Dire il silenzio: la poesia di Andrea Zanzotto 8843073729, 9788843073726

Il motivo del silenzio è uno dei grandi temi che attraversano l'intero sviluppo della poesia di Zanzotto. Questo vo

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Dire il silenzio: la poesia di Andrea Zanzotto
 8843073729, 9788843073726

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LINGUE E LETTERATURE CAROCCI / 177

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Niva Lorenzini

Dire il silenzio: la poesia di Andrea Zanzotto

Carocci editore

Volume pubblicato con il contributo del Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica dell'Università degli Studi di Bologna

1a ristampa, aprile 2020 1a edizione, luglio 2014 © copyright 2014by Carocci editore S.p.A., Roma Realizzazione editoriale: Elisabetta lngarao, Roma ISBN

978-88-430-7372-6

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

7

Introduzione

I.

Pronunciare il silenzio: dai Versi giovanili a

Idioma

13

2.

Da Meteo a Conglomerati, altri silenzi

35

3.

Oltre i limiti della pronuncia: Venezia,farse

55

4.

Un Campana tra pronuncia e afasia

5.

Fra post-it e carte preparatorie

75

5.1. 5.2. 5.3.

Docile, riluttante: lavori in corso per Idioma

77

Illustrazioni

97

Sovrimpressioni epistolari Poesie in fax

5

83 91

Introduzione

Il motivo del silenzio è uno dei grandi temi che attraversano l'intero sviluppo della poesia di Zanzotto e che trovano un am­ pio campo di applicazione anche in alcune tra le sue più acute pagine di critica letteraria. Viene subito alla mente la precoce, intensissima lettura da lui compiuta degli Strumenti umani di Sereni, uscita nel febbraio 1967 sul n. 204 di "Paragone" e ora contenuta in Scritti sulla letteratura. Aure e disincanti nel Novecento letterario: una lettura che si può davvero assumere come esemplare svelamento di un'interrogazione costante, continua, a volte sotterranea, che Zanzotto conduce tra sé e sé e che riguarda, nel profondo, la possibilità o impossibilità della parola, la sfida che ogni volta la conduce sino ai margini del non pronunciabile, sull'orlo, appunto, del silenzio. Riflettendo sui lunghi anni di interruzione della scrittura che separano, in Sereni, l'uscita del Diario diAteria (1947) da quella degli Stru­ menti umani (1965), Zanzotto giungeva nel suo testo critico a questa conclusione: Gli strumenti umani vanno letti anche come test dello smarrimento, del lungo silenzio; in pochi altri libri tanto si fa avvertire questo si­ lenzio aletterario, nero, insistente come reticenza anche tra le parole, che finiscono qui per ritrovare il valore di che potevano avere nel primo Ungaretti ( ): anche se in un campo di espressione-comunicazione completamente diverso. Qui infatti il premio-privilegio è pregiudizialmente negato [ ... ] 1 •

1.

A. Zanzotto, Gli strumenti umani, in Id., Scritti sulla letteratura, vol. II,

7

DIRE IL SILENZIO: LA POESIA DI ANDREA ZANZOTTO

Era il poeta ormai prossimo alla Belta a stendere quelle righe così singolari, così spiazzanti, su cui occorrerebbe fare sosta. Silenzio ? Silenzio ? Silenzio come reti­ cenza? Su cosa e perché? Solo chi sta conducendo un proprio corpo a corpo con la parola può esprimersi così. E vengono alla mente, a traino, altri silenzi indagati da Zanzotto nelle sue folgoranti pagine critiche: quello di Montale, innanzitutto, che i silenzi li praticava sino dall'ap ertura degli Ossi di seppia (basterà ricordare / limoni: 2); e li richiama­ va poi, i silenzi, in certi passaggi di Mediterraneo (, si legge in Giunge a volte, repente; , in Noi non sappiamo quale sortiremo3 ), fino a lasciarsene pienamente catturare nelle Occasioni ( e dell' 5: si chinava ad ascoltarlo, il poeta che da Dietro il paesaggio (1951) stava procedendo verso Vocativo (1957), per sorprenderlo >, tra

Aure e disincanti nel Novecento letterario, a cura di G. M. Villalca, "Oscar" Mon­ dadori, Milano 2001, vol. II, p. 45. 2. E. Montale, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1984, pp. 11-2. 3. lvi, pp. 57, 58. 4. lvi, p. 179. 5. A. Zanzotto, Eugenio Montale. I. L'inno nel fango, ora in Id., Scritti sul­ la letteratura, vol. I, Fantasie di avvicinamento, a cura di G. M. Villalca, "Oscar" Mondadori, Milano 2001, pp. 19-20.

8

INTRODUZIONE

. E c'era da fare i conti, per lo Zanzotto critico, con il silen­ zio che occupava la scrittura di Ungaretti, non a caso chiamata subito in causa nella recensione agli Strumenti umani. Perché il silenzio, per Zanzotto, penetrava già nel primo Ungaretti, in quella sua ; e perché ogni frammento di quella parola, come scriveva nel '58, gli sembrava proprio , partecipando del >6• Si trattava, per Zanzotto, di ridefinire con urgenza, in un'epoca che avvertiva ancora segnata , il senso di quel che Ungaretti aveva cercato di rag­ giungere proprio attraverso il silenzio, come attestano alcune sue pagine dedicate alle Ragioni d'una poesia ( ). Né può sorprendere, in quel contesto, che il linguaggio si misuri con l'astrattezza, si faccia inappartenente, impersonale, fino a ottundersi e a divenire esperimento da laboratorio. Sono quelli gli anni - precisa altrove Zanzotto, in un testo senza data ma da collocarsi intorno al 1955 - in cui, in un clima >, si possiede solo > o l'espressione >, mentre ), restando ognuno nella propria separatezza. Come parlare, come parlarsi, quando è sospesa ogni possibile istanza di discorso, se si ammette, con Benve­ niste, che non esiste dimensione allocutoria qualora i termini stessi del confronto (l' > , il appunto) si neghino a una polarità, a una differenza che consenta l' identificazione ... 25 e apra al linguaggio? E questo un silenzio - non ci sarà più bisogno di ribadirlo - che non si riempie in alcun modo dei valori polivalenti che il , in quanto alterità, potrebbe comportare: la sua referenzialità è univoca, intransitiva, la sua significazione spettrale (nessun deittico, in nessuno dei testi ci­ tati, radica il > del a un > e neppure a un > riconoscibile, o a un > misurabile e definito, dun­ que a una spazialità e a una temporalità riconducibili alla per­ cezione fenomenologica, sensoriale, dell'evento ). Non si dà insomma in alcun modo né continuità né contiguità tra linguaggio e silenzio: il silenzio è eco muta di una natura inaccostabile, indicibile, alla pari della figurazione medusea di una natura gigantessa che nel dialogo leopardiano delude le domande dell'islandese sull' infelicità e la morte. Ma questo silenzio è insieme esito di un linguaggio - come si è indicato - che tocca il proprio limite. Si attiva così, secondo un suggerimento prezioso di Enrico Testa, > 26 , con una > che di volta in volta tenta la proiezione di sé sui luoghi (i : il Soligo, i boschi di Lorna, il Montello... ) quasi per riaccostarsi a una possibile fonte di creatività (il > di Riflesso, in IX Ecloghe, o il silenzio che >, > , di Ecloga 1) , ma subito dopo fa i conti con el25. E. Benveniste ne tratta in Problemi di linguistica generale [ 1966], trad. it. 1994, Il Saggiatore, Milano. 26. Lo si legge in E. Testa, Andrea Zanzotto, in Id. (a cura di) , Dopo la lirica. Poeti italiani 1969-2000, Einaudi, Torino 2005, p. 9 2.

