella sua azione contro gli uomini (1tpòc; Ù!léic;) è determinato da una grande ira e dalla consapevolezza di avere a disposizione un tempo limitato, di essere sottoposto cioè alla signoria divina_76 2.2.3 l vv. 13-17 Guardiamo ora da vicino il movimento dei vv. 13-17 perché rappresentano il contesto immediato del v. 17. Il movimento letterario del brano riprende il filo narrativo interrotto dalla sottosezione parentetica costituita dai vv. 7-12, mediante il richiamo spaziale del luogo di rifugio preparato da Dio alla donna, il deserto (v. 6//v. 14). Il legame con i vv. 7-12 è però mantenuto attraverso il motivo letterario rappresentato dall'aoristo passivo «fu gettato>> (E~J..it6Tl) che ricorre nei vv. 9.10.13: il diavolo, gettato sulla terra, riversa dunque la sua ira contro la donna. In 12,4l'ostilità del drago era diretta, come abbiamo già visto, verso il appena nato; ora, non potendolo raggiungere direttamente, la sua ira si riversa contro la donna. Il passivo teologico (Eo66Tlcrav) indica l'azione divina tesa a proteggere la donna.7 7 II richiamo contestuale veterotestamentario alle ali è un'evocazione di stampo esodale (cf. Es 19,4) ed esprime la forza liberante propria di Dio; l'importanza qualitativa di questa forza liberante è espressa, secondo Io stile dell'autore, con l'aggettivo (12,14). II simbolismo teriomorfo, come già detto, indica che questa azione di liberazione non è riducibile alla logica umana, sfugge cioè alla possibilità di verificabilità piena da parte degli uomini. La salvezza liberante espressa in questo

" Si tratta di coloro che abitano i cieli ( 13,6); Dio in persona mette la tenda (7 ,15; 21,3). Con questa terminologia si esprime la familiare intimità tra i cittadini del cielo e Dio. L'altra ricorrenza nel NT è Gv 1.14. 75 Il mare nell'apocalisse è visto come la sede misteriosa del male, l'abisso infatti si presenta come una zona impenetrabile e minacciosa per l'uomo. Ma il futuro escatologico prepara un mare diverso, trasfigurato, di cristallo (cf. Ap 4,6; 15.2). 76 La conce~ione del tempo è pensata dall'autore dell'Apocalisse, nella fase pre-escatologica, come un contenitore neutro. Può essere riempito da forze positive o negative descritte, simbolicamente, nella loro dimensione qualitativa: il tempo «:piccolo-breve», tipico delle forze negative, è il tempo destinalo alla sterilità, un tempo senza futuro. Quello proprio delle forze positive è rappre· sentato con il simbolismo numerico «mille anni», un tempo pieno qualitativamente, foriero di giustizia e di pace. Da un punto di vista cronologico, )o stesso segmento di tempo è segnato, contemporaneamente, da queste due dimensioni qualitative. 77 Cf. VANNI, «Il simbolismo», in lo.. L'Apocalisse. pp. 55-58.

Il verbo -rrtPEiv nella sezione profetica

121

modo esige dunque di non essere collocata nell'ambito della verificabilità dei fatti, ma piuttosto appella la fede, deve cioè essere creduta. Anche quando la realtà che cade sotto la possibilità della verifica. testimoniasse nei segni l'esatto contrario. la comunità dovrebbe credere che la potenza salvifica liberante di Dio si sta attuando ugualmente, forse proprio attraverso e nei segni del contrario. La donna grazie a questa potenza liberante può dunque volare nel deserto. Che non si tratti di un fatto episodico ma di una situazione normale lo indica la forma verbale p. 445. L'autore fa riferimento per la concezione giudaica all'articolo contenuto nella celebre opera di B. BENOIT, «Rabbi Aqiba ben Joseph, sage et heros du Judaisme•, in lo., Exégèse et Theologie, Paris 1961, Il, pp. 340-379.

128

Custodire la Parola

delle nazioni pagane, all'unico e vero Dio, conversione provocata proprio dalla testimonianza dei pii fedeli alla Legge (cf. Dn 3,95-96). Un tratto questo che può essere ben collocato nell'alveo della tradizione deuteroisaiana senza alcuna difficoltà, pur essendo cambiato il contesto storico e l'ambiente culturale di riferimento. A ogni modo, quello che a noi interessa da vicino è la comune prospettiva che emerge tra questo background e il libro dell'Apocalisse: la fedeltà radicale alla Legge giunge fino all'accettazione del martirio trasformandosi in testimonianza eloquente ed efficace. Ili Siamo debitori di questa interpretazione soprattutto a Bauckham 112 seguito da Giblin.l 13 I due autori hanno utilizzato la griglia della guerra santa per rileggere l'Apocalisse e, in particolare, il tema della testimonianza. Le tradizioni riguardanti la guerra santa messianica, circolanti nel giudaismo del primo secolo, ll 4 vengono così rilette alla luce del mistero pasquale. Bauckham inoltre nota come il verbo vucciv 115 sia lasciato curiosamente senza oggetto fino al c. 12, in cui vengono presentati i nemici di Dio che devono

111

A ben guardare in questo senso veniva recepita anche la linea tradizionale tipica della

scuola deuteronomista. Il principio ispiratore di questa tradizione storiografia era caratterizzato

proprio dalla feueltà alla legge come unica arma che Israele aveva a disposizione per difendersi dalla minaccia costante costituita dal contagio idolatrico delle divinità cananaiche venerate dai popoli insediati in quella terra e dai popoli a essa circumvicini. La stessa istituzione della guerra santa era mossa, in Israele, dalla medesima preoccupazione teologica. la salvaguardia del popolo eletto dalla contaminazione idolatrica provocata dalla commistione con gli altri popoli pagani (cf. Dt 20,16-18). 112 Cf. R. BAUCKHAM. "The Book of Revelation as a Christian War Scroll», in Neot 22(1988), 17-40; lo.. La teologia, pp. 84-131; Io., The Climlll of Prophecy. Studies 011 the Book of Revelation, Edinburgh 1992; il volume raccoglie una serie di articoli che aiutano ad approfondire- come afferma lo stesso autore- la sintesi fatta nel volume pubblicato a Brescia, La teologia dell'Apocalisse (p. 195). 1" Cf. C. H. GIBLIN. Apocalisse. Bologna 1993. pp. 20-27: il commentario è strutturato intorno a questa idea centrale che l'autore ha mutuato da Bauckham. Dopo aver descritto gli aspetti fondamentali della guerra santa, tra cui emerge l'idea di Dio come guerriero vittorioso, afferma: «[ ... ] L'Apocalisse traspone deliberatamente l'aspetto fisico della condotta belligerante e della sua preparazione per esporre una tesi spirituale della testimonianza sofferente. Il trionfo dell'esercito di Dio e dell'Agnello si realizza interamente grazie alla partecipazione alla morte e risurrezione di Cristo. e non per mezzo di alcun combattimento fisico ùi natura distruttiva. Allo slesso tempo però c'è un reale combattimento e non una pura .. resistenza passiva". I martiri, ùi fatto. vincono il male (cf. 12.11 )" (p. 23). In una recensione sull'opera di Giblin, C. DOGLIO conclude: «Nel complesso l'opera è seria e intelligente; forse un po' difficile per essere una semplice introduzione e un po' sintetica per essere un commentario scientifico; il libro di Giblin si aggiunge ad altri testi analoghi con la qualità di alta divulgazione e apporta come elemento nuovo il tema della «guerra santa" applicato all'escatologia cristiana" (RivB 42(1994). 472-475]. 114 Cf. A. YARBRO COLLINS. •The Politica) Prospective of the Revelation lo John.,, in JBL 96 (1977) 241-256. 115 I passi che riportano l'immaginario utilizzato dall'autore per riferirsi al messia e alla guerra messianica sono numerosi. Per il messia: l'appellativo •Leone di Giuda» (Ap 5,5); il riferimento alla «spada che esce dalla sua bocca» (1,16) con cui abbatte le nazioni (19.15); l'allusione costante al Sal2 (cf. A p 2,18.26-28; 11,15.18; 12.5.10; 14,1; 16.14.16; 19,15); il suo esercito radunato sul monte Sion (14,1) partecipe della sua vittoria (2,26-27): la nozione chiave di vittoria (3.21: 5,5; 17,14) condivisa dal suo popolo (2.7.11.17.26; 3.5.12.21: 12,11; 15,2; 21.7); il tema della vittoria copre le tre fasi costitutive dell'instaurazione del regno di Dio: la vittoria di Cristo nella morte e risurrezione (3,21;

