Dittatura degli antichi e dittatura dei moderni

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Dittatura degli antichi e dittatura dei moderni

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Indice

Claude Nicolet

Parte prima

Introduzione

7

Lenin e Roma

Johannes Irmscher Lenin e l'antichità

17

Giovanni Meloni Concetti romani e pensiero leniniano. A proposito di tribunato e dittatura

31

Giovanni Lobrano

Parte se.conda

Lenin e il « tribuno dei soviet »

47

Dittatura. Concetti antichi e moderni

Johannes Irmscher concettuale

La Dittatura. Tentativo di una storia 55

Giovanni Meloni Dottrina romanistica, categorie giuridico-politiche contemporanee e natura del potere del « dict.ator »

77

Francesco Sini A proposito del carattere religioso del « dictator » {note metodologiche sui documenti sacerdotali)

111

Gaetano Mancuso Alcune considerazioni sulla dittatura sil.lana. « Imperium », dittatura, principato ed esperienze costituzionali contemporanee

1.37

Salvo Mastellone Dittatura « giacobina », dittatura « bonapartista» e dittatura « del proletariato» Pierangelo Catalano Consolato e Dittatura: l'« esperimento» romano della Repubblica del Paraguay (1813-1844)

143

151

Salvatore Candido baldi

Prassi e idea della dittatura in Gari-

173

Danilo Zolo Origine e sviluppo della nozione marxiana di « dittatura del proletariato »

Paolo Prezza Dittatura: esperienza istituzionale

e

vicenda

del termine tecnico Parte terza

195 205

Questioni metodologiche

Jerzy Topolski

Problemi fondamentali di metodologia della storia in relazione alla storia del diritto romano Importanza del diritto romano alla luce della concezione dialettica e materialistica

213

Vladimir Hanga

Postilla di Pierangelo Catalano

227 235

Dittatura degli antichi e dittatura dei moderni

> se credesse sul serio che la storia non è di alcuna utilità. Lo storico non può veramente uccidere l'oggetto della storia senza negare se stesso. Noi cominciamo a saperlo. Ma allo stesso tempo siamo divenuti piu saggi e piu prudenti. Ed è dunque facendo ricorso a studi di tipo storiografico sempre piu precisi che proviamo a cogliere questi difficili e sottili rapporti tra lo studioso e le idee del suo tempo, tra la sopravvivenza dei termini e degli oggetti dell'Antichità nelle civiltà moderne e l'obiettivazione di conoscenze storiche. Il tentativo è indispensabile tanto per coloro che vogliono studiare le società o le ideologie moderne, quanto per chi vuole comprendere storicamente le civiltà antiche. Ai primi - giuristi, politologi e sociologi - questo studio permette di scorgere le fonti dirette o culturali di una certa istituzione o di una certa ideologia. Ai secondi, la dimensione storiografica permette di vedere in modo riflesso le condizioni di esercizio del loro mestiere, mettendoli al riparo cosl'. da inconsapevoli anacronismi, come dalle illusioni dell'obiettivismo assoluto. L'esempio scelto dal collega ed amico Pierangelo Catalano come oggetto di questo libro collettivo non poteva esser individuato in modo migliore. Di tutti i termini del vocabolario politico lasciatoci dall'antichità romana, quello di dittatura è quasi certamente (come quello di Impero forse) uno dei piu interessanti. Semplice trascrizione di un termine romano, esso ha avuto nella storia europea, almeno dopo Cromwell, due significati distinti piuttosto nettamente: da una parte, sull'immagine di quella che si può chiamàrè la dittatura romana «classica>> o originale, designa un potere eccezionale, ma regolare e quasi costituzio11ale, conferito secondo forme determinate a un magistrato (o, ri'ell'Europa moderna, ·a un governo o a un'Assemblea) in circo-

stanze critiche, per fronte, in nome della salute pubblica, a uno stato d'emergenza esterno o interno. In breve, ciò che Mommsen chiamava« un potere d'eccezione, piu o meno quel che sono oggi la soppressione della giustizia civile e la proclamazione dello stato d'assedio» 2 • D'altra parte, e ciò a partire dal XVIII secolo, ma soprattutto, naturalmente, dopo la rivoluzione francese, lo stesso termine è servito a designare dei regimi dispotici o delle tirannidi. Ossia in primo luogo -dei poteri che, lungi dall'esser stati regolarmente conferiti, sono stati usurpati con la forza o con l'astuzia, piu di frequente da un uomo, talvolta da una Assemblea, una setta o un partito. Al carattere « tirannico » della dittatura intesa in questo secondo senso, s'aggiunge nella maggior parte dei casi l'idea di un potere arbitrario, abusivo, che sconvolge i diritti politici o individuali, che governa a mezzo del terrore e non arretra di fronte alla piu estrema violenza. Non è fatto recente che l'ambiguità del consenta al discorso politico o polemico di giocare sulla sensibilità dell'uditore. Impiegato da solo o in un contesto che chiarisce le allusioni ai romani, il termine emerge con notevole frequenza dal 1789, in Marat pe.t esempio, e ritornerà periodicamente, in particolare in Francia, riferito di volta in volta alla Convenzione, a Bonaparte, al generale Cavaignac nel 1848, a Luigi Napoleone, a Gambetta, naturalmente a Boulanger, per non parlare della famosa « dittatura del proletariato» preconizzata nel 1847, o del suo impiego estensivo, verso gli anni trenta, da parte di Bainville e Halévy, che hanno preceduto la Arendt. È dunque, senza dubbio, con il piu grande interesse e fa massima utilità che ho potuto leggere i diversi contributi contenuti in quest'opera. Che siano consacrati alla difficile analisi storica della dittatura romana o alla sopravvivenza del t~rmine e forse di una certa realtà istituzionale nell'epoca contemporanea, essi sono stati suggestivi, colmi ad un tempo di fatti e di riflessioni. È dunque con il piu grande piacere che mi permetto, cosi come amichevolmente mi ha chiesto Pierangelo Catalano, di esporre brevemente le poche osservazioni che essi mi suggeriscono. Non sono uno specialista, né della storia delle magistrature romane, né del pensiero politico contemporaneo, ancor meno della storia del XIX secolo o di esegesi marxista. Si vorrà perciò accoglierle come osservazioni di uno storico della Repubblica romana, 2

Th. Mommsen, Droit Public Romain, III, p. 187.

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estremamente cosciente però di essere un « cittadino », figlio dei Lumi e di quella rivoluzione francese che ha tanto contribuito a dare, o a restituire, a questa parola (una delle piu nobili mai create dall'uomo) un contenuto che è insieme giuridico e spirituale. La scelta del termine dittatura è tanto piu opportuna in quanto fin dall'antichità si carica, a causa di una lunga evoluzione storica, del duplice valore insieme regolare e aberrante, laudativo e peggiorativo, esso reca con sé ancora nel XIX secolo, se non ai nostri giorni. Mi sarà sufficiente rammentare che la fase che si può chiamare inevitabilmente degenerano in « vuote banalità o in rodomontate » 34 • La denominazione dei comunisti tedeschi tratta da Spartaco viene da Lenin messa in risalto « perché Spartaco fu uno dei piu eminenti eroi di una delle piu grandi insurrezioni di schiavi » 35 e per la traduzione russa di una popolare opera americana sui Gracchi egli si offre di contribuire con una parola di introduzione. In una 13 . Lenin sottolinea che « questa formula è intenzionalmente rozza, recisa, semplificata » 14 • Perciò, al fine di precisarla e qualificarla afferma: « ... qualunque segretario di trade-union sviluppa e contribuisce a sviluppare la "lotta economica contro i padroni e contro il governo". E non si ripeterà mai troppo che ciò non è ancora socialdemocrazia, che l'ideale del socialdemocratico non deve essere il segretario di una trade-union, ma il tribuno popolare, il quale sa reagìre contro ogni manifestazione di arbitrio e di oppressione, ovunque essa si manifesti e qualunque sia la classe o la categoria sociale che ne soffre » 15 • Una lettura affrettata potrebbe far pensare che il riferimento di Lenin al tribuno sia eccessivamente sintetico e sfuggente perché sì possa stabilire un rapporto tra la sua affermazione e l'istituzione romana cui si riferisce. Tuttavia, a voler considerare attentamente le sue parole, ci si avvede che il richiamo non è meramente retorico ed è provvisto di uno spessore assai consistente. Lenin delinea con chiarezza il carattere di parte del dirigente comunista: solo il suo legame con la classe operaia, > 33 ; viene cosi richiamato un istituto del diritto ro36

mano pubblico, l'aqua et igni interdictio, assai rilevante dal punto di vista politico, poiché con esso veniva sancita l'esclusione del cittadino da ogni comunanza di vita con la civitas 39 • Poco tempo dopo, nell'opera grande iniziativa, Lenin spiega che « la dittatura del proletariato, se si traduce quest'espressione latina, scientifica, storico-filosofica in un linguaggio piu semplice significa: solo una classe determinata, e precisamente gli operai della città, e in generale gli operai di fabbricir, gli opèrai industriali, è in grado di dirigere tutta la massa dei lavoratori· e degli sfruttati nella lotta per distruggere il potere del capitale, nel processo di distruzione, nella lotta per assicurare e consolidare la vittoria, nella creazione del nuovo ordine sociale, dell'ordine socialista, in tutt.a la lotta per l'abolizione completa delle classi » 40 . Mi sembra particolarmente significativo il fatto che Lenin . questa importante prec cisazione nel corso di un lavoro nel quale, come si è visto (supra, nota 31), è contenuto un severo richiamo all'uso corretto delle parole. In questo passo - come già nel Rousseau - emerge non solo l'accostamento di tipo filologico tra dittatura romana e dittatura del proletariato; qui il termine dittatura è usato proprio perché esprime un concetto che si vuol consapevolmente richiamare: con dittatura si indica uno strumento adatto all'attuazione di grandi mutamenti politici, giuridici e sodali. La dittatura del proletariato costituisce la forma politica specifica del dominio della classe operaia e dei suoi alleati, cosi come la dittatura in Roma fu la magistratura mediante la quale vennero realizzati, nell'arco di cinque importanti mutamenti politici, giuridici e sodali, generalmente in favore della plebe 41 • E il richiamo di Lenin al mondo romano giunge fino ad accenti non privi di orgoglio allorché esclama: « il bolscevismo ha divulgato in tutto il mondo l'idea della "dittatura" del proletariato, ha tradotto questa espressione prima dal latino in russo poi in tutte le lingue del mondo » 42 • 4. Aspetti metodologici della riflessione leninìana su Roma È utile sottolineare un altro aspetto del rapporto tra pensiero di Lenin e mondo romano, un aspetto di carattere metodologico, che serve a mettere in evidenza la profondità della riflessione leniniana su Roma e, piu in generale, la sua capacità di sfuggire ad astratti schematismi. ·

37

Egli si mostra fortemente contrario agli appiattimenti storici, in quanto corrispondono ad una universalizzazione astorica delle categorie proprie della esperienza contemporanea. Ciò appare con particolare evidenza in un passo de L'imperialismo: « ,Politica coloniale ed imperialismo esistevano anche prima del piu recente stadio del capitalismo, anzi prima del capitalismo stesso. Roma, fondata sulla schiavitu, condusse una politica coloniale ed attuò l'imperialismo. Ma le considerazioni "generali" sull'imperialismo, che dimentichino le fondamentali differenze tra le formazioni economico-sociali o le releghino nel retroscena, degenerano in vuote banalità o in rodomontate sul tipo del confronto tra "la grande Roma e la grande Britannia" » 43. A questo proposito non sarà superfluo ricordare che già il Marx annotava il tentativo di universalizzare le categorie del pensiero economico borghese e di proiettarle nel passato 44 • Un appassionato richiamo alla attenta valutazione dei periodi storici e delle categorie proprie a ciascuno di essi Lenin rivolge, del resto, ad un gruppo di studenti universitari, e mette in evidenza come essa sia assolutamente necessaria per qualsiasi discorso che abbia pretese di scientificità, soprattutto in materia di scienza sociale 45 • Si può, dunque, tentare di trarre alcune conclusioni, anche se parziali. Lenin, come il Marx, ha la preoccupazione costante di utilizzare le categorie piu appropriate per interpretare la realtà antica e, in particolare, quella romana. Tale preoccupazione nasce dalla consapevolezza che la grande complessità dei ptocessi storici non può essere seguita, anzi risulta mistificata, dalle generalizzazioni antistotiche dei concetti maturati nella e per la realtà contemporànea. Quando sfuggisse questa complessità, e con essa le cause che determinano le grandi trasformazioni nella storia degli uomini, si sarebbe sostanzialmente privi di. mezzi per intervenire su un processo che risulterebbe, cosf, immodifi.cabile. La conoscenza 'storica è avvertita da Lenin, come dal Marx, quale mezzo indispensabile per il compimento dell'azione pratica. L'ansia di cogliere le grandi differenze esistenti tra i diversi periodi storici non toglie a Lenin la capacità di riconoscere e valorizzare gli elementi di continuità: il caso del tribunato e della dittatura sono, in questo senso, esemplari, cosf come lo erano stati già nel Machiavelli e nel Rousseau. 38

Note

1 Per il modo in cui si è real.izzata tale influenza sulle diverse correnti della rivoluzione francese, in vario senso, vedi H. Prurker, The cult of Antìquity and the French Revolutionarìes. A Study in the Development of the Revolutionary Spirit, New York, 1965 (ristampa anastatica deU'ediziione Chicago, 1937); P. Catalano, Tribunato e resistenza, Torino, 1970, pp. 9 sgg., 375 59 sgg. e passim; G. Godechot, L'influence de l'antiquité romaine à l'époque la révolution (comuni. caz:ione presootata al seminario romanistico internazionale su « Stato e isti.tu2!ioni rivoiuzion-a'llie in Rama antioa », organizzato presso l'Università di Sassari, dal 15 al 20 marzo 1973, dal Gruppo di ricerca sulla diffusione del diritto romano), in fn. dex, 7 (11'977), 1981, pp. 45 sgg. (sulle posizioni di questo Autore, vedi le osserv@ioni di G. Lobrano., A proposito di Stato e istituzioni rivoluzionarie in Roma antica, in Index, cit., pp. 5, 10); P.M. Martin, Présence de l'histoìre romaine dans la révolution française, in R. Chevallier (a cura di), Inftuence de la Grèce et de Rotne sur l'occident moderne. Actes du Colloque des · 14, 15, 16 Décembre 1975 (Paris-Tours), pp. 215-226. 2 In misura diversa: anche perché g1i studi su questo aspetto del pensiero marxiano si sono sviluppati con ritardo. Dei modi di produzione (Produktionsweise, ossia rapporto tra grado di sviluppo d:clle forze produttive e rapporti di proprietà) anteriori al capitalismo il Marx, insieme all'Engels, si è occupato in Die deutsche Ideologie, K. Marx-F. Engels, Werke, v. III, Berlin, 1'9'57, pp. 17-77; dr. L'ideologia tedesca, trad. it. dì F. Codino, con introduzione di C. Luporini, Roma, 196&3 , pp. 9-70: questa edizione riporta il primo capitolo ( « Feuerbach »), guelfo cioè che piu si occupa dell'antichità, nel suo ordine originitle. Tale ordine, che non era stato piu seguito dal 1926 ftno al 1965 (in russo) e al 1966 (in tedesco), presenta alcune differenze rispetto a quello seguito in W erke, cit. Per le tormentare vicende di questo capitolo di Die deutsche Ideologie vedi l'edizione italiana cit., pp. XC sgg.: il lavoro, nel suo complesso, fu scritto tra la fine del 1845 e la seconda metà del 1846; fo però integralmente pubblicato solo nel 1932. Soltanto nel 1939-1941 vengono pubblicati a Mosca i due volumi dei Grundrisse der Kritik der politischen Okonomie (Rohentwurf), appunti raccolti tra dl 1,850-51 e il 1857-59; nel VI quaderno dci manoscritti economici redatti dal Marx tra l'ottobre del 1857 e il marzo del 1858, dunque in una « fase di pensiero molto piu complessa e matura » per usare le parole del Hobsbawm - è ripreso il tema delle Formen die der kapitalìstichen Produktion vorhergehen; vedi per i Grundrisse l'edizione di Berlino, 19513, che è la ristampa della precedente edizione moscovita. Nella edizione del 1953 le Formen costituiscono le pp. da 375 a 413. Le riflessioni sui modi di produzione che hanno preceduto il capitalismo si trovano disseminate in Das Kapital e nelle Theorien uber den Mehrwert: sono queste, principalmente, le opere che devono essere prese in consideta:?Jione a proposito della relazione tra pensiero del Marx e pensiero di Lenin per quanto attiene a questo argomento.

