Dio unico, pluralità e monarchia divina. Esperienze religiose e teologie nel mondo tardo-antico 9788837224332

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Dio unico, pluralità e monarchia divina. Esperienze religiose e teologie nel mondo tardo-antico
 9788837224332

Table of contents :
Introduzione
Sigle .
Capitolo primo
Scienza ca/dea e Dio unico in Filone Alessandrino. Una risposta
giudaica alla teologia cosmica ellenistica.
Capitolo secondo
Orfeo «giudaico». Il Testamento di Orfeo tra cosmosofia e
5
31
35
monoteismo . 79
Capitolo terzo
Dio unico e «monarchia» divina. Polemica e dialogo tra pagani
e cristiani (Il-V secolo d.C.). 109
Capitolo quarto
Monoteismo pagano nella Antichità tardiva? Una questione
di tipologia storico-religiosa 131
Capitolo quinto
Gli Oracoli caldaici e l'attuale dibattito sul «monoteismo
pagano». Sull'uso e l'abuso di una categoria storico-religiosa.
Capitolo sesto
Dio unico e unità del divino. Teologie tardo-antiche fra
«esclusione» e «inclusione»
Bibliografia
Indice dei nomi
Indice delle materie
Sommario

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Nella storia religiosa del mondo mediterraneo tardo-antico che cosa si intende con «monoteismo» e «politeismo»? Queste cate­ gorie, da secoli familiari alla disciplina storico-religiosa, sono at­ tualmente oggetto di dibattito proprio in rapporto alla storia religiosa di quell'ambiente culturale e di quel periodo storico in cui si è compiuto un confronto, configurato per molti aspetti come un drammatico scontro dagli esiti decisivi per tutta la cul­ tura occidentale, fra due visioni religiose. Da una parte il «poli­ tcismo» come insieme delle antiche tradizioni religiose dei popo­ li dell'oikouméne mediterranea fondate sulla credenza in un va­ riegato orizzonte di potenze divine, oggetto di culto da parte degli individui c delle comunità, e dall'altra il messaggio cristia­ no, radicato nella fede giudaica nell'unico Dio creatore, che- a partire dall'«invenzione» del termine «monoteismo» nel XVII secolo- è definito appunto «monoteistico». Attraverso una serie di sondaggi in ambienti diversi si dimostra in queste pagine che le due categorie classificatorie mantengono validità se usate come strumenti euristici per individuare e cir­ coscrivere analogie specifiche tra alcuni fenomeni storici, ma non costituiscono le uniche griglie onnicomprensive entro cui situare le molteplici esperienze religiose che percorrono questa fase storica. Esse in ogni caso non trovano nella distinzione e opposizione fr'l I'«Uno» e i «molti» il solo né il preminente crite­ rio per la definizione delle rispettive identità tipologiche.

GIULIA SFAMENI GASPARRO è ordinaria di Storia delle religioni nell'Uni­ versità di Messina. l suoi interessi scientifici riguardano le religioni del mondo antico c tardo-antico. in particolare i culti mistcrici, greci c orientali, l'ermeti­ smo, la magia e i fenomeni oracolari c profctici. Anche il cristianesimo dci primi secoli è oggetto delle sue ricerche, con preminente attenzione allo gnosti­ cismo, all'cncratismo e al manichcismo. Tra gli ultimi volumi: Oracoli Profeti

Sibille. Rivelazione e �all'ezza nel numdo antico (2002); Mi�teri e teolo�ie. Per la �toria dei culti mi�tici e mi�terici nel mondo antico (2003 ); Problemi di reli­ �ione �reca ed el/eni�tica. Dèi, dèmoni, uomini: tra antiche e num•e identità (2009). Per la Morcclliana ha pubblicato Ago�tino. Tra etica e reli�ione ( 1999).

ISBN 978-88-372-2433-2



21,00

1 1 1111111111 1 1 1 11111 1

9 788837 224332

GIULIA SFAMENI GASPARRO

Dio unico, pluralità e

monarchia divina

Esperienze religiose e teologie nel mondo tardo-antico

MORCELLIANA

© 2010 Editrice Morcelliana Via Gabriele Rosa 71 - 25121 Brescia

Prima edizione: settembre 20 lO

Il volume è stampato con il contributo del Dipartimento di Studi Tardoantichi Medievali e Umanistici Facoltà di Lettere e Filosofia di Messina

www.morcelliana.com

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diriui di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsia­

si mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati per tutti i Paesi. Fotocopie per uso personale

15% di cia•cun volume dielro pagamenlo alla SIAE del compenso 1941 n. 633 ovvero dell'accordo slipulalo Ira SIAE, AIE, SNS, SLSI e CNA. CONFARTIGIANATO, CASARTIGIANI, CLAAI e LEGACOOP il 17 novembre 2005. Le riprodu­ zioni ad uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine non superiore al 15% del pre­ senle volume, solo a seguilò di specifica aulorizzazione rilasciala da AIDRO, via delle Erbe n. 2, 20121 Milano. lele­ fax 02.809506. e-mail [email protected] del lettore possono essere effettuale nei limili del

previslo dall'art.

68,

comma

4, della legge 22

aprile

ISBN 978-88-372-2433-2 Tipografia Camuna S.p.A. - Filiale di Brescia, via A. Soldini 25

INTRODUZIONE

Alcune affermazioni di Giuliano Imperatore, pur nella loro vio­ lenta carica polemica anti-cristiana, lasciano trasparire la corretta percezione da parte dell ' autore delle tangenze e insieme delle distan­ ze sussistenti tra la prospettiva religiosa dell' Hellenismos- di cui egli si vuole rappresentante qualificato e restauratore - e l 'ormai lunga e consolidata esperienza di quelli che sprezzantemente definisce «Gali­ lei>> , a sua volta legata - in un ambivalente rapporto di continuità e di rottura - alla tradizione dei «Giudei» ovvero, come spesso preferisce chiamarli, «Ebrei». Ed è proprio in questo confronto a tre voci che emergono sufficientemente nette le piste di una ricerca intesa a va­ gliare analogie e differenze fra le esperienze religiose e le connesse «teologie» che caratterizzano questi grandi settori della vicenda cul­ turale della Tarda Antichità, i quali intrecciano spesso più o meno profondamente i rispettivi percorsi, sia per opposizione che per assi­ milazione, anche se parziale e condizionata, secondo le diverse situa­ zioni storiche. In uno dei pochi ma preziosi frammenti dell'opera giulianea, sot­ tratti alla distruzione decretata dal fallimento del progetto di restaura­ zione delle antiche tradizioni religiose da parte dell'Imperatore passa­ to alla storia dell 'Occidente cristiano con il marchio infamante di «Apostata», quali ci sono stati conservati dall'opera di Cirillo di Ales­ sandria I, si propongono i fondamentali parametri di riferimento per la valutazione delle posizioni rispettive dei tre interlocutori in materia di «religione» ossia, secondo l'accezione convenzionale di questo termi­ ne nella cultura europea di matrice cristiana, oggetto di lungo e irri­ solto dibattito ma pure necessario ad ogni discorso sul tema2, in matel In Masaracchia 1 990, con l'edizione e traduzione dei frammenti, i dati necessari all'in­ quadramento storico del Contra lulianum di Cirillo, di cui sono pervenuti solo dieci libri e che quindi non permette di conoscere l'intero impianto dell'opera giulianea. Tra l'ampia letteratu­ ra sul personaggio segnalo ora soltanto la monografia di Bouffartigue 1 992. Alquanto generi­ che le notazioni di Demarolle 1 986 sulla polemica anticristiana di Giuliano. Sulla interpreta­ zione di Cirillo cfr. Évieux 1998. 2 Mi limito a segnalare i termini di tale dibattito quali sono stati oggetto d'indagine in occa­ sione del XVI Congresso della Intemational Association for the History of Religions (IAHR), svoltosi a Roma nel 1 990 (cfr. Bianchi 1994).

Introduzione

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ria di comportamenti e di credenze relativi al livello delle potenze so­ vrumane ritenute efficaci nella vita cosmica e umana. Ribadendo l'accusa costantemente rivolta ai «Galilei», di avere abbandonato le tradizioni avite per aderire al giudaismo e in pari tempo di tradire anche quest'ultimo nelle loro aberranti nuove con­ vinzioni, Giuliano sottolinea con forza l 'esistenza presso i Giudei di una ricca prassi rituale e in particolare del sacrificio cruento. Da ciò consegue - egli dichiara - «che i Giudei hanno un comportamento simile a quello dei gentili, eccettuata la loro fede in un unico dio. Questa è la loro peculiarità, a noi estranea. Quanto al resto però pos­ siamo parlare di una comunanza: templi, santuari, altari, purificazio­ ni, alcune prescrizioni che si presentano o assolutamente identiche o con ben piccole differenze))J. Nella profonda analogia dell'orizzonte cultuale con quelle che, con terminologia biblica quale gli era ben familiare, Giuliano defini­ sce «le Nazioni)) (EOVT]), l ' autore stabilisce senza incertezze l ' i nvali­ cabile discrimine che separa queste ultime dai Giudei. Ciò che costi­ tuisce la peculiarità dellafacies giudaica, e in pari tempo si pone co­ me ÒÀ.ÀoTpLov agli Hellenes, infatti è TÒ VOflL(ELV Eva OEÒv flOVov, laddove in materia di osservanze religiose ci sarebbe una precisa comunanza di comportamenti4• Non potrebbe essere più efficacemen­ te espressa, dunque, con la denunzia dell' «estraneità)) della nozione giudaica del «dio uno solm), la percezione della propria identità «el­ lenica)) in materia religiosa. Né il discorso giulianeo si ferma a sotto­ lineare questo discrimine ma insiste sulla «differenza)) tra Giudei e cristiani in materia teologica, duramente rimproverando ai secondi di aver tradito il postulato mosaico sull 'unicità di Dio che, se per un verso nel suo esclusivismo si pone in contrasto con la posizione elle­ nica, per l ' altro - nel suo riferimento «nazionale)) («il dio solo)) è il dio proprio e protettore della Nazione ebraica) si presta ad essere in­ serito - sia pure attraverso un processo di metabasis eis allo genos in quella prospettiva a struttura piramidale e verticistica che Giuliano condivide con tante teologie del suo tempo, configurandosi - agli oc­ chi dell'osservatore esterno, in questo caso lo stesso Imperatore - co­ me uno dei tanti dèi nazionali e funzionali che sottostanno al potere del dio primo e inaccessibile e ai quali è affidato il governo dei popoGali/aeos fr. 72 (Cirillo. c.Jul. 9, 305 D], ed. Masaracchia 1990, 166 s.; 275 s. !bi: > in senso antologico, che smentisce a suo parere il dogma mosaico del «dio solo», a cui tuttavia i suoi avversari si appellano. Nelle parole di Cirillo, che riassume la posizione giulianea, questa nozione rappresenta una contraddizione dell 'opinione di Giudei ed Elleni («gli uni servono un solo dio, gli altri dicono invece che [gli dèi] sono molti»), perché la fede cristiana «non ammette molti dèi, né uno solo secondo la legge, ma ne riconosce tre invece di uno»6. Se in questa formula traspare il riferimento alla nozione trinita­ ria, più spesso nell' argomentazione del Contra Galilaeos appare l ' accusa anti-cristiana di proclamare un «secondo dio»7, connessa a quella di tradimento nei confronti dello stesso giudaismo che rap­ presenta per Giuliano un male minore. Di fatto, se i cristiani non avessero abbandonato le credenze degli Ebrei avrebbero adorato «Un solo dio invece di molti, non un uomo o piuttosto molti uomini sven­ turati»B In questa affermazione emerge chiara, nell'evidente distor­ sione polemica della posizione degli avversari, la percezione della distanza di quest'ultima da quella giudaica che postula, in maniera rigorosamente esclusivista, la venerazione di un «dio unico»9. Il credo cristiano postula di fatto l ' iscrizione, ali' interno della natura divina, di un dio-uomo che, agli occhi del polemista, implica l ' am­ missione di una «pluralità», qui moltiplicata ad libitum con l' impli­ cito ma chiaro riferimento a quel culto dei «martiri» e dei «santi» che nel cristianesimo del IV secolo presentava ormai un solido impianto e un 'ampia fioritura. In prospettiva storico-religiosa la posizione giulianea, al di là del suo preciso significato e condizionamento storico-culturale, può essere assunta come un indicatore efficace della diversità dei due «monoteismi», giudaico e cristiano che, pur nella precisa continuità storica e nelle analogie profonde sotto molti e decisivi profili, pre­ sentano identità specifiche e non assimilabili fra di loro. In pari tempo, la definizione della nozione del «dio uno solo» come estranea all ' Hellenismos non può essere prova più eloquente - nella sua pecu5 Cfr. fr. 18-2 1 Masaracchia 1 990, 1 07- 1 1 4, 253-255. 6 Fr. 73 Masaracchia 1990, 1 67, 276.

7 Fr. 62, 64, 67 Masaracchia 1 990. Fr. 47 Masaracchia 1990. 14 1 , 225. 9 Alla costante insistenza sull'unico dio dei Giudei (fr. 58, 62, 64) tuttavia talora si affian­ ca la visione di un dio circondato da «molti suoi figli», gli angeli (fr. 67). 8

8

Introduzione

liare consistenza «ernica)) - dell'esigenza primaria della ricerca com­ parativa alla differenziazione dei contesti storico-culturali, nel mo­ mento stesso in cui ne percepisce le analogie più o meno profonde. Di fatto, l'istanza fondamentale ispiratrice delle indagini che costi­ tuiscono materia di questo volume è stata quella di analizzare alcune direttrici della storia religiosa del mondo tardo-antico per verificare la pertinenza e l'utilità di alcune categorie classificatorie radicate ormai da secoli nella disciplina storico-religiosa. In particolare, a par­ tire dagli ultimi decenni del secolo scorso, si sono riproposte con vivacità all'attenzione degli studiosi nel dibattito scientifico le cate­ gorie di «monoteismo)) e di «politeismo)), entrambe dalla storia lunga e complessa che una singola ricerca monografica non potrebbe mai sperare non certo di esaurire ma neppure di evocare con sufficiente base documentaria e adeguate argomentazioni. Tuttavia, poiché en­ trambe le categorie classificatorie sono attualmente oggetto di una radicale rivisitazione proprio in rapporto alla storia religiosa di quel periodo storico, in cui si è compiuto - con esiti decisivi per tutta la cultura occidentale - il confronto e lo scontro fra le antiche tradizio­ ni religiose dei popoli dell'oikoumene mediterranea fondate sull'am­ missione di un articolato orizzonte di potenze divine, oggetto di culto da parte degli individui e delle comunità, cui per lunga consuetudine si attribuisce la definizione di «politeismo)), e il messaggio cristiano, radicato nella tradizione giudaica cui - a partire dall'«invenzione)) del termine stesso nel XVII sec. - si attribuisce quella di «monotei­ smm), è indispensabile prendere posizione in questo dibattito nel momento stesso in cui si procede a un'analisi di alcuni fenomeni reli­ giosi peculiari di tale contesto storico-culturale. Il problema dell'uso delle due categorie classificatorie e del rap­ porto storico e tipologico tra i fenomeni che esse intendono coprire, non è certo nuovo ma anzi è uno tra i più antichi e centrali della disci­ plina fin dalle sue prime elaborazioni scientificheJO, connesso a quelIO A titolo puramente esemplificativo, e per rimanere nell'ambito della tradizione italiana di storia delle religioni, basti menzionare i saggi ben noti di Pettazzoni ( 1922, 1923, 1930, 1945- 1946, 1956, 1957 e 1967) che si inseriscono con originalità nel dibattito internazionale del tempo, che chiamava in causa, con il problema dell'«evoluzione>> della cultura, anche quel­ lo dell'origine e dello sviluppo delle forme religiose. Alle > articolata nell'alternati­ va tra monoteismo e politeismo. 1 4 Una risposta sostanzialmente asseverativa all'interrogativo l [2002], 1 88- 1 92). 16 Le monothéisme: diversité, exclusivisme ou dialof?ue?!Monotheism: Diversity, Exclu­

Purtroppo, il ritardo nella pubblicazione degli Atti relativi ha impedito alla comunità scientifica di confrontarsi con i risultati di tale incontro. Si veda comunque il rendi­ conto dei lavori e la pubblicazione degli Abstracts delle conferenze in 6 (2002). 344. La stampa dell'opera (cfr. Guittard 20 IO) è avvenuta nel corso della revisione delle bozze di questo volume. sivism or Dialogue?

12

Introduzione

Cuore di Milano (L"'Uno" e i "molti". Rappresentazioni del divino nella Tarda Antichità. 9 dicembre 2003)11. Infine, il Congresso svol­ tosi a Exeter ( 17-20 luglio 2006), riprendendo sostanzialmente la titolatura del Seminario oxfordiano (Pagan Monotheism in the Ro­ man Empire [Jst-4th Cent. AD]), sembra chiudere - per il momento­ il cerchio aperto nel 1996 accettando in larga misura - nel progetto teorico enunciato chiaramente nel suo programma e nelle linee tema­ tiche proposte agli intervenuti - le premesse metodologiche e gli indirizzi interpretativi formulati in occasione di quel Seminario ts . Pur apprezzando i contributi e gli stimoli alla ricerca sulla storia religiosa del mondo mediterraneo antico e tardo-antico costituiti dai saggi intesi a dimostrare l' esistenza ampia e pervasiva di un «pagan Monotheism in Late Antiquity», in occasione del Congresso parigi­ no t9, del Seminario milanesezo e successivamente nel contesto del sesto Congresso della EASR svoltosi a Bucarest2t, ho avuto modo di esprimere il mio dissenso sulla legittimità dell' uso della categoria classificatoria di «monoteismo)) per circoscrivere e definire le nume­ rose e varie teologie in questione, più spesso espressione di formula­ zioni ideologiche, ossia di filosofie, che non di posizioni religiose, ossia di contesti comunitari di credenze e di pratiche cultuali. La densità e vastità del tema rendono impossibile una trattazione sistematica delle due categorie classificatorie, che dovrebbe essere fondata su un' indagine il più possibile ampia se non esaustiva dei fenomeni storici situabili a vario titolo in esse, i quali travalicano i confini geografici e cronologici del contesto storico-culturale in og­ getto. Quest'ultimo - nonostante l ' attenzione preminente degli stu­ diosi che hanno formulato il progetto in discussione sia focalizzata 17 Gli Atti sono stati pubblicati nella rivista [ASR]8 (2003), 97-1 95. 1s Gli Atti della Conferenza di Exeter sono stati pubblicati nel giugno 20 1 0. Cfr. Sfameni Gasparro 20 IOb. Mi è gradito ringraziare qui gli organizzatori deli' incontro scientifico, Proff. Stephen Mitchell e Peter van Nuffelen, per avermi offerto la possibilità di contribuire a questi Atti, nonostante non mi sia stato possibile partecipare ai lavori della Conferenza. Il cap. VI di questo volume riflette i risultati della ricerca avviata in tale occasione, solo parzialmente rece­ piti nel testo pubblicato negli Atti congressuali. 19 Dio unico e «monarchia» divina: polemica e dialogo tra pagani e cristiani (Il-V sec. d.C.), negli Atti del Congresso di Parigi. Una versione, profondamente elaborata di tale contri­

buto costituisce il cap. 111 di questo volume. 20 Sfameni Gasparro 2003, ora in questo volume, con numerose aggiunte e modifiche (cap. IV). Per una corretta impostazione del problema si veda anche Ce rutti 2003, 2006 e 2007.