Il verbo

TIJPEÌV

nella sezione profetica

129

essere sconfitti per lasciare via libera all'istaurazione del suo regno. 116 Nei cc. 12-14 si svolgerebbe quindi la narrazione della guerra santa messianica combattuta dai discepoli dell'Agnello contro la triade satanica. È proprio in questi capitoli che compare il sintagma insieme al motivo della testimonianza e della fedeltà di Gesù (12,17; 14,12). b)

La nostra proposta: un parallelismo sinonimico progressivo

Alla luce di quanto detto il parallelismo dei due sintagmi può considerarsi di tipo sinonimico progressivo: la fedeltà alla Legge, radicata in un atteggiamento interiore ('tTIPE"iv), motivo e condizione dell'accettazione del martirio secondo la tradizione, si risolve nell'accoglienza e nel possesso interiore della testimonianza di Gesù (E)(Etv), motivo e condizione della disponibilità a non amare la vita fino alla morte (12,11). Siamo nella prospettiva della continuità e, allo stesso tempo, del compimento. Il rapporto di sinonimia tra i verbi riguarda la loro valenza segnatamente interiore. In Gv 14,21 risulta caratterizzata dalla reciprocità: all'accoglienza del dono della rivelazione (E)(Etv) deve seguire la responsabilità di custodirla ('tTIpe"iv). Qui il rapporto tra i due verbi sembra essere diverso: l'E)(ElV deve sostituire il 'tTIPE"iv. Il motivo appare chiaro nella prospettiva veterotestamentaria in cui si muove il nostro autore: le profezie escatologiche annunciavano infatti l'interiorizzazione della Legge per opera dello Spirito (cf. Ger 31,33; Ez 36,27). Alla Legge- luogo di rivelazione della parola di Dio- ora si deve sostituire. nella linea del compimento, il bene escatologico rappresentato dalla testimonianza di Gesù (cf.1,2).Al verbo 'tT)pE"iv deve quindi sostituirsi necessariamente l'ii)(Etv. 117 Lo stretto rapporto semantico che accomuna i due sintagmi è poi confermato, a livello grammaticale, dall'utilizzo dell'unico articolo ('tOiv) e dal semplice tmi copulativo. In sintesi: la fedeltà radicale a Dio, mediata nei libri dei Maccabei e di Daniele dalla fedeltà alla Legge ('tTIPE"iv 'tàç Èv'toÀ.àç 'tO'Ù ~où), ora deve essere vissuta nell'accoglienza interiorizzata della testimonianza di Gesù (E)(Etv TJÌV 11ap-

5,5), la vittoria dei suoi discepoli nel tempo della chiesa (12,11; 15.2) e infine la vittoria definitiva nella parusia (17.14). La vittoria finale è quindi già in atto perché già compiuta (cf. BAUCKHAM, La teologia, pp. 85·88). 116 A questo proposito, notando come nella lettera alla chiesa di Tiàtira (2,26) si legano stret· tamente i due verbi vtKiiiv e Tr)pliiv, abbiamo ipotizzato che il verbo vl da conseguire «ad intra» nella vita ecclesiale, conseguibile netraccoglienza della parola di giudizio del Risorto; questa prima valenza semantica dovrebbe essere poi composta con la seconda, quella cbe si trova nella parte profetica (cc. 4-22), dove la vittoria deve essere riportata contro le forze ostili esterne alla chiesa (cf. sopra, pp. 67·68). 117 Il verbo è utilizzato in Ap per indicare ciò che è proprio della dimensione trascendente di Cristo (1,18; 2,12; 3,1.7) e per descrivere la situazione delle chiese nel settenario, in positivo (2,6.25) e in negativo (2,14.15); inoltre caratterizza la chiesa come comunità sapienziale profetica (13,18; 17,9) gratificata del dono della testimonianza di Gesù (12,17; 19,10).

130

Custodire la Parola

-rupiav ). La testimonianza storica (e pneumatica) di Gesù, compimento della rivelazione, diviene per ciò stesso, compimento anche della Legge. L'uso del primo sintagma ha comunque la sua importanza: l'autore ha voluto instaurare una corrispondenza con un momento storico-culturale similare a quello che stavano vivendo le chiese dell'Asia, presentando una sua originale sintesi teologica a partire dall'evento pasquale che si inseriva perfettamente nel solco della tradizione giudaica proprio grazie all'esperienza della persecuzione e dell'emarginazione fino al martirio. La , ma si dispone a innervare nella storia lo stesso amore di Cristo, a costo anche della vita. 119