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3 K. Marx Grundrisse ... , dt., pp. 377 sgg.; cfr. Lineamenti fondamentali della economia politica, trad. it. a cura di E. Grillo, 2 vv., 1968-1970, II, pp. 95 sgg.; vedi pure Forme economiche precapitalistìche, trad. it. di G. Brunetti, con una prefa2ìione di E.J. Hobsbawm, Roma, 1967, pp. 73 sgg. Dei Grundrisse si veda anche la trad. it. dì G. Backhaus, Torino, 1976. 4 A questo proposito vedi P. Catalano, Populus Romanus Quirìtes, Torino, 1'974, pp. 71-83, dove si manifestava meraviglia per il fiatto che « anche i piu recenti 1avori romanistici riguardanti la "proprietà quiJ:litaria" ... non esaminino il lavoro del Marx». Anche A. Schiavone, Per una rilettura delle «Forme»: teoria della storia, dominio del vaJore d'uso e funzione dell'ideologia, in Analisi marxista e società antiche ~, la quale « è precisamente la politica borghese delta classe operaia». Perciò « non basta sptegare agli oper,ai la loro oppressione pohlt1ica (allo stesso modo che non basta spiegare il contmsto dei loro interessi con quello dei padroni) » (p. 370). Non si adem1>irebbe al compito di sviluppare lia coscienza politica degli operai se non d si. incaricasse di « organizzare la denuncia politica della autocrazia sotto tuttì i suoi aspetti » ( i corsh,i sono di Lenin). Cfr. anche pp. 396 sgg. 18 Ibidem; VJ. Lenin, Stato e rivoluzione. La dottrina marxista dello Stato e i compiti del proletariato nella rivoluzione, in Id., Opere complete, cit., v. XXV, (trad. it. F. e R. Platone), 1967, pp. 361, 452 e passim ed in particolare pp. 4.33 sgg., dove è messo bene in rilievo il persistere del ruolo di parte dei comunisti, ma anche dello Stato, nella fase della dittatma del proletariato; cfr. anche pp. 436 sgg.: riprendendo il Marx, è messa in evidenza la necessità di un diritto diseguale al fine di promuovere una eguaglianza reale. Cfr. V.I. Lenin, La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky, in Id., Opere complete, cit., v. XXVIII ( trad. it. di L Ambrogio), 1967, p. 237.

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19 Cfr. G. Lobrano, Potestates, potestas, trìbunicia potestas. Appuntì, in P. Catalano, G. Lobrano, Il problema del potere in Roma tepubblicana, Sassari, 1'974, pp. 54 sgg.; l'apparente contraddizione tra il carattere di parte del fondamento dclia tribunicia potestas e il carattere generale della sua s.fera dii validità &1 spiega sulla base dell'inten&ità del conlìlitto tra la plebe e i patrizi (p. 56). 20 D. De Leon, Two pages of Roman History, 1: Plebs Leaders and Labour Leaders, 2: The Warning of the Gracchi ,(Published by National Executive Committee of Sodalfot Labour Party), New York, 1915; cfr. Zwei Schriften aus der romischen Gescbicbte, rist. New York, 1957, traduzione dì Rogo, prefazione di A. Petersen. 21 Il biglietto indirizzato al Bncharin e contenente l'invito si trova in VJ. Lenin, Opere complete, cit., v. XXXVI. (trad. it. di G. Garcitano), p, 383. Sul biglietto, pubblicato per la prima volta nel 19i24 nella Gfr.n, 1, cfr. N.S. Grinbaum, Lenin und das klassische Altertum, cit., p. 82; P. Catalano, A proposito dei concetti di « rivoluzione >> nella dottrina romanistica contemporanea in Studia et Documenta Hìstoriae et Iuris, XLIII (1977), p. 450, n. 43; Id., Revolutionsauffassungen, cit., p. 185 n. 48. La notizia che il De Leon aveva infaiato a tenere delle conferenze su questo tema Ein dal 1902 è dana da A. Petersen, nella prefazione (scritta nel 1931) a Zwei Schriften, oit., p. 7. 22 Sullo scopo e sui poteri di tale progettata istituzione, nonché sul mutamento di opinione da parte dì Lenin, cfr. in questo stesso volume G. Lobrano, Lenin e il « tribuno dei soviet», pp. 47 sgg. 23 Cfr. E. Balìbar, Sur la dictature du prolétariat, Paris, 1976; trad. it. di S. D'Amico, Sulla dittatura del proletariato, :Miilano, 1978, pp. 33 sg. Si può inoltre affermare che tale tentativo di formulazione tOOl'lca fu approfondito da Lenin piu di quanto non avesse fatto il Marx. Ciò si spiega perché, mentre il Marx, osserv:ando solo le brev~ e;,~:et,.e!!:~e delle rivoluzioni del 1848 e della Comune di Parigi, poté ricavare gli elementi che stanno alla base della teoria della dittatura del proletariato, Lenin, posto di fronte alla necessità di costruire realmente la dittatuta proletaria, dovette di risolvere il problema teorìoo e pratico del ·nuovo rapporto tra politica economia; che costituisce uno deii tratti essenziali della forma politica specifika del dominio della cfasse operaia. Vedi V.I. Lenin, Stato e rivoluzione... , dt., pp. 37·8 Su questo aspetto della dittatura del proletariato vedi G, Vacca, Stato e critica classe, Milano, 1'970, pp. 1.95 sgg. Per una analisi dei passi dell'opera del Marx che si :dfei,iscono alla dittatura del proletariato dr. H. Draper, Marx and the Dictatorship of the Proletariat, « Cahiers de l'Institut de Science économique appliquée », Plflris, 1962, pp. 5-74. · 24 V.I. Lenin, La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky, cit., p. 238. Scritto fra l'ottobre e il novembre del 1'9118 e pubblicato a Mosca nel dicembre dello stesso anno è la risposta, assai aspra e polemica, all'opuocolo di K. Kautsky, Dìe Diktatur des Proletariats, Wien, 1918, pp. 63, pubblicato a Mosca sempre nel 1918. Mentre preparava tale risposta, Lenin send l'esigenza di anticipare sulla Pravda (11 ottobre 1918, n. 219) alcuni argomenti che si ritroveranno poi nell'opuscolo dd dicembre dello stesso anno. L'articolo reca il medesimo titolo di questo opuscolo ed è firmato N. Lenin, ora in Opere- complete, cit., v. XXVIII, pp. 10l6-l14. Mi pare opportuno ricordare che già in questo articolo (p. 108) si trova l'affermazione che « la dittatura del proletariato non è una forma di governo», come l'aveva definita Kautsky (op. cit., 20 sg.}, « ma uno Stato d'altro tipo, uno Stato proletario, una macchina con cui il proletariato reprime la borghesia » (i corsivi sono di Len:in). Cfr. su questo argomento La rivoluzione proletaria ... , dt., pp. 239 sgg. e in particolare p. 245. 25 V.I. Lenin, La rivoluzione proletaria ... , cit., p. 260, pp. 262 sgg., ed in parflico1are p. 266. 26 Ibidem, p. i241. Questa affermazione non significa che _J:>er Lenin possa esistere un potere statale seiwa diritto (si è visto, infatti, che egli si pone il problema del « diritto diseguale » come strumento per promuovere l'uguaglianza);

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significa, invece, che il diritto è il fondamen~o ~el P?ter~; poiché il ~ondamento reale di esso è il rapporto di tra le dass1, si, puo dt:e c~e la ditta.tura del proletariato « non è vincolata da ~!cuna legge ►> perc~e le leggi de~1vano precisamente dallo svolge!'si di tale 1,a,pporto d1 forza. Cfr. E. Balibar, Sulla dittatura del proletaeit., pp. 47 sgg. V.I. Lenin, Democrazia e dittatura, in Id., Opere complete, cit., v. XXVIII, p. 378; si tratta di un arilicolo pubblicato sulla Pravda, 3 gennaio 1919, a firma N. Lenin. 28 Cfr . .supra, nota 11. 29 V.I. Lenin, I compiti delle associazioni giovanili, in Id., Opere complete, cit., v. XXXI (trad. it. di I. Ambrogio), ,1967, p. 281; discorso pronunciato il 2 ottobre al III Congresso del Komsomol; cfr. N.S. Grinbaum, Lenin und das klassische Altertum, oit., p. 86. Si veda V. Frosini, Il partito e lo Stato in Lenin, estvatto da Nuova Antologia, 2053 (gennru.o 1972), p. 28, il quale cosf si esprime: « La nozione e la parola stes&a di dittatura appartengono, come è noto, alJa storia dell'esperieMa pahltica di Roma ai.urica: si watt,. anzi di una istitul'lione giuridica, che è cavatteristica di un certo genere di comunità arcaica guerriera, quale fu la repubblica romana. Anche la sua associazione con il termine di "proletariato" ha le stesse origini nella ladnità, e questo richiamo non è fuor di luogo parlando di Lenin». 30 Cfr. B. Eichenbaum, Osnovnye stilevey tendencii v reci Lenine, in Lef, 1, ( 1924), trad. it. Tendenze stilistiche fondamentali del linguaggio di Lenin, in Rassegna sovietica, XX ('1969), p. 4, pp. 139 sg. L'A. precisa che lo stile letterario di Lenin può essere considerato una combinazione di tre strati stilistici: del linguaggio intellettualeclibresco msso, del linguaggio colloquiale di uso corrente e dello stile oratorio latino (Cicerone) (pp. 146 sg.). L'Eichenbaurn, con una certa dose di contradditorietà, osserva che quest'ultimo elemento rappresenta un residuo dell'isti:uzione classica (vedi l'uso frequente dei proveroi latini) ricevuta da Lenin e da lui, forse inconsapevolmente, utilizzata per la costmzione di rucuni articoli e discorsi (p. 147). 31 V.I. Lenin, I compiti immediati del potere sovietico, cit., p. 237. Non sono mre le esortazioni di Lenin a non trasforma,re le parole, a non svuotarle del loro significato e a non immiserir1e; dr. V.I. Len1n, La grande iniziativa, in Id., Opere complete, eit., XXIX (trad. it. di R. Platone), 1967, pp. 391, 394 sg.; si tratta di un lavoro pubblicato a Mosca nel luglio del 1919 e firmato Lenin. 32 Un'intera epoca storica, dice Lenin: vedi La rivoluzione proletaria .. , cit., pp. 269 sg. 33 Stilla temporaneità e la determinatezza dcllo scopo dclla dittatura del proletariato vedi infra. Cfr. P. Gindev, Die Diktatur des Proletariats und ihre « Kri(iker », Berlin, 1973, pp. 46 sgg. 34 Cic. de leg. 3, 3, 9; Liv. 3, 29, 7; 23, 23, 2; 2'3, 22, 11; Dion. Hai. 5, 70, 1; 7, 56, 2; 10, 25, 2; Pomp. D. 1, 2, 2, 18; per i casi dì abdicatio del dictator prima dei sei mesii Liv. 3, 29, 7; Dion. Hal. 10, 25; Lyd. de mag. 1, 37. Si veda U. Coli, Sui limiti di durata delle magistrature romane, in Studi Arangio-Ruiz, IV, Napoli, 1953, pp. 397 sgg. 35 Da un'altro punto di vista, un accostamento tra i concetti di «dittatura» e « lotta di classe» si trova in Ettore De Ruggiero, ne-I suo opuscolo La dittatura in Roma nel periodo di transizione dalla monarchia alla repubblica, 1867 (ma scritto a Berlino nel 1863): « La dittatura era un magistero... istituito da tutto quanto il popolo onde poneva argine ad ogni lotta dì classe» (p. 33); sulla dittatura il De Ruggiero espressamente si discostava dal suo maestro, il Mommsen, richiamandosi al Niebuhr, cfr. pp. 8 sg. 36 Cfr. J.-J. Rousseau, Du Contrat Socia! ou Principes du Droit politique Libro IV, cap. VI, dedicato aJla clitt>atura. ' 37 Sulla formazione del pensiero policico del Rousseau vedi R. Derathé Jean-Jacques Rousseau et la science potitique de son temps, Paris, 19702 (I ed. 1950){

