Dialoghi Italiani

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  • ocr: Tesseract; a cura di Giovanni Aquilecchia
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DIALOGHI ITALIANI

GIORDANO

BRUNO

DIALOGHI DIALOGHI

ITALIANI

METAFISICI Nuovamente

E

ristampati

GIOVANNI Terza

DIALOGHI con

SANSONI

da

GENTILE

edizione a cura

GIOVANNI

note

di

AQUILECCHIA

-

FIRENZE

MORALI

PROPRIETÀ

LETTERARIA

Stampato

RISERVATA

în Italia

PREMESSA

Esauritasi da tempo l'edizione riveduta e accresciuta dei Dialoghi bruniani a cura di Giovanni Gentile: — edi-

zione

che

fin dal suo ‘primo

ed utile funzione

apparire ? ebbe

di rappresentare

la meritata

la «vulgata»

dei testi

filosofici volgari del Bruno — l'esigenza avvertitasi in questi ultimi anni di una ristampa a sua volta riveduta e corretta ha assunto ormai un carattere di vera e propria

urgenza.

La

gentiliana

è infatti non

ottocentesche, l’unica edizione completa

pure,

dopo

le due

dei Dialoghi finora

apparsa in questo secolo; peri lo scrupolo filologico

ma altresi l’unica che contemcon intenti dichiaratamente ed

loghi

cinquantennio:

onestamente divulgativi. Non è meraviglia dunque che su di essa si fondino quasi tutte le ristampe parziali dei Diaapparse

nell'ultimo

le

quali,

salvo

le eccezioni che verrò indicando, per il testo si attengono appunto dove

viene

ciecamente

occasionalmente

mediante

alla

lezione

pretendano

congetture,

se

gentiliana,

pur

e perfino

distaccarsene,

a

volte

ciò



av-

indovinate,

stimolate però unicamente dal testo suddetto. Né diversa appare essere la sorte delle note gentiliane: per lo pit meccanicamente sunteggiate nelle ristampe parziali. Il

1 Giorpano

Bruno,

Opere

Italiane,

I, Dialoghi

Metafisici;

rl’

Dialoghi Morali, nuovamente ristampati con note da GIOVANNI GENTILE, seconda edizione riveduta e accresciuta, Bari, Gius.

Laterza

&

Figli,

1925

a cura di B. Croce ® Bari, Laterza,

e 1927

(«Classici

e' G. Gentile», 1907 e 1908. v

II

della

e VI).

Filosofia

Moderna

PREMESSA

danno

che da una tale situazione può derivare agli studi

bruniani

rori

e

è evidente:

sviste,

talora

esso

consiste

puramente

nel

perpetuarsi

materiali,

che

in

di ereffetti

non mancano nel testo e nelle note della pur benemerita edizione gentiliana. Va da sé quindi che in ultima istanza

soltanto

degli

da

un

esemplari

nuovo

studio

superstiti

delle

diretto

prime

e

dalla

edizioni

collazione

bruniane

possa scaturire un'edizione che, pur facendo tesoro dei risultati conseguiti dal Gentile, apra una fase realmente nuova nella pubblicazione dei testi bruniani. Quanto in-

vero si è pur impreso a fare in diversa sede con risultati (incorporati

nella

presente

ristampa)

che

finora

confer-

mano la fruttuosità di un nuovo vaglio del materiale bruniano. Ciò che non viene ad infirmare l'opportunità o a diminuire l'urgenza di una edizione riveduta dei Dialoghi pubblicati

dal Gentile:

sia perché

il lavoro

per l'edizione

critica è in buona parte tuttora nella sua fase esplorativa, sia anche perché quella gentiliana (riveduta e corretta) rimane

tuttavia

l’unica

edizione

completa

adatta,

per

metodo ed intenti, ad una collana di classici della filosofia. La riunione poi, ora per la prima volta attuata, dei sei dialo-

ghi bruniani in un volume unico viene a conferire a questa terza edizione il carattere di un’opera di consultazione assai maneggevole malgrado la mole del materiale raccolto: L’ incarico datomi nel corso del 1955 dalla Casa Sansoni

di curare la terza edizione dei Dialoghi di Giordano Bruno apportando correzioni e varianti ai testi composti secondo il testo della seconda edizione di Giovanni Gentile si riduceva a due punti esclusivi: a) curare l'edizione Gentile dei Dialoghi ponendo in nota — tra parentesi quadra * —

le varianti

della Cena

de le Ceneri

secondo

il

1 Per le correzioni esplicite e le aggiunte alle note si è poi do-

vuto ricorrere alle parentesi tonde in neretto giacché le parentesi quadre risultavano già adoperate nell’edizione base ad indicare integrazioni nel testo e nel commento: come tali esse sono state quindi adoperate anche nell’ambito dei brani aggiunti tra parentesi tonde in neretto. Quest’ultime e queste soltanto indicano quindi gli interventi del curatore della presente edizione. VI

PREMESSA

testo critico da me stabilito (e che apparve nel corso dello

stesso anno) !; è) correggere — sempre tra parentesi quadra ? e con riferimento a tutti e sei i Dialoghi — gli errori e le inesattezze chiaritisi nell'ultimo trentennio, posteriormente cioè alla seconda edizione Gentile. Il principio conservatore posto alla base della progettata edizione

mi parve invero opportuno: non solo perché ad oltrepassare quei limiti si sarebbe rischiato di alterare sostanzialmente l'apparato originale ovvero raddoppiarne la mole

pur

soltanto

con

l'aggiornamento

di

rinvii

biblio-

grafici vari; ma anche in quanto si veniva in tal modo a stabilire una implicita ma chiara distinzione tra il lavoro tuttavia in corso per l'edizione critica dei Dialoghi e questo di revisione del tuttora fondamentale lavoro gentiliano. In pratica però l’incarico affidatomi si rivelò per diversi aspetti inadeguato al fine di produrre una terza

edizione

genuinamente

corretta

rispetto

alla

precedente.

Come anzitutto regolarsi nel caso di errori ed inesattezze non chiaritisi in quest’ultimo trentennio, anzi ripetuti meccanicamente da successivi ristampatori dei singoli dialoghi ? Come

per i non pochi casi in cui la prima edizione Gentile

o edizioni ad essa anteriori presentassero lezioni più corrette e attendibili rispetto alla seconda dello stesso Gentile ? Se poi il sistema degli interventi tra parentesi poteva fino ad un certo punto risultare tollerabile per le correzioni apportate alle note (ma anche per ovvi lapsus o errori meccanici ?), lo si poteva a ragione tollerare per il testo bruniano,

tramandando

cosi

l'errore

o la svista

in

bella

evidenza nel corpo di esso? A queste e non poche altre questioni di metodo ho dovuto rispondere, risolvendole,

caso per caso: sempre tenendo presenti, da una parte, i criteri cditoriali dello stesso Giovanni Gentile, dall’alI GiorpaNO Bruno, La Aquilecchia, Giulio Einaudi

colta

di classici

riferimento crit.

italiani

Cena de le Ceneri, Editore, Torino,

annotati»,

IV).

‘A questa

nelle note aggiunte al commento

? Si veda la nota n. 1 di p. vI. VII

a cura di Giovanni 1955 («Nuova rac-

edizione

con la formula:

si farà

ediz.

PREMESSA tra, fin dove sunto.

possibile,

i limiti

definiti

nell'impegno

as-

Ciò che andava pur premesso a meglio intendere i criteri particolari seguiti nella revisione e correzione del-

l'opera:

criteri che

guono,

con

TITOLO

verrò

riferimento

DEL voLUME.

esponendo

nei paragrafi

alle diverse

sezioni

Il titolo complessivo

che sè-

del volume.

del volume,

Dialoghi Italiani, per quanto possa apparire naturale, data l'opportunità di distinguere il gruppo dei dialoghi in volgare da quelli scritti in latino, figura ora per la prima volta in testa ad una edizione dei Dialoghi bruniani. Esso è stato da

me

deciso,

benché

nuovo

anche

rispetto

all'edizione

gentiliana che qui si riproduce, in base ad alcune considerazioni di ordine pratico oltre che critico. Le edizioni complete dei Dialoghi, a cura, rispettivamente, di Adolfo Wagner,

Paolo

de

Lagarde

e Giovanni

Gentile

(1%

e 22

ediz.) erano infatti integrate dalla commedia (Il Candelaio) e ben potevano quindi costituire, come più o meno esplicitamente

indicato

nei

rispettivi

titoli,

il corpus

su-

originale

di Opere

Italiane

sarebbe

ri-

volumi

laterziani

che

si riprodu-

perstite delle « opere italiane » di Giordano l'assenza della commedia dalla presente titolo

complessivo

Bruno +. Data ristampa *, il

sultato ingiustificato. A non volerlo mutare, lo si sarebbe dovuto addirittura eliminare: riunendo in uno i titoli particolari

cono:

dei

Dialoghi

tal modo

due

Metafisici e Dialoghi

qui

Morali. Avremmo in

sancito, in questa che è l'edizione corretta e ag-

! L'edizione wagneriana Opere di G. B. ecc. (Lipsia, Weidmann,

1830) lascia sottintendere l'aggettivo ilaliane. % Questa esclusione, conforme peraltro a motivi editoriali, appare giustifitata in questa sede dal valore preminentemente letterario del Candelzio. Senza voler escludere possibili obiezioni a una

tale

discriminazione,

va

notato ‘tuttavia

che

essa

veniva

già osser-

vata dagli editori Laterza, i quali inserivano i due volumi delle Opere Italiane di G. B. contenenti i sei Dialoghi nella collana dei

«Classici della filosofia moderna (voll.

a cura

II

Italiane,

e

VI),

di V. ma

mentre

il

Spampanato,

al di fuori

terzo

a cura di B. Croce volume,

appariva

della

collana VIII

contenente

si come

suddetta.

vol.

e G. Gentile»

III

il

Candelaio

delle

Opere

PREMESSA

giornata della vulgata dei Dialoghi, una distinzione e definizione quanto mai controverse, e comunque estranee alla mente e allo stile bruniani. Già Felice Tocco aveva osservato

che «di

tutte

le opere

italiane,

il solo

dialogo

schiettamente metafisico è quello della causa; gli altri invece sono o rigorosamente scientifici o etici» (G. B., Conferenza, Firenze 1886, p. 77). Osservazione sviluppata, subito dopo l'apparizione della prima edizione Gentile, da

Erminio

Torino

Troilo

1907

rimproverava

nel suo

volume

La

filosofia

(cap. II: L'Antimetafisica). il titolo

di Metafisici

di G.

B.,

Al Troilo che gli

da lui accolto

ed im-

posto ai primi tre dialoghi italiani (pp. 15-16, nota 1), il Gentile volle rispondere con una lezione di metodo (« Il Troilo confonde il naturalismo dei filosofi con quello dei naturalisti... »:

v.

Studi

sul

Rinascimento,

Firenze

1936,

pp. 155-67) che implica però una giustificazione solamente relativa del titolo in questione: il quale può risultare per

lo meno

anacronistico,

confrontato mine

con

sietafisico.

occorre pur ammetterlo,

le particolari È

curioso

anzi

levava a questo proposito un Pref. aù ‘ Diall. Metaf.’, pp. meglio vide dunque il Corsano questione va distinto un aspetto delimitato al tempo del Bruno, perennemente timetafisico

speculativo.

s’ intendesse

Ché

accezioni

bruniane

notare

che

specie se del ter-

il Gentile

ri-

anacronismo inverso (vedi XXx-xXxxI di questo vol.): quando osservò che « nella terminologico, storicamente da un altro propriamente e se

per

atteggiamento

antispeculativo,

con

rinunzia

an-

a

penetrare infinitamente più addentro e più profondo del dato empirico-sensibile, nessuno più metafisico del Bruno.... Ma

se

per

metafisica

s'intende

la

vecchia

scienza

onto-

logica classico-medievale, egli non poteva vederci altro che una di quelle muraglie, anzi la più spessa e massiccia di tutte, da attaccare e rovesciare perché si scoprisse il volto della divina natura.... Quanto al termine metafisica, non si può dir certo che nelle opere volgari il Bruno lo

adoperi

suo

con troppo

svolgimento

rispetto....»

storico,

Firenze

(Il pensiero

1940,

p.

di G. B. nel

129,

n.

I).

Lo

stesso Gentile, del resto, se pur si trovò a difendere il tiIN

PREMESSA

tolo del primo volume in polemica con il Troilo, non aveva

mancato

egli

stesso

di manifestare

alcune

esitazioni

ri-

spetto ai due titoli in questione (si veda la Prefazione ai ‘ Dialoghi Metafisici’ e l’altra ai ‘ Dialoghi Morali”, pp.

XXX-XXXI e LXI di questo volume). L’esitazione del Gentile è stata di recente rilevata e confermata esplicitamente da Paul-Henri Michel nella sua introduzione al Des Fureurs Héroiques (Paris, 1954, p. 19). Il Michel osserva inoltre che «les Fureurs héroigues ne relèvent pas moins de la métaphysique que de la morale» e che se la funzione

di quei due sottotitoli gentiliani può

parsa

confacente

ben

consistere

nel « mettre en relief la cohésion des dialogues réunis sous chacun d’eux», a questo riguardo «un seul titre eùt-ilété préférable ». Che è quanto si è pur fatto nella presente edizione: per la quale alla novità del volume unico ci è in senso editoriale,

si trova

non

gentiliani

sia

perché

del

titolo:

ché la definizione

già ampiamente

Risolta

unico,

la novità

accolta

cosi la questione

c’era poi motivo

(per quanto la nostra

del

essere

s' intende,

di « dialoghi italiani »

nella critica

titolo

di sacrificare

possano

vuol

novità,

bruniana.

unico

i due

essi apparire anzitutto

al volume

sottotitoli

inadeguati):

una

ristampa

del lavoro gentiliano, con l'intesa di rispettarne perfino le inesattezze (e tanto più quelle « intenzionali ») — salvo a rilevarle nelle note aggiunte; — sia perché nel caso specifico dei sottotitoli il G. prese posizione decisa contro i suoi diretti oppositori. Motivo quindi di chiarezza editoriale non solo, ma altresi di rispetto della volontà esplicita del curatore

PREFAZIONI:

primo.

nell'originale le due prefazioni erano col-

locate in testa, rispettivamente,

Opere Italiane: alterando

i due

le ho

collocate

titoli originali

al I e al II volume

di seguito,

(Prefazione

integrando

delle

e Prefazione

ed

al

secondo volume), in Prefazione ai ' Dialoghi Metafisici' e Prefazione ai ‘ Dialoghi Morali”. Le mie precisazioni (ove non sì tratti di tacite correzioni di ovvi errori di stampa)

occorrono — rilevate tra parentesi tonde in neretto — ovunque si avverta l'esigenza di rettificare dichiarazioni

PREMESSA

erronee

o imprecise.

Quanto

alle osservazioni

critiche,

mi

sono astenuto da ogni intervento che non sia un semplice rinvio a studi posteriori e nei quali gli argomenti dal G. proposti risultino meglio sviluppati o direttamente discussi.

In alcuni casi tuttavia, come a proposito della duplice redazione del principio del dial. I della Cena (cfr. p. xxxv, n. 2), non ho esitato ad offrire in nota un ulteriore contributo

rispetto

agli

studi

da

cui pur faccio riferimento: nitivamente

cui soluzione in parte. Dove

una

me

stesso

ciò allo scopo

questione

le osservazioni

finora

del

rimasta

G.

già

compiuti

di chiarire defi-

non

oscura

e

giovavano

alla

che

il G. fornisce ragguagli bibliografici relativi a tra-

duzioni o edizioni dei Dialoghi sono intervenuto

cisazioni

opere

e

e

citate

integrazioni

dal

da lui presentate.

G.

nei

stesso

limiti,

e delle

con pre-

rispettivamente,

sezioni

delle

bibliografiche

Interventi di diverso genere appariranno anch'essi evidenti grazie al rilievo delle parentesi in neretto: tacitamente ho però corretto gli errori di trascrizione che erano rilevabili nei passi tratti da Le Ciel réforme, per i quali

ho

centesca.

scrupolosamente

Tacitamente,

riscontrato

s'intende,

ho

la

poi

stampa

corretto

ventina di sviste o errori meccanici rilevabili nelle prefazioni (seconda edizione), particolarmente nella scrizione

di nomi

e titoli

francesi,

inglesi

e tedeschi.

setteuna

due tra-

DiaLOGHI: a parte le mie note e i miei interventi tra parentesi in neretto (e di cui dirò in seguito), tanto per il testo bruniano quanto per le note gentiliane mi sono anzitutto proposto di riprodurre scrupolosamente la seconda edizione Gentile, confortato in ciò da quanto il G. stesso ebbe a dichiarare, a proposito del testo e del commento, sui vantaggi della sua seconda edizione rispetto alla prima (si veda la Prefazione ai ‘ Dialoghi Metafisici', Pp.

XLVII-xLIX

e

la

Prefazione

ai

‘ Dialoghi

Morali',

p. LXI). Ovviamente non potevo portare lo scrupolo fino alla riproduzione incondizionata di manifesti quanto presumibilmente involontari errori o sviste rilevabili nelle xI

PREMESSA

due parti (testo e commento) forme

alle

direttive

infatti

in un

di quella edizione. Se, con-

editoriali,

il sistema

delle

note

ag-

giunte o degli interventi al mezzo o in fine di nota poteva anche in questi casi valere a mettere in guardia il lettore suggerendogli la lezione genuina o la correzione di dichiarazioni inesatte — ed in tal senso esclusivamente impostai

rebbe

tuttavia

tramandare

destinato corpus

dei

si sarebbe vizio non

non

sue),

primo

tempo la

risultato

comunque

imperdonabile la corretta

Oltre

venuti a rendere

pure

ma

al

altresi

berate

inesattezze

mermi

senz'altro

di ogni

singola

Bruno

in

dell’opera



il pedantismo

sa-

di

quel tipo di inesattezze in un testo

a rappresentare Dialoghi.

‘revisione

che,

mi

resi

lezione

in tal modo

realtà

del

un pessimo

ser-

conto

(tramandando

al Gentile

vulgata ben

nel

(attribuendogli

involontarie).

A

presto,

testo

come

sviste

deli-

correggere

tacitamente le inesattezze da me ritenute meccaniche, sarei incorso, agli occhi del lettore, nell’arbitrio di assula responsabilità

di decidere

tra espres-

sioni deliberate ed altre involontarie. Il che avrei anche rischiato, e in virtà degli elementi a me noti a sostegno intralciare

alterazione,

la lettura

con

come

pure

interventi,

allo scopo

sf necessari,

di non

ma

non

si fondano

per il testo

e in

delle nostre

correzioni

meno fastidiosi. Va tuttavia tenuto presente che tutte le ristampe moderne dei Dialoghi (ad eccezione, ovviamente, dell'edizione critica della Cena, ma anche dell'edizione francese

degli Eroîcî

per caso,

il motivo

Furori)

gran parte anche per il commento sulla seconda edizione Gentile (G*): della quale riproducono fedelmente non pochi errori materiali. Ne deriva che ad evitare perplessità da parte di studiosi e lettori si è pur dovuto enunciare, caso obiettivo

condo testo gentiliano. Quanto al testo, dunque,

va qui osservato

che

al se-

G? si

avvantaggia effettivamente (tranne eccezioni) rispetto a G!,

limitatamente

ramento

note

mente

o quasi però a quei luoghi in cui il miglio-

di lezione

mediante accolta.

sia dichiarato

la riprovazione

Per il resto

dal Gentile

della

si noterà

XII

lezione

che

in apposite

precedente-

la lezione

di G!,

PREMESSA

derivata immediatamente garde (L), risulta spesso involontariamente !)

in

G?,

da quella diplomatica del Laalterata tacitamente (e quindi essendo

ciò

imputabile

o

a

Nessun

dubbio

quindi

materiali errori tipografici consumati nel trapasso da Gi a G* 0 a casi di vera e propria lectio facilior verificatisi

nel corso

che in tali a G:=L nel testo, formula G!

del

trapasso

medesimo.

casi la correzione del testo bruniano conforme si imponeva, e l’ho attuata immediatamente non senza però dichiararla in nota (dietro la = L seguita dalla forma corretta e dalla le-

zione errata di G*)'. Ad analoga correzione mi hanno indotto i casi in cui una svista di G' risultava tramandata

in

G?:

di edizioni

con

con

il conforto

quella

della

concordanti)

lezione

ho

il testo fornendo in nota la giustificazione

diplomatica

quindi

di G? = G!, Neppur

emendato

(e cioè il rinvio

all'ediz. diplomatica e a edizioni parallele) la corruzione

(e

e denunciando

qui potevano

sussistere

perplessità, data l’abitudine gentiliana di segnalare in nota lezioni del L. da lui deliberatamente rifiutate. Altrove ho restituito il testo di G' anche in quei casi in cui la lezione di G? (da me.-riportata in nota), benché dovuta a

intenzionale

emendazione

del

G.,

risultava

patente-

mente erronea (es. p. 334 n. 1). Là dove potesse sussistere

dubbio a questo riguardo mi sono limitato a denunciare in nota la probabile svista mediante il rinvio a G1= B per la Cena e a G: = L peri rimanenti dialoghi (si vedano più sotto le precisazioni a questo proposito) ?. Specifico

T Quando il mio rinvio al testo Lagarde è indicato dalla lettera L posta tra parentesi, ciò indica che la grafia della parola, resa diplomaticamente dal Lagarde, è modernizzata in G!. ® Le divergenze da me indicate con riferimento a B (per la Cena) e a L (per i rimanenti dialoghi) non includono, se non in

casi

di

puntive:

mente

particolare giacché

per

modernizzato.

(specie nei plurali)

interesse, questo

Non

quelle

aspetto

sempre

delle preposizioni

meramente il testo

esso

grafiche

Gentile

rispetta

articolate;

le

o

inter-

è dichiarata-

forme

né sempre

deboli

segue

B

(ovvero L) nella riunione o divisione delle parole (es. per che - perché):

ho tralasciato di rilevare la divergenza ove questa apparisse intenzionale e quindi rispondente a un criterio interpretativo. Ho per

XIII

PREMESSA

qui di seguito alcune minuzie riguardanti il testo, prima di procedere ad osservazioni sul commento. In G? il «punto interrogativo » apposto ad una citazione impressa in corsivo è anch’esso in corsivo: l’ ho trascritto in tondo ove non appartenga alla citazione stessa ma al periodo in cui la citazione è inserita.

Per iniziativa editoriale i nomi degli interlocutori sono trascritti per esteso e in corsivo (anziché abbreviati e in maiuscoletto come in G?). Riguardo alle varianti noterò che talvolta il G. nel riportare in nota una lezione di B o di altre edizioni usa

la maiuscola per la lettera iniziale: ove ho potuto rilevare invece

la minuscola

nel

testo

citato

(sia

pure

dietro

la

scorta di L con riferimento a B) l’ ho tacitamente sostituita alla maiuscola. Una certa confusione nelle note testuali di G* deriva

dal

fatto

che sono

impressi

in corsivo

pur

i segni

inter-

puntivi intesi a introdurre o distinguere tra loro le varianti (anch'esse in corsivo): ho quindi trascritto in tondo i punti

interpuntivi

suddetti,

lasciando

in corsivo

varianti, oltre alle sigle che rappresentano

si fa rinvio.

Quanto

a queste ultime,

le sole

le edizioni cui

ho operato

(tra pa-

rentesi in neretto) alcune integrazioni in conformità a costanti moduli

gentiliani.

Anche per il commento ho potuto risolvere grazie al confronto con G! non poche perplessità che sorgono dalla

lettura delle note di G? (ciò che vale soprattutto

o numeri Dove

vari come

G! era corretto,

G! e G? concordavano

cisare tra parentesi

tamente, ove la tutto patente) !.

pure

per date

per citazioni da testi diversi).

ho emendato

tacitamente

G*;

nell'errore sono intervenuto

in neretto

(ma anche

irresponsabilità

della

dove

a pre-

qui talora taci-

svista

fosse

del

contro emendato denunciando la divergenza ove questa potesse alterare il senso del periodo. ! Va anche contemplato il caso in cui un brano del commento

in G? non trovi il suo precedente in G!. Pur qui mi sono regolato,

per

le correzioni

tacite,

analogamente XIV

a quanto

avvertito

circa

le

PREMESSA

Nel

tener

conto,

edizioni e traduzioni

anche

a me

per

il commento,

note,

non

di

tutte

ho mancato

le

di citare

ad ogni luogo la fonte delle correzioni: ove quella non compaia, la correzione è mia. Quanto alle osservazioni o

divergenze altrui da me riportate, non sempre esse implicano la mia adesione: figurano comunque in ogni caso a

documento del lavoro

della critica

gentiliano.

bruniana

sviluppatasi

sulla base

Dirò infine che le mie note e i miei interventi tra parentesi in neretto si hanno di regola là e soltanto là dove fosse obiettivamente. rilevabile un errore nel testo o una imprecisione nel commento gentiliano. Le note linguistiche

del G. hanno per lo più carattere meramente divulgativo: non sempre esse risultano quindi tecnicamente soddisfacenti. Ad evitare comunque il pericolo di una alterazione sensibile del commento

in una direzione estranea

ai

di regola, da ogni intervento:

tranne in quei casi in cui la

fini propostisi dal curatore originario, ho deciso di astenermi,

nota linguistica potesse fuorviare il lettore mediante il suggerimento implicito o esplicito di un significato inesatto. L'aggiornamento (tra parentesi in neretto) della bibliografia citata

nelle note

è

limitato,

per

evitare

una

sovrapposizione eccessiva, a quei casi in cui esso implichi una precisazione critica. Quanto alle soluzioni « meccaniche » va ricordato che nell'originale

(cioè nella seconda

edizione

Gentile)

i rinvii

ai vari dialoghi italiani del Bruno sono a volte riferiti alla prima edizione Gentile (cosi i rinvii dai dialoghi Metafisici a quelli Morali, non essendo ancora apparsi quest’ultimi in seconda edizione al ternpo della pubblicazione del

primo

volume

G?),

a volte

alla

seconda

edizione

di regola, dai dialoghi Morali ai Metafisici, come pure,

(cosi, non

sviste patenti. A proposito delle quali va ricordato che non sempre il G. riproduce fedelmente la grafia e l'interpunzione nel corpo di citazioni tratte dalla sua stessa edizione: ovunque ho potuto rilevare divergenze tra la citazione e il testo ho corretto tacitamente quella (tranne nei casi in cui la divergenza apparisse volontaria,

al fine di piegare scorso critico).

le parole

citate

NV

alle esigenze

sintattiche °

del di-

PREMESSA

però costantemente, all’ interno dei Metafisici). Ho naturalmente alterato le formule di questi rinvii in modo da

riferirli tutti alla presente edizione !. Essendo poi mantenuto nella nostra edizione il rinvio, in calce ad ogni pagina, alle corrispondenti pagine delle precedenti edizioni complete dei Dialoghi (con l'aggiunta, ora, del rinvio

alla seconda edizione Gentile), rinviando ad una pagina della nostra edizione si viene a rinviare alla pagina corrispondente in tutte le precedenti edizioni. Naturalmente si è dovuta alterare, in calce ad ogni pagina, conforme all’ impaginatura

del presente

volume,

la numerazione

dei

rinvii alle altre edizioni già riferita all’impaginatura

del-

l'originale (cioè della seconda edizione Gentile) 2. Va da sé che tanto nei rinvii alle diverse parti dell'opera, quanto

in quelli alle precedenti edizioni, ho dovuto correggere tacitamente le immancabili sviste dell'originale aggiornando nello stesso tempo i numeri del rinvio 3. ! In pratica ho sostituito f. (0 fp.) alla sigla G. (che indicava la prima edizione Gentile) dinanzi al numero delle pagine cui si rinviava in prima edizione, ovvero ho eliminato l'esponente 2 (che indicava la seconda edizione Gentile) già apposto al titolo dei dialoghi cui si faceva rinvio in seconda edizione. Quando nelle note il G.

si riferiva

al vol.

II

(o I) delle

due

edizioni

da

lui curate,

eliminato le parole che rinviano a uno dei due volumi

ho

(e, nel rife-

rimento alla seconda edizione, l'esponente 2 apposto al numero romano) sostituendo il numero di pagina della preserite edizione a quello delle precedenti gentiliane. Quando il rinvio dal vol. II dell'originale al vol. I° implicava un confronto «contenutistico» tra

dialoghi

diversi,

alla

formula

vo/.

/I2

ho

sostituito

il titolo

del

dialogo cui si allude. Analogamente ho sostituito a vol. /2 e a vol. II

i sottotitoli Dial. Afet. e Diall. Mor. quando il riferimento compor-

tava una intenzionale distinzione della materia nell'ambito rispettivo delle due parti dell’opera. Cosi pure mi sono regolato quando le formule originali del rinvio semplicemente affettavano la costruzione della ‘frase gentiliana. Talvolta, indipendentemente dalla distinzione per volumi nell'originale, ho dovuto operare alcune

alterazioni

« Cosf

nelle formule

in fine

della

p.

38:

è La. numerazione

a quanto

si rileva

di rinvio

suole»;

(es.:

ho

ridotto

della Caba!/a non

nella

prima

a p.

edizione

590,

nota

«Cos!

5, G?

sopra:

diceva

suole »).

è indicata in 8: conforme Gentile

l'ho

quindi

inse-

rita tra parentesi quadre. 3 Quando nelle note i rinvii ad altre parti dei Dialoghi non

sono

parsi

calzanti,

ho

sostituito

ugualmente

NVI

il numero

delle

mi

pa-

PREMESSA

Ho unificato la numerazione delle figure (che nel secondo volume Laterza riprendeva da 1), facendo seguire al n. 14 dell'ultima figura del De /’ Infinito (in G! e G? segnata per errore con il n. 15 sia nel testo che in calce alla figura stessa) il n. 15 della prima figura dello Spaccio (in G! e G? n. I). Gli indici sono stati interamente rifatti per le ragioni indicate e conforme ai criteri esposti nella Nota sugli indici (pp. 1181-1187). i Mentre

un

orientamento

esauriente,

oltre

quanto

fin

qui detto, circa la natura dei miei interventi, potrà derivare soltanto dal confronto dei medesimi, preme ora precisare alcuni particolari, con riferimento ai singoli dialo-

ghi, utili alla comprensione

degli interventi stessi.

e già introdotte

e spiegate

dal

del testo critico

della

già citato

Le sigle da me adoperate nelle note al testo della Cena de le Ceneri (accanto a quelle comuni a tutti i Dialoghi Gentile:

con

l'avvertenza

che la sigla G è ora divenuta G! e si è aggiunta la sigla G?) comprendono la lettera A la quale indica le varianti definitive del dialogo derivate dall’esemplare rawlinsoniano, e trasmesseci dal codice Romano, quali figurano nel corpo Cera

(Torino,

1955)

dal

quale appunto sono qui desunte. Le varianti A — indicate in nota per non alterare la struttura del lavoro gentiliano e conforme del resto alle istruzioni editoriali — sono quindi riprodotte con la medesima grafia e interpunzione con le quali appaiono nel testo critico della Cena. Ho però avuto ora occasione di apportare, nel loro ambito, un ritocco

forse

opportuno

ad

una

mia

lezione

congetturale:

a p. 83, nota 1, le parole non prenderanno

quanti han fatti]

de passi sono

[tanti bocconi

infatti emendate

rispetto

gine corrispondenti nel presente volume, facendo però seguire il numero stesso da un punto intetrogativo tra parentesi in neretto. Soltanto a p. 365, nota 1, ho conservato il rinvio alle pagine della prima edizione Gentile (indicata nell'originale con la sigla G. e in questo

pur

volume

con

la

provvisoriamente,

proposito

del sonetto

sigla

G!)

non

al singolare

bruniano

parendomi

abbaglio

E chi mi

di

preso

impenna....

dover

dal

aderire,

Gentile

(la mia

a

preci-

sazione segue, al luogo indicato, tra le consuete parentesi in neretto). XVII 2 —

G.

Eruno.

Dialoghi

italiani

PREMESSA

al testo

in

critico

considerazione

(p.

di

1431718:

.... quanto

analoghe

chetipo della lezione vulgata

han

formule



fatto....) anche

bruniane 1, L’ar-

rappresentato

plari superstiti della prima edizione del dialogo continua

peraltro

ad essere indicato

con

dagli esem-

(1584)

la sigla B



(il ri-

ferimento a B rispecchia anch'esso il testo critico del dialogo per i brani in cui questo ne deriva). Ove vi siano divergenze tra esemplari della prima edizione (all'infuori

dell'esemplare rawlinsoniano rispecchiato in A), si farà riferimento ad esse precisando la collocazione degli esem-

plari

che

le rivelano.

La

formula

G:!= B

è adoperata

quando la prima edizione Gentile sia analoga all’archetipo mentre la seconda se ne distacchi: se ciò avviene manifestamente

direttamente

fuor

nel

d’intenzione

testo

del

la lezione

curatore,

G'

ho

(relegando

restituito

in

nota

l'erronea versione G?); quando invece la divergenza possa apparire in qualche modo intenzionale, e ove non sia lo stesso

Gentile

a darne

avviso,

di regola

mi

sono

limitato

a indicare G! = B in nota, sempre che la lezione G! mi sia parsa sostenibile contro G?.

Le figure del dialogo sono state corrette conforme alla riproduzione fattane per il testo critico (si veda in proposito

a p.

Quanto

96 l'aggiunta

alla redazione

alla nota

1 di p. 95)*.

primitiva

del principio

del dia-

logo primo — da noi riportata (pp. 541-44) in appendice ai Dialoghi Metafisici per analogia con la seconda edizione Gentile, nella quale figurava in appendice al primo vo1 A conforto

della congettura

stessa

rinvio

alla

Causa,

p. 302:

a fin che non prenda boccone. Sempre con riferimento alle varianti 4

avverto

che nel testo critico del dialogo la parola

dei versi virgiliani riportati a p. 63, nota

l'iniziale

maiuscola

centesco

(cfr.

ediz.

conforme

crit.,

pp.

alla

grafia

1274,

282

a/veus dell'ultimo

3, venne del

nota

riprodotta con

manoscritto

2).

sette-

® Avverto inoltre che conforme a B (e al testo critico) la didascalia della figura 8 (p. 144) è stata posta in calce alla figura stessa anziché

in

alto,

come

si trova

in

G!G?

=

L

(ma

nell'edizione

di-

plomatica quella particolare disposizione era giustificata dall’esigenza di porre il contrassegno della pagina originale all'inizio della didascalia). XVII

PREMESSA

lume — il Gentile dichiara (p. xxxv1) di averla riprodotta « diplomaticamente, con tutti gli errori e le imperfezioni di stampa, solo sciogliendo le poche abbreviature dell’originale »: va tuttavia notato che agli errori e alle sviste dell'originale se ne aggiunsero di nuovi pur nella seconda edizione Gentile (dove peraltro risultano scrupolosamente rivedute alcune lezioni della precedente edizione). Poiché una rigorosa trascrizione diplomatica, derivata dall’esemplare bodleiano della Cena, si trova ora nell’ Appendice I della citata edizione torinese del Dialogo, su questa mi

sono basato per la presente ristampa !. Ho tuttavia segnalato nelle note alcune divergenze di maggior rilievo tra la

mia trascrizione e quella di G? (correggendo però tacitamente l'errata trascrizione della « e della v e pur tacitamente restituendo la riunione o separazione delle parole

conforme

all'originale).

citamente

al mio

Ho

profittato

per

segnalare

in

nota anche alcune sviste della trascrizione in appendice all’edizione torinese. Per le precisazioni alle note della Cena ho attinto taHo

invece

commento

indicato

la fonte

al testo

delle

critico

correzioni

del Dialogo.

ove

quella

fosse diversa. L'edizione della Cera contenuta a pp. 43-121 degli Scritti scelti di Giordano Bruno e di Tommaso Cam-

panella a cura di Luigi Firpo, U.T.E.T. 1949, cui faccio riferimento con la sigla Fi (Firpo), riproduce inalterato il testo della seconda edizione Gentile (dalla quale deriva ampiamente

anche

per le note).

Avverto

qui,

anche

con

riferimento ai dialoghi successivi, che nel denunciare (correggendo) un errore o una svista di G?, mi sono astenuto

di regola dall’ indicare le ulteriori edizioni che ne riproducono il testo e nelle quali l'errore o la svista appaiano meccanicamente ripetuti: tranne nei casi in cui un tale rilievo potesse implicare speciale significato critico.

! Conforme al criterio gentiliano si è però tralasciato di indicare

la misura delle righe dell'originale e si è accettata la soluzione gentiliana delle abbreviature, come pure si sono mantenute le altera-

razioni tipografiche interlocutori.

apportate

dal G.

XIX

nel titolo

e nella lista degli

PREMESSA

Per i dialoghi successivi alla Cena, le correzioni al testo sono di regola giustificate dal rilievo G:=L (anziché

G: = B): il ricorso all'edizione diplomatica del Lagarde anziché all’archetipo bruniano rappresentato dagli esemplari superstiti delle prime stampe si è infatti rivelato op-

portuno per i dialoghi che vanno dalla Causa ai Furori in considerazione del fatto che il lavoro di collazione degli esemplari superstiti è, per questi dialoghi, tuttora in corso

ovvero i risultati relativi non figurano ancora in opera a

stampa :. editoriale

scrupolo diversi

Non

soltanto

assunto,

filologico

esemplari

quindi

e di cui

suscitato

in

si è pur

della prima

dalle

omaggio detto,

ma

divergenze

all’ impegno anche

rilevate

edizione

della Cena

il testo

Lagarde

per

in

si è ri-

tenuto opportuno seguire questa linea ?, in quella che vuol essere l'edizione aggiornata e corretta della « vul-

gata » bruniana

(per la quale

costituisce

tuttavia un precedente prezioso). Per i dialoghi De la Causa, Principio e Uno non si è potuto trarre alcun giovamento dalle ristampe parziali posteriori alla seconda edizione gentiliana: di C. Licitra (1925 e 1948), N. Valeri (1928), A. Guzzo (1933 ecc.), A. Corsano (1936), B. Micardi (1941), A. Renda (rg4i), A. Aliotta (s. d.). Quanto al testo il loro merito consiste in-

fatti nella dichiarata fedeltà all'edizione Gentile o — come nel caso della scelta contenuta nel volume garzantiano Giordano Bruno (1941 e 1944) a cura del Guzzo — all'edizione Spampanato (della quale il Gentile tenne pur conto nella propria seconda edizione). Quanto al commento,

alcune

di quelle ristampe

non fanno

che sunteggiare

sal-

1 Per quanto concerne i dialoghi De la Causa il lavoro per l'edizione critica è ormai compiuto e il volume uscirà prossimamente nella « Nuova raccolta di classici italiani annotati» della Casa Einaudi presso la quale è già uscita l'edizione della Cena.

? Ciò che non ha impedito in pratica il riscontro con esemplari dell'edizione originale particolarmente là dove una lezione di L apparisse sospetta: si è potuto in tal modo correggere (con maggiore sicurezza per i dialoghi De la Causa) qualche errore di lettura tramandatosi dall'edizione diplomatica alle due gentiliane. XX

PREMESSA

tuariamente

le note

del Gentile,

altre si propongono

una

interpretazione ad uso scolastico dei concetti bruniani senza peraltro sviluppare o precisare i dati storico-filologici forniti dal Gentile. Di maggiore utilità si è rivelato invece il Saggio di un commento letterale ad alcune pagine di G. Bruno di Ludovico Limentani (saggio rimasto come dimenticato nei Ricordi e Studi in memoria di Francesco Flamini, Napoli-Città di Castello, 1931, pp. 55-80). La fatica del Limentani è limitata, purtroppo, alle pagine preliminari del Dialogo (pp. 175-90 di questo volume) 1: il testo è basato sulla seconda edizione Gentile, confrontata però di nuovo con l'edizione originale nell’esemplare

che se ne conserva presso la Biblioteca Nazionale di Firenze (e che è quello stesso di cui si servi il Russo per la

revisione

del testo gentiliano:

cfr. p. xXLvIlI di questo

vo-

lume). Ne deriva che il testo Limentani è più accurato dei precedenti: in esso risultano corrette alcune sviste

contenute

in G*

e presentate

di quelle

(sviste

alcune

rilevate

lezioni

tradizionalmente

in nota

congetturali

accolte:

dal

più

mentre

Limentani)

soddisfacenti

mi

sono

limi-

tato a segnalare quest'ultime in nota, ho accolto la lezione

Limentani (Lim) non solo là dove essa fosse già giustificata dal rilievo G: = L, ma pur dove concordasse con il solo L contro G'! e G? (di che ho naturalmente dato notizia

in nota). Per i dialoghi De la Causa faccio riferimento anche alla traduzione francese del Namer? e a quella inglese della Greenberg 3. Delle due la prima è senza dubbio ! Nella premessa al suo Saggio il Limentani dichiarava tra l'altro «li non disperare « di potere, quando che sia, dare alle stampe tutto il commento di questi Dialoghi....» (p. 55). Purtroppo tale proposito non ha avuto effetto. * Giorpano

compagnée philosophie Paris,

Bruno,

Jibrairic

Félix

3 The Infinite in Dialogue ‘ Concerning GrreensERG,

York,

1950.

Cause,

Principe

et

Unité,

traduction

ac-

de notes et d'analyses et précédée d'une étude sur la de Bruno par ÈMiLe NAMER, Docteur en Philosophie,

King's

La

Alcan,

1930.

Giordano Bruno, with a Translation of his the Cause, Principle, and One’ by SipNnEY

Crown

traduzione

Press,

occupa

XXI

Columbia

le pp.

77-173.

University,

New

PREMESSA

più

interessante

anche

perché

tiene

esplicitamente

conto,

oltre che del testo Gentile, della edizione diplomatica del Lagarde e dell’edizione originale (suppongo in uno dei due esemplari parigini); per il commento essa si rivela

spesso

indipendente

da

nella traduzione Namer

quello

gentiliano.

Non

mancano

(e neppure nelle note di commento)

errori e sviste singolari: ma di questi non era qui mio compito avvertire il lettore. Per i dialoghi De /' Infinito, Universo e Mondi qualche riferimento mi è pur occorso di fare alla traduzione (e alle note) della Singer. Quanto allo Spaccio de la Bestia Trionfante e alla Cabala del Cavallo Pegaseo l'unica ristampa posteriore alla seconda

gentiliana

è

quella,

tuttavia

parziale,

contenuta

nel volume XXXIII della collana ricciardiana «La letteratura italiana, storia e testi» del quale dirò tra breve

anche con riferimento ai dialoghi che precedono e a quello che segue.

Nelle

note

aggiunte

ho adoperato

F

Furori,

ai dialoghi

De

Bruno

Nolano,

introduzione

(1928),

note », seconda

e

note

di

(«Collezione

serie,

volume

Italiani », volume

XLVIII);

(Michel) = Giordano

De

Francesco

di

XIX);

Classici

Fi (Firpo) = pp. 161-240 (contenenti dialoghi della parte prima degli Eroici lume Scretti scelti di Giordano Bruno e di panella a cura di Luigi Firpo, U.T.E.T. M

Furori

le seguenti sigle oltre a quelle consuete:

(Flora) = Giordano

U.T.E.T.

gli Eroici

Bruno,

gl’ Heroici

Flora,

Torino,

Italiani

con

i primi quattro Furori) del voTommaso Cam(1949) (« Classici

Des Fureurs

Héroiques

(De gl’ Heroici Furori), Texte établi et traduit par Paul-

Henri tres»,

Michel, 1954.

Paris;

Société

d’ Èdition

«Les

Belles

Let-

Il Flora dichiara di essersi « larghissimamente giovato » 1 DoROTHEA

Thought, Universe

traduzione

With and

WALEY

SINGER,

Giordano

Annotated Translation Worlds', New York,

occupa

le pp.

225-378.

XXII

of His Henry

Bruno,

His

Work ‘ On Schuman

Life

and

the Infinite (1950). La

PREMESSA

dell'edizione Gentile: talvolta comunque se ne distacca tacitamente (a parte per la dichiarata restituzione dell’ et dell'originale) conforme per lo pit alla lezione diplomatica: dove L F concordano contro il testo neralmente una lezione genuina di F

Gentile si ha gecui ne corrisponde

una corrotta di G! e G?. Il Firpo riproduce il testo Gentile (seconda edizione) pur introducendo eccezionalmente una emendazione congetturale. L'edizione del Michel si fonda

sull'edizione

originale

(evidentemente

negli

esem-

plari parigini) e tiene conto di tutte le edizioni precedenti

fino al Flora compreso: di queste fornisce in nota le varianti (o, più spesso, le sviste) rispetto a B, come pure

elenca le lezioni di B da lui stesso criticamente rifiutate. Il testo italiano riproduce quale tuttavia modernizza

l'ortografia dell'originale della alcuni particolari; l' interpun-

zione è modernizzata e in sostanza rifatta «en vue d'une meilleure intelligence du texte »: ne .deriva una certa am-

biguità

formale,

ma

anche

in

virti

delle

note

al

testo

questa edizione si è rivelata la più utile ai nostri fini. Quanto ai miei interventi, il rilievo G:= L ha pur qui

dispensato,

di regola, dall’elencazione di ulteriori analogie;

quando invece G! e G: differiscono da L, il rinvio a L è stato corroborato ovvero confrontato con il rinvio a F e M (secondo che questi ultimi concordino con l’edizione diplomatica o ne differiscano). Quando L e M sono d'accordo contro G! e G= (ed eventualmente gli altri editori)

ho

accolto

la loro lezione

come

genuina,

sempre

nuto conto dei criteri editoriali del Gentile. Recentissimo è il volume Opere di Giordano

di Tommaso Romano

Napoli

liana,

intero,

Campanella

Amerio,

Riccardo

(1956), XXXIII

storia oltre

neri e De la De l’ Infinito, e una scelta PP. 1I12-22 e

a cura di Augusto

e testi».

Ricciardi

Bruno

Guzzo

Editore,

te-

e

e di

Milano-

della collana «La letteratura ita-

La

alla commedia,

sezione

bruniana

i Dialoghi

La

contiene,

Cena

per

de le Ce-

Causa, Principio e Uno; i dialoghi I e V del Universo e Mondi, il dialogo I dello Spaccio dai dialoghi II e III (corrispondente alle 146-54 di G*); una scelta dalla Cabala (G? XXIII

PREMESSA

pp. 242-52, 268-71, 272-87); i dialoghi I, II, III, IV della prima parte degli Eroici Furori e i dialoghi III, IV e V della seconda parte. L'edizione dei Dialoghi è fondata sulla seconda gentiliana; gli editori dichiarano inoltre {p. 760) di aver «tenuto conto per edizione torinese della Cena (1955) ma «mutare

la base

filologica » dei loro

chiarimenti» della di non aver voluto

testi, che

è da inten-

dere fossero già pronti per la stampa all'uscita dell’edizione critica del dialogo 1. Gli editori dichiarano infine di

aver «procurato

di trarre giovamento », nel loro «lavoro

di emendazione delle opere italiane », dalla traduzione tedesca che della Causa diede il Lasson: traduzione, del

resto, già utilizzata dal Gentile. Potremmo quindi considerare questa edizione una ristampa meccanica di G? se una Tavola delle emendazioni non ci costringesse a fornire una definizione più dettagliata. Va anzitutto rilevato che

dei due

curatori l’Amerio

ha fornito

«le chiose

e gli

emendamenti al testo». Poiché egli non ha confrontato la seconda èdizione Gentile con la prima dello stesso Gentile e neppure con l'edizione diplomatica del Lagarde {tanto meno, s' intende, con le edizioni originali); né d'altro canto è disceso ad edizioni recenti dei singoli dialoghi, o di parte di essi, fondate sugli originali (quali l'edizione del Michel per i Furori e il «saggio» del Limentani per la Causa, mentre si è accennato all'uso parziale fatto del testo

critico

testo

in più

zioni » sono quanta gnalate zione o cordare

della

Cena),

ne

risulta

in realtà delle congetture

punti

tipograficamente

che

le sue

basate

corrotto.

«emenda-

su un unico

Delle

cin-

emendazioni fatte dall’Amerio, nove non sono senelle nostre note perché consistenti nella mutaaggiunta di numeri e lettere allo scopo di far conil testo con le figure: con procedimento estraneo

ai criteri gentiliani (che qui giova seguire) e vicino piuttosto ai wagneriani (ma le lettere e la disposizione della

1 Nel volume Guzzo-Amerio non si fa alcun riferimento alle varianti definitive del Dialogo: va tuttavia osservato che quelle varianti si potevano leggere fin dal 1950 in una memoria dei Lincei.

XXIV

PREMESSA

figura

4 risultano

della Cexa);

ovviamente

tredici sono,

derivate

dal

inconsapevolmente,

testo

critico

correzioni

di

errori di stampa conforme a G! (= B) o G1(= L): dietro tali formule (che ricorrono in numero di troppo maggiore pur nelle pagine corrispondenti alla scelta ricciardiana) esse trovano

luogo

edizione,

sono

in conformità (Amerio),

si

nelle

al principio

anche

nostre

le rimanenti

che è alla base

riportate

se non

note;

in

sempre

nota

dietro

infine,

della presente la

di emendazioni

sigla

Am

si tratta;

del che potrà giudicare chi legge. Si è però accolta nel testo l'’emendazione Libia per Libra (p. 159, nota 3), per la quale, oltre all'osservazione del Firpo riportata in nota all'edizione critica, va confrontato lo Spaccio a p. 734 di

questo

volume.

che derivano ad An

servire

a riprova

Qualche

esempio

dal mancato

della inevitabilità

degli

inconvenienti

riscontro G! = L potrà di quel confronto

per

una riproduzione corretta del testo gentiliano. L'errore tipografico di G? da me rilevato a p. 535, nota I (ove di tal

angue di aguzzati denti han morso) viene disinvoltamente spiegato: « dî aguzzati denti è partitivo » (Am p. 469 nota 1). Neppur là dove si accorge dell'errore Ax. può emendare con sicurezza non avendo riscontrato G! = L: l'errore tipografico entia ad

di G? da me registrato entium) viene corretto

a p. 245 nota 2 (Nor troppo ovviamente at

dall'Amerio (A#m p. 343 riga 17); ma l’archetipo (seguito da G! = L) aveva sed. Altrove può avvenirgli di guastare il testo bruniano dove G? l’ha trasmesso intatto: cfr. p. 900 nota 4 di questo volume dove l’Amerio (47m p. 567 nota 1) non ha inteso che nel periodo da lui incriminato oltre vale «inoltre» e de quelle cose dipende da ritegno ancora l'abito, come pure vi dipende de molte ecc. La parola inebriato di p. 886 sembra all’Amerio « errore delle stampe », ma poco prima ha accolto senza commento due patenti errori tipografici di G? da lui lasciati intatti e che non danno senso alcuno: gloria d'asino

(Am p. 553: cfr. p. 879

nota 3 di q. v.) e competa (Am p. 554: cfr. p. 881 nota I di q. v.). Se egli fosse risalito a L o disceso a M si sarebbe persino accorto di alcune parole omesse dal Gentile nei XXV

PREMESSA

Furori o a L

un

(cfr. p. 1025 nota 1 di q. v.). Se fosse risalito a G!

non

trascorso

avrebbe

fatto

dire

tipografico

di

G*?,

a Bruno,

che

ripetendo

la

«materia....

ancora

vien

significata sempre come il geno» (Am p. 297) anziché « per il geno » (cîr. p. 183 nota 2 di q. v.); o, per limitarmi ancora a pochissimi forme inaudite quali

esempi, non gli avrebbe attribuito Unzversade (Am p. 319) per Univer-

sitade (cfr. p. 213 nota I di q. v.), quando poi a p. 323 riga 4 altera di proposito un tipico dicolon bruniano (copulazioni e apposizioni: cîr. il precedente felicità e vera beatitudine) mutando le apposizioni in opposizioni: senza dire, ove in quella formula si volesse ad ogni costo vedere

l’ «antitesi », che apporre e apposizione

furono pur

usati

confusione

(Am

per opporre e opposizione (cfr. p. 219 nota I di q. v.); né gli

avrebbe

sancito

un

conclusione

p. 363 riga 4: cfr. p. 271

confusione

buono

un

del senso;

P. 374 nota

nota 3 di q. v.) con singolare

e neppure

abscurabuntur,

per

3: cfr. p. 286

specie

nota

gli avrebbe

passato

in citazione

biblica

per

(Am

1 di q. v.); né ancora

a

proposito della « materia » sarebbe dovuto ricorrere ad una emendazione (Am p. 387 nota 3: cfr. p. 302 n. s di q. v.) lasciando

q. v.);

con



intatta

una

avrebbe

«artificioso

(se

svista

dovuto

non

di G?

spiegare

(cfr. p. 302

un

è trascorso

delle

p. 488 nota 3), ché arfificioso appunto inalterata

si

mantenne

quella

parola

assurdo

nota 4 di

articioso

stampe)»

(Am

scrisse il Bruno

fino

a

G'

e

incluso

(cfr. p. 595 nota 3 di q. v.); né avrebbe attribuito tacitamente al Bruno un stiamo tanti ubligati (Am p. 49I:

cfr. p. 600 nota 5 di q. v.). Se per contro fosse disceso a

Fi per i Furori avrebbe potuto tener conto almeno di una

integrazione opportuna (cfr. p. 959 nota 4 di q. v.). È proprio questo metodo di emendare senza ricorrere a testi

di confronto che induce l’Amerio alle soluzioni più strane. Bruno

scriveva

ad

esempio:

vuole,

che

il mondo

sappia

certo che se quei non parlano per proprio studio.... (p. 986 di q. v.), lezione riprodotta guasta nell'edizione lagardiana

vano

ma

ripresa intatta

erroneamente

da F e M, mentre G! e G? inseri-

(ma certo per trascorso tipografico XXVI

di

PREMESSA

G: riprodotto

1. c., nota

1).

in G*) un primo se dinanzi a il mondo L'Amerio,

anziché

emendare

(cfr.

eliminando

il

primo se inserito dal tipografo laterziano, elimina quello legittimo davanti a quei (vuole, che se il mondo sappia certo che quei ecc.) con quel danno, per il senso dell’ intero periodo,

che ognuno

può rilevare

(cfr. 41: p. 59I

nota 2,

dove si dichiara: «innanzi quei abbiamo espunto un superfluo ‘se’ delle stampe»!). Bruno dice regolarmente .. quello che #° innamora del corpo è una certa spiritualità che abbiamo

in esso.... »;

l’Amerio

(Am p. 595), senza

rilevare il passaggio dal singolare al plurale. riproduce la corruzione (tipografica ?) di G?: «quello che 7’ innamora....»

(cfr. p. 992,

nota

1 di q. v.). Bruno

ha un

verso

note

2 e 3

degno del modello biblico (Che mi bacie col bacio de sua bocca) e l’Amerio glielo riproduce accogliendovi una lezione assurda determinata da errore tipografico in G?: .. di suo

bocca....

di q. v.). Bruno è vano,

possiamo

per

consueta

(Am

dice:

p.

609:

« Perché

certificarci

de

cfr.

p.

nessun stato

1010

desiderio

più

naturale

eccellente

che

certificarci

da

conviene a l’anima fuor di questo corpo.... », e l'Amerio rende paradossale questa sentenza facendogli dire, sempre la

ragione:

«.... possiamo

stato....» (Am p. 642; cfr. p. 1153 nota 3). Potrei moltiplicare tali esempi,

ma

non è questo il luogo

di recensire,

pur limitatamente alla parte testuale, il lavoro in discussione. Quanto alle «chiose » dell’Amerio, è pure occorso citarle

ogni

qual

citato,

esse

dipendano

sazione

al Gentile:

volta

ne

tranne

derivi

una

correzione

là dove, come

dalla

riproduzione

o preci-

pur in un caso di

corruzioni

tipografiche di G* ovvero nei casì in cui al rilievo storicofilologico si sostituisca una particolare intenzione ideo-

logica.

Nel chiudere questa premessa aggiungo, con riferimento alla nota 1 di p. 571, che lo stesso personaggio (Sauolinus) è interlocutore di due dialoghi latini di Bruno (/diota Triumphans, seu De Mordentio inter Geometras Deo e De Somnii Interpretatione, seu Sylua Geometrica) non compresi nell'edizione nazionale degli Opera latine conscripta XXVII

PREMESSA

e rimasti finora ignorati dagli studiosi del Bruno. Di essi vado preparando l'edizione per le « Edizioni di Storia e Letteratura » (Roma) dirette da don Giuseppe De Luca. GIOVANNI University

Gennaio

College London.

1957.

XXVI

AQUILECCHIA

PREFAZIONE

G.

SomMarto:

Bruno. —

I.

AI ‘DIALOGHI

Posto

dei

Dialoghi

METAFISICI’

metafisici

tra

II. Brano sconosciuto d'uno di essi. —

tuna fino all'edizione Wagner. — sente: criteri e metodo di questa.

le

opere

di

III. Loro for-

IV. L'edizione Lagarde e la pre— V. Nuove traduzioni tedesche.

Delle sue opere più filosofiche Giordano Bruno non ne aveva pubblicata nessuna fin alla primavera del 1583, quando si recò a Londra, al servizio dell'ambasciatore francese Michele di Castelnau di Mauvissiére,

come suo gentiluomo.

A Parigi,

nel 1582, oltre il Candelaio, aveva dato in luce il De umbris idearum

con

l’Ars

memoriae,

#

Cantus

Circaeus,

1! De

compendiosa architectura et complemento Artis Lullii. Ma l’ultima di queste operette non è se non un riassunto dell'Ars magna dî Raimondo espositori

precedenti,

Lullo, con commenti e critiche degli

che non

mutano

il carattere,

né accre-

scono il valore del libro; e le prime due trattano di arte innemonica: altra bizzarra passione del Bruno, la quale doveva essergli cosi tragicamente fatale a Venezia. I In Inghilterra, sulla fine dell''8 3, pubblicò un altro volume

di scritti mnemonici,

contenente la Recens

et completa

ars

reminiscendi (ristampa dell’Ars memoriae, uscita l’anno prima XXIXN

PREFAZIONE

AI ‘| DIALOGHI

METAFISICI*

col De Umbris); Za Explicatio triginta sigillorum, dedicata al Mauvissière; e il Sigillus sigillorum. Sicché la serie delle sue opere d’argomento schiettamente filosofico s° inizia nel 1584 con la Cena de le ceneri; a cui, nello stesso anno, seguono immediatamente gli altri due libri: De

la causa,

mondi. della

principio

Awnche

bestia

e uno

nel 1584

trionfante;

e De

il Bruno

l'infinito,

universo

pubblicherà

e nell'anno

seguente,

e

lo Spaccio

prima

di la-

sciare Londra, le altre due opere italiane: Cabala del cavallo pegaseo con l'aggiunta dell’Asino cillenico, e De gli eroici furori. Queste opere, scrilte in italiano, come comportava la cultura

e una

certa

moda

letteraria

di Londra,

dove

allora

era largamente diffusa la conoscenza della nostra lingua, e în dialoghi, che erano la forma preferita dai filosofi e moralisti italiani del Cinquecento, si lasciano agevolmente classificare, per la materia, in due gruppi: Dialoghi metafisici è primi tre; e Dialoghi morali gli altri tre, secondo l'ordine stesso in cui vennero in luce. E «Dialoghi morali» vengono ordinariamente

denominati

benché,

lo Spaccio,

a dir proprio,

la Cabala

la Cabala

non

e gli Eroici

sia un'opera

furori; di etica,

avendo per motivo prevalente la satira del misticismo. Ma « Dialoghi inetafisici » possono di certo intitolarsi questi, raccolti nel presente

del De 1 La

ciascuna

numero

l'infinito; dicitura

opera

delle

volume,

della

quantunque

completa

in questo

del

volume;

carte, numerate

Cena,

del De

oggi possano frontespizio

la causa

parere

è riferita

e

estranee in

testa

a

dal quale si può pure desumere il

o no, delle edizioni originali. Le quali

sono tutte tre in piccolo formato in-12° STRINI, Bibl. bruniana, nn. 47, 53, 69).

(in-8° picc.: La data di

cfr. SALVEVenezia

apposta al De la causa e al De l’ infinito è falsa. Questi libri, come la

Cena,

uscirono

in

Londra.

% (Per queste osservazioni si veda ora G. AQuILEcCHIA, zione del volgare nei Dialoghi londinesi di G. B., « Cultura tina », XIII (1953), fasc. 2-3, pp. 165-809.) XXX

L’adoNeola-

PREFAZIONE

AI

‘DIALOGHI

METAFISICI’

al dominio della metafisica le discussioni astronomiche e cosmologiche della prima e della terza opera. Metafisici sono perché il motivo del filosofare del Bruno, anche in tali discus-

sioni,

è schiettamente

metafisico ; e perché la Fisica

telica, a cui questa del Bruno sullo

stesso suo

terreno

con

aristo-

vuole sostituirsi, e che combatte le stesse

sue

armi,

è appunto,

com’è noto, un corpo di dottrine puramente metafisiche intorno alla natura. Dopo queste opere italiane, in Inghilterra il Bruno non pubblicherà altro. Ma dall''85, quando tornò in Francia, fino al 159I, quando fu chiamato dal Mocenigo

a

Venezia;

dove l’anno appresso la denuncia al S. Uffizio troncò la sua carriera

di scrittore,

per troncargli,

dopo

nove anni

di pri-

gionia, anche la vita, togliendogli di pur dare in luce le altre opere già pronte e «una in particulare Delle sette arti liberali »1 (che più non si trova, quantunque finora si sperasse conservata nell'Archivio del S. Uffizio*); in questi sei anni di vita raminga, da Parigi a Magonza, a Marburgo, a Vittemberga, a Praga, ad Helmstadt, a Francoforte, a Zurigo e di nuovo a Francoforte, il Bruno non ebbe più agio di pubblicare alcun libro italiano. Stampò ancora parecchi scritti latinî,

lulliani

e mnemonici,

che qui non

un riassunto della fisica aristotelica:

accade

Figuratio

ricordare;

Aristotelici

physici auditus; e l'esposizione di talune invenzioni smatema-

tiche del salernitano Fabrizio Mordente: Dialogi duo de T'abricii Mordentis Salernitani prope divina adinventione eic. (1586). Stampò due opuscoli critici contro la fisica aristotelica e contro è matematici : Centum

et viginti articuli

! Vedi

il costituto veneto del B., del 30 maggio

® Vedi

E. C., Nuovi

PANATO,

in Giorn.

Vita di G. Bruno,

Messina,

Principato,

1921,

1592;

in SPAM-

p. 703.

documenti inediti sul processo di G. Bruno,

crit. di filos. ital., V (1925), fasc. XXXI

2°.

PREFAZIONE

de

natura

AI‘ DIALOGHI

et mundo

adversus

METAFISICI’

Peripateticos

nel 1588 col titolo di Acrotismus);

(1586;

Articuli centum

rist.

et sexa-

ginta adversus huius tempestatis mathematicos atque philosophos (7588). Rappresenta un corso di sue lezioni dettate a Zurigo nel 1591 la Summa terminorum metaphysicorum e Praxis descensus (applicazione al reale dei concetti metafisici definiti nella Summa), che fu pubblicata da un suo scolaro, Raffaele Eglin, nel 1595. Ma le opere più importanti di questo secondo periodo son quelle venute alla luce nel 1591 a Francoforie; ossia i tre poemi latini: 1° De triplici minimo et mensura ad trium speculativarum scientiarum et multarum activarum artium principia libri V; 29° De monade,

et

figura,

secretioris .nempe

physicae,

numero

mathematicae

et

metaphysicae elementa; 3° De immenso et innumerabilibus,

seu de universo et mundis libri VIII. Le opere inedite, pubblicate nel 189I dal Tocco e dal Vitelli appartengono a questo stesso periodo dei poemi; e confermano la predilezione del Bruno per l’arte lulliana nonché lo studio profondo che egli aveva fatto della Fisica di Aristotele; giovano a chiarire alcune delle idee metafisiche dei poemi; ma non contengono nulla di nuovo !.

Sicché gli scritti principali, da cui bisogna attingere la cognizione della filosofia bruniana, sono i dialoghi italiani di Londra e i poemi latini di Francoforte. Anche le altre opere, s’ intende, vanno studiate da chi voglia indagare lo sviluppo del pensiero bruniano. Lo stesso De umbris di Parigi e il Sigillus di Londra ci mostrano un Bruno neoplatonico, che ci fa intendere il neoplatonismo del De la causa. Ma le idee, R.

I Vedi F. Tocco,

Università,

1891

Le opere

(estr.

e politiche di Napoli).

dagli

inedite di G. Afti

XXXII

della

D.,

Napoli,

R. Acc.

tip, della

di scienze

mor.

PREFAZIONE

AI‘ DIALOGHI

METAFISICI’

che han guadagnato al Bruno un posto cospicuo nella storia della filosofia, sono esposte nei dialoghi italiani

e nei poemi

latini. Dei quali, si badi, il maggiore, quello che, a parere del Bruno, raccoglieva la somma del suo filosofare, il De immenso, era già cominciato a Londra, nello stesso anno 1584,

quando il Bruno scriveva il De l’ infinito +. E rel De minimo e nel De monade, che furono scritti dopo il poema maggiore (o

dopo, almeno,

buona

parte

di

esso),

il

Bruno

credette

esporre le dottrine che dovevano servire di base 0 preparazione alla sua intuizione del mondo, qual'è presentata e difesa nel De immenso.

«In primo

volumine

(De

ininimo)

cupimus, in secundo (De mmonade) incerti quaerimus, in tertio

(De immenso) clarissime demonstramus » ?.

Ora, se fra la trilogia italiana e la latina non c'è una perfetta corrispondenza, se î poemi offrono svolgimenti nuovi di pensiero

e notevoli modificazioni în taluni particolari, si

badi tultavia che il De minimo riprende la stessa materia del De la causa; e #1 De immenso quella della Cena e del

De

l'infinito,

che

sono

tra

loro

streltamente

congiunti.

Chi

pertanto leggerà i dialoghi raccolti in questo volume, entrerà

nel cuore stesso della filosofia bruniana ; e se, prima di riscon-

trare le opere latine, non potrà dire di avere una conoscenza compiuta di essa, certo ne possederà la parte sostanziale +. delle in

! Vedi

le osservazioni

del FioRENTINO,

nella prefazione

Opere latine del B., ediz. più sotto citata. ® Vedi l' Epistola dedicatoria et clavis premessa

Opera,

3 Delle

italiana,

I,

1,

196.

opere

a spese

latine

dello

si

ha,

Stato,

com'è

decretata

noto, dal

al I vol.

al De immenso,

un'edizione

ministro

completa

Francesco

de

Sanctis. Consta di 8 tomi in 3 voll.; dei quali il vol. I, in 4 parti, contiene i poemi latini e le altre opere costruttive, espositive e cri-

tiche; il vol. II, in 3 parti, le opere mnemoniche e lulliane; il III le opere

inedite

conservate

in vari

codici

di Mosca,

di

Augusta

e di

Francesco

Fio-

Erlangen. Le prime due parti del vol. I furono pubblicate a Napoli,

editore

Domenico

Morano,

nel

1879

XXXIII 1



G.

Bruno,

Diuloghi

italiani

e nel

1884

da

PIREFAZIONE

AI‘ DIALOGHI

METAFISICI'

I L'esemplare della Cena de le ceneri che nel 1907 fu acquistato dalla Biblioteca Nazionale di Napoli presenta una singolarità, sulla quale giova qui subito fermare l’attenzione. St conosceva dell'opera una copia esistente nella Biblioteca di Gottinga, e în essa notavasi un errore nella numerazione delle pagine (che incomincia dopo l' Epistola proemiale); e cioè alla p. 4 ne seguivano due segnate col numero 5. Errore certo non grave e da non meravigliare chi sappia che questi errori non sono poi tanto rari negli archetipi bruniani. Poteva bensi parere strano a un osservatore attento del libro, che la numerazione cominciasse a mezzo il primo foglio di stampa,

dopo,

come

pagina undecima;

s'è detto,

l’ Epistola

che

termina

alla

ciò che poteva indurre a credere che la

stampa fosse stata iniziata col frontespizio, esistente nella prima pagina dello stesso primo foglio; e non si vedeva quindi perché non si fossero numerate anche le pagine dell’ Epistola, cominciando dalla prima. La copia napoletana fa piena luce, in modo inatteso, sopra questo punto. Essa infatti dopo il primo foglio ci dà quattro

RENTINO, col titolo: Opera latine conscripta publicis sumplibus edita. Con lo stesso titolo si continuò a pubblicare il resto. E cioè: la parte 18 del vol. II a cura di VITTORIO IMBRIANI e CARLO MARIA TAL-

LaRrIGO, ancora a Napoli, presso il Morano, ncl 1886; tutte le altre parti del vol. I e del II, e il III, a Firenze, coi tipi dei Succ. Le Monnier,a cura di FrLIce Tocco e GrroLAMO VITELLI: vol. I,

parti 35 e 43 e vol, II, parte 38 nel 1889; vol. II, parte 28 nel 1890; vol. III nel 1891. Noi le citeremo col semplice titolo: Opera. Intorno

alla parte

curata

dal

Fiorentino

v.

SIGWART,

in Goettingische

gelehvte Anzeigen del 5 e 12 gennaio 1881; e Tocco ne La Cultura di R. Bonghi, a. IV (1885), vol. VI, pp. 337-44. Il vol. dell’ Imbriani

e Tallarigo è riproduzione diplomatica degli archetipi. Ottima l’edizione

delle parti

stampate

a Firenze.

XXXIV

PREFAZIONE

AI

‘* DIALOGHI

METAFISICI*'

pagine finora sconosciute ai bibliofili e agli studiosi di Bruno,

contenenti una redazione primitiva del principio dei dialoghi della Cena, e precisamente del brano compreso nelle prime cinque pagine numerate degli altri esemplari noti; le quali sono le ultime cinque del primo foglio. Onde si spiega agevolmente l'errore delle due pagine segnate col numero 5 (una

essendo

l'ultima

del primo

con 5, la prima»

foglio,

del secondo

e l'altra,

foglio);

già

riumerata

viene accertato che il

primo foglio del libro fu l'ultimo a stamparsi; e quindi viene anche chiarito perché la numerazione non poteva più incominciare dalla prima pagina dello stesso primo foglio*. Nella nuova redazione il Bruno ampliò notevolmente 1 (Ma ® (La

pagine

in realtà la quinta: segnata in calce B. 3 (recto).) «singolarità» sopra discussa, e cioè la presenza delle

contenenti

la redazione

primitiva

del principio

del

I dial.

accanto a quelle contenenti la definitiva — rilevata invero fin dal sec. XVIII da Laus de Boissy in una nota ms. (cfr. G. AQUILECcHIA,

La

lezione

Pp. 211-12) —

definitiva

ecc.,

Roma,

Acc.

Naz.

dei

Lincei,

1950,

si riscontra in altri esemplari della Cera, alcuni dei

quali già illustrati nella citata memoria: Nazionale di Firenze (ms.), Nationale di Parigi, Bodleian Library (Oxford); cui aggiungo ora,

tra

le copie

da

me

recentemente

esaminate,

due

dei

tre

esemplari

del Trinity College di Cambridge (M. r2. 145! e D. 9. 122) e l'esemplare del Saint John's College di Cambridge. Avevo già rilevato

l'estirpazione delle due pagine in questione da quattro almeno degli esemplari che ora presentano soltanto la redazione definitiva del I dial,

(cfr. l’ediz. crit. della Cena,

che l'esemplare l'estirpazione.

da me

sidente lege di

di AIl Souls

Ma

a seguito

finora esaminati e dei Fellows, Oxford) posso

College

di

(incluso,

più

pp.

238

(Oxford)

attento

per cortese

e 274):

presenta

esame

degli

preciso ora

tracce

concessione

esemplari

del

Pre-

quello che si conserva al Corpus Christi Colaffermare che essi tutti contenevano in ori-

gine le due pagine discusse dal Gentile (segnate in calce B. B. îi.): infatti in tutti gli esemplari mancanti della redazione

mitiva il secondo

del-

quaderno

i. e pri-

del volume risulta privo delle cc. B. i.

e B. ti. (cfr. la descrizione dell'esemplare moscovita a p. 274 dell'ediz. crit. della Cena). Ciò che viene a ridurre a tre (di cui la prima soltanto ipotetica: cfr. la nota del Boissy riportata a pp. 211-12

della cit. Memoria)

ritenute

quattro

le fasi note della stampa del dialogo, già da me

pur

nella citata

ediz.

NXXV

critica.)

PREFAZIONE

questo primo

AI

DIALOGHI

METAFISICI'

tratto del primo dialogo, tanto da farne cinque,

in luogo di qualtro pagine; di convenienza personali 0 capriccio, natogli a vedersi stegli nel foglio, stampato da

non si può dire se per ragioni per motivi artistici, o per mero le cinque pagine bianche rimaultimo, del frontespizio ed Epi-

stola proemiale. Certo, 11 brano mella seconda redazione guadagna di brio e di bizzarra vivacità. È anche da notare che

due persone (il Florio e il Gwinne), che prima eran nominale, si ritirano nell'ombra. Dell'ambasciatore di Francia non st fa più menzione. Di quel Frulla ammesso nella conversazione con maestro Smith a pigliarsi giuoco del pedante non si fa piu un servitore dello stesso Smith. E veramente, per servo, sape-

va troppo di latino, di Bibbia e di letteratura. Basta supporre il desiderio di mutare uno di questi particolari per spiegarci

il bisogno che sorgeva di rifare e ampliare il principio del pri-

mo dialogo, fino a riempire le pagine bianche del primo foglio.

Comunque,

lano

le quatiro pagine che l'esemplare napole-

ci ha conservate, e che si possono considerare quasi ine-

dite, sono riprodotte nell'Appendice del presente volume?, dove ogni lettore, col confronto della redazione che a quelle pagine venne sostituita (pp. 19-27), potrà vedere come Bruno abbia rifatto e recato a maggiore perfezione il suo scritto. E vi sono riprodotte diplomaticamente, con tutti gli errori e le imperfezioni di stampa, solo sciogliendo le poche abbreviature dell'originale. III I Dialoghi metafisici, usciti, dunque,

a Londra nel 1584,

quantunque, a giudizio del Florio, facessero parte del « meglio ! (Vedi

pp.

539-44

della

presente NXXVI

edizione.)

PREFAZIONE che

è pui

celebri

AI‘ DIALOGHI

uomini

hanno

METAFISICI’

scritto »*,

andarono

presto

dispersi, come î Dialoghi morali, dopo la fine sventurata dell'autore. Ed è noto che nel sec. XVIII, quando cominciarono ad attrarre l'attenzione degli studiosi,

che nel Bruno

videro

un precursore di Spinoza e di Leibniz, eran diventati di una rarità

estrema.

Pochissimi,

per

un

secolo,

poterono

vederli ;

e generalmente non ne correvano se non notizie indirette e qualche estratto. Nel 1726 venne alla luce una esposizione del De l'infinito con la traduzione in inglese dell’ Epistola proemiale,

del

libero

pensatore

irlandese,

il

pan-

teista Giovanni Toland ®. Nel 1789 Federigo Enrico Jacobi, nella seconda edizione delle sue Lettere sulla dottrina di Spinoza,

convinto

che Gassendi,

Descartes e Leibniz avessero

tratto partito da quello oscuro scrittore e da lui prese talune parti importanti dei loro sistemi (wichtige Theile ihrer Lehrgebiude aus ihm gezogen)3, offriva al lettore, come saggio della Filosofia nolana, alcuni estratti del De la causa: cioè la traduzione di questi dialoghi, tolta via la forma dialogica, e tutte le ripetizioni, dieressioni e lungherie, non rare negli scritti del Bruno, il quale compose affrettatamente tutte le sue opere, e più queste italiane. Anzi che una traduzione, pertanto, questa data dal Jacobi in appendice

alle sue Lettere,

è un

riassunto;

ma

un

riassunto

compilato quasi sempre con i termini stessi del Bruno. I V.

SPAMPANATO,

® Collection

in Critica,

of several

pieces

McINTYRE,

G.

XIX,

of

367-8,

Mr.

JOHN

XXI,

314,

TOLAND,

XXI,

with

Del

I2I.

some

memoirs of his life and writings, London, Peele, 1726, vol. I, pp. 304-49.

Cfr.

J.

P. 349.

Lewis

Il McINTYRE

(p. 94

l' infinito una trad. ingl. di La

ignota anche

a I. FRITH,

n.)

Bruno,

cita

RocHE,

nel Catalogo

in app. all'opera qui appresso citata.

London,

della stessa

Memoirs

di The

Macmillan,

Epistola

1903,

del

existing works

of B.,

3 Pref. alla 2% ed. dell'opera Ueber die Lehre des Spinoza Briefen: in Werhe, Leipzig, Fleischer, 1812-25, IV, 1, 8-9. XXXVII

De

of literature, vol. II;

in

PREFAZIONE

AI‘ DIALOGHI

METAFISICI'

lesto italiano, egli, oltre poche righe del 3° dial. (Tra le specie di filosofia.... una vita più beata e più divina; f. 277 di g. ediz.), apposte per epigrafe a tutto il corpo delle appendici, diede soltanto tre pagine, in nota (Mi par udir cosa..., E non dico di vantaggio: ff. 239-43 di 9. cd.). L'estratto consta di quatiro capi : 1° Della causa in quanto è diversa dal principio

e una

con

esso.

Identità

della causa

agente,

formale e ideale; 2° Del principio materiale in generale, e quindi, in particolare, del principio materiale considerato come potenza; 3° Del principio materiale considerato come soggetto;



Questo

Dell'uno!.

estratto, mirabile di chiarezza

il principio

della

rinnovata

Joriuna

e precisione,

delle

opere

segnò

bruniane.

Pochi estratti e accurati riassunti ne diede nel 1802 il Buhle

nella sua Geschichte stesso Jacobi (morto a più ampia traduzione Bruno fu pubblicata del Rixner e del Siber Monaco)

sulla

del sec. XVI

der neuern Monaco il 10 tedesca, che di nel 1824 nella (professore di

vita e le dottrine

Philosophie =. Ma allo marzo 1819) si deve una queste opere italiane del parte quinta dell'opera fisica nel Liceo reale di

de’

fisici

e il principio del XVII3.

celebri

della

fine

In questo volumetto,

1 Werke, VI, n: Beilagen zu d. Briefen liber d. Lehve des Spinoza; Beil. I, pp. 5-46. (ma

? Nella

23),

trad.

franc.

sono frammisti riepiloghi

un

XVI

brano

(par

A.

J.

pp. 604-730. All’esposizione

3 Leben

del De

und am

und

la causa

delle

tradotto.

Lehrmeinungen

Anfange

opere

des XVII

L.

Jourpan)

minuta

italiane,

beriihinter

t.

II,

del pensiero

parte

e in

nota (pp.

Physikev

am

Jahrhunderts,

1%

bruniano

664-6)

Ende

als Beytrige

des

z. Ge-

schichte der Physiologie in engerer u. weiterer Bedeutung hg. v. THADDX ANSELM RIXNER.... u. THADDA mit dessen Portrait, Sulzbach,

SiBER: Seidel,

V. Heft: Jordanus Brunus, 1824. Il ritratto, qui per la

prima volta pubblicato (riprodotto poi dal Wagner nella sua ediz. delle Opere italiane, da I. FrITH [ISABELLA OPPENHEIM] nella sua Life of G. B. the Nolan revised by prof. M. Carriere, London, Triibner,

XXXVII

PREFAZIONE

AI ‘| DIALOGHI

METAFISICI*

a poche notizie biografiche sul Bruno tengon dietro dieci dialoghi, tradotti in tedesco, del Dela causa ed el De l' infinito 1:

ossia quasi interi questi due libri, tolte le epistole proemiali

e fatti alcuni brevi tagli nel mezzo. E nella prefazione i traduttori dichiarano di dovere alla liberalità del Jacobi di essersi potuto procurare un esemplare dei due libri, che il Jacobi

possedeva. Segue una serie di estrattî delle opere latine, pure

tradotti, e la versione tedesca di 10 sonetti (dal De la causa, dal De l’ infinito e dallo Spaccio) eseguita dal parroco Michele Waldhausen. Se non

che,

cioè poca; e la diffusione Rixner e del non poté che

questo

libro ebbe la fortuna

che meritava,

nulla o quasi si può dire se ne avvantaggiasse della conoscenza di Bruno. La traduzione del Siber formicola dei pi grossi spropositi =. Essa acuire il desiderio delle opere originali.

E tal desiderio, finalmente,

venne soddisfatto nella stessa

Germania nel 1830 dal dottore Adolfo Wagner, con la sua edizione delle Opere (sic) di Giordano Bruno Nolano ora per la prima volta raccolte e pubblicate in due volumi 3: 1887;

citata)

e dal KUHLENBECK

dicono

gli autori

nella trad. della Cena

di aver ricavato

da una

che sarà più sotto

stampa

apparte-

nente alla raccolta del sig. Consigliere (Kyeisregierungsrathes) mann, di Monaco: stampa in-8° picc. « Il nome del calcografo strappato. Probabilmente apparteneva come rame del titolo kupfer) a qualcuna delle operette del Bruno » (p. Iv). Se è da per autentica, siccome rappresenta Bruno giovanissimo e cocolla, bisogna pensare che fosse premessa a uno degli opuscoli

Wirthè stato (Titeltenersi con la smar-

riti, pubblicati dal B. prima di lasciare 1’ Italia, probabilmente l'Arca di Noè,

dedicata a Pio V. Cfr. V. SPAMPANATO,

I (Il SALVESTRINI

(Bibliogr.

brun.,

nn.

59,

Vita di G. B., p.580.

73,

330),

nell’attri-

‘buire erroneamente allo stesso Jacobi queste traduzioni, sembra fraintendere il presente passo del G. Cfr. L. LIMENTANI, in Ricordi e studi în mem. di F. Flamini, Napoli 1931, p. 56.)

2? È il giudizio del Lasson, op. pit sotto cit., p. x1x.

3 Lipsia,

Weidmann,

MDCCCXXX,

in-8°.

Vol.

I,

col

ritratto

del B., di pp. xXxVI-292; vol. II, di pp. 437. L' Introduzione W. reca la data di «Lipsia a' di 20 Nov. 1829». XXXIX

del

PREFAZIONE

AI' DIALOGHI

METAFISICI*

dove erano ristampati nel vol. I: il Candelaio, la Cena e il De

la causa;

e nel vol. II:

il De

l'infinito,

Jo Spaccio,

la

Cabala e gli Eroici furori. Che la pubblicazione venisse incontro a un vivo desiderio di molti, è mostrato anche dal fatto,

che tre o quattro anni dopo l'edizione era esaurita *. Fu quindi per parecchi decennit assai ricercata; e nel 1855 Bertrando Spaventa, che allora studiava la filosofia del Bruno e intendeva

scriverne

anche

la

vita,

trattava

con

l'editore

Felice

Le Monnier di Firenze per una nuova ristampa degli scritti italiani. Essa certo sarebbe stata una riproduzione dell'edizione Wagner ®; ma lo Spaventa avrebbe premesso a tutta la raccolta un volume d' introduzione,

e a ciascuna

opera

un

riassunto sull'esempio del Jacobi». Le trattative per altro non giunsero în porto. E dei Dialoghi metafisici soltanto la Cena /u riprodotta nel 1864 da E. Camerini nel vol. 36 della

Biblioteca

veva

rara,

che si pubblicava

1 Il GioBERTI,

a Teodoro

in una

di Santa

copia del Bruno

a Milano

lett. del 9 maggio

Rosa:

del Wagner;

temere

1834

di non

dal

da

Daelli 4.

Parigi,

poter

trovare

scri-

una

« perché mi è stato detto che lo stam-

patore di Lipsia ne ha vendute tutte le copie » (Ric. biografici e car-

teggio,

Torino,

Botta,

1860-62,

I, 285).

Silvestro Centofanti nel

dovette chiedere l’opera in prestito al Capponi E

il Capponi,

Bruno

sinché

mandandogliela,

vi

abbisogna;

ma

gli

scriveva:

tenetemene

per poterla leggere.

a Tenete

conto,

che non si trova » (Lettere, ed. Carraresi, I, 367). 2 Alla quale più tardi B. Spaventa desiderava

critica, a tutti

1834

il Giordano

perché

è libro

indulgente

la

non foss'altro perché questa edizione aveva reso « accessibili le scritture volgari del B., ch'eran prima albis corvis rario-

res»: V. IMBRIANI,

Nafanar II, in Propugnatore,

col titolo L'amore

dell'eterno

1875, VIII, 1, 73-4.

3 Un estratto degli Eroici furori pubblicò lo Spaventa nel 1855

di critica, Napoli, Ghio,

e del divino;

1867, pp.

del B. si vegga S. SravenTA,

ed è rist.

ne’ suoi

Saggi

176-095. Per la disegnata edizione

Dal/1848 al 1861: lettere, scritti e docu-

menti, a cura di B. Croce, Bari, Laterza, 1923, p. 180; Bertrando Spaventa, Firenze, Vallecchi, 1924, p. 744 Il Camerini non vi mise, del resto, il suo nome,

e GENTILE, e si

limitò

a mandare innanzi alla Cena il giudizio del Bartholmèss su quest'opera, recato in italiano. L’ediz. in-12° è di pp, x1II-142. Nella stessa Bibl. XL

PREFAZIONE

«Nuova

edizione

AI

‘DIALOGHI

diligentemente

METAFISICI’

corvetta », si annunzia

nel

frontespizio. Ma è condotta sulla wagneriana; e le correzioni, per quanto diligenti, sono tutte arbitrarie. Cattiva era quella

del Wagner; e peggiore fu questa del Camerini. I gravi difetti dell'edizione Wagner furono la prima volta argutamente e ampiamente illustrati, con l'esame del testo del Candelaio, nel 1875-76, da Vittorio Imbriani in una lettera dal titolo bizzarro: Natanar Il: Vi tornò Francesco Fiorentino nel 1879, nella prefazione alle Opere latine, confrontando parzialmente il testo Wagner del De la causa con l'edizione principe =. E piu tardi, additando nuovi errori e dimostrandone

în

modo

definitivo

lo

scarso

valore

critico,

Paolo de Lagarde, in appendice a una nuova edizione accuratissima di tutte le opere italiane del Bruno. IV L'edizione Berlino,

curata

orientalista

da

Paolo

insigne,

de Lagarde editore

del

(1827-1891)

testo

siriaco

di delle

Sacre Scritture, scrittore di cose religiose e di educazione, è di un'importanza capitale, data la straordinaria rarità delle edizioni originali di questi scritti italiani del nostro filosofo. Venne în luce nel 1889; ma reca questo frontespizio: Le opere italiane | di | Giordano

Bruno | ristampate

| da

PaoLo DE LAGARDE— Gottinga 1888 —Dieterichsche Universitàtsbuchhandlung| (Lùder Horstmann). rara uscirono, come si dirà altrove, la Cabala,

furori;

e anche

! Lettera

Gnatore,

1875,

il Candelaio.

al comm. VIII,

Fr. Zambrini

I, 72-99,

lo Spaccio e gli Evoici

sul testo del Candelaio;

187 sgg.; VIII,

11, 434-64;

1876,

PropuIX,

1,

328-62; IX, 11, 74-89. Un esempio eloquente del genere degli errori commessi dal Wagner è indicato in q. ediz. a p. 439 n. 2. ® Opera,

I,

1, XII-XVII.

XLI

PREFAZIONE

AI

' DIALOGHI

METAFISICI'

È in-8° gr. di pp. 800, divise în 2 voll., ma progressiva-

mente numerate:

il vol. I da p. I a 400;

il II da p. gor

a 800. Le ultime 46 pagine contengono un indice alfabetico di nomi e cose notabili, e una relazione » del Lagarde sui criteri della propria edizione. D' importanza

capitale,

ho

detto,

perché

questa

edizione

riproduce letteralmente, e quasi diplomaticamente, gli archetipi, solo correggendone gli errori tipografici manifesti, segnati per altro în nota, a piè di pagina. IL confronto che io ho potuto farne con gli esemplari delle edizioni originali mi ha assicurato dell’accuratezza grandissima con cui il testo Lagarde si attiene all'archetipo. Gli scrupoli del Lagarde nella riproduzione delle prime stampe in verità furono eccessivi. Aderendo aî criteri espressi pel testo del Candelaio dall’ Imbriani (col quale egli stesso ci fa sapere di aver discorso personalmente intorno ai doveri di un editore, a Napoli, nella Pasqua del 1885), egli osservava =: « St ritiene che il Bruno abbia di persona curato la stampa di tutti i suoi scritti. A Ginevra si guadagnò il pane come correttore. Che, più tardi, a Francoforte, si correggesse da sé i suoî scritti latini, ci è attestato esplicitamente dal Wechel. Per scritture italiane difficilmente si trovavano corvettori a Parigi e a Londra; e non essendovi esperti compositori d' italiano, l’autore dei dialoghi italiani era naturalmente

costretto, se non voleva lasciar guastare î suoi testi, per sé

difficili a intendersi, a riveder lui le bozze di stampa. Quindi

segue che una nuova edizione delle opere italiane di G. Bruno non può essere altro che una riproduzione letteralmente fedele delle antiche stampe, che per noi tengono luogo dell'autografo ». 1 Inserita

Stuck 4. ® Pag.

anche

in Goeltingische

779. XLII

gelehrte

Anzeigen,

anno

1889,

PREFAZIONE

AI‘ DIALOGHI

METAFISICI'

L' Imbriani voleva la fedeltà spinta fino a riprodurre gli errori di stampa; e tale criterio applicò in un'edizione del Candelaio 1. Ma a questo punto, s'è già delto, il Lagarde non giunse. Scrupolosamente bensi volle riprodurre non solo la grammatica, ma anche la interpunzione e la grafia degli archetipi ; salvo

eccezioni

rarissime,

di cui avverti

sempre

il

lettore. Delle antiche stampe riportò la paginatura; e nulla, insomma, neglesse a fine di rendere quasi inutile affatto l'uso di quelli. E si può dire che dalla sua edizione il Bruno uscisse fuori con aspetto nuovo, per chi non avesse avuto la ventura di aver tra mani le vecchie edizioni; con un aspetto più arcaico e più napoletanesco insieme: il vecchio Bruno del Cinquecento. E chi volesse fare uno studio sulla grammatica, sulla grafia, sull’ars punctandi di luî,

garde dovrà sempre ricorrere; necessari.

Ma

a noî,

all'edizione

La-

ristampa

delle

e ci troverà tutti i documenti

preparando

una

nuova

opere italiane del Bruno per una collezione di filosofi, è parso che egli debba essere e sia letto da assai più che non potranno essere mai gli studiosi della sua grammatica,

della sua grafta

e punteggiatura. I lettori ordinari di Bruno sono infatti coloro che amano intraltenersi. con lui intorno alla nolana filosofia; che vogliono st sentirlo impetuosamente discorrere nel suo linguaggio vivace e immaginoso, incolto e ricercato a un tempo, a volte potente di espressiva brevità, a volte strascinato e contorio în periodi faticosamente composti di lunghe invettive e critiche complicate; sentirlo în quella sua fonetica ondeggiante tra la studiata forma arcaica e latineggiante e la nativa irrompente napoletana, e libera sempre da regole costanti e coerenti; e vogliono insomma ria1 Curata 1886).

da

lui

e dal ‘dott.

Giovanni

XLHI

Tria

(Napoli,

Marghieri,

PREFAZIONE

AI‘ DIALOGHI

METAFISICI'

verlo innanzi, come l’ebbero innanzi a Londra amici e discepoli, come l’ebbe p. e. il « dotto onesto, amorevole, ben creato

e tanto fidele amico Alessandro Dicsono », per affiatarsi con lui

ed

entrare

nel

suo

tumultuoso

pensiero;

ma,

appunto

per non incontrare impedimenti a tale comunione spirituale — che è il fine di ogni vero lettore — hanno in fastidio tutte quelle quisquilie del mezzo grafico, andate în disuso, le quali, invece, formano la delizia degli eruditi incuriosi del pensicro di un vecchio testo. A siffatti lettori, ai veri lettori di Bruno, questi deve star innanzi, crediamo, în una forma graficamente moderna e nostra, foneticamente antica e bruniana: in una forma, dico, che coi mezzi a noi usuali, ci faccia riascoltare la paro-

la viva e schietta di Bruno, per quanto, s'intende, è possibile. Adduco pochi esempi. Quando il Bruno scrive meglo, voglo,

meglore,

conseglo,

vorremo

mnoî credere

che

non

leg-

gesse meglio, voglio, megliore e conseglio? E perché allora riprodurre le prime forme, se si mira, non a far sapere che il Bruno scriveva meglo, dove noi ‘scriviamo meglio (che non è precisamente quello che il Bruno voleva farci sapere scrivendo quella parola), ma a farci vedere e sentire la parola che lo scrittore pronunziava a se stesso scrivendo meglo ? Cost, perché scrivere philosopho o philosofo (forme dal Bruno

usate

promiscuamente),

se lo

stesso

suono,

identico,

noi sogliamo vederlo rappresentato altrimenti ?_ Perché riprodurre tutte le h mule, che noi non incontriamo nella nostra

ordinaria lettura ? È evidente che tali particolari, se hanno un

valore storico, non possono

pedire il corso

naturale

non

distrarre il leltore,

e im-

della lettura.

Il Bruno scrive murmuration

e contradittioni;

suspitioni

e detrattioni; munitioni e corrottione; cognitione e correttione; comparatione e perfettione. Oltre l' inopportunità del rappresentare oggi con la 1 il suono della z, perché riXLIV

PREFAZIONE

produrre

la

doppia

AI

‘DIALOGHI

terminazione,

METAFISICI'

ora

con

la

consonante

(t=z) scempia, ora con la doppia? IL motivo ortografico di quest'uso costante del Bruno è evidente: egli raddoppia la consonante dove il latino innanzi al suffisso nominale -tio, ha

una

guiturale

o

una

labiale

(contradic-tio,

detrac-tio,

corrup-tio). Ma, se del latino, che era pur solito parlare, si ricordava

în

questi

casi,

mentre

scriveva,

è evidente

che

ei

non poteva badarci parlando: perché altrimenti sarebbe stato

per analogia, e secondo la pronunzia meridionale, tratto a pronunziare murmurazzion, suspizzioni, cognizzione e simili: forine di cui non occorre esempio nelle sue scritture. Cosi par ragionevole alleggerire il testo corrente di queste forme solo graficamente latineggianti‘: liberarlo, diremmo,

di

questa pedanteria, a cui il Bruno indulgeva per vezzo di scrittore che aveva fatto per bene i suoi studi, e se ne ricor-

dava quando aveva la penna în mano ?.

1 (Ma la distinzione grafica tra la z scempia e la doppia

servata Bartoli,

nel corso il Varchi

seconda

metà



o0s-

del secolo dal Giambullari, il Lenzoni, Cosimo (oltre al Trissino e al Tolomei) — «corrisponde

a una differenza fonetica che tende

del Cinquecento,

a obliterarsi a Firenze

mentre

è tuttora

viva

già nella

nell’ Italia

meridionale» (B. MicLIORINI, Note sulla grafia ital. del Rinascim. in Studi di filol. ital., XIII, 1955, p. 276). Cfr. F. D' Ovipio, Appunti sulla storia dello zeta (1911) in Opere, XVIII, pp. 209 sgg. c vedi ora la soluzione adottata per il testo critico della Cena bruniana (cfr. ed. cit., Nota al testo, p. 261).) 2 CESARE GUASTI, che tra i nostri letterati e filologi del secolo scorso fu di giudizio e di gusto assai fine, oltre che di consumata perizia nello studio degli antichi testi, nella sua edizione delle Poesie

di Fra Girolamo Savonarola (Firenze, Cecchi, 1862, p. x) scriveva: «Tranne, dunque, nell'uso tutto latino dell’ &, dei ff, ct, ti, x ecc. (che i nostri antichi adoperarono, più per un cotal marchio della

razza delle parole, come dice il Salviati, che perché in fatti l'esprimessero con la voce), io ho riprodotto l’autografo di Fra Girolamo nella sua integrità ». V. anche una dichiarazione metodica analoga del Carducci riferita nella prefazione alla sua eccellente edizione del Candelaio® (Bari, Laterza, 1923) dallo SPAMPANATO (pref., p. xx), che si attenne anche lui al metodo da me adottato. XLV

PREFAZIONE

Ma

Al‘ DIALOGHI

METAFISICI’

il Bruno, flagellatore de’ pedanti, voleva dunque fare

il pedante anche lui ? AL contrario:

al Bruno, che non voleva

impicciarsi di grammatica, pedanieria parve questa grafia più conforme alla pronunzia, che i grammatici già al suo tempo cominciavano a propugnare. A Poliinnio (il cui nome egli scrive sempre Polihimnio), il pedante canzonato nei dialoghi De la causa, egli fa dire: «Non si scrive homo, ma

omo;

munito, trionfa,

non

honore,

ma

ma Poliinnio» st contenta di sé»t.

not dobbiamo

scrivere homo,

E —

onore;

non

Polihki-

soggiunge: «Con questo Dunque, dice il Lagarde,

honore,

Polihimnio 2. —

Certo,

quel passo dimostra che tale cra l' intenzione esplicita del Bruno: Ma è pur certo che dimostra altresi che come egli, scrivendo

honore,

diceva

.onore,

scrivendo

Polihimnio,

di-

ceva Poliinnio; e che se non scriveva come pronunziava, era perché l'uso fin allora seguito non comportava ciò, e perché l'andare contro l’uso gli pareva un dar retta per l'appunto a Poliinnio: una pedanteria bella e buona! Ma, se oggi Bruno

tornasse

tra not,

egli, fustigatore dei Manfuvii,

Pru-

denzii e Poltinnit, st vergognerebbe di scrivere honore e Polihimnio, come nel 1584 si vergognava di scrivere onore e Poliinnio, Onde, « non correggere queste forme e le consinuli, a scrivere costantemente

et, invece di e 0 ed, secondo

î

casi

— come già il Petrarca scriveva — ho creduto che sarebbe stato si un servire ai criteri di Bruno, ma anche un rendergli un cattivo servizio !3 Fedeltà, 1 Vedi

dunque, pp.

* Pag. 779.

assoluta,

ma

non

fino

alla

pedantevia.

215-16.

3 (La et del testo originale è stata riprodotta in seguito da ‘FT. FLora nella sua ediz. degli Heroici furori (U.T.E.T., Torino 1929) e da G. AquiLeccHIA nella cit. ediz. della Cena (si vedano

le ragioni

addotte

ivi, Nota

al testo, pp. XLVI

258-60).)

PREFAZIONE

AI

‘DIALOGHI

METAFISICI’

Cosi, per la fedeltà, ho mantenuta

scrupolosamente la stessa

incostanza

che

morfologica

del Bruno,

nulla

mi

autorizzava

a correggere. Di modo che una stessa parola, una stessa forma fessionale ricomparisce a volta a volta in fogge diverse; che è un carattere notabile della lingua bruniana. Ma, l' interpunzione, pel principio che è a base della mia edizione, di agevolare ai moderni la lettura del testo, I’ ho mutata, e

quasi rifatta secondo l'uso oggi più comune, abbondando nei segni, segnatamente nei periodi lunghi e complessi. Una virgola, si sa, talvolta fa più di una nota. Per lo stesso motivo ho illustrato il testo, il meglio che ho saputo, con note storiche e filologiche.

Le scritture bruniane,

per la gran copia di reminiscenze, per le bizzarre filastrocche secentistiche e quasi fiabesche, per le citazioni e allusioni letterarie, di cui son piene, sono delle più difficili ad essere intese in intii i loro particolari. E però qualche punto oscuro è rimasto ; e invano în tal caso ho guardato i libri del Florio (che sono veramente preziosi per la lingua bruniana); invano mi sono rivolto a studiosi di speciale competenza, dove mi pareva che l'oscurità restasse per mia ignoranza. Aî loro luoghi ho additato gli opportuni riscontri con le opere latine, e per le concordanze e per le divergenze. E in questa parte,

molto mi son giovato dei lavori accurati, soprattutto dell’espo-

sizione delle opere latine del Bruno confrontate con le italiane, del prof. Felice Tocco, al quale tanto debbono gli studi bruniani. Aiuti ebbi anche dalle poche.ma dotte illustrazioni aggiunte dal Lagarde in appendice alla sua edizione; nonché dagli studi positivi,

del Bruno

continua

metodici,

sempre

fruttuosi,

che sui testi italiani

a fare® con amore instancabile

1 (Ciò si poteva ben affermare, ancora quando A proposito dello scomparso studioso del Bruno.) NLVII

il G,

scriveva,

PREFAZIONE

AI

'DIALOGHI

METAFISICI’*

Vincenzo Spampanato, l’autore della migliore biografia che si abbia di Giordano Bruno. Nelle note ho pur segnate le varianti delle edizioni originali e lagardiana, dove ho creduto dovermene dipartire. E în fondo a ciascuna pagina ho indicato, per comodo degli s'udiosi, la corrispondente paginatura delle altre tre edizioni: l'originale, curata dal Bruno (contrassegnata con la sigla B); la wagneriana (W), e la lagardiana (L). Alle quali in questa seconda

edizione ho aggiunto anche la prima

da me curata,

e ormai citata in tutti gli studi bruniani (G) 1. Questa seconda edizione s'avvantaggia molto sulla prima per la nuova revisione del testo sulle stampe originali e per le molte aggiunte fatte alle note, grazie ai muovi studi mici e d'altri, massime dello Spampanato *. IL quale în questo lavoro mi ha prestato l'aiuto del suo occhio attento, acuto e diligentissimo con tanta abnegazione, che vorrei attribuire alla grande amicizia

che ci lega ormai da molti anni, se nou

sapessi che c'entra pure per gran parte la sua religiosa devozione alla memoria del Martire nolano, suo concittadino. Desi-

dero qui pubblicamente ringraziarlo del molto che con me gli dovranno

î lettori di questo

volume;

e insieme

ringraziare

il

prof. Luigi Russo e il dott. Angelo Bruschi, che nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze collazionarono per sne l'edizione principe del De la causa nell’esemplare che vi si conserva, appartenente alla preziosa collezione Guicciardini; perché la Cena e il De l' infinito sono stati rivisti sugli archetipi della Nazionale di Napoli, la quale possiede anche quelli 1 (Nella presente edizione mente, la prima e la seconda dei

si indica con G! e G?, edizione Gentile.)

rispettiva-

? Lo Spampanato ha anche pubblicato un’edizione scolastica dialoghi De la causa (Messina, Principato, 1923) con una intro-

duzione

e note sobrie

e accurate,

tralasciandone

XLVII

il primo

dialogo.

PREFAZIONE

AI‘ DIALOGHI

METAFISICI’

dello Spaccio e degli Eroici furori; e sono tra gli esemplari più belli che si conoscano, tutti elegantemente rilegati.

Vv Ma non voglio finire questa prefazione senza accennare alle traduzioni recenti che i tedeschi posseggono dei Dialoghi metafisici. Quelli De la causa furono tradotti nel 1872 dall hegeliano Adolfo Lasson per la Biblioteca del Kirchmann *. Tradotii assai bene sull'edizione Wagner confrontata con l'originale; e corredati di note dichiarative, di cui largamente mi son valso nel mio commento. Molto inferiore è la traduzione, pure annotata, impresa

nel 1890? da Lodovico Kuhlenbeck di tutte le opere filosofiche

îtaliane ; poi tralasciata, e ripresa nel 1904. Egli ha voltato în tedesco 1 (La

la

Cena,

Bibliot.

lo Spaccio

del

e il De

Kirchmann

pon

l' infinito3,

risulta

Ma

menzionata

nel

né vol.,

il cui frontespizio reca: Giorpano Bruno, Von der Ursache, dem Princip und dem Einen. Aus dem Italienischen ibersetzt und mit erliuternden Anmerkungen 1872. L. Heimann's Verlag

fatta nel 1889.

verschen von ApoLr Lasson. Berlin, (Erich ICoschny).) Una 2° ed. ne fu

Quella citata nelle note di questo

Philosophische

Bibliother,

Bd.

21:

GiorpaNo

Ursache, dem Ubers. u. mit

Princip und dem Einen, aus erliuternden Anmerk. versehen

della

una

Dritte verbess. Aufl., Leipzig, 1%

ediz.,

nuova

bio-bibliografica. Il Lasson ? (In realtà nel 1889:

segue.)

3 Non

conosco

Diirr,

prefazione

1902. — per

la

volume

Bruno,

Von

der

dem Italienischen v. ApoLF LASSON,

Precede la prefazione

3*

e

un’ introduzione

tralascia l' Epistola proemiale. vedi la mia precisazione alla

direttamente

è la 33:

nota

la 18 ediz. G. Br.s Gesamm:.

che

philos.

Werke, Bd. (I): Reformation des Himmels, Leipzig, 1890. (Si tratta del vol. Giordano Bruno's Reformation des Himmels, lo spaccio della

bestia trionfante. BECK....

Facsimile

Leipzig.

Nebst

Verdeutscht

einer

seiner

Verlag

Abbildung

und

Handschrift,

von

Rauert

&

des

erliutert von

sowie

Rocco, XLIX

4



G-

Renna

PDinloohi

stalinni

Lupwic

Bruno-Denlkmals

zwei

1889

KUHLEN-

in Rom,

einem

Sternbilderkarten....

(pp.

[1}-xv:

Vorrede

PREFAZIONE

AI‘ DIALOGHI

METAFISICI’

possiede la conoscenza, abbastanza sicura, della nostra lingua,

di cui disponeva il Lasson, né la sua dottrina storico-filosofica, né il suo

senso

critico;

e, pur

dopo

l'edizione

Lagarde,

si

attiene al testo scorrettissimo del Wagner +. Le note non sempre

sono esatte, e spesso riescono oziose per confronti inopportuni

des Uebersetzers; pp. [1]-339: Die Vertreibung der triumphierenden Bestie; pp. [341]-75: Giordano Bruno, sein Leben und seine Weltanschauung; p. (377): Nachtrag zu den Erlduterungen; le due carte

allegate in fondo al vol. riproducono, rispettivamente, l’ Hemisphae-

rium Coeli Boreale e l' Hemisphaeriuwm Coeli Australe), di cui alcune copie presentano un secondo frontespizio (che è quello di cui ha avuto

del

De

notizia il G.) con la data

l'infinito,

dal

G.

citata

1890, prefisso al suddetto.

qui

di

séguito,

non

La traduz.

venne

invece

classificata come parte di sedicenti Gesammelte philosophische Werke:

il vol. comprende pp. xxxvI d’introduz.; pp. [3)-201 di testo; pp. [202]-07 di osservazioni sulla cosmologia bruniana); Von: Unendlichen, dem AU u. d. Welten, Berl., 1893. Né l'altra traduzione di estratti delle opere latine dello stesso Kuhlenbeck: Licltstrahlen

aus G. Brunos

Werke,

Leipzig,

note è quella appartenente

blicata Werhe,

1891. L'edizione da me citata nelle

alla collezione dei mistici e teosofi pub-

da Eugen Diederichs di Lipsia: Bd. I: Das Aschermitiwochsmah!

Giorpano BRUNO, Gesamm. ins Deutsche ùbertragen v.

Lupw. KuHLENBECK, Diederichs, Leipzig 1904 (col ritratto di Monaco); 37 pp. d' introduzione, e 148-175 di commento, dov’ è inserita la traduzione del 1° dialogo del De /a causa. — Bd. II: Die Ver-

treibung der triumphierenden mento

pp.

264-370);

Bd.

Bestie, etc.,

III:

1904

Zwiegesprache

(pref. pp.

vom

1-8; com-

unendlichen

AI

und dev Welten (prefazione pp. I-LXXI1 col titolo: Die wissenschaftliche Bedeutung

u.

dieser Dialoge

seinen

Vorgangern.

pp. 169-238. — und

che,

dem Einen.

dem

Werke,

Il

Bd.

und

KuHLENBECK,

IV:

Kuhlenbeck

Die

(Il titolo esatto

di cui xx

aveva

la nota n. 2 a p. LvIn).

di Paut





B.s

SeLicGER:

Von

dem

tradotto

zu Kopernikus

Einen,

Bruno,

Verdeutscht

Jena,

d' introduz.

in

e

commento

Von der Ursache, dem Prinzip

è Giorpano

Diederichs,

pp.

Verhdltniss

Unendlichheitsidee;

Si annunzia il Bd. IV:

Anfangsgrund

von Lupwic

Brunos.

tedesco

1906

und

der

Ursa-

erliutert

(G. Br.s Gesamm.

e 139-57

anche

Von

la

di commento).

Cabala

(vedi

Va qui segnalata anche la traduz. completa

der

Ursache,

dem

Prinzip

und

dem

Einen

von GIiorDaNo Bruno, Reclam. jun., Leipzig [1909]; 3-6 pp. di introduz. e 7-194 di testo.) 1 Cosi il luogo di p. 439, saltato dal Wagner, naturalmente è saltato

anche

dal

KuHLENBECK,

III,

oI.

PREFAZIONE

AI‘

DIALOGHI

e inutili con scrittori modernissimi

METAFISICI'

e considerazioni teoriche,

che non giovano certo a chiarire îl pensiero del nostro filosofo. Tuttavia

mento

qualche

cosa

del Kuhlenbeck.

ho

potuto

spigolare

anche

GIOVANNI

LI

nel

com-

GENTILE

PREFAZIONE

AI ‘ DIALOGHI

MORALI’

Sommario: I. Cronologia dei Dialoghi morali. — II. Traduzioni straniere. — III. Le edizioni antecedenti e la presente.

I

Delle tre operette raccolte in questo volume, lo Spaccio, nella prima stampa curata dallo stesso Bruno, reca la data del 1584; la Cabala e gli Eroici furori, del 1585. Tutte e ire si danno per stampate a Parigi; e le ultime due aggiungono alla città il nome dell'editore 0 tipografo: « Appresso Antonio Baio». Stando, perciò, alla stessa dichiarazione del Bruno nel processo veneto 1, lo Spaccio potrebbe ritenersi impresso

a Londra;

la Cabala e gli Eroici

furori, realmente,

a Pangi.

1 Nel costituto del 2 giugno 1592 (SPAMPANATO, Vita di G. Bruno, PP. 707-8) il B. disse: « Tutti quelli {libri stampati] che dicono nella

impression loro che sono stati stampati in Venezia, sono stati stampati in Inghilterra; e fu il stampator che volse metterve che erano stampati

in Venezia,

maggior esito,

perché

per venderli

quando

più

s'avesse

facilmente

detto

ed acciò

che fossero

avessero

stampati

in Inghilterra, più difficilmente se averiano venduti in quelle parti; @ QUASI TUTTI li altri ancora sono stampati in Inghilterra, ancor che dicano a Parisi o altrove ». (Nel Sommario del processo di G. B. (pubblicato da A. Mercati, Città del Vaticano, 1942) «.... et dicit quod libri, qui continent nomen Venetijs vere in Anglia fuerunt impressi, sed quod impressor voluit apponere Venctijs, ut facilins venderentur, et alios etiam impressos fuisse in Anglia, licet dicatur

Parisijs, ....»

(p.

110,

n. 229).)

LII

PREFAZIONE

Ma,

AI

se si riflette che

‘DIALOGHI

il Bruno

non

MORALI’

passò

da

Londra

a

Parigi prima dell'ottobre 1585*; che nell’Argomento degli Eroici furori, scrivendo al Sidney (che probabilmente sostenne le spese della stampa) si dice ancora in Inghilterra (cfr. d. 935); e che questo Argomento (insieme col frontespizio, l’errata

corrige

e il son.

Scusazion

del

Nolano,

ossia,

i

tutto, è primi due fogli di stampa) non poterono essere stam-

pati se non alla fine, dopo tutto il resto del libro; per gli Eroici furori la ipotesi sopra detta è da escludersi affatto. Della Cabala son si può non dire altrettanto, poiché essa certamente precede, anche in ordine di pubblicazione, gli Eroici

furori, come dimostra

la citazione che se ne fa in

questi a p. 975. Cosi la citazione dello Spaccio nella Cabala, d.

842,

attesta,

se ce

ne

fosse

bisogno,

la

precedenza

dello

Spaccio. Ma l’allusione a quest'opera, che s° incontra nella stessa Cabala, $. 862, raccostata alle parole dello Spaccio ivi

richiamate

da

me

nella

nota,

dimostra

che

la

Cabala

doveva essere almeno abbozzata quando venne in luce lo Spaccio; e ne viene spiegato quel che l’autore dice della Cabala al principio della epistola dedicatoria (pp. 835-6) ». I tre libri

pressi

furono,

a Londra

molto

probabilmente

scritti,

e il 1585,

nell'ordine

tra il 1584

certo

im-

in

cui,

dopo il Wagner e il Lagarde, sono riprodotti da me in questo volume. 1 V. McINTYRE,

nascimento, Firenze, Vita, pp. 402-4. *

Si noti

pensieri,

Dello

napol., scenza,

ma

G. Bruno, pp. 47-8, e GENTILE, Vallecchi,

la frase:

a un

Spaccio

«..... dopo

certo

fascio

il FIORENTINO

1923,

p.

aver

dato

131;

e ora

spaccio,

di scritture... »: p.

aprile-maggio 1882, p. 42; p. 349) ritenne che «non

(Dial.

mor.

Studi sul RiSFAMPANATO,

non

836.

di G. B.,

a tutti

miei

nel Giorn.

e ora Studi e ritratti della Rinafu fornito di stampare il 1584,

come apparirebbe dal frontespizio, il quale dovette essere stampato per primo, e porta quindi la data del cominciamento, LIII

non già quella

PREFAZIONE

AI‘ DIALOGHI

MORALI

II È noto il gran fantasticare che, continciando dalla famosa leltera dello Schopp, s' è fatto lungo î secoli XVII e XVIII intorno allo Spaccio, la più celebre e la più rara delle tre operetter. Qui basta ricordare che fu tradotto in inglese

nel

1713:

Spaccio

della

bestia

trionfante,

or

the

Expulsion of the Triumphant Beast, translated from the Italian of Giordano 2 Bruno (London) 3. Della traduzione fu ritenuto autore il Toland4, grande ammiratore del Bruno, e tra-

duttore, come fu detto nella prefazione al primo volume, d'una

in cui l'autore vi diede l'ultima mano »; indotto in tale opinione dal

preteso accenno ai casi napoletani del maggio

di scorgere nelle ultime pagine del Ma,

oltre

che

è

inaccettabile,

2° dial.

secondo

me,

1595, che egli credette

(cfr. p. 720, e ivi n. 2). l’ interpetrazione

data

dal Fiorentino a questi accenni storici dello Spaccio, e vien meno perciò la base stessa alla cronologia da lui sospettata, veggasi quanto poco probabile sia per se stesso che tra il maggio e l'ottobre 1585

il B. potesse scrivere resto, cioè due

(almeno in buona parte)

terzi circa,

dello

Spaccio,

e stampare

e la Cabala,

tutto il

e gli Evoici fu-

rori. Infine, l’esame della stampa del 1584 esclude con certezza, se io non m' inganno, che il frontespizio possa essere stato stampato per primo. Il primo foglio infatti (A. j.) è quello che comincia col 1° dialogo; e il frontespizio fa parte del primo dci due fogli, non numerati, contenenti 1’ Epistola esplicatoria, che il B. soleva per ogni suo libro scrivere e stampare alla fine; com’ è sicuramente attestato per gli Eroici furori, che come s’ è detto, in questi fogli dell’ Epistola hanno anche

l’errata-corrige

di tutto

si vegga il volume I di questa ‘ Diall. Metaf., pp. xxx1v-v1). 1 Vedi

PP. 346-8. The location

BARTHOLMÈss,

il libro;

edizione

G. Bruno,

II,

nonché

per

(si veda

69-72;

la Cena,

ora

per

la Prefaz.

cui



eMCINTYRE, op.

cit.,

1956, n. 2, pp.

152-

(Per Fattuale rarità va osservato che J. HavwaARD, of copies of the first editions of G. B. e Location of ad-

ditional copies (« The

Book

Collector », vol. V,

57, e n. 4, pp. 381-82) segnala 18 esemplari dello Spaccio e 20 degli Evroici Fuvori contro 7 soltanto della Cabala.)

2

(Ma Jordano.)

3 omessa la dedica al Sidney. 4 BARTHOLMÈSs, II, 70-1. LIV

PREFAZIONE

AI

‘DIALOGHI

MORALI’

parte del De l'infinito. Il catalogo del British Museum l'attribuisce invece

a un

certo

IV.

Morchead 1, il quale, secondo

uno

studioso înglese?, potrebbe essere un fratello dello stesso Toland. Egualmente anonima è una traduzione parziale dello Spaccio pubblicata in Francia nel 1750 col titolo: Le ciel réformé 3. Ma si sa che fu opera dell'abate de Vougny, conseiller de grand-chambre e canonico di Notre-Dame 4. La iraduzione non va oltre la prima parte del primo dialogo; preceduta

stampa

da

una

lettera,

a documento

(Pag. à ce que

che

mi

piace

riferire

dalla

rara

della storia dello Spaccio:

3). A_Monsicur***. je crois, Monsieur,

— de

Il vous est assez indifferent, sgavoir s’il est vrai ou non

que Jordanus-Brunus 5, Auteur Italien fameux, ait ét6 bràlé àÀ Rome au Champ de Flore en 1600, pour les impiétés qu'on prétend

étre

répandues

1 ]J. FRITH,

of B., view,

p.

dello

october

ses différens

Life of G. B., London,

321.

* L'autore

dans

1902,

studio

cit.

dal

G.

B.

în

Ecrits.

1887, app. England,

McINTYRE,

op.

The existing worîs nella

cif.,

Quarterly

p.

349.

Re-

(OLIVER

ELTON è l'autore di questo studio, apparso anonimo nella civ. cit. e poi riprodotto nel vol. Modera Studies, London 1907, pp. 1-36.)

3 Il titolo completo è il seguente: Le | Ciel réforiné | essai | de |

traduction de partie | du Livre Italien, | Spaccio | della (|) Bestia trionfante.

veniam, 700 50.

|

Demus

alienis

obtvectationibus

dum | nostris impetremus — Segue un frontespizio

Ciel réformé.

| essai

(ma

oblectationibus)

PLIN.... | (vignetta) | L'an interno col titolo seguente:

| de traduction

de partie

| du

Livre

1000 Le |

Italien,

intitulé: | Spaccio | della Bestia trionfante: | La Déroute, | ou l'expulsion | de la beste triomphante: | proposée par Jupiter, | effectuée par le Conseil des Dicux;-| déclarée par Mercure. | C'est Sophie,

qui en fait le Récit; | c'est Saulin, qui l'entend, | et Nolanus, qui le publie. | Le tout divisé en trois Dialogues, subdivisé | en trois

Parties.

| Dedié

è l'Illustre et Preux

Chevalier,

le

(|)

copia

è

seigneur

Philippe Sidney. | Imprimé è Paris. 1584. | È un volumetto di pp. 92 in

piccolo

dalla Bibl. 4

formato,

Naz.

con

grandi

II

(p.

di Napoli.

BARTHOLMÈSS,

5 A p. 11 si legge questa

Livre,

était

de

Nole,

Ville

margini.

71).

du

noterella:

Royaume

LV

Una

« Jordan-Brun, de

Naples ».

posseduta

Auteur

du

PREFAZIONE

AI‘ DIALOGHI

MORALI*

C'est une des ces Anecdotes littéraires que nous laisserons volentiers vous et moi dans l’état problématique; et je ne vous rappelle celle-ici, que parce que ce bon Jacobin du seizième

vous

que

siècle

me

vous

est

l'Auteur,

demandiez, desiriez

entr’autres,

il y a quelque

connoitre.

d’un

Livre

tems,

des

[4]

dont

nouvelles,

et

Cet Ouvrage est intitulé en Italien: Spaccio della Bestia trionfante, etc. 11 se trouve joint quelquefois à un autre, qui a pour titre: La Cena de i ceneri!, ainsi nommé, parce que le cinq Dialogues qui le composent, ont pour époque un premier jour du Carème. Si

au

ces

deux

moins

en

Ouvrages

ont-ils

acquis

ne

sont

en

pas

quelque

des

chefs

d'oeuvres,

sorte

la

valeur

et le

été

vendus

onze

renom, par le prix exorbitant où ils sont portés, lorsqu’ il se trouvent dans quelque vente publique. C'est ce que est arrivé en dernier lieu à celle qui [5] vient de se faire de la Biblioteque

de

M.

l’abbé

de

Rothelin,



ils

ont

cens trente-deux livres, quoiqu' ils ne forment qu'un in 12. sans beauté particuliere d’impression ni de caracteres, Seroit-ce donc la rareté qui en seroit seule le mérite? Il faut croire qu’ il s' y joint celui de la singularité. un

Mais

ce n'est pas

Curieux

que

je

au

moins

rencontrai

celle qu’y

l'autre

jour,

comptoit qui

trouver

s' imaginoit,

ct s’' étoit mème déterminé à en faire l'acquisition dans cette idée, que c' étoit une satyre contre la Cour de Rome. Il ne me regarda pas de trop bon oeil, lorsque j’osai lui répresenter, que de ces deux Ouvrages, l’un n'étoit [6] qu'un Traité de Philosophie morale suivant un plan extrémement bisarre, mais dans lequel la Ville Sainte n’est pas seulement nommée; et que l’autre où l'Auteur semble étre le précurseur du Spinosisme, est un Essai sur le systéme du monde, qui adopte

le Système

tourbillons 1 Come

dont

de Copernic,

Descartes

appunto

et où l'on se trouve

a fait depuis

nell’esemplare LVI

della

si grand

Nazionale

dans

usage.

di

Napoli.

ces

PREFAZIONE

AI‘ DIALOGHI

MORALI’

Pour preuve de ma proposition, je lui fis part peu après du commencement de la traduction que j'ai faite, et que vous me demandez aujourd’ hui de partie du premier de ces Livres, intitulé: Spaccio della Bestia trionfante. Vous

quelques

jugerez

idées

vous-mème

de

l’Auteur,

mieux

et du

que

projet

[7]

qu'il

tout

autre,

de

annonce.

En état de comparer le texte avec la traduction, vous déciderez si j'ai saisi le juste milieu entre la liberté et la contrainte que demande le génie de chaque langue, et la difference qui s'y trouve. Peut-étre tement dans n’arrive que qu’en fait de vention agit de

certains

me reprocherez-vous de m'étre arreté sì prompcet amusement de mon loisir; à moins qu’ il cet échantillon seul vous prouve suffisamment Livres, comme è bien d'autres égards, la préavec un empire trop souverain; et que la rareté

Livres

diùs, à bien meilleur

leur

conserve

des

avantages,

[8] titre, à un mérite

qui

eflectif,

seroient

auquel

il

seroit plus à propos de s'attacher par préference. Vous sgavez que vos avis me décident: ils ranimeront ma plume ou la remettront dans son repos. Je

suis,

etc.

Ce 20 Juin

1750.

A pp. 9-10 segue una tavola dei Noms des quarante-huit constellations

suivant

l'Auteur.

Quindi

da

p. 4I

a 55 la

traduzione dell'epistola al Sidney, e da p. 57 a 72, cioè alla fine, quella della prima parte del primo dialogo. Chi volesse avere un' idea del juste milieu, în cui l'abate volle mantenersi

nella traduzione, può confrontare dal principio dell’ Epistola: Cieco stolto giato

chi non

chi chi

vede

il sole,

nol conosce, nol ringrazia;

in- | se |

questo

Ne

breve saggio,

tolto

voir pas le Soleil c’est

ètre aveugle; ne pas desirer de le connaitre c'est étre mal

LVII

PREFAZIONE tanto è il lume,

AI‘ DIALOGHI

avisé; ne pas lui rendre graces c'est ‘manquer de reconnois-

tanto il bene,

tanto il beneficio; per cui risplende, per cui eccelle, per

sance. lence

con

siete scuoperto mo

principio,

gli

quali

a me

ne

1’ isola Britannica,

l'occasione

remirate

a

tutti,

de la vie.

de

méme

esprit

toute

l’ hommage,

per quanto

per

le nombre

ce

que

Je

je

l’estime,

l'aménité de vos moeurs

a

vi presenta;

Etre,

l’auteur

sgais

votre

v' ha conceduto il tempo; vi manifestate a molti, per quanto

son

l’excel-

devrois penser de moi (Illustre Seigneur), si je ne déferois à

vi

giunsi

de

stances,

nel pri-

ch'io

méconnoître

de ses bienfaits; c'est le guide de nos sens, le père des sub-

non onorasse gli vostri costumi, non celebrasse gli vomeriti;

Peut-on

l'éclat de ses rayons,

cui giova; maestro de’ sensi, padre di sustanze, autor di vita. Or non so qual mi sarei, eccellente Signore, se io non stimasse il vostro ingegno,

stri

MORALI’

et

à vos

à

tout

vertus

tout l’ honneur qui leur est dù; belle est l’ idée que je me suis faite de vous, dés les premiers momens dont vous

e

quanto

vi mostra la vostra natural inclinazione veramente eroica.

m’avez voyage

fait part dans mon d’Angleterre, tel vous

montrez-vous dans les diverses occasions qui se présentent.

Un'altra traduzione dello Spaccio venne menzionata nella

prefazione al primo volume; ed è quella recente del Kuhlenbeck,

in

ledesco,

corredata

di

note

copiose,

ma

non

sempre

ulili, né tulte esatte*.

La Cabala non è stata inai voltata in altra lingua =. Degli Eroici furori (rentanove anni fa venne pubblicata una versione inglese

siasts, -an

nella nn.

da

L.

ethical

Poem

1 (Le

traduzioni,

86-95,

98.)

3 Non

ho

Bibliografia

Williams,

anche

bruniana

col titolo:

(London, parziali,

di

V.

? (Ma vedi la traduz. tedesca (1909) delle Gesammelte Werke (cfr.

potuto

vedere

questa

The

heroic Enthu-

1887) 3. dello

Spaccio

SALVESTRINI

sono

(Pisa

elencate

1926),

ai

del KunLENBECK nel vol. VI SALVESTRINI, o. c., nn. 9, 104).)

LVIII

traduzione,

che

è citata

dal

PREFAZIONE

AI ' DIALOGHI

MORALI"

III Tra le edizioni originali di questi dialoghi e quella di tutte le opere italiane curata nel 1830 dal Wagner neppur di essi si ebbe nessuna ristampa. Il testo del Wagner riprodussero le ristampe posteriori, che furono curate da Eugenio Camerini nella Biblioteca rara del Daelli. E sono le seguenti: I. Giordano

Bruno,

Spaccio

de

la

bestia

trionfante.

Nuova edizione con proemio storico-bibliografico di Cristiano Bartholmèss. Milano, Daelli e C. ed. (pp. xvi-244; vol. XXVI della Bibl. rara). Nel frontespizio interno: «Nuova ediz. diligentemente corretta »; e vi è aggiunto l'anno: MDCCC-

IXIII.

2. La cabala del cavallo Pegaseo con l'aggiunta de l'Asino cillenico fer Giordano Bruno. Nuova edizione diligentemente corretta, Milano, id. id. (pp. xIv-70; vol. XXV : della B. R.). Nel frontespizio interno è l'anno MDCCCLXIV. McINTYRE,

comprende

op.

cit.

Il Williams

i cinque

omette

dialoghi della prima

l'Argomento.

(La

parte dell’opera.

traduz.

Il titolo

esatto è: The Heroic Enthusiasts | (Gli Eroici Furovi) | An Ethical

Poem | By Giordano Bruno | Part the Fivst | Translated by L. Williams | With an Introduction, compiled chiefly from David Levi's |

«Giordano Bruno o la veligione del pensiero » | London

dway | .... | 1887.)

Alcuni

P. 323,

una

dei

sonetti

degli

| George Re-

Eroici

furori

sono

pure

in te-

poi stati tradotti egregiamente da M. CARRIERE, Die Weltanschauung dev Reformationszeit, 2. Aufl., Leipzig 1887. La FRITH, of. cit., ricorda

anche

diligente

traduzione

in versi,

desco, d'un gran numero di questi sonetti, pubblicata dal prof. HERMANN SCHUTZ nel Program des stadtischen Gymnasiums zu Stolp for das Schuljahv 1869-70. (Va inoltre ricordata la traduz. tedesca del KuHLENBECK nel vol. V (2% ediz., 1907) delle Gesamumelte WWerke (cir. SALVESTRINI, 0. c., n. 115). Recentissima è la traduz. francese apparsa

Fureurs par

nella

serie

Hérotques

PauL-HenrI

Lettres », 1954.) I (Ma

« Les

(De

Classiques

gl' Hevoici

MicHeL,

Paris,

de

l' Humanisme

Fuvori), Société

xxxv.}

LIXN

texte

»: G.

établi

d’ Edition

et

«Les

B.,

Des

traduit

Belles

PREFAZIONE

AI ' DIALOGHI

MORALI"

Anche a questo volume è premessa la traduzione del brano dell’opera del Bartholmèss relativo alla Cabala. 3. Gli

eroici

furori

di G.

Bruno.

Due

fomi

in

uno.

Milano, id. id., MDCCCLXV! (pp. x1v-230, vol. LVII » della B. R.). Col solito proemio tolto dal Bartholméss. In queste edizioni si corregge în qualche rarissimo punto, ad arbitrio, il testo Wagner, che per aliro non sempre viene esattamente

riprodotto.

E

da

queste

edizioni

dipendono

le

due ristampe popolari dello Spaccio, nella Biblioteca classica per il popolo3, n. 3, dî E. Perino (Roma, 1888, di pp. 2104) con una prefazione d' intonazione anticlericale di G. Stiavelli; e degli Eroici furori in due volumetti della Biblioteca universale, n. 343 e 347 di E. Sonzogno (Milano, 1905, di pp. 130 e 94): anch'essi preceduti da una prefazione dello stesso gusto. Sono due edizioni senza tmportanza bibliografica e — occorre dirlo? — di nessuna utilità popolareS.

1

(Questa

MDCCCLXIV.)

data

è

impressa

® (Ma questo numero non esterno né su quello interno.)

3 (Sul frontespizio:

sulla

copertina;

appare

sul

impresso

sul

frontespizio: frontespizio

Biblioteca classica popolare.)

4 (Ma 212.) 5 (Per completezza va aggiunta la ristampa dello Spaccio della Bestia trionfante, con prefaz. di G. V’ArINI, vol. primo (secondo), Lanciano, Carabba (1920), che dipende dalla prima ediz. Gentile.

Posteriore G.

B.

di

NoLano,

un

anno

De

Francesco FLORA, Classici Italiani con collezione

2% ediz.

gl' Heroici

dei

Gentile

Furori,

U.T.E.T. (vol. note - seconda

loghi della parte prima

seconda

alla

introduzione

e

torinese

note

di

XIX della «Collezione di serie »). I primi quattro dia-

sono stati pubblicati

Classici

è l'edizione

U.T.E.T.:

nel vol.

Scritti

XLVIII

scelti di G.

della

B.

di Tommaso Campanella a cura di Luici Firpo, Torino (1949), pp. 161-240. Per l’ediz.-traduz. del MrcÒELt vedi sopra, n. 3 pp. LVIII-

LIx.

Infine parti scelte dei tre dialoghi sono riprodotte

a pp. 471-657

e

delle Opere di G. B. e T. Campanella a cura di A. Guzzo e R. Amerio, Ricciardi, Milano-Napoli, 1956 (« La letteratura italiana, storia e testi », vol. 33).) LX

PREFAZIONE

AI‘ DIALOGHI

Della edizione Wagner e di mane nulla da aggiungere a quel al primo volume; alla quale mi è dei criterii adottati nel fermare zioni, le allusioni e è luoghi più

volume già nella prima

MORALI'

quella Lagarde non mi riche ne dissi nella prefazione riferisco altresi per quanto il testo e postillarne le citaoscuri. Chiudeva il presente

edizione un ricco indice alfabetico

dei nomi e delle cose notabili, che s’ incontrano nel testo dei due volumi, traendo profitto da quello del Lagarde e migliorandolo. Ma in questa edizione l indice stesso è stato rifatto e accresciuto,

nuovo

e un

Indice

si è formato

delle materie

sparse nelle note: e tutto ciò grazie alle cure instancabili dell'amico Spampanato. Al quale molto devo delle aggiunte fatte alle note, e della più rigorosa revisione del testo, accuratamente riscontrato con le stampe originali. Poiché oltre le edizioni del 1584 e del 1585 dello Spaccio e degli Eroici furori, possedute dalla Biblioteca nazionale di Napoli, si è potuta questa volta tener presente una riproduzione fotografica della

Cabala,

tratta

dall’esemplare

che

si

nella

conserva

Biblioteca Centrale di Zurigo per la cortese intercessione di S. E. il sig. Ministro svizzero G. Wagnière, al quale mi piace rinnovare pubblicamente 1 miei ringraziamenti. Il titolo dî Dialoghi morali, con cui anche noi abbiamo creduto di poter designare î dialoghi raccolti in questo vo-

lume, non corrisponde esattamente al contenuto di essi. A ri-

gore non converrebbe se non allo Spaccio. La Cabala e gli Eroici furori hanno come argomento principale la dottrina

della conoscenza: lirico; questi,

quella

invece,

con intento

piuttosto

polemico-sa-

dommatico-costruttiva.

in forma

Ma,

poiché pel Bruno, come sarà poi per lo Spinoza, la conoscenza è un

processo

di

liberazione

e purificazione

dello

spirito,

che eleva all'amore intelleltuale di Dio, riformando tuito l’uomo, alla sua dottrina non si disdice un nome analogo a LXI

PREFAZIONE

AJ‘ DIALOGHI

MORALI"

quello dato dal filosofo di Amsterdam alla sua opera maggiore. E certo nel presente volume,

tutta

morale

di séguito,

domina

e di ascensione

uno

la cui materia

spirito

al nuovo

Dio

unico

forse fu scritta

di edificazione

del Nolano;

e il libro

st può considerare tutto indirizzato all'allegoria finale degli Eroici furori. Allegoria che, com’ è stata ora per la prima volta rischiarata, può ben dirsi l'epilogo del periodo inglese della speculazione bruniana. GIOVANNI

LXII

GENTILE

DIALOGHI

METAFISICI

LA

CENA

DE

LE CENERI

DESCRITTA IN CINQUE DIALOGI PER

QUATTRO

INTERLOCUTORI CON

TRE CONSIDERAZIONI CIRCA DOI SUGGETTI ALL'UNICO

REFUGIO

DE LE MUSE

L'ILLUSTRISSIMO

MICHEL

DI

CASTELNOVO

Signor di Mauvissier, Concressalto e di Jonvilla, Cavalier de l'ordine del Re Cristianissimo e Conseglicr nel suo privato Conseglio,

Capitano di 50 uomini d'arme, Governator e Capitano di S. Desiderio ed

Ambasciator

L'universale

alla Serenissima

intenzione è dechiarata 1584.

5



di,

Bruno,

Regina

Dirloghi

italiani

d' Inghilterra.

nel proemio,

AL

Se

dal

cinico!

Lamentati Ch’ invan

Se non

Perché

Però

MAL

col torto pelle

sei

barbaro

mostri

ti guardi

tua

dente

di te, mi

CONTENTO.

trafitto,

perro 2;

il tuo

da farmi mi

straccio,

baston

despitto.

venesti

e ferro,

a dritto,

e ti disserro;

E s' indi accade ch’ il mio corpo atterro, Tuo vituperio è nel diamante scritto. Non andar nudo a tòrre a l'api il mele; Non morder, se non sai s' è pietra o pane; Non gir discalzo a seminar le spine. Non spreggiar, mosca, d'aragne le tele; Se sorce sei, non seguitar le rane 3; Fuggi le volpi, o sangue di galline. E

credi

a l' Evangelo,

Che dice di buon zelo: Dal nostro campo miete penitenza Chi vi gittò d’errori la semenza. ® Canino, da xùwvy, cane. ® Perro, spagn. cane.

lago,

3 Se non

nella

vuoi

far la fine del topo,

Balracomiomachia.

che seguitò



la rana

dentro

(B. (23) (W. I, [115]) (L. 114) (GLI, (3) (G*. I, [3]).

al

PROEMIALE ALL’

EPISTOLA

SCRITTA ILLUSTRISSIMO ED ECCELLENTISSIMO

SIGNOR

DI

MAUVISSIERO!

cavalier de l'Ordine del Re e Conseglier del suo privato Conseglio, Capitano di cinquant'uomini d'arma, Governator generale

di S. Desiderio

ed Ambasciator

Or

eccovi,

Signor,

di Francia

presente,

in Inghilterra.

non

un

convito

nettareo

de

1 A Michel de Castelnau, seigocur de Mauvissière, sono dedicati anche i dialoghi De /a Causa e quelli De l' Infinito; e prima della

Cena il Bruno

gli aveva già dedicato l'opuscolo Triginta sigillorum

explicatio, stampato a Londra nello stesso anno 1583, appena l’autore giunse in Inghilterra. Nel suo costituto del 30 maggio 1592 il Bruno

dirà al Tribunale dell’ Inquisizione di Venezia: « Con littere dell’istesso Re [di Francia,

sciator

di

Enrico

Sua

III] andai in Inghilterra a star con l’Amba-

Maestà,

che

si chiamava

per nome Michel de Castelnovo; in se non che stava per suo gentilomo. anni e mezo [dalla primavera 1583 il detto Ambasciator in Francia alla

Nelle Memorie

et augmentez

che

(Les Mémoires

de

il Castelnau

plusieurs

scrisse

de MicHEL

commentaires,

durante

della

Malviciera,

DE CASTELNAU,

Bruxelles,

illustrez

1731,

il soggiorno

del

e il 1570.)

Il Castelnau

non si fa parola del filosofo italiano. tra il 1559

il Signor

casa del qual non faceva altro, E me fermai in Inghilterra doi all’ottobre 1585].... E tornando Corte, l'accompagnai a Paris ». Bruno

3

voll.),

a Londra,

(I Mémoires trattano solamente

del periodo

compreso

tradusse

Elisabetta.

Su lui e sulle sue relazioni col Bruno, del resto illustrate

in francese il Liber de moribus veterum Gallorum di Pietro Ramo. Fu valente diplomatico, amico di Maria Stuarda e pure ben veduto da dal

Bruno

stesso

in questi

dialoghi,

v.

BARTHoLMÈSss,

/.

Bruno,

Paris, Ladrange, 1846-7, I, 104 sgg.; BERTI, G. Bruno da Nola, sua vita e sua dottrina, 28 ed., cap. IX e J. Lewis MCINTYRE, G. B.,

London, nuovi);

1903, p. 26 sgg.

SPAMPANATO,

(dov'è

Vita, pp.

data notizia di alcuni documenti

344 SEg.

(B. [3)) (W. I, [116)) (L. 114) (GI,

7

[4)) (G# I, [5]).

LA l’Altitonante,

CENA

DE

LE

per una maestà;

CENERI

non un protoplastico !, per una

umana desolazione; non quel d’Assuero, per un non di Lucullo, per una ricchezza; non di Licaone,

misterio ?; per un sa-

crilegio 3; non di Tieste, per una tragedia 4; non di Tantalo, per un supplicio; non di Platone, per una filosofia; non di Diogene, per una. miseria; non de le sanguisughe, per una bagattella; non d'un arciprete di Pogliano $, per una bernesca; non d'un Bonifacio candelaio 6, per una comedia; ma un convito



grande,

si

picciolo;

si

maestrale,

si

disciplinale;

si

sacrilego, si religioso; si allegro, si colerico; si aspro, si giocondo; si magro fiorentino, si grasso bolognese 7; si cinico, si sardanapalesco; si bagattelliero, si serioso; si grave, si mattacinesco; si tragico, sî comico; che, certo, credo che non vi sarà poco occasione da dovenir eroico, dismesso; maestro, discepolo; credente, mescredente; gaio, triste; saturnino, gioviale; leggiero, ponderoso; canino, liberale; simico, consulare; sofista con Aristotele, filosofo con Pitagora; ridente con Democrito, pian-

gente con Eraclito 8. Voglio dire: dopo

ch'arrete odorato

con i

peripatetici, mangiato con i pitagorici, bevuto con stoici, potrete aver ancora da succhiare con quello che, mostrando i denti, avea un riso st gentile, che con la bocca toccava l’una e l’altra orecchia. midolla, trovarete

triarca

de

gli

Perché, cosa da

Gesuati9,

rompendo l’ossa e cavandone le far dissoluto san Colombino, pa-

far

impetrar

qualsivoglia

mercato,

smascellar le simie e romper silenzio a qualsivoglia cemiterio. ! Cioè del protoplasto, o primo formato (Adamo): Genesi, III, 0. ® V. il Libro di Esther, cap. I (ec I, VII, 1 sgg.). 3 V. Ovipio, Metam., I, 221 sgg. (216-32). 4 Il Thyestes di Seneca. 5 Non Pogliano, ma Povigliano, poiché si allude al noto capitolo di Irancesco Berni A messer Jeronimo Fracastoro veronese. PoviBliano è nel veronese, Pogliano nel bergamasco; e lo scambio è

facile,

citando

6 Vedi

a memoria.

la comniedia

il protagonista. 7 Era in proverbio:

del Bruno,

Candelaio,

di cui

un

« Bologna la grassa, ma Padova

Bonifacio

la passa»:

FLorio, Secondi frutti, Londra, 1591, p. 106. 8 Cir. Cand. proprol., De la Causa, p. 219, Cabala, p. 847. 9 Giovanni Colombini, senese (1304 ?-1367), fondò nel

(B. (3-4) (W. I, [116]-7) (L. 114-5) (Gt I, 5) (GI,

8

è

1367

[5]-0).

PROEMIALE Mi

dimandarete:

che

EPISTOLA

simposio,

che

convito

è

questo

?

È una cena, Che cena? De le ceneri, Che vuol dir cena de le ceneri ? Fuvi posto forse questo pasto innante? Potrassi

forse dir qua: cinerem tamquam panem manducaban :? Non, ma è un convito fatto dopo il tramontar del sole, nel primo giorno de la quarantana ?, detto da’ nostri preti dies cinerum,

e talvolta giorno del anemernto. In che versa questo convito, questa cena ? Non già in considerar l'animo ed effetti del molto

nobile e ben creato

sig.

Folco

Grivello 3, alla

cui

onorata

stan-

l'ordine de' Gesuati. Di lui restano Lettere (ed. Bartoli, Lucca, 1856). Su lui G. ParDI, Della vita e degli scritti dì G. C. da Siena (Siena, Lazzeri, 1895). Ben nota la vita che ne scrisse nel 1449 Feo Belcari

(sulla quale PAaRDI nel Bull. senese di st. patria, II, 4 e ALBERTAZZI

nel Propugnatore, 1885-1886). A chiarimento dell'allusione del B. cecco un brano del Belcari (Vita, Palermo, 1818, pp. 5-6): «E per questo modo gastigando la carne e recandola in servitù, venne in desiderio di vivere in castità, e con molte ragioni ed esempli confortò la donna sua, che fusse contenta d'abbandonare ogni atto carnale e santamente vivere: la quale, avvenga che fusse giovane, nientedimeno consentendo al santo desiderio di suo marito, insieme

con

lui si proposeno

e deliberarono fermamente infino

alla

morte

castità tenere: e subito fatta la detta deliberazione, l’onestissimo Giovanni s' inginocchiò in terra in presenza della donna sua, e con buono cuore disse: — Signore mio Gesi Cristo, siccome la mia donna è contenta d’osservare castità, cosi prometto a te osservarla

tutto il tempo della vita mia. — E da quella ora incominciò a non diacere più in letto, dormendo e quando in sulla cassa e quando in sulla panca, vegliando gran parte della notte all’orazione ». 1 Salmi,

CI,

@ Quaresima.

10.

3 Sir Fulke Greville, per la cui relazione col Bruno,

v.

McINTYRE,

P. 33. Più tardi tra lui e il B. sparse il suo « arsenito de vili, maligni, ed ignobili interessati 1’ invidiosa Erinni» (Lett. al Sidney, innanzi

allo Spaccio,

p.‘550).

generale

dotti

Il

McIntyre

sospetta

che

la ragione

rottura fu «il tono in cui la Cena parla delle persone di Oxford,

dei

inglesi », che

potrebbe

Ma, se si pone mente alla discrepanza del dialogo

veridica

in casa

(ma

vedi

del Greville,

la

n.

2

a

avere

si

dell'ediz.

che

crit.

e in

il Greville.

tra la Cena, che pone

e l' affermazione,

p.

offeso

della

è da

della

il luogo credere

Cena),

del Bruno stesso nei costituti del processo veneto (SPAMPANaTO, Vita, p. 733), che la disputa avvenne «in casa dell'amba-

sciator di Francia», si può pur sospettare che, essendosi permesso il Bruno di pubblicare il dialogo, dove si faceva la più fosca e sarca-

(B. [4)) (W. I, 117) (L. 115) .(G.1 I, 5-6) (G= 1, 7). 9

LA

CENA

DE

LE

CENERI

za! si convenne; non circa gli onorati costumi di que’ signori civilissimi, che, per esser spettatori ed auditori, vi furono presenti; ma circa un voler veder quantunque può natura in far due fantastiche befane, doi sogni, due ombre e due febbri quartane 2: del che, mentre si va crivellando il senso istoriale,

e poi si gusta e mastica,

geografice,

altre

si tirano a proposito topografie,

altre raziocinali,

metafisiche,

altre

matematiche,

Argomento Onde

altre morali;

speculazioni ancora,

altre

del primo

altre

naturali.

dialogo.

vedrete nel primo dialogo proposti in campo doi sug-

getti con la raggion condo,

di nomi

loro,

se la vorrete capire;

in grazia loro, celebrata la scala del numero

se -

binario;

terzo, apportate le condizioni lodabili della ritrovata e riparata filosofia; quarto, mostrato di quante lodi sia capace il Copernico; quinto, postivi avanti gli frutti de la nolana filosofia, con la differenza tra questo e gli altri modi di filosofare. Argomento Vedrete

nel secondo

del secondo dialogo. dialogo:

prima

la causa originale

de la cena; secondo, una descrizion di passi e di passaggi, che più poetica e tropologica, forse, che istoriale sarà da tutti stica

rappresentazione

della

società

inglese,

come

avvenuto

anzi

che in casa dell’ambasciator di Francia, presso l'amico inglese Greville, a questo ne fossero venute noie nei furori che, come si vedrà,

la Cena suscitò in Inghilterra, e quindi

sofo italiano. presenti

Si noti quella frase di p.

(alla tavola

del

Greville,

motivo

quindi

132

di romperla col filo-

«se quelli

lo stesso

che v'eran

Greville],

come

erano civili, fussero stati civilissimi ». Si rimproverava poi al B., com’ è detto nella Causa: «La offesa fu privata, la vendetta è pu-

blica» (p. 200).

1 Posta, pare, in Whitehall, o lf vicino (O. ELTON, G. Bruno England, in Modern studies, London, 1907, p. 12).

® Cfr. il son. del BERNI

che comincia:

in

«Chi vuol vedere quan-

tunque può natura In far una fantastica befana, Un'ombra, un sogno, una febbre quartana, Un model secco di qualche figura.... Legga per cortesia questa scrittura ». (B.

[4-5])

(W.

I,

117)

(L.

115-6) IO

(GI

I, 6)

(GI,

7-8).

PROEMIALE

EPISTOLA

giudicata; terzo!, come confusamente si precipita in una topografia morale, dove par che, con gli occhi di Linceo? quinci e quindi guardando (non troppo fermandosi) cosa per cosa, mentre fa il suo camino, oltre che contempla le gran machine, mi par che non sia minuzzaria, né petruccia, né sas-

setto, che non vi vada ad intoppare. Ed ciò fa giusto com'un pittore; al qual non basta far il semplice ritratto de l’ istoria; ma

anco,

per

empir

il quadro,

e conformarsi

con

l'arte

a la

natura, vi depinge de le pietre, di monti, de gli arbori, di fonti, di fiumi, di colline; e vi fa veder qua un regio palaggio, ivi una selva,



un

straccio

di

cielo,

in

nasce,

e da passo

in passo

un

asino,

un cavallo:

mentre

basta

quel

ucello,

canto

un

un porco,

di questo

mezo

sol

che

un cervio,

un

far veder

una testa,

di quello un corno, de l'altro un quarto di dietro, di costui l’orecchie, di colui l' intiera descrizione; questo con un gesto

ed una mina, con

maggior

che non

tiene quello e quell’altro,

satisfazione

di

chi

remira

e

di sorte che

giudica

viene

ad

istoriar, come dicono, la figura. Cossi, al proposito, leggete e vedrete quel che voglio dire. Ultimo, si conclude quel benedetto dialogo con l'esser gionto a la stanza, esser graziosamente accolto e cerimoniosamente assiso a tavola. Argomento

del terzo dialogo.

Vedrete il terzo Dialogo, secondo il numero de le proposte del dottor Nundinio, diviso in cinque parti. De quali la prima versa circa la necessità de l'una e de l'altra lingua. La seconda esplica l’ intenzione del Copernico, dona risoluzione d’un dubio importantissimo circa le fenomie3 celesti, mostra la vanità del studio di perspettivi ed optici circa la determinazione della quantità di corpi luminosi, e porge circa questo nuova, risoluta e certissima dottrina. La terza mostra il 1 BWL: secondo. ? Cfr. Sen., Medea,

summota Lynceus 3 I fenomeni.

lumine

231-2:

inmisso

«Quique

videt ».

trans

Pontum

quoque

(B. [5-6]) (W. I, 117-8) (L. 116) (G.1 I, 6-7) (G: I, 8-9). II

LA

CENA

DE

LE

CENERI

modo della consistenza di corpi mondani; e dechiara essere infinita la mole de l’universo, e che invano si cerca il centro o la circonferenza del mondo universale, come fusse un de’ cor-

pi

particulari.

La

quarta

afferma

esser

conformi

in

materia questo mondo nostro, ch'è detto globo della terra, con gli mondi, che son gli corpi degli altri astri; e che è cosa da fanciulli aver creduto, e credere, altrimente; e che quei

son tanti animali intellettuali; e che non meno

in quelli vege-

tano plici

ed intendono molti ed innumerabili individui e composti, che veggiamo vivere e vegetar nel

semdorso

sioni,

con

accie-

di questo. La quinta, per occasion d'un argomento ch’apportò Nundinio al fine, mostra la vanità di due grandi persuale quali,

cati si, che non terra;

quello

molti

e

son

esser

secreti

e simili,

veddero

stati

si

possibile;

Aristotele

ed

altri son

esser vero e necessario

impediti,

il che

de la natura

Argomento

che

non

facendosi,

sin al presente

han

stati

il moto

possuto

vengono

occolti.

de

la

credere

discoperti

del quarto dialogo.

Avete al principio del quarto dialogo mezzo per rispondere

a tutte raggioni ed inconvenienti teologali, e per mostrar questa filosofia esser conforme alla vera teologia e degna d'esser

faurita da le vere religioni. Nel resto vi se pone avanti uno, che non sapea né disputar, né dimandar a proposito; — il quale

per

esser più

impudente

ed arrogante

pareva

a gli più

ignoranti più dotto ch’ il dottor Nundinio; ma vedrete che non bastarebbono tutte le presse del mondo per cavar una stilla di succhio dal suo dire, —

per prender materia da far dimandar

Smitho, e rispondere il Teofilo; ma è a fatto soggetto de le spampanate di Prudenzio e di rovesci di Frulla. E certo mi

rincresse1 che quella parte ve si trove.

1 Rincresce. Assimilazione propria dei dialetti settentrionali (ma non estranea ai centro-meridionali (cfr. Arch. glott. ital., IV, II, 167-68)); della quale altri esempi nel Cand. (ded. alla signora Morgana B.) e nella Cabala, p. 866.

(B.

(6-7))

(W.

I, 118-9)

(L. 116-7) I2

(G.I I, 7-8)

(GI,

0-10).

PROEMIALE Argomento

EPISTOLA

del quinio

dialogo.

S'aggionge il quinto dialogo, vi giuro, non per altro rispetto,

eccetto che per non

Ivi

primamente

sizione che

di

corpi

si dice

conchiudere

s’apporta

nell'eterea

ottava

si sterilmente

sfera,

la convenientissima

reggione,

Cielo

mostrando

de le fisse,

un cielo, che que’ corpi, ch'appaiono

dal

mezzo;

ma

che

la nostra

tali appaiono

non

che

cena.

dispo-

quello,

è si fattamente

lucidi, siano equidistanti

vicini,

che

son

distanti

di

longhezza e latitudine l'uno da l’altro più che non possa essere

l'uno

sono

e l’altro

dal

sole

e da

la terra.

sette erranti corpi solamente,

n’abbiamo

compresi

per

tali;

ma

Secondo,

che

per tal caggione

che,

per

non

che sette

la medesima

rag-

gione, sono altri innumerabili, quali da gli antichi e veri filosofi non

senza

causa

son

stati nomati

corridori!,

perché

muovono,

l’imaginate

e non

aethera,

essi son

que’

sfere.

corpi,

che

che

Terzo,

vuol

veramente che cotal

procede da principio interno necessariamente,

dire

come

si

moto

da propria

natura ed anima; con la qual verità sì destruggono molti sogni, tanto circa il moto attivo della luna sopra l'acqui ed altre sorte

d’umori,

quanto

circa

l’altre

cose

naturali,

che

par

che

conoscano il principio de lor moto da efficiente esteriore. Quarto, determina contra que’ dubii, che procedeno con la stoltissima raggione

della gravità e levità di corpi;

quanto

che

c dimo-

stra ogni moto naturale accostarsi al circolare, o circa il proprio centro, o circa qualch’altro mezzo. Quinto, fa vedere sia

si muovano

necessario, non

con

una,

questa

ma

terra

con

più

ed

altri

simili

diflerenze

di

corpi

moti;

e

che quelli non denno esser più, né meno di quattro semplici, benché concorrano in un composto; e dice quali siano questi moti ne-la terra. Ultimo, promette di aggiongere per ! Cîr. PLATONE, Cratilo,p. 410 B (trad. l'icino): « al@épa praeterea

sic exponendum arbitror, quoniam

del det

semper curtit circa agrem fluens

quo

falsa etimologia

Meteor.,

Anche ARISTOTELE, (B.

[7-8]))

(W.

di

De coelo, I, 4

al0fp.

I, 119-20)

Cir.

(L.

circa

circa

(ma 3: 270 b 20),

117-8)

13

(G.1

dépa

déeoy, idest

&eu0edp dici

I, 3.

I, 8-0)

potest».

ripete la stessa

°

(G.2 I, 10-11).

LA

altri dialogi

filosofia;

quel

CENA

DE

LE

CENERI

che par che manca al compimento di questa

e conchiude

con

una

adiurazione

di

Prudenzio.

Restarete maravigliato, come con tanta brevità e sufficienza s'espediscano si gran cose. Or qua, se vedrete talvolta

certi

men

gravi

propositi,

che

par

che

debbano

farsi innante alla superciliosa censura di Catone,

perché sapran

temere

non

di

dubitate;

questi Catoni saranno molto ciechi e pazzi, se non scuoprir quel ch’ è ascosto sotto questi Sileni!, Se vi

1 Cfr. PLAT., Conv. p. 215 A, dove Alcibiade paragona Socrate ai brutti Sileni che si vedevano nelle officine degli scultori, e che,

divisi in due,

immagine

articulorum

mostravano

il Bruno

d'aver dentro le statue degli dei. La stessa

adoperò

physicorum

più tardi nell’ Acrotismus, seu vationes

adversus

Peripateticos

Parisiis

propositorum

ridersi, scherzare,

burlare e va-

(1588) e nel De imunenso et innumerabilibus (1591): Opera, I, 1, 62 e 208. Cfr. la pref. del FIoRENTINO, pp. xvn-xvur. Nello Spaccio, p. 550:

«Lasciaremo

la

moltitudine

gheggiarsi su la superficie de

mimici, comici e istrionici Sileni, sotto

gli quali sta ricoperto, ascoso e sicuro il tesoro della bontade e veri-

tade ».

Lo

Portici,

SrAMPANATO

1905,

p.

adoperata

dal

au-dessus

des

17)

(A/c.

ha

antec.

notato

RaBELAIS

che

e imitaz.

(Garganiua,

la stessa

Prol.),

franc.

del

immagine

autore

Candelaio,

molto

era

stata

probabil-

mente letto dal Bruno. Ma il Rabelais, pur citando esplicitamente il Convito platonico, dice che i sileni « estoyent jadis petites boistes, telles que voyons de present és bouticques des apothicaires, peinctes

satyres,

figures

oysons

bridez,

cerfs limoniers

juyeulses

et

liebvres cornus,

et austres

belles

frivoles, canes

peinctures

comme

des

bastées,

boucs

contrefaictes

harpies,

volants,

à plaisir,

pour exciter le monde è rire, quel feut Silene maistre du bon Bacchus: mais au dedans l'on reservoit les fines drogues, comme baume,

ambre

gris,

amomon,

precieuses» (Euvres,

musc,

Londres

civette, et

Paris,

pierreries

Bastien,

et

austres

1783,

I,

pp.

Sileni

di

choses xxv-

xxvi). — Negli Adagi di ErasMO, invece, notissimi al Bruno (chil. III, cent.

III, n.

1), si ha un

lungo

ragionamento

sui

cibiade (che apud eruditos et in proverbium del quale pare si ricordi il Bruno nelle sue opere.

lungamente Sileno,

dichiarato perché

Erasmo

soggiunge

che

natura

servus,

pauper,

claudus;

abduntque;

quod

rerum

recondunt

vere honestarum:

abiisse videtur), Ivi, dopo avere

Alcibiade assomigliasse Socrate a un un sileno

stene daculo suo, pera pallioque; Diogene, teto,

Al-

e

di questo

fu

habent

«Haec

eximium,

contemptissimum,

id

nimirum

est

id in intimis

prima

(B. [8-9)) (W. I, 120) (L. 118) (G.! I, 9) (G2= I, 11).

14

Anti-

vulgo canis habitus; Epit-

conchiude:

quod

genere

specie

PROEMIALE

occoreno

EPISTOLA

tanti e diversi propositi

attaccati

insieme,

che

non

par che qua sia una scienza, ma dove sa di dialogo, dove di comedia, dove di tragedia, dove di poesia, dove d’oratoria; dove lauda, dove vitupera, dove dimostra ed insegna; dove

ha or del fisico, or del matematico,

or del morale,

or del logico;

in conclusione, non è sorte di scienza, che non v’abbia di stracci !, Considerate, Signore, che il dialogo è istoriale, dove, mentre si riferiscono l'occasioni, i moti, i passaggi, i rancontri,

i gesti, gli affetti, i discorsi, le proposte, le risposte, i propositi ed i spropositi, remettendo tutto sotto il rigore del giudizio di que’ quattro, non è cosa, che non vi possa venir a proposito con qualche raggione. Considerate ancora, che non v’ è parola ociosa; perché in tutte parti è da mietere e da disotterrar cose di non mediocre importanza, e forse più là dove meno appare. Quanto a quello che nella superficie si presenta, quelli che n’ han

donato

occasione

di far il dialogo,

e forse una

satira

e comedia, han modo di dovenir più circonspetti, quando misurano gli uomini con quella verga, con la quale si misura il velluto, e con la lance di metalli bilanciano gli animi. Quelli, che

sarrano

prae

spettatori

se gerunt,

o lettori,

ac thesaurum

e che

ceu

vedranno

vili cortice

il modo,

dissimulant

nec

con

pro-

phanis ostendunt oculis. Ac vulgarium et umbraticarum longe statim obviis ostentant; sin penitus introspicias, nihil minus sunt quam quod titulo specieque prae se ferebant » (Adagia, Lutetiae, Chevillot,

MDLXXIX, coll. 635-6). Cfr. anche Moriae encomium (Lugd. Batav., 1648), pp. 99-9. Pico DELLA MIRANDOLA nella sua lett. a Ermolao Barbaro del 5 giugno 1485 (verisimilmente nota anch'essa al Bruno) aveva detto: «Sed vis effingam ideam semonis nostri? Ea est

ipsissima quae silenorum nostri Alcibiadis. Erant enim horum simu-

lachra hispido ore tetro et aspernabili, sed intus plena gemmarum, suppellectilis rarae et prociosae. Ita extrinsecus si aspexeris feram

videas; si introspexeris, numen agnoscas »: Io. Picr MIR., Omnia opera, Venetiis, De Fontaneto, MDXIX: Epist., lib. I. « Già ne l'aprir d'un rustico Sileno, Meraviglie vedea l'antica etade....v (Tasso, Ger. lib., xvii, 30. Cfr. dello stesso Tasso I1°Apologia). 1 (G! = B:

punti

di

dell’archetipo

scorso).) (B.

[9])) (W.

suoi

stracci:

determina

I, 120-1)

(L.

(il punto

una

fermo

arbitraria

118) 2

15

in

luogo

interruzione

(G.3 I, 9-10)

(G=T,

dei

del

11-2).

due

di-

LA

CENA

DE

LE

CENERI

cui altri son tocchi, hanno per farsi accorti ed imparar a l'altrui spese. Que’, che son feriti o punti, apriranno forse gli occhi;

e vedendo la sua povertà, nudità, indignità, se non per amore,

per vergogna almeno si potran correggere o cuoprire, se non vogliono confessare. Se vi par il nostro Teofilo e Frulla troppo

grave

e rigidamente

siderate,

Signor,

toccare il dorso

che questi

animali

d’alcuni

non

han

suppositi,

si tenero

con-

il cuoio;

che se le scosse fussero a cento doppia maggiori, non le stimarebono punto, o sentirebbono più che se fussero palpate d'una fanciulla. Né vorrei che mi stimate degno di riprensione per quel che sopra si fatte inepzie e tanto indegno campo, che n’ han porgiuto questi dottori, abbiamo voluto exaggerar

si gravi e si degni propositi; perché son certo, che sappiate esser differenza da togliere una cosa per fondamento, e prenderla per occasione. I fondamenti invero denno esser propor-

zionati alla grandezza, condizione e nobiltà de l'edificio; ma le occasioni possono essere di tutte sorte, per tutti effetti;

perché cose minime e sordide son semi di cose grande ed eccellenti, sciocchezze e pazzie sogliono provocar gran consegli,

giudizii

ed

invenzioni.

proprii,

sappiate

Lascio

ch’ è

manifesto,

che

gli

errori

e delitti han molte volte porgiuta occasione a grandissime regole di giustizia e di bontade. Se nel ritrare vi par che i colori non rispondano perfettamente al vivo, e gli cielineamenti non vi parranno al tutto pittore

non

e distanze,

ch’ il difetto

ha possuto

che

soglion

è provenuto

essaminar

prendère

il ritratto

i maestri

da

de

questo,

con

che

que’

l’arte;

il

spacii

perché,

oltre che la tavola, o il campo era troppo vicino al volto e gli occhi, non si possea retirar un minimo passo a dietro, o discostar da l’uno e l’altro canto,

senza timor di far quel salto,

che feo il figlio del famoso defensor di Troia !. Pur, tal qual è,

prendete

mille,

questo

que’

tutti;

! SENECA,

« Mactata (B.

virgo

[9-10]))

ritratto,

atteso

Tro0as,

(W.

V,

[Polyxena] I,

121)

ove

son

che non

1o60

est;

(L.

que’

vi si manda

(1063

missus

118-0)

16

doi,

(GI

dell’ediz.

que’

cento,

que’

per informarvi

Picper-Richter):

e muris puer {Astyanax] ». I,

10-1)

(GI,

12-3).

PROEMIALE

EPISTOLA

di quel che sapete, né per gionger acqua al rapido fiume del vostro giudizio ed ingegno; ma perché so, che secondo l’ordinario, benché conosciamo le cose più perfettamente al vivo, non sogliamo però dispreggiar il ritratto e la rapreséntazion di

quelle.

Oltre

che

son

certo,

ch' il generoso

animo

vostro

drizzarà l'occhio della considerazion più alla gratitudine del: l'affetto con cui si dona, che al presente della mano che vi porge. Questo s’ è drizzato a voi, che siete più vicino e vi mostrate più propizio e più favorevole al nostro Nolano, e però vi siete reso più degno supposito di nostri ossequi in questo clima, dove

i mercanti

senza

conscienza

e fede

son

facilmente

Cresi,

e gli virtuosi senz'oro non son difficilmente Diogeni. A voi, che con tanta munificenza e liberalità avete accolto il Nolano

al vostro tetto e luogo più eminente di vostra casa !; dove, se questo terreno, in vece che manda fuori mille torvi gigantoni, producesse altri tanti Alessandri Magni, vedreste più

di cinquecento

venir a corteggiar questo Diogene,

il qual per

il sole,

(per non

cinico ma-

grazia de le stelle non ave altro, che voi che gli venga a levar

se pur

scalzone? manda che

qualche

quella

buca,

tannia

rapresentate

potente Re 3,

farlo

sapete.

che

diretto

A

o

di quel

reflesso

voi si consacra,

l'altezza

dal

più povero

raggio

dentro

che

in questa

Bri-

di si magnanimo,

si grande

e si

generosissimo

petto

de 1’ Europa,

la voce de la sua fama fa rintronar gli estremi cardini terra; quello che, quando irato freme, come leon da

con

de la l'alta

spelonca, dona spaventi ed orror mortali a gli altri predatori potenti di queste selve, e quando si riposa e si quieta, manda

talvampo

di liberale

e di cortese

amore4,

ch' infiamma

il tro-

1 Casa posta in Butcher's Row, in uno stretto vicolo della piazza

presso

S. Clemente

* Nel

con quante

Cand.,

IV,

Danese:

BouLTING,

5: « Dopo

filosofie giamai

G. B., London,

ch' io arrò compassato

abbiano

avuto

que’

1917,

p. 90.

i miei negocii

barbiferi

mascalzon

di Grecia e de l' Egitto, si, per disgrazia, la cosa non accade a proposito,

ognun

mi

chiamerà

balordo ».

3 Per una più alta lode di Enrico

4 (A: (B.

10-1)

animo). (W.

I,

121-2)

(L.

119-20)

III, v. Spaccio, (GI

I, 11-2)

pp. (G2

8206-27. I, 13-4).

LA

CENA

DE

LE

CENERI

pico vicino, scalda l' Orsa gelata, e dissolve il rigor de l’artico deserto,

gira!.

che

Vale.

t Cir.

sotto

SENECA,

l'eterna

Octavia,

custodia

28-30

del

(237-39

fiero

dell'ediz.

Boote

cit.):

si

rag-

« Infau-

stam facem Qua plaustra tardus noctis aeternae vice Regit Bootes frigori arctoo rigens ». Cfr. anche Medea, 314-6. (B.

[11))

(W.

I,

122)

(L.

120)

18

(GTI,

12)

(G2I,

19).

DIALOGO

PRIMO

INTERLOCUTORI Smitho,

un

Teofilo

filosofo,

Prudenzio

pedante,

rulla.

1 Di questi interlocutori il primo è certamente, al pari del terzo, personaggio storico, sebbene sia difficile identificarlo. Secondo

Lewis

EinsTEIN,

The

ital.

Renaiss.

in

England,

New

York,

1902,

or the Complaint

of the

p. 101, sarebbe un Giovanni Smith; secondo il McINTYRE, pp. 36-37, diligente indagatore delle relazioni del Bruno con gl'inglesi, potrebbe essere stato il pocta William Smith, discepolo di Spenser,

che pubblicò

un pocma

pastorale

Chloris,

passionate despised Shepherd. Ma, come assennatamente osserva lo SPAMPANATO (Vita, p. 353, n. 1), non è possibile individuare questo Smith tra molti inglesi contemporanei di questo cognome. d'un

Quanto allo Smith dell' EINSTEIN, questi, 0. c., p. 101, dà notizia metodo

italiano

pubbl.

a

Londra

dal

francese

DESAINLIENS,

più noto sotto il nome di Claudio Hollyband: The italian Schoolmaister

Containing rules for the perfect prononcing of th' italian tongue, with familiar Speeches and certain Phrases taken out of the best Italian authors, anda fine Tuscan histoire called Arnald and Lercenda, London 1575 (rist. in forma ampliata nel 1597); e nota che il libro è dedicato al « master John Smith, probabilmente quel medesimo Smith,

che più tardi divenne amico di Giordano Bruno ». (B.

1)

(W.

I,

[123))

(L.

120)

19 ù



G,

Lruno,

Dialoghi

italiani

(GTI,

[13))

(GI,

(15)).

LA

CENA

Smitho.

Parlavan*

Teofilo.

Si.

DE

ben

LE

CENERI

latino?

Sutitho. Galantuomini ? Teofilo. SÉ.

Smitho. Di buona riputazione? Teofilo. Sf.

Teofilo, come Filoteo dei diall. De Ja Causa, e De l' Infinito, è «il fidel relatore della nolana filosofia » (v. alla fine del De la Causa). Altri filosofi, prima e dopo Bruno, scelsero tale appellativo a rappresentare l’espositore delle proprie dottrine; A. Nifo, p. e. prima del Bruno, Spinoza (Dial. tra Erasmo e Filoteo) e Leibniz (Nouveaux Essais) dopo. Il Bruno già aveva assunto personalmente l'appellativo di Philoteus premettendolo nel frontespizio al proprio nome e cognome nel De compendiosa architeciura et complemento Avtis Lullii (Parigi, 1592) e poi nella Recens et completa ars reminiscendi (Londra, 1583). Il IKUHLENBECK (III, 178) nota che Fra Teofilo (da Vairano) si chiamava il primo maestro di logica che ebbe, tra

il 1563

e il 65,

in Napoli,

il Bruno

(SPAMPANATO,

Vita, pp.

651,

697 e 97-9), e crede quindi che la « predilezione del Bruno d' introdurre questo nome come rappresentante delle sue idee, poté deri-

vare dal ricordo affettuoso

(fietàtvoller)

FrANcEsco BrLo d. neuer. dramas,

dové esser nota. n., e A. SaLza,

spirituale nel campo Prudenzio è, dante. Il nome non fu tolto dalla commedia

di questa sua prima

guida

della filosofia ». come dice il B., «troppo prudente », un pcdel resto inventato dal B., che pare l'abbia I! Pedante (1529) (più probabilmente 1538) di

che gli II, 281,

V. CREIZENACH, Gesch. Una commedia pedan-

tesca del Cinquecento (nella Miscell. di studi crit. ed. in onore di A. Graf, Bergamo, 1903, p. 45° (ma 449.) Intorno al tipo comico del pedante nella letteratura del sec. XVI v. il noto saggio del Grar,

Attrav.

il

Cinquee.,

Torino,

1888,

pp.

171-213.

Per

la

rappresentazione che ne fa il Bruno nelle sue opere italiane v. SPamPANATO, Antipetrarchismo di G. B., Milano 1900, pp. 69-76, nonché il suo ricco commento al Candelaio 1-3, e SALZA, 0. c., pp. 449-452. Frulla, come dice il suo nome, è un uomo da poco, intro-

dotto a prendersi giuoco di maestro Prudenzio.

Frullare

significa

anche battere, percuotere; e questo è appunto l'ufficio di Frulla. ! (A: Parlavon)

(B. 1) (W. I, (r23)) (L. 120) (G.1 I, [13]-4) (G3 I, (15]-0). 20

DIALOGO

PRIMO

Smitho. Dotti? Teofilo. Assai competentemente. Smitho.

Ben

creati,

cortesi,

civili?

Teofilo. Troppo mediocremente. Smutho. Dottori? Teofilo.

Messer

si,

padre

si,

madonna

sî,

madesi ‘,

credo da Oxonia. Smitho. Qualificati? Teofilo. vestiti

Come

non ? uomini

di velluto;

un

da scelta,

de’ quali

avea

due

di robba lunga ?, catene

d’oro

lu-

cente al collo, e l’altro, per Dio, con qeulla preziosa mano, che contenea

dodeci

anella

in due

chissimo3 gioielliero, che ti quando la vagheggiava 4.

cavava

dita, sembrava

gli occhi

ed

uno ric-

il core,

Smitho. Mostravano saper di greco? Teofilo. E di birra eziandio.

Prudenzio. Togli via quell’eziandio, poscia; una obsoleta ed antiquata dictione. Frulla. Tacete, maestro, ché non parla con voi. Smitho. Come eran fatti? 1 IVL correggono: madre st. Ma arbitrariamente;

madesi

è

era

usato negli antichi scrittori come rinforzativo di sf. ? Abito de’ dottori. Cfr. il prov. «Dottor di Valenzia, longa robba © corta scienzia» (FLORIO, Giardino di ricreazione, p. 47). | 1 (A: richissimo.) 4 Si noti che, come

ha avvertito il B., qui i due dottori Torquato

e Nundinio sono « proposti in campo.... con la raggion di nomi loro, se la vorrete capire» (cfr. p. 10). Uno dunque è detto Torquato {da

torgues)

per

catene

che

ha

al

collo;

l'altro

Nundinio

(da

nundinae, fiera, mercato) per le anella che porta alle dita, e che dovevano essere segno distintivo degl’ interpreti delle fiere. Il Nundinio, infatti, come si vedrà, farà nel dialogo da interprete del Torquato, 5 (G!1 = B: poscia; G? poscia che) Cfr. Cand3, p. 102.

6 (B: absoleta (cfr. p. 1117 nota).)

(B.

1-2)

(W.

I,

(123])

(L.

120-1) ZI

(G.!

I,

14)

(GI,

16-7).

LA

Teofilo. L'uno

CENA

parea

DE

LE

CENERI

il connestabile ! della

gigantessa

e l’orco, l’altro l’amostante della dea de la riputazione ?. Smitho. Si che eran doi? Teofilo. Si per esser questo un numero misterioso. Prudenzio.

Ut essent duo

lestes.

Frulla. Che intendete per quel festes? Prudenzio. cienza.

At,

numero

me

hercle,

binario

Teofilo. dice

Testimoni,

sinistro,

e va

perché

avete

della

detto,

nolana Teofilo,

due

finito

sono ed

le prime

moti:

infinito,

discorrendo.

retto,

vazione,

che

Due

coordinazioni,

curvo sono

e retto,

il

le spezie

con

il quale

e circulare,

col

i corpi

quale

tendeno

si conservano.

come

destro

e

di numeri,

pare ed impare, de' quali l’una è maschio, l’altra Doi sono gli Cupidi, superiore e divino, inferiore Doi sono gli atti della vita, cognizione ed affetto. gli oggetti di quelli, il vero ed il bene. Due sono di

suffi-

è misterioso?

Perché

Pitagora,

essaminatori

è femina. e volgare. Doi sono le specie

alla conserDoi

son

gli

principii essenziali de le cose, la materia e la forma. Due le specifiche

differenze

della sustanza,

raro e denso,

semplice

e misto. Doi primi contrarii ed attivi principii, il caldo e il freddo.

Doi

primi

parenti

de

le cose

naturali,

il sole

e la

terra.

Frulla. Conforme un'altra

scala

al proposito di que’ prefati doi, farò

del binario. Le bestie entrorno ne l’arca, a due

a due; ne uscirono ancora

a due

a due 3. Doi sono i corifei

di segni celesti: Aries e Taurus. Due sono le specie di wnolite

1 Cand.,

p.

3 Genesi,

VI,

28:

« connestable ».

® Paragone aretinesco già adoperato nel Cand.?, (B.

2)

(W.

I,

19 e VIII,

16 sgg.

123-4)

121)

(L.

22

(GI,

14-5)

p. 27.

(GT,

17-8).

DIALOGO

PRIMO

fieri: cavallo e mulo.

Doi

son

gli animali

ad imagine

e

similitudine de l’uomo:

la scimia in terra, e ’1 barbagianni

in cielo. Due sono le false ed onorate reliquie di Firenze in questa patria: i denti di Sassetto e la barba di Pietruccio ?. Doi sono gli animali, che disse il profeta aver più intelletto, ch’il popolo d’ Israele: il bove perché conosce il suo possessore, € l'asino perché sa trovar il presepio del padrone 3. Doi furono le misteriose cavalcature del nostro redentore, che significano il suo antico credente ebreo ed il novello

gentile: l’asina e il pullo 4. Doi sono da questi li nomi derivativi, ch’ han formate le dizioni titulari al secretario d’Augusto: Asinio e Pullione. Doi sono i geni 5 degli asini: domestico e salvatico. Doi i lor più ordinarii colori: biggio e morello. Due sono le piramidi, nelle quali denno esser scritti e dedicati all’eternità i nomi di questi doi ed altri simili dottori:

non

1 Cfr. Salmo XXXI, g: « Nolite fieri sicut equus et mulus, quibus

est intellectus ». 2 BL: Pietruccia; ma può trattarsi, come ha notato per primo lo SPAMPANATO (Postille, p. 468), di « un refuso possibile ne’ libri del B.,

anzi

più

volte

da lui rilevato

quando

formò

l’elenco

degli

errori

‘ più fastidiosi’ o ‘ più urgenti» La correzione è consigliata (ma si noti il richiamo al petruccia di p. 11), perché ne vien fuori un toscano assai noto a Londra e benvoluto a Corte: Pietruccio Ubaldini,

soldato,

insegnante

seggiatore, autore di una Vite delle donne illustri di

ital.

d’ italiano,

miniatore

di

codici,

ver-

Vita di Carlomagno (1581) e di certe Inghilterra e di Scozia (1591). (Su lui

EINSTEIN,

The

Renaiss.

colonnello,

servi molti anni

in England,

passim).

E

con

lui

fa

bene il paio Tommaso di Vincenzio Sassetto, toscano anche lui, e uomo d'arme prima in Irancia, poi in Inghilterra, dove, col titolo d P. 369,

e G.

S. GARGANO,

e morf

praescpe

non

4 Cfr.

domini

MATTEO,

5 Plur. di (B.

sui:

intellexit ».

2-3)

(W.

I,

Israel

XXI,

5,

124)

(L.

geno

1593. V. pure

Scapigliatura ital. a Londra,

tistelli, 1923, p. 45. 3 Isara, I, 3: « Cognovit meus

nel

bos

autem 7.

= genere;

possessorem

me

non

cfr. Cand2,

121-2)

23

(GI,

Spamp.,

Vita,

Firenze,

suum,

cognovit,

et

Bat-

asinus

et populus

p. 49, n. 1. 15-6)

(GI,

18-9)

LA

CENA

DE

la destra orecchia del caval

LE

CENERI

di Sileno, e la sinistra de l'an-

tagonista! del dio degli orti 3. Prudenzio. Optimae indolis ingenium, entoneratio minime contenmenda !

Frulla. Io mi glorio, messer Prudenzio mio, perché voi

approvate il mio discorso, che sete più prudente che l' istessa prudenzia, perciò che sete la pridentia masculini generis. Prudenzio. Neque id sine lepore et gratia. Orsù, isthaec inittamus

encomia.

princeps,

sedendo

Sedeamus,

quia,

et quiescendo

ut

ait

sapimus;

Peripateticorum

e cossi,

insino

al

tramontar del sole, protelaremo il nostro tetralogo circa il

successo del colloquio del Nolano col dottor Torquato e il

dottor Nundinio. Frulla. Vorrei sapere quel che volete intendere per quel tretalogo

Prudenzio. Tetralogo, dissi io: id est, quatuorum sernto; come dialogo vuol dire duorum sermo, trilogo frium sernito; e cossi oltre, de pentalogo, mente

si chiamano

eptalogo,

dialogi,

come

ed altri, che abusiva-

dicono

alcuni

quasi

dt-

versoruni logi: ma non è verisimile che li greci inventori di questo nome abbino quella prima sillaba adi» pro capite illins latinae dictionis a diversuni ». 1 (B:

antigonista

(cfr. p.

776

n.

1).)

= Il caval di Sileno era un asino; e l'asino fors'anco si deve in-

tendere

per

l'antagonista,

o rivale,

di

Priapo,

dio

degli

piacendosi non di rado il B. di siffatte oscene allusioni.

orti,

com-

(L’antago-

nista di Priapo è certamente l'asino, che contese con il dio in una serie di*occasioni (elencate da V. CARTARI, Le imagini de i dei, Venezia 1550, p. 445): cfr. son. A l’Asino Cillen., v. 13 (p. 913).) Due orecchie d'asino dovrebbero quindi essere il monumento di

cotali dottori.

3 (GI = B: tretalogo; G>: fetralogo (la correzione, se pur è tale, è arbitraria, perché trattasi qui di uno sproposito di Frulla ripreso dal pedante nella battuta che segue).) (B.

3-4)

(W.

I

124-5)

(L.

122)

24

(GI

I, 16-7)

(G=I,

19).

DIALOGO

PRIMO

Smitho. Di grazia, signor maestro, lasciamo questi rigori di gramatica, e venemo al nostro proposito. Prudenzio. O saeclum! voi mi parete far poco conto delle buone

se non

lettere.

sappiamo

Come

che

potremo

significhi

far un

questa

logo

e, quod peius est, pensaremo

Nonne

a

come

difinitione

il nostro

et a nonunis

buon

tetralogo,

dizione

tetra-

che sia un dialogo?

explicatione

exordiendum,

Arpinate * ne insegna?

Teofilo, Voi, messer Prudenzio, sete troppo prudente. Lasciamo, vi priego, questi discorsi grammaticali; e fate conto, che questo nostro raggionamento sia un dialogo, atteso

che

benché

siamo

quattro

in

persona,

saremo

dui

in officio di proponere e rispondere, di raggionare e ascoltare. Or, per dar principio e reportar il negocio da capo, venite ad inspirarmi,

o Muse.

Non

dico a voi, che parlate

per gonfio e superbo verso in Elicona: perché dubito che forse non vi lamentiate di me al fine, quando, dopo aver fatto sf lungo e fastidioso peregrinaggio, varcati sf perigliosi mari, gustati si fieri costumi, vi bisognasse discalze e nude tosto repatriare, perché qua non son pesci per Lombardi ?. Lascio, che non

solo siete straniere, ma siete ancor di quella

razza, per cui disse un poeta: Non

fu mai

greco

di malizia

netto 3.

! Cic., De officiis, I, 2, 7. ? Vecchio proverbio, che s'incontra anche in un verso maccheronico di Gian Giorgio Alione: Nec per Lombardis sunt pisces in Astesana; e in una lettera (di A. Persio diretta al Doni nell'aprile)

del

1570:

Delle lettere facete et piacevoli

et chiari et begli ingegni Altobcello Salicato, 1601,

BurcmeLLo

(Rime,

1553,

di diversi

huomini

grandi

raccolte da Francesco TurcHi, Vinegia, lett. 157, p. 393 (dove però deriva dal

p. 17). L'Amerio

(p. 194,

n. 2) ha rile-

vato la connessione di questo detto con una leggenda domenicana.) 3 Fusione di due versi del Morgante del Pulci (XVIII, 175 e XXI,

138:

di malizia (B.

4)

« Odi,

ribaldo,

netto ». V. (W.

I,

odi

anche

125)

(L.

malizia

FLoRrIo, 122-3)

25

greca »; « Non

Giard.

(GAI,

fu

mai

di ricreazione,

17)

(GI,

guercio

p.

19-20).

162.

LA

CENA

DE

LE

Oltre che non posso inamorarmi Altre, altre,

CENERI

di cosa, ch'io non vegga.

altre sono che m'hanno incatenata l'alma. A voi dunque, dico, graziose, gentili, pastose, morbide,

gioveni, belle, delicate, biondi capelli, bianche guance, miglie

gote,

labra

succhiose,

e cuori di diamante;

occhi

divini,

petti

ver-

di smalto

per le quali tanti pensieri fabrico

ne la mente, tanti affetti accolgo nel spirto, tante passioni concepo

nella vita,

tante

lacrime

verso

da gli occhi,

tanti

suspiri sgombro dal petto e dal cor sfavillo tante fiamme; a voi, Muse d’ Inghilterra, dico: inspiratemi, suffiatemi, scaldatemi, liquore,

accendetemi,

datemi

picciolo,

lambiccatemi

in succhio,

delicato,

stretto,

e

risolvetemi

e fatemi

comparir

non

corto

succinto

epigramma,

e

con

in un

ma con una copiosa e larga vena di prosa lunga, corrente, grande e soda: onde, non come da un arto calamo, ma come da un largo canale, mande i rivi miei. E tu, Mnemosine mia, ascosa sotto trenta sigilli, e rinchiusa nel tetro carcere del-

l'ombre de le idee, intonami un poco ne l'orecchio ?. Ai di passati vennero doi al Nolano da parte d’un regio scudiero, facendogl' intendere qualmente colui bramava sua conversazione, per intender il suo Copernico ed altri para-

1 Lo SFPAMPANATO (Vila, p. 368) ha notato come Erasmo avesse sentito similmente il fascino delle dame inglesi; e come col B. consentisse il suo amico FLoRIO, Secondi frutti, p. 130; non dimentica le «labra succhiose »: v. Critica, XXI, 122, 246, 247, ccc.

il quale poi 125; XXII,

2 Il B. accenna a due delle sue opere consacrate all'esposizione

dell'arte della memoria, blicata

dall'autore

a

cioè alla Triginta sigillorum explicatio, pub-

Londra,

nel

1583,

e

al

De

Umbris

idearum,

pubblicato l’anno innanzi a Parigi; rist. entrambe in Opera, vol. II. Di queste due opere un'esposizione accurata nel Tocco, Le opere lat.

part.

di

G.

Bruno

II, capp.

(B. 4-5)

esposte

2° e 4°.

(W.

e confrontate

I, 125-6)

(L.

123)

26

con

(G.!

le italiane,

17-8)

(G2

Firenze,

I, 20-1).

1880,

DIALOGO

PRIMO

dossi di sua nova filosofia. Al che rispose il Nolano, che Iui non vedea per gli occhi di Copernico, né

per i proprii, quanto

altri

Ptolomeo, ma

quanto al giudizio e la determinazione; benché

alle

osservazioni,

solleciti

e tempi,

di

stima

matematici,

giongendo

lume

che

dover

molto

a questi

successivamente,

a lume,

ne han

ed

a tempi

donati

principii

sufficienti, per i quali siamo ridutti a tal giudicio, quale non possea se non dopo molte non ociose etadi esser partu-

rito. Giongendo,

che

costoro

in effetto son

come

quelli

ne’ sentimenti,

e non

interpreti, che traducono da uno idioma a ma sono gli altri poi, che profondano

l’altro le paroli:

essi medesimi 1, E son simili a que’ rustici, che rapportano gli affetti e la forma d'un conflitto a un capitano absente: ed essi non intendono il negocio, le raggioni e l’arte, co’ la quale questi son stati vittoriosi; ma colui, che ha esperienza e meglior giudicio ne l’arte militare. Cossf a la tebana Manto,

che

vedeva,

divino

interprete,

ma

non

intendeva,

Tiresia,

cieco,

ma

diceva:

Visu carentem magna pars veri latet, Sed quo vocat me patria, quo Phoebus, sequar. Tu lucis inopem gnata genitorem regens, Manifesta sacri signa fatidici refer ?,

Similmente

che potreimo

giudicar noi, si le molte e diverse

verificazioni de l'apparenze de’ corpi superiori o circostanti non ne fussero state dechiarate e poste avanti gli occhi de la raggione ? Certo, nulla. Tuttavia, dopo aver rese le grazie a gli dei, distributori de’ doni, che procedono dal primo 1 Circa 250-252.

il pensiero

® SENECA,

Cedipus,

l'ediz. Peiper-Richter). (B. 5-5*)

(W.

I, 126)

di

B.

vv.

(L.

sulle

traduzioni

cfr.

299-300,

505-6

(295-906

123-24)

27

(G.1 I, 18-9)

Critica,

(G2

e

XXII,

301-2

I, 21-2).

del-

LA

CENA

DE

LE

CENERI

ed infinito onnipotente lume, ed aver magnificato il studio di questi generosi spirti, conoscemo apertissimamente, che doviamo aprir gli occhia quello ch’ hanno osservato e visto, e non porgere il consentimento a quel ch’ hanno conceputo,

inteso

Smitho.

e determinato. Di grazia, fatemi intendere, che opinione

avete

del Copernico ? Teofilo.

Lui

avea

un

grave,

elaborato,

sollecito

e ma-

turo ingegno 1; uomo che non è inferiore a nessuno astronomo che sii stato avanti lui, se non per luogo di successione

e tempo;

stato molto

uomo

superiore

che,

quanto

al giudizio

a Tolomeo, Ipparco,

naturale,

Eudoxo

è

e tutti

gli altri, ch' han caminato appo i vestigi di questi. Al che è dovenuto per essersi liberato da alcuni presuppositi falsi de la comone e volgar filosofia, non voglio dir cecità. Ma però non se n° è molto allontanato; perché lui, più studioso de la matematica che de la natura, non ha possuto profondar e penetrar sin tanto che potesse a fatto toglier via le radici de inconvenienti e vani principii, onde perfettamente sciogliesse tutte le contrarie difficultà e venesse

a liberar e sé ed altri da tante vane inquisizioni e fermar

la contemplazione ne le cose costante e certe. Con tutto ciò chi potrà a pieno lodar la magnanimità di questo germano,

il quale,

avendo

poco

riguardo

a la stolta

moltitu-

dine, è stato sf saldo contra il torrente de la contraria fede, e benché quasi inerme di vive raggioni, ripigliando quelli abictti e rugginosi fragmenti ch’ ha possuto aver per le mani

da

la antiquità,

le ha

ripoliti,

accozzati

e risaldati

1 Cfr. il cap. IX del lib. ITI del poema De immenso (Opera, I, 1, p. 388 (380) sgg.) intitolato: De lumine Nicolai Copernici. (B.

5*-6)

(W.

I,

126-7)

(L.

124)

28

(G.!

I,

19-20)

(G.2

T,

22).

DIALOGO

PRIMO

in tanto, con quel suo più matematico che natural discorso, ch’ ha resa la causa, già ridicola, abietta e vilipesa, onorata, preggiata, più verisimile che la contraria, e certissima-

mente più comoda ed ispedita per la teorica e raggione calculatoria ? Cossi questo alemano, benché non abbi avuti sufficienti modi, per i quali, oltre il resistere, potesse a bastanza vencere, debellare e supprimere la falsità, ha pure fissato il piede in determinare ne l’animo suo ed apertissimamente confessare, ch'al fine si debba conchiudere necessariamente, che più tosto questo globo si muova a l'aspetto de l’universo, che sii possibile che la generalità di tanti corpi innumerabili, de’ quali molti son conosciuti più magnifici e più grandi, abbia, al dispetto della natura e raggioni che con sensibilissimi moti cridano il contrario, conoscere questo per mezzo e base de’ suoi giri ed influssi. Chi dunque sarà sf villano e discortese verso il studio di quest'uomo, che, avendo posto in oblio quel tanto che ha fatto,

con

dovea

precedere

filosofia,

esser

per

de la cieca,

ordinato

dagli

dei

l’uscita di questo

tanti

secoli

maligna,

sepolta

proterva

come

sole

nelle

una

aurora,

de l'antiqua

vera

ignoranza;

vogli,

tenebrose

ed invida

che

caverne

notandolo per quel che non ha possuto fare, metterlo medesmo

numero

della gregaria

moltitudine,

che

nel

discorre,

si guida e si precipita più ! per il senso de l'orecchio d’una brutale e ignobil fede; che vogli ? computarlo tra quei, che col felice ingegno s' han possuto drizzare ed inalzarsi per la fidissima scorta de l'occhio della divina intelligenza? Or

che

dirrò

1 (Amerio:

? (Amerio: (B.

6-7)

io del

giù) che (W.

I,

[non] 127)

Nolano? Forse,

per

essermi

tanto

vogli) (L.

124-5)

29

(Gi

I, 20)

(G.2

I, 22-3).

LA

CENA

DE

LE

CENERI

prossimo, quanto io medesmo a me stesso, non mi converrà lodarlo 1? Certamente, uomo raggionevole non sarà, che mi riprenda in ciò, atteso che questo talvolta non solamente

quel

conviene,

terso Di

ma

e colto

è anco necessario,

come

bene espresse

Tansillo:

Bench’ad un uom, che preggio ed onor sé stesso parlar molto sconvegna,

brama,

Perché la lingua, ov'il cor teme ed ama, Non è nel suo parlar di fede degna;

L’esser altrui precon de la sua fama Pur qualche volta par che si convegna, Quando vien a parlar per un di dui: Per fuggir biasmo, o per giovar altrui ?.

Pure, se sarà un tanto supercilioso, che non vogli a propo-

sito alcuno patir la lode propria, o come propria, sappia, che quella talvolta non si può dividere da sui presenti e riportati effetti. Chi riprenderà Apelle, che presentando l’opra, a chi lo vuol sapere, dice, quella esser sua manifattura?

di

Chi biasimerà Fidia, s' a un, che dimanda

questa

magnifica

scoltura,

risponda

esser

l’autore

stato

lui?

Or dunque, a fin ch’ intendiate il negocio presente e l’ importanza presto

sua, vi propono

facile-

e

per

una

chiarissimamente

conclusione, vi

si

provarà:

che

ben

che,

se

vien lodato lo antico Tifi per avere ritrovata la prima nave, e cogli

Argonauti Audax

Rate

trapassato nimium,

tam

Terrasque

Animam

lib.

1 Cfr. 1V,

le lodi

cap.

I, in

» L. TansiLLo,

di L.

che

(B.

7-8)

freta primus

suas

levibus

post

il Bruno I,

terga

credidit

11,

torna

1-2

Vendemmiatore,

Medea,

(W.

qui

fragili perfida rupit,

Opera,

T., ed. Flamini,

3 SENECA,

il mare:

I,

p. 64.

vv.

128)

videns,

auris 3;

a far

(2-3).

di sé

st. XXIX:

nel

De

L'egloga e i poemetti

301-304.

(L.

125) 30

(GI

IT, 20-1)

im,

(G.2

I, 23-4).

DIALOGO

se a’ nostri tempi

PRIMO

vien magnificato il Colombo,

per esser

colui, de chi tanto tempo prima fu pronosticato: Saccula

seris,

Venient

quibus

annis

Oceanus

Vincula rerum laxet, et ingens Pateat tellus, Tiphysque novos Detegat orbes, nec sit terris Ultima

Thule 1;

che de’ farsi di questo, che ha ritovato il modo di montare al cielo, discorrere

la circonferenza

de le stelle, lasciarsi

a

le spalli la convessa superficie del firmamento? Gli Tif han ritrovato il modo di perturbar la pace altrui, violar i patrii genii de le reggioni, di confondere quel che la provida natura distinse, per il commerzio radoppiar i difetti, e gionger

vizii a vizii de l'una e l'altra generazione,

più

mostrar

con

violenza propagar nove follie e piantar l’ inaudite pazzie ove non sono, conchiudendosi alfin più saggio quel ch'è forte;

novi

studi,

instrumenti

rannizar e sassinar l’un l’altro; per tempo verrà, che, avendono = quelli parato, per forza de la vicissitudine e potranno renderci simili e peggior

ed

arte

mercé de’ a sue male de le cose, frutti de si

de

ti-

quai gesti spese imsapranno perniciose

invenzioni 3. Candida nostri saccula patres Videre procul fraude remota. Sua

quisque

1 Ivi, vv. 378-82

p.

® Forma

6I, n. 3 Cfr.

(B.

1. il De

8-9)

plurale

(W.

ismn.,

I,

piger

(375-79

del

dell’ediz.

gerundio.

lib. VII,

128-9)

littora

(L.

Ter

cap.

XVI,

126)

(G.!

3I

tangens,

cit.).

cui si

in

vegga

Opera,

I, 21-2)

(G2

I,

appresso, 11, 271

I, 24-5).

sgg.

LA

CENA

Patrioque Parvo

Natale

DE

senex

dives,

solum,

Bene

nisi

fractus

non

dissepti

LE

quas

CENERI in arvo

tulerat

norat

opes.

foedera

mundi

Traxit in unum Thessala pinus, Iussitque pati verbera pontum, Partemque metus fieri nostri Mare sepostum *.

Il Nolano, per caggionar effetti al tutto contrarii, ha disciolto l'animo umano e la cognizione, che era rinchiusa ne l’artissimo carcere de l’aria turbulento; onde a pena, come

per certi. buchi, avea facultà de remirar le lontanis-

sime stelle, e gli erano mozze l'ali, a fin che non volasse ad aprir il velame di queste nuvole e veder quello che veramente

là su si ritrovasse, e liberarse da le chimere di quei,

che, essendo usciti dal fango e caverne de la terra, quasi Mercuri ed Apollini discesi dal cielo, con moltiforme impostura han ripieno il mondo tutto d' infinite pazzie, bestialità

e vizii,

come

di tante

verti,

divinità

e discipline,

smorzando quel lume, che rendea divini ed eroici? gli animi di nostri antichi padri, approvando e confirmando le tenebre caliginose de’ sofisti ed asini. Per il che già tanto tempo l’umana

vallo

raggione

piangendo

oppressa,

la sua

tal volta nel suo lucido

sf bassa

condizione,

alla

divina

(cfr.

p.

e provida mente, che sempre ne l'interno orecchio

surra, si rivolge con simili accenti: Chi

A

salirà

per

riportarne

me,

il mio

madonna,

perduto

1 SENECA, Medea, vv. 329-330. nota 4).) 2 (B: hevoichî) 3 Ariosto, Orl. Fur., XXXV, 1.

(B. 9-10)

(W.

I, 120)

(L.

126-7) 32

(BD:

(G.!

inter-

li su-

in ciclo,

ingegno ? 3. sepositum

I, 22-3)

(GI,

25-60).

533;

DIALOGO

Or

ecco

quello 1, ch' ha

discorse svanir

le stelle,

varcato

trapassati

le fantastiche

decime

PRIMO

l’aria,

penetrato

gli margini

muraglia

de

il cielo,

del mondo,

le prime,

ed altre, che vi s'avesser potuto

fatte

ottave,

none,

aggiongere,

sfere,

per relazione de vani matematici e cieco veder di filosofi volgari; cossi al cospetto d'ogni senso e raggione, co’ la chiave di solertissima inquisizione aperti que’ chiostri de la verità, che da noi aprir si posseano, nudata la ricoperta e velata natura, ha donati gli occhi a le talpe, illuminati i

ciechi che non possean fissar gli occhi e mirar l’ imagin sua in tanti specchi che da ogni lato gli s'opponeno, sciolta la lingua a’ muti che non sapeano e non ardivano esplicar

gl intricati sentimenti, far quel progresso col e dissolubile composto, fussero proprii abitatori astri,

dimostra

risaldati i zoppi che non valean spirto che non può far l' ignobile le rende non men presenti che si del sole, de la luna ed altri nomati

quanto

siino

simili

o

dissimili,

maggiori

o peggiori quei corpi che veggiamo lontano a quello che n’ è appresso ed a cui siamo uniti, e n' apre gli occhi a veder questo nume, questa nostra madre, che nel suo dorso ne alimenta e ne nutrisce, dopo averne produtti dal suo grembo, al qual di nuovo sempre ne riaccoglie, e non pensar oltre lei essere un corpo senza alma e vita, ad anche feccia tra le sustanze che,

si noi

fussimo

corporali. ne

la luna

A questo o in

modo

altre

sappiamo

stelle,

non

sar-

reimo in loco molto dissimile a questo, e forse in peggiore; come possono esser altri corpi cossf buoni, ed anco megliori

Il passo che segue, fino alla citazione del Tansillo, fu in parte

parafrasato,

tismus (B.

seu

10-1)

in

parte

raliones (W.

I,

letteralmente

tradotto

arliculorum

physicorum,

129-30)

127)

(L.

33

(G.!

dal

in

Bruno nell’ Acro-

Opera,

I, 23-4)

I,

(GI,

1, 06-67.

26-7).

LA

CENA

DE

LE

CENERI

per se stessi, e per la maggior felicità de’ propri animali. Cossi

conoscemo

tante

stelle,

tanti

astri,

tanti

numi,

che

son quelle tante centenaia de migliaia, ch’assistono al ministerio

e contemplazione

del primo,

universale,

infinito

ed

eterno efficiente. Non è più impriggionata la nostra raggione coi ceppi de’ fantastici mobili e motori otto, nove e diece.