118 BAUCKHAM, La teologia. pp. 112-113: .n mondo è il luogo dove la potenza militare e politica riscuote un successo completo, oppure alla fine vi prevale la testimonianza sofferente della verità? L'Apocalisse propone quindi ai suoi lettori un discernimento profetico guidato dal centro del· la fede cristiana: Gesù Cristo ottenne la vittoria totale su ogni male per mezzo della testimonianza sofferente. Ciò esige anche un'adesione coraggiosa e concreta a quel discernimento. come mostra· no gli inviti •alla costanza e alla fedeltà dei san li (l 3.10: cf. 14.12) inseriti nella rappresentazione del· la guerra messianica [ ... )il messaggio di Giovanni non è: ··Non resistete!", ma: "'Resistete- con la testimonianza e il martirio, non con la violenza". Lungo le strade delle città dell'Asia, i lettori di Giovanni non devono scendere a compromessi ma opporsi all'idolatria dello stato e della società pagana. Avranno così parte essenziale nel compimenlo della vittoria dell'Agnello». Per il rapporto tra guerra santa. martirio e testimonianza vedi le illuminanti pp. 85-128. 119 Cf. SFNIOR- SruHLMUELLER. l Fondamenti. pp. 421-426: •Anche se il linguaggio apocalit· tico di Giovanni può dare una prima impressione di rifiuto del mondo. in realtà non è così. Egli si preoccupa nel profondo proprio di questo mondo e del suo destino ultimo[ ... ]// ritiro dei cristiani dalla società è un atto profetico di testimonianza verso la società e a suo favore. l cristiani devono proclamare la buona notizia della salvezza universale al mondo, e il loro pulpito è il rifiuto eroico di ogni compromesso con un sistema che giudicano schierato con le forze del peccato e della morte. Essi devono credere tenacemente in una visione di speranza per il mondo, in una trasfonnazione del dolore e dell'ingiustizia nella buona terra della pace e della bellezza. Su un piano profondo l"Apocalisse è uno dei libri più •mondani» del Nuovo Testamento. Quest'enfasi sulla testimonianza (mediante l'attiva partecipazione secondo la l Pt. mediante l'attiva non partecipazione secondo l"Apocalisse) è espressione della missione della comunità. L'appello alla testimonianza scaturisce dalla

Il verbo fTJPElv nel/a sezione profetica 2.4

131

Conclusione

Il sintagma «CUstodire i comandamenti di Dio» nonostante presenti una certa somiglianza formale all'uso linguistico fattone dal Quarto Vangelo e della Prima lettera, è diverso sia per la formulazione () che per il suo contenuto teologico (non si fa nessun riferimento all'amore vicendevole intracomunitario ). Il background veterotestamentario vede uno spostamento dalla tradizione deuteronomista (Quarto Vangelo) ai libri di Daniele e dei Maccabei. La chiesa d eli" Apocalisse poteva, a giusta ragione, considerare la sua situazione similare a quella dell'ellenizzazione forzata promossa da Antioco IV Epifane.ll sintagma «custodire i comandamenti di Dio>> posto in parallelismo sinonimico progessivo con «avere la testimonianza di Gesù>> spinge a rileggere l'orizzonte veterotestamentario nella prospettiva del compimento: la fedeltà a Dio non si misura più sull'adesione interiore alla Legge ma sull'accoglienza della testimonianza dell'Agnello immolato. Si impone così un tratto inedito che fa della resistenza attiva non violenta una forma della testimonianza missionaria della chiesa nei confronti dell'ambiente circostante a lei ostile. Bisogna accettare di essere emarginati socialmente fino ad assumere il coraggio di morire, come l'Agnello immolato, per rimanere fedeli al dono della testimonianza accolta e posseduta perché essa provochi il riscatto degli oppressori irretiti nelle trame menzognere della triade satanica. L'ostracismo sociale subito. nel caso fino al morire, diviene così un dono di vita capace di attrarre gli uomini all'adorazione dell'unico Dio vivo e vero.

3.

LA «CUSTODIA DEl COMANDAMENTI DI DIO E LA FEDELTÀ DI GESÙ>> (AP 14,12)

La lettura del dramma apocalittico viene interrotta improvvisamente in momenti decisivi perché la comunità rifletta sulle conseguenze che derivano dalle visioni che la chiamano in causa direttamente. Questo fenomeno è caratteristico di questa quarta sezione (cf. 13,9.10.18; 14,12; cf. anche 14,13 e 16,15) e la sua funzione letteraria è quella di esercitare una particolare pressione su li 'uditorio. Rispetto a 12,17- definito da noi come «esortazione narrativa>>- per 14,12 possiamo parlare di una vera e propria «esortazione diretta>>. Si esige perciò un 'interruzione della lettura liturgica che permetta all'assemblea di fermarsi e riflettere per assumere una linea di condotta da perseguire decisamente, costi quel che costi. Presentiamo una sinossi di questi passi per evidenziarne gli elementi comuni e le reciproche relazioni:

sua fede nella volontà salvifica universale di Dio e del suo senso di responsabilità verso tutti a cagione del ministero di Cristo risorto•; su queste !ematiche cf. BAUCKHAM. La teologia. pp. 104-126 e più in generale tutto il c. 4, pp. 84-131.

Custodire la Parola

132

12,17

'tciiV 'ftlPO')vtmv 'tào; tvtoAào; 'tOU

13,10

13,18

14,12

'n!lÉ È:> che alla . Questo dato costringe a riflettere da una parte sulla sua traduzione, e dall'altra sul rapporto stretto tra i due sintagmi dal punto di vista semantico. Per quanto riguarda la traduzione di TilPE'iv: che 1tionc; sia tradotto con «fede>> o con , e che venga interpretato come un genitivo oggettivo o soggettivo, si richiede in ogni caso una valenza interiore, che può essere resa bene sia da che da . Per quanto riguarda la relazione semantica tra i due sintagmi l'interpretazione si presenta un po' diversa da quella data per 12,17. Se lì si trattava di passare dalla custodia della Legge (bene esteriore) al possesso della testimonianza (bene interiore) nella prospettiva della continuità e del compimento, qui- sembra dire l'autore con questa costruzione- la custodia della Legge si deve ora risolvere nella custodia della fedeltà di Gesù. In 12,17 l'accento era posto sul dono escatologico della testimonianza di Gesù, qui in 14,12 sulla responsabilità di mantenere fermo l'esempio della fedeltà di Gesù. Il parallelismo. pur essendo ancora una volta di tipo sinonimico progressivo, si specifica rispetto a quello di 12,17 per questo passaggio dal dono alla responsabilità. Il verbo TilPE'iv in questo contesto, come si può notare, gioca un ruolo non secondario per descrivere la fisionomia spirituale della comunità: partecipando, nell'esperienza liturgica, della perseveranza e della fedeltà di Cristo (dono), i credenti sono abilitati a rendere la loro credibile testimonianza dinanzi ali 'ostilità dell'ambiente esterno. Una volta conclusa l'esperienza liturgico-apocalittica

IS9

a. BAUCKHAM, La teologia, pp. 120-126.