2 1 Comparing in Order to Distinguish: Was Everyone «Monotheist» in the Religious Hi.çt­

ory of the Ancient Mediterranean World?, Keynote in 61h EASR Conference on "Religious Hist­

ory of Europe and Asia", Bucharest, 20-23 September 2006 (non destinato alla pubblicazione).

Introduzione

13

sull' «antichità tardiva)) - è costituito dali'oikoumene mediterranea considerata nell' arco storico che dal VII-VI sec. a.C. giunge al v sec. d.C. Più precisamente, l ' interesse è rivolto alla tradizione filosofica e religiosa greca e ai suoi esiti in età tardo-antica, con aperture verso ambiti di un cristianesimo marginale quale è espresso nella «tradi­ zione gnostica))22 e di un giudaismo anch'esso di periferia e di diffi­ cile definizione sotto il profilo ideologico e dell'identità storica, quale si percepisce attraverso alcuni culti locali del «dio Altissimo)) (theos Hypsistos)23. I contributi che intendono illustrare il tema pro­ posto e fondare su base documentaria l 'assunto di un «monoteismo pagano)) vanno dall' esame delle posizioni dei filosofi presocratici, situate sullo sfondo delle culture vicino-orientali e intepretate come proiettate «Towards Monotheism)) se non come vere e proprie for­ mulazioni monoteistiche24, alle diverse forme di «filosofie pagane nella tarda antichità)), tutte peraltro appiattite - dal platonismo all'a­ ristotelismo, dallo stoicismozs all'epicureismo- sul parametro dato26, fino all ' universo speculativo, fondamento della mistica teurgica del platonismo giamblicheo e procliano, espresso negli Oracoli caldai­ ci21. A questa linea di marca fondamentalmente speculativa anche se impregnata di profonde istanze religiose, assunta come terreno di verifica della formula interpretativa proposta, si aggrega l'ambito gnostico, il quale peraltro è esaminato esclusivamente sotto il profilo dell'ideologia piuttosto che sotto quello, in esso decisivo, di espe­ rienza esistenziale e religiosa, a forte carica soteriologica. La dimen22

Dillon 1999. Mitchell 1999. 24 West 1999. Sulle valenze religiose delle filosofie greche, dai presocratici allo stoicismo, rimangono valide le analisi di Babut 1974, di cui si veda anche un dettagliato saggio su Anassimandro (Babut 1972). Più ampiamente si rimanda alla densa monografia di Pépin 197 1. Argomentazioni pertinenti anche in Grant 1986. Non reputo corrette, sotto il profilo della defi­ nizione categoriale, le analisi dei fenomeni esaminati e le conclusioni di Ramnoux 1984. 25 Senza poter entrare nel merito della specifica consistenza di ciascuna delle posizioni filosofiche evocate, mi limito a notare la densa prospettiva immanentistica dello stoicismo, nel quadro di una teologia francamente «monistica>>, ossia di una concezione che, nell' affermazio­ ne di un principio divino pervasivo del Tutto (il Logos), configura una tipologia ben distinta da quella dei >. Tali termini alternativi sarebbero quelli di «gentile>> (È9vLKO, che in tutta la tradizione antica di lingua greca, sia sia cristiana, definisce l'identità religiosa di quanti non rientrano nella linea biblica, giudaica e cristiana, e appunto quelli di politeismo e idolatria (5 ss.). 32 Come è noto, nella terminologia dei cristiani di lingua greca fu piuttosto la designazio­ ne di Hellenes ad essere usata per definire quanti rimanevano inseriti nel solco delle religioni tradizionali, e quella di hellenismos per caratterizzare, quale complesso organico ed omogeneo, queste ultime. 33 Mario Vittorino, Comm. Gal. Il, 3 e IV, 3, dove appare l' equivalenza graecu.1· id e.\"1 paga­ nus. Si veda in proposito la discussione di Chuvin 2002 e già O' Donnel 1 977. Dopo la detta­ gliata analisi, con assai ampia se non esaustiva documentazione, di Zeiller 1917, cfr. anche Morhrmann 1952, Bickel 1954, Chuvin 1990, 15- 17.

16

Introduzione

1 0) di Tertulliano, addotto come prova della sua antichità34, è piutto­ sto conferma dell'uso tradizionale romano dipaganus come «civile», in quanto contrapposto a miles35. Tale terminologia finirà per impor­ si nel linguaggio comune occidentale come denominazione globale e totalizzante di quanti non partecipano della fede monoteistica giudai­ ca, cristiana e più tardi anche islamica. La definizione di «politeismo» per designare le tradizioni religio­ se del mondo antico si deve ad un autore del XVI sec., Jean Bodin, che sembra averla proposta per la prima volta in uno scritto del 1 58036; tuttavia i l termine si radica in un uso antico, attestato già in Filone Alessandrino che denomina rroÀu8Eos il «veneratore dei molti dèi» in opposizione ai Giudei che riconoscono un solo Dio37, e usa l'ag­ gettivo per caratterizzare la doxa che ammette una pluralità di esseri divinPs, ovvero parla di rroÀv8E'ia per indicare l'orizzonte religioso delle Nazioni39, I termini, cui si aggiungerà poi quello di rroÀv8EOTTJ, sono adottati dai cristiani a partire dal n sec. d.C. per definire lo sce­ nario religioso ricco di presenze divine degli avversari40. Ma nello stesso periodo anche Luciano presenta sarcasticamente uno Zeus sgomento dinanzi ad una rroÀv8EwTciTT] . . . ÈKKÀT]a(a, in cui si affol-

34

Athanassiadi-Frede 1 999, Introduzione, 4 n. 4.

35 Tertulliano, De corona Il , IO in cui, dopo aver argomentato sull' identità cristiana, che

rimane tale in ogni condizione, l'autore conclude: «Apud hunc (ossia dinanzi a Cristo) tam miles est paganus fidelis quam paganus est miles fidelis>> . L'espressione citata come tertullia­ nea dai due studiosi nel luogo menzionato ( «deorum falsorum multorumque cultores paganos vocamus>>) e quindi come attestazione antica dell'uso del termine, è piuttosto, se non mi ingan­ no, dedotta dalle Retractationes di Agostino che recitano (Il, 43, l ): «deorum falsorum multo­ rumque cultores, quos usitato nomine paganos vocamus>> . Lo stesso lpponense usa la forma­ zione paganismus (de diversis quaestionibus, 83, 83) e il suo interlocutore Longiniano si dichiara, con un certo orgoglio, homo paganus, riaffermando il proprio diritto al mantenimen­ to delle credenze e all'osservanza dei culti tradizionali, pur nel quadro di una complessa strut­ tura >; Quis rer. div. her. 1 69; de dee. 65; de viri. 2 1 4; d e pr aem. e t poen., de exsecr. 1 62; Quaest. in Ex. Il, fr.2. Cfr. anche de conf /ing. 42 e 1 44; Ebr . IlO: TÒ rroÀu9Eov genera l' a quella del divino, confermandola struttura pe­ culiare della prospettiva religiosa greca, è attestata da una fonte auto­ revole anche se, nella documentazione residua, isolata quale è Eschilo. Egli di fatto definisce E8pa TTOÀu9Éwv l' altare presso cui si erano rifugiate nella loro condizione di supplici le Danaidi, nell'o­ monima tragedia (Suppl. 423 s.). Ne risulta che il riconoscimento della molteplicità delle presenze divine attive nello scenario cosmico e umano era esprimibile per un greco attraverso una specifica forma­ zione linguistica che appare dunque priva, in quanto tale, di qualsia­ si connotazione di tipo valutativo, limitandosi a registrare un dato obiettivo, strutturalmente costitutivo dell'orizzonte religioso dei Greci e di tutti i popoli dell' oikoumene mediterranea portatori di tra­ dizioni nazionali di analoga consistenza. Ciò emerge con tutta evi­ denza da una ricerca puntuale come quella di G. François che, nel percorrere «la letteratura greca da Omero a Platone», dimostra su ricca base documentaria proprio la percezione costante all ' interno di quel contesto culturale di un divino strutturalmente fondato sulla plu­ ralità e operante attraverso la molteplicità delle sue manifestazioni. Infatti, salvo alcuni rari casi, l 'alternanza di singolare e plurale nella designazione del referente sovrumano (divino o demonico) nei sin­ goli autori non permette di distinguere la nozione di un «uno» a fron­ te dei «molti» ma al contrario rivela una peculiare forma mentis che «pensa» il divino in termini di una pluralità di figure e funzioni42. Lo storico delle religioni , pertanto, pur consapevole dei condizio­ namenti culturali e dell ' uso talora influenzato da opzioni filosofiche o francamente teologiche che nel corso della stessa ricerca scientifi­ ca è stato fatto del termine politeismo43, non sente alcuna necessità di abbandonare una categoria definitoria ormai fortemente radicata nel­ l'esperienza degli studiosi della disciplina, oggetto di importanti in­ dagini ispirate da una corretta metodologia comparativa. Esse hanno infatti individuato alcune connotazioni distintive di una serie di feno-

4 1 Jup. trag. 14.

François 1957. OsservaziÒni importanti sulla strutturale dialettica fra la nozione della fondamentale unità del divino e quella di una polifunzionale molteplicità di dèi nel politeismo greco in Rudhardt 1966 e, in specifico rapporto al discorso mitico, in Rudhardt 1980. Cfr. anche Vemant 1966 e 1974, Grant 1986, Detienne 1 988, 1 989, 1997 e, in particolare per la comples­ sa prospettiva platonica, gli studi editi a cura di Laurent 2003. 43 Cfr. Sabbatucci 1998, in particolare, per la storia del problema, vol. l, 9-19. 42

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Introduzione

meni storici che, pur nella peculiare e irriducibile fisionomia di even­ ti culturali specifici, presentano degli aspetti fortemente analoghi che permettono di situarli in una tipologia omogenea, quella appunto dei politeismi come formazioni religiose tipiche delle alte culture, con­ templanti una molteplicità più o meno articolata di esseri sovrumani caratterizzati da attributi e funzioni particolari44. Di fatto, ciò che caratterizza un orizzonte politeistico non è soltanto né primariamen­ te il motivo della molteplicità delle presènze divine ma soprattutto il riconoscimento di ciascuna di esse come dotata di un fascio coerente di attributi che, implicando in primo luogo il suo carattere personali­ stico e funzionale, può essere espresso nella formula del pantheon di tipo dinastico-dipartimentale. Con tale formula si intende definire un quadro religioso che contempla un organico complesso di divinità, legate - almeno le principali - da rapporti di parentela illustrati a livello mitico spesso secondo schemi genealogici e di alleanze matri­ moniali, e dotate ciascuna di prerogative connesse al funzionamento di particolari ambiti della vita cosmica e umana. Questa formula, utile a caratterizzare in primo luogo la formazio­ ne storica greca, risulta tuttavia adatta anche alla definizione di com­ plessi religiosi analoghi sia nelle diverse cu lture del mondo antico sia nelle più varie culture del passato e del presente. Pertanto, la catego­ ria definitoria di politeismo, libera da qualsiasi giudizio di valore, può essere legittimamente usata con tutta la duttilità necessaria alla con­ creta indagine storica, quale strumento scientificamente adeguato alla definizione di specifici contesti religiosi che presentino aspetti analo­ ghi sotto il profilo delle caratteristiche sopra evocate e di numerose altre, pertinenti alle modalità cultuali e ad altri aspetti de li' orizzonte religioso che ora non è possibile evocare in dettagl io. Soprattutto, la categoria classificatoria in questione non si pone come alternativa unica e necessaria a quella di «monoteismo», essendo anzi - come si è accennato - applicabile soltanto a contesti religiosi molto specifici relativi a culture altamente specializzate (le cosiddette «alte culture») e, ad esempio, non riferibile alle molteplici e differenziate credenze religiose, con le relative pratiche rituali, delle popolazioni prive di scrittura (o etnologiche) che pure contemplano una grande varietà di «potenze>> sovrumane.

44 Pettazzoni 1946; Brelich 1960 (ora in tr. it. in Id. 2002 e 2007) e 1 963; Bianchi 1970, 87-9 1 . Brevi ma perspicue osservazioni in Werblowski 1987.

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Non è possibile in questa sede discutere su una sufficiente base documentaria intorno ad un' altra «categoria>> classificatoria spesso utilizzata nella storiografia religiosa, soprattutto in relazione al mon­ do antico e tardo-antico, quale è quella di «enoteismo». Mi limito a rimandare alle analisi, sostanzialmente condivisibili, di Versnel45, che distingue tre accezioni possibili della nozione di «enoteismo», ossia quella di esaltazione cultuale di un dio al di sopra di tutti gli altri, dei quali peraltro non si nega né l'esistenza né il diritto ad una venerazione, di reductio ad unum di molte divinità ovvero di assun­ zione da parte di una singola divinità delle prerogative di molte altre. Egli nota che secondo F. Stolz46, il termine è stato coniato da Max Miiller «in order to indicate the momentaneous and selective ador­ ation of one god as a result of a mystic experience». Soprattutto opportuna mi pare l'osservazione del Versnel che i termini, special­ mente quelli di coniazione moderna, hanno poca importanza in sé, ma tuttavia in questo caso essi presentano delle sfumature di signi­ ficato non trascurabili: «They disclose a shift in religious attitudes of the Hellenistic and Imperia! periods which, although not strictly monotheistic and non necessarily a praeparatio to the adoption of monotheism, are among the most striking of ali antiquity».

Egli infatti correttamente sottolinea che «the term "henotheism" is a modern fonnation constructed on the acclam­ ation EÌS 6 8EOS', "one is (the) god". This cheer can be found endlessly repeated in inscriptions, papyri, engraved in rings and amulets - pre­ eminently, though by no means exclusively in the context of Sarapis - and in literary texts. Nor is it absent from Christian literature. As we shall have ampie occasion to observe, the acclamation does not (necessarily) entail monotheistic notions ("there is no other god except this god") although this connotation may creep in from time to time. lt denotes a personal devotion 45 Cfr. soprattutto Versnel 1990. Si vedrà utilmente la più recente disamina del tema eno­ teistico, con osservazioni puntuali e metodologicamente corrette e con adeguato aggiornamen­ to bibliografico, da parte dello stesso studioso (Versnel 2000). Sulla formulaEiS" o 8EOS" è d'ob­ bligo ricordare il ricco repe'rtorio offerto dalla monografia di Peterson 1926. Si veda anche Di Segni 1994. Un'altra formula tipica esprimente l'esaltazione di una figura divina in direzione è quella che recita [.!Éya [.!Éya TÒv ovo[.ta To u 8Eou, attestata epigraficamente con buona frequenza. Cfr. Robert 1955. Una densa esemplificazione delle molteplici valenze religiose degli appellativi divini in Belayche-Brulé et ali i 2005. 46 Grund�iige der Religionswissenscha.ft. Gottingen 1988, 83. Cfr. Versnel 1990. 35 n. I II.

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to one god ("there is no other god like this god") without involving rejection or neglect of other gods» (loc. cit.).

La ricerca storico-religiosa, in quanto intesa alla costruzione di una disciplina scientifica con un proprio statuto epistemologico, rico­ nosce l ' utilità di formulare delle tipologie, non certo di carattere nor­ mativa, imposte come un a priori dell'indagine, ma piuttosto di carat­ tere descrittivo, a fondamento storico e definite a posteriori, sulla base dell'indagine positivo-induttiva. In altri termini, lo storico delle religioni, con un procedimento dialettico che muove dai fatti accerta­ ti e dalla loro interpretazione, su base comparativa, elabora delle tipo­ logie storiche come grandi categorie comprensive di fenomeni analo­ ghi, mai perfettamente identici, proprio perché prodotto di processi storici differenziati. Su questa base si possono costruire categorie classificatorie ampie, come quelle di «politeismo» e di «monotei­ smo>>, in cui situare quelli che si chiameranno i varii «politeismi» e «monoteismi» storici, ossia una serie più o meno vasta di fenomeni caratterizzati da qualificate analogie, relative a elementi distintivi e peculiari di essi. Un primo passo utile in questa direzione, ossia per la proposizio­ ne di una definizione operativa, non certo normativa o da Ideai-Ty­ pus, della categoria del «monoteismo» può essere proprio quello di prendere atto del contesto culturale in cui essa fu per la prima volta formulata, l ' oggetto o gli oggetti a cui si è inteso applicarla e ai quali si continua a riferirla, nonostante le successive prese di posizione sul tema, più o meno critiche, fino alle contemporanee numerose rifles­ sioni sul tema, metodologicamente e ideologicamente diversificate. Come è noto, l ' «invenzione» del termine, che non trova antecedenti nell'uso linguistico antico, ma che si configura come parallelo per contrasto a quello di «politeismo», già acclimatato nel linguaggio fi­ losofico e teologico del tempo, si situa nell'Inghilterra del XVII sec.47, neli'opera del filosofo e teologo H. More ( 1 6 1 4- 1 687) in cui è utiliz­ zata al fine di formulare una definizione differenziata delle varie po­ sizioni religiose4s. L'autore, appartenente al circolo dei platonici di 47 Nell'opera di Cudworth 1678, altro membro del circolo platonico di Cambridge e colle­ ga di H. More, si ha la prima menzione del tennine "theism" che nella prospettiva dell'autore definisce una categoria più ampia al cui interno situare monoteismo, politeismo e panteismo. Una breve ma perspicua sintesi del tema in MacDonald 2003, con relativa documentazione bibliografica, in specifico riferimento all'ebraismo ( 1 -58). Cfr. anche Schmidt 1988a, in parti· colare 26. 48 More 1660.

