Dialogo sulla modernità
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Karl Lowith e Leo Strauss

DIALOGO SULLA MODERNITÀ

Introduzione di Roberto Esposito

Saggine

Nel suggestivo episto!ario intrecciato, nel periodo del nazismo e della guerra, tra due dei massimi interpreti del pensiero filosofico echeggiano accordi e dissonanze sui gr,mdi problemi della filosofia. Accomunati dall'origine ebraica - che li condanna all'esilio dalla Germania negli anni piG bui di questo secolo - Karl Lowith e Leo Strauss ne vivono in maniera diversa il rapporto antinomico con le categorie storicistiche del nostro tempo. Se per Strauss esse sono il risultato di una tragica rottura con l'intera tradizione classica, sia greca sia ebraico-cristiana, per Lowith scaturiscono proprio dalla secolarizzazione della filosofia cristiana della storia. Ma forse il punto di maggiore divarica7ione interpretativa si concentra sulla nozione che ambedue gli interlocutori oppongono all'ipertrofia della coscienza storica moderna, vale a dire quella di natura: da Strauss intesa soprattutto nel suo aspetto, razionale e normativo, di natura delruomo; da Lowith, al contrario, come ciò che eternamente ci trascende e ci domina. Di qui anche una differente modalità di accostarsi a1 problemi della politica. Alla richiesta straussiana di un nuovo mito capace di accordare i cuori dissonanti della polis, risponde la netta curvatura «impolitica» del discorso di Lowith: se il nichilismo è il destino infrangibile del nostro tempo, non rest,1 che prendere eroicamente atto del crepuscolo di tutte le fedi. Finemente ricostruiti dall'introduzione di Roberto Esposito, i due itinerari imellettmli di Strauss e Lowith ritrovano, in queste lettere, la tram,1 profonda che li lega ,1llc questioni essemiali della nostra epoca.

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Questo libro fa parte del «Fondaco di Micromega», nel quale vengono pubbficati, di volta in volta presso editori diversi, materiali apparsi in una prima edizione italiana nella rivista. Sono già usciti: Paolo Flores d'Arcais, Il disincanto tradito, Bollati Boringhieri; Fernando Savater, Filosofia contro accademia, Il Melangolo; Witold Gombrowicz, Corso di filosofia in sei ore e un quarto, Theoria. I testi di K. Lowith e L. Strauss sono stati pubblicati nel n. 5, 1991. Si ringrazia «Micromega» per avere concesso l'autorizzazione a riprodurli nella traduzione italiana di Alessandro Ferrucci. L'introduzione di Roberto Esposito, scritta appositamente per questo volume, riprende, ampliandola, la presentazione comparsa sulla rivista.

Karl Lowith e Leo Strauss

DIALOGO SULLA MODERNITÀ Introduzione di Roberto Esposito Traduzione di Alessandro Ferrucci

DONZELLI EDITORE

© 1991 «Micromega» © 1994 Donzelli editore, Roma ISBN 88-7989-082-4

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Indice

p.

VII

Introduzione. Sull'orlo del precipizio di Roberto Esposito

3 21

Parte

I.

1935

Parte II. 1946

V

_ _ _ _ DIALOGO SULLA MODERNITÀ _ _ __

Introduzione Sull'orlo del precipizio di Roberto Esposito

1. Lettere dall'altrove. Nulla manca a questo epistolario tra Karl Lowith e Leo Strauss per farne uno dei più sintomatici documenti del secolo che è ancora il nostro. Basta uno sguardo alle date che ne circoscrivono in due blocchi distinti (1935 e 1946) l'arco temporale per rendersene conto. Ma direi che tutto, in queste lettere - luoghi, nomi, circostanze - sembri rinviare al punto in cui l'intera civiltà moderna rischia di precipitare in un collo d'imbuto che solo alla fine della seconda guerra mondiale ha cominciato lentamente (ma non irreversibilmente) a rovesciarsi. I luoghi innanzitutto: negli anni trenta, Roma per Lowith - vissuta con la pienezza di cui l'autobiografia postuma dà pienamente conto Cambridge per Strauss. E, nel decennio successivo, ancora l'Inghilterra per Strauss e gli Stati Uniti, raggiunti dopo l'intermezzo giapponese, per Lowith. Luoghi tutti sui quali quegli anni e quegli eventi depongono il segno rovente e indelebile non già della semplice emigrazione, ma della persecuzione e dell'esilio, come Lowith non mancherà di puntualizzare (Lowith 1986, pp. 123-4): non senza osservare, con la sobria amarezza dell'esperienza diretta, che «anche chi riesce a trovare una nuova patria e acquista la cittadinanza di un altro Paese, trascorrerà gran parte

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Roberto Esposito della sua vita a colmare questa frattura>, (ibid., p. 179). E poi i nomi: quelli di Giovanni Gentile e di Benedetto Croce, «uno dei pochi spiriti rimasti liberi e in possesso di un sapere e di una cultura che fanno vergognare tutti i più giovani» (ibid., p. 118). Ma anche dei grandi Werner Jaeger e Ernst Kantorowicz, del teologo già protestante Erik Peterson, convinto al cattolicesimo dal diffondersi in Germania della peste bruna e di quelli - come Barth e Bultmann - capaci di rivolgere contro essa la propria «protesta». Di Gogarten, scivolato con più di un piede nel vortice, e ancora di Emil Brunner e di Paul Tillich. Per non parlare degli uomini «decisivi» che restano sullo sfondo del dialogo, ma che lo orientano come le stelle polari di un'epoca di cui sono stati insieme i testimoni meno avventizi e gli interpreti più lucidi: da un lato Weber e Husserl, ultimi eroi di una stagione adesso esaurita, fissati nella ferma distanza e nel dignitoso riserbo rispetto al montare della tempesta; dall'altro Heidegger e Schmitt, entrambi, sia pure diversamente, da questa lambiti e per una certa fase travolti, come accade talvolta a chi vive il proprio tempo con una partecipazione che ne rende opachi i contorni e ne oscura la direzione. Sono i nomi - i maestri riconosciuti, amati, odiati - che riportano la mente ad altri luoghi, questa volta tedeschi, ai quali la memoria degli esuli non può non tornare con rimpianto e con rabbia: due soprattutto, Friburgo e Marburgo, tra loro collegati dal filo, non solo biografico, di una vicenda filosofica tutt'altro che esaurita, e alla quale sia Lowith sia Strauss torneranno con la consapevolezza mai smarrita che ad essa resta, nel bene e nel male, la responsabilità di interpretare l'enigma di questa tarda modernità che ancora ci insegue. Non a caso a quegli autori rimandano alcuni dei saggi più penetranti che si alternano in singolare contrappunto da parte dei due interlocutori: penso al grande lavoro lowithiano del 1932 su W eber e Marx (Lowith 1932), cui risponde, a quasi venti anni di distanza, The socia! sci.ence of Max Weber di Strauss (1951). Penso ai tanti, differentemente calibrati, interventi heideggeriani di Lowith (1953) e alla lezione su Heidegger tenuta intorno al 1950 da Strauss a VIII

__________ Introduzione __________ Chicago (1950a). Penso, soprattutto, a quella doppia recensione incrociata che nei primi anni trenta strappa il famoso (e famigerato) saggio di Schmitt sul concetto di «politico» alla riflessione di maniera per consegnarlo, in tutto il suo ambiguo fascino, alla grande tradizione giuspubblicistica e politologica europea (Strauss 1932; Lowith 1935). Lo pseudonimo (Hugo Fiala, erroneamente attribuito a Lukacs) con il quale Lowith dovette pubblicare il suo articolo schmittiano ci richiama, infine, alle circostanze esterne - ma di certo penetrate nella mente e nella scrittura dei due autori - che non soltanto segnano dolorosamente quella stagione infelice, ma rimandano nell'insieme alla parola, maledetta per i più e santa per i pochi da essa marchiati, che ne costituisce la cifra più inquietante: ebreo. Tutto in queste lettere dall' «altrove» sembra riportare ad essa. Dalle difficoltà editoriali - in particolare per l'Hobbes di Strauss (1936) e il Burckhardt di Lowith (1936) - a quelle professionali, economiche, logistiche. Dai piccoli opportunismi alle grandi viltà che punteggiano - e degradano - la vita non della sola Germania e che finiscono per spezzare il filo tenace della nostalgia, se non della memoria, di coloro che ne subiscono il peso schiacciante. La situazione di sospensione sentimentale tra il desiderio di ritorno e il rancore per una terra che rinnega Goethe e Hegel nel suo triste sogno di potenza. Da ultimo, la convinzione irrimediabile che «la Germania non è il cuore dell'Europa o della Cristianità, ma il punto focale della sua dissoluzione» (Lowith 1986, p. 177): ecco la catena di eventi materiali e traumi spirituali che finisce per scavare un abisso invalicabile tra ebrei e tedeschi cancellando appunto quell' «e» che ancora per Franz Rosenzweig costituisce il baricentro dell' esistenza e «addirittura una necessità di fede» (ibid., p. 173). In questa condizione di scissione generalmente condivisa nel1'emigrazione ebraica - prima ancora che l'antisemitismo nazista rendesse palese il suo volto «finale» - si dipanano poi le storie personali, ognuna diversa dall'altra a seconda delle differenti modalità di rapporto con l'antica stella e della profondità di radicaIX

Roberto Esposito mento nella sua errante radice. Già tra Lowith e Strauss la differenza è sensibile: e non solo sul piano biografico, ma anche culturale e, starei per dire, filosofico. Nel caso del primo, come spesso accadeva per le famiglie educate ali' emancipazione dalla propria origine - e cioè all'assimilazione al germanesimo - l'essere ebreo era stato, almeno fino alle leggi razziali, qualcosa di inavvertito nel suo significato più pregnante, una sorta di velo leggero sovrapposto, ma in nessun punto alternativo, rispetto all'essere tedesco: tanto da non determinare neanche la necessità di un'opzione decisa tra la religione dei padri e il cristianesimo. Proprio per questo, forse, il risveglio è più bruciante e la reazione più tagliente: quando, nel dicembre del 1938, il consolato tedes°Co a Roma gli richiede il passaporto per stampare sulla prima facciata una «J » rossa e contemporaneamente gli prescrive di assumere come secondo cognome «Israel», la sua risposta è definitiva: «liberarmi una volta per tutte del passaporto tedesco, e con esso non certo della mia origine ebraica e del mio vero nome, ma della cittadinanza tedesca, con la quale non ho più nulla da spartire» (ibid., p. 167). Diverso, più meditato e consapevole, e dunque in un certo senso meno traumatico, il caso di Strauss. Per il quale non ci sarà mai la scoperta improvvisa e lancinante di cosa significa essere ebreo, perché quella che altri conoscerà solo tardi e sotto la pressione violenta degli eventi era stata per lui la condizione originaria, la cifra contraddittoria marcata fin dall'inizio sulla sua intera esperienza di filosofo ebraico. Un'antinomia, questa, tra filosofia ed ebraismo, tra Atene e Gerusalemme - è l'argomento dell'omonima conferenza annunciata in una delle lettere (Strauss 1967) - addirittura più aspra di quella, storica e perciò pur sempre contingente, tra ebraismo e germanesimo, perché coestensiva all'intera tradizione occidentale. O almeno a quella parte di essa tragicamente consapevole della necessità, e insieme dell'impossibilità, di filosofare sotto la Legge: dell'aporia costitutiva di una Legge che in un certo senso arriva a prescrivere la propria trasgressione, come l'autore non esiterà ad affermare, sulla scorta del suo Maimonide, in quel libro su PhiloX

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sophie und Gesetz (Strauss 1935) che Lowith riceverà, non senza qualche imbarazzo per il suo argomento ostico e lontano, nella primavera del 1935. In sostanza, a quella contraddizione originaria - o più precisamente alla sua mancata elaborazione - Strauss riporta anche l'attuale diaspora del Deutschjudentum. Generata nelle sue motivazioni profonde e inconsapevoli - è il filo argomentativo della preface all'edizione inglese del libro su Spinoza (Strauss 1965) che costituisce una sorta d'interfaccia speculare dell'autobiografia lowithiana - proprio in quella tentata assimilazione vissuta anche da Lowith come la risposta più naturale a un destino incipiente: differito, ma non evitato, e anzi in un certo senso scandito e accompagnato dalle varie soluzioni tentate alla questione ebraica dal liberalismo illuministico al sionismo politico e culturale fino all'antispinozismo inconsciamente spinoziano di Hermann Cohen e all' «empirismo assoluto» di Franz Rosenzweig. Tutte alla fine fallite non solo in quanto «umane» - e dunque strutturalmente inadeguate a misurarsi con una questione essenzialmente teologica - ma anche, più a fondo ancora, in quanto «soluzioni», vale a dire tentativi di sciogliere un nodo irresolubile come quello eh~ lega, ma insieme giustappone, ragione e Legge, scienza e fede, Atene e Gerusalemme appunto: «Nel corso del diciannovesimo secolo molti Occidentali erano giunti a concepire molte situazioni di sofferenza come problemi da risolvere. Erano così giunti a parlare anche del problema ebraico. Il problema ebraico-tedesco non fu mai risolto. Fu eliminato con l'eliminazione degli Ebrei tedeschi» (ibid., p. 281).