Conoscemo, che non è ch’un cielo, un’eterea reggione immensa, dove questi magnifici lumi serbano le proprie distanze,

per comodità

de la participazione

de la perpetua

vita. Questi fiammeggianti corpi son que’ ambasciatori, che annunziano l'eccellenza de la gloria e maestà de Dio !, Cossf siamo promossi a scuoprire l’ infinito effetto dell’ infinita causa, abbiamo

il vero e vivo vestigio de l’ infinito vigore;

dottrina di non cercar la divinità rimossa

ed

da noi,

se l'abbiamo appresso, anzi di dentro, più che noi medesmi siamo dentro a noi?; non meno che gli coltori degli altri mondi non la denno cercare appresso di noi, l’avendo appresso e dentro di sé, atteso che non più la luna è cielo a noi, che noi alla luna. Cossf si può tirar a certo meglior proposito quel che disse il Tansillo quasi per certo gioco: Se

Come

non

togliete

il ben

che

v'è

da

torrete quel che v’ è lontano?

presso,

Spreggiar il vostro mi par fallo espresso, E bramar quel che sta ne l'altrui mano. Voi sete quel ch'abandonò se stesso,

La sua sembianza Voi

sete

Mentre

! Cfr.

il biblico

il veltro,

desiando

che

l'ombra

desia

Coeli

enarrant

nel

in vano:

rio

di quel

trabocca,

ch' ha

gloriam

in bocca.

Dei:

Salmo,

XVIII,

2,

? Vedi su questo punto F. Tocco, Le opere inedite di G. B., Napoli, 1891 (estr. dagli Atti della R. Acc. delle sc. mor. e pol. di (B.

11-2)

(W.

I, 130)

(L.

127-8)

34

(GI

I, 24-5)

(G2

I, 27).

DIALOGO Lasciate

l'ombre,

Non

cangiate

Ma,

per

Io d'aver

PRIMO

ed

abbracciate

il presente

dì!

meglior

viver

più

lieto

il vero;

col futuro.

già non

dispero;

e più

sicuro,

può

e potrà

Godo il presente e del futuro spero: Cossi doppia dolcezza mi procuro?.

Con

ciò un

fine arà e non

solo,

vinto,

è dubio

benché

solo,

e trionfarà

contra

vencere,

l'ignoranza

se la cosa de’ determinarsi,

non

ed al

generale;

co’ la .mol-

titudine di ciechi e sordi testimoni, di convizii e di parole vane,

ma

co’

la forza

di regolato

sentimento,

il qual

bi-

sogna che conchiuda al fine; perché, in fatto, tutti gli orbi non vagliono per uno che vede, e tutti i stolti non possono servire per un savio 3.

Napoli), pp. 46-7 e n. 1 a p. 47; dove

è indicato un divario

nota-

bile tra la dottrina dell’ immanenza qui professata e quella, anche più recisa, accennata nelle opere del Bruno fino a pochi decenni fa inedite.

I! (GIG:

= D: di)

2 TAnsILLO, // vendemmiatore, st. XVIII questi versi non corrisponde interamente

tuito dal I°LAMINI,

Ma

cfr.

L'egloga e ‘i poemetti

SPAMPANATO,

Lo

spaccio

della

e XIX. La lezione di al testo critico resti-

di L.

bestia

Tansillo,

trionfante

pp.

59-60.

con

alcuni

antecedenti, Tortici, 1902, pp. 96-7. Intorno al significato originario dei versi stessi v. Flamini, Introd. all'op. cit., pp. LV-LVIII; dove però non

è esatto

quel

nobis

unus,

che si dice del Bruno.

Una

parte

di questi

adversus

generalis

versi il Bruno tornò a citare nello Spaccio, dial. 3.”, parte I. 3 Cfr. quel frammento (49 Diels) di Eraclito: Tg popror. « Hinc

tandem

e

quantumvis

solus....,

ignorantiac myriades triumphabit. Interim decernendi iudicium non ad edita convitia, inanes somniantium authoritates, non ad lumine captorum testimonia, sed ad vim regulatioris sensus.et ad

illustrioris

videntis sunt

ingenii

acquiescendum

et erunt

, I, 69).

(B.

obtutum;

12)

cacci,

(W.

est

si

reclamet

I, 130-1)

de

iudicio,

(L.

(.

fenno.

Dialoghi

deque

128)

italiani

colore

quamvis

omnium

(G.t IT, 25)

(G2I,

ignorantia ». Così

35 71 —-

lumine

vere

qui

nell’Acrot.

unius

fuerc,

(Opera,

27-98).

LA

CENA

DE

LE

CENERI

Prudenzio. Rebus

Fac Ne

et

in

censu

vivas contentus

Iudicium

populi

nulli placeas,

Teofilo. Questo

si non

eo, quod

nunquam

dum

est

quod

tempora

vis contemnere

ma non già in proposito

Disce,

sed

detto

indoctos

in propo-

prattica de la civile

de

di contemplazione,

a doctis;

unus,

multos 1.

è prudentissimamente

de la verità e regola medesmo saggio:

ante,

praebent.

contempseris

sito del convitto e regimento comone e

conversazione:

fuit

ipse

la cognizione

per

cui

disse

il

doceto ?.

È anco, quel che tu dici, in proposito di dottrina espediente

a molti; e però è conseglio, perché

ma

non fa per le

per quelli,

almeno

che

muoverla

che riguarda la moltitudine:

spalli

di

possono

qualsivoglia

portarla,

come

verso il suo termine,

ficoltà

disconveniente,

come

Oltre,

color ch’ hanno

la possessione

questa

soma,

il Nolano;

o

senza incorrere dif-

il Copernico

ha

possuto

di questa

fare.

verità,

non

denno ad ogni sorte di persona comunicarla, si non vogliono lavar, come se dice, il capo a l'asino, se non vuolen vedere

quel che san far i porci a le perle 3, e raccogliere que’ frutti 1 Sono due dei cosiddetti Disticha Catonis così diffusi nel M. E.

e di cui vari rimaneggiamenti

derne, lib. III, III, 228 e 226.

Boas,

1926,

pp.

3 MATTH.,

porcos ». Cfr. 12-3)

29)

166-67).

» Disticha

(B.

(ma

p.

în censu debba all. c.)

nelle letterature

mo-

dist. 11, e II, 29: in BAEHRENS, Poetae lat. min., Ho corretto il 1° verso, che in Bruno ha erronea-

mente: ix sensu (Liège,

si fecero anche



la variante è

Catonis,

pp. (W.

108

ben

6:

sospetta,

rebus in adversis.

IV,

23;

«Neque

e 135.

I, 131)

(L.

già accolta dal NÈvE

documentata

Il Bachrens

leggersi:

VII,

ora

în sensu —

cd.

cit.,

mittatis

128-0)

36

(GI!

p.

che

(Ma

nell'’ediz.

invece

vedi

232.

margaritas

I, 25-6)

(G2

crit.

di rebus

del

et

ora l'cd. crit. vestras

I, 28-09).

ante

DIALOGO

del suo studio

PRIMO

e fatica, che suole produrre

la temeraria

e

sciocca ignoranza, insieme co’ la presunzione ed incivilità, la quale è sua perpetua e fida compagnia. Di que' dunque indotti possiamo esser maestri, e di que’ ciechi illuminatori,

che non per inabilità di naturale impotenza, o per privazion d’ingegno

e disciplina,

ma

sol per

non

avvertire

e non

considerare son chiamati orbi; il che avviene per la privazion de l’atto solo, e non de la facultà ancora. Di questi sono

alcuni

tanto

maligni

e scelerati,

che

per

una

certa

neghittosa invidia si adirano ed inorgogliano contra colui, che par loro voglia insegnare; essendo, come son creduti e, quel ch’ è peggio, si credono, dotti e dottori, ardisca mostrar

saper quel che essi non sanno. Qua le! vederete infocar e rabbiarsi. Frulla. Come avvenne a que’ doi dottori barbareschi, de’ quali parlaremo; l'un de’ quali, non sapendo più che si rispondere e che argumentare, s'alza in piedi in atto di volerla finir con una provisione di adagi d’ Erasmo, over coi pugni: cridò: — Quid? nonne Antyciram navigas? Tu ille philosophorum protoplastes, qui nec Piolomaeo, nec tot lantorumque philosophorum et astronomorum maîestali quippiam concedis ? Tu ne nodum in scirpo quaeritas ?®; — ed 1 Le dialetto.

per li: scambio di pronomi frequente nell'uso arcaico e nel

? Gli adagi

I

di Erasmo

centuria

della

chiliade,

ciusdem

nominis,

quae

13)

I,

qui

ricordati

e il 76° della

son due:

cent.

IV

il 52° della VIII

della

chil.

II.

Per

spiegare l’adagio navigare Antyciras, che ricorre anche in Orazio (Sat., II, 3, 83; Epist. ad Pis., 300), Erasmo ricorda: «Strabo libro Geographiae nono, duas Antyciras commonstrat, et in altera, quae sit post Crissam oppidum, elleborum nasci, in altera sit ad

sinum

Maliacum

et

Oétam

montem,

optime temperari; atque in cam quamplurimis e regionibus vigari sanitatis gratia. Pausanias in ultimo libro scripsit, (B.

(W.

131)

(L.

129)

37

(G.

I, 26-7)

(G.=

I, 29-30).

adnasupra

LA

CENA

DE

LE

CENERI

altri propositi, degni d’essergli decisi a dosso co’ quelle verghe doppie, chiamate bastoni, co’ le quali i facchini soglion prender la misura per far i gipponi agli asini. Teofilo. Lasciamo questi propositi per ora. Sono alcuni altri, che, per qualche credula pazzia, temendo che per vedere non se guastino, vogliono ostinatamente perseverare ne le tenebre di quello c' hanno una volta malamente appreso. Altri poi sono i felici e ben nati ingegni, verso gli quali nisciuno onorato studio è perso: temeriamente non giudicano,

hanno

libero

l’ intelletto,

terso

il vedere

e son

prodotti dal cielo, si non inventori, degni però esaminatori,

scrutatori, giodici e testimoni de la verità. Di questi ha guadagnato, guadagna e guadagnarà l'assenso e l’amore il Nolano. Questi son que’ nobilissimi ingegni, che son capaci d’udirlo e disputar co’ lui. Perché in vero nisciuno è degno di contrastargli! circa queste materie, che, si non

vien con-

tento di consentirgli a fatto, per non esser tanto capace, Antyciram montes esse magnopere petricosos, in his copiose provenire elleborum. Stephanus addit, Anticyrensem quempiam fuisse, qui Herculem elleboro dato liberarit insania »: (Adagia, Lutetiac, Chevillot, MDLXXIX, col. 255). Navigare Anticyras, insomma, suo-

nava come dar segni di pazzia. L'altro adagio è nodum în scyrpo quaeri, Erasmo lo spiega: «in anzium dicebatur nimisque diligentem qui illic scrupulum

aut meticulosum,

moveret

ubi

nihil esset addu-

bitandum ». Aggiunge che il detto ricorre nei Menaechmi

di Plauto

e nell'Andria di Terenzio, oltre che in un verso di Ennio citato da Festo; e rammenta che « Donato iunci species est scyrpus, laevis

atque

enodis »: col. 433. — dico

Erasmi,

adagiani

negli

Nel

Cand.?,

Erasmi

p. 130,

adagiani

voglio dire ne gli Erasmiani adagi, ve n'è uno

Manfurio:

« Negli

(io sono allucinato),

tra gli altri, il qual

dice: a foga ad pallium ». Cfr. Adagia, chil. IV, cent. V, n.° 45, col. 862.

— Il Bruno aveva in grande stima Erasmo: nell’Artificium perorandi (1537) stampato nel 1592 dall’Almsted, lo chiama princeps humanista Vita, pp. 74, 154, 184, (Opera, II, 111, 370). Cîr. SrAMPaNATO,

230,

234, 1 (B: (B.

14)

°

339 e 366. contrastarli) (W.

I,

132)

(L.

129-30)

38

(G.!

I, 27-8)

(GT,

30-1).

DIALOGO

non gli sottoscriva almeno principali,

e confesse

che

PRIMO

ne

le

quello,

cose che

molte, non

può

maggiori

e

conoscere

per più vero, è certo che sii più verisimile. Prudenzio. Sii come la si vuole, io non voglio discostarmi dal parer de gli antichi, perché, dice il saggio, nell'antiquità è la sapienza.

Teofilo. E soggionge: in molti anni la prudenza. Si voi

intendeste= bene

quel che

dite,

vedreste,

che

dal

vostro

fondamento s’ inferisce il contrario di quel che pensate: voglio dire, che noi siamo più vecchi ed abbiamo più lunga età, che i nostri predecessori: intendo, per quel che appartiene in certi giudizii, come in proposito. Non ha possuto essere

sf

maturo

il

giodicio

d' Eudosso,

che

visse

poco

dopo la rinascente astronomia, se pur in esso non rinacque,

come quello di Calippo, che visse trent'anni dopo la morte d'Alessandro magno; il quale come giunse anni ad anni, possea giongere ancora osservanze ad osservanze. Ip-

t uIn antiquis est sapientia et in multo tempore prudentia »: IoB, x11, 12. Intorno al capovolgimento che qui appresso il B. fa

di questo

concetto,

e che

dopo

D.

si ritrova

in

Bacone,

in Galileo,

in Pascal e in molti altri illustri scrittori e antesignani del pensiero

moderno, nonché intorno al suo grande significato storico e filosofico, veggasi GENTILE, G. Bruno e il pensiero del rinascimento, Fi-

renze,

Vallecchi,

1925,

cap.

VII.

(Ora

nel

vol.

Il pensiero

italiano

del Itinascimento 3, Firenze, Sansoni, 1940, pp. 331-55. Recenti sviluppi delle ricerche e della discussione su questo passo in F. SIMONE, Veritas filia temporis, Pp. 508-21; E. GARIN,

in Revue de littér. comparée, XXII (1948), Dal Medioevo al Rinascimento, Firenze, San-

soni, 1950 (partic. le pp. 32-34, nota 2); G. SAITTA, Iutroduz. alla filos. di G. B., in Giorn. crit. della filos. ital., a. XXIX, s. III, vol. IV (1950), pp. 12-29; E. TroiLo, Prospetto, sintesi e commentario della filosofia di G. B., in Atti dell’Acc. Naz. dei Lincei, Memorie, Classe

di Scienze morali ecc., s. VIII, III, 9 (1951), in part. le pp. 591-904; G. AquiLecchiAa, Introduz. alla Cena (Torino, Einaudi, 1955).) * (B: intendreste)

(B.

14-5)

(W.

I, 132)

(L.

130)

39

(G.! I, 28)

(GI,

31).

LA

parco,

per

CENA

la medesma

DE

LE

CENERI

raggione,

dovea

saperne

più

di

Calippo, perché vedde la mutazione fatta sino a centononantasei anni dopo la morte d'Alessandro. Menelao, romano geometra, perché vedde la differenza de moto qua-

trocentosessantadui anni dopo Alessandro morto, è raggione che n’intendesse più ch'Ipparco. Più ne dovea vedere

Macometto

Aracense

milleducento

e dui anni dopo

quella 1. Più n’ ha veduto il Copernico quasi a nostri tempi 1 Intorno

a

Eudosso

da

Cnido,

scolaro

di

Platone,

fondatore

della scuola di Cizico, e a Callippo, scolaro di Polemarco

(scolaro

a

sua volta di Eudosso) si può vedere SCHIAPARELLI, Le sfere 0mocentriche di Eudosso, di Callippo e di Aristotile nelle Memorie del

R. Istit. Lomb., concetto

del

vol. XIII, 1875,

sistema

e Come î greci arrivarono al primo

planetario eliocentrico detto

oggi

Copernicano

in

Atene e Roma, a. I, 1898, n. 2. — Per Ipparco di Nicea (II sec. a. Cr.)

e per Menelao di Alessandria (vissuto intorno al 98 d. Cr.) si può vedere ogni storia dell'astronomia antica. Ma per tutto questo brano cfr. CoPERNICO,

bantium

De revol. orb.,

inaequalem

III, 2: Historia observationum

aequinoctiorum

conversionumque

praecessionenm:

dov’è ricordata l'osservazione di Callippo «anno erat ab excessu Alexandri Magni annus XXX » (la B. evidentemente

è sbagliata).

conmpro-

eius XXXVI, traduzione del

« Hipparcus autem....

Alexandri

vero

anno CXCVI.... invenit.... Deinde Menelaus geometra Romanus anno primo Traiani principis, qui fuit... a morte Alexandri COCCXXII

[B. dice per errore 462).... Post multum vero temporis, nempe anno Alexandrini occubitus MCII, Machometi Aracensis observatio successit....

morte

Nos

etiam

anno

Aegyptiorum

Christi

annorum

MDXXV,...

qui

MDCCCXLIX,

(ed. cit., f.° 64). II nome di Albategnio è dunque Copernico,

che

ora

lo

chiama

Arensis,

est

ab

Alexandri

observavimus.... »

attinto dallo stesso

ora Aratensis

o

Avactensis.

— Circa questa denominazione di Albategnio, il mio illustre collega prof. C. A. NALLINO mi comunica i seguenti schiarimenti: « Mahu-

metus Haracensis è appunto al-Battàni

latina

di

Roberto

Opus

astronomicum,

nome

di battesimo,

Retinense

ad fidem

[NaLLINOo,

codicis

(= Albategnio). Al-Boltîni

Escurialensis

La versione

sive

arabice

Albatenii

editum,

latine versum, adnotationibus instructum, Mediolani, Hoepli, 1902, I, xxxv], portava appunto Albaten (var. Albategnius) Havacensis. — Mahometus (Muhammed) è il nome personale, quello che noi diremmo vato

del nostro autore. Haracensis

da ar-Ragqah, (B.

15)

(W.

sua patria;

I

132)

(L.

Aractensis

130)

40

(GI,

è una 28)

è aggettivo deri-

variante

(G2I,

desunta

31-2).

DIALOGO

PRIMO

appresso la medesma anni milleottocentoquarantanove. Ma che di questi alcuni, che son stati appresso, non siino però stati più accorti, che quei che furon prima, e che la moltitudine di que’ che sono a nostri tempi, non ha però più sale, questo accade per ciò che quelli non vissero, e questi non vivono gli anni altrui, e, quel che è peggio, vissero morti quelli e questi ne gli anni proprii. Prudenzio. Dite quel che vi piace, tiratela a vostro bel piacer dove vi pare: io sono amico de l’antiquità; e quanto appartiene a le vostre opinioni o paradossi, non credo che sf molti e sf saggi sien stati ignoranti, come pensate voi ed altri amici di novità. Teofilo. Bene, maestro Prudenzio; si questa volgare e vostra opinione per tanto è vera in quanto che è antica, certo era falsa quando la fu nova. Prima che fusse questa filosofia conforme al vostro cervello, fu quella degli caldei, egizii,

maghi,

orfici,

pitagorici

ed

altri di prima

memoria,

conforme al nostro capo; da' quali prima si ribbellorno questi insensati e vani logici e matematici, nemici non tanto de la antiquità, quanto alieni da la verità. Poniamo dunque da canto la raggione de l'antico e novo, atteso che

non

è cosa

nova

è cosa vecchia

che

che non

non

possa

sii stata

esser

nova,

vecchia,

come

ben

e non

notò

il

vostro Aristotele. Frulla. S' io non parlo, scoppiarò, creparò certo. Avete detto

il

vostro

Aristotele,

dalla versione di Platone questa versione. Platone

Tiburtino, Tiburtino

parlando

15-6)

(W.

I,

132-3)

(L.

130-1)

41

mastro

o meglio, da alcuni codici di aveva trascritto il nome ar-

Raggah, che più volte occorre nell'opera, con Arracca; fecero Aracta, conservata nelle edizioni a stampa ». (B.

a

(GI

I, 28-9)

(G.2

i copisti ne I, 32-3).

Prudenzio.

LA

CENA

DE

LE

CENERI

Sapete,

come

intendo,

che

Aristotele

sii

suo,

idest lui sii peripatetico? (Di grazia, facciamo questo poco di digressione per modo di parentesi). Come di dui ciechi mendichi a la porta de l’arcivescovato di Napoli l'uno se diceva guelfo e l’altro ghibellino; e con questo si cominciorno sf crudamente a toccar l’un l’altro con que’ bastoni ch’aveano,

che,

si non

fussero

stati

divisi,

non

so

come

sarebbe passato il negozio. In questo se gli accosta un uom da bene, e li disse: — Venite qua, tu e tu, orbo mascalzone:

che cosa è guelfo ? che cosa è ghibellino ? che vuol dir esser guelfo ed esser ghibellino ? —

In verità,

l'uno non

seppe

punto che rispondere, né che dire. L'altro si risolse dicendo: — Il signor Pietro Costanzo, che è mio padrone, ed al quale io voglio molto bene, è un ghibellino ». — Cossi a punto

che

1 (B:

gibellino)

persistevano

Sulle

denominazioni

in Italia

ancora

nei

di

secc.

XVI

Guclfi

e

Ghibellini,

c XVII,

e che

co-

privano le più diverse fazioni, molte testimonianze raccolse il D'AnconA, L'Italia alla fine del sec. XVI, Giornale di viaggio di MicneLE DE

MONTAIGNE

1889,

pp.

în

157,

Italia

427-9

nel

1580

n. Vedi

1545), 1. I, c. 21 v.; BANDELLO,

365-74

ult.

(?

Persistevano

Baldus,

anche

in

pure

XXV,

Napoli

e 15SI,

O.

LanDI,

Nov. I, 20;

alla

Città

3092-96; fine

di

Castello,

Paradossi

(Venezia,

Zanitonella,

233-34.)

FoLENGO,

del

cîr.

sec.

Lapi,

Macar.

XVI,

delle vecchie lotte, le fazioni francese e spagnuola

XXIV,

come

eredità

(che corrisponde-

vano talora a guelfo, e a ghibellino o imperiale); cfr. G. C. CAPACCIO,

Il forastiero, dialoghi, Napoli, Roncagliolo,

1634, p. 217; cir. anche la

testimonianza del Bouchard, che fu a Napoli nel 1632 in L. MarcHEIX, Ux Parisien à Itome et à Naples, Paris, Leroux, p. 607. Dalle

ricerche

di Angelo

del

prof.

G.

di Costanzo

RosaLBa, non

che

lavora

risulterebbe

altro

intorno

Pietro

alla

biografia

Costanzo

sto-

rico, potuto vivere nel sec. XVI, che un Pierluigi e un Pier Antonio,

nominati da F. Sansovino, Orig. e fatti delle fam. illustri d' Italia, PP. 292 sgg., e FRANC. ZAZZERA, Della nobiltà d' Italia, pp. 140 sgg. Ora

invece

principio

di

lo SPAMPANATO,

quel

sccolo

(W.

I, 133)

si

Postille,

trova

pp.

398-9,

memoria

di

ha

mostrato

Pietro

che

Paolo,

in

Pier

Luigi e Pier Antonio Costanzo; e nella Vita (pp. 39, 824 e 828 ha messo in rilievo che durante il 1567 appartenne alla compagnia (B.

16)

(L.

131)

42

(GI,

29-30)

(GI,

33).

DIALOGO

PRIMO

molti sono peripatetici, che si adirano, se scaldano e s' imbraggiano per Aristotele, voglion defendere la dottrina d'Aristotele,

son inimici de que’

che non sono

amici

d’Ari-

stotele, voglion vivere e morire per Aristotele; i quali non intendono né anche quel che significano i titoli de’ libri d'Aristotele.

Se

volete

ch'io

ve

ne

dimostri

uno,

ecco

costui, al quale avete detto il vosiro Aristotele, e che a volte a volte ti sfodra un Aristoteles noster, Peripateticorum

princeps,

un

Plato

Prudenzio. Io fo poco istimo la vostra stima.

noster,

conto

del

et ultra.

vostro

Teofilo. Di grazia, non interrompete scorso. Smiîtho. Seguite, signor Teofilo. Tcofilo.

Notò,

la vicissitudine

dico,

il vostro

de l'altre cose,

niente

più il nostro

Aristotele,

cossf non

conto,

che,

meno

di-

come

è

de le opi-

nioni ed effetti diversi: però tanto è aver riguardo alle filosofie per le loro antiquità, quanto voler decidere se fu prima il giorno o la notte. Quello dunque, al che doviamo fissar l'occhio de la considerazione, è si noi siamo nel giorno,

e la luce de la verità è sopra il nostro orizonte,

overo in

quello degli aversarii nostri antipodi; si siamo noi in tenebre, over essi: ed in conclusione, si noi, che damo principio

a rinovar l’antica filosofia, siamo ne la mattina per dar fine a la notte, o pur ne la sera per donar fine al giorno. E

questo

certamente

non

è difficile a determinarsi,

anco

giudicando a la grossa da’ frutti de l’una e l’altra specic di contemplazione. d'uomini d'arme del padre del B., Pietro

della

(B.

Cena.

16-7)

(W.

I,

Conte di Caserta, c però fu commilitone del Costanzo, che potrebbe essere il gentiluomo

133-4)

(L.

131-2)

43

(GI

I, 30-1)

(G2

I, 33-4).

LA

CENA

DE

LE

CENERI

Or veggiamo la differenza tra quelli e questi. Quelli nel viver temperati, zione giudiziosi,

miracolosi,

ne la medicina esperti, ne la contemplane la divinazione singolari, ne la magia

ne le superstizioni

providi,

ne le leggi osser-

vanti, ne la moralità irreprensibili, ne la teologia divini, in

tutti effetti eroici; come ne mostrano lor prolongate vite, i meno

infermi

corpi,

pronosticazioni,

l’ invenzioni

le sustanze

per

altissime,

lor

opra

le

adempite

transformate,

il

convitto pacifico de que’ popoli, gli lor sacramenti inviolabili,

l’essecuzione

giustissime,

la

familiarità

de

buone

e

protettrici intelligenze ed i vestigii, ch’ ancora durano, de lor maravigliose prodezze. Questi altri contrarii lascio essa-

minargli al giudizio de chi n°’ ha. Smitho. Or che direte, se la maggior tempi

parte

di nostri

pensa tutto il contrario, e spezialmente quanto

a la

dottrina ? Teofilo. Non mi maraviglio; perché, come è ordinario, quei che manco intendeno credono saper più, e quei che sono

al tutto

pazzi,

pensano

saper

tutto.

Sinitho. Dimmi, in che modo si potran corregger questi ? Frulla. Con toglierli via quel capo, e piantargliene ! un

altro.

Teofilo. Con toglierli via in qualche modo d’argumentazione quella esistimazion di sapere, e con argute persuasioni spogliarle, quanto si può, di quella stolta opinione, a fin che si rendano

uditori;

avendo

prima

avvertito

quel

che insegna, che siino ingegni capaci ed abili. Questi, secondo l'uso de la scuola pitagorica e nostra, non voglio ch’ abbino facultà di esercitar atti de interrogatore o di! (B; (B.

piantargline) 17-8)

(W.

TI, 134)

(L.

132)

44

(GTI,

31)

(GI,

34-5).

DIALOGO

PRIMO

sputante prima ch'abbino udito tutto il corso de la filosofia;

perché

allora,

se la dottrina

quelli è stata perfettamente toglie

via

tutte

le

è perfetta

intesa, purga

contradizioni.

Oltre,

in sé,

e da

tutti i dubii e

s'avviene

che

ri-

trove un più polito ingegno, allora quel potrà vedere il tanto, che vi si può aggiongere, togliere, correggere e mutare. Allora potrà conferire questi principii e queste con-

clusioni a quelli altri contrarii principii e conclusioni; e cossi raggionevolmente consentire o dissentire, interrogare e rispondere; perché altrimente non è possibile saper, circa una arte o scienza, dubitar ed interrogar a proposito e co’

gli ordini che sì convengono, se non ha udito prima. Non

potrà mai esser buono inquisitore e giodice del caso, se prima non s'è informato del negocio. Però, dove la dottrina va per i suoi gradi, procedendo da posti e confirmati principii e fondamenti a l’edificio e perfezione de cose, che per quella si possono ritrovare, l’auditore deve essere taciturno,

e, prima

d’aver

tutto

udito

ed

inteso,

credere

che

con il progresso de la dottrina cessarranno tutte difficultadi. Altra

consuetudine

hanno

gli Efettici

e Pirroni:,

i quali,

facendo professione che cosa alcuna non si possa sempre vanno dimandando e cercando per non giamai. Non meno infelici ingegni son quei, che cose chiarissime vogliono disputare, facendo la

sapere, ritrovar anco di maggior

perdita

che

di tempo

che imaginar

si possa;

e quei,

per

parer dotti e per altre indegne occasioni, non vogliono in1 Efettici,

gr. épertixol,

furono chiamati i seguaci di l’ir-

rone di Elide (circa 365-275) per la dottrina scettica che professavano

dell' èroyà eréyovor

(sospensione

repl

dxataANTTW5v prensibili). — (B.

18-09)

mpayudtowv

d'ogni

giudizio).

(leggi:

adrav

Dioc.

L., I, 16: Scoot

[sc. rpayudtov)

e

(= quanti s'arrestano innanzi alle cose come incomPirroni sta qui per Pirronici.

(W.

I,

134-5)

(L.

132-3)

45

(GI

I, 31-2)

(GI,

35-60).

LA

CENA

DE

LE

CENERI

segnare, né imparare, ma solamente contendere ed oppugnar il vero.

Smitho. Mi occorre un scrupolo circa quel ch’avete detto: che, essendo una innumerabil moltitudine di quei che presumeno di sapere e se stimano degni d'essere costantemente uditi,

come

vedete

che

per tutto le università

e academie

so’ piene di questi Aristarchi, che non cederebbono uno zero a l'altitonante Giove; sotto i quali quei che studiano, non aranno al fine guadagnato altro, che esser promossi da non sapere, che è una privazione de la verità, a pensarsi e credersi di sapere,

che è una

pazzia

ed abito

di falsità;

vedi

dunque, che cosa han guadagnato questi uditori: tolti da la ignoranza di semplice negazione son messi in quella di mala disposizione,

come

la dicono,

Ora, chi me farà sicuro,

che, facendo io tanto dispendio di tempo e di fatica, e d'occasione di meglior studi ed occupazioni, non mi avvenga quel ch'a la massima

parte

suole

d'aver comprata la dottrina, non di perniziose pazzie? Come io, conoscere la differenza de dignità e ricchezza di que’ che si stimano bene, che tutti nascemo

accadere,

che,

in luogo

m'abbi infettata la mente che non so nulla, potrò ed indignità, de la povertà e son stimati savi ? Vedo

ignoranti, credemo facilmente d'es-

sere ignoranti;

crescemo,

e siamo

allevati

e consuetudine

di nostra casa, e non meno

co’ la disciplina noi udiamo

bia-

simare le leggi, gli riti, le fede e gli costumi de’ nostri adver-

sari ed alieni da noi, che quelli de noi e di cose nostre. Non

meno

in noi si piantano

per

forza di certa naturale

nutritura le radici del zelo di cose nostre, che in quelli altri molti e diversi de le sue. Quindi facilmente ha possuto porsi in consuetudine,

che i nostri stimino

far un sacrificio a gli

dei, quando arranno oppressi, uccisi, debellati e sassinati (B.

19-20)

(W.

I,

135)

(L.

133)

40

(G.!

T, 32-3)

(G2

I, 36-7).

DIALOGO

PRIMO

gli nemici de Ja fé nostra; non meno che quelli altri tutti, quando arran fatto il simile a noi. E non con minor fervore e persuasione di certezza quelli ringraziano Idio d’aver quel Iume, per il quale si prometteno eterna vita, che noi rendiamo grazie di non essere in quella cecità e tenebre, ch’essi sono. A queste persuasioni di religione e fede s'aggiongono le persuasioni de scienze. Io, o per elezione di quei che me governaro, padri e pedagoghi !, o per mio capriccio e fantasia,

o per fama

d’un

dottore,

non

men

con satisfa-

zione de l’animo mio, mi stimarò aver guadagnato sotto l’arrogante e fortunata ignoranza d'un cavallo, che qualsivoglia altro sotto un meno

ignorante o pur dotto. Non sai

quanta

forza abbia la consuetudine

nodrito

da

da

fanciullezza

l'intelligenza

de

in certe

cose

di credere,

persuasioni,

manifestissime;

ad non

ed esser

impedirne altrimente

ch'accader suole a quei che sono avezzati a mangiar veleno,

la complession de’ quali al fine non solamente non ne sente oltraggio, ma ancora se l’ ha convertito in nutrimento

na-

turale, di sorte che l'antidoto istesso gli è dovenuto mortifero ? Or dimmi, con quale arte ti conciliarai queste orecchie più tosto

tu ch’un

altro,

essendo

che ne l’animo

di quello

è forse meno inclinazione ad attendere le tue proposizioni, che quelle di mill'altri diverse? Teofilo. Questo è dono de gli dei, se ti guidano e dispensano le sorte da farte venir a l' incontro un uomo, che non tanto abbia l'esistimazion di vera guida, quanto in verità

sii

tale,

ed

illuminano

elezione de quel ch’ è megliore. 1 (B:

pedagogi;

svista tipografica).)

G!:

pedagoghi;

l’ interno

G*:

tuo

pedadoghi

spirto

(per

al

evidente

(B. 20-1) (W. I, 135-6) (L. 133-4) (G.1 I, 33-4) (G? I, 37).

47

far

.

LA

CENA

DE

LE

CENERI

Smitho. Però comunemente si va appresso al giudizio comone, a fin che, se si fa errore, quello non sarà senza

gran

favore

Teofilo.

e compagnia.

Pensiero

indegnissimo

d'un

uomo!

è stimato



Per questo

gli uomini savii e divini son assai pochi; e la volontà di dei

è questa,

atteso

che

non

prezioso

quel

tanto ch'è comone e generale. Smitho. Credo bene, che la verità è conosciuta da pochi, e le cose

preggiate

confonde,

che

son

molte

possedute

cose

son

da

poche,

pochissimi;

ma

tra

e

pochi,

mi forse

appresso un solo, che non denno esser stimate, non vaglion

nulla

e possono

Teofilo.

esser

Bene,

ma

maggior

pazzie

in fine è più

e vizii.

sicuro

cercar

il vero

e

conveniente fuor de la moltitudine 2, perché questa mai apportò cosa preziosa e degna, e sempre tra pochi si trovorno le cose di perfezione e preggio. Le quali, se fusser sole3 ad esser rare le sapesse

ed

ritrovare,

appresso almeno

rari,

ognuno,

benché

non

le potrebbe conoscere; e cossi

non sarebbono tanto preziose per via di cognizione, ma di possessione solamente. Smitho. Lasciamo dunque questi discorsi, e stiamo un poco

ad udire cd osservare i pensieri

del Nolano.

È pure

1 (Amerio toglie la virgola dopo foche e la pone dopo son.) ® « Bcatius est citra opinionem in rei veritate, quam citra veritatem in opinione sapere, praesertim cum nimis usuveniat illud profiteri, quod nihil ad crrorem pronius (ipso etiam vulgo contestante) vulgi opinione habeatur: non obstante quod non ubi de veritate definiendum est, sed ubi leges instituendae, religionum cultus sanciendus, et cas quae ad populorum convictum faciunt deliberationes, vocem populi pro voce Dei habendam (ubi consenserit) esse censeo ». Cosi lo stesso B. nell'Acrotismus:

3

(Gr = Di:

(B.

21)

(W.

sole; I,

G3*:

136)

solo

(L.

(per

134)

48

evidente

(GI,

svista

34-5)

Opera, I,

1, 65-6.

tipograf.).)

(GI,

37-83).

DIALOGO

assai, che

sin ora s’abbia

PRIMO

conciliato

tanta

mato degno d'essere udito. Teofilo. A lui basta ben questo.

fede,

ch'è

sti-

Or attendete

quanto

defendersi,

scuoprir

la sua filosofia sii forte a conservarsi,

la vanità e far aperte le fallacie de’ sofisti e cecità del volgo e volgar filosofia. Smitho. A questo fine, per essere ora notte, tornaremo domani

qua

a

l'ora

medesma,

e

faremo

considerazione

sopra gli rancontri e dottrina del Nolano. Prudenzio. Sat prata biberunt; nam iam caelo praccipitat *. Fine

1 Virc., (B.

21-2)

Ecl., (W.

del

primo

III,

ni;

e Aen.,

I,

136-7)

(L.

II,

134-5)

49

nox

humida

dialogo.

8-9. (GI

I, 35)

(G2

I, 38).

DIALOGO

SECONDO

Teofilo. Allora gli disse il signor Folco Grivello: grazia,

signor

Nolano,

fatemi

intendere

le quali stimate la terra muoversi.

non gli arebbe possuto scendo lui

la sua capacità;

essere

inteso,



temerebbe

alcuna,

sapendo

far come

le raggioni,

Di per

A cui rispose, che lui

donar raggione e non



come

quei,

non

cono-

potesse

che

dicono

da le

sue raggioni ale statuee andano a parlare cogli morti. Pertanto gli piaccia prima farsi conoscere con proponere quelle

raggioni, che gli persuadeno il contrario; perché, secondo il lume e la forza de l'ingegno, che lui dimostrarà apportando quelle, gli potranno esser date risoluzioni. Aggiunse a questo,

che per desiderio,

che tiene,

di mostrar

la imbe-

cillità di contrari pareri per i medesimi principii, co' quali pensano

esser confirmati, se gli farebbe non mediocre pia-

cere di ritrovar persone, le quali fussero giudicate sufficiente a questa impresa; e lui sarebbe sempre apparecchiato e pronto al rispondere. Con questo modo si potesse veder la virti de’ fondamenti di questa sua filosofia contra la volgare tanto megliormente, quanto maggior occasione gli verrebe presentata di rispondere e dechiarare. Molto piacque al signor Folco questa risposta. Disse: (B. 23-4) (W. I, 137) (L. 135) (G.! I, (36]) (GI, 50

[39)).

DIALOGO

SECONDO

— Voi mi fate gratissimo officio; accetto la vostra proposta e voglio determinare un giorno, nel quale ve si opporranno persone,

che

forse non vi faran

mancar

materia

di produr

le vostre cose in campo. Mercoldi ad otto giorni, che sarà de

le ceneri!,

sarete

convitato

con

molti

gentilomini

e

dotti personaggi, a fin che, dopo mangiare, si faccia discussione di belle e varie cose. — Vi prometto, disse il Nolano, ch'io non mancarò d'esser presente allora e tutte volte che si presentarà simile occasione; perché non è gran cosa sotto la mia elezione, che mi ritarde dal studio di voler intendere e sapere. Ma, vi priego, che non mi fate venir innanzi persone ignobili, mal create e poco intendenti in simile speculazioni. — (E certo ebbe raggione di dubitare, perché molti dottori di questa patria, coi quali ha raggionato

di lettere,

ha

trovato

nel

modo

di

aver più del bifolco, che d'altro che si potesse

procedere desiderare).

Rispose il signor Folco, che non dubitasse; perché quelli, che lui propone, son morigeratissimi e dottissimi. Cossi fu

conchiuso.

aggiutatemi,

Or,

Muse,

Prudenzio. Smnitho.

essendo

venuto

Apostrophe, pathos, invocatio, poclarum

Ascoltate,

avendo

determinato,

a raccontare! vi

priego,

Prudenzio. Lubentissime. Teofilo. Il Nolano, avendo e non

il giorno

nuova

alcuna,

maestro

aspettato

more.

Prudenzio.

sin dopo

stimò quello

pranso

gentiluomo

per

altre occupazioni aver posto in oblio, o men possuto proveder al negocio. E, sciolto da quel pensicro, andò a rime-

î Il B. fu dunque invitato il 7 febbraio 1584, e intervenne alla disputa il 14: cfr. SPAMPANATO, Vila, p. 362, e 363 n. 1. (B.

24-25)

(W.

I,

137-8)

(L.

135-6) 51

3 —

G,

Druno,

Dialoghi

italiani

(GI

I, 37)

(GI,

39-40).

LA

CENA

DE

LE

CENERI

narsi, e visitar alcuni amici italiani 1; e ritornando al tardi,

dopo il tramontar del sole... Prudenzio. Già il rutilante Febo, avendo volto al nostro

emisfero il tergo, con il radiante capo ad illustrar gli antipodi sen giva?. Frulla. Di grazia, magister, raccontate voi, perché il vostro modo di recitare mi sodisfa mirabilmente. Prudenzio.

Oh

s’'io

sapessi 3 l’ istoria!

Teofilo.

sera al tardi,

Frulla. Or tacete dunque, La

in nome

gionto

del vostro diavolo.

a casa,

la porta messer Florio 4 e maestro

ritrova

avanti

Guin 5, i quali s'erano

1 Forse il Gentili, il Citolini, l'amico diletto del Florio Teodoro Diodati o altri, soliti a ritrovarsi alla Borsa, e « spasseggiarvi da una

bandan (SPAMPANATO, XXII,

Vita, pp.

249).

419,

367,

e in Critica,

XXI,

122

e

2 Anche nel Cand., II, 6, una lettera scritta da un pedante: «Quando il rutilante Febo scuote dall'oriente il radiante capo, non si bello in questo superno emisfero appare, come.... ». 3 (G1 = B: sapesse) 4 Giovanni

Florio,

tempo,

Ben

nato

in Londra

nel

1553,

ma

oriundo

senese,

di famiglia valdese rifugiatasi in Inghilterra: insegnante di lingua italiana, autore di un dizionario italiano-inglese (1598), e di vari libri inglesi, fra cui una eccellente traduzione degli Essais del Montaigne (1604); amico molto stimato dei maggiori scrittori inglesi

del

di

Jonson

e di

Shakespeare,

cognato

di

Samuel

Daniel. Mori nel 1625. Su lui Woop, Atkenae Oronienses, London, 1721, I, 497 e sgg.; L. EINSTEIN, The italian renaissance in England, New-York, 1902, pp. 102-106; F. WaAIson, /. Florio nell’AngloUalian Review, vol. III, 1919; CLARA LONGWORTII DE CHAMBRUN,

Shakespeare et Florio nella Revue del maggio 1916, e Giovanni Florio (Paris, 1921); SPAMPANATO, Vita, 353 sgg. e G. Florio, Un amico del B. in Inghilterra nella Critica del 1924: dove sono minutamente illustrati i rapporti tra i due scrittori e dimostrati copiosamente gli echi delle opere bruniane nei libri del Torio. (Vedi ora la fondamentale

of

an

Florio

monografia

di

FrRANcES

Italian in Shakespeare's and

Bruno).)

5 Matteo

e poeta.

(B.

Mori 25)

Gwinne,

nel

(W.

1627.

I,

medico,

138)

Su

(L.

A.

Yates,

England, ma

52

Florio;

Cambridge,

apprezzato

lui Woop, 136)

Joln

Aik.

(GI,

37-8)

1934

anche

Ox.,

The

come

I, 513

(GI,

(cap.

sgg.

Life

V:

filosofo

40-1).

Aiutò

DIALOGO

SECONDO

e, quando

molto

travagliati

in cercarlo,



di

dissero,

presto,

tanti

cavallieri,

O,

ché

vi

grazia,

aspettano

il veddero

senza

dimora

venire: andiamo,

gentilomini

e

dottori,

e tra gli altri ve n'è un di quelli ch'hanno a disputare, il quale è di vostro cognome. — Noi dunque, disse il Nolano,

non

ne

potremo

far

male.

Sin

adesso

una

cosa

m'è

venuta in fallo, ch’ io sperava di far questo negocio a lume di sole,

e veggio

che

si disputarà

a lume

di

candela.



Iscusò maestro Guin per alcuni cavallieri, che desideravano esser presenti: non han possuto essere al desinare, e son venuti a la cena. — Orsi, disse il Nolano, ghiamo Dio, che ne faccia accompagnare

andiamo e prein questa sera

oscura, a sf lungo camino, per si poco sicure strade, Or, benché fussemo ne la strada diritta, pensando far

meglio,

fiume

per

Tamesi,

accortar

il

per ritrovar

il Florio

nella traduzione

divertimmo

un battello,

verso il palazzo. Giunsemo Beuckhurst 2; e quinci,

camino,

che

di

verso

il

ne conducesse

al ponte de palazzo del milord

cridando

e chiamando

di Montaigne,

oares

e nella Epistola

(idest

dedicatoria

di quest'opera è ricordato con viva gratitudine (v. Critica, XXII, 249).

sec.

! Cioè,

NVI

in inglese,

fiorirono,

Brown

(=

tra gli altri,

Bruno);

e nella

il traduttore

seconda

Tommaso

metà

Brown

del

e

Antonio Browne che fu il primo visconte Montague (v. Dictionary of National Biography, ITI, 20 e 40). Si noti che il B. non lo nomina, come pur avrebbe dovuto, in fine di questo dialogo, salvo che non

si alluda a lui, in quel cavaliere che sedé « al capo de la tavola, a viso a viso de messer Florio ». Cfr. SPAMPANATO,

Vila, p. 363 n. 1 e 359 n. 2.

® L. corregge: ponte del palazzo. Ma la correzione non è necessaria. Apparteneva questo palazzo a Tommaso Sackville, d'antichissima e nobilissima famiglia, Nel 1557 membro dci Comuni, nove anni appresso,

alla morte

del padre,

Tommaso

entrò

nella Camera

dei

Pari

col titolo di Lord Buckhurst. loeta di grido. Fu lui a significare l'arresto a Maria Stuarda e a condannare il conte d' Essex; a trattare il matrimonio della sua sovrana col Duca d'Anjou e a riparare

poi alle disfatte del Leicester. Cancelliere dell’ Università di Oxford (B.

25-6)

(W.

I, 138)

(L.

136)

53

(GI

I, 38)

(GI,

41-2).

LA

gondolieri),

CENA

passammo

DE

LE

tanto

CENERI

tempo,

quanto

arrebbe

ba-

stato a bell’agio di condurne per terra al loco determinato,

ed avere spedito ancora qualche piccolo negozio. Risposero al fine da lungi dui barcaroli; e pian pianino, come venessero ad appiccarsi, giunsero a la riva; dove, dopo molte interrogazioni e risposte del donde,

e quanto,

approssimorno

ponte.

ecco di dui, che v’erano,

Ed

chier antico

del tartareo

dove, e perché, e come,

la proda regno,

a l’ultimo

scalino

un, che pareva

porse

la mano

del

il noc-

al Nolano,

e un altro, che penso ch'era il figlio di quello, benché fusse uomo di sessantacinque anni in circa, accolse noi altri appresso. Ed ecco che, senza che qui fusse entrato un Ercole,

un

Enea,

Sutilis,

Udendo che

questa

questo

over

et multam

musica,

non

un

sii

re

di

gemuit acccpit

Sarza',

sub pondere cymba limosa!** paludem?.

il Nolano:

Caronte;

Rodomonte,



credo,

Piaccia a Dio, che

questa

disse,

è

quella

arca chiamata l’emula de la /ux perpetua 3: questa può sicuramente competere in antiquità con l’arca di Noè e per mia fé, per certo, par una de le reliquie del diluvio. — Le parti di questa barca ti rispondevano ovonque la toccassi, e per ogni minimo moto risuonavano per tutto. e gran tesoriere del Regno. Mori il 19 agosto 1608, a 72 anni (Diction. of Nat. Biography, III, 201, e XVIII, 585-809). 1 Cfr.

Arrosto,

Orl.

fur.,

XXVIII,

86-7.

1 dis (Si noti la variante di rîmrosa, come appunto muta l’Amerio.) * Vircitio, Aen., VI, 412-413 (413-14). DB: cimba.

3 Come chi dicesse: più vecchia del salterio. (L'Amerio spiega Cfr., nel invece l'analogia tra il Reguiem e la barca di Caronte.) Breviario, l’ Officium defunctorum. (In fine Psalm. dicitur): « Et

lux perpetua luceat eis ». B. se ne ricorda anche nel Card., proprol.

4 (B: respondeuano)

(B.

26)

(W.

I,

138-9)



(L.

136-7)

54

(GI

I, 38-9)

(GI,

42-3).

DIALOGO

SECONDO

— Or credo, disse il Nolano, non esser favola che le muraglia, si ben mi ricordo, di Tebe tavano

a raggion

di

accenti

di questa

barca,

musica.

que’ fischi, che fanno

sue fessure e rime!

erano

vocali, e che talvolta

Si

che

nol

ne

credete,

sembra

udir le onde,

d'ogni canto.



ascoltate

tanti

quando

can-

pifferi

entrano

gli

con

per le

Noi risemo, ma Dio

sa come. ... Anmibal,

Vedde

Rise

Prudenzio. Teofilo.

farsi

a l’imperio

fortuna

tra gente

Risus

Noi,

quando

si molesta,

lacrimosa

afilitto

e mesta 2.

Sardonicus 3.

invitati

sf da quella

dolce

armonia,

come

da ‘amor gli sdegni, i tempi e le staggioni, accompagnammo i suoni

con

i canti.

Messer

Florio,

suoi amori, cantava il « Dove, ! Rima

come

ricordandosi

de'

senza me, dolce mia vita 4».

(anche nel Cand,, I, 14) lat. Cîr. Viro. Aen., I, 123:

naves fatiscunt vimis: buco, crepaccio, fessura. Questa barca ricorda quella descritta dal BERNI, son. O spirito bizzarro. ® Versi

del

PETRARCA,

son.

Cesare,

poi

che

'l traditor

d’ Egitto,

imitati dal TansILLO: « Non sempre per gli effetti il cor si scopre. Ride Annibale in bocca, e piange in core » (Poesie liriche con pref.

e note di I. Fiorentino, e Nola,

Castrovillari,

3 Si dice

(Erasmo,

Napoli,

1899,

p.

Adagia)

1882, p. 154;

71).

«de

risu

ficto

SPAMPANATO, atque

Bruno

amarulento,

aut insano denique; tractum e Sardoa herba, quac ora hominum et rictus dolore contrahit, et quasi ridentes |interimit» (chil. II,

cent.

V,

n.

1).

4 Ariosto,

Orl. Deh!

Fur.,

VIII,

76:

dove

senza

me,

dolce

mia

Itimiasa sei st giovane e st bella?

vita,

È il lamento di Orlando per Angelica smarrita. —

in risposta, il lamento di Rodomonte dricardo (XXVII, 117):

posposto

Il Nolano ‘canta,

da Doralice

a Man-

Di cocenti sospir l'aria accendea Dovunque andava il Saracin dolente....

(B. 26-7) (W. I, 139) (L. 137) (G.1! I, 39-40)

55

(GI,

43).

LA

CENA

DE

LE

CENERI

Il Nolano ripigliava: «Il Saracin dolente, o femenil ingegno », e va discorrendo.

Cossi a poco a poco, per quanto

ne per-

mettea la barca, che (benché dalle tarle ed il tempo fusse ridutta

a

tale,

ch’ arrebe

persona

mostrassero

possuto

servir

per

subero 1)

parea col suo festina lente*® tutta di piombo, e le braccia di que’ dua vecchi rotte; i quali, benché col rimenar de la la misura

lunga,

remi faceano i passi corti.

Prudenzio.

dorso

Optime

frettoloso

descripium

di marinai;

nulla

illud

«/enfe»

di

meno

coi

«festina» con

col profitto

de’

i)

remi,

qual mali operarii del dio de gli orti 3. Teofilo.

A

questo

poco di camino, viaggio,

poco

modo,

non

oltre

avanzando

avendo

il loco,

molto

di

tempo

e

già fatta la terza parte del

che

si chiama

il

Tempio,

ecco che i nostri patrini, invece d’affrettarsi, accostano la proda verso il lido. Dimanda il Nolano: — Che voglion far costoro? voglion forse riprendere un po’ di fiato?

— E gli oltre;

venne interpretato, che quei non erano per passar perché

quivi

era

la lor stanza.

Priega

e ripriega,

ma tanto peggio; perché questa è una specie de rustici, nel petto de’ quali spunta tutti i sui strali il dio d'amor del popolo villano. Oh femminile ingegno, egli dicea, Come ti volgi e muli facilmente. Circa l'uso di cantare squarci del poema ariostesco vedi notizie raccolte dallo SPAMPANATO, Postille, pp. 312-3. 1 Cand., pp.o9oe

* L'adagio greco (ore5de

Augusto

(SvetONIO,

le molte

Bpadfwc) che aveva sempre sulle labbra

Aug., 25).

V.

anche

Giovio,

Imprese,

ediz.

Daclli, p. 3. 3 Allusione oscena, abbastanza evidente, Cfr. sopra p. 24 n. 2. 4 Il «Tempio », a Londra {in origine appartenente ai Templari), presso il Tamigi (Fleet Street). (B.

27-8)

(W.

I,

139)

(L.

137-8)

56

(G.!

I, 40)

(G21,

43-4).

DIALOGO

Prudenzio.

Principio

omni

a natura

tributum,

ut nihil

quicquam

formidine

pocnae.

Frulla.

schedun

SECONDO

rusticorum

virtutis

È un altro proverbio

generi

amore

hoc

est

faciant,

et vix

anco in proposito

di cia-

villano: Rogatus

Pulsatus

Pugnis

tumet, rogat,

concisus

adorat!.

Teofilo. In conclusione, ne gittarono là; e dopo pagategli e resegli le grazie (perché in questo loco non si può

far altro, quando se riceve un torto da simil canaglia), ne mostrorno il diritto camino per uscire a la strada. Or

qua

te

voglio,

dolce

Mafelina,

che

sei

la musa

di

Merlin

Cocaio ?, Questo era un camino, che cominciò da una buazza 1, ! « Versione libera del motto già diffuso nel secolo XII e cosi interpretato nel suo Graecisinus da Eberardo di Beéthune: ‘ Quando

mulcetur,

villanus

peior

habetur:

Pungas

villanum,

polluet

manum; Ungentem pungit, pungentem rusticus ungit’: in Sranc.: ‘Oignez vilain il vous poindra, poignez vilain

oindra '; in italiano (e ve n' ha esempio volgari del sec. XIII,

ille

ridotto il vous

nella prima serie dei prov.

da me editi nel Giorn. stor. d. letter. ital., XVIII,

107):‘ Bacte el villano ct a' load amico”, che il Sacchetti (n. CLXVIII) pur ripete »: NovatIi in SPAMPANATO, Postille, p. 311. Ma il 2° e il 3° v. sono il verso 300 della III sat. di GrovENALE, come ha poi osservato 2

lo

stesso

SPAMPANATO,

Vita,

p.

367,

n.

1.

Pancificae tantum Musac doctaeque sorellac, Gosa, Comina, Striax, Mafelinaque, Togna,

Imboccare suum veniant imacarone poetam.... Hic macaronescam pescavi primior artem, Hic me pancificum fecit Mafelina poctam. MertLIN Cocai (T. Folengo), I! Baldo, macch. Chaos del Triperuno, selva 2°, Mafelina è

I,

13-15,

Pedrala

62-63.

Nel

Aspra, crudelis, manigolda, ladra, Fezza boydelli, mulier diabli, Vacca vaccarum, lupaque Iuparuni.

3 Buazza e

(B. 28)

(W.

più sotto (p. 59)

I, 1309-40)

(L.

138)

57

bua

dal franc. bone, fango.

(G.t I, 40-1)

(G.2 I, 44-5).

LA

CENA

DE LE CENERI

la quale né per ordinario, né per fortuna, avea divertiglio !. Il Nolano, il quale ha studiato ed ha pratticato ne le scuole

più che noi ?, disse: però seguitate dire, che vien



Mi par veder un porco passaggio;

a me. — Ed ecco, non avea finito quel piantato lui in quella fanga di sorte, che

non possea ritrarne fuora le gambe; e cossi, aggiutando l’un l'altro, vi dammo per mezzo, sperando che questo purgatorio durasse poco. Ma ecco che, per sorte iniqua e dura, lui e noi, noi e lui ne ritrovammo ingolfati dentro un limoso

giardin buone

varco,

il qual,

come

de

le delizie,

era

muraglia;

fusse

l’orto

terminato

de

la gelosia,

quinci

o il

e quindi

da

e perché non era luce alcuna che ne gui-

dasse, non sapeamo far differenza dal camino ch’aveam fatto e quello che doveam fare, sperando ad ogni passo il fine: sempre spaccando il liquido limo, penetravamo sin alla misura delle ginocchia verso il profondo e tenebroso Averno 3, Qua non

l'uno

sapevam

che

non

dire,

possea

ma

con

dar un

conseglio

muto

a l'altro;

silenzio

chi sibi-

lava per rabbia, chi faceva un bisbiglio, chi sbruffava co' le labbia,

chi

gittava

un

suspiro

sotto lengua bestemmiava; veano,

i piedi faceano

1 Cand.,

ticolo ».

un

poco,

chi

e perché gli occhi non ne ser-

la scorta ai piedi,

un cicco ‘cera con-

p. 132, con forma più vicina alla originaria lat., « diver.

® Si ricordi

dove,

e si fermava

l'avvertenza che fa il B. nell'Argomento

accennando

a

questa

dice (pp. 10-11) che essa «più che istoriale sarà da tutti

«descrizion

poetica

di

passi

e

di

del 2° dial.,

passaggi»,

e tropologica,

forse,

giudicata ». Intese l'autore raffigurare in

questi pantani la scienza delle scuole del tempo, attraverso la quale anche

a lui era

convenuto

passare

per raggiungere

luni verrà csposta e difesa in casa del Greville.

3 Cir. quel son. Dal più profondo e tenebroso del (B.

28-20)

(W.

I,

140)

(L.

138)

58

(GI

IT, 41-2)

quella

che

BERNI.

(G.2 I,

45-0).

da

DIALOGO

SECONDO

fuso in far più guida a l’altro. Tanto che, Qual

Sul duro Or

uom,

giace

or carme,

ch’uccida

Ma,

e piange

letto il pigro andar

pietre,

Spera,

che

or polve,

il grave

poi ch’a lungo

mal,

andar

lungamente

de l’ore,

ed or liquore

che

sente:

vede il dolente,

Ch'ogni rimedio è vinto dal dolore, Disperando 1! s’acqueta; e, sc ben more,

Sdegna

cossf

noi,

rimedio

ch'a sua salute altro si tente 2;

dopo

aver

al nostro

tentato

male,

e ritentato,

desperati,

e non

vedendo

senza pit studiar e bec-

carsi il cervello in vano, risoluti ne andavamo a guazzo a guazzo per l'alto mar di quella liquida bua, che col suo

lento flusso andava del3 profondo Tamesi a le sponde. Prudenzio. O bella clausola! Teofilo. Tolta ciascun di noi la risoluzione del tragico cieco d’ Epicuro 4: Dov” il fatal

Lasciami



andar,

Trovarò

forse

a trarmi

Precipitando

menle:

in

Poesie

3 (G! = B:

ed.

del;

G®:

loco

cavo

fuor

un

di tanta

cieco,

porta;

Fiorentino,

(per

speco,

un

sasso

guerra,

e basso;

Qual uom,

dal

mi

venir più mocco.

fosso,

del TansiLLo,

liriche,

il piè

un

Desperado)

® Dal son.

mi 5 guida

e dove

per pictà di me

Piatoso

1 (B:

destin

che giace, e piange

p.

8.

evidente

Iunga-

svista tipograf.).)

4 Marco Antonio Epicuro (1472-1555) nella tragicommedia La Cecaria (Venezia, 1525), terzine 1° e 3% (ediz. Palmarini, in Scelta di

curios.

letter,

Disp.

225,

Bologna,

Romagnoli,

1888,

pp.

35-6).

Circa l'imitazione che il Bruno fece della Cecaria negli Evoici furori,

v. FIORENTINO nel Giorn. nap. della domenica, a. I, n. 29, del 16 luglio 1882; TALLARIGO e IMBRIANI, Nuova crestom. italiana, vol. IIl, Napoli, Morano, 1883, p. 54; € SPAMPANATO, Bruno e Nola, pp. 63-69;

e il mio Appunti

XII,

testo

commento biografici

1-76.

Nel

dell’ Epicuro

20-30}

(W.

di

E.

19 verso ha:

oscuro e basso. 5 (B: mia) (B.

ai diall. Degli eroici furori. Sull' Epicuro

I,

n

140-1)

PàrcoPO,

Giorn.

st. letter,

ital.

speco,

un

nel

della seconda fosso,

(L.

un

138-9)

59

terzina citata

(G.1

sasso;

I, 42-43)

dal

del

1888,

Bruno

3°:

(GI,

v. gli

in

il

loco

46-7).

LA

CENA

DE

LE

CENERI

ma, per la grazia degli Dei (perché, come dice Aristotele, non datur infinitum in actu), senza incorrer peggior male, ne ritrovammo al fine ad un pantano; il quale, benché

ancor lui fusse avaro strada,

d’un

poco

di margine

per darne la

pure ne relevò con trattarci più cortesemente,

inceppando

oltre ì nostri piedi;

non

sin tanto che, montando

noi più alto per il sentiero, ne rese a la cortesia d’una lava 1,

la quale

da

un

canto

lasciava

un

si petroso

spazio per

porre i piedi in secco, che passo passo ne fe’ cespitar come

ubriachi, non senza pericolo di romperne o gamba. Prudenzio. Conclusio, conclusio! Teofilo.

In

conclusione,

tandem

laeta

qualche

arva

testa

fcnemus >:

ne parve essere ai campi Elisii, essendo arrivati a la grande ed ordinaria strada;

c quivi da la forma

del sito,

conside-

rando dove ne avesse condotti quel maladetto divertiglio, ecco che ne ritrovammo poco più o meno di vintidui passi

discosti da onde eravamo partiti per ritrovar gli barcaroli, e vicino a la stanza del Nolano. O varie dialettiche, o nodosi

dubii,

o

enigmi, tevi,

importuni

sofismi,

o intricati

o fatevi In

Che

laberinti,

o

cavillose

capzioni,

o indiavolate

sfinge,

o

scuri

risolve-

risolvere. questo

debbo 3

bivio,

in questo

far,

che

dcbbo

dubbio dir,

passo,

ahi,

lasso?

Da qua ne richiamava il nostro allogiamento; perché ne avea si fattamente imbottati maestro Buazzo e maestro ! Cfr. p. 81. Lava dicono a Napoli un corso d’acqua piovana che scenda per una via in pendio: p. e..la lava dei Vergini.

® Vira. den.,

tencmus ».

VI, 744:

«Mittimur

Elysium et pauci laeta arva

3 B: delo. (B.

30)

(W.

I,

141)

(L.

139-490)

60

(G.

I, 43)

(GI,

47-38).

DIALOGO

Pantano,

SECONDO

ch'a pena posseamo

movere le gambe.

Oltre, la

regola de la odomantia e l’ordinario de gli augurii importu-

namente ne consegliavano a non seguitar quel viaggio. Li astri, per esserno ! tutti ricoperti sotto l'oscuro e tenebroso manto, e lasciandoci l'aria caliginoso 2, ne forzavano al ritorno. Il tempo ne dissuadeva l’andar sf lungi avante, ed essortava a tornar quel pochettino a dietro. Il loco vicino

applaudeva

mano

benignamente.

L'occasione,

ci avea risospinti sin qua,

pulsi facea il maggior alfine,

non

e natura

meno

empito

ch’una

è mossa

la quale

con una

con dui

più forti

l’ intrinseco

principio

adesso

del mondo.

pietra da

verso il centro,

La stanchezza

ne mostrava

il medesmo

camino e ne fea inchinar verso la destra. Da l'altro canto ne chiamavano le tante fatiche, travagli e disaggi, i quali sarrebono stati spesi invano. Ma il vermine de la conscienza

diceva: se questo poco di camino n' ha costato tanto, che non è vinticinque passi, che sarà di tanta strada che ne resta ? Mejor es perder que mas perder 3. Da là ne invitava il desio

comone,

ch’aveamo,

1 Esserno

(cîr.

sopra

di non

p.

31:

defraudar

la espetta-

avendono;

p.

Itr,

ben

dire

manendono, e pp. 125 e 148 ancora: esserno) mica errore di stampa. Appo il 13., come appo molti altri

ed

in

alcuni

dialetti

embrione o come presente

Candelaio 1886,

G.

Lopez,

p.

si

trova

di G.

IX;

B.

studiò

Tria,

nel

Propugnatore,

saprei

Natanar

1876,

il fenomeno più tardi in

pref. alla ristampa

ma

non

«non è scrittori se

in

reliquia, alcun vestigio di un plurale e dell' infinito

e del gerundio ». V. IMBRIANI,

L' Imbriani Vedi

d'Italia,

ri-

cir. la nota

Studi di antico

del

del

napoletano,

vol.

una

Candelaio,

Lacarpe,

Infinito

II,

lett. sul testo del

IX,

nota

P. 1%, p.

Napoli,

p. 784.

coniugato

Itom. Philo!. XXIV, 501-3; e SPAMPANATO, Introd. ? In Bruno aria è sempre mascolino, come

345.

accademica.

Vedi

Marghieri,

P. Savv-

in Zeitschr. f.

al Cand., IV. aere. (Non

proprio sempre: cir. De la Causa son. Causa...., Vv. 12.) 3 Prov. spagn.: meglio perdere che perdere maggiormente. B: perdere (,) che mas perdere.

(B. 30-1) (W. I, 141-2) (L. 140)

6I

(G.! I, 43-4) (G2 I, 48-90).

LA

CENA

DE

LE

CENERI

zione di que’ cavallieri e nobili personaggi; dall'altro canto

rispondeva il crudo rimorso, che quelli, non avendo cura,

né pensiero

mini in questo

di mandar

tempo,

cavallo

avuto

o battello a gentiluo-

ora ed occasione, non farebbono

an-

cora scrupolo del nostro non andare. Da là eravamo accusati per poco cortesi al fine, o per uomini che van troppo sul pontiglio, che misurano le cose dai meriti ed uffici, e fan professione più di ricever cortesia che di farne, e come villani ed ignobili voler più tosto esser vinti in quella che vencere; da qua eravamo iscusati, ché dove è forza non è raggione. Da là ne attraea il particolare interesse del Nolano, ch’avea promesso, e che gli arrebono possuto attaccar a dosso un non so che; oltre c’ ha lui gran desio, che se gli offra

occasione

accorgersi,

di

veder

costumi,

si sia possibile,

conoscere

di qualche

mar il buono abito de la cognizione,

nova

gl’ ingegni,

verità,

accorgersi

confir-

di cosa che

gli manca. Da qua eramo ritardati dal tedio comone e da non so che spirto, che diceva certe raggioni più vere,

che degne a referire. A chi tocca determinar questa contradizione? chi ha da trionfar di questo libero arbitrio? a chi consentisce la raggione? che ha determinato il fato ? Ecco

questo

fato,

ispedisca

il

per

mezzo

de

la raggione,

porta de l' intelletto, si fa dentro, e comanda che

consentimento

di

continuar

aprendo

la

a l’elezione, il

viaggio.

O passi graviora!, ne vien detto, o pusillanimi, o leggeri, incostanti ed uomini di poco spirto ?....

1 Viro.,

finem n.

Aen., I, 199:

® (G! = N:

spirto;

«O passi graviora! Dabit deus his quoque

G*;

spirito

(per

evidente

svista tipogri.).)

(B. 31-2) (W. I, 142) (L. 140-1) (GLI, 44-5) (G2 I, 49). 62

DIALOGO

SECONDO

Prudenzio.

Exaggeratio concinna!

Teofilo.

non è, non



è impossibile,

benché

sii difficile,

questa impresa. La difficoltà è quella, ch'è ordinata a far star a dietro gli poltroni. Le cose ordinarie e facili son per il volgo ed ordinaria gente;

gli uomini

rari, eroichi e

divini passano per questo camino de la difficoltà, a fine che sii costretta la necessità a concedergli la palma de la immortalità. Giungesi a questo che, quantunque non sia possibile arrivar al termine di guadagnar il palio ', correte pure e fate il vostro sforzo in una cosa de sf fatta importanza, e resistete

sin

a l’ultimo

spirto.

Non

sol chi

vence

vien

ladato, ma anco chi non muore da codardo e poltrone: questo rigetta la colpa de la sua perdita e morte in dosso de la sorte, e mostra

al mondo

che non per suo difetto, ma

per torto di fortuna è gionto a termine tale. Non solo è degno di onore quell’uno ch' ha meritato il palio, ma ancor quello e quell'altro c* ha? si ben corso, ch' è giudicato anco degno

e sufficiente

vinto.

E son

desperati,

si

de l'aver

vituperosi fermano,

meritato,

quelli,

ch'al

e non

vanno,

benché

mezzo ancor

non

l'abbia

de la carriera, che

ultimi,

a

toccar il termine con quella lena e vigor che gli è possibile 3. Venca dunque

la perseveranza,

! BL: palo. % (G! = D: ch ha) 3 (d inscrisce i seguenti 197-203):

versi

perché, se la fatica è tanta,

(corruzione

Vidi ego lecta diu, et multo

di

Verc.,

Georg.,

spectata labore

Degenerare tamen, ni vis. Sic omnia falis In peius vuere, ac vetro sublata veferri: Non aliter quam qui adverso vix flumine lembum

Remigiis Atque

subigit: si brachia forte remisit;

illum

in preceps

prono

rapit

alveus

amne.)

(B. 32-3) (W. I, 142-3) (L. 141) (G.! I, 45) (G.* I, 49-50).

63

I,

LA

CENA

DE

LE

CENERI

il premio non sarà mediocre. Tutte cose preziose son poste

nel difficile. gran cosa

Stretta e spinosa

forse

Haud

Movit

Nec

ne

promette

facilem agros,

esse

via de la beatitudine;

il cielo !:

viam

curis

è la

acuens

Pater ipse colendi voluit, primusque per

torpere gravi passus

mortalia

sua regna

corda,

artem

veterno ?.

Prudenzio. Questo è un molto enfatico progresso, converrebe a una materia di più grande importanza.

che

Frulla. È lecito, ed è in potestà di principi, de essaltar

le cose

basse;

le quali,

degne,

e veramente

se essi farran tali3, saran giudicate

saran

degne;

e in questo gli atti loro

son più illustri e notabili, che si aggrandissero i grandi, perché + non è cosa, che non credeno meritar per la sua grandezza;

overo che si mantenessero i superiori ne la sua

superiorità, perché5 diranno, quello convenirgli non per grazia, cortesia e magnanimità di principe, ma per giusticia e raggione 6, Cossf non essaltano per ordinario degni c vir1 (A:

il cielo. Per il che dice il Pocta:)

2 Viro.,

Georg.,

3 (A: degne,)

I,

121-4.

4 (A: i quali) 5 (A: i quali) 6 (AI lungo brano che segue (incluse le due battute di Prudenzio c di Smitho) A sostituisce: Or applica a proposito del tliscorso del nostro Teofilo. Pure (maestro Prudenzio) se vi par ancor aspro; distaccalo da questa maleria, et attacalo ad un’altra. Pru. To non dissi altro, eccetto che il progresso parea molto emfatico per questa materia, che s'offre al presente.

Fru.

Volevo io ancor dive che Teofilo par ch'abbia un poco del Pru-

vertù.

Et

denzio: ma perdonategli, per che (come mi pare) questa vostra infirmità è contagiosa. Et non dubitate, per che Teofilo sa far de necessità de

infirmità

cautela,

preservazione,

filo il vostro discorso. Irru. Ultra domine, a fin che "l tempo non ci vegna meno.)

et

Smr.

sanità.

Seguite

Via su affrettiamoci

(B. 33) (W. I, 143) (L. 141) (Gt I, 45-6) (G= I, 50).

64

Teo-

DIALOGO

SECONDO

tuosi, perché gli pare che quelli non hanno occasione di rendergli tante grazie, quante un aggrandito poltrone e feccia di forfanti. Oltre, hanno questa prudenza, per far conoscere che la fortuna, alla cui cieca maestà son obligati molto, è superiore a la virtii. Se tal volta esaltano un uom

da bene ed onorato tra quelli, di rado li faran tener quel grado, nel quale non se gli prepona un tale, che gli faccia conoscere, quanto l'autorità vale sopra i meriti, e che i meriti non vagliono, se non quanto quella permette e dispensa. Or vedete con qual similitudine potrete intendere, perché Teofilo essaggere tanto questa materia: la qual, quantunque salza,

rozza

l’orticello,

vi paia, il culice,

è pur

altra cosa

la mosca,

la noce

ch’esaltar e cose

la

simili,

con gli antichi scrittori; e con que' di nostri tempi, il palo, la stecca, il ventaglio, la radice, la gniffeguerra !, la candela, il scaldaletto,

il fico, la quintana,

il circello, ed altre cose,

che non solo son stimate ignobili, ma son anco molte di quelle stomacose =. Ma si tratta dell'andar a ritrovar tra 1 B:

XXII,

Guniffegnerra.

Ma

già il FLORIO

122) aveva corretto

da un

altro in guerra,

coloro

che

gniffeguerra:

soldato

per profitto ».

* G. B. Giratpi Cinzio, ne' suoi cose basse nacque medesimamente il

per loro

(SPAMPANATO,

principale

esercizio

ch'egli scrisse; ed infelici mi paiono

«chisi

in Critica,

fa sostituire

Discorsi (1554) dice: « Alle Bernia tra’ toscani, e tutti

a quel

quegli

modo

han

scritto,

ingegni che spendono

le

lor buone ore in cosî fatte scritture, piene di nascosa disonestà, e di materie plebeie, che sol dilettano a salsicciai, ed a simili sorti di genti » (cit. da S. VOLPICELLA, 0, c., p. 70, n. 17). Per gli antichi v. i due pocmetti Moretfum (salsa) e Culex attribuiti a Virgilio, in Poetae latini minores,

rec. Bachrens,

II,

178, 46, e Nux

Elegia

(ricor-

data anche nel Candelaio, III, 7), ivi I, 88. 11 B. accenna poi molti dei soggetti soliti delle poesie bernesche del '500; delle quali si può vedere la copiosa raccolta: I fre librî delle opere burlesche di M. F. BERNI, di G. DELLA Casa,

delet,

(B.

1726.

33-4)

Tra

gli

(W.

I,

del VARCHI,

ecc. ecc. Usecht al Reno, Broe-

autori a cui si allude

143-4)

(L.

141-2)

65

(G.I

oltre

I, 46)

il Berni, (G.3

il Casa,

I, 50-1).

LA

CENA

DE

LE

CENEKI

gli altri un par di suppositi !, che portan seco tal significazione, che certo gran cosa ne promette il cielo, Non sapete che quando il figlio di Cis, chiamato Saul, andava cercando

gli asini, fu in punto d'esser stimato degno ed esser ordinato

re del popolo

israelita? Andate,

andate

a leggere

il

primo libro di Samuele; e vi vedrete, che quel gentil personaggio tuttavia fea più conto di trovar: gli asini, che d’esser onto re. Anzi par che non si contentava del regno, se non trovava gli asini. Onde, tutte volte che Samuele gli

parlava di coronarlo, lui rispondeva: — E dove son gli asi-

ni? gli asini dove sono? Mio padre m'ha inviato a ritrovar gli asini, e non volete voi ch’ io ritrove gli miei asini?



In conclusione,

gli

non

si quietò

mai, sin tanto

che non

disse il profeta, che gli asini eran trovati; volendo accennar

forse ch’avea quel regno, per cui possea contentarsi, che valeva per gli suoi asini, e d’avantaggio ancora ?. Ecco dunque come alle volte tal cosa si è andata cercando, che quel cercare è stato presagio di regno. Gran cosa dunque ne

promette

Narra

il cielo.

i successi

di

Or

séguita,

questo

Teofilo,

cercare,

che

il tuo facea

discorso.

il

fanne udire il restante dei casi di questo viaggio.

Nolano;

Prudenzio. Bene est, pro bene est, proseqguere, Theophile. Smitho. Ispedite presto, perché s’accosta l'ora d’andar a cena. Dite brevemente quel che vi occorse dopo che vi il Mauro,

guardando

il Molza,

a’

Postille, p. 231) quintana,

cui

messer

componimenti

che invecc

quartana;

Bino,

invece

il Doni,

si

può

l’Aretino,

sospettare

di palo il 13. dovesse di scaldaletto,

caldo

il Bronzini,

(SPAMPANATO,

dir pilo;

del

letto;

radice, ravanello. 1 Suppositi, soggetti, persone: ossia i dottori Torquato dinio. * Vedi il Libro I dei Ite, capp. IX e X.

invece

invece

di

di

e Nun-

(B. 34-5) (W. I, 144) (L. 142) (G.! I, 47) (G3I, s1-2). 66

ccc.,

DIALOGO

SECONDO

risolveste di seguitar più tosto il lungo e fastidioso camino che ritornar a casa. Teofilo.

Alza*

i

vanni,

Teofilo,

e ponti

in

ordine,

e

sappi ch'al presente non s' offre occasione di apportar de le più alte cose del mondo. Non hai qua materia di parlar di quel nume de la terra, di quella singolare e rarissima Dama, che

da

questo

freddo

cielo,

vicino

a l’artico

parallelo,

a

tutto il terrestre globo rende si chiaro lume: Elizabetta dico, che per titolo e dignità regia non è inferiore a qualsivoglia re, che sii nel mondo ?; per il giodicio, saggezza, con-

seglio e governo, non è facilmente seconda ad altro, che porti scettro

in terra:

ne

la cognizione

de

le arti,

notizia

de le

scienze, intelligenza e prattica de tutte lingue, che da per-

sone popolari e dotte possono in Europa parlarsi3, lascio al ! (A:

® Qui,

Or alza) come

nel De

cpiteto,

che

la Causa,

p.

222,

il

B.

adopera

la

forma

inglese (Elizabeth). Scusandosi delle lodi tributate ne’ suoi scritti a principi eretici, nel costituto vencto del 3 giugno 1592 egli dirà: a Nel mio libro Della Causa, principio e uno io lodo la Regina de Inghilterra, e la nomino ‘ Diva‘ non per attributo di religione, ma per

un

certo

li antichi

ancora

solevano

dare

a' principi;

ed in Inghilterra, dove allora io mi ritrovava e composi quel libro, se suole dar questo titolo de ‘Diva' alla Regina; e tanto più me indussi

a

nominarla

cusfî,

perché

ella

me

conosceva,

andando

io

continuamente con l'ambasciator in corte» (SpamP., Vita, p. 734). Anche il filosofo italiano Aconzio aveva dedicato il suo De methodo (ma

i Strafagematton

Elisabetta»

ale.

filos.

l'italiano

(BERTI,

3 (A:

ifal., e

p. 294

«con

udirsi;

gli

1868,

1093-90;

p.

italiani»,

n.), «non

vuol

— Il passo

in A:

contradizzione

Libri

I,

Benevento,

è cosl rimaneggiato senza

Satanae

(BARTHOLM®Ss,

che

alcuna

mai

71

(Basilea

BoBna,

e sgg.).

scriveva

1565))

alla

Saggio.

Elisabetta

l'ambasciatore

parlare altrimenti ».

segue

(fino alla riga

«diva

intorno

ad

parlava

veneto

rI1 di p. 69)

è a tutti gli altri prencipi

superiore,

et trionfatvice di tal sorte; che se l''imperio de la fortuna corrispondesse,

et fusse

ingegno:

sarebbe

agguagliato

l'unica

a l'imperio

imperatrice

(B. 35) (W. I, 144-45)

G.

Bruno,

Dialoghi

di questa

generosissimo

terrestre

spirito

italiuni

et

sfera; et con

(L. 142-3) (G.! I, 47-8) (G.* IL 52-53).

67 9 —

del

LA

mondo

tutto

CENA

giudicare

DE

qual

LE

CENERI

grado

lei tenga

tra tutti

gli

altri principi. Certo, se l’imperio de la fortuna corrispondesse e fusse agguagliato a l’ imperio del generosissimo spirto ed ingegno, bisognerebbe che questa grande Amfttrite * aprisse le sue fimbrie, ed allargasse tanto la sua cir-

conferenza, Ibernia,

che sf come gli comprende

gli

desse

un

altro

globo

una Britannia ed

intiero,

che

venesse

ad

uguagliarsi a la mole universale, onde con più piena signi-

ficazione la sua potente mano sustente il globo d’una generale ed intiera monarchia. Non

hai

provido

conseglio,

vinticinque centro

materia

de

anni le

di parlar

con

di tanto

il quale

quell'animo

e pit 2, col cenno

borasche

d'un

maturo,

mare

discreto

eroico,

e

già

de gli occhi

suoi,

d’adversità,

ha

nel fatto

trionfar la pace e la quiete, mantenutasi salda in tanto Gagliardi flutti e tumide onde di si varie tempeste; con le più piena significazione quella sua divina mano sustentarebbe il globo

di questa universale monarchia. Non hai qua materia di far discorso di colei, la quale se volessi assomigliar a regina di memoria di passati tempi: profanareste la dignità del suo essere singolare et sola; perché di gran lunga avanza tutte: altre in grandezza de l'autorità, altre ne la perseveranza del lungo, inticro, et non ancora abbreviato governo; tulle poi ne la sobrietà, pudicizia, ingegno, et cognizione. Tutte ne

l'ospitalità et cortesia, co la quale accoglie ogni sorte di forastiero, che non si rende al tutto incapace di grazia et favore. Non te si offre occasione di parlar de la generosissima umanità dell' illustrissimo monsiglnor) conte Roberto Dudlco, conte di Licestra etc. tanto conosciuta dal mondo, nominata insieme con la famia del regno, et la regina

d' Inghilterra ne’ circostanti regni; tanto predicata da i cuori di gene-

rosi spirti ilaliani quali specialmente da lui con particolar favore (accompagnando quello de la sua signora) son stati, et son sempre accarezzati. Questo....) 1 Cfr.

terrarum v.

Ovipio,

porrexerat

SPAMPANATO

* Dal

1558,

in

Met.,

I,

Amphitrite n.

Critica,

quando

14-15:

XXII,

Elisabetta

«Nec

(Per

58).

brachia

longo

l'imitazione

del

Margine

sali al trono.

(BD. 35-6) (W. I, 145) (L. 143) (G.! I, 48) (G2 1, 53).

68

Florio

DIALOGO

SECONDO

quali a tutta possa gli ha fatto impeto pazzo

Oceano,

che

bench' io come siero

di

tutti

contorni

particolare non

conoscerli,

eccellentissimi

da odo

tanto

cavallieri,

Roberto

Dudleo,

Conte

umanità

di quali

è tanto

quest'orgoglioso la

circonda.

le conosca, nominar

gran

tesorier

di

Licestra=;

conosciuta

Quivi,

né abbia pen-

gl’ illustrissimi

un

la

e

del

ed

regno !, e

generosissima

dal mondo,

nominata

insieme con la fama della. Regina e regno, tanto predicata

ne le vicine provinze, come quella ch'accoglie coh particolar favore ogni sorte di forastiero, che non si rende al tutto incapace

di grazia ed ossequio.

Questi,

insieme co’ l’eccel-

lentissimo signor TFrancesco \Walsingame 3, gran secretario del Regio Conseglio +, come quelli che siedono vicini al sole del regio splendore, con la luce de la lor gran civiltade 5 son sufficienti a spengere ed annullar l'oscurità, e con il caldo de l'amorevol cortesia desrozzir 6 e purgare qualsivoglia rudezza e rusticità, che ritrovar si possa non solo tra brittanni,

ma

anco

pofagi. Non

tra sciti, arabi,

tartari,

canibali

ed antro-

ti viene a proposito di referire l’onesta conver-

sazione, civilitàe buona creanza di molti cavallieri e molto

nobili personaggi del regno 7, tra' quali è tanto conosciuto cd a noi particolarissimamente, per fama prima, quando

cravamo

in Milano 5 ed in Francia,

e poi per esperienza,

! William Cecil, lord Burlcigh (1520-98). 2 Robert Dudley, conte di Leicester (1532(?)-88), il favorito della Regina Elisabetta, cancelliere dell’ Università di Oxford dal 1565

al 1588. Vedi l'elogio che ne lasciò il FLorIo 3 (A: 4 Sir

5 (A;

Walsinghame) Francis Walsingham nobiltade)

(1530

(1532

in Critica, XXI,

ca.)

r14.

-1590).

6 (A: cortisia disrozzir)

2 (A: personaggi inghilesi) 8 Forse nel 1578. Cîr. BERTI,

Vita, p. 64,

(B. 36-7) (W. I, 145) (L. 143-4) (GT,

69

e Sramp.,

Vita, p. 276.

48-90) (G.2 I, 53-4).

LA

CENA

DE

LE

CENERI

or che siamo ne la sua patria, manifesto, il molto illustre ed eccellente cavalliero, signor Filippo Sidneo:; di cui il tersissimo ingegno, oltre i lodatissimi costumi, è si raro

e singolare, che difficilmente tra’ singolarissimi e rarissimi, tanto

fuori

Ma,

quanto

a

dentro

proposito,

Italia, ne trovarete

importunissimamente

un simile =.

ne

si

mette

avanti gli occhi una gran parte de la plebe; la quale è una si fatta sentina che, se non fusse ben ben suppressa da gli altri,

mandarebbe

ad offuscar

tal puzza

tanto

il nome

e si mal

fumo,

che

di tutta la plebe

verrebbe

intiera,

che

potrebe vantarsi l’ Inghilterra d’aver una plebe, la quale in essere irrespettevole, incivile, rozza, rustica, salvatica e male allevata non cede ad altra, che pascer possa la terra nel suo seno. Or, messi da canto molti soggetti, che sono ! Il celebre Sir Philip Sidney (1554-1580), nipote del Dudley, autore della Defense of Poetry, che è stata detta «un vero com-

pendio

della

critica

italiana

del

tempo

della

Rinascenza» (Srin-

GARN, La crit. letter, nel Rinascimento, trad. ital. del dott. A. lusco, Bari, Laterza, 1905, p. 266). Egli conosceva bene la lingua e la let-

teratura italiana; e aveva studiato giurisprudenza a l’adova. l°u molto benevolo al Bruno, che gli dedicò nello stesso anno 1594 lo Spaccio e l'anno dopo gli Eroici furori. — Ma il Bruno non è mai

menzionato

amicissimo

nella

Sidney

London,

1891)

ripete

le

Sidney,

notizie

London,

che

si

al

Fulke

1651),

ricavano

Bruno

Groville,

Fox age,

Philip

anche

da

spondence of Ph. Sidney and Hubert Languet, London, 1845. Bourne (Sir Ph. S., type of english chivalry in the Elizabethan

Sr.

dapprima

scritta

life

renowned

e amico

del

(The

of the

al Sidney

vita



dagli

nella

Corre-

scritti

stessi

del Bruno. Per tutto ciò vedi GùTTLER, in Arch. f. Gesch. d. Philos., 1893, VI, 340. 2 (Il brano che segue (fino alla riga 2 di p. 71) è così rimancg-

giato

in A:

Tolto

ne

è a fatto

materia

di

lode:

ma

importunissimamente,

a

dispetto del mondo ne viene a proposito una plebe, la quale in esser plebe, non è inferiore a plebe alcuna, che pasca nel suo seno la pur troppo prodiga terra: perché questa veramente dà saggio di plebe de tutte le plebe che io possa aver sin ora conosciute irveverente, irrospettevole, di nulla civilità, male allevate. Quando vede....)

(B. 37) (W. I, 145-6) (L. 144) (G.! I, 49-50) (GI, 54-5). 70

DIALOGO

SECONDO

in quella degni di qualsivoglia onore, grado e nobiltà, eccovi proposta avanti gli occhi un’altra parte, che, quando vede

un

forastiero,

sembra,

per Dio,

tanti lupi,

tanti

orsi,

che con suo torvo aspetto gli fanno quel viso, che saprebe far un porco ad un che venesse a torgli il tinello! d'avanti. Questa ignobilissima porzione ?, per quanto appartiene

al proposito,

Prudenzio.

cibilis

ad

Omnis

è divisa in due diviso

specie3; —

debet esse bimembris,

vel redu-

bimembrem.

Teofilo. — de quali l'una è de arteggiani e bottegari, che 4, conoscendoti in qualche foggia forastiero, ti torceno il musso 5, ti ridono,

ti ghignano,

bocca,

in

ti

chiamano,

suo

ti petteggiano6 co’

lenguaggio,

cane,

la

traditore,

straniero?; e questo appresso loro è un titolo ingiuriosissimo, e che rende il supposito capace a* ricevere tutti i torti del mondo, sia? pur quanto si voglia uomo giovane o vecchio, togato o armato, nobile o gentiluomo 1°.

1 (A:

tino)

3 (A: 4 (A:

parti) i quali)

? (A:

plebe)

S Cfr. Cand3, 6 In Fiorio,

p. 3, n. I. Nuovo miondo

‘ petteggiare ’, accanto 7 (A: strangier[0))

alla

di

forma

parole,

pp.

semplice.

374-5

‘ pettare*

e

8 B: ad. 9

(A:

sii)

10 (A inserisce il seguente brano: Al che son mossi dal desio di aver occasione di far a questione con un forastiero. Et în questo le assicura che non come in Italia s'av-

viene ch'un rompa ad vedere pur

il capo ad un de simil canaglia,

se per sorte viene

è alcuno

che

si muova;

qualche

si staranno

zaffo ufficiale ch' il prenda:

lo fa per

dividere

et appacare,

tutti

et se

aggiutare

l'impotente, et prendere specialmente la causa d'un forastiero. Et nisc{i]uno che non è ufficial di corte, o ministro de la giustizia id est (B.

37-8)

(W.

IT,

146)

(L.

144) 71

(G.!

I, 50)

(GT,

55).

LA

CENA

DE

LE

CENERI

Or! qua, se per mala sorte ti vien fatto che prendi occasione di toccarne uno, o porre mano a l'armi, ecco in un punto ti ve-

drai, quanto è lunga la strada, in mezzo d'uno esercito di co-

teconi »; i quali più di repente che, come fingono i poeti, da' denti del drago seminati per Iasone risorsero tanti uomini armati3, par che sbuchino da la terra, ma certissimamente esceno 1 da le botteghe;

e facendo

una onoratissima

e gentilis-

sima prospettiva de una selva de bastoni, pertiche ; lunghe, alebarde, partesane e forche rugginenti (le quali, benché ad ottimo uso gli siano state concesse dal prencipe, per questa e simili occasioni han sempre apparecchiate c pronte); cossi con una rustica furia te le vedrai avventar sopra,

senza

guardare

a chi,

perché,

dove

e come,

senza

ch’un se ne referisca a l’altro: ognuno sfogando quel sdegno naturale

mano

c’ ha

(se non

contra

sarà

il forastiero,

impedito

ti verrà

di sua propria

da la calca de gli altri, che

poneno in effetto simil pensiero) e con la sua propria verga, a prendere

la misura

del saio; e se non

sarai cauto,

a sal-

darti ancora il cappello in testa. E se per caso vi fusse presente qualch’uomo da bene, o gentiluomo, ‘al quale simil villania dispiaccia, quello, ancor che fusse il conte o il duca,

birro,

have

ardire,



autorità

di

por

mano

sopra

il delinquente:

cet

se pur quello non sarà potente a prenderlo: si vergognerà ogn'uno di aggiutarlo in simile ufficio. Et cossì il birro, et tal volta i birri perdeno la caccia.)

I (A:

Ma)

è Cotecone, villanzone. Cfr, Cand.?, p. 161, n. 2. Il BASILE, Cunto de li cunti, ed. Croce, p. 98: «Lo re, sentenno chiesto, levaje

la corona

da

3 Ovipio,

4 (A: 5 (A:

capo

Met.,

a chilo

sorteno) di pertiche)

VII,

cuojero

121

e

sgg.

cotecone ».

6 (A: a meglior) (B.

38)

(W.

I,

£40)

(L.

144-5) 72

(G.!

T, so-1)

(G.?

I, 55-06).

DIALOGO

dubitando,

con

compagno

quando

suo

(perché

si veggono

a rodersi

dentro

ed

al tandem, quando

SECONDO

danno,

questi

senza

non

tuo

profitto,

hanno

rispetto

in questa foggia armati), aspettar,

stando

discosto,

d’esserti

a persona,

sarà forzato il fine.

Or,

pensi che ti sii lecito d’andar a trovar

il barbiero, e riposar il stanco e mal trattato busto, ecco che

trovarai quelli medesimi esser tanti birri e zaffi, i quali, se potran fengere che tu abbi tocco alcuno, potreste. aver la schena e gambe quanto si voglia rotte, come avessi gli talari di Mercurio, o fussi montato

sopra il cavallo

Pegaseo,

o premessi la schena al destrier di Perseo ‘, o cavalcassi l’ippogrifo d’Astolfo, o ti menasse il dromedario di Madian ?, o ti trottasse sotto una delle ciraffe degli tre Magi, a forza di bussate ti faran correre, aggiutandoti ad andar avanti con que’ fieri pugni, che meglio sarrebe per te fussero tanti calci di bue, d'asino o di mulo:

tanto

che

non

t’abbiano

non

ficcato

ti lasciaranno

dentro

una

mai, sin

priggione;

qua, me tibi comendo. Prudenzio. A fulgure et tempestate, ab ira et indignatione, malitia, tentatione et furia rusticorum Frulla. — libera nos, domine.

— 3

Teofilo. Oltre a questi s'aggionge

Non

parlo de quelli de la prima

luomini

de’ baroni,

1 Accenno

scherzoso ‘ai

calzari

IV, 065-6. Ma cfr. Spaccio, p. 710. ? Vedi

il Libro

dei

Giudicî,

VI,

l’ordine di servitori.

cotta,

e per ordinario

non

alati

di

5

(ma

e

i quali son genti-

portano

L’erseo:

OviDb.,

impresa

Melan.,

Isai.

LX,

6 (Amerio)).

51)

(G2=

I, 56-7).

3 Cfr. nel Brevario le Litanie della Quaresima: « Ab ira ct odio et omni mala voluntate, libera.... A Sulgure et tempestate libera nos, Domine ». (DB. 38-9)

(W.

I,

146-7)

(L.

145)

73

(GI,

LA

CENA

DE

LE

CENERI

o marca, se non o per troppa! ambizione de gli uni, o per soverchia adulazion de gli altri: tra questi se ritrova civilità. Prudenzio. Omnis regula exceplionem patitur. Teofilo. Ma, eccettuando però di tutte specie alcuni, che vi posson essere men capaci di tal censura *, parlo de

le altre specie di servitori; de’ quali altri sono de la seconda cotta; e questi tutti portano la marca affibbiata a dosso. Altri sono de la terza cotta, li padroni de’ quali non son

tanto grandi, che li convegna dar marca a’ servitori, o pur essi son stimati indegni ed incapaci di portarla. Altri sono

de la quarta marcati,

cotta,

e son

Prudenzio.

e questi

servi

de’

siegueno

gli marcati

e non

servi.

Servus

servorum

non

est

malus

titulus usquequaque 3. Teofilo. Quelli de la prima cotta son i poveri e bisognosi gentiluomini, li quali, per dissegno di robba o di favore,

se riducono sotto l'ali di maggiori; e questi per il più non son tolti da sua casa, e senza indignità seguitano i sui milordi,

son

stimati

e fauriti

da

quelli.

Quelli

de la seconda

cotta sono de’ mercantuzzi falliti o arteggiani, o quelli che senza profitto han studiato a leggere scrivere, o altra arte 4;

e questi son tolti o fuggiti da qualche scuola, fundaco o bottega. Quelli de la terza cotta son que’ poltroni, che, per fuggir maggior

fatica, han lasciato più libero mesticro;

e questi o son poltroni acquatici, tolti da’ battelli; o son poltroni terrestri, tolti dagli aratri. Gli ultimi, de la quarta 1 (B:

* (A

troppo)

cspunge

3 Servus

l’inciso eccelfuardo.... censura)

servorum

Dei

(Genesi,

IX,

titolo dei pontefici romani, da Gregorio 4 (A: a leggere 0 qualche altra arte)

(B. 39-40)

25),

Magno

come

tutti

in poi.

(W. I, 147) (L. 145-6) (G.1 T, sr-2) (G2I,

74

sanno,

57).

è

DIALOGO

SECONDO

cotta, sono una mescuglia di desperati, di disgraziati da’ lor padroni, de fuorusciti da tempeste, de pclegrini, de disutili ed inerti, di que’ che non han più comodità di rubbare, di que’ che frescamente son scampati di priggione, di quelli che han disegno d'ingannar qualcuno, che le viene a torre da là, E questi son tolti da le colonne de la Borsa!

e da la porta di San

Paolo.

De simili, se ne vuoi

Paolo;

in Venezia,

a Parigi, ne trovarai quanti ti * piace a la porta del Palazzo; in Napoli,

a le grade di San

al Campo di Flora3. De le tre ultime specie sono

in Roma,

quei,

a Rialto;

che,

per mostrar

quanto

siino

potenti

in casa sua,

e che sono persone di buon stomaco, son buoni soldati e hanno a dispreggio il mondo tutto: ad uno che non fa 1 The

durante

edificato

Gresham

il

Royal

1609

da

Exchange: Lord

quarantacinque e

detto

poi

naturalmente

Salisbury

anni

l'O/d

nello

avanti

Change,

non

quello

Strand,

(ncl

ma

1566)

ricco,

se

si

costruito

il più

da

vuol

antico,

Tommaso

credere

al

FLorio

nel cap. II de' Secondi Frutti, più di chiacchiere e menzogne

nostri,

corrono

Borsa

(FLorio,

che di oro. Comunque, certo non con buoni propositi, era anche bazzicato da certi pessimi soggetti che, come accade pure ai giorni

dove

per

o.

L

qualsiasi ragione s'incontra della gente.

La quale, secondo questo luogo della Cena, non mancava a S. Paolo, posto nel centro di Londra e con un molo da cui s'imbarcava chi, passando sotto il ponte omonimo, volesse recarsi alla

nali

presso

parigini

l'antica

vicinanza

cioè,

descritta

a S.

spicga

c.,

il

c.);

dal

al

BouchÒarp

e monumentale

Lorenzo,

FLorIo

in cui

(v.

Palazzo,

chiesa

(0.

magnifica

c., p.

di S. Paolo

si riunivano

Critica,

XXII,

p.

sede

62),

de’

e a Napoli,

Maggiore,

gli

61)

tribu-

per

la

Eletti; a Rialto, «un

dove a Venezia convengono i mercanti come in Londra

alto

luogo

alla Borsa »;

a Campo di Flora che, fin dal '400, cra stata trasformata da prato, che serviva da pascolo per il bestiame, in una delle più spaziose piazze

di

Roma,

circondata

da

superbi

palazzi

taverne, nella quale (scrive il Grecorovius,

Roma,

cdiz.

di

G.,

Romagna,

v.

«molta della vita cittadina ». * DB: vi. 3 (A espunge în Roma.... Flora)

IV,

pp.

e celebri

alberghi

Sf. di Roma nel medioevo,

251

e

206-8),

affluiva

(B. 40) (W. I, 147-8) (L. 145-6) (G.1 I, 52-3) (G= I, 57-8).

75

c

LA

CENA

DE

LE

CENERI

mina ! di volergli dar la piazza larga, gli donaranno con la spalla,

faran

come

con

un sprone

di galera,

voltar tutto ritondo,

forti, robusti e possenti,

una spinta,

facendogli

che

veder quanto

e ad un bisogno

buoni

lo

siino

per rom-

pere un’armata. E se costui, che se farà incontro sarà un forastiero, dònigli pur quanto si voglia di piazza, che vuole per ogni modo che sappia quanto

san far il Cesare,

balle, l’ Ettore ed un bue che urta ancora. mente

come

l'asino,

il

quale,

che

non o

ti muovi,

tu

a

cesso,

non o

quando

è

per il filo; d'onde,

si muoverà? anco lui, e converrà

esso

cossi questi che portan

fanno sola-

massimamente

carco, si contenta del suo diritto camino se tu

Non

l’Anni-

a

te doni

la scassa;

ma

fanno

l'acqua, che se tu non stai in cer-

vello 3, ti farran sentir la punta di quel naso di ferro che sta

a la

bocca

che

portan

de

la giarra 4. Cossi

birra ed

alas;

i quali,

fanno

facendo

ancora

il corso

color suo, sè

per sua inavertenza te si avventaranno sopra, te faran sentire l’émpito de la carca che portano $, e che non solamente

son

possenti

a

portar

su

le

spalli,

ma

ancora

a

buttar una casa innante e tirar, se fusse un carro, ancora.

Questi particolari per l'autorità, che tegnono in quel caso che portano la soma, son degni d'escusazione, perché

hanno ma

più

del

cavallo,

mulo

ed

asino

accuso tutti gli altri, li quali hanno

razionale, ! Cfr.

? (G!

3 Cir.

e sono,

mine.

Canda,

p.

moverà)

102,

n.

4 F. napol. per « giara ». 5 B: hala. — Ale (ingl.),

6 (4: portan sopra) 7 (A: (B.

un pochettino

2.

birra

forte.

che quest’ al[tri))

40-1)

(W.

del

più che gli predetti?, ad imaginee simili-

franc.

(= 2):

che de l'uomo;

T,

1489)

(L.

146-7)

76

(G.TT,

53)

(GI,

58-09).

DIALOGO

tudine de l'uomo:

ed in luoco

o buona sera, dopo

conoscessero

SECONDO

di donarte

il buon

averti fatto un grazioso

e ti volessero

salutare,

giorno

volto, come

ti verranno

ti

a donar

una scossa bestiale 1. Accuso, dico, quell’altri, i quali talvolta fingendo di fuggire, o voler perseguitare alcuno, o correre a qualche negocio necessario, se spiccano da dentro una bottega;

e con quella furia ti verranno

da dietro o da

costa a donar quella spinta che può donar un toro quando è stizzato, come

pochi mesi fa accadde ad un povero messer

Alessandro Citolino =; al quale, in cotal modo, piacer di tutta la piazza,

al che

volendo

poi

con riso e

fu rotto e fracassato un braccio,3

provedere

il magistrato,

non

trovò

manco che tal cosa avesse possuto accadere in quella piazza.

Sf che, quando ti piace uscir di casa, guarda prima di farlo senza

urgente

occasione,

che

non

pensassi

come

di voler

andar per la città a spasso. Poi sègnati col segno de la santa

1 Cfr. GIOVENALE, Sa. III, 243-8. > (A: un povero [ge]utiluo[m]o italifa]no,) Alessandro Citolini, di Serravalle delle Alpi (ora Città Vittorio), che, abbracciata la Riforma, s'era rifugiato nel 1565 in Isvizzera (GALIFFE, Le re-

fuge italien

de Genève,

B. forse per la sua

(1551),

opere

p.

172),

poi a Londra,

Tifocosmia

mnemoniche

(Venezia,

del genere

1561)

in che

dove

mori;

noto

al

o per i suoi Luoghi

molto

si compiacque

il nostro filosofo. Pubblicò anche una Lett. in difesa della lingua volgare (Vinegia, Marcolini, 1540) e si fece editore del Diasnerone di VaLerIO MARCELLINO, ove si mostra, la morte non esser quel male,

RoGER

che

il senso

ASCHAM

l’el conto

in

cui

si persuade

(1515-68)

fu

(Venetia,

nelle

tenuto

da’

sue

Giolito,

Epistolae

1564).

(EINSTEIN,

contemporanei

Vita, p. 367, n. 2. Su' suoi scritti v. le Ammotazioni

Bib. dell'elog.

ital.

di

G.

FonTANINI,

Venezia,

Di

v.

lui

p.

parla

212).

SPAMPANATO,

di A. Zeno

1753,

I,

38,

alla

158;

I, 33$); Bonai, Aunali di G. Giolito, Roma, 1895, s. a. 1564. Sulla sua vita Jac. BERNARDI, A. Cit. di Serravalle delle Alpi, cenni biografici, Torino, tip. Torinese, 1867 (e ora L. FESSIA, .1. Cit., esule italiano in Inghilterra, Milano, 1939-40).) 3 (A: votta, et fracassata (un]a gamba.)

(DB. 41-2)

(W.

I, 148) (L.

147)

77

(G.!

I, 53-4)

(GI,

59-60).

LA

croce,

àrmati

CENA

di una

DE

LE

corazza

CENERI

di pazienza,

che

possa

stare

a prova d’archibugio, e disponeti sempre a comportar il manco male liberamente, se non vuoi comportar il peggio

per forza !. Ma di che devi lamentarti, ahi lasso? Ti par

123).

1 Gli

stessi consigli

il FLorio

nel

Secondi

fruttì

(Critica,

XXI,

(Al brano che segue (fino alla riga 12 di p. 81) A sostituisce

questo

passo

Portati

solo, né con

più

ampio:

prudentemente; doi

et pensa

o cinquanta;

ma

che non

hai

a far mai

con tutta la republica,

con

un

et la patria

plebesca, per la quale 0 a dritto 0 a torto ogn'uno è ubligato di ponere sin

a la vita.

Però

fratello quando

ti sentirai

toccare

ponî mano al tuo cappello, saluta il tuo antagonista, quello abbia fatto come si suol fare tra compagni, et se la ti parrà troppo dura: dimandagli perdono a fin a farti peggio: con provocarti, filn)gendo che tu l' hai voluto spengere. Or ecco quel tempo, quell'occasione, ne

che mai

le potrai conoscere.

Dice il Nolano

in questo

modo;

et fa conto che amici. O pure che non ritorni spento, 0 l' hai la quale meglio

che in diece

mesi ch' ha

soggiornato in Inghilterra: non ha profittato quanto questa una sera in far penitenze, et guadagnar perdoni. Questa sera gli fu bene accomodata ad esser principio, mezzo, et fine de la quarantana. Questa sera (disse) voglio che vaglia per la penitenza ch'arrei fatta diggiunando quaranta giorni benedetti, et quaranta notte ancora. Questa sera son

stato

tazioni

ho

nel deserto;

guadagnato

dove

non

per

una,

quarantamilia

o tre,

anni

ma

per

quaranta

d'indulgenzia

teu-

plenaria.

Tru. Per modum suffragii. Tro. Tanto che per buona fede, credo averne non solo per è peccati ch' ho fatti: ma anco per inolti altri che oltre potrei fare. PRU. Supererogatorie. FRU. Vorrei sapere se egli

mumerò questi vintuzzi, ct urli salvatichini che dici esserno stali quavanta?

Mi

saputo,

che ne dovea

marranchini

tarle:

ma

fate

venir

ne ferno

lui

sempre

a

memoria

contare

mastro

non

portar tanti; forse

stimava

Mamfurio,

so quante.

che

sarebbe

ogn'uno

Tro.

al

quale

Se costui

stato curioso

dovesse

essere

certi

avesse

in con-

l'ultimo;

ma era ben ultimo a vispelto de quelli ch'erano passati. In questo che lui dice esserno stati gli urti, quaranta; forse fa conv'un devoto pec-

catore;

îl quale

cioè quante

dovendo

volte: et non

rispondere

al padre

se ricordando

a punto

confessore

del quoties,

il numero:

se teneva

a l'alto più tosto che al basso; dubitando che per dir meno più presto

che

d'avantaggio;

qualche

peccato

ne

rimanesse

di fuori,

in

loco che

più tosto alcuno vi arebbe rimaner dentro la mano del prete che l’assolve. Et lascio che nel ricevere di questo spinte, usti, et ferute, non si prende

quel piacere, che l'uomo può avere in racontarle: perché in corpo non si senteno senza dolore 0 cordoglio: et da la bocca escono con quella

{B. 42) (W. I, 149) (L. 147) (G.! I, 54) (G2 I, 60). 78

DIALOGO

ignobiltà

l'essere

un

SECONDO

animale

urtativo? Non

ti ricordi,

Nolano, di quel ch’ è scritto nel tuo libro intitolato L’arca di Noè? 1, Ivi, mentre si dovean disponere questi animali

medessima facilità le due, che le dodici, che le quaranta, che le cento, che le mille, Ma siino quante si vogliano; io mon ho possute contar le sue ma ben le mie. Egli sì teneva a dietro come soglion far quei ch'al mal passo onorano il compagno, ma lui s'ingannava: per che le battarie non meno occorrevano dalle spalli per quei che ne seguivano, che

da la fronte

per quei che ne venevano

a I incontro.

Nondimeno

lui

per manco male faceva com'un priore che seguita il suo convento, o pur come si fa în forma quando si va a combattere (ove al presente si imaginava d'essere col sentirse adosso tantì rincontri di lance spezcate) facendosi riparo di noi altri se teneva a dietro come buon [capitano che per salute del) suo esercito, la quale con la sua morte perirebbe, se tiene a dietro in conserva al sicuro et al largo, onde poi ad un bisogno possa

ver

correre

essere

caminando

lui

a

comandar

medesimo

ad

altre

genti

l'ambasciator

în questo ordine, non

che

della

vengano

desgrazia.

al

soccorso,

Lui

dunque

0

possea esser veduto da noi, i quali

medesmamente essendo oceupati in casi nostri non aveamo aggio di rivoltarci a dietro, et far que’ gesti per manco dissimular più criminali. Pru. Optime consultum. Teo. Pure particolarmente quando fummo ala piramide vicina al Palazzo, in mezzo di tre strade. — Pru, In trivio.

Tro —

quivi ne se ferno incontro sei galantomini

che

aveano

avanti

in putto con una lanterna, et de questi uno dà una scossa a ne che mi

fe voltar a veder un altro che ne die' un'altra doppia al Nolano, la quale

fu si gentile, et gorda; che sola possea passar per diece, et gli ne fe' donav un'alira al muro, che possea quella anco passar per altre diece.

Pru.

In silentio,

alapam;

tribue

ct spe,

erit fortitudo

illi ct alteram.

Treo.

vestra.

Questa

Si quis dederit

fu l'ultima

tibi

borasca....)

! Opera smarrita del Bruno, il quale Ia menziona anche nella dedica della Cabala del Cavallo pegaseo, dicendo averla dedicata al papa Pio V (che pontificò dal 1566 al ’72); e fors'anche vi allude nel De wnbris (Opera, I, p. 60). Non c'è ragione per sospettare col Berti, che non sia stata condotta a termine e pubblicata (Vita?, p. 51). Il McINTYRE (p. 11) nota che il titolo è quello d'uno scritto mistico

di

Ugo

di

S.

Vittore;

ma,

secondo

l'accenno

della

Cena,

doveva essere un'opera allegorica e probabilmente satirica, simile alla Cabala. Lo SPAMPANATO, Vila, p. 155, congettura che « fosse

uno scritto d'occasione per rispetto agli avvenimenti svoltisi dal 1570 in poi, tra cui principalissimo, la lega contro i turchi.... Per avere

un pontefice,

lega,

la

sede

come

già nel

apostolica

1537,

‘ presa

abbracciava

la

sopra

di sé la somma della

causa

comune

(D. 42) (W. I, 149) (L. 147) (G.! I, 54) (GI, 60). 79

alla

cri-

LA

CENA

DE

LE

CENERI

per ordine, e doveasi terminar la lite nata per le precedenze, in quanto pericolo è stato l'asino di perdere la preeminenza, che consistea nel seder in poppa de l’arca, per essere un animal più tosto di calci che di urti? Per quali

animali si rapresenta la nobiltà del geno umano nell'orrido giorno del giudizio, eccetto che per gli agnelli e gli capretti ? Or questi son que’ virili, intrepidi ed animosi, de’ quali gli uni da gli altri non

ma,

saran

qual più venerandi,

divisi, come

oves ab haedis +;

feroci ed urtativi,

saran

distinti,

come gli padri de gli agnelli da’ padri di capretti. Di questi «però non

i primi hanno

nella corte gli secondi;

celestiale hanno e se non

quel

il credete,

favore,

che

alzate un

poco

gli occhi, e guardate chi è stato posto per capo de la vanguardia di segni celesti: chi è quello, che con la sua cornipotente scossa ne apre l'anno?

Prudenzio. Aries primo; post ipsum, Taurus. Tcofilo. Appresso a questo gran capitano c primicro prencipe de le mandre, chi è stato degno d’essergli prossimo e secondo,

eccetto

ch’il

granduca

de

gli

armenti,

a

cui

s'aggiongono, come per doi paggi o doi Ganimedi, que’ bei gemegli garzoni? Considerate dunque, quale e sia cotal razza di persone, che tengono il primato

che dentro Frulla.

un’arca

Certo,

infracidita.

non

saprei

trovar

differenza

quanta altrove

alcuna

tra

costoro e quel geno d'animali, eccetto che quelli urtano di testa

ed

stianità’;

essi urtano

e

CAMPANELLA mentre

ben

poteva

di spalla

venir

si rappresentò....

inonda’

....

(Poesie,

ed.

ancora.

Ma,

rappresentata

lasciate

come

Venezia,... ‘ Nuova Gentile,

p.

90) ».

queste

appresso

dal

arca di Noè, che

t MatTH., XXV, 32: « Et congregabuntur ante cam omnes gentes, et separabit cos.... sicut pastor segregat oves ab laedis ». (B.

42-3)

(W.

I,

1409)

(L.

147-8)

Ro

(G.1

I, 54-5)

(G.3

I, Go-1).

DIALOGO

SECONDO

digressioni, e tornate al proposito di quel ch’avvenne questo residuo del viaggio, in questa sera. Teofilo.

Or

dopo

in circa di queste

ch’'il

Nolano

spuntonate,

ebbe

riscosse

da

particolarmente

mide vicina al palazzo in mezzo

in

vinti

alla pira-

di tre strade, ne si ferno

incontro sei galantuomini, de’ quali uno gli ne dié una si gentile e gorda”, che sola possea passar per diece; e gli ne fé donar

un'altra

al muro,

altre dice. Il Nolano

disse:

che

possea

Tanchi,

certo

macster =.

valer per

Credo che lo

ringraziasse perché li diè di spalla, e non di quella punta ch'è

posta

per

centro

del brocchiero

o per

cimiero

de la

testa. Questa3 fu l’ultima borasca; perché poco oltre, per la grazia di San Fortunnio, dopo aver discorsi sf mal triti sentieri, passati si dubbiosi divertigli, varcati sf rapidi

fiumi, tralasciati si arenosi lidi, superati sf limosi spaccati

sl

turbidi

pantani,

vestigate

fanghi,

si pietrose lave 4,

trascorse sf lubriche strade, intoppato in sf ruvidi sassi, urtato in si perigliosi scogli, gionsemo ‘per grazia del cielo vivi al porto, idest alla porta;

fu apperta. Entrammo, versi

personaggi,

la quale,

trovammo

diversi

subito

toccata,

ne

a basso de molti e di-

e molti

servitorii quali,

senza

cessar, senza chinar la testa e senza segno alcun di riverenza,

mostrandone

questo

favore

montamo

de

spreggiar

co'

monstrarne

su, trovamo

la porta.

molto

1 Gordo (spagn.): grasso, grande. ? Cioè: Thank ye, Master = vi ringrazio,

signore.

4 (A

5 (Cfr.

(B.

inserisce:

43-4)

Ariosto, (W.

T,

Questa

/ustrati

st

Or/ando

1409-50)

dopo

Andiamo

averci

nuncia quasi ji. 3 BWLG!: Teo.

che,

la sua gesta i, ne ferno

fu

(andando

salvalichi

Furioso, (L.

148)

81

dentro,

aspettato,

Ve

si

pro-

a capo).

incontri.)

XLVI,

(G.I

104.)

T, 55-6)

(G.3

I, Gr-2).

LA

CENA

DE

LE

CENERI

desperatamente s'erano posti a tavola a sedere. Dopo fatti i saluti e i resaluti



Prudenzio. Vicissim +. Teofilo. — ed alcuni altri piccoli ceremoni (tra’ quali vi fu questo da ridere, che ad un de’ nostri essendo presentato per

l’ultimo loco 2, elui

umiltà

voleva

andar

pensando a seder

che

dove

là fusse

sedeva

il capo,

il primo;

e

qua si fu un picciol pezzo di tempo in contrasto tra quelli che per cortesia lo voleano far sedere ultimo, e colui che per umiltà volea seder il primo); in conclusione, messer Florio seddé 3 a viso a viso 4 d'un cavalliero, che sedeva al capo de la tavola; il signor Folco a destra de messer Florio;

io e il Nolano a sinistra de messer Florio; il dottor Torquato a sinistra del Nolano;

il dottor

Nundinio

Nolano$ .Qua, per grazia di Dio, non

a viso a viso del

viddi il ceremonio

di

quell’urciuolo o becchieri, che suole passar per la tavola a mano

a mano,

da alto a basso, da sinistra a destra, ed altri

lati, senza altro ordine che di conoscenza e cortesia da montagne;

il quale,

dopo

che quel,

che

mena

il ballo,

se l'ha

tolto di bocca, e lasciatovi quella impannatura di pinguedine, che può ben servir per colla, appresso beve questo

e vi lascia una mica di pane, I (A: [S]alulazioni) 2 (A inserisce: [ne] 3 (G! = D: sedde)

in

la coda

[dJella tavola,)

4 Nel significato del franc. vis d vis; c non in quello che avrebbe

ital:

5 (A

«in

SMI.

presenza».

(A:

su

cenar

sopprime

ste battute: Or

il brano

lasciamo

sin a domani. I°rU. Son quanti han fatti) de passi. l°ru.

beve quell'altro e v’affigge

A

Dio.

Iru.

a

viso)

che segue costoro,

e il dialogo termina con quelasciamole

a

favola

ripossar

certo che non prenderanno [fanti bocconi SMI. Suppliranno le parole. A rivederci.

Valete.)

(3. 44) (W. I, 150) (L. 148) (G.! I, 56) (G.* I, 62). 82

DIALOGO

SECONDO

all'orlo un frisetto di carne, beve costui e vi scrolla un pelo de la barba; e cossf, con bel disordine, gustandosi da tutti la bevanda,

nessuno

è tanto

malcreato,

che

non

vi lasse

qualche cortesia de le reliquie, che tiene circa il mustaccio :. Or, se a qualcuno, o perché non abbia stomaco, o perché faccia del grande, non piacesse di bere, basta che solamente

se l’accoste tanto

a la bocca,

che v’ imprima un

poco di vestigio

de le sue labbra ancora,

fine, che

tutti son

lupo

sicome

col mangiar

pretto,

di

d'un

montone

convenuti

medesmo

o

di

un

Questo si fa a

a farsi un

corpo

Grunnio

carnivoro

d'agnello,

di ca-

Corocotta?;

cossi,

applicando tutti la bocca ad un medesimo bocale, venghino a farsi una sanguisuga medesima, in segno d’una urbanità, una fratellanza,

un morbo,

un cuore, un stomaco,

una gola

1 In una facezia del Domenicni (Fac., cd. lano, 1593, lib. I, p. 54) si racconta d'un inglese, che, «cssendo a un convito, fu portato un gran tazzone di vino, col quale avevano a bere di mano in mano quelli, che erano a tavola. E mentre che se lo voleva mettere alla bocca, vi vide dentro una mosca morta, la quale egli

trasse

cagione

fuora,

disse:

di



poi

Io

bevuto ber

me

la rimise non

amo

dentro.

E domandato

le mosche;

ma

che

della

so

io,

se ciè alcuno di voi a cui elle piacciono | ». La brutta usanza inglese

è ricordata anche nell'Elogio della pazzia di Erasmo (ed. cit., p. 67); il quale nei Colloguia (Lugd. Batav., 1720), p. 666 e 577: « In Anglia porrigere

poculum

tuum

intervenienti

in

convivio,

civilitatis

in Gallia contumeliae est.... Feratur lex, nc quis cum habcat commune: istam vix recipiat Anglia». * Ossia

un porcello.

1l Bruno

scherzosamente

est;

alio poculum

si serve

del nome

del porcellino, di cui nel Cinquecento fu tante volte ristampato testamento

Tommaso mava

giocoso,

Moro,

premessa

giù la delizia

(testamentuni

rum

agmina

Grunnii

Lipsia,

(B. 44-5)

dei

ragazzi

Corocotlae

(W.

ristampato Hirzel,

da

(L.



Qi,

Bruno,

Dialoghi

da

Erasmo

della Pazzia; al tempo

porcelli

decantant

MaurIZIO

HAuPT

Comm.

1876,

I, 150-1)

di scuola

pp.

149)

83 Io

anche

al suo Elogio

cachinnantium;

È criticamente

Opuscula,

che è ricordato

italiani

in

Isaiani,

178-183.

(GI,

50-7)

in

lib.

nel

nella lettera

ma

un

a

che for-

di S. Girolamo scholis

XII,

vol.

puero-

praef.).

II

degli

(G.2 I, 62-3).

LA

CENA

DE

LE

CENERI

e una bocca. E ciò si pone in effetto con certe gentilezze e bagattelle, che è la pit bella comedia del mondo a vederlo, e la più crudae fastidiosa tragedia a trovarvisi un galantuomo in mezzo,

quando

altri, temendo

stima

esser ubligato

a far, come

fan gli

esser tenuto incivile e discortese; perché qua

consiste tutto il termine della civilità e cortesia. Ma, perché questa

osservanza

è rimasta

nelle

più

basse

tavole,

e in

queste altre non si trova oltre, se non con certa raggione più veniale,

per tanto,

senza guardare

ad altro,

lasciamoli

cenare; e domani parlaremo di quel ch'occorse dopo Sinitho.

A

rivederci.

Frulla. A Dio. Prudenzio.

Valete.

Fine (DB. 45)

(\V.

dcl I,

151)

secondo (L.

149)

(G!

dialogo. I, 57)

(GI,

63).

cena.

DIALOGO

TERZO

Teofilo. Or il dottor Nundinio, dopo essersi posto in punto de la persona, rimenato ! un poco la schena ?, poste le due

mani

su la tavola,

accomodatosi occhi

al

alquanto

cielo,

riguardatosi

un

poco

la lingua in bocca,

spiccato

dai

denti?

un

circum

circa,

rassercnati gli

delicato

risetto

e

sputato una volta, comincia in questo modo: Prudenzio. In haec verba, în hosce prorupit sensus.

Prima proposta di Nundinio. Teofilo. — Intelligis, domine, quac diximus? — E gli dimanda, s' intendea la lingua inglesa. Il Nolano rispose che

no 4, e disse il vero.

Frulla, Meglio per lui, perché intenderebbe più cose dispiacevoli e indegne, che contrarie a queste. Molto giova esser sordo

per elezione. 1 (A:

® (A:

per

necessità,

Ma

dove

facilmente

la persona

mi persuaderei

sarebbe

sorda5

che lui la in-

[s]}crollato)

il dorso)

3 (A: da la bocca) 4 (B: non) 3 B: non sarebbe sordo.

(B. 46-7) (W. I, 151) (L. 149-50) (G.1 I, [58]) (G.2 I, [64]).

85

LA

tenda; geno posser fanno

CENA

DE

LE

CENERI

ma per non togliere tutte l’occasioni, che se gli porper la moltitudine de gli incivili rancontri, e per meglio filosofare circa i costumi di quei che gli se innanzi, finga di non intendere.

Prudenzio.

Surdorum

alii rationali voluntate. Teofilo. Questo non

alit natura,

aliî physico

v’imaginate

de

accidente,

lui; perché, ben-

ché sii appresso un anno, che ha pratticato in questo paese 1,

non

intende

più

che

due

o tre ordinariissime

quali sa che sono salutazioni,

ma

paroli;

le

non già particolarmente

quel che voglian dire: e di quelle, se lui ne volesse proferire una,

non

potrebbe.

Smitho. Che vol dire, ch' ha sf poco pensiero d’ intendere nostra lingua? Teofilo. Non è cosa che lo costringa o che l’ inclini a questo;

perché

coloro,

che

son

onorati

e

gentiluomini,

co’ li quali lui suol conversare, tutti san parlare o latino o francese o spagnolo o italiano ?; i quali, sapendo che la lingua inglesa non viene in uso se non dentro quest' isola, se stimarebbono salvatici, non sapendo altra lingua che la propria naturale. Smnitho. Questo è vero per tutto, ch'è cosa indegna non solo ad un ben nato inglese, ma ancora di qualsivoglia altra generazione, non saper parlare più che una 3 lingua. KI.

1 JI D. era venuto in Inghilterra nella primavera Schrift.2,

dice il BERTI,

I, 303);

Vifa?,

non

p.

a verso

158;

gli ultimi

forse in aprile

mesi

1583

(SIGWART,

dell'anno », come

(McINTYRE,

p. 21);

certo prima del 10 giugno (cÎr. p. 133-34): Sramr., Vifa, p. 329. % Intorno alla diffusione della conoscenza dell'italiano in Inghilterra nel sec. XVI vedi oltre le molte notizie raccolte dall' EtnSTEIN, 0. €., Pp. 97-107 € fass., quelle veramente importanti lascia-

teci dal lLorro 3 B:

d'una.

(Critica,

XXI,

113-115,

118 e puass.).

(B. 47) (\V. I, 151-2) (I. 150) (G.! I, [58]-9) (G.3 I, [64]-5).

86

DIALOGO

TERZO

Pure in Inghilterra, come son certo che anco in Italia e Francia, son molti gentilomini di questa condizione, coi quali

chi non

ha la lingua del paese, non

senza

quella angoscia

fotto interpretare. Teofilo. È vero

gentilomini nostro

che sente

che

un che si fa, ed a cui è

ancora

son

d'altro che di razza,

espediente,

è

bene

può conversare

che

molti,

che

non

son

i quali per più loro, e

non

siano intesi,



visti

ancora. Da la seconda proposta di Nunudinio. Smitho. Che soggionse il dottor Nundinio? Teofilo. — Io dunque, disse in latino, voglio interpretarvi quello che noi dicevamo: che è da credere, il Copernico non esser stato d'opinione, che la terra si movesse,

perché

questa

è una

cosa

inconveniente

ed

impossibile;

ma che lui abbia attribuito il moto a quella, più tosto che al ciclo ottavo, Nolano

disse,

per la comodità che,

se

disse la terra moversi,

dc le supputazioni 1. —

Copernico

per

questa

causa

sola

e non ancora per quell’altra, lui ne

intese poco

e non

intese come

la disse, e con tutto suo sforzo la provò.

Sutttho.

Il

assai. Ma

è certo, che il Copernico

la

Che vuol dir, che costoro sl vanamente buttorno

quella sentenza

su l'opinione

di Copernico,

se non la pos-

sono raccogliere da qualche sua proposizione? Teofilo. Sappi che questo dire nacque dal dottor Torquato; il quale di tutto il Copernico (benché posso credere

De

I Latinismo:

yev.

(B.

orb.,

47-8)

III,

(W.

calcoli 12.

I,

152)

Termine (L.

adoperato

150-1)

87

(G.!

anche

I, 59-60)

in CoPERNICO, (G.?

I, 65-60).

LA

che

l’avesse

l'autore,

CENA

tutto

del

DE

voltato)

libro,

del

LE

ne

CENERI

avea

stampatore,

retenuto

il nome

del

ove

loco

fu

de im-

presso, de l'anno, il numero de’ quinterni e de le carte; e per non essere ignorante in gramatica, avea intesa certa Epistola superliminare attaccata non so da chi asino ignorante e presuntuoso 1; il quale (come volesse iscusando faurir l’autore, o pur a fine che anco in questo libro gli altri asini, trovando

ancora le sue lattuche e frutticelli, avessero

occasione di non partirsene a fatto deggiuni), in questo modo le avvertisce, avanti che cominciano a leggere il libro e considerar le sue sentenze. «Non

dubito,

che

alcuni

eruditi »,

(ben

disse

alcuni,

de’ quali lui può esser uno), « essendo già divolgata la fama de le nove supposizioni di questa opera, che vuole la terra esser mobile ed il sole starsi saldo e fisso in mezzo de l'universo, non si sentano fortemente offesi, stimando che questo

sia un principio per ponere in confusione l'arte liberali già tanto bene e in tanto tempo poste in ordine. Ma, se costoro

vogliono meglio considerar la cosa, trovaranno, che questo autore non è degno di riprensione; perché è proprio agli astronomi raccòrre diligente e artificiosamente l' istoria di moti celesti; non

possendo

poi per raggione

alcune

trovar

le vere cause di quelli, gli è lecito di fengersene e formarsene a sua posta per principii di geometria, mediante i quali

tanto per il passato, quanto per avenire si possano calculare; onde non solamente non è necessario, che le supposi1 ANDREA OSIANDER, autore dell'anonima avvertenza .1d lectorem, De hypothesibus huius operis, promessa al De revolutionibus orbium coelestiu (p. e. nell'ediz. di Basilca, off. Ienricpetrina,

MDLXVI).

da

cotesta

Il passo

riferito

avvertenza.

(B. 48-09)

(W.

I, 152-3)

dal

BD. è quasi

(Li 151)

88

(G.t

letteralmente

I, Go-1)

tradotto

G.t I, (6-7).

DIALOGO

zioni

siino

vere,

ma



anco

TERZO

verisimili,

Tali

denno

esser

stimate l'ipotesi di questo uomo, eccetto se fusse qualcuno tanto ignorante de l'optica e geometria, che creda, che la distanza di quaranta gradi e pi, la quale acquista Venere discostandosi dal sole or da l'una or da l’altra parte, sii caggionata

dal

movimento

suo

ne l'epiciclo.

Il che se

fusse vero, chi è si cieco, che non veda quel che ne seguirebbe contra ogni esperienza: che il siametro de la stella apparirebbe quattro volte, ed il corpo de la stella più di sedici volte più grande quando è vicinissima, ne l’opposito de l’auge, che quando è lontanissima, dove se dice essere in auge? !. Vi sono ancora de altre supposizioni non meno inconvenienti che questa, quali non è necessario riferire 3, — E conclude al fine: « Lasciamoci dunque prendere il tesoro di queste supposizioni =, solamente per la facilità mirabile ed artificiosa del computo; perché, se alcuno queste cose fente prenderà per vere, uscirrà più stolto da questa

disciplina, che non v'è entrato ». Or vedete, che bel portinaio! Considerate quanto bene v'apra la porta per farvi entrar alla participazion di quella

onoratissima cognizione, senza la quale il saper computare c misurare e geometrare e perspettivare non è altro che un passatempo da pazzi ingeniosi. Considerate come fidelmente

serve al padron di casa. 1 «Quis cnim non videt, hoc posito, necessario sequi, diametrum stellae in mepryelo plusquam quadruplo, corpus autem ipsum plusquam sedecuplo, maiora quam in &royelw apparere, cui tamen omnis aevi experientia refragatur ?»: Ad lectorem. La traduzione del B. dice tutto il contrario. — Auge (dall'arabo: v. LAGARDE, P. 775) vale perigeo (ma apogeo: cîr. Giorn. crit. d. fil. it., 1950,

PP. 550-2.)

? aSinamus

verisimiliores (B.

49-50)

igitur et has

novas

innotescere ». (W.

IL

153)

(L.

hypotheses

151-2)

80

(GI,

inter veteres 61-2)

(G2

nihilo

1, 67).

LA

AI

terra

Copernico

non

si

ma

move;

scrivendo

son

CENA

al

molto

ha

LE

dire

solamente,

protesta

e dicendo

da

CENERI

bastato

ancora

Papa!,

lontane

DE

quelle

che

del

e le

che

conferma opinioni

volgo,

quello

di

indegne

la

filosofi

d’essere

seguitate, degnissime d'esser fugite, come contrarie al vero e dirittura. Ed altri molti espressi indizii porge de la sua sentenza;

non

ostante ch’alfine

par,

ch’ in certo modo

vuole a comun giudizio tanto di quelli che intendeno questa filosofia, quanto degli altri, che son puri matematici, che, se per gli apparenti inconvenienti non piacesse tal supposizione, conviene ch’'anco a lui sii concessa libertà di ponere

il moto

de la terra,

per

far demostrazioni

più

ferme

di quelle, ch' han fatte gli antichi, i quali furno liberi nel fengere

tante

sorte e modelli

di circoli,

per dimostrar

gli

fenomeni de gli astri. Da le quale paroli non si può raccèrre, che lui dubiti di quello che sf constantemente ha confessato, e provarà nel primo libro, sufficientemente respon-

dendo ad alcuni argomenti di quei che stimano il contrario;

dove non solo fa ufficio di matematico che suppone, anco de fisico che dimostra il moto de la terra.

ma

Ma certamente al Nolano poco sc aggionge, che il Copernico, Ponto,

Niceta

Siracusano

Ecfanto

Pitagorico,

Pitagorico 3,

Filolao,

Platone

nel

Eraclide

Timeo,

di

benché

1 Nella lett. di dedica a Paolo III il CorernIco dice: « Et quamvis sciam, hominis philosophi cogitationes esse remotas a iudicio vulgi, propterca quod illius studium sit veritatem omnibus in rebus, qua-

tenus id a Deo rationi humanae permissum est, inquirere, alienas prorsus a rectitudine opiniones fugiendas censco ». cap.

è Autori

V.

l’ Hicetas

fu

maestro

in dubbio (B.

già citati

ll Niceta

Syracusius

di

dallo stesso

pitagorico di

Ecfanto,

E

Copernico,

(cost

CiceroNE,

denominato

gli

antichi

Acad.

(Droc.

se attribuire a lui o a Filolao

50-1)

(W.

I,

153-4)

(L.

152) 90

Pr.

De

revol.

già da

L.,

IT,

39,

VIII,

tamen

orb.,

lib.

123.

Forse

Copernico) 85)

I,

è

furono

(sec. V a. C.) l'avere per

(G.!

I, 62)

(G.2

I, 68).

timida-

DIALOGO

TERZO

ed inconstantemente,

perché

l’avea

più per

fede

che per scienza !, ed il divino Cusano nel secondo suo libro

De la dotta ignoranza *, ed altri in ogni modo rari soggetti l’abbino detto, insegnato e confirmato prima: perché lui lo tiene per altri proprii e più saldi principii, per i quali, non per autoritate ma

per vivo senso e raggione,

ha cossî

certo questo come ogni altra cosa che possa aver per certa. Smitlo.

quello, che perché gli (se pur non varietà di Teofilo.

Questo

è bene.

Ma,

di grazia, che argumento

è

apporta questo superliminario del Copernico, pare ch'abbia più che qualche verisimilitudine è vero), che la stella di Venere debba aver tanta grandezza, quanta n' ha di distanza? Questo pazzo, il quale teme ed ha zelo che

alcuni impazzano

con

la dottrina del Copernico,

non

so se

ad un bisogno avrebe possuto portar più inconvenienti di quello,

che per aver apportato

sufficiente

a 3 dimostrar,

che

con

tanta solennità,

pensar

quello sii cosa

stima da

un

troppo ignorante d’optica e geometria. Vorrei sapere de quale optica e geometria intende questa bestia, che mostra pur troppo quanto sii ignorante de la vera optica e geometria lui c quelli da’ quali ave imparato. Vorrei sapere

primo sostenuta la dottrina del movimento della terra intorno al fuoco centrale. Eraclide da Eraclea sul Ponto fu scolaro di Platone.

Sulle dottrine di costoro v. SCHIAPARELLI, I precursori di Copernico well’antichità, Milano, 1873 (nelle Men. del RR. Ist. Lomb, di sc.

matem. e naturali, vol. X1I); Origine del sistema planetario eliocentrico presso i Greci, Milano 1898 (Memorie cit., col. XVII); c art. cit. Come i Greci arrivarono al primo concetto del sistema planetario

eliocentrico detto oggi copernicano.

I Vedi il Timeo, p. 40 B-C: luogo molto oscuro, che ha dato appiglio a molte discussioni. Cfr. SCHIAPARELLI, Precursori, pp. 14 e SS.

2 Capp.

3 B: (B.

ad.

51-2)

XI

(W.

e XII. I,

154)

(L.

152-3) 9I

(G.!

T, 62-3)

(G.2

I, 65-9).

LA

CENA

DE

LE

CENERI

come da la grandezza de’ corpi luminosi si può inferit la raggione de la propinquità e lontananza di quelli; e per ìl contrario, come da la distanza e propinquità di corpi simili si può inferire qualche proporzionale varietà di grandezza. Vorrei sapere con qual principio di prospettiva o di optica noi da ogni varietà di diametro possiamo definitamente conchiudere la giusta distanza o la maggior e minor differenza.

Desiderarei

intendere

si

noi

facciamo

errore,

che

poniamo questa conclusione: da l'apparenza de la quantità del corpo luminoso non possiamo inferire la verità de la sua grandezza né di sua distanza; perché, sf come non è medesma raggione del corpo opaco e corpo luminoso, cossf

non è medesma raggione d'un corpo men luminoso ed altro più luminoso e altro luminosissimo, acciò possiamo giudicare la grandezza o ver la distanza loro. La mole d'una testa d'uomo a due miglia non si vede; quella molto pii piccola

de

una

lucerna,

o altra

cosa

simile

di

fiamma,

si

vedrà senza molta differenza (sc pur con differenza) discosta

sessanta miglia; come da Otranto di Puglia sì veggono al spesso le candele’ d'Avellona!, tra’ quai pacsi tramezza gran tratto del mare Jonio. Ognuno, che ha senso e raggione, sa che, se le lucerne fussero di lume più perspicuo a doppia proporzione, come ora son viste ne la distanza di settanta

miglia,

senza

variar grandezza,

si vedrebbono

ne

la distanza di cento quaranta miglia; a = tripla di ducento

1 Avlona,

dirimpetto

* B:

ad.

(B3. 52)

alla

cittadina

(W.

Puglia. LL

c porto

154-5)

(L.

sulla costa

153) 92

(G.I

adriatica

I, 63-4)

(G.?

dell'Albania,

I, 69-70).

DIALOGO

e diece;

a!

TERZO

quatrupla? di ducento

ottanta,

medesmamente

sempre giudicando ne l'altre addizioni di proporzioni e gradi; perché più presto da la qualità e intensa virti de la luce, che da la quantità

del corpo

acceso,

suole

mante-

nersi la raggione del medesmo diametro e mole del corpo. Volete dunque, o saggi optici ed accorti perspettivi che,

se io veggo un lume distante cento stadii, aver quattro dita di diametro, sarà raggione che, distante cinquanta stadii,

debbia

averne

otto;

a la

distanza

di

vinticinque,

sedeci; di dodici e mezzo, trentadue; e coss! va discorrendo,

sin tanto che, vicinissimo, venghi ad essere di quella grandezza che pensate? Smitho.

falsa,

non

Tanto

però

geometrice,

sole essere

che

potrà

la

secondo

il vostro

dire,

benché

essere

improbata,

per

le raggioni

opinione

di

Eraclito

di quella grandezza,

Sofocle3; e ne

l'undecimo

che

disse

che s'offre agli occhi;

quale sottoscrisse Epicuro, come a

Efcsio,

sii il

al

appare ne la sua Epistola

libro

De

natura,

come

refe-

risce Diogene Laerzio 4, dice che, per quanto lui può giudicare, la grandezza del sole, de ia luna e d’altre stelle è tanta quanta a' nostri sensi appare; perché, dice, se per la distanza perdessero la grandezza, a5 più raggione perderebbono il colore; e certo, dice, non altrimente doviamo giudicare di que’ lumi, che di questi, che sono appresso noi. 1 B: ad. ? (Gt = B:

quatrupla;

G*:

quadrupla)

3 Intendi la Lettera a Pitocle, che B. evidentemente cita moria. Cfr. Dioc. L., X, 91, o UsenER, Kpicurea, Lipsia,

D. 39.

mento

Su a

questo

Lucrezio,

luogo IV,

le osservazioni 69-72.

4 Diog. L., X, 91 e USENER, 5 B:

(B.

ad.

52-3)

(W.

I, 155)

(L.

nel

suo

com-

fr. BI.

153-4)

93

del GiussAnI,

a me1887,

(G.!

I, 64-5)

(GT,

70-1).

LA

CENA

DE

LE

CENERI

Prudenzio. Ilud quoque epicureus quinto De natura libro! Nec

nimio

Esse Nam

solis

maior

rota,

nec

Lucretius

minor

testatur

ardor

potest, nostris quam sensibus esse videtur. quibus e spaciis cumque ignes lumina possunt

Adiicere

et calidum

membris

adflare

vaporem,

Illa ipsa intervalla nihil de corpore libant Flammarum, nihilo ad speciem est contractior

Lunaque

sive Notho

Quicquid

id est, nihilo fertur maiore

Sive

suam

Postremo

Dum

proprio

iactat

quoscumque

tremor

Scire

est clarus,

licet perquam

Esse,

vel

fertur loca lumine

exigua

Quandoquidem

Derparvum

Alterutram

de corpore

vides

hinc

dum

quiddam

in partem

figura.

ignes,

minores

brevique,

in terris cernimus

interdum filum,

lucem.

actheris

posse

parte

quoscumque

lustrans,

cernitur ardor corum,

pauxillo

maiores

ignis.

mutare

cum

videntur

longius

ignes,

absint.

Teofilo. Certo, voi dite bene, che con l’ordinarie c proprie raggioni invano verranno i perspettivi c geometri a disputar con Epicurci; non dico gli pazzi, qual è questo luminare

del libro di Copernico, ma di quelli più saggi ancora; e veggiamo come potran concludere, che a tanta distanza, quanta è il diametro de l'epiciclo di Venere, si possa inferir raggione di tanto diametro del corpo del pianeta,

ed altre

cose simili. Anzi,

voglio

avertirvi

d’un’altra

cosa.

Vedete

quanto

è grande il corpo de la terra? Sapete, che di quello non possiamo veder se non quanto è l'orizonte artificiale ? Smitlto. Cossì è. I Vv.

504-509,

574-570,

584,

586,

580-590,

585,

587-598,

se-

condo la numerazione del Bernays. Il v. 569 (ma 568) è dato variamente nelle diverse edizioni. I mss.: wiltil nisi iitervallis de

corpore libant. (B.

53-4)

(W.

I,

155-6)

(L.

154-5)

94

(G.t

I, 65-6)

(GT,

71).

DIALOGO

TERZO

Teofilo. Or, credete voi che, se vi fusse possibile di retirarvi fuor de l'universo globo de la terra in qualche punto de l'eterea regione, sii dove si vuole, che mai avverrebbe che Ia terra vi paia più grande?

Smitho.

Penso

di non;

perché

non

è raggione

alcuna,

per la quale de la mia vista la linea visuale debba esser forte più ed allungar il semidiametro suo, che misura il

diametro de l'orizonte. Teofilo. Bene giudicate. rò

è da

credere,

Pe-

che, discostan-

dosi più l'orizonte, sempre si di-

sminuisca. nuzione de ne si viene fusa vista

Ma con questa dimil'orizonte notate che ad aggiongere la condi quello che è oltre

il già compreso orizonte; come sì può mostrare nella presente figura! [fig. 1] dove l’orizonte artificiale è 1-1, al quale rispon-

de l'arco del globo A A; l'orizonte de la prima diminuzione è

2-2,

al

quale

risponde

l’arco

del globo

B B;

l'orizonte

de la

Fig. 1.

terza diminuzione è 3-3, al quale risponde l’arco CC; l'orizonte de Ja quarta diminuzione è 4-4, al quale risponde

l'arco

sempre

D

D.

E

crescerà

la

cossî

oltre,

attenuandosi

comprensione

de

l'arco,

l'orizonte, insino

alla

! La medesima figura è introdotta nel De immenso (Opera, I, I, 327). A differenza del Wagner, — che semplificò e talora corresse

O guastò le figure del testo bruniano, — e del Kuhlenbeck, che riprodusse quelle del Wagner, noi abbiamo preferito, col Lagarde, resti(B.

54-5)

(W.

I,

156-7)

(L.

155)

95

(GT,

66-7)

(GI,

71-2).

LA

linea

emisferica

CENA

ed

DE

oltre.

LE

Alla

CENERI

quale

distanza,

o

circa

quale posti, vedreimo la terra con quelli medesmi accidenti coi quali veggiamo la luna aver le parti lucide ed oscure, secondo che la sua superficie è aquea e terrestre.

Tanto

che, quanto

base. maggiore

più se strenge l'angolo visuale, tanto la

si comprende

de l'arco emisferico,

e tanto

ancora in minor quantità appare l'orizonte; il qual vogliamo che

tutta

via

perseveri

a chiamarsi

orizonte,

benché,

se-

condo la consuetudine, abbia una sola propria significazione. Allontanandoci dunque, cresce sempre la comprensione de l'emisfero cd il lume; il quale, quanto più il diametro si disminuisce, sorte

che,

tanto se

noi

d’'avantaggio fussemo

più

si

viene

discosti

da

a?

riunire;

la luna,

di

lc sue

macchie sarrebono sempre minori, sin alla vista d'un corpo piccolo e lucido solamente. Sinitho. Mi par aver intesa cosa non volgare e non di poca importanza. Ma, di grazia, vengamo al proposito de

l’opinion di Eraclito ed Epicuro; la qual dite che può star cotuire

scrupolosamente

-le

costruzioni

primitive

del

D.,

anche

sc

talora non ben chiare c non perfettamente corrispondenti al commento, solo rimpiccolendole per adattarle al sesto di questo volume. (Ma, a parte la stilizzazione delle figure nelle singole riproduzioni (tranne

per

la

fig.

6,

riprodotta

con

ONO,

puntualmente

dall'originale),

L.

e

G. indicano nella fig. 1 le Icttere DD che non sono rilevabili nell'archetipo; nella fig. 2 leggono / per H; nella fig. 3 riducono a un segno insignificante la A che nell'originale è espressa nel centro del globo ed aggiungono una d (accanto alla g e alla e) inesistente nell'originale; nella fig. 4 (da essi orientata in senso diverso dall'originale) tacciono le sci N espresse nell'originale lungo la retta centrale,

indicano

i tre punti del diametro,

rendono

anziché

con A

con

ANO

dell'originale,

la lettera K dell'originale

espressa all'estremo della retta centrale. Abbiamo qui corretto le figure conforme agli originali riprodotti nell'ed. crit.) A completare questa prima figura basta immaginare con 4 ec 4 i punti dlintersezione superiori a 3 c 3. 1 B: ad.

(B. 55-7) (W. I, 157) (L. 155-6) (G! I, 67) (G2 I, 72-3). 96

DIALOGO

TERZO

stante contra le raggioni perspettive, per il difetto de’ prin-

cipii già posti difetti,

in questa

e veder

scienza.

qualche

frutto

Or, per scuoprir

de

la

vostra

questi

invenzione,

vorrei intendere la risoluzione di quella raggione, co’ la quale molto demostrativamente si prova ch' il sole non solo è grande, ma anco più grande che la terra. Il principio della qual raggione è, che il corpo luminoso maggiore, spar-

gendo il suo lume in un corpo opaco minore, de l’ombra conoidale produce la base in esso corpo opaco, ed il cono, oltre quello, ne la parte opposita: come, ne la seguente figura (fig. 2), A/ corpo lucido

dalla

basc

di C,

la quale

è terminata per H /, manda il cono de l'ombra ad N punto. Il corpo luminoso minore, avendo

formato

il

cono

nel

corpo opaco maggiore, non conoscerà determinato loco, ove

raggionevolmente possa designarsi la linea de la sua base; e par che vada a formar una conoidale infinita; come quella

medesma figura A, corpo lucido, dal cono de l'ombra, ch’ è in C, corpo opaco, manda quelle due linee C D, C E, lc quali, sempre più e più dilatando la ombrosa conoidale, più tosto correno in infinito, che possino trovar la base che

le termini !. La

conclusione

di questa

raggione

è, che

il

1 l’er mettere d'accordo la figura col commento che vi fa il 13., basta sostituire, nelle lettere di quella, M ad 4; N ad I; 4 a B;

segnare con // il punto

con H I e DB, Il

Liri,

(DB.

57-8)

econ I

Hist.

(W.

d.

I,

d’ intersezione delle rette segnate

nella figura

quello delle rette ivi segnate con F/e

scienc.

157-9)

(L.

inathém. 150)

97

en Italie, 28 ed.,

(G.!

I, 67-3)

(G.2

Halle

BE.

I, 73-4).

s/S.,

LA

CENA

DE

LE

CENERI

sole è corpo più grande che la terra, perché manda il cono de l’ombra di quella sin appresso alla sfera di Mercurio, e non

passa oltre. Che

se il sole fusse corpo lucido minore,

bisognarebbe giudicare altrimente: onde seguitarebbe che, trovandosi questo luminoso corpo ne l'emisfero inferiore, verrebbe oscurato il nostro cielo in più gran parte che illustrato, essendo

dato o concesso, che tutte le stelle pren-

deno lume da quello. |

Teofilo.

1

N

un

/

EROS x x

Or

corpo

vedete,

luminoso

come

minore

può illuminare più della mittà d’un corpo opaco più grande. Dovete avvertire quello che

Ni

veggiamo

per esperienza.

Po-

sti dui corpi, de’ quali l'uno ì

è

h

l’altro piccolo lucido, come N, se sarà messo il corpo lucido nella minima! e prima di-

b

stanza, come è notato nella seFig.

opaco

guente

3.

e

grande,

figura

come

[fig. 3],

A,

verrà

ad illuminare secondo la raggione de l'arco piccolo C D, stendendo la linea Bi. Se sarà messo nella seconda distanza maggiore, verrà ad illu1865,

IV,

145,

dice

che

il

B.

«semble

avoir

embrassé

è

priori

le

système de Copernic par une espèce d' intuition, car il n’ était rien moins que mathématicien: ses ouvrages renferment les erreurs

les plus singulières en géometrie. Lisez par exemple ce qu'il dit dans la Cena de le ceneri, sur la manière dont un corps lumineux éclaire les autres corps ». Vedi tuttavia Tocco, Le opp. lat. di G. B., Pp. 272 n. 1 B: massima. W pel primo corresse: minima. (B.

58-9)

(W.

I, 1509-60)

(L.

157)

98

(GL

I, 68-9)

(GT,

74-5).

DIALOGO

TERZO

minare secondo la raggione de l'arco maggiore E F, stendendo

la linea B 2; se sarà nella terza e maggior

distanza,

terminarà secondo la raggione de l’arco più grande G H, terminato dalla linea B 3. Dal che si conchiude che può avvenire che il corpo lucido B, servando il vigore di tanta lucidezza che possa penetrare tanto spacio, quanto a simile

effetto si richiede, potrà, col molto discostarsi, comprendere al fine arco maggior che il semicircolo; atteso che non è raggione che quella lontananza, ch’ ha ridutto a tale il corpo lucido che comprenda il semicircolo, non possa oltre promoverlo a comprendere di vantaggio. Anzi vi dico de più, che, essendo ch’ il corpo lucido non perde il suo diametro se non tardissima- e difficilissimamente, e il corpo opaco, per grande che sia, facilissimamente e improporzionalmente il perde; però, si come

per progresso de distanza

dalla corda minore C D è andato a terminare la corda maggiore E F e poi la massima GH, la quale è diametro; cossî, crescendo più e più la distanza, terminarà l’altre corde minori oltre il diametro, sin tanto ch’ il corpo opaco tramezzante non impedisca la reciproca vista de gli corpi diametralmente opposti. E la causa di questo è, che l’ impedimento, che dal diametro procede, sempre con esso diametro si va disminuendo più e più, quanto l'angolo B si rende

più

acuto.

Ed

è necessario

al fine,

che

l’angolo

sii tanto acuto (perché nella fisica divisione d'un corpo finito è pazzo chi crede farsi progresso in infinito, o l' intenda in atto oin potenza) ! che non sii più angolo, ma una linea, per la quale dui corpi visibili oppositi possono essere alla vista l'un

de l’altro,

I Cir.

De

minimo,

(B.

59-61)

(W.

I,

senza



G.

Bruno,

in punto

alcuno,

I. 160)

(L.

157-8)

99 11

che

Dialoghi

italiani

(G.I

I, 69)

(GI,

75).

quel

LA

ch’è

in mezzo,

CENA

vaglia

DE

LE

CENERI

impedire;

essendo

che

questo

ha

persa ogni proporzionalità e differenza diametrale, la quale

nei

corpi

opaco,

lucidi

che

persevera.

tramezza,

l’altro, per quanta

Però

ritegna

tanta

il cui

diametralmente come

l'occhio,

distanza

il corpo

da

l'un

4

e differenza del suo diametro: terra;

che

possa aver persa la detta proporzione

Fig.

nella

si richiede

diametro

opposte senza

come si vede ed è osservato non

si

impedisce,

veggano

differenza

che

l'una

alcuna,

due stelle

l'altra,

cossf

veder

l’una

può

e l'altra dal centro emisferico N e dalli punti de la circon-

ferenza A NO (avendoti imaginato in tal bisogno, che la terra per il centro sii divisa in due parte uguali a fin ch’ogni linea perspettivale abbia il loco). Questo si fa manifesto. facilmente nella presente figura [fig. 4]!. Dove, per quella raggione che la linea A N, essendo diametro, fa l’ angolo retto ne la circonferenza; dove è il secondo loco,

lo fa acuto; nel terzo più acuto; bisogna ch'al fine dovenghi a l’acutissimo, ed al fine a quel termine che non appaia più

I,

* Una

11,

133).

(B.

61-3)

figura (W.

non I,

dissimile

160-1)

(L.

è inserita 158) 100

(G.!

nel

De

I, 69-70)

immenso (G.2

(Opera,

I, 75-6).

e

DIALOGO

TERZO

angolo, ma linea; e per conseguenza è destrutta la relazione

e differenze del semidiametro; e differenza del diametro intiera A al fine è necessario che dui corpi sf tosto perdeno il diametro, non vedersi

reciprocamente;

non

per medesma raggione la 0 si destruggerà. Là onde più luminosi, i quali non saranno impediti per non

essendo

il lor diametro

sva-

nito, come quello di non lucido o men luminoso corpo tramezzante. Concludesi, dunque, che un corpo maggiore, il quale è più atto a perdere il suo diametro, benché stia per linea rettissima al mezzo, non impedirà la prospettiva di dui corpi quantosivoglia minori, pur che serbino il diametro della sua visibilità, il quale nel più gran corpo è perso. Qua, per disrozzir uno ingegno non troppo sullevato, a fin che possa facilmente introdurse a comprendere la apportata raggione

e per ammollar

al possibile la dura

apprensione, fategli esperimentare ch’avendosi posto un stecco vicino a l'occhio, la sua vista sarà di tutto impedita a veder il lume de la candela posta in certa distanza: al qual lume quanto più si viene accostando il stecco, allontanandosi da l'occhio, tanto meno impedirà detta veduta, sin

tanto

che,

essendo

sf

vicino

e

gionto

al

lume,

come

prima già era vicino e gionto a l'occhio, non impedirà forse tanto quanto il stecco è largo. Or giongi a questo, che ivi rimagna il stecco, ed il lume altrettanto si discoste: verrà il stecco ad impedir molto meno. Cossf, più e più aumentando l’equidistanza de l’occhio e del lume

del stecco,

dal stecco, al fine, senza sensibilità

vedrai

il lume

solo.

Considerato

questo,

alcuna

facil-

mente quantosivoglia grosso intelletto potrà essere introdutto ad intendere quel che poco avanti è detto. Smitho. Mi par, quanto al proposito, mi debba molto (B. 63-4)

(W.

I, 161-2)

(L.

158-9) IOI

(G.1 T, 70-1)

(GI,

76-7).

LA

essere

satisfatto;

nella mente, alzandoci

CENA

ma

mi

quanto

DE

LE

CENERI

rimane

ancora

a quel che prima

da la terra e perdendo

una

confusione

dicesti:

la vista

come

noi,

de l’orizonte,

di

cui il diametro sempre più e più si va attenuando, vedreimo questo

corpo

ch’avete

detto,

essere

una

stella.

aggiongessivo

Vorrei

che

qualche

a quel

cosa

circa

tanto

questo,

essendo che stimate molte essere terre simili a questa, anzi

innumerabili; e mi ricordo de aver visto il Cusano, di cui il giodizio so che non riprovate, il quale vuole che anco il sole abbia parti dissimilari, che

dice

che,

come

se attentamente

la luna e la terra;

fissaremo

l’occhio

per il

al corpo

di quello, vedremo in mezzo di quel splendore, più circonferenziale che altrimente, aver Teofilo. Da lui divinamente

notabilissima opacità !. detto e inteso, e da voi

assai lodabilmente applicato. Se mi recordo, io ancor poco fa dissi che, — per tanto che il corpo opaco perde facilmente

per

il diametro,

la

il lucido

lontananza

l'oscuro;

e quella

difficilmente,

s’'annulla de

e

rantia,

lib.

o in Opera,

II,

cap.

Basilea,

tunc habet quandam ditatem quasi ignilem nubem

et aerem

(Fior.,

I, 1,

12

1565,

svanisce

l’illuminato

1 Cfr. De l'infinito,p. 440. Il Bruno (ed.

Rotta,

I, 39):



avviene

che

l’apparenza

de

diafano,

o d'altra

ma-

si riferisce al De docta igno-

Bari,

Laterza,

« Considerato

1913,

enim

p.

II1,

corpore solis,

quasi terram centraliorem et quandam lucicircumferentialem, et in medio quasi aqueam

clariorem ». Cfr. anche

Bruno,

De .inunenso,

IV,

7,

ed. Fior., I, 11, 40. Del Cusano nell’ Oratio valedicioria (1588) il B. dirà: «Deus bone, ubi illi Cusano adsimilandus [sc. Aristoteles), qui quanto maior est, tanto paucioribus est accessibilis? Huius ingenium, si presbyteralis amictus non imperturbasset, non Pythagorico par, sed Pythagorico longe superius agnoscerem, profiterer »

17).

quello del Cusano

Intorno

ai rapporti

v. CLEMENS,

del pensiero

G. B. und

Nic. v. Cusa,

e Tocco, Le fonti più recenti della filos. del B. R. Acc.

(B.

d. Linc. 64)

(W.

Sc.

I,

mor., 162)

1892,

(L.

vol.

159) 102

(GI

del

I, fasc.

Bruno

Bonn,

con

1847,

(estr. da’ Rend, della

7-8),

I, 71-2)

(G3

$ VI.

I, 778).

DIALOGO

niera lucido,

disperse luna

si va come

si forma

fusse

più

una

TERZO

ad unire;

e di quelle parti lucide

visibile continua

lontana,

non

luce.

eclissarebbe

Però,

il sole;

se la e facil-

mente potrà ogni uomo che sa considerare in queste cose, che quella più lontana sarebbe ancor più luminosa; nella quale se noi fussemo, non sarrebe più luminosa a gli occhi nostri;

suo

come,

lume

essendo

che porge

in questa

a quei

terra,

che sono

non

veggiamo

ne la luna,

quel

il quale

forse è maggior di quello, che lei ne rende per i raggi del sole nel suo liquido cristallo diffusi. Della luce particolare del sole non so per il presente, se si debba giudicar secondo

il medesmo modo, o altro. Or vedete sin quanto siamo trascorsi da quella occasione; mi par tempo di rivenire all’altre parti

del nostro

proposito.

Sntitho. Sarà

bene

quali lui ha possute

de intendere

l’altre pretensioni,

le

apportare.

La terza proposta del dottor Nundinio. Teofilo. Disse verisimile

che

appresso

la terra

Nundinio,

si muove,

che

essendo

non

può

quella

essere

il mezzo

e centro de l’universo, al quale tocca essere fisso e costante fundamento d'ogni moto. Rispose il Nolano, che questo medesmo può dir colui che tiene il sole essere nel mezzo de

l'universo,

Copernico

e per

ed

altri

tanto molti,

inmobile che

e fisso,

hanno

come

donato

intese

termine

il

cir-

conferenziale a l'universo; di sorte che questa sua raggione (se pur è raggione) è nulla contra quelli, e suppone i proprii principi.

il mondo (B.

64-5)

È

nulla

anco

contra

il Nolano,

il quale

vuole

essere infinito, e però non esser corpo alcuno in (W.

I,

162-3)

(L.

159-60)

103

(G.I

I, 72-3)

(GI,

78).

LA

CENA

DE

LE

CENERI

quello, al quale simplicemente ! convegna essere nel mezzo, o nell'estremo, o tra que’ dua termini, ma per certe rela-

zioni ad altri corpi e termini intenzionalmente Smitho. Che vi par di questo? Teofilo.

naturali e per

Altissimamente

nessuno

si

conseguenza

è

detto;

perché,

verificato

aver

appresi ?.

come

di

semplicemente

semplicemente

centro,

corpi

rotondo, cossf

anco

de’ moti, che noi veggiamo sensibile- e fisicamente ne’ corpi naturali, non è alcuno, che di gran lunga non differisca dal

semplicemente

circulare

e regolare

circa qualche

férzensi quantosivoglia color, che fingono empiture de orbi disuguali, di diversità

centro;

queste borre de diametri

ed ed

altri empiastri e recettarii per medicar la natura sin tanto che

venga,

al servizio

di

maestro

Aristotele

o d'altro,

a

conchiudere che ogni moto è continuo e regolare circa il centro. Ma noi, che guardamo non a le ombre fantastiche, ma a le cose medesme; noi che veggiamo un corpo aereo,

etereo, spirituale, liquido, capace loco di moto e di quiete, sino immenso e infinito, — il che dovamo

affermare almeno,

perché non veggiamo fine alcuno sensibilmente né razional-

mente, — sappiamo? certo che; essendo effetto e principiato da una causa infinita e principio infinito, deve, secondo la capacità sua corporale e modo suo, essere infinitamente infinito 4. E son certo che non solamente a Nundinio, ma ancora a tutti i quali sono professori de l’ intendere I Nel senso di simpliciter, assolutamente. Vi si oppone: « per certe relazioni ». 2 Cfr. il De

immenso,

III,

2,

dove

si dimostra

tellurem

(cum infinitum sit universum) in medio, nisi ea, qua omnia dicere possumus, ratione (Opera, I, 1, 329 SEE). 3 B: et sappiamo. 4 Cfr. De l'infinito, pp. (B.

65-6)

(W.

I, 163)

397-98, (L.

e la stessa Cena,

160-1)

104

(G.!

I, 73)

pp.

(G=

non

esse

in medio

146-47 (?).

I, 79).

DIALOGO

non

è possibile

giamai

di

TERZO

trovar

raggione

semiprobabile,

per la quale sia margine di questo universo corporale, e per conseguenza ancora li astri, che nel suo spacio si contengono,

siino

di numero

finito;

ed

oltre,

essere

natural.

mente determinato centro e mezzo di quello. Smiîtho. Or Nundinio aggiunse qualche cosa a questo? Apportò che

qualche

l'universo

argomento

prima

per suo mezzo;

o verisimilitudine

sii finito;

secondo,

che

terzo, che questo mezzo

Nundinio,

dice per una fede lo niega per una di que’ che poco prie azioni tanto e attonito,

fantasma.

come

Come

come

colui

che

abbia

la terra

sii in tutto e per

tutto inmobile di moto locale? Teofilo.

per inferire

quello

che

dice,

lo

e per una consuetudine, e quello che niega, dissuetudine e novità, come è ordinario considerano e non sono superiori alle prorazionali quanto naturali, rimase stupido quello

a cui

di

repente

appare

nuovo

quello poi, che era alquanto più discreto

e men borioso e maligno ch'il suo compagno, tacque; e non aggiunse paroli, ove non posseva aggiongere raggioni.

Frulla. Non è cossi il dottor Torquato, il quale o a torto

o a raggione, o per Dio o per il diavolo, la vuol sempre combattere;

quando : ha perso

il scudo

da

defendersi

e la

spada da offendere; dico, quando non ha pi risposta, né argumento, salta ne’ calci de la rabbia, acuisce l’unghie de la detrazione, ghigna i denti delle ingiurie, spalanca la gorgia dei clamori, a fin che non lascie dire le raggioni contrarie e quelle non pervengano a l'orecchie de’ circostanti,

come

Smitho. 1

(G!

ho

Dunque

= B:

(B. 66-7)

udito

non

quando;

(W.

dire.

163-4)

G*:

disse altro? quanto

(per evidente

(L. 161) (G.! I, 73-4)

105

(G3

svista

tipogr.).)

I, 79-80).

LA

Teofilo. Non

CENA

disse

altro

in un'altra proposta.

Quarta» Perché terre

il Nolano,

innumerabili

DE

LE

CENERI

a questo

proposito,

ma

entrò

proposta del Nundinio. per modo

simile

di passaggio,

a questa,

or

il dottor

disse essere Nundinio,

come bon disputante, non avendo che cosa aggiongere al proposito, comincia a dimandar fuor di proposito; e da

quel che diceamo della mobilità o immobilità di questo globo, interroga della qualità degli altri globi, e vuol sapere di che materia fusser quelli corpi, che son stimati di quinta essenzia,

d’una

materia

inalterabile

le parti più dense son le stelle. Frulla. Questa interrogazione

e incorrottibile,

mi

par

fuor

di

di cui

propo-

sizio ® benché io non m'’ intendo di logica. Teofilo.

Il Nolano, per cortesia, non gli volse improperar

questo; ma, dopo avergli detto che gli arebbe piaciuto che Nundinio seguitasse la materia principale, o che interrogasse circa quella, gli rispose che li altri globi, che son terre,

non sono in punto

alcuno

differenti da questo in specie;

solo 3 in esser più grandi e piccioli, come ne le altre specie d'animali

per

le

differenze

individuali

ma quelle sfere, che son foco come che

differiscono

in specie,

per sé e lucido

per altro.

1 B:

Terza.

* In bocca a Frulla può

sito» (cfr. Cand.?, 3 Cioè,

ma

come

correre

è il sole, il caldo

ecc.

per

inequalità; ora,

e freddo,

proposizio

I, 3, p. 34, n. 4). Forma

solo

accade

comica

crede lucido

per « propo-

e maccheronica.

(B. 67-8) (W. I, 164) (L. 161-2) (G.! L 74-5) (GI, 80-1). 106

DIALOGO

Smitho.

Perché

disse

TERZO

creder

questo

per

ora,

e non

lo

affirmò assolutamente ? Teofilo. Temendo che Nundinio lasciasse ancora la questione, che novamente aveva tolta, e si afferrasse ed attaccasse a questa. Lascio che, essendo la terra un animale !,

e per conseguenza un corpo dissimilare, non? deve esser stimata un corpo freddo per alcune parti, massimamente esterne,

eventilate

da l'aria; che per altri membri,

gli più di numero

e di grandezza,

debba

che son

esser creduta

e

calda e caldissima; lascio ancora che, disputando con supponere

in parte

i principii

de

l’adversario,

il quale

vuol

essere stimato e fa professione di peripatetico, ed in un'altra parte i principii proprii, e gli quali non son concessi, ma provati, la terra verrebbe ad esser cossi calda, come il sole

in qualche Smitho.

comparazione. Come

questo?

Teofilo. Perché, nimento

delle

parti

per quel che abbiamo oscure

ed

opache

detto,

del

globo

dal svae dalla

unione delle parti cristalline e lucide si viene sempre alle reggioni più e più distante a diffondersi più e pit di lume. Or se il lume è causa del calore (come, con esso Aristotele, molti altri affermano, i quali vogliono che anco la luna ed altre stelle per maggior e minor participazione di luce son più e meno calde; onde, quando alcuni pianeti son chiamati freddi, vogliono che se intenda per certa comparazione

e rispetto), avverrà che la terra co’ gli raggi, che ella manda alle lontane parti de l'eterea reggione, secondo la virti 1 « Hinc ad meliorem numinis istius atque

producimur, enutrimur atque recipimur)

matris

(in cuius

contemplationem

sinu

promove-

mur, ne ultra eam sine anima corpus esse existimemus »: Acrot., p. 68.

*

(Amerio

espunge

n0x.)

(B. 68-9) (W. I, 164-5) (L. 162) (G.1 I, 75-06) (G2 I, 81). 107

LA

CENA

DE

LE

CENERI

della luce venghi a comunicar altrettanto di virtù di calore.

Ma a noi non costa che una cosa per tanto che è lucida

sii

calda,

perché

lucide, ma comincia

veggiamo

appresso

di

noi

molte

non calde, Or, per tornare a Nundinio, a mostrar

i denti,

allargar

cose

ecco che

le mascelle,

strenger

gli occhi, rugar le ciglia, aprir le narici e mandar un crocito di cappone per la canna del polmone, acciò che con questo riso

gli

circostanti

lui avea raggione, Frulla.

e

che

e quell'altro

lui

la

intendeva

bene,

dicea cose ridicole.

E che sia il vero, vedete come lui se ne rideva ? :

Teofilo. Questo

porci.

stimassero

accade

Dimandato

imaginarsi

a quello,

perché

che

siino

ridesse,

altre

che

dona

confetti

rispose che

terre,

che

questo

abbino

a

dire

medesme

proprietà ed accidenti, è stato tolto dalle Vere narrazioni * di Luciano. Rispose il Nolano,

essere

un’altra

venne

terra

cossi

terre

WW corresse:

che non

dà nessun

Luciano

abitata

a dirlo per burlarsi

essere molte

1

che se, quando

e colta

di que’

come

questa,

filosofi che affermorno

(e particolarmente

la luna,

« E che sia il vero vedere,

senso.

disse la luna

Il Kuhlenbeck

come

la cui simili-

lui, se ne videva ? »:

ha tradotto:

Warum

kan

ihm die Wahrheit lucherlich vor? (Perché la verità gli riusciva ridicola ?) — Frulla invece vuol dire: Che quello che diceva il Nolano sia il vero, non lo prova appunto il fatto che il Nundinio ne ridesse tanto ?

2 O

Vera

historia,

lib.

I,

dove

Luciano

introdusse

zioni che paiono probabili e verosimili »; ma lo stesso A.

scuna delle baie che io conto,

poeti

(Opere

e storici di

L.

e filosofi

volt.

in

che

ital.

è una ridicola allusione

da

scrissero L.

da

nel

far

pensare

Lonigo,

1541);

(B.

che

stampata

cit.

69-70)

anche

(W.

I,

egli a

lo

avesse

Venezia

dal

165)

nel

a questo

letto

1520

Settembrini,

(L.

favole

SetTtEMBRINI,

II, 89). Il titolo attribuito dal Bruno

può

tante

162-3)

108

I,

(G.1

nella e

nel

« molte

dice: « cia-

a certi

e

fin-

antichi

maraviglie»

Firenze,

1861-62,

scritto di Luciano traduz.

170.

T, 76-7)

1551

(G.3

di Niccolò

(ma

anche

I, 82).

DIALOGO

TERZO

tudine con questo nostro globo è tanto più sensibile, quanto è più vicina a noi), lui non ebbe raggione, ma mostrò essere nella comone ignoranza e cecità; perché, se ben consideriamo, trovarremo

mati

astri,

la terra e tanti altri corpi, che son chia-

membri

principali

de l'universo,

come

danno

la vita e nutrimento alle cose che da quelli toglieno la materia, ed a’ medesmi la restituiscano, cossi e molto maggiormente, hanno la vita in sé; per la quale, con una ordinata

e natural volontà, da intrinseco principio se muoveno alle cose e per gli spacii convenienti ad essi. E non sono altri motori estrinseci, che col movere fantastiche sfere vengano a trasportar questi corpi come inchiodati in quelle; il che se fusse

vero,

del mobile,

solleciti

animale,

il motore

femina

qual

più

violento

e altri molti

Consideresi

alla

sarrebe

più imperfetto,

e laboriosi;

gerebbeno.

muove

il moto

dunque,

e la femina e qual

meno

fuor

il moto

de

la natura

ed il motore

inconvenienti s'aggion-

che,

come

al maschio,

il maschio

ogni

espressamente,

se

erba

e

si muove

al suo principio vitale, come al sole e altri astri; la calamita se muove al ferro, la paglia a l’ambra! e finalmente ogni cosa va a trovar il simile e fugge il contrario. Tutto avviene dal sufficiente principio interiore per il quale naturalmente viene ad esagitarse, e non da principio esteriore, come veggiamo sempre accadere a quelle cose, che son mosseo contra o extra la propria natura. Muovensi dunque la terra e gli altri astri secondo le proprie differenze locali dal principio intrinseco, che è l'anima propria?. — Credete, disse Nundinio, che sii sensitiva quest'anima ? — Non solo sensitiva, rispose il

1 (G! = L: l'ambra; G?: l'ombra) ? Cfr. De immenso, VI, 5 (Opera,

I, 11,

178).

(B. 70) (W. I, 165-6) (L. 163) (GI, 77) (GI, 82-3). 109

LA

CENA

DE

Nolano, ma anco intellettiva:

LE

CENERI

non solo

intellettiva, come la

nostra, ma forse anco più. — Qua tacque Nundinio, e non rise. Prudenzio.

Mi par, che la terra, essendo

non aver piacere quando

animata,

se gli

fanno

queste

ebbe

tanto

del

deve

grotte e ca-

verne nel dorso, come a noi vien dolor e dispiacere quando ne si pianta qualche dente là o ne si fora la carne. Teofilo.

Nundinio

non

Prudenzio,

che

potesse stimar questo argomento degno di produrlo, benché gli fusse occorso. Perché non è tanto ignorante filosofo, che non sappia che, se ella ha senso, non l' ha simile al nostro; se quella ha le membra,

non le ha simile a le nostre;

se ha

carne, sangue, nervi, ossa e vene, non son simile a le nostre; se ha il core, non l’ ha simile al nostro; cossf de tutte l'altre

parti,

le quali

hanno

e altri,

che

noi

stimati

solo

animali.

proporzione

chiamiamo Non

a gli membri

animali, è tanto

e

buono

de

altri

comunmente

son

Prudenzio

e mal

medico che non sappia, che alla gran mole de la terra questi sono insensibilissimi accidenti, li quali a la nostra imbecillità sono

tanto

sensibili.

E

credo

che

intenda,

che

non

altri-

mente che ne gli animali, quali noi conoscemo per animali, le loro parti sono in continua alterazione e moto, ed hanno un certo flusso e refiusso, dentro accogliendo sempre qualche

cosa dall’estrinseco e mandando fuori qualche cosa da l’ intrinseco: onde s'allungano l’unghie, se nutriscono i peli, le lane ed i capelli, se risaldano le pelle, s’ induriscono i cuoii; cossi la terra riceve l’efflusso ed influsso delle parti,

per quali molti animali, a noi manifesti per tali, ne fan vedere espressamente la lor vita. Come è più che verisimile, essendo che ogni cosa participa de vita, molti ed innumerabili

individui

vivono

in tutte le cose composte; (B.

70-1)

(W.

I, 166-7)

(L.

non

solamente

in

noi,

ma

e quando veggiamo alcuna cosa 163-4) IIO

(G.I

I, 77-8)

(G.2

I, 83-4).

DIALOGO

TERZO

che se dice morire, non doviamo tanto credere quella morire, quanto che la si muta, e cessa quella accidentale composizione

e

incorreno,

concordia,

sempre

rimanendono'!

inmortali:

più

le

cose

che

quella

che

son

dette

come

altre

quelle,

spirituali, che quelle dette corporali e materiali, volte mostraremo.

Or, per venire

al Nolano,

quando

vedde

Nundinio tacere, per risentirse a tempo di quella derisione nundinica

che

comparava

le

Vere narrazioni di Luciano, disse, che,

burlarse

disputando

di quello

il Nolano,

non

posizioni

del

Nolano

e

le

espresse un poco di fiele; e li

onestamente,

non

dovea

riderse

e

che non può capire. — Ché se io, disse

rido

per

le vostre

fantasie,



voi

dovete

per le mie sentenze; se io con voi disputo con civilità e rispetto,

almeno

altretanto

dovete

vi conosco di tanto ingegno per verità le dette narrazioni ficiente a destruggerle. — Ed di còlera rispose al riso, dopo alla dimanda.

far

voi

a me,

il quale

che, se io volesse defendere di Luciano, non sareste sufin questo modo con alquanto aver risposto con più raggioni

Quinta proposta di Nundinio. Importunato Nundinio si dal Nolano, come da gli altri, che, lasciando le questioni del perché, e come, e quale, facesse qualche argomento.... Prudenzio. Per quomodo et quare quilibet asinus novit disputare.

! Cfr. (B.

sopra 71-2)

p. 61,

(W.

I,

n. 167)

1. (L.

164) III

(GT,

78-0)

(G2

I, 84-5).

LA

CENA

DE

LE

CENERI

Teofilo. — al fine fe’ questo, del quale ne son pieni tutti cartoccini: che se fusse vero la terra muoversi verso il lato che chiamiamo oriente, necessario sarrebbe che le nuvole de l’aria sempre apparissero discorrere verso l’occidente,

per raggione

questo globo, compito

del velocissimo

e rapidissimo

moto

di

che in spacio di vintiquattro ore deve aver

si gran

giro.



A

questo

rispose il Nolano,

che

questo aere, per il quale discorrono le nuvole e gli venti, è parte de la terra +; perché sotto nome di terra vuol lui (e deve essere cossi al proposito) che se intenda tutta la machina

e tutto l’animale intiero, che costa di sue parti

dissimilari: onde gli fiumi, gli sassi, gli mari, tutto l’aria vaporoso e turbulento, il quale è è rinchiuso negli altissimi monti, appartiene a la terra come membro di quella, o pur come l’aria ch' è nel pulmone ed altre cavità de gli animali, per cui respirano, se dilatano le arterie ed altri effetti necessarii a la vita s’adempiscono. Le nuvole dunque da gli accidenti,

come

che son nel corpo

nelle

lo intese

viscere

de quella,

Aristotele

che « questo

de la terra, si muoveno

cossi come

nel primo

de

e son

le acqui.

la Meteora,

aere, che è circa la terra, umido

Questo

dove

e caldo

dice, per le

exalazioni di quella, ha sopra di sé un altro aere, il quale è caldo e secco, ed ivi non si trovan nuvole: e questo aere è fuori della circonferenza de la terra e di quella superficie,

mente

che

la

definisce,

rotonda;

a fin

che

venga

e che la generazion

ad

de’

essere

venti

non

perfetta-

si fa se

non nelle viscere e luochi de la terra »; però sopra gli alti

1 Cfr. De imm., 2? Bi et; W: è.

(B.

72-3)

(W.

VI,

I,

13;

167-8)

e Tocco,

(L.

165)

112

Le

(G.I

opere

ined.,

I, 79-80)

p.

(G.2

189,

n.

T, 85).

1.

DIALOGO

monti né nuvole

TERZO

né venti appaiono,

ed ivi « l’aria si muove

regolarmente in circolo ! », come l’universo corpo. Questo forse intese Platone allor che disse noi abitare nelle concavità e parte oscure de la terra; e che quella proporzione abbiamo a gli animali, che vivono sopra la terra, la quale hanno gli pesci a noi abitanti in un umido pi grosso *. Vuol dire, che in certo modo questo aria vaporoso è acqua; ed il puro aria, che contiene più felici animali, è sopra la terra, dove, come questa Amfitrite è acqua a noi, cossî questo nostro aere è acqua a quelli. Ecco, dunque, onde si può rispondere a l'argomento referito dal Nundinio: perché cossf il mare non è nella superficie, ma nelle viscere de la terra, come l’epate, fonte de gli umori, questo

aria turbolento

è dentro noi 3;

non è fuori, ma è come

nel polmone

de gli animali. Sinitho.

intiero,

Or

onde

essendo

avviene,

che

che

abitiamo

noi

ne

veggiamo

le viscere

Teofilo. Da la mole de la terra globosa ultima superficie, ma anco in quelle che accade che alla vista de l’orizonte cossi una doni loco a l’altra, che non può avvenire mento, qual parte

del

veggiamo

cielo

se

quando

interpone

de

monte,

la terra?

non solo nella sono interiori, convessitudine quello impedi-

tra gli occhi un

l'emisfero

nostri

e una

per

esserne

che,

vicino, ne può togliere la perfetta vista del circolo de l’orizonte. La distanza dunque di cotai monti, i quali siegueno la convessitudine de la terra, la quale non è piana ma orbicolare,

fa che

non

1 Meteorologicorum,

® PLATONE,

3 B: è moi. (B. 73-4)

(W.

Fedone,

I, 168)

ne sii sensibile l'essere entro

I, 3, p.

15-17:

versione

165-6)

(G.!

109

(L.

C-F.

113

alquanto

I, 80-1)

le vi-

libera.

(G.2 I, 85-60).

LA

CENA

DE

LE

CENERI

scere de la terra. Come si può alquanto considerare nella presente figura [fig. 5]: dove la vera superficie de la terra

è A BC, entro la quale superficie vi sono molte particolari del mare ed altri continenti, come per essempio MM; dal cui punto non meno veggiamo l’intiero emisfero, che dal

punto A, ed altri de l’ultima superficie. Del che la raggione

è da dui capi; e dalla grandezza de la terra e dalla convessitudine circunferenziale di quella; per il che Mf punto non è in tanto impedito che non posB

A

M

e

sa vedere l'emisfero; perché gli altissimi monti non si vengono

Cc

À\

ad interporre al punto M, come

(| Cc

la linea Af B (il che credo accaderebbe, quando la superficie de la terra fusse piana), ma come la linea MC, M D; la quale non viene a caggio-

Fig. s.

nar si

vede,

in

virtà

de

l’arco

tale

impedimento,

circonferenziale.

come E

nota

d’avantaggio, che si come si riferisce M a: C ed M a: D, cossf anco K si riferisce a 3 M;

onde non deve esser stimato

favola quel che disse Platone

delle grandissime

concavità

e seni de la terra.

Smitho. Vorrei sapere se quelli che sono vicini altissimi monti, patiscono questo impedimento. Teofilo.

Non,

ma

quei che sono

vicini a’ monti

a gli minori;

perché non sono altissimi gli monti, se non sono medesmamente

grandissimi

in tanto,

che

la loro grandezza

è insen-

sibile alla nostra vista: di modo che vengono con quello a 4 1, 2,3,

4 B:

ad.

(B. 74-6) (W. I, 168-9) (L. 166) {G.t I, 81) (G2 I, 86-7).

II14

DIALOGO

TERZO

comprendere più e molti orizonti artificiali, nei quali gli accidenti de gli uni non possono donar alterazione a gli altri. Però, per gli altissimi non intendiamo come l’Alpe e gli Pirenei

e simili, ma

dui mari,

settentrionale

da'

mari

quai

verso

come

la Francia

Oceano

tutta,

ed australe

l’Alvernia

sempre

ch’ è tra

Mediterraneo;

si va

montando,

come anco da le Alpe e gli Pirenei, che son stati altre volte la testa d'un

monte

altissimo.

La

qual,

venendo

tutta

via

fracassata dal tempo (che ne produce in altra parte per la vicissitudine de la rinovazione de le parti della terra) forma

tante montagne particolari, le quale noi chiamiamo monti. Però quanto a certa instanzia che produsse Nundinio de gli monti

di Scozia,

dove

forse lui è stato, mostra

che lui non

può capire quello, che se intende per gli altissimi monti; perché, un

secondo

monte,

che

la

verità,

tutta

questa

sopra

l’'onde del mare

alza il capo

isola

Britannia

è

Oceano,

del qual monte la cima si deve comprendere nel loco più eminente de l' isola: la qual cima, se gionge alla parte tranquilla de l’aria, viene a provare, che questo sii uno di que’ monti altissimi, dove è la reggione de' forse più felici animali. Alessandro Afrodiseo raggiona! del monte Olimpo, I Si tratta della leggenda accennata anche da BAcoNE, Mist. ventorum, ed. Ellis e Spedding, II, 51 (cir. N. Org., II, 12). La leggenda risale ai pseudo-aristotelici Problemata (XXVI, 39 (ma 36:

dove tuttavia l' Olimpo non è menzionato) );

errore

di

memoria,

TILE,

Siudi

l’attribuisce

ai Metcorologica

non

Avendo

secondo

sul

taluni,

ce n'è

ad

traccia.

Rinascimento,

Alessandro,

V.

‘Firenze,

questa

e il B., forse per un nel

McINTYRE,

leggenda,

Vallecchi,

scritto

cui

commento

p. 326, 1923,

nella

e GEN-

Pp.

cenere

127.

dei

sacrifizi offerti sulla cima del monte, l’anno dopo, tornati lassi, trovarono ancora la cenere con lo scritto; segno della calma per-

petua proprio

di quell’alta regione.

diseo

forse

al monte

Cillene,

(di qui

(B.

76-7)

(W.

è narrata

da

la confusione

I,

160)

(L.



G.

Bruno,

Diuloghi

stessa circostanza,

Olimpiodoro

in cui

166-7)

115 12

(La

italiani

(GI

sull'autorità

incorre

I, 81-2)

Bruno). (G.2

riferita

dell'Afro-

Il fatto

I, 87-8).

è

LA

CENA

DE LE CENERI

dove per esperienza delle ceneri de’ sacrifici mostra la condizion del monte altissimoe de l’aria sopra i confini e

membri

de la terra,

Smitho.

M’'avete

sufficientissimamente

satisfatto,

ed

al-

tamente aperto molti secreti de la natura, che sotto questa chiave sono ascosi. Da quel che respondete a l’argomento tolto da' venti e nuvole, si prende ancora la risposta de

l’altro che

nel secondo

libro Del cielo e mondo:

apportò

Aristotele; dove dice, che sarebbe impossibile che una pietra

gittata a l'alto potesse per medesma rettitudine perpendicolare tornare al basso; ma sarrebbe necessario che il velocissimo moto della terra se la lasciasse molto a dietro ‘verso

l'occidente. Perché, essendo questa proiezione dentro la terra, è necessario che col moto di quella si venga a mutar ogni relazione di rettitudine ed obliquità: perché è differenza tra il moto della nave e moto de quelle cose che sono nella nave. Il che se non fusse vero, seguitarrebe che, quando la nave corre per il mare, giamai alcuno potrebbe trarre per dritto qualche cosa da un canto di quella a l’altro, e non sarebbe

possibile che un potesse far un salto e ritornare co’ piè onde le tolse. [Teofilo.]® Con la terra dunque si muoveno tutte le cose che si trovano esplicitamente rab.,

in terra. Se dunque

riferito al monte

Olimpo

ediz. Mommsen, 8, 5-6.) 1 De coelo et inundo, IT, 14,

* (Tra

senta

forme

un

alla

dal loco extra la terra

296

B

da SoLino:

Reriun

mnento-

23.

la parola folse. e quella che segue (Con) l'archetipo pre-

doppio

spazio

dialettica

bianco:

ritengo

dell'argomentazione,

che

si

a questo chiuda

il

punto,

discorso

con-

di

Smitho e si riapra quello di Teofilo (il cui nome va quindi espresso andando a capo: cfr. l’ediz. crit., p. 178, segufta da Amerio, p. 250). I

precedenti

questo

editori

particolare,

dello stesso

del

dialogo,

facendo

interlocutore

cosi

(vedi

incluso

risultare

avanti).)

il

di

G.,

hanno

séguito

trascurato

due

discorsi

(B. 77) (W. I, 1609-70) (L. 167-8) (G.1 I, 82-3) (G2 I; 88). 116

DIALOGO

qualche

cosa

fusse gittata

TERZO

in terra,

per

il moto

di quella

perderebbe la rettitudine. Come appare nella nave A B [fig. 6], la qual, passando per il fiume, se alcuno che se ritrova nella sponda di quello C venga a gittar per dritto un sasso,

verrà

fallito il suo

tratto

per quanto

la velocità del corso. Ma posto detta nave, che corra quanto

alcuno

si

n

voglia

punto che

veloce,

non

il suo tratto

per

dritto

dal

fallirà

di sorte

punto

===: ZIE

cosa grave gittata non vegna.

D al pun-

muovasi

la

quantosivoglia

di

Prt==k=t=k2* rig. 6.

to E alcuno che è dentro la nave, gitta per dritto una per

sla

AE iZ:

KAI

altra parte del ventre e corpo di detta nave, la pietra o altra

quella

l’arbore

£,

è nella radice de l’arbore, o

pietra,

sopra

o

che è nella cima de l’arbore o nella gabbia, al punto D che

Cossf, se dal punto

comporta

medesma

linea

la

pur

nave,

ritornarà che

non

a

basso,

faccia

de-

gl’ inchini. I Smitho. Dalla considerazione di questa differenza s’apre la porta a molti ed importantissimi secreti di natura e profonda

filosofia;

atteso

che

è

cosa

molto

frequente

e

poco considerata quanto sii differenza da quel che uno medica se stesso e quel che vien medicato da un altro. Assai ne è manifesto, che prendemo maggior piacere e satisfazione se per propria mano venemo ‘a cibarci, che se per l’altrui braccia. I fanciulli, allor che possono adoprar gli proprii instrumenti per prendere il cibo, non vo(B.

77-8)

(W.

I,

170)

(L.

168)

117

(G.t

I, 83)

(GI,

88-9).

LA

lentieri

CENA

si servono

certo

modo

tanto

piacere,

de

gli

che poppano,

DE

gli

quasi

apprendere,

v'è

vedete

CENERI

altrui;

faccia

non

LE

che

che

la

natura

come

non

anco tanto profitto.

come

s’appigliano

in

v'è

I fanciullini

con la mano

alla

poppa? Ed io giamai per latrocinio son stato sf fattamente atterrito, quanto per quel d'un domestico servitore: perché non so che cosa di ombra e di portento apporta seco più un familiare che un strangiero 1, perché referisce

come

una

dui,

quali

l’uno

forma

di mal

genio

e presagio

formi-

dabile. Teofilo. Or, per tornare al proposito, se dunque saranno de’

si trova

dentro

la nave

che

corre,

e

l’altro fuori di quella, de’ quali tanto l’uno quanto l’altro abbia la mano

medesmo

circa il medesmo

loco

nel

medesmo

punto

tempo

de l’aria, e da quel

ancora

l’uno

lascie

scorrere una pietra e l'altro un'altra, senza che gli donino spinta alcuna, quella del primo, senza perdere punto né deviar

da la sua

linea,

secondo

si trovarrà

cede

altro,

da

verrà

al prefisso

tralasciata

eccetto

che

loco,

a dietro.

la pietra,

che

e quella

Il che esce

non

dalla

del

promano

de l’uno che è sustentato da la nave, e per consequenza si muove

quale

secondo

non

il moto

ha l’altra,

di

che

quella,

ha

procede

tal

virtù

da la mano

impressa,

di

quello

che n’ è di fuora; benché le pietre abbino medesma gravità, medesmo aria tramezzante, si partano (se possibil fia) ?

1 Come

‘strangio ‘, forma

arcaica

per

‘stranio,

straniero ’.

® Cioè supponendo questo possibile. (G?: (e possibi! fia); W., L. e G! (possibil fia), riducendo il ( possibil del Gottinghese (= Londinese Britannico); l'e del G. sarà quindi congetturale, ma il nostro se risulta chiaramente impresso nel Romano e

nel

Londinese

Universitario.)

(B. 78-80) (W. I, 171) (L. 168-9) (G.! I, 84) (GI, 89-90). 118

DIALOGO

TERZO

dal medesmo

punto, e patiscano la medesma

spinta. Della

seco

del

con

qual diversità non possiamo apportar altra raggione, eccetto che le cose, che hanno fissione o simili appartinenze nella nave, si muoveno con quella; e la una pietra porta la virtà

motore

il quale

si muove

la

nave,

l’altra di quello che non ha detta participazione. Da questo manifestamente

si

vede,

che

non

dal

termine

del

moto

onde si parte, né dal termine dove va, né dal mezzo

per cui

si move,

da

prende

la virti

d’andar

rettamente;

ma

l’ef-

ficacia de la virti primieramente impressa, dalla quale depende la differenza tutta, E questa mi par che basti aver considerato quanto alle proposte di Nundinio. Smitho. Or domani ne revedremo, per udir gli propositi che soggionse Torquato. Frulla. Fiat.

Fine (B. 80)

(W.

del

I, 171)

terzo (L.

169)

II9

dialogo. (GLI,

84-5)

(GI,

90).

DIALOGO

QUARTO

Smitho. Volete ch'io vi dica la causa? Teofilo. Ditela pure. Smitho. Perché la divina Scrittura (il senso della quale ne deve essere molto raccomandato, come cosa che procede da intelligenze superiori che non accenna e suppone il contrario.

errano)

in molti

luoghi

Teofilo. Or, quanto a questo, credetemi che, se gli Dei si fussero degnati d’insegnarci la teorica delle cose della natura,

come

ne han

mente

ognuno

può

fatto favore

di proporci

la

prattica

divini

in

servizio

di cose morali, io più tosto mi accostarei alla fede de le loro revelazioni, che muovermi! punto della certezza de mie raggioni e proprii sentimenti. Ma, come chiarissimavedere,

nelli

libri

del nostro intelletto non si trattano le demostrazioni e speculazioni

circa le cose naturali, come

se fusse filosofia; ma,

in grazia de la nostra mente ed affetto, per le leggi si ordina la prattica circa le azione morali. Avendo dunque il divino legislatore questo scopo avanti

gli occhii, nel resto non si

cura di parlar secondo quella verità, per la quale non pro1 Lasciarmi

muovere.

(B. 82) (W. I, 172) (L. 169) (G.! I, [86]) (G=I, [or]). 129

DIALOGO

QUARTO

fittarebbono i volgari per ritrarse dal male e appigliarse al

bene; ma di questo il pensiero lascia a gli uomini contemplativi, e parla al volgo di maniera che, secondo il suo modo de intendere e di parlare, venghi a capire quel ch'è principale 1.

Smitho.

Certo

è cosa

conveniente,

quando

uno

cerca

di far istoria e donar leggi, parlar secondo la comone intel-

ligenza, e non esser sollecito in cose indifferenti. Pazzo sarrebe l’ istorico, che, trattando

la sua materia,

volesse ordi-

nar vocaboli stimati novi e? riformar i vecchi, e far di modo che il lettore sii più trattenuto a osservarlo e interpretarlo come

uno,

gramatico,

che

intenderlo

che vuol dare a l’universo

vivere,

se usasse

termini

che

come

istorico.

Tanto

più

volgo la legge e forma

le3 capisse

lui solo

ed

di

altri

pochissimi, e venesse a far considerazione e caso de materie

indifferenti dal fine a cui sono ordinate le leggi, certo parrebbe, che lui non drizza la sua dottrina al generale ed alla

moltitudine, per la quale sono ordinate quelle, ma a’ savii e generosi spirti e quei che sono veramente

senza

legge

Alchazele,

fanno

filosofo,

quel

che

sommo

conviene.

pontefice

e

uomini,

Per

questo

teologo

li quali

disse

mahume-

tano 4, che il fine delle leggi non è tanto di cercar la verità

delle cose e speculazioni, quanto la bontà de’ costumi, pro1 È lo stesso pensiero svolto trentun anno dopo dal nella sua Lettera alla Granduchessa madre, Cristina di

(1615): v. Frammenti Pp. 105-42 e note.

e lettere,

ed.

Gentile,

Livorno,

GALILEI Lorena,

Giusti,

1917,

2 (Gt; e (= B: et); G*: a (per evidente svista tipogr.).) 3 Cfr. p. 37, n. 1.,È uno scambio frequente in B. 4 Su Al-Gazali (1058-1111), il maggiore dei teologi islamiti,

citato dal Bruno anche negli Eyoici furori, p, 1157,v. CARRA DE VAUX,

Gazali, Taris, Alcan, 1902 the Mystic, London, 1944). (B.

82-83)

(W.

I,

172-3)

(e

ora

(L. -160-70) I2I

MARGARET (GT,

SMITH,

[86]-7)

(G2

Al-Ghasdli I,

[91}-2).

LA

CENA

DE

LE

CENERI

fitto della civilità, convitto di popoli e prattica per la com-

modità della umana e aumento

conversazione,

di republiche.

Molte

mantenimento

volte,

dunque,

ed

di pace a molti

propositi, è una cosa da stolto ed ignorante più tosto riferir le cose

secondo

dità, Come

la verità,

quando

che

secondo

l’occasione

e como-

il sapiente disse, « nasce il sole e tra-

monta, gira per il mezo giorno, e s' inchina a l’Aquilone » 1,

avesse detto: la terra si raggira a l'oriente, e si tralascia il sole, verso

che

tramonte,

l’Austro,

s’inchina

e Capricorno

a’ doi

verso

tropici,

del Cancro

l’Aquilone,

sarrebbono

fermati gli auditori a considerare. — Come, costui dice la terra muoversi ? che novelle son queste ? — L'’arrebono al fine stimato un pazzo, e sarrebe stato ? da dovero un pazzo.

Pure,

per

impaziente

satisfare e

a l’importunità

rigoroso,

vorrei

sapere,

di

qualche

se

col

rabbino

favore

della

medesma Scrittura questo che diciamo, si possa confirmare facilissimamente. Teofilo. Vogliono forse questi reverendi, che quando Mosè

disse,

che

Dio

tra gli altri

luminari

ne

ha

fatti

dui

grandi, che sono il sole e la luna 3, questo si debba intendere

assolutamente perché tutti gli altri siino minori della luna, o veramente secondo il senso volgare ed ordinario modo di comprendere e parlare ? Non sono tanti astri più grandi che la luna? Non

manca

possono

essere più grandi

che il sole ? Che

alla terra, che non sii un luminare pi bello e più

grande che la luna, che, medesmamente

1 Ecclesiaste,

revertitur: ibique aquilonem.... u.

® (G! = 8: 3 Genesi,

I,

(B.

(W.

82-3)

I, 5-6:

« Oritur

renascens,

stato;

16.

I,

G*: 173)

sol,

gyrat

stata (L.

et occidit,

et ad

evidente

svista

per

(per

170)

(G.!

122

ricevendo nel corpo

meridiem,

I,

87-8)

(G.2

et

locum

suum

flectitur

tipogr.).) I,

92-3).

ad

DIALOGO

QUARTO

de l' Oceano, ed altri mediterranei mari il gran splendore del sole, può comparir lucidissimo corpo a gli altri mondi, chiamati astri, non meno che quelli appaiono a noi tante lampeggiante faci ? Certo, che non chiami la terra un luminare grande o piccolo e che tali dichi essere il sole e la luna,

è stato bene e veramente detto nel suo grado; perché dovea farsi

intendere

secondo

le

paroli

e

sentimenti

comoni,

e

far come uno, che qual pazzo e stolto usa della cognizione e sapienza. Parlare con i termini de la verità dove non bisogna, è ® voler che il volgo e la sciocca moltitudine,

quale

si richiede

mento;

sarrebe

la prattica, come

volere

abbia il particular che

la mano

abbia

dalla

intendil’occhio ?,

la quale non è'stata fatta dalla natura per vedere, ma per

oprare e consentire a la vista. Cossf, benché intendesse la natura delle sustanze

spirituali,

a che fine dovea

trattarne,

se non quanto che alcune di quelle hanno affabilità e ministerio con gli uomini, quando si fanno ambasciatrici? Benché

avesse saputo, che alla luna ed altri corpi mondani,

che si veggono quel

che

e che sono a noi invisibili, convenga

conviene

a

questo

nostro

mondo,

o,

tutto

almeno,

il

simile, vi par che sarrebbe stato ufficio di legislatore di prenderse e donar questi impacci a’ popoli ? Che ha da far la

prattica

delle

nostre

leggi

e

l’essercizio

delle

nostre

virti con quell'altri? Dove dunque gli uomini divini parlano presupponendo nelle cose naturali il senso comunmente ricevuto, non denno servire per autorità; ma più tosto dove parlano indifferentemente, e dove il volgo non ha risoluzione alcuna, in ! (B: e' (= e?) » D: ochio. (B.

83-4)

(W.

I,

173-4)

(L.

170-1)

123

(G.t

I, 88-9)

(GI,

93-4).

LA

CENA

DE

LE

CENERI

quello voglio che s'abbia riguardo

divini, anco a gli entusiasmi

alle paroli degli uomini

di poeti, che con lume supe-

riore ne han parlato; e non prendere per metafora quel che non è stato detto per metafora, e per il contrario prendere

per vero quel che è stato detto per similitudine. Ma questa distinzione del metaforico e vero non tocca a tutti di volerla comprendere,

come

non

è

dato

ad

ogniuno

di

posserla

capire. Or, se vogliamo voltar l'occhio della considerazione a un

libro

contemplativo,

trovaremo

questa

Dico

Libro

ad un

filosofia di Giob,

naturale,

molto quale

morale

faurita

è uno

colmo

di sapientissimi

e

de’*

che si possan leggere, pieno d'ogni buona lità e moralità,

e divino,

noi

favorevole.

singularissimi

teologia, natura-

discorsi;

che

Mosè,

come un sacramento, ha congionto ai libri nella sua legge. In quello un di, personaggi, volendo descrivere la provida

potenza de Dio, disse quello formar la pace negli eminenti

suoi, cioè sublimi figli 2; che son gli astri, gli Dei, de’ quali

altri son fuochi, altri sono acqui (come noi diciamo: altri soli, altri terre); e questi concordano, perché, quantunque siino

contrarii,

l'altro;

mentre

tutta non

via l'uno

vive,

si confondeno

si nutre insieme,

e vegeta ma

con

per certe

distanze gli uni si moveno circa gli altri. Cossi vien distinto 1 B:

di. — Anche nel De magia (Opera, vol. III, p. 431) il Bruno

cita «sapientissimum (leggi profundissimae) P. 124. . ® Libro

di Giobbe,

facit concordiam

et

multae philosophiae ac profundissimum librum Job». Cir. Tocco, Le opp. ined.,

XXV,

în sublimibus

2: Potestas

suis.

D.

et

terror

apud

eun

est,

qui

CASTELLI a. q. l. (in Tocco,

Le opp. l. di G. B., p. 311): « Le parole: dei quali altri son fuochi, altri sono acque sono del Bruno, non del Job. Credo che il B. qui seguisse l’erronea etimologia che nel Talmud (Haghigà 129) si dà della parola Slamain, cielo, dicendolo composto di Esh fuoco e di Main acqua».

(B. 84-5)

(\W. I,

174)

(L.

171)

124

(GI,

89)

(G? I, 94).