146

Custodire la Parola

devono mantenere vivo, nella memoria e nella riflessione, il modello (dono) della perseveranza fedele fino alla morte offerto da Gesù per attualizzarlo nella propria vita (impegno). 3.4

Conclusione

La continuità semantica, pur con le dovute sottolineature specifiche, tra i vari appelli rivolti alla comunità risulta ora più evidente: si tratta di incoraggiare i discepoli perché non solo non si lascino contagiare dalle potenze demoniache incarnate nel sistema terrestre, ma le combattano, a costo anche della vita, con l'inerme armamento della testimonianza (12,17). della perseveranza e della fedeltà (13,10; 14,12) mostrate da Gesù (cf. 3,10). In questo contesto l'appello sapienziale al discernimento permette di leggere il senso degli avvenimenti dal punto di vista della trascendenza. al di là della loro pura fattualità (13,18). L'invito a «custodire i comandamenti» (14,12), come in 12,17, rappresenta il background veterotestamentario di ciò che ora viene richiesto alla comunità. Il sintagma 1ticrnc; 'lT]crou, posto in parallelismo sinonimico, indica nella testimonianza storica di Gesù il compimento della rivelazione contenuta prima nella Legge. Il "ITIPE'iv tàc; è:vtoì..ac; (cf. 12,17) permette così di reinterpretare cristologicamente un tema fondamentale caro all'AT e al giudaismo. Rispetto a 12,17la valenza interiore del verbo "ITIPE'iv è confermata dalla presenza del termine 1ticrttc;, in qualunque modo lo si voglia tradurre. Inoltre se in 12,17. nella prospettiva della continuità nel compimento rispetto all"AT, si evidenzia soprattutto il dono escatologico della testimonianza di Gesù, qui in 14,12 emerge la responsabilità nei confronti di un tale dono. Siamo dinanzi allo stesso motivo di fondo che si ripete sotto registri diversi (11-aprupia, intojJ.ovft, 1ticrnc;): invitare la comunità alla pazienza perseverante, fino alla morte se necessario, perché attraverso la sua testimonianza fedele risvegli gli uomini dall'incantesimo demoniaco in cui sono caduti e così diano finalmente gloria a Dio (cf. 11,13).

4.

LA VIGILANZA E LA (AP 16,15)

Questo passo rappresenta la terza ricorrenza di tT]pE'iv presente nell'arco narrativo dei cc. 12-16. Il sintagma che interessa il nostro verbo è «custodire le vesti>> ( "ITIPE'iv tà i1-1ana). Il tema della veste (i.jl.(lnov), ripreso in modo variegato nel NT, 160 trova nell'Apocalisse, oltre a un ampio e coerente impiego, una prospettiva teologica 160 Cf. per esempio l'invito paolina a «rivestirsi di Cristo• (Col 3,10) o dei «sentimenti divini• (3,12ss). In generale si può consultare: E. PETERSON, Théo/ogie du vérement, Lyon 1943; E. HAllLOlTE, Symbolique du vétement se/on la Bible. Paris 1%6: M. BALMARY, «Vètement•. in DBS. IX. 511-516: M. LtJRKER, «Abito. Abbigliamento», in G. RAVASJ. a cura di. Dizionario delle immagini e dei simboli biblici, Cinisello Balsamo 1990.

Il verbo ff!pcìv nella sezione profetica

147

particolarmente ricca. La «custodia della veste», fuori metafora, indica un atteggiamento connesso intimamente con la vigilanza cristiana (16,15a: )J.mcaptoc; Ò YPrrYOpciiv ). Nel contesto del compimento del giudizio divino, questo appello risulta estremamente serio: la responsabilità nei confronti del dono di Dio ('tTJpEiv), rappresentato simbolicamente dalla veste, avrà infatti delle conseguenze rilevanti sia per il giudizio dei singoli credenti (ò TllPciiv) che, di conseguenza, per la testimonianza che la comunità è chiamata a portare nel mondo. In questa prospettiva si colloca in netta continuità con i due appelli precedenti (12,17; 14,12). 4.1

Contesto ampio: i cc. 15-16

Il versetto che dobbiamo affrontare fa parte del settenario delle coppe, l'annuncio del compimento definitivo del giudizio di Dio (15,1-16,21 ): dopo che il settimo angelo ha versato la sua coppa, esce dal tempio, dalla parte del trono, una voce potente che diceva: «È compiuto>> (fÉyovev, 16,17). L'autore proponendo questo settenario come (15,1) tradisce il proposito di collegarlo al primo e al secondo presentati nel c. 12: la (ywft) con la sua discendenza e il (lìpaKwv) con i suoi due mostri. 161 Questo terzo segno, annunciando il compimento del giudizio di Dio, rivela così l'esito finale della lotta tra la «donna>> e il «drago>> descritta nei capitoli precedenti. Esso prevede la distruzione definitiva delle forze del male (cf. i cc.17-18 sulla caduta della grande città, Babilonia) e la convocazione dei discepoli che si sono mantenuti fedeli (c. 19) per le nozze dell'Agnello nella Gerusalemme nuova (c. 21). Lo sviluppo !ematico dei cc. 15-16 è abbastanza lineare e non presenta difficoltà particolari. Guardiamone brevemente l'articolazione. L'autore presenta innanzitutto il contenuto del terzo segno- (15,1: Kaì ellìov) gli angeli con i sette flagelli, simbolo del giudizio definitivo di Dio sulla storia - offrendone una lettura teologica mediante la tecnica del cambiamento di quadro (15,2-4: Kaì. eloov) e ritornandovi, in un secondo momento, per descriverne i particolari (15,5-8: Kaì. ).!età taùta el&ov ). La lettura teologica offerta alla comunità si presenta come una prolessi degli effetti della manifestazione nella storia degli «atti di giustizia>> (tà lìtKatCÒf.lata): tutte le genti verranno davanti a lui e lo adoreranno (15,4) realizzando definitivamente il contenuto del vangelo eterno (14,6-7). Questa proclamazione è presentata mediante il genere letterario innico - tipico di un canto di vittoria -composto secondo la matrice veterotestamentaria della liberazione di Israele dall'Egitto e il suo ingresso nella terra promessa (cf. Es 15; D t 32).

161

Come si è già fatto notare questi tre •segni» sono fra loro strettamente collegati: 12.1: Kaì

GT]IJEÌOV ]1iya; 12,3: ciUo aTJ!EÌov; 15,1: Kal d5ov ciUo GTJI'EÌOV EV t oupnv> rispondono alla necessità che i credenti non si trovino impreparati di fronte all'attuarsi del definitivo giudizio di Dio. Da un punto di vista letterario lo stretto rapporto semantico è richiamato mediante un solo pronome relativo e un Kai copulativo (ò YPTIYOpwv Kat 'tl]pwv ). Mentre il tema della vigilanza è assolutamente comune a tutto il Nuovo Testamento, il sintagma 'tl]pEì.v tà ij.lana è presente solo nel nostro libro e deve perciò essere sottoposto a un certo approfondimento per una sua adeguata compre·nsione.

16' a. CHARLES, A Critica/ Commentary, II, p. 49; l'autore propone di collocare il passo Ira 3.3a e 3,3b. dove completerebbe la serie di i8où (2,22; 3.9.20); richiama la proposta di Beza di trasporto in 3.18; più difficile da comprendere l'altra motivazione: •Infine l'assoluta inappropriatezza del v. 15 nel suo contesto attuale è piullosto evidente per il fano che tutti i fedeli sono già stati eliminati dalla terra•: LoHMEYER, Die O[[enbar11ng, pp. 136-137; l'autore fa notare che Cristo, a differenza di quello che accade nel setlenario delle lettere, non interviene mai nella seconda parte del libro (4,1-22,5) e quindi, come Charles, propune di collocare il nostro versetto dopo 3,3 dove acquisterebbe una posizione più coerente. 166 Cf. PRIGENT, L'Apocalisse, p. 471.