2. Vertebrare la storia.

«È stupefacente che noi, che ci capiamo molto bene, da un certo punto in poi ci si capisca così poco - è stupefacente considerando l'importanza delle cose su cui ci capiamo. Dove si separano le nostre strade?». La domanda di Strauss riconduce XI

Roberto Esposito l'intero epistolario alla densità del suo epicentro problematico. Come è possibile che le linee dell'analisi critica del Moderno elaborate dai due pensatori scorrano parallelamente senza mai sovrapporsi? Qual è la misura della loro specularità e quella della loro distanza? Ma forse l'interrogativo va per un momento sottratto all'occasione del presente «dialogo» e riferito a un confronto più generale tra i percorsi intellettuali di Lowith e Strauss. Non pochi sono i tratti che, anche sul piano stilistico, li assimilano: a partire da quella radicalità argomentativa che colloca entrambi al di fuori di scuole e filoni filosofici consolidati, isolandoli in orbite di riflessione eccentriche e, almeno fino agli anni sessanta, assai poco frequentate. Come anche dalla comune tendenza a non rendere esplicite le proprie intenzioni teoretiche, se non attraverso il filtro, tutt'altro che trasparente, della ricostruzione storiografica e dell'impegno ermeneutico: quasi a sottintendere che il presupposto ultimo di una filosofia non solo non debba, ma in un certo senso non possa, essere svelato, ma semmai rivelato, e cioè scoperto e nascosto allo stesso tempo. Non aveva, del resto, Strauss (1952a) espressamente dichiarato che la verità cela dentro di sé un rischio mortale e per chi la enuncia e per coloro - la città politica - cui essa è rivolta? Da qui, forse, quella singolare reticenza a pronunciarla in prima persona - o la tendenza a frantumarla in molteplici frammenti che sembra appaiare, aldilà dei rispettivi «programmi di ricerca», i nostri due autori. Ma con tutto ciò non abbiamo ancora toccato la convergenza decisiva, non più di taglio e di tono, ma di merito: che sta nella secca messa in mora del paradigma storicista, inteso da entrambi come la più radicata «metafisica influente» del nostro tempo: «lo storicismo - annota Strauss - non è propriamente una scuola filosofica tra le tante, bensì una influenza fortissima che ha ripercussioni più o meno su tutto il pensiero contemporaneo, e, nella misura in cui possiamo parlare di spirito di un'epoca, possiamo asserire con sicurezza che lo storicismo è lo spirito della nostra epoca» (1949, p. 92). Dove l'elemento «meXII

__________ Introduzione __________ tafisico» - in paradossale controfinalità con la sua intenzione antidogmatica - sta nell'assolutizzazione di ciò che è più relativo, vale a dire di una storia ridotta ad autocoscienza storica o, addirittura, a metodologia della storiografia. Che consistenza strutturale può avere una storia tutta rovesciata sul suo esterno, privata di quell'elemento non storicizzabile e irriducibile al mero accadere cronologico degli eventi che conferisce ad essi significato e spessore? Come è possibile valutare il proprio tempo anziché subirlo passivamente - senza presupporre una falda più salda del suo scivolamento consecutivo? E ancora: chi ha detto che la verità sia semplice funzione della successione temporale? Che ciò che è pensato oggi abbia, solo per questo, più credibilità di ciò che è stato pensato nel V secolo avanti Cristo? È proprio la perdita di un simile punto di resistenza metastorico capace di vertebrare la storia a determinare il transito in caduta libera dallo storicismo ancora convinto della assolutezza del proprio fondamento (appunto storico) al relativismo integrale che lo dissolve in un irriducibile conflitto di valori deciso solo da un insondabile destino. Così - nell'esito ipernichilistico di una concezione nata con l'ambizione di scongiurarlo - si compie il processo di autoaffermazioqe ed autodistruzione dello storicismo già largamente implicito in quell'idea di progresso (Fortschritt) individuata sia da Strauss (1952) sia da Lowith (1963) come il vero punto critico dell'intera Neuzeit. C'è un testo lowithiano in cui questa parabola dissolutiva viene ricostruita attraverso un'esposizione - che è anche personale rielaborazione - dei maggiori saggi di Strauss in argomento (1949, 1950, 1952b ), a testimonianza di una esplicita simmetria interpretativa: ciò che ne emerge come perno di rotazione epocale è il rovesciamento dei «rapporti di forza» che al declinare del mondo antico si consuma fra natura e storia: «La physis che, all'inizio del pensiero occidentale, era tutto e che, come originario essere di ogni ente, determinava anche la natura e la storia dell'uomo e persino la natura deorum, si è mutata, di fronte al pensiero storico ed esistenzialistico, in quasi nulla, mentre la XIII

Roberto Esposito storia, che Platone ed Aristotele abbandonavano agli storici politici, è divenuta tutto» (Lowith 1952, p. 286). Responsabili di tale trasferimento di senso dal cerchio ripetitivo della natura all'asse mobile della storia sono non solamente gli storicisti alla Windelband e alla Dilthey, bensì anche Hegel e Marx, che assegnano una precisa ratio all'altrimenti caotico accumularsi degli eventi, per non risalire ancora più indietro a quel principio vichiano del verum-factum intenzionalmente opposto, ma in realtà segretamente complementare, alla subordinazione cartesiana della res extensa alla res cogitans. Ma la chiamata di correo non si ferma qui, perché finisce per includere nel generale cedimento all'orda historiae e alla corrispondente ipertrofia della coscienza storica anche quel pensatore che si è autointerpretato come il più radicale critico dello storicismo, vale a dire Martin Heidegger. È un ulteriore punto d'incontro tra i due interlocutori. Entrambi prendono le mosse da un confronto paradigmatico tra Heidegger e Rosenzweig (Strauss 1965, pp. 289 sgg.; Lowith 1942). Ed entrambi tendono a declinarlo come contrapposizione di «tempo» ed «eternità». Non che Heidegger sia estraneo a un lessico concettuale di ispirazione teologica. Anzi tutti e due gli interpreti ne riconoscono una precisa matrice ebraico-cristiana (Strauss 1965, p. 294; Lowith 1986, p. 53): ma ciò non toglie - anzi spiega - il carattere costitutivamente temporale, e specificamente infuturante, dell'analitica dell' Existenz. Se Strauss ascrive Heidegger a un relativismo tragico - vale a dire consapevole della propria «esizialità» (Strauss 1950a, p. 78) - Lowith conclude che, nonostante la «svolta» heideggeriana dalla prospettiva dell'esserci alla questione dell'Essere, «lo storicismo è mantenuto e assolutizzato» (Lowith 1953, p. 78). È vero che l'emergere (celato) della verità nella disvelatezza che connota il «secondo» Heidegger rimanda all'esperienza greca della physis, ma anche l'Essere cui quella verità fa segno è pensato nella sua evenemenzialità storica. Non a caso tale physis è definita - soprattutto nella lettura heideggeriana di Holderlin - come Lichtung, «radura luminosa», ma non XIV

__________ Introduzione __________ mai come natura reale (ibid., pp. 49 sgg.). Il fatto è che anche con Heidegger la natura è intesa solo in negativo - ciò che non è cultura, spirito, storia - lungo quella linea, già individuata, che da Descartes porta a Dilthey. Per tacere della circostanza che la temporalizzazione di ciò che non è soggetto al tempo relativizza la verità a tal punto da farla apparire realizzata in qualsiasi contingenza storico-politica, come a Heidegger puntualmente accadde: «Fu il disprezzo per queste costanti - conclude Strauss con un classico argomento lowithiano - a permettere al più radicale storicista (Heidegger) nel 1933 di sottomettersi, o piuttosto di dare il benvenuto, come ad un decreto del fato, al verdetto della parte meno saggia e meno moderata del suo Paese nel suo meno saggio e meno moderato momento, e, al tempo stesso, di parlare di saggezza e di moderazione» (Strauss 1959, p. 54). Senza poter qui entrare troppo nel merito di tale lettura (non sempre convincente) di Heidegger, andiamo direttamente al punto che sia Strauss sia Lowith considerano dirimente rispetto al loro antistoricismo «naturale»: ciò che della posizione heideggeriana essi non possono assolutamente accettare, perché piegato ad una consecutio storicistica sia pure di segno rovesciato, è l'omologazione ~ella tradizione filosofica greca a quella moderna in una stessa deriva metafisica, e dunque nichilistica. È vero che la direzione di marcia impressa da Heidegger a tale parabola non è progressiva ma, al contrario, recessiva, declinante: ma si tratta di un declino che appunto progredisce fino al preteso compimento di quel niente che si trascina dentro.

3. L'origine del Moderno.

Da questo lato appare ormai chiaro l'elemento originale che in qualche modo congiunge i due «dialoganti» nella distanza condivisa rispetto a tutte le filosofie della storia non solamente di tipo progressivo - da Turgot a Condorcet a Saint Simona Comte, per non parlare di Hegel e Marx - ma anche di tipo regressixv

Roberto Esposito vo ed esplicitamente antimoderno. Né il modello ciclico-biologico alla Spengler, né quello cattolico-conservatore del primo Maritain o del nostro Del Noce, né l'altro, magico-eroico, di Guénon ed Evola, né, infine, il paradigma gnostico adoperato da Voegelin e Topitsch è, infatti, assimilabile all'ottica che siamo venuti delineando: che in nessuno dei due pensatori di cui qui ci occupiamo oppone alla storia la Tradizione, la Provvidenza, l'Essere o l'Origine. E tuttavia, proprio in relazione alla comune difformità da tutti questi paradigmi, compreso quello heideggeriano di cui s'è detto, risulta anche la marcata differenza che separa tra di loro le prospettive di Strauss e di Lowith e le immette in circuiti interpretativi ampiamente diversi. Innanzitutto per quanto riguarda la difforme valutazione del processo che ha condotto all'esito attuale: da Strauss inteso come una vera e propria soluzione di continuità del pensiero moderno nei confronti di un blocco che comprende l'intera episteme classica, sia greca sia ebraico-cristiana. È vero infatti, come s'è visto, che per lui esiste una tensione mai interamente sopita tra fede e filosofia, tra rivelazione e ragione; e che, anzi, il declino moderno comincia proprio allorché tale tensione viene interrotta dalla prevalenza - e dall'incorporamento - dell'un termine (la ratio) sull'altro (la fede). Ma è altrettanto vero che, commisurati alla peculiarità del Moderno, quei due blocchi - greco ed ebraico-cristiano - finiscono per costituire un unicum individuato e tenuto insieme da un rapporto, certo problematico ma ancora possibile, tra natura e legge, ordine e bene, filosofia e politica. Rispetto a questa tipicità dell'Antico, che per Strauss costituisce il, e non un, modello di pensiero e di vita, tutte le altre distinzioni - tra polis greca e civitas romana, cosmo classico e mondo cristiano, eterno ritorno ed eschaton - risultano alla fine meno rilevanti. Non che gli sfugga il ruolo di snodo della scolastica nella razionalizzazione dell' originario kerygma cristiano poi portata alle sue più funeste conseguenze immanentiste dalla filosofia moderna; o quello dell'agostinismo nella soggettivizzazione dell'esperienza fatta succesXVI

__________ Introduzione __________ sivamente propria, e potenziata, dalla metafisica cartesiana. Solo che nessuno di questi prodromi ha per lui una consistenza tale da mettere in discussione la rottura epistemica che si dispiega tra sedicesimo e diciassettesimo secolo in concomitanza con la nascita della fisica meccanicistica. Lo stesso diritto naturale moderno, che dovrebbe costituire il tramite di passaggio - e il tratto di continuità - tra le due epoche, ne segna in realtà la più secca divaricazione: non solo per la sostituzione, che in esso si compie, della nuova semantica dei diritti a quella, antica, dei doveri; ma anche, e soprattutto, per la dislocazione riduttiva che esso assegna alla sfera della natura. Questa non è né eliminata né marginalizzata, ma pienamente funzionalizzata alle esigenze del soggetto produttivo moderno. Basti pensare al rapporto con l'ordine politico: da Hobbes appunto, inteso non certo come la continuazione o l'imitazione della natura, secondo il vecchio calco aristotelico dello zoon politikon, ma, al contrario, come il risultato del più radicale distacco da essa. Né è meno artificiale - ma si potrebbe dire senz'altro storico - il progetto politico di quel Rousseau che pure dichiara di assumere come paradigma regolativo l'uomo naturale. La verità1 per Strauss, è che la macchina della modernità funziona come una sorta di rullo compressore che, anche - e proprio - allorché sembra ripetere moduli e lessici tradizionali, di fatto li trasforma al punto di snaturarne completamente il contenuto semantico. Ben diversa la posizione di Lowith. Non perché il suo «sistema» non preveda un netto punto di rottura: ma perché questo non è più situato all'origine cinque-seicentesca della modernità (tra Machiavelli, Cartesio e Hobbes), ma appunto tra grecità e orizzonte ebraico-cristiano, che Strauss tende a unificare nella stessa categoria di «antico». Se la prima rappresenta lo sfondo su cui è possibile misurare tutta la difformità della Neuzeit, il secondo ne costituisce il segreto incunabolo. È lì che avviene lo stacco decisivo tra uomo e mondo. È lì che la storia tende ad emanciparsi dalla natura e a «lanciarsi in avanti» verso un comXVII

Roberto Esposito pimento che coincide con il suo significato. Si tratta della tesi forse più nota di Lowith: la moderna Geschichtsphilosophie deriva la propria tensione al futuro dal nucleo soteriologico del cristianesimo, che vede in tutto ciò che accade solamente un momento preliminare di una storia ancora non pervenuta al suo (e alla sua) fine. È questo il filo resistente che congiunge sotterraneamente il procursus agostiniano alla filosofia della storia da Voltaire a Marx. Naturalmente anche per Lowith il Moderno non si limita a ripetere il messianismo giudaico-cristiano e anzi - trasponendo il regno di Dio in quello dell'uomo - lo piega ad un esito immanentistico che non gli appartiene e addirittura lo contraddice. E tuttavia - come insegna se non altro la semantica futurocentrica delle rivoluzioni moderne, nonché della stessa idea di «progresso» - tale rovesciamento non solamente non cancella la propria radice escatologica, ma, 'proprio rinnegandola, finisce per «realizzarla» storicamente: «In conseguenza dell'intuizione cristiana primitiva abbiamo una coscienza storica tanto cristiana nella sua origine quanto ami-cristiana nelle sue conseguenze, poiché ad essa manca la fede che Cristo è il principio di una fine [... ]. Tutta la storia morale e spirituale, sociale e politica, dell'occidente è, entro certi limiti, cristiana, e tuttavia dissolve il cristianesimo proprio perché applica i princìpi cristiani alle cose del mondo» (Lowith 1949, pp. 225-30). Il passo rende con particolare evidenza i due presupposti che nell'analisi di Lowith appaiono inestricabilmente intrecciati: da un lato, l'assunzione del paradigma di secolarizzazione - già produttivamente adoperato da Max W eber nella sua sinossi della razionalizzazione occidentale e da Carl Schmitt nella altrettanto suggestiva definizione di «teologia politica» - da lui portato alla più compiuta elaborazione concettuale. Dall'altro, la sua esposizione al destino paradossale di una doppi~ illegittimità: quella di trasporre su di un piano mondano dottrine e lessemi originariamente teologici; e quella, ulteriore, di farlo in radicale contrasto con il principio medesimo della stessa teologia, che nega appunto la legittimità di ogni traduzione profana. Come avrebbe sosteXVIII