DIRE IL SILENZIO: LA POESIA DI ANDREA ZANZOTTO

!ittiche, brachilogiche possibilità di articolazione linguistica. E giunge così ad annullarsi totalmente, come pura > , in quell' > costituita da un paesaggio già di per sé silente o a rischio di silenzio. A questo punto l'opzione di Zanzotto si fa estrema, ed è Stefano Agosti a illustrarla al meglio, quando avverte che dopo le Ecloghe, pure già così esposte allo sfrangiarsi del senso, al lutto per la rimozione della parola (. Quando si interrompe la catena comunicativa soggetto-predicato-oggetto la si manifesta nel ritrarsi del significante su di sé, e nel corrodersi della parola in balbettio che regredisce verso la soglia della sil­ labazione pre-grammaticale (il > infantile) o precipita verso il luogo oscuro dell' inconscio, dissolvendosi in mutismo o in una vocalità puramente fonica, scissa dalla significazione convenzionale. Si riducono drasticamente, di conseguenza, le stesse occor­ renze del termine "silenzio", che comportava una integrità, una purezza non più restaurabili: ed è significativo che esse quasi scompaiano nella Belta, proprio mentre I' si avvia a smarrire la propria assolutezza e il paesaggio si sfalda, insie­ me con il soggetto, in un indifferenziato regime psico-fisico. In p.

27. 20.

S. Agosti, Introduzione alla poesia di Andrea Zanzotto, in Zanzotto, PPS,

I. PRONUNCIARE IL SILENZIO: DAI VERSI GIOVANILI A IDIOMA

tutta la raccolta un solo luogo testuale, infatti, ospita il termine "silenzio", in due successive accezioni. Si tratta dell'Elegia in petel, uno fra i testi più noti, in cui il poeta prende atto che la ricerca del senso ormai perduto, del luogo mitico inarrivabile, smarrito nell' inconscio, . Essa piuttosto > , tra la pronuncia della parola e la sua scomparsa, regredendo verso lo stadio infantile o verso l'origine stessa del­ la poesia lirica, ove però la belta, appena evocata, si espone alla violenza e la subisce, non potendo in alcun modo sottrarsi alle 28 :

[ ... ] E il silenzio sconoscente

pronto a tutto, questo oltrato questo oltraggio, sempre, ug ualmente ( poco riferibile) ( restio ai riferimenti ) ( anzi il restio, nella sua prontezza ) : e il silenzio-spazio, provocatorio, eccolo in diffrazione, si incupidisce frulla di storie storielle, vi gnette di cui si stipa quel malnato splendore, mai nato, trovate pitturanti, paroline-acce a fette e bocconi, pupi, barzellette freddissime fischi ne gli orecchi

[ . .. ]

e lei silenzio-spazio e lei allarga le gambe e mostra tutto ;

[ . .. ] .

Raggiunta la "sconoscenzà', il silenzio-oltrato-oltraggio scom­ pare dunque dalla pagina. Ed è scomparsa che non riguarda, significativamente, solo la Belta, ma subito dopo Pasque (ove se ne avverte l'eco solo negli di Xenoglos­ sie) o anche Il Galateo in Bosco (1978). Qui tre soli richiami riconducono al silenzio. Il primo interessa la pronuncia fer­ ma di Rivolgersi agli ossari. Non occorre il biglietto, ove il "si28. Dal Bianco, Pro.fili dei libri e note alle poesie, cit., p . 1506.

DIRE IL SILENZIO: LA POESIA DI ANDREA ZANZOTTO

,, lenzio è associato alla sacralità della terra, luogo di memorie in cui sedimentano e brulicano i resti, le reliquie dei caduti del primo conflitto mondiale (). Il secondo si esprime nella corro­ siva ironia di Tentando e poi tagliuzzando a fette, che assimi­ la la parola della poesia alla , come scrive Dal Bianco29 , e dunque ne sancisce il destino di autocastrazione, provocato dalla connivenza col potere ( ). Il terzo, più criptico, va decifrato nelle parole in dialetto che fanno da titolo alla lirica posposta alla sezione Ipersonetto, (E po, muci): >. Si tratta di un testo di estrema violenza verbale, spinta sino alla trivialità del linguaggio basso ( > - ). Un testo di denuncia, in tonalità latrata, il cui bersaglio è il manierismo della tradizio­ ne iperletteraria, e con esso la chiacchiera ingannevole in cui è precipitata la parola. Meglio sopprimerla, dunque, definitiva­ mente: - , suona perentorio il verso posto quasi in chiusura. Oppure esibirne effetti slogati, estranei a qualsiasi normalità sintattica o possibile riconosci­ mento lessicale. Siamo qui arrivati alla intransitività del segno, percorso da tensioni, ossimorico: che altro sono i del dicibile che già abbiamo ricordato, sui quali la poesia di Zanzotto sperimenta l' insufficienza della lingua al­ fabetizzata e mercificata? Quella lingua che ora si disarticola appunto sino ai grafemi, alle di (Maesta) (Supremo) , che è il caso ora di citare più riposatamente: Da me venite, fatemi gola, parolette crak crak sgraziate sgranchite sgrandinate-via mezzo torpide mezzo fulgide di men che meno men che cosmo in ritiro

I. PRONUNCIARE IL SILENZIO: DAI VERSI GIOVANILI A IDIOMA

Spigolo spigolo vi fate e siete in bilico, a piligo, con pigolii lassù pretendete per voi prendere nelle pinze, crak crak, [ • • • ] 30

Il silenzio si associa ormai a un cannibalismo del segno, si fa con lui rancoroso, rabbioso, esercitandosi fino a rosicchiare, dietro la parola consunta nei meccanismi di una socialità per­ vertita, il vuoto delle opzioni semantiche possibili e abortite, il , la polisemia che riempie di sé le voci che abitano il testo. E si avverte il richiamo, dietro la parola e il dire ormai compromessi e perduti, al lontano , vero perno di ogni proposta di significato, confinato ora nell' im­ possibilità31. Certo la frase tenta di dispiegare ancora, qui, le sue possibilità ben oltre il significato della parola, provando ad abbracciarne sostanza timbrica e tonale, da un lato, e sostanza presillabica dall'altro, sino ai residui fonici che lungo il Galateo in Bosco premono sotto i graffi, i graffiti, gli ideogrammi, i segni grafici che si incidono sul corpo vivo della pagina. Saranno però presto i di Idioma (1986) a so­ stituire i , e più avanti sarà il > di Meteo (1996), quello di Sovrimpressioni (2001). E non servirà più evocarli, quei silenzi, in iterata eco, come ancora avveniva in una poesia senza titolo di Fosfeni (1983) che li esibiva, i , con tautologi­ ca, ostinata allocuzione. Cito da quel testo, indicato dal poeta con semplice asterisco (*): Ben disposti silenzi indisseppellibili ma pur sparsi in scintillamento 30. A. Zanzotto, (Maesta) (Supremo), da Il Galateo in Bosco, in Id., P P S, p. 31. Su questi temi è da consultare G. M. Villalta, La costanza del vocativo. Lettura della "trilogia" di Andrea Zanzotto, Guerrini e Associati, Milano 1992, specie alle pp. 108-9. A Villalta si deve anche, in quel testo, una lucida indagine del confronto tra la poesia di Zanzotto e il pensiero heideggeriano sul senso e le possibilità della pronuncia, del (pp. 89 ss.).

29

DIRE IL SILENZIO: LA POESIA DI ANDREA ZANZOTTO

nudo o in nebbiuscole cieche ordinati Silenzi sempre innovati e pur sempre in fedeltà protrusi entro innumerabili estrazioni di tempo Silenzi sottratti ad ogni speculazione [ ... ] .