DIALOGO

l'universo

in

fuoco

ed

QUARTO

acqua,

che

sono

soggetti

di doi

primi principii formali ed attivi, freddo e caldo. Que' corpi che spirano il caldo, son gli soli che per se stessi

son lu-

centi e caldi; que’ corpi che spirano il freddo, son le terre; le quali, essendo parimente corpi eterogenei, son chiamate più tosto acqui, atteso che tai corpi per quelle si fanno visibili, onde meritamente le nominiamo da quella raggione, che ne sono sensibili; sensibili dico, non per se stessi, ma per la luce de’ soli sparsa ne la lor faccia. A questa dottrina

è conforme

Mosè,

che

chiama

firmamento

l'aria; nel quale tutti questi corpi hanno la persistenza.e situazione, e per gli spacii del quale vengono distinte c divise le acqui inferiori, che son queste che sono nel nostro globo, da l'acqui superiori, che son quelle de gli altri globi; dove

pure

se

dice,

esserno!

divise

l’acqui

da

l’acqui *.

E, se ben considerate molti passi della Scrittura divina, gli Dei e ministri de l'altissimo son chiamati acqui, abissi, terre e fiamme ardenti: chi lo impediva, che non chiamasse corpi neutri, più dense

inalterabili,

delle sfere,

immutabili 3, quinte essenze, parti

berilli 4, carbuncoli

ed

altre fantasie,

de le quali, come indifferenti, nientemanco il volgo s’arrebe possuto pascere ? Snutho,

Io,

per

certo,

molto

mi

muovo

da

l'autorità

1 Cfr. sopra p. 61, n. 1.

quae

® Genesi, I, 7: « Et fecit Deus firmamentum, divisitque aquas erant sub firmamento ab his quae super firmamentum ». Cir.

De magia,

in Opera,

III,

s10,

e Tocco,

Le

opp.

ined.,

p.

195.

3 (B: inmutabili) 4 Beryllus, occhiale. Il Cusano nel suo De beryllo (1454), cap. Il: « Beryllus Japis est lucidus, albus et transparens, cui datur forma concava pariter et convessa; et per ipsum videns attingit prius invisibile v: Opera, I, 267. (Ma qui è indicato semplicemente il minerale.)

(B. 85-6)

(W.

I, 174-5)

(L. 171-2)

125

(G.I I, 89-90)

(G.2 I, 94-5).

LA

CENA

DE

LE

CENERI

del libro di Giobbe e di Mosè; e facilmente posso fermarmi

in questi

sentimenti

reali più tosto

che in metaforici

ed

astratti: se non che, alcuni pappagalli d’Aristotele, Platone ed Averroe, dalla filosofia de’ quali son promossi poi ad

esser teologi, dicono che questi sensi son metaforici; e cossi, in virti de lor metafore, le fanno significare tutto quel che gli piace, per gelosia ! della filosofia, nella quale son allevati. Teofilo.

Or

quanto

siino

costante

queste

metafore,

lo

possete giudicar da questo, che la medesma Scrittura è in mano

di giudei,

cristiani

e mahumetisti,

sette tanto

diffe-

renti e contrarie, che ne parturiscono altre innumerabili contrariissime e differentissime; le quali tutte vi san trovare quel proposito che gli piace e meglio gli vien comodo: non solo il proposito diverso e differente, ma ancor tutto il contrario,

facendo

di un

sf un

non,

e di un

non

un

sî,

come, verbigrazia, in certi passi, dove dicono che Dio parla per ironia.

Sinitho. Lasciamo

di giudicar

questi.

Son

certo

che a

loro non importa, che questo sii o non sii metafora; però facilmente ne potranno far star in pace con nostra filosofia. Teofilo. Dalla censura di onorati spirti, veri religiosi,

ed anco naturalmente

uomini

conversazione

dottrine

quando

bene

filosofia non

la religione come quelle cacia della intellettuali 1

e buone

Gelosia,

(B. 86-7)

arran

solo

da bene,

considerato,

contiene

non

amici

si de’

temere;

trovaranno

la verità,

ma

della civile

che

ancora

perché questa

favorisce

più che qualsivoglia altra sorte de filosofia; che poneno il mondo finito, l’effetto e l’effidivina potenza finiti, le intelligenze e nature solamente otto o diece, la sustanza de le cose zelo,

(W.

I, 175)

(L. 172-3)

126

(G.1 I, 90-1)

(GI,

95-06).

DIALOGO

esser

corrottibile,

l’anima

QUARTO

mortale,

come

che

consista

più

tosto in un’accidentale disposizione ed effetto di complessione

e dissolubile

contemperamento

ed

armonia,

zione della divina giustizia sopra l’azioni umane,

l'esecu-

per con-

sequenza, nulla, la notizia di cose particolari a fatto rimossa dalle cause prime ed universali, ed altri inconvenienti assai;

li quali

non

solamente,

l'intelletto,

ma

ancora,

come

falsi,

acciecano il lume

come

neghittosi

ed

empii,

de

smor-

zano il fervore di buoni affetti 1. Smitho. Molto son contento di aver questa informazione della filosofia del Nolano. Or veniamo un poco a gli discorsi fatti col dottor Torquato; il quale son certo che non può essere 1% tanto più ignorante che Nundinio, quanto è pin presuntuoso,

temerario

e sfacciato.

Frulla. Ignoranza ed arroganza son vidue in un corpo ed in un'anima. Teofilo.

divum

Costui,

Pater

con

vien

un

enfatico

descritto

nella

due

sorelle

aspetto,

col

Metamorfose®

indi-

quale

il

seder

in

mezzo del concilio de gli Dei per fulminar quella severissima sentenza contra il profano Licaone, dopo aver contemplato la sua aurea collana.... Prudenzio.

Torquem

auream,

aureum

monile.

Teofilo. — ed appresso remirato al petto del Nolano, dove più tosto arrebe possuto mancar qualche bottone 3; dopo essersi rizzato, ritirate le braccia da la mensa, scrolla-

tosi un poco il dorso, sbruffato co’ la bocca alquanto, accon1 (G! = L: affetti; G3: effetti) 1 bis (L'Amerio integra non può

% I,

178-9.

[non]

essere.)

3 Il suo amico FLorIo ci fa sapere che il B. soleva vestire molto

modestamente e

Critica,

(B.

e sempre

XXII,

87-8)

(W.

250.

I,

a un

175-6)

(L.

modo: 173)

127

v. SPAMPANATO,

(G.!

I, 91-2)

Vita,

(GI,

p. 355

96-7).

LA

ciatasi

la

mustaccio,

CENA

beretta!

di

DE

LE

velluto

CENERI

in

testa,

posto in arnese il profumato

intorcigliatosi

il

volto, inarcate le

ciglia, spalancate le narici, messosi in punto con un riguardo

di rovescio, poggiatasi al sinistro fianco la sinistra mano per donar principio a la sua scrima *, appuntò le tre prime dita

della

destra

insieme,

e cominciò

a trar

di mandritti

in questo modo parlando: — Tune3 ille philosophorwum protoplastes? — Subito il Nolano, suspettando di venire ad altri termini che di disputazione, gl’ interroppe il parlare, dicendogli:- Quo vadis, domine, quo vadis? Quid,

si ego philosophorum protoplastes è quid, si nec Aristoteli, nec cuiquan magis concedam, quani mihi ipsi concesserint? Ideone terva est cenirum mundi

altre simili persuasioni, posseva,

inferire

con

inmobile ? — Con

quella maggior

il Nolano

agli

che

quali

potesse

protoplaste.

E vol-

o probabilmente

altri protoplasti contra di questo novo tatosi

pazienza

l’essortava a portar propositi, coni

demostrativa-

queste ed

in favore

circostanti, ridendo

con

de

mezzo

gli

riso:

— Costui, disse, non è venuto tanto armato di raggioni, quanto di paroli e scommi +, che si muoiono di freddo e fame 5. — Pregato da tutti che venesse a gli argumenti, 1 La berretta dottorale. Per la forma, il colore ecc., delle berrette usate nell’ Università di Oxford, v. H. RasuDpaLtt, The sti versities of Europe in the middle ages, Oxford, 1895, vol. II, P. 28,

pp.

641

e sg.

2 Franc.

escrime,

scherma.

Cfr. De

la

causa,

p.

259

e

Spaccio,

p. 562. 3 IV. (seguito dal IKuhlenbeck) corresse malamente tune. Il Torquato domanda. — E sarai tu, dunque, invece di Aristotile il protoplaste,

il padre

o maestro,

dei filosofi. —

Donde

la risposta:



E

credi tu d'impormi col nome di Aristotile ? — Cfr. sopra, p. 37. 4 Lat. scomma, -atis, gr. oxippa, facezia. 5 Cfr. Canda3, Proprol.: «Singulti che si muoiono di freddo,...

e giuramenti

che

muoion

(leggi

muion)

di

fame».

(B. 88-9) (W. I, 176) (L. 173-4) (G.! I, 92-3) (GI, 97). 128

DIALOGO

QUARTO

mandò fuori questa voce: — Unde igitur stella Martis nunc maior, nunc vero minor apparel, si terra movetur? Smitho.

sotto

O Arcadia,

titolo

Frulla.

è possibile

di filosofo —

e

che

sii în rerum

e medico....

dottore

e

torquato,

Suitho. — che abbia possuto tirar questa Il Nolano che rispose?

Teofilo. Lui

non

natura,

si

spantò!

per

spose, che una delle cause principali, di Marte appare maggiore o minore,

consequenza ?

questo;

ma gli ri-

per le quali la stella a volte a volte, è il

moto della terra e di Marte ancora per gli proprii circoli, onde aviene che ora siino più prossimi ora più lontani. Smitho. Torquato che soggionse? Teofilo. Dimandò subito della proporzione de' moti degli pianeti e la terra. Smitho. Ed il Nolano ebbe tanta pazienza, che vedendo un sf presuntuoso

e goffo, non

voltò le spalli, ed andarsene

a casa, e dire a colui, che l’avea chiamato,

che....

Teofilo. Anzi rispose, che lui non era andato per leggere né per insegnare, ma per rispondere; e che la simmetria, ordine, e misura de’ moti celesti si presuppone

tal

qual’ è, ed è stata conosciuta da antichi e moderni; e che lui non disputa circa questo, e non è per litigare contra gli matematici, per togliere le lor misure e teorie, alle quali sottoscrive

e crede;

ma

il suo

scopo

versa

circa la natura

e verificazione del soggetto di questi moti. Oltre, disse il Nolano: — Se io metterò tempo per rispondere a questa

gare,

Qui

! Nel

Nuovo

spantare‘,

spantarsi,

mondo

del

FLORIO,

‘spaventoso,

rimaner

sorpreso,

p.

518:

spantoso‘

sconcertato.

e

‘spaventare, ‘spavento,

spante-

spanto ’.

(B. 89) (W. I, 176-7) (L. 174) (G.! I, 93) (G3 I, 97-86). 129

LA

dimanda,

noi

CENA

staremo

DE

qua

LE

CENERI

tutta

la notte

e senza ponere giamai gli fondamenti

senza

disputare

delle nostre preten-

sioni contra la comone filosofia; perché tanto gli uni quanto gli altri condoniamo tutte le supposizioni, pur che sì con-

chiuda la vera raggione delle quantità e qualità di moti, ed in questi siamo concordi. A che dunque beccarse il cervello fuor di proposito ? Vedete voi se dalle osservanze fatte e dalle verificazioni concesse possiate

che

conchiuda

le vostre

noi e poi arrete

Bastava

Teofilo. Or che

dirgli,

qua

che

nessuno

parlasse

di circostanti

col viso e gesti

non

cosa,

libertà di proferire

condannazioni.

Smitho. rante,

contra

inferire qualche

mostrasse

a

proposito.

fu tanto

aver

igno-

capito,

che

costui era una gran pecoraccia aurati ordinis. Frulla. Idest il tosone !, Teofilo.

Pure,

per

imbrogliar

il

negocio,

pregorno

il

Nolano, che esplicasse quello che lui volea defendere, perché il

prefato

dottor

Torquato

argumentarebbe.

Rispose

il

Nolano, che lui s'avea troppo esplicato e che, se gli argumenti

degli

aversarii

erano

scarsi,

festo.

Pure,

di nuovo

gli confirmava,

nito;

e che

quello

questo

non

procedeva

per difetto di materia, come può essere a tutti ciechi mani-

è veramente un

costa

d'una

cielo, il quale

che l’universo

inmensa

eterea

è detto spacio

è infi-

reggione;

e seno,

in cui

sono tanti astri, che hanno fissione in quello, non altrimente che la terra: e cossi la luna, il sole ed altri corpi innumera-

bili sono. in questa eterea reggione,

1 Tosone,

il mitico

istituito nel 1429 da Tmprese, pp. 11-2).

montone

Filippo

III,

dal

vello

come

veggiamo

d'oro,

insegna

e ampliato

da Carlo

essere

dell'ordine

V

(Giovio,

(B. 89-90) (W. I, 177) (L. 174-5) (G.! I, 93-4) (G.? I, 98-90).

130

DIALOGO

QUARTO

la terra; e che non è da credere altro firmamento, altra base,

altro

fundamento,

che concorreno ed

infinita

ove s’appoggino

alla constituzion

materia

della

questi

grandi

del mondo,

infinita

divina

animali

vero soggetto

potenza

attuale;

come bene ne ha fatto intendere tanto la regolata raggione e discorso,

quanto

le

divine

rivelazioni,

che

dicono

non

essere numero de’ ministri de l'Altissimo, al quale migliaia de migliaia assistono, e diece centenaia de migliaia gli amministrano. Questi sono gli grandi animali, de’ quali molti con

lor chiaro

lume,

che

da’

lor corpi

diffondeno,

ne sono

di ogni contorno sensibili. De' quali altri son effettualmente caldi,

come

freddi,

il sole

come

ed

la terra,

altri

innumerabili

la luna,

Venere

fuochi;

ed altre

altri son

terre

innu-

merabili. Questi, per comunicar l'uno all’altro, e participar l'un da l’altro il principio vitale, a certi spacii, con certe

distanze, gli uni compiscono gli lor giri circa gli altri, come è manifesto in questi sette, che versano circa il sole; de' qua«li la terra è uno, che, movendosi

dal lato chiamato ‘occidente parenza di questo moto de

detto

moto

falsissima, possibile,

mundano

contra

conveniente,

ed

vero

il spacio

di 24

ore

verso l'oriente, caggiona l’apl’universo circa quella, che è

e diurno.

natura

circa

La

quale

impossibile: e

necessario,

imaginazione

essendo che

la

è

che

sii

terra

si

muova circa il proprio centro, per participar la luce e tenebre, giorno e notte, pazione

de

caldo e freddo;

la primavera,

estade,

circa il sole per la particiautunno,

inverno;

verso

i chiamati poli ed oppositi punti emisferici, per la rinovazione di secoli e cambiamento del suo volto, a fin che, dove era il mare ! Arida,

sii l’arida ‘, ove era torrido sii freddo, ove

la terra.

(B. 90-1) (W. I, 177-8) (L. 175) (G.t I, 94-5) (G. I, 99-100).

13I 19



G.

Bruno.

Diuloghi

italiani

LA

il tropico la

CENA

DE

sii l'equinoziale;

vicissitudine,

come

in

LE

CENERI

e finalmente questo,

sii de tutte

cossi

ne

cose

gli altri astri,

non senza raggione da gli antichi veri filosofi chiamati mondi. Or, mentre il Nolano dicea questo, il dottor Torquato cridava:



Ad

rem,

ad rem,

ad rem!



AI fine il Nolano

se mise a ridere, e gli disse, che lui non gli argomentava, né gli rispondeva,

ma che gli proponeva;

sunt res, res, res. —

e

però:

E che toccava al Torquato



Ista

appresso

de

apportar qualche cosa ad ren. Smitho. Perché questo asino si pensava essere tra goffi e balordi, credeva che quelli passassero questo suo ad rem per un argumento e determinazione; e cossi un semplice crido,

co’ la sua

catena

Teofilo. Ascoltate ad

aspettar

quel

d'oro,

satisfar

d'avantaggio.

tanto

desiderato

voltato il dottor Torquato

alla moltitudine.

Mentre

tutti

argumento,

a gli commensali,

stavano cecco

che,

dal profondo

della sufficienza sua sguaina e gli viene a donar sul mostaccio

un adagio erasmiano.



Anticyram mnavigat 1.

Smtîtho. Non possea parlar meglio un asino, e non possea udir altra voce chi va a pratticar con gli asini. Teofilo. Credo che profetasse (benché non intendesse lui medesmo la sua profezia) che il Nolano andava a far provisione d’elleboro, per risaldar il cervello a questi pazzi barbareschi. Smitho. fussero

Se quelli che v'eran presenti,

stati

civilissimi,

gli

arrebbono

come

erano civili,

attaccato,

in

loco

della collana, un capestro al collo, e fattogli contar quaranta

1 Vedi (B.

91-2)

sopra (W.

pp. I,

37-38. 178)

(L.

Qui

DB:

175-6)

132

Auficivan. (GI,

095-6)

(GI,

100-1),

DIALOGO

bastonate

resima.

QUARTO

in commemorazione

del

'

primo

giorno

di qua-

i

Teofilo. Il Nolano gli disse, che il dottor Torquato, non lui 1, era pazzo perché porta la collana; la quale se non avesse a dosso, certamente il dottor Torquato non valerebbe più che per suoi vestimenti; i quali però vagliono pochissimo, se a forza dì bastonate non gli saran spolverati sopra. E

con

questo

dire

si

alzò

di

tavola,

lamentandosi

ch’ il

signor Folco non avea fatto provisione de miglior suppositi. Frulla. Questi sono i frutti d' Inghilterra; e cercatene pur quanti volete, che le troverete tutti dottori in gramatica ? in questi nostri giorni, ne’ quali in la felice patria regna

una

costellazione

di pedantesca

ostinatissima

igno-

ranza e presunzione mista con una rustica incivilità, che farebbe prevaricar la pazienza di Giobbe. E se non il credete, andate

in Oxonia, e fatevi raccontar le cose intrave-

nute al Nolano, quando publicamente disputò con que’ dottori in teologia in presenza del prencipe Alasco polacco ed altri della nobiltà inglesa. Fatevi dire come si sapca rispondere a gli argomenti; come restò per quindeci sillogismi quindeci volte qual pulcino entro la stoppa quel povero dottor, che, come il corifeo dell’Academia, ne puo-

sero avanti in questa grave occasione. Fatevi dire con quanta incivilità e discortesia procedea quel porco, e con quanta

pazienza

ed

umanità

quell’altro,

che

in

fatto

mo-

strava essere napolitano nato ed allevato sotto più benigno

! B:

lui non.

? Intorno all'abbandono degli studi filosofici c al prevalere degli studi umanistici e grammaticali nell'università di Oxford si veda quel che ne dice il DB. nel De (B.

92-3)

(W.

I,

178-9)

la causa,

(L.

176-7)

133

principio (G.t

e uno,

I, 90)

(G.2

pp. I,

209-13.

101).

LA

CENA

DE

LE

CENERI

cielo *. Informatevi come gli han fatte finire le sue publiche letture, e quelle de immiortalitate animae,

e quelle de quin-

tuplici sphaera 3. ! Il principe polacco Alberto da Lask (o Lasco), conte palatino di Sirad (Sieradz), recatosi nel 1583 in Inghilterra, dal 10 al 13 giugno di

quell’anno fu in Oxford, ricevuto dalla città e dall'università con solenni onoranze, minutamente descritte da A. WooD, Mist. et antiquitates

universitatis

Ozoniensis,

Oxoniae,

1674,

I, 209

Sgg.

(BARTHOLMÈSS,

Jord. Bruno, 116 ss., e, dietro a lui, il BERTI, Vita?, 175-8. Cfr. anche BRUNNHOFER, G. B.'s Weltanschauung u. Verhingniss, Lipsia,

1882, pp. 28-9; McInTvYRE, I, G. :B., pp. 23-24): tra le quali una grande « disputatio in theologia, in re civili, medicina, philosophia naturali et morali », che si tenne nella maggiore chiesa (Ad beatam Virginem) di Oxford, e alla quale avrebbe partecipato il Bruno nel modo

che è qui detto, nella Cena. Ma, né il Wood, né altre memorie e documenti

dell'università

di Oxford

ricordano il suo nome;

e infruttuose

sono state le ricerche fatte anche di recente nell'Archivio del Christ Church College. Vedi C. GUrtLER, Zwei unbeh. Dialoge G. Brunos nebst

biographischen

Notizen,

in Avch.

f. Gesch

d. Philos.,

VI,

1892,

PP. 340-341. — Che l'avversario del Bruno nella disputa sia stato Tommaso Leyson, come vuole il Berti (Vita2, p. 177), non risulta né dal racconto del Wood, né dalle parole del Bruno. (Ma è ormai nota la postilla dello Harvey (G. Harvev's Marginalia, edited by C.

C.

Moore

tanus

[sic],

logia,

quàm

et axiomata

Smith,

(Oxonij

in

Stratford,

1013,

disputans cum

philosophia,

Aristotelis;

omnia

p.

156):

Doctore

« Jordanus

Vnderhil)

reuocabat

ad

Neopoli-

tam: in Theo-

Locos

Topicos,

atque inde de quauis materia promptissimè

arguebat.... », per cui si può ritenere che l'avversario di Bruno nella

disputa sia stato John Underhill (1545? Oxford - 1592 Londra), che nel 1584 ottenne la carica di Vice-Chancellor dell’ Università di Oxford (A. À Woop, Fasti Oxonienses, II, p. 225): Bruno lo definisce il corifeo de l’Academia.) Né risulta dalla Cena quale sia stato il soggetto della disputa, essendo affatto arbitrario quel che ne

dice

il

Bartholmèss,

credere che il Bruno rona,

senza

il suo nome.

che

p.

121.

partecipasse

perciò

si

potesse

Secondo

il

Giittler,

alla disputa come credere

opportuno

bisognerebbe

privato,

e co-

menzionare

® Dalle ricerche fatte nell'archivio della università di Oxford non risulta che il Bruno sia mai appartenuto a quella università. «Che

Bruno

nel suo

cenno

(W.

170)

su Oxford

si sia servito

di forti iperboli,

risulta già dal contenuto della lettera al Irocancelliere [premessa all' Explicatio Triginta sigillorun) e dalle sue lagnanze posteriori sulle sue cattive esperienze. Se egli realmente vi avesse come d o (B.

93)

I,

(L.

177)

(GI

134

I, 96-7)

(GI,

101-2).

DIALOGO

Smitho.

Chi

dona

perle

QUARTO

a porci,

non

se gli son calpestrate =. Or sequitate

si de’

lamentar,

il proposito del Tor-

quato. Teofilo.

Alzati

tutti di tavola,

vi furono

di quelli, che in

lor linguaggio accusavano il Nolano per impaziente, in vece che doveano

aver

più

tosto avanti

gli occhi

la barbara

e

salvatica discortesia del Torquato e propria. Tutta volta il Nolano, che fa professione di vencere in cortesia quelli che facilmente posseano superarlo in altro, se rimesse; e come

avesse tutto posto in oblio, disse amichevolmente

Torquato:

opinione amico



Non

pensar,

fratello,

ch'io

voglia o possa esservi nemico,

come

di me

stesso.

Per

il che

per

la

al

vostra

anzi vi son cossf

voglio

che sappiate,

alcuni anni a dietro,

la tenni semplicemente

vera; quando

ero più giovane e men più principiante nelle mente falsa che mi solo non si sdegnò di

savio, la stimai verisimile; quando ero cose speculative, la tenni si fattameravigliavo d’Aristotele, che non farne considerazione, ma anco spese

ch’ io prima ch'avesse questa posizione per cosa certissima,

cente

studenti

fatto

lctto

de immortalitate

immatricolati,

parola

di questo

certo

fatto

animae

gli

annali

e de

quintuplici

dell'università

straordinario »: GUTTLER,

sphaera

a

avrebbero

pp.

341-2.

D'altra parte, il B. non in questo luogo soltanto allermò d'aver letto a Oxford. Il dic. 1585, appena tornato da Londra a Tarigi, al bibliotecario Guglielmo Cotin egli asscriva la stessa cosa. « Ay veu, dice il Cotin, J. B., lequel n'a guères a esté en Angleterre avec

l'ambassadeur du

Roy ct a leu à Oxouford »: v. L. Auvrav, G.B. è

Paris d'après la timoignage d'un contemporain (1585-1586), in SPAMP., Vita, p. 649. E l'ELton (G. B. in England, in Modern Studies, Lon-

don,

di un

quella

1907,

Critica,

pp.

uditore non

7-8)

l'attenzione sulla testimonianza

delle lezioni del B. ad Oxford;

meno

XXII

ha richiamato

importante

(1924),

p. 252.

del

Florio:

1 Cfr. sopra p. 36, n. 3. 2 B: calpestrate (G! G2: calpestate

v.

non

SPAMP.,

(cit. p. 634,

(B. 93-4) (W. I, 179) (L. 177) (GI,

135

ma

ha avvertita

0.

c.,

p.

n. 2)).

97.8) (G.2 I, 102-3).

333,

LA

più

della mittà

CENA

DE

del secondo

LE

CENERI

libro

Del

cielo

zandosi dimostrar che la terra non si muova. putto

ed

creder

a fatto

questo

senza

intelletto

era una pazzia;

e mondo,

Quando

speculativo,

e pensavo

che

stimai

for-

ero

che

fusse stato

posto avanti da qualcuno per una materia sofistica e capziosa ed esercizio di quelli ociosi ingegni, che vogliono disputar

per gioco e che fan professione di provar e defendere che il bianco è nero. Tanto dunque io posso odiar voi per questa caggione,

quanto

me

medesmo,

quando

ero

più

giovane,

più putto, men saggio e men discreto !. Cossi, in loco ch' io mi devrei adirar con voi, vi compatisco, e priego Idio che, come ha donato a me questa cognizione, cossi (se non gli piace di farvi capaci del vedere) almeno vi faccia posser credere che sete ciechi. E questo non sarà poco per rendervi più civili e cortesi, meno ignoranti e temerarii. E voi ancora mi dovete amare, se non come quello che sono al presente più prudente

ignorante

e più vecchio,

e più giovane,

almeno

quando

come

quel che fui più

ero in parte ne gli miei

più teneri anni, come voi sete in vostra vecchiaia. Voglio che, quantunque mai son stato, conversando e disputando, cossf * salvatico,

malcreato

ed

incivile,

son

stato

però

un

tempo ignorante come voi. Cossi, avendo io riguardo al stato vostro presente conforme al mio passato, e voi al stato mio passato conforme al vostro presente, io vi amarò

e voi non m’odiarete. — Smitho. Essi, poi che sono entrati in un’altra di disputazione, che dissero a questo?

1 Il medesimo,

ad altro proposito,

*

e Gt:

così)

179-830)

(L.

III, 683). (B.

(BD: cossi;

94-5)

(W.

GI I,

177-8)

136

dirà nel De

(G.!

I, 98-9)

vinculis

(G.?

I,

specic

(Opera,

103-4).

DIALOGO

QUARTO

Teofilo. In conclusione, che loro erano compagni d’Aristotele, di Tolomeo

Nolano sati, non

soggionse,

stupidi

e molti

che

altri

sono

innumerabili

ed ignorantissimi,

solo dì Aristotele

dottissimi

che

e Tolomeo,

filosofi.

sciocchi,

in ciò sono ma

Ed

il

insen-

compagni

di essi loro

ancora;

i quali! non possono capire quel che il Nolano intende, con cui non sono, né possono esser molti consezienti, ma solo uomini divini e sapientissimi, come Pitagora, Platone ed altri. — Quanto? poi alla moltitudine, che si gloria d'aver

filosofi dal canto

suo,

vorrei

che consideri,

che

per

tanto che sono que’ filosofi conformi al volgo, han prodotta una filosofia volgare; e per quel ch’appartiene a voi che vi

fate sotto la bandiera d’Aristotele, vi dono aviso che non vi dovete gloriare, quasi intendessivo quel che intese Aristotele, e penetrassivo3 quel che penetrò Aristotele. Perché è grandissima differenza tra il non sapere quel che lui non seppe, e saper quel che lui seppe: perché dove quel filosofo

fu ignorante, ha per compagni non solamente voi, ma tutti vostri

simili,

insieme

con

i scafari+ e

fachini

londrioti;

dove quel galantuomo fu dotto e giudicioso, credo e son certissimo, che tutti insieme ne sete troppo discosti. Di una cosa fortemente mi maraveglio: che essendo voi stati invitati e venuti per disputare, non avete giamai posto tali fondamenti e proposte tale raggioni, per le quali in modo alcuno possiate conchiudere contra me, né contra il

! (I

quali

si riferisco

a essi

loro:

il segno

interpuntivo

deciso

dal G. risulta quindi inopportuno.) * Il B. passa dall'oratio obliqua all’oratio recta, riferendo le parole del Nolano. 3 Intendessivo e penetrassivo forme arcaiche, tuttora vive a Napoli. 4 Scafaro,

da scala,

barca:

barcaiuolo.

(B. 95-6) (W. I, 180) (L. 178) (G.! I, 99) (G2 I, 104). 137

LA

Copernico;

suasioni.

CENA

DE

e pur vi sono



nobilissima

LE

CENERI

tanti gagliardi argumenti

Il Torquato,

come

demostrazione,

volesse

con

una

e per-

ora sfodrare

augusta

una

maestà

di.

manda: — Ubi est aux solis? — Il Nolano rispose, che lo imaginasse dove gli piace, e concludesse qualche cosa, perché l’auge si muta e non sta sempre nel medesmo grado de

l'eclittica:

questo.

e non

Torna

il Nolano

può

il Torquato

veder

a che

a dimandar

non sapesse rispondere

proposito

dimanda

il medesmo,

a questo,

Rispose

come

il No-

lano: — Quot sunt sacramenta Ecclesiae? Est circa vigesimum Cancri, el oppositum circa decimum vel centesimum Capricorni, o sopra il campanile di San Paolo !. Smitho. Possete conoscere a che proposito dimandasse questo ? Teofilo. Der mostrar a que’, che non sapean nulla, che lui disputava

e che

diceva

qualche

cosa;

ed oltre,

tanti quomodo, quare, ubî, sin che ne trovasse uno,

tentare al quale

il Nolano intendere

dicesse, che non sapea; sin a questo, che volse quante stelle sono della quarta grandezza. Ma

il Nolano

disse,

al proposito.

che non

sapeva

Questa interrogazione

altro che quello che era de l'auge del sole con-

chiude in tutto e per tutto, che costui era ignorantissimo di disputare. Ad uno che dice la terra muoversi circa il sole, il sole star fisso in mezzo di questi erranti lumi, dimandare dove è l’auge del sole, è a punto come se uno dimandasse a quello de l’ordinario parere, dove è l’auge della terra. E pur la prima lezione, che si dà ad uno che vuole imparar di argumentare, è di non cercare e dimandar secondo i proprii principii, ma quelli che son concessi da l'avversario. Ma a 1 A

(B.

96)

Londra.

(W.

I,

Vedi

180-1)

p.

75.

(L.

178-9)

138

(G.I

I, 99-100)

(G.

I, 104-5).

DIALOGO

QUARTO

questo goffo tutto era il medesmo; perché cosi arrebe saputo tirar argumenti da que’suppositi che sono a proposito, come da que’ che son fuor di proposito. Finito

glese

questo

tra

loro, e

discorso,

dopo

cominciorno

aver

alquanto

a raggionar

trascorso

ecco comparir su la tavola carta e calamaio. quato

distese; quanto

go e lungo,

un

era lar-

foglio;

la piuma ! in mano;

in in-

insieme,

Il dottor Tor-

PTOLEMAEVS.

prese

tira una

linea retta per mezzo del foglio da un canto a l’altro;

zo

forma un circolo a cui la

linea il

in mez-

predetta,

centro,

passando

facea

per

diametro;

e

dentro un semicircolo di quello scrive Terra, e dentro l'al-

tro scrive

Sol.

Dal canto

la

forma

otto

terra

circoli,

erano

dove

gli

de

semi-

ordinatamente

caratteri

di sette

COPERNICVS,

pianeti (fig. 7] e circa l'ulFig. 7 timo scritto: Octava Sphaera Mobilis; e ne la margine *: Plolomacus 3. Tra tanto il Nolano disse a costui che volea far di questo, che sanno sin ai putti ? Torquato rispose: — Vide, tace et disce: ego docebo te Plolomaeum et Copernicum. — 1 Franc. flume, penna da scrivere. * Di genere comune presso gli antichi, 3 B: Pilolomeus; e poco dopo Ptolomeum.

intendeva tracciare la figura che lib. I, capo 10, cd. cit., f. 9 v.

(B.

06-7)

(W.

I,

181)

(L.

è nel De

179)

(G.!

139

T,



revol.

100-1)

Il dottor Torquato

orb.

di CoPERNICO,

(GI,

105-6).

LA

Smitho. Sus

CENA

DE

quandoque

LE

CENERI

Minervam *.

Teofilo, Il Nolano rispose che, quando uno scrive l'alfabeto, mostra mal principio di voler insegnar gramatica ad

un che ne intende più che lui. — Séguita a far la sua descrizione il Torquato,

e circa il sole, che era nel mezzo,

forma

sette semicircoli con simili caratteri, circa l’ultimo scrivendo:

Sphaera Inmobilis ® Fixarivn,

e ne la margine:

Copernicus.

Poi se volta al terzo circolo, ed in un punto della sua circon-

ferenza

forma

delineata

il centro

d'un

la circonferenza,

epiciclo,

in detto

de la terra; ed a fin che alcuno

non

al

quale,

avendo

centro

penge

il globo

s' ingannasse

pensando

che quello non fusse la terra, vi scrive a bel carattere: Terra; ed in un loco de la circonferenza de l'epiciclo, distantissimo

dal mezzo, figurò il carattere della luna. Quando

costui mi

vedde

questo

il Nolano:



Ecco,

disse,

che

volea insegnare del Copernico quel che il Coper-

nico medesmo

non

intese,

e piu tosto s'arrebe

fatio tagliar

il collo, che dirlo o scriverlo. Perché il più grande asino del mondo saprà, che da quella parte sempre si vedrebbe il

diametro

del

seguitarebbono,

sole che

equale; non

si

ed

altre

possono

molte

conclusioni

verificare.



Tace,

tace, disse il Torquato: tu vis me docere Coperniciun? — Io curo poco il Copernico, disse il Nolano, e poco mi curo, che voi o altri l’ intendano;

ma di questo solo voglio aver-

tirvi: che, prima che vengate ad insegnarmi un'altra volta, che studiate meglio. — Ferno tanta diligenza i gentilomini 1 Proverbio greco e latino. ErAsMO, Adagia, chil. I, cent. I, n. 40 (cd. cit., col. 35): « Dici solet quoties indoctus quispiam atque insulsus eum docere conatur, a quo sit ipse magis docendus ». Cfr. A.

VANNUCCI,

2

(B:

Prov.

Inmobilis;

lat.

illustr.,

G! G*:

Milano,

Immobilis)

1882,

II,

50.

{B. 98-9) (W. I 181-2) (L. 180) (G.! I, 1o1-2) (G.3 I, 106-7). 140

DIALOGO

QUARTO

che v'eran presenti, che fu portato il libro del Copernico;

e guardando nella figura, veddero che la terra non era descritta nella circonferenza de l'epiciclo come la luna. Però volea Torquato che quel punto, che era in mezzo

de l'epici-

clo nella circonferenza della terza sfera, significasse la terra. Snutho.

La

causa

dell'errore

fu,

che

il Torquato

avea

contemplate le figure di quel libro e non avea letto gli capitoli; e se pur le ha letti, non l’ha intesi. Teofilo.

Il

Nolano

se

mise

a'

ridere;

e

dissegli,

che

quel punto non significava altro, che la pedata del compasso, quando si delineò l’epiciclo della terra e della luna, il quale è tutto uno ed il medesmo.

Or, se volete veramente sapere

dove è la terra, secondo il senso del Copernico, sue paroli. Lessero e ritrovarno essere contenute

rimasero

come

e Torquato,

ch'il

Nolano,

da

sua

in

lor

avendo

salutasse

epiciclo,

lingua,

salutato

se n’andorno;

parte

dicea la terra e la luna

da medesmo

mastigando

dinio

che

sin tutti

e lui inviò

loro.

leggete le

Que’

ecc. 2. E cossi

tanto che Nungli uno

altri,

eccetto

appresso,

cavallieri,

dopo

che aver

pregato il Nolano, che non si turbasse per la discortese incivilità e temeraria ignoranza de’ lor dottori, ma che avesse compassione alla povertà di questa patria, la quale è rimasta vedova delle buone lettere per quanto appartiene alla professione di filosofia e reali matematiche (nelle quali, ! B:

ad.

? CoreRNIcO,

l. c.:

« Quartum

in ordine

annua

revolutio

locum

(vedila

citata

obtinct, in quo terram cum orbe lunari tanquam cpicyclo contineri diximus ». (Il medesimo errore del B. era stato commesso da PonTUS

DE

Tyarp

nella sua

in F. A. YATES, London, 1947, p.

nota.)

(B.

909-100)

(W.

traduz.

del passo

copernicano

The Freuch Academies of the Sixicenth Century, 103, in nota; cfr. l'ediz. crit. della Cera, p. 201,

I,

182-3)

(L.

180-1)

I4I

(G.!

I,

102-3)

(G.2

I,

107).

LA

mentre

CENA

DE LE

CENERI

sono tutti ciechi, vengono

questi asini, e ne si ven-

dono per oculati, e ne porgeno vessiche per lanterne) con cortesissime salutazioni lasciandolo, se ne andaro per un camino,

Noi

di a casa,

ed

il Nolano,

senza

ritrovar

per un

altro,

ritornammo

di que’ rintuzzi

la notte era profonda, e gli animali

ordinarii,

tar-

perché

cornupeti e calcitranti

non ne molestaro al ritorno come alla venuta; perché, pren-

dendo l’alto riposo, s'erano nelle lor mandre e stalle retirati. Prudenzio. Nox

erat,

ct placidum

carpebant

fessa soporem

Corpora per terras, sylvaeque et saeva quierant Acequora,

Cum

Smitho. Teofilo, ch’altro

cum

medio

tacet omnis

Orsi,

ager,

abbiamo

volvuntur

pecudes

assai

sidera

etc.!

detto

ritornate domani, perché voglio proposito circa la dottrina del

lapsu,

oggi.

Di

grazia,

intendere qualNolano. Perché

quella del Copernico, benché sii comoda alle supputazioni *, tutta volta non è sicura ed ispedita quanto alle raggioni naturali, le quali son le principali. Teofilo,

Ritornarò

Frulla. Ed io. Prudenzio.

Ego

quoque.

Fine

1 Vircitio,

è? Cfr. sopra, (B.

100-1)

volentieri

del

Aen.,

IV,

un’altra

volta.

Valete.

quarto

dialogo.

522-5.

p. 87, n. 1.

(W.

I,

183)

(L.

181)

142

(G.t

I,

103)

(GI,

107-8).

DIALOGO QUINTO Teofilo.

Perché non son più né altramente fisse le altre

stelle al cielo, medesmo d'esser

che questa

firmamento, chiamato

stella, che

che

ottava

è

è la terra,

l’aria;

sfera,

dove

e

non

è

è la coda

è fissa nel più

degno

de l’ Orsa,

che dove è la terra, nella quale siamo noi; perché in una medesma eterea reggione, come in un medesmo gran spacio e campo, son questi corpi distinti e con certi convenienti intervalli allontanati gli uni da gli altri; considerate la caggione, ‘per la quale son stati giudicati sette cieli degli erranti, ed uno

solo di tutti gli altri. Il vario moto,

vedeva in sette, ed uno serbano perpetuamente fa parer a tutte quelle un orbe, e non esser più

che si

regolato in tutte l'altre stelle, che la medesma equidistanza e regola, convenir un moto, una fissione ed che otto sfere sensibili per gli lumi-

nari, che sono com' inchiodati

in quelle. Or, se noi venemo

a tanto lume e tal regolato senso, che conosciamo

questa

apparenza del moto mondano procedere dal giro de la terra,

se dalla similitudine della consistenzia di questo corpo in mezzo l’aria giudichiamo la consistenza di tutti gli altri corpi,

potremo

conchiudere (B.

101-2)

prima

credere,

il contrario (W.

I,

184)

(L.

di quel 181-2)

143

e

poi

sogno (G3I

demostrativamente

e quella (104))

(G*

fantasia, I

'109]).

LA

CENA

che è stato quel primo ed è per generarne quello

errore,

DE

LE

CENERI

inconveniente,

che ne ha generati

tanti altri innumerabili.

come

a

noi,

che

dal

Quindi

centro

de

accade

l’orizonte,

voltando gli occhi da ognì parte, possiamo giudicar la maggior e minor distanza da, tra, ed in quelle cose, che son B

più vicine, ma

da un

in oltre tutte

ne

mente

D

A

lontane;

firmamento

certo termine

parranno

equal-

cossiî, alle stelle del

guardando,

apprendia-

mo la differenza de’ moti e distanze d'alcuni astri più vicini, ma gli più lontani e lontanissimi ne appaiono stanti

O, la vista, l'occhio, 0 An, tudini

0 D, lunghezze, e

lince visuali,

e lontani,

quanto

alla

di-

longi-

tudine; qualmente un arbore talvolta parrà più vicino e l'altro, perchési accosta al medesmo semidia-

o O C,

inmobili, ed equalmente

Metro; e perché sarà in quello indif-

longiAC,

ferente,

4 ©, € D, larghezze, lati

parta

x



tutt'uno:

.

e

pure

con

tutto ciò sarà pit lontananza

tra

questi, che tra quelli che son giudicati molto più discosti per la differenza di semidiametri. Cossi accade che tal stella è stimata molto maggiore, che è molto minore; tale molto più lontana, che è molto più viVig. 8

cina.

Come

occhio,

nella

la stella A

pur si mostra per

essere

in

seguente figura

pare

distinta, un

[fig. 8],

la medesma gli parrà

dove

con la stella B;

vicinissima;

semidiametro

ad

molto

O,

e, se

e la stella C,

differente,

parrà

molto più lontana; ed in fatto è molto più vicina. Dunque, che noi non veggiamo molti moti in quelle stelle, e non si (B. 102-3)

(W.I

184-5)

(L. 182)

(GI I

144

[104]-5)

(G=I

[109)-10).

DIALOGO

mostrino

allontanarsi

QUINTO

ed accostarsi

l'une da l'altre, e l’une

all’altre, non è perché non facciano cossi quelle come queste gli lor giri; atteso che non è raggione alcuna, per la quale in quelle non siano gli medesmi accidenti che in queste, per i quali medesmamente un corpo, per prendere virtù da l’altro, debba

muoversi

circa l’altro.

E però

non

denno

esser chiamate fisse perché veramente serbino la medesma equidistanza da noi e tra loro; ma perché il lor moto

non è

sensibile a noi. Questo si può veder in essempio d’una nave molto lontana,

la quale, se farà un giro di trenta o di qua-

ranta passi,

non

meno

si movesse

punto.

parrà

Cossi,

che la stii ferma,

proporzionalmente,

che

se non

è da

consi-

derare in distanze maggiori, in corpi grandissimi e luminosissimi, de’ quali è possibile che molti altri ed innumerabili siino cossi grandie cossi lucenti come il sole, e di vantaggio.

I circoli e moti di quali molto più grandi non si veggono; onde, se in alcuni astri di quelli accade varietà d’approssimanza, non si può conoscere, se non per lunghissime osser-

vazioni; le quali non son state cominciate, né perseguite,

perché tal moto nessuno l' ha creduto, né cercato, né presupposto; e sappiamo che il principio de l’ inquisizione è il sapere e conoscere, che la cosa sii, o sii possibile e conveniente, e da quello si cave profitto. Prudenzio, Rem acu tangis!. Teofilo. Or questa distinzion di corpi ne la eterea reg-

I«Rem acu tetigisti. Est apud Plautum in Rudente.... pro eo quod est, rem ipsam divinasti, nihil aberrans. Metaphora sumpta videri potest a lusu quopiam, in quo divinator, id quod alius notasset, summa acu tangebat. Igitur acu tangere, est quasi dicas ipsissimum punctum attingere »: Erasmo, chil. II, cent. V (ma IV), n. 93 (ed. cit., col. 441). (B.

103-5)

(W.

I

185)

(L.

182-3)

145

(G!

I

105-060)

(G3

perinde Adagia,

110-I).

LA

CENA

DE

LE

CENERI

gione l’ ha conosciuta Eraclito, Democrito, gora,

Parmenide,

stracci!

che

Melisso,

n’abbiamo:

come

onde

ne

fan

si vede,

Epicuro,

Pita-

manifesto

que’

che

conobbero

un

spacio infinito, regione infinita, selva infinita, capacità infinita di mondi innumerabili simili a questo, i quali cossi compiscono i lor circoli, come la terra il suo; e però anticamente si chiamavano

ethera,

cioè corridori, corrieri 2,

ambasciadori, nuncii della magnificenza de l’unico altissimo, che con musicale armonia contemprano l'ordine della constituzion della natura, vivo specchio dell' infinita deità. Il qual nome di ethera dalla cieca ignoranza è stato tolto

a questi,

ed

attribuito

a certe

quinte

essenze,

nelle

quali, come tanti chiodi, siino inchiodate queste lucciole e lanterne. Questi corridori hanno il principio di moti intrinseco, la propria natura 3, la propria anima, la propria intelligenza: perché non è sufficiente il liquido e sottile aria a muovere si dense e gran machine. Perché a far questo gli bisognarebbe virtù trattiva4 o impulsiva ed altre simili, che

non

si fanno

senza

contatto

di dui corpi almeno,

de'

quali l'uno con l'estremità sua risospinge e l'altro è riso-

spinto.

E certo tutte cose, che son mosse

in questo modo,

riconoscono il principio de lor moto o contra o fuor de la propria natura; dico o violento, o almeno non naturale. È dunque cosa conveniente alla commodità delle cose che sono

ed

a

l’effetto

moto

sii naturale

della

da principio

! Ossia i frammenti

in Opera, ® Cfr.

intrinseco

4

(=

(B.

(G!

dal

105-6)

G.

la propria

guasta,

BD): trattiva;

(W.

I

natura

alterandolo,

G*: trattriva

185-0)

(L.

183)

146

causa,

interno

c le notizie

I, 1, 282 (-283), 288. sopra p. 13, n. I.

3 (B:

interposta

perfettissima

che

e proprio

indirette.

Cfr.

(cioè nella il senso

il De ccc.). La

logico

questo

appulso inmimenso,

della

virgola

frasc.)

(per evidente svista tipogr.).)

(G.T

I,

106-7)

(GI,

111).

DIALOGO

QUINTO

senza resistenza. Questo conviene a tutti corpi, che senza contatto sensibile di altro impellente o attraente si muoveno. Però la intendeno al rovescio quei che dicono, che la calamita tira il ferro, l'ambra la paglia, il getto! la piuma, il sole l'elitropia; ma nel ferro è come un senso, il qual è svegliato da una virtà spirituale, che si diffonde dalla calamita, col quale si muove a quella, la paglia a l’ambra; e generalmente si muove

tutto

quel

che

alla cosa desiderata,

desidera

ed

ha

indigenza,

e si converte in quella al suo

possibile, cominciando

dal voler essere nel medesmo

Da

che

questo

considerar,

da principio resistenza

estrinseco

del

mobile,

nulla cosa si muove

senza

contatto

depende

il

pi

loco.

localmente

vigoroso

considerare

della

quanto

sii

sollenne goffaria e cosa impossibile a persuadere ad un regolato sentimento,

che

la luna muove

l’acqui

del mare,

cag-

gionando il flusso in quello, fa crescere gli umori, feconda i pesci, empie l'ostreche e produce altri effetti; atteso che quella di tutte queste cose è propriamente segno, e non causa =, queste

Segno

ced

indizio, dico,

cose con certe disposizioni

contrarie procede

e diverse da l'ordine

con

perché

della luna,

contrarie

e

e corispondenza

il vedere

ed altre cose

diverse disposizioni, delle cose,

c le leggi

d'una mutazione che son conformi,e corrispondenti alle leggi de l’altra. Sinîtho. Dall’ ignoranza di questa distinzione procede, che di simili errori son pieni molti scartafazzi, che ne insegnano

tante

strane

filosofie;

I Getto, smalto composto Qui espresso cfr. p. 109.

? Cfr. (B.

distinzione

106-7)

(W.

(L.

tra altiov

183-4)

147 14



Q,

Bruno,

Diulngli

le cose, che

di ghiaia e calcina.

aristotelica

I, 186)

dove

italiani

(G.!

son

segni,

Per il pensiero

e onuetov. I, 107)

(G.2 I, 112).

LA

circonstanze

CENA

DE

LE

ed accidenti,

son

CENERI

chiamate

cause;

tra

quali

inezie quella è una delle reggine, che dice li raggi perpendicolari e retti esser causa di maggior caldo, e li acuti ed obliqui di maggior freddo, Il che però è accidente del sole, vera causa di ciò, quando persevera più o meno sopra la terra. Raggio reflesso e diretto, angolo acuto ed ottuso, linea perpendicolare, incidente e piana, arco maggiore e minore, aspetto tale e quale son circostanze matematiche e non cause naturali. Altro è giocare con la geometria, altro

è verificare con la natura. Non son le linee e gli angoli, che fanno scaldar più o meno il fuoco, ma le vicine e distanti situazioni, Teofilo.

chiarisce gran

lunghe

La intendete molto

l’altra.

corpi,

e brieve dimore.

se

Or

fusser

per

bene;

conchiudere

mossi

ecco come

una verità

il proposito,

dall’estrinseco

questi

altrimente

che

come dal fine e bene desiderato, ed accidentalmente; ancor che

sarrebono mossi avessero quella

violentepotenza,

la qual è detta non repugnante,

perché il vero non repu-

gnante è il naturale; e il naturale, o vogli o non, è principio

intrinseco, il quale da per sé porta la cosa dove conviene. Altrimente l’estrinseco motore non moverrà senza fatica, © pur non

sarà necessario,

ma

soverchio;

e se vuoi che sia

necessario,

accusi la causa efficiente per deficiente nel suo

effetto, c che occupa gli nobilissimi motori a mobili assai pit indegni;

come

fanno

quelli,

che

dicono

l’azioni

delle

for-

miche ed aragne esserno 1, non da propria prudenza e artificio, ma da l’intelligenze divine non erranti che gli donano, verbigrazia, le spinte, che si chiamano istinti naturali, cd

! Cfr. (B.

p. Gi,

107-8)

(W.

n.

1.

I, 187)

(L.

184-5)

14S

(G.!

I,

107-8)

(GI,

112-3).

DIALOGO

QUINTO

altre cose significate per voci senza sentimento. domandate sapranno cosîf

a questi

savii,

dir altro, che

indeterminata

significa principio per non

dir o un

e

che

cosa

è quello

instinto, sciocca,

istigativo,

instinto,

o qualche

come

questo

ch’è un

sesto senso

Perché, se

nome

o raggione

non

altra voce

instinto,

che

comunissimo,

o pur

intelletto 1,

Prudenzio. Nimis arduae quaestiones! Smitho. A quelli che non le vogliono intendere, ma che vogliono ostinatamente credere il falso. Ma ritorniamo a noi. Io*

saprei

bene, che

rispondere

a costoro, che

cosa difficile, che la terra si muova,

hanno

per

dicendo, ch’ è un corpo

cossi grande, cossi spesso e cossi grave. Pure vorrei udire il vostro modo di rispondere, perché vi veggio tanto risoluto nelle raggioni. Prudenzio. Non talis mihi. Smitho. Perché voi siete una talpa. Teofilo. Il modo di rispondere consiste in questo: che il medesmo potreste dir della luna, il sole e d'altri grandissimi

corpi,

e tanti

innumerabili,

che

gli aversarii

vogliono

che s! velocemente circondino la terra con giri tanto smisurati. E pur hanno per gran cosa, che la terra in 24 ore si svolga circa il proprio centro, ed in un anno circa il sole. Sappi, che né la terra, né altro corpo è assolutamente grave o lieve. Nessuno corpo nel suo loco è grave né leggiero 3; ma queste differenze e qualità accadeno non a’ corpi principali e particolari individui perfetti dell'universo, ma convegnono alle parti, che son divise dal tutto, e che se ritrovano

nel

I Sull' 1591, * (G?: 3 Cfr.

(B.

istinto cfr. la Sinunia terminorum metaphysicorum pubbl. nel 1595), in Opera, I, iv, (120-) 121. lo (svista tipogr.).) De l'infinito, pp. 405-6.

108-9)

(W.

I,

187-8)

(L.

185)

149

(G.!

I,

108-0)

(G.2

I,

(scritta

113-4).

LA

CENA

DE

fuor del proprio continente,

meno

naturalmente

vazione,

CENERI

e come

si forzano

che il ferro verso

varla non

LE

peregrine 1: queste non

verso

il loco della conser-

la calamita;

determinatamente

il quale

al basso

va a

ritro-

o sopra o a destra,

ma ad ogni differenza locale, ovunque sia. Le parti della terra da l’aria vengono verso noi, perché qua è la lor sfera; la qual però se fusse alla parte opposita, se parterebono da

noi,

a quella

drizzando

il corso.

Cossi

l’acqui,

cossi

il

fuoco. L'acqua nel suo loco non è grave, e non aggrava quelli, che son nel profondo del mare. Le braccia, il capo ed altre membra non son grievi al proprio busto; e nessuna cosa naturalmente costituita caggiona atto di violenza nel suo loco naturale. Gravità e levità non si vede attualmente in cosa, che possiede il suo loco e disposizione naturale; ma

si trova

nelle

cose,

che

hanno

un

certo

empito;

col

quale si forzano al loco conveniente a sé. Però è cosa assorda di chiamar corpo alcuno naturalmente grave o lieve, essendo che queste qualità non convengono a cosa che è nella sua constituzione naturale, ma

fuor di quella; il che non aviene

alla sfera giamai, ma qualche volta alle parti di quella, le quali però non sono determinate a certa differenza locale secondo il nostro riguardo, ma sempre si determinano al loco, dove è la propria sfera ed il centro della sua conservazione. Onde, se infra la terra si ritrovasse un’altra spezie di corpo, le parti della terra da quel loco naturalmente montarebbono;

e se

alcuna

scintilla

di

foco

si trovasse,

per parlar secondo il comone, sopra il concavo della luna, verrebbe a basso con quella velocità, con la quale dal con1 Cfr. Corernico,

lat., p. 228). (B.

1009-10)

(W.

De

I, 188)

sevol. ord.,

lib. I, cap.

(L.

(G.!

185-6)

.150

I,

8 (Tocco,

1009-10)

(G.?

Le opp.

I, 114-5).

DIALOGO

QUINTO

vesso de la terra ascende in alto.

Cossi l’acqua non meno

descende in sino al centro della terra, se si gli dà spacio, che dal centro della terra ascende alla superficie di quella. Parimente l’aria ad ogni differenza locale con medesma facilità si muove. Che vuol dir dunque grave e lieve? Non veggiamo noi la fiamma talvolta andar al basso ed altri lati ad accendere un corpo disposto al suo nutrimento e conservazione? Ogni cosa dunque, che è naturale, è facilissima; ogni loco e moto naturale è convenientissimo. Con quella facilità, con la quale le cose che naturalmente non si muoveno persisteno fisse nel suo loco, le altre cose che

naturalmente si muoveno, marciano pe gli lor spacii. E come violentemente

cossi

e contra

violentemente

sua natura

e contra

natura

quelle

arrebono

queste

moto,

arrebono

fis-

sione. Certo è dunque che, se alla terra naturalmente convenesse

l’esser

fissa,

il suo

moto

sarrebbe

violento,

contra

natura e difficile. Ma chi ha trovato questo ? chi l' ha provato ? La comone ignoranza, il difetto di senso e di raggione. Sauitho.

Questo

ho

molto

ben

capito,

che

la terra

nel

suo loco non è più grave che il sole nel suo, e gli membri de’ corpi principali, come le acqui, nelle. sue sfere; da le quali

divise,

da

ogni

loco,

sito

e verso

si moverrebono

a

quelle. Onde noi al nostro riguardo le potreimo dire non meno gravi che lieve, gravi e lieve che indifferenti: come veggiamo ne le comete ed altre accensioni, le quali dai corpi che bruggiano alle volte mandano la fiamma a’ luoghi oppositi, onde le chiamano comate; alle volte verso noi, onde le dicono barbate; alle volte da altri lati, onde le

dicono nente,

caudate.

ed

L'aria, il qual è generalissimo conti-

è il firmamento

di

corpi

sferici,

da

tutte

parti

esce, in tutte parti entra, per tutto penetra, a tutto si dif{B.

rro-1)

(W.

I,

188-9)

(L.

186-7)

ISI

(G.!

I,

r1o-1)

(G.*

I,

115).

LA

CENA

DE

LE

CENERI

fonde; e però è vano l'argomento che costoro apportano, della raggione della fissione de la terra, per esser corpo ponderoso,

denso e freddo.

Teofilo. Lodo Idio, che vi veggio tanto capace, e che mi togliete tal fatica, ed avete ben compreso quel principio, col quale possete rispondere a più gagliarde persuasioni di volgari filosofi, e avete adito a molte profonde contemplazioni della natura. Suutho. Prima che venghi ad altre questioni, al presente

vorrei

sapere,

come

vogliamo

noi

dire

che

il sole

è

l'elemento vero del fuoco, e primo caldo, e quello è fisso in mezzo di questi corpi erranti, tra’ quali intendiamo la terra. Perché mi occorre ch'è più verisimile che questo corpo si muova, che li altri, che noi possiamo veder per esperienza

del

senso.

Teofilo. Dite la raggione. Smitho. Le parti della terra, ovonque mente

o per

violenza

ritenute,

non

siino o natural-

si muoveno.

Cossf

le

parti de l'acqui fuor del mare, fiumi ed altri vivi continenti, stanno

ferme.

Ma

cultà di montare concavità

delle

le parti

del foco,

in alto, come fornaci,

quando

quando

si svolgeno

non

hanno

fa-

son ritenute dalle

e ruotano

in tondo,

e

non è modo che le ritegna. Se dunque vogliamo prendere qualche argumento e fede dalle parti, il moto conviene più al sole ed elemento di foco, che alla terra. Teofilo. A questo rispondo prima, che perciò si potrebe concedere, che il sole si muova circa il proprio centro, ma

lat.

(B.

non già circa altro mezzo; ! Cîr. De di G.

rI1-2)

B.,

îmin., pp.

(W.

I, 5; e vedi

216

e 257,

I, 189-090)

(L.

n.

atteso che basta, su questo 2.

187)

152

(G.1

punto

I, 111-2)

che tutti i

Tocco,

Le

off.

(G.2 I, 115-6).

DIALOGO

QUINTO

circostanti corpi si muovano circa lui, per tanto che di esso

quelli han bisogno; ed anco per quel, che forse anco lui potesse desiderar da essi, Secondo,

mento

del foco è soggetto

denso

e dissimilare

Però

in

del primo

parti

che

si chiama

caldo

e membri,

quello che noi veggiamo

acceso,

è da considerare,

muoversi

fiamma,

come

che l'ele-

e corpo

come

cossî

è la

terra.

di tal sorte,

è aria

il medesmo

aria alte-

rato dal freddo della terra si chiama vapore. Siitho. E da questo mi par aver mezzo di confirmar quel che dico, perché il vapore si muove tardo e pigro, la fiamma ed esalazione velocissimamente; e però quello, che è più simile al foco, si vede molto più mobile che quello aria, ch' è simigliante più alla terra. Teofilo. La caggione è, che il fuoco pi si forza di fuggire da questa reggione, la quale è più connaturale al corpo di contraria qualità. Come se l'acqua o il vapore se ritrovasse nella reggione del fuoco, o loco simile a quella, con più velocità fuggirebbe che l'exalazione, la quale ha con lui

certa participazione e connaturalità maggiore

rietà

o

differenza.

intenzione circa

del

il moto

Bastivi

Nolano

di

non

o quiete

tener

trovo

che contra-

questo,

perché

determinazione

del sole 1. Quel

moto,

della

alcuna

dunque,

che

veggiamo nella fiamma, ch'è ritenuta e contenuta nelle concavità de le fornaci, procede da quel, che la virti del 1 Invece nel cit. cap. del De inunenso sostiene il molo rotatorio del sole intorno al proprio asse: «omnia astra circuire, etiam fixa, inter quae sol est unus » (Opera, I, 1, 218; cfr. lib. IV, cap. 8; I, n, 45):

dottrina

mnacchie

bruniano

che

fu

poi

insegnata

dal

solavî. Circa alla ragione dalla

Cena

al

I,

190)

De

Galilei

di questo

immenso

v.

187-8)

(G.t

nelle

Le/fere

progresso

Tocco,

o.

c.,

intorno

alle

del pensiero p.

258.

« Al

Bruno spetta il merito di aver per primo affermato la rotazione del sole intorno al proprio asse»: BRUNNHOFER, 0. €c., p. 168. (DB.

112)

(W.

(L.

153

I,

112)

(G2

I,

116-7).

LA

CENA

DE

LE

CENERI

foco perseguita, accende, altera e trasmuta l’aria vaporoso, del quale vuole aumentarsi

e fugge il nemico Smitho.

del suo essere e la sua correzione.

Avete

l’aria puro

e nodrirsi, e quell'altro si ritira

detto

l’aria

vaporoso;

che

direste

del-

e semplice?

Teofilo. Quello non è più soggetto di calore, che di freddo; non è più capace e ricetto di umore, quando viene inspessato dal freddo, che di vapore ed essalazione ', quando viene

attenuata

l'acqua

dal caldo.

Smitho.

Essendo

che

nella

providenza

e senza

causa

natura

finale,

non

vorrei

è cosa

di nuovo

senza

saper

da

voi (perché, per quel ch'avete detto, ciò si può perfettamente comprendere): per qual causa è il moto locale della terra ? Teofilo. La caggione di cotal moto è la rinovazione e rinascenza

di questo

corpo;

il quale,

secondo

la medesma

disposizione, non può essere perpetuo; come le cose che non possono

essere perpetue secondo

il numero

(per parlar se-

condo il comune) si fanno perpetue secondo la spezie, le sustanze che non possono perpetuarsi sotto il medesmo volto, si vanno

tutta via cangiando

di faccia.

Perché,

essendo

la

materia e sustanza delle cose incorrottibile, e dovendo quella

secondo tutte le parti esser soggetto di tutte forme, a fin che secondo tutte le parti, per quanto è capace, si fia tutto, sia tutto, se non in un medesmo tempo ed instante d’eternità, al meno in diversi tempi, in varii instanti d’eternità successiva- e vicissitudinalmente; perché, quantunque tutta la materia sia capace di tutte le forme insieme, non però de tutte quelle insieme può essere capace ogni parte della I (B: (B.

exalalione)

112-3)

(W.

T,

190-1)

{L.

188)

154

(G.t

1,

112-3)

(G.2

I,

117-8).

DIALOGO

materia; però questo globo,

QUINTO

a questa massa intiera, della qual consta questo astro, non essendo conveniente la

morte e la dissoluzione, ed essendo a tutta natura impossibile l’annichilazione !, a tempi a tempi, con certo ordine, viene

a rinovarsi,

alterando,

cangiando,

le sue parti

tutte:

il che conviene che sia con certa successione, ognuna pren-

dendo il loco de l’altre tutte; perché altrimente questi corpi, che

sono

bono, Ma

dissolubili,

come

avviene

a costoro,

attualmente

talvolta

a noi particolari

come

crede

Platone

si

dissolvereb-

e minori

nel

Tico,

animali ?. e crediamo

ancor noì, è stato detto dal primo principio: « Voi siete dissolubili, ma non vi dissolverete 3». Accade dunque, che non è parte nel centro e mezzo della stella, che non si faccia

nella circonferenza e fuor di quella; non è porzione in quella cxtima

ed esterna,

che non

debba

tal volta farsi ed essere

intima ed interna. E questo l’esperienza d'ogni giorno ne ’l dimostra;

ché

s'accoglieno, E

noi

nel

grembo

e viscere

della

terra

altre

ed altre cose da quelle ne si mandan

medesmi

e le cose

nostre andiamo

cose

fuori,

e vegnamo,

pas-

siamo e ritorniamo, e non è cosa nostra che non si faccia aliena e non è cosa aliena che non si faccia nostra. E non è cosa della quale noi siamo, nostra,

come

che tal volta non

non è cosa la quale è nostra,

debba esser

della quale non

1 (B: annikilatione) ? Questo residuo d'aristotelismo è abbandonato dal Bruno nel De immenso, II, 5 e V, 3 (Opera, I, 1, 272 e I, II, 126), dove ammette come possibile la mortalità, sostenuta da' Jonici e dagli atomisti,

dei

mondi,

e

mantiene

come

indubitabile

soltanto

l' indi-

sibile che il globo terrestre abbia a finire per combustione III, 529).

(Opera,

struttibilità dell’universo. Vedi su questo punto Tocco, Le opp. lat., pp. 230, 323-4. Anche nelle opere inedite giudica minime impos3 Cfr.

(B.

PLATONE,

113-4)

(W.

L

Tim., 1091)

p.

(L.

41,

A-B;

188-9)

155

(G.t

e il De I,

la causa,

113-4)

(G.*

I,

p.

229. 118).

LA

doviamo

talvolta

CENA

DE

essere,

se

LE

una

CENERI

è la materia

delle

cose,

in un geno, se due sono le materie, in dui geni: perché ancora non

determino,

se la sustanza

e materia,

che

chiamiamo

spirituale, si cangia in quella che diciamo corporale e per il contrario, hanno

o veramente

tutte

infelicità, chiama

non.

vicissitudine

de

morte,

quel

stato

Cossi

tutte

di dominio

cose

nel suo

e serviti,

felicità

che si chiama vita e quello

di luce e tenebre,

di bene

geno

e male.

ed

che

si

E non

è

cosa alla quale naturalmente convegna esser eterna, eccetto che alla sustanza, che è la materia, a cui non meno

essere

in continua

mutazione.

Della

conviene

sustanza soprasustan-

ziale non parlo al presente, ma ritorno a raggionar particularmente di questo grande individuo, ch’ è la nostra perpetua nutrice e madre, di cui dimandaste per qual caggione fusse il moto

locale. E dico, che la causa del moto

locale,

tanto del tutto intiero quanto di ciascuna delle parti, è il fine della vicissitudine, non solo perché tutto si ritrove in tutti luoghi, ma ancora perché con tal mezzo tutto abbia tutte disposizioni e forme: per ciò che degnissimamente il moto locale è stato stimato principio d'ogni altra mutazione e forma; e che, tolto questo, non può essere alcun altro. Aristotele s’' ha possuto accorgere della mutazione secondo le disposizioni e qualità, che sono nelle parti tutte de la terra; ma non intese quel moto locale, che è principio di quelle. Pure nel fine del primo libro della sua Meteora ha parlato

come

medesmé

tal

un

che

volta

profetiza non

e divina.

s’intenda,

Ché,

pure

in

benché certo

lui

modo

zoppigando e meschiando sempre qualche cosa del proprio errore al divino furore, dice per il più e per il principale il vero. Or apportiamo quel che lui dice, e vero e degno d’essere considerato; e poi soggiungeremo le cause di ciò, quali (B.

114-5)

(\WV.

I,

101-2)

(L.

189)

156

(G.1

I,

114-5)

(G.2

I,

118-09).

DIALOGO

lui non «gli

ha possuto

medesmi

luoghi

QUINTO

conoscere. della

« Non

terra

sempre », dice cgli!,

son

umidi

o secchi;

ma,

secondo la generazione e difetto di fiumi, si cangiano. Però quel

che

fu ed

è mare,

non

sempre

è stato

e sarà

mare;

quello che sarà ed è stato terra, non è, né fu sempre terra; ma,

con

certa vicissitudine,

si de’ credere,

sarà

l’uno ». E

determinato

circolo

ed ordine,

che dov’ è l'uno, sarà l’altro, e dov’ è l'altro,

se dimandate

ad

Aristotele

il principio

e

causa di ciò, risponde, che « gl’ interiori de la terra, come gli corpi delle piante ed animali hanno la perfezione, e poi invecchiano. Ma è differenza tra la terra e gli altri detti corpi. Perché essi intieri in un medesmo tempo secondo tutte le parti hanno il progresso, la perfezione ed il mancamento, come

lui dice, il stato e la vecchiaia:

ma

nella terra questo

accade successivamente a parte a parte, con la successione del freddo e del caldo, che caggiona l'aumento e la diminuzione, la qual séguita il sole ed il giro par cui le parti della terra acquistano complessioni e virtii diverse. Da qua i luoghi acquosi in certo tempo rimagnono, poi di novo si disseccano

ed

invecchiano,

altri

si

ravvivano

e secondo

certe parti s'inacquano. Quindi veggiamo svanir i fonti, i fiumi or da piccioli dovenir grandi, or da grandi farsi piccioli, e secchi al fine. E da questo, che gli fiumi si cassano, proviene, che per necessaria conseguenza si tolgano i stagni e mutinsi gli mari; il che però, accadendo successi-

vamente circa la terra a tempi lunghissimi e tardi, a gran pena la nostra e di nostri padri la vita può giudicare ?;

1 Meteor., I, 14, 1-10; trad. quasi * Cîr. Acrot., p. 186; De înunenso,

e III,

4

(I, 1, 341).

(B.

115-6)

{W.

I, 192)

(L.

1859-90)

157

(G.!

letterale. IV, 3 (Opera,

I,

115-6)

(G.2

I,

11,

17-18);

I, 119-20).

LA

CENA

DE

LE

CENERI

atteso che più tosto cade la età e la memoria de tutte genti, ed avvengono grandissime corrozioni e mutazioni, per desolazioni e desertitudini, per guerre, per pestilenze e per diluvii, alterazioni di lingue e di scritture, trasmigrazioni e sterilità de luoghi, che possiamo ricordarci di queste cose da principio sin al fine per si lunghi, varii e turbolentissimi secoli ». Queste gran mutazioni assai ne si monstrano nelle antiquità

de l' Egitto,

tolto il Canobico

nelle porte

del Nilo;

le quali

esito, son fatte a opra di mano;

tutte,

nell’abi-

tazioni della città di Memfi, dove i luoghi inferiori son abitati dopo i superiori; ed in Argo e Micena, de’ quali al tempo di troiani la prima reggione era paludosa, e pochissimi vivevano in quella; Micena, per esser più fertile, era molto più onorata: del che a’ tempi nostri è tutto il contrario, perché Micena è al tutto secca ed Argo è dovenuta temperata ed assai fertile !. «Or come accade in questi luoghi piccioli, il medesmo doviamo pensar circa grandi e reggioni intiere » 2, Però come veggiamo che molti loghi, che prima erano acquosi, ora son continenti, cossi a molti altri è sopra-

venuto il mare. Le quali mutazioni veggiamo

farsi a poco

a poco, come le già dette, e come ne fan vedere le corrosioni

de monti altissimi e lontanissimi dal mare, che quasi fusser freschi mostrano gli vestigii dell'onde impetuose. E ne costa dall’ istorie di Felice Martire Nolano 3, quale dechiarano al

1 Anche

(La traduz.

% Meteor.,

3 Dal

questi

esempi

I,

10.

son

letterale riprende

ms.

14,

uffizio antico

tolti da Aristotele,

12-15.

dalle parole ed in Argo e Micena....)

di questo

ad littora maris singulis diebus

o. c., I, 14,

martire:

« Beatus

festinabat et cum

vero

Felix

hora nona acce-

deret, mare turbabatur, et ad littora piscem preciosum cructabat »: G. S. REMONDINI, Della nolana ecclesiastica storia, Napoli, De Simone,

(B.

116-7)

(W.

I,

192-3)

(L.

190-1)

158

(G.!

I,

116-7)

(G.2

I,

120-1).

DIALOGO

QUINTO

tempo suo, che è stato poco più o meno di mill’anni passati, era il mare

vicino alle mura della città, dove è un tempio,

che ritiene il nome di Porto ', onde al presente è discosto dodeci milia passi. Non si vede il medesmo in tutta la Provenza? Tutte le pietre, che son sparse per gli campi, non mostrano un tempo esser state agitate da l’onde? La temperie della Francia parvi che dal tempo di Cesare al nostro sia cangiata poco? Allora in loco alcuno non era atta alle viti; ed ora manda parti

del mondo,

e da’

vini cossf deliziosi come

settentrionalissimi

terreni

altre

di quella

si raccoglieno gli frutti de le vigne. E questo anno ancora ho mangiate de l'uve de gli orti di Londra, non già cossi perfette come de’ peggiori di Francia, ma pur tale quali affermano mai esserne prodotte simili in terra inglesa?. Da questo

dunque,

che il mare

Mediterraneo,

lasciando più

secca e calda la Francia e le parti de I’ Italia, quali io con li miei occhi ho viste, va inchinando verso la Libia3, séguita 1751, t. I, pp. 343-4. S. Felice fiori propriamente nella seconda metà

del I sec. d. C.

1 Nella Sacra Visita di mons. Scarambo del 1ss1: «Deinde comparuit Antonius de Faivano [clr. Spaccio, p. 637), unus ex magistris cappellae seu heremitorii sub vocabulo Sanctae Mariae dello Porto, sitae ubi dicitur allo Porto [a qualche chilometro da Nola sulla strada che conduce a Palma Campania); asseruit quod homines casalis Sancti Pauli pro eorum devotione olim construxerunt dictam cappellam pro commodo alicuius heremitae » (SPAMPANATO, Vita, p. 54, n. 3 e 62, n. 3). ? Nell'agosto 1500 infatti il mercante Paolo Gondola a un suo amico fiorentino da Londra scriveva: « To di qua ho di già mangiato uva bonissima (leggi: E? se anchora della uva mangiarete io di qua ne ho di già mangiato bonissima), per essere stato quest'anno grandissimo caldo, e di più di quello che è stato questi venti anni; talché ne mangio ogni giorno bonissima »; e il ro ottobre: «Quest'anno abbiamo avuto assai boni frutti, cioè bona uva»: GARGANO,

nota (B.

3

(BWLG'G?Fi ed. crit.: e l'ed. crit. in nota).) 117-8)

(W.

I,

193)

(L.

Libra;

101)

(G.!

159

Amerio: I,

117)

Libia (G#

(cfr.

I,

0. €., p. 32.

Firpo

121-2).

in

LA

che,

venendosi

CENA

DE

LE

CENERI

più e più a scaldarsi l’Italia e la Francia

e temprarsi la Britannia, doviamo giudicare che general. mente si mutano gli abiti de le reggioni, con questo che la

disposizion fredda si va disminuendo

verso l'Artico polo.

Dimandate ad Aristotele: onde questo avviene ? Risponde: dal sole e dal moto circolare. Non tanto confusa- ed oscuramente,

quanto

mamente

detto.

Non: che

ancora

Ma

da

lui

come?

divina-

forse

ed

come

alta-

e verissi-

un

filosofo?

da

ma più presto come da un divinatore, o pur da uno intendeva

e non

ardiva

de

dire,

forse

vede e non crede a quel che vede, e se d’affirmarlo, temendo che alcuno non gerlo di apportar quella raggione, la risce, ma in modo col quale chiuda la oltre

sapere;

o forse

è modo

come

quale

e mancano

ogni

cosa

ha

che

pur il crede, dubita venghi a constrinqual non ha. Refebocca a chi volesse

di parlar

tolto

filosofi. Dice dunque, che il caldo, il freddo,

crescono

colui

dagli

antichi

l’arido, l'umido

sopra tutte le parti della terra, ne la la rinovazione,

consistenza,

vecchiaia

e diminuzione; e volendo apportar la causa di questo, dice: propter solem ct circumlationem +. Or perché non dice: propter solis circulationem ? Perché era determinato appresso lui, e conceduto appo tutti filosofi di suoi tempi e di suo umore, che il sole con il suo moto non possea caggionar questa diversità; perché, in quanto che l’ecliptica declina

1 Meteor., I, 14, 4: tTabta pèv ov abtetar

frtov

xal tiv Teprgopav.

Le

parole

xa

polver Std tv

citate dal B. si trovano nel-

l'antica traduzione dell’opera aristotelica, più volte ristampata nel '500. Cfr. Libros Metheorum (leggi Metheoror[um]) Aristotelis Stra-

givrite (sic) peripatheticorum principis, cum simì expositoris Caietani de Thienis, noviter erroribusque purgatos, Venetiis, 1507, f. 20r. (B.

118)

(W.

I,

193-4)

(L.

191)

160

(G.

I,

commentariis impressos ac

117-8)

(G.2

I,

fidelismendis

122).

DIALOGO

QUINTO

dall’ Equinoziale, il sole eternamente versava tra i doi punti Tropici; e però esser impossibile d'esser scaldata altra parte di terra,

ma

eternamente

le zone ed i climi essere in

medesma disposizione. Perché non disse: per circolazione d’altri pianeti ? Perché era determinato già, che tutti quelli (se pur alcuni per qualche poco non trapassano) si muoveno sol per quanto è la latitudine del zodiaco detto trito camino degli erranti. Perché non disse: per circolazione del primo mobile ? Perché

non

conosceva

altro

moto,

che

il diurno,

ed era a’ suoi tempi un poco de suspizione d'un moto di retardazione, simile a quello di pianeti. Perché non disse: per la circolazion del cielo? Perché non possea dire, come e quale ella potesse essere. Perché non disse: per la circolazion de la terra? Perché avea quasi come un principio supposto, che la terra è inmobile. Perché dunque lo disse? Forzato da la verità, la quale per gli effetti naturali si fa udire.

Resta dunque,

dico,

perché

lui è

virti

vitale;

dal

che sia dal sole e dal moto.

quell’unico moto

che

ancora,

diffonde

perché,

Dal sole,

e comunica

se non

la

si movesse

o lui agli altri corpi o gli altri corpi a lui, come potrebbe ricevere quel che non ha, o donar quel ch’ ha 1? È dunque

necessario, che sia il moto, e questo di tal sorte che non

sia parziale, ma con quella raggione con cui causa la rinovazione di certe parti, venga ad apportarla a quell’altre, che, come

sono

di medesma

medesima

potenza

passiva,

condizione

alla quale,

e natura,

hanno

se la natura non

la

è

ingiuriosa, deve corrispondere la potenza attiva. Ma con ciò

troviamo molto minor raggione, per la quale il sole e tutta ! Cir.

De

astra (Opera, (B.

118-0)

immenso,

I, 11, 42). (W.

TI, 194)

IV,

8:

Quave

(L.

191-2)

16I

(G.I

sol caeteraque T,

118-9)

fixa

(GI,

scintillent 122-3).

LA

l'università globo,

che

CENA

DE

LE

CENERI

de lc stelle s'abbino esso per il.contrario

dell’universo,

facendo

il

a muovere debba

circolo

circa questo

voltarsi

annuale

a l'aspetto

circa

il

sole,

e

diversamente con certe regolate successioni per tutti i lati svolgersi ed inchinarsi a quello, come a vivo elemento del fuoco.

Non

è ragione

occasione

urgente,

magnifici

globi,

alcuna,

gli

astri

che,

senza

innumerabili,

mondi, anco maggiori che questo, abbino zione a questo unico. Non è raggione, che tosto trepidar il polo, nutar? l'asse del gli cardini de l'universo, e si innumerabili, torcersi,

ch’esser

rappezzarsi,

tarsi in tanto,

e,

un

possono,

certo

che

de

son

tanti

si violenta relane faccia dir più mondo, cespitar più grandi e più

scuotersi,

al dispetto

fine ed

svoltarsi,

la natura,

che la terra cossi malamente,

come

ri-

squarpossono

dimostrare i sottili optici e geometri, venghi ad ottener il mezzo, come quel corpo che solo è grave e freddo; il qual però non si può provar dissimile a qualsivoglia altro, che riluce

nel

firmamento,

tanto

nella

quanto nel modo della situazione: può esser vagheggiato da questo e quelli possono parimente esser che le circonda; se quelli da per se anima e natura possono, dividendo mezzo,

e questo

niente

sustanza

e

materia,

perché, se questo corpo aria, nel quale è fisso, vagheggiati da quello, stessi, come da propria l’aria, circuire qualche

meno.

Smitho. Vi priego, questo punto al presente si presuppona, sf perché, quanto a me, tengo per cosa certissima, che

più’ tosto

la terra

possibile quella si anco, perché, 1 Lat. (B.

necessariamente

si muova,

che

sii

intavolatura ed inchiodatura di lampe; quanto a quelli che non l’ han capito, è

vacillare.

119-20)

(W.

I, 194-5)

(L.

192-3)

162

(G.!

I, 119-20)

(G.? I, 123-4).

DIALOGO

QUINTO

più espediente dechiararlo come materia principale, che in altro proposito toccarlo per modo di digressione. Però, se volete compiacermi, venite presto a! specificarme i moti, che convengnono a questo globo. Teofilo. Molto volentieri; perché questa digressione ne arebbe fatto troppo differire di conchiudere quel che io

volevo della necessità ed il fatto de tutte le parti de la

terra, che successivamente devono participar tutti gli aspetti e relazioni del sole, facendosi soggetto di tutte complessioni ed abiti. Or dunque ?, per questo fine è cosa conveniente e necessaria,

che il moto

de la terra sia tale, per quale

con certa

vicissitudine, dove è il mare, sia il continente, e per il contrario; dove è il caldo, sii il freddo, e per il contrario;

dove

è l'abitabile e più temprato, sia il meno abitabile e temprato, e per il contrario; in conclusione, ciascuna parte venghi ad aver

ogni

risguardo,

c'hanno3

tutte

l'altre

parti

al

sole:

a fin che ogni parte venghi a participar ogni vita, ogni generazione, ogni felicità. Prima, dunque, per la sua vita e delle cose che in quella si contengono, e dar come una respirazione

ed

tenebre,

inspirazione

in spacio

! B: ad, * Nel passo

Le opp.

col

diurno

di vintiquattro

seguente,

lat., p. 314),

il B.

ha

notato

«descrive

caldo

ore

e freddo,

equali

la terra

lo ScHIAPARELLI

i moti

luce

della Terra

e

si

(in Tocco, secondo

il

sistema di Copernico, non quale si trova nel libro De revolutionibus, ma secondo l' interpretazione ed immaginazione sua. Non avendo egli idee precise

di geometria

e non

conoscendo

bene

il linguaggio

(Gi!

(G2

I,

(proprio) di questa scienza, la spiegazione dei suoi confusi e indeterminati concetti, presentata in parole e frasi anche più confuse, è avvolta in una grande oscurità, la quale credo sia opera disperata voler interamente dilucidare ». 3 (G1 = B: ch’ hanno) (B.

120-1)

(W.

I,

195)

(L.

193)

163 IS



A

NRenra

Nialnabhi

italiani

I,

120)

124-5).

LA

CENA

DE

LE

CENERI

muove circa il proprio centro, esponendo al suo possibile il dorso tutto al sole. Secondo, per la regenerazione delle cose, che nel suo dorso vivono e si dissolveno,

con il centro

suo circuisce il lucido corpo del sole in trecento sessantacinque giorni ed un quadrante in circa; ove da quattro punti della ecliptica fa la crida della generazione, dell’adolescenzia, della consistenzia e della declinazione di sue cose.

Terzo, per la rinovazione di secoli participa un altro moto, per il quale quella relazione, c'ha! questo emisfero superiore della terra a l'universo, venga ad ottener l’emisfero inferiore, e quello succeda a quella del superiore. Quarto, per la mutazione di volti e complessioni gli conviene

un

altro moto,

della terra, necessariamente

per il quale l'abitudine,

ch’ ha

questo vertice de la terra verso il punto circa l'Artico, si cangia con l'abitudine, ch’ ha quell'altro verso l’opposito punto de l’Antartico polo. Il primo moto si misura da un

punto de l'equinoziale della terra; sin che torna ® o al medesmo, o circa il medesmo.

punto

imaginario

de

Il secondo moto si misura da un

l’ecliptica

(ch'è

la via

circa il sole), sin che ritorna al medesmo, Il terzo moto

si misura

da la abitudine,

della

terra

ch' ha una

linea

o circa quello.

emisferica della terra,

che vale per l’orizonte,

differenze

sin che torni la medesima

a l'universo,

con le sue linea,

o

proporzionale a quella, alla medesma abitudine. Il quarto moto si misura per il progresso d'un punto polare de la terra, che, per il dritto di qualche meridiano passando per l’altro polo,

si converta

al medesmo,

o circa

il medesmo

aspetto, dove era prima. E circa questo è da considerare, 1 (G! = B: ch' ha) * BL: si che torna. (B.

121-2)

(W.

I,

195-6)

(L.

193-4)

164

(GI

I,

120-1)

(G.2

T,

125).

DIALOGO

QUINTO

che, quantunque diciamo esser quattro moti, nulla di meno tutti concorreno in un moto composto. Considerate che di questi quattro moti il primo si prende da quel, che in un giorno naturale par che circa la terra ogni cosa si muova sopra i poli del mondo, come dicono. Il secondo si prende da quel che appare, ch’il sole in un anno circuisce il zodiaco

tutto,

terza

dizione!

8 secondi,

facendo de

ogni

giorno,

l’Almagesto,

17 terzi, 13 quarti,

secondo

Tolomeo

cinquanta

nove

nella minuti,

12 quinti, 31 sesti; secondo

Alfonso, cinquanta nove minuti, 8 secondi, II terzi, 37 quarti, 19 quinti, 13 sesti, 56 settimi; secondo Copernico, cinquanta

nove

minuti,

8 secondi,

Ir

terzi.

Il terzo

moto

si

prende da quel, che par che l'ottava sfera, secondo l’ordine

de’ segni,

a l’incontro

del moto

diurno,

sopra

i poli del

zodiaco si muove si tardi, che in ducento anni non si muove

più ch’un grado e 28 minuti; di modo che in quaranta nove milia= anni vien a compir il circolo: il principio del qual moto attribuiscono ad una nona sfera. Il quarto moto si prende

dalla trepidazione,

1 (B:

dittione

LEMARUS,

Syntazis

accesso

(G!: dizione),

Mathematica,

cioè

III,

e recesso, «parte»,

1, ediz.

che dicono

«libro»

HEIBERG,

(cfr.

far Pro-

pp.

191

sgg.). L’emendazione di G? (o sarà una lectio facilior tipografica ?) edizione (seguita da Firpo e Amerio) è insostenibile.) ® Nello Spaccio de la bestia trionfante, p. 577, invece (come nel De ver. principiis, in Opera, III, 538) ridurrà il giro dell'anno cosmico 2 36.000 «0 più 0 meno o a punto » anni solari. La durata di 49.000 anni era quella assegnata dagli astronomi di Alfonso di Castiglia;

laddove,

secondo

l'ipotesi

di

Copernico,

avrebbe

dovuto

essere

di 25.000 anni o poco più. Per questo ed altri errori del Bruno in questa disgressione vedi le osservazioni dello Schiaparelli in Tocco, o. €., p. 313. Profondamente mutata è l'esposizione che il Bruno fa dei moti

solo

non

della terra più tardi nel De immenso,

parla

pii

del

quarto

moto,

ma,

per

III, 9-10, dove

una

divinazione

non

del

principio sostenuto poi dal Galilei, fa le sue riserve anche sul terzo (Tocco, 314-6). (B.

122-3)

(W.

I, 196)

(L.

194)

165

(G.I I, 121-2)

(G.2 I, 125-6).

LA

l'ottava

sfera,

CENA

sopra

DE

dui

LE

circoli

CENERI

equali,

che

fingono

nella

concavità della nona sfera, sopra i principii dell’Ariete e Libra del suo zodiaco; si prende da quel, che veggono esser necessario, che l’ecliptica dell'ottava sfera non sempre s' intenda intersecare l'equinoziale ne’ medesmi punti, ma

tal volta essere nel capo

d'Ariete,

talvolta

oltre quello

da l'una e l’altra parte dell’ecliptica; da quel, che veggono, le grandissime declinazioni del zodiaco non esser sempre medesme; onde necessariamente séguita, che gli equinozii e solstizii continuamente

si variino,

come

effettualmente

è

stato da molto tempo visto. Considerate, che, quantunque diciamo

quattro

essere

questi

notar,

che tutti concorreno

mente

circulare.

moti,

nulla

di

in un composto.

meno

è

Secondo,

da che,

benché le chiamiamo circulari, nullo però di quelli è veraTerzo,

che, benché

molti

si siino affati-

cati di trovar la vera regola de tai moti, l’ han fatto, e quei che

s’affaticaranno,

lo faranno

invano;

perché

nessuno

di

que’ moti è a fatto regolare e capace di lima geometrica. Son dunque quattro, e non denno esser più né meno moti (voglio dir differenze di mutazion locale nella terra), de’ quali l'uno irregolare necessariamente rende gli altri irregolari, i quali voglio che si discrivano nel moto di una palla

che è gittata nell'aria.

Quella prima col centro si muove

Secondo,

intra

tanto

che

con

da A in B [fig.. 9]*.

il centro

si muove

da

alto

a basso, o da basso in alto, si svolge circa il proprio centro,

movendo

il punto / al loco del punto K ed il punto K al

! Per accordare

questa figura col commento

stituire alla lettera E la lettera B; e intendere

colare A B in otto segmenti eguali contrassegnati

con

(B.

le cifre da 123-4)

(W.

1 a 8. I,

196-7)

(L.

194-5)

166

(G.!

del B.,

divisa

bisogna so-

la perpendi-

(dall’alto in basso)

I, 122-3)

(G.à I, 126-7).

DIALOGO

loco del punto I. Terzo,

QUINTO

tornando

a poco a poco,

ed avan-

zando di camino e velocità di giro, over perdendo e scemando (come accade alla palla che, montando in alto da quel che prima si moveva più velocemente, poi si muove più tardi ed il contrario fa ritornando al basso, e in mediocre proporzione nelle mezze distanA ze, per le quali ascende e descende) a. quella abitudine che tiene questa metà della circonI ferenza, che è notata per 1, 2, 3,

4,

promoverrà

quell'altra

metà

la quale è 5, 6, 7, 8. Quarto, perché questa conversione non è retta,

atteso

che non

0

è come

d’ una ruota, che corre con l’im-

peto d’un circolo, in cui consista il momento

della gravità;

va obliquando, perché è globo, il quale facilmente chinarsi a tutte parti, punto I e X non sempre titudine;

onde

ma

K

si

di un È può inFig. 9 però il si converteno per la medesma ret-

è necessario,

che

o a lungo o a breve, o ad

interrotto o a continuo andare si dovenghi a tanto, che si adempisca quel moto, per il quale il punto O si faccia dove

è il punto

V, e per il contrario,

Di questi

moti

uno,

che non sii regolato, è sufficiente a far che nessuno de gli altri sia regolato; uno ignoto fa tutti gli altri ignoti. Tuttavolta hanno un certo ordine, con il quale più e meno s’accostano ed allontanano dalla regolarità, Onde in queste differenze di moti il più regolato, che è più vicino al regolatissimo, è quello del centro. Appresso a questo è quello (B.

124)

(W.

I,

197-8)

(L.

195)

167

(G.!

I, 123-4)

(G.3

I,

127.8).

LA

CENAIDE

LE

CENERI

circa il centro per diametro, più veloce. Terzo è quello, che con la regolarità del secondo (quale consiste nell’avan-

zar di velocità e tardità) a mano a mano muta l' intiero aspetto dell'emisfero. L’ultimo, irregolatissimo ed incertissimo,

è quello

d'andar

avanti,

stanzia viene con la sedia moto del suo e più che gli è

il

che

cangia

torna

i lati;

a dietro,

perché e

talvolta,

in loco

con grandissima

incon-

al fine a cangiar la sedia d’un punto opposito d'un altro *. Similmente la terra: prima ha il centro, che è annuale, più regolato che tutti, altri simile a se stesso; secondo, men regolato,

diurno;

terzo,

l'irregolato,

chiamiamo

l’emisferico ;

quarto, irregolatissimo, è il polare over colurale. Smitho. Questi moti vorrei sapere, con qual ordine e regola il Nolano ne farà comprendere. Prudenzio. Ecquis erit modus? Novis usque semper indigebimus theorits ? Teofilo.

non

Non dubitate, Prudenzio, perché del bon vecchio

vi si guastarà

dialogo del Nolano,

nulla.

A

voi,

Smitho,

mandarò

quel

che si chiama Purgatorio de l' inferno *;

1 a Può certamente un tal globo avere intorno al centro un moto complesso di rotazione, in virti del quale l'asse rotatorio si vada spostando non solo rispetto allo spazio circostante, ma anche rispetto alla massa del globo trasportandosi i poli da un punto

all’altro

del resto)

della sua

movimento

non »:

superficie.

giova

G.

punto

Ma

questo

a provare

SCHIAPARELLI,

in

passo

(non

che la Terra

Tocco,

o.

c., p.

meno

abbia 316,

un

oscuro

n.

1.

simil

? Dialogo disperso del B., di cui non si ha altra notizia, Il BERTI, Vita?, p. 478, dice: « È a presumere che esso fosse compiuto prima

della venuta anche

del B. in Londra »; e quindi

I. FRITH,

Life

0f G. Bruno,

London,

l’assegna al 1582. 1887,

p. 375.

Vedi

Cosî

ora

SPAMP., Vita, p. 375; in cui si congettura che questo dialogo (dove si poteva vedere «il frutto della redenzione ») dovesse trattare di una materia affine allo Spaccio. (Va notata l'espressione questo purgatorio alla fine dello Spaccio (p. 829).) Certo doveva anche (B.

125-6)

(W.

I, 198)

(L.

195-6)

168

(G.I I, 124)

(G-2 I, 128).

DIALOGO

QUINTO

e ivi vedrai il frutto della redenzione.

Voi, Frulla, tenete

secreti i nostri discorsi, e fate che non venghino

a l’orecchie

di quelli ch’abbiamo rimorduti, a fin che non s’adirino contra di noi e venghino e donarne nove occasioni, per farsi trattar peggio e ricever meglio castigo. Voi, maestro Prudenzio, fate la conclusione ed una epilogazione morale solamente del nostro tetralogo; perché l’occasione specolativa,

tolta dalla cena

Prudenzio.

Io

de le ceneri,

ti

scongiuro,

è già conclusa.

Nolano,

per

la

speranza

ch’ hai nell’altissima ed infinita unità, che t’'avviva e adori;

per gli eminenti numi, che ti protegeno e che onori; per il divino

tuo genio,

che

ti defende

e in cui ti fidi, che

vogli

guardarti di vile, ignobili, barbare e indegne conversazioni; a fin che non contrai per sorte tal rabbia e tanta ritrosia, che

dovenghi

forse

come

un

satirico

Momo

tra

gli

dei,

e come un misantropo Timon tra gli uomini. Rimanti tra tanto appo l' illustrissimo e generosissimo animo del signor di Mauvissiero (sotto l’auspicii del quale cominci a publicar tanto sollenne filosofia),

che

forse

verrà

qualche

sufficien-

tissimo mezzo, per cui gli astri e’ potentissimi superi ti guidaranno a termine tale, onde da lungi possi riguardar simil brutaglia. E voi altri, assai nobili personaggi, siete scongiurati per il scettro del fulgorante Giove, per la civilità famosa di Priamidi, per la magnanimità del senato e popolo Quirino, e per il nettareo convito che sopra l’ Etiopia bugliente fan gli Dei, che, se per sorte un'altra volta avviene che il Nolano, venghi

a pernottar

in

per farvi servizio o piacere o favore, vostre

case,

facciate

di

rispondere al desiderio dello Smith circa l'ordine con cui il B. intendeva i moti sopraaccennati. (B.

126-7)

(W.

I,

198-9)

(L.

196-7)

169

(G.!

I,

124-5)

(G2

modo,

e

che

regola I, 128-9).

LA

CENA

DE

LE

CENERI

da voi sii difeso da simili rancontri 1; e dovendo per l'oscuro cielo ritornar

a la sua stanza,

se non

lo volete

far accom-

pagnar con cinquanta o cento torchi, i quali, ancor che debba marciar di mezo giorno, non gli mancaranno, se gli

avverrà di morir in terra catolica romana, accompagnar

con un

sevo

a fin

di quelli;

troppo, improntategli dentro;

della sua

buona

una

venuta

o pur,

se questo

vi parrà

faconda

materia

di parlar

lanterna

ch’abbiamo da

fatelo al meno

vostre

con

un

case,

candelotto

della

qual

di

non

si

è parlato ora. Adiuro

vos, o dottori Nundinio

e Torquato,

per il pasto

de gli antropofagi, per la pila del cinico Anaxarco ?, per gli smisurati serpenti di Laocoonte 3 e per la tremebonda piaga di san Rocco 4, che richiamate, se fusse nel profondo abisso,

e dovesse essere nel giorno del giudizio, quel rustico ed incivile vostro pedagogo che vi dié creanza, e quell'altro archiasino ed ignorante che v'insegnò di disputare; a fin che vi risaldano le male spese e l’ interesse del tempo e cervello,

che

v’ han

fatto

perdere.

londrioti,

che con gli vostri remi

superbo,

per l’onor

d' Eveno

Adiuro

vos,

barcaroli

battete l’onde del Tamesi

e Tiberino 5, per

quali

son

1 Franc.: rencontre: rincontro, incontro. Anche appresso, a p. 207

(e vedi

sopra,

a p.

tiranno

Nicocreonte

15.)

2 Ossia il mortaio (5)poc, lat. fila), in cui fu fatto pestare dal il filosofo

Anassarco

di Abdera,

CX (340-337). V. Diog. LaeRzIo, IX, 58-59; II, 144-9. Cfr. gli Eroici furori, p. 1054. 3 Virc.,. Aen.,

II,

201

4 Anche nel Cardelaio,

di san

Rocco ». Questo

DIELS,

fiorito

nell’ OI,

Vorsohratiker3,

SEg.

III, 8: a Ti giuro per la tremenda piaga

santo,

come

è noto,

è rappresentato

con

un

bubbone su una coscia. « Guarda san Rocco com'egli è dipinto, Che per mostrar la peste si dislaccia » (BERNI, cap. Il Della peste). 5 Le divinità eponime dell’ Eveno (fiume dell’ Etolia) e del Tevere. (B.

127-8)

(W.

I,

199)

(L.

197)

(G.!

170

IT, 125-6)

(G.3

I,

1209-30).

DIALOGO

QUINTO

nomati dui famosi fiumi, e per la celebrata e spaciosa sepoltura di Palinuro !, che per nostri danari ne guidate al porto. E

voi

altri,

Trasoni

salvatici

villano, siete scongiurati monie ? ad

Orfeo,

per

e fieri

mavorzii

del

popolo

per le carezze che ferno le Stri-

l’ultimo

servizio

che

ferno

i cavalli

a Diomede3 ed al fratel di Semele 4 e per la virtii del sassifico brocchier

di Cefeo 5, che,

quando

vedete

ed incontrate

i forastieri e viandanti, se non volete astenervi da que’ visi torvi

ed

erinnici,

al meno

l'astinenza

da

quegli

raccomandata. Torno a scongiurarvi tutti per il scudo ed asta di Minerva, altri per la del Troiano cavallo, altri per la veneranda lapio, altri per il tridente di Nettuno, altri dierno

le cavalle

dialogi

ne

a Glauco $, ch’un’altra

facciate

far

notomia

di

urti

insieme, altri generosa prole barba d' Escuper i baci che

volta con

fatti

vi sii

vostri,

meglior o

almen

tacere. IL

FINE

DE

LA

CENA

DE

LE

CENERI.

! Celebrata da VircILIO, Aen., VI, 380 (3379-81). ® Della Tracia (dal fiume Sfrymon). Allude allo strazio che le Menadi tracie fecero di Orfeo, e che è descritto da OvipIo, Metam., XI, 1 SEB. 3

Il Diomede tracio, che Ercole diede in pasto alle sue cavalle. Cfr. SENECA, Troades, vv. 1118-9 (1108-9 dell'ediz. Peiper-Richter);

Herc, fur.,

1176-7

4 Polidoro.

5 Lo

scudo

Cfr.

(1168-70 Ovin.,

gorgoneo

dell’ediz.

Ibis,

Ovin., Metam., ll. IV e V. 6 Sbranato dalle sue cavalle,

Georg.,

(B.

III,

128)

267-8

(W.

(266-8).

I, 199-200)

v. 280

di Perseo

(L.

cit.).

(273-76).

(genero

per vendetta

197)

171

di Cefeo), di Venere.

(G.! I, 126)

(G.2

per cui cfr. Cfr. Viro.,

I, 130-1).

GIORDANO BRUNO NOLANO.

DE LA CAUSA,

PRINCIPIO

A L'ILLUSTRISSIMO

SIGNOR

DI MAUVISSIERO

STAMPATO Anno

IN

VENEZIA

MDLXXXIIII

E UNO

PROEMIALE SCRITTA SIGNOR Signor

Cavallier

di

ALL’ ILLUSTRISSIMO

MICHELI

Mauvissiero,

de 1' ordine

Illustrissimo

considerazione

DI

CASTELNOVO

Concressalto

di 50 uomini

alla Serenissima

c unico

cui, giongendo

a beneficio,

vinto,

difficultà,

scampar

longanimità,

suo

gli occhi

della

perseveranza

ufficio ad ufficio, beneficio

ubligato e stretto,

da

del

d’ Inghilterra.

s' io rivolgo

la vostra

e sollecitudine, con ogni

Ionvilla,

d'arme

Regina

cavalliero,

a.remirar

m'avete

e di

del Re Cristianissimo, Conseglier privato Conseglio,

Capitano

e Ambasciator

EPISTOLA

qualsivoglia

fine tutti vostri onoratissimi dissegni;

e solete superare

periglio,

e

ridur

a

vegno a scorgere quanto

propriamente vi conviene quella generosa divisa, con la quale ornate il vostro terribil cimiero; dove quel liquido umore, che

suavemente

piaga,

mentre

continuo

e spesso

stilla,

per

forza di perseveranza rammolla, incava, doma, spezza e ispiana un certo, denso!, aspro, duro e ruvido sasso.

Se da l'altro lato mi riduco a mente come (lasciando gli altri vostri onorati gesti da canto), per ordinazion divina e alta

providenza

e predestinazione,

mi

siete

sufficiente

e saldo

difensore negl’ ingiusti oltraggi ch’ io patisco ? (dove bisognava

della

! (L:

un

virgola

certo,

altera

denso;

G!

G®:

arbitrariamente

un

certo denso

il senso).)

(la soppressione

* Nessuno dci biografi di Bruno fermò in passato l'attenzione sugli accenni che in questa lettera e nel primo de' diall. De la causa

(B. [3-4]) (\W. I, (203]) (L. 200) (G.1 I, [129]) (G.2 I, [135]).

175

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

che fusse un animo veramente eroico per non dismetter le braccia, desperarsi e darsi vinto a si rapido torrente di criminali imposture, con quali a tutta possa m'ave fatto émpeto l’ invidia d’ ignoranti, la presunzion di sofisti, la detrazion di malevoli, la murmurazion di servitori, gli sussurri di mercenarii, le contradizioni di domestici, le suspizioni di stupidi,

gli scrupoli di riportatori, gli zeli d’ ipocriti, gli odii di barbari,

le furie di plebei,

furori

voci

ove

di

castigati;

pazzo e malizioso

di popolari,

altro

sdegno

non

feminile,

lamenti

mancava

di ripercossi

ch’un

e

discortese,

di cui le false lacrime

so-

glion esser più potenti, che quantosivoglia tumide onde e rigide

tempeste di presunzioni, invidie, detrazioni, mormorii, menti, ire, sdegni, odii e furori) !; ecco vi veggio qual

fermo e constante scoglio, che, risorgendo e mostrando

tradisaldo,

il capo

fuor di gonfio mare, né per irato cielo, né per orror d' inverno, né per violente scosse di tumide onde, né per stridenti aerie procelle,

si muove



per

violento

o si scuote;

ma

soffio

tanto

d’Aquiloni,

più

punto

si scaglia,

si rinverdisce

e di simil

sustanza s' incota ? e si rinveste. Voi, dunque, dotato di doppia virtù,

per

cui son

potentissime

le liquide

nissime l'onde rigide e tempestose;

e amene

per cui contra

stille,

e va-

le goccie

si

rende sf fiacco il fortunato sasso, e contra gli flutti sorge si potente il travagliato scoglio; siete quello, che medesimo si il Bruno fa a una persecuzione, che egli ebbe a soffrire dopo la pubblicazione della Cena a causa del risentimento suscitato a Londra dai severi giudizi di questo dialogo sui dottori e sul popolo inglese. Un interlocutore ricorda al Bruno (Filoteo): i dialoghi della Cena «per esserno essi usciti in campo a spasso, vi hanno forzato di starvi rinchiusi e retirati in casa» (p. 194). Qui (p. 177) il B. stesso parla di « perigliosa e gran tempesta » e dice che dal Castelnau egli fu «difeso, liberato, ritenuto in salvo ». Dunque, era stato im-

prigionato? Vedi

ora SPAMPANATO,

Vita, pp.

368

e 369.

t Questa seconda parentesi è in B; e di proposito, ma a torto, tralasciata da L, che non si cura di chiudere più la prima, messa innanzi a dove bisognava. ® Da cote, come imfietrare da pietra, ingemmare da gemma. Male il Wagner, I, 104 n. 1 (ma 204, n. 1, dove annota: « Si cuopre, come

come

di cotta.... », e fin qui

specificato nel testo)).

è accettabile

(s' incotta,

cioè

si rinveste,

(B. [4-5]) (W. I, [203-4)) (L. 200-1) (G.! I, {129}-30) (GI, [135)-6). 176

PROEMIALE

EPISTOLA

rende sicuro e tranquillo porto alle vere muse, e ruinosa roccia in cui vegnano segni

de

poté

lor

a svanirsi

nemiche

accusar

per

le false munizioni

vele.

Io,

ingrato,

de impetuosi

dunque,

qual

nullo

vituperò

per

genii

bestiali;

io,

nessun

dis-

giamai

discortese,

e di

cui non è chi giustamente lamentar si possa; io, odiato da stolti, dispreggiato da vili, biasimato da ignobili, vituperato da furfanti

e perseguitato

admirato

da dotti,

da

magnificato

da grandi,

amato

da

savii,

stimato

da potenti

salvo,

mantenuto

e favorito dagli dei; io, per tale tanto favore da voi già ricettato,

nodrito,

difeso,

liberato,

ritenuto

in

in porto; come scampato per voi da perigliosa e gran tempesta;

a voi

consacro

vele,

merci,

e queste

questa

a me

a fine che

V’ iniquo,

più

àncora,

care e al mondo

per vostro

turbulento

queste

favore

e mio

nemico

appese,

come

tempio

della Fama

eterna

testimonianza

tervia de l’ ignoranza

sarte,

queste

future!

non

Oceano.

Queste,

del tempo,

dell' invitto

favor

più preziose

si sommergano

saran potenti

e voracità

fiaccate dal-

nel sacrato

contra

la pro-

cossi renderanno

vostro;

a fin

che

co-

nosca il mondo che questa generosa e divina prole, inspirata da alta intelligenza, da regolato senso conceputa e da nolana Musa

parturita,

promette

vita,

per voi

mentre

non

è morta

questa

entro

le fasce,

terra col suo

vivace

e oltre

dorso

si

ver-

rassi svoltando all'eterno aspetto de l’altre stelle lampegianti. Eccovi quella specie di filosofia nella quale certa e veramente si ritrova quello che ne le contrarie e diverse vanamente

si cerca. cinque

plazion

E

primeramente

reale

della causa,

dialogi

tutto

quello

con

non

nel primo

so che,

neri,

e uno.

faccia

dialogi

vi porgo alla

per

contem-

dialogo.

dialogo avete una apologia,

circa gli cinque

futuro.

2 Questo

(B.

del primo

che

brevità

intorno

La

o qualch'altro cena

de le ce-

ecc.

1 W:

desimo.

par

principio

Argomento Ove

che

somma

[s-6])

E forse è miglior lezione. Ma

primo (W.

dial. fu scritto

I, 204-5)

(L.

201)

177

dopo (GI

il senso torna il me-

gli altri quattro,

già com-

I,

136-7).

130-1)

(GI,

DE

LA

CAUSA,

Argomento Nel dialogo

secondo

PRINCIPIO

del secondo

avete

EZUNO

dialogo.

primamente

la raggione

della difficultà di tal cognizione, per sapere quanto il conoscibile oggetto sia allontanato dalla cognoscitiva potenza. Secondo, inche modo e per quanto dal! causato e princi-

piato vien chiarito il principio e causa. Terzo, quanto conferisca la cognizion della sustanza de l'universo alla noticia

di quello da cui ha dependenza. e via noi particolarmente

tentiamo

si distingue

formale

Quarto,

'per qual mezzo

di conoscere il primo

prin-

cipio. Quinto, la differenza e concordanza, identità c diversità, tra il significato da questo termino « causa » e questo termino « principio n Sesto, qual sia la causa la quale in efficiente,

e finale,

e in quanti

modi

è

nominata la causa efficiente, e con quante raggioni è conceputa; come questa causa efficiente è in certo modo intima alle cose naturali, per essere la natura istessa, e come è in certo modo

esteriore

a

quelle;

come

la

causa

formale

è congionta

a l'efficiente, ed è quella per cui l'efficiente opera, medesima vien suscitata dall’efficiente dal grembo

teria;

forma,

come

coincida

e come

la differenza anima

animale ticulare

per

l'una

in un soggetto

causa

è distinta da l'altra.

tra la causa

cui

principio

l'universo

formale

universale,

infinito,

come

positiva- ma negativamente,"e moltiplicabile e ? moltiplicata

e come la de la ma-

l’efficiente e la Settimo,

la quale

infinito,

non

è una

è

uno

la causa formale parin infinito; la quale,

posti forse quando fu pubblicata la Cera e il Bruno non aveva ancora sofferto la persecuzione che il primo dialogo gli procurò. Infatti: 1° gl’ interlocutori del I dial. diversi da quelli degli altri quattro,

parlano di questi ultimi come già scritti; 2° qui appresso il B., nell’Argomento

del

e nell'Argomento

III

del

dial,

IV,

chiama

chiama

primo.

secondo.

il secondo

il dialogo

dialogo;

terzo:

segno evidente che dei quattro dial., che trattano propriamente De la causa, principio e uno, erano scritti anche gli argomenti quando l'A. credette opportuno premettervi questa apologia della Cera; e allora non badò a correggere il numero d'ordine

dei dialoghi precedenti. 1 (G! = L: dal; G2: * BIVL: è. (B.

[7-8))

(W.

I, 205-6)

tal (per evidente (L.

201-2)

178

(G.!

svista I,

131-2)

tipogr.)). (G.2

IT,

137-8).

PROEMIALE quanto

perfetta;

è in un

soggetto

onde,

gli grandi

più

EPISTOLA,

generale

animali,

senza

errore

e operatori

tanto

quai sono gli astri,

esser stimati in gran comparazione genti

e superiore,

più divini,

senza

difetto.

le cose,

che

è più

denno

cioè più intelli-

Ottavo,

che

la prima e principal forma naturale, principio formale e natura efficiente, è l'anima de l’universo: la quale è principio di vita, vegetazione

e senso

di razional

suggetto

sentono.

in

tutte

E si ha per modo

vivono,

di conclusione,

posser credere

che è cosa indegna

che l'universo

corpi principali sieno inanimati; essendo escrementi di quelli derivano gli animali perfettissimi.

Nono,

che

vegetano

nonè

cosa

che che

e

e altri suoi

da le parti ed noi chiamiamo

si manca,

rotta,

dimi-

nuta e imperfetta, che, per quel che ha principio formale, non abbia medesimamente anima, benché non abbia atto di supposito che noi diciamo animale. E si conchiude, con Pita-

gora e altri, che non in vano hanno aperti gli occhi, come un spirito immenso, secondo diverse raggioni e ordini, colma e contiene

essendo

il tutto,

questo

Decimo,

spirito

quale

gli

Babiloni

condo

la sustanza;

e

se viene

persistente Persi

a fare

insieme

chiamaro

con

intendere

che,

la materia,

ombra;

ed

la

essendo

l’uno e l'altra indissolubili, è impossibile che in punto! alcuno cosa veruna vegga la corrozione, o vegna a morte sebenché,

secondo

si cangie di volto, e si trasmute

certi

accidenti,

ogni

cosa

or sotto una or sotto un'altra

composizione, per una o per un'altra disposizione, or questo or quell'altro essere lasciando e repigliando. Undecimo, che gli aristotelici, platonici e altri sofisti non han conosciuta

la sustanza de le cose; e si mostra chiaro che ne le cose naturali quanto chiamano sustanza, oltre la materia, tutto è

purissimo

accidente;

e che

da

la cognizion

de

si conosce

una

de la felicità che apporta

la vera

forma

s' inferisce la vera notizia di quel che sia vita e di quel che sia morte; e, spento a fatto il terror vano e puerile di questa, templazione,

1 (G! = L:

parte

secondo

i

in punto;

fondamenti

G?:

in un

de

punto

la

la nostra

nostra

(per svista

con-

filosofia:

tipogr.).)

{B. [8-9]) (W. I, 206) (L. 202) (G. I, 132-3) (G2 I, 138). 179 16



Q.

Bruno,

Dialoghi

italiani

DE atteso

che

1’ Orco

ed

LA

CAUSA,

lei toglie avaro

PRINCIPIO

il fosco

Caronte,

velo

onde

E

del

pazzo

il più

dolce

UNO sentimento de

circa

la nostra

vita

ne si rape ed avelena. Duodecimo, si distingue la forma, non secondo la raggion sustanziale per cui è una; ma secondo

gli atti e gli essercizii de le facultose potenze e gradi specifici de lo ente che viene a produre. Terzodecimo, si conchiude la vera raggion definitiva del principio formale: come

la forma sia specie perfetta, distinta nella materia, secondo le accidentali disposizioni dependenti da la forma materiale, come

da quella

che consiste in diversi

gradi

c disposizioni

de

le attive e passive qualitadi. Si vede come sia variabile, come invariabile; come definisce e termina la materia, come è definita e terminata da quella. Ultimo, si mostra con certa

similitudine

forma,

parte

accomodata

quest'anima

del

tutto.

al

può

senso

esser

Argomento

volgare,

tutta

in

qualmente

tutto

questa

e qualsivoglia

del lerzo dialogo.

Nel terzo dialogo (dopo che nel primo! è discorso circa la forma, la quale ha più raggion di causa che di principio) si procede alla considerazion de la materia, la quale è stimata aver più raggion

di principio

ed elemento

che di causa:

dove,

lasciando da canto gli preludii che sono nel principio del dialogo,

prima

si mostra che non fu pazzo nel suo grado David

de Dinanto

in prendere

e divina =.

Secondo,

possono

prendersi

la materia come

diverse

come

con

raggioni

cosa eccellentissima

diverse

di

vie

materia,

di

filosofare

benché

vera-

mente sia una prima e absoluta; perché con diversi gradi si verifica ed è ascosa sotto diverse specie cotali, diversi la possono

prendere

appropriate

1 Intendi

diversamente

a sé; non nel

secondo

altrimente

secondo.

che

quelle

raggioni

il numero

Cîr. sopra

p.

177,

che

che sono

è preso

n. 2.

* Cfr. De vinculis în genere, art. 15 in Opera, III, 696, dov' è ricordato anche l’Avicebronio per questa sentenza degli arabi « qui

ausi sunt (B.

materiam

[9-10})

(W.

etiam

I, 206-7)

Deum (L.

appellare ».

203)

180

(GI

I,

133-4)

(GI,

139).

PROEMIALE dall’aritmetrico 1 puraarmonicamente,

EPISTOLA

e semplicemente,

tipicamente

dal

è preso

cabalista,

dal

e da

musico

altri

pazzi

e

altri savii altrimente suggetto. Terzo, si dechiara il significato per il nome materia? per la differenza e similitudine che è tra il suggetto naturale e arteficiale. Quarto,

si propone come denno essere ispediti gli pertinaci, e sin quanto siamo ubligati di rispondere e disputare. Quinto, dalla vera raggion de la materia s’ inferisce che nulla forma sustanziale perde l'essere; e fortemente si convence, che gli peripatetici e altri filosofi da volgo,

benché

ziale,

altra

non

hanno

conosciuta

Sesto, si conchiude un è conosciuto un constante

nominano

sustanza

forma

che

sustan-

la

materia.

principio formale constante, come principio materiale; e che con la

diversità de disposizioni, che son nella materia, il principio formale si trasporta alla moltiforme figurazione de diverse specie e individui; e si mostra onde sia avenuto che alcuni, allevati nella scuola peripatetica, non hanno voluto conoscere per sustanza altro che la materia. Settimo, come sia

necessario che la raggione distingua la materia da la forma, la potenza da l'atto; e si replica quello che secondariamente si disse: come il suggetto e principio di cose naturali per diversi modi

di filosofare

samente magici,

massime della

preso;

più

se

può

ma

essere,

più

utilmente

variamente3

questi

raggione,

talmente

che

per

senza

secondo

incorrere

secondo

calunnia,

modi

matematici

fanno

alla

essi al fine

regola

non

si pone

diver-

naturali

e

ed

e

razionali;

essercizio

in atto

cosa

degna e non si riporta qualche frutto di prattica, senza cui sarebbe stimata vana ogni contemplazione. Ottavo, si proponeno due raggioni con le. quali suol essere

considerata

la

materia,

cioè

come

la

è

una

potenza,

e come la è un soggetto. E cominciando dalla prima raggione,

NATO

più

1 Dialettale per aritmetico. nelle

2 Ossia,

note

innanzi, 3 (Lim.:

(B.

[10-2))

al

De

la

Vedi

causa,

p.

un testo citato dallo SpAaMPA38.

«ciò che è significato per il nome dalla p. 264. vanamente (ed (W.

I, 207-8)

è miglior (L.

203-4)

18I

materia».

Cfr.

lezione).) (G.:

I,

134)

(G.2

I,

140).

DE

si distingue in

uno.

CAUSA,

in attiva

Nono,

il supremo verso

LA

PRINCIPIO

e passiva,

s' inferisce

E

UNO

e in certo

dall'ottava

modo

se riporta

proposizione,

come

e divino è tutto quello che può essere, e come l’uni-

è tutto

quello

che

può

tutto quello che esser possono.

essere,

e

altre

Decimo,

cose

non

sono

per conseguenza

di quello ch' è detto nel nono, altamente breve e aperto si dimostra

zione

onde

nella

natura

sono

i vizii,

gli

mostri,

la

corro-

e morte.

Undecimo, in che modo l'universo è in nessuna e in tutte le parti; e si dà luogo a una eccellente contemplazione

della divinità.

Duodecimo,

onde

avvenga

che

l'intelletto

non

può

capir questo absolutissimo atto e questa absolutissima potenza.

Terzodecimo, si conchiude l'eccellenza della materia, la quale cossî coincide con la forma, come la potenza coincide

con l'atto

Ultimo,

tanto da questo,

che la potenza

coin-

cide con l'atto e l'universo è tutto quello che può essere, quanto da altre raggioni, si conchiude ch’ il tutto è uno. Argomento

del quarto

dialogo.

Nel quarto dialogo, dopo aver considerata la materia nel secondo !, in quanto che la è una potenza, si considera la

materia in quanto che la è un suggetto. Ivi prima, con gli passatempi Poliinnici, s'apporta la raggion di quella secondo

gli principii volgari, tanto di platonici alcuni, quanto di peripatetici tutti Secondo, raggionandosi iux/a gli proprii principii,

si mostra

una

essere

la materia

di cose

corporee

e

incorporee con più raggioni. De quali la prima si prende dalla

potenza di medesimo geno; la seconda, dalla raggione di certa analogia proporzionale del corporeo e incorporeo, absoluto e contratto;

la terza,

da

l’ordine

e scala

di

1 Cioè,

nel terzo;

vedi sopra p. 177, n. 2.

natura,

che

monta

ad un primo complettente o comprendente; la quarta, da quel che bisogna che sia uno indistinto prima che la materia vegna

(B.

[12-3]))

(W.

I, 208-9)

(L. 204-5)

182

(G.!

I, 134-5)

(G.2

I, 140-1).

PROEMIALE

EPISTOLA

distinta in corporale e non corporale; il quale indistinto vien significato per il supremo geno della categoria; la quinta, da quel che, siccome è una raggion comune al sensibile e intel-

ligibile, cossi deve essere al suggetto della sensibilità!; la sesta, da quel, che l’essere della materia è absoluto da l'esser corpo, onde non con minor raggione può quadrare a cose incorporee che corporee; la settima, da l'ordine del superiore e inferiore che si trova ne le sustanze, perché, dove è questo, se vi pre-

suppone e intende certa comunione, la quale è secondo la materia che vien significata sempre per?il geno, come la forma

vien significata dalla specifica differenza; la ottava, è da un principio estraneo, ma conceduto da molti; la nona, dalla

pluralità di specie che si dice nel mondo intelligibile; la decima, dalla similitudine e imitazione di tre e logico; la undecima, da quel, che

ordine,

bellezza

e ornamento

mondi, metafisico, fisico ogni numero, diversità,

è circa

la

materia.

Terzo si apportano con brevità quattro raggioni contrarie; e si risponde a quelle. Quarto si mostra come sia diversa raggione tra questa e quella, di questa e quella materia, e come ella nelle cose incorporee coincida tutte le specie de le dimensioni sono nella

qualitadi son comprese ne la forma.

con l'atto, e come materia, e tutte le

Quinto,

che nessun

savio disse mai le forme riceversi da la materia come di fuora, ma quella, ‘cacciandole .come dal seno, mandarle da dentro.

Laonde

non

è un

nuda

e pura,

e che

non

sibile

ed

prope

se tutte

nihil,

un

quasi

le forme

son

come

nulla,

una

contenute

potenza

da quella,

e dalla medesima per virti dell'efficiente (il qual può esser anco indistinto da lei secondo l'essere) prodotte e parturite; hanno

minor3

esplicato,

se

raggione

non

di attualità nell'essere sen-

secondo

sussistenza

accidentale,

essendo che tutto il che 4 si vede e fassi aperto per gli accidenti ! (Lim.,

seguendo

e al suggetto

(3.

traduz.

della

intelligibilità)

3 (Lim.

propone

di leggere

che,

ecc.;

® (G1 = L: per;

le

la

4 Spagn.: (13-4))

EI que:

(W.

ma

G*: v.

come

I, 209-10)

27r,

Namer,

aggiunge

le parole

(per svista tipogr.).) maggior.

quello che. p.

del

n.

Cfr. pp.

Appresso:

(L. 205-6)

183

2.

(G.!

lo

310-13.)

che,

I, 135-6)

la

che,

(G.2 I, 141-2).

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

fondati su le dimensioni, è puro accidente; rimanendo pur sempre la sustanza individua e coincidente con la individua materia. Onde si vede chiaro, che dall’esplicazione non possiamo prendere altro che accidenti, di sorte che le differenze sustanziali sono occolte, disse Aristotele forzato da la verità. Di

maniera che, se vogliamo ben considerare, da questo possiamo inferire! una essere la vero ed ente, che secondo

omniforme sustanza, uno essere il innumerabili 2 circostanze e individui

appare, mostrandosi in tanti e si diversi suppositi. Sesto, quanto sia detto fuor d'ogni raggione quello che Aristotele e altri simili intendono la materia,

simi,

quanto

all'essere in potenza

il qual certo è nulla: essendo che, secondo

questa

è si fattamente

permanente,

che

o varia l’esser suo, ma circa lei è ogni varietà e quello che è dopo che posseva essere, anco

sempre è il composto. de

la materia,

Settimo

mostrandosi

lor mede-

giamai

cangia

e mutazione, secondo essi,

si-determina de l'appetito

quanto

vanamente

vegna

definita

per quello, non partendosi da le raggioni tolte da’ principii e supposizioni di color medesimi che tanto la proclamano

come figlia de la privazione e simile a l'ingordiggia irreparabile de la vogliente3 femina. Argomento

del quinto

dialogo.

Nel quinto dialogo, trattandosi specialmente de l'uno, viene compito il fondamento de l'edificio di tutta la cognizion

naturale

e divina.

1 (Lim.

2

(GI!

3 BIWL

=

= L: L:

Ivi4

possiamo

prima

inferire;

innumerabili;

(G!):

s’apporta

vagliente,

G*:

G! G®

proposito

possiamo

innumercvoli)

che lo SPAMPANATO

tiene una scorrezione tipografica. «Vogliente add. appunto del sec. xvi, ma risponde bene al

più che qui, è chiaro nelle ultime pagine

della coin-

ben

ecc.)

giustamente

ri-

non solo è un significato che,

del dialogo »

(v. p. 315):

ala donna non si contenta meno di maschi.... ». Cfr. anche le prime parole del dial. 4°, p. 289. (Lim. e AM. accettano l’'emendazione Ma la lezione originale è ben sostenibile, proprio nell'accezione erotica, sulla base di esempi latini e volgari.) 4 BW: Ivi. L: lui. (B.

{14-5])

(W.

I, 210)

(L. 206)

184

(G.I

I,

136)

(GI,

142-3).

PROEMIALE

EPISTOLA

cidenza della materia e forma, della potenza che lo ente, logicamente diviso in quel che

e atto: di sorte è e può essere,

fisicamente è indiviso, indistinto ed uno; e questo insieme insieme infinito, immobile, impartibile, senza differenza di

tutto

e parte,

principio

e principiato.

Secondo,

che

in

quello non è differente il secolo da l’anno, l’anno dal momento, il palmo dal stadio, il stadio da la parasanga, e nella sua es-

senza questo e! quell'altro essere specifico non è altro ed altro;

e però

nell'universo

Terzo,

non

è numero,

che ne l’ infinito non

e però

l'universo

è differente il punto

è uno,

dal corpo,

perché non è altro la potenza e.altro l’atto; e ivi, se il punto

può scorrere in lungo, la linea in largo, la superficie in profondo, l'uno è lungo, l’altra è larga, l’altra è profonda; e ogni cosa è lunga,

larga e profonda;

e per consequenza,

medesimo

e l'universo è tutto centro e tutto circonferenza.

Quarto,

qualmente da quel, ché Giove (come lo nominano) mamente è nel tutto che possa imaginarsi esservi

del

tutto

(perché

lui è la essenzia,

ha l'essere; ed essendo lui in tutto,

per

cui

e uno;

tutto

più intila forma

quel

ch’ è

ogni cosa più intimamente

che la propria forma ha il tutto), s' inferisce che tutte le cose sono in ciascuna cosa, e per consequenza tutto è uno.

Quinto,

se risponde al dubio che dimanda, perché tutte le cose particolari si cangiano, e le materie particolari, per ricevere altro e altro essere, si forzano ad altre e altre forme; e si mostra come nella moltitudine è l'unità, e ne l’unità è la moltitudine; e come l'ente è un moltimodo e moltiunico, e in fine uno in sustan-

za e verità.

Sesto,

e quel numero, e che lo ente. Settimo,

dico

senza

la raggione

la quale

plazion

de

seinferisce onde proceda quella differenza

questi non sono ente, ma di ente e circa avertesi che chi ha ritrovato quest’uno,

di questa

è impossibile

la natura.

unità,

aver

Ottavo,

ha

ritrovata

ingresso

quella

alla vera

con

nova

(G.!

I,

chiave,

contem-

contemplazione

si replica, che l'uno, l’ infinito, lo ente e? quello che è in tutto,

I (G! (= L): e; G2: ® (Lim.: « Leggerei: (B.

[15-7))

(W.

0) è.)

I, 210-11)

(L. 206-7)

185

136-7)

(GI,

143).

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

è per tutto, anzi è l' istesso ubigue; e che cossi la infinita dimensione, per non essere magnitudine, coincide con l’ individuo, come la infinita moltitudine, per non esser numero, coincide con la unità. Nono, come nel’ infinito non è parte e parte,

sia che si vuole! ne l'universo esplicatamente; dove però tutto quel che veggiamo di diversità e differenza, non è altro che diverso e differente volto di medesima sustanza. Decimo, come

ne li doi estremi,

che si dicono

nell’estremità

de la scala

della natura, non è più da contemplare doi principii che uno, doi enti che uno, doi contrarii e diversi, che uno concordante e medesimo. Ivi l'altezza è profondità, l'abisso è luce inaccessa, la tenebra è chiarezza, il màgno è parvo, il confuso è distinto, la lite è amicizia, il dividuo è individuo, l'atomo è immenso;

e per il contrario. Undecimo, qualmente certe geometriche nominazioni come di punto e uno, son prese per promo-

vere

alla contemplazione

sé sufficienti

de lo ente e uno,

a significar

quello.

Onde

e non

sono

Pitagora,

da per

Parmenide,

Platone non denno essere sf scioccamente interpretati, secondo la pedantesca censura di Aristotele. Duodecimo, da quel, che la sustanza ed essere è distinto dalla quantità, dalla

misura e numero, s' inferisce che la è una e individua in tutto e in qualsivoglia cosa. Terzodecimo, s'apportano gli segni e le verificazioni per quali gli contrarii veramente concorreno, sono da un

principio

esser

visto

e sono

in

verità

matematicamente,

e sustanza

si

uno;

conchiude

il che,

dopo

fisicamente.

* Secondo Parmenide. Cfr. il dial. V, p. 320 («ma non vedo perché », obietta il Limentani alle due indicazioni del G.; « B. vuol

dire che non si può

parlare di parti dell’ infinito,

in quanto

questo

è ‘implicato nel simplicissimo e individuo primo principio ’ —- comunque poi si voglia pensare la esistenza di parti nell’ infinito, in quanto verso.

possa

A

è

_B.,

esplicato

insomma,

ammettere

in pari tempo,

non

in questo

importava

la distinzione

suo

di parti

simulacro,

determinare,

nel

tutto,

che

qui,

è l'uni-

come

si

e riconoscere,

che ciascuna parte del tutto comprende

a suo modo

tutta l'anima del mondo: ma questa difficoltà è da lui sciolta in questi dialoghi stessi, particolarmente nel 2° e nel 50».)

(B. [17-9)) (W. I, 211-2) (L. 207-8) (G.! I, 137-8) (GI, 143-4). 186

PROEMIALE Ecco,

illustrissimo

Signore,

EPISTOLA onde

bisogna

uscire

prima

della

scienza

naturale.

che

voler entrare alla più speciale e appropriata cognizion de le cose. Quivi, come nel proprio seme, si contiene ed implica la moltitudine

de

le

conclusioni

Quindi

deriva la intessitura, disposizione e ordine de le scienze speculative. Senza questa isagogia in vano si tenta, si entra, si comincia. Prendete, dunque, con grato animo questo principio, questo uno, questo fonte, questo capo, perché vegnano animati

a farsi fuora e mettersi avanti la sua prole e genitura, gli suoi rivi e fiumi

mente

maggiori

si diffondano,

il suo

si moltipliche e gli suoi membri

numero

successiva-

oltre si dispongano

a

fin che, cessando la notte col sonnacchioso velo e tenebroso manto, il chiaro Titone!, parente de le dive Muse, ornato di

sua

fameglia,

notturne

faci,

cinto

da

ornando

la sua

eterna

di nuovo

corte,

giorno

dopo

il mondo,

bandite

le

risospinga

il trionfante carro dal vermiglio grembo di questa vaga Aurora. Vale.

pp.

1 (Lim.

188,

(B.

ritiene

debba

193 e Opera, [18))

(W.

I

leggersi

Titane,

II, I, p. 185.)

212)

(L. 208)

187

cioè

(G.1 I, 138)

il Sole

(Titan).

(G.2 I, 144).

Cîr.

GIORDANO AI Lethaea!

Emigret

PRINCIPI

undantem

o Titan,

NOLANO

DE

L’' UNIVERSO

retinens ab origine

et petat

astra

precor.

Errantes stellae, spectate procedere in Me geminum, si vos hoc reserastis iter.

Dent

geminas

Vestrae

per

somni

vacuum

me

portas

laxarier

properante

orbem

usque,

vices:

Obductum tenuitque diu quod tempus Mi liceat densis promere de tenebris. Ad

Seclo

partum?

haec

properare

indigno

tuum,

campum

mens

sint tribuenda

avarum,

aegra,

licet?

quid

obstat,

Umbrarum fluctu terras mergente, cacumen Adtolle in clarum, noster Olimpe, lovem.

AL

PROPRIO

SPIRTO

Mons, licet innixum tellus radicibus altis Te capiat, tendi vertice in astra vales. Mens, cognata vocat summo de culmine rerum,

Discrimen quo sis manibus atque Iovi. Ne perdas hic iura tui fundoque recumbens Impetitus3 1 BWL:

tingas

Lethaeo.

nigri

Acherontis

Correzione

aquas.

proposta

dal

Lasson,

p.

xxl

(per l'esigenza di far concordare l'agg. con origine (ma cir. primo origine a p. 720); traduce infatti: an der Grenze des Orcus, seguito da altri interpreti. L'Amerio intende l'emendato Lethaea come soggetto: «la tenebrosa Terra ».) ®

W:

portuni;

ma

la correzione

è erronca.

3 W: Impeditus; e guasta il pentametro (FioRENTINO, in BRUNO, Opera, I, pref., p. xvi). Il Lasson congettura sia da correggere (B.

{[19-20])

(W.

I,

212-3)

(L.

208)

188

(G.!

I,

139)

(GT,

[145)).

PROEMIALE

EPISTOLA

At mage! sublimeis tentet Nam, tangente Deo, fervidus

AL Lente senex, Anne?

idemque

bonum

quis

te

natura recessus, ignis eris.

TEMPO celer, claudensque

dixerit,

anne

malum

relaxans, ?

Largus es, esque tenax: quae munera porrigis, Quique parens aderas, ipse peremptor ades3; Visceribusque

Tu

cui

Omnia

educta

prompta

sinu

cumque

Nonne4 bonum Porro ubi tu

tuis

in

carpere

viscera

fauce

facis cumque

aufers;

condis,

licet.

omnia destruis, hinc te

possem dicere, nonne 5 malum? diro rabidus frustraberis ictu,

Falce minax illo tendere parce manus, Nulla ubi pressa Chaos atri vestigia parent4 Ne

videare

bonus,

ne

videare

DE Amor,

per

cui

malus.

L’ AMORE

tant'alto

il ver

$

discerno,

Ch’apre le porte di diamante e nere, Per gli occhi entra il mio nume; e per vedere Nasce,

vive,

Ta

scorger

Ta

presente

Repiglia

si nutre,

quant’ ha

d’absenti

forze,

E impiaga

e,

sempre

! W:

2 3 4 5

Eja,

(B.

PETR.,

age.

Ma

I, dial.

[20-2))

sonetto

(W.

I degli

il ciel

eterno.

terr'

effigie vere, dritto,

il cor,

scuopre

accolta

Afr.,

VI,

Eroici

I, 213-4)

inferno,

ogn’ interno.

dall’Amerio

841,

VII,

fu saltato da

è inserito

ed

fere,

v. FIORENTINO,

B: an ne. Questo verso intero B: non ne. W: apparent.

6 Questo

parte

cfr.

regno

trando

«implicitus» = (emendaz. trica »: ma

ha

(con

furori,

(L. 208-9)

189

l. c.

220).

necessità

me-

IV.

leggere

pp.

«per

varianti)

0969-70.

anche

(G.! I, 139-40) (GI,

nella

(145]-0).

DE O

LA

dunque,

CAUSA,

volgo

PRINCIPIO

vile,

al

vero

E

UNO

attendi,

Porgi l'orecchio al mio dir non fallace, Apri, apri, se puoi, gli occhi, insano e bieco. Fanciullo

il credi,

perché

poco

intendi;

Perché ratto ti cangi, ei par fugace; Per esser orbo tu, lo chiami cieco.

Causa, Onde

principio

l’esser,

ed uno

la vita,

sempiterno,

il moto

pende,

E a lungo, a largo e profondo si stende Quanto si dic’ in ciel, terr' ed inferno; Con senso, con raggion, con mente scerno Ch'atto, Quel

misura

vigor,

mole

Oltr’ogn' inferior,

e conto

non

e numero,

mezzo

comprende

che

tende

e superno.

Cieco error, tempo avaro, ria fortuna, Sord' invidia, vil rabbia, iniquo zelo, Crudo cor, empio ingegno, strano ardire Non bastaranno a farmi l’aria bruna,

Non Non

mi porrann’avanti gli occhi il velo!, faran mai che il mio bel sol non mire.

1 L(G’: Adunque. * Nel son. del PETRARCA

«O giorno,

o ora »: a Ma

(B.

(W.

{22-3])

I, 214)

(11, 57

(CCCXXIX

’nnanzi agli occhi

(L. 209-10)

190

(G.!

I,

dell’ediz. Laterza))

m'era

140-1)

posto un velo ». (G.2

I, 146-7).

DIALOGO

PRIMO

INTERLOCUTORI Elitropio,

Elitropio. dal

fondo

Qual

rei

di qualche

Filoteo,

nelle

Armesso !.

tenebre

oscura

torre,

avezzi, escono

che,

liberati

alla luce,

molti

degli essercitati nella volgar filosofia ed altri paventaranno, admiraranno

chiari

e, non possendo

concetti,

soffrire il nuovo

sole de’ tuoi

si turbaranno 2.

! l'iloteo (o Teofilo) è lo stesso Bruno. Cfr. sopra, n. 1 nelle Pp. 19-20. Elitropio (secondo il suo nome stesso: colui che si volge

al sole, cui è paragonata

qui appresso

la filosofia bruniana)

è un

seguace del Bruno. (FRANCES A. YATES (of. cit., pp. 102-3) ha sostenuto con validi argomenti l’ identificazione di questo -personaggio con John Florio.) Armesso (o Harmesso o Hermesso) è un suo

amico

inglese,

non

ancora,

per

altro,

identificato.

(La

YATES

(op. cit., p. 103) suggerisce il nome di Matthew Gwinne. Più di recente, D. W. SINGER: «We suggest that Armesso.... may be the Mer-

curius

of

Dicson’s

work

[vedi p. 214, n. 3), but we have not iden-

tified a prototype » (G. B., his Life and Thought...., New York,

P. 39, n. 40).)

1950,

® Reminiscenza platonica; cfr. PLAT., Rep., lib. VII, pp. 514-15. (B.

1)

(W.

I,

(215))

(L.

210)

(GI

19I

I,

(142))

(GI,

[148)).

DE

Filoteo.

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

Il difetto non è di luce, ma

UNO

di lumi:

quanto

in

sé sarà più bello e più eccellente il sole, tanto sarà agli occhi de le notturne strige ! odioso e discaro di vantaggio. Elitropio. La impresa che hai tolta, o Filoteo, è difficile, rara e singulare,

mentre

dal cieco

abisso

vuoi

cacciarne

e

amenarne ? al discoperto, tranquillo e sereno aspetto de le stelle, che con sf bella varietade veggiamo disseminate per il ceruleo manto del cielo. Benché agli uomini soli l’aitatrice mano di tuo piatoso zelo soccorra, non saran però meno varii gli effetti 2 dis de ingrati verso di te, che varii son gli animali che la benigna terra genera e nodrisce nel suo materno e capace seno; se gli è vero che la specie umana, particularmente

la

negl’ individui

varietade

tutto, che,

che

per

esser

in quelli

qual’appannata

discorperto,

che

di

suoi,

in

ciascuno

d'altre

non

de

più

specie.

talpa, bel

mostra

l’ altre

espressamente

Onde

sf tosto

nuovo,

tutte

il

vedransi

questi

sentiranno

l'aria

risfossiccando

la

terra 3,

tentaranno agli nativi oscuri penetrali; quelli, qual notturni ucelli, non si tosto arran veduta spuntar dal lucido oriente la

vermiglia

ambasciatrice

del

sole,

che

dalla

imbecillità

degli occhi suoi verranno invitati alla caliginosa ritretta 4. Gli animanti tutti, banditi dall'aspetto de le lampadi celesti e destinati all’eterne gabbie, bolge ed antri di Plutone, dal

spaventoso

ed

erinnico

apriran l’ali e drizzaranno ® Latinismo per streghe

® Appresso

(p. 226):

corno

4 Dal

Spaccio, (B.

1-2)

sfossecare:

franc.

p. 557. (W.

I,

retraite,

[(215))

richiamati,

il veloce corso alle lor stanze.

(ma qui strigî, uccelli rapaci notturni).

ammenare:

forme

Words, p. 24) che spesso s'incontrano 2 4is (L'Amerio muta: affetti.) 3 Napol.

d’Alecto

cavar

fosse,

asilo,

(L.

(GI

192

rifugio.

I,

(New

World

of

nel De /’ infinito.

sfossare.

ricovero,

210)

arcaiche

anche

[142]-3)

Cfr.

Cand.?,

(G.2

I,

p.

23,

(148]-9).

DIALOGO

PRINO

Ma gli animanti nati per vedere il sole, gionti al termine dell’odiosa notte, ringraziando la benignità del cielo e disponendosi a ricevere nel centro del globoso cristallo degli occhi

suoi

applauso dal

gli tanto di cuore,

cui

il vago

bramosi

e aspettati

di voce e di mano

dorato

balco,

avendo

Titane,

rotto

il sonnacchioso

rai,

con

adoraranno

cacciati

gli

l'oriente;

focosi

silenzio

disusato

de

destrieri l’umida

notte, raggionaranno gli uomini, belaranno gli facili, inermi e semplici lanuti greggi, gli cornuti armenti sotto la cura de’ ruvidi bifolchi muggiranno. Gli cavalli di Sileno, perché di nuovo, in favor degli smarriti dei, possano dar spavento ai più de lor stupidi gigantoni, ragghiaranno; versandosi nel suo limoso letto, con importun gruito ne assordiranno

gli sannuti

caccia,

mandaranno

ciacchi.

Le

tigri,

gli orsi,

gli leoni, i

lupi e le fallaci golpi, cacciando da sue spelunche il capo, da le deserte alture contemplando il piano campo de la dal

ferino

petto

i lor

grunniti,

ricti,

bruiti, fremiti, ruggiti ed orli =. Ne l’aria e su le frondi di ramose

piante, gli galli, le aquile, li pavoni, le grue, le tor-

tore, i merli, i passari, i rosignoli, le cornacchie, le piche, gli corvi, gli cuculi e le cicade non sarran negligenti di replicar e radoppiar gli suoi garriti strepitosi. Dal liquido e instabile campo ancora, li bianchi cigni, le molticolorate anitre, gli solleciti merghi, gli paludosi bruchii 3, le ocche rauche,

1 Gli

2 Urli,

le querulose

asini.

3 BWL:

Cfr.

brutii;

rane

Igino, ma

è una

ne

toccaranno

Poetic. svista

l’orecchie

Astronomic., dell’autore

col suo

XXIII. o dello stampatore.

Bruchii (BpùXtos (ma fpiyxtoc): sommerso) o anseres intermedii o medii: oche lombardelle mezzane. (G!: bruzii (ed è lIez. sostenibile). (B. 2-4)

(W.

I, (215]-6)

(L. 210-11)

193

(G.I I, 143-4)

(G.2 I, 149-50).

DE

rumore,

LA

di sorte

CAUSA,

ch'il

PRINCIPIO

caldo

lume

all'aria di questo più fortunato gnato, salutato e forse molestato de voci, quanti e quali son spirti petti le caccian fuori !. Filoteo. Non solo è ordinario, sario,

che ogni

animale

E

UNO

di questo

sole,

diffuso

emisfero, verrà accompada tante e tali diversitadi che dal profondo di proprii ma anco naturale e neces-

faccia la sua voce;

e non

è possi-

bile che le bestie formino regolati accenti e articulati suoni come

gli uomini,

gusti,

varii

gli

Armesso.

come

contrarie

le complessioni,

diversi i

nutrimenti.

Di grazia, concedetemi libertà di dir la parte

mia ancora;

non circa la luce, ma

circa alcune circustanze,

per le quali non tanto si suol consolare il senso, quanto molestar il sentimento di chi vede e considera; perché, per vostra pace e vostra quiete, la quale con fraterna caritade vi

desio,

non

vorrei

che

di

questi

vostri

discorsi

vegnan

formate comedie, tragedie, lamenti; dialogi, o come vogliam dire, simili a quelli che poco tempo fa, per esserno ? essi usciti in campo a spasso, vi hanno forzato di starvi rinchiusi e retirati in casa.

Filoteo. Dite liberamente. Armesso.

Io

non

astratto divino,

parlarò

come

come

assumpto

santo

profeta,

apocaliptico,

come



quale

angelicata asina di Balaamo 3; non raggionarò come inspirato da Bacco, né gonfiato di vento da le puttane muse di

1 Tutto

st'ultima De

quest'esordio

parte,

fu

del

tradotta

dial,

con

senza

lievi

immenso, I, 2: Opera, I, 1, 206-8. ? Cfr. sopra, p. 61, n. 1. 3 Vedi i Numeri, XXII, 21-30.

(B.

4)

(W.

I, 216)

(L.

211-2)

194

l’enumerazione

mutamenti

(GI,

144)

(G.=

di

dal

Bruno

I,

150-1).

que-

nel

DIALOGO

PRIMO

Parnaso!, o come una Sibilla impregnata da Febo, o come

una fatidica Cassandra =, né qual ingombrato da le unghie de’ piedi sin alla cima di capegli de l'entusiasmo apollinesco, né qual vate illuminato nell’oraculo o delfico tripode, né come

Edipo

esquisito3 contra gli nodi

della Sfinge,



come un Salomone inver gli enigmi della regina Sabba, né qual Calcante, interprete dell'olimpico senato “, né come un inspiritato

Merlino 6,

fonio 7. Ma uomo

che

o come

parlarò .per ho

avuto

uscito

l'ordinario

altro

dall'antro

di

Tro-

e per

volgare,

come

che

d’andarmi

lam-

pensiero

biccando il succhio de la grande e piccola nuca, con farmi al fine rimanere dico,

che

non

in secco la dura e pia madre; ho

altro

cervello

ch'il

mio;

come

uomo,

cui

manco

a

gli dei dell’ultima cotta e da tinello nella corte celestiale (quei

dico

che

non

bevono

ambrosia,



gustan

nettare,

ma vi si tolgon la sete col basso de le botte e vini rinversati, se non

vogliono

far stima de linfe e ninfe,

che sogliono esser più domestici, familiari con noi), come è dire né il dio Bacco, né cavalcator



de

l'asino 8, né

Pane,



quci,

dico,

e conversabili quel imbreaco

Vertunno,

né Fauno,

Priapo, si degnano cacciarmene una pagliusca di più e

1 Cfr. Cand. antiprol.: «che non bastan tutt'i trombetti e tamburini delle Muse puttane d’ Elicona a ficcarmene una pagliusca

ia

a

»

dentro

la memoria ».

Vircicio, Acn., II, 246-7. Latinismo: interrogato. Cfr.

III (ma VirciLio,

I) Reg. Aen., II,

X, 1 sgg. 122-4

SenECA,

Oedipus,

92-102.

11 mago Merlino dell'Artosto, Orl. fur., ITI, 10-16 e XXXIII,

0,

? B: Trifonio. Erasmo, Moriae encomium (Lugd. Batav., 1048), pp. 21-2: «tristes ac solliciti,... quasi super (ma nuper) e Trophonii specu reversi»; e Adagia, ed. Choset, 1593, p. 325.

8 Sileno. (B.

4-5)

(W.

I, 216-7)

(L.

212)

195 17



G.

Ununo,

Diuloyhi

italiani

(G.!

I,

144-5)

(G2

I,

151).

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

di vantaggio dentro, quantunque sogliano far copia de’ fatti lor sin ai cavalli. Elitropio. Troppo lungo proemio. Armesso. Pacienza, che la conclusione Voglio

dir brevemente, che

sogna

disciferarle come

lambicco, digerite dal

sarà

breve.

vi farò udir paroli, che non

poste in distillazione, bagno

di maria,

bi-

passate per

e subblimate

in re-

cipe di quinta essenza; ma tale quali m' insaccò nel capo la nutriccia !, la quale era quasi tanto cotennuta, pettoruta, ventruta,

fiancuta

londriota,

che viddi a Westmester;

toio

e naticuta,

del stomaco,

ha un

quanto

paio

può

essere

la quale,

di tettazze,

quella

per iscalda-

che

paiono

gli

borzacchini= del gigante san Sparagorio 3, e che, concie in cuoio, varrebbono sicuramente a far due pive ferrarese 4, Elitropio.

E

Armesso.

questo

Or su,

potrebe

per

venire

bastare al

resto,

per un

proemio.

vorrei

intendere

da voi (lasciando un poco da canto le voci e le lingue a proposito del lume e splendor che possa apportar la vostra filosofia) con che voci volete che sia salutato particolarmente

da

noi

quel

lustro

di

dottrina,

che

esce

dal

libro

de la Cena de le ceneri ? Quali animali son quelli che hanno 1 O

«notriccia»,

® B:

borzacchimi.

quella letteraria:

napol.;

nutrice.

ma

il B.

appresso,

p.

°

205,

adopera

3 Barro nel Cand.3, p. 75: «S'io avesse avuta la testa più grossa

di quella di S. Sparagorio ». V. TmBRIANI (Natanar II, in Propugnatore, 1875, vol. VIII, 11, p. 444) congettura: « Forse ha da leggersi Paragorio »; e ricorda la Chiesa di S. Paragorio in Noli (dove il Bruno dimorò 5 mesi nel 1577), fondata nel sec. vii. Vedi Berti, Vita, P.

S.

55,

dov’ è citato

Paragorio

(in

Tommaso

Scritti

TortEROLI,

letterari).

Noli,

ossia

la

Chiesa

di

4 La descrizione burlesca di questa donna ba modelli nel cap. I

del BERNI Alla sua innamorata e nel Mogliazzo dell’AretINO (Cosmopoli, 1600, p. 52). (B.

5-6)

(W.

I, 217)

(L.

212)

196

(G.3

I,

o nei Ragionamenti

145-6)

(GI,

151-2).

DIALOGO

PRIMO

recitata 1 la Cena de le ceneri ? Dimando, se sono acquatici, o aerei,

o terrestri,

o lunatici? -E lasciando

da canto

gli

propositi di Smitho, Prudenzio e Frulla, desidero di sapere, se fallano coloro che dicono,

che tu fai la voce di un cane

rabbioso e infuriato, oltre che talvolta fai la simia, talvolta

il lupo, talvolta la pica, talvolta il papagallo, talvolta un animale talvolta un altro, meschiando propositi gravi e seriosi, morali e naturali, ignobili e nobili, filosofici e comici ?

Filoteo. Non vi maravigliate, fratello, perché questa non fu altro ch' una cena, dove gli cervelli vegnono governati dagli affetti, quali gli vegnon porgiuti dall'efficacia di sapori e fumi de le bevande e cibi. Qual dunque può essere

la cena materiale e corporale, tale conseguentemente succede la verbale e spirituale; cossi dunque questa dialogale ha le sue parti varie e diverse, qual varie e diverse quell'altra suole aver le suc; non altrimente questa ha le proprie condizioni, circonstanze e mezzi, che come le proprie potrebbe aver quella. Armesso. Di grazia, fate ch'io vi intenda. Filoteo. Ivi, come è l'ordinario e il dovero, soglion trovarsi

cose

da insalata da pasto,

da frutti da ordinario,

cocina da speciaria, da sani da amalati, di

crudo

di

di selvatico,

cotto,

di acquatico

di rosto

di lesso,

di freddo

di terrestre, di maturo

di

di caldo, domestico

di acerbo,

da nutrimento solo e da gusto, sustanziose

da

e cose

e leggieri, salse

e inspide, agreste e dolci, amare e suavi. Cossi quivi, per certa conseguenza,

vi sono

apparse

le sue contrarietadi

e

! Ossia, gl' interlocutori del dialogo principale (Teofilo, Smitho, Prudenzio e I°rulla), nel quale si racconta il dialogo svoltosi durante la cena delle ceneri.

(B. 6-7)

(W.

IT, 217-8)

(L. 212-3)

197

(G.I I, 146)

(G.2

T, 152-3).

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

diversitadi, accomodate a contrarii e diversi stomachi e gusti, a’ quali può piacere di farsi presenti al nostro tipico simposio, a fine che non sia chi si lamente di esservi gionto

invano, e a chi non piace di questo, prenda di quell'altro. Arnesso.

È vero; ma che dirai, se oltre nel vostro con-

vito, ne la vostra ! cena appariranno cose, che non son buone né per insalata né per pasto, né per frutti né per ordinario,

né fredde né calde, né crude né cotte, né vagliano per l’ap-

petito né per fame, non son buone per sani né per ammalati,

e conviene che non escano da mani di cuoco né di speciale ? Filoteo. Vedrai che né in questo la nostra cena è dissimile a qualunqu’altra esser possa. Come dunque là, nel più bel del mangiare, o ti scotta qualche troppo caldo boccone, di

maniera

piangendo palato sin

che

bisogna

cacciarlo

de

bel

nuovo

fuora,

o

e lagrimando mandarlo vagheggiando per il tanto che se gli possa donar quella maladetta

spinta per il gargazzuolo al basso; overo ti si stupefà qualche dente, o te s’ intercepe la lingua che viene ad esser morduta con il pane, o qualche lapillo te si viene a rompere e incalcinarsi tra gli denti per farti regittar tutto il boccone, o qualche pelo o capello del cuoco ti s' inveschia nel palato pei farti presso che vomire,

o te s'arresta qualche aresta *

di pesce ne la canna a farti suavemente tussire, o qualche ossetto te s'attraversa ne la gola per metterti in pericolo di suffocare;

cossi

nella

nostra

cena,

per

nostra

e comun

disgrazia, vi si son trovate cose corrispondenti e proporzio-

nali a quelle. Il che tutto avviene per il peccato dell’ antico

1 B:

nostra.

? Arèsta

«resta », ma

(B.

7-8)

nella

lingua

non

di

(W.

I, 218)

letteraria

«lisca », come

(L.

ha

i

medesimi

significati

(GI

I,

147)

T,

intendono

213-4)

198

i napoletani

(G=

e il 13.

153-4).

di

DIALOGO

PRIMO

protoplaste Adamo ', per cui la perversa natura umana è condannata ad aver sempre i disgusti gionti ai gusti. Armesso. Pia- e santamente. Or che rispondete a quel che dicono, che voi siete un rabbioso cinico ?? Filotco.

Concederò

facilmente,

se

non

tutto,

parte

di

questo.

Armesso. Ma sapete che non è vituperio tanto di ricevere oltraggi, quanto di farne? Filoteo.

ad un

uomo

Ma basta che gli miei sieno chiamati vendette,

e gli altrui sieno chiamati Armesso.

Anco

offese.

gli Dei son suggetti

a ricevere ingiurie,

patir infamie e comportar biasimi: ma biasimare, infamare e ingiuriare è proprio de’ vili, ignobili, dappoco e scelerati. Filoteo. Questo è vero; però noi non ingiuriamo, ma ributtiamo

l’ ingiurie,

che son fatte non

tanto

a la filosofia spreggiata, con far di modo dispiaceri non s’aggiongano degli altri. Arntesso,

Volete,

dunque,

parer

a noi, quanto

ch'agli ricevuti

cane

che

morde,

a

fin che non ardisca ognuno di molestarvi? Filoteo, Cossf è, perché desidero la quiete, e mi dispiace il dispiacere. Armesso. rosamente. . Filoteo.

Si, ma A

giudicano

fine che

non

che

procedete

tornino

un'altra

troppo volta

rigo-

essi,

ed

altri imparino di non venir a disputar meco e con altro, trattando con simili mezzi termini queste conclusioni. ! Cfr.

è Uomo

sopra,

degli antichi,

p.

canino.

dovette

8, n.

Cfr.

1.

la nota

1 a-p.

5. Bruno,

credere che Antistene

come

qualcuno

e i suoi scolari si fossero

chiamati cinici propter mores quasi caninos. Vedi RITTER e PRELLER,

Hist. philos. graecae8, p. 214. (B.

8-9)

(W.

I, 210)

(L.

214)

(GI

199

I,

147-8)

(G2

I,

154-5).

DE

Armesso.

LA

La

CAUSA,

offesa

PRINCIPIO

fu

privata,

E

UNO

la

vendetta

è

pu-

blica.

Filoteo. Non per questo è ingiusta; perché molti errori si commettono in privato, che giustamente si castigano in publico. Armesso.

tazione,

Ma

con ciò venite

a guastare

e vi fate più biasimevole

che coloro;

blicamente se dirà che siete impaziente,

capo

la vostra ripu-

perché

pu-

fantastico, bizarro,

sventato. Filoteo.

Non

mi

curo,

pur

che

oltre

o altri molesti; e per questo mostro

non

mi

siano

essi

il cinico bastone, acciò

che mi lascino star co’ fatti miei in pace; e se non mi vogliono far carezze, non vegnano ad esercitar la loro inciviltà

sopra

di me.

Armesso.

Or vi par che tocca ad un filosofo di star su la

vendetta ?

Filotelo. Se questi che mi molestano

fussero

una Xan-

tippe, io sarei un Socrate.

Armesso. Non sai che la longanimità e pazienza sta bene a tutti, per la quale vegnano ad csser simili agli eroi ed

eminenti

e, secondo

Dei; altri,

che,

secondo

né si vendicano

alcuni,

si vendicano

tardi,

né si adirano?

Filoteo. T' inganni pensando ch’ io sia stato su la vendetta. Armesso. E che dunque? Filoteo.

Io son stato su la correzione, nell'esercizio della

quale ancora siamo simili agli Dei. Sai che il povero Vulcano è stato dispensato da Giove di lavorare anco gli giorni di festa; e quella maladetta incudine non si lassa o stanca mai a comportar le scosse di tanti e sf fieri martelli, che non sf tosto è alzato l'uno che l’altro è chinato, per far che gli (B. 9-10)

(W.

I, 219-20)

(L. 214-5) 200

(G.1

I, 148-09)

(G.2 I, 155).

DIALOGO

giusti

PRIMO

folgori, con gli quali gli delinquenti

gheno,

non vegnan

ec rei si casti-

meno.

Armesso. È differenza tra voi e il fabro di Giove e marito della ciprigna dea.. Filoteo. Basta che ancora non son dissimile a quelli forse nella pazienza e longanimità; la quale in quel fatto ho essercitata,

non rallentando tutto il freno

al sdegno,



toccando di più forte sprone l’ ira. Armesso.

Non

tocca

ad

ognuno

massime de la moltitudine. Filoteo. Dite ancora, massime

di

essere

quando

correttore,

quella

non

lo

tocca.

Armesso. Si dice che non devi esser sollecito nella patria aliena. Filoteo. È io dico due cose: prima, che non si deve uccidere un medico straniero, perché tenta di far quelle cure che non fanno

i paesani;

secondo

dico, che al vero filosofo

ogni terreno è patria. Armesso. Ma se loro non ti accettano né per medico, né per paesano? Filoteo. Non

per questo

mancarà



ch'io

per

filosofo

sia.

Anmesso. Chi ve ne fa fede? Filoteo.

Gli

numi

che

me

vi

han

messo,

io che

me

vi

ritrovo, e quelli ch’ hanno gli occhi, che me vi veggono. Armesso. Hai pochissimi e poco noti testimoni. Filoteo.

Pochissimi

e

poco

noti

sono

gli

veri

medici,

quasi tutti sono veri amalati. Torno

a dire, che loro non

hanno

permettere

libertà

altri

di

fare,

altri

di

che

fatti tali trattamenti a quei che porgono onorate o sieno stranieri o non. Armesso. Pochi conoscono queste merci. (B.

10-1)

(W.

T,

220)

(L.

215)

(GI

2ZOI

IT,

149-50)

(G

I,

sieno

merci,

155-0).

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

Filoteo. Non per questo le gemme sono men preciose e non le doviamo con tutto il nostro forzo ! defendere e farle defendere,

liberare

e vendicare

ogni

possibil rigore.

porcini con gli superi,

Armesso

mio,

dalla

conculcazione

de’

piè

E cossi mi sieno propicii

che io mai

feci di simili vendette

per sordido amor proprio o per villana cura d'uomo particulare, ma per amor della mia tanto amata madre filosofia e per zelo della lesa maestà di quella. La quale da’ mentiti familiari e figli (perché non è vil pedante, poltron dizionario 2, stupido strarsi carco

fauno,

igriorante

di libri 3, con

cavallo,

allungarsi

maniere mettersi in prosopopeia,

che,

o con

la barba

o con

moaltre

non voglia intitolarsi de

la fameglia) è ridutta a tale, che appresso il volgo tanto val

dire un filosofo, quanto un frappone 4, un disutile, pedan-

taccio,

circulatore,

saltainbanco,

servir per passatempo a la campagna.

ciarlatano,

buono

in casa e per spavantacchio

per

d'ucelli

Elitropio. A dire il vero, la famiglia de’ filosofi è stimata più vile dalla maggior parte del mondo, che la famiglia I A Napoli

? Pedante,

« fuorzo» è lo stesso che

che

non

s'occupa

d'altro

«sfuarzo »: sforzo.

che

di frasi

(dizioni).

3 Ricorda il Sannazaro che lo Scoppa dice che « molti lo han pregato li faccia vedere l'enestella, Antiade, Trogo e gli altri sei

libri dice

de

li l'asti

d’ Ovidio...;

d'averli ». Cfr.

4 Da

SPAMPANATO,

frappare,

frappatore = ciurmatore pugnatore,

IX,

342

[e)

c cfr.

quanti

libri

Cand.!,

ingannare

(v. anche

p.

ode

xXXxXVII,

ciarlando;

IMBRIANI,

il Candelaio,

nominare,

onde

n.

Natanar

V,

6).

«Quando

ad

Aquila,

2.

tutti

frappone

o

alcuno

in

II, in Pro-

favellando dice cose grandi, impossibili o non verosimili, e insomma quelle cose che si chiamano non bugiuzze o bugie, ma bugioni..., se lo fa artatamente per ingannare o (leggi: e) giuntare..., 0 per parer bravo, si dice frappare »: B. VARCHI, Ercolano, p. 64 (ma 54 (dell’ediz. orig.)) cit. da SPAMPANATO, Cand.z, p. 150. Una commedia

di Massimo

II Frappa (B.

11-2)

Cammelli,

stampata

(vedi

QuaDnrio,

Storia,

(W.

I, 220-1)

(L.

216)

202

V,

88).

(G.!

I, 150)

1566,

(G.2

s' intitola

I, 156-7).

DIALOGO

de’

cappellani;

perché

non

specie di gentaglie, hanno

PRIMO

tanto

quelli,

assunti

da ogni

messo il sacerdocio in dispregio,

quanto questi, nominati da ogni geno di bestiali, hanno posto la filosofia in vilipendio. Filoteo.

Lodiamo,

dunque,

nel

suo

geno

l’antiquità,

quando tali erano gli filosofi che da quelli si promovevano ad essere legislatori, consiliarii

e regi; tali erano

consiliarii

e regi, che da questo essere s’ inalzavano a essere sacerdoti.

A questi tempi la massima parte di sacerdoti son tali, che son spreggiati essi, e per essi son spreggiate le leggi divine; son tali quasi tutti quei che veggiamo filosofi, che essi son vilipesi, e per essi le scienze vegnono vilipese. Oltre che, tra questi la moltitudine

de forfanti,

come

di urtiche,

con

gli contrari sogni suole dal suo canto ancora opprimere la rara virtù e veritade, la qual si mostra ai rari. Armesso. Non trovo filosofo che s'adire si per la spreggiata filosofia, né, o Elitropio, scorgo alcuno sf affetto per la

sua

tutti

scienza, gli

altri

quanto filosofi

questo fussero

Teofilo 1; della

che

medesima

sarebbe,

se

condizione,

voglio dire sf poco pazienti? Elitropio. Questi altri filosofi non hanno ritrovato tanto, non hanno tanto da guardare, non hanno da difender tanto.

IFacilmente possono ancor essi tener a vile quella filosofia

che non

val nulla,

o altra che

val poco,

o quella che non

conoscono; ma colui che ha trovata la verità, che è un tesoro

ascoso, acceso da la beltà di quel volto divino, non meno doviene geloso perché la non sia defraudata, negletta e con-

taminata, che possa essere un altro sordido affetto ® sopra 1 Cosî

Filoteo

®? Affetto

geloso

di due

(B.

(W.

12-3)

qui,

righe

I, 221)

continuerà

come

più

innanzi.

su,

(L..216-7)

203

a chiamarsi

è aggettivo,

(Gt

I,

150-1)

nei

diall.

seguenti.

e vale

quanto

(GT,

157-8).

il

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

l'oro, carbuncolo e diamante, ‘0 sopra una carogna di bellezza feminile. Armesso. Ma ritorniamo a noi, e vengamo al quia. Dicono di voi, Teofilo, che in quella

vostra

Cena tassate e in-

giuriate tutta una città, tutta una provinzia, tutto un regno. Filoteo. Questo mai pensai, mai intesi, mai feci; e se l'avesse pensato, inteso o fatto, io mi condannerei

pessimo,

e sarei apparecchiato a mille retrattazioni, a mille revocazioni, a mille palinodie; non solamente s’ io avesse ingiuriato

un nobile e antico altro, quantunque

regno, come è questo, ma qualsivoglia stimato barbaro: non solamente dico

qualsivoglia città, quantunque diffamata incivile, ma e qualsivoglia lignaggio, quantunque divolgato salvaggio, ma e qualsivoglia fameglia, quantunque nominata inospitale: perché

non

può

essere regno,

città, prole o casa intiera, la

quale possa o si deve presupponere d'un medesimo umore, e dove non possano essere oppositi o contrarii costumi; di sorte che quel che piace a l’uno, non possa dispiacere all'altro. Armesso. Certo, quanto a me, che ho letto e riletto e ben considerato il tutto, benché circa particolari non so perché vi trovo alquanto troppo effuso, circa il generale vi veggo castigata- ragionevole- e discretamente

procedere:

ma il rumore è sparso nel modo ch'io vi dico. Elitropio. Il rumore di questo e altro è stato sparso dalla viltà di alcuni di quei che si senton ritoccati; li quali, desiderosi di vendetta,veggendosi insufficienti con propria raggione, dottrina, ingegno e forza, oltre che fingono quante altre possono falsitadi, alle quali altri che simili a loro non possono porger fede, cercano compagnia con fare ch’ il castigo particolare sia stimato ingiuria commune. (B.

13-4)

(W.

T, 221-2)

(L.

217)

204

(Gt

I,

151-2)

(G.2

I,

158).

DIALOGO

PRIMO

Anmesso. Anzi credo che sieno di persone non senza giudicio e conseglio, le quali pensano l' ingiuria universale,

perché

manifestate

razione. Filoteo. Or

tai costumi

quai

costumi

in persone

son

questi

di

tal

gene-

nominati,

che

simili, peggiori e molti più strani in geno, specie e numero

non si trovino in luoghi delle parti e provinze più eccellenti del mondo? Mi chiamerete forse ingiurioso e ingrato alla mia patria, s' io dicesse che simili e più criminali costumi se ritrovano

in Italia, in Napoli,

in Nola? Verrò

forse per

questo a digradir quella regione gradita dal cielo e posta insieme insieme talvolta capo e destra di questo globo, governatrice

e domitrice

dell’altre

da noi cd altri è stata stimata

generazioni,

maestra,

e sempre

nutrice

e madre

de tutte le virtudi, discipline, umanitadi, modestie e cortesie,

se si verrà ad essagerar di vantaggio quel che di quella han cantato gli nostri medesimi poeti che non meno la : fanno maestra di tutti vizii:, inganni, avarizie e crudeltadi? Elitropio. Questo è certo secondo gli principii della vostra

filosofia;

per i quali

volete che gli contrarii

hanno

coincidenza ne' principii e prossimi suggetti: perché que’ medesimi ingegni, che sono attissimi ad alte, virtuose e generose

imprese,

se fian perversi,

vanno

a precipitar

in

vizii

estremi. Oltre che là si sogliono trovare pi rari e scelti ingegni, dove per il comune sono più ignoranti e sciocchi, e dove per il più generale son meno

particulare I

(Gi

=

si trovano

L:

non

meno

civili e cortesi, nel più

de cortesie e urbanitadi

la;

G*:

non

men

estreme:

la)

= Il Bruno doveva pensare alla celebre invettiva «O d'ogni vizio fetida sentina » (Or/. Fuy., XVII, 76) del suo « Poeta ferrarese » (Spaccio, p. 708 ed FEroici furori, p. 995). (B.

14-5)

(W.

I, 222)

(L.

217-8)

205

(G.1

IT, 152-3).

(G2

I, 159).

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

di sorte che, in diverse maniere, a molte generazioni pare che sia data medesima misura de perfezioni e imperfezioni. Filoleo. Dite Armesso. dolgo,

il vero.

Con

Teofilo,

tutto

che

ciò io,

voi

come

nella

molti

nostra

altri

amorevol

meco,

patria

mi siate

incorsi a tali suppositi, che vi hanno porgiuta occasione di lamentarvi con una cinericia cena, che ad altri ed altri molti che vi avesser fatto manifesto,

quanto

questo nostro

paese, quantunque sia detto da' vostri feritus 1! foto divisus ab

orbe =, sia

armi,

prono

cavalleria,

a

tutti

gli

umanitadi

studi

e

de

cortesie;

buone nelle

lettere,

quali,

per

quanto comporta delle nostre forze il nerbo, ne forziamo di non essere inferiori a’ nostri maggiori e vinti da le altre generazioni;

massime

litadi, le scienze, Filoteo.

Per

da quelle che si stimano aver le nobi-

le armi, mia

fede,

e civilitadi come Armesso,

che

da natura.

in quanto

riferisci

io non debbo né saprei con le paroli, né con le raggioni, né con

la

conscienza

contradirvi,

perché

con

ogni

desterità

di modestia e di argomenti fate la vostra causa. Però io per voi, come per quello che non vi siete avicinato con un barbaro orgoglio, comincio a pentirmi, e prendere a dispiacere di aver ricevuta materia da que’

prefati,

di contristar

voi e altri d'onestissima e umana complessione: però bramarei che que’ dialogi non fussero prodotti, e se a voi piace, mi forzarò che oltre non vengan in luce, Armesso. La mia contristazione, con quella d'altri nobilissimi, tànto manca che proceda dalla divolgazione

I B; paenitus. ® Virgilio, Ecl., Britannos.

(B.

15-6)

(W.

I,

I, 222-3)

67

(ma

(L.

66):

218)

206

(G.!

et

I,

penitus

foto

153-4)

(G.è

divisos

I,

orbe

159-60).

DIALOGO

de quei dialogi, che

PRIMO

facilmente

procurarei

che fussero

tra-

dotti in nostro idioma, a fin che servissero per una lezione a quei poco e male 1 accostumati, che son tra noi; che forse, quando vedessero con qual stomaco son presi e con quai delineamenti son descritti gli suoi discortesi rancontri ? e quanto quelli sono mal significativi, potrebbe essere che, se, per buona disciplina e buono essempio che veggano negli megliori e maggiori, non si vogliono ritrar da quel camino, almeno vegnano a cangiarsi e conformarsi a quelli, per ver-

gogna di esserno 3 connumerati tra tali e quali; imparando che l’onor de le persone e la bravura non consiste in posser e saper

con

que’

fatto. Elitropio.

modi

Molto

esser

molesto,

vi mostrate

ma, nel

discreto

contrario

e accorto

a

nella

causa dc la vostra patria, e non siete verso gli altrui buoni uffici ingrato e irreconoscente, quali esser possono molti

poveri d'argumento e di consiglio. Ma Filoteo non mi par tanto aveduto per conservar la sua riputazione e defendere la

sua

persona;

perché,

quanto

è differente

la

nobiltade

dalla rusticitade, tanto contrarii effetti si denno sperare e temere in un Scita villano, il quale riuscirà savio e per il buon

successo

verrà

celebrato,

se, partendosi

dalle

ripe

del Danubio, vada con audace riprensione e giusta querela a tentar l'autorità e maestà del Romano Senato; che dal colui biasimo e invettiva sappia prendere occasione di fabricarvi sopra atto di estrema prudenza e magnanimitade,

onorando

t (G!

il suo

= L:

rigido

male;

® V. nella Cena, p. 3 Cfr. sopra, p. 61,

(B.

16-7)

(W.

G?:;

I, 223)

riprensore

mal)

170, n. n. 1.

(L.

di statua e di colosso;

1.

218-9)

207

(G.I

I,

154)

(G2

I,

160-1).

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

che se un gentiluomo e Senator Romano per il mal successo possa riuscir poco savio, lasciando le amene sponde del suo Tevere, sen vada, anco con giusta querela e raggionevolissima riprensione, a tentar gli scitici villani; che da quello prendano occasione di fabricar torri e Babilonie d’argumenti

di maggior

viltade,

infamia

e rusticitade,

con

lapi-

darlo, rallentando alla furia populare il freno, per far meglio sapere all'altre generazioni quanta differenza sia di contrattare e ritrovarsi tra gli uomini e tra color che son fatti ad imagine e similitudine di quelli. Ammesso.

Non

fia mai

vero,

o Teofilo,

che

io debba

o

possa stimare che sia degno ch' io, o altro che ha più sale di me, voglia prendere la causa e protezione di costoro, che son materia de la vostra satira, come per gente e pcrsone del paese, alla cui difensione dall’ istessa legge naturale

siamo

incitati;

perché

non

giamai altro che nemico

confessarò giamai,

e non sarò

de chi affirmasse, che costoro sieno

parte e membri de la nostra patria, la quale non consta d'altro che di persone cossi nobili, civili, accostumate, disciplinate, discrete, umane,

voglia.

Dove,

vi si trovano e carogna;

benché

raggionevoli come

vegnan

altrimente

che

contenuti

come

altra qualsi-

questi,

lordura,

di tal sorte, che non potrebono

certo

feccia,

non

lettame

con altro modo

esser chiamati parte di regno e di cittade, che la sentina parte de la nave. E però per simili tanto manca che noi doviamo

risentirci,

che,

risentendoci,

doveneremmo

vitu-

perosi. Da questi non escludo gran parte di dottori e preti,

de’ quali quantunque alcuni per mezzo del dottorato doven-

tano signori, tuttavolta per il più quella autorità villanesca,

che prima non ardivano mostrare, appresso per la baldanza e presunzione, che sc gli aggiunge dalla riputazion di lctte(13.

17-9)

(W.

I, 223-4)

(L.

219-20)

208

(GI,

154-5)

(G.2

I,

161-2).

DIALOGO

rato e prete, vegnono in campo;

PRIMO

audace-

e magnanimamente

a porla

laonde non è maraviglia se vedete molti e molti,

che con quel dottorato e presbiterato sanno più di armento,

mandra e stalla, che quei che sono attualmente strigliacavallo, capraio e bifolco. Per questo non arrei voluto che sf aspramente vi fuste portato verso la nostra Universitade ! ancora, quasi non perdonando al generale, né avendo rispetto

a quel che è stata, sarà o potrà essere per l'avvenire, e in parte è al presente. Filoteo.%

Non

vi

affannate,

perché,

benché

quella

ne

sia presentata per filo in questa occasione, tutta volta non fa tale errore che simile non facciano tutte l’altre che si stimano maggiori, e per il più sotto titolo di dottori cacciano annulati cavalli e asini diademati. Non gli toglio però quanto da principio sia stata bene instituita, gli begli ordini di studii, la gravità di ceremonie, la disposizione degli esercizii,

decoro degli abiti e altre molte circostanze che fanno alla necessità e ornamento alcuno,

non

è chi

di una

non

academia;

debba

onde,

confessarla

senza dubio

prima

in

tutta

l'Europa e per conseguenza in tutto il mondo. E non niego che, quanto alla gentilezza di spirti e acutezza de ingegni, gli

quali

tannia

naturalmente

produce,

l’una

sia simile

tutte che son veramente

e l’altra

e possa

parte

de

esser equale

eccellentissime.

Né meno

la

Brit-

a quelle è persa

la memoria di quel, che, prima che

le lettere

speculative

si

l’ Europa,

fiorirno

ritrovassero

nell’altre

parti

de

in

questo loco; c da que’ suoi principi de la metafisica, quan-

I Si allude

al modo

Università di Oxford. * BD: Th.[eophilo]. (3.

19-20)

(\V.

in cui

I, 224-5)

(L.

nella

220)

209

Cena,

(G.

p.

I,

133,

155-060)

si discorre

(GI,

della

162).

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

£

UNO

tunque barbari di lingua e cucullati di professione !, è stato il splendor d’una nobilissima e rara parte di filosofia (la quale a’ tempi nostri è quasi estinta) diffuso a tutte l’altre academie de le non barbare provinze. Ma quello

che mi

ha molestato

e mi

dona insieme

insieme

fastidio

e riso, è, che con questo che io non trovo più romani e più

attici di lingua che in questo loco, del resto (parlo del più generale) si vantano di essere al tutto dissimili e contrarii a quei che furon prima; li quali, poco solleciti de l'eloquenza e rigor grammaticale,

erano tutti

che da costoro son chiamate

intenti

Sofismi.

Ma

alle

io

speculazioni,

più

stimo

la

metafisica di quelli, nella quale hanno avanzato il lor prencipe Aristotele (quantunque impura e insporcata con certe vane

conclusioni

e

teoremi,

che

non

sono

filosofici né

teologali, ma da ociosi e mal impiegati ingegni), che quanto possono apportar questi de la presente etade con tutta la lor ciceroniana eloquenza e arte declamatoria. Armesso. Queste non son cose da spreggiare. Filoteo.

È

vero;

ma,

dovendosi

far

elezione

de

l’un

de’ doi, io stimo più la coltura dell'ingegno, quantunque sordida la fusse, che di quantunque disertissime paroli e lingue ?. 1 Basti

di Oxford

ricordare

dal

1248

al

Roberto

1261

(su

Iilwardby,

lui v.

domenicano,

BAUR,

Dom.

professore

Gundissalinus,

de divis. philosophiae, in Beitr. z. Gesch. Phil. Mitt., 1903, IV e DE Woutr, Hist. Philos. méd.2, pp. 315-0) e Giovanni Duns Scoto, fran-

cescano,

che insegnò pure a Oxford

dal 1294, se non prima,

al 1304.

Vedi il cap. The place of Oxford in Medieval Thought, in RASHDALL,

o. c.,

II,

11, 518

è Tilippo

Sgg.

Sidney,

l’amico

del

Bruno,

diceva

di

Oxford

che

«le quattro facoltà ivi non ne formano che una sola, quella dei grammatici »;‘e di quei dottori: « Dum verba sectantur, res ipsas negligunt ».

(B,

20-1)

Vedi

(W,

BartHoLmÈss,

I, 225)

(L.

/.

220-1) 2IO

Bruno,

(G!.

I,

156-7)

128-9

in

nota.

(G2.

T,

102-3).

DIALOGO

PRIMO

Elitropio. Questo proposito mi fa ricordar di fra Ventura: il quale, trattando un passo del santo Vangelo, che dice reddite quae sunt Caesaris Cacesari +, apportò a proposito tutti gli nomi de le monete che sono state a’ tempi di romani, con le loro marche e pesi, che non so da qual diavolo

di annale o scartafaccio l'avesse racolti *, che furono più di cento e vinti, per farne conoscere quanto era studioso e retentivo.

A

costui,

finito

il sermone,

essendosegli

acco-

stato un uom da bene, li disse: — Padre mio reverendo 3, di grazia, imprestatemi un carlino. — A cui rispose che lui era de l'ordine mendicante. Armesso. A che fine dite questo?

Elitropio. Voglio

dire che quei che son molto

versati

circa le dizioni ce nomi, e non son solleciti delle cose, cavalcano la medesima mula con questo reverendo padre de le mule. Armesso.

Io

credo

che,

oltre

il studio

de

l’eloquenza,

nella quale avanzano tutti gli loro antiqui, e non sono inferiori

agli

altri

moderni,

ancora

non

sono

mendichi

nella

filosofica+ e altrimente speculative professioni; senza la perizia de le quali non possono esser promossi a grado alcuno; perché gli Statuti de l’università, alle quali sono astretti per giuramento, comportano che nullus ad philo-

1 MattH., XXII, 21. ? Intorno alla passione da cui furono presi per le monete c per

le medaglie

PANATO,

antiche

Postille,

p. 466.

3 B: R. 4 L: filosofica[-). della frase.

(B. 21)

(W.

i maggiori Ma

uomini

l’avverbio

I, 225-6)

(L. 221) ZII

13



G@.

Bruno.

Dialoghi

italiani

non

del Cinquecento, muterebbe

(GT,

157)

vedi

affatto

(GI,

Spam-

il senso

163-4).

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

sophiae et theologiae magisterium et doctoratum promoveatur,

nisi epotaverit: e fonte Aristotelis. Elitropio. Oh, io ve dirò quel ch’ han esser

pergiuri.

all'una hanno

Fons

Di

tre

fontane,

imposto

Pythagorae=,

nome

Valtra

che

sono

fatto

per

non

nell’ Università,

Fons Artsfotelis, l’altra dicono

chiamano

Fons

Platonis.

Da

questi tre fonti traendosi l’acqua per far la birra e la cervosa 3 (de la qual acqua pure non mancano di bere i buoi e gli cavalli), conseguentemente non è persona, che, con esser

dimorata meno che tre o quattro giorni in que’ studii e collegii, non vegna ad esser imbibito non solamente del fonte di Aristotele,

ma

e oltre di Pitagora e Platone.

Armesso. Oimé, che voi dite pur troppo il vero. Quindi aviene, o Teofilo, che li dottori vanno a buon mercato come le sardelle, perché come con poca fatica si creano, si trovano,

si pescano, cossi con poco prezzo si comprano. Or dunque, tale essendo appresso di noi il volgo di dottori in questa etade (riserbando però la reputazione d'alcuni celebri c per l’eloquenza e per la dottrina c per la civil cortesia, quali sono un Tobia Mattheo 4, un Culpepero 5, e altri che non

so

nominare),

accade

che

tanto

manca

che

uno,

per

chiamarsi dottore, possa esser stimato aver novo grado di nobiltade, che più tosto è suspetto di contraria natura e condizione, se non sia particolarmente conosciuto. Quindi 1 L

corregge

potaverit.

® (G!: Phytagorae; G*: Phifagorae (L, correttamente, Pylhagorac).) 3 Lo stesso che «cervogia», dal lat. cervisia.

4 Tobias Matthew (1546-1628), allora decano della Christ Church a Oxford, più tardi arcivescovo di York: eccellente predicatore. V. McINTYrRE, p. 20. $ Martin Culpepper, rettore del Nuovo Collegio di Oxford dal 1573

al

‘00

(B. 21-2)

(McInTYRE,

(W.

I, 226)

ivi).

(IL. 221-2) 212

(GI,

158)

(G.2 I, 164-5).

DIALOGO

accade

PRIMO

che quei, che per linea o per altro accidente

son

nobili, ancor che gli s'aggiunga la principal parte di nobiltà

che è per la dottrina, si vergognano di graduarsi e farsi chiamar dottori, bastandogli l’esser dotti. E di questi arrete maggior numero ne le corti, che ritrovar si possano pedanti nell’ Universitade !. Filoteo.*»

Non

i luoghi,

dove

semenza

di

veramente

vi

son

quelli; preti,

lagnate, dottori dove

Armesso 3,

e preti, quei

benché

perché

si trova

che

sono

promossi

da

in

l'una

e l’altra

veramenti bassa

tutti

dotti

e

condizione,

non può essere che non sieno 3.:s inciviliti e nobilitati, perché la scienza è uno esquisitissimo camino a far l'animo umano eroico. Ma quegli altri tanto più si mostrano espressamente rustici, quanto par che vogliano o col divum pater + 0 col gigante Salmoneos altitonare, quando se la spasseggiano da purpurato satiro 0 fauno con quella spaventosa e imperial

prosopopeia, dopo aver determinato nella catedra regentale 6 a qual declinazione appartenga lo Hic, el hacc, et hoc nihil. Armesso. Or lasciamo questi propositi. Che libro è questo che tenete in mano ? Filoteo. Son certi dialogi. 1 (G! (= L): uiversitade; G>: Universade tipogr.).) è» B:Th.[cophilo] 3 B: Henmnesso. Li Harmesso. 3 dis (Gt = L: sieno; G?: siano) 4 Giove tonante. 5 VirgiLIo,

Aes.,

VI,

585-6.

B:

Salmonea

maestro

d'una

delle

(per

evidente

svista

(cfr.

il testo

di Vir-

gilio e vedi per un analogo caso p. 1083, n. 4: la correzione è dunque superflua). 6 Cioè, di «reggente ». Ed era chiamato «reggente» non solo chi aveva Ila soprintendenza negli studi, ma anche, specialmente fuor

d’ Italia,

condario. (B.

22-3)

il

(W.

I

220)

(L.

222)

213

(GI!

classi

dell'insegnamento

1, 158-9)

(G2

I,

105).

se-

DE

LA

CAUS.I,

PRINCIPIO

E

UNO

Armesso. La Cena? Filoteo. No. Armesso. Che dunque? Filoteo. Altri, ne li quali si tratta De /a causa, principio

e uno secondo la via nostra. Armesso.

Quali interlocutori ? Forse abbiamo quall’altro

diavolo di Frulla o Prudenzio,

che di bel nuovo ne mettano

in qualche briga. Filoteo.

son

Non

suggetti

quieti

Armesso.

da scardar

dubitate,

Si

che, tolto uno,

tra gli altri tutti

e onestissimi.

che,

qualche

secondo

il vostro

dire,

arremo

pure

cosa in questi dialogi ancora?

Filoteo. Non dubitate, perché più tosto sarrete grattato

dove

vi prore!,

Armesso.

che

Pure?

Filoteo. Qua

amorevole, Dicsono 3,

stuzzicato

per

ben che

uno

creato il

vi duole.

trovarete

e tanto

Nolano

dove

ama

quel

dotto,

fidele

amico

quanto

gli

onesto,

Alessandro* occhi

suoi;

il

quale è causa che questa materia sia stata messa in campo. Lui è introdutto come quello, che porge materia di considerazione al Teofilo. Per il secondo

avete Teofilo,

che sono io;

che secondo le occasioni, vegno a distinguere, definire e dimostrare circa la suggetta materia. Per il terzo avete Gervasio, uomo che non è de la professione; ma per passa1 V. napol. che corrisponde alla letteraria: prude. La locuzione usata qui è oggi più che mai viva. * (GI! = L: Alessandro; G?: Alessando (per evidente errore tipogr.).) 3 Alexander

Dicson,

che

scrisse

un’opera

I, 226-7)

(L.

222-3)

(G.!

mnemonica

De

rationis et iudicii, sive de memoriae virtute prosopopeia (1593) tracce del trattato De wnbris idearum (1582) del Bruno. McINTYRE, pp. 35-6, 324. (B.

23-4)

(W.

214

I,

159-60)

(G.2

I,

umbra

sulle Vedi

165-6).

DIALOGO

PRIMO

tempo vuole esser presente alle nostre conferenze; ed è una persona che non odora né puzza! e che prende per comedia gli fatti di Poliinnio e da passo in passo gli dona campo di fargli esercitar Ja pazzia. Questo sacrilego pedante avete per il quarto: uno de’ rigidi censori di filosofi, onde

si aflerma

Momo,

uno

affettissimo*

circa

il suo

gregge di scolastici, onde si noma nell'amor socratico3; uno, perpetuo nemico del femineo sesso, onde,

per non esser fisico, si stima Orfeo, Museo, Titiro e Anfione.

Questo è un di quelli, che, quando ti arran fatto una bella construzione,

prodotta

una

elegante

epistolina,

una bella frase da la popina ciceroniana, Demostene,

re di Creta, zioni;

qua è risuscitato

qua vegeta Tullio, qua vive Salustio;

Argo, che vede qua Radamanto

qua è un

ogni lettera, ogni sillaba, ogni dizione; wnibras vocat ille silentum +, qua Minoe,

urnam

movet i. Chiamano

queste

sanno di poeta, queste di comico, questa di oratore;

questo

grave,

discussione

questo

è

de

lieve,

le

frase,

all’essamina le ora—

è

fanno

scroccata

quello

è

con

dire:

sublime,

quell'altro

è

humile dicendi genus; questa orazione è aspera; sarrebe leve, se fusse formata cossi; questo è uno infante scrittore,

poco studioso de la antiquità, non redolet Arpinatem, desipit Latium. Questa voce non è tosca, non è usurpata da Boccaccio,

Petrarca

e

altri

probati

autori 6.

Non

si

scrive

1 Come Mochione (nel Cand., proprol.) il garzone di Bartolomeo, che «non è caldo né freddo, non odora né puzza ». * Cfr. sopra, p. 203, n. 2, 3 Cfr. nel dial. IV, p. 293. 4 B:

VI, 432-3.

Radamento.

5 Vira.

L'emistichio

seguente

è

di

ViRro.,

Aen.,

ivi.

VI,

6 11 pedante del Cand., III, 12. «Questo vocabulo che voi dite, non è latino né etrusco; e però non lo proferiscono di miei pari». (B.

24-5)

(W.

I, 227)

(L.

223)

215

(G.t

I,

160)

(GI,

166-7).

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

homo, ma omo; non honore, ma onore; non Polihimnio, ma Poliinnio. — Con questo

triomfa,

si contenta

di

sé,

cosa i fatti suoi: è un Giove,

gli

piaceno

che, da l'alta specula, remira,

e considera la vita degli altri uomini rori,

calamitadi,

miserie,

più ch’ogn’altra

fatiche

suggetta

inutili.

Solo

a tanti erlui

è felice,

lui solo vive vita celeste, quando contempla la sua divinità nel

specchio

pino,? Con

d’un Spicilegio 1, un

un Lessico,

questa

un

sufficienza

Dizionario,

Cornucopia 3, dotato,

un

mentre

un

Cale-

Nizzolio:. ciascuno

è

uno,

I Lo Spicilegion del celebre grammatico napoletano L. G. Scoppa, che fece epoca e imperò nelle scuole per tutto il sec. XVI

e parte

del

seguente.

Vedi

N.

BaroNE,

Lucio

Giovanni

Scoppea,

grammatico napol. del sec. XVI, in Hrch. stor. napol., XVIII. ? Ambrogio Calepino (1435-1511), agostiniano, autore del primo vocabolario latino per le scuole, divenuto celeberrimo (stampato a Reggio, 1502). 3 Cornucopiae sive commentaria linguae latinae, opera anch'essa usitatissima allora, di Nicola Perotti (1430-1480), arcivescovo di Manfredonia, stampata la prima volta nel 1480. 4 Mario Nizzoli (n. 1488, m. 1566), notissimo per le suc Observationes in M. Tullinni Ciceronem (1535) o Thesaurus ciceronianus, come s' intitola in alcune ristampe; stampato già più di trenta volte,

quando GANI,

M.

lo citava qui il Bruno Nizzoli,

nei Rend.

(cfr. l'elenco delle edizioni in G. Da-

della R. Acc. dei Lincei,

a. 1893,

p.

914

sgg.). Sul Nizzoli filosofo v. M. GLossNER, Nic. v. Cusa u. AM. Niz. als Vorlaufer der neueren Philos,, Miinster, 1891, pp. 148 e sgg.; G. CALDI, La critica nel sec. XVI contro la log. avistot. e l’ insegn. scolastico, Udine, 1896; e l'opuscolo di R. BATTISTELLA, M. Niz. tnnamista e filosofo, Treviso, Zoppelli, 1004. Nel De Afinimto, lib. III,

c. I (in Opera, 1, 11, p. 236) il Bruno accenna con disprezzo al diluvio dei presuntuosi e arroganti grammatici del suo tempo «qui, recitatis a fonte Graecorum textibus, synopsibus, erotematibus, enchiridiis, spicilegiis, thesauris, ad Cicceronis et veri Latii amussim inter-

pretationibus, variis (cum originalium falsificatione, ut aliquid inde noviter sibi cudendum pro literario specimine conquirerent) lectionibus, ut novarum litium de Iegitimo textu e regione adiccto proto-

(B. 25)

(W.

I, 227-8)

(L. 223)

(G.!

216

I, 160-1)

(G.3

I, 167-8).

DIALOGO

lui solo è tutto.

Se avvien

PRIMO

che

rida si chiama

Democrito,

s'avvien che si dolga si chiama Eraclito, se disputa si chiama Crisippo, se discorre si noma Aristotele, se fa chimere si appella Platone, se mugge un sermoncello se intitula Demostene,

se construisce

Virgilio lui è il Marone.

Qua

cor-

rege Achille, approva Enea, riprende Ettore, esclama contro Pirro, si condole comenda

infilza

di Priamo,

arguisce Turno,

Acate 1; e in fine,

salvatiche

mentre

sinonimie,

will

iscusa Didone,

verdbun divinum

verbo

reddit

a

aliemon

se

e

putat. E cossi borioso smontando da la sua catedra, come colui ch’ ha disposti i cieli, regolati i senati, domati eserciti, riformati

i mondi,

è certo

che,

se non

fusse

l' ingiuria

dcl

tempo, farebbe con gli effetti quello che fa con l'opinione. — 0 tempora, 0 mores*) Quanti son rari quei che intendeno la natura de’ participi, degli adverbii, delle coniunctioni! Quanto tempo è scorso, che non s' è trovata la raggione e vera causa, per cui l'adiectivo deve concordare col sustantivo,

il relativo

che

ora

regola

si pone

e con che misure intericzione

con

l'antecedente

avanti,

ora

deve

addietro

coire, de

l’orazione;

e quali ordini vi s' intermesceno

dolentis,

gaudentis,

heu,

oh,

ahi,

e con

quelle

ah, hem,

ohe,

lui, ed altri condimenti, senza i quali tutto il discorso è insipidissimo?_ — Elitropio. Dite quel che volete, intendetela come vi piace; io dico, che per la felicità de la vita è meglio sti-

plastes et archimandritae asinorum patres censerentur, innumerabilibus tabulis, lexiconibus, item isagogiis, id est introductoriis seu, si dicere mavis,

exclusoriis,

in extremam

! Per questo ritratto cfr, GIOVENALE,

2 CicERONE,

(B.

25-6)

(W.

/n

Catil.,

I, 228)

I,

(L.

2.

224)

217

(GI

confusionem

perduxerunt

».

Saf., VI, 434-7 e VII, 35-09.

I,

161-2)

(G.2

I,

108).

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

marsi Creso ed esser povero, che tenersi povero ed esser Creso. Non è più convenevole alla beatitudine aver una zucca che ti paia bella e ti contente,

che una

Leda,

una

Elena,

che ti dia noia e ti vegna in fastidio ? Che dunque importa a costoro l'essere ignoranti e ignobilmente occupati, se tanto son più felici, quanto più solamente piaceno a se medesimi?

Cossi

è

cavallo, come 1 BL:

buona

l’erba

fresca

a

l'asino,

l’orgio

al

a te il pane di puccia e la perdice !; cossi

come

un

te il pane

di puccia,

é la perdice.

W

corresse;

come unto il pane di puccia a la perdice, annotando

(**): « Puccia =

PUZZA; né s’accorge

che, cosi conciato,

cibo,

non

ghiottoneria.

l'a«unte»

correggersi

in

puzza ». E a IV si attenne, benché tenesse pure avanti B, il Lasson, traducendo (p. 20): wie mit Dreck beschmiertes Brot dem Rebhuhn, come pane mischiato allo sterco [piace] alla pernice. Il TFrorenTINO (Opera, I, 1, p. xiv), fra gli altri errori commessi dal Wagner nella stampa di questo dialogo, nota: «Il Bruno, ricordevole di una ghiottoneria napoletana del suo tempo, parla del pane di puccia unto alla perdice; ed il IV annota: puccia =

fa stomaco ». Ma

Che

non

dice donde

questo

abbia

debba

chiaro dalla contrapposizione tra l'uomo e

che far gola,

cavato la notizia di cotesta «a

te»

par

l'asino o il cavallo, come

appresso tra il porco e un Giove. E la virgola data dalla stampa originale dopo freccia ci assicura che l'è seguente va corretto in e (senza l'accento) e non in a. Sicché le ghiottonerie ricordate dal B. son due: il pane di puccia (non certo dreckig, come crede il Lasson)

e la pernice.

Dal

«pane

bruno

vel de assisa,

paris

secundarius »,

dal « peruto vel muffuto vel fiorito, paris caerileus », dall’ « infarigno vel de brenna, epitfiyrins », dal «facto con tucta la brenna, autopyrus» nello Spicilegio dello ScopraA (ediz. napol. del 1551, p. I, p. 214 c Indice) è distinto il «fpanis primarius, pane bianco vel de puccia ». Il quale è ricordato nel principio del Seicento da G. C. CortEsE (Micco Passaro nnamorato, II, 10): A la casa porzi l'era mannata “La falanghina da lo tavernaro

Pane Che

Ma

due

puccia

spesa

stea

da lo panettiero,

da cavaliero.

sccoli avanti anche un pocta toscano; Ben ch'io mangi a Gaeta pan di puccio:

Burcmerto,

(B.

de

senza

26)

Rime,

(W.

Venezia,

T, 228)

(L.

Marcolini,

224)

(GT,

218

1553,

162)

part.

(G3=

V,

I,

p.

198.

168-0).

Ci

DIALOGO

PRIMO

si contenta il porco de le ghiande e il brodo, come un Giove

de l'ambrosia e nettare. Volete forse toglier costoro da quella dolce pazzia, per la qual cura appresso ti derrebono rompere il capo ? Lascio che, chi sa se è pazzia questa

o quella? Disse un pirroniano: chi conosce se il nostro stato è morte, e quello di quei che chiamiamo defunti, è vita? Cossf chi sa se tutta la felicitàe vera beatitudine consiste nelle debite copulazioni e apposizioni! de’ membri dell'orazioni ? Armesso, Cossi è disposto il mondo: noi facciamo il Democrito sopra gli pedanti e grammatisti, gli solleciti corteggiani fanno il Democrito sopra di noi, gli poco penserosi monachi e preti democriteggiano sopra tutti; e reciprocamente gli pedanti si beffano di noi, noi di corteggiani, tutti degli monachi; all’altro,

verremo

e in conclusione,

ad

esser

tutti

mentre

differenti

l'uno è pazzo

in specie

e con-

cordanti in genere et numero el casu. Filoteo. Diverse per ciò son specie e maniere de le censure, varii sono gli gradi di quelle, ma le più aspre, dure, orribili e spaventose son degli nostri archididascali. Però a questi doviamo picgar le ginocchia, chinar il capo, converter gli occhi

ed alzar le mani,

suspirar,

lacrimar,

escla-

mare e dimandar mercede. A voi dunque mi rivolgo, o chi portate in mano il caducco di Mercurio per decidere ne le si consenta qui di notare che in due versi dello stesso poeta (part. p. 150): Che

camminando,

Andvebbe è

indietro

avendo

al cul

il di sessanta

l'illustrazione, (come mi fa avvertire

notata,

d'una

delle

1 (L'«emendaz.» cessaria.) (B.

26-7)

(\V.

I,

tante

bizzarre

opposizioni

229-9)

{L.

la Lriglia,

miglia

219



lo Spampanato)

oscenità

del

(Amerio:

224-5)

(G.t

IV,

cfr. I,

Cand.

Namer)

162-3)

(G.2

non

ancora

(II, 5).

non

è ne-

169-70).

DE

controversie,

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

e determinate!

E

UNO

le questioni ch’accadeno tra

gli mortali e tra gli dei; a voi, Menippi, che, assisi nel globo de la luna,

con

gli occhi

ritorti

e bassi

ne mirate,

avendo

a schifo e sdegno i nostri gesti; a voi, scudieri di Pallade, antesignani

di

Minerva,

castaldi

di

Mercurio,

magnarii

di Giove, collattanei di Apollo, manuarii d’ Epimeteo, botteglieri di Bacco, agasoni delle Evante =, fustigatori de le Edonide 3, impulsori delle Tiade, subagitatori delle Menadi,

subornatori

delle

Bassaridi,

mallonidi 14, concubinarii

della

l’ intusiasmo,

del popolo

demagoghi

di Demogorgone,

Dioscori

rieri del Pantamorfo, fice Aron $; a voi

equestri

ninfa

Egeria,

e capri emissarii

raccomandiamo

Mi-

correttori

errante,

delle fluttuanti

delle

disciferatori

discipline,

del sommo

la nostra

de

teso-

ponte-

prosa,

sotto-

mettemo le nostre muse, premisse, subsunzioni, digressioni, parentesi, applicazioni, clausule, periodi, costruzioni, adiettivazioni,

epitetismi.

O

voi,

suavissimi

aquarioli,

che

con

le belle eleganzucchie nc furate l'animo, ne legate il core, ne fascinate la mente, e mettete in prostribulo le meretricole anime

nostre;

riferite a buon

conseglio i nostri barbarismi,

date di punta a' nostri solecismi, turate le male olide voragini, castrate i nostri Sileni, imbracate

gli nostri Nohemi ‘,

fate eunuchi di nostri macrologi, rappezzate le nostre eclipsi, affrenate

gli nostri

taftologi,

moderate

le nostre

1 IVL: determinare. ? Cioè, asinai delle Baccanti. 3 Le Haccanti del monte Edone. altri

4 Bassaridi.

nomi

5 Vedi 6 Noè.

delle

(B:

Mimallonidi

il Levitico, VIII, 18-23. Per l‘allusione cir. lo Spaccio,

per l'amor del vino, razione a' figli »).