__________ Introduzione _ _ _ _ _ _ _ _ __ nuto quel Franz Overbeck, su cui si chiude il grande affresco lowithiano Von Hegel zu Nietzsche (1941, pp. 598-616), non si dà né una filosofia né una storia cristiana. Basterebbe questa tensione interna che Lowith immette nel proprio concetto di secolarizzazione per farne, aldilà delle tante critiche che possono essergli mosse (eccessivo schematismo della contrapposizione tra circolo pagano e linea cristiana, mancata distinzione tra visione messianica, escatologica ed apocalittica, conformazione genetica anziché topologica), uno dei più formidabili strumenti ermeneutici per le grandi tipologie storico-concettuali. Uno strumento - per tornare al nostro confronto a due che Strauss sembra non conoscere o forse, meglio, considerare interno e subalterno all'oggetto stesso che vuole criticare, cioè l'ideologia storicistica moderna, e perciò contaminato da essa e quindi non più utilizzabile. Si direbbe che qui si riproponga, o meglio implicitamente si anticipi, la controversia successiva che opporrà Lowith (Lowith 1968) e Hans Blumenberg a proposito della soglia moderna: sottratta da quest'ultimo al «continuismo» dello schema secolarizzante e intesa in termini di pura «autoaffermazione» (Selbstbehauptung): dove, però, allo sradicamento moderno viene attribuito un segno positivo evidentemente opposto a quello, ipernegativo, conferitogli da Strauss. Ma se diversa è la ricostruzione del processo che ha condotto agli esiti recessivi di cui oggi scontiamo le conseguenze in termini di dispiegamento del nulla, diversa e per certi versi opposta è anche la conclusione - se così si può dire - che ne traggono i due filosofi. Mentre per Strauss la certezza della perenne attualità dei principi greci - a partire da Platone ed Aristotele - lo spinge a ritenere che attraverso il loro stesso insegnamento si possa ritrovare l'equilibrio naturale degli antichi, Lowith, proprio perché adotta uno strumentario analitico apparentemente più sofisticato, perviene ad una conclusione più disincantata. E cioè non solo che sia impossibile ogni salto indietro nel tempo «dal momento che il tempo come tale è destinato al progresso» (Lowith 1941, p. 618); ma che la stessa idea che ciò sia possibile XIX

Roberto Esposito e necessario - sia un frutto, in ultima analisi, proprio di quell'albero della modernità che si vorrebbe abbattere: il rifiuto che il Moderno fa di se stesso - la sua autocritica - esiste solo in base alla coscienza storica (in quanto tale, moderna) della propria eterogeneità rispetto a ciò che lo precede. Non a caso - osserva ancora Lowith in una delle lettere qui tradotte - quando tale coscienza è perduta, o atrofizzata in miti ancora più accecanti, come nella Russia del secondo decennio e nella Germania del terzo di questo secolo, la modernità non è neanche più colta come qualcosa da superare.

4. Natura e destino. Ma c'è ancora qualcosa di più che spiega la radicalità del contrasto filosofico emerso nell'epistolario: ed è la differenza semantica che a volte attraversa e divarica i medesimi termini usati dai due filosofi. È così - lo si è appena visto - per il concetto di «modernità»; ma è così anche per quello di «natura». Da Strauss adoperato sostanzialmente in senso antropologico natura dell'uomo, soprattutto nella sua accezione razionale; da Lowith, invece, sottratto ad ogni attribuzione, o presupposto, umanistico e isolato nella sua assoluta «extraterritorialità» rispetto al lessico filosofico tradizionale. Natura, per quest'ultimo - è una tesi che prenderà corpo soprattutto in una fase e in testi successivi agli anni del carteggio, ma già in essi intravista e preparata - non è ordine e ragione. È piuttosto destino e mistero, limite e fondo da cui emerge all'esistenza un «uomo» da essa cosmologicamente compreso, ma non di essa comprensivo: «il mondo stesso non è mai il "nostro", come non si riduce al complesso delle prospettive umane su di esso. È vero che noi possiamo farlo nostro, come ogni essere vivente che percepisce, afferra ciò che lo circonda, e si rapporta ad esso; il mondo stesso però non diventa mai nostra "proprietà", ma noi stessi apparteniamo ad esso, anche quando, appropriandocene, lo trascendia-

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__________ Introduzione __________ mo e lo poniamo al nostro servizio, in funzione nostra» (Lowith 1957, p. 280). È una concezione della Natur, questa, non semplicemente lontana mille miglia dalle tante filosofie ecologiche ferme ad un'immagine «equilibrata, mansueta, pacifica» di ciò che è naturale - mentre «la natura è naturale non soltanto quando fa crescere e prosperare, ma anche quando distrugge, fa tremare la terra e mugghiare il mare, quando fa erompere il vulcano» (ibid., p. 282) -, ma che scavalca in senso antiumanistico anche la Weltnatur heideggeriana, la cui Welt è pur sempre Umwelt e Mitwelt, dunque necessariamente Menschenwelt. Da questo lato è possibile misurare la maturazione delle categorie di Lowith rispetto al suo primo testo teoretico Das individuum in der Rolle des Mitmenschen del 1928 (contenente la versione elaborata della tesi per la libera docenza presentata l'anno precedente a Marburgo appunto da Heidegger, con il titolo di Phanomenologische Grundlegung der ethischen Probleme), che tentava una confutazione dell'analitica dell'esistenza proprio a partire da una prospettiva antropologica e interrelazionale non lontana dalla Begegnungsphilosophie di Martin Buber (ma, per altri versi, anche di Scheler e Sartre). Qui si aprirebbe un discorso sull'articolato rapporto tra antropologia, fenomenologia ed esistenzialismo, che ci porterebbe fuori strada rispetto al nostro tracciato comparativo. Ma che interessa quantomeno segnalare per rimarcare l'eccentricità della posizione di Lowith nei confronti dello stesso Strauss. E che scopre anche il discrimine che li separa in relazione alla politica. La questione è posta, nell'epistolario, nei seguenti termini: è vero che lo Stato moderno è contra naturam, come sottolinea polemicamente Strauss, ma è vero anche che quella polis cui questi guarda come il modello aere perennius è essa stessa innaturale come tutto ciò che è «fatto» dall'uomo: artificio, dal momento che innaturali sono sempre e necessariamente tutte le istituzioni umane. In verità, a questo proposito, andrebbe osservato come anche la concezione di Strauss sia, nell'insieme della sua opera, meno compatta e più sfuggente di quanto da queste lettere non risulti. XXI

Roberto Esposito Come, anche per lui, tra natura e legge - o tra filosofia e politica - ci sia uno iato che si può, anzi si deve, sempre faticosamente, superare, ma che non è possibile definitivamente riempire. E ciò nonostante il «facile» riferimento normativo ai greci, dal momento che nessuno più di Strauss è consapevole di quanto complessa sia la concezione politica di questi ultimi. Non a caso la lettura straussiana di Socrate-Platone è tutt'altro che aderente alla corrente interpretazione «idealistica» di matrice cristiana e poi neoplatonica, rimandando piuttosto alla ben più inquietante esegesi araba dei vari Avicenna, Averroè, Farabi e Razi - un riferimento decisivo, insieme a quello maimonideo, fuori dal quale ben poco si comprenderebbe dell'intera filosofia di Strauss. La tesi che l'autore ne desume è che non soltanto l'ottimo regime sia fondabile solo «in speach» (Strauss 1963, p. 133) - e cioè praticamente irrealizzabile -, ma che tutti i tentativi volti alla sua realizzazione si siano risolti in maniera distruttiva ed autodistruttiva. Da questo punto di vista la Repubblica platonica non è l'architesto dell'idealismo politico, ma la sua più netta confutazione: nel senso che è rivolta a definire non il migliore regime ma le insuperabili difficoltà della sua attuazione, comprovate dalla circostanza che gli stessi che dovrebbero farsene carico - i filosofi - non hanno nessuna propensione naturale a tale compito. Ciò vuol dire che non ci si debba provare? Strauss non arriva a questa conclusione - come del resto neanche il suo Platone. Entrambi, infatti, sanno che la politica, benché innaturale dal punto di vista della vocazione contemplativa del filosofo, è, tuttavia, necessaria anche a rendere possibile l'esercizio della stessa filosofia. Come uscirne? La soluzione che Strauss sembra profilare guarda, da una lato, alla relazione possibile tra forme e natura - le forme, per quanto artificiali come tutte le istituzioni umane, possono in qualche modo «imitare» la natura; dall'altro, a una esplicita teoria del mito politico: «in una società bene ordinata è necessario che uno dica delle non-verità di un certo genere ai bambini, e, in qualche caso, anche agli adulti» (ibid., p. 107). Solo il mito può, se non unificare in definitiva 0

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__________ Introduzione __________ concordia, quantomeno «accordare» di volta in volta i cuori naturalmente discordi della polis. È proprio quanto Lowith esclude dal proprio orizzonte di riferimenti, imboccando una strada risolutamente impolitica. Il presupposto che la determina è l'assenza di qualsiasi sbocco alternativo all'autocoscienza storica moderna. Se è irraggiungibile l'originario theologumenon cristiano, ormai consumato e corrotto dalla potenza dissolvente delle continue secolarizzazioni cui è andato soggetto, altrettanto irraggiungibile risulta l'antico kosmos naturale, perché da sempre invaso e abitato dall'innaturale. È questa consapevolezza che interdice qualsiasi utopia progressiva o regressiva che sia: il Nichts trionfante del nostro tempo non solo ha escluso la possibilità di ogni viaggio verso il futuro, ma ha, contemporaneamente, tagliato ogni ponte con il passato. Tutte le fedi, le speranze, le mitologie giacciono adesso irreparabilmente infrante, dal momento che sia l'andamento escatologico sia il movimento ciclico hanno bruciato in modo definitivo il proprio potenziale ermeneutico e deontologico: per non parlare di scorciatoie decisionistiche che non fanno che confermare apologeticamente i rapporti di forza esistenti. Non resta che prendere «eroicamente» - weberianamente - atto di tale situazione e abbàndonare ogni prospettiva affermativa che non sia la pura eco di «ciò che non c'è» (Lowith 1932, p. 28): visto che l'unico senso possibile è tutto racchiuso nell'assenza di senso e che la voce che chiama risuona solo in un assoluto silenzio. È per questo che, alla fine, anche il riferimento ali' «eterno ritorno» nietzscheano (Lowith 1935a) - presente e operante in tutto il percorso lowithiano a partire dalla tesi del 1923 (Auslegung von Nietzsches Selbstinterpretation und von Nietzsches lnterpretationen) - perde terreno nei confronti di una prospettiva più radicalmente implosiva quale quella singolarmente impersonata da Jacob Burckhardt. E ciò non malgrado, ma proprio in ragione del suo mestiere di storico: anch'egli, come Nietzsche, cerca il bagliore dell'eternità e la saldezza della durata. Ma, anziché in una visione cosmico-naturale contrapposta XXIII

Roberto Esposito alla storia, nella storia stessa, laddove questa manifesta un elemento sovrastorico, un quid, permanente nel tempo, che la trascende: «Il punto in cui Burckhardt sta e da cui tiene testa all'attacco del tempo, non sta al di fuori dell'accadere storico, ma insiste in esso, nello stare dentro alla libertà umana nel mezzo dell'accadere universale» (Lowith 1936, p. 305). È da questa postazione che va interpretata anche l'opzione burckhardtiana - e per interposta persona lowithiana - a favore del bios theoretikos non come semplice rifiuto della politica, ma come spostamento impolitico da ciò che accade verso ciò che accade per sempre. Ma il testo in cui più chiaramente risuona il rifiuto di ogni contrapposizione positiva alla dimensione storica è quello su Valéry, che chiude l'intero percorso lowithiano. Qui, viene del tutto meno la bipolarità pregiudiziale tra mondo classico e mondo cristiano-moderno che, nel suo risèhio di schematismo, costituisce forse l'elemento più caduco della prospettiva di Lowith. Anzi, proprio il compimento del Moderno è assunto come la soglia di resistenza ultimativa all'invadenza della tradizione storica: «Su questo punto decisivo, anche in riferimento al funzionamento dello spirito, del pensiero e del linguaggio, V aléry prende radicalmente partito per la modernità, di cui ciò malgrado riconosce chiaramente i pericoli» (Lowith 1971, p. 73). Quale sia questo pericolo che può «salvare» è chiarito subito dopo: si tratta della scienza moderna nella sua dimensione planetaria di tecnica. È appunto essa, infatti, pure e proprio nella sua intrinseca valenza nichilistica, che, pervenuta al suo estremo compimento, può interrompere quella tradizione che del «niente» ha costituito l'alveo di scorrimento e potenziamento interno, aprendo così una nuova «epoca del provvisorio» (ibid., p. 141 ). A cosa essa alluda è difficile dire. Sta di fatto che la sua configurazione rimanda oggettivamente a una situazione in cui «la forza dello spirito umano si misura dalla conoscenza della sua insufficienza, instabilità, caducità» (ibid., p. 100). Che vuol dire? Che la tecnica, prodotta dalla più sfrenata volontà di potenza dell'uomo occidentale, ne segna al contempo anche i limiXXIV

__________ Introduzione __________ ti infrangibili nel momento stesso in cui il suo dispiegamento va ben aldilà, e contro, l'impiego che l'uomo stesso riesce a progettarne. E dunque fa segno - nel culmine dell'umanesimo del soggetto - a qualcosa che nel suo «andare fino in fondo» scavalca «l'umanità dell'uomo, il troppo umano» e che piuttosto si dirige «verso l'oltreumano ed il non umano» (ibid., p. 82). Queste espressioni - che stringono su una stessa linea di riflessione Nietzsche, Valéry e quell'Heidegger tanto duramente criticato perché mai dimenticato - sono anche un modo per onorare il debito con gli antichi Maestri.