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vedi poi J. Cousin, ].]. Rousseau interprète des institutions romaines dans le « Contrat Social », in Etudes sur le Contrat Social de J.J, Rousseau. Actes de Journées tenues à Dijon les 3, 4, 5 et 6 mai 1962, Panis, 1964, pp. 27 sgg. (dove l'-attenzione è volta a mettere in evidenza i possibili erroni fatti dal Rousseau nel descrivere le istituzioni romane e i loro compiti); P. Catalano, Populus Romanus Quirites, cit., pp. 7 sgg., il quale tra l'altro (p. 10 e n. 10, p. 17), rileva nel lavoro del Cousin una sottovalutazione del Rousseau da1 punto di vista stoniografico e aggiunge che « non è difficile, ovviamente, correggere H Rousseau in base ai dati raccolti dailla filologia e dalla storiografia dei secoli XIX e ma questo è un risultato assai poco interessante, anz,i fuotvtl,ante se conduce ad v1.Juc,:nticc le piu consdderevoli caratteristiche del metodo storko del Rousseau: questi rifiuta la teoria illuminiistica del "progresso [ ... ] d'altra patte,-si basa [ ... ] non sul confronto di ideologie, bensf "sull'urto delle materiali"»; si veda anche Id., A proposito dei concetti di rivoluzione, cit., p. 451 e n. 50, dove è detto che la « nozione romana di dittatura sì trasmette rul'età contemporanea anche attraverso il Contrat Socia! di Rousseau [ ... ]. l\1a non va dimenticato Lenin>>. 38 V.I. Lenin, La rivoluzione proletaria ... , cit., p. 285. 39 SuM'aqua et igni interdictio, privazione dclla c1tt>acblruaru:a, che comportava anche la confisca dei beni e che veniva pronunciata dal magistrato nei confronti del cittadino sottoposto aUo iudicium populi il quale avesse preferito, prima della decisione dell'assemblea, andare in esilio cfr. G. Gioffredi, L'aqua et igni interdictio e il concorso privato alla repressione penale, in Archivio di Diritto Penale 5-6 ( 1-947), pp. 426 sgg.; Id., Ancora sull'aqua et igni interdictio, in Studia et Documenta Historiae et Iuris, XXII (1946), pp. -19:1 sgg.; C. De Vi1la, E:xilium perpetuum, in Studi Albertario, I, l\1Li1a,no, 195.3, pp. 295 sgg. Grazie a questo istituto la pena di morte veniva applicata a Roma assai raramente (per lo meno fino alla fine del II sec. a.C.); perciò Polibio 6, 14, 7, lo giudica,va degno di lode. 40 V.I. Leni11, La grande iniziativa, cit. Cfr. N.S. Gcinbaum, Lenin und das klassische Altertum, cit., p. 86; C. Gindev, Die Diktatur des Proletariats, cit., p. 87; P. Catalano, A proposito dei concetti di rivoluzione, cit., p. 451. 41 Vedi in questo stesso volume G. Meloni, Dottrina romanistica, categorie giuridico-politiche contemporanee e natura del potere del « dictator>~, pp. 88 sgg. 42 V.I. Lenin, La rivoluzione proletaria... , clt., p. 297. 43 V.I. Lenin, L'imperialismo fase suprema del capitalismo. Saggio popolare, in Id., Opere co,mplete, cit., v. XXII (trad. it. di F. Platone e E. Negarville), 1966, p. 250. Scritto fra il gennaio e il giugno del 1916, fu pubblicato per la prima volta a Pietroburgo nell'aprHe del 1917. Le «rodomontate» sì riferiscono al libro di C.P, Lucas, Greater Rame and Greater Britain, Oxford, 1912; vedi pure una critica di metodo a,l Kautsky e alla sua definizione di imperialismo, accusata, appunto, di essere priva di spessore e concretezza storica (p. 267). Per una piu completa comprensione della posiizione di Lenin sulla poHtica coloniale romana sarà bene vedere la '-'"'·""Jil..cw•m;, del resto assai famosa, che egli dà di imperialismo (p. 266). 44 K. Marx, Misère de la philosophie. Réponse à la phìlosophie de la misère de M. Proudhon, Panis, 1847; trad. it. di F. Rodano, Miseria della filosofia. Risposta alla filosofia della miseria del signor Proudhon, Roma, 19693, p. 152. 45 V.I. Lenin .. Sullo Stato 0ezione toout.a aJ.l'Universeità di Sverdlov 1'11 luglio 1915), in Id., Opere complete, cit., v. XXIX, pp. 4.32 sg.

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Giovanni Lobrano Lenin e il « tribuno dei soviet »

L'interesse di Lenin verso istituti dell'antico 'diritto pubblico' romano, quali "modelli" per la prassi politico-giuridica 1, va

inteso ,a}la luce di quel piu grande ma sostanzialmente analogo fenomeno che era stato il "culto della antichità" {in particolare romana e spartana) da parte dei rivoluzionari francesi 2 • L'interesse per i modelli antichi, nonostante la battuta d'arresto e la inversione di tendenza conseguenti alla sconfitta dei giacobini ed all'affermarsi dei moderati, è presente in vari modi durante tutta l'epoca contemporanea, specialmente lungo i filoni di pensiero democratici, ma anche in contèsti certamente non definibili come tali 3, non allineati comunque con gli sviluppi politici e ,culturali della borghesia Hberale. Nel caso specifico del tribunato, questo interesse trova traduzione sia sul piano della 'teoria generale del diritto', con Ia dottrina fichtiana del "potere negativo" {di cui, appunto, il Fichte individua nel tribunato romano il precedente storico) 4, sia sul piano dell'azione politica, con una serie di tentativi - tutti, per altro, falliti di riedizione del tribunato o del suo potere 5 • Mi limito qui a registrarli, astenendomi dall'entrare nel merito delle rispettive mediazioni culturali e lucidità interpretative del modello antico. I casi piu noti sono quelli pressoché coevi (verso la metà circa del XIX •secolo) nella Repubblica Romana e negli Stati Uniti di America, ma ve ne è anche uno piu recente nell'Unione Sovietica, che ha visto coinvolto lo stesso Lenin. Ll 30 giugno del 1848 l'Assemblea costituente . s Credo che si possa, ancora oggi, affermare, senza correre il rischio di essere smentiti, che la trattazione piu completa ed organica dell'argomento - « fondamentale» la definisce G. Sartori, «Dittatura», in Enciclopedia del diritto, v, XIII (Milano, 1964), p. 2.58, n. 6 - è quella che si trova in Th. Mommsen, Romisches Staatsrecht, Basd-Stuttgart, 1963, ristampa anastatica della III edizione Leipzig, 188,7, passim e specialmente II, 1, pp. 141-180 ( = Le Droit Publìc Romaìn, tradotto da F. Girarci, in Th. Mommsen, J. Marquardt, P. Kruger, Manuel des Antiquités Romaines, II, tradotto sotto fa direzione di G. Humbert, Paris, 1'8,9'3, passim e, specialmente, III, pp. 161-207). 6 G. De Sanctis, «Dittatore», in Enciclopedia italiana, XIII (Milano, 19.32), p. 50, osserva, del resto, che gli studiosi moderni solo con rita.rdo si sono posti il problema di come la dittatura possa essere stata ideata nelle condizioni esistenti a Roma intorno al 500 a.C. 7 Cfr. C. Maynz, Cours de droit romain, I, Bruxelles-Paris, 18703, p. 70, il quale osserva che il potere del dittatore, a dlffe:te11Za di quello degli altri magistrati, sfugge ad una rigorosa va1utazione giuridica. · 8 E. Stotia del diritto romano pubblico, Firenze, 19202 , p. 196, parla di magistratura singolare in caso, sia che la si osservi presso i Romani, sia che si consideri quella esistente presso i Latini (cosi anche nel:la I edizione, Firenze, 1906, p. 18.',). G. De Sanctis, Storia dei Romani I Roma dalle origini alla monarchia, Firenze, 1980 (edizione stabilita sugli inediti a cura di S. Accame. Contiene una appendice inedita [pp. 465-485] su « Le ocigmi della dittatura», in cui, peraltro, tratta essenzimmente deHa dittatura latina, della dittatura in alcune città latine e a Cere. Per la I edizione, pubbl,icata a Torino, i vv. I e II sono del ,1907, il III del ,1917, il IV del 1'9213 ), p. 423, rileva anch'egli ta1e &ingolarità, che farebbe della dittatura una delle istitwioni piu caratteristiche di Roma. « È questa una istituzione per quanto noi s,app. R. Paribeni, Le origini e il periodo regio. La Repubblìca fino alla conquista del primato in Italia, Bologna, 1954 (v. I della Storia di Roma pubblioata a cura deH'Istituto di studi romani), p. 325, parla di « singol:are stranezza » perché « questo ritorno alla monarchia ... interrompe la serie delle magistrature repubblicane ordinarie, e quasi ne impugna e ne rinneg,a la validità e la opportunità». E. Meyer, Romischer Staat und Staatsgedanke, ZurichMunchen, 19744 (la edizione 1948), pp. 39 sgg., 158 sgg., affermato che alla dittatura è connessa una pluralità di problemi non facilmente risolvibili, dice che 6, ora in Id., Polis und Imperium, Ziirich-Stuttgart, 1%5, pp. 596 C. Castello, Intorno alla legittì- · mità della « lex Valeria de Sulla dictatore », ìn onore di P. De Francisci, III, Milano, 1956, pp. 73 sgg.; H. Bengtson, Grundriss der romischen Geschichte mit Quellenktmde. Erster Band. Republik und Kaiserzeit bis 284 n. Cbr., Miinchen, 19702, pp. 189, 23'0 sgg.; G. Mancuso, Alcune considerazioni sulla dittatura sillana in questo stesso volume, pp. 139 sg. La necessità di usare una certa prudenza nell'istituire una netta separazione tra la dittatura di Silla e quella piu antica è segnalata anche da B. Santafocia, « Shlla », in NNDI, v. XVII (Torino, 1~70), pp. 34.3 sg. 48 Circa il pedodo della istituzione della dittatur,a v. supra, nota 17. Quanto alle cause, Livio ricorda motivi bellici (e cosi in D. 1, 2, 2, 18; Oros. 2, 5, 4; Ioann. Ant. frg. 45; Suid. s.v. l:1t-itapxo,;) mentre Dionigi 5, 70-, 4 sgg. v. insieme a Lyd. de mag. 1, 36 e Zon. 7, 13, adduce ragioni di origine interna e, in particolare, le lotte della plebe. Cic. de leg., 3, 3, 9, si rifà a; precisa, inoltre, che « il termine "dittatura" designa attualmente tutti i autoritari. non ereditari» (p. 4U; vedi pure p. 495). Il Duverger afferma tutte le dittature avrebbero in comune alcune caratteristiche: a) il fatto di prodursi nell'ambito di una crisi del sistema sociale cui è collegata una crisi di legittimità del S'istema di (pp. 414 sgg.), circostanza, quest'ultima, dalla quale deriverebbe l'esigenza una nuova legittimazione dei regimi dittatoriali ( pp. 421 sgg.); b) l'utilizzazione della forzia bruta come mezzo neces,sario di autoprote,fone (p. 424 sgg.); e) il ricorso a,lla repressione (ed alla propaganda) come « mezzo d'azione nei confronti della popolazione» (p. 430, cfr. p. 387). Sulla base di queste premesse, il ritiene che possa essere individuata una tipologia defile non implica necessariamente una valutazione negativa di quelle istituzioni 20 • 2.2. Non è questo il luogo per discutere ì'influenza del Fuste! de Coulanges sulla cultura francese nel suo complesso. Si trattò, ·. in ogni caso, di un apporto rilevante che interessò sia il campo della storiografia dell'antichità in senso stretto, sia piu in generale il campo della sociologia e dell'etnologia 21 • Una simile lezione fini per lasciare tracce profonde, anche nella cultura romariistica francese contemporanea. Dal Fustel de Coulanges in poi esiste in essa una sorta di continuità logica - che va ben oltre i discepoli di questo autore o una determinata scuola - e si manifesta nella tendenza a valorizzare le componenti religiose dell'organizzazione politica e sociale romana, individuando in esse il fondamento delle istituzioni giuridiche ed economiche. Esistono già alcuni lavori dedicati specificamente allo sviluppo della scienza romanistica francese dall'Ottocento ai nostri 114

giorni 22 • Tuttavia è da rilevare che in essi - forse perché l'indagine è ristretta al diritto romano - l'opera del Fustel de Coulanges non trova l'ampia trattazione che meriterebbe, pur se appare pienamente compresa l'importanza della problematica che quest'opera immette nella ricerca romanistica posteriore 23 • Al di fuori di questa problematica, infatti, non si possono immaginare opere come quelle di A. Bouché-Leclercq, le cui ricerche sui pontefici romani 24 e sulla divinazione antica 25 sono tuttora indispensabili, ed il cui Manuel des institutions romaines (1886), anche se influenzato dallo schema mommseniano 26 , ha il pregio di essere attento ai fatti sodali e di non attuare una separazione troppo schematica tra diritto pubblico e diritto privato e tra religione e diritto. Né sarebbero comprensibili le ricerche sul diritto romano piu antico di P. Noailles 27 e di H. Lévy-Brnhl 28 • Il Noailles, per esempio, nel sostenere la tesi che le manifestazioni del piu antico diritto romano sarebbero state sentite, in realtà, come atti religiosi, si richiama espressamente al Fustel Coulanges ed al metodo da lui praticato: « Fustel de Coulanges a montré l'importance du ròle de la religion dans tous les aspects de la vie antique. La religion n'est pas cantonnée, comme dans les temps modernes, dans le domaine de la vie intérieure, de la vie morale des individus. croyances religieuses des Romains, comme de tous peuples antiques, sont dominées par cette idée que les dieux interviennent. continuellement dans tous les actes de la vie pri» 29 ; piu in generale si può dire che tutta l'opera del Noailles è permeata dalla profonda coscienza de « l'importance des éléments spirituels dans le droit romain anden >> 30 • Si ricollegano ugualmente al Fustel de Coulanges l'impostazione metodologica ed i temi prevalenti fra gli storici francesi della religione romana 31 • Ma la cultura romanistica francese è stata fortemente influenzata anche dalla sistematica :mommseniana 32 : il Mispoulet, ad esempio, il quale scrive Les institutions politiques des Romains (1882) immediatamente dopo l'apparizione del Romisches Staatsrecht, testimonia nell'introduzione il suo debito al Mommsen 33 • Anche il Bouché-Leclercq, come abbiamo già visto, subisce in qualche modo l'influenza mommseniana; per non parlare, infine, del Manuel del Girard 34 , traduttore francese dello Staatsrecht. Cosf lo schema mommseniano diventa il modello di numerosi trat115