Il verbo TfiPEÌv nella sezione profetica

151

In prima luogo dobbiamo analizzare le ricorrenze di iiJ.anov per coglierne lo spessore semantico proposto dal veggente; si dovrà poi analizzare il rapporto tra il nostro versetto e le lettere alla chiesa di Sardi e Laodicea; infine si dovrà valutare l'ipotesi di una eventuale reciprocità, a partire dal c. 19, tra la veste di Cristo e la veste dei cristiani (cf. !"uso del termine OtKat> perché le sue opere non sono «compiute>> davanti a Dio (3,2). Questa comunità, come abbiamo già evidenziato, non ha «CUstodito>> il kerygma, condizione di una sua incessante conversione. 175 Il Signore, per, svegliare la comunità e renderla vigilante, promette di venire come un ladro, senza preavvisi (3,3). Nella lettera viene poi espresso un giudizio positivo (3,4) su alcuni della comunità che non hanno (a o\nc ÈJ.IOÀuvav tà ij.latta aùtci>v ), perciò, si dice, cammineranno con Cristo in (nEpmatr]croumv J.!Et' ÈjJ.OÙ Èv ÀEUKoic;). I membri della comunità trovati in questa condizione positiva saranno in grado di collaborare attivamente con Cristo (nEputatr]croumv !JEt' ÈJ.!ou) grazie alla forza della risurrezione di cui sono rivestiti (Èv ÀEUKotc;-). 176 Ma come si realizzerà di fatto questa collaborazione? Una risposta può venire dall'annuncio della ricompensa che troviamo alla fine della lettera. Vi appare infatti una relazione tra la vittoria ( ò vtKci>v ), l'essere rivestiti di vesti bianche (outwc; !tEpt~a­ ì..Eitat Èv tJ.!atiOtc; ÀEUKoic;) e la confessione del nome del credente che si è mantenuto fedele fatta da Cristo ( Kai. ÒjJ.OÀOyi)crw tò ovoJ.!a aùtoi>) davanti al Padre e ai suoi angeli (Èv!Òmov tou natp6c; IJOU Kai. Èv!Ò!ttov tci>v ayyÉÀwv aùtoi>). Si può supporre che il giudizio negativo espresso all'inizio (3,2) faccia riferimento a una sorta di tradimento del nome di Cristo: i credenti che le loro vesti sono infatti coloro che non sono rimasti fedeli al dono della partecipazione alla risurrezione di Cristo, rappresentata simbolicamente dalla veste, accettando probabilmente un qualche compromesso con i costumi dell'ambiente paganeggiante. La reciprocità che si viene a instauarre tra riconoscimento-confessione di Gesù - del suo nome - da parte dei discepoli e riconoscimento-confessione dei discepoli- del loro nome- da parte del Figlio nell'ora del giudizio è un elemento tipico della tradizione (cf. Mt 10,32; Le 9,26; 12,8). Nell'invito alla conversione si comprende che questo sarebbe avvenuto a causa di una sonnolenza spirituale che ha condotto alcuni a vivere nella distrazione e nella superficialità, cadendo vittime della seduzione della grande città, la Babilonia descritta nella seconda parte del libro: il sincretismo, il compromesso e la spinta alla ricchezza sono infatti gli elementi più eclatanti che caratterizzano il sistema idolatrico dell'impero romano. 177 Questo atteggia-

m Cf. sopra, c. Il. pp. 69-75. 17 • 177

Cf. Ap 1.14: 3.4.5.18; 4.4: 6.2.11:7,9.13 19.1 1.14; 20.11. Cf. BAUCKHAM. La teologia. pp. 147-149; afferma l'autore: •una chiesa che dà retta ai Nicolaiti o imita Babilonia non ~ in grado di rendere testimonianza alla verità e alla giustizia di Dio~ (p. 149); potrebbe essere questo un modo efficace per rileggere il contenuto delle lettere alla luce dello svolgimento del dramma storico, senza correre il rischio di considerare il settenario a sé stante; tale continuità è messa in evidenza da E. SCilùSSLER FIORENZA. •The Eschatology and Composition of the Apocalypse», in CBQ 30( 1968). 537-569.563: VANNI, La struttura. pp. 179-181: F. CoNTRERAS MoLINA, •Las Cartas». in EstBib 46( 1988). 147-154: HEMER. The Letter.r. pp. 16·17. Nessuno di questi autori però cita 16.15. Per lo più i richiami riguardano le promesse al vincitore riprese poi nella parte finale e il tema della vittoria.

Il verbo

fr!PeÌV

nella sezione profetica

155

mento conciliante con la cultura dell'impero da parte della chiesa non ha certamente favorito la collaborazione con Cristo risorto per la promozione del Regno (1,6) e ha perciò impedito che la testimonianza si innervasse nella storia per mezzo della comunità dei credenti. 178 Compreso in questo modo, il sintagma assume un duplice aspetto, coerentemente alla valenza semantica dell'immagine simbolica propria della veste: dal rinnegamento (teorico e pratico) della fede in Gesù deriva la perdità della propria identità e, di conseguenza, della testimonianza rispetto al mondo circostante. 179 In 16,15 compaiono degli elementi comuni: l'invito alla vigilanza, la presentazione della seconda venuta del Signore risorto mediante l'immagine del ladro e, infine, il richiamo alle vesti. Dal contesto della lettera a Laodicea 180 si deduce che il problema di fondo posto davanti alla chiesa è quello di trovarsi in una tiepidezza di amore nei confronti del Signore tale da provocare il suo rifiuto. Il linguaggio viene portato ai limiti estremi proprio come accade nel dialogo tra due innamorati (3,19). La comunità è giudicata dal Signore risorto come >) si sostituisce il macarismo di 16,15, a conferma del rapporto circolare che deve essere intessuto tra il settenario delle lettere e la seconda parte del libro. Nell'attuarsi del giudizio divino sulla storia si ricorda ai credenti, attraverso questo intervento diretto da parte di Cristo risorto, la beatitudine promessa a coloro che vigileranno responsabilmente per custodire la loro identità più profonda. Questo atteggiamento interiore si risolverà da una parte in testimonianza e, dall'altra in giudizio

172

Custodire la Parola

15,26-27). Nella stessa linea potrebbe essere letto, nel contesto immediatamente precedente, l'accenno alle «opere più grandi>> che i discepoli sono chiamati a compiere dopo che Gesù li avrà lasciati (cf. 14,12-14); esse daranno infatti continuità all'unica opera (Epyov) che il Padre ha dato da compiere a Gesù (cf. 17,4). Un eventuale rapporto contestuale tra comandamenti e missione non è quindi così remoto; a ogni modo rimane sullo sfondo. 2) In 15,12-17 il comando dell'amore vicendevole fa palesemente da inclusione al vocabolario specificatamente missionario: scegliere, porre-costituire, andare, portare frullo. L'espressione yoç