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Cambridge, nel distinguere diverse formulazioni della nozione del divino, elabora di fatto una sorta di «scala evolutiva)) dei fenomeni che intende analizzare, sul tipo di quelle che più tardi saranno propo­ ste dagli antropologi ottocenteschi e in genere dagli studiosi di ispi­ razione positivistico-evoluzionistica. In ogni caso è netta e dichiarata l'opzione filosofico-teologica intesa a individuare un «modellm) reli­ gioso conforme al criterio di verità, che l' autore identifica nel cristia­ nesimo, e quindi a enunciare giudizi di valore sui fenomeni in esame. Un primo tipo di concezione religiosa è quindi indicata nel politei­ smo/idolatria ed è giudicata come una forma di ateismo, così come espressione di un materialismo ateo è ritenuta la venerazione del sole, quale si presenta in molti contesti del mondo antico. Quindi l 'autore considera le posizioni intese a identificare il mondo con dio, quelle che, a partire dal secolo successivo, saranno definite «panteistiche))49. È significativo notare che a proposito di siffatte posizioni il filo­ sofo usa la definizione di «falso monoteismo)). Al di là del netto giu­ dizio di valore, teologicamente motivato, ne risulta la percezione e­ gualmente netta che il motivo dell 'unitarietà del divino non è criterio sufficiente per omologare posizioni del tipo in questione a quelle che a parere dello studioso realizzano la corretta nozione monoteistica. Queste sono le due tradizioni di matrice biblica, l 'ebraismo-giudai­ smo e il cristianesimo, sebbene la prima sia giudicata forma di «mo­ noteismo imperfetto)) in quanto caratterizzata da forme materiali di culto e soltanto la seconda sia ritenuta realizzare la forma «pura)) di «monoteismo)) , interamente spirituale. Si può riconoscere pertanto, con D. Sabbatucciso, che il teologo inglese, pur nella sua visione si­ stematica profondamente condizionata dai propri presupposti filoso­ fico-teologici, ha percepito in maniera abbastanza chiara la specifici­ tà dei contesti religiosi definibili a suo parere come monoteisti e in particolare del cristianesimo, in quanto diversi da quelli del mondo antico non soltanto per l 'opposizione tra l ' uno e molti ma anche e so­ prattutto per la diversa qualità del dio che essi rispettivamente conce­ piscono. Ciò infatti risulta dal rifiuto di riconoscere come «monotei­ stici)) il panteismo con la sua ammissione del dio-Tutto e le nozioni filosofiche di un supremo potere divino venerato dagli antichi popoli 49 I termini di > induce Hayman 1991 a negare la pertinenza di essa per definire la teologia dello stesso giudaismo tardivo. Sul significato del senso acuto della di

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processo opera costantemente una dialettica fra tendenze universali­ stiche, corollario della rigorosa affermazione dell' unicità di JHWH quale si definisce a partire dalla tradizione post-esilica, in particolare con il Deutero-Isaia53, e le forti connotazioni nazionali, nel quadro della teologia del Patto54 e dell' «elezione» di Israele. Esula natural­ mente dai limiti della problematica affrontata in questo lavoro l'ana­ lisi di tale vicenda storica, a proposito della quale - al di là di posi­ zioni estreme tendenti a fare risalire alta nel tempo la sua maturazio­ ne ovvero a spostame i limiti inferiori fino all 'età ellenistica - sussi­ ste un sostanziale accordo nell ' indicare nel periodo del Secondo Tempio e nella letteratura deuteronomicass il momento decisivo per la formulazione di un credo religioso fondato sulla nozione di un dio «solo e unico>> ad esclusione di ogni altro. Piuttosto, ai fini della valu­ tazione di alcune «teologie» maturate nel corso dei primi secoli del­ l'Impero all'interno delle culture tradizionali a struttura politeistica quale ho inteso perseguire in queste indagini, interessa prendere atto che esse convivevano ed eventualmente si confrontavano con il para­ metro giudaico ormai definito nella sua consistenza «monoteistica» e con quello cristiano che, nel suo radicamento in tale contesto, ne assumeva senza esitazione tutta la carica universalistica e, in nome di essa, conduceva una programmatica battaglia contro quei «molti dèi» che pure tali «teologie» intendevano recuperare all ' interno di una vi­ sione del divino insieme verticistica e orizzontalmente «espansiva». L' imperativo categorico alla · differenziazione, pur nelle ricono­ sciute «analogie» fra i monoteismi in questione si impone, come è ovvio, anche per il cristianesimo, con la sua articolazione intra-divi­ na di tipo trinitario, oggetto di un lungo e spesso drammatico dibattiJHWH tra il suo popolo nella tradizione biblica cfr. Levine 1968. Non è possibile entrare nel merito di quelle posizioni che, all'interno del giudaismo, in ambienti e tempi diversi, hanno svi­ luppato speculazioni su ipostasi divine o figure di tipo angelico, quale, ad esempio, quella del Metatron (cfr. Abrams 1994, Hurtado 1988, Davila 1999, Lietaert Peerbolte 2008), che talora sembrano configurare una sorta di > (cfr. Segai 1977), con eventuali esiti in senso eterodosso o francamente gnostico (Fossum 1985). 53 Tra una letteratura continuamente arricchita da nuove voci, basti segnalare Vogels 1976, Tate 1996, Clements 1996, Begg 1999 e Kaminsky-Stewart 2006 per un primo approccio al problema. 54 Questo tema, centrale in ogni analisi dellafacies biblica, è assunto da Geller 2000 come chiave interpretativa per distinguere, in maniera a mio avviso troppo radicale, le tre fondamen­ tali tradizioni che percorrono quella facies, ossia appunto , che sarebbero a loro volta espressione di tre , quasi tre forme differenti della divinità (ihi, 275). 55 Oltre l'ampia disamina di MacDonald 2003 si veda, ad esempio, Rofé 1985 e Schenker 1997.

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to teologico all'interno delle varie comunità, con particolare riguardo alla cristologia. Senza poter entrare nel merito di un problema di dimensioni complesse, ai nostri fini basti notare come la rivoluziona­ ria «novità» cristiana di un uomo-Dio (a qualsiasi titolo argomentata e storicamente modulata) fu sempre percepita e presentata nell'ambi­ to della Grande Chiesa come strutturalmente radicata sulla nozione biblica dell' unico Dio creatore e salvatores6. Solo un cenno è possibile in questa sede a un'altra tradizione fon­ damentale per la storia religiosa del mondo antico, la cui azione nel grande amalgama del primo e del secondo ellenismo, con i suoi ante­ cedenti di età arcaica e classica fu certo importante anche se difficil­ mente misurabile, e per la quale, sulla base dell'analisi comparativa, si pone la questione di una collocazione nella categoria dei «mono­ teismi»s7. Mi riferisco allo zoroastrismo che nel corso di una storia lunga e ricca di mutazioni, dalla formulazione «profetica>> delle Ga­ tha alle elaborazioni «teologiche» dei trattati pahlavici e medio-per­ siani, ha maturato l'esperienza religiosa di un dio sommo creatore, con tratti personalistici sufficientemente netti, attivo nella storia co­ smica e umana e fortemente ancorato ai valori etici della giustizia e della verità. In questo personaggio, l' «unicità» si compone con uno scenario di «presenze» che, dai «Benefici immortali» gathici si allar­ ga in età posteriore a inglobare antiche divinità indo-iraniche quali Mithra ed Anahita, ma in una nuova veste che li subordina funzional­ mente e antologicamente ad Ahura Mazda-Ohrmazd quali collabora­ tori del suo progetto di creazione, di mantenimento della vita e sal­ vezza delle creature. Soprattutto, a fronte di lui si pone quale «secon­ do principio», un'entità malefica e distruttrice di tutti i valori della vi­ ta cosmica e umana che, dallo Anhra Manyu delle Gatha allo Ahri­ man dell'Avesta recente e soprattutto dei trattati medio-persiani, inte­ gra uno scenario nettamente dualistico, per la sua precisa consisten­ za antologica e la capacità di intervento a livello creativo. Lo scena­ rio della tradizione zoroastriana, di cui sono stati evocati solo alcuni essenziali aspetti, utili ai fini della presente discussione, naturalmen­ te è estremamente complesso e storicamente differenziato. Qui ho proposto le grandi linee della sua ricostruzione «classica», quale 56 Di una letteratura assai vasta e di diversa impostazione metodologia, mi limito a segna­ lare, oltre Hurtado 1 988 e 2003, i saggi editi da Newman-Davila-Lewis 1999. Si veda oltre quanto argomentato nel cap. VI. 57 Utili osservazioni e notizie sulla storia degli studi in Herrenschmidt 1988 e Hultgard 2000.

Introduzione

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emerge da alcuni studi fondamentali che si situano in una lunga tra­ dizione interpretativa che attribuisce consistenza storica alla figura di Zoroastro/Zarathustra e ne sottolinea i caratteri di «profeta» se non di vero e proprio «fondatore»s s . Non è possibile discutere in questa sede la legittimità totale o parziale di quelle interpretazioni che invece rifiutano tale valutazione e tendono a dissolvere, in tutto o in larga parte, la consistenza storica di questa figura, proponendo diverse ricostruzioni della storia religiosa iranicas9. Anche il secondo approc­ cio esegetico, tuttavia, lascia aperto il problema della peculiare natu­ ra di questa storia religiosa e della definizione delle sue connotazio­ ni «monoteistiche» nel quadro di una visione dualistica60. Nonostante tutta la specificità irriducibile del quadro iranico, comunque, lo stori­ co delle religioni - nella percezione delle qualificate analogie che fondano la comparabilità di esso con i quadri monoteistici di matrice biblica - si pone il problema della legittimità di situare lo zoroastri­ smo all 'interno della medesima categoria classificatoria di quelli. Senza pregiudizio della soluzione positiva o negativa del problema, rimane il dato della duttilità di questa categoria medesima in quanto frutto di analisi storiche e non di definizioni a priori ma anche della sua specificità come tipologia pertinente a orizzonti religiosi fondati su una figura divina con peculiari connotazioni personali che, a tito­ lo di creatore della realtà e di efficace operatore all ' interno della sto­ ria cosmica e umana, sia pure talora con la collaborazione di figure subordinate e da lui antologicamente distinte, si rivela - attraverso mediatori umani - alle sue creature alle quali richiede l 'espressione di una scelta definitiva, gravida di connotazioni etiche e di conse­ guenze salvifiche, concretamente realizzata in un quadro comunita­ rio, con la relativa prassi cultuale. In relazione alla nostra problema­ tica, dunque, evitando schematismi preconcetti ma in pari tempo indebite confusioni tra realtà storiche diverse, è necessario fare un uso corretto delle categorie classificatorie che, pur sempre conven­ zionali, sono necessarie alla fondazione e all'elaborazione di un di­ scorso scientifico, rivolto ad analizzare e interpretare il suo oggetto sulla base della comparazione storica. 58 Cfr. Bianchi 1 958, Bausani 1 959, Zaehner 1 96 1 , Duchesne-Guillemin 1 962, Widengren 1965, Gnoli 1 980 e 2000, tutti partecipi dell'interpretazione tradizionale di Zarathustra quale figura storica, «profeta>> e > (IO 1-102).

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Capitolo primo

sto argomentativo, la conoscenza immediata, per diretta illuminazio­ ne divina, ricevuta dal Legislatore è distinta nettamente da quella razionale, tipica della tradizione filosofical5, che deduce la nozione del divino dalla contemplazione cosmica, risalendo dall'osservazione dei singoli fenomeni alla loro Causa prima: «l primi pensatori - afferma infatti Filone - ricercarono come noi abbiamo avuto cognizione del divino. In seguito, quelli che paiono essere i migliori filosofi dissero che noi ci siamo fatti una cognizione della Causa a partire dal cosmo, dalle sue parti e dalle proprietà ad esse inerenti... (si propone l 'e­ sempio della casa e del suo artefice e di ogni opera che rimanda al suo auto­ re: § 98 ) Allo stesso modo, se qualcuno facesse ingresso in questo cosmo, che è come una grandissima casa o città, e guardasse il cielo che avvolge tut­ t ' intorno e che contiene al suo interno ogni essere - i pianeti e le stelle fisse con i loro movimenti identici e costanti, ritmici e armonici e utili a tutte le realtà... - allora certamente ne concluderebbe che tutte queste cose sono state costituite non senza un'arte perfetta, e pure che esisteva ed esiste un Artefice di questo universo: cioè Dio. Coloro, dunque, che la pensano in tal modo colgono Dio attraverso la Sua "ombra", riconoscendo l 'Artefice dalle Sue opere» 1 6•

Questo motivo emerge con maggiore o minore evidenza dai numerosi contesti in cui Filone evoca la figura di Abramo come primo conoscitore e veneratore del Dio unico in rapporto alla sua peculiare identità di Caldeo. Tale rapporto, solitamente configurato in termini di tensione ovvero di radicale opposizione, talora presenta i tratti di una continuità o comunque di una progressione, nella quale appunto il motivo della rivelazione divina assolve la funzione decisi­ va di motore del passaggio dalla contemplazione del cosmo alla per­ cezione della causa unica della sua esistenza. Di fatto la posizione filoniana non risulta arroccata sul rifiuto e la condanna della scienza 1 5 Cfr. anche Posi. IV-VI 12-21 in cui, affermato l'assoluto dovere di conoscere e amare Dio, si argomenta sulla circostanza che nessuna creatura può comprendere Dio, se egli stesso non si rivela, data la sua assoluta trascendenza rispetto a ogni cosa creata (trad. Mazzarelli 1984, 317-

320): «Il sapiente è sempre bramoso di conoscere il Reggitore Supremo dell'universo: quando percorre il sentiero della scienza e della sapienza, incontra dapprima parole divine, presso le quali fa sosta e, avendo intenzione di proseguire, si ferma. Apeni gli occhi della mente, vede con più acutezza che si è accinto alla caccia di un oggetto difficile da catturare, che si tira sem­ pre indietro, si mantiene ben lontano, e previene gli inseguitori, frapponendo fra sé e loro un'in­ finita distanza» (§ 18). 1 6 Leg. Ali. III, 32.97-99, tr. Radice 1987, 192. Sulla nozione di una «rivelazione naturale>> attraverso la visione del mondo, ispiratrice del discorso di Paolo all'Aeropago cfr. Ganner 1955.

(Al 17,16-34),

Scienza caldea e Dio unico in Filone Alessandrino

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caldea quale esplorazione dei fenomeni fisici e specificamente dei moti astrali ovvero, più ampiamente, quale indagine scientifica dello scenario cosmico. Al contrario, se rimane ferma nella condanna del fatalismo astrologico, essa è orientata al riconoscimento del valore della realtà cosmica come tramite per giungere alla conoscenza di Dio in quanto suo creatore e provvidente sovrano. Il tema della contemplazione del mondo quale veicolo privilegia� to di percezione dell'attività divina è ben noto come espressione di un'antica e consolidata tradizione ellenica. Sarebbe superfluo qui ricordame il ruolo nell'orizzonte platonicol 7 e nell'ambito della scuo­ la stoica che nell'Inno a Zeus di Cleante ne offre una delle più anti­ che e v ivide manifestazioniis. La diffusione del tema e il suo profondo radicamento nella cultu­ ra e nella religiosità del mondo mediterraneo, fin dall'alta età elleni­ stica, può essere esemplificata da un caso apparentemente marginale rqa proprio per questo significativo, messo in luce, con la consueta perspicacia e sensibilità i nterpretativa, da P. Boyancé. Lo studioso infatti valorizza un breve frammento citato da Giovanni Lido nel De ostensis 16, in cui si delinea una singolare connessione fra la «theo­ ria degli astri>> e la «theosebeia del divino>> , secondo la dottrina attri­ buita ad un certo Fulvius. A parere di costui, infatti, «lo studio (o: l'osservazione/contemplazione) degli astri non sembra una ricerca estranea alla venerazione del divino; ma è ancora più facile scoprire mediante le opere medesime la provvidenza totalmente sapiente del Padre ineffabile di tutte le cose e merav igliarsi che l ' anima umana possa, guidata dal dio, riflettere ancora, per quanto è possibile, sulle cose celesti»I9. Questa affermazione ha indotto il Boyancé a identifi­ care nel Fulvius menzionato il celebre Fulvius Nobilior, console nel 189 e censore nel 179 a.C. La conclusione di Giovanni Lido, secon­ do cui l'autore citato avrebbe attinto la sua dottrina «negli scritti di 1 7 Basti evocare l ' immagine del Socrate di Senofonte che enuncia la nozione di un dio «che regola e conserva l 'universo ordinato>> visibile nelle sue opere ma non nella sua azione. Si men­ zionano poi dei che risultano essere gli elementi atmosferici o comunque

naturali. Memorabili lV, 3, 1 3- 1 4, ed. e tr. Santoni 1 989. Sul tema mi limito a ricordare qui il

saggio, tuttora fondamentale, di Festugière 1 950. 1 8 Testo in Powe1 1 925, 227-229 e, con un breve commento, in Chapot-Laurot 200 1 , G 80, 1 8 1 - 1 83. Si veda anche, con traduzione italiana, in Radice 1 998, 1 9992 , 236-239 e nella nuova

edizione commentata di Thom 2005. Di una ricca bibliografia basti qui menzionare i recenti interventi di Cassidy 1 997 e di Cambronne 1 998. Un 'esemplificazione del tema della contem­ plazione delle opere di Dio come mezzo della conoscenza di Lui, invisibile e inattingibile, attra­ verso le principali fonti, in Maguire 1 939, 1 54 s. 1 9 Boyancé 1 955a.

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Capitolo primo

Num a>> ha indotto lo studioso a collegare il personaggio con gli am­ bienti pitagorici romani. Non è necessario ripercorrere la dotta argo­ mentazione del Boyancé a dimostrazione della sua tesi, sostanzial­ mente convincente. Basti qui notare come questa notizia confermi la dialettica connessione percepita nei più diversi contesti storico-cultu­ ral i dell' oikoumene el lenistica tra l'esistenza di una somma divinità la cui trascendenza si esprime in termini di «indicibil ità» e la con­ templazione del cosmo, in particolare dei moti astrali, quale via aper­ ta all'uomo per attingere la conoscenza del suo governo provviden­ ziale e quindi prat icare la {}(oaÉ�ELa, ovvero la venerazione di essa. Il tema, come è noto, ricorre con significativa frequenza nella pro­ duzione filoniana, mostrando l'autore inserito a suo modo nel quadro di quella «religione cosmica» in cui gli studi magistrali di Fr. Cu­ mont2o e A.-J. Festugière2I hanno individuato una delle componenti più vitali e feconde della spiritualità tardo-antica. Il progresso dalla contemplazione della realtà cosmica alla rivela­ zione dell'esistenza divina è illustrato, ad esempio, nel trattato Sui premi e le punizioni attraverso l'esperienza ascetica esemplificata dalla figura di Giacobbe, gratificato della «visione di Dio». Dopo aver sperimentato tutti gli eventi umani e constatato l'oscurità ine­ rente alle realtà sensibili, egl i riceve la rivelazione «che il mondo intell igibile aveva una guida», la quale emanava da sé una luce che ne impediva la vista. Il personaggio, tuttavia «nonostante il torrente di fuoco che l 'inondava, persisteva nella sua straor­ dinaria attrazione per la contemplazione. Vedendo questo desiderio sincero e questa aspirazione, il Padre e salvatore si lasciò piegare, e rafforzando la penetrazione dello sguardo, non rifiutò la contemplazione di se stesso, per quanto una natura creata e mortale è capace di darsi ad essa. Essa non fa vedere ciò che è ma che è: infatti il primo oggetto, che è migliore del bene e anteriore alla Monade e più che l ' Uno, non potrebbe essere contemplato da nessun altro che lui stesso, poiché non spetta ad altri che a lui di com­ prendersi» 22.