tati romanistici di carattere istituzionale, pubblicati in Francia dalla fine dell'Ottocento ai nostri giorni. L'aderenza del Magdelain a questo contesto culturale è evidente: nella sua opera gli elementi di derivazione mommseniana si fondono con quei motivi religiosi e sociologici, tipici della tradizione rranc> come strumento conoscitivo per la ricerca storica, dr. da ultimo J. Topolsky, Metodologia della ricerca storica, trad. it. Bologna, 1975, pp. 36 sgg., 458 sgg. 66 Gellio, Noct. Att. 13, 23, 1: Conprecationes deum ùnmortalium, quae ritu Romano fiunt expositae sunt in libris sacerdotum poputi · Romani; dr. ibidem 10, 15, 1; Festo, p. 141 L.; Servio, Aen. 2, 143. 67 Per una trattazione sintetica del problema relativo alla natura dei documenti contenuti negli archivi, si veda R. Besnier, Les arcbives privées publiques et religeuses à Rome au temps des roìs, in Studi Albertario, II, Milano, 19~3, 2, pp. 1 sgg.; da ultimo G.B. Pighi, La religione romana, Torino, 1967, pp. 41 sgg.; S. Tondo, ntroatiztcme alle « leges regiae », in SDHI, 1971, pp. 1 sgg.; Leges regiae e paricidas, 1973, pp. 20 sgg. Restano tuttavia ancora fondamentali, in particolare per l'appamto di fonti citate, J. Marquardt, Romische Staatsverwaltung, III, Leipzig, 18852 ;(la prima stesura del volume sulla religione risale al 1856: W.A. Becker-J. Marquardt, Handbucb der romischen Alterthiimel', 4), 3, pp. 299 sgg., 400 sg.; R. Storia di Roma, Milano, 1888, 2, pp. 22'2: sgg. 68 Per G.B. Historische und philologische V ortriige, Berlin, 1846; 1, pp. 2 sgg., la differenza tra libri e commentarii è fa seguenre: « Aus ihnen [libri pontifici ed augurali] fiihren die Historiker die Kriegserkl1iDungen in der bestimmten Formel an, die, wie man sagt, Ancus zuerst einfiihrte; die Dedication, die Formcl feriendi, die Provocatiorien an's Volle», mentre i commentarii sarebbero stati « eine Sammlu11g von Rechtsfallen aus dem alten Staats- und Clì.remonialrecht zug.leich mìt den Entscheidungen der pontifices in den Fallen ihrer Jurisdiction ». 69 Secondo A. Schwegler, Romische Geschichte, Tiibìngen, 1B53, 1, pp. 31 sgg., nei libri sarebbero stati contenuti ì regolamenti genera1i del culto, il diritto sacro e gli indigitamenta; 11eì commentarii invece sarebbero stati recc:olti i casi di rilevanza pratica attinenti al diritto piu antìco, assieme alle decisioni del collegio. 70 In parte diversa è la posizione del L. Lange, Romische Alterthumer, BerJin, 1856, 1, pp. 21 sgg., per 11 quale i libri pontificii, aitgurales, saliorum ed altri simili - sarebbero da identificarsi con le prescrizàoni rituali ( « Ritualbiicher ») proprie dì ciascun colleg,io, mentre i commentarii pontificum, augurum, quindecimvirorum - altro non sarebbero stati che una raccolta di •istruzioni e gli atti del collegio ( .

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Questa interpretazione fu condivisa dalla storiografia angloamericana: nel 1930 Crane Brinton definiva« the Jawbins » il prototipo del moderno partito politico; sulla sua sda, R. Korngold, nel 1937, presentava Robespierre come « the fìrst modem dictator » e J.M. Eagan, nel 1938, lo definiva « nationalist dictator >> 2 • L'equivoco non si è dissipato nemmeno dopo lo scoppio della seconda mondiale, quando Germania nazista e Russia sovietica sono scontrate in un conflitto militare e ideologico. Secondo la storiografia moderata liberale le dittature moderne avrebbero le loro origini in Robespierre, ogni caso nella concezione socialista. Non senza motivo si è sentita l'esigenza di tradurre in inglese il volume di Halévy, e questo volume si chiude con l'affermazione « that in 1793 the state of siege created the jacobin regime, from which, by degeneration as well as reaction, was born the Caesarism of succeeding years ►> 3 • Il tema « the origìns of totalitarian democracy » è stato affrontato da Jacob L. Talmon 4. Durante il periodo della Convenzione si ebbe la dittatura giacobina. Questa si basava, secondo il Talmon, su due pilastri: la devozione fanatica dei fedeli e la rigorosa ortodossia. La combinazione di questi due elementi rappresentava il segreto della forza giacobina e un fenomeno nuovo nella storia politica moderna. Per il T almon la dittatura del Comitato di salute pubblica non fu mera tirannia di un piccolo gruppo di uomini che si attaccavano al potere ed erano in possesso di tutti i mezzi di coercizione; « Essa si basava su cellule e nuclei strettamente uniti e altamente disciplinati posti in ogni città e villaggio, dall'arteria centrale di Parigi al piu piccolo borgo nelle montagne, composti di uomini che aspettavano soltanto un segno con entusiastico ardore, non piu per esprimere il loro spontaneo ·. bisogno di libertà, ma la loro esaltazione rivoluzionaria attraverso l'ubbidiente e fervente esecuzione degli ordini che venivano dal centro, la sede di pochi uomini illuminati e infallibili » 5 • Non ci vuole eccessiva sensibilità critica per rilevare che il Talmon ha applicato abusivamente ai giacobini francesi il suo modo di vedere le strutture organizzative e la mentalità politica dei comunisti di oggi: democrazia e dittatura avrebbero trovato la prima espressione storica in Robespierre, del quale si fece apologista Gracchus Babeuf. Bisogna dire che anche Georges Lefebvre ha sollevato il problema delle origini della dittatura rivoluzionaria, e nel 1950 ha avanzato l'ipotesi, sebbene cautamente, che fu Babeuf a formulare questa idea politica per non esporre i risul-

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tati della insurrezione alla mercé di una assemblea eletta secondo le regole del suffragio universale. Personalmente non credo ali'esistenza di un organizzato partito giacobino e nemmeno alla esistenza di una dittatura giacobina di Robespierre; ritengo, invece, come ho già affermato a proposito della dittatura in Francia nella prima metà dell'Ottocento (in Il pensiero politico, l, 1968, 3) che la paro1a dittatura in senso moderno entrò nella storia europea il 18 brumaio 1799 con il generale Bonaparte, anzi furono proprio i giacobini a rendersi conto del pericolo della dittatura militare: Robespierre aveva detto che « le pire de tous les despotismes c'est le gouvernement militaire »; Babeuf si era opposto a « la dictature de l'homme ». I repubblicani sinceri capirono subito che la dittatura di Bonaparte si sarebbe trasformata in un governo dispotico permanente. La responsabilità delle dittature moderne non ricade né su Rousseau per aver scritto il paragrafo sesto del libro quarto del Contrat Socia!, né su Robespierre per aver fatto parte del Comitato di salute pubblica, ma sul modo di arrivare al potere e sulla organizzazione politica di Napoleone. È opportuno sottolineare che sovente si confonde la leggenda napoleonica con la lezione politica napoleonica: la « légende napoléonienne » è fondamentalmente francese, e va dalla morte dell'imperatore nell'isola di Sant'Elena alla proclamazione del secondo impero; la lezione politica napoleonica è un fatto tecnico culturale d'importanza europea. La rivoluzione francese venne divisa in due periodi: il periodo dell'insuccesso politico, ossia dei tentativi falliti come quelli di Robespierre, ed il periodo del successo politico, ossia dei piani realizzati. Napoleone divenne l'uomo che conosceva la tecnica per riuscire. I rivoluzionati europei meditarono sulla lezione politica napoleonica e convennero che la presa di potere dovesse avvenire con una tecnica di tipo militare: formularono cosi: la teoria della dittatura di tipo democratico. Nella prima dell'Ottocento non si discusse, per usare la espressione di Clinton L. Rossher, se la dittatura potesse essere « constitutional » o « non constitutional )> 6 , ma sulla dittatur,a i::ecmc:a politica per arrivare al potere. I repubblicani, i dei primi socialisti, contrapposero alla dittatura bonadittatura giacobina, ma sempre rifacendosi al modello napoleonico. Lo stesso Buonarroti pubblicò La conjuration pour tégalité dite de Babeuf a quasi trenta anni di distanza dalla presa 145

di potere di Bonaparte nel 1799. Non è strano, quindi, se nell'articolo uscito sulla Giovìne Italia nel 1833, Dì come debba essere ordinato il popolo durante la rivolta fatta per conseguire la libertà, Buonarroti affermasse che « l'esito felice della rivolta dipende forse dall'essere il supremo affidato ad un solo uomo dabbene ». In altre parole la dittatura democratica « giacobina» venne formulata sull'esperienza del colpo di Stato militare « bonapart~sta >>. Il problema è di chiarire il rapporto della « dittatura del proletariato » con la dittatura « bonapartista » e con la dittatura « giacobina », Auguste Comte nella lezione cinquantasettesima del Cours de philosophie positive, scritta verso il 1842, distingueva la « dictature révolutionnaire » di tipo giacobino e la « dictature militaire ~> di tipo napoleonico; la prima alimentata dalla speranza di modificare le istituzioni esistenti, la seconda richiesta dalla necessità per riportare fa tranquillità nel paese. È lecito affermare che, quai1do nel 1850 Marx usò per la prima volta la dizione « dittatura del proletariato », la parola « dittatura » era al centro di una vivace polemica in Francia, sia negli ambienti democratici, negli ambienti conservatori. Flaubert traeva dalI'Annuaire Lesur per il 1851 questo appunto: una dittatura era inevitabile: i socialisti la volevano per rigenerare violentemente la Francia, D'altra parte il governo militare di Cavaignac, appoggiato dalla guardia nazionale, poteva diventare una dittatura della spada. Con logica stringente Marx si oppose tanto alla dittatura « giacobina », quanto alla dittatura « bonapartista >>, vale a dire la formula « dittatura del proletariato » aveva un senso polemico verso l'insurrezione armata di gruppi democratici e verso il colpo di Stato compiuto con l'aiuto dell'esercito. Nei saggi su Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 (articolo III) egli precisò che la « rivolta contro la dittatura borghese >> era il programma della socialdemocrazia che sognava un pacifico svolgimento del socialismo, laddove bisognava instaurare la dittatura di classe del proletariato per realizzare il vero programma del comunismo, ossia l'abolizione delle differenze di classe. Il problema non era di contrapporre, come avevano fatto Buonarroti e Comte, la dittatura rivoluzionaria e· quella militare, ma di realizzare un punto di passaggio per l'abolizione di quei rapporti di produzione su cui le differenze di classe riposano, Il senso polemico verso la dittatura « giacobina ►> o verso la

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dittatura « bonapartista » è ancora piu esplicito nel saggio Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, dove Marx definisce il colpo di Stato del 2 dicembre 1851, non l'atto brutale di un solo individuo, e nemmeno la conseguenza di uno sviluppo storico anteriore, ma un fatto poLitico connesso con la lotta di classe 7 • La dittatura di tipo bonapartista, da Napoleone Bonaparte a Luigi Bonaparte, è realizzata con il consenso della borghesia industriale e la dittatura di tipo giacobino, come quella della seconda repubblica, è fatta con il consenso della piccola borghesia, ossia dei repubblicani borghesi. Per Marx « l'elezione di Luigi Bonaparte a presidente, il 10 dicembre 1848, pose fine alla dittatura dì Cavaignac e alla Costituente » 3 • Poi questo « personaggio mediocre e grottesco » preparò il colpo di Stato del 1851. Né la distinzione polemica tra dittatura giacobina e dittatura bonapartista si riferisce soltanto agli avvenimenti dal 1848 al 1851. Infatti Marx scrive: « Desmoulin, Danton, Robespierre, Saint-Just, Napoleone, tanto gli eroi quanto i partiti e la massa della vecchia Rivoluzione francese, adempirono, in costume romano e con frasi romane, il compito dei tempi loro, quello di liberare dalle catene e di instaurare la moderna società borghese » 1 • Marx allude, cioè, sia al partito giacobino che fece cadere « le teste feudali», sia al regime bonapartista « che rese possibile lo sviluppo della libera concorrenza ». Dittatura bonapartista e dittatura giacobina furono, cioè, dittature « personali ». Marx ebbe profonda stima per Blanqui come rivoluzionario, ma respinse l'idea dell'insurrezione di un gruppo armato; egli cercò la collaborazione dei « Blanquistes », ed ebbe con loro numerosi incontri, ma, al momento opportuno, sottolineò le differenze teoriche. Per Marx, la dittatura « giacobina » non si differenziava molto dalla dittatura di tipo blanquista; infatti, quando egli, insieme con Engels, ruppe l'accordo stipulato per la formazione di una Société Univ,erselle des Communistes Révolutionnaires, chiari nella Neue Rheinische Zeitung di Colonia (1850) che per questi rivoluzionari democratici la sola condizione per lo scoppio della rivoluzione era organizzare in maniera sufficiente la loro cospirazione. La dittatura del proletariato era per Marx governo politico e predominio sodale della intera classe operaia. Questo predominio dittatoriale, questa « Klassenherrschaft » doveva condurre all'abolizione delle classi sociali. Il ravvicinamento della dittatura giacobina con quella blanquista permette anche di notare che le osservazioni di Marx sui rivoluzionari

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cospiratori valevano tanto per Blanqui quanto per Buonarroti; molte critiche rivolte all'autore della insurrezione parigina del 1839 potevano essere egualmente rivolte ai seguaci dì Babeuf. Questa messa a punto arriva fino alla lettera di Marx a Weydemeyer del 5 marzo 1852, ma resta da chiarire il motivo per il quale Marx per venti anni non parlò piu di . Questo slogan era il grido di rivolta del proletariato alla dittatura della borghesia. Marx interpretò questo slogan alla luce del testo del Manifesto del partito comunista 10 scritto sei mesi prima; nel capitolo primo aveva scritto: « Tutti i movimenti avvenuti sinora furono movimenti di minoranze o nell'interesse di minoranze. Il movimento proletario è il movimento indipendente dell'enorme maggioranza nell'interesse dell'enorme maggioranza ►>. Quindi il discorso antinomico tra borghesia e proletariato doveva essere impostato per Marx in termini di maggioranza e di minoranza. Nel capitolo secondo aveva àggiunto: « Abbiamo già visto sopra come il primo passo nella rivoluzione operaia sia l'elevarsi del proletariato a dominante, la conquista della democrazia. Il proletariato si servirà della sua supremazia politica per strappare alla borghe148

sia, a poco a poco, tutto il capitale, per accentrare tutti gli strudi produzione nelle mani dello Stato, vale a dire del proletariato stesso organizzato come classe dominante, e per aumentare, con la massima rapidità possibile, la massa delle forze produttive » 11 • Questo brano del Manifesto conferma il valore polemico della espressione « dittatura del proletariato », che non si pone come dittatura di tipo giacobino o di tipo bonapartista, perché il proletariato come .das.se_ dominante mira ad abolire assieme agli antichi rapporti di produzione le condizioni di esistenza del1' antagonismo di classe, cioè abolisce « le condizioni d'esistenza dell'antagonismo di classe e le classi in generale, e quindi anche il suo proprio dominio di classe » 12 •

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Note

1 Gli scritti di Halévy sul socialismo e la guerra furono raccolti nel volume L'ère des tyrannies, pubblicato nel 1938 con prefazione dì C. Bouglé {Paris, Galhmard). 2 C.C. Brinton, The Jacobins. An essay in the new history, New York, 1930; R. Korngold, Robespierre, fir.st modern dictator, London, 19.37; J.M. Eagan, Maximilien Robespierre: Nationalist Dictator, New York, 19.38. 3 E. Halévy, The era of tyrannies, trad. R.K. Webb, Garden City (Anchor Books) 1965,, p. 316. · 4 J.L. Talmon, Le origini della democrazia totalitaria, Bologna, 19'67 ( titolo originale The Origins of Totalitarian Democracy, London, 1952). s Le origini... , cit., p. 176. 6 Cfr. C.L. Rossiter, Constitutional Dictatorshìp: Crìsis Government in the J.fodern Democracy, Princeton, 1948. 7 K. Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, Roma, 19'77 2 • Prefazione dell'autore. · \f i s Ibidem, p. 75. 9 Ibidem, pp. 45 sg. 10 K. Marx-F. Engels, Manifesto del partito comunista, Roma, 1977 15 , p, 74. 11 Ibidem, pp. 87 sg. 12 Ibidem, p. 9-0.

