Chi comanda nella città. I greci e il potere 884308545X, 9788843085453

Il libro introduce il lettore a una sorta di visita guidata in uno dei più straordinari laboratori di pensiero politico

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Italian Pages 127 [128] Year 2017

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Chi comanda nella città. I greci e il potere
 884308545X, 9788843085453

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Sfere extra

Mario Vegetti

Chi comanda nella città I Greci

e

Carocci editore

il potere

@ Sfere extra

1'

ristampa, aprile 1.017

1' edizione, febbraio 1.017

©copyright 2.017 by Carocci editore S.p.A., Roma Realizzazione editoriale: Omnibook. Bari Finito di stampare nell'aprile 1.017 da Grafiche VD srl, Città di Castello (PG)

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge

1.1.

a prile 1941,

n.

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633)

Indice

Prologo

7

Un problema greco

9

Plethos, o della moltitudine

21

Nomos, o della legge

39

Kratos, o della forza

57

Arete, o della virtù iperbolica

73

Episteme, o della scienza

ss

Antropologie rivali

IOI

Note

109 123

Indice dei passi citati

s

Prolo go

Ci sono parecchie cose che il lettore non troverà in queste pagine. Non troverà un commento anali­ tico dei testi antichi condotto secondo le intenzioni d'autore e l'ordine delle argomentazioni: un lavoro questo imprescindibile, ma che va compiuto in altra sede. Non troverà neppure una storia delle idee poli­ tiche sviluppata secondo le sequenze cronologiche di autori e di testi, per la quale si può rinviare a ottimi strumenti di consultazione1• Di conseguenza, non troverà una bibliografia disciplinare organica: le in­ dicazioni contenute nelle note sono suggerimenti di lettura senza alcuna pretesa sistematica. Mi sono proposto invece di introdurre il lettore a una sorta di visita guidata in uno dei più straordinari laboratori di pensiero politico nella storia d'Occi­ dente, che fu attivo in Atene nel secolo che va ali' in­ circa dal 430 al 330 a.C. Utilizzando le idee e i testi via via prodotti in questo laboratorio, si è allestita la messa in scena di un dibattito a più voci, che coin­ volge filosofi, storici, poeti, politici, intorno alle do­ mande decisive su che cosa sia il potere e come possa venire legittimato o giustificato. Nella rappresenta­ zione che ne viene offerta, questo dibattito è stato 7

articolato intorno a cinque assi tematici principali (la maggioranza, la legge, la forza, la virtù, il sapere) che, com'è naturale, si intrecciano e interagiscono reciprocamente. Per il senso comune politologico, il confronto tra le idee politiche prodotte in questo laboratorio riserva qualche sorpresa: persino un re· gime rassicurante come la democrazia maggioritaria viene messo radicalmente in discussione, e d'altra parte un potere esecrabile come quello tirannico ri· scuote talvolta consensi significativi. D'altra parte, testi noti possono acquistare un rilievo e un signifi· cato inattesi per la vulgata storiografica. Ma non ho affatto inteso mostrare chi ha ra· gione e chi ha torto, oppure chi vince e chi perde. Gli aspetti che davvero interessano sono la forza teo· rica, la spregiudicatezza intellettuale, la radicalità di approccio che caratterizzano la discussione qui rivisi· tata. Vi troviamo, da un lato, un modello insuperato di come la riflessione politica possa andare al fondo dei problemi, magari non per risolverli ma per ren· derli almeno più chiari nei loro presupposti e nelle loro implicazioni; dall'altro, una strumentazione concettuale che certo appartiene a un mondo lon· tano, ma che forse non ha del tutto esaurito la sua capacità di offrire stimoli e prospettive che ancora oggi sarebbe sbagliato ignorare.

8

Un problema greco

Lo stato [ ... ] consiste in un rapporto di dominazione di alcuni uomini su altri uomini, il quale poggia sul mezzo della forza legittima (vale a dire, considerata legittima). Perché esso esista, bisognerà dunque che i dominati si sottomettano all'autorità cui preten­ dono i dominatori del momento. Quando e perché vi si assoggettano? Su quali motivi di giustificazione intrinseca e su quali mezzi esteriori poggia questa do­ minazione? M. Weber, La politica come professione

Tutte le forme di Autorità (umana) hanno in comu­ ne il fatto che permettono di esercitare un'azione che non provoca reazione, perché coloro che potrebbero reagire si astengono coscientemente e volontaria­ mente dal farlo. [ ] Ma dato che la reazione resta sempre possibile e che la rinuncia è cosciente e volonta­ ria, è legittimo chiedersi il perché di questa rinuncia. Ogni Autorità suscita la questione del perché esiste, cioè perché la si "riconosce" subendo gli atti che ne derivano senza reagire contro di essi. ...