Dopo aver ricordato varie opinioni espresse dai filosofi sull'esi­ stenza o meno di Dio, Filone dichiara: 20 Cumont 1 909, 1 909a e 1 935. Una storia del tema in Boyancé 1 962. Cfr. anche Nilsson 1 940 e 1 946. 21 Festugière 1 9493. Cfr. anche des Places 1 937; Boyancé 1936, 1 942, e 1 95 1 . Sulla > - assume un'identità distinta dal modello stoico, ma l ' intera categoria filoniana del «sapiente)) si definisce nella sua pecuè Padre e Creatore>> e della sua universale provvidenza. Si delinea pertanto un progresso linea­ re dalla thea della realtà visibile, interpretata razionalmente ossia divenuta oggetto di quella

(tpHva) che

Filone identifica appunto con la filosofia, alla percezione dell'e·

sistenza e attività del Dio unico.

25 /bi, 58,

ed. Beckaert

1 96 1 , 70

s. Per l ' opposizione saggio-sofista cfr. ibi,

24-25,

dove si

fa riferimento all'impostore (goes), che deifica gli oggetti inanimati, con implicita identifica­ zione del tipo con il . Tra i numerosi contesti, si veda anche de cher.

1 963, 20-23;

tr. Mazzarelli

1 984, 82-85.

4- 10 ed.

Gorez

Sul significato che il goes e il sophistes, spesso intesi

come equivalenti, assumono nella prospettiva filoniana, mi sia permesso ancora di rimandare a quanto osservato nel mio contributo già ricordato (n.

9),

relativo alle figure contrapposte, quali

vero profeta e falso indovino, di Mosé e Balaam. Nella recente monografia di B.W. Winter

( 1 997, 20022).

intesa a illustrare la posizione di e a dimo­

strare l'esistenza, all'epoca dei due autori, di una consistente presenza della «seconda Sofistica>> ad Alessandria e a Corinto, è del tutto trascurata la connessione stabilita da Filone tra il tipo del soplristes e l 'assertore della religione cosmica, in quanto politeista. Pur notando la presenza di un uso derogatorio della figura del nell'opera filoniana, l'autore non valuta i contenuti dottrinali che l ' A lessandrino frequentemente attribuisce alla posizione «sofi­ stica>> in opposizione alla corretta nozione del divino. Di fatto il Winter prende in considera­ zione soltanto l'accezione retorica del termine e della realtà socio-culturale che esso esprime, mutilando peraltro in tal modo la concezione filoniana di esso e dei suoi contenuti. 26 Winston 1 995 e 200 l . Cfr. anche Id., 1 990.

45

Scienza ca/dea e Dio unico in Filone Alessandrino

liarità per la distinzione - tal ora formal izzata come opposizione - tra la sapienza puramente umana dell'uomo che si affida ai suoi stru­ menti razionali per la conoscenza del cosmo, e quella «vera» del sag­ gio «conoscitore di Dio>>, attingibile soltanto attraverso il supporto della rivelazione e ali' interno di una precisa vicenda storica iniziata proprio dalla «mutazione» di Abramo e dal suo «trasferimento» dal piano delle realtà mondane e delle conoscenze astronomiche a quel­ lo del riconoscimento deli 'unico creatore. Una pagina del De opificio mundi esemplifica nella maniera più vivace la sincera apertura filoniana verso quelle forme di «misticismo astrale» che caratterizzano nel profondo la spiritualità contempora­ nea ma che nell'autore alessandrino si innestano sul fondamento del­ l ' ottimismo pro-cosmico d'ispirazione biblico-creazionistica. Dopo aver celebrato la creazione del cielo nel «principio», «in quanto è la migliore del le cose create ed è costituito dalla sostanza più pura» , l'autore sottolinea che per questo motivo esso è «destinato a divenire la dimora eccelsa degli dèi visibili e sensibili»27 ossia gli astri che in questo e numerosi altri contesti filoniani vengono esaltati come crea­ ture animate e intelligibili2B : «Poiché dunque il numero in questione (ossia il sette) fu giudicato degno di una posizione tanto privilegiata nell'ambito della natura, ne conseguì di necessità che il Creatore proprio nel quarto giorno desse un ordinamento al cielo e lo dotasse dell 'ornamento più bello e più divino che sono gli astri luminosi. Sapendo che la luce è la migliore delle cose portate all 'esistenza, Egli ne fece lo strumento della vista, che è il migliore dei sensi. Infatti ciò che l ' intelletto rappresenta all' anima, è rappresentato nel corpo dall'occhio: ambedue vedono, il primo le cose intelligibili, il secondo le sensibili. Ed hanno bisogno, l ' intelletto di scienza per conoscere le cose incorporee, l'oc­ chio di luce per percepire i corpi. La luce è stata fonte di molti altri beni per gli uomini, ma in particolare è stata fonte del bene più alto, la filosofia. La vista, attratta verso l'alto dalla luce, una volta contemplata la natura degli

27

Op. 27,

ed. Arnaldez

1 96 1 , 1 58

s.; tr. Kraus Reggiani

1 987, 52:

. Un denso com­ mento del trattato filoniano è proposto da Runia 200 1 . 28 Cfr. ibi, 53-6 1 , ed. Amaldez 1 96 1 , 1 74- 179; tr. Kraus Reggiani no utilmente le osservazioni di Runia

200 l , 1 97-2 10

1 987, 59-6 1 .

Si vedran­

che rimanda appunto alla come referente precipuo del discorso filoniano.

Capitolo primo astri e del loro moto armonioso [ . . . ] e osservate le danze cadenzate di tutti i corpi celesti, ritmate sulle leggi di una musica perfetta, riempiva l'anima di piacere e di gioia ineffabili. L'anima, nutrita di spettacoli ininterrotti, succe­ dentisi l 'uno all'altro senza soluzione di continuità, era posseduta da insa­ ziabile desiderio di contemplazione; poi, com'è sua propensione abituale, cercava d'indagare quale fosse l 'essenza di questi corpi visibili, se fossero ingenerati per natura o se invece avessero avuto un principio di nascimento e quale fosse il modo del loro movimento e quali le cause che determinano l 'economia dell 'universo. Dall'esame di tali problemi nacque la filosofia, il bene più perfetto che sia entrato nella vita umana. Con lo sguardo fisso su quell'esemplare di luce intelligibile, di cui si è parlato a proposito del mondo incorporeo, Dio creò gli astri sensibili, immagini divine di sublime bellezza, che furono da Lui collocate nel cielo quasi nel tempio più puro della sostanza corporea, a molti fini: in primo luogo per dare luce, in secon­ do luogo per fungere da segnali, in terzo luogo per fissare il momento delle diverse stagioni dell'anno e soprattutto per distinguere i giorni, i mesi e gli anni, che sono serviti da misura del tempo e hanno generato la natura del numero» (§§ 53-54).

Dopo aver illustrato la funzione del sole, preminente nel sistema astrale(§§ 56-57). Filone elabora il tema dell ' influsso degli astri sui fenomeni terrestri, insistendo peraltro sulla dimensione fisico-naturi­ stica di esso e sulla loro subordinazione al Creatore29: «Tanti e tanto vitali vantaggi portano la natura e i movimenti degli astri cele­ sti. E chissà a quante altre funzioni potrei dire che essi si estendono, celate a noi - perché non tutto è accessibile alla conoscenza umana - ma che cooperano alla conservazione dell'universo, funzioni che si adempiono dovunque e in ogni caso secondo norme e leggi che Dio ha fissato come inalterabili nel mondo»Jo.

L'autore alessandrino si abbandona quindi ad un'esaltazione della funzione educativa, essenziale per la v ita umana, della contemplazio­ ne dello scenario cosm ico in cui a consolidati temi scolasticiJI si ac­ compagna una sincera adesione intellettuale. 29

§§

58-60,

in cui si afferma la nozione degli astri quali «segni>> indicatori degli eventi

meteorologici e tisici.

30 § 6 1 . Sulla natura intelligibile dei corpi astrali si veda per tutti il § 73 ed. Arnaldez 1 96 1 , 1 8 8- 1 89; tr. Kraus Reggiani 1 987, 65: . 3 1 Cfr. Festugière 1 9493, 530-585 che peraltro privilegia in maniera eccessiva la compo-

Scienza ca/dea e Dio unico in Filone Alessandrino

47

«Si potrebbe indagare sulla causa per la quale l ' uomo tiene l' ultimo posto nella creazione del mondo, - afferma l 'autore - dato che il Creatore e Padre lo generò dopo tutti gli esseri, come attestano le sacre Scritture. Gli studio­ si più profondi della Legge, che hanno scavato minuziosamente nel loro significato più recondito, dicono che Dio avendo reso l ' uomo partecipe di ciò che più lo imparentava con Lui, ossia l ' uso della ragione, che di tutti i privilegi è il più alto, non fu avaro nel largirgli neppure gli altri, ma che volle fargli trovare pronto tutto nel mondo, come alla creatura vivente più affine a lui e più cara, desiderando che, una volta nato, non gli mancasse nessuna delle cose necessarie a vivere e a vivere bene. La prima di tali necessità la soddisfano la ricchezza e l'abbondanza di tutto ciò che serve a dare godi­ mento, la seconda la soddisfa la contemplazione dei fenomeni celesti, col­ pito dalla quale l ' intelletto concepì amore e desiderio di conoscere a fondo i fenomeni stessi. Da qui nacque la filosofia, grazie alla quale l ' uomo, per quanto sia mortale, acquista l'immortalità. Come coloro che offrono un ban­ chetto non chiamano gli invitati a mensa prima di aver preparato a puntino tutto ciò che serve per il pranzo, e come gli allestitori di gare ginniche o tea­ trali, prima di radunare gli spettatori nei teatri e negli stadi, predispongono l 'insieme degli atleti, degli spettacoli e delle audizioni, così anche la Guida dell'universo, allo stesso modo di chi allestisce una gara o imbandisce un banchetto, quand'era in procinto di chiamare l'uomo al godimento materia­ le e alla contemplazione, preordinò quanto era necessario a questi due fini, affinché egli, entrato nel mondo, trovasse subito pronti il simposio e il tea­ tro più sacro, l 'uno ricolmo di tutto ciò che l a terra, i fiumi, il mare e l ' aria forniscono per l 'uso e il godimento, l 'altro pieno di spettacoli di ogni gene­ re, che presentano le realtà più stupefacenti, le qualità più sorprendenti, i movimenti e le danze più meravigliosi, svolgentisi secondo adattamenti armoniosi, proporzioni numeriche e sincronia di rivoluzioni. In tutto questo si può dire senza errore che risiede la musica archetipa, vera ed esemplare; e fu ispirandosi a questa e imprimendosene nell'anima le immagini che gli uomini venuti dopo trasmisero l 'arte più vitale e benefica alla vita umana»32_

La peculiarità dellafacies filoniana si rivela intera, peraltro, nella percezione di un grave rischio insito nella «religione cosmica» , qua­ lora essa sia assunta a valore assoluto, come avviene nell'ambito nente tradizionale e «scolastica>> del discorso filoniano. Sul tema della «meraviglia» suscitata dalla bellezza del mondo cfr. tire dal

De philosophia

Fedro 247a.

Sulla prova cosmologica dell'esistenza di Dio, a par­

di Aristotele (fr. 1 2a- 1 2b, 1 3 ed. Zanatta 2008, 598-603) in cui pure si

percepisce la presenza di un orientamento religioso dell'istanza conoscitica (cfr. Sinnige 1 973),

Spec. l, 33-35. È significativo che il primo di questi passi de Praem. et Poen. 7, 4 1 -34 e de spec. Leg. 111, 34, 1 85- 1 94 sia consi­

si vedano anche Leg. Al/. 111, 97-99; filoniani, insieme con il

derato un'eco precisa delle argomentazioni aristoteliche sulla di­ scopre così la sua intrinseca ambivalenza e ambiguità, essendo aper­ ta verso le opposte direzioni del monoteismo e del politeismo, a seconda che accetti di essere la stazione preliminare di un itinerario verso quel la che Filone ritiene fermamente essere la sola verità, ossia il riconoscimento di un Dio unico quale è al centro della fede di Israele, ovvero si arroghi un'esistenza autonoma attribuendo al Tutto visibile e ai suoi elementi un'intrinseca qualità divina. Questa posizione emerge abbastanza chiaramente dalle battute iniziali del trattato filoniano Sulla creazione del mondo quando, secondo un uso ormai consolidato nella trattatistica filosofica, apre il suo discorso con un breve ma denso sommario delle dottrine, qui in particolare le concezioni cosmologiche, ritenute erronee, per opporvi la propria, corretta visione dell'origine e della natura del cosmo. Si tratta della nozione, centrale nel dibattito filosofico contemporaneo, del carattere eterno di esso ovvero di un suo inizio nel tempo33 . La prima delle due opzioni è decisamente rifiutata da Filone sulla base di un preciso postulato teologico: l'ammissione dell'eternità del cosmo ha come necessario corollario un forte deprezzamento della dignità divina. Ne risulta infatti una «inattività» di Dio e un'esalta­ zione della realtà cosmica come eterna e increata e quindi, a suo modo, «divinizzata»34. Mi pare dunque pienamente condivisibile l'o-

33 Sulle diverse posizioni nella tradizione (medio) platonica cfr. Dil lon esemplificazione delle fonti relative in Lilla

34

Op. 7-8,

ed. Amaldez

1 992.

1 96 1 , 146- 1 47; tr. Kraus

Reggiani 1 987, 52-53.

1 977.

Un'utile

Scienza caldea e Dio unico in Filone Alessandrino

49

pinione di D. Runia che, a commento del prologo del De opificio mundi, dichiara che «the opponents come closest to the views that he attributes elsewhere to the Caldeans. These thinkers represent a men­ tality rather then any particular Greek philosophy, i.e. the opinion that rejects God as creator and ruler of the cosmos))3s . La dialettica con­ nessione percepita da Filone fra un'erronea concezione della realtà fisica e la visione dei politeismi tradizionali, di cui partecipava tutta la tradizione filosofica greca, è egualmente sottolineata con buoni argomenti nel saggio di I. Miller che appunto nota come «Philo criti­ cized the idea of an eternai cosmos as the effect of the "wondering at" (thaumasantes) the world rather than is creator. This idolatrous rela­ tionship to the cosmos resulted from a theological misunderstanding of causatiom)36. Tra i numerosi contesti che elaborano con variazione di toni e ric­ chezza di argomentazioni il postulato fondamentale del duplice pos­ sibile orientamento della «religione cosmica)) si pongono innanzitut­ to i due trattati programmaticamente dedicati al l 'esegesi del raccon­ to biblico relativo alla vicenda di Abramo, il De migratione e il De Abrahamo, attorno ai quali è possibile aggregare tutta un'ampia serie di passi paralleli. Un brano dal primo trattato enuncia con estrema chiarezza i termini di una problematica che, per il suo stesso continuo ricorrere nel discorso filoniano, si rivela centrale e decisiva per l'A­ lessandrino. Essa infatti gli permette di definire la propria identità culturale e rel igiosa, intervenendo nel dibattito filosofico del suo tem­ po e confrontandosi con l 'espressione più tipica e generalizzata delle contemporanee posizioni teologiche e cosmologiche, ossia proprio quella «religione cosmica)) di cui intende definire natura e limiti. «Certamente nessuno che abbia una sia pur minima dimestichezza con le Leggi - dichiara - ignora che Abramo prima salì dalla terra di Caldea e poi abitò ad Haran (Gen 11,31). Ma in seguito, alla morte di suo padre, migrò anche da qui, sicché, complessivamente egli migrò da ben due luoghi. Che dire di ciò? I Caldei, più degli altri popoli, sembrano aver praticato l 'astro­ nomia e l 'arte di fare oroscopi, connettendo i fenomeni terrestri con quelli atmosferici e i fenomeni celesti con quelli che riguardano la superficie della terra. In tal modo hanno dimostrato attraverso rapporti musicali la perfetta armonia del tutto, in forza del (principio della) comunanza reciproca e della simpatia delle parti, le quali, se risultano separate dal punto di vista spazia35 Runia 200 l , Ili. Una nuova, perspicua ripresa del tema cosmosofico in Runia 2008.

36 M iller 2004.

50

Capitolo primo

le, non lo sono certo dal punto di vista dell'affinità sostanziale. Costoro hanno ipotizzato che il nostro mondo di fenomeni sia i l solo essere che è veramente, ossia che esso è Dio, oppure che in sé include Dio, (inteso) come l ' anima del tutto. E (per ciò stesso), avendo divinizzato il fato e la necessi­ tà, hanno riempito la vita umana di una molteplice empietà, insegnando che al di fuori dei fenomeni non c'è nulla, che non c'è alcuna causa, ma che sono i movimenti del sole, della luna e di tutti gli altri astri a dispensare a ciascu­ no degli esseri i beni e i loro opposti. Ora, sembra che Mosè abbia sotto­ scritto (la dottrina) della comunanza e della simpatia fra le parti dell'univer­ so, mostrando che il cosmo è uno e generato - e, infatti, è ragionevole pre­ sumere che se il cosmo è uno e generato, le sostanze primordiali stiano a fondamento di tutti quegli esseri la cui compiuta natura consta di parti, come capita per i corpi, che proprio nella loro connessione trovano unità -, ma che invece abbia preso le distanze dalla loro concezione di Dio. Né il cosmo, né l ' anima del mondo sono Dio in senso eminente; e neanche gli astri e i loro movimenti sono le cause originarie delle vicende umane, ma tutto questo, nella sua totalità, è tenuto insieme dalle Potenze invisibili che l'Artefice ha disteso dagli estremi lembi della terra fino ai confini del cielo, provvedendo saggiamente che esse restassero come legami indissolubili; ed, effettiva­ mente, le Potenze sono i legami saldissimi del tutto. Per questo, anche se in qualche passo della Legge si dice che "Dio è su nel cielo e giù sulla terra" (Dt 4,39), nessuno pensi che ciò sia detto in relazione alla natura del Suo essere - per natura l' essere contiene e non è contenuto; invece (ciò è affer­ mato) a proposito della Sua Potenza, mediante la quale Egli pose, determi­ nò e ordinò l'universo intero. In senso proprio questa è la Bontà, la quale, avendo allontanato da sé l'invidia, il principio nemico della virtù e del bene, ha generato le grazie, per mezzo delle quali essa ha dato alla luce, condu­ cendole all' essere, le cose che non sono. Tuttavia quell'Essere, che secondo l'opinione comune sembra trovarsi dovunque, non appare mai, in nessun modo, nella sua vera natura. Pertanto, esprime la pura verità quel passo della Scrittura in cui si dice: "Io sono qui". Io, che pur non posso essere mostra­ to e neppur visto, (sono qui) come fossi in mostra e visibile "prima di te" (Es 17 ,6), cioè prima di tutto il creato, trascendente rispetto a esso e per nulla immanente in alcuna delle realtà generate»37.