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Pierangelo Catalano Consolato e Dittatura: l' « esperimento>> romano

della Repubblica del Paraguay ( 1813-1844) "''

1. Alcune nozioni sull' « esperimento >> « L'unico esperimento riuscito di sviluppo indipendente in America Latina » 1 , durante l'età contemporanea, fu attuato nel Paraguay tra il 1811 ed il 1870. Nella fase iniziale e fondamentale dell'esperimento (181.3-1844), la repubblica fu retta attraverso forme di governo de11orrrinate « consulado » e « dictadura », con le quali d si volle richiamare politicamente all'antica Roma. Dopo la rivoluzione del 14 maggio 1811 fu istituito il «triumvirato»; il Congresso del 17-20 giugno 1811 elesse una « Junta superior gubernativa » di cinque membri; il Congresso del 1813 elesse due > ed i « principes de politique sur lesquels rouloit le gouvernement des Romains »: egli osserva che « deux Corps partageoient à

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Rome l'autorité, le Sénat et le Peuple », ed afferma che le « dissensions continuelles » servirono « à conserver et affermir la Iiberté » 24 : scorgiamo una concezione dualistica della costituzione romana, assai diversa dalh teoria della costituzione mista 25 ; scorgiamo altresf una visione della libertà simìle a quella del Machiavelli 26 • Anche qui viene spontaneo l'avvicinamento alle concezioni proprie del Rousseau (derivanti, in parte, dal Machiavelli) 27 • Orbene, in questo quaçlrp il Rollin presenta le notizie sulla dittatura, particolarmente nei libri II, VIII, XIV, XXXIII, XLII 28 • Mi limiterò qui a ricordare il rilievo che egli dà alla dittatura di C. Marcio Rutilo, primo plebeo creato dittatore, il quale nominò magiste1· equitum il plebeo C. Plauzia (Livio 7, 17; 356 a.C.), e alla dittatura del plebeo Q. Publilio Filone « favorable au Peuple et contraire à la Noblesse >> (dictatura popularis: Livio 8, 12; 339 a.C.) 29 , nonché la recisa affermazione che egli fa a proposito ddle vicende della dittatura del I secdlo a.C.: ~< tout le parti Aristocratique, qui étoit abaissé, mais non pas écrasé ni anéanti, auroit combattu avec une obstination invincible contre le rétablissement de cette odieuse Magistrature » 30 • Analoghe osservazioni possono farsi riguardo ad un'altra opera contenuta nella biblioteca del dottor Francia: la Historia romana del chierico minore Juan de Haller, compendio in lingua spagnola (pubblicato a Valenda e Madrid tra il 1735 e il 1736) dei primi diciassette volumi della Histoire romaine scritta dai gesuiti Catrou e Rouillé (Paris, 1725-1732) 31 • La riflessione del dottor Francia sulle istituzioni romane incide in maniera decisiva sulle nuove istituzioni della Repubblica del Paraguay, dando loro, ben al di là delle parole (e anche di un'esteriore somiglianza con le esperienze napoleoniche), la forma caratteristica. Il modello romano indica la rottura degli schemi propri del pensiero politico e delle istituzioni liberali 32 • L'ispirazione romana del dottor Francia deve essere vista in parallelo con !',interpretazione delle istituzioni antiche fatta dai giacobini francesi 33 : entrambe prendono avvio dal IV libro del Contrat Socia! di Jean-Jacques Rousseau. Ovviamente, il richiamo a Roma antica non era nuovo nelle lotte per l'indipendenza dell'America spagnola: basti pensare al « juramento » pronunciato da Sim6n Bolivar nell'agosto 1805 sul Monte Sacro. Né era isolato il tentativo di utilizzare nozioni del dìritto pubblico romano: ricordiamo i « Proyectos >> di Francisco de Wliranda e di Sim6n BoHvar, nonché, per la rigorosa ispira155

zione rousseauiana, il Proyecto de Constituci6n Provisoria para las provincias del Rio de la Plata del 1811. Ciò che appare « sin ejemplar » è l'esperimento, riuscito, di radicare forme istituzionali antiche in una nuova realtà socio-economica, adattando le antiche forme e plasmando la nuova realtà. L'esperimento riusci alla forza dei paraguayani contadini-militari, e produsse, nei successivi sviluppi, l'organizzazione di una repubblica in aperto conflitto con il sistema capitalistico internazionale. In Europa un tale esperimento non era riuscito a Robespierre né a Napoleone. Giustamente Karl Marx ha osservato che il Terrore aveva voluto « sacrificare a una vita politica antica », la società civile rappresentata dalla borghesia, e ha definito Napoleone «l'ultima lotta del terrorismo rivoluzionario» contro tale società 34 • Simiglianze e differenze tra Robespierre, Napoleone e Franda difficilmente possono essere intese dagli storiografi liberali 35 • Pur senza accettare lo schema interpretativo marxiano, ritengo che la individuazione del rapporto tra le antiche forme istituzionali (il modello romano) e la struttura sodo-economica del Paraguay nel suo contesto intercontinentale consenta meglio di comprendere gli effetti della « volontà politica » del dottor Francia: meglio cli quanto non sia possibile fare utilizzando i concetti di « Stato ,> e « nazione » 36 • E consenta forse anche di spiegare quel primato della politica che, secondo molti, costituisce la « urdimbre » della storia del Paraguay 37 •

3. Il Consolato Il secondo Congresso inizia il 30 settembre 1813, « en e1 Templo Nuestra Sefiora de la Merced »·. Vi partecipano oltre mìlle deputati, in « elecciones populares y libres »; i rappresentanti della campagna ptevalgono su quelli dell'aristocrazia militare e civile e della borghesia mercantile di Asunci611. Il progetto di Reglamento de Gobierno redatto da Francia e da Yegros viene presentato al Congresso il 12 ottobre e approvato per acdamazione. Vengono cosi eletti due « consules de la Republica del Paraguay»; per molti anni .nei documenti ufficiali si parlerà della ~ (aN. 2); cosi pure il comando delle forze armate esercitato « por la jurisdicci6n unida de los Consules » (artt. 6, i e 8). Alla presidenza interna del collegio alternano i due consoli, con turni di quattro mesi: « El que la ejerza solo se titulara C6nsul de turno, y de ningun modo Consul Presidente para evitar las equivocaciones de que ha sido origen esta:ultima denominadon » (art. 9); l'art. 11 regola i casi di « discordia ». II Reglamento de Gobierno, che consta di 17 articoli, rinnova dunque l'istituzione di una magistratura paritariamente collegiale, adattandola alla realtà politica del paese. È evidente la differenza dal « Consulat » della Costituzione francese dell'anno VIII, in cui i tre « Consuls » sono ineguali e solo il « Premier Consul » ha in realtà il potere (« La décision du Premier Consul, seule, suffit »: art. 42) 39 • Sulla base della normativa fissata per il Consolato si svolse la lotta politica tra i due colleghi. Dei tre turni di quattro mesi il primo e l'ultimo spettarono al dottor Francia. Questi fece costruire due « sillas curules » facendo incidere i nomi di « César >:> su una e di « Pompeyo » sull'altra; prese quindi possesso della

prima 40 • Il Consolato, nella sua collegialità, rafforzò l'indipendenza, affermando energicamente la sovranità della Repubblica del Paraguay non solo rispetto alla Spagna, ma rispetto a Buenos Aires. Di fronte all'inizio di questo esperimento romano la reazione più significativa ci è manifestata in una lettera del plenipotenziario del governo di Buenos Aires, Nicolas de Herrera, del 7 novembre 1813. Yo creo no sin fondamento que las proposiciones de Francia no tienen otro objeto que ganar tiempo y gozar sin pesadumbre de las ventajas de la independencia. Este hombre que imbuido en Ias ma:ximas de la Republica de Roma intenta ridiculamente organizar su Gobierno por aquel modelo, me ha dado muchas pruebas de su ignoranda, de su odio a Buenos y de la inconsecuencia de sus prindpios. El ha persuadido a los Paraguayos que la Provincia sola es un Imperio sin igual [. .. ] En el sobre del ofido que induyo se titula e1 Paraguay la primera Republica del Sur, suponien• dose el unico Pueblo libre, con otras puerilìdades que manifiestan el desorden de las cabezas que mandan [..J 41 •

Ora, il citare esempi di Grecia e di Roma in appoggio alle proprie dottrine era costume corrente anche tra i patrioti argen-

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tini 42 , ma altra cosa era voler costruire sostanzialmente una repubblica su modello romano: di fronte a questo l'atteggiamento borghese oscillava facilmente tra lo scherno e lo stupore 43 • Significativa è la descrizione, superficialmente ironica, che il medico svizzero Rengger (« asesino, envenenador y seductor », secondo il dottor Francia) fece del fondamento ideologico della rivoluzione paraguayana: A Yquamandiu un capitano di milizie, segnalatosi pel suo zelo rivoluzionario, volle spiegare ai suoi compatriotti che cosa fosse libertà; e però, riandate nella sua mente tutte le possibili definfaioni che avrebbe voluto dare, non ne seppe dir nulla meglio fuorché era la fede, la speranza e la carità. I capi della rivoluzione, che non ne sapevano piu di questo capitano, desideravano formarsi Ltl repubblica: ma che cosa fosse una repubblica e come si reggesse, nol sapevano. Per loro buona sorte possedevano una copia della Storia romana di Rollin, la prima opera buona che fosse giunta in paese, e fermarono consultarla. L'istituzione dei magistrati temporarj, quella dei consoli, ottenne i loro suffragi. Ma non cosi del senato, che lor non piaceva, quantunque forse non lo avessero abolito se non perché non sapevano ove trovar senatori 44 •

Del resto, lo scherno degli europei non risparmierà nemmeno la Constìtuci6n de Bolivia del 1826, progettata da Sim6n Bolivar, secondo la quale l'esercizio del Poder legislativo risiedeva in tre 45 -, « Senadores », « Censores » • La politica del Consolato di fronte agli europeì fu assai severa. Basti ricordare che nel marzo 1814 una Resoluci6n consular proibf agli europei residenti nel Paraguay di contrarre matrimonio con « mujeres blancas >>: il console Yegros si vantava di aver firmato tale provvedimento: « Pues sostenfa que habfa necesidad de dictar tal medida para establecer el cruzamiento de la raza ►> (cosi riferiva Francisco Wisner).

4. La Dittatura Il terzo Congresso iniziò il 3 ottobre 1814, « en el Templo ,de Nuestra Sefiora de la Merced ». La grande maggioranza degli oltre mille deputati proveniva dalla campagna. Dopo vivaci discussioni, il Congresso deliberò che, in luogo dei consoli, fosse eletto un dittatore. Successivamente, nonostante una certa opposizione, il Congresso elesse per acclamazione il dottor Francia > per il periodo di cinque anni. Il potere del dittatore non era concepito come illimitato. Il 158

Congresso demandò al dittatore la nomina dei membri del « Tribuna! Superior de Justida » (nomina che, peraltro, non verrà eseguita). Restando valida la norma secondo cui il Congresso doveva essere convocato annualmente, venne deciso che le riunioni fos-sero tenute nel mese di maggio, e che la prossima fosse tenuta nel maggio 1816; per il futuro, il numero dei deputati venne ridotto a 250, mantenendosi la proporzione tra campagna e città. L'atteggiamento degli oppositori di fronte al dittatore è bene espresso nella Proclama scritta in Buenos Aires da M. L Velasco. Qui interessa particolarmente la precisazione che, riguardo all'istituto della Dittatura, si vuol dare sulla base di vari « publicistas >>, tra cui Grazio e Pufendorf: ... para la rita eleccion y nombramiento de un Dictador, debe preceder un motivo extraordinario, que no pueda evacuarse de otto modo, que con la prudenda, zelo, y rasgos de un Dictador; y que al mismo tiempo no pueda durar esta alta dignidad, sino al término perentorio de seis meses. ,:Como pudisteis tener la osadfa, y audacia, para atropellar la Legìslacion Romana autora, y matriz de la dictadura, que primordialmente dispone, corno un requisito esencial, las dos drcunstancias predichas, que los Publidstas citados han abrazado posterìormente, y non han tenido valor, para variarla, nì se han atrevido a formar nuevo plan, para la legìtima eleccion del Dictador, conviniendo todos a mirar con respeto las dìsposiciones romanas, que fueron inventoras del alto empleo en qiiestion? 46 •

