Donne sorelle

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«Forse tutto sarebbe stato diverso se ci fossimo amate di più». Da Il secondo risveglio di Christa Klagel di MARGARETIIE VON TROTIA

INTRODUZIONE

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Perché ho scelto di parlare di sorelle? Perché più ci si addentra nello studio, nella comprensione, nell'analisi dell'universo-donna, più ci si rende conto che le trame che hanno inciso su dilei e che l'hanno plasmata, sono ancora in.•parte da scoprire. In questi ultimi dieci, quindici anni si è parlato tanto di donne, sono stati esaminati, sviscerati, commentati, criticati i suoi nuovi rapporti con l'uomo marito-compagno-amante. Contemporaneamente sono state analizzate le pieghe più riposte della sua sessualità, i suoi legami - analiticamente freudiani - con il padre e la madre, il suo nuovo modo di rapportarsi alle -altre donne e al mondo, attraverso l'esperienza del femminismo. Forse troppo se ne è parlato e qualcuno sostiene che, ormaz~ questo è un falso problema, che un tema del genere è ''fuori moda", che, in fondo, la donna di conquiste ne ha già /atte tante. Personalmente credo che siamo soltanto all'inizio: resta da fare il lavoro più difficile, quello della ricerca sul piano della realtà psichica. Scoprire la nuova identità della donna e l'essenza della femminilità nel mondo moderno, può aiutare tutti quanti~ uomini compresi. È ben vero che una donna oggi, specie se giovane, si muove con grande disinvoltura in tutti i campz~ ha acquistato autonomie impensabili soltanto una trentina di anni fa, eppure questa stessa donna spesso si rivela contraddittoria, mossa da fortissime spinte in avanti e da altrettanto potenti/reni di regressione e difragilità. Tale meccanismo scatta soprattutto nel mondo dei sentimenti: la donna si sta modificando, cerca di esprimersi e di realizzarsi al difuori degli schemi di una volta, ha imparato a dominare l'amore, a non esserne più totalmente schiava, fa meno drammi per amore (come ne hanno sempre fatti meno gli uomini), sa badare a se stessa, è meno emotiva, spesso esercita aggressività e competizione.

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Ma fino a che punto questi comportamenti sono il frutto di una trasformazione interiore e fino a che punto sono atteggiamenti assunti . per muoversi in un mondo costruito ancora su schemi più adatti ai maschi che alle femmine? Tuttora una donna sente irrinunciabili aspirazioni alle sicurezze affettive, ai punti fermi, spesso è smarrita di fronte alla perdita di una immagine chiara di sé, quella che, bene o male, avevano le donne di un tempo. Non si passa impunemente nell'arco di una generazione o due 1 dal binomio donna-creatura d'amore a un altra entità incerta e contraddittoria. Si diceva una volta che le donne sono1 per natura, depositarie deltamore. Era soltanto perché non avevano diritto a una esistenza autonoma e allora le si relegava nel ghetto del dramma sentimentale) perché avessero un ben preciso scopo nella vita? O forse c è davvero qualcosa nella natura femminile che le porta a un bisogno profondo di dialogare sempre con il mondo interiore e vivere· ze emozioni che stanno al di là della realtà visibile? Come se ciò che resta nascosto fosse più determinante di ciò che si vede? -Io credo che1 qualunque sia t apparente trasformazione della f emminilità, la lotta che una donna è portata a combattere dentro di sé resta sempre quella "con" i sentimenti e ''per" i sentimenti. Non sto sottoscrivendo il poetico giudizio di Schiller quando dice: « Le tenere fibre della donna si inclinano come le rose al soffio deltaffetto» ... Osservo soltanto che la femmina 1 più del maschio1 vive legata al suo corpo ai cicli delle stagioni agli umori dei climi, è più soggetta altimpalpabile suggestione delle atmosfere. Forse per questo1 fra tutte le possibili felicità e tutti i possibili tormenti di questa terra, tende ad anteporre e a scegliere, oggi come ieri1 quelli che nascono dalt amore. Ma quale amore? Tutto di questi tempi si è fatto più complicato. Quando una donna "moderna" chiede che le sue richieste affettive siano colmate, spesso si scontra con un mondo ancora e sempre regolato da stereotipi vecchia maniera. Come rendersi credibili? E come1 soprattutto, conciliare dentro di sé l'immagine della creatura forte e autonoma con quella che palpita e si commuove per un gesto d'amore, come una eroina del passato? Per scoprire le radici di questo stato d'incertezza sentimentale che tante vivono, perché non approfondire anche quel complicato groviglio di interazioni che si stabiliscono fin dal!' infanzia fra donne unite da un 1

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legame di sangue, vale a. dire fra sorelle? Finora è stato poco studiato come e quanto tali rapporti di sorellanza, irreversibilz: incancellabilz: dati in sorte come una caratteristica genetica, possano talvolta-influenzare un destino. In/att( quali che siano le trasformazioni: i cambiamenti: le diversificazioni della loro vita, due o più donne-sorelle dovranno sempre /are i conti con un ineliminabile passato comune: quello di avere avuto gli stessi genitori e le stesse condizionifamiliari, di essere state, l'una per l'altra, i/primo banco di prova delle proprie capacità emotive e sentimentali. Che .il bilancio sia attivo o passivo, poco importa. Una ricerca approfondita sul significato che si può dare oggi all'essere sorelle, penso che metta in evidenza certi aspetti di quella femminilità che tanto spesso sentiamo di avere perduto o di avere, comunque, poco chiara. Questa ricerca passa attraverso il confronto, la differenziazione, l'assomiglianza, il contrasto, con le altre donne e il mondo: le sorelle possono rivelarsi personalità fondamentali per questa ricerca su di sé. Nell'ambito del femminismo si è tanto cercato di capire il "da dove veniamo", eppure non mi risulta che si sia mai dato molto peso all'influenza che possono avere avuto su un destino di donna quelle figure femminili che ci sono state accanto fin dalla nascita. Forse si era troppo occupate a sanare le ferite e i dubbi del rapporto con l'uomo? Oggi abbiamo capito un po' di più le nostre reazioni all'universo maschile e il "da dove veniamo" dovrebbe rivolgersi ad altre trame della nostra esperienza. Si è studiata la madre come elemento di confronto fondamentale, ma le sorelle, che psicologicamente sono quasi sempre una proiezione della figura materna? Abbiamo /atto tanta strada verso una maggiore coscienza di noi come persone-femmine e abbiamo anche capito che siamo molto più sole di un tempo rispetto ai nostri compagni. Tante volte abbiamo sperimentato che gli uomini: anche i migliori: si ritraggono spaventati di fronte a una creatura femminile che esca dagli schemi: abbiamo visto la loro gentilezza tramutarsi in aggressività e odio. Per questo, spesso si è cercata fra donne la comunicazione più profonda. Non per escludere un legame con l'uomo, ma per poterlo affrontare, contraddittorio e incompiuto, quale egli cè lo propone. Da questa ottica, ogni analisi che ci aiuti a una più meditata conoscenza delle possibilità di

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una relazione fra donne mi sembra preziosa: la relazione fra sorelle è la prima con cui siamo venute in contatto. Possiamo a1:cora servircene in età adulta? Ciascuna può andarsene impunemente per la sua stra• da? Oppure si creano sentimenti nuovi e diversi? E se si creano di quale natura sono? Nella propria vicenda di donne serve avere delle sorelle oppure questa realtà è un ostacolo, una fonte di dubbi e conflitti? Sono interrogativi ai quali non è ovviamente possibile dare risposte univoche, ma vale la pena di tentare. Finora gli psicologi che si sono occupati dei figli, sembra abbiano badato unicamente agli anni dell'infanzia, dell'adolescenza, all'influenza tutt'al più, che può avere avuto un figlio ma-ggiore sui minori o viceversa. Quasi che l'importanza delle vicende fra sorelle terminasse con l'inizio del!' età adulta. Eppure il rapporto sororale (e fraterno beninteso) è quello che si crea più presto nella vita e che dura più a lungo, magari anche settanta, ottanta anni. È anche l'unica relazione che porta in sé, per natura, una essenza implicita di parità. Questo tema mi sembra acquisti una importanza particolare in relazione al rinnovato interesse per la famiglia che si sta verificando negli ultim,i anni. Ovviamente non la famiglia- tradizionale, quella che il '68 ha messo in discussione in maniera radicale e che praticamente è stata uccisa (processo indispensabile per eliminare le storture e i condizionamenti che hanno improntato intere generazioni). Molti segni indicano che oggi si cerca di tenere in piedi in mille modi un nucleo familiare prima di spezzarlo definitivamente: ci sono , associazioni private, consultori di stato, libri che analizzano il nuovo "sistema familiare". Ci si sta accorgendo che in una società di incertezze profonde come quella in cui viviamo, i rapporti familiari dovrebbero almeno essere rivisti e riesaminati. Anche se non servono a colmare esigenze psicologiche e sentimentali pro/onde, possono servire a non sentirsi troppo sradicati. Pericoloso pertanto rinnegare o negare del tutto la propria origine. Alcuni psicologi americani -paese dove l'incidenza di divorzi e di nuove /amiglie ha da tempo modificato profondamente le relazioni di parentela - prevedono che i rapporti sororali e fraterni potrebbero diventare sempre più importanti proprio perché aumentano i divorzi, i nuclei familiari si/anno incompleti e diminuiscono le loro dimensioni. Non solo, ma tenuto conto che, anche da noi, cresce enowemente il numero di coppie senza bambini, di per~one che rifiutano di sposarsi ,e 8

di "singoli", avere sorelle (o fratelli), in prospettiva, potrà diventare un fenomeno abbastanza raro. Pertanto di maggiore considerazione. Questo lavoro sulla realtà dei legami fra sorelle può anche servire a chiarire il senso di tanti imperativi categoria" c.Je hanno dominato e vincolato la donna per secoli. E aiutarla a liberarsene, se è il caso. Intendo gli imperativi categorici sui sentimenti, i sentimenti buoni per forza, intoccabil( sacrosanti, primi fra tutti quelli per la famiglia di origine. Abbiamo scoperto che è nostrO'diritto non amare nostro padre e nostra madre perché non ci piace come sono fatti? Perché non dovremmo scoprire ugualmente di poter non amare una nostra sorella? Oppure, viceversa, perché dovremmo avere paura di sentirà legate a una sorella come alla_ migliore amica? In un mondo carico di contraddizioni ideologiche, poùtiche, filosofiche e psicologiche come quello di oggi, io sono convinta che l'unica strada per conquistare maggiore sicurezza passi attraverso la riflessione. Riesaminare il senso della sororalità di questi tempz: in cui il destino di una donna diventa sempre più imprevedibile e differenziato rispetto alla tradizione, può aiutare a capire da un ulteriore angolo visuale, quali sono le sue esigenze e le sue capacità di relazione. Per questo lavoro che, letteralmente, si può definire "saggio", ho scelto una strada forse atipica, quella di raccogliere dal vivo un gran numero di storie e di presentarle sovente senza commenti. Questo procedimento mi è servito per esaminare la realtà da un'ottica che sentivo mio compito fosse il più obiettiva possibile. Trattando un tema così coinvolgente come quello dei rapportifra sorelle, ho percepito il rischio di lasciarmi sedurre dalle mie personali speranze. E anche dal mio personale bisogno di credere negli affetti solidi e immutabili. Ma la realtà è più complessa e non sarebbe stato giusto dissertare teoricamente soltanto di sorelle che si vogliono bene, che si appoggiano, che conoscono l'arte di coltivare il reciproco amore. Anche perché, forse, questi esseri felici non sentono la necessità di leggere libri che trattano di buoni sentimenti: già li posseggono. Io ho scritto questo libro per quelle donne-sorelle che felici non sono, nella speran:za che possano intravedere una via d'uscita per rimediare alla loro incapacità di amarsi bene. Entrare in confidenza con tante donne per questo lavoro è stata un'impresa facile e difficile al tempo stesso. 9

Facile, perché parlare di sorelle è rassicurante, va bene a chiunque. Non si tocca nessun tabù, non c'è niente di cui vergognarsi, difficile perché, appena scavavo un poco nel!'argomento, avevo l'impressione di sentirmi raccontare un monte di bugie. O per lo meno, di deformazioni della verità e di luoghi comuni. Sensi di colpa, impressioni dl tradimento aleggiavano quasi sempre nelle donne che ho incontrato, appena ricordavano qualche episodio sgradevole. Poi, pian piano, dopa correzioni, interlocuzioni tipo « però è tanto generosa», oppure « ma ha anche i suoi lati buoni», sono riuscita a scoprire i sentimenti più autentici che dominano tanti rapporti fra sorelle. Ho incontrato donne di tutte le età e di tutte le condizioni: casalinghe tradizionali~ giovani e meno giovan( donne emancipate, con alle spalle pratica di femminismo, donne che avevano esperienza di analisi e donne che avevano appena preso coscienza di una nuova realtà femminile attraverso mezzi più semplia~ come i giornali, le riviste, la televisione e qualche lettura. Ovviamente, quelle con maggiore preparazione e maggiore abitudine al!'analisi di sé e dei rapporti in genere, mi hanno dato testimonianze più articolate e approfondite. Ma la sostanza delle sensazioni~ delle contraddizioni~ delle angosce, degli a/letti, vissuti attraverso i rapporti fra donne-sorelle, sono stati simili in tutte. Segno che la sensibilità femminile, quando riesce ad affiorare e /arsi parola, è carica di implicazioni comuni e che, soprattutto, è ancora in gran parte un mistero da esplorare. Ho potuto affrontare questo lavoro perché io stessa ho delle sorelle. Senza di loro forse non sarei stata in grado di interpretare e capire fino in fondo ciò che tante mi hanno raccontato. Conoscevo già, per averle io stessa vissute, le tenerezze e le rabbie, le speranze e le delusioni del più lungo legame della mia vita: una ricchezza emotiva, tutto sommato, di cui ringrazio la sorte. Come ringrazio le amiche-sorelle che ho avuto la ventura di incontrare sulla mia strada.

NOTA Purtroppo nella lingua italiana manca un termine che indichi, genericamente, "sorelle e fratelli". In inglese esiste sibling, in tedesco Geschwister. Per questo nell'analisi delle relazioni fra donne-sorelle, simile a quella che si può instaurare fra uomini-fratelli, sono stata costretta a fare, di volta in volta, delle distinzioni e delle precisazioni. Forse a scapito della scioltezza della prosa.

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È SOLTANTO UNA FEMMINA

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Due o più sorelle cresciute insieme sono due o più donne che si confrontano fin da piccole con la realtà che le circonda. In che misura può avere influenzato i loro rapporti la consapevole e inconscia convinzione di essere fragili creature, di scarso valore, incapaci di autonomia, che devono molto sacrificarsi per essere accettate? Infatti è così che una femmina è stata vista per secoli. Nella maggior parte delle famiglie, fino a non molti anni fa, a ogni nascita, si facevano voti perché nascesse un maschio. E non soltanto quando avere figli maschi garantiva il lavoro nei campi per la società contadina o la conservazione dei beni e dei titoli per borghesi e nobili. Una donna che partoriva una femmina si sentiva da meno e in colpa per ragioni misteriose, mentre quella che partoriva uno o più maschi, per ragioni altrettanto misteriose, era maggiormente valutata. Quando la scienza della genetica cominciò ad approfondire la faccenda, scoprì alternativamente, che nella determinazione del sesso del nascituro prevalevano ora il padre ora la madre. Poi ipotizzò che pari fosse il contributo (ventitré cromosomi nell'ovulo della madre, ventitré cromosomi nello spermatozoo del padre). Nel 1956 - finalmente! - fu scoperto che certi spermatozoi contenevano cromosomi X e altri contenevano cromosomi Y. Quindi tutto dipendeva dall'uomo! La donna non era responsabile se nascevano femmine, come, viceversa, non aveva particolari meriti se metteva al mondo maschi. Queste le scoperte della scienza, le spiegazioni razionali che quasi tutti ormai conoscono perché sono state scritte e riscritte, dette e ridette. Eppure ancora oggi un vago senso di delusione afferra la donna che partorisce una femmina. La forza dei pregiudizi è difficilmente sradicabile, specie se questi pregiudizi ser13

vono a mantenere determinate esigenze sociali. Quali in questo caso? Continuare a far credere che una femmina è meno pregiata di un maschio, punto e basta. Spesso le femministe hanno dichiarato - e dichiarano - di volere una figlia, per solidarietà femminile, per non allevare un maschio "nemico". Eppure in questo ambito ideologico, non è tutto così lineare. Complessi e contraddittori sentimenti si muovono in donne-femministe-convinte nel momento in cui nasce loro una bambina. È quanto mi racconta un'amica trentenne: « Razionalmente ti giuro che non avevo schemi, anzi, desideravo una femmina. Ero sicura che mi sarebbe stata per lo meno più ... simpatica. Ma quando l'ho vista, concreta, uguale a me, mi sono detta: "Dio, è una donna!". Sarà anche una mia croce, perché io saprò tutto di lei, o meglio saprò le difficoltà atroci che dovrà superare per ritrovarsi, per farsi valere! Forse ancora adesso una madre è più contenta di avere un maschio perché di un maschio lei non sa niente, ha soltanto l'ignoranza e la curiosità. Ma, a guardare bene, la ragione della mia delusione è nata dall'essere costretta a dirmi: "Poveretta, è soltanto una . ....I" ». f emmma Spesso tali condizionamenti di tipo culturale finiscono per incidere nel profondo e per intrecciarsi con sensazioni più complesse di ordine psicologico. Osserva la sociologa Laura Grasso in Madri e figlie: che « secoli di cultura nella quale ha dominato la figura dell'uomo hanno creato nelle madri spiccate preferenze nei confronti dei figli maschi. Il figlio maschio rappresenta il sesso che domina. Attraverso di lui la madre sovente realizza quella parte maschile di sé che la società le ha impedito di vivere, relegandola nel ruolo di moglie-madre. Inoltre il figlio maschio è il sesso nei confronti del quale l'attrazione erotica della madre è legittimata e stimolata: il maschio è oggetto del desiderio femminile e il figlio maschio è oggetto-legittimato dalla società del desiderio della madre, e in quanto tale, il sesso del maschio, anche nel senso specifico dei genitali, è dalla madre confermato e amato». Pertanto può succedere che una femmina si senta trasmettere per prima cosa dalla propria madre la sensazione di essere inferiore, poco apprezzabile, proprio in quanto donna. Dati questi presupposti, fino a qualche decennio fa, una famiglia nella quale continuassero a nascere soltanto femmine, era in genere

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molto numerosa: fosse per volontà di lui, fosse per desiderio di lei, marito e moglie perseveravano fino alla nascita dell'erede. Fra il desiderio di non avere altri figli e la speranza di avere, finalmente, un maschio vinceva quasi sempre la seconda. Nella mia ricerca ho incontrato parecchie donne con tante sorelle che mi hanno detto di avere covato tutta la vita il complesso di essere delle "nonvolute" perché i genitori le avevano messe al mondo in attesa che venisse un maschio. La storia che segue me la racconta una docente universitaria non ancora quarantenne, donna b;illante, riuscita sia nella carriera che negli affetti. Mi sembra emblematica di questo stato d'animo. « Il mio fuori e il mio dentro non coincideranno mai, te lo garantisco. Mi fa piacere parlarti di questa faccenda della mia infanzia e della mia prima giovinezza, anche se è un problema tutt'altro che risolto. Siamo sei femmine, io sono la quarta. Fin da piccola mi sentivo trascurata, guardata con una specie di compatimento dalla mamma, dal papà e da tutto il parentado. La nostra è una famiglia nella quale hanno predominato gli uomini, tutti militari o magistrati: pensa cosa se ne facevano di tante femmine! Noi abbiamo studiato tutte, ma sempre con la sensazione di doverci scusare di qualche cosa ... Forse la più grande e la seconda sono state accettate come un lecito scotto da pagare, ma dalla terza in poi no di sicuro ... Il problema più grave è come si sono impostati i rapporti fra noi sei fin da piccole. Siamo vicinissime di età, praticamente siamo nate a poco più di un anno di distanza l'una dall'altra. Quindi a un certo punto c'è stato un piccolo esercito in competizione, alla ricerca dell' approvazione della famiglia. Se una vedeva che il padre si accorgeva di lei per qualcosa di buono che faceva, giù a dedicarsi a corpo morto a quella cosa, scatenando ovviamente l'invidia delle altre. E così sempre: c'era quella che andava bene in latino? Allora si sentiva nostro padre dire: "magari questa viene fuori una avvocatessa ... ", se un'altra riusciva meglio in italiano, le cercavano subito un futuro degno di misurarla con un impegno importante. Non ricordo una volta in cui ci lasciassero dire quello che pensavamo: a tavola tutte zitte, alla domenica, in salotto, tutte zitte. Se veniva a casa un nostro cuginetto, che era un vero deficiente, allora mio padre lo interpellava, lo lasciava parlare, ma guai a noi se intervenivamo! Fra sorelle non eravamo affatto solidali a causa di questa "menomazione" comune, anzi, ci sbranavamo per un niente. Credo che la percezione di venir 15

giudicate "soltanto" delle femmine all'interno della famiglia abbia influito parecchio sui nostri caratteri e, come ti ho accennato, magari indirettamente, anche sui nostri rapporti. Con un paio delle mie sorelle, diventate adulte, abbiamo toccato qualche volta questo argomento, delle nostre insicurezze, della nostra reciproca competizione per farci valere non soltanto davanti a papà e mamma, ma anche fra di noi. Però non si sono stabiliti rapporti armonici e distesi, resta sempre come un'ombra, un'incertezza. Per lo meno, anche se siamo tutte donne piuttosto riuscite nella vita del lavoro, negli affetti, nelle amicizie, lo siamo per conto nostro. Come donnesorelle ci sentiamo sempre costrette a giustificarci, a spiegarci, a dimostrare quanto siamo brave: diventiamo petulanti, noiose quando entriamo in relazione. Persino nei confronti dei nostri rispettivi figli siamo in competizione: io ho un maschio, ma le altre hanno in prevalenza femmine e mi sono accorta, con grande malinconia, che anche loro si comportano come i nostri genitori si sono comportati con noi. Magari in maniera meno vistosa, con apparente paritarietà, ma nella sostanza persiste il senso per cui un bambino è un essere di maggiore pregio rispetto a una bambina ... Leggevo poco tempo fa che nella Cina di oggi avere femmine è considerato un evento più che mai negativo: ma se guardiamo bene, non è così anche da noi? Lasciamo stare gli infanticidi del mondo antico e guardiamoci fino in fondo, noi che andiamo sulla Luna ... ». Nelle famiglie tradizionali le femmine, agli occhi dei genitori e dei parenti, avevano pertanto una fisionomia precisa, omogenea: tante femmine, una sola linea educativa. L'allevamento delle femmine poneva limitati e chiari compiti: controllo della moralità (in quanto l' ~ventuale perdita del patrimonio-verginità le svalutava sul mercato del matrimonio che - non soltanto nei romanzi rosa e nelle fiabe - era la meta esclusiva della loro esistenza), una attenta coltivazione delle doti consone alla futura funzione di mogli-madri, infine, qualche sforzo economico per la preparazione di un po' di dote e di corredo da portare alle nozze. Ma se le figlie erano "belle", anche quello non era poi così necessario. Una dopo l'altra le femmine dovevano essere maritate, possibilmente cominciando dalla prima. Già nella Bibbia, nel libro della Genesi, c'è un brano emblematico di 16

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questa realtà: « ... Labano aveva due figlie, la maggiore si chiamava Lia e la minore Rachele. Lia aveva gli occhi smorti, Rachele invece era bella di forme e bella di sembianze. Perciò Giacobbe amava Rachele. Disse dunque: "Ti servirò per sette anni per Rachele, tua figlia minore". Rispose Labano: "È meglio la dia a te che a un altro uomo. Rimani con me". Così Giacobbe servì per Rachele sette anni, e gli parvero pochi giorni tanto era l'amore che le pòrtava. Poi Giacobbe disse a Labano: "Dammi mia moglie, perché è passato il tempo e io voglio entrare da lei". All9ra Labano invitò tutta la gente del luogo e fece un banchetto. Ma la sera prese sua figlia Lia e la condusse da lui. Ed egli entrò da lei... Ma al mattino, ecco apparve che essa era Lia. Allora egli disse a Labano: "Cosa mi hai fatto? Non è forse per Rachele che io ti ho servito? Perché mi hai ingannato?". Rispose Labano: "Non si usa così dalle nostre parti, che si dia la minore prima della maggiore. Compi pure la settimana con questa e ti daremo anche quella per il servizio che mi presterai per altri sette anni"». Passando più modestamente ai proverbi, uno piemontese dice: « Figlia non sposata, cambiale scaduta». Un detto napoletano esclama: « Gesù, Gesù, l'ultima pizza e l'ultima figlia nubile come sono difficili da collocare!». Uno degli esempi classici nella letteratura su una famiglia con tante figlie e sulle vicende legate alla necessità di maritarle e sui rapporti che si stabiliscono fra sorelle destinate tutte a una sorte comune nonostante i caratteri e i talenti, è Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen. Cinque sono le sorelle Bennet: Giovanna, la buona, la comprensiva, la serena, 1a benpensante, la conciliante, Elisabetta, l'arguta, la fiera, l'ironica, quella che pensa con la sua testa, Lidia, la sciocca, l'imprudente, la vanesia, Caterina, ancora amorfa ma che migliorerà con il tempo sotto l'influenza delle sorelle maggiori, Maria, la bruttina che legge tanti libri... Cinque personalità distinte che, tuttavia, trovano momenti di profonda coesione quando si trovano di fronte al matrimonio: loro o di una sorella. Qualunque stratagemma, qualunque sacrificio purché tutte si sposino e si sposino bene. In un altro romanzo, Jane Austen osa far dire a una ragazzina molto giovane: «Farei piuttosto la maestra o la governante (non so concepire nulla di peggio) che sposare un uomo che non amassi». Ma la sorella di questa fanciulla risponde: « Non mi piacerebbe 17

certo sposare un uomo sgradevole più di quanto non piacerebbe a te, ma penso che non vi siano molti uomini sgradevoli. Penso che potrei amare qualsiasi uomo borghese che avesse un reddito discreto». Non soltanto questo convincimento legava le ideologie delle ragazze dell'Inghilterra del primo Ottocento (e non solo dell'Inghilterra), ma c'era un'altra ben radicata convinzione. Scriveva la Austen: «Per le donne l'intelligenza è l'ostacolo al loro successo. Se vogliono attirare qualcuno, devono essere ignoranti. Essere colte significa essere incapaci di solleticare la vanità altrui, e questa incapacità sarà sempre deplorevole in una persona di buon senso. Una donna se ha la sfortuna di sapere qualcosa, dovrebbe nascondere quanto più può la sua cultura». Siamo proprio così avanzati oggi rispetto a dichiarazioni di questo genere... ? Ben triste d'altronde il destino di una donna che non arrivasse a sposarsi. Un'altra storia famosa di sorelle nella letteratura è quella che racconta Anton Cechov nel dramma Tre sorelle: data di rappresentazione 1901. Olga, Masa, Irina, sono orfane di un generale e vivono in provincia dopo aver lasciato Mosca da bambine. Olga, la maggiore, insegna in un ginnasio, un lavoro monotono, senza prospettive, ma che le permette di vivere. Masa si innamora a diciotto anni di un professore che immagina intelligente, splendido e invece si rivela un meschino di poco conto. Irina, la più giovane, vive di sogni e speranze. Arriva nella cittadina una guarnigione e la vita si anima un attimo per le tre sorelle: sfidando il conformismo provinciale dell'ambiente, si abbandonano a storie d'amore con alcuni ufficiali. Ma la guarnigione parte e le tre sorelle tornano alla vita triste di prima dove nulla mai cambierà, nulla potrà smuovere la loro condizione di donne. Alla fine del dramma Irina grida: « Adesso è autunno, presto verrà l'inverno che coprirà tutto di neve e io lavorerò, lavorerò ... ». Silenziosi e spenti destini di donne che non avevano altra via d'uscita per esistere che quella di sposarsi. Pertanto due o più sorelle si confrontavano soltanto sul piano della bellezza e delle doti adatte a un buon matrimonio. Come e quanto è cambiata la mentalità oggi? In apparenza molto: le donne studiano, lavorano, hanno imparato a conoscere il mondo direttamente, sovente si misurano con gli uomini sul piano 18

r professionale e con risultati positivi, eppure esistono segni che starebbero a dimostrare che la realtà è più contraddittoria. Per esempio, da un po' di tempo a questa parte hanno grande successo le ristampe di certi romanzetti rosa che accompagnarono i · sogni di milioni di ragazze fino, all'incirca, allo scoppio della seconda guerra mondiale. Per curiosità ne ho riletto uno, Schiava o regina?, di quel fascinoso Delly (che da piccola sentivo dire essere un prete e poi ho saputo essere lo pseudonimo di un fratello e una sorella francesi, nati lei nel 1875, lui nel 1897). Mi sono venuti in mente gli stratagemmi con cui noi sorelle nascondevamo le seducenti "collana rosa" e "collana blu" sotto i libri di latino e di matematica e quanto quelle letture abbiano inconsciamente inciso sull'idea che ci siamo fatte della donna perfetta. O peggio, sull'idea che ci siamo fatte di come una donna "doveva" essere per ottenere la felicità. Le eroine di queste storie erano sempre "fanciulle" bellissime, dotate di adamantina virtù (che voleva dire vergini), spesso orfane, in lotta con un mondo spietato. Ma un giorno l'uomo, bello, forte e ricco le toglieva dal limbo in cui la vita pareva averle destinate e le rendeva immensamente felici. Quante donne, anche fra quelle che si sono poi emancipate nella cultura e nel lavoro, conservano un sotterraneo rimpianto per questi sogni che non si sono mai realizzati? « Certo i cosiddetti romanzi rosa non hanno molto a che fare con la buona letteratura», commenta lo scrittore Guido Davico Bonino che da poco ha terminato una antologia pubblicata da Mondadori in due volumi, intitolata Racconti d amore dell Ottocento, « sono prodotti dell'industria del trattenimento che al massimo raggiungono il livello di buon artigianato. Però io credo che tra gli utenti (che sono soprattutto le utenti) di questo mercato ci sia anche molta gente in grado di apprezzare la buona letteratura». Che effetto facciano questi romanzetti alle ragazze d'oggi è difficile dire. Ma se si tiene conto dell'enorme successo che hanno queste ristampe e nuove collane che, con una vernice di modernità, riproducono schemi femminili molto simili a quelli del passato, vuol dire che qualcosa nell'inconscio femminile tende ancora a identificarsi con quelle immagini. Negli Stati Uniti i romanzi "da donne", più o meno buoni letterariamente, vengono sfornati a getto continuo, arricchendo le abili autrici: da Judith Kranz a Shirley Conran ad 1

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Adriana Stassinopolus e tante altre. Tutti libri che in qualche modo sono fuori della storia, che portano in una astrazione dalla realtà, che mai toccano i problemi del momento. Si può obiettare che questa sia una operazione commerciale perché l'evasione è sempre molto ricercata, ma è un ragionamento semplicistico: sarà anche un fenomeno di costume, ma credo nasconda motivazioni più profonde. Vale a dire che le donne, in parte, sono ancora attratte da modelli femminili di tipo tradizionale. Quasi fossero convinte nell'inconscio che in quel modo avrebbero meno problemi ... Anche le fiabe che ci raccontavano (e raccontano) contengono tutte, indiscriminatamente, un'idea della femminilità passiva, quasi masochista, gabellata per bontà. Una inchiesta del settimanale «Panorama», dell'ottobre 1982, metteva in evidenza che, oggi, si vendono meno libri di fiabe (forse perché c'è la crisi e si sacrificano prima i generi voluttuari?). L'inchiesta sarà senz'altro corretta, ma, libri o no, alle bambine si raccontano ancora le fiabe di sempre. Cappuccetto Rosso, Biancaneve, Cenerentola vengono tuttora presentate in quelle versioni edulcorate, di stampo perraultiano, nelle quali è premiata più la stolida umiltà che lo spirito d'iniziativa. Nessuno di loro, infatti, agisce con un minimo di iniziativa per uscire dallo stato abbietto in cui la sorte le ha messe: le loro "doti" sono l'umiltà e la capacità di non ribellarsi alle più atroci ingiustizie. Le categorie fondamentali in cui possono dividersi le figure della fiaba (e del romanzo rosa) sono schematicamente due e soltanto due, le brave e le cattive. Enzo Rava, in un articolo pubblicato su « Noi donne» del dicembre 1971 dal titolo « Se il principe non le avesse baciate?» nota che nelle fiabe di Grimm, 1'80 per cento dei personaggi negativi sono femmine. Negativi nel senso che sono privi di coraggio, di iniziativa, di intelligenza. Ci sono le fate e le streghe, è vero, positive le prime, negative le seconde, ma soltanto per i poteri magici che sono stati loro attribuiti al di là di ogni logica razionale. Anche i rapporti fra sorelle nelle fiabe si articolano con la stessa dinamica, c'è la bella maltrattata e virtuosa e la bruttina cattiva. Oppure c'è la bella cattiva e la bruttina buona: ma il pre~io finale è sempre concesso a quella che possiede la virtù dell'arrendevolezza e della passività. Non solo, ma in questa tradizione che ha toccato le più vaste fasce sociali, per la donna l'unico premio alla sua esistenza 20

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è l'uomo, il quale, ammaliato e sedotto da "quelle" virtù, le darà una identità e poi la renderà felice. Generazioni di donne si sono identificate con le eroine di quei romanzi e di quelle fiabe, hanno fatto immensi sforzi per assomigliare alle premiate, si sono macerate in gravi sensi di colpa se non ci sono riuscite. Se queste letture continuano ancora a essere fatte alle bambine, significa che in qualche modo si continua a volere loro trasmettere una certa idea di come deve essere una donna. Con tutte le contraddizioni rispetto ad altri messaggi lanciati dall'odierna società-. Ci sono genitori che asseriscono di preferire le femmine. Ma attenzione! A ben guardare, i motivi di tale preferenza fanno assai poco onore alla stima verso la donna. Perché il desiderio di femmine? Perché le femmine sono più affettuose, restano legate alla famiglia anche quando si sposano, danno più aiuto e compagnia quando i genitori invecchiano, sono più riconoscenti, meno egoiste, perché da piccole e poi anche quando si fanno più grandine, danno tanta soddisfazione alla mamma che può sbizzarrirsi a vestirle e agghindarle. Perché, infine, una bambina, fin da piccina, può essere un prezioso aiuto in casa. Tutte ragioni che evidenziano la disparità profonda in cui, ancora prima di nascere, viene vissuta una femmina rispetto a un maschio: non persona da aiutare a costruirsi un'esistenza secondo la_ sua indole e i suoi talenti, ma "oggetto" di cui in qualche modo servirsi. C'è un proverbio piemontese che mi sembra significativo a questo proposito: « Chi vuol fare una bella famiglia, cominci con una figlia ... ». Dove si sottointende che la prima femmina sarà una sorta di naturale vice-madre o, comunque che, anche quando si spos~rà, sarà delegata a prowedere a tutti gli altri, vecchi e maschi inetti nelle cose di casa. È piena la storia di sorelle rimaste nubili per accudire i fratelli scapoli, vedovi, malmaritati... o badare ai genitori anziani. Questo succedeva soprattutto nelle società contadine, ma anche nella borghesia capitava che una sorella fosse naturalmente delegata a prowedere ai bisogni degli uomini di famiglia. Secondo l' antropologa Ida Magli, anche oggi, alla parola "donna", si associa automaticamente l'idea di accudimento. « Dietro alla parola "famiglia", c'è sempre la parola "donna", che pensa alle necessità del corpo, della "fisicità". Cucinare, fare la spesa, insomma tutto quello che sappia21

mo». Basta andare in un ospedale e « vedere come sono ridotti i malati che non hanno qualche persona - o meglio - qualche donna che si occupi di loro», conclude. Le figlie che, per indole, temperamento o carattere volevano uscire da quei binari fissi e da quegli schemi, che non se la sentivano di corrispondere a certe aspettative, un tempo venivano domate in fretta. Ma anche oggi qualcosa di questo antico retaggio resiste: fra la condizione umana tesa a molteplici esperienze e la vocazione di donna, è difficile scegliere. Fin dall'adolescenza una ragazzina non trova intorno a sé gli stessi incoraggiamenti che vengono dati ai suoi fratelli o ai maschi in genere. Ogni tentativo di sperimentarsi nel mondo sembra diminuire il suo potere di seduzione: caratteristica che vale ancora molto per una donna. Anche nelle famiglie che tendono a impartire una educazione più paritaria, il comportamento dei genitori è diverso verso i maschi e verso le femmine. Prendiamo come esempio gli studi. È vero che oggi, con la scuola dell'obbligo, anche le bambine continuano a studiare dopo le elementari, ma quelle che smettono di andare a scuola dopo la terza media sono in numero assai maggiore dei maschi. In una famiglia di sole femmine, è facile che tutte continuino gli studi, ma se ci sono maschi e femmine e le condizioni economiche non sono floride, si sceglie di far continuare la scuola ai maschi. O comunque le femmine vengono indirizzate a scuole di livello inferiore a quello dei maschi. Tale disparità nasce dall'antica convinzione che, tanto, poi, alla fine, non è troppo importante essere colte per trovare marito, anzi questo può creare rivalità, conflitti, antagonismi. Il « tanto poi la femmina si sposa ... » per molti ha tuttora significato. Almeno in generale. Anche nella scuola le bambine tendono a essere allevate in modo diverso dai maschi, privilegiando le doti di passività, dolcezza, arrendevoleiza. Fin da quella materna, certe insegnanti si comportano in modo da 'accentuare la differenza fra maschi e femmine. Una inchiesta americana condotta da Lisa A. Serbin, insegnante di psicologia a New York, e da K. Daniel O'Leary ha messo in evidenza che nelle aule delle scuole materne, le maestre danno molto meno peso a un comportamento di una bambina, giusto o sbagliato che sia. Al maschio si insegna di più, le bambine in genere basta che stiano a guardare. Non solo, ma per quanto riguarda l'aggressività, l'auto-

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nomia, questi comportamenti vengono concessi ai maschi come "naturali", mentre nelle femmine si coltiva la dipendenza e la passività. Se ci guardiamo indietro nel nostro passato prossimo, troviamo donne di grande genio che vissero i fermenti delle loro anime e del loro intelletto in una solitudine che finì per rasentare la follia, esteriormente alle regole della loro condizione femminile. Come Emily Dickinson, per esempio. La sua vita, ali' apparenza, fu severa e quasi monacale: poco dopo i trent'anni, perennemente vestita di bianco, si chiuse nella casa del padre, uscendo.0.e soltanto per passeggiare in un giardinetto vicino a casa. Una signorina per bene, figlia di gente per bene. Il suo mondo interiore non ebbe interlocutori (né avrebbe potuto averne), lei sprangò porte e finestre di fronte al mondo e scrisse. Poesie, ma anche tante lettere nelle quali faceva confluire idee, pensieri, sensazioni, riflessioni di acuta intelligenza. Capirono i destinatari il genio di Emily? Non sembra, se nulla fu pubblicato della sua poesia fin dopo la sua morte, se la critica soltanto nel nostro secolo riconobbe in Emily Dickinson una delle voci più interessanti della nuova letteratura americana, se soltanto nel 1965 furono pubblicati i tre volumi delle sue lettere. Il suo mondo chiedeva elevazione, voleva evadere dallo squallore della vita quotidiana e lei non poteva fare altro che esprimere nei suoi versi queste aspirazioni di creatura solitaria. Nessuno ebbe idea della sua grandezza, nemmeno quei due o tre amici del padre, letterati, ai quali scriveva e di cui idealmente si innamorò. Era soltanto una donna ... Quando pertanto i destini femminili erano simili nei presupposti, anche fra sorelle i rapporti avevano una certa omogeneità. Poiché identica era la loro educazione e i fini che tale educazione si proponeva, anche le loro identità finivano per essere simili. I loro rapporti erano regolati da leggi indiscutibili e indiscusse. Tutt'al più, fra sorelle, una si sposava bene, l'altra peggio, una restava zitella, l'altra precocemente vedova, ma assai di rado le vite di queste donne si differenziavano sensibilmente. Pertanto i loro rapporti erano meno complessi. Oggi la situazione è meno definita, più articolata. La sociologia della famiglia si è fatta contraddittoria e contraddittori sono i riflessi che determina sulle psicologie individuali. Da un lato diminuisce il numero dei matrimoni, calano le nascite, aumentano le persone, anche donne, che scelgono di vivere da "singole", vale a dire che 23

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creano una unità familiare per conto proprio. Se prendiamo ancora gli Stati Uniti come indice di questi fenomeni, scopriamo che San Francisco, per esempio, sta diventando una città di uomini e donne senza legami fissi, di famiglie senza bambini. E tale fenomeno sta coinvolgendo gli altri stati del Paese. Dal 1970 al 1980 nella sola San Francisco, il numero delle donne sposate è diminuito dal 45 per cento al 38 per cento. A Oakland, la zona urbana della città sulla riva orientale, dal 50 per cento si è scesi al 39 per cento: uno scarto ancora più notevole. Su scala nazionale (sempre m'. riferisco agli Stati Uniti) il calo dei matrimoni delle donne è passato dal 60 per cento al 53 per cento. Tali dati starebbero a dimostrare una trasformazione delle esistenze femminili senza precedenti. Anche nel nostro Paese, il numero di donne che mettono casa per conto proprio, che preferiscono l'autonomia e la professione al matrimonio è in aumento. Ma fino a che punto, queste scelte sono libere? Fino a che punto la donna è riuscita a interiorizzare una idea della sua femminilità come valore positivo? Fino a che punto la decisione dell'autonomia è autentica e meditata e non nasce piuttosto da ribellioni e delusioni? Mi rifaccio ancora a ricerche a'Tiericane che, con tutte le varianti del caso, servono da indicazione anche per il nostro Paese. L'autorevole rivista « New York Review of books » parla di turmoil (sfacelo) della famiglia tradizionale, ma esistono anche in quel Paese controreazioni che danno da pensare. Come la «Nuova destra», una sorta di maggioranza morale, presentP al Congresso: uno dei suoi obiettivi è quello di riportare le donne al fociare domestico, sostenendo che le donne che lavorano creano le premesse per la rovina dei loro figli. Tale movimento è contrario alla parità effettiva dei ~ssi, all' abortoe alla contraccezione per le minorenni e soprattutto estremamente impegnato nella « Protezione della famiglia». Una famiglia idealmente dovrebbe essere composta di un padre che lavora e di una madre I che sta a cas~ a b~are ad almeno duè figli. Niente _da eccepire~---:· maltratta~ff all'interno della famiglia, se questi ~ono a stabilire l'ordine ... A tali proposte hanno risposto alcuni appartenenti alla « Nuova sinistra» americana, definendosi « Amici della famiglia». Ovviamente, dalla loro ottica, fanno ricadere la responsabilità del collasso di questa istituzione sulla miseria, il capitalismo, lo stress del lavoro: tutti elementi negativi che rimbalzano sui rapporti interper-

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sanali e li logorano. Comunque anche le loro intenzioni sono quelle di riordinare la famiglia e di ridimensionare l'autonomia e l' emancipazione reale della donna ... Da parecchio tempo anche qui in Italia echeggia il termine "riflusso". Termine vago, dai complessi significati, indica comunque che si va in senso contrario. Quali i segni più visibili del tentativo di_Jllf' riproporre l'immagine della donna tradizionale? Non si può generr lizzare, questo è ovvio, ma vorrei citare due fenomeni che mi sembrano interessanti: il ritorno dell' ab'ito da sposa e certe feste per debuttanti. Sono segnali di punta, spesso legati a determinati ambienti da sempre conservatori, non li voglio citare come indicativi di un autentico "riflusso" rispetto al concetto-donna, ma vale la pena di esaminarli. Riguardo all'abito da sposa (quello ~he, tanto per intenderci, più o meno sontuoso che sia, si ~tte una volta e mai più), una inchiesta su «La Repubblica» del-novembre 1982 rileva: «I grandi sarti rilanciano l'abito da sposa: i loro défilés spesso si concludono con una serie di splendide mannequins circondate da veli e merletti, le mani strette intorno al candido bouquet ... Le ragazze - anche di quella fascia "ideologizzata" da fratelli e sorelle maggiori - sembrano molto sensibili a questo richiamo». Per paradossale che sembri, le feste per le diciottenni che entrano in società sono sovente in tutto simili a quelle di cento anni fa. Ma ancora più interessante lo spirito con cui certe ragazzine vivono tale rituale. Una di queste, intervistata nell'autunno 1982 al Circolo Ufficiali di Torino, dove si teneva una di queste feste, disse: « È un' esperienza uhica, sembra di entrare in una favola. Questa serata l'avevo sentita descrivere dalla nonna e dalla mamma, non vedevo l'ora che venisse il mio turno di poterla vivere ... ». Poi ci sono le riviste cosiddette "femminili" e anche le altre, quelle impegnate, che stanno tentando una operazione di fusione, per così dire, di due immagini di donna. Quella seducente, che cura la sua femminilità in senso quasi tradizionale, ma nello stesso tempo si muove con grinta e aggressività nel mondo del lavoro e nel rapporto con l'uomo. Difficile pertanto stabilire chi è questa femmina degli anni ottanta e cosa significa essere donna in una società dai messaggi tanto

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contraddittori. La parità legale con l'uomo (che qui in Italia le è stata riconosciuta dal nuovo diritto di famiglia del 1975) non sempre corrisponde a una parità psicologica. E, soprattutto, quelle famose doti di dolcezza e seduttività per le quali la femmina è stata tanto amata e mitizzata nel passato, non è detto che non le sono più necessarie per essere "vincenti". Parlando di violenza familiare Willy Pasini, famoso sessuologo dell'Università di Ginevra, poco tempo fa disse: « La norma è che la donna sopporta molto più a lungo dell'uomo prima di reagire. Ma quando supera il limite - appunto reagendo - esplode in lei una situazione troppo carica, perché più a lungo repressa: e allora la donna ricorre ad armi più micidiali dei pugni e degli schiaffi». Quindi il giudizio resta simile a quello di decenni fa: « La norma è che la donna sopporta più a lungo dell'uomo», ma perché? Perché l'hanno abituata a fare così e se non fa così viene rifiutata ... Viene in mente la proposta di legge per condannare un marito che pretende rapporti sessuali che la moglie non è disposta a toncedere: bisognerà vedere quali e quante sono le donne che avranno il coraggio di farla valere questa legge! . ._ Nel febbraio 1983, Leticia Shahani, membro del segretariato generale delle Nazioni Unite per lo sviluppo sociale e le questioni umanitarie, ali' apertura della prima sessione della commissione sulla condizione femminile a Vienna, ha denunciato il risorgere dei « profondi e radicati pregiudizi e azioni discriminatorie nei confronti della donna». Ha aggiunto inoltre che una particolare attenzione deve essere rivolta al superamento del « persistente divario tra le disposizioni legali e la loro attuazione pratica» ad . ogni . livello della vita politica, economica e culturale di tutti 1 paesi. Ho fatto questo lungo discorso sulla trasformazione della condizione femminile e sulle sue contraddizioni per tentare di capire se e come tutto questo influenza una relazione fra donne-sorelle. Oggi, due, tre o più sorelle possono trovarsi a un certo punto della vita a livelli di esperienze culturali, cognitive, affettive, sessuali e emozionali completamente diversi. Pertanto il loro legame si instaura fra personalità distinte, ben individuate, non più attraverso quella omogeneità di un tempo, quando (come accennavo prima) le aspettative

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e l'educazione familiare creavano fra loro una sorta di identità, quantomeno di somiglianza. Una sorella può essere moglie-madre-casalinga tradizionale, l'altra può essere divorziata senza figli con carriera di successo. Una può avere coltivato dolcezza, passività e arrendevolezza, l'altra durezza e aggressività. È sufficiente allora il legame dell'infanzia comune, dei genitori comuni per conservare la complicità e l'affetto di un rapporto sororale, per rendere amiche donne tanto diverse fra loro? Credo che in una società nella quale-sono stati messi in discussione quasi tutti i valori tradizionali, anche il valore-sorella ha cambiato connotazione e va rivisto da un'ottica diversa che nel passato.