Il tema della trascendenza di Dio, dialetticamente connesso con quello della sua inconoscibilità, è nodo centrale della teologia filo­ niana e segno di un'organica confluenza in essa della linea biblica e di quella filosofica di marca platonica. Ad esemplificazione del tema,

37 Migr. 1 77- 1 83, tr. Radice 1 988, 394-397. Sulla dottrina delle Dynameis, uno dei centri vitali della visione teologica e cosmologica filoniana, si veda in ultimo il saggio di Termini

2000. Cfr. anche Decharneux 1 994.

Scienza ca/dea e Dio unico in Filone Alessandrino

51

che nello stile tipico dell'Alessandrino non assume mai le forme rigi­ de dell'assioma sistematico ma continuamente si rimodula in funzio­ ne del testo sacro commentato, basti ricordare fra tutte l'argomenta­ zione di Deus 60-62. Dopo aver sostenuto il carattere educativo e pro­ pedeutico del linguaggio antropomorfico biblico e criticato l'inter­ pretazione rozzamente letterale delle rappresentazioni di Dio nella Scrittura(§§ 5 1-59), l'autore conclude con una formula i n cui si per­ cepisce una velata polemica nei confronti di quella stessa «religione cosmica>> che, in una prospettiva immanentistica, identifica la divini­ tà con il cielo o il cosmo o comunque la ritiene pervasiva, a vario tito­ lo, di queste realtà materiali: «Un' affermazione molto importante che riguarda costoro molto da vicino (ossia quanti interpretano correttamente i testi sacri)38 - dichiara- si trova negli oracoli rivelati: "Dio non è come un uomo", ma neppure come il cielo, né come il mondo: queste, infatti, sono forme fatte in un certo modo, e ven­ gono a presentarsi alla nostra sensibilità, mentre Dio non è certo afferrabile neJ'pure dali 'intelletto, se non per quanto riguarda il Suo effettivo esistere. È la Sua esistenza, infatti, che noi comprendiamo, ma, al di fuori dell'esi­ stenza, nient' altro»J9.

Nel passo citato del trattato Sulla migrazione di Abramo, dopo aver ribadito con forza la condanna del fatalismo astrale, in cui per­ cepisce la conseguenza più deleteria della divinizzazione del mondo e dei corpi astrali nel loro porsi come causa unica degli eventi cosmi­ ci e umani, non solo nella loro dimensione fisica ma anche in quella etica, Filone riconosce tuttavi a la convergenza tra caldeismo e inse­ gnamento mosaico sul tema della aull>. Tr. Kraus Reggiani

1986, 3 1 4

s.

Scienza ca/dea e Dio unico in Filone Alessandrino

59

colui il quale dalla terra si erge verso l ' alto, che osserva le zone ultraterre­ ne, che si occupa dei fenomeni celesti e ne discute, indagando quale sia la grandezza del sole, quali i suoi movimenti, come esso regoli le stagioni del­ l ' anno avvicinandosi e allontanandosi con rivoluzioni di velocità sempre uguale; uno che studia le illuminazioni della luna, le sue fasi, il suo decre­ scere e il crescere, e così il moto degli altri astri, stelle fisse e pianeti. L'in­ dagine in tale campo è propria di un'anima non sprovvista di doti naturali né improduttiva, ma al contrario di un ' anima altamente dotata e capace di gene­ rare prodotti compiuti e perfetti. Perciò Mosè chiama l ' uomo che disserta delle cose celesti "padre": perché non è incapace di generare saggezza»54.

Venendo quindi al nuovo nome, Abraamo, conferito al patriarcass, l'autore continua: «Dunque, sulla scorta dei segni distintivi esaminati per primi veniva deli­ neato l 'amante dello studio, colui che discute dei fenomeni celesti; con quel­ li tracciati or ora viene presentato il filosofo o, per meglio dire, il saggio. Quindi non supporre più che la divinità conceda come una grazia il cambia­ mento dei nomi; ciò che concede è il miglioramento del carattere, indicato per simboli. Infatti colui che prima era immerso nello studio della natura del cielo e che alcuni denominano astronomo, Dio lo chiamò a partecipare della virtù, lo rese saggio e di saggio gli diede il nome, definendo questo modo di essere così trasformato "Abraam", come direbbero gli Ebrei, e "padre eletto del suono", come direbbero i Greci»56.

Dopo una serie di apostrofi intese retoricamente a mostrare la va­ nità della ricerca astronomica qualora non sia indirizzata al migl io­ ramento morale dell ' uomo e con riferimento alla classificazione classica delle varie discipline della paideia ellenica57, Filone ribadi54 Mut. 65-68, tr. Kraus 55 Mut. 69: «Questa è

Reggiani

1 986, 329

s.

l' interpretazione dei simboli contenuti nel nome di "Abramo".

Spiegheremo ora quale sia la simbologia connessa con il nome "Abraamo". Gli elementi erano tre: "padre", "eletto", "del suono". Diciamo che il suono si identifica con il linguaggio artico­ lato, perché negli esseri viventi l ' apparato vocale è un organo sonoro. Suo padre è l ' intelletto, poiché il fluire del discorso scaturisce dalla capacità intellettiva come da una sorgente. Eletto è l 'intelletto del saggio, perché contiene ciò che esiste di meglio>>. Tr. Kraus Reggiani

56 Mut. 70-7 1 , tr. 57 Mut. 72-75, tr.

Kraus Reggiani Kraus Reggiani

1 986, 3 3 1 s. 1 986, 333: >.

5 8 Mut. 76, tr. Kraus Reggiani 1 986, 332 s. 59 Leg. m , 83 -84, tr. Radice 1 987, 1 88.

61

Scienza caldea e Dio unico in Filone Alessandrino

Questo itinerario è esemplificato i n rapporto al legarne di Abramo con l a sposa, anch'essa soggetta ad un mutamento di nome , e con la concubina Agar: «Un ' altra è la donna a cui bisogna prestar fede, e questa si dà il caso che sia Sarra, la virtù sovrana. Infatti, il sapiente Abraamo le ubbidisce allorché gli indica ciò che deve fare. All' inizio, quando non era ancora divenuto perfet­ to e, quindi, prima di cambiar nome, egli cercava la sapienza nello studio delle realtà celesti. Ebbene Sarra, ben sapendo che Abramo non avrebbe potuto avere figli dalla virtù perfetta, gli consiglia di averne uno dalla serva (cioè dal ciclo dell'educazione propedeutica) che è Agar, il cui nome signi­ fica "soggiorno". In effetti, colui che si accinge a prendere stabile dimora nella virtù perfetta prima di avere diritto di cittadinanza in una tale città, "soggiorna" nelle discipline preliminari, per poter liberamente prendere, tra­ mite esse, lo slancio verso la perfetta virtù. In seguito, quando vede che Abramo è divenuto perfetto e ha acquisito la capacità di generare [ . . . ] Abra­ mo, anche se nutre riconoscenza verso quegli insegnamenti che gli han per­ messo di unirsi alla virtù e ritiene difficile l 'abbandonarli, tuttavia si lascia guidare dal i ' oracolo divino che gli ordina: "Qualsiasi cosa ti dica Sarra, ascolta la sua voce" (Gen 2 1 ,12)»60.

A conclusione delle sue argomentazioni, peraltro, Filone non tra­ scura di ricordare al lettore la superiorità di un diverso tipo di cono­ scenza, acquisibile solo per favore divino con un gratuito atto di rive­ lazione, che trascende ogni forma, pur correttamente orientata, di scienza legata all 'osservazione delle realtà cosrniche6t. Di questa conoscenza, che attinge direttamente l ' Increato, è tipo Mosè, ossia il personaggio biblico che occupa il posto più elevato nella scala dei valori religiosi dell ' Alessandrino62. Ancora più forte è l 'apprezzamento della dimensione caldaica, nella sua specifica accezione di studio appassionato dei fenomeni ce­ lesti nell 'altro trattato dedicato interamente al personaggio di Abra­ mo. Di lui si esalta la pietà e insieme l 'impegno nell'osservazione dei fenomeni naturali, «poiché colui che contempla l'ordine della natura e la costituzione, superiore a ogni descrizione, di cui gode l ' universo, apprende, senza che nessuno gli parli, a condurre una vita conforme 60

Leg.

m,

244-245,

tr. Radice

1 987, 228.

Cfr.

Congr. 79 e Q.G. Ili, 22. La 1 956, 273-28 1 .

cultura . La rivelazione è pertanto il necessario motore della svolta decisiva che la mente umana deve compiere in direzione deli' acquisizione 65 Jhi, 76-77.

ed. Gorez

1 966, 56

s.

64

Capitolo primo

della verità. Il cambiamento del nome del patriarca è ancora una volta indicato come il segno di questo mutamento: «"Abram" infatti si interpreta "padre che si eleva verso i fenomeni celesti", e "Abraham", "padre eletto del suono". Il primo nome mostra un uomo, nel­ la sua denominazione medesima, "capace di conoscere gli astri e i fenome­ ni celesti" e che si preoccupa delle credenze dei Caldei come un padre a­ vrebbe cura dei figli » .

Solo il secondo nome si adatta al vero saggio, poiché «a coloro che conoscono i fenomeni celesti, - ribadisce Filone - nulla sem­ bra assolutamente più grande dell ' universo, al quale attribuiscono le cause degli esseri del divenire. Ma il saggio che, con i suoi occhi più sicuri, vede qualcosa di più perfetto, qualche cosa d'intelligibile, che comanda e gover­ na, da cui tutto il resto è dominato e diretto, il saggio si è rivolto molti rim­ proveri riguardo alla sua vita passata, come a qualcuno che ha vissuto un'e­ sistenza cieca, poggiata sul sensibile, cosa naturalmente senza consistenza né stabilità»66.

A conclusione del suo discorso l'autore avverte il lettore di aver proposto una duplice interpretazione del testo biblico, letterale la prima in quanto riguardante l ' individuo-Abramo e allegorica la seconda. Secondo quest 'ultima infatti ha mostrato la condizione del­ l 'intelletto «che - ribadisce - non si è fatto ingannare negl i elementi sensibili credendo che l 'universo visibile è il Dio grandissimo e primo, ma che, grazie alla sua ragione, si è slanciato e ha contempla­ to l'altra natura, intelligibile, superiore alla visibile, e anche Colui che è creatore e capo di tutte e due ugualmente))67. L'esplicita menzione dell ' «inganno)) inerente a una ricerca che si rivolga interamente all 'osservazione dei fenomeni fisici, esemplifica­ ta nella scienza caldea in quanto rivolta allo studio del cielo e degli astri che di quei fenomeni sono l'espressione più alta e affascinante, conferma la cifra qualificante della posizione filoniana. Essa, di fatto, coniuga in maniera assai stretta - come si è detto - le varie forme di «religione cosmica)) con la tipica struttura politeistica delle tradizio­ ni delle Nazioni e per questa via le oppone al monoteismo giudaico. Al testo già citato del De virtutibus fa eco, amplificandone alcuni 66 /bi, 82-84, ed. Gorez 1 966, 56-59. 67 /bi, 88, ed. Gorez 1 966, 60 s.

Scienza ca/dea e Dio unico in Filone Alessandrino

65

argomenti, un passo del De decalogo che collega in maniera sostan­ ziale la divinizzazione degli elementi cosmici e degli astri in partico­ lare alla credenza politeistica e all ' idolatria, accomunate sotto il se­ gno dell'errore che si oppone alla corretta percezione della « monar­ chia divina>> . Dei primi cinque «oracoli>> della legge mosaica, ossia i primi cinque comandamenti divini, quelli iniziali riguardano la «mo­ narchia da cui è retto l'universm> e «le statue, le immagini e in gene­ re gli idoli modellati dalle mani dell'uomo>> . Sebbene Dio sia origine di tutte le cose, la maggior parte dell'umanità si è lasciata traviare dall'errore di divinizzare «alcuni i quattro elementi : la terra, l ' acqua, l'aria, il fuoco; altri il sole, la luna e altri le stelle erranti o fisse, altri ancora il cielo soltanto e altri l' universo intero>> . Ciò la indusse a misconoscere l'Essere che precede e sovrasta le entità naturali che Filone, sulla base dei princìpi fisicistici dell'esegesi stoica, viene subito a identificare con le divinità tradizionali del pantheon greco6s. Solo all'uomo che si è dato all'autentica ricerca filosofica e alla pietà, di cui è modello Mosè, Egli rivolge il comando «di non vedere in alcuna delle parti dell'Universo un dio autonomo>> . La nozione dell'assenza di «autocrazia>> negli elementi cosmici evoca i tanti luoghi in cui pure Filone riconosce a essi, e in partico­ lare agli astri, un potere più o meno efficace sul funzionamento e la direzione del mondo, sottolineando peraltro con forza la loro dipen­ denza dal sommo Dio. creatore69. Tra i tanti esempi basti ricordare nel De decalogo l'immagine del Grande Re e dei satrapi che Filone condivide con il De mundo ps. aristotelico7o e che appare tipica della letteratura tardo-antica di ispirazione cosmosofica. Essa intende defin ire il corretto rapporto tra i due piani, come da despotes a dou­ loi, che egli peraltro considera stravolto nella prospettiva di una «religione cosmica>> la quale attribuisca ai «luogotenenti» gli onori che spettano soltanto al sovrano, ossia divinizzi le creature trascu­ rando o ignorando totalmente «l'essere eterno e increato che, reg­ gendo le redini dell ' universo intero, ne dirige in maniera salutare la corsa e rimane invisibile» 11. 68 La terra sarebbe denominata , l'aria Hera, i l fuoco Hephestos, il sole Apollo, la luna Artemide, la stella del mattino Afrodite e l'astro splendente Herrnes. Tutte le altre denominazioni inventate dai mitografi avrebbero riferimento agli altri astri (Dee. 5 1 -57, ed. Nikiprowetszy 1 965, 66-7 1 ).

69 Cfr. Op. 27, 55-6 1

e 1 1 4; Spec.

1,

1 3 e 1 9.

70 Tra i numerosi interventi critici (cfr. infra, cap.

IV},

si ricorda ora soltanto quello di

Strohm 1 952. 71 Dee. 60-63, ed. Nikiprowetszy 1 965, 70-73. Il brano si conclude con l 'esortazione viva-

66

Capitolo primo

L'autore continua la sua requisitoria contra la doxa polytheos, ri­ badendo la condanna dell'astrolatria ma presentando come colpa più grave di essa tutte le manifestazioni dei culti tradizionali che, con­ centrandosi sul la venerazione di esseri rappresentati attraverso le o­ pere umane (statue, immagini dipinte), sarebbero una rozza espres­ sione idolatrica, rivolta esclusivamente a oggetti materiaJi72. L'ul­ timo, infimo grado di degradazione del sentimento religioso è indica­ to quindi nella venerazione che gli Egiziani rivolgono al le numerose specie animali, per concludere con l 'esortazione finale a sfuggire, se­ condo il comando biblico, a ogni forma di «divinizzazione)) (ÈK8Éw­ O LS') delle creature, per «onorare il Dio veramente esistente)). L'im­ perativo monoteistico si impone pertanto a fronte di tutte le espres­ sioni politeistiche che, in vario grado, partecipano dell 'errore «cal­ deo)). Questo infatti si pone come il primo e più pericoloso passo in direzione di un processo di divinizzazione dei molti a fronte del­ l ' Uno, degli esseri materiali e generati invece deli 'unico intelligibile e increato, dei servitori invece del sovrano universale. Nella visione filoniana, pertanto, pur nella presenza di forti analo­ gie con quelle forme di «misticismo cosmico)) e più specificamente astrale che caratterizzavano il clima intellettuale e religioso contem­ poraneo, domina decisamente il postulato monoteista di tipo biblico. Esso non implica soltanto il riconoscimento della trascendenza del sommo principio rispetto alla realtà cosmica, nozione su cui conve­ nivano tutte le teologie tardo-antiche di ispirazione non radicalmente immanentista o materialista. Infatti, in esse tale nozione di trascen­ denza si coniugava in varia misura con quella di una continuità strut­ turale dei livell i della realtà e di una compattezza sostanziale dei gradi dell'essere, tutti percorsi in diversa misura dal divino o dalla sua energeia. Ciò permetteva anche ai sistemi teologici filosofica­ mente fondati di recepire e rimodulare al loro interno le concezioni religiose tradizionali, recuperando le numerose figure dei pantheon tradizionali come espressioni delle dynameis divine e riconducendo­ le, all 'interno di una struttura graduata di tipo piramidale, al princice ad abbandonare questa ingannevole dottrina e a rifiutare adorazione agli ( §

64).

S i veda anche Lefi. 1 38- 1 39 per la polemica contro le

varie forme di «politeismo>>, assimilate ali' ateismo secondo una tipica formula filoniana. Cfr. Reynard 2002.

12 Jbi, 65-76 ed. Nikiprowetszy 1 965, 74-85. Sui topoi della critica giudaica dell'uso e della venerazione delle immagini da pane delle Nazioni si vedano Tromp 1 995 e Beentijes 1 995.

67

Scienza caldea e Dio unico in Filone Alessandrino

pio sommo. Quest'ultimo dunque si definiva trascendente per un verso ma per l ' altro fortemente pervasivo della realtà cosmica proprio attraverso le sue numerose manifestazioni di tipo funzionale . Il Dio biblico a cui si ancora la visione filoniana è al contrario una figura personale , che la qualità di creatore distacca radicalmente dal com­ plesso della creazione, nelle sue componenti visibili e invisibili, sic­ ché non è possibile accettare compromessi nella definizione dei ruoli rispettivi73. Ciò spiega il senso della profonda ambivalenza percepita dall 'autore alessandrino nella dedizione dell'uomo alla disciplina fisica, quale egli vedeva espressa nella scienza astrologico-caldea74. Senza attardarsi nella polemica anti-fatalistica, così centrale nel dibattito filosofico del suo tempo7S, che pure ha presente ma alla quale in questa trama argomentativa dedica soltanto poche osserva­ zioni76, egli insiste, senza timore di ripetersi, ad ogni occasione op­ portuna sul nodo centrale del problema. Esso è individuato nella du73 Per una discussione del problema delle tangenze e delle differenze fra .