A.

Kojève, La nozione di autorita

Nelle Supplici di Euripide, l'araldo di Te be chiede all'ateniese Teseo chi comandi nella sua città (let­ teralmente : « chi è il signore (tyrannos) di questa terra? » , 399). La risposta di Teseo, secondo cui 9

Atene non conosce tiranni ed è governata democra­ ticamente dal popolo, dà luogo a un aspro dibattito, nel quale l'araldo sostiene le ragioni della monarchia autocratica, e Teseo appunto quelle della democrazia. Il passo è ricco di significati. È certo che in ogni formazione sociale ordinata gerarchicamente si pone la questione di legittimare o giustificare l'esercizio del potere - come insieme di condizioni necessarie perché un uomo o un gruppo di uomini esercitino il comando sulla comunità e assumano decisioni in suo nome1 - oppure l'aspira­ zione e la pretesa a questo esercizio. Ma è nella so­ cietà greca che la questione si è posta per la prima volta e con la massima urgenza, costituendone una caratteristica centrale e decisiva, tanto che il pensiero greco rappresenta un laboratorio di ricerca sul tema del potere capace di elaborare, e criticare, un venta­ glio di soluzioni al quale le culture posteriori non avrebbero mai cessato di attingere. Le ragioni di questa centralità non sono difficili da individuare. La società e la cultura greche si sono formate, in un processo storico che ha inizio intorno al IX secolo a.C., in uno spazio definito da un sistema di assenze, che nel loro insieme assumono i tratti di una acuta crisi di sovranità. La prima assenza, resa ancora più evidente dal confronto con il mondo del Vicino Oriente, è quella di un apparato statale centralizzato : non esistevano IO

Grecia, dopo il crollo dei regni micenei che ave­ vano costituito su piccola scala una propaggine peri­ ferica delle grandi monarchie orientali, né una strut­ tura monarchica, né un apparato statale, un esercito e un sistema giudiziario centralizzati. Questo rende in primo luogo impossibile una regolare trasmissione dinastica del potere. Telemaco non eredita il trono di Odisseo, e del resto neppure la successione divina risulta dinasticamente ordinata. La trasmissione del potere divino narrata da Esiodo non solo è priva di regole, ma è segnata da lotte cruente e spietate. Così Urano impedisce ai figli di Gaia di vedere la luce, e la madre, per vendicarli, incita Crono a castrare il padre (Theog. 154-182); Crono divora i suoi figli, e viene a sua volta sconfitto dagli artifizi e dalla vio­ lenza di Zeus, salvato dall'astuzia della madre ( Theog. 459-496). Aggiunge il Prometeo di Eschilo che dopo una lotta spietata, «nuovi signori governano (kra­ tousi) l' Olimpo l e con nuove leggi, al di fuori del Giusto, Zeus governa l e annienta ora le potenze di un tempo» (Prom. 149-151 ). Il mondo divino non propone dunque alla società degli uomini alcuna forma di trasmissione ordinata e non conflittuale del potere'. Secondo il Politico di Platone (274b277b), Crono aveva rappresentato l'apparizione di un re-pastore divino, il cui regno dell'abbondanza, con l' indistinzione fra uomini e animali, aveva avuto del resto tratti grotteschi, che si riverberano su qualin

II

siasi idea pastorale della regalità3; dopo il suo abban­ dono (una sorte di "morte di dio") , il mondo lasciato a se stesso era precipitato, nell'epoca di Zeus, nella confusione e nel conflitto generalizzato, di fronte ai quali gli uomini, divenuti padroni della propria sorte, avevano dovuto inventare tecniche di gestione della crisi, come la politica e la filosofia. Tutto ciò sottolinea l'assenza di forme consoli­ date di legittimazione, trasmissione ed esercizio del potere. A questa situazione di crisi contribuisce la se­ conda delle assenze di cui abbiamo parlato: quella di autorità sacerdotali in grado di consacrare i dinasti, di garantire il rapporto fra divinità, poteri politici e ordine sociale. I Greci erano perfettamente consape­ voli delle recenti origini poetiche, dunque profane, prive di qualsiasi ortodossia custodita da un sacer­ dozio castale, della loro ·religione. Scriveva Erodoto : «Da chi nacque ciascuno degli dèi, se tutti esistes­ sero e quali siano le loro forme, fino a poco fa - per così dire fino a ieri - non si sapeva. Ritengo infatti che Esiodo e Omero mi abbiano preceduto in età di quattrocento anni, e non di più. Sono essi ad aver composto per i Greci una teogonia, dando agli dèi gli epiteti, dividendo gli onori e le competenze, in­ dicando le loro forme » (n 53). E nel II libro della Repubblica di Platone Adimanto riassumeva critica­ mente questa convinzione: «conosciamo gli dèi e ne abbiamo sentito parlare da nessun'altra fonte se non dai costumi rituali e dai poeti autori di genealogie; 12