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PER AMORE O PER FORZA

Alla base dei rapporti fra sorelle c'è sempre stato un imperativo categorico: bisogna amarsi o almeno volersi molto bene. Nell'inconscio o nella parte cosciente di ogni donna adulta che abbia sorelle è depositato un latente, vago, insinuante senso di colpa quando tale amore non è nato, non è vissuto nel tempo o si è tramutato in odio, antipatia, o,. peggio in indifferenza. Ai tempi in cui l'educazione di una femmina si basava sostanzialmente sul culto dei buoni sentimenti - quelli che l'avrebbero aiutata a diventare perfetta moglie-madre-, guai alla bambina che avesse palesato ostilità verso una sorella. Il « tu devi volerle bene, è tua sorella ... », il « vergognati, è tua sorella... », erano le frasi con cui padri e madri, ziì e zie, nonni e nonne apostrofavano quella che usciva dai binari della norma e che osava mettere in discussione un affetto familiare sacro come un tabù e fermo come una roccia. Non si spiegava mai cosa stava dietro a quelle parole "è tua sorella ... ", i punti di sospensione implicavano significati che la bambina doveva per forza conoscere. Pertanto un'antipatia momentanea o radicata dell'una verso l'altra, come ogni altro sentimento men che buono (dall'invidia alla gelosia, dalla rabbia alla competitività) potevano trasformarsi in sensi di colpa, rimorsi, autosvalutazione. Non è casuale che, nelle fiabe, i sentimenti negativi si concentrano nella figura della sorellastra. Proprio perché "non" è sorella a tutti gli effetti, le gelosie, i livori, i rancori si possono più facilmente giustificare, senza offendere la tradizionale concezione dei legami familiari come oggetto e fonte di bene. Emblematica la famosissima fiaba di Cenerentola: le cattiverie, l'astio, l'acredine, gli atteggiamenti sgarbati e insolenti sono riservati alle due sorellastre. Persino le

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lacrime di Cenerentola, dopo la partenza delle due cattive per il ballo del Principe, non sono di invidia rancorosa, ma soltanto di desiderio e rimpianto. Infine lei, che è di animo nobile e buono, sposando il Principe, farà partecipi le sorellastre della sua felice sorte e prowederà ottimi mariti anche a loro ... (sempre nelle versioni più correnti). Parecchi genitori oggi sono cambiati, badano alla psicologia dei figli, tengono maggior considerazione delle loro differenze di indole e carattere, studiano con maggior attenzione i loro sentimenti. Ma credo che dovranno passare ancora molte generazioni perché i rapporti fra sorelle si sviluppino fin dall'inizio liberi dal pregiudizio che bisogna amarsi per forza in quanto sorelle. La relazione sororale (o fraterna) è per sua natura una relazione equivoca, nel senso che si basa su un presupposto incerto e indimostrabile: poiché siamo nati dagli stessi genitori dobbiamo piacerci e accettarci tutta la vita. Alla base c'è il problema del cosiddetto "legame di sangue", se sia sufficiente o meno a garantire la durata di un legame profondo. Io credo che la genetica sia un dato di fatto, una realtà. Ma un vero rapporto è un'altra cosa. Se in una sorella c'è qualcosa che piace, allora la relazione funziona, ma se in una sorella c'è qualcosa che non va a genio, qualcosa che magari non si riesce a estirpare nemmeno da se stesse, allora niente può funzionare. E cercare di amarsi per forza può essere una fatica vana, un dovere destinato al fallimento. D'altra parte anche questo è un problema complesso. C'è chi sta insieme per gli opposti, chi per le somiglianze, lo si vede anche nei rapporti di coppia. C'è una figlia di ministro che sposa un lavapiatti negro e chi inorridirebbe al solo pensiero di una situazione simile. Per cui, anche nel caso di rapporti fra sorelle, bisogna scavare su altri dati del carattere, dell'indole, della psiche. Questo fatto della genetica a volte è complicato dall'atteggiamento dei genitori. Ci sono delle madri che impongono alle loro bambine gli stessi svaghi, gli stessi amici, gli stessi abiti ... « Siete sorelle, dovete stare insieme, dovete aiutarvi». Se questo è imposto, se non trova un terreno fertile in una effettiva somiglianza, è la morte. Diventa un rapporto coatto che facilmente nella maturità si spezza. O continua come non-rapporto, per senso di dovere o di condizionamento interiore. 32

Ho chiesto a Pierrette Lavanchy, una psicanalista svizzera particolarmente esperta di problemi dell'infanzia, se qualcosa del patrimonio genetico può giustificare o motivare l'attaccamento fra sorelle e mi ha detto che una risposta in tal senso non la si può dare. Per approfondire la questione bisogna riportarsi all'analisi del figlio biologico e del figlio adottivo: nessuno può dire se si stabilirebbe, fra un figlio adottivo e i genitori, lo stesso legame che se fosse nato dagli stessi genitori in senso biologico. Lo psicologo americano John Bowlby (La separazione dalla madre, Boringhieri, Torino, 1975), ha ipotizzato che l'attaccamento bimbo-madre fa parte della potenzialità che il bambino ha fin dalla nascita. Secondo questo studioso, ci si attacca alla madre biologica. Uno che possiede questa convinzione, che espone tale teoria, può darsi che allargherebbe l'ipotesi anche sul rapporto fra sorelle. Ma è una tesi che non si può dimostrare, quindi difficile da accettare. A proposito della tesi di Bowlby, Elena Gianini Belotti, in un suo recente libro intitolato Non di sola madre, fa alcune interessanti osservazioni. Nell'ultimo dopoguerra, l'Organizzazione Mondiale della Sanità, preoccupata del gran numero di bambini rimasti orfani e del carente funzionamento dei servizi pubblici, affidò allo psicologo americano uno studio sul problema. Bowlby mise in luce i danni che possono derivare a un bimbo mal curato nella prima infanzia, intendendo più che altro denunciare la disorganizzazione dell'assistenza pubblica. Ma le sue tesi furono interpretate colpevolizzando le madri che non si dedicavano completamente ai loro bambini. Per quali ragioni si equivocò tanto? Probabilmente perché i reduci stavano torn:indo a casa e dovevano riprendersi i posti di lavoro che le donne avevano occupato durante la guerra. Esse, pertanto, dovevano ritornare ai loro "naturali" compiti di moglie e, soprattutto, di madri. Così oggi il nome di Bowlby è legato alla tesi dell'importanza della "madre biologica": un bambino che ne fosse privato nei primi tre anni di vita, avrebbe uno sviluppo affettivo anormale per tutta l'esistenza. C'è è:hi invece dà molta importanza alla biologia degli affetti familiari, come lo psichiatra americano Carl Whitaker, famoso nel campo delle terapie familiari. « Per me conta soprattutto l'aspetto biologico nei rapporti familiari» dice; « io ho un modo buffo di considerare i miei figli: li vedo come un orgasmo concretizzat~ perché nei loro visi vedo la faccia di mia moglie e quella mia. E per 33

questo che penso che la definizione "biologica" abbia molto più peso delle altre, nessuna può competere con questo fatto elementare». Tale ragionamento sicuramente lo farebbe valere anche per fratelli e sorelle. Ci troviamo pertanto di fronte al dilemma fra "istinto" e "cultura": fino a che punto certi sentimenti, certe mosse psicologiche sono connaturate all'individuo, dipendono dalla genetica e fino a che , punto derivano dalle abitudini apprese in un determinato contesto fin dalla nascita? Io credo sia impossibile dare una soluzione univoca a questo problema, stabilire l'esatto peso del legame di sangue in una relazione affettiva. L'antropologa Ida Magli sostiene in un recentte saggio intitolato Gesù di Nazareth, tabù e trasgressione che « tutti coloro che sono stati allevati in una determinata cultura, ne verrebbero in qualche modo "modellati" sul piano psicologico e sarebbe questo il motivo per il quale si somigliano». In un altro punto osserva: « Quello che viene introiettato dall'individuo fin dai primi anni di vita, attraverso il processo di inculturazione, appare come "naturale" e non viene quindi messo in discussione, è assorbito fin dalla nascita non attraverso una pedagogia diretta, ma attraverso l'aria stessa che respira e i cui messaggi, quindi, sono silenziosi e nascosti, ma continui». Nel tentativo di spiegare in una nuova chiave la predicazione di Cristo, Ida Magli ci offre notevoli spunti a dimostrazione che i legami di sangue sarebbero in buona parte frutto di convenzione. Cristo stesso, nel dire la famosa frase: « Chi sono i miei fratelli? » rifiuta di riconoscere come rapporto d'amore il legame di sangue. Si è "fratelli" pertanto se ci si somiglia nell'amore. Gesù negherebbe qualsiasi valore ai legami di sangue, non soltanto sul piano affettivo, ma anche sul piano sociale e giuridico. Da un'ottica leggermente diversa, arriva alle stesse conclusioni l'analisi storico-antropologica del francese Philippe Ariés. Nel suo libro Centuries o/ Childhood dimostra che i rapporti padre-madrefigli, separati affettivamente ed emotivamente da tanti altri rapporti affettivi e emotivi sono apparsi soltanto nel XVI secolo. Dice Ariés che il bambino, un tempo, poteva scegliere i propri amici e dirigere i propri affetti in un gruppo molto più esteso di quello familiare. « La famiglia manteneva un rapporto individuale con il bambino che ne avrebbe ereditato i beni, ma i legami affettivi tra le per34

sone erano determinati da scelte e influenze che interessavano la comunità». Tenendo conto di questa realtà storica, cadrebbero tanti supposti istinti e cadrebbero tanti obblighi affettivi verso le persone dello stesso sangue. Pur restando, ovviamente, il peso fortissimo dell' educaz10ne comune. La sociologa inglese Patricia Morgan, studiosa di problemi infantili, dà un ulteriore supporto a questa tesi. Secondo lei, con il passaggio alle famiglie ristrette «l'animale sociale è stato ignorato a beneficio di quello solitario». Non solo, «mala trasmissione di una cultura complessa è stata ripudiata a favore di supposti meccanismi istintuali osmotici come "legami", "amore", "attaccamento" che non sono mai stati soddisfacentemente spiegati». (Per quanto vigorosamente affermati in tutte le culture). Accettati questi presupposti, anche la psicanalisi freudiana relativa ai rapporti parentali potrebbe essere vista in un'ottica di relatività. Sarebbe infatti una risposta ai problemi psicologici e sessuali nati in una società nella quale la famiglia si era rigidamente chiusa e la figura materna aveva acquistato una influenza eccezionale. Come appunto successe nella Vienna del XIX secolo. Mi sembra importante, a questo punto, esaminare il significato che ha avuto fin dall'origine il termine soror per capire come mai a questa parola vengano automaticamente, tuttora, associati sentimenti positivi, di sacralità, di benevolenza, di solidarietà e via dicendo. Naturalmente ogni termine, con il passare dei secoli, si carica di nuovi significati o si svuota del significato originario. Noi comunque lo riceviamo come retaggio, non soltanto in senso nominalistico, ma anche psicologico e sentimentale. Per questo tuttora dire "sorelle" evoca soltanto immagini di positività. Nel mondo classico soror sta a indicare "sorelle di sangue", "parente di sangue", "cugina". Per derivazione è usato come espressione di tenerezza anche verso chi non è sorella. Più tardi si trova sororius (della sorella), un aggettivo che, adoperato come sostantivo, indica il "marito della sorella", il "cognato". Un antico aggettivo sobrinus se usato come sostantivo, indica "cugino". Elena Giannarelli, ricercatrice della Scuola Normale di Pisa, vede in questa semantica un tentativo di ricondurre buona parte della "parentela di san-

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gue" alla dimensione del rapporto fra sorelle, azzardando l'ipotesi che questo fenomeno sia una spia dell'antico prestigio della figura femminile nel mondo indoeuropeo. Nel latino antico, in Plauto, esiste una sororcula, una "sorellina", espressione affettuosa della lingua colloquiale. Nei grandi autori della classicità, l'esempio più alto di rapporto sororale si trova nel 4° libro dell'Eneide di Virgilio. Anna e Didone non sono soltanto sorelle di sangue. Didone è la regina, ma Anna è la sua amica, la sua consigliera, partecipa al sentimento d'amore per Enea, incoraggia la sorella alle nuove nozze, anche per motivi di sicurezza politica. Il loro è un legame enormemente positivo, sul piano affettivo, familiare, politico, religioso. Sempre nel mondo classico soror è usato per "sorellastra" oppure per "cognata". In questo caso il legame con il fratello assorbe anche la moglie del fratello che diventa, a sua volta, sorella. Si trova, inoltre, soror per indicare una donna a cui si è legati da particolare affetto, un'amica, una compagna. I poeti elegiaci, come per esempio Tibullo, adoperano soror in senso erotico, parlando anche di una etéra, donna di liberi costumi, spesso anche colta e elegante. Ali' opposto, soror serve per esprimere un rapporto casto: Ovidio chiama i "casti baci" oscula sororia, "baci da sorella". In ogni caso il rapporto fra sorelle o con le sorelle era valutato sempre un legame positivo. Ciò è confermato dall'importanza che aveva per l'uomo l'onore della sorella (più ancora che quello della moglie). La positività del rapporto fra sorelle viene riflessa anche dalla mitologia. Sono sorelle le Muse, le Parche, le Furie, le Grazie, le Nereidi, le Danaidi. Il rapporto fra le Muse presuppone owiamente armonia, esse infatti rappresentano le arti. Ma anche le Parche, che pure filano il filo della vita degli uomini e sono quindi terrificanti per gli esseri umani, vanno all'unisono. Nel mondo antico furono sentite come sorelle certe significative parti del corpo: sono sorelle le mani, sono sorelle le mammelle. In questi casi il rapporto di "sorellanza" implicherebbe somiglianza e identità di funzione. Passando al latino cristiano, vengono mantenuti i significati di sorella, cugina, congiunta, ma si aggiunge [email protected] di "compagna di schiavitù". Nel mondo cristiano sono indicate come "sorelle" 36

anche la carne e l'anima, la carne e la mente: qui, però, non c'è in entrambe valore positivo, identità e somiglianza. Infatti la ·carne è intesa al negativo, come fonte di peccato. Quindi una sororalità differenziata. Sorelle e fratelli sono i nomi con cui Cristo chiama i suoi seguad. "Sorella" è la donna vicina per comunanza religiosa. "Sorella" è la moglie legata da un voto di continenza, che vive appunto in continenza con il marito. Spesso è la sposa di chi si è fatto prete, come dice San Gerolamo nelle Epistole. Più avanti nel tempo, con papa Gregorio Magno, verso il VI secolo dopo Cristo, vengono come oggi chiamate "sorelle" le monache, le suore. Da ricordare ancora "Sorella Acqua", "Sorella Luna" di San Francesco, dove il termine assume un'accezione assolutamente positiva. Per l'espressione "sorella di latte", il concetto deriva dal nutrimento che le due femmine hanno avuto dalla comune nutrice. Come si vede, il termine "sorella" contiene fin dai tempi antichi un valore positivo, ma non esclusivamente legato .. al rapporto di parentela. Come altri rapporti familiari, più che dalla voce del sangue, tale valore deriverebbe da fenomeni contingenti, di necessità, che hanno determinato questo legame come assoluto, obbligatorio, indistruttibile. Detto questo, i conti tuttavia li dobbiamo fare con la realtà del nostro recente passato, della famiglia ristretta, non più allargata alla comunità, quella che ha imposto l'obbligo dell'amore e dei buoni sentimenti al suo interno, pena sentirsi degli anormali. Anche se razionalmente sappiamo che tale imperativo categorico non sempre ha ragione d'esistere, anche se sappiamo che è un'impalcatura costruita intorno a noi dalla società per difendere le sue strutture, tante sono le difficoltà per vivere liberamente le proprie esigenze sentimentali. Fare scelte affettive fuori dell'ambito della famiglia d'origine è un processo che si scontra con sottili e ambigue contraddizioni. Ammettere di "non" provare amore e solidarietà, nel caso specifico, per una o più sorelle di sangue, spesso genera dure crisi e sensi di colpa. Poter dire « i miei amici sono la mia famiglia» può essere frutto di ponderata consapevolezza, ma viene quasi sempre interpretato come un immorale ribellismo. E anche chi riesce a vivere attra37

verso persone scelte, il suo bisogno di mamma, di papà, di sorelle e fratelli, talvolta è minacciato da nostalgie, speranze, rimpianti e anche da rimorsi. Perché questo succede? Perché non basta la comprensione razionale a difenderci da certi sentimentalismi che non sono più sentimenti? Perché è tanto faticoso accettare che una sorella o un fratello siano per noi degli estranei? Perché esistono trame comuni talmente antiche, talmente affondate in quegli anni remoti in cui da bambini credevamo che il mondo fosse tutto giusto e buono, che nemmeno da adulti abbiamo il coraggio di liberarci da questo sogno. Nemmeno quando sappiamo con certezza che quello era soltanto ciò che vedevamo con gli occhi incantati dell'infanzia: i sentimenti sororali, come altri l~gati alla famiglia d'origine, si imprimono dentro di noi in un'età in cui tutte le passioni si vivono violentemente. Per questo perderli è come perdere un pezzo della propria storia e non si vuole. Ci si dimentica che, spesso, due terzi della vita sono trascorsi in altri nuclei, scelti magari in contrapposizione a quello originario, ci si dimentica che una sorella-bambina ha ben poco da spartire ormai con una sorella-donna e si continua a cercare nel volto, nei gesti e nei pensieri della donna, il volto, i gesti e i pensieri della bambina. Fra le più potenti trame comuni che legano - almeno nella speranza - due o più sorelle ci sono la non cancellabilità dei ricordi infantili e una sorta di imprinting, "apprendimento per impressioni", come si dice in linguaggio psicologico. Fratelli e sorelle sono segnati, infatti, dai modelli che hanno avuto fin dalla nascita, da parte dei genitori e dei familiari, delle loro abitudini, delle loro idee, comunicate come unici valori possibili. Si tratta del modo di rivolgersi la parola, di frasi ed espressioni del linguaggio che si caricano di significati emblematici comprensibili soltanto all'interno del gruppo familiare, della voglia o non voglia di scavare nei problemi, dell' aggressività, della temperanza, della generosità, dell'avarizia, della simpatia o antipatia verso certe persone. Questo, nel tempo, può generare complicità, identità, coesione o, al contrario, disaccordo, ribellione, incapacità di comunicare. A seconda che queste caratteristiche abbiano oppure no una rispon38

denza con lo sviluppo adulto. Persino nella scelta degli amici, spesso sono queste le affinità che ci attraggono, che ci danno la possibilità di sentirci liberi e distesi con loro. Non è sempre questione di ideologie profonde, di culture simili o di somiglianze psicologiche. C'è un bellissimo brano dell'autobiografia di Margaret Mead in cui viene alla luce il peso dell'impronta comune rispetto alle piccole cose, in donne ormai anziane: « Oltre alle stesse rievocazioni dell'infanzia ... hanno in comune il ricordo della stessa casa, lo stesso modo di dirigerla e gli stessi piccoli pregiudizi sulla conduzione domestica, pregiudizi nei quali echeggia la voce della madre quando le ammoniva: "non riempire mai la teiera con l'acqua calda del rubinetto", "lava subito le tracce d'uovo dai cucchiaini d'argento", "prima asciuga i bicchieri"».

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Attorno alle memorie infantili si aggrovigliano contorti sentimenti in cui, alle nostalgie, si mescolano soggezioni e diffidenze. Come se due o più donne-sorelle adulte non riuscissero a vedersi in una luce "pura" come sono nel loro presente: alle loro spalle c'è l'infanzia con gioie e dolori, vissuti in maniera a volte totalmente diversi, ci sono il padre e la madre. Soprattutto c'è il modo con cui loro, i genitori, le hanno amate, accettate, rifiutate, giudicate, lodate o disapprovate. Nel lungo viaggio attraverso i sentimenti di centinaia di sorelle ho avuto conferma che le figure genitoriali sono determinanti per la qualità della relazione fra sorelle nel corso della vita. Genitori equilibrati, con una forte vocazione all'essere padri e madri possono generare nei figli una forza agglomerante, concentrica, che non si cancella con il tempo. Una delle donne con cui ho parlato, che ha avuto dei genitori di questo tipo, mi ha dato una bellissima testimonianza del suo legame con la sorella. «Tutto quello che lei ha fatto per me è sacro. Fra l'altro quello che ha fatto lo sta pagando: anche se è uscita dalle regole, per così dire, ha sofferto molto. Ma questo mio sentimento dipende in gran parte da nostra madre. Quando è morta, noi due siamo state insieme tutta la notte e abbiamo ricordato di lei ogni sfumatura che ci veniva alla memoria. Ci era restata in mente una frase che nostra madre diceva spesso: "Voglio che voi siate le dita della mia mano. Quando vostro padre e io non ci saremo più, voi dovete continuare a sentirvi una famiglia". Io sento mia sorella come una trasmissione genetica. Eppure siamo totalmente diverse, nell'aspetto fisico, nell'indole, nella cultura, ma i ricordi che ci legano sono sufficienti a superare queste diversità ... Quando eravamo picco43

le in casa nostra c'era un braciere. Era una specie di punto centrale ' ' , intorno al quale ci radunavamo alla sera. Io e mia sorella, di poco più piccola, ci giocavamo intorno, poi ci pizzicavamo, correvamo finché il braciere cadeva e usciva tutta la polvere. Allora lo pulivamo, ci mettevamo tranquille e ripassavamo le lezioni... Così sempre. Quando sono morti papà e mamma, il braciere l'ho preso io, d' accordo con mia sorella, l'ho fatto aggiustare e lo tengo come punto centrale della mia casa. Non importa se adesso nessuno più ci corre intorno e se nessuno ci fa cadere la cenere che non c'è più: quello è un punto di riferimento che farà sempre sentire vicine mia sorella e me. Mi rendo conto che questo profondo legame lo dobbiamo a nostra madre che, nonostante avesse una istintiva predilezione per me, faceva di tutto per dare altrettanto a mia sorella. Una delle più grandi gioie della mia vita è stata una lettera che ho ricevuto poco tempo fa da mia sorella che ormai da dieci anni vive in America. Per quanto io sapessi del bene che mi vuole, lei è sempre stata il contrario di me: chiusa, reticente a dimostrare i suoi sentimenti, pudica quasi di svelare il suo affetto. Ebbene, mi ha scritto: "Non morire mai, non ammalarti mai, non posso fare a meno di te. Non saprò mai come hai fatto a diventare quello che sei, ti ho scoperta migliore di me". Posso dirti che questa è la più bella lettera d'amore che io abbia ricevuto in vita mia». È possibile che in simili amori sororali senza riserve giochi anche una specie di mitizzazione, il bisogno di conservare il ricordo della madre più che di valutare in maniera adulta il rapporto con la sorella. Comunque sia, tante belle, dolci, solide relazioni sororali crescono nel tempo grazie al modo con cui padre e madre le hanno improntate all'origine. Spesso le memorie infantili diventano ricordi magici, che il tempo ingigantisce e rende favolosi. Sono memorie non soltanto legate ai genitori, ma a qualche figura della parentela che, con la sua personalità, ha inciso fortemente sulla fantasia e permette a sorelle ormai adulte di trovarsi comunque in armonia almeno su questo piano dei ricordi. È la storia che mi racconta una trentenne colta, impegnata politicamente, con due sorelle molto vicine di età. Da qualche anno si è accorta che il loro attuale legame è basato quasi unicamente sul

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continuo parlare di uno straordinario zio, da poco morto, che ha reso indimenticabile la loro infanzia. E il loro accordo. « Era il fratello maggiore di nostra madre, era stato comandante di navi. Fin da quando eravamo piccole aveva smesso la sua vita awenturosa e si era ritirato a vivere in campagna. Le estati della nostra infanzia e della nostra adolescenza ci hanno dato tanta felicità perché c'era lui nella grande casa in mezzo alle colline. Era il nostro idolo, avere la sua attenzione il nostro miraggio. Quando--andava in paese in bicicletta, noi lo aspettavamg, in cima a un poggio. Appena lo vedevamo spuntare dal fondo della strada e lui scendeva dalla sua bicicletta prima della salita, correvamo giù come tre pazze per il sentiero e chi arrivava prima era come avesse vinto chissà quale premio. Ma lui non faceva mai preferenze. Quando ci raccontava le sue fantastiche storie, riusciva a tenerci in braccio tutte e tre anche se ... aveva soltanto due gambe per poggiarci sopra. Ci faceva sentire sempre ugualmente amate da lui. Mi dirai che tutti i bambini hanno sempre mitizzato le loro memorie d'infanzia, nel bene e nel male. Ma vedi, noi tre, quando ci ritroviamo, anche adesso che siamo adulte, finiamo sempre per parlare di lui. Il nostro presente, i nostri problemi di amore, di vita, di lavoro, di politica, quasi abbiamo pudore a tirarli fuori. Mi sono chiesta tante volte il perché e ho capito che, più o meno consapevolmente, noi sentiamo che siamo diventate diverse, che abbiamo avuto destini diversi, ·che, con gli anni, questa diversità si farà sentire sempre di più e allora, forse per paura di perdere quel sogno di amore e di legame, ci rifugiamo nei ricordi ... In certi momenti di lucidità, guardo le mie due sorelle e mi accorgo che sono come estranee per me, una non mi è simpatica con i suoi rigori, i suoi perfezionismi, l'altra mi inquieta con i suoi spontaneismi, le sue sventatezze. Mi dico, in quei momenti, che non le vorrei come amiche e mi spavènto terribilmente ... ». Tuttavia scavare nei ricordi può anche essere pericoloso perché alimenta sogni che non sono più realtà. È la storia di una donna sui quarant'anni che ama molto sua sorella, ma non è più corrisposta in uguale misura. Racconta che un giorno metteva ordine in certe vecchie fotografie e vecchi filmini nascosti da chissà quanto tempo dentro un armadio. A un certo punto decide di rivederne qualcuno e viene fuori l'immagine di sua sorella al mare che la sta tirando fuori

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dall'acqua. « Il suo viso era dolcissimo mentre mi guardava, pieno d'amore per me», dice, « eravamo bambine, io avrò avuto otto anni e lei poco più di dieci. In quel momento ho provato un senso di solidarietà meravigliosa, uno slancio di amore che non credevo sarei mai stata capace di provare.più per lei. Era lo stesso viso che ha oggi passati i quarant'anni, gli stessi occhi, lo stesso modo di muovere le mani, di toccare. Mi sentivo un groppo in gola. Con uno slancio del tutto irrazionale, prendo il telefono la chiamo, le racconto quello che era successo, e· lei, controllata e freddina come al solito, mi risponde: "Sei sempre la solita romantica ... Non sapevi nuotare, cosa avrei dovuto fare, lasciarti affogare? Quando la smetterai di ricamare sui fatti più semplici? Adesso ho da fare, ciao". Che doccia fredda! Mi sono data della stupida cento volte, ma ho anche capito che razza di forza hanno certe immagini dell'infanzia che ci portiamo dentro e quanto ci possono confondere». Succede sovente, però, che i ricordi d'infanzia non siano belli per due o più sorelle. In genere questo succede in famiglie con genitori che hanno prodotto una forza "disgregante" nei rapporti e sono stati causa di fuga e di distacco fra le sorelle nel corso della vita. Può sembrare pessimistico rilevare queste vicende, io lo giudico necessario per approfondire il problema, per poterlo, eventualmente, superare. È inutile ignorare ciò che può far male, è meglio conoscerlo. Nel processo di evoluzione che ognuno di noi compie nel corso della vita (o dovrebbe compiere), ogni nuovo incontro fruisce o patisce di quanto è rimasto dei precedenti. Ma fra sorelle talvolta questo processo è impossibile. C'è come un dato di fatto immutabile, ci si ritrova a quarant'anni come si era a dieci, come se non fosse passato niente in mezzo nella vita, ci si vorrebbe trovare sempre uguali, sempre identiche a se stesse. Per questo a volte si sta tanto male. Per questo fra sorelle capita di non sentirsi libere. « Ho sempre desiderato poter comunicare liberamente i miei pensieri e le mie azioni senza provare sensi di colpa o senza dovermi più o meno sottilmente giustificare», racconta una insegnante quarantenne, « ho cercato sempre rapporti nei quali non fossi costretta a mentire e nei quali avessi la certezza di essere accettata. Ebbene, sono riuscita ad avere questo bene con alcune amiche, mai con le mie due sorelle. È sempre come se ci fosse

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un pesante velo fra noi, quello dei ricordi infantili. Nostro padre e nosw madre effi-fK> disadatti a fare i genitori (questo lo capisco adesso), ci facevano continue ingiustizie e noi reagivamo mangiandoci vive una con l'altra. Scatti, malumori, spiate, ripicche, gelosie a non finire. Siamo tre donne adulte che, quando si trovano insieme, sembrano diventate delle bambine vecchie... ma non nel senso buono. Eppure siamo sempre lì a cercarci, anche se ci facciàmo del male. Vuol dire che qualcosa ci lega ancora. Ma cosa?». /

Ci sono casi in cui più forte di tutto è il bisogno di "rimozione", vale a dire di quel processo psicologico per cui si respingono e si pongono fuori della coscienza certi contenuti mentali. Come se il peso di antiche sofferenze fosse insostenibile, ogni contatto nel presente minaccia di portare a galla il passato, di rinnovare amarezze mai dimenticate né mai elaborate fino in fondo. Allora può succedere che una sorella si allontani definitivamente dalle altre. Sono tante le vicende di questo tipo. La storia di una signora sui quarantacinque anni, con una famiglia molto ben riuscita, marito, figli, un lavoro interessante, mi pare significativa. «Perché mi sono allontanata dalle mie sorelle? Non è facile spiegarlo. A questa età sono finalmente riuscita a costruirmi una vita nella quale mi sento equilibrata e realizzata. Ho un lavoro che mi piace, i figli crescono bene e al resto non ci voglio pensare più, per libera scelta. Noi siamo tre sorelle e, fin da quando eravamo piccole, abbiamo sofferto reciprocamente di gelosie, complessi, incomprensioni, insicurezze, maldicenze, critiche più o meno gratuite. Sono riuscita a costruirmi una vita abbastanza positiva, anche se non è sempre stato facile allevare praticamente da sola i miei figli. Mio marito sta volentieri con loro adesso che sono grandi, non era così quando erano piccoli. Lui è sempre stato tremendamente occupato con il suo lavoro. Temo qualsiasi cosa che possa alterare questo equilibrio. Tra l'altro rinvangare il passato è sterile. Il meglio per me è vivere il più possibile lontana da tutto quello che può farlo risuscitare, con tutti i dolori che comporta. Ecco perché i miei contatti con le mie sorelle sono rari. Per me è difficile, per non dire impossibile, dimenticare il male reciproco che ci siamo fatte, volontario o no. Da questo nasce il

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senso di malessere che provo quando siamo tutte e tre di fronte, una paura quasi fisica di ripassare attraverso tutte le crisi troppo sovente passate quando ci siamo incontrate, non ne ho più voglia. Anche se siamo adulte, io credo che il carattere non si modifichi mai completamente e nel fondo probabilmente siamo le stesse. Come ci siamo fatte del male sovente, possiamo farcene di nuovo. Si tratta di un equilibrio così instabile! Ho capito che tante di queste incomprensioni e tanti di questi dolori sono dovuti ai nostri genitori, ai loro caratteri, ma non ho più voglia di rivedere questo aspetto della faccenda. Loro ormai sono molto anziani, si preoccupano soltanto del loro benessere. Come d'altra parte hanno sempre fatto. A cosa servirebbe cercare di parlare fra noi se non possiamo più parlare con loro?». Simile nella sostanza e nei risultati è il racconto di un'amica che, con grande fatica, si è messa il cuore in pace nei confronti delle sue tre sorelle. « Siamo ormai tutte adulte, impegnate in lavori importanti, sposate, con figli. Com'è il nostro rapporto? Una complicazione, niente di buono. Per quello che mi riguarda, io amavo molto la sorella più piccola, ma adesso che è adulta è diventata una donna ansiosa, intransigente, essenzialmente drammatica. Una volta credevo che ci rassomigliassimo di più. Anch'io ho sempre teso a prendere le cose in modo idealistico, quindi drammatico, ma ho sempre cercato dei compensi nella quotidianità. Mi hanno aiutata certi aspetti diciamo futili della vita, come vestirmi bene, curarmi la persona, viaggiare. Lei no, è tutta d'un pezzo, la vita è uno scotto da pagare, ha una visione restrittivamente cattolica dell'esistenza. E così, davanti a lei, mi sento sempre giudicata. La seconda sorella è un dilemma, sta da tempo lontana con il marito e i figli, è come avesse paura di incontrarci. Come l'altra, sembra profondamente segnata dalla nostra infanzia, dalla mancanza di veri affetti, dal comportamento dei nostri genitori intransigenti, rigorosi, duri. E, come l'altra, ha preferito rinchiudersi nel suo mondo piuttosto che elaborare con chiarezza il nostro passato comune. Che significato ha questo timore di affrontarci, da donne, tutte insieme? Non è un segno di eccessiva debolezza? Ormai, dopo tante esperienze, mi rendo conto che se ciascuna porta in ogni incontro questa diffidenza dei ricordi, la catena non si spezzerà mai più.

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In questo senso, io mi sento privilegiata: non ho mai avuto pregiudizi nell'ammettere i danni e le distorsioni che i nostri genitori hanno provocato in noi figli. Fin da ragazzina me ne rendevo conto e mi ribellavo. Le mie sorelle tendevano più al quieto vivere, fin da allora preferivano allontanare il problema. Conoscono la durezza, l'intransigenza, l'egoismo, il disinteresse di nostro padre, l' aggressività, la malignità, la partigianeria di nostra madre, ma piuttosto di elaborare insieme tutto questo, discuterne, eventualmente trovare un'alleanza comune, preferiscono isolarsi. Sarebbe bastato prendere / atto di questi personaggi che sono stati i nostri genitori, frutto anche loro di condizionamenti e di modi di vedere del loro tempo. Non avrebbe modificato la realtà delle vite di noi sorelle, decisamente segnate da loro nei destini e nei caratteri, ma ci avrebbe aiutate a ritrovarci in modo più sereno, più autentico. Io continuo a sperare che un giorno o l'altro ci ritroveremo, magari come amiche». Una donna brillante, riuscita nel lavoro, simpatica, mi confessa di soffrire ancora, a quarant'anni, dell'atteggiamento della sorella verso di lei. « Ha soltanto diciotto mesi meno di me e ha sempre avuto un forte complesso di inferiorità nei miei confronti. Non si è sciolto nemmeno adesso che ci siamo fatte una nostra posizione autonoma, che siamo adulte e autosufficienti. Niente da fare. Lei ha sempre avuto l'idea di dovermi copiare in tutto e, quindi, si è sempre sentita una fallita. È in questo che rimprovero i nostri genitori perché non hanno mai fatto nulla per rassicurarla, per farle capire che io ero una e lei un'altra. Così anche oggi, se ci sono io, in qualche occasione che ci awicina, in famiglia o fra gente diversa, ha paura di scomparire e allora compensa questa sensazione con il parlare ininterrottamente, senza sosta. Sembra una macchinetta, intavola qualunque discorso pur di farsi ascoltare. O meglio, pur di non lasciare aprire bocca a me. Cerco di soffocare la speranza di avere un rapporto profondo con lei, ma non ci riesco del tutto. La stimo, la trovo piena di qualità, vorrei fossimo amiche, ma come faccio a cambiare quello che lei sente per me?». Un'altra realtà da considerare è che due o più sorelle, quando ricordano la loro infanzia, la loro adolescenza, è come venissero 49

fuori da famiglie diverse. I ricordi degli stessi fatti; delle stesse esperienze, defl.e stesse persone non coinddMto. Aftc~e l e ~ ~ ~i genitori e dei loro comportamenti sono totalmente diversi. Cade, in questo modo, quel principio di identità e di comµnanza che può ,__ tenere insieme per la vita un rapporto fra sorelle. Secondo Freud, f' , spesso i bambini neurotici si immaginano trovatelli, oppure figli di ~ ·' - principi, o al contrario, di povera gente, del tutto indipendentemente dalla realtà della loro situazione. I genitori vengono valutati in modi totalmente diversi nel corso dello sviluppo, per soddisfare tendenze narcisistiche o per bisogno di vendetta o per sperare in un futuro migliore. Una sorta di "romanzo familiare" che si riscontra anche in individui non necessariamente patologici. È la situazione in cui si è trovata una donna sui trentacinque Janni, molto spiritosa e simpatica che ha cercato in tutti i modi di sdrammatizzare il rapporto con la sorella. « Tu dovresti sentirla raccontare, sembra venuta fuori da un'altra famiglia. Eppure siamo nate dagli stessi genitori, abbiamo avuto oggettivamente le stesse esperienze. Ma sono certa che lei si è costruita una realtà a suo piacere e poi ha finito per crederci. Forse ha cominciato quando si è sposata, per far vedere al marito che veniva da una grande famiglia dove tutto era perfetto. In quel modo la famiglia di lui risultava un intrico di difetti... Ci ho pensato tanto a questa faccenda, specie quando, in alcune circostanze familiari, mia sorella, con la più incredibile faccia tosta, racconta mirabili cose della nostra infanzia che non corrispondono a niente di quanto io ricordo essere successo. Lei dice, per esempio, che nostro padre è sempre stato generoso, che ci faceva giocare, che nostra madre era dolce e sempre allegra. Ebbene, io ti giuro che nostro padre era severissimo e chiuso, che nostra madre era sempre "incazzata", per dirla in termini d'oggi, ma di amore vero e di solidarietà in casa nostra ce n'era ben poca. In questo modo io faccio anche la figura della ribelle, della scontenta, di quella che vede sempre il brutto nelle cose! Ho anche pensato che, forse, questa mia sorella, magari è stata trattata in maniera più neutrale dai nostri genitori. Mah! Chi ci capisce? Per quello che ricordo io, tante volte l'ho vista piangere di delusione, di rabbia, di amarezza! Abbiamo soltanto due anni di differenza e queste cose non me le sono inventate. Va' a sapere come si mescolano le carte negli incroci psicologici di gente che, pure, viene fuori 50

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dallo stesso nucleo. Che vuoi che ti dica ancora? Dovrei litigare per capire che cosa ha in testa e questa prospettiva mi fa paura». Riguardo alle famiglie cosiddette "disgreganti", i danni che possono provocare nei rapporti fra sorelle sono incalcolabili. Se uno dei genitori è in conflitto con uno dei figli, indirettamente gli altri ne subiscono le conseguenze. I torti e le ragioni dell'uno e dell'altro si confondono, si mescolano, la verità non si sa più da che parte sta nella valutazione delle diverse person~ Meccanismo che si riscontra in una quantità di situazioni umane. Persino Manzoni scrisse che si può sempre trovare qualche cosa che non va anche in chi sta dimostrando la sua buona fede: « cosa non difficile perché la ragione e il torto non si dividono mai con un taglio così netto, che ogni parte abbia soltanto dell'una o dell'altro ... ». Certe lotte intestine all'interno delle famiglie finiscono spesso per generare rifiuto di quella sorella (o fratello) sentiti come responsabili e colpevoli di tali drammi. La seguente storia è emblematica: « Ho quarant'anni, una buona vita, ma sono contenta di vivere a mille chilometri dalla mia famiglia di origine. Siamo cinque sorelle, ma ci vediamo di rado. Il rapporto peggiore è stato con la maggiore. Con le altre mi barcameno. Tutto risale a tanti anni fa, quando io avevo circa quindici anni. Le litigate fra nostra madre e la sorella maggiore hanno avvelenato letteralmente la nostra gioventù. Questa sorella era già sposata in un'altra città, poi si è separata. Ogni tanto veniva da noi e poi se ne andava e noi restavamo a cercare di riparare bene o male i danni fatti. Adesso che sono adulta capisco che questa sorella che noi vedevamo tanto sicura e forte cercava un affetto che nostra madre non le dava, perché nostra madre, con lei, era violenta oltre misura. Ma a quell'epoca quelle orrende scenate erano un incubo per me. Sempre veniva rinvangato il passato, i torti che loro due si sarebbero fatti e tutto ricominciava da capo, senza che io riuscissi mai a capire il perché succedeva tutto quello. Si ricominciava a montarsi una contro l'altra, chi parteggiava per mamma, chi per la sorella. Da queste terribili esperienze è venuto fuori il mio carattere di allora. Quando a venticinque anni mi sono sposata, ero un mostro di insicurezza, un groviglio di compléssi. Ricordo ancora che non avevo il coraggio di andarmi a comperare un reggiseno da sola, un paio

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di calze smagliate rappresentava per me una tragedia. Quella sorella maggiore mi metteva complessi con la sua superiorità scolastica, la sua brillantezza di carattere. Io non sapevo prendere una decisione, ero infelice, orribilmente insicura e pessimista. È passato tanto tempo da allora, ma è cosl difficile dimenticare!».

Può anche capitare il contrario, però, che sorelle (e fratelli) si leghino con una solidarietà e una fedeltà indistruttibili "proprio" perché i genitori erano assenti, estranei e disgreganti. È la tesi di due studiosi americani Stephen Bank e Michael D. Kahn, che si rifanno alla favola di Haensel e Graetel, i due fratellini abbandonati nel bosco da padre e matrigna, in balia delle streghe, e che si salvano grazie alla reciproca solidarietà. Tale sentimento fortissimo si manifesta soprattutto in momenti di estremo bisogno, scavalca ogni pregiudizio e difficoltà, è diverso dalla generica solidarietà. È un sentimento assoluto che comporta la tendenza irrazionale a mettere il fratello o la sorella avanti a tutto e a tutti. A proposito di questo immenso amore fra sorelle unite da un pericolo comune, mi viene in mente il bellissimo romanzo di Paola Drigo Maria Zef Poco conosciuto anche se usd nel 1936, è la storia di due sorelle, Maria e Rosùte. Lo sfondo, le montagne del Friuli e una devastante povertà. Rimaste orfane, vengono ricoverate in un istituto in attesa che qualche parente si prenda cura di loro. La piccola verrebbe adottata da una ricca signora del posto, ma l' attaccamento delle due ragazzine è tanto forte che la separazione diventa impossibile. Alla fine le prende uno zio, Barbe Zef. Una volta che Rosùte è in ospedale ferita a un piede, Barbe Zef violenta Maria poco più che quindicenne e la contagia. Quando la ragazza sa che la sorellina sta per tornare a casa, per difenderla da una sorte che considera fatale anche per lei (come lo era stata prima per la madre), con una scure, uccide lo zio. Anche la bruna, forte, volitiva Cora, ne L'ultimo dei Mohicani di Cooper, affronta qualunque sacrificio per difendere l'esile, bionda, dolce e debole sorellina Alice. Affronta la morte, pur di salvarla. « Cora avanzava tra i prigionieri, cingendo con le braccia Alice nella tenerezza del suo amore di sorella ... Nessuna preoccupazione circa

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la propria sorte tratteneva la nobile fanciulla dal tenere gli occhi fissi sui lineamenti pallidi e ansiosi di Alice tremante». Quale la radice di questi appassionati legami? Secondo i due studiosi americani, la spiegazione è che, durante l'infanzia e il processo di crescita, i figli si sono accorti che non potevano contare sui genitori, né dal punto di vista concreto né da quello psicologico e sentimentale. Di fronte a un ambiente ostile si aggrappavano l'uno all'altro come alle uniche persone stabiji e costanti della propria vita. Partendo da queste osservazioni i due arrivano a enunciare una teoria: « Il legame profondo fra i due fratelli non si svilupperà se i genitori sono dawero buoni genitori: con genitori adeguati si avrà affetto e solidarietà fraterne, ma non la lealtà estrema, perché non ce n'è bisogno». Una conferma indiretta di tale ipotesi verrebbe da uno studio di Albert I. Rabin, fatto in Israele nel 1956: i bambini allevati nei kibbutz sentivano molto minori rivalità fraterne che quelli allevati nelle famiglie tradizionali. Eppure nei kibbutz vedevano i genitori soltanto due ore al giorno, negli ambienti tradizionali i contatti e la disponibilità erano costanti. Questo legame assoluto, che non ammette interventi di estranei, che arriva talvolta al sacrificio, rischia, tuttavia, di avere conseguenze nefaste, quando non ci siano situazioni esterne di eccezionale pericolosità cui far fronte. Anzitutto impedisce il formarsi di vite autonome, secondo, anche quando una delle due sorelle l'abbia raggiunta questa autonomia, l'altra farà di tutto per guastargliela. Soffrendo poi, a sua volta, sensi di abbandono, solitudine, emarginazione quando la prima si vendichi. È la storia che mi racconta una donna, ormai avanti negli anni, che aveva investito eccessive aspettative sulla vita della sorella. « Posso dirle che il legame con mia sorella è stato quello che ha più influenzato la mia vita, in maniera radicale. Io sono poco più grande di lei. Fin da quando eravamo piccole, io la proteggevo: i nostri genitori erano terribili. Nostro padre beveva e quando era ubriaco urlava e, più di una volta, picchiava chi gli capitava a tiro. Nostra madre non faceva che piangere e lamentarsi, aveva una tale paura di nostro padre che si occupava soltanto di lui per farlo stare un po' tranquillo. Anna si è sposata giovanissima, ha avuto tre bam53

bini e si è appoggiata a me per tutto. Forse perché era abituata a fare così fin da piccola, ma anche a me andava bene, era lo scopo della mia vita. A quei tempi io avevo una storia d'amore che non sapevo come portare al matrimonio: non era lui che si rifiutava di sposarmi, ero io che avevo l'impressione che, se avessi messo su casa e poi magari avessi avuto dei figli miei, non avrei potuto più accudire la mia sorellina... Oggi che ho cinquantacinque anni e da quindici la mia storia d'amore è andata a ramengo, mi rendo conto che sono stata una pazza. O comunque mi rendo conto che ho sbagliato con questo legame di sacrifici verso mia sorella. Neanche fossi stata la sua mamma ... Finché i suoi bambini sono stati piccoli, finché ha _avuto materialmente bisogno di me, tutto sembrava pieno di logica e di amore. Ma poi i suoi figli sono cresciuti, lei stessa, verso i trentacinque anni, si è cercata un lavoro, ha imboccato una strada di autonomia, di incontri diversi con amici e amiche che mi hanno completamente esclusa dalla sua vita. Oggi mi trovo sola e, per di più, in profondo antagonismo con lei che mi ha "rimproverata" di averne "bloccato l'evoluzione" (così mi ha detto!), perché io l'ho sempre considerata una incapace, una inetta e via dicendo. Mi ha anche detto che se non mi sono sposata è stato per colpa mia, perché non ho mai avuto il coraggio di amare veramente, perché, dietro la mia aria materna, sono sempre stata una ricattatrice ... ». Sovente i sentimenti fra sorelle sono influenzati per la vita dalla specifica simpatia o antipatia che un genitore o l'altro hanno provato fin dall'infanzia per una figlia o per l'altra. In questi casi si creano relazioni "asimmetriche", nelle quali confluiscono, per interposta persona, i sentimenti buoni e i sentimenti cattivi che il marito e la moglie non _riescono a comunicare fra loro. Un caso tipico è quando la madre di più figlie ne adora una che assomiglia al marito poiché lei adora il marito, o, al contrario, ne detesta un'altra perché questa porta in sé i tratti che lei detesta nel proprio uomo. Probabilmente, in entrambi i casi, se la madre in questione avesse elaborato con più chiarezza sia il suo amore che il suo odio non avrebbe dovuto viverlo attraverso la contorta relazione con la figlia. Relazione che finisce per deformare, di rimbalzo, anche i rapporti con le altre, vale a dire fra le sorelle. 54

Una signora di trentasei anni, sposata, con marito e figli, una brillante carriera di ricercatrice scientifica mi racconta: « Mi vergogno di dover ancora essere qui a parlare di quando eravamo bambine. Ho fatto tanta strada, la gente mi considera una donna di talento, ebbene, ci credi che soffro ancora dei grovigli familiari e del tremendo rapporto che ho con mia sorella? Io sono la copia vivente di mio padre, nel fisico, nel carattere, nell'indole, nei gusti. Sono la prima figlia, mia sorella ha due anni meno di me. I nostri guai sono venuti fuori dal rapporto che i miei genitori ayevano fra loro. Nostra madre detestava nostro padre o, forse, a pensarci bene, lo amava ma capiva che lo aveva perso e allora lo detestava senza avere il coraggio di separarsi o di chiarire la faccenda. Erano tempi di perbenismo e la nostra era una grande famiglia conformista, che ci teneva alle apparenze. Bene, per fartela breve, io ho passato la mia infanzia, la mia prima giovinezza con l'antipatia di mia madre addosso e di rimando l'antipatia di mia sorella che faceva blocco unico con lei. Mia madre, a ogni piccola questione urlava: "Sei tutta tuo padre... ", "Eccola, sembri lui...", oppure: "Stammi ad ascoltare, non fare finta come fa tuo padre... ". Mia sorella era la sua beneamata. Secondo me è diventata un poco scema per colpa di mia madre che la coccolava, la adorava, la prendeva come complice dei suoi sfoghi contro di me, che, poi, erano gli sfoghi che avrebbe potuto fare contro mio padre... L'anno scorso mia madre è morta e io ho sofferto in modo tremendo perché ho avuto la misura della nostra estraneità. Ma ho sofferto ancora di più quando mia sorella, sa Dio perché, mi ha detto: "Sai, mamma mi diceva sempre che tu sei stata il suo sbaglio e che poi ha migliorato e si è perfezionata mettendo al mondo me". Ebbene, ci vuoi credere? Io, a trentasei anni, con una vita piena e bella intorno a me, ho passato giornate di angoscia e di dolore per quella frase ... Detto questo, non sto ad aggiungerti che per me, mia sorella non è nessuno. Però mi dispiace, perché forse sarebbe stato bello conoscerci, se fossimo state orfane... ». Questa è invece la testimonianza di una situazione contraria, una famiglia con tre femmine, vicinissime di età, due molto rassomiglianti alla madre, una la copia stampata del padre. Ma qui la madre è innamoratissima del marito, lo idolatra addirittura. Siccome lui però, pare certo, era un gran Don Giovanni, e poco si curava della moglie, lei aveva scaricato tutto questo suo amore verso la figlia che 55

assomigliava tanto all'oggetto amato. La testimonianza l'ho avuta dalla stessa beniamina. « Non è stata una bella storia, credimi, anche se io ero la preferita. Da piccola mi andava anche bene ma poi, crescendo ho capito che avevo perso le mie sorelle, che loro non mi potevano soffrire, che mi credevano una furbacchiona, una che cer- . cava di sedurre nostra madre. Adesso siamo adulte, nostro padre è morto, nostra madre è vecchia e tutto è soltanto pena. Per me ·che la devo tenere in casa mia, altrimenti dice che morrebbe lontana da me, per le mie sorelle che mi trattano con sufficienza, vengono a fare la visitina e basta e un giorno mi hanno accusata di volermi impossessare di tutta l'eredità. In effetti nostra madre ha fatto un testamento in cui dice che la casa, i gioielli, i mobili e i quadri saranno miei, perché lei ha avuto soltanto me come figlia. Io credo che sia un po' svanita, specie da quando nostro padre è morto, ma ormai non c'è più niente da fare. Prevedo che quando non ci sarà più, finiremo davanti a un awocato ... ». Preferenze di una madre per una figlia piuttosto che per un'altra sono fenomeni assai comuni e, per certi versi, naturali. Non awengono danni gravi se la suddetta madre è in grado di accettare questo suo "debole" e compensarlo con atteggiamenti per lo meno giusti verso quella o quelle che le sono meno congeniali. Ma è raro che esista questo equilibrio. Uno dei tanti pregiudizi e imperativi categorici che riguardano i sentimenti, infatti, non tocca soltanto i figli che devono per forza amare i genitori o amarsi fra di loro, tocca soprattutto le madri. Le quali, nella tradizione, dovrebbero, vita natural durante, spartire le emozioni del cuore in misura assolutamente uguale verso i loro figli. Soltanto un grande coraggio e una grande libertà di pensiero permettono a una madre di ammettere che è impossibile che tutti i figli le piacciano nello stesso modo. Ma questa è una riflessione troppo recente perché già sia entrata nella mentalità corrente. Di qui tanti guasti nelle famiglie. Specie quando esiste una prevalenza di donne. In questo caso identità e contrasti, simpatie e antipatie diventano una complessa trama destinata a incidere pesantemente sui rapporti futuri fra figlie-sorelle. Una signora ormai anziana mi racconta, tuttora piangente, quello che ha sofferto fin da piccola perché la madre aveva una sviscerata passione per una sua sorella, mentre lei e la più

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grande si erano sempre sentite poco amate o malamate. « Pensi che Rosalina, questa sorella tanto lodata da nostra madre, ne ha fatte ditutti i colori. Forse perché era sempre stata tanto viziata? Non lo so. Ha cominciato fin da ragazzina a uscire con.una quantità di ragazzi e poi a piantarli malamente. Più tardi era lei che veniva piantata. Finché, verso i trent'anni, si è messa con un uomo sposato, con drammi a non finire della moglie abbandonata che rimbalzavano anche in casa. Io e Angela, l'altra sorella, ci eravamo intanto sposate, avevamo avuto figli, cercavamo in tutti-1 modi di stare vicino a nostra madre che, frattanto, era rimasta sola perché nostro padre era morto. Rosalina non si faceva mai viva. Ogni tanto, quando aveva bisogno di soldi, tornava dalla mamma, le faceva un po' di moine e se ne andava di nuovo via, carica di ogni ben di Dio. Nostra madre dopo quelle visite era felice per settimane. Ma il peggio ha da venire. C'era una casa, che mio padre aveva comprato con anni di sacrifici e intestata a nostra madre. Un giorno lei dice che, forse, verrà ad abitare con me o con Angela, che ci potrà essere utile per i figli e altre cose del genere. Non aveva il coraggio di dirci, povera donna anche lei, che Rosalina le aveva chiesto di vendere la casa per prestarle dei soldi. Nostra sorella voleva trasferirsi in America e aveva bisogno di denaro. La faccio breve. Mia madre vendette la casa, diede i soldi a nostra sorella, venne a vivere un po' con me, un po' con Angela. Quella tanto amata non si fece più viva per anni. Mia madre era ormai molto vecchia, ammalata, eppure ogni giorno ci mandava a vedere se c'era posta da parte di Rosalina e parlava continuamente di lei e ci diceva che era la figlia più straordinaria del mondo. Quando stava per morire, disse: "Ah! Come sono contenta di avere avuto quella figlia. È tanto buona, sapete. È soltanto stata sfortunata. Cercate di aiutarla se ne avrà bisogno ... ". Anche adesso che sono quasi vecchia pure io, mi viene da piangere se penso a quello che abbiamo passato per colpa di quell'amore sviscerato di nostra madre per quella sola figlia. Dicono che succede quando in casa c'è un maschio, ma a noi è successo con una femmina. Qualche tempo dopo la morte di nostra madre, Rosalina è tornata dall'America. Ha detto che laggiù aveva aperto un albergo, che poi le cose erano andate male e che adesso voleva tornare in... famiglia. Si è messa a piangere dicendo: "Povera mamma,_ povera mammina mia". Basta, da quella volta non abbiamo più resistito

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Angela e io, l'abbiamo cacciata una volta per tutte. Quella sarebbe stata capace di mandare a ramengo anche le nostre famiglie ... ». In altri casi ci sono madri che scoprono in una delle figlie tutto ciò che loro avrebbero voluto essere o diventare e stabiliscono con lei un rapporto previlegiato d'amore o, al contrario, nasce in loro un sentimento di antagonismo e di gelosia. Ho raccolto storie nelle quali prevalgono ora l'uno ora l'altro sentimento, tutte comunque segnate dal deterioramento dell'equilibrio affettivo delle altre figliesorelle. Una giovane donna che fa la pittrice, che ha molto viaggiato, ha vissuto tormentose storie d'amore, ha divorziato due volte, mi racconta che tutta la sua vita è stata perseguitata dall'amore sviscerato di sua madre che vedeva in lei il modello ideale di donna. « Così le altre due mie sorelle mi hanno sempre detestata. Io me ne andavo e nostra madre era sempre lì a dire che loro avrebbero dovuto imitarmi, che non valevano niente, che erano due donnette. E quelle, giù a covare rancore da scaricare la prima volta che ci incontravamo. Non serviva a niente che io dicessi che la mia vita era un grande casino, che io ero anche infelice, che avrei voluto la loro amicizia. Niente, loro due hanno fatto molto presto blocco contro di me, e per colpa di nostra madre. Avrei preferito essere detestata da lei». Al contrario, un'altra mi racconta che la madre aveva sempre avuto una sorta di invidia per il suo modo di vivere. Questa donna fa la regista, viaggia, non è sposata. La madre non soltanto ha cominciato a invidiarla fin da quando, ragazzina, ha voluto andarsene di casa e ci è riuscita. Poi nel corso degli anni, ha montato l'altra figlia contro questa e i rapporti fra le due sorelle si sono irrimediabilmente sciupati. « Che le posso dire», conclude, « ho sofferto tutta la mia vita di questi sentimenti di mia madre. Ho cercato in tutti i modi di farmi amica mia sorella, ma ormai in lei si era annidato lo stesso sentimento della madre, anche lei voleva essere al mio posto, mi considerava privilegiata». Anche quando tali mosse psicologiche sono tenute sotto controllo e non sfociano in ingiustizie palesi o rotture definitive, il vedere in una sorella l'immagine speculare di certi caratteri di un genitore o di un altro o di entrambi se ci hanno fatto soffrire nell'infanzia, può provocare lacerazioni e disagi nel rapporto.