In una lettera del 30 ottobre 1815, in cui si incitava il Velasco a redigere un altro proclama, e si apportavano altri elementi di giudizio contro il dittatore, troviamo affermato: « La Historia de los Romanos y las Cartas de Luis 14 son el diurno en que reza diariamente » 47 • Il 1° giugno 1816 si riuni nuovamente il Congresso, sempre dominato dal ceto contadino. Il Congresso decise: . 34 F. Engels-K. Marx, Die heilige Familie oder Kritik der kritischen Kritik. Gegen Bruno Bauer und Consorten {1845), ora in K. Marx-F. Engels, Werke, 2, Betlin, 1962, pp. 128 sgg. (trad. it. di A. Zanardo, La sacra famiglia, Roma, 1967, pp. 158 sgg.); cfr. K. Marx, Kritische Randglossen zu dem Artikel « Der Konig van Preussen und die Sozialreform. Von einem Preussen » (1844), ora in K. MarxF. Engels, Werke, 1, Berlin, 1961, p. 402 (trad. it. in Opere complete, v. III, Roma, 1976, p. 216). Sull'argomento vedi P. Catalano, Tribtmato e resistenza, dt., pp. 11 sgg. 35 G.G. Gervinus, Geschichte des 19. Jarhunderts seit den Wiener Vertriigen, 3, Leipzig, 1858, p. 261, giunse all'1111properio: « Nachaffer Napoleons »; dr. le osservazioni di G. Kahle, Ein sudamerikanischer Diktator ... , cit., p. 258. 36 Con ciò non nego l'utilità delle conclusioni di G. Kahle, Die Diktatur Dr. Francias und ìhre Bedeutung fur die Entwicklung des paraguayschen Nationaf.bewusstseins, in Jahrbttch fiir Geschichte von Staat, \Virtschaft und Gesellschaft Lateinamerikas, 1 (1964), pp. 238-282: « Nicht die Nation errkhtete den Staat, sondern der paraguaysche Staat, verkopert durch Francia und seine beiden Nachfolger, formte die para,,"1.laysche Nation, deren Voraussetzungen und Grundlagen jedoch weit die koloniale Epoche zuriickrekhen » (op. cit., p. 282). 37 J.P. Benftez, Formaci6n social del pueblo paraguayo, Asunci6n, 1967, pp. 135 sgg. 38 Vedi Actas de las sesiones de los Congresos de la Republica, desde el ano 1811 basta la terminaci6n de la guerra, Asunci6n, 1908, pp. 6 sgg. I1 testo del Reglamento de Gobierno è pubblicato anche in El pensamiento constitucional hispanoamericano basta 1830, Caracas, ·1961, 4, pp. 185 sggt 39 Sulla Costituzione dell'anno VIII vedi in generale, J. Godechot, Les institutions de la France so11s la Révolution et l'Empire, Paris, 19682, pp. 549 sgg.; 558 I « Consuls » erano eletti per 10 anni ,(i1 terzo, solamente per 5 anni) e ri ili; formavano un Consiglio che deliberava in presenza di un secrétaire d'Etat e di un secrétaire général, il quale teneva i verbali; non erano responsabili. Non mi sembra quindi esatto parlate di influenza napoleonica a proposito del Consulado paraguayano, come fa O.C. Stoetzer, El pensamiento politico en la América espaiiola durante el periodo de la emancipaci6n (1789-1825), 2, pp. 97 sg.; 56, n. 94 (questo studioso accentua inoltre ecces;,ìvamente l'influenza dell'ispirazione napoleonica sull'azione politica del dottor Francia, che ritiene si sovrapponga all'influenza del « despotismo ilustrado »: egli oblitera cosf il rapporto dcl dottor Francia con il pensiero del Rousseau, nonché il parallelo storiografico con i giacobini; op. cit., 1, pp. 187 sgg.; 2, 96 sgg.; e&. pp. 69 sgg.). 4 Cfr. J.R. Rengger e M.F.X. Longchamp, Essai historiq11e ... , cit., pp. 22 sg. 41 Herrera al poder Executivo, Corrientes, 7 de Noviembre de 1813, Archivo Generai de la Noci6n Argentina, Leg. Paraguay. Reladones Exteriores 1811-1856. Herrera intraprese il viaggìo di ritorno neì primi giorni del novembre 181.3; durante trent'anni nessun altro inviato del governo di Buenos Aires entrerà nel territorio della Repubblica del Paragu' {B. Constant, Lo spirito di conquista, seguito da La libertà degli antichi e la libertà dei moderni, trad. di U. Ortolani, con introduzione di G. Calogero, Roma, '1945, p. 96). 44 J.R. Rengger e M.F.X. Longchamp, Essai historique ... , dt., pp. 20 sg. (trad. it. oit.,. pp. 50 sg.). 45 Cfr. C. Parra-Pérez, La Monarquia en la Gran Colombia, Madrid, 1957, p. 349, a propm,ito del francese Bresson. ¾ M.I. Velasco, Proclama de un Paraguayo ..a sus paisanos, Buenos Aires, p. 1. 47 Lettera di F.E.P. (inì:z,iali sotto cui si nasconde, a quanto pare, ìl nome di Ventura Dfaz de Bedoya): cfr. J.A. Vazquez, El doctor Francia, dt., pp. 295 sg. 48 Actas de las Sesiones de los Congresos de la Republica, cit., p. 17. 4~ J.A. Vazquez, El doctor Francia ... , oit., p. 322. so L'annotazione manoscritta, che si trova sul recto del secondo foglio unito (all'inverso) con l'esemplare ricordato (v. nota 31), è fa seguente: « 14 • VII • 821 / 17 • VII •8121 / 25 • VII • 8:21 / Pax / Francia». Un'altra firma del dottor Francia si trova alla pagina 3'28 di detto tomo II, ove sono narràte le vicende della deditìo di Cartagine, avvenuta sotto i consoli L. Marcio Censori.no e M. Manlio ( 149 a.C.). 51 Cosf affermava nel 1834 un diploltlatico francese: C. Famin, Chili, Pàraguay, Uruguay, Buenos Aires, Paris, 1840, p. 48; vedi già fa lettera scritta daJ. Grandsire, inviato de1l'Lnstitut de France, ad Alexander von Humboldt, il 10 settembre 1824, da ltapua: cfr. J.A. Vazquez, El doctòr Francia, cit., pp. 564 sg.; Al'perovk, Francia i Francifa ( « paragvajskij Robespierre» vo francuzskoi istoriografii), in Francuzskii d.egodnik, 1973, Moslwa, 1975, pp. 246 sgg. 52 Vedi La primera misi6n pontificia a Hispanoamérica 1823-1825. Relaci6n oficial de mons. Giovanni Muzi, pòr P. De Leturfa y M. Batlloti, Città del Vaticano, 19'63, pp. Hl, 502. Non è qui il luogo di esaminare il tema dei rapporti tra il dittatore e la Chiesa: essi sono staci a lungo fraintesi nella storiografia. Vedi ora alcune precisazioni di A. Nogués, La Iglesia en la época del doètor Francia, Asunci6n, '1%0; J.H. Williams, El Dr. Francia ante la lglesia paraguaya, in Estudios Paraguayos 2, 1 (junio 1974), pp. 139 sgg.; A. Viola, Facetas de la politica guberniitiva del doctor. Francia, Asunci6n, 1975, pp. 25 sgg. 53 Il documento, con data 9 agosto 1830, è firmato da C. Aguero: Archivo Nacional de Asunci6n, Sccci6n Judidal y Criminal, 2'111. S4 Lettera del 12 giugno 1&33, Archivo Nacional de Asunci6n, Seeci6n Historica, v. 242 n. 7 (Colecci6n Bareiro, Francia, v. V, pp. ,1489 sgg.); non condi. vido l'interpretazione data da J.C. Chaves, El Supremo Dictador, cit., p. 199. ss Circa il concetto cli « Etat » del Rousseau, e la sua ispirazione romana vedi P. Catalano, Populus Romanus Quirites, cit., pp. 10 sgg. 56 Nota della « Junta provisional », del 20 settembre 1840: cfr. J.C. Chaves, El Supremo Dictador, cit., p. 467. 57 Il testo della Oraci6n funebre è ora stampato anche in G. Nufiez De Baez, Ilustre pr6cer de la nacionalidad paraguaya, cit., pp. 24 sgg. (la frase sopra riportata è a p. 32). 58 In generale sull'atteggiamento europeo di fronte al dottor Francia, vedi G. Kahle, Ein sudamerikanischer Diktator ... , cit. Il confronto con Cromwell si trova nello scritto di Thomas Carlyle, Dr. Francia, apparso nel 1843, in cui viene criticata l'opera dei fratelli Robertsolì (citata supra, n. 8): ora in Th. Carlyle, Critical and Miscellaneous Bssays, 3, London, 1888; vedi G. Kahle, Ein sudamerikanischen Diktator... , dt., p. 25,6. 59 Cfr. J.A. Vazquez, El dòctor Francia, cit., pp. 590 sg. Quanto al dolo1·e del popolo per la malattia e la morte del dittatore, vedi i documenti raccolti da J.A. Vazquez, op. cit., pp. 779.S26.

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60 Cosi J.C. Chaves, El Supremo Dictador, cit., pp. 461 sg. {particolarmente la nota. a). 61 Su queste vicende vedi B. Garay, Tres ensayos sobre historia del Paraguay, Prologo de J.N. Gonzalez, Asunci6n, 1942, pp. 319-336 (si tratta di un capitolo, intitolato « De la Dictadura al segundo Consulado >>, del lìbro, rimasto incompiuto, su « Los organismos poHticos del Paraguay estudiados en su historia »). 62 Poeticamente: Augusto Roa Bastos, Yo el Supremo, I ed. 1974; Buenos Aires, 19753, p. 81. 63 Sulla progressiva riduzione degli elettorati attivo e passivo, vedì C. Pastore, La lucha por la tierra en el Paraguay, cit., pp. 165 sgg.; in generale sulla organizzazione dello « Stato mercantilista», a partire dal secondo Consolato, ibidem, pp. 113-,170. Sul mutamento dell'ispirazione ideologica dì Carlos Antonio L6pez (da Montesquieu per arrivare al Catecismo di José Antonio de San Alberto) vedi J.C. Chaves, El Presidente L6pez, II ed., Buenos Aires, 1968, pp. 28 sg.; 357 sg. 64 Cosl'. J.A. Vazquez, El doctor Francia, dt., p. 26. 65 Sulle vicende storiche brevemente accennate in questo paragr.afo esiste ormai una notevole hibìiografia. Vedi riassuntivamente le opere citate supra, note 1, 2. Su alcuni punti specifici vedi P.M. Ynsfran, La expedici6n norteamerìcana contra el Paraguay 1858-1859, 2 vv., Méxko-Buenos Aires, 1954-1958,; S. Gaona, El clero en la Guerra del '70, Asunoi6n, -1961!2; D.M. Rivarola e altri, La poblaci6n del Paraguay, Asunci6n, 1974. Strumento per conoscere 1e opere storiografiche paraguayane è The Paraguayan Bibliograpby, compilata da C.F.S. Fernandez-Caballero, v. I, Asunci6n-Washington, -1970, v. II, Amherst, Mass., 1975. 66 La considerazione e il fraintendimento della dittatura romana diventano strumento di critica contro il Paraguay; fli veda lo scrttto di A. Correìa Do Couto, Dissertaçao sobre o atual governo da Republica do Paraguay, Rio de Janeiro, 18-65 (104 pp.): « No Paraguay ha urna dictadura cru.el e brutal, e de cujas decizoos nao ha appello. Como entre os Romanos o dìctador do Paraguay nao è noineado pelo povo; o dos Romanos era nomeado por um dos consules com approvaçao do Senado, depois de consultarlo os augures, e durante o silencio e a sombra da noute. Nascia poi do misterio, e mistedoso è tudo no Paraguay, onde o estado vem passando de tyranno a tyranno. par droit de succession ... » (pp. 7 sg.). 67 J.B. Alberdì, Escritos p6stumos, 9, Buenos Aires, 1899, pp. 434 sg. (l'Alberdi doveva riferirsi principalmente alle terre di proprietà de!fo Stato date in ,1ffitto ai contadini). Questa assimilazione del Paraguay alle repubbliche antiche è certo piu approfondita di quella che trovfamo nello scrìtto El Imperio del Brasil ante la democracia de América, del 1869 (Id., Obras completas, 6, Buenos Aires, 1887, pp. 285) e supera piu chiaramente, a mio avviso, l'-antitesi tra , ove invano chiese la dittatura, fino alle gloriose imprese del 1860, da duce dei Mille, in Sicilia, ove il 14 maggio 1860 assumeva la dittatura in nome « di Vittorio Emanuele, Re d'Italia». 2. Occorre notare, anzitutto, che seppur l'idea: della dittatura in Garibaldi •aveva origini romane, essa è rafforzata da convincimenti recenti e confermata particqlarmente da un articolo dal titolo Del governo d'un popolo in rivolta per conseguire la Libertà, apparso nel 1833 sulla rivista marsigliese La Giovine Italia 4, pubblicata da Mazzini, di cui Garibaldi ebbe, senza dubbio, conoscenza. In esso il noto rivoluzionario pisano Filippo Buonarroti, ancora in quegli anni legato alle sue passate esperienze di estremista giacobino, e, pur con l'evolversi dei suoi schemi politici, agli ideali interpretati da Babeuf 5 , espone in termini categorici, sotto lo pseudonimo di « Cammillo », il suo concetto di dittatura. L'autore, dopo di aver preliminarmente dichiarato che non era sua intenzione quella di« dire come debba essere ordi:nato definitivamente un popolo, ,perché abbia durevole e vera libertà, ma si come debba esserlo durante la rivolta fatta per conseguire la libertà stessa », dichiara esplicitamente che per varcare gli spazi che intercorrono « per giungere dalla tirannide alla libertà » per coprire lo« stadio di transito » da un sistema politico all'altro, occorre avvalersi di « ordinamento e modi straordinari incompatibili colla libertà regolare e permanente». Compito della« potestà nata colla rivolta» è ricorrere ai .mezzi opportuni intesi a >, che secondo Mazzini ingenera il dschio, manifestatosi piu volte riel corso della storia, che alla dittatura subentri la tirannide. Dopo di. aver indicato le difficoltà che, in ogni caso, si sarebbero manifestate nella scelta di quell'Uno cui avrebbero dovuto essere concessi pieni poteri, Mazzini conclude: > soffrendone, con la deportazione, gravi conseguenze. Dopo il crollo del regime napoleonico il Buonarrot,l visse in Francia e fu autorevole consigliere ed amko, pur mantenendo i suoi orientamenti di antico giacobino estremista, della maggior parte degli esuli raccoltisi prevalentemente a Marsiglia e Parigi. Neppure Mazzini poté sottrarsi, come scrive Salvo Mastellone Mazzini e /a « Giovine Italia» (1831-1834), Pisa, 1960, t. 2, pp. 8-14 e passim; aJHa influenza delle teorie egualitarie del Buonarroti che d appare in questa occasione come rn1laboratore della Giovine Italia. 6 Occorre porre in ri,!ievo che nella Nota del Direttore l'intervento del Mazzind è garbato e si apre con il periodo seguente: > - e di maturare una coscienza di classe al riparo dell'influenza dell'ideologia borghese. d) Questa guida è rappresentata dal centro intellettuale della nazione la città di Parigi_- sotto la direzione del « proletariato parigino », a sua volta guidato da un piccolo gruppo di dirigenti-cospiratori illuminati 7• L'idea blanquista della « dittatura parigina » come dittatura di una élite cospirativa è chiaramente situata entro la concezione strategica della degli avvenimenti storici. Per esempio, i testi giuridici ricostruiti dagli storici del diritto servono come fonti per la storia economica, la storia della cultura, ecc. Essi sono in questo caso serbatoi di informazioni dirette oppure sintomi di fatti e processi (econo-