Opere citate::Karl Lowith 1928 Das Individuum in der Rolle des Mitmenschen, ora in Id., Sdmtliche Schriften (SS.), a cura di K. Strichweh e M. B. de Launay, I, Stuttgart 1981. 1932 Max Weber und Cari Marx, in SS., v, 1988, pp. 324-407; trad. it. Max Weber e Karl Marx, in Id., Critica dell'esistenza storica, Napoli 1967, pp. 11-110. 1935 Der okkasionelle Dezisionismus von Cari Schmitt, in SS., VIII, 1984, pp. 32-71; trad. it.' Il decisionismo occasionale di Cari Schmitt, in Id., Critica del!'esistenza storica cit., pp. 111-61. 1935a Nietzsches Philosophie der ewigen Wiederkehr des Gleichen, in SS., VI, 1987; trad. it. Nietzsche e l'eterno ritorno, a cura di S. Venuti, Roma-Bari 1982. 1936 ]acob Burckhardt. Der Mensch inmitten der Geschichte, in SS., VII, 1984; trad. it. ]acob Burckhardt. L'uomo nel mezzo della storia, con una nota del traduttore L. Bazzicalupo, Roma-Bari 1991. 1941 Von Hegel zu Nietzsche. Der revolutiondre Bruch im Denken des 19. Jahrhunderts. Marx und Kierkegaard, in SS., IV, 1988; trad. it. Da Hegel a Nietzsche, Torino 1949. 1942 M. Heidegger and F. Rosenzweig or Temporality and Eternity (ed. ted. M. Heidegger und F. Rosenzweig. Ein Nachtrag zu «Sein und Zeit»), in SS., VIII, 1984, pp. 72-101; trad. it. M. Heidegger e F. Ro-

* Le pagine si riferiscono alla traduzione italiana, quando ne esista una. xxv

Roberto Esposito senzweig. Poscritto a «Essere e tempo», in «Aut-Aut», 1987, 222, pp. 76-102. 1949 Meaning in History. The Theological lmplications of the Philosophy of History (ed. ted. Weltgeschichte und Heilsgeschehen. Die theologischen Voraussetzungen der Geschichtsphilosophie ), in SS., II, 1983, pp. 7-239; trad. it. Significato e fine della storia, a cura di P. Rossi, Milano 1963. 1952 Die Dynamik der Geschichte und der Historismus, in SS., II, 1983, pp. 296-329; trad. it. parziale Storia e storicismo, in Il dibattito sullo storicismo, a cura di F. Bianco, pp. 273-88, Bologna 1978. 1953 H eidegger - Denker in durftiger Zeit, in SS., VIII, 1984, pp. 124-234; trad. it. Saggi su Heidegger, Torino 1966. 1957 Natur und Humanitdt des Menschen, in SS., I, 1981, pp. 25994; trad. it. in Id., Critica dell'esistenza storica cit., pp. 241-83. 1963 Das Verhdngnis des Fortschritts, in SS., II, 1983, pp. 329-41 O; trad. it. La fatalità del progresso, in Id., Storia e fede, Roma-Bari 1985, pp. 143-70. 1968 Besprechung des Buches «Die Legitimifdt der Neuzeit», in SS., II, 1983, pp 452-9; trad. it. Recensione del libro di Hans Blumenberg «Die Legitimitdt der Neuzeit», in «Aut Aut», 1987, 222, pp. 60-6, comprendente anche la critica del 1966 di Blumenberg a Lowith, Der Fortschritt in seiner Enthullung als Verhdngnis (Il progresso svelato come fatalità, pp. 35-45), e una presentazione ad entrambi i testi di G. Carchia. 1971 Paul Valéry. Grundzuge seines philosophischen Denkens, in SS., IX, 1986, trad. it. Paul Valéry, a cura e con un'importante introduzione di G. Carchia, Milano 1986. 1986 Mein Leben in Deutschland vor und nach 1933. Ein Bericht, con una prefazione di R. Kosellek e una postfazione di A. Lowith; trad. it. La mia vita in Germania prima e dopo il 1933, Milano 1988. Leo Strauss 1932 Anmerkungen zu Cari Schmitt «Der Begriff des Politischen», in «Archiv fiir Sozialwissenschaft und Sozialpolitik», LXVII, 6, pp. 732-49; trad. it. Note sul «Concetto di politico» in Cari Schmitt, in Filosofia politica e pratica del pensiero, a cura di G. Duso, Milano 1988, pp. 315-32. 1935 Philosophie und Gesetz: Beitrdge zum Verstdndnis M aimunis und seiner Vorlaufer, Berlin. 1936 The Politica! Philosophy of Hobbes: lts Basis and lts Genesis, Oxford; trad. it in Id., Che cos'è la filosofia politica, a cura di P. F. Taboni e con un saggio introduttivo di A. Momigliano, Urbino 1977, pp. 117-297. XXVI

___________ Introduzione ___________ 1949 Politica! Philosophy and History, in Id., What is Politica! Philosophy?, Glencoe 1959; trad. it. Che cos'è la filosofia politica? cit., pp. 89115. 1950 Natural Right and the Historical Approach, in Id., Natural Right and History, Chicago 1953; trad. it. Diritto naturale e storia, a cura di N. Pierri, Venezia 1957, pp. 27-51. 1950a An lntroduction to H eideggerian Existentialism (conferenza tenuta a Chicago) ora in Id., The Rebirth of Classica! Politica! Rationalism, London-Chicago 1989, pp. 27-46; trad. it. Introduzione all'esistenzialismo di Heidegger, in «Micromega», 1991, 3, pp. 70-87, con una presentazione di R. Esposito. 1951 The Socia! Saence of Max Weber, in Id., Diritto naturale e storia cit., pp. 51-91. 1952 Progress or Return, The Contemporary Crisis in Western Civilization (due conferenze tenute a Chicago), ora in «Modem Judaism», 1981, 1, pp. 17-45. 1952a Persecution and the Art of Writing, Glencoe; trad. it. Scrittura e persecuzione, con un'introduzione di G. Ferrara, Venezia 1990. 1952b On Collingwood's Philosophy of History, in «The Review of Metaphysics», v, 4, pp. 559-86. 1959 What is Politica! Philosophy?, Glencoe; trad. it. in Id., Che cos'è la filosofia politica? cit., pp. 31-88. 1963 Plato, in History oj Politica! Philosophy, a cura di L. Strauss J. Cropsey, Chicago, pp. 7-129; trad. it. Platone, in Storia della filosofia politica, a cura di C. Angelino, Genova 1993, pp. 105-77. 1965 Preface to the,English Translation di Die Religionskritik Spinozas als Grundlage seiner Bibelwissenschaft: Untersuchungen zu Spinozas Theologisch-politischen Traktat (Berlin 1930), Spinoza's Critique of Religion, New York 1965, ripresa in Id., Liberalism Anaent and Modern, New York 1968; trad. it. Liberalismo antico e moderno, Milano 1973, pp. 277-321. 1967 ]erusalem and Athens. Some Preliminary Reflections, in «Commentary», 43, pp. 45-57. R. E.

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Dialogo sulla modernità

Parte I. 1935

Roma, Via Gregoriana 36/II

23 febbraio 1935

Caro Strauss, finalmente ho saputo da Klein 1 il Suo nuovo indirizzo e le Sue ultime vicende. Klein mi dice, e me ne rallegro molto, che Lei ha ottenuto un altro anno grazie a Cambridge e a Rockefeller, e che potrà continuare a lavorare al Suo Hobbes. Ma adesso mi dia Sue notizie anche Lei! Certo vivendo all'estero il mondo dei rapporti e delle esperienze si allarga e si arricchisce, ma il mondo originario dei vecchi rapporti e legami si restringe e si rarefà quanto più si sta lontani dalla Germania e separati l'uno dall'altro, e sarebbe un peccato non rimediare alla lontananza restando in contatto almeno per iscritto. Così comini~io subito a dire qualcosa della mia vita qui. Lei sa bene che Roma è un bel posto per viverci e che io amo il Sud - probabilmente non sa quanto poco la vita spirituale e politica qui corrisponda alla tradizione romana antica e alle moderne pretese e ai grandi discorsi imperialistici, e che vecchi scettici, e «indifferenti» incalliti siano gli italiani - in proposito ci sarebbero molte cose interessanti da dire - ma le lettere non bastano! Naturalmente qui i conoscenti non mancano - a parte gli emigrati conosciamo un buon numero di. italiani - di Gentile per esempio Le ho già scritto - che per lo più si interessano molto di politica 1

Jacob Klein, filosofo (n.d.t.).

_ _ _ _ _ _ _ _ _ Lowith e Strauss _________ in campo propriamente filosofico non succede niente, niente del tutto. Peterson, l'ex-teologo protestante convertito, vive qui, e Wolfskehl2 è stato qui a lungo. In sostanza per il proprio lavoro si fa capo soltanto a se stessi - tanto più che il mio lavoro riguarda argomenti molto tedeschi. Il mio libro su Nietzsche, terminato già in giugno, ha trovato finalmente dopo molti vani tentativi un editore tedesco (Die Runde), e sto correggendo adesso le prime bozze. Un saggio di più di un anno fa e che avrebbe dovuto essere pubblicato nei Kantstudien (su «Hegel-Marx-Kierkegaard») uscirà adesso in francese nelle «Recherches Philosophiques» di Koyré - una critica pseudonima di Schmitt esce nella lnternationale Zeitschrift fur Theorie des Rechts di Ginevra - Le manderò un estratto appena lo avrò. Ecco tutto! Fino a poco fa contavo ancora di riprendere le lezioni a Marburg - Kittredge e Fehling3 non volevano prorogarmi la sovvenzione perché una ulteriore assenza da Marburg era «contraria al mio interesse»; Kittredge aveva interpellato di sua iniziativa il preside di Marburg e questi gli aveva risposto che dovevo tornare allo scadere del congedo. Senonché, come l'amministratore mi ha comunicato la settimana scorsa, lo stesso preside che ha dato questa risposta a Parigi, ha agito ali' opposto in sede di politica interna, e per impedirmi il ritorno 1) mi ha sospeso lo stipendio di libero docente e 2) ha proposto al ministro la revoca del mio incarico. Con ciò, il capitolo «Marburg», e quindi Germania o università tedesca, per me è purtroppo chiuso. Purtroppo - perché per me, nonostante tutto, avrebbe avuto decisamente molto più senso tener duro là, per quanto possibile, anziché cercare - come adesso sono costretto - soluzioni all'estero; e dopo tutte le esperienze fatte fin qui, non ho, purtroppo, quasi altra possibilità che negli Stati Uniti (dove Tillich si sta dando da fare per me) - ma nessun paese europeo, meno che mai l'Italia che è il posto dove rimarrei più vo1

Karl Wolfskehl, poeta della cerchia di Stefan George (n.d.t.). ) K.ittredge e Fehling: membri della Rockefeller Foundation (n.d.t.).

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________ Dialogo sulla modernità ________ lentieri. Del resto le prospettive per un libero docente di filoso-

fia sono dappertutto egualmente misere. Per ora resta solo una via di uscita: il tentativo, dopo la decisione presa a Marburg, di ottenere un altro anno la sovvenzione Rocke[feller]. K.ittredge, spero, è ben disposto e potrà fare qualcosa per me - indipendentemente dal comitato tedesco, sul quale non posso più contare. Forse andrò a Parigi per questa faccenda. Se Lei può darmi qualche consiglio in proposito, per favore me lo dia! Kittredge parla o capisce il tedesco? Il mio inglese fa pena, per mancanza di esercizio, e lui non conosce l'italiano. Fra tanti tentativi, e tante lettere al 99 per cento inutili, un certo aiuto mi verrà da Mendelssohn-Bartholdy, di cui ebbi fortunatamente l'indirizzo da Lei. Al Consiglio e a Parigi conosce tutti, e si sta interessando molto amichevolmente, sembra, per procurarmi un'altra fellowship. Per adesso comunque non abbiamo l'acqua alla gola, perché ho potuto risparmiare abbastanza della sovvenzione Rocke[feller] per sopravvivere ancora qualche tempo. All'Istituto italiano di studi germanici ci sono spesso conferenze interessanti - prossimamente verranno Heidegger, Schmitt e Heyse! Segue ancora le cose tedesche o si è ambientato così bene in Inghilterra da sentirsene ormai lontano? A me qui accade spesso il contrario: sento sempre più quanto si sia spiritualmente a casa propria in Ghmania e non nella cultura latina quale essa è qui ancora rappresentata al meglio da Croce. È estremamente difficile - anche con gli italiani che conoscono bene la letteratura tedesca - trovare una base comune di dialogo. Con tutto ciò non voglio dire naturalmente che provo «nostalgia» o un desiderio struggente della Germania! Proprio no. Anche un ebreo «assimilato» quanto lo sono io non può misconoscere l'incidenza e la gravità del problema ebraico tedesco - ma non posso neanche simpatizzare con il rancore irriducibile dei profughi, che qui del resto sono molto pochi. La maggior parte di loro non capisce cosa sta avvenendo o non avvenendo in Germania, perché pensa secondo vecchie ca5

_ _ _ _ _ _ _ _ _ Lowith e Strauss _ _ _ _ _ _ _ __ tegorie morali, non storico-filosofiche. Non sanno liberarsi del passato che hanno patito, perché sono affetti dal morbo ereditario del mondo accademico tedesco e hanno idee assurde di «scienza», «valori eterni», «cultura», «storia» eccetera. Sicché in sostanza uno è del tutto isolato. Ma Roma e il Sud mi aiutano parecchio a conservare l'equanimità filosofica - solo bisognerebbe averne molta di più, e invece di due valige possedere soltanto la botte di Diogene. Come sta Lei, Sua moglie e il figliolo? E chi c'è di tedeschi a Cambridge che Lei conosce e stima? È piacevole vivere a Cambridge? Non me ne faccio un'idea. Conosce W. Brock? Mi dia presto Sue notizie, e si abbia i saluti cordiali del Suo Karl Lowith

P. s. Se Lei scrive a macchina, una lettera dattiloscritta sarà la benvenuta!! Guardi la mia calligrafia! N. B. Nell'ultimo anno Le è venuto sott'occhio qualcosa, in campo filosofico eccetera, che potrebbe avere importanza anche per i miei interessi?

Nuovo indirizzo: Roma, Via Bocca di Leone 32/4 (presso Lehmann)

15 aprile 1935

Caro Strauss, grazie di cuore per la Sua Filosofia della Legge!• È arrivata proprio nei giorni in cui era qui Boschwitz, di passaggio per la Palestina. Veramente io sono un destinatario molto inadatto per il Suo libro, perché di Maimonide e di tutta la filosofia ebraica medievale non so un bel nulla - e anche perché, data la mia educazione, sono cresciuto fin dall'inizio tanto poco ebreo, che solo 1 L. Strauss, Philosphie und Gesetz. Beitrage zum Verstandnis Maimunis und seiner Vorlaufer, Schocken, Berlin 1935 (n.d.t.).