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Illuminante in proposito la storia che segue. « Per tanti anni mi sono sentita un mostro, perennemente colpevole di fronte a mia sorella. Tutti l'hanno sempre lodata perché è tanto buona, tanto cara e con me era una belva che mi attaccava ogni volta che poteva. Io ci ho pianto e poi ho finito per lasciarla perdere. Sono stata tre anni in analisi per tanti miei problemi e anche questo è venuto fuori. Ho capito finalmente che cosa mi ha sempre fatta star tanto a disagio di fronte a lei: io vedo nella sua persona, nel suo carattere gli aspetti che più mi hanno fatta soffrire sia di mia madre che di mio padre. Oramai sono una donna adulta, relativamente sicura di me, del mio lavoro, dei miei affetti, delle mie scelte, non concedo più a nessuno di farmi stare troppo male. Quindi ho sistemato dentro di me anche la faccenda di mia sorella. Fra me e lei non ci sarà mai niente di autentico e continuare a dirmi che, dopotutto è mia sorella, che le devo volere bene, è un falso. Lei ha le stesse durezze di nostro padre, le stesse capacità di "far finta di niente", la stessa abilità di non aprire bocca quando ci sarebbe qualcosa di importante da approfondire. Ma possiede anche l'aggressività, la violenza verbale di nostra madre per cui, dopo silenzi di mesi, di anni, in cui non dice mai quello che pensa, scoppia in offese sanguinose. Proprio come nostra madre che mentiva sempre, pur di farsi credere la migliore in tutto. E poi c'è dell'altro, lei è sempre stata invidiosa di me, si credeva meno piacente, meno intelligente, meno brillante. Anche nostro padre ha avuto sicuramente tutta la vita un bel complesso di inferiorità, ma almeno lui lo ha compensato con una carriera fulminante, con un sovrano impegno nel lavoro e con una indiscutibile intelligenza. Mia sorella, invece, è una donna "normale", soltanto un po' pettegola e invidiosa. Nell'ambito della famiglia, tutti quelli che avevano simpatia per me, li detestava, ha sempre fatto di tutto per recitare la parte della brava, ai funerali, al letto dei moribondi e così via. Certo, se uno volesse avere vicino una persona apparentemente rassicurante, che non pone problemi di sorta, troverebbe il suo ideale in lei, ma io sono diversa e lei non mi accetta. L'unica via d'uscita è vedersi di rado. Forse i nostri non-sentimenti sono reciproci. La fatica più grande è quella di non provare tenerezza per lei, di soffocare gli slanci di affetto che mi prendono a tradimento, di non lasciarmi intrappolare dalla continua illusione di avere una sorella ... ». 59

Mi rendo conto che molte delle testimonianze che ho portato riflettono sentimenti negativi, carichi di rancori, ribellioni, voluta indifferenza. Ma era una scelta necessaria per mettere in luce che il sentimento sororale non è sempre e soltanto necessariamente buono come si vorrebbe far credere. La condizione di sorella non esclude, anzi talvolta accentua, l'insorgere di tante negatività sentimentali. Perché nasconderselo? Accettare tale realtà, non chiudersi dietro falsi moralismi e idealismi, può aiutare a ricostruire rapporti incrinati e mai chiariti. Se amarsi fra donne-sorelle non è uno "stato naturale" come si vorrebbe credere, né tanto meno è un obbligo, cercare di amarsi per tutta la vita può essere una conquista.

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TI AMO, TI ODIO

Amore e odio, invidia e competizione, attrazione e repulsione, solidarietà e inimicizia, ricerca e rifiuto, contrasto e complicità, fiducia e diffidenza, ammirazione, rabbia, orgoglio e disistima, senso di superiorità o inferiorità, aggressività e dolcezza, voglia di imitazione o di disidentificazione. Tutto il mondo dei sentimenti si muove fin dalla più tenera età nei rapporti sororali e, ciò che più conta, si muove a un tale grado di intensità e di esasperazione quale di rado si riproverà nella vita. Una sorella è la migliore amica, quella con cui si spartisce ogni esperienza fin dall'infanzia, quella che si desidera avere accanto in ogni momento. Ma una sorella è anche una rivale, quella che osserva in ogni istante ogni nostro gesto, quella che ci conosce anche troppo .bene, che può essere gelosa. Relazioni conflittuali che assomigliano ad amori, a passioni e che oscillano fra l'amore e l'odio, fondamentali comunque per il futuro. Quando ci si inna!Ilora da grandi, infatti se si è gelose in quella maniera atroce, patologica, che tante conosciamo è perché prima si è state gelose della madre e della sorella o di una delle sorelle. Se una donna non l'ha mai provata quella speciale gelosia, anche se un uomo l'abbandona e la tradisce, certo soffrirà, ma non patirà tutte le -altre componenti di quel sentimento atroce, come la disistima di sé o l' autosvalutazione. La radice di tale complessità sentimentale va cercata nei primi rapporti emotivi con gli adulti: nel caso delle sorelle, indubbiamente •l'immagine della madre ha una forte influenza. La sorella sta sempre al posto della madre. Se il rapporto con la madre è di tipo patologico, di odio, di antagonismo, di antipatia, ·si sviluppa nello stesso 63

modo anche fra sorelle. Se invece la madre è mitica, efficiente, elegante, bella, una delle sorelle può essere vista dalle altre alla stessa maruera. In questo processo di sviluppo infantile conta molto come viene vissuto e superato il "complesso di Edipo". Nel caso di sorelle-madri si può parlare di "complesso edipico invertito o negativo", vale a dire sviscerato amore per il genitore dello stesso sesso e conseguente rivalità e gelosia per quello dell'altro sesso. Questo può manifestarsi in situazioni familiari nelle quali il padre è morto o è troppo spesso assente: l'Edipo non si risolve secondo le regole primarie, abbandono della madre e innamoramento del padre. Il distacco non avviene perché manca il terzo polo. In queste situazioni è facile che anche altri uomini soccombano nei rapporti con donne di questa formazione sentimentale. Esistono casi limiti di sorelle talmente succubi di questi rapporti "simbiotici" (di assoluta totale reciproca necessità) che quando una si fidanza, l'altra si ammala. E la malattia assume tale gravità che, poco prima delle nozze, la fidanzata rinuncia a sposarsi per non uccidere la sorella... Su questo tema della complessità dei sentimenti che due o più sorelle possono provare fra loro, ho molto faticato a raccogliere testimonianze che mi sembrassero vere. Nel senso che riconoscessero l'ambivalenza dei sentimenti provati o la loro negatività. Eppure mi parlavano donne che avevano accettato più che volentieri di raccontarmi la loro storia di sorelle. Mi sono scontrata con una serie di "però": "però le voglio bene", "però è pur sempre mia sorella", "però non è poi così cattiva". Espressioni che stanno a significare l'incertezza e il tormento che possono sconvolgere questa relazione quando la si tenta di approfondire. In effetti, se fra sorelle tutte le sensazioni sono complicate e i sentimenti mai definiti rispetto a altri rapporti, contemporaneamente questo meccanismo tende a essere negato, allontanato dalla parte cosciente. Me lo çonferma la psicologa Loredana Zanoni: « Trovandomi di fronte a un problema di competizione, io devo analizzare prima quali rapporti quella donna ha con le altre donne, con gli uomini, con chi comunica meglio. Il problema-sorella lo devo toccare indirettamente, altrimenti scattano i meccanismi di difesa e rimozione. Dal punto di vista analitico, credo che questo dipenda dal

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fatto che i rapporti fra sorelle vengono sempre ributtati su padre e madre. Pertanto il problema viene risolto o non risolto con il problema edipico. Nella mia pratica di analista, ho verificato questo: se una paziente che ha già risolto le sue difficoltà - appunto edipiche - con padre e madre, ne incontra un'altra nel mio studio, allora si sente come una "sorella di latte", non è gelosa di me (che vengo vissuta come madre e sorella maggiore). Ma se i suoi sentimenti non li ha risolti, scattano il conflitto e la gelosia». /

Non c'è dubbio che rivalità e gelosia sono i sentimenti che agitano più frequentemente l'infanzia e l'adolescenza di sorelle e fratelli. Una tradizione scontata vuole addirittura che tali sentimenti siano "naturali". Spesso, comunque, vengono usati dai genitori come "scusa" per punire, biasimare l'uno o l'altro dei figli, senza mai cercare la causa reale e ben più profonda di certe reazioni. Fra sorelle, la gelosia è spesso accompagnata dall'invidia. Nella vita quotidiana, infatti, questo sentimento è una reazione per ciò che una possiede e l'altra no e coincide con un desiderio frustrato (frustrazione intesa come insoddisfazione e delusione per un ostacolo che impedisce di realizzare un proprio bisogno). L'invidia e la gelosia sono giudicate componenti fisse della psicologia femminile: forse perché storicamente le donne sono abituate a competere fra loro, escludendo da questa lotta l'altro sesso? Pertanto l'invidia e la gelosia risulterebbero più forti nelle relazioni sororali che in quelle fraterne. Di rado i genitori si mettono in questa "triangolazione", vale a dire non valutano l'importanza dei loro atteggiamenti nei confronti della relazione di due figli. C'è una straordinaria storia raccontata da Quino, il creatore di Mafalda, acuto disegnatore di stati d'animo e sentimenti, che spiega bene quale impostazione possono avere i genitori di fronte alla nascita di un altro figlio o alle reazioni del primo figlio. C'è una mamma con il pancione e una bambina che le gira intorno. « Mamma, quando mi darai una sorellina, tu non mi vorrai più bene? », chiede la piccola. « Ma no, te ne vorrò sempre», risponde la mamma. « Non è vero», aggiunge la bimba, « è come se il tuo cuore aprisse una succursale». È la paura di essere trascurate, maltrattate, dimenticate. Simbolo di questo terrore è la già citata 3

ROMÉ

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favola di Cenerentola. (Da notare che tale favola risale alla Cina del IX secolo avanti Cristo, segno di un sentimento che si perde nella notte dei tempi). Attraverso le vicende della povera fanciulla, si rivivono in concreto tutti i fantasmi delle paure, ma si ricavano anche speranze per il futuro: il lieto fine infatti garantisce dalla minaccia che quegli incubi diventino realtà. Il timore di essere respinto dai genitori, la paura di non avere tutto l'amore e la stima che desidera, inducono il piccolo a crearsi una rivale immaginaria, equivalente della "sorellastra" cattiva, che alla fine sarà punita. Secondo Bettelheim, autore di un bellissimo libro intitolato Il mondo incantato, persino i figli unici soffrono dell'angoscia di essere trascurati: sono gelosi degli altri, ossessionati dall'idea che, se venisse un nuovo fratello o sorella, i genitori li preferirebbero a lui. La rivalità, la concorrenza assumono senza dubbio la loro espressione più angosciosa nel momento in cui nasce la · (o il) seguente. La relazione della madre con la (o il) precedente viene minacciata e incrementato è il timore di abbandono, sempre presente come un fantasma nel fondo della psiche umana e della sua angoscia fondamentale. Il vero terrore dell'essere umano è sempre quello di "perdere", non quello di "non avere". Sentirsi separati, respinti, abbandonati, solitari quindi, è una delle angosce più devastanti. Si può fare di tutto per essere accettati, per non essere separati, per non avere la sensazione di essere respinti. Ci sono genitori che, in perfetta buona fede, credono di avere preparato una piccola alla nascita di un fratello o di una sorella e dicono: «Ma guarda, non è per niente gelosa!». Poi si trovano di fronte a manifestazioni indirette, ambivalenti di tale sentimento: ricerca spasmodica di attirare su di sé l'attenzione, atteggiamenti iperprotettivi verso il neonato, invincibili scatti di odio. Oppure trasformazioni del carattere come chiusure improvvise, depressioni, umori instabili: tutte manifestazioni che rivelano un'angosciosa gelosia. Cosa resta in età adulta di queste pene vissute nella prima infanzia? Molti psicologi affermano che un sentimento come la rivalità è inevitabile nei primi anni di vita, ma che è destinato a svanire in seguito. La realtà, però, smentisce tale certezza e conferma, invece, che la complessa gamma di emozioni e sentimenti contraddittori 66

provati nel periodo della crescita, lasciano un segno per il resto della vita. E soprattutto all'interno delle relazioni sororali (e fraterne). Recenti studi confermano questi dati di realtà. Nel settembre 1980 fu presentata all'American Psychological Association una relazione che testimonia la persistenza di rivalità fra fratelli in età adulta. I soggetti esaminati per questa ricerca (65 persone dai venticinque ai novantatré anni) da Helgola G. Ross e Joel L. Milgram erano stati presi all'Università e in un Istituto per anziani. Pertanto una campionatura assai differenziata. Uso que,,sti dati, che si riferiscono a maschi e femmine, nell'analisi dello specifico problema fra sorelle perché gli elementi base sono i medesimi. Secondo questa ricerca, la rivalità sorta nell'infanzia non è soltanto rivolta ad ottenere l' attenzione, il riconoscimento e l'affetto dei genitori, ma anche per « una più generale lotta per il potere e la posizione fra fratelli». Questa osservazione porta a esaminare il tema dei ruoli che i genitori, spesso inconsapevolmente, assegnano a ciascun figlio. In questo caso, si tratta delle aspettative che concentrano su uno e sull'altro, della maniera con cui lo vedono e lo giudicano, dei tentativi di valorizzarlo a seconda di tale loro ottica. Raramente un bambino riesce a sottrarsi a tale condizionamento che può influire pesantemente sui rapporti con gli altri fratelli e sorelle. Se i genitori non facessero pesare, per esempio, il comportamento migliore di uno rispetto ali' altro, molte competizioni fra sorelle e fratelli non avrebbero ragion di esistere. A volte questa rivalità, che nasce dall'esigenza di scavalcare il proprio ruolo per impadronirsi di quello di sorella o fratello, non è controproducente, anzi, può essere stimolante. Ma sono casi rari, in genere la rivalità porta a relazioni negative. Daniela Ronchi, una giovane psicologa poco più che trentenne, in analisi da nove anni, accetta di parlarmi della sua esperienza di donna con due sorelle, una maggiore, Simonetta, e una minore, Barbara. Dalla sua storia vengono fuori una quantità di elementi che aiutano a chiarire il complesso intrecciarsi di sentimenti in questo rapporto. « Il legame sororale, secondo me, è il più essenziale della vita. Io ho utilizzato Simonetta come mediazione con il mondo. Quando sono riuscita ad analizzare il mio rapporto con lei, ho capito tanto più di me stessa. Io credevo di avere certi rapporti con l' esistenza, invece mi sono accorta che ne avevo altri: io mi ero mediata

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attraverso di lei. Adesso la nostra relazione è splendida, non più mitizzata. lo avevo relegato nel mito questa mia sorella ma§giore, per me lei era perfetta e indiscutibile. Poi mi sono accorta che questo era un modo per metterla da parte, per non considerarla veramente. Nel riconoscere i suoi difetti, ho potuto rivalutare i suoi pregi. Lei una volta era il mio "contenitore buono", per così dire: usavo tutto di lei, i suoi amici, le sue cose, la sua intelligenza, la sua forza, il suo equilibrio. Certo, fin da piccole, c'era un grande amore, ma lei come persona non c'era. Quando siamo diventate più grandi, mi sono accorta che avevo difficoltà e quasi fastidio ad ascoltare i suoi problemi. Io non volevo accettare che in lei ci fossero dei buchi: la volevo perfetta, rotonda. Soltanto quando ho imparato ad ascoltarla, ho cominciato un vero rapporto con lei. Adesso, oltre all'affetto e all'amore di sempre, c'è l'apprezzamento per una persona "diversa". Mi avrebbe fatto comodo non infrangere il mito, me ne rendo conto, ma sarebbe stato impoverirla come persona. Questo processo è stato possibile soltanto perché lei è diversa da me, l'ho capito analizzando la mia relazione con Barbara, la sorella minore, nella quale riconosco i miei stessi difetti e li odio. A furia di analizzare questa faccenda, mi sono resa conto che Barbara e io siamo differenti soltanto nell'apparenza, nella visione del mondo, nel modo di vivere, ma in realtà abbiamo gli stessi bisogni profondi, le stesse paure, le stesse incertezze. Lei dovrebbe mettersi in analisi o qualcosa di simile, allora potremmo incontrarci anche nelle nostre somiglianze difficili. Ma lei rifiuta totalmente un'idea del genere, rifiuta totalmente le mie scelte. Quindi il nostro rapporto è formale e... pieno di cose non dette. Adesso che sto male, che ho bisogno di tante attenzioni, lei è molto cara con me, mi accompagna in piscina a fare esercizi lunghi e faticosi, mi aspetta pazientemente per un'ora, mi fa mille piaceri ma a me sembra sempre che stia "giocando alle . ,, signore ». Questa storia mette in luce quanto siano importanti e determinanti i ruoli nei quali una sorella si abitua a incasellare l'altra e viceversa. È come la sclerotizzazione dell'immagine che ciascuna dà di se stessa o deve per forza dare. Poiché, invece, per potersi incontrare bisogna riconoscere "l'altra da sé", deve avy,_enire fra sorelle una reciproca individuazione e in seguito un rispetto profondo delle personalità distinte: per conoscersi veramente, è necessario prima 68

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separarsi. Non intendo separarsi "fisicamente", andare una da una parte e l'altra dall'altra, ma separarsi nel senso di trovare ciascuna la propria precisa identità di donna e persona. Se questa individuazione non awiene, in età adulta è difficile sia amarsi veramente che odiarsi veramente. Ci si potrà essere genericamente antipatiche o simpatiche, ma tutto finisce qui: il rapporto autentico non si stabilisce. Un dato di realtà è che fra due sorelle c'è spesso quella "positiva" e quella, "negativa" e che fra tre o più sorelle, i ruoli si complicano, si confondono, si fissano, in maniera talvolta incomprensibile, ma sempre determinante. In questa relazione saltano fuori i modelli base dei temperamenti, dei comportamenti, dei caratteri, delle indoli: un piccolo manuale di' psicologia che impone una lettura senza possibilità di mutazione. Quando in una famiglia ci sono tante sorelle è facile trovare la buona, la cattiva, la modesta, la vanitosa, l'incontentabile, la saggia, l'intelligente, quella che "poverina ... ", la mite, la ribelle, la prepotente, la remissiva, l'aggressiva, la dolce, la sadica, la masochista, la bella, quella che passa inosservata, la seduttiva, quella che nessuno "la guarda", la coccolona, quella che ama la musica, quella nata con la matita in mano, quella che ha il talento per il ricamo e quella che cuce divinamente. Una specie di marchio, di dato immutabile dal quale è difficile, per non dire impossibile, sganciarsi finché si vive nell'ambito della famiglia. Ma peggio ancora, un dato di fatto che salta fuori ogni volta che si torna in relazione con quelle stesse persone che ci siamo abituati a vedere attraverso quella stigmatizzazione remota. A volte un'etichetta, altre volte una condanna che accompagna per tutta la vita e che magari non corrisponde affatto alla persona in questione. Anche nel mito e nella favola affiorano alcune di queste contrapposizioni esemplari. La tragedia greca, per esempio, ha collocato in ognuna delle due case regali di Tebe e Micene due coppie di sorelle in cui una è "forte" e l'altra "debole": Antigone e Ismene, Elettra e Crisotemide. Davanti al dovere di rendere gli onori funebri al fratello, contro l'ordine del re di Tebe di lasciarlo insepolto, Antigone non arretra, è disposta a sacrificare la vita. La timida Ismene, invece,

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anche se addolorata, trova naturale sottomettersi a chi comanda («Siamo soltanto donne», dice). Elettra, la figlia del re Agamennone non vive che per la vendetta, da quando la madre e il suo amante hanno ammazzato suo padre, dopo il vittorioso ritorno da Troia. La sorella Crisotemide, al contrario, si adatta e si accomoda alla situazione. In entrambe le storie, l'"eroica" manifesta disprezzo per· la debole. Nelle fiabe classiche la polarità dei caratteri delle sorelle (bellabuona, brutta-cattiva) è un dato estremamente frequente e spesso addirittura il nodo dell'azione. Una situazione famosissima della letteratura è quella delle figlie di re Lear nell'omonima tragedia di Shakespeare. Cordelia è la buona, « schietta e amorosa, non sa mentire, adulare», Gonerill e Reagan sono le perfide« adulatrici, servili, alleate e complici». Le sorelle sono tre, ma la contrapposizione psicologica è come avvenisse fra due: infatti le crudeli Gonerill e Reagan vanno all'unisono, nella lotta per ottenere il potere contro il padre. La loro complicità si spezzerà soltanto nell'amore per lo stesso uomo. Cordelia è tanto generosa da lasciarsi cacciare e fraintendere dal padre. Soltanto la pazzia e la morte faranno venire in luce la sua bontà. Un'altra significativa storia di contrapposizione fra sorelle nella letteratura si trova in un breve romanzo di Henry James Una vita londinese (da poco tradotto in Italia). Laura, piccola borghese americana, diventata povera, si trasferisce a Londra dalla sorella Selina, sposata a un ricco e aristocratico inglese, con bei figli, bella casa, bei vestiti e begli amanti. Tanto Laura è innocente, candida e moralista, tanto Selina vive di intrighi e frivolezze e menzogne. (Ben coperta, però, dall'ambiente vittoriano che la circonda e che, cinicamente, non si scandalizza più di tanto). La contrapposizione fra le due sorelle non è soltanto morale, tutto è diverso fra loro. Mentre Selina è descritta da J ames nella sua sensuale e affascinante grazia femminile, accentuata da stupendi vestiti e eleganti accessori, Laura è definita soltanto "graziosa". Accennavo prima che gran parte di responsabilità in queste determinazione e conservazione di ruoli ce l'hanno i genitori i quali, con il loro squilibrato favore verso l'uno o l'altro dei figli incrementano tali malesseri. Se i genitori non aiutano la differenziazione fra 70

sorelle, se non le aiutano nella scoperta della loro identità, possono creare guasti gravi anche nelle loro singole personalità. Infatti, per reazione, nascono controreazioni spasmodiche, eccessive, di individualizzazione. Se una è la prima della classe e tutti dicono sempre che lo è, l'altra cosa deve fare? Per differenziarsi, deve, per lo meno, essere l'ultima della classe. Ma io credo che ci sia anche un'altra ragione, sempre legata comunque al comportamento dei genitori: tenere ciascuna figlia in un ruolo fisso serve alle esigenze dell'equilibrio familiare, serve a rendere le cose più facili. Imponendo a ciascuna un comportamento che corrisponda a qualche caratteristica individuata nella prima infanzia, apparentemente non si creano problemi. La vita familiare scorre su binari ben oliati. Non è necessario mettere in discussione, di volta in volta, personalità in formazione con tutti i loro contrasti e le loro esigenze, non è necessario scoprire sistemi educativi diversi per l'una e per l'altra. Una madre di cinque figlie femmine ha accettato di parlarmi con onestà delle sue esperienze e delle conseguenze che hanno portato. « Non mi voglio giustificare per forza», comincia, « so benissimo di non essere stata una buona madre per tutte le mie figlie. Ma l'ho capito soltanto adesso che sono grandi, che ognuna se ne è andata per la sua strada e sembrano cinque estranee. lo credevo che bastasse amarle. Per quanto riguarda i loro caratteri, i loro desideri, me ne ero fatta un'idea un po' approssimata quando erano piccole, poi non ci ho più pensato. Mi curavo di tenerle pulite, di nutrirle nel modo giusto. Non mi era mai venuto in mente che, crescendo, sarebbero state tanto diverse, erano sorelle dopotutto ... Credevo di essere nel giusto quando dicevo a una "tu sei proprio la più furba!" e a un'altra "sei la più intelligente". Le mettevo lì, ciascuna davanti ai compiti che mi sembravano più adatti... La verità è che non avevo tempo di stare a scoprire le ragioni del perché una piangeva sempre e l'altra picchiava sempre e l'altra ancora faceva ironie di ogni genere. Il massimo che potevo fare era di vestirle tutte cinque nello stesso modo, così mi sembrava di avere una figlia sola... e tante fatiche in meno. Poi, diventate adulte, sono cominciati i guai e anche grossi. Ribellioni, fughe da casa, storie d'amore sbagliate e ogni volta mi sono sentita accusare di essere 71

stata io la colpa di tutto, perché non avevo mai concesso a nessuna di loro di essere quella che era veramente. Cosa posso dirle? Che ero impreparata a un compito così immane come accettare cinque donne intorno a me? Ho saputo partorire e allevare materialmente cinque figlie, not?, altro. Mio marito dice che io sono stata una madre meravigliosa, lui non vede niente. Ancora adesso quando l'una o l'altra viene a casa o ci riuniamo per qualche formale festa familiare, lui le chiama con i nostri nomignoli di quando erano piccole. Una è la bella, l'altra l'intellettuale, l'altra la furbacchiona e così via. Soltanto io so cosa c'è dietro, a lui lascio l'illusione ... ». L'assegnazione dei ruoli fissi fra sorelle, oltre alla generica rivalità e voglia di competizione può provocare anche una reazione più complessa. Quella definita "la più brava", più o meno consapevolmente, diventa provocatoria, irritante nei confronti di quella o di quelle definite meno "brave". O almeno così viene vissuta. Se poi quella che ha il ruolo della migliore, riesce anche ad avere successo, il senso di inferiorità nelle altre aumenta a dismisura. Complicato dal fatto che non lo vogliono ammettere per autodifesa: rivelare i proprii sentimenti di invidia e gelosia alla rivale fortunata accresce la propria fragilità in una situazione di per sé già malsicura. Ho raccolto numerose testimonianze che riflettono questo stato d'animo, ma una mi sembra esemplare: una giovane donna con una sorella che, fin da piccola, era giudicata il genio di famiglia e che, si dà il caso, a venticinque anni aveva vinto una cattedra all'Università, mentre lei, sempre giudicata meno in gamba, alla stessa età non era ancora laureata. « Quando una donna "arriva", come usa dire, non so poi dove ... diventa insopportabile», comincia a raccontare. « Ebbene, mia sorella mi è veramente insopportabile. Io la conosco bene e so che non è niente più di me: è soltanto molto più ambiziosa, molto meno aperta alla vita, al mondo, alle persone. Lei ha sempre e soltanto studiato, come una stakanovista, io amo gli amici, l'amore, la musica, l'arte, le passeggiate. Eppure non c'è niente da fare. Finché sono fuori casa, mi sento me stessa, sicura di quello che sono e delle scelte che ho fatto, quando mi trovo davanti a lei o in famiglia, crollo. Qualunque cosa lei faccia o di~a, mi ferisce, ho sempre l'impressione che si voglia mettere in primo piano per cacciare me al secondo ... Cosa darei perché fossimo due fratelli! Alme72

I no saprei come comportarmi, le darei dello "stronzo", quando se lo merita, urlerei. Ma così, sono schiava di un certo sistema familiare, non so usare le parolacce, lei nemmeno, siamo tutte sorrisi, gentilezze superficiali, uno schifo! Sono arrivata a tal punto di insicurezza e diffidenza che, recentemente, quando da un viaggio di lavoro lei mi ha portato un bellissimo regalo, io ho pensato che lo avesse fatto per ... umiliarmi. Sono ingiusta? Pazienza, sento così, che ci posso fare?». Pertanto una precoce individuazioqe, la capacità di riconoscersi e essere riconosciute ciascuna nella propria precisa identità sarebbe la strada per evitare tanti conflitti e dolori nell'infanzia e tante rotture e disastri in età adulta. Questo processo, però, oltre agli ostacoli di cui parlavo prima, si scontra con altri di origine psicologica, i quali possono rendere il processo di individuazione di ogni singola sorella una lotta senza quertiere. In una famiglia con un padre, una madre, un maschio e ·una femmina, le singole personalità si individuano più facilmente, anche dal punto di vista psicologico: i due figli riproducono padre e madre, mascolinità femminilità si equilibrano all'interno del nucleo familiare. Magari in maniera incrociata, non speculare, ma comunque senza troppi grovigli. Quando invece ci sono tante sorelle, o prevalenze di sorelle, qual è veramente la femmina? Una lo è più delle altre? A quale modello riportarsi? Si salva prima quella che riesce a conquistarsi precocemente una sua identità femminile: per indole, per circostanze, non conta per quale ragione. Spesso ho sentito dire da donne con tante sorelle: « Vorrei essere figlia unica... ». Il che significa brutalmente: « Vorrei far fuori le altre ... ». Ma non soltanto per avere tutto l'amore dei genitori per sé, soprattutto per liberarsi di troppi confronti e conquistarsi prima e con maggiore sicurezza la propria identità di femmine. Su questo problema mi sembra interessante notare la grande differenza che esiste fra le figlie uniche e quelle che hanno sorelle. Le figlie uniche, generalmente, non vivono particolari sofferenze nella ricerca della propria identità sessuale, c'è un riconoscimento precoce e ben definito. Magari le figlie uniche - specie se hanno un fratello - sono più "rozze" dal lato della femminilità, ma la loro scoperta di identità sessuale è meno problematica.

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Una ragazza molto intelligente e acuta, con due sorelle, mi dice di avere scoperto in una sua carissima amica, figlia unica, una sorta di fastidio, come una "sordità" quando le raccontava di certi suoi problemi con le sorelle. « Mi sono accorta che ero io che la caricavo di sensibilità mie, lei non ne ha mai avute. Un giorno ha detto: "Ah! quanto sono contenta di non avere avuto sorelle! Non avrei sopportato tutte queste smancerie, queste tortuosità di cui parli tu. lo ho sempre saputo come vestirmi, c_ome muovermi da donna, che problema c'è?", Da quella volta ho capito che dovevo smettere di tentare una comunicazione con lei su questo piano, tanto è un mondo estraneo per lei che è figlia unica. Lei non ha mai dovuto misurarsi da vicino con altre femminilità». Una giovane donna ricorda benissimo quante angosce ha vissuto per scoprire che genere di donna fosse, trovandosi sempre a confronto con altre due sorelle. «Tutte e tre abbiamo un poco l'ossessione dei modelli familiari, di nostra nonna, una stupenda e raffinatissima creatura, di nostra madre che le è sempre rassomigliata. lo, da adolescente, non sapevo mai come dovevo essere. Le altre due avevano imboccato strade chiare e precise, almeno credevo. La maggiore era la copia esatta delle due grandi donne di famiglia, sempre ben messa, sempre raffinata anche quando andava a scuola ... La seconda era più maschiaccio, per così dire, ma aveva una fantasia straordinaria per cui in casa era considerata affascinante ed elegante di natura. Io non ero niente: un giorno mi sentivo una monachella, l'altro giorno avrei indossato vestiti dalle scollature vertiginose. Sempre mi rapportavo alle mie due sorelle e con quelle che giudicavo le loro incrollabili sicurezze. E non parlo soltanto di vestiti! A questo corrispondeva pari pari l'incertezza interiore, l'incapacità di riconoscere che tipo di donna mi sarebbe piaciuto essere. In amiche figlie uniche non ho mai notato questa inadeguatezza al "dover essere". Anche adesso che sono adulta ondeggio ancora e sovente in cerca di una identità di donna che mi è poco chiara». Si può pertanto fare una ipotesi: che tante difficoltà del rapporto sororale nascano da un problema di "mancanza". Come se fra sorelle non ci fosse soltanto la famosa "invidia del pene" (quel freudiano meccanismo per cui, vita natural durante, ti senti sempre qualcosa di

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r meno di un maschio che ha qualcosa di più), ma anche una sorta di "invidia della vagina". Naturalmente una vagina migliore della tua: l'altra donna-sorella è più donna di te, per cui tu non sai mai se sei tu la donna giusta o la donna giusta è l'altra. Sono come due fondi rocciosi che possono bloccare definitivamente la vera intimità fra sorelle e che possono essere smantellati soltanto se da ambo le parti o da più parti c'è l'esigenza, la volontà e il coraggio di approfondire la relazione. Sono all'incirca le stesse limitazioni;lel rapporto madre-figlia. Le quali, generalmente, vivono legate dalla complementarietà e dall'interdipendenza. Di rado riescono a realizzarsi nel loro rapporto con la loro precisa individualità e autonomia di donne. Qualunque sia il lor0 destino, il loro personale sviluppo, quando entrano in relazione, si guardano sempre e soltanto come "madre" e "figlia". L'una non vede o non vuol vedere o non può vedere nell'altra diversi aspetti della femminilità. Tornando ai ruoli fissi e alle conseguenze che i loro vincoli creano, c'è ancora una riflessione da fare: tante sorelle finiscono per sentirsi "smembrate", private di una parte che non riescono a esprimere perché appartiene al ruolo di un'altra sorella. Anche questo meccanismo, owiamente, si fa sentire soltanto quando ci si ritrova nel rapporto sororale, può invece sparire in altre relazioni nelle quali la donna non si è presentata come sorella, ma in una sua identità più completa, acquisita indipendentemente dall'immagine che le era stata appiccicata nell'infanzia. Daniela Ronchi continua nel racconto della sua storia di sorella che ha sperimentato anche questa sfumatura di sensazioni. « Simonetta, la maggiore, come ti dicevo, per esempio, non si è mai potuta concedere il diritto di essere un po' pazza. Perché lei era la brava, la perfetta, la saggia. È chiaro che ha provato invidia per me che me lo ero potuto permettere soltanto perché non avevo altra scelta. Lei si è sentita privata di una parte che ogni tanto le sarebbe pure andato a genio di esprimere. D'altra parte, poiché lei era la perfetta, l'intelligente, quella che faceva tutto con ordine e raziocinio, cos'altro avrei potuto fare io, se non darmi a recitare la parte contraria? Eppure anch'io mi sentivo a volte brava e ordinata e razionale... In famiglia

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ho vissuto la mia parte in maniera maniacale: mi sentivo deficiente nei confronti di Simonetta, brutta nei confronti di Barbara. Non potevo far altro che coltivare la parte della ribelle ... Fra sorelle giocano le leggi del territorio proibito, i ruoli sono automaticamente rispettati. Se vai a toccare quegli equilibrii, chissà cosa capita, sono equilibrii "omeostatici". Da nove anni sono in analisi, eppure certe parti delle mie sorelle non me le sono ancora riprese. Addirittura volevo fare l'attrice per riappropriarmi delle parti che sono stata costretta a lasciare alle altre... Prima di riuscire con tanta fatica a trovare la mia identità rispetto alle mie due sorelle, ogni volta che stavo davanti a loro, era più forte di me, facevo la pazza. E non sono fuori nemmeno ora del tutto da questo gioco. Un'amica un giorno me lo ha fatto notare: "Ma perché quando sei davanti a loro reciti sempre la stessa parte?", mi ha detto. È vero, mi ritrovo quegli stessi atteggiamenti adolescenziali. Sono io che voglio che loro mi vedano come mi hanno sempre vista o sono loro che mi spingono, per qualche strada misteriosa, a diventare quella che si aspettano che io sia? Nelle relazioni non si sa mai chi comincia ... figurati in questa! Ma c'è di più. Simonetta era il genio della matematica, fin da piccola. Ebbene, io che passavo per la poetessa di casa, manco ci provavo a studiarla quella materia. Preferivo prendere quattro regolarmente e rispettare quello che gli altri pensavano di me. Poi, quando ho studiato psicologia e ho dovuto dare certi esami nei quali andava almeno considerata la struttura matematica, mi sono accorta che capivo benissimo quella materia e, magari, avrei anche potuto studiarla ... Quando mi sono messa sulla "teoria dei sistemi", automaticamente mi rapportavo alle mie sorelle: mi veniva tutto più facile ... ». Ed ecco un'altra vicenda nella quale la fissità dei ruoli imposti a due sorelle fin dall'infanzia, ha impedito una conoscenza reciproca e il crearsi di un rapporto profondo e maturo. Ma la racconta una quarantenne, bella, intelligente, sicura: « Io e mia sorella abbiamo soltanto due anni di diversità, ma siamo due pianeti diversi fin da quando eravamo piccolissime. Lei aveva una vocina splendida e intonata, io ero una campana rotta, lei non sapeva tenere la matita in mano e io invece disegnavo bene, lei suonava il piano magnificamente e io no. Tutto sarebbe stato facile, le pare? Invece nostra madre 76

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sa Dio perché - ci trattava come fossimo una figlia sola. Ci vestiva assolutamente nello stesso modo, ci pettinava allo stesso modo. Con risultati pessimi perché io ero bionda e magra, mia sorella bruna e paffuta. Ma il peggio è quello che ci è successo "dentro". Eravamo talmente abituate a essere considerate una cosa sola che a me il fatto di essere stonata e di non sapere suonare il piano dava un senso di frustrazione terribile. A mia sorella, al contrario, che odiava disegnare, venivano le smanie di imitazione con risultati che la buttavano sempre più in,crisi. Conclusione? Quando siamo diventate un po' grandi, abbiamo cominciato a detestarci cordialmente. Io non dico di essere migliore di lei, ma la competizione non l'ho mai sentita, lei invece sì. Finalmente quando siamo uscite di casa, ciascuna per conto suo, lei è diventata una bravissima musicista e io mi sono dedicata al disegno e alla pittura. Ma fra noi non esiste rapporto. Avremmo dovuto discutere insieme quella faccenda infantile, ma lei si è sempre rifiutata. Adesso, quando per caso ci troviamo con altri in famiglia, lei compete su altri piani, cerca di farsi notare, mi zittisce malamente. Così tacitamente cerchiamo di vederci il meno possibile». « Dopo tanti anni faccio fatica a ricordare i disastri che si sono

scatenati fra mia sorella Violetta e me per questa faccenda dei ruoli», racconta un'altra. « Certo noi due eravamo diversissime come caratteri, temperamenti, ma non nella direzione che ci hanno fatto credere fin da piccole. Questo però l'ho capito soltanto più tardi. Io, per i miei, ero quella che sarebbe sempre riuscita in tutto quello che avesse fatto, brava a scuola, brava a studiare il pianoforte, brava a cucire, eccetera. Violetta era, secondo loro, una creatura dal meraviglioso carattere, adattabile, affettuosa, ma meno intelligente. E poi, lei si stancava facilmente, poverina, non doveva impegnarsi troppo, io invece... Lei era minuta e magrolina, io, al contrario grande e grossa. A un certo punto i miei decisero che mia sorella avrebbe frequentato "soltanto" il Conservatorio e io, invece, avrei continuato il ginnasio, il liceo e avrei studiato privatamente la musica. A quei tempi io npn mi rendevo conto di cosa poteva succedere dentro mia sorella, dell'astio, della frustazione che avrebbe potuto covare contro di me. Ero troppo occupata a soffocare le mie paure, le mie ansie di non farcela. Se lei prendeva un sei a scuola, era lodata, quando io

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prendevo meno di otto, le facce dei miei diventavano nere. Io ho vissuto di angosce quegli anni, ma nessuno ci badava. Torniamo al problema con Violetta. Avevamo un solo pianoforte in casa, owiamente. Tu non sai i dispetti che mi faceva per impedirmi di studiare le mie lezioni... Altro che creatura dolce e affettuosa, era una belva con me. Quando poi la faccenda andava davanti a padre e madre ero sempre io l'invadente, quella che non capiva le esigenze dell'altra, la quale doveva già fare tanta fatica per studiare "almeno" il pianoforte. In seguito, le nostre vite si sono separate, ma non siamo mai tornate a riflettere su quegli anni e siamo diventate estranee. Io mi sono sempre sentita invidiata e maltrattata da lei e lei, si sarà sempre sentita prevaricata da me. Tante volte ho cercato di affrontare questi problemi, ma lei si è sempre rinchiusa. Ci riuscirò mai...? ». Tutte queste reazioni che, in un modo o nell'altro, con maggiore o minore intensità improntano ogni relazione sororale, hanno in comune una conseguenza, il senso di colpa. Dieci volte al giorno è possibile desiderare di ammazzare una sorella, atterrarla, detestarla e altrettante volte si sta male per avere provato questi sentimenti. Psicologicamente il senso di colpa è un sentimento che nasce dalla convinzione di avere trasgredito a una norma morale, turba intimamente chi lo prova e porta a forme di svalutazione di sé. La sfera affettiva femminile, ricca e complessa per natura, complicata da educazioni più moralistiche che quelle impartite ai maschi, è particolarmente soggetta a questo sentimento. Quanto il senso di colpa possa afferrare a tradimento anche donne che credevano di avere risolto la loro vita indipendentemente dalla famiglia di origine, me lo racconta un'attrice che da tempo vive lontana dai grovigli della parentela. Ha quattro sorelle che hanno sempre fatto blocco unito con i genitori, i nonni, gli zii. Lei, invece, fin da piccola era diversa, presto se ne è andata di casa, è diventata autosufficiente materialmente e psicologicamente. Ma nel momento in cui la ricca di famiglia, la nonna, muore, e lei, volente o nolente, deve presentarsi all'apertura del testamento, comincia a entrare in una spirale di sentimenti penosi che la manderanno in crisi. « Io e le mie sorelle non ci eravamo mai spiegate nulla. Loro davano per scontato che io fossi la diversa della famiglia. Ma quando ci ritrovammo insieme, mi resi conto che tutte quante mi colpevo-

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lizzavano profondamente dei miei atteggiamenti, delle mie scelte, mi incolpavano di avere fatto soffrire nostro padre e nostra madre e, di conseguenza loro, che avevano subìto i rimbalzi delle crisi dei genitori. In pochi giorni mi sentii costretta ad analizzare, spiegare ogni mio gesto, quasi dovessi difendermi davanti a loro e a me stessa di tutti i miei comportamenti e di tutte le mie scelte. Al principio pensai che questo fosse un modo per creare un rapporto positivo con le mie sorelle, ma presto mi resi conto che era un'illusione. Io che ero sempre stata ammirata per la mia imperturbabilità, per la mia capacità di trovare il lato positivo delle cose e delle persone, per la mia tendenza a dimenticare il dolore in nome della vita, io cui tutti avevano fin da piccola riconosciuto logica e lucidità nel ragionare, mi trasformai. Cominciai a macerarmi, manifestavo apertamente i miei sensi di colpa. È ovvio che dovevo già averli prima dentro di me. Forse li avevo rimossi, mi sarò sempre sentita colpevole di non avere amato mia madre e le mie sorelle come avrei dovuto, chissà ... Nel momento dell'incontro con loro, dopo tanti anni, tutto questo è affiorato, e si è tradotto nelle ripetitività dei miei discorsi che, in un modo o nell'altro, facevano tutti capo al mio bisogno di giustificarmi. Una sensazione distruttiva che non mi ha lasciata per molto tempo e da cui non mi sono mai veramente liberata. Con in più la constatazione di non avere proprio più sorelle... Chissà, nella mia incoscienza, le consideravo un punto fermo?». Anche in questa sfumatura psicologica, la situazione è diversa nelle figlie uniche e in quelle che hanno sorelle. Nel primo caso, l'odio e la ribellione si possono provare soltanto verso i genitori, persone comunque adulte, non paritarie. Non ci si rapporta mai con altre parti di sé. Le occasioni, inoltre, di rivalità sono minori, più sviluppato è il senso del possesso. Il senso di colpa fra sorelle potrebbe anche essere più forte di quello che si prova per un complesso edipico non risolto. Se per "Edipo non risolto" intendiamo quel sentimento di gelosia, di rivalità provato nei confronti del genitore di sesso uguale al proprio, che sottrae l'amore del genitore di sesso opposto di cui ci si innamora - con conseguente senso di colpa per il negativo sentimento provato - il superamento di tale complesso richiede meno sforzo che il superamento di ben altri intrighi psicologici, quali possono aggrovigliarsi fra sorelle. 79

Perché, infatti, una vera intimità fra sorelle è problematica, rara e anche pericolosa? Perché il nemico fa paura quando è vicino ai · confini, sembra simile a sé, ma è sempre un diverso. La sorella è vicinissima, eppure è diversa da sé. Il concetto tanto usato per spiegare le tremende gelosie infantili del "mi ruba la mamma" è articolato, ma in certo senso più superabile. I guai cominciano quando ci si pone la domanda: « Ma perché me la ruba la mamma? Perché è migliore di me? Perché è fatta come è fatta? Allora sono io che non vado bene come sono fatta, è colp~ mia». Le sorelle in famiglia potrebbero definirsi molto spesso come dei cannibali in una gabbia alla conquista dello spazio. Spazio d'amore, ovviamente. Durante questa mia ricerca credo di avere capito meglio perché è tanto difficile mantenere l'esperienza di solidarietà fra sorelle. Fin da piccole si impara, nel gioco dei sentimenti, ad articolare i livelli di solidarietà e di complicità con quelli di antagonismo e di diffidenza. È comune fra sorelle (beninteso anche fra fratelli, ma qui analizzo le reazioni femminili) picchiarsi a sangue, farsi atroci dispetti e poi, nel momento in cui la madre entra nella stanza, mentire tranquillamente dicendo: « Stiamo giocando ... ». Dal momento dell'odio che ha portato al litigio, per far fronte comune contro la madre, si passa all'alleanza. Il problema si può anche capovolgere, però: se vince la gelosia, la competizione, l'invidia, l'odio, allora la madre e il mondo esterno diventano alleati contro l'altra. Si scatenano spionaggi, ci si sperimenta prestissimo con la possibilità di una ambivalenza nel mondo dei sentimenti. Poi ci sono le "trappole" della vita comune: a tavola bisogna mostrarsi tutte buone. E spesso si diventa buone davvero e quel momento di sentimento positivo cancella per un poco l'antagonismo precedente. Le feste di famiglia sono state inventate dagli avi. Noi crediamo magari di inventarne di nuove, ma i modelli sono sempre gli stessi. Che siano state inventate anche per questo, per dare un fittizio senso di unione, di uguaglianza, di vittoria dei buoni sentimenti e del valore della famiglia? Lo psichiatra Cari Whitaker, considerato un maestro nel campo delle interazioni familiari, dice che un punto fondamentale per mantenere in salute tutti i membri della famiglia sono i riti e i miti. «Attraverso i riti-compleanni, Natali, cerimonie varie, la famiglia si autocelebra e attraverso i miti del passato - le storie degli avi, dei nonni, dei bisnonni - può pro80

grammare il suo futuro. C'è dunque un passato e ci sarà un futuro. Insomma, c'è la vita», afferma lo scienziato. Comunque, in modo più o meno cosciente, si capisce presto che dietro la facciata della tranquillità, la coabitazione contiene sempre in agguato una carica pronta a esplodere, l'aggressività. Si aggredisce per affermarsi, per imporsi, spesso soltanto per dimostrare che esiste. Anche in questo hanno una fondamentale importanza i genitori: quelli che conoscono e accettano la potenza di questo sentimento e / lo lasciano sfociare per i canali giusti, al momento giusto, agevolano la relazione con i figli e fra i figli. Quelli che, al contrario, pretendono a tutti i costi che, in nome della bella facciata, tutto sia soffocato, possono determinare guasti gravi. Sovente le famiglie non sono preparate ad accettare che la vita quotidiana affondi in radici che sono "anche" impastate di odio. E tali radici sono relativamente semplici da individuare, nascono dalla gelosia e dal bisogno di proprietà privata. Certe fratture in età adulta fra sorelle e fratelli nascono dal fatto che i genitori erano "conflittofobici", vale a dire che proibivano ai figli di litigare. In questi casi l'idea convenzionale che scontrarsi con una sorella (o un fratello) sia una cosa sconveniente, finisce per gelare ogni spontaneità, alimentando una insofferenza reciproca che non riesce mai a sfogarsi o a . . esprimersi. La conflittualità può anche essere costruttiva, ma se viene soffocata si trasforma in aggressività di tipo distruttivo. Ovviamente questi nodi comuni e tanti nuclei familiari non incidono su tutti alla stessa maniera. Mara Selvini Parazzoli, medico, psichiatra, psicoanalista, esperta delle patologie che possono scatenarsi nei rapporti familiari, mi dice che certe famiglie, dietro facciate di irreprensibilità e di solida coesione « albergano una serie di taciti conflitti i quali, spesso, non si limitano al nucleo familiare stretto, ma si diffondono come un sottile groviglio anche alle famiglie d'origine, nonni, zii, cognati, alle coppie di amici, eccetera. Tale constatazione spiega perché in una famiglia di più figli cresciuti ed educati nello stesso ambiente, uno solo sviluppi disturbi catalogati come mentali». Anche senza entrare nel campo della vera e propria patologia, avviene spesso che sorelle (o fratelli) nati e allevati nello stesso am81

biente ne risentano in maniera assai diversa. Continua la Selvini Parazzoli: « I membri delle famiglie reagiscono fra loro con regole dettate dalle loro reazioni. Ogni famiglia organizzata, con il trascorrere del tempo, ha delle modalità di rapporto mantenute stabili da una serie di regole non esplicite a cui i vari membri condizionati dal vivere insieme, sottostanno in maniera automatica, ripetitiva e senz' affatto rendersene conto. Dipende da tali regole, che possiamo chiamare "regole del gioco" che in una famiglia uno viva bene, l'altro sia frustrato e infelice. Tutti i membri della famiglia sono impigliati nelle regole di una sorta di tragico gioco non programmato né voluto da alcuno e sono confusamente condizionati a perpetuarlo, forse allo scopo di evitare cambiamenti immaginati come catastrofici. La famiglia sofferente non può cambiare dal suo interno le regole che ne perpetuano la disfunzione». Che il conflitto e l'aggressività siano elementi costanti nelle relazioni familiari, lo osserva anche il sociologo americano Murray Straus, dell'Università del New Hampshire. Dopo avere studiato a fondo un campione di 2143 famiglie cosiddette "normali" ha concluso: « Nel corso della vita di un individuo, la più alta probabilità di imbattersi nella violenza, guerra a parte, è all'interno del gruppo familiare ». Nella letteratura, emblematico di questa situazione è Le noeud des vipères di F. Mauriac: diario-confessione di un uomo che, al termine della vita, comincia a scandagliare, annotandoli, i motivi antichi e remoti del groviglio di sentimenti negativi che hanno tenuto insieme e continuano a tenere insieme la sua famiglia. In questa analisi impietosa, fondamentale è il non-rapporto di Isa e Marinette, due sorelle - rispettivamente moglie e cognata dell'autore del diario - legate da risentimenti, rancori, odi, gelosie e invidie. Tuttavia questa complessa alternanza di sentimenti, di lotte, di riconciliazioni, aggressività e tregue che rende tanto problematiche le relazioni familiari (nel caso specifico quelle fra sorelle), per altri versi, può anche stimolare una maggiore maturità affettiva. L' esperienza del continuo gioco delle alleanze e delle discordie, la conquista e la perdita della complicità, possono affinare le capacità sentimentali di chi le prova. Come si accennava, pare che le donne con

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J sorelle possiedano una maturità affettiva

maggiore di quelle che sono uniche figlie femmine. O per lo meno possiedano una maggiore capacità di introspezione nel mondo dei sentimenti. L'esperienza dei rapporti fraterni manca al figlio unico e questo può mantenerlo in una posizione egocentrica, in cui l'evoluzione affettiva sarà forse più serena, ma in cui il necessario addestramento alla frustrazione (che compare poco nella sua infanzia), sarà più tardivo e forse traumatizzante. L'esperienza fraterno-sororale o la sua assenza segnano la personalità, quali che siano i conflitti p()Ssibili e le loro soluzioni o la loro traccia nel comportamento. Secondo gli psicoterapeuti americani Bradford Wilson e George Edington, i figli unici hanno una situazione emotiva più fragile, possono attraversare momenti di crisi tremenda quando si mettono in lotta con qualcuno che amano perché non sono abituati a considerare l'alternanza dei sentimenti. Come loro stessi si sentono feriti a morte da un'offesa o da un litigio, così pensano che succeda agli altri. I bambini che crescono accanto a sorelle o fratelli, invece, imparano che ci si può odiare un giorno e essere di nuovo amici il giorno dopo. È uno dei motivi per cui le relazioni sentimentali dei figli unici spesso non soprawivono ai primi litigi. Non c'è niente da meravigliarsi se molti di loro non si sposano, concludono i due studiosi. Alice Miller, nel Dramma del bambino dotato, dice: « Non sono soltanto i sentimenti "belli" e "buoni", piacevoli che ci fanno essere vivi, che conferiscono profondità alla nostra esistenza e comprensione al nostro intelletto, ma, spesso, proprio quelli scomodi, non adatti che preferiremmo evitare: impotenza, vergogna, invidia, gelosia, confusione, afflizione». Questa articolata esperienza sentimentale subisce variabili di intensità e di qualità non soltanto da una famiglia all'altra, ma anche all'interno del rapporto fra le stesse sorelle (o fratelli). Si può pertanto arrivare a concludere che amore e odio possono coesistere insieme, in un delicato equilibrio di alternanze. Poi la vita, le esperienze personali, gli atteggiamenti dei genitori e dell'ambito familiare fanno pendere il piatto della bilancia da una parte o dall'altra. Ma è facile che, per tutta la vita, si verifichi la coesistenza di tali amb~valenze sentimentali e che tale realtà vada accettata, non soltanto come segno negativo. 83

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PRIMA, SECONDA, TERZA

Durante il lungo parlare con tante donne-sorelle mi ha colpita un fatto, che i sentimenti, gli stati d'animo erano simili a seconda che si trattasse di una primogenita, di una secondogenita o di un'ultima nata. Simili erano anche le differenze se c'era un notevole divario di età fra l'una e l'altra. Per capire più a fondo quale influenza può avere questo dato di realtà sui rapporti fra sorelle, ho intervistato un certo numero di donne, ponendo direttamente la domanda: « Credi che essere stata la primogenita o la secondogenita o l'ultima abbia influenzato la tua vita e il legame con la/le tue sorelle? Se sì, in che modo?». Ho scelto le storie più significative e, volutamente, le ho lasciate senza commento, perché mi è parso fossero sufficientemente eloquenti. Alla fine del capitolo ho messo in rilievo alcuni studi fatti recentemente sull'argomento. Dal confronto risulta che l'ordine di nascita spesso determina il carattere, la qualità, il significato di un rapporto sororale per tutta la vita. La primogenita

Questo è il racconto di una donna non ancora quarantenne, con tre figli, rimasta vedova giovanissima, con una sorella minore di nove anni. « Da quando è nata io ho sentito verso di lei un profondo senso materno. È durato fino al mio matrimonio e anche dopo. Quando è venuta al mondo la mia prima figlia, ricordo che scambiavo i nomi ... Per quanto riguarda la gelosia, non l'ho mai provata, proprio perché mi sentivo completamente madre verso di lei. Capivo benissimo che era la coccola di famiglia, che era più viziata di me, che era trattata

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con molta più condiscendenza, ma questo mi sembrava normale: anch'io la viziavo. Persino con i ragazzi le ho spianato la strada, le difficili conquiste di autonomia che ho fatto per me, erano diventate per lei acquisizioni naturali. Quando ho perso all'improvviso mio marito, la mia vita si è spaccata, modificata. Per un po' ho sperato che lei mi desse un appoggio autentico, di amicizia, di scambio, di comprensione fra donne. Invece mi sono accorta che siamo troppo diverse, che fra noi c'è abitudine, affetto perché "siamo sorelle". Quando mi sono sposata, mi sono detta: "Aiuto! Adesso la lascio sola a combattere con il carattere di nostra madre, non ci sono più io che la difendo ... ". E poi mi sono accorta che lei con la mamma ci conviveva benissimo. Lei non sentiva i problemi come me, era allegra, gioiosa, forse un po' superficiale e così finiva per ottenere da nostra madre certi comportamenti ben diversi da quelli che erano riservati a me. Comunque ora che siamo adulte, vorrei trovare la strada per un rapporto d'amicizia, al di là dell'affetto che provo per lei come sorella. Ma come fare? Basterebbe rompere certi silenzi che si sono creati fra lei, la "piccola" e me, la "grande"». Un'altra storia è di una donna di quarantacinque anni, in analisi per tutta una serie di problemi legati al terrore dell'abbandono, dopo che, era stata lasciata dal marito. È la sorella maggiore di cinque femmine. « In questi ultimi anni ho capito quale peso ha avuto sulla mia vita il fatto di essere la maggiore di tante femmine. In certo senso io non ho mai potuto essere bambina, o per lo meno non per i tempi che mi sarebbero stati congeniali. Fin da piccolissima i miei mi dicevano: "dài il buon esempio!", oppure se chiedevo una carezza mi rimproveravano: "Su, non fare tante storie, grande come sei!". Poi ci sono stati altri episodi, la prima volta che mi sono venute le mestruazioni e io non sapevo a chi dirlo e vedevo le mie sorelline che mi guardavano con quello straccetto pieno di sangue in mano e quasi avevano paura di me. Mi sentivo sempre molto sola da piccola e il mio più grande divertimento era di fare vestiti per le bambole delle mie sorelle. Ma loro ci giocavano e io no. Forse è nato allora quel terribile senso di ansia per la paura di non arrivare a farcela in tutto quello che gli altri si aspettavano da me. Anche con l'amore è stata la stessa cosa. Avevo sempre l'impressione che, ormai, dato che ero grande, quello non mi spettava. E allora cercavo di comprarmelo, per così dire, strafacendo per tutti. D'altra parte c'erano

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Janche momenti buoni, quando mia madre aveva bisogno di me e mi l diceva "aiutami, tu che sei grande" e allora io mi davo da fare e

~ speravo che lei sarebbe stata contenta.