Il Poliistore adduce poi un'opera anonima, secondo l a quale «Abramo si collegava con i Giganti; costoro, che abitavano in Babilonia, furono annientati dagli dèi a causa della loro empietà; ma uno d'essi, Bel, sfuggì alla morte, si stabilì a Babilonia e costruì una torre in cui visse; è da questo costruttore, Bel, che Belos ricevette il suo nome; quanto ad Abramo, una volta formato alla scienza degli astri, giunse prima in Fenicia e insegnò l'astrologia ai Fenici, dopo di che passò in Egitto>> sz .

Questo scritto anonimo sembra collegabile all 'opera dello ps. Eupolemo al quale si deve un'ampia trattazione della vicenda abra­ mica, in cui il tema delle conoscenze astrali del Patriarca assume un rilievo fondamentales3.

80

Praep. Ev. lX,

18, l ed. Schroeder-des Places 1 99 1 , 238-24 1 . Cfr. la presentazione criti­

ca dell'autore e la traduzione dei frammenti residui di Collins 1 985. Cfr. Denis 2000 , vol.

Il,

1 1 35- 1 146 e più ampiamente, sugli storici e autori di opere letterarie, 1 107 - 1 237. 8 1 Sulla rielaborazione del testo biblico da parte dell'autore e sulle sue finalità, intese a conferire al progenitore del popolo giudaico un ruolo importante nella storia culturale dei popo­ li del Mediterraneo si veda Gruen 1 998, 1 50- 1 5 1 . A fronte della communis opinio che ritiene Artapano un giudeo ellenista, a parere di Jacobsen 2006 non vi sarebbero ragioni cogenti per ritenerlo tale, trattandosi piuttosto di un autore pagano interessato alla storia giudaica. Tra i con­ tributi che accolgono l 'attribuzione tradizionale si vedano Koskenniemi 2002 e in ultimo Becker 2006. Cfr. anche lnowlocki 2004. 82 Eusebio, Praep. Ev. IX, 1 8, 2 ed. Schroeder-Des Places 1 99 1 , 240 s. 8J Eusebio, Praep. Ev. IX, 1 7, 1 -9 ed. Schroeder-Des Places 1 99 1 , 234-239. Si veda anche Doran 1 985a. Cfr. Denis 2000, vol.

Il,

1 1 54- 1 160; Wacholder 1 963. Contro la communis opi­

nio che distingue l ' autore di questo frammento dali'Eupo1emo autore giudeo-ellenistico di un'opera «Sui re di Giudea>>, R. Doran (loc. cit.; cfr. anche Id. 1 987, 270-274) ha inteso dimo­ strare che si tratta dello stesso personaggio. In tal senso anche Gruen 1 998, 1 46- 1 50.

70

Capitolo primo

«Nel suo libro sui Giudei d'Assiria, - riferisce infatti lo storico greco Eupolemo dice che la città di Babilonia fu fondata dagli scampati al Diluvio. Erano dei Giganti e costruirono la famosa torre. Poiché questa era caduta per l ' azione degli dèi, i Giganti si dispersero per tutta la terra. Alla decima gene­ razione - egli dice - nella città di Babilonia Camarina, che alcuni chiamano la città di Ouros (così si traduce i l nome della città caldea), ovvero nella tre­ dicesima (generazione) nacque Abraham, superiore a tutti per la nobiltà e la saggezza, che scoprì l 'astrologia e la tecnica caldea e, per il suo slancio verso la pietà, fu gradito a Dio. Egli venne, per ordine di Dio, ad abitare in Fenicia e, insegnando ai Fenici le rivoluzioni del sole e della luna e tutti gli altri fenomeni, fu gradito al loro re».

Abramo vi appare quindi come euretes della scienza astrologica e suo propagatore, prima in Fenicia e soltanto più tardi - come si dirà nel seguito della narrazione - comunicherà tale scienza in Egittos4. Senza alcuna tensione, tale scienza viene a coniugarsi con l ' eusebeia del personaggio che lo rende gradito a Dio. Egli riceve poi l'omaggio di Melchisedech, «sacerdote di Dio» e, secondo la falsariga del rac­ conto biblico, a causa di una carestia si reca in Egitto dove si svolge la nota vicenda di Sara e del faraone. Una vol ta chiarito l 'equivoco ­ continua il documento - Abramo continuò a risiedere in Egitto e «vivendo a Heliopolis con i sacerdoti egiziani, Abraham insegnò loro l ' a­ strologia e spiegò loro gli altri fenomeni, dicendo che erano i Babilonesi e lui stesso ad aver fatto queste scoperte ma che essi le facevano risalire ad Enoch; era costui che per primo aveva inventato l ' astrologia, e non gli Egiziani».

Nel contesto di una serie di identificazioni fra i personaggi della storia giudaica e quelli delle mitologie del Vicino Oriente e della Grecia, che appare la cifra di stintiva della storia elaborata dallo ps. Eupolemo, Enoch è identificato con Atlante e si ribadisce l ' origine delle conoscenze astrologiche da lui, che poi le avrebbe tramandate al suo popolo e allo stesso Abramoss. Quest'ultimo assume pertanto una fisionomia «internazionale» e, pur mantenendo il carattere origi­ nario di fondatore della nazione giudaica, alla luce di una profonda 84 Questa priorità riconosciuta ai Fenici nel possesso della conoscenza astrologica, insie­ me con altri indizi, ha indotto gli studiosi a concludere sull 'origine samaritana dello ps. Eupolemo. 85 Argomentazioni pertinenti sulla complessità di aspetti convergenti nella figura dell'anti­ co personaggio - titolare come è noto di un ricco ciclo letterario - in Nickelsburg 1 999.

Scienza ca/dea e Dio unico in Filone Alessandrino

71

rivisitazione della storia biblica, presenta i caratteri di u n vero e pro­ prio «eroe culturale» la cui funzione non è limitata a quella nazione ma si estende a tutti i popoli dell 'Oriente mediterraneo86. Se in queste fonti il possesso dell a scienza astrologica da parte di Abramo è addotto come un suo grande titolo di merito né si pone il problema del rapporto di tale prerogativa con l'identità del personag­ gio come fondatore della tradizione monoteistica giudaica, una certa tensione fra questi due aspetti della personalità del Patriarca si deli­ nea in un testo del giudaismo inter-testamentario che si pone quindi in un rapporto abbastanza coerente con la prospettiva filoniana. Mi riferisco al Libro dei Giubilei, in cui si delinea una comple ssa storia dell'idolatria, quale invenzione scaturente dalla condizione peccami­ nosa dell ' umanità, traviata dagli angeli malvagi, guidati da Ma­ stemas7. Si narra infatti che la costruzione della città di Era, nella re­ gione dei Caldei, è compiuta da Ur, figlio di Kesed, il quale le dà il suo nome. «E si fece delle statue di metallo; e coloro che si erano fatte statue di metal­ lo si prostravano agli idoli e cominciarono a far sculture e statue impure e gli spiriti maligni (li) aiutavano e l i traevano in inganno a che facessero pec­ cati e cose impure. E il principe Mastema, nel far tutto ciò, era potente e mandava, per mezzo degli spiriti - quelli che erano stati consegnati nelle sue mani - a far ogni delitto, peccato e ogni azione colpevole, a corrompere, a distruggere e a sparger sangue sulla terra. E, perciò, il nome di "Seruh" fu chiamato ( = mutato in) "Serug" perché tutti si erano girati a commettere ogni (specie di) peccato. E (Serug) crebbe e stette in Ur dei Caldei vicino al padre della madre di sua moglie e adorava gli idoli. E nel primo anno del quinto settennio del 36° giubileo prese in moglie Melka figlia di Keber, figlia del fratello di suo padre. E costei gli generò Nahor nel primo anno di quel settennio e (costui) crebbe e dimorò in Ur dei Caldei e il padre gli inse­ gnò la dottrina dei Caldei e a indovinare e trarre auspici dagli astri del cielo. E, nel primo anno del sesto settennio del 37° giubileo prese in moglie Iyask, figlia di Nesteg dei Caldei. E costei, nell'anno del settimo settennio di que­ sto (giubileo), gli generò Tara».

86

Tali le conclusioni, condivisibili, di Gruen 1 998 che parla di una «riscrittura creativa del­

l ' antico passato» da parte dello ps. Eupolemo e più ampiamente di tutti gli scrittori giudeo-elle­ nistici di del proprio popolo, inserite in maniera programmatica in un vasto contesto di «storia universale». 87 Giubilei Xl, 3-XII, 27 tr. di L. Fusella, in Sacchi 1 98 1 , 2 1 3-4 1 1 , in particolare il passo citato 27 1 -279.

72

Capitolo primo

Costui sposa Edna, figlia di Abramo, la quale genera Abramo dan­ dogli il nome paterno. In questa situazione, dominata dall 'idolatria e dalla divinazione astrologica caldaica, una profonda trasformazione sarà operata dal fanciullo che, «cominciò a conoscere gli errori della terra (e) in qual modo tutti erravano al seguito degli idoli e della i mpurità. Il padre gli insegnò la scrittura - egli (era) un fanciullo di due settenni - e si separò dal padre per non adorare, insieme con lui, gli idoli. E prese a pregare il Creatore di tutto affinché lo salvasse dagli errori dei figli degli uomini e la sua parte non cadesse nel­ l'errare al seguito della impurità e della malvagità».

Dopo un' impresa eccezionale compiuta da Abramo, con l ' impor­ re ai corvi inviati da Mastema di allontanarsi dal suo campo, egli diventa assai popolare («e il suo nome si fece grande in tutto il terri­ torio dei Caldei») e insegna a costruire un tipo particolare di aratro. In pari tempo prosegue la sua attività anti-idolatrica, con una dura cri­ tica della venerazione delle statue e l 'esortazione ad adorare «il Dio del cielo che manda la pioggia e la rugiada sulla terra e che, con la sua parola, ha creato ogni cosa e ogni via (procede) da Lui». Il padre, pur riconoscendo l 'errore idolatrico, manifesta timore dei suoi con­ cittadini e anche i fratelli di Abramo rifiutano di ascoltarlo. Dopo aver sposato Sara, Abramo di notte brucia il tempio degli idoli. Quindi, con l 'emigrazione fuori dalla terra caldea, avviene la piena rivelazione dell ' unico Dio: «Tara e i suoi figli usc irono da Ur dei Caldei per venire nella terra di Libano e in quella di Canaan e Abramo, insieme col padre Tara, si fermò ad Harran per due settenni. E nel quinto anno del sesto settennio Abramo si alzò di notte, al principio del settimo mese, e stette ad osservare le stelle, dalla sera all'alba, per vedere quali sarebbero i fatti dell'anno in riferimento alle piog­ ge, e stava ad osservare da solo. E nel suo animo venne una voce che dice­ va: "Tutti i segni delle stelle, del sole e della luna, tutto è nelle mani del Signore. Perché io sto ad investigare? Egli, se vuole fa piovere di sera e di mattina, e (solo) se vuole, fa scendere (la pioggia). Tutto è nelle sue mani". E, nella stessa notte, pregò e disse: "Dio mio, Dio eccelso ! Tu solo sei il mio Dio. Tu hai creato tutto e tutto quel che esiste è stato opera delle tue mani. Io ho scelto Te e la Tua divina maestà. Salvami dalle mani degli spiriti mal­ vagi che dominano nel pensiero della mente dell'uomo e che essi non mi facciano errare da dietro a Te, o mio Dio, e prepara me e i miei figli all'e­ ternità e (fa' sì) che noi non erriamo da oggi, nei secoli !"».

Scienza caldea e Dio unico in Filone Alessandrino

73

Quindi attraverso l 'angelo è inviata ad Abramo la parola divina che lo invita a uscire dalla sua terra con la promessa di una nuova terra e di una discendenza numerosa e prospera ( Gen 1 2, 1 -5). L'an­ gelo gli parla in ebraico «nella lingua della creazione», e Abramo riceve e studia i libri sacri dei suoi padri. Da questo racconto emergono alcuni temi che sono peculiari dello stesso Filone, quale la connessione fra l ' idolatria, che ha la sua origi­ ne nella Caldea, e la scienza astrologica tipica del paese. Abramo è il primo uomo a riconoscere l 'esistenza del Dio unico creatore: in pos­ sesso di conoscenze astronomico-meteorologiche ereditate dal padre caldeo, egli le ripudia per riconoscere I'onnipotenza dell' unico Dio. Egli presenta anche i tratti di "eroe culturale", in quanto primo cono­ scitore delle scritture sacre e della lingua ebraica. Si può segnalare che una preoccupazione analoga a quella dell'a­ nonimo autore del Libro dei Giubilei, di allontanare qualsiasi ombra di «caldeismo», in questo caso dall' immagine del popolo ebraico piuttosto che dal suo capostipite, il quale non è esplicitamente men­ zionato, si constata in un passo del III libro degli Oracoli sibilliniss. Nel tipico linguaggio apocalittico di questa complessa composizione letterariaB9, si proclama che «C 'è una città (felice) sulla terra: Ur dei Caldei, l dalla quale (viene) stirpe di uomini giustissimi, l che sempre han buona volontà e a cuore hanno le opere buone. l Ché non si curan del corso circolare del sole o della luna, né di prodigi sulla terra, l né della profondità del ceruleo mare Oceano, l né di presagi tratti da starnuti o degli uccelli/ di (cui si occupano) gli auguri, l Né d'indovini, maghi o incantatori, l né di frodi (che si celan ) nelle parole stol­ te dei ventriloqui, l né fan predizioni alla maniera dei caldei l Né studiano gli astri; ché fraudolento è tutto ciò/ che ogni giorno indagano (quegli) uomini stolti, l che non applicano l ' animo a nessun'altra opera utile; l erro­ ri hanno insegnato a uomini ignobili, l che sulla terra causa di molti mali sono ai mortali, l sì che smarrite hanno le buone vie e le opere giuste»90.

88 L'edizione critica fondamentale è quella di Geffcken 1 902. Traduzione inglese annotata di Collins 1 983. Una sintetica presentazione dello status quaestionis degli studi su questa rac­ colta oracolare giudeo-cristiana, notoriamente oggetto di una vasta letteratura scientifica, in

Collins 1 987. In ultimo si veda Suarez de la Torre 20022. Una traduzione italiana ora a cura di Monaca 2008. 89 Cfr. Sfameni Gasparro 1 999a, 2002, 2002a. 90

Or.

Sibyl.

III,

2 1 8-23 1 . Traduzione di L. Rosso Ubigli in Sacchi 1 999, 426-427.

Scienza caldea e Dio unico in Filone Alessandrino

75

«Per questo sorsero contro di lui i Caldei e altri popoli della Mesopotamia, ed egli pensò che fosse giusto emigrare secondo il volere e l'aiuto di Dio, e si stabilì nella terra di Canaan. Qui giunto, innalzò un altare e offrì sacrifici a Dio»93.

Giuseppe riferisce quindi la testimonianza di tre autori pagani che avrebbero dedicato notizie più o meno ampie alla vicenda di Abramo: «Beroso fa menzione del nostro padre Abramo, senza nominarlo, in questi termini: "Nella decima generazione dopo il diluvio vi fu, tra i Caldei, un uomo giusto e grande, espertissimo nelle cose celesti". Ecateo non si accon­ tentò di menzionarlo, ma fece qualcosa di più: lasciò infatti un libro scritto su di lui; e Nicola di Damasco nel libro quarto delle sue Storie, dice così: "Abramo regnò (in Damasco); era un invasore giunto con un esercito dalla terra al di là di Babilonia, detta terra dei Caldei. Dopo non molto tempo, emigrò col suo popolo anche da questa regione per la terra allora di Canaan e ora di Giuda, insieme alla numerosa sua discendenza; della cui storia trat­ terò in un altro libro. Il nome di Abramo ancora oggi è in onore nella regio­ ne di Damasco e si addita un borgo che si chiama 'Dimora di Abramo"'»94.

Lo storico conosce e accoglie anche la tradizione che voleva Abramo «maestro)) di scienza astronomica nei confronti dei sacerdo­ ti egiziani, riaffermando l'origine caldea della disciplina, di cui l'E­ gitto, che pure al suo tempo era uno dei più importanti centri di ela­ borazione delle dottrine e pratiche astrologiche, sarebbe stato debito­ re grazie al fondatore della nazione giudaica9s. Costui, peraltro, sa­ rebbe stato anche attento ascoltatore dell'insegnamento degli espo­ nenti delle diverse «scuole)) teologiche e, alla maniera di un filosofo dialettico96, ne avrebbe dimostrato le incongruenze e gli errori, evi-

93

/bi, 157. /bi, l, VII, 2 [158-160]). Suii 'Ecateo autore di un'opera su Abramo, da distinguere dal noto Ecateo di Abdera, si vedano Doran 1985 e Denis 2000, vol. 11, 1162-1172. Cfr. anche Bar­ Kochva 1996. Su Nicola di Damasco (60 a.C.-4 d.C.), autore di una Sloria universale in cui faceva posto anche al giudaismo, cfr. Denis 2000, vol. Il, 1183-1185. La figura di Beroso, auto­ re di Babyloniaka, (111 sec. a.C.) è ben nota. Basti ricordare la monografia ancora utile di Schnabel 1923. 95 A parere di Reed 2004 la storia di Abramo come portatore della scienza caldea in Egitto riflette un progetto apologetico di Giusepe F lavio, inteso a dimostrare - nella competizione fra Babilonia (cfr. Beroso) ed Egitto sulla priorità nell'invenzione dell'astrologia - la superiorità della nazione giudaica. Solo il fo ndatore di questa, infatti, nella sua qualità di , ne sarebbe stato il primo depos itario e quindi di conoscenza dalla Caldea ali 'Egitto. 96 Cfr. Feldmann 1968 e 1987. Tra i numerosi studi dedicati dal Feldman all'autore, si 94

Capitolo primo

76

dentemente a fronte della verità di cui era depositario. In pari tempo egli si faceva maestro nei loro confronti, trasmettendo il proprio patri­ monio scientifico, in cui un posto centrale è costituito appunto dalla scienza degli astri: «Vedendo che gli Egiziani erano abituati a una varietà di usi e che uno scre­ ditava le pratiche degli altri e di conseguenza tra loro vi era inimicizia, Abramo ascoltava i seguaci di ogni corrente, sentiva le argomentazioni che adducevano in favore di ogni corrente, ne dimostrava le insussistenze e la lontananza dal vero. Negli incontri con loro si attirava l'ammirazione di uomo sapientissimo, dotato non solo di ingegno acuto, ma anche di forza di persuasione atta a convincere gli ascoltatori: egli li introdusse nell'aritmeti­ ca e trasmise loro le leggi dell'astronomia. Prima dell'arrivo di Abramo, gli Egiziani erano ignoranti in queste scienze: è infatti dai Caldei che esse pas­ sarono in Egitto, e di qui giunsero ai Greci»97.