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________ Dialogo sulla modernità ________ a fatica e per via traversa riesco a capire e in realtà a non capire come si possa essere così razionali ed etici come sono in sostanza tutti gli ebrei che conosco, anche gli «assimilati», grazie alla loro tradizione. Mi colpì dapprima in W eininger l'importanza predominante che ha per lui il nesso fra ethos e logos- poi naturalmente in Cohen, che però ho studiato molto poco. Ma anche in Einstein e in Freud sopravvive qualcosa di questa razionalità etica Lei forse protesterà indignato. - Tanto più in Marx e Lassalle non foss'altro per il loro pathos della «giustizia», che vogliono realizzare razionalmente, mediante l'illuminismo moderno. Per quanto ciò mi sia estraneo, tuttavia io ammiro l'inflessibile energia e tenacia con cui Lei, in tutto quello che pensa e fa, porta con rigorosa e inesorabile consequenzialità il Suo pensiero fondamentale, attraverso un uso sapiente di alternative polemiche, fino al punto in cui il problema risulta insolubile, e solubile soltanto mediante la trasformazione della questione sistematica in analisi storica, dove Lei (come Kriiger) postula che i presupposti moderni - illuministici - si possano rendere inoperanti mediante la de-costruzione (Destruktion) storica - cosa che io non credo salvo che questa de-costruzione storica sia soltanto un metodo teoretico di rappresentazione, mentre in realtà la tradizione del filosofare sotto la «legge» religiosa di quei presupposti (= rivelazione) è ancora viva in Lei medesimo; questo non nel senso vago, storico-spirituale, di una cosiddetta tradizione vivente, ma nel senso particolare e specifico di un abitare tuttora nell' ebraismo ortodosso. (Questa sarebbe una differenza essenziale nella Sua posizione scientifica rispetto a Kriiger). Per parte mia, ne sono così totalmente fuori - e nessun ariano germano ci può far nulla - che io - per dirla con Maimonide = Strauss - conosco solo il mondo «inferiore», e poiché il mondo superiore mi è sconosciuto, anche l' «inferiore» perde il suo senso. (Non è un caso che Lei si fermi a Platone, che era già una fine degli sviluppi antichi, mentre Nietzsche, conformemente alla sua tendenza presocratica, le, annette già al cristianesimo e alla «storia del lunghissimo errore»). Così per me il di7

_ _ _ _ _ _ _ _ _ Lowith e Strauss _ _ _ _ _ _ _ __ lemma: ebreo ortodosso e sionista politico illuminato non è mai stato un problema, e la Sua soluzione del medesimo: critica radicale dei presupposti «moderni», sta per me storicamente e oggettivamente nella direzione «progressista» di Nietzsche: cioè nel pensare a fondo fino al nichilismo moderno; dal quale tuttavia io non salto né alla «fede» paradossale di Kierkegaard né al non meno assurdo [eterno] ritorno di Nietzsche - ma ... ma ... non inorridisca se ritengo questi «radicali» capovolgimenti sostanzialmente falsi e non filosofici e rifuggo da tutte queste stravaganze e forzature per approdare un giorno verosimilmente - al buon modo tardoantico (storico-epicureo-scetticocinico ), a una saggezza di vita realmente praticabile - alle «cose prossime» e non alle più remote, a cui appartiene il divagare storico così nel futuro come nel passato. Ma ai tedeschi manca come agli ebrei il senso del presente - del nuncstans di «mezzogiorno e eternità». Ho letto naturalmente con particolare interesse il Suo capitolo introduttivo, ma anche tutto il resto - solo devo leggerlo anc~ra più a fondo prima di azzardarmi a scriver Le qualcosa di preciso. Oggi due cose soltanto: a p. 78: creazione del mondo e eternità. Molto istruttivo per me, perché mi fa vedere come sia pienamente coerente l'anticristianesimo di Nietzsche, in quanto egli vuole riaffermare l'eterno ritorno all'identico, e rifiuta il più recisamente possibile l'idea di una creazione dell'essere (dal nulla). Certo è chiaro altresì che con ciò egli non era un nuovo «legislatore». - Ma perché Lei - riferendosi a Nietzsche (p. 24, nota 1) rifiuti il «vivere secondo natura» non mi è chiaro. La sua argomentazione riguarda soltanto la sci.enza naturale moderna - ma la natura stessa di fatto eternamente uguale non si è ancora mai regolata secondo ideali storici umani, e giacché esiste una natura e una realtà naturale avrà sempre senso voler vivere «secondo natura» - a meno che non abbiano ragione il cristianesimo e l'idealismo tedesco e l'esistenzialismo (che Lei per esempio avrebbe dovuto discutere non con il verboso Gogar8

________ Dialogo sulla modernità ________

ten 2 ma con Heidegger!) quando dicono che l'uomo è soltanto nel mondo e non anche di questo mondo. E l'aforisma di Nietzsche non critica il fatto che gli storici volessero vivere secondo natura, ma solo che la natura non è quale gli storici e da ultimo Rousseau volevano che fosse - ossia «morale», mentre per Nietzsche essa è senza «intenzioni e riguardi», senza «giustizia» e moralmente indifferente. E contro la conclusione dell'aforisma (che apparentemente è a Suo favore) io direi: come teorico dell'eterno ritorno anche lo stesso Nietzsche non ha soltanto «saggiato la sua volontà di potenza spirituale», ma si è lasciato «ispirare» dalla «suprema necessità dell'essere» e nell'immagine di Zarathustra ha fatto parlare abbastanza spesso secondo natura l'essere di questo mondo. E là dove fa questo, egli non è invero tutt'uno ma pure in accordo con la natura del mondo naturale, e torna a vederla come la vedevano un tempo i greci - cosa che peraltro gli era possibile soltanto perché si trovava sul Mediterraneo e qui non aveva visto il cielo il sole e il mare - il mondo finito dell'eterno ritorno dell'identico. Per oggi basta! Ha già ricevuto il mio libro? (Seguirà l'appendice critica sulla letteratura relativa a Nietzsche, in cui La interesserà soprattutto l'ultima recensione, di Maulnier). Un cordiale saluto dal Suo Karl Lowith

Ho visto casualmente dai K.rautheimer una splendida recensione del Suo libro nellajudische Rundschau. Ha cercato a Cambridge il Dr. W. Brock? Privatissime ancora una cosa: per ogni eventualità, cioè per il caso che fino all'autunno io non trovi niente di meglio, ho fatto domanda per un posto di lettore di tedesco offerto dalla Lon don School of Economics and Political Science! In tempo di gelo ogni panno è buono!

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Friedrich Gogarten, teologo protestante (n.d.t.).

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_ _ _ _ _ _ _ _ _ Lowith e Strauss _ _ _ _ _ _ _ __ 38 Perne Road, Cambridge (Inghilterra)

23 giugno 1935

Caro Lowith, ho appena finito di leggere il Suo libro su Nietzsche 1 e con l'occasione desidero rinnovarle il mio più cordiale ringraziamento per avermi dato modo di conoscere questo interessante e importante lavoro. Da vecchio nietzscheano quale ... ero, esso miriguarda direttamente. E Le sono molto obbligato di avermi fatto capire il nesso di fondamentale importanza fra nichilismo e eterno ritorno. Più in generale, non ho mai letto uno scritto in cui il problema di Nietzsche, e il problema Nietzsche, siano presentati con tanta chiarezza e profondità. Direi che la Sua interpretazione di Nietzsche è l'unica a me nota che costringa a fare i conti - non con Nietzsche ma con la verità. Se dunque in ciò che segue mi permetto alcune osservazioni, devo prima dichiarare che io non sono affatto un esperto di Nietzsche; posso dire soltanto che fra i ventidue e i trent'anni Nietzsche mi ha dominato e incantato al punto che gli credevo sulla parola in tutto, per quel tanto che ne capivo - che era solo una parte del suo pensiero, come proprio il Suo scritto mi fa ben vedere. Che in Nietzsche c'è qualcosa che «non quadra», Lei lo ha dimostrato in modo convincente - anche se la Sua critica alla tesi della Emmerich sulla identità della volontà di potenza e dell'eterno ritorno mi lascia perplesso. Il mio dubbio riguarda l'angolazione particolare della Sua critica, che a mio parere non rende giustizia a Nietzsche. Mi riannodo alla Sua eccellente formulazione, che tocca il nocciolo della questione e che mi toglie veramente la parola di bocca: ripetizione dell'antico al culmine della modernità. Da essa risulta anzitutto il dualismo seguente: a) approccio moderno all'antico sulla base principalmente di una critica immanente nel moderno, b) la dottrina antica per sé. L'approccio (o introduzione moderna a qualcosa di affatto 1 K. Lowith, Nictzschcs Philosophic dcr cwigcn Wiederkunft dcs Glcichcn, Die Runde, Berlin 1935 (n.d.t.).

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________ Dialogo sulla modernità ________ non moderno) è guidato dal criterio fondamentale della sincerità; tale criterio appare nel contesto seguente: l'uomo può essere sincero soltanto se rimane fedele alla terra, se afferma il mondo (tentativo di esempio: critica della morale cristiana in quanto originata dal risentimento); espressione estrema dell'affermazione del mondo: eterno ritorno, innocenza del divenire (in contrasto con l'idea tradizionale dell'innocenza dell'essere). In altre parole: scoperta dell'eterno ritorno nella ricerca di un mito atto a dare forza e coraggio. Tutto ciò fa parte dell'iniziazione alla dottrina, e fornisce quindi appunto a causa dell'intento di Nietzsche una visione distorta della dottrina medesima, che ha di per sé un fondamento puramente cosmologico. La dottrina, una volta adottata, viene insegnata placidamente. Il fatto che da Nietzsche essa sia sostenuta in modo convulso dipende soltanto da questo: che egli doveva svezzare noi e se stesso dal vizio millenario (del rammollimento) della fede nella creazione e nella provvidenza. A questo vizio è sostanzialmente connessa la rivolta contro l'indifferenza del Tutto, contro la sua mancanza di scopo, che sta alla base della civiltà moderna. Io sono convinto che alcune difficoltà fondamentali della dottrina di Nietzsche stanno nel suo carattere polemico, e svaniscono non appena si distingue fra l'iniziazione polemica e la dottrina di per sé. Ora, con il suddetto dualismo tra iniziazione e dottrina no'1 ha nulla a che fare un ulteriore dualismo, cioè quello di: a) morale e b) metafisica. Perché quest'ultimo è inevitabile così nel quadro della iniziazione come in quello della dottrina. Tale dualismo non è affatto legato alla moderna antitesi tra «uomo» e «mondo», e basta Aristotele a dimostrarlo. Sono d'accordo con Lei che la dottrina dell'eterno ritorno, per sé, non dà risposta al problema morale, e che l'identificazione di [eterno] ritorno e volontà di potenza (forse balenata a Nietzsche?) non è una soluzione. Ma l'eterno ritorno, o meglio l'essere disposti a sopportarlo, è la conditio sine qua non di una morale veramente naturale. Lei dice giustamente: l'eterno ritorno è incompatibile con la volontà di futuro; ma, chiedo io, la volontà è necessariamente volontà di futuro? Sì, nel mondo moderno; no, per gli an11

_ _ _ _ _ _ _ _ _ Lowith e Strauss _ _ _ _ _ _ _ __ tichi. In generale: non dimentichi che prima degli stoici un problema della volontà non esiste. In breve: a mio avviso, Lei non dà abbastanza peso alle intenzioni di Nietzsche che vanno al di là della sua dottrina; non se ne occupa a sufficienza. Non basta fermarsi al punto in cui Nietzsche non «quadra» più; bisogna chiedersi se lo stesso Nietzsche non sia stato infedele al suo intento di ripetere l'antichità, e questo a causa del suo essere prigioniero dei presupposti moderni, o della polemica contro i medesimi. - Spero di essere stato comprensibile. Ciò che voglio dire Le sarà più chiaro se leggerà la mia analisi di Hobbes. Torni presto a scrivermi, La prego, sarei felice di continuare la nostra discussione. I più cordiali saluti dal Suo Strauss

P. s. Ho riletto la Sua del 14 aprile, le Sue osservazioni sul mio scritto. Lei contesta che sia possibile tradurre la questio_ne sistematica in analisi storica, a meno che «questa de-costruzione (Destruktion) storica non sia che un metodo di rappresentazione storica, mentre in realtà» nell'analista è ancora vivo il vecchio modo di pensare. Lo concedo volentieri; ma credo che anche Lei debba concedere che questa condizione è adempiuta in noi tutti, perché tutti ... siamo esseri umani, e viviamo, respiriamo e svolgiamo anche alcune funzioni «superiori» non diversamente dai nostri antenati - non però «animaleschi». Noi siamo esseri naturali, che viviamo e pensiamo in condizioni innaturali - dobbiamo ricordarci del nostro essere naturale per eliminare, pensando, le condizioni innaturali. - «Presocratici» non possiamo essere, perché questo è impossibile per ragioni intuitive; e Lei stesso lo ammette, in quanto vuole filosofare «al buon modo tardo antico (stoico-epicureo-scettico-cinico)». Ma tutte queste filosofie tardoantiche sono - scettici inclusi - troppo dogmatiche, perché proprio Lei possa arrestarsi ad esse, e non debba tornare al progenitore di tutte, Socrate, che non era un dogmatico. Il cosiddetto platonismo non è che una fuga davanti al problema di Platone. Inoltre: io non sono un ebreo ortodosso!

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________ Dialogo sulla modernità _ _ _ _ _ _ __ Roma, Via delle Sette Sale 19 II Inghilterra Dr. Leo Strauss Cambridge 38 Perne Road

24 giugno 1935

Caro Strauss, ieri ho avuto occasione di parlare con il capo della Runde, Dr. R. Konig, riguardo al Suo lavoro. Nonostante l'avversione di principio per le cose inglesi, non credo che la cosa sia del tutto esclusa, e gli ho dato come saggio letterario il Suo Maimonide. Le consiglierei di mandargli il prospetto generale o l'indice del Suo Hobbes, facendo riferimento a me. Forse allora chiederà di vedere il manoscritto. Gli spieghi, in una breve lettera d'accompagnamento dattiloscritta, il rapporto storico-spirituale del Suo lavoro con il liberalismo, in modo che gli sia chiaro ciò che è «attuale» per la Germania. Il suo indirizzo temporaneo (fino alla fine di agosto) è Taormina (Sicilia), Villino delle Rose, presso Lionardo Siligato. Il lettorato di Londra l'ha avuto, ahimé, una Miss. Sicché pazienza, ancora. Leggo molto Burckhardt. Sulle mie impressioni germaniche un'altra yolta. Cordiali saluti dal Suo Karl Lowith

Roma, Vie delle Sette Sale 19/II Inghilterra Dr. Leo Strauss 38 Perne Road Cambridge

28 giugno 1935

Caro Strauss, l'editore di Tonnies, H. Buske, Lipsia Cl. Talstr. 2, pubblica prossimamente un volume in onore di Tonnies ed è uno dei po13

_ _ _ _ _ _ _ _ _ Lowith e Strauss _ _ _ _ _ _ _ __ chissimi editori ancora decenti e disposti a rischiare qualcosa. Io sono stato invitato a collaborare al volume, ma con la casa editrice non ho rapporti. Se Lei potesse avere una raccomandazione tramite Tonnies sarebbe decisivo - in ogni caso gli offra il Suo lavoro - lui allora si informerà tramite Tonnies o il suo allievo Dr. ]urkat (Berlino-Charl. 4, Niebuhrstr. 71). Da quest'ultimo so che al volume per Tonnies partecipano fra gli altri i seguenti collaboratori stranieri: Prof. Sorley, Cambridge Prof. Steinmetz, Amsterdam Dr. Leemanns, Belgio Prof. Nicoforo, Roma Prof. Kannellopoulos, Atene Prof. Boas, New York Prof. Sorokin, Cambridge, Mass. (Usa) Forse Lei potrebbe arrivare a uno di questi signori, e per questo tramite mettersi Lei stesso in contatto con Tonnies o con la casa editrice Buske. Cordiali saluti, Suo Karl Lowith

Ho appena ricevuto la Sua lettera. Il Suo discorso è molto chiaro e plausibile, e risponderò dettagliatamente - ma al momento qui fa un caldo pazzesco e la mia testa non ce la fa. Nel frattempo Le ho mandato i due articoli francesi delle Recherches.