Quasi un'elegia sul silenzio. E proprio di elegia aveva parlato infatti Zanzotto, in un raro autocommento dedicato proprio a questa sua poesia in chiusura della presentazione bolognese di Fosjèni. Cito le sue parole, forse memori - ma non è più che una suggestione - della lorchiana Elegia del silencio: Per esempio, la poesia Ben disp osti silenzi. . . è una specie di piccola elegia sul silenzio, di constatazione o di modulazione del silenzio: non dovrebbe nemmeno esserci, in quanto poesia. Per dichiarare la propria imp resenza, a un certo momento dovrebbe diventare un .. . . . h g, zrigoro [ . .. ] 3 2

Si dovrebbe insomma tacerlo, il silenzio, non violarlo parlan­ done, perché non è detto che esso desideri venire interpretato. E di fatto nessun interlocutore potrà raggiungerlo, quel si­ lenzio, che desidera piuttosto - parola di Zanzotto - > , e costringe pertanto il poeta a rimanere lontano da ogni possibilità di verbalizzazione. Restano allora sulla pagina scaglie di parole, vibrazioni ottiche e acustiche, a separare una datità pronunciabile solo come residuo da una proiezione co­ smica vertiginosa (così nel testo d'apertura, Come ultime cene, che si articola in bilico tra un presente immobile - > - e un passato in cui ogni cosa precipi­ ta in dissolvenza: ; > ). Perduta la lingua, sopravvive un linguag­ gio somatico, alogico: tra graffiti, tracce figurali, embrioni di presenze, scorie di immagini, il campo percettivo si atomizza e si ibrida nei > e nei di Come ultime cene, o negli > di Faine, Dolenzie, AOI'IA, in bilico fra l'infra-umano e l'oltre, l'al di la della sensazione, tra i rischi contrapposti della catena logorroica di significanti inarrestabi­ li e la scomparsa della voce, attirata > . Sospesa tra il mezzo tono del quotidiano e 1 'assolo del nulla, del vuoto, della percezione siderale, tra lo > e il magma che rigurgita, i mutismi e i di (Anticicloni, inverni) I I I , la voce non è dunque più, in Fosfeni, che una fra le tante possibili emergenze acustiche (, Alto, altro linguaggio, fuori idioma?). A quel punto il paesaggio, l'odiata irrequietezza dei colli, il cielo limpido fino all' indifferenza, il sole che intossica, il mondo delle entità ontologiche e quello della fenomenologia capillare, minuscola (i > e le > di San Gal sora la son), possono, per minimi scarti fonici, farsi intimi, interiori, e come in Docile, riluttante, il testo su cui si chiude Idioma, l' immen­ sita può franare in intensita, e le vertigini lascian­ do che il soggetto, quell' io alla deriva, provi ad accostarsi alla sostanza, alla buccia degli elementi, tra silenzio (Stanza immaginaria o intravista), e >, pronto a disperdersi (così gli > di Docile,

riluttante).

Fino a che la conclusione di Idioma lascia presupporre un lucido, biologico approdo alla materia: di idioma in idioma, l'esistenza si diluisce progressivamente in centellinata suzione e distillazione degli elementi, senza traumi, come per raggiun­ gimento pacato, cioè consapevole, fermo, dell'insignificanza. E nei grigiori assopiti, appena specchianti con gridii di piume e sbeccuzzati silenzi (è) come se noi e i nostri ricordi . . .' . ma p1u I nostri presenti si unissero senza appello, ma non sotto imperio, ma induzione di ragionamenti che non lo saranno mai più, per aver raggiunto pacatamente (e insegnandolo) gli elementi.

34

2

Da Meteo a Conglomerati, altri silenzi

Dieci anni di effettiva interruzione parrebbero intercorrere tra la comparsa a stampa di Idioma (1986) e quella di Meteo (1996), perlomeno se ci si affida alle date di pubblicazione delle raccolte. Ma sono, di fatto, dieci anni di continue prove, ab­ bozzi di scrittura, proposte di testi su riviste o opuscoli a dif­ fusione quasi privata. Dieci anni di "incubazione" di modalità espressive nuove, sottoscriverebbe Zanzotto, che mirano alla non compiutezza, al non finito o all' ibrido come intenziona­ le forma strutturale del testo. La conferma è immediata, se si scorrono le Note che il poeta colloca a corredo degli ultimi tre libri di poesia. Si legge, a conclusione di Meteo (1996): Questa silloge vuol essere soltanto uno specimen di lavori in corso. Sono qui raccolti quasi sempre "incerti frammenti", risalenti a tutto il periodo successivo e in parte contemporaneo a Idioma ( 1986), co­ munque organizzati provvisoriamente per temi che sfumano gli uni negli altri o in lacune, e non secondo una sequenza temporale precisa, ma forse "meteorologica" 1



'

E davvero anomala questa dichiarazione di intenti, che considera il libro compiuto che si presenta al lettore solo una tappa, anzi uno > , e cioè un esempio, un saggio parziale, di lavori in corso; e se non bastasse, il poeta aggiunge al caratCito da Zanzotto, Tutte le poesie, cit., p. 827. Meteo era uscito nel 1996 presso l'editore Donzelli, Roma, con venti disegni di Giosetta Fioroni. 1.

35

DIRE IL SILENZIO: LA POESIA DI ANDREA ZANZOTTO

tere provvisorio della stesura, condotta per , la provvisorietà, l' instabilità, del configurarsi cronologico (dal momento che quei > risalirebbero non solo a un > , ma insieme anche > a Idioma) . Se poi non bastasse ancora, neppure i > , avverte l'autore, sono stabili, in quella silloge, ma si ibridano, si confondono e sovrappongono, sfumando , o rivelando lacune, zone di silenzio o di abrasione, appunto. Documenteremo nell'ultimo capitolo, riportando testi­ monianze dirette e inedite di Zanzotto, il carattere davvero singolare di questa frammentarietà, che da qui in avanti non farà che venire da lui ribadita. Nella Nota che accompagna So­ vrimpressioni (2001), intanto, a cinque anni dall'uscita di Me­ teo, ove gli incerti frammenti, avverte, si disperdono in , per tentare poi ricomposizioni solo provvisorie. Ma tutto vi si incupisce e vi si espone a un clima se possibile anche più perturbato e inquietante: Continua, in questa raccolta, la linea avviata con Meteo. Più che di lavori in corso, si tratta di "lavori alla deriva': che tendono qua e là a connettersi in gruppi abbastanza omogenei. [ ... ] Il titolo Sovrimpres­ sioni va letto in relazione al ritorno di ricordi e tracce scritturali e, insieme, a sensi di soffocamento, di minaccia e forse di invasività da tatuaggio. Esistono già numerosi altri nuclei contemporanei a questi, e in parte già sviluppati 2 •

Di fatto quei nuclei daranno corpo - ma solo otto anni più tardi - alla raccolta Conglomerati (2009), accompagnata da una Nota ancora una volta spiazzante, nelle precisazioni e nei rinvii che configurano confini dai connotati quanto mai labili e indefiniti ( )3. Ed è normale che sia così, dal momento che in quella silloge si riduce progressivamente la stessa soglia di sopravvivenza percettiva nei confronti di un paesaggio sempre più derea­ lizzato dallo strapotere dei media: è Stefano Dal Bianco a precisare in nota che i luoghi di Meteo , poiché tutto > .

4. S. Dal Bianco, Profili dei libri e note alle poesie, Meteo, in Zanzotto, PPS, p. 1668. 5. S. Agosti, L'esperienza di li ngu aggio di Andrea Zanzotto, saggio introdut­ tivo a Zanzotto, PPS, p. XLV. Gli Inediti cui si riferisce il critico sono testi che verranno in seguito accolti in Sovrimpressioni.

37

DIRE IL SILENZIO: LA POESIA DI ANDREA ZANZOTTO

Ma come potrà venire percepito quel silenzio se scompare dal testo ogni area di referenzialità per il logos, se si smarrisce, in­ somma, il codice con cui interrogare una natura che, nello sma­ terializzarsi dell'esperienza, si fa , espropriata da sé come è espropriato il soggetto, e come lui manovrata con tecni­ che da display in un universo tecnologico sempre più aggres­ sivo e invasivo? Occorre andare ancora più a fondo, seguendo l' investigazione del critico. Per Agosti quella natura è reticente perché percepita dal poeta, a questa altezza, ; e si spinge ancora oltre, sino a segnalare che il soggetto diviene 6 e che, coincidendo per lui con il linguaggio, lo co­ stringe ora a fare i conti con il frammentario, l'afasia del logos su cui si depositano i . Li enumera, Agosti, in un elenco di cui riportiamo l'avvio: [ . . . ] il silenzio del verde e del prato in cui è stratificato un infinito di altro verde, o il silenzio del grigio della pioggia entro il quale è stratificato il grigio di infinite altre piogge ; oppure il silenzio smemorato dell'oro, o del simil oro, di un'estate "infinita", senza " tregua,, [ . . . ] 7 .

Ci basterà adesso scorrere, per rilevare la reticenza della Natura che si attiva in Meteo, Non si sa quanto verde 1 8 : 6. lvi, p. XLVI. 7. lvi, p. XLVII. 8. Il testo si dà in Meteo come ripresa e variante della lirica Da un 'altezza nuova che appartiene a Vocativo. Di quel testo, della verticalità in cui veniva as­ sorbito il sostrato geologico-tellurico, viene qui esibita una versione prosciugata, residuale. Sarà comunque da notare l'intensificarsi dell'autocitazione tra Meteo e Sovrimpressioni, con lo scopo dichiarato di tentare di tenere insieme una coesio­ ne ormai definitivamente deflagrata, perché il corpo-testo è irrimediabilmente destrutturato in quanto organismo. Qui la variante può allora configurarsi piut­ tosto come stesura "in progress" di un percorso non destinato a sciogliersi in com­ piutezza ( lo dimostrano anche, in Meteo, le iterazioni dei titoli: La citta dei pa­ paveri - Altri papaveri; Topinambur - Altri topinambur; Ticchettio - Ticchettio).