(B. 27-8)

Bussaridi),

Baccanti.

(W.

mostrava

I, 229)

il principio

(L. 225)

(G.1

220

p.

(2: 799

organico

I, 163-4)

acrilogie,

Afinmiallonidi), («che,

della

(GI,

imbreaco

lor gene-

170-1).

DIALOGO

PRIMO

condonate a nostre escrilogie, iscusate i nostri perissologi 1, perdonate a' nostri cacocefati. Torno a scongiurarvi tutti in generale,

e in particulare te, severo supercilioso e salva-

ticissimo maestro Poliinnio, che dismettiate quella rabbia

contumace e quell’odio tanto criminale contra il nobilissimo sesso femenile =; e non ne turbate quanto ha di bello il mondo,

e il cielo

con

suoi

tanti

occhi

scorge.

Ritornate,

ritornate a voi, e richiamate l'ingegno, per cui veggiate che questo vostro livore non è altro che mania espressa e

frenetico furore. Chi è più insensato e stupido, che quello che

non vede la luce? Qual pazzia può esser più abietta, che per raggion

di sesso, esser nemico

barbaro

re di Sarza, Natura

che,

non

per aver

può

Poi che natura

lat.,

1 L:

perissologie.

rec.

KEIL,

IV,



far cosa

femina

Nell'Ars

304-5),

all’istessa natura, come quel

oltre

imparato

da voi, disse:

perfetta

vien

detta3.

grammatica

il barbarismo

di

DonATO

(Granun.

e il solecismo,

sono

enumerati altri dicci vizi: l'acsrolfogia (impropria dictio), il cacenphaton (obscena enuntiatio), il fp/conasmos, la perissologia (supervacua verborum adicctio sine ulla vi rerum), la macrologia (longa sententia res non

nccessarias comprehendens),

la tautologia,

l'eclipsis,

la fapinosis (umilitas rei magnae non id agente sententia) e il cacosyntheton (vitiosa compositio dictionum), — Il B. anche nel Cand., II, 1 fa dire a Manfurio: «Questo cacocephaton, idest prava clocuzione.... ». Ma né in Donato né nelle grammatiche cinquecentesche del Despautères c dello Scoppa è questa forma forse volutamente scorretta. Cosî la sua acrilogia è l'acyrologia di Donato (ma la Greenberg traduce sharpness: cfr. lFLorIo, New World of Words, D. 9); i faftologi saranno tautologie (ma vedi l’LORIO, 0. c., p. 552); i cacocefati, cacenphata; le escrilogie, alogpoAoyriar (SENOFONTE, Lac., 5, 6), espressioni oscene. 2 Non è difficile che dalla chiusa di questo primo dialogo abbia tratto

l'ispirazione

l'autore

de’

Secondi

frutti:

v.

SPAMPANATO,

G. Florio, un anrico del B. in Inghilterra, in Crit., v. XXIL pp. 123-4, 2460-7 (e ora YATES, op. cit., pp. 122 SgE.). 3 Arrosto, Orf. Fur., XXVII, 120. Ma il 19 verso è: « Veggo che (la Natura) non può far cosa perfetta ». Cfr. p. 202.

(B. 28-0)

(W.

I, 2209-30)

(L. 225-60) 221

(Gt

T, 164-5)

(G2

I, 171-2).

DE

Considerate

LA

CAUSA,

alquanto

il

PRINCIPIO

vero,

E

alzate

UNO

l’occhio

a

l’albore

de la scienza del bene e il male 1, vedete la contrarietà ed

opposizione ch’ è tra l’uno e l’altro. Mirate chi sono i maschi, chi sono le femine. Qua scorgete per suggetto il corpo, ch' è vostro

amico,

maschio,



l’anima

che

è

vostra nemica,

femina. Quail maschio caos, là la femina disposizione; qua il sonno,

là la vigilia;

qua

il

letargo,

là la memoria;

qua

l’odio, là l'amicizia; qua il timore, là la sicurtà; qua il rigore, là la gentilezza; qua il scandalo, là la pace; qua il furore, là la

quiete;

qua

perfezione;

l'errore,

là la verità;

il difetto,

là la

qua l'inferno, là la felicità; qua Poliinnio poe-

dante,

là Poliinnia

musa.

menti

e delitti son

maschi;

bontadi

son

fortezza,

la temperanza,

la divinità,

qua

femine. cossi

E

finalmente

tutti

vizii, manca-

e tutte le virtudi,

Quindi

la prudenza,

la bellezza,

si nominano,

la giustizia,

Ia maestà,

cossf

eccellenze

e

la

la dignità,

s' imaginano,

cossi

si

reali

c

descriveno, cossf si pingono, cossi sono. E per uscir da queste raggioni teoriche, nozionali e grammaticali, convenienti

al vostro

argumento,

e venire

alle naturali,

prattiche: non ti deve bastar questo solo essempio a ligarti la lingua, e turarti la bocca, che ti farà confuso con quanti altri sono tuoi compagni, se ti dovesse mandare a ritrovare

un maschio megliore o simile a questa Diva Elizabetta *, che regna in Inghilterra; la quale, per esser tanto dotata, esaltata,

faurita,

! Della

scienza

difesa

stessa,

e mantenuta

s'intende,

da’

cicli,

di

Poliinnio.

(GT,

165-6)

in vano

Tutta

si

la confu-

tazione seguente è satirica, « con raggioni convenienti all'argomento » di Poliinnio. Il vero pensiero del Bruno sulle donne è espresso nella lettera al Sidney premessa agli Zroici furori. ? Vedi sopra, pp. 67-9. (B.

29-30)

(W.

I, 230)

(IL. 220) 222

(G2

I,

172-3).

DIALOGO

PRIMO

forzaranno di desmetterla l’altrui paroli o forze? A questa dama, dico, di cui non è chi sia più degno

in tutto

il regno,

non è chi sia più eroico tra’ nobili, non è chi sia più dotto tra’ togati, non è chi sia più saggio tra’ consulari 1 ? In comparazion de la quale, tanto per la corporal beltade, tanto per la cognizion de lingue da volgari e dotti, tanto per la notizia de le scienze ed arti, tanto per la prudenza nel governare, tanto per la felicitade di grande e lunga autoritade, quanto per tutte l'altre virtudi civili e naturali, vilissime

sono

le

Sofonisbe,

le

Faustine,

le

Semirami,

le

Didoni, le Cleopatre ed altre tutte, de quali gloriar si possano l' Italia, la Grecia, l’ Egitto e altre parti de l’ Europa ed Asia per gli passati tempi ? Testimoni mi sono gli effetti c

il

fortunato

rimira

che

il secolo presente;

correndo dano,

successo,

irato il Tevere,

sanguinosa

non

senza

quando

nel dorso

minaccioso

la Senna,

nobil

il Po,

turbida

maraviglia

de l’ Europa, violento

la Garonna,

il Ro-

rabbioso

l’Ebro, furibondo il Tago, travagliata la Mosa, inquieto il Danubio; ella col splendor degli occhi suoi, per cinque lustri e più s' ha fatto tranquilla il grande Oceano, che col continuo reflusso e flusso lieto e quieto accoglie nell'ampio seno

il suo

diletto

Tamesi;

il quale,

fuor

d'ogni

tema

e

noia, sicuro e gaio si spasseggia, mentre serpe e riserpe per

l'erbose sponde. Or dunque, per cominciar da capo, quali... Anmesso.

acqua

t

al

Taci è, taci,

al nostro

IWL

tolsero

Occano

(B.

Cfr.

30-1)

Cand.,

(W.

non

e lume

al nostro

l'interrogazione,

2 Napoletanescamente

tu.

Filotco

I,

3,

T, 230-1)

p.

costui 32,

(L.

n.

ti forzar

di

sole:

gionger

lascia

di

dal

voi

erroncamente.

passa, 1.

226-7)

223

(GI

senz'avvedersene, I,

166-7)

(G2

I,

173).

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

mostrarti abstratto, per non dirti peggio, disputando con gli absenti

Poliinnii,

Fatene

un poco

copia

di questi presenti

dialogi, a fine che non meniamo ocioso questo giorno e ore. Filoteto.

Prendete,

Fine

(B.

31)

(W.

leggete.

dcl

I, 231)

primo

(L.

227)

224

(GT

dialogo.

I,

167)

(G:2

I,

173).

DIALOGO

SECONDO

INTERLOCUTORI Diesuno

Dicsono.

Avelio 1, Teofilo,

Di

grazia,

Gervasio,

maestro

Poliinnio.

l'oliinnio, c tu,

Gervasio,

non interrompete oltre i nostri discorsi. Poltinnio. Fiat. Gervasio.

io

non

Se costui, che è il magister,

posso

Dicsono.

tacere. Si che

dite, Teofilo,

primo principio e prima causa, Teofilo.

parla, senza dubio

Senza

dubio

che

ogni

cosa,

che

non

è

ha principio ed ha causa?

e senza controversia

alcuna.

Dicsotto. Credete per questo, che chi conosce le cose causate e principiate, conosca la causa e principio? Tcofilo. Non facilmente la causa prossima e principio prossimo,

difficilissimamente,

e principio Dicsono.

dial.

Or come

Alessandro,

nome

dal

intendete

primo

vestigio,

la

causa

che

(p.

214)

fu il vero

fu Alexander

dell'opera

che le cose, che hanno

e prossimo,

precedente

» del Dicson

titolo

in

primo.

sa e principio ! Nel

anco

citata

lo

nome

Dicsonus

a p.

214,

siano

veramente

stesso

B.

del

n.

Dicson.

Areliuts,

2.)

lo

come

ha

(Ma

cau-

conochiamato

pure

il « vero

risulta

(B. 33) (W. I, 232) (L. 227). (G.! I, [168]) (G.2 I, (174).

225

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

sciute, se, secondo la raggione della causa efficiente (ia quale è una di quelle che concorreno alla real cognizione de le cose),

Teofilo.:

demostrativa,

sono

occolte?

Lascio

ma

cosa è ordinare

che

è facil

cosa

ordinare

circostanze

e metodi

il demostrare

le cause,

è difficile;

la dottrina

agevolissima di dottrine;

ma poi malamente gli nostri metodici e analitici metteno in esecuzione i loro organi, principii di metodi ed arti de le arti, Gervasio.

Come

quei che san far si belle spade, ma

non

le sanno adoperare. Poltinnio. Ferme *. Gervasio, Fermàti te siano

gli occhi,

che

mai

le possi

aprire. Teofilo. Dico però che non si richiede dal filosofo naturale che ammeni tutte le cause e principii; ma le fisiche sole, e di queste le principali e proprie. Benché dunque, perché dependeno dal primo principio e causa, si dicano aver quella causa e quel principio, tuttavolta non è sf necessaria relazione, che da la cognizione de l'uno s’ inferisca la cognizione de l'altro. E però non si richiede che vengano ordinati in una medesma disciplina. Dicsono. Come questo? Teofilo. Perché dalla cognizione di tutte cose dependenti non possiamo inferire altra notizia del primo principio e causa che per modo men efficace che di vestigio, essendo che il tutto deriva dalla sua volontà o bontà, la quale è principio della sua operazione, da cui procede l’universale 1 BL: Dlicsono]. * B: Fermo. (B. 33-4)

(VV. I, 232-3)

(L. 227-8)

(G.!

226

I, [168]-9)

(G.3 I, [174]-5).

DIALOGO

SECONDO

effetto. Il che medesmo si può considerare ne le cose artificiali, in tanto che chi vede la statua, non vede il scultore; chi vede

il ritratto

di Elena,

non

vede

Apelle,

ma

vede

lo

effetto de l'operazione che proviene da la bontà de l’ingegno d'Apelle, il che tutto è uno effetto degli accidenti e circostanze de la sustanza di quell'uomo, il quale, quanto al suo essere assoluto, non è conosciuto punto. Dicsono.

Tanto

noscer

nulla

perché

è come

che

dello

conoscere

l’ universo,

essere e sustanza

conoscere

Teofilo. Cossfj

ma

non

come

co-

del primo principio,

gli accidenti

vorei

è

degli accidenti.

che

v’imaginaste

ch' io

intenda in Dio essere accidenti, o che possa esser conosciuto

come per suoi accidenti. Dicsono. Non vi attribuisco altro

è

dire

essere

accidenti,

sf duro altro

ingegno; e so che

essere

suoi

accidenti,

altro essere come suoi accidenti ogni cosa che è estranea dalla natura divina. Nell’ ultimo modo di dire 1 credo che intendete esscre gli effetti della divina operazione;

quantunque sustanze

li quali,

siano la sustanza de le cose, anzi e l’ istesse

naturali,

tuttavolta

sono

come

accidenti

remotis-

simi, per farne toccare la cognizione appreensiva della divina soprannaturale essenza. Tcofilo. Voi

dite

Dicsono.

Ecco

essere

infinita

per

bene. dunque,

si per

che

della

essere

effetti che sono l’ultimo

termine

scorsiva

possiamo

facultade,

per modo effetto,

di vestigio, come

come

1 BL: (B.

non

modo

34-5)

(W.

dicono



0,

sustanza,

lontanissima

da

si

quelli

del corso della nostra diconoscer

nulla,

se

non

dicono i platonici, di remoto

i peripatetici,

di indumenti,

come

(L.

I,

I,

di-

dire. I,

233)

228-9)

227 19

divina

Bruno,

Dialoghi

italiani

(G.!

169-70)

(G.?

175-6).

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

cono i cabalisti, di spalli o posteriori, come dicono i thalmu-

tisti, di spechio,

ombra

ed enigma,

come

dicono gli apo-

caliptici.

Teofilo. Anzi di più: perché non veggiamo perfettamente questo universo di cui la sustanza e il principale è tanto difficile ad essere compreso, avviene che assai con minor raggione noi conosciamo il primo principio e causa per il suo effetto, che Apelle per le sue formate statue possa esser

conosciuto; perché essaminar parte per effetto della divina essere intesa senza Dicsono.

Cossi è, e cossi la intendo.

Teofilo. Sarà alta

queste le possiamo veder tutte ed parte, ma non già il grande e infinito potenza. Però quella similitudine deve proporzional comparazione.

dunque

bene

d'’astenerci

da parlar

materia. Dicsono.

Io

lo

consento,

perché

basta

moralmente

teologalmente conoscere il primo principio che i superni numi hanno revelato e gli vini

di sf

dechiarato.

teologia,

ma

Oltre

ancora

in quanto uomini di-

che, non solo qualsivoglia

tutte

riformate

filosofie

e

legge e

conchiudeno

esser cosa da profano e turbulento spirto il voler precipitarsi a dimandar raggione e voler definire circa quelle cose che son sopra la sfera della nostra intelligenza !. Teofilo.

Bene.

Ma

non

tanto

son

degni

di riprensione

costoro, quanto son degnissimi di lode quelli che si forzano alla cognizione di questo principio e causa, per apprendere la sua grandezza quanto fia possibile discorrendo con gli occhi di regolati sentimenti circa questi magnifici astri ! Cir. più innanzi Opera, I, 1, p. 13. (B.

35-6)

(W.

I,

pp.

233-4)

308-9; (L.

e l' Oratio valedicioria

229)

228

(G.!

I,

170-1)

(G.2

(1588), I,

176-7).

in

DIALOGO

SECONDO

e lampeggianti corpi, che son tanti abitati mondi e grandi animali ed eccellentissimi numi, che sembrano e sono innumerabili mondi non molto dissimili a questo che ne contiene;

i quali,

essendo

impossibile

ch’abbiano

l'essere

da

per sé, atteso che sono composti e dissolubili (benché non per questo siano degni d'esserno ! disciolti, come è stato ben detto nel Tin:eo *, è necessario che conoscano principio e causa, e consequentemente con la grandezza del suo essere,

vivere ed oprare: monstrano e predicano in uno spacio infinito, con voci innumerabili,

la infinita eccellenza e maestà

del suo primo principio e causa. Lasciando voi dite,

quella considerazione

per quanto

dunque,

come

è superiore

ad

ogni senso e intelletto, consideriamo del principio e causa per quanto, in vestigio, o è la natura istessao pur riluce ne l'ambito e grembo di quella. Voi dunque dimandatemi per ordine,

se volete

ch'io

per ordine

vi risponda.

Dicsono. Cossf farò. Ma primamente, perché usate dir causa e principio, vorei saper se questi son tolti da voi come nomi sinonimi? Teofilo.

Non,

Dicsono.

Or

dunque,

che

differenza

è tra

l'uno

e l’al-

tro termino ? Teofilo. Rispondo, che, quando diciamo Dio primo principio

e

prima

causa,

intendiamo

una

medesma

cosa

con

diverse raggioni; quando diciamo nella natura principii e cause, diciamo diverse cose con sue diverse raggioni. Diciamo Dio primo principio, in quanto tutte cose sono dopo

lui,

secondo

! Cfr. sopra,

è Vedi (B.

sopra,

36-7)

(W.

certo

p. Gr, n. .I p.

155,

n.

LI

234)

(L.

ordine

di

priore

e posteriore,

3. 229-30)

229

(G.

I,

171)

(G.3

I,

177).

o

DE

secondo

LA

CAUSA,

la natura,

dignità. Diciamo tutte son

o

secondo

Dio prima

da lui distinte

cosa prodotta

PRINCIPIO

la

E

UNO

durazione,

o secondo

causa, in quanto

la

che le cose

come

lo effetto

da

l’efficiente,

la

dal producente.

E queste

due raggioni son

differenti, perché non ogni cosa, che è priore e piu degna, è causa di quello ch’ è posteriore 1 e men degno; e non ogni cosa che è causa, è priore e più degna di quello che è causato,

come è ben chiaro a chi ben discorre. Dicsono. Or dite in proposito naturale, che differenza è tra causa e principio? Teofilo. Benché alle volte l’uno si usurpa per l'altro, nulladimeno,

parlando

propriamente,

non

ogni

cosa che è

principio, è causa, perché il punto è principio della linea, ma non è causa di quella; l’ instante è principio dell’operazione; il termine onde è principio del moto e non causa del moto; le premisse son principio dell'argumentazione, non son causa di quella. Però principio è più general termino

che

causa?

Dicsono. Dunque, strengendo questi doi termini a certe proprie significazioni, secondo la consuetudine di quei che parlano più riformatamente, credo che vogliate che principio sia quello che intrinsecamente concorre alla con1 L:che [è] posteriore, (G!:che è posteriore e in nota, con riferim. alla lezione Lagarde: « Ma l'aggiunta non è necessaria ». Intenderei quindi che il G. intendesse leggere che posteriore. Altrimenti non si

spiega il riferimento 2 Cir.

Summa

corrispondenti

in

come

In

a L anziché

term.

a BD).

metaphys.,

Aristotile

in Opera,

sono

&pyn

I, 1v,

(principio)

17.

I due

termini

e altia (causa):

che una volta son dati da Aristotile (Metaph., V (A), 1, p. 1013 a 16) come sinonimi, altre volte (p. e. Metaph., IV (A), 2, 1013 b.18 e 24)

diversi.

atoryetov,

proposito (B.

37-8)

Metaph.,

ed entrambi

la

nota

(W.

del

I,

XII,

4,

subordinati

Lasson,

234-5)

(L.

a

1079b

al

q. l.,

230)

230

(G.t

22, apyf

concetto

pp.

I,

di

126-8.

171-2)

è distinto

alria.

(G2

I,

Vedi

177-8).

da

in

DIALOGO

stituzione

della cosa

SECONDO

e rimane

nell’effetto,

come

dicono

la

materia e forma, che rimangono nel composto, o pur gli elementi da' quali la cosa viene a comporsi e ne’ quali va a risolversi. Causa chiami quella che concorre alla produzione delle cose esteriormente, ed ha l'essere fuor de la composizione, come è l'efficiente e

il fine, al qual è ordinata

la cosa prodotta. Teofilo.

Dicsono. queste cose, zione circa alle cause, formale

Assai

bene.

dite

esser

Or poi che siamo risoluti de la differenza di prima desidero che riportiate la vostra intenle cause, e poi circa gli principii. E quanto prima vorei saper della efficiente prima; della

che

congionta

all’efficiente;

oltre,

della

finale, la quale se intende motrice di questa. Teofilo. Assai mi piace il vostro ordine di proponere. Or,

quanto

alla causa

effettrice,

dico l'efficiente

fisico uni-

versale essere l’ intelletto universale, che è la prima e principal facultà de l'anima del mondo, la”quale è forma universale di quello. Dicsono. Mi parete essere non tanto conforme all'opinione di Empedocle 1, quanto più sicuro, più distinto e più esplicato; oltre, per quanto la soprascritta mi fa vedere,

più profondo.

Però ne farete cosa grata di venire alla de-

1 Certamente Empedocle fu un ilozoista (Sesto, Adv. VIII, 286): v. ZeLLer, Philos. d. Griech., 14, p. 275, GOMPERZ,

Denker

cetto

(trad.

franc.),

dell'anima

attribuivano

empedoclei

ad

I, 260-61.

del mondo,

Empedocle

si mescolavano

Ma

il Bruno,

si fonda

alcuni

dottrine

attribuendogli

su tradizioni

scritti

in cui

agli

neoplatoniche.

l., pp.

(B. 38-9)

I, 235)

(L. 230-1)

231

(GI,

172-3)

(G2

che

insegnamenti

Cfr.

123-0.

(W.

il con-

medievali,

Mélanges de Philos. juive et arabe, Paris, 1859, pp. 241 sgg. a q.

Math, Grieck.

S. MunKk,

e LASSON,

I, 178-9).

chiarazion

DE

LA

CAUSA,

del

tutto

per

PRINCIPIO

il minuto,

E

UNO

cominciando

dal

che cosa sia questo intelletto universale. Teofilo.

L’ intelletto

universale

è l’ intima,

più

dire

reale

e

propria facultà e parte potenziale

de l'anima del mondo.

Questo

il tutto,

è uno

medesmo,

che empie

illumina

l’uni-

verso e indrizza la natura a produre le sue specie come

si

conviene; e cossi ha rispetto alla produzione di cose naturali, come il nostro intelletto alla congrua produzione di specie

razionali. Questo è chiamato da’ pitagorici esagitator

Poeta,

de

l’universo,

motore

come

ed

esplicò

il

che disse: Mens

agitat

molem,

totamque infusa per artus et toto se corpore miscet!.

Questo è nomato da’ platonici Questo

fabro

del

fabro, dicono, procede dal mondo

è a fatto uno,

a questo mondo

mondo».

superiore, il quale

sensibile, che è diviso in

molti; ove non solamente la amicizia, ma

anco la discordia,

per la distanza de’ le parti, vi regna. Questo intelletto, infondendo e porgendo qualche cosa del suo nella materia, mantenendosi lui quieto e inmobile, produce il tutto. È

detto

da’

maghi

fecondissimo

dc

semi,

o

pur seminatoare; perché lui è quello che impregna la materia di tutte forme 3 e, secondo la raggione e condizion

di quelle, la viene a figurare, formare, intessere con tanti ! VireiLIo, Aen., VI, 726-7

Questi

versi dell’ Eneide

2 giugno p. 711).

1592

® Platone

innanzi

però

(cfr. Georg., IV, 210). —

il Bruno

citò anche

all’ Inquisizione

distingue

(Timeo,

p.

di

28

DB: arctus. —

nel suo costituto

Venezia

E

(SraMmP.,

(ma

C)

demiurgo dall'anima del mondo. Cfr. Lasson, a q.'l., 3 Cfr. le Theses de snagia, in Opera, III, 462, 12. (B.

39-40)

(W.

I, 235-6)

(L.

231)

232

(GI

I,

173-4)

(GI,

p.

del

Vita,

segg.) 130.

1709-80).

il

DIALOGO

ordini

mirabili,

né ad

altro principio

Orfeo

li

lo chiama

quali

SECONDO

non

che

possono

non

occhio

attribuirsi

sa distinguere

del

caso,

e ordinare.

mondo,

il vede entro e fuor tutte le cose naturali,

al

perciò

che

a fine che tutto

non solo intrinseca-, ma anco estrinsecamente venga a prodursi e mantenersi nella propria simmetria. Da Empedocle è chiamato distintore, come quello che mai si stanca nell’esplicare le forme confuse nel seno della materia e di suscitar la generazione de l'una dalla corrozion de l’altra cosa. Plotino lo dice padre e progenitore, perché questo distribuisce gli semi nel campo della natura, ed è il prossimo dispensator de le forme. Da noi si chiama

artefice

interno,

perché forma la ma-

teria e la figura da dentro, come da dentro del seme o radice manda ed esplica il stipe 1; da dentro il stipe caccia i rami;

da

dentro

i rami

le

formate

brance =;

da

dentro

queste ispiega le gemme;

da dentro forma, figura, intesse,

come

gli

di nervi,

le frondi,

fiori,

gli frutti;

e da

dentro,

a certi tempi, richiama gli suoi umori da le frondi e frutti alle

brance,

da

le brance

agli

rami,

dagli

rami

al

stipe,

dal stipe alla radice. Similmente negli animali spiegando il suo lavore dal seme prima, e dal centro del cuore ali membri

esterni, e da quelli cate facultadi, fa distese fila 3. Or, intelletto prodotta

al fine complicando verso il cuore l'esplicome già venesse a ringlomerare le già se credemo non essere senza discorso e quell'opra come morta, che noi sappiamo

fengere con certo ordine e imitazione ne la superficie della

! Da

sfipes,

3 Cfr.

il De

2 Cfr.

(B.

franc.

40-1)

(W.

-itis:

tronco.

branches;

niinimo,

I, 2360)

I,

branche. 3,

(L.

in

Opera,

231-2)

233

(G!

I,

I,

n,

142.

174-5)

(GI,

180).

DE

materia,

ciamo biamo

LA

quando,

CAUSA,

PRINCIPIO

scorticando

E

UNO

e scalpellando

un legno,

fac-

apparir l’effige d’un cavallo; quanto credere dobesser maggior quel intelletto artefice, che da l’ in-

trinseco

della

seminal

materia

risalda

l’ossa,

stende

le

cartilagini, incava le arterie, inspira i pori, intesse le fibre, ramifica gli nervi, e con si mirabile magistero dispone il tutto? Quanto, dico, più grande artefice è questo, il quale non è attaccato ad una sola parte de la materia, ma opra

continuamente tutto in tutto? Son tre sorte de intelletto; il divino che è tutto, questo mundano

particolari che si fanno estremi

se

ritrove

efficiente,

non

tutto;

questo

tanto

che fa tutto, gli altri

perché bisogna che tra gli

mezzo,

estrinseca

il quale

come

è vera

anco

intrinseca,

tutte cose naturali !. Dicsono. Vi vorei veder distinguere come

causa estrinseca e come intrinseca. Teofilo.

Lo

chiamo

causa

estrinseca,

causa de

lo ? intendete

perché,

come

ef-

ficiente, non è parte de li composti e cose produtte. È causa

intrinseca, in quanto che non opra circa la materia e fuor di quella,

ma,

come

è stato

poco

fa detto.

Onde

è causa

estrinseca per l'esser suo distinto dalla sustanza ed essenza degli effetti, e perché l'essere suo non è come di cose generabili

e

corrottibili,

benché

verse

circa

quelle;

è

causa

intrinseca quanto a l'atto della sua operazione 3. Dicsono. Mi par ch’abbiate a bastanza parlato della causa efficiente. Or vorci intendere che cosa è quella che 1 V.

* BL:

la nota

la.

del Lasson,

130-1.

3 Cfr. lo Spaccio, pp. 556-7, cla Lampas triginta statuarion, in Ope-

ra, III, pp. 242, 243, 251; e vedi in proposito Tocco, Le opp. inedite di G. B.,

pp.

(B. 41-2)

57-61.

(W.

I, 236-7)

(L. 232)

234

(G.1 I, 175)

(GI,

180-1).

DIALOGO

SECONDO

volete sia la causa formale gionta all’efticiente: è forse la raggione ideale? Perché ogni agente che opra secondo la regola intellettuale, non procura effettuare se non secondo qualche intenzione; e questa non è senza apprensione di

qualche cosa; e questa non è altro che la forma de la cosa che è da prodursi: e per tanto questo intelletto, che ha facultà di produre tutte le specie e cacciarle con sf bella architettura

dalla

potenza

della

materia

a l'atto,

bisogna

che le preabbia tutte secondo certa raggion formale, senza la quale l'agente non potrebe procedere alla sua manifattura; come al statuario non è possibile d’essequir diverse statue senza aver precogitate diverse forme prima,

Teofilo, Eccellentemente la intendete, perché voglio che

siano considerate due sorte di forme: l’una, la quale è causa,

non già efficiente, ma per la quale l'efficiente effettua; l'altra è principio, la quale da l'efficiente è suscitata da la materia. Dicsono. Il scopo e la causa finale, la qual si propone l'efficiente, è la perfezion dell'universo; la quale è che in diverse parti della materia tutte le forme abbiano attuale esistenza: nel qual fine tanto si deletta e si compiace l’ intelletto, che mai si stanca suscitando tutte sorte di forme da la materia, come par che voglia ancora Empedocle !.

Teofilo. Assai bene. E giongo a questo che, sicome questo efficiente è universale nell'universo ed è speciale e particulare nelle parti e membri di quello, cossf la sua forma e il suo fine. Dicsono. Or assai è detto delle cause; procediamo a raggionar de gli principii. forse

1 Il

(B.

Bruno,

attingendo

indirettamente 42-3)

(W.

ai vv.

I, 237)

(L.

sempre

a

232-3)

(GI

del

fr. 35

235

fonti

di

medievali,

Empedocle

I,

175-6)

si

(Diels).

(GI,

riferisce

181-2).

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

Teofilo. Or, per venire

E

UNO

a li principii constitutivi de le

cose, prima raggionarò de la forma per esser medesma in certo modo con la già detta causa efficiente; per che l’ intelletto che è una potenza de l’anima del mondo, è stato

detto efficiente prossimo

di tutte cose naturali,

Dicsono. Ma come il medesmo soggetto può essere principio e causa di cose naturali ? Come può aver raggione di parte

intrinseca,

Teofilo.

Dico

e non

che

di parte

questo

non

estrinseca ? ?

è inconveniente,

conside-

rando che l’anima è nel corpo come nocchiero nella nave. Il qual nocchiero, in quanto vien mosso insieme con la nave,

è parte di quella; considerato in quanto che la governa e muove,

non se intende parte, ma come

Cossf l’anima de l'universo, in quanto viene

ad

esser

parte

intrinseca

distinto efficiente ?. che anima e informa,

e formale

di

quello;

ma,

come che drizza e governa, non è parte, non ha raggione di principio, ma di causa. Questo ne accorda l’ istesso Aristotele; il qual, quantunque neghi l’anima aver quella raggione verso il corpo, che ha il nocchiero alla nave 3, tuttavolta, considerandola secondo quella potenza con la quale intende e sape, non ardisce di nomarla atto e forma di corpo; secondo

ma,

come

uno efficiente, separato

l'essere, dice che quello è cosa che viene

secondo la sua subsistenza, 1 (B:

del Lac). ? La

dalla materia

infrinseca? stessa

Bruno aveva II, 1, 42), e

°

I)

immagine

G.

di fuora,

divisa dal composto 4. accoglie

circa

qui

i rapporti

l'erronea dell'anima

emendazione col

corpo

adoperato nel De umbris idearum (1582) (in Opera, adoprerà nello Spaccio, p. 557, come anche nella

Lampas triginta statuarum (III, 246 (ma 253 4-2). 3 ARIST., De anima, II, 1, 413 a 8-0.

4 Ivi,

III,

il

5, 4304

17-25.

{B. 43-4) (W. I, 237-8) (L. 233-4) (G.1 I, 176-7) (G2 I, 182:3). 236

DIALOGO

SECONDO

Dicsono. Approvo quel che dite, perché, se l'essere separata dal corpo alla potenza intellettiva de l’anima nostra conviene, e lo aver raggione di causa efficiente, molto più si deve affirmare dell'anima del mondo; Perché dice Plotino, scrivendo contra gli Gnostici, che « con maggior facilità

l’anima del mondo regge l'universo, che l’anima nostra il corpo nostro » 1; poscia ® è gran differenza dal modo con cui

quella

e questa

governa.

Quella,

non

come

alligata,

regge il mondo di tal sorte che la medesma non leghi ciò che prende; quella non patisce da l'altre cose né con l'altre cose; quella senza impedimento

s' inalza alle cose superne;

quella, donando la vita e perfezione al corpo, non riporta da esso ‘imperfezione alcuna; e però eternamente è congionta

al medesmo

soggetto.

denno

essere attribuite

Questa

poi

è manifesto

che

è di contraria condizione. Or se, secondo il vostro principio, le perfezioni che sono nelle nature inferiori, più altamente doviamo

senza

dubio

e conosciute

alcuno

nelle nature

affirmare

superiori,

la distinzione

che

avete apportata. Questo non solo viene affirmato ne l’anima del

mondo,

ma

anco

de

ciascuna

stella,

essendo,

come

il

detto filosofo vole, che tutte hanno potenza di contemplare Idio, gli principii di tutte le cose e la distribuzione degli ordini de l'universo; e vole che questo non accade per modo

di

memoria,

di

discorso

e

considerazione,

perché

ogni lor opra è opra eterna, e non è atto che gli possa esser nuovo, e però niente fanno che non sia al tutto condecente, 1 Il Bruno ritraduce dal Ficino, che, riassumendo PLOTINO, Enn., II, 9, 7, aveva detto: «Quomodo facilius anima mundi regat

mundum, quam anima nostra corpus nostrum ». Vedi Tocco, Le opp. lat. di Giordano Bruno, p. 340, n. 2; e ivi pure per le altre

citazioni di Plotino. ? Ossia, posciachè. (B. 44-5)

(W.

I, 238)

(L. 234)

(GT,

237

177-8)

(G.2 I, 183-4).

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

perfetto, con certo e prefisso ordine, senza atto di cogitazione; come,

per

essempio

rista, mostra

ancora

di un

Aristotele,

perfetto quando,

scrittore

e cita-

per questo

che la

natura non discorre e ripensa, non vuole che si possa conchiudere

perché

che

ella opra

li musici

senza

intelletto

e intenzion

e scrittori esquisiti meno

sono

finale,

attenti a

quel che fanno, e non errano come gli più rozzi ed inerti, gli quali, con più pensarvi e attendervi, fanno l'opra men

perfetta e anco non senza errore 1, Teofilo. La intendete. Or venemo al più particolare. Mi par che detraano alla divina bontà e all’eccellenza di questo grande animale e simulacro del primo principio, quelli che non vogliono intendere né affirmare il mondo con gli suoi membri essere animato, come Dio avesse invidia alla sua

imagine,

come

l'architetto

non

amasse

l'opra

sua

singulare; di cui dice Platone 2, che si compiacque nell'opificio suo, per la sua similitudine che remirò in quello. E certo che cosa può più bella di questo universo

presen-

tarsi agli occhi della divinità? ed essendo che quello costa di sue parti, a quali di esse si deve più attribuire che al principio formale ? Lascio a meglio e pi particolar discorso mille raggioni naturali oltre questa topicale o logica.

! Cfr.

ARISTOTILE,

* PLATONE,

7tm.,

Physica,

VI,

p.

29

II, 8. E:

« Bonus

erat

(autor

rerum).

Bonus autem nulla unquam aliqua de re invidia tangitur. Ergo.... omnia sibi quantum fieri poterant similima fieri voluit »; X, 37 C-D: «Cum igitur hoc a se factum sempiternorum deorum pulchrum simulacrum moveri et vivere pater ille qui genuit animadverteret,

delectatus est opere, et hac ductus laetitia opus suum multo etiam magis primo illi exemplari simile reddere cogitavit. Itaque quemad-

modum illud sempiternum animal est, ita universum tale facere instituit» (trad. Ficino).

hoc pro viribus

(B. 45) (W. I, 238-9) (L. 234-5) (Gt I, 178-9) (GI, 184). 238

DIALOGO

Dicsono.

Non

SECONDO

mi curo che vi sforziate in ciò, atteso !

non è filosofo di qualche riputazione, anco tra’ peripatetici,

che non voglia il mondo

e le sue sfere essere in qualche

modo animate*, Vorei ora intendere, con che modo volete da

questa forma venga ad insinuarsi alla materia de l'universo. Teofilo. Se gli gionge di maniera che la natura del corpo, la quale secondo sé non è bella, per quanto è capace viene a farsi partecipe di bellezza, atteso che non è bellezza se non consiste in qualche specie o forma, non è forma alcuna che non sia prodotta da l'anima. Dicsono. Mi par udir cosa molto nova: volete forse che

non solo la forma de l'universo, ma tutte quante le forme di cose naturali siano anima? Teofilo. SÉ.

Dicsono.

Sono

dunque tutte le cose animate?

Teofilo. Si.

Dicsono. Or chi vi accordarà questo? Teofilo. Or chi potrà riprovarlo con raggione? Dicsono. È comune senso che non tutte le cose vivono. Teofilo. Il senso più comune non è il più vero. Dicsono. Credo facilmente che questo si può difendere. Ma non bastarà a far una cosa vera perché la si possa difendere, atteso che bisogna che si possa anco provare.

1 Lo stesso di atteso che.

2 Il Lasson, a q.l., p. 132: Aristotile «insegna in molti punti una specie di animazione di tutte le cose » e rimanda per gli astri a De part. animal.,

I, 1 e I, 5, De coelo, I,

2 e I,

9, Eth. Nic., VI, 7;

per gli elementi a De gen. arim., IV, 10; per la formazione dell'essere organico a De gen. anim., III, tr. Il corpo terrestre (Cfr. Cena, p. 157) ha una spccie di sviluppo vitale, di giovinezza e di vecchiaia (Meseor., I, 14); e la natura procede da ciò, che non ha vita, al vivente (De part. anim., IV, v). (B.

45-6)

(W.

I, 239)

(L.

235)

(G.I

239

I,

179)

(GI,

184-5).

DE

LA

CAUSA,

Teofilo. Questo

PRINCIPIO

E

non è difficile. Non

UNO

son de’ filosofi che

dicono il mondo essere animato? Dicsono. Son certo molti, e quelli principalissimi. Teofilo. Or perché gli medesmi non diranno le parti tutte del mondo essere animate? Dicsono. Lo dicono certo, ma de le parti principali, e quelle che son vere parti del mondo; atteso che non in minor raggione vogliono l'anima essere tutta in tutto il mondo, e tutta in.qualsivoglia parte di quello, che l’anima degli animali,

a noi

sensibili,

è tutta

Teofilo. Or quali pensate mondo vere ? Dicsono.

i peripatetici: secondo

Quelle

che

non

per

tutto.

voi, che non son primi

siano parti del

corpi,

come

dicono

la terra con le acqui e altre parti, le quali,

il vostro

dire,

constituiscono

l’animale

intiero:

la

luna, il sole, e altri corpi. Oltre questi principali animali, son quei che non sono primere parti de l'universo, de quali altre dicono aver l’anima vegetativa, altre la sensitiva, altre

la intellettiva.

Teofilo. Or, se l’anima per questo che è nel tutto, è anco ne le parti, perché non volete che sia ne le parti de le parti ? Dicsono. Voglio, ma ne le parti de le parti de le cose animate.

i

Teofilo. Or quali son queste cose, che non sono animate, o non son parte di cose animate? Dicsono. Vi par che ne abbiamo poche avanti gli occhi ? Tutte le cose che non hanno vita. Teofilo.

E quali

son le cose

che non

hanno

vita,

almeno

principio vitale ? Dicsono. che

non

(B. 46-7)

Per conchiuderla,

abbia (W.

anima, I, 2309-40)

e che

volete non

(L. 235-6)

240

voi

abbia (G.!

che

non

principio

I, 1709-80)

(G.2

sia cosa vitale? I, 185-0).

DIALOGO

Teofilo. Questo è quel j Poltinnio. Dunque, un A miei calopodii!, le mie proni e il mio annulo e mia toga4 e il mio pallio Gervasio.

Si,

messer

contiene

un

ch'io voglio al fine. corpo morto ha anima? dunque, pianella, le mie botte 2, gli miei chiroteche3 serano animate? la sono animati?

si, mastro

Credo bene che la tua toga quando

SECONDO

Poliinnio,

perché

non?

e il tuo mantello è bene animato,

animal,

come

tu sei, dentro;

le botte

e gli sproni sono animati, quando contengono gli piedi; il cappello è animato, quando contiene il capo, il quale non è senza anima; e la stalla è anco animata quando contiene

il cavallo,

la mula

over

la Signoria

Vostra.

Non

la

intendete cossi, Teofilo ? non vi par ch'io l’ ho compresa meglio che il dominus magister? Poliinnio. Cuium pecus ? s come che non si trovano degli asini ettam alque etiam sottili ? hai ardir tu, apirocalo $, abe-

cedario 7, di volerti equiparare ad un archididascalo e maderator di ludo minervale $ par mio?

vale:

1 Dal greco forma

xaAoré&tov, dimin.

da. calzolaio.

Secondo

di xaA6rovc,

il FLorro,

piede

New

World

London, 1611, p. 76: zoccolo, pianella da notte. % Franc. bottes, stivali. Anche questa parola è FLORIO,

p.

4 Manfurio (nel Cand.2, «la mia toga magisterial ». to,

5 (GI= L:

non

cuium

compare

pecus?

6 Dal

greco

Cuium

an

in

pp.

pecus?

G2))

108,

(il punto

VirciLio,

Meliboei ?

&rstpéxaXoc,

130):

«la mia

toga

interrogativo,

Fel.,

III,

inesperto,

Words,

registrata

66.

3 Guanti.

of

di legno,

literaria »,

qui restitui-

1: Dic miki,

ignorante,

dal

Damoeta,

volgare.

7 Ignorante. Cfr. Cand.?, p. 106: «subito ch'io ebbi imparata la B.A.BA.». Sopra p. 202: «poltron dizionario ». 8 Manfurio nel Cand.?, p. 105: «grave moderator di ludo lite-

rario» e (p. (B.

47-8)

38)

(\.

di

«almo

I, 240)

minervale

(L.

236)

241

(G.!

ginnasio n. I,

180-1)

(G.2

I,

156-7).

DE

LA

Gervasio. Pax

CAUSA,

vobis !, domine

et scabellum pedum Senza

UNO

magister,

te Deus

còlera:

cose a noi. Poltinnio.

Prosequatur

Teofilo.

farò.

Cossi

E

servus servorum *

tuorum 3.

Poliinnio. Maledicat

Dicsono.

PRINCIPIO

lasciatene

seculorum a.

determinar

ergo sua dogmata

Dico

tavola non è animata,

in secula

dunque,

né la veste,

che

queste

Theophilus. la

tavola

come

né il cuoio come

cuoio,

né il vetro come vetro; ma, come cose naturali e composte, hanno in sé la materia e la forma. Sia pur cosa quanto piccola e minima si voglia, ha in sé parte di sustanza spirituale; la quale,

se trova il soggetto

esser pianta,

esser animale,

ad

disposto,

si stende

e riceve membri

ad

di qualsi-

voglia corpo che comunmente se dice animato: perché spirto si trova in tutte le cose, e non è minimo corpusculo che non

contegna

cotal

porzione

in sé che

Poliinnio. Ergo, quidquid est, animal est. Teofilo, Non

tutte le cose che hanno

non

inanimi s.

anima si chiamano

animate. Dicsono. Dunque, almeno, tutte le cose han vita? Teofilo. Concedo che tutte le cose hanno in sé anima, hanno

vita,

secondo

la sustanza

e non

secondo

l'atto

ed

operazione conoscibile da’ peripatetici tutti, e quelli che la vita e anima definiscono secondo certe raggioni troppo grosse. Dicsono. Voi mi scuoprite qualche modo

il quale

si potrebe

! Genesi,

XLIII,

» Cfr. sopra,

(B.

48-9)

inamini, (W.

l’opinion

d’Anaxagora;

che

23.

p. 74.

3 Isara, LXVI, 4 Tozia, VIII,

5 BL:

mantener

verisimile con

1. 9.

I, 240-1)

(L.

236-7)

242

(G.1

I,

181-2)

(GT,

187-8).

DIALOGO

SECONDO

voleva ogni cosa essere in ogni cosa!,

perché,

essendo

spirto o anima o forma universale in tutte le cose,

il

da tutto

si può produr tutto. Teofilo. Non dico verisimile, ma vero; perché quel spirto si trova in tutte Ie cose, le quali, se non sono animali, sono animate; se non sono secondo l’atto sensibili 1dΰ d’animalità

e vita, son però secondo il principio e certo atto primo d'animalità e vita, E non dico di vantaggio, perché voglio supersedere circa la proprietà di molti lapilli e gemme; le quali, rotte e recise e poste in pezzi disordinati, hanno certe virti di alterar il spirto ed ingenerar novi affetti e passioni ne l’anima, non solo nel corpo. E sappiamo noi che tali effetti non procedeno, né possono provenire da qualità puramente materiale, ma necessariamente si riferiscono a principio simbolico vitale e animale; oltre che il medesmo veggiamo sensibilmente ne’ sterpi e radici smorte, che, purgando e congregando gli umori, alterando gli spirti, mostrano necessariamente effetti di vita. Lascio che non senza caggione li necromantici sperano effettuar molte cose

per le ossa de’ morti *; non quel medesmo, un gli viene a proposito a sioni 3 mi faranno più

e credeno che quelle ritegnano, se tale però e quale atto di vita, che effetti estraordinarii. Altre occaa lungo discorrere circa la mente,

1 Lo stesso raccostamento arbitrario della dottrina neoplatonica al concetto di Anassagora era stato fatto dal Bruno anche nel Si. gillus

sigillorum,

II,

3;

Opera,

II,

11,

196.

I dis (Amerio: sensibile) ? Lo stesso accenno alla negromanzia

II, 11, 197.

Per

le dottrine

del Bruno

in Sig. sigill., II, 4: Opf.,

sulla magia

v. le sue opere ine-

dite De magia, Theses de magia e De magia matheinatica, in Opera, III. 3 Accenna

al

De

immenso

et

îinnumerabilibus,

che

in

parte

fu

scritto in Inghilterra (v. FIORENTINO, pref. ad Opera, I, 1, p.xxx1esg.) e forse allora era già scritto o cominciato.

(B. 49)

(W.

I, 241)

(L. 237)

243 20



G.

Bruno,

Diuloghi

italiani

(G.:

I, 182)

(G.2

I, 188-9).

DE

il spirto,

LA

CAUSA,

l'anima,

la vita

PRINCIPIO

che

E

UNO

penetra tutto,

è in tutto

e

move tutta la materia; empie il gremio di quella, e la sopravanza

pit

tosto

che

da

quella

è sopravanzata,

che la sustanza spirituale dalla materiale non superata, ma più tosto la viene a contenere. Dicsono.

Pitagora,

Questo

mi

par

conforme

non

atteso

può essere

solo al senso di

la cui sentenza recita il Poeta,

quando

dice:

Principio caelum ac terras camposque liquentes, Lucentemque globum lunae Titaniaque astra Spiritus intus alit, totamque infusa per artus! Mens agitat molem, totoque se corpore miscet 2;

ma ancora al senso del teologo, che dice: « il spirito colma ed empie

altro,

la terra,

parlando

e quello

‘forse

del

che

contiene

commercio

il tutto » 3, E

della

forma

un

con

la

materia e la potenza, dice che è sopravanzata da l’atto e da la forma. Teofilo. Se dunque il spirto, la anima, la vita si ritrova in tutte le cose e, secondo certi gradi, empie tutta la materia; viene certamente ad essere il vero atto e la vera forma

de tutte le cose. L'anima, dunque, del mondo è il principio formale constitutivo de l'universo e di ciò che in quello

si contiene.

Dico

che, se la vita si trova in tutte le cose,

l’anima viene ad esser forma di tutte le cose: quella per tutto è presidente alla materia e signoreggia nelli composti, 1 B:

nota

2 Viro.,

VI,

724.

464-65.)

3 L: quello {e

Anche (B.

En.,

2 a pp.

Domini 1591

abclus.

replevit

questo

(ma é)]

orbem

detto

il B.

Vita,

40-50)

241-2)

I,

p. 232;

ivi, n.

1

(si veda

la

che. Ma cfr. Sap. Salom., I, 7: « Spiritus

terrarum,

(SPAMPANATO, (W.

V. sopra, et

hoc

quod

237-8)

(G.!

T,

continet

citò nel costituto

veneto

(L.

182-3)

p. 711).

244

del

(G

omnia ».

2 giugno IT,

180).

DIALOGO

SECONDO

effettua la composizione e consistenzia de le parti. E però la persistenza non meno par che si convegna a cotal forma, che a la materia, Questa intendo essere una di tutte le cose;

la qual però,

secondo

la diversità delle disposizioni

della

materia e secondo la facultà de’ principii materiali attivi e

passivi 1, viene

a produr

diverse

figurazioni,

ed effettuar

diverse facultadi, alle volte mostrando effetto di vita senza senso, talvolta effetto di ‘vita e senso senza intelletto, talvolta par ch'abbia tutte le facultadi suppresse e reprimute o dalla imbecillità o da altra raggione de la materia. Cossi,

mutando questa forma sedie e vicissitudine, è impossibile che se annulle, perché non è meno subsistente la sustanza spirituale che la materiale. Dunque le formi esteriori sole si cangiano

e si annullano

ancora,

perché

de le cose, non sono sustanze, ma

non sono cose ma

de le sustanze sono acci-

denti e circostanze. Poliinnio. Non entia sed ? entium. Dicsono. Certo, se de le sustanze s'annullasse cosa,

verrebe

ad

evacuarse

qualche

il mondo.

Teofilo. Dunque abbiamo un principio intrinseco formale, eterno e subsistente 3, incomparabilmente megliore di quello ch' han finto gli sofisti che versano circa gli accidenti, ignoranti della sustanza de le cose, e che vengono a ponere le sustanze corrottibili, perché quello chiamano massimamente, primamente e principalmente sustanza, che

1 Principii materiali

della natura:

attivi

eran detti quelli che ora si direbbero

il caldo e il freddo,

passivi

forze

l'umido

e il secco. ® (G! = L: sed; G*: ad (per evidente svista tipogr.).) 3 Cfr. Lampas trig. statuarum in Opera, III, 253 e 256; lo Spaccio, 556-7; il De minimo, I, 3, in Opera, I, ni, 11 (ma 141). (B.

50-51)

W.

I,

242-3)

(L.

238)

245

(G.t

I,

183-4)

(G.2

I,

1809-90).

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

resulta da la composizione;

E

UNO

il che non è altro ch’uno

acci-

dente, che non contiene in sé nulla stabilità e verità, e se risolve in nulla. Dicono quello esser veramente omo che resulta dalla composizione; quello essere veramente anima

che è o perfezione ed atto resulta da certa simmetria non è maraviglia se fanno per la morte e dissoluzione, la iattura

de l'essere.

di corpo vivente, o pur cosa che di complessione e membri. Onde tanto e prendeno tanto spavento come quelli a’ quali è imminente

Contra

la qual pazzia crida ad alte

voci la natura, assicurandoci che non gli corpi né l’anima deve terer la morte, perché tanto la materia quanto la

forma sono principii constantissimi: O genus attonitum gelidae formidine mortis, Quid Styga, quid tenebras et nomina vana timetis, Materiam vatum falsique pericula mundi? Corpora sive rogus flamma seu tabe vetustas Abstulerit, mala posse pati non ulla putetis: Morte carent animae domibus habitantque receptae. Omnia mutantur, nihil interit!.

Dicsono. Conforme a questo mi par che dica il sapientissimo stimato tra gli Ebrei Salomone: Quid est quod est?

dei

Nel

1 Ovipio, Metam., XV, 153-59 e 165. Il Bruno fa un verso solo due vv. 158-509: Morte cavent animae: semperque priore velicta Sede novis domibus vivunt habitantque veceptae. De

minimo,

I,

n,

1-50,

Bruno:

I nunc, stulte, minas mortis fatumque timeto, Non audita ferunt Samii sacra verba parentis,

I trepida Fatalem

Anche

ad voces stultorum,

incutiant

tervorem....

nella dedica del Cand.?

(p. 7):

et somnia

« Il tempo

vulgi

tutto toglie e tutto

dà; ogni cosa si muta, nulla s'annichila; è un solo che non può mutarsi, un solo è eterno, e medesmo ». (B.

51-2)

(W.

I, 243)

e può (L.

perseverare

238-9)

246

(G.I

eternamente

I, 184-5)

(G.2

uno,

I,

simile

190-1).

DIALOGO

SECONDO

Ipsum quod fuit. Quid est quod fuit? Ipsum quod est. Nihil sub sole novum*. — Si che questa forma, che voi ponete, non è inesistente e aderente a la materia secondo l'essere, non depende dal corpo e da la materia a fine che subsista? Teofilo. la

forma

Cossi è. E oltre ancora non è accompagnata

da

la

determino

materia,

cossi

sicuramente dico de la materia non esser parte che

sia

destituita

da

quella,

eccetto

come. da Aristotele *, il quale mai

compresa

se tutta come

già

a fatto

logicamente,

si stanca di dividere con

la raggione quello che è indiviso secondo la natura e verità 3. Dicsono. Non volete che sia altra forma che questa eterna compagna de la materia? Teofilo, E più naturale ancora, che è la forma materiale,

della quale raggionaremo ! V.

il Libro

appresso.

dell’Ecclesiaste,

Per ora notate questa

I, 9-10:

anche

qui

il Bruno

cita

a

memoria, con qualche alterazione. Questo motto famoso tornava spesso sotto la penna e sulle labbra del Bruno. Cfr. i Libri physicorum Avistotelis explanati (in Opera, III, 341), il De Usmbris (II, 1, 44) e il Sigillus sigillorum (II, 1, 213); il costituto veneto del 2 giugno 1592 (in SPAMPANATO, Vita, p. 711). Il 18 settembre 1587, a \Witten-

berg, dalla

in un album Biblioteca di

di certo Hans von Stuttgart, scrisse:

Salomon

et Pythag[oras):

Quid est quod est? Ipsum Quid

Warnsdorfi,

est quod

fuit? Ipsum

ora

posseduto

G*:

Avistotile)

quod fuit. quod

Nihil sub sole novum.

est.

Jordanus Brunus Nolanus etc.

(Stewart, Kleine Schriftent, I, 293-4). 2 (Qui e passim in séguito G! = L:

3 Se questo

è un rimprovero

che

bisogna riconoscere col Lasson (p. 136) si può rimproverare ad un filosofo di quello che è indiviso secondo

noto, (De

non

gen.

(B.

ammetteva

el corv.,

52-3)

(W.

II,

una

1,

I, 243)

Bruno

muove

ad

Aristotile,

che il Bruno ha torto. Ma «dividere con la raggione

la natura e verità ? ». Aristotile,

materia

e Plys.,

(L.

Aristotele;

239)

realmente

III

(G.!

247

5).

I,

priva

185-6)

di ogni

(GI,

com' è

forma

1091-2).

DE

LA

CAUSA,

distinzione de la forma, la

quale

informa,

PRINCIPIO

E

UNO

che è una sorte di forma prima,

si estende

e depende;

e questa,

perché

informa il tutto, è in tutto; e perché la si stende, comunica

la perfezione del tutto alle parti; e perché la dipende e non

ha operazione da per sé, viene a communicar la operazion del tutto alle parti; similmente

forma materiale, del

fuoco

come

scalda,

si stende;

si chiama

e tale,

e l’essere. Tale è la

quella del fuoco; perché ogni parte

un'altra sorte di forma, non

il nome

fuoco,

ed

la quale

perché

è fuoco.

informa

fa perfettò

Secondo,

e depende, e attua

è

ma

il tutto,

è nel tutto e in ogni parte di quello; perché ‘non sì stende, avviene che l'atto del tutto non attribuisca a le parti;

perché depende, l'operazione del tutto comunica a le parti. E tale è l’anima vegetativa e sensitiva, perché nulla parte de l'animale è animale, e nulladimeno ciascuna parte vive e sente.

Terzo,

fa perfetto

il tutto,

a l'operazione. tutto,

è un'altra

e in tutto

ma

Questa

sorte di forma,

non

si stende,

perché

attua

e in ogni parte;

la quale

né depende

e fa perfetto,

perché

la non

attua

e

quanto

è nel

si stende,

la perfezione 1 del tutto non attribuisce a le parti; perché non depende, non comunica l'operazione. Tale è l’anima per quanto può esercitar la potenza intellettiva, e si chiama intellettiva; la quale non fa parte alcuna de l’uomo che si possa nomar uomo, né sia uomo, né si possa dir che intenda. Di queste tre specie la prima è materiale,

intendere,

né può essere senza materia;

che non si può

l'altre due specie

1 Il Lasson, a q.l,, p. 41 n.: « Probabilmente in corrispondenza a quel che precede e a quel dhe segue, invece che: la perfezione del

tutto,

bisogna

terebbe.

(B. 53-4)

leggere:

l'atto del tutto ». Il

(W. I, 243-4)

(L. 239-40)

248

senso,

per

(G.' I, 186)

altro,

non

mu-

(G.2 I, 192-3).

DIALOGO

SECONDO

(le quali in fine concorreno a uno, secondo la sustanza ed essere, e si distingueno secondo il modo che sopra abbiamo detto) denominiamo quel principio formale, il quale è distinto dal principio materiale. Dicsono. Intendo. Teofilo.

Oltre

di

questo

voglio

che

si

avertisca

che,

benché, parlando secondo il modo comune, diciamo che sono cinque

gradi de le forme:

sensitivo

e intellettivo;

cioè di elemento, non

lo

intendiamo

misto,

vegetale,

però

secondo

l’ intenzion volgare; perché questa distinzione vale secondo

l’operazioni che appaiono e procedono dagli suggetti, non secondo quella raggione de l’essere primario e fondamentale di quella forma e vita spirituale, la quale medesma empie il tutto,

e non

Dicsono.

secondo

Intendo.

il medesmo Tanto

che

modo. questa

forma,

che

voi

ponete per principio, è forma subsistente, constituisce specie perfetta, è in proprio geno, e non è parte di specie, come quella peripatetica. Teofilo. Cossi è.

Dicsono. La distinzione de le forme nella materia non è secondo le accidentali disposizioni che dependeno da la forma materiale. Teofilo. Vero.

Dicsono. Onde anco questa forma separata non viene a essere moltiplicata secondo il numero, perché ogni multiplicazione numerale depende da la materia. Teofilo.

Si.

Dicsono. Oltre, in sé invariabile, variabile poi per li soggetti e diversità di materie. E cotal forma, benché nel soggetto faccia differir la parte dal tutto, ella però non differisce nella parte e nel tutto; benché altra raggione li con(B. 54-5) (W. T, 244-5) (L. 240) (G.! I, 186-7) (G.2 I, 193). x

249

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

vegna come subsistente* da per sé, altra in quanto che è atto e perfezione di qualche soggetto, ed altra poi a riguardo d’un soggetto con disposizioni d’un modo, d'un altro. Teofilo. Cossi a punto.

Dicsono.

né simile

Questa

forma

non

alla accidentale,

altra con quelle

la intendete

né come

mista

accidentale,

alla materia,



come inerente a quella, ma inesistente, associata, assistente.

Teofilo. Cossi dico. Dicsono.

Oltre,

per la materia;

questa

perché,

forma

avendo

è definita

e determinata

in sé facilità di constituir

particolari di specie innumerabili, viene a contraersi, a constituir uno individuo; e da l’altro canto, Ia potenza della materia indeterminata, la quale può ricevere qualsivoglia forma, viene a terminarsi ad una specie: è causa della definizione e determinazion Teofilo.

Molto

bene.

Dicsono. Dunque, Anaxagora,

che

latitanti;

tanto che l'una de l’altra.

in certo modo

chiama alquanto

le

forme

quel

di

approvate

il senso di

particolari

di

natura

le

deduce

Platone,

che

da le idee; alquanto quel di Empedocle, che le fa provenire da la intelligenza; in certo modo

quel di Aristotele, che le

fa come uscire da la potenza de la materia? 2. Teofilo. Si, perché, come abbiamo detto che dove è la forma,

è in certo modo

1 (G!1 = L: pografica).)

subsistente;

® Per Anassagora

tutto, G*:

dove

è l’anima,

subistente

v. il fr. 1 Diels;

(per

e ARIST.,

il spirto,

evidente Phys.,

svista

la ti-

I, 4, 187 a 26.

Per Empedocle osserva il Lasson, a Q.1., p.137, che si tratta anche qui

di dottrine falsamente attribuite nel M. E. ad Empedocle, ed essenzial-

mente neoplatoniche; giacché pel genuino Empedocle le cose partico-

lari provengono (B.

55-6)

(W.

dallo Sfero, che non è concepito come

TI, 245)

(IL.

240-1)

250

(G.!

I,

187-8)

(G=

intelligenza. I,

193-4).

DIALOGO

SECONDO

vita, è tutto, il formatore è l’ intelletto per le specie ideali;

e le forme, se non le suscita da la materia, non le va però mendicando

da fuor di quella; perché questo spirto empie

il tutto. Poltinnio. Velim scire quomodo forma est anima mundi ubique tota, se la è individua. Bisogna dunque che la sia molto

grande,

anzi de infinita dimensione,

se dici il mondo

essere infinito.

Gervasio. È ben raggione che sia grande, Come anco del Nostro Signore disse un predicatore a Grandazzo ! in Sicilia; dove, in segno che quello è presente in tutto il mondo, ordinò

un

crucifisso

tanto

grande,

quanta

era la chiesa,

similitudine de Dio padre, il quale ha il cielo empireo baldacchino,

il ciel

stellato

per

seditoio,

ed

ha

a

per

le gambe

tanto lunghe, che giungono sino a terra, che gli serve per scabello. A cui venne a dimandar un certo paesano, dicendogli: — Padre mio reverendo, or quante olne = di drappo bisognaranno per fargli le calze? — E un altro disse che 1 Randazzo,

Per es. nelle

326): de’

«O

bon

in prov.

Commedie

Mattinatai

Dieu da

de

di Catania.

di G.

famoso

B. della Porta

Grandazzo!».

Messina,

Fra

secondo

la

Lavoro

nel Cinquecento.

(ed.

Spampanato,

bizantino

tradizione

in

il crocifisso

I,

legno

era

stato fatto per la chiesa d'un casale; ma, a causa di una pioggia dirotta, non si poté trasportare fuori di Randazzo, e quivi nel 1540 comprato da Valerio Rubbino, e quivi lasciato. Analoga leggenda

pel più celebre crocifisso di Monreale, miracoloso anch'esso, per apportare il buon tempo, v. PITRÈ, Bibl. trad. popol. sic., XVIII, 262 e XXII, 326-7, 367. Lo Spampanato nelle sue note al De la causa:

a Nel

1806,

o giù di li, il CAPUANA

ferenza il crocifisso di Randazzo mostruose”

onde,

mirandosi

‘ad

ricordava

fra ‘le immagini impressionare

il

in una

sua

con-

mastodontiche volgo ',

e

furono

‘riempiti i templi’, come quelle che ‘rendevano sensibile l’ indeterminato assoluto e simboleggiavano la sostanza universale ’». m.

® Olna,

da

1.188. (B.

55)

(W.

aune

I, 245)

o

aulne,

(L.

241)

misura

(GI,

25I

francese

188)

(G2

equivalente

L

194-5).

a

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

non bastarebono tutti i ceci, faggiuoli e fave di Melazzo e Nicosia! per empirgli la pancia. — Vedete dunque che questa anima del mondo non sia fatta a questa foggia anch'ella. Teofilo, Io non saprei rispondere al tuo dubio, Gervasio,

ma bene a quello di mastro similitudine,

per

satisfar

Poliinnio.

Pure dirò con una

alla dimanda

di ambidoi,

perché

voglio che voi ancora riportiate qualche frutto di nostri raggionamenti e discorsi. Dovete dunque saper brevemente

che l’anima del mondo e la divinità non sono tutti presenti

per tutto

e per

ogni

parte,

in modo

con

cui qualche

cosa

materiale possa esservi, perché questo è impossibile a qualsivoglia corpo

quale

non

e qualsivoglia

spirto;

è facile a displicarvelo

ma

con

un

altrimente

modo,

se non

questo. Dovete avvertire che, se l’anima del mondo universale

se

poralmente cossi non

dicono e

essere

per

dimensionalmente,

tutto,

non

perché

non

con

e forma

s’ intende

tali

il

cor-

sono,

e

possono essere in parte alcuna; ma sono tutti per

tutto

spiritualmente.

treste

imaginarvi

una

Come, voce,

per

esempio,

la quale

anco

rozzo,

po-

è tutta in tutta una

stanza e in ogni parte di quella, perché da per tutto se intende tutta; come queste paroli ch'io dico, sono intese tutte da tutti, anco se fussero mille presenti; e la mia voce,

si potesse giongere a tutto il mondo, sarebe tutta per tutto ?. Dico

dunque

a voi,

mastro

Poliinnio,

che

l’anima

individua, come il punto; ma, in certo modo, E rispondo

a te, Gervasio,

che la divinità non

non

è

come la voce. è per tutto,

come il Dio di Grandazzo è in tutta la sua cappella; perché 1 Milazzo, in prov. di Messina; 2 Lo stesso paragone era stato (ma VI), 4, 12.

Nicosia, in prov. di Catania. usato da PLotINO, .Enn., IV

(B. 56-7) (W. 1, 245-0) (L. 241-2) (G.1 I, 189) (G? I, 195-6). 252

DIALOGO

quello, tutta,

benché ma

sia in tutta

ha il capo

SECONDO

la chiesa,

non

parte,

li piedi

in una

è però

tutto

in

iu un'altra,

le

braccia e il busto in altre ed altre parti. Ma quella è tutta in qualsivoglia parte, come la mia voce è udita tutta da tutte le parti di questa sala. Poliinnio. Percepi ! optime. Gervasio. Io l'ho pur capita la vostra voce. Dicsono. Credo ben de la voce; ma del proposito penso

che vi è entrato per un’orecchia e uscito per l'altra. Gervasio. To penso che non v’ è né anco entrato, perché è tardi,

e l'orloggio ? che tegno

dentro

il stomaco,

ha toc-

cata l’ora di cena. Politnnio.

Hoc

est, idest,

ave

il cervello

în patinis3.

Dicsono. Basta dunque. Domani conveneremo gionar forse circa il principio materiale.

per rag-

Teofilo. O vi aspettarò o mi aspettarete 4 qua.

Fine

del

! B: percaepì. ® Forma dialettale

verbio, anche nel 3 aTJamdudum

46):

ed

secondo

arcaica

Cand., p. 13. animus est in

pensare alla cucina (da 4 BL: mi aspettar et.

che

dialogo,

si legge,

patinis»

patina,

nel

(TERENZIO,

tegame,

medesimo

padella,

Eun.,

proIV,

piatto).

{B. 57-8) (W. I, 246) (L. 242) (G.! I, 189-90) (G.? I, 196).

253

7,

DIALOGO

Gervasio.

TERZO

È pur gionta l’ora, e costoro

non

son

venuti.

Poi che non ho altro pensiero che mi tire, voglio prender spasso di udir raggionar costoro, da' quali oltre che posso imparar qualche tratto di scacco di filosofia, ho pur un bel passatempo eteroclito

circa

que’

grilli

che

ballano

di Poliinnio 1 pedante. Il quale,

in quel mentre

cervello dice

che

vuol giudicar chi dice bene, chi discorre meglio, chi fa delle incongruità ed errori in filosofia, quando poi è tempo de dir la sua parte,

e non

sapendo

che porgere,

viene

a sfilzarti

da dentro il manico della sua ventosa pedantaria una insa-

latina

di

proverbiuzzi,

di

frase= per

latino

o

greco,

che

non fanno mai a proposito di quel ch’altri dicono: onde, senza troppa difficultà, non è cieco che non possa vedere quanto lui sia pazzo per lettera 3, mentre degli altri son savii per volgare.

che

par che

Or

eccolo

nel movere

per lettera. Ben

in fede mia,

di passi

venga il dominus

ancora

per

sappia

sen viene

caminar

magister.

1 (G!: Poliinnio (conforme alla trascriz. Prefaz. ai ' Dialoghi Metafisici”, p. XLVI; G?:

in séguito).)

come

decisa dal G: vedi Poliimnio (cosi pure

® Plur. arcaico. 3 FLORIO, Giardino di ricreazione (Londra, 1501, p. 123): « I pazzi lettera

sono

(B. 59-60)

i peggiori

pazzi».

(W. I, 247) (L. 242-3) (G.* I, [191]) (G2 I, [197]).

254

DIALOGO

TERZO

Poliinnio. Quel magister non*mi cale: poscia che in questa devia ed enorme etade, viene attribuito non più ai miei pari che ad qualsivoglia barbitonsore, cerdone* e castrator di porci, però ne vien consultato: molite vocari Rabi *, Gervasio. Come dunque volete ch'io vi dica? Piacevi il reverendissimo? Poliinnio. Ilud est presbiterale et clericum. Gervasio, Vi vien voglia de l’illustrissimo? Poliinnio. Cedant arma togae 3: questo è da equestri eziandio, come da purpurati. Gervasio.

La

Poliinnio.

maestà

cesarea,

anh?

Quae Caesaris Caesari 4.

Gervasio. Prendetevi dunque il Zomine, deh! 5, toglietevi il

gravitonante,

noi;

perché

siete

tutti

il divum coss!

pater!...



Venemo

a

tardi?

Phiinnio. Cossi credo che gli altri sono impliciti6 in qualche altro affare, come io, per non tralasciar questo giorno senza linea 7, sono versato circa la contemplazion del tipo del globo detto volgarmente il mappamondo. Gervasio. Che avete a far col mappamondo? Politnnio. Contemplo le parti de la terra, climi, provinze e regioni; de quali tutte ho trascorse con l’ ideal raggione, molte cogli passi ancora.

8 Aug

Cerdo,

cita

-onis

lat.:

MATTEO,

XXIII,

MATTEO, B: dè,.

XXII,

che 8.

esercita

CICERONE, De meo consulatu 21.

Cir.

un

(cir

Eroici

mestiere

vile.

MorEL, Frag. Poet. Lat., 16.) furori,

p.

931.

Impliciti, usato nel Trecento, per implicati. 7 Cfr. il noto adagio pliniano nulla dies sine linea che Manfurio nel

(B.

Cand.,

60)

(W.

I,

s.

I, 247)

(L.

243)

(GI,

255

[191])-2)

(G.2

I,

[197)-8).

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

Gervasio. Vorei che discorressi alquanto dentro di te medesmo; perché questo mi par che più te importi, e di questo credo che manco ti curi. Poltinnio. Absit verbo invidia;

perché con questo molto

più efficacemente vengo a conoscere me medesmo. Gervasio. E come mel persuaderai? Poliinnio. Per quel che dalla contemplazione del megacosmo

facilmente,

necessaria

deductione

facta

a

si può pervenire alla cognizione del microcosmo, particole alle parti di quello corrispondeno *. Gervasio. Si che trovaremo

simili,

di cui le

dentro voi la Luna,

il Mer-

curio e altri astri? la Francia, la Spagna, l' Italia, l’ Inghilterra,

il Calicutto © e altri paesi?

Poliinnio.

Quidni ? per quamdam

Gervasio.

un

gran

Per quamdam

monarca;

ma,

se vi è per alloggiare una di quelle piante Poliinnio. Ah, ah, zione non quadra ad Gervasio.

analogiam

se fuste una

analogiam.

io credo

donna,

che siate

vi dimandarei

un putello 3, o di porvi in conserva che disse Diogene 4. quodammodo facete. Ma questa petiun savio ed erudito.

S' io fusse

erudito,

e mi

istimasse

savio,

non

verrei qua ad imparar insieme con voi. Poliinnio. Voi si, ma io non vegno per imparare, perché

nunc meum

est docere; mea quoque interest cos qui docere

volunt iudicare; però vegno per altro fine che per quel che 1 Per

questo

concetto,

STOTILE,

Plys.,

VIII,

(putedw

&vOpwrov)

2

e

che

De

l'uomo

anima,

è un III,

microcosmo,

8.

cfr. ARI-

2? Calicut (o Calicutte) per tutto il distretto (Malabar) o tutta la regione (India inglese), a cui appartiene. 3 Cfr. venez. putelo bambino. 4 Allusione oscena alla vecchia leggenda del planto hominem (B. 60-1)

(W.

di Diogene

di Sinope.

I, 247-8) (L. 243-4)

256

(G.! I, 192-3)

(G.2 I, 198-9).

DIALOGO

TERZO

dovete

voi venire, a cui conviene

sia che

tegna

l'essere tirone, isagogico

e discepolo. Gervasio. Per qual fine? Politnnio. Per giudicare dico. Gervasio. Invero, a’ pari vostri più che ad altri sta bene di far giudicio de le scienze e dottrine; perché voi siete que’ soli a’ quali la liberalità de le stelle e la munificenza del fato ha conceduto il poter trarre il succhio da le paroli. Poliinnio. E consequentemente dai sensi ancora i quali sono congionti alle paroli. Gervasio. Come al corpo l’anima. Poltinnio. Le qual paroli, essendo ben comprese, fanno ben considerar ancor il senso: però dalla cognizion de le lingue (nelle quali io, più che altro che sia in questa città, sono exercitato e non mi stimo men dotto di qualunque ludo

di Minerva:

zione di scienza qualsivoglia. Gervasio. Dunque, tutti que’ italiana,

comprenderanno

aperto)

che

la filosofia

procede

la cogni-

intendeno del

la lingua

Nolano?

Poliinnio. Si, ma vi bisogna anco qualch’'altra prattica e giudizio.

Gervasio. Alcun tempo io pensava che questa prattica fusse il principale; perché un che non sa greco, può intender tutto il senso d’Aristotele e conoscere molti errori in quello,

come apertamente si vede che questa idolatria, che versava circa l’autorità di quel filosofo (quanto a le cose naturali principalmente), è a fatto abolita appresso tutti che comprendeno i sensi che apporta questa altra setta; ed uno che non sa né di greco, né di arabico, e forse né di latino, 1 Scuola,

(B. 61-02)

(W.

Cfr.

241,

IL, 248-9)

n.

8.

(L. 244-5)

257

(GI

I, 193-4)

(G.*

I,

199-200).

DE

come

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

il Paracelso 1, può aver meglio conosciuta la natura

di medicamenti

e medicina

che

Galeno,

Avicenna

e tutti

che si fanno udir con la lingua romana. Le filosofie e leggi non

vanno

in perdizione

per

penuria

d’ interpreti

di pa-

roli, ma di que’ che profondano ne’ sentimenti ?. Poltinnio. Cossf dunque vieni a computar un par mio nel

numero della stolta moltitudine? Gervasio. Non vogliano gli Dei, perché so che con la cognizione e studio de le lingue (il che è una cosa rara e singulare) non sol voi, ma tutti vostri pari sete valorosis-

simi circa il far giudicio delle dottrine, dopo aver crivellati i sentimenti di color che ne si fanno in campo. Poliinnio. Perché voi dite il verissimo, facilmente posso 3

persuadermi

che

non

lo

dite

senza

raggione:

per

tanto,

come non vi è difficile, non vi fia grave di apportarla,. Gervasio. Dirò (referendomi pur sempre alla censura de la prudenza e letteratura vostra) è proverbio comune che quei che son fuor del gioco, ne intendeno più che quei che x

1 Theophrastus

raculum

usque

Bombaste

medicus,

com'è

von

Hohenheim

detto

dal

(1493-1541),

Bruno

nell’ Oratio

ad mi-

valedi-

ctoria (1588; in Opera, I, 1, p. 17), fu uno degli autori a cui questi attinse largamente nelle sue opere di magia e nel De Monade. Nella

pref.

al De

Lamp.

Combin.,

in

Opera,

II,

11,

234,

P.

è detto

«ille medicorum princeps, ille qui in alio non inferiore medicinae genere cum Hippocrate primus sedere debet ». Su di lui v. anche l'accenno in Sig. sigill., in Opera, II, 1, 181; per la sua biografia SIGWART, o. c., I, 25-48; per la storia delle idee CARRIERE, Philosophische Weltanschauung der Reformationszeit, 2% ed., I, 114-121; Strunz, Th. Paracelsus, sein Leben u. seine Personlichkeit, Leipzig,

1903 (cîr. La Critica, II, 410-11); per le sue relazioni col Bruno, Tocco, Le fonti più recenti, p. 71, e MCINTYRE, pp. 149-50. ® Pare che in pubbliche lezioni (ad Oxford, nel 1583) il B. avesse

avuto v.

occasione

SPAMPANATO,

3 BL:

(B.

di

possom.

60%-12)

in

(W.

parlare

Critica, I, 249)

della

grande

(L. 245)

(GI

1924,

258

pp.

utilità

250-2. I,

Cir.

194)

delle

traduzioni:

Cena,

(G=

p.

27.

I, 200-1).

DIALOGO

vi son dentro;

meglio

come

giudicar

que’

TERZO

che sono nel spettacolo,

de li atti, che quelli personaggi

possono

che sono

in scena; e della musica può far meglior saggio un che non è de la capella o del conserto; similmente appare nel gioco de le carte, scacchi, scrima *! ed altri simili. Cossi voi

altri signor pedanti, per esser esclusi e fuor d'ogni atto di scienza

e filosofia,

e per

non

aver,

e giamai

aver

avuto

participazione con Aristotele, Platone e altri simili, possete meglio giudicarli e condannar con la vostra sufficienza grammatticale e presunzion del vostro = naturale, che il Nolano che

si ritrova

nel

medesmo

liarità e domestichezza,

teatro,

tanto

nella

medesma

che facilmente

fami-

le 3 combatte

dopo aver conosciuti i loro interiori e più profondi sentimenti. Voi dico per esser extra ogni profession di galantuomini e pelegrini ingegni, meglio le possete giudicare. Poltinnio. Io non saprei cossi di repente rispondere a questo impudentissimo. Vox faucibus haesit 4. Gervasio.

Però

i pari vostri

sono

sî presuntuosi,

come

non son gli altri che vi hanno il piè dentro; e pertanto io vi assicuro, che degnamente vi usurpate l'ufficio di approvar questo, riprovar quello, glosar quell’altro, far qua una

concordia5 e collazione,

Poliinnio.

perito

nelle

Questo

buone

là vina

appendice.

ignorantissimo,

lettere

umane,

da

vuol

quel

inferir

che che

io son sono

ignorante in filosofia.

AA

OO

Gervasio,

(B.

Vedi

Dottissimo,

sopra,

p.

128,

B: nostro. Le, li: Confusione VirciLIo,

Riscontro 612-2)

(W.

Eneid.,

di testi.

messer

n. II,

I, 249-50)



@

Bruno.

Diulouhi

io vo' dire che,

2.

facile ai napoletani. 774.

Cîr.

(Li 245-6)

259 21

Poliimnio;

italiani

Cand.,

(GI

II,

1.

I, 194-5)

(G.3 I, 201-2).

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

se voi aveste tutte le lingue, che son (come dicono i nostri predicatori) settantadue.... 1, Poliinnio. — cum dimidia. Gervasio.



per questo

non

solamente

non

impedisca

non

siegue che

uno

ch’abbia

siate atto a far giudizio di filosofi, ma oltre non potreste togliere di essere il più gran goffo animale che viva in viso umano:

e anco

è che

che

a

pena una de le lingue, ancor bastarda, sia il più sapiente e dotto di tutto il mondo. Or considerate quel profitto ch’ han fatto doi cotali, de’ quali è un francese arcipedante, c’ ha fatte le Scole sopra le arte liberali e l'Animadversioni contra

Aristotele *;

e un

altro

sterco

di

pedanti,

italiano,

che ha imbrattati tanti quinterni con le sue Discussioni peripaltetiche 3. Facilmente ognun vede ch’ il primo molto eloquentemente mostra esser poco savio; il secondo, sem-

1 Riferendosi

® Pietro

Ramo

agl'interpreti (de

anche

gli Eyoici

e quel lecchi,

che ne è detto Firenze, p. 125.

della Bibbia.

la Ramée)

furori,

p.

(1515-72);

1115;. autore

delle

contro

Scholae

il quale

v.

dialecticae

(1543) e già delle Animadversiones in dialecticam Avistotilis, fu il logico degli umanisti, e l’antesignano d’una scuola che in Inghilterra combatté Bruno e i suoi seguaci, v. McINTYRE, o. c., pp. 324-5; in Si

GENTILE, Studi sul Rinascimento, Valnoti altresî che il Bruno, combattendo

la metafisica e soprattutto la filosofia naturale di Aristotile, teneva però in gran conto le sue opere logiche e rettoriche (Tocco, Fonti,

36-37).

3 Francesco

Patrizzi

LERTI, Autobiografia il Trentino, Roma,

di F. 1886,

(1520-1597);

sulla

Tasso

(Nozze

ediz.

Philosophia », nel

a. XII,

sua

1879.

«Nova

Di lui il Bruno

non

So-

l’Istria ed F. Patr.,

Morpurgo-Franchetti), Verona,

e per la bibliografia O. GUERRINI,

della

v. A.

P., in Aych. stor. per Trieste, III, 275-281 e O. ZENAITI,

Orazio Ariosto e Torg. 1895,

cui biografia,

Di F. Patr. e della rarissima

Propugnatore

conobbe

di

Bologna

se non le Discussiones

peripateticae (1571-81). La Nova de universis philosophia fu pubblicata nel 1501. Sulle relazioni del Bruno col Patrizzi, v. FIORENTINO, B. Telesio, I, 370-76 e Tocco, Fonti, 35-37. (B.

62)

(W.

I, 250)

(L. 246)

(G.t

260

I,

195-6)

(GI,

202).

DIALOGO

TERZO

plicemente parlando, mostra aver molto del bestiale e asino. Del primo possiamo pur dire che intese Aristotele; ma che l’ intese male;

e se l’avesse inteso bene,

arebbe forse avuto

ingegno di far onorata guerra contra lui, come ha fatto il giudiciosissimo Telesio consentino 1. Del secondo non pos-

siamo dir che l'abbia inteso né male né bene; ma che l'abbia letto

e

riletto,

greci autori,

cucito,

scucito

amici e nemici

e

conferito

di quello;

grandissima fatica, non solo senza etiam con un grandissimo sprofitto, vedere in quanta pazzia e presuntuosa e profondare un abito pedantesco, prima

che

se ne perda

Teofilo col Dicsono. Poliinnio.

causa

che la mia

fulminee

questo

Adeste

sentenze

garrulo

domini:

excandescenzia

contra

i vani

mill’altri

e al fine fatta una

profitto alcuno, ma di sorte che chi vuol vanità può precipitar veda quel sol libro,

la somenza ?. Ma

felices,

con

ecco

presenti “il

la presenzia

non

venga

propositi

frugiperda 3.

vostra

è

ad exaggerar

c'ha

Gervasio. Ed a me tolta materia di giocarmi maestà di questo reverendissimo gufo. Dicsono. Ogni cosa va bene se non v’adirate.

tenuti

circa la

! Bernardino Telesio (1508-1588) di Cosenza, autore dei libri De natura rerun iuxta propria principia (1565-86), ricordato dal Bruno anche nel De Monade (in Opera, I, 2, 395) e nel De immenso, lib. II, cap. 9 (in Opera, I, 1, 289). GENTILE, / problemi della Scolastica*, Bari, Laterza, 1923, pp: 119-185. Per le sue relazioni col Bruno v. FIORENTINO, o. c., II, 67 sgg. e Tocco, Fonti, 72-5. 2 W: semenza. Ma somenza (forma dei dialetti settentrionali: cir. SPAMPANATO, Cand.?, p. 23) ha lo stesso valore; e sbaglia il LAsson sospettando (p. 51 n.) che debba leggersi: reminiscenza.

1 Sterile. PLINIO, Nat. kist., XVI, semen antequam omnino maturitatem

mero

(B.

frugiperda, 62-3)

(W.

I, 250)

@bAeclxaprog». (L.

246)

261

(G.!

26: « Ocissime salix amittit sentiat, ob id dicta ab Ho-

I,

196-7)

(G.2

I, 202-3).

DE

Gervasio.

LA

To,

CAUSA,

quel

che

PRINCIPIO

dico,

lo

E

dico

UNO

con gioco,

perché

amo

il signor maestro. Polrinnio. Ego quoque quod irascor, non serio îrascor, quia Gervasium non odi. Dicsono. Bene: dunque, lasciatemi discorrer con Teofilo. Teofilo. Democrito dunque e gli epicurei, i quali, quel che non è corpo, dicono esser nulla, per conseguenza vogliono la materia sola essere la sustanza de le cose; ed anco

quella

arabo,

essere

chiamato

la natura

divina,

Avicebron 1,

come

come

mostra

intitolato Fonte di vita. Questi medesmi, naici, cinici e stoici, vogliono

cette

accidentali

tempo

son

stato

le forme

disposizioni assai

de

aderente

disse

un

certo

in

un

libro

insieme con cire-

non

essere altro che

la materia, a questo

E

io molto

parere,

solo

per

questo che ha fondamenti più corrispondenti alla natura che quei di Aristotele; ma, dopo aver più maturamente considerato, avendo risguardo a pit cose, troviamo che è necessario

conoscere

nella

natura

doi

geni

di

sustanza,

l’uno che è forma e l’altro che è materia; perché è necessario che sia un atto sustanzialissimo, nel quale è la potenza attiva di tutto, 1 Salomone

Ibn

ed ancora una Gebirol,

potenza e un soggetto

latinamente

Avicebronius,

nel

della

prima

Trattò originalmente le dottrine neoplatoniche, MunK, GUTTIMANN, Die Philos. d. Sal. ibn Gebirol, Gòttingen,

o. c., 1889;

p. 7; e M.

Philosophie,

B.

H.

metà clel sec. xI, ebreo (non arabo, come Bruno con gli scolastici lo credette) di Spagna, autore del Fons vifae (ed. Baeumker, Monasterii, 1895), che ebbe molta influenza sugli scolastici del sec. XIII. WITTMANN, Die Stellung d. Thomas v. Aquin zu Avencebrol e Zur Stellung Avencebrols (Ibn Gebirols) im Entwicklungsgang des arabischen in Deitr. 2. Gesch.

d. Philos.

des Mittelalters,

V,

I,

Miinster, 1904 (ma il primo saggio nel Band III, Heft III, 1900). Sulle sue relazioni col B., v. Tocco, Le opp. lat. di G. B., p. 345, Fonti,

29-31; WITTMANN, Giord. Brunos Beziehungen zu Avencebrol, in Arch. f. Gesch. d. Philos., 1900, XIII, 147-52; e MCINTYRE, o. c., 135-0.

(B.

63-4)

(W.

I, 250-1)

(L.

246-7)

262

(G.!

I,

197-198)

(G.?

I,

203-4).

DIALOGO

TERZO

quale non sia minor potenza passiva di tutto: in quello è potestà di fare, in questo è potestà di esser fatto. ‘Dicsono. È cosa manifesta ad ognuno che ben misura, che

non

è possibile

che

quello

sempre

possa

far il tutto

senza che sempre sia chi può esser fatto il tutto. Come l’anima del mondo (dico ogni forma), la quale è individua, può essere figuratrice, senza il soggetto delle dimensioni o quantità, che è la materia ? E-la materia come può essere figurata? Forse da se stessa? Appare che potremo dire, che la materia vien figurata da se stessa, se noi vogliamo

considerar l'universo corpo formato esser materia, chiamarlo materia; maremo

come

un

materia,

animale,

con

distinguendolo,

solo efficiente. Teofilo. Nessuno

vi può

tutte non

impedire

le sue

facultà,

da la forma,

che non

del nome di materia secondo il vostro modo,

chia-

ma

dal

vi serviate

come a molte

sette ha medesmamente raggione di molte significazioni. Ma questo modo di considerar che voi dite, so che no’ potrà star bene se non a un mecanico o medico che sta su la prattica, come a colui che divide l'universo corpo in mercurio, sale e solfro 1; il che dire non tanto viene

vino ingegno tissimo

che

di medico volesse

quanto

chiamarsi

potrebe

a mostrar un di-

mostrare

un stol-

filosofo; il cui fine non

è de

venir solo a quella distinzion di principii, che fisicamente si fa per la separazione che procede dalla virtù del fuoco, ma anco a quella distinzion de principii, alla quale non 1 Il Bruno accenna qui a Paracelso: del resto, « questa dottrina, che il sale, Io zolfo e il mercurio siano gli elementi delle cose, viene

attribuita

sec. XVI,

per

e a

la prima

Basilio

principio del sec. XV,

P. 14I.

(B.

64-5)

(W.

volta

Valentino,

a Isaac

monaco

Hollandus,

benedettino

alchimista di

Erfurt

del

del

la cui esistenza per altro è dubbia »: Lasson,

I, 251)

(L.

247)

263

(GI,

198)

(G:?

I, 204-5).

DE

LA

arriva

efficiente

male;

quale

CAUSA,

alcuno

PRINCIPIO

materiale,

E

UNO

perché

l’anima,

inse-

parabile dal solfro, dal mercurio e dal sale, è principio fornon

è soggetto

a qualità

materiali,

ma

è al

tutto signor della materia, non è tocco dall'opra di chimici

la cui divisione scono

un’altra

si termina specie

alle tre dette cose,

d'anima

che

questa

e che cono-

del

mondo,

e!

che noi doviamo diffinire. Dicsono. Dite eccellentemente; e questa considerazione molto mi contenta, perché veggio alcuni tanto poco accorti che

non

secondo

distingueno tutto

le cause

l'ambito

de

della natura

lor essere,

che

da’ filosofi, e * priato; perché in quanto che a' filosofi, in

de quelle prese il primo modo son medici, il quanto che son

Teofilo.

Avete

toccato

quel

ch’ ha

trattata

la filosofia

Paracelso,

assolutamente, son

considerate

in un modo limitato e approè soverchio e vano a’ medici, secondo è mozzo e diminuto? filosofi. punto

nel

quale

medicinale,

è lodato e biasi-

mato Galeno in quanto ha apportata la medicina filosofale, per far una mistura fastidiosa e una tela tanto imbrogliata, che al fine renda un poco exquisito medico e molto confuso filosofo. Ma questo sia detto con qualche rispetto; perché non ho avuto ocio per esaminare tutte le parti di quell'uomo. Gervasio. Di grazia, Teofilo, prima fatemi questo piacere a me, che non sono tanto prattico in filosofia: dechiaratemi ‘che cosa intendete per questo nome materia, e che cosa

è quello

che

è materia

nelle

cose

naturali.

Teofilo, Tutti quelli che vogliono distinguere la materia e considerarla da per sé, senza la forma, ricorreno alla simi-

1

®

(B.

(L’Amerio (G!

65-6)

=

L:

(W.

espunge

diminuto;

I, 251-2)

la e.) G?:

(L.

diminuito)

247-8)

264

(G.I

I,

198-0)

(G.?

I, 205-60).

DIALOGO

TERZO

litudine de l’arte. Cossi fanno i pitagorici, cossi i platonici, cossi i peripatetici. Vedete una specie di arte, come del lignaiolo, la quale per tutte le sue forme e tutti suoi lavori lia per soggetto il legno; come il ferraio il ferro, il sarto il panno. Tutte queste arti in una propria materia fanno diversi ritratti, ordini e figure, de le quali nessuna è propria e naturale

a quella.

Cossî

la natura,

a cui è simile

l’arte,

bisogna che de le sue operazioni abbia una materia; perché non è possibile che sia agente alcuno che, se vuol far qualche cosa,

non

abbia

di che

farla;

o se vuol

oprare,

non

abia!

che oprare. È dunque una specie di soggetto, del qual, col quale e nel quale la natura effettua la sua operazione, il suo

lavoro;

e il quale

è da

lei formato

di tante

forme

che ne presentano a gli occhi della considerazione tanta varietà di specie. E sf come il legno da sé non ha nessuna forma artificiale, ma tutte può avere per operazione del? legnaiolo; cossî la materia, di cui parliamo, da per sé e in sua natura non

ha forma alcuna naturale,

ma

tutte le può

aver per operazione dell'agente attivo principio di natura. Questa materia naturale non è cossi sensibile come la materia artificiale, perché la materia della natura non ha forma alcuna

assolutamente;

ma

la materia

dell’arte

è una

cosa

formata già della natura, poscia che l’arte non può oprare se non nella superficie delle cose formate da la natura come legno,

ferro, pietra,

dal centro,

lana e cose simili; ma

per dir cossf, del suo soggetto

la natura opra o materia,

che è

al tutto informe. Però molti sono i soggetti de le arti, ed uno è il soggetto della natura; perché quelli, per essere diversa—

I

(GI

=

L:

? B

(e G!=

(B. 66-7)

(W.

non

L):

abia;

de.

I, 252-3)

G2:

non

(L. 248-9)

265

abbia)

(G.!

I, 199-200)

(G.? I, 206).

DE

mente

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

formati dalla natura,

per non essere alcunamente

sono

E

UNO

differenti e varii; questo,

formato, è al tutto indifferente,

atteso che ogni differenza e diversità procede da la forma. Gervasio, Tanto che le cose formate della natura sono materia de l’arte, e una cosa informe sola è materia della natura? Teofilo.

Cossi è.

Gervasio. chiaramente

È possibile che si come vedemo e conoscemo gli soggetti de le arti, possiamo similmente

conoscere il soggetto de la natura? Teofilo. Assai bene, ma con diversi zione;

perché

si come

non

principii

col medesmo

senso

di cogniconoscemo

gli colori e gli suoni, cossi non con il medesmo occhio veggiamo il soggetto de le arti e il soggetto della natura. Gervasio. Volete dire, che noi con gli! occhi sensitivi veggiamo quello, e con l'occhio della raggione questo. Teofilo. Bene.

Gervasio. Or piacciavi formar questa raggione. Teofilo. Volentieri. Quella relazione e riguardo che ha la forma de l’arte alla sua materia, medesma (secondo la debita proporzione) teria.

Si come

ha la forma della natura alla sua ma-

dunque

ne

l’arte,

variandosi

in infinito

(se

possibil fosse) le forme, è sempre una materia medesima che persevera sotto quelle; come, appresso, la forma de l’arbore è una forma di tronco, poi di trave,

poi di tavola, poi

di scanno, poi di scabello, poi di cascia, poi di pettine e cossf va discorrendo, tuttavolta l'esser legno sempre persevera; non altrimente nella natura,

variandosi

in infinito e succe-

dendo l’una a l’altra le forme, è sempre una materia medesma. Gervasio. Come si può saldar questa similitudine? 1 B: (B.

no; 67-8)

gli

(ma

moi gli

(W.

I, 253)

(L.

(cfr. 249)

266

Lac.)). (G.!

I, 200-1)

(G.2

I, 206-7).

DIALOGO

Teofilo. erba, e da si fa pane, da questo

TERZO

Non vedete voi che quello che era seme si fa quello che era erba si fa spica, da che era spica da pane chilo, da chilo sangue, da questo seme, embrione, da questo uomo, da questo cadavero,

da questo! terra, da questa pietra o altra cosa, e cossi oltre,

per venire a tutte forme naturali? Gervasio. Facilmente il veggio. Teofilo. Bisogna dunque che sia

una

medesima

cosa

che da sé non è pietra, non terra, non cadavero, non uomo, non

embrione,

sangue, che

sangue

si fa embrione,

era

come

non

embrione,

quella

ricevendo

riceva

formata

o altro;

ma

che,

dopo

che era

l’essere embrione;

l’essere

uomo,

dalla natura,

che

dopo

facendosi

omo;

è soggetto

de la

arte, da quel che era arbore, è tavola, e riceve esser tavola;

da quel?

che era tavola,

riceve l’esser porta,

ed è porta.

Gervasto. Or l’ ho capito molto bene. Ma questo soggetto della natura mi par che non possa esser corpo, né di certa qualità; perché questo, che va strafugendo or sotto una forma ed essere naturale,

or sotto un’altra forma ed essere,

non si dimostra corporalmente, come il legno o pietra, che sempre si fan veder quel che sono materialmente, o soggettivamente3 pongansi pure sotto qual forma si voglia. Teofilo.

Voi dite bene.

Gervasio. Or che farò quando mi avverrà di conferiìr questo pensiero con qualche pertinace, il quale non voglia credere che sia cossi una sola materia sotto tutte le formazioni

della

natura,

come

è una

sotto

tutte

le formazioni

di ciascuna arte? Perché questa che si vede con gli occhi, 1 (GI = L: questo; G3: questa) ? B: qual. 3 (L’Amerio interpunge materialmente (B.

68-0)

(W.

I,

253-4)

(L.

249-50)

267

(G.

o soggettivamente,) I, 201)

(Gè

I,

207-8).

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

non si può negare; quella che si vede con la raggione sola, si può negare. Teofilo. Mandatelo via, o non gli rispondete. Gervasio. Ma se lui sarà importuno in dimandarne evidenza, e sarà qualche persona di rispetto, il quale non si possa più tosto mandar via che mandarmi via, e che abbia per ingiuria ch'io non li risponda? Teofilo. Che farai, se un cieco semideo, degno di qualsi-

voglia onor e rispetto,

sarà protervo,

importuno

nace a voler aver cognizione e dimandar

e perti-

evidenza di colori,

di’ pure 1, de le figure esteriori di cose naturali, come è dire: quale è la forma de l'arbore? quale è la forma de monti? di stella? oltre,

la veste?

quale è la forma

de la statua,

de

e cossf di altre cose arteficiali, le quali a quei

che vedeno Gervasio.

son

tanto

manifeste?

Io li risponderei

ne dimandarebe

evidenza,

che, se lui avesse

ma

le potrebe

occhi,

non

veder da per lui;

ma, essendo cieco, è anco impossibile che altri gli le dimostri. Teofilo. Similmente potrai dire a costoro, sero = intelletto, non ne dimanderebono

che, se aves-

altra evidenza;

ma

la potrebono veder da per essi. Gervasio. Di questa risposta quelli si vergognarebono, e altri la stimarebono troppa cinica. Teofilo. Dunque, li direte più copertamente cossi: — Illustrissimo signor mio;

— o: — Sacrata Maestà, come alcune

cose non, possono essere evidenti se non con le mani e il toccare, altre se non con l’udito, altre non, eccetto che con

il gusto; altre non, eccetto che con gli occhi: cossi questa 1 B: di pure. * BL: avesse. (D.

69-70)

(W.

IW salta queste I,

254)

(L.

parole.

250-1)

208

(G.!

I,

201-2)

(G.2

I,

208-09).

DIALOGO

TERZO

materia di cose naturali non può essere evidente se non con l’ intelletto. — Gervasio. Quello, forse, intendendo il tratto per non esser tanto oscuro né coperto me dirà: — Tu sei quello che non hai intelletto: io ne ho più che quanti tuoi pari si ritro-

veno. —

Teofilo. Tu non lo crederai più che se un cieco ti dicesse, che tu sei un cieco e che lui vede più che quanti pensano veder come tu ti pensi. Dicsono.

Assai

è detto

in dimostrar

più evidentemente,

che mai abbia udito, quel che significa il nome materia, e quello che si deve intender materia nelle cose naturali. Cossf il Timeo Pitagorico il quale, dalla trasmutazione dall’uno elemento

nell’altro, insegna ritrovar la materia che

è occolta, e che non si può conoscere, eccetto che con certa

analogia 1. « Dove era la forma della terra », dice lui, « appresso * appare la forma de l’acqua», e qua non si può dire che una forma riceva l’altra; perché un contrario non accetta né riceve l’altro, cioè il secco non

riceve l’umido

o

pur la siccità non riceve la umidità, ma da una cosa terza vien scacciata la siccità e introdotta la umidità, e quella terza cosa è soggetto dell’uno e l'altro contrario, e non

è contraria

ad alcuno. Adunque, se non è da pensar che la terra sia andata in niente, è da stimare che qualche cosa che era nella terra, è rimasta ed è ne l’acqua: la qual cosa per la medesima raggione, quando l’acqua sarà trasmutata in 1 Si riferisce allo scritto dello Pseudo-Timeo

mundi

et natura,

p. 94 A

(v. MULLACH,

contenute in quest'opera sono v. Lasson, a q.l., 141-2. ® B: appesso. (B.

70-1)

(W.

I, 254-5)

(L.

piuttosto

251)

269

(G.!

Fragm.,

di Locri, De anima

II, 38).

platoniche

I, 202-3)

Le

dottrine

e aristoteliche,

(G.2

I,

2009-10).

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

aria (per quel che la virtà del calore la viene ad estenuare in fumo o vapore), rimarrà e sarà ne l’aria. Teofilo.

Da

questo si può

conchiudere

(ancor a lor di-

spetto) che nessuna cosa si anichila e perde l'essere, eccetto che la forma accidentale esteriore e materiale. Però tanto la materia quanto la forma sustanziale di che si voglia cosa naturale,

che

perdendo

l'essere al tutto

possono

è l’anima,

essere

tutte

sono

indissolubili

e per tutto;

le forme

ed

adnihilabili,

tali per certo non

sustanziali

de’ peripatetici

e altri simili, che consisteno non in altro che in certa com-

plessione e ordine di accidenti; e tutto quello che sapranno nominar

fuor

che

la

lor

materia

prima,

non

è altro

che

accidente, complessione, abito di qualità, principio di definizione, quiddità. Laonde alcuni cucullati suttili meta-

fisici * tra quelli, la insufficienza umanità, cifiche;

del suo

la bovinità, questa

questa

volendo

nume

Aristotele,

come

essere

la

trovata

sustanziali

socreità,

sustanza

che accusare

hanno

la olività, per forme

umanità,

cavallinità

piuttosto iscusare

questa

la

spe-

bovinità,

numerale ?;

il

che

tutto han fatto per donarne una forma sustanziale, la quale merite nome di sustanza, come la materia ha nome ed essere

di substanza. Ma

però

non

han

profittato

giamai

nulla;

1 Nell'Acrotisinus (1588) dirà che Aristotile insegnò, che la scienza è dell'uno in quanto uriversale, della natura delle cose, della

natura

di Socrate,

Callia,

Platone,

in quanto

sono

uomini;

e che

degl’ individui mon aliud esse practerquam historiam; non insegnò «quorundam Scoticolarum voces atque similium cucullatorum » (in Opera, I; 1, 85-6). Agli scotisti (seguaci di Duns Scoto) allude

anche

sua

in q. I. della Causa.

2 La

sostanzialità

propria

nella materia,

dell'individuo,

individualità, Scoto,

e che

per contro,

san

ciò

che

Tommaso

nella forma



all'individuo

faceva

speciale dell' individuo,

la haecceitas, il 168 ti elvar di Aristotile: v. PRANTL, III,

(B.

218-219.

71-2)

(W.

I,

255)

(L.

251-2)

270

(GI,

la

consistere

203-4)

Gesch. d. Log.,

(G.4

I,

2009-10).

DIALOGO

TERZO

perché, se gli dimandate per ordine: — In che consiste l’essere sustanziale di Socrate ? — risponderanno: — Nella socreità. Se oltre dimandate: — Che intendete per socreità? — Risponderanno: — La propria forma sustanziale e la propria materia di Socrate. — Or lasciamo star questa sustanza che è la materia, e ditemi: — Che è la sustanza come forma? — Rispondeno alcuni: — La sua anima. — Dimandate: — Che cosa è questa anima? — Se diranno una entelechia e perfezione di corpo che può vivere 7, considera che questo è uno accidente. Se diranno che è un principio di vita, senso, vegetazione e intelletto, considerate

che, benché quel principio sia qualche sustanzia fundamentalmente considerato,

come

noi lo consideriamo,

tuttavolta

costui non lo pone avanti se non come accidente; perché esser principio di questo o di quello non dice raggione sustanziale e assoluta, ma una raggione accidentale e respettiva a quello che è principiato; come non dice il mio essere e sustanza quello che proferisce lo che = io fo o posso fare; ma si bene quel che dice lo che io sono, come io e absoluta-

mente considerato. Vedete dunque come trattano questa forma sustanziale che è l'anima; la quale, se pur per sorte è stata conosciuta da essi per sustanza, giamai però l’ hanno nominata né considerata come sustanza. Questa confusione 3 molto più evidentemente la possete vedere, se diman1 Definizione aristotelica dell'anima (De anima, II, 1, p. 412427).

® Lo

che

(spagn. lo que): quello che. Intorno a questo spagno-

lismo, non infrequente negli scrittori italiani del 600, v. D’ OvipIO,

Lo che, loché, locché, in Bibl. d. scuole ital., a. X, n. 2 (15 gennaio 1904) Pp. 2-3; e Ancora del «lo che», ivi, n. 4 (15 febbraio 1904) pp. 3-4.

Ma

nelle

a Napoli

3

(B.

rime

(IVL 72)

del

non

mancano

Conte

di

(= B)

S:

(W.

255-6)

I

esempi

Policastro.

confusione; (L.

fin dallo scorcio del '400, come

V.

sopra,

G! G*

252)

271

(G.1

Am.:

p.

142,

n.

1.

conclusione)

I, 204-5)

(G.2

I, 210-1).

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

date a costoro la forma sustanziale d'una cosa inanimata in

che

consista,

ranno

que’

come

la forma

sustanziale

del legno.

che son più sottili: nella ligneità.

Finge-

Or togliete

via quella materia, la quale è comune al ferro, al legno e la pietra, e dite: — Quale resta forma sustanziale del ferro? Giamai ve diranno altro che accidenti. E questi

sono tra’ principii d' individuazione e danno la particularità, perché la materia non è contraibile alla particularità se non per qualche forma;

e questa forma, per esser prin-

cipio constitutivo d’una sustanza, vogliono che sia sustanziale, ma poi non la potranno mostrare fisicamente se non

accidentale. E al fine, quando aranno fatto tutto, per quel che

possono,

hanno

una

forma

sustanziale,

sf,

ma

non

naturale, ma logica; e cossi, al fine, quale logica intenzione

viene ad esser posta principio di cose naturali. Dicsono. Aristotile non si avvedde di questo? Teofilo.

Credo

che

se

ne

avvedde

certissimo;

ma

non

vi pòtte: rimediare; però disse che l’ultime differenze sono innominabili ed ignote. Dicsono, Cossi mi pare che apertamente confesse la sua ignoranza; e però giudicarei ancor io esser meglio di abbracciar que’ principii di filosofia, li quali in questa importante dimanda non allegano ignoranza, come fa Pitagora, Empedocle

e il tuo

Nolano,

le opinioni

de’

quali

ieri

toccaste.

Teofilo. Questo vuole il Nolano, che è uno intelletto che dà l'essere a ogni cosa ?, chiamato da’ pitagorici e il Timeo datore de le forme; una anima e principio

formale,

che

si

1 Forma

dialettale

(B.

(W.

® B:

essere

72-4)

ogni

fa

e

informa

delle province

cosa.

1, 256)

(L.

252-3)

272

ogni

meridionali; (GI

I, 205)

cosa,

chiamata

e arcaica. (GI,

211-2).

DIALOGO

da’

medesmi

fonte

de

TERZO

le

forme;

una

materia,

della quale vien fatta e formata ogni cosa, chiamata da: tutti ricetto de le forme. Dicsono. Questa dottrina (perché par che non gli manca cosa alcuna) molto mi aggrada.

E veramente è cosa neces-

saria, che, come possiamo ponere un principio materiale costante ed eterno, poniamo un similmente principio formale. Noi veggiamo che tutte le forme naturali cessano dalla par

materia realmente

e novamente

vegnono

nessuna

esser

cosa

nella

materia;

costante,

ferma,

onde eterna

e degna di aver esistimazione di principio, eccetto che materia. Oltre che le forme non hanno l'essere senza materia, in quella si generano e corrompono, dal seno quella esceno ed in quello si accogliono: però la materia qual sempre rimane medesima e feconda, deve aver principal

prorogativa

d’esser conosciuta

sol principio

la la di la la

sub-

stanziale, e quello che è, e che sempre rimane; e le forme tutte insieme

non

intenderle,

sizioni' varie della materia, cessano

e se rinnovano,

se non

che sen

onde

non

come

che sono

vanno hanno

dispo-

e vegnono,

altre

riputazione

tutte

di principio. Però si son trovati di quelli che, avendo ben considerata la raggione delle forme naturali, come ha possuto

aversi

da

Aristotele

ed

altri

simili,

hanno

concluso

al fine che quelle non son che accidenti e circostanze della

materia; e però prerogativa di atto e di perfezione doverse referire

alla

possiamo cose

della

materia,

sustanza

cose,

e della natura,

che appresso

1 (G1 = L: 74-5)

a

de

quali

veramente

dire che esse non: sono sustanza nè natura,

la materia;

(B.

e non

(W.

la quale

dicono

essere

quelli è un principio necessario,

di) I, 256-7)

(L.

ma

253)

273

(G.I

I, 205-6)

(GI,

212-3).

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

eterno e divino, come a quel moro Avicebron, che la chiama

Dio che è in tutte le còse. Teofilo, A questo errore son stati ammenati

quelli da

non conoscere altra forma che l’accidentale; e questo moro,

benché dalla dottrina peripatetica, nella quale era nutrito, avesse

accettata

la forma

sustanziale,

tuttavolta,

conside-

randola come cosa corrottibile, non solo mutabile circa la materia, e come quella che è parturita e non parturisce,

fondata e non fonda, è rigettata * e non rigetta, la dispreggiò

e la

tenne

a vile

in

comparazione

della

materia

stabile,

eterna, progenitrice, madre. E certo questo avviene a quelli

che non conoscono Dicsono.

Questo

quello che conosciamo è stato

tempo che dalla digressione Sappiamo ora distinguere dalla forma accidentale (sia sustanziale; quel che resta

molto

ben

noi.

considerato;

ma

è

ritorniamo al nostro proposito. la materia dalla forma, tanto come la si voglia) quanto dalla a vedere è la natura e realità

sua. Ma prima vorrei saper se, per la grande unione che ha questa anima del mondo

e forma universale con la materia,

si potesse patire quell'altro modo e maniera di filosofare di quei che non separano l'atto dalla raggion della materia, e la intendono

cosa divina,

che lei medesma Teofilo.

Non

e non pura e informe

talmente

non si forme e vesta. facilmente,

perché

niente

assolutamente

opera in se medesimo, e sempre è qualche distinzion tra quello che è agente, e quello che è fatto, o circa il quale è l'azione e operazione, laonde è bene nel corpo della natura distinguere

la materia

da l’anima,

e in questa

distinguere

quella raggione delle specie. Onde diciamo in questo corpo 1 SpamP.,

De

la cuusa,

p.

GI:

e rigettata.

(B. 75-6) (W. L 257-8) (L. 253-4) (G.! I, 206-7)

274

(G.? I, 213-4).

DIALOGO

tre

cose:

secondo,

TERZO

prima,

l'intelletto

universale,

indito

l'anima

vivificatrice

del tutto;

terzo,

nelle

cose;

il soggetto.

Ma non per questo negaremo esser filosofo colui.che prenda nel geno di suo filosofare questo corpo formato 0, come vogliam dire, questo animale razionale, e comincie a prendere per primi principii in qualche modo i membri di questo corpo, come dire aria, terra, fuoco; over eterea regione e astro; over spirito e corpo; o pur vacuo e pieno: intendendo

però il vacuo non come il prese Aristotele 1; o pur in altro

modo conveniente. Non mi parrà però quella filosofia degna di essere rigettata, massime quando, sopra a qualsivoglia fundamento che ella presuppona, o forma d'edificio che si propona, venga ad effettuare la perfezione della scienzia speculativa e cognizione di cose naturali, come invero è stato fatto da molti più antichi filosofi. Perché è cosa da ambizioso e cervello presuntuoso, vano e invidioso voler persuadere ad altri, che non sia che una sola via di investigare

e

venire

alla

cognizione

della

natura;

ed

è

cosa

da pazzo e uomo senza discorso donarlo ad intendere a se medesimo. Benché dunque la via più costante è ferma, e più contemplativa e distinta, e il modo di considerar più alto deve sempre esser preferito, onorato e procurato più; non per tanto è da biasimar quell'altro modo il quale non è senza buon frutto, benché quello non sia il medesmo arbore. Dicsono. Dunque, approvate il studio de diverse filosofie ?

Teofilo. Assai, a chi ha copia di tempo ed ingegno: ad

1 Il Bruno

LaAssoN, frase

di

si

spiegherà

n. 45, p. 143,

Bruno,

critica che

egli

che

non

vuol

ne fece ».

meglio

par che

dire:

« non

nel

abbia

come

De

l'infinito,

inteso il senso l’intese

22



G.

Lkuno,

Dislayhi

italiani

Il

di questa

Aristotile

(B. 76-7) (W. I, 258) (L. 254) (G.! I, 267-8) (GI, 275

p. 398.

219).

nella

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

altri approvo il studio della megliore, se gli Dei che la addovine. Dicsono. filosofie,

Son

ma

Teofilo.

certo

però

le buone

Cossi

che

non

vogliono

approvate

tutte

le

e le megliori.

è. Come

anco

in diversi

ordini

di medi-

melancolia.

Accetto

care, non riprovo quello che si fa magicamente per applicazion di radici, appension di pietre * e murmurazione d’ incanti, s' il rigor di teologi mi lascia parlar come puro naturale 2, Approvo quello che si fa fisicamente e procede per apotecarie3 ricette, con le quali si perseguita o fugge la

còlera,

il sangue,

la flemma

e la

quello altro che si fa chimicamente, che abstrae le quinte essenze e, per opera del fuoco, da tutti que’ composti fa

volar 3 bis il mercurio, subsidere il sale e lampeggiar o disolar 4

il solfro. Ma però, in proposito terminare tra tanti buoni modi l'epilettico, sopra il quale han il chimista 5, se vien curato dal raggione più questo che quello 1 a Hommi al collo attaccato TINO, cap. Della quartana.

® Filosofo naturale. 3 Apotecario,

3 éis_

4 BL:

(L

disolgar

probabilmente

termine

(= B):

(ma

che non

manca

un'osteria

farmacista.

uolar;

d'errore

di medicina, non voglio dequal sia il megliore, perché perso il tempo il fisico ed mago, approvarà non senza e quell'altro medico. Simil-

di

B:

G! G2:

volare)

disoglar);

stampa.

W:

Perciò

D' incanti... »: P. ARE-

discioglier.

SPAMP.

Ma

trattasi

sostituisce

«un

nella bassa latinità e nell’italiano antico,

massime perché il New World of Words del FLORIO (pp. 154? e 156?) avverte che il disolare e dissolare significano non pure

dissipare,

distruggere,

Florio intende

ma,

come

dissolvere,

o vrsole, to loose, to seuer,

disciogliere ».

to sunder

(Ma

as the shooe from

the sole. L'Amerio spiega lampeggiar o disolar: isolare per combustione. Ma la forma originale (disoglar = disogliar) varrà qui dis-oliare.) 5 Alchimista (FLorio, 18 (ma 098?)). (B.

77)

(W.

I, 258-9)

(L/ 254-5)

(G.!

276

I, 208)

(G.2

I, 214-5).

DIALOGO

TERZO

mente discorri per l’altre specie: de quali nessuna verrà ad essere

men

buona

che

l’altra,

se cossîi l'una

come

le altre

viene ad effettuar il fine che si propone. Nel particolar poi è meglior questo medico che mi sanarà, che gli altri che m’uccidano o mi tormentino. Gervasio. Onde avviene che son tanto nemiche fra lor queste sette di medici? Teofilo.

Dall’ avarizia,

dall’ invidia,

dall’ ambizione

e

dall’ ignoranza. Comunmente a pena intendono il proprio metodo di medicare; tanto si manca che possano aver raggione

di quel d'altrui. Oltre che la maggior

possendo

alzarsi

all'’onor

e guadagno

con

parte,

proprie

non

virtù,

studia di preferirsi con abbassar gli altri, mostrando di dispreggiar quello che non può acquistare. Ma di questi l'ottimo e vero è quello che non è si fisico, che non sia anco

chimico e matematico. Or, per venir al proposito, tra le specie della filosofia, quella è la meglior, che più comodae altamente effettua la perfezion de l'intelletto umano, ed è più corrispondente alla verità della natura, e quanto* sia possibile cooperatori di quella o divinando (dico per ordine naturale e raggione di vicissitudine, non per animale istinto come fanno le bestie e que’ che gli son simili; non per ispirazione di buoni o mali demoni, come fanno i profeti;

non

per melancolico

contemplativi), medicando,

entusiasmo,

o ordinando

come

i poeti

leggi e riformando

o pur conoscendo

e vivendo

e altri

costumi,

o

una vita più beata

e più divina. Eccovi dunque come non è sorte di filosofia, che sia stata ordinata da regolato sentimento, la quale non contegna in sé qualche buona proprietà che non è 1 (B.

(L'Amerio

integra

77-9)

I, 259)

(W.

e {ne rende] (L.

255-6)

277

quanto) (GI

I,

208-0)

(G.?

I,

215-0).

DE

contenuta

da

LA

le

CAUSA,

altre.

PRINCIPIO

Il simile

E

UNO

intendo

della

medicina,

che da tai principii deriva, quali presupponeno non imperfetto abito di filosofia; come l’operazion del piede o della mano, quella de l'occhio. Però è detto che non può aver buono

principio di medicina chi non ha buon termine di filosofia. Dicsono.

Molto

mi

piacete,

e

molto

vi

lodo;

che,

si

come non sète cossi plebeio come Aristotele, non sète anco cossi ingiurioso e ambizioso come lui; il quale l'opinioni di tutti altri filosofi con gli lor modi di filosofare volse che fussero a fatto dispreggiate. Teofilo.

Benché,

più fondato lui;

de quanti

filosofi sono,

su l’ imaginazioni

e se pur

qualche

volta

e rimosso

dice cose

io non

conosca

dalla natura

eccellenti,

son

che cono-

sciute che non dependeno da principii suoi, e però sempre son proposizioni tolte da altri filosofi; come ne veggiamo molte

mali

divine

nel libro

Della

generazione,

Meteora,

De

ani-

e Piante.

Dicsono.

Tornando

che della 1 materia,

dunque

senza

errore

al nostro proposito: e incorrere

volete

contradizione,

se possa definire diversamente? Teofilo. Vero, come del medesmo

oggetto possono esser

giodici

cosa

diversi

sensi,

ec la medesma

si può

insinuar

diversamente. Oltre che (come è stato toccato) la considerazione di una cosa si può prendere da diversi capi. Hanno dette molte cose buone gli epicurei, benché non s' inalzassero sopra la qualità materiale. Molte cose excellenti ha date a conoscere Eraclito, benché non salisse sopra l’anima. Non manca Anassagora * di far profitto nella natura, perché 1 Ossia,

circa la materia.

Definire,

usato

assolutamente.

? Cfr. più avanti, p. 311; e il De imwm., III, 8, in Opera, I, 1, 377. (B. 79-80)

(W.

I, 259-60)

(L. 256)

278

(G.1

I, 209-10) (G.2 I, 216-7).

DIALOGO

TERZO

non solamente entro a quella, ma fuori e sopra, forse, cono-

scer

voglia

un

intelletto,

il quale

medesmo

da

Socrate,

Platone, Trimegisto ! e nostri teologi è chiamato Dio. Cossi nientemanco bene può promovere a scuoprir gli arcani della natura uno che comincia dalla raggione esperimentale

di semplici

(chiamati

da loro), che quelli che cominciano

dalla teoria razionale. E di costoro, non meno

chi da com-

plessioni che chi da umori %, e questo non più che colui che

descende da’ sensibili elementi, o, più da alto, quelli assoluti, o da la materia una, di tutti più alto e più distinto

principio. Perché talvolta chi fa pi lungo camino, non farà

però si buono peregrinaggio, massime se il suo fine non è tanto la contemplazione quanto l'operazione. Circa il modo poi di filosofare, non men

come che

da un implicato distribuirle come

comodo

sarà di esplicar le forme

che distinguerle da una

come

da. un caos,

fonte ideale, che

cacciarle

in

atto come da una possibilità, che riportarle come da un seno, che dissotterrarle alla luce come da un cieco e tenebroso

abisso; perché ogni fundamento è buono, se viene approvato per l’edificio, ogni seme è convenevole se gli arbori e frutti sono desiderabili. Dicsono. Or, per venire al nostro scopo, piacciavi apportar la distinta dottrina di questo principio. Teofilo. Certo, questo principio, che è detto materia, ! Ermete o Mercurio Trimegisto, autore favoloso di parecchi scritti della fine del sec. III d. C., in cui le dottrine platonico-pita-

goriche sono mescolate a dottrine egiziane ed orientali, e che ebbero una grande fortuna e autorità nel M. E., specie tra gli alchimisti.

Esso è pur menzionato dal B. nel De îmm., III, 8 (I, 1, 376), oltre che nel Cand., I, 9 (nello Spaccio p. 784 e negli Er. Fur. p. 1074). % I quattro umori della medicina ippocratica e galenica, com-

battuti da Paracelso. (B.

80-1)

(W.

I,

260)

(L.

256-7)

279

(G.!

I,

2i0-1)

(G.2

I,

217-S).

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

può essere considerato in doi modi: tenza; secondo, come un soggetto.

E

UNO

prima, come una poIn quanto che presa

nella medesima significazione che potenza, non è cosa nella quale, in certo modo e secondo la propria raggione, non possa ritrovarse; e gli pitagorici ', platonici, stoici e altri non meno l' han posta nel mondo intelligibile che nel sensibile. E noi, non la intendendo appunto come quelli la intesero, ma con una raggione più alta e più esplicata, in questo modo

raggionamo

della potenza over possibilità.

La potenza comunmente si distingue in attiva, per la quale il soggetto di quella può operare; e in passiva, per la quale o può essere, o può ricevere, o può avere, o può essere soggetto di efficiente in qualche maniera. De la potenza attiva non raggionando al presente, dico che la potenza che significa in modo passivo (benché non sempre sia passiva) si può considerare o relativamente o vero * assolutamente.

E cossi non

è cosa

di cui si può

dir l'essere,

della

quale non si dica il posser essere. E questa si fattamente risponde

alla potenza attiva, che l’ una non è senza l' altra

in modo

alcuno;

onde se sempre

è stata la potenza di fare,

di produre, di creare, sempre è stata la potenza di esser fatto, produto e creato; perché l'una potenza implica l’altra; voglio dir, con esser posta, lei pone necessariamente

l’altra 3. La qual potenza, perché non dice imbecillità in quello di cui si dice, ma piuttosto confirma la virti ed efficacia, anzi al fine si trova che è tutt'uno ed a fatto la me-

desma cosa con la potenza attiva, non è filosofo né teologo che dubiti di attribuirla al primo principio sopranaturale. 1 I neopitagorici. è B: considerare 0 vero.

3 Cfr. De l’infinito,

(B.

81-2)

(W.

p. 384.

I, 26o0-1)

(L.

257)

280

(G.!

I, 211-2)

(GI,

218).

DIALOGO

TERZO

Perché la possibilità assoluta per la quale le cose che sono

in atto, possono

essere, non

è prima che la attualità,



tampoco poi che quella. Oltre, il possere essere è con lo essere

in atto, e non precede quello; perché, se quel che può essere, facesse se stesso, sarebe prima che fusse fatto, Or contempla

il primo e ottimo principio, il quale è tutto quel che può essere,

e lui

medesimo

non

sarebe

tutto

se

non

potesse

essere tutto; in lui dunque l'atto e la potenza son la medesirna cosa! Non è cossî nelle altre cose, le quali, quantunque sono quello che possono essere, potrebono però non esser forse,

e certamente

altro,

o altrimente

che

quel

che

sono;

perché nessuna altra cosa è tutto quel che può essere. Lo uomo è quel che può essere, ma non è tutto quel che può essere. La pietra non è tutto quello che può essere, perché

non

è calci 2, non

è vase,

non

è polve,

non

è erba.

Quello che è tutto che può essere, è uno, il quale nell’esser suo comprende ogni essere. Lui è tutto quel che è e può essere qualsivoglia altra cosa che è e può essere. Ogni altra cosa non è cossî. Però la potenza non è equale a l’atto, perché non è atto assoluto ma limitato; oltre che la potenza sempre è limitata ad uno atto, perché mai ha più che uno essere specificato e particolare; e se pur guarda ad ogni forma ed atto, questo è per mezzo di certe disposizioni e con certa successione di uno essere dopo l’altro. Ogni potenza dunque ed atto, che nel principio è come complicato, unito 1 Il Cusano,

nel dial. De

possest,

in princ.

aveva

detto:

« Possi-

bilitas absoluta.... per quam ea quae actu sunt, actu esse possunt, non praecedit actualitatem, neque etiam sequitur. Quomodo enim actualitas est posset possibilitate non existente? Coaeterna ergo

sunt ed.

absoluta

potentia

cit., t. I, p. 250, * Forma erronea.

(B.

82-83)

(W.

et

actus

cfr. Tocco,

I, 261)

(L.

et

257-8)

281

utriusque

Fonti,

(G.I

pp.

potentia »:

42-43.

I, 212)

(GI,

Opera,

218-9).

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

e uno, nelle altre cose è esplicato, disperso e moltiplicato !. Lo universo, che è il grande simulacro, la grande imagine e l'unigenita natura, è ancor esso tutto quel che può essere, per le medesime specie e membri principali e continenza di tutta la materia, alla quale non si aggionge e dalla quale non si manca,

di tutta e unica forma;

ma

non

già è tutto

quel che può essere per le medesime differenze, modi, proprietà ed individui. Però non è altro che un’ombra del primo atto e prima potenza, e pertanto in esso la potenza e l’atto non è assolutamente la medesima cosa, perché nessuna parte sua è tutto quello che può essere. Oltre che in quel modo

specifico

che

abbiamo

detto,

l'universo

è tutto

quel

chie può essere, secondo un modo esplicato, disperso, distinto.

Il principio suo è unitamente tutto

è tutto e il medesmo

e indifferentemente;

semplicissimamente,

perché

senza

dif-

ferenza e distinzione. Dicsono.

Che dirai della morte,

della corrozione, di vizii,

di diffetti, di mostri? Volete che questi ancora abiano luogo in quello che è il tutto, che può essere ed è in atto tutto quello che è in potenza? Teofilo. Queste cose non sono atto e potenza, difetto

e impotenza,

che

si trovano

nelle

ma sono

cose

esplicate,

perché non sono tutto quel che possono essere, e si forzano a quello che possono

essere.

Laonde,

non possendo

essere

insieme e a un tratto tante cose, perdeno l'uno essere per aver l’altro: e qualche volta confondeno l'uno essere con l'altro, e talor sono diminuite, manche e stroppiate per l' incompassibilità di questo essere e di quello, e occupazion ! E il Cusano: « Volo dicere quod omnia illa complicite in Deo sint Deus, sicut explicite in creatura mundi sunt mundus»: p. 251. (B.

83-4)

(\V.

I,

261-2)

(L.

258)

282

(G.!

I,

212-3)

(G.2

I,

219-20).

DIALOGO

TERZO

della materia in questo e quello. Or tornando al proposito, il primo principio assoluto è grandezza e magnitudine +; ed è tal magnitudine e grandezza, che è tutto quel che può essere. Non è grande di tal grandezza che possa essere maggiore, né che possa esser minore, né che possa dividersi, come ogni altra grandezza che non è tutto quel che può essere; però è grandezza massima, minima, infinita, imparti-

bile e d'ogni misura 1, Non è maggiore, per esser minima; non è minima, per esser quella medesima massima; è oltre ogni equalità, perché è tutto quel che ella possa essere. Questo che-dico

della grandezza,

si può dire: perché che possa essere; è essere; e non è altro se non questo uno.

intendi di tutto quel che

è similmente bontà che è ogni bontà bellezza che è tutto il bello che può bello che sia tutto quello che può essere, Uno è quello che è tutto e può esser

tutto assolutamente. Nelle cose naturali oltre non veggiamo

cosa alcuna che sia altro che quel che è in atto, secondo il quale è quel che può essere, per aver una specie di attualità; tuttavia né in quest'unico esser specifico giamai è tutto quel che può essere qualsivoglia particulare. Ecco il sole: non è tutto quello che può essere il sole, non è per tutto dove può essere il sole, perché, quando è oriente a la terra, non gli è occidente, né meridiano, né di altro aspetto ?. 1 B: grandezza, è magnitudine (ma GARDE, p. 258, riga 38), cfr. subito grandezza. * E

il

Cusano:

«Deus

est

grandezza é ecc.: cir. Ladopo: fel magnitudine et

magnus...,

sed

sic

magnus,

quod

magnitudo quae est omne id quod esse potest. Nam non est magnus magnitudine, quae maior esse potest, aut magnitudine quae dividi

et minui potest.... minima»: p. 251. ilum

3 Cusano:

(B.

(Deum). 84-5)

(W.

Tunc

« Clare

Deus

videtur,

Hic enim I, 262)

est

hic

magnitudo

Sol

non

Sol sensibilis dum

(L.

258-0)

283

(G.!

maxima

esse

pariter

aliquid

est in Oriente,

I, 213-4)

(G.3

simile

non

I, 220-1).

et

ad

est

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

Or se vogliamo mostrar il modo con il quale Dio è sole, diremo (perché è tutto quel che può essere) che è insieme oriente, occidente, meridiano, merinoziale e di qualsivoglia di

tutti

punti

de

la convessitudine

della

terra;

onde,

se

questo sole (o per sua revoluzione o per quella della terra) vogliamo intendere che si muova e muta loco, perché non è attualmente! in un punto senza potenza di essere in tutti gli altri, e però ave attitudine ad esservi; se dunque è tutto quel che può essere e possiede tutto quello che è atto a possedere, sarà insieme per tutto ed in tutto; è si fattamente

mobilissimo

e immobilissimo.

e velocissimo,

che

è anco

stabilissimo

Però tra gli divini discorsi troviamo

che

è detto stabile in eterno e velocissimo che discorre da fine a fine=; perché se intende inmobile3 quello che in uno istante

medesimo si parte dal punto di oriente ed è ritornato al punto di oriente, oltre che non meno si vede in oriente che in occidente e qualsivoglia altro punto del circuito suo; per il che non è più raggione che diciamo egli partirsi e tornare, esser partito e tornato, da quel punto a quel punto, che da qualsivoglia altro de infiniti al medesimo. Onde verrà esser tutto e sempre in tutto il circolo ed in qualsivoglia parte di quello; e per consequenza ogni punto indiin qualibet parte coeli, ubi esse potest, et

minimus,

ubique

ut

non

possit

esse

et ubilibet » ecc.: p. 252.

1 (GI (= L): non ® Cusano: «Iam

theologos, quorum est, omni

mobili

nec

neque est maximus

maior

nec

minor,

pariter

neque

est

è attualmente; G®: non attualmente) intelligitis facilius quomodo concordabitis

alter [Saf., VII. 25] dicit sapientiam, quae Deus

mobiliorem,

et verbum

velociter

currere

et omnia

penetrare atque a fine ad finem pertingere atque ad omnia progredi; alius vero [Saf., VII, 22) dicit primum principium fixum, immobile, stare in quiete, Fonti, l. c.

licet

det

3 (G1 = L: inmobîle;

(B.

35-6)

(W.

I, 262-3)

omnia

G%: (L.

moveri

» ecc.:

p.

254,

cfr.

Tocco,

immobile) 259-60)

284

(G.!

I, 214-5)

(GT,

221-2).

DIALOGO

viduo

dell'eclittica contiene

cossi viene uno

individuo

TERZO

tutto il diametro

del sole. E

a contener il dividuo;

il che non

accade per la possibilità naturale, ma sopranaturale; voglio dire quando si supponesse che il sole fosse quello che è in atto tutto quel che può essere. La potestà sf assoluta non è solamente quel che può essere il sole, ma quel che è ogni cosa e quel che può essere ogni cosa: potenza di tutte le potenze, atto di tutti gli atti, vita di tutte le vite, anima di tutte le anime, essere de tutto l’essere; onde altamente è

detto dal Revelatore: « Quel che è, me invia; Colui che è, dice cossi » . Però quel che altrove è contrario ed opposito, in lui è uno

e medesimo,

ed ogni

cosa

cossi discorri per: le differenze di tempi

in lui è medesima e durazioni,

per le differenze di attualità e possibilità.

Però

cosa antica

che ben

e

non

è

cosa

nuova;

per il

lui

come

non è disse il

Revelatore: « primo e novissimo » 2. Dicsono. Questo atto absolutissimo, che è medesimo che l’absolutissima potenza, non può esser compreso da l'intelletto, se non per modo di negazione: non può, dico, esser capito, né in quanto può esser tutto, né in quanto è tutto. Perché l'intelletto, quando vuole intendere, gli fia mestiero di formar la specie intelligibile, di assomigliarsi, di conmesurarsi ed ugualarsi3 a quella: ma questo è impossibile, perché l’intelletto mai è tanto che non possa essere maggiore; e quello per essere inmenso da tutti lati e modi non può esser più grande. Non è dunque occhio ch'approssimar si possa o ch'abbia accesso a tanto altissima luce e si profondissimo abisso 4. I Esodo,

III,

14.

* Apocalisse,

I, 17: cfr. Jsaia, XLI,

4 Cfr.

furori,

3 Ugualare Eroici

frequente

nei

p. 1123.

secc.

4; XLIV,

XIV-XVI

.

6; e XLVIII,

per

ugnagliare.

(B. 86-7) (W. I, 263) (L. 260) (G.! I, 215-6) (G2 I, 222). 285

12.

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

Teofilo. La concidenzia di questo atto con l’assoluta potenza è stata molto apertamente descritta dal spirto divino dove dice: « Tenebrae non obscurabuntur a te. Nox sicut dies illuminabitur, Sicut tenebrae eius, ita et lusnen eius » =, Conchiudendo, dunque, vedete quanta sia l’eccellenza della potenza, la quale, se vi piace chiamarla raggione di materia,

che

non

hanno

penetrato-i

filosofi

volgari,

la

possete senza detraere alla divinità trattar più altamente,

che Platone nella sua Politica e il Timeo? dis, Costoro, per

averno3 troppo alzata la raggione della materia, son stati scandalosi ad alcuni teologi. Questo 4 è accaduto o perché quelli non si son bene dechiarati, o perché questi non hanno bene inteso, perché sempre prendeno il significato della materia secondo

che è soggetto

di cose naturali, solamente

come nodriti nelle sentenze d’Aristotele; e non considerano che la materia

è tale appresso

gli altri, che

è comune

al

mondo intelligibile e sensibile, come essi dicono, prendendo il significato secondo una equivocazione analoga. Però, prima che sieno condannate,

denno essere ben bene essami-

nate le opinioni, e cossf distinguere i linguaggi come distinti gli sentimenti;

atteso che, benché

talvolta in una raggion comune

son

tutti convegnano

della materia, sono diffe-

renti poi nella propria. E quanto appartiene al nostro pro-

posito, è impossibile (tolto il nome della materia, e sie capzioso e malvaggio ingegno quanto si voglia) che si trove teologo che mi possa-imputar impietà per quel che dico 1 (G! = L: obscurabuntur;

2 Salmo,

CXXXVIII,

12.

G3: abscurabuntur)

2 bis (G1 spaziegg.; G? in corsivo. Ma qui si allude di Locri come filosofo e non al titolo del dial. (cfr. trad. 3 Cfr.

4 BL: (BD.

87-8)

sopra,

p.

T.[eophilo) (W.

61,

n.

1.

(andando

I, 263-4)

(L.

a capo 260-1)

286

(G.!

(soltanto I, 216)

a Timeo Namer.))

L)). (GI,

222-3).

DIALOGO

TERZO

e intendo della coincidenza della potenza e atto, prendendo assolutamente l'uno e l’altro termino. Onde vorrei inferire che, — secondo tal proporzione quale è lecito dire, in questo simulacro di quell'atto e di quella potenza (per essere in atto specifico tutto quel tanto che è in specifica potenza, per tanto che l'universo, secondo tal modo, è tutto quel che

può

essere),

numerale, absoluta

sie che



viene!

dall'atto,

si voglia

quanto

all'atto

ad aver una potenza

una

anima

non dico il composto, ma il verso sia un primo principio più distintamente materiale dalla similitudine del predetto,

non

e potenza

la quale

absoluta

da

non

è

l’animato,

semplice: onde cossîf de l’uniche medesmo se intenda, non e formale, che possa inferirse potenza absoluta e atto. Onde

non fia difficile o grave di accettar al fine che il tutto, secondo la sustanza, è uno, come forse inte-

se Parmenide ' di, ignobilmente trattato da Aristotele *. ! (G! presenta questo che riflette quella originale a quella

adottata

tal proporzione,

ora

brano con (cfr. L) cd

dall'Amerio:

Onde

la seguente interpunzione è sostanzialmente analoga vorrei

inferire

quale è lecito dire, in questo simulacro

che,

secondo

di quell’atto

e di quella potenza, — per essere in alto specifico tutto quel tanto che è in specifica potenza, per tanto che l'universo, secondo tal modo, è tutto quel che può essere (sie che si voglia quanto all'atto e potenza numerale),

—-

viene...)

1 dis Cfr, più innanzi, p. 319, Sigil!us Sigillor., in Opera, MI, 11, 180.

® Phys., I, 2 (ma 3); art. III (Opera, I, 1, 96-8):

Metaph., 986 b, 30. Nell'Acrotisamis, « Unum ens infinitum immobile bene

posuit Xenophanes, ut eius discipulus Parmenides et huius discipulus

Melissus, nec feliciter eos insectatur Aristotiles.... Adversus istos orthodoxa intelligentia examinatos, quid rationis habeat Aristotiles non coniicio; sed, cum gravior occasio dabitur, ad singulas aristo-

telicac invectivac partes respondebimus ». Nella

Causa

Parmenide

(p.

Parmenide;

citato da solo, quasi il principale rappresentante della scuola eleatica. Non ha luogo quindi l'osservazione del Lasson contro q. 1. della Causa 146):

taph.,

« Del

resto

Arist.

parla

con

stima

di

I, 5 lo pone esplicitamente al disopra di Senofane

in

e Melisso ».

(B. 88) (\W. I, 264) (L. 261) (G.! I, 216-7) (GT, 223). 287

Me-

è

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

Dicsono. Volete dunque che, benché descendendo per questa scala di natura, sia doppia sustanza, altra spirituale, altra corporale,

che

in somma

l'una

e l’altra se riduca

ad

uno essere e una radice. Teofilo. Se vi par che si possa comportar da quei che non penetrano più che tanto. Dicsono. Facilissimamente, purché non t’inalzi sopra i termini

della natura.

Teofilo. Questo è già fatto. Se non avendo simo

senso

e modo

di diffinire della divinità,

quel medeil qual

è co-

mune ', avemo un particolare, non però contrario né alieno

da quello, ma più chiaro forse e pit esplicato, secondo la raggione

che

non

è sopra

il nostro

discorso,

da

la quale

non vi promesi di astenermi. Dicsono. Assai è detto del principio materiale, secondo la raggione della possibilità o potenza; piacciavi domani di apparecchiarvi alla considerazion del medesimo, secondo la raggione dell'esser soggetto. Teofilo. Cossi farò.

Gervasio. A rivederci. Poltinnio. Bonis avibus ?.

Fine

del

terzo

dialogo.

a

1 B:

il quale comune.

® Augurio

già

volatili ». OvipIo, mihique ». (B.

89)

(W.

usato

Fesf.,

da

Manfurio

I, 513:

I, 264-5)

(L.

« Este

261)

286

nel

Cand.,

bonis

(G.I

I,

avibus

I, 217)

(G.2

5:

« Coi

visae

fausti

natoque

I, 224).

DIALOGO

QUARTO

Poliinnio. Et os vulvae nunquam dicit: sufficitt: id est, scilicet, videlicet, utpote, quod est dictu, materia (la qual viene significata per queste cose) recipiendis formis numquam expletur. Or, poi che altro non è in questo Liceo, vel potius Antiliceo, solus (ita, inquam, solus, ut minime omnium

solus)

deambulabo,

ei

ipse

mecum

confabulabor.

La materia, dunque, di peripatetici dal prencipe e dell’altigrado ingenio del gran Macedone moderatore, non minus che

dal

Platon

divino

e altri,

or chaos,

or kyle,

or sylva,

or massa, or potenzia, or aptitudine, or privationi admixtum,

or peccati causa, or ad maleficium ordinata, or per se non ens, or per se non scibile, or per analogiam ad forma cognoscibile, or tabula

stratum,

or

rasa,

or indepictum,

substerniculum*,

indeterminatum,

or

or subiectum,

campus,

or

or sub-

infinitum,

or

or prope nihil, or neque quid, neque quale,

neque quantum ; tandem dopo aver molto con varie e diverse 1 Proverbi

di SALOMONE,

XXX,

1-6:

« Tria

sunt

insaturabilia,

et quartum, quod nunquam dicit: Sufficit. Infernus et os vulvae ct terra, quae non satiatur aqua: ignis vero nunquam dicit; Sufficit ».

Manfurio nel Cand., IT, 1: « Terra mai sazia, fuoco e vulva cupida ». 2 Da swbsterniuni: letto, strame che si stende sotto le bestie. (B.

90-1)

(W.

I,

265)

(L,

20r-2)

289

(G.!

I,

[218]))

(G.3

I,

[225]).

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

nomenclature (per definir questa natura) collimato ', ab ipsis scopum ipsum attingentibiis, femina vien detta; tandem, inquam (ut una complectantur omnia vocabula 2), a melius rem ibsam perpendentibus focmina dicitur3. Et mehercle, non senza non mediocre caggione a questi del Palladio regno senatori ha piaciuto di collocare nel medesimo equilibrio queste due cose: materia e femina; poscia che da l'esperienza fatta del 4 rigor di quelle son stati condotti a quella rabia e quella frenesia (or qua mi vien per filo un color retorico). Queste sono un chaos de irrazionalità, lyle di

sceleraggini,

selva

di

ribalderie,

massa

d’ immundizie,

aptitudine ad ogni perdizione (un altro color retorico, detto da alcuni complexio! 5). Dove era in potenza, non solum remoa ma etiam propinqua, la destruzion di Troia ? In una donna *. 1 Cîr. lat. collinzo -as, dare nel segno. ® BL: vocula.

3 « Aristotile stesso contrappone la materia alla forma come la femmina al maschio (De gen. anim., I, 2). Come la materia è l’elemento puramente passivo, inerte (De gen. et corr., II, 9), così la femmina è senza attività (De gen. anim., IV, 1). La materia è il

xaxorotéy, l'elemento difettoso, perturbatore,

che impedisce il con-

seguimento dei fini della natura e diviene cagione di mostruosità e mutilazioni, se la forma non riesce a prevalere su di essa (Phys., I, 9; De gen. anim., IV, 4). Quindi la femmina è per se stessa qualche cosa d'incompleto, e in certo modo un maschio evirato (De gen. anim., II, 3; IV, 1) ». Lasson, p. 147, n. 54. Poliinnio è la caricatura di queste idee di Aristotile. — Il paragone, del resto, della materia

alla femmina

non è proprio

di Aristotile;

(Tim., 50 D), da cui lo ripete Plotino, Ewx., Le opp. lat. di G. B., n. 3 a pp. 343-4. 4 B (I): dal.

perché

è già in Platone

III, 6, 19;

cfr. Tocco,

5 BL: complessio. «Figura rhetorum, quae repetitionem et conversionem amplectitur »: Cic., Ad Herenn., IV, 14. (L’interpunz. del G. è qui inesatta: complezio va riferito al brano che segue (cfr.

l’es.

fornito

6 Tema

tesca,

che

(B. 91)

al I. c.).)

molto

prendeva

(W.

sfruttato

le mosse

I, 265-6)

nella

dalla

(L. 262)

letteratura sesta

(G.1

290

misogina

satira

T, [(218])-9)

di

cinquecen-

Giovenale.

(G.2 I, [225]-6).

DIALOGO

Chi

fu

l’instrumento

fortezza?

di

mascella

quello

d'asino

QUARTO

della eroe,

destruzion

della

dico,

con

io

che

che si trovava, dovenne

di filistei? Una

donna‘.

la forza del gran

Chi domò

capitano

quella

sua

trionfator invitto

a Capua=*

e nemico

sansonica

perpetuo

l’empito

e

della repu-

blica romana, Annibale? Una donna! (Exclamatio!)3 Dimmi, o cytaredo profeta, la caggion della tua fragilità. — Quia in peccatis concepit me mater mea 4. — Come, o antico nostro protoplaste 5, essendo tu un paradisico ortolano e agricoltor de l’arbore de la vita, fuste maleficiato sf, che te

con tutto il germe umano al baratro profondo della perdizion risospingesti? Mulier, quam dedit miki: ipsa, ipsa me decepit 6. —

forma

Procul dubio, la forma non pecca e da nessuna

proviene

errore,

se non

per

esser

congionta

materia. Cossi la forma, significata per il maschio,

alla

essendo

posta in familiarità della materia e venuta in composizione o copulazion con quella, con queste parole, o pur con questa sentenza risponde alla natura naturante: Mulier, quam dedisti mihi,

— idest, la materia, la quale mi hai dato con-

sorte, — ipsa me decepit: hoc est, lei è caggione d'ogni mio peccato.

Contempla,

contempla,

divino ingegno, qualmente

gli egregii filosofanti e de le viscere della natura discreti notomisti, per porne pienamente avante gli occhi la natura

della

materia,

non

han

ritrovato

che con avertirci con questa

più

accomodato

modo

proporzione,, qual significa il

! «Dalila, quae habitabat in valle Sorec» (Lib. Iudicum,XVI,

® O piuttosto a Salpi, in Capitanata. 3 (G! (cfr. L): (Exclamatio!) Dimmi;

Dimmi:

ma

cfr.

4 Salmo 5 Cfr.

L,

sopra,

6 Genesi, (B.

91-2)

Ad

6 (ma

III,

(W.

p.

I,

Herenn.,

7).

199,

12-4. 266)

n.

(L.

IV,

15.)

262-3)

(G.!



G. Bruno,

Dialoghi

(Exclamatio!).

I.

291 23

G?:

4-5).

italiani

I,

219-20)

(G.?

I, 226-7).

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

stato delle cose naturali per la materia essere come l’economico, politico e civile per il femineo sesso. Aprite, aprite gli occhi, ecc.1 — Oh, veggio quel colosso di poltronaria, Gervasio,

il quale

il filo. Dubito

interrompe

della mia

nervosa

orazione

che son stato da lui udito; ma che importa?

Gervasio. Salve, magister doctorum optime! Poliinnio. Se non (tuo more) mi vuoi deludere 1 dis 1y quoque, salve! Gervasio. Vorrei saper che è quello che andavi solo ruminando ? Politnnio. apud

Studiando

Aristotelem

in calce ?, dove,

nel

est, locum volendo

mio

museolo,

incidi,

del

elucidare

che

in

primo cosa

eum,

della

qui

Fisica

fosse la prima

materia, prende per specchio il sesso femminile;

sesso, dico,

ritroso, fragile, inconstante, molle, pusillo, infame, ignobile,

vile,

abietto,

roso,

frigido,

perfido,

indegno,

deforme,

neghittoso,

imperfetto, tenuato,

negletto,

rugine,

vacuo,

putido,

incoato,

reprobo, vano,

sozzo,

insufficiente,

eruca 4, zizania,

sinistro,

vitupe-

indiscreto,

insano,

ingrato,

trunco,

mutilo,

preciso 3, amputato, peste,

morbo,

at-

morte,

Messo tra noi da la natura a Dio Per una soma e per un greve fio 5.

Gervasio. Io so che voi dite questo più per esercitarvi ne l’arte oratoria e dimostrar quanto siate copioso ed eloI (Leggerei:

1 sis

? Cap.

e

(il G.

Deludere,

IX,

3 Latinismo:

pp.

192

reciso.

accoglie

canzonare.

l'integraz.

del

Lac.:

et(c).)

a 22.

4 Lat. eruca, insetto parassita della verdura. 5 ARIOSTO, Orl. Fur., XXVII, 119: « Credo che t’abbia la Natura e Dio Produtto, o scellerato sesso, al mondo, Per una soma, per un grave fio Dell'uom.... », cfr. sopra, p. 221; Caend., I, 5; MERLIN Cocat, Per alphabetum, in Opera, ed. Bari, I, 28.

(B.

92-3)

(W.

I, 266-7)

(L.

263)

292

(G.I

I, 220)

(G2

I,

227-8).

DIALOGO

quente,

QUARTO

che abbiate tal sentimento

paroli. Perché vi chiamate

che dimostrate per le

è cosa ordinaria a voi, signori umanisti,

professori de le buone lettere, quando

che

vi ritro-

vate pieni di que' concetti che non possete ritenere, non andate a scaricarli altrove che sopra le povere donne; ‘come quando qualch’altra còlera vi preme, venete ad isfogarla sopra il primo delinquente di vostri scolari. Ma guardatevi,

signori

Poliinnio.

Orfei, dal furioso sdegno

de le donne tresse 1,

Poliinnio* son io, no’ sono * BÎs Orfeo.

Gervasto,3 Dunque, non biasimate le donne da dovero? Poltinnio. Minime,

minime quidem.

Io parlo da dovero,

e non intendo altrimente, che come dico; perché non fo (sophistarun more) professione di dimostrar ch’il bianco è nero. Gervasio. Perché dunque vi tingete la barba? 4. Poliinnio, Ma ingenue loquor; e dico, che un uomo senza donna è simile a una de le intelligenze;

è 5, dico, uno eroe,

un semideo, qui non duxit uxorem. Gervasio. Ed è simile ad un’ostreca e ad un fungo ancora, ed è un

tartufo.

Poliinnio,

Onde

Credite,

divinamente Pisones,

disse il lirico poeta:

melius

nil

caelibe

vita

£.

1 Cfr. sopra, p. 171, n. 2. Circa il « vizio nefando », di cui eran macchiati troppo spesso questi «umanisti», come pur li chiama

l’AriosTo (Sat., VII, 25), cfr. p. 215, nonché le allusioni del B. nello Spaccio (p. 585) e la nota dello Spamp. (Cand.2, p. 142). % (Vedi p. 254, nota 5.) 2 dis (G1 = L: sono; G2: son) 3 (L (= B): G[ervasio].; W Lasson G! SG? Am: Dics[on].)

4 Il TANSILLO scrisse un capitolo, In lode di quelli che si tingono la barba ed il capo. II,

5 B:

e (ma

3,

Credite,

6 Orazio, 6:

(B. 93-4)

é:

cfr.

Epist.,

(W.

Lac.)

I, 1, 88: Melius

Pisones.

I, 267)

(L. 263-4)

293

nil caelibe, vita; ed

(G.1 I, 220-1)

Epist.,

(G.2 I, 228).

DE

LA

CAUSA,

PRINCIPIO

E

UNO

E se vuoi saperne la caggione, odi Secondo femina », dice egli, «è uno

impedimento

orribil

mare,

filosofo: « La

di quiete,

danno

continuo, guerra cotidiana, priggione di vita, tempesta di casa, naufragio de l’uomo »*. Ben lo confirmò quel Biscaino? che, fatto impaziente e messo in còlera per una fortuna

e furia

del

con

un

torvo

e colerico

viso, rivoltato all'’onde: — Oh mare, mare, disse, ch'io ti potesse maritare! — volendo inferire che la femina è la

tempesta de le tempeste 3. Perciò Protagora, dimandato perché avesse data ad un suo nemico la figlia, rispose che non possea fargli peggio che dargli moglie. Oltre, non mi farà mentire un buon uomo francese, al quale (come a tutti

gli altri che

pativano

essendo 1 comandato

pericolosissima

da Cicala, padron

1 Secondo d'Atene,

tempesta

de la nave :

interpelri)

I,

1.

(ma in B si legge la c).)

544

DIALOGHI

MORALI

SPACCIO

DE LA BESTIA TRIONFANTE PROPOSTO

DA GIOVE,

EFFETTUATO DAL CONSEGLIO, REVELATO DA MERCURIO, RECITATO DA SOFIA, UDITO DA SAULINO, REGISTRATO DAL NOLANO; DIVISO

IN

TRE

DIALOGI,

SUBDIVISI

IN

TRE

PARTI;

CONSECRATO AL MOLTO

ILLUSTRE Sic.

ED

ECCELLENTE

FILIPPO

STAMPATO

SIDNEO.

IN

PARIGI

M.D.LXXXIIILL

39

--

G. Bruno,

Dialoghi

italiani

CAVALLIERO

EPISTOLA

ESPLICATORIA SCRITTA

AL

MOLTO

SIGNOR

ILLUSTRE

ED

FILIPPO

Cieco chi non chi nol ringrazia;

ECCELLENTE

SIDNEO!

CAVALLIERO

DAL

NOLANO.

vede il sole, stolto chi nol conosce, ingrato se tanto è il lume, tanto il bene, tanto il

beneficio; per cui risplende, per cui eccelle, per cui giova; maestro de sensi, padre di sustanze, autor di vita. Or non so qual

mi

ingegno,

sarei,

non

vostri meriti;

principio

conceduto

eccellente

onorasse

ch'io

con

Signore,

gli vostri costumi,

giunsi

il tempo;

a l’ isola Britannica,

vi manifestate

stimasse

non

gli quali vi siete scuoperto

casione vi presenta; e remirate la vostra natural inclinazione

dunque,

se io non

a molti,

il vostro

celebrasse* gli

a me

nel primo

per quanto per

quanto

v' ha

l’oc-

a tutti, per quanto vi mostra veramente eroica. Lasciando,

il pensier dei tutti ai tutti, ed il dover

de’ molti a'

molti, non permetta il fato, che io, per quel tanto che spetta al mio particolare, come tal volta mi son mostrato sensitivo

verso le moleste ed importune discortesie d'alcuni; cossf avanti gli occhi de l'eternità vegna a lasciar nota d’ ingratitudine, voltando

le spalli3 a la vostra

bella,

fortunata

e cortesissima

patria, prima ch’al meno con segno di riconoscenza non vi salutasse, gionto al generosissimo e gentilissimo spirito del 1 Intorno

al

Sidney,

vedi

p.

70,

n.

1.

® Io non stimasse...., non onorasse...., non celebrasse. Più giù non salutasse. Quanto a questa desinenza dell'impf. c., v. Cand.,

p. LVII.

3 Cfr.

appresso,

p. 551,

n.

I.

(B. (3-4) (W. II, 107) (L. 404) (G.t IL [3]) (GIL, 549

[3)).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

signor Folco Grivello !. Il quale, come con lacci di stretta e lunga amicizia, con cui siete allevati, nodriti e cresciuti insieme,

vi sta congionto:

cossi nelle molte

e degne,

esterne ed interne

perfezioni v’'assomiglia; ed al mio riguardo fu egli quel secondo, che,

appresso

gli vostri primi,

gli secondi

offici mi

propose

ed

offerse: quali io arrei accettati, e lui certo arrebe effettuati, se tra noi non avesse sparso il suo arsenito de vili, maligni ed

ignobili

interessati

l’ invidiosa

Erinni.

Si che, serbando a lui qualch’altra materia, ecco a voi presento questo numero de dialogi, li quali certamente saranno cossi buoni o tristi, preggiati o indegni, eccellenti o vili,

dotti o ignoranti, alti o bassi, profittevoli o disutili, fertili o sterili, gravi o dissoluti, religiosi o profani, come di quei, nelle mani

de quali

contraria

potran

maniera.

incomparabilmente

venire,

E perché

altri son de l’una,

più grande

il numero

altri de l’altra

de stolti e perversi

che de sapienti e giusti, aviene

è

che, se voglio remirare alla gloria o altri frutti che parturisce la moltitudine de voci, tanto manca ch' io debba sperar lieto successo del mio studio e lavoro, che più tosto ho da aspettar materia de discontentezza, e da stimar molto meglior il silenzio

ch' il parlare. Ma, se fo conto de l'occhio de l'eterna veritade, a cui le cose son tanto più preciose ed illustri, quanto talvolta non solo son da più pochi conosciute, cercate e possedute, ma,

ed

oltre,

tenute

ch'io tanto più torrente, quanto

a vile,

biasimate,

perseguitate;

accade

mi forze a fendere il corso de 1’ impetuoso gli veggiò maggior vigore aggionto dal tur-

bido, profondo e clivoso varco. Cossi dunque lasciaremo la moltitudine

ridersi,

scherzare,

burlare e vagheggiarsi su la superficie de mimici, comici ed istrionici Sileni, sotto gli quali sta ricoperto, ascoso e sicuro il tesoro della bontade e veritade 2, come, per il contrario, si trovano più che molti, che sotto il severo ciglio, volto sommesso,

prolissa barba e toga maestrale e grave, studiosamente a danno

1 Sul Greville e le sue relazioni col B., si guardi la n. 3 a pag. * Cfr. p. 14, n. 1.

9.

(B. [4-6)) (W. II, 107-8) (L. 404-5) (G.! II, [3]-4) (G.* II, [3]-4).

550

EPISTOLA

ESPLICATORIA

universale conchiudeno l’' ignoranza non men vile che boriosa, e non manco perniciosa che celebrata ribaldaria. Qua molti, che per sua bontà e dottrina non possono vendersi per dotti e buoni, facilmente potranno farse innanzi, mostrando quanto noi siamo ignoranti e viziosi. Ma sa Dio, conosce

stolti,

la

verità

perversi

infallibile

e scelerati,

che,

cossi

come

tal

sorte

io in miei

d'uomini

pensieri,

son

paroli!

e gesti non so, non ho, non pretendo altro, che sincerità, simplicità, verità. Talmente sarà giudicato dove l’opre ed effetti eroici non saran creduti frutti de nessun valore e ‘vani; dove

non è giudicata somma sapienza il credere senza discrezione; dove si distingueno le imposture de gli uomini da gli consegli divini; dove non è giudicato atto di religione e pietà sopraumana il pervertere la legge naturale; dove la studiosa contemplazione non è pazzia; dove ne l’avara possessione non consiste l'onore, in atti di gola la splendidezza, nella molti-

tudine de servi, qualunque sieno, la riputazione, nel meglio vestire la dignità, nel più avere la grandezza, nelle maraviglie la

verità,

nella

malizia

la

prudenza,

tezza, ne la decepzione la prudenza,

nel

tradimento

l'accor-

nel fengere il saper vivere,

nel furore la fortezza, ne la forza la legge, ne la tirannia la giustizia,

ne la violenza

il giudicio;

e cossi

si va

discorrendo

per

tutto. Qua Giordano parla per volgare, nomina liberamente, dona il proprio nome a chi la natura dona il proprio essere; non

dice vergognoso

quel

che fa degno

quel ch'ella mostra aperto;

chiama

la natura;

il pane, pane;

non

cuopre

il vino,

vino;

il bere,

bere;

il capo, capo; il piede, piede; ed altre parti, di proprio nome;

dice il mangiare,

mangiare;

il dormire,

dormire;

e cossf gli altri atti naturali significa con proprio titolo 2. Ha gli miracoli per miracoli, le prodezze e maraviglie per prodezze e maraviglie, la verità per verità, la dottrina per 1 Intorno a questo pl, v. più gii, a pp. 588 (n. 1) e Goo (n. 6) ecc. * P. ARETINO (nel cap. 4/7 Duca di Mantova) « dice pane al

pane....

Ed

abbi,

chi l’ ha a schifo,

pazienza »; e ne' Ragionamenti

(Cosmopoli, 1600), p. 50: « parla a la libera n, e p. 351: « Cento volte ho pensato, per che conto noi ci aviamo a vergognare di mentovare quello

(B.

che

[6-7))

la natura

(W.

non

II, 108-9)

s’ è vergognata

(L. 405-6)

551

di fare ».

(G.1 II, 4-5)

(G2

II, 4-5).

SPACCIO

dottrina,

DE

LA

BESTIA

la bontà e virtà

per per

imposture, coltello e

che

si dicono,

per

bontà

gl’ inganni per fuoco, le paroli

TRIONFANTE

e virtù,

inganni, e sogni

le

il coltello per paroli

imposture e

fuoco e sogni,

la pace per pace, l’amore per amore. Stima gli filosofi per filosofi, gli pedanti per pedanti, gli monachi per monachi, li ministri per ministri, li predicanti per predicanti, le sanguisughe per sanguisughe, gli disutili, montainbanco, ciarlatani, bagattellieri 1, barattoni, istrioni, papagalli per quel mostrano

e sono;

ha

gli operarii,

benefici,

sa-

transmigrazione,

del

pienti ed eroi per questo medesimo. Orsi, orsi ! questo, come cittadino e domestico del mondo, figlio del padre Sole e de la Terra madre, perché ama troppo il mondo, veggiamo come debba essere odiato, biasimato, perseguitato e spinto? da quello. Ma in questo mentre non stia ocioso, né mal occupato su

l'aspettar

de

la sua

morte,

suo cangiamento. Oggi presente3 al Sidneo

della

sua

gli numerati

ed

ordinati

semi

della sua moral filosofia, non perché come cosa nuova le mire, le conosca, le intenda; ma perché le essamine, considere e giu-

dichi; accettando tutto quel che si deve accettare, iscusando tutto quel che si deve iscusare, e defendendo tutto quel che si deve defendere contra le rughe e supercilio d’ipocriti, il dentee naso de scioli, la lima e sibilo de pedanti; avertendo gli primi, che lo stimino certo di quella religione la quale comincia, cresce e sì mantiene con suscitar morti, sanar infermi e donar del suo; e non può essere Affetto, dove si rapisce quel d’altro,

si stroppiano

i sani

ed

uccidono

gli vivi;

consegliando

a gli

secondi, che si convertano a l’ intelletto agente4 e sole intellettuale, pregandolo che porga lume a chi non n’ ha; facendo

intendere

a gli

terzi,

che

a noi

1 In questa stessa Epistola

non

(p. 568)

conviene

nonché

l'essere,

nel primo

quali

dialogo

(600): bagattelle. V. in quest'ultima pag. la n. 3; e anche il De /’ infi-

nito,, p. 492.

? Spento. Nel qual significato anche appresso;

n. 4.

1 Cioè,

4 Cfr. p.

presenti,

498,

ma già a p. 364,

offra.

n. 2.

(B. (7-8)) (W. II, 109) (L. 406) (G.1 II, 5-6) (G.2 II, 5-6). 552

EPISTOLA essi

sono,

schiavi

de

ESPLICATORIA

certe

e determinate

voci

e paroli;

ma,

per grazia de dei, ne è lecito, e siamo in libertà di far quelle servire a noi, prendendole ed accomodandole

a nostro commodo

e piacere. Cossi non ne siano molesti gli primi con la perversa conscienza,

gli secondi

con

il cieco vedere,

gli terzi con

la mal

impiegata sollecitudine, se non vogliono esser arguiti gli primi de stoltizia, invidia e malignitade; ripresi gli secondi d’ ignoranza,

presunzione

e

temeritade;

notati

gli

terzi

de

viltà,

leggerezza e vanitade: per non esserse gli primi astenuti dalla

rigida censura de nostri giudicii, gli secondi da proterva calunnia de nostri sentimenti, gli terzi dal sciocco crivellar de

nostre paroli. Or, per venire a far intendere, a chiunque vuole e puote, la mia intenzione ne gli presenti discorsi, io protesto e certifico

che, per quanto appartiene a me, approvo quello che comunmente da tutti savii e buoni è stimato degno di essere appro-

vato, e riprovo con gli medesimi il contrario. E però priego e scongiuro tutti, che non sia qualcuno di animo tanto enorme e spirito tanto maligno, che voglia definire, donando ad intendere a sé e ad altri, che ciò che sta scritto in questo volume, sia

detto

da

me

come

assertivamente!;



creda

(se

vuol

credere il vero) che io, o per sé o per accidente, voglia in punto alcuno prender

mira contra la verità, e balestrar contra

l’one-

sto, utile e naturale, e, per conseguenza, divino; ma tegna per

fermo che con tutto il mio sforzo attendo? al contrario; e se tal volta aviene ch'egli non possa esser capace di questo,

non

si determine;

ma

reste

in dubio

sin

tanto

che

non

vegna

risoluto dopo penetrato entro la midolla del senso. Considere appresso che questi son dialogi, dove sono interlocutori gli quali fanno la lor voce e da quali son raportati gli discorsi de molti e molti altri, che parimente abondano nel proprio senso, raggionando con quel fervore e zelo che massime può 1 Nella copia napolitana dello Spaccio un anonimo

di cui nella n. 2 a p. 739, osserva: « Non acerbe stomachatur in contradicentes ? ». 2 « Sed infeliciter nimis» (Post. napol.). (B.

[8-9))

(W.

II,

109-10)

(L.

406-7)

553

(G.!

asserit.

II,

6-7)

Postillatore,

Cur igitur tam

(G.?

II,

6-7).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

essere ed è appropriato a essi. Per tanto altrimente, eccetto che questi tre dialogi

non son

sia chi pense stati messi e

distesi sol per materia e suggetto d’un artificio futuro; perché, essendo io in intenzione di trattar la moral filosofia secondo il lume interno che in me ave irradiato ed irradia il divino sole intellettuale, mi par espediente prima di preponere certi preludii a similitudine de musici; imbozzar certi occolti e confusi delineamenti ed ombre, come certa fila !, come le tessetrici;

gli pittori; ordire e distendere e gittar certi bassi, profondi e

moralità,

e

ciechi fondamenti, come gli grandi edificatori: il che non mi parea più convenientemente poter effettuarsi, se non con ponere in numero e certo ordine tutte le prime forme de la vedrete colmo

che

sono

le

al presente

di tante bestie,

virtudi

introdutto come

forma di quarant'otto bandir quelli dal cielo,

vizii

un

capitali,

repentito

di tanti

nel

Giove,

vizii, il cielo,

famose imagini; ed da la gloria e luogo

modo

che

ch'avea

secondo

la

ora consultar di d’esaltazione, de-

stinandogli per il più certe regioni in terra, ed in quelle medesime stanze facendo succedere le già tanto tempo bandite e tanto indegnamente disperse virtudi 2. Or, mette in esecuzione, se vedete vituperar cose

indegne

cose

di vitupèro,

meritevoli

per detto

biasimo;

cose degne

e per

in

come

messo

teatro,

che

in

di

ciò si paiono

inalzate

abbiate

tutto

nel suo grado dirlo) inde-

difficultade,

aspetta

di stima,

il contrario;

(anco da quei che possono

finitamente 3, cacciato

di

spreggiate

mentre che vi

essere

posto

in

essaminato,

campo,

discusso

e messo al paragone, quando si consertarà la musica, si figurarà 1 Il B. non solo qui, nel concordare, si lascia guidare dalla con-

sonanza. Tuttavia più giù (p. 557) ‘le fila’, ‘medesime fila’, ecc. % Intorno alle ispirazioni che il Bruno ebbe dai dialoghi di

Lucianoe probabilmente anche dai Dialoghi piacevolissimi (Venezia,

1539) di NiccoLò Franco, nella orditura della favola dello Spaccio, v. FIORENTINO, Diall. mor. di G. Bruno, in Studi e ritratti della Ri-

nascenza,

domenica,

de

pp. a.

la bestia

3 Ossia,

345-7,

I,

n.

e Un

20,

trionfante,

senza

14

dial.

maggio

Portici,

definire

di G. B. 1882;

1902,

nel Giorn.

p.

napoletano

e SPAMPANATO,

15

e sgg.

Lo

(nel senso in cui B. usa questo

senza decidere o concludere perentoriamente. Cfr. p. 278, n. I. (B.

[9-11])

(W.

II,

r1o)

(L.

407-8)

554

(G.!

IL,

7)

(G:?

II,

della

spaccio”

verbo): 7-8).

EPISTOLA

la imagine,

ESPLICATORIA

s’ intesserà la tela, s' inalzarà

il tetto.

In questo

mentre Sofia presenta Sofia, Saulino! fa il Saulino, Giove il Giove; Momo, Giunone, Venere ed altri Greci o Egizii, disso-

luti o gravi, quel che essi e qual essi sono, e puote appropriarsi alla condizion

e natura

che possono

degni

d'essere

con

ordinarii

sione,

non

riosi e giocosi

propositi, non

abbiate

pensate

altro per

presentare.

che

tutti

occhiali

definito

Se vedete

sono

equalmente

remirati.

che l’ordine

se-

In

contlu-

ed il numero

de soggetti della considerazion morale, insieme con gli fondamenti di tal filosofia, la qual tutta intieramente vedrete figurata in essi. Del resto, in questo mezzo ognuno prenda gli frutti che può, secondo la capacità del proprio vase; perché non è cosa si ria che non si converta in profitto ed utile de buoni;

e non

è cosa

tanto buona

e degna

che non

possa

esser

caggione e materia di scandalo a' ribaldi. Qua, dunque, avendo

tutto l’altro (onde non si può raccorre degno frutto di dottrina)

per

cosa

dubia,

suspetta

ed

impendente,

prendasi

per

final

nostro intento? l’ordine, l’ intavolatura, la disposizione, l’ indice del metodo, l’arbore, il teatro e campo de le virtudi e vizii; dove appresso s' ha da discorrere, inquirere, informarsi, addirizzarsi, distendersi, rimenarsi ed accamparsi con altre considerazioni; quando, determinando del tutto secondo il

nostro

altri

lume

e propria

intenzione,

ne

filosofia verrà

pienamente

compita,

particulari

di cotal

dialogi3,

remo più per modo Abbiamo,

leggitimo

1 Sopra

? Lo stesso che

3 « È

qua

vicario

Saulino,

probabile

li quali

definitivo.

dunque,

e buon

ne

un

n.

intenzione

B.

Giove,

1.

accenni

in altri ed

l’universal

non

o luogotenente

a p. 571,

che

esplicaremo

del

architettura

e dove

preso

raggiona-

per

primo

troppo

principio

(nel senso scolastico): pensiero.

a’ suoi

diall.

scritti più

tardi

Degli evoici furori; ma è anche probabile che abbia in mente un'opera più sistematica di etica, rimasta incompiuta, o, se compiuta, sep-

pellita negli archivii del Vaticano BECK,

der

Giordano

Bruno's

triumphierenden

derichs,

{B.

1904,

[11-2))

p.

(\W.

266,

Gesammelte

Bestie

II,

n.

8.

rro-r)

ins

con altri suoi scritti »: KUHLENWerhe;

Deutsche

(L. 408)

555

Band

2: Die

iibertragen,

(G.t

II, 7-8)

Vertreibung

Leipzig,

(G2

Die-

II, 8).

SPACCIO

DE

LA

e causa

universale;

ma

ben tolto qual cosa variabile,

al

della

fato

mutazione,

BESTIA

Però,

TRIONFANTE

conoscendo

egli

suggetta

che

in

tutto

uno infinito ente e sustanza sono le nature particolari infinite ed innumerabili (de quali egli è un individuo), che, come in

sustanza,

essenza

e

natura

sono

uno,

cossi

per

raggion

del

numero che subintrano, incorreno innumerabili vicissitudini e specie di moto e mutazione; ciascuna, dunque, di esse, e particularmente Giove, si trova esser tale individuo, sotto tal composizione, con tali accidenti e circonstanze, posto in

numero per differenze che nascono da le contrarietadi, Ie quali tutte si riducono ad una originale e prima, che è primo principio de tutte l'altre, che sono efficienti prossimi d'ogni cangia-

mento e vicissitudine: ‘per cui, come da quel che prima non era Giove, appresso fu fatto Giove, cossi, da quel ch’al presente è Giove,

al

sustanza

fine

sarà

corporea

altro

(la quale

bile 2, ma rarefabile,

bile)

Giove.

non

Conosce

che

dell'eterna

è denichilabilet né adnichila-

inspessabile,

la composizione

muta

che

formabile,

si dissolve,

ordinabile,

si cangia

figura-

la complessione,

la figura, si altera l'essere, si varia la fortuna;

si

rimanendo

sempre quel che sono in sustanza gli elementi; e quell’ istesso,

che

fu sempre,

vera sustanza Conosce bene,

cangia,

che

non

perseverando

principio

materiale,

che

è

de le cose, eterna, ingenerabile, incorrottibile. che dell'eterna sustanza incorporeaà niente si

si forma o può

l’uno

si difforma;

essere suggetto

sibil che sia suggetto

ma

sempre

de dissoluzione,

rimane

pur quella

come

non

è pos-

di composizione; e però né per sé né per

accidente alcuno può esser detta morire 3; perché morte non è altro che divorzio de parti congionte nel composto; dove,

rimanendo tutto l’essere sustanziale (il quale non può perdersi)

di

ciascuna,

cessa

complessione,

bench'abbia

propriamente

quell'accidente

unione

ed ordine.

vegna

in

familiarità con

d'amicizia,

Sa che la sustanza

gli corpi,

composizione

non o

si deve

mistione

perché questo conviene a corpo con corpo, !

(L:

? (L:

3 Cfr.

(B.

denihilabile

adnihilabile De

(12-3))

(cir.

la causa,

(W.

II,

Pref.

ai Diall.

Met.,

(così pure in seguito).) p. 245,

rti-2)

(L.

d'accordo,

di

spirituale,

stimar

con

che

quelli:

a parte di materia p. xLVI).)

n. 3.

408-9)

556

(G.!

II,

8-0)

(G.2

II,

8-9).

EPISTOLA

ESPLICATORIA

complessionata d'un modo con parte di materia complessionata d’un'altra maniera; ma è una cosa, un principio efficiente ed informativo da dentro, dal quale, per il quale e circa il quale si fa la composizione; ed è a punto come il nocchiero a la nave !, il padre di fameglia in casa ed uno artefice non esterno, ma che da entro fabrica, contempra e conserva l’edificio; ed in esso

è l'efficacia di tener uniti gli contrarii elementi,

contemperar

insieme,

qualitadi,

come

in

certa

armonia,

le

far e mantenir? la composizione

il subbio 3,

pone

ordisce

gli ordini,

la

tela,

d'uno

intesse

digerisce

discordante

le

animale.

fila,

e distribuisce

Esso

modera

gli spiriti,

a

intorce

le tempre,

infibra

le

carni, stende le cartilagini, salda l’ossa, ramifica gli nervi, incava le arterie, infeconda le vene, fomenta il core, inspira gli polmoni, soccorre a tutto, di dentro, con il vital calore ed

umido radicale, onde tale ipostasi consista, e tal volto, figura e faccia appaia di fuori. Cossî si forma la stanza in tutte le cose dette animate, dal centro del core, o cosa proporzionale a quello, esplicando e figurando le membra, e quelle esplicate e figurate conservando. Cossî, necessitato dal principio della dissoluzione, abandonando la sua architettura, caggiona la ruina

de l’edificio,

la lega,

dissolvendo

togliendo

eternamente

la ipostatica

con

medesimi

li contrarii

elementi,

composizione,

temperamenti,

rompendo

per non

perpetuando

posser me-

desime fila, e conservando quegli ordini istessi, annidarsi in uno medesimo composto: però da le parti esterne e membra facendo la ritretta + al core, e quasi riaccogliendo gl’ insensibili stormenti ed ordegni, mostra apertamente, che per la medesima porta esce, per cui gli convenne una volta entrare. Sa Giove che non è verisimile né possibile che, se la materia corporale, la quale

è componibile,

1 Altrove dice anche:

ratione,

trig.

quam

statuarum,

ut

in Opera,

® F. popolare 3 Subbio,

nauta

del sec. bastone

divisibile, « Animae

in

navi

a

maneggiabile,

a diis non alia differre videntur nauta

extra

III,

253.

del

telaio,

con

cui

409-10)

(G.!

II,

XV.

contrattabile,

navem»:

Lampas

si tendono î fili.

4 Dal franc. retraite (New World of Words, p. 448): asilo, rifugio, ricovero. Cfr. Cand.3, p. 23; De la causa, p. 192. (B.

(13-5))

(W.

II,

112)

(L.

357

g-10)

(G.?

II,

g-10).

SPACCIO

DE

LA

DESTIA

TRIONFANTE

formabile, mobile e consistente sotto il domino, imperio e virtà de l'anima, non è adnichilabile, non è in punto o atomo

adnullabile; impera,

per

il contrario,

governa,

presiede,

la

natura

muove,

più

vivifica,

eccellente,

invegeta,

che

insensua,

mantiene e contiene, sia di condizion peggiore: sia, dico (come vogliono certi stolti sotto nome de filosofi) un atto, che resulta da l’armonia, simmetria, complessione, ed in fine un accidente

che per la dissoluzione del composto vada in nulla insieme con la composizione; più tosto che principio e causa intrinseca di armonia,

non

complessione

meno

può

da lui mosso,

sussistere

governato,

absenza

disperso

dunque,

stima

l’uomo,

e simmetria



può

Giove

senza

che da esso deriva;

il corpo

che

il corpo

il quale



e per sua presenza unito, e per sua essere

esser

senza

quella

lui!.

sustanza

Questo che

è

principio,

veramente

e non accidente che deriva dalla composizione,

è il nume,

l’eroe,

che è

il demonio,

il dio

in cui, da cui e per cui, come

particolare,

vegnon

formate

Questo

l’ intelligenza;

e si formano

diverse complessioni e corpi, cossi viene a subintrare diverso esscre in specie, diversi nomi, diverse forme *. Questo, per esser

quello che, quanto a gli atti razionali ed appetiti, secondo la raggione muove e governa il corpo, è superiore a quello, e non può essere da lui necessitato e constretto; aviene per l’alta giustizia che soprasiede alle cose tutte, che per gli disordinati affetti vegna nel medesimo o in altro corpo tormentato ed ignobilito, e non debba aspettar il governo ed administrazione di meglior stanza, quando si sarà mal guidato nel regimento d’un’altra. 1 Nel

simum

Per De

aver,

minimo,

argumentum,

exglomeratque,

dunque, I,

3:

quod

osdinat,

ivi

« Est

menata

vita,

et immortalitatis

individua

vivificat,

quae

movet,

per

nostrae

‘aedificat,

intexit,

essempio,

et

validis-

agglomerat

ut

mirabilis

opifex tanto operi est praefecta, substantia minime deterioris debet

esse conditionis (accidens utpote quoddam, entelechia, energia, harmonia et contemperamentum, ut omnium stupidissime definierunt Aristoteles et Galenus) quam corpora quae agglomerantur, exglomerantur, ordinantur, moventur, et in illius usum adsumuntur haec quorum substantia vere est aeterna» Opera, I, 111, 143. ® BWLG: fortune. Ma giustamente il Post. napol.: «forme, credo che si debbia legere ». (B.

[15-6))

(W.

II,

112-3)

(L.

410)

558

(G.!

II,

10-1)

(G.2

II,

10-1).

EPISTOLA cavallina hanno

o porcina,

inteso;

ed

io

ESPLICATORIA

verrà

(come

stimo,

che

molti

filosofi

se non

è da

più

eccellenti

esser

creduto,

è

a tale

operario

o

molto da esser considerato) disposto dalla fatal giustizia, che gli sia intessuto in circa ùn carcere conveniente a tal delitto o crime, organi

ed

instrumenti

convenevoli

artefice. E cossî, oltre ed oltre sempre discorrendo per il fato della mutazione, eterno verrà incorrendo altre ed altre peggiori e megliori specie di vita e di fortuna, secondo che s’ è maneggiato megliore-1 o peggiormente nella prossima precedente condizione e sorte. Come veggiamo che l’uomo, mutando ingegno e cangiando affetto, da buono dovien rio, da temprato stemprato;

e per il contrario,

da quel che sembrava

una bestia,

viene a sembrare un'altra peggiore o megliore, in virtù de certi delineamenti

e figurazioni, che,

appaiono

corpo;

dente

nel

fisionomista.

di sorte

Però,

derivando

che

non

come

da

fallaran*

nell'umana

de molti in viso, volto, voci, gesti, affetti ed cavallini,

altri

porcini,

asinini,

l’ interno

aquilini,

mai

specie

spirito,

un

pru-

veggiamo

inclinazioni, altri

buovini;

cossi

è

da

credere che in essi sia un principio vitale, per cui, in potenza di prossima

passata

o di prossima

futura

mutazion

di corpo,

sono stati o sono per esser porci, cavalli, asini, aquile, o altro che mostrano; se per abito di continenza, de studii, di contem-

plazione ed altre virtudi o vizii non si cangiano e non si disponeno altrimente 3. Da questa sentenza (da noi, più che par comporte

la raggion

1 (G! =)

B:

loco,

non

senza

gran

causa

pp.

883-4,

megliore.

® Inganneranno.

3 Sulla

del presente

dottrina

della

metempsicosi

cfr.

la Cabala,

ed Er. fur., pp. 941-4. Nel secondo costituto veneto del 2 giugno

1592

il B. dichiara: «Io ho tenuto e tengo, che l'anime siano immortali, e che siano substanzie subsistente, cioè l’anime intellettive; e che

catolicamente parlando non passino da un corpo all'altro, ma vadino o in paradiso o in purgatorio o in inferno; ma ho ben raggionato, e seguendo le raggion filosofiche, che, essendo l’anima subsistente

senza il corpo ed inexistente nel corpo, possa col medemo che è in un corpo essere in un altro, e passar de un corpo

modo in un

altro: il che se non è vero, par almeno verisimile {secondo} l’opinione di Pittagora »: SPAMP., Vita, p. 720. (B.

[16-7])

(W.

II,

113)

(IL. 410-1)

559

(Gt

IT,

11)

(G3

II,

11-2).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

distesa) pende l’atto de la penitenza di Giove, il qual s' introduce! come volgarmente è descritto: un dio che ebbe de le virtudi e gentilezze, ed ebbe de le dissoluzioni, leggerezze c fragilitadi umane, e talvolta brutali e bestiali; come è figurato, quando

è fama,

che si cangiasse in que' varii suggetti o forme,

per significar la mutazion de gli afletti suoi diversi che incorre il

Giove,

l’anima,

l’uomo,

trovandosi

in

questa

fluttuante

materia. Quel medesimo è messo governatore e motor del cielo, per donar ad intendere, come in ogni uomo, in ciascuno individuo si contempla un mondo, un universo 2; dove per

Giove governatore è significato il lume intellettuale che dispensa e governa in esso, e distribuisce in quel mirabile architetto gli ordini e sedie de virtudi e vizii. Questo

mondo,

tolto secondo

l’ imaginazion

de stolti mate-

matici, ed accettato da non più saggi fisici, tra quali gli Peripatetici son più vani, non senza frutto presente: prima diviso come in tante sfere, e poi distinto in circa quarant'otto imagini (nelle quali intendeno primamente partito un cielo ottavo, stellifero,

essere

detto

da’

principio

Giove

(che

nacque,

da

e

volgari

suggetto

rapresenta

fanciullo

firmamento),

del

ciascun

dovenne

di

nostro

lavoro.

noi),

giovane

come

viene

da

e robusto,

ad

Perché

qua

conceputo

e da

dovenuto e dovien sempre più e più vecchio ed infermo:

tale

è

cossi

da innocente ed inabile si fa nocivo ed abile, dovien tristo, e talor si fa buono; da ignorante savio, da crapulone sobrio,

da incontinente casto, da dissoluto grave, da iniquo giusto; al che tal volta vien inchinato da la forza che gli vien meno,

e spinto a’

dei,

celebra

e spronato

che

ne

dal timor

minaccia.

Nel

della giustizia

giorno

dunque,

la festa de la Gigantoteomachia

continua e senza triegua alcuna, vizii e disordinati affetti), vuole

fatale, che

(segno

nel

superiore cielo

si

de la guerra

che fa l'anima contra gli effettuar e definir questo

! Cioè, si rappresenta. ? Cfr. 243 p. 188, e ivi n. 1. Vedi pure Lampas trig. stat. in Opera, III, 42 e 54; BRUNNHOFER, G. Bruno's Lehre vom Klein-

sten als die Quelle der pristabilirien Harmonie v. Leibniz, Lpz.,

1890,

(B.

12-3).

P. 32

e n.; e contro

[17-8))

(W.

II,

di esso Tocco,

113-4)

(L.

411-2)

560

Le

opp.

(G.1

II,

ined.,

11-2)

p. 52 sg. (G.*

II,

EPISTOLA

ESPLICATORIA

padre quello che per qualche spacio di tempo avanti avea proposto e determinato; come un uomo, per mutar proposito di vita e costumi,

nella

specola,

gaggia!

alcuni è detto sempre

prima

vien

invitato da certo

6 poppa

sinderesi?

per Momo.

Propone,

l'atto del raziocinio

de

de

lume

la nostra

che siede

anima,

che

da

e qua forse è significato quasi

dunque,

l’ interno

a gli dei,

conseglio,

cioè essercita

e si mette

in con-

sultazion circa quel ch’ è da fare; e qua convoca i voti, arma

le potenze, adatta gl’ intenti; non dopo cena, e ne la notte de l’ inconsiderazione, e senza sole d'intelligenza e lume di

raggione;

fervor

non

di

a

diggiuno

spirito,

ed

stomaco,

esser

bene

la

mattina,

iscaldato

cioè

dal

superno

nettare

del divino

amore;

più

favorisce

senza

ardore;

ma dopo pranso, cioè dopo aver gustato ambrosia di virtuosu zelo

ed

esser

mezogiorno, oltraggia

imbibito

o

nel

nemico

del

punto

errore,

di

e

quello, ne

cioè,

circa

quando

meno

l’amica

il

ne

veritade,

in termine di più lucido intervallo. Allora si dà spaccio a la bestia trionfante, cioè a gli vizii che predominano e sogliono

conculcar la parte divina;

si ripurga l’animo da errori, e viene

a farsi ornato de virtudi; e per amor della bellezza che si vede nella bontà e giustizia naturale, e per desio de la voluttà con-

sequente da frutti di quella, e per odio e tema de la contraria difformitade e dispiacere. Questo s’ intende accettato ed accordato da tutti e in tutti gli dei, quando le virtudi e potenze de l'anima concor! Gaggia, Words, p. 201).

francesismo,

? Sinderesi

etimologia)

o

adoperato

etico-religioso.

Vedi

da

cage,

gabbia

(New

sinteresi, termine scolastico

H.

a

significare

SirBECK,

in

la

coscienza

Arch.

f. Gesch.

d.

World

of

(di dubbia

nel

senso

Fhilos.,

X,

520 sgg. Nella Lampas trig. stat. (Opera, III, 342) dell'anima, in genere, è detto che «sedet in puppi et gubernator est totius compositi,

ad cuius

nutum

omnia

moventur,

vibrantur

nervi et musculi

obtemperant. Est ergo quoddam velut libere agens et praesidet suo operi n. Negli Er. fur., p. 963: «Ia voluntade umana siede in poppa de l’anima, con un picciol temone della raggione governando

gli

affetti

naturali ». (B.

di alcune

(18-0])

W.

II,

potenze

inferiori,

114)

412)

(L.

561

(G.

contra II,

l'onde

12-3)

(G#

degli II,

émpiti

13-4).

SPACCIO

DE

LA

reranno a faurir l’opra buono e vero definisce senso,

l' intelletto,

piscibile 1,

BESTIA

TRIONFANTE

ed atto di quel tanto che per giusto, quello efficiente lume; ch'addirizza il

il discorso,

l’ irascibile,

la

la memoria,

sinderesi ?,

l’amore,

l'elezione:

la concu-

facultadi

si-

gnificate per Mercurio, Pallade, Diana, Cupido, Venere, Marte,

Momo,

Giove

Dove

ed

altri

dunque

numi.

era l’ Orsa,

per

raggion

del luogo,

per esser

parte più eminente del cielo, si prepone la Verità; la più alta e degna de tutte cose, anzi la prima, ultima e perché ella empie il campo de l' Entità, Necessità, Principio, Mezzo, Fine, Perfezione: si concepe ne gli

quale è mezza; Bontà, campi

contemplativi metafisico, fisico, morale, logicale. E con 1’ Orsa descendeno la Difformità, Falsità, Difetto, Impossibilità,

Contingenzia, Ipocrisia, Impostura, Fellonia. — La stanza de l’ Orsa maggiore, per causa da non dirla in questo luogo,

rimane

vacante.



Dove

s'obliqua

ed

incurva

il Drago,

per

esser vicina alla Verità, si loca la Prudenza con le sue damigelle, Dialettica e Metafisica, che ha circonstanti da la destra la Callidità, Versuzia, Malizia, da la sinistra la Stupidità,

l’ Inerzia, zione,

Sorte, Da

l' Imprudenzia.

Da

quel

luogo

circonstanti;

vi si presenta,

vedrassi cose

campo

Casualità,

della ‘Consulta-

l’ Improvisione,

cade il Sofisma,

per

esser

compagna



la Legge, versare

per

ne

superiori,



dove

farsi

Artofilace

vicina

li campi

alla madre

divino,

si

descende

ministre

e

divino,

naturale,

Sofia;

e quella

osserva

naturale,

ed etico particolare,

l’ Ignoranza

de la Prudenza,

e si vedrà versar negli campi

razionale.

la

le sinistre e destre circonstanti.

la Stolta Fede con le serve,

e la Sofia,

politico, economico a

nel

solo scrimisce4 Cefeo,

di prava disposizione,

monta

la

la Stracuragine 3, con

là, dove

morale,

casca

Versa

il

carro,

gentile,

civile,

per gli quali s’ascende

a

cose

inferiori,

appresso,

a p.

649:

.

oi

si

distende

ed

allarga a cose uguali e si versa in se stesso. Da là cade la Pre! Sottintendi,

come

P77, DD 4.

.

facoltà:

.

cfr.

* B: irascibilela, sinderesi. L: irascibiletà, sinderesi. 3 W: trascuratezza. — V. appresso, p. 669, n. 4. 4 Cfr. scrima nella Cena (p. 128): scherma. Franc.

(B.

[19-21))

(W.

II,

114-5)

(L. 412-3)

562

(G.I

II,

13-4)

Cand.,

. escrimer.

(G.2 IT,

14-5)»

EPISTOLA varicazione,

ministri

Delitto,

ESPLICATORIA

Eccesso,

e compagni.

Ove

Exorbitanza

luce

con

la Corona

li

loro

boreale,

figli,

accompa-

gnandola la Spada, s’ intende il Giudizio, come prossimo effetto de la legge ed atto di giustizia. Questo sarà veduto versare in cinque zione.

campi

Imposizione,

di Apprensione,

Execuzione;

Discussione,

Determina-

ed indi, per conseguenza,

cade

l' Iniquitade con tutta la sua fameglia. Per la corona, che tiene la quieta sinistra, si figura il Premio e Mercede; per la spada,

che

Vendetta.



vibra

Dove

la negociosa

destra,

è figurato

con la sua mazza

il Castigo

e

par che si faccia spacio

Alcide, dopo il dibatto ! de la Ricchezza, Povertade, Avarizia e Fortuna, con le lor presentate corti, va a far la sua residenza

la Fortezza, la qual vedrete versar negli campi de l’ Impugnazione, Ripugnanza,

Defensione; Fierezza; e

mità;

dalla dalla

e circa

Presunzione,

Espugnazione,

Mantenimento,

Offensione,

cui destra cascano la Ferinità, la Furia, la sinistra la Fiacchezza, Debilità, Pusillapi-

la quale

si veggono

la Temeritade,

Audacia,

Insolenza,

Confidenza,

ed

la

a l’incontro

Viltà,

Trepidazione, Dubio, Desperazione con. le compagne e serve. Versa quasi per tutti gli campi. — Dove si vede la Lira di nove

corde, monta la madre Musa con le nove figlie, Aritmetrica ?, Geometria, Musica, Logica, Poesia, Astrologia, Fisica, Metafisica, Etica; onde, per conseguenza, casca l’ Ignoranza, Inerzia

e Bestialitade. Le madri han l'universo per campo, e ciascuna de le figlie ha il proprio suggetto. — Dove distende l’ali il Cigno, ascende

la

Lavamento; mondizia,

Penitenza,

per conseguenza,

Sordidezza,

Impudenzia,

1 Franc. Cfr.

* Anche

p. 181, (B.

n. 1,

(21-2))

Arroganza,

nel campo

débat

Cand2,

(New p.

appresso

(W.



G.

la Filautia,

Protervia

II,

13.

Bruno,

World

(pp.

701

115-6)

(L.

Dinlophi

Iattanza

ed

de l'Ambizione of

Words,

e 743);

ma

413-4)

(G.t

563 40

cade

Riformazione, con

le

Im-

loro

Versano circa e per il campo de l’Errore e è dismessa l’incatedrata Cassiopea con la

Alterezza,

che si vedeno

stione.

Palinodia,

ed indi,

intiere fameglie. Fallo. — Onde Boriosità,

Ripurgazione,

italiani

altre

compagne

e Falsitade;

p. vedi II,

144): nel 14-5)

monta

disputa, De (G?

/a IT,

quecausa, 15).

SPACCIO

la regolata

Maestà,

compagni

campi

con

della

elezione;

DE

la lor

LA

BESTIA

Gloria,

Decoro,

corte,

Simplicità,

TRIONFANTE

che

Verità

Dignità,

per

ed

Onore

ordinario

altri

simili

e talvolta per forza di Necessitade

ed

versano

per

altri

ne

li

principale

in quello de la

Dissimulazione ed altri simili, che per accidente possono esser ricetto

de virtudi.

trofeo,

monta

lanza, zelo

Negocio,

e del

la



Ove

Fatica,

il feroce

Perseo

Sollecitudine,

mostra

Studio,

Essercizio!, Occupazione, con

timore.

Ha

Perseo

gli

talari

de

il gorgonio

Fervore,

gli

l’util

sproni

Vigi-

del

Pensiero

e

Dispreggio del ben popolare, con gli ministri Perseveranza, Ingegno, Industria, Arte, Inquisizione e Diligenza; e per figli conosce l’ Invenzione ed Acquisizione, de quali ciascuno ha tre vasi pieni di Bene di fortuna, di Ben di corpo, di Bene d’animo. Discorre ne gli campi di Robustezza, Forza, Incolumità; gli fuggono d’avanti il Torpore, l’Accidia, 1’ Ocio,

l' Inerzia,

la Desidia,

la Poltronaria,

con

tutte le lor fameglie

da un canto; e da l’altro l’ Inquietitudine, Occupazion stolta, Vacantaria, Ardelia?, Curiositade, Travaglio, Perturbazione,

che esceno dal campo de l’ Irritamento, Instigazione, Constrettura, Provocazione ed altri ministri che edificano il palaggio del Pentimento. — A la stanza de Triptolemo monta

la umanità con la sua fameglia: Conseglio, Aggiuto, Clemenzia, Favore,

Suffragio,

Soccorso,

Scampo,

Refrigerio,

con

altri

compagni e fratelli di costoro e suoi ministri e figli, che versano nel campo de la Filantropia proprio, a cui non s'accosta la Misantropia,

con

la sua corte:

Invidia,

Malignità,

Disdegno,

Disfavore ed altri fratelli di questi, che discorreno per il campo de la Discortesia, ed altri viziosi. — A la casa de l’ Ofiulco sale

la Sagacità,

che

tutte

Accortezza,

Sottilezza

ed

altre

simili

virtudi

abitanti nel campo de la Consultazione e Prudenza; onde fugge la Goffaria, Stupidezza, Sciocchezza con le lor turbe,

T

(GI

cespitano

(=

L):

Essercizio;

® Vacantaria,

FLorIoO

ardelio,

nel

New

affannone

nel

World

o

of

{FeDRO,

campo G*.

de

l’ Imprudenza

Esercizio)

vaccantaria:

Words

II,

5;

(p.

585);

MARZIALE,

ed

‘vacuità’,

ardelia,

II,

7;

IV,

Incon-

spiega

cfr.

78).

lat.

(B. [22-4]) (W. II, 116) (L. 414) (Gt IL r5-6) (G= II, 15-6).

564

il

EPISTOLA

ESPLICATORIA

sultazione, — In loco de la Saetta si vede la giudiciosa Elezione, Osservanza ed Intento, che si essercitano nel campo de l’ordinato Studio, parteno la Calunnia,

d’ Odio

ed

Invidia

Attenzione ed la Detrazione,

Aspirazione; e da là si il Repicco ed altri figli

che si compiaceno

ne gli orti de l’ Insidia,

Ispionia e simili ignobili e vilissimi coltori. — Al spacio, in cui

s' inarca il Delfino,

si vede la Dilezione, Affabilità,

Officio, che

insieme con la lor compagnia si trovano nel campo de la Filantropia, Domestichezza; onde fugge la nemica ed oltraggiosa turba,

ch'a

gli

si ritira. —

sunzione,

pagne

ad

campi

della

Contenzione,

Duello

e

Vendetta

Là d'onde l'Aquila si parte con l’Ambizione, Temeritade,

negociose

nel

soggiornare

la

Tirannia,

campo

Oppressione

de

l’ Usurpazione

Magnanimità,

ed

altre

Pre-

com-

e Violenza,

Magnificenza,

va

Generosità,

Imperio, che versano ne li campi della Dignitade, Potestade, Autoritade. — Dove era il Pegaseo cavallo, ecco il Furor divino, Entusiasmo, Rapto, Vaticinio e Contrazione, che ver-

sano nel campo ferino,

la

de l’ Inspirazione;

Mania,

l’Impeto

onde fugge lontano il Furor

irrazionale,

la

Dissoluzione

di

spirito, la Dispersion del senso interiore, che si trovano nel campo de la stemprata Melancolia, che si fa antro al Genio perverso.



Ove

versitade

e stolta

de la doppia l'Aspettazione, sciplina. —

cede

Andromeda

Persuasione,

che

Ignoranza, succede che si mostraranno

Onde

con

si apprendeno

Fideltade, Sincerità,

Per-

nel campo

la Facilità, la Speranza, al campo della buona Di-

si spicca il Triangolo,

Fede, altrimente detta la Constanza, Amore,

l’ Ostinazione,

ivi si fa consistente la

che s'attende nel campo de Simplicità, Verità ed altri,

da quali son molto discosti gli campi de la Frode, Inganno, Instabilità. — A la già regia del Montone ecco messo il Ve-

scovato,

Ducato,

Exemplarità,

Demonstranza,

dicazione, che son felici nel campo

Conseglio,

de l’ Ossequio,

In-

Obedienza,

Consentimento, virtuosa Emulazione, Imitazione; e da là si parte il mal Essempio, Scandalo, Alienamento, che son cruciati nel campo de la Dispersione, Smarrimento, Apostasia, Scisma, Eresia. — Il Tauro mostra esser stato figura de la

Pazienza,

Toleranza,

Longanimitade,

Ira

regolata

e

giusta,

(B. [24-5)) (W. IT, 116-7) (L. 414-5) (G.t II, 16) (G.? II, 16-7).

565

che

tude,

SPACCIO

DE

si maneggiano

nel

Fatica,

Lavoro,

disordinata,

la Stizza,

zienza, Lamento, medesimi

campi.

consisteno

nel

LA

BESTIA

campo

Ossequio

del

TRIONFANTE

Governo,

ed

altri.

il Dispetto,

Ministerio,

Servi-

Ritrosia,

Impa-

Seco

il Sdegno,

si parte

l' Ira

Querela, Còlera, che si trovano quasi per gli —

Dove

abitavano

le

Pleiadi,

monta

la

Unione, Civilità, Congregazione, Popolo, Republica, Chiesa, che dove

campo

presiede

del

Convitto,

il regolato

dal cielo

il Monopolio,

Fazione,

la



parteno

Partita,

Amore;

la Turba,

l’Addizione,

Concordia,

e con

quelle

la Setta,

Communione;

è trabalsato

il Triumvirato,

la

che periclitano ne'! campi

de

disordinata Affezione, iniquo Dissegno, Sedizione, Congiura, dove presiede il Perverso Conseglio con tutta la sua fameglia. Onde

Pace,

che

li Gemegli,

si compiaceno

sale

ne’

il figurato

proprii

Amore,

campi;

Amicizia,

e quelli

banditi

menan seco la Parzialitade indegna, che ostinata affigge il piede nel campo de l' iniquo e perverso Desio. — Il Granchio mena seco la mala Repressione, l’ indegno Regresso, il vil Difetto, il

non

lodabile

Refrenamento,

la

Dismession

serbano

nel

l' Inconstanza,

de

le

braccia,

la Ritrazion de’ piedi dal ben pensare e fare, il Ritessimento di Penelope ed altri simili consorti e compagni che si rimetteno

e

Povertà

de

ascende

dal

la

falso

campo

lodevol

del

campo

spirto,

ed

Ignoranza

Conversion

iniquo

con

Timore

retta,

ed

ed

altri

Ripression

Amor

Pusillanimità,

molti; dal

gli lor ministri,

onesto,

Penitenza

de

altri sozii ? contrarii

alle

male,

che

ordinato,

ed

Ritrazion

si regolano

retta

al mal

stelle nel

Intenzione,

Progresso,

al rio Avanzamento, Pertinacia profittevole. — Mena seco il Leone il tirannico Terrore, Spavento e Formidabilità, la perigliosa3 ed odibile Autoritade e Gloria della presunzione e

Piacere di esser temuto più tosto che amato. Versano nel campo del Rigore, Crudeltà, Violenza, Suppressione, che ivi son tormentate da le ombre del Timore e Suspizione; ed al celeste spacio 1

(G!:

® BW:

3 BL:

(B.