13 luglio 1935

Roma, Via delle Sette Sale 19/n

Caro Strauss, 1) Anzitutto - riguardo a un editore: ha provato con Buske e ha scritto al Dr. Konig (Runde)? Un italiano che si interessa a Hobbes dice se non si potrebbe pensare a una casa editrice austriaca o cèca. Tradotto - in italiano - Lei troverebbe un editore qui tramite Croce. Inoltre anche Alcan (Parigi) pubblica libri tedeschi, per quanto ne so. 14

_ _ _ _ _ _ _ _ Dialogo sulla modernità _ _ _ _ _ _ __

2) Faccia mandare una copia del Suo libro su Spinoza, per recensione, al Prof. Cantimori, Roma, Piazza Aracoeli 12/II, che vuole recensirla nel Giornale Critico (rivista di filosofia, la migliore qui). 3) Venendo, e questa è la cosa più difficile, alle Sue osservazioni critiche circa il mio libro su Nietzsche, per le quali La ringrazio molto. Certo sarebbe stato più proficuo porre la questione del «vero» essere e andare oltre l'immanente analisi di Nietzsche - come Lei dice: a una «morale naturale». Ma oltre Nietzsche doveva andare il capitolo conclusivo, ahimé troppo imperfetto - del cui motivo conduttore: «misura e modo», Lei peraltro stranamente non parla, sebbene io proprio, partendo dallo stesso Nietzsche, esponga la possibilità e necessità di una critica - una critica positiva. Ma poiché non Le posso ancora presentare il libro che dovrebbe seguire a questo capitolo, l'interpretazione di Nietzsche si ferma effettivamente all'indicazione di una incoerenza di principio. Nelle Sue osservazioni tuttavia io non capisco questo: in che senso Lei dice che il dualismo fra la iniziazione polemica di Nietzsche e la dottrina stessa non ha niente a che fare con il dualismo di morale e metafisica o di antropologia e cosmologia o di volontà di ... e fato?- quando in Nietzsche l'iniziazione problematica fa della stessa dottrina dell'[ eterno] ritorno un «progetto» esistenziale ( «nuovo illuminismo»), in contrasto con la dottrina originaria quale visione cosmologica, la cui espressione linguistica in Nietzsche è l' «immagine» dionisiaca. Può darsi che la modernità abbia solo portato all'estremo questa contraddizione fondamentale fra morale e mondo - ma essa non esisteva in questo modo nell'antichità e meno che mai nei presocratici. L'identificazione della volontà di potenza e dell'eterno ritorno è e rimane assurda, e io non vedo perché la mia critica alla Emmerich sia meno convincente di quella a Baeumler, Bertram, Klages eccetera. Lei può ribattere: sì, ma proprio da qui risulta il postulato di una «morale naturale». Ma di che morale o di che naturalità si tratta? Certo non è la morale di un «volere» rivolto al futuro, e neanche una pura naturalità cosmica «senza volontà e senza meta». E allo15

_ _ _ _ _ _ _ _ _ Lowith e Strauss _ _ _ _ _ _ _ __ ra cosa? Lei ha ragione quando dice che l'eterno ritorno è incompatibile con la volontà rivolta al futuro e domanda se la volontà sia necessariamente solo volontà rivolta al futuro cioè il moderno voler e poter-essere e progettare. Ma Lei ha torto se pensa che Nietzsche o chiunque di noi «moderni» possa semplicemente scrollarsi di dosso la gabbia dei «presupposti moderni» e dunque - in linea di principio - «ripetere» l'antichità antica. Il massimo che un moderno «può» fare è per l'appunto ciò che ha tentato di fare Nietzsche - nel capitolo di Zarathustra sulla liberazione dal volere ossia dall' «era» [«Es war »]. Dato però che io non voglio nulla di utopico, di radicale e di estremo, e d'altra parte non voglio neppure accontentarmi di una qualche «mediocrità», mi resta soltanto come criterio critico-positivo la distruzione sistematica di tutti quegli estremisti, in un ritorno all'ideale - originariamente altrettanto antico - di modo e misura. Da qui risulta anche un accordo ragionevole e «naturale» di morale e metafisica - di volontà e fato - in generale di uomo e mondo. E vedendola così, Nietzsche non è stato infedele alla sua «intenzione» (di ripetere l'antico) a causa del suo polemico essere prigioniero del nichilismo moderno, bensì: egli era - detto grossolanamente - un superftlologo classico di decisiva importanza per il futuro, intriso di teologia, che non ha mai capito perché il più saggio e moderato Burckhardt rispondesse con tanto riserbo alle sue lettere, sebbene Nietzsche all'inizio della sua pazzia osservi e confessi che non lui - Nietzsche - bensì Burckhardt è il grande «maestro», perché questi - in tempi di decadenza - sapeva di nuovo e ripeteva ciò che era un tempo la - antica - moderazione. Se tuttavia l'adozione della dottrina dell'eterno ritorno avviene nei modi estremi di Nietzsche - essa non può neanche in seguito essere «insegnata placidamente», ma rimane sempre un «progetto» artificiosamente forzato. E se - come Lei dice - l'essere disposti a sopportare l'eterno ritorno fosse veramente la conditio sine qua non per una morale genuinamente naturale allora io credo che a una morale naturale non si arriverebbe mai. Ci sono modi migliori e più moderati per svezzarsi dalla fede 16

_ _ _ _ _ _ _ _ Dialogo sulla modernità _ _ _ _ _ _ __ nel progresso e dalla fede nella creazione e nella provvidenza. Per esempio quando Burckhardt insiste ripetutamente sul fatto che l'uomo - moralmente e spiritualmente - è stato sempre «completo». A ciò corrisponde in sede cosmologica il detto assolutamente vero di Nietzsche: «il mondo è perfetto»; e mi rammarico di non aver svolto più ampiamente nel mio libro la parte pertinente (p. 162), in modo da chiarire come esso sia «perfetto» in rapporto così all'essere come al tempo - perché il mondo è stato sempre ciò che sarà sempre - cosa che certo ci riesce di vedere soltanto in quei brevi momenti di miglior fortuna, che si vivono piuttosto al Sud che al Nord - anche se si «esiste» nella totale insicurezza - senza sovvenzioni Rockefeller e senza altre prospettive e con risparmi che si dileguano. Per favore mi rimandi la Sua lettera, con la decifrazione della parte manoscritta che questa volta con la migliore buona volontà sono riuscito a decifrare solo al 10 per cento! Un saluto cordiale dal Suo Karl Lowith

38 Perne Road Cambridge

17 luglio 1935

Caro Lowith, decifro, secondo a" Suo desiderio, le righe manoscritte alla fine della mia ultima lettera 1• La ringrazio per le Sue due cartoline, la Sua lettera e il Suo articolo francese. Mi è molto caro che Lei si preoccupi di trovare un editore per il mio libro su Hobbes 2• Ma io non riesco a decidermi a scrivere le lettere. Ho già avuto un mucchio di rifiuti, e queste delusioni mi hanno abbastanza spossato, sicché non

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Segue il poscritto della lettera del 23 giugno. L. Strauss, The Politica! Philosophy oJ Hobbes. lts Basis and its Genesis, Clarendon Press, Oxford 1936 (n.d.t.). 2

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_ _ _ _ _ _ _ _ _ Lowith e Strauss _ _ _ _ _ _ _ __ voglio espormi ad altre e preferisco impiegare le mie poche forze a lavorare anziché a irritarmi. Lascio dunque il lavoro manoscritto - io non ci perdo nulla e il mondo neppure, anche se è senza dubbio la cosa migliore che ho scritto finora. Sono, come vede, un po' depresso. Perché, non lo so bene neanch'io. Lo dico per scusarmi di non risponderle adeguatamente circa la Sua lettera su Nietzsche e il Suo articolo su HegeP. Riguardo all'articolo soltanto questo: è Suo grande merito insistere sull'importanza decisiva di Hegel come termine insuperato della filosofia moderna. Tuttavia io sono convinto che la necessità di Hegel possa essere compresa radicalmente solo partendo dalla fondazione della filosofia moderna nel XVII secolo. Perché Hegel è solo il termine della filosofia moderna e magari anche di quella cristiana - ma non della tradizione filosofica come tale. A questa divergenza si collega la mia opinione meno negativa della Sua sulla filosofia dell'Ottocento: da cui è pure uscita la fenomenologia! Lei conosce Nietzsche tanto meglio di me, che io oso appena contraddirla. Posso dire soltanto: se si considera l'importanza decisiva del dogma della creazione e della provvidenza per tutta la filosofia post-antica, si comprende che la liberazione da questo dogma poteva realizzarsi soltanto con lo sforzo «superumano» della dottrina dell'eterno ritorno. Una volta raggiunta questa liberazione - la liberazione da un incredibile vizio del genere umano - allora l'eterno ritorno può essere insegnato con calma presupponendo che esso sia vero, e questa è la questione centrale per la cosmologia. In ogni caso un autentico filosofare è possibile soltanto se esso viene preso sul serio, e sopportato, come possibilità. Il tema primario di questa autentica filosofia non è però la cosmologia, e quindi essa non riguarda in primo luogo la dottrina in questione. - Alla Sua critica della Emmerich obietto soltanto che forse la Emmerich rende correttamente l'opinione di 'K. Lowith, l'achèvement de la philosophie classique par Hegel et sa dissolution chez Marx et Kierkegaard, in Recherches philosophiques, IV, 1934-35 (n.d.t.).

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_ _ _ _ _ _ _ _ Dialogo sulla modernità _ _ _ _ _ _ __ Nietzsche; che questa opinione di per sé è insostenibile, lo ammetto. - Riguardo alla liberazione dall'«era» in Descartes (!) cfr. il mio libro su Spinoza pp. 168 sgg. 4 - Lei contesta che Nietzsche sia stato infedele alla sua intenzione di ripetere l'antico a causa del suo esser invischiato nella polemica contro il cristianesimo e la modernità, ma Lei stesso attribuisce la colpa alla zavorra teologica - che a ben vedere viene a dire la stessa cosa. - Perché non mi sono soffermato sul «modo e misura»? Perché so che cosa Lei intende con questo, cioè per esempio Burckhardt. Credo volentieri con Lei che Burckhardt sia stato il rappresentante ideale della moderazione antica nell'Ottocento - ma i temi del suo filosofare sono possibili solo a motivo della «smoderatezza» moderna: nessun filosofo antico faceva lo storico. E ciò non dipende dalla mancanza di un sesto senso, ma proprio dal senso di ciò che all'uomo compete sapere, di qual è il suo «modo e misura». No, caro Lowith, Burckhardt - non va proprio. Adesso basta con questo sproloquio. Legga Swift - accanto a Lessing è lo spirito più libero dell'età moderna. Molto cordialmente, il Suo sempre affezionato Leo Strauss

Roma, Via Giovanni Pantaleo 4 Inghilterra Dr. Leo Strauss Cambridge 38 Perne Road

31 dicembre 1935

Caro Strauss, ancora un cordiale saluto prima dello scadere del vecchio anno - nella speranza di avere di nuovo notizie anche da Lei. ' L. Strauss, Die Religionskritik Spinozas als Grundlage seiner Bibelwissenscha(t. Untersuchungen zu Spinozas theologisch-politischem Traktat, AkademieVerlag, Berlin 1930 (n.d.t.).

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_ _ _ _ _ _ _ _ _ Lowith e Strauss _ _ _ _ _ _ _ __ Quali sono i Suoi piani, o le Sue sorti future? Lo Hobbes procede, e Le permetterà di stabilirsi in Inghilterra? Io ho trattato per due mesi con Bogotà in Colombia ed ero pronto - in mancanza di altre prospettive - ad andare all'equatore - ma non se ne è fatto nulla - solo la metà dei nominativi proposti sono stati chiamati. Recentemente sono stato a Istanbul, invitato per una conferenza, e mi sono fatto un'idea della situazione di là. Se i turchi nel 1936 creeranno un posto e se io avrò la fortuna di ottenerlo lo sa il cielo. Fino a giugno sono di nuovo coperto grazie a Rockefeller e a Mendelssohn; del primo a Marburg e a Berlino non si sa niente, né occorre si sappia niente. Le condizioni esteriori di vita sono diventate così difficili e logoranti che il mio lavoro su Burckhardt va avanti solo con molta lentezza. Ho perso qualche mese a imparare lo spagnolo per Bogotà. Ma non voglio lagnarmi, perché dopo aver visto Istanbul, Roma è pur sempre un asilo europeo per gente come noialtri. È uscito da Hegner un lavoro di Erik Peterson che interesserà molto anche Lei: Il monoteismo come problema politico1, demolizione storica di ogni teologia politica ovvero di un nesso dell'impero romano con la teologia cristiana. Molto dotto e ben scritto. Per il resto, non conosco novità di rilievo. Lei sì? Mille auguri2 per il '36 dal Suo Karl Lowith

P. s. In viaggio per Istanbul mi sono fermato un giorno ad Atene! E ho guardato il paesaggio dall'Acropoli.

1 E. Peterson, Der Monotheismus als politisches Problem, Hegner, Leipzig 1935 (n.d.t.). 1 In italiano nell'originale (n.d.t.).