2. DA METEO A CONGLOMERA TI, ALTRI SILENZI

Non si sa quanto verde sia sepolto sotto questo verde ne quanta p1ogg1a sotto questa p1ogg1a molti sono gli infiniti che qui convergono che di qui si allontanano dimentichi, intontiti Questo è il relitto Non-si-sa relitto piovoso di tale il verde in cui sta reticendo l'estremo del verde I









[ . .. ]

In questo nuovo linguaggio, che si regge sul "non-sapere" e dunque non poter verbalizzare l'oggetto Cosa, l'oggetto Na­ tura9, anche gli infiniti si sorprendono , e il silen­ zio raggiunge la (così in Morer, sacher 2: ). Oppure, al pari della parola, il silenzio si riduce a tattilità scarnita, ronzio, graf­ fio, tocco afono sulla pelle. E al pari della natura, divenuta una Natura-Live, che si dà in diretta televisiva ed è contaminata dall'inquinamento, violentata da metastasi, sangue e pus (così nel 10 manoscritto che Zanzotto fa prece­ dere alla raccolta: ), anche il silenzio va oltre il verbalizzabile e viene sottoposto a un pro­ cesso di tattilità vibratile, afonia o necrosi che coinvolge, con la poesia e con la tradizione, la lingua, la natura, la storia. Non lo si può citare quasi più, insomma, il silenzio, dal 9. Agosti annota che il assume qui > (cfr. Agosti, L'esperienza di linguaggio di Andrea Zanzotto, cit., p. XLIL) . 10. Zanzotto mi ha inviato in omaggio Meteo edito da Donzelli accompa­ gnandolo con un cartoncino manoscritto e fissato con colla sulla pagina iniziale. Vi si leggeva appunto: .

39

DIRE IL SILENZIO: LA POESIA DI ANDREA ZANZOTTO

momento che esso non resiste, non è riconoscibile, né in un qui da cui la parola resta esclusa, perché incompatibile con le insor­ genze delle cose, né in un la non verbalizzabile, persi entrambi tra i < microgrugniti>> di Colle, ala, I I e gli di Ticchettio, I I , o tra gli "oblii", le memorie , di Erbe e Manes, Inverni, che si chiudono imponendo anche al testo di tacere ( >), mentre tra < disper­ si infiniti>> , e >, e , tutto (Albe, Manes, Vitalbe), in un processo di necrosi che coinvolge, con il linguaggio infetto, il paesaggio percorso da ticchettii radioattivi. Da lì a cinque anni, toccherà a Sovrimpressioni ( 200 1 ) n ten­ tare il recupero di una sorta di leggibilità, anche se parodica o straziata. In quella raccolta il linguaggio lirico si tende all'estre­ mo, come nel caso di Verso i Palu ' su cui la silloge si apre. E lì che si raggiunge il massimo dell' astrazione e quasi della lievitazione lessicale, è lì che la parola sfida l'apice dell' irtezza nell' intensità di uno stare sull'orlo, di fronte a una Natura inarrivabile. Come si legge nella sezione I su cui si apre la poesia :

[ . .. ]

Intrecci d'acque e desideri d' arborescenze pure, dòmino di misteri cadenti consecutivamente in se stessi attirati nel fondo del finire senza fine, senza fine avventure

Il poeta pare davvero tentato da direzioni diverse ma tra loro, per altro, perfettamente coincidenti: da un lato lo smaterializ­ zarsi e la perdita di senso, raggiunti portando all'estremo remi­ niscenze letterarie che sopravvivono come scorie depotenziate12 ; A. Zanzotto, Sovrimpressioni, Mondadori, Milano 2001, ora in Id., Tutte le poesie, cit. Da questa edizioni citeremo i versi. 12. Mi riferisco nel caso dei versi citati al termine , che 11.

40

2. DA METEO A CONGLOMERA TI, ALTRI SILENZI

dall'altro una sorta di oblio da fiume Lete ( , Verso i Palu, 111 ) , in cui si raggiun­ gono i confini delle possibilità percettive e cognitive ( > ; , 11 ) , tra alleggerimenti sostenuti da un'ironia sfumata ( , Verso i Palu, 1v) . E del resto quale linguaggio potrà spingersi a descri­ vere le > o le > di un paesaggio sentito ormai come > (Ligonas, 1 1) , o le < gremite assenze>> , i > che solo con una cantabilità ipnotica, da terrestre paradiso dantesco magari stemperato in rima baciata, si potranno al più sfiorare? (>, > per altre vie).

Tanto varrà rinunciare definitivamente al logos, contrap­ ponendo alla voce lirica ormai priva di voce, evocata al più come citazione, relegata a > , un'invocazione al > (>) che resterà muti­ la, vuota impotenza senza prosieguo, o si estremizzerà in forme esasperate nella loro afasia, come capita in uno fra i testi più ' intensi e terminali di Sovrimpressioni, Dirti "natura': E questa una natura che sopravvive solo come citazione; una natura vir­ golettata sino dal titolo ( "natura", appunto), e rifratta, separata dalla voce e insieme dalla cosa che la parola dovrebbe rappre­ sentare. Una natura silente, derealizzata, virtuale, nell'epoca che assiste alla perdita dell'esperienza, tra una tecnologia inva­ siva che distrugge l'ecosistema, nel franare dei confini fra na­ turale e artificiale. A quel punto anche il > , i >, che pure potevano ancora rinviare a una perduta leggibilità del >, diventano residuali:

Zanzotto può recuperare dall' Ungaretti di Canzone, la poesia che apre la Terra Promessa ( « Tutto si sporse poi, entro trasparenze, / Nell'ora credula, quando, la quiete / Stanca, da dissepolte arborescenze / Riestesasi misura delle mete [ . . . ] >> ) .

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DIRE IL SILENZIO: LA POESIA DI ANDREA ZANZOTTO

Che grande fu poterti chiamare Natura ultima, ultime letture in chiave di natura, su ciò che fu detto natura e di cui sparì il nome natura che potè avere nome e nomi che fu folla di nomi in un sol nome che non era nome

[ . .. ]

Sul patologicamente iterato la parola incespica, si ottunde, alla ricerca di una protolingua perduta, di un para­ digma smarrito, al di là della . I colaticci di rime giungono a questo punto estremo: è qui che il dire si fa coacervo di tentativi di contatto, raggiungendo il massimo d' intensità nel confronto con l' im­ pronunciabile, attraverso una climax ascendente che segue con strazio fisico l'impossibile pronuncia perduta: Al labbro vieni mia ultima, sfinita goccia di possibilità di dirti natura non hai promesso né ingannato, perché mai fu natura mai fu - [ ... ]

Solo una fonetica non lessicale ma vegetale ( per Agosti , così come il , appunto, e l' , il >14 , traducendoli in agglomerati, fibre di sillabe: come nel caso del borbottio prelinguistico di A Faen, in cui si miscidano e > in una auscultazione ra13. Agosti, L'esperienza di linguaggio di Andrea Zanzotto, 14.

lvi, p. XLVIII.

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cit., p. XIX.