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miei, culturali, ecc.) riflessi dalle norme giuridiche. Vorrei continuare il ragionamento introducendo una concezione dinamica di fonte storica. La novità di tale concezione consiste nell'indicare che sono le domande poste dallo storico che costituiscono la struttura informativa della fonte storica. La fonte dunque può essere considerata a parte la struttura materiale come una struttura astratta (informativa) che non esiste se non nella relazione tra lo storico e la sua fonte. È chiaro che in tale relazione è la cultura dello storico, la sua competenza teorica, la sua prospettiva ideologica che « apre » la fonte e ne rinnova la capacità informativa in un modo inesauribile. Se si prendono le mosse da questo fatto, s,i vede bene che tale cultura {innanzitutto la cultura generale) gioca un ruolo multiforme nella ricerca degli strati piu profondi della struttura informativa della fonte, quando si considerano le informazioni dirette come sintomi di fatti e processi (innanzitutto nel campo della conoscenza, mentalità, ecc.), di cui la fonte non parla direttamente. Mettendo in rilievo il ruolo della teoria, vorrei sottolineare la necessità degli sforzi interdisciplinari, mediante i quali si può arricchire, cambiare, riformulare la serie .di domande che poniamo alle fonti. La nozione dinamica di fonte esige una classificazione appropriata, cioè metodologica. Propongo due classificazioni che si possono considerare tali. La prima è la spartizione che distingue 1. le fonti dirette; 2. le fonti indirette, dove il criterio distintivo è l'esistenza (o no) dell'informatore (informatori) che si colloca tra il passato e lo storico. Le fonti dirette possono essere considerate come frammenti del passato osservati direttamente dallo storico. Sono, innanzitutto, le fonti materiali (per esempio gli oggetti rinvenuti negli archeologici), ma anche una gran parte delle fonti giuridiche (tanto le iscrizioni di Hammurabi, quanto le leggi pubblicate ufficialmente dallo Stato). Bisogna cercare di cogliere il vero carattere della fonte giuridica. Il Corpus Iuris Civilis nella sua •edizione del 1583 ,è una fonte diretta o indiretta? Qual è, in ciascun caso, l'apporto dell'informatore, cioè di colui che ci ha trasmesso il testo copiandolo, riassumendolo o redigendolo? fonti indirette pongono il problema della verifica dell'attendibilità dell'informatore, mentre questo problema non esiste per le fonti dirette. L'altra classificazione si riferisce alla nozione di comunicazione, in quanto distingue le fonti destinate a comunicare e le 220

fonti non destinate a comunicare qualcosa a qualcuno. Sono 1. le fonti indirizzate; 2. le fonti non indirizzate. Questa distinzione appare molto importante per gli storici che debbano discernere il contenuto « oggettivo » e quello « soggettivo » delle fonti. Alla categoria delle fonti indirizzate appartengono non solamente le fonti dirette (come per esempio le cronache), ma anche molte delle fonti indirette (come, per esempio, gli oggetti destinati a comunicare qualcosa}. Un palazzo nobiliare doveva senza dubbio riflettere la ricchezza, l'importanza o il potere del proprietario. Un codice, a prescindere dal fatto che è indirizzato al pubblico come strumento della politica sodale, poteva essere pubblicato anche per mostrare, ad esempio, la modernità dello Stato. fonte indirizzata non è solamente un prodotto dell'attività umana, ma anche un oggetto carico di un contenuto intenzionale. Tra le fonti indirizzate si possono distinguere quelle che sono indirizzate allo storico (come, per esempio, molte memorie), a un destir1atario determinato (come, per esempio, una lettera) o alla posterità. Qual è, da questo punto di vista, il carattere delle fonti che costituiscono la base per lo storico del diritto? Si tratta principalmente delle fonti indirizzate, ma resta da risolvere il problema dei destinatari. A chi sono state indirizzate? E, di conseguenza, avevano il compito, nell'intenzione del legislatore, di formare le azioni umane? Gli storici del diritto si servono anche di fonti non indirizzate? Mi sembra che la problematica che deriva dalla partizione delle fonti sopra proposta possa risultare utile nella analisi metodologica. Se si osservano le fonti attraverso il prisma della metodologia della ricerca storica bisogna tener conto del fatto che la spiegazione storica da un lato e l'accostamento dei fatti dall'altro lato esigono abbastanza spesso generi differenti di fonti. Il ventaglio di fonti necessarie per la spiegazione diventa generalmente piu ampio. La spiegazione comporta infatti il superamento del settore al quale appartiene il fatto da spiegare e la ricerca deU'explicans (i fattori che spiegano) in altri campi.

V La spiegazione storica costituisce uno dei problemi piu complicati e, allo stesso tempo, piu importanti della metodologia della 221

che ci viene in mente. Il quarto caso riguarda gli effetti complessivi delle azioni umane, privi della loro impronta « personale». Ricordiamo, per esempio, le cause della decadenza dell'Impero Romano, della comparsa del capitalismo in Europa, della prima guerra mondiale, ecc.

VI Vorrei porre due modelli fondamentali di spiegazione storica che abbracciano i casi individuati nelle pagine precedenti: a) i!1 modello della spiegazione razionale o dell'interpretazione umanista; b) il modello della spiegazione nomologica. Le spiegazioni indicate ai casi 1 e 2 e una parte della spiega· zione indicata al caso 3 si effettuano secondo il modello dell'interpretazione umanista, mentre le spiegazioni di cui al caso 4 e ad un'altra parte del 3 si effettuano secondo il modello della spiegazione noroo1ogica. a) La spiegazione secondo il modello razionale non è l'unica proposta nella storiografia. È stato proposto fino ad oggi un certo numero di modelli di spiegazione delle azioni umane (oltre il modello razionale), ossia la spiegazione intuitiva, la spiegazione psicoanalitica e strutturalista e la spiegazione psicologica. La spiegazione intuitiva fu proposta da qualche filosofo e da qualche storico (per esempio W. Dilthey, R. C. Collingwood) che svilupparono l'idea che la conoscenza storica rappresentava un tipo speciale di conoscenza, non introspettiva, né del mondo esterno. Bisogna « capire » gli uomini del passato e per far ciò è l'intuizione che si rende necessaria. È in questo modo, ma utilizzando un modello già elaborato e definito, che i sostenitori della psicoanalisi nella storia affrontano il problema della spiegazione storica. Per essi le decisioni coscienti non spiegano le decisioni e le azioni. Sono i meccanismi nascosti nell'inconscio che determinano gli uomini: spiegare è dunque scoprire (per mezzo della interpretazione dei sogni, delle associazioni mentali, ecc.) questi meccanismi. Si può qui considerare alla stessa stregua lo strutturalismo del tipo di quello di LéviStrauss, in cui non ci si riferisce - è vero - ai meccanismi .psicoanalitici, ma in cui pure si cerca di scoprire i fattori nascosti (le strutture dello spirito umano) che comuni a tutti in tutti i

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tempi - presiedono alle azioni umane e dànno forma alla storia. La spiegazione che abbiamo chiamato psicologica non è stata proposta dai metodologi, ma la si può trovare nella pratica degli storici. Si tratta della spiegazione che prende in considerazione, in quanto elemento decisivo, le emozioni psichiche, come l'ambizione, la paura, il desiderio, ecc. Si può anche ricordare il modello behaviorìsta di spiegazione, nel quale le azioni umane sono considerate in un modo « esterno »,- ossia come una reazione (automatica) agli impulsi che vengono dal mondo esteriore. L'interpretazione umanista non elimina il fattore emozionale. Supera l'alternativa tra coscienza intuitiva e osservazione behaviorista. Nell'interpretazione umanista (spiegazione razionale) si devono analizzare quattro elementi: (B, S, V; A) ossia l'azione A, gli scopi dell'azione B, la consapevolezza riguardante le condizioni dell'azione Se il sistema di valori dell'agente V. Il fattore emozionale può spiegarci le deviazioni possibili dell'azione concretà, in rapporto all'azione-modello. La spiegazione delle azioni multiple (,il caso 2) si effettua secondo il modello della interpretazione umanista? Si, ma con un rilievo piuttosto importante: nella struttura del fattore S si deve rinvenire la consapevolezza dell'efficacia (o non efficacia) dell'azione data, presa in considerazione perché sia ripetuta (o abbandonata). Bisogna dunque in molti casi ricostruire una parte della coscienza sociale da cui l'uomo (il gruppo, l'istituzione) attinge la propria convinzione sul valore dell'azione da ripetere. Il modello dopo tale variante - può essere formulato cosi:

(B, S, SE ES, V; A) dove SE rappresenta la consapevolezza dell'efficacia, per esempio la efficacia di una norma giuridica. b) Il modello nomologico non utilizza come explanans la struttura delle. motivazioni dell'azione umana, ma le leggi scientifiche, ossia la conoscenza delle costanti del processo storico. Tali costanti possono essere caratterizzate come relazioni tra classi di fatti, mentre la causalità individuale riguarda i fatti concreti. Le leggi sono espressioni che descrivono le costanti; dunque le leggi ci informano che i fatti di tipo A causano (o causano spesso, ecc.) i mutamenti di tipo B, per esempio che questo o quel tipo di situazione economica provoca la comparsa di norme di questo o 225

quell'altro tipo. La spiegazione di un fenomeno completo, precisamente collocato nello spazio e nel tempo (ed è la situazione normale nella ricerca storica) consiste dunque nel dedurre il fatto che si deve spiegare dal rapporto tra una legge (almeno una) e la causa individuale (almeno una). Il modello assume la forma seguente: A--➔ B

a e A

b

E

B,

dove A --➔ B significa che il fatto di tipo A (la situazione di tipo A, le qualità dell'oggetto, ecc.) è la condizione sufficiente (necessaria o sufficiente e necessilria) del fatto di tipo B. Se si trova in un luogo e un tempo dato il fatto a che appartiene alla classe A, si può formulare l'ipotesi che il fatto b (che appartiene alla classe B) è stato causato dal fatto a. E facile constatare che l'espressione A __..,,,. B rappresenta almeno una legge. · Da ciò deriva che la spiegazione nomologica è strettamente connessa alla consapevolezza teorica o, in altre parole, alla coscienza nomologica dello storico. Il processo storico è «pieno>> di costanti, che agiscono in direzioni diverse. L'esistenza di una costante non significa affatto che in tutte le circostanze essa farà sentire ì suoi effetti. Bisogna ricercare dunque non solo le costanti che provocano i fenomeni particolari ma, allo stesso tempo, le costanti che ne impediscono la comparsa. Qual è la conclusione che potrebbe chiudere le nostre riflessioni? Prima di tutto salta agli occhi la complessità del processo storico. Ciascun frammento o ciascun oggetto del passato deve essere osservato attraverso il prisma della totalità del processo, della sua struttura e della sua dinamica. La metodologia deve riflettere tale complessità in tutte le sue parti: nella metodologia delle fonti, della determinazione dei fatti e della spiegazione s.torica, che è il compito piu difficile. Partendo da ciò, vogliamo dire che la scelta del modello di spiegazione dipende dal tipo di domanda che poniamo al passato, tuttavia per avvicinarsi alla spiegazione piu completa occorre confrontare e congiungere i diversi tipi di spiegazione.

226

Vladimir Hanga Importanza del diritto romano alla luce della concezione dialettica e materialistica

Fra tutti i monumenti giuridici della società antica, il diritto romano è il piu importante, tanto per la formulazione scientifica delle norme e delle regole giuridiche, quanto per l'insigne influenza esercitata per piu periodi storici, a cominciare dal periodo romano e fino all'epoca contemporanea. Le leggi antiche che hanno preceduto o sono state coeve del diritto romano nell'Oriente (legislazione sumerica e assiro-babilonese), nel bacino del Mediterraneo (l'Egitto, l'Asia) o in altre regioni del mondo conosciute allora, hanno un'importanza indiscutibile per l'epoca in cui sono state create o applicate, ma in nessuno di questi luoghi sono riuscite a creare delle regole e delle istituzioni che affrontassero il passar del tempo con tanta vitalità ed efficacia pratica come le leggi romane. I classici del marxismo hanno sottolineato parecchie volte l'importanza storica del diritto romano per tutte le società fondate sulla istituzione della proprietà privata, precisando allo stesso tempo che il diritto privato di Roma antica costituisce l'espressione giuridica classica dei rapporti sociali in cui è dominante un tale tipo di proprietà. « I romani veramente - scrive Marx hanno sviluppato per primi il diritto della proprietà privata, il diritto astratto, il diritto privato, il diritto della persona astratta. Il diritto privato romano è il diritto privato nel suo sviluppo classico »