Così per tutta la vita ho attirato gente che mi chiedeva "aiutami tu che sei grande ... " e credevo che fosse normale. Un'altra cosa mi ha segnata: io non ho mai potuto essere pigra, mi sono sempre sentita obbligata a fare tutto benino, perché altrimenti mi avrebbero sgridata. Ce n'è voluto del tempo per imparare a dirmi: "ma sta' un po' tranquilla, non succede niente, anché se non ti dài tanto da fare". Come è oggi il rapporto con tutte queste sorelle? Difficile dire. Diverso ovviamente con l'una e con l'altra, però io di fronte a loro mi sento sempre un poco a disagio. Se lodo qualche loro riuscita, immagino che pensino: "ma guarda questa, si accorge che non è soltanto lei quella capace ... ", se mi viene lo slancio di aiutarle in qualche difficoltà, penso che magari credono che io le giudichi meno capaci di me. Ho alcune amiche che sento molto più confidenzialmente legate che le mie sorelle. Eppure hanno la loro età, alcune sono anche più giovani. Ma il passato è incancellabile in questo rapporto e se io sono davanti a loro, non posso fare a meno di sentirmi in qualche misura loro madre. In alcuni periodi della prima giovinezza, ho molto invidiato quel gruppetto di quattro adolescenti e ragazzine unite, allegre, sempre insieme. Io mi sentivo una esclusa. E in effetti è cominciato allora il mio senso di diversità dalla famiglia: io avevo venti anni e loro quindici, tredici, undici, dieci. Certo che mi vedevano come una "grande", che non c'entrava con loro ... ». Maggiore di tre femmine una donna racconta che il peggiore retaggio che le è rimasto dalla sua primogenitura è quello di avere imparato a raccontare un sacco di bugie. Con gli u~mini, nel lavoro, con gli amici, considera la sincerità e la lealtà elementi fondamentali per convivere e apprezzarsi. Quando si trova di fronte alle tre sorelle, si vive come una "bugiarda", crede che loro la vivano così. « Questa faccenda risale a quando eravamo bambine», racconta, « se in casa cadeva qualcosa e si rompeva, mia madre diceva sempre: "È colpa tua, sei grande, fai attenzione!" e io, prima ancora che mi accusasse, mi difendevo dicendo che non ero stata io anche se lo ero stata. Ma c'è di peggio: mi sentivo trascurata, trattata con meno amore delle altre. 89

Forse non era vero, forse nostra madre aveva troppo da fare con le piccole per curarsi di coccolare me: fatto sta che a un certo punto, forse verso i dieci, undici anni ho cominciato a inventarmi un sacco di vicende paradossali, senza rendermi conto che ci tiravo dentro altri. Ma era troppo urgente in me il bisogno di farmi notare, almeno per un momento. Raccontavo, per esempio, che il padre di una compagna di scuola era venuto a prenderla con la carrozza a cavalli e mi perdevo sui particolari, giuravo e spergiuravo che era la verità. Un'altra volta, ho raccontato di avere incontrato la sorella di nostra madre con una stupenda pelliccia e tanti gioielli nella macchina di un signore. Descrivevo minuziosamente ogni particolare. In quel caso successe un finimondo perché i miei mi credettero, fecero un consiglio di famiglia, convinti che la zia si fosse messa in un giro poco pulito. La mia era una sorta di inconscia strategia che mettevo in atto per rendermi interessante. Con il tempo tutto questo è passato, ma questo marchio mi è rimasto di fronte alle mie sorelle. Io so benissimo che anche se oggi siamo adulte, che abbiamo vite riuscite e diverse, loro non mi credono... Questo ha rovinato i nostri rapporti quasi completamente. Davanti a loro, io non mi sento naturale, è come se dovessi sempre giustificarmi di quello che faccio o racconto, un tormento. E questo lo devo al fatto di essere stata una primogenita!». Una donna che ha seguìto le orme del padre industriale, si è laureata in ingegneria e occupa attualmente una posizione importante nel mondo degli affari, è convinta che la sua vita sia stata come è stata, perché era la sorella maggiore. « Noi siamo in tre, le altre due non mi hanno mai perdonato che io abbia seguito nostro padre nel lavoro. Qualche anno fa è venuta fuori una scenata tremenda che mi ha messo di fronte a una realtà che non avrei mai supposto. Tutte e due, di comune accordo, mi hanno detto che ,sia nostro padre che nostra madre avevano soltanto curato me, avevano badato soltanto ai miei studi, che il mio successo non veniva dal fatto che io fossi pi~ capace e intelligente di loro, ma soltanto dall'ambizione dei miei. E stato un momento molto duro che mi ha fatta riflettere: quanto c'era di vero in questo? In effetti, io sono stata coinvolta dalle attività dei grandi molto prima delle mie sorelle, i miei lodavano i miei studi più di quanto abbiano fatto con 90

r lemodo altre e io, senza rendermene conto, ho sempre cercato di fare in di meritarmi le loro lodi e, in seguito, quelle degli altri. Così sono andata avanti. Fra noi tre c'è pochissima comunicazione. Mi considerano una diversa. Magari quando hanno bisogno di qualche consiglio su investimenti di denaro, mi consultano e allora sembra persino che mi ammirino. Loro sono sposate con figli, hanno una vita normale, io, owiamente, non ho un'esistenza come la loro: non mi sono sposata, forse perché non ho mai avuto il tempo,,di pensarci sul serio, guadagno parecchio denaro, amo un uomo ma non convivo con lui, viaggio spesso, mi vesto in sartoria. A volte mi sono accorta che le mie sorelle mi lodano con gli amici, un po' come se si vantassero ma se, per caso, io mi sento sola e ho bisogno di confidarmi con loro, automaticamente vengo espulsa. È capitato non più di due o tre volte, ma mi è bastato. Ho capito che non consentono che io mi accosti alla loro vita più di tanto ... ». Un'altra primogenita, proprio per questo suo ruolo, ha avuto gravi difficoltà nello scoprire la sua identità di donna: « Essere stata la prima di tre figlie, mi ha messo addosso la paura delle donne. In casa nostra c'è stato un tremendo intrigo di personalità femminili. Ciascuna di noi tre, fin da piccola, era un mondo a sé, ma su tutte dominava la figura di nostra madre: una donna possente, matriarcale che pretendeva l'identificazione assoluta, totale fra noi e lei. Le altre, sono convinta, hanno avuto la strada spianata da me, ma io, forse perché ero la prima, ho avuto enormi diffì-::oltà a staccarmi dal modello di donna che lei mi imponeva. Per esempio, fin da piccola, guardavo il suo corpo e mi spaventavo all'idea che sarei dovuta diventare così anch'io. Subito dopo, però, mi sentivo in colpa per questi sentimenti che provavo. Quando sono diventata un po' più grande, diciamo sui quindici, sedici anni, sentivo che mia madre mi parlava "da donna a donna" e speravo che questo ci avrebbe aiutate a uscire dai ruoli che ci bloccavano. Ma bastava un niente, un mio accenno a qualche dubbio sulle sue convinzioni, bastava una mia ribellione rispetto a quello che lei diceva essere una donna e subito lei gridava: "Sono tua madre ... ". Così ho vissuto bombardata dai suoi doppi messaggi: donnamadre che mi voleva uguale a sé, donna-femmina che intravedeva 91

, attraverso me una femminilità diversa, ne era affascinata e nello stesso tempo respinta, per paura di perdere il suo potere di madre. E le mie sorelle? Mi hanno sempre considerata una specie di vicemadre. Quindi i nostri rapporti sono sempre stati confusi. Come sorella alla pari, mi facevano mille dispetti, mi aggredivano per potersi poi fare belle davanti alla mamma, dicevano che "io" le avevo trattate male. Invece avevo soltanto reagito per difendermi. Come vicemadre mi temevano, mi imitavano, mi rifiutavano, a seconda delle occasioni. O mi sfruttavano anche. Anche quando siamo diventate adulte, la situazione non si è chiarita. Le mie sorelle continuano a vedermi come una specie di brutta copia di nostra madre, me lo hanno anche detto. Ti accennavo alla paura delle donne che mi è rimasta dalla mia situazione familiare: ho conosciuto l'intrigo, l'insincerità, i trucchi, le competizioni, i peggiori lati del tradizionale carattere femminile. So bene che né io, né le mie sorelle, singolarmente, siamo così, ma nella spirale in cui ci siamo trovate a vivere con nostra madre, fra noi lo siamo diventate. Per non stare troppo male, dobbiamo vederci poco, non siamo amiche, questo no di certo». Un alternarsi di protezioni reciproche fra due sorelle con tre anni di distanza, entrambe impegnate nella carriera universitaria, viene fuori dal racconto che mi fa la maggiore di loro, oggi sui trentacinque anni. « L'esistenza di Doretta ha inciso molto sulle mie scelte personali, meno su quelle di mestiere, perché, siccome io sono la più grande, ho cominciato prima. Ma sull'arte di vivere, sulle idee politiche, sì. Fino a quando lei aveva diciassette, diciotto anni io l'ho considerata la sorella piccola, quella che non poteva insegnarmi nulla. Avevamo amici diversi, compagnie diverse, io sentivo la sua capricciosità e me ne tenevo lontana. Poi è cominciato un rapporto fra persone. Lei mi toccava su un punto, quello della femminilità: la vedevo seducente, sexy e vedevo me goffa e schematica. Da allora ho cominciato a sentire una sua superiorità su quel terreno. Mi sembrava che le sue scelte fossero sempre di maggiore spregiudicatezza. Quando lei si è sposata, verso i vent'anni, anch'io e~o già sposata. Anche qui ci sono stati confronti: io, coppia borghese, con ambizioni di successo; lei, coppia borghese, ma più politicizzata, bohémienne. Quando è fallito il mio matrimonio, mi sono messa in discussione, mi sono criticata, come se avessi seguìto troppo i valori della 92

, forma e Doretta avesse avuto più ragione. Ero sola e ho cercato il suo aiuto. All'inizio lei era molto protettiva, il suo matrimonio era solido, quindi lei aveva energia da spendere con me. Andai in Inghilterra per lavoro, ma ero a pezzi, lei venne da me. Poi anche il suo matrimonio è franato. Intanto io avevo cominciato una relazione con un uomo che lei criticava violentemente. Quell'uomo rafforzava le mie debolezze, rappresentava la mia aspirazione ad andare troppo in alto. Capivo che aveva ragione, le ric9Poscevo grande capacità di intuire le situazioni, ma capivo anche che in lei c'era parzialità e visceralità. Quando però, dopo cinque anni, decisi di rompere con quella relazione, lei prese le parti di lui: mi consigliava di non rompere. Non voleva che io mi mettessi in situazioni difficili da cui poi lei avrebbe potuto togliermi... Doretta era nei guai in quel periodo e allora si è messa nelle mie mani. È regredita all'infanzia e io faticavo a sopportarla. Ero in America per lavoro e ci è venuta anche lei. A quel tempo sapeva poco l'inglese, ma faceva scene di seduzione con persone importanti, pur senza conoscere la lingua. Si affidava a me in tutto, come fossi stata una madre, io dovevo guadagnare per tutte e due. Un giorno ho dovuto lasciarla sola per lavorare e lei me lo ha rinfacciato aspramente. Quando è morta la moglie dell'uomo con cui avevo avuto quella relazione, io sono andata da lei perché ero distrutta. Ma lei non se l'è sentita di proteggermi, se ne è andata. Una notte è rimasta con me, una seconda pure, la terza è fuggita con un suo amante. Poi si è infuriata di gelosia perché una amica mi ha portata con sé. Ho passato venti giorni sdraiata su un letto senza la forza di fare niente e lei non c'era: un ricordo molto duro di omissione di soccorso. Negli ultimi anni, però, l'ho ascoltata come persona di tutto rispetto. Doretta ha lottato tanto per liberarsi dalle sue parti cattive e buie, non si racconta menzogne. Anche nella professione non si ferma, lotta. Io ho molto rispetto per lei. Sicuramente l'ho scelta per amica quando avevo vent'anni, quindi il nostro è un rapporto che ha quindici anni. Ma è anche un rapporto d'amore. Questo ha creato un problema nella nostra amicizia, perché c'è tanta emotività, tanta vulnerabilità come fossimo 93

due amanti. Però il nostro legame è più forte che un rapporto d'amicizia: possiamo scannarci, ma ci vediamo come un dato di realtà. Questo a volte ci porta a trascendere: lei si lascia andare all'egoismo e io ho delle durezze tremende. Fra noi c'è un conflitto rispetto ali' amicalità, fatta di rispetto e di attenzione costante. Noi discutiamo sempre, quindi perdiamo anche un po' di rispetto. Ci stanchiamo molto insieme. Ma ci divertiamo anche molto». La secondogenita

La testimonianza che segue viene da una giovane intellettuale con una sorella maggiore di sei anni, una minore di nove, un padre noto letterato, una ,madre colta e tradizionale. « La mia sorella maggiore l'ho sempre sentita molto materna con me. Verso i sette, otto anni ho cominciato a prenderla in giro anche in maniera cattiva. Mi urtava il suo fare così passivo e remissivo. Io allora facevo la parte opposta, di quella forte, aggressiva, ribelle. A tavola le dicevo, per esempio: "Che oca sei!" e lei piangeva. Io la giudicavo permalosa, protettiva, dolce, mi sembrava facesse la commedia con quelle lacrime. Invece, magari, soffriva dawero. Però, anche se ci stava male, non ha mai cambiato quel suo atteggiamento materno e onnicomprensivo con me, è sempre rimasta dolce. Con il tempo, mi sono resa conto che questo era il suo modo di entrare in dialogo con me, un modo di difendere la sua posizione. Tanto è vero che quando la guardo comportarsi con sua figlia, che adesso è grandicella, la trovo non soltanto aggressiva, ma addirittura isterica. Nei confronti di nostro padre e nostra madre, anche in questo mi ha sempre dato fastidio il suo modo di fare. Fin da piccola, lei tendeva a idolatrare nostro padre e questo scatenava le mie reazioni: non mi sono voluta occupare di lettere, di letteratura, di poesia. Mi ero convinta che fossero più importanti la filosofia, la sociologia, la politica. Lei invece è sempre rimasta nell'orbita dell'ambiente familiare. Secondo me questo le ha impedito di scoprire una sua individualità. Ancora oggi lei frequenta soltanto gli amici di nostro padre, persino le vacanze le fa sempre con loro. In realtà io non la vedo molto. Ci sono certi suoi atteggiamenti che non mi piacciono, soprattutto perché potrebbero essere nocivi a lei. Mi verrebbe di dirglieli, anche brutalmente, ma poi devo fare i conti con il suo caratte-

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re permaloso, che tutto sommato è il suo modo di difendersi dal comunicare. E allora lascio perdere. Però non è così sicura di sé come vuole apparire. Pochissimo tempo fa eravamo in campagna, io avevo dimenticato la patente e dovevo andare al mercato. Le chiedo se mi accompagna e lei mi dice che ha smesso di guidare da tanto tempo perché le fa paura. Io intervengo con vivacità, con la voglia di scrollarla. Ma lei, con aria afflitta e piangente, mi dice: "Non dire così, ti prego, che io ci resto male!". Sempre il solito tranello. Devo dire per sincerità che, con il tempo, è migliorato il nostro rapporto intellettuale, perché ho capito che è molto colta in un certo ambito che un tempo a me interessava meno. Ma non c'è scambio affettivo, non c'è confidenza. Lei abita in un'altra città, spesso mi dice di andarla a trovare, di stare un po' con i suoi, ma io accampo la scusa del lavoro e del tempo. In verità il tempo non lo voglio trovare. Non è l'amica che mi sceglierei. Oltre a questo devo dire che questa mia sorella maggiore ha influenzato la mia vita di donna, per contrasto. Per me è stata un modello al negativo. Anche con i ragazzi e poi con gli uomini. Lei era remissiva e io diventavo aggressiva. Lei dolce, accontentabile, io esigente e mai soddisfatta. Anche questo oggi ci divide, perché lei è regolarmente sposata da quindici anni , con figli e marito accanto, io sono divorziata, non ho nessuno vicino e non ho avuto figli ... Con la più piccola, invece, è tutto diverso. All'inizio, io avevo nove anni quando lei è nata, ho avuto reazioni di vera ribellione e furia, quando ho saputo che sarebbe entrato in casa un fratellino. Già, perché così mia madre mi ha presentato l' :iwenimento. Ricordo di avere detto: "Prendo questo bambino, lo vesto da pagliaccio e lo butto dalla finestra". Poi quando è nata questa bambina mi è stata subito immensamente simpatica, ho cominciato a giocare con lei come con una bambola. Con gli anni ci siamo legate sempre di più. È rimasta nel fondo questa grande simpatia, questa profonda istintiva comunicazione. Abbiamo anche identità di giudizi sulla famiglia, vediamo le cose dalla stessa ottica. Lei è non soltanto l'amica che mi sceglierei, ma un'amica che ho. Oggi poi la differenza di età non è quasi più sensibile fra noi». Un'altra secondogenita di numerose sorelle racconta: « L'invidia che provavo per la mia sorella maggiore l'avrei provata anche per le

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altre donne, tanto è vero che la provavo per le sue amiche: la radice di tutto è che lei ha sempre avuto tre anni più di me. Viveva sempre tutto tre anni prima di me. Io volevo sentirmi grande e lei lo era sempre un po' più di me. Era l'unica cosa che non potevo cambiare, contro cui ero impotente. Io ho sempre cercato l'autonomia e se fossi stata più grande l'avrei avuta prima. I miei genitori mettevano sempre in luce questo fatto, che lei era la maggiore e io la odiavo per questo. Oltretutto non la potevo soffrire perché, secondo me, "si costruiva", faceva di tutto per sembrare ancora più grande e misteriosa. Per il resto, avere avuto sorelle per me non ha determinato nessuna influenza sulla mia vita. Con le tre più piccole eravamo un gruppo solidale, giocavamo insieme, i problemi erano soltanto con la più grande, appunto del tipo che ti dicevo. Non ho mai pensato che quella mia sorella potesse sentirsi sola, isolata, soprattutto a causa del mio comportamento aggressivo. Me lo ha detto qualche anno fa, ma io non potevo farci nulla. Ormai siamo tutte donne adulte, mi fa piacere quando ci possiamo incontrare, per una specie di rimpatriata, meglio se ci incontriamo senza mariti e fìgli. A volte mi chiedo se una delle mie sorelle me la sceglierei per amica. No, per me una sorella è una sorella, non una persona. Non ti so spiegare meglio, ma è così. Se da una parte mi sembra un punto fermo, una cui potrei raccontare tutto di me e farci conto nei momenti di bisogno, poi in pratica mi accorgo che con le mie sorelle si parla soltanto di... quando eravamo piccole. Non è molto, ti pare?». Quello che segue è il racconto di una giovane donna, anche lei secondogenita, con una sorella maggiore che sente molto lontana e una poco più giovane con cui ha sempre avuto un rapporto estremamente appassionato e complicato. « Margherita, la mia sorellina, era nel pieno della gioia della sua nuova situazione di madre e io soffrivo. Cecilia, la sua bambina, me l'aveva portata via. Questo ho sentito e patito per un anno intero. Ricordo che quando Margherita mi comunicò la sua decisione di avere un bambino, feci salti di gioia. Non sapevo più a chi dirlo, mi sembrava che la gente non capisse, quasi che fossi io ad attendere un bimbo. Ora credo che questa gioia fosse dovuta all'illusione di partecipare all'evento con lo stesso peso

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con cui avevo partecipato ad altre sue scelte. Eravamo in due anche in questo. Poi mi sono accorta che loro erano già in due, suo marito e Margherita. Cecilia era con loro, io non c'entravo, io dovevo tornare a far parte della famiglia senza nessun privilegio. Questo si acuì dopo la nascita della bimba, anche - lo so ora - per motivi del tutto materiali: l'assistenza continua, l'oggettiva mancanza di tempo (io non ci credevo, però) e di disponibilità mentale per qualunque altra cosa. Odiai Margherita e ebbi pauya di questo sentimento. La invidiavo, ma la criticavo. In quel periodo cominciò l'assiduità con Anna, la sua migliore amica. Era uno sfogo piacevole criticare Margherita con Anna. Però quanta amarezza: Anna non doveva esagerare, non doveva permettersi... Ricordo che fu un pensiero a farmi modificare gradatamente il mio atteggiamento verso Margherita. A volte pensavo che quando lei avesse consumato la gioia della nuova situazione (e questo sarebbe avvenuto senza dubbio, perché la felicità non dura), si sarebbe rivolta a me. Aspettavo quel momento, come gli avvoltoi. Poi un giorno ho riflettuto più a fondo su questo pensiero e fui presa dal terrore che la mia sorellina potesse stare male. O Dio, per carità, che non soffra! Io sì, perché sono più forte, ma lei no. Ripensai spaventata a quando aveva tentato di uccidersi, al terribile periodo di sofferenza quando viveva un amore impossibile, allo sguardo assente e impenetrabile di allora: per carità! e fui sommersa da un amore profondo per lei, la sua piccola, il suo uomo. Sono stata un mostro di avarizia, di egoismo, ma ora non ha più nulla da temere da me. A poco a poco questa confusione di emozioni si è smorzata e ora riesco a riprovare l'intera gamma dei sentimenti: affetto, simpatia, rispetto, eccetera. Sento di contare per lei, anche se il legame di spalleggiamenti e di sostegno reciproco contro il mondo se ne è andato per sempre. Tante volte mi sento smarrita, sola al mondo. Mi chiedi se me la sceglierei per amica? Non so, l'amo troppo ... ». Quest'altra vicenda è di una giovane donna con una sorella di parecchi anni maggiore che adora, che considera la sua migliore amica. Loro sono soltanto in due. « Analizzando indietro, Loredana è stata moltissimo per me. Con la nostra differenza di età, quasi nove anni, capisco adesso quanto è stata paziente con me, giocava, si 4 ROMÉ

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prestava a tutti gli scherzi. A me piacevano da morire gli affogati e lei me li comprava sempre, anche di nascosto. Mi faceva da madre, ma senza farmelo pesare. Mi coccolava, io potevo farle di tutto e lei lasciava correre. Poi, più avanti, io le ho chiesto "come nascono i i bambini?" e lei mi ha dato le spiegazioni più giuste nel modo più , giusto. Mi confidavo con lei nelle prime pene d'amore. A sedici, diciassette anni mi sono un poco allontanata, lei si era sposata, aveva avuto una bimba. Poi è successa una disgrazia terribile, mio cognato è morto in un incidente. Appena l'ho saputo, mi sono detta: "Mio Dio, Loredana!". È a lei che ho pensato e il mio tremendo dolore è stato per lei. Anche se così giovane è vedova da tanti anni, lei si fa sempre l'autocritica, ma a me sembra che faccia l'impossibile per stare in piedi. Noi siamo molto diverse, me ne accorgo soprattutto adesso che sono adulta anch'io, ma nonostante questo, lei è mia amica, anzi la mia migliore amica. Se ho un problema, le telefono subito, se ho un momento di necessità, la cerco. Oggi mi rendo conto che alcune mie linee di comportamento collimano con le sue. Non so se questo è derivato dall'influenza che lei ha avuto su di me, oppure se io già le pensavo per conto mio queste cose. Verso mia madre a volte ho delle ribellioni tremende, perché lei proietta sulle nostre vite le sue scontentezze: "Ecco, io vi ho fatto studiare e voi fate fìgli!". Nostra madre litiga sempre con il padre, ecco perché mia sorella è stato il rapporto importante, fondamentale, basilare della mia vita. Le amiche che ho avuto e che ho sono molto diverse. Una cosa bella posso dire, che fra me e lei non diciamo mai: "Qualcosa non va perché sei tu che non vai", diciamo sempre: "È la situazione che non va". Siamo anche solidali nel non dare corda alla ricerca di complicità di nostra madre, alla quale io dico sempre: "Se vuoi sfogarti, bene, ma oltre non andare", quando magari mi vuole complice contro mia sorella. Quando ero piccola e c'erano dei litigi in casa, Loredana mi portava fuori, mi distraeva, mi difendeva. Ma anch'io, nel mio piccolo, cercavo di fare la stessa cosa. Come non so, ma ricordo che la mia intenzione era quella ... Lei aveva un gran senso i:naterno verso di me, ma io la vedevo anche piccola, da difendere. Lei sapeva più di me, mi spiegava, ma io sapevo che aveva tanti bisogni. Adesso ho come un senso di colpa, per quello che le è successo. Come se lei fosse stata defraudata di qualche cosa che io possiedo e 98

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lei non più. Eppure so che non ci posso fare niente. Al mare, l'estate scorsa, c'erano con noi degli amici in coppia. Una volta lei è rimasta male perché non l'abbiamo invitata. Quando me lo ha detto sono cascata dalle nuvole. Non aveva mai voluto uscire con le coppie di amici e io non mi ero resa conto che il tempo era passato e che forse adesso le faceva piacere. Così un'altra volta si doveva fare la carne alla brace tutti insieme. Io sapevo che lei e il marito facevano spesso questo e lo amavano molto. Temevo che se la invitavamo, lei soffrisse. Invece lei si è sentita tagliata fuori ... Eppure non lo ha mai fatto pesare». Ed ecco un'altra esperienza di secondogenita, questa, però con altre due sorelle. « Io sono l'intermedia, fra due personalità, diciamo, imponenti. Un vero disastro ... Ada, la maggiore- che poi ha soltanto quattro anni più di me - mi è sempre sembrata una dea, un genio. Per questo non la potevo soffrire. Da piccola non sapevo ancora cos'era il complesso di inferiorità, certo che però ce lo dovevo avere... Anche adesso la tollero a fatica. Se le chiedo, "Come stai?", risponde sempre: "Benissimo". È sempre un tono superiore alla media. Su lei non posso contare. Se non le dico che tutto mi va benissimo, lei dice che è colpa mia, che sono io che sbaglio tutto nella mia vita. Con Paola, la minore che ha tre anni meno di me, invece facevo blocco unico fin da quando è nata. Che storia la nostra! Me ne accorgo adesso che sono andata in analisi e che vengono fuori tante pieghe dolorose che una volta non capivo o non mi erano chiare. Per esempio, io cercavo sempre di impossessarmi di tutto quello che apparteneva alla minore. Con la più grande non ne sentivo il bisogno perché, come ho detto, la sentivo lontana. Ebbene, appena vedevo che Paola aveva cara una persona, io mi mettevo in mezzo per ... sedurla. Non parlo di ragazzi o di uomini, di tutti! Se non ci riuscivo, le disprezzavo e facevo di tutto perché anche a lei non piacessero più. Con questa sorella ci picchiavamo sempre, a volte ero con lei di una aggressività spaventosa, ma se qualcuno diceva una mezza cosa contro di lei, lo sbranavo. Ada poco tempo fa mi ha detto che lei ci invidiava quando eravamo piccole, ci ammirava per la nostra solidarietà e che si sentiva molto sola: chi l'avrebbe detto! Ricordo ancora che quando eravamo insieme tutte e tre a me veniva naturale fare il ruolo della scema, di quella che non ce la fa.

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D'altra parte in casa dicevano sempre "poverina!" e mi aiutavano a fare i compiti. Io sapevo dentro di me che potevo riuscire benissimo . a farli da sola, che gli altri non capivano niente di me, ma mi ero adattata al ruolo. Facevo la faccina compunta e dolce e poi mi vendicavo con dispetti atroci verso le altre due o facendo la spia ... Tutte e tre studiavamo nello stesso istituto di monache. Io avevo imparato perfettamente una tecnica dello svenimento a scuola e la applicavo ogni volta che non mi riusciva un compito in classe o avevo paura di essere interrogata. Quando capitava, le brave suore chiamavano sempre le mie due sorelle. Mentre Ada ci credeva al mio malore e si preoccupava, Paola non mi credeva affatto. Un giorno mi ha detto: "Lo sapevo benissimo che facevi la commedia ... ". Per questo l'ammiravo ancora di più ... ».

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Una secondogenita racconta che la vita rispetto alla sorella maggiore è stata travagliata, intensa, ma ricca di sentimenti. « Cristina ha cinque anni più di me, è più alta e più grossa di me (il suo problema sono sempre stati i chili in più), un viso particolare in una massa di capelli castani, ha sempre avuto un carattere "forte". In casa, fin dalla separazione di nostro padre da nostra madre - lei aveva quattordici anni - è stata il braccio destro della mamma e con la nonna materna formava la "triade matriarcale", quello che mio padre chiamava "il gineceo di via C.". Io sono un po' cresciuta nella sua ombra, nei primi anni dell'adolescenza le ero attaccatissima: era lei a scegliere i miei abiti, a pettinarmi quando uscivo, a darmi i suoi golf e i suoi gingilli. Io invidiavo la sua sicurezza, i suoi successi negli studi, la sua abilità ... , il suo potere sulla mamma. Io ero considerata la dolce, ingenua Franchina, fragile di carattere e un po' nervosa, io ero la carina di casa che si sarebbe sposata subito. Più lei puntava sulla sua intellettualità (perché complessata nel fisico), più io puntavo sul mio corpo buttandomi nello sport e vivendo sul mio esibizionismo e narcisismo adolescente (ore allo specchio per decidere se ero più bella o più brutta delle altre o per scegliere un abito, un colore, una pettinatura). Durante le crociere d'estate con mio padre io ero la "bella" che papà fotografava in tutte le pose e a cui comprava i primissimi bikini di St. Tropez. Lei era la "bestia" che - mi ha confessato dopo anni - soffriva moltissimo e per ·la rabbia e l'umiliazione mi cuciva i reggiseni troppo osé dei costumi e mi impediva 100

, di leggere "Amica" perché troppo da grandi... Più in là nella mia 1

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adolescenza (verso i quindici anni) io ho cominciato a sentirmi soffocare, a ribellarmi a questa sorella onnipotente, bravissima, sicurissima, brillantissima, che non riuscivo più a sopportare. Litigate, sotterfugi (le rubavo i golf e i gioielli), pianti... alla fine me ne sono andata in Inghilterra in un collegio scelto da me per riuscire a diventare donna da sola. Tre anni di distanza hanno cambiato molte cose: ho ritrovato una Cristina che non era più sul mio,-piedistallo mentale, con la quale potevo propormi alla pari e che era disposta a un dialogo aperto anche sulle nostre lotte intestine. Allora mi ha confessato che lei mi aveva vissuta in quegli anni come la sua insicurezza e le sue invidie. Aveva nel frattempo fatto tutto un lungo lavoro introspettivo ed era meno difesa, più umana. Rimaneva il suo rapporto pr~vilegiato con la mamma (che solo negli ultimissimi anni si è fatto meno totalizzante), che l'ha sempre considerata il suo sostegno, la sua forza e che aveva per lei quasi un riverente timore. Non posso dire che Cristina abbia determinato le mie scelte di donna, le ha influenzate per un certo periodo e come parte di tutto un contesto famigliare che mi proponeva una certa immagine di me. Senz'altro ha influenzato il mio "esilio" inglese (che più di un esilio è stata una avventura liberatoria), le mie esaltazioni ginnico-sportive (lì, almeno trionfavo io!) e i miei conflitti nello studio: mi sentivo la scema di casa. Nell'acerrima lotta di pot~re lei aveva vinto con la mamma, io però con papà. Dopo anni mi sono accorta di quanto cerca_sse di avere tutta la sua attenzione nelle rare colazioni che facevamo insieme: parlava solo lei. Io invece ero la gattina, la coccola di papà. Oggi la situazione fra me e lei è quasi ribaltata: io, uscita da parecchi anni di analisi, ho ritrovato i fili di me stessa e un'identità tutta mia, lei è entrata in una profonda crisi con la morte di papà, due anni fa, e ha iniziato da poco una terapia di gruppo. Ancora una volta ci siamo ritrovate, ma oggi sono io quella più sicura di me, che sta vivendo bene la propria crescita e realizzazione, lei è angosciata da una crisi di identità, da mille ansie e paure che la rendono teneramente fragile e che mi comunica, sapendo quanto bene la conosco. Ci ritroviamo a volte a parlare ore intere con un nuovo linguaggio, quello di "dentro", a confidarci tutta la nostra umanità, ad aiutarci a vicenda. 101

Ed è proprio bello: non da amiche, ma da sorelle, con quell'affetto particolare nato da un nucleo, da un ambiente familiare, da ricordi di casa e legami d'infanzia comuni». L'ultimogenita

Una donna di quarant'anni, colta, impegnata in campo editoriale, tre figli, un marito, una casa da mandare avanti, ha accettato di parlarmi della sua esperienza di ultima figlia. Il suo aspetto è fragile e delicato, ma lei è d'acciaio, perfezionista, esigente con sé e con gli altri. Nell'intimo è ansiosa, inquieta, spesso sull'orlo dell'esaurimento nervoso. «Tanti dicono che i più piccoli, specie se ci sono tanti figli, sono i più viziati. Può anche essere vero, ma io ricordo, invece, un'altra sensazione fin da quando ho memoria: la solitudine e la convinzione che non ce l'avrei mai fatta a raggiungere le altre. In niente. Né... in altezza prima, né in esperienza dopo. Il rapporto più importante io l'ho avuto con la maggiore delle mie sorelle, Federica, che ha sette anni più di me. Siccome nostra madre era sempre indaffarata, preoccupata, piena di cose da fare con tutte noi fra i piedi, io vedevo la più grande come una mamma. In tutto e per tutto. Mi pettinava, cercava di farmi ridere perché io da piccola ero tanto timida che mi spaventavo per niente e mi chiudevo nella musoneria più cupa. Ricordo che una volta mi avevano fatto una fotografia su un prato e io sembravo piccola piccola e sola in una grande foresta. Allora mi sono messa a piangere e Federica mi consolava, mi spiegava che non ero sola nemmeno nella fotografia, perché c'erano tutti loro vicino. Ma poi, con il passare del tempo, questa mia sorella è diventata un incubo per me, nel senso che la sua personalità mi schiacciava. Io le volevo molto bene, questo sì, però verso i quindici, sedici anni ho cominciato a criticare le sue scelte di vita, a non approvarle. Non mi piaceva il ragazzo con cui stava, non mi piacevano i suoi entusiasmi che mi sembravano eccessivi, disordinati. Ero terrorizzata dalle scenate che faceva con nostra madre, anche se vagamente capivo che aveva ragione Federica e non la mamma. Ma il punto cruciale è che tutte e due abbiamo studiato filosofia all'Università (mentre le altre sorelle erano entrate in campi scientifici) e, quando io ho cominciato, lei era già laureata da un pezzo e continuava sempre con il suo solito 102

sistema di aiutarmi in tutto. Sono sicura che lo faceva per il mio bene, ma io ho cominciato a infastidirmi. Lei mi diceva: "Vieni qui che ti spiego, così farai meno fatica ... " e io, anziché prendere questo come una prova di interesse e di affetto, lo sentivo come una dimostrazione di sfiducia nelle mie scarse capacità. È qui che lei ha influito enormemente su di me e sul mio carattere: ho cominciato a sgobbare come forse non avrei mai fatto, per venire considerata. Questo ha avuto molte conseguenze perché ho cominciato a chiedermi troppo in tutti i campi e spesso J'ho pagato con stanchezze enormi, ansie a non finire. Me la sceglierei come amica questa sorella o una delle altre due? No, nessuna di loro. Federica, perché l'ho vissuta troppo tempo come una mamma e poi come una da vincere e da superare, le altre perché non ci siamo quasi praticate, né da piccole né da grandi. Sento molto il senso del dovere, se una di loro stesse male o avesse veramente bisogno, correrei, ma il mio vero mondo affettivo, delle amicizie profonde è altrove». Un'altra storia di ultimogenita me la racconta una simpatica e arguta signora sui trentacinque anni, capo di azienda, un marito, un figlio. « Caspita se ha inciso su di me avere avuto tre sorelle più grandi! Prima di tutto perché mi sono sempre potuta nascondere dietro di loro e non farmi troppo sgridare... Capivo vagamente che le altre contavano di più, che mi giudicavano una piccola minus habens, perché loro avevano già fatto tutte le esperienze che io ancora non avevo affrontato. Ricordo che a volte mi veniva una specie di angoscia e mi dicevo: "tu non ci arriverai mai a fare tutto quello che hanno fatto loro". Ma mi sono difesa cercando di attirare l'attenzione dei grandi, prendendoli in giro. Non so, forse è questione di carattere, in parte lo è certamente. Ma rammento benissimo che da piccola, quando mi veniva quella paura di essere meno brava delle altre, mi facevo coraggio incitandomi: "adesso gliela faccio vedere io ... " e cominciavo a recitare, a fare la buffona e a far ridere tutti. Così mi prestavano attenzione. Forse in questo hanno influito le mie due sorelle, mi hanno indirettamente costretta a esercitare l'ironia, mi hanno messo addosso la voglia di fare la commedia. E non sempre mi è andata bene, specie quando mi sono innamorata e allora avevo ben poco da ridere: tutte le mie insicurezze, le mie paure di non essere valutata, sono saltate fuori. Per quanto riguarda 103

l'amicizia verso di loro, non so bene come spiegarmi. Certe mie aspirazioni, certe mie delusioni, a loro non potrei comunicarle, forse perché ci siamo abituate troppo a guardarci come sorelle. Ci vogliamo bene e, in certo senso, è già molto, ma amiche non siamo, inutile contarcela». Una ragazza di diciotto anni, con una sorella di venticinque, mi confessa che ha dovuto andare in analisi se non voleva portarsi dietro tutta la vita l'angoscia di sentirsi un'incapace. «Non voglio colpevolizzare a tutti i costi i miei genitori, né tantomeno mia sorella, questo l'ho imparato andando più a fondo in me stessa. Però restano alcune realtà di fatto. Fin da quando ero piccolissima, ricordo che i miei dicevano: "Che differenza con Stefania! Questa non riuscirà mai a diventare come lei ... ". Lei era bella, era brava a scuola, era brillante, vestiva bene. Io non dimostravo nessuno di quei talenti. So benissimo che io sono nata per caso, che i miei non avevano nessuna voglia di avere un altro figlio, tanto più un'altra femmina ... Ho una vaga memoria di certi pensieri che mi venivano fin da piccolissima tipo: "Guarda, mamma si preoccupa tanto della mia scuola e della mia salute, perché vuole ripagarmi del fatto che non mi voleva". Stefania a volte mi raccontava dell'allegria che c'era in casa quando lei era piccola, che mamma la faceva giocare e papà anche, diceva che non avevano soldi come dopo, ma che erano molto più gioiosi. Forse questo ha agito su di me, ho sentito che i miei genitori non avevano più voglia di fare i genitori di un bambino piccolo. E così ho cominciato a detestare cordialmente mia sorella, considerandola la responsabile di tutto quello che mi mancava. Se lei stava intorno per aiutarmi a fare i compiti, io le davo calci, oppure le tiravo i capelli, la pizzicavo. Ricordo che pensavo sempre che volesse farmi vedere quanto io ero stupida e quanto lei intelligente. Ho cercato in tutti i modi di riuscire in qualcosa che lei non facesse già molto meglio di me e l'unica che ho scovato è stata quella di ... incollare pezzi di carta colorata su grandi fogli bianchi. Vuoi crederci? Oggi sono abilissima in questi lavori e me li comprano persino ... Per il resto, non so dirti se mia sorella la sento un'amica o se me la sceglierei per amica. Ho le idee confuse, ma conto molto sull' analisi che ho appena cominciata. Quando mi sarò liberata di tanti

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grovigli può darsi che la veda come un tipo che mi piace. Ammesso che io, poi, piaccia a lei... ». In certi casi una sorella minore con due di parecchio maggiori può avere vissuto il loro conflitto e questa esperienza lascia segni profondi anche quando, con il passare del tempo, tale diversità di età non è più sensibile. È la vicenda che racconta una giovane donna ormai di trentacinque anni. « Io ho passato l'infanzia e l'adolescenza con due sorelle parecchio più grandi di me a cui ho voluto molto bene e a cui sono tuttora legata. Loro due, però, non sono mai andate d'accordo, litigavano furiosamente, quasi si odiavano e questo ha influito tremendamente su di me. Mi coccolavano, mi vezzeggiavano quasi una volesse· dimostrarsi migliore dell'altra. Io non avevo niente da competere perché quando facevo le elementari, tutte e due erano già all'Università ... Però assistere continuamente alle loro lotte mi faceva venir voglia di scappare. Era tanta la loro inimicizia che la più grande un giorno mi ha detto: "Senti cosa mi succede. Quando mi chiedono quante sorelle ho, io di istinto rispondo 'una'. E invece ne ho due, lo so benissimo, ma per tanti motivi una delle mie sorelle dentro di me è morta. Eppure, mentre ti dico questo, sento di mentire, perché se fosse morta davvero, io non sentirei tanta aggressività per lei o non mi seccherei tanto per quello che a volte dice". Se si trattasse di un'amica, anche profondamente amata, se qualcosa distrugge il rapporto, ebbene, lei muore davvero, senza ripensamenti, invece con nostra sorella non è così: voleva il mio parere, voleva sapere cosa ne pensavo i0. Per me è stata una tortura perché io amo anche quell'altra sorella, non riesco a prendere parte ai loro conflitti. Anche adesso che la distanza di età non conta più tanto fra noi, questo loro continuo attaccarsi, incide su di me e mi allontana». Un altro aspetto che salta fuori in certi rapporti fra due sorelle con notevole distanza di età, è che la piccola identifichi la grande con la madre, come più o meno si è visto in alcune delle storie precedenti. Allora tutti i sentimenti negativi, aggressivi che vengono controllati nei confronti della madre, si dirigono verso la sorella. Simbolicamente vuoi far fuori la madre e allora fai fuori la sorella. Con ogni mezzo: farle sparire le cose, imbruttirla con i giudizi, le opinioni, cercare di portarle via l'uomo. Ma sono sempre anche 105

questi comportamenti ambigui, poiché spesso si mescolano alle lodi, alle esaltazioni. Negli ultimi quattro anni più di 250 studiosi si sono occupati delle conseguenze che l'ordine di nascita produce su vari tratti del comportamento, come la stima di sé, il coraggio, il conformismo, la tendenza alle nevrosi: la maggior parte di loro ha concluso che l'ordine di nascita è un fattore significativo - se non proprio determinante - dello sviluppo futuro. Per dovere di cronaca, riferisco una ricerca di tipo nettamente scientifico secondo la quale certe differenze fra sorelle (e fratelli) rispetto all'ordine di nascita, sarebbero dovute a una diversa concentrazione degli ormoni sessuali nel sangue. Un importante studio in tal senso è stato fatto da Eleanor Maccoby e dai suoi collaboratori all'Università di Stanford, negli Stati Uniti. Furono prelevati campioni di sangue dal cordone ombelicale di 250 neonati e fu scoperto un tasso di progesterone e di estrogeno maggiore nei primogeniti. Questo fatto non si potrebbe spiegare né con l'età della madre, né con il peso del bimbo, né con la durata del parto. Non esistono nemmeno, fino ad oggi, prove che un eventuale maggiore tasso di ormoni nel sangue determini, a sua volta, differenze nello sviluppo dell'intelligenza e delle relazioni sociali. Seguendo una simile impostazione, molte analisi sui rapporti fra sorelle e fratelli sarebbero pertanto da rivedere. Tuttavia è impossibile stabilire se certe differenze nascono dalle diverse indoli e psicologie o non derivino piuttosto dal contesto familiare, il quale si comporta diversamente con il primo figlio, il secondo e via dicendo. Io propendo per la seconda ipotesi, anche se poi questo dato "sociologico", per così dire, finisce per determinare a sua volta, realtà psicologiche. Un fattore preminente della differenza fra i figli rispetto al loro ordine di nascita dipende dalle interazioni con i genitori e gli altri membri della famiglia. Anche se nati nello stesso nucleo, infatti, non tutti crescono nello stesso ambiente: con il tempo cambiano le condizioni economiche, cambia la disponibilità dei genitori, cambiano le loro aspettative e le loro richieste nei confronti dei figli. Blanche