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_ _ _ _ DIALOGO SULLA MODERNITÀ _ _ __

Parte II. 1946

1O gennaio 1946

Caro Lowith, in via strettamente riservata Le comunico che sia il Dipartimento di Filosofia1 sia il comitato speciale La hanno proposta per la primavera 1948. La decisione della facoltà si avrà quasi certamente la settimana prossima (15 gennaio). Mi rallegro molto. Quanto al Suo desiderio, che io dia una scorsa al Suo lavoro, non sono purtroppo in grado di soddisfarlo. Sono talmente impegnato con le mie lezioni che posso esser contento se riuscirò a terminare prima di giugno un articoletto che devo scrivere. Come può vedere dalla mia calligrafia, non sto affatto bene. Si invecchia sempre più, e non si viene a capo di nulla. La vita da queste parti è tremendamente difficile per gente come me. Bisogna lottare per le più elementari esigenze di lavoro, e si soccombe ogni volta. Avrei pubblicato volentieri il mio studio sulla politica socratica, a cui Lei accenna. Ma pubblicarlo qui è impossibile. Se avessi tempo lo ritradurrei [in tedesco] e cercherei di piazzarlo in Svizzera. Qui, ciò che non rientra nello schema va perduto. Non ricordo più chi mi ha raccontato della sorella di Boschwitz. Credo però che la fonte fosse attendibile. Di F. Boschwitz non so nulla. Molto cordialmente Suo Leo Strauss 1 Si tratta del Philosophy Department of the Graduate Faculty, New School for Social Research, New York (n.d.t.).

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_ _ _ _ _ _ _ _ _ Lowith e Strauss _ _ _ _ _ _ _ __ 15 agosto 1946

3202 Oxford Ave., N. Y. 63

Caro Lowith, grazie di cuore per le Sue osservazioni sulla mia recensione a Wild 1• La Sua benevolenza mi ha molto confortato, perché ho fatto un'altra volta naufragio, ossia mi vedo costretto a ricominciare ancora una volta dal principio. L'aspetto meno serio è una radicale insoddisfazione di me stesso - Lei vede che sono del tutto infedele alla filosofia, poiché definisco meno seria una cosa del genere sicché le sue righe amichevoli sono arrivate al momento giusto. Lei obietta alla frase: «Si può prevedere fondatamente che il movimento inaugurato, si può dire, in questo paese dal libro di Wild acquisterà peso e importanza crescenti col passare degli anni». Supponga però che io sappia di due o tre persone che si occupano della restaurazione della filosofia classica, i cui lavori si segnaleranno nel corso del prossimo decennio, e che capiscono qualcosa della questione. Allora la tesi rappresentata pubblicamente in America per la prima volta, fortuitamente, da Wild acquisterebbe un'influenza e un peso maggiori di quelli che ha al momento. Io non profetizzo una moda. Insomma, Lei sottovaluta la mia ironia. Riguardo alla querelle des anciens et des modernes: io non nego, anzi affermo che la filosofia moderna ha in comune con la cristiana-medievale elementi essenziali; ma ciò significa che l' attacco dei moderni è diretto prevalentemente contro la filosofia antica. D'altronde la Scolastica era liquidata già nel Cinquecento nella coscienza degli interessati, in quanto si tornava dalla filosofia medievale alle sue fonti, Platone-Aristotele e la Bibbia; la novità nel Seicento è il rifiuto di tutto ciò che precede (rifiuto di cui nel Cinquecento non vi è quasi traccia. - Bodin è una eccezione; Machiavelli ha avvolto la sua critica radicale nelle vesti di un ritorno a Roma ovvero a Livio). 1 L. Strauss, On a New lnterpretation of Plato's Politica! Philosophy, in «Socia! Research», XIII, 1946, 3 (n.d.t.).

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________ Dialogo sulla modernità ________ Inoltre: i massimi esponenti del partito antico della querelle, cioè Swift e Lessing, sapevano che il vero tema del dibattito è antichità e cristianesimo. (Non mi venga a parlare della del tutto esoterica Erziehung des Menschengeschlechts, o delle banalità di Dilthey; legga lo scritto contro Klotz - le Antiquarische Briefe il Wie die Alten den T od gebildet, il Laokoon [la sofferenza di Filottete contrapposta alla sofferenza di Gesù], la Hamburgische Dramaturgie... ). Costoro non dubitavano che l'antichità, cioè la autentica filosofia, fosse una possibilità eterna. Condorcet e lo stesso Comte non vogliono rimpiazzare il cristianesimo: vogliono rimpiazzare l'assurdità con un ordine ragionevole. Ma questo lo volevano già Descartes e Hobbes. Solo quando la querelle era già fondamentalmente risolta si portarono in campo la religione e il cristianesimo, e fu questa tardiva interpretazione del movimento moderno a dominare il credulo e insopportabilmente sentimentale Ottocento. Lei obietta alla mia frase: «L'insistenza sulla fondamentale differenza tra filosofia e storia - differenza per cui la filosofia sta o cade - è molto probabilmente, nella situazione presente, fuorviante». Dice che non capisce questa frase. Dunque: supponga per un momento che a causa di un ostacolo acadentale (l'imbarbarimento moderno) noi dobbiamo anzitutto reimparare gli elementi della filosofia; questa possibilità di puro apprendimento non si dà nel nostro mondo nella cosiddetta filosofia, mentre ciò che propriamente vuole lo storico moderno può riuscire soltanto se egli si comporta in modo del tutto ricettivo, con volontà di capire. Non intendo altro che questo - almeno a tutti gli effetti pratici. Lei non può comunque negare che oggi, soprattutto nei paesi anglosassoni, si trova qualche testa in più nelle discipline storiche che nella «pura filosofia». Questa penuria potrebbe essere una virtù, o almeno portare alla virtù: se, cioè, quella «pura filosofia» è vacua o fondamentalmente falsa. Siamo d'accordo su questo, che oggi noi abbiamo bisogno della riflessione storica - solo io sostengo che questo non è né un progresso né un destino da accettare con rassegnazione, bensì un mez-

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__________ Lowith e Strauss __________ zo inevitabile per superare la modernità. La modernità non si può superare con mezzi moderni, bensì solo in quanto anche noi siamo ancora esseri naturali con un intelletto naturale, ma gli strumenti di pensiero dell'intelletto naturale per noi sono andati perduti, e gente semplice come me e quelli come me non li possono riconquistare con le proprie forze: cerchiamo di imparare dagli antichi. Che senso ha dunque il discorso sullo studio «esistenziale» della storia, se non conduce ad avere verso il pensiero di chi ci ha preceduto un atteggiamento non contemplativo e di superiore sapienza, ma apprendistico-interrogativo-pratico? La concezione da me abbozzata non ha niente a che fare con Heidegger, perché Heidegger dà soltanto una interpretazione raffinata dello storicismo moderno, lo «àncora» «ontologicamente». In Heidegger la «storicità» ha già fatto svanire completamente la natura, il che certo ha il pregio della coerenza, e costringe a riflettere. Peccato che Lei non sia andato fino in fondo sulla via imboccata nel Suo confronto fra Hegel e Goethe. Certo, per questo bisognerebbe capire la scienza naturale di Goethe con l'aiuto della «dialettica» di Lessing. Io credo realmente, anche se a quanto pare ciò Le sembra fantastico, che l'ordine politico perfetto tratteggiato da Platone e Aristotele è l'ordine politico perfetto. Oppure lei crede allo Stato mondiale? Se è vero che l'autentica unità è possibile solo grazie alla conoscenza della verità o grazie alla ricerca della verità, allora una autentica unità di tutti gli uomini ci sarà solo grazie alla divulgazione di una dottrina filosofica definitiva (che ovviamente non esiste) oppure quando tutti gli uomini saranno filosofi (non Dottori in Filosofia eccetera), cosa altrettanto inconcepibile. Quindi ci possono essere soltanto società chiuse, cioè Stati. Ma se così è, si può dimostrare in base a considerazioni politiche che la piccola città-Stato è in linea di massima superiore al grande Stato o allo Stato territoriale-feudale. So bene che oggi non la si può ristabilire2, ma che la : Ma oggi viviamo precisamente nella situazione estremamente sfavorevole; la situazione tra Alessandro Magno e le poleis italiane del tredicesimo-quindicesimo secolo era nettamente più favorevole.

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________ Dialogo sulla modernità ________ soluzione odierna, cioè la soluzione del tutto moderna, è contra naturam, lo dimostrano le famose bombe atomiche, per non parlare delle città con milioni di abitanti, di gadgets, f uneral homes, «ideologie». Chi ammette che Orazio non parlava a vanvera, dicendo «naturam furca expelles, tamen usque recurret», ammette anche la giustezza di massima della politica platonico-aristotelica. Sui particolari si può discutere, anche se io personalmente potrei sottoscrivere tutto ciò che auspicano Platone e Aristotele (ma lo dico solo a Lei). Contro Platone-Aristotele c'è solo una obiezione: ed è il factum brutum della rivelazione, o del Dio «personale». Dico: factum brutum - perché a favore della fede non c'è nessun argomento, teorico, pratico, esistenziale... neanche l'argomento paradossale (un paradosso è in quanto tale contestabile dall'intelletto, come dimostra ampiamente Kierkegaard) della agnoia theou che caratterizza l'autentico filosofo 3• Questo mi porta a «Gerusalemme e Atene». Non so quando sarà la mia conferenza - in novembre, ma il giorno deve fissarlo Hula. La Sua presenza mi sarebbe molto gradita. Se posso tornare al mio articolo, l'ho scritto in realtà per gli studenti. Volevo far loro vedere cor un esempio tipico quale robaccia sia lodata da degli idioti nel New York Times, Tribune eccetera, per renderli un poco più cauti. L'unica cosa che non ho scritto per gli studenti è l'interpretazione del passo in certo senso decisivo della Settima Lettera 4 : Mi dia presto Sue notizie. Se viene a trovarla Frank, gli faccia pure vedere il mio articolo. Ma non ad altri. Molto cordialmente Suo Leo Strauss

J Husserl mi disse una volta, quando lo interrogavo riguardo alla teologia: «Se un Dio datum esiste, noi lo descriveremo». Così era (delizioso?). Il problema è che coloro che credono di sapere qualcosa su Dio negano che egli sia un datum descrivibile. • La Settima Lettera di Platone (n.d.t.).

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__________ Lowith e Strauss __________

Non manderò l'articolo a Wild; ma sarà mandato automaticamente alla Harvard Press. A chi dovrei mandarlo, direttamente o tramite Lei? La prego, mi dia una risposta.

Karl Lowith Weston, Vermont

18 agosto 1946

Caro Strauss, molte grazie per la Sua lunga lettera. Per cominciare dalla cosa per me più evidente: non c'è dubbio che Comte eccetera non voleva semplicemente sostituire all' «assurdità» un ordine ragionevole, ma il suo progrès consiste in una consapevole trasformazione del «sistema cattolico», cioè del cristianesimo in senso socio-politico. Perché Lei dice che religione e cristianesimo sono stati portati in campo solo tardivamente (nell'Ottocento)? E qualunque cosa si possa dire contro le visioni storiche progressiste, io le condivido nella misura in cui anch'io trovo che il cristianesimo ha modificato radicalmente la «naturalità» antica. In un gatto o in un cane la «natura» torna sempre fuori, ma la storia è ancorata nell'uomo troppo profondamente perché a Rousseau o a Nietzsche o al Suo futuro eroe dell'essere e dell'intelletto naturali possa riuscire di ripristinare qualcosa che si era esaurito già nella tarda antichità. La «più semplice» pietra di paragone sarebbe - come Nietzsche ben vide - il ripristino del rapporto antico col sesso come qualcosa di naturale e insieme divino. Anche la «natura» di Goethe non è più quella amica. E meno ancora riesco a raffigurarmi un ordine sociale naturale. Lo Stato mondiale è certamente assurdo e contra naturam, ma è contra naturam anche la polis e tutte le istituzioni storiche create dall'uomo. Io potrò aderire alla Sua tesi solo quando Lei riuscirà a convincermi che stelle, cielo, mare e terra, generazione, nascita e morte danno a Lei, uomo «semplice»!, risposte naturali alle Sue innaturali domande. E per quanto riguarda il dolore, può darsi, certo, che Prometeo sia più comprensibile di Cristo

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_ _ _ _ _ _ _ _ Dialogo sulla modernità _ _ _ _ _ _ __ per il cosiddetto intelletto naturale, ma semplice e naturale non è davvero neanche il mito di Prometeo. Fino a che punto la nostra snaturalizzazione risalga al cristianesimo è difficile dire, ma certo ciò che è cambiato non è soltanto la coscienza storica, bensì il nostro essere storico. Che non sia necessario far svanire la natura, come Heidegger, lo vede dal fatto che Schelling aveva una filosofia dello spirito che gli apriva una nuova via di accesso anche all'intelligenza della natura. Capiva qualcosa di religione rivelata e pi mitologia. Lei dice che non si può superare la modernità con mezzi moderni. Suona plausibile, ma mi sembra giusto solo con riserva, perché anche il paziente puro «imparare» non si libererà mai dei propri presupposti. In fin dei conti il disagio della modernità nasce soltanto dalla coscienza storica, dall'avere nozione di tempi altri e «migliori», e dove questa coscienza si smarrisce - come nella generazione nata dopo il 1910 in Russia e in quella nata dopo il 1930 in Germania - la modernità non è più sentita come qualcosa da superare, al contrario. La bomba atomica non mi insegna nulla che già non sapessi; ed è certo una gran differenza, ma non assoluta, definire peccato o mortalità ciò che è deprecabile nella realtà umana, e distinguere così fra Dio cristiano e divinità pagane. «I mortali» suona, di nuovo, più naturale, e comprensibile che «i peccatori», ma io non credo (come Lei saprà) che con l'espressione «i mortali» si intendesse soltanto la fine naturale della vita, comune a tutti gli esseri viventi. Lei dove traccia il confine fra naturale e innaturale? Per i greci era del tutto naturale - e di questo io li lodo avere rapporti con donne, fanciulli e animali, e il matrimonio borghese è altrettanto innaturale della pederastia, e le gheishe 1 giapponesi sono tanto naturali per l'uomo quanto lo era per O. Wilde il suo amico. Instaurare un ordine perfetto - sia sociale e politico, sia nella morale privata - è sempre un'impresa carica di innaturalità, già solo in quanto ordinamento. 1

By the way: le crearure più artificiose che io abbia mai visto.