[25-7))

ne';

ascende

sozii;

G*:.

ne

LG!:

perigliosia. (W.

II,

la Magnanimità,

Generosità,

(così

568,

socii.

117-8)

(L.

pure

a pp.

Correzione

415-6)

566

573,

superflua.

(G.!

II,

16-7)

Splendore,

5833))

(G.2

II,

17-8).

EPISTOLA Nobiltà,

Prestanza,

che

ESPLICATORIA

administrano

nel

campo

della

Giu-

stizia, Misericordia, giusta Debellazione, degna Condonazione, che pretendeno sul studio d’esser più tosto amate che temute; ed ivi si consolano con la Sicurtà, Tranquillitade di spirito e lor fameglia. — Va a giongersi con la Vergine la Continenza, Pudicizia,

Castità,

fano nel campo

Modestia,

Verecundia,

della Puritade

Onestade,

ed Onore,

che

spreggiato

trion-

da l’ Im-

pudenza, Incontinenza ed altre madri de nemiche fameglie. — Le Bilancie son state tipo de la aspettata Equità, Giustizia, Grazia, Gratitudine, Rispetto ‘ed altri compagni, administratori e seguaci, che versano nel trino campo della Distribuzione,

Commutazione

l' Ingiustizia,

lor compagne,

Dove

Disgrazia,

il finto virtudi,

Retribuzione,

Ingratitudine,

dove

non

l’adunca

appare

coda

oltre

non

Arroganza

figlie ed amministratrici.

incurvava

lo Scorpione,

e

e stendeva

la Frode,

mette

ed

piè

altre

le sue branche

l’ iniquo

Applauso,

Amore, l’ Inganno, il Tradimento, ma le contrarie figlie della Simplicità, Sincerità, Veritade, e che ver-

sano ne gli campi de le madri. — Veggiamo ch' il Sagittario era segno della Contemplazione, Studio e buono Appulso con gli lor seguaci e servitori, che hanno per oggetto e suggetto il campo del Vero e del Buono, per formar l’ Intelletto e Voluntade, onde è molto absentata l’affettata Ignoranza e Spen-

seramento vile. — Là dove ancora risiede il Capricorno, vedi l' Eremo, la Solitudine, la Contrazione ed altre! madri, compagne ed ancelle, che si ritirano nel campo de l’Absoluzione

e Libertà, tratto,

nel quale

Curia,

non

Convivio

sta sicura ed

altri

la Conversazione,

appartinenti

a

questi

figli,

Barbaria. —

Onde

compagni ed amministratori. — Nel luogo de l’umido prato Aquario vedi la Temperanza, madre de molte numerabili virtudi, che particolarmente ivi si mostra figlie Civilità ed Urbanitade, dalli cui campi fugge l’ peranza d'affetti con la Silvestria, Asprezza, con

l’indegno

di dottrina, 1 L: (B.

Silenzio,

Invidia

di

che versano nel campo

il Con-

sapienza

e

e stemed incon le Intem-

Defraudazion

de la Misantropia e Viltà

altri.

[27-8))

(W.

II,

118-19)

(L. 416-7)

567

(G.!

II,

17-8)

(G.2 II,

18-9).

SPACCIO d’ ingegno,

contrarii

LA

BESTIA

son tolti gli Pesci,

e Taciturnitade

tinenza,

DE

che

Pazienza, ricetti

la

rilità, Boffonaria, Susurro, Querela,

versano

Moderanza

TRIONFANTE

vi vien nel

Loquacità,

ed

messo

il degno

de

la Prudenza,

Con-

Garrulità,

Scur-

campo

altri,

da

Moltiloquio,

quali

Silenzio

fuggono

a’

Istrionia, Levità Mormorazione. —

di propositi, Vaniloquio, Ove era il Ceto in secco,

si trova la Tranquillità de l’animo,

che sta sicuro nel campo



e miracoloso

de la Pace e Quiete; onde viene esclusa la Tempesta, Turbulenza, Travaglio, Inquietitudine ed altri socii e frategli. — Da

dove

spanta!

gli numi

il divo

Orione

con

l’ Impostura, Destrezza, Gentilezza disutile, vano Prodigio, Prestigio, Bagattella ? e Mariolia, che qual guide, condottieri

e portinaii

administrano

alla Iattanzia,

Vanagloria,

Usurpa-

zione, Rapina, Falsitade ed altri molti vizii, ne’ campi de quali conversano, ivi viene esaltata la Milizia studiosa contra

le inique, campo

altre

visibili ed

invisibili potestadi;

e che s’affatica nel

della

Magnanimità,

Fortezza,

Amor

publico,

virtudi

innumerabili.



ancor

rimane

del fiume

Eridano,

s' ha da trovar

altre volte parlarerno, cape

tra questi

vano

Timore,

zione,

Suspizion

altri.

perché



Codardiggia,

falsa

ed

è tolta

Tremore,

altri

e Considerazione,

qualche

cosa

il suo venerando

D’onde

cagine ed Ignoranza madre, Prudenza

Dove

Verità

la fantasia

nobile,

di cui

proposito

la fugace

ed

Lepre

Diffidenza,

non

col

Despera-

figli e figlie del padre

Dappo-

si contemple il Timor, figlio della

ministro

de la Gloria e vero Onore,

che riuscir possono da tutti gli virtuosi campi. — Dove in atto di correre appresso la lepre, avea il dorso disteso il Can maggiore, monta la Vigilanza, la Custodia, l’Amor de la republica,

la Guardia

di

cose

domestiche,

il Tirannicidio,

il Zelo,

la Predicazion salutifera, che si trovano nel campo de la Prudenza e Giustizia naturale; e con quello viene a basso la Venazione ed altre virtà ferine e bestiali, le quali vuol Giove che siano stimate eroiche, benché verseno nel campo de la Manigoldaria, Bestialità e Beccaria. — Mena seco a basso la Ca-

1 Cîr.

p.

120,

* V. sopra,

(B.

[28-30]))

p.

(W.

n.

I.

552,

n.

II, 119)

I.

(L. 417)

568

(G3

IT,

18-9)

(G.2 II,

19).

EPISTOLA

ESPLICATORIA

gnuola, l’Assentazione, Adulazione e vile Ossequio con le lor compagnie; ed ivi in alto monta la Placabilità, Domestichezza, Comità, Amorevolezza, che versano nel campo de la Grati-

tudine con

e Fideltade.



la vile Avarizia,

fluttuante

Onde

la Nave

buggiarda

Piratismo

ed

ritorna al mare

Mercatura,

altri

compagni

sordido

infami,

insieme

Guadagno,

e per

il più

de le volte vituperosi, va a far residenza la Liberalità, Comunicazione officiosa, Provision tempestiva, utile Contratto,

degno

Peregrinaggio,

munifico

Transporto

con

gli lor fratelli,

comiti, termonieri, remigatori, soldati, sentinieri ed altri ministri, che versano nel campo de la Fortuna. — Dove s'allungava

e stendeva le spire il Serpe australe, la provida

onde

Cautela,

cade

giudiciosa

il senil

Torpore,

detto l' Idra, si fa veder

Sagacità,

la stupida

revirescente

Virilità;

Rifanciullanza! con

l’ Insidia, Invidia, Discordia, Maldicenza ed altre commensali. — Onde è tolto con il suo atro Nigrore, crocitante Loquacità,

turpe cieco

e

zinganesca

Dispreggio,

impaziente,

il

Impostura,

negligente

Corvo,

figlie, Ja Mantia

con

con

l'odioso

Servitude,

succedeno

la

Affrontamento,

tardo

Magia

Officio

divina

gli suoi ministri e fameglia,

co

e

Gola

le

sue

tra gli quali

l'Augurio è principale e capo, che sogliono per buon fine eser-

citarsi nel campo

dozio. Tazza

— D'onde con quella

tauro,

si ordina

de l'Arte militare,

Legge,

Religione e Sacer-

con la Gola ed Ebrietade è presentata la moltitudine de ministri, compagni e circon-

stanti, là si vede l’Abstinenza, ivi è la Sobrietade e Temperanza circa il vitto, con gli lor ordini e condizioni. — Dove persevera ed è confirmato nella sua sacristia il semideo Cen-

Favola morale,

insieme

la divina

Parabola,

il Misterio

sacro ?,

il divino e santo Sacerdocio con gli suoi insti-

tutori, conservatori e ministri; da là cade ed è bandita la Favola anile e bestiale con la sua stolta Metafora, vana Analogia,

caduca le

lor

Anagogia, false

corti,

sciocca

Tropologia

conventi

porcini,

e cieca

Figuratura,

sediciose3

sette,

con

confusi

! Nel scc. XIV: rinfanciullare. ® BL: sacro; WG!: sagro. 3 Sediziose. (B.

(30-1))

(W. II, 119-20)

(L. 417-8)

569

(G.! II, 19-20)

(G.2 II, 19-20).

SPACCIO gradi,

ordini

DE

LA

disordinati,

BESTIA

difformi

TRIONFANTE-

riforme,

sporche purificazioni e perniciosissime

nel

campo

de

l'Avarizia!,

Con

l'Altare

golo orientale cade la Credulità l’ iniqua

Impietade

ed insano

cipizio.



aspetta

Corona

virtuosi

studi,

che

che

son

la

pendeno

Ambizione;

ne

li

la cieca e crassa

e Fede:

e dal

suo

an-

tante pazzie e la Super-

dentale

e Gloria,

coselle

con

con

Dove

cose,

Pietade

stizione

l’ Onore

tante

ed

e si maneggia

è la Religione,

puritadi,

forfantarie che versano

Arroganza

quali presiede la torva Malizia, Ignoranza.

immonde

e coselline;

e dal

Ateismo

australe,

gli frutti de

canto

vanno ivi

occi-

in pre-

è il Premio,

le virtudi

faticose

e

dal favore

de le dette

celesti im-

de la Voluptade,

ivi la Cena,

ivi l’anima

pressioni. — Onde si prende il Pesce meridionale, là è il Gusto de gli già detti onorati e gloriosi frutti; ivi il Gaudio, il fiume de le Delicie,

torrente

Pasce la mente de sf nobil cibo, Ch'ambrosia e nettar non invidia



è il Termine

tranquillo Vale. 1 «In

de gli tempestosi

Riposo,

universam

ivi la sicura

pontificiam

travagli,

Quiete.

ceconomiani,

a Giove?.

ivi il Letto,

credo » (Post.

® PETRARCA, son. 193 (ed. Salvo-Cozzo). liriche, p. 143, imitò questi versi:

Il TANSILLO,

ivi il

napol.).

Poesie

Io non invidio a Giove L'ambrosia sua soave. E il Geloso

nella

Cecaria

dell’ Epicuro

(ed.

Per la dolcezza che qui piove Ambrosia e nettar non invidio

Palmarini,

p. 51)

dice:

a Giove.

Il 2° v, del Petrarca è citato anche nel Candelaio?, p. 60. Sono tra i versi del P. diventati proverbiali nel Cinquecento. Cfr. SPAMP.,

Postille, p. 309. (B.

[31-2))

(W.

II,

120)

(L.

418-9)

570

(G.!

II,

20)

(G

II,

20-1).

DIALOGO

PRIMO

INTERLOCUTORI Sofia, Sofia. Talché, la mutazione, veniente,

se ne li corpi, materia

varietade

e vicissitudine,

nulla di buono,

Saulino.

Sofia. altro,

Saulino ®, Mercurio.

Molto

Ogni

che

in

bene

niente l’ hai

delettazione certo

fusse

nulla

con-

sarrebe

delettevole.

dimostrato,

non

transito,

ed ente non

Sofia.

veggiamo

camino

consistere

e moto.

in

Atteso

che

fastidioso e triste è il stato de la fame; dispiacevole e grave è il stato della sazietà: ma quello che ne deletta, è il moto da l'uno a l’altro.

Il stato del venereo

ardore ne tormenta,

il stato dell’ isfogata libidine ne contrista 2; ma quel che ne appaga, è il transito da l’uno stato a l’altro. In nullo 1 Nome

del

casato

quattro

censimenti

nolani

cazione,

è impossibile

materno

del sec.

del

XVI,

Bruno,

molto

se in quello

comune

del

nei

1526 del

solo «casale » di S. Paolo era di ben nove «focolari » e di quattordici famiglie, ed andò sempre più diffondendosi, tanto da giungere ai giorni nostri. Tra tanta gente, per la mancanza di qualsiasi indi-

riconoscere

l'interlocutore

dello

Spaccio

e

della Cabala. Si potrebbe tuttavia pensare ad Andrea Savolino, che nel 1561 fu «deputato delle paranze de la provincia de Principato Citra nella nova Numerazione », cioè ebbe l'ufficio che non disdegnarono uomini noti per nobiltà d'ingegno e di natali, come

Angelo di Costanzo,

PP. 47-50, 64, ecc.). * Cfr.

(B.

1-2)

l'Arg.

(W.

Antonio Albertino e simili (SPAMPANATO,

degli II,

Er. 121)

fur., (L.

Vita,

930.

410)

(G.1

971

II,

(21))

(GC.

II,

[23)).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

esser presente si trova piacere, se il passato non n’ è venuto

in fastidio. La fatica non piace, se non in principio, dopo il riposo;

e se non

in principio,

non è delettazione. Saulino.

Se

cossi

è, non

dopo

la fatica, nel riposo

è delettazione

senza

mistura

di tristezza, se nel moto è la participazione di quel che contenta e di quel che fastidisce. Sofia. Dici bene. A quel che è detto aggiongo, che Giove qualche

certe

volta,

vacanze

soldato;

con

come

ora

li venesse

tedio

di agricoltore,

di esser Giove,

ora

prende

di cacciatore,

ora

adesso è con gli dei, adesso con gli uomini,

le bestie.

Color che

sono

o colcato,

piace

di

adesso

ne le ville, prendeno

la lor

e giova il caminare;

e chi

festa e spasso ne le cittadi; quei che sono nelle cittadi, fanno le loro relassazioni, ferie e vacanze ne le ville 1. A chi è stato

assiso

ha discorso con gli piedi, trova refrigerio nel sedere. Ha piacer nella campagna chi troppo ha dimorato in tetto: brama la stanza chi è satollo del campo. Il frequentar un cibo, quantunque

Tanto

piacevole,

è caggione

di nausea

che la mutazione da uno contrario

al fine.

a l’altro per gli

suoi participii, il moto da uno contrario a l’altro per gli suoi mezzi viene a soddisfare; ed in fine veggiamo tanta familiarità di un contrario con l'altro, che uno più conviene con

Sat.,

l’altro, 1 Il

che

il simile

IKUHLENBECK

I- 1,

(p.

9-12:

Agricolam laudat Sub galli cantum Ille

datis

con

277,

vadibus

(B.

2-3)

(W.

il 2° Efodo II,

121-2)

n.

24)

richiama

i versi

iuris legumque peritus consultor ubi ostia pulsat. qui

Solos felices viventes

Cfr. anche

il simile.

rure

clamat

extractus

in urbe.

in

urbem

di

Orazio,

est,

oraziano. (L. 419-20)

572

(G.1

II,

[21)-2)

(G.2 II,

[23}-4)-

DIALOGO

PRIMO

Saulino. Cossi mi par vedere, perché la giustizia non ha l'atto

se non

dove

è l'errore,

la concordia

se non dove è la contrarietade; rico,

perché

si toccano

non

s'effettua

il sferico non posa nel sfe-

in punto,

ma

il concavo

si quieta

nel convesso; e moralmente

il superbo non può convenire

col

superbo,

povero,

ma

si compiace

col

splendido.

il

povero

col

l’uno Però,

nell'umile, se fisica-,

l’avaro

l'altro

con

nel

matematica-

l’avaro;

ricco,

questo

e moralmente

si considera, vedesi che non ha trovato poco

quel filosofo *

che è dovenuto alla raggione della coincidenza de contrarii, e non è imbecille prattico quel mago che la sa cercare dove ella consiste 2. Tutto, dunque, che avete proferito, è verissimo:

ma

vorrei

sapere,

o

Sofia,

a che

proposito,

a che fine voi lo dite.

Sofia. Quello che da ciò voglio inferire, è che il prin-

cipio,

il mezzo

ed

il fine,

il nascimento,

l'aumento

e la

perfezione di quanto veggiamo, è da contrarii, per contrarii, ne’ contrarii, a contrarii: e doveèla contrarietà, è la azione e reazione,

è il moto,

è la diversità,

è la

l'ordine, son gli gradi, è la successione,

Perciò nessuno, aver

presente

moltitudine,

è la vicissitudine 3.

che ben considera, giamai si desmetterà

è

o s’inalzarà

per l'essere ed d’animo,

quan-

tunque, in comparazion d’altri abiti e fortune, gli paia buono o rio, peggiore o megliore. Tal io con il mio divino oggetto, che è la verità, tanto tempo, come fuggitiva,

il

1 Allude al Cusano: cfr. pp. 335 e 340. ® « Profonda magia è saper trar il contrario, dopo aver trovato punto de l’unione n»: De la causa, p. 340. Cfr. anche Er. fur.,

974,

dove

ricavano

3 W:

(B.

dallo stesso

conseguenze

diverse

la successione.

3-4)

(W.

II,

principio

122)

da

Per ciò.

(L. 420)

della coincidenza queste (G.!

573

dello

II,

22-3)

dei contrarii

Spaccio. (G.

II,

24-5).

si

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

occolta, depressa e sommersa, ho giudicato quel termine, per ordinanza del fato, come principio del mio ritorno, apparizione,

essaltazione

e magnificenza

tanto più grande,

alzarsi da terra, li fia mestiero

che prima ben si

quanto maggiori son state le contradizioni. Saulino. Cossi aviene, che chi vuol più gagliardamente saltando

recurve; sando

otto

e chi studia di superar più efficacemente trapas-

un

fosso,

o diece

Sofia.

accatta

passi

Tanto

talvolta

a dietro.

più,

dunque,

l’ émpito,

spero

nel



ritirando

futuro

meglior

successo, per grazia del fato, quanto sin al presente mi son trovata al peggio. Saulino. - + Quanto più depresso, Quanto è pi l'uom di questa ruota al fondo, Tanto a quel punto più si trova appresso, C’ ha

da

salir,

si de’

girarsi

in

tondo:

Alcun sul ceppo quasi il capo ha messo, Che l’altro giorno ha dato legge al mondo 3,

Ma, di grazia, séguita, Sofia, a specificar più espressamente il tuo proposito. Sofia. 1l tonante Giove, dopo che tanti anni ha tenuto del giovane, s' è portato da scapestrato ed è stato occupato ne

l’armi

e ne gli amori,

ora,

come

domo

dal

tempo,

co-

mincia a declinare da le lascivie e vizii e quelle condizioni che la virilitade e gioventude apportan seco. Saulino.

Poeti

sf, filosofi non

descritti ed introdotti gli dei. ! Ariosto,

Orl. fur., XLV,

si dé girar îl tondo ». %* W:

(B.

4-5)

descritti (W.

II,

mai

hanno

Dunque,

2. Nel 4° v.

B

sf fattamente

Giove e gli altri (L):

«Che

da salir

li dei. 122-3)

(L.

420-1)

574

(G.!

IT,

23)

(G.2

II, 25-6).

DIALOGO

PRIMO

dei invecchiano? dunque, non è impossibile ch’ancor essi abbiano ad oltrepassar le rive di Acheronte? 1 Sofia. Taci,

non mi levar di proposito,

Saulino.

Ascol-

tami sin al fine. Saulino. perché

son

Dite pure, ch'io certo,

che

attentissimamente

dalla

tua

bocca

non

vi ascolto;

esceno

se non

grandi e gravi propositi: ma dubito che la mia testa non le = possa capire e sustenere. Sofia. maturo,

Non e

dubitate.

non

Giove,

admette

persone ch’ hanno

oltre

in capo

dico, nel

comincia

conseglio,

la neve,

ad

esser

eccetto

che

alla fronte gli solchi,

al naso gli occhiali, al mento la farina, alle mani il bastone,

ai piedi il piombo: in testa, dico, la fantasia retta, la cogitazion sollecita, la memoria

ritentiva;

ne la fronte la sen-

sata apprensione, ne gli occhi la prudenza, nel naso la sagacità, nell'orecchio l'attenzione, ne la lingua la veritade,

nel petto

la sinceritade,

nel core

gli ordinati

affetti,

ne le spalli la pazienza, nel tergo l’oblivio 3 de le offese, nel stomaco

la discrezione,

la continenza, rettitudine,

ne

ne

la

destra la raggione golativa giustizia,

nel

ventre

le gambe sinistra

la sobrietade,

la constanza, il pentateuco

ne di

nel

seno

le piante decreti,

la

nella

discussiva, la scienza indicativa, la rel’imperativa autoritade e la potestà

executiva,

Saulino. Bene abituato: ma bisogna, che prima sia ben lavato, ben ripurgato. 1 Evidentemente

Luciano.

l’autore

ha

presenti

i Dialoghi

dei

® Le per li, non meno spesso che li per /e. Cfr. Cand,

Cena, p. 37, n. 1. 3 (G! (= L): oblivio; G®: oblio) (B. 5)

(W.

II,

123)

(L.

421)

(G!

575

II,

23-4)

(G.#

II,

morti

di

p. Lv;

26-7).

SPACCIO

Sofia.

Europe

Ora

DE

non

LA

son

bestie

che l’ incornino

lidiscano

in oro,

non

BESTIA

TRIONFANTE

nelle

quali

in toro, non

Lede

si trasmute,

Danae

non

che lo impal-

che l’ impiumino

in cigno,

non

ninfe Asterie e frigii fanciulli * che lo imbecchino in aquila, non Dolide ? che lo inserpentiscano, non Mnemosine che lo degradino in pastore, non Antiope che lo semibestialino in

Satiro,

perché de

non

Alcmene

quel temone

che

lo

che volgeva

trasmutino

in

Anfitrione:

e dirizzava questa

le metamorfosi 3, è dovenuto

si fiacco,

che

nave

poco

piri

che nulla può resistere a l’émpito de l’onde, e forse che l’acqua ancora gli va mancando a basso. La vela è di maniera tale stracciata e sbusata 4, che in vano per ingonfiarla il vento soffia. Gli remi, ch'al dispetto di contrarii venti e turbide tempeste soleano risospingere il vascello avanti,

ora, faccia quantosivoglia calma,

e sia a sua posta

tranquillo il campo di Nettuno, in vano il comites sibilarà 6 a orsa,

son

a poggia,

a la sia, a la voga,

perché

gli remigatori

dovenuti come paralitici. Saulino. Oh gran caso! 1 Allusione

* Anche

a Ganimede.

negli Er.

fur.,

p.

1oor,

niente o da un errore di memoria vecchie

edizioni,

invece

di

si ripete

del Bruno

Deoide.

Cfr.

questa

forma prove-

o da falsa lettura di Ovipio,

Metamm.,

II, 850 sgg., VI, 114; luoghi a cui il B. s’ inspira in quest'enumerazione delle metamorfosi erotiche di Giove. V. pure IGINO, Favole, 63, 53. 3 Questo

e

quelli

che

seguono,

sono

paragoni

apparirà meglio appresso, in ispecie a p. 590. 4 Sbusata, da buso (buco): sbucata (New P. 468). S Comite,

delle grandi

navi,

anchea p.

e dava

osceni,

come

World of Words,

569: dicevasi chi comandava i marinai

loro tutti gli ordini:

il nostromo.

6 Darà con i fischi i comandi seguenti. Sia, qui appresso, per scia (New World of Words, p. 498); e cosî orsa. per orza,

Cfr. Cand.3, p. 19. (B.

5-6)

(W.

II,



123-4)

(L.

421-2)

576

(G.2 II,

24-5)

(G.3

II,

27).

DIALOGO

PRIMO

Sofia. Indi non fia chi più dica e carnale e voluttuario; perché al buon il spirito 1, Saulino. Come colui, che tenea già ancelle di moglie e tante concubine, al ben satollo, stuffato e lasso, disse:

favoleggi Giove per padre s'è addonato tante moglie, tante fine dovenuto qual

Vanità,

vanità,

ogni cosa è vanità? Sofia. Pensa al suo giorno del giudizio, perché il termine de gli o più o meno o a punto trentasei mila anni, come è publicato, è prossimo; dove la revoluzion de l'anno del mondo minaccia, ch'un altro Celio 3 vegna a repigliar il 1 B: il buon padre s'è addonato il spirito; W: il buon padre s’è adonato al spirito; LG1: il buon padre s'è addovato il spirito. — Adonare, lat. domare, antico gallicismo: abbattere, opprimere. Nel qual senso anche DANTE nell'Inf., VI, 34; mentre nel Purg., XI, 19, l'usa per ‘cedere’. 2 V.

i Re,

I,

3 Celio,

Celeo,

sacerdote

Coelus,

Urano

manda

11,

e l’Ecclesiaste,

celeste. di

Il

Cerere,

alle Favole

2.

KUHLENBECK,

di Igino,

(nella

I,

re

Lampas

di

Eleusi,

147.

Ma

trig.

p.

padre

Celio

stat.,

279,

n.

di

Opera,

30,

intende

Trittolemo,

e ri-

è qui probabilmente III,

106-11,

il

B.

usa promiscuamente Caelius, Coelius, Coelum), poiché appresso si accenna al mito di Saturno che spodesta il padre. Coelus il B. trovava

nominato

il

padre

di

Saturno

nella

traduzione

di

Plotino,

fatta

dal Ficino, Enw., III, 5, 2. — L'anno del mondo (cfr. Cena, p. 165) si riferisce, secondo il B. (De rev. princ., in Opera,

III, 538), «ad vicissitudinem tempestatum haec inferiora non annuis, sed saecularibus

tantur

atque

denza,

e Bruno,

ritorno

di

disponuntur ». Circa

tutte

le

De

cose,

Ut

Minos

fuerat

Sic

habet

Avcturus

Ut sumpsit

Gottfridum

Aeneae

6-7)

(W.

II,

I,

Gli

166-74

cristata

dottrina

Egiziani

(in

casside

neoplatonica

Opera,

o

T,

Della

111,

iunctam

pulcher,

spoliisque

cum

viribus

gaudetque

Rolandus

artem,

Pipinus

Achillis.

antiquo nova vestis, et hic sunt (L.

422)

577

(G.I

Caesaris

II,

25)

(G2

acta.

IT,

del

Provvi-

136):

Quondam

in alterius femoralia 124)

quibus permu-

torsitque hastile venuste,

vestit Turnus,

numeris,

Syndonem

SINESIO,

clypeum

Exit de panno (B.

v.

minimo,

questa

et fortunarum, vicissitudinibus

27-8).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

domino e per la virtà del cangiamento ch’apporta il moto de la trepidazione, e per la varia, e non più vista, né udita

relazione ed abitudine di pianeti. Teme che il fato disponga, che

l’ereditaria 1 successione

precedente

grande

non

mondana

sia

come

revoluzione,

ma

quella

della

molto * varia

e diversa, cracchieno quantosivoglia gli pronosticanti astrologi ed

altri divinatori.

Saulino. Dunque, si teme che non vegna qualche pi cauto Celio, che, all’essempio 3 del prete Gianni 4, per obviare Il compimento dell’anno cosmico era stato predetto appunto pel 1584' tra la fine di marzo ei primi di aprile, dall’astrologo boemo CIPRIANO Leowicz nel suo libro De coniunctionibus magnis insignioribus superiorum planetarumn, pubblicato vent'anni prima. V. FioRENTINO,

Studi

e ritratti, p. 348.

1 BL: ch’ l' heveditaria. % BL: volto. 3 (L: essempio; G! G2; esempio)

4

Il

Presbyter La

prete

Johannes

légende

du

Johannes

Gianni

Prétre

in

Sage

Jean,

in Abhandl.

della leggenda,

u.

su

Geschichte,

Bordeaux,

der philol.-hist.

cui

Berlin,

1877;

v.

OPPERT,

1864;

ZARNCKE,

k. (leggi:

classe)

Der

Der

BRUNET,

Priester

d. h. sachs.

Gesell. d. Wiss. di Lipsia, 1876-90; e anche GRAF, Roma nella memoria e nelle immaginaz. del M. E., Torino, 1883, II, 548 sg.; Car-

DUCCI, Opere, XI, 75-7 (ma 73-77 (Fologna, 1902): L. MANZONI, Del Prete Janni). Il KUHLENRECK cita (ma traducein parte, a p. 230, n. 32) il seguente luogo d'un vecchio scrittore:

«Apud

Habessinos

sapienter

constitutum

ut soli masculi

suc-

cedant, agnatione propinquiores; sed quia et patrum et matrum regnique primorum arbitrium admiscetur, neî non illegitimis aditus ad Regnum datur, infelicissimae et turbulentace ut plurimum sunt

illorum successiones.... «Reges Habessinorum

prisci,

bulentis

manerent:

filios

quam

Rupes

regii

regni

exsortes,

hominibus

moliri

Amharae

iuvenes

Historiam

P. Antonii Imperator (B.

7)

in

ignoti

possent,

arctam

et

Geshen

excelsae

ut

custodiam

tamen

totam

ex

Tellezio

(W.

II,

124)

nec

nunquam

et Ambacel

nativitatis

tantis

suae

malis

obviam

irent,

regnanies

quid-

concluserunt,

contra

successores

huic fini delectae,

poenas

(1. I,c.

ubi

dare

17), quam

tur-

deessent

coacti

in quibus

fuerunt.

ex relationibus

d’'Almeyda testis oculati habet, nostro stylo referemus: Jcon-amlacus quinque filios (alii novem aiunt) genuit, (L.

422)

(Gt

578

1LI, 26)

(G.2

II,

28-9).

DIALOGO

PRIMO

a gli possibili futuri inconvenienti, non bandisca gli suoi figli a gli serragli del monte Amarat, ed oltre, per tema che qualche Saturno non lo castre, non faccia mai difetto di non

allacciarsi

dormire

senza

le mutande

braghe

di

di

ferro,

diamante.

e non

si riduca

Laonde,

non

a

succe-

dendo l’antecedente effetto, verrà chiusa la porta a tutti gli altri conseguenti, ed in vano s’aspettarà il giorno natale della Dea di Cipro, la depressione «del zoppo Saturno, l’essaltazion di Giove, la moltiplicazion di figli e figli de’ figli, nipoti e nipoti de’ nipoti, sino a la tantesima generazione, quantesima è a tempi nostri, e può sin al prescritto termine essere ne gli futuri. Nec

iterum

Sofia =.

In

ad

tal

Troiam

magnus

termine,

mittetur

dunque,

Achilles 1.

essendo

la

condizion

de le cose, e vedendo Giove ne l' importuno memoriale de quos

omnes

cum aequali' amore aequaliter

imperare

iussit.

complecieretur,

regnare

Natu

voluit,

minimus,

imprudentissimo

ct, quod

morac

tot

peius

est,

annorum

consilio,

alternis

annis

pertaesus,

et

fortassis altius metuens, in animum sibi induxit, sceptrum semel acceptum non deponere, sed fratres in rupem aliquam relegare, atque sic imperium ad posteros suos derivare. Verum proditus a familiari suo, qui pracmia a regnante accipere quam a regnaturo expectare malcbat, insidias quas fratribus struxerat, ipse expertus,

et in rupem suae

quam

Geshen

regni

abductus

consuluisse

inclusit.

fuit. Ne

videretur,

Duravitque

vero

ista

filios

Iex

magis

proprios,

consuetudo

securitati

quos

iam

habebat,

simul

instar

legis

Naodum,

qui anno circiter 1590 ultimus e rupe illa ad regnum evec-

fundamentalis in Aethiopia per ducentos et triginta fere annos, quibus pacatum imperantibus fuit regimen, usque ad Imperatorem tus fuit ». JoBI LuDOLF

sive

Brevis

male,

et succincta

presbyteri

MDCLXXXI,

I VirciLio,

Johannis

descriptio vocatur

lib. II, c. 8). Ecl.,

IV,

IT,

124)

% Manca

in AL.

(B.

(W.

7-8)

(alias LEUT-HOLF

36;

579 dl



G,

Bnuno,

Dialoghi

italiani

Habessinorum

(Francofurt

atque

(L. 422)

vegni

dicti) Historia Aethiopica,

iterum

°

(GI

ad

IT, 26)

ad

quod

Menum,

Troiam,

vulgo

Zunner,

etc.

(G:è II, 29-30).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

la sfiancuta forza e snervata virtude appressarsi sua

morte,

cotidianamente

fa

caldi

voti

ed

come

effonde

la fer-

venti preghiere al fato, acciò che le cose ne gli futuri secoli in suo favore vegnano disposte. Saulino. voi

che

non

proprio rabile? (se pur qualche mani il

Tu,

conosca

e pur È pur il fato poeta; tragico E

o Sofia,

me

Giove

dici de

la condizion

E

Fato

i rati

ne guida,

stami

che

e noi

cedemo

per

Discorron

decreto

con

ciascun

al fato;

non ponno.

e comportiamo, il tutto

E la dura sorella Il torto filo non ritorce

Va

che

del contorto fuso ?

facciamo

prefisso

Mentre

del fato,

Volete

troppo divolgato epiteto è intitolato inesoverisimile, che nel tempo de le sue vacanze gli ne concede), talvolta si volga a leggere e non è difficile che gli sia pervenuto alle Seneca, che li done questa lezione 1:

Solleciti pensier mutar Ciò

le maraviglie.

cert'ordine

di noi

pende;

d'alto

a dietro.

le Parche,

incerto ad incontrar gli fati suoi.

Sofia. Ancora il fato vuol questo, che, benché sappia. il medesimo Giove che quello è immutabile, e che non possa essere

altro

che

quel

che

deve

essere

e sarà,

non

manchi

d'incorrere3 per cotai mezzi il suo destino. Il fato ha ordinate le preci, tanto per impetrare, quanto per non impetrare; e per non aggravar troppo gli animi trasmigranti, interpone la bevanda del fiume Leteo, per mezzo 1 SENECA,

Oedipus,

chor.,

vv.

1001-8,

1015-6

Richter). 2 Il testo lat.: rati stamina fusi. 3 Non di rado dal XIV al XVII sec. si trova caso. V. pp. 556, 559, 560 ecc. (B.

8-9)

(W.

II,

124-5)

(L.

422-3)

580

(G.!

II, 26-7)

(ed.

Peiper

e

usato col quarto (G.2

II,

30-1).

DIALOGO

de le mutazioni,

PRIMO

a fine che, mediante

l'oblio,

ognuno

mas-

sime vegna affetto e studioso di conservarsi nel stato presente. Però li giovani non richiamono * il stato de la infanzia,

gl’ infanti non appeteno *? il stato nel ventre de la madre, e nessuno di questi il stato suo in quella vita, che vivea prima che si trovasse in tal naturalitade. Il porco non vuol morire per non esser porco, il cavallo massime di scavallare. Giove per le instante necessitadi

paventa somma-

mente teme di non esser Giove. Ma, la mercé e grazia del fato, senza averlo imbibito de l’acqua di quel fiume, non cangiarà il suo stato.

Saulino. Talché, o Sofia (cosa inaudita !), questo nume ancora av'egli dove effondere orazioni? esso ancora versa nel timore della giustizia? Mi maravigliavo io, perché gli dei sommamente temevano di spergiurare la Stigia palude 3;

ora comprendo che questo procede dal fio che denno pagare anch'essi. Sofia. Cossi è. Ha ordinato al suo fabro Vulcano, che non

lavore

de giorni

di festa; ha

non

faccia

comparir

la sua

I B:

richiamo;

W:

LVuI,

I.

% Forme

Cand3,

p.

consimili n.

3 Nel Candelaio,

coli inviolando)

a

corte,

richiamano;

pp.

comandato

551,

L:

559,

e non

permetta

richiamono.

564,

a Bacco

566,

567,

debac-

per

II, 6: «per le onde stigie (giuramento

vada.... ». Cfr.

VIRGILIO,

Aex.,

VI,

che

cui

v.

ai Celi-

323-4,

€ ARIST.,

seiu

specierum

Metaph., 983 b 32. Nel De rerum principiis il B. dice che Stige o abisso designa uno dei due principii della materia: il principio umido, agglutinante e formativo (cir. De l'infinito, p. 453, n. 1): «Hinc omnes philosophi divini et magi et poetae Stygem, quam

matricem

aquarum

intelligunt,

matrem

Deorum

intelligunt; et hoc significant Orpheus, Linus, Hesiodns et omnes poetae, cum dicunt Stygem esse inviolabile iusiurandum Deorùm »:

Opera,

III,

(B.

0)

si.

(W.

II,

125)

(L.

423)

581

(G.

IT, 27-8)

(G.2

II, 31).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

care! le sue Evanti, fuor che nel tempo nelle

feste

principali

de

l’anno,

di carnasciale, e

solamente

dopo

cena,

ap-

presso il tramontar del sole, e non senza sua speciale ed espressa licenza. Momo, il quale avea parlato contra gli dei, e, come a essi pareva, troppo rigidamente arguiti gli loro errori, e però

era.stato

bandito

dal-concistoro

e conversa-

zion di quegli, e relegato alla stella ch'è nella punta de la coda di Calisto 2, senza facultà di passar il termine di quel parallelo a cui sottogiace il monte Caucaso, dove il povero dio è attenuato dal rigor del freddo e de la fame; ora è richiamato,

giustificato,

restituito

al suo

stato

pristino,

e

posto precone ordinario ed estraordinario con amplissimo privileggio di posser riprendere gli vizii, senza aver punto risguardo a titolo o dignitade di persona alcuna. Ha vietato a Cupido d’andar più vagando, in presenza degli3 uomini,

eroi e dei,

ingiontoli

strando

ma

cossi sbracato 4, come

che non

le natiche

offenda

che vada- per

oltre

la vista

per la via lattea,

l’avenire

ha

vestito

di costume; de

Celicoli,

ed Olimpico

almeno

ed mo-

senato:

da la cintura

a basso; e gli ha fatto strettissimo mandato che non ardisca

oltre di trar dardi se non per il naturale, e l'amor de gli uomini faccia simile a quello de gli altri animali, facendoli a certe

e determinate

staggioni

inamorare;

e cossf,

come

a gli gatti è ordinario il marzo, a gli asini il maggio, a questi

1 W:

? Cioè

Bunte,

vedrà,

di vagare.

nell’ Orsa

lib.

nello

3 (L:

II,

de

c.

Spaccio.

gl’)

4 Nel Baldo

maggiore, 30:

opera

(ediz. Laterza,

Nudus

it et nullis

(B.

(W.

9-10)

1, p.

II,

cfr.

XIV,

tegitur vergogna 125-6)

(L.

HyGINI,

probabilmente

423-4)

552

166-8):

Astronomica, sfruttata,

«.... Veneris....

mudandis ». (G.! II,

28-9)

(G#

II,

come

rec.

si

putellus

31-2).

DIALOGO

sieno

accomodati

que’

PRIMO

giorni

Petrarca di Laura ?, e Dante

ne’

quali

se

di Beatrice;

innamorò!

e questo

il

statuto

è in forma de interim sino al prossimo concilio futuro, entrante il sole al decimo grado di Libra, il quale è ordinato nel capo del fiume Eridano, là dove è la piegatura del ginocchio d' Orione. Ivi si ristorarà quella legge naturale, per la quale è lecito a ciascun maschio di aver tante moglie

quante

ne

può

nutrire

ed

impregnare;

perché

è

cosa superflua ed ingiusta, ed a fatto contrario alla regola naturale, che in una già impregnata e gravida donna, o in altri soggetti peggiori, come

altre illegitime procacciate,

— che per tema di vituperio provocano l'aborso 3, — vegna ad esser sparso quell'omifico seme che potrebbe eroi e colmar le vacue sedie de l’empireo.

suscitar

Saulino. Ben provisto, a mio giudizio: che più? Sofia. Quel Ganimede, ch'al marcio dispetto de la gelosa Giunone,

gli era tanto

in grazia,

ed a cui solo liceva

d'accostarsegli, e porgergli li fulmini trisolchi, mentre a lungi4 passi a dietro riverentemente si tenevano gli dei, al presente

1 L:

credo

inamorò:

* Il Petrarca,

che,

ma

B:

se non

innamorò.

com’ è noto,

ha

altra

dice

d’essersi

il

Petrarca,

virtute

che

innamorato

quella

il 6 aprile

1327. Nel Cand., I, 3: « fui questo aprile da un'altra fiamma acceso.



In

questo

tempo

s'inamorò

fu

molto parodiato nel Cinquecento. 3 Il grammatico Nonio MARCELLO,

e

gli

asini

anch'essi,

cominciano a rizzar la coda ». Il son. del Petrarca « Voglia mi sprona » (Coloniae

quod cum riendi 4 come

Allobrog.,

1622,

c.

5,

n.

nel De compendiosa doctrina

ult.):

«Aborsus,

idem

fere

abortus; differt tamen, quia aborsus est in primis mensibus conceptui exordium factum est, abortus prope tempus pa». B. usa questo pl. de’ primi secoli, nella stessa guisa, che userà, avverbio (pp. 680 e 608), /unghi invece di lungi.

(B.

10-1)

(W.

II,

126)

(L. 424) (G.!

583

IT, 29)

(G.? II, 32-3).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

che è quasi persa, è da temere che da paggio di Giove non debba aver a favore di farsi come scudiero a Marte.

Saulino. Onde questa mutazione?

Sofia. E da quel che è detto del cangiamento e perché lo invidioso Saturno ai giorni passati, di fargli

de vezzi,

ruvida mano

gli andò

per il mento

di maniera

tale

di Giove, con finta

rimenando

la

e per le vermiglie gote, che da

quel toccamento se gl'impela il volto, di sorte che pian piano va scemando quella grazia che fu potente a rapir Giove dal cielo, e farlo essere rapito da Giove in cielo, ed onde il figlio d'un uomo venne deificato, ed ucellato ! il padre de gli dei. Saulino. Cose troppo stupende! Passate oltre. Sofia. Ha imposto a tutti gli dei di non aver paggi o cubicularii

di minore

etade

che

di vinticinque

anni.

Saulino. Ah ah? Or che fa, che dice Apolline del suo caro Giacinto ? * Sofia. Oh se sapessi, quanto è egli mal contento! Saulino. Certo credo che la sua contristazione caggiona questa oscurità del cielo, ch’ ha perdurato più di sette giorni; il suo alito produce tante nuvole, i suoi suspiri si tempestosi venti, e le sue lacrime sf copiose piogge. Sofia.

Hai

divinato.

Saulino. Or, che sarà di quel povero fanciullo? Sofia. Ha preso partito di mandarlo a studiar lettere umane in qualche universitade o collegio riformato, e sottoporlo a la verga di qualche pedante. 1 V.

Cand:,

p.

609,

n.

2.

® Nelle Fabulae d'Icino (ed. Schmidt, cap. CCLXXI, p. 146) «Hyacinthus Ocbali filius» è ricordato appunto dopo Ganimede, tra gli «ephebi formosissimi »: «quem Apollo amavit ». (B.

11-2)

(W.

II,

126-7)

(L.

424-5)

584

(G.1

II,

29-30)

(G.2

II,

33-4).

DIALOGO

PRIMO

Saulino. O fortuna, o sorte traditora! Ti par questo boccone da pedanti ? 1, Non era meglio sottoporlo alla cura d'un

poeta,

farlo a la mano

d'un

oratore,

o avezzarlo

su

il baston de la croce? Non era più espediente d’ubligarlo sotto la disciplina di.... Sofia. Non

più, non

più!

Quel?

che deve

essere, sarà;

quel che esser devea, è. Or per compire l’ istoria di Gani-

mede, l’altr'ieri, sperando le solite accoglienze, con quell'usato ghigno fanciullesco li porgeva la tazza di nettare; e Giove, avendogli alquanto fissati gli turbidi occhi al volto: — Non ti vergogni, li disse, o figlio di Troo? pensi ancor essere3 putto ? forse che con gli anni ti cresce la discrezione, e ti s'aggionge di giudizio ? non ti accorgi che è passato quel tempo, quando mi venevi ad assordir l’orecchie,

che,

Fauno,

allora

quel

ch'uscivamo

per

di Lampsaco4

ed

l’atrio

altri

esteriore,

Sileno,

si stimavano

beati,

se posseano aver la commodità di rubbarti una pizzicatina, o almeno

toccarti

la veste,

non si lavar le mani,

ed in memoria

quando

andavano

di quel

tocco

a mangiare,

e far

de l'altre cose che lì dettava la fantasia? Ora dispònite, e pensa che forse ti bisognarà di far altro mestiero. Lascio che io non voglio più frasche appresso di me. — Chi avesse veduto

il cangiamento

di volto

di quel

povero

garzone

o

adolescente, non so se la compassione, o il riso, o la pugna de l'uno e l’altro affetto l'avesse mosso di vantaggio.

1 Cfr. Cand.?,

p. 142, n. 3, e De la causa,

p. 293,

n. I.

ARIOSTO,

Sat., VII, 25: « Ride il volgo se sente un ch’abbia vena | Di poesia,

e poi

dice:

2 W:

è gran

Sofia: Non

periglio

pi?

| A

Quel.

dormir

3 (GI = L: essere; G2: esser) 4Quel di Lampsaco, (B.

12-3)

(W.

II,

127)

(L.

425)

585

seco

e volgerli

la schiena ».

Priapo. (GI

II, g0-1)

(G.

II,

34-5).

SPACCIO

Saulino.

DE

LA

BESTIA

Questa volta credo

Sofia. Attendi,

perché

TRIONFANTE

io, che risit Apollo 1.

quel ch’ hai sin ora udito,

non

è

altro che fiore. Saulino. Di’ pure. Sofia. Ieri che fu la festa in commemorazion del giorno de la vittoria de dei contra gli giganti, immediatamente dopo pranso *, quella 3, che sola governa la natura de le cose, e per la qual gode tutto quel che gode sotto il cielo, — La

La bella madre diva

potestà

del gemino

d’uomini

amore,

e dei,

Quella per cui ogni animante al mondo Vien conceputo, e nato vede il sole, Per cui fuggono i venti e le tempeste, Quando spunta dal lucid'oriente, Gli arride il mar tranquillo, e di

La terra si rinveste, e gli presenta

bel

manto

Der belle man di Naiade gentili Di copia di fronde, fiori e frutti Colmo

avendo

il smaltato

ordinato

corno

il ballo,

se

d’Achcloo4, —

gli

fece

innante

con

quella

grazia che consolarebbe ed invaghirebbe il turbido Caronte; e come è il dovero de l'ordine, andò a porgere la prima mano a Giove. Il quale, — ‘in loco di quel ch'era

Pp.

1 Orazio, Odi, I, 10, v. 12. * Anche Erasmo, Moriae encomium

193-4:

« Nam

hi quidem

(sc. Dei)

(Lugd.

horas

Batav.,

1648),

illas sobrias et ante-

meridianas iurgiosis consultationibus ac votis audiendis impartiunt. Caeterum ubi iam nectare madent, neque lubet quicquam serium agere, tum qua parte coelum quam maxime prominet, ibi consident ac quid agitent homines speculantur!». E le seguenti pagine

di Erasmo pare abbiano inspirato la rappresentazione presso farà il B. del consiglio degli dei. 3 Venere. 4 Trad.

libera

il KURLENBECK neca ».

(B.

Cfr.

13-4)

altra

(W.

II,

di Lucrezio,

(p. 284) trad.

127-8)

De

ver.

BERNI,

Orl.

pensa

del

(L.

a «una

425-6)

586

(G.I

nat.,

I,

1-9.

traduzione Imnam.,

II,

che qui ap-

Erroneamente

italiana

di Sc-

(G?

35-6).

XXX,

31-2)

2-3.

II,

DIALOGO

PRIMO

uso di fare !, dico, di abbracciarla col sinistro braccio, e strenger petto a petto, e con le due prime dita della destra premendogli

il

labro

inferiore,

accostar

bocca

a

bocca,

denti a denti, lingua a lingua (carezze più lascive che pos-

sano convenire a un padre in verso de la figlia), e con questo sorgere al ballo, — ieri, impuntandogli la destra al petto, e ritenendola a dietro (come dicesse: Nol: me tangere) ?, con un compassionevole aspetto ed una faccia piena di devozione: pur

una



Ah

volta

Venere,

Venere,

al fine non

li disse;

consideri

il stato

è possibile che nostro,

e spe-

cialmente il tuo? Pensi pur che sia vero quello che gli uomini s' imaginano di noi, che chi è vecchio è sempre vecchio, chi è giovane è sempre giovane, chi è putto è sempre putto, cossi perseverando eterno, come quando da la terra siamo stati assunti al cielo; e cossî, come là la pit-

tura ed il ritratto nostro si contempla

sempre

medesimo,

talmente qua non si vada cangiando e ricangiando la vital

nostra complessione? Oggi per la festa mi si rinova la memoria di quella disposizione, nella quale io mi ritrovavo quando fulminai e debellai que’ fieri giganti che ardîro di ponere sopra Pelia Ossa, e sopra Ossa Olimpo; quando io il feroce Briareo, a cui la madre Terra avea donate cento braccia e cento mani, acciò potesse con l’émpito di cento

versati scogli contra gli dei debellare il cielo, fui potente di abissare alle nere caverne dell’orco voraginoso 3; quando

relegai il presuntuoso Tifeo là dove il mar Tirreno col Jonio si congionge, spingendogli sopra l'isola Trinacria, a

1 Vedi

VirciLIO,

? Vangelo 3 Cir.

(B.

di Giovanni,

Viro.,

14-5)

Aen.,

(W.

Aen.,

IT,

VI,

128)

I,

254-6.

XX,

286-7;

17.

(L. 426-7)

587

Luc.,

Phars.,

(G.T II,

32-3)

IV,

(G.

596.

II,

36).

SPACCIO

DELLA

fin che al vivo dice un poeta: Ivi

corpo

BESTIA

TRIONFANTE

la fusse perpetua

a l’ardito

ed

audace

sepoltura.

Onde

Tifeo,

Che carco giace del Trinacrio pondo, Preme la destra del monte Peloro La

grieve

salma;

e preme

la sinistra

Il nomato Pachin; e l’'ampie spalli!, Ch'al peso han fatto i calli, Calca il sassoso e vasto Lilibeo;

E 'l capo orrendo aggrieva Dove

Folgori

Io che

col gran

tempra

sopra

martello

il scabroso

quell'altro

ho

Mongibello,

Vulcano ?.

fulminata

l'isola

di Pro-

chita; io ch’ ho reprimuta l’audacia di Licaone, ed a tempo di Deucalione

altri

liquefeci la terra al ciel rubella;

manifesti

mia autoritade;

segnali or non

mi

son

mostrato

ho polso

e con tanti

degnissimo

di contrastar

della

a certi mezi

uomini, e mi bisogna, al grande mio dispetto, a voto di caso e di fortuna lasciar correre il mondo; e chi meglio la séguita, l’arrive, e chi la vence, la goda. Ora son fatto qual

quel vecchio esopico lione3, a cui tmpune l'asino dona di calci, e la simia

fa de le beffe, e, quasi

come

ad un insen-

sibil ceppo, il porco vi si va a fricar la pancia polverosa. Là

dove

io

avevo

nobilissimi

oracoli,

fani

ed

altari,

ora,

essendono4 quelli gittati per terra ed indegnissimamente profanati,

in loco

loro

han

dirizzate

are

e statue

a certi

ch'io mi vergogno nominare, perché son peggio che lì no_ ! Questa antica forma di plur., come si è avvertito nel Cand.? (p. 13, n. 3), è comune ne’ libri del B. Vedi sopra, p. 551. 2 Trad. libera di Ovipio, Metamm., V. 346-54. 3 Cfr. la favola (non esopiana) di FepRO, I, 21: Leo senex, aper, taurus, asinus (SPAMPANATO, Lo spaccio, p. 85, n. 3). 4 Forma plurale del gerundio. Vedi a p. 488, la n. 3. (B.

15-6)

(W.

II,

128-9)

(L.

427)

588

(G.!

II,

33)

(G

II,

36-7).

DIALOGO

PRIMO

stri satiri e fauni ed altri semebestie 1, anzi più vili che gli

crocodilli = d’ Egitto; perché quelli pure, magicamente guidati, mostravano qualche segno de divinità; ma costoro sono a fatto lettame3 de la terra. Il che tutto è provenuto per la ingiuria della nostra nemica fortuna, la quale non l'ha eletti ed inalzati tanto per onorar quelli, quanto per nostro vilipendio, dispreggio e vituperio maggiore, Le leggi, statuti,

culti,

sacrificii

e ceremonie,

ch'io

Mercurii ho donate, ordinati, comandati

già

per

li miei

ed instituiti 4, son

cassi ed annullati; ed in vece loro si trovano le più sporche ed indegnissime poltronarie che possa giamai questa cieca altrimente fengere, a fine che, come per noi gli omini doventavano eroi, adesso dovegnano peggio che bestie. Al nostro naso non ariva più fumo di rosto, fatto in nostro servizio da gli altari; ma se pur tal volta ne viene appetito, ne fia mestiero d’andar a sbramarci

patellari.

E benché

per le cocine, come

alcuni altari fumano

d’ incenso

dei

(quod

dai avara manus), a poco a poco quel fumo dubito che non se ne

vada

in fumo,

a fine che

nulla rimagna

di vestigio

ancora delle nostre sante instituzioni. Ben conoscemo per prattica, che il mondo è a punto come un gagliardo cavallo, il quale molto ben conosce quando è montato da uno che non lo può strenuamente maneggiare, lo spreggia, e tenta di toglierselo da la schena; e gittato che l’ha in terra, lo viene a pagar di calci. Ecco, a me si dissecca il corpo I Sconcordanza

cui

non

tutti

badano

badava nemmeno scrivendo. 2 Grecismo frequente negli seritti 3 Cfr. p. 502, n. 2. 4 Il primo di questi

gli altri co” nomi

si riferisce a leggi

concordato

(donate);

mentre

gli statuti sono

(Non

e

il

complessivamente

è esatto:

con

non

‘ceremonie’,

il primo

comandati

participio

ordinati;

i culti,

ed instituiti.)

{B. 16-7) (W. II, 129) (L. 427-8) (G. II, 33-4) (GIL

5809

B.

del Cinquecento.

participii

precedenti.

sacrificiù e ceremonie

parlando,

37-8).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

e mi s'umetta il cervello; mi nascono i tofi ® e mi cascano gli denti;

mi

s'inora

la carne

e mi

s'inargenta

il crine;

mi si distendeno le palpebre e mi si contrae la vista; mi s' indebolisce il fiato e mi si rinforza la tosse; mi si fa fermo

il sedere e trepido il caminare; saldano

grossano

mi trema il polso e mi si

le coste *; mi s'assottigliano

le gionture:

gli articoli e mi s’ in-

ed in conclusione

(quel che

più mi

tormenta), perché mi s'indurano gli talloni e mi s'ammolla il contrapeso,

il bordon

l’otricello

de

la cornamusa

mi

s’allunga

s’accorta: La

mia

Giunon

La mia

di me

Giunon

non

è gelosa,

di me non

ha più cura.

Del tuo Vulcano (lasciando gli altri dei da canto) che consideri tu medesima. Quello che con tanto solea

percuotere

schiassi,

ed

quali

la

salda

incudine,

dall’ ignivomo

Etna

che

voglio vigore

a

gli fragrosi3

uscivano

a l’orizonte.

Eco dalle concavitadi del campano Vesuvio e del sassoso Taburno 4, rispondeva 5, — adesso dove è la forza del mio

fabro e tuo consorte ? Non è ella spinta 6 ? non è ella spinta ? Forse che ha più nerbo da gonfiar i folli per accendere il foco? forse ch’ ha più lena d’alzar il gravoso martello per battere

l’infocato

metallo?

Tu

non credi ad altri, dimandane 1 Tofi,

latinismo,

usato

ancora,

mia

sorella,

se

al tuo specchio; e vedi come

anche

dal

Tansillo,

per

tufi.

è BLG!: costa; giustamente W: coste. 3 E anche ‘fragoso’: rimbombante. 4 Il massiccio tra il Volturno ed il Calore che, abbassandosi fra Arienzo ed Arpaia, forma la gola detta Val Caudina, VIRGILIO

nelle Georgiche 5

W:

risponde.

6 Spenta; (B.

17-8)

(II, 38)

(W.

Cosf

cfr. sopra, IT,

lo descrive sopra

suole.

coperto

di olivi.

p. 5, n. 3.

7129-30)

(L.

428)

590

(G.t

II,

34-5)

(GI,

38-0).

DIALOGO

PRIMO

per le rughe che ti sorio aggionte, e per gli solchi che l’aratro del tempo t’ imprime ne la faccia, porgi giorno per giorno maggior difficultade al pittore, s’egli non vuol mentire, dovendoti ritrare per il naturale. Ne le guancie, ove ridendo formavi quelle due fossette tanto gentili, doi centri, doi punti in mezzo de le tanto vaghe pozzette, facendoti il riso, che imblandiva il mondo tutto, giongere sette volte maggior grazia al volto, onde (come da gli occhi ancora) scherzando scoccava gli tanto acuti ed infocati strali Amore: adesso, cominciando da gli angoli de la bocca, sino a la già commemorata parte, da l’uno e l’altro canto comincia a scuoprirsi forma di quattro parentesi, che ingeminate par che ti vogliano, strengendo la bocca, proibir il riso con quelli archi circonferenziali, ch'appaiono tra gli denti ed orecchi, per farti sembrar un crocodillo. Lascio che, o ridi o non

ridi,

ne la fronte

il geometra

interno,

che

ti

dissecca l’umido vitale, e con far più e più sempre accostar la pelle a l'osso, assottigliando la cute, ti fa profondar la descrizione de le parallele a quattro a quattro, mostrandoti per quelle il diritto camino, il qual ti mena come verso il defuntoro 1. — Perché piangi Venere ? perché ridi, Momo ? disse, vedendo questo mostrar i denti, e quella versar lacrime.

Ancora

Momo

sa,

quando

un

di

questi

buffoni

(de quali ciascuno suol porgere più veritadi di fatti suoi a l’orecchi del principe, che tutto il resto de la corte insieme, e per quali per il più color, che non ardiscono di parlare,

sotto

muovono

nel

(B.

specie

di gioco

parlano,

Nel

18-9)

muovere

e

de propositi ?) disse che Esculapio ti avea fatta

I Cir. Canda, p. 137, n. 3. * Accenno ai buffoni di cui ancora 500.

e fanno

Cand.,

(W.

II,

v.

19:

« Ho

130), (L.

udito

428-9)

591

dilettavansi

dire che

(G.!

II,

un

35)

principi

e papi

certo censore

(G.=

II,

39-40).

del-

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

provisione di polvere di corno di cèrvio! e di conserva di coralli, dopo averti cavate due mole guaste tanto secretamente, Vedi,

che ora non è pietruccia in cielo che nol sappia.

dunque,

cara sorella, come

ne doma

il tempo

tradi-

tore, come tutti siamo suggetti alla mutazione: e quel che più tra tanto ne afflige, è che non abbiamo certezza né speranza alcuna di ripigliar quel medesimo in cui tal

volta

fummo.

Andiamo,

essere a fatto,

e non

torniamo

mede-

simi; e come non avemo memoria di quel che eravamo, prima che fussemo in questo essere, cossi non possemo aver

saggio

di quel

che

saremo

da

poi.

Cossî,

il timore,

pietà e religione di noi, l'onore, il rispetto e l’amore vanno via; li quali appresso la forza, la providenza, la virti, dignità,

maestà

e bellezza,

che

volano

da

noi,

non

altri-

mente che l'ombra insieme col corpo, si parteno. La veritade sola con l’absoluta virtude è inmutabile ed immortale: e se tal volta

mente

casca

e si sormmerge,

medesima

necessaria-

al suo tempo risorge, porgendogli il braccio la sua

ancella

Sofia.

Guardiamoci,

la divinitade,

tanto

facendo

raccomandato

prossimo il nume

affetto

a quello

l'opera di Giove,

cessari

torto

questi

che

di offendere

a questo

e da lui tanto

stato futuro, universale,

dunque,

elargitore

che si chiama

parlan

quasi3

d'alzare

d'ogni Momo,

liberamente:

bene —

nume

fato a lui

faurito 2. Pensiamo

e non, come

manchiamo

gemino

del

poco curando

il nostro

core

ed

e distributor

de

perché

prima

al

son per tutto

perché

i principi

ne-

o

giodici s'accorgano degli errori che fanno e non conoscono, mercé di poltroni.... ». Da questi buffoni, aveva osservato ERASMO (Moriae

encomiwn, p. 136), i principi ascoltano «non vera modo, verum etiam aperta

convicia

cum

voluptate ».

1 IV: polpa di cervio.

% W: 3 W: (B.

a lui tanto non quasi.

19-20)

(W.

II,

raccomandato 130-1)

e faurito.

(L. 429)

592

(GI

II,

35-60)

(G.2

II,

40).

DIALOGO

tutte l'altre

sorti.

PRIMO

Supplichiamolo

che

ne la nostra

tran-

sfusione, o transito 1, o metampsicosi, ne dispense felici genii: atteso che, quantunque egli sia inesorabile, bisogna pure aspettarlo con gli voti 0? di essere conservati nel stato presente,

o di subintrar un altro megliore,

o simile, o poco

peggiore. Lascio che l'esser bene affetto3 verso il nume superiore è come un segno di futuri effetti favorevoli da quello;

come

chi è prescritto

ad

esser

uomo,

è necessario

ed ordinario ch' il destino lo guida, passando per il ventre de.la madre; il spirto predestinato ad incorporarsi in pesce, bisogna che prima vegna attuffato a l’acqui: talmente a chi è per esser favorito da gli numi4 conviene che passe per mezzo de buoni voti ed operazioni. Seconda parte del primo Dialogo. Con questo dire, di passo in passo suspirando, il gran padre de la patria celeste, avendo finito il suo raggionamento 5 con Venere, il proposito di ballare converse in proponimento di fare il gran conseglio con gli dei de la tavola ritonda: cioè tutti quei che non sono apposticci, ma naturali, ed han testa di conseglio, esclusi gli capi di montone,

corna

di bue,

barbe

di capro,

orecchie

d’asino,

denti di cane, occhi di porco, nasi di simia, fronti di becco, stomachi

di gallina, pancie di cavallo, piedi di mulo

1 W:

transfissione.

3 Cfr.

pp.

® (G1 = L:

o; G3:

203,

215,

sposto ’, ‘ applicato ’.

e (per svista ecc.;

ma qui

tipografica).) affetto

e code

nel senso di ‘ di-

41 W: numini. 5 BL: raggionamente.

(B. 20-1)

(W.

II,

131)

(L. 429-30) (G.1 II, 36-7)

593

(G.2 II, 40-31).

SPACCIO

di scorpione.

figlio

di

DE

Però,

Eolo*®

anticamente

LA

data

TRIONFANTE

la crida:

(perché

fue,

BESTIA

Mercurio

trombettiero

e

per

bocca

sdegna

di Miseno,

l’essere,

pronunziator

di

come editto),

que’ tutti dei, ch'erano dispersi per il palaggio, si trovorno ben presto radunati. Qua dopo tutti, essendo fatto alquanto di silenzio,

non

men

con

triste

e mesto

aspetto

che

con

alta presenza e preeminenza maestrale, menando i passi Giove, prima che montasse in solio e comparisse in tribunale, se gli appresenta Momo; il quale, con la solita libertà di parlare, disse cossi con voce tanto bassa che fu da tutti

udita: giorno

— Questo concilio deve essere differito ad altro3 ed altra occasione, o padre, perché questo umore

di venir in conclave adesso, immediate dopo pranso, che sia occasionato dalla larga mano del tuo tenero piero; ben

perché

digerito,

il nettare, non

che

non

può

essere

consola o refocilla, ma

dal

pare cop-

stomaco

altera e contrista

la natura e perturba la fantasia, facendo altri senza propo: sito gai, altri disordinatamente allegri, altri superstiziosamente

devoti,

altri

vanamente

eroici,

altri

colerici,

altri

machinatori di gran castegli, sin tanto che, col svanimento di medesime fumositadi, che passano per diversamente complessionati

cervelli, ogni

cosa

casca

e

va

in

fumo.

A te, Giove, par che abbian commosse 4 le specie di gagliardi e fluttuanti pensieri,

che

nei

e t'abbia fatto dovenir

inescusabilmente

ognuno

ti

giudica,

1 In proposito dello scambio dell'iniziale derivati, v. De l'infinito, p. 531, n. 4.

® VIRGILIO,

Aen.,

pracstantior alter, Aere 3 W: a l’altro.

4 B

(L):

VI,

164-65:

ciere

viros

« Misenum

Martemque

triste; per ciò

benché

in

questa

Acoliden,

accendere

io

solo

parola quo

non

cantu ».

abbia commosse.

(B. 21-2) (W. 11, 131-2) (L. 430) (Gt II, 37-8) (G? Il, 4r-2).. 594

e

DIALOGO

PRIMO

ardisca di dirlo, vinto ed oppresso da l’atra bile, perché in questa occorrenza che non siamo convenuti provisti a far conseglio, in questa occasione che siamo uniti per la festa, in questo

tempo

dopo

pranso,

e con queste

circon-

stanze d'aver ben mangiato e meglio bevuto, volete trattar di cose

tanto

seriose,

quanto

mi

par intendere

ed alcuna-

mente posso annasare col discorso. — Ora, perché non è consuetudine, né pur molto lecito a gli altri dei di disputar con Momo, Giove, avendolo con un mezzo ed alquanto dispettoso riso remirato, senza punto rispondergli, monta su l'alta catedra,

siede, remira in cerchio la corona de l’as-

sistente gran Senato. Da quel sguardo convien ch'a tutti venesse a palpitar il core e per scossa di maraviglia e per punta di timore e per émpito di riverenza e di rispetto, che suscita ne’ petti mortali ed immortali la maestade quando si presenta; appresso, avendo alquanto bassate le palpebre, e poco dopo allunate * le pupille in alto, e sgombrato un focoso suspiro dal petto, proruppe in questa sentenza: Orazione

di

Giove.

— Non aspettate, o Dei, che, secondo la mia consuetudine, v’abbia ad intonar ne l’orecchio con uno artificioso 3

proemio, con un terso tevole agglomeramento

filo di narrazione e con un deletepilogale. Non sperate ornata tes-

situra di paroli, ripolita infilacciata di sentenze, ricco ap-

luna.

1 W:

‘allungate.

? Questo

3

(B.

(G1

=

22-3)

Allunate,



G.

del cerchio della

titolo è tralasciato in W.

L:

artificioso;

(W.

IL

132)

G?:;

(L.

articioso)

430-1)

595 42

curvate a mo’

Bruno.

Dialonhi

italiani

(G.!

II,

38)

(G2

II,

42-3).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

parato di eleganti propositi, suntuosa pompa discorsi

e,

secondo

l'instituto 1 di

oratori,

di elaborati concetti

posti

tre volte a la lima prima ch'una volta a la lingua: #0 hoc. Non

Credetemi,

hoc ista sibi tempus

dei, perché

spectacula

credete

poscit 2.

il vero,

già dodici

volte

ha ripiene l' inargentate corna la casta Lucina, ch'io son stato in la determinazione di far questa congregazione oggi, in questa ora e con tai termini che vedete. Ed in questo mentre son stato più occupato sul considerar quello che devo a nostro mal grado tacere, che mi sia stato lecito

di premeditar sopra quello che debbo dire. Odo che vi maravigliate, perché a questo tempo, rivocandovi da vostro spasso, v’abbia fatto citar alla congregazione e dopo pranso a subitanio concilio. Vi sento mormorare,

che in giorno

seriose,

e non

festivo vi vien tocco

è di voi chi a la voce

il core

de la tromba

di cose e pro-

posito de l'editto non sia turbato. Ma io, benché la raggione

di queste azioni e circostanze pende

l'ha

possute

instituire,

e

la

mia

dal mio volere che

voluntà

e

decreto

l’ istessa raggione de Ila giustizia, tutta volta non mancar, prima che proceda ad altro, di liberarvi da confusione e maraviglia. Tardi, dico, gravi e pesati essere gli proponimenti; maturo, secreto e cauto essere il conseglio: ma l’essecuzione bisogna che sia veloce

e presta.

Però

non

credete,

che

intra

sia

voglio questa denno deve alata,

il desinare

qualche strano umore m'abbia talmente assalito che, dopo pranso, mi tegna legato e vinto, onde non a posta di rag1 B:

gl' instituto.

* VirciLIo,

Aen.,

VI,

37.

(B. 23-4) (W. II, 132-3) (L. 431-2)

596

(G.HII, 38-9) (G.2 II, 43).

DIALOGO

PRIMO

gione, ma per impeto di nettareo fumo proceda a l'azione; ma dal medesimo giorno de l’anno passato cominciai a consultar entro di me quel tanto che dovevo esseguire in questo giorno ed ora. Dopo pranso, dunque, perché le nove

triste non è costume d’apportarle a stomaco diggiuno; all’ improviso, perché so molto bene che non cossi come alla festa solete convenir volentieri al conseglio, il quale è intensissimamente

da molti

di voi

fuggito:

mentre

chi

lo teme per non farsi di nemici, chi per incertezza di chi vince e di chi perde, chi per timore ch'il suo conseglio non sia tra dispreggiati, chi per dispetto per quel che il suo

parere

tal volta non

strarsi neutrale l'altra

parte,

è stato

approvato,

nelle cause pregiudiciose

chi

per

1 Se nel Cand.?

(pp.

non

aver

chi per mo-

o de l’una o de

occasione

d’aggravarsi

la

conscienza: chi per una, chi per un'altra causa. Or vi ricordo, o fratelli e figli, che a quelli, ai quali il fato ha dato di posser gustare l'ambrosia e bevere il nettare e goder il grado della maestade, è ingionto ancora di comportar tutte gravezze che quella apporta seco. Il diadema, la mitra, la corona, senza aggravarla, non onorano la testa; il manto regale ed il scettro non adornano senza impacciar il corpo. Volete sapere perché io a ciò abbia impiegato il giorno di festa, e specialmente tale quale è la presente? Pare a voi, dunque, pare a voi che sia degno giorno di festa questo ? E credete voi che questo non deve essere il più tragico giorno di tutto l’anno? Chi di voi, dopo ch'arrà ben pensato, non giudicarà cosa vituperosissima di celebrar Ia commemorazion de la vittoria contra gli giganti a tempo che da gli sorgi ! de la terra siamo dispregl'infinito, p. 501,

invece,

124

e 126),

‘ sorgio ’.

‘ sorece’

e ‘ sorecillo ', ncl De

(B. 24-6) (W. II, 133) (L. 432) (G.! II, 39-40)

597

(G.* II, 43-4).

SPACCIO

DE

giati e vilipesi?

Oh

irrefragabil

che

fato,

LA

BESTIA

che

avesse

allora

TRIONFANTE

piaciuto

fussemo

a l’omnipotente

stati

discacciati

dal

cielo, quando la nostra rotta per la dignità e virti di nemici non era vituperosa tanto; perché oggi siamo nel cielo peggio che se non vi fussemo, peggio che se ne fussemo stati discacciati, atteso che quel timor di noi, che ne rendea

tanto gloriosi, è spento; la gran riputazione de la maestà, providenza e giustizia nostra è cassa; e quel che è peggio, non abbiamo facultà e forza di riparar al nostro male, di vendicar le nostre onte; perché la giustizia con la quale il fato governa gli governatori del mondo, ne ha a fatto tolta quella autorità e potestà la quale abbiamo tanto male adoperata, discoperti e nudati avanti gli ‘occhi di mortali e fattigli1 manifesti i nostri vituperii; e fa che il cielo medesimo con cossi chiara evidenza, come chiare ed evidenti

nostri.

son

le

Perché

stelle,

renda

vi si vedeno

testimonianza

aperto

de

misfatti

gli frutti, le reliquie,

gli riporti, le voci, le scritture, le istorie di nostri adulterii,

incesti, fornicazioni, ire, sdegni, rapine ed altre iniquitadi e delitti; e che per premio di errori abbiamo fatto maggiori errori, inalzando al cielo i trionfi de vizii e sedie de sceleragini, lasciando bandite, sepolte e neglette ne l'inferno le virtudi e la giustizia. E per cominciare da cose minori, come da peccati veniali: perché solo il Deltaton *, dico quel triangolo, ha ottenute quattro stelle appresso il capo di Medusa, sotto le natiche di Andromeda e sopra le corna del Montone? A

I IV: fatti. % Cioè il Deltoton

Ps.-ERATOSTENE,

HT,

18.

(B. 26-7) ’

(W.

(gr.

AcXAtwrév);

Cafasterismi,

II, 133-4)

c.

20;

cfr.

IciNo,

ARATO,

Astron.,

(L. 432-3) (G.1 IL 40-1) 598

Phoen., II,

235;

19,

ce

(G.2 II, 44-5).

DIALOGO

PRIMO

per far vedere la parzialità, che si trova fa il Delfino, gionto al Capricorno da la nale, impadronito di quindeci stelle? vi possa conterplar la assumpzione di colui, sanzale *, per non

Perché

dir ruffiano,

tra gli dei. Che parte settentrioè, a fine che si che è stato buon

tra Nettuno

ed Amfitrite =,

le sette figlie d’Atlante3 soprasiedeno

collo del bianco

Toro? per essersi,

ocn

appresso

lesa maestà

il

di noi

altri dei, vantato il padre di aver sostenuti ‘noi edil cielo ruinante; o pur per aver in che mostrar la sua leggerezza i numi 4, che vi l' han condotte. Perché Giunone ha ornato il Granchio

di

novè

stelle,

senza le quattro

altre circon-

stanti che non fanno imagine? solo per un capriccio, perché forficò 5 il tallone ad Alcide a tempo che combatteva con quel gigantone $. Chi mi saprà dar altra caggione che il semplice ed irrazional decreto de’ superi, perché il Serpentauro 7, detto da noi Greci

Ofiulco #, ottiene con la sua

colobrina il campo di trentasei stelle ? Qual grave ed opportuna caggione fa al Sagittario usurparsi trenta ed una stella? perché fu figlio di Euschemia, la quale fu nutriccia 1 0‘ sanzaro ‘, f. napol.: sensale:

dello

(New

World of Words, p. 463).

? Vedi la favola raccontata da Icino, Ps.-ERATOSTENE, Cafast., c. 31. 3 Le Pleiadi, per cui v. Ps.-ERAT., 23; 4 Wi: ai numi.

Astror.,

II,

e

o.

Igino,

17,

c.,

e

già

II,

21.

5 Wi: fortificò. Lat. forfex; napol. fuorfecejare: tagliare. 6 Icino, Astr., II, 23: «Cancer dicitur Junonis veneficio

astra

collocatus,

stitisset,

ex

quod,

palude

culem permotum, STENE, Catast., Cc.

cum

eum II.

7 BL: Serpentaiuro; Serpentauro.

8 Invece di Ofiuco

tenens).

e III,

Cfr.

13.

Hercules

pedem

eius

interfecisse n.

ma,

contra

mordicus

più

Lo

Ps.-ERATOSTENE,

Catast.,

6,

nel e

lernaeam

arripuisset;

stesso

innanzi,

(gr. 'Oplouyoc

hydram

=Botv

dice

III

IGINO,

con-

quare

Her-

il Ps.-ERATO-

dial.

(p.

749):

Éyuy, lat. anguiAstron.,

Il,

(B. 27) (W. II, 134) (L. 433) (G.1 II, 41) (G2 II, 45-6). 599

inter

14,

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

o baila: de le Muse =. Perché non più tosto a la madre? perché lui oltre seppe ballare e far i giuochi de le bagattelle 3. Aquario perché ha quaranta cinque stelle appresso il Capricorno ? forse, perché salvò la figlia di Venere Facete nel stagno ? 4. Perché non altri, a gli quali noi dei siamo tantos ubligati, che sono sepolti in terra, ma più tosto costui, ch’ ha fatto un serviggio indegno di tanta ricompensa, è stato conceduto Venere.

Gli Pesci, dal

fiume

spacio? perché

benché

Eufrate

colomba,

volta

quel

meritino

cacciato

cossi

qualche

ha

piaciuto

mercede

quell’ovo,

che,

per aver

covato

da

ischiuse la misericordia de la dea di Pafo,

paionvi

quattro

soggetti

stelle,

senza

d’ottenir

altre

quattro

a

la

tutta

l’ornamento

di

trenta-

circostanti,

ed

abitare

fuor de l’acqui 6 nella region più nobile del cielo? Che fa Orione,

tutto

armato

braccia,

impiastrato

a scrimir? di

trent’otto

australe verso il Tauro? Nettuno, 1

a cui non

Nel

Cand.®

(p.

con

stelle,

le

ne

spalancate

la

vi sta per semplice

ha bastato 38),

solo,

latitudine

capriccio di

di privilegiarlo su l’acqui,

l'arcaismo

‘baila’;

e

nel

De

la causa

(pp. 205 e 196), accanto alla letteraria, la f. napoletana ‘ nutriccia ’. 2 Igino,

o. c., II,

nomine, Euphemes

27:

« Dicunt

(Ps.-Er.:

enim

Ebo/Aunc)

nonnulli

Musarum

hunc

esse

nutricis

Crotum

filium.

Ut ait Sosithcus tragoediarum scriptor, eum domicilium in monte Hclicone habuisse et cum Musis solitum delectari, non numquam ctiam studio venationis exerceri ». Cfr. PS.-ERATOSTENE,

Catast., 28.

3 Come nel De /’infinito (p. 492), giuochi di mano, se a p. 568 si confondono col « Prodigio, Prestigio e Mariolia »; mentre a Napoli erano i giuochi delle marionette, per cui 'far le bagattelle’ volle pur dire ‘spiare’: Croce in BasiLe, Pentamerone (Napoli, 1891, p.

12, n. 4 W:

5

70) e nella traduzione, lari, Laterza, 1925, p. 9, Venere Taicete, e in nota: « Lezione incerta ! ». BL:

(G! = L:

tanto;

27-8)

II,

G*:

fanti

6 V. sopra, p. 588, n. 1. 7 Cîr. p. 502, n. 4. (B.

(W.

134-5)

(L.

(per

433)

600

svista

(G.!II,

tipografica).)

41-2)

(G.2

II,

n. 1. Phacete.

46-7).

DIALOGO

PRIMO

dove ha il suo legitimo! imperio; ma oltre, fuor del suo patrimonio, si vuol con si poco proposito prevalere. La Lepre, il Cane e la Cagnolina sapete ch’ hanno quarantatré stelle ne la parte meridionale, non per altro, che per due o

tre frascarie non minori che quella, che vi fa essere appresso la Idra, la Tassa ed il Corvo, che ottegnono

quarant'ed una

stella 2, per memoria di quel, che mandàro una volta gli dei il Corvo a prender l’acqua da bere; il qual per il camino vedde un fico, ch'avea le fiche o gli fichi (perché l’uno e l'altro geno 3 è approvato da grammatici 4, dite come vi piace): per gola quell’ucello5 aspettò che fussero maturi, de quali al fine essendosi pasciuto, si ricordò de l'acqua; andò per empir la lancella, veddevi il dragone, abbe paura, e ritornò con la giarra6 vota agli dei. Li quali, per far chiaro quanto hanno ben impiegato l'ingegno ed il pensiero, hanno descritta in cielo questa istoria di si gentile ed accomodato servitore. Vedete quanto bene abbiamo speso il tempo, l’ inchiostro e la carta 7. La Corona austrina, che sotto l’arco e piedi di Sagittario si vede ornata di tredeci topacii lucenti, chi l' ha predestinata ad essere eterna1 (G! = L: legitimo; 2 (L: stelle)

3 Forma

G*:

legittimo)

familiare al B.; v. Cand.3,

p. 49, n. 1;

Cena,

p. 23, n. 5.

4 In fatti, nello Spicilegio dello Scopra (Venezia, 1543, cc. 135 e 227), i due generi. Amusio, il pedante del Moro (III, 8) di G. B. DELLA PORTA, prescrive: «Dicemus ficus, nasci; Dicemus ficos, Caeciliane, tuos.... ». 5 V. sopra, p. 584, n. I.

quas

cella,

dial.

scimus

in

arbore

6 Come giarra (Cena, p. 76, n. 4; e di nuovo nello Spaccio, a p. 821), ricordata nello Spic. dallo ScopPA a p. 96, anche lanche

è una

grossa

brocca,

è voce

napol.

7 In fine dello Spaccio (pp. 818-21), il B. pur non volendo « sten-

dersi a dechiarare la dotta metafora », mostra tuttavia quanto questa concordi col dire degli Ebrei e degli Egizii. Cfr. poi G. Florio, in

Critica,

XXIII,

248.

(B. 28-9) (W. IL 135) (L. 433-4) (G.3 II, 42-3) (G II, 47). 60I

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

mente senza testa ? Che bel vedere volete voi che sia di quel pesce Nozio, sotto gli piedi d’Aquario e Capricorno, distinto in dodici lumi, con sei altri che gli sono in circa? De l’Altare, o turribulo o fano o sacrario, come vogliam dire,

io non parlo; perché giamai li convenne cossi bene d'essere in cielo, se non ora, che quasi non ha dove ora vi sta bene, come

della sommersa d’ottenere

una reliquia, o pur come

non

tavola

dico nulla, perché mi par dignis-

il cielo,

per

averne

insegnandoci la ricetta, con cui tone 1; perché bisognava, che gli bestie, se volevano aver onor di donata dottrina, facendoci sapere

fatto

per conservar

tanto

beneficio,

potessimo vencere il Pidei si trasformassero in quella guerra: e ne ha che non si può mantener

superiore chi non si sa far bestia. Non perché,

una

nave de la religion e colto di noi.

Del Capricorno simo

essere in terra;

parlo de la Vergine;

la sua verginità,

in nessun

loco

sta

sicura se non in cielo, avendo da qua un Leone e da là un Scorpione per sua guardia. La poverina è fuggita da terra, perché l'eccessiva libidine de le donne ?, le quali, quanto pi son pregne, tanto più sogliono appetere il coito, fa che

non

sia sicura

di non

esser

trovasse nel ventre de la madre; carbuncoli

con

quelli

altri

sei,

contaminata,

anco

se si

però goda i suoi vintisei che

li sono

attorno.

Circa

l’ intemerata maestà di que’ doi Asini che luceno nel spacio di

Cancro,

non

oso

dire,

perché

di

questi

massimamente

per dritto e per raggione è il regno del cielo: come con molte efficacissime raggioni altre volte 3 mi propono di \

1 Cfr. quel che è raccontato negli Scholii In Caesaris Germanici

Aratea, v. 285. * Cîr. Cand.,

3 Accenno

(B. 29-30)

p.

198,

e De

la

causa,

p.

289.

alla Cabala del Cavallo pegaseo e probabile prova

(W. II, 135-6)

(L. 434) 602

(GIL

43-4)

che

(G.2 IT, 47-8).

DIALOGO

PRIMO

mostrarvi, perché di tanta materia non ardisco parlare per

modo di passaggio. Ma di questo assai, che questi divini animali trattati, non facendogli essere, nell’ospizio di quel retrogrado munerandoli*

più che

de

sol mi doglio e mi lamento sieno stati si avaramente come in casa propria, ma animale aquatico, e non

la miseria

di due

stelle,

donan-

done una a l'uno e l’altra all’altro; e quelle non maggiori

che de la quarta grandezza. De l’Altare, dunque, Capricorno, Vergine ed Asini (benché prendo a dispiacere ch'ad alcuni di questi non essendo * lor trattati

secondo

la dignità,

in loco

di essere

fatto onore, forse gli è stato fatta ingiuria) or al presente non voglio definir cosa alcuna; ma torno a gli altri suppositi, che vanno per la medesima bilancia con gli sopradetti. Non

volete voi che murmurino

in terra,

per il torto

gli altri fiumi,

che gli vien

fatto?

Atteso

che sono che,

qual

raggion vuole che più tosto l’Eridano deve aver le sue trenta e quattro lucciole, che si veggono citra ed oltre il tropico di Capricorno, pit tosto che tanti altri non meno degni e grandi, ed altri più degni e maggiori? Pensate che basta dire che le sorelle di Fetone3 v’abbiano la stanza? O forse volete che vegna celebrato, perché ivi per mia mano cadde il fulminato figlio d’Apollo, per aver il padre abu-

lo Spaccio e

e i Dialoghi

il febbraio

1584,

metafisici

e

che,

mentre

furono

questi

dettati si

tra il giugno

stampavano,

1583

vennero

stesi gli altri due Dialoghi morali (SPAMP., De la causa, pp. Xx e xI). (Ma cfr. l'osservazione dello stesso Gentile in appendice ai Dial. Met., p. 544, n. 1). Asini sono chiamate le due stelle in testa

alla costellazione

del

I Latinismo. 2 BL: ad essendo. 3 Le

(B.

Heliades:

30-1)

(W.

Cancro:

cfr.

IL

Scholia

136)

(L.

IGINo, in

Astr.,

Caes.

435)

603

(G

III,

22.

Germanici

II,

44)

Aratea,

(G.2

II,

v.

48-09).

366.

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

sato del suo ufficio, grado ed autoritade ? Perché il cavallo

di Bellerofonte è montato ad investirsi de vinti stelle in cielo, essendo che sta sepolto in terra il suo cavalcatore? A che proposito quella saetta, che per il splendor di cinque stelle, che tiene inchiodate, luce prossima a l'Aquila e Delfino ? Certo, che se gli fa gran torto che non stia vicina al Sagittario a fin che se ne possa servire, quando arrà tirato quella che tiene in punta; o pur non appaia in parte dove possa rendere qualche raggion di sé. Appresso bramo intendere, tra il spoglio del Leone e la testa di quel bianco e dolce ‘Cigno,

che fa quella

forma di testugine? Vorrei de la testugine,

lira fatta

di corna

di bue

in

sapere, se la vi dimore per onor

o de le corna,

o de la lira, o pur

perché

ognun veda la mastria ! di Mercurio che l' ha fatta, per testimonio

de la sua dissoluta e vana iattanzia?

Ecco, o dei, l'opre nostre; ecco le egregie nostre mani-

fatture,

con

le quali

ne rendemo

onorati

al cielo!

Vedete

che belle fabriche, non molto dissimili a quelle che sogliono far gli fanciulli, quando contrattano la luta =, la pasta, le miscuglie 3, le frasche e festuche, tentando d’ imitare l'opre di maggiori! Pensate, che non doviamo render raggione e conto di queste? Possete persuadervi, che de l'opre ociose sarremo meno richiesti, interrogati, giudicati e condannati, che dell’ociose paroli? La dea Giustizia, la dea Tempe1 Dell'arc. e dial. ‘ mastro’. Intorno alla favola della Lira, v. Ps.-ERATOSTENE, Calast., 24; Sch. in Germanici Aratea, v. 269; Igino, Astron., II, 7.

® Cir. De l'infinito, 1 BLG!:

biscuglie;

p. 416,

W:

n. 1.

boscaglie.

È

certo

un errore,

perché con

molta probabilità l’A. scrisse ‘ miscuglie *, f. non lontana dalla lctteraria ‘ miscuglio” dii terra o di altro.

e ‘mescuglio ’, e intese

(B. 31-2) (W. II, 136-7)

parlare

di mescolanza

(L. 435-6) (G.! II, 44-5) (G-2 II, 49-50).

604

DIALOGO

PRIMO

ranza, la dea Constanza, la dea Liberalitade, la dea Pazienza, la dea

Veritade,

la dea

Mnemosine,

la dea

Sofia

e tante

altre dee e dei vanno banditi non solo dal cielo, ma ed oltre da la terra;

ed in loco loro e ne gli eminenti

palaggi,

edi-

ficati da l'alta Providenza per residenza loro, vi sì veggono delfini,

capre,

corvi,

serpenti

ed

altre

sporcarie,

levitadi,

capricci e legerezze !. Se vi par questa cosa inconveniente, e ne tocca il rimorso de la conscienza per il bene che non abbiam fatto; quanto più dovete meco considerare che doviamo esser punti e trafitti per le gravissime sceleraggini e delitti, che comessi* avendono 3, non solamente

non ne *

siamo ripentiti ed emendati,

celebrati

triomfi e drizzati come noso,

non

in

tempio

ma oltre ne abbiamo

trofei, non terrestre,

ma

in un fano labile e ruinel

cielo

e nelle

stelle

eterne. Si può patire, o dei, e facilmente si condona a gli errori,

che

son

per

fragilità,

e per

non

molto

giudiciosa

levità; ma qual misericordia, qual pietate può rivoltarsi a quelli,

che

son

commessi

da

color

che,

essendono

posti

presidenti nella giustizia, in mercede di criminalissimi errori, contribuiscono maggiori errori con onorare, premiar ed essaltar al cielo gli delitti insieme con gli delinquenti? Per qual grande e'virtuoso fatto Perseo av’ottenute vintesei stelle? Per aver con gli talari e scudo di cristallo, che lo rendeva invisibile, in serviggio de 1’ infuriata Minerva ammazzate le Gorgoni che dormivano,

e presentatogli il capo

di Medusa. E non ha bastato che vi fusse lui, ma per lunga

e celebre memoria

bisognava che vi comparisse la moglie

1 Con più frequenza la f. che poi prevalse. V. p. 560 ecc. 2 In questa stessa pag., la f. ortografica comune. 3 V. sopra, p. 588, n. 4. Più giù: essendono; e appresso f. simili.

4 BL:

se.

(B. 32-3) (W. II, 137) (L. 436) (Gt IL, 45-6) (G? II, 50-1). 605

SPACCIO

Andromeda

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

con le sue vintitré, il suo genero 1 Cefeo con

le sue tredeci,

che espose

la figlia innocente

alla bocca del

Ceto per capriccio di Nettuno, adirato solamente perché la sua madre Cassiopea pensava essere più bella che le Nereidi. E però anco la madre vi si vede residente in catedra,

ornata

di tredeci

altre stelle ne'

confini

de l'Artico

circolo. Quel padre di agnelli con la lana d’oro, con le sue diece ed otto stelle 2, senza l’altre sette circonstanti, che fa

balando 3 sul punto la pazzia

equinoziale ? È forse ivi per predicar

e sciocchezza

del

re di

Colchi,

l' impudicizia

di

Medea 4, la libidinosa temeritade di Giasone e l’ iniqua providenza di noi altri? Que’ doi fanciulli 5, che nel signifero

senza buono proco pione che

succedeno

al

Toro,

compresi

da

diece

e otto

stelle,

altre sette circonstanti informi, che mostrano di o di bello in quella sacra sedia, eccetto che il reciamore di doi bardassi 6 ? Per qual raggione il Scorottiene il premio di venti ed una stelle, senza le otto

son

ne

le chele 7, e le nove

che

sono

circa

lui,

e tre

altre informi ? Per premio d'un omicidio ordinato dalla leggerezza ed invidia di Diana, che gli fece uccidere l'emulo cacciator Orione. Sapete bene che Chirone con la sua bestia

1 Anzi, suocero di TLersco. Cfr. pel mito Ovipio, Metamum., IV e V; per le corrispondenti costellazioni, Ps.-ERATOSTENE, Cafast., 15; Scholia in Germanici Aratea, v. 183; IGINo, Astron., II, 9.

= La costellazione d’Aricte, che, secondo

Avatca,

1II,

v. 223,

f9, gliene

3 Dal

lat.

ha

18 stelle.

dànno

balo,

as:

17.

Ps.-EraT.,

gli Scho!. în Germanici

Catast.,

19, c IGINO,

Astron.,

belare.

4 BW: Medusa; giustamente L: Medea. 5 La costellazione dei Gemini. 6 Effeminati, cinedi: Cand2, p. 114, n. 1. 7 Le Chele (gr. ymaei, lat. chelae) sono le forbici, o branche del Cancro, e quindi una parte della costellazione di questo nome.

(B. 33-4) (W. IT, 137-8) (L. 436-7) (Gt II, 46) (G:? II, 51). 606

DIALOGO

PRIMO

ottiene ! nella australe latitudine del cielo sessanta e sei stelle per esser stato pedante di quel figlio, che nacque dal stupro di Peleo e Teti. Sapete che la corona di Ariadna, nella quale risplendeno otto stelle, ed è celebrata là, avanti il petto

di Boote

e le

spire de l'angue, non v'è se non in commemorazione

per-

petua

del

disordinato

amor

del

padre

Libero,

che

s' im-

bracciò la figlia del re di Creta, rigettata dal suo stuprator Teseo 2.

Quel Leone, che nel core porta il basilisco, e che ottiene

il campo

di trenta e cinque

stelle, che fa continuo

al Can-

cro? Evi forse3 per esser gionto a quel suo conmilitone e suo conservo4 de l’irata Giunone, che lo apparecchiò vastatore del Cleoneo paese, a fine che, a mal grado di. quello, aspetasse l'advenimento del strenuo Alcide? Ercole invitto, laborioso mio figlio, che col suo spoglio di leone e la sua mazza par che si difenda le vinti ed otto stelle, quali con più che mai .altri abbia fatto tanti gesti eroici s’' ha meritate, pure, a dire il vero, non mi par conveniente

che tegna quel loco, onde il suo geno pone avanti gli occhi della giustizia il torto fatto al nodo coniugale della mia Giunone per me e per la pellice Megara 5, madre di lui. La nave di Argo, nella quale sono inchiodate quarantacinque risplendenti stelle, ne l'ampio spacio vicino al circolo Antartico,

evi ad altro fine che per eternizare la me-

1 In questo dial. più che nel De /' infinito (pp. 353 usato ottenere nel significato latino di occupare. v.

? Cir. AratO, Fenom., v. 72; 70; Ps.-ERATOSTENE, Catast., 5; 3 W: fortasse.

4 Il Cancro, 5 Alcmena.

(B.

34-5)

(W.

per cui

Cfr.

II,

vedi

Hycin.,

138)

(L.

sopra,

Scholia, in Gemnanici IcIino, Astron., II 5.

p.

Fab.,

29.

437)

(G.I

607

e 360) Aratea,

599. IT,

46-7)

(G2

II, 51-2).

è

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

moria del grande errore che commese ! la saggia Minerva, che mediante quella instituf gli primi pirati a fine che, non meno che la terra, avesse gli suoi solleciti predatori il mare ? =. E per tornar là dove s' intende la cintura del cielo, perché quel Bove, verso il principio del zodiaco, ottiene trenta e due chiare stelle, senza quella ch’ è nella punta

del

corno

settentrionale,

ed

undeci

altre

chiamate informi? Per ciò che è quel Giove rubbò la figlia ad Agenore 3, la sorella a Cadmo. è quella che nel firmamento s'usurpa l’atrio stelle, oltre Sagittario, verso il polo ? Lasso, è che ivi celebra il trionfo del rapito Ganimede vittoriose

fiamme

ed

amori 4. Quella

Orsa,

che

son

(oimè !) che Che Aquila di quindeci quel Giove e di quelle

quella

Orsa,

o

dei, perché nella più bella ed eminente parte del mondo, come in una alta specola, come in una più aprica piazza e più celebre spettacolo, che ne l'universo presentar si possa a gli occhi nostri, è stata messa? Forse a fine che non sia occhio, che non veda I’ incendio ch'assalse il padre de gli dei appresso l’ incendio de la terra per il carro di Fetonte, quando in quel mentre ch’andavo guardando le ruine di quel fuoco, e riparando a quelle con richiamare i fiumi che ciò

timidi

effettuando

nel

e fugaci mio

diletto

fuoco m’accese il petto, 1 F.

p. 605:

pop.,

usata

' comessi ’.

anche

erano

ristretti a le caverne,

Arcadio

paese:

che dal splendor a

pp.

609,

617,

6209,

ecco,

e

altro

del volto de la ecc.;

mentre

a

® « Post Canis igitur magni caudam, secundum stellarum ordinem Navis constituta est, quam quidam beneficio Minervae inter astra collocatam dicunt, quaeque prima ab cea fabricata est, et mare quod antea invium fuerat hominibus, pervium nautis ingenio fecit »: Sch. in Germanici Avatea, v. 353. 3 Europa. V. Scholia in Germanici Avatea, v. 173. 4

Cfr.

Ovipio,

Metanun.,

II,

401-503.

(B. 35-6) (W. II, 138) (L. 437-8) (G.1 IT, 47-8) (G.2 IT, 52-3). 608

DIALOGO

vergine

Nonacrina!

scorsemi

nel

core,

PRIMO

procedendo, scaldommi

passommi

per gli occhi,

l’ossa e penetrommi

dentro

le midolla; di sorte che non fu acqua né remedio che potesse dar soccorso

e refrigerio all’ incendio

mio.

In questo

foco

fu il strale che mi trafisse il core, il laccio che mi legò l'alma, e l’artiglio che mi tolse a me e diemmi in preda alla beltà di lei. Commesi il sacrilego stupro, violai la compagnia di Diana e fui a la mia fidelissima consorte ingiurioso; per la quale in forma e specie d’una Orsa presentandomise la bruttura del fedo eccesso mio, tanto si manca che da quella abominevol

vista

io

concepesse

orrore,

che

si

bello

mi

parve quel medesimo mostro e si mi soprapiacque, che volsi ch’ il suo vivo ritratto fusse essaltato nel più alto e magnifico

sito de l'architetto del cielo: quell’errore,

bruttezza,

quell’orribil

lavar

l’acqua

de

minar

l’onde

sue,

macchia

l’ Oceano,

non

che

vuol

che

che

sdegna

Teti,

per

punto

ed

tema

quella

abomina di

s’avicine

conta-

verso

la

sua stanza, Dictinna? l’ha vietato l'ingresso di suoi deserti per tema di profanar il sacro suo collegio, e per la medesima caggione gli niegano i fiumi le Nereidi e Ninfe. To,

misero

gravissima

peccatore,

dico

colpa 3, in conspetto

la mia

colpa,

dico

de l’ intemerata

la

mia

absoluta

giustizia, e vostro 4, che sin al presente ho molto gravemente peccato, e per il mal essempio ho porgiuta ancor a voi permissione e facultà di far il simile; e con questo con-

fesso che degnamente

sul

io insieme con voi siamo

incorsi il

® Callisto, figlia del re Licaone, la quale cacciava con monte Nonacri in Arcadia. V. IGINo, Astron., II, 1. ® Dictinna, Diana.

Diana

3 Cfr. il Confiteor.

4 W:

mostro.

{B. 36-7)

(W. II, 138-9)

(L. 438) (G. II, 48-9)

609

(G.? II, 53-4).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

sdegno del fato, che non ne fa più essere riconosciuti per dei, e mentre abbiamo a le sporcarie de la terra conceduto il cielo, ha dispensato ch’a noi fussero cassi gli tempii, imagini

e statue,

mente

da

mente

han

Oimè,

alto

ch’avevamo

vegnano*

messe dei,

in alto

che

in

depressi

le cose

facciamo?

terra;

a fine

quelli,

che

quali

degna-

indegna-

vili e basse.

che

pensiamo?

che

indug-

giamo? Abbiamo prevaricato, siamo stati perseveranti ne gli errori, e veggiamo la pena gionta e continuata con l'errore.

Provedemo,

dunque,

provedemo

a’

casi

nostri;

perché, come il fato ne ha ‘negato il non posser cadere, cossi ne ha conceduto il possere risorgere; però come siamo stati pronti al cascare, cossi anco siamo apparecchiati a rimetterci su gli piedi. Da quella pena nella quale mediante l'errore siamo incorsi, e peggior della quale ne potrebe sopravenire, mani,

mediante

potremo

senza

la riparazione, difficultade

che

uscire.

sta nelle Per

nostre

la catena

de

gli errori siamo avinti; per la mano della giustizia ne disciogliamo. Dove la nostra levità ne ha deprimuti, indi bisogna che Ila gravità ne inalze. Convertiamoci alla giustizia,

dalla

quale

essendo

noi

allontanati,

siamo

allonta-

nati da noi stessi; di sorte che non siamo piri dei, non siamo

più noi. Ritorniamo dunque a quella, se vogliamo ritornare a noi. L'ordine e maniera di far. questo riparamento è che prima togliamo da le nostre spalli la grieve soma d’errori che

ne trattiene;

velo

de

bramo 3 W:

la poca

rimoviamo

d'avanti

considerazione,

che

dal core la propria affezione, degnamente

gli ne

nostri

impaccia;

occhi

il

isgom-

che ne ritarda;

git-

vegnano.

(B. 37-8) (W. II, 1309-40) (L. 438-9) (G.1 II, 49-50) (G.2 II, 54-5). 610

DIALOGO

PRIMO

tiamo da noi tutti que’ vani pensieri che ne aggravano; adattiamoci a demolire le machine di errori ed edificii di

perversitade camino;

che

impediscono

cassiamo

ed

la strada

annulliamo,

ed

quanto

occupano

possibil

fia,

il

gli

trionfi e trofei di nostri facinorosi gesti, a fine che appaia

nel tribunal della giustizia verace pentimento di commessi errori. Su, su, o dei, tolgansi dal cielo queste larve, statue, figure, imagini, rizie,

libidini,

ritratti, furti,

processi

sdegni,

ed istorie de nostre

dispetti

ed

onte*.

Che

avapasse,

che passe questa notte * atra e fosca di nostri errori, perché

la vaga aurora del novo giorno de la giustizia ne invita; e disponiamoci di maniera tale al sole, ch' è per uscire, che non

ne

discuopra

mondare

cossf

e renderci

come

belli;

siamo

non

immondi.

solamente

noi,

ma

nostre stanze e gli nostri tetti fia mestiero che e

netti:

doviamo

Disponiamoci,

interiore-

dico,

prima

ed

cielo

che

anco

le

sieno puliti

esteriormente

nel

Bisogna

ripurgarci.

intellettualmente

è dentro di noi, e poi in questo sensibile che corporalmente

si presenta a gli occhi. Togliemo via dal cielo de l'animo nostro

l’ Orsa

della difformità,

la Saetta

de la detrazione,

l' Equicolo de la leggerezza, il Cane de la murmurazione, la

Canicola

de

de

la

de

l' impietà,

l’adulazione.

violenza,

la il

Bandiscasi

da

Lira

de

la

Boote

de

l'inconstanza,

noi

congiurazione, il

l’ Ercole

il Triangolo Cefeo

de

la

durezza. Lungi da noi il Drago de l' invidia, il Cigno de l’ imprudenza,

desidia,

la

il

Cassiopea

Perseo

1 S.

Paoto,

® W:

Che

appropinquavit. arma lucis ». (B.

38-9)

de

della

la

vana

Ai

Rom.,

XIII,

passe

questa

notte.

Abiiciamus

(W.

II,

140)

12:

ergo

(L.

439)



G. Ununo,

Dialoyhi

italiani

l'Andromeda

sollecitudine. a Nox

opera

6II 15

vanità,

(G.!

praecessit,

tenebrarum,

II,

50)

(G

de

la

Scacciamo dies

autem

et induamur

II,

55).

SPACCIO

1’ Ofiulco fino

de

DE

LA

BESTIA

de Ia maldizione, Ja

libidine,

TRIONFANTE

l’Aquila de l'arroganza,

il Cavallo

de

l’impacienza,

il Del-

l’ Idra

de

la concupiscenza. Togliemo da noi il Ceto de l’ ingordiggia, l' Orione de la fierezza, il Fiume

de le superfluitadi, la Gor-

gone

del vano

de l'ignoranza,

la Lepre

timore.

Non

ne

sia oltre dentro il petto l’Argo-nave de l'avarizia *, la Tazza

de l’ insobrietà,

la Libra de l’ iniquità,

regresso,

il Capricorno

s’avicine

il Scorpio

affezione,

l’Altare

de la decepzione.

de la frode, de

la

il Cancro

Non

il Centauro

superstizione,

del mal

fia che ne

de Ia animale

la

Corona

de

la

superbia, il Pesce de l’' indegno silenzio. Con questi caggiano gli Gemini de la mala familiaritade, il Toro de la cura di cose basse, de la Tirannia,

l'Ariete de 1° inconsiderazione,

l’Aquario

de la dissoluzione,

il Leone

la Vergine

de

l' infruttuosa conversazione, il Sagittario de la detrazione. Se

cossi,

o dei,

renderemo

purgaremo

novo

il nostro

la nostra cielo,

nove

abitazione, saranno

se cossf le

costel-

lazioni ed influssi, nove l’ impressioni, nove fortune; perché da questo mondo superiore pende il tutto, e contrarii effetti sono ramente

dependenti

da cause

fortunati noi, se farremo

contrarie. buona

O

felici, o ve-

colonia del nostro

animo e pensiero ! A chi de voi non piace il presente stato, piaccia il presente conseglio. Se vogliamo mutar stato, cangiamo

costumi *, Se

megliore,

questi

l’ interiore

non

affetto,

vogliamo

sieno

atteso

simili

che

che

quello

sia buono

o peggiori.

e

Purghiamo

da Il’ informazione

di questo

mondo. interno non sarà difficile di far progresso alla riformazione di questo sensibile ed esterno. La prima pur1 W:

1 W:

(B. 39-40)

de la vanità.

cangiamo,

(W.

IL,

cangiamo.

140-1)

(L. 439-40)

612

(G.! II, 50-1)

(G.? II, 55-6).

.

DIALOGO

PRIMO

gazione, o dei, veggio che la fate, veggio che l’avete fatta; la vostra

determinazione

determinazione,

la

io la veggio;

è fatta;

ed

ho

è subito

vista fatta,

la vostra perché

la’

non

è soggetta a’ contrapesi del tempo. Or su, procediamo alla seconda purgazione. Questa è circa l'esterno, corporeo, sensibile e locato. Però bisogna che

vada

bisogna

con

certo

aspettare,

discorso,

successione

ed

ordine;

però

conferir una cosa con l’altra, comparar

questa raggione con quella, prima che determinare; atteso che circa le cose corporali, come in tempo è la disposizione, cossf non può

essere,

Eccovi

il termine

dunque

decidere e determinare debba

che

fare

vi

o non;

l’ho

nientissima,

come

instante,

l'essecuzione.

di tre giorni, dove

non

infra di voi, se questa

perché

proposta,

in uno

per

ordinanza

insieme

l'avete

necessaria ed ottima;

del

avete

da

riforma si fato,

giudicata

subito

conve-

e non in segno esteriore,

figura ed ombra, ma realmente ed in verità veggio il vostro affetto, come

voi reciprocamente

vedete il mio;

e non men

subito ch'io v' ho tocco l'orecchio col mio proponimento, voi col splendor del consentimento vostro m'avete tocchi gli occhi. Resta dunque che pensiate e conferite infra di voi circa la maniera, con cui s' ha da provedere a queste cose che si toglieno dal cielo, per le quali fia mestiero procacciare ed ordinar altri paesi e stanze; ed oltre, come s' hanno da empire queste sedie a fin che il cielo non rimagna deserto, ma megliormente colto ed abitato che prima. Passati che saranno gli tre giorni, verrete premeditati in mia presenza circa loco per loco e cosa per cosa, acciò

che,

non

senza

ogni

possibile

discussione,

conve-

niamo il quarto giorno a determinare e pronunziar la forma di questa colonia. Ho detto. (B. 40-2)

(W.

II, 141)

(L. 440-1)

613

(G.M IT, 51-2)

(G3

II, 56-7).

SPACCIO

DE

Cossi, o Saulino,

il spirto

BESTIA

il padre

e commosse

che lui medesimo mentre minato

LA

Giove

il core

apertamente

TRIONFANTE

toccò l’orecchio,

del Senato

e Popolo

accese

celeste,

ne’ volti e gesti s’accorse,

orava, che nella mente loro era conchiuso e deterquel tanto che da lui lor venia proposto. Avendo

dunque fatta la ultima clausola ed imposto silenzio al suo dire il gran Patriarca degli dei, tutti con una voce e con un tuono

dissero:



Molto

volentieri,

o

Giove,

consentemo

d’effettuar quel tanto che tu hai proposto e veramente ha predestinato il fato. — Qua succese ! il fremito de la moltitudine, qua apparendo segno d'una lieta risoluzione, là d'un volenteroso ossequio, qua d’un dubio, là d’un pensiero, qua un applauso, là un scrollar di testa di qualche interessato,

ivi

una

specie

di

vista,

e quivi

un’altra,

sin

tanto che, gionta l'ora di cena, chi da questo lato si retirò,

e chi da quell'altro. Saulino.

Cose

di non

poco

momento,

o Sofia!

Terza parte del primo Dialogo. Sofia. Venuto il quarto giorno, ed essendo appunto l’ora di mezo di, convennero di bel novo al conseglio generale, dove non solamente fu lecito d'esser presenti gli prefati numi più principali, ma oltre tutti quelli altri, ai quali

è conceduto, come per lege naturale, il cielo, Sedente dunque

il Senato e Popolo de gli dei, e con il consueto modo essendo montato sul solio di safiro inorato Giove, con quella forma di diadema e manto con cui solamente ne gli sollennissimi 1 Cir. (B.

42-3)

De (W.

l'infinito, II,

p. 434,

14r-2)

(L.

n. 441)

614

1. (G.

IT,

52-3)

(G2

II,

57-8).

DIALOGO

concilii suol comparire, d’attenzion

la

turba,

PRIMO

rassettato ed

inditto

il tutto, alto

messa

silenzio,

in punto

di

maniera

che gli congregati sembravano tante statue o tante pitture; si presenta in mezzo con gli suoi ordini, insegna! e circonstanze il mio bel nume Mercurio. E gionto avanti il conspetto del gran padre, brevemente annunziò, interpretò ed espose quel che non era a tutto il conseglio occolto, ma che, per servar la forma e decoro de statuti, bisogna pronunziare. Cioè come gli dei erano pronti ed apparecchiati senza simulazione e dolo, ma con libera e spontanea voluntade, ad accettare e ponere in esecuzione tutto quello che

per

il presente

ordinato.

Il che

sinodo

avendo

verrebe

detto,

conchiuso,

statuto

ed

si voltò

a gli circonstanti

dei, e gli richiese che con alzar la mano

facessero aperto e

ratificato quel tanto ch'in nome loro aveva presenza de l'altitonante. E cossi fu fatto. Appresso

apre la bocca il magno

in cotal

tenore

udire:



vittoria

contra

gli giganti,

Se

protoparente,

gloriosa,

che

esposto

o dei,

in breve

in

e fassi

fu la nostra

spacio

di tempo

risorsero contra di noi, che erano nemici stranieri ed aperti,

che ne combattevano

solo da l’ Olimpo,

e che non

posse-

vano né tentavano altro che de ne precipitar dal cielo; quanto più gloriosa e degna sarà quella di noi stessi, li quali fummo

contra lor vittoriosi ? Quanto

e gloriosa

è quella

di nostri

trionfato

di noi, che

sono

affetti,

nemici

che

più degna, dico, tanto

domestici

tempo

ed interni

han che

ne tiranneggiano da ogni lato, e che ne hanno trabalsati e smossi da noi stessi? Se dunque di festa degno ne ha parso quel giorno che 1 Dal

(B. 43-4)

pl. neutro:

(W.

insignia.

IT, 142)

(L. 441-2) (G.1 IL 53-4)

615

(G-* IT, 58-09).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

ne partori vittoria tale di quale il frutto in un momento disparve, quanto più festivo dev'essere questo di cui la fruttuosa gloria sarà eviterna! per gli secoli futuri? Sèguite,

dunque,

d'essere

festivo

il

giorno

de

la

vittoria;

ma da quel ? che si diceva de la vittoria de giganti, dicasi de la vittoria de gli Dei, perché in esso abbiamo

vinti noi

medesimi. Instituiscasi oltre festivo il giorno presente nel quale si ripurga il cielo, e questo sia più sollenne a noi, che abbia mai possuto essere a gli Egizii la trasmigrazione del popolo leproso, ed a gli Ebrei il transito dalla Babilonica cattivitade. Oggi il morbo, la peste, la lepra3 si bandisce

dal cielo a gli deserti; oggi vien rotta quella ca-

d'essere

approvato,

tena di delitti e fracassato il ceppo de gli errori, che ne ubligano al castigo eterno. Or dunque, essendo voi tutti di buona voglia per procedere a questa riforma, ed avendo, come intendo, tutti premeditato il modo con cui si debba e possa venire al fatto; acciò che queste sedie non rimagnano disabitate, ed agli trasmigranti sieno ordinati luoghi convenienti, io cominciarò a dire il mio parere circa uno per uno; e prodotto che sarà quello, se vi parrà degno ditelo;

se

vi sembrarà

inconveniente,

esplicatevi; se vi par che si possa far meglio, dechiaratelo;

se da quello si deve togliere, dite il vostro parere; se vi par che vi si deve aggiongere, fatevi intendere; perché ognuno ha plenaria libertà di proferire il suo voto; e chiunque tace, se intende affirmare. — Qua assorsero alquanto tutti gli dei, e con questo segno ratificàro la proposta. 1 Cfr. p. 349, n. 2 IW: ma quel. vedi

3 Leproso, p.

722,

n. 2.

1.

lepra:

lebbroso,

lebbra.

Quanto

agli Ebrei,

(B. 44-5) (W. II, 142-3) (L. 442) (G.1 IT, 54) (G.2 II, 59). 616

DIALOGO

PRIMO

— Per dar, dunque, principio e cominciar da capo, disse Giove, veggiamo prima le cose che sono da la parte boreale, e provediamo circa quelle; e poi a mano a mano

per ordine faremo progresso sin al fine. Dite voi: che vi pare,

e che giudicate

di quella Orsa ? —

Gli dei, alli quali

toccavano le prime voci, commesero a Momo che rispondesse; il qual disse: — Gran vituperio, o Giove, e più grande che tu medesimo possi riconoscere, che nel luogo del cielo più celebre, là dove Pitagora (che intese il mondo aver le braccia, gambe, busto e testa) disse essere la parte superior di quello, alla quale è contraposto l’altro estremo che dice

essere l’ infima regione; di quella setta: Hic

Sub

vertex

pedibus

nobis

Styx

tuxta quello che cantò

semper

atra

sublimis,

videt

at

manesque

un

Poeta

illum

profundi!:

là dove gli marinaii si consultano negli devii ed incerti camini del mare, là verso dove alzano le mani tutti gli travagliati che patiscono tempeste: là verso dove ambivano gli giganti: là dove la generazion fiera di Belo facea montare la torre di Babelle =: là dove gli maghi del specchio calibeo cercano gli oracoli de Floron,

uno de' grandi prin-

cipi de gli arctici spiriti: là dove gli Cabalisti dicono che Samaele volse inalzare il solio per farsi assomigliante al primo altitonante; hai posto questo brutto animalaccio, il quale,

non

con

una

staccio,

non

con

qualche

1 VirgiLIo, Georg., al Carmen aureum. 2 Genesi,

XI,

occhiata,

I, 242-3.

non

imagine

con

un

di mano,

Erroneamente

rivoltato

non

mu-

con

il Kuhlenbeck

un

pensa

4.

(B. 45-6) (W. II, 143) (L. 442-3) (G.t II, 54-5)

617

(G.* II, 59-60).

SPACCIO

DE

Lu

BESTIA

TRIONFANTE

piede, non con altra meno ignobil parte del corpo, ma con una coda (che contra la natura de l'orsina specie volse Giunone che gli rimanesse attaccata dietro), quasi come un? indice degno di tanto luogo, fai che vegna a mostrar a tutti terrestri, maritimi e celesti contemplatori il polo magnifico e cardine del mondo. Quanto, dunque, facesti male de vi la inficcare 3, tanto farai bene di levarnela; e vedi di farne intendere dove la vuoi mandare,

ch’in

suo

loco

succeda.



Vada,

disse

e che

cosa

vuoi

Giove,

dove

a voi altri pare e piace, o a gli Orsi d’ Inghilterra,

o a gli Orsini o Cesarini di Roma 4, se volete che stia in città

a bell’aggio. — A gli claustri di Bernesi vorei che la fusse impriggionata, disse Giunone. — Non tanto sdegno, mia moglie,

replicò

Giove;

vada

dove

si vuole,

purché

sia li-

bera e lasce quel loco nel quale, per essere la sedia più eminente, voglio che faccia la sua residenza la Veritade; perché

là je unghie de la detrazione non arivano, il livore de l’ invidia

non

avelena,

le

tenebre

de

dano.

Ivi starà stabile e ferma;

l'errore

là non

non

vi

profon-

sarà exagitata

da

flutti e da tempeste; ivi sarà sicura guida di quelli che vanno errando per questo tempestoso pelago d'errori; ed indi si mostrarà

chiaro

e terso specchio

zione. — Disse il padre Saturno:

1 Onde

quanto

pare

la «ridicula

2 Bi come 3 Oppure

ma; non

4 Allusioni

Cand.?

fabella » del

(p.

186;

con un. nfeccare. a famiglie,

— Che farremo di quella

ivi,

PANORMITA,

n.

3), dal

Napolitanismo.

città e stati,

non

B.

ignorata,

a

che hanno

l’orso nello stem-

a Nola

ed

ebbero

55-6)

(G.2

cosî, appresso, si allude allo stemma di Berna. Comunque, a caso B. ricorda famiglie italiane, per esempio gli Orsini ei

Cesarini,

piccola (B.

nel

di contempla-

di cui

rami

nella storia

46-7)

(W.

II,

si trapiantarono

di essa. 143-4)

(L.

443)

618

(G.1

II,

parte

II,

non

60-1).

DIALOGO

PRIMO

Orsa maggiore ? Propona Momo.



E lui disse:

dico,

e con



Vada,

perché la è vecchia, per donna di compagna! di quella minore giovanetta; e vedete che non gli dovegna roffiana; il che se accaderà, sia condannata ad servira qualche menche

con

andarla

mostrando

farla cavalcare

da

fanciulli ed altri simili, per curar la febre quartana ed altre picciole infirmitadi, possa guadagnar da vivere per lui e lei. — Dimanda .Marte: — Che farremo di quel nostro Draggonaccio 2,

o Giove?



Dica

Momo,



rispose

il

padre. E quello; — La è una disutile bestia, e che è meglio morta che viva. Però, se vi pare, mandiamola

ne l’ Ibernia,

o in un'isola de 1° Orcadi a pascere. Ma guardate bene, ché con la coda è dubio che non faccia qualche ruina di stelle

con

farle

precipitar

in mare.



Rispose

Apolline:

— Non dubitar, o Momo: perché ordinarò a qualche Circe o Medea, che con quei versi con gli quali si seppe addormentare

quando

era guardiano

de le poma

d'oro,

adesso

di nuovo insoporato sia trasportato pian pianino in terra. E non mi par che debba morire, ma si vada mostrando ovunque è barbara bellezza: perché le poma d’oro saranno

la beltade 3, il drago sarà la fierezza, Giasone sarà l'amante, 1 BWLG!:

pagnia,

compagno.

come

Evidentemente

allora si diceva.

compagna

per

com-

® (G1 = L: Dragonnaccio (Lagarde registra Draggonaccio come forma originale; G?: Draggonnaccio (volendo forse restituire la [. orig.).) 3 Cfr. TANSILLO, Vendemmiatore, st. 158 (ed. Flamini, p. 58). Ercole,

credo,

si facea

Donne,

che avete,

nomare,

Che "Il drago uccise, e tolse ogni ricchezza. Le poma d'or son le bellezze care, il drago

è la fierezza,

Che dentro a’ vostri cuor chiusa dimora, E ogni bel piacer caccia 0 divora.

(B. 47-8) (W. IT, 144) (L. 443-4) (G1 II, 56) (G2 IL 61-2). 619

SPACCIO

l'incanto

DE

LA

ch’addormenta

BESTIA

TRIONFANTE

il drago, sarà che

Non è si duro cor che proponendo, Tempo aspettando, piangendo ed amando, E talvolta pagando, non si smuova: Né si freddo voler, che non si scalde!.

Che cosa vuoi che succeda al suo luogo, o padre? prudenza,

rispose

Giove,

la

quale

Veritade;

perché

questa

non

deve

deve

essere



vicina

maneggiarsi,

La alla

moversi

ed adoperarsi senza quella, e perché l’una senza la compagnia de l’altra non è possibile che mai profitte o vegna onorata. — Ben provisto, — dissero i dei. Soggionse Marte: — Quel Cefeo, quando era re, malamente seppe menar le braccia per aggrandir quel regno che la fortuna gli porse. Ora,

non è sorte piazza che se

bene che qua, in quel modo che fa, spandendo di tal le braccia ed allargando i passi, si faccia cossi la grande in cielo. — È bene, dunque, disse Giove, gli dia da bere l'acqua di Lete, a fin che si dismen-

tiche,

ponendo

in oblio

la terrena

e celeste

possessione,

rinasca un animale che non abbia né gambe né braccia.

e



Cossi deve essere, soggionsero li dei: ma che in loco suo succeda la Sofia, perché la poverina deve anch'ella participar de gli frutti e fortune de la Veritade, sua indissociabile compagna, con la quale sempre ha comunicato nelle angustie, afflizioni, ingiurie e fatiche; oltre che, se non è costei che li coadministre, non so come ella potrà essere mai gradita ed onorata. — Molto volentieri, disse Giove, lo accordo, e vi consento o Dei; perché ogni ordine e. rag1 Contraffazione

atto V, coro.

di

versi

Il B. aggiunge

del

Tasso,

di suo,

Aminta,

atto

I,

a dileggio delle donne,

colare del «talvolta pagando ». Cfr. SpramPanaTtO, Critica, XXIII, 248, e Lo spaccio, p. 94.

G.

sc.

1,

il parti-

Florio,

(B. 48-90) (W. IT, 144-5) (L. 444) (G.! II, 56-7) (G.2 II, 02-3). 620

e

in

gione

il

vuole;

e

DIALOGO

PRIMO

massime,

perché

malamente

crederei

aver reposta quella nel suo luogo senza questa, ed ivi non si potrebe trovar contenta, lontana della sua tanto amata sorella e diletta compagna. —

De

l’Arctofilace,

disse

Diana,

che,

si ben

smaltato

di stelle, guida il carro, che credi, Momo, che fare? — Rispose!: — Per esser lui quel Arcade,

si debba frutto di

quel sacrilego ventre, e quel generoso parto testimonio ancora de gli orrendi furti del gran stro 2, deve partirsi da qua: .or provedete voi abitazione. — Disse Apolline: — Per esser figlio séguite la madre! — Soggionse Diana: — E cacciatore

d'orsi,

séguite

la madre,

con

questo

gli ficchi qualche punta di partesana adosso. Mercurio:



che rende padre node la sua di Calisto, perché fu che



non

Aggiunse

E perché vedete, che non sa far altro camino,

vada pur sempre guardando vria ritornare

la madre, la quale se ne de-

all’ Erimantide

selve.



Cossi

sarà

meglio,

disse Giove: e perché la meschina fu violata per forza, io voglio se

riparar

cossi

figura. rete

al suo

piace



danno,

a Giunone nel

grado

della

disse Giove;

discussioni:



Ivi,

questa

ma

(B.

sua

pristina

veggiamo

49-50)

II,

(W.

verginità,

4.

II,

145)

conse-

445)

621

vogliamo

far

Dopo fatte molte e molte Giove,

che

nato dagli amori (L.

Della

prima l’are per

che cosa

succeda

(G.!

II,

la

Legge,

sia in cielo, atteso

è figlia della Sofia celeste

Rispose che)

Astron.,



è necessario

® L’Arctofilace sarebbe

Icino,

nella

sua

sentenziò

ancora

cossîf questa 1 (L:

rimettendola,

— Non parliamo più di questo

succedere al luogo di costui.

che

loco

ancora,

quenza in grazia de Diana.

perché

quel

Mi contento, disse Giunone, quando

rimessa

per ora,

da

e divina,

come

di Callisto e di Giove: 57-8)

(G.?

II,

63).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

quell’altra è figlia de l’ inferiore, in cui questa Dea manda il suo influsso ed irradia il splendor del proprio lume, in quel mentre che va per gli deserti e luoghi solitari de la terra. — Ben disposto, o Giove, disse Pallade; perché non è vera, né buona legge quella che non ha per madre la Sofia, e per padre l'intelletto razionale; e però là questa figlia non deve star lungi da la sua madre;

ed a fin che da basso

contempleno gli uomini come le cose denno essere ordinate appreso ! loro, si proveda qua in questa maniera, se cossi piace a Giove. Appresso séguita la sedia della corona Boreale,

fatta

di safiro,

arrichita=

di

tanti

lucidi

diamanti,

e che fa quella bellissima prospettiva con quattro e quattro, che son otto, carbuncoli ardenti. Questa, per esser cosa fatta

a basso,

trasportata

da

basso,

mi

par

molto

degna

d'esser presentata a qualche eroico prencipe, che non ne sia indegno; però veda il nostro padre, a chi manco meno indegnamente deve essere presentata da noi. — Rimagna in cielo, rispose Giove, aspettando il tempo, in cui devrà essere donata in premio a quel futuro invitto braccio, che con la mazza ed il fuoco riportarà la tanto bramata quiete alla misera ed infelice Europa, fiaccando gli tanti capi

di questo

peggio che Lerneo

mostro,

che con

molti-

forme eresia sparge il fatal veleno, che a troppo lunghi passi serpe per ogni parte per le vene di quella 3. — Ag1 F. rarissima nel ? Spagn.: rico. 3 Questa

ridarà

sedia

la quiete

de

B.

e nei

la

corona

all' Turopa,

suoi

non

contemporanei.

boreale,

ricorda

vuota,

il gran

e destinata

seggio

a

chi

e la corona

che già v’ è su posta, aspettante l’anima di Arrigo VII nel Paradiso,

c.

XXV

parso.

La

(ma

XXX,

133

moltiforme

e 134),

di DANTE,

eresia,

non

come

occorre

a qualcuno

avvertirlo,

è

è

la Riforma, della quale il B. continua qui appresso a discorrere; v. anche p. 655. Pei suoi giudizi sulla Riforma, oltre gli scritti citati (B.

5so-1)

(W.

II,

145-6)

(L.

445-6)

622

(G.1

II,

58-9)

(G.?

II,

63-4).

DIALOGO

giunse

Momo:



Bastarà

PRIMO

che done

fine a quella poltro-

nesca setta di pedanti, che senza ben fare secondo la legge divina e naturale,

si stimano

e vogliono

essere stimati re-

ligiosi grati a' dei, e dicono che il far bene è bene, il far male

è male;

si faccia,

sperare

ma

non per ben

si viene

ad essere

e credere

che si faccia o mal

degno

secondo

e grato

che non

a’ dei;

il catechismo

ma

per

loro !. Vedete,

dei, se si trovò mai ribaldaria pi aperta di questa, che da quei soli non è vista, li quali non veggon nulla. —

Certo,

forfantaria, Quando

patto

morte, vitto

disse

non

Mercurio,

conosce

colui

questa

che

ch'è

non

conosce

la madre

nulla

di tutte.

Giove istesso e tutti noi insieme proponessimo

a gli uomini, come

umano,

deremmo

essere più abominati

quei che, in grandissimo non

siamo

solleciti

tal

che la

pregiudizio del con-

d'altro,

che

della

vana

gloria nostra. — Il peggio è, disse Momo, che ne infamano, dicendo

che questa

è instituzione de superi;

e con questo

che biasmano gli effetti e frutti, nominandoli ancor con titulo di defetti e vizii. Mentre nessuno opera per essi, ed essi operano per nessuno (perché non fanno altra opra che dir male de l’opre), tra tanto vivono de l’opre di quelli ch’hanno operato per altri che per essi, e che per altri hanno instituiti tempii, capelle, xeni 2, ospitali, collegii ed universitadi; onde sono aperti ladroni ed occupatori di beni ereditari

d'altri;

li

quali,

se

non

son

perfetti,



cossi

a p. 385, n. 1, v. ora anche GENTILE, G. B. e il pensiero del Rinascimento?, pp. 166-72. ! Il sullodato anonimo Postillatore segna in margine a q. l.: «contra lustitiam Fidei ». ® Grecismo: ricoveri, alberghi. Cfr. dial. seg., p. 662, per la retta interpretazione. (B.

51-2)

(W.

II,

146)

(L.

446)

(G.!

623

IT,

59-60)

(G,?

II,

64-5).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

buoni, come denno, non saranno però (come sono essi) perversi e perniciosi al mondo; ma più tosto necessarii alla republica, periti ne le scienze speculative, studiosi de la moralitade,

solleciti

di giovar

l’altro,

l’un

circa

l'aumentar

e mantener

ordinate tutte leggi), proponendo tori,

e

mentre

minacciando

certi

dicono!

lor

ogni

le quali

né essi, né

secuzion

di quelle

tabile,

mediante

massimamente

basta certi

affetti

a’

‘delinquenti. circa

intesero,

il solo

interiori —

cose

dicono

destino,

gli dei si pascano.

(a cui

sono

certi premii a’ benefat-

essere

altri mai

e la cura

il convitto

castighi cura

il zelo

invisibili,

ch’alla con-

il quale

e fantasie, Però,

Oltre,

è immude

quali

disse Mercurio,

non gli deve dar fastidio, né eccitar il zelo, che alcuni credeno le opere essere necessarie; perché tanto il destino di quelli,

quanto

il

destino

loro

che

credeno

il

contrario,

è prefisso, e non si cangia perché il lor credere o non credere sì cangie,

e sia d'una

ed un’altra maniera.

E per la mede-

sima caggione essi non denno essere molesti a color che non gli credeno, e che le stimano sceleratissimi; perché non per questo che gli vegnono a credere e stimarli uomini da

bene,

dottrina,

cangiaranno non

è in

destino.

libertà

Oltre

de

l’elezion

che, loro

secondo di

la

lor

mutarsi

a

questa fede. Ma gli altri che credeno il contrario, possono giuridicamente,

secondo

essere a lor molesti 2; ma, dei

e beneficio

al

mondo

la lor

conscienza,

non

solamente

oltre, stimar gran sacrificio a gli di

perseguitarli,

ammazzarle

e

spengerli3 da la terra, perché son peggiori che li bruchi e

1A q. 1: «Contra Praed. Calvini» (Post. napol.). ® BL: modesti. Fu il Post. napol. a correggere per il primo l'errore. 3 Esempio dell'incostanza grammaticale del B.

(B. 52-3) (W. II, 146-7) (L. 446-7) (G.! II, 60) (G? II, 65-0). 624

DIALOGO

PRIMO

le locuste sterili e quelle arpie le quali non opravano nulla di buono, ma solamente que’ beni che non posseano! vorare, strapazzavano ed insporcavano con gli piedi, e faceano impedimentò a quei che s’esercitavano. — Tutti quei, ch’ hanno giudicio naturale, disse Apolline, giudicano le leggi buone, perché hanno per scopo la prattica; e quelle in comparazione son megliori, che donano meglior occasione a meglior prattica: perché de tutte leggi altre

son

massime

state per

donate

da

il comodo

noi,

de

altre

finte

da

gli uomini,

l’umana

vita;

e per

ciò

che

alcuni non veggono il frutto de lor meriti in quella vita, però gli vien promesso e posto avanti gli occhi de l'altra vita il bene e male, premio e castigo, secondo le lor opre. De

tutti quanti,

dunque,

segnano, disse Apollo, perseguitati dal cielo e peste del mondo, e non gli lupi, orsi e serpenti, meritoria e degna: anzi

che

diversamente

credeno

ed in-

questi soli = son meritevoli d'esser da la terra, ed esterminati come son più degni di misericordia che nel spenger de quali consiste opra tanto incomparabilmente meritarà

più chi le toglierà, quanto pestilenza e ruina maggiore apportano questi che quelli. Però ben specificò Momo, che la Corona australe a colui massime si deve, il quale è disposto

dal fato a togliere questa fetida sporcaria del mondo 3. —

Bene,

disse Giove,

cossi voglio, cossf determino,

che

sia dispensata questa corona, come raggionevolmente Mercurio, Momo ed Apolline hanno proposto, e voi altri con-

1.BL:

posseno.

2 «Cioè quelli gui niegano opere» (Post. napol.). 3 « Notate bene » (Id.). (B.

53-4)

(W.

II,

147-8)

la santità

(L. 447)

625

(G

et iustizia consestir

II,

60-1)

(G.?

II,

en le

66).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

sentite. Questa pestilenza !, per essere cosa violenta e contra

ogni legge e natura, certo non potrà molto durare; come possete accorgervi, ch’ hanno costoro il lor destino o fato nemicissimo, perché mai crebbe il numero di questi, se non a fine di far più numerosa ruina. — È ben degno premio, disse Saturno,

la corona

per colui,

a questi perversi ® è picciola sieno solamente spenti dalla però mi par oltre giusto che, appresso, per molti lustri e corpo

in corpo

che le toglierà via;

ma

ed improporzionata pena, che conversazion de gli uomini: lasciato ch’aranno quel corpo, per più centinaia d'anni, da

trasmigrando

per

diverse

vice e volte,

se

ne vadano ad abitar in porci 3, che sono gli più plotroni animali del mondo, o vero sieno ostreche marine attaccate ai scogli.

— La giustizia, disse Mercurio, vuole il contrario 4. Mi par giusto, che per pena de l’ocio sia data la fatica. Però sarà meglio, che vadano in asini, dove ritegnano la ignoranza e si dispogliano de l’ocio; ed in quel supposito, in mercé di continuo lavore, abbiano poco fieno e paglia per cibo, e molte bastonate per guidardone. — Questo parere

approvàro

tutti

gli Dei

insieme.

Allora

sentenziò

Giove, che la corona sia eterna di colui che gli arà donata l’ultima scossa; ed essi per tremilia anni da asini sempre vadano migrando in asini. Sentenziò oltre, che in loco di quella corona particolare succedesse la ideale e comunicabile in infinito, perché da quella possano essere suscitate 1 «Ancora

contro

3 « Et

seranno

% « Ancora » (Post. athei

qui

Epicuri, nalurae 4 «Ancora » (Id.).

i Riformati

napol.). quei,

ductum

evangelici » (Id.).

donca,

qui

triompheranno?

sequentes », etc.

(Id.).

Nismirum

{B. 54-5) (W. II, 148) (L. 447-8) (G.4 IT, 61-2) (G2 II, 66-7). 626

DIALOGO

infinite

corone,

diminuzione,

come

da

una

PRIMO

lampade

accesa

senza

sua

e senza scemarsi punto di virtude ed efficacia,

se ne accendeno infinite altre. Con la qual corona intese che fusse aggionta la spada ideale, la quale similmente ha più vero essere che qualsivoglia particolare, sussistente infra gli limiti delle naturali operazioni. Per la qual spada e corona intende Giove il giudicio universale, per cui nel mondo ogniuno vegna premiato

e castigato,

secondo la misura de

gli meriti e delitti. Approvàro molto questa provisione tutti gli dei, per quel che conviene che alla Legge abbia la sedia vicina il Giudicio, perché questo si deve governar per quella, e quella deve esercitarsi per questo; questo deve esseguire, e quella dettare; in quella ha da consistere tutta la teoria,

in

questo

tutta

la pratica.

Dopo fatti molti discorsi e digressioni in proposito di questa sedia, mostrò Momo a Giove Ercole, e gli disse: —

Or, che faremo di questo tuo bastardo ? —

Avete udito,

dei, rispose Giove, la caggione per la quale il mio Ercole deve andarsene con gli altri altrove. Ma non voglio che la sua andata sia simile a quella de tutti gli altri; perché la causa, modo e raggione de la sua assumpzione è stata molto

dissimile, per e meriti de gli spurio, degno dimostrato. E adventizio,

ciò che solo e gesti eroici s' però di essere vedete aperto,

e non

singularmente per le virtudi ha meritato il cielo; e benché legitimo figlio di Giove s'è che solo la causa de l’essere

naturalmente

dio,

fa

che

li sia

negato

il cielo; ed è il mio, non suo errore quello che per lui io vegno, come è stato detto, notato. E credo, che vi rimorda la conscienza; ché se uno da quella regola e determinazion gene-

rale devesse

essere eccettuato,

questo

solo derrebe

Ercole. Però, se lo togliemo da qua e lo mandamo

essere

in terra,

(B. 55-7) (W. IL 149-9) (L. 448) (G.1 II, 62-3) (G-3 II, 67-8). 627 di



G. Bruno,

Dialoghi

italiani

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

facciamo che non sia senza suo onore e riputazione, la quale non sia minore che se continuasse in cielo. — Assorsero molti, dico, la più gran parte de gli dei, e dissero: — Con maggiore, se maggior si puote. — Instituisco, dunque, Giove soggionse, che con questa occasione a costui, come a persona operosa e forte, sia donata tal commissione e cura, per quale si faccia dio terrestre, talmente grande, che vegna da tutti stimato maggior che quando era autenticato per celeste semideo. — Risposero que’ medesimi: —

Cossi sia. —

E perché alcuni de quegli né erano assorti

allora, né parlavano disse,

che

ancor

adesso, si converse

essi si facessero

Giove

intendere.

a loro, e gli

Però

di quelli

alcuni dissero: Probamus; — altri dissero: Adinittimus. — Disse Giunone: Non refragamur. — Indi si mosse Giove a proferir il decreto in questa forma: — Per causa che in loghi de la terra in questi tempi si scuoprono de mostri, se non tali quali erano a’ tempi de gli antichi cultori di quella,

forse peggiori;

rile, instituisco,

che,

io, Giove, se non

con

padre

e proveditor

simile o maggior

gene-

mole

di

corpo, dotato però ed inricchito di maggior vigilanza, di sollecitudine, vigor d' ingegno ed efficacia di spirto, vada Ercole, come mio luogotenente e ministro del mio potente braccio, in terra; e come vi si mostrò grande prima, quando fu nato

e parturito

in

quella,

con

aver

superati

e vinti

tanti fieri mostri; e secondo, quando rivenne a quella vittorioso da l’ inferno, apparendo insperato consolator de gli amici, ed inaspettato vendicator de gli oltragiosi*! tiranni; cossi, al presente, qual nuovo e tanto necessario e bramato proveditore, 1 Con

vegna

la scempia

la terza volta visto da la madre; come

e di-

in francese.

(B. 57-8) (W. II, 149) (L. 448-9) (G.1 IT, 63-4) (G.2 II, 08-9). 628

DIALOGO

PRIMO

scorrendo per gli tenimenti di quella, veda se di bel nuovo per le cittadi Arcadiche vada dissipando ! qualche Nemeo leone; se il Cleoneo di nuovo appaia in Tessaglia. Guarde se quell’ idra, quella peste di Lerne, sia risuscitata a prendere le sue teste rigermoglianti. Scorga se ne la Tracia sia di nuovo risorto quel Diomede, e chi de sangue de peregrini pascea ne l’ Ebro gli cavalli. Volte l'occhio a la Libia, se forse

quell'Anteo,

che

tante

volte

ripigliava

il spirto,

abbia pur una volta ripigliato il corpo. Considere se nel regno Ibero è qualche tricorporeo Gerione. Alze il capo e veda se per l'aria a questo tempo volano le perniciosissime Stinfalidi: dico, se volano quelle Arpie che talvolta soleano annuvolar l’aria ed impedir l'aspetto de gli astri luminosi. Guate se qualch’ ispido cinghiale va spasseggiando per gli Erimantici deserti. Se s’ incontrasse a qualche toro, non dissimile a quello che donava orrido spavento a tanti popoli; se bisognasse far uscir a l’aria aperto? qualche triforme

Cerbero

che

latre,

a fin che

vomisca

l’aconito mor-

tifero; se circa gli crudi altari versa qualche carnefice Busire; se qualche cerva, che di dorate corna adorna il capo, appare per que’ deserti, simile a quella che con gli piedi di bronzo correa veloce, pari al vento; se qualche nova regina Amazonia ha congregate le copie rubelle; se qualche

infido

e vario

Acheloo

con

inconstante,

molti-

forme e vario aspetto tiranneggia in qualche parte; se sono Esperidi ch’ in guardia del drago han commese le poma d’oro; se di nuovo appare la celibe ed audace Regina del popolo Termodonzio; se per l’Italia va grassando 1 Distruggere,

(B.

abbattere.

® Per

questo

mascolino

58-9)

(W.

149-50)

II,

Latinismo.

cfr. p. 61,

(L. 449-50)

629

n.

(G.1

2. II,

64)

(G.2

II,

69-70).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

qualche Lancinio ladro, o discorra qualche Cacco predatore che con il fumo e fiamme defenda gli suoi furti!; se questi, o simili, o altri nuovi ed inauditi mostri gli occor-

reranno, e se gli aventaranno, mentre per il spacicso dorso de

la

terra

perseguite, franga,

verrà?

leghe,

lustrando;

domi,

deprima,

svolte,

spoglie,

sommerga,

riforme,

dissipe,

brugge 3,

discacce,

rompa,

casse,

spezze,

uccida,

an-

nulle. Per gli quai gesti, in mercé di tante e sf gloriose fatiche, ordino che ne gli luoghi dove effettuarà le sue eroiche imprese,

gli sieno drizzati

trofei,

statue,

colossi,

ed

oltre

mi

pari

fani e tempii, se non mi contradice il fato. —

Veramente,

o

Giove,

disse

Momo,

adesso

a fatto a fatto dio da bene; perché veggio che la paternale affezione non ti trasporta a passar gli termini circa la retribuzione secondo gli meriti del tuo Alcide; il quale se non

è degno

di tanto,

è meritevole

oltre forse di qualche

cosa di vantaggio, anco a giudicio di Giunone, la qual veggio che ridendo pur accetta quel ch’ io dico. — Ma

ecco

il mio

tanto

aspettato

Mercurio,

o

Saulino,

per cui conviene che questo nostro raggionamento si differisca ad un’altra volta. Però piacciati discostarti e lasciarne

privatamente

Saulino. Sofia.

Bene,

Ecco

raggionar

a rivederci

quello

a cui

insieme. domani.

ieri

ho

indirizzati

i voti:

al

fine, dopo ch'ha alquanto troppo induggiato, mi si fa presente. Ierì a la sera doveano essere pervenuti a lui, questa notte ascoltati, e questa mattina exequiti dal medesirno. Se subito a la mia voce non è comparso, gran cosa ! Cîr. ® BL: 3 Cir. (B.

VirciLio, Aen., VIII, 251-55. varrà. (Cfr. p. 636) Cand.?, p. 23, n. 5 (ma p. 33,

59-60)

(W.

II,

150)

(L.

450)

630

(G.I

n. 3). II

64-5)

(G.2

II,

70).

DIALOGO

lo deve meno

aver

amata

intrattenuto; da lui, che

PRIMO

per ciò che

da me

credo

medesima.

non

Ecco,

essere

il veggo

uscire da quella nuvola candente ‘, che dal spirto d’Austro

risospinta corre verso dendo a’ lampegianti ? coronando il mio nobil stade, io ti ringrazio,

il centro del nostro orizonte, rai del sole s'apre in cerchio, pianeta. O sacrato padre, alta perché veggio il mio alato

e cequasi maenume

spuntar da quel mezzo e con l’ali distese battendo l’aria, lieto col caduceo

in mano,

fender

il cielo

a la mia

volta,

pi veloce che l’ucello di Giove, più vago che l’alite di Giunone, più singulare che l’Arabica Fenice; presto mi s'è aventato

vicino,

gentile

mi

zionato mi si dimostra. Mercurio. Eccomi teco tuoi voti, o mia

si presenta,

ossequioso

Sofia, perché

ben

secondo

il suo

costume,

alata saetta di raggio

Sofia.

Ma

tu, mio

e favorevole

m' hai mandato

e la tua orazione non è pervenuta matico,

a me ma

risplendente.

nume,

unicamente

a gli

a chiamare;

qual fumo

qual

affe-

aro-

penetrativa

e

che vuol dire che si tosto, se-

condo il tuo costume, non mi ti sei fatto presente? Mercurio. Ti dirò la veritade, o Sofia. La tua orazione mi giunse a tempo ch'io ero già ritornato da l’ inferno, a

commettere

nelle

mani

di

Minoe,

Eaco

e

Radamanto

ducento quarantasei milia cinquecento e vinti due anime, che per diverse battaglie, supplicii e necessitadi hanno compito 1 Dal

il corso

de

lat. candeo.

2 I Napolitani

l'animazione

dicono:

di

corpi

presenti 3. Ivi

lampejare.

3 Dì. non solo qui imita Luciano, ma allude anche ad avvenimenti contemporanei. In Ispagna l’infierire del Santo Uffizio e l’accanimento contro gli Ebrei ed i Moreschi, le persecuzioni in

(B.

60-1)

(W.

II,

rso-1)

(L. 450-1)

631

(G.1 IL

65-6)

(G.? II, 70-1).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

era meco

la Sofia

celeste,

e Pallade,

la qual,

al vestito ed a l'andare,

che

quella ambasciata

Sofia. con

Ben

chiamata

volgarmente

Minerva

subito conobbe

era la tua...

la possea conoscere,

te, frequentemente

suole

perché

contrattar

non meno con

che

lei.

Mercurio ... E mi disse: — Volgi gli occhi, o Mercurio,

ché per te viene questa ambasciaria de la nostra germana

e figlia terrestre. Quella che vive del mio spirito e più di lungi, vicino alle tenebre, procede dal lume del mio padre, voglio che ti sia raccomandata. — È cosa soverchia, io li risposi,

o nata

del cervello

di Giove,

il raccomandarmi

la

tanto amata nostra comune sorella e figlia. — Mi approssimai, dunque, alla tua messaggera: l'abbraccio, la bacio, la

metto

in

compendio,

apro

gli

bottoni

del

gippone ',

e me l’insacco tra la camicia e la pelle, sotto la quale batte e ribatte il polso del core. Giove (il quale era presente, poco discosto, raggionando in secreto con Eolo ed Oceano, li quali erano inbottati *, per ritornarsene presto alli negocii suoi qua gid) vedde quel ch'io feci, e rompendo il raggionamento in cui si ritrovava, fu curioso di dimandarmi subito che memoriale quello fusse che m'’avevo messo in petto; ed avendogli io risposto com’era cosa tua 3:

— Oh la mia povera Sofia! disse, come la passa ? come la fa? Ahi poverina, da quel cartoccio, che non è troppo Inghilterra contro i Presbiteriani e i Cattolici, l'ottava guerra civile in Francia,-Il' insurrezione delle Fiandre contro Filippo II, le lotte

religiose in Germania, di sterminio.

n.

per

non

dire

altro,

I Cir. Candè, p. 191, n. I. è Franc. botte, botter: stivali, stivalare.

2. 3 BL: (B.

61-2)

erano

Cfr. De

cause

di stragi

la causa,

p.

241,

sua. (W.

II,

151)

(L.

451)

632

(Gt

II,

66-7)

(G.*

II,

e

71-2).

DIALOGO

PRIMO

riccamente piegato, io comprendevo che non possev’essere altro che quel che dici. È pur gran tempo che non abbiamo avuto nova alcuna di lei. Or che cosa la dimanda ?

che gli manca? che ti propone ? — Non altro, dissi, cccetto ch'io gli sia assistente ad ascoltarla per un'ora. — Sta bene, — disse, e tornò a compire il raggionamento con que’ doi dei; e cossi poi in fretta mi chiamò a sé, dicendo:

— Su,

su, presto, doniamo ordine a nostri affari, prima che tu vadi

a veder che vuole quella meschina, ed io a ritrovar questa mia tanto fastidiosa mogliera, che certo mi pesa più che tutta la carca de l'universo. — Subito volse (perché cossi è novamente decretato nel cielo) che di mia mano registrasse tutto quel che deve essere provisto oggi nel mondo. Sofia. Fatemi, se vi piace, alquanto udire di negocii, poi che m' hai svegliata questa cura nel petto. Mercurio. Ti dirò. Ha ordinato, che oggi a mezzo giorno doi

meloni :, tra

perfettamente

gli altri,

maturi;

nel melonaio

ma

che non

di Franzino

sieno

colti,

sieno

se non

tre

giorni appresso, quando non saran giudicati buoni a mangiare. alle

Vuole radici

ch'al

medesimo

del monte

di

tempo

Cicala,

dalla

in

casa

iviuma, di

che

Gioan

sta

Bruno,

trenta iuiomi? sieno perfetti colti, e diece sette caggiano 1 Melone

de

acqua

(=

cocomero)

pane (= popone): napolitanismo. per la gran copia d’acqua a poca numerosi e ricchi mellonai, zIuiuma

e

iviomi,

di tutto il Napoletano (ora

ioiole,

voci

iuiula,

di un luogo detto (1557)

joiome

DeLLa

(B.

appresso

Porta,

62-3)

(W.

ieile,

de

che l'agro nolano, vantava, e vanta,

del Salernitano

ioive,

(Napoli,

Iojema,

la chiesa

dei

151-2)

451-2)

Tabernaria,

II,

ora

melone

eun giorno

per indicare la pianta e il frutto del giuggiolo

Hist. della città e regno di Napoli di

È notabile profondità,

e

III,

(L.

ecc.).

«per essere stato ivi un arbore

Monaci

da

7: « Vorrisse

633

Il SUMMONTE,

1749, t. v., p. 362) parla

(G.t

II,

Montevergine ».

doie

67)

ioiole

(G2

Il

[alfra ed.:

II,

72-3).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

scalmati ! in terra, quindeci sieno rosi da’ vermi. Che Vasta,

moglie di Albenzio, mentre si vuole increspar gli capelli de le tempie, vegna, per aver troppo scaldato il ferro, a bruggiarne cinquanta sette; ma che non si scotte la testa, e per questa volta non biastemi quando sentirà il puzzo; ma con pazienza la passe. Che dal sterco del suo bove nascano ducento cinquanta doi scarafoni, de quali quattordeci sieno calpesirati * ed uccisi per il piè di Albenzio, vinti sei muoiano di rinversato, venti doi vivano in caverna,

ottanta vadano in peregrinaggio per il cortile, quarantadoi si retireno

sedeci vien

a vivere

vadano

quel

isvoltando

comodo,

quando

sotto

il resto

si pettina,

gli rompano,

ceppo

vicino

le pallotte

corra

caschino

a la diece

per

dove

fortuna. sette

a la porta,

A

li

Laurenza,

capelli,

e di quelli diece rinascano

meglio

tredeci

in spacio

se

di tre

giorni, e gli sette non rivegnano più. La cagna d’Antonio Savolino concepa cinque cagnolini, -de quali tre a suo tempo vivano, simile

e doi sieno a la madre,

gittati

via;

il secondo

e di que’ sia vario,

tre il primo il terzo

sia

sia parte

simile al padre e parte a quello di Polidoro. In quel tempo il cuculo

s'oda

jojome] ». Nel

cantare

Catal.

della

da

la Starza 3, e non

collez.

agr.

del

R.

faccia

udire

delle

Piante

Giard.

(Nap., 1815, s. XIII, p. 75): «Giuggiola, jojeva, jojema, jojoma (Zizyphus vulgaris) » (v. SPaMP., Rass. crit. lett. ît., XIII, 163; Po-

stille, pp. 467-468).

‘iuiuma’

si trova

nel New

aScarmare,

scarmanare;

e dicesi

dei

2 Nelle due edizioni della Cene

(pp. 97 e 102

World

of

Words,

1 Il D'AMBRA:

p.

ticelli che immaturi

Con

273.

l’es. dello Sp.

cascano

dalla pianta ».

frut-

(cîr. p. 135. n. 2,

della presente ediz.) ) ho corretto: ma ora mi accorgo che B. non scrive mai questa parola diversamente, come si vedrà più volte anche nello Spaccio. 3 Sin oggi gli editori moderni hanno stampato ‘stanza’, senza avvertire che da una simile lettura non sarebbe venuto fuori alcun (B.

63-4)

(W.

IT,

152)

(L. 452)

634

(G.t

IT,

67-8)

(G.?

73-4).

DIALOGO

PRIMO

più né meno che dodici cuculate; e poi si parta, e vada a le roine del castello Cicala! per undeci minuti d'ora, e da là se ne vole a Scarvaita 2; e di quello che deve essere appresso, provederemo poi. Che la gonna che mastro Danese taglia su la pianca 3, vegna stroppiata 4. Che da le tavole

del letto

di Costantino

si partano dodeci

cimici,

e

senes vadano al capezzale: sette degli più grandi, quattro de più piccioli, uno de mediocri; e di quello che di essi ha da essere questa sera al lume di candela, provederemo. senso e che sarebbe scomparsa senza motivo una preziosa indicazione locale. B. scrisse invece e stampò ‘starza’, usando una voce che non solo nelle province napolitane, ma anche altrove, come in Puglia, significa ‘ tenuta ', ‘ fattoria ‘ e simili. Ed aggiungo ch'egli indicò un luogo che conserva tuttora il nome con cui fu ricordato da’ documenti del tempo. Nella Sacra Visita del 15512, il 15 maggio, il Vescovo di Nola Scarampo, come risulta da' ff. CLXXI e CLXII del

volume

trascurò

che

conserva

di notare

l'Archivio

il «redditum

diocesano

super

quadam

di

quella

domo

città,

cum

non

cortina

et horto, sita in dicto Casali [di S. Paolo], iuxta cortinam Ecclesiae Sanctae Primae [cîr. Cand.ì, pp. 188 e 189), iuxta bona Iacobi

Francisci

quae

{di

Maccaroni,

fuerunt

Nola],

ditum]

ad

inxta

Pacelli

Macharoni,

praesens

debetur per

bona

Ioannis

Marcum

ecclesiae Sancti Pauli, iuxta bona

iuxta

Startiam

Leonardi

olim Curiae

Maccaroni;

quod

[{red-

Ferrantem de Visciano ». Stendendosi

la Starza tra le pendici del Cicala e l'odierno

cimitero

di S. Paolo,

breve volo giungere in cima alla collina, sulle rovine 1 Castello costruito su uno dei colli che s'elevano

del Castello. tra S. Paolo

il cuculo

dello

Spaccio,

dopo

aver

cantato

in

essa,

poteva

con

un

e Casamarciano, sopra Nola, al principio del sec. XII. Al tempo che lo storico nolano A. Leone

dettò le memorie

1512, non ne restavano che ruderi. V.

della sua patria, cioè nel

SPAMP.,

Bruno

e Nola, p. 29.

2 Nel Cand.?, p. 56: « sta da là del monte de Cicala ». È la « mon-

tagna » che piglia il nome da Scaraviti, Scatvaiti, Scarvaita o Sgravaita, frazione del comune di S. Paolo Belsito (presso Nola).

3 Dal lat. planca, come ‘chianca', cioè il desco su cui il macellaio taglia e vende la carne, cosi viene anche ‘ pianca ’, ‘ panca ',

"banca ”. 4 Napol., sconciare.

‘stroppejare’,

Anche

avanti,

5 (G! = L: se ne)

a p.

‘stroppiato’,

552.

storpiare,

guastare,

(B. 64) (W. II, 152-3) (L. 452) (G.t II, 68) (G2 II 74).

635

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

Che a quindeci minuti de la medesima ora per il moto de la lingua, la quale si varrà la quarta volta rimenando per il palato, a ia vecchia di Fiurulo casche la terza mola

che tiene nella mascella destra di sotto; la qual caduta sia senza sangue e senza dolore; perché la detta mola è gionta al termine della sua trepidazione, che ha perdurato a punto

diece

sette

annue

revoluzioni

lunari.

Che

Am-

bruoggio nella centesimae duodecima spinta abbia spaccio ed ispedito il negocio con la mogliera, e che non la ingra-

vide per questa volta, ma ne l’altra con quel seme in cui si convertisce

quel

porro

cotto,

che mangia

al presente

con

la sapa e pane di miglio !. Al figlio di Martinello comincieno a spuntar i peli de la pubertade nel pettinale 2, ed insieme insieme comincie a gallugarli3 la voce. Che a Paulino, mentre vorrà alzar un'ago rotta4 da terra, per la forza che egli farà, se gli rompa la stringa rossa de le braghe; per

la qual

cosa,

se bestemmiarà,

voglio

che

sia

punito

appresso con questo, che questa sera la sua minestra sia troppo salita e sappia di fumo; caggia e se gli rompa il fiasco

pieno

provederemo

di

vino;

poi.

per

Che

la

qual

causa

di sette talpe,

se

bestimmiarà,

le quali

da quattro

giorni fa son partite dal fondo de la terra, prendendo diversi camini verso l’aria, due vegnano a la superficie de la terra nell'ora medesima, l'una al punto di mezzo giorno, l'altra a quindeci minuti e diece nove secondi appresso, ®! Cfr. De l’ infinito, p. 460. 2 Napol., ‘ pettenale *: pettignone. 3 Dal

basso

lat.

gallulo,

as

(gallulasco,

is=

pubesco).

Dicesi

della voce dei fanciulli che, accostandosi alla pubertà, s’ ingrossa. NonIO, of. c., c. 2, n. 369, arreca l'esempio: « Puer, cuius vox galluTascit ».

4 Nel Napoletano

ago

si usa al femminile.

(B. 64-5) (W. II, 153) (L. 452-3) (G.! II, 68-9)(G2 II, 74-5). 636

DIALOGO

PRIMO

discoste l’una da l’altra tre passi, un piede e mezzo! dito ne l'orto di Anton Faivano. Del tempo e luogo de l'altre si provederà al più tardi ?.

da

1 (Lagarde G2.)

registra

è Il discorso

del

Bruno.

alcuni

di Mercurio

Il quale

ricordi

l'origin.

in questo

del piccolo

#ezo,

ha dato

altrove

molto

luogo

mondo,

che

viene

da fare

si compiacque

in cui

era

vissuto

di

accolto

agli studiosi

raccogliere

fanciullo,

e che

a Londra, dopo tanti anni che ne era lontano, dopo tanti paesi visitati e tanta vita più ampia in cui s'era trovato mescolato, gli tornava naturalmente alla memoria, volendo rappresentare le pic-

cole cure che-Ia Provvidenza divina doveva pur darsi per la piccola vita,

la

anche

meschina

volgare,

d’una

«contrada »,

piccolissima

dove

era

la

parte

del mondo,

modesta

casetta

come

paterna

era

di

lui e quelle poche delle poche persone, da lui conosciute. negli anni

ormai lontani della fanciullezza. F. FiorENTINO nell’Archivio di Stato di Napoli si abbatté nei censimenti fatti nel sec. XVI della popolazione di Nola e casali circostanti; e in essi poté identificare

parecchie delle persone ricordate qui dal Bruno; ma incorse in alcuni errori gravi per ciò che disse della famiglia del filosofo. Vedi il suo articolo La 20 gennaio

fanciullezza di G. 1882; e Dialoghi

Pp. 351-6; e cfr. la 372. Egli, infatti, appartiene al 1563, che non poté certo

B., nel Giorn. napol. della morali di G. B., in Studi

domenica, e ritratti,

Nota illustrativa IX del BERTI, Vita?, pp. 366attribul al 1545 un censimento, che realmente dove s' incontra un Giovanni Bruno di 20 anni, essere il padre di Giordano (n. nel 1548). Nuova

luce più tardi recò sugli accenni storici di questa pagina dello Spaccio e sui genitori

lari, Patitucci,

del filosofo lo SPAMPANATO

1899), che tornò a studiare

napoletano con maggior e ne riprese da capo lo questa volta giovandosi Dalle indagini dell'uno e Quel Franzino

tedesco

Franzinus

FioRENTINO,

foc.

1164

quella

del

ma,

1545

terriccinola,

(Bruno

e Nola,

i censimenti

Castrovil-

dell'Archivio

diligenza c maggior frutto del Fiorentino; studio con ogni cura nella Vita, cap. II, largamente de’ libri nolani di Sacra Visita. dell'altro si raccolgono molte curiose notizie. del mellonaio dovette essere non l’oriundo

Allamanna

secondo

e il foc. vicino

da

lo

1710

di

Casamarciano,

SprampPaNaTO,

del

casa

1563,

dei

un

che

come può

nativo

Savolino,

D.

suppose

addurre

e abitante Francinus

il

il

di

di

Potenza e di Andrea Vecchione, che contando nel 1563 trentatré anni ed essendo prete poteva più di ogni altro possedere un orto (Vita, pp. 53 € 54), — Gioan Bruno è certo il padre del filo-

sofo,

Vita,

che

ne

fece

il

nome,

(B.

65)

(W.

II,

153)

p. 696;

cir. Eroici

Gioanni,

furori, (L.

nel

p. 975);

453)

637

(Gi

processo

come

II,

69)

veneto

(SPAMP.,

fece

anche

(G:

II,

75).

allora

SPACCIO

Sofia.

Hai

DE

molto

LA

da

BESTIA

fare,

TRIONFANTE'

o Mercurio,

se mi

contare tutti questi atti della provisione, Giove; per

e nel

volermi

tutti

far

ascoltare,

mi

uno

quello

della

madre:

questi pari

Fyaulissa

rac-

particolari

uno

che fa il padre

decreti

che

vuoi

sei simil

Savolino.

ll

a colui,

FIORENTINO,

che

Giorn.

napol., luglio 1879, p. 450, non credette potesse leggersi nel ms. del processo Fraulissa, ma Francisca. Nel 1882 confermò il sospetto

della falsa lettura, non trovando nessuna Fraulissa nei Fuochi di Nola; ma non trovò né anche una Francisca Savolino, bensi solo una Silvia, che per l'età avrebbe potuto essere madre del B. Lo

Spampanato invece, più fortunato, trovò una Flaulisa nata nel 1522 (e però di 26 anni circa nell'anno della nascita di Giordano): figlia

di

Iannello

e sorella

di

Scipione

Savolino.

Il padre

aveva

circa

31 anno quando nacque il Filosofo, e si chiamava Giovanni. Cfr. l’App. dello SpamP., Vita, pp. 807 sgg. — Un Savolino, zio di Giordano,

era

56 anni.

l'’Albenzio,

La

moglie

marito

è pure

di

indicata

Vasta,

col nome

sette figliuoli, alcuni già accasati; ed avevano

e aveva

di Basta.

nel

1563,

E avevano

beni anche « proprie

ubi dicitur alle tiglie» sempre «in dicto casali». — Laurenza, vedova di Marcantonio Solombria, nel 1545 aveva 32 anni: ed era una povera fantesca: sine filiîs et pauperrima, manet ad aliena servitia. — L’ Antonio Savolino della cagna aveva 51 anno nel '63; ammogliato con certa Margherita, aveva cinque figli; ed era proprietario d'un oliveto nelle « pertinenzie dove

se dice

allo

fornillo

nato il 1540 da Giacomo fu

numerato

dovrà è un

ne'

e Medea

Fuochi

di

de

Cicala.

Cicala»n

Santorello, —



Polidoro,

il 21 maggio

Mastro

del 1545

Danese,

che

stroppiare la gonna chesta tagliando su d'una panca, «magister Confraternitatis et Cappellae S.ti Sebastiani »,

Adanesio

Biancolella

di 25 anni

nel

1545:

marito

— Il patrono « Cappellae S.tae Mariae della Stella»

di una

Polissena.

Costantino

Buonaiuto (de dono aiuto) era allora di 46 anni, e aveva per moglie una Imperia, con cinque figliuoli. — Della vecchia di Fiurulo e di Ambruoggio nessuna traccia. — Il figlio di Martinello potrebbe essere un Paolino datoci nei fuochi

di Casamarciano



Il

nel

Paolino,

1563

come

acuisi

punito, se bestemmierà,

figliuolo d'un

Martinello

Alemanno.

dovrà rompere la stringa, salvo a esser

« con questo che questa sera la sua minestra

sia troppo salita, c sappia di fumo, caggia e se gli rompa il fiasco pieno di vino», par probabile debba identificarsi, col Fiorentino,

con un Paolino da Casoria, notato nei fuochi, come padrone della taverna lorda. — Infine, anche l’Antonio Faivano dell'orto,

(B. 65-6) (W. II, 153) (L. 453) (G.! IT, 70) (G= II, 76). 638

DIALOGO

PRIMO

volesse prendere il conto de granegli de la terra. Tu sei stato tanto a apportare quattro minuzzarie de infinite altre che nel medesimo tempo sono accadute in una picciola contrada, dove son quattro o cinque stanze non troppo magnifiche;

or che sarrebe, se dovessi

donar

conto

a pieno

de

cose ordinate in quella ora per questa villa 1, che sta alle radici

del

monte

Cicada ? 2. Certo,

non

ti bastarebbe

un

anno da esplicarle una per una, come hai cominciato a fare. Che credi, se oltre volessi apportar tutte le cose accadute circa la città di Nola, circa il regno di Napoli, circa l' Italia,

circa l’ Europa, circa tutto il globo terrestre, circa ogni altro globo in infinito, come infiniti son gli mondi sottoposti alla providenza di Giove? In vero, per apportar solo

vien fuori nei fuochi come figlio di Domenico,

marito di una Soprana,

da cui nel 1563 avrebbe già avuto cinque figliuoli; e da' libri di Sacra Visita del 1551*% «comparuit unus ex magistris Cappellae seu

Heremitorii suo vocabulo S.tae Mariae dello porto, sitae ubi dicitur

allo porto», cioé di que' dintorni posito di spiriti, nel De magia. V. anche Si

noti,

anni.

da

Perché

ultimo,

che

il Bruno

i documenti

di

S.

che l'A. ricordò, in prola Cena, p. 159, n. I. —

dovette

lasciare

Domenico

Nola,

Maggiore

di

13

o

14

correggono

quelli veneti, e c' informano che B. entrò in convento a diciassette anni e mezzo (SramP., Vite, pp. 80, 81, 121 e 122), dopo aver studiato a Napoli umanità, logica e dialettica, Sicché tutti i ricordi

nolani

(e quindi il momento

lirebbero 1 La

del dialogo tra Mercurio e Sofia) risa-

agli anni che precedono villa (nel Cand:, p.

il 1563. 188: villaggio),

posta

alle

radici della collina meridionale del Cicala, era il casale di S. Paolo, che nel 1526 contava appena

del B. E, come

contrada,

lui dice,

dove

era

132 focolari, tra cui la famiglia materna

era molto

la sua

neva a S. Giovanni del Cesco, costruzione del convento de’ ad

esso.

% L:

V.

SpamP.

Bruno

casa,

più

grande

picciola

che

indubbiamente

16;

e

apparte-

che intorno al 1570 scomparve Cappuccini e nelle donazioni

e Nola,

p.

Cicala. Nello Spaccio (cfr. SPAMP.,

all'italiana

della

la f. latina cicada.

Vita,

pp.

50-6.

nella fatte

Vita, p. 65, n. 2) accanto

(B. 66) (W. IT, 153) (L. 453) (G.1 IT, 70-1) (G? II, 76-38).

639

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

quello che è accaduto ed ordinato d’esser in uno instante nell'ambito d’un solo di questi orbi o mondi, non ti fia mestiero

dimandar

cento

lingue

e cento

bocche

di

ferro,

come fanno gli poeti !, ma mille millia migliaia de millioni in termine

d'un

anno,

ad

non

averne

executata

la mille-

sima parte, E per dirla, o Mercurio, non so che voglia dir questo tuo riporto, per cui alcuni de’ miei coltori, chiamati filosofi, stimano che questo povero gran padre Giove sia molto sollecito, occupato ed impacciato; e credeno che lui sia

di tal

fortuna,

che

non

è minimo

mortale

che

debba

aver invidia al stato suo. Lasciò che in quel tempo che spendeva a proponere e destinar questi effetti, necessariamente dere

scorsero ed

aver

raccontare,

e farne

infinite

volte

infinite

provisto

ad

altri;

se: volesse

far

l’officio

infinite volte

Mercurio.

Sai,

occasioni

e tu,

mentre

tuo,

devi

di me

provele vuoi

averne

fatti

altri infiniti.

Sofia,

se

sei

Sofia,

che

Giove

fa

tutto

senza occupazione, sollecitudine ed impacciamento, perché a specie innumerabili ed infiniti individui provede donando ordine,

ed

avendo

successivo,

ma

le cose a modo

donato

subito

ordine,

subito

non

ed insieme

con

certo

insieme;

ordine

e non

fa

de gli particolari efficienti, ad una ad una,

con molte azioni, e con quelle infinite viene ad atti infiniti;

ma

tutto il passato, presente e futuro fa con un atto sem-

plice e singulare. Sofia.

To

posso

saper

questo,

o Mercurio,

che

non

in-

sieme insieme raccontate e mettete in execuzione queste cose, ed esse non sono in un suggetto semplice e singolare: I Vira., Aen., VI, 625-6: centum, l'errca vox.... ».

(B.

66-7)

(W.

II,

153-4)

(L.

« ....Mihi si linguae centum

453-4)

640

(G.I

II,

71-2)

(G

sint oraque

II,

78).

DIALOGO

PRIMO

e però l'efficiente. deve essere proporzionato, o almeno con l'operazione proporzionarsi a ‘quelle. Mercurio.

È

vero

quel

che

dici,

e deve

essere

cossî,

non può essere altrimente nello efficiente particolare, simo

e naturale;

perché

ivi, secondo

la raggione

e

pros-

e misura

dell'effettiva virtude particulare, séguita la misura e raggione de l’atto particolare circa il particular suggetto; ma nell’efficiente universale non è cossi, perché lui è proporzionato,

lui

se si può dir cossi, a tutto l’effetto infinito che da

depende,

secondo

la raggione

de

tutti

luoghi,

tempi,

modi e suggetti, e non definitamente ad certi luoghi, suggetti, tempi Sofia. distinta

So, dalla

Mercurio.

e modi. o

Mercurio,

particolare,

che

la

come

cognizione il finito

universale

da

è

l’ infinito.

Di' meglio: come l’unitade da l'infinito nu-

mero.

E devi saper

mero

infinito,

o Sofia, che la unità è nel nuoltre

che

è la unità

ex-

plicita: appresso che dove non è unità, non è numero,



l'unità

è uno

ed

ancora, il numero

infinito

infinito

implicito,

finito, né infinito; e dovunque

nell'unità;

e l'infinito

è numero

o finito o infinito,

ivi necessariamente è l’unità. Questa dunque è la sustanza di quello; dunque, chi non accidentalmente, come alcuni intelletti genza

particolari,

universale,

ma

conosce

essenzialmente,

come

l'unità,

l’uno

conosce

l' intellied

il nu-

mero, conosce il finito ed infinito, il fine e termine da com-

preensione ed eccesso di tutto; e questo può far tutto non solo in universale, è particolare

che

ma non

oltre in particolare; sia compreso

cossîf come -non

nell’universale,

non

è

numero, in cui più veramente non sia l’unità, che il numero istesso.

Cossi,

dunque,

senza

difficoltà

alcuna

e senza

im-

paccio Giove provede a tutte cose in tutti luoghi e tempi,

(B. 67-8) (W. IL, 154-5) (L. 454-5) (G.! II, 72) (G2 II, 78-9). 64I

SPACCIO

come

DE

LA

necessariamente

DESTIA

lo essere

TRIONFANTE

ed unità si trova in tutti

numeri, in tutti luoghi, in tutti tempi ed atomi di tempi, luoghi e numeri; e l’unico principio de l’essere è in infiniti individui,

che

furono,

sono

e saranno.

Ma

non

è questa

disputazione il fine per cui sono venuto, e per cui credo d'esser stato chiamato da te. Sofia. È vero che so bene che queste son cose degne d'esser decise da miei filosofi, e pienamente intese non da me,

che

non

le posso

comparazioni

capire,

eccetto

e similitudini, ma

che

difficilmente

in

dalla Sofia celeste e da te;

ma da quel tuo raccontare son stata commossa a cotal questione, prima che venire a discorrere circa gli mei particolari interessi e dissegni. E certo mi parevi che senza ogni

proposito

quello

tu,

discorrer

Mercurio. providenza,

giudiciosissimo

nume,

di cose cossi minime

Non

l’ ho

Sofia;

fatto

perché

con

ho

fussi

entrato

in

e basse.

vanità,

giudicata

ma

con

grande

necessaria

questa

animadversione a te, per quel che conosco, che per le molte affliczioni sei di tal maniera turbata, che facilmente l’affetto

ti vegna trasportato a voler non troppo piamente opinare circa il governo de gli dei; il quale è giusto e sacrosanto al fin finale,

che

benché

le cose

tu vedi, confusissime.

trattasse

altro,

renderti volte

non

Ho

provocarti

sicura dal dubio

dimostri;

puoi

perché,

apertamente

appaiono,

voluto

a

cotal

in quella

dunque,

maniera

prima

che

contemplazione,

per

che potessi aver, e forse molte

essendo

intendere

tu

terrena

l’ importanza

e

discorsiva,

de la pro-

videnza di Giove, e del studio di noi altri suoi collaterali 1.

! Queste parole di Mercurio

tamente (B.

che

68-09)

il B.

(W.

II,

nelle

155)

con quel che segue mostrano

minuzzarie

(L.

455)

(Gt

642

II,

di pp. 633-7

72-3)

(G:

II,

non

aper-

mira

79-80).

DIALOGO

Sofia. Ma pure, o Mercurio,

PRIMO

che vuol dire, che più tosto

al presente, che altre volte, ti ha commosso questo zelo ? - Mercurio. Ti dirò (quello ch'ho differito di dirti sin al presente);

perché

il tuo

voto,

la

tua

orazione,

la tua

ambasciaria, benché sia gionta in cielo e pervenuta a noi veloce e presta, era però a mezza-estade agghiacciata, era irresoluta, era tremante, quasi più gittata come alla fortuna che inviata e commessa come a la providenza: quasi che era dubia, se la possea aver effetto di toccarne l’orecchie 1, come di quelli che sono attenti a cose che son stimate più principali. Ma te inganni, Sofia, se pensi, che non ne sieno a cura cossi le cose minime, come le principali, talmente sicome le cose grandissime e principalissime non costano senza le minime ed abiettissime. Tutto dunque, quantunque minimo, è sotto infinitamente grande providenza *; ogni quantosivoglia vilissima minuzzaria in ordine del tutto ed universo è importantissima; perché le cose grandi son composte de le picciole, e le picciole de le picciolissime, e queste de gl'individui e minimi. Cossi intendo de le grande sustanze, come de le grande3 efficacie e grandi effetti. Sofia. È vero, perché non è si grande, sf magnifico e sf bello

architetto4 che

sime

ed informi

appaiono

a schernire

il concetto

affatto

non

coste

di cose

che picciole,

vilis-

e son giudicate. della

Provvidenza,

come

tante

volte

e tanti han ripetuto; ma solo a rappresentare in una forma bizzarra e paradossale, com'era dell'indole del suo ingegno, un concetto, che per lui aveva un valore altamente speculativo. 1 B: orechie.

3 W:

infinita providenza.

1 Cfr. Cand3, p. 27, n. 8. 4 Non l'artefice, ma l'opera.

(B.

69-70)

(W.

II,

155-6)

(L. 455-6)

643 45



G. Bruno,

Diuloyhi italiani

(G.

II,

73-4)

(G

II,

80-1).

SPACCIO

Mercurio. de l'essere

DE

L'atto

di tutte

o infinito hanno

LA

BESTIA

della cose;

TRIONFANTE

cognizion e però,

divina

come

è la sustanza

tutte

l'essere, tutte ancora

sono

cose

o finito

conosciute

ed

ordinate e proviste. La cognizion divina non è come la nostra, la quale séguite dopo le cose; ma è avanti le cose e si trova! in tutte le cose, di maniera che, se non la vi si trovasse, non sarrebono Sofia.

E

per

questo

cause prossime e secondarie. vuoi,

o Mercurio,

che

io non

mi

sgomente per cosa minima o grande che mi accade, non solo come principale e diretta, ma ancora come indiretta ed accessoria;

e che Giove

è in tutto,

e colma

il tutto,

ed

ascolta tutto. Mercurio. Cossi è; però per l’avenire sovengati di scaldar più la tua ambasciaria,

e non mandarla

cossi negletta, mal

vestita e fredda in presenza di Giove; e lui e la tua Pallade m' hanno

imposto,

con qualche

che

prima

ch'io

ti

parlasse

desterità ti facesse accorta di questo.

d'altro,

Sofia. Io vi ringrazio tutti. Mercurio. Or esplica la causa per la quale m' hai fatto venire a te. Sofia.

Per

la

mutazione

e

cangiamento

di

costumi,

ch’ io comprendo in Giove, per quello che per altri raggionamenti ho appreso da te; io sono entrata in sicurtà di dimandargli e fargli instanza di ciò che altre volte non ho avuto ardire, quando temeva che qualche Venere o Cupido o Ganimede rigettasse e risospingesse la mia ambasciaria- quando si presentava a la porta de la camera di Giove.

Adesso

altri portinaii, I L:

(B.

ch'è

riformato

condottieri

il tutto,

e che sono

ed assistenti,

c che

ordinati

lui è ben

Irove.

70-1)

(W.

II,

156)

(L. 456) (G.! II, 74-5)

644

(G-2 II, 81-2).

DIALOGO

disposto vegna

verso

la giustizia,

presentata

PRIMO

voglio

che

la mia richiesta,

per

la qual

tuo versa

mezzo

li

circa, gli

gran torti che mi vegnono fatti da diverse sorte di uomini in terra, e pregarlo che mi sia favorevole e propicio, secondo che Ia sua conscienza li dettarà. Mercurio.

Questa

tua

richiesta,

per

esser

lunga

e di

non poca importanza, ed anco per esser novamente decretato nel cielo, che tutte le espedizioni; tanto civili quanto criminali, vegnano registrate nella camera, non senza tutte le

occasioni,

mezzi

e circonstanze

loro,

però

è necessario,

che tu me la porghi in scritto, e cossi la presenti a Giove ed al Senato celeste. Sofia. Onde questo nuovo ordine? Mercurio. Acciò che ognuno di gli dei in questo modo vegna costretto a far la giustizia; perché per la registrazione che eterniza la memoria de gli atti, vengano a temer

l'eterna infamia, e d’incorrere biasimo perpetuo con la condannazione che si deve aspettar dall’absoluta giustizia che regna sopra li governatori, ed è presidente sopra tutti dei. Sofia. Cossi, dunque, farò. Ma vi bisogna del tempo a pensare e scrivere; però ti priego che rivegni domani a me, o vero il prossimo seguente giorno. Mercurio. Non mancarò. Tu pensa a quel che fai. Fine (B. 71-2)

(W.

II,

del

primo

dialogo.

156-7)

(L. 456-7)

(G.!

045

II, 75)

(G2

II, 82).

DIALOGO

SECONDO

Saulino. Di grazia, Sofia, prima che procediamo in altro, donatemi raggione di questo ordine e disposizione di numi, la quale ha formata Giove ne gli astri. E prima fatemi udire, perché nell’eminentissima (perché cossi è stimata volgarmente) Veritade ? Sofia.

Facilmente.

sedia

abbia

Sopra

tutte

voluto le

che

cose,

sia

o

la dea

Saulino,

è

situata la verità; perché questa è la unità che soprasiede al tutto, è la bontà che è preeminente ad ogni cosa; perché uno è lo ente, buono e vero; medesimo è vero, ente e buono. La verità è quella entità che non è inferiore a cosa alcuna;

perché, se vuoi fengere qualche cosa avanti la verità, bisogna che stimi quella essere altro che verità; e se la fingi altro

che

verità,

necessariamente

la intenderai

non

aver

verità in sé ed essere senza verità, non essere vera; onde conseguentemente è falsa, ‘è cosa de niente, è nulla, è non

ente. «non vero può simo

Lascio che è vero che essere non essere altro

niente può essere prima quello sia primo e sopra può essere se non per la insieme con la verità, ed

senza verità;

percioché,

se per la verità non

non è ente, è falso, è nulla, Parimente appresso la

veritade;

perché,

che Ila verità, se la verità; e cotal verità. Coss! non essere quel mede-

se

è vero,

non può essere cosa

è dopo

lei,

è senza

(B. 73-4) (W. IL; 157) (L. 457) (G3 II, [76)) (C2 II, [83)). 646

lei;

DIALOGO

se è senza lei, non

sarà

dunque

è vero;

SECONDO

perché

falso, sarà dunque

non

ha la verità in sé;

niente.

Dunque

la werità

è avanti tutte le cose, è con tutte le cose, è dopo tutte le cose, è sopra

tutto,

principio, mezzo

con

dopo

tutto;

e fine. Essa è avanti

causa e principio, denza;

tutto,

mentre

ha raggione

di

le cose, per modo

di

per essa le cose hanno

è nelle cose ed è sustanza

depen-

di quelle istessa, mentre

per essa hanno la sussistenza; è dopò tutte le cose, mentre per lei senza falsità si comprendeno. È ideale, naturale e .nozionale; dunque,

è metafisica,

quello

verità.

Sopra tutte le cose,

è la verità; e ciò che è sopra tutte le cose, benché

sia conceputo

nato,

fisica e logica.

secondo

pure

Per questa

altra raggione,

in sustanza causa,

ed altrimente

bisogna

dunque,

che

nomi-

sia l'’ istessa

raggionevolmente

Giove

ha voluto che nella più eminente parte del cielo sia vista la veritade. Ma certo questa che sensibilmente vedi e che puoi con l'altezza del tuo intelletto capire, non è la somma

e prima, ma certa figura, certa imagine e certo splendor di quella, la quale è superiore a questo Giove di cui parliamo sovente

e che è soggetto delle nostre metafore.

Saulino.

Degnamente,

o

Sofia;

perché

la

verità

è la

cosa più sincera, più divina di tutte; anzi la divinità e la sincerità,

bontà

e bellezza

de le cose

è la verità;

la quale

né per violenza sì toglie, né per antiquità si corrompe, né per occultazione si sminuisce, né per communicazione si disperde: perché senso non la confonde, tempo non l’arruga, luogo

non

l’asconde,

notte

non

l’ interrompe,

tenebra

non

l’avela; anzi, con essere più e più impugnata, più e più risuscita e cresce. Senza difensore e protettore si defende; e però ama la compagnia di pochi e sapienti, odia la moltitudine,

non

si dimostra

a quelli

che

per

se stessa

non

la

(B. 74-5) (W. II, 157-8) (L. 457-8) (G.1 IT, [76)-7) (G. IT, [83]-4).

647

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

cercano, e non vuol essere dechiarata a color che umilmente non se gli esponeno, né a tutti quei che con frode la inquireno; e però dimora altissima, dove tutti remirano e pochi veggono. Ma perché, o Sofia, la prudenza gli succede ? forse, perché coloro che vogliono contemplar la verità e che la vogliono predicare, si deveno con prudenza governare ? Sofia. Non è questa la causa. Quella dea che è gionta e prossima

alla verità,

prudenza.

ha

doi

nomi:

providenza

e

Esi chiama providenza, in quanto influisce

e si trova nelli principii superiori; e si chiama prudenza, in quanto mato

è effettuata in noi:

e quello

che scalda

come

e diffonde

sole suole il lume,

essere

no-

ed oltre quel

lume e splendor diffuso che si trova nel specchio ed oltre in altri suggetti. La providenza, dunque, se dice nelle cose superiori, ed è compagna della verità, e non è senza quella, ed è la medesima niera

che

la unità,

libertà e la medesima

la verità,

la providenza,

la verità,

la essenzia,

necessità;

la libertà

la entità,

di ma-

e necessità,

tutte

sono uno

absolutissimo, come altre volte ti farò meglio intendere. Ma, per comodità della presente contemplazione, sappi che questa influisce in noi la prudenza, la qual è posta e consistente in certo discorso temporale; ed è una razione principale che versa circa l’universale e particolare; ha per damigella la dialettica, e per guida la sapienza acquisita, nomata volgarmente metafisica, la quale considera gli universali de tutte le cose che cascano in cognizione umana: e, queste due, tutte le sue considerazioni referiscono all’uso

di

quella;

dalla

ha

destra

due

insidiatrici

si trova

nemiche

la callidità,

che

versuzia

sono

viziose:

e malizia;

dalla

sinistra, la stupidità, inerzia ed imprudenzia. E versa circa (B.

75-60)

(W.

II,

158-9)

(L. 458-0)

648

(G.!

II,

77-8)

(G.3

II,

84-5).

DIALOGO

la virti

consultativa,

l’ iracundia,

Ia

SECONDO

come

la fortezza

temperanza

circa

il

circa

l' impeto

consentimento

de

della

concupiscibile, la giustizia circa tutte le operazioni, tanto esterne, quanto interiori. Saulino. Dalla providenza, dunque, vuoi che influisca in noi la prudenza, e che nel mondo archetipo quella risponda a questa che è nel mondo fisico: questa che porge a gli mortali il scudo, per cui contra le cose adverse con la raggione si fortificano *, per cui siamo insegnati di prendere più pronta e perfetta cautela dove maggiori dispendii si minacciano e temeno; per cui gli agenti inferiori s’accomodano alle cose, ai tempi ed all'occasioni; e non si mutano,

ma s'adattano gli animi e Ie voluntadi. Per cui a gli bene affetti niente accade come dubitano, tutto

si

ma

tutto

subitanio

aspettano;

guardano;

ed improviso,

di nulla

ricordandosi

il

di nulla

suspicano,

passato,

ma

ordinando

presente e prevedendo il futuro. Or dimmi, perché succede ed è prossima a la prudenza e veritade?

da il

Sofia

Sofia. La Sofia, come la verità e la providenza, è di due

specie =. L'una è quella superiore, sopraceleste ed oltremondana, se cossi dir si puote; e questa è l’ istessa provi«denza,

medesima

è luce ed occhio:

occhio 3, che

è la luce

istessa; luce, che è l'occhio istesso. L'altra è la consecutiva, mondana e partecipe

ed inferiore;

e non

della verità; non

è verità istessa, ma è il sole, ma

ed astro, che per altro luce. Cossi non

1 BL: fortifica. ? Cfr. De la causa,

pp. 226-9,

è verace

la luna, la terra

è Sofia per essenza,

309-10, 332-3;

Cabala,

pp.

872-3;

Er. Fur., pp. 1121 sgg., 1161-4; e l' Orazio valed., in Opera, I, 1, 13-15. 3 B: ochio. Appresso,

n. 2.

(B.

76-7)

(W.

II,

159)

pit volte con la doppia. (L.

459)

649

(G.!

II,

78-9)

Cir. Cera, p. 123, (G

II,

85-6).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

ma per participazione '; ed è un occhio che riceve la luce e viene illuminato da lume esterno e peregrino; e non è occhio

da sé, ma

da altro; e non ha essere per sé, ma

per

altro. Perché non è l'uno, non è l’ente, il vero; ma de l’uno, de l'ente, del vero; a l'uno, a l'ente, al vero; per l'uno, per l’ente, per il vero; nell’uno, nell’ente, nel vero; da l’uno,

da l’ente, dal vero. La prima è invisibile ed infigurabile ed incomprensibile sopra tutto, in tutto ed infra tutto; la seconda è figurata in cielo, illustrata nell’ ingegni, communicata per le paroli, digerita per l’arti, repolita per le discussioni,

delineata per le scritture; .per la quale chi dice

sapere quel che non sa, è temerario sofista; chi nega sapere quel che sa, è ingrato a l'intelletto agente ed ingiurioso a la verità, ed oltraggioso a me. E di simil sorte vegnono ad

essere

tutti

quelli

che

non

mi

cercano

per

me

stessa,

o per la suprema virtude ed amor della ‘divinitade, ch’ è sopra ogni Giove ed ogni cielo, ma o per vendermi per denari o per onori, o per altre specie di guadagno; o non tanto per sapere, quanto per essere saputi, o per detraere e posser impugnare, e farsi contra la felicità d’alcuni mo-

lesti censori e rigidi osservatori;

e di questi li primi son

miseri, li secondi son vani, li terzi son malignie di vil animo.

Ma color che mi cercano per edificar se stessi, sono prudenti; gli altri

che

m'osservano

per

edificar

altrui,

sono

umani;

quei che mi cercano absolutamente, sono curiosi; gli altri che m° inquireno per amor della suprema e prima verità, sono sapienti, e per conseguenza felici. Saulino. Onde

aviene, o Sofia, che non tutti, che mede-

simamente ti possedeno, non vegnono tutti medesimamente 1 La ué@etig (B.

77-9)

(W.

II,

platonica. 159-60)

(L. 459-60)

650

(G.!

II, 79-80)

(G.3 II, 86).

DIALOGO

affetti;

anzi

talor, chi meglio

edificato ? Sofia. Onde tutti

SECONDO

quelli

accade,

alli quali

o Saulino, luce,

a’ quali maggiormente Saulino.

Io

ti possede,

men

bene

che il sole non

e tal volta

meno

vien scalda

riscalda

tali

risplende?

t’ intendo,

Sofia;

e comprendo

che

tu

sei

quella che in varii modi contempli, comprendi ed esplichi questa veritade, e gli effetti di quella superna influenza de l'esser tuo, alla quale per varii gradi e scale diverse tutti aspirano,

tentano,

studiano

e si forzano

salendo

pervenire,

e si obietta e presenta medesimo fine e scopo a’ diversi studii, e viene ad attuare diversi suggetti de virtudi intellettuali, secondo

diverse misure, mentre

a quell’una e sem-

alcunamente

possa!

non

plicissima veritade la

l’addrizza;

la quale

toccare,

cossi

come

non

si

trova

basso chi la possa perfettamente comprendere: è compresa,

o veramente

non

viene

è chi qua

perché non

appareggiata

se non

da quello in cui è per essenza; e questo non è altro che lei

medesima.

E perciò da fuori non si vede se non in ombra,

similitudine,

specchio

alla

quale

atto

di providenza

Sofia,

non

mentre

admirando,

è in vi

ed in superficie e maniera di faccia,

questo

mondo

ed effetto conduci

chi

di prudenza,

sette

altre parabolando,

diverse,

magia,

per

di ‘negazione,

modo

altre per via di composizione, 1 B

2 B:

(L):

alcunamente

via divisione.

non

eccetto

de

le

per

per

che tu,

quali

altre

altre opi-

altre per sufficienza

altre per superstiziosa altre

s’avicine

altre inquirendo,

nando, altre iudicando e determinando; di natural

più

modo

divinazione, di

altre

affirmazione,

altre per via di divisione ?,

possa...

(B. 79-80) (W. II, 160) (L. 460-1) (G.! II, So) (G2 II, 86-7). 65I

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

altre per via de definizione, altre per via di demostrazione;

altre per principii acquisiti, altre per principii divini aspirano: mentre quella gli crida, in nullo luogo presente, da nullo

luogo

sentimento

absente, per

proponendogli

scrittura

tutte

avanti

le cose

ed

gli

occhi

effetti

del

naturali,

e gl' intona nell'orecchio de l’ interna mente per le concepute specie di cose visibili ed invisibili. Sofia *. Alla Sofia succede la legge, sua figlia; e per essa quella vuole oprare, e per questa lei vuole essere adoperata; per questa gli prencipi regnano, e li regni e repuLliche si mantegnono. Questa, adattandosi alla complessione

e costumi

timore,

e fa che

di popoli la bontade

e genti,

reprime

sia sicura

l’audacia

col

tra gli scelerati;

ed

è caggione, che ne gli rei sempre sia il rimorso della conscienza, con il timore della giustizia ed aspettazione di quel supplicio l'umile

che

discaccia

consentimento

taglione,

carcere,

l’orgoglioso con

percosse,

vertade e morte. Giove I’ questa condizione, che preeminenza e forza non a maggior providenza e

ardire,

gli suoi otto esilio,

ed

introduce

ministri,

ignominia,

che

serviti,

sono po-

ha riposta in cielo ed essaltata con faccia che gli potenti per la lor sieno sicuri; ma referendo il tutto legge superiore (per cui, come di-

vina e naturale, si regole la civile), faccia intendere, che per coloro

ch'esceno

dalle

tele d’aragne,

sono

ordinate

le reti,

gli lacci, le catene ed i ceppi, atteso che per ordine della legge eterna è sancito, che gli più potenti sieno più potentemente compresi e vinti, se non sotto un manto e dentro una ! BLW

continuano

attribuendo

a Saulino

il discorso

seguente,

che evidentemente è di Sofia. E però I fonde in uno questo discorso con quello qui appresso di Saulino, che comincia

capoverso.

in B al successivo

(B. 80-1) (W. II, 160-1) (L. 461) (G.1 II, 80-1) (G.? II, 87-8). 652

DIALOGO

SECONDO

stanza, sotto altro manto ed altra stanza, che sarà peggiore. Appresso gli ha ordinato ed imposto, che massimamente verse e vegna rigorosa circa le cose alle quali da principio e prima e principal causa è stata ordinata: cioè circa quel tanto ch’appartiene alla communione de gli uomini, alla civile conversazione; a fine che gli potenti sieno

sustenuti

sieno

promossi,

da gl' impotenti,

gli deboli

non

sieno

op-

pressi da gli più forti, sieno deposti gli tiranni, ordinati e confirmati gli giusti governatori e regi, sieno faurite le republiche, la violenza non inculche la raggione, l’ ignoranza non dispreggie la dottrina, li poveri sieno agiutati! da’ ricchi, le virtudi e studii utili e necessarii al commune avanzati

e

mantenuti;

sieno

esaltati

e

remunerati coloro che profittaranno in quelli; e gli desidiosi, avari e proprietarii sieno spreggiati e tenuti a vile. Si mantegna il timore e culto verso le potestadi invisibili; onore, riverenza e timore verso gli prossimi viventi governatori; nessuno sia preposto in potestà, che medesimo non sia superiore de meriti, per virtude ed ingegno

in cui

prevaglia, o per sé solo, il che è raro e quasi impossibile, o con debito,

comunicazione ordinario

e conseglio

e necessario.

d'altri

ancora,

Gli ha donata

il che

Giove

è

la po-

tenza di legare, la quale massime consista in questo, che lei non si faccia tale che incorra dispreggio e indignità; a cui si potrà incontrare, menando gli passi per doi camini, de quali l’uno è della iniquità, comandando * e proponendo cose ingiuste, l’altro è della difficultà, proponendo e coman-

1 L: aggiustati (ma aggiutati). *® BL: comendando. IV: commendando. Il quale non avverte la necessaria correzione, anzi corregge, nella riga appresso, la f. buona.

(B. 81-2) (\V. II, 160-1) (L. 461-2) (G.! II, 81-2) (G2 II, 88-90).

653

SPACCIO

dando

DELA

BESTIA

TRIONFANTE

cose impossibili, le quali pure sono ingiuste:

perciò

che due sono le mani per le quali è potente a legare ogni legge, l’una è della giustizia, l’altra è della possibilità; e di queste l'una è moderata da l’altra, atteso che, quantunque molte cose sono possibili che non son giuste, niente però è giusto che non sia possibile. Saulino.! Bene dici, o Sofia, che nessuna legge che non è ordinata alla prattica del convitto umano, deve essere accettata.

Ben

ha

disposto

ed

ordinatogli

Giove;

perché,

o che vegna dal cielo, o che esca da la terra, non deve esser approvata, né accettata quella instituzione o legge che non apporta

fine:

la utilità e commodità,

del quale

maggiore

non

che

ne

amena

possiamo

ad

ottimo

comprendere

che

quello, che talmente indirizza gli animi e riforma gl'ingegni, che da quelli si producano frutti utili e necessari alla conversazione

umana;

ché

certo

bisogna

che

sia cosa

divina, arte de le arti e disciplina de le discipline quella per cui hanno da esser retti e reprimuti gli uomini, che tra tutti gli animali son di complessioni più distinti, di costumi più

più varii, d' inclinazioni più divisi, e di voluntadi

diversi,

di appulsi

più inconstanti.

Ma,

oimè,

o Sofia,

che siamo dovenuti a tale ? (chi mai avri’ possuto credere,

che questo fusse possibile ?), che quella deve essere stimata massime religione la quale per minimo e vile, e per errore abbia l’azione ed atto di buone operazioni 3; dicendo alcuni,

1 IV

attribuito

gelii,

lcga, già

? « Ritorna

a

come

fideles

(B.

Saulino,

ancora

sed calummniose

3 « Calumnia

ad bona

$2-3)

(W.

s’è

notato,

senza

a i suoi

II,

andare

dolori

et inendaciter,

apertissima,

opera

questo

in quibus

161-2)

imo

a

discorso capo.

precedente,

contra Reformationem

ut solet» docet,

(Post.

crealos

ambulent» etc.

aut

napol.).

(Id.).

(L. 462) (G.1 II, 82-3)

654

col

(G

Evan-

venalos

II, 80).

esse

DIALOGO

SECONDO

che di quelle non si curano gli dei, e per quelle, quantunque sieno grandi, non sono giusti gli uomini 1. Sofia. Certo, o Saulino,

io credo sognare;

penso

che sia

un fantasma, una apparizione di turbata fantasia, e non cosa vera quella che dici; ed è pur certo che si trovano tali, che proponano e facciano creder questo a le misere genti.

Ma

non

dubitare,

perché

il mondo

facilmente

si ac-

corgerà che questo non si può digerire, cossi come facilmente si può avedere di non posser sussistere senza legge e religione.

Or abbiamo alquanto veduto, come bene è stata ordinata e situata la legge: devi adesso udire, con qual cognizione a quella è vicino aggionto il giudizio. Giove al giudicio ha messo in mano la spada e la corona: questa, con cui premie quelli che oprano bene, astenendosi dal male; quella, con cui castighe color che son pronti a gli delitti, e son disutili ed infruttifere piante. Ha ingionto al giudicio la defensione e cura della vera legge, e la destruzione dell’iniqua e falsa, dettata da genii perversi ed inimici del tranquillo e felice stato umano; ha comandato al giudicio che, gionto alla legge, non estingua, ma, quanto si può, accenda l'appetito de la gloria ne gli petti umani, perché questo è quel solo ed efficacissimo sprone, che suole incitar gli uomini e riscaldarli a quelli gesti eroici che aumentano, mantegnono e fortificano le republiche. Saulino. Li nostri de la finta religione tutte queste glorie le chiamano vane; ma dicono che bisogna gloriarsi solamente in non so che tragedia caballistica ?. t Nuovo accenno alle dottrine della Riforma. Cfr. sopra pp. 622-3. ® L'anonimo postillatore napoletano: «'Scire et nosse mea’

IEREM., (B.

et PauULUS:

83-4)

(W.

II,

‘ Ut qui gloriatur in Domino

162)

(L.

462-3)

655

(G.!

II,

83-4)

gloriatur’. (G.?

II,

DAan.,

89-90).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

Sofia. Oltre, che non attenda a quel che s’imagine o pense ciascuno, pur che le paroli e gesti non corrompano il stato tranquillo; e massime verse in correggere e man-

tenere tutto quel che consiste ne l’operazioni, non giudicar l'arbore

da

belle

frondi,

ma

da

buoni

frutti;

e quelli

che

non le producono, sieno tolti e cedano il loco ad altri che porgano.

Che non

creda,

che in modo

alcuno

li dei si sen-

teno interessati in quelle cose nelle quali nessuno uomo si sente interessato; perché di quelle cose solamente gli dei si curano de le quali si possono curar gli uomini, e non per cosa che vegna fatta o detta o pensata per essi, si commuoveno o se adirano, se non in quanto per quello venesse a

perdersi quel rispetto per cui si mantegnono le republiche; atteso che gli dei non sarebono dei, se si prendessero piacere o dispiacere, tristizia o allegrezza per quello che fanno o pensano gli uomini; ma quelli sarebono più bisognosi che questi, o al meno cossi quelli riceverebono utilitade e profitto da ‘questi, come questi da quelli. Essendono, dunque, li dei rimossi da ogni passione, vegnono ad aver ira e piacere

attivo solamente,

e non passivo;

e però non

minacciano castigo e prometteno premio, per male o bene che risulta in essi, ma per quello che viene ad essere commesso

nelli popoli e civile conversazioni, alle quali hanno soccorso con le loro divine, non bastandogli le umane leggi e statuti. Per

tanto

è cosa

indegna,

stolta,

profana

e

biasimevole

pensare che gli dei ricercano la riverenza, il timore, l'amore, II: ‘Tibi gloria, nobis autem confusio faciei’ Similes sententiae sunt isti poltrono tragediae cabalisticae. Curistus ita docet et comminaturi ' Qui se exaltat, humiliabitur' (Apud. Ioan.), Pharisacis. ‘ Et, inquit, quomodo potestis credere, qui gloriam mutuam quaeritis? Ego gloriam non quaero’ etc. ‘ Discite a me qui mitis sum ct humilis corde’ etc. n.

(B. 84-5) (W. 1I, 162-3) (L. 463) (G.1 II, 84) (G= II, 90-1).

650

DIALOGO

SECONDO

il culto e rispetto da gli uomini per altro buon fine ed utilitade che de gli uomini

medesimi:

atteso che, essendo

essi

gloriosissimi in sé, e non possendosegli aggionger gloria da fuori, han fatto le leggi non tanto per ricevere gloria, quanto

per communicar

la gloria

a gli uomini:

e però

tanto

le

leggi e giudicii son lontane dalla bontà e verità di legge e giudicio, quanto se discostano dall’ordinare ed approvare massimamente quello che consiste nell'azioni de gli uomini a riguardo de gli altri uomini ?. Saulino.