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Jacobs e Howard Moss hanno osservato, per esempio, 32 primogeniti e altrettanti secondogeniti nei primi tre mesi di vita. L'osservazione è stata fatta in due sedute, ciascuna di sei ore: fu rilevato che le madri, a parte l'allattamento, dedicavano minore tempo ai secondogeniti: pertanto questi ultimi possono rendersi conto, crescendo, di avere avuto minori attenzioni. Nello stesso tempo però, tale atteggiamento della madre è anche un fattore positivo: infatti i secondi si sentono più liberi rispetto ai primogeniti, sui quali vengono fatte troppe pressioni. ,, Joseph Schaller, in una ricerca condotta all'Università di Goeteborg su 820 studenti, ha chiesto cosa ricordavano del controllo esercitato su di loro dai genitori nell'età dai dieci ai quattordici anni. I non primogeniti avevano ricordi di molto minore controllo che i primogeniti, qualunque fosse il numero di sorelle e fratelli. Anche la Maccoby, cui accennavo prima, ha fatto una lunga ricerca sul comportamento delle madri ed è risultato che con i primogeniti intervengono più spesso nel vietare qualcosa o nel richiedere maggiore responsabilità e maturità. Questo significa che le madri, dopo il primo figlio, diventano meno ansiose, si rendono conto di avere meno perplessità sul come allevare un bambino è pertanto lasciano agli altri maggiore autonomia (fatto che la realtà ha mille volte dimostrato). I figli non-primogeniti sono pertanto privilegiati, hanno una vita più tranquilla? Sembra di sì, anche se esistono altri inconvenienti per loro: nella ricerca della propria identità personale, ad esempio, pare abbiano maggiori difficoltà dei primogeniti. Lo studioso Edgar Howarth, dopo anni di ricerche, concluse che i secondo, terzogeniti hanno molto minore stima di sé che quelli nati per primi. Alla stessa conclusione è arrivata un'altra ricerca, su studenti dell'Università di Cincinnati, condotta da Mary Schwab e David Lundgren: poiché i figli nati dopo non hanno avuto l'attenzione esclusiva dei genitori, si autoconvincono di non essere molto stimati neppure dagli altri e pertanto hanno essi stessi una minore stima di sé. Questo senso di minore autovalutazione risulta anche da un lavoro di Gail F eldman su un gruppo di donne adulte con sorelle maggiori: tutte hanno rivelato forti sensi di incertezza e dipendenza rispetto al proprio valore. Uno studioso che dà moltissima importanza nell'analisi di 107

una personalità ali' ordine di nascita è lo psicologo tedesco Walter Toman: l'ordine di nascita influirebbe addirittura sulla formazione di una futura personale famiglia. Secondo T oman, un matrimonio può riuscire meglio se riproduce i rapporti fraterni e sororali vissuti nell'infanzia dei due della coppia: per esempio, una donna che ha avuto fratelli minori si troverà bene con un uomo che ha avuto sorelle maggiori. Tale "Teorema delle duplicazioni", tuttavia, non è stato finora dimostrato. Troppi sono i fattori che concorrono nel corso della vita a determinare le scelte, le unioni, i disaccordi e le rotture. Resta certo, però, che sorelle (e fratelli) primogeniti sono "diversi" da quelli che vengono dopo e viceversa. Più o meno alle stesse conclusioni sono arrivati due psicoterapeuti americani, Bradford Wilson e George Edington i quali, dopo ventitré anni di ricer che sulle profonde diversificazioni nel destino di sorelle-fratelli a seconda dell'ordine di nascita (hanno intervistato 800 persone dall'infanzia ai settantacinque anni), hanno scritto un libro sull'argomento, Primo figlio, secondo figlio. Secondo i due autori, i primogeniti hanno maggiori possibilità di successo perché i genitori li seguono fin da piccoli con maggiore dedizione e questo rassicura il bambino, aumenta la sua personale stima tanto da portarlo anche in età adulta a fare di tutto per dimostrare le sue capacità. Però ci sono aspetti negativi in questa posizione: primo fra tutti la troppo precoce perdita del diritto di sentirsi e essere bambini. Secondo Wilson e Edington, il problema dei figli di mezzo è diverso. Se si sentono trascurati, vanno alla ricerca di qualcuno o qualche cosa cui appartenere. Questo li rende molto più socievoli e accomodanti fin da piccoli, per cui diventano facilmente popolari fra i coetanei. Cosa che di rado succede ai primogeniti, i quali sono spesso scontrosi o timidi o prepotenti o, comunque, hanno difficoltà a rapportarsi agli altri. I mediani sarebbero anche i più liberi rispetto a certe influenze familiari, quasi che più o meno inconsciamente si dicessero: « Loro non hanno mai mostrato tanto interesse per quello che facevo, non si aspettino adesso che io abbia fiducia e mi confidi». Il mediano sarebbe un poco lo spettatore di fronte alle commedie del piccolo e alle inquietudini del grande. I minori (sempre in genere ovviamente), anche se sono più vezzeggiati e coccolati, facilmente covano il complesso di essere gli "ultimi", anche in senso psicologico. Sovente 0

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si sobbarcano fatiche incredibili per dimostrare a sé e agli altri che valgono qualcosa. Se ci sono più di dieci anni di distanza tra un figlio e l'altro si formano mondi diversi e i piccoli tendono a considerare la sorella o il fratello maggiore come genitori. Vanna Giaconia, consulente presso il Tribunale dei minorenni di Milano, ha avuto numerose esperienze di rapporti fra primogeniti, secondogeniti e ultimi figli. « L'invidia nasce dall'ammirazione di chi ha meno nei confronti di chi ha qualcosa in più», dice. « Nella sorella minore, l'invidia si manifesta tentando di svalutare il privilegio di cui ha goduto la sorella maggiore~ svalutando la sorella. Nella mia esperienza clinica», coritinua, « mi è capitato spesso di osservare questo tipo di invidia. La sorella maggiore, a sua volta, nel tentativo di vincere la "propria" gelosia, fa da "mammina" alla minore. Tenta anche in questo modo di soppiantare la madre, di porsi come una madre migliore. Il vantaggio così è di spiazzare la madre e di dominare la sorella. La sorella minore, in genere, si difende tentando di essere migliore della maggiore, operando sul concreto. E in genere ci riesce. I secondogeniti, infatti, vivono meglio dei primogeniti. Si dice perché i genitori hanno fatto la loro esperienza con il primo figlio, ma credo che giochi molto anche l'incentivo del secondogenito a essere "meglio" per essere più amato dai genitori». Un caso positivo di risoluzione di queste difficoltà è quello che racconta ancora Vanna Giaconia: « Conosco una bravissima psicologa, la maggiore di quattro sorelle, la quale, fin da bambina, era riuscita a sublimare la propria gelosia osservando le sue sorelle, ascoltandole, rendendosi molto disponibile al loro bisogno di comurucaz10ne. Ne è uscita con un raro talento alla professione di psicologa!». Ho trattato lungamente le diversità dei sentimenti che agitano primogenite, secondogenite e ultime nate per esaminare da un'altra ottica il complesso mondo dei sentimenti sororali. Di rado si pensa che due o più donne nate dalla stessa famiglia abbiano avuto esperienze emotive tanto diverse perché sono nate prima o dopo. Invece è un dato di fatto che può incidere sulla qualità dei rapporti fra sorelle fino ali' età adulta e può anche spiegare certi conflitti e certe inconciliabilità. 109

SESSO E SORORALITÀ

« Ma cosa vuol sapere di me e mia sorella?», mi aggredisce una giovane donna sui trent'anni, insegnante, sposata, che aveva accettato volentieri di parlarmi dei rapporti con la sua unica sorella di qualche anno più giovane di lei. Il tono della sua voce è aggressivo e nello stesso tempo difensivo. « Quello che preferisce», rispondo tranquillàmente. « Se non mi vuole dire niente, faccia pure. Lei sembrava contenta di parlarmi di sua sorella, mi ha detto che è stata una persona che ha inciso fortemente sulla sua vita e io aspetto ... ». « Mi scusi, è più difficile di come credevo parlarle di lei. Mi attrae e mi respinge nello stesso tempo... Io credo di sapere il perché. Da bambine, verso i dieci anni o giù di lì, io mi sono innamorata di lei ... Non so se è giusto dire che ero innamorata, la verità è che con lei ho sperimentato le prime emozioni sessuali e i primi terrori per quello che sentivo. È cominciato per caso, una volta c'era il temporale, facevamo i compiti, ci siamo chiuse in un armadio e ci siamo abbracciate forte forte». Mentre mi parla la giovane donna che mi sta davanti comincia a sudare, a tremare, fa uno sforzo tremendo per controllarsi, tanto che le dico che se vuole può anche smettere.« No, anzi, forse mi fa bene parlare di quei tempi lontani. Non mi ero mai resa conto di quanto quegli anni hanno influenzato il nostro rapporto di donne adulte. Quel giorno io la baciai sulla bocca e provai una emozione talmente violenta che mi sentii male. Poi uscimmo dal1' armadio e io ero spaventata di quello che lei avrebbe fatto o detto. Invece non fece e non disse proprio nulla. Tutto continuò come niente fosse successo. Così, giorno su giorno, io cercavo scuse per tenermela vicina e lei ci stava, ma non ne parlavamo mai. L'abbracciavo, l'accarezzavo, io provavo un piacere fortissimo, mi girava la testa, non sapevo niente di quello che mi capitava e non sapevo, 113

soprattutto, quello che provava lei. Ho come una nebbia di quegli anni, credo che siano stati almeno due o tre. Li ho allontanati dalia memoria. Ero gelosa delle sue compagne di scuola, ero gelosa di chiunque le stesse intorno. Ma soprattutto mi vergognavo, mi sentivo colpevole. Nessuno mi aveva mai detto niente del sesso. Un giorno, ricordo, la mamma e la zia parlottavano della nostra cameriera che aspettava un bambino senza essere sposata e questo mi riempì di terrore. Quel pensiero mi rodeva: cosa poteva succedere a me e a mia sorella se continuavamo con quei baci e quelle carezze e quelle emozioni? Poi tutto fìnì, non so bene quando. Forse alla mia prima mestruazione che mi fece sentire più grande. Con il tempo mi sono resa conto che mi è rimasto un costante senso di colpa, ho sempre avuto paura che mia sorella mi "denunciasse", non saprei usare parola più appropriata per spiegare quello che ho provato e provo ancora adesso. E poi l'angoscia di avere amato una femmina ... Oggi siamo molto diverse mia sorella e io. Lei è pittrice, se ne è andata all'estero, non si è sposata, ha avuto parecchie storie d'amore. Io sono insegnante di matematica, mi sono sposata giovanissima e ho due fìgli. Siamo due donne completamente diverse. Ma questo non spiega, secondo me, il senso di imbarazzo, di soggezione che proviamo una di fronte all'altra quando ci vediamo. A me basta che lei faccia qua~che osservazione sul mio "perbenismo" perché io mi senta sotto accusa o presa in giro. Allora reagisco, divento aggressiva e finiamo per litigare. Se riuscissimo a ricordare insieme quei tempi lontani, forse ci rideremmo sopra oppure ci troveremmo più vicine, chi lo sa! Così come stanno le cose, siamo bloccate». Ho riportato per intero questa testimonianza perché mi sembra contenga una quantità di spunti per riflettere su un aspetto delicato dei rapporti fra sorelle, quello delle eventuali prime esperienze erotiche fatte insieme. Questa angolazione della relazione fra sorelle è tremendamente difficile da esaminare nella sua giusta luce perché contiene un doppio tabù, quello dell'incesto e quello dell'omosessualità, entrambi portatori di angosce e di sensi di colpa. È ben vero che in tanti Paesi del mondo (e in parte anche da noi) parecchie interdizioni sessuali sono cadute nel passaggio da una generazione ali' altra e nello spazio di pochissimi anni: recentemente

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è arrivata dalla Svezia notizia di legali "nozze" fra un fratello e una sorella che vivevano da tempo more uxorio. Ma la realtà è ben diversa, carica di contraddizioni, di lacerazioni, di sensi di colpa: certe esperienze possono essere - oggi come un tempo - fonte di terrori e smarrimento. Dice giustamente Nora Galli de' Paratesi in Semantica dell'eufemismo: « Sui rapporti omosessuali fra donne l'interdizione (linguistica) è ancora più forte ... il linguaggio comune non offre termini specifici, per cui si ricorre a perifrasi come "madre e figlia (erano) legate da un affetto mor!J,oso ". Così troviamo attaccamento morboso, rapporto morboso». Perifrasi che definiscono allusivamente a una realtà malata e che nascono da una violenta repressione. A questo punto, credo di dover fare una precisazione. In certe classi del sottoproletariato o fra contadini isolati, tutto ciò che ri" guarda il sesso, il contatto fisico ha caratteristiche meno complesse. Esiste una sorta di "naturalità" aiutata dalla promiscuità, dalla coabitazione, che sdrammatizza in parte i rapporti incestuosi o omosessuali. Ma nelle altre classi sociali l'eventualità di tali rapporti è fonte di sensi di colpa e di conflitti. Quando ho cominciato a lavorare sull'ipotesi che la prima "amante" di una donna poteva essere stata una sorella, non avevo alcun pregiudizio sulla realtà di questa evenienza. Era un caso raro? Era un awenimento che si verificava con frequenza? Più comune una volta, quando le ragazze avevano scarsi contatti con l'altro sesso fino al matrimonio oppure adesso che tante ragazzine sembrano muoversi con estrema disinvoltura in tutto ciò che riguarda la sessualità? Un ostacolo che in un primo momento mi è sembrato insormontabile per capire di più questa realtà sono state le reazioni delle persone cui mi sono rivolta: smarrimento, paura, rossori, prese di posizione moralistiche. O ancora reazioni di ribrezzo, di scandalo, di ribellione, di fastidio. E questo, in modo abbastanza simile per tutte le età, per ogni tipo di donna. Ma proseguendo l'indagine ho ottenuto risultati insperati. Ho constatato, per esempio, che sono tante le donne che hanno scoperto attraverso la figura fisica di una sorella i primi stimoli sessuali o le prime curiosità erotiche in senso lato. La voglia di essere seducenti o di venire sedotte, la scoperta di una femminilità prima ignota, la percezione del proprio corpo erotico e del piacere che si prova con il toccarsi. Tale scoperta del corpo sessuale fra sorelle è 115

indubbiamente agevolata dalla non-interdizione sociale: si può dormire insieme, giocare insieme, fare il bagno insieme, svestirsi una di fronte all'altra. Se in certi contesti borghesi si bada tuttora a una divisione di habitat fra sorelle e fratelli, quando ci sono soltanto ragazze non si bada. Questa confidenza che non pone censure nel1' ambito della famiglia, più di una volta ha creato i meccanismi erotici di cui dicevo. « Ricordo che quando mia sorella più grande si è sviluppata nei seni, per me è stato uno choc vederla nuda», mi dice una ragazza oggi trentenne. « Io avevo soltanto dieci anni e lei circa quattordici.

Da quel giorno non perdevo ·occasione per guardarla ogni volta che si spogliava e mi sembrava bellissima, più delle attrici che vedevo sui giornali o al cinema. In qualche modo ero innamorata di lei, mi emozionava guardarla. A volte le chiedevo se potevo lavarle la schiena e poi, sperando che non si tirasse indietro, le lavavo anche i seni ... Per quello che ricordo, la mia adolescenza è stata perseguitata dall'immagine di mia sorella nuda. Quando poi anch'io sono diventata donna, avevo vergogna di spogliarmi davanti a lei, perché temevo che provasse quello che anni prima io avevo provato per lei. Mi rendo conto adesso che lei, forse, non avrebbe fatto caso ai miei seni, ma allora sentivo così...». Un'altra giovane donna mi ha raccontato che il corpo della sua sorella più piccola è stato come una persecuzione per lei: era così bella, così ben fatta che aveva sempre voglia di abbracciarla. « Oggi sono una donna, ho fatto tante esperienze d'amore, so cosa vuol dire il bisogno di stringere a sé un corpo, eppure se devo essere sincera, quello spasimo, quella voglia impellente che ho provato per la mia sorellina erano più forti di quelle che provo ora per un uomo che amo. Questi ricordi hanno lasciato in me una strana sensazione: ogni volta che vedo questa mia sorella che adesso è una donna anche lei, ho voglia di trattarla male, di dirle cose cattive, di essere sgarbata. Mi sono chiesta tante volte il perché e ho capito che, siccome lei anche adesso di natura è affettuosa, tenera, piena di coccole, piena di moine, io provo lo stesso desiderio e lo rifiuto. Ho paura che lei se ne accorga e preferisco esserle antipatica». Un'esperienza di forti emozioni erotiche provate per una sorella me la racconta una donna che ha ora circa quarant'anni. « Mi sono 116

posta mille volte il problema delle mie sorelle. Siamo tre, tutte diverse, tutte problematiche, tutte intellettuali e complicate. Ma soltanto con una di loro io ho vissuto una storia particolare: anche se non ho avuto veri e propri rapporti fisici, d'amore concreto, io credo proprio di essere stata sempre "pazzamente innamorata" di lei. Lo dico con un po' di ironia, ma fino a un certo punto. Quando eravamo ragazzine non ci facevo tanto caso alla possessività che provavo per lei, ma poi ho dovuto riflettere. Non ero gelosa dei maschi soltanto, ero gelosa di chiunque la accostasse, la,,consideravo una "cosa mia". E questo sentimento lo provo anche adesso, per paradossale che sembri. Siamo tutte sposate, abbiamo mariti e figli, ma se qualcuno mi dice che ha saputo da questa sorella qualcosa che lei non ha confidato a me, guai a Dio! Le faccio certe scenate! Questo è proprio come un amore, nemmeno del mio uomo sono mai stata così gelosa. Non parlo della gelosia come normalmente la si intende nei rapporti familiari, mamma, papà, eccetera, parlo di un sentimento diverso, quello che ha implicazioni sessuali, del tutto simile alla gelosia che si prova in una relazione amorosa». Se si esamina tale realtà al di fuori di ogni giudizio moralistico e di ogni preconcetto, si scopre che ha una sua logica quasi rigorosa. Anni di studi sulla sessualità femminile hanno dimostrato le intuizioni dei poeti e dei romanzieri: la sensibilità erotica della donna, al contrario di quella dell'uomo, non è concentrata sui genitali, è diffusa in varie parti del corpo, ha un risveglio piuttosto lento, è stimolata dai sentimenti e dalle trame affettive. Secondo lo studioso O. Schwarz, in Psicologia del sesso, « ... fin dall'inizio la sessualità è una funzione biologica per il maschio, mentre nella femmina è principalmente fenomeno psicologico». Anche Alfred Kinsey, il ricercatore americano che per primo, negli anni cinquanta, analizzò il comportamento sessuale di maschi e femmine, arrivò a questa affermazione: « Per quanto riguarda la capacità di reagire a stimoli psicosomatici, la femmina e il maschio sono effettivamente diversi». Helen Deutsch, la psicanalista polacca alla quale si devono approfonditi studi sulla psicologia della donna, afferma che « la vita sessuale della femmina rimane più inibita di quella dell'uomo ... Per fattori biologici e anatomici. Senza dubbio l'azione di questi fattori è nella ragazza resa più forte dall'educazione, vale a dire dalle influenze sociali, ma 117

per quanto importante, la loro parte è sempre secondaria. Il problema della frigidità femminile, che è spesso stato oggetto deHe ricerche psicoanalitiche, non può essere compreso a fondo se non si tiene conto del fatto che nella donna vi è una inibizione costituzionale che non ha l'equivalente nell'uomo». I processi legati a questa inibizione si formano durante l'adolescenza. « Un processo di sublimazione rende la sessualità della donna più spiritualizzata di quella dell'uomo. Il bisogno di un erotismo sublimato è così insito nella psiche femminile che quelle ragazze le quali si rifiutano di ammettere la necessità che l'amore sia platonico, ideale, e iniziano prima del tempo una vera attività sessuale, hanno poi per reazione un senso di vuoto e di delusione». Non solo, ma possono provare, in seguito, una scissione sempre più penosa, tra la sessualità e l'aspirazione per un amore ideale. Oltre a questo, la localizzazione segreta, interna degli organi genitali crea nella femmina, fìn dall'età preadolescenziale, un senso di incertezza, di mistero nei confronti del sesso, sconosciuta al maschio. Il quale, fin da piccolo, vive più liberamente la sua sessualità o almeno il suo organo genitale. La cultura lo favorisce: in famiglia il suo "pisello", "pisellino", "uccello", "uccellino", eccetera sono generalmente vezzeggiati, sono motivo d'orgoglio più o meno celato, e lui lo sa. Se si tocca, non viene rimproverato con troppa durezza e anche questo lui lo sa. I sensi di colpa, almeno da questo lato, nel maschio non nascono automaticamente dall'equazione sesso = peccato. Questa realtà, infìne, si complica con le difficoltà legate all'immagine sociale che una ragazzina tenta di farsi. Oggi, poi, la sua identità di futura donna è complicata dalle diverse prospettive che ha davanti: libertà o tradizione? Insegnante, intellettuale, giornalista, medico, mgegnere, diva del cinema o della canzone oppure moglie, madre, persona che vive in funzione del benessere altrui, di marito e figli? Ma il pro~lema non è soltanto quello di due stili di vita diversi, è quello delle ·caratteristiche sessuali che tali differenti scelte comportano. Per il ragazzo, anche questo problema non si pone: ci sono qualità tradizionalmente "maschili", come il coraggio, l'intelligenza, il potere, la competizione, il desiderio di successo che armonizzano facilmente con una immagine esterna, oggi come ieri. Per la ragazza 118

non è così chiaro: l'idea di affrontare un ruolo non tradizionale può farle temere di perdere quella "femminilità" che vagamente sente nascere dentro di sé. O comunque di perdere una forza di seduzione che negli anni dell' adoles~enza le sembra fondamentale per diventare donna nel modo giusto. Le hanno sempre detto che è così, non bastano certe rassicuranti riviste femminili che tentano di dimostrare che si resta fascinose donne facendo duri mestieri da uomo ... /

E poi nell'inconscio di una femmina lavora incessantemente ciò che le è stato inculcato con il latte di mamma: l'educazione ancora oggi tenta di spegnere in lei certe caratteristiche di autonomia, di fantasia, di libertà. La creatività, della maggior parte delle bambine, è definitivamente spenta all'ingresso nella scuola elementare. Alcune ne conservano qualche traccia, ma dovranno superare lo scoglio dell'adolescenza e l'incontro con l'altro sesso quando dovranno decidere fra la realizzazione di sé come individuo e il piegarsi alle esplicite richieste di "femminilità" da parte maschile che le costringeranno a comprimere ulteriormente la loro personalità creativa. Per essere accettata dovrà essere anche una donna e sarà costretta a unire il peso del lavoro professionale a quello che implica la sua femminilità. Ogni autoaffermazione diminuisce la femminilità e la possibilità di seduzione... La donna non sale di valore agli occhi degli uomini accrescendo il proprio valore umano, ma modellandosi secondo i loro sogni ... Essere femminili significa mostrarsi impotenti, frivole, passive, docili. Tenuto conto di queste ambiguità, diciamo psicologiche, è facile capire in quale contraddizione di modelli possa muoversi una ragazzina. Molte, nell'età dello sviluppo, hanno difficoltà « ad accettare il loro sesso e a identificarsi con esso. Diversi studi a questo riguardo hanno dimostrato che molte bambine avrebbero preferito essere maschi, mentre il contrario è eccezionale», nota il francese M.-J. Lauwe, in una inchiesta dal titolo Il bambino e la sua immagine. Questo capita soprattutto alle femmine con indole, carattere, tendenze che mal si conciliano con le richieste sociali. Avere pertanto vicino una o più figure femminili alla pari, con poca diversità di età - come generalmente sono le sorelle - permette un duplice pro119

cesso. Primo, sperimentare emozioni e pulsioni segrete senza troppe difficoltà; secondo, confrontarsi con dei modelli, sia quelli desiderati che quelli rifiutati. Una sorella molto simile può diventare un alter ego, che rafforza in "io" ancora incerto, con cui ci si può identificare e grazie alla quale viene appagato l'amore di sé. All'opposto di questa scelta narcisistica, si possono smuovere sentimenti per una sorella dissimile che aiuta a scoprire e chiarire tutto ciò che non si vuole essere e non si vuole diventare. Comunque sia, nell'infanzia e nell'adolescenza, tale processo detto "identificazione" (imitazione inconscia attraverso la quale un soggetto uscendo da sé adotta modi e comportamenti di un'altra persona) con un genitore o un familiare stretto è un fenomeno abbastanza comune che aiuta una personalità a definirsi e a adattarsi alla realtà. Ho raccolto numerose storie nelle quali è venuto fuori questo meccanismo di identificazione o di rifiuto verso sorelle a sfondo fortemente sessuale. « Ricordo che verso i quindici anni», mi dice una giovane donna, « guardavo mia sorella di diciotto dalla mattina alla sera. Ogni gesto, ogni sguardo, ogni muovere di ciglia li esaminavo come avrebbe fatto un uomo ... Volevo vedere cosa le donava di più e cosa di meno, per copiare il suo modo di fare e avere lo stesso aspetto. Invece con un'altra sorella mi capitava il contrario: di lei vedevo soltanto i difetti, le cose che non mi piacevano. Aveva il seno troppo grosso, il sedere troppo basso, i fianchi troppo larghi. Il suo essere femminile non mi piaceva, mi ripugnava anche un po': mi faceva venire in mente quelle mogli mammone che dicono sempre di sì, che fanno finta di essere contente di tutto e poi piangono dietro le spalle degli uomini ... ». Una ragazza di venticinque anni, che fa l'indossatrice, con una sorella di trenta, ricorda: « Quando penso alla nostra adolescenza, mi sento ancora male... Io seguivo mia sorella come un cagnolino. I genitori e i parenti mi prendevano in giro, dicevano che io la volevo imitare. Forse avevano ragione a esprimersi così, ma non sapevano che io non volevo affatto imitare la sua bravura a scuola, i suoi successi con il violino, la sua simpatia, io volevo imitare il suo modo di sorridere, il suo modo di muovere le mani, di accavallare le gambe. Siccome ero più piccola, era naturale che le sedessi in braccio, lo facevo persino quando eravamo più grandine. Ma in verità io mi accucciavo vicino a lei perché volevo toccarla, sentire come era il 120

suo seno, riuscire a guardarle il viso da sotto in su, accarezzarle le mani. Ricordo bene tutto questo e ricordo anche quali emozioni provavo. Senza che mai lo abbia saputo, lei è stata quella che mi ha insegnato a capire la mia femminilità». In relazione alla difficoltà di identificazione con il proprio sesso, diventano più comprensibili le numerose esperienze di cui mi è stato raccontato, in cui il gioco sessuale infantile o adolescenziale si esplica attraverso i ruoli maschio-femmin,1. È stato molto difficile far parlare le donne su questo argomento, più difficile di quando mi hanno parlato di rapporti donna-donna. Forse la paura di sentirsi omosessuali è ancora meno angosciosa di quella di essersi sentite maschi? « Ho memoria precisa dei giochi che facevo con la mia sorellina piccola quando avevamo più o meno dodici anni io e circa nove lei. Fu un periodo di un anno. Io mi sentivo suo marito... Forse copiavo i miei genitori, non lo so, ma non mi sentivo affatto la moglie. Perché? Più tardi, verso i venticinque anni sono andata in analisi perché non riuscivo a stabilire un rapporto sentimentale decente, ero incerta su tutto, sul lavoro, le amicizie, me stessa. Naturalmente è venuta fuori anche questa esperienza e ho capito che io mi sentivo il "marito" perché in casa avevano troppo a lungo soffocato certe m_ie caratteristiche. Invece quella mia sorellina era tutto ciò che la gente dice che una femmina deve essere: dolce, arrendevole, carina, passiva, un po' lagnosa ... Se devo essere sincera, quell' esperienza non ha lasciato nessuna traccia particolare fra noi: diverse eravamo e diverse siamo. Abbiamo poche r:ose in comune anche adesso che siamo adulte, ci vediamo di rado. Lei è diventata una perfetta moglie e credo che stia benissimo in questo ruolo anche se ha soltanto vent'anni. Io, per quanto ancora confusa, sono l'opposto di lei. Il problema è tutto mio, nasce da quello che mi sono portata dietro di colpevole, di confuso sulla mia identità dopo che ho fatto con lei quell'esperienza di... uomo». Anche un'altra giovane donna mi ha detto che soltanto quando faceva l'uomo con sua sorella si sentiva veramente se stessa. « Almeno potevo tirar fuori il mio vero carattere, anche se era soltanto un gioco. Non so se è stata una esperienza bella o brutta, però ha modificato per tutta la vita i rapporti con mia sorella. Da quei lontani anni della fanciullezza ci siamo sempre guardate con diffi121

denza. Lei si vede lontano un miglio che mi guarda come... uno che le facesse la corte». Per quanto sembri paradossale una adolescente di oggi, inoltre, può vivere stati di conflitto rispetto alla sua maturazione sessuale più complicati che una volta e tali difficoltà aiutano a chiarire meglio alcune reazioni fra sorelle. Da un lato esiste un notevole anticipo nello sviluppo sessuale rispetto a non molti anni fa. Studi recenti parlano di inizio delle mestruazioni addirittura a nove, dieci anni, contro i dodici, tredici di un tempo. Sembra che questo precoce sviluppo sia dovuto alle stimolazioni ambientali, alla pubblicità, agli spettacoli erotizzanti con cui una ragazza viene comunque a contatto. Anche lo sviluppo fisico (statura, seni, peli sul pube e sotto le ascelle) sono precoci rispetto a un tempo. Tale precocità, tuttavia, non ha un corrispettivo sociale. Infatti la vera maturazione psicosociale oggi è ritardata: la dipendenza economica, il protrarsi degli studi e quindi dell'impegno lavorativo ritardano la reale autonomia di una ragazza. A volte fino ai venti anni e oltre. Esiste una interessante teoria elaborata da A. Della Volta in La legge della preparazione e dell'attesa nello sviluppo sociale dell'uomo chiamata appunto "legge della preparazione e dell'attesa" per cui « alcune strutture e sistemi sono in grado di funzionare prima di quando ciò sia stato richiesto dall'organismo». Riferendoci all'attività sessuale vera e propria, quando con la pubertà viene raggiunta la maturazione degli organi genitali, l'organismo può riprodursi, ma lo sviluppo psicologico non ha ancora raggiunto la maturazione ottimale per una fun~ zione sessuale completa. Lo studioso G. Zecca Mansueto parla di questo divario fra lo sviluppo biologico e la maturazione sociale, citando alcuni esempi storici: una volta le ragazze potevano essere madri di famiglia a sedici, diciassette anni, vale a dire le funzioni venivano esercitate appena l'organismo ne era in grado, senza rispettare il "periodo di attesa". Questo poiché esistevano urgenti necessità bio-sociali: l' elevata mortalità infantile, quindi i matrimoni precoci e le numerose maternità. Tali funzioni venivano esercitate in maniera valida perché l'ambiente circostante dava loro il giusto valore. La situazione degli adolescenti di oggi, specie femmine, invece è disarmonica rispetto alla legge della "preparazione e dell'attesa". 122

Ecco perché il comportamento di molti è particolarmente inquieto e conflittuale. Fatta questa breve analisi, come si lega con una eventuale maggiore incidenza di esperienze sessuali fra sorelle? Direi in modo abbastanza automatico. Dato per scontato che una ragazzina oggi si sviluppi biologicamente e fisiologicamente molto presto, che le sue pulsioni erotiche siano molto forti, che sia più disinibita a causa degli stimoli esterni, dei modelli che ha di fronte, non altrettanto presto la sua vita sociale le concede la realizzazione di tale sviluppo. La vicinanza di una o più figure femminili all'interno della famiglia possono allora diventare il banco di prova di alcune esperienze erotiche. Non importa se vissute o immaginate. È una ipotesi che ho confrontato con una quantità di storie significative. Una ragazzina quindicenne estremamente attraente e sviluppata mi ha detto che lei non ha ancora avuto il coraggio di stare con un ragazzo ma che molto spesso, parlando con la sorella di diciassette anni, ha provato una gran voglia di sperimentare con lei certe emozioni. Un'altra, quattordicenne, mi ha raccontato che un giorno chiacchierando con la sorella diciottenne di ragazzi, di rapporti sessuali, di esperienze che alcune compagne avevano fatto, si era sentita molto eccitata e avrebbe voluto che la sorella l' abbracciasse. Un'altra adolescente mi ha raccontato che, secondo lei, non c'è proprio niente di male se una scopre un po' di sesso con una sorella. « Io, quando ho cominciato a masturbarmi per caso, poi ne ho parlato alla mia sorellina di undici anni e le ho spiegato cosa si prova. Adesso lo fa anche lei e qualche volta lo facciamo insieme». Forse testimonianze di questo tipo sono provocatorie, forse hanno un scarso valore statistico, ma credo di poter affermare che in molte adolescenti di oggi, che hanno imparato a smitizzare il sesso (almeno in teoria), quando manca il coraggio di avere rapporti con il maschio, la consuetudine sessuale con altre femmine è abbastanza comune. Anche con femmine sorelle. Al contrario, però, ho riscontrato un certo numero di casi nei quali, pur trattandosi di ragazze molto giovani, avere avuto esperienze erotiche con una sorella ha generato una sorta di rancore-odio verso quella con cui è stata vissuta tale esperienza. Quasi che diventasse la responsabile del proprio "peccato". Ecco una vicenda che 123

testimonia questo stato d'animo: « Quando avevo quattordici anni, mia sorella di sedici a furia di parlarmi di sesso, di storie d'amore, mi ha trascinata a provare con lei. Mi è piaciuto, lo ammetto, mi è piaciuto tanto che da allora (e sono passati tre anni) non ne posso più fare a meno. Da quando lei, però, si è trovata il ragazzo, non mi guarda più e allora io sono stata costretta a fare da sola e per questo la odio. Non so come vendicarmi di quello che mi ha fatto e, ogni volta che posso, la tratto male. Quando la vedo piangere, sono tutta contenta. Certe volte le faccio dispetti tremendi oppure la calunnio con i miei per farla sgridare. Insomma, mi vendico a modo mio ... Non sono gelosa di quello che lei fa con il suo ragazzo, la detesto per il vizio che ha attaccato a me». Sul tema dei rapporti sessuali fra sorelle ho intervistato la psicanalista Erika Kaufmann, la quale ha idee ben precise in proposito, molto equilibrate e sdrammatizzanti. « Secondo me», dice, « la maggior parte dei casi di masturbazione fra sorelle avvengono quando c'è poca diversità di età. In genere sono situazioni che durano poco, poi una delle due passa al ragazzo e magari l'altra soffre per un poco. A mio parere, quando sono state esperienze sessuali esplorative, gratificanti, in genere non lasciano traccia negativa. Anzi, io direi che lasciano solidarietà. Non è un problema che va ingigantito, l'omosessualità c'è anche nel mondo animale e che si esplichi all'interno della famiglia o fuori della famiglia non importa. Se nessuno se ne accorge, se nessuno fa capire che è una porcheria, allora la cosa passa tranquillamente all'altro sesso. Interessante», conclude la Kaufmann, « dal punto di vista sessuale è la richiesta di solidarietà che una sorella più grande offre a una più piccola quando ha il ragazzo. Chiede di accompagnarla, la rende partecipe in certo senso delle sue esperienze, la invita a tenerle mano, le fa tutte le sue confidenze amorose». In effetti che certe pulsioni venate di erotismo si manifestino fra sorelle non dovrebbe stupire tanto se si tiene conto che nel periodo dell'adolescenza le amicizie fra coetanei sono quasi sempre venate di sessualità. Ci si vergogna ancora di riversare tali emozioni su una persona di sesso diverso, l'uguale a sé è più rassicurante. 124

« Nella ragazza», scrive Thérèse Gouin-Décarie in De l'adolescence à la maturité, « questa amicizia più o meno tenera è spesso

seguita da una specie di venerazione che ha per oggetto una adolescente che ha qualche anno più di lei o una donna matura: maestra di scuola, superiore, insegnante... Si tratta allora di un amore tanto più appassionato, quanto più inaccessibile». Data invece la maggiore accessibilità con una sorella, la spinta e il sentimento d'amore, seppure meno esasperati possono essere identici. E in più, come si è visto, colorarsi di componenti concretamente sessuali. Anche Helen Deutsch considera normali tendenze della pubertà certe infatuazioni di questa età, l'amore ardente di una ragazza per un'amica, manifestazioni che, nonostante il loro carattere omosessuale, hanno un significate nettamente femminile. In apparente contrasto con le testimonianze che ho riportato, ne ho trovate altre nelle quali, fra sorelle, esiste una censura profonda, un pudore invalicabile sulle cose del sesso. Una discriminante mi pare di averla notata rispetto all'età. Donne che hanno oggi quarantacinque, cinquanta e più anni, in genere hanno una concezione della sessualità assai condizionata da una educazione repressiva e carica di pregiudizi. Una signora di quarantasei anni, bella, disinvolta, moderna di idee mi racconta: « Interpreti pure questo come vuole, ma io, che pure ho tradito mio marito parecchie volte, che amo moltissimo essere ammirata, che quando posso mi metto scollature da vertigine o minigonne, ebbene, di fronte a mia sorella non riesco neppure a stare in sottoveste ... Cosa vi.101 dire? Forse perché quando eravamo bambine, sempre ci dicevano: "chiudi la porta, non farti vedere" se facevamo il bagno, oppure quando ci spogliavamo per andare a letto. Quel veto, quell'abitudine a coprirsi in fretta appena uno di famiglia entrava in una stanza, a me è rimasta. Come un riflesso condizionato, anche adesso, mi succede la stessa cosa. Vuol ridere? Con mia sorella ho persino soggezione a parlare di mestruazioni o di rapporti sessuali... Non dico di quelli con i miei amanti, ma di quelli con mio marito! ». Un'altra, cinquantenne, mi ha detto che per lei le sorelle sono come delle ... suore. « Non sono mai riuscita a pensare che loro sono donne come me, che fanno l'amore. Come quando da piccola mi vergognavo a pensare se i miei genitori facevano l'amore. Con le mie 125

sorelle sto bene, perché fanno parte della famiglia, ma il loro corpo, diciamo, sotto i vestiti... è come non ci fosse». « Cosa vuole che le dica?», mi dice una sessantenne allegra, simpatica, aperta, « quando eravamo piccole ci hanno allevate come fossimo stati angioli del paradiso ... Eravamo quattro femmine, molto vicine di età e ci siamo sviluppate più o meno tutte nello stesso periodo. Pensi che in quei tempi non c'erano i pannolini da buttar via, ognuria doveva farsi il bucato delle "sue cose". Ebbene, ci crede? Non abbiamo mai parlato di quello che ci succedeva. Ogni tanto una stava un po' male, un'altra si torceva qualche ora, ma nessuno ha mai nominato le mestruazioni. Devo dirle che la parola l'ho imparata tardissimo, quando si è messa a pronunciarla mia figlia! Roba da matti! C'era più confidenza fra noi sui sentimenti, nel senso dei "fidanzati", ma tutto sempre parlando di regalini, di fiorellini, di ricami per il corredo ... Credo che fossimo talmente inibite che non provavamo nemmeno quelle emozioni di cui tanto si favoleggia oggi». In queste vicende c'è senza dubbio il segno di antiche repressioni sulle cose del sesso. Ma ne ho ascoltate altre nelle quali la soggezione fisica fra sorelle adulte nasce invece dall'affiorare di paure legate a presunte colpe infantili. Ne cito una che mi sembra significativa. La donna che parla ha quarantasette anni, è sposata con due figli. « Io ho facilità di rapporti con tutti, donne, uomini. Sono nel commercio e senza questa dote non avrei potuto avere il successo che ho avuto. Ebbene, l'unica persona con la quale mi sento inibita, innaturale, sbagliata è mia sorella. Io non sono una che stia tanto lì a pensare, bado alla concretezza, sono sempre contenta, lei, invece, è un tipo riflessivo, più profondo. Ma questo non vuol dire niente. È che fra noi c'è un'ombra antica: quando eravamo sui dodici anni (siamo molto vicine di età), in campagna, un'estate, con dei ragazzini abbiamo fatto certi giochi. Per tanti anni io non ci avevo più pensato, poi una volta che ero ammalata e avevo la febbre, mi sono ricordata come un incubo che quei giochi io li avevo fatti anche con mia sorella. E non soltanto quella volta... Mi sono ricordata di questo soltanto pochi anni fa, prima, lo giuro, me ne ero completamente dimenticata. Da allora il rapporto con mia sorella si è fatto ancora più chiuso. lo non so se lei ricorda, non so se lei ci ha pensato 126

ancora. Quando in certi momenti mi guarda fissa o mi fa un complimento per una pettinatura o un vestito, io provo come un senso di repulsione. Ne ho parlato una volta sola di questo, con una mia cliente che fa la psicologa e lei mi ha detto che dovrei approfondire questo sentimento. Ma io non voglio farlo. Accetto la cosa com'è, e basta. Adesso che lei mi domanda, ne parlo, ma un po' ci sto male. A volte guardo le mie due figlie e mi chiedo se anche loro hanno mai vissuto insieme niente di simile. Mi viene una tale paura che le sgrido per niente. Pensi che una volta lao visto un film dove c'erano due donne che facevano l'amore. Ho dovuto uscire con una scusa perché non resistevo. So bene che sono sciocchezze, a me piacciono gli uomini, sto bene con mio marito. Riguardo a mia sorella, pazienza! Ho tante altre amiche con cui confidarmi». Questa testimonianza mi sembra interessante come esempio di "rimozione", il processo interiore per cui un fatto considerato vergognoso e colpevolizzante viene affogato nell'inconscio e affiora (come in questo caso) per una situazione di esaurimento o alterazione febbrile. In questa donna, dato il suo carattere sbrigativo, realistico, poco portato all'introspezione, la faccenda non ha avuto conseguenze particolarmente gravi. Anche la vaga paura di essere omosessuale viene subito scacciata dalla asserzione: « mi piacciono gli uom1m ». Ma non è sempre cosi. Seppure con molta fatica, alcune donne di una certa età hanno tirato fuori questo pudore con le sorelle per tutto ciò che riguarda il corpo, derivato da re!lloti ricordi allontanati non soltanto dalla memoria, ma dalla parte più segreta del loro "io". « Mi sono chiesta tante volte perché con mia sorella sono sempre a disagio», mi confida una signora cinquantenne, « sono sfumature, cose di poco conto, ma io sono molto più disinvolta con due o tre mie amiche che con lei. Pochi anni fa abbiamo fatto un viaggio insieme e ci è toccato dormire nella stessa camera, anzi, nello stesso letto. Ebbene, non ho chiuso occhio tutta la notte. Di colpo, per la prima volta, dopo tanti anni, mi è venuto in mente un episodio di quando eravamo bambine e ci avevano messe nello stesso letto perché erano arrivati dei parenti e lei mi aveva chiesto: "Facciamo come papà e mamma" e mi era venuta sopra e aveva cominciato a baciarmi da tutte le parti. Io non avevo reagito, giuro che non ricordo nem127

meno che sensazioni avevo provato. Però da quella volta (e saranno passati più di quarant'anni), stare con lei mi ha sempre dato un certo disagio. Tanto per dirle, non riesco mai a guardarla negli occhi ... Io credevo dipendesse dai nostri caratteri, ma forse dipende da quel1' episodio». A qualcuno il discorso di questo capitolo potrà sembrare scabroso, ma io sono convinta che soltanto il coraggio di esaminare ogni piega della nostra intimità, aiuta a capirsi e a creare legami veri, non inquinati dall'ipocrisia. Esaminare la possibilità che esistano implicazioni sessuali fra sorelle non significa né "consigliarle" né giudicarle valide. La femminilità è una realtà affascinante, ma talvolta misteriosa e ambigua. Per questo, rapportarsi fra donne non è mai semplice. Meno semplice ancora se le donne sono sorelle perché, in quanto tali, credono di essere simili e tendono a proiettare una sull'altra parti segrete della loro natura.

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C'È UN UOMO IN CASA

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ROMÉ

Gruppi familiari in cui predominano le donne o ci sono soltanto donne si muovono con ·meccanismi psicologici diversi da quelli in cui ci sono più maschi o almeno un maschio. Quando la famiglia è impostata fra donne, o perché il padre-marito è morto, o perché è assente concretamente e psicologicamente per il lavoro, si scatenano sovente reazioni psicologiche e sentimentali complesse e contraddittorie. Quindi anche i rapporti fra sorelle sono improntati a maggiore complessità. Interessante il caso di una madre, due figlie e un padre inesistente. La madre muore e la sorella maggiore prende immediatamente il suo posto. Diventa lei la madre, sul piano del lavoro, dell' amministrazione della casa e anche sul piano sessuale, in certo senso. Più o meno larvatamente impedisce alla sorella di avere relazioni amorose e di pensare al matrimonio. La minore, comunque, si innamora, lotta e si sposa. La sorella più grande, però, vive con loro. Giustificazioni razionali ce ne sono tante: la casa c'è già, ci si può aiutare a vicenda, eccetera. Ne deriva uno sfacelo. Dopo un anno nasce un bambino, marito e moglie fra liti e incomprensioni insanabili si separano, le due sorelle si mettono a vivere insieme, in maniera assolutamente "simbiotica" di reciproca dipendenza. A spiegazione di una situazione come questa (che, seppure in modo meno drammatico, si verifica di frequente) c'è da dire che, quando nei rapporti ci si fissa su una figura materna o sororale, si stabilisce un rapporto di tipo infantile, pre-adolescenziale. La reciproca· dipendenza non cede il posto ad altre esperienze, tutti coloro

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che vengono dal di fuori e che in qualche modo si pongono come "diversi" vengono espulsi invece di essere accettati, per confrontarsi, crescere, maturare. Il classico ragazzo che non si stacca dalla madre ha qualcosa in più di una femmina che non si stacca dalla madre-sorella. Se non altro il rapporto madre-figlio può simboleggiare l'incontro-scontro fra i due sessi (vedere Figli di mamma di Anna del Bo Boffino, ed. Rizzoli). Invece il rapporto-madre-figlia (ovvero sorella-sorella) finisce per essere una circoscrizione, una limitazione, una amputazione di sé. Il confronto viene sempre fatto con lo stesso sesso. Tante volte si sente dire: «Mia sorella mi toglie l'aria, mia sorella è più bella!». Inutile spiegare che c'è sempre qualcuna più bella di un'altra, che non è poi così vero che quella sorella è tanto bella. In questi rapporti interessa soltanto il confronto con "quella": il resto del mondo non esiste. Tipico di una situazione del genere è il film Sorelle o l'equilibrio della felicità, scritto e diretto da Margarethe Von Trotta nel 1979. Maria e Anna sono come una coppia uomo-donna, dormono nella stessa stanza, si fanno scene di gelosia, quasi d'amore, fra loro esiste un fortissimo rapporto di dipendenza. Maria, la maggiore, mantiene anche agli studi Anna che, in questo modo, dipende dalla sorella non soltanto emotivamente, ma anche materialmente. Anna, sognatrice, introversa, anticonformista diventa la controfigura di Maria, attiva, volitiva, integrata. Ma, nel tentativo di difendersi dalla dipendenza assoluta, Anna si rinchiude sempre di più in sé, si emargina, ama la sorella, ma non vuole diventare come lei. Sopporta che Maria preferisca il lavoro a lei, ma quando la sorella divide il suo tempo libero con un uomo, non regge: si suicida. Con questo gesto si libera e "punisce" la sorella e il suo rapporto sentimentale. È una storia in cui la dipendenza fra due persone si fa indistricabile proprio per l'impronta di un'infanzia comune e incancellabile. Il rapporto fra le due sorelle diventa sempre più esasperato e sadomasochista, in un continuo fraintendimento di ruoli. L'amore tendenzialmente materno della sorella maggiore per la minore è insostenibile perché, al di là dei vincoli sororali che servono di sostegno alla relazione, ella vive un ruolo che non le appartiene, quello della madre e lei non è la madre. La minore, da parte sua, esige dall'altra un

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amore assoluto e vive la relazione della sorella con un uomo come un tradimento. Quando, invece, c'è in famiglia una presenza di uomo-padre o uomo-fratello, i legami fra donne si determinano fin dall'infanzia nel confronto con l'altro sesso. Conviene, anche qui, tenere conto di una discriminante legata ai tempi. Come si diceva in un capitolo precedente, fino a qualche decennio fa, le famiglie che volevano a tutti i costi un maschio, abbondavano di figJie femmine e quando (o se) il maschio arrivava, veniva trattato e valutato come un bene prezioso. Analizzando situazioni di questo tipo, ho riscontrato sensibili differenze nelle testimonianze di donne più avanti negli anni rispetto a donne più giovani. Oggi, in genere, le differenze di educazione fra il maschio e la femmina sono meno sensibili che un tempo. Ma se entriamo nel campo delle reazioni psicologiche, le varianti non sono poi così profonde: la realtà sociale si trasforma sempre più rapidamente che le strutture della psiche umana. La presenza di un uomo-fratello fa da catalizzatore a equilibrii e squilibrii, comunque, ieri come oggi. I giochi di alleanze, di antagonismo, di simpatie e di antipatie che si creano sono tuttora diversi da quelli di famiglie con sole donne. Quanto influenzi i rapporti sororali e fraterni l'atteggiamento di certi genitori che privilegiano il maschio, l'ho ricavato da una quantità di vicende che mi sono state raccontate. In quest'ambito non ho trovato reticenze, anzi! Pareva fosse una liberazione tirare fuori vecchi rancori, vecchie ingiustizie. « Io e mia sorella andavamo d'amore e d'accordo fino a quando è nato nostro fratello», mi racconta una casalinga trentottenne con una sorella di trentacinque. « Lui è nato quando io avevo quindici anni e mia sorella dodici. Prima non c'erano gelosie, papà e mamma si dividevano fra noi nello stesso modo. Al momento della nascita del maschio, mio padre sembrava impazzito dalla felicità. Un giorno - ricordo benissimo - l'ho sentito che diceva alla nonna: "Finalmente l'erede! Non ci speravo proprio più, quelle due bambine sono tanto care, ma proprio non avrei saputo come fare con loro quando fossero cresciute. Adesso avrò compagnia, so per chi lavoro tanto ... ". Senza accorgercene, tutte e due cominciammo a litigare, ogni volta che ci awicinavamo a lui per chiedergli qualcosa. Se una 133

di noi vedeva che papà si rivolgeva all' àltra, faceva qualche dispetto per attirare l'attenzione. Non so bene, è passato tanto tempo da allora... Però i conflitti fra noi due risalgono a quei periodi». Assai più numerosi i casi in cui la complicità di una madre verso il figlio maschio scatena la competizione e la gelosia delle sorelle o di una sorella, segnando e modificando il loro rapporto in modo definitivo. La storia che segue è emblematica: « Ognuna di noi tre non sognava altro che di andarsene presto di casa. Per noi non c'era mai stata una carezza, mai un'attenzione: nostra madre era innamorata del figlio. Abbiamo studiato tutti e quattro, ma soltanto quello che lui fa è degno di riconoscimento. Per lui ha sempre trovato i soldi per i divertimenti e lo sport, per noi c'erano soltanto difficoltà e sacrifici. Il brutto è stato che questo atteggiamento di nostra madre, a lungo andare, ha anche cambiato i suoi rapporti con nostro padre. Li sentivamo litigare, lui si lamentava che lei lo trascurava, che pensava soltanto al maschio. Lei si difendeva, dicendo che tutta la vita aveva aspettato da un uomo le attenzioni e le delicatezze che aveva dal figlio e non aveva mai avuto da lui, marito. Insomma, un vero inferno. Io adesso vivo con un'amica e, appena preso il diploma, mi sono trovata un lavoretto pur di andarmene di casa. Ma le altre due, poverette, si sono sposate ancora ragazzine con il primo che glielo ha chiesto, pur di scappare da quell'ambiente. E per nessuna delle due le cose vanno tanto bene. Ma peggio di tutto è che noi tre non riusciamo nemmeno ora ad essere veramente amiche perché, ogni volta che ci incontriamo, parliamo soltanto delle ingiustizie di nostra madre, della sua preferenza per nostro fratello, la critichiamo, ricordiamo le sue ingiustizie. I loro mariti si arrabbiano, dicono che noi siamo impossibili, che la facciamo troppo lunga, che siamo soltanto donnette gelose e che dovremmo finalmente maturare. Conclusione: cerchiamo di vederci il meno possibile e ci stiamo perdendo per strada». Molto interessante il meccanismo sorella-madre verso il fratello minore che mi sembra ben esemplificato dalla storia di una donna sui trent'anni con una sorella di ventotto e un fratello di dicias-