Da questo complesso documentario risulta l'esistenza di una con­ solidata tradizione, all'interno del giudaismo ellenistico, sulla figura di Abramo quale depositario e maestro della «scienza degli astri»9s. Senza potere analizzare ulteriormente le varie espressioni di siffatta tradizione99 - che pare rispecchiare anche interessi non marginali per

segnala in particolare, per il tema in esame, il volume 1998, 223-28-9. Non si può consentire con l'affermazione dello studioso, secondo cui lo storico avrebbe ritenuto che la «scoperta>> del monoteismo da parte di Abramo sarebbe una conseguenza dell'osservazione della dei moti astrali piuttosto che dell'ordine cosmico, come nelle altre fonti sul tema. Nel passo sopra citato, infatti, si parla dell'osservazione dei mutamenti dei fenomeni terreni e celesti, ma in pari tempo si sottolinea il moto rego lare (EÙTa�[a) degl i astri, che peraltro non trova fonda­ mento e ragione nella loro stessa natura ma postula un principio superiore, appunto l 'unico Dio. 97 /bi, l, VIli, 2 [166-168). 98 Una traccia di siffatta tradizione è percepibile, tra l 'altro, anche nelle Recognitiones pseudo-clementine. Abramo vi è presentato come esperto astrologo e il suo patrimonio di cono­ scenze è tuttav ia ritenuto quale avvio alla conoscenza del Dio unico. Nella generale corruzione dell'umanità, infatti, Abramo (Ree. l, 32, 1-4 tr. Schneider in Schneider-Cirillo 1999, 105). Come nella prospettiva filoniana, peraltro, questo processo razionale, fondato sulla contemplazione dell 'ordine cosmico, è stato sostenuto da una rivelazione divina che ha confe­ rito al patriarca la piena conoscenza del Creatore e gli ha mostrato il destino della sua stirpe. 99 Nella Apocalisse di Abramo slavonica, tuttav ia, mentre si elabora una stringente pole­ mica anti-idolatrica di cui sarebbe stato campione Abramo (§§ 1-7),è assente il tema delle sue conoscenze astrologiche. Un riflesso del rifiuto della è fo rse individuabile nell'elencazione degli elementi cosmici (fuoco, acqua, terra, sole, luna e stelle) riconosciuti anch'essi, come gli idoli costruiti dall'uomo, priv i di ogni facoltà e natura divina a fronte del­ l ' unico Dio creatore (§ 8). Testo in Sacchi 1999, 61-110. Cfr. Denis 2000, 201-212 e 212-225 (altre tradiz ioni su Abramo). Un'esegesi dell 'opera come diretta a confutare le concezioni giu­ daiche sul di Dio in Orlov 2008.

Scienza caldea e Dio unico in Filone Alessandrino

77

l'astrologia e l'astronomia presenti nel giudaismo alessandrino100 basti notare, a conferma della specificità della posizione filoniana, come l'autore implicitamente ne rifiuti il dato centrale, ossia la fissa­ zione della figura abramica nella dimensione di esperto conoscitore della scienza degli astri e suo propagatore nelle più importanti cultu­ re del suo tempo. Di contro a una tradizione che intende esaltare il fondatore dell'ebraismo per i suoi meriti di «eroe culturale)) , quale inventore o almeno maestro di quella disciplina che nell'ambiente contemporaneo aveva acquisito forza e autorità sempre maggiori fino a dominare larghi settori della vita quotidiana delle popolazioni e della riflessione filosofica delle classi colte, Filone propone una visione teologica che impone un radicale mutamento di segno a que­ sta prospettiva. Il vero merito di Abramo e la misura della sua eccel­ lenza intellettuale e morale non sono dati dal suo patrimonio di cono­ scenze fisico-astrologiche che pure gli viene riconosciuto, ma dalla decisiva metabasis eis allo genos operata dal patriarca nel supera­ mento di tale condizione per accedere a quella di veneratore dell'u­ nico, vero Dio. Aprendosi alla rivelazione che gli comunica il reale significato della realtà cosmica e umana, Abramo «fonda)) la novità monoteistica a fronte dell'errore politeistico radicato nella scienza caldea e condiviso, in forme sempre più degradate, da tutto il resto dell'umanità. Contestualmente egli rappresenta il modello di ogni uomo che compia il medesimo percorso e accetti di farsi «proselito)) , aderendo all'unica Nazione che custodisce gelosamente la vera cono­ scenza teologica ed è in grado di comunicarla a tutti i popoli.

È sco­

perto in questa operazione l'intento apologetico, nel suo significato più profondo e non banalmente utilitaristico, di celebrazione di un'i­ dentità etnico-culturale che trova la propria sanzione della dimensio­ ne religiosa proposta, in una dialettica di confronto polemico e di ricerca di composizione, all'intero spettro delle culture contempora­

nee le cui diversità apparivano parzialmente omogeneizzabili sotto il segno dell'ellenismo e del comune postulato politeistico.

IOO Charlesworth 1977 e 1987; Ness 1990.

CAPITOLO SECONDO

ORFEO «GIUDAICO» Il Testamento di Orfeo tra cosmosofia e monoteismo

Fermamente convinto che la filosofia, !ungi dall'essere una misti­ ficazione diabolica', «mediatrice di falsità e di malvagità», come volevano alcuni ambienti cristiani, è piuttosto «chiara immagine di verità, divino dono fatto ai Greci»2 e una delle «opere della divina provvidenza»), Clemente Alessandrino, in quelle «annotazioni» «che hanno preso corpo fra nozioni erudite» quali definisce i suoi

Stromateis4, si impegna a individuare nelle varie formulazioni dottri­ nali degli Elleni, cui riconosce il primato nell'indagine filosofica, quel nucleo di verità che, per essere tale, deve essere conforme alla fede cristianas. Questo postulato si fonda su due premesse ritenute

I Cfr. Strom. 1.1.18.1-3: dopo aver affermato che >JI. Atenagora peraltro non manca di rilevare la distanza fra questa nozione giudeo-cristiana degli intermediari angelici, creature dell' unico Dio, e quella politeistica che a suo parere implica per un verso la deificazione degli elementi naturali e per l'altro evemerismo e venerazione di entità demoniache32. Non si trascurerà di fatto la dif­ ferenza tipologica fra le due visioni, una volta che nelle teologie a struttura graduata si presuppone una omogeneità sostanziale del divi­ no, sia pure con diversi livelli, mentre nella prospettiva cristiana, come già in quella giudaica, gli angeli sono creature di un Dio per­ sonale, antologicamente distinte da lui oltre che subordinateJJ. Con poche eccezioni, quale ad esempio Taziano con il Discorso ai

Greci che programmaticamente respinge qualsiasi compromesso con gli av versari, gli apologeti cristiani misero in opera tutti questi stru­ menti per affermare la propria identità in un dosaggio variamente equilibrato di critica e rifiuto radicale della rroÀu8Eos 86ça, con tutto il suo bagaglio mitologico da una parte, e di recupero dei valori mora­ li e intellettuali dell'ellenismo dali' altra. In pari tempo viene mante­ nuto saldo l'ancoraggio al terreno biblico ebraico e a tutto il com­ plesso ideologico che lo stesso giudaismo ellenistico aveva a sua volta elaborato nel confronto-scontro con l'orizzonte socio-culturale delle Nazioni che, a partire dalla vicenda di Alessandro Magno, aveva attratto ormai in maniera irrevocabile nella sua orbita il popolo di Israele, nella sua duplice situazione di ethnos stanziato in una sua patria e soggetto al dominio straniero e di comunità della Diaspora conviventi nelle varie regioni del Mediterraneo con le popolazioni locali34. Jl /bi, 10.5. All'esposizione della visione giudeo-cristiana della crea zione divina e della sovrinten­ denza degli angeli su di essa segue infatti la confutazione del politeismo. Sul tema si vedano le più articolate argomentazioni svolte nei capp. 111 e VI. JJ Con riferimento alla posizione filoniana si veda Sfameni Gasparro 2004 e 2009c (= cap. 1). J4 Tra i numerosi titoli di una bibliografia ormai assai ampia, segnalo qui - per una intro ­ duzione al tema - soltanto Hengel 1976 e 1989, Bartlett 1985, Lieu-North-Rajak 1992, Fel­ dman 1993, Barclay 1996, 19982 e 200 l, Holladay 2003. J2

87

Orfeo ((giudaico»

Su questo sfondo, di cui possono essere ora evocate solo le coor­ dinate essenziali, si situa a mio avviso il problema dell'esistenza e del significato storico-religioso di un complesso documentario centrato sulla figura di Orfeo in quanto rivelatore di «Un solo signore immor­ tale del mondo (11-ovvov ... KOajl.oLo avaKTa àecivaTov)>>, come reci­ ta un verso (vs. 8) comune a tutte le versioni di quello che si suole denominare il Testamento di Orfeo.

È noto che questa denominazio­

ne ormai tradizionale si fonda sulla testimonianza di Teofilo che, pro­ prio nel proposito di confutare l'accusa corrente di novità mossa ai cristiani e alle loro scritture3s, elabora tutta la trama argomentativa sopra enunciata, ossia il rapporto strutturale del nuovo messaggio religioso con la tradizione profetica veterotestamentaria, più antica di tutte le altre tradizioni religiose, ivi compresa quella greca, e - in un'aspra confutazione delle credenze politeistiche - la nozione della dipendenza dei filosofi e dei poeti gr eci dalla rivelazione divina, per quella parte di verità contenuta nei loro scritti. Egli quindi per un verso esclama retoricamente: «< poeti Omero, Esiodo e Orfeo non dissero forse che erano stati istruiti essi stessi dalla divina provvidenza?»36. Per l'altro, con chiara intenzione pole­ mica, chiede: «A che cosa giovò a Omero aver scritto la guerra di Troia o aver ingannato molte persone? o a Esiodo stendere la teogonia di quelli che da lui sono chiamati dèi? o a Orfeo i 365 dèi che egli stesso, alla fine della

('OpÉa oi. TpLaKOaLoL Ét�KovTa rrÉvTE 9Eo(, ous- ainòs- Èrrl TÉÀEL Tou �(ou à9E­ TEL, Èv Ta'ls- �La9�KaL5' aÙTou ÀÉywv €va Elvm 9E6v;)»37. sua vita, rinnega dicendo nei Testamenti che esiste un solo Dio?

35 Ad Aut. 3.1. Rivolgendosi al suo interlocutore che ancora persiste nel ritenere > (tr. Burini 1986, 446). 36 /bi, 317: > .

Dio unico e «monarchia» divina

1 13

tori di quel «terribile ragionamento» che innova in maniera radicale la visione tradizionale del divino e la posizione, filosofica insieme e religiosa, di cui Proclo si sente legittimo erede e difensore. Si tratta dell'universale e diretta facoltà creatrice che i cristiani, sul fonda­ mento vetero-testamentario, riconoscono quale precipua connotazio­ ne del loro Dio unico: la sua trascendenza, di fatto, si compone con l'attributo dell'onnipotenza creatrice, qui configurata alla maniera genesiaca, senza mediazioni. L'autore platonico oppone a questa atti­ vità, di cui pure riconosce il fondamento ultimo nel Primo Dio, la tra­ scendenza assoluta di quest'ultimo, inteso come l'Uno, che esige una gerarchia graduata di intermediari la quale, nella visione procliana che moltiplica lo schema triadico delle ipostasi plotiniane, viene espressa nella formula citatal2. Essa è peculiare delle speculazioni neo-platoniche, anteriori e conternporaneeu. Essenziale - in questa prospettiva - è la distinzione, scalare insieme e organicamente corre­ lata, della «classe intelligibile» e di quella intellettiva degli dèi, quin­ di degli dèi ipercosmici ed intra-cosmici, quali entità costituenti la manifestazione ad extra del primo Principio. Sussiste infatti una omogeneità sostanziale tra quest'ultimo e le diverse categorie di theoi che da lui promanano, là dove il Dio creatore e vividamente persona­ le della prospettiva giudeo-cristiana dona l'esistenza ad esseri che, pur anch'essi distinti per grado e natura (gerarchie angeliche, uomi­ ni, animali ed elementi cosmici, esseri razionali e irrazionali, parteci­ pi i primi dell' «immagine di Dio» e dotati di immortalità), tuttavia per l'altro verso risultano profondamente omologhi fra di loro nella loro intrinseca qualità creaturale che li distanzia nettamente dalla per­ sona del Creatore. Un altro contesto procliano, nell'affermare la sacralità degli astri riconosciuti da tutti i popoli - già a detta di Platone - come esseri divini (Crat. 397c-d)14, contiene una chiara notazione anti-cristiana 12 Per un primo approccio alla teologia procliana basti rimandare a Trouillard 1972 e all'ampia introduzione di Reale ad alcune opere di Proclo (Reale-Faraggiana di Sarzana 1985,

V-CCXXIII).

13 Si ricorda la visione di Giuliano Imperatore del Bene, come assolutamente trascenden­ te, situato al di sopra del Demiurgo, secondo i denami platonici. Sul conflitto di Giuliano con il cristianesimo in nome dell'hellenism6s cfr. Malley 1978. Per la convergenza di interessi filo­ sofici e vivaci istanze religiose nella prospeniva giulianea si veda Smitb 1995. La monografia di Bouffartigue 1992 offre un onimo inquadramento storico della formazione culturale di Giuliano. Un breve ma utile approccio alla questione della in ambiente medio- e neoplatonico in O'Brien 1992. 14 Platone affermava che .

1 14 nel definire un' «audacia»

Capitolo terzo

(TOÀ.fla ) , estranea alla maniera di pensare

ellenica, la negazione del loro carattere divino. Proclo infatti com­ menta il testo platonico notando che «è proprio di uomini estranei al nostro mondo (ellenico) il non considerare come dèi né il sole né la luna, e di non adorare gli altri dèi del cielo che sono i nostri salvato­ ri e protettori, essi che guidano l'ascesa delle anime immortali e crea­ no e producono i corpi mortali. Se si obietta che è impossibile, poi­ ché si tratta di uomini, che siano del tutto estranei al nostro mondo, dirò la mia opinione: una tale audacia

(TOÀ.j.la) e una nozione così

contraria alla ragione, impudentemente opposta agli dèi celesti, è pro­ pria di anime che si precipitano nel tartaro stesso e nella regione del­ l'universo più priva di luce e ordine. Ebbene, questi individui riman­ gano nel luogo che la Giustizia (�LKTJ) ha loro assegnato» ts. Il rapporto vitale fra la struttura di tipo ideologico-speculativo del­ l'orizzonte procliano e la concreta esperienza religiosa, che si vuole profondamente radicata nella tradizione dei culti ancestrali ormai omogeneizzati sotto il segno dell' hellenismos, è espresso in termini vivaci nel passo citato del commento al Parmenide. Ancora con un tacito ma inequivocabile riferimento polemico al dominante clima religioso cristiano, la cui cifra precipua era senz'altro l'accanita de-

15Jn Crat. cxxv ed. Pasquali 1908, 74, 5-15; tr. Saffrey 1975, 557=1990, 205. Per un'a­ naloga visione cfr. Giuliano, C.Gal. fr. IO in Cirillo di Alessandria, c.Jul. Il, 43-44 ed. Bur­ guière-Évieux 1985, 292-295; ed. Masaracchia 1990, 97 s., tr. 250 s.: . Si afferma pertanto la necessità irrinunciabile della fra il sommo principio e gli esseri mortali, la quale implica la nozione di una struttura graduata del divino, contestuale alla struttura cosmica con i suoi diversi anche se correlati livelli.

Dio unico

e

«monarchia» divina

115

molizione delle pratiche cultuali rivolte agli dèi tradizionalii6, Proclo identifica «la confusione della pietà» nella negazione dell'intervento soccorrevole degli dèi, numerosi e funzionalmente connessi alle diverse sfere della vita cosmica e umana, nello scenario della vita quotidiana. Di fatto, nella prospettiva dei difensori dell'«antico dis­ corso di verità», da Celso, a Porfirio, lerocle, Giuliano fino allo stes­ so Proclo e a quanti altri dopo di lui ancora si impegnarono nella dis­ cussione e nella polemica anti-cristiana I?, sussiste una vitale connes­ sione tra il grande quadro ideologico costruito dalla sophia ellenica, nella varietà complessa delle sue espressioni, e la concreta realtà reli­ giosa rappresentata dai molteplici culti tradizionali. Tale connessione emerge vividamente già da una pagina di Plotino, di cui pure un episodio della Vita registrato da Porfirio sem­ brerebbe rivelare un certo disdegno verso le forme di culto tradizio­ naliiB. Essa di fatto offre un'esplicita conferma del radicamento strut­ turale che i rappresentanti dell'antica sophia ellenica intendevano mantenere sul terreno della visione «politeistica» del divino quale si rifletteva nelle osservanze religiose del palaios kai patrios logos. In polemica con i cristiani gnostici che frequentavano la sua «scuola»

16 L'azione legislativa imperiale e l'attivo intervento delle autorità ecclesiastiche, spesso sollecitate dagli ambienti monastici più intransigenti, convergevano efficacemente nella lotta contro le forti persistenze dei culti tradizionali e contro le vivaci resistenze degli ambienti colti. Tra i principali titoli di una letteratura ormai amplissima, mi limito a segnalare Momigliano 1963; Bames 1968 e 1984; Armstrong 1984; De Giovanni 1985, 20005; Athanassiadi 1993; Bradbury 1994; Consolino 1995; Gaudemet-Siniscalco-Falchi 2000; Mommsen-Rougét­ DeiMaire-Richard 2005 e, sulla tipologia della , Baslez 2007. Utili i vari con­ tributi al vol. Il, l (1990) della Rivista «Cristianesimo nella Storia» dedicato al tema. Mi sia permesso rinviare, per una più ampia documentazione, al saggio Sfameni Gasparro 2006. Maggiori dettagli sulla questione dell'«intolleranza religiosa» in Sfameni Gasparro 2008. 17 Per una ricostmzione di questa tradizione polemica e per l'ampio arco di !ematiche affrontate nel dibattito fra i due opposti fronti, oltre l'opera classica di De Labriolle 1934, segnalo soltanto i contributi di Courcelle 1958, I 959 e 1963, Wilken 1979 e 1984, Benko 1980, Thelamon 1981, Rokeah 1982, Hargis 1999. Una più recente rassegna delle posizioni degli «Ultimi pagani» in Chuvin 1990. Per gli esiti estremi del rapporto tra i due ambienti si veda anche Ando 1996 e MacMullen 1997. Tra i nodi più importanti del confronto, in primo piano emerge la questione del miracolo e delle reciproche accuse di magia. Su questo particolare aspetto del conflitto, dopo Remus 1980, 1982 e 1983, mi sia permesso rimandare ad alcuni miei contributi (Sfameni Gasparro 2000 e 2002b), in cui è offerta la relativa documentazione, e al saggio di Wypustek 2002. 18 Portirio di fatto ricorda come «Amelio era amante dei sacrifici e non tralasciava alcuna cerimonia della luna nuova e nessuna festa; un giorno volle condurre con sé Plotino, ma questi gli disse: "Devono essi venire a me, non io a loro"». L'autore registra anche la reazione di dub­ bio e sconcerto dei discepoli dinanzi a queste espressioni apparentemente orgogliose del Maestro: «Che cosa intendesse dire pronunciando queste parole così fiere, noi non potemmo comprendere e neppure osammo interrogarlo» (Vita Plot. IO).