Efficacemente,

o Sofia,

per

questa

morali

ordinazion

di Giove si dimostra, che gli arbori, che sono ne gli orti delle leggi, sono ordinati da gli dei per gli frutti, e specialmente

tali,

de

quali

si pascano,

si nutriscano

e conservino

gli uomini; e che gli superi non si delettano d’odore d’altri che di questi. Sofia. Ascolta. Da questo vuole, che il giudizio inferisca

che

li dei massime

fine

di

faurire

vogliano

al consorzio

essere umano,

amati ed

e temuti,

avertire

per

massima-

mente que’ vizii che apportano noia a quello; e però li peccati interiori solamente denno esser giudicati peccati, per quel che metteno o metter possono in effetto esteriore 3; e le giustizie interiori mai sono giustizie senza la

prattica esterna, come le piante in vano sono piante senza Îrutti, o in presenza o in aspettazione.

E vuole che de gli

1 «È un stolto paralogismo: sono gloriosissimi in sé, ergo non cercano essere glorificati da gli homini» (Post. napol.). ® «De sorte che il divino culto in rispetto d' Idio vada come si voglia, pure che la humana concordia sia conservata. Imypie dictum » (Id.). 3 « Regula, quid sit aut non sit peccatum ex Giordani cerebro omnino contra Dei mentem in decalogo declaratam de peccatis externis. MATTH., V, [28]: ‘qui viderit mulierem ad concupiscentiam cius jam inchoatus est’ etc. » (Post. napol.). (B.

85-6)

(W.

II,

163)

(L. 463-4)

057

{Gt

II,

84-5)

(G.2

II, 91-2).

SPACCIO

DE

LA

errori, in comparazione, pregiudicio

BESTIA

massimi

della republica;

minori

TRIONFANTE

sieno quelli che sono quelli che sono

in

in pre-

giudicio d'un altro particolare interessato; minimo. sia quello ch’accade tra doi d'accordo; nullo è quello, che non procede a mal essempio o male effetto, e che da gl’ impeti accidentali accadeno nella complessione dell’ individuo !. E questi son que’ medesimi errori, per gli quali gli eminenti dei

si senteno

massime-,

minore-,

minima-,

e nullamente

offesi 2; e per di questi l’opre contrarie si stimano massime-, minore-,

minima-,

ed

alcunamente

serviti.

Ha

comandato

ancora al giudicio, che sia accorto che per l'avenire approve la penitenza,

ma

che non la metta

al pari dell’ innocenza;

approvi il credere e stimare, ma giamai al pari del fare ed

operare. Cossi intende del confessare e dire al rispetto del corregere ed astinere; tanto comende li pensieri, per quanto riluceno nelli segni espressi e ne gli effetti possibili. Non faccia che colui che doma vanamente il corpo, sieda vicino a colui ch’affrena l'ingegno; non pona in comparazione questo solitario disutile con quello di profittevole conver-

sazione 3. Non distingua gli costumi e religioni tanto per la distinzione di toghe e differenze de vesti, quanto per buoni e megliori abiti di virtudi e discipline. Non tanto arrida a quello che ha frenato il fervor della libidine, che forse è impotente e freddo, quanto a quell'altro ch’ ha mitigato 1 «Unde istam theologiam Nolanus? Certe non ex Dei verbo; ex Mercurio et Gentilismo » (Id.). * «Cossî vorrea ben it Nolano et ogri huomo simil a coloro di cui Cristo diceva: ‘ Similes estis sepulclris dealbatis’ etc, I quali, secondo il Nolano, non sono ingrati a i dei per loro spurcizia interiore, pure che di fuora non siano in cativo essempio» (Id.). 3 BIVL: conservatione. Ma la correzione ci sembra richiesta dall'antitesi con solitario disulile.

(B. 86-7) (W. IT, 163-4) (L. 464-5) (G.! II, 85-0) (G2 II, 92-3). 658

DIALOGO

SECONDO

l'empito de l'ira, che certo non è timido, ma paziente. Non applauda tanto a quello che forse disutilmente s'è ubligato a non mostrarsi libidino$o, ch’a quell'altro che si determina di non essere oltre maledico e malfattore. Non dica maggior errore il superbo appetito di gloria, onde resulta sovente bene alla republica, che la sordida cupidiggia di danari. Non faccia tanto trionfo d’uno, perché abbia sanato sano

un

vile e disutil zoppo,

che

infermo,

quanto

d'un

che poco altro

o nulla vale pi ch'ha

liberata

la

patria e riformato un animo perturbato. Non stime tanto, o più, gesto eroico l'aver in qualche modo e qualche maniera possuto estinguer il fuoco d’una fornace ardente senz'acqua, che l’aver estinte le sedizioni d'un popolo acceso senza sangue. Non permetta, che si addrizzeno statue a' poltroni, nemici del stato de le republiche, e che in pregiudicio di costumi e vita umana ne porgono paroli e sogni, ma a color che fanno tempii a’ dei, aumentano il

culto ed il zelo di tale legge e religione per quale vegna accesa la magnanimità ed ardore di quella gloria che séguita dal.servizio della sua patria ed utilità del geno umano; onde appaiono instituite universitadi per le discipline di costumi,

lettere

ed

armi.

E

guarde

di promettere

amore,

onore e premio di vita eterna ed immortalitade ! a quei che

approvano gli pedanti e parabolani; ma a quelli che per adoprarsi nella perfezione del proprio ed altrui intelletto, nel

servizio

circa gli atti piaceno

1 B:

della

della

a gli dei.

communitade,

magnanimità, Li quali

per

nell'osservanza

espressa

giustizia e misericordia, questa

caggione

magnifi-

în immortalitade.

(B. 87-8) (W. IT, 164) (L. 465) (G! IT, 86) (G:3 IL 93).

659 46



G.

Bnvwo.

Dialoski

itatinni

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

corno il popolo Romano! sopra gli altri; perché con gli suoi magnifici gesti, più che l'altre nazioni, si seppero conformare ed assomigliare ad essi, perdonando a’ summessi,

debellando gli superbi *, rimettendo l’ ingiurie, non obliando gli beneficii, soccorrendo a’ bisognosi, defendendo gli afflitti, relevando gli oppressi, affrenando gli violenti, promovendo gli meritevoli, abbassando gli delinquenti, mettendo questi in terrore ed ultimo esterminio con gli flagelli e secure 3, e quelli in onore e gloria con statue e colossi. Onde

consequentemente ritenuto

e pronto

da

apparve

quel

vizii d’ incivilitade

a generose

imprese,

popolo

più

e barbaria,

ch’altro

affrenato

e più

che

e

esquisito

si sia

veduto

giamai. E mentre fu tale la lor legge e religione, tali furono gli lor costumi e gesti, tal è stato lor onore e lor felicitade. Saulino. Vorrei, ch'al giudicio avesse ordinato qualche cosa

espressa

contra

la temeritade

di questi

gramatici 4,

che in tempi nostri grassano per l’ Europa. Sofia.

Molto

bene,

o

Saulino,

Giove

ha

comandato,

imposto ed ordinato al giudizio, che veda se gli è vero che

costoro inducano gli popoli al dispreggio ed al meno a poca cura di legislatori e leggi, con donargli ad intendere, che quelli proponeno cose impossibili e che comandano come per burla; cioè, per far conoscere a gli uomini, che gli dei sanno comandare quello che loro non possono met1

«Il popolo

Romano

messo

per

esempio

di una

vera

Chiesa

et regno d' Idio, cioè d'un popolo et republica a Dio cara et da lui favorita. Tale è la teologia del Nolano; perché qui (si diîs placet) theologizat, ubi agit de peccato et de vera iustitia» (Post. napol.). ® Reminiscenza

del virgiliano

et debellare superbos ». 3 Latinismo: scuri.

4 aIntelligit Reformatores posse tacere » (Post. napol.).

(Aex.,

VI,

Evangelicos,

853):

de

« Parcere

quibus

subiectis

videtur

non

(B. 88-89) (W. II, 164-5) (L. 465-6) (G.t IL, 86-7) (G4 II, 93-4). 660

DIALOGO

SECONDO

tere in esecuzione. Veda se, mentre dicono che vogliono riformare le difformate leggi e religioni, vegnono per certo a guastar

tutto

quel

tanto

che

ci è di buono,

e confirmar

e inalzar a gli astri tutto quello che vi può essere o fingere di perverso e vano. Veda se apportano altri frutti, che di togliere

le conversazioni,

dissipar

le

concordie,

dissolvere

l'unioni, far ribellar gli figli da’ padri, gli servi da padroni,

gli sudditi da superiori, mettere scisma tra popoli e popoli, gente e gente, compagni e compagni, fratelli e fratelli, e ponere in disquarto ! le fameglie, cittadi, republiche e regni: ed in conclusione, se, mentre salutano con la pace, portano, ovunque

entrano, il coltello della divisione ed il fuoco della

dispersione, togliendo il figlio al padre, il prossimo al prossimo, l’ inquilino a la patria, e facendo altri divorzii orrendi

e contra ministri

ogni d'un

natura

e legge. Veda

che risuscita morti

se, mentre

e sana

si dicono

infermi ?, essi son

quei che, peggio di tutti altri che pasce la terra, stroppiano gli sani ed uccideno gli vivi, non tanto con il fuoco e con il ferro, quanto con la perniciosa lingua. Veda che specie di pace e concordia è quella, che proponeno a gli popoli miserandi, se forse vogliono ed ambiscono, che tutto il mondo concorde e consenta alla lor maligna e presuntuosissima ignoranza, ed approve la lor malvaggia conscienza, mentre essi non vogliono concordare né consentire a legge, a giustizia e dottrina alcuna; ed in tutto il resto del mondo

e di secoli non appare tanta discordia e dissonanza, quanta si convence tra loro. Per ciò che tra diece mila di simil

! Meno raramente ‘squarto ': ® Cfr. MattEO, XI, 5; Luca, LXI, 1.

(B.

89-00)

(W.

II,

165)

(L.

divisione, VII, 22;

460)

G6I

(G.1

II,

discordia. Isara, XXXV,

87-8)

(G.2

II,

5,

094-5).

e

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

pedanti non si trova uno che non abbia un suo catecismo ! formato;

se

non

publicato,

al meno

per

publicare

quello

che non approva nessuna altra instituzione che la propria, trovando

in tutte

l’altre

che

dannare,

riprovare

e dubi-

universitadi,

tempii,

tare; oltre che si trova la maggior parte di essi che son discordi in se medesimi, cassando oggi quello che scrissero l’altro giorno. Veda qual riuscita facciano essi, e quai costumi suscitano e provocano ne gli altri, per quanto appartiene a gli atti de la giustizia e misericordia, e Ia conservazione ed aumento di beni publici; se per lor dottrina e magistero

sono

drizzate

academie,

ospitali, collegi, scuole e luoghi de pure, dove queste cose si trovano, e fatte de medesime facultadi che venissero e comparissero tra le genti.

discipline ed arti; o son quelle medesime erano prima che loro Appresso, se per loro

cura queste cose sono aumentate, o pure per loro ? negligenza disminuite, poste in ruina, dissoluzione e dispersione.

Oltre, se sono occupatori di beni altrui, o pure elargitori di beni proprii; e finalmente, se quelli, che prendono la lor parte, aumentano e stabiliscono gli beni publici, come faceano gli lor contrarii predecessori:3, o pure insieme con questi le dissipano, squartano e divorano; e mentre deprimeno l'opre, estingueno ogni zelo di far le nuove e conservar

le

antiche.

convitti4; e

se

Se

cossf

dopo

che

è,

e se

saranno

tali

saran

avertiti,

compresi

e

mostrandosi

incorrigibili, fermaranno i piedi de l’ostinazione, comanda 1 F. del * B:

lora.

sec.

XIV.

A

p.

623

la f. comune.

3 «E di grazia, a qual titolo? se non de messe, capellanie, indolgenzie per liberar dal Purgatorio vano gli edificatori, cd il tuto mescolato con una infinità de buggie, idolatrie etc. » (Post. 4 Latinismo (convicti) per convinti. Cfr. p. 467, n. 4.

napol.).

(B. 90-1) (W. II, 165-6) (L. 466-7) (G.1 II, 88-0) (G.? IL, 95-6). 662

DI.1LOGO

SECONDO

Giove al giudizio, sotto pena della disgrazia sua e di perdere quel grado e preeminenza che tiene nel cielo, che le dissipe,

disperda

ed

annulle;

e spinga * con

qualsivoglia

forza, braccio ed industria sino a la memoria del nome di tanto pestifero germe =. E gionge a questo, che faccia intendere

a

tutte

le

generazioni

del

mondo,

sotto

pena

de la lor ruina, che s'armino in favor di esso giudizio, in sino a tanto che sarà pienamente messo in essecuzione il decreto di Giove contra questa macchia del mondo. Saulino.

Credo,

o

Sofia,

che

Giove

non

cossi

rigida-

mente voglia al fine risolvere questa misera sorte di uomini,

e non cominciarli a toccar di tal sorte, che prima che gli

done

la final ruina,

accorgere

della

tente se le possa corregere,

sua maldizione

ed errore,

e facendoli

le provoche

a

pentimento.

Sofia. Si bene; però Giove ha ordinato al giudicio che

proceda

in quella maniera

che ti dico. Vuole

che li sieno

tolti tutti que’ beni 3, che hanno acquistati coloro che predicavano, lodavano

ed insegnavano

lasciati

da

ed ordinati

nell’opre,

con

e che sono

quell’opre,

color,

che

oprare, e che son stati opravano

e confidavano

stabiliti da questi che hanno

beneficii

e testamenti

farsi

grati

creduto

a’ dei;

e cossi vegnano ad execrare gli frutti ancora di quelli arbori,

che procedeno da quel seme tanto odioso a essi; e vegnano a mantenersi,

conservarsi,

defendersi

e nodrirsi

solamente

da que’ frutti, da que’ redditi e suffragii, li quali appor1 Invece

2 « Vota

di spenga,

et decreta

napol.). 3 I beni, cioè, dai protestanti. (B.

91-3)

(W.

dei II,

come

si è detto

impiorum cattolici, 166)

(L.

mon

a p. 500,

stabunt

usurpati, 467)

663

(G.!

n. 6.

neque

massime II,

89)

(G.:

fient»

in

(Post.

Inghilterra, II,

96-7).

SPACCIO

DE

LA

DESTIA

TRIONFANTE

tano ed hanno apportati loro e quelli che gli credeno e che approvano e defendono questa opinione. E che non gli sia oltre lecito d’occupare con rapina e violenta usurpazione quello che a commune utilitade gli altri con libero e grato animo,

per mezi ! termini

contrarii a contrario fine, hanno

parturito e seminato. E cossi escano da quelle profanate stanze e non mangino de quel pane iscomunicato; ma vadano

ad

abitare

in quelle

pure

ed incontaminate

case,

e

si pascano di que’ cibi, che mediante la loro riformata legge li sono stati destinati, e novamente prodotti da questi personaggi

pii che fanno

tanto

poco stima de l’opere ope-

rate =, e solamente per una importuna,

vile e stolta fantasia

sl stimano regi del cielo e figli de li dei, e più credeno ed attribuiscono a una vana, bovina ed asinina fiducia, ch'ad un utile, reale e magnanimo Saulino.

Subito,

o Sofia,

effetto. si vedrà

quanto

siano

atti

a

guadagnarsi un palmo di terra questi che sono cossi effusi e prodighi a donar regni de’ cieli; e conoscerassi de quelli altri imperatori del cielo empireo quanto liberalmente de la propria sustanza gli lor Mercurii, che forse, per la poca fede che hanno

nell’opre

di carità, ridurranno

in necessità

di andar a lavorar i campi, o a far altr'arte questi lor celesti messaggieri:

che,

senza

altrimente

beccarsi

il cervello,

le

assicurano che non so qual giustizia d’un altro è fatta giustizia loro propria 3: dalla qual purità e giustizia per questo solo vegnano

esclusi,

che per sassinii 4, rapine,

violenze

ed

1 Cosf a pp. 56r, 588, 614, (741,) 824 ecc.; ma più spesso con la doppia. Napol.: miezo, meza. 3 BL: operato. 3 «Aperta blasfemia în Christum. Qui factus est nobis a Deo Sapientia, Iustitia etc. » (Post. napol.). 4 W: fascinj. Sulla voce sassinii v. L. 775; Cand2, p. Lvi.

(B. 93-4) (W. II, 166-7) (L. 467-8) (G.1 II, 89-90) (G II, 97). 6604

DIALOGO

omicidii atti

ch’abbiano

di

liberalitade,

fatti,

SECONDO

si sgomentino,

misericordia

e

e per

giustizia

elemosine,

si

confideno,

le

conscienze

si attribuiscano e sperino punto. Sofia.

Come

è

possibile,

o

Saulino,

che

talmente affette possano giamai aver vero amore d’oprar bene, e vera penitenza e timore di commettere qualsivoglia ribaldaria, se per commessi errori vegnono tanto assicurati, e per opre di giustizia son messi in tanta diffidenza?

Saulino. Tu vedi gli effetti, Sofia; perché e certa, come

è cosa vera

essi sono veri e certi, che, quando

da qualsi-

voglia altra professione e fede alcuno si muove

a questa,

da quel che era già liberale, doviene

avaro,

da quel ch'era

mite, è fatto insolente, da umile lo vedi superbo, da donator del suo è rubbator ed usurpator de l'altrui, da buono è ipocrita, da sincero è maligno, da semplice è malizioso, da riconoscente di sé è arrogantissimo, da abile a qualche bontà e dottrina è prono ad ogni sorte d’ ignoranza e ribaldaria;

ed in conclusione,

è dovenuto

da quel che possea esser tristo,

pessimo, che non può esser peggiore.

Seconda parte del secondo dialogo. Sofia. mento

Or seguitiamo

di Mercurio

il proposito,

ieri ne venne

quale

interrotto.

per l’adveni-

Saulino. È ben tempo dopo che, donata de la collocazione e situazione de’ buoni numi erano quelle bestie, si vegga quali altri sieno succedere al luogo de l’altre; e se vi piace, non 1 W:

(B. 94-5)

tempo

(W.

la raggione in loco dove ordinati di vi sia grave

che.

II,

167-8)

(L. 468-0)

665

(G.I II, 90-1)

(G.2 II, 07-85).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

di farmi sempre intendere

la raggione

ieri su aver

il padre

dizione da

ad Ercole;

vedere, Sofia.

cielo

narrato, che

Io,

altro

come abbia

Saulino,

che

Giove

ha

però consequentemente

cosa

o

e causa.

quel

fatto

ho

tanto,

che

in

in

donata

ispe-

per la primna è

succedere

inteso

Eravamo

in

verità

suo

luogo.

accaduto

fantàsia,

in

in

sogno,

in

ombra,

in spirito di profezia vedde Crantore circa il dibatto

de

Ricchezza,

la

quando avanti

Giove

Sanità

e

escluso

Ercole

da

ebbe

la Ricchezza,

questo loco 3. — gione? tanto



E

e disse:

A cui

lei:





hai

denno

rispose

Anzi

non

solo

cedere,

oltre

sentarmi

contra

io non

me,

hai

Perché, si mese ?

o padre,



conviene

Per qual cagdisse,

che

sin

e prima che ti ricordassi

altre.dee

ed altri numi

sostenuto

che

mio

e torto

che

bisognasse

venesse ad opponermi

il pregiudizio

— E Giove rispose:

là, subito

maraviglio,

collocate

ma

Fortezza *!.

Giove:

mi

che io da per me medesima

perché

A

abbi differito di collocarmi,

di me, mi

Voluptà,

che

e pre-

mi

fate.

— Dite pur la vostra causa, Ricchezza;

stimo

d’averti

fatto torto

col non

darti4

una de le stanze già proviste; ma ancora credo di non far-

tene con negarti la presente che è da provedere: e forse ti potrai accorgere di peggio che non ti pensi. — E che peggio mi può e deve accadere per vostro giudizio, di quel che m' è accaduto?

qual

raggione



m'hai

la Sofia, la Legge,

disse la Ricchezza.

preposta

la Veritate,

il Giudicio,

se io son

Veritate si stima, la Prudenza 1 Vedi Sesto EMpirIcoO, Adv. * F. popolare. 3 BL: loco; WGI: luogo.



Dimmi,

la Prudenza,

quella,

95-6)

(W,

II,

168)

(L.

per cui la

si dispone, la Sofia è pregMathem.,

XI,

51-58.

4 Per il passaggio dal voi al tx, cfr. il De la causa, (B.

con

469)

666

(G.!

II,

0r-2)

(G.?

p. 223, n. 2. II,

08-90).

DIALOGO

SECONDO

giata, la Legge regna, il Giudicio dispone, Verità è vile, la Prudenza

e senza me

la

è sciagurata, la Sofia è negletta,

la Legge è muta, il Giudicio è zoppo; perché io a la prima dono

campo,

alla seconda

do

nervo,

alla terza lume,

a la

quarta autoritade, al quinto forza; a tutte insieme giocundità bellezza

ed ornamento, e le libero

da

fastidii

e

miserie?

— Rispose Momo: — O Ricchezza, tu non dici il vero più che il falso; perché tu oltre sei quella per cui zoppica il Giudizio, la Legge sta in silenzio, la Sofia è calpestrata,

la Prudenza è incarcerata e la Verità è depressa, quando ti fai compagna di buggiardi e ignoranti, quando favorisci col braccio de la sorte la pazzia, quando accendi e cattivi gli animi ai piaceri, quando amministri alla violenza, quando resisti a la giustizia. Ed appresso, a chi ti possiede non

meno

apporti fastidio che giocondità,

difformità che bel-

lezza,

bruttezza

sei quella,

che

ornamento;

e non

che

dùi

fine a’ fastidii e miserie, ma che le muti e cangi in altra specie. SI che in opinione sei buona, ma in verità sei più malvaggia;

per

in apparenza

fantasia

sei

utile,

sei cara, ma

ma

in esistenza sei vile;

in effetto

sei perniciosissima;

atteso che per tuo magistero, quando investisci di te qualche

perverso

(come

scelerati,

raro

fatta

per ordinario sempre

vicina

la Veritade

ad

esclusa

hai rotte le gambe

uomini fuor

da de

a la Prudenza,

ti veggio in casa di

bene), le cittadi

a gli

hai

deserti,

hai fatta vergognar

Sofia, hai chiusa la bocca a la Legge, ardire al Giudicio,

là a basso

la

non hai fatto aver

tutti hai resi vilissimi.



Ed in questo,

o Momo, rispose la Ricchezza, puoi conoscere la mia potestate ed eccellenza: che io, aprendo e serrando il pugno, e per comunicarmi o qua o là, fo che questi cinque numi vagliano, possano e facciano, o ver sieno spreggiati, bariditi (B.

96-7)

(W.

II,

168-9)

(L.

469-70)

667

(G.t

II,

92-3)

(G.2

II,

99-100).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

e ributtati; e per dirla, posso cacciarle al cielo o ne l’ inferno. — Qua rispose Giove: — Non vogliamo in cielo e in queste sedie altro che buoni numi. Da qua si togliano que’ che son rei, e quei che o sono più rei che buoni, e quei che indifferentermente son buoni e rei; tra gli quali io penso

che sei tu, che sei buona con gli buoni, e pessima con gli scelerati. —

Sai, o Giove,

buona,

disse la Ricchezza,

che io per me

son

e non sono per me indifferente o neutra, o d’una

ed altra maniera,

come

bene

servire

si vogliano

dici, se non

o male.

in quanto



Qua

di me

rispose

altri

Momo:

— Tu dunque, Ricchezza, sei una Dea maneggiabile, servibile, contrattabile,

e che non ti governi

non

quella che reggi e disponi de altri, ma

sei veramente

da te stessa, e che

di cui altri disponeno, e che sei retta da altri; onde sei buona quando altri ti maneggiano bene, sei mala quando sei mal guidata;

Sofia,

sei,

della

dico,

buona

Prudenza,

in

della

mano

della

Religione,

Giustizia,

della

della

Legge,

della

Liberalità ed altri numi; sei ria se gli contrariì di questi ti maneggiano: come sono la violenza, l’avarizia, l’ ignoranza ed altri. Come, dunque, da per te non sei né buona né

ria,

cossi

credo

essere

bene,

se Giove

il consente,

che

per te non abbi né vergogna né onore; e per consequenza non sii degna d’aver propria stanza, né ad alto tra gli dei e numi

celesti,



a basso

tra

gli inferi,

ma

che

eterna-

mente vadi da loco in loco, da regione in regione. Artisero tutti gli dei al dir di Momo, e Giove sentenziò cossi:



Si che,

Ricchezza,

quando

sei di Giustizia,

abi-

tarai nella stanza della Giustizia; quando sei di Verità, sarai dove è l'eccellenza di quella; quando sei di Sapienza e Sofia, sederai nel solio suo; quando di voluttuarii piaceri,

(B. 97-8) (W. II, 169) (L. (L. 470) (G.1 II, 93) (G II, 100-1). 668

DIALOGO

trovati là dove caccia

ne

sono;

le borse

SECONDO

quando

d'oro

e casce 1; quando

ed argento, di vino,

allora ti

oglio

e fru-

mento, va ficcate= ne le cantine e magazini; quando di pecore, capre e buovi, va a pascolar con essi e posa ne gli greggi ed armenti. Cossî Giove l’ impose quello che deve fare quando si trova con gli pazzi, e come si deve comportare quando è in casa di sapienti; in che modo per l'avenire perseverar debba a far come per il passato (forse perché non si può far altro), di farsi in certo modo

certo modo

difficilmente.

la fece intendere

Ma

a molti;

e gli ne dié un’altra,

facilmente

trovare ed in

quella raggione e modo

se non

se non

che Momo

non

alzò la voce

fu quella medesima

via, cioè:

— Nessuno ti possa trovare senza che prima si sia pentito d'aver avuto buona mente e sano cervello. — Credo che volesse dire, che bisogna perdere la considerazione ed il giudicio di prudenza, non pensando mai all' incertezza ed infidelità de tempi, non avendo riguardo alla dubia ed instabile promessa del mare, non credere a cielo, non guar-

dare a giustizia"o a ingiustizia, ad onore o vergogna, a bonaccia o tempesta, ma tutto si commetta a la fortuna; — E che ti guardi di farti mai domestica di quei che con troppo giudicio ti cercano; e color meno ti veggano che con più tendicoli 3, lacci e reti di providenza ti perseguitano; ma per l'ordinario va’ dove son gli più insensati, pazzi, stracurati4 e stolti; ed in conclusione, quando sei I! Casce:

2 B:;

va

casse.

ficcate;

W:

(Cand.?, va,

p.

ficcati;

57,

LG:

n.

va

5).

W:

ficcave.

tasche. Ma

B.

usa

maniera di dire schiettamente napolitana, la quale significa, ha inteso il W., va’, ficcati, oppure va' @ ficcarti. 3 Lat.

tendicula,

98-09)

(W.

ae:

laccio

che si tende

agli

470-1)

TI,

uccelli

una

come

ed alle fiere:

4 O'‘straccurare’ (trascurare), f. comune nel sec. XVI. Cfr. p.502. (B.

II

169-70)

(L.

669

(G.!

93-4)

(G2

II,

101).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

in terra, guàrdati da’ più savii come dal fuoco: e cossf sempre accòstati e fatti familiare a gente semibestiali, e tieni sempre

la medesima

regola che

tiene la fortuna.

Saulino. È ordinario, o Sofia 1, che gli più savii non son gli più ricchi; o perché si contentano di poco, e quel poco stimano

assai, se è sufficiente

a la vita;

o per altre cause,

che forse, mentre sono attenti a imprese più degne, non troppo vanno vagando qua e là per incontrarsi a uno di questi

numi,

che son le ricchezze

o la fortuna.

Ma

séguita

il tuo raggionamento. Sofia. Non st tosto la Povertà vedde la Ricchezza, sua nemica, esclusa, che con una più che povera grazia si fece

innante; e disse che per quella raggione, che facea la Ricchezza indegna di quel loco, lei ne dovea essere stimata degnissima, per esser contraria a colei. A cui rispose Momo: —

Povertà,

Povertà,

tu

non

sareste= al

tutto

Povertà,

se non fussi ancora povera d’argumenti, sillogismi3 e buone consequenze.

Non

per questo, o misera, che siete contrarie,

séguita che tu debbi essere investita di quello che lei è dispogliata o priva, e tu debbi essere quel tanto che lei non è: come, verbigrazia (poi che bisogna donartelo ad intendere con essempio), tu devi essere Giove e .Momo, perché lei non è Giove né Momo: ed in conclusione ciò che si niega di quella, debba essere affirmato di te; perché quelli che son pit ricchi de dialettica che tu non sei, sanno che li contrarii non son medesimi con positivi e privativi, 1 BL: (o Saulino). Ma W. corresse: o Sofia. 2 La medesima uscita alla seconda sing. e pl. nel condiz. sempl. è di uso del B. e dei suoi contemporanei. Lo stesso va ripetuto per altri

modi e tempi: per es., 3 B: sollogismi. Ma vedi

a p. 675: ti partiste. appresso, a p. 672, la f. corretta.

(B.

99-100)

471-2)

(W.

II,

170)

(L.

670

(G.?

IT,

94-5)

(G?

II,

101-2).

DIALOGO

contradittorii,

versi.

Sanno

varii,

SECONDO

differenti,

ancora

che

per

altri,

divisi,

distinti

e di-

raggione

di

contrarietà

sé-

guita, che non possiate essere insieme in un loco; ma non che, dove non è quella e non può esser quella, sii tu, o possi

esser tu 1. — Qua risero tutti li dei, quando veddero Momo voler insegnar logica a la Povertà; ed è rimasto questo proverbio in cielo: Momo è maestro de la Povertà, o ver: Momo insegna dialettica a la Povertà. E questo lo dicono, quando vogliono delleggiar ? qualche fatto scontrafatto. — Che dunque ti par che si debba far di me, o Momo ? — disse la Povertà. — Determina presto, perché io non sono sf ricca di paroli e concetti che possa disputar con Momo, né si copiosa d’ ingegno che possa molto imparar da lui. Allora Momo dimandò a Giove per quella volta licenza, se voleva che determinasse. A cui Giove: — Ancora mi burli,

o Momo?

che

hai

tanta

licenza,

che

sei più

licen-

zioso (volsi dir licenziato) tu solo che tutti gli altri. Dona pur

sicuro

la sentenza

a costei;

perché,

se la sarà

buona,

l'approvaremo. — Allora Momo disse: — Mi par congruo e condigno ch’ancor questa se la vada spasseggiando per quelle piazze, nelle quali si vede andar circumforando3 la Ricchezza,

e corra e discorra, vada e vegna per le mede-

sime campagne; perché (come vogliono gli canoni del raziocinio) per raggione di cotai contrarii questa non deve entrare se non là onde quella fugge, e non succedere se 1 Le

condo

proposizioni

la logica

opposte

aristotelica,

contrarie

essere

non

possono,

tutte

due

vere;

(G.!

II,

95-6)

ma

infatti,

possono

sere tutte due false. Vedi i Topici di ARISTOTILE, 2 Wi: dileggiar. 3 Lat. circumforare, girare per le piazze.

l. IT, capp.

(B.

(G.?

100-2)

(W.

II,

170-1)

(L.

472)

671

II,

se-

es-

6-8.

102-3).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

non là d’onde quella si parte; e quella non deve succedere ed entrare se non là d'onde questa si parte e fugge; e sempre l’una sia ‘a le spalli de l'altra, e l'una doni la spinta a l’altra, non

toccandosi

il petto,

mai

l’altra

da faccia a faccia, ma

abbia

il tergo,

come

se

dove

l'una ha

giocassero

(come

facciamo noi tal volta) al giuoco de la rota del scarpone !.

Saulino. altri ? Sofia.

Che

Tutti

disse

sopra

confirmàro

Saulino. La Povertà che Sofia. Disse: — Non mi il mio parer ha luogo, e non che la condizion mia debba de la Ricchezza. dente,

che



versate

Giove

nel medesimo

sequenza,

che

ad

versantur

gli

la sentenza.

A cui rispose Momo:

vengate

con

disse? par cosa degna, o dei (se pur sono a fatto priva di giudicio), essere al tutto simile a quella

tragedia o comedia,

disse la Povertà,

questo

e ratificàro

medesima

quia contraria

di

Da l’antece-

e rapresentate

la

non devi tirar questa con-

essere circa

teatro



di medesima

idem.



che tu ti? burli di me;

Vedo,

condizione, o

Momo,

che anco

tu, che

fai professione de dir il vero e parlar ingenuamente, mi dispreggi; e questo non mi par che sia il tuo dovero, perché la Povertà è più degnamente difesa tal volta, anzi il più de

le volte,

che

rispose Momo,

la Ricchezza.



Che

vuoi

che

ti faccia,

se tu sei povera a fatto a fatto ? La Povertà

non è degna de difensione, se è povera di giudizio, di raggione, di meriti e di sillogismi, come sei tu, che m’ hai 1 Non è facile dire quale sia questo giuoco, sc non corrisponde al «giuocare alla scarpaccia », usato « dla grandi », nonostante abbia «del fanciullesco in parte», come c'informa nel disc. Lx1x della Piazza universale T. GARZONI. * B: tutti.

(3.

102-3)

(W.

II,

171)

(L. 472-3)

672

(G.!

IT, 06)

(G.2 II,

103-4).

DIALOGO

SECONDO

ridutto a parlar ancor per le regole analittiche delli Priori e

Posteriori! Saulino.

Che

d’Aristotele.

cosa me



dici, Sofia?

Dunque

li dei pren-

deno qualche volta Aristotele in mano? studiano verbigrazia ne gli filosofi? Sofia. Non ti dirò di vantaggio di quel ch' è su la Pippa, la Nanna,

l’Antonia,

il Burchiello,

l'Ancroia,

ed

un

altro

libro, che non si sa, ma è in questione s’ è di Ovidio o Virgilio, ed io non

Saulino. riose ?

Sofia.

gravi?

me

ne ricordo

il nome,

ed altri simili ?.

E pur adesso trattano cose tanto gravi e se-

E ti par che

Saulino,

quelle non

son

seriose?

se 3 tu fussi piri filosofo, dico

non

son

più accorto,

credereste che non è lezione, non è libro che non sia essaminato da dei, e che, se non è a fatto senza sale, non sia maneggiato da dei; e che, se non è tutto balordesco, non sia

approvato e messo con le catene nella biblioteca commune;

! Cioè degli Analytici priores Aristotile. è La Pippa, la Nanna

locutrici

il quale

leggendo

dei

sudici

Magionamenti

la

Pippa

e l’Antonia,

stesso,

nel

Filosofo

(it,

e

degli

e

l’Antonia

(1535

Analytici

0 '36)

7), fa dire

di

dalla

posteriores sono

Pietro

Lisa:

stima.... ». Sull'Aretino

di

tre inter-

ARETINO;

« Che

v.

più?

Eroici

furori, p. 960. Burchiello è il celebre poeta fiorentino e barbiere Domenico di Giovanni, detto il Burchiello (1404-1449), autore di una forma dì poesia burlesca, detta appunto burchiellesca. L'Ancroia # il pur noto poema cavalleresco del ciclo francese, cosî popolare

in Italia nel 500; in fatti nel Ba/do, 111, 104-9, il primo tra tutti: «Legerat Ancroiam, Tribisondam, facta Danesi, | Antonnaeque Bovum, Antiforra, Realia Franzae, | innamoramentum Carlonis et

Asperamontem,

| Spagnam,

Altobellum,

Morgantis

bella

gigantis, |

Meschinique provas, et qui Cavalerius Orsae | dicitur, et nulla cecinit qui laude Leandram ». Il libro d’ incerto autore sono i Priapea

che ricorderà infatti a p. 742. Quanto

Jesche

nelle

3 BL:

(B.

103)

opere

Saulino, (W.

II,

del

B.,

cfr.

171-2)

(L.

se;

WG1:

la

Se.

n.

473)

673

1,

(G»

poi a reminiscenze burchiela p. .218,

II,

96-7)

del

(G.

De

II,

/a

causa.

104-5).

SPACCIO

perché

pigliano

DE

LA

piacere

BESTIA

nella

moltiforme

di tutte cose e frutti moltiformi

loro si compiaceno presentazioni

TRIONFANTE

representazione

de tutti ingegni, perché

in tutte le cose che sono,

che si fanno,

non

meno

che

e tutte le re-

essi hanno

cura

che sieno, e donano ordine e permissione che si facciano 1, E pensa ch’ il giudicio de gli dei è altro che il nostro commune,

e non tutto quello che è peccato a noi e secondo noi,

è peccato a essi e secondo essi. Que’ libri certo cossi, come le teologie,

non

ranti,

medesimi

che

mala

denno

esser communi sono

a gli uomini

scelerati;

perché

ne

igno-

ricevono

instituzione.

Saulino. disonesti

e dissoluti,

Sofia. frutti

Or non son libri fatti da uomini

È vero;

della

e forse

ma

a mal

di mala fama,

fine ??

non sono senza la sua

cognizione

de

chi

scrive,

come

instituzione scrive,

e

perché

ed onde scrive, di che parla, come ne parla, come s’ inganna lui, come come

gli altri s' ingannano

s' inclina

muove

a uno

affetto

di lui, virtuoso

il riso, il fastidio, il piacere,

come

si declina

e vizioso,

Ia nausea;

come

e si

ed in tutto

è sapienza e providenza, ed in ogni cosa è ogni cosa, e massime

è l'uno

dove è

l'altro

contrario,

e questo

massime

si

cava da quello. Saulino. Or torniamo al proposito donde ne ha divertiti il nome d’Aristotele e la fama de la Pippa. Come fu ! B. lascia qui intravvedere la copia straordinaria delle sue letture,-le cui tracce non riesce sempre cogliere, tante son numerose nella Commedia come nei Dialoghi, nelle operei taliane come nelle latine. Alla medesima guisa il CAMPANELLA, nelle Poesie (ediz. Gentile, p. 15), di se stesso: « Di cervel dentro un pugno io sto, e

divoro | tanto che quanti libri tiene il mondo mio

(B.

profondo ». ® BL non hanno

103-4)

(W.

II,

il punto

172)

(L.

interrogativo,

473-4)

674

(G!

| non sazian l’appetito

ma

il punto

II, 97-8)

fermo.

(G.= IT,

105).

DIALOGO

licenziata

la Povertà

da

SECONDO

Giove,

dopo

che

era si schernita

da Momo ? Sofia. Io non voglio referir tutti gli ridicoli propositi che passàro tra quello e colei, la quale non meno momezzava di Momo che di essa seppe momezzar ' colui. Dechiarò Giove, che questa abbia di privileggii e prorogative che non

ha quella in queste cose qua a basso.

Saulino. Sofia.

Dite



le cose che sono.

Voglio,

vertà :, sii oculata,

disse il padre, e sappi

ritornar

in prima,

che

tu, Po-

facilmente là ‘d'onde

tal volta ti partiste, e discacciar con maggior possa la Ricchezza; che per il contrario tu vegni scacciata da quella la qual voglio che sia perpetuamente cieca. Appresso voglio che

tu,

che

son

Povertà,

sii alata,

fatte d’aquila

che sii come

destra

ed ispedita

o avoltore;

un vecchio

bove

ma

per le piume

ne li piedi

che tira il grave

voglio

aratro,

che

profonda ne le vene de la terra: e la Ricchezza, per il contrario,

abbia

l’ali

tarde

d’un'oca3 0 cigno; ma

e

gravi,

accomodandosi

quelle

gli piedi sieno di velocissimo

cor-

siero o cervio, a fine che, quando lei fugge da qualche parte

adoprando gli piedi, tu con il batter de l’ali vi ti facci presente; ed onde tu con opra de le ali tue disloggi, quella possa succedere con l’uso di suoi piedi: di maniera che con quella medesima prestezza che da lei sarai fuggita o perseguitata, tu vegni a perseguitarla e fuggirla. Saulino. Perché non le fa o ambe due bene in piuma, 1 Scherzava,

® « Povertà

Beati pauperes V,

alla

non

104-5)

(W.

di

ha luoco

Momo.

nel cielo del Nolano.

spiritu,

quia ipsorum

II,

(L.

3]» (Post. napol.). 3 B: occa.

(B.

guisa

172-3)

474)

675 47



G.

Bruno,

Diuloghi italiani

est regnum

(G.!

II,

98)

Christus

contra:

coelorum

[MATTH.,

(G:è

105-6).

II,

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

o ambe due bene in piedi, se niente meno se potrebbono accordare di perseguitarsi e fuggirsi, o tardi o presto? Sofia. Perché, andando la Ricchezza sempre catca, viene per la soma a impacciar alcunamente l'ali, e la Povertà,

andando

sempre

discalza,

facilmente

per ruvidi ca-

mini viene ad essere offesa negli piedi: però questa in vano arrebe

le piante,

Saulino. Sofia.

Questa

Oltre

e quella

le piume

risoluzione

vuole,

che

mi

la

veloci.

contenta.

Povertà

Or séguita.

massimamente

sé-

guite Ia Ricchezza, e sia fuggita da quella quando si versa nelli palaggi terreni, ed in quelle stanze nelle quali ha il suo imperio la Fortuna; ma allor che ella s’appiglia a ‘cose

alte e rimosse dalla rabbia del tempo e di quell'altra cieca, non voglio che abbi tanto ardire o forza d’assalir per farla fuggire e tòrgli il loco. Perché non voglio che facilmente si parta da là dove con tanta difficultade e dignitade bisogna pervenire; e cossi, per a l’incontro, abbi tu quella fermezza nelle cose inferiori che lei può avere nelle superiori.



Anzi,

in voi vegna

soggionse

voglio che in certo modo

ad essere una certa concordia

giera sorte, ma

pensi,

Giove,

di grandissima

che con esser bandita

d'una

importanza;

dal cielo vegni

non

leg-

a fin che

non

più relegata

ne l'inferno, che, per il contrario, con esser tolta da l' inferno, vegni collocata in cielo: di maniera che la, condizion

de la Ricchezza,

la quale

ho detta,

vegna

incomparabil-

mente meglior che la tua. Però voglio, che tanto si manche

che l'una discacce l’altra dal loco del suo maggior domino,

che più tosto l'una si mantegna e fomente per l’altra, di maniera che tra voi sia strettissima amicizia e familiaritade. Saulino. Fatemi presto intendere come sia questo. Sofia. Disse Giove, soggiongendo a quel ch’avea detto: {B.

105-6)

(W.

II,

173)

(L. 474-5)

676

(G.1

II, 98-09)

(G.2

II,

106-7).

DIALOGO

SECONDO

— Tu, Povertà, quando sarai di cose inferiori, potrai esser gionta, alligata e stretta alla Ricchezza di cose superiori, quanto mai la tua contraria Ricchezza di cose inferiori esser possa; perché con questa nessuno, che è savio e vuole

sapere, stimarà giamai posser aggiongersi a cose grandi, atteso che alla filosofia donano impedimento le ricchezze, e la Povertade porge camino sicuro ed ispedito: essendo che non può essere la contemplazione, ove è circonstante la turba di

di molti

debitori

e

servi,

dove

creditori,

è importuna

computi

di

Ia moltitudine

mercanti,

villici, la pastura di tante pancie mal avezze, tanti

ladroni,

occhii

de

avidi

tiranni

raggioni

di

l’ insidie di

ed exazioni

de infidi

ministri: di maniera che nessuno può gustar che cosa sia tranquillità di spirito, se non è povero o simile al povero. Appresso voglio che sia grande colui che ne la povertà è ricco,

perché

si contenta;

e sia vile e servo colui che ne le

ricchezze è povero, perché non è sazio. Tu sarai sicura e tranquilla;

lei turbida,

sollecita,

suspetta

ed

inquieta;

tu

sarai più grande e magnifica, dispreggiandola, che esser mai possa lei, riputandosi e stimandosi; a te, per isbramarti, voglio che baste la sola opinione; ma per far lei satolla, non voglio che sia sufficiente tutta la possessione de le cose. Voglio che tu sii più grande con togliere dalle cupiditadi, che non possa esser quella con aggiongere alle possessioni. A te voglio che siano aperti gli amici, a quella occolti gli nemici. Tu con la legge della natura voglio che sie ricca, quella con tutti studii ed industrie civili poverissima; perché non colui che ha poco, ma quello che molto desidera, è veramente povero 1. A te (se strengerai il sacco 1 Il Post. mirazione. (B.

106-7)

(W.

napol. II,

sottolinea

173-4)

questa

(L. 475)

677

(G.!

sentenza

con

II, 099-100)

evidente

am-

(G.* II, 107-8).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

della cupidità) il necessario sarà assai, e poco sarà bastante;

ed a lei niente baste, benché ogni cosa con le spalancate braccia apprenda. Tu, chiudendo il desiderio tuo, potrai contendere de la felicità con Giove; quella, amplificando le fimbrie de la concupiscenza, più e più si sommerga al baratro de le miserie. — Conchiuso ch’ebbe Giove l'espedizione di costei, contentissima chiese licenza di far il suo camino; e la Ricchezza fece segno di volersi un'altra volta accostar, per sollicitar il conseglio con qualche nuova proposta; ma non gli fu lecito di giongere più paroli. — Via, via! li disse Momo. Non odi quanti ti chiamano, ti cridano, ti priegano, ti sacrificano, ti piangono, e con si gran

voti e stridi, che ormai

hanno

tutti noi altri

assorditi, ti appellano ? E tu ti vai tanto trattenendo e strafuggendo per queste parti ? Va via presto, a la mal’ora, se non ti piace andar a la buona. — Non t' impacciar di questo,

o Momo,

li disse il padre

Giove;

lascia che si parta

e vada, quando gli pare e piace. — Ella mi par in vero, disse Momo, cosa degna di compassione ed una specie d' ingiustizia a riguardo de chi non vi provede, e puote, che questa meno vada a chi più la chiama e richiama, ed a chi più la merita, meno s’accosta ! —

Voglio, disse Giove,

quel che vuole il fato. Saulino. Sofia.

Fanne



Io

altrimente,

voglio,

ch’al

dovea

dire

Momo.

rispetto

de

le cose

là basso

questa sia sorda: e che giamai, per esser chiamata, risponda o vegna;

ma,

guidata più da la sorte e la fortuna,

la cieca ed a tastoni

rancontrarsegli 1 BIVL:

(B.

tra

la

s'accosta:

G!:

2 BL:

averrsà;

107-8)

(W.

WG!:

II, 174-5)

ad comunicarsi

moltitudine.

vada

a

a colui, che verrà a



Quindi

averrà ?,

s’accoste.

avverrà.

(L. 475-6)

678

(G.

II, 100-1)

(G.? II, 108-0).

DIALOGO

SECONDO

disse Saturno, che si comunicarà più presto ad uno de gran poltroni e forfanti, il numero de quali è come l'arena che ad alcuno che sia mediocremente uomo da bene: e

più tosto ad uno

di questi mediocri

che sono

assai, che

ad uno de piu principali che son pochissimi; e forse mai, anzi certamente mai a colui che è più meritevole che gli altri,

ed unico

individuo.

Saulino.

Che

Sofia.

Cossi bisogna che sia; è donata dal fato questa



disse

Giove

a questo?

condizione a la Povertà, che la sia chiamata con desiderio da

rarissimi e pochissimi, ma che ella si comuniche e si presente a gli assaissimi e moltitudine più grande; la Ricchezza, per il contrario,

chiamata,

desiderata,

invocata, adorata ed

aspettata da quasi tutti, vada a far copia di sé a rarissimi, e quei che manco la coltivano ed aspettano. Questa sia sorda a fatto, che da quantunque grande strepito e fragore

non si smuova! e sia dura e salda che a pena tirata da rampini ed argani ? si approssime a chi la procaccia; e quella auritissima 3, prestissima, prontissima, sibilo,

cenno,

da

quantunque4

che ad ogni minimo

lontana

parte

chiamata,

subito sia presente: oltre che per l’ordinario la si trova a la casa ed a te spalli de chi non solo non la chiama, ma ed oltre con ogni diligenza da lei s’asconde. — Mentre la Ricchezza e Ia Povertà cedevano al luogo: —

Olà,

disse Momo,

dua contrarii,

T BL: * BL:

3 Lat.

4 BWL:

5 BIVL:

(B.

108-9)

che ombra

è quella familiare5 a que’

e che è con la Ricchezza

smuova; argini. auritus,

IWGI: a,

ttin:

quantunque;

e che è con la Po-

smova. orecchiuto,

GI:

attento.

qualunque.

familiare; G!: familliare. (W.

II,

175)

(L. 476-7)

679

(G.!

IT,

101-2)

(G.?

II,

109).

SPACCIO

DE

vertà? Io soglio verse; che

ma

io

de

abbia

Apollo:



LA

vedere

BESTIA

d'un

diversi

corpi

notato,

eccetto

Dove

non

è

TRIONFANTE

medesimo

medesima

corpo

ombra,

ch’adesso.

lume,

tutto

— è

ombre non

A

di-

giamai,

cui

rispose

un'ombra;

ancor

che sieno diverse ombre, se son senza lume, si confondeno

e sono una: come quando son molti lumi senza che qualche densità di corpo opaco se gli oppona'! o interpona, tutti concorreno a far un splendore. — Qua non mi par che debbia esser cossî *: disse Momo; perché, dove è la Ricchezza,

ed è a fatto esclusa la Povertà, e dove è la Povertà, suppositalmente

distinta

concorrenti

in

un

essere un'ombra bene,

o Momo,

bra.



gionta

Non a

è una

la

Ricchezza,

soggetto

doì

e vedrai

è ombra,

numi,

rispose

come

adesso considero; è 3 le tenebre

una

si

che

è ella figlia e compagna

doi

vede

lumi

quella



Guardala

che non

è un’om-

Momo,

ma

medesima

che

è

ombra

a

la mi par la Avarizia, sono

è le tenebre che sono de la Povertà.

curio:

come

che è con l'una e con l’altra.

dissi che

ombra:

non

illuminabile,

disse Mercurio,

quelli

doi corpi. Oh

da

della Ricchezza, —

che ed

Cossf è, disse Mer-

della Povertà,

nemicissima

de la sua madre, e che quanto può la fugge; inamorata ed invaghita de la Ricchezza, alla quale, quantunque sia giunta, sempre sente il rigor de la madre che la tormenta: e benché li sia appresso, li è lungi, e benché li sia lungi, li è appresso,

perché, se si gli discosta, secondo la verità gli è intrinseca, e gionta secondo l’esistimazione. E non vedi che essendo gionta

non

e compagna

sia Ricchezza, 1 B: opona. 2 (Li: cossi; 3 BL: e. 4 V. sopra,

(B.

de la Ricchezza,

1009-11)

(W.

e lunghi4

G!1G%: p.

583,

II,

fa che

essendo

la

da la

Ricchezza

Povertà,

fa

cost) n. 4; ed innanzi, p. 698.

175-6)

(L. 477)

680

Ma,

(G.I IT, 102)

come

(G.2 II,

spesso

nei

1090-10).

DIALOGO

SECONDO

che la Povertà non sia Povertà? Queste tenebre, questa oscurità, questa ombra è quella che fa la Povertà esser mala e la Ricchezza non esser bene; malignar

l’una

de

le due,

o ambe

e non si trova senza due

insieme;

rarissime

volte né l'una né l’altra: e questo è quando sono da ogni lato circondate dalla luce della raggione ed intelletto. — Qua

dimandò

come

quella

A

cui

Momo

faceva

rispose,

l’avarizia

a Mercurio,

non

che

la Ricchezza

che

il ricco

è dove

sono

li facesse

non

avaro

è

intendere

essere

ricchezze 1.

poverissimo;

ricchezze,

se non

perché

vi è anco

la

Povertà; la quale non men veramente se vi trova per virti de l'affetto, che ritrovar si possa per virti d'effetto; di sorte che questa ombra, al suo marcio dispetto, mai si può discostare da la madre più che da se stessa. Mentre

questo

buonissima con

avere

vista messo

dicevano,

(benché più

Momo,

non

il quale

sempre

d'attenzione:

non

vegga



O

è senza

a la prima),

Mercurio,

disse,

quello ch’ io ti dicevo essere come un'ombra, adesso scorgo che son tante bestie insieme insieme; perché la veggio canina, vina,

porcina, falconina *,

arietina,

scimica,

leonina,

asinina,

orsina, e

aquilina,

cor-

nine

nine

quante

e

bestie giamai fùro; e tante bestie è pur un corpo. La mi par certo il pantamorfo de gli animali bruti 3. — Dite meglio,

rispose

Mercurio,

la pare una, ed è una; libri di B., questa è poi prevalsa. 1 B:

vicchezze;

forma

causa, (B.

Nella

mia

prima

p.

220:

«tesorieri

111)

(W.

II,

è

una

ricchezza.

ediz.,

del

176) (L.

bestia

non è uniforme,

si alterna con

WLGI:

zione non è necessaria. 2 B: falconia. 3

ma

che

quella

Ma,

a

erroneamente:

Pantamorfo ».

477-8)

(G.

681

II,

moltiforme;

come

ch'è

la corretta

pensarci ‘ brutti’.

102-3)

è proprio

(G.2

su, —

II,

la

ed

corre-

Il De

100-1).

la

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

de vizii de aver molte forme, percioché sono informi e non hanno propria faccia, al contrario de le virtudi. Qualmente vedi essere la sua nemica liberalitade, la quale è semplice

ed una; la giustizia è una e semplice; come ancora vedi la sanità essere una, e gli morbi innumerabili. — Mentre Mercurio diceva questo, Momo gl’ interruppe il raggionamento, e gli disse: — Io veggio, che la ha tre teste in sua mal’ora;

bata,

pensavo,

quando

o Mercurio,

di questa

bestia

uno

ed uno ed un altro capo;

chio

per tutto,

e visto

che

che

sopra

ma,

non

la vista

un

mi

fusse

busto

tur-

scorgevo

poi che ho voltato l’oc-

è altro

che

mi

paia simil-

mente, conchiudo che non è altrimente che come io veggio.

— Tu vedi molto bene, rispose Mercurio. Di quelle tre teste l'una è la illiberalità, l'altra è il brutto guadagno, l’altra è

la

tenacità.



Dimandò

Momo,

se

quelle

parlavano;

e Mercurio rispose che sî, e che la prima dice: esser

più

liberale

ricco e

che

grato;

esser

la seconda:

Meglio

stimato Non

ti

più morir

di fame per esser gentiluomo; la dice: Se non mi è onore, mi è utile.

pur non hanno più che due braccia? disse Momo. stano

le due

mani,

rispose

Mercurio,

de le quali

è aperta aperta, larga larga, per prendere;

terza — E

— Ba-

la destra

l’altra è chiusa

chiusa, stretta stretta, per tenere, e porgere come per distillazione e per lambicco, senza raggione di tempo e loco, come ancor senza raggione di misura. — Accostatevi alquanto

più a me,

tu,

Ricchezza

e Povertà,

disse Momo,

a

fin che io possa meglior! vedere la grazia di questa vostra bella pedissequa. — Il che essendo fatto, disse Momo: 1 Come avverbio, è di uso nel Quattrocento. (B.

111-3)

(W.

II,

176-7)

(L.

479) (G.! II,

682

V. appresso, p. 717.

103-4)

(G.2

IL,

111-2).

DIALOGO



È

un

volto,

è femina,

faccia

son

più volti;

è femina;

sia più che

SECONDO

è una

testa,

ha la testa molto

mediocre;

son

picciola,

è vecchia,

pit teste; benché

è vile,

la

è sordida,

ha ’1 viso rimesso, è di color nero; la veggio rugosa, ed ha capelli retti ed adri, occhi attentivi !, bocca aperta ed ane-

lante, e naso ed artigli adunchi; (maraviglia) essendo un animal pusillo, ha il ventre tanto capace e voraginoso, imbecille,

mercenario ? e servile,

ch' il volto

drizzato

a le

stelle incurva. Zappa, s' infossa; e per trovar. qualche cosa, s' immerge al profondo de la terra, e dando le spalli a la luce, a gli antri tende ed a le grotte, dove giamai giunse differenza del giorno e de la notte;

ingrata,

a la cui

per-

versa speranza giamai fia molto, assai o bastante quel che si dona, e che quanto più cape tanto si fa più cupa: come la fiamma che più vorace si fa quanto è più grande. Manda, manda,

scaccia,

scaccia

presto,

o

Giove,

da

questi

teni-

menti la Povertà e la Ricchezza insieme, e non permettere

che s’accostino alle stanze de dei, se non vegnono senza questa vile ed abominevol fiera! — Rispose Giove: — Le vi verranno3 addosso ed appresso, come voi vi disporrete a riceverle. Per il presente se ne vadano con la già fatta risoluzione, e venemo noi presto al fatto nostro di determinare Ed

il nume ecco,

possessor

mentre

di questo

il padre

degli

campo. dei

si

volta

in

circa,

da per se medesima impudentemente e con una non insolita arroganza si fece innante la Fortuna, e disse: — Non ! Cfr.

Ovibio,

Metamm.,

crinis, cava lumina. 2 BL: mercenaria.

3 B: vi verranno;

rendeva (B.

oscuro

113-4)

(W.

VIII,

801

(per

la

fame):

hirtus

erat

WLG!: viverranno. Svista sinora sfuggita, che

un

luogo

II,

177)

chiarissimo.

(L.

478-9)

(G.

II,

104-5)

(G2

II,

112).

SPACCIO

è bene,

o Dei

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

consulari 1, e tu, o gran

sentenziator

che, dove parlano e possono essere tanto e

Ricchezza,

viltade,

io

e non

To, che son

sia

veduta

mostrarmi,

tanto

come

e con

udite la Povertà

pusillanime

ogni

Giove,

tacere

raggione

degna e tanto potente, che

per

risentirmi.

metto

avanti

la Ricchezza, la guido e spingo dove mi pare e piace, d'onde voglio

la scaccio

successione

e

e dove

voglio

vicissitudine

la conduco,

de

quella

con

con la

oprar

la

Povertade;

ed ognun sa che la felicitade di beni esterni non si può riferir più alla Ricchezza, come a suo principio, che a me; sicome la beltà della musica ed eccellenza de l'armonia da qualcuno ? non si deve più principalmente referire alla lira ed instrumento,

che

neggia. Io son quella derata,

tanto3

a l’arte ed a l'artefice che le ma-

dea divina ed eccellente, tanto desi-

cercata,

tanto

tenuta

cara,

per

cui

per

il

più de le 4 volte è ringraziato Giove, dalla cui mano aperta procede la ricchezza, e dalle cui palme chiuse tutto il mondo

plora,

e si metteno

ri.

Chi

le,

chiama

chi le

tuna

mai

offre

ringrazia

me,

sozzopra voti

mai?

le

citadi 5, regni

alla

Ricchezza

Ognuno

che

vuole

me,

sacrifica

a

invoca

o

ed impe-

alla

Povertà?

me$;

chiunque

e brama

quel-

1 Al principio di questo discorso: « Posizion e difesa de la Forcontra gli dei: la più degna cosa da leggere che sia in tutto

il libro»

(Post.

napol.).

= IV: Za qual. Perché W.

piglia per parola intera l’abbreviatura

che si legge negli ‘ Errori più fastidiosi” posti dal B. in fine del dial.

3 BL: tanto; WG!: come. 4 B: de de; LG! de: ma senza dubbio ha ragione W. a proporre

la correzione:

de le.

5 WLG!: cittadi; ma B., come ancora si ode a Napoli e nei dintorni, aveva scritto: cifadi; sebbene altrove, come a pp. 661, 667 ecc.

con

la doppia.

6 Cfr. PLINIO, Epist., II, 2: « Toto mundo, locis omnibus busque horis, omnium vocibus, Fortuna sola invocatur, una

(B.

114)

(W.

IT,

177-8)

(L.

479)

6084

(G.!

II,

105)

(G.2

II,

omninomi-

1r12-3).

DIALOGO

SECONDO

viene ! contento per quelle, ringracia= me, rende mercé alla Fortuna, per la Fortuna pone al foco gli aromati, per la Fortuna fumano gli altari. E che sono una causa, la quale quanto son più incerta tanto sono più veneranda e formidanda, e tanto son desiderabile ed appetibile quanto mi faccio meno compagna e familiare; perché ordinariamente nelle cose meno aperte, più occolte e maggiormente secrete si trova più dignità e maestade. Io che col mio splendore infosco la virtude, denigro la veritade, domo e dispreggio la maggior e meglior parte di queste dee e dei che veggio apparecchiati e messi come in ordine per prendersi piazza in cielo; ed io che

ancor

qua,

in

presenza

di

tale

e tanto

senato,

sola

metto terrore a tutti; perché (benché non ho la vista che mi serva) ho pur orecchie, per Ie quali comprendo, ad una gran parte de loro, battere e percuotersi gli denti per il timore che concepeno dalla mia formidabile presenza; quantunque con tutto ciò non perdano l’ardire e presunzione non

di

mettersi

è stato

avanti,

disposto

a farsi

della mia

nominare,

dignitade;

dove

che

ho

prima sovente,

e più che sovente, imperio sopra la Raggione, Veritade, Sofia, Giustizia ed altri numi; li quali, se non vogliono mentire di quello che è a tutto l'universo evidentissimo, potranno dire se possono apportar computo del numero de le volte che le ho buttate gi bunali

loro,

ed

a mia

chiuse ed incarcerate. volte

hanno

potuto

posta

da le catedre,

le ho

reprimute,

(B.

114-5)

(W.

II,

legate,

rin-

Ed anco per mia mercé poi ed altre uscire,

liberarsi,

ristabilirse

natur, una cogitatur, sola laudatur, sola arguitur colitur» (SPAMPANATO, Lo spaccio, p. 88). 1 Viene, di uso ® B: ringracia;

sedie e tri-

e ricon-

et cum

conviciis

classico, per diviene. WLG!: ringrazia.

178)

(L. 479-80)

685

(G.1

II,

105-6)

(G.2

II,

113-4).

SPACCIO

firmarse,

mai

DE

senza

LA

BESTIA

timore

delle

TRIONFANTE

mie

disgrazie.



Momo

disse: — Comunemente, o cieca madonna, tutti gli altri dei aspettano la retribuzion di queste sedie per l’opre buone ch’ han fatte, facciono e posson fare: e per tali il senato s' è proposto di premiar quelli; e tu, mentre fai la

causa tua, ne ameni la lista e processo di que’ tuoi delitti per gli quali non solo dereste esser bandita dal cielo, ma e da

la terra

era men

male;

ancora.

buona

perché,



Rispose

che altri boni;

quanto

la Fortuna,

lei non

e che la fusse tale, non

il fato dispone,

la natura sua fusse tale, come

che

tutto è bene;

de la vipera,

era

e se

che è natural-

mente velenosa, in questo non sarrebe sua colpa, ma o de la natura, o d'altro, che l’ ha talmente instituita. Oltre

che nessuna cosa è absolutamente mala +; perché la vipera non è mortale e tossicosa a la vipera; né il drago, il leone, l'orso a l'orso, al leone, al drago; ma ogni cosa è mala a rispetto

di qualch’altro;

come

voi,

dei virtuosi,

siete mali

ad riguardo de viziosi, quei del giorno e de la luce son mali a quei de la notte ed oscuritade: e voi tra voi siete buoni, e lor tra loro son mondo

nemiche,

buoni; dove

come gli

aviene anco

contrarii

tra

essi

ne le sette del se

chiamano

figli de dei e giusti; e non meno questi di quelli, che quelli di questi, li più principali e più onorati chiamano peggiori e più riprovati. Io, dunque, Fortuna, quantunque a rispetto d’alcuni sia reproba, a rispetto d'altri son divinamente buona; ed è sentenza passata della maggior parte del

onde

mondo,

non

che

la fortuna

è stella minima

de

gli

omini

né grande,

pende

dal

che appaia

cielo;

nel fir-

1 Cfr. più innanzi p. 796; E». fur., p. 1002: il De minimo, IV, 1, in Ofera, I, 1, 272. Vedi anche Tocco, Le opp. ined. di G. Bruno,

P. 53, n. 1. (B.

115-7)

(W.

II,

178-9)

(L.

480)

686

(G.

II,

106-7)

(G.2

II,

114-5).

DIALOGO

SECONDO

mamento, da cui non si dica ch'io dispenso. — Qua rispose Mercurio, dicendo che troppo equivocamente era preso il suo nome: perché tal volta per la T'ortuna non è altro che uno incerto evento de le cose; la quale incertezza a l'occhio

de la providenza è nulla, benché de mortali.



sia massima *! a l'occhio

La Fortuna non udiva questo, ma seguitava,

ed a quel ch’avea detto, aggiunse che gli più egregii ed eccellenti filosofi del mondo, quali son stati Empedocle ed Epicuro 2, attribuiscono

più a lei che a Giove

istesso,

anzi

che a tutto il concilio de dei insieme. — Cossf tutti gli altri, diceva,

e me

intendeno

Dea,

e me

intendeno

celeste

Dea,

come credo che non vi sia novo a l’orecchie questo verso, il quale non è putto abecedario 3 che non sappia recitare: Te

E

facimus,

voglio

Fortuna,

ch’intendiate,

alcuni son detta pazza, essi si pazzi,

si stolti,

portar raggione

deam,

o

cacloque

Dei,

stolta,

con

quanta

inconsiderata,

verità

da

mentre

son

sanno

ap-

ed onde trovo di que’

che

sf inconsiderati

de l’esser mio;

locamus 4.

che

non

son stimati più dotti che gli altri, quali in effetto dimostrano e conchiudeno il contrario, per quanto son costretti dal vero; talmente mi dicono irrazionale e senza discorso, che non per questo m’ intendeno brutale e sciocca, atteso che con tal negazione non vogliono detraermi, ma attribuirmi di vantaggio; come ed io tal volta voglio negar cose

piccole per concedere le maggiori. Non son, dunque, da essi compresa come chi sia ed opre sotto la raggione e 1 BW: massime; LG!: massima. ® Per Empedocle v. DieLs, Vorsokratiker2,

3 Cosi Gervasio 4 GIOVENALE,

(B.

117-8)

(W.

II,

fu chiamato

Saf.,

179)

X,

(L.

366;

da Polinnio: cfr.

480-1)

687

anche

(G.!

II,

s.

fr.

De

103.

la causa,

XIV,

107-8)

316.

(G.3

II,

p. 241. 115-6).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

con la raggione; ma sopra ogni raggione, sopra ogni discorso

ed ogni

ingegno.

confessano,

massime

Lascio

ch'io

che pur in effetto s’accorgeno

ottegno

sopra gli razionali,

ed

esercito

il governo

e

e regno

intelligenti e divini:

e non è

savio che dica me effettuar col mio braccio sopra cose prive

di raggione ed intelletto, quai sono le pietre, le bestie 1, gli fanciulli, gli forsennati ed altri che non hanno appren-

sione di causa finale e non possono oprare per il fine. — Te

dirò, disse Minerva, o Fortuna, per qual caggione ti dicono senza

discorso

e raggione.

A

chi

manca

qualche

senso,

manca qualche scienza, e massime quella che è secondo quel senso. Considera di te, tu ora essendo priva * del lume de gli occhi, li quali son la massima causa della scienza. — Rispose la Fortuna, che Minerva o s’ingannava lei, o voleva ingannar la Fortuna; la vedea

non

cieca:



Ma,

e si confidava

quantunque

di farlo, perché

io sia priva

d'occhio,

son però priva d’'orecchio ed intelletto, — gli disse. Saulino. E credi che sia vero questo, o Sofia?

Sofia.

Ascolta,

e vedrai

come

sa distinguere,

e come

non gli sono occolte 3 le filosofie e, tra l'altre cose, la

tafisica

d'Aristotele.



Io,

diceva,

so

che

Me -

si trova

chi dica4 la vista essere massimamente desiderata per il sapere; ma giamai conobbi si stolto che dica la vista fare massimamente conoscere. E quando alcuno disse, quella essere massimamente desiderata, non voleva per tanto, che quella fusse massimamente necessaria, se non per la cognizione di certe cose: quai sono colori, figure, simmetrie 1

W:

le pietre,

li fanciulli.

2 In G! per errore:

3 BL: accolte. 4 ARISTOTELE, (B.

118-9)

(W.

privo.

Metaph.,

II, 179-80)

I, 1, a principio. (L. 481-2)

688

(G.! II,

108-9)

(G.2 II,

116-7).

DIALOGO

SECONDO

corporali, bellezze, vaghezze ed altre visibili che più tosto sogliono

perturbar

la fantasia

ed

alienar

l'intelletto;

ma

non che fusse necessaria assolutamente per le tutte o megliori specie di cognizione, perché sapea molto bene che molti, per dovenir sapienti, s' hanno

cavati gli occhi; e di

quei che o per sorte o per natura son stati ciechi, molti son

visti più mirabili, come ti potrei mostrar assai Democriti, molti Tiresii, molti Omeri e molti come il Cieco d’Adria !, Appresso credo che sai distinguere, se sei Minerva, che, quando un certo filosofo Stagirita disse che la vista è massimamente desiderata per il sapere, non comparava la vista con altre specie di mezzi per conoscere, come con l’udito, con la cogitazione, con l’ intelletto; ma facea comparazione tra questo fine de la vista, che è il sapere, e altro fine, che

la medesima si possa proponere. Però, se non ti rincresce d’andar sin ai campi Elisii a raggionar con lui (se pur non ha indi

fatta

di Lete),

partenza

vedrai

deramo

la

per

altra vita,

che lui farà questa

vista

e bevuto

chiosa:

massime

de

Noi

per

l’onde desi-

questo

fine di sapere; e non quell'altra: Noi desideramo tra gli altri sensi massime la vista per sapere. Saulino. È maraviglia, o Sofia, che la Fortuna sappia discorrere meglio, e meglio intender gli testi che Minerva, la quale Sofia. mente

è soprastante Non

a queste

ti maravigliare;

considerarai,

e quando

intelligenze. perché,

quando

profonda-

pratticarai e conversarai ben

bene, trovarai che li graduati dei de le scienze e de l’elo! Luigi Groto (1541-85), uno dei pochi cinquecentisti p. 10, n. 2 (ma 1)). (B.

119-20)

(W.

II,

180)

detto il Cieco d'Adria, oratore e pocta nominati dal B. (SPAMPANATO, Cand.?, (L.

482)

689

(G.!

IT,

1009)

(G.?

II,

117).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

quenze e de gli giudizii non sono pi giudiziosi, più savi e più eloquenti de gli altri. Or, per seguitare il proposito della causa

sua,

che

lando

a tutti:

faceva —

la Fortuna

Niente,

nel

senato,

disse,

par-

niente, o dei, mi toglie la cecità,

niente che vaglia, niente che faccia alla perfezione de l’esser mio;

per ciò che,

e tanto

manca

s’ io non

che

per

fusse cieca,

questa

cecità

non

sarei

possiate

Fortuna,

disminuire

o attenuar la gloria di miei meriti, che da questa medesima

prendo argumento

della grandezza ed eccellenza di quelli:

atteso che da quella verrò a convencere

ch’ io sono meno

astratta da gli atti della considerazione, e non posso esser ingiusta nelle distribuzioni. — Disse Mercurio a Minerva: — Non arrai fatto poco, quando arrai dimostrato questo. — E soggionse la Fortuna: — Alla mia giustizia conviene essere

tale;

alla vera

giustizia non

conviene,

anzi ripugna ed oltraggia l’opra de son fatti per distinguere e conoscere glio per ora mostrar quanto sovente gannati quei che giudicano); io sono

non

quadra,

gli occhi. Gli occhi le differenze (non voper la vista sono inuna giustizia che non

ho da distinguere, non ho da far differenze; ma come tutti sono principalmente, realmente e finalmente uno ente, una cosa medesima

simo),

cossf ho

tutti parimente,

(perché lo ente, uno

da ponere aver

ogni

e vero son mede-

tutti in certa equalità, cosa per uno,

pronta a riguardare, a chiamar

e non

stimar

esser più

uno che un altro, e non più

disposta a donar ad uno che ad un altro, ed essere più inclinata al prossimo che al lontano. Non veggio mitre, toghe,

corone,

arti, ingegni;

non

scorgo

meriti

e demeriti;

perché, se pur quelli si trovano, non son cosa da natura altra ed altra in questo ed in quello, ma certissimamente per

circostanze

(B. 120-1)

ed

occasione,

(W. II, 180-1)

o

accidente

(L. 482-3) (G.! II, 1009-10)

690

che

s'offre,

si

(G.? II, 117-8).

DIALOGO

SECONDO

rancontra e scorre in questo o in quello; e però, quando dono,

non vedo

a chi dono;

quando

toglio, non vedo

a chi

toglio: acciò che in questo modo io vegna a trattar tutti equalmente e senza differenza alcuna. E con questo certamente io vegno ad intendere e fare tutte le cose equali e giuste, e giusta- ed equalmente dispenso a tutti. Tutti metto dentro d’un’urna, e nel ventre capacissimo di quella tutti confondo, inbroglio ed exagito; e poi, zara a chi tocca; e chi l’ ha buona, ben per lui, e chi l’ ha mala, mal

per lui! In questo modo, dentro l'urna de la Fortuna non è differente il più grande dal più picciolo; anzi là tutti sono equalmente grandi ed equalmente piccioli, perché in essi s’ intende differenza da altri che da me: cioè prima che entrino ne l’urna, e dopo che esceno da l'urna. Mentre son dentro, tutti vegnono dalla medesima mano, nel medesimo

vase,

con

poi si prendeno chi

tocca

mala

medesima

scossa

le sorti, non riuscita,

isvoltati.

Però,

è raggionevole

si lamente

o di chi

quando

che colui, a tiene

o de l’urna, o de la scossa, o di chi mette la mano

l'urna,

a l’urna;

ma deve, con la meglior e maggior pazienza ch’ ei puote, comportar quel ch' ha disposto e come ha disposto, o è disposto il Tato: atteso che, quanto al rimanente, lui è stato equalmente scritto, la sua schedula era uguale a quella de

tutti -gli

altri, è

stato

parimente

annumerato,

messo

dentro, scrollato. Io dunque, che tratto tutto il mondo equalmente, e tutto ho per una massa, di cui nessuna parte stimo pit degna ed indegna de l’altra, per esser vase d'’opprobrio; io che getto tutti nella medesima urna della mutazione

e moto,

sono

equale

a tutti,

tutti

equalmente

remiro, o non remiro alcuno particulare più che l’altro, vegno ad esser giustissima ancor ch'a tutti voi il contrario (B.

121-2)

(W.

IT,

181-2)

(L. 483)

69I 48



G. Bruno,

Dialoghi

italiani

(G.!

II,

rro-1)

(G.* II,

118-9).

SPACCIO

appaia.

DE

LA

DESTIA

Or che a la mano,

TRIONFANTE

che s’ intrude

a l’urna, prende

e cava le sorti, per chi tocca il male, e per chi tocca il bene,

occorra gran numero d'indegni e raro occorrano meritevoli: questo procede dalla inequalità, iniquità ed ingiustizia di voi altri, che non fate tutti equali, e che avete gli occhi

delle comparazioni,

distinzioni,

imparitadi

ed ordini,

con gli quali apprendete e fate differenze. Da voi, da voi, dico, proviene ogni inequalità, ogni iniquitade; perché la dea Bontade non equalmente si dona a tutti; la Sapienza non

si communica

a tutti

con

medesima

misura;

la Tem-

peranza si trova in pochi; a rarissimi si mostra la Veritade. Cossi

voi

facendo

qualitadi

altri numi le

buoni

distantissime

siete

scarsi,

differenze,

e le confusissime

siete

parzialissimi,

le smisuratissime

sproporzioni

nelle

cose

ine-

parti-

colari. Non sono, non son io iniqua, che senza differenza guardo tutti, ed a cui tutti sono come d'un colore, come

d’un merito, come d'una sorte. Per voi aviene, che, quando

la mia mano

cava le sorti, occorrano più frequentemente,

non solo al male, ma ancora al bene, non solo a gl’ infortunii,

ma ancora a le fortune, più per l’ordinario gli scelerati che gli buoni, più gl'insipidi che gli sapienti, più gli falsi che gli veraci. Perché questo? perché? Viene la Prudenza e getta ne l’'urna non più che doi o tre nomi; viene la Sofia e non ve ne mette più che quattro o cinque; viene la Verità

e non ve ne lascia più che uno, e meno, se meno si potesse: e poi di cento millenarii che son versati ne l’urna, volete che alla sortilega mano più presto occorra uno di questi otto o nove, che di otto o novecento mila. Or fate voi il contrario ! Fa’,

dico,

tu,

Virti,

che

che gli viziosi; fa' tu, Sapienza,

più grande (B.

122-3)

che quello (W.

1I,

182)

che il numero

de stolti; (L.

483-4)

gli virtuosi

(G.I

6092

fa’ tu, Verità, II,

111-2)

(G.z

sieno

più

de savii sia

che vegni IT,

119-20).

DIALOGO

SECONDO

aperta e manifesta a la più gran parte: e certo certo a gli ordinari premii e casi incontraranno più de le vostre genti che de gli loro oppositi. Fate che sieno- tutti giusti, veraci, savii e buoni; e certo certo non sarà mai grado o dignità ch'io dispense, che possa toccare a buggiardi, a iniqui, a pazzi. Non son, dunque, pi ingiusta io che tratto e muovo

tutti

equalmente,

che

voi

altri che

non

fate

tutti

equali. Tal che, quando aviene che un poltrone o forfante monta

ad esser principe o ricco, non è per mia colpa, ma

per iniquità di voi altri che, per esser scarsi del lume e splendor vostro, non lo sforfantaste o spoltronaste prima, o non lo spoltronate e sforfantate al presente, o almeno appresso lo vegnate a purgar della forfantesca poltronaria, a fine che un tale non presieda. Non è errore che sia fatto un prencipe, ma che sia fatto prencipe un forfante. Or essendo

due

cose,

cioè

principato

e

forfantaria,

il vizio

certamente non consiste nel principato che dono io, ma ne la

forfanteria,

l’urna altro; cipe o mano

che

lasciate

esser

voi.

Io

perché

muovo

e caccio le sorti, non riguardo più a lui che ad un è però non l'ho determinato prima ad esser prinricco (benché bisogna che determinatamente alla uno occorra tra tutti gli altr); ma voi, che fate le

distinzioni,

con

gli

occhi

mirando

e

communicandovi

a

chi più ed a chi meno, a chi troppo ed a chi niente, siete venuti

a lasciar

costui

determinatamente

forfante

e pol-

trone. Se dunque, la iniquità consiste non in fare un prencipe, e non in arricchirlo, ma in determinare un suggetto di forfantariae poltronaria , non voi. Ecco dunque, come

verrò io ad essere iniqua, ma

il Fato m’

ha fatto equissima,

e non

mi può aver fatta iniqua, perché mi fa essere senz'occhi, a fin che per questo vegna a posser equalmente graduar tutti. — (B.

123-5)

(W.

II,

182-3)

(L.

484-5)

693

(G.!

II,

112-3)

(G.2

II,

120).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

Qua soggionse Momo dicendo: — Non ti diciam iniqua per gli occhi, ma per la mano. — A cui quella rispose: — Né meno per la mano, o Momo; perché non son più io causa del male, che le prendo come vegnono, che quelli che non vegnono come le prendo: voglio dire, che non vegnono cossi senza differenza come senza differenza le

piglio. Non son io causa del male, se le prendo come occorreno; ma essi che mi se presentano quali sono, ed altri che non

le fanno

essere

altrimente.

Non

son

cieca indifferentemente stendo la mano senta chiaro o oscuro, ma

e me

l'invia.

venessero



Momo

indifferenti,

perversa

io,

che

a quel che si pre-

chi tali le fa, e chi tali le lascia,

suggionse:

uguali



Ma,

e simili, non

quando

tutti

mancareste

per

tanto ad essere pur iniqua: perché, essendo tutti equalmente degni di prencipato, tu non verrai a farli tutti prencipe, ma un solo tra quelli. — Rispose sorridendo la Fortuna:



Parliamo,

o Momo,

de chi è ingiusto,

e non

par-

liamo de chi sarrebe ingiusto. E certo, con questo tuo modo di proponere o rispondere, tu mi pari assai a sufficienza convitto !, poiché da quel che è in fatto, sei proceduto a quel che sarrebe; e da quel che non puoi dire ch'io sono iniqua, vai a dire ch'io sarrei iniqua. Rimane

giusta,

dunque,

ma

secondo

sarrei

la

ingiusta;

tua

e

concessione,

che

voi

siete

ch'io

son

ingiusti,

ma

sarreste giusti. Anzi, a quel ch'è detto aggiongo, che non solamente non sono, ma né = pure sarrei men giusta allora, quando voi m'offressi3 tutti uguali; perché, quanto ! Vedi sopra ® BL: et. 3 B:

quella (B.

voi

del B.

125-6)

la n.

4, a p.

m'offressi;

IV:

è la dialettale,

(W.

II,

183)

(L.

662.

voi

m'offriste;

LG!:

oltre

che

arcaica.

485)

(G.

II

694

113)

voi

(G.?

m'offresti.

II,

Ma

r20-1).

DIALOGO

SECONDO

a quello che è impossibile, non s'attende giustizia né ingiustizia. Or non è possibile che un principato sia donato a tutti; non

è possibile che

tutti abbiano

una

sorte; ma

è

possibile ch'a tutti sia ugualmente offerta. Da questo possibile séguita il necessario, cioè che de tutti bisogna che riesca

uno;

male;

perché

ed

in

non

questo

non

è possibile

consiste che

l’ ingiustizia

sia più ch’ uno;

ed

ma

il

l’er-

rore consiste in quel che séguita, cioè che quell’uno è vile, che quell'uno è forfante, che quell'uno non è virtuoso; e di questo male non è causa la Fortuna che dona l’esser prencipe ed esser facultoso; ma la dea Virtù che non gli dona, né gli donò esser virtuoso. — Molto eccellentemente ha

fatte le sue

raggioni

la Fortuna,

disse

il padre

Giove,

e per ogni modo mi par degna d’aver sedia in cielo; ma ch’abbia una sedia propria, non mi par convenevole, essendo che non n’ ha meno

che sono le stelle; perché la For-

tuna è in tutte quelle non meno che ne la terra, atteso che quelle non manco son mondi che la terra. Oltre, secondo la generale

esistimazion! de

gli

uomini,

da

tutte

si dice

pendere la Fortuna: e certo, se avessero più copia d’ intelletto, direbono qualche cosa di vantaggio. Però (dica Momo quel che gli piace), essendo che le tue raggioni, o Dea, mi paiono pur troppo efficaci, conchiudo che, se non offriranno in contrario de la tua causa altre allegazioni, che vagliano più di queste sin ora apportate, io non voglio ardire di definirti stanza, come già volesse? astrengerti o relegarti a quella; ma ti dono, anzi ti lascio in quella potestà che mostri avere in tutto il cielo: poi che per te stessa ! Non

(B.

estimazion,

come

* BL:

volesse;

WG!:

126-7)

(W. II, 183-4)

per sbaglio in G!.

volessi.

(L. 485-6)

695

(G.I II, 113-4)

(G.2 II, 121-2).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

tu hai tanta autorità, che puoi aprirti que’ luoghi che son chiusi a Giove istesso insieme con tutti gli altri dei. E non

voglio dir più circa quello per il che ti siamo tutti insieme ubligati assai assai. Tu, disserrando tutte le porte, ed aprendoti

tutt’i

camini

e disponendoti

tutte

tutte le cose aliene; e però non manca

degli altri, non

le stanze,

fai tue

che le sedie che son

siano pur tue; per ciò che quanto

è sotto

il fato della mutazione, tutto tutto passa per l’urna, per la rivoluzione e per la mano de l'eccellenza tua.

Terza parte del secondo dialogo. Talmente, Fortuna,

dunque,

che

a suo

Giove

arbitrio

negò la sedia d'Ercole lasciò

e quella

a la

ed altre

tutte

che sono ne l'universo. Dalla qual sentenza, comunque se sia, non dissentirno gli dei tutti; e la orba dea, vedendo

la determinazion fatta citra ogni sua ingiuria, si licenziò dal Senato dicendo: — Io, dunque, me ne vo aperta aperta ed

occolta

occolta

a tutto

l'universo;

discorro

gli alti

e

bassi palaggi, e non meno che la morte so inalzar le cose infime e deprimere le supreme; ed al fine, per forza di vicissitudine,

sione

vegno

e raggion

estra le raggioni volto la ruota, non

vegna

a far tutto uguale,

irrazionale,

che

particolari), scuoto

incusata!

mi

e con

l’urna,

e con incerta succes-

trovo

(cioè sopra ed

indeterminata

misura

a fine che la mia intenzione

da individuo

alcuno.

Su,

Ricchezza,

vieni a la mia destra, e tu, Povertà,

a la mia sinistra:

nate

Ricchezza,

vosco ! Per

(B.

127-8)

il vostro

accusare: (W.

IL

comitato;

arcaismo 184)

(L.

de’

tu,

primi

486-7)

696

(G.!

me-

li ministri

secoli. IT,

114-5)

(G.?

II,

122-3).

DIALOGO

SECONDO

tanto grati, e tu, Povertà, gli tuoi tanto noiosi alla molti-

tudine. Seguiteno, licità

ed

dico, prima il fastidio e la gioia, la fe-

infelicità,

maninconia;

la

la sordidezza, il lusso,

la

la

tristizia,

fatica,

l’allegrezza;

la

letizia,

il

riposo 1;

l’ocio,

l’ornamento.

Appresso

l'austerità,

sobrietà;

la

libidine,

la

l'occupazione;

l'astinenza;

le delicie;

l’ebrietà,

la

sete; la crapula, la fame; l’appetito, la sacietade; la cupidiggia,

il tedio

e saturità;

la pienezza,

la

vacuità;

il dare, il prendere; l’effusione, la parsimonia; il

dispogliare;

guadagno, numero tade;

il

il

la

dispendio;

e misura, debito,

lucro,

l’avarizia,

eccesso

credito,

iattura; e difetto;

Dopoi

l’ investire,

l’ introito, la

oltre

l’exito;

liberalitade, equalitade,

sicurtà,

con

il il

inequali-

suspizione;

zelo,

adulazione; onore, dispreggio; riverenza, scherno *; ossequio, dispetto;

grazia,

consolazione;

passione;

onta;

invidia,

confidenza,

cattività;

compagnia,

agiuto,

destituzione;

congratulazione;

diffidenza;

emulazione,

dominio,

solitudine.

Tu,

disconforto, com-

servitù;

libertà,

Occasione,

camina

avanti, precedi gli miei passi, aprime mille e mille- strade, va

incerta,

incognita,

mio advenimento

occolta,

percioché

sia troppo antiveduto.

non

Dona

voglio

che

il

de sghiaffi3

a tutti vati, profeti, divini, mantici e prognosticatori. A tutti quei che si attraversano per impedirne il corso nostro, donagli su le coste. Togli via davanti gli miei piedi ogni possibile intoppo.

Ispiana e spianta ogni altro cespu-

glio de dissegni che ad un cieco nume possa esser molesto, onde comodamente per te, mia guida, mi fia ‘definito il 1 BL: 2 BL:

risposo. schermo.

3 Scambio

Napolitani.

della

gutturale

media

°

con

la

tenue,

comune

tra

(B. 128-9) (W. IL 184-5) (L. 497) (Gt IL, 115-6) (G: II, 123).

697

i

SPACCIO

montare

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

o il poggiare, il divertir a destra o a sinistra, il

movere, il fermare, il menar ed il ritener de passi. Io in un momento ed insieme insieme vo e vegno, stabilisco e muovo,

assorgo e siedo, mentre a diverse ed infinite cose con diversi mezzi de l'occasione stendo le mani. Discorremo dunque dei,

da

tutto,

ivi con

per

gli eroi;

tutto, qua

in tutto,

con

a tutto:

uomini,

là con

quivi

bestie.

con —

Or essendo finita questa lite e donato spaccio alla Fortuna, voltato Giove d’ Ercole

debba

a gli dei:

succedere



Mi par, disse, che in loco

la Fortezza,

perché

da

dove

è

la verità, la legge, il giudicio, non deve esser lunghi * la fortezza; perché constante e forte deve essere quella voluntà

che

administra

legge,

secondo

il giudicio

la verità:

atteso

con

la prudenza,

che

come

la

per

verità

la

e la

legge formano l’ intelletto, la prudenza, il giudicio e giustizia regolano la voluntà; cossi la constanza e fortezza conducono a l’effetto. Onde è detto da un sapiente: Non ti

far

giudice,

non sei potente de l’iniquitade,

se

a

con

la

virtude

e

forza

rompere le machine — Risposero tutti gli dei: — Bene

hai disposto, o Giove, che Ercole sin ora sia stato come tipo

de la fortezza cedi

che

tu, Fortezza,

dovea

contemplarsi

con la lanterna

ne gli astri. Suc-

de la raggione

perché altrimente non sareste fortezza, ma audacia.

E

non

sareste

stimata

fortezza,

perché per pazzia, errore ed alienazion a non temere il male e la morte. Quella ardisci dove si deve temere: atteso che forsennato non teme che, quanto uno

(B.

1 V. sopra,

p. 680, n. 4.

129-30)

II,

(W.

185-6)

(L. 487-8)

698

innante,

stupidità, né

men

furia,

sareste;

di mente -verreste luce farà che non tal cosa il stolto e è più prudente e

(G.! IT, 116-7)

(G.? IT, 123-4).

DIALOGO

SECONDO

saggio, deve più paventare. Quella farà che dove importa l'onore, l’utilità publica, la dignità e perfezione del proprio essere, la cura delle divine leggi e naturali, ivi non ti

smuovi per terrori che minacciano morte; sie presta ed ispedita dove gli altri son torpidi e tardi; facilmente comporti quel ch'altri difficilmente; che altri stimano

pagne: fidenzia;

Audacia,

e quella,

spirto,

Toleranza,

con

la Fame,

Furia,

alla sinistra con

Timore,

Viltade,

Con-

la Povertà

Pusillanimitade,

le tue virtuose figlie, Sedulità, Zelo,

Cautela,

Sufferenza;

la Solitudine,

Insolenzia,

Longanimità,

Animosità,

con il libro del catalogo

deve temere:

come

ti vien

Magnanimità,

governano non

che

Conduci

Industria,

o con

Presunzione,

Deiezione,

Desperazione. crità,

ed assai. Modera’ le tue male com-

e quella che ti viene a destra con le sue ministre,

Temeritade,

di

molto

abbi per poco o nulla ciò

o con

notate

cioè quelle che

non

la Nudità,

delle cose che si

Perseveranza,

ed in cui son

la Sete,

Ia Persecuzione,

Ala-

o con

le cose

ne

ch' il forte

fanno

il Dolore,

la Morte;

e de

Fuga,

peggiore,

la Povertà, l'altre

cose

che, per ne rendere peggiori, denno essere con ogni diligenza fuggite: come l' Ignoranza crassa, l' Ingiustizia, l’ Infidelità, la Buggia, temperandoti,

l’Avarizia e cose simili. Cossî con-

non declinando

a destra ed a sinistra, e non

allontanandoti da tue figlie, leggendo ed osservando il tuo catalogo, de

non

Virtudi,

facendo unica

estinto il tuo lume,

custodia

di

Giustizia

sarai sola tutela e torre

singulare

de la Veritade; inespugnabile da’ vizii, invitta da le fatiche,

constante giatrice fatrice

a gli perigli, rigida contra le voluttadi, de

la Ricchezza,

del tutto.

domitrice

Temerariamente

della non

Fortuna,

ardirai,

spregtriom-

inconsulta-

mente non temerai; non affettarai gli piaceri, non fuggirai (B.

130-1)

(W.

II,

186)

(L.

488)

699

(G.t

II,

117)

(G.%

II,

124-5).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

gli odori; per falsa lode non ti compiacerai, e per vituperio non ti sgomentarai; non t' inalzarai per le prosperitadi, non ti dismetterai per le adversitadi; non t’ impiombarà la gravità de fastidii, non ti sulleverà il vento de la leggerezza; non ti farà! gonfia la ricchezza, e non ti confondarà la povertade: spreggiarai il soverchio, arrai poco senso del necessario. Divertirai da cose basse, e sarai sempre attenta ad alte imprese. — — Or, che ordine si prenderà per la mia Lira? — disse Mercurio. A cui rispose Momo: — Abbila per teco per tuo passatempo, quando ti trovi in barca o pur quando ti trovarai nell’ostarie. E se fai elezione di farne qualche presente,

donandola

a chi più meritevolmente

si conviene,

e non vuol andar troppo vagando per cercarlo, vattene a Napoli, a la piazza de Il’ Olmo 3; over in Venezia in piazza di S. Marco 3, circa il vespro: perché in questi doi luoghi compariscono gli corifei di color che montano in banco; ed ivi ti potrà occorrere quel megliore a cui iure meriti 1 BL: far. ® La via detta

tissimo.

Vedi

una

poi

nota

di

in

Porto.

Basile,

3 Nel CV discorso della vuol raccontare minutamente tani per far bezzi, avrà preso della piazza ldi S. Marco] tu sieme con Tritata.... trattener

Vi

si faceva

Pentanm:.,

ed.

mercato

Croce,

frequentaI,

90.

Piazza universale il GARZONI: «Chi tutti i modi.... che adoprano i cereda fare assai. Basta che da un canto vedi il nostro galante Fortunato inla brigata ogni sera dalle ventidue

fino alle ventiquattro ore di giorno, fingere novelle, trovare istorie, formar dialoghi,.... cantare all'improvviso, corrucciarsi insieme, far la pace, morir dalle risa, alterarsi di nuovo,.... e finalmente

buttar fuori bussoli e venire al guanguam

carpire con queste un

altro

del

suo

canto....

delle gazette, che vogliono

loro gentilissime e garbatissime chiacchiere.

Burattino....

chiama

l’audienza

ad

alta

Da

voce;....

ma questo col sgarbato modo di dire, con la prononcia bolognese, col parlare da melenso,.... col sfodrar fuor di proposito i privilegi (B.

dottorato,....

131-2)

(W.

II,

col

186)

farsi

protomedico

(L. 488-0)

700

(G.! II,

senza

scienza,....

117-8)

(G.# II,

resta

125-6).

DIALOGO

SECONDO

la si debbia. — Dimandò Mercurio: — Perché più tosto a megliori di questa che di altra specie ? — Rispose Momo, che a questi tempi la lira è dovenuto principalmente instrumento

da

chiarlatani !,

l'udienza, e meglior come la rebecchina mendicanti. Mercurio quel che mi piace? per ora di lasciarla

per

lira de le nove corde con le nove Muse, sue gli dei tutti in segno con le sue figlie rese primogenita, disse che mastro

Grillo

e

trattenersi

vendere le sue pallotte ed albarelli, ancora è fatto instrumento da ciechi disse: — È in mia potestà di farne — Cossi è, disse Giove; ma non già star in cielo. E voglio (se cossi pare

ancor a voi altri del conseglio)

un

conciliarsi

che in luogo di questa sua

succeda la gran ‘madre Mnemosine figlie. — Qua fèrno un chino di testa di approvazione; e la Dea promossa le grazie. L’Aritmetrica =, la quale è le ringraziava per più volte che non

a mezo

della piazza.

Frattanto

sbucca

fuor

de'

portici il Toscano su con la putta....; ed ecco in un tratto si dà principio con lingua fiorentinesca a qualche papolata ridicolosa, ed in questo mezo la putta.... va porgendo uno strano desiderio al popolo della sua lascivia grata.... Da un'altra parte della piazza il Milanese con la berretta di veluto in testa e con la penna bianca alla guelfa, vestito nobilmente da Signore, finge l' innamorato con

Gradella, il qual si ride del padrone.... Il Cieco da Forli con qualche

bel strambotto e con qualche barzeletta all’ improviso.... ruba.... un pochetto d’audienza.... Non manca Zan della vigna....; e la

nobiltà ride, la plebe sgrigna, di corpo,

tante destrezze

il vilano crepa a veder tanti motivi

di mano,

tante fusarie che fa e dice in un

fiato solo. Né Catullo con la sua lira, né il Mantoano vestito da zani hanno

timore

o spavento

tilmente il Napolitano

della concorrenza....

Il che

mirando

gen-

col bacile da barbiere sotto i bacoli, va gri-

dando alle quattro ed alle cinque campanelle, e con duc caraffe e quattro bicchieri sopra la testa va ragirando, e fa suonare i bacili

tutti i suoni di campana.... Fra tanto mastro Paolo d’Aresa comparisce in campo... ». 1 Sopra (p. 552), ciarlatani; ma qui, e appresso (p. 749), chiarlatani: f. che può ben essere erronea. ® V. sopra, p. 563, n. 2. (B.

132-3)

(W.

II,

186-7)

(L.

489)

701

(G.!

II,

118)

(G.2

II,

126-7).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

concepe individui e specie di numeri, ed oltre per più millenarii de millenarii che mai possa con le sue addizioni apportar l'intelletto; la Geometria più che mai forme e figure formar si vagliano, e che atomi possa mai incorrere per le fantastiche resoluzioni di continui; la Musica più che mai

fantasia possa combinar

forme

di concenti

e sin-

fonie; la Logica più che non fanno absurdità li suoi gramatici 1, false persuasioni i suoi retorici, e sofismi e false demostrazioni i dialettici; la Poesia più che, per far correre le lor tante favole, non hanno

piedi quanti han

fatti e son

per far versi i suoi cantori; la Astrologia più che contegna stelle l’ inmenso spacio dell'eterea regione, se più dir si puote; la Fisica tante mercé li rese, quante possono essere prossimi e primi principii ed elementi nel seno de la natura; la Metafisica più che non son geni d’idee e specie de fini ed efficienti sopra gli naturali effetti, tanto secondo la realità che è ne le cose, quanto secondo il concetto representante; l' Etica, quanti possono essere costumi, consuetudini, leggi, giustizie e delitti in questo ed altri mondi de l'universo. La madre Mnemosine disse: — Tante grazie e mercé

vi rendo,

o dei, quanti

colari suggetti

a la memoria

esser possono

ed a l'oblio,

parti-

alla cognizione

ed ignoranza. — Ed in questo mentre Giove ordinò alla sua primogenita Minerva, che gli porgesse quella scatola che teneva

sotto

il capezzal

del letto;

ed indi cacciò

nove

bussole, le quali contegnono nove collirii che son stati ordinati. per purgar l'animo umano, e quanto alla cognizione e quanto alla affezione. E primamente ne donò tre

1 Come a p. 660; ma nel B. è più frequente la f. con la doppia. (B.

133-4)

(W.

II,

187)

(L. 4809-90)

702

(G.!

II,

118-0)

(G.2

II,

127).

DIALOGO

SECONDO

alle tre primiere, dicendogli:

— Eccovi il meglior unguento

con cui possiate purgar e chiarir la potenza sensitiva circa la moltitudine, grandezza ed armonica proporzione di cose

sensibili.



Ne dié uno

a la quarta,

e disse:



Questo

servirà per far regolata la facultà inventiva e giudicativa.

— Prendi questo, disse a la quinta, che con suscitar certo melancolico

appulso

è

potente

ad

incitar

di

archetipe

a

delettevole

furore e vaticinio. — Donò il suo a la sesta, mostrandogli il modo, con cui mediante quello aprisse gli occhi de mortali

alla

contemplazion

cose

e superne.

La

settima ricevé quello per cui meglio vien riformata la facultà razionale circa la contemplazion de la natura. La ottava, l’altro non meno eccellente che promove l’ intelletto all'apprension di cose sopranaturali, in quanto che influiscono ne la natura e sono in certo modo absolute da quella. L'ultimo, più grande, più precioso e più eccellente, dié in mano de l'altre

de l’ultimogenita;

tutte,

tanto

è più

la quale, quanto che

tutte

l'altre

è posterior degna;

e gli

disse: — Ecco qua, Etica, con cui prudentemente, con sagacità, accortezza e generosa filantropia saprai instituir religioni, ordinar gli culti, metter leggi ed esecutar giudicii; ed

approvare,

che ! è bene

confirmare,

instituito,

conservar

ordinato,

e defendere

messo

tutto

ed esecutato,

il

ac-

comodando quanto si può gli affetti ed effetti al culto de dei e convitto de gli uomini. — — Che faremo del Cigno? — dimandò Giunone. Rispose Momo: — Mandiamolo in nome del suo diavolo a natar con gli altri, o nel lago di Pergusa, o nel fiume Caistro, ! Cfr.

n. 3. (B.

134-5)

per questa (W.

II,

locuzione

187-8)

(L.

spagnuola 490)

793

(G.!

II,

il De

/' infinito,

119-20)

(G.? II,

p.

450,

127-8).

SPACCIO

dove

arrà

molti

DE

LA

BESTIA

compagni!

Giove; ma ordino che nel becco e messo nel Tamesi; perché là parte, atteso che per la tema di essere cosi facilmente rubbato

TRIONFANTE



Non

voglio

cossi,

disse

sia marcato del mio sigillo sarà più sicuro ch'in altra pena capitale non mi potrà =. — Saviamente, suggion-

sero gli dei, hai provisto, o gran padre;



ed aspettavano

venevole

la qual tra le vir-

che Giove determinasse del successore. Onde séguita il suo decreto il primo presidente, e dice: — Mi par molto conche vi sia locata la Penitenza,

tudi è come il cigno tra gli ucelli: perché la non ardisce, né può volar alto per il gravor dell'erubescenza ed umile recognizion

di se stessa,

si mantiene

sommessa;

però,

to-

gliendosi a l’odiosa terra, e non ardendo de s'inalzare al cielo, ama gli fiumi, s'attuffa a l’acqui, che son le lacrime della compunzione nelle quali cerca lavarsi, purgarsi, mondarsi, dopo ch’a sé nel limoso lido de. l'errore insporcata dispiacque, mossa

dal senso di tal dispiacere,

è incorsa la-

determinazione del corregersi, e, quanto possibil fia, farsi simile alla candida innocenza. Con questa virtii risaleno l’ariime che son ruinate dal cielo ed inmerse broso,

passate

per

il Cocito

de

a l' Orco tene-

le voluttadi

sensitive,

ed

accese dal Periflegetonte de l’amor cupidinesco ed appetito di generazione; de quali il primo ingombra il spirto di 1 Reminiscenza

dei

versi

di

Ovipio,

Metamm.,

V,

385-7:

Haud procul Hennaeis lacus est a moenibus altae, Nomine Pergus, aquae. Non illo plura Caystros Carmina cycnorum labentibus audit in undis. Pel fosse

ad

(B.

Caistro cir. VIRGILIO, Georg., I, 384. ® Accenno evidente alla pena che ai tempi comminata

ornamento 135-6)

(W.

nel

a chi

II,

rubasse

Tamigi. 188)

(L.

uno

490-1)

704

dei

(G.!

cigni,

II,

di

che

120-1)

Elisabetta

dovevano

(G.3

II,

pare

essere

128-09).

DIALOGO

SECONDO

tristizia, ed il secondo rende l’alma disdegnosa; come per rimembranza de l’alta ereditade ritornando in se medesima, dispiace a se medesima per il stato presente; si duole

per quel che si delettò e non vorrebe aver compiaciuto a se stessa: ed in questo modo viene a poco a poco a dispogliarsi dal presente stato, attenuandosegli Ja materia carnale

ed

piume,

il peso

de

s’accende

la crassa e

si

sustanza;

scalda

al

si mette

sole,

concepe

tutta il

in

fervido

amor di cose sublimi, doviene aeria, s'appiglia al sole e di bel nuovo si converte al suo principio. — Degnamente la Penitenza

è messa

quantunque madre,

tra

le virtudi,

sia figlia del padre

è nulladimeno

come

adre e pungenti spine sì scintilla che dalla negra e tende al suo cognato minato! — disse tutto Penitenza

A

voce

Errore

la

Saturno;

e de l' Iniquitade

vermiglia

rosa

sia uno

generale,

de

prima

gli celesti

ch'altro

Cassiopea, alzò la voce il furibondo Marte,

sia,

o dei,

matrona

chi tolga

perché,

che

da

le

caccia; è come una lucida e liquida e dura selce si spicca, fassi in alto sole. — Ben provisto, ben deteril concilio de gli dei. — Sieda la

tra le virtudi,

questa

disse

alla mia

che cossi boriosa,

bellicosa

numi!



proponesse

di

e disse:

Ispagna:



Non

questa

altiera e maestrale non si con-

tentò di salir al cielo senza condurvi la sua catedra col baldacchino. Costei (se cossi piace al padre summitonante, e se voi altri non volete discontentarmi a rischio di patir a buona misura il simile, quando mi passarete per le mani) 1 Intorno

nella nostra

no-îtaliane,

Napoli,

alla

iattanza

letteratura

II (estr. dagli

1898,

p.

10;

e

degli

spagnuoli,

del Cinquecento,

Atti

dell'Acc.

FARINELLI,

in

diventata

proverbiale

v. B. Croce, Iicerche ispa-

Pontaniana, Rass.

vol. XXVIII),

bibliogr

af. lett. it.,

VII (1899), 288-0. Nel Moriae encomiun di Erasmo (Lugd. Batav., 1648), p. 172, gli spagnuoli « bellicam gloriam nulli concedunt ». (B.

136-7)

(W.

II,

188-9)

(L. 401)

705

(G.!

II,

121-2)

(G.z II,

129-30)'

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

vorrei che, per aver costumi di quella patria, e parer ivi nata, nodrita ed allevata, determiniate che la vi soggiorne. — Rispose Momo: — Non sia chi tolga l'arroganza e questa femina, ch' è vivo ritratto di quella, al signor bravo capitan di squadre. — A cui Marte: — Con questa spada farò conoscere non solamente a te poveraccio, che non hai altra virtude

e forza che

de lingua

fracida senza sale;

ma

ed oltre a qualsivogli'altro (fuor di Giove, per essere superior di tutti),

che sotto

si trovar bellezza,

quella

che

voi dite iattanza,

gloria, maestà,

magnanimità,

dica non

e fortezza

degna della protezion del scudo marziale; e di cui l’onte non son indegne d'esser vendicate da questa orribil punta ch’ ha soluto domar uomini e dei. — Abbila pur, soggionse Momo,

in tua mal’ora teco:

perché

tra noi altri dei non

vi

trovarai un altro si bizzarro e pazzo, che, per guadagnarsi una de queste colubre ! e tempestose bestie, voglia mettersi

a rischio

di farsi rompere

il capo.

Marte, non ti rabbiar, Momo, Facilmente

ramente

cosa,

che

Non

te incolerar,

disse il benigno protoparente.

a te, dio de la guerra,

questa



non

si potrà concedere

è troppo

libe-

d'importanza,

se

adulterii, tanti latrocinii, usurpazioni

ed

ne bisogna talvolta, al nostro dispetto, comportar, che con la sola autorità della tua fiammeggiante spada commetti tanti stupri, assassinii.

tanti

Va’

dunque,

che

io insieme

con

gli altri

dei la

commettemo in tutto alla tua libidinosa voglia; sol che non più la facci induggiar qua in mezzo a gli astri, vicina a tante-virtuose

e conduca

dee.

Vada

con

la

sua

catedra

a basso,

la Iattanzia seco. E ceda il luogo alla Sempli-

1 Dal lat. colubra,

ae, t. poet.

come

add.;

qui

non

può

che

(B.

137-8)

(W.

II,

189)

(L.

lett. come

valere

40r-2)

706

sost., ma

infernale.

(GI

II,

122)

non registrato

(G.2

II,

130-1).

DIALOGO

cità,

la qual

declina

dalla

SECONDO

destra

di costei,

che

ostenta

e

predica più di quel che possiede, e dalla sinistra della Dissimulazione la quale occolta e finge di non aver quel ch’ave, e mostra posseder meno di quel che si trova. Questa pedissequa de la Veritade non deve lungi peregrinare dalla sua

regina, benché talvolta la dea Necessitade la costringa di declinare

verso

la Dissimulazione,

inculcata

la Simplicità

o Veritade,

a fine che o per

non

evitar

vegna

altro

in-

conveniente. Questo facendosi da lei non senza modo ed ordine, facilmente potrà essere fatto ancora senza errore e vizio.— Andando la Semplicità per prendere il suo luogo, comparve de incesso sicuro e confidente; al contrario de la Iattanzia e Dissimulazione,

le quali caminano

non senza

téma, come con gli suspiciosi passi e formidoloso aspetto dimostravano. Lo aspetto della Simplicità piacque a tutti gli dei, perché per la sua uniformità in certa maniera rapresenta. ed ha la similitudine del volto divino. Il volto suo è amabile, perché non si cangia mai; e però con quella raggione, per cui comincia una volta a piacere, sempre piacerà; e non per suo, ma per l’altrui difetto aviene che cesse d'essere amata. Ma la Iattanzia, la qual suol piacere, per donare ad intendere di possedere più di quel che possiede, facilmente, quando sarà conosciuta, non solo incorrerà dispiacenza, ma ed oltre, talvolta, dispreggio. Similmente

la Dissimulazione,

per

esser

altrimente

conosciuta,

che come prima si volse persuadere, non senza difficultade potrà venir in odio a colui da chi ! fu prima grata. Di queste dunque l'una e l'altra fu stimata indegna del cielo, e di esser unita a quello che suol trovarsegli in mezzo. Ma non 1 Cfr.

(B.

138-9)

Cand?,

(W.

p.

208,

II, 189-090)

n.

2.

(L. 492-3)

707 ‘19 — G, Bruno, Dialoghi italiani

(G.t II, 122-3)

(G

II, 131).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

tanto la Dissimulazione, di cui talvolta sogliono servirsi anco gli dei; perché talvolta, per fuggir invidia, biasmo ed oltraggio, con gli vestimenti di costei la Prudenza suole occultar la Veritade. Saulino.

È

vero e bene,

o Sofia;

e non

senza

spirto

di

veritade mostrò il Poeta ferrarese, questa essere molto pi conveniente

a gli

omini,

se

talvolta

non

è sconvenevole

a dei: Quantunque

Ripreso,

e dia

Si trova

pur

di

mala

in molte

sia le più

mente

cose

Aver fatti evidenti E danni, e biasmi,

benefici, e morte

In questa

oscura

Ché non Vita

Ma

il simular

vorrei

conversiam assai

mortal,

sapere,

più

tutta

sempre

d'invidia

indici,

volte

e molte aver

con

che

già

tolte;

gli amici

serena

piena !.

o Sofia, in che maniera

intendi

la Sim-

plicità aver similitudine del volto divino. Sofia. suo

con

Per questo, la iattanza,

simulazione.

E

se non

e non

questo

ed apprensione simo,

che la non può

procede

di se stessa; vuol

essere

può

suttraere

dal non

come

altro

aggiongere

che

a l'esser

da quello con

avere

la

intelligenza

quello che è simplicissemplicissimo,

non

in-

tende se stesso. Perché quello che si sente e che si remira, si fa in certo modo

molto, e, per dir meglio, altro ed altro;

perché si fa obietto e potenza, conoscente e conoscibile: essendo che ne l'atto dell’ intelligenza molte cose incorreno in uno. Però quella semplicissima intelligenza non si dice intendere se stessa, come se avesse un atto reflesso

de intelligente ed intelligibile; ma 1 ARIosTO,

(B.

139-40)

(W.

Orl.

II,

fur.,

190-1)

XXIV,

perché è absolutissimo

1.

(L. 493)

708

(G.!

II,

123-4)

(G.2 II,

13x-2).

DIALOGO

SECONDO

e semplicissimo lume, solo dunque se dice intendersi negativamente, per quanto non si può essere occolta. La Semplicità dunque, in quanto che non apprende e non commenta

su

l’esser

suo,

s'intende

aver

similitudine

divina.

Dalla quale a tutta distanza dechina la boriosa Iattanzia. Ma non tanto la studiosa Dissimulazione, a cui Giove fa lecito che talvolta si presente in cielo, e non già come

dea,

ma come tal volta ancella della Prudenza e scudo della Veritade. Saulino. Or vengamo ad considerar quel ch' è fatto di Perseo e della sua stanza. Sofia.



Che

farai,

o Giove,

di questo

tuo

bastardo,

che ti fèsti parturire a Danae? — disse Momo. Rispose Giove: — Vada, se cossi piace al senato intiero (perché mi par che qualche nuova Medusa si trova in terra, che, non meno che quella di già gran tempo, è potente di convertere in selce col suo costei non come

aspetto

mandato

chiunque

la remira),

da un nuovo

Polidette,

vada ma

a

come

inviato da Giove insieme con tutto il senato celeste; e veda

se, secondo la medesima arte, possa superare tanto più orribile quanto più nuovo mostro. — Qua risorse Minerva, dicendo: — Ed io dal mio canto non mancarò d’accomodargli non men commodo scudo di cristallo con cui vegna ad abbarbagliar la vista de le nemiche Forcidi! messe in custodia de le Gorgoni; ed io in presenza voglio assistergli, sin tanto che abbia disciolto il capo di questa Medusa dal suo

busto.



Cossî,

figlia; ed io te impono

disse

Giove,

farai

molto

bene,

questa cura, nella qual voglio che

1 «Ex Phorco et Ceto Phorcides: Pemphredo Enyo Pro hac ultima Dino alii ponunt. Et Gorgones: Sthenno, Medusa»: HvGini Fabulae, ed. Schmidt, p. 11.

(B.

140-1)

(W.

II,

r9r)

mia

(L. 493-4)

799

(G.!

II,

124-5)

(G.2 II,

iChersis Euryale,

132-3).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

t'adopri con ogni diligenza. Ma non vorei che di nuovo faccia, che a danno de gli poveri popoli avenga che per le stille, che scorreranno nuovi

da le vene incise, vegnano

serpenti in terra, dove,

a mal grado

generati

de miseri, vi se

ne ritrovano pur assai e troppo. Però, montato sul Pegaso, che verrà fuori del fecondo corpo di colei, discorra (riparando al flusso de le goccie sanguinose) * non già per l'Africa dove di qualche cattiva Andromeda vegna cattivo: dalla quale, avinta in ferree catene, vegna legato di quelle di diamante; ma col suo destriero alato discorra la mia diletta Europa; ed ivi cerca 2, dove son que’ superbi e mostruosi Atlanti, nemici de la progenie di Giove, da cui temeno che gli vegnan tolte le poma d’oro, che sotto la custodia e serragli de l’Avarizia ed Ambizione tegnono occolte. Attenda ove son altre più generose e più belle Andromede3 che per violenza di falsa religione vegnono legate

ed esposte alle marine belve. Guarde se qualche violento Fineo, constipato dalla moltitudine di perniciosi ministri, viene ad usurparsi i frutti dell’altrui industrie e fatiche. Se

qualche

numero

de

ingrati,

ostinati

ed

increduli

Poli-

detti vi presiede, facciasegli a il specchio tutto animoso innante, presentegli agli occhi ove possono remirar il suo fedo ritratto, dal cui orrendo aspetto impetrati perdano

ogni perverso senso, moto —

Bene

conveniente

ordinato

che

e vita 4. —

il tutto, dissero gli dei. Perché è cosa

gionto

ad Ercule,

che

col braccio

della

1 Cfr. Ovipio, Metamm., IV, 618-19. Non occorre avvertire che da Ovidio il B. attinge qui i particolari della favola di Perseo. ? B. usa scambiare il pr. indic. col cong. (Cend., p. LvIN). Cir. appresso, p. 716, n. 1. 3 BW: Cassiopee. 4 Cfr.

(B.

141-2)

Ovipio,

(W.

II,

Metamm.,

191-2)

(L.

V,

248-49.

494)

710

(G.!

II,

125-6)

(G.?

II,

133-4).

DIALOGO

SECONDO

Giustizia e bastone del Giudicio è fatto domator de le corporee forze, compaia Perseo, che, col specchio luminoso della * dottrina e con la presentazion del ritratto abominando

de

la scisma?

ed eresia,

alla perniciosa

conscienza

de gli malfattori ed ostinati ingegni metta il chiodo, togliendoli l’opra di lingua, di mani e senso. — Saulino.

Venite

ora,

Sofia,

a chiarirmi

di

quello

ch’ è

ordinato a succedere a la piazza onde fece partenza costuì. Sofia. Una virtude in abito e gesti niente dissimile a costui, che si chiama

Diligenza,

over Sollecitudine;

la qual

ha ed è avuta per compagna da la Fatica, in virti della quale Perseo fu Perseo, ed Ercole fu Ercole, ed ogni forte e faticoso è faticoso e forte; e per cui il pronepote d’Abante av’ intercetto alle Forcidi il lume, il capo a Medusa, il pennato destriero al tronco busto, le sacre poma al figlio di Climene ed Tapeto, la figlia di Cefeo ed Andromeda al Ceto, difesa la moglie dal rivale, revista Argo sua patria, tolto

il regno

a

Preto,

restituito

quello

a Crisio

fratello,

vendicatosi su l’ ingrato e discortese re de l'isola Serifia; per cui, dico, si supera ogni vigilanza, si tronca ogni adversa occasione, si facilita ogni camino ed accesso, s'acquista ogni tesoro, si doma ogni forza, si toglie ogni cattività, s'ottiene ogni desio, si defende ogni possessione, si gionge ad ogni porto, si deprimeno tutti adversarii, si esaltano tutti amici e si vendicano tutte ingiurie; e finalmente sì viene ad ogni dissegno. Ordinò dunque Giove, e questo ordine approvàro tutti dei, che la faticosa e dili1 Nella

2 Fem.

(B. 143-4)

mia

prima

(W.

II, 192)

dal sec.

ediz.,

XIV

non

al XVII.

bene:

(L. 494-5)

ZII

(GA

de

dottrina.

II, 126)

(G.? II, 134-5).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

gente Sollecitudine si facesse innante!. Ed ecco che la comparve, avendosi adattati gli talari de l' impeto divino con

gli quali

le blande diose,

calpestra

carezze

tentano

de

il sommo

bene

le voluttadi,

di ritardarla

dal

populare,

che,

corso

come de

spreggia

Sirene

insi-

che

la ri-

l’opra

cerca ed aspetta. Appigliatasi con la sinistra al scudo risplendente

dal

suo

fervore,

che

di

stupida

maraviglia

ingombra gli occhi desidiosi ed inerti; compresa con la destra la serpentina chioma di perniciosi pensieri, a’ quai sottogiace quell’orribil capo, di cui l' infelice volto da mille passioni

di sdegno,

d' ira, di

spavento,

di terrore,

di abo-

minio, di maraviglia, di melancolia e di lugubre pentimento disformato, sassifica ed instupisce chiunque v’affigge gli occhi; montata su quell’aligero cavallo della studiosa perseveranza,

con il quale,

a quanto

si forza, a tanto

arriva e giunge, superando ogni intoppo di clivoso monte, ritardamento di profonda valle, impeto di rapido fiume, riparo di siepe densissime e di quantunque grosse ed alte muraglia. Venuta dunque in presenza del sacrosanto senato,

udi dal sommo preside queste paroli: — Voglio, o Diligenza, che ottegni questo nobil spacio nel cielo; perché tu sei quella che nutri con la fatica gli animi generosi. Monta, supera e passa con uno spirto, se possibil fia, ogni sassosa e ruvida montagna. Infervora tanto l’affetto tuo, che non solo resisti e vinci

te stessa,

difficultade, perché

non

ma,

ed oltre,

abbi

cossf la fatica non

medesimo

nessun

grave

non

sentimento

abbi del

senso

tuo

della tua

esser

fatica;.

deve esser fatica a sé, come

è grave.

Però

non

sarai

1 « Excellente discorso de la Solicitudine e de le sue bone pagne per 4 fogli» (Post. napol.).

a se

degna com-

(B. 144-5) (W. II, 192-3) (L. 495) (Gt IT, 126-7) (G.2 II, 135).

712

DIALOGO

fatica,

se

talmente

non

SECONDO

vinci

te stessa,

che

non

essere quel che sei, fatica; atteso che, dovunque

ti stimi

hai senso

di te, non puoi essere superiore a te; ma, se non sei depressa

o suppressa, vieni al meno ad essere oppressa da te medesima. La somma perfezione è non sentir fatica e dolore, quando si comporta fatica e dolore 1. Devi superarti con quel

senso

luttà

di

dico,

voluttà,

la

quale,

che se

non fusse

sente

voluttà;

naturalmente

quella buona,

vonon

verrebe dispreggiata da molti, come principio di morbi, povertade e biasimo. Ma tu, Fatica, circa l’opre egregie sii voluttà e non

fatica a te stessa;

vegni,

dico,

ad esser una

e medesima cosa con quella, la quale fuor di quelle opre ed atti virtuosi sia a se stessa non voluttà, ma fatica intolerabile. Su dunque, se sei virti, non occuparti a cose basse, a cose frivole, a cose vane. Se vuoi esser là dove il polo sublime della Verità ti vegna verticale, passa questo Apennino,

monta

queste

Alpi,

varca

questo

scoglioso

Oceano,

supera questi rigorosi Rifei, trapassa questo sterile e gelato Caucaso, penetra le inaccessibili erture, e subintra quel felice circolo, dove il lume è continuo e non si veggon mai tenebre né freddo, ma è perpetua temperie di caldo e dove eterna ti fia l'aurora o giorno. Passa dunque tu, dea Sollecitudine o Fatica; e voglio (disse Giove) che la difficultade ti corra avanti e ti fugga. Scaccia la Disaventura, apprendi la Fortuna pe’ capelli; affretta, quando meglio ti pare, il corso della sua ruota; e quando ti sembra bene, figigli il chiodo, acciò non scorra. Voglio che teco vegna la Sanità, la Robustezza, l’ Incolumità. Sia tua scudiera la Diligenza I L'anonimo

questo

(B.

periodetto,

145-6)

(W.

postillatore

II,

giustamente

sottolineandolo.

193)

(L.

495-6)

713

(G.1

richiama II,

127-8)

l’attenzione (G.?

II,

su

135-6).

SPACCIO

e tuo con

DE

antesignano

BESTIA

TRIONFANTE

sia l’ Esercizio.

le munizioni

l'animo,

LA

sue,

e, se vuoi,

che

Bene

son

Sieguati

Bene

del

de la fortuna;

l’ Acquisizione

corpo,

Bene

de

e di questi voglio

che più sieno amati da te quei che tu medesima hai acquistati, che altri che ricevi d'altrui:

non

altrimente che una

madre ama pi li figli, come colei che più le conosce per suoi. Non voglio che possi dividerti; perché, se ti smembrarai, parte occupandoti a l'opre de la mente e parte a l'oprazioni del corpo, verrai ad esser defettuosa a l'una e l’altra parte; e se più ti addonarai a l'uno, meno prevalerai ne l’altro verso: vegni dino

ad

essere

se tutta inclinarai in cose

a l’ Occasione,

o con cenno

a cose materiali,

intellettuali,

che quando

e per

l’ incontro.

fia mestiero,

o con silenzio quella

Incomodità,

collare,

che

e quando

ti avertiscano si

denno

poner

le

0!

ti esorti,

alla Comodità

quando gii

Or-

ad alta voce

chiamatati,

o ti alletti, o ti inciti, o ti sforze. Comando ed

nulla

si possano sarcine 2,

accomo

talor quando è necessario transnatare. Voglio che la Dili-

genza ti toglia ogni intoppo; la Vigilanza ti farà la sentinella guardando circa în circa, a fin che cosa non ti s'appresse all’ improviso; che la Indigenza ti averta dalla Sollecitudine e Vigilanza circa cose vane; la quale se non sarà udita da te, succeda al fine la Penitenza, la qual ti faccia esperimentar che è cosa più laboriosa aver menate le braccia

vacue, che con le mani piene aver tirati sassi. Tu con gli piedi della Diligenza, quanto puoi, fuggi e ti affretta, pria ! B: chiamai, tà o (té d (cir. Lac., p. 496 nota)); W: chiami, ella 0; L: chiamai, lè o (ld 0); GL: chiami; la o.... Il refuso parve insanabile.

che (B.

dia

un

La

correzione,

senso

2 Pesi,

carichi.

146-7)

(W.

II,

proposta

chiaro

e richiesto

193-4)

(L. 496-7)

Latinismo.

714

ora,

dal

(G.!

è una

delle poche

contesto. II,

128-09)

(G.3 II,

possibili

136-7).

DIALOGO

x

SECONDO

che Forza maggior intervegna e toglia la Libertade over porga forza ed armi alla Difficultade. — Cossi la Sollecitudine, avendo ringraziato Giove e gli altri, prende il suo camino e parla in questa forma: — Ecco, io Fatica muovo gli passi, mi accingo, mi sbraccio. Via da me ogni torpore, ogni ocio, ogni negligenza, ogni desidiosa

acedia !,

fuori

ogni

lentezza!

Tu,

Industria

mia,

proponite avanti gli occhi della considerazione il tuo profitto, il tuo fine. Rendi salutifere quelle altrui tante calunnie,

quelli

altrui

tanti

frutti

di malignitade

ed invidia,

e quel tuo raggionevole timore che ti cacciàro dallo tuo natio albergo, che ti alienàro da gli amici, che ti allontanàro dalla patria, e ti bandîro a poco amichevole contrade. Ta', Industria mia, meco glorioso quello essilio e travagli, sopra la quiete, sopra quella patria tranquillitade, commoditade e pace. Su, Diligenza, che fai ? perché tanto ociamo e dormiamo

vivi, se

tanto

tanto

doviamo

ociar

e dormire

in morte? Atteso che, se pur aspettiamo altra vita o altro modo

di

esser

noi,

siamo

al presente;

non

sarà

percioché

quella

nostra,

come

de

chi

questa,

senza sperar giamai

ritorno, eternamente passa. Tu, Speranza, che fai, che non

mi sproni, che non m' inciti? Su, fa’ ch'io aspetti da cose difficili

exito

salutare,

se non

mi

affretto

avanti

tempo

e

non cesso in tempo; e non far ch'io mi prometta cosa per quanto

viva,

sempre

assistente,

nume

che

da

sieno

bene,

P. 741.

147-8)

(W.

per

quanto

a fine ch'io

e che

caggione

! Latinismo:

(B.

ma

non

viva.

non

tente cose indegne

stenda

di maggior

accidia; II,

ben

194)

(L.

715

le mani

negocio.

la qual 497)

Tu,

(G.!

ultima II,

Zelo,

a quei

Amor

(G2

di

negocii

di gloria,

f. appresso,

129)

siimi

II,

come 137-8).

a

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

presentami avanti gli occhi quanto sia brutto a vedere, e cosa turpe di esser sollecito della sicurtà nell'entrata e principio del negocio. Sagacità, fa’ che da le cose incerte e dubie non mi retire, né volte le spalli, ma da quelle pian piano mi discoste in salvo. Tu medesima (acciò ch'io non sia ritrovata da nemici, ed il furor di quelli non mi s'avente sopra) confondi, seguendomi, gli miei vestigi. Tu mi fa menar gli passi per vie distanti da le stanze de la Fortuna, perché la non ha lunghe le mani, e non può occupar se non quelli che gli son vicini, e non essagita se non color che si trovano dentro ia sua urna. Tu farai ch' io non

tente cosa,

se non quando attamente posso; e fammi nel negocio pit cauta che forte, se non puoi farmi equalmente cauta e forte. Fa' ch' il mio lavoro sia occolto e sia aperto: aperto, acciò che non ogniuno il cerca ! ed inquira; occolto, acciò che non tutti, ma pochissimi lo ritroveno. Perché sai bene che le cose occolte sono investigate, e le cose inserrate convitano gli ladroni.

Oltre,

quel che appare,

è stimato

vile, e l'arca

aperta non è diligentemente ricercata, ed è creduto poco preggiato quello che non si vede con molta diligenza messo in custodia.

Animosità,

quando

la

mancar

sovente

Tu

difficultà

ne

cede

con la voce del tuo vivace fervore,

mi

preme,

d’ intonarmi malis,

sed

oltraggia,

e resiste,

non

a l'orecchio quella sentenza:

contra

audentior

ito 2,

Tu, Consultazion, mi farai intendere quando mi conviene sciòrre o rompere la mal impiegata occupazione; la qual degnamente prenderà la mira non ad oro e facul-

(B.

1 V. sopra, * ViIrciILIO,

p. 710, n. 2. Aen., VI, 95.

148-9)

II,

(W.

194-5)

(L. 497-8)

716

(G.!

II,

129-30)

(G.2

II,

138).

DIALOGO

SECONDO

tadi da volgari e sordidi ingegni; ma a que’ tesori che meno ascosi e dispersi dal tempo, son celebrati e colti nel campo de l'eternitade; a fin che non si dica

di noi, come di quelli:

meditaniur sua stercora scarabaei. Tu, Pazienza, confirmami, affrenami

ed administrami

è sorella

la Desidia,

ma

quel tuo quello

Ocio

che

eletto,

è fratello

a cui non de la Tole-

ranza. Mi farai declinar dall’ inquietudine ed inclinare alla non

curiosa

Sollecitùdine.

Allora

mi

negarai

il

correre,

quando correr mi cale dove son precipitosi, infami e mortali intoppi. Allora non mi farai alzar l'ancora e sciérre la poppa dal lido, quando aviene che mi commetta ad insuperabile turbulenza di tempestoso mare. Ed in questo mi donarai ocio di abboccarmi con la Consultazione, la quale mi farà guardar prima me stessa; secondo, il negocio ch' ho da fare; terzo, a che fine e perché; quarto, con quai circonstanze;

quinto,

quando;

sesto,

dove;

settimo,

con

cui.

Amministremi quell’ocio con cui io possa far cose pi belle, più buone e più eccellenti che quelle che lascio; perché in casa

de

l’ Ocio

siede

il Conseglio,

ed ivi della vita

beata,

meglior che in altra parte, si tratta. Indi megliormente si contemplano le occasioni; da là con pit efficacia e forza si può uscire al negocio, perché, senza esser prima a bastanza posato, non è possibile di posser appresso ben correre. Tu, Ozio, mi administra, per cui io vegna stimato manco ocioso che tutti gli altri; percioché per tuo mezzo accaderà, che io serva a la republica e defension de la patria più con la mia voce ed esortazione, che con la spada, lancia e scudo

il soldato,

me tu, generoso

il tribuno,

l’imperatore.

ed eroico e sollecito Timore;

Accòstati

a

e con il tuo

stimolo fa’ che io non perisca prima dal nùmero de gl’ illustri che dal numero de vivi. Fa' che prima che il torpore (B. 149-51)

(W.

II, 195-6)

(L. 498-9)

717

(G.! II, 130-1)

(G.2 II, 138-39).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

e morte mi tolga le mani, io mi ritrove talmente provisto che non mi possa togliere la gloria de l’opre. Sollecitudine,

fa’ che sia finito il tetto prima che vegna la pioggia; fa’ che si ripare a le fenestre pria che soffieno gli Aquiloni ed Austri di lubrico ed inquieto inverno. Memoria del bene adoperato corso della vita, farai tu che la senettute e morte

pria mi tolga che mi conturbe l’animo. Tu, Téma di perdere la gloria acquistata ne la vita, non mi farai acerba, ma cara e bramabile la vecchiaia e morte. —

Saulino. Ecco qua, o Sofia, la' più degna ed onorata ricetta per rimediar alla tristizia e dolor che apporta la matura

etade,

ed all’ importuno

terror de la morte

che da

l'ora, che abbiamo uso di sensi, suol tiranneggiar il spirto de gli animanti. Onde ben disse il nolano Tansillo !: E

Godon? quei, ad

alte

Le staggion

imprese

liete,

Cadon su i colli Non han di che

Cangiando Non

ha

che

non

non

son

fùr

ingrati

freddi

allor che neve

al cielo,

e rudi;

e gielo

d’erbe e di fior nudi, dolersi, ancor che, pelo

e volto, cangin

l'agricoltor

vita e studi.

di che

si doglia,

Pur ch'al debito tempo il frutto coglia 3.

I Non è casuale la memoria del Tansillo sulle labbra del Savolino, nolano anche lui, qui come appresso, a p. 746. ? Da qui Ia numerazione delle pagine sbagliata, perché abbiamo di nuovo 150 @ ISI, poi 154 e 155, in fine ancora 154. Il curioso è che, nell’errata, B. aggrava la confusione, scambiando la p. 156 con la 164. Tutto ciò prova la frettolosità con cui egli stampava. 3 TansILLO, I/ vendemmiatore, st. 5* (ed. Flamini, p. 53). Ma il testo tansilliano diceva: E

Tutte non

le donne

hanno

qual

che

voi

son

grate

rigidi

al Cielo,

i cuori,

Vivon contente; e poi che neve e gelo Copron la terra in vece d'erbe e fiori, Ancor'che col piacer cangino il pelo,

Nuovo pensier non han che l'addolori: Non ha l'agricoltor ecc. (B.

151-[2]))

(W.

II,

196)

(L. 499)

718

(G.I

II,

131-2)

(G.? II,

139-40).

DIALOGO

Sofia.

Assai

ben

detto,

SECONDO

Saulino.

Ma

è tempo

che

tu ti

retiri; perché ecco il mio tanto amico nume, quella grazia tanto

desiderabile,

quel

volto

tanto

spettabile

da la parte

orientale mi s’avicina. Saulino.

Bene

dunque,

mia Sofia, domani

a l’ora solita,

se cossi ti piace, ne revederemo. Ed io in questo mentre andarò a delinearmi quel tanto che oggi ho udito da te, a fine che megliormente la memoria de tuoi concetti possa, quando

fia

bisogno,

rinovarmi,

e più

comodamente

per

l'avenir far di quella partecipe altrui :. Sofia. Maraviglia, che con più del solito frettolose piume mi viene a l' incontro; non lo veggio venir, secondo la sua consuetudine,

mente

con

tamente

scherzando

col caduceo

l’ali l’aria liquidissimo.

negocioso.

e battendo

Parmi

vederlo

si vaga-

turba-

Ecco, mi rimira, e talmente ha ver’ me

conversi gli occhi che fa manifesto l’ansioso pensiero non pender da mia causa. Mercurio. Propizio ti sia sempre il fato, impotente sia contra di te la rabbia del tempo, mia diletta e gentil figlia e sorella ed amica. Sofia. Che cosa, o mio bel dio, ti fa si turbato in vista,

benché al miò riguardo non mi sei men ch'altre volte liberale di tua tanto gioconda grazia? perché ti ho veduto venir come in posta, e più accinto di andar e passar oltre che disposto de dimorar alquanto meco ? Mercurio. La caggion di questo è che sono in fretta mandato da Giove a proveder e riparar a l’ incendio che ha cominciato a suscitar la pazza e fiera Discordia = in questo Regno

Partenopeo.

1 Si dà qui la spiegazione ® Per

i colori

con

cui

del titolo,

è qui

descritta

nel frontespizio. l’opera

della

Discordia,

(B. 15[2]-[3]) (\W. II, 196-7) (L. 499-500) (G.! JI, 132-3) (G.= II, 140-1).

719

SPACCIO

Sofia.

In

che

DE

LA

BESTIA

maniera,

o

TRIONFANTE

Mercurio,

questa

pestifera

Erinni * s’ è da là de le Alpi ed il mare aventata a questo nobil paese ? Mercurio. Dalla stolta ambizione e pazza confidenza d'alcuno è stata chiamata;

con assai liberali, ma non meno

incerte promesse è stata invitata; da fallace speranza è stata commossa; è aspettata da doppia gelosia, la quale nel popolo adopra il voler mantenersi nella medesima libertade

più

in cui

arcta

tutto,

è stato

servitude;

per

aver

sempre,

nel

voluto

ed

il temer

prencipe

abbracciar

di subintrar

il suspetto

di perder

troppo.

Sofia. Che cosa è primo origine e principio di questo? Mercurio. La grande avarizia che va lavorando sotto

pretesto

di voler mantener

la Religione ?.

più che l' Eneide, VI, 273 (e segg.: al v. 280 Discordia demens) e il Furioso, XIV, 83, si vuol ricordare il Ba/dus del FoLENGO (mac. XXIV). 1 Le guerre di religione, a cui l’ Italia era rimasta sempre estranea. 2 Ecco un saggio d' interpetrazione materialistica della storia. Infatti il tentativo, che fece nel 1547 D. Pietro da Toledo (e al quale pare a me, come allo SPAMPANATO,

G. Bruno e la letteratura dell'Asino,

Portici, 1904, pp. 105 sgg., che qui il B. alluda), per introdurre nel Napoletano 1’ Inquisizione di Spagna, donde la sollevazione del

popolo del 17 maggio di quell’anno e i disordini che ne seguirono per due mesi, terminò in un'amnistia pagata agli Spagnuoli con 100 mila ducati. — Lo Spampanato immagina che il B. conoscesse

quei

casì «per

averli intesi narrare

le mille volte,

e minutamente,

dopo il 1578, a Ginevra, da un profugo napoletano che fu suo benefattore e amico, il marchese Galcazzo Caracciolo (BERTI, Vita:, 90-4) ». Certo,

anche

senza

i racconti

del Caracciolo,

il B.

poté

aver

sentito parlare degli avvenimenti del '47 già a Napoli, prima della sua fuga. — È fuor di dubbio che mal s'appose il FIorENTINO (Studi e ritratti; pp. 349-51), cercando in questo importante luogo dello Spaccio

un

accenno

a fatti

contemporanei

alla composizione

stessa

di questi dialoghi. Che il B. non si ritenesse obbligato a far coinci-

dere il tempo dell’azione con quello della sua composizione lo dimostrano apertamente tuttii particolari di pp. 633-7, che ci trasportano come osscrvai (p. 639, in nota) agli anni intorno al 1560. Il B., nella

(B.

15[3]-[41)

(W.

II

197)

(L.

500)

720

(G.!

II,

133)

(G.2 II,

141).

DIALOGO

SECONDO

Sofia. Il pretesto in vero mi par falso; e se non m' in-

ganno, è inexcusabile: perché non si richiede riparo o cautela dove nessuna ruina o periglio minaccia, dove gli animi son tali quali erano, ed il culto di quella dea non cespita in queste come in altre parti !. Mercurio. ma

alla

E

quando

Prudenza

ciò

fusse,

e Giustizia

non

tocca

di rimediarvi;

a l’Avarizia, perché

ecco,

che quello ha commosso il popolo a furore, ed a la occasione pare aver tempo d’invitar gli animi rubelli a non tanto defendere la giusta libertà, quanto ad aspirar ad ingiusta licenza,

tumace

e governarsi

libidine,

a cui

secondo

sempre

fu

la perniciosa e con-

prona

la

moltitudine

bestiale.

Sofia. Dimmi, se non ti è grave, in che maniera dite che l’Avarizia vuol rimediare? Mercurio. Aggravando gli castighi de delinquenti, di sorte che della pena d'un reo vegnano equalmente parte-

sua abituale negligenza dei dettagli, non si è curato di fissare stabilmente una certa data alla sua azione drammatica. Ed ha ragione lo Spampanato di notare che i particolari della sommossa napoletana del maggio 1585 contro l’incetta dei grani, fatta dal Viceré d' Ossuna, non corrispondono se non in parte (e in piccolissima

parte)

agli accenni

dello Spaccio:

mentre

vi corrispondono

abbon-

dantemente le notizie dei fatti del 1547; ed è notabile l’allusione, che il medesimo SpaMP. non dimentica nella Vita (p. 257, n. 2), ad uno dalla cui «stolta ambizione e pazza confidenza è stata chia-

mata

questa

pestifera Erinni»

nel Regno,

il Principe

D.

Ferrante

Sanseverino. Cade quindi l’induzione del Fiorentino, che «il maggio del 1585 il B. era appena arrivato alla fine del secondo dialogo ». 1 Anche il SUMMONTE, storico quasi contemporaneo, nella

Historia della città e del Regno di Napoli (Napoli, Raimondi e Vivenzio, 1749, t. V, pp. 280-1), contro l' inopportunità del disegno del Toledo, osservava che Napoli uè stata sempre religiosissima » e pura di « macchia alcuna di eresia ». (B.

15[4))

(W.

II,

197)

(L.

500)

721

(G.!

II,

134)

(G.2

II,

142-3).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

cipi molti innocenti, e tal volta

TRIONFANTE

gli giusti; e con ciò vegna

a farsi sempre più e più grasso il prencipe*. Sofia. È cosa naturale che le pecore ch’ hanno

per governatore, vegnano

il lupo

castigate con esser vorate da lui.

Mercurio. Ma è da dubitare che qualche volta sia sufficiente la sola cupa fame ed ingordiggia del lupo a farle colpevoli. Ed è contra ogni legge, che per difetto del padre, vegnano multati gli agnelli e la madre, Sofia. È vero che mai ho trovato tal giudizio se non tra’ fieri barbari,

e credo

che

prima

fusse

trovato

tra’

per esser quella una generazione tanto pestilente,

Giudei,

leprosa e

generalmente perniciosa, che merita prima esser spinta che nata 2. Si che,

per venire

al nostro

proposito,

questa

è la

caggione che ti tien turbato, suspeso, e per cui fia mestiero che subito mi lasci? Mercurio. Cossi è; ho voluto far questo camino per convenirti prima che giunga a le parti, dove ho drizzato il volo,

per non farti vanamente

aspettare, e non mancar a la pro-

messa che feci ieri. A Giove ho mosso qualche proposito de casi tuoi, e lo veggio più ch'al solito inchinato a compiacerti. Ma per quattro o cinque giorni, ed oggi tra gli altri,

«non

io non

ho

ocio

t E il Summonte tanto

per

l'onor

di trattar

conferma di Dio,

e conferir

che si volevano

quanto

per

teco

quello

che

i processi ereticali

cavarne

le severe

confi-

scazioni delle robe ». Gli stessi concetti del B. e del Summonte erano stati già espressi da T. Tasso nel suo dial. Del piacere onesto (pubbl.

nella primavera del 1583), come ha mostrato lo SPAMPANATO, Postille, p. 314. 2 Spinta, spenta (v. sopra, p. 663, n. 1; e appresso, a p. 724). Ter

l'odio

di

B.

contro

gli Ebrei

cfr. la Cabala,

p.

867,

Spaccio, pp. 616, 787 e 799-800; cfr. anche BRUNNHOFER,

tanschauung Conferenza,

u.

Verhdngniss,

di T. Campanella, (BD. 15(4]-5)

Lpz.

pp. 53-4; LAGARDE,

p. 201.

(W. IT, 197-8)

1882,

p. 794;

(L. 500-1)

722

pp.

222-3;

FELICI,

e lo stesso

G. B.s Wel.

Tocco,

G. B.,

Le dottr. filos. velig.

(G.! IT, 134-5)

(G.2 IT, 143).

DIALOGO

SECONDO

doviamo negociare in proposito de l’instanza che devi fare; però arai pazienza in questo mentre, atteso che meglio è trovar Giove ed il senato feriante da altri impacci, che in quella maniera che puoi credere che sia al presente. Sofia. Mi piace l’aspettare, perché con questo che la cosa verrà proposta più tardi, potrà anco megliormente essere ordinata. Ed a dire il vero, io in gran fretta (per non mancar il mio dovero per la promessa che ti avevo fatta di commetterti oggi la richiesta) non ho possuto satisfar a me

medesima,

atteso

che

penso

che

le cose

denno

essere

esposte più per particolare che non ho fatto in questa nota; la quale ecco vi porgo, perché veggiate (se vi occorrerà ocio per il camino) la somma de le mie querele. Mercurio. Io vedrò questa; ma voi farrete bene di servirvi della commodità di questo tempo per far più lungo e distinto memoriale, a fine che si possa a pieno provedere al tutto. Io adesso per la prima, per confondere la forza, voglio andar a suscitar l'Astuzia '; acciò che gionta a l’ Inganno,

dettar

possa

una

lettera

di

tradimento

contra

la

pretenduta ambiziosa Ribellione; per la qual finta lettera si diverta l'éempito maritimo= del Turco 3, ed obste al Gal1 « Nell'anno

1558

alla politica

di Alba in unione

con

l'astuto

papa Paolo IV riusci di prevenire lo scoppio di una guerra pericolosa

per il dominio spagnuolo nell'Italia meridionale in Francia»: KUHLENBECK, p. 342, n. 191. (La traduz. del G., specie nell'ultima parte, non è molto chiara. Il KuHLENBECK dice: «Im Jahre 1558 gelang es der Staatskunft Albas in Verbindung mit dem liftigen Papste Paul IV., der Entwicklung eines fùr die spanische Herrschaft

in Unteritalien gef4hrlichen Krieges mit Frankreich vorzubeugen. ») 2

(G!

= L:

marilimo;

G?:

marittimo)

3 «I turchi inquietavano in quel tempo non di rado con la loro flotta le coste dell’ Italia meridionale e anche le città marittime fortificate, Nel 1558 da loro fu saccheggiata Sorrento» (KUHLENB.,

P. 342, (B.

n.

192).

155-6)

(W.

Cosi per il cenno

susseguente

II,

(G.1

198)

(L.

501)

723 50



G,

Brumno,

Diuloghi

italiuni

II,

del « gallico

135-0)

(G

II,

furore»

143-4).

SPACCIO

lico

furore

ch'a

DE

LA

lunghi

BESTIA

passi

da

TRIONFANTE

qua

de

l’Alpi

per

terra

s'avicina 1. Cossi per difetto di Forza si spinga l’ardire, si tranquille il popolo, s’assicure il prencipe, ed il timore spinga la sete de l'Ambizione ed Avarizia senza bere. E con ciò al fine vegna richiamata la bandita Concordia, e posta nella sua catedra la Pace, mediante la confirmazione

dell’antiqua Consuetudine di vivere, con abolizione di perigliosa ed ingrata Novitade. Sofia.

felicemente

Va

dunque,

vegnano

mio

Nume,

adempiti

e

piaccia

al

i tuoi dissegni,

fato

che

perché

non

vegna la mia nemica guerra a turbar il stato mio, non meno

che quel de gli altri. Fine

del

secondo

dialogo.

lo stesso KUHLENN., p. 342, n. 193. « Enrico II di Francia minacciava nel 1558 una invasione nel Regno di Napoli ». Anche posteriormente, sotto il medesimo Enrico II, la minaccia non si può dire fosse cessata. Perché informava da Praga nel 15 luglio 1575 Uberto Languet, come ebbe a rilevare lo SPamP. (Vita, p. 256, n. 5): « Scribunt etiam quidam ex Italia Regem Galliae egisse cum Turcico Imperatore, ut mittat ciassem in mare Tyrrhenum ad reprimendos

conatus Hispanorum:

et ob eam

quinquaginta triremes ». 1 Secondo il B., dunque,

l’aiuto dei Turchi,

di terra.

(B.

156)

(W.

II,

dalla parte

198)

(L.

instrui Constantinopoli centum

gl’insorti

di

Napoli

del mare,

e della Francia,

sor)

II,

724

(G.I

136)

(G.2

et

aspettavano

dalla parte

II,

144-5).

DIALOGO

Sofia.

Non

fia mestiero,

TERZO

Saulino,

di farti intendere

per

il particolare tutti que’ propositi che tenne la Fatica, o Diligenza, o Sollecitudine, o come la volete chiamare (perché ha più nomi che non potrei farti udire in una ora); ma non voglio passar con silenzio quello che successe subito che colei con le sue ministre e compagne andò a prendersi il loco là dove dicevamo essere il negocioso Perseo. Saulino. Dite, che io vi ascolto.

Sofia. Subito (perché il sprone dell'Ambizione sovente sa spingere ed incitar tutti eroici e divini ingegni, sin a questi dei compagni Ocio e Sogno) avenne che non ociosae sonnacchiosamente, ma solleciti e senza dimora, non si tosto la Fatica e Diligenza disparve, che essi vi furono visti presenti.

Per il che

disse Momo:



Liberaci,

Giove,

da fastidio, perché veggio aperto che ancora non mancaranno garbugli dopo l’espedizione di Perseo, come n'abbiamo avuti tanti dopo quella d’ Ercole. — A cui rispose Giove: — L’ Ocio non sarrebe Ocio, ed il Sonno non sarrebe Sonno, se troppo a lungo ne dovessero molestare per troppa diligenza o fatica che

debbano

prendere;

perché

quella è

discostata da qua, come vedi; e questi son qua solo in virti privativa nemica.

che —

consiste

Tutto

nell'absenza

de

la lor opposita

passarà bene, disse Momo,

se non ne fa-

(B. [157)-8) (W. II, 199) (L. 502) (G.! II, [137]) (G.* II, [146)).

725

e

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

ranno

tanto ociosi e lenti, che per questo giorno non pos-

siamo

definire di quello che si deve

principale.



a farsi udire:

conchiudere

circa il

Cominciò, dunque, l’ Ocio in questa maniera —

Cossf l' Ocio, o dei, è talvolta malo, come

la Diligenza e Fatica è più de le volte mala: cossi l’ Ocio il più de le volte è conveniente e buono,

come le sue volte

è buona la Fatica. Non credo dunque, se giustizia tra voi si trova, che vogliate negarmi equale onore, se non è debito che mi stimiate manco degno. Anzi per raggione mi confido di farvi capire (per causa di certi propositi che ho udito allegare in lode e favore della diligenza e negocio) che

quando

saremo

comparazione,

posti

nel

bilancio

della

raggionevole

se l’ Ozio non si trovarà equalmente

buono,

si convencerà di gran vantaggio megliore, di maniera che non solo non la mi stimarete equalmente virtude, ma, oltre,

contrariamente vizio. Chi è quello, o dei, che ha serbata 1 la tanto lodata età de

l'oro *?

chi

l’ ha

instituta,

chi

l’ ha

mantenuta,

altro

che la legge de l’' Ocio, la legge della natura? Chi 1’ ha tolta via? chi l’ha spinta quasi irrevocabilmente dal mondo,

altro

che

l'ambiziosa

Sollecitudine,

la

curiosa 3

Fatica ? Non è questa quella ch' ha perturbato gli secoli, ha messo in scisma il mondo e 1’ ha condotto ad una etade ferrigna

e lutosa

ed argillosa,

avendo

posti

gli popoli

in

ruota ed in certa vertigine e precipizio, dopo che l’ ha sullevati in superbia

e gloria

d'un

ed amor

particolare?

di novità,

Quello

e libidine de l’onore

che,

in sustanza,

non

dissimile a tutti, e tal volta, in dignitade e merito, è infimo I BL:

serbata;

WGI:

servata.

® Cfr. Cabala, p. 855. 3 Nel senso etimologico

(da cura, -ae): diligente, che si dà pena.

(B. 158-9) (W. II, 199-200) (L. 502-3) (G.!II, [137]-8) (G. II, [146]-7).

726

DIALOGO

TERZO

a que’ medesimi, con malignitade è stato forse superiore a molti, e però viene ad essere in potestà di evertere le leggi de la natura, di far legge la sua libidine, a cui servano mille querele, mille orgogli, mille ingegni, mille sollecitudini, mille di ciascuno de gli altri compagni, con gli quali cossi boriosa è passata avanti la Fatica; senza gli altri che sotto

le vesti di que’ medesimi coperti ed occolti non son apertamente

giti,

come

l’Astuzia,

d'altri,

la

Violenza,

la

la Vanagloria,

Malizia,

la

il Dispreggio

Fizione

e

gli

seguaci

loro che non son passati per la presenza vostra; quai sono Oppressione, Usurpazione, Dolore, Tormento, Timore e Morte; li quali son gli executori e vendicatori mai del quieto Ocio, ma sempre della sollecita e curiosa Industria, Lavoro,

Diligenza,

Fatica;

e cossi

di tanti

altri

nomi,

di

quanti, per meno essere conosciuta, se intitula, e per quali più tosto si viene ad occoltare che a farsi sapere. Tutti

lodano

la bella

età

de

l'oro,

ne

la quale

facevo

gli animi quieti e tranquilli, absoluti da questa vostra virtuosa dea; a gli cui corpi bastava il condimento de la fame a far più suave e lodevol pasto le ghiande, le castagne,

le persiche

e le radici,

administrava 1, quando

che

li pomi,

la benigna

con tal nutrimento

natura

meglio

le nu-

triva, più le accarezzava e per più tempo le manteneva

in

vita, che non possano far giamai tanti altri artificiosi condimenti di

ch’ ha ritrovati I’ Industria

costei;

li

quali,

amministrano

come

ingannando cosa

dolce

ed il Studio,

il gusto il

ed

veleno;

ministri

allettandolo, e

mentre

son

prodotte più cose che piaceno al gusto, che quelle che giovano al stomaco, vegnono a noiar alla sanità e vita, mentre 1 Cfr.

(B.

Ovipio,

159-(60]))

(W.

Metamm.,

II, 200)

I,

103-0.

(L. 503) (G.!

727

II,

138-9)

(G.2

II,

147-8).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

sono intenti a compiacere alla gola. Tutti magnificano l'età de l'oro, e poi stimano e predicano per virtù quella manigolda che la estinse, quella ch’ ha trovato il mio ed il tuo: quella ch' ha divisa e fatta propria a costui e colui non solo la terra (la quale è data a tutti gli animanti

suoi), ma,

oltre,

ch' ha messa

il mare,

e forse

l’aria

ancora.

Quella,

ed

la legge a gli altrui diletti, ed ha fatto che quel tanto che

era bastante a tutti, vegna ad essere soverchio a questi e meno a quell’altri; onde questi, a suo mal grado, crapulano,

quelli altri si muoiono mari,

per

violare

di fame,

quelle

leggi

Quella ch’ ha varcati gli della

natura,

confondendo

que’ popoli che la benigna madre distinse, e per propagare i vizii d'una generazione in un’altra 1; perché non son cossî

propagabili le virtudi, eccetto se vogliamo chiamar virtudi e bontadi quelle che per certo inganno e consuetudine son cossf nomate e credute, benché gli effetti e frutti sieno condannati da ogni senso e ogni natural raggione. Quai sono le aperte ribaldarie e stoltizie e malignitadi

di leggi

usurpative e proprietarie del mio e tuo; e del più giusto, che fu più forte * possessore; e di quel più degno, che è stato

pit sollecito e più industrioso e primiero occupatore di que’ doni e membri de la terra, che la natura e, per conseguenza,

Dio indifferentemente donano Io forse sarò

men

a tutti.

faurita che

costei?

Io, che col mio

dolce che esce dalla bocca della voce de la natura, ho inse-

gnato di viver quieto, tranquillo e contento di questa vita presente e certa, e di prendere con grato affetto e mano

il

dolce che la natura porge, e non come ingrati ed irrecono1 Vedi

Cena,

2 (L'Amerio (B.

[160]-2)

pp.

pone

31-2.

Cfr. Orazio,

la virgola

(W. II, zo1) (L.

dopo

503-4)

728

Odi,

forte).

(GT II,

I,

1309-40)

21,

4.

(G.2

II,

148-9).

DIALOGO

TERZO

scenti neghiamo ciò che essa ne dona e detta, perché il medesimo ne dona e comanda Dio, autor di quella a cui medesimamente verremo ad essere ingrati. Sarà, dico, pit favorita costei, che, sf rubella e sorda a gli consegli, e ritrosa

e schiva contra gli doni naturali, adatta li suoi pensieri e

mani

ad artificiose imprese

e machinazioni,

per quali

è

corrotto il mondo e pervertita la legge de la nostra madre ? Non udite come a questi tempi, tardi accorgendosi il mondo di suoi mali, piange quel secolo, nel quale col mio governo

mantenevo gaio e contento il geno

umano, e con alte voci

e lamenti abomina il secolo presente, in cui la Sollecitudine ed

industriosa

Fatica,

conturbando,

si

dice

moderar

il

ultima lezione è quella

che

tutto con il sprone dell’ambizioso Onore ? O

bella

Non

già perché

Se "n

corse

Le

Non

da

l'oro,

di latte

e stillò

i frutti loro

l'aratro

terre,

intatte

e gli angui

perché

Non E ’n

de

il fiume

perché

Non

Diér

età

nuvol

erràr

méle

il bosco;

senz’'ira

fosco

e tòsco;

spiegò allor suo velo, primavera eterna,

Ch’ ora s’accende Rise

di

luce

e di

e verna,

sereno ‘il cielo;

Né portò peregrino O guerra o merce a l'altrui lidi il pino: Ma sol perché quel vano Nome

senza

soggetto,

Quel idolo d’errori!, idol d' inganno, Quel che dal volgo insano Onor poscia fu detto, Che di nostra natura il feo

Non meschiava il suo Tra le liete dolcezze De l’amoroso gregge; 1 BWL:

error;

GI:

errori.

tiranno,

affanno

La

qual

costantemente appare ne’ mss. e nelle antiche stampe di questi versi. (B.

162-3)

(W,

II,

201) (L.

504-5)

729

(G'.

II,

140-1)

(G2,

II,

149-590).

SPACCIO Né

Nota

DE

LA

fu sua dura

BESTIA

TRIONFANTE

legge

a quell’alme

in libertade

Ma legge aurea e felice, Che Natura scolpi: S'ei

avezze,

piace,

ei

lice!

-

Questa, invidiosa alla quiete e beatitudine, o pur ombra di piacere che in questo nostro essere possiamo prenderci, avendo

posta legge al coito, al cibo, al dormire,

onde

non

solamente meno delettar ne possiamo, ma per il più sovente

dolere e tormentarci; fa che sia furto quel che è dono di natura, e vuol che si spregge il bello, il dolce, il buono; e del male mondo

amaro

e rio facciamo

stima.

a lasciar il certo e presente

Questa

bene

che

seduce

quello

il

tiene,

ed occuparsi e mettersi in ogni strazio per l'ombra di futura gloria. Io di quel che con tanti specchi, quante son stelle in cielo,

la verità

dimostra,

e quel

che

con

tante

voci

e

lingue, quanti son belli oggetti, Ia natura di fuore intona, vegno da tutti lati de l’ interno edificio ad esortarlo: Lasciate l'’ombre ed abbracciate il vero. Non cangiate il presente col futuro. Voi

siete il veltro

Mentre

l'ombra

Aviso non Perder un

A

che

che

nel rio trabocca,

desia di quel ch'ha

in bocca.

fu mai di saggio o scaltro ben per acquistarne un altro.

cercate

si lungi

diviso,

Se in voi stessi trovate il paradiso? Anzi,

chi

perde

Non

speri dopo

Cossf

credendo

l'un

mentre

è nel

mondo

morte l’altro bene.

Perché si sdegna il ciel dar il secondo A chi il primero don caro non tene; alzarvi,

gite

al fondo;

Ed ai piacer togliendovi, a le pene Vi condannate; e con inganno eterno,

Bramando

il ciel, vi state ne l’ inferno 2. —

1 Tasso, Aminta, atto I, cora. 2 La 28 ottava è del TAansiLLO,

(B.

163-4)

(W.

II,

202)

(L.

505)

730

Vendemmiatore,

(G.!

IT,

14r1-2)

st.

(G

208

II,

(ediz.

150).

DIALOGO

TERZO

Qua rispose Momo, dicendo che il conseglio non aveva tanto ocio, che potesse rispondere a una per ciascuna de le raggioni che l' Ocio, per non aver avuta penuria d’ocio, ha possute

intessere

ed ordinare.

Ma

che

per il presente

si servisse de l’esser suo, con andar ad aspettar per tre o quattro giorni; perché potrà essere che, per trovarsi gli dei in ocio, potessero determinar ® qualche cosa in suo favore; il che

adesso

è impossibile.

Soggionse

I’ Ocio:



Siami

lecito, o Momo, di apportar un altro paio di raggioni, in non più termini che in forma di un paio di sillogismi, più in materia efficaci che in forma. De quali il primo è questo: al primo padre de gli uomini, quando era buon omo, ed a la prima madre de le femine, quando era buona femina, Giove gli concese me per compagno; ma, quando devenne questa trista e quello tristo, ordinò Giove che se gli aventasse quella per compagna, a fin che facesse a costei sudar il ventre ed a colui doler la fronte 2. — Saulino.

Dovea

dire: sudar

a colui la fronte,

e doler a

colei il ventre. Sofia.



Or considerate,

dei, disse, la conclusione

che

pende da quel che io fui dechiarato compagno3 de l’ Innocenza,

e costei compagna

del peccato.

Atteso

che, se il

simile s'accompagna col simile, il degno col condegno, io vegno ad esser virtude e colei vizio, e per tanto io degno e lei indegna di tal sedia. Il secondo sillogismo è questo: Li

dei

Flamini,

diverse

giù: (B.

son

dei,

p. 60).

dello

perché

La

stesso

son

18 è formata

felicissimi; dal B. con

Vendemmiatore

(178,

li felici versi tolti da

188,

198).

II,

142)

son

felici,

tre stanze

1 B: derminar. ? Allusione al Genesi (III, 16-19), sottolineata dal post. napol. 3 BL: dechiarato compagna; WG!: dechiarata compagna. Ma pit io degno.... 164-5)

(\.

II,

202-3)

(L.

506)

731

(G.

(G.2

II,

151).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

perché son senza sollecitudine e fatica: fatica e sollecitudine non han color che non sì muoveno

ed alterano;

questi

son massime quei ch’ han seco l’' Ocio; dunque gli dei son dei,

perché

han

seco l' Ocio.



Saulino. Che disse Momo a questo? Sofia. Disse che, per aver studiato logica in Aristotele, non aveva imparato di rispondere a gli argumenti in quarta

figura 1.

Saulino.

E Giove che disse ?

Sofia. Che di tutto, che lei avea detto e lui udito, non

si ricordava altro che l’ultima raggione circa l'essere stato compagno del buono uomo e femina; intorno alla quale gli occorreva, che gli cavali non pertanto son asini, perché si trovano in compagnia di quelli, né giamai la pecora è capra tra le capre. E soggionse che gli dei aveano donato a l’uomo

l'intelletto

ordinario,

ma,

e le mani,

e l’aveano

fatto

simile

a

loro, donandogli facultà sopra gli altri animali; la qual consiste non solo in poter operar secondo la natura ed mando

ed oltre,

o possendo

fuor le leggi di quella;

formar

altre

nature,

altri

acciò, corsi,

foraltri

ordini con l’ ingegno, con quella libertade, senza la quale non

arrebe

detta

similitudine,

venesse

la terra =. Quella certo, quando

ad

serbarsi

dio

de

verrà ad essere ociosa, sarà

frustratoria e vana, come indarno è l’occhio che non vede,

e mano che non apprende. E per questo ha determinato la providenza, che vegna occupato ne l’azione per le mani, e contemplazione per l'intelletto; de maniera che non 1 Aristotile, figura. siero (B.

® Cfr.

Pico,

infatti, De

dign.

del Rinascimento,

165-6)

(W.

non

II, 203)

aveva

hominis,

137-0,

parlato dei sillogismi in

145-8,

(L. 506-7)

732

GENTILE,

ecc.

(G.I II,

G.

142-3)

di quarta

Bruno

e il pen-

(G.2 II,

151-2).

DIALOGO

TERZO

contemple senza azione, e non opre senza contemplazione.

Ne l'età dunque de l’oro per l' Ocio gli uomini non erano più virtuosi che sin al presente le bestie son virtuose, e forse erano più stupidi che molte di queste. Or essendo tra essi per l'emulazione d’atti divini ed adattazione di spirituosi

affetti

nate

le difficultadi,

risorte

le necessitadi,

sono acuiti gl’ ingegni, inventate le industrie, scoperte le arti; e sempre di giorno in giorno, per mezzo de l’egestade, dalla profundità

de l’ intelletto

umano

si eccitano

nove

e

maravigliose invenzioni. Onde sempre più e più per le sollecite ed urgenti occupazioni allontanandosi dall’esser bestiale, più altamente s'approssimano a l'esser divino. De le ingiustizie e malizie che crescono insieme con le industrie, non ti devi maravigliare; perché, se gli bovi e scimie avessero tanta virtù ed ingegno, quanto gli uomini, arrebono le medesime apprensioni, gli medesimi affetti e gli medesimi vizii. Cossi tra gli uomini quei ch’ hanno del porco, de l'asino e del bue, son certo men

tristi, e non sono infetti di

tanti criminosi vizii; ma non per ciò sono più virtuosi, eccetto in quel modo con cui le bestie, per non esser partecipi di altretanti vizii, vegnono ad esser più virtuose de loro. Ma noi non lodiamo la virtà de la continenza nella scrofa, la quale si lascia chiavare da un sol porco ed una volta l’anno; ma in una donna la quale non solo è sollecitata una volta dalla natura per il bisogno de la generazione, ma ed ancora dal proprio discorso più volte per l’apprensione del piacere, e per esser ella ancor fine degli suoi atti. Oltre di ciò non troppo, ma molto poco lodiamo di continenza una femina o un maschio porcino, il quale per stupidità e durezza di complessione avien che di rado e con poco senso vegna sollecitato da la libidine, come quell'altro (B.

166-7)

(W.

II,

203-4)

(L.

507)

733

(G.I

II, 143-4)

(G.2

IT,

152-3).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

che per esser freddo e maleficiato, e quell'altro per esser decrepito;

altrimente

deve esser considerata la continenza,

la quale-è veramente

continenza e veramente virtù in una

complessione più

più gentile, più ben

nodrita,

e maggiormente

apprensiva.

perspicace

più ingegnosa, Però

per

la

generalità de regioni a gran pena è virti ne la Germania,

assai è virtù ne la Francia, più è virtù ne l’ Italia, di vantag-

gio è virti nella Libia !. Là onde, se più profondamente consideri, tanto manca che Socrate revelasse qualche suo difetto, che più tosto venne a lodarsi tanto maggiormente di continenza, quando approvò il giudicio del fisionomista circa la sua natural inclinazione al sporco amor di gargioni 2. Se dunque, Ocio, consideri quello che si deve con-

siderar da questo, trovarai che non per tanto nella tua aurea etade gli uomini erano virtuosi, perché non erano cossi viziosi, come al presente; atteso che è differenza molta tra il non esser vizioso e l’esser virtuoso; e non cossi facilmente

l’uno

sono medesime

si tira virtudi

da

l’altro,

dove

non

considerando

son

medesimi

che

non

studi,

me-

desimi ingegni, inclinazioni e complessioni. Però, per comparazione da pazzi ed ingegni cavallini, aviene che gli barbari e salvatici si tegnon megliori che noi altri dei, 1 Per

menti

queste

umani,

cfr.

attinenze il capo

tra l'ambiente

De

virtude

loci

geografico

nel

De

e i tempera-

rerum

principiis,

in Ofera III, 554-56. ® Gargioni in cambio di garzoni, forse per il pensiero di rendere italiana una parola che aveva suono francese. — Cfr. 1’ Asino cillenico, p. 919, e la nota ivi. Venne a lodarsi,

perché mostrò d'aver egli vinto la sua natura. « Cum

multa in con-

ventu vitia conlegissct in eum Zopyrus, qui se naturam cuiusque cx forma perspicere profitcbatur, derisus est a ceteris, qui illa in Socrate vitia non agnoscerent, ab ipso autem Socrate sublevatus cum illa sibi insita, sed ratione a se deiecta diceret»: CICERONE, Tuscul.,

(B.

IV,

167-8)

37,

(W.

80.

Cfr.

II, 204)

il De

Fato,

(L. 507-8)

734

c.

(G.!

5.

II,

144-5)

(G.2 II,

153-4).

DIALOGO

TERZO

per non esser notati di que’ vizii medesimi; per ciò che le bestie, le quali son molto meno in tai vizii notabili che essi, saranno per questo molto più buone che loro. A voi dunque,

Ocio e Sonno, con Ja vostra aurea etade converrà bene che non siate vizii qualche volta ed in qualche maniera; ma giamai ed in nessun modo che siate virtudi. Quando dunque tu,

Sonno,

non

sarai

Sonno,

e

tu,

Ozio,

sarai

allora sarete connumerati tra virtudi ed essaltati. il Sonno si fece un passetto

occhi per dire ancora lui picciolo proposito avanti venuto in vano. Quando rimenarsi pian pianino,

la dea

Oscitazione,

Negocio,

— Qua

avanti, e si fricò alquanto gli

qualche cosetta ed apportar qualche il Senato, per non parer d’esservi Momo il vedde cossi! suavemente rapito dalla grazia e vaghezza de

che,

come

aurora

avanti

il sole,

pre-

cedeva avanti a lui, in punto di voler far ella il prologo; e non osando di scuoprir il suo amor in conspetto de gli dei, per non essergli lecito di accarezzar la fante, fece carezze al signore in questa foggia (dopo aver gittato un caldetto suspiro), parlando per lettera ?, per fargli più riverenza ed onore: Somne,

quies

rerum,

placidissime

somne

deorum,

Pax animi, quem cura fugit, qui corpora duris Tessa ministeriis mulces reparasque labori3. —

Non sf tosto ebbe cominciata questa cantilena il dio de le riprensioni (il quale per la già detta caggione s'era dismenticato 4 de l'ufficio suo), che il Sonno, invaghito per I

(L:

cossi;

? Cîr. Cand.?,

3 Ovipio,

4 Altrove (B.

168-9)

(W.

GI G2:

n. 5 delle pp.

Metamm.,

(Cand.?, II

cost)

p.

204-5)

XI,

72): (L.

38 e 77.

623-25.

desmenticato; 508)

735

(G.

II,

ivi,

n.

145-6)

4. (G.2

II,

154).

SPACCIO

il proposito

DE

LA

di tante

DBDESTIA

TRIONFANTE

lodi e demulcto

dal tono di quella

voce, invita a l'udienza il Sopore che gli alloggiava ne gli precordii. Il quale, dopo aver fatto cenno alle fumositadi

che faceano residenza nel stomaco, gli montorno tutti insieme sul cervello, e cossi vennero ad aggravarli la testa, e con questo vennero a discioperarsi gli sensi. Or mentre il

Ronfo

sonavagli

li scifoli!

e

tromboni

innante,

trepidando trepidando ? a curvarsi e dar il capo di madonna Giunone; e da quel chino avenne

andò

in seno (perché

questo dio va sempre in camicia e senza braghe) che, per essere la camicia troppo corta, mostrò le natiche, il coliseo

e la punta del campanile 3 a Momo ch'erano

da

quella

venuto in campo nato

parte.

Or,

il Riso, con

la prospettiva

con

e tutti questa

gli altri

occasione,

dei ecco

presentar a gli occhi del Se-

di tanti

ossetti,

che

tutti

eran

denti;

e facendosi udire con la dissonante musica di tanti cachinni, interruppe il filo de l’orazione a‘ Momo. Il qual, non possendosi risentir contra costui,

tutto il sdegno suo converse

contra il Sonno che l’avea provocato, con non premiarlo al meno di buona attenzione, e di sopragionta con andar ad offrirgli con tanta sollennitade il purgatorio, con la pera e baculo di Giacobbe, come per maggior dispreggio del suo adulatorio ed amatorio dicendi genus. Là onde ben si accorgeva che gli dei non tanto ridevano per la condizion del 1 W

corregge:

2ufoli;

ma

nel

Baldo

del

FoLeNGO

(II

475-6):

p. 477: scifolare, cifolo, ciuffolo.

scifolo,

« Laetus in hoc medio sentitur iungere Bertus Saepeque cum cifolis

cantuque.... ». Nel New World of Words, as zuffolare, zuffolo; ivi, pp. 101 e 105: ® W tralascia un trepidando.

3 Il

Berni

nel

pone | Vede.... | ....la

son.

‘O

camicia

chi ha la vista più profonda Cfr. anche p. 582, n. 4. (B.

169-70)

(W.

II, 205)

spirito

ch’esce

bizzarro’:

| Il Culiseo,

(L. 508-0)

736

(G.!

dal

« Allor

chi

mente

canestro. | .... | Scorge

l’Aguglia e la Ritonda ».

IT,

146)

(G.*

II,

154-5).

DIALOGO

TERZO

Sonno, quanto per il strano caso intervenuto a lui, e perché il Sonno era giocatore ed egli era suggetto di questa comedia; e con ciò avendogli la Vergogna d'un velo sanguigno ricoperto

il volto:



A

chi

tocca,

disse,

di

levarci

dinanzi

questo ghiro ? chi fa che sf a lungo questo ludibrioso specchio ne si presente a gli occhi? — In tanto la dea Poltronaria, commossa da la rabbiosa querela di Momo (dio de' non più volgari ch'abbia il cielo), se mise il suo marito in braccio;

e presto,

avendolo

indi

tolto,

lo menò

verso

la

cavità d'un monte vicino a gli Cimmerii !; e con questi si partiro li suoi tre figli Morfeo,

Icilone e Fantaso;

che tutti

tosto si ritrovorno là dove da la terra perpetue nebbie exalano, caggionando eterno crepuscolo a l'aria: dove vento non soffia, e la muta Quiete tiene un suo palaggio ancora vicino a la regia del Sonno;

avanti il cui atrio è un

giardino di tassi, faghi 2, cipressi, bussi3 e lauri; nel cui mezzo è una fontana, che deriva da un picciol rio, che dal I Cfr.

Ovipio,

Est prope Mons

E

ad

Ovidio

dallo

Spaccio

canto

suo,

Metamm.,

Cimmerios

cavus,

il B.

ignavi

XI,

i nomi

2 Tassi, abeti latinismo: faggi.

longo spelunca

recessu,

in

che

domus

si attiene

il FLorio

et

tutto

nel Nuovo

dei

592-93:

figli del

Faghi

penetralia quel

Somni.

segue;

mentre,

mondo

di parole

(p. 375)

(New

World

Words,

Sonno.

of

dal

prende

p.

177),

3 Busso, bosso, bossolo: New World of Words, p. 72. OvinIo, avanti le porte della casa del Sonno mette i papaveri (XI, 605), come poi il PETRARCA (Rime disperse, Firenze, Sansoni, 1909, p. 254, v. 30). Ma

(ma

92):

l’ArIosto,

di cui il B., anche si ricorda,

D'antiqui Cfr.

SPAMPANATO,

(B.

170-1)

(\W.

Lo

52

e tutta piena

abeti

spaccio,

II, 205-6)

Or. fur., XIV,

e di robusti faggi.

p.

109.

(L. 509)

737

(G.!

II,

146-7)

(G.2 II,

155-6).

SPACCIO

DE

inferno

alla superficie de la terra, ivi viene

Qua

letto, di cui d’ebano

leteo,

TRIONFANTE

varco

aperto.

fiume

BESTIA

rapido

al cielo

del

LA

divertendo

il dormiglioso

dal

tenebroso

a discuoprirsi

dio rimesero

le tavole, di piume

nel suo

i strami ed il pa-

diglion di seta di color pardiglio 1. In questo mentre, presa avendo licenza il Riso, se parti dal conclave;

ed essendo

rimesse

al suo

sesto le bocche

e

ganasse ?'de gli dei, che poco mancò che non venesse smascellato alcuno di essi, l’ Ocio, il qual solo ivi era-rimaso,

vedendo il giudicio de’ dei non troppo inchinato al suo favore, e desperando di profittar oltre in qualche maniera, se le sue quasi tutte e più principali raggioni non erano accettate, ma, tante quante fùro, di rovescio erano state

ributtate a terra, dove per forza de la repulsa altre erano mal

vive,

altre

erano

altre in tutto erano ogni momento

un

crepate,

altre

aveano

il collo

andate in pezzi e fracasso:

anno,

per pigliar occasione

rotto,

stimava

di tòrsi de

là di mezzo, prima che forse gli potesse intravenire qualche vituperosa disgrazia simile a quella del suo compagno, per rispetto del quale dubitava che Momo non gli aggravasse le censure contra. Ma quello, scorgendo il spavento, che costui aveva di fatti non suoi: — Non dubitar, povera persona,

gli disse;

perché

io, instituito

dal

fato

advocato

de poveri, non voglio mancar di far la causa tua. — E voltato a Giove, gli disse: —

Per il tuo dire, o Padre, intorno

alla causa de l’ Ocio, comprendo che non sei a pieno informato de l'esser suo, della sua stanza e de gli suoi ministri \

1«Pardiglio,

bardiglio,

cioè

il colore

del

marmo

stesso nome, di liste bianche e cerulee oscure n: SPAMP., p. 109, n. 1, e in Critica, XXII, p. 121.

? Per

(B. 171-2)

esempi (W.

analoghi

II, 206)

di assimilazione,

(L. 509-10)

738

(G.!

II,

v. Cand.?, 147-8)

Lo

dello

spaccio,

p. 7, n. 6.

(G.2 II, 156-7).

DIALOGO

TERZO

e corte; la qual certamente se verrai a conoscere, facilmente mi persuado che, se non come Ocio lo vuoi incatedrare nelle stelle, almeno come Negocio lo farai alloggiare insieme

con

quell'altro,

detto

e stimato

suo

nemico;

con

il

qual, senza farsi male l’un l’altro, potrà far perpetuo soggiorno.



Rispose

poter giustamente

è mortale

Giove,

che

lui desiderava

l’ascoltarebbe,

causa in suo favore.

che

de

casa

l’ Ocio

delettarsi; però

se gli facesse intendere

che nervosa in

di

contentar l’' Ocio, de le cui carezze non

né dio che non soglia sovente

che volentieri

occasione



sia ocio,

Ti par, Giove,

quanto

a la vita

qual-

disse, attiva,

là dove son tanti gentiluomini di compagnia e servitori che si alzano ben per tempo la mattina, per lavarsi tre e quatro ! volte con cinque o sette sorte d'acqua il volto e le mani,

e che col ferro caldo e con l’ impeciatura di felce spendeno due ore ad incresparsi e ricciarsi la chioma ?, imitando la alta e grande providenza, da cui non è capello di testa che non

viene 1 WL:

È

ad

in

di

quello

secondo

aulicos Ganimedes, et Anglos praecipue, ut mihi videtur ». tra le postille, sinora riprodotte, una delle più notevoli

storicamente,

nimo

esaminato 3, acciò

quattro.

= «In questa

lingua

essere

se dal genere

usata

e dai

Annotatore

Inghilterra

dell’ inchiostro

sentimenti

espressi

Elisabetta

e Giacomo

e della scrittura,

si deve

arguire

che

se dalla

l'ano-

non fu che uno de’ tanti nostri esuli che vissero

sotto

I ed

appartennero

alla

Chiesa italiana di Londra — è superfluo dire che l'esemplare dello Spaccio della Nazionale di Napoli è di provenienza inglese. Perché, essendo fondata tale congettura,

ci appare

l'opinione del Postillatore non solo

non poco più verosimile,

ma anche ci indica del discorso

che il B. fa pronunziare all’ Ozio, l’ illustrazione più ampia e naturale nei Secondi frutti del FLorIo, specialmente nel primo e nel

quinto capitolo, trattando quello ciò che «appartiene, [levandosi] la mattina, alla camera ed al vestire », e questo «ragionando del giuoco e di molte cose a ciò pertinenti, e descrivendo a primera, una al tavogliere ed una a scacchi»,

3 Cfr. le ultime

(B.

172-3)

(W.

pagine del primo

II, 206-7)

(L. s1o)

739 51



G.

Diuno.

Dialovhi

ituliani

dial.

(G.!

(633

II,

148)

sgg.)

una

partita

in proposito.

(G.2 II,

157-8).

SPACCIO

la sua raggione

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

vegna disposto ? Dove

appresso

con tanta

diligenza si rassetta il giuppone, con tanta sagacità si ordinano le piegature del collaio, con tanta moderanza s’affibiano gli bottoni, con tanta gentilezza s'accomodano gli polsi, con tanta delicatura si purgano e si contemprano le unghie,

con

tanta

giustizia,

moderanza

ed

equità

s’ac-

copulano le braghe col giubbone, con tanta circonspezione si disponeno que’ nodi de le stringhe; con tanta sedulità si menano e rimenano le cave palme, per far andar a sesto la calzetta; con tanta simmetria vanno a proporzionarsi

gli termini e confini dove l'orificii de cannoni de le braghe s’uniscono a le calzette in circa la piegatura de le ginocchia, con tanta pazienza si comportano gli artissimi legami o garrettiere,

perché

non

diffluiscano

le calzette

a far le

pieghe e confondere la proporzione di quelle con le gambe; dove col polso della difficultade dispensa e decerne il giudicio, che, non essendo leggiadro e convenevole che la scarpa s’accommode al piede, vegna il piede largo, distorto, nodoso e rozzo,

al suo

marcio

dispetto,

ad

accomodarsi*!

con

la

scarpa stretta, dritta, tersa e gentile ? Dove con tanta leggiadria si muoveno gli passi, si discorre, per farsi contemplare,

la cittade,

si visitano

balla, si fa de capriole, e quando dette

altro non

operazioni,

intertegnono

di correnti,

è che

ad

ed

si

di branli *, di tresche;

fare, per essersi

evitar

le dame,

l’ inconveniente

stancato di

ne le

commet-

tere errori, si siede a giocare 3 di giuochi da tavola 4, ritrandosi da-gli altri più forti e faticosi: ed in tal maniera s’evi1 BWL:

accodarsi;

? « Ballo francese 3 BWL: giocare; 4 Sui giuochi da

(B.

173-4)

(W.

II,

G!:

accommodarsi.

chiamato

bransle »: Mondo

Gl: giuocare. tavola, v. Cand.2,

207)

(L.

S10-1)

740

(G.!

p.

II,

di parole, p. 48.

96.

148-9)

(G.2

II,

158-9).

DIALOGO

TERZO

tano tutti li peccati, se quelli non son più che sette mortali e capitali, perché, come disse un Genoese giocatore: — Che Superbia vuoi tu ch'abbia un uomo il quale, avendo perduti cento scudi con un conte, si mette a giocar per vencere quattro reali *.ad un famiglio ? Che Avarizia può aver colui a cui mille scudi non durano

otto giorni? Che Lus-

suria ed Amor cupidinesco può trovarsi in quello il quale ha messa tutta l’attenzion del spirto al giocare ? Come potrai arguire d’ Ira colui, che per téma ch'il compagno

non si parta dal giuoco comporta mille ingiurie, e con gentilezza e pazienza risponde ad un orgoglioso che gli è avanti? Per qual modo può esser goloso chi mette ogni dispendio e applica ogni sollecitudine a l'esercizio suo? Che Invidia può essere in costui per quel ch'altri possieda, se getta via e par che spreggie il suo ? Che Accidia può essere in quello che cominciando da mezo * giorno, e tal volta

da

la mattina,

insino

a meza

notte,

mai

cessa

di

giuocare ? E vi par che faccia in questo mentre star in ocio gli servitori, e quelli che gli denno assistere, e quelli che gli denno administrare ? al tempio, al mercato, a la cantina, a la cocina, vedere,

a la stalla,

o Giove,

al letto,

al bordello? E per

farvi

e voi altri dei, che in casa de I'Ozio

non

mancano de persone dotte e literate, occupate a studii, oltre quelle occupate a’ negocii, de’ quali abbiamo detto: pare a voi, che in casa de l’ Ocio si stia in ocio quarto a la vita contemplativa, dove non mancano grammatici che disputano di chi è stato prima, il nome o il verbo ? Perché 1 Il

parte

reale,

dello

scudo,

moneta

e di rame

? B: mezo; p. 664, n. 1.

WLG!:

(B.

II,

174-5)

(W.

spagnuola,

mezzo.

207-8)

(L.

valeva

che

pochi

d’argento

centesimi.

E così anche appresso; sir)

741

(G.!

TI,

149-50)

era

l'ottava

ma cfr. sopra, (G.2

II,

1509).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

l'adiettivo accade che si pona avanti ed appresso al sustantivo ? Onde ne la dizione alcuna copula, quale, verbigrazia, et, si pone innanzi ed alcun’altra, quale per essempio, que, sì pone a dietro ? Come lo e e d con la giunta de temone e scissione del 4 per il mezzo,

ritratto di quel nume

mise

l’asinicidio? Chi

referirsi

il libro

viene a far comodamente

il

di Lampsaco !, che per invidia com-

l’autore

della

a cui legitimamente

Priapea,

il Maron

deve

mantuano,

o pur il sulmonese Nasone ? ® Lascio tanti altri bei propositi simili, e più gentili che questi. Dove non mancano dialettici che inquireno se Crisaorio 3, che fu discepolo natura,

se la

di Porfirio,

o per riputazione,

o solamente

Periermenia

presso,

o pur,

avea bocca

d'oro per

per nomenclatura;

deve passar avanti, o venir ap-

ad libitum,

mettersi

innanzi

ed a dietro

de

le

Categorie4;

se l'individuo vago deve esser messo

in

numero

n.

1 Cioè, Priapo (v. sopra, p. 585), intorno a cui nella Cena, p. 24, 2. Non occorrono schiarimenti intorno alla rappresentazione

e posto

in mezzo,

come

un

sesto

predicabile,

oscena che risulta dall'intreccio delle due suddette lettere. ® Per questa questione grammaticale dell'autore dei -Priapeia, v. anche sopra, p. 673, n. 2. «La disputa si'era accesa al primo albore del secolo, nista napolitano

— si desume da un luogo di un'opera dell’umaScoppa (In varios autores Collectanea, Napoli,

1507, p. 54), tanto noto al Bruno: ‘ Ovidius sive alius.... in Priapeîs impudica sic dicens facit’ — e durò a lungo, se il Doni, nelle Foglie della

Zucca

(Venezia,

1589,

c.

156 v.),

rivolgendosi

a messer

Gio-

vanni quidam pedante: ‘Intendo che siete in una gran differenza se la Priapea è di Marone o di Marziale; priegovi che me ne diate

il parer

vostro ’»: SpamP.,

3 Crisaorio,

Postille, in Critica, IX, p. 230.

lo scolaro

di

la sua Zsagoge e lo scritto Ilspl t&v

Porfirio, al quale

questi

dedicò

tp’fiuiv (SroBEO, Ec2. II, 366).

L'etimologia cervellotica accennata dal Bruno fa pensare a una confusione tra Crisaorio e Crisostomo. 4 Le Categorie, e, appresso, gli Analitici posteriori e i Topici di Aristotile. (B.

175-6)

(W.

II, 208)

(L.

511-2)

742

(G.!

II,

150-1)

(G.? II,

159-60).

DIALOGO

TERZO

o pur essere come scudiero de la specie e caudatario del geno !; se, dopo esser periti in forma sillogistica, doviamo

per la prima applicarne al studio della Posteriore, dove si complisce l’arte giudicativa, o ver subito dar su la Topica, per cuì si mette la perfezion de l’arte inventiva; se bisogna pratticar le captiuncule 2 ad usum vel ad fugam vel in abusum: se gli modi, che formano le modali, son quattro, o quaranta, o quattrocento; non voglio dire

mille altre belle questioni.

Dove son gli fisici che dubitano se de le cose naturali può essere scienza; se lo suggetto è ente mobile o corpo mobile, o ente naturale o corpo naturale; se la materia ave altro atto che entitativo; coincidenza

del

produzione senza

la

fisico

dove consiste la linea de la

e matematico;

de niente è o non; forma;

se

più

se

la

creazione3

se la materia

forme

sustanziali

e

può

essere

possono

essere

insieme; ed altri innumerabili simili quesiti circa cose manifestissime,

se :non

in questione.

con

disutile

investigazioni

Dove gli metafisici si rompeno

il principio dell’ individuazione;

quanto

ente;

circa

e magnitudini circa

le idee,

il provar

geometriche se è vero

che

annoverati tile,

specie

e il genere

son

ch'abbiano

sustanza l'essere

(B.

176-7)

de le cose; subsistenziale

o diverso subiettiva-

circa l'essere ed essenzia; circa

sono,

infatti,

due

in

tutte

le

scuole

di

logica

2 Captiuncula, ae, cavillo capzioso (New o astuzia sofistica. 4 Come

aritmetrici4

dei

cinque

predicati

da Porfirio nella celebre Isagoge alle categorie di Aristo-

studiata

1 BLG1:

la testa circa

gli numeri

da per esse; circa l'essere medesimo

1 La

messe

circa il suggetto ente, in

non

mente ed obbiettivamente;

son

se

è la creazione;

sopra,

(W.

II,

IV:

a pp.

563

e 701;

208)

(L.

512)

743

se

medievali.

World of Words, p. 83)

la creazione.

ivi, rispettivamente,

(G.!

II,

151)

(G.2

nn.

II,

2.

160-1).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

gli accidenti medesimi in numero in uno o più suggetti; circa l'’equivocazione, univocazione ed analogia de lo ente; circa la coniunzione de le intelligenze a li orbi stelliferi, se la è per modo di anima o pur per modo di movente; se la virti infinita possa essere in grandezza finita; circa la unità o pluralità de primi motori; circa la scala del progresso finito o infinito in

cause

che

subordinate;

fanno

succhio

freneticar

tante

tante

e

cuculle !,

tante fanno

cose

simili,

lambiccar

il

de la nuca a tanti protosofossi. -—

Qua disse Giove:

guadagnato tempo

e circa



O Momo,

o subornato,

ed

il proposito.

che

mi par che l’ Ocio t’abbia

cossî ociosamente

Conchiudi,

perché

spendi

è ben

il

definito

appresso di noi di quel che doviamo far di costui. — Lascio dunque, soggionse Momo, de referir tanti altri negociosi innumerabili che sono occupati in casa di questo dio: come è dir tanti vani versificatori ch'al dispetto del mondo si vogliono

passar

per

poeti,

tanti

scrittori

di fabole,

tanti

nuovi rapportatori d’ istorie vecchie, mille volte da mille altri a mille doppia megliormente referite 2. Lascio gli algebristi,

tori tori novi pata

quadratori

di circoli,

figuristi,

metodici,

riforma-

de dialettiche, instauratori d’ortografie 3, contemplade la vita e de la morte, veri postiglioni del paradiso, condottier di vita eterna novamente corretta e ristamcon molte utilissime addizioni, buoni nuncii di meglior

pane, di meglior carne e vino, che non possa esser il greco di Somma, 1 Cfr.

malvagia Cabala,

p.

di Candia e asprinio di Nola 4. Lascio

897.

? Allusioni alla letteratura del secolo della negare che il B. si mostra giudice severo, ma 3 Vedi

Cand.2,

4 Pompeo

accomenzaje

(B.

177-8)

p.

SARNELLI

a dicere

(W.

26.

nella

Marchionno,

IT, 208-9)

Posilecheata: non

(L. 512-3)

744

me

(G.t

piace,

II,

quale non giusto.

si può

«L'Asprinio,

151-2)

perché

l’asprezza

(G.2 II,

161-2).

DIALOGO

le belle

speculazioni

circa

TERZO

il fato

e l'elezione,

circa

l’ubi-

quibilità d'un corpo, circa la eccellenza di giusticia che si ritrova ne le sanguisughe. — Qua disse Minerva: — Se non chiudi la bocca a questo ciancione, o padre, spenderemo in vani discorsi il tempo, e per il giorno d’oggi non sarà possibile di espedire il nostro principal negocio. — Però disse il padre Giove a Momo: — Non ho tempo di raggionar circa le tue ironie. Ma, per venire alla tua ispedicione,

Ocio,

ti dico,

che

quello

che

è lodevole

e studioso

Ocio, deve sedere e siede nella medesima catedra con la Sollecitudine, per ciò che Ia fatica deve maneggiarsi per l’ocio, e l’ocio deve contemperarsi per la fatica. Per beneficio di quello questa fia più raggionevole, più ispedita e pronta, perché difficilmente dalla fatica si procede a la fatica. E si come le azioni senza premeditazione e considerazione

non

son

buone,

cossi senza

l’ocio premeditante

non vagliono. Parimente non può essere suave e grato il progresso da l’ocio a l’ocio, percioché questo giamai è dolce se non quando esce dal seno della fatica. Or fia dunque giamai,

che

tu

Ocio,

possi

esser

grato

veramente,

se non

quando succedi a degne occupazioni. L’ocio vile ed inerte voglio che ad un animo generoso sia la maggior fatica che aver egli possa, se non se gli rapresenta dopo lodabile esercizio e lavoro.

Voglio

che ti aventi

come

signore

alla Se-

nettute, ed a colei farai spesso ritorcer gli occhi a dietro; e se la non ha lasciati degni vestigii, la renderai molesta, triste, suspetta del prossimo giudicio dell’ impendente stagche porta a lo nomme,

la lassa al palato », mentre «la

te fa lagremare de l’allegrezza » — «la Lagrema (Napoli, D. Morano, 1885, pp. 12 e 142). II monte

a pochi

(B.

chilometri,

178-9)

(W.

II,

di fronte

209)

(L.

al Cicala.

513)

745

(G.1

IT,

152-3)

Lagrema

de Somma» Somma si eleva, (G.

II,

162-3).

SPACCIO

gione

DE

che l’amena

LA

BESTIA

TRIONFANTE

a l’inexorabile

tribunal

di Radamanto,

e cossi vegna a sentir gli orrori della morte prima che la vegna. — Saulino. Ben disse a questo proposito il Tansillo !: Credete a chi può farven giuramento, Che stato tristo non ha il mondo ch'aggia Pena che vada a par del pentimento;

Poi ch’ il passato

non è chi riaggia.

E benché ogni pentir porti tormento, Quel che più ne combatte e più ne oltraggia E piaghe stampa che curar non lece, È

Sofia.

quand’uom



Non

poteo

meno,

molto,

disse

e nulla

Giove;

fece 2.

anzi

più

voglio

che

sia triste il successo dell’ inutili negocii, de li quali alcuni ‘ha recitati

Momo

che

si trovano

nella

stanza

de

l’ Ocio;

e voglio che s’ impiomba l’ ira de’ dei contra que’ negociosi ocii ch’ hanno messo il mondo in maggior molestie e travagli che mai avesse possuto mettere negocio alcuno. Que',

dico, che: vogliono

convertere

tutta la nobiltà e per-

fezione della vita umana in sole ociose credenze e fantasie, mentre talmente Jodano le sollecitudini ed opre di giustizia, che per quelle dicano l’uomo non rendersi (benché si mani1 Come sopra (p. 718, e ivi n. 1), è il Savolino a riportare i versi

del suo conterraneo. 2 TANnSILLO, Il vendemmiatore,

dice

st.

(p. 54):

Credete

“Che

Nessun Poi E

a chi

n' ha

fra tutti i martir, che

ben

fatto

78. Nell'ed.

Flamini

il testo

esperimento,

donne

mie

care,

ve n'è maggior che "l pentimento, 'l passato

che

ogni

non

pentiv

si può

porti

disfare:

tormento,

Quel che più fiera piaga ne suol fare, Qve rimedio alcun sperar non lece, È quando un potea mollo e nulla fece.

(B.

179-80)

(W.

II, 2009-10)

(L. 513-4)

746

(G.3: II,

153-4)

(G.2 II, 163).

DIALOGO

TERZO

feste) megliore; e talmente vituperano gli vizii e desidie, che per quelli dicano gli uomini non farsi meno grati a que' dei a’ quali erano grati, con tutto che ciò, e peggio, esser

dovea. Tu, Ocio inerte, disutile e pernicioso, non aspettar che della tua stanza si dispona in cielo e per gli celesti dei; ma nell’ inferno per gli ministri del rigoroso ed implacabile Plutone.



Or non voglio riferire quanto ociosamente si portava l'Ocio nel caminarsene via, e con quante spuntonate! incitato a pena si sapea muovere, se non che constretto dalla dea Necessitade, che gli dié de’ calci, se rimosse da là,

lamentandosi del conseglio, che non gli avea voluto concedere alcuni giorni di tempo e di termine, per partirsi dalla loro conversazione.

Seconda parte del terzo dialogo. nere

Allora

delle

Saturno

altre

s'approssimava;

principale

fece

instanza

a

sedie

fusse

e che

solamente

Giove,

più ispedito,

di levare e mettere;

che

nel

perché

s’attendesse

e quanto

al

dispo-

la sera negocio

a quello ch'ap-

partiene a l'ordine con cui le virti di dee ed altri si debano

governare, si determinarà verso la più prossima festa principale,

quando

gnano

insieme,

converrà che

ch’un’altra

sarà

la vigilia

volta

del

proposta con un chino di testa férno dei di consentire,

ivi,

(B.

1 Nel n.

I.

180-1)

Cand?, (W.

eccetto la Pressa,

p. II,

76: 210)

514)

747

(GI

dei

conve-

Panteone.

Alla

l’ Intem-

‘spontoneggiare’, II,

cui

segno tutti gli altri

la Discordia,

‘'spunzonare’ (L.

li

154)

(G.?

II,

ecc.;

163-4).

SPACCIO

pestività

DE.LA

ed altri.



BESTIA

Cossi

pare

TRIONFANTE

ancora

a me,

disse l’alti-

tonante. — Su, dunque, soggionse Cerere: dove vogliamo inviar il mio Triptolemo, quel carrettiero che vedete là, quello per cui diedi il pane di frumento! a gli uomini? Volete

ch’ io

lo

mande

Sicilia =, dove

faccia

miei,

sua

che

per

alle

contrade

la residenza;

diligenza

de

come

ed opra

l’una vi ha

mi

e l’altra tre

fùro

tempii

consecrati,

l’uno nella Puglia, l’altro nella Calabria, l’altro nell' istessa

Trinacria? — ministro,

Fate quel che vi piace del vostro cultore e

o figlia,

disse

Giove.

Alla

cui

sedia

succeda,

se

cossî 3 pare a voi ancora, dei, la Umanità, che in nostro idioma

è detta la dea Filantropia;

di cui questo auriga massima-

mente par che sia stato il tipo. Lascio che lei fu che spinse te,

Cerere,

ad

1 OvipIO,

inviarlo,

e che

poi

guidò

lui

ad

eseguire

in una delle sue elegie (Trist., 1. Ir, el. vin, vv.

i

1 ez):

« Nune ego Triptolemi cuperem conscendere currus, Misit in ignotam qui rude semen humum »; e narra l’intero mito nel quarto libro de’ Fasti dal v. 507. ® « Un regno delle Due Sicilie non esiste a rigore che dal 1815, dopo il trattato di Vienna », ma da molti secoli innanzi il nome; essendo il 1442 entrato a Napoli insieme con Alfonso I Lorenzo Valla, questi sostenne che il principe dovesse emettere un decreto

che assegnasse

ai due

regni il nome

spettante

a ciascuno

di essi,

mentre i cortigiani volevano si conservasse la consuctudine diplomatica della Cancelleria angioina, pretendendo che «il nome di Sicilia fosse propriamente della terraferma, e che l'isola fosse chiamata

Sicilia

per

essere

vicina

alla

terraferma,

laddove

il suo

nome vero era di Trinacria »; e la spuntarono se dal 1445 al 1458 accanto alla formula di Sicilia citra et ultra farum s' incontra quella di utriusque Siciliae (G. RoMaAnO, L'origine della denominazione ‘ Due

Sicilie’,

meno

nei documenti

Questa

seconda

dedicando Dio

la

in Arch.

stor.

per le prov.

denominazione

Re di Spagna,

riapparve

lctterari; perché,

Vita di Carlo

sotto

XXII,

per esempio,

V a Filippo

delle Indie,

napol.,

111,

3809-93).

ALFONSO

ULLOA,

del Mare

Oceano,

gli

spagnuoli,

al-

II, lo disse « Per grazia di

Isole e Terraferma,

delle Due Sicilie, di Gierusalem, etc. »; né si può dire che tale denominazione sia appresso interamente 3 (L: cossi; G! G?: così)

scomparsa.

(3.

(G.1 II,

181-2)

(W.

II, 210-1)

(L. 514-5)

748

154-5)

(G.2 II,

104-5).

DIALOGO

tuoi benefici

verso

il geno

TERZO

umano.



Cossi

è certo,

disse

Momo; percioché lei è quella per cui Bacco fa ne gli uomini si bel

sangue,

e Cerere

si bella

carne:

quale

essere

non

posseva nel tempo de castagne, fave e ghiande. A questa dunque la Misantropia fugga avanti con la Egestade; e come è consueto e raggionevole, de le due ruote del suo carro la sinistra sia il Conseglio, la destra sia -l’ Aggiuto; e de’ doi mitissimi draghi che tirano il temone, da la sinistra sarà

la Clemenzia,

da

la destra

il Favore.



Propose appresso Momo a Mercurio quel che volesse fare del Serpentauro, perché gli parea buono ed accomodato per inviarlo a far il Marso chiarlatano, avendo quella grazia di maneggiar senza timore e periglio un tale e tanto serpente ®.

Propose

anco

del

serpente

al radiante

Apolline,

se lo volea per cosa da servire a’ suoi maghi e malefici, come è dire alle sue Circe e Medee per esecutar gli veneficii; o ver

lo volea

concedere

a’

suoi

medici,

come

è dire

ad

Esculapio per farne tiriaca 3. Propose oltre a Minerva, se quest’uno gli avesse possuto servire per inviarlo a far vendetta di qualche risorto nemico Laocoonte. — Prendalo chi lo vuole, disse il gran Patriarca; e facciane quel che si 1 Manfurio (Cand., p. 89): «Il vino exilara ed il pane confirma: Bacchus et alma Ceyes.... ». 2 Era tradizionale la perizia dci Marsi nell'arte delle incanta-

gioni e della magia. XVII,

29.