ma questi stessi dicono che gli dèi sono disponibili a farsi influenzare e convincere da "sacrifici, amabili suppliche" [Iliade 9·49 9 ] e offerte votive. Ad essi si deve prestar fede o su entrambe le cose o su nessuna delle due » ( 36 6e). La terza assenza, infine, è quella di una tradizione culturale secolare e autorevole, che si aggiunge alla mancanza di un Libro, o di più Libri, di natura sacra e ispirazione divina. La sola tradizione culturale cui i Greci potevano fare riferimento era la memoria leg­ gendaria della "guerra di Troià', un' invenzione lette­ raria dunque quanto lo era la loro teologia. Platone rac con ta che il primo legislatore di Atene, Salone, durante una sua visita in Egitto avrebbe incontrato i sacerdoti di quell'antico paese, che gli avrebbero detto : « S alone, Salone, voi Greci siete sempre dei ragazzi, un greco non è mai vecchio. [ . ] Siete tutti giovani d'animo perché non avete nessuna opinione antica trasmessa attraverso una tradizione che viene dal passato né alcun sapere incanutito dal passare del tempo» (Timeo 22b). La società e la cultura greche hanno così preso forma in un vuoto di statualità, di autorità religiosa, di tradizione, nello spazio dunque, come si è detto, di una crisi di sovranità. Questo spazio venne riem­ pito, a partire dai secoli IX e VII I a.C., da un gran numero di piccole comunità indipendenti, in parte urbane e in parte rurali, le poleis. La cosa più interes­ sante dal nostro punto di vista è che i ruoli di potere, ..

da chiunque fossero detenuti (monarchie locali, ari­ stocrazie terriere o mercantili, poi talvolta "tiranni", infine strati progressivamente più ampi della citta­ dinanza) non erano legittimati né da un' investitura sacerdotale, né dal diritto ereditario delle monarchie dinastiche. Il potere doveva dunque venire di volta in volta giustificato e legittimato da ragioni convincenti (o dal ricorso diretto alla forza, in ogni caso difficile e rischioso per la carenza di strumenti pubblici di repressione). Esso risultava dunque contendibile e negoziabile fra gruppi politici e sociali contrapposti. Il celebre logos tripolitikos di Erodoto (111 So-82), sul quale dovremo naturalmente tornare, rappresenta un'immaginaria discussione fra dignitari persiani intorno ai rispettivi meriti della monarchia, dell'o­ ligarchia e della democrazia, come regimi alternativi adottabili nel vuoto aperto dalla crisi dinastica della monarchia del loro paese. Il dialogo erodoteo rappre­ senta la più limpida espressione, nella cultura greca del v secolo a.C., di questa negoziabilità delle forme del potere, e delle rispettive giustificazioni contrap­ poste. Ma già agli inizi della storia di Atene (fra VII e VI secolo a.C.), il protolegislatore della polis, Solone, aveva argomentato in modo del tutto secolarizzato la validità politica della sua legislazione, che veniva significativamente posta per iscritto e resa dunque in linea di principio leggibile e interpretabile dall'in­ tera comunità cittadina. 14

Le ragioni che rendono legittimo il potere dete­ nuto da alcuni, e che giustificano le pretese di altri al suo esercizio, devono dunque venire argomentate, rese convincenti o almeno plausibili, se si vuole evi­ tare una situazione di conflitto sociale permanente e cruento come quello che aveva segnato le successioni al trono degli dèi secondo Esiodo. È interessante notare che, in parallelo alla que­ stione del potere, si pone anche quella della legitti­ mità dell'accesso al discorso veritiero : che cosa auto· rizza la pretesa di pro:ffe rire discorsi veri intorno al mondo e agli uomini, e che cosa ne garantisce la ve· rità, in assenza della garanzia offerta dalla tradizione e dal suggello sacro ? I poeti arcaici, come Qmç.ro ed Esiodo, avevano autorizzato la propria presa di pa­ rola con la rituale invocazione alle Muse (