Gli aspetti teologici di continuità tra il Quarto Vangelo e l'Apocalisse sono due: il primo riguarda l'oggetto retto dal verbo, che attiene comunque alla rivelazione, colta però da angoli di prospettiva diversi dovuti, probabilmente, alla mutata situazione della (o delle) comunità; il secondo, riguarda l'atteggiamento interiore richiesto dal verbo, si tratta di mantenere e custodire fedelmente il contenuto della rivelazione, condizione determinante perché il dono porti frutto. Abbiamo riscontrato però, nel contempo, anche una discontinuità tra i due scritti a proposito della valenza semantica degli oggetti retti da tT)pEi.v. Nel Quarto Vangelo l'oggetto specifico della rivelazione si concentra sostanzialmente sulla relazione d'amore trinitaria; il mistero pasquale deve essere compreso, a partire da questa prospettiva precipua, come il compimento della rivelazione di questa relazione d'amore. L'invito a custodire la rivelazione si pone così come la condizione per approfondirne incessantemente il contenuto per partecipare già, in qualche misura, alle relazioni intratrinitarie. Nell'apocalisse il contenuto del ì..Oyoc; è chiaramente diverso da quello presentato dal Quarto Vangelo, sia nel prologo/epilogo che nel settenario. Nel prologo e nell'epilogo si tratta infatti di custodire le parole profetiche scritte nel libro in cui sono contenute le visioni che chiariscono il senso della storia alla luce del mistero pasquale, fino ad addentrarsi nei meandri della vita sociale, politica ed economica, sulla scia della profezia veterotestamentaria. Il settenario, invece, rimanda, in primo luogo, alla rivelazione contenuta nella testimonianza storica di Gesù, soprattutto alla perseveranza dimostrata nel momento della sua passione e morte. Da questo punto di vista, tutto il libro si presenta come una > assume un ruolo particolarmente significativo, per cui è possibile che l'Apocalisse abbia avuto contatti con la tradizione della scuola giovannea. 14 La domanda conclusiva, dal punto di vista metodologico, è se sia possibile risalire, attraverso questi contatti letterari, a una tradizione comune facente capo allo stesso gruppo sociale: «Non è concepibile che un autore abbia avuto accesso a varie tradizioni cristiane senza appartenere necessariamente ad un circolo o a una scuola? Questa questione metodologica diviene la più importante quando noi, in accordo con Conzelmann, ricordiamo che Efeso era il centro della scuola paolina. Mentre è discutibile che noi possiamo localizzare la scuola giovannea in Asia Minore, l'Apocalisse appartiene chiaramente a questa re/lione, e perciò avrebbe potuto avere accesso alla tradizione della scuola paolina». 5

La studiosa conclude che l'ambiente d'origine dell'Apocalisse è quello di una scuola apocalittico-profetica del cristianesimo primitivo. Alla fine del primo secolo queste diverse scuole convivono tra loro, fianco a fianco alle rispettive chiese, in uno scambio dialettico delle proprie linee teologiche. L'autore dell'Apocalisse appartiene a un circolo profetico-apocalittico entrato in contatto dialettico sia con le tradizioni di scuola paolina che con quelle di scuola giovannea. Forse l'opzione escatologica del Quarto Vangelo si è sviluppata o fu modificata proprio dinanzi a quella assunta dalla scuola profetico apocalittica a cui apparteneva l'Apocalisse.16

13 Cf. ScHOSSLER FIORENZA, «The Quesb. p. 411: )"autrice enumera solo otto termini in comune esclusivamente tra l'Apocalisse e il Quarto Vangelo, mentre ben 33 con la letteratura paolina e quasi lo stesso numero con il Vangelo di Luca. Tra il Quarto Vangelo e l'Apocalisse 46, e tra la letteratura paolina e l'Apocalisse ben 157. 14 Cf. ScHOSSLER FIORENZA, «The Quest•, pp. 415418. 15 lbid., p. 418. Sulle differenti posizioni degli studiosi in merito alla collocazione geografica della comunità giovannea cf. PANIMOLLE, «Identità e storia•. pp. 49-51. Ib ScHOSSLER FIORENZA, «The Quest», pp. 426-427.

184 1.2

Custodire la Parola

La proposta di O. Bocher

Bocher sostiene la tesi opposta alla Schiissler Fiorenza. 17 Dà inizio al suo articolo chiamando in causa Stahlin che già nel 1930 si domandava se le differenze tra il Quarto Vangelo e l'Ap riguardo alla prospettiva escatologica fossero così distanti come qualcuno voleva affermare. 18 Per impostare correttamente la domanda sulla relazione dei due scritti propone così un allargamento di prospettiva: si devono confrontare non solo i dati riguardanti l'escatologia, ma anche quelli pertinenti la cosmologia, la dottrina su Dio, la cristologia, l'antropologia e l'etica, la demonologia, l'ecclesiologia, la pneumatologia. Dal punto di vista metodologico, per giungere a una risposta attendibile basata su dati oggettivi, oltre il confronto con i principali temi teologici, invoca - come Schiissler Fiorenza - una seria indagine letteraria, sin tattica e stilistica (durch sprachliche, syntaktische und stilistische Beobachtungen). Entra poi in chiara polemica con la posizione della Schiissler Fiorenza riguardo alla Logos-Christologie (Gv 1,1.14; lGv l,lss;Ap 19,13), 19 difficilmente spiegabile secondo Bi:icher senza la supposizione di una tradizione comune, confermata inoltre dalle altre due tematii:he del Lebensbrot (Gv 6,30-35. 48-59; A p 2,17) e del Lebenswasser (Gv 4,10-14; 7,37-39; A p 21,6; 22,17). Sul tema dell' anche la Schiissler Fiorenza aveva già riconosciuto una certa difficoltà a negare una possibile in contatto tra loro e in dialogo dialettico sulle varie questioni teologiche. È problematico però, date le scarse informazioni a nostra disposizione, avere una qualche certezza su questo punto e quindi l'ipotesi di per sé suggestiva e stimolante, al momento apre più problemi di quanti ne possa risolvere. Si potrebbero però in questo modo giustificare «discussi>> rapporti di «dipendenza>> tra corpi letterari diversi (giovanneo, paolino, ecc.) risalenti alle diverse tradizioni. Queste due possibilità, uno sviluppo teologico interno alla stessa scuola o una osmosi teologica tra scuole diverse, non si escludono, anzi potrebbero invece essere composte in una nuova prospettiva, più ampia e stimolante di quella che propone di pensare a scuole a sé stanti, ripetitive degli assunti precedenti e chiuse al dialogo con le altre tradizioni. Ci rendiamo conto però che questo ambito di studio si apre al contributo che altri offriranno alla scienza biblica. Per quanto riguarda invece la posizione di Bocher bisogna riconoscere che da un punto di vista di contatti letterari e teologici, soprattutto le tematiche del Logos e del Lebenswasser sarebbero difficilmente spiegabili se non mediante una tradizione letteraria comune. 21 Inoltre, come giustamente è stato osservato, il problema della differente impostazione escatologica tra i due scritti non è poi così distante, è possibile infatti ravvisare una escatologia presentica e futura, nel contempo, sia nel Quarto Vangelo che nell'Apocalisse, anche se con prospettive oggettivamente diverse.22