2. DA METEO A CONGLOMERA TI, ALTRI SILENZI

soterra, quasi saggiando una inedita grammatica del ruminare, tra fieno e sillaba, fiutando la sonorità della materia e il suo ve­ nire meno, tra allitterazioni, assonanze, onomatopee che resti­ tuiscono il brusìo di insorgenze molecolari, tra fieno e sillaba ( ). Va da sé che a questo punto anche il silenzio diviene im­ pronunciabile. Ed è tempo di tentare qualche riflessione che ri­ costruisca retrospettivamente il cammino compiuto fino a qui, prima di affrontare l'ultima tappa di Conglomerati. L'analisi delle varie occorrenze del ci ha portati a percorrere un tracciato che dall'assolutezza della pronuncia è progressi­ vamente approdato alla sua fibrillazione e poi corrosione, fino alla stridula sonorità di un testo estremo di Sovrimpressioni, Stri-stri, sostenuto da un fonosimbolismo stregato, da maledi­ zione biblica, che mette in scena il supplizio (davvero > , si potrebbe definire) della natura, esposta com'è , con quella tensione quasi insostenibile a l'apice dell' irto. Una scrittura, questa, contaminata, una scrittura che ha l'AIDS ( ), dove per il silenzio non c'è davvero più spazio. Quel silenzio che lungo le varie scansioni aveva rivelato una tassonomia davvero imponente, portata a confrontarsi con la parola o a contrarsi in pulsazione, vibrazione, sollecitando un logos 1 5 , ma mai del tutto negato, mai del tutto scomparso, a ritrovare, di contro ali' afasia, lo spazio di una minima, pulvi­ scolare affabilità. 15. La definizione è dello stesso poeta, che in nota a Righe nello spettro, un testo di Fosfeni, scrive, con la caustica ironia che lo contraddistingue : (PPS, p. 715) . Sul tema della miniaturizzazione del logos cfr. L. Tassoni, Senso e discorso nel testo poetico. Tra semiotica ed ermeneutica: un percorso critico da Petrarca a Zanzotto, Carocci, Roma 1999, p. 198.

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DIRE IL SILENZIO: LA POESIA DI ANDREA ZANZOTTO

Si è passati insomma per gradi - questo in sintesi il risul­ tato della indagine - da un processo di assolutizzazione del silenzio, che da Dietro il paesaggio a T/ocativo assumeva i con­ notati di figurazione astratta, personificata in un bloccato, ma­ terico ontologismo, alla progressiva riduzione della frequenza del termine e insieme alla fibrillazione del suo consistere. Tra La Belta, Pasque, Il Galateo in Bosco, se ne sfiorava addirittura la scomparsa, in parallelo con lo sfaldarsi delle figurazioni di paesaggio e soggetto in un indifferenziato amalgama psicofi­ sico. Toccava più tardi a Idioma, a Meteo, a Sovrimpressioni, registrarne lo slittamento di senso verso i o verso un , percepito : l'area della referenzialità vi risultava, come si è sottolineato, forzata e travolta verso microvocalità inedite, in grado di dare voce agli > contesti di tattilità e ronzii, tra sillabe che traducevano in segni grafici e sonori >. Il silenzio usciva così dai recinti della logica - la verifica si dava subito in apertura di Meteo, con il di Morer Sacher - come dai confini del linguistico. Resta dunque scoperto l'approdo ai Conglomerati apparsi nel 2009. Vorrei affrontarlo ora in chiusura, anche se non sarà facile indagare in poche pagine la densità di un dire che l 'a­ nonimo estensore del risvolto di copertina, nello "Specchio" mondadoriano, coglieva nel suo farsi >, affidato a versi che avvertiva , quasi o . e le di un cosmo aggredito da metastasi cancerosa, tra > 20 , è normale che si trovino messi a rischio, ,, come indicava Roberto Galaverni scrivendone su "Alias , >21 • Siamo ricondotti al silenzio. Se la metafora geologica cui si richiama il titolo della raccolta condensa in sé, come si sottoli­ neava, antinomie non risolte, ipersedimentazioni e mutabilità non codificabili, all' interno di una temporalità destabilizzata, tanto più appare intrigante e complesso misurare su quella testualità condensata e insieme friabile il motivo del silen­ zio; anzi, dei silenzi, numerosi, talvolta invasivi. e , e , e , e , e , . C'è un testo, fra i tanti, che ne ospita un campionario ampio, fittamente stipato. Appartiene alla sezione Fu Margh e­ ra (?), ove la poesia dell' raggiunge punte di in­ tensa drammaticità. Basta scorrerne i versi d'ap ertura: Quanti nuovi e ignoti silenzi m'aspettano quante zone di onore silenzio e purità di silenzi irrequiete acclamabili Ma come saranno quei nuovi silenzi quanti se ne sono formati e quanti quanti caduti spariti ?

Già, a quale area semantica, a quale dimensione morfologica ci si potrà ricondurre, a quale articolazione pronominale? Messa in crisi da decenni la centralità dell'io, della sua possibile no­ minazione, nella indagata da Stefano Agosti22 , anche il tu è franato da tempo: il "tu" persona, il "tu" contatto, il "tu" paesaggio, corpo, materia, quel "tu" che in Vo­ cativo poteva risuonare ancora come allocuzione sonora, o che nella Belta veniva sollecitato, come tu-mondo, a esistere, solle­ vandosi per i capelli alla maniera di un Miinchausen. Ma ora, R. Galaverni, Res, rovelli, rovine, in "Alias': n. 43, 31 ottobre 2009, p. 17. 22. S. Agosti, Introduzione a A. Zanzotto, Poesie (I938-I986), Mondadori, Milano 1993, p. 43. 21.

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DIRE IL SILENZIO: LA POESIA DI ANDREA ZANZOTTO

di fronte ai , silenzi, viene da chiedersi chi sarà mai a tacere, in queste estreme propaggini della poesia di Zanzotto, quando viene abolito ogni contatto, ogni possibili­ tà di risposta, da parte di nomi evocati, rivelati (come capita a Ligonàs, in Addio a Ligonas: che fu vita, in una deperdizione di sé e della propria lingua che solo il dialetto può provare a restituire (>). La diagnosi di Zanzotto è più definitiva. E però resta cantabile, fe­ rocemente cantabile, in quei versi brevi - settenari, ottonari chiusi da rima e affidati a un coro di nuove mummie, residui di una civiltà prostrata al di cui si leggeva in una delle più intense poesie di Sovrimpressioni, Dirti "natura". Sono rime da pronunciare senza enfasi, ma anche senza nul­ la togliere alla denuncia che esprimono: quella di un trauma non solo metafisico, perché chiama in causa, con indignazione tutt'altro che sopita, precise responsabilità, tra in attesa di giustizia. Le trascrivo ora in chiusura di queste mie sparse considera­ zioni, le rime che siglano il quinto testo della sezione Fu Mar­ ghera ?, facendo il verso - con raggelata e raggelante contraffa­ zione - al tema della leopardiana felicità negata > . , e >: Siamo ridotti a così maligne ore da chiedere implorare il ritorno della morte come male minore.

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3 Oltre i limiti della pronuncia : Venezia, forse

Amplissimi, lo si è visto, sono gli esiti semantici del silenzio nella poesia di Zanzotto, ed è naturale che essi penetrino con varie e ancora più polarizzate tipologie nei testi in prosa. Ne scelgo uno che rappresenta al meglio, a mio parere, la sfida della parola di fronte ai limiti del pronunciabile: è il testo che com­ pare, con titolo Venezia, forse, nella sezione Altri luoghi delle Poesie e prose scelte, insieme con il notissimo e fondamentale Premesse all 'abitazione e con altri quattro scritti, tra cui Carne­ vale di Venezia e Colli Euganei. Andrea Zanzotto lo ha steso nel 1976, l'anno della collaborazione al Casanova di Fellini e della stesura di Filo 1 che a quell'esperienza si riconnette, segnando per il poeta il recupero del registro oralità-dialetto: una conco­ mitanza tute'altro che casuale, quella che si istituisce tra Vene­ zia, forse e i lavori nati su commissione del regista, che andrà dunque attentamente indagata. Basta scorrere le prime righe di Venezia, forse per trovarsi di fronte a un disorientamento, a uno spaesamento. E questa perlomeno la prima impressione che ho ricevuto e che cercherò per quanto possibile di illustrare, nei vari risvolti che hanno contribuito a determinarla. Il primo, il più immediato, riguar­ da il genere in cui inserire questa scrittura del tutto singolare: se la si accetta come prosa narrativa, si deve constatare che è Scritto fra il luglio e l'ottobre del 1976, come informa S. Dal Bianco cu­ ratore di Profili dei libri e note alle poesie, in Zanzotto, PPS, p. 1566, Filo uscì in prima edizione nel dicembre 1976 nella collana "Lo Specchio" Mondadori, con una lettera e cinque disegni di Federico Fellini. 1.