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sette. « Quando è nato il prezioso maschio io avevo tredici anni. Fu un awenimento straordinario! Nostra madre stette male parecchio tempo e, anche se in casa ci stava una zia, io cominciai a prendermi cura del mio fratellino ogni volta che potevo. Facevo i compiti con lui in braccio, lo cambiavo, me lo portavo a letto con me. L'altra sorella aveva undici anni, era giocherellona, un po' sbadata e tutti le dicevano che non doveva toccare il bambino, altrimenti, magari, lo faceva cadere. Lei si arrabbiava, diceva che era colpa mia se pensavano così di lei, p,,erché io volevo tenerlo tutto per me. Con il passare del tempo, mio fratello si attaccò tantissimo a me, non faceva un passo se io non lo accompagnavo. Soltanto io potevo fargli mangiare qualcosa che non gli piaceva, soltanto con me, più tardi, faceva i compiti. In casa ridevano, dicendo che la vera mamma di quel bambino ero io ... Quando diventammo tutti più grandi, mia sorella incominciò a detestarmi per questo rapporto con il fratello. Lui non la poteva soffrire, le faceva malefatte di tutti i tipi, ma io credevo che fosse lei a istigarlo con le sue malegrazie e i suoi dispetti. Una volta abbiamo avuto una scenata tremenda io e lei: mi ha incolpato di avere fatto di tutto perché nostro fratello la detestasse, mi ha detto che io sono gelosa perché lei gli sarebbe stata più simpatica e invece io ho voluto portarglielo via. Ricordo bene questo periodo, una diecina di anni fa. Oggi siamo adulti, nostra sorella è andata a vivere con il marito in un'altra città, non ci vediamo quasi mai. Lei sostiene che la nostra non è mai stata una famiglia e che i veri sentimenti lei li ha provati e li prova per gli amici. Io e mio fratello, invece, la pensiamo diversamente. Nessuno dei due cambierebbe né la famiglia che ha avuto né i genitori che ha avuto». La presenza di un fratello quando ci sono più di una sorella agisce molto spesso da catalizzatore alle prime esperienze con il sesso oppost~. Owiamente conta molto se c'è un fratello maggiore e poi due o tre femmine, oppure se il fratello è il minore. Nel primo caso si stabilisce una quasi automatica identificazione del fratello con il padre: i giochi, le alleanze, le simpatie o le antipatie si spostano dalla figura maschile più adulta a quella più giovane. Normalmente la presenza di un fratello ma_ggiore determina anche una più 135

costante presenza di maschi-amici in casa, aumentando le possibilità di confronto con il sesso opposto fin dall'infanzia e dall'adolescenza. Le combinazioni che si concretizzano sono svariate: o si stabilisce una forte alleanza dell'elemento femminile "contro" il maschio oppure una delle femmine diventa la "preferita" del fratello determinando l'ostilità delle altre. La psicanalista Pierrette Lavanchy, specializzatasi in Svizzera in psicologia infantile, che ho interpellato per questo lavoro, mi ha parlato di un caso di grave conflitto fra due sorelle e un fratello, conosciuto nel corso della sua esperienza professionale. « Una donna adulta, sui trent'anni, la seconda di due sorelle. In casa c'era anche un fratello più giovane. Tutto l'odio sembra concentrato sul fratello, ma in breve mi rendo conto che le cose non vanno bene affatto neppure fra le sorelle. Detestano svisceratamente il maschio perché è maschio, perché ha avuto benefici e vantaggi dalla famiglia che a loro non sono stati concessi, ma questo non le ha rese più solidali. Una parte di questo sentimento negativo la riversano una addosso all'altra, quasi a misurare chi delle due è stata più infelice o più maltrattata. Vorrei fare un'osservazione, però, che mi sembra importante: almeno in questo caso, ho notato che questo odio è stato verbalizzato, esplicitato a me analista, ma nel1' ambito familiare non si manifestava completamente nella sua crudezza. Lì permaneva una sorta di indulgenza, una ricerca di convivenza, spesso un "far finta di niente", senza troppi conflitti. Il sentimento cattivo lavorava dentro, ma la censura moralistica impediva di tirarlo fuori del tutto. Con le conseguenze immaginabili: vale a dire che una di loro ha dovuto venire in analisi... Forse se fossero riusciti tutti quanti a parlarsi fino in fondo, a litigare magari, sarebbero stati più sani, meno infelici». Spesso la presenza di un fratello serve come esercizio di qualità femminili tradizionali per almeno una delle due sorelle: nel senso dell'accudimento, dell'essere servizievoli, quasi un tirocinio, una preparazione a ciò che poi avrebbe fatto da adulta per il marito. «Ricordo che fra me e mia sorella l'inimicizia e l'antagonismo sono nati fin da quando eravamo piccole, per un fatto ben preciso», racconta una giovane donna, con una sorella quasi coetanea e un fratello di parecchio maggiore. « Tutte e due gareggiavamo per esse136

r re approvate da nostro fratello, ma in maniera diversa. Lui forse si divertiva con noi oppure gli faceva comodo, chi lo sa? Fatto sta che io, appena lui entrava in casa correvo a portargli le pantofole, quando si apparecchiava, controllavo che al suo posto ci fossero le sue posate preferite con le iniziali sopra. Oppure gli mettevo i fiorellini sulla scrivania, oppure gli cercavo dal tabaccaio dei fiammiferi speciali. Non ricordo nemmeno più quali e quante cure avevo per lui. E lui mi ricambiava. Diceva: "Cosa farei senza di te?", oppure "Ah! io non prenderò mai moglie con una sorellina così". L'altra sorella, / invece, cercava sempre di parlare di libri. Era più brava di me a scuola e si dava un sacco di arie. Per attirare l'attenzione di nostro fratello gli chiedeva di aiutarla nei compiti oppure di spiegarle qualche cosa. Ma siccome lui non aveva molto tempo o voglia, lei si offendeva e incolpava me della poca cura del fratello. Il "già, tu sei la preferita perché gli fai da serva" me lo sono sentito dire mille volte. Allora io piangevo, andavo a sfogarmi con lui e lui sgridava la sorella. Più o meno questa vicenda è durata finché nostro fratello si è sposato. A dire la verità ha preso una ragazza che non soltanto non gli porta le pantofole in casa, ma nemmeno sempre gli prepara la cena. Contento lui ... I rapporti con mia sorella però non si sono aggiustati. Siamo diventate sempre più estranee con il tempo. Piuttosto di litigare ogni volta che ci incontravamo, abbiamo smesso di vederci. All'infuori del Natale, dei battesimi, delle cresime o delle morti in famiglia ... ». Con maggiore ironia e ottimismo una donna ricorda che, siccome in casa c'erano due sorelle e due fratelli, loro ragazze erano diventate delle ottime donne di casa perché, bene o male, erano state costrette a servire due uomini, più il padre, fin da quando erano ragazzine. « In casa c'era poco da discutere, si doveva rigare dritto. Mia madre tremava ogni volta che papà entrava in casa e ci ha instillato un reverente rispetto per i bisogni e i diritti dei maschi. Con il tempo noi ragazze siamo cambiate, siamo diventate autonome, femministe, non abbiamo servito troppo i nostri uomini, ma una specie di riflesso condizionato ci è rimasto dentro... ci dobbiamo controllare per non balzare in piedi ogni volta che un nostro compagno ha vuotato il piatto ... di buono c'è che siamo in grado di cavarcela benissimo in tutto: sappiamo stirare alla perfezione le camicie, sappiamo fare golf da uomo, cucinare, sparecchiare, apparecchiare e 137

via dicendo. Insomma, tutto il male non viene per nuocere. Con i tempi che corrono, abbiamo un mestiere di ricameio ». Una svolta importante nel destino delle sorelle awiene quando una si innamora owero quando nell'ambito del rapporto sororale familiare entra una figura maschile estranea. Questo awenimento è più incisivo nelle famiglie dove ci sono soltanto femmine. Anche qui conviene fare una precisazione fra i gruppi familiari di una volta e quelli di oggi. Quando le femmine avevano proibizioni di libera uscita, minori o quasi nulle possibilità di contatto con i maschi, le reazioni owiamente potevano essere più violente. Oggi la promiscuità fra maschi e femmine comincia dai tempi della scuola, una maggiore familiarità, un cameratismo più accentuato hanno abituato le femmine a comportamenti più sciolti e meno drammatici nei confronti del maschio. Ma, ancora una volta, ho verificato che una trasformazione del costume non va mai di pari passo con una trasformazione delle reazioni segrete della psiche. Per analizzare questo argomento mi sembra perfetto ricordare il rapporto vivo e complesso che legò Virginia Woolf alla sorella Vanessa e alle reazioni che si scatenarono fra loro in occasione del matrimonio di Vanessa. Esiste un documento straordinario di questi sentimenti nella biografia di Virginia Woolf che il nipote Quentin Bell pubblicò non molti anni fa. « Vanessa era ormai perduta per lei, le era stata rapita, e appariva esteticamente, mostruosamente felice. Era una cosa intollerabile», scrive Bell. Di qui comincia in Virginia il conflitto fra l'amore per la sorella, la gelosia verso il cognato e poi ... il lungo flirt con il cognato. Per vendicarsi della sorella di cui era in certo senso innamorata? Per non concederle una felicità piena?« Virginia e Clive (il marito di Vanessa) potevano trovarsi a loro agio e parlare di libri e di amici: lo facevano uniti da un senso di cameratismo e di complicità contro la tirannia della vita familiare. In questo stato di comunione spirituale, fu più facile per Virginia scoprire le buone qualità del cognato: l'autentico buonumore che stava sotto ai suoi modi compìti, l'affettuoso interesse per i sentimenti degli altri che poteva farlo apparire quasi un intrigante, la sua imperturbabile bonomia, il suo senso del paradosso, il suo fascino. Lui, da parte sua, non aveva mai dubitato che Virginia fosse una compagna piacevole, divertente e 138

incantevole, ma forse solo allora si accorse che, sotto una certa luce e in alcuni momenti di particolare animazione, Virginia era ancora più bella di Vanessa. Clive non poteva mai conversare per più di cinque minuti con una bella donna senza lasciarsi andare a qualche garbata galanteria, e in quell'occasione si mostrò forse un po' più ardente di quanto fosse imposto dalla cortesia,- mentre (e qui sta il punto cruciale) Virginia che solitamente avrebbe respinto con ·la massima severità qualsiasi avance, non si mostrò del. tutto insensibile. Un uomo dal carattere focoso come Clive,,.si sentiva stimolato quando incontrava resistenza e incoraggiamento dal minimo. segno di successo: insomma dopo tredici mesi di matrimonio, Clive iniziò un lungo flirt appassionato con la cognata». Poco oltre scrive Quentin Beli: «Che cosa voleva Virginia? Non era minimamente innamorata di Clive, e se era innamorata di qualcuno, lo era della sorella. Quando erano lontane, scambiava con lei lettere quotidiane e le sue sembravano lettere d'amore. Se non le arrivavano messaggi da Vanessa, Virginia cominciava subito a pensare che la sorella fosse malata o morta, o quanto meno colpita da qualche atroce calamità. Non poteva stare senza il conforto della presenza di Vanessa. Ma proprio perché l'amava tanto, doveva ferirla, doveva entrare in quel cerchio magico in cui Vanessa e Clive erano così felici e dal quale lei, Virginia, era così crudelmente esclusa: doveva avere ancora Vanessa tutta per sé, separandola da quel marito che, dopo tutto, non era degno di lei». Eppure Virginia sapeva che «Vanessa era innamoratissima del marito e che un' awentura di quel genere, qualunque ne fosse la causa non poteva non suscitare il più profondo risentimento nella persona che più di tutte voleva avere vicina». Come reagì la sorella? « La situazione di Vanessa», scrive Quentin Beli, ~< era estremamente penosa e le imponeva una n~tevole prova di prudenza e di forza d'animo. Non vi fu mai litigio, con parole grosse e recriminazioni: è probabile che tutte e due le sorelle inorridissero all'idea di una "scenata"». Mi sembra interessante riportare il sentimento che provò Vanessa quando, parecchi anni più tardi anche Virginia si sposò. « Può darsi che il sentimento di gelosia che aveva tanto tormentato Virginia ali' epoca del matrimonio della sorella avesse un debole riscontro in Vanessa, ora che anche Virginia aveva trovato marito», scrive 139

Quentin Beli. Ma le reazioni furono molto diverse. Vanessa non ebbe molta simpatia per il marito di Virginia: « Col matrimonio, Vanessa si accorse che Virginia era entrata a far parte di un'alleanza, Leonard aveva una propria posizione morale e intellettuale e Virginia la rispettava». Anche se ci allontaniamo da vicende come questa, vissute da personaggi di eccezione per i loro privilegi intellettuali e sociali, per la genialità, l'esasperazione, la follia dei loro sentimenti, situazioni del genere sono assai più comuni di quanto non si creda. Un forte attaccamento verso una sorella può scatenare la voglia di "rapinarla" di quel soggetto-oggetto che è venuto a mettersi fra loro. La dinamica di queste reazioni, però, è sempre molto complessa (come nel caso di Virginia W oolf), gioca anche il bisogno di dimostrare la propria forza di seduzione, la voglia di non restare indietro, la sfida, l'esigenza di misurarsi su un terreno di conquista. Dopo reticenze, soggezioni, pudori, vergogne, ansie e smarrimenti, molte delle donne che ho interpellato mi hanno "confessato" relazioni con un çognato. Che fossero concrete, supposte, sognate, immaginate, desiderate o tenute sul filo ambiguo di una attrazione controllata, non importa. Altre, numerose, mi hanno raccontato di sorelle che hanno avuto vicende d'amore con il loro marito. « Mi sono sposata a vent'anni, mio marito ne aveva venticinque», ricorda una giovane donna. « Siamo venuti al Nord da un paese lontano e ci siamo portati dietro con noi una delle mie tante sorelle che allora aveva soltanto quindici anni. La casa era piccola, ma ci siamo aggiustati. Anche lei aveva diritto di imparare un mestiere, di migliorare la sua condizione fuori del paese. Tutto andò bene per qualche mese poi mi accorsi che mio marito aveva verso mia sorella una confidenza che mi dava fastidio. Io uscivo di casa la mattina presto per il lavoro, mia sorella aveva cominciato dei corsi professionali, mio marito faceva l'operaio con turni di notte. Ma io non pensavo ci fosse qualcosa di male nel fatto che restassero soli in casa tante ore della giornata. Lui con me era sempre appassionato, mi cercava tutti i giorni, e allora cacciai quei brutti pensieri. Io amavo quella mia sorella, mi piaceva per tutte le cose che aveva diverse da me. Era più aggressiva, più decisa. Anche fisicamente siamo diverse, lei magra, alta, con lunghi capelli biondi, io piccola, grassottella, bruna. Ma 140

anche questo mi sembrava ci dovesse legare: eravamo come due parti diverse di una stessa persona. Eravamo dawero sorelle. Un anno dopo seppi che lei era andata a letto con mio marito. Non so chi dei due odiai di più. Di lui ero tremendamente innamorata, a lei volevo un bene immenso. Furono periodi orribili. Da allora sono passati cinque anni, io ho avuto un bambino, mia sorella si è sposata e ha un bambino anche lei. Siamo sempre state molto legate in tante cose, ma a volte basta un niente, una sciocchezza che riguarda magari un vestito troppo stretto che lei sj,. mette o un trucco troppo pesante, perché io scatti come una furia contro di lei. E lei, dal canto suo, mi assale per altre cose. Ma poi, passati questi momenti, è come se un legame più forte dell'odio ci tenesse insieme. Non mi sono mai spiegata bene il perché. Forse perché lei la conosco da quando è nata e mio marito, invece, è venuto dopo ... Lei è stata certo un po' colpevole: sapeva che, facendo la civetta, mi avrebbe portato via il marito. Ma lui è stato molto peggiore di lei... ». In questa vicenda mi sembra notevole il sentimento persistente di amore verso la sorella "traditrice" che non viene distrutto in quella che ha subìto il torto. Succede sovente che, in vicende del genere, resti vivo l'amore sia in quella che ha compiuto la "rapina" che in quella che è stata "rapinata". Non solo, ma con il passare del tempo, in alcuni di questi rapporti si sviluppa una specie di protezione da parte della sorella ingannata verso quella che l'ha tradita, quasi si mettesse in moto una solidarietà femminile contro il maschio che ha approfittato della situazione. Cosi nella storia seguente, cominciata quando tre sorelle avevano rispettivamente quattordici, sedici e diciotto anni. La maggiore si innamora, si fidanza. Il promesso sposo entra in casa. È simpatico a tutti, allegro, di buon carattere e di buona compagnia. Per le due più piccole diventa il fratello da sempre desiderato. La fidanzata è innamoratissima, ma non gelosa della grande confidenza che si stabilisce fra le sorelle e il suo innamorato. La verità viene fuori un paio d'anni dopo, alla vigilia delle nozze, per puro caso: l'uomo si era pazzamente invaghito della sorella minore, aveva vinto le sue resistenze e i due erano diventati amanti, nonostante la giovanissima età della ragazza. La quale provava per l'uomo un misto di attrazione e repulsione, complicato da un atroce senso di colpa verso la sorella, ma anche da una sorta di ammirazione per la sua candida fiducia nel fidanzato. 141

La sorella maggiore, dopo crisi di disperazione, minimizza il fatto e si sposa ugualmente. Perché l'uomo non abbia cercato di unirsi alla più piccola non è mai stato chiarito. Da allora sono passati molti anni, la relazione fra le tre sorelle è continuata come se quella vicenda non fosse mai avvenuta. Non solo, ma quando il matrimonio della maggiore sembra essere in crisi, scatta la solidarietà delle altre due contro il marito-cognato. Racconta quella che ha amato il cognato: « In fondo mia sorella, anche se ha alcuni anni più d~ me, mi sembra sprovveduta, incapace di vivere se lui la lasciasse. E brava, intelligente, fa un lavoro importante, ma sul piano dei sentimenti è ancora una bambina. Lui è stato il solo uomo della sua vita. Lei ha creduto che quella mia storia con il suo futuro marito fosse una leggerezza passeggera, un capriccio o forse ha cercato di crederlo. Fatto sta che mi tratta un po' come fosse una mamma. Però anch'io tratto lei come se io fossi la mamma ... Non parliamo mai profondamente dei nostri stati d'animo, non ci chiediamo mai se siamo felici oppure no. In qualche modo ci sentiamo solidali, come se entrambe avessimo subìto un'ingiustizia e una violenza ... Di tutta quella vicenda chi ne ha patito di più è l'altra sorella che è stata coinvolta nelle nostre tragedie, nelle nostre confidenze, che ha cercato di aggiustare le cose, che ha sempre paura ancora adesso che qualche ricordo riaffiori per farci del male». Un sentimento simile a questo emana da un piccolo e bellissimo libro di Maria Messina (una scrittrice siciliana vissuta una cinquantina di anni fa e ingiustamente troppo a lungo dimenticata), La casa nel vicolo. Una storia di due sorelle (Antonietta e Nicolina) che dalla campagna vanno a vivere in città. La prima sposa un benestante, la seconda, ragazzina ancora, va a servizio di sorella e cognato. Nella torbida e chiusa atmosfera della casa nel vicolo matura -la vicenda che porterà don Lucio, l'uomo-marito-padrone a impossessarsi anche della cognata. Nascono figli, passa il tempo, le due donne sono chiuse in casa a servire l'uomo. A parte l'eccezionale forza espressiva con cui l'autrice rende la miserabile condizione di due donne di quel tempo e di quell'ambiente, lo spietato egoismo dell'uomo, interessanti sono le reazioni e i sentimenti delle due sorelle. C'è un momento di odio reciproco: « Rare volte accadeva che si trovassero affatto sole, faccia a faccia: allora un futile motivo, una parola imprudentemente sfuggita, un gesto, bastavano a fare svampare l'odio che cova142

va nei petti, troppo a lungo represso. Si parlavano con voce sorda, stringendo i pugni, istintivamente». Poco dopo si sovrapponeva nella tradita la disperazione per tutto l'amore che c'era prima. « lo avevo fiducia in te», mormorò Antonietta. « Tu eri la mia sorella piccola. Eri Niccolinedda ... Non ci pensavo. Non ci pensavo ripeté dolorosamente. - Come potevo pensare che il mio sangue dovesse tradirmi? Io non sapevo di scaldare un serpente nel mio petto. lo ti dovevo guardare. Avrei veduto che la tua faccia non era quella d'una creatura buona. Guard~i! Guardati nello specchio, sciagurata! Tu hai la faccia del peccato! la faccia ossuta e senza colore di chi tradisce il proprio sangue ... ». Ma in altri momenti prevale l'amore antico, una sorta di perdono. « È colpa sua? - si domandava Antonietta. - È colpa sua se il destino ha voluto che lei si attaccasse alla sua vita come un debole filo che intrica i rami d'un albero? E lei non ha forse espiato?». « I loro cuori erano riboccanti dello stesso sentimento di pietà. L'una avanti, l'altra dietro- nella scala- ebbero lo stesso impulso: parlarsi senza ambagi, con umanità, poiché erano state tutte e due ingannate dalla vita e si dovevano perdonare... ». Finché, di fronte a una situazione in cui si trovano d'accordo, il sentimento di alleanza si fa più forte di ogni rancore. « Antonietta sospirò, sollevata. Anche sua sorella, la sua nemica, le dava ragione. Ecco che si trovavano d'accordo, ancora una volta, senza parlarsi. Il legame che le univa, per la vita e per la morte, era sempre più tenace del livore che le divideva anche nel pianto ... ». Forse in questa storia giocano situazioni e sentimenti tipici di tempi lontani, in cui i destini delle donne dipendevano esclusivamente e indissolubilmente da quelli di un uomo, in tui la impossibilità di autonomia era totale, ma nella sostanza la vicenda di queste due sorelle, nell'intimità delle loro reazioni riflette sentimenti che potrebbero essere vivi ancora oggi. Anche nel famoso dramma di Tennessee Williams, Un tram che si chiama desiderio, il legame fra due sorelle non si spezza a causa della disperata e un po' folle corte che Blanche fa al marito di Stella. La pietà e l'amore spingono Stella a difendere contro tutto e contro tutti - marito compreso - la disgraziata vita della sorella, superando ogni giudizio, ogni rancore o voglia di vendetta. 143

Ci sono casi, invece, nei quali portare via il marito alla sorella rivela sentimenti di totale cinismo. Basti pensare allo sceneggiato televisivo americano Dallas, seguìto da centinaia di milioni di persone nel mondo: nel groviglio di azioni immorali compiute dai membri del ricco clan degli Ewing, petrolieri del Texas, c'è anche la vicenda di Christine, sorella di Sue Ellen, moglie di J. A., la quale seduce il malvagio ma potente cognato e fa un figlio con lui. Che poi la ragazza muoia e il bambino venga adottato da un altro membro del clan è soltanto un elemento funzionale della storia. Le mosse della ragazza erano state un miscuglio di interesse, cattiveria, gelosia, istinto di rapina. Persino negli anni in cui l'America aveva ben altro puritanesimo che oggi fu raccontato in un film di una sorellina che cerca di portar via l'innamorato alla sorella maggiore. È la storia dell'Intraprendente signor Dick, del 1947, dove Shirley Temple (non più edificante bambina) fa di tutto per sostituirsi alla intelligente e meno vezzosa Mirna Loy, sorella giudice. Ovviamente quei tempi imponevano il fine morale, il matrimonio della maggiore, ma la sostanza non cambia. La realtà comunque non sempre concede un giusto fine. Il trauma che può provocare la scoperta che una sorella si è presa il proprio uomo, genera a volte reazioni vicine alla patologia. Come è raccontato in Due sorelle della scrittrice francese Anais Nin. Dorothy è la maggiore, Edna, la minore. Una bruna, vivace, l'altra fine e delicata. Edna sposa un uomo sulla quarantina che non le dà nessun piacere. Allora si prende un amante di trenta e si appassiona a lui. Dorothy fa di tutto per allontanare l'amante dalla vita della sorella: lo critica, lo trova puerile, assurdo. Ma un giorno in cui Edna è fuori e lei si trova sola con l'amante della sorella, i due fanno l'amore, scoppia la passione, decidono di sposarsi. Edna va al matrimonio, ma è come trasformata. La sofferenza l'ha di colpo invecchiata, resa irriconoscibile. Dorothy ne resta sconvolta e dal momento del matrimonio, diventa frigida ... La "rapina" dell'uomo dell'altra può evidenziare talvolta l'ambiguità di un rapporto fra sorelle e, qualche modo, chiarirlo. È il caso di due ragazze, una di venticinque anni, studentessa di ingegneria e una di ventidue, musicista. La prima inizia una relazione con un 144

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uomo di parecchi anni più maturo, brillante, ricco. Ma dopo molti alti e bassi lo lascia perché capisce che lui, anche se innamorato, pensa soltanto al sesso e non le dà nessuna prospettiva. La sorella minore sa tutto. Una sera l'uomo le telefona e la invita a cena. Lei accetta, poi fa l'amore con lui. Subito lo comunica alla sorella maggiore. Questa racconta di essere stata presa da una collera folle: « Quella disgraziata ha voluto mettersi nel mio corpo», dice, « ha voluto compiere una specie di incesto. Voleva mettersi al mio posto, uccidermi. Sono stata talmente scon~lta da questa storia che mi sono comprata una quantità di pannolini e passavo il mio tempo a lavarmi i genitali. Decisi di non vederla più, per me era una questione di sopravvivenza. Cominciai a essere ossessionata dalla paura di essere sterile. Mi sono ammalata molto gravemente di una forma di salpingite. Lei è venuta a trovarmi all'ospedale. Per me l'importante era mostrare che quella storia non mi toccava più, che, con quella malattia, mi sentivo purificata. Ma lei e il mio ex amante sembrava volessero farmi sapere in tutti i modi che erano ancora insieme: lei mi chiamava da casa di lui, andavano nei caffè dove io avevo l' abitudine di andare. Ma per me il cordone ombelicale con mia sorella era stato tagliato. Dopo questa storia il nostro amore-odio si è molto ammorbidito, ma non abbiamo più complicità fra noi. Mi sono accorta che lei mi aveva sempre chiesto una solidarietà di tipo infantile o addirittura omosessuale. Le piaceva toccarmi, abbracciarmi, anche adesso ha verso di me l'atteggiamento di un uomo. Mi vede sempre come "seduttrice", al punto di vantarmi con i suoi amici. Da un po' di tempo anche lei si è stufata di quell'uomo perché spesso lui la chiama con il mio nome ... Io sono sicura che per lui fare l'amore con mia sorella è come mantenere un legame con me. Comunque io rifiuto di essere la madre o la donna di mia sorella. Invece è quello che lei vuole». Sono riuscita a confrontare questo racconto. con quello della sorella minore: « Certo che quando mia sorella è diventata l'amante di quell'uomo io sono stata invidiosa. Loro si amavano, viaggiavano, si divertivano e io me ne stavo sola a casa. Oltre a questo pensavo davvero che lui non era l'uomo adatto a lei, così seria, così a posto in tutto. Io sarei stat,a più adatta. Quando si sono lasciati e lui mi ha telefo~ato, ho accettato di passare la notte con lui, senza minima6

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mente pensare che avrei ferito mia sorella. Lei ha reagito terribilmente male, ma io non volevo lasciare quell'uomo a causa di lei, anche se venivo accusata delle peggiori colpe, di averla resa sterile, di avere offeso la sua femminilità ... Volevo stancarmene io, decidere io autonomamente da lei. In effetti, io ho sempre voluto essere un maschio. Fin da quando ero piccola, ho sempre avuto due rivali, mia madre e mia sorella. Nostro padre non viveva quasi mai con noi. Poiché due donne in casa c'erano, io dovevo fare l'uomo. Forse per questo ho sempre avuto desiderio di mia sorella, anche fisico. Mi piace abbracciarla, guardarla, la trovo attraente. Lei è la donna, io sono l'uomo della nostra relazione. La mia esperienza con il suo ex amante era la possibilità di vivere questo desiderio che ho di lei. Non si trattava di rubare il suo amante né di rimpiazzare lei, si trattava di possedere il sesso che aveva posseduto lei. Lui non mi ha mai spiegato chiaramente perché avesse voluto fare l'amore con me. Diceva che ci amava tutte e due, forse dentro di sé ci confondeva. Una o due volte mi ha chiamata con il suo nome. Dopo questa storia ho capito che dovevo smettere il gioco. Adesso sono in grado di essere me stessa, di stare al mio posto, ma lei è pur sempre la donna della mia vita... >>. Talvolta il desiderio di portar via l'uomo alla sorella si manifesta in modo ambiguo, indiretto. Per esempio, rivelando le confidenze amorose di una sorella ai genitori, per far succedere un pandemonio. Fatti del genere si scatenano specialmente verso i sedici, diciotto anni, quando gli amori sono più immaginati e sognati che vissuti. Ho saputo di due casi molto simili: in entrambi ci sono due sorelle con poca differenza di età, in entrambi la più piccola si innamora di persone "sbagliate" e si confida con la maggiore. Nel primo caso, la piccola si era pazzamente invaghita di un prete, nell'altro di un uomo sposato. In entrambe le situazioni, la sorella messa a parte del segreto corre immediatamente dai genitori, racconta la vicenda, l' arricchisce di particolari completamente inventati, vengono coinvolte terze persone più o meno innocenti, succedono cose turpi. A giustificazione del loro gesto le due sorelle "spie", con parole quasi identiche, dissero che avevano fatto il loro dovere, che avevano agito così per tutelare le sorelline. Ovviamente questa è la spiegazione raziona146

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le, ma, più o meno coscientemente, cosa ci sta sotto? Gelosia, invidia? Voglia di danneggiare quella che ha ispirato grandi e difficili amori? Ricerca di complicità con i genitori, facendo la parte della sorella "brava"? Un po' tutto insieme, certo non la mitica solidarietà fra sorelle, anche se l'azione di "spionaggio" viene spiegata con un buon sentimento. Il maschio entrato in famiglia come innamorato, promesso sposo di una sorella può anche rappresentare- agli occhi di un'altra o di più altre colui che aiuterà l'amata a vincere alla roulette della vita. Questo sentimento forse era più forte un tempo quando l'unico investimento possibile per una donna era il matrimonio, l'unica carta vincente quella di un buon ·partito. Ma non è detto che qualcosa di questo antico sentimento non resista ancora oggi fra donne emancipate. Nella letteratura è famosa a questo proposito la reazione che si scatena fra le sorelle Materassi quando Giselda annuncia di volersi sposare. « Bastò questa notizia», scrive Palazzeschi, « detta con certa baldanza di trionfo e di sfida da parte della giovane, per produrre una fossa di ghiaccio tra le tre donne: era gettato il seme di una rivalità destinata a scoppiare per vivere sempre». Carolina e Teresa fanno di tutto per sconsigliare la sorella, quello non è un buon partito, ma ... « Giselda prese i buoni consigli per gelosia ... per l'odio covato dalle zitellone verso la ragazza felice». E più tardi: «... a cinque anni dal matrimonio... dopo aver sopportato, prima di arrendersi a tutti i disagi e le amarezze... apri il cuore alle sorelle nelle quali, a mano a mano che accoglievano le confidenze, attraverso quelle si esauriva il rancore. Felice e forte la odiavano, disgraziata e vinta ritornavano buone con lei, le rendevano la loro generosità e il loro affetto». Ambigui sentimenti di questo genere ne ho riscontrati parecchi nelle realtà che mi sono state raccontate. Una quarantenne, da tempo lontana dalla famiglia, ricorda che una delle sue sorelle era sempre stata invidiosa dei suoi successi con gli uomini, fin da quando erano ragazzine. « Proprio nel periodo in cui, dopo angosce e dubbi, decisi di separarmi», ricorda, « quella mia sorella aveva trovato marito. Lei non era né meno bella di me né meno intelligente di me, era forse meno femminile, aveva un po' troppo l'aria del ma147

schiaccio. Comunque incontrò un ragazzo che l'adorava e era molto felice. Io, al suo matrimonio, ero emozionatissima, piangevo, mi veniva in mente il mio matrimonio e mi auguravo che la sua gioia durasse, che quel momento magico non finisse. Terminata la cerimonia, me la vedo venire incontro con aria trionfante e dirmi: "lo non farò certo la tua fine... Ho saputo aspettare la persona giusta invece di sfarfalleggiare a destra e a sinistra". Fu un momento terribile. Capivo che lei si sentiva vittoriosa nei miei confronti, che si rifaceva di chissà quali sensi di sconfitta, ma non ho mai capito che cosa l'ha spinti a quella crudeltà. Da allora i nostri rapporti sono peggiorati sempre di più. Adesso sono soltanto formali. Non trovo una sola ragione al mondo per cui io debba soggiacere a queste provocazioni, dato che trovo affetto, comprensione e rispetto dagli amici». Esistono poi situazioni in cui l'uomo che si infiltra nel rapporto fra sorelle non è né il marito, né il fidanzato, né l'amante. Caso emblematico l'adorato Remo, nipote delle sorelle Materassi, che entra con prepotenza nel rapporto fra Carolina e Teresa, le due che le vicende della famiglia, racconta Palazzeschi, « avevano volute indissolubilmente unite e zitelle». Il loro rapporto che in certi momenti pare solidale, amoroso, totale, è in realtà pieno di conflitti e antagonismi, ma questi sfociano soltanto nella gelosia per l'adorato nipote. Carolina, alla partenza del giovane, lo ribacia e riabbraccia. « Al ripetersi di quell'atto, Teresa guarda stupita la sorella pestando i piedi con stizza ... ». In un'altra occasione Carolina fa grandi effusioni a Remo: « Vedendosi ripetere la faccenda del treno, Teresa che a quell'atto aveva smesso di ridere, incominciò a pestare i piedi con~ trariata e impaziente ... ». « Quando il nipote la guardava a lungo, Teresa doveva distrarre lo sguardo... Carolina invece finiva per abbracciarlo e baciarlo forte, cosa che la sconvolgeva senza capire perché.... Teresa non nascondeva la propria irritazione a quel gesto che si ripeteva e che riteneva eccessivo, inesplicabile... Finché una volta lo strinse, lo baciò a lungo e forte ... Teresa, dopo quel bacio andò a rinchiudersi in camera turbatissima ... Né si irritò più, da allora, quando Carolina, cedendo agli assalti del cuore, baciava Remo in faccia a tutti». 148

Per quanto si dica, si speri, si creda che fra donne, oggi, sia possibile un nuovo senso di solidarietà, che l'uomo non è-più la pietra di paragone della propria riuscita, in certe relazioni fra sorelle ho verificato che scattano meccanismi sorprendenti di gelosia, invidia, rancore, proprio a causa di una presenza maschile. Ma non soltanto quando lui è un marito, un amante, un fidanzato, anche quando è soltanto un amico. La possessività che si scatena è più forte e complessa che quando si tratta di un'amica-donna. Le testimonianze più interessanti che ho raccolto a questo riguardo sono di donne emancipate, molto evolute dal punto di vista della cura dei rapporti, donne che mettono in discussione sé e gli altri. Eppure proprio fra loro parecchie sono diventate "nemiche" quando un amico dell'una è diventato amico dell'altra. Una ricercatrice universitaria, legatissima alla sorella pittrice, racconta lo smarrimento per ciò che è successo fra loro a causa di un uomo. « Viviamo in due città diverse, siamo entrambe sposate, senza figli. L'anno scorso ritrovo da lei, dopo anni, un suo amico. Simpatizziamo, lo invito a casa nostra, lui accetta, ci viene a trovare spesso. A me sembra un legame in più con mia sorella. Noi avevamo sempre discusso di tutto fra noi, non c'erano ombre, pur essendo tanto diverse per interessi e carattere, eravamo profondamente amiche. Io ero completamente ingenua quando ho cercato un rapporto con quel suo amico, ma da allora lei è cambiata, è diventata chiusa, scostante. Mi ci è voluto un sacco di tempo per farla parlare. Alla fine mi ha accusata di essere una "rapinatrice", di volere tutto per me, di non tenere conto dei sentimenti, ed è sbottata a dire: "persino la persona più cara che avevamo in famiglia me l'hai portata via!». Ero stordita, ho cercato di approfondire la faccenda, le ho chiesto se c'era dell'altro, se era innamorata di lui. Apriti cielo! Mi ha detto che sono una che ha soltanto la seduzione in testa, che non capisco i sentimenti puri! Alla soglia dei quarant'anni, ho visto mettere in discussione tutto il mio modo di essere di fronte a lei e anche il nostro rapporto. Forse, chissà, quell'amico è stato soltanto la causa scatenante di invidie e rancori repressi in lei contro di me? Ma non credo: è stato soltanto perché un uomo si è messo fra noi». Sono riuscita a mettermi in contatto anche con la sorella pittrice che ha accettato di parlarmi. « È vero che mi ha dato un fastidio 149

enorme il comportamento di mia sorella. È anche vero che noi avevamo risolto tanti problemi, con sincerità e approfondimento. Ma qualcosa di lei non mi è mai piaciuto, mi riferisco alla sua seduttività di donna. Finché se la amministrava fuori dal mio ambito, benissimo, ma quando ho visto che la esercitava anche con le persone che facevano parte integrante della mia vita, sono scoppiata. È vero che non avrei avuto quella stessa reazione per un'amica donna, ma mi sembra comprensibile. Avere un amico uomo è un bene prezioso, concede una dialettica di confronto fra mentalità molto importante. Ecco perché me la sono presa tanto. Voleva per sé ciò che da sola non si è mai saputa conquistare... Lei con gli uomini si pone sempre come una maga Circe. Questo mi ha dato fastidio».

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LA SORELLANZA

Un fattore che può determinare maggiore o minore affiatamento in una coppia o in un gruppo di sorelle adulte è la personale emancipazione di ciascuna di loro. Quando una donna si abitua a vedere il mondo al di là degli schemi convenzionali di efficienza e di corsa al potere, quando accetta di mediare la razionalità con l'emotività, quando ha il coraggio di parlare non soltanto per chiacchierare, ma per mettere in discussione e analizzare se stessa e gli altri, quando non accetta un rapporto sentimentale soltanto per mettersi al sicuro, quando tenta di scoprire, nel confrontarsi con le altre donne, le pieghe segrete e i buchi nascosti della propria femminilità, fa un salto di qualità che la rende profondamente diversa da quelle che sono rimaste a uno stadio precedente. E soprattutto coltiva dentro di sé esigenze di rapporti molto differenti da quelli della donna tradizionale. Per questa ragione, fra sorelle che vivano diversi stadi di esperienza e di evoluzione, la relazione può farsi complicata: si parlano linguaggi diversi e non basta un generico e antico affetto a giustificare un legame adulto. Una ricercatrice universitaria di trentaquattro anni, con una sorella di ventinove e una di trentasette ricorda come loro erano state fin da piccole un blocco unito. Ogni volta che i loro impegni lo permettevano si incontravano, andavano al cinema, a teatro, a fare sport. « La gioia più grande», ricorda, « era di lasciare a casa i nostri rispettivi mariti e figli e starcene fra noi. Non avevamo amiche, eravamo le nostre migliori amiche. In casa, per scherzo, ci chiamavano il "Trio Lescano": eravamo accordate, armoniose, una senza l'altra sembravamo spente. E poi cosa è successo? Che pian piano io ho elaborato uno sviluppo sul mio essere donna molto diverso dal 153

loro. Prima ho avuto il coraggio di separarmi da mio marito che avevo sposato subito dopo la laurea, senza sapere bene quello che facevo. Quando fui sicura del mio lavoro, e soprattutto, che con lui non avrei mai costruito niente di buono, mi decisi. Il nostro bambino non ci avrebbe guadagnato niente a vivere con noi due. Mi dedicai a un'attività politica, incontrai altre donne, mi accorsi che con alcune di loro stavo molto bene, spesso sceglievo la loro compagnia piuttosto che quella delle mie sorelle. Avevo sempre un'infinità di affetto per loro, erano fra le persone più care che avevo al mondo, ma sentivo sempre di più che il nostro legame era statico, troppo infantile . .Non so spiegarmi meglio, ma con loro non andavo avanti. La più grande è una donna in gamba, fa il medico, è sposata con due bambini, però non si sa mai se è felice o no. Una volta che ho cercato di parlare della condizione sessuale della donna, mi ha risposto come avrebbe fatto mia nonna: "Questi non sono problemi, in un matrimonio sono altre le cose che contano ... ". Fra noi due la prima grossa incrinatura è sorta appunto quando mi sono separata. In quel momento ho scoperto che, al di là dell'affetto, lei non aveva nessuna stima di me come persona, che non mi conosceva. "Ma poi cosa farai?", mi disse, "cosa diranno papà e mamma e la gente? Cerca di accontentarti, credi di trovare un altro uomo migliore di tuo marito?". Invano le spiegai che io non mi ero separata per trovare un'altro marito, ma per capire più a fondo chi ero e cosa volevo veramente dalla vita. Niente da fare, non ci siamo comprese. La più giovane, che pure è una donna moderna, attiva, con un lavoro, in quella circostanza, si è chiusa su posizioni che mi hanno fatto soffrire molto. "Senti", mi ha detto, "tu ti sei montata la testa con i tuoi collettivi femministi, con tutti quei discorsi. Una donna è sempre una donna, e può già dirsi fortunata se si ritaglia un po' di libertà. Cosa vuoi di più? Fumiamo, guidiamo l'automobile, andiamo al ristorante con le amiche ... Il mondo è quello che è, non lo cambierai tu da sola". Invano anche con lei ho cercato di farle capire che non avevo nessuna intenzione di cambiare il mondo da sola, ma che avevo bisogno di sentirmi libera fino in fondo, che non mi interessava fare le cose che fanno gli uomini, ma mi interessava scoprire cosa volevo fare io, donna. Le dissi persino che con mio marito non provavo niente a fare l'amore e che questo non mi sembrava giusto.

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Fu a questo punto che lei mi diede una risposta che mi lasciò di stucco: "Ma se vuoi godere, prenditi un amante!. .. ". Da allora i nostri rapporti sono molto cambiati, ci vediamo ogni tanto, ma tutte e tre facciamo attenzione a parlare soltanto di argomenti non impegnativi. Parliamo dei nostri bambini, di compere nei negozi, di prezzi, di ricette di cucina. Non siamo più quel trio indissolubile e tanto affiatato di un tempo. Io ho un paio di amiche che mi sono scelta, con le quali facciamo anche le tre di notte a parlare, a chiarirci i nostri problemi. Con loro oramai mi sento più vicina che con le mie vere sorelle. Non so fino a che punto questa nuova realtà mi faccia soffrire. So che esiste, ne prendo atto e capisco che forse non si modificherà mai più» .

. Un'altra storia mi sembra significativa di questa frattura fra sorelle di sangue quando una delle due inizia un'evoluzione che l'altra non segue. « Noi abbiamo soltanto tre anni di diversità e con l'età di adesso è come fossimo coetanee: io ho trent'anni e lei ventisette. Eppure siamo separate da un abisso. Lei è la più giovane ma è soltanto una conformista che vuole trovare un marito. Io non ho niente da spartire con lei. Non abbiamo nessuna aspirazione comune e dire che, fino a qualche anno fa, mia sorella era per me la mia migliore amica. E io credevo di esserlo per lei. Poi c'è stato il femminismo, la grande voglia di libertà, di analisi, di trasformazione, la grande paura di diventare come le nostre madri, succubi del marito, sempre scontente, senza esperienze dirette della vita. Per me è stata la scoperta di una nuova vita, ho cercato di tirarci dentro anche mia sorella, ma non so bene per quale motivo lei si è subito ribellata. Abbiamo cominciato a litigare furiosamente su tutto, lei fraintendeva ogni mio discorso. Ti faccio un esempio, il trucco, i vestiti. Io le dicevo: "Non sentirti troppo schiava di quello che ti metti addosso, cosa importa? Quello che conta è chi tu sei, quello che pensi, la tua intelligenza, la tua cultura ... Un uomo deve amarti per questo, non soltanto perché sei carina, profumata e ben vestita". E lei mi rispondeva che io le dicevo questo perché non volevo che lei fosse "bella", che lei non aveva l'intenzione di andare in giro come una "stracciona puzzolente". Una volta le ho detto che non mi sarei più comperata né creme né profumi, né niente di superfluo perché nell'estate volevo fare un viaggio. Lei mi ha risposto: "Fa' pure, ma 155

cerca di non consumare la mia roba, sei soltanto una montata, una snob, ti voglio vedere girare sui treni, dormire dove capita e fare la fame. Io, quando farò un viaggio, lo farò con il mio uomo e lui mi dovrà portare nei posti più belli". Non credere che mia sorella sia una sciocca o che noi veniamo da una famiglia di ricchi che ci hanno viziate. Siamo tutte e due insegnanti e ce la siamo sempre cavata con il nostro lavoro. Ma come donne siamo diventate diverse. Io voglio conoscere il mondo, stare il più possibile con gente che mi aiuti a capire, che mi accetti per quella che sono, non voglio sposarmi soltanto perché una donna "deve" sposarsi. Lei, tutto sommato, anche se lavora e guadagna il suo denaro, vuole soltanto trovare un marito, una persona cui appoggiarsi, non desidera affatto una sua reale autonomia. Ormai siamo estranee noi due e non perché i nostri genitori non ci abbiano cresciute nell'armonia e non ci abbiano aiutate a volerci bene: siamo estranee come donne adulte. Adesso io ho un paio di amiche che sento veramente vicine a me. La nostra è una sorellanza, qualcosa di diverso dalla consanguineità, ma che io sento come un valore molto costruttivo». Cosa è pertanto questa sorellanza, questa amicizia fra donne, tanto stretta a volte da assomigliare a un intimo affetto familiare? I dizionari la definiscono « la relazione naturale e civile che intercorre fra sorelle» e anche « reciproco legame fra simili». Oggi la usiamo più in questa seconda accezione che nella prima. Infatti, da quando il femminismo ha aperto alle donne la possibilità di "scegliersi" una sorella, al di là del rapporto di sangue e di parentela, questo termine è stato usato sempre più di frequente in questo senso. Il movimento delle donne non ha soltanto rivoluzionato i rapporti con l'uomo, ma ha dato a tante di noi la speranza di entrare in relazione con le nostre simili limpidamente, senza più invidie, gelosie, rivalità, giochi di potere e pressioni di ruoli. Tale processo ha avuto una forte influenza anche sui rapporti fra sorelle di sangue. Avere la possibilità di spostare su una persona prima "estranea" le implicazioni emotive, sentimentali, affettive che, per tradizione, erano e dovevano essere riservate soltanto a quelle creature nate dagli stessi genitori, dalla stessa famiglia, mettere in discussione le sorelle di sangue, preferire a loro altre donne più vicine alla propria indole, alle proprie aspirazioni, può scatenare reazioni incontrollabili. 156

Tale sororalità di elezione che non nasce dall'imposizione genetica, familiare e convenzionale, ha in sé un valore prezioso, su questo non ci sono dubbi. Due donne si scelgono da adulte perché si piacciono, in base alle loro affinità, alla loro complementarietà o differenza, ai loro desideri, alle loro idee. L'amica-sorella viene vissuta come un essere che non tradirà mai, con cui si potrà spartire nel profondo ogni esperienza, cui confidare senza paura di fraintendimenti quella parte segreta della femminilità che tanto spesso ci confonde: una sorta di alter ego, uno sp9=chio in cui si riflette la nostra immagine speculare o complementare. È una ricchezza potersi scegliere come "sorella" una nostra simile che riesca a colmare tante esigenze profonde che né l'uomo né la società ci aiutano a colmare. Questa è stata una delle importanti teorizzazioni del femminismo, ma come sempre, quando awiene una rivoluzione, le speranze sono immense e i risultati più modesti. Anche in questo campo, alla trasformazione ideologica non è seguita con lo stesso ritmo una trasformazione interiore. Le delusioni sono state tante. D'altra parte il femminismo, specie in Italia, è un fenomeno relativamente recente. Risalgono al 1966 le prime analisi fatte dal gruppo DEMAU (Demistificazione Autoritarismo). Pochi anni prima, nel 1959, la condizione della donna era stata rivelata in tante sue pieghe dolorose da un libro inchiesta, Le italiane si con/essano, della giornalista Gabriella Parca. In quegli anni il libro fu accolto in modo contraddittorio: esaltazione da una parte («Finalmente si parla di donne senza mistificazioni, finalmente si dice la verità su di 'loro»), e scandalismo dall'altra. Sembrava incredibile che tante donne avessero accettato di "confessare" a una giornalista lo squallore della loro vita, le violenze che subivano dall'uomo, i pregiudizi che le facevano tremare di paura e di ansia. Era l'inizio di una lunga strada che avrebbe squarciato i silenzi che da secoli circondavano nel nostro Paese l'immagine della donna moglie-madre-angelo del focolaresoggetto d'amore-fiore delicato e via dicendo. Soltanto dopo il '68, però, la tematica di cosa veramente significa essere donna prese corpo e soltanto molti anni dopo ancora, questa tematica scese alla grande massa. Ma, nonostante siano passate tante esperienze - sociali, legali, psicologiche e politiche - sulla condizione femminile non esiste una omogeneità di pensiero. D'altronde, 157

le differenze sono ancora ampie, la divisione fra "casalinghe" e donne che lavorano, per esempio, è ancora netta. Ma più di tutto la psicologia e i comportamenti femminili sono contraddittori e differenziati. Non soltanto esistono diversità fra generazione e generazione, fra classe e classe, ma c'è qualcosa di più sottile che separa le donne e la loro mentalità. In alcune permane l'ancestrale paura di perdere la propria femminilità se ci si mette troppo dalla parte dei propri diritti (mescolata alla difficoltà insuperabile di staccarsi dalla dipendenza dell'uomo), e di acquistare una reale autonomia. Non soltanto quella - pure essenziale - di guadagnarsi da vivere, ma quella interiore, di capire la propria natura, il proprio valore, il proprio diritto di esistere in quanto persone, indipendentemente dal padre che si è avuto e dal marito che si avrà. In altre, ancora resiste una sorta di diffidenza per le loro simili, sentite come rivali potenziali, al di là di ogni razionalizzazione. È un continuo andare avanti e tornare indietro. Recentemente è stato pubblicato in Italia un libro esemplare di questo stato di incertezza che viviamo tuttora in quanto donne: Il complesso di Cenerentola dell'americana Colette Dowling. Questo libro ha scatenato polemiche: per alcune è una sconfitta rispetto alla liberazione della donna, per altre, invece, una apalisi che scava nel profondo i ceppi segreti che legano tante di noi alla paura della vera indipendenza. E persino del successo e della libertà. Su questo sfondo di confuse trasformazioni si muovono oggi i rapporti fra sorelle di sangue e quelli fra sorelle di elezione. A questo si aggiunge un equivoco nato, per altro in buona fede, insieme con la predicazione femminista. « Siamo donne e in quanto tali dobbiamo piacerci, amarci, essere solidali, volerci bene», così si diceva per difendersi dall'uomo e dalle sue prepotenze, per trovare il coraggio, tutte insieme, di fare fronte comune contro le ingiustizie e le emarginazioni. Questo imperativo categorico non teneva conto delle diverse culture, dei diversi caratteri, delle diverse storie di vita. All'inizio, come accennavo, il femminismo fu un processo di élite, all'interno di ristretti gruppi chiamati di "autocoscienza", ma in seguito, se ne parlò sui giornali di grande diffusione e sovente fu assorbito in maniera distorta. Nelle fabbriche, nelle aziende, nei vari posti di lavoro, un po' dovunque, sorsero "collettivi femministi" nei quali le donne, indiscriminatamente, si riunivano e parlavano fra loro. E 158