Fiorentino,

Anche

p. 18):

Cfr. Ovipio, Ars. a::., II, 102, e ORAZIO,

il TansiLLo

Non

spero

Mi

sani...

O

forza

di

nel

son.

che virtù d’erbe, parole,

0 man

XXXIV

(Poesie

Epodo

liriche,

ed.

o di pietre

d'uom

Marso

3 Cfr. De la causa, p. 339. — Della triaca si era occupato, in un libro uscito a Napoli il 1577 dalla tipografia di Marino d’Ales-

sandro,

(B.

un

182-3)

compaesano

(W.

II,

211)

ed

ammiratore

(L.

s1s)

749

(G.!

del

B.,

II,

155)

lo

STIGLioLA.

(G.2

II,

165-6).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

»

voglia, tanto del serpe, quanto de l’ Ofiulco, pur che si tolgano da là; ed in suo luogo succeda la Sagacità, la qual suole vedersi ed admirarsi nel Serpente. — Succeda dunque la Sagacitade, dissero tutti, atteso che non è men degna del cielo ‘che la sua sorella Prudenza; perché dove quella sa comandare e mettere in ordine quel che s'è da fare e lasciare per venire a qualche dissegno, questa sappia prima e poi giudicare per forza di buona intelligenza, che la è; e discaccia

la

da le piazze, tazione.

Dalli

Grossezza,

dove

Inconsiderazione

le cose si metteno

vasi

della

sapienza

in dubio

imbeva

concepa e parturisca atti di Prudenza. —

Della Saetta, disse

Momo,

ed

Ebetudine o in consul.

il sapere,

onde



perché

io mai

fui curioso

di saper a chi appartenesse, cioè, se fusse quella con cui Apolline uccise il gran Pitone, o pur quella per cui madonna Venere fece al suo poltroncello impiagar il feroce Marte, che per vendetta poi a quella cruda ficcò un pugnal

sotto la pancia in sino a l’elsa; o pur una memorabile con la qual Alcide dismese la Regina de le Stimfalidi; o l’altra per cui l’apro Calidonio dié l’ultimo crollo; o ver sia reliquia o trofeo di qualche trionfo di Diana la castissima. Sia che si vuole, riprendesila 1 il suo padrone,

gli piace. —



Bene,

Insidia,

e se la ficche là dove

rispose

Giove,

la Calumnia,

tolgasi

la Detrazione,

da

là insieme

atto

de

con

Invidia,

la e la

Maldicenza; ed ivi succeda la buona Attenzione, Observanza, -Elezione e Collimazion di regolato intento. E sog1 BL: riprendesila;

W: riprendasela; G!: riprendasila. Ma forme

simili non mancano nel B., la cui incertezza nella coniugazione si nota specialmente nel Cand., come lo Spamp. ha ricordato nel1’ Introd.

(B.

183-4)

alla

(W.

seconda

ediz.

II, 211-2)

di

esso,

(L. 515-6)

750

p.

(G.!

LVII

II,

155-6)

(G.? II,

166-7).

DIALOGO

TERZO

gionse: De l'Aquila, ucello divino ed eroico e tipo de l’ Imperio,

io determino

e voglio cossi, che vada

carne ed in ossa nella bibace Alemagna: altra

parte

si

trovarà

celebrata

in

a ritrovarsi in

dove più che in

forma,

in

figura,

in

imagine ed in similitudine, in tante pitture, in tante statue,

in tante celature, quanto nel cielo stelle si possono presentar a gli occhi

de la Germania

la Presunzione,

contemplativa.

la Temeritade,

La

Ambizione,

la Oppressione,

la Tirannia

ed altre compagne e ministre di queste dee non bisogna che le mene seco là dove li bisognarebbe a tutte star in ocio; percioché

la campagna

non è troppo

larga per esse;

ma prendano il suo volo lungi da quel diletto almo paese, dove gli scudi son le scudelle, le celate son le pignatte e lavezzi 1, gli brandi

son l’ossa inguainate

in carne

salata,

le trombe son gli becchieri, urcioli e gli bocali, gli tamburi son gli barilli e botte, dir

da

mangiare;

il campo

è la tavola

da bere,

le forterezze, gli baloardi,

gli

volsi

castegli,

li

bastioni son le cantine, le popine, le ostarie, che son di più

gran numero che le stanze medesime. — Qua Momo disse: — Perdonami, gran padre, s'io t'interrompo il parlare. A me pare che queste dee compagne e ministre, senza che vi le mandi,

sere superiore

vi si trovano;

perché

l’Ambizione

a tutti in farsi porco;

la Presunzione

ventre, che pretende di ricevere non meno

t Nel Cand.,

L.

G.

che

puose

Scoppa,

over celata. —

(B.

184-5)

(W.

di alto che da

in

esaltazione

Spicilegio

(Venezia,

Questa

fu certo qualche costel-

1543),

I,

i lavezzi, padelle

lo lavezo, còncola dove se lavano le mano, quando ne lavamo ». Cfr. M. Cocai, Macar.,

World of Words,

del

III, 8: « Alcuni si puosero certi lavezzi di bronzo

in testa per elmetto

lazione

circa l’es-

p. 279.

II,

212)

(L.

516)

751

(G.!

II,

172:

e le caldaie ».

«lebes,

tis:

vel dove cade l'acqua, I, vi, p. 183, e il New

156-7)

(G.*

II,

167).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

alto vaglia mandar a basso il gorgazuolo !; la Temeritade, con cui vanamente il stomaco tenta digerire quel che or ora,

presto

presto

è necessario

di vomire;

la Oppressione

de sensi e natural calore; la Tirannia della vita vegetativa,

sensitiva ed intellettiva regnano più in questa sola che in tutte l’altre parti di questo globo. — È vero, o Momo, soggionse

Mercurio;

zioni ed altre

non

son

ma

simili

punto

tali Tirannie,

cacodee,

aquiline,

con

ma

da

Temeritadi,

le loro

Ambi-

cacodemonesse ?,

sanguisughe,

pacchioni 3,

sturni4 e ciacchi. Appresso, per venire al proposito della sentenza di Giove, la mi par molto pregiudiziosa alla condizione, vita e natura di questo regio ucello; il quale, perché poco beve e molto mangia e vora, perché ha gli occhi tersi e netti, perché è veloce nel corso, perché e con la levità de l’ali sue sopravola al cielo ed è abitante di luoghi secchi, sassosi, alti e forti, non

può

aver simbolo

ed accordo

con

1 Cioè, il gorgozzule (a Napoli: gargaruòzzolo, cannarone), t. scherzoso per il cannone della gola. ® Non solo nel Mondo di parole (p. 59), ma anche nel Nuovo mondo di parole (p. 73) è registrato: cacodemone. 3 Il FLorto, nel New World of Words, pp. 349, 355 e 361: « pacchione= pappone= pastone: un epicureo, un ghiottone, un goJoso, un mangiatore, un grande amatore dei piaceri del ventre, chi fa del ventre il suo dio». 4 V. a p. 821. Dal lat. sturnus (napol. sturno): stornello. Per

la voracità

di questo

uccello,

nel

c.

17 dell.

xvini della

St. mat.,

PLINIO: « Pestem a milio atque panico, sturnorum agmina, abigere »; e Domizio ULPIANO (Digest. 1 xIXx, t. 2, l. 15): «Omnem vim cui resisti non potest, dominus colono praestare debet, ut puta

fluminis, -graculorum,

sturnorum

». Cfr.

tra i moderni

(Vita degli anim., trad. di G. Branca, Torino, che, dopo curiosi particolari riferisce (p. 323) Lenz

d'un

suo stornello,

«un

gran

ghiottone,....

A.

E.

BreHM

1869, v. III, p. 321), quel che racconta il che

una

volta

saltò

sopra uno sgabello, e giunto al vasetto della farina, ne sollevò col becco il coperchio e, cacciatosi nel recipiente, ne mangiò tanto che non poteva più uscirne, e fu a un pelo di morire d’ indigestione ». (B.

185)

(W.

II,

212-3)

(L.

516-7)

752

(G.!

II,

157)

(G.?

II,

167-8).

DIALOGO

TERZO

generazion campestre; ed a cui la doppia soma degli bragoni par che a forte contrapeso le impiomba verso il profondo e tenebroso centro !; e che si fa gente sf tarda e greve, non tanto inetta a perseguitare e fuggire, quanto buona a tener

fermo ne le guerre; e che per la gran parte è soggetta al mal degli occhi; e che incomparabilmente più beve che mangia.



Quel che ho detto, è detto, rispose Giove. Dissi,

che vi si presente in carne ed in ritratti; ma non già, che vi stia manca di trovarsi là, dovunque è altre e più degne raggioni con gli sedia gloriosa lascie a tutte quelle esser

stata

vicaria:

Magnificenza, costoro, —

come

ossa per come in in spirito già detti virtudi,

veder gli suoi prigione, o che e veritade con numi: e questa de le quali può

a la dea

Magnanimità,

è dire,

Generosità

ed

altre

sorelle

e

ministre

di

— Or

che

farémo,

disse

Nettuno,

Piacevi ch'io lo metta nel mar Rodano

di

quel

Delfino?

di Marseglia, onde per il

fiume vada e rivegna a volte a volte, visitando e

rivisitando

il Delfinato?

Momo;

perché,

a dire

ridere,

se alcuno Delphinum

I Reminiscenza



il vero,

Fa,

La

non

mi

par

presto, cosa

fluctibus aprum,

di

del

quel

Dante

sonetto

BERNI,

mula

che

disse

meno

da

comincia:

e tenebroso centro

ha alloggiati i Bruti

Florimonte

vostra

si faccia

caclis appinxit,

Dal più profondo

Dove

Cosst

mio,

nascere

per urtarvî

e î Cassi

i sassi

dentro.

Anche nel Card.?, proprol., p. 26: «..., un che ti suscita Tullio dal pi profondo e tenebroso centro ». (B.

185-6)

(W.

IL

213)

(L.

517)

753

(G.!

IT,

157-8)

(G.3

II,

168-9).

SPACCIO

che

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

se Delphinum



Vada,

sylvis appinxit,

dove

luogo succeda

fluctibus aprum!.

piace a Nettuno,

la figurata Dilezione,



disse Giove;

Affabilità,

ed in suo

Officio con

gli suoi compagni é ministri. — Dimandò Minerva che il cavallo Pegaseo, lasciando le vinti lucide macchie e la Curiositade, se ne vada al’? fonte caballino già per molto tempo

confuso,

destrutto

ed inturbidato

da bovi,

porci ed

asini; e veda, se con gli calci e denti possa far tanto che vendiche quel loco da si villano concorso 3: a fin che le Muse, veggendo l’acqua del fonte posta in buono ordine e rassettata, non si sdegnino di ritornarvi 4, e farvi gli lor collegii e promozioni. Ed in questo luogo del cielo succeda il Furor divino 5, il Rapto,

l’ Entusiasmo,

il Vaticinio,

il Studio

ed

Ingegno con gli lor cognati e ministri, onde eternamente da su l’acqua divina, per lavar gli animi ed abbeverar gli affetti, stille a gli mortali. — Tolgasi, disse Nettuno, questa Andromeda, se cossi piace a voi dei; la quale per la mano de l’ Ignoranza è stata avinta al scoglio dell’ Ostinazione con la catena di perverse raggioni e false opinioni, per farla traghiuttir dal ceto della perdizione e final ruina, che

per

l'instabile

e sia commessa 1 Cosl Orazio, * BL. il.

e

tempestoso

alle provide Ep.

mare

ed amiche

va

discorrendo;

mani

del sollecito,

ad Pis., v. 30.

3 Perché, dirà negli Er. fur., p. 928, è una «tragicomedia», uno spettacolo «degno di compassione e riso». V. anche sopra, P. 744, e ivi n. 2. 4 DB:

ritonrarvi;

W:

vritornarvi;

LG?:

rincontrarvi.

Ma

bisogna

riconoscere che quella del W. è la correzione migliore e la più ovvia. 5 Cfr. più giù, p. 776. (B. 186-7)

(W.

II, 213)

(L. 517-8)

754

(G.1 II, 158-0)

(G.= II, 169-70).

DIALOGO

laborioso

ed

accorto

TERZO

Perseo,

ch'avendola

indi

disciolta

e

tolta, dall’ indegna cattività la promova al proprio degno acquisto. E di quel che deve succedere al suo loco tra le stelle dispona Giove. — Là, rispose il padre de gli dei, voglio che succeda la Speranza, quella che, co’ l'aspettar frutto degno delle sue opre e fatiche, non è cosa tanto ardua e difficile a cui non accenda gli animi tutti, i quali aver possono senso di qualche fine. — Succeda, rispose Pallade, quel santissimo scudo del petto umano, quel divino fundamento de tutti gli edificii di bontade, quel sicurissimo riparo della Veritade; quella che per strano accidente qualsivoglia mai si diffida, perché sente in sé stessa gli semi della propria sufficienza, li quali da quantunque violento polso non gli possono essere defraudati; quella in virti della quale è fama che Stilbone vencesse la vittoria de’

nemici;

fiamme

che

quel

Stilbone,

dico,

gl'incinerivano

i figli e le facultadi,

il quale

la patria,

a Demetrio

scampato

da

le

la casa, la moglie,

rispose aver

tutte le cose

sue seco, perché seco avea quella Fortezza, quella Giustizia, quella Prudenza, per quali meglio possea sperar consolazione, scampo e sustegno di sua vita; e per le quali facilmente il dolce di questa sprezzarebbe 1. — Lasciamo questi colori,

disse Momo,

e vengasi

presto

a veder

quello

che si

de’ fare di quel Triangolo o Delta. — Rispose la astifera Pallade: — Mi par degno che sia messo ? in mano del Cardinal

di Cusa,

a fin che

colui veda,

se con

questo

possa

liberar gli impacciati geometri da quella fastidiosa inquisizione della quadratura del circolo, regolando il circolo ed 1 V. Dioc. Laerzio, II, 115. ® BW: messo; LG!: messa. Ma (BD.

188)

(W.

II,

213-4)

(L.

518)

755 52



G. Bruno,

Disloghi

italiani

il B. ha ragione. (G.!

II,

159)

(G.?

II,

170).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

il triangolo con quel suo divino principio della commensurazione e coincidenza de la massima e minima figura: cioè di quella che costa! di minimo, e de l’altra che costa di massimo numero degli angoli. Portisi dunque questo trigono

[fig. 15] con un circolo ch’ il comprende,

e con un

altro che da lui sia compreso; e con la relazione di queste due linec (de quali l’una dal centro va al punto della contingenzia del circolo interno no;

con

l’altra dal

il triangolo estermedesimo

centro sì

tende a l’uno de gli angoli del triangolo) vegna a compirsi tempo

Fig. 15

e tanto

quella tanto

vanamente

cercata

quadratura 2. — Qua risorse Minerva, e disse: — Ma io, per non parer meno cortese a le Muse, voglio inviar a gli geometri incomparabilmente maggiore e meglior dono, che questo ed altro che sia sin ora donato; per cui il Nolano, al quale fia primieramente

revelato,

moltitudine,

ecatombi; che

mi

e dalla

debbia

cui mano

non

venga

solamente

diffuso

una,

ma

perché in virti della contemplazion

si trova

tra

il massimo

e minimo,

tra

alla cento

de l’equità l’extimo3 ed

intimo, tra il principio e fine 4, gli porgo una via più feconda,

1 BL:

tosta;

zione è superflua, si trova

WGI:

consta.

perché,

costare

2 Nell'esemplare

E

cosi

da Santa

in cambio

napol.

dello

di

anche

Caterina

appresso;

a Lorenzo

constare.

Spaccio

manca

si avverte ch'è posta «nel fine del libro ». 3 Anche nel De l'infinito, p. 459; ivi, n. 2. 4 BWL: e fine; G!: e il fine. (B. 188-9)

(W.

II, 214-5)

(L. 518-9)

756

ma

la corre-

Magalotti,

la figura che

(G.! II, 1509-60)

qui

(G.? II, 170-1).

DIALOGO

TERZO

più ricca, più aperta e più sicura; la quale non solamente dimostre

como

il quadrato

ed oltre, subito, gono,

ogni trigono,

e finalmente

figura;

dove

non

al circolo,

ogni pentagono,

meno

fia uguale

exa-

poligònia

linea a linea che

a campo,

ma,

ogni

qualsivoglia e quantosivoglia

ficie a superficie, campo solide figure 3. — Saulino.

si fa uguale

super-

e? corpo a corpo nelle

Questa sarà cosa eccellentissima,

inestimabile per gli cosmimetri. Sofia. Tanto eccellente e degna,

che

ed un tesoro

certo

parmi

che

contrapese a l’ invenzione di tutto il rimanente della geo-

metrica facultade. Anzi da qua pende un’altra pivi intiera, più grande, più ricca, pi facile, più esquisita, più breve e niente men certa; la quale qualsivoglia figura poligònia viene ad comensurare

per la linea e superficie del circolo;

ed il circolo per la linea e superficie di qualsivoglia poligonia.



Saulino. Vorrei quanto prima intendere il modo. Sofia.

spose:

Cossî

disse Mercurio

a Minerva;

a cui

quella

ri-

— Prima (nel modo che tu fatto hai) dentro questo

1 Per

n. 3.

come.

® Tralasciai

V. p. 714, e cfr. in proposito nel Cand.?,

per

svista

Ja cong.

nell'altra

mia

p. 196,

edizione.

3 « È necessario studiare accuratamente la matematica del .Bruno.... Le incisioni in legno annunziano già al lettore che sfogli il libro, i luoghi dei quali principalmente si tratta.... In questo luogo,

riferendosi

tura

a

Niccolò

del circolo.

di

Cues,

afferma

Il Lindemann

di

di

aver

Kénigsberg

trovato

la

quadra-

e il Weierstrass

di

Berlino hanno insegnato, che questo problema della quadratura coi mezzi soli, di cui poteva disporre l’antichità e il M. E. — regolo e compasso, — non poteva esser risoluto. Io prego i matematici di

contribuire

per parte loro a un

esatto

di proposito il valore delle dichiarazioni

mento

(B.

giudizio

di B., esaminando

fatte con non picciol senti-

di sé dal filosofo di Nola.... »: LAGARDE,

189-90)

(W.

II,

215)

(L.

519)

757

(G.!

II,

16o0-1)

p. 796. (G.?

II,

171-2).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

triangolo * (fig. 16] descrivo un circolo, che massimo discriver vi si possa; appresso fuor di questo triangolo ne delineo un altro che minimo delinear si possa sin al contatto de gli tre angoli; e quindi non voglio procedere a quella tua fastidiosa quadratura, ma al facile

trigonismo,

golo che abbia linea

del

cercando

un

trian-

la linea uguale

circolo,

ed

un

alla

altro che

vegna ad ottenere la superficie uguale alla superficie del circolo. Questo sarà (fig. 17] uno circa quel triangolo mezzano, equidistante da Fig. 16

quello

che

contiene

il

circolo,

e

quell'altro ch’ è contenuto dal circolo; il quale lascio, che con il proprio ingegno altri lo prenda cossi, perché mi basta aver mostrato il luogo de’

luoghi. Cossf, per

quadrare

il cir-

colo, non fia mestiero di prendere il triangolo, ma il quatrangolo che è tra il massimo interno e minimo esterno al circolo (fig. 18]. Per pentagonare il circolo, prenderassi il mezzo tra il massimo pentagono contenuto dal circolo e minimo continente del circolo. Similmente farassi

glia

sempre,

altra

per

far

Fig.

qualsivo-

figura uguale al circolo in

campo

17

ed in linea.

Cossi oltre, per essere trovato il circolo del quadrato 1 Questa, come la figura antecedente e le seguenti, copia napolitana: cfr. sopra, p. 756, n. 2. (B.

190-1)

(W.

II,

215-6)

(L.

s19)

758

(G.I

II,

161-2)

(G2

uguale

manca II,

nella 172-3).

DIALOGO

TERZO

al circolo del triangolo, verrà trovato il quadrato di questo circolo pare al triangolo di quell’ altro circolo, di medesma

quantità Saulino.

l'altre

con

questo.

In questo

figure

uguali

modo,

ad

altre

o Sofia,

figure

si possono

con

l'aggiuto e relazione del circolo, che fate misura

de le misure.

far tutte

N

Cioè, se voglio far

ZN

un triangolo equale al quatrangolo, prendo

quel mezzano

tra gli doi apposti

al cir-

\

4)

colo, con quel mezzano tra doi quatrangoli

apposti al medesimo circolo, o ver ad un Fig. 18 altro uguale. Se voglio prendere un! quadrato uguale a l’exagono, delinearò dentro e fuori del circolo e questo e quello, e prenderò quel mezzano tra gli doi de l’uno e l’altro. Sofia. Bene l’ hai capito. In tanto che quindi non solamente s'ha la equatura di tutte le figure al circolo, ma ed oltre di ciascuna de le figure a tutte l’altre mediante il circolo, serbando sempre l’equalità secondo la linea e secondo la superficie. Cossi con picciola considerazione o attenzione ogni equalità e proporzione di qualsivoglia corda a qualsivogli'arco si potrà prendere, mentre o intiera, o divisa, o con certe raggioni aumentata viene a constituir poligonfa tale, che in detta maniera da cotal circolo sia compresa, o lo comprenda. —

Or

definiscasi

presto,

disse

Giove,

di

quel

che

vo-

gliamo collocarvi. — Rispose Minerva: — Mi par, che vi stia bene la Fede e Sinceritade, senza la quale ogni contratto è perplesso e dubio, si dissolve ogni conversazione, 1 (L:

(B.

191-2)

un;

(W.

GIG®:

II,

una)

216-7)

(L.

519-20)

759

(G.!

1I,

162)

(G.? II,

173-4).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

ogni convitto si destrugge. Vedete a che è ridutto ! il mondo, per esser messo in consuetudine e proverbio, che per regnare non si osserva fede =. Oltre: agl’infideli ed eretici non sì osserva fede. Appresso: si franga la fede a chi la rompe. Or che sarà, se questo si mette in prattica da tutti ? A che verrà il mondo, se tutte le republiche,

regni, dominii,

fameglie e particolari diranno, che si deve esser santo col santo, perverso col perverso? e si faranno iscusati d'esser scelerati, perché hanno il scelerato per compagno o vicino ?

e pensaranno3 che assolutamente,

come

non

doviamo

fusseno

dei,

forzarci

ma

per

ad esser buoni

commoditade

occasione, come gli serpenti, lupi ed orsi, tossichi — Voglio, soggionse il padre, che la Fede sia tra celebratissima; e questa, se non sarà data con d'un’altra fede, mai sia lecito di rompersi per la l'altra, atteso che è legge da qualche Giudeo e bestiale e barbaro, non da Greco e Romano

ed

e veneni ? le virtudi condizione rottura de Sarraceno

civile ed eroico,

che alcuna volta e con certe sorte di genti, sol per propria commoditade ed occasion d’ inganno, sia lecito donar la fede,

con

farla ministra

Saulino.

O Sofia, non

di

tirannia

e tradimento.

è offesa più infame,



scelerosa4 ed

indegna di misericordia, che quella che si fa ad uno per un altro,

per

causa

che

l’uno

ha

creduto

a l’altro;

e l’uno

vegna offeso da l’altro, per avergli porgiuta fede, stimandolo uomo da bene. I GI: ridotto. ® « Sic Etheocles

apud

EuvRrIPIDEM:

Si violandum

est ius, regni

causa violandum est» (Post. napol.). Il B., si può aggiungere, come poi il Campanella, avverso alla dottrina del Machiavelli. 3 Cade qui una correzione fatta dall’A., che per isbaglio colloca a p. 189 anziché a p. 192.

4 Scelerosus.

(B.

(B.

192-3)

Latinismo

(W.

II, 217)

del sec.

(L. 520-1)

760

è,

la

XIV.

(G.!

II,

162-3)

{G.2 II,

174).

DIALOGO

TERZO

Sofia.1 — Voglio dunque, disse l’altitonante, che questa virti compaia celebrata in cielo, acciò vegna per l’avenire più stimata in terra. Questa si veda nel luogo in cui si vedea il Triangolo,

da

cui comodamente

è stata ed è significata

la Fede; perché il corpo triangulare di minor numero di angoli ed è più culare) è più difficilmente mobile mente figurato. Cossi viene purgata

(come quello che costa lontano da l'esser cirche qualsivoglia altrila spiaggia settentrio

nale, dove comunmente son notate trecento sessanta stelle:

tre maggiori, diece ed otto grandi, ottanta ed una mediocri, cento

settanta

tredeci

sette

minime,

picciole,

con

una

cinquanta

nebbiosa

ed

e nove

otto

minori,

oscure.

Saulino. Or espediscasi d'apportare brevemente quel che

fu fatto del resto. Sofia.



Decerni,

o padre,

disse

Momo,

di

quel

che

doviam fare di quel protoparente de li agnelli; quello che primieramente fa da la terra uscire le smorte piante, quello ch’apre l'anno e di novo florido e frondoso manto ricoprisce quella ed invaghisce questo. — Perché dubito, disse Giove, mandarlo con que’ di Calabria, o Puglia, o de la Campania felice, dove sovente dal rigor de l'inverno sono uccisi, né mi par convenevole inviarlo tra gli altri delle Africane pianure e monti, dove per il soverchio calore scoppiano; mi par convenientissimo ch'egli si trove circa il Tamisi, dove ne veggio tanti belli, buoni, grassi, bianchi e snelli =. E

I BL

guito

del

non

son

continuano,

discorso

smisurati,

come

con

manifesto,

errore

al Savolino.

* In qual pregio

fossero

condi frutti del

« descinari » inglesi

FLORIO

i montoni

(B.

II,

217-8)

193-4)

(\V.

nella

ad

si apprende

dal

521)

761

(G.t

IT,

cap.

163-4)

circa

attribuire

nei «banchetti » ed anche

(p. 50). (L.

regione

sè-

in semplici

quarto

(G.?

il

il

II,

dei

Se-

174-5).

SPACCIO

Nigero :; ’ non macilenti,

DE

negri,

come

circa il Tevere

LA

BESTIA

come

TRIONFANTE

circa il Silere ed Ofito ?; non

circa il Sebeto e Sarno 3; non cattivi, qual ed Arno;

non brutti a vedere, come

circa il

Tago; atteso che quel luogo quadra alla staggione a cui è predominante,

per

esservi,

verde

terreno,

più

ch'in

altra

parte,

oltre

e

citra 1’ Equinoziale, temperato il cielo; ché dalla supposta terra essendo bandito l'eccessivo rigor de le nevi e soverchio fervor del sole, come testifica il perpetuamente e florido

la fa fortunata,

come

di continua

e perpetua primavera. Giongi a questo che ivi, compreso dalla protezion de le braccia dell’ampio Oceano, sarà sicuro da lupi, leoni ed orsi, ed altri fieri animali e potestadi ne-

miche di terra ferma. E perché questo animale tiene del prencipe,

del

1 Fiume

da chi più stante che

duca,

del

ha

del

pastore,

del

che non s' indica facilmente, perché d'ordinario, anche

dovrebbe LoRENZO

saperlo, è conosciuto sotto altro nome, GIUSTINIANI avverta nel Dizion. geogr.

nato del Regno di Napoli Tanagro

conduttiero;

(Napoli,

1816, t. III, p. 11, p. 181)

nonoragio-

che il

«oggi è detto fiume Negro ». Certo, era così detto nel prin-

cipio del secolo

scorso

e anteriormente;

anzi,

nei suoi

Discorsi

sulla

Lucania il Barone di S. Biase GrusePPE ANTONINI (Napoli, Gessari, 1745, p. 203) anche con più precisione: «il fiume Botta, da’ paesani chiamato il Bianco.... s'unisce al Tanagro, corrottamente detto

il Negro ». Il quale si versa nel Sele dopo di aver bagnate terre del

Principato citeriore che il B. mesi del suo sacerdozio. 2 Il Sele e I' Ofanto: cîr. Avc., ecl. XII; TAnsILLO, Il 64 ecc. (SPAMPANATO, recens. po' ad oriente del Calvello,

con

molta probabilità visitò nei primi

Lucano, Phars., II, 426; SANNAZARO, vendemm., 124(?), e Liriche, sonn. 47, cit. Il Sele sorge dal Terminio, un dove nasce l’ Ofanto; e dopo d'avere

scorso, nel primo suo tratto, da nord a sud, ripiega a sud-ovest e passa non più lontano di quattro miglia da Campagna, nel cui convento di S. Bartolomeo il B., si sa da tutti, soggiornò nella sua giovinezza. 3 «Il

mio

Vesevo,

il buon

Sebeto

e ’1 Sarno »: così nelle Poesie

(ediz. Fiorentino, p. 4, son. v11) il TaNsILLO ricorda «l'acque illustri

e ‘1 bel terreno » dove

di lui,

(B.

nominò

194-5)

appena

(W.

egli, come

e sempre

II, 218)

il B., vide la luce, e che, non meno

che

(L. 521-2)

762

n'ebbe

(G.!

l'occasione.

164)

(G.2 II, 175-6).

DIALOGO

TERZO

capitano e guida; come vedete in cielo, dove tutti li segni di questo cingolo del firmamento gli correno a dietro; e come scorgete in terra, dove quando lui si balza o si precipita, quando diverte o s’addrizza, quando declina o poggia, viene facilissimamente tutto l'ovile ad imitarlo, consentirgli e seguitarlo; voglio ch’in suo luogo succeda la virtuosa Emulazione, la Exemplarità e buono Consentimento con altre virtudi sorelle e ministre; a le quali contrarii sono il Scandalo, il Male 1 Essempio; che hanno per ministra

la Prevaricazione, la Alienazione, il Smarrimento; per guida la Malizia

seguace e tenta zione e tade e sedie e

o l’Ignoranza,

o l'una

e l'altra

insieme;

la stolta Credulitade; la qual, come vedete, il camino tastando col bastone della oscura pazza persuasione; per compagna perpetua Dappocagine; le quali tutte insieme lascino vadano raminghe per la terra. —

per

è orba inquisila Vilqueste

— Bene ordinato — risposero li dei tutti. E dimandò

Giunone, che far volesse di quel suo Tauro, di quel suo bue,

di quel consorte del santo —

Se

non

vuole

andar

vicino

dico

alla

città

di Taurino 4, denominata

TA

metropoli

Presepio *. Alla quale rispose:

del

a l'Alpi,

Piamonte3,

p. 720: primo origine;

da

alle

dove

lui,

come

rive

del

Po,

è la deliciosa da

a p. 772: delle exequire

Bucefalo (dove tut-

tavia G2 trascrive dello exequire (G1 = L: dell'exequire)); ecc. Prove del

conto che B. tiene, scrivendo, della pronuncia. (Ma cfr. p. 188 n. 1.) ® Il Post. napol. avverte, sottolineando, l’irriverente allu-

sione. 3 È male correggere, come sin oggi da tutti è stato fatto, Piamonte in Piemonte, perché si viene a distruggere uno de' pit noti esempi di pronuncia meridionale. poi

4 Nel costituto veneto

me

nimento

(B.

partii.... a mia

195-6)

(W.

del 30 maggio

da Savona,

satisfazione,

II, 218)

a Torino;

venni

(L. 522)

1592

dove

a Venezia

(G.1 II,

763

il B. ricordò:

non

per

164-5)

trovando

« Dap-

tratte-

il Po»

(SPAMP.,

(G.2 II,

176-7).

SPACCIO

Bucefalia 1,

Partenope corvi, to,

DE

dalle

verso

gli

Oxonia

BESTIA

capri=

l’isole

l'occidente,

Mirmidonia

da

LA

da

TRIONFANTE

che

al

Corveto3 in

le formiche,

cinghiali

sono

Aprutio,

dal

rimpetto

Basilicata

Delfino

Ofanto

da’

di

da’

il Delfinaserpenti,

ed

da non so qual altra specie 4; vada per compagno

al prossimo

Montone;

dove

(come

testificano

le lor

carni

che per la commodità dell’erbe fresche e delicatura de pascoli vegnono ad essere le più preggiate del mondo) ha gli più bei consorti che veder si possano nel. rimanente del spacio de l'universo. — E dimandò Saturno del successore; che

a cui dura

rispose

cosi:

alle fatiche,



Per

esser

questo

un

animal,

pazientemente

laborioso,

voglio

che

sin ora sia stato tipo della Pazienza,

Toleranza,

Sufferenza

e Longanimitade, virtudi in vero molto necessarie al mondo;

e quindi seco si partano vadano

o

non

vadano)

(benché non mi curo che seco

l’ Ira,

l’ Indignazione,

il

Furore,

che sogliono accompagnarsi con questo talvolta stizzoso animale. Qua vedete uscir l’ Ira figlia, che è parturita da l’apprension d’ Ingiustizia ed Ingiuria; e partesi dolorosa e vendicativa, perché gli par inconveniente ch' il Dispreggio la guate e gli percuota le guance. Come ha gli occhi infocati Vita, p. 698). Ciò verso la fine del 1577 (vedi BERTI,

Forse

per Torino

ripassò

al suo ritorno

da Venezia,

Vita, pp. 58-9).

l'anno seguente,

recandosi a Chambéry. 1 Città indiana fondata da Alessandro Magno. ® Intorno a questa f. di pl., v. sopra, p. 588, n. 1. 3 Equivoco spiegabile, dovendo il B. aver negli orecchi

deno-

minazioni somiglianti, ma salernitane, Corbara, Montecorvino; anzi Montecorvino lo ricorda appresso, p. 818, e ivi n. 1. Nella Basilicata, nel circ. di Potenza, vi è Corleto, che i paesani chiamano

Corlito

e gli antichi

dicevano

Corneto.

4 È evidente che il B. non sa o per l'etimologia della città di cui non serbava V. Cena, p. 133.

(B.

196)

(W.

II, 218-9)

(L. 522)

(G.!

764

II,

prudenza non vuol dare certo un gradito ricordo.

165-6)

(G.3

II,

177-8).

DIALOGO

rivolti a Giove,

a Marte,

TERZO

a Momo,

a tutti!

Come

li va a

l'orecchio la Speranza de la vendetta, che Ia consola alquanto e l’affrena, con mostrargli il favor della Possibilitade minacciosa contra il Dispetto, la Contumelia ed il Strazio, gli

suoi

dona

provocatori!

forza,

nerbo

l'accompagna

con

contemprarla

e

Crudeltade

le



l’ Impeto,

e fervore;

e Vecordia.

tre

sue

là la

figlie,

O quanto

reprimerla!

O

suo

fratello,

che

Furia

sorella,

che

cioè

Excandescenzia,

è difficile e molesto

quanto

di

malaggiatamente

può esser concotta e digerita da altri dei, che da te, Saturno; questa,

che

testa dura,

ha

le

narici

aperte,

gli denti mordaci,

la

fronte

impetuosa,

le labbia velenose,

la

la lingua

tagliente, le mani graffiose, il petto tossicoso, la voce acuta,

ed il color sanguigno. — Qua Marte fece instanza per l' Ira, dicendo ch’ella alcuna volta, anzi più de le volte, è virtude necessariissima,

come

quella

che

favorisce

la

Legge,



forza alla Verità, al Giudicio; ed acuisce l’ Ingegno, ed apre il camino a molte egregie virtudi, che non capiscono gli animi tranquilli. A cui Giove:



Che allora, ed in quel

modo con cui è virtà, sussista e consista tra quelle, a quali si fa propicia; però mai s’accoste al cielo senza che gli vada innante il Zelo con la lanterna de la Raggione. — —



E che farremo

disse Momo.

lampe

a

far

de le sette figlie d'Atlante,

A cui Giove:

lume

a

quel

sponsalizio 1; ed avertiscano si chiuda

e che

ghiaccio,

la bianca

1 «Irvidet

(Post. napol.). (B.

196-8)

comincie

(W.

II, 219)

Vadano

notturno

d’andar

da sopra

neve,

parabolam



decem

atteso

virginum:

(L. 522-3)

765

con le sue sette

e merinoziale

prima

che

a destillar

che

o Padre?

la porta

il freddo,

allora

in vano

MATTH.,

XXIV

(G.I II,

166)

santo

(G.2 IT,

il

alza[1-13]»

178).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

ranno le voci e picchiaranno, perché gli sia aperta la porta, rispondendogli il portinaio che tiene la chiave: Non vi conosco, Avisatele che saran pazze, se faranno venir meno l’'oglio a la lucerna; la qual se fia umida sempre e non mai secca, averrà che non sieno tal volte prive di

splendor di degna laude e gloria, Ed in questa region che lasciano, il

vegna

Consorzio,

a metter il

la sua

Connubio,

stanza

la

Confraternitade,

Convitto, Concordia, Convenzione, sieno gionte a l’Amicizia, perché,

suo

luogo

è la Contaminazione,

E se non

son

rette,

non

sono

la Conversazione,

Confederazione; ed ivi dove non è quella, in

Confusione

esse;

perché

e Disordine.

mai

in verità (benché il più de le volte in nome) ma

hanno

spirazione,

verità Turba,

essere detestabile.

hanno

di Monopolio,

proponimento

medesimo

credere

Setta,

d'altro

Con-

nome

ed

sono tra irrazionali e quei che non

di

ed

o cosa

si trovano

tra scelerati;

Conciliabulo,

Congiurazione,

Non

Ecclesia,

buon

fine;

intendere;

ma

non

dove

dove

si

è l'ocioso concorre

a

medesima azione circa le cose similmente intese. Perseverano tra buoni; e son brevi ed inconstanti tra. perversi, come tra quei de quali dissemo in proposito della Legge e Giudicio,

come dere,

nelli

quali

color che non

non

si

versano

trova

veramente

circa virtuose

concordia,

azioni.

Saulino. Quei non sono concordi per parimente intenma

nel

parimente

intendere secondo

ignorare

e malignare

e nel

non

diverse raggioni. Quelli non consenteno

in pariménte oprare a buon fine, ma in far parimente poco

caso di buone opre e stimar indegni tutti gli atti eroici. Ma torniamo a noi. Che si fe’ de’ doi giovanetti? Sofia. Cupido le dimandò per il gran Turco; Febo volea che fussero paggi di qualche principe italiano; Mercurio, (B. 198-9)

(W. II, 219-20)

(L. 523-4)

766

(G.! II, 166-7)

(G.2 II, 178-09).

DIALOGO

TERZO

che fussero cubicularii de la gran camera. A Saturno parea che servissero per iscaldatoio! di qualche vecchio e gran prelato, o pur a lui, povero decrepito. A cui Venere disse: — Ma chi, o barba bianca, le assicura che non gli dii di morso

che non li mangi, se gli tuoi denti non perdonano a' proprii figli, per gli quali sei diffamato per parricida antropofago ? —

È peggio,

disse Mercurio,

che è dubio,

che per qualche

ritrosa stizza che l’assale, non gli piante quella punta di falce su la vita. Lascio che, se pur a questi può esser donato di rimaner in corte de gli dei, non sarà pi raggione che toccano a voi, buon

padre, che ad altri molti non meno

reve-

rendi che vi possono aver aperti gli occhi. — Qua sentenziò Giove, che non permetteva che in posterum in corte de gli dei si admettano paggi o- altri servitori che non abbiano molto sero

senno,

discrezione

e barba.

E che

mediante

le quali

si definisse

alle sorti,

questi

si mettes-

a chi

de

gli

dei toccasse di farne provisione per qualche amico in terra. —

E

mentre

alcuni

instavano

che

ne

determinasse

lui,

disse che non volea per queste cose gelose generar suspizion

di parzialità ne gli lor animi, quasi inchinando più ad una che ad un’altra parte di discordanti. Saulino. Buono ordine, per riparare a le dissenzioni= ‘ch'arrebono possute accadere per questi! Sofia. Chiese Venere l'Amore,

la Pace,

Imbracciamento,

che in luogo succedesse l’Amicizia,

con gli lor testimoni Carezze,

Vezzi,

Contubernio,

e gli tutti

fratelli

vitori, ministri, assistenti e circonstanti del gemino

Bacio, e serCupido.

— La dimanda è giusta, — dissero gli dei tutti. — Che si 1 (G!

ma

? B.

e G2:

stampò,

i nuovi

(B. 199-200)

iscaldalaio;

editori

come

L:

iscaldaloio)

pronunziano

hanno

(W. II, 220-1)

corretto:

i

meridionali,

dissensioni.

.

‘ dissenzioni ';

(L. 524) (G.1 II, 167-8) (G.2 II, 179-80).

767

faccia,



SPACCIO

DE

LA

disse

Giove.

BESTIA

TRIONFANTE

Appresso,

dovendosi

definire

del

Granchio (il quale, perché appar scottato dall'incendio del foco e fatto rosso dal calor del sole, non si trova altrimente 1

in cielo che se fusse condannato a le pene de l’ inferno), dimandò Giunone, come di cosa sua, che ne volesse far il senato; di cui la più gran parte lo rimese al suo arbitrio. E

lei disse che,

se Nettuno,

dio

del mare,

il comportava,

arrebe desiderato che s’attuffasse a l’onde del mare Adriatico, là dove ha più compagni che non ha stelle in cielo. Oltre, che sarà appresso l’onoratissima Republica Veneziana la qual, come fusse anch'ella un granchio, a poco a poco da l'oriente sen va verso l'occidente retrogradando *. Consenti quel Dio che porta il gran tridente. E Giove disse, che in loco del Cancro starà bene il tropico della Conversione,

Emendazione,

Repressione,

Ritrattazione,

virtudi

contrarie al Mal progresso. Ostinazione e Pertinacia; e subito soggionse il proposito del Leone, dicendo: — Ma questo fiero animale guardisi di seguitar il Cancro e di 1 B:

de’

altrimen.

2 Cfr. Cand., IV, 5; e CAMPANELLA, Parere intorno allo Stato Veneziani dopo l' interdetto, in AMABILE, T. Camp. ne’ Castelli

di Napoli, ecc. (Napoli 1887), II, p. 107. « Nella guerra sostenuta contro i Turchi nel 1537, la Repubblica [veneta] ebbe devastate le isole dell'Arcipelago; e, per la pace conclusa tre anni dopo, rinunziava.... a Patmos, a Stampalia, a Nio, ad Antiparo, a Paro, a Egina, e permetteva che pagassero un tributo alla Porta i bey di Lemno,

di Metelino, di Negroponte, d’Andro, di Rodi, di Santorino, di Milo, di Morea, di Lepanto e di S. Maura. La Lega, promossa da Pio V, e la vittoria alle Curzolari, per la gelosia dei principi e de’ generali alleati, cagionarono nuove d’Antivari, di Dulcigno, di Sopoto,

perdite, l'abbandono di Cipro, e l’ indennità di guerra di cen-

(B.

(G.!

tomila' ducati. La rovinosa pace del marzo del 1573 non sfuggf a’ contemporanei: per Matteo BanDpELLO (Nov., III, 69, ded.) ‘i Veneziani sono stati sforzati a comprare la Pace dal Turco, e dargli parte delle terre che in Levante s’avevano acquistate’ »: SPAMPANATO, 2 q. l. (Lo spaccio, pp. 134-35). 200-1)

(W.

II,

221)

(L.

524-5)

768

IT,

168-9)

(G.?

II,

180-1).

DIALOGO

TERZO

voler là ancora farsegli compagno; perché, se va a Venezia, trovarà ivi un altro, più che lui essere possa, forte; per-

cioché quello non solo sa combattere in terra, ma oltre guerreggia bene in acqua, e molto meglio in aria, atteso che ha l’ali, è canonizato, ed è persona di lettere: però sarà più espediente per lui di calarsene a gli Libici deserti dove trovarà moglie e compagni. E mi par che a quella piazza si debba transferir quella Magnanimità, quella eroica Generositade, che sa perdonar a' soggetti, compatir a gl’ infermi,

domar

l’ Insolenza,

conculcar

la

Temeritade,

rigettar la Presunzione e debellar la Suberbia. — Assai bene! — disse Giunone e la maggior parte del concistoro. Lascio di riferire con quanto grave, magnifico e bello apparato e gran comitiva se ne andasse questa virtude; perché al presente, per la angustia del tempo, voglio che vi baste di udire il principale circa la riforma e disposizione delle

sedie;

essendo

che

sono

per

informarvi

di tutto

il

resto quando sedia per sedia vi condurrò vedendo ed essaminando queste corti. Saulino. Bene, o cara Sofia. Molto mi appaga la tua cortesissima promessa; però son contento, che con la maggior brevità,

che

vi piace,

mi

doniate

saggio

spaccio dato all’altre sedie e cangiamenti. Sofia. — Or, che sarà della Vergine ? — casta

Lucina,

la

cacciatrice

Diana.



dell'ordine

e

dimandò

la

Fategli,

rispose

Giove, intendere se la vuole andare ad esser priora o abbatessa delle suore o monache, le quali son ne’ conventi o monasterii de l' Europa; dico, in que’ luoghi dove non son state messe in rotta e dispersione da la peste 1: o pur 1 Il B. allude alle recenti pestilenze degli anni (B.

201-2)

(W.

II,

221-2)

(L.

525)

769

(G.!

II,

1575-77

169-70)

(G.2

in Italia II,

181).

SPACCIO

a governar la gola di o rendersi tinna, che

LA

BESTIA

TRIONFANTE

le damigelle de le corti, a fin che non le assalte mangiar li frutti avanti o fuor de la. staggione, compagne de le lor signore. — Oh, disse Ditnon puote; e dice che non vuole in punto alcuno

ritornar

onde

fuggita.



ferma

DE

è una volta scacciata,

e donde

Il protoparente suggionse:

in cielo,

e guardisi

bene



è tante volte

Tegnasi dunque

di cascare,

e veda

di non

farsi contaminare in questo loco. — Disse Momo: — Mi par che la potrà perseverar pura e netta, si perseverarà di esser lungi da animali raggionevoli, eroi e dei, e si terrà tra le bestie, parte

come

occidentale

sin il

al presente

ferocissimo

è stata, Leone,

avendo

e

da

la

dall'oriente

il

tossicoso Scorpio. Ma non so come si portarà adesso, dove gli è prossima la Magnanimitade, l’Amorevolezza, la Generositade e Virilitade, che facilmente montandogli

per raggion di domestico magnanimo,

ranno

amoroso,

dovenir

contatto

generoso

maschio,

a dosso,

facendoli contraere del

e virile,

da

femina

la fa-

e da selvaggia

ed

alpestre

dea,

e nume da Satiri, Silvani e Fauni, la convertiranno in nume galante, essere,

umano, rispose

medesima nenza,

affabile ed ospitale. Giove;

ed

intra

sieno

la

Castità,

sedia

Purità,

Modestia,

tanto,

esser una

Sia quel che deve gionte*

la

Pudicizia,

Verecundia

trarie alla prostituta Libidine,

dicizia, Sfacciatagine;



ed

a

lei nella la

Onestade,

effusa Incontinenza,

Conticon-

Impu-

per le quali intendo la Verginitade

de le virtudi, atteso

che quanto

a sé non

è cosa

di valore. Perché, quanto a sé, non è virtà né vizio, e non contiene (SPAMP.,

bontà,

dignità,



merito;

Vita, pp. 267-8), e 1580-82

molti conventi. 1 BL: gionta. (B.

202-3)

(W.

II,

222)

(L.

525-6)

770

e quando

in Francia,

(G.

II,

non

serve

che fecero chiudere

170)

(G.3

II,

181-2).

DIALOGO

TERZO

alla natura imperante, viene a farsi delitto, impotenza, pazzia e stoltizia espressa: e se ottempera a qualche urgente raggione, si chiama Continenza, ed ha l'esser di virtii, per quel che participa di tal fortezza e dispreggio di voluttadi: il quale non è vano e frustratorio, ma conferisce alla conversazione umana ed onesta satisfazione altrui. — E che farremo de le Bilancie? — disse Mercurio. —Vadano : per tutto, rispose il primo presidente: vadano per le fameglie, acciò con esse ‘li padri veggano dove meglio inchinano gli figli, se a lettere, se ad armi; se ad agricoltura, se a religione;

se a celibato,

se ad amore;

atteso

che

non

è bene che sia impiegato l'asino a volare e ad arare i porci. Discorrano

le Academie

ed

Universitadi, dove s’essamine

se quei che insegnano, son giusti di peso, se son troppo leggieri o trabuccanti; e se quei che presumeno d’ insegnar in catedra e scrittura, hanno

necessità d’udire e studiare:

e bilanciandoli l’ ingegno, si vegga se quello impenna over impiomba; e se ha della pecora o pur del pastore; e se è buono a pascer porci ed asini o pur creature capaci di raggione. Per gli edificii Vestali vadano a far intendere a questi ed a quelle, quale e quanto * sia il momento del contrapeso, per violentar la legge di natura per un’altra sopra- o estrao contranaturale, secondo o fuor d’ogni raggione e 3 debito. Per le corti, a fin che gli ufficii, gli onori, le sedie, le grazie

ed exenzioni

corrano

dignitade

ciascuno;

di

secondo

che ponderano

perché

non

gli meriti

meritano

d’esser

sidenti a l'ordine, ed a gran torto della Fortuna 1 «Bilances

(Post.

napol.).

% GI: 3 GI:

(B.

et

carum

usus

varîi

(W.

II, 222-3)

(L. 526)

771 --

utilissimi.

Bel

pre-

presiedeno discorso»

quante, 0 debito.

203-4)

543

et

e

G.

Ununo,

Diloghi

italiani

(G.! II,

170-1)

(G.2

II,

182-3).

\

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

a l'ordine quei che non san reggere secondo l'ordine.

le republiche,

acciò

ch'il

carrico 1 delle

Per

administrazioni

contrapesi alla sufficienza e capacità de gli suggetti; e non si distribuiscano le cure con bilanciar gli gradi del sangue, de la nobilitade,

de’

titoli, de ricchezza:

ma

de

le virtudi

che parturiscono gli frutti de le imprese; perché presiedlano

i giusti,

contribuiscano

i facultosi,

insegnino

li dotti,

gui-

deno gli prudenti, combattano gli forti, conseglino quei ch’ han giudicio, comandino quei ch'hanno autoritade, Vadano per gli stati tutti, a fin che negli contratti di pace, confederazioni e leghe non si prevariche e decline dal giusto, onesto ed utile commune,

attendendo

alla misura

e pondo

della fede propria e de quei con gli quali si contratta; e nell’imprese ed affari di guerra si consideri in quale equilibrio concorrano le proprie forze con quelle del nemico, quello che è presente e necessario con quello che è possibile nel futuro, la facilità del proponere con la? difficultà delle exequire 3, la comodità dell’uscire,

l’inconstanza

dell’entrare

d'amici

con

con la

l’ incomodo

constanza

de

nemici, il piacere d’offendere con il pensiero di defendersi, il comodo turbar quel d'altri con il malaggiato conservare il suo, il certo dispendio ed iattura del proprio, con l' incerto acquisto e guadagno de l’altrui. Per tutti gli particulari

vadano,

acciò

ognuno

contrapesi

quel

che

vuole

con quel che sa; quel che vuole e sa con quel che puote; quel che vuole, sa e puote con quel che deve; lo che 4 vuole, 1 Gl: carico.

a p.

(B.

* G!: le difficultà. 3 (B (cfr. L in nota): delle ezequire; G* dello ecc. Vedi la nota 763,

n.

1)

4 È lo spagnolismo 204-5)

(W.

II,

223)

comune (L.

nel B.: cfr. sopra,

526-7)

772

(G.!

II,

171-2)

p. 703, n. 1. (G3

II,

183-4).

DIALOGO

sa, puote e deve!

TERZO

con quel che è, fa, ha ed aspetta.



Or,

che metteremo dove son le Bilancie ? Che sarà in loco della Libra ? — domandò Pallade. Risposero molti: — La Equità, il Giusto, la Retribuzione, Grazia,

la Gratitudine,

la raggionevole Distribuzione,

la buona

Conscienza,

la

la

Recogni-

zion di se stesso, il Rispetto che si deve a’ maggiori, l’ Equanimità che si deve ad uguali, la Benignità che si richiede verso gl’ inferiori, la Giustizia senza rigore a riguardo di tutti,

che

spingano = l’ Ingratitudine,

la Temeritade,

l' In-

solenza, l’Ardire, l’Arroganza, il poco Rispetto, l’ Iniquitade, l’ Ingiuria ed altre famigliari di queste. — Bene, bene!



dissero

tutti

del concistoro.

gionta

l’ora, o dei, in cui si deve

s'alza in piedi il bel érinito Apolline,

Dopo

la qual

e disse:

donar



degna

voce

È pur

ispedizione

a questo verme infernale che fu la principal caggione dell’orribil caso e crudel morte del mio diletto Fetonte; perché,

quando quel miserello dubbioso e timido con gli mal noti destrieri guidava del mio eterno foco il carro, questo per-

nicioso contro

mostro con

minaccioso

la punta

venne

a farsegli

della sua coda

talmente

mortale,

che per

inl'or-

rendo spavento facendolo di se stesso fuori, li fé dalle tenere mani cascar sul tergo de’ cavagli i freni: onde la tanto

signalata

lattea appare molte e molte ontoso scorno vergogna che cielo occupato

ruina

(W.

cielo,

che

ancor

nella

via

detta

arso; il sf famoso danno del mondo, che in parti apparve incinerito; e si fattamente contro la mia deitade ne seguitasse. È pur tanto tempo una simil sporcaria abbia nel il spacio di doi segni. —

I (G1 (= L): deve) * Spingano (come

(DB. 205-6)

del

II,

223-4)

altrove:

(L.

527-8)

773

v.

p.

(G.I

722,

n.

2):

II,

172-3)

spengano.

(G2

II,

184).

SPACCIO

— far

Vedi,

DE

dunque,

di questo

tuo

LA

BESTIA

o Diana,

animale,

TRIONFANTE

disse Giove,

il qual

vivo

quel

che vuoi

è tristo,

e morto

non serve a nulla. — Permettetemi (se cossi piace a voi), disse la vergine dea, che ritorne a Scio nel monte Chelippio; dove per mio ordine nacque a mal grado del presuntuoso Orione, ed ivi in quella materia di cui fu prodotto,

si risolva. Seco si partano la Fraude, la Decepzione, 1’ Inganno, la perniciosa Finzione, il Dolo, 1’ Ipocrisia, la Buggia, il Pergiuro, virtudi,

il Tradimento;

Sincerità,

e quivi

Execuzion

di

succedano

promesse,

le contrarie

Osservanza

di

fede, e le lor sorelle, seguaci e ministre. — Fanne quel che ti piace, disse Momo; perché gli fatti di costui non ti saran messi in controversia, come a Saturno il vecchio quegli de’

doi fanciulli. E veggiamo presto quel che si ! deve far del figlio Euschemico ?, che téma di mandarla vedova

saetta

si continua

E

son già tante migliaia d'anni che con via senza averne un’altra, tiene quella

incoccata

la coda

a l'arco,

alla

facendo

spina3

del

dicono,

al

la mira

dorso

là dove

di

Scorpione,

che

è la metà

certo, se, come lo stimo pur troppo prattico in prender

mira,

in collimare,

come

scopo

de l’arte sagittaria, lo potesse ancor stimare non ignorante

in quel rimanente circa il tirare e dar di punta al bersaglio, che fa l’altra metà de l'esercizio; donarei conseglio che lo inviassemo a guadagnarsi un poco di riputazione nell’ isola Britannica, dove sogliono di que’ messeri, altri in giubbarello ed altri in saio faldeggiante, celebrar la festa del

1 (G! = L:

quel che si;

? Euschemico,

il Sagittario.

3 GI:

(B.

G*:

figlio

quel si (per omissione

di

Euschemia

(cfr.

p.

tipogr.).)

600,

n.

alla spine.

206-7)

(W.

II,

224)

(L.

528)

774

(G.®

II,

173)

(G.2

II,

184-5).

2):

DIALOGO

prencipe Artur e candogli il verbo dentro al segno, tanto vedete voi vero, come

TERZO

duca di Sciardichi ‘, Ma dubito che, manprincipale, per quanto appartiene a donar non vegna a far ingiuria al mistiero. Per altri che ne volete fare; perché (a dir il

la intendo)

non mi par comodo

ad altro che ad

essere spaventacchio degli ucelli, per guardia, delle fave o de’ meloni 2. —

Vada,

verbigrazia,

disse il Patriarca,

dove

vuole; donegli pur alcun di voi il meglior ricapito che gli pare; e nel suo luogo sia la figurata Speculazione, Contemplazione, Studio, Attenzione, Aspirazione, Appulso ad ottimo

fine, con le sue circonstanze

e compagnie.



Qua soggionse Momo: — Che vuoi, padre, che si debba fare di quel santo, intemerato e venerando Capricorno? ! Per queste allusioni cfr. nota aggiunta in fondo a q. vol. (Colloco qui di sèguito, eliminata la citaz. dalla presente pagina, la nota in questione:) A illustrazione di queste allusioni l’egregio

prof.

Mario

Praz

mi

comunica

le seguenti

notizie

che

si leggono

nel vol. Archery di C. J. LonGMAn e Cot. H. WaLROND (London, Longmans, Green e Co., 1894): «The archers f{requenting these fields [i. e. I'insbury Fields] for practice formed themselves into

societes or associations, and the

Society

pany;

Arthure mo

it

‘ The

record

of

and

appears

Saint

George,

auncient

his

exists,

that

order

knightly except

these

a

there were apparertly three of these: or

societie

armory book

Archers

the

and

Honourable

of the

Unitie

round

published

called

in

Artillery

laudable

themselves

of

Prince

from

which

table’,

1583,

after

thur's knights; and the Finsbury Archers» (p. 167). VIII] frequently attended shooting matches, and on

Com-

of which

King

Ar-

« He (Henry one occasion

is said to have promised one of his guards, called Barlow, that if he won, he should be created Duke of Shoreditch, and this title,

and similar fantastic ones, seem to have been handed down and used by skilful archers for a considerable time, as Wood, in his Bowman's Glory, uses them to designate certain leading archers» (p. 162). 2 Spaventacchio, spauracchio (sec. XIV); fig., apparenza che

mette spavento (dal XIV al XVII sec.). Anche oggi, non v'è orto nolano nel cui mezzo non sorga un pauroso fantoccio per lo scopo indicato

(B.

dal

207-8)

Bruno.

(W.

II,



224)

Cfr.

(L.

sopra,

528)

p.

(G.!

775

633,

II,

n.

1.

173-4)

(G.2

II,

185-6).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

di quel tuo divino e divo connutrizio, di quel nostro strenuo e più che eroico commilitone contra il periglioso insulto della protervia gigantesca? di quel gran consegliero a guerra, che trovò il modo di examinare quel némico che da

la spelunca del monte Tauro apparve ne l' Egitto formidando antigonista! de gli dei? di quello il quale (perché apertamente non arremmo avuto ardire d’assalirlo) ne dié lezione di trasformarci

in bestie, a fin che l’arte ed astuzia

supplisse al difetto di nostra natura e forze per parturirci* onorato trionfo dell’aversarie posse? Ma, oimè, questo merito non è senza qualche demerito; perché questo bene non è senza qualche male aggiunto, forse perché è prescritto e definito dal fato, che nessun dolce sia absoluto da qualche fastidio ed amaro, o per non so qual'altra caggione. — Or che male, disse Giove, ne ha egli possuto apportar, che si possa dir esser3 stato congionto a quel tanto bene? che indignità, che abbia possuto accompagnarsi con tanto trionfo ? —

Rispose

Momo:



Fece

egli con

questo,

che

gli Egizii venessero ad onorar le imagini vive de le bestie, e ne adorassero in forma di quelle; onde venemo ad esser beffati,

come

ti dirò.

non averlo per male,



E

questo,

o Momo,

disse

Giove,

perché sai, che gli animali e piante

son vivi effetti di natura; la qual natura (come devi sapere)

non è altro che dio nelle cose. — Saulino. Dunque, satura est deus in rebus. 1 Non

è il

solo

esempio

(a p.

593:

metampsicosi)

dell’erronca

formazione di parole composte, mantenendo il B. la finale della prima parte e troncando (La

forma

P. 24.) 2 3

(B.

antigonista

(Gt = L: (G! = L:

208-9)

l’ iniziale della seconda partie della composizione.

(W.

(dal G. emendata tacitam.),

parturirci; G*: partuirci esser; G®:; essere) II,

224-5)

(L.

528-9)

776

(G.!

(svista II,

anche

nella Cena,

tipogr.).) 174)

(G.*

II,

180).

DIALOGO

Sofia.



Però,

diversi numi

disse,

e diverse

luto che hanno,

TERZO

diverse

cose

potestadi;

ottegnono

vive

rapresentano

che oltre l'essere abso-

l'essere comunicato

a tutte

le

cose secondo la sua capacità e misura. Onde Idio! tutto (benché non totalmente ma in altre più e meno eccellentemente) è in tutte le cose. Però Marte si trova più efficacemente in natural vestigio e modo di sustanza non solo in una vipera e scorpione, ma ed in una cipolla ed aglio, che in qualsivoglia maniera Cossf

pensa

nel gallo,

del

Sole

nel leone;

di pittura o statua inanimata.

nel croco,

nel

cossi pensar

narciso,

devi

nell’ elitropio,

di ciascuno

de

gli

dei per ciascuna de le specie sotto diversi geni de lo ente, perché sicome la divinità descende in certo modo per quanto

che

si

comunica

s'ascende per la cose naturali si — È vero quel vedo, come que’ a farsi familiari, che mandavano trine,

alla

natura,

cossi

alla

divinità

natura, cossi per la vita rilucente nelle monta alla vita che soprasiede a quelle. che dici, rispose Momo: perché in fatto sapienti con questi mezzi erano potenti affabili e domestici gli dei che per voci, da le statue, gli donavano consegli, dot-

divinazioni

ed

instituzioni

sopraumane?;

onde

con

magici e divini riti per la medesima scala di natura salevano 3 a l’alto della divinità, per la quale la divinità descende sino alle cose minime per la comunicazione di se stessa. Ma quel che mi par da deplorare, è che veggio alcuni

insensati

1 BW:

e stolti idolatri, Idio;

2 « Videluvr

LG*:

Iddio.

excusare,

imo

li quali,

Ma

rum cum hominibus in oraculis (Post. napol.). 3 Fa ricordare la Î. napol.: (B. 209-10)

(W.

IL

225)

è una

laudare

non

f. che

vetus

dacmoniacis.

più

B.

che

l'ombra

adopera spesso.

commercium

Discorso

daemonio-

detestabile»

saglievano.

(L.. 529-30)

777

(G.!

II,

174-5)

(G.2 II,

186-7).

SPACCIO

DE

s'avicina

alla

culto

1’ Egitto;

de

LA

nobilità

del

e che

BESTIA

TRIONFANTE

corpo,

imitano

cercano

la

l'eccellenza

divinità,

di

cui

del non

hanno raggione alcuna, ne gli escrementi di cose morte ed inanimate; quei

che con

divini

ed

tutto ciò si beffano

oculati

color che siamo

cultori,

ma

riputati bestie;

non

anco

di

solamente

di

noi,

di

come

e quel che è peggio,

con

questo trionfano, vedendo gli lor pazzi riti in tanta riputazione, e quelli de gli altri a fatto svaniti e cassi. — Non ti dia fastidio

questo,

o Momo,

disse

Iside,

perché

il fato

ha ordinata la vicissitudine delle tenebre e la luce. — Ma il male è, rispose Momo, che essi tegnono per certo di essere nella luce. — Ed Iside soggionse, che le tenebre non

gli sarrebono tenebre, se da essi fussero conosciute. Quelli dunque, per impetrar certi beneficii e doni da gli dei, con

raggione

di profonda magia passavano

per mezzo

di certe

Là onde que’ ceremoni non erano vane

fantasie,

cose naturali, nelle quali in cotal modo era latente la divinitade, e per le quali essa potea e volea a tali effetti comunicarsi.

ma vive voci che toccavano le proprie orecchie de gli Dei; li quali, come da lor vogliano essere intesi non per voci d' idioma

che

lor sappiano fengere, ma per voci di naturali effetti,

talmente per atti di ceremoni circa quelle volsero studiare di essere intesi da noi: altrimente cossi fussemo stati sordi a gli voti, come un Tartaro al sermone greco che giamai udio.

Conoscevano

vinità,

latente

que’

nella

savii dio essere nelle cose, e la di-

natura,

oprandosi

e scintillando

di-

versamente in diversi suggetti, e per diverse forme fisiche, con certi ordini, venir a far partecipi di sé, dico de l’essere,

della vita ed intelletto; e però con gli medesimamente diversi ordini si disponevano alla recepzion de tanti e tai doni, quali e quanti bramavano. Quindi per la vittoria (B.

210-1)

(W.

II,

225-6)

(L.

530)

778

(G.

II,

175-6)

(G.2

II,

187-8).

DIALOGO

TERZO

libavano a Giove magnanimo nell’aquila, dove, secondo tale attributo, è ascosa la divinità; per la prudenza nelle operazioni a Giove sagace libavano nel serpente; contra la prodizione a Giove minace nel crocodillo; cossi per altri innumerabili fini libavano in altre specie innumerabili. Il che tutto non si faceva senza magica ed efficacissima raggione 1. Saulino.

Come

dite

cossi,

o

Sofia,

se

Giove

non

era

nomato in tempo di egizii culti, ma si trovò molto tempo dopo, appresso gli Greci? Sofia.

Non

aver

perché

io parlo

perché

gli nomi

alla divinità:

secondo

del

nome

greco,

la consuetudine

(anco appresso

o

Saulino;

più universale,

gli Greci)

sono

e

apposticci

atteso che tutti sanno bene che Giove fu un

re di Creta, uomo

quel

pensiero

mortale,

e di cui il corpo,

di tutti gli altri uomini,

non meno

è putrefatto

che

o incinerito ?.

Non è occolto qualmente Venere sia stata una donna mor-

tale, la qual fu regina deliciosissima, e sopra modo bella, graziosa e liberale in Ciprio. Similmente intendi de tutti gli altri dei che son conosciuti per uomini. Saulino.

Come,

dunque,

Sofia. Ti dirò. Non divinità,

ma

la giustizia,

adoravano

adoravano

perché vedendo

le adoravano Giove,

la divinità,

un uomo

ed

invocavano?

come

come

lui fusse la

fusse

in Giove;

in cui era eccellente la maestà,

la magnanimità,

intendevano

in lui esser

dio

magnanimo, giusto e benigno; ed ordinavano e mettevano in consuetudine che tal dio, o pur la divinità, in quanto 1 aZuxta illud nimirum

gloriam

învisibilis

Dei

in

[PauLI]

serpentum 2 Cfr.

etc. » (Post. napol.). il De rerum principiis,

(B.

(W.

211-2)

II, 226-7)

ad Rom.,

imaginem

I [23]: Et mutaverunt

corruptibilis

in Opera,

(L. 530-1)

779

(G.1

II,

III,

hominis,

547,

176-7)

(G2

volucrum,

16/sgg. II,

188-9).

SPACCIO

che

DE

in tal maniera

come

LA

BESTIA

TRIONFANTE

si comunicava,

sotto il nome

di Mercurio

fusse

nominata

Giove;

Egizio sapientissimo

fusse

nominata la divina sapienza, interpretazione e manifestazione. Di maniera che di questo e quell'uomo non viene celebrato altro che il nome

e representazion

della divinità,

che con la natività di quelli era venuta a comunicarsi a gli uomini, e con la morte loro s’ intendeva aver compito il corso

de

l’opra

sua,

o ritornata

in

cielo.

Cossi li numi eterni (senza ponere inconveniente alcuno contra quel che è vero della sustanza divina)

temporali

altri

come

possete

sense

fu

ed

altri

vedere

nomato

in altri

tempi

per manifeste

Mercurio,

ed

istorie,

e Barnaba

hanno

altre

che

nomi

nazioni:

Paulo

Galileo

Tar-

fu nomato

Giove 1, non perché fussero creduti essere que’ medesimi dei;° ma perché stimavano che quella virtà divina che si trovò

in Mercurio

e Giove

in altri tempi,

all’ora presente

si trovasse in questi, per l’eloquenza e persuasione ch'era nell’uno, e per gli utili effetti che procedevano da l'altro. Ecco dunque come mai furono adorati crocodilli, galli, cipolle e rape; ma gli Dei e la divinità in crocodilli, galli ed altri; la quale in certi tempi e tempi, luoghi e luoghi, successivamente

ed

insieme

insieme,

si trovò,



trova

e

sì trovarà in diversi suggetti quantunque siano mortali: avendo riguardo alla divinità, secondo che ne è prossima e familiare,

non

secondo

e senza abitudine

XIV,

! I soggetti

rium;

rr:

«Et

quoniam

2 « Videlicet

è altissima,

absoluta

in se stessa,

alle cose prodotte 2. Vedi dunque

sono

Mercurio

vocabunt

Barnabam

ipse erat dux escusa

molto

e

verbi »,

bella,

Giove.

Iovem,

perché

Cfr.

Paulum

di

questa

Acta

vero

sorte

come apost.,

Mercu-

e per

questa raggione non mai dovevano

essere in reverenza queste cose

(B.

(GI

212-3)

(W.

II,

227)

(L.

531)

780

II,

177)

(G4à

II,

1809-90).

DIALOGO

una

semplice

feconda

divinità

natura,

che

madre

TERZO

si trova

in tutte le cose,

conservatrice

de

una

l'universo,

se-

condo che diversamente si comunica, riluce in diversi soggetti, e prende diversi nomi. Vedi come a quell’una diversamente bisogna ascendere per la participazione de diversi doni; altrimente in vano si tenta comprendere l’acqua con

le reti e pescar i pesci con la pala. Indi ne gli doi corpi che vicino a questo globo e nume nostro materno son più principali, cioè nel sole e luna, intendeano

le cose secondo prendeano dola

due raggioni più principali.

quella

a sette

la vita che informa

lumi

secondo

sette

chiamati

Appresso

altre raggioni,

erranti;

ap-

distribuen-

a gli quali,

come

ad

original principio e feconda causa, riduceano le differenze delle specie in qualsivoglia geno: dicendo de le piante, de li animali, cose,

de le pietre, de gl’ influssi, e di altre ed altre

queste

di Saturno,

queste

di Giove,

queste

di Marte,

queste e quelle di questo e di quell'altro. Cossi de le parti, de’

membri,

de’

colori,

de’

sigilli,

de’

caratteri,

di

segni,

de imagini destribuite in sette specie. Ma non manca questo,

che

quelli

non

intendessero

una

che si trova in tutte le cose, la quale,

merabili

si diffonde

merabili,

e communica,

e per vie innumerabili,

appropriate

a ciascuno,

si ricerca,

essere

come

cossi

la divinità

in modi

ave

nomi

con raggioni mentre

per innu-

innu-

proprie ed

con

riti innu-

merabili si onora e cole, perché innumerabili geni di grazia cercamo impetrar da quella. Però in questo bisogna quella sapienza e giudizio, quella arte, industria ed uso di lume che

tute

lc altre

che

sono

nel mondo,

pietre,

(L. 531-2)

(G.! II,

erbe,

animali,

uccelli,

uomini etc. perché in ciascuna e qualunque parte de la divinità a lei communicata per lo essere etc. como qui se sequita » (Post. napol.). Cir. GIOVENALE, XV, I-II. (B. 213-5)

(W.

II, 227-8)

781

177-8)

(G.? II,

190).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

intellettuale, che dal sole intelligibile a certi tempi più ed a certi tempi meno, quando massima- e quando minimamente viene revelato al mondo. Il quale abito si chiama Magia:

e questa,

rali, è divina; della

natura

per quanto

e quanto

versa in principii sopranatu-

che versa circa la contemplazion

e perscrutazion

di

suoi

secreti,

è naturale;

ed è detta mezzana e matematica, in quanto che consiste circa le raggioni ed atti de l'anima, che è nell’orizonte del corporale e spirituale, spirituale ed intellettuale 1. Or, per tornare al proposito donde siamo dipartiti, disse Iside a Momo, che gli stupidi ed insensati idolatri non aveano raggione di ridersi del magico e divino culto degli Egizii; li quali in tutte le cose ed in tutti gli effetti,

secondo le proprie raggioni di ciascuno, contemplavano la divinità; e sapeano per mezzo delle specie che sono nel grembo della natura, ricevere que’ beneficii che desideravano

da

quella;

la

quale

come

dal

mare

e fiumi

dona

pesci, da gli deserti gli salvatici animali, da le miniere gli metalli, da gli arbori le poma;

cossi da certe parti, da certi

animali, da certe bestie, da certe piante porgono certe sorti, virtudi, fortune ed impressioni 2. Però la divinitade nel

mare

fu

terra Cerere, scuna

chiamata

Nettuno,

ne gli deserti

de le altre specie,

Diana;

nel

sole

Apolline,

e diversamente

le quali, come

nella

in cia-

diverse idee, erano

diversi numi nella natura, li? quali tutti si referivano ad un nume de’ numi e fonte de le idee sopra la natura. Saulino. Da questo parmi che derive quella Cabala de I Cfr.

del

Opp.

lat., v. III,

p.

397

sgg.

(L. 532-3)

(G.I

» « Modus impetrandi dona Dei, secondo la theologia ben cativa Nolano»

3 Gli; le.

(B. 215-6)

(Post.

(W.

napol.).

II, 228)

782

II,

178-9)

(G

II,

190-1).

i

DIALOGO

gli Ebrei,

la cui sapienza

TERZO

(qualunque

la sia in suo geno)

è proceduta da gli Egizii appresso de quali fu instrutto Mosè :. Quella primieramente al primo principio attribuisce un nome ineffabile, da cui secondariamente procedeno quattro, che appresso si risolveno in dodici; i quali migrano per retto in settantadoi, e per obliquo e retto in cento quarantaquattro;

e cossî

narii

innumerabili,

esplicati,

in

oltre,

per

quaternarii

secondo

che

e duode-

innumerabili

sono le specie. E talmente, secondo ciascun nome (per quanto vien commodo al proprio idioma), nominano un dio, un angelo, una intelligenza, una potestà, la quale è presidente ad una specie; onde al fine si trova che tutta la deità si riduce ad un fonte, come tutta la luce al primo e per sé lucido, e le imagini che sono in diversi e numerosi specchi, come in tanti suggetti particulari, ad un principio formale ed ideale, fonte di quelle. Sofia. Cossîf è. Talmente dunque quel dio, come absoluto,

non

ha che

far con

noi; ma

per quanto

si comunica

alli effetti della natura, ed è più intimo a quelli che la natura istessa; certo

di maniera

è la natura

del mondo,

de

se non

che se lui non

la natura;

ed

è la natura

è l’anima

è l'anima istessa:

gioni speciali che voleano accomodarsi

però,

istessa,

de

l'anima

secondo

le rag-

a ricevere l’aggiuto

di quello, per la via delle ordinate specie doveano presentarsegli avanti: come chi vuole il pane, va al fornaio; chi vuole il vino, al cellaraio; chi appete gli frutti, va al giardiniero; chi dottrina, tutte l'altre cose:

e cossi va discorrendo

in tanto che una bontà,

1 « Scilicet,

hoc

deerat

Nolanis

blasphemiis,

216-7)

II,

228-9)

(L.

(G.!

Mosen (B.

al mastro;

una

ut

felicità, un

verbum

traditum acceptum ferret Aegyptiis commentis » (Post. (W.

533)

783

II,

179-80)

per

(G.2

II,

Dei

per

napol.).

191-2).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

principio absoluto de tutte ricchezze e beni, contratto a diverse raggioni, effonde gli doni secondo l'exigenze de particulari.

Da qua puoi inferire, come la sapienza de gli Egizii, la quale è persa, adorava gli crocodilli, le lacerte, li serpenti, le cipolle;

non

solamente

la terra,

la luna,

il sole ed altri

astri del cielo; il qual magico e divino rito (per cui tanto comodamente la divinità si comunicava a gli uomini) viene deplorato dal Trimegisto, dove, raggionando ad Asclepio, disse 1: —

Vedi,

animate, che fanno Queste

di

statue,

cose

e

le

nel è

dir

che

tempio

A

sai,

la

imagine

la

il

la

mense

altre

cap.

Novembri

Il Postillatore

intitola

affetti

del

cielo3,

de

tutte

esercitano terra

cimè,

tempo

in

vano

cultore Lucio

IX;

MDXVI,

Apuleio

della Madaurensi

in JampLICUS,

Venetiis,

tri-

Asclepio,

l’Egitto

opere,

le

nostra

Ma,

Dialogus,

interprete,

ed

o

ed

vero,

infir-

gli

colonia

religioso

TrismEGISTI

platonico



ne

Non

apparirà

Aegyptiorum Soceri,

meriti

mondo.

stato

philosopho

letterale.

e

gli

dir

del

® MERCURII

Andreae

allegrezze

governano

che

essere

steriis

le

sia

si

prognostricatrici?

le

meglio,

cielo?

verrà

statue

inducono

umani?

l'Egitto

cose

queste

che

cure,

secondo

corpi per

dico,

future,

stizie, come

Asclepio,

piene di senso e di spirito, tali e tante degne operazioni?

mitadi, e

o

f.

in

aedibus

1307.

il ragionamento

ad

De

Aldi

my-

et

Traduzione

Asclepio:

«Trimegisti laudes in Aegyptum et eius valicinium de abolitione Aegyptiacae religionis et sapientiae ». ® Anche ‘oggi da coloro che non pronunziano correttamente. 3 D: maginne; WLG1: magione. Ma il testo latino ha: imago coelì. (B.

217-8)

(W.

II,

229)

(L.

533-4)

784

(G.!

II,

180)

(G.2

II,

192-3).

DIALOGO

divinitade;

grando serto; marrà essere gli dei, niera e legge

perché

le

alcuno.

che

sculpite

narraranno

ché

remi-

non

questi

Egitto,

gli

a

rimar-

incredibili

alle

quali

pii

nelle dei

saranno

Egitto,

solamente

anco

future,

narri

le Lettefe

O

tue

favole,

generazioni

altro,

divinità,

cielo, lasciarà l'Egitto dee questa sedia de divinità rivedova da ogni religione, per abandonata dalla presenza de perché vi succederà gente strabarbara senza religione, pietà, religioni

ranno

la

al

e culto

delle

TERZO

tuoi ed

non

sarà

gesti,

pietre, e

che

le quali

uomini

morti,

alle

la

(per-

deitade

sarà trasmigrata in cielo), ma a Sciti ed Indiani, o altri simili di salvaggia natura.

alla

luce,

utile

che

occhi

al

Le

tenebre

la

morte

la

vita,

cielo,

insano,

il

l’empio

si

preponeranno

sarà

giudicata

nessuno

religioso

sarà

alzarà sarà

credetemi

pena

capitale

alla

religion

trovaranno nulla

si

! Qui, latina. 218)

a

giudicato

nove

non

ancora

colui

si

II,

229)

(L.

buono.

definita

s’applicarà

giustizie,

nuove leggi,

di

nulla

mente;

santo,

udirà

a differenza di prima (W.

sarà

pru-

che

della

trovarà

ligioso!:

(B.

che

gli

stimato

dente,ilfurioso forte, il pessimo

E

pii

cosa

e dopo,

534)

(G.1

785

perché

180-1)

rel-

degna

scrive questa II,

di

si

(G:=

di

parola alla II,

193).

SPACCIO

LA

BESTIA

cielo

o

ciosi

rimarranno,

con

di

DE

gli

celesti.

uomini

all’audacia rapine,

trarie

e

Soli li

ogni

alla

questa

e

e

la

perni-

meschiati

gli

miseri

come

materia

tutte

anima

sarà

quali male,

donando

frodi

angeli

forzaranno

di

giustizia;

TRIONFANTE

a

altre

giustizia

vecchiaia

fusse

guerre,

cose

ed

con-

naturale

il

disor-

dine e la irreligione del mondo. Ma non dubitare, Asclepio, perché, dopo che saranno accadute queste cose, allora il signore e padre Dio, governator del

mondo,

l’omnipotente

per

diluvio

d’acqua o

o

di

pestilenze,

sua

giustizia

dubbio

o

di

altri

proveditore,

fuoco,

di morbi

ministri

misericordiosa,

donarà

fine

a

cotal

della senza

macchia,

richiamando il mondo all’antico volto. — Saulino. Or tornate al proposito che tenne Iside con Momo.

Sofia. Or, al proposito di calumniatori del-culto egizio !, li recitò quel verso del poeta: Loripedem

Le insensate

rectus

derideat,

Aethiopem

bestie e veri bruti si ridono

albus ?.

de noi dei, come

adorati in bestie e piante e pietre, e de gli miei Egizii che in questo. modo ne riconoscevano; e non considerano che ! «Qui

reprendeno

l'idolatrie

d’Aegypto,

sono

calumniatori;

il Nolano savio ct iusto, gui calomnia la religion Christiana » (Post. napol.).

* GIOVENALE,

(B. 218-9)

(W.

Sal.,

II,

II, 229-30)

23.

(L. 534)

786

(G.t II, 181-2)

(G.2 II,

193-4).

DIALOGO

TERZO

la divinità si mostra in tutte le cose; benché per fine universale ed eccellentissimo in cose grandi e principii generali;

e per

fini prossimi,

comodi

e necessarii

a diversi

atti

della vita umana,

si trova e vede in cose dette abiettissime,

benché ogni

per

cosa,

quel

che è detto, ha la divinità latente

insé; perché la si esplica e comunica insino alli minimi e dalli minimi secondo la lor capacità; senza la qual presenza niente arrebe l’essere, perché quella è l'essenza de l'essere del primo sin all'ultimo. A quel che è detto, aggiongo, e dimando: Per qual raggione riprendeno gli Egipzii in quello nel che essi ancora son compresi? E per venire a coloro che da noi o fuggirono, o fùrno come leprosi scacciati a gli deserti 1, non

sono

essi, nelle loro necessitati,

ricorsi al culto egizio,

quando ad un bisogno mi adorarono nell’ idolo d’un vitello d'oro; e ad un’altra necessità, s' inchinorno, piegàro le ginocchia ed alzàro le mani a Theuth in forma del serpente di bronzo ?, benché per loro innata ingratitudine, dopo

impetrato

favore

dell’uno

nume,

ruppero

e benedetti, in che

maniera

l'uno e l’altro idolo 3? Appresso, onorare

con

dirsi santi,

divini

e l'altro

quando

si hanno

voluto

han possuto farlo eccetto con intitularsi bestie, come si vede dove il padre de dodici trib 4, per testamento donando

a’ figli Ia sua benedizione,

dodici bestie ? Quante risvegliato Fuoco

volte

taCalunnia

chiamano

Leone,

ardente,

le magnificò

il lor vecchio

Aquila

Procella

in populum

Israeliticum»

con nome

risonante,

(Post.

napol.).

* aCalumnia

in usum

serpentis aenei iussu Dei evecti, quasi

219-20)

II,

(L.

(W.

230)

534-5)

787 54



G.

Bruno,

Dialoghi

italiani

(G.1

II,

dio

volante,

fecerint ex traditione Aegyptiaca » (Id.). 3 V. Esodo, XXXII, 184 e Numeri, XXI, 9. 4 Il patriarca Jacob. V. Genesi, XLIX, 14. (B.

di

182)

(G.2

II,

id

194-5).

SPACCIO

Tempesta

DE

LA

BESTIA

valorosa',

TRIONFANTE

ed

sciuto da gli altri lor successori? guinato,

Passare

uccis0o3.

E

l’intendeno,

dove

libro,

che

non

cossi

so

se

lui aprirlo

credergli essi

stura,

in mano,

e leggerlo.

Oltre,

che

mandra,

Lascio

asini 5: per

che

gli

la femina

quei

può

un altro

son

per

sua

ovile,

medesimi

con

che

sue,

suo

madre,

non

cossi

da lui, e si chiamano

gloriandosi4, pecore sua

pingono,

e pittura

tutti

chiamati

Agnello

lo

in statua

dire, son

cossi

cono-

insan-

solitario,

lo veggio posso

novamente

Pellicano

chiamano,

deificati, non

ancor

ge?

lo

il

veggio

suo

pagreg-

significati

il popolo

per

giudaico;

gli

e l’altre

generazioni che se gli doveano aggiongere, fede, per il polledro figlio 8. Vedete, dunque,

prestandogli come questi

divi,

questo

geno

sf povere

basse

bestie;

e poi si burlano

eletto

in più forti, degne

vien

significato

per

di noi

siamo

che

e

presentati

ed imperiose altre ?

Lascio che tutte le generazioni illustri ed egregie mentre

per gli lor segni significate, vette,

ed imprese

ecco

le vedi

nottue 7,

vogliono

aquile,

buboni 8,

orsi,

mostrarsi

falconi, lupi,

nibbii,

serpi,

ed essere cuculi,

cavalli,

ci-

buovi,

! Cir. Cabala, p. segg. il B. rimpasta allusioni bibliche che ? «Christum motat

848; ivi, n. 2. Nella medesima pag. e nelle e con più larghezza adopera le citazioni e le si trovano nello Spaccio. » (Post. napol.).

4 B: gloandosi. —

Sostituisco in fine del periodo 1’ interrogativo

3 V.

l’Apocalisse,

ai due punti. 5 «Ad historian napol.). 6 V.

7 Dal

Genesi,

8 Bubo, (B.

220-1)

(W.

gufo.

II,

7,

e V,

ingressus

XVI,

lat. noctua, omnis:

IV,

6.

Jerosol.

12, e XL,

11.

ae: una specie

230-1)

(L.

535)

788

în

asina

et piullo»

(Post.

di civetta. (G.!

IT,

182-3)

(G.?

II,

195).

DIALOGO

becchi;

farsi una

quella, una

e

tal

coda,

volta,

perché

manco

gamba,

o una

testa,

bestia intiera,

o una o un

trasformare

nerbo.

ecco

E

in sustanza

volentiera!; atteso,

suo scudo

TERZO

si stimano

vi presentano

non

o un

pensate

di tali animali,

a qual

fine

le bestie, quando

un

paio

che,

degni

de

pezzo

di

di corna,

o

se si potessero

non lo farrebono

stimate

che

pingono

le accompagnano

nel

col suo ri-

tratto, con la sua statua? Pensate

forse che vogliono dire

altro

cui,

eccetto:

il ritratto,

Questo,

questo 2, di

è quella bestia,

o spettatore,

vedi

che gli sta vicina e compiuta;

overo; Se volete saper chi è questa bestia, sappiate che la è costui di cui vedete qua il ritratto e qua scritto il nome. Quanti sono, che per meglior parere bestie, s' impellicciano di lupo, essere

di volpe,

uno

di cotai

che la coda? dell’ucello,

di tasso,

di caprone,

animali,

non

par

di becco, che

onde,

gli manca

ad

altro

Quanti sono che per mostrar quanto hanno

del volatile

e far conoscere

rezza sì potrebono sullevare cappello e la barretta? 3

alle

Saulino. Che dirai de le dame

con

nubi,

quanta

legge-

s’'impiumano

il

nobili, tanto de le grandi,

quanto di quelle che voglion far del grande? non fanno elle più gran caso delle bestie che de proprii figli? Eccole, quasi dicessero: — O figlio mio, fatto a mia imagine: se come ti mostri uomo, cossi ti mostrassi4 coniglio, cagnolina, messo

martora,

gatto,

gibellino;

certo,

si come

ti ho

com-

a le braccia de la serva, de la fante, de questa igno-

1 Cfr. De l’ infinito, è B: eccelto. Questo,

p. 515; ivi, n. 1. questo. — L: eccetto

3 Cfr. Canda, p. 20; ivi, n. 7. 4 B: cossi si mostrassi; IVLG!:

cossi

errore di stampa che va corretto e non, l’errata, soppresso.

(B. 221-2)

(W.

II, 231)

(L. 535-6)

759

questo:

mostrassi.

come

Questo. Ma

il



è

un

pare faccia il B. nel-

(G.! II, 183-4)

(G.2 II, 195-6).

SPACCIO

bile

DE

nutriccia 1, di

LA

BESTIA

questa

TRIONFANTE

sugliarda 2,

sporca,

imbreaca 3,

che facilmente, infettandoti di lezzo, ti farà morire; perché conviene

anco

che

dormi

medesima

ti

pettinarei,

ti cantarei,

portarei

con

in

ella;

io,

braccio,

ti farei

ti

io sarei

quella

sostenerei,

di vezzi,

che

lattarci,

ti baciarei,

come

fo a quest'altro gentile animale, il qual non voglio che si domestiche

con

altro

che

con

me;

non

permetterò

che

sia

tocco da altro che da me; e non lasciarò star in altra camera

e dormir in altro letto che nel mio. Questo se averrà che la cruda Atropo mi tolga, non patirò che vegna sepolto come tu, ma gl’ imbalsimarò, gli perfumarò 4 la pelle; ed a quella,

come a divina reliquia, dove mancano li membri de la fragil testa e piedi, io vi formarò la figura in oro smaltato ed

asperso

bisognarà

di diamanti, onoratamente

avolgendomelo

di

perle

e di

comparire,

al collo, ora me

rubini.

Cossiî,

il portarò

l'accostando

dove

meco,

ora

al volto,

a la

bocca, al naso; ora me l’appoggiarò al braccio; ora, dismet-

tendo

il braccio

perpendicolarmente

in gi,

lo lasciarò ir

prolungato verso le falde, a fin che non sia parte di quello

che non sia messa in prospettiva. — Onde aperto si vede, quanto con più sedula cura queste più generose donne sono affette circa una bestia che verso un proprio figlio,

per far vedere quanta sia la nobilità di quelle sopra questi, quanto

quelle sono più onorabili che questi 5.

1 Cfr.

sopra,

p.

600,

n.

I.

2 «Sugliardo, assogliardo: porcino, ecc. »: New World of Words, pp. 3 Napol.:

mbrejàco:

imbriaco,

4 I. che ricorda la napol.: 5 Il TansiLLo aveva detto poemetti, ed. Flamini, p. 253): Di

Recar

(B. 222-3)

(W.

Spagna,

vi fate

dal

briaco.

sudicio,

sperfummare: profumare. nella Balia, cap. I (L' Egloga

Peri

ov cagnin

II, 231-2)

sporco, lordo, 546 e 507.

, da

rosso

(L. 536)

790

l' Indie

e i

nove

ov bianco,

(G.1 II,

184)

(G2

II,

196-7).

DIALOGO

TERZO

Sofia. E per tornare a pi seriose raggioni, quelli che sono, o si tegnono più gran prencipi, per far con espressi segni evidente la loro potestà e divina preeminenza sopra gli altri, s'adattano in testa la corona; che

figura

di

tante

corna,

che

in

la quale non è altro

cerchio

gl'incoronano,

id est gl’ incornano

il capo. E quelle quanto

ed eminenti,

fanno

tanto

più maestrale

son più alte

representazione,

e

son segno di maggior grandezza: onde è geloso un duca che un conte o marchese mostre una corona cossî grande come

lui;

maggiore

conviene

al re, massima

a l’ impera-

tore, triplicata tocca al papa, come a quello sommo patriarca che ne deve aver per lui e per li compagni. Li pontefici ancora in

due

sempre

corna;

a mezza

hanno

il duce

testa;

di

il gran

adoperata Venezia

Turco

da

la mitra

compare fuor

con

del

acuminata un

corno

turbante

lo fa

uscir alto e diritto in forma rotonda piramidale: il che tutto è

fatto

per

donar

testimonio

della

sua

grandezza,

con

accomodarsi con la meglior arte questa bella parte in testa, la quale alle bestie ha conceduta la natura:

voglio dir, con

mostrar di aver de la bestia. Questo nessuno avanti, né alcuno da poi ha possuto pit efficacemente esprimere, che il duca e legislatore del popolo giudeo. Quel Mosé dico, che in tutte le scienze de gli Egizii usci addottorato da la corte di Faraone '; quello che nella moltitudine di segni E

Non

non

vi si

allontana

mai

dal fianco,

pur gli aprite il sen, gli date il lembo,

Ma in pelto a fiato a fiato il chiudete anco; E i figli vostri.... par che vi grave Tener ne’ letti, io non vo' dir nel grembo. Contro

lo snaturato

costume

dell’allevamento

Erasmo, Colloquia, ed. cit., pp. 1 « Itursus ad columniandum (B. 223-4)

(W.

II, 232)

39I, 404-5. Mosen » (Post.

(L. 536-7)

791

(G.1 II,

mercenario

dei

figli,

napol.).

184-5)

(G.2 II,

197-3).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

vinse tutti que’ periti nella maggia; in che modo mostrò l'eccellenza sua, per esser divino legato a quel popolo, e representator de l'autorità del dio d’ Ebrei? vi par che, calando giù del monte Sina con le gran tavole, venesse in forma d’un uomo puro, essendo che si presentò venerando con un paio di gran corna, che su la fronte gli ramificavano 1?

Avanti la cui maestral presenza mancando il cuore di quel popolo errante ch'il mirava, bisognò che con un velo si cuoprisse

il volto;

il che pure

fu fatto da lui per dignità

e per non far troppo familiare quel divino e più che umano aspetto.

Saulino.

Cossi odo ch' il gran Turco, quando non porge

familiare udienza, usa il velo avanti la sua persona. Cossî ho visto io gli Religiosi di Castello in Genova mostrar per breve tempo

e far baciar la velata coda *, dicendo:



Non

toccate, baciate; questa è la santa reliquia di quella benedetta asina,

monte

che fu fatta degna

Oliveto

limosina:

a Jerosolima.

Centuplum

di portar il nostro

Adoratela,

accipictis,

ci vitam

Dio

baciatela,

dal

porgete

aeternam

possi-

debitis 3. Sofia. Lasciamo questo, e venemo al nostro proposito. Per la legge e decreto di quella nazion eletta nessuno si

fa re se non con dargli de l’oglio con un corno in testa;

1 V. Esodo, XXXIV, 3365. 2 « La coda de l’asina che portò Christo in Jerus. » (Post. napol.).

Noel Cand.2,

p. 29:

«In

nome

della benedetta

coda de l'asino ch'ado-

rano a Castello i Genoesi »: coda che il B. dovette vedere a Genova, passandovi quando fuggiva PP. 2609-70, e nota al Cand.!, nel

poemetto

«L'umil

conio»

cavalcatura

(Scritti

3 MattEO,

(B.

224-5)

di SALVATORE

(VW.

in

VIALE,

di Gesù | Ebbe

versi e in prosa,

XIX,

II,

da Roma. Vedi Spampanato, Vita, pp. 29-30. Questa reliquia è ricordata

29.

232-3)

(L.

537)

792

Dionomachia

(1812),

poi culto ed inni

Firenze,

Le

(G.

185-6) (G.2

II,

Monnier,

VIII,

34:

in suo pre1861).

II,

198-9).

DIALOGO

TERZO

e dal sacrato corno è ordine che esca quel regio liquore, perché appaia quanta sia la dignità de le corna, le quali conservano, effondeno e parturiscono la regia maestade. Or se un pezzo, una reliquia d’una bestia morta è in tanta riputazione, che devi pensar d'una bestia viva e tutta intiera,

che

non

ha

le

corna

improntate,

ma

per

eterno

beneficio di natura ? Séguito il proposito secondo la mosaica autoritade, la quale nella legge e scrittura sempre non usa altre minacce che questa, o simili a questa 1: Ecco, popolo, mio,

che

dice

il nostro

Giova.

Spuntarò

il vostro

corno,

o transgressori di miei precetti =. O prevaricatori della mia legge, fiaccarò, dileguarò le vostre corna 3. Ribaldi e scelerati, vi scornarò ben io 4. Cossf per.l'ordinario non usa altre promesse che questa, o simili a questa: Te incornarò certo; per mia fede, per me stesso ti giuro che ti adaptarò le corna, popolo mio eletto 5. Popolo mio fedele, abbi per fermo che non arranno male le tue corna; di quelle non si scemarà nulla. Generazione santa, figli benedetti, inalzarò, magnificarò, sublimarò le corna vostre, perché denno essere exaltate le corna de' giusti . Da onde appare aperto, che ne le corna consiste il splendor, l'eccellenza e potestade, perché

son

1 « Ridet

cose

propheticas

% GEREMIA,

Dominus ».

3 Salmi,

gam

da eroi,

XLVIII,

LXXIV,

bestie

e dei.

comminationes» (Post.

r1:

25:

« Abscissum

« Et omnia

est

cornua

napol.).

Cornu

Moab....,

peccatorum

ait

confrin-

».

4 Am., III, 14: « Dicit Dominus Deus: amputabunt(ur) cornua (altaris), et cadent in terram». $ Luc., I, 60: « Et Dominus Deus erexit cornu salutis nobis n. 6 I Reg., II, 10: « Dominus... sublimabit cornu eius »; { Paral.,

XXV, 5: « Dominus dedit.... ut exalteretur cornu »; Salmi, LXXIV, Ir: « Et cxaltabuntur cornua iusti »; CXI, o: «Cornu eius exalta-

bitur in gloria »; CKLVITII, (B.

225-6)

(\V.

II,

233)

14: « Et exaltavit cornu populi sui n; ecc,

(L.

537-8)

793

(G.I

II,

186)

(G2

II,

190).

SPACCIO

DELLA

BESTIA

TRIONFANTE

Saulino. Onde aviene che è messo in consuetudine di chiamar cornuto uno, per dirlo uomo senza riputazione, o che abbia perso qualche riputata specie di onore? Sofia. Onde aviene che alcuni ignoranti porcini alle volte ti chiamano filosofo (quale, se è vero, è più onorato titolo che possa aver un uomo), e te lo dicono come per dirti ingiuria o per vituperarti? Saulino. Da certa invidia. Sofia. Onde aviene che alcun pazzo e stolto tal volta da te vien chiamato filosofo? Saulino. Da certa ironia. Sofia.

Cossf

poi!

intendere

che,

o per

certa

invidia

o

per certa ironia, aviene che quei che sono, o che non sono onorati e magnifici, vegnono nomati cornuti. Conchiuse dunque

Iside per il Capricorno,

che, per aver egli le corna

e per esser egli una bestia, ed oltre aver fatti dovenir gli dei cornuti e bestie (il che contiene in sé gran dottrina e giudicio di cose naturali e magiche circa le diverse raggioni con le quali la forma e sustanza divina o s’ immerge, o si explica, o si condona per tutti, con tutti e da tutti suggetti), è un

dio

non

solamente

celeste,

ma,

ed

oltre,

degno

di

maggiore e meglior piazza che non è questa. E per quello che gli più vili idolatri, anzi gli vilissimi de la Grecia e de l'altre parti del mondo, improperano a gli Egizii, risponde per quel che è detto, che se pur si commette indignità nel culto, il quale è necessario in qualche maniera; e se peccano quei che per molte commoditadi e necessitadi, in forme de vive bestie, vive piante, vivi astri, ed inspiritate statue di pietre e di metallo (nelle quali non possiamo dir 1 G!: può. (B.

226-2)

(W.

In cambio II,

233-4)

di può B. altrove (L.

538-090)

794

(G.1

(Cand.?, p. Lv) usa fo. II,

186-7)

(G.2

II, 200).

DIALOGO

TERZO

che non sia quello che è più intimo a tutte le cose, che la

propria forma di esse), adororno la deità una e semplice ed absoluta in se stessa, multiforme ed omniforme in tutte le cose;

quanto

incomparabilmente

peggiore

è quel culto,

e più vilmente peccano quei che senza commodità e necessità alcuna, anzi fuor d’ogni raggione e dignità, sotto abiti e titoli ed insegne divine adorano le bestie e peggiori che bestie ? Gli Egizii, come sanno i sapienti, da queste forme naturali esteriori di bestie e piante vive ascendevano e (come mostrano gli lor successi) penetravano alla divinità; ma loro da gli abbiti ! magnifici esterni de gli lor idoli (ad altri accomodandogli al capo gli dorati raggi apollineschi, ad altri la grazia di Cerere, ad altri la purità di Diana, ad altri l'aquila, ad altri il scettro e folgore di Giove in mano) descendeno poi ad adorar in sustanza per dei quei che a pena hanno tanto spirito quanto le nostre bestie; perché finalmente

la loro

adorazione

si termina

ad

uomini

mortali,

dappoco, infami, stolti, vituperosi, fanatici, disonorati, infortunati, inspirati da genii perversi, senza ingegno, senza facundia e senza virtude alcuna; i quali vivi non valsero per sé, e non è possibile che morti vagliano per sé o per altro. E benché per lor mezzo è tanto instercorata ed insporcata la dignità del geno umano, che in loco di scienze è imbibito de ignoranze più che bestiali, onde è ridotto ad esser governato senza vere giustizie civili, tutto è avenuto non per prudenza loro, ma perché il fato dona il suo tempo e vicissitudine a le tenebre =. E soggionse queste 1 Abiti,

% « Puto (B.

227-8)

Napoletanismo.

ista omnia

(W.

II,

234)

dici in idolatriam (L.

539)

(G.!

795

II,

papisticam 187-8)

(G.2

et cultum II,

di-

200-1).

SPACCIO

paroli,

voltata

per molte indegne

LA

BESTIA

a Giove:

bestie,

del

DE

cielo,

che,



E mi

per

essendo

TRIONFANTE

dolgo

esser bestie, però,

come

di voi, o padre, mi

ho

par

che

facci

mostrato,

tanta

la dignità di quelle. — A cui il summitonante: — Te inganni, figlia, che per esser bestie. Se gli altri dei sdegnassero

l’esser

bestie,

non

sarrebono

accadute

tante

e

tali

metamorfosi. Però non possendo, né dovendovi rimanere in ipostatica sustanza, voglio che vi rimagnano in ritratto, il qual sia significativo, indice e figura de le virtudi che in que’ luoghi si stabiliscono. E quantunque alcune hanno espressa significazione di vizio, per essere animali atti

alla vendetta contra la specie umana, non sono però senza virtà divina in altro modo favorevolissime a quella medesima ed altre, perché rispetto,

malo,

nulla è absolutamente,

come 1’ Orsa,

il Scorpione

ma,

ed

per certo

altri:

questo

non voglio che ripugne al proposito, ma lo comporte nel modo che hai possuto aver visto e vedrai. Però non curo che la Verità sia sotto figura e nome

de l' Orsa, la Magna-

nimità sotto quel de l'Aquila, la Filantropia sotto quel del Delfino, e cossi de gli altri. E per venire alla proposta del tuo Capricorno, tu sai quel ch' ho detto da principio, quando feci l’'enumerazione di quei che doveano lasciar il cielo; e credo che ti ricordi lui essere uno de gli riservati. Godasi dunque la sua sedia, tanto per le raggioni da te apportate, quanto per altre molte non minori, che apportar si potrebono. E con lui, per degni rispetti, soggiorne la Libertà-di spirito a cui talvolta amministra il Monachismo (non dico quello de cocchiaroni) !, l' Eremo, la Solitudine, vorumy; nam noster iste Lucianus omnes religiones, praeter Aegyptiam et forte gentilicam omnem, inf[eriores) dig[nitate) habet » (Post. nap.).

1 Ossia,

(B. 228-9)

de’ suoi

(W.

correligionari:

II, 234-5)

(L. 539-40)

796

cfr.

SPAMP.,

Vita,

(G.1 II, 188-9)

pp. 247-50.

(G.? II, 201-2).

DIALOGO

che sogliono Contrazione. Appresso quario !. — sciérgli quella ha

possuto

TERZO

parturir quel divino sigillo ch'è la buona — dimandò Teti di quel che volea far de l'AVada, rispose Giove, a trovar gli uomini, e questione del diluvio, e dechiarare come quello

essere

generale,

perché

s’apersero

tutte

le ca-

taratte del cielo; e faccia che non si creda oltre quello esser stato particolare, perché è impossibile che l’acqua del mare e fiumi possa gli ambi doi ? emisferi ricuoprire, anzi né pur un medesimo citra ed oltre i Tropici o l’ Equinoziale. Appresso

faccia intendere come

questa riparazion del geno

traghiuttito da l’onde fu da l’ Olimpo nostro de la Grecia, e non da gli monti di Armenia, o dal Mongibello di Sicilia, o da qualch’altra parte. Oltre che le generazioni de gli uomini si trovano in diversi continenti non a modo

con cui

si trovano tante altre specie d'animali usciti dal materno grembo

de

la

natura,

ma

per

forza

di

transfretazione

e

virtù di navigazione, perché, verbigrazia, son stati condotti da quelle navi che furono avanti che si trovasse la prima; perché (lascio altre maladette raggioni da canto, quanto a gli Greci,

Druidi

e tavole

di Mercurio,

che

contario

più di

vinti mila anni non dico de lunari, come dicono certi magri

glosatori, ma di que’ rotondi simili a l’annello, che si computano da un inverno a l’altro, da una primavera a l’altra, da uno autunno a l’altro, da una staggione a l'altra medesima) è frescamente scuoperta una nuova parte de la Terra

che

chiamano

Nuovo

1 « Hactenus ivvidet historiam napol.).

è B

3 Nel (B.

(L):

1521

229-30)

Mondo,

dove

hanno

memoriali3 di

de Capricorno, iam de Aquario etc. ubi ironice diluvii unipersalis tanquam impossibilis» (Post.

doi

ambi.

(W.

II,

Altrove

gli Spagnuoli 235)

(L.

sempre

la

f.

s' impadronirono 540)

797

(G.!

II,

corretta.

del

189)

Messico,

(G2

II,

e dopo 202-3).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

diece mila anni e più, gli quali sono, come

vi dico, integri

e rotondi, perché gli loro quattro mesi son le quattro staggioni, e perché, quando gli anni eran divisi in più pochi, erano anco divisi in più grandi mesi. Ma lui, per evitar gl’ inconvenienti derare,

trovando

vada

che

possete

destramente

qualche

bel

da a

modo

per

voi

medesimi

mantenir

di

questa

accomodar

consi-

credenza,

quelli

anni;

e quello che non può glosare ed iscusare, audacemente nieghi, dicendo che si deve porgere più fede a gli dei (de quali portarà le lettere patente e bolle) che a gli uomini, li quali tutti son buggiardi. — — Qua aggionse Momo dicendo: — E ’l mi par meglio di scusarla in questa maniera con

dire, verbigrazia,

che

questi

parte de la umana

generazione,

benché

figura

in membra,

de la terra nova

non

son

perché non sono uomini,

e cervello

siano

molto

simili

a

essi; ed in molte circonstanze si mostrano più savii ed in trattar

gli lor dei

manco

ignoranti.



Rispose

Mercurio

che questa era troppo dura a digerire. — Mi par che quanto appartiene alle memorie di tempi, si può facilmente provedere con far maggiori questi, o minori quelli anni; ma penso che sia conveniente trovar alcuna gentil raggione, per qualche soffio di vento, o per qualche trasporto di balene ch'abbiano

inghiuttite

persone

di un

paese,

e quelle

vive andate a vomire in altre parti ed altri continenti 1. Altrimente noi dei greci saremo confusi; perché si dirà che tu, Giove, per mezzo di Deucalione non sei riparator de gli un assedio di sessantacinque giorni nc espugnarono la capitale, la grande città di Tenochtitlan, costruita circa due secoli avanti. Delle meraviglie di questa città e del regno, delle antichità rinvenutevi riferi Fernando Cortez a Carlo V.

1 «Ivridet

(B.

230-1)

(W.

historiam

II, 235-6)

Ionae»

(Post.

(L. 540-1)

798

napol.).

(G.1

II,

189-90)

(G.2

II, 203).

DIALOGO

uomini

tutti, ma

TERZO

di certa parte solamente.



Di questo

e

del modo di provedere si parlarà ‘a più bell’agio, — disse Giove. Aggiunse alla commissione di costui, che debba egli definire circa la controversia se lui è stato sin ora in cielo per un padre di Greci, o di Ebrei, o di Egizii o di altri, e se ha nome Finalmente

imbreaco

Deucalione, o Noemo 1, o Otrio, o Osiri.

determine

per l'amor

se

lui

è

di vino,

quel

patriarca

mostrava

Noè,

il principio

che,

orga-

nico della lor generazione a’ figli , per fargli intendere insieme insieme dove consistea il principio ristorativo di quella generazione assorbita ed abissata da l'onde del gran cataclismo, quando doi uomini maschii ritrogradando gittàro

gli panni

sopra

il discuoperto

seno

del padre;

o

pur è quel tessalo Deucalione, a cui, insieme con Pirra sua consorte, fu mostrato ne le pietre il principio della umana

riparazione;

là onde

de

doi

uomini,

un

maschio

e

una femina, retrogradando Ie gittavano a dietrovia al discuoperto seno della terra madre? 3 Ed insegne di questi doi modi de dire (perché non possono esser l’uno e l’altro istoria) qual sia la favola e qual sia la istoria; e se sono ambi doi favole, qual sia la madre e quale sia la figlia; e veda se potrà ridurle a metafora di qualche veritade degna d’essere occolta. Ma non inferisca che la sufficienza della magia caldaica sia uscita e derive da la cabala giudaica; perché gli Ebrei son convitti per escremento de l’ Egitto, e mai è chi abbia possuto fingere con qualche

riam

1 Noemo, Noè: cfr. De la causa, p. 220. Noachi» (Post. napol.).

? V. Genesi, IX,

(Questi

ultimi

3 Vedi

(B.

231-2)

rinvii

Ovipio,

(W.

21

ss. Cfr.

non

sono

Metamm.,

II, 236)

oltre

I,

però

la p. 220,

troppo

399-402.

(L. 541)

799

(G.

II,



«Isridet histo-

le pp.

274

convincenti.)

190-1)

(G.? II,

€ 275.

203-4).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

verisimilitudine, che gli Egizii abbiano preso qualche degno

o indegno principio da quelli. Onde noi Greci conoscemo per parenti de le nostre favole, metafore e dottrine la gran monarchia de le lettere e nobilitade, Egitto, e non quella generazione la quale mai ebbe un palmo di terra che fusse naturalmente o per giustizia civile il suo; onde a sufficienza si può conchiudere che non sono naturalmente, come né per lunga violenza di fortuna mai furono, parte

del mondo !. — Saulino. Questo, o Sofia, sia detto da Giove per invidia;

perché

quindi

degnamente

son

detti

e

si

dicono

santi,

per essere più tosto generazion celeste e divina che terrestre ed umana; e non avendo degna parte di questo mondo,

vegnono approvati da gli angeli eredi di quell'altro, il quale tanto è più degno quanto non è uomo, o grande o picciolo, o savio o stolto, che per forza o di elezione o di fato non possa acquistarlo, e certissimamente tenerlo per suo. Sofia. Stiamo in proposito, o Saulino. Saulino.

Or

dite,

che

cosa

volse

Giove

che

succedesse

a quella piazza? Sofia.

La Temperanza,

la Civilità, la Urbanitade,

dando gid la Intemperanza, ticia, Barbaria.

l’ Eccesso,

l’Asprezza,

man-

Selva-

Saulino. Come, o Sofia, la Temperanza ottiene medesima

sedia con l’ Urbanitade ? Sofia. Come la madre può coabitar con la figlia; perché per l' Intemperanza circa gli affetti sensuali ed intellettuali si

dissolveno,

disordinano,

disperdeno

ed

indiluviano

1 ll Post. napol. sottolinea l’ invettiva contro gli Ebrei;

ai quali cfr. sopra, (B. 232-3)

(W.

p. 722,

II, 236-7)

n. 2.

(L. 541-2)

800

(G.!

IT,

191-2)

(G.2

le

intorno

II, 204-5).

DIALOGO

fameglie, le republiche,

TERZO

le civili conversazioni ed il mondo;

la Temperanza è quella che riforma il tutto, come ti farò intendere, quando andaremo visitando queste stanze. Saulino. Sta bene, Sofia. Or, per venire alli Pesci, si alzò in piedi la bella madre di Cupido, e disse: — Vi raccomando con tutto il mio core (per il ben che mi volete ed amor che mi portate, o dei) li miei padrini, li quali al lido ? del fiume Eufrate versàro quel grand’'ovo che covato dalla colomba ischiuse la

mia

misericordia.



Tornino

dunque



dove

erano,

disse Giove; ed assai li baste di esser stati qua tanto tempo, e che se gli confirme il privilegio che gli Siri non le possano mangiar senza essere iscomunicati; e guardinsi che di nuovo

non

vegna

qualche

condottiero

Mercurio,

che,

to-

gliendoli le ova interiori, forme qualche metafora di nuova misericordia per sanar il mal de gli occhi di qualche cieco 3; perché non voglio che Cupido apra gli occhi, atteso che, se cieco tira tanto diritto ed impiaga tanti quanti vuole, che pensate farrebe, se avesse gli occhi tersi ? Vadino dunque là e stiano in cervello 4 per quel ch’ ho detto. Vedete come da per se medesimo il Silenzio, la Taciturnità, in forma

con cui apparve ne l’ Egitto e Grecia il simulacro di Pixide, con l'indice apposto alla bocca, va a prendere il suo loco. Or lasciatelo passar, non gli parlate, non gli dimandate 1 B (L): racomando.

consonante stampa.

scempia;

ma

Anche una volta parve,

e

nel

Cand.? (p. 46)

probabilmente

è,

® BL: lido; WGL: lito. 3 Cir. il Libro di Tobia, capp. VI e XI. Qulche tiero Mercurio l'angelo Rafaele, compagno

Tobia. 4 Maniera Cand.3,

(B.

p.

233-4)

102,

(W.

di

n.

dire

II,

2.

frequente

237)

(L.

nel

542-3)

801

B., (G.I

come II,

si

192)

un

con

errore

di

condote guida di

è osservato (G.?

la

II,

nel

205-6).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

nulla. Vedete come da quell'altro canto si spicca la Ciarla, la

Garrulità,

la

Loquacità

con

altri

servi,

damigelle

ed

assistenti. — Soggionse Momo: — Tolgasi ancora alla mal'ora quella chioma detta gli Crini di Berenice, e sia portata da quel Tessalo a vendere in terra a qualche calva

principessa. — Bene! — rispose Giove. — Or vedete purgato il spacio! del signifero 2, dove son prese trecento quaranta sei stelle notabili: cinque massime, nove grandi, sessanta quattro mediocri, cento trentatré picciole, centocinque

minori,

vintisette

minime,

tre

nebbiose.



Terza parte del terzo dialogo. —

Or ecco, come s’offre da essere ispedita la terza parte

del cielo, disse l'altitonante:

meridionale, tuo

dove

grande

prima,

animalaccio.

la parte

detta

o Nettuno, —

Il Ceto,

australe,

detta

ne si presenta disse

Momo,

se

quel non

è quello che servi per galea, per cocchio o tabernaculo al profeta di Ninive 3, e questo a lui per pasto, medicina e vomitorio,

se non

è il trofeo

del trionfo

di Perseo,

se non

è il protoparente di Ianni de l' Orco, se non è la bestiazza di Cola Catanzano,

quando

descese

a gli inferi: io, benché

sia uno de’ gran secretarii della republica celestialo, non so qual mal'ora egli si sia. Vada, se cossi piace a Giove, in Salonicca 4; e veda se può servir per qualche bella favola 1 BL: spacio; WG1: spazio. * Cfr. sopra, p. 606. — CicEr., De divinat., II, 42:

in orbe,

qui

graece

ZaSlaxdg

dicitur....».

3 Jona. Vedi Jonas, II, 1 ss.; I, 37. 4 « Salonica, hospitium hodie Iudacorum

valde

234-5)

192-3)

«..... signifero

frequens.

vur sus ut bellam fabellam Jonae historiam » (Post. napol.). (B.

(W.

II, 237-8)

(L. 543)

802

(G.!

II,

Irridet

(G.2 II, 206-7).

DIALOGO

TERZO

a la smarrita gente e popolo della dea Perdizione. E perché, quando

questo

animale

si scuopre

sopra l’alto bogliente e

tempestoso mare, annunzia la futura tranquillità di quello, se non in quel medesimo giorno, in uno di quei che vegnono appresso: però mi par che, nel suo grado, debba esser stato

buon tipo della tranquillità del spirito. — È bene, disse Giove, che questa soprana virti, detta Tranquillità de l'animo, appaia in cielo, se la è quella che salda gli uomini contra la mordana instabilità, le rende constanti contra l’ingiurie della fortuna, le mantiene rimossi dalla cura de le administrazioni,

le conserva

poco

studiosi

de

novitadi,

le fa poco molesti a nemici, poco gravi ad amici ed in punto suggetti a vana gloria; non perplessi per la varietà di casi, non irresoluti a gli rancontri de la morte. — Appresso dimandò

Nettuno:



Che

farrete,

o dei, del mio

favorito,

del mio bel mignone !, di quell’ Orione dico, che fa, per spavento (come dicono gli etimologisti), orinare il cielo ? * — Qua, rispose Momo: — Lasciate proponere a me, o dei. Ne è cascato, come è proverbio in Napoli, il maccarone dentro il formaggio 3. Questo, perché sa far de maraviglie,

e, come

Nettuno

sa, può

caminar

sopra

l’onde

del

mare senza infossarsi, senza bagnarsi gli piedi; e con questo consequentemente

mandiamolo 1 Nel

Appresso, grazioso.

far

molte

tra gli uomini;

senso

nella

2 « De

potrà

altre

e facciamo

di ‘ favorito ’, nel Boiardo,

Cabala

Orione;

sed,

(p.

841),

suona

o

Christe,

mutato

belle

che

gli done

ad

nel Redi,

ecc.

de te Fabula

nar-

nel Berni,

come

'

in

nomine

gentilezze;

francese:

carino,

ratur» {Post. napol.). 3 Prov. citato anche nel Cand.?, p. 10, dove si avverte (n. 4 (ma 6)) che sin d'allora si usava non pure nella forma riferita dal B., ma anche in quella de’ nostri giorni: «il formaggio sui maccheroni ». (B.

235-6)

(W.

II,

239)

(L.

543-4)

803 55



G.

Bruno,

Dialoghi

italiani

(G.1

II,

193-4)

(G.

II,

207).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

intendere tutto quello che ne pare e piace, facendogli credere che il bianco è nero, che l’ intelletto umano, dove li par meglio vedere, è una cecità; e ciò che secondo la raggione pare eccellente, buono

mamente

malo;

ed ottimo,

che

la natura

è vile, scelerato ed estre-

è una

puttana

bagassa1,

che la legge naturale è una ribaldaria; che la natura e di-

vinità non possono concorrere in uno medesimo buono fine, e che la giustizia de l'una non è subordinata alla giustizia de l’altra, la luce;

che

ma

son cose contrarie,

la divinità

tutta

è madre

come di Greci,

le tenebre

e

ed è come

nemica matrigna de l’altre generazioni; onde nessuno può esser grato a’ dei altrimente che grechizando, idest facendosi Greco: perché il più gran scelerato e poltrone ch'abbia la Grecia, per essere appartenente alla generazione de gli dei, è incomparabilmente megliore che il più giusto e magnanimo

ch’abbia possuto uscir da Roma

in tempo

che fu

republica, e da qualsivoglia altra generazione, quantunque meglior

in costumi,

scienze,

fortezza,

giudicio,

bellezza

ed

autorità. Perché questi son doni naturali e spreggiati da gli dei, e lasciati a quelli che non son capaci de pivi grandi privilegii: cioè di que’ sopranaturali che dona la divinità, come questo di saltar sopra l’acqui, di far ballare i granchi, di far fare capriole a’ zoppi, far vedere le talpe senza occhiali ed altre belle galanterie innumerabili. ' Persuaderà con questo che la filosofia, ogni contemplazione ed ogni magia che possa fargli simili a noi, non sono altro che pazzie; che ogni atto eroico non è altro che vegliaccaria; e che la ignoranza è la più bella scienza del mondo, perché ! Per

Canda,

(B.

p.

236-7)

questa 19;

(W.

ivi,

voce

II,

n.

I.

ch'è

238-0)

(L.

adoperata 544)

804

(G.!

pure II,

dagli 194)

(G.2

spagnuoli, II,

207-8).

v.

DIALOGO

TERZO

s'acquista senza fatica e non rende l’animo affetto di melancolia.

Con

culto

onore

ed

facendo

che

esserno

dono

questo

forse potrà

ch’abbiamo

gli nostri

o Greci

questo

ne l'orecchio:

perduto,

mascalzoni

o ingrecati.

conseglio;

richiamare

Ma

perché

ed

il

avanzarlo,

stimati

timore,

qualche

atteso che potrebbe

oltre

siano

con

e ristorar dei

o dei,

mosca

mi

per io vi

susurra

essere che costui al fine,

trovandosi la caccia in mano, non la tegna per lui, dicendo e facendoli

oltre

credere,

che

il gran

Giove

non

è Giove,

ma che Orione è Giove 1; e che li dei tutti non sono altro

che chimere e fantasie. Per tanto mi par pure convenevole che non permettiamo, che per fas et nefas, come dicono, voglia far tante destrezze e demostranze, per quante possa farsi nostro superiore in riputazione. — Qua

rispose

la

savia

Minerva:



Non

so,

o

Momo,

con che senso tu dici queste paroli, doni questi consegli, metti in campo queste cautele. Penso ch'il parlar tuo è ironico; perché non ti stimo tanto pazzo che possi pensar che gli dei mendicano con queste povertadi la riputazione appresso gli uomini; e, quanto a questi impostori, che la falsa riputazion

loro, la quale è fondata sopra 1’ ignoranza

e bestialità de chiunque le riputa e stima, sia lor onore più presto che confirmazione della loro indignità e sommo vituperio. Importa a l’occhio della divinità e presidente verità,

che

mortali

lo 2 conosca;

1 «In

uno

Christun

sia

buono

ma

fortasse»

e

che

degno,

un

(Post.

benché

altro

nessuno

falsamente

napol.).

Cfr.

de

venesse

sopra,

p.

803,

n. 2. È la medesima accusa che gli si lancerà contro a Venezia e che da lui sarà respinta con tutte le forze: « Et cum haec diceret,

plurimum putano

se contristavit, repplicando:

queste

* BL:

Ii.

cose v:

Spamp.,

Vita,



pp.

Non

so come

488-094.

se me im-

°

(B. 237-8) (W. II, 239) (L. 544-5) (G.! II, 194-5) (G.? II, 208-9),

805

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

sino ad essere stimato dio da tutti mortali, per ciò non si aggiongerà

dignità

a lui, perché

solamente

vien

fatto dal

fato instrumento ed indice per cui si vegga la tanto maggiore indignità e pazzia di que’ tutti, che lo stimano, quanto colui è più vile, ignobile ed abietto. Se dunque si prenda non solamente Orione il quale è Greco ed uomo

di qualche

preggio;

generazion

ma

del mondo,

uno

della più indegna

e fracida

di più bassa e sporca natura e spirito, che sia

adorato per Giove: certo mai verrà esso onorato in Giove, né Giove

spreggiato

in lui: atteso che egli mascherato

ed

incognito ottiene quella piazza o solio, ma più tosto altri verranno vilipesi e vituperati in lui. Mai dunque potrà un forfante essere capace di onore per questo, che serve per scimia e beffa di ciechi mortali con il ministero de genii nemici. —

Or sapete, disse Giove, quel che definisco di costui, per evitar ogni possibile futuro scandalo? Voglio che vada via a basso; e comando che perda tutta la virtù di far de bagattelle 1, imposture, destrezze, gentilezze ed altre maraviglie che non serveno di nulla; perché con quello non voglio che possa venire

a destruggere

quel tanto

di eccel-

lenza e dignità che si trova e consiste nelle cose necessarie alla republica del mondo *; il qual veggio quanto sia facile ad essere ingannato, e per conseguenza inclinato alle pazzie

e prono ad ogni corrozione ed indignità. Però non voglio che la nostra riputazione consista nella discrezione di costui o altro simile;

perché,

se pazzo

è un re, il quale

a un

suo capitano e generoso duca dona tanta potestà ed auto1 V. sopra, p. 600, n. 3. 2« Vana querela atheoruni napol.). (B. 238-40)

(W. II, 239-40)

(L.

hominum 545)

806

in

Christianismunm » (Post.

(G.! II, 195-6)

(G.2 II, 209-10).

DIALOGO

TERZO

rità per quanta quello se gli possa far superiore (il che può essere senza pregiudicio del regno, il quale potrà cossf bene,

e

quello);

forse

meglio,

quanto

e tutore,

se

esser

governato

più sarà insensato

ponesse

o

lasciasse

da

questo

e degno

nella

che

da

di correttore

medesima

autorità

un uomo abietto, vile ed ignorante, per cui vegna ad essere invilito, strapazzato, confuso e messo sotto sopra il tutto; essendo per costui posta la ignoranza in consuetudine di scienza, la nobilità in dispreggio e la villania in riputazione! — — Vada presto, disse Minerva; ed in quel spacio succeda

la

Industria,

l’ Esercizio * bellico

ed

Arte

militare ?;

per cui si mantegna la patria pace ed autoritade; si appugneno, vincano e riducano a vita civile ed umana conversazione

gli barbari;

si annulleno

gli culti,

religioni,

sa-

crificii e leggi inumnane, porcine, salvatiche e bestiali; perché ad effettuar questo tal volta per la moltitudine de' vili ignoranti e scelerati, la quale prevale a’ nobili sapienti e veramente buoni, che son pochi, non basta la mia sapienza

senza la punta de la mia lancia, per quanto cotali ribaldarie son radicate, germogliate e moltiplicate al mondo. — A cui rispose Giove:



Basta, basta, figlia mia, la sapienza

contra queste ultime cose, che da per sé invecchiano, cascano, son vorate e digerite dal tempo, come cose di fragilissimo fondamento. — Ma in questo mentre, disse Pallade, bisogna resistere e ripugnare, a fin che con la violenza non ne destruggano prima che le riformiamo. — 1 BWL: esercito. Infatti sopra, a p. 714, B. scrive: Ezercitio (ma Esercitio (cfr. LaG., p. 496)); e cosî appresso, p. 812 ecc. 2 «Loco veri Christianismi reponit Nolanus Militiam» (Post.

napol.). (B.

240-41)

(W.

II. 240)

(L. 545-6)

807

(G!.

II,

196-7)

(G2.

II,

210-1).

SPACCIO



non

Venemo,

so come

DE

LA

disse

BESTIA

Giove,

trattarlo;

al

TRIONFANTE

fiume

Eridano;

il

quale

e che è in terra e che è in cielo,

mentre le altre cose, de le quali siamo in proposito, facendosi in cielo, lasciàro la terra. Ma

che è là; e che è basso;

è dentro,

questo

e che è qua,

e

e che è fuori; e che è alto, e che

e che ha del celeste, e che ha del terrestre; e che

è là, ne l’Italia, e che è qua, nella region australe;

or non

mi par cosa a cui bisogna donare, ma

a cui convegna che

e forse non senza buon

sia di tal sorte, che

sia tolto qualche luogo. — Anzi, disse Momo, o Padre, mi par cosa degna (poi che ha questa proprietade l’ Eridano fiume di posser medesimo esser suppositale- e personalmente in più parti) che lo facciamo essere ovunque sarà imaginato, nominato, chiamato e riverito: il che tutto si può far con pochissima spesa, senza interesse alcuno, chi mangiarà

guadagno.

Ma

de suoi pesci imaginati,

e riveriti, sia come,

verbigrazia,

non

nominati, mangiasse;

chiamati chi simil-

mente beverà de le sue acqui, sia pur come colui che non ha

da

pur

bere;

come

chi

parimente

colui

che

l'ha

da

bere,

l’arà

dentro

vacante

del

cervello,

e vodo 1; chi

sia

di mede-

sima maniera arà la compagnia de le sue Nereidi e Ninfe, non sia men solo che colui che è anco fuor di se stesso. — Benel disse Giove; qua non è pregiudizio alcuno, atteso che per costui non averrà che gli altri rimagnano senza cibo,

senza

senza

che

gli

reste

compagni,

per

essere

qualche

in

cervello

e senza

bere, averlo in cervello e tenere in compagnia,

in imagi-

nazione,

in

sia,

nome,

in

voto,

in

quel

cosa

riverenza;

lor mangiare,

però

come

1 B: vodo; W: vuoto; LG!: voto. Ma è lo scambio della dentale tenue con la media, assai comune nella pronunzia napoletana. Nel De l’ infinito, p. 361: svode per svuoti. (B.

241-2)

(W.

II,

240-1)

(L.

546)

808

(G.!

IT,

197)

(G.2

1I, 211).

DIALOGO

TERZO

Momo propone, e veggio che gli altri confirmano, Sia dunque

1’ Eridano in cielo, ma non altrimente che per credito ed imaginazione.

Là onde non impedisca,

che in quel mede-

simo luogo veramente

vi possa essere qualch'altra cosa di

bisogna

di questa

cui in un altro di questi prossimi giorni definiremo; perché pensare

sopra

sedia,

come

sopra

quella

de 1’ Orsa maggiore. Provediamo ora a la Lepre, la qual voglio che sia stata

tipo del timore per la Contemplazion de la morte; ed anco, per quanto si può, de la Speranza e Confidenza, la quale è contraria al Timore: perché in certo modo l’una e l’altra son virtudi,

o almeno

materia

di quelle,

Considerazione e serveno a la Prudenza.

Codardiggia a basso

e Desperazione

a caggionare

a gli animi

vadano

il vero

figlie della

Ma il vano Timore,

insieme

inferno

stupidi ed ignoranti.

se son

con la Lepre

ed Orco

de le pene

Ivi non sia luogo tanto

occolto in cui non entre questa falsa Suspettazione ed il

cieco Spavento rimossa stanza Fede

ed

orba

de la morte, aprendosi la porta d'ogni mediante gli falsi pensieri che la stolta

Credulitade

parturisce,

nutrisce

ed

allieva;

ma non già (se non con vane forze) s’accoste dove l’ inespugnabil muro della filosofica contemplazion vera circonda, dove la quiete de la vita sta fortificata e posta in alto,

dove

è aperta la verità,

de l'eternità d'ogni sustanza;

dove

è chiara la necessitade

dove non si dee temer d'altro

che d’esser spogliato dall'umana perfezione e giustizia, che consiste nella conformità de la natura superiore e non errante.



Qua

disse

Momo:



Intendo,

o

Giove,

che

chi mangia la lepre, si fa bello; facciamo dunque che chiunque mangiarà di questo animal celeste, o maschio o femina ch'egli sia, da brutto dovegna formoso, da disgraziato (B.

242-3)

(W.

II,

241)

(L. 546-7)

80g

(G.

II,

197-8)

(G.

II,

2r1-2).

SPACCIO

grazioso,

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

da cosa feda e dispiacevole piacevole e gentile;

e fia beato

il ventre

si converte

in

e stomaco

essa.



Si;

che ne cape,

ma

non

voglio,

che de la mia lepre si perda la semenza. disse

Momo,

un

modo

mangiare

e bevere

pisca. —

questo,

con

senza

disse

disse

e

Diana,

— Oh, io ti dirò,

tutto il mondo

che

senza che sia dente che occhio che la vegga e Di

cui

e digerisce,

ne potrà

la sia mangiata

e

e bevuta,

la tocche, mano che la palpe, forse ancora luogo che la caGiove,

ne

raggionarete

poi.

Ora

venendo a questo Cagnazzo che gli corre appresso, mentre per tante centinaia d'anni l'apprende in spirito, e per tema

di

perdere

la

materia

d’andar

più

cacciando,

mai

viene quell'ora che la prenda in veritade, e tanto tempo gli va latrando a dietro, fingendosi le risposte. — Di questo mi son lamentato sempre, o padre, disse Momo, che hai mal dispensato, facendo che quel can mastino che fu messo

a perseguitar la tebana volpe, l’ hai fatto montare al cielo, come fusse un levriero alla coda d'una lepre, facendo rimaner là giù la volpe trasmutata in sasso. — Quod scripsi, scripsi,

disse

Giove.



E

questo,

disse

Momo,

è il male:

che Giove ha la sua volontà per giustizia, ed il suo fatto per fatal decreto, per far conoscere ch'egli ave absoluta autoritade,

e per

non

donar

a credere

ch'egli

confesse

di

posser fare, o aver fatto errore, come soglion fare altri dei,

che, per aver qualche ramo de discrezione, tal volta si penteno,

sì ritrattano

che pensi

e corregono.



che sia quel che facciamo

Ed

ora,

adesso,

disse

Giove,

tu, che

da un

partîcolare vuoi inferir la sentenza generale? — Si escusò Momo che lui inferiva in generale in ispecie, cioè in cose simili; non in genere, (B.

243-4)

(W.

II, 241-2)

cioè in tutte le cose. (L. 547-8)

810

(G.1

II,

198-0)

(G.2 II, 212-3).

DIALOGO

Saulino. dove

La

chiosa

TERZO

fu buona,

perché

non

è il simile

è altrimente.

Sofia. Ma soggionse: — Però, padre santo, poi che hai tanta potestà che puoi fare di terra cielo, di pietre pane e di pane qualch’altra cosa, finalmente puoi fare sin a quel che

non

è, né può

esser fatto;

idest la Venazione, pazzia

ed uno

fa’ che l’arte di cacciatori,

come è una maestrale insania, una regia

imperial

furore,

vegna

ad essere

una

virtii,

una religione, una santità 1; e che grande sia onore a uno per esser carnefice, ammazzando, scorticando, squartando e sbudellando

una

bestia salvaggia.

Di ciò benché

conve-

nerebbe a Diana di priegarti, tutta via io la dimando, per

esser talvolta cosa onesta che, in caso d’ impetrar beneficio

e dignitade, più tosto s' interpona un altro, che quel medesimo, a chi? spetta, vegna per se medesimo a presentarsi, introdursi e proporsi: atteso che con suo maggior scorno gli

verrebe

conceduto

negato, quel

che

e con

minor

suo

decoro

gli

cerca.



Rispose

Giove:



sarrebe Benché,

come l’esser beccaio debba essere stimata un'arte ed esercizio più vile che non è l'esser boia (come è messo in consuetudine in certe parti d'Alemagna), perché questa si maneggia pure in contrattar membri umani, e talvolta administrando alla giustizia; e quello ne gli membri d’una povera bestia, sempre a cui non

basta

amministrando

il cibo

ordinato

alla disordinata gola,

dalla

natura,

più

conve-

niente alla complessione e vita dell'uomo (lascio l'altre più degne raggione da canto) 3; cossi l’esser cacciatore è 1 Il BartHoLMESs (/. Bruro, II, 104) nota che questo della caccia non poteva dispiacere ad Elisabetta. % Con

valore

244-5)

(W.

3 Le

(B.

più

di

relativo,

degne

II, 242-3)

come

nel

Cand.?,

raggione

(L. 548)

(G.! II,

8II

p.

208;

sarebbero

199-200)

ivi,

elogio n.

quelle

2.

già

(G.? II, 213-4).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

uno esercizio ed arte non meno

TRIONFANTE

ignobile e vile che l’esser

beccaio; come non ha minor raggion di bestia la salvatica fiera che il domestico e campestre animale. Tutta volta mi

pare e piace, per non incusare,

ed a fine che non vegna

incusata di vituperio la mia figlia Diana, sere carnefice d’uomini sia cosa infame; idest

manigoldo

d’animali

domestici,

sia

ordino che l’esl’esser beccaio, cosa

vile;

l’esser boia di bestie salvatiche sia onore, riputazion

ma

buona

e gloria. — Ordine, disse Momo, conveniente non a Giove quando è stazionario o diretto, ma quando è retrogrado. Mi maravigliavo io, quando vedevo questi sacerdoti de Diana,

un

dopo

aver ucciso un daino *, una capriola, un cervio,

porco

cinghiale

o qualch’altro

nocchiarsi

in terra,

snudarsi

di questa

il capo,

alzar

specie, verso

ingi-

gli astri

le palme; e poi con la scimitarra propria troncargli la testa, appresso cavargli il cuore prima che toccar gli altri membri; e cossi successivamente con un culto divino adoprando il picciolo coltello, procedere di mano in mano a gli altri ceremoni; onde appaia con quanta religione e pie circonstanze sa far la bestia lui solo che non admette compagno a questo affare, ma lascia gli altri con certa riverenza e finta maraviglia star in circa a remirare ». E mentre lui è tra gli altri l'unico manigoldo, si stima essere a punto quel sommo sacerdote

a cui solo

era lecito

di portare

il Semammefo-

rasso, e ponere il piè entro in Santasantoro 3. Ma il male è ai Pitagorici professava. 1 BW:

suggerite daino;

2 Il Post,

dalla

LG!:

napol.

dottrina

damo.

si chiede

della

metempsicosi,

che

il B.

se il discorso qui sia «în sacerdotes

vleteres] ». 3 Tanto Santasantoro, quanto Semammeforasso dal FLORIO sono registrati nel New World of Words (pp. 463 e 488) con l'esempio

e la spiegazione (B.

245-6)

(W.

del

II

B.

243)

(L.

548-9)

812

(G.!

IT,

200-1)

(G.2

IT,

214).

DIALOGO

TERZO

che sovente accade che, mentre questi Atteoni vanno perseguitando gli cervi del deserto, vegnono dalla lor Diana ad esser convertiti in cervio domestico !, con quel rito magico soffiandogli al viso, e gittandogli l’acqua de la fonte a dosso,

e dicendo

tre volte:

Si videbas feram, Tu currebas cum

Me,

quae

Spectes

iam

in

ca;

tecum

eram,

Galilea 2;

over, incantandolo per volgare, in questa altra maniera: Lasciaste E

la

A

dietro

Con

la tua

bestia

tanta

stanza

seguitaste;

diligenza

gli

corresti,

Che medesimo in sustanza Compagno te gli fèsti. Amen.

Cossf dunque, conchiuse Giove, io voglio che la venazione sia una virti; atteso a quel che disse Iside3 in proposito

de

le bestie;

ed

oltre,

perché

con

tanto

diligente

vigilanza, con sf religioso culto s' incerviano, incinghialano, 1 V., per l’illustrazione 1005-9 € 1123-5.

del mito

d’Atteone,

gli Er.

fur., pp.

® a Formula magica, strana fusione e insieme contraffazione di due luoghi biblici, atta a convertire in bestie domestiche icacciatori

delle selvatiche, ossia i sacerdoti: .... se alla parola ‘feram’ si sostituirà ‘furem ’, si avranno i versetti del Salmo XLIX, 18: ‘Si

videbas ha

un

furem,

currebas

significato

cum

allegorico



co....’. la

figura Cristo (Caxnt., II, 9 e 17, VIII,

Aggiungendo

damma,

poi

il cerviatto

che

con

‘ fera' che

si

14. V. poi Cabala, p. 849), —

s' intravvederà che la seconda parte della formula è tolta dal racconto della Resurrezione, quando l’angelo dice (MATT., XXVIII, 7)

a Maria Maddalena e

laeam:

ibi

eum

246-7)

(W.

3 Vedi sopra,

(B.

all'altra Maria:

videbitis »:

p. 786.

II,

243-4)

SpAmP.,

(L.

549)

813

« Ecce praecedit vos in Gali-

Postille,

(G.

II,

p.

201)

312.

(G2

II,

214-5).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

inferiscono ed imbestialano. Sia, dico, virtù tanto eroica che quando un prencipe perseguita una dama ', una lepre, un cervio o altra fiera, faccia conto

che le nemiche

legioni

gli corrano avanti; quando arà preso qualche cosa, sia? a punto in quel pensiero, come avesse alle mani cattivo quel prencipe o tiranno di cui più teme: onde non senza raggione vegna a far que’ bei ceremoni, rendere quelle calde grazie e porgere al cielo quelle belle e sacrosante bagattelle 3. — Ben provisto per il luogo del cane cacciatore,

disse Momo;

il quale sarà bene

d' inviarlo in Corsica

o in Inghilterra, Ed in suo luogo succeda la Predicazione della

verità,

domestiche, blica.

Or

il Tirannicidio, la Vigilanza,

che

farremo,

il Zelo

la

de la patria

Custodia

disse,

de

e Cura

e di cose della

la Cagnolina? —

repuAllora

s'alzò la blanda Venere e la dimandò in grazia a gli dei, perché qualche volta per passatempo suo e de le sue damigelle,

con

quel

vezzoso

rimenamento

de

la persona,

con

que’ baciotti e con quel gentil applauso di coda, a tempo

de le lor vacanze, gli scherze in seno 4. — Bene, disse Giove;

ma vedi, figlia, che voglio che seco si parta l’Assentazione, l'Adulazione tanto amate, quanto perpetuamente odiati Zelo e Dispreggio; perché in quel loco voglio che sia la Domestichezza, Ossequio

Comità,

ed amorevole

Placabilità, Servitude.

Gratitudine,



Fate,

semplice

rispose

la bella

dea, del resto quel che vi piace; perché senza queste cagnoline non si può vivere felicemente in corte, come in quelle

1 ® 3 4 (B.

W: damma. Correzione superflua. BW: sia; LG!: fia; ma è stata una falsa Cfr. sopra, p. 806, n. 1. V. i versi tansilliani a p. 790, n. 5.

247-8)

(W.

II, 244)

(L.

549-50)

814

(G.I

IT,

lettura.

201-2)

(G.2

II,

215-0)

DIALOGO

TERZO

medesime non si può virtuosamente perseverare senza coteste virtudi che tu racconti. — E non si tosto ebbe chiusa la bocca la dea di Pafo, che Minerva

mia

l’aperse

bella

dicendo:

manifattura,



Or,

quel

a che

palaggio

fine

destinate

vagabondo,

la

quella

stanza mobile, quella bottega e quella fiera errante, quella vera balena che gli traghiuttiti corpi vivi e sani le va a vomire ne gli estremi lidi de le opposte, contrarie e diverse

margini del mare?! — Vada, risposero molti dei, con l'abominevole Avarizia, con la vile e precipitosa Mercatura,

col desperato

Piratismo,

Predazione,

Inganno,

Usura

ed altre scelerate serve, ministre e circonstanti di costoro. Ed ivi

risieda la Liberalità,

spirito,

la

Comunicazione,

la Munificenza, Officio

ed

altri

la Nobiltà degni

di

ministri

e servi loro. — Bisogna, disse Minerva, che sia conceduta ed appropriata a qualcuno. — Fa' di quella ciò che a te piace, disse Giove. sollecito



Portughese,

Or dunque, o

curioso

disse lei, serva a qualche ed

avaro

Britanno,

acciò

con essa vada a discuoprir altre terre ed altre regioni verso l’ India occidentale, dove il capo aguzzo Genovese= non ha discuoperto, e non ha messo i piedi il tenace e stiptico

Spagnolo 3; e cossi successivamente serva per l’avenire al più curioso, sollecito e diligente investigator de nuovi continenti e terre. — 1 a Adhuc

latina,

in historiam

femminile,

* FoLENGo, putini, quippe Disvulvant,

quando

l’avarizia

puer

come

Jonae»

si

è

visto

(Post. nella

napol.). —

Cena,

Baldus, XVII: «Nam cum Dum Catharinette puerum

rogitant

exit,

commadres

arte

aguzzam ». Cfr.

degl' inglesi

v.

G.

magistras,

ARETINO,

Florio,

in

550)

(G.!

Critica,

p.

Margine,

139.

nascuntur pueramve Ut

Zenovesi gridantes

faciant

Ragion., XXI,

alla

p.

124.

testam,

52.

Per

3 Accenno ai viaggi di scoperte compiuti dai portoghesi, dagl’ inglesi, dai genovesi e dagli spagnuoli durante il sec. XV e XVI. (B.

248-9)

(W.

II,

244)

(L.

815

II,

202-3)

(G.2

II,

216-7).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

Finito avendo il suo proposito Minerva, cominciò a farsi udir in questo tenore il triste, restio e maninconioso Saturno:



Mi pare, o dei, che tra gli riservati per rimaner

in cielo, con gli Asinelli, Capricorno

e Vergine,

sia questa

Idra, questo antico e gran serpente che dignissimamente ottiene la patria celeste, come quello, che ne revendicò da

le onte

de l’audace

e curioso

Prometeo 1, non

tanto

amico

di nostra gloria, quanto troppo affezionato a gli uomini, quali volea che per privilegio e prorogativa * de l’ immortalitade ne fussero a fatto simili ed uguali. Questo fu quel sagace

ed

accorto

animale,

prudente,

versuto,

callido,

astuto e fino più che tutti gli altri che la terra produca; che,

quando

Prometeo

ebbe

subornato

il mio

figlio, vostro

fratello e padre Giove, a donargli quelle otre o barilli3 pieni di vita eterna, accadde che, avendone cargato4 un asino, mettendoli sopra quella bestia per condurli alla region de gli uomini5 l’asino (perché per qualche tratto di camino andava avanti al suo agasone)6 cotto dal sole, bruggiato dal caldo, arefatto da la fatica, sentendosi gli pulmoni

disseccati

da la sete, venne

invitato

da costui

al

Quanto agli spagnuoli (cfr. sopra p. 720), anche il Tasso, nel disc. Intorno alla sedizione nel regno di Francia nel 1585, dico che la loro «ingorda e insaziabile avarizia ha cagionato fino nell’ Indie che quei popoli comincino a perdere la fede, la quale già con ardore d'animo presero e abbracciarono ». 1 B: Prometho. E cosî alla lin. 13. 2 BW (1): prorogativa (ma W prerogativa); come a p. 675. Arcai-

smo dei primi secoli, al quale male si sostituf la f. che divenne comune.

3 Benché anche a pp. 751, 817 ecc., non è difficile sia f. erronea.

Certo

lo Scorpa

nello

usato

già

la causa,

ma

(B.

Spicilegio

registra

barile,

barrile,

barricello,

non barilli. 4 Cfr. Cand.2, 129 (ma 119); ivi, n. 4. 5 (G! e G? gl'uomini (ma cîr. Pref. ai Diall. Met., p. XLIV).) 6 Agasone, asinaio. Latinismo (New World of Words, P. 14) 249-50)

nel

De

(W.

II,

245)

p.

(L.

220.

550-1)

816

(G.t

II,

203)

(G

II,

217-8).

DIALOGO

fonte;

dove

maniera

(per esser

che

l’acqua

TERZO

quello

alquanto

per doi

o tre

cavo

palmi

e basso,

di

era lontana

da

l’equalità de la terra) bisognò che l’asino si curvasse e si piegasse tanto, per toccar la liquida superficie con le labbia, che vennero a cascargli dal dorso gli barilli, si ruppero gli otricelli, si versò la vita eterna, e tutta venne a disperdersi per terra e quel pantano che facea corona con l'erbe al fonte. Costui se ne raccolse destramente qualche particella la

per

lui:

triste

Prometeo

condizione

ludibrio e nemico

rimase

della

confuso,

mortalità,

gli

e

l'asino,

di questi, condannato Giove,

ad

eterne

uomini

sotto

perpetuo

dall’umana gene-

razione,

consenziente

fatiche e stenti,

a

pessimo

cibo, che trovar si possa, ed a soldo di spesse e

grosse bastonate.

Cossi, o dei, per caggion di costui aviene

vedete

quantunque

che gli uomini facciano qualche caso de fatti nostri: perché che

ora,

siano

loro imbecillità ed aspettan mani,

e ne

reputano fussero bene

dispreggiano,

come

conoscano

di passare per le nostre

si beffano

come

Saturno,

noi

de



siamo,

disse

risposero gli dei tutti.



Invidia,

la Insidia,

la Maldicenza,

fatti

nostri,

immortali ? —

Giove.



Stiasi

mentre

nel Nuovo

mona (cfr. De l'infinito, p. nel Mondo di parole (p. 144) significato di scimmione. (B.

250-1)

(W.

e ne

II

245)

(L.

Assai

dunque,

Ma partasi, soggionse Giove, la Buggia,

Convizio,

tenzione e Discordia; e le virtudi contrarie con la serpentina Sagacità e Cautela. Ma quel posso patire che sia là; però Apolline tolga quel quel buon servitore, quel sollecito ambasciatore 1 Il FLorIo,

la

scimie e gattimammoni :; che farrebono se

similmente,

definisce

pure

mortali,

mondo

di parole

Con-

rimagnano Corvo non suo divino, e diligente

(p. 320) spiega

467) con gattomammone, registra gattomaimone col

551)

817

(GI

II,

203-4)

(G=

II,

218).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

novelliero e posta, che tanto bene effettuò il comandamento de gli dei, quando aspettavano di tòrsi la sete per la sedulità

del costui

serviggio.



Se vuol regnare,

disse

Apolline, vada in Inghilterra dove ne trovarà le mille leggioni. Se vuol dimorar

tecorvino molti

appresso

fichi,

vada

Ligustico mare, la gola

de

solitario, stenda il suo volo al Mon-

Salerno 1. Se in

Figonia,

vuole

cioè,

andar,

dove

la riva

da Nizza in sino a Genova.

cadaveri,

vadasi

o pur per il camino,

rimenando

che è tra Roma

per

dove

son

bagna

il

Se è tirato da la

e Napoli,

Campania,

dove

son

messi in quarti tanti ladroni che, da passo in passo, di carne

fresca gli vengono apparecchiati più spessi e suntuosi ban-

chetti che possa ritrovar in altra parte del mondo ?. — Soggionse Giove: — Vadano ancora a basso la Turpitudine, la Derisione, il Dispreggio, la Loquacità, l’ Impostura; ed in quella sedia succeda la Magia, la Profezia ed ogni Divinazione

e

Prognosticazione,

buona ed utile. — Saulino.

Vorrei

* A

di venti

meno

intendere chilometri

da

gli

effetti

il tuo. parere, da Salerno,

nelle

giudicata

o Sofia, ultime

circa propag-

gini occidentali del Terminio verso il mare, si cleva il Monte Corvino sparso di frazioni — Vòtraci, Marangi, Santo Eustachio, Cornea, Nuvolo, Occiano, Toriello, Pugliano e Rovella, — le quali, ad ec-

cezione di Pugliano, formano un solo comune che piglia il nome di Montecorvino Rovella dal monte e dal ' casale * di maggiore importanza. Giova ricordare che Montecorvino è lontano poco più di venti

chilometri

da Campagna.

® Il padre vittorino Guglielmo Cotin il 13 dicembre 1585 ricorda nel suo Diario il discorso avuto con-due italiani che gli parlarono di Sisto V: «Il a fait rude exécution en banissemens et morts de plusieurs gentilshomes, mais par contraincte, car desjà les voleurs, dès le temps de Grégoire XIII, l'assiégeoyent è Rome et tenoyent tous les chemins, entre Rome et Naples, en péril et danger. — De ceste rudesse du pape m’avoit parlé hier Jordanus [Bruno], avec blasme d'iceluy »: Spamp., Vita, pp. 653-4. (B.

251-2)

(W.

Il, 245-6)

(L. 551-2)

818

(G

II, 204)

(G.2 II, 218-9).

DIALOGO

TERZO

la metafora del corvo; la qual primamente fu trovata e figurata in Egitto, e poi in forma d' istoria è presa da gli Ebrei, con gli quali questa scienza trasmigrò

da Babilonia;

ed in forma di favola è tolta da quei che poetòrno in Grecia. Atteso che gli Ebrei dicono d'un corvo inviato da l'arca per uomo, che si chiamava Noé, per veder se Ile acqui erano secche, a tempo che gli uomini aveano tanto bevuto

che crepòrno; e. questo animale, rapito da la gola de cadaveri, rimase, e non tornò mai dalla sua legazione e serviggio. Il che pare tutto contrario a quello che raccontano gli Egipzii e Greci, che il corvo sia stato inviato dal cielo da un dio, chiamato Apolline da questi, per vedere se trovava de l’acqua, a tempo che gli dei si morevano quasi di sete; e questo animale, rapito dalla gola de gli fichi, dimorò molti giorni, e tornò tardi al fine, senza riportar l’acqua, e, credo, avendo perso il vase. Sofia.

Non

voglio

la dotta metafora;

al

ma

presente

questo

Ebrei

tutto

stendermi

a dechiararti

sol ti voglio dire: che il dir

di Egizii

e de

va a rispondere

a medesima

metafora;

perché dire che il corvo si parta da l’arca, che è

diece cubiti sullevata sopra il più alto monte de la terra e che si parta dal cielo, mi par che sia quasi tutt'uno :. E che gli uomini, che si trovano in tal luogo e regione, siano chiamati dei, non mi par troppo alieno; perché, per esser celesti, con poca fatica possono esser dei. E che da questi sia detto Noè quell'uomo principale e da quegli altri Apolline, facilmente s'accorda; perché la denominazione differente concorre in un medesimo officio di regenerare:

atteso che sol et homo generant hominem.

1 «Cioè, (B.

252-3)

bugia (W.

II,

e favola » 246)

(L.

(Post. 552)

819 56

-—

O.

Bruno,

Diafoghi

ituliuni

E che sia

napol.).

(G.!

II,

204-5)

(G.2

II,

219-20).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

stato a tempo che gli uomini aveano troppo da bere, e che sia stato quando

medesimo

gli dei si morevano

ed uno:

perché,

di sete, certo è tutto

quando

le cataratte

del cielo

s’apersero e si ruppero le cisterne del firmamento, è cosa necessaria che si dovenesse a tale che gli terreni avessero

troppo da bere e gli celesti si morissero di sete. Che il corvo sia rimaso allettato ed invaghito per gli fichi, e che quello stesso sia stato attratto dalla gola de corpi morti, certamente viene tutto ad uno, se considerarai la interpretazione di quello Giosefo, che sapea dechiarar gli sogni. Perché al fornaio di Putifaro (che diceva aver avuto in visione,

che

venevano

portava

in testa

a mangiar

un

canestro

gli ucelli)

de

prenosticò

fichi,

che

di cui

lui dovea

essere appiccato, e de le sue carni doveano mangiar i corvi

e gli avoltori. Che il corvo fusse tornato, ma tardi e senza profitto

alcuno,

è tutto

medesimo,

non

solamente

con

il

dire che non tornò mai, ma anco con il dire che mai fusse andato



mandato;

perché

non

va,

non

fa,

non

torna

chi va, fa e torna in vano. E sogliamo dir ad un che viene tardi

ed in vano, Andaste,

A

ma

Lucca

ancor

che

riporte

fratel mio,

me

I Genesi, XL, 16ss.; di un ministro del re

ti parse

e non

de

qualche

cosa:

tornaste;

vedere 2.

dove si parla veramente non di Putifar, (cfr. SPAMP., Lo spaccio, p. 83, n. 2). Per

la favola del corvo e dei fichi il prof. Spampanato mi fa avvertire che il B. può essersi servito della Ficheide dell’ArETINO, Caprice. e piac. ragionamenti, p. 483. Cir. Purci, Morgante, XXVIII, 130. ® In questi due vv. lo Spampanato ritiene che il B. abbia rifuso

da sé un

adagio

comune

allora in Italia. L'ARETINO

nel Filosofo

(a. V, sc. 9) fa dire dalla Massara, nello stesso senso del B., «a Lucca ti vidi »; e Lorenzo Lippi nel Malmantile, VII, 57: «.... a Lucca ti riveddi ». Il LALLI nella Eneide travestita, III, 4: « E dicon spesso

altrui:

Ti veddi

(B. 253-4)

a Lucca ». Tommaso

(W. II, 246-7)

(L. 552-3)

820

Buoni

da Lucca,

(G.1 II, 205-6)

nel suo

Te-

(G.? II, 220-1).

DIALOGO

TERZO

Ecco dunque, Saulino, come le metafore egiziane senza contradizione alcuna possono essere ! ad altri istorie, ad altri favole,

ad

altri figurati

Saulino.

non

Questa

mi contenta,

sentimenti.

tua concordanza

di testi, se al tutto

è vicina a contentarmi.

Ma

per ora se-

guitate l’ istoria principale. Sofia. — Or che si farà de la Tazza? dimandò Mercurio. De la giarra che si farà?



donata,

vita durante, al più gran bevitore

ture successionis,

che produca tata,

Facciamo,

l'alta e bassa Alemagna,

magnificata,

celebrata

e

disse Momo, dove

che sia

la Gola è esal-

glorificata

tra

le

virtudi

eroiche; e la Ebrietade è numerata tra gli attributi divini: dove

col

ireink

e

retreink*,

bibe

et

rebibe,

vucta

veructa,

cespita recespita, vomi revomi usque ad egurgitationem utriusque

iuris 3, idest

anima

del

brodo,

butargo 4, menestra,

e salzicchia 5, videbitur

Ciacchi 6.

Vadasene con

porcus

quello

cervello,

porcorum

l' Ebrietade,

la

in gloria qual

non

la vedete là in abito todesco con un paio di bragoni tanto grandi,

santo

l’uno

che

paiono

Antonio,

le

e con

bigoncie

quel

e l’altro si discuopre:

del

mendicante

braghettone

che

di sorte che

da

abbate

di

mezzo

de

par che

voglia

soro de’ Proverbi, racconta di un Lucchese, che, imbattutosi a Lucca

in un Pisano, lo colmò di cortesie; ma ne fu ricambiato male, ché, capitato poi a Pisa, non venne riconosciuto. Onde avrebbe escla-

mato: ne'

« A Lucca ti veddi e a Pisa ti conobbi ». Il FLORIO ne fa cenno

manuali di conversazione: ! (L: essere; G1 G2: esser)

Critica,

XXII,

248.

? Trinken, in tedesco significa bere: donde l’ italiano trincare. 3 Da notare il giuoco di parole tra jus diritto e jus brodo. 4 Butargo,

uovo



tonno

5 Nel Cand.2, p. 58; salcica ricorda lo spagn. sa/chicha).) 6 Cfr.

sopra,

p.

752,

dove

affumicato.

(ma

ciacco,

le salciche

usato

come

(lo SPAMPANATO n.

c., è sinonimo

di pacchione e simili. Per una pittura del vizio che si soleva attri(B.

254-5)

(W.

II,

247)

(L.

553)

821

(G.I

II, 206)

(G-?

II,

221-2).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE:

arietare il paradiso ? Guardate come la va, orsa ', urtando ora con questo ora con quel fianco, mo’ di proda mo’ di poppa, in qualche cosa, che non è scoglio, sasso, cespuglio, o fosso a cui non vada a pagar il fio. Scorgete con ella gli

compagni fidelissimi Replezione, Dormitazione, Blesura 2,

caria

Pallore,

ed

la non

Trepidazione,

altri

può

Delirio,

seguaci,

più

Indigestione,

alias

Cespitazione,

Rutto,

ministri

caminare,

Fumositade,

Nausea,

Vomito,

e circonstanti.

vedete

come

Lotto,

de quali li più celebri

Chiaccone,

fiero Zampaglion

Vitanzano,

porta

e famosi

Zucavigna

la banda

Spor-

E

rimonta

carro trionfale 3, dove sono legati molti buoni,

personaggi

Balbuzie,

perché

sul suo

savii e santi

sono

Noemo,

e Sileno 4.

L’al-

scarlato;

dove

fatta di

con il color di proprie penne appare di doi sturni il natural ritratto; e gionti a doi gioghi, con bella leggiadria tirano il temone quattro superbi e gloriosi porci, un bianco, un rosso,

un

vario,

un

negro;

Grungarganfestrofiel, Glutius,

il quarto

buire ai tedeschi, « plus cocti quam

il

de

quali

il primo

si

secondo Sorbiligramfton,

chiama il

terzo

Strafocazio 5. FoLENGO, Macaronea, XXVI: Gestant in cerebro, fumantia

del bere, v. TeoFiLo crudi vina tavernae

supra biretum ». 1 BWL: la va orsa. La virgola, tenda: come orsa, da orsa. ? Balbuzie dal lat. diaesura, ae.

perché

facilmente

più

s' in-

3 È parsa, ma non è, la parodia del carro trionfale dantesco (Purg., XXIX, 92). V. HaRTUNC, Grundlinien der Ethik bei G. Bruno, Leipzig, 1878, p. 7; SPAMPANATO, Lo spaccio, p. 84.

cfr.

più

4 Tutti,

IX,

Genesi,

o meno,

da un

Lot,

20ss.

Per

nome

comune,

per giacere con lui, vedi è derivato

solenni

bevitori.

pure Genesi,

le

che

XIX,

dal napol.

Per

due

Noè

figlie

32 ss.

(Noemo),

Chiaccone

‘ chiaccone

Vitanzano cune’ (pampino, sermento, tralcio). vigna sono nomignoli di beoni. Sileno, come ognun pagno di Bacco.

5 BL:

(B.

255)

Strafocazio;

(W.

II,

247-8)

ma

(L.

gli altri 553-4)

822

editori,

(G.!

II,

per

svista

206-7)

inebriarono,

(G2

’, pl.

‘ chiac-

e Zucasa, è il com-

di lettura; II,

222-3).

DIALOGO

TERZO

Ma di questo altre volte ti dirò a bastanza. Veggiamo che fu, dopo ch’ebbe ordinato Giove: che vi succedesse l’Abstinenza e Temperanza con gli lor* ordini e ministri, che udirai: perché adesso è tempo, che vengamo a raggionar del

centauro

proposito,

o figlio

venendo

fu detto dal vecchio Saturno

e signor

ispediamo Momo

Chirone 3, il qual

mio,

presto

disse:



vedi

questi Or,

ch'il

sole

altri quattro,

che vogliamo

ordinatamente

a Giove:

è per



a

Perché,

tramontare,

s'el ti piace.



far di quest'uomo

E

inser-

tato a bestia, o di questa bestia inceppata ad uomo, in cui una persona è fatta di due nature, e due sustanze concorreno in una ipostatica unione ? 4 Qua due cose vegnono in unione

alcuno.

a far una

Ma

terza entità; e di

in questo

consiste

questo non è dubio5

la difficultà;

cioè,

se cotal

terza entità produce cosa megliore che l'una e l’altra, o d'una de le due parti, overamente più vile. Voglio dire, se, essendo a l'essere umano aggionto l'essere cavallino, viene

prodotto

un

divo

degno

de

la sedia

celeste,

o pur

una bestia degna di esser messa in un armento e stalla? In fine (sia stato detto quanto si voglia da Iside, Giove ed altri

dell'eccellenza

a l’uomo,

per

esser divino, gli conviene aver de la bestia, e quando

ap-

Scrafocazio.

il significato

Lo

de

l’esser

SPAMPANATO

di questi bizzarri

bestia,

(Lo

spaccio,

nomi

e che

p.

89)

ha

voluto

cercare

creati dal B.; e crede che Grun-

garganphestrophiel possa significare «chi mangia grufolando e con orgoglio »; Sorbillgramphion « centellinatore n. Glutius deriva dal lat. glutio,

-ivi,

e vale

ingordo;

come

strafocazio

ingoiare avidamente, da soffocare. 1 (G! (= L): ordinato Giove; G%:

2 Nella prima

/or.

sub

5

dubbio)

Orione » (Post. (B.

ediz., omisi:

3 Allegoria del Cristo. 4 «Rursus in Christum (G!

255-6)

=

L:

(W.

nap.).

dubio;

II,

G?:

248)

(L.

persona

554)

823

(G.!

dal

ordinato

napol.

a

centauri

II,

207-8)

strafocarsi,

Giove) sicut

(G2

supra

II,

sub

223).

SPACCIO

petisce vedere

DE

mostrarsi

LA

BESTIA

altamente

TRIONFANTE

divo,

faccia

in tal misura bestia), mai

conto

di

potrò credere

farsi

che, dove

non è un uomo intiero e perfetto, né una perfetta ed intiera bestia, ma un pezzo di bestia con un pezzo d'uomo,

possa

esser meglio che come dove è un pezzo di braga con un pezzo di giubbone, onde mai provegna veste meglior che giubbone

o braga,



cosa

e grande,

meno

cossf,

come

questa

o quella,

di solamente

crederlo.

buona. — Momo, Momo, rispose Giove, il misterio di questa cosa è occolto e grande, e tu non puoi capirlo; però, come —

alta So

bene,

disse

ti fia mestiero Momo,

che

può esser capita da me, ciolo granello

questa

è una

né da chiunque

d’ intelletto;

ma

che

un acino

con —

di miglio, debba

qualche Momo,

bella

disse

maniera

Giove,

non

mi

non

un

dio,

o

esser potrebe

vorrei che da te prima

vegna

devi

son

quanto

crederlo,

che

ha qualche pic-

io, che

altro che si trova tanto sentimento

cosa,

donato

voler

sapere

a credere. più

di quel

che bisogna sapere, e credemi ?, che questo non bisogna sapere 3. — Ecco dunque, disse Momo, quel che è necessario intendere, e ch’ io al mio dispetto voglio sapere; e per farti

piacere, o Giove, voglio credere che una manica ed un calzone vagliono più ch'un par di maniche ed un par di calzoni, e di gran vantaggio ancora; che un uomo non

che

una

bestia

non

sia mezo

non

uomo,

meza

bestia;

che

uomo

imperfetto

! Restituisco

un

è

bestia;

che

e che

la metà

mezo

uomo

e bestia

fedelmente

la metà

(B. 256-7)

(W.

credere

non

sia

e meza

bestia

non

sia

della

ma

bene

vecchia

per farti piacere» (Post.

II, 248-9)

(L. 554-5)

824

uomo

bestia

niana. In G!: In fine, e sia stato detto.... in tal misura 2 BL: credemi; WG!: credimi.

3 a Voglio

d’un

d'una

imperfetta, la lezione

è uomo,

un stampa

bestia;

divo, bru-

mai....

napol.).

(G.! II, 208-9)

(G.2 II, 223-4).

DIALOGO

e pura

mente

colendo.



TERZO

Qua

li dei

sollecitarono

Giove,

che s’espedisse presto e determinasse del Centauro secondo il suo

volere.

Però

Giove,

Momo,

determinò

desimo

contra Chirone

avendo

in questo

comandato

modo:



Abbia

silenzio

detto

qualsivoglia proposito,

a

io me-

al presente

io mi ritratto; e dico che, per esser Chirone centauro uomo

giustissimo, che un tempo abitò nel monte Pelia, dove insegnò ad Esculapio de medicina, ad Ercole d'astrologia e ad Achille de citara, sanando

infermi, mostrando

come

si

montava verso le stelle, e come gli nervi sonori s’attaccavano ! al legno e si maneggiavano, non mi par indegno del cielo. Appresso ne lo giudico degnissimo, perché in questo tempio celeste, appresso questo altare a cui assiste, non è altro sacerdote che lui; il qual vedete con quella offrenda bestia in mano,

e con un libatorio fiasco appeso

a la cintura. E perché l’altare, il fano, l'oratorio è necessariissimo, e questo

qua

viva,

qua

sarrebe

vano

rimagna

senza l’administrante,

e qua

persevere

eterno,

se

dispone altrimente il fato. — Qua suggionse Momo: gna[-]

e prudentemente

hai

deciso,

o Giove,

però

non

— De-

che

questo

sia il sacerdote nel celeste altare e tempio; perché, quando bene arà spesa quella bestia che tiene in mano, è impossibile che li possa mancar mai la bestia: perché lui medesimo,

ed uno,

può servir per sacrificio e sacrificatore, idest per

sacerdote

e per

bestia.



Or

bene

dunque,

disse

Giove,

da questo luogo si parta la Bestialità, l’ Ignoranza, la Favola disutile e perniziosa; la Semplicità 1 B(L):

giusta, la Favola s'attacavano;

cato: ciò nondimeno,

stampa

meno

e dove

è con

« fastidiosi ».

anche

molta

è il Centauro,

morale. nel

De

Da

ove

l'infinito,

probabilità

uno

rimagna è l’Altare,

p.

degli

399:

atta-

errori

(B. 257-9) (W. II, 249) (L. 555) (G.! IT, 209) (G.* II, 224-5). 825

di

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

si parta la Superstizione, l’ Infidelità, l' Impietà e vi soggiorne la non vana Religione, la non stolta Fede e la vera e sincera Pietade. — Qua propose Apolline: —- Che sarà di

quella

vogliamo è

quella

Tiara?

a che

far di essa? corona,

la



quale,

è destinata

Questa, non

quella

Corona?

che

disposizion

del

questa,

senza

alta

rispose

Giove,

fato, non senza instinto de divino spirito e non senza merito grandissimo,

aspetta

della magnanima,

l’ invittissimo 1 Enrico

potente

terzo,

Re

e bellicosa Francia 2; che dopo

questa e quella di Polonia, si promette, come nel principio

del suo

regno

ha testificato,

celebrata impresa,

ordinando

quella sua tanto

a cui, facendo corpo le due basse corone

con un'altra più eminente e bella, s’aggiongesse per anima il motto: Tertia coelo manet. Questo Re cristianissimo, santo, religioso e puro può securamente dire; Tertia coelo manet, perchè sa molto bene che è scritto Beati li pacifici, beati li quieti, beati li mondi di cuore, perché de loro è il regno de' cieli3. Ama la pace, conserva quanto si può in tranquillitade e devozione il suo popolo diletto; non gli piaceno gli rumori, strepiti e fragori d’ instrumenti marziali che administrano al cieco acquisto d’ instabili tirannie e prencipati de la terra; ma tutte le giustizie e santitadi che mostrano il diritto camino al regno eterno. Non sperino gli arditi, tempestosi e turbulenti spiriti di quei che sono a lui suggetti, che, mentre egli vivrà (a cui la tranquillità de l'animo non administra bellico furore), voglia porgerli aggiuto per cui non vanamente vadano a perturbar la pace ! L: invitissimo. 2 «O bugiardo assentatore! » (Post. 3 MATTEO,

(B. 259-60)

V,

5-8.

Cfr.

(W. II, 249-50)

il Salmo,

(L. 555-6)

826

napol.).

XXXVI,

I1.

(G.1 II, 209-10)

(G.? II, 225-0).

DIALOGO

de ed sua gli

TERZO

l'altrui paesi, con pretesto d’aggionger gli altri scettri altre corone; perché Tertîa coelo manet. In vano contra voglia andaranno le rubelle Iranche copie a sollecitar fini e lidi altrui; perché non sarà proposta d' instabili

consegli,

non

di esterne

sarà

speranza

administrazioni

de

volubili

e suffragii

fortune,

che

comodità

vagliano ! con

specie d’ investirlo de manti ed ornarlo di corone, toglierli

(altrimente che per forza di necessità) la benedetta cura della tranquillità di spirito, più tosto leberal del proprio che avido de l’altrui. Tentino, dunque, altri sopra il vacante regno Lusitano; sieno altri solleciti sopra il Belgico dominio. Perché vi beccarete la testa e vi lambiccarete il cervello, altri ed altri prencipati ? perché suspettarete e temerete voi altri prencipi e regi che non vegna a domar le vostre forze, ed involarvi le proprie corone? Tertia coelo manet. Rimagna dunque (conchiuse Giove) la Corona, aspettando colui che sarà degno del suo magnifico possesso;

e qua oltre abbia il suo solio la Vittoria, Remunerazione, Premio,

Perfezione,

Onore

e Gloria;

virtudi, son fine di quelle 2, — Saulino. Or che dissero li dei? Sofia. Non fu grande o picciolo,

le quali,

se non

maggiore

son

o minore,

maschio o femina, o d'una e d’un’altra sorte, che si trovasse 1 BL: vagliano; W: vogliono; Gl: vagliono. * Cfr. pp. 17-18. Il Bruno dallo scorcio del 1581 al giugno 1583 era stato in Parigi, e aveva conosciuto Enrico III da vicino, ed era stato da lui favorito. Leggendo quivi una lezione straordinaria, «acquistai, —. dice egli stesso nel costituto veneto del 30 maggio 1592, — nome tale, che il Re Enrico terzo mi fece chiamare un

era

con

giorno,

ricercandomi

naturale quello

o pur

che

per

li dissi

se la memoria

arte

e feci

magica;

provare

che

avevo

al qual a lui

e che

diedi

professava,

sodisfazione:

medesmo,

conobbe

che

non era per arte magica ma per scienza. E doppo questo feci stampar (B.

260-1)

(W.

II,

250)

(L.

556)

(G.!

827

II, 210-2)

(G.2

II,

e

226-7).

SPACCIO

DE

LA

BESTIA

TRIONFANTE

nel conseglio, che con ogni voce e gesto non abbia sommamente approvato il sapientissimo e giustissimo decreto Gioviale.



onde,

fatto

tutto

allegro

e gioioso,

il summito-

nante s’alzò in piedi e stese la destra verso il Pesce australe, un libro de memoria,

sotto titolo De umbris

idearum;

il qual dedicai

a sua Maestà (Opera, II, 1, 3}. E con questa occasione mi fece lettor straordinario e provisionato; e seguitai in quella città a legger, come ho detto, forsi cinqu'anni. Ché per li tumulti che nacquero

doppo,

pigliai licenzia, e con littere dell’ istesso Re andai in Inghil-

terra

a star con

702);

presso

l'Ambasciator

di Sua

Maestà,

che

S.r della Malviciera, per nome de Castelnovo » (SPaMP., pagine

dello

raccontano discorrere,

sopra

il quale

Spaccio.

che

Enrico



introducendo

diverse

storia »;

dimorava

materie,

« Enrico

è

in Londra,

Gli ambasciatori

III

«si

perciò,

dilettava stando

studiando

amatore

mentre

veneti

assai

a tavola,

volentieri

delle

arti

e

le

delle

si chiamava

il

Vita, pp. 701-

scriveva

(BERTI?,

nel parlare dispute

morali

scienze

queste

p.

e sentir

di dottori

e i libri e

126)

si

di

diletta

principalmente della poesia e della eloquenza, nella quale riesce per vero mirabilmente ». Questo può bastare a spiegarci le lodi

prodigate dal B. al Re di Francia, che

degno.

nuovo; ritratti,

che

«ei vedeva

il cortese,

e colto,

ed ospital

Castel-

e dal ministro argomentava il re» (FIORENTINO, Studi e pp. 371-2). Era stima personale pel Re, rafforzata dalla

gratitudine

Ja

Non

che ne era, in realtà, tutt'altro

(vedi

Spamp.,

Vita,

pp.

316-21).

Quanto al motto dell’ impresa di Enrico: fertia (oltre la corona corona di Polonia e di Francia) coelo manet, il BARTHOLMÈSS

(J. Bruno, I, 99) nota: « Lorsque B. félicita le roi d’avoir pris pour

devise — ronne au

La troisième, etc., — les ligueurs cloître, de la main du forndeur,

lui promirent du bourreau

cette coupout-étre,

ou lui prédirent qu’elle lui €chapperait comme la couronne de Naples que Paul IV avait prétendu lui transférer avec les armes de Henri II ».

Ecco

il commento

conservato

dal

dei

cronista

partigiani DE

della

L' EtoILE:

Lega

al motto

di Enrico,

Qui dedit ante duas unani abstulit, altera nutat. Tertia tonsoris est facienda manu.

Periuvii

te poena

gravis

manet

ultima

coelo,

Nam Deus infidos despicit ac deprimit; Nil tibi cum coelis, hic nulla corona tyrannis; Te manet infelix ultima coenobio. (Una interpretazione matura dei rapporti tra Bruno e i circoli accademici francesi legati ad Enrico III ci è fornita da FRANCES (B.

261)

(W.

II

250)

(L.

556-7)

828

(GI

II,

212)

(G.?

II,

227).

DIALOGO

TERZO

di cui solo restava a definire, e disse:



Presto

tolgasi da

là quel pesce, e non vi rimagna altro che il suo ritratto; ed esso in sustanza sia preso dal nostro cuoco, ed or ora, fresco

fresco,

sia

messo

per

compimento

di

nostra

cena

parte in craticchia ', parte in guazzetto, parte in agresto, parte acconcio come altrimente li pare e piace, accomodato con salza romana. E facciasi tutto presto, perché per il troppo negociare io mi muoio di fame, ed il simile credo de voi altri anco: oltre che mi par convenevole che questo purgatorio non sia senza qualche nostro profitto ancora. — Bene, bene, assai bene! risposero tutti gli dei; ed ivi si trove la Salute, la Securità, 1’ Utilità, il Gaudio, ;l Ri-

poso

e somma

de virtudi,

Voluttade,

e remunerazion

E con questo

purgato

il spacio

che

son

parturite

dal

de studi

e fatiche.



festivamente

usciro

oltre il signifero,

premio

dal conclave,

che contiene

avendo

trecento

e sedeci stelle segnalate. Saulino. Or ed io me ne vo alla mia cena. Sofia. Ed io mi ritiro alle notturne contemplazioni, FINE.

A. YATES, The French Academies of the Sixteenth Century, London 1947, Pp. 95, 98, 101-03, IIS, 125, 129. Cîr., della stessa, The reli-

gious policy of G. B., in « Journal of the Warburg and Courtauld Institutes », III (1939-40), pp. 181-207 (particol. pp. 192 ss.: p. 194 ss. per il motto Tertia coelo manet), e ora la comunicaz. Con-

sidérations de Bruno e de Campanella sur la Monarchie Francaise, extrait de volume «L'art et la pensée de Léonard de Vinci », Paris-

Alger, 1954.)

1 Craticola

dialetto.

(B. 261)

(W.

per

II, 250)

graticola (L. 557)

è

dell’ital

(G.! II, 212)

829

ant.

e

(G.2 II, 227-8).

del

ERRORI Car.

21

» »

33 44

»

72

»

50

»

74

»

»

»

» D

verso

10 28 18 16

PIÙ

9 altro

1o 1 17 18 »

95

105

114

che

»

138

5 Fatilmente 9 guerra te si

”»

142 vox s 5

vos

yu

uv

a

x

»

uo

6 luminoso

»

deve più

tu risaleno l'anime Facilmente guerra si pot. Andromeda luminoso della

l’anime

9 Cassiopea

143

Della

3 della: possa

dettar possa

tradimento ocio penuria d’o

4 tardimento 18 Ocio

20 penuria

21 25 14 15 30 8 10

Seconda de agnelli luogo discussioni altro insieme con la senza verità Seconda se niarmonia da qual

che verità Secondo perché niarmonia qualch’ deve da più

9 tu

»

»

la

136

»

»

*.

torti

»

»

leggi

Secondo de capretti lugo discussionie

1 Sorti

d

D

FASTIDIOSI

d'O

possiute Ocio Costui Compagna disse? che in solo di poquella et acciò

possute ocio

costei compagno disse? Sof. che non solo in po-

quella:

acciò

1 In fondo allo Spaccio il B. ha aggiunto due pagine non numerate con questa errata-corrige, la quale sebbene io l'abbia avuta

nel debito conto nella correzione

del testo, tuttavia mi pare oppor-

tuno riprodurla, come farò a suo luogo per quella (pp. 949-50), anche a titolo di documento.

(B.

(262))

(G!. II, 494)

830

degli

(G?. II, [229])).

Eyoici furori,

»

17

169

n

12

vo xo sce

170 171 173 >»

vo sos

©

176

»

» »

»



»

»

d

»

178 184

e“

” ”

»

»

»

208

221 222 228

255

1 % 3

ses S x wo

»

FASTIDIOSI

ingegno et con frustatoria

Rapito

3 servello 7 Se mese

Momo

leggi »

dalla

» »

19 giustizia moderanza et

24

moderanza 2 Crisaorio fu 12 applicarve 16 usum nel 30 altre 5 ti instaurat

5

Elezione,

17

16

12 18

2I

» » »

»

ingegno con frustratoria

Rapito

dalla

cervello se mise

giustizia et!

simmetria Crisaorio che

applicarne

fu

vel

»

usum altri

»

tiche,

instaurat

»

Aspirazione,

et Col. 26 perverso. 28 vicino: et che 32



veneni. Con nutrizio ? becchie Cossi si mos Non prudenza Sileno l’alfiero.

Elezione ta

»

PIÙ

wie so sw

12

=

. 166

o È =

verso

o

ERRORI

perverso ? vicino? Et

tanno che veneni ? connutrizio 3 becchi Cossf mos

non

83I

230).

pensa-

per prudenza

Sileno.

(GI: giustitia, et) (Gt: Con nutritio) (GI: connutritio)

(B. [263]) (G1. II, 494) (G?.

et Col.

L’alfiero.

CABALA

DEL

CAVALLO

CON

L'AGGIUNTA

pel’ ASINO

CILLENICO:

DESCRITTA

DEDICATA

AL

PEGASEO

DAL

VESCOVO

NOLANO:

DI

CASAMARCIANO

PARIGI, APPRESSO

ANTONIO

Anno

1585.

BAIO,

EPISTOLA DEDICATORIA SOPRA LA SEGUENTE CABALA AL REVERENDISSIMO SIGNOR DON SAPATINO, abbate

successor

di San

Reverendissime

Quintino

in

e vescovo

Christo

di Casamarciano !.

Pater,

Non altrimente che accader suole a un figolo 2, il qual gionto al termine del suo lavoro (che non tanto per trasmi1 Per quest’operetta è da riscontrare il De compositione imaginum (rsor), dove (Opera II, 11, 237-8) il B. scriverà: « Nullum sane esset Mercurii numen, nisi equitabile pecus aliquod subesset. Animalis imago et figura nota est; de quo varii scripserunt et nos particulari stylo de illo scripsimus, quod,

quia

vulgo

sinistrum

pressum».

displicuit

sensum

et

non

Cfr. anche

sapientibus

placuit,

la dichiarazione

opus

del B.

propter

est

sup-

nel processo

ve-

si dichiarasse soppresso il solo Asino

Cillenico e non la Cabala.

Ed

del capitolo,

Ma questo

neto («alcune mie opere composte da me e date alla stampa, le quali non approbo, perché in esse ho parlato e discorso troppo filosoficamente, disonestamente e non troppo da buon cristiano ») in SpamP., Vita, 704. — Il BERTI? (p. 479) e il Tocco (G. B., Conferenza, p. 46 n.) intendono che nel citato luogo del De compositione è vero

che

l'animale

di cui quivi

è l' Asinus

Cyllenicus.

si parla,

indicato

asino

nel

non

titolo

è altra

cosa dal cavallo pegaseo (cfr. qui, più innanzi, pp. 884 e 899). E nel De c6mpositione enumerando i notabilia dell’Asino cillenico, ricorda la mandibola con cui Sansone ammazza mille filistei, «et de qua surrexerunt aquae, quibus populi errantes refici potuerunt, et alia multa de quibus alias in proprio libro dice-

bamus»; appresso,

riferendosi

p.

evidentemente

853.

appunto

alla

Cabala,

qui

«Il titolo di Cabala va inteso per analogia col significato della cabala ebraica, definita da Rarmonno Lutto (nel De auditu cabbalistico, che

il B. certo

libet

rei

revelatae

chierico

della

lesse)

«receptio

animae rationali»

veritatis

(cit.

dal

cuius-

FRANCK,

op.

qui

appresso (p. 865, n. 1) citata, p. 7, n. 3. Il don Sapatino della dedica è un personaggio storico; ma per ischerzo insignito dei pomposi titoli di abate c vescovo {Casamarciano non fu mai scde o titolo di vescovi). Sabatino Savolino fu un

S. Paolo

parrocchia

Belsito,

(Spaccio,

di

Santa

p. 634,

pellano di un’altra chiesa nel % Vasaio. V. in proposito, (B.

[3])

(W.

II,

253)

(L.

Prima,

n. 3), dal

1586 (Spamp., p. 466, n. 5.

560)

(G.

835 57



G.

Bruno,

Dicloghi

di

italiani

II,

fronte

1576;

Vita,

(215]))

(G.=

alla

Starza

e diventò p.

61).

If,

di

cap-

(233])).

CABALA grazion

de

la

DEL

luce,

CAVALLO

quanto per

PEGASEO

difetto

e mancamento

della

materia spacciata è gionto al fine) e tenendo in mano un poco di vetro,

o di legno,

farne

vase,

un

o di cera,

rimane

o altro che non

un pezzo

è sufficiente per

senza sapersi

né potersi risol-

vere, pensoso di quel che n’abbia fare, non avendolo

via

disutilmente,

e volendo

al dispetto

del

mondo

a gittar

che

serva

a qualche cosa; ecco che a l'ultimo il mostra predestinato ad essere una terza manica, un orlo, un coperchio di fiasco, una forzaglia 1, un empiastro, ‘o una intacconata? che risalde,

empia o ricuopra qualche fessura pertuggio o crepatura; è avvenuto a me, dopo aver dato spaccio non a tutti miei pensieri,

ma

a un

non avendo

certo

fascio

de scritture

altro da ispedire,

solamente,

che al fine,

più per caso che per consiglio,

ho volti gli occhi ad un cartaccio 3 che avevo altre volte spreggiato e messo per copertura di que’ scritti: trovai che con-

teneva

in parte

quel

tanto

che vi vederete

presentato.

Questo prima pensai di donarlo a un cavalliero; il quale avendovi aperti gli occhi, disse che non avea tanto studiato

che potesse intendere gli misterii, e per tanto non gli possea piacere. L’offersi appresso ad un di questi ministri verbì Dei;

e disse che era amico della lettera, e che non si delettava de simili esposizioni proprie a Origene, accettate da scolastici ed

altri nemici della lor professione. Il misi avanti ad una dama; e disse

che

non

gli

aggradava

per

non

esser

tanto

grande

quanto conviene al suggetto d’un cavallo ed un asino. Il presentai ad un’altra; la quale, quantunque gustandolo gli pia-

cesse, avendolo gustato, disse che ci volea pensar su per qualche giorno. Viddi se vi potesse accoraggiar una pizocchera1; e la me

disse:

verti

de

Non

lo accetto,

granelli

se parla d'altro

benedetti

che di rosario,

e de l’agnusdei 5.

della

1 Il D’Ampra nel Vocab. napol.: «Forzaglia, striscia di tela cucita orizzontalmente sotto lo sparato della camicia da uomo ». 2 T. proprio dei calzolai; tuttavia nel Cand.2, p. 58: «tacconeggia padelle ».

3 Spagn. cartacho, libercolo. 4 B: pizocchera; WLG1: pinzocchera. cessaria. 5 Cand3,

V,

24,

p.

202:

«Quella

Correzione

è stata

la sua

affatto

ne-

consegliera:

(B. [3-4)) (W. II, 253-4) (L. 560-1) (G.t II, (215)-6) (G.3 II, (233]-4). 836

EPISTOLA Accostailo

al naso

d’un

DEDICATORIA pedante,

il qual,

avendo

torciuto

il viso in altra parte, mi disse che aboliva ogni altro studio e materia eccetto che qualche annotazione, scolia ed interpretazione

sopra

Vergilio,

Terenzio

e Marco

Tullio.

versificante che non lo volea, se non era rime o de sonetti. Altri dicevano che gli stati dedicati a persone che non erano Altri co' l'altre raggioni mi parevan ringraziar

o poco

o niente,

qualche meglior megliori disposti

Udivi!

da un

copia d'ottave trattati erano che essi loro. a dovermene

se io gli l'avesse dedicato;

e questo

non senza caggione, perché, a dir il vero, ogni trattato e considerazione deve essere speso, dispensato e messo avanti a quel tale che è de la suggetta professione o grado.

Stando

materia

dunque

io con gli occhi affissi su la raggion della

enciclopedica,

mi

ricordai

dell’enciclopedico

vostro

ingegno, il qual non tanto per fecondità e ricchezza par abbraccie il tutto, quanto per certa pelegrina eccellenza ch'abbia il tutto e meglio ch' il tutto, Certo nessun potrà espressamente che voi comprendere il tutto, perché siete del tutto;

possete

tegna rinchiuso;

abbiate.

(Non

so

entrar

per tutto,

se

dechiararò

perché

possete aver il tutto, mi

non

perché

meglio

è cosa

che par più fuor

che

vi

descrivere

il

non è cosa che

co’

vostro ineffabile intelletto). Io non so se siete teologo, o filosofo, o cabalista; ma so ben che siete tutti, se non per essenza,

per partecipazione; presso,

da

lontano.

se non In

ogni

in atto, modo

in potenza;

credo

che

se non

siate

cossi

d’ap-

suffi-

ciente nell'uno come nell'altro. E però eccovi cabala, teologia e filosofia:

di

teologia

dico

una

cabala

cabalistica,

sorte

ancora

che

tutto

del niente

non

una

di teologica

teologia

so se queste

di

tre cose

filosofia,

cabala avete

una

filosofia

filosofica, o come

di

tutto,

o come parte, o come niente; ma questo so ben certo che avete la parte

in parte,

parte del tutto

nel niente,

niente

de

in tutto.

quella è la pastora di tutte le belle figlie di Napoli. Chi vuol Agnus

Dei,

chi vuol granelli benedetti, .... ». Cfr. nella stessa pag. la n. 3. 1 Udii. Intorno a questa f. di pass. rim. cfr. appresso la n. I della p. 1143, penultimo dial. degli Er. furori.

(B. [5-6]) (W. II, 254) (L. 561) (G3 II, 216-7) (G-? II, 234-5).

837

CABALA

che

Or

per

venire

DEL

a noi,

m’ inviate? quale

CAVALLO

mi

PEGASEO

dimandarete

è il suggetto

!: che

di questo

presente m'avete fatto degno ? Ed io vi rispondo,

il dono onore,

d’un

Asino,

vi aumentarà

1 G1:

vi sì presenta?

dignità,

l’Asino

vi metterà

cosa

è questa

libro? di che che vi porgo

il quale

vi farà

nel libro de l'eternità 3.

dimanderete.

2 B: vi si presento; WLGI: vi presento. 3 Per gli antecedenti della letteratura dell'asino vedi l'opuscolo diligente dello SPAMPANATO, G. Bruno e la letteratura dell'asino, Portici,

1904.

Ma

al B.

l'immediata

satirica venne certamente tale omnium scientiarum

AGRIPPA

di magia):

ispirazione

della sua

bizzarria

dal cap. CII del De incertitudine et vaniet artium (1527) di ENRICO CORNELIO

(il cui De scientia occulta egli stesso sfruttò nelle sue opere capitolo intitolato appunto

Ad

encomium

asini digressio,

e scritto per giustificare l’ultima frase del precedente capitolo, Cristo

avesse

scelto a suoi apostoli

raturae pene expertes, inscios et

e rudi

asinos

vulgo

idiotas,

ommis

che

lite-

Anche l'Agrippa intende

spiegare asini mysteria. — Ma giova riferirne a confronto i tratti principali (mi servo dell'ediz. di Colonia Agrippina, MDXCVIII). Come poi B., l’Agrippa si rifà dagli ebrei: «Hunc (sce. asinum) Hebraeorum doctores fortitudinis ac roboris excelsi patientiaeque et clementiae symbolum esse exponunt, eiusque influxum a sephiroth, quod ockma, hoc est sapientia dicitur, dependere. Eius namque

conditiones

sapientiae

discipulo

necessariae

maximae

sunt,

vivit

enim exiguo pabulo, eoque qualicumque contentus, tolerantissimus penuriae, famis, laboris, plagarum, negligentiae, omnisque persecutionis patientissimus, simplicissimi ac pauperrimi spiritus, ut ne

inter lactucas et carduos discernere sciat, corde innocenti ac mundo,

ac bili carens, cum omnibus animantibus pacem habens, omnibusque oneribus patienter dorsum supponens.... Iamque ctiam in veteri

lege sic asinum

Deus

ipse honoravit,

ut cum

iuberet omne

primo-

genitum occidi in sacrificium, solis asinis cum hominibus pepercit, videlicet permittens hominem pro pretio redimi, et pro asino ovem

commutari: testem esse

hunc, quae constans fama est, Christus suae nativitatis voluit; in hoc a manibus Herodis salvari voluit, atque

ipse asinus etiam contactu corporis Christi consecratus est, crucisque signaculo insignitus: nam Christus ipse pro redemptione humani generis .triumphaturus ascendens in Hierusalem, testibus Evangelistis, hunc vectorem conscendit, sicut id magno mysterio per Zachariae oraculum pracdictum fuit. Et ipse electorum pater Abraham asinis tantum equitare legitur, ut non inane sit illud apud vulgus vetus proverbium, quod dicitur: asinum portare mysteria; quo nunc ego vos egregios illos scientiarum professores

quinimo (B.

Cumanos

[6))

(W.

asinos

II,

254)

admonitos (L.

561)

838

volo,

(G.!

II,

quod

217)

nisi

(G.2

humanarum

IT,

235).

EPISTOLA

DEDICATORIA

Non vi costa niente per ottenerlo da me ed averlo per vostro; non vi costarà altro per mantenerlo, perché non mangia, non beve,

non

imbratta

la casa;

e sarà

eternamente

vostro,

e du-

scientiarum depositis sarcinis, ac leonina illa (non quidem a leone illo de tribu Iuda, sed ab illo, qui circuit, rugiens et quaerens quem devoret)

mutuata

pelle

exuta,

in nudos

et puros

asinos

redieritis,

esse vos portandis divinae sapientiae mysteriis omnino penitusque inutiles. Neque vero Apuleius ille Megarensis ad Isidis sacra mysteria unquam admissus fuisset, ni primus e philosopho versus fuisset in asinum....

Ammonius

Alexandrinus

summus

suo

tempore

philosophus, Divi Origenis et Porphyrii praeceptor, asinum sapientiae auditorem illis condiscipulum habuisse legitur: quin etiam ex sacra bibliorum historia scimus asinum aliquando prophetico spiritu donatum; nam, diceret populo

cum Balaam vir stiens et propheta cxiret ut maleIsrael, angelum Domini non vidit; vidit autem

asinus, et humana

voce ad sessorem

Balaam

locutus est. Sic, inquam,

saepissume videt simplex et rudis idiota, quae videre non potest depravatus humanis scientiis scholasticus doctor. Nonne Sampson in maxilla asini, in mandibula pulli asinarum percussit et delevit viros Philisteorum; sitiensque oravit Dominum, quia aperuit molarem dentem in maxilla asini et egressae sunt aquae vivae, quibus haustis refocillati sunt spiritus et vires eius? Nonne Christus in bucca asinorum suorum simplicium et rudium idiotarum apostulorum et discipulorum suorum vicit et percussit omnes philosophos gentium et legisperitos Iudaeorum, omnemque humanam sapientiam prostravit atque confecit, propinans nobis ex illorum suorum asinorum maxilla

aquas

sticis historiis,

vitae

et sapientiae

et sanctorum

aeternae? Tam

gestis varia et multa

precibus in diversa animalia collata divino munere

vero

in ecclesia-

legimus

illorum

beneficia: verum

nullum unquam animae a mortuis suscitatum legimus, praeter asinum illum quem Beatus Germanus Britonum Episcopus in vitam revocavit: quo insigni miraculo ostensum videtur asinum ipsum etiam post hanc vitam participare immortalitati. «Ex

iis igitur,

quae

iam

dicta sunt,

sole clarius liquet

nullum

animal tam esse divinitatis capax, quam asinum, in quem nisi versi fueritis, divina mysteria portare non poteritis. Proprium id olim apud

Romanos

Christianorum

nomen

erat,

ut

vocarentur

asinatrii,

ipsamque Christi imaginem asininis auribus pingere solebant: testis horum est Tertullianus. Quocirca iam non indignentur nec sibi opprobrio dari putent scientiarum giganteos

nostri Pontifices et Abbates, elephantes asini sint atque

si apud istos vocentur....».

Molti di questi tratti si ritroveranno in B. (Nella sua 28 ed. G. aggiunge la seguente postilla in fondo al vol.:) Per il proverbio poi dell' «asino che porta i sacramenti», ricordato in questo vol. a (B.

(6))

(W.

1I,

254)

(L.

561)

(G.1

839

IT,

217-8)

(G

II,

235-7).

CABALA

DEL

CAVALLO

PEGASEO

raràvi più che la vostra mitra, croccia!, piovale ?, mula e vita; come, senza molto discorrere, possete, voi medesimo ed

altri comprendere. Qua non dubito, reverendiîssimo monsignor mio, che il dono de l'asino non sarà ingrato alla vostra prudenza e pietà: e questo non dico per caggione che deriva dalla

consuetudine

di presentar a gran

maestri non

solamente

una

gemma, un diamante, un rubino, una perla, un cavallo perfetto, un vase eccellente; ma ancora una scimia, un papagallo, un gattomammone 3, un asino; e questo, allora che è necessario, è raro, è dottrinale; e non è de gli ordinarii. L'asino

indico è precioso e duono papale in Roma; l’asino d’ Otrantò 4 è duono imperiale in Costantinopoli; l'asino di Sardegna è duono regale in Napoli; e l'asino cabalistico, il qual è ideale e per consequenza celeste, volete voi che debba esser men caro in qualsivoglia parte de la terra a qualsivoglia principal personaggio che per certa benigna ed alta repromissione sap-

piamo che si trova in cielo il terrestre? Son certo dunque che verrà

vien

accettato

da

voi

con

quell’animo,

con

quale

da

me

vi

donato. Prendetelo,

o

padre,

se

vi

piace,

per

ucello 5,

perché

è

alato ed il più gentil e gaio che si possa tener in gabbia. Prendetelo, se ‘1 volete, per fiera, perché è unico, raro e pelegrino da un canto, e non è cosa più brava che possiate tener ferma in un stico;

antro o caverna. Trattatelo, perché è ossequioso, comite$

se vi piace, come domee servile, ed è il meglior

compagno che possiate aver in casa. Vedete che non vi scampe di

pp.

mano;

838

perché

e 987,

del lib. V:

cfr.

L'éne

1! Croccia,

2 Piviale.

è il meglior

anche,

tra

destriero

le

Favole

portant des veliques.

Come

il pastorale;

cfr.

‘ pieviale’,

4 Nel

5 V.

Card,

sopra,

p.

I,

4,

6or,

6 Scambio

di

(6-7])

II, 254-5)

aggettivo

e suona:

(B.

(W.

comis,

«asino

n.

5.

di

e con

benigno,

(L.

del

comes,

561-2)

840

è

crosse.

arcaismo

d’ Otranto»

itis,

perché

cortese.

(G.!

pascere,

FONTAINE,

n. 1.

Terra

grazioso,

possiate

LA

il franc.

‘ piovale’

secoli che ricorda il lat. pluvialis. 3 Vedi lo Spaccio, p. 817, e ivi,

che

IT, 218-9)

dei

la

148

primi

è un’ ingiuria. qui

(G.2

‘comite’

II, 237-8).

è

EPISTOLA

DEDICATORIA

o, per dir meglio, vi possa pascere in stalla; meglior familiare che vi possa esser contubernale.e trattenimento in camera.

Maneggiatelo come una gioia e cosa preciosa; perché non possete aver tesoro più eccellente nel vostro ripostiglio. Toccatelo

come

cosa

sacra,

e miratelo

come

cosa

da

gran

consi-

derazione; perché non possete aver meglior libro, meglior imagine e meglior specchio nel vostro cabinetto 1, Tandem, se

per tutte queste raggioni non fa per il vostro stomaco, lo potrete donar ad alcun altro che non ve ne debba essere ingrato. Se

l'avete

per

cosa

ludicra,

donatelo

ad

qualche

buon

caval-

liero, perché lo metta in mano de suoi paggi, per tenerlo caro

tra le scimie

e cercopitechi.

Se

lo passate? per

cosa

armen-

tale, ad un contadino che li done ricetto tra il suo cavallo e 3 bue. Se ’l stimate cosa ferina, concedetelo a qualche Atteone4

che lo faccia vagar con gli capri e gli cervi. Sc vi par ch'abbia del mignone 5, fatene copia a qualche damigella che lo tegna in luogo di martora e cagnuola $. Se finalmente vi par ch'abbia

del matematico, fatene grazia ad un cosmografo, perché gli vada rependo 7 e salticchiando tra il polo artico ed antartico de una di queste sfere armillari, alle quali non men comodamente potrà dar l’ infuso mercurio

cemente

pende

tipo

del

il moto continuo, ch’abbia possuto a quella d’Archimede, ad esser più

megacosmo,

la concordanza

ed

2 Nella

nel

Cand.?,

mia

prima

p.

cui

armonia

Ma se siete, come vi stimo, considerate, lo terrete per voi, 1 Già

in

5,

e ivi,

ediz.,

una

da

del moto

l’anima retto

donar effica-

intrinseca

e circolare.

sapiente, e con maturo giudicio non stimando a voi presentata n.

5.

virgola;

che

non

occorre,

di Attcone

cfr. Cand.?, p.

14;

Spaccio,

p.

I.

perché

passate significa stimate, e innanzi ad un contadino si sottintende donatelo. 3 (GI: e (conforme agli altri casi in cui la cong. et dell'originale si trova dinanzi a conson.); G?: ed) qui

4 Sul mito appresso,

5 V.

sopra,

negli

Er.

803,

furori, n.

p.

1005

SEg.

p.

813;

e

6 GI: în martora e cagnuola. Non si dimentichi il notevole squar-

cio satirico

dello

7 T. poetico.

(B.

[7-9]))

(W.

II,

Spaccio,

Lat. repo, 255)

(L.

in questo

vol.,

psi: strisciare.

562-3)

84I

(G.!

II,

pp.

789-990.

219-20)

(G.z

II,

238-9).