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DIRE IL SILENZIO: LA POESIA DI ANDREA ZANZOTTO

un racconto anomalo quello che viene proposto, che possiede piuttosto le caratteristiche di un reportage divagante fra topo­ grafia acquatica e terragna e planimetria mentale. Un reportage in cui si intrecciano precisione percettiva e riverberi onirici, emersioni e sprofondamenti, in una geografia sotterranea e stratificata, liquida e metamorfica, labile e magmatica. Basta ascoltare l' inizio di quella che mi piace considerare - con parole prese in prestito dall'autore - una sorta di > a Venezia: Solo un lungo esercizio di spostamenti, eradicazioni, rotture di ogni accertata prospettiva e abitudine potrebbe forse portarci nelle vici­ nanze di questi luoghi. Forse, per capirne qualcosa, bisognerebbe arrivarci come in altri tempi con mezzi di altri tempi, per paludi, ca­ nali, erbe, glissando con barche necessariamente furtive, dopo esser passati attraverso la scoperta di uno spazio dove tutte le distinzioni son messe in dubbio e insieme convivono in uno stupefacente caos, rispecchiate e negate a vicenda le une dalle altre2.

Siamo avvertiti. Non c'è sviluppo orizzontale della trama, che non segue una linearità logica, ma si affida a un perioda­ re ipotetico, espresso dalla forma condizionale ( , , suona­ no i primi due incipit). Tra anse lessicali e sintattiche, riprese, rallentamenti temporali e spaziali, rispecchiamenti, la sintas­ si sperimenta i modi di un andirivieni percettivo su cui sarà necessario soffermarsi: è una prosa ritmica quella che si viene a configurare, retta su segmenti a blocchi, sorta di vaste lasse ritmiche in bilico tra andatura mentale e resoconto dettagliato di immagini nitide, notazioni visive zoomate sino nei minimi dettagli, da uno sguardo insieme e . Parlavo di spiazzamento. E subito quel accostato a Venezia a provocarlo. Un avverbio di dubbio, si è portati naturalmente a ritenere. Ma una nota esplicativa del testo, che compare nel "Meridiano" e alla cui stesura non è probabilmen2.

A. Zanzotto, Venezia,Jorse, in P P S, p. 1051.

3. OLTRE I LIMITI DELLA PRONUNCIA :

VENEZIA, FORSE

te estraneo l'autore, complica le cose, introducendo una acce­ zione insolita all'avverbio. Leggiamola: Il del titolo mostra ali ' interno del testo un tipico procedi­ mento stilistico zanzottiano: l'avverbio, con l'aiuto di una metaforica apposizione, viene usato come un sostantivo3 •

Dunque quel è una sorta di appellativo di Venezia, un epiteto che le si connette strettamente, come conferma, nella stessa nota, una citazione dal testo che stiamo analizzando, che ricongiunge il a una specie di D NA della città laguna­ re: . Venezia, dunque, come luogo, sede, sito di un , spazio di sot­ terraneità e di emersione insieme nominato e negato, presenza che si sottrae al consistere certo, al permanere stabilmente defi­ nito. Venezia, datità e altro dalla datità, luogo e altro rispetto a un luogo definito, , propriamente, di percezioni fon­ danti, se si volesse spiegare Zanzotto con parole sue. E se dav­ vero lo si volesse fare, basterebbe del resto scorrere l 'Indice dei titoli e dei capoversi del "Meridiano" che raccoglie buona parte della sua produzione poetica, per avere immediata conferma di una lunga pratica di slittamenti e smarrimenti, di circolazioni e andirivieni onirici, fra tremori e mutismo, sillabazione e silen­ zio, protratti per l' intero arco della sua scrittura. Mi limito a evidenziare qualche titolo, selezionandolo un po' a caso, lungo lo sviluppo diacronico di una produzione estesa per oltre un sessantennio: Se non fosse, Impossibilita della parola, Passaggio per l'infarmita, Notifi,cazione di presenza, Piu e meno che oniri­ camente, Esautorazioni, Sovraesistenze, Gnessulogo, Ben disposti silenzi, Gia-mutismi, Alto) altro linguaggio) fuori idioma ?, E ti protendi come silenzio . Dovrò interrompere l'elenco, non senza constatare che buona parte dell' indagine che intendo condurre potrebbe esse3. lvi, p. 1709. Responsabile della nota è il curatore del Commento e note alle prose Gian Mario Villalta.

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DIRE IL SILENZIO: LA POESIA DI ANDREA ZANZOTTO

re sintetizzata da quei titoli o da quei capoversi. Articolandoli e ricombinandoli come in un puzzle, si otterrebbe un sistema di tessere che compongono una trama di apparizioni e scom­ parse, un flusso di slittamenti e spostamenti che muovono, in assoluta reversibilità, dal prevedibile all'imprevedibile, dall' in­ tenzionale all' inintenzionale. Venezia, farse li comprende e li sintetizza, quegli slittamenti, collocandosi al confine tra realtà e irrealtà, presenza e sua cancellazione, in un precario equili­ brio tra nominazione e abrasione del nome, visibile e invisibile, verbalizzazione e silenzio. Se viene meno il nome viene meno, ovviamente, l' identità. Ma cosa accade quando i nomi si moltiplicano in un gioco di specchi e rispecchiamenti o si stratificano, sino ad appartene­ re a un >, da >? Riprendo in mano il testo e leggo: 4 • Si possono offrire subito in rassegna alcuni dei "tanti altri nomi" di Venezia, dal momento che è proprio Zanzotto a sug­ gerirceli, nei testi contigui di Filo: e < >, < Venùsia>> e < >, > e , e , < > e , e > , per indicare la > 5 - e presenti ancora, le >, nel Recitativo veneziano che apre Filo, sia nel testo che nella nota d'autore che gli si accompagna: O come ti eressi, o luna dei busi fondi, o come ti nassi, cavegi blu e biondi, . . nu par t1, t1 par nu, la gran marina no te sèra più, le gran barene de ti se inlaga, vien su, dragona de arzento, maga ! aàh Venessia aàh Venaga aàh Venùsia O come cresci, o luna dei baratri fondi, o come nasci, capelli blu e biondi, . . noi per te, tu per noi, il grande mare più non ti rinserra, le grandi barene di te si allagano, sali, dragona d'argento, maga ! aàh Venezia aàh Venaga aàh Venùsia

Segue la nota d'autore, a piè di pagina: > , la Venezia > che autorizza > 7 , con la Venezia > , e , > e , ripresa nel suo sollevarsi e affogare dal Casanova felliniano ( , nutrendosi di lei. Le circostanze che preludono al contatto tra Filo e lo scrit­ to di cui ci stiamo occupando sono del resto direttamente do­ cumentate da una splendida lettera di Fellini a Zanzotto, in cui il regista, invitando il poeta a collaborare al suo Casanova, accenna tra le altre cose, con una scrittura a suo modo creativa e liberamente > 10 , oltre che ali'emergere dalle ac­ que del > di Venezia, che Zanzotto connoterà con la sua onomastica fertile, anche a una sorta di del film in preparazione, e all' n. Zanzotto resta colpito da quelle parole, e in particolare dal > di Fellini, dalla > 12 , che gli risveglia - scrive nella lunga, importante nota di accompagnamento a Filo de­ dicata a illustrare il dialetto utilizzato - >. Il poeta accenna anche, in quella nota, agli "ingorghi onirici" del Casanova: ed è un accenno significativo, la cui eco risuonerà al momento della stesura di Venezia, forse sia là dove si parlerà di e di > che è Venezia? Ecco, allora, un descrivere non velocizzato, rallentatissi­ mo, anzi, disposto ad accogliere nello stesso tessuto sintattico e grammaticale le variabili, le possibilità di un accadere che si affida a casualità spazio-temporali. Gli incipit delle sequenze di cui il testo si compone sono davvero, al riguardo, esempla­ ri, presentando indicatori di spazio e tempo incerti, alonati ( ; >; ; ; ) 1 7 • Preval­ gono insomma modulazioni dell'incertezza ( , >, ), mentre le forme di deissi se­ guono percorsi altalenanti tra spazio concreto ( ) e spazio mentale, che slontana e delocalizza ( 1 0 • Con questa iniziazione, allora, si può andare oltre, e indu­ giare sulla pagina di un Intervento datato 1981, dove Zanzotto afferma che nella poesia contemporanea può accadere che un avvio apparentemente limpido della scrittura si incupisca e si ingarbugli ali' improvviso, e n. Ed è ancora più importante, nel per­ corso di avvicinamento a Campana che si sta tentando di com­ piere, stanando le complicità implicite di Zanzotto, leggere il rilievo che Zanzotto dedica subito dopo all' incidenza, sull' in­ garbugliarsi del senso, dell' >, rivelando >. Qui Campana non è certo in alcun modo estraneo al rilievo critico, se si confrontano quelle parole con un altro passaggio dell' intervento bolognese che cito distesamente: Una poesia come quella di Campana [ ... ] si configura come un flusso ininterrotto di armonie e di disarmonie di serie melodiche e semanti­ che che si sovrappongono e si intrecciano: proprio per questa ragia-

IO. II.