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siccome il più delle volte mettevano in discussione la loro vita privata, i loro uomini si ribellavano e loro si sentivano ancora più sole e finivano per credere che soltanto le altre donne le avrebbero capite. Anzi, le avrebbero capite nel senso giusto. Questi incontri fra donne furono molto importanti per scambiarsi esperienze comuni, per uscire dall'isolamento anche psicologico in cui tante si trovavano, per non avere più tanta soggezione nel riconoscere le proprie aspirazioni e i propri dubbi. Infatti, come gli schiavi appena sentono odore di lib~tà, confondono i sogni con la realtà, così tante donne pensarono di avere trovato delle "sorelle" laddove avevano soltanto trovato donne sole quanto loro, con infiniti problemi personali da risolvere. Spesso, però, questi incontri elettivi funzionano, se avvengono spontaneamente, in maniera non ideologica. Conoscersi da adulte e unirsi in intimità perché le aspirazioni e le esperienze sono simili, perché il linguaggio con cui ci si esprime è comune, diventa una forza. Ho incontrato tante donne, e non soltanto fra le più giovani, che dicono di avere scoperto delle vere sorelle in alcune loro amiche. «Non avrei mai creduto che un'amicizia fra donne potesse darmi tanto», mi racconta una signora sui quarant'anni, con marito e figli, casalinga fino a circa trentacinque anni e con due sorelle di sangue. « Fino a quando sono rimasta in casa, le sole donne che frequentavo erano le mie sorelle, qualche moglie di colleghi di mio marito, ma tutto restava in superficie. Anzi, devo dirti che con le mie sorelle la confidenza era zero: si parlava di nostra madre, della sua salute, si parlava di quale regalo farle a Natale, di quando saremmo andate a portare fiori sulla tomba di nostro padre. Oppure si criticava quel parente o quell'altro. In nessuna epoca della nostra vita, siamo uscite da questo groviglio comune che è stata la nostra famiglia. Con le alt~e donne, che quasi sempre erano mogli di colleghi di mio marito, sembravamo sempre giocare alle signore... Qualche cena, qualche spettacolo insieme e sempre gli uomini da una parte, le donne dall'altra. Non solo, ma in quei casi, aleggiava una cert'aria di competizione: chi aveva il vestito più bello, chi la borsa più nuova o il gioiello di maggior valore. Insomma, anche se non erano donne stupide, fra noi facevamo soltanto discorsi stupidi. Quando, sul lavoro, ho cominciato a frequentare un ambiente diverso, ho scoper159

to un mondo di comunicazione che mi era totalmente sconosciuto. E nota che io avevo trentacinque anni quando ho ripreso a lavorare e mi sono impiegata in una casa editrice come traduttrice, niente di speciale come lavoro. Ll c'erano ragazze giovani, donne mature, un po' di tutto. Abbiamo cominciato a parlare nell'ora di mensa, poi abbiamo deciso di incontrarci qualche volta nel tempo libero. Cosl è sorta un'alleanza fra noi molto forte. Eravamo cinque o sei fra le più affiatate e in breve tempo due di queste sono diventate per me un punto di riferimento essenziale. Il femminismo non lo conoscevo ancora nei suoi aspetti positivi, in fondo anch'io ero legata all'idea delle femministe come donne un po' folli, nemiche dell'uomo, malmesse e aggressive. O addirittura di lesbiche fuori della norma. In questi ultimi anni ho imparato a confrontarmi con le altre, a parlare di me, della mia vita di donna, persino della mia vita sessuale. Non so se adesso sono più felice, è difficile dirlo. A volte sono più tormentata e inquieta perché sto cominciando a capire tutte le ipocrisie e tutti i pregiudizi nei quali sono stata allevata e nei quali mi sono crogiolata per comodità tanti anni. Però la mia esperienza di sorellanza è molto positiva. Contemporaneamente, però, a questa mia emancipazione, i rapporti con le mie sorelle vere, si sono allentati ancor.a di più. O almeno per me, hanno quasi perso la loro ragion d'essere. Certo ci vediamo ogni tanto, ma le sento tremendamente estranee. Ho provato a parlare della mia nuova esperienza, ma mi hanno guardato come dicessi cose strane e insensate. Mi sono convinta che, quando non si ha più voglia di vedere certe persone, significa che queste persone non rappresentano più niente nella nostra vita. Anche se sono sorelle». Un problema che ho spesso sentito vivo in donne che hanno fatto un salto di qualità nella loro evoluzione e si sono trovate a vivere, contemporaneamente, un sentimento con le sorelle di sangue e un altro con le sorelle di scelta, viene dal confronto fra le due situazioni. L'interrogativo è automatico, porta a dubbi e incertezze: « Ma perché non riesco a essere con le mie sorelle come sono con le mie amiche? Forse sono troppo esigente? Ho fatto di tutto per capirle? Sono io che ho dei complessi?». Una giovane donna mi racconta la sua storia molto significativa di questo stato d'animo. « È difficile parlarti delle mie sorelle e delle mie amicizie sororali, anche 160

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se io, per natura e per abitudine, sono portata a sviscerare tutti i miei rapporti. Posso dirti alcune cose a caso. Carne primo commento la gente, quando ci vede, dice: "come siete diverse!". E infatti lo siamo. Per età (io ho trentatré anni, un'altra quaranta e un'altra quarantaquattro), per cultura (io sono una letterata, un'altra è medico, un'altra psicanalista). Siamo anche diverse come aspetto fisico, io sono bionda, un'altra castana, un'altra rossa. Io tonda, un'altra magrissima, un'altra media. Siamo diverse come ideologia: io sono una libera pensatrice, per così dire, un'altra appartiene a "Comunione e Liberazione", un'altra è radicale. Come potremmo essere più diverse? Fra sorelle di scelta questo non vorrebbe dire niente, né l'età, né i diversi mestieri, né altro. Invece fra noi, io sono sempre lì a, cercare quello che abbiamo in comune e l'ho anche trovato: a tutte noi piace il sole e piace sciare. Mi sono posta tante volte il problema se i nostri contrasti, quella certa estraneità e mancanza di confidenza che abbiamo, siano causati dai genitori o perché avevamo poche trame di indole comuni. Non sono mai riuscita a darmi una risposta precisa. Rispetto al concetto dei genitori che sanno creare armonia fra i figli e i genitori che, al contrario, disgregano tale armonia, posso dire che mia madre è sempre stata un po' una cosa e un po' l'altra. Mi spiego: quando ce l'ha con una delle maggiori, si sfoga con l'altra. Tende al mimetismo, cerca gli agganci e le alleanze dove li trova. Quindi in questo senso è disgregante. Ma poi si pone ariche come "accuditrice", nel senso che fa la mamma per davvero. E questo ha la sua importanza. Per esempio le mie due sorelle maggiori fanno sempre le vacanze insieme con i genitori. Ma, in realtà sono loro che vogliono passare almeno un mese all'anno con la mamma vicina che bada a mille cose. Io sono un po' diversa in questa faccenda, non mi sono sposata, non ho bambini, sono la più piccola. Questo fatto certo ha influito su di me nel rapporto con entrambe le mie sorelle. Ma perché, invece, non influisce affatto su certe mie amicizie che considero veramente sororali e nelle quali io sono la più giovane? Forse gioca quel famoso passato comune: loro non giocavano con me, piuttosto mi sembravano figure sostitutive di mia madre. Anche perché mia madre era un po' stanca quando sono nata io. Quindi verso le due grandi io mi sono sentita naturalmente "oppositiva", proprio come fossero state le mie madri. Certo che ho avuto il vantaggio di avere una enorme libertà rispetto a loro che mi hanno 161

fatto la strada. Forse anche questo influisce sui nostri rapporti di donne adulte: non riusciamo mai a vederci come siamo davv~,o adesso ... Anche quando ci vado più d'accordo, certe cose mi séocciano e mi scocciano proprio perché sono mie sorelle: questo è il punto. Se mi ripetono tre volte una stessa cosa, tipo: "La mamma è depressa, dovremmo fare qualche cosa", io rispondo: "Questo lo abbiamo già detto" e sono seccata. Ho un'amica - che considero più che mai una sorella - che mi ripete cento volte le cose eppure non mi dà lo stesso fastidio. Perché? Cosa vuol dire? Mi sembra di avere capito che fra sorelle di sangue si esige di più, si tollerano meno certi difetti... ». Che i rapporti fra sorelle in età adulta siano spesso tinteggiati di oscure soggezioni rispetto a quelli che si stabiliscono con altre donne, è fuori dubbio. Un'amica, nel raccontarmi la sua esperienza, ha messo l'accento sul concetto di mancanza di libertà e di naturalezza che lei prova di fronte a una sua sorella e che non prova affatto con la sua più cara amica: « Io so bene di non apparire una persona "normale" agli occhi di tanta gente. Soprattutto a quelli della mia cerchia familiare, tutte bravissime persone, ma estremamente formali e convenzionali. Le mie scelte sono state diverse: primo, quando tre anni fa sono rimasta incinta, mi sono tenuta il bambino e non ho voluto sposare suo padre. Vivo per conto mio, ho lasciato un impiego fisso di interprete e mi sono messa a fare lavori di traduzione. Amo avere amici per casa, uomini o donne non importa, purché li senta veramente legati a me. Non ho nessun amante perché ora non me la sento. È chiaro che vivo abbastanza al limite della soprawivenza, ma mi va bene così. Mia sorella che, per altro, è una in gamba, fa l'insegnante, ha cultura e intelligenza, mi fa star male ogni volta che la vedo. Lei non mi critica apertamente come fa la mia famiglia, è una faccenda più sottile. Davanti a lei non mi sento libera, in qualche modo mi viene da giustificarmi delle mie scelte. A volte, presa nella trappola dell'antico sentimento d'affetto, la chiamo, ci vediamo e dopo nemmeno un'ora vorrei che andasse via, che non ci fosse. Ho due amiche con le quali, invece, sento proprio un sentimento di sororalità completa. E una delle due vive praticamente come mia sorella, ha un marito, un figlio, un lavoro redditizio. Ma lei mi accetta per quello che sono, fino in fondo, non mi giudica in base 162

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a schemi antichi come fa mia sorella. In questo modo ci regaliamo reciprocamente quello che una ha e l'altra non ha». «Anch'io provo qualcosa di simile», mi racconta una ragazza di non ancora trent'anni, politicamente impegnata, con idee assai approfondite sul femminismo. « Ho due sorelle con le quali preferisco avere il minimo numero di contatti, altrimenti vado in tilt. Il perché è difficile da spiegare. Anche loro sono giovani, moderne, lavorano, non ho da confrontarmi con dissomiglianze clamorose. Sono io che con loro non mi sento più me ste~a, mi sento in soggezione ... Incredibile a dirsi, mentre con alcune mie amiche posso parlare di tutto, confidare ogni dubbio, ogni incertezza, sicura che parliamo la stessa lingua, con le mie sorelle, se faccio gli stessi discorsi, mi vedo guardata come una ... poço di buono. Addirittura sento la mia voce che parla e spesso non so di chi è quella voce. Ti faccio un esempio. Si era discusso nel collettivo di rapporti omosessuali, di esperienze sessuali vissute senza amore perché così si sentiva in quel momento. Senza pensarci, un giorno che ci siamo incontrate, ho intavolato lo stesso discorso con loro due. È stato terribile. Le ho viste rinchiudersi, cambiare faccia, di colpo mi è sembrato di avere davanti un po' di mia madre e un po' di mio padre. Le loro facce si confondevano nei tratti con quelle delle mie sorelle e io avevo soltanto una gran voglia di trovarmi altrove. Forse dovrei essere più sicura di me, meno influenzabile da chi mi trovo davanti? Altrimenti come potrebbero farmi questo effetto le mie sorelle? Poi penso che non è esattamente questo il problema: infatti non mi danno nessuna insicurezza le due amiche che considero veramente parte di me e dei miei affetti più intimi. Ma loro due hanno fatto le stesse mie esperienze, sanno andare fino in fondo all'analisi della loro condizione di donne, non hanno paura di confessare debolezze e incertezze. Le mie sorelle sono come le ... signore che si raccontano dei mariti. Alla fine non si scava mai niente e, per di più, quando si trovano di fronte ai famosi mariti, sono piene di sorrisi e complimenti... ». Un'altra situazione psicologica che si manifesta abbastanza so•vente oggi è lo scatenarsi della gelosia e della possessività da parte di sorelle di sangue verso quelle che, nella pratica di femminismo, hanno stretto intime amicizie con altre donne. Ho notato che in questi casi non si tratta soltanto di quel sentimento piuttosto comune fra sorelle quando si intromette una terza persona, è un meccani-

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smo più complesso. Una volta questo stato d'animo, intriso magari di rivalse, critiche, invidie, aveva come motivo scatenante la conquista o la presenza di un uomo oltre che, ovviamente, la voglia di essere preferite da un genitore o da un parente. Le amiche, come le si intendeva un tempo, potevano essere molto care, ma di rado assumevano il ruolo di sostituire un legame sororale. Oggi, come si è detto, molto è cambiato e certe figure femminili vissute con la stessa confidenza e intimità che per diritto sembravano appartenere soltanto a una sorella, talvolta scatenano sentimenti di astio profondo oltre che la sensazione di una perdita definitiva, senza appello, il riconoscimento di una estraneità irreversibile. E in effetti una donna che viva le idee del femminismo come tentativo di conoscersi, come coraggio di far valere le proprie idee, come capacità di crearsi una autonomia dall'uomo, finisce per diventare veramente una "diversa" agli occhi di una sua simile che n'on abbia fatto lo stesso cammino. Da una parte c'è una donna che vive la sua femminilità come mezzo per ottenere stabilità e posizione sociale con un matrimonio, dall'altra una donna che di questa femminilità fa (o tenta di fare) un uso diverso. Una situazione del genere porta talvolta a rotture definitive tra sorelle prima legate da solidarietà e affetto profondi. Come dimostra la storia che mi racconta una ragazza di tipo tradizionale con una sorella che ha elaborato convinzioni nuove. « Io sono arrivata a detestarla, è il termine giusto. È finta, costruita, insincera. Io non crederò mai che abbia potuto così facilmente buttare a mare me, il mio affetto, la mia amicizia per quelle due montate con cui sta sempre». La ragazza che parla ha venticinque anni, la sorella di cui è tanto gelosa ne ha ventitré. Erano sempre state affiatatissime, la loro famiglia le aveva educate nella massima libertà, il loro accordo sembrava mitico. « Si è montata la testa, questa è la verità, si è lasciata trascinare da false idee di libertà. Lei mi dice che io sono soltanto gelosa, forse è anche vero, ma se lo sono è perché l'ho tanto amata. Però non soffrirei così se si trattasse di un ragazzo. Quando si è innamorata la prima volta, le ho persino tenuto mano io, allora vuol dire che non sono gelosa come dice lei. Il fatto è che non capisco cosa ci trova in quelle due, perché le chiama le mie sorelline, e io cosa sono diventata? Un giorno parlavamo di uomini, di matrimonio e altre cose del genere. Lei ha detto che non si sposerà finché non

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troverà un uomo che rispetta la sua persona ... Io mi sono incazzata, dicendole che tutti gli uomini rispettano una donna, che tutto dipende da come la donna si pone davanti a loro, e ho aggiunto che certo un uomo non avrebbe potuto mai rispettare lei che andava con tutti ... Mi ha dato uno schiaffo, mi ha detto che sono una donnetta, che non capisco niente, che mi merito un marito che mi chiuda in casa. "Tanto", ha aggiunto, "la tua sola aspirazion_e è quella di dire 'sì, signore' e di farti mantenere. Tu con la tua testa non sarai mai in grado di pensare". È stata una scena djsgustosa, da allora cerchiamo di parlarci il meno possibile». A questo punto devo trattare un argomento delicato, quello dell'omosessualità. Non voglio esprimere giudizi morali sulle donne che, sotto la spinta di una certa ideologia femminista, sono passate dalla "sorellanza" spirituale e sentimentale alle manifestazioni di amore fisico. Alcune, probabilmente, portavano da tempo in sé, segretamente, l'esigenza di soddisfare in questo modo il loro erotismo, altre ci sono state trascinate da una malintesa interpretazione della libertà sessuale, altre ancora sono passatè ad amare le donne, perché erano state ferite dall'amore di un uomo. Ciò che interessa in questo contesto è capire quali reazioni si possono scatenare fra sorelle di sangue, quando una delle due scopre che l'altra ha vissuto, o vive, la sua sessualità con altre donne. È stato difficile approfondire questo argomento: come sempre, quando si cerca di scavare in situazioni che per secoli sono state considerate "tabù", il meno che possa capit3re è di trovarsi davanti muri di silenzi. In sintesi credo di poter affermare che una certa differenza nelle reazioni esiste fra le giovanissime e quelle meno giovani. Le prime, più disinvolte rispetto alla sessualità, sembrano meno colpite dall' eventualità che una sorella sia omosessuale e affermano che sono altri i valori che contano, che a loro non interessano i costumi sessuali delle persone cui vogliono bene e che accetterebbero una sorella sempre e comunque come persona. Invece le donne educate a concezioni più rigide e tradizionali, di fronte alla scoperta di una sorella omosessuale, hanno quasi sempre reazioni di rifiuto e di critica negativa. In entrambi i casi, però, ho notato che nel rapporto sororale si 165

instaurano soggezioni, stati d'animo che passano dall'attrazione alla repulsione e anche alla paura. Paura soprattutto di scoprire nella propria femminilità la stessa ambivalenza che c'è nella sorella. Un'amica omosessuale crea meno angosce che una sorella omosessuale: la sorella è pur sempre vissuta come una "simile". Ad ogni modo il sentimento dell'amicizia-sororale è entrata nello spirito dei nostri tempi, lo dimostra anche una tendenza del cinema degli ultimi tempi. Emblematico l'ultimo film di Margarethe Von Trotta, Die Freundinnen (Le amiche), tradotto in italiano come Lucida follia: una storia di amicizia e di amore - non però fisico - fra due donne, diversissime fra di loro, ma profondamente bisognose una dell'altra. Interessante in questa storia il conflitto che tale relazione fa scattare nei loro uomini. L'alleanza femminile per entrambi è inaccettabile, quasi offensiva. Proprio il marito che diceva sempre: « Oh! se mia moglie si emancipasse!», quando la moglie si emancipa grazie all'amicizia profonda per una donna (che fra l'altro lui stesso le aveva presentato), diventa geloso, esasperato. In sostanza teme che lei non abbia più bisogno di lui. Ancora una volta due metri e due misure nel giudicare azioni e sentimenti di maschi e femmine: un tipo di legame che sarebbe giudicato "normale" in un rapporto "virile", viene guardato con sospetto e diffidenza se vissuto fra due donne. Margarethe Von Trotta dice che « in dieci anni le cose sono molto cambiate: da allora gli uomini sono avanzati intellettualmente, ma dal punto di vista esistenziale non lo sono affatto»: Tornando al cinema, anche meno impegnato, degli ultimi anni, sono state raccontate tante belle storie di amicizie sororali: Giulia di Zinnemann, tocca magistralmente la tematica della sororalità di scelta. Lilian e Giulia si comportano nel corso delle diverse e travagliate vite come fossero veramente sorelle. Il filo della complicità, della reciproca gioia di stare insieme, dell'aiuto nei momenti di bisogno non si spezza mai. Due vite, una svolta di Herbert Ross racconta di due amiche che si ritrovano dopo anni invecchiate, deluse, ma si scambiano un nuovo tipo di affetto. Persino Storia di Piera, che propone uno scabroso rapporto fra madre e figlia, apre uno spiraglio sulla possibilità di un legame fra donne fuori delle convenzioni, carico di solidarietà e complicità. Se ci si rapporta a ciò che raccontava una volta il cinema sulle coppie femminili, c'è un abisso! Basta ricordare Eva contro Eva di

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Mankiewicz, dove Anne Baxter giovane, bella, quindi cattiva e perversa la vinceva su Bette Davis con le armi tradizionali della seduzione e, appunto, della giovinezza. Le storie fra donne erano sempre basate sulla rivalità per un uomo o sulla competizione per un lavoro. Tante vicende di oggi si basano invece su legami solidi e forti, sororali, proprio come quelli che la tradizione voleva soltanto per gli uomini. Spesso sono storie di donne che, attraverso storie di altre donne, riconoscono la propria condizione manchevole, i proprii errori psicologici, si mettono in discussione, si analizzano. Si potrà obiettare che il cinema è un'industria e che, come tale, segue norme e leggi di tipo consumistico. Il richiamo di due donne (dive naturalmente) sarebbe più forte che quello di una sola, due dive offrirebbero possibilità di incasso maggiori e altre considerazioni del genere. Può anche essere vero, ma solo in parte. Io credo che questo fenomeno vada visto in un'ottica più positiva: come se le analisi e le idee che un tempo erano relegate nell'ambito esclusivo del femminismo teorico, fossero entrate nel tessuto sociale, alla portata della discussione e della riflessione di una grande massa di gente. La sorellanza è una possibilità in più al vivere delle donne. E anche con questa realtà deve fare i conti un legame fra sorelle di sangue.

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SARANNO FAMOSE

A questo punto del lavoro ho peilsato fosse interessante avvicinare un certo numero di donne-sorelle molto conosciute. La gente ama confrontarsi con i personaggi importanti, crede che le loro vite siano più facili, esenti da quei traumi e da quelle difficoltà che aggrovigliano le esistenze· delle persone cosiddette normali. Mi interessava scoprire se l'essere diventate famose avesse inciso sui loro rapporti con le sorelle. Era un aspetto nuovo del problema. Seppure con fatica, per la quantità dei loro impegni e dei loro spostamenti, sono riuscita a incontrare parecchie di queste donnesorelle che si sono distinte in campi diversi della letteratura, della politica, della moda, dello spettacolo. Le ringrazio sinceramente per il tempo che mi hanno dedicato e per l'arricchimento che hanno procurato a questo lavoro. Le vicende che ho ascoltato sono tutte significative di quel complesso, contraddittorio, spesso indefinibile rapporto che lega due o più donne nate dalla stessa madre, dallo stesso padre e allevate nella stessa famiglia. Sono stata colpita da un fatto: in queste storie la conflittualità si intravede, così come si intravede la complessa gamma di sentimenti che circola pur sempre in un rapporto sororale, ma nell'insieme tutte le storie che ho raccolto sono ricche di positività. Mi sono chiesta se, per caso, avessi incontrato sorelle atipiche ... Non direi. Credo che la ragione di questa positività dipenda dalla spiccata individualità di queste donne, dal loro forte potere "carismatico", dalla loro abitudine all'autoaffermazione, dalla loro capacità e abitudine a guardarsi dentro e a chiarire i rapporti. Tutte caratteristiche e qualità che aiutano ogni legame sororale a chiarirsi nei momenti bui, a definirsi al positivo e a durare nel tempo. L'ordine con cui presento questi incontri è alfabetico. Scegliere un altro criterio sarebbe stato impossibile. 171

Incontro con Giuliana De Sia

Nata a Salerno nel 1957, dopo avere conseguito la maturità classica si dà al teatro. Debutta in televisione a venti anni con Una ' romanzo di Sibilla Aleramo. Numerose le interpretazioni donna, dal teatrali e televisive, ultima Dramma d'amore in cui Giuliana impersona con incisività e bravura la figura di Elena, giovane napoletana, che disperatamente tenta di uscire dalla mediocrità borghese del suo mondo. Anche nel cinema Giuliana De Sio si è rivelata autentica e duttile attrice. La sorella Teresa, di due anni maggiore, è la voce femminile numero uno della nuova canzone napoletana, intrisa di rock, blues e melodia. Personalità di eccezione, si sta facendo strada nel mondo. « Noi di famiglia siamo tutti dei grandi individualisti, quindi i

legami di sangue forse ci sono, ma sono affogati in questa nostra caratteristica. In tutti noi è difficile scovare i sentimenti veri. Mio padre era allegro, barzellettato, ma in realtà pensava soltanto alla sua vita. Mia madre è vittimistica, ma anche lei individualista: se mai di un genere speciale, che non si realizza. Mia sorella e io lo siamo in maniera più sana. Abbiamo cercato di realizzare questa malattia. La prima cosa che ricordo di noi due è la nostra differenziazione, caratterialmente siamo l'opposto. Io sembro una gelida nordica, lei una passionale latina. Poi nella sostanza è diverso. Io sono classificata come una fredda calcolatrice e forse è vero che preferisco venga fuori da me questa facciata che mi sono costruita. Lei invece recita un personaggio pubblico di napoletana estroversa, senza gravi problemi esistenziali. Certo lei è meno introspettiva di me o forse è molto più furba: ha scoperto che così si sta meglio. Io invece ho scoperto anche il dramma dell'introspezione, a volte ci sono calata dentro fino in fondo. Adesso sto risalendo, o almeno recito il personaggio della sicura. Lei e io siamo molto chiuse fra di noi. C'è un grandissimo amore, tanto più grande per la nostra incapacità di dimostrarcelo. Molte cose importanti di lei, io le ignoro. Per me è uh personaggio misterioso. In una trasmissione televisiva intitolata Noi due lei disse di me: "È dura, bella, insopportabile, appare decisa, aggressiva, ma dentro non sa bene come è. Tutti quelli che la conoscono lo dicono ... ". Noi 172

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abbiamo scherzato molto su questa trasmissione, ma non abbiamo approfondito. Io non so quali sono i suoi sentimenti, non c'è rapporto di confidenza fra noi, come se ci fossero delle scorie che non abbiamo ancora spazzato via ... Mia sorella quando era piccolissima mi aveva impacchettata perché voleva rimandarmi a Gesù Bambino... Io le voglio molto bene, ma per me è una persona misteriosa che non si espone. Secondo me i giornalisti hanno molto esagerato l'antagonismo fra noi due. È vero che Teresa non v'uole farsi fotografare con me, ma io la capisco. Noi abbiamo due professioni diverse. Lei ha tutti i diritti di essere più restia a parlare di me di quanto io non sia a parlare di lei. Non me la sceglieref per amica perché siamo sorelle. Io credo che né i legami di sangue - con problemi di natura ancestrale che affondano le radici chissà dove - né le grandi passioni sessuali, possano diventare amicizie. Io so cos'è l'amicizia. È un altro sentimento. Fra sorelle dover difendere fin da piccole il bene primario dell'affetto dei genitori, segna per sempre. (È quanto pensa anche Teresa. Una delle poche volte che parlò del suo rapporto con Giuliana, disse: "Il rapporto fra sorelle è e resta tutta la vita assai problematico: si è costrette a dividere fin dall'infanzia gli stessi genitori. La competizione è ancestrale, naturale, perché ti devi contendere un affetto che è fondamentale, primario, essenziale. Io credo che questo processo sia più accentuato se si è in due. Ricordo che da piccole io e Giuliana facevamo un gioco che chiamavamo 'le due sorelle': ci travestivamo da mamma, ci mettevamo davanti allo specchio e poi giù a darci spintoni... ")». Continua Giuliana: « Io però sento con molta prepotenza l'amore che ho per Teresa, ma purtroppo è un amore inespresso, un amore immaturo. Se le succedesse qualcosa io potrei impazzire, eppure chi ci vede insieme non lo direbbe mai. Noi siamo rimaste ferme a quando avevamo sette, otto anni, siamo rimaste a un certo scrutarci, guardarci, senza riuscire a superare gli ostacoli interni. Forse per pigrizia, per la quantità di lavoro, continuiamo ad andare avanti in questo errore. Chissà poi se è un errore? Mi chiedo spesso se essere persone "pubbliche" ha inciso sulla nostra relazione. Io ho cominciato a diciannove anni con Una donna, uno sceneggiato televisivo dal romanzo di Sibilla Aleramo. Fu un

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grande successo, ci fu una grande pubblicità. Lei in quel periodo, anche se un po' più grande di me, cercava ancora se stessa. Forse allora avrà sofferto di non essere ancora risolta, mentre io ero lanciata. Per anni la confondevano con me, poi lei è esplosa e hanno cominciato a fare il contrario. E poi viceversa ancora. Ora io vedo queste cose con molta ironia, capisco che sono manovre esterne, ma al principio è stato drammatico. Nell'estate dell'82, quando diedero il "Leone d'oro" per il film di cui ero protagonista, Lello Bersani che presentava gli attori disse "Michele Placido e Teresa De Sio ... ". Io ci rimasi male, ma mezz'ora dopo lui mi ha detto che era stato un lapsus, che, siccome abita nella stessa casa di mia sorella, si era confuso ... Fra noi comunque non c'è alleanza, io non saprei allearmi con mia sorella, c'è competizione, ma di quella sana. Il suo gusto musicale mi piace. Forse la capisco più quando canta che quando sto con lei. Ci tengo molto al suo giudizio, che è impietoso, ma a me va bene. Forse in tutti c'è il pudore di mostrarsi ai parenti... Con mia sorella ancora di più perché è un'artista, ha una marcia in più. Quando a lei piace una cosa, a me va benissimo: se non l'ha scoperto lei il trucco, vuol dire che non lo scoprirà nessuno ... Una cosa che ricordo di noi è che non ci sono stati mai processì di imitazione. Da piccole volevamo tutte e due cantare, ballare, recitare, ma tutto qui. Persino allora ci regalavano cose molto diverse. Ora poi la differenza è più forte che mai: io amo i vestiti sobrii, rigorosi, detesto le mode. Lei, al contrario, è tutta teenager, giovane, folkloristica, colorata, zingara. Ora si sta sofisticando, ma sempre in quella direzione». Incontro con Micol Fontana

Zoe, Mi col e Giovanna Fontana, titolari della casa di moda « sorelle Fontana», note in tutto il mondo, devono il loro successo proprio al fatto di essere sorelle. La madre, Amabile, nel lontano 1907, aveva fondato una sartoria a Parma. Nel 1938, le tre sorelle, ormai valenti sarte, decisero di lasciare la città natale. Ma per andare dove? Zoe prese l'iniziativa, sfidando il caso: si sarebbe affidata al treno che passava per primo. Era quello per Roma. Così cominciò l'avventura. Ora Zoe è morta, ma è come se ci fosse, anzi c'è, nello 174

stupendo atelier della salita San Sebastianello, In Piazza di Spagna a Roma, dove Micol mi racconta della loro vicenda. · « Zoe era una donna un po' unica, una forza irrompente.

Noi abbiamo sempre litigato ferocemente. La direttrice di New York diceva sempre: "Queste si dividono ... ". Noi litighiamo per le piccole cose, per un fiocco, per una cintura. Per le grandi siamo sempre state d'accordo. Dopo due ore facciamo un brindisi. I nostri compiti sono sempre stati ben divisi. Io viaggiavo e anche se ho fatto errori, non ci siamo mai rimproverate. C'è sempre stata fra noi una fiducia illimitata. Anche da parte dei mariti. Quello di Giovanna è amministratore, se qualcuno gli chiede come si chiama scherzosamente dice: ;'Mi chiamo Lami da ragazzo ... Da sposato Fontana". Il marito di Zoe è stato una favola: collaborava, incitava, aveva amore e anche stima per la moglie. Per lui era la più bella, la "più" in tutto. Io credo che se ci sono ostacoli in famiglia non si conclude niente, in nessun campo. Noi di famiglia abbiamo un attaccamento morboso fra noi. Lavoro e casa, il nostro hobby è la famiglia, il clan. Fra noi non c'è mai stata competizione, nessuna di noi avrebbe potuto fare niente senza l'altra. La mamma diceva sempre: "ricordatevi sempre che se vi dividete, non farete mai niente". La nostra avventura comincia nel 1936. Eravamo tre ragazze dai diciotto ai venti anni. Siamo di Traversetolo vicino a Parma. Nostra madre già era sarta, lei era la "maestra", noi le "scolare", le altre lavoranti erano amiche. A Santa Caterina (12 protettrice delle sarte) facevamo una grande festa. Le amiche dicevano: "Perché Zoe, Micol e Giovanna sono più avanti?". "Perché lavorano 16 ore al giorno", rispondeva la mamma. Infatti al sabato stavamo in piedi tutta la notte a lavorare, ci pungevamo le dita per non addormentarci e cantavamo per stare sveglie. Alle cinque di mattina, quando il lavoro da consegnare. era finito, andavamo a messa e lì, allora, facevamo il pisolino ... Noi eravamo molto amiche. Nessun segreto in casa nostra. Se c'era un flirt ce lo raccontavamo. Anche dopo, se i mariti avevano qualche discussione con le mogli, dicevano sempre: "Voi sorelle... ". Quando siamo andate a vestire Maria Pia di Savoia per il matrimomo, con le ragazze c'era anche la figlia di Zoe. Fu presentata: 175

"Questa è la figlia delle sorelle Fontana". E Umberto chiese: "Di quale?". "Noi non diciamo mai 'io', diciamo sempre 'noi'". I nostri amici personali sono diversi, perché noi siamo diverse. Diverse individualmente. Ognuna ha una sua impronta, una sua famiglia. La più casalinga è Giovanna. Zoe era addetta alle pubbliche relazioni e aveva sempre molti ospiti in casa. Ma le riunioni di famiglia si sono sempre fatte in casa di Giovanna, anche adesso è come andassimo a casa di papà e mamma. Magari io vado fuori per un week-end, ma non sto bene se alla sera della domenica non vado a casa sua per salutare tutti. Sento che mi manca qualcosa. Noi siamo ancora qui perché siamo riuscite a conservare l'equilibrio. Molti altri nel nostro campo sono finiti. Non abbiamo mai sperperato. Potrei dire che le nostre diversità hanno mire comuni. Il ceppo è quello, l'educazione è quella. Per arrivare tutte tre nello stesso posto, prendiamo strade diverse, tutto qui. Ma lo scopo finale è uguale. Ci siamo sempre sentite uguali, nessuna aveva il complesso di inferiorità rispetto all'altra. L'altro giorno dico a Giovanna con aggressività: "Non ti sognare di morire prima di me eh? Cosa farei senza di te?". Lei mi ha guardato, ma ha capito».

Incontro con Maria Gabriella Frabotta

Le tre sorelle Frabotta sono impegnate in campi molto diversi: Maria Gabriella è biologa, Biancamaria poetessa, Adelaide storica. Delle tre, la più nota è Biancamaria in quanto, oltre a insegnare Letteratura all'Università di Roma, pubblica poesie ed è in stretto contatto con il mondo dei poeti. Esponente del femminismo (come anche Maria Gabriella), ha fondato con Rossana Rossanda la rivista « Orsa Minore» e insegna letteratura nel centro femminile romano « Virginia Woolf ». Io ho incontrato la sorella Maria Gabriella. « Siamo tre sorelle in una famiglia tutta al femminile, sia da parte

materna che paterna. Le notizie del padre (scomparso da poco) erano sempre notizie trasmesse dalle donne, memorie mediate dalle donne. Io vivo questi rapporti come un cerchio, me ne sono resa 176

conto con il femminismo. Adelaide per me è sempre stata un po' la piccola, la mia prima figlia. Fra noi ci sono tredici anni di differenza. È stata la sorella maggiore di mia figlia, c'è una grande alleanza fra loro. Io sono la prima delle tre, sono sempre stata la primogenita in tutti i sensi, non ho fatto le trasgressioni che le altre hanno fatto. Fisicamente sono sempre stata come i miei genitori, nera, con gli occhi scuri. Le altre due bionde, con gli occhi celesti. Anche questo ha un senso. ,,, Questa primogenitura si è interrotta con il '68. Adelaide era una adolescente allora, quindi si è staccata dalla "coppia" di Biancamaria e me. Per noi il '68 è stato un rapporto fra fratelli, non eravamo più sorelle-femmine. Militavamo nello stesso gruppo e questa militanza comunista ci ha rese "fratelli". In quel periodo Biancamaria è diventata lei la primogenita, la leader, sempre però tendendo la mano verso di me. Entrambe abbiamo vissuto il '68 in modo radicale, esperienze di comune, rottura di matrimonio. La qualità del nostro rapporto fra sorelle usciva fuori soltanto come senso di alleanza, di complicità. Con il femminismo, questa realtà è mutata. Ci siamo ritrovate insieme nei primissimi gruppi di riflessione, di teorizzazione del femminismo storico romano. Eravamo nel collettivo di Via Pomponazzi e qui è cominciato un vero e proprio intrigo amoroso. Succedevano cose strane: spesso, per esempio, si parlava anonimamente, non ci si vedeva nemmeno in volto. Magari io parlavo e una compagna mi chiamava e continuava il discorso come fosse Biancamaria a parlare. Forse perché abbiamo la voce molto simile? Da allora è cominciata una vera esperienza di "doppio", e anche una sofferenza che nemmeno oggi è ancora ben elaborata. Intanto, sia Biancamaria che io, entrate nel grande ventre del femminismo, ci siamo allontanate dai nostri specifici professionali. A volte io leggevo un suo intervento e mi dicevo: "Queste cose le ho sempre pensate" e non capivo se erano mie o sue. Quando in Anni di piombo ho visto quella scena del vetro che divideva le due sorelle, sono stata malissimo. Questo continuo cercare il proprio doppio, è stato un dolore. Fino al '77, nelle manifestazioni, i corpi femminili che facevano barriera, sono stati come dei moltiplicatori di sensazioni: due donne erano il 7 ROMÉ

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nucleo. A quel tempo mi sono messa sotto lo stimolo del rapporto con la sorella. Man mano che andava in crisi la militanza, mia sorella è come scomparsa, sono nati rapporti di amicizia con donne molto più importanti di lei. Anche le svolte professionali più significative le ho fatte con donne che non erano lei. Biancamaria è una diversa. L'analista una volta mi ha detto: "Messe insieme, voi due sareste la donna. Fra voi ci sono scissioni fortissime di personalità". Fra il '77 e il '78 io ho pagato tutto questo attraverso il vivere, ho anche corso gravi rischi di autodistruzione. Poi, dopo il '78, con la crisi della coppia, della professionalità, con tutta la cultura al negativo che ci ha affogato, abbiamo raccolto questi rottami: lei l'amore per la letteratura e in me è riaffiorato il passato con la riscoperta della biologia. Prima la consideravo una cosa a parte. Pian piano ho smesso gli interventi politici, mi sono isolata, sentivo il bisogno di studiare. Nel '79 sono ancora andata a Berlino a parlare del femminismo in Italia, poi ho detto "basta". Provavo soltanto nostalgia. Ho preso il gusto del frammento, della parzialità. Insegno, nonostante lo sfascio della scuola italiana, non parlo più della questione femminile, parlo del dimorfismo sessuale, dell'etologia, parlo dell'istinto. Non teorizzo più. Ora mi interessa il metodo. Ho scoperto una mia identità, la mia empatia con gli adolescenti, ho scoperto la diversità da mia sorella. Un terreno d'ombra che va conservato e non si può analizzare con gli strumenti analitici. Fra me e Biancamaria c'è anche la diversità dei linguaggi, scientifico, etologico il mio, quello che fa la poesia il suo. Vuol dire che inseguo di nuovo mia sorella? Il gioco non è fatto, non si concluderà mai ... Comunque ora io non sono più né un fratellino, né una fanciulla, sono una donna-sorella. Ma, secondo me, la sorella non è una persona. Ora tendo a scegliermi amiche che assomigliano a me, quindi non a lei. Questa diversità non è soltanto la ripresa su se stessi. Io mi sono detta: "È proprio diversa". Prima le nostre strutture di base erano state annullate. Nel momento in cui mi sono accorta della diversità, mi sono accorta che con lei certe· cose non le posso fare. Con lei posso vivere certe esperienze, non certe altre. Una volta questo poteva mandarmi in sballo totale. Ora no. Certo, non me la 178

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sceglierei come amica. Però ci sono con lei momenti che con un'amica non si possono avere. Abbiamo una mamma che è rimasta vedova da poco. Questo è un problema comune di tutte e due. Nell'aiutare mamma cerchiamo di aiutare noi. Quando le sento dire cose che anch':io penso, sono molto contenta».

Incontro con Dacia Maraini

Famosa da anni (pubblicò giovanissima nel 1961 il suo primo romanzo La vacanza), scrittrice di teatro, esponente del femminismo italiano, Dacia Maraini ha due sorelle. Una anche lei scrittrice, l'altra musicista. Con l'acume e la sottigliezza tipiche del suo modo di raccontare, Dacia descrive il suo rapporto con le sorelle. Un legame improntato alla tenerezza, mai inquinato dalla competitività. « Ho due sorelle più piccole di me: una si chiama Yuki (in

giapponese significa neve), l'altra Toni (abbreviativo di Antonella). Tutte e due sono nate in Giappone dove eravamo andate con nostro padre che faceva uno studio sugli Hainu, una popolazione del nord del Giappone. Mio padre è etnologo. Con le mie sorelle ho sempre avuto un rapporto di grande affetto e comprensione, ma senza molta dimestichezza. Nel senso che abbiamo fatto vite separate, quasi sempre lontane l'una dall'altra. La nostra è stata una educazione all'autonomia, fin da piccolissime e così siamo cresciute, ognuna per i fatti suoi, coltivando i propri amici, il proprio lavoro, i propri affetti. Da bambine eravamo molto affiatate. Abbiamo giocato insieme, ma solo fino all'adolescenza. Poi ciascuna ha preso la sua strada, anche perché i genitori si sono separati e si sono messi a vivere in città lontane (Palermo, Roma) e quindi noi andavamo dall'uno all'altra, secondo le esigenze scolastiche, le voglie, il capriccio eccetera. Mia sorella Y uki è musicista: canta, compone, suona. Toni è scrittrice come me. Yuki è sposata e ha una figlia ormai di diciannove anni. Toni è sposata con un pittore marocchino, vive a Casablanca e ha due figlie, una di otto anni Muja, e una di tre, Nur. Oggi, ormai tutte e tre quarantenni, ci vediamo poco; ma quando ci vediamo stiamo molto bene insieme. Se una delle tre ha biso179

gno di aiuto, le altre fanno di tutto per venirle incontro, anche economicamente. C'è molta tenerezza e anche dello strazio (per lo meno da parte mia). L'invecchiamento delle sorelle mi è insopportabile. Vederle malate, prese da difficoltà di denaro, di lavoro, mi fa star male. Lo stesso mi succede con mia madre. Mi addolora moltissimo vederla perdere le forze, la vista, la sicurezza. Nei sogni ho dei sensi di colpa profondissimi. Tante volte ho sognato che lei mi gridava: è colpa tua se invecchio. E io piangevo disperata. Cercavo di fermare la mia crescita perché sapevo che crescendo io, invecchiando io, spingevo lei verso la tomba. Accetto meglio la mia vecchiaia che quella delle mie sorelle. Vorrei vederle sempre giovani e senza pensieri. Invece Yuki è tormentata da una grave malattia alle ossa che la invecchia precocemente. Toni sta bene per fortuna, ma è sempre alle prese con gravi problemi finanziari. Scrive molto bene, anche se con uno stile completamente diverso dal mio. È una bravissima madre, una moglie affezionata al marito. Mentre io ho avuto una vita sentimentale movimentata e ho perso un figlio al settimo mese, rimanendo viva per miracolo. Le mie sorelle hanno inciso sulle mie scelte professionali? Non direi. Ha influito la famiglia semmai. Mia nonna Joy, che era inglese di origine polacca, scriveva romanzi. Mio padre scrive libri di viaggio. Quindi per noi, sia per me che per mia sorella, era abbastanza naturale seguire la strada della letteratura. Fin da piccole ci siamo trovate fra i libri, migliaia di libri: romanzi, saggi, libri di storia, poesie, teatro. Non avevamo magari i soldi per comprare la carne tutti i giorni (e difatti la mangiavamo solo una volta alla settimana), non avevamo i soldi per le scarpe e il dentista (ricordo per anni di essere andata in giro con le scarpe bucate o risuolate cento volte), ma i libri non mancavano. Mi chiedi se sceglierei le mie sorelle come amiche? Amiche lo siamo. Anche se ci manca l'intimità dell'amicizia fatta di convivenza quotidiana. Quello che ci separa, oltre alla distanza fisica, è che c'è sempre stato un forte senso del pudore fra noi. L'amicizia fra donne oggi è spudorata. Ed è giusto che sia così. Mentre fra sorelle il pudore vince sull'intimità e sulla solidarietà. Per lo meno fra di noi è sempre stato così. Pudore dei sentimenti, della vita sessuale, dei pensieri più segreti. 180

Niente è cambiato fra noi per via della mia notorietà. Le stesse premure, lo stesso affetto. Con mia sorella Yuki spesso ho lavorato in teatro, facendole scrivere le musiche per i miei testi. E mi sono sempre trovata bene. Penso che se non fosse per la malattia e per una innata pigrizia che la mangia viva, sarebbe ben piantata nella sua professione come io nella mia. Perché ha talento per la composizione ed è dotata di una voce bellissima. Mia sorella Toni, quando le hanno suggerito di "cambiare nome per distinguersi dalla più nota sorelli', ha risposto dolcemente: "Ci sono state tre sorelle Bronte, non vedo perché non ci debbano essere due sorelle Maraini che scrivono romanzi senza pestarsi i piedi e mettersi in competizione l'una con l'altra". Per fortuna non siamo afflitte né lei né io da spirito di competizione familiare. Io sono contenta quando lei fa un bel libro e lei è contenta quando lo faccio io. Alle volte sento che ha delle riserve nei confronti di quello che scrivo, perché io sono provocatoria e "scandalosa", mentre lei è portata al misticismo, molto severa e pudica. I suoi romanzi sono delle ariose metafore fìlosofìche. I miei sono più intrisi della miseria della realtà di oggi: sesso, nevrosi, denaro, cibo. Con tutto questo ci stimiamo e ci rispettiamo molto. Il mio amore per lei si esprime poco. La vedo sì e no due volte all'anno. Ma lo conservo intatto in una parte di me dove le impronte familiari si sono fissate per sempre come calchi indelebili».

Incontro con Giulietta Masina

Debuttò come attrice professionista al Teatro dell'Università di Roma, poi due anni di lavoro alla Radio, poi il cinema: La strada, Le notti di Cabiria, Fortunella, Nella città l'inferno, Giulietta degli Spiriti. Ha girato anche all'estero, con Dudivier e Victor Vicos. Per 10 anni ha collaborato a « La Stampa» di Torino con una rubrica da cui è stato tratto il libro Diario degli altri. Due sceneggiati recenti alla televisione Eleonora e Camilla che hanno avuto il massimo indice di ascolto. Ha avuto alcuni fra i più importanti premi internazionali. È stata nominata Commendatore della Repubblica da Saragat, le è stata consegnata in Francia da Chirac « La grande médaille >>. In Russia e in Australia e in tanti altri Paesi del mondo ha una vastissi181

ma popolarità. Spesso è chiamata da varie Università per conferenze e dibattiti, come ambasciatrice del cinema italiano. « Credo che i bellissimi, fortissimi rapporti con le mie sorelle

nascano dalla storia della mia famiglia. Mio padre, di origine bolognese, era un musicista. A quattordici anni suonava l'organo e il violino, fu "primo violino" alla Scala di Milano. Tutta la sua famiglia amava la musica, fin dai bisnonni che erano fattori. Mia madre era veneta, aveva studiato alla Bocconi a Milano e faceva la maestra. Tutti in famiglia erano insegnanti. I bisnonni sotto l'Austria. Lui la incontrò tornando da una tournée in Svizzera. Si innamorarono, decisero di sposarsi. Ma la famiglia di lei non voleva un ... musicista. Così mio padre entrò alla Montecatini. Fu un grande amore il loro, un dono che durò tutta la vita. Mio padre a ottant'anni era geloso di mia madre che ne aveva settantanove! Dopo nove mesi di matrimonio nacqui io. Mi chiamarono Giulietta perché il fratello di mia madre, Eugenio, aveva una moglie che si chiamava Giulietta. Questi zii erano senza figli, molto ricchi, possedevano parte del Calzaturificio di Varese. Amavano l'arte, i viaggi, conoscevano Puccini e Tosti. Vivevano a Roma e in casa loro andavano Salvator Gotta, De Sabata, la figlia di Giordano. Quindici mesi dopo la mia nascita, venne al mondo Eugenia. Allora gli zii dissero: "Per alleggerire il ménage, dateci Giulietta". Passarono mesi e io non tornavo a casa, papà venne a riprendermi e gli zii ne soffrirono molto. Fra andate e ritorni, verso i quattro anni e mezzo gli zii convinsero i miei a lasciarmi vivere con loro. Dicevano che una bambina così piena di interessi avrebbe avuto un avvenire brillante nel loro ambiente. La mamma, come tutte le donne furbe - perché non completamente realizzata - mi prese da parte e mi disse che sarei stata meglio a Roma, anche se adesso che ero così piccola non potevo capirlo. Papà disse di non fraintendere questa cosa. E io "scelsi", a quattro anni e mezzo, di andare a Roma con gli zii. Lo zio morì che avevo sei anni e io rimasi con zia Giulia. Una donna molto severa, ma anche molto aperta, mi portava ai teatri, ai concerti, all'opera, ai balletti, si viaggiava molto. Era un ambiente da cui attingevo mille stimoli. Quando ebbi otto anni nacquero due gemelli (Mario e Mariolina). Ogni estate, finite le scuole, andavo tre mesi a casa dai miei. Ero una bambina sensibile, emotiva, estroversa e affettuosa, ma 182

con grandi pudori e ritrosie, ho sentito moltissimo la mancanza del nucleo familiare. Però mi chiedo e mi sono chiesta spesso se questo non abbia avvantaggiato il rapporto con le mie sorelle. Perché io me lo sono in parte inventato, non ha avuto l'usura della convivenza. In più, quando andavo a casa, l'atteggiamento di papà e mamma era di darmi in tre mesi quello che in dodici non potevano darmi. Dicevano: "Se a Giulietta sarà concesso di più, è per ripagarla di un'assenza". Nelle vacanze anche la mamma non faceva scuola e allora, siccome a me pi~eva tanto starmene nel suo lettone, lei me lo concedeva, fino a tredici, quattordici anni. Si metteva a sedere alla turca e mi teneva fra le gambe. È il ricordo più dolce della mia infanzia, come era dolce la sua pelle, il profumo che aveva. Eugenia era vivacissima, forte, ma doveva mollare quando c'ero io. Io non sono prepotente, lo divento quando mi sembra ·di dover difendere una creatura che amo. Affettivamente sono possessiva, ma sono discreta, non voglio pesare. Che mi costi fatica o dolore, è un'altra cosa. Comunque a me era più facile essere conciliante quando stavo con loro. Sapevo che mi davano molto, ma che anch'io dovevo dare molto. La mia è stata un'educazione sana e intelligente, anche se dura. Quando io arrivavo a casa, facevo la grande con le mie sorelle. Avevo qualche risparmio dei soldi che la zia mi dava e, magari, compravo sei etti di prosciutto (non era roba di tutti i giorni a quei tempi!), oppure vedevo una tovaglia colorata e la prendevo per casa. Regalavo a Eugenia tutte le belle cose che la zia mi aveva dato. Non ho mai sviluppato sensi di rancore, come sentissi, fin da allora, che dal dolore può venire gioia. Questo stato di lontananza ha creato in me un alter-ego materno. Era come dicessi: "C'è Giulietta a Roma che prepara la strada, un domani migliore di quello che vi potrebbe dare una piccola città". Anche dopo il matrimonio - mi sono sposata giovanissima - , non avendo avuto figli, ho sempre sentito la responsabilità verso le mie sorelle. E loro sentono molto la mia autorità e il mio appoggio. Una alla volta le mie sorelle e mio fratello e i miei genitori sono venuti a Roma. Io sono diventata anche la madre di mio padre e mia madre. La scelta che avevo fatto a quattro anni e mezzo è stata di riadottare la mia famiglia. Per la vita. 183

Non ho mai sentito il bisogno di avere grandi amiche, perché come amiche ho le mie sorelle. È un rapporto privo di pettegolezzi e di cose inutili. Non abbiamo mai parlato dei nostri uomini. C'è un profondo rispetto delle reciproche intimità. Tutte noi risentiamo molto dell'educazione fatta di pudori sui sentimenti. Siamo diverse, ma legatissime. L'unica che ha ereditato la passione della musica, della danza sono io. Eugenia è sempre stata molto carina, seducente, elegante. Ha ereditato quella civetteria veneta di grande civiltà. Ha un marito medico, due figli. Era portata al commercio, avrebbe realizzato un impero commerciale. Mariolina è la bella di casa. Forse perché gemella, forse perché la più piccola, era portata a una vita di società, ma non quella futile. Rimasta vedova·, si è occupata di papà e mamma. Io li andavo a trovare tutti i giorni anche perché sentivo, e continuo a sentire, la necessità di proteggere Mariolina. Per noi sorelle, quando abbiamo bisogno di consigli, di appoggi seri, è come se papà e mamma fossero intorno a noi, chiocce che ci proteggono per la vita. Io, Eugenia e Mariolina sentiamo fortissimo il rapporto di sangue. Vediamo questo come un destino all'orientale: sentiamo che eravamo destinate. Anche nostro fratello, guai a chi ce lo tocca! Sua moglie lo ha capito e noi l'abbiamo accettata come un'altra sorella. Non penso che le mie sorelle siano mai state gelose di me. Sono contente che io sia Giulietta Masina, ma non vorrebbero essere me. E nemmeno vorrebbero tutto ciò che la vita mi ha dato di successo, di amore, di fama. Non siamo più giovani, ma siamo sempre più unite».