21 cr. TAEGER, Johannesapokalypse und joanneischer Kreis; Io studio dell'autore vuole dimostrare il rapporto di dipendenza tra il Quarto Vangelo e l'Apocalisse a partire proprio dal tema dell'•acqua della vita•. 22 Cf. T o RIDIO CUADRADO, • El Viniente•, pp. 429-445; afferma l'autore: •Per tanto, la maggiore approssimazione dell'Apocalisse al concetto della venuta espresso in Gv 14, si dà nell'escatologia di tipo intensivo/qualitativo che accompagna il termine Èp;(o~at. L'ultimo libro della Bibbia porta alle sue estreme conseguenze i principi che appaiono in Gv 14 in modo incipiente. II cristiano

è entusiasta per la presenza incessante di Dio e di Cristo dentro la sua esperienza liturgica e stori-

ca. II tema della venula si ripete per tutto il libro come un ritornello che accompagna conlinuamente l'esistenza lerrena del credente. Il presente continuo che descrive l'attualità di Cristo, veniente in mezzo alla sua chiesa. permette di scoprire al credente una salvezza e una rivelazione che non cessano: addirittura si incrementano, apportando alla comunità un "essere più in Cristo" espresso in

termini spazio-temporali (venire subito), seppur di ordine qualitativo» (p. 444): per quanto riguarda la visione escatologica dell'Apocalisse non si può non citare il contributo di CoRSINI, Apocalisse prima e dopo; l'autore legge tutto il libro dell'Apocalisse nella prospettiva dell'«escatologia realizzata»: un grande affresco allegorico deSiinato a mettere in evidenza il significato dell'opera di salvezza realizzata da Gesù e da lui stesso spiegato alla luce delle promesse anticotestamentarie. Ci sembra di dover affermare che la lettura di Corsini appare troppo sbilanciata anche se, in modo un po · radicale, contribuisce a rimettere in discussione la correttezza della interpretazione escatologi-

ca data solilamente a questo libro. Così si esprime J. Dt'PONT nella sua recensione al lavoro di Corsini apparsa sulla in RivB 29(1981), 237-238: «Desideriamo che la discussione sollevata dall'ipotesi di lettura qui proposta contribuisca ad una migliore comprensione dell'Apocalisse e che essa non faccia dimenticare le giuste osservazioni offerte in questo lavoro>>; in questa prospettiva escatologica in tensione rra il «già>> e il «non ancora>> si pone anche il contributo di THOMPSON, The Book of Revelarion: Apocalypse and Empire, pp. 56-57; 73; l'autore fa riferimento soprallullo all'incidenza

della dimensione liturgica nei confronti del presente riguardo alla prospettiva escatologica.

186

Custodire la Parola

Possiamo quindi concludere per il momento questa breve panoramica sul problema dell'appartenenza o no dell'Apocalisse alla tradizione giovannea dicendo che emerge la necessità di rispondere a quel vuoto di investigazione con studi consacrati alla dimensione letteraria e teologica degli scritti posti dalla tradizione sotto il nome di «Giovanni>>. È questa la strada che hanno percorso recentemente alcuni studiosi, con risultati discutibili ma certamente documentati, come Vanni, 23 Taeger24 e Tori bio Cuadrado. 25 Una caratteristica comune a questi contributi è qUella di riscontrare una continua reinterpretazione dei dati teologici all'interno del corpus letterario giovanneo - ipotizzando una direzione che si muove dal Quarto Vangelo, passa per le lettere e approda all'Apocalisse -, in costante chiarificazione e attualizzazione. In questo dinamismo ermeneutico l'Apocalisse si caratterizza per l'impatto dei vari temi teologici con il processo storico, causa non ultima di questo stesso approfondimento e della scelta (imposta) del diverso genere letterario. Per confermare infine l'ipotesi di una > cristologia, poi afferma: •( ... ) Sosterrò che il ge· nere, la polemica. l'argomentazione e pure la struttura di l Gv dipendono essenzialmente dal Quar· to Vangelo, come pure la comprensione che l'autore ha di sé come latore della tradizione nella "scuola" giovannea» (p. 137); HARTIN, «A Community>>, pp. 47-48; SCHNAC'KENBURG. «La storia della redazione», pp. 109-124; a p. 115 cita e fa propria la posizione di Brown; J. ZUMSTEIN, «Piuralité et autorité des écrits néoleslamentaires», in LumièreV 171(1985).19-32: G. KLEIN, «"Das wahre Lichl scheint schon". Beobachtungen zur Zeil und Geschichlserfahrung einer urchristlichen Schule», in ZTK 68(1971). 261-326; J.H. KLAUCK, Der este Johannesbriefe, Neukirchen 1991, p. 47: R. FABRIS, «Tensioni e divisioni nella comunità giovannea: Vangelo e Lettere», in R. PENNA, a cura di.// Giovannismo alle origini cristiane, in RSB 3( 1991 )2, 69-80; afferma l'autore: «Il quarto Vangelo e le tre Lettere sono nati o comunque rimandano a un unico ambiente teologico o comunità, anche se ri-

flettono diverse situazioni o stadi della sua storia. Il Vangelo, almeno nella sua sostanza come esiste oggi, a parte la redazione redazionale secondaria -c. 21 con altre integrazioni minori o ritocchi precede la stesura delle tre lettere. Dello in modo diverso: le tre Leltere presuppongono la conoscenza del quarto Vangelo attribuito a Giovanni>> (p. 70). "Cf. G.U. ScHNELLE, Antidoketische Christologie im Johannesevangelium Eine Untersuchung zur Stellung des vierten Evangeli11ms in der johanneischen Schule, Gtittingen 1987. pp. 65-83; 249-258; l'autore ipotizza che il conflino evocato da 2Gv 7 stia all'inizio dello sviluppo del movimento giovanneo: seguirebbero così la 3Gv e la l Gv, infine il Quarto Vangelo come la parola ultima sul conflino che divise la comunità giovannea circa l'interpretazione cristologica pro o conlro un'interpretazione docetista: G. STREC'KER, «Die Anfiinge der Johanneischen Schule», in NTS 32(1986), 31-47; cf. dello stesso aulore: •Chiliasmus und Dokelismus in der johanneischen Schule», in KerDo 38(1992). 30-46. . .lJ cr. LIEU, La teologia delle lellere, 124-126; afferma l'autrice in base alle differenze teologiche tra il Quarto Vangelo e le lettere: «ciò fa pensare che il vangelo e l'epistola (la prima), piuttosto che dipendere l'uno dall'altra, procedono indipendentemente a partire da un nucleo comune di tradizione giovannea. Ciò significa che l'apporto dell'epistola non consisteva nello scopo di correggere qualunque malinteso fosse sorto o potesse sorgere dal vangelo» (p. 125). Nonostante questa «autonomia>> tra i due scritti l'autrice vi riconosce una comune dipendenza da una stessa tradizione.