Zanzotto, Il mio Campana, cit., p. Id., Intervento, in P P s, p. 12 72.

22.

4. UN CAMPANA TRA PRONUNCIA E AFASIA

ne, la poesia di Campana risulta terribilmente difficile da cogliere in questo ipnotico sovrapporsi di strati armonici, nel tentativo, magari, di rifondarvi l' intera gamma delle associazioni foniche [ . .. ] sulla base dei condizionamenti cerebrali, e via dicendo1 2 •

A questo punto il lettore potrebbe cominciare a sollecitare uno svelamento, un'ammissione diretta di correità da parte del "poeta" Zanzotto. Ed essa era giunta infatti puntuale già in una pagina del 1975 rivista dal poeta nell'87, dedicata alla Presen­ za di Betocchi e contenuta ora nelle Fantasie di avvicinamento. Ecco il passo indiziato: Chi legga oggi Realta vince il sogno e altre poesie di Betocchi, risa­ lenti agli anni fra il 1930 e il 19 54, sarà subito contagiato dalla ricca febbre, da quell 'effervescenza ritmica, lessicale e sintattica di pagine, versi, parole singole [ ... ] Certi carillons di luci, che poi si raggelano trasognate, certi sguardi sul profondo e sul vuoto di sé, dei paesaggi, certe cascate di assonanze e tintinnii carichi di ossessività da allu­ cinazione auditiva, ricorderanno perfino lo stampo della follia più nobile che abbia trovato luogo nel nostro Novecento, cioè quella di Campana1 3 •

Si pensa al Campana visionario, alle sue allucinazioni, all'oscu­ rarsi dei nessi logici, alla frantumazione cromatica e sonora che interessa e punteggia la sua scrittura, e soprattutto si viene at­ tirati da quell'accezione di >, la > - scrive Zanzotto - dell'intero Novecento. La parola > risuo­ na non a caso e rintocca più volte a eco anche nell'intervento bolognese, e la cosa non sorprende certo chi ha pratica della poesia di Zanzotto, tanto più che è lui stesso a confessare, chia­ mando in causa Holderlin, che > lo ha ; e passa poi a citare Nietzsche e la propria esperienza di , per stringere più da presso quello stato d'animo traumatizzato che - cito ancora ZanzotZanzotto, Il mio Campana, cit., p. 23 . 13 . A. Zanzotto, Presenza di Betocchi, ora in Id., Scritti sulla letteratura, vol. I, p. 256. 12.

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DIRE IL SILENZIO: LA POESIA DI ANDREA ZANZOTTO

to - 14 • Mentre lo si potrebbe chiamare, più puntualmente, , e , e violazione, ossessione di diversità, di rottura di una coerenza, insomma, anche ritmica, anche stilistica. ' E a questo punto che l' intervento di Zanzotto si inarca verso i territori della conoscenza autre, verso l' insondabile, l'abissale territorio che confina con gli >, e insieme si appunta verso il modo di veicolarli, tradurli in suono, anzi in onda fonica, in sintassi mentale ipnotica, nel , appunto, di ar­ monie e di disarmonie. Ed è a questo punto, ancora, che scatta l'accostamento tra la sua scrittura e quella di Campana. Dopo avere ricordato e pronunciato una strofe di Genova, Zanzotto legge la sua Orga nini e diapositive1 5 • Perché lo fa? Forse perché cozzano, in questo testo, ritmo e aritmia, come in Campana, e il concreto e l'astratto raggiungono effetti da cortocircuito. Forse perché anche questa è una poesia in fuga che, come quel­ la di Campana, si scioglie e si scompone - come rilevava Mon­ tale - al momento di concludere. O forse perché restano an­ che in questa scrittura , un > , una che preme al punto di costringere il poeta a scrivere versi16 • O forse anche, da ultimo, perché anche qui, come in Campana, tra spostamenti analogici e centrifugazione della forma, l'eccedenza semanti­ ca fa le prove - come indicava Guido Guglielmi in unfile sul Campana viator restato inedito - di una fonica coazione a ri­ petere . Una sorta di conoscenza autre, ancora, su cui i due poeti possono trovare i termini e i confini di una piena convergenza ancora da appro­ fondire ed esplorare, dal momento che resta aperto , si legge ai vv. 7-11), o arriva a tradursi in segno "sismico", che Zanzotto traccia con penna a china sul dattiloscritto e si augura venga riportato fedelmente a stampa, come precisa in un successivo post-it del 27/1/97 ( FI G G . 7 e 8) con cui accompagnerà l'invio, per espres­ so, delle bozze da lui corrette:

Della poesia per Noventa, intitolata La politica e accompagnata da una nota datata 1962, non resta traccia in P P S . A Giacomo Noventa Zanzotto ha dedicato due saggi critici in Fantasie di avvicinamento: si tratta di Noventa tra i moderni ( 1965) e Noventa postmoderno? ( 1988), ora in Zanzotto, Scritti sulla let­ teratura, I, cit. Nella Nota di quel dattiloscritto che mi ha inviato, impallidito nel tempo, si legge tra l'altro : (varianti con una freccia, dunque, (e dunque con l' > , con freccia, dunque, > alle origini ) 12 • Torniamo a noi. Sarà una variante in più, scrive scherzosa­ mente il poeta. E però segue poi la resa a stampa delle sue poesie con una cura sempre precisa sino all'esasperazione, perché quelle > che non sarebbero, a suo dire, riconducibili a > - come si legge nel retro del post-it - toccano invece per lui la carne viva della parola, si collocano in bilico sulla vertigine del linguaggio: non a caso di parlava Clelia Martignoni per After Hours nel suo stu­ dio sul Linguaggio della ccsovrimpressione"1 3 • Quanto a Variazioni '94 (FIG. 9), dimenticata nella prima spedizione e rispeditami il giorno dopo per lettera, appartiene davvero a un clima diverso, replicando motivi di Meteo nelle strofette di > (> ) proposti in forma di haiku, con un linguaggio meno acido e meno nevrotico anche nella più riposata resa sintattica. Zanzotto li avverte forse meno attuali e per lui meno > , e così come li dimentica, nella busta a me inviata, li espun­ gerà poi, di fatto, dalla raccolta Sovrimpressioni, dopo averli fatti pubblicare sulla rivista "Poetiche". Di quel testo, che recava so­ prascritto in epigrafe sul margine destro (Ore di crimini), resterà infatti, in Sovrimpressioni, solo una ripresa indiretta nella poesia intitolata da (Ore di crimini) - ove il 'da' è parte del titolo anche se Zanzotto non lo mette in corsivo -, oltre a qualche citazione implicita lungo il testo, in cui pare ormai defilarsi l'attenzione per il e per il > che i pa­ paveri avevano rappresentato e interpretato per il poeta di Meteo. ). I versi più irti? . Quello < < specimen>> , qui datato in calce al testo (I990) (I993) da ccVerso i Palu", andrà a costituire il secondo testo di Sovrimpressioni intitolato ccVerso i Palu" per altre vie, e subirà decisive trasformazioni nella seconda e terza strofetta dello haiku ri­ spetto alle strofette a me pervenute, che trascrivo a sinistra in corsivo, indicandone a fianco, in tondo, l'approdo in volume:

[ . .. ]

*

Proteggi l 'astuzia soave dei tralci accogli l 'ordine attento delle biade delle loro verdissime spade

Proteggi dall ' astuzia soave dei tralci dissuffia dall 'ordine denso delle biade delle loro verdissime spade

17. Zanzotto, Ligonas, cit. Nel prezioso volumetto che Zanzotto mi ha do­ nato è scritta a mano, a biro blu, la dedica che qui riporto: . Gli ho risposto: > , la destinazione futura di quel testo. Né la ipotizzava, credo, il poeta, perlomeno se ci si attiene alle parole di accompagna­ mento tracciate da lui sul fax, come sintetica ed essenziale gui­ da alla lettura. Le riporto: della versione in fax diviene ; del verso successivo si congiunge in ) e in due casi le varianti intervengono a spezzare metricamente il verso, rinviando e dei vv. 35 e 38 a rifluire, isolati, nei versi 36 e 39.