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_ _ _ _ _ _ _ _ _ Lowith e Strauss _________ Il Suo articolo su Wild dovrebbe mandarlo a A. Lovejoy, von Fritz (Columbia), Kuhn, P. Friedlander, ]ager, Green, f. Randall, e a professori di Chicago che potrà indicarle meglio Riezler. Per inciso, c'è un bel capitolo di Gregorovius su Atene e Gerusalemme (non filosofico). Potrebbe vedere in che numero di Antike è uscita una parafrasi dell' «uomo magnanimo» di Aristotele? Mi piacerebbe saperlo. Cordiali saluti e ringraziamenti dal Suo Karl Lowith

20 agosto 1946

3202 Oxford Ave., N.Y. 63

Caro Lowith, grazie di cuore per la Sua interessante lettera del 18 u.s., appena arrivata. Dato che mi sto appunto occupando del tema Gerusalemme e Atene, viene al momento giusto. È stupefacente che noi, che fino a un certo punto ci capiamo molto bene, al di là ci si capisca così poco - è stupefacente considerando l'importanza delle cose su cui ci capiamo. Dove si separano le nostre strade? lo penso veramente che Lei, nel punto decisivo, non sia abbastanza semplice, mentre io credo di esserlo. Lei non prende abbastanza alla lettera il senso semplice della filosofia: la filosofia è il tentativo di sostituire le opinioni sul tutto con una autentica conoscenza del Tutto. Per lei la filosofia non è altro che autoconoscenza o autointerpretazione dell'uomo, beninteso dell'uomo storicamente determinato, se non dell'individuo. Cioè, per dirla platonicamente, Lei riduce la filosofia alla descrizione dell'arredamento della caverna del momento, della caverna(= esistenza storica), che allora non può essere più vista come caverna. Rimane attaccato all'idealismo-storicismo. E interpreta la storia della filosofia in modo che essa conferma l'inevitabilità, da Lei sostenuta, del condizionamento storico o del dominio dei pregiudizi. Lei identifica di fatto filosofia con Weltanschauung, fa quindi dipendere radicalmente la filosofia dalla 28

________ Dialogo sulla modernità ________ cultura del momento. Per esempio, non c'è dubbio che il nostro modo usuale di sentire è condizionato dalla tradizione biblica; ma ciò non esclude che noi possiamo chiarirci la problematica della provvidenza, sulla quale si basa questo sentire (la fede nella creazione per opera di un Dio amoroso), e che possiamo educarci a correggere il nostro sentimento. lo so per esperienza come mi era da principio incomprensibile ed estraneo il concetto aristotelico di megalopsychia e come adesso lo approvo non solo sul piano teorico ma sul piano pratico. Un uomo come Churchill dimostra che la possibilità della megalopsychia sussiste oggi esattamente come nel V secolo avanti Cristo. Circa la questione della filosofia moderna e del progresso, la filosofia (o scienza) moderna è originariamente il tentativo di sostituire la filosofia (o scienza) classica (che vuol dire anche la medievale), ritenuta a torto o a ragione insufficiente, con la filosofia giusta. La «insufficienza» era questa: la scienza attuata dell'antichità (Platone e Aristotele) non fu in grado di dar conto di certi fenomeni naturali1, di cui essa in base ai propri princìpi doveva dar conto. Sorse l'idea che la fisica «materialistica», soppiantata dalla filosofia classica, cioè anzitutto dalla Fisica di Aristotele, offrisse possibilità di conoscenza di ampiezza inaudita. Ma: si era imparato da Aristotele-Platone che una fisica materiale non può comprendere se stessa,. la possibilità del conoscere (noein ). Quindi il compito: anzitutto assicurarsi la possibilità della conoscenza, per poi poter svolgere fino in fondo la fisica meccanicistica, e così essere in grado di comprendere l'universo. Questo è il senso delle Meditazioni di Descartes, del testo fondamentale della filosofia moderna. Motivi biblico-scolastici hanno soltanto contribuito: la scienza moderna, cioè la filosofia moderna, va intesa f ondamentalmente in termini fisici, in termini umani; ciò vale anche per la filosofia politico-pratica, come io ho sostenuto più estesamente l'anno scorso nel mio testo di seminario sul diritto naturale. Ora, intorno al 1750 l'edificio della fisica meccanicistica e della politica ' Del mondo «esterno».

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__________ Lowith e Strauss __________ che si fonda su di essa è compiuto: viene in primo piano la coscienza della sua problematica, Hume e soprattutto Rousseau. Si vede che la promessa della teoria politica illuminata (Hobbes, Enciclopedia) di instaurare il giusto ordine mediante la propagazione della fisica e antropologia meccanicistica non può essere mantenuta; si vede (cioè, Rousseau vede), perché si impara da Platone a vedere di nuovo il problema «scienza-politica» (che non era mai stato del tutto dimenticato: Spinoza, anche Leibniz), che la società ha bisogno di «religione». Una generazione dopo Rousseau si vede che la religione non si può «fabbricare», come voleva Robespierre: quindi cristianesimo, o qualcosa di simile al cristianesimo. In seguito a questa reazione all'illuminismo, lo stesso illuminismo viene interpretato come motivato cristianamente, e questo riesce perché l'illuminismo, per motivi politici, si era sempre adattato al cristianesimo. La fable convenue così costruita è la base della visione oggi dominante. Ritorno alla visione naturale. Lei scambia l'uomo-della-strada greco, e per quanto mi riguarda anche il poeta greco, con il filosofo greco. (Che Nietzsche abbia fatto spesso, non 2 sempre, lo stesso errore, non migliora le cose). Platone e Aristotele non hanno mai creduto di aver dalle «stelle, cielo, mare, terra, generazione, nascita e morte risposte naturali alle loro innaturali domande» (cito la Sua lettera). Platone «fugge» notoriamente da queste «cose» (pragmata) nei logoi, perché i pragmata non danno nessuna risposta diretta, ma sono muti enigmi. Per quanto riguarda in particolare la sessualità, essa è, come tutto ciò che è naturale, un mirabile mistero (solo i moderni sono tanto pazzi da credere che la «creazione» di un'«opera d'arte» sia più mirabile e misteriosa della generazione di un cane: guardi una cagna con i suoi cuccioli; e la forza, grazie a cui Shakespeare concepì, sentì e scrisse l'Enrico IV, non è opera di Shakespeare, ma più grande di qualsiasi opera di qualsiasi uomo) - un mistero mirabile, di rango superiore a tutto ciò che gli uomini hanno fatto: la 1

Sulla genealogia della morale, «Che cosa significano gli ideali ascetici?».

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________ Dialogo sulla modernità _ _ _ _ _ _ __ «moralità» non ha un'importanza maggiore per i filosofi. Per la filosofia classica almeno, la sessualità è meno «divina» del comprendere (del nous). Da qui deriva l'atteggiamento pratico di questi filosofi verso la sessualità. (Prenda un caso estremo: i logici, vedi Diogene Laerzio, vedi Antistene - Antistene era uno stolido, ma su cosa è un filosofo greco sapeva qualcosa di più di quello che sappiamo noi così su due piedi). Quando Lei dice che la polis è contra naturam come tutte le istituzioni umane, Lei non fa che ripetere una tesi politica greca, la tesi dei cosiddetti «sofisti», ma anche di filosofi come Democrito, Archelao eccetera, quindi una tesi da prendere sul serio. lo credo che al quesito se la polis sia physei o para physin non si possa dare una risposta netta. Comunque il fatto che essa ha carattere istituzionale non è ancora una prova che essa sia contra naturam: parecchie istituzioni aiutano le tendenze naturali. In ogni caso io sostengo che la polis, quale essa è stata interpretata da Platone e Aristotele, perspicua società urbana, proba (spoudaia), basata sull'agricoltura, in cui domina la gentry, è moralmente-politicamente la più ragionevole e gradevole: il che peraltro non significa affatto che io vorrei vivere in una polis del genere (non si deve giudicare tutto secondo i propri privati desideri) - non dimentichi che Platone e Aristotele preferirono come luogo di residenza la democratica Atene alle eunomoumenai poleis: per i filosofi le considerazioni politico-morali sono necessariamente secondarie. Cristo e Prometeo. «Può darsi che Prometeo sia più comprensibile di Cristo per il cosiddetto intelletto naturale, ma semplice e naturale non è davvero neanche il mito di Prometeo». Per tacere d'altro: il mito di Prometeo è un mito, cioè una storia non vera, mentre il cristianesimo sta e cade con il presunto fatto reale che Cristo è risorto. La resurrezione di un morto è un miracolo, contra naturam; che gli uomini si raccontino storie non vere, le quali tuttavia hanno «senso», è secundum naturam. La storia di Prometeo presuppone degli dèi invidiosi - la filosofia nega la loro esistenza, anzi la loro possibilità - e con ciò nega la possibilità della storia di Prometeo. Lei scambia di nuovo la fi31

__________ Lowith e Strauss __________ losofia con-i greci. (Ma la maggior parte dei greci erano soltanto dei .Babbìtt3 o degli Homais o dei ... greci). 4

«Certo ciò che è cambiato non è soltanto la cosaenza storica, bensì il nostro essere storico». Eccome! Ma se questo cambiamento si è basato su premesse erronee, noi non possiamo starcene con le mani in mano, ma dobbiamo fare del nostro meglio per annullarlo - non socialmente o politicamente, ma privatissime. «Il disagio della modernità nasce soltanto dalla coscienza storica». Al contrario: la coscienza storica è una conseguenza del disagio della modernità. Vedi Savigny, Beruf Che le giovani generazioni in Germania e in Russia non sentano più la modernità come qualcosa da superare è ovviamente del tutto indifferente - altrettanto indifferente di ciò che gli andamanesi di Riezler5 pensano delle lattine. Pederastia eccetera. Legga per favore le Leggi di Platone su questo argomento. - Non dimentichi il nesso naturale fra organi sessuali e procreazione. - La monogamia è un'altra faccenda, anche se io personalmente avrei qualcosa da dire a suo favore. I filosofi avevano un argomento molto cinico e sensato a favore della monogamia. Grazie per i nominativi. Chi è il Green a cui dovrei mandare l'articolo su Wild (e dove)? Antike, VII, 1931 - Traduzione di Jaeger dell'analisi aristotelica della magnanimità. Molto cordialmente Suo Leo Strauss

A proposito, ha letto la mia recensione del libro di Olschki su Machiavelli ( «Social Research», marzo 1946)? Mi farebbe piacere che la leggesse. > Personaggio dell'omonimo racconto di Sinclair Lewis, un agente immobiliare filisteo del Middle West (n.d.t.). ' Personaggio entusiasticamente anticlericale di Madame Bovary di Gustave Flaubert (n.d.t.). s Nell'articolo su Man's Science of Man (in «Social Research», XII, 1945, 4.

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________ Dialogo sulla modernità ________ Caro Strauss' « Visibilium omnium maximus mundus est, invisibilium omnium maximus Deus est. Sed mundum esse conspicimus, Deum esse credimus. Quod autem Deus fecerit mundum, nulli tutius credimus quam ipsi Deo. Ubi eum audivimus? Nusquam interim nos melius quam in scripturis sanctis, ubi dixit propheta eius: In Principio fecit Deus caelum et terram» (Civ. Dei XI, 4)2. A questo punto voglio continuare con la Sua citazione di Lessing: che l'unico libro che sia mai stato scritto a sostegno della verità della Bibbia non è altro che la Bibbia medesima. Ma ho difficoltà a tradurre in modo decente questo passo di Lessing. Per favore mi faccia avere la Sua traduzione! Vale K.L.

P. s. Se la Sua conferenza è stata dattiloscritta, mi piacerebbe anche leggere una volta o l'altra la Sua interpretazione di Genesi 1-3.

26 novembre 1946

Caro Lowith, grazie di cuore p,er il Bultmann', per le notizie riguardo a Brunner e per la Sua cartolina. Quanto alla citazione di Lessing, sono contento che Lei mi chieda soltanto la mia traduzione (e non anche il luogo del passo): « The only book which ever has been written in defence of the Bible is the Bible itself». Il passo si

' Cartolina senza data. «Di tutte le cose visibili la più grande è il mondo, di tutte le invisibili la più grande è Dio. Ma che il mondo esiste lo vediamo, che Dio esiste lo crediamo. E che Dio creò il mondo, nulla lo testimonia più sicuramente di Dio stesso. Dove lo abbiamo udito? In nessun luogo meglio che nelle sacre scritture, dove il suo profeta dice: In principio Dio creò il cielo e la terra» (n.d.t.). 1

' Il riferimento è a un'opera del teologo protestante Rudolf Bultmann (n.d.t.). Emil Brunner, teologo protestante (n.d.t.).

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_ _ _ _ _ _ _ _ _ Lowith e Strauss _ _ _ _ _ _ _ __

trova da qualche parte negli scritti teologici, presumibilmente in quelli connessi con la pubblicazione dei Frammenti di Reimarus. Confidenziale - Lei è stato proposto da Riezler come suo sostituto per la primavera 1948. Le prospettive sono favorevoli. Io personalente sarei molto lieto. Quanto a Brunner, non lo recensirò, ma ne tratterò l'anno prossimo nell'ambito di un corso di «Filosofia e Teologia», in cui vorrei sviluppare la tesi della mia conferenza. Dopodomani andrò ad Annapolis per tenervi la mia conferenza seminariale, in forma ampliata. Al ritorno mi fermerò a Bryn Mawr, per far visita a Frank e per una lezione informale sulla politica socratica. Posso tenere i due Bultmann per qualche tempo? Non sono ancora riuscito a leggerli, perché la mia lezione su Spinoza e il mio seminario su Montesquieu mi esauriscono completamente. Conosce Montesquieu? È il più perfetto gentleman dell'Europa continentale (aveva una madre inglese). Del tutto anticristiano, più umano di Machiavelli, attratto ugualmente dalla Roma repubblicana e dagli antichi germani, affabile e aristocraticamente frivolo eccetera eccetera. - Insomma tutto quello che si immaginavano Nietzsche e Stendhal, ma che Stendhal non era. (Stendhal discende già da Rousseau). Molto cordialmente Suo L.

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s.

Finito di stampare il 10 giugno 1994 per conto di Donzelli editore s.r.l. presso la StilGraf di Roma

l\.arl Lowith ( 1897-1973) è stato allie\, o di l lusscrl e I kidcggcr. Costretto ad ,1bbcrndonare l.1 Germania nel '34. vi rientrò solo nel '52. Tn le sue opere più significative Da Hc gel a I\ zctzsche (Ein,rndi. 1949), Szgnzficato e (ine della stona ( Comunità. 1963 ), Nietzsche e l'eterno ritorno ( Latcrza, 1982), Li mia vzta in Germania (li Saggiatore, 1988), Jacob Burckhardt (Lnerza 199 l ). Leo Strauss ( 1899 1973 ), dopo aver studiato a Berlino fino all'av\ento del nazismo. si ri-

fugiò in America, dme ha insegmto a lungo prima a '\Jew York e poi a Chicago. Tra i suoi studi più a.pprezzati Diritto naturale e stona (Neri PoLZa, 1957), Penszcrz su ~1:-ichiavellz (Giuffre, 1970), Libcralzsmo antico e moderno l Giuffrc, 1973 ). Che cos'e la filosofia politzca