1



Il diritto romano costituisce quindi una forma classica, una regolamentazione a carattere astratto, ideale, di qualsiasi tipo di diritto basato sulla proprietà privata. A sua volta, Engels precisa che il diritto privato romano è « il primo diritto mondiale di una società produttrice di merci » 2, e lo definisce altrove come « un'espressione quasi perfetta delle 227

relazioni giuridiche economiche corrispondenti a quello stadio dello sviluppo economico che Marx chiama "produzione mercantile" » 3• Da queste precisazioni risulta che il diritto romano costituisce, da una parte, la regolamentazione perfetta a carattere classico della proprietà privata ,e, dall'altra parte, riunisce, entro certi limiti, i caratteri astratti e generali della produ~ione di merci in tutto il suo sviluppo lungo i millenni. Legate per la loro struttura e finalità alla produzione di merci e alla esistenza della proprietà privata, le norme del diritto romano sopravvissute hanno resistito per molti secoli dopo la caduta di Roma, perché potevano essere adattate, con opportune trasformazioni e mutamenti, ai bisogni di tutte le società basate sulla proprietà privata e la produzione di merci. Di qui la straordinaria « vitalità » manifestata dal diritto romano nel corso della storia e sottolineata, a ragione, da Engels, che l'ha messa nella sua giusta luce. Egli scrive: > e sulla metodologia della ricerca. Questa linea può essere vista solo se si è consapevoli della maggiore stabilità e resistenza che, entro i grandi sistemi giuridici considerati nella loro globalità spazio-temporale, hanno i concetti rispetto ai prindpi ed alle regole; e se si è consapevoli del nesso parola-concetto, cioè della rilevanza « dogmatica » della terminologia. Per i romanisti sarà sufficiente accennare all'importanza degli ultimi due titoli dei Digesta di Giustiniano: De verborum significatione e De diversis regulis iuris antiqui (D. 50, 16 e 17) ed alla loro utilizzazione per lo sviluppo delle codificazioni moderne, soprattutto nelle parti o contezioni piu generali. Attraverso tale lente metodologica (e trascurando le preoccupazioni di quanti· vorrebbero ridurre la disciplina romanistica all'esame dei soli testi che interessino anche agli eruditi di antichità) è certo utile interpretare alcune frasi scritte da Lenin tra il 1918 e il 1919: « La dittatura è una grande parola. E le grandi parole non possono essere gettate al vento », « la dittatura del proletariato, se si traduce quest'espressione latina, scientifica, storico-filosofica in un linguaggio piu semplice significa ... », « il bolscevismo [. . .] ba tradotto questa espressione prima dal latino in russo e poi in tutte le lingue del mondo» 9 • Un'assimilazione dei bolscevichi ai Quiriti è fatta con accenti violenti da Sorel nello scritto Pour Lénine del settembre 1919: « ... les héroiques efforts des prolétaires russes méritent que l'histoire les récompense, en amenant le triomphe des institùtions pour la défense desquelles tant de sacrifices sont consentis par les masses ouvrières et paysannes de Russie. L'histoire, suivant Renan, a récompensé les vertus quiritaires en donnant à Rome l'empite méditerranéen; en dépit des innombrables abus de la conquète, les légions accomplissaient ce qu'il nomme "l' oeuvre de Dieu"; si nous sommes reconnaissants aux soldats romains d'avoir remplacé des dvilisations avortées, déviées ou impuissantes par une civilisation dont nous sommes encòre les élèves pour le droit, la littérature et les monuments, combien l'avenir ne devra-t-il pas ètre reconnaissant aux soldats russes du socialisme! De quel faible poids seront pour les historiens les critiques des rhéteurs que la démocratie charge de dénoncer les excès des bolcheviks! De nouvelles Carthages ne doivent pas l'ero-' porter sur ce qui est niaintenant la Rome du prolétariat » 10 • 241

5. Movendo dall'illustrazione (iniziata da Johannes Irmscher e proseguita da Giovanni Meloni) dell'interesse di Lenin per lo studio della società antica quale strumento non secondario della sua attività di rivoluzionario e di fondatore dello Stato sovietico, si è cercato di approfondire, in riferimento al concetto di dittatura, l'esame dell'interesse che per l'antichità romana ebbero Rousseau, i giacobini francesi e i rivoluzionari dell'indipendenza ispanoamericana. Tutti costoro, pur all'interno di orientamenti politici diversissimi e in situazioni storiche assai differenti, trovarono nel diritto pubblico romano uno stimolo per disegnare modelli di un superamento dei rapporti politici e sociali esistenti, sempre avendo presente la preminenza che nell'antica comunità romana avevano avuto i valori politici. Ciò in contrasto con le tendenze individualistiche (magari anche classicheggianti) della borghesia dominante, determinate in grande misura dai meccanismi economici. Il rapporto che cosf si instaura tra passato e presente, •tra istituzioni antiche e istituzioni moderne pone allo storico ed al giurista problemi metodologici assai complessi. Pertanto, nel seminario del 197 6 si è ripreso il discorso a partire dalle relazioni di uno specialista dei problemi della metodologia della ricerca storica nonché di uno studioso di diritto romano, storia del diritto e diritto comparato: Jerzy Topolski e Vladimir Hanga. Un felice punto di partenza si aveva già nell'introduzione di un notissimo libro di Topolski, là dove questi propugna un « maggiore avvicinamento della storia alla società » ed una « effettiva collaborazione della storia nell'interpretare e cambiare il mondo » 11. È importante per i romanisti, nella concezione « attivista» marxista del processo storico delineata da Topolski, la visione del diritto romano come parte della coscienza giuridica della società, da cui deriva l'impostazione della suprema « questione generale » della •storia del diritto romano: « Quali sono le cause della longevità - e al tempo stesso del ruolo ·- del diritto romano? », diritto che « reste à travers les formations sociales un élément vif » (cfr. il documento per il Colloquio di Lipsia, citato al par. 2). 6. In questa prospettiva si debbono riconsiderare i numerosissimi elementi utili per la ricerca, che è tuttora in corso, emersi nel Seminario del 1975 {dalla relazione di Johal1llles Irmscher 12 sino alle conclusioni di Paolo Prezza) cosi come nello scritto di 242

Claude Nicolet premesso a questo volume. Posso fissare l'attenzione solo su alcuni di questi elementi. Vi è una continuità del concetto di dittatura, che va dal primo secolo della repubblica sino alle innovazioni di Sillà e di Cesare, comprendendo anche queste. Ciò risu1ta dimostrabile nonostante la diversa interpretazione propria della storiografia libea rale. Il potere del dictator ro111> in Guatemala (1876). I riferimenti all'antichità e alla rivoluzione francese fatti all'Assemblea costituente da Lorenzo Montufar {professore di diritto romano nell'Universidad de San 243

Carlos de Guatemala ed « eminenda gris de la manìobra »} hanno un esplicito senso anticesatiano e antigiacobìno.

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8. ,Le differenze evidenti tra le varie utilizzazioni del concetto romano di dittatura, vuoi nell'America ispanica vuoi in Italia (specialmente con Garibaldi) durante le guerre di indipendenza, non cancellano un importantissimo dato comune. Queste utilizzazioni sono ancora libere dalla confusione terminologica e concettuale tra "ditta tura" e "tirannia" ,imposta dalla cultura lìberale europea e nordamericana, nel periodo intermedio tra le due guerre mondiali, quale strumento ideologico contro il regime sovietico e contro il regime fascista (o quello nazional-socialista) artificiosamente accomunati nella polemica 19 • Una rigorosa inda.gine terminologica ha come primo risultato quello di liberarci da tale confusione ideologicamente determinata 20 • V'è poi un altro pericolo, piu sottile dal punto di vista giuridico: quello dell'uso del termine « dittatura costituzionale » per indicare svariate forme di « stato di eccezione » (stato d'assedio, stato d'emergenza, sospensione delle garanzie costituzionali, poteri straordinari all'esecutivo, ecc.) 21 • Si vengono cosi- a confondere malamente due realtà giuridiche chiaramente distinte nel diritto romano e nel modello costituzionale di Rousseau (IV Libro del Contrat Social): la dittatura (con il suo fondamento popolare) e il senatusconsultum ultimum. Tale confusione di concetti contribuisce a camuffare i regimi di "eccezione" (talvolta permanenti di fatto) e fo ,stesse tirannidi. Comunque, se la storia di questa « grande parola», dictatura, non è stata fermata dalla lex Antonia del 44 a.C., nemmeno potranno fermarla le confusioni fatte, strumentalmente, da uomini del secolo. Come romanisti possiamo contri:buire alla ricostruzione della memoria storica ed alla pulizia concettuale de1la società odierna. Ritrovare, . con rigore filologico, la connessione tra dittatura (in senso proprio) e libertà ne è un esempio 22 •

Pierangelo Catalano presidente del Gruppo di ricerca sulla diffusione del diritto romano

244

Note

1 2

Cfr. Studi romani, 22 {1974 ), pp. 262-263. Cfr. J. Irmscher in Ethnogr.-Archiiol. Zeitschrift, 17 (1976), pp. 162-163.

3

Vedi già l'artirolo Il concetto di dittatura in La Nuova Sardegna, 19 aprile

1975; vedi altresì, dello stesso autore, Note in tema di dittatura (degli «antichi» e dei «moderni»), Sassari, 1981 (76 pp.). 4 Cfr. le bre;,i cronache del seminario di G. MeliHo in Labeo, 22 ( 1976), pp. 431 sgg. e di P. Catalano in Iura; 27 (1976), pp. 226-227. 5 Vedi la cronaca di R. Giinther in Labeo, 23 (1977), pp. 377 sgg. Hanno fatto seguito al Colloquio di Lipsia quelli di Varsavia-Popowo (novembre 1978) e di Brallislava-Smolenice ,(ottobre 1980): vedi T. Giaro in Index, 9 (1980), pp. 3115 sgg., G. Hartel-E. P6lay in Etbnologr.-Archaol. Zeitschrift, 20 (.1979}, pp. 742 sgg., J. Kohn, ibid., 22 ( 1981), pp. 5127 sgg. . 6 K. Marx, Grundrisse ·:;:ur Kritik der politischen Okonomie, BellHn, 1953, p. 387. Trad. it. Forme economiche ,precapitalistiche, Roma, 19672, pp. 86 sg. 7 Cfr. MEW 1, Berlin, 1961, p. 402; 2, BerHn, 1%2, pp. L2'8 sgg. 8 Vedi P. Catalano, Revolutìonsauffassungen und romische Institutionen in Klio, 61 (1979), pp. ,186 sg. 9 Vedi le citazioni nel contributo di G. Meloni, supra, pp. 35 sgg.; cfr. P. Ca~ talano, A proposito dei concetti di rivoluzione nella dottrina romanistica contempo> ranea ( tra rivpluzione della plebe e dittature rivoluzionarie), in Studia et documenta historiae et iuris, 43 (19TT), pp. 450 sgg. . io G. Sorel, Réflexions sur la violence, Paris, 194610, pp. 437 sgg. (questa « Appendice» fu scritta, nel settembre ,1919, per la IV edizione). 11 J. Topolski, Metodologia della ricerca storica, Bologna, 1915, p. 20. 12 Cfr. J. Irmscher, Die Diktatur. Versuch einer Begriffgeschichte an Klio, 58 (1976), pp. 273-287. 13 Vedi il riferimento al Calendrier positiviste nel mio articolo in questo volume, p. ·161. 14 Sempre in occasione del 21 aprile sono state tenute a Sassari alcune conferenze nel quadto di una riicerca su « Diritto romano e tradizione romanistica nella storia dei paesi dell'Europa orientale e dei paesi extra-europei», finanz,iata dal Consiglio nazionale delle ricerche e diretta da Sandto Schipani. Hanno parlato: José Antonio Portuondo (Universidad de La Habana) su « L'Università dell'Avana a 250 anni dalla fondazione e gli studi classici» (1978); José Antonio Rivadeneira Vargas (presidente della Federaci6n Internacional de Sociedades Bolivarianas, Bogota} su « Revoluci6n y diotadura en el pensamiento y en la accion de Sim6n Bolivar, el Lihertador» (1979); Leopoldo Zea (Universidad Nacional Autonoma de Méxko) su « Imperio romano e imperio espafiol en el pensamiento de Bolivar »

(1980).

24.5

Cfr. i miei articoli già citaci in questo volume, supra, p. 166 (*). Trattasi di una ricerca finanziata dal Consiglio Nazionale delle Ricerche e diretta da Manlio Brigaglia, dell'Università di Sassari. 17 Vedi P. Catalano, Tribunado, censura, dictadura: conceptos constitucionales bolivarianos y continuidad romana en Amérìca in Quaderni latinoamericani, 8 (198'1) pp. 1-111. :È: in preparazione una edizione critica dei progetti costituzionali del generale Miranda, in parte tuttora ineditii; cfr. la mia comunicazione Acerca de los Proyectos constitucionales del General Miranda: conceptos juridicos romanos y realidad americana al « III Congreso Latinoamericano de Derecho Romano » (Bogota, 3-6 agosto 1981), i cui Attii. sono in corso di stampa presso l'Universidad Externado de Colombia. L'Associazione in Studi Sociali Latino-Americani ha promosso la pubblicazione di un Léxico constitucional bolivariano ( concordancias y frecuencias), in tre volumi ( Napoli, 1-98}), 18 Vedi J.M. Garda La Guardia, La dictadura democratica. Una decisi6n politica del constitucionalismo liberal centroamericano en el siglo XIX, nel volume (di vari autori) El predominio del poder ejecutivo en Latinoamérica, México, 1977, pp. 29'1 sgg. 19 Una. simile .polemica è giunta a coinvolgere la stessa distinzione, di origine romana, del « diritto pubblico» dal ~< diritto privato». Ne abbiamo un esempio nell'opera di un noto giurista nordamericano {di cui citerò l'edizione argentina): Ph. J. Eder, Principios caracterzsticos del « Common Law » y del derecho latinoamericano. Con concordancias entre los c6digos argentinos y la legislaci6n del Estado de Nueva York: « Basta ver lo que ocur,rio en Alemania y en Italia, lo que ocurre en Russia y sui; satélites y en Espafia para fortalecernos en nuestras ideas de alejarnos de los conceptos exagerados dei llamado Derecho Publico » (p. 37). 20 Alla chiarezza non giovi.no purtroppo gli usi ìetterari della parola « dittatura»: v. ad es. D. Miliani, El dictador, objeto narrativo en « El. recurso del método >> in Revista Iberoamericanà, 114-115 (Enero-Junio 1981), pp. 1139 sgg. 21 Vedi ad es. D. Valadés, La dictadura constitucional en América Latina, Méidco, 1974. · 22 Trovo una felice espressione di questo nesso nell'opera scritta ( 1&291-lSJ0) dal rivoluzionario brasiliano Generale José Ignacio de Abreu e Lima a difesa del Libertador Simon BoHvar contro le critiche del liberale Benjamin Constant: ·« un pueblo lleno de libertad bajo la .palma de la Dictadura » (J.I. Abreu y Lima, Resumen hìst6rico de la ultima Dictadura del Libertador Sim6n Bolfvar, comprobada con documentos, Rio de Janeiro, 1922, p . .167). Abreu e Lima, denominato ironicamente da alcuni avversari« generai das massas )>, fu autore del primo libro pubblicato in Bras-i,le sul socialismo ( O Socialismo, Recife, 18155; II ed., Rio de Janeiro, 1979); cfr. V. Chacon, Abreu e Lima General de Bolivar, Rio de Janeiro, 198}. 15 16

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