DIRE IL SILENZIO: LA POESIA DI ANDREA ZANZOTTO

La variante più significativa riguarda l'aggiunta, a fine poesia, di una parentesi in cui si legge "(variante, aprile M M I I ) ", perché era proprio quella, appunto, la data che attestava, nel fax, l'avvenuta stesura dei versi, che vanno letti con cura atten­ ta. Sarcastica, parodica, è la resa che qui subisce la " P O E S IA", proposta nella forma di una mise en abime dove, tra spelling e tonalità >, si castra sino allo strangolamento (< >. E si chiudono poi a sorpresa, quei versi, in forma di laude: ma è laude assolutamente anomala, che pure tende in qualche misura a un riscatto, a un'accettazione, come puntualizza il curatore offrendo una chiave di lettura che assi­ mila la poesia a unfarmakon. Dal Bianco scrive: 2011 .

è il trauma e la sua riabilitazione. I versi finali attestano la piena, avve­ nuta accettazione > 1 9 •

Cito i versi in questione: Ci nutrì, ci sopì, ci rapì, ci invaghì nel famoso stanzone dell'osteria della Maria, della morìa, della magia, col suo ruttino LA POESIA: confidenziale colpo di gomito alla morte qui inibita dalle sue ( per un attimo) gambe corte.

Nel > di scritture che Zanzotto sta accumulando - parola sua - dopo l'uscita di Sovrimpressioni, c'è posto anche per questa chiusa in forma di aforisma dissacratorio. Non en­ trerà invece nella nuova raccolta un testo pervenutomi l'anno successivo, di cui solo qualche parte verrà recuperata per allu­ sione o per citazione parafrasata. Conglomerati, in via di lenta ideazione, sarà infatti tra le scritture di Zanzotto più a lungo 19. S. Dal Bianco, Introduzione a Zanzotto, Tutte le poesie, cit., p. LXXXIII.

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5. FRA POST-IT E CARTE PREPARATORIE

rimeditate, sia per la collocazione dei testi che per la scelta dei titoli, compreso il titolo stesso della raccolta (un plico che ho ricevuto dal poeta in mesi non lontanissimi dalla stesura defi­ nitiva recava il titolo Erratici). Giustamente Stefano Dal Bianco parla di libro , e non solo. Libro, scrive ancora, >, e aggiunge: 20 • Non ne potrò certo parlare qui, tra fax e post-it: ma mi piace ipotizzare che di quel libro, che si spingeva a rappresentare - scrive sempre Dal Bianco - e la >, abbia fatto parte seppure per poco, e solo in fase di ideazione, la poesia che ho ricevuto stampata su fax in data 10/8/2003 ore 16:05, pervenutami però in una busta su cui Zanzotto aveva scritto a penna: . Si intitola, questo lungo testo, Casa pericolante, e non è rimasto inedito, essendo uscito, con una strofe soppressa, sulla rivista "Poesià' (n. 178, dicembre 2003, p. 60) e poi in volume pubblicato a Chicago in edizione bilingue21• Di quel testo mi aveva colpito, per riprendere le parole di Dal Bianco, il senso di dispersione e il bisogno di puntellare il crollo, resistere allo smottamento. Perciò avevo scritto queste righe di risposta al poeta, dal luogo di montagna in cui mi tro­ vavo nel mese di agosto: Folgaria, 1 6 agosto 2003 Caro Andrea, ho letto e riletto la tua Casa p ericolante. Ovvero come si può dare forma e consistenza e resistenza alla precarietà. Come la materia, la cosa dura, può resistere allo sfaldamento, perseverando, con iro20.

lvi, pp. LXIX-LXX. 21. La poesia, che reca in esergo ( > ) , è uscita in The Selected Poetry and Prose ofAndrea Zanzotto. A Bilingual Edition, a cura di P. Barron, Tue University of Chicago Press, Chicago 2007 ( sezione Inediti - New Poems).

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DIRE IL SILENZIO: LA POESIA DI ANDREA ZANZOTTO

nia, con supremo distacco. Quella icona che si replica lungo il testo ( CASA, CASA PERICOLANTE) sta lì ad avvertire ogni ipotesi, ogni tentativo di predicazione e nominazione, di procedere cauto: perché si oscilla - il testo oscilla - tra tempi sovrapposti, e ci sono tiranti e denti-zeppe di ferrolegno a sostenere, costringere ogni volta, lo sra, ' dicamento a una coatta sopravvivenza. E così. E intimo, profondo, questo testo, inquietante e depistante, "sciantosa" nei suoi "zampini, rampini, spiedini", e graffiante. Yahoo. Va bene così. Continua, Andrea. Mi ha fatto grande piacere ve­ derti, immerso nei problemi di tutti: ma si è costretti a venire a patti con la vita, fa parte del contratto. E grazie per avermi consentito di . accostarti Niva

Si chiudeva così la poesia, di cui resta traccia sotter­ ranea, quasi un ipotesto, in Si, deambulare, se se ne scorre la sezione numerata 3 ) ( > ) . Ecco la versione della primitiva CASA PERICOLANTE ricevuta da me:

YAH O O.

CASA PERI C O LANT E

. . cucita e r1cuc1ta con t1rant1 .

.

.

onnidirezionali e con denti-zeppe di ferro legno, ma soprattutto madre di una mutante finestra vuota, ma affamata del nulla e fatta di sostanza pura rivolta al fuori Ah casa, gentilissima e dura d'animo a un tempo gelosa dei tuoi resti ampi d' intonaco grondanti e gaudenti di scritte obsolete ( il primo Vasco Rossi) (erotici richiami con nome e cognome e i più recenti col K dei ragazzini),

[ ... ]

Mah mah mah, come si pericola grandiosamente eppure umilissimamente

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5. FRA POST-IT E CARTE PREPARATORIE

[ ... ]

col tuo futuro invece garantito da tutti quegli zampini, rampini, spiedini.

Nell'approdo al testo accolto in Conglomerati con il titolo Si, deambulare ( , precisa Stefano Dal Bianco, di Si, viaggiare) si accentuerà, rispetto ai ver­ si qui riportati che affrontano il medesimo tema, un registro lessicale e stilistico fatto di , , , , per citare ancora rapsodicamente Dal Bianco22• Il tutto spinto sino a una che, alla maniera di un Palazzeschi del XXI secolo, impegnato a descrivere una Passeggiata attraverso un paesaggio segnato da lacune e sfregi, segnala nuclei di resistenza divenuti sempre più precari, immersi come sono in un invasivo v-;

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· ui rie i mi spirano di filar in fi lare tra viti prezio e quai numeri pri i in coordin ,oni ubl imi co lar ,izi ni d' mbr lum · tiU l d.o. m tri am nt e ntr I l t di gn· fi l al i n tte o p are 10 con innat del izie e ffi rte di profumi sta fr e ntinel la ec el a n I e na!ar arriv di m lanni tr gh ri p r · p r 1 t 1 ì e ì ma t bilità i d nn agli partiti no i vign ti eh con l 1 ro etallich t n i ni difi nsi r ti otto il ol di nuti ol cor n ti d'inqui ti ' arm nia m i l i imi di goccio]e-ru riad r m di un pa rom i· at • di n futur ui ad gni futu zz gi · niatur iol to · r alm nte co li r Diffici l i p oc dim nti di ntrata ritorni di qu t i V nti com la di i nit · ari tà d li chin e d I dole u t , d 11 tra i d I, ti i lor in chin da · co ì 1 ar rn m nt futur · n " bil muro a ora i un'ombra-m tutto dal riattar n tri a 1 hi a tutt I i. , lib rtà d cc nt i rr tti n n n l la i. ott · i u ti d i hiaini p r giati di f, Itri 1 tti feudo-nino di · ossato · con altro e Itri I ggi di t Il d.o.c. al m a l ti i di J ~

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