Incontro con Mara e Lidia Ravera

Ho avuto la ventura di passare qualche ora con due sorelle che si amano molto, che si sentono solidali e amiche anche oggi che sono adulte, e una delle due ha una indiscussa notorietà. Sono Mara e Lidia Ravera. Mara è maggiore di tre anni. Lidia è una giovane donna poco più che trentenne, una professionalità consolidata di scrittrice e di sceneggiatrice, alle spalle un passato di enorme popolarità ai tempi in cui, con Lombardo Radice, pubblicò Porci con le ali. 184

Mara: Sono convinta che la sororalità genetica è differente dalla sororalità di scelta: odio, amore, tutti i sentimenti fra sorelle di sangue mettono in gioco il passato, la famiglia, le contraddizioni dell'infanzia. Lidia: Io parlo da privilegiata, sono la sorella minore, una posizione splendida. Almeno non hai il trauma di sentirti portar via qualcosa ... Sono d'accordo che è diverso essere sorelle di sangue. Malgrado le lacerazioni profonde che a volte si vivono, derivate da un amore imposto, fra noi c'è un grande amofe da adulte. Io riscelgo Mara come sorella di elezione, come amica. Ma sento che c'è di più, qualcosa di diverso. Credo che il mito della famiglia che distrugge potrebbe anche essere rivisto. L'unica cosa che può sembrare una minaccia è che si riduce· 1a tensione, questo rapporto tu lo dài per acquisito, non scatta la meccanica della seduzione, tutto è scontato. Quando ero piccola, io ce la mettevo tutta per sedurre Mara, perché voleva dire sedurre una persona più grande. Fino a quando lei aveva diciassette anni e io quattordici, c'era differenza. Dopo non ne ho sentita più, è nato un senso paritario. Mara: Per me è stato un po' diverso. Ho sempre provato il bisogno di avere l'approvazione di Lidia. Poi è successo che lei, pur essendo la "minore", ha avuto un figlio prima di me, allora ho sentito ancora più forte il suo gjudizio e ho ricercato la sua approvazione. Pensa che non è scattata in me l'invidia quando Lidia è diventata famosa, è scattata quando lei ha avuto il bambino che io non avevo. Lidia: È vero che Mara non ha avuto invidia per il mio successo, anzi mi ha sempre difesa. Nel periodo della mia popolarità enorme per Porci con le ali, ero invitata da tutte le. parti, avevo offerte di lavoro, ero incensata, ma ero anche svilita, criticata, sporcata. Allora in Mara è scattata la protezione. D'altra parte né lei né io siamo persone troppo condizionate dai valori transeunti (diciamo la fama, i soldi). Forse per superbia, forse per ideologia, comunque abbiamo questa fortuna. Mara: Il rapporto affettivo mi ha aiutata a vedere cosa c'era dietro la facciata in quel periodo. Prima di quel successo Lidia era una ragazzina fragilissima, anche se dura al di fuori, oggi è una donna sicura. L'affettività profonda per lei mi ha spinta a essere più attenta agli aspetti che la laceravano e le creavano conflitti. Noi abbiamo vissuto insieme molto più questi stati d'animo che altri. 185

Lidia: Tutto questo è molto bello, ma, diciamo la verità: Mara, che pure ha sempre avuto un rapporto intenso con quel che pensavo e facevo, non leggeva i miei libri, oppure li leggeva con distanza. Come se volesse saltare i miei prodotti per conservare me persona. Mara: Non è vero che non leggevo e non leggo le sue cose. Non sono capace di scindere lei come persona da quello che scrive. In quei periodi non mi riusciva di viv~rla a pezzi. Poi ogni tanto scatta l'infantile bisogno di un rapporto totale... Lei per me è un punto di riferimento non inquinato dalle mode. Se mai io le ho sempre invidiato (anche in senso positivo) il suo rapporto con il lavoro, il saperlo far entrare nella sua esistenza. Io, invece, ho un brutto rapporto con il lavoro, è staccato da me. Ho fatto tre anni di lavoro all'Università in scienze politiche, ora sono consulente di marketing in pubblicità. Ritengo che Lidia abbia un equilibrio molto più positivo del mio. Lidia: Io ho sempre avuto un'attenzione verso la scrittura. Il mio lavoro è l'investimento della mia vita. A me secca perdere tempo, non voglio avere vuoti. Per me non c'è frattura fra tempo-libero e tempo-lavoro, la mia è un'ergoterapia continua. Ho cominciato a lavorare a Panorama a vent'anni. Mara: Chissà, forse può darsi che queste differenze dipendano anche dal fatto che io sono la maggiore e tu la minore. Lidia: I figli minori hanno sempre in qualche maniera la vita più facile. Crescono un po' più lasciati vivere. Io davo per acquisito che Mara era più brava, più intelligente. Mara ha inciso sulla mia crescita, questo glielo devo. Il nostro rapporto era molto stretto, simbiotico quasi. Eravamo una addosso all'altra. Io le correvo dietro. Imbucata nei festini. Ho fatto giochi più evoluti, ho smesso di giocare prima, politicamente, ho letto libri e giornali più da grande. Avere una sorella maggiore è una fortuna nella vita. Non ci perdi, ci guadagni. Per me è fondamentale avere rapporti affettivi, Mara per me è un rapporto affettivo. Tutti i rapporti sono una battaglia, si vivono nei ruoli. Ora io ho due rapporti affettivi, mia sorella e mio figlio. Con i genitori, il massimo è la non-belligeranza. Con mia sorella mi concedo la pietà. Questo non vuol dire necessariamente che vogliamo o dobbiamo stare insieme. Come dicevo prima la seduzione è ridotta, ma lei è sempre un punto fermo. Mara: Per me Lidia è la parte buona della famiglia. La salvo come 186

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l'aspetto positivo, il rifugio, l'ultima speranza. Sapere di poter contare, magari anche sulla non-approvazione, ma come punto fermo. Certo che spesso noi due la pensiamo diversamente su tante cose. Ma al di là di questo, sappiamo anche contare una sull'altra. Per me, sorella maggiore, è stata una condizione meno positiva. Avere una sorella piccola può andarti bene o male. Io, per esempio, ho giocato più a lungo di quanto avrei giocato se fossi stata la seconda. E poi sono stata gelosa, ho avuto complicità verso di lei contro i genitori. In tutto questo, comunque, ci vedCYun arricchimento, non saprei immaginarmi figlia unica. Lidia: Vorrei aggiungere una cosa: anche adesso che è come avessimo la stessa età, io ho difficoltà a essere protettiva nei suoi confronti. A livello superficiale lo faccio, ma nel profondo un po' meno. È un ruolo che non ritengo mio. Mara: Eppure nella maternità che tu hai vissuto prima di me, io ti ho sentita sorella maggiore ... Lidia: La nostra fortuna è che non abbiamo mai avuto odi sotterranei, cose non dette. Per quello che emerge abbiamo sempre cercato di parlare, abbiamo sempre avuto rapporto di parole. Ricordo che da piccole giocavamo alle sceneggiate... Io ero il famoso lui, Mara la donna ... Incontro con Rossana Rossanda

Personalità di grande spicco, impegnata nel mondo della cultura e della politica, Rossana Rossanda è stata fa fondatrice del « Manifesto», che tuttora dirige. « È necessaria una premessa: mia sorella e io, gli anni decisivi dell'infanzia insieme non li abbiamo vissuti con i genitori, ma con degli zii che non amavamo molto. Erano piccoli borghesi che abbiamo capito soltanto più tardi. Da quando io avevo sei anni fino ali' adolescenza abbiamo vissuto molto profondo il senso di una famiglia non naturale. La nostra era una solidarietà di affetto contro gli adulti. Questo ha marcato sempre il rapporto con mia sorella. Marina ha tre anni meno di me. In una fase molto tardiva, verso i quarantacinque, cinquant'anni, per caso, in maniera improwisa, mi sono resa conto di essere stata

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per lei una sorella molto oppressiva, da piccola, e molto autoritaria, da grande. Come se in me fosse sempre scattata di fronte a lei una protezione ingombrante, unita a una incomprensione reale dei suoi bisogni. A quell'età scoprii che non avevo capito riulla e che l'avevo irritata. Per esempio, la nostra memoria infantile è diversa. Lei dice che io la escludevo, che avevo un'amica di nome Adelma che preferivo sempre a lei, che dicevo "tu sei troppo piccola, resta lì". Ebbene io non ricordo nemmeno questa amica. Ricordo invece una certa gelosia quando lei è nata. Nella sua memoria, sembra che io abbia esercitato un ruolo di insopportabile sorella maggiore, sostitutivo di una madre più dolce. Mia sorella non sentiva la solidarietà in maniera paritaria. Nel suo cuore c'era come un rancore. Sòno circa dieci anni da quel litigio che cerchiamo di sciogliere questo nodo. Io mi trovo ogni tanto ad avere come degli stati d'allarme. Lei è entrata nel Partito Comunista quando io ne sono uscita. A volte mi dico: "Io conosco il partito più di lei, chissà che carognate le faranno ... ". Io sono stata più nota di lei, ma adesso anche lei è conosciuta e io ne sono contenta. Lei sente che non le sono mancata nelle cose materiali, ma nelle altre. Eppure il nostro è un rapporto fortissimo, anche se da parte mia colpevolizzato. Sembra che io sia stata una strega. Adesso che, oltre all'ambito della sua ricerca scientifica, lei ha scoperto nella politica un suo ruolo a parte, questo in qualche modo tranquillizza me e pacifica lei. Però io continuo a essere allarmata dentro di me. Nell'estate dell'82, per esempio, durante la guerra del Libano, lei mi ha detto: "Vado a Damasco per organizzare un soccorso". Io le ho detto: "Non andare a Beirut sotto i bombardamenti". Ero preoccupata. Allora lei mi ha detto: "Stai tranquilla, a Beirut non vado. Ti terrò informata o riceverai una telefonata da una compagna a Parigi". Io sono andata a Parigi, non ho cercato quella persona perché non volevo dare l'impressione che correvo dietro a Marina. Ma questa persona subito il giorno dopo il più grande bombardamento a Beirut mi ha telefonato, chiedendomi se avevo notizie, che Marina era laggiù ... Io mi sono trovata in una situazione terribile. Passano due, tre giorni, non c'erano notizie, allora mi sono messa in contatto con l'ambasciata, volevo andare a Damasco, cercarla, avevo già pre188

notato l'aereo. Poi una mattina l'ambasciata mi telefona dicendo che avevano avuto notizie di Marina. Lei appena tornata mi chiama. Nonostante il mestiere che fa, era sconvolta, eccitata e turbata per quello che aveva visto. Io le ho fatto una sfuriata, tanta era la tensione che avevo accumulata. In verità non avevo nessun diritto di essere così arrabbiata. Ma ero infuriata, mi dicevo che lei di me non ha nessuna fiducia. Insomma, il nostro è un rapporto stretto e complicato. Una specie di topos classico fra la maggiore che si sente sicura e protettiva e la minore che, invece, la sente come una vicemadre, anche un po' stupida. Mia sorella non ha influito su di me. In verità nessuno lo ha fatto, se non gli eventi. Mio padre e mio suocero, Banfi, sono stati i miei due grandi maestri, hanno fatto la mia testa. Però io dentro di me ho qualcosa di molto determinato. Sono determinata dalle cose che succedono: la Resistenza, il Partito Comunista. Il mio ideale è sempre stato quello di essere una persona, non un personaggio. Però anche una signora con cui si può parlare ... Io sono una moralista terribile, ma nessuna persona al mondo mi ha determinata. Questo è un limite per i miei rapporti personali. Chi mi vuole bene, lo sente come una impenetrabilità. Chissà perché un dovere esterno mi appare così preliminare rispetto agli affetti? Io sono attenta ai rapporti umani, ho amici, ho amato e sono stata amata. Sono stata fortunata. Io ho avuto dagli uomini più di quanto non abbia dato. Credo di non essere una buona compagna di vita. Quello che non sento come colpa verso mia sorella, lo sento verso i miei compagni. Non sono amoroso-dipendente. Dentro di me c'è una certa dose di "sordità" e io la temo. Forse è questo che Marina ml rimprovera. Con lei io mi sento in estrema confidenza. Quando ho avuto una malattia seria, mi sono rivolta a lei non soltanto perché è medico. Ma la confiden~a è venuta dopo il femminismo. Prima, io le donne mica le guardavo. Infatti ancora ora dico "ho tanti amici", però i miei guai non li racconto. È vero che ci sono due o tre persone, come Valentino Parlato e Pintor, con le quali ho un rapporto fortissimo, ma da altri del mio partito mi sono sentita tagliata fuori. È normale che io non abbia amiche donne. Io sono sempre stata adulta e sempre in mezzo agli uomini. Non ho sentito la competitività maschile. Se mai mi fanno un po' pena. Noi cominciamo a capire qualcosa, loro no». 189

Incontro con Marina Rossanda

Marina Rossanda, laureata in medicina nel 1951, si è specializzata in anestesia e rianimazione nel 1956. In seguito ha preso un orientamento specifìco per rianimazione dal coma dovuto a traumi cranici. Ha studiato a Milano, in Sicilia, in Svezia. Dal 197 6 tiene la direzione di un reparto all'Ospedale milanese di Niguarda. Primario di rianimazione neurochirurgica. Senatrice del P.C.I., ora fa attività politica a tempo pieno. « Rossana ha certamente influito molto sulle mie scelte di vita. È

sempre stata una testa notevole, una ragazza che egemonizzava le sue coetanee, suscitava ammirazione anche nei "grandi", anche quando ne contrastavano la indipendenza delle idee. Io, minore di tre anni, ero fìera, intimidita e ribelle alla sua egemonia. Per educazione e inclinazione, non avevamo alcun dubbio che avremmo studiato, tutte e due. Risale alla mia prima adolescenza il ricordo di una specie di suddivisione di campi e interessi fra noi due, lei in direzione umanistica, leggeva come una disperata, scriveva, inventava, non si divertiva granché ai giochi manuali, io più curiosa delle cose, immersa in un continuo traffico manuale di bricolage, assai meno costante nel leggere, impedita nella espressione verbale che rimase a lungo assai goffa. La scelta di studi biologici per me fu precoce: è possibile che la medicina fosse abbastanza fascinosa da impormisi come possibile via di realizzazione competitiva. La competizione con Rossana è una costante della mia vita. Secondo le leggende familiari ho aperto io le ostilità quando ancora non camminavo, con una incursione distruttiva nel suo parco-bambole. Suppongo che tutto questo abbia avuto non poca influenza sulle mie scelte in tema di studio e professione. Quanto alle scelte di vita privata, mi è difficile distinguere la possibile influenza della sorella rispetto a quella di tutto il gruppo familiare, genitori in primo luogo, poi una coppia di zii con i quali vivemmo a lungo. Attraverso Rossana comunque assorbii la cultura della critica agli schemi obbligati, che veniva dalla ondata di idee nuove nate dalla Resistenza e dall'antifascismo. E più specifìcatamente dall'influenza di Antonio Banfì, del quale Rossana era allieva, che anch'io conobbi quando suo fìglio sposò Rossana. Rodolfo fu 190

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molto fratello per me, anche questo devo dunque indirettamente a lei. Penso in effetti che la mia decisione di stabilire un legame con un uomo sposato, contro le consuetudini del tempo, derivasse in parte da questa radicalità assorbita con la cultura nuova, che a lungo, tuttavia, rimase in me conflittuale con i princìpi familiari più tradizionalisti. Se arrivai tardi alla politica attiva (negli anni sessanta), ciò è dovuto molto alla decisione di realizzarmi professionalmente, decisione che mi costò molta fatica neij.e condizioni economiche poco brillanti nelle quali ci trovammo dopo la guerra, e costò sacrifici a genitori e sorella. Avevo dunque un debito complesso, aggravato dalla mia scelta di rapporto non conforme alla norma, e questo mi assorbì in modo totale e a lungo. La politica attiva non era esclusa in via di principio dal mio programma di vita, ma fu rinviata, mentre avevo un certo rimpianto di non riuscire a seguire, nemmeno da lontano quel che Rossana faceva, con passione e successo. Anche in politica, tuttavia, negli anni sessanta e ora, mi sono mossa in modo diverso da lei: la sua influenza è stata ovviamente molto grande, ma direi che oscillò fra avvicinamenti e prese di distanza (quanto di tutto ciò è reciproco?). Mi sembra ovvio che sia così, se si considera la diversità dell'esperienza, il bisogno di affermare un'autonomia in me molto forte e non solo nei riguardi di lei - la diversità degli strumenti culturali. Quanta competizione c'è ancora oggi che la vecchiaia dovrebbe avere generato saggezza? A questa domanda non so rispondere. Mi chiedo spesso se avrei scelto un'amica come lei. Capisco la domanda ma rispondere mi è impossibile, troppo forti sono i legami di affetto con Rossana per definirli amicizia. Posso chiedermi se le mie amiche reali le somigliano. Mi sembra di no. D'altronde le mie coetanee alle quali sono o sono stata unita da amicizia sono assai diverse tra di loro e oggi conto tra le mie amiche donne più giovani di me, alcune tanto più giovani che vi è nei nostri rapporti una traccia di rapporto materno-filiale. Forse valgo poco in penetrazione psicologica, ma non vedo fra queste mie amiche delle grandi analogie di carattere con mia sorella. Vorrei aggiungere che il nostro legame è sempre stato molto forte, ma silenzioso, senza verifiche. C'era come una consuetudine di non parlare di vicende personali. Ci siamo confrontate relativamente 191

pochi anni fa, durante una lite. Sicuramente ha influito s{i questa chiarificazione il movimento delle donne. Io ho spesso registrato, anche in questi ultimi anni, le sue preoccupazioni per me che conservano una traccia di matérnage. Nel partito solo una volta mi è stato "rimproverato" di essere la sorella di Rossana. In genere sono stata salutata affettuosamente. Qualche volta c'è stato il lapsus di chiamarmi Rossana, ma questo non vuol dire nulla per me. Il vero peso di Rossana è quello della sua personalità che ha alcuni elementi negativi, ma in complesso sono più numerosi i positivi. L'immagine che lei dà di sé non è mai comparabile con quello che lei vorrebbe essere, così anche l'interlocutore può sentirla così, un po' "sorda" sentimentalmente, come lei dice. Ma una volta capito questo, nessuno le rimprovera più nulla. Certamente noi abbiamo un seme comune, nostra madre, una donna dolcissima che affascinava tutti. Concludo dicendo che Rossana dedicandomi il suo libro Le altre, ha scritto: "Alla sola non altra" ... ».

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SORELLA È PER SEMPRE?

Prima di tentare una sintesi di questa ricerca nel mondo delle relazioni fra sorelle, aggiungo alcuni elementi che possono influenzarle, al positivo o al negativo, e che dipendono dalle diverse reazioni alle circostanze esterne. Come se, in certi casi la "forza delle cose" avesse un peso che supera la forza dei sentimenti. La vicinanza geografica, ad esempio, può aiutare un rapporto fra sorelle a mantenersi vivo anche in età adulta. Abitare nello stesso luogo, conservare abitudini comuni, avere frequenti occasioni di parlarsi, di raccontarsi i piccoli e grandi awenimenti di ogni giorno aiuta il legame. Anche se tale quotidianità talvolta genera liti e screzi, impedisce quei distacchi affettivi che sfalsano le relazioni. Nelle vere amicizie, anche da lontano si può conservare un solido legame: basta sentirsi come punto di riferimento. Nel rapporto sororale, invece, se per troppo tempo ci si perde di vista, se si sta insieme troppo poco, si rischia l'estraneità. Forse perché si è troppo esigenti, perché si pretende la confidenza assoluta, perché, più o meno inconsciamente, ci si misura con quel massimo della consuetudine familiare che si è vissuta nell'infanzia: un po' tutto insieme. Il mondo sentimentale di una donna è articolato, complesso, tende a rapporti assoluti, necessita di verifiche e di conferme e non soltanto nel rapporto con l'uomo. Capita, pertanto, che due o tre sorelle che vivono lontane, dopo la morte dei genitori che facevano da tramite ai loro incontri, finiscano per vedersi sempre meno. D'altra parte, oggi più di un tempo, è facile che i membri di una famiglia se ne vadano uno di qua e l'altro di là. Il Natale, le vacanze estive sono le sole occasioni per rivedersi, per far stare insieme i rispettivi figli. Al principio l' emozione è grande, si scambiano regali, si raccontano i fatti più impor195

tanti, si mangia tutti insieme. Poi, trascorsii primi giorni, le diversità delle vite, delle esperienze si fanno sentire. Se una sorella vive in un Paese lontano, con maggiori agi economici delle altre, per fare un esempio, si possono scatenare nell'altra o nelle altre sentimenti di invidia e voglia di rivalsa. Persino le diverse esperienze dei nipoti si trasformano in cause di incomprensione. Così, finite le feste e la breve euforia del ritrovarsi in tanti tutti insieme, il momento della partenza diventa una specie di liberazione. Con la delusione che ne segue. Come sempre, però, la realtà è ambivalente e situazioni di lontananza possono determinare effetti contrari. In tal caso, la distanza fra sorelle alimenta un sentimento ricco e forte, intriso di ansiose attese per una lettera, per una telefonata, di speranze per un nuovo incontro. Ma un po' come succede per l'amore, la lontananza porta con sé dei rischi, primo quello della mitizzazione del rapporto. Nel deserto affettivo in cui tante donne si muovono, oggi, fra lavori stressanti, impegni faticosi, figli che danno problemi, mariti assenti o poco disponibili, l'idea di avere un punto fermo, seppure a centinaia, migliaia di chilometri, dà calore e sicurezza. Ma a furia di sognare, quando ci si incontra, la persona tanto desiderata appare cambiata, diversa da come la si pensava, con problemi estranei ai proprii, con esperienze che l'hanno trasformata. È un momento delicato in cui bisognerebbe cercare di "riconoscersi", di non dare nulla per scontato, di non lasciarsi afferrare da quella sorta di malinconia che assomiglia tanto alla delusione e fa credere che quell'affetto sia assai meno vivo di come lo si era sognato. È un problema di "aspettative". Se si attende che, dopo mesi o anni, una persona sia sempre la stessa, ci dia le stesse emozioni affettive, si può restare delusi. Salvo poi a ricominciare - in modo più o meno cosciente con lo stesso meccanismo di attesa, fino alla prossima volta. Sovente il ritrovarsi fra sorelle una volta ogni tanto ha implicazioni meno complesse, è una specie di "rimpatriata" in un territorio noto. Non importa cosa si è fatto, non importano le storie dell'una o dell'altra, quello che conta è riscoprire quelle certe risate, per quelle certe espressioni, che solo loro sanno e che le facevano ridere da bambine. È un meccanismo psicologico più semplice, elementare, senza troppe esigenze, ma che può arricchire e alimentare i rapporti. Una evenienza che aiuta una relazione sororale a svilupparsi e a 196

resistere nel tempo è la comunanza di lavoro. Ci sono tante donnesorelle con attività professionali e commerciali comuni, le quali, nonostante diversità di indole, carattere, gusti, sono profondamente legate perché hanno trovato un terreno d'intesa che ha reso migliore la loro relazione affettiva. O comunque ha reso possibile la continuità di tale relazione in età adulta. Ho parlato a lungo con due sorelle quasi coetanee, tanto diverse fra loro che di più non si può, le quali non possono più fare a meno una dell'altra, proprio perché le unisce il lavoro. Una è dolce, vulnerabile, ta,ntasiosa, l'altra più dura, più realista, più aggressiva. Eppure sono molto unite perché hanno creato un'azienda insieme. L'affetto di sorelle non le avrebbe certo rese così solidali. Nella vita privata una fa un po' da mamma all'altra, la protegge dalle sue impulsività, ma sul lavoro sono assolutamente alla pari e indispensabili una all'altra. Le loro caratteristiche si integrano, separate non avrebbero certo creato ciò che hanno creato. Se non fossero sorelle non si sarebbero scelte come amiche (lo ammettono anche loro), ma sulla base di una sororalità che ha trovato un punto comune, sono diventate amiche. Può capitare, però, che gli interessi comuni siano causa di fratture insanabili fra sorelle (o fratelli beninteso). È un dato di fatto entrato nei più banali luoghi comuni. Questo succede soprattutto quando esistono questioni di eredità. Durante questo lavoro ho incontrato donne cariche di rancore perché si sentivano maltrattate rispetto alle sorelle negli interessi economici. Anche se oggi la legge tutela "tutti" i figli allo stesso modo e sarebbero considerati nulli quei testamenti dell'Ottocento in cui il padre diseredava il figlio indegno o la figlia scappata con il cameriere ... i beni che compongono una eredità assumono un valore che trascende quello reale, monetizzabile. Infatti le più feroci liti sovente si scatenano per oggetti carichi di significati che vanno al di là del loro valore concreto. Due sorelle, appoggiate dai rispettivi mariti, hanno fatto anni di lotte per un ... canterano di casa. La questione fu risolta, ma le sorelle non si parlarono più. Una delle due mi ha raccontato che quel mobile spettava a lei perché la madre ci era molto affezionata e lei era sempre stata molto vicina alla madre, mentre l'altra sorella l'aveva fatta disperare tutta la vita. « So bene», disse, « che non è una questione di testamenti o cose del genere. Oltretutto una volta le donne 197

non potevano nemmeno ereditare, specie se avevano avuto una dote al momento del matrimonio. Non si tratta di questo, si tratta di giustizia ... ». In questo caso l'oggetto era diventato il simbolo o il pretesto per buttar fuori antichi rancori che le buone maniere o la paura di esprimersi avevano nascosto fino a quel momento. Cinque sorelle affermavano di essere molto unite, di avere fra loro una solidarietà a prova di qualsiasi evento. Fui felice che mi ricevessero per ascoltare una storia tanto bella. Le incontrai tutte insieme in casa di una di loro. Per caso, dopo una mezz'ora che si parlava, arriva una telefonata della madre che dice di avere deciso di aiutare una delle figlie che in quel momento aveva bisogno di soldi per un intervento ai denti della sua bambina. Di colpo, finita la telefonata, quell'armonico ambiente che quasi mi aveva sedotta, si trasformò. Una incomincia a fare la faccia scura, l'altra borbotta: « Ecco, tu riesci sempre a farti dare qualche cosa ... », un'altra, risentita, afferma che è questione di dignità e che è una vergogna da adulte chiedere ancora aiuto ai genitori. Insomma; per poco non si sbranavano. Chiedo come mai mi avevano detto di essere tanto unite e che nessun evento le poteva allontanare e una con molta sincerità mi risponde: « Ma cosa vuole, noi siamo unite come gruppo, perché siamo sorelle, ma quando intervengono ingiustizie o questioni di soldi, beh ... bisogna pure difendersi...! ». Restano da esaminare ancora alcune situazioni difficili dalle quali può essere minacciato un legame fra sorelle. La forza o la debolezza di tale rapporto si misura nei momenti gravi di stress: allora vengono alla luce i caratteri, le complicità, le alleanze e l'equilibrio, pur sempre delicato, di questo rapporto può inclinare da una parte o dall'altra, verso la conservazione ad oltranza del legame o verso la sua rottura. Gli studiosi americani Stephen Bank e Michael D. Kahn (già citati in altra parte di questo lavoro) dicono che le svolte critiche che possono distruggere una relazione che sembrava valida sono la scoperta che una sorella (o un fratello) sta divorziando, che si è data all'alcool o che è in analisi. Anche in questi casi, però, può scattare il meccanismo opposto: vale a dire crearsi solidarietà nel gruppo sororale che diventa un blocco unito contro i genitori, sentiti come responsabili della crisi, tanto che questi si vedono costretti a offrire aiuto e accettazione alla figlia in difficoltà e a riparare a vecchi torti. 198

Anche la malattia fisica è una situazione che chiarisce la natura di un rapporto fra sorelle (e fratelli). Una malattia molto analizzata dagli psichiatri e dai medici sociologi è quella che richiede la sostituzione di un rene. Fratelli e sorelle sarebbero i donatori migliori perché maggiore è la somiglianza dei tessuti e minore quindi la possibilità di rigetto dell'organo trapiantato. Risulta, però, che se una sorella ha un brutto rapporto con la famiglia, e questa magari, si illude che con quel "do'no" le cose tornino a posto, la faccenda non funziona lo stesso. Un caso del genere (al limite della patologia, comunque significativo), è stato raccontato dagli psichiatri Levy e Steinberg: una paziente si lasciò persuadere dalla famiglia ad accettare il rene della sorella con cui non andava d'accordo, ma sentiva che in qualche modo gliel' avrebbe fatta pagare. Anche quella che doveva donare l'organo era recalcitrante e diceva che, finita quella operazione, non voleva più vedere la sorella. Come gli psichiatri avevano predetto. l'odio fra le due sorelle provocò il rigetto del rene trapiantato, nonostante le affinità genetiche ... Ci sono, tuttavia, tante sorelle legate per la vita da complicità, simpatia, amore, amicizia, nonostante le differenze di indole, i destini diversi, le sorti opposte. Qual è il loro segreto? Cosa hanno in più delle altre? Io credo che, oltre a quanto già analizzato sulle positività che sono state loro trasmesse dai genitori, possiedano la capacità di rispettare le doti e i talenti reciproci, senza entrare in competizione sullo stesso campo, caso mai servendosi delle diverse esperienze, per arricchirsi. Oggi si parla tanto di amore, di bisogno di amore, di solidarietà, e io sono d'accordo, ma questi termini sono vaghi se non sono uniti all'intelligenza. Uso questo termine nel senso di capacità di capire, situazioni e persone, indipendentemente dalla cultura. Ho conosciuto un caso bellissimo di tre sorelle profondamente legate fra loro che possiedono la rara qualità di farsi del bene l'una con l'altra. Eppure sono diversissime, una insegna matematica, l'altra fa la musicista, la terza ha un istituto di bellezza. Hanno imparato a comunicarsi i loro diversi mondi, senza invadere una il campo dell'altra. È stata un'impresa difficile, anche perché non erano state aiutate da piccole a rispettarsi nelle loro reciproche individualità. Ma a un certo punto, ormai adulte, hanno fatto la straordinaria scoperta di interessarsi proprio perché diverse e non è stata una scoperta soltanto intellettuale. Accorgersi di stare bene insieme per199

ché avevano mille cose da dirsi è diventata fonte di gioia e di allegria. Essere sorelle per loro è stata una carta in più: mettere insieme tre amiche così affiatate e impegnate in campi diversi sarebbe stato ben più problematico. · Mi viene in mente a questo proposito un passo dell'autobiografia di Margaret Mead L'inverno delle more. Per tutta la vita la famosa antropologa ebbe un rapporto vivo e profondo con la sorella Elisabeth, che pure era diversissima da lei per carattere e interessi. Fra loro vinse l'amore e quel famoso rispetto delle reciproche diversità. « Solo Elisabeth fu un'artista dalla testa ai piedi e usò ognuna delle sue doti in modo diverso da tutti noi», scrive la Mead. « Le sue percezioni così differenti dalle nostre mi hanno nutrita per anni ... I suoi dipinti hanno trasformato in "casa mia" ogni luogo che ho abitato». Il felice caso di donne-sorelle che diventano amiche e sviluppano un rapporto felice in età avanzata è abbastanza frequente. Donne rimaste vedove, con i figli lontani, oppure donne mai sposate che sentono il bisogno di una compagnia, si mettono insieme con una sorella in una sorta di mutuo soccorso, di appoggio reciproco e difesa dalla solitudine. Sempre la Mead nell' autobiografja racconta di avere tante volte pensato alla famiglia di sua madre e al modo in cui, generazione dopo generazione, coppie di sorelle erano state amiche, e aggiunge una osservazione che mi sembra molto profonda e vera: « Le sorelle, mentre crescono, tendono a essere rivali fra loro, e, da giovani madri, non fanno che confrontare sempre, con un senso di emulazione, i loro figli. Ma un·a volta che questi sono cresciuti, le sorelle si avvicinano e spesso, da vecchie, diventano l'una compagna favorita dell'altra». L'età avanzata però non sempre cancella rancori segreti, differenze di carattere mai accettate, li attutisce soltanto. Fra le tante donne anziane che vivono con una o più sorelle, mi ha colpita particolarmente una signora sui settantacinque anni. Abita con una sorella di poco maggiore e il loro presente è sereno, colmo d' affetto, di comunicazione. Eppure, quando racconta la sua storia, tira fuori certi vecchi rancori con una sbalorditiva lucidità. « Mia sorella si è sposata nel 1928, abitava lontano e i nostri contatti erano limitati. Io lavoravo e nel 1946 soryo partita per un Paese straniero 200

con l'uomo che amavo. A quei tempi era uno scandalo. Mia sorella non mi ha capita né aiutata con i parenti: qualche lettera di vaghe notizie, ma soprattutto di informazioni sulle grandiosità del suo matrimonio ... Per tenermi alla larga, diceva sempre che era meglio che io stessi dov'ero, perché in Italia non mi sarei trovata bene. Ricordo che, fin da giovinette, lei era prepotente e autoritaria. Dormivamo insieme, una volta, dopo avere litigato, è caduta dal letto rimanendo immobile. Io credendo che si fosse fatta male le corsi incontro e le chiesi: « Ti sei fay:a male, Giovannina?». Lei si è · alzata di colpo e mi ha picchiata con tutte le sue forze, io piangevo, mia mamma ha dovuto intervenire: aveva fatto la commedia! Sarà una mia cattiveria, ma non ho mai dimenticato quest'episodio ... Un'altra volta, prima del 1928, c'era stata una forte scossa di terremoto, eravamo sole in casa, io da una parte e lei dall'altra. Ci siamo corse incontro e ci siamo abbracciate strette strette: quindi l'affetto c'era. In tante cose, però, veniva sempre fuori che lei era l'intelligente e io l'oca, anche questo non lo posso dimenticare. Così non mi sono mai sentita veramente sua amica, come non potessi fidarmi. Avevo le mie ragioni. Quando, per esempio, io raccontavo una barzelletta, lei la faceva subito sua e guai se io intervenivo a dire che l'avevo detta per prima... Se compravo un libro, lei subito lo imprestava a qualcuno, dicendo che lo aveva appena letto. Quando ho compiuto ventun anni, erano venuti un po' di parenti a casa e anche lei che era già spos-ata. Mi dà il regalo: una cuffietta di seta rossa con un pezzetto di pelle di coniglio bianco intorno: roba da far venire i brividi! E dire che io le facevo sempre dei bei regalini e lavoravo a maglia per le sue bambine. Forse è stato un dispetto ... Quanti altri episodi potrei raccontare! Adesso viviamo insieme e stiamo bene. Abbiamo tanto bisogno una dell'altra. Siamo entrambe più dolci e affettuose. Chissà? Forse siamo diventate più sagge?». Alla fine di questo lungo viaggio nel mondo delle donne-sorelle, credo di poter affermare che un sentimento sororale non muore mai veramente ed esercita una fortissima influenza nella sfera degli affetti per l'intera esistenza. È vero che non sempre è un buon sentimento, che può essere intriso di indifferenza, gelosia, odio, nostalgia, incomprensioni, delusioni, che può essere impastato alternativamente di tutti questi sentimenti insieme, ma persino quando sembra un 201

non-amore, è pur sempre qualcosa che ci portiamo dentro il cuore. Possiamo dimenticare un amico, un vicino, un conoscente, ma non ce la facciamo a lasciar perdere una sorella. Nei confronti delle amicizie, il distacco e l'irrimediabile estraneità che ne deriva sono accettati molto più facilmente. Eppure esistono amiche, in certi passaggi della vita, che sono stati essenziali determinanti alla nostra formazione. Veri e propri amori, così appassionati nelle loro spinte interiori da sconvolgere. Tutte hanno avuto un"'amica del cuore" nell'adolescenza, nella prima giovinezza, ma di rado questa passione ha resistito nel tempo. Per lo meno con la stessa intensità e la stessa identità. · Qualcosa succede, non si sa nemmeno bene ·cosa, ci si allontana, il rapporto svanisce. Qualche lettera se la vita ha portato lontano, qualche telefonata, qualche visita, poi il silenzio. Le differenze si approfondiscono, se capita di rivedersi, si scopre la realtà agghiacciante_ del "non sapere cosa dirsi". Sono relazioni finite e, quasi sempre, seppure con malinconia o dolore, sono morti accettate. Si razionalizza: « Cosa vuoi, ognuna ha i suoi impegni, la sua famiglia ... ; oppure: « Abbiamo fatto strade tanto diverse ... ». Ma fra donne-sorelle il ritrovarsi estranee, il non vedersi più, considerarsi morte una per l'altra, è un processo quasi inaccettabile. Persino quando si ha la coscienza che è awenuta una specie di "morte in vita", quando le parole "mia sorella", "le mie sorelle" hanno un suono vuoto, sono un dato anagrafico e basta, qualcosa nel fondo del cuore non si arrende del tutto. Perché si soffre tanto? Un po' è la paura di perdere per sempre quei punti di riferimento che fanno parte della propria storia, ma c'è qualcos'altro, di più sottile e segreto, che impedisce di accettare nell'intimo rotture definitive e assolute con quelle creature che ci sono state accanto dal momento della nascita. Quel processo di stacco che viene accettato se finisce una amicizia o un amore, non ha le stesse modalità nel caso di una sorella. Ho parlato con tante donne che avevano troncato da anni ogni tipo di relazione con le proprie sorelle, ma ho sentito in loro una sofferenza violenta e l'incapacità di accettare questa realtà. « Fosse morta dawero ! », mi dice una, « sarebbe meglio, te lo giuro. Ma così, non capire perché, è terribile. A volte, quando la gente sa che ho una sorella mi dice "beata te" e a me viene come una disperazione. Non posso raccontare che siamo nemiche, che si~mo state divise dagli 202

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awenimenti, dalla stupidità dei nostri genitori, che non siamo state capaci di recuperarci in tempo. Questa pena non mi passerà mai». Un'altra ricorda che quando ha perso il marito che si era innamorato di un'altra donna, ha sofferto quasi meno di quando ha perso la sorella. « In fondo un marito, per quanto amato, è sempre un estraneo che entra nella tua vita a un certo punto. !vla una sorella è una parte di te e allora perderla ti mette in discussione, quasi fosse colpa tua. Ho dovuto andare in analisi per accettare questo destino di abbandoni sentimentali. Il problema vero era mia sorella, non il mio uomo, anche perché lei si è allontanata da me, mettendomi contro tutta la famiglia, proprio quando mi sono separata. Sosteneva che dovevo sopportare... Che cosa poi? Che mio marito amasse un'altra? Lei non ha capito che per me era impossibile. Comunque non è passata del tutto questa pena, forse non mi passerà mai». Un'altra vicenda rivela la stessa angoscia. « Siamo tre sorelle, per vari motivi, ci siamo tutte allontanate, ma una soprattutto, ha tagliato i ponti con la famiglia d'origine. Io non mi sono arresa per anni, l'ho cercata, sono stata anche umiliata perché lei credeva volessi qualche favore da lei, sono stata dietro ai suoi figli con regali, letterine, finché mi sono arresa alla realtà. Ma c'è un buco nero nella mia vita sentimentale. Mi sono chiesta tante volte perché, cosa vuol dire, perché non serve la ragione in tutto questo. Forse non voglio perdere un pezzo della mia vita, dei miei ricordi d'infanzia, forse non riesco a dimenticare che, fin da quando sono nata, io l'ho conosciuta quella persona, l'ho vista crescere, abbiamo abitato le stesse case, siamo uscite dallo stesso utero, abbiamo bevuto lo stesso latte, abbiamo imparato gli stessi gesti quotidiani. Oltretutto ci rassomigliamo enormemente e io trovo tremendo, insostenibile che ci muoviamo nel mondo senza incontrarci, quando abbiamo gli stessi occhi, visi simili, pieghe del sorriso identiche ... Non so che altro dirti. Essere sorelle deve pur significare qualcosa, anche se pare di essere morte una per l'altra ... ». Quando intervengono situazioni drammatiche e disperate o quando una sorella muore dawero, ·allora viene fuori la forza, l'intensità di questo legame. L'immagine e il ricordo di quella perduta può accompagnare per sempre la vita di quella o di quelle rimaste. Esemplare in questo senso mi sembra la storia che racconta Margaretha Von Trotta in Anni di piombo, un intenso rapporto fra

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sorelle che si rinsalda nel momento del dramma. La scoperta di 1:m affetto che nemmeno la morte spegnerà, anzi, che con la morte di una delle due, diventerà assoluto e imperituro. Come è noto, la vicenda si rifà a un episodio del terrorismo tedesco: la mattina del 18 ottobre 1977, nel carcere di Stammheim, furono trovati cadaveri Gudrun Ensslin e altri due compagni, ultimi esponenti dell' organizzazione terroristica tedesca Baader Mainhof. Ma Christiane Ensslin, sorella di Gudrun, ben presto cominciò a battersi per dimostrare che la tesi del suicidio era falsa. « Conobbi Christiane Ensslin », dice la Von Trotta, « durante le riprese della scena della sepoltura dei morti di Stammhein per il mio precedente film Germania in autunno. Sono stata subito affascinata da questa donna che, in parte perché sorella di Gudrun e in parte per le sue personali vicende, è arrivata a maturare la convinzione che la morte della sorella non potesse essere stata causata da suicidio». Di qui nacque l'idea del film nel quale, tuttavia, le vicende del terrorismo, lo sfondo sociale e politico hanno un ruolo secondario rispetto all'attenzione e ali' approfondimento del legame fra Juliane (che adombra Christiane) e Marianne (che adombra Gudrun). La molla dell'azione cinematografica, infatti, scatta proprio sul ricatto dei ricordi familiari, diventati un motivo esistenziale fra le due donne. Juliane all'inizio si prende cura della sorella incarcerata perché pensa sia suo "dovere". Ma sono incontri feroci: un continuo scavare nelle radici del loro amore-odio di bambine, della loro rivalità per conquistarsi l'amore del padre, le attenzioni della madre, i ragazzi, la scuola ... Secondo me, la parte più straordinaria del film, nel rapporto fra queste due donne è la scelta di Juliane, dopo che Marianne ha pagato il suo debito, quello di capire cosa, dentro di lei, la lega e la legherà per sempre alla sorella. Nell'introduzione alla sceneggiatura del film (edita in Italia dalla Ubulibri), Rossana Rossanda scrive alcune pagine talmente profonde e compiute che mi sembra di doverle riportare fedelmente senza aggiungere commenti. «L'intuizione femminista del testo e del film sta nel rapporto fra le sorelle, nei dialoghi di prima e di dopo, del presente e della memoria, fra la viva e la fotografia della morta. Perché qui è colto dawero un legame irrepetibile e specifico, che non è come gli altri rapporti di famiglia, strutturato da una complicità e insieme una competitività fra collocazioni identiche nella gerar204

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chia di casa: una sorella si specchia nell'altra, che le offre continuamente una identità diversa dalla sua, quasi ad affermare sé e negare lei. E questa affermazione/negazione è qui davvero un rapporto fra donne. · Fra fratelli, infatti, se si ripropone (e avviene che si riproponga) è generalmente proiettato nella sola scelta ·estrema, nella gara sul chi arriva primo nella corsa della vita. Qui a nessuno preme arrivare prima, preme l'essere "nel giusto" per potersi assicurare come identità. Fino all'ultimo giocherà tra le due il rapporto "ti amo, ti affermo"; naturalmente enfatizzato dalle due scelte politiche, ognuna delle quali vede l'altra come nemica ("Ci avete tagliato le gambe con le vostre bombe", dirà J uliane a Marianne; "Sei con gli altri", dirà Marianne a Juliane, dunque con coloro che l'hanno arrestata, condannata e l'ammazzeranno). E tuttavia, ognuna si interroga sull'altra e in qualche modo limita l'attacco: quando Juliane griderà a Marianne "Saresti potuta essere una nazista", lo grida per difendersi, perché potrebbe anche essere vero, ma si prende lo schiaffo senza reagire perché sa che vero non è; e Marianne le chiede scusa perché sa che non la doveva schiaffeggiare. Ma soprattutto è il correre dei gesti, la specularità indotta dal carcere, una di qua e una di là dal tavolo, quel bisogno di scambiarsi posto e destino (mimato dallo scambio del maglione) ». « Quando le due sorelle si dicono "hai le mani fredde", e perché, come si fa da bambini, posano le due mani una di fronte all'altra, palmo a palmo, sul vetro freddo; non si possono più toccare, né sentire, il vetro è diventato "mano". E lo sconvolgimento di Juliane di fronte a questa separazione fisica, operata da vetri e microfono, diventa lacrime che offuscano il vetro, il vetro le rimanda il volto suo - come fanno anche i vetri più innocenti - e non solo quello di Marianne: e quello di Marianne diventa tragico perché lontano, offuscato dalle lacrime e i riflessi del viso di Juliane e sono spezzate le parole finali del dialogo, che già segnano la separazione». E poi c'è « quell'affollarsi di ricordi... quasi sempre mediati dalle cose, come avviene nella vita delle donne. Dove le cose non sono astratte, ma tutte impregnate di colei che le usa e le porta; le furiose litigate che si interrompono di colpo quando si trattava di allacciarsi reciprocamente le magliette. Gesti, oggetti, luoghi evocati come cemento, come prova di identificazione l'una nell'altra, quell'essere assieme che nulla potrà cancella-

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re e è una lunga infanzia trascorsa in un rapporto fittissimo e dec1s1vo». Se nel cuore il sentimento sororale è una realtà che non può morire, quale strada imboccare per evitare che "essere sorelle" in pratica, finisca a un certo punto della vita, per tentare di salvare un rapporto così intimo e coinvolgente, anche se talvolta carico di dolore e negatività? Qualunque sia il proprio destino, non ci si libera mai della propria storia personale. Guai a chi azzerasse i suoi ricordi nel procedere del tempo. La memoria è una forza, e ciò dà concretezza e significato alla nostra vita. Ogni esperienza ricordata, rivissuta, diventa parte integrante del nostro mondo interiore. A qualunque età, i ricordi sono un patrimonio da non perdere. Se si accetta questo presupposto, diventa impossibile liberarsi delle proprie sorelle. Ci si è conosciute dalla nascita: sono occhi, sorrisi, labbra, mani, corpi familiari da sempre, sono pensieri, rabbie, dolcezze, aggressività che, per primi, abbiamo incontrato sul nostro cammino nei sentimenti. Forse è questa la forza e nello stesso tempo la debolezza del rapporto sororale. Una forza, perché ciò che si conosce dall'origine diventa parte di noi, esiste e basta. Una debolezza perché confrontarsi con i mutamenti e le trasformazioni di chi si è dato per scontato è un processo pericoloso: la tentazione è quella di vivere una sorella tutta la vita come un dato di fatto conosciuto che non si altererà mai. Una sorella si specchia in un'altra sorella e teme che l'altra si specchi in lei. Vedere invecchiare una sorella, per esempio, è come vedere invecchiare se stesse. Assistere a una sconfitta, a una decadenza morale dell'altra è come assistere a una propria sconfitta, a una propria decadenza. Immagine speculare di sé, la sorella o le sorelle rispecchiano, nel nostro inconscio, ciò che siamo già diventate o potremmo diventare. Per questo, forse, fra sorelle ci si maltratta tanto, si arriva all'odio e alla detestazione, per questo si esige il massimo una dall'altra: perché si grida la "propria" rabbia, delusione, impotenza per tante speranze e promesse non mantenute o corrotte dalla vita. Io credo che la strada per conservare intatto quel filo con cui la sorte ci ha legate fin dalla nascita passi attraverso l'intelligenza e la pietà. Intelligenza, come già prima ho detto, di sapersi guardare

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come esseri distinti e separati, in modo nuovo, "dimenticando" di essere sorelle con tutto ciò che questo termine si trascina dietro di convenzionale e di obbligatorio. Intelligenza di scoprire se ci si piace, così come si è, da adulte, con tutte le nostre storie alle spalle, i nostri sbagli, le nostre idee, i nostri destini, di non pretendere l'assoluto l'una dall'altra. Intelligenza di accettare, anche, che ci si piaccia poco, di affrontare i conflitti, capirne le ragioni, non limitarsi a "incolparsi" reciprocamente. Intelligenza di saper dialogare, di avere il coraggio di parlarsi quando qualc9,,5a ferisce o non funziona. L'amore può nascere per istinto, ma si conserva con il dialogo, anche l'amore fra uomo e donna. Perché non dovrebbe essere così in un rapporto come quello fra donne-sorelle, un rapporto che ci è stato offerto dal caso e dal de:,tino? Se si coltiva la capacità di sviscerare un problema nel momento in cui nasce, ci si conosce meglio, non ci si perde di vista e si scoprono le strade che portano una al cuore dell'altra. Una sorella può essere simile a un'altra, ma è sempre un'identità distinta e come tale va vissuta. Poi c'è la pietà, l'antica pietas degli antichi, l'unico amore che regge nel tempo: non il sentimento che per forza si "deve" provare per un familiare o quella passione possessiva che inquina tanti rapporti, ma una più vasta tenerezza, venata di complicità per la comune imperfetta condizione di essere umani. Tutti hanno bisogno di amore, forse le donne ancora più degli uomini, perché le trame della loro vita interiore sono intrise di sensibilità complesse, di bisogni raramente colmati dal mondo esterno, ma questo amore bisogna saperlo cercare, coltivare, alimentare. Più che mai quando riguarda persone che hanno una lunga storia comune, come appunto due donne nate insieme, dalla stessa madre, dallo stesso padre. Non basta dirsi "è mia sorella" e con questo credere di essere perdonate nelle trascuratezze, negli sbagli, nelle disattenzioni. Tutti possiamo, più o meno volontariamente, farci del male, ma se la voglia di amare resiste, il male può essere perdonato, rimediato. Owiamente è un processo che richiede reciprocità: «Tu per me, io per te». L'approfondimento e lo scambio dei sentimenti devono essere a doppio binario. Bisogna essere almeno in due per conservare un . sentimento d'amore. Soltanto così, allora, si può essere sorelle per sempre. 207

INDICE

Introduzione È soltanto una femmina

Per amore o per forza Com'erano mamma e papà Ti amo, ti odio Prima, seconda, terza Sesso e sororalità C'è un uomo in casa La sorellanza Saranno famose Sorella è per sempre?

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· Della stessa collana: G. DacQt1ino

Vivere il piacere

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