Dio unico e «monarchia» divina

117

Semplificando al massimo i termini di questa prospettiva, si può affermare che nella storia del mondo antico e tardo-antico, salvo casi particolari di critica radicale delle tradizioni religiose ancestrali21, le élites intellettuali, di ogni estrazione filosofica, cercarono sempre una composizione più o meno coerente ed armonica fra i sistemi ideolo­ gici di cui erano portatori e le credenze e le usanze cultuali del pro­ prio ambiente socio-culturale. Tale composizione fu perseguita peral­ tro con maggiore consapevolezza e in forme programmatiche a parti­ re dalla seconda metà del II sec. d.C. Allora infatti la sempre più ampia diffusione del nuovo messaggio religioso cristiano e l 'attacco frontale mosso - non soltanto a livello di diretta propaganda perso­ nale ma anche di sistematica discussione in termini di letteratura apo­ logetica - nei confronti dell ' intero impianto religioso tradizionale, mostrarono la necessità di una giustificazione razionale di quest'ulti­ mo. In pari tempo si imponeva il bisogno di dimostrare il rapporto organico di tale facies religiosa con quelle conquiste del pensiero filosofico che gli stessi avversari cristiani riconoscevano come acqui­ sizioni fondamentali dell'identità culturale umana. Impossibile oltre che superfluo in questa sede sarebbe il tentativo di percorrere in dettaglio l'ampio arco storico e la varietà di posizio­ ni di cui i testi procliani citati sono come l 'ultimo, consapevole sboc­ co. Ai nostri fini, ossia per un'adeguata fondazione storica della riflessione scientifica sulla «categoria)) storico-religiosa di monotei­ smo, basterà evocare due «testimoni dell'accusa)) , tra i più qualifica­ ti, quali Celso e Porfirio. La visione del divino e dei suoi rapporti con l 'orizzonte umano formulata da Celso, il primo autore a noi noto di una sistematica confutazione della nozione giudaica e cristiana del Dio unico, lascia trasparire netti i connotati platonici22, nella misura in cui essa è ricostruibile attraverso l 'esposizione e la confutazione di Origene23.

21

Oltre la nota opera di Decharme 1904, cfr. Parker 1996, 199-217; Gamsey 1984; Brem­

mer 1994, 2002, 16 s. 22

Tra le numerose indagini sull' della tradizione platonica nei primi secoli

dell'Impero e fino alla tarda antichità, si segnalano Dorrie 1974 e 1975, Dillon 1982, Reale 1987 e più recentemente Brisson 1999. Per i rapporti, di affinità ma anche di contrasto, fra quel­ la tradizione e il cristianesimo mi limito a rimandare alle diverse posizioni di DOrrie 1971; Armstrong 1980 e De Vogel 1985, in particolare nell' edizione italiana del 1993 con una densa introduzione di Reale, 9-23 e il saggio di Peroli, 105-138. Cfr. anche Beatrice 199 1. 23

Per una rassegna degli studi relativi alla personalità e alla situazione storica di Celso,

oltre che alla natura della sua polemica anti-cristiana si veda Borret 1976. Tra gli interventi suc­ cessivi si ricordano Pichler 1980, su cui cfr. H. Crouzel in BLE 83 ( 1982), 220-222 e A. Le

1 18

Capitolo terzo

Un primo attacco è mosso alla concezione del Dio unico degli ebrei per la sua pretesa esclusività, contrapponendo ad essa quella del dio sommo delle diverse tradizioni religiose. A parere dell' autore, infatti, non è rilevante il nome con cui tale entità è denominata dal­ l 'uno o dall 'altro popolo, là dove i Giudei pretendono di conoscerne il vero nome24 e di essere gli unici depositari della sua rivelazione25. Nel successivo svolgimento dell'argomentazione Celso assimila per alcuni versi la nozione giudaica di un Dio «celeste» con la sua corte angelica e quella greca della divinità del KOO"j.los26, inteso questo come una totalità ma anche come una struttura gerarchica di entità connesse ai vari «dipartimenti» cosmici e deputate al loro funzionamento: «Anzitutto dunque è cagione di meraviglia, riguardo ai Giudei, che essi sebbene abbiano in venerazione il cielo e gli angeli che lo abitano, trascu­ rano invece le cose più venerande e potenti del cielo, cioè il sole, e la luna, e le altre stelle, sia quelle fisse che quelle erranti. Tutto ciò, come se fosse

Boulluec in REAug 18 (1982), 173 s., e Frede 1994 e 1997. Al di là delle profonde ragioni di incompatibilità e dissenso fra i due autori (cfr. Letocha 1980), su alcuni temi peraltro è perce­ pibile un'affinità di atteggiamento e di mentalità. Cfr. in proposito De Labriolle 1932, 1-44 e Miura-Stange 1926. Oltre l'edizione del Borret, con traduzione francese, basti menzionare la traduzione commentata di Chadwick 1965. Sulle modalità della risposta origeniana alle criti­ che di Celso cfr. Frede 1999. Una buona rassegna delle problematiche affrontate nel trattato del filosofo pagano e nella confutazione origeniana è offerta neli'opera collettiva curata da Perrone 1998.

24

CCels l,

24 ed. Borret 1967, 134-137; tr. Colonna 1 97 1,66: . 25

CCels l,

23 ed. Borret 1 967, 132 s.; tr. Colonna 1971, 65: . 26

Cfr. Giuliano,

C.Gal.

fr. Il in Cirillo di Alessandria, c.Jul. II, 50 ed. Burguière- Évieux

1985, 304-307; ed. e tr. Masaracchia 1990, 99 s., 251: . Che lo stesso Giuliano proponga un'analo­ ga assimilazione fra questa nozione, tipicamente ellenica, della divinità del cosmo, e la cre­ denza giudaica in un Dio celeste, peraltro, emerge dalle espressioni introduttive al brano cita­ to. >), 24 (.

Monoteismo pagano nella Antichità tardiva?

149

l'ordine cosmico, di cui gli astri sono i principali agenti (§§ 27-34). Il retore proclama quindi un «universalismo>> della nozione del divi­ no, a base insieme naturale e razionale, come principio ordinatore e provvidenziale del cosmo. Sebbene sussista la possibilità di errore da parte di poeti e legislatori che con il loro insegnamento influenzano le tradizioni religiose dei diversi popoli, queste rimangono tutte sostanzialmente ancorate alla comune nozione del divino. Pertanto, tutte le tradizioni mantengono la propria validità come espressioni di un'unica

TTEpl TOU oaqwv(ou 06ça6I.

L'Or. XLIII di Elio Aristide celebra Zeus come sovrano universale, definito secondo la nota formula ortica «il primo e l 'ultimo, archege­

tes di tutte le cose, nato da se stesso». Quale arche di tutta la realtà il sovrano olimpico assume i tratti di una divinità insieme trascendente e cosmica, demiurgo e fondatore dell'Universo. Da lui tutte le divini­ tà che sovrintendono ai vari dipartimenti cosmici derivano, traendo il loro potere dalla sua dynamis, quale un «effluvio»

(àTToppo�)62.

Un'ampia prospettiva cosmosofica emerge dal singolare inno alla somma divinità posto sotto il nome di Tiberiano, tramandato come traduzione latina di un testo platonico, sulla cui origine le opinioni divergono ma che comunque indubbiamente si colloca nella medesi­ ma prospettiva delle fonti citate63. L'autore si effonde in una lode del­ l'essere Omnipotens che coniuga in sé attributi di trascendenza e una profonda trama di rapporti con la totalità cosmica di cui domina e regola i ritmi vitali. A lui il fedele si rivolge in uno slancio di devo­ zione che culmina nella richiesta «gnostica» per l'ottenimento della conoscenza del grande Tutto di cui la divinità è centro propulsore e fondamento:

6I Per una perspicua presentazione del contesto storico-culturale in cui si svolse l'attività di Dione e dei tratti essenziali della sua personalità è assai utile Desideri 1978. 62 Traduzione di Behr 1981, 251-256. Sul significato della nozione di si vedano le argomentazioni di Alesse 2003. Sarebbe impossibile in questa sede presumere di offrire una sia pur minima nota bibliografica a illustrazione del movimento della Seconda sofi­ stica, nel quale rientrano Dione e Elio Aristide, attualmente oggetto di notevole interesse scien­ tifico. Mi limito a rimandare ad un saggio classico quale è quello di Bowersock 1969 e ai più recenti interventi di Anderson 1989 e 1993. Un breve esame comparato delle posizioni di Plutarco, Dione e Elio Aristide in Phillips 1957. 63 A parere di Agozzino 1972 il testo sarebbe stato composto per introdurre la traduzione del Timeo di Cicerone, mentre il Lewy 1946 lo collega piuttosto alla tradizione ortica tarda. Per una discussione del problema cfr. Mattiacci 1990. Edizione del testo e traduzione anche in Chapot-Laurot 200 l, 360-362.

150

Capitolo quarto

«Essere onnipotente, che la volta del cielo, antica di anni, guarda con rive­ renza, che, sempre uno sotto mille attributi (quem sub millenis semper vir­

tutibus unum), nessuno potrà misurare col numero e col tempo, sii ora invo­ cato, se con qualche nome conviene invocarti, con quel nome sconosciuto, di cui santo ti allieti, per cui trema la terra nella sua vastità, e le stelle vagan­ ti arrestano il loro rapido corso. Tu unico e insieme dai molti aspetti, tu primo e al tempo stesso ultimo, tu centro e insieme colui che sopravvive all'universo (Tu solus, tu multus item, tu primus et idem postremus medius­

que simul mundique superstes: nam sine fine tui labentia tempora finis). Giacché senza aver mai termine, conduci al suo termine il volger del tempo, mentre dalla tua altezza osservi, fin dali 'eternità, il crudele destino delle cose travolte nel turbinio di un ciclo immutabile, le vite immergersi nel tempo e il loro tornar di nuovo alle sfere superne, naturalmente perché all'u­ niverso sia restituito ciò che, attinto dalle varie sue parti, esso ha perduto, per poter tornare poi a fluire ancora attraverso le stagioni del tempo. Tu - se pur è lecito volgere a te la mente e cercare di cogliere il tuo santo aspetto con cui, infinito, cingi le stelle e insieme abbracci l'etere vasto- forse sotto bale­ nante aspetto dalle membra lampeggianti, sei luce che spande bagliori di fiamma, con cui facendo sfolgorare tutto, tu stesso tutto vedi e vinci la luce del nostro sole e del giorno. Tu sei l'intera stirpe degli dèi, tu la causa e la forza delle cose, tu la natura tutta, dio unico innumerabile, in te si manifesta il sesso nella sua totalità, grazie a te nacque un giorno questo universo che è esso stesso dio, questo universo che è dimora comune di uomini e dèi, splendente, scintillante del fiore sublime di giovinezza. Ti supplico, sii pro­ pizio alla mia preghiera e concedi alla mia brama di sapere in base a quale disegno è stato creato quest'universo, in che modo si è generato, come è stato fatto. Concedimi, o padre, di poter conoscere le cause prime delle cose, con quali legami hai sospeso, in tempi remoti, la cosmica mole, con quale lieve armonia e con quale principio uguale - diverso, tu, nella tua grandez­ za, hai contesto l'anima (del mondo), qualunque sia questa forza vitale che pervade i veloci corpi astrali»64.

Nell'intreccio inestricabile di trascendenza ed immanenza, la divi­ nità comunque si configura nello slancio devozionale come soggetto attivo nel rapporto con l'uomo, per la possibilità di impetrare da essa una comunicazione di saggezza che permetta a quest'ultimo di pene­ trare nel mistero delle leggi che regolano la vita cosmica. Una medesima composizione di tratti nella figura del «dio cosmi­ co» caratterizza la preghiera elevata da Firmico Materno ali'inizio del v libro della Mathesis, il manuale astrologico che intende presentar-

64 Tiberiano, Inno tv, ed. Mattiacci 1990, 58-59; tr. 66-67. Utili osservazioni nel dettaglia­ to commento, ibi, 157-199.

Monoteismo pagano nella Antichità tardiva?

151

si come il compendio dell'antica sapienza egiziana e ca1dea da cui l'umanità deve apprendere l'esistenza e il funzionamento delle leggi infrangibili del destino che regolano l'intera impalcatura cosmica6s_ Il dio innominabile, «unico governatore e signore di tutte le cose, uni­ co imperatore e sovrano (solus omnium gubernator et princeps, solus imperator ac dominus)», che riunisce in sé e risolve i contrari («om­ nium pater pariter ac mater, tu tibi pater ac filius, uno uinculo neces­ situdinis obligatus>> ), presiede al funzionamento di tutta la realtà e in particolare regola i moti dei corpi astrali da cui essa è dominata. A questi ultimi, e in primo luogo al Sole definito «Ottimo, Massimo», oltre che al dio sommo, Firmico rivolge la richiesta di ricevere soste­ gno e conferma nella comunicazione dell'antica dottrina egiziana al popolo romano66. Ne risulta un preciso riflesso devozionale della pro­ spettiva cosmosofica, senza che sia contraddetta la fondamentale nozione di un divino a struttura piramidale che coniuga la credenza in un principio primo sovrano del Tutto e la sua connessione con la dimensione cosmica e la molteplicità delle potenze, ugualmente divi­ ne, necessarie al funzionamento dei ritmi mondani. Analoghe concezioni emergono dai trattati ermetici67, riflesso anch'essi della medesima temperie ideologica e spirituale. Tra i nu­ merosi contesti basti qui addurre la preghiera finale dell'Asclepio, trattato pervenuto in una traduzione latina attribuita ad Apuleio, il cui testo greco è conservato in un Papiro magico6s, mentre una traduzio­ ne copta è contenuta in uno dei Codici di Nag Hammadi69 a confer-

65 Si veda la difesa della scienza astrologica e della dottrina del fatalismo astrale, contro le confutazioni dei suoi detrattori, elaborata nel 1 libro dell'opera (ed. Monat 1992; Colombi 1996). Cfr. Martfnez Gazquez 2002. 66 Firmico Materno, Math. v, Prologo 3-6 ed. Monat 1994. Chapot-Laurot 2001, 363-365. 67 lnsostituibili per l'accesso a questa letteratura l'edizione critica con perspicuo commen­ to di Nock-Festugière 1954-1960 (cfr. la tr. it. a cura di Ramelli 2005) e le analisi magistrali della letteratura ermetica nel vasto quadro delle ideologie e della spiritualità tardo-antiche di Festugière 1942-1953. Si segnalano anche la precedente edizione di Scott-Ferguson 1914-1936, e le recenti traduzioni di Copenhaver 1992, Holzhausen 1997, Miller 2009 e Scarpi 2009. Una rassegna critica della bibliografia, completa fino al 1980, è offerta da Gonzales Bianco 1984. La dimensione religiosa del fenomeno, in rapporto ad una probabile componente comunitaria e cultuale, è valorizzata negli studi recenti. Si vedano Fowden 1986, 2000 e, in relazione ai testi ermetici parzialmente nuovi, contenuti nei codici copti di Nag Hammadi, Mahé 1979-1982; Camplani 2000. Infine si ricordano i saggi pubblicati a cura di van den Broek-van Heertum 2000. Una breve messa a punto sulla tradizione dell'insegnamento ermetico, in cui convergono prospettive cosmosofiche e tensioni dualistiche in Sfameni Gasparro 2002c. 68 Si tratta del cosiddetto Papiro Mimaut (PGM 111, 591-610), ed. Preisendanz 1928-1931, vol. 1, 56-59. 69 NHC VI, 7 in Mahé 1979, T. l, 137-167. A parere dello studioso la preghiera sarebbe giunta allo scriba copto non come testo autonomo, ma come conclusione del trattato ermetico

152

Capitolo quarto

ma della vasta circolazione di siffatte concezioni. Quelli che si confi­ gurano quali membri di una congregazione ermetica, ispirati da una

pura religio mentis, innalzano un fervido rendimento di grazie al dio summus exsuperantissimus invocato quale «lumen maximum solo intellectu sensibile... o uitae uera uita, o naturarum omnium fecunda praegnatio))7o. Si ricorda ancora la ricca produzione degli «oracoli teologici)) 7' di cui la notissima epigrafe di Enoanda contiene uno degli esemplari più vividamente rappresentativi72, che permette di misurare in tutta la sua densità la dimensione insieme cosmica e tra­ scendente della nozione di un divino che si dispiega nel Tutto per­ meandolo di sé e, senza esaurirsi in esso, si manifesta in molteplici

dynameis, identificabili negli dèi del pantheon tradizionale, quale l'Apollo che si dichiara suo aggelos73. Essa recita: «Esiste, al di sopra della volta iperurania, / una fiamma sterminata, mobile, Eternità infinita. / Esiste, fra i beati inconoscibile, purché il Sommo Padre l non decreti che il suo Sè si riveli alla vista. l Lassù non v'è etere che regga le stelle sfavillanti, / né vi si libra la Luna dal canoro fulgore,/ non Lo incon­ tra un dio sul cammino,e nemmeno io,l che connetto con i miei raggi, dila­ go roteando nell'etere./ Invece Dio è una smisurata traccia di fuoco, l che guizza a spirale, rombando; e di quel dio chi abbia/ toccato il fuoco eterno,

dal titolo L'Enneade e l'Ogdoade. Si avrebbe pertanto una situazione analoga a quella dell'A­ sclepio, alla cui conclusione sarebbe stata annessa la medesima preghiera. Essa pertanto avreb­ be costituito un 'unità indipendente che poteva essere usata in molte occasioni. Il traduttore copto avrebbe usato una redazione greca indipendente, diversa da quella usata nel Papiro Mimaut e dal traduttore latino dell'Asclepio. 70 Asci. 41 edd. Nock-Festugière 1954-1960, vol. 11, 353-355. Il testo anche in Chapot­ Lauriot 2001, L 89, 366 ss. 71 Dopo Batiffol 1916, la problematica del significato storico-religioso di questa produzio­ ne è stata inaugurata da un fondamentale saggio di Nock 1928, di cui si ricorda anche l'analisi perspicua dell'oracolo del dio greco-egizio Aion Mandulis (Nock 1934). Sul tema si è ormai sviluppata una ricca bibliografia, tra cui si ricorda qui soltanto Pricoco 1989 e 1989a. Si veda in proposito l'intervento di Suarez de la Torre (2003) al Seminario milanese sul problema dell'« Uno e i molti>> sulla