L'ipotesi della «scuola giovannea»

189

gna trovare un criterio per la sua collocazione cronologica nello sviluppo di questo corpus letterario. Per rispondere a questa domanda non rimane altra soluzione che quella di percorrere itinerari di studio su alcune !ematiche teologiche che tengano conto, in primo luogo, del contesto proprio di ogni singolo scritto per cercare. in un secondo momento, un confronto, che ipotizzi, ragionevolmente, uno sviluppo letterario-teologico che corra in una determinata direzione. Per cui, per un corretto impianto metodologico per quanto attiene alla critica interna, si deve partire da un'analisi letteraria e teologica capace di mettere in risalto i punti di continuità e discontinuità che emergono dal corpus. Mentre i primi possono essere il segno di un medesimo ambiente letterario, i secondi potrebbero essere la testimonianza di un cambiamento del contesto vitale della comunità, sia al suo interno (Prima lettera) che nel suo rapporto con l'ambiente esterno (Apocalisse), come di un dialogo vivo e fecondo con altre >, in A.N. TERRIN, a cura di, Apocalittica e liturgia del compimento, Padova 2000, pp. 283-

309. VON DER 0STEN SACKEN P., Die Apoka/yptic in ihrem Verhii/tnis ZU Prophetie und Weisheit, Miinchen 1969. Vos L. A., The Sinoptyc Tradition in the Apocalypse, Kampen 1965. WEJSS J., Die Offenbarung des Johannes, Giittingen 1904. WENDLAND P., La cultura ellenistico-romana nei suoi rapporti con giudaismo e cristianesimo, Brescia 1986. WESTCOTI B.F., The Gospel according St. fohn, London 1958. WtKENHAUSER A., L'Apocalisse di S. Giovanni, Brescia 1960. YARBRO CoLLINS A., The Combat Myth in the Book of Reve/ation, Missoula 1976.

212

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Indice generale

Sigle e abbreviazioni

pago

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9

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Presentazione Prefazione

Introduzione

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13

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l. IL PROPOSITO DELLA RICERCA

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METODO L'ARTICOLAZIONE DELLA RICERCA

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IL VERBO THPEIN NEL PROLOGO E NELL'EPILOGO

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INTRODUZIONE l. IL BACKGROUND VETEROTESTAMENTARIO E GIUDAICO

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22

20

3o

Capitolo primo

1.1

102

20

202

301

303

3.4

1,3; 22,709)

402

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1,3

Il senso del macarismo Il verbo alCOVE! v: il discernimento sapienziale Il verbo rrtPt:ìv: la custodia della rivelazione Il rapporto di reciprocità tra alCOVE! v e rrtpeiv

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/1 problema del genere letterario dell'Apocalisse La relazione tra 22,9 e 19,10

CONCLUSIONE

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LA CUSTODIA DEL > 48 >> 48 >> . 50 ">> 52 52 >> 54 >> 64 ,. 66

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CHIESA DI fiLADELFIA (AP 3,8-10 (bis]) .................................... ..

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Ambiente sociale ...................................................................... .. L'autopresentazione di Cristo (3,7) ........................................ .. Il verbo fTIPEÌV nel giudizio (3,8.10[bis]) ................................ .. 4.3.1 Il sintagma en'Jpl'lcrlic; JlOU tòv ì..Oyov (3,8) .................... .. 4.3.2 Il sintagma En'Jpllcrlic; tòv ì..Oyov Tijc; imoJlovi'jc; JlOU (3,10a)

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4.3.3 La prospettiva missionaria ............................................ .. 4.3.4 Il sintagma tTJPEìv ÉK tijc; cilpac; toù 7t€tpaO').loù (3,10b) 4.4 Conclusione ............................................................................... .

5. IL RAPPORTO TRA IL SETTENARIO E IL LIBRO DELL'APOCALISSE .... .. 5.1 Una profezia sulle chiese per la profezia della chiesa sul mondo 5.2 Il verbo fTipeìv: condizione della testimonianza profetica .... .. 5.3 Il verbo fTIPEÌV e le minacce per la chiesa .............................. .. 5.3.1 La città di Babilonia e la promozione del benessere .. 5.3.2 La corrente eterodossa (nicolaiti, baalamiti, Gezabele): gli idolotiti e la fornicazione ........................................ .. 5.3.3 La sinagoga ....................................................................... . 5.4 Conclusione .............................................................................. ..

43

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67 68 69 69 69 71 75 75 75 76 78 79 80 82 87 89 90 90 91 93 93 94 96 %

215

Indice generale Capitolo terzo IL VERBO THPEIN NELLA SEZIONE PROFETI CA

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Daniele 1.1.1 La preghiera dei tre giovani (Dn 3.29-30) 1.1.2 La preghiera di Daniele (Dn 9,4-5.10-11.14) 1.1.3 Il martirio dei saggi (Dn 12,1-3; cf. 11,33-35) 1.1.4 Conclusione 1.2 Primo, Secondo e Quarto libro dei Maccabei ..... 1.2.1 l M acca bei: combattere per la difesa della Legge ....... . 1.2.2 2 Maccabei: morire per le patrie leggi 1.2.3 Confronto tra l e 2 Maccabei ............... 1.2.4 4 Maccabei: il martirio per la redenzione 1.~ Conclusione

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101 101 102 103 104 105 106 106 108 110 111

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112 l 13 114 114 118 120 121 122 125 131

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131 132 133 135 137 139 141 141

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144 146 146 147 148 150 151 157

INTRODUZIONE

l.

......................................... BACKGROUND VETEROTESTAMENTARIO E GIUDAICO

1.1

00000 00000 0000000000000 00.00000 0000000 oo· 00 000000000000000000000000000000000000000000000

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2.

LA CUSTODIA DEI COMANDAMENTI E IL POSSESSO DELLA TESTIMONIANZA DI GESÙ

(AP 12,17) ...

2.1 Il contesto ampio: i cc. 12-16 2.2 Il contesto prossimo: il c. 12 ........... 2.2.1 I vv. 1-9: la y-uVJi e il opciK(l)V 2.2.2 l vv. 7-12 2.2.3 l vv. 13-17 ................... 2.3 Ap 12,17 2.3.1 Il sintagma fxetv riJv IJ.Oprupiav 'lllooiì .. 2.3.2 Il sintagma tllpei.v tac; Èvtoì..àc; toiì -freoiì 2.4 Conclusione

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3. LA (AP 14,12) ..... 3.1 Contesto ampio: i cc. I 3 e l 4 3.1.1 Le due bestie del c. 13 .... 3.1.2 Ap 13,9-10: un invito al martirio 3.1.3 Ap 13,18: un invito al discernimento 3.2 Contesto prossimo: il c. l 4 3.3 Ap 14,12 3.3.1 La illtOIJ.Ovft t!Ìlv àyiwv e la 1tionc; 'lllooiì .... 3.3.2 Il rapporto tra i due sintagmi: tTIPElV tàc; ÈVtOÀÒ