CABALA

da me

cosa men

Pio quinto,

DEL

degna,

CAVALLO

che abbia

a cui consecrai

terzo di Francia,

possuto

l'Arca

il quale

PEGASEO

di

presentar

Njoè:;

immortaleggio

con

a papa

al re Errico

l’Ombre

de

le Idee?; al suo legato in Inghilterra, a cui-ho conceduti Trenta sigilli3; al cavallier Sidneo, al quale ho dedi-

cata

la

Bestia

solamente

la

trionfante.

bestia

trionfante

Perché

viva;

ma,

qua

ed

avete

oltre,

gli

non

trenta

sigilli aperti, la beatitudine perfetta, le ombre chiarite e l’arca governata; dove l'asino (che non invidia alla vita delle ruote del tempo, all’ampiezza de l'universo, alla felicità de 1° intelligenze, alla luce del sole, al baldachino di Giove) è moderatore, dechiaratore, consolatore, aperitore e presidente. Non è,

non

è asino

per

tutto,

comunicar,

non

volete

ch’il

comparir Atteso

da

stalla o da armento,

per tutto,

andar

perché

non

fabro,

s'ei

dica

sarà

di que’

che

consegliar,

definir

e

per tutto,

capir,

che se lo veggio

ma

zappar,

entrar

per tutto,

seder

far

tutto.

inaffiar ed inacquare,

ortolano?

S'ei

solca,

agricoltore? Per

è manipolo4.

possono

mastro

ed

qual

pianta

caggione

perché

e semina,

non

architettore? Chi

sarà

m' im-

pedisce che non lo dica artista, se è tanto inventivo, attivo e reparativo? Se è tanto esquisito argumentore, dissertore ed apologetico, perché non vi piacerà che lo dica scolastico? Essendo

tanto

eccellente

formator

di

costumi,

institutor

di

dottrine e riformator de religioni, chi si farà scrupolo de dirlo academico, e stimarlo archimandrita di qualche archidida-

I Per quest'opera smarrita del

Bruno

cîr.

la

nota

1 a p. 70.

® De umbris idearin, implicantibus artem quacrendi, inveniendi, iudicandi, ordinandî et applicandi, opera dal B. pubblicata a Parigi nel

1582,

Cfr.

sopra

e dedicata

3 Ossia,

et

artium

a

Londra

p. 827,

infatti

e ivi,

l’ Explicatio

inventionem,

a

Enrico

n. 2.

III

(rist.

triginta sigillorum

dispositionem

et

in

Opera,

ad omnium

memoriam,

(II,) 1).

scientiarum

quibus

est Sigillus sigillorum etc., opera pubblicata

dal B. appena

p.

ambasciatore

vii),

presso 4

(B.

nel

1583

e dedicata

Elisabetta

(cfr.

[9-10])

(W.

a Michele

(rist.

Manipolo,

l’introd.

in

di

Opera,

manovale:

II, 255-6)

(L.

alla

Causa,

Castelnau,

II,

New

563)

842

11).

World

(G.!

II,

ediz.

of

giunto

Spampanato,

Words,

220-1)

adiectus

(G.

francese

p.

299.

II,

239).

EPISTOLA scalia? Perché

capitolare

ed

e

sarà

monastico,

dormitoriale?

ubediente,

impedirete

non

DEDICATORIA

S’egli

mi

biasimarete

che

non

voi

possa

stante

è

se

lo

per

dirò

chiamarlo

ch'egli

voto

Se

è!

dottor

sottile,

corale,

povero,

casto

conventuale?

conclavistico,

ch'egli sia per voce attiva e passiva graduabile, latibile?

sia

irrefragabile

Mi

stante

eligibile, pre-

ed

illuminato ?,

con qual conscienza non vorrete che lo stime e tegna per degno consegliero ? Mi terrete voi la lingua, perché non possa 3 bandirlo per domestico, essendo che in quel capo sia piantata tutta la moralità politica ed economica ? Potrà far la potenza de

canonica

autoritade

ch'io

non

lo

tegna

ecclesiastica

co-

lonna, se mi si mostra di tal maniera pio, devoto e continente ? Se lo veggo tanto alto, beato e trionfante, potrà far il cielo e mondo

tutto

che

non

lo

nomine

In conclusione

(per non

più

mi

sia

l' istessa

anima

un

gran

par

che

divino,

rompere del

olimpico,

il capo mondo,

a me tutto

celeste?

ed in

a voi) tutto,

e

tutto in qualsivoglia parte. Or vedete, dunque, quale e quanta sia la importanza di questo venerabile suggetto, circa il quale noi facciamo il presente discorso e dialogi4: nelli quali se vi par

coda,

vedere

non

gliate; che

vi

perché

non

capo

sgomentate, si trovano

hanno

altri

o senza

non

nella

membri

busto

o con

vi sdegnate,

natura

che

testa,

non

molte

una

specie

o par

che

picciola

vi maravi-

d'animali

siano

tutto

testa, avendo questa cossi grande e l’altre parti come insensibili; e per ciò non

manca

che siano perfettissime nel suo geno.

E se questa raggione non vi sodisfa, dovete considerar oltre, che questa operetta contiene una descrizione, una pittura;

e che ne gli ritratti suol bastar il più de le volte d'aver ripre-

sentata

la testa

sola

senza

il resto.

Lascio

che

tal volta

si

D du

mostra eccellente artificio in far una sola mano, un piede, una gamba, un occhio, una svelta orecchia, un mezo 5 volto

n

s

P.

WGI:

Cfr.

S'è.

p. 466,

G!: passa.

n.

G!: dialoghi. B: mezo; WLG!:

977.

(B. {10-1])

1. mezzo.

(W. II, 256-7)

Cîr. sopra,

(L. 563-4)

843

p. 741,

(G.I II, 221-2)

n. 2; e appresso,

(G.3 II, 239-490).

CABALA

DEL

CAVALLO

PEGASEO

che si spicca da dietro un arbore, o dal cantoncello d'una fenestra, o sta come sculpito al ventre d'una tazza, la qual abbia per base un piè d'oca, o d’aquila, o di qualch’altro animale; non però si danna, né però si spreggia, ma più viene accettata ed approvata la manifattura. Cossi mi persuado, anzi

son

certo,

cossi perfetta, Vale. (B.

[11))

(W.

che

voi

IT,

257)

come

con

accettarete

perfettissimo

(L.

564)

844

questo

(G.! II,

cuore 222)

dono

come

vi vien

(G.?

IT,

cosa

offerta.

240).

EPISTOLA

DEDICATORIA

SONETTO

IN O

LODE

DE

sant’asinità,

L’ ASINO.

sant’ ignoranza,

Santa stolticia e pia divozione, Qual sola puoi far l'anime sî buone, Ch’uman

Non

ingegno

gionge

D'arte

e studio

non

faticosa vigilanza

qualunque

sia,

l’avanza;

o ’nvenzione,

Né de sofossi contemplazione AI

ciel dove

Che

vi

val,

t'edifichi

la stanza.

curiosi,

il studiare,

Voler saper quel che fa la natura, Se gli astri son pur terra, fuoco e mare ? La santa asinità di ciò non cura; Ma con man gionte e ’n ginocchion vuol

Aspettando Eccetto

da Dio la sua ventura.

Nessuna cosa dura, il frutto de l’eterna requie,

La qual ne done!

! BW:

done;

scorretta. * Epicuro,

frutto (B.

de

L:

(12)) (W.

dono;

Cecaria

l'eterna

requie

II,

starc,

257)

(cfr.

La (L.

G!:

Dio dopo

donò.

Ma

SPAMPANATO,

qual

564-5)

845

ne donò (G.!

II,

l’essequie 2.

l'antica

lezione

non

Postille,

p.

«....il

Dio

223)

dopo

(G.?

237)

è

l’essequie ». II,

241).

CABALA

DEL

CAVALLO

PEGASEO

DECLAMAZIONE AL Oimè,

STUDIOSO,

DIVOTO

auditor mio,

E PIO

LETTORE.

che senza focoso suspiro,

|

lubrico pianto

e tragica querela, con l’affetto,-con gli occhi e le raggioni non può rammentar il mio ingegno, ‘intonar la voce e dechiarar gli argumenti, quarito sia fallace il senso, turbido il pensiero ed imperito il giudicio, che con atto di perversa, iniqua e pregiudiciosa

sentenza

non

vede,

non

considera,

non

definisce

secondo il debito di natura, verità dì raggione e diritto di giustizia circa la pura bontade, regia sinceritade e magnifica maestade della santa ignoranza, dotta pecoragine e divina

asinitade ! Lasso! a quanto gran mente essagitata quest'eccellenza venti,

contra!

altri con

la quale

aperte

si rendono



asino,

stante

maturi

altri con

qualche

Mentre

cosa,

quest'azione

che

larghe

si fan mordaci,

beffeggiatori.

e vilipendeno è un

sanne

torto da alcuni è si fieraceleste tra gli uomini vi-

tenze. Lasso!

più

altri

ovunque

non

è asinesca,

con

censori,

comici

cachini

spreggiano,

questa

è una

convegna

dire

del mio

core,

saldi proponimenti

perché

con

si fan

gli odi dir altro che:

ciò absolutamente

discorsi,

narici

ramarico

Costui

asinitade;

dove

e più

burlano

son

trutinate

cordoglio

più

sendel

spirito ed aggravio de l’alma mi sì presenta a gli occhi questa

imperita, stolta e profana moltitudine che si falsamente pensa, si mordacemente parla, si temerariamente scrive per parturir

que’ scelerati discorsi de tanti monumenti che vanno per le stampe, per le librarie, per tutto, oltre gli espressi ludibrii, dispreggi

e

è

l’asino, 1 GI;

da

n

d'oro,

come

tutti

rifatto da A. Firenzuola,

[13-4])

(W.

II,

d’oro, n

l'asino?;

TT

chiavelli. Encomium

(B.

ll’asinò

l’encomio de

contro.

2 L’Asino

Apuleio,

biasimi:

sanno,

è

nonché

il titolo

(L. 565)

846

(G.!

lodi

e

dove

del

II,

de

non

si

romanzo

di

di un pocmetto

asini s' intitola, s' è visto

257-8)

le

del Ma-

(p.:838, in n.), l'elogio

224)

(G.2

II,

242-3).

«

DECLAMAZIONE

pensa

altro

asinitade

in gioco,

che

non

alle

lingue

come

pensi

STUDIOSO,

con

ironiche

spasso

ch'io

che

non

suggetto credano,

DIVOTO

sentenze

e scherno! ?

E PIO LETTORE

prendere

Or chi terrà

faccia il simile? Chi potrà

mi

mettano

colui che corre appo

cotal non

che

AL

medesimo

gloriosa

il mondo

donar

freno

predicamento,

gli vestigii de gli altri che circa

democriteggiano

affermino

nel

la

* ?

Chi

e confermino

potrà

che

contenerli

io non

intendo

che

vera-

e seriosamente lodar l’asino ed asinitade, ma più tosto procuro di aggionger oglio a quella lucerna la quale è stata da gli altri accesa? Ma, o miei protervi e temerarii giodici, o neghittosi e ribaldi calunniatori, o foschi ed appassionati detrattori, fermate il passo, voltate gli occhi, prendete la mira; vedete, penetrate, considerate se gli concetti semplici, le sentenze

enunciative questo

e gli

sacro,

discorsi

impolluto

demostrativi,

sillogistici

e

santo

ch’apporto

animale 3,

son

in

favor

puri,

di

veri

o pur son finti, impossibili ed apparenti.

e

Se le4

vedrete in effetto fondati su le basi de fondamenti fortissimi, se son belli, se son buoni, non le schivate, non le fuggite, non le rigettate; ma accettatele, seguitele, abbracciatele, e non siate oltre legati dalla consuetudine del credere, ‘vinti dalla

sufficienza del pensare vi

mostra

intona

ed

la luce

altro

e guidati dalla vanità del dire, se altro

de

l’ intelletto,

l'atto

de

altro

l’esperienza

la voce

della

dottrina

conferma.

«L'asino ideale e cabalistico, che ne vien proposto nel corpo de le sacre lettere, che credete voi che sia? Che pensate scritto da Agrippa; e il B. allude forse a più altri componimenti cinquecenteschi in lode dell'asino: p. e., a quello attribuito ad A. F. Doni, // valore degli asini de l' inasinito accademico Pellegrino (Lettere facete e piacevoli, racc. dal Turchi, 588); ma sopra tutto alla 28 selva del Chaos del Triperuno di TroriLo FoLENGO, opera ben nota al B. e della quale taluni periodi « è difficile che non

tornino

a mente

di quanti

pendice di essa, l'Asino 1 BL: schermo.

* Ridono.

Cir. pp.

piglieranno

a leggere la Cabala

Cillenico » (SPAMPANATO,

Postille,

e l'ap-

p.

60).

8 e 219.

3 Adiettivazione suggerita dalla Scrittura. Hebr., 7, 26: « sanctus,

innocens, 4

{B.

Qui,

[14-5]))

impollutus ». come

(W.

appresso,

in cambio di li: v. sopra, p. 565, e ivi ,n. 2.

II,

(L.

258)

565-6)

847

(Gt

II,

224-5)

(G2

II,

243).

CABALA

DEL

CAVALLO

PEGASEO

voi essere il cavallo pegaseo che vien trattato in figura de gli poetici figmenti? De l'asino cillenico degno d'esser messo

în croceis nelle più onorate academie

che v’ imaginate ?

Or lasciando il pensier del secondo e terzo da, canto, e dando sul campo del primo, platonico parimente e teologale, voglio che conosciate che non manca testimonio dalle divine ed umane lettere, dettate da sacri e profani dottori, che parlan

con

l'ombra

de

scienze

e lume

non mentisco ! colui ch’ dottrine, quando avien prodottivo, formativo specie asinina; la quale natura

si

seconde e

vede

è messa

non

quel

nulla di meno medesima che specie

ed

fede.

Saprà,

dico,

ch' io

e nelle

menti

é anco mediocremente perito in queste ch’ io dica l'asino ideale esser principio e perfettivo sopranaturalmente della quantunque nel capacissimo seno della

è dall'altre

in numero,

medesimo

specie

e con

con

cui

distinta,

diverso

l’altre

concetto

forme

appresa,

s'apprendeno;

(quel ch'importa tutto) nella prima mente è la idea de la specie umana, medesima che la

de la terra,

dell’ intelligenze, Punivetso;

della

della luna,

del sole,

de gli dernoni,

anzi è quella

specie

medesima

che la specie

de gli dei, de gli mondi,

da cui non

solamente

de

gli asini,

ma e gli uomini e le stelle e gli mondi e gli mondani animali tutti han dependenza: quella dico, nella quale non è differenza di forma

e suggetto,

di cosa

e cosa;

ma

è semplicissima

ed

una. Vedete, vedete dunque, d'onde derive la caggione che senza biasimo alcuno il santo de santi or è nominato non

solamente

aquila,

monocorno,

pellicano,

abiezion

colpa,

leone,

sin

di

ad

ma

plebe,

esser

rinoceronte,

e non

pecora,

detto

vento,

uomo,

opprobrio

agnello,

verme,

peccato

tempesta,

de

gli uomini,

similitudine

di

e peggio ?. \Considerate

————»——————

il

——

1 Non pure nei primi secoli, ma nello stesso Cinquecento, p. e. presso il Varthi e il Berni, mentire per smentire. (Ma non in questo luogo, dove (come ben osserva l'Amerio) colui è soggetto di saprà.) *' Più che sopra, pp. 788-9, 813 ecc., cfr. GIOvANNI, Evang., III, Gionse, XXVII, 20; Salmi, XLIX, 3; Isata, XV, 9; OskA, V, Num., XXIII, 22; Deuter., XXXII, 11; Salmi, CI, 7; Isa1a, LIV, Giovanni, Evang., I, 29; Apoc., V, 6, e VI, 17; Salmi XXI,

PaoLo,

anche (B.

ai

Rom.,

VIII,

SPAMPANATO,

[15-6))

(\W.

II,

G.

258-9)

3

B.

(ma e

(L.

II

Cor.,

566-7)

(G.1

la

letter.

848

XXI,

dell'asino, II,

5 (Amerio).)

225-6)

p.

38.

(G.2

II,

8; 14; 6; 7;

Cfr.

243-4).

DECLAMAZIONE

AL

STUDIOSO,

DIVOTO

E PIO LETTORE

principio della causa, per cui gli cristiani e giudei non s'adimena rano, ma più tosto con glorioso trionfo si congratulano insieme,

quando

con le metaforiche

figurati

per

definiti

per

titoli

allusioni della santa scrittura son

e definizioni

asini:

di

benedetto animale,

sorte

per

che,

asini,

\son

appellati

di

lettera,

asini,

dovinque si tratta

moralità

son

di quel

allegoria

di

senso

servente,

vedi

ed anagogia di proposito s'intende l'uomo giusto, l’uomo santo, l'uomo de Dio. Però, quando ne l’Exodo si fa menzione della redenzione e mutazion dell'uomo, in compagnia di quello vien fatta la menzion de l'asino. Il primogenito dell’asino dice, cangiarai con la ‘pecora; il primogenito dell’uomo redimerai col prezzo. Quando nel medesimo libro è donata legge al desiderio dell'uomo

che

tibile.

Però

non

si stenda

alla

moglie,

alla

nel

medesimo numero messo il bue e l’asino 2: come che non meno importe proporsi materia di peccato l'uno che l'altro appee

Barac,

porgete montate

quando

figlio

giudicio3,

nel

libro

d’Abinoen,

de

Giudici

dicendo:

cantò

Debora

o

regi,

Udite,

l’orecchie, o principi, li quali su gli asini nitenti e sedete in interpretano

gli

santi

rabini:

O

governatori

de la terra, li quali siete superiori a gli generosi popoli, e con la sacra sferza le governate, castigando gli rei, premiando gli buoni e dispensando giustamente le cose. — Quando ordina il Pentateuco che devi ridur ed addirizzar al suo camino l'asino e bue errante del prossimo tuo, intendeno moralmente gli dottori, che l'uomo del nostro prossimo Idio 4, il quale è dentro di noi ed in noi, s'aviene che prevariche dalla via della giustizia,

debba

l’archisinagogo

riprese

egli rispose che lunque

1 Esod.,

2 Esod., 3 Libro

4

essere

non

giorno XIII,

XX,

dei

(Il testo

noi

corretto

il Signor

che

è uomo non

da

vegna

ed

avertito.

curava

bene a

nel

che

cavar

Quando

sabbato,

in

ed

qua-

l’asino

13

17.

Giudici,

non

da

V,

1,

è guasto,

3 e

10.

come

sembra

invece

all'Amerio.)

(B. [16-8])) (W. II, 259) (L. 567) (G.t II, 226-7) (G2 II, 244-5).

849

CABALA

o bue

dal

DEL

pozzo

CAVALLO

dove

che sta sul naturale,' ‘il pozzo è

è

PEGASEO

)iintengieno

cascato:;

il peccato mortale, quel che cava

l’asino dal pozzo è la divina” grazia e ministero che redime gli suoi diletti da quell’abisso.i Ecco, dunque, qualmente il popolo redemuto, preggiato, bramato, governato, addirizzato, avertito,

corretto,

liberato

e finalmente

per l’asino, è nominato

quali la divina di maniera

guai

è significato.

asino. E che gli asini son quelli per gli

benedizione

che

predestinato,

e grazia piove

a color

che

vegnon

sopra

privi

gli uomini,

del suo

asino,

certamente molto ben si può veder nell’ importanza di quella maledizione che impiomba nel Deuteronomio, quando minacciò Dio dicendo: L’asino tuo ti sia tolto d’avanti, Maladetto

e non il regno,

ti sia resoz! sfortunata la republica,

desolata

la

cità3, desolata la casa, onde è bandito, distolto ed allontanato l'asino! (Guai al senso, conscienza ed anima dove non è participazion d'asinità! Ed è pur trito adagio: ab asino excidere4,

per

significar

vuole

il frutto

Origene Adamanzio, che

l’esser

destrutto,

sfatto,

spacciato.

accettato tra gli ortodoxi e sacri dottori,

de

la predicazione

de’

settanta

doi

disce-

polis è significato per li settanta doi milia asini che il popolo israleita guadagnò contra gli Moabiti: atteso. che de quei settanta $ doi

ciascuno

guadagnò

mille,

cioè

un

numero

per-

fetto, d’anime predestinate, traendole da le mani de Moab, cioè liberandole dalla tirannia de Satan 7. Giongasi a questo ! Luca,

® Deuter., 3 B: cità;

sopra,

Evang.,

p. 684,

4 ALpo

XIII,

14-15,

XXVIII, 31. IWVLG!: città. Ma

n. 5.

ManuzIO

(cir.

e XIV,

non

è un

SPAMPANATO,

al pi comune ab asino delapsus, quippiam agunt et imperite ». 5 Cir. De la causa, p. 260.

5.

errore,

come

Postille,

p.

ho accennato 310)

lo accosta

che «in cos dicitur, qui inconsulte

6 B: settanta; e non, come parve al L. e nella prima ediz. anche

a me, fanta. 7 Luca, Evang., di 72 mila buoi e GI

niti » (Amerio).) (B.

[18-9])

(W.

II,

X, 1, Nion., XXXI, 32-5 («dove si narra mila asini tolti non ai Moabiti, ma ai Madia259-60)

(L.

567-8)

850

(G.!

II,

227)

(G-2

JT,

245-0).

DECLAMAZIONE

AL

STUDIOSO,

DIVOTO

E PIO LETTORE

che gli uomini più divoti e santi, amatori ed exequitori dell'antiquae nova legge, absolutamente e per particolar privilegio son stati chiamati asini. E se non me ’l credete, andate a studiar quel ch' è scritto sopra quell’ Evangelico::L’asina ed

il

pulledro

sciogliete,

e

menateli

a

me:!. Andate a contemplar su gli discorsi che fanno gli teologi €ebrei, greci e latini sopra quel passo che è scritto nel libro de Numeri Aperuit Dominus os asinae, et locuta est?. E vedete come concordano tanti altri luoghi delle sacrate lettere, dove sovente è introdotto il providente Dio aprir la bocca de diversi divini e profetici suggetti, come di quel che disse:

Oh

oh

oh,

Signor,

ch'io

non

so

direi.

E là dove dice: A perse il Signor la sua boccas. Oltre tante volte ch' è detto: Ego ero in ore tuo 5; tante volte che'gli è priegato: Signor, apri le mie labraé$, e la mia bocca ti lodarà7. Oltre nel testamento novo: (Li muti parlano, li poveri evange-

lizano8.

Tutto è figurato per quello che il Signor aperse la bocca de l’asina, ed ella parlò. Per l'autorità di questa, per la bocca, voce e paroli di questa è domata,

vinta e calpestrata 9 la gonfia,

superba e temeraria scienza secolare; ed è ispianata al basso ogni altezza che ardisce di levar il capo verso il cielo: perché Dio av’elette

le forze del mondo";

1 Mattro, Evang., XXI, 1-2. è Cfr. più avanti, p. 870. Vedi Nuwm., XXII, e XXIV, 5-6; Gen., XXII, 17, e XXVIII, GEREMIA, I, 6. EzecHIELE, III, 27. Esod., IV, 10-4.

Mu

da w Au

10,

le cose inferme !° per confondere

G!:

28 e 1, 14.

XXXIII,

labbra.

Salmi, Luca,

L, 17. Evang.,

VII,

22.

9 Cfr. sopra, p. 634, n. 2, e appresso, pp. 10 BLG!: infermi; Wi: inferme. Correzione

854, 896-7, ecc. opportuna; perché

negli scritti del B. s'incontrano sostantivi della I® decl. desinenti in é (cfr. sopra, p. 588, n. 1), ma non mai degli aggettivi. It («traduzione di / Cor., I, 27, non avvertita dal Gentile»

(Amerio).) (B.

[19-21])

(W.

II, 260)

(L. 568)

851 58

-—

G.

Bruno.

Dialanhi

italiuni

(G.I

II,

227-8)

(G.2

II,

246-7).

CABALA

DEL

CAVALLO

PEGASEO

le cose stolte ave messe in riputazione;

per

la

sapienza

non

posseva

essere

asini del mondo

(che

son

che,

atteso che quello, che

restituito,

per

la

santa

stoltizia ed ignoranza è stato riparato: però è riprovata la sapienza de sapienti e la prudenza de prudenti è rigettata. Stolti del mondo son stati quelli ch’ han formata la religione, gli ceremoni ‘, la legge, la fede, la regola di vita; gli maggiori quei

privi

dottrina,

e voti d'ogni vita e costume

perpetua

pedanteria)

mano

piagata

la temerata

risaldano

le scissure

empia

curiosità

arcani

della

Vedete de

natura,

dispersion

de

se curano

della

veste;

sua

o pur

computàro

popoli,

le

giamai

perdonano

sia

de

non

andàro

le ferite de l' im-

le

son

superstizioni,

quelli

che

perseguitando

vicissitudini

de

con

gli

le

stelle.

de

regni,

solleciti circa le cause secrete

a dissipazion

incendii,

salva,

abusi

mai

sangui,

che perisca il mondo

anima

e

civile, marciti sono nella

medicano

gli

o furon

se

fede,

togliendo

vanno,

se sono

le cose;

povera

e

altro senso

son quelli che per grazia del cielo rifor-

e corrotta

religione,

d’ogni

qualunque

ruine

ed

esterminii;

tutto per essi loro:' purché

purché

si

faccia

l’edificio

in

la

cielo,

purché si ripona il tesoro in quella beata patria, niente curando della fama e comodità e gloria di questa frale ed incerta vita, per quell'altra certissima ed eterna. Questi son stati significati per l’allegoria de gli antiqui sapienti (alli quali non ha voluto mancar il divino spirito di revelar qualche cosa, almeno per farli inescusabili) in quello sentenzioso apologo de gli dei che

combattirono

contra

gli rubelli

giganti,

figli de

la terra

ed arditi predatori del cielo; che con la voce de gli asini confusero,

atterrirono,

' Come

spaventàro,

si è osservato

nel

vinsero

Cand.?

(p.

e domorno ?, Il mede11, n.

1), accanto

a ceri-

momnie il B. usa, insieme con altri del suo secolo, il mascolino. 2 a Ut ait Fratostenes [Ps.-ERATOSTHENIS, Catasterismi, C. 11,

ed. Olivieri, p. 14), quo tempore Iuppiter, bello gigantibus indicto, ad eos oppugnandos omnes deos convocasset, venisse Liberum patrem, Vulcanum, Satyros, Silenos asellis vectos. Qui cum non longe

ab

hostibus

abessent,

dicuntur

aselli

pertimuisse,

et

ita

pro

se quisque magnum clamorem et inauditum gigantibus fecisse, ut omnes hostes eorum clamore in fugam se coniecerint et ita sint superati ». Cfr. gli Scholia vetera latina in Caesaris Germanici Aratea

(B. [21-2)) (W. II, 26o-1)

(L. 568-0)

852

(G.1 II, 228-0)

(G.2 II, 247).

DECLAMAZIONE

AL

STUDIOSO,

DIVOTO

E PIO

LETTORE

simo è sufficientemente espresso dove, alzando il velo de la sacrata figura, s'affigono gli occhi all’anagogico senso di quel divin Sansone, che con l’asinina mascella tolse la vita a mille Tilistei 1; perché dicono gli santi interpreti, che nella mascella de l'asina, cioè de gli predicatori de la legge e ministri della sinagoga, e nella mascella del pulledro de gli asini, cioè de’ predicatori della nova legge e ministri de l'ecclesia militante, delevit cos, cioè scancellò,

spinse que’

mille, quel numero

com-

vittoriosa e trionfatrice3 mascella

d’un

pito, que’ tutti, secondo che è scritto: Cascarono dal tuo lato mille, e dalla tua destra diece milia; ed è chiamato il luogo Ramath-lechi, cioè exaltazion de la mascella. Dalla quale per frutto di predicazione non solo è seguita la ruina delle avversarie? ed odiose potestadi, ma anco la salute de regenerati: perché dalla medesima mascella, cioè per virti di medesima predicazione, son uscite e comparse quelle acqui, che promulgando la divina sapienza, diffondeno la grazia celeste e fanno gli suoi abbeverati capaci de vita eterna.

O dunque

asino morto,

defunto, fortezza, —

o diva,

graziosa e santa

mascella

d’un

polledro

or che deve essere della santità, grazia e divinità, vittoria e trionfo dell'asino tutto, intiero e vivente,

asino,

liquia

forte,

pullo

la gloria

o dilettissimi

e madre,

ed



exaltazion

ascoltatori;

se di quest'osso

è tanta4?

E

a voi,

a voi

mi

Il B. ricorda

questo

mito

e sacrosanta

mi

volto

rivolto,

re-

a voi,

o amici

let-

tori de mia scrittura ed ascoltatori de mia voce; e vi dico, e vi avertisco, e vi esorto, e vi scongiuro, che ritorniate a voi medesimi. Datemi scampo dal vostro male, prendete partito Phaenomena,

composit.,

II,

51.

in Opera,

II,

111,

238;

e nel De

anche

la causa,

nel De

p.

193.

imag.

1 Giudici, XV, 15-17. Cfr. De imag. comp., p.c. (e Opera, III, 702 (per il semplice rinvio a q. Il. con riferim. al l. c.)). ? (L: aduersarie) 3 BIV: trionfatrice; LG!: buonfatrice. 4 Cosi nel De îimag. comp., p. 238: «quid putas, facere potuisset cum integro, vero et vivo asino ? »; e similmente nello Spaccio, p. 793: « Or se un pezzo, una reliquia d'una bestia morta è in tanta

riputazione, (B. (22-3))

che

devi

pensar

(W. II, 261-2)

d'una

(L. 5609-70)

853

bestia

viva

e tutta

(G.! II, 229-30)

intiera ? ».

(G.2 II, 247-8).

CABALA del vostro bene, ritiratevi

alla

DEL

CAVALLO

PEGASEO

banditevi dalla mortal magnificenza

povertà

del

spirito,

siate

umili

del core,

di mente,

abre-

nunziate alla raggione, estinguete quella focosa luce de l’ intelletto che vi accende, vi bruggia e vi consuma; \fuggite que’ gradi de scienza che per certo aggrandiscono i vostri dolori;

abnegate ogni senso, fatevi cattivi alla santa fede, siate quella benedetta asina,

riducetevi

a quel

quali soli il redentor del mondo date

al

castello

glorioso

pulledro,

per

disse a gli ministri suoi:

ch’avete

a

li

A n -

l’incontro;

cioè andate per l'universo mondo

sensibile e corporeo il quale

ledro

il

come simulacro è opposto e supposto al mondo ed incorporeo. 'Trovarete l’asina ed

legati i:

v'occorrerà

popolo

intelligibile il pul-

ebreo

e

sottomesso € tiranneggiato dalla captività di Belial. Dice ancora: Scioglietele {levateli de la

vità, per la predicazion "dell ‘Evangelio battismale;

perché cioè

siano

e

menàtele

della mia

essendo

miei:

santa

guidati

perché

a

me,

portando

instituzione

dal freno

gentile,

catti-

ed effusion de l'acqua perché

il peso

e legge

del

sopra



mio

servano,

corpo,

le spalli,

delli miei divini consegli,

ed

sian fatti

degni e capabili d'entrar meco nella trionfante Ierusalem,

nella

mati,

chi

l’asi-

quelli

ch’han

città celeste. Qua vedete chi son li redemuti, chi json gli chianello,

gli

son

gli predestinati,

semplici,

gli

discorso

poveri

de

chi

son

gli salvi:

d’argumento, igli

fanciulli;

quelli,

quelli

regno de’ cieli2; quelli, per dispreggio del mondo

pompe,

calpestrano

cura del corpo,

se

l’ han

messa

gli vestimenti,

hanno

l’asina,

pargoletti,

entrano

nel

e de le sue

bandita

da sé ogni

de la carne che sta avolta circa quest'anima, sotto

gli piedi,

l’ hanno

gittata

vi

sarà

conceduta

5609-70)

(G.!

via

a terra,

per far più gloriosa- e trionfalmente passar l'asina ed il suo caro asinellio. Pregate, pregate Dio, o carissimi, se non siete ancora asini, che vi faccia dovenir asini.' Vogliate solamente; perché certo

perché,

certo,

facilissimamente

benché

naturalmente

la

grazia:

siate asini, e la disciplina com-

1 Cfr. appresso, p. 859, n. 1. ? Marco, Evang., X, 13-06.

(B.

[23-4])

(W.

II,

262)

(L.

854

II,

230)

(G.?

II,

248-9).

DECLAMAZIONE mune

non

AL

STUDIOSO,

sia altro che

una

DIVOTO

asinitade,

E PIO

dovete

LETTORE

avertire

e consi-

derar molto bene se siate asini secondo Dio; dico, se siate quei sfortunati che rimagnono legati avanti la porta, o pur quegli altri felici li quali entran dentro, Ricordatevi, o fideli, che gli nostri primi parenti a quel tempo piacquero a Dio, ed erano in sua grazia, in sua salvaguardia, contenti nel terrestre paradiso, nel quale! erano asini, cioè semplici ed ignoranti del bene e male;'i quando posseano! 4 esser titillati dal desiderio di sapere bene e male, e per consequenza non ne posseano aver notizia alcuna; quando possean credere una buggia che gli venesse detta dal serpente; quando se gli possea donar ad intendere sin a questo: che, benché Dio avesse detto che morrebono, ne potesse essere il contrario: in cotal disposizione erano grati, erano accetti, fuor d'ogni dolor, cura e molestia. Sovvegnavi ancora ch'amò Dio il popolo ebreo, quando era afflitto,

servo,

vile,

de còfini *, somarro,

coda ad

esser asino

oppresso,

che non

naturale

ignorante,

gli possea

onerario,

mancar

sotto il domino

portator

altro che la

de l’ Egitto:

allora fu detto da Dio suo popolo, sua gente, sua scelta gene-

razione,

Perverso,

scelerato, reprobo,

adultero fu detto quando

fu sotto le discipline, le dignitadi, le grandezze e similitudine de gli altri popoli e regni onorati secondo il mondo. Non è chi non loda l'età de l'oro, quando gli uomini erano asini, non sapean lavorar la terra, non sapean l'un dominar a l'altro, intender più de l'altro, avean per tetto gli antri e le caverne, si donavano3 a dosso come fan le bestie, non eran tante coperte e gelosie e condimenti de libidine e gola; ogni cosa era commune, il pasto eran le poma, le castagne, le ghiande in quella forma che son prodotte dalla madre natura 4. Non è 1 Cioè, nel qual tempo. 1 dis (L'Amerio intende ed integra: quando [non] posseano) % New World of Words, p. 134: «cuòfano as còfano ». E bisognava

aggiungere

cdfeno,

(B.

(W.

che,

come

la prima,

è f. napol.,

e significa:

corba,

corbello. 3 BL: donano. 4 Erasmo, Moriac encomium (Lugd. Batav. 1648), pp. 120-22: « Disciplinae cum reliquis humanae vitae pestibus irrepscrunt, iisdem auctoribus, a quibus omnia flagitia proficiscuntur, puta [24-6))

II, 262-3)

(L. 570-1)

855

(G.I II, 230-1)

(G.2

II, 249-50).

CABALA

DEL

CAVALLO

PEGASEO

chi non sappia qualmente non solamente nella specie umana, ma ed in tutti gli geni d’animali la madre ama più, accarezza

più,

mantien

contento

più

ed ocioso,

senza

sollecitudine

e

fatica, abbraccia, bacia, stringe, custodisce il figlio minore, come quello che non sa male e bene, ha dell’agnello, ha de la bestia, è un asino, non sa cossi parlare, non può tanto discorrere; e come gli va crescendo il senno e la prudenza, sempre a mano a mano se gli va scemando l'amore, la cura, la pia

affezione che gli vien portata da gli suoi parenti. Non che

non

quella non non

compatisca,

persona

ha ha

abblandisca,

che

non

ha

del

favorisca

virile,

non

a

è nemico

quella

ha

del!

età,

a

demonio,

de l’uomo, non ha del maschio, non ha de l’accorto, del barbuto, non ha del sodo, non ha del maturo 2.

Però quando si vuol mover Dio a pietà e comiserazione il suo Signore, disse quel profeta: A% ah al, Domine, quia nescio loqui;

dove,

col

ragghiare

e

sentenza,

libri,

con' dire:

Quia

mostra

esser

asino.

Ed in un altro luogo dice: Quia puer sum 3. Però quando si brama la remission della colpa, molte volte si presenta la causa nelli

divini

stulte

egimus,

stulte

egerunt,

daemonibus ,quibus hinc nomen etiam inventum, quasi Sarpovac, lioc est scientes, appelles. Siquidem simplex illa aurei saeculi gens, nullis armata disciplinis, solo naturae ductu instinctuque

vivebat.... Porro religiosiores erant quam ut impia curiositate arcana

naturae, siderum mensuras, motus, effectus, abditas rerum causas scrutarentur, nefas esse rati si homo mortalis ultra sortem suam sapere conaretur.... At labente paulatim aetatis aureae puritate, primum a malis, ut dixi, geniis inventae sunt artes » (trad. in Elogio della pazzia a cura di B. Croce, Bari, Laterza, 1914, p. so sgg. Cfr. sopra il brano dello Spaccio (p. 729 sgg.), nonché il son. O sant'asinità (p. 845). 1 BL: dell. E cosi altre volte.

? «Quis

omnibus

nescit

gratissimam

hominis

aetatem

esse ? Quid

multo

est enim

laetissimam

multoque

illud in infantibus,

quod

sic exoscùlamur, sic amplectimur, sic fovemus, ut hostis etiam huic aetati ferat opem, nisi stulticiae lenocinium ?.... An vero aliud

est

puerum

PP.

46,

maxime

47

ea

quam

® 49;

ed

Prof.,

(26-7))

II,

loqui,

quia

(W.

delirare,

delectat

3 GEREMIA,

nescio (B.

in

esse

aetate,

Elogio,

puer

quam

I,

263)

6:

p.

quod

«Et

18

sum ». Cfr. (L.

s71)

nihil

sgg.

dixi:

desipere? A,

sopra,

(G.!

856

II,

An

sapit ? »:

a,

domine

p. 851,

231-2)

non

hoc

Aforiae

enec.,

Deus:

ecce,

e ivi, n, 2. (Gà

vel

II,

250-1).

DECLAMAZIONE

AL

STUDIOSO,

DIVOTO

E PIO

LETTORE

quia mesciunt quid faciani, ignoramus, non intellexerunt*. Quando si vuol impetrar da lui maggior favore ed acquistar tra gli uomini maggior fede, grazia ed autorità, si dice in un loco,

che

li apostoli eran

che non

sapean

stimati imbreachi 2; in un

quel che dicevano,

perché

non

altro loco,

erano

essi che

parlavano: ed un de più eccellenti, per mostrar quanto avesse del semplice, disse che era stato rapito al terzo cielo, uditi arcani

ineffabili,

e che

non

sapea

s'era

morto

o vivo,

se

era

in corpo o fuor di quello 3, ‘Un altro disse che vedeva gli cieli aperti4, e tanti e tanti altri propositi che tegnono gli diletti de Dio, alli quali è revelato quello che è occolto a la sapienza umana,

ed è asinità esquisita a gli occhi del discorso razionale:

perché queste pazzie, asinitadi e bestialitadi son sapienze, atti eroici ed intelligenze appresso il nostro Dio; il qual chiama li suoi pulcini,

il suo

grege 5, le

li

il

pulledro,

suoi

stolti,

li credeno,

suo

l'amano,

sue

la

il siegueno.

pecore,

sua

Non

specchio messo avanti gli occhi umani

li

asina

è,

non

suoi parvuli,

que’ è,

tali

dico,

che

meglior

che l’asinitade ed asino,

il qual. più esplicatamente secondo tutti gli numeri dimostre qual esser debba colui, che faticandosi nella vigna del Signore deve

aspettar

beatifica toria

vita.

cena, Non

la retribuzion

il riposo

del

che

danaio

segue

è conformità

diurno, il gusto

il corso

megliore

di

o simile

della

questa

transi-

che

amene,

ne

guide e conduca alla salute eterna più attamente che far possa

questa vera sapienza approvata dalla divina voce: come, per il contrario, non è cosa che ne faccia più efficacemente impiombar al centro ed al baratro tartareo, che le filosofiche e razionali

contemplazioni, quali nascono da gli sensi, crescono nella facultà discorsiva e si maturano nell’ intelletto umano. \Forzatevi, forzatevi dunque ad esser asini, o voi, che siete uomini. E voi, che siete già asini, studiate, procurate, adattatevi a 1 Cîr.

7 Re,

XIII,

13,

XXVI,

XVI, 9; Isata, XLIV, 18. 2 Vedi Atti degli apostoli, II, 3 Paoto, II 4 GIOVANNI,

(B.

5 BL:

grege;

(27-8]))

(W.

21;

ad Cor., XII, 2-4. Apocalisse, XXI.

WGI:

gregge. Ma

II, 263-4)

JI Re,

XXIV,

10;

II Paral.,

15. V. poi la n. 3 a p. 897. si distrugge,

(L. 571-2)

857

(G.1

cosî, un latinismo.

II, 232-3)

(G3

II, 251-2).

CABALA

DEL

CAVALLO

PEGASEO

proceder sempre da bene in meglio, a fin che perveniate a quel

termine, a quella dignità, la quale, non per scienze ed opre, quantunque grandi, ma per fede s'acquista; non per igno-

ranza

(come

rete,

e misfatti, dicono,

se

tali

quantunque

secondo

sarete

enormi,

l’Apostolo)

e

talmente

ma

si perde,

vi

per ld incredulità

Se cossi vi dispor-

governarete,

vi

trovarete

scritti nel libro de la vita, impetrarete la grazia in questa militante, ed otterrete la gloria in quella trionfante ecclesia, nella quale vive e regna Dio per tutti secoli de secoli. Cossi sia ! TINIS.

(B.

[28])

(W.

II,

264)

(L.

572) (G.!

858

II, 233)

(G2

II,

252).

UN CIRCA

LA



MOLTO

SIGNIFICAZIONE

Ite al castello

E trovarete

Quelli

PIO

SONETTO

DE

L'ASINA

ch’avete

l'asina col figlio:

sciogliete,

e dandogli

E

PULLEDRO.

d’avanti, de

piglio,

L’amenarete a me, servi miei santi. S’alcun, per impedir misterii tanti,

Contra di voi farà qualche bisbiglio, Risponderete lui con alto ciglio, Ch' il gran Signor le vuol far trionfanti!, Dice

cossi

la divina



scrittura,

Per notar la salute de’ credenti Al redentor dell’umana natura. Gli fideli di Giuda e de le genti

Con vita parimente sempia ? e pura Potran montar a que’ scanni eminenti,

Divoti e pazienti “= Vegnon a fars’ il pullo con la madre " Apntaernati a l’angeliche squadre.

t MATTEO, Evang., XXI, 1-3: « Et cum appropinquasset Ierosolymis et venissent Bethphage ad montem Oliveti, tunc Iesus misit duos discipulos, dicens eis: Ite in Castellum quod contra vos est, et statim invenietis asinam alligatam et pullum cum ea: solvite

et adducite mihi; et si quis vobis aliquid dixerit, dicite quia Dominus his opus habet: et confestim dimittet eos ». * O scempia: semplice. (B.

(29))

(W.

II,

264)

(L.

572-3)

859

(G.!

II,

234)

(G.

II,

253).

DIALOGO

PRIMO

INTERLOCUTORI Sebasto,

Sebasto.

favole,

similitudini,

Saulino.

Ma

raggioni tratti

io

dico

la

e come la è propriamente, Coribante. che

Coribante 1.

È il peggio che diranno che metti avanti me-

taffore 2, narri accozzi

Saulino,

fusse

Id

cossi,

misterii, cosa

dite,

intessi enigmi,

mastichi

a punto

tropologie.

come

la

passa;

la metto avanti gli occhi.

est, sine fuco, come

in parabola,

plane,

candide;

ma

vorrei

da3 dovero.

Saulino. Cossi piacesse alli dei, che fessi tu altro che fuco4 con questa tua gestuazione 5, toga, barba e supercilio: come, anco quanto a l'ingegno, candide, plane et sine fuco,

mostri

Coribante. loco,

sedia

Hactenus

per

Saulino.

a gli occhi nostri la idea della pedantaria. sedia

haec?

Tanto

che

Sofia

loco

per

vi condusse?

Sf.

1 In questo, come nel dialogo precedente, non s'incontra che un solo interlocutore reale, il Savolino, intorno al quale cfr. Spaccio, p. 571, n. I. . ? Appresso, pp. 891, 933, 934 ecc. metaforici, metafora. 3 Nella mia prima ediz. attribuii al B. e al L. quello che è un

errore

lare.

del

4 Presso

solo

L., che

Cicerone

ed

stampò

/a per

altri facere

da.

fucum

vale:

ingannare,

simu-

5 Gesticolazione.

(B. 133-4)) (W. IL 265) (L. 573) (G.! IT, [235)) (G= IT, (255). 861

CABALA

DEL

CAVALLO

PEGASEO

Sebasto. Occérrevi de dir altro circa la provisione di queste sedie? Saulino. Non per ora, se voi non siete pronto a donarmi occasione di chiarirvi de più punti circa esse col dimandarmi e destarmi la memoria, la quale non può avermi suggerito la terza parte de notabili propositi degni di considerazione. Sebasto. Io, a dir il vero, rimagno si suspeso dal desio de saper qual cosa sia quella ch'il gran padre de gli dei ha fatto succedere in quelle due sedie, l’una Boreale e l’altra Australe, che mm’ ha parso il tempo de mill'anni per veder il fine del vostro filo, quantunque curioso, utile e degno: perché quel proposito tanto più mi vien a spronar il desio d’esserne fatto capace, quanto voi più l’avete differito a farlo udire. Coribante. Spes etenim dilata affligit animum, vel animam,

ut melius dicam; sthilem. Saulino.

haec enim + mage significat naturam

Bene.

Dunque,

pas-

perché non più vi tormentiate

su l’aspettar della risoluzione, sappiate che nella sedia prossima immediata e gionta al luogo dove era l’ Orsa minore, e nel quale sapete essere exaltata la Veritade, essendone tolta via l’ Orsa maggiore nella forma ch’avete inteso =, per providenza del prefato consiglio vi ha succe1 BL:

un.»

® In questo punto la Cabala si ricollega allo Spaccio, dial. INI, parte 3%, p. 809, dove s'era detto: « Sia dunque l' Eridano in cielo,

ma

non

altrimente

che per credito

ed imaginazione.

Là onde

non

impedisca, che in quel medesimo luogo veramente vi possa essere qualch'altra cosa di cui in un altro di questi prossimi giorni definiremo. Perché bisogna pensave sopra di questa sedia, come sopra quella de l’ Orsa maggiore ». E com'era naturale, il Savolino ripete quanto

aveva

udito da Sofia.

(B. [34)) (W. 265-6) (L. 573-4) (G.* II, [235)-6) (G.2 II, (255)-6). 862

DIALOGO

PRIMO

duto l’Asinità in abstratto: e là dove ancora vedete in fantasia il fiume Eridano, piace a gli medesimi che vi si trove l’Asinità in concreto, a fine che da tutte tre le celesti

reggioni possiamo contemplare l’Asinità, la quale in due facelle era come occolta nella via de’ pianeti, dov'è la coccia del Cancro !, Coribante. Procul, 0 procul este, profani ?! Questo è un sacrilegio, un profanismo, di voler fingere (poscia che non è possibile che cossi sia in fatto) vicino a l’onorata ed eminente sedia de la Verità essere l’idea de si immonda e vituperosa specie, la quale è stata da gli sapienti Egizii ne gli lor ieroglifici presa per tipo de l’ ignoranza, come ne rende testimonio Oro Apolline 3, più volte replicando: qualmente gli Babiloni sacerdoti con l’asinino capo compiuto al busto e cervice umana volsero designar un uomo imperito ed indisciplinabile. Sebasto. Non è necessario andar al tempo e luogo d’ Egizii, se non

è né fu mai

generazione,

che con

l'usato modo

di parlare non conferme quel che dice Coribante. Saulino. Questa è la raggione, per cui ho differito al fine di raggionar circa queste due sedie: atteso che dalla I Cfr. Hycinus, Astron., 11, 23. ? VirciLio, Aen., VI, 258-090: ‘ Procul Conclamat vates, ' totoque absistite luco.

o,

procul

este,

profani’,

3 Uno degli autori degli scritti apocrifi del Corpus Hermeticum, già studiato dal REITZENSTEIN, Poimandres, Studien z. griech.dgyptischen u. friihchristlichen Literatur, Leipzig, Teubner, 1904. Vedi ivi pp. 25 Sgg., 40, 135, 365. E ora Hermetica: the Ancient Gvreeh and Latin Writings which contain religious or philosophic Teaching ascribed to Hermes Trismegistus; Introd. testo, trad. e note di

WALTER

Scott,

2 voll.,

New-York,

1924.

Sotto

il nome

di

Oro

Apolline correva un trattatello sui Jevoglifici, stampato da A. Manuzio nel 1505, e poi rist. più volte, in cui si esponeva la teologia simbolica degli antichi egiziani, trad. in italiano da Pietro Vasolli

(B. [34-5]) (\. II, 266) (L. 574) (G.1 IT, 236-7) (G? II, 256-7). 863

CABALA

consuetudine lano,

DEL

CAVALLO

PEGASEO

del dire e credere m’areste

e con

minor

fede

ed

attenzione

creduto

arreste

parabo-

perseverato

ad ascoltarmi nella descrizione della riforma de l'altre sedie celesti, se prima con prolissa infilacciata 1 de propositi

non

v’avesse

resi

capaci

di

quella

verità;

stante

che

queste due sedie da per esse meritano almeno altretanto de considerazione, quanto vedete aver ricchezza di tal suggetta materia.

Or non

pazzia,

ed

ignoranza

avete

asinità

voi unqua? udito,

di

questo

mondo

che la

è sapienza,

dottrina e divinità in quell’altro?

Sebasto. Cossi è stato riferito da primi e principali teologi; ma giamai è stato usato un cossî largo modo de dire, come

è il vostro.

Saulino. È perché giamai la cosa è stata chiarita ed esplicata cossi, come io son per cesplicarvela e chiarirvela al presente. Coribante.

Or dite, perché staremo

attenti ad ascoltarvi.

Saulino. Perché non vi spantiate 3, quando udite il nome d'asino, asinità, bestialità, ignoranza, pazzia, prima voglio proporvi avanti gli occhi della considerazione, c rimenarvi con

a mente

altri lumi

che

il luogo

de gl’ illuminati

di Linceo,

con

altri occhi

cabalisti, che

che

di Argo,

da Fivizzano: Oro APOLLINE, Delli segni jeroglifici, Vinegia, Giolito, 1547; v. FEDERICI, Degli scrittori greci e delle italiane versioni delle loro opere, Padova, 1828, p. 5; C. GIAMBELLI, Dell'opera ps.

arist. intitolata

dei

Theologia

Lincei, Scienze 1 O nfilacciata,

% BW:

unqua;

sive mystica

mor., vol. XV, 1906), pp. v. napol.: sfilata, infilzata,

LG!:

unquam.

Ma

forma che si legge nelle vecchie stampe,

termini del

(B.

DB.

usati tra il XIII

3 Cfr.

[35-6))

p.

120,

(W.

II,

Philosophia

n.

e il XVI

W.

(estr. dai

18-19, 28-30. sequela.

ha ragione,

Rend.

lasciando

la

perché unqua e unque sono

secolo,

con

esempi

negli scritti

1.

266)

(L.

574-5)

864

(G.1

II,

237-5)

(G.2

IT,

257-8).

DIALOGO

PRIMO

profondorno, non dico sin al terzo cielo, ma nel profondo abisso del sopramondano ed ensofico *! universo: per la contemplazione di quelle diece Sephiroth che chiamiamo in nostra lingua membri ed indumenti, penetrorno,

Ivi

veddero,

son

le3

concepirno

dimensioni

Ceter,

Hesed,

Geburah,

Iesod,

Malchuth;

Corona,

la

videnza,

laquarta

la sesta Lode,

gno.

la

nona

fas est homini loqui *.

Hocma,

Tipheret,

Nezah,

Sapienza,

la

Hod,

terza

Bontà,

laquinta

lasettima

Vittoria,

Stabilimento,

Pro-

Fortezza,

la

laottava

decima

Re-

Dove dicono rispondere diece ordini d’ intelligenze 4;

de quali il primo vien da essi chiamato

cados, il

Bina,

de quali la prima da noi è detta

seconda

Bellezza,

quanium

quarto

sesto

il secondo

Ophanim,

Hasmalin,

Malachim,

Benelohim,

Issim; che

il

il

nono

il

Haioth

il terzo

quinto

settimo

hec-

Aralin,

Choachin, Elohim,

Maleachim,

il

l'ottavo

noi nominiamo il primo Animali

il

decimo

santi

o Serafini, il secondo Ruote formanti o Cherubini, ilterzo Angeli robusti o Troni,

il quarto sesto

Effigiatori,

Virtudi,

il quinto

il settimo

Principati

l'ottavo Arcangeli o figli Angeli o Imbasciatori, 1 En

soph,

Infinito,

3

loqui, le

è nella

Potestadi,

de dei, il decimo

terminologia

della

o

il

dei,

il nono Anime

cabala

il nome

onde vien designata la causa suprema, il primo dei dieci Sephiroth, o attributi divini. Cfr. A. FRANCK, La Kabbala ou la Philos. religieuse des Hébreux, Paris, Hachette, 1843, pp. 174-5. * II Machab., xit, 14: « Ac loquentes quae fas non est». W:

sante;

4 (Gl: di | intelligenze

e in

nota:

«Testo:

(L: d° intelligenze).)

/ui

son

le».

(B. {36-7)) (W. II, 266-7) (L.. 575) (G.1 II, 238) (G II, 258). 865

CABALA

separate vano

o

DEL

Eroi.

le diece sfere:

o ottava

sfera

CAVALLO

Onde

Giove,

5. di Marte,

curio,

9.

della

nel mondo

1. il primo

o firmamento,

mobile,

10.

del

sensibile

di Saturno,

7. di Venere,

Chaos

deri-

2. il cielo stellato

3. il cielo

6. del Sole,

Luna,

PEGASEO

4.

di

$. di Mer-

sublunare

diviso

in

quattro elementi. Alli quali sono assistenti diece ® motori, o insite diece anime: la prima Metattron o principe de

faccie,

la

quarta

la seconda Zadkiel,

Raphael, la

Raziel,

nona

la

la settima

Gabriel,

quale son quattro

la terza

quinta

Aniel, la

Zaphciel,

Camael, l'ottava

decima

sesta

Michael,

Samael;

terribili principi,

la

sotto

de quali il primo

il

do-

mina nel fuoco ed è chiamato da Iob? Behemoth, il secondo domina nell'aria ed è nomato da cabalisti e co-

munmente Beelzebub, cioè principe de mosche, idest de volanti immondi, il terzo domina nell’acqui ed è nomato

ne

da

Iob3

la terra,

chiamato

Leviathan,

la qual

da Iob6

spasseggia4

Sathan.

secondo la cabalistica revelazione

le forme o ruote, nomate

il quarto

è presidente

e circuisse5 tutta,

Or contemplate Hocma,

ed

è

qua, che

a cui rispondeno

Cherubini,

che influiscono

nell’ottava sfera, dove consta la virtà dell’ intelligenza de Raziele,

1 WG1:

l'asino

o asinità

dieci.

2? GioBBE,

XL,

3 Ivi. 4 L: spesseggia. 5 Circuisse,

20

è simbolo

sgg.

circuisce.

Assimilazione

trionali d’ Italia (Arch. glott. ital., IV, vedi sopra, p. 738, e ivi, n. 2.

6 GIOBBE, 7 Per

(B.

[37-8])

tutte (W.

I, 6.

queste

II, 267)

della sapienza 7.

indicazioni (L.

familiare

167-8).

Per

cabalistiche

575-6)

866

(G.!

II,

ai dialetti

esempi

setten-

analoghi

cfr. gli estratti

238-9)

{G.2

del

II, 258-0).

DIALOGO

PRIMO

Coribante. Parturient montes *. Saulino. Alcuni thalmutisti apportano rale di cotale influsso,

arbore,

la raggione mo-

scala o dependenza,

dicendo

che però l'asino è simbolo della sapienza nelli divini Sephiroth, perché a colui che vuol penetrare entro gli secreti ed occolti ricetti di quella, d’esser

sobrio

schena3

e

sia necessariamente

paziente,

d'asino;

deve

avendo

aver

de mistiero

mustaccio ?,

l'animo

umile,

testa

e

ripremuto

e

basso, ed il senso che non faccia differenza tra gli cardi e le lattuche. Sebasto.

Io

crederei

più

tosto,

che

gli

Ebrei

abbiano

tolti questi misterii da gli Egizii; li quali per cuoprir certa ignominia loro hanno voluto in tal maniera esaltar al cielo l’asino e l’asinità. Coribante. Declara. Sebasto.

Oco,

re de

Persi,

essendo

notato

da gli Egizi,

suoi nemici, per il simulacro d'asino, ed appresso essendo lui

vittorioso

sopra

de

loro,

ed

avendoseli

fatti

cattivi 4,

le costrinse ad adorar l’imagine de l'asino e sacrificargli il bove già tanto adorato da essi, con rimproverargli che a l'asino il lor bove Opin o Apin verrebbe immolato 5. Questi dunque, per onorar quel loro vituperoso culto, e cuoprir quella machia, hanno voluto fingere raggioni sopra De magia mathematica fonti del B. di È

De

1

È

il primo

(in

Opera,

emistichio

del

III,

495-9),

notissimo

dove

139°

v.

Cand.?,

p.

son

citate

dell'Arte

le

poetica

Orazio, citato anche nel De /’ infinito, p. sor. = New Wovlad of Words, pp. 324-7: mostaccio, mmustaccio: cello. un napoletanismo, come si è detto nel Cand.?, p. 202, n. 1. 3 Intorno

a questa

4 BL: caviti, le. 5 Vedi PLuTtaRco, natura

animalium,

(B.. [38-9])

(W.

voce

cfr.

anche

De Iside et Osiride, X,

II, 267-8)

28.

(L. 576)

867 59



GG.

Rruno.

Diselochi

italiani

XI

16,

e XXXI,

(G.! II, 239-40)

n.

5.

ed ELIANO,

(G.2 II, 259-60).

CABALA

DEL

CAVALLO

PEGASEO

il culto de l'asino; il quale da quel che gli fu materia di biasimo e burla, gli venne ad esser materia di riverenza !, E cossf poi, in materia plazione,

onore

chetipo,

d’adorazione,

e gloria,

sephirotico,

admirazione,

se I’ hanno

metafisico,

fatto

ideale,

contem-

cabalistico,

divino.

ar-

Oltre,

es-

sendo l'asino animal de è Saturno e della Luna, e gli Ebrei di natura, ingegno e fortuna saturnini e lunari, gente sempre vile,

servile,

mercenaria,

conversabile

spregiano,

con

solitaria,

l’altre

iricomunicabile

generazioni,

le quali

ed

in-

bestialmente

e da le quali per ogni raggione son degnamente

dispreggiate; or questi si trovàro nella cattività e servizio de l’ Egitto, dove erano destinati ad esser compagni a gli asini con portar le some e servire alle fabriche 3; e là parte

per

esserno

leprosi,

parte

perché

intesero

gli

Egizii,

che

in essi pestilanziati regnava l’ impression saturnia ed asì-

nina,

per

la

conversazione

ch'aveano

con

questa

razza;

vogliono alcuni che le discacciassero dagli lor confini con lasciargli 1’ idolo dell'asino d’oro alle mani; il quale tra tutti li dei se mostrava più propisiabile4 a questa gente, cossi a tutte l’altre nemica e ritrosa, come Saturno a tutti

gli pianeti. Onde rimanendo con il proprio culto, lasciando

da canto l’altre feste egiziane, celebravano per il lor Saturno, demostrato

I Cfr.

Ad

pp.

Tacito,

Apionem, 616,

stata

Tacito,

[39-40])

(W.

gli sabbati 5, e per Ja lor

V,

contrario

i

4,

la f. che

moderni

Hist., II,

268)

e

giudizi

in

nonché

di.

fabbriche. dai

de l’asino,

799-800,

WLG!:

corretta

5 Cfr.

7. Per

787,

4 Restituisco

propice.

Hist.,

II,

722,

a B: de; 3 GI:

(B.

nell’ idolo

si trova

V, (L.

editori,

del

le

B.

sugli

Giuseppe

relative

nelle

vecchie

potendo

Ebrci

note.

cir.

TILAVIO,

sopra

stampe

e ch'è

(G.2

260-1).

derivare

dal

franc.

4. 576-7)

868

(G.!

II,

240)

II,

DIALOGO

Luna

le neomenie ', di sorte

PRIMO

che

non

solamente

uno,

ma,

ed oltre, tutti gli sephiroti possono essere asinini ai cabalisti giudei. Saulino. Voi dite molte cose autentiche, molte vicine all’autentiche,

altre simili

a l’autentiche,

alcune

contrarie

a l’autentiche ed approvate istorie. Onde dite alcuni propositi veri e boni, ma nulla dite bene e veramente, spreggiando e burlandovi di questa santa generazione, dalla quale è proceduta tutta quella luce che si trova sin oggi al mondo, e che promette de donar per tanti secoli. Cossi perseveri nel tuo pensiero ad aver l'asino ed asinità per cosa ludibriosa; quale, qualunque sia stata appresso Persi, Greci e Latini, non fu però cosa vile appresso gli Egizii ed Ebrei. Là onde è falsità ed impostura questa tra l'altre, cioè che quel culto asinino e divino abbia avuto origine dalla

forza e violenza,

e non

più tosto

ordinato

dalla rag-

gione, e tolto principio dalla elezione. Sebasto. Verbi gratia, forza, violenza, raggion ed elezione di Oco. Saulino. Io dico divina inspirazione, natural bontade ed umana intelligenza. Ma prima che vengamo al compimento di questa demostrazione, considerate un poco se mai ebbero, o denno

aver avuto, o tener a vile la idea ed

influenza de gli asini questi Ebrei ed altri partecipi e consorti de la lor santimonia. Il patriarca Iacob, celebrando la natività e sangue della sua prole, e padri de le dodici tribi con la figura de le dodici bestie, vedete se ebbe ardimento di lasciar l'asino. Non avete notato che come fe’ Ruben

(B.

montone,

Simone

1 Neouevla,

novilunio.

[40-1])

II,

(W.

268-9)

(L.

orso,

577)

869

Levi

(G.!

cavallo,

II,

240-1)

Giuda

(G.2

II,

leone,

261-2).

CABALA

Zabulon

balena,

DEL

Dan

CAVALLO

serpente,

PEGASLEO

Gad

volpe,

Aser

bove,

Nettalim cervio, Gioseffo pecora, Beniamin lupo, cossf fece il sesto

quella

genito

bella

Isachar,

gli

Isachar

nuova

il

e

insoffiandoli

misteriosa

asino

termini,

ed

asino,

forte,

ha

trovato

fertilissimo

profezia

che

il

terreno;

per testamento

nell'orecchio:

poggia

riposo ha

tra

buono

sottopo-

ste le robuste spalli al peso, ed èssi destinato al tributario serviggio”. Queste sacrate dodici generazioni rispondeno da qua basso a gli alti dodici segni del zodiaco, che son nel cingolo del firmamento, come=

vedde

e dechiarò il profeta Balaam3, quando

dal luogo eminente d'un colle le scòrse disposte e distinte in dodici castramentazioni 4 alla pianura, dicendo: — Beato e benedetto popolo d’ Israele, voi sète stelle, voi li dodici segni messi in sf bell'ordine di tanti generosi greggi. Cossi promese5 il vostro Giova che moltiplicarebbe il seme del vostro gran padre Abraamo come le stelle del cielo, cioè secondo la raggione delli dodici segni del zodiaco, li quali venite a significar per li nomi de dodici bestie. — Qua vedete

qualmente

quel

profeta

illuminato,

nedire in terra, andò a presentarseli montato per la voce de l'asino venne

dovendole

be-

sopra l’asino,

instrutto della divina volontà,

con la forza de l'asino vi pervenne, da sopra l'asino stese le mani alle tende, e benedisse quel popolo de Dio santo e benedetto, per far evidente che quelli asini saturnini ed 1 Genesi,

2

XLIX,

(G! = L:

3 Numeri,

4 BL: 5 Per

(B.

come;

G2:

XXII-XXIV.

castrametationi.

forme

[41-2]))

14-5.

(W.

simili

II,

v.

269)

comune)

p.

(L.

608,

e ivi,

577-8)

870

(G.t

n.

1.

II, 241-2)

(Gè

II,

262).

DIALOGO

PRIMO

altre bestie, che hanno influsso dalle dette sephiroth, da l'asino archetipo, per mezzo de l'asino naturale e profetico, doveano esser partecipi de tanta benedizione. Coribante. Multa igitur asinorum genera: aureo, archetipo, indumentale, celeste, intelligenziale, angelico, animale,

profetico,

umano,

bestiale,

economico;

vel essenziale,

ipostatico,

nozionale,

superno,

medio

tastico:

vel

subsistenziale,

matematico,

ed inferno;

ideale,

gentile,

etico,

civile

metafisico;

logico

e

ed

fisico,

morale;

vel

vel intelligibile, sensibile e fan-

naturale

e

nozionale;

vel

ante

multa,

in multis et datim atque a riuscirmi.. Saulino. strano che

post multa *. Or seguite, perché paulatim, grapedetentim, più chiaro, alto e profondo venite Per venir dunque a noi, non vi deve parer la asinità sia messa in sedia celeste nella di-

stribuzione

delle

catedre,

che

sono

nella

parte

superna

di

questo mondo ed universo corporeo; atteso che esso deve esser corrispondente e riconoscere in se stesso certa analogia al mondo superiore. Coribante. Ita contiguus hic illi mundus, ut omnis eius virtus inde gubernetur, come oltre promulgò il prencipe de’ peripatetici nel principio del primo della Metorologica? contemplazione3,. 1 Lo

stesso

che

ante rem,

în ve e post rem,

come

si disse

da Al-

berto Magno e S. Tommaso l'universale in sé (o nella mente di Dio), l’universale realizzato negli individui, e l'universale pensato quindi dalla mente umana. Cfr. DE WuLr, Mist. de la philos. médicvale, 2 edizione, pp. 246, 342, n. 2. Lo stesso B. accenna qui appresso alla medesima dottrina, distinguendo tre sorta di verità.

® BW:

Forse

W.

methorologica; LG!: meteorologica

ha fatto bene

positare i suoi pedanti. 3 ARISTOTELE,

(B.

[42-3]))

a non

correggere,

Meteorologic.,

(\V. II, 2609-70)

(ma L metheorologica).

perché

B. suole far spro-

I, 2, 2.

(L. 578)

871

(G.!

II, 242-3)

(G.2

II, 262-3).

CABALA

Scbasto. le vostre,

CAVALLO

O che ampolle, o dottissimo

Coribante.

Sebasto. e non

DEL

PEGASEO

o che parole sesquipedali

ed altritonante 1 messer

Ut libet.

Ma permettiate= che si proceda

son

Coribante!

al proposito,

ne interrompete!

Coribante. Proh! Saulino. A la verità nulla cosa è pivi prossima e cognata

che la scienza; la quale si deve distinguere, come è distinta

in sé, in due maniere:

cioè in superiore

ed inferiore.

La

prima è sopra la creata verità, ed è l’ istessa verità increata, ed è causa

del tutto;

atteso

che per essa le cose vere

vere, e tutto quel che è, è veramente

quel tanto

La



seconda

è verità

inferiore,

la quale

son

che

fa le cose

è.

vere

né è le cose vere, ma pende, è prodotta, formata ed informata da le cose vere, ed apprende quelle non in verità, ma in specie e similitudine: perché nella mente nostra, dove

è la scienza dell'oro,

non

si trova l’oro in verità, ma

solamente in specie e similitudine. Si che è una sorte de verità, la quale è causa delle cose, e si trova sopra tutte le cose; un’altra sorte che si trova nelle cose ed è delle cose; ed è un'altra terza ed ultima, la quale è dopo le cose e dalle cose.

La prima

ha nome

cosa, la terza ha nome

di causa,

la seconda

ha nome

di

di cognizione 3. La verità nel primo

1 B: altritonante;, W.LGI: altitonante. Non è meraviglia che Sebasto tratti il pedante come un secondo Giove, sce nel Cand.?,

p. 60: «Ottav. .... Non mi reputo degno di baciar quella dolcissima bocca. Manf. Ch'ambrosia e nectar non invidio a Giove n. * Intorno a questo provincialismo cfr. Cand.2, pp. 94, 81, 174 e 200, e in questa Mor., p. 891.

ultima,

n.

1;

e nei Dial.

Met. pp. 460

e 469,

e

1 Ne Dei imaginum compositione (Opera, II, 111, 94): «Ideae sunt causa rerum ante res, idearum vestigia sunt ipsae res seu quae in rebus, idearum umbrae sunt ab ipsis rebus seu post res». Per

(B. [43)) (W. II, 270) (L. 578-9) (G.! IT, 243-4)

872

(G.3 II, 263-4).

DIALOGO

PRIMO

modo è nel mondo archetipo ideale significata per un de’ sephiroth; nel secondo modo è nella prima sedia dove è il cardine

detta

del cielo a noi supremo;

sedia che

prossimamente

nel terzo modo

da questo

è nella

corporeo

influisce ne gli cervelli nostri, dove è l’ ignoranza,

cielo

stoltizia,

asinità, ed onde è stata discacciata l’ Orsa maggiore. Come dunque la verità reale e naturale è essaminata per la verità nozionale, e questa ha quella per oggetto, e quella mediante la sua specie ha questa per suggetto, cossf è bisogno che a

quella abitazione questa sia vicina e congionta.

Sebasto. Voi dite bene, che secondo l'ordine della natura sono prossimi la verità e l’ ignoranza o asinità: come sono talvolta uniti l'oggetto, l’atto e la potenza. Ma fate ora chiaro, perché più tosto volete far gionta e vicina l’ ignoranza o asinità, che la scienza o cognizione: atteso che tanto manca che l'ignoranza e pazzia debbano esser prossime e come coabitatrici della verità, che ne denno essere a tutta distanza

lontane,

perché

denno

esser

gionte

alla

falsità,

come cose appartenenti ad ordine contrario. Saulino. Perché la sofia creata senza l'ignoranza o pazzia, e per conseguenza senza l’asinità che le significa ed è medesima con esse, non può apprendere la verità; e però bisogna che sia mediatrice; perché come nell’atto mediante concorreno gli estremi o i termini, oggetto e potenza, cossi nell’asinità concorreno la verità e la cognizione, detta da noi sofia. Sebasto. Dite brevemente la caggione.

altri

De

luoghi

monade

del B.,

pp.

analoghi

del

(I, 11, 367)

8-9.

Sig.

sigillorum

cfr. Tocco,

(Opera,

II,

11,

164)

e del

Le fonti più recenti «della filos.

(B. {43-5)) (W. II, 270-1) (L. 579) (G.! IT, 244) (G.? II, 204-5).

873

CABALA

Saulino.

DEL

Perché

CAVALLO

il saper

PEGASEO

nostro ‘è ignorare,

o

perché

non è scienza di cosa alcuna e non è apprensione di verità nessuna, o perché se pur a quella è qualche entrata, non è se non per la porta che ne viene aperta da l'ignoranza, la quale è l’ istesso camino, portinaio e porta. Or se la sofia

scorge la verità per l’ ignoranza, la scorge per la stoltizia consequentemente, onde

e consequentemente

chi ha tal cognizione,

per

l'asinità.



ha de l'asino, ed è partecipe

di

quella idea, Sebasto. Or mostrate come siano vere le vostre assumpzioni: perché voglio concedere le illazioni tutte; perché non ho per inconveniente che chi è ignorante, per quanto è ignorante,

è stolto;

e chi è stolto,

per

quanto

è stolto,

è asino: e però ogni ignoranza è asinità. Saulino. Alla contemplazion de la verità altri si promuoveno per via di dottrina e cognizione razionale, per forza

de

l'intelletto

agente

che

s'intrude

nell'animo,

excitandovi il lume interiore. E questi son rari; onde dice il poeta: Pauci,

quos

ardens

evexit ad

aethera

virtus!.

Altri per via d’ignoranza vi si voltano e forzansi di pervenirvi. E di questi alcuni sono affetti di quella che è detta ignoranza di semplice negazione: e costoro né sanno, né presumeno di sapere; altri di quella che è detta ignoranza di prava disposizione: e tali, quanto men sanno e sono imbibiti de false informazioni, tanto più pensano di sapere: 1 VirciILIo,

.den.,

VI,

i29-30:

Pauci, quos aequus amavit Iuppiter aut ardens evexit ad aethera (B.

[45-0))

(W.

II,

271)

(L.

579-80)

874

(G.1

II,

virtus.

244-5).(G.2

II,

265).

DIALOGO

PRIMO

quali, per informarsi del vero, richiedeno doppia fatica, cioè de dismettere l’uno abito contrario e di apprender l’altro. Altri di quella ch'è celebrata come divina acquisizione; ed in questa son color che né dicendo, né pensando di sapere, ed oltre essendo creduti da altri ignorantissimi, son veramente dotti, per ridursi a quella gloriosissima. asi-

nitade

e pazzia.

E di questi alcuni sono

naturali, come

quei che caminano con il lume suo razionale, con cui negano col lume del senso e della raggione ogni lume di raggione e senso; alcuni altri caminano, o per dir meglio si fanno guidare con la lanterna della fede, cattivando l’ intelletto a colui che gli monta sopra ed a sua bella posta l'addirizza e guida, E questi veramente son quelli che non possono essi errare, perché non caminano col proprio fallace intendimento,

ma

con infallibil lume

di superna

intel-

ligenza. Questi, questi son veramente atti e predestinati per arrivare alla Ierusalem della beatitudine è vision aperta della verità divina: perché gli sopramonta quello, senza il qual sopramontante non è chi condurvesi vaglia *. Sebasto. Or ecco come si distingueno le specie dell' ignoranza ed asinitade, e come vegno a mano

scendere saria

per concedere

e divina,

senza

a mano

a conde-

l’asinitade essere una virti necesla

quale

sarrebe

perso

il mondo,

e

per la quale il mondo tutto è salvo. Saulino. Odi a questo proposito un principio per un’altra più particular distinzione. Quello ch'unisce l' intelletto nostro, il qual è nella sofia, alla verità, la quale è l'oggetto intelligibile, è una specie d’ ignoranza, secondo gli cabalisti e certi mistici teologi; un'altra specie, secondo gli 1 Cfr. gli Eroici furorîi, pp. 986-7. (B.

[46-7]))

(W.

II, 271-2)

(L. 580)

875

(G.1 II, 245-6)

(G.2 II, 265-0).

CABALA

pirroniani,

DEL

efettici 1 ed

CAVALLO

altri

PEGASEO

simili;

un’altra,

secondo

teo-

logi cristiani, tra” quali il Tarsense * la viene tanto più a magnificare 3, quanto a giudicio4 di tutt'il mondo è passata per maggior pazzia. Per la prima specie sempre si niega; onde vien detta ignoranza negativa, che mai ardisce affirmare. Per la seconda specie sempre si dubita, e mai ardisce determinare o definire. Per la terza specie gli principii

tutti

s' hanno

per conosciuti,

approvati

e con

certo

argumento manifesti, senza ogni demostrazione ed apparenza. La prima è denotata per l'asino pullo, fugace ed errabondo;

la seconda

per

un'asina, che

sta fitta tra

due

vie, dal mezo de quali mai si parte, non possendosi risolvere per quale delle due più tosto debba muovere i passi; la terza per l’asina con il suo pulledro, che portano su la schena il redentor del mondo: dove l’asina, secondo che gli

sacri dottori insegnano, pullo

del

popolo

è tipo del popolo

gentile,

che,

come

giudaico,

figlia ecclesia,

ed il

è par-

turito dalla madre sinagoga; appartenendo cossi questi come quelli alla medesima generazione, procedente dal padre de’ credenti, Abraamo. Queste tre specie d’ ignoranza,

come

tre rami,

sì riducono

ad un

stipe $, nel quale

ON

Au

a

ww =

da l'archetipo influisce l’asinità, e che è fermo e piantato su le radici delli diece6 sephiroth. Coribante. O bel senso! Queste non sono retorice7 persuasioni, né elenchici sofismi, né topice ® probabilitadi,

(B.

Vedi p. 45, n. Wr Tartense.

1.

Vedi PaoLo, I ai Cor., I, 17 sgg. BL: giudicio; WGI: giudizio. Tronco. Latinismo già usato nel De /a carsa, p. 233, BL: diece; WG!: dieci.

BL: BL:

[47-8]))

e ivi, n. 1.

retorice; WWG!:; retoriche. topice; WGI: topiche. (W.

II,

272)

(L.

580-1)

876

(GI

II,

246-7)

(G.2

II,

266-7).

DIALOGO

ma

PRIMO

apodiptice ! demostrazioni;

si vile

animale

come

per le quali l'asino non è

comunmente

si crede,

più eroica e divina condizione. Sebasto. Non è d’'uopo ch'oltre

ma

t’affatichi,

di

tanto

o Saulino,

per venir a conchiudere quel tanto che io dimandavo che

da te mi fusse definito: si perché avete sodisfatto a Coribante, si anco perché da li posti mezi termini ad ogni buono intenditore può esser facilmente sodisfatto. Ma di grazia, fatemi ora intendere le raggioni della sapienza, che consiste nell’ ignoranza ed asinitade iuxta il secondo modo: cioè con qual raggione siano partecipi dell’asinità gli pirroniani,

efettici ed altri academici

filosofi; perché

non

du-

bito della prima e terza specie, che medesime sono altissime e remotissime

occhio

da’

sensi

e chiarissime,

di sorte

che

non

è

che non le possa conoscere.

Saulino. Presto verrò al proposito della vostra dimanda;

ma voglio che prima notiate il primo e terzo modo di stoltizia

ed

asinitade

concorrere

in

certa

maniera

in

uno;

e

però medesimamente pendeno da principio incomprensibile ed ineffabile, a constituir quella cognizione, ch’ è disciplina delle discipline, dottrina delle dottrine ed arte de le arti. Della quale voglio dirvi in che maniera con poco o nullo studio e senza fatica alcuna ognun che vuole e volse,

ne ha possuto e può esser capace. Veddero e considerorno que' santi dottori e rabini illuminati, che gli superbi e presumptuosi sapienti del mondo, quali ebbero fiducia nel proprio ingegno, e con temeraria e gonfia presunzione hanno avuto ardire d’alzarsi alla scienza de secreti divini 1 B: apodiptice;

W:

apodittiche;

Restituisco la f. primitiva,

per

la ragione

(B.

[48-9])

(W.

accennata

II

272-3)

L:

apodictice;

G!: apodictiche.

che può essere intenzionalmente

sopra,

p.

(L.

581-2)

877

871,

(G.I

n.

2.

II,

247)

(G.3

II,

erronea,

267-8).

CABALA

e que’

penetrali

ch’edificàro

DEL

della

la torre

CAVALLO

deitade,

non

di Babelle,

PEGASEO

altrimente

son

stati

che

confusi

coloro e messi

in dispersione, avendosi essi medesimi serrato il passo, onde meno fussero abili alla sapienza divina e visione della veritade eterna. Che féro? qual partito presero? Fermàro i passi, piegàro o dismisero le braccia, chiusero gli occhi, bandiro ogni propria attenzione e studio, riprovàro qualsivoglia uman pensiero, riniegàro ogni sentimento naturale: ed in fine si tennero asini. E quei che non erano, si transformàro

in questo

animale:

alzàro,

distesero,

acuminàro,

ingrossàro e magnificorno l’orecchie; e tutte le potenze de l'anima riportorno e uniro nell’udire, con ascoltare solamente e credere: come quello, di cui si dice: In audîtu auris obedivit mihi +. Là concentrandosi e cattivandosi la vegetativa,

sensitiva

ed

intellettiva

facultade,

hanno

in-

ceppate le cinque dita in un’unghia, perché non potessero, come l'Adamo *, stender le mani ad apprendere il frutto vietato

dall’arbore

essere

privi

.meteo mani

de

della

frutti

scienza,

de

l’arbore

per della

cui

venessero

vita,

o come

ad Pro-

(che è metafora di medesimo proposito), stender le

a suffurar

il fuoco

nella potenza razionale. proprio

sentimento

ed

di Giove,

per

accendere

il lume

Cossî li nostri divi asini, privi del affetto,

vegnono

ad

intendere

non

altrimente che come gli vien soffiato a l’orecchie dalle revelazioni o de gli dei o de’ vicarii loro; e per consequenza a governarsi non secondo altra legge che di que’ medesimi. Quindi non si volgono 3 a destra o a sinistra, se non secondo

la lezione e raggione che gli dona il capestro o freno che le I Salmi,

% Genesi,

XVII,

INI,

3 (G! = L: (B.

(49-50])

(W.

45.

6 sgg.

non

II,

si volgono; 273)

(L.

G?:

582)

878

non (G.I

volgono) II,

247-8)

(G.?

II,

268-9).

DIALOGO

PRIMO

tien per la gola o per la bocca, non caminano se non come son

toccati.

Hanno

ingrossate

le làbbra,

insolidate

le ma-

scelle, incotennuti ! gli denti, a fin che, per duro, spinoso, aspro e forte a digerir che sia il pasto che gli vien posto avante,

non

manche

d'essere

accomodato

al

suo

palato.

Indi si pascono de più grossi e materialacci appositotii, che altra qualsivoglia bestia che si pasca sul dorso de la terra; e tutto ciò per venire a quella vilissima bassezza, per cui fiano capaci de più magnifica exaltazione, iuxta quello: Ommnis qui se humiliat exaltabitur ?. Sebasto.

Ma

‘vorrei

intendere

come

questa

bestiaccia

potrà distinguere che colui che gli monta sopra, è Dio o diavolo, è un uomo o un’altra bestia non molto maggiore o minore,

se la più certa cosa ch’egli deve

avere,

è che lui

è un asino e vuole essere asino, e non può far meglior vita

ed aver costumi megliori che di asino, e non deve aspettar meglior fine che di asino, né è possibile, congruo e condigno ch’abbia altra gloria che d'asino? 3 Saulino. Fidele colui che non permette che siano tentati sopra quel che possono: lui conosce li suoi, lui tiene e mantiene gli suoi per suoi, e non gli possono esser tolti. O santa ignoranza, o divina pazzia, o sopraumana asinità! Quel rapto, profondo e contemplativo Areopagita, scrivendo a Caio, afferma che la ignoranza è una perfettissima scienza 4;

come per l’equivalente volesse dire che l’asinità è una di1 GI:

incontennuti.

2 Luca, Evang., XIV,

11, e XVIII,

14; cfr. MATTEO,

XXXIII,

12.

3 (Gr= L: gloria che d'asino?; G*: gloria d'asino? (per evidente svista tipogr.).) 4 Il Ps.-DronIGI (V-VI scc.) citato dal B. anche negli Er. Furori, p. 1164. Per la lett. a Caio cfr. Opera, Antverpiae, MDCLXXXIV, t.

(B.

II,

p.

62.

[5o-1])

(W.

II,

273-4)

(L.

582-3)

879

(G.!

II,

248-9)

(G.2

IT,

260).

CABALA

DEL

CAVALLO

PEGASEO

vinità. Il dotto Agostino, molto inebriato di questo divino nettare,

nelli suoi

Soliloquii!

testifica che

la igno-

ranza piu tosto che la scienza ne conduce a Dio, e la scienza

più tosto che l'ignoranza ne mette in perdizione.

In figura

di ciò vuole ch’ il redentor del mondo con le gambe e de

gli

asini

fusse

entrato

in

Gerusalemme,

piedi

significando

anagogicamente in questa militante quello che si verifica nella trionfante cittade; come dice il profeta salmeggiante: Non

in fortitudine

equi

voluntatem

habebit,

neque

in

tibiis

viri beneplacitum erit ei 2. Coribante. Supple tu: Sed in fortitudine et tibiis asinae ct pulli filii coniugalis. Saulino. 3 Or, per venire

a mostrarvi

come

non

è altro

che l’asinità quello con cui possiamo tendere ed avvicinarci a quell’alta specola, voglio che comprendiate e sappiate non esser possibile al mondo meglior contemplazione che quella che niega ogni scienza ed ogni apprension e giudicio di vero; di maniera che la somma cognizione è certa stima

che non si può saper nulla e non si sa nulla, e per consequenza di conoscersi di non posser esser altro che asino e non esser altro che asino; allo qual scopo giunsero gli socratici, platonici, efettici, pirroniani ed altri simili, che non ebbero

l’orecchie tanto

picciole, e le labbra

tanto

delicate,

e la coda tanto corta, che non le potessero lor medesimi vedere, Sebasto.

per

Priegoti,

confirmazion

Saulino,

e dechiarazion

! Opera omnia, ed. Lione, 2 Salmi, CXLVI, 10.

3 BL

il principio (B.

(51-2])

continuano

non

eredi

attribuendo

delle parole

seguenti

(W.

(L.

II, 274)

583)

procedere

di questo: Giunta,

il séguito

di Sebasto. (GI

880

1561,

oggi

ad

altro

perché

assai

IX,

958.

a Coribante.

II, 2409-50)

(G.?

Ma

cfr.

II, 2609-70).

DIALOGO

PRIMO

per il presente abbiamo inteso; oltre che vedi esser tempo

di cena, e la materia richiede più lungo discorso. Per tanto piacciavi (se cosi pare anco al Coribante) di rivederci domani per la elucidazione di questo proposito; ed io menarò meco Onorio, il quale si ricorda d’esser stato asino, e però è a tutta divozione pitagorico; oltre che ha de grandi proprii discorsi con gli quali forse ne potrà far capaci di qualche proposito. Saulino.

Sarà

bene,

e lo desidero;

perché

lui alleviarà

la mia fatica. Coribante. Ego quoque huic adstipulor sententiae, ed è gionta l'ora, in cui debbo licenziar gli miei discepoli, a fin che propria

revisant hospitia,

proprios

lares.

Anzi,

st lubet,

per sin tanto che questa materia fia compita!, quotidianamente io m'’offero pronto in queste ore medesime farmi qua

vosco

presente.

Saulino. Ed io non mancarò Sebasto. Usciamo dunque. Fine

1

(B.

(GL

(52-3]))

=

L:

(W.

del

compila;

II,

274-5)

primo

G?:

competa

(L. 593-4)

851

di far il medesimo.

dialogo.

(per evidente

errore

(G.I

(G2

II,

250)

tipogr.).)

II,

270-1).

DIALOGO

SECONDO

INTERLOCUTORI Sebasto,

Onorio 1, Coribante,

Saulino.

Sebasto. E tu ti ricordi d'aver portata la soma? Onorio.

La

soma,

la carga?,

e tirato

il manganello3

qualche volta. Fui prima in serviggio d'un ortolano, aggiutandolo a portar lettame 4 dalla cittade di Tebe a l’orto vicino le mura,

ed a riportar

poi cauli, lattuche,

cipolle 5,

cocumeri, pastinache, ravanelli ed altre cose simili dall’orto alla cittade. Appresso ad un carbonaio, che mi comprò da quello, ed il qual pochissimi giorni mi ritenne vivo. Sebasto. Come è possibile ch'abbi memoria di questo? Onorio. Ti dirò poi. Pascendo io sopra certa precipitosa e sassosa ripa, tratto dall’avidità d'addentar un cardo 1 Il nome

asino

malvagio,

SPAMPANATO, suffisso

di Onorio è scelto dal B. ad arte, quasi per significare daédvog

0. ©., p. 44),

derivativo.

e rio

(Cfr.

noti

che

se non

Comunque,

si

è da

BaRTHoLMÈss,

ritenere in

una

-rio per delle

II,

111;

semplice

sue

‘ tra-

scorporazioni ’ l’anima di Onorio aveva pur dato vita ad Aristotele,

che,

dirà il B. qui appresso

a p. 893, aveva

« malamente

mente » riportato le dottrine dei filosofi naturali, aveva perversamente,

pare

delirato»

ecc.

* T. che si trova ne' rimatori antichi. 3 Strettoio, oppure specie di macchina voglia

alludere

4 F. erronea n. 2. 5 BW:

cauli,

Onorio,

adoperata lattuche,

perché

anche

cipolle;

guerresca,

si ricorda

ne’

LGV:

Dialoghi cauli,

di

e sciocca-

«insegnato

averla

alla

metafisici,

quale

tirata.

p.

502,

cipolle.

{B. [53-4]) (W. IT, 275) (L. 584) (G.! IL [251]) (G.* II, [272)). 882

DIALOGO

SECONDO

ch'era cresciuto alquanto più giù verso il precipizio, che io senza periglio potesse stendere il collo, volsi al dispetto d’ogni rimorso di conscienza ed instinto di raggion naturale più del dovero rampegarvi; e caddi da l'alta rupe; onde il mio signore s'accorse d'avermi comprato per gli corvi. Io privo de l'ergastulo corporeo dovenni vagante spirto

senza

condo

la

membra;

spiritual

e venni

sustanza,

a considerare non

ero

come

differente

io, se-

in

geno,

né in specie da tutti gli altri spiriti che dalla dissoluzione de altri animali e composti

corpi transmigravano;

e viddi

come la Parca non solamente nel geno della materia corporale fa indifferente il corpo dell’uomo da quel de l’asino ed il corpo

z'anima;

ma

de gli animali

ancora

dal corpo

nel geno

di cose stimate

della materia spirituale

rimaner indifferente l’anima asinina da l’umana, che

constituisce

gli detti

in tutte le cose: come

animali,

da

quella

che

sen-

fa

e l’anima si trova

tutti gli umori sono uno umore

in

sustanza, tutte le parti aeree son un aere in sustanza, tutti

gli spiriti sono dall’Anfitrite d’un spirito, ed a quello ritornan tutti. Or dopo che qualche tempo' fui trattenuto in cotal stato, ecco che Leithaeum ad fluvium Deus evocat agmine magno, Scilicet immemores supera ut convexa revisant,

Rursus

et incipiant in corpora velle reverti 1,

Allora, scampando io da' fortunati campi, senza sorbir de l’onde del rapido Lete, tra quella moltitudine di cui era principal guida Mercurio, io feci finta de bevere di quel1 VirciLIO, Aen., VI, 749-51. Cfr. appresso gli Er. Furorî, 944, e il De rerum principiis, in Opera, III, 551. Cir. anche Tocco, Le opp. lat., p. 390.

(B. [54-5]) (W. II, 275-6) (L. 584-5) (G.t II, [251]-2) (G-2 IL [272)-3). 883 60

-—

G.

Bruno,

Dialoghi

italiani

CABALA

DEL

CAVALLO

PLEGASEO

l'umore in compagnia de gli altri: ma non feci altro ch’accostarvi

e toccarvi

con

le labbra,

a fin

che

venessero

in-

gannati gli soprastanti a' quali poté bastare ”di vedermi

la bocca! e '1 mento bagnato, Presi il camino verso l’aria più puro ? per la porta Cornea 3, e lasciandomi a le spalli e sotto gli piedi il profondo, venni a ritrovarmi nel Parnasio monte,

il qual

non

è favola

che

per

il suo

fonte

Caballino

sia cosa dal padre Apolline consecrata alle Muse sue figlie 4. Ivi per forza ed ordine

del fato tornai

ad essere asino, ma

senza perdere le specie intelligibili, delle quali non rimase vedovo e casso il spirito animale, per forza della cui virtude m'’uscirno da l'uno e l'altro lato la forma e sustanza de due ali sufficientissime ad inalzar in sino a gli astri il mio corporeo pondo s. Apparvi e fui nomato non asino già semplicemente,

ma

o asino

volante,

o ver

cavallo

Pegaseo.

Indi

fui fatto exequitor de molti ordini del provido Giove, servii a Bellerofonte, passai molte celebri ed onoratissime fortune, ed alla fine fui assumpto in cielo circa gli confini d’Andromeda ed il Cigno d’un canto, e gli Pesci ed Aquario da l’altro. Sebasto. Di grazia, rispondetemi alquanto, prima che mi facciate intendere queste cose pit per il minuto. Dunque, per esperienza e memoria del fatto estimate vera l’opinion ! GI: boca. ? Aria, comesi

scolino.

3 VirciLIo,

Sunt

Aen.,

geminae

Cornea, 4 Cfr.

5 Nello

intorno

OvipIo,

qua

Spaccio,

all'origine

è sopra avvertito (p. 629, n. 2), in B. è maVI,

893-4:

Somni

Metamm., del

portae;

quarum. altera fertur

veris facilis datur exitus umbris.... p.

710,

Pegaso:

V,

fu

250

Sgg.

invece

cfr.

accennato

OvipIo,

il mito

Metamun.,

V,

genuino

250.

(B. [s5-6]) (W. IL, 276) (L. 585) (G.! II, 252-3) (G.2 II, 273-4). 884

DIALOGO

de’

Pitagorici,

quella

Druidi,

continua

SECONDO

Saduchimi*

metamfisicosi 2,

transcorporazione

ed cioè

altri

simili,

circa

transformazione

e

de tutte l’anime?

Spiritus eque feris humana in corpora transit, Inque feras noster, nec tempore deperit ullo 3.

Onorio.

Messer

si, cossi

Sebasto. Dunque,

è certissimamente.

constantemente

vuoi che non sia altro

in sustanza l’anima de l’uomo e quella de le bestie? e non differiscano

se non

in figurazione?

Onorio. Quella de l'uomo è medesima in essenza specifica e generica con quella de le mosche, ostreche marine e piante, e di qualsivoglia cosa che si trove animata o abbia anima: come non è corpo che non abbia o più o meno vivace- e perfettamente communicazion di spirito in se stesso. Or cotal spirito, secondo il fato o providenza, ordine o fortuna, viene a giongersi or ad una specie di corpo, or ad un’altra; e secondo la raggione della diversità di complessioni e membri, viene ad avere diversi gradi e perfezioni d'ingegno ed operazioni. Là onde quel spirito o anima che era nell'aragna, e vi avea quell’ industria e quelli artigli

simo,

e membra

gionto

telligenza,

in tal numero,

quantità

alla prolificazione

altri

instrumenti,

umana,

attitudini

e forma;

acquista ed

atti.

mede-

altra inGiongo

a

questo che, se fusse possibile, o in fatto si trovasse che d’un serpente il capo si formasse e stornasse in figura d'una 1 Per

duchimi

o

i Druidi

Saducei,

e Luca, IX, 16. 2 Sull'erronca

n. I.

3 Ovipio,

(B.

[56-7]))

(W.

cir.

CESARE,

MaTTEO,

formazione

Afetammi.,

II, 276-7)

XV,

De

bello gallico,

Evang.,

XVI,

di questa

parola

14,

VI,

14;

Marco,

vedi

sopra,

per

VII,

p.

i Sa28,

776,

167-8.

(L. 585-6)

835

(G.t II, 253-4)

(G.? II, 274-5).

CABALA

DEL

CAVALLO

PEGASEO

testa umana, ed il busto crescesse in tanta quantità quanta può contenersi nel periodo di cotal specie, se gli allargasse la lingua, ampiassero le spalli, se gli ramificassero le braccia e mani,

ed al luogo

ingeminarsi

dove

le gambe;

è terminata

intenderebbe,

rebbe,

parlarebbe,

oprarebbe

mente

che

l’uomo;

perché

Come,

per

il contrario,

pente,

se

venisse

coda,

non

l’uomo

a contraere,

e

andassero

apparirebbe,

caminarebbe

sarebbe non

sarebbe

come

dentro

spira-

non

altro

ad

altri-

che

uomo.

altro

che

ser-

un

ceppo,

le

braccia e gambe, e l’ossa tutte concorressero alla formazion d'una spina, s’ incolubrasse ! e prendesse tutte quelle figure de membri ed abiti de complessioni =. (Allora arrebe più o men vivace ingegno; in luogo di parlar, sibilarebbe; in. luogo di caminare, serperebbe; in luogo d’edificarsi palaggio, si cavarebbe un pertuggio; e non gli converrebe

la stanza, ma la buca; e come già era sotto quelle, ora è sotto

dal

queste

membra,

medesimo

trazion

instrumenti,

artefice

di materia

potenze

diversamente

e da

diversi

ed

inebriato

organi

atti:

come

dalla

con-

armato,

appaiono

exercizii de diverso ingegno e pendeno execuzioni diverse. Quindi possete capire esser possibile che molti animali possono

aver

più ingegno

e molto

maggior

lume

d'’ intel-

letto che l’uomo (come non è burla quel che proferi Mosè del serpe, che nominò sapientissimo tra tutte l’altre bestie de la terra) 3; ma per penuria d’ instrumenti gli viene ad essere inferiore, come quello per ricchezza e dono de me1 Derivato dal termine poetico colubro (v. sopra, p. 706) e forse

formato dal B. medesimo. ® Reminiscenza di Ovipio (Laf., XXV, 01-135).

(Metamm.,

IV,

3 «Sed et serpens erat callidior cunctis fecerat dominus Deus »: Genesi, II_ 1.

(B.

[s7-8])

(W.

IL

277)

(L.

580)

886

(G.t

II,

563-603)

animalibus

254)

(G.

e di DANTE terrae,

II,

quae

275-0).

DIALOGO

SECONDO

desimi gli è tanto superiore. E che ciò sia la verità, considera

un

poco

al sottile,

ed

essamina

entro

a

te

stesso

quel che sarrebe, se, posto che l'uomo avesse al doppio d’ ingegno che non ave, e l’ intelletto agente gli splendesse tanto più chiaro che non gli splende, e con tutto ciò le mani

gli venesser transformate in forma de doi piedi, rimanendogli .tutto

l'altro

nel

suo

ordinario

intiero;

dimmi,

dove

potrebbe impune esser la conversazion de gli uomini? Come potrebero instituirsi e durar le fameglie ed unioni di costoro parimente, o più, che de cavalli, cervii, porci, senza esserno devorati da innumerabili specie de bestie, per essere in tal maniera suggetti a maggiore e più certa ruina? E per conseguenza dove sarrebono le instituzioni de dottrine, le invenzioni de discipline, le congregazioni de cittadini, le strutture de gli edificii ed altre cose assai che significano la grandezza ed eccellenza umana, e fanno l'uomo trionfator veramente invitto sopra l'altre specie? Tutto questo, se oculatamente guardi, si referisce non tanto

principalmente al dettato de l'ingegno, della mano, organo de gli organi !, Sebasto.

a quello

Che dirai de le scimie ed orsi che, se non

dir ch' hanno la mano ? Onorio.

quanto

mano,

Non

non

hanno

hanno tal

vuoi

peggior instrumento

complessione

che

possa

che esser

capace di tale ingegno; perché l’'universale intelligenza in simili e molti altri animali per la grossezza o lubricità della

material

complessione

non

può

imprimere

tal forza

di sentimento in cotali spiriti. Però la comparazion fatta si 1 Celebre

xelo

detto

dpyravév

tot

di

ARISTOTELE,

dpydvwv.

De

anima,

III,

8,

432

a

1:

(B. 58-9]) (W. II, 277-8) (L. 586-7) (G.t II, 254-5) (G3 II 276). 887

CABALA

DEL

deve intendere nel geno Sebasto.

CAVALLO

PEGASEO

de’ più ingegnosi

Il papagallo

non

ha

animali.

egli l'organo

attissimo

a

proferir qualsivoglia voce articulata? Or perché è tanto duro e con tanta fatica può parlar sf poco, senza oltre intendere quel che dice? Onorio. Perché non ha apprensiva, retentiva adequabile

e congenea a quella de l’uomo, ma tal quale conviene alla sua specie; in raggion della quale non ha bisogno ch'altri gl’ insegne mento

di volare,

dal

veleno,

cercare

il vitto,

generare,

nidificare,

e riparar alle ingiurie del tempo, sitadi della vita non

men

facilmente che l'uomo. Sebasto. Questo dicono

distinguere

bene,

il nutri-

mutar

abitazioni,

e provedere

alle neces-

e tal volta meglior-

li dotti

non

e più

esser per intelletto

o per discorso, ma per istinto naturale.

Onorio.

Fatevi

dire

da

cotesti

dotti:

cotal

instinto

naturale è senso o intelletto ? Se è senso, è interno o esterno ? Or non essendo

esterno,

qual senso interno

come

hanno

è manifesto,

le providenze,

dicano

secondo

tecne ', arti, pre-

cauzioni ed ispedizioni circa l’occasioni non solamente presenti,

ma

ancora

Sebasto.

Son

future,

mossi

megliormente

da l'intelligenza

che

non

l’uomo.

errante.

Onorio. Questa, se è principio naturale e prossimo applicabile all’ operazione prossima ed individuale, non può essere universale ed estrinseco, ma particolare ed intrinseco, e per consequenza potenza dell'anima e presidente nella poppa di quella.

Sebasto. Non volete dunque versale che muove? I Techua,

(B.

[59-60])

ae

(W.

(tihmwy): II, 278-9)

che sia l' intelligenza uni-

artifizio. (L. 587-8)

888

(G.t

II, 255-6)

(G.2

II, 276-7).

DIALOGO

Onorio.

Dico

che

SECONDO

la intelligenza

una de tutti! e quella muove

efficiente

e fa intendere;

universale ma,

è

oltre, in

tutti è l’ intelligenza particulare, in cui son mossi, illuminati ed intendono; e questa è moltiplicata secondo il numero de gli individui. Come la potenza visiva è moltiplicata

secondo

il numero

generalmente

da

un

de gli occhi,

fuoco,

da

un

mossa

lume,

ed illuminata

da un

sole:

cossi

la potenza intellettiva è moltiplicata secondo il numero de suggetti partecipi d'anima, alli quali tutti sopra splende un sole intellettuale. Cossf dunque sopra tutti gli animali è un senso agente, cioè quello che fa sentir tutti, e per cui tutti

son

sensitivi

in atto;

ed

uno

intelletto

agente,

cioè

quello che fa intender tutti, e per cui tutti sono intellettivi in atto; ed appresso son tanti sensi e tanti particolari = intelletti passivi o possibili, quanti son suggetti: e sono secondo tanti specifici e numerali gradi di complessioni, quante sono le specifice 3 e numerali figure e complessioni di corpo.

Sebasto. Dite quel che vi piace, ed intendetela come volete; ché io negli animali non voglio usar di chiamar quello instinto raggionevole intelletto. Onorio. Or se non lo puoi chiamar senso, bisogna che ne gli animali,

oltre la potenza

sensitiva

ed intellettiva,

fingi

qualch'altra potenza cognoscitiva. Sebasto. Dirò ch'è un'efficacia de sensi interiori. Onorio. Tal efficacia possiamo4 ancor dire che sia lo intelletto 1 B:

umano; sopra

onde

splende;

* G!: particulari.

3 BL: specifice; WGI: 4 (G! = L: possiamo; (B.

[60-1])

(W.

II,

279)

naturalmente WLG!:

discorre

l’uomo,

ed

è

soprasplende.

specifiche. G?; possiam) (L.

588)

(G.

889

II,

256-7)

(G.2

II,

277-8).

C:1BALA

DEL

CAVALLO

PEGASEO

in nostra libertà di nominar come ci piace e limitar le diffinizioni e nomi a nostra posta, come fe’ Averroe. Ed anco è in mia libertà de dire che il vostro intendere non è intendere, e qualunque cosa che facciate, pensare che non sia per intelletto, ma per instinto; poiché l’operazioni! de altri animali più degne che le vostre (come quelle dell’api e de le formiche) non hanno nome d' intelletto ma d' instinto. O pur dirò che l’instinto di quelle bestiole è più degno che l’ intelletto vostro. Sebasto. Lasciamo per ora de discorrere più ampiamente circa questo, e torniamo a noi. Vuoi dunque che come d'una medesima cera o altra materia si formano diverse

e contrarie

figure,

cossi

di medesima

porale si fanno tutti gli corpi, spirituale sono tutti gli spiriti? Onorio.

Cossi certo;

materia

e di medesima

e giongi

a questo

cor-

sustanza

che per diverse

raggioni, abitudini, ordini, misure e numeri di corpo e spirito sono diversi temperamenti, complessioni, si producono diversi organi ed appaiono diversi geni de cose. Sebasto. Mi par che non è molto lontano, né abborrisce

da questo parere quel profetico dogma, quando dice il tutto essere in mano dell’universale efficiente, come la medesima luta ? in mano del medesimo figolo 3, che con la ruota di questa vertigine de gli astri viene ad esser fatto e disfatto secondo le vicissitudini della generazione e corrozione

delle

cose,

or

vase

di medesima pezza. Onorio. Cossî hanno 1 Gl; l'operazion.

? Cfr.

3 Vedi (B.. [61-2))

sopra,

p.

(\W.

835,

p.

604,

inteso

e ivi,

e ivi, n.

II, 279-80)

onorato,

2.

n.

or

vase

e dechiarato

contumelioso

molti

de più

2.

(L. 588-0)

890

(G.!

II, 257)

(G.2

II, 278-0).

-

DIALOGO

SECONDO

savii tra gli rabini. Cossi par ch' intendesse colui che disse: uomini e giumenti salverai secondo che

moltiplicarai

la

misericordia;

cossf

si fa chiaro nella metamorfose di Nabuchodonosor !. Quindi dubitorno alcuni Saduchimi

non

già per medesimo

corpo,

un altro corpo. In cotal prometteno l’execuzione affetti ed atti ch’ hanno Sebasto. Di grazia, perché

pur

troppo

mi

del Battista, se lui fusse Elia =,

ma

per medesimo

spirito in

modo di resuscitazione alcuni si della giustizia divina secondo gli exercitati in un altro corpo. non raggioniamo più di questo,

comincia

a piacere

e parermi

più

che verisimile la vostra opinione; ed io voglio mantenermi in quella fede nella quale son stato instrutto da miei progenitori e maestri 3. E però parliate de successi istorici, o favoleschi,

o metaforici,

e lasciate star le demostrazioni

ed autoritadi, le quali credo che sono piti tosto storciute da voi che da gli altri. Onorio.

Hai

buona

raggione,

fratel mio.

Oltre che con-

viene ch'io torne a compire quel ch’avevo cominciato a dirti, se non dubiti che con ciò medesimamente non ti vegna a sobvertere intemerata. Sebasto.

Non

l'ingegno

nona,

e perturbar

certo,

questo

la

ascolto

conscienza più

volen-

tieras che mai posso aver ascoltata favola alcuna. Onorio. Se dunque non m'ascolti sotto specie di dottrina e disciplina, ascoltami per spasso. I Salmi, XXXV, 7-83. Per Nabuchodonosor in DANIELE, è Matteo, Evaug., XI, 14; Luca, Evang., I, 17. 3 Cfr. sopra la n. 1 a p. 559.

4 BL:

5 Vedi,

Non

nel

non; De

WG!:

No,

l'infinito,

p.

no.

55,

E.cosi

e ivi,

anche n.

1.

più

IV,

30.

giù.

(B. [62-3]) (W. II, 290) (L. 589) (G.* II, 257-8) (G II, 279). 891

CABALA

DEL

CAVALLO

PEGASLO

Seconda parte del dialogo. Sebasto. gnono ?

Ma

non

vedete

Saulino

e Coribante

che

ve-

Onorio. È ora che doveano esser venuti. Meglio il tardi che

mai,

Saulino.

Coribante. Si tardus adventus, citior expeditio. Sebasto. Col vostro tardare avete persi de bei propositi,

quali desidero che siano replicati da Onorio. Onorio.

Non,

di grazia,

perché

mi

rincrescerebbe;

ma

seguitiamo il nostro proposito, perché quanto a quello che sarà bisogno de riportar oltre, ne raggionarremo privatamente con essi a meglior comodità, perché ora non vorrei interrompere il filo del mio riporto. Saulino.

Sf, si; cossi

sia. Andate

pur

seguitando.

Onorio. Or essendo io, come ho già detto, nella region celeste in titolo di cavallo Pegaseo, mi è avvenuto per ordine del fato, che per la conversione alle cose inferiori (causa di certo affetto, ch'io indi venevo

molto

bene

vien

descritta

dal

ad acquistare,

platonico

la qual!

Plotino),

come

inebriato di nettare, venea ? bandito ad esser or un filosofo,

or un poeta, or un pedante, lasciando la mia imagine in cielo; alla cui sedia a tempi a tempi delle trasmigrazioni ritornavo, riportandovi la memoria delle specie le quali nell’abitazion corporale avevo acquistate; e quelle medesime, ‘come in una biblioteca,

lasciavo là quando

accadeva

ch’ io dovesse ritornar a qualch’altra terrestre abitazione.

(B.

1 Enneade,

® BL:

IV,

lib.

8.

venea;

WG®:;

(63-4))

(W.

II, 280-1)

venia. (L. 589-90)

892

(G.!

II, 258-9)

(G.? II, 280).

DIALOGO

SECONDO

Delle quali specie memorabili le ultime son quelle ch’ ho cominciate a imbibire a tempo della vita de Filippo macedone, dopo che fui ingenerato dal seme de Nicomaco,

come

si crede. Qua, appresso esser stato discepolo d'Aristarco, Platone ed altri, fui promosso col favor di mio padre, ch'era consegliero di Filippo, ad esser pedante d’Alexandro Magno: sotto il quale,

benché

erudito

molto

bene

nelle umanistiche

scienze, nelle quali ero più illustre che tutti li miei predecessori,

come

entrai

in

presunzione

d'esser

è ordinario nelli pedanti

presuntuosi;

morto

maniere

dispersi,

politico,

d’esser sempre

naturale,

temerarii

e

e con ciò, per esser estinta la cognizione della

filosofia,

facilmente

filosofo

Socrate,

bandito

rimasi

io

possevi 1 aver

logico,

ma

Platone,

solo

lusco

riputazion

ancora

de

ed altri

intra

non

filosofo.

gli

in altre ciechi;

e

sol di retorico,

Cossi

malamente

e

scioccamente riportando le opinioni de gli antiqui, e de maniera tal sconcia, che né manco gli fanciulli e le insensate vecchie parlarebono ed intenderebono come io introduco quelli galant’uomini intendere e parlare 2, mi venni ad intrudere come riformator di quella disciplina della quale io non avevo notizia alcuna. Mi dissi principe de’ peripatetici: insegnai in Atene nel sottoportico Liceo: dove, secondo il lume, e per dir il vero, secondo

le tenebre

che regnavano in me, intesi ed .insegnai perversamente circa la natura de li principii e sustanza delle cose, delirai più che l'istessa delirazione circa l'essenza de l’anima, nulla

moto

possevi

e de l'universo;

I Come

? Cir.

(B.

comprendere

[64-5])

pi

De

(W.

la

giù,

II, 281)

dritto

circa la natura

ed in conclusione

e vale:

Causa,

per

p.

potei.

325

e

son

Vedi

sopra,

(G

II, 259-60)

ivi

(L. 590-1)

893

n.

2.

p.

del

fatto quello

837,

e ivi,

n.

1.

(G.= II, 280-1).

CABALA

DEL

CAVALLO

PEGASEO

per cui la scienza naturale e divina è stinta ! nel bassissimo della ruota, come in tempo de gli Caldei e Pitagorici è stata in exaltazione. Sebasto. Ma pur ti veggiamo esser stato tanto tempo in admirazion del mondo; e tra l’altre maraviglie è trovato un certo Arabo ch’ ha detto la natura nella tua produzione aver fatto l'ultimo sforzo, per manifestar quanto pit terso, puro, alto e verace ingegno potesse stampare *; e generalmente sei detto demonio della natura. Onorio. Non sarebbono gli ignoranti, se non fusse la fede; e se non la fusse, non sarebbono

le vicissitudini

delle

1 (L’Amerio osserva: «se non è guasto per ‘ spinta *, varrebbe: distinta, segnata ». Ma non è guasto, e vale «estinta ».} 2 Nel Parere del sig. LIONARDO DI CAPOA, divisato in otto ragio-

namenti

ne’

quali

partitamente

narvrandosi

Vano

immaginator

d'ombre

l'origine

e

"I progresso

della medicina, chiaramente l'incertezza della medesima si fa manifesta (In Cologna, MDCCXIV, vol. IT, p. 181) è pur detto: «Quindi appare, quanto grande stata si sia la tracotanza di quel miscredente arabo

d’Averroè,

io

dico,

il quale,

privo

e di fole,

affatto

d' intendimento,

ardi

a

dire esser Aristotile la forma e l’idea a noi proposta dalla natura per maraviglia di tutti i secoli, e per additarne l’ultimo sforzo e l’intero compimento d'ogni umana perfezione; e che egli venne a noi conceduto dall’eterna providenza per nostro aiuto; nelle cui opere non s’ è potuto per lo travalicamento di quindici secoli error

alcuno

ritrovare;

e in fine ch'a miracolo

Natura anzi

tanto

stotile

solo

s'avanzò

voler

il fece,

oltre

dare

la

intéra

e poi ruppe follia

la stampa;

d'Averroè

credenza

infra

che

tutti

disse,



gli altri

ad

Ari-

uomini

del mondo, E né meno eccettuonne il santissimo profeta Moisè: qualor disse aver Moisè dette molte cose, ma niuna provata; al che

aggiugner volle, per tacer d'altro, quell'altra bestemmia, che coloro i quali affermano Iddio ritrovarsi per tutto, sian fanciulli, e che

distruggano e mandino a terra l'ordine tutto delle cagioni naturali ».

Sull'ammirazione

del

filosofo

arabo

per

Aristotele,

n. 2, e vedi ReNAN, Averroòs et l'averroisme?, pp. zioni del B. con lui, Tocco, Le fonti, pp. 27-9.

(B.

[65-6])

(W.

TI,

281)

(L.

591)

894

(G.t

II,

260-1)

54-6;

(G.2

cfr.

per

II,

p.

446,

le rela-

28r-2).

DIALOGO

SECONDO

scienze e virtudi, bestialitadi ed inerzie ed altre succedenze de contrarie impressioni, come

del fervor Sebasto. de l’anima ho letti e

son de la notte ed il giorno,

de l’estade e rigor de l’ inverno. Or per venire a quel ch'appartiene alla notizia (mettendo per ora gli altri propositi da canto), considerati que’ tuoi tre libri! nelli quali parli

più balbamente,

che possi mai da altro balbo essere inteso;

come ben ti puoi accorgere di tanti diversi pareri ed estravaganti intenzioni e questionarii, massime circa il dislacciar e disimbrogliar quel che ti vogli dire in que’ confusi e leggieri propositi, gli quali se pur ascondono qualche cosa, non può esser altro che pedantesca o peripatetica levitade. Onorio.

Non

è maraviglia,

fratello;

atteso

che

non

può

in conto alcuno essere, che essi loro possano apprendere il mio intelletto circa quelle cose nelle quali io non ebbi intelletto:

o che

vagliano

trovar

construtto

o argumento

circa quel ch'io vi voglia dire, se io medesimo non sapevo quel che mi volesse dire. Qual differenza credete voi essere tra costoro e quei che cercano le corna del gatto e gambe de

l’anguilla? Nulla

certo. Della

qual

cosa

precavendo*

ch'altri non s'accorgesse, ed io con ciò venesse ad perdere la riputazion di protosofosso, volsi far de maniera, che chiunque mi studiasse nella natural filosofia3 (nella qual fui e mi sentivi4 a fatto ignorantissimo), per inconveniente o confusion che vi scorgesse, se non avea qualche lume

d' ingegno,

dovesse

pensare

e credere ciò non

essere

1 I tre libri De anima, nell’ interpretazione dei quali maggiori sono state le difficoltà e le divergenze tra i commentatori di Aristotile,

® Dal lat. praecaveo, es: star in guardia, usar cautela, prevenire. 3 Cioè,

4 Sentii.

(B.

[66-7])

sugli otto V.

(W.

sopra,

II,

libri De p.

281-2)

893,

(L.

pAysica

auscultatione.

e ivi,

n.

591)

(G.1

895

1.

II,

261)

(G.*

IT,

282-3).

CABALA

DEL

CAVALLO

PEGASEO

la mia intenzion profonda, ma più tosto quel tanto che lui, secondo la sua capacità, posseva da gli miei sensi superficialmente comprendere. Là onde feci che venesse publicata

quella

Lettera

ad

Alexandro!,

dove

protestavo gli libri fisicali esser messi in luce, come non messi in luce. Sebasto. E per tanto voi mi parete aver isgravata la vostra

conscienza;

ed

hanno

torto

questi

tanti

asinoni

a

disporsi di lamentarsi di voi nel giorno del giudicio, come di quel che l’ hai ingannati e sedutti, e con sofistici apparati divertiti dal camino di qualche veritade che per altri principii e metodi. arrebono possuta racquistarsi. Tu l’ hai pure insegnato quel tanto ch'a diritto doveano pensare: che se tu hai publicato, come non publicato, essi, dopo averti avevi

letto,

denno

pensare

cossf scritto, come

di

non

non

averti

letto,

avessi scritto:

come

talmente

tu quei

cotali ch' insegnano la tua dottrina, non altrimente denno essere ascoltati che un che parla come non parlasse. E finalmente



a voi

deve

più

essere

atteso,

che

come

ad

un

che raggiona e getta sentenza di quel che mai intese. Onorio. Cossi è certo, per dirti ingenuamente come l’ intendo al presente. Perché nessuno deve essere inteso più ch'egli medesimo mostra di volersi far intendere; e non doviamo andar perseguitando con l'intelletto color che fuggono il nostro intelletto, con quel dir che parlano certi per enigma o per metafora, altri perché vuolen che non l’intendano gl’ignoranti, altri perché la moltitudine non le spreggie, altri perché le margarite non sieno calpe! Vedila in ARISTOTELE,

XX, 5).

Fragmenta,

ed. Rose, n. 612 (ap. GELLIO,

{B. [67-8]) (W. LI, 282-3) (L. 591-2) (G.1 II, 261-2) (G.? II, 283-4). 896

DIALOGO

porci;

siamo

SECONDO

strate

da

dovenuti

a tale

fauno,

malenconico 2, embreaco 3 ed

ch’ogni

infetto

satiro,

d’atra

bile,

in

contar sogni e dir de pappolate senza construzione e senso

alcuno, ne vogliono render suspetti ed profezia grande, de recondito misterio, de alti secreti ed arcani divini da risusci-

tar morti, da pietre filosofali ed altre poltronarie da donar volta a quei ch' han poco cervello, a farli dovenir al tutto pazzi con giocarsi il tempo, l'intelletto, la fama e la robbas,

e spendere sf misera- ed ignobilmente il corso di sua vita. Sebasto.

La

intese

bene

un

certo

mio

amico;

il quale,

avendo non so se un certo libro de profeta enigmatico o d’altro, dopo avervisi su lambiccato alquanto dell’umor del capo, con una grazia e bella leggiadria andò a gittarlo nel

cesso,

dicendogli!

esser



inteso;

dere ;sbdîs

io

Fratello,

— e soggionse

non

ti

ch’andasse

tu

non

voglio

vois inten-

con cento diavoli,

e lo lasciasse star con fatti suoi in pace. Onorio. E quel ch' è degno di compassione e riso, è che su questi editi libelli e trattati pecoreschi vedi dovenir attonito

Salvio 6, Ortensio

impallidito zito

Cammaroto,

Gregorio 7,

melanconico,

invecchiato

abstratto

smagrito

Serafino,

Ambruogio,

Reginaldo,

gonfio

impaz-

Bonifacio 8;

1 Cfr. Diall. Met., pp. 36 (ivi, n. 3) e 135; Diall. Mor., p. 634, n. 2.

® Più

lancolico.

giù:

melanconico;

a pp.

1020

e

1057:

malencolico,

ma-

3 È il napoletanismo incontrato già nello Spaccio, p. 790, e ivi, n. 3.

4 Vedi, per una forma somigliante, Card.?, p. 31, n. 5 BL: voi; IVG!: vuoi. Ma B. accanto a vuoi usa voi, è notato nel Cand.?, p. LV.

2. come

si

5 6is (« Bruno cita il motto attribuito a san Gerolamo o sant'Ambrogio....: Sî mon vis intelligi, non debes legi» (Amerio).) 6 BWLG!: Silvio; ma cfr. Spamp., Vita, p. 248, n. 1. 7 BWLG!: Giorgio: 8 Tutti domenicani

(B.

[68-9))

(W.

IT,

ma cir. Vita, p. c., n. 2. regnicoli, vecchie conoscenze

283)

(L. 502)

897

(G.'

II,

262-3)

(G.2

del

II,

B.,

del

284).

CABALA

DEL

CAVALLO

ed il molto reverendo Don finita

e

nobil

PEGASEO

Cocchiarone :,

maraviglia?,

della sua sala, dove,

rimosso

pien

d’in-

sen va per il largo

dal rude ed ignobil volgo,

se

la spasseggia; e rimenando or quinci, or quindi de la litteraria sua toga le fimbrie, rimenando or questo, or quell'altro piede, rigettando or vers'il destro, or vers' il sinistro fianco il petto,

con il texto

commento

sotto l’ascella,

e con gesto di voler buttar quel pulce, ch' ha tra le due prime

dita, in terra, con la rugata fronte cogitabondo,

erte ciglia ed occhi arrotondati, in gesto d’un uomo

con

forte-

convento di S. Domenico di Napoli. Lo SPAMP. (Postille, pp. 465-6, e Vita, pp. 248-50) li ha potuti identificare: fra Ambrogio Salvio da Bagnoli, dottore in teologia, provinciale dal 1559 al 61, eletto da Pio V vescovo di Nardò e suo predicatore particolare; frate Giambattista Ortensio da Campagna, predicatore di grido; fra Serafino Maio da Napoli, lettore di teologia, e due volte reggente dello

Studio

logo,

metafisico,

1589),

tenuto

Ambrogio com'egli

di

S.

Domenico;

a’ suoi

Pasqua

stesso

tempi

reggente

(m.

ricordò

nel a

frate

per

uno

1594),

da

dello

Antonino

dei

Studio,

Venezia,

cui

e poi

da

luminari

Camerota

visitatore;

il Bruno

ammesso

(m.

dell'ordine, fu

il

p.

nel

teo-

maestro

vestito,

allo

Studio

for-

male di Napoli a preferenza di qualsiasi altro (SPAMP., Vita, pp. 697 e 174); fra Gregorio da Bagnoli, provinciale; fra Reginaldo Accetto (m. nel 1590) da Massalubrense, teologo e grammatico. 1 Cfr. Spaccio, p. 796: «La Libertà di spirito a cui talvolta amministra il Monachismo (non dico quello de cocchiaroni)». Il LacaRDE (p. 788) immagina che Don Cocchiarone debba essere il nomignolo scherzoso del priore del convento, in cui una volta visse il B.; ma oppone lo SPaMP. (Vifa, p. 250) che « don Cocchia-

rone, perché ha il titolo di ‘ molto reverendo ', può essere il soprannome soltanto d'un provinciale, forse di fra Domenico Vita; non

mai

quello

rone

d'un

priore ». Pel significato di scherno

si possono

rileggere i versi di Manfurio,

di

Cocchia-

del Cand.2,

p. 87:

Asello auriculato, indocto al tutto, In nullo ludo litterario înstructo; Di fave cocchiaron, gran maccarone

Cha

2 È

Fama.

un

verso

l'oglio fusti posto

del Petrarca, -

a infusione.

il I del cap.

II del

Trionfo

della

(B. [69]) (W. II, 283) (L. 592-3) (G.1! II, 263) (G.2 II, 284-5). 898

DIALOGO

SECONDO

mente! maravigliato, conchiudendola con un grave cd emfatico suspiro, farà pervenir a l’orecchio de circonstanti questa sentenza: Huc usque alti philosophi non pervenerunt. Se si trova in proposito di lezion di qualche libro composto da qualche energumeno o inspiritato, dove non è espresso e donde non si può premere più sentimento che possa ritrovarsi in un spirito cavallino, allora per mostrar d'aver dato sul chiodo, exclamarà: — 0 magnum mysterium!



Se

per avventura

l’onor

e facultà

si trovasse

un

libro

de



Sebasto. Non più, di grazia, di questi propositi delli quali siamo pur troppo informati; e torniamo al nostro proposito. Coribante. Ita ita, sodes. Fatene intendere con qual ordine e maniera avete repigliata la memoria la qual perdeste nel supposito peripatetico ed altre ipostatiche sussistenze. Onorio. Credo aver detto a Sebasto, che quante volte io migravo dal corpo, prima che m' investisse d'un altro, ritornavo a quel mio vestigio dell’asinina idea (che per de

l’ali

non

ha

piaciuto= ad

alcuni,

che

tegnono tal animale in opprobrio, di chiamarlo asino, ma cavallo Pegaseo): e da là, dopo avervi descritti gli atti e le fortune ch'avevo passate, sempre fui destinato a ritornar 3 più tosto uomo che altra cosa, per privilegio che mi guadagnai per aver avuto astuzia e continenza quella volta con non mandar giù per il gorgazuolo 4 de l’umor de l’onde 1 BIW: fortemente; LG!: fortamente. * T°. dialettale, già si è detto nel Cand.?,

3 BW: sempre tenendomi a ritornar. per essere il luogo guasto. 4 Cfr. Spaccio, p. 752, e ivi, n. 1. (B.

{69-70])

(W.

II, 283-4)

(L. 593)

899

(G.!

La

p. 52, e ivi, n. 3.

correzione

II, 263-4)

è necessaria

(G.? II, 285-6).

CABALA

DEL

CAVALLO

PEGASEO

letee. Oltre, per la giurisdizione di quella piazza celeste, è avvenuto ! che, partendo io da corpi, mai oltre ho preso il camino verso il plutonio regno per riveder gli campi Elisii, ma vér l'illustre ed augusto imperio di Giove. Coribante. Alla stanza dell’aligero quadrupede. Onorio. Sin tanto che a questi tempi, piacendo al senato de gli dei, m'ha convenuto? de transmigrar con l’altre bestie a basso, lasciando solamente l’ impression de mia virtude in alto; onde, per grazia e degno favor de gli dei, ne

vegno

ornato

solamente

la

e cinto

memoria

de mia delle

biblioteca,

specie

portando

opinabili,

non

sofistiche,

apparenti, probabili e demostrative 3, ma, ed oltre, il giudicio

distintivo

di quelle

che

son

vere,

da

l'altre

che

son

false. Ed oltre de quelle cose che in diversamente complessionati diversi corpi per varie sorti de discipline ho concepute, ritegno ancora l'abito, e de molte altre4 veritadi alle quali, senza ministerio de sensi, con puro occhio intel-

lettuale vien tumque

mi

aperto il camino; trove

sotto

e non mi fuggono,

questa

pelle

e

pareti

quan-

rinchiuso,

onde per le porte de' sensi, come per certi strettissimi buchi, ordinariamente possiamo contemplar qualche specie di enti: si come altrimente ne vien lecito di veder chiaro ed

aperto

l’orizonte

tutto

de

le forme

naturali,

ritrovan-

doci fuor de la priggione. Sebasto. Tanto che restate di tutto sf fattamente informato, che ottenete pi che l’abito di tante filosofie, di tanti

onde

1 BW:

l'onde letee, oltre la giurisdizione di quella piazza celeste;

è auvenuto.... 2 Napoletanismo, simile a quello avvertito sopra, in p. 899, n. 2. 3 BW: demostrative; LG!: demonstrative.

4 (L’Amerio .(B.

[70-1])

(W.

fraintende

II,

284)

e muta:

(L. 593-4)

900

l'abito

(G.!

II,

de molte)

264-5)

(G.2

II,

286-7).

DIALOGO

SECONDO

suppositi filosofici, ch'avete presentati al mondo, ottenendo oltre il giudicio superiore a quelle tenebre e quella luce sotto le quali avete vegetato, sentito, inteso, o in atto o in potenza,

abitando

or nelle terrene,

or nell’ inferne,

or

nelle stanze celesti. Onorio. Vero: e da tal retentiva vegno a posser considerar, e conoscer meglio che come in specchio, quel tanto ch' è vero dell'essenza e sustanza de l'anima. Terza parte del dialogo. Sebasto. Soprasediamo circa questo per ora, e venemo a sentir il vostro parere circa la questione qual ieri fu mossa tra me e Saulino qua presente; il quale referisce l'opinion d’alcune sette le quali vogliono non esser scienza alcuna appo noi. Saulino. Feci a certa bastanza aperto, che sotto l’eminenza de la verità non abbiam noi cosa più eminente che l'ignoranza ed asinitade: perciò che questa è il mezzo per cui la sofia si congionge e si domestica con essa; e non

è altra virtude che sia capace ad aver la stanza gionta muro a muro con quella. Atteso che l'umano intelletto ha qualch’accesso a la verità; il quale accesso se non è per la scienza e cognizione, necessariamente bisogna che sia per l'ignoranza ed asinità. Coribante. Nego sequelam. Saulino. La consequenza è manifesta da quel che nell’ intelletto razionale non è mezzo tra l' ignoranza e scienza; perché bisogna che vi sia l'una de due, essendo doi oppositi circa tal suggetto, come privazione ed abito. Coribante. Quid de assumptione, sive antecedente? (B.

[71-3])

(W.

II,

284-5)

(L.

594)

g90I

(G.!

II,

265-6)

(G.2

II,

287).

CABALA

DEL

Quella,

come

Saulino.

C.IVALLO

dissi,

PEG.SEO

è messa

avanti

da

tanti

famosissimi filosofi e teologi. Coribante.

Debilissimo

è l’argumento

ab humana

autho-

ritate. Saulino. Cotali asserzioni non son senza demostrativi discorsi. Sebasto. Dunque, se tal opinione è ‘vera, è vera per demostrazione;

la

demostrazione

è un

sillogismo

scienti-

fico; dunque, secondo quei medesimi che negano la scienza ed apprension

di verità, viene ad esser posta l’apprension

di verità .e discorso scienziale; e consequentemente sono dal suo medesimo senso e paroli redarguiti. Giongo a questo che se non si sa verità alcuna, essi medesimi non sanno quel che dicono, e non possono esser certi se parlano 0 ragghiano,

se son omini

o asini.

Saulino. La risoluzion di questo la potrete attendere da quel che 'vi farò udire appresso; perché prima fia mistiero intendere la cosa, e poi il modo e maniera di quella.

Coribante.

Bene.

Modus

enim

rei

rem

praesupponat

oportet.

Sebasto. Or fatene intendere le cose con quell’ordine che vi piace. Saulino. Farò. Son trovati tra le sette de filosofi alcuni nomati generalmente academici, e più propriamente sceptici o ver efettici, li quali dubitavano determinar di cosa veruna;

bandito!

ogni

enunciazione,

non

mare o negare, ma si faceano chiamare stigatori e scrutatori de le cose. qui

1 B:

non

bandito;

adopera

cfr. Spaccio, (B.

[73-4])

IVLG!:

che

p. 763,

(W.

IT,

bandiro.

imperfetti.

n. I. 285)

(L.

Correzione

Intorno

504-5)

902

(G.1

osavano

affir-

inquisitori,

inve-

non

necessaria.

Il DB.

poi

alla sgrammaticatura

II,

266)

(G.?

II,

287-8).

DIALOGO

Sebasto.

Perché

queste

SECONDO

vane

bestie

inquirevano,

inve-

stigavano e scrutavano senza speranza di ritrovar cosa alcuna ? Or questi son de! quei che s’affaticano senza proposito. Coribante. Per far buggiarda ? quella vulgata sentenza:

Omne

agens est propter finem. Ma edepol, mehercle, io mi

persuado che come Onorio ha dependenza da l' influsso de l'asino

Pegaseo,

filosofi sieno

o pur è il Pegaseo

istesso,

stati le Belide3 istesse,

talmente

cotai

se almeno. quelle non

gl' influivano nel capo. Saulino. Lasciatemi compire. Or costoro non porgean fede a quel che vedeano, né a quel ch'udivano: perché

stimavano

la verità

cosa

confusa

ed incomprensibile,

e

posta nella natura e composizione d'ogni varietà, diversità e contrarietà;

ogni

cosa

essere

una

mistura,

di sé, niente esser di propria natura e virtude,

nulla

costar

e gli oggetti

presentarsi alle potenze apprensive non in quella maniera con cui sono in se medesimi,

ma secondo la relazione ch'ac-

quistano per le lor specie, che in certo modo partendosi da questa e quella materia vegnono a giuntarsi e crear nuove forme ne gli nostri sensi. Sebasto. Oh in verità costoro con non troppa fatica in pochissimo tempo possono esser filosofi e mostrarsi più savii de gli altri. Saulino. A questi succesero4 gli pirroni 5, molto più 1 BL:

2 B:

de;

WG!:

buggiardo;

3 Belide,

di.

WG1:

le Danaidi,

bugiarda; al cui

ragona la filosofia di questi scettici, gavano e scrutavano senza speranza

L:

lavoro

buggiarda. inane

ed

eterno

B.

pa-

i quali «inquirevano, investidi ritrovar cosa alcuna ».

4 BW: succesero; LG!: successero. Ma vedi sopra, p. 614, n. 1. 5 Lo stesso che pirronici o pirronisti, seguaci di Pirrone.

(B. (74-5)) (W. II, 285-6) (L. 595) (G.! II, 266-7) (G2 II, 288-0). 903

CABALA

DEL

CAVALLO

PEGASEO

scarsi in donar fede al proprio senso ed intelletto, che gli efettici; perché, dove quelli altri credeno aver compresa qualche cosa ed esser fatti partecipi di qualche giudicio per aver informazion di questa verità, cioè che cosa alcuna non può esser compresa né determinata, questi anco di cotal giudicio se stimàro privi, dicendo che né men possono esser certi di questo, cioè che cosa alcuna non si possa

determinare. Sebasto. Guardate l’ industria di quest'altra Academia, ch’avendo visto il modello de l’ ingegno e notato l’ industria di quella che con facilità ed atto di poltronaria volea dar de

calci,

per

versar

a

terra

l'altre

filosofie,

essa

armata

di maggior pecoraggine, con giongere un poco più di sale della sua insipidezza, vuol donar la spinta ed a quelle tutte ed

a cotesta

insieme,

con

farsi

tanto

più

savia

de

tutte

generalmente, quanto con manco spesa e lambiccamento di cervello in essa s’ intogano! ed addottorano. Via via, andiam

più oltre.

Or

che

debbo

far io, essendo

ambizioso

di formar nuova setta, e parer piu savio de tutti, e di co-

storo ancora che sono oltre gli tutti ? Farò qua un terzo tabernaculo, piantarò un’Academia più dotta, con stringermi alquanto la cintura. Ma vorrò forse tanto raffrenar la voce con gli efettici, e stringere il fiato con gli pirroni, che per me poi non exali spirito e crepi? Saulino. Che volete dir per questo? Sebasto. Questi poltroni per scampar la fatica di dar raggioni.delle cose, e per non accusar la loro inerzia, ed invidia

(B.

ch’ hanno

all’ industria

1 BW:

s' intogano;

[75-6])

(W.

II,

286)

L GI:

altrui,

volendo

parer

me-

s' integnano.

(L. 595-6)

904

(G.!

IT, 267-8)

(G.? IT, 2809-90).

DIALOGO

SECONDO

gliori, e non bastandoli d'occultar la propria viltade, non possendoli passar avanti né correre al pari né aver modo di far qualche cosa del suo, per non pregiudicar alla lor vana presunzione confessando l’imbecillità del proprio ingegno, grossezza di senso e privazion d' intelletto, e per far parer gli altri senza lume di giudicio della propria cecitade,

donano

rapresentano,

la colpa

e

non

alla

natura,

alle cose

principalmente

alla

che

mala

mal

si

appren-

sione de gli dogmatici; perché con questo modo di procedere sarrebono stati costretti di porre in campo al paragone la lor buona apprensione, la quale avesse parturito meglior fede, dopo aver generato meglior concetto ne gli

animi de quel che si delettano delle contemplazioni de cose

naturali.

Or

dunque

intelletto, e manco

essi,

volendo

con

minor

fatica

ed

rischio de perdere il credito, parer pit

savii che gli altri, dissero,

gli efettici, che nulla si può

de-

terminare, perché nulla si conosce: onde quelli che stimano d' intendere e parlano assertivamente, delirano più in grosso che quei che non intendeno e non parlano. Gli secondi poi, detti pirroni, per parer essi archisapienti, dissero che né tampoco questo si può intendere (il che si credeano intendere gli efettici): che cosa alcuna non possa esser determinata o conosciuta. Sf che dove gli efettici intesero che gli altri, che

pensavano

ora gli pirroni intesero se

gli

altri,

che

si

d’ intendere, non intendevano,

che gli efettici

pensavano

non

intendevano,

d'intendere,

intendessero

o non. Or quel che ne resta per giongere di vantaggio alla sapienza di costoro, è che noi sappiamo che gli pirroni non sapevano, che gli efettici non sapevano, che gli dogmatici,

che

pensavano

aggevolezza,

sempre

di sapere,

non

sapevano;

e cossì,

con

più e più vegna a prendere aumento

(B. [76-7]) (W. II, 286-7) (L. 596-7) (G.I II, 268-9) (G.? II, 290).

905

CABALA

questa

nobil

DEL

scala

de

CAVALLO

filosofie,

PEGASEO

sin

tanto

che

demostrati-

vamente si conchiuda l’ultimo grado della somma filosofia ed ottima contemplazione essere di quei che non solamente non affermano né niegano di sapere o ignorare, ma né manco

possono affirmare né negare; di! sorte che gli asini sono li più divini animali, e l'asinitade sua sorella è la compagna e secretaria della veritade. Saulino. Se questo che dici improperativamente ed in colera,

lo dicessi da

buon

senno

ed

assertivamente,

direi

che la vostra deduzione è eccellentissima ed egregiamente divina; e che sei pervenuto a quel scopo, al quale gli tanti dogmatici

e tanti?

academici

nerti3 di gran lunga a dietro Sebasto. Vi priego (poi che che mi facciate intendere con mici niegano la possibilità di Saulino.

Questa

hanno

concorso,

con

rima-

tanti quanti sono. siamo venuti sin a questo) qual persuasione gli acadedetta apprensione.

vorrei che ne fusse riferita da Onorio,

percioché, per esser egli stato in ipostasi de sf molti e gran notomisti de le viscere de la natura, non è fuor di raggione

che tal volta si sia trovato academico. Onorio. Anzi io son stato quel Xenofane Colofonio, che disse in tutte e de tutte le cose non esser altro che opinione 4. Ma, lasciando ora que’ miei proprii pensieri da canto, dico,

circa il proposito,

esseres

raggion trita

! BL:

di;

IVGI: de.

3 Cioè

‘rimanendoti ’. E se, come

® B: al quale tanti gli dogmatici dogmaticì e tanti. desimo

soggetto

letterario e non 4 Vedi

della relativa,

dialettale,

il fr. 34

sokratiker3, p. SI. 5 BL: essere; WG!:

(B.

[77-8]))

(W.

II,

et tanti;

pare,

WLG!:

de’

pirro-

al quale

l'infinitiva

tanti

ha il me-

‘rimanere ’ ha il significato comune

è un verbo

[SextTUuSs,

quella

Adv.

neutro.

math.,

VII,

49)

in DieLs,

Vor-

esser,

287)

(L.

597)

906

(G.!

II,

269)

(G.t

II,

290-1).

DIALOGO

SECONDO

ni 1, li quali dicevano che per apprendere la verità bisogna la dottrina:

e per mettere

quel che insegna,

in effetto la dottrina,

quel ch'è insegnato

è per insegnarsi:

cioè il mastro,

è necessario

e la cosa la quale

il discepolo,

l’arte;

ma

di

queste tre non è cosa che si trove in effetto; dunque non è dottrina e non è apprension di veritade. Sebasto. Con qual raggione dicono prima, cosa de? cui fia dottrina o disciplina? Onorio.

Con

questa.

Quella

vera o falsa. Se è falsa, non

cosa,

dicono,

non

esser

o devrà

esser

può essere insegnata,

perché

del falso non può esser dottrina né disciplina: atteso che a quel che non è, non può accader cosa alcuna, e perciò non può accader anco d’essere insegnato. Se è vera, non può pure più che tanto essere insegnata: perché o è cosa la quale equalmente appare a tutti, e cossi di lei non può esser dottrina, e per consequenza non può esserne alcun dottore, come

né del bianco

vallo,

de l’arbore

che sia bianco,

che

sia arbore;

del cavallo o è cosa,

che sia ca-

che

altrimente

ed inequalmente ad altri ed altri appare, e cossi in sé non può aver altro che opinabilità, e sopra lei non si può formar altro ‘che opinione. Oltre, s'è vero quel che deve essere insegnato e notificato, bisogna che sia insegnato per qualche causa

o mezzo:

occolta

la qual causa

o conosciuta.

S'ella è occolta,

altro. Se Ja è conosciuta mezzo;

da

e

cossi,

oltre

e mezzo

è necessario

ed

oltre

o bisogna

non

può

che sia

notificar

che sia per causa 0

procedendo,

verremo

ad

1 L'esposizione che qui appresso ne sarà fatta dal B., è attinta

Sesto

EmMPIRICO,

Pirron.

® BL:

de;

di.

in qualche

punto

Hypot.,

letteralmente.

WG!:

(B. (78-9]) (W. II, 287-8)

III,

27-29;

Adv.

(L. 597-8) (G.t II, 269-70)

907

math.,

I,

4:

(G.? II, 201-2).

CABALA

DEL

CAVALLO

accorgerci che non si gionge ogni scienza è per causa. Oltre 1, dicono, sieno

corpi,

vegnono

essendo

altre

al principio

che

de

incorporali,

insegnate,

altre

PEGASEO

de scienza,

le cose

bisogna

che

sono,

altre

de

cose,

quai

che

appartegnano

se

a

l’uno,

altre

a

l’altro geno. Or il corpo non può esser insegnato, percioché non può esser sotto giudicio di senso né d°’ intelletto. Non certo a giudicio di senso: stante che, secondo tutte le dottrine

e sette,

il corpo

consta

de

più

dimensioni,

raggioni,

differenze e circonstanze; e non solamente non è un definito

accidente per esser cosa obiettabile a un senso particolare o al commune,

de proprietadi

ma

è una

composizione

ed individui

cossi piace,

ch' il corpo

ch’ il bianco

è bianco,

e congregazione

innumerabili.

E

sia cosa sensibile,

concesso,

se

non

per questo

Non

può

sarà cosa da dottrina o disciplina; perché non bisogna che vi si trove il discepolo ed il maestro per far sapere ed il caldo

è caldo.

essere

anco il corpo sotto il giudicio d' intelligenza, perché è assai conceduto appresso tutti dogmatici ed academici, che l'oggetto de l'intelletto non può esser altro che cosa incorporea. Da qua s' inferisce secondariamente che non può essere

perché,

chi

insegne;

come

né,

è veduto,

terzo,

questo

chi

possa

non

essere

insegnato;

ha che apprendere

o

concipere, e quello non ha che insegnare ed imprimere. Giongono un’altra raggione, Se avien che s’ insegne,

o uno senz’arte insegna un altro ? senz’arte: e questo non è possibile, perché non men l’uno che l’altro ha bisogno di essere insegnato; o uno artista insegna un altro artista: 1 Qui BL ripetono il nome dell’ interlocutore: 2 Qui, come appresso, ‘insegnare’ col quarto sconosciuto anche ai classici, fino al sec. XVI. (B.

{79-80])

(W.

II,

288)

(L.

598) (GI

908

II,

270-1)

On. caso; (G.2

uso II,

non

292-3).

DIALOGO

e ciò.verrebe ad essere una ha mestiero del mastro; o che sa: e questo verrebe ad guidare colui che vede, Se sibile, rimarrà

dunque

SECONDO

baia, perché né l'uno né l’altro quello che non sa insegna colui essere come se un cieco volesse nessuno di questi modi è pos-

che quel che sa, insegne

colui che

non sa: e ciò è più inconveniente che tutto quel che si può imaginare in ciascuno de gli altri tre modi de fingere; perché quello ch' è senz’arte, non può esser fatto artefice quando non ha l’arte, atteso che accaderia che potesse esser artefice

quando non è artefice. (Oltre che costui è simile ad un nato sordo e cieco, il qual mai può venire ad aver pensiero de voci e di colori. Lascio quel che si dice nel Mennone: con

l’essempio

del

servo

fugitivo,

il qual,

fatto

presente,

non può esser conosciuto che sia lui, se non era noto prima. Onde vogliono per ugual e medesima raggione non posser esser nova scienza o dottrina de specie conoscibili, ma una ricordanza). NÉ tampoco può esser fatto artefice, quando ha l’arte; perché allora non si può dir che si faccia o possa essere fatto artefice, ma che sia artefice, Sebasto. Che pare a voi, Onorio, di queste raggioni? Onorio. Dico che in examinar cotai discorsi non fia? mistiero

d’ intrattenerci.

Basta

che dico

esser buoni,

come

certe erbe son buone per certi gusti. Sebasto. Ma vorrei saper da Saulino

(che

tanto

magnificata

scienza

l’asinitate,

quanto

e speculazione,

non

dottrina

può

esser

e disciplina

magnifica alcuna)

la

se

1 Questo accenno cosi inesatto ai capp. XIV-XXI del Mewnone farebbe sospettare che il B. non avesse mai letto questo dialogo di Platone. Ma l'errore può anche spiegarsi col vago ricordo d’una lontana lettura. ® B:

(B.

[80-1])

fia,

(W.

WLGI:

sia.

II, 288-9)

(L. 598-0)

909

(G.®

II, 271-2)

(G.? II, 293-4).

CABALA

DEL

CAVALLO

PEGASEO

l’asinitade può aver luogo in altri che ne gli asini; come è dire,

se

alcuno

da quel che non

era asino,

possa doventar

asino per dottrina e disciplina. Perché bisogna che di questi quel che insegna o quel che é insegnato, o cossi l'uno come l’altro, o né l’uno né l’altro, siano asini. Dicono se sarà asino

quello

solo

che

insegna,

o quel solo ch'è insegnato, o né

quello né questo, o questo e quello insieme. Perché qua col medesimo

possa

ordine

inasinire.

prension

si può

Dunque

alcuna,

Onorio.

come

vedere

che

in

nessun

modo

dell'asinitade non può essere apmon

è

de

arti

Di questo ne raggionaremo

e

de

scienze.

a tavola dopo cena.

Andiamo dunque, ch'è ora. Coribante. Propere camus.

Saulino.

Sul

Fine

_

del

si

secondo

dialogo.

(B. [81)) (W. IL, 289) (L. 599) (G.! II, 272) (G.2 II, 294).

gio

DIALOGO: TERZO INTERLOCUTORI Saulino,

Alvaro.

Saulino. Ho pur gran pezzo spasseggiato aspettando, e m'accorgo esser passata l’ora del cominciamento de’ nostri colloquii, e costoro non son venuti. Oh, veggio il servitor di Sebasto. Alvaro. parte

del

Ben mio

trovato padrone,

Saulino! che

per

Vegno una

per

avisarvi

settimana

al

da

meno

non potrete convenir un’altra volta. A lui è morta la moglie,

e sta su l’apparecchi de l’execuzion del testamento, per esser libero di quest'altro pensiero ancora. Coribante è assalito da le podagre, ed Onorio è andato a’ bagni. A dio. Saulino. Va in pace. Or credo che passarà l'occasione de far molti altri raggionamenti sopra la cabala del detto cavallo, Perché qualmente veggio, l'ordine de l’universo ! vuole che, come questo cavallo divino nella celeste regione non si = mostra se non sin all'umbilico (dove quella stella che v' è terminante, è messa in lite e questione se appartiene alla testa d’Andromeda o pur al tronco di questo 1

(G!

2 BW:

(=

L):

de

si; LG!:

l'universo;

se,

G*:

dell'universo)

(B. [82-3]) (W. II, 289-90) (L. 599-Goo) (G.1 II, [273]) (G. II, [295]). QII

CABALA

egregio

bruto),

cavallo

descrittorio Cossi

DEL

cossi

CAVALLO

PEGASEO

analogicamente

non

Fortuna

possa venire va cangiando

accade

che

questo

a perfezione: stile I.

Ma non per ciò noi doviamo desperarci; perché, s’avverrà che questi tornino ad cominciar d’accoppiars’ insieme un'altra volta, le rinchiuderò tutti tre dentro del conclave, d’onde non possano uscire sin tanto ch’abbiano spacciata

la creazion d'una Cabala magna del cavallo Pegaseo. Interim, questi doi dialogi = vagliano per una Cabala parva, tironica,

isagogica,

microcosmica.

E

per non

passar

ocio-

samente il presente tempo che mi supera da spasseggiarmi in questo atrio, voglio leggere questo dialogo che tegno in mano 3.

Fine de

del la

terzo

Cabala

dialogo Pegasea.

1 PETRARCA, Trionfo della Morte, I, 135: Come Fortuna va cangiando stile|

È uno dei versi già nel Cinquecento diventati proverbiali. Cfr. sopra, P.- 570, n. 2. ? G1:

3 Cioè,

dialoghi.

l’Asino

cillenico.

(B. [83]) (W. II, 290) (L. 600) (G II, [273]-4) (G* II, [295)-6).

gI2

A

Oh

L'ASINO

beato

quel

CILLENICO.

ventr’e

le mammelle,

Che t’' ha portato e ’n terra Animalaccio divo, al mondo

Che

qua

fai residenza

Mai più preman E contr’ il mondo

e tra le stelle!

tuo dorso basti e selle, ingrato e ciel avaro

Ti faccia sort'e natura Con

si felice ingegno

Mostra

Come

la

Da

riparo

e buona

tua

buon

le nari quel giudicio

L’orecchie

Le

testa

lunghe

ti lattaro!, caro,

un

udito

pelle. naturale, ?

sodo,

regale,

dense labbra di gran gusto il modo, far invidia a' dei quel genitale;

Cervice

tal la constanza

ch’ io lodo.

Sol lodandoti

godo:

Ma, lasso, cercan tue condizioni Non un sonetto, ma mille sermoni.

1 Frasi bibliche: «Beatus venter, qui te portavit, et ubera quae suxisti »: dice una donna a Ges nell’ Evange/o di Luca, XI, 27. 2 (Gt = L: naturale,; G*: naturale) (B.

[84))

(W.

II,

290)

(L.

600-1)

(G.!

913

II,

(275])

(G?

II,

[297]).

L’ASINO

CILLENICO:

DEL

NOLANO

INTERLOCUTORI L'Asino, L’Asino.

Or

Micco

perché

Pitagorico,

derrò

io

Mercurio.

abusar

de

l’alto,

raro

e

pelegrino tuo dono, o folgorante Giove? Perché tanto talento, porgiutomi da te, che con sf particular occhio me miraste (indicante fato), sotto la nera e tenebrosa terra d'un ingratissimo silenzio terrò sepolto? suffrirò più a lungo l’esser sollecitato a dire, per non far uscir quell'estraordinario

ribombo,

da la mia bocca

che la largità

tua,

in questo

confusissimo secolo, nell’ interno mio spirito (perché si producesse fuora) ha seminato? Aprisi aprisi, dunque, con la chiave

de l’occasione l’asinin palato,

dustria del supposito

la lingua,

l’attenzione,

dal

drizzata

1 Cillenico

raccolgansi

braccio

è come

dire

del monte Cillene): cfr. appresso,

di

sciolgasi

de

per l' in-

per mano

l’ intenzione,

Mercurio

(nato

in

una

de

i frutti

grotta

p. 922. Perché l'asino sia di Mer-

curio, è illustrato cosi nel De composiît. imaginum: « Eius qualitates Mercurii qualitatibus sunt contrariae; scd, quia sine contrariis contraria

non

subsistunt

et

contrariis

contraria

cognoscuntur,

nutriuntur ct in codem concurrunt genere, non erit omnimo indignum nec non satis commodum, ut in cadem curia tamquam in scena conspiciendus

veniat »:

Opera,

II,

11,

237-5.

(B. [85-6)) (W. II, 201) (L. Gor) (G.! II, [276)) (G.? II, [298]).

914

L'ASINO

CILLENICO

DEL

NOLANO:

de gli arbori e fiori de l'erbe, che sono nel giardino de l’asinina memoria. Micco. O portento insolito, o prodigio stupendo, o maraviglia incredibile,

o miracoloso

successo!

Avertano'

gli

dii qualche sciagura ! Parla l'asino ? l’asino parla ? O Muse, o Apolline, o Ercule, da cotal testa esceno voci articulate ?

Taci, Micco, forse t' inganni;

ch’uomo

stassi mascherato,

forse sotto questa pelle qual-

per burlarsi di noi.

Asîno. Pensa pur, Micco, ch’ io non sia sofistico, ma che

son naturalissimo asino che parlo; e cossi mi ricordo aver avuti

altre

volte

umani,

come

ora

mi

vedi

aver

bestiali

membri. Micco. Appresso, o demonio incarnato, dimandarotti chi, quale e come sei. Per ora, e per la prima, vorrei saper che cosa dimandi da qua? che augurio ne ameni? qual ordine porti da gli dei ? a che si terminarà questa scena? a qual fine hai messi gli piedi a partitamente mostrarti vocale in questo

nostro

sottoportico?

Asino. Per la prima voglio che sappi, ch’ io cerco d'esser membro e dechiararmi dottore di qualche colleggio 2 o academia,

perché

la mia

sufficienza

sia

autenticata,

a fin

che non siano attesi gli miei concetti, e ponderate le mie paroli, e riputata la mia dottrina con minor fede, che .— Micco. O Giove! è possibile che ab aeferno abbi giamai registrato

vin fatto, un successo,

Asino.

Lascia3 le maraviglie .per ora;

1 Latinismo:

p.

allontanare.

® È della pronunzia

918,

la

un caso simile

f. letteraria.

e scrittura napol.

a questo?

e rispondetemi

la doppia gg. Appresso,

3 L: lascia(te]; ma la vecchia lezione, come implicitamente giudica il W, è corretta, perché soggetto di lascia è Micco, mentre soggetto di rispondetemi è o tu 0 uno de questi altri. (B.

[86])

(W.

II, 291)

(L. Gor-2)

(G.!

9I5 GY

1

Prinito

Dieloabi

Haller!

II,

[276)-7)

(G.? II,

(298]-9).

L'ASINO

CILLENICO

DEL

NOLANO

presto, o tu o uno de questi altri, che attoniti concorreno ad ascoltarmi.

O togati,

annulati,

pileati * didascali,

archi-

didascali e de la sapienza eroi e semidei: volete, piacevi, evvi ? a core d’accettar nel vostro consorzio, società, contubernio, nione

e sotto la banda e vessillo de la vostra commu-

questo

asino

che

vedete

ed

udite?

Perché

di

voi,

altri ridendo si maravigliano, altri maravigliando si ridono, altri attoniti (che son la maggior parte) si mordeno le labbia;

e nessun

risponde?

a

Micco. Vedi che per stupore non parlano, e tutti con esser volti a me, mi fan segno ch'io ti risponda; al qual, come

presidente,

cui, come Asino. la porta: Micco. Asino. Micco. dizioni. Asino, Micco.

ancora

tocca di donarti

risoluzione,

e da

da tutti, devi aspettar l’ ispedizione. Che academia è questa, che tien scritto sopra Lineam ne pertransito ? La è una scuola de pitagorici. Potravis’ entrare ? Per academico non senza difficili e molte conOr quali son queste condizioni? Son pur assai.

Asino.

Quali,

dimandai,

non

quante.

Micco. Ti risponderò al meglio, riportando le principali. Prima,

che

offrendosi

alcuno

per

essere

ricevuto,

avante

che sia accettato, debba esser squadrato nella disposizion del corpo, fisionomia edingegno,

tiva

per la gran consequenza rela-

che conoscemo aver il corpo da l'anima e con l’anima.

! L'anello e la berretta Cfr. Cena, p. ‘128, n. 1.

(fileum)

arbitrariamente

Il legge

® B: euui; che L equivocando

(B. [87])

(W.

sievî,

mentre

II, 291-2)

erano

distintivi

legge cuni (ma bene

euvì.

(L. 002) (G.! II, 277-8)

916

cuui)

dottorali.

c corregge

(G.2 II, 299-300).

L’ASINO

Asino.

Ab

CILLENICO

Iove principium,

DEL

NOLANO

Musae*,

s'egli si vuol

ma-

ritare. Micco.

Secondo,

ricevuto

ch'egli

è, se gli dona

termine

di tempo (che non è men che di doi # anni), nel quale deve tacere e non gli è lecito d’ardire in punto alcuno de dimandar,

anco

di cose non

intese, non

sol che di disputare

ed examinar propositi; ed in quel tempo si chiama acustico. Terzo, passato questo tempo, gli è lecito di parlare, dimandare, scrivere le cose udite, ed esplicar Ie proprie

opinioni; ed in questo mentre si appella o

caldeo.

Quarto,

informato

matematico

de cose simili,

ed ornato

di que’ studii, si volta alla considerazion de l'opre del mondo e principii della natura; e qua ferma il passo, chiamandosi fisico. Asîno. Non procede oltre ? Micco. Pi che fisico non può essere: perché delle cose sopranaturali non si possono aver raggioni, eccetto in quanto riluceno nelle cose naturali; percioché non accade ad altro intelletto

che

al purgato

rarle in sé. Asino. Non si trova appo Micco.

e superiore

di conside-

voi metafisica?

No; e quello che gli altri vantano per metafisica,

non è altro che parte di logica. Ma lasciamo questo che non fa al proposito. Tali, in conclusione, son le condizioni e regole di nostra academia. Asîno. Queste? Micco. Messer si. Asîno. O scola onorata, studio egregio, setta formosa, 1 ViraILIo,

Ecl.,

III,

60.

2 Si sa che la durata varia secondo RUS, presso A. GeLLIO, N, A., I, 9. (B.

[88))

(W.

II, 292-3)

(L.

602-3)

917

(G.!

le diverse fonti. Ma IL,

278-09)

(G.?

II,

v. Tau300-1).

L'ASINO

collegio

academia

CILLENICO

venerando,

gimnasio

DEL

NOLANO

clarissimo,

tra le principali principalissima!

ludo

invitto

ed

L’asino errante,

come sitibondo cervio, a voi, come a limpidissime e freschissime acqui; l’asino umile e supplicante, a voi, benignissimi ricettatori de peregrini, s'appresenta, bramoso d’essere nel consorzio

vostro

ascritto.

Micco. Nel consorzio nostro anh ? Asino. Si, sf, signor sf, nel consorzio vostro. Micco. Va' per quell'altra porta, messere, perché da questa son banditi gli asini. Asino. Dimmi, fratello, per qual porta entrasti tu? Micco. Può far il cielo che gli asini parlino, ma non già che entrino in scola pitagorica. Asino.

Non

esser cossi fiero, o Micco,

e ricordati ch' il

tuo Pitagora insegna di non spreggiar cosa che si trove nel seno della natura. Benché io sono in forma d'asino al presente, posso esser stato e posso esser appresso di grand'uomo;

e benché

tu sia un uomo,

in forma

puoi esser stato

e potrai esser appresso un grand'asino, secondo che parrà ispediente al dispensator de gli abiti e luoghi e disponitor de l’anime transmigranti. Micco.

Dimmi,

fratello,

hai

intesi

gli capitoli

e condi-

tuo,

qualche

zioni dell’academia?

Asino.

Molto bene.

Micco.

Hai

discorso

sopra

l’esser

se per

tuo difetto ti possa essere impedita l’entrata?

Asino. Assai a mio giudicio.

Micco. Or fatevi intendere. Asino. La principal condizione che m' ha fatto dubitare, è stata la prima. È pur vero che non ho quella indole, quelle carni mollecine, quella pelle delicata, tersa (B.

[88-9))

(W.

II,

293)

(L. 603-4)

918

(G.I

II, 2709-80)

(G.2

II, 301-2).

L'ASINO

CILLENICO

DEL

NOLANO

e gentile, le quali integnono! li fisionotomisti* attissime alla recepzion della dottrina; perché la durezza de quelle ripugna a l’agilità de l'intelletto. Ma sopra tal condizione mi par che debba posser dispensar il principe; perché non deve far rimaner fuori uno, quando molte altre parzialitadi suppliscono a tal difetto, come la sincerità de costumi, la prontezza

de

l' ingegno,

l'efficacia

de

I’ intelligenza,

ed

altre condizioni compagne, sorelle e figlie di queste. Lascio che non si deve aver per universale, che l'anime sieguano la complession del corpo; perché può esser che qualche più efficace spiritual principio possa vencere e superar l'oltraggio che dalla crassezza o altra indisposizion di quello gli vegna fatto. A’ qual proposito v’apporto l’essempio de Socrate, giudicato dal fisognomico3 Zopiro per uomo stemprato, stupido, bardo, effeminato, namoraticcio de putti ed inconstante; il che tutto venne conceduto dal filosofo, ma non già che l’atto de tali inclinazioni si consumasse: stante ch'egli venia temprato dal continuo studio della filosofia, che gli avea pòrto 4 in mano il fermo temone contra l’émpito de l'onde de naturali indisposizioni, essendo

che non è cosa che per studio non si vincas. Quanto poi all'altra parte principale fisiognomica, che consiste6 non nella complession

di temperamenti,

ma

nell’armonica

pro-

porzion de membri, vi notifico non esser possibile de ritrovar in me defetto alcuno, quando sarà ben giudicato. Sapete ch' il porco non deve esser bel cavallo, né l'asino bell’uomo; 1 Evidentemente

dal napol.

niènneno,

ntdanono:

intendono.

® L corregge: fisiognomisti. 3 L corregge: fisiognomico. 4 BL: porso. 5 Vedi CICERONE, De fato, 5; Tuscul., 1V, 37. 6 Il L. dà come suo emendamento la f. che si legge nella vecchia stampa e va conservata: consiste. (B.

[89-91))

(W.

II,

293-4)

(L.

604)

9I9

(G.!

II,

280)

(G.2

II,

302).

L'ASINO

ma

CILLENICO

DEL

NOLANO

l'asino bell’asino, il porco bel porco, l’uomo

bell’uomo.

Che se, straportando il giudicio, il cavallo non par bello al porco, né il porco par bello al cavallo; se a l'uomo non par bello l’asino, e l’uomo non s'inamora de l’asino; né per opposito

a l'asino par bello l’uomo e l'asino non s' in-

namora de l’uomo. Sf che quanto a questa legge, allor che le cose sarranno examinate e bilanciate con la raggione, l'uno

concederà

a l’altro

secondo

le proprie

affezioni,

che

le bellezze son diverse secondo diverse proporzionabilitadi; e nulla

è veramente

ed

absolutamente

bello,

se non

uno

che è l’istessa bellezza, o il per essenza bello e non per participazione. Lascio che nella medesima umana specie quel

che

si

dice

de

le

carni,

si

deve

attendere

respeciu

habito a vinticinque circonstanze e glose, che l’accomodino; perché altrimente ® è falsa quella fisiognomica*® regola de le carni molle 3; atteso che gli putti non son pi atti alla scienza che gli adulti, né le donne più abili che gli uomini: eccetto se attitudine maggiore si chiamasse quella possibilità ch'è

più lontana

da l'atto.

Micco. Sin al presente, costui mostra di saper assai assai. Séguita, messer Asino, e fa pur gagliarde le tue raggioni quanto ti piace; perché E

% B:

3 B:

l’onde

solchi

e ne

l’arena

"1 vago

vento

speri

altrimente;

WGI:

altrimenti.

E 1 BL:

Ne

le speranze

phisiconomica. molle;

WLG!:

fondì

molli:

in

in rete cuor

di

correzione

semini,

accogliere, femine4,

superfiua,

perché

si

è

detto pit volte che i sost. e gli aggett. della terza declin. mantengono nel pl. la desinenza del sing. 4 Jacopo Sannazaro, Arcadia, egl. VIII, v. 10-12.. (ed. Scherillo, p. 155). L'ultimo verso nel Sann.: Se Je speranze... (B.

{o1])

(W.

II,

294)

(L.

604-5)

(G.!

920

II,

280-1)

(G.2

II,

302-3).

L'ASINO

CILLENICO

DEL

NOLANO

se speri che da gli signori academici di questa ti possa o debbia esser concessa l’entrata. Ma contèntati de rimanerti con la tua dottrina Asino. O insensati, credete ch'io dica le

o altra setta se sei dotto, solo. mie raggioni

a voi, acciò che me le facciate valide ? credete ch’ io abbia

fatto questo per altro fine che per accusarvi e rendervi inexcusabili avanti a Giove? Giove con avermi fatto dotto mi fe’ dottore. Aspettavo ben io che dal bel giudicio della vostra sufficienza venesse sputata questa sentenza:

— Non

è convenevole

insieme

con

noi

altri

che

gli asini

uomini.



entrino

Questo,

in academia

se studioso

di

qualsivo-

gli' altra setta lo può dire, non può essere raggionevolmente detto

da

voi

altri

pitagorici,

che

con

questo,

che

negate

a me l'entrata, struggete gli principii, fondamenti e corpo della vostra filosofia. Or che differenza trovate voi tra noi asini e voi altri uomini, non giudicando le cose dalla superficie, volto ed apparenza? Oltre di ciò dite, giudici inetti: quanti di voi errano ne l'academia de gli asini? quanti imparano nell’acadernia de gli asini? quanti fanno profitto nell’academia de gli asini? quanti s'addottorano, marciscono e muoiono ne l’academia de gli asini? quanti son

preferiti,

inalzati,

magnificati,

canonizati,

glorificati

e

deificati nell'academia de gli asini? che se non fussero stati e non fussero asini, non so, non so come la cosa sarrebe passata e passarebbe per essi loro. Non son tanti studii onoratissimi e splendidissimi, dove si dona lezione di saper inasinire, per aver non solo il bene della vita temporale, ma e de l'eterna ancora? Dite, a quante e quali facultadi ed onori s’entra per la porta dell'asinitade? Dite, quanti son impediti, exclusi, rigettati e messi in vituperio, per non esser partecipi dell’asinina facultade e perfezione? (B. [91-3))

(W. II, 294-5)

(L. II, 605)

92I

(G.I II, 281-2)

(G.2 II, 303-4).

L’ASINO

CILLENICO

DEL

NOLANO

Or perché non sarà lecito ch'alcuno de gli asini, o pur al meno uno de gli asini entri nell’academia de gli uomini? Perché non debbo esser accettato con ‘aver la maggior parte delle voci e voti in favore in qualsivoglia academia, essendo

che,

se non

tutti,

al meno

la maggior

e massima

parte è scritta e scolpita nell’academia tanto universale de noi altri ? Or se siamo si larghi ed effusi noi asini in ricever tutti,

perché

dovete

voi

esser

tanto

restivi

si fa in

cose

ad

accettare

un de noi altri al meno? Micco.

Maggior

importanti:

difficultà

e non si fa tanto

più

degne

caso e non s’aprono

gli occhi in cose di poco momento.

ed

tanto

Però senza ripugnanza

e molto scrupolo di conscienza si ricevon tutti ne l'academia de gli asini, e non deve esser cossi nell'academia de gli

uomini. Asino.

Ma,

o

messere,

sappime!

dire

poco, qual cosa delle due è più degna, sinisca, o che un

asino

e resolvimi

che un uomo

inumanisca? Ma

ecco

un

ina-

in veritade

il mio Cillenio: il conosco per il caduceo e l'ali — Ben vegna il vago aligero, nuncio di Giove, fido interprete della voluntà

de tutti gli dei, largo donator

rizzator

de

l’arti,

continuo

oracolo

de le scienze,

addi-

matematici,

com-

de

putista mirabile, elegante dicitore, bel volto, Ieggiadra apparenza, facondo aspetto, personaggio grazioso, uomo tra gli uomini, tra le donne donna, desgraziato tra’ desgraziati,

tra’ beati

beato,

tra’:

tutti

tutto;

che

godi

con

chi

gode, con chi piange piangi; però per tutto vai e stai, sei ben visto ed accettato. Che cosa de buono apporti? 1 L corregge:

2 G!:

(B.

[93-4))

sappimi.

fra.

(W.

IT,

295)

(L.

605-6)

922

(G.!

II,

282-3)

(G.2

IT,

304-5).

L'ASINO

Mercurio.

CILLENICO

Perché,

sere academico,

Asino,

io, come

DEL

NOLANO

fai conto

di chiamarti

quel che t' ho donati

ed es-

altri doni e

grazie, al presente ancora con plenaria autorità ti ordino, constituisco e confermo academico e dogmatico generale, acciò che. possi entrar ed abitar per tutto, senza ch’alcuno ti possa tener porta o dar qualsivoglia sorte d’oltraggio o impedimento, quibuscumque in oppositum non obstantibus. Entra, dunque, dove ti pare e piace. Né vogliamo che sii ubligato per il capitolo del silenzio biennale che si trova nell'ordine pitagorico, e qualsivogli’ altre leggi ordinarie: perché,

novis

intervenientibus

causis,

novae

condendae

sunt

leges, proque ipsis condita non intelliguntur iura: interimque ad

optimi

iudicium

iudicis

referenda

est

sententia,

cuius

intersit iuxta necessarium atque commodum providere. Parla dunque tra gli acustici; considera e contempla tra’ matematici;

discuti,

dimanda,

tra’ fisici; trovati

con

insegna,

dechiara

tutti, discorri con

unisciti, identificati con tutti, domina a

Asino. Avetel' inteso ? Micco. Non siamo sordi.

e determina

tutti,

affratellati,

tutti, sii tutto.

FINE. (B.

[94-5))

(W.

II, 295-6)

(L. 606)

923

(G.! II, 283)

(G.2 II, 305).

GIORDANO

BRUNO

NOLANO.

DE AL

GLI MOLTO

EROICI

ILLUSTRE

SIGNOR

ED

FURORI

ECCELLENTE

CAVALLIERO,

FILIPPO ‘ SIDNEO. PARIGI,

APPRESSO

ANTONIO

l'anno

I (L:

Phillippo

(cir.

Cena,

BAIO,

1585.

ediz.

crit.,

p.

131

e nota).)

ARGOMENTO

DEL

NOLANO

SOPRA GLI

EROICI

SCRITTO

AL

SIGNOR È

cosa

bruto

e

lezza

d'un

veramente,

sporco

FURORI

MOLTO

ILLUSTRE

FILIPPO o

SIDNEO 1.

generosissimo

ingegno

d'essersi

Cavalliero,

fatto

da

basso,

constantemente

stu-

dioso, ed aver affisso un curioso pensiero circa o sopra la belcorpo

femenile.

vile ed ignobile

può

Che

presentarsi

spettacolo,

ad un

o Dio

occhio

buono!,

più

di terso senti-

mento, che un uomo cogitabundo, afflitto, tormentato, triste, maninconioso, per dovenir or freddo, or caldo, or fervente,

or tremante,

or pallido,

or rosso,

or in mina

di

perplesso,

or

in atto di risoluto; un che spende il meglior intervallo di tempo e gli più scelti frutti di sua vita corrente, destillando l’elixir del cervello

con

mettere

blichi monumenti

que’

simi

razionali

studi

in concetto,

quelle continue

discorsi,

destinati

que’

sotto

la

scritto

torture,

a p. 549,

gravi tormenti,

faticosi pensieri e quelli amaristirannide

cille, stolta e sozza sporcaria ? ?. 1 Cfr. sopra,

que’

e sigillar in pu-

d’una

indegna,

imbe-

n. I.

? Anche in questa tirata contro i petrarchisti contemporanei, italiani e stranieri, il B. aveva innanzi a sé esempi e suggerimenti

in quella corrente di scrittori berneschi e scapigliati, che sono stati detti appunto antipetrarchisti, sorti anch'essi in Italia nel 500. È notissimo lo studio di A. GRAF, Petrarchismo e autipetrarchisino, in Attraverso il Cinquecento, Torino, Loescher, 1888. Su l’Antipe-

trarchismo di G. Bruno ha scritto uno studietto particolare V. SpamPANATO,

Milano,

Spampanato

PP.

2345.

E. Trevisini,

(a proposito

1900.

di queste

Vedi

pure i riscontri dello stesso

pagine

misogine)

nelle Postille,

(B. [3-4)) (W. II, 299) (L. 608) (G.1 II, [287)) (G: II, [309]).

927

DE Che

sione

tragicomedia?

e

mondo,

tanto

GLI

riso in

può

che

atto,

esserne

questa

numerosi

EROICI

scena

dico,

degno

ripresentato delle

suppositi

FURORI

nostre

in

più

di

questo

conscienze,

fatti penserosi,

compas-

teatro che

del

di tali

contemplativi,

e

con-

stanti, fermi, fideli, amanti, coltori, adoratori e servi di cosa senza fede, priva d'ogni costanza, destituta d'ogni ingegno, vacua d’ogni merito, senza riconoscenza e gratitudine alcuna,

dove non

può

capir più

falsitade,

libidine,

senso,

intelletto e bontade,

che

tro-

crimi

exi-

varsi possa in una statua o imagine depinta al muro ? e dove è più superbia, arroganza, protervia, orgoglio, ira, sdegno, ziali,

che

morte

dal

ricetto

avarizia,

avessero

vascello!

dentro

possuto

ingratitudine

ed

uscir

ed

veneni

di Pandora,

il cervello

di

per

aver

mostro

altri

pur

instrumenti

troppo

tale ? Ecco

di

largo

vergato

in

carte, rinchiuso in libri, messo avanti gli occhi ed intonato a gli orecchi un rumore, un strepito, un fracasso d' insegne, d’ imprese, de motti ?, d’epistole, de sonetti, d’epigrammi, de

*

Vascellum

o vasculum,

piccolo

vaso.

? Basta aver letto l’ Orlando Furioso per sapere che cosa fossero

le imprese e i motti nella vita cortigiana del 500; e negli Eroici furori

si vedrà il partito che il Bruno trae da questo costume, dal quale era derivato un particolar genere letterario con la sua relativa rettorica tati,

o precettistica,

che

imprese

non

passò

consacrata

dovettero

poi

alla

in parecchi

essere

ignoti

filosofia

nel

al

sec.

B.

ragionamenti

Dalla

XVIII

rettorica

G.

Scienza Nuova. A proposito del Ragionamento sopra delle imprese di Luca Contile, ha indagato con gran

storia di cotesto

L.

costume

Contile, uomo

e della relativa letteratura

di lettere

e di

negozi

del

sec.

XVI,

e trat-

storia della vita di corte e dei poligrafi del 500,

Firenze,

nell’ Orlando Furioso; estr. vol. XXXVIII, p. 310.

d.

B.

delle

Vico

nella

la proprietà diligenza la

A.

SALza

contributo

in

alla

Carnesecchi,

1903 (tra le Pubblicaz. del R. Ist. degli studi sup. di Firenze), App. I. Dello stesso Salza vedi lo scritto: Imprese e divise d'arme e d'amore L' impresa

simbolica,

con

consisteva un

motto:

dal

Giorn.

stor.

essenzialmente una

specie

di

letter.

in una

rebus.

Se

ital,

1901,

rappresentazione ne

componeva

per i cavalieri in giostra, a insegna delle famiglie, a servizio d'amore, per giuochi di società e per semplice esercizio letterario. Importato in

Italia

se ne

il costume

facevano

già

con

nel

altri

400.

usi

Ma

cavallereschi

vennero

di

in gran

Francia,

voga

nel

imprese

secolo

(B. [4-5]) (\V. II, 299) (L. 608) (G.1 II, [287]-8) (G.2 IT, (3009]-11). 928

ARGOMENTO libri,

de

prolissi

scartafazzi,

DEL de

NOLANO

sudori

estremi,

de

vite

con-

sumate, con strida ch'assordiscon gli astri, lamenti che fanno riboinbar gli antri infernali, doglie che fanno stupefar l'anime

viventi, suspiri da far exinanire e compatir gli dei !, per quegli

occhi, per quelle guance, per quel busto, per quel bianco, per quel vermiglio 2, per quella lingua, per quel dente, per quel labro 3, quel crine, quella veste, quel manto,

quel guanto,

tana,

che

quella scarpetta, quella pianella, quella ‘parsimonia, quel risetto, quel sdegnosetto, quella vedova fenestra, quell’eclissato sole, quel martello, quel schifo, quel puzzo, quel sepolcro, quel cesso 4, quel mestruo, quella carogna, quella febre quarquella

superficie,

cantesimo

estrema

ingiuria

e torto

un'ombra,

un

fantasma,

di bellezza.

La

quale

di natura,

un

sogno 5,

un

insieme

insieme

una

Circeo

ordinato al serviggio della generazione,

in specie

con

in-

ne inganna

viene

e passa,

successivo. Il primo ad elevare il genere a dignità letteraria, e detto perciò primo inventore di imprese, fu il napoletano Marco Antonio Epicuro, che vedemmo nella Cena (p. 59) citato dal B. e vedremo imitato da presso per la sua Cecaria negli Eroici furorî. Le sue im-

prese furono

raccolte da ScIPronE

108),

dovevano

(vedi U. ConcEDO,

e non

altro

poeta

caro

e autore appunto

AMMIRATO

La vita e le opere di S. Anim.,

al B.,

essere che

ignote

vedremo

al B.

nel suo dial. I! Rota

Ne

introdotto

Trani,

1904, pp. 93-

come

interlocutore

compose

anche

di imprese negli Evoici furori, L. Tansillo.

un

Il Fio-

rentino (in Poesie liriche ed. e ined. di L. T., pp. 280-89) ha ristam-

pato

da

una

ediz.,

del

1551

un

Discorso

di L.

T. sopra

la collana

d’oro che la nobilissima città di Napoli dona all'ill'ino S. D. Garzia di

Toledo

strate

sette

1 Più

* V. già

per

3 Del

la vittoria

imprese

composte

diffusamente

appresso,

stanco,

a p.

Canzoniere

Io

avrò

di Africa,

dal

nel Proprol. 1007.

del PETRARCA

sempre

in

odio,

etc.;

dove

Tansillo

sono

per

del Cand.?,

descritte

quell'occasione.

pp.

23-6.

cfir., tra gli altri, i sonetti Jo son

Quella

fenestra,

Erano

i capei

d'oro, Quel sempre acerbo, Questa fenice, O bella man; le Perché la vita, Gentil mia donna, In quella parte; la sestina

donna. 4 BERNI, le

son. Non

vadin più pellegrin

(ma son.

presti): «Un morbo, un puzzo, un cesso ». 5 BERNI, son. Chi vuol veder: « Un’'ombra, un quartana ».

(B.

[5))

(W.

II,

299-300)

(L.

e illu-

608-9)

929

(G.1

II,

Un dirmi ch' io

sogno,

288-9)

canzoni Giovane

una

(G.%

II,

febbre

311).

DE

nasce e muore,

GLI

EROICI

FURORI

fiorisce e marcisce; ed è bella cossi un pochet-

tino a l’esterno, che nel suo intrinseco vera- e stabilmente è contenuto un navilio, una bottega, una dogana, un mercato

de quante

sporcarie,

tossichi e veneni

abbia

possuti

produrre

la nostra madrigna natura !: la quale dopo aver riscosso quel seme di ‘cui la si serva, né viene sovente a pagar d'un lezzo, d'un

pentimento,

di capo,

d'una

d'una

tristizia,

d'una

fiacchezza,

d'un

dolor

dolga,

dove

lassitudine 2, d’altri ed altri malanni

manifesti a tutto il mondo, suavemente proriva.

a fin che amaramente

che son

Ma che fo io ? che penso ? Son forse nemico della generazione? Ho forse in odio il sole? Rincrescemi forse il mio ed altrui essere messo al mondo? Voglio fosre ridur gli uomini a non raccòrre quel più dolce pomo che può produr l’orto del nostro terrestre paradiso ? Son forse io per impedir l’ instituto santo della natura ? Debbo tentare di suttrarmi io o altro dal dolce amato3 giogo che n' ha messo providenza? Ho forse da persuader a me

nostri predecessori

sieno

nati per noi,

al collo la divina e ad altri, che gli

e noi

non

siamo

nati

per gli nostri successori ? Non voglia, non voglia Dio che questo

giamai abbia possuto cadermi nel pensiero! Anzi aggiongo che per quanti regni e beatitudini mi s'abbiano possuti proporre e nominare, mai fui tanto savio o buono che mi potesse venir voglia de castrarmi o dovenir eunuco 4. Anzi mi vergo® Anche

il CAMPANELLA

nella lettera a C.

Flugh

(Codice

delle

lettere edito dall'Amabile, Napoli, 1881, p. 67): « Dunque tutta Ila tua virti e gloria e fama ed amici, anzi Dio stesso hai tu sottoposto ad

una

buca di sporchezze,

ad un orinale,

ad

una

sentina

di fetore ?

O caro amico, mira, per dio, il fine: che ne cavi da quel vil pertugio ? Non vedi che la natura per avvilirci e farci far penitenza di nostri errori ci dona quell'ardor infame di sotterrarci in una puzzolenza....? ». un

*

CESARE

CAPORALI,

Vita

fin brutto e pentito ». 3 IV: amaro. 4 Nel 29 costituto veneto,

della sua opinione intorno

di

Mecenate,

del 2 giugno

IX,

9:

1592,

«Onde

il B.

ne

nasce

interrogato

al « peccato della carne », dichiarò di aver

detto qualche volta che questo, « parlando in genere, era il minor peccato delli altri....; che il peccato della semplice fornicazione sia tanto leggiero, che fosse vicino al peccato veniale ». Ma aggiunse: (B.

[5-6])

(W.

II,

300)

(L.

609)

930

(G.!

II,

289)

(G.2

II,

311-2).

ARGOMENTO

DEL

NOLANO

gnarei, se cossi come mi trovo in apparenza, volesse cedere pur un pelo a qualsivoglia che mangia degnamente il pane per servire alla natura e Dio benedetto. E se alla buona volontà

soccorrer

possano

o

soccorrano

gl'instrumenti

e

gli

lavori, lo lascio considerar solo a chi ne può far giudicio e donar

sentenza.

Io

non

credo

d'esser

legato;

perché

son

certo

che

non bastarebbono tutte le stringhe e tutti gli lacci che abbian saputo e sappian mai intessere ed annodare quanti fèro e sono stringari e lacciaiuoli, (non so se posso dir) se fusse con essi la morte

istessa,

che

volessero

maleficiarmi.



credo

d'esser

freddo, se a refrigerar il mio caldo non penso che bastarebbono le nevi del monte Caucaso! o Rifeo 2. Or vedete dunque se è la raggione

Che

voglio

o qualche

dunque

voglio

determinare ?

Cavalliero

Cesare,

illustre,

e quel

che a le donne,

difetto

è

dire? che

Quel

che

che

mi

fa parlare.

voglio

voglio

quel

ch’ è de Dio,

benché

che

ch’ è

conchiudere? che

conchiudere

di

sia renduto

Cesare,

sia

e dire,

o

donato

a

a Dio 3. Voglio

dire

talvolta non bastino gli onori ed ossequi

divini, non perciò se gli denno onori ed ossequii divini. Voglio che le donne siano cossi onorate ed amate, come denno essere amate

ed

onorate

se non

hanno

le donne:

per

tal

causa

dico,

e per

tanto,

per quanto si deve a quel poco, a quel tempo e quella occasione, altra virtù

di quel splendore,

che

naturale,

cioè

di quella

bellezza,

di quel serviggio, senza il quale denno esser

stimate più vanamente nate al mondo che un morboso fungo, qual con pregiudicio de meglior piante occupa la terra; e più «L’ ho però detto per leggerezza, e trovandomi in compagnia e raggionando di cose oziose e mondane...., e se ho allegerito questo peccato più di quel che dovevo, è stato.... per leggerezza e trastullo della compagnia »: SpamP., Vita, pp. 725-6. 1 Ovipio, Metamm., VIII, 707-8: « Devenit in Scythiam, rigi-

dique

cacumine

canos

nive

quelle

reiterate

2 SENECA,

montis, | Caucason

MHippolytus,

Riphaea....»n;

I,

appellant.... ».

7-8:

CLAUDIANO,

«.... scandite De

raptu

colles | Semper

Proserpinae,

III,

321-22: «non me Riphaea tenebunt | Frigora....». (Il Firpo osserva: «alle citazioni classiche indicate dal Gentile si possono aggiungere 3 Cir.

pp.

di VIRGILIO

211

e 255,

(B. [6-7]) (W. IT, 300-1)

(Georgicor,

e ivi,

n. 4.



G,

Bruno,

III,

(L. 6009-10) (GI II, 289-90)

93I 61

I, 240;

Dialoghi

italiani

382;

IV,

518).)

(G.2 II, 312-3).

DE

noiosamente

GLI

EROICI

che qualsivoglia

FURORI

napello!

o vipera

che caccia

il

capo fuor di quella. Voglio dire che tutte le cose de l'universo, perché pondi,

possano aver fermezza e consistenza, hanno gli suoi numeri, ordini e misure, a fin che siano dispensate e

governate

con

ogni

giustizia

e

raggione.



onde

Sileno?,

Bacco, Pomona, Vertunno 3, il dio di Lampsaco4 ed altri simili che son dei da tinello, da cervosa5 forte e vino rinver-

sato 5, come ambrosia

altri

non

nella

simili;

siedeno

mensa

cossi

in cielo

di

a bever

Giove 7, Saturno,

gli lor

fani,

tempii,

nettare

e gustar

Pallade,

Febo

sacrificii

e culti

ed

denno

essere differenti da quelli de costoro. Voglio finalmente dire, che questi Furori eroici ottegnono suggetto ed oggetto eroico, e però non ponno più cadere in stima d’amori volgari e naturaleschi, che veder si

possano delfini su gli alberi de le selve, e porci cinghiali sotto gli marini scogli 8. Però per liberare tutti da tal suspizione,

avevo pensato prima

di donar a questo

libro un titolo simile

a quello di Salomone 9, il quale sotto la scorza d'amori ed affetti ordinarii contiene similmente divini ed eroici furori,

come

dirla,

interpretano chiamarlo

gli mistici

Cantica.

e cabalisti Ma

per

dottori;

più

volevo,

caggioni

mi

per

sono

astenuto al fine: de le quali ne voglio referir due sole. L'una per il timor ch’ ho conceputo dal rigoroso supercilio de certi farisei, che cossi mi stimarebono profano per usurpar in mio naturale

e fisico discorso

sceleratissimi

e

titoli sacri e sopranaturali,

ministri

1 T. botanico:

specie

® Cir. nello Spaccio

d’ogni

ribaldaria,

si

come

usurpano

essi,

più

d’aconito.

le pp.

585 e 822.

3 Vedi p. 195. Il mito di Pomona e di Vertunno si legge nelle Metamm. di OvipIio, XIV, 654-771. 4 Intorno a questo dio anche sopra, a pp. 595 e 742, e ivi, n. 1. 5 Vedi nel De la Causa la n. 3 della p. 212.

6 Derivato dal

Ja volta, che zion., p. 232.

7 Vedi

napol.

‘avèrzeto’

ha preso lo spunto, acido, Cfr. il De la causa, p. 195.

sopra,

a p.

570;

e appresso,

8 Vedi sopra, p. 754, e ivi, n. 1. 9 Il Cantico (B.

[7-9])

(W.

‘d’avèrzeto’:

inacidito:

a p.

che

ha

Rocco,

dato

Di-

1009.

dei cantici.

II, 301)

(L. 6r0-11)

932

(G.! II, 200-1)

(G:= II, 313-4).

ARGOMENTO

DEL

NOLANO

4

altamente, che dir si possa, gli titoli de sacri, de santi, de divini oratori, de figli de Dio, de sacerdoti, de regi; stante che stiamo

aspettando quel giudicio divino che farà manifesta la lor maligna ignoranza ed altrui dottrina, la nostra simplice libertà

e l’altrui maliciose regole, censure

la grande

dissimilitudine

ed instituzioni.

che si vede

fra il volto

L’altra per

di questa

opra e quella, quantunque medesimo misterio e sustanza d’anima sia compreso sotto l'ombra dell'una e l'altra: stante che là nessuno dubita che il primo instituto del sapiente fusse più tosto di figurar cose divine che di presentar altro: perché ivi le figure sono aperta- e manifestamente figure, ed il senso metaforico è conosciuto di sorte che non può esser negato per

metaforico:

dove

odi quelli occhi

di colombe,

quel

collo

di

torre, quella lingua di latte, quella fragranzia d' incenso, que’ denti che paiono greggi de pecore che descendono dal lavatoio, que’ capelli che sembrano le capre che vegnono giù da la montagna volto, che

sentimento;

di Galaad!; cossi al vivo

atteso

ma in questo poema non si scorge ti spinga a cercar latente ed occolto

che per

l'ordinario

modo

di parlare

e de

similitudini più accomodate a gli sensi communi, che ordinariamente fanno gli accorti amanti, e soglion mettere in versi e rime gli usati poeti, son simili ai sentimenti de coloro che parlarono a Citereida, o Licori, a Dori, a Cintia?, a Lesbia,

a Corinna3,

a Laura

1 Cfr. il cap.

2? BL:

Cinthia;

3 Ovipio,

ed altre simili. Onde

IV del Cantico Wi:

Remedia

Cintia;

amoris,

facilmente

ognuno

dei cantici.

G!:

Cinzia.

763-7:

Carmina quis potuit tuto legisse Tibulli, Vel tua, cuius opus Cynthia sola fuit ? Quis poterit lecto durus discedere Gallo ?

Et mea

nescio quid carmina

tale sonant.

Il vescovo Siponio APOLLINARE (Epist., II, 10): «.... Reminiscere quod saepe versum Corinna cum suo Nasone complevit, Lesbia cum Catullo, .... Cynthia cum Propertio »; e nella sua Apologia APULFIO (in Opp., Lugduni, 1614, p. 94): «.... Accusent Catullum quod Lesbiam pro Clodia nominarit, et Propertium qui Cynthiam dicat, Hostiam dissimulet....».

(B.

[9-10])

(W.

Doride

II,

era

301-2)

colei

che,

(IL. GII)

933

secondo

(G.!

IT,

la

sua

291-2)

rivale

(G.2

IT,

Cintia,

314-5).

DE

GLI

EROICI

FURORI

potrebbe esser persuaso che la fondamentale e prima intenzion mia sia stata addirizzata da ordinario amore, che m’abbia dettati concetti tali; il quale appresso, per forza de sdegno, s'abbia improntate l’ali e dovenuto eroico; come è possibile di convertir qualsivoglia fola, romanzo, sogno e profetico enigma,

e transferirle,

goria,

a significar

mente

è atto

in virtù

tutto

quello

a stiracchiar

di

metafora

che

piace

gli sentimenti,

e pretesto

a chi

più

d'alle-

comoda-

e far cossî

tutto

di

tutto, come tutto essere in tutto disse il profondo Anaxagora. Ma pensi chi vuol quel che gli pare e piace, ch’alfine, o voglia o non, per giustizia la deve ognuno intendere e definire come

l’ intendo e definisco io, non io come l' intende e definisce lui: perché come gli furori di quel sapiente Ebreo hanno gli proprii modi,

ordini

e titolo

che

nessuno

ha

possuto

intendere

e po-

trebbe meglio dechiarar che lui, se fusse presente; cossi questi Cantici hanno il proprio titolo, ordine e modo che nessun può ineglio

dechiarar

ed

intendere

che

io

medesimo,

quando

non

sono absente. D’una cosa voglio che sia certo il mondo: che quello, per il che io mi essagito in questo proemiale argomento, dove singularmente

parlo

a voi,

e bestialaccio,

se con

mai

o delettasse

eccellente Signore,

e ne gli Dialogi

formati sopra gli seguenti articoli, sonetti e stanze, è ch' io voglio ch’ognun sappia, ch'io mi stimarei molto vituperoso delettato

circa il culto d'una

molto

pensiero,

de

donna

imitar,

studio

e fatica

come

dicono,

in vita, e dopo

fia, ricovrarla da l’ inferno!: se a senza arrossir il volto, d'amarla sul

morte,

pena la naturale

mi

fusse

un

Orfeo

se possibil

stimarei degna, di quell’ istante

del fiore della sua beltade e facultà di far figlioli alla natura e Dio. Tanto manca, che vorrei parer simile a certi poeti'e versificanti in far trionfo d’una perpetua perseveranza di tale amore, come d'una cossi pertinace pazzia, la qual sicuramente aveva

stregato

ProPERZIO,

mare,

secondo

il costume

delle Elegie

(VI,

25, e VII,

come

72);

questi

attesta

nel

Licoride Cornelio

ricordato

da

Apuleio,

III

e IV

libro

Gallo usò chia-

una

sua

amante,

ch’era già stata l'amica di Bruto e di Antonio, la mima Citeride. ! ViroiLIo, Georg., IV, 485 sgg.; Ovipio, Mefamm., X, 11 Sgg.

(B.

[1o-1})

(W.

II,

302)

(L.

G6r1-2)

934

(G.!

IT,

202)

(G.2

II,

315-6)-

ARGOMENTO

può

competere

con

tutte

DEL

NOLANO

l’altre specie

denza

in un cervello umano:

tosco

poeta,

che

tanto, dico,

possano

far resi-

son lontano

da quella

vanissima, vilissima e vituperosissima gloria, che non credere ch’un uomo, che si trova un granello di senso rito, possa spendere più amore in cosa simile che io abbia al passato e possa spendere al presente. E per mia fede, voglio adattarmi a defendere per nobile l’ ingegno di che si mostrò

tanto

spasimare

posso e spispeso se io quel

alle rive di Sorga

per una di Valclusa, e non voglio dire che sia stato un pazzo da

catene,

donarommi

a credere,

e forzarommi

di

persuader

ad altri, che lui per non aver ingegno atto a cose megliori, volse studiosamente nodrir quella melancolia, per celebrar non meno

il proprio

affetti

d’un

ingegno

ostinato

su

amor

quella

matassa,

volgare,

animale

con

esplicar

e bestiale,

gli

ch’ab-

biano fatto gli altri ch' han parlato delle lodi della mosca, del scarafone,

coloro de la forno, meno de

de l’asino,

Or

scimie

ch’ han poetato a’ nostri tempi delle lodi piva, della fava, del letto, delle bugie, del del martello, della caristia, de Ia peste ?; forse sen denno gir altere e superbe per la

canzonieri

dame

de Sileno, de Priapo,

suoi,

che

per gli suoi. (perché

non

debbano

si faccia

e possano

errore)

qua

de quali son!

de gli orinali, disonore, del le quali non celebre bocca

le prefate

non

ed

voglio

altre

che

sia

tassata la dignità di quelle che son state e sono degnamente

lodate

e lodabili:

colarmente

non

quelle che

in questo paese

possono

Britannico,

essere e sono

a cui doviamo

parti-

la fideltà

ed amore ospitale3: perché dove si biasimasse tutto l’orbe, non si biasima questo, che in tal proposito non è orbe, né

les

!

(AM

singes)ì; 2 Cfr.

(=

DB): scimie de quali son

L G!1G?:

la Cena,

p.

de

65,

scimmie,

e ivi,

quali n.

2.

(tradotto: ef dont se sont faits

son)

del Libro II delle Lettere (ediz. Laterza,

dei capitoli che mandò

Anche

l’'ARETINO

nella

I p.

p. 214), pur compiacendosi

«a lo Albicante, al principe

di Salerno,

al

duca Cosimo e al re Francesco », deve riconoscere che «la fama di coloro che invecchiano drieto a lo scrivere ciance da riso è ridicola ». 3 In proposito vedi, nel De la causa, p. 204 sgg. (B.

(11-2))

(W.

II,

302-3)

(L. 612)

935

(G.!

II,

292-3)

(G.2

II,

316).

DE

parte

d’orbe,

dove

ma

GLI

diviso

si raggionasse

EROICI

da

de

tutto

né può intendere de alcune

parte ma,

di quel

sesso;

in similitudine

Diana 2, che

nare.

ancora

che

a

tutto,

il sesso

non

son

son

come

femenile,

numero

dunque,

ed

nimfe,

non

son

e proposito

ingiustamente

nessuna

particulare

l’ imbecillità e condizion del di complessione; atteso che,

si deve

denno esser stimate

femine,

il geno

sapete !:

non

non

ordinario.

essere

donne,

son

di

su-

quell’unica

voglio

E

perseguitarei

deve

son

dive,

le quali è lecito di contemplar

Comprendasi,

perciò

in

vostre, che non

perché

in questo

indegna-

quello

di quelle,

stanza celeste, tra

FURORI

le

di

nomi-

quello

persone:

improperato

sesso, come né il difetto e vizio se in ciò è fallo ed errore, deve

essere attribuito per la specie alla natura, e non per particolare a gl’ individui. Certamente quello che circa tai supposti abomino,

è

sogliono con

quel

alcuni

l'ingegno,

studioso

spendervi

e

disordinato

de maniera

e vi vegnono

che

amor

venereo

che

se gli fanno

a cattivar le potenze

servi

ed atti più

nobili de l’anima intellettiva. Il qual intento essendo considerato, non sarà donna casta ed onesta che voglia per nostro naturale e veridico discorso contristarsi e farmisi più tosto

irata, che sottoscrivendomi amarmi di vantaggio, vituperando passivamente quell’amor nelle donne verso gli uomini, che io

attivamente riprovo ne gli uomini verso le donne. Tal dunque essendo

il

mio

animo,

ingegno,

parere

e determinazione,

mi

protesto che il mio primo e principale, mezzano ed accessorio, ultimo e finale intento in questa tessitura fu ed è d’apportare contemplazion

divina,

e metter3 avanti

a gli occhi

ed orecchie

altrui furori non de volgari, ma eroici amori, ispiegati in due parti; de le quali ciascuna è divisa in cinque dialogi.

p.

1 Allusione al noto

verso

206, e ivi, n. 2. ? La regina Elisabetta.

virgiliano, Cfr.

PP. 222-3; e Vita di G. B., p. 348,

Bartas

chiamò

3 BL:

(B.

[12-3]))

la Tudor

et metter; (W.

IVG!:

IT, 303-4)

Cena,

come pp.

già nel De /a causa,

, 67-8,

e

De

n. I, dove si avverte

‘la prudente metter.

(L. 612-3)

936

(G.!

Pallade ’.

II, 203-4)

(G.2

la

che

causa,

il Du

II, 316-7).

ARGOMENTO

Argomento

de' cinque

DEL

NOLANO

dialogi de la prima

parte.

Nel Primo dialogo della prima cinque articoli, dove per ordine: nel primo

parte son si mostrano

monte

presenti,

le cause

e principii

e del fiume

perché chiamate, che

più

volte

motivi

intrinseci

e de muse,

che

sotto

nome

si dechiarano

e figura

del

non

invocate e cercate, ma più tosto come quelle

importunamente

si

sono

offerte:

onde

vegna

significato che la divina luce è sempre presente; s’offre sempre, sempre

tenze

chiama

e batte a le porte de nostri sensi ed altre po-

cognoscitive

ed

apprensive:

come

pure

è

significato

nella Cantica di Salomone dove si dice: Ex ipse stat post parictem nostrum, vespiciens per cancellos, ci prospiciens per fenestras®!. La qual spesso per varie occasioni ed impe-

dimenti avvien che rimangna esclusa fuori e trattenuta. Nel secondo articolo si mostra quali sieno que’ suggetti, oggetti, affetti, instrumenti ed effetti ? per li quali s' introduce, si mostra e prende il possesso nell'anima questa divina luce, perché la inalze e la converta in Dio. Nel terzo il proponimento, definizione e determinazione che fa l’anima ben informata circa l'uno, perfetto ed ultimo fine. Nel quarto

la guerra civile che séguita e si discuopre contra il spirito dopo

tal

proponimento;

onde

disse

la

Cantica:

Noli

mirari,

quia

nigra sum: decoloravit enim me sol, quia fratres mei pugnaverunt contra me, quan posueruni custodem in vineis 3. Là sono esplicati solamente come quattro antesignani l’Affetto, l'Appulso fatale,

tante

la Specie

coorte

del

militari

bene

ed

il Rimorso,

de

tante,

contrarie,

che

son

varie

seguitati

e diverse

da

po-

tenze con gli lor ministri, mezzi ed organi che sono in questo

composto. Nel quinto s'ispiega una naturale contemplazione in cui si mostra che ogni contrarietà si riduce a l'amicizia o per vittoria de l'uno de’ contrarii o per armonia e contem1 Cantico

dei

cantici,

II,

3 Cantico

dei

cantici,

I,

* BL:

affetti,

instrumenti

9. 5.

ed affetti.

(B. [13-5)) (W. II, 304) (L. 613-4) (G.! II, 204-5) (G.* II, 317-8).

937

DE peramento

o per

GLI

EROICI

qualch'altra

FURORI

raggione

di

vicissitudine,

ogni

lite alla concordia, ogni diversità a l’unità: la qual dottrina è stata da noi distesa ne gli discorsi d’altri dialogi!. Nel Secondo dialogo viene più esplicatamente descritto l'ordine ed atto della milizia che si ritrova nella sustanza di questa composizione del furioso; ed ivi: nel primo articolo si mostrano tre sorte di contrarietà: la prima d'un affetto ed atto contra l’altro, come dove son le speranze fredde e gli desiderii

caldi;

se stessi,

solo in diversi,

non

la seconda

de

ma

medesimi

affetti ed

ed in medesimi

tempi;

atti

in

come

quando ciascuno non si contenta di sé, ma attende ad altro, ed insieme insieme ama ed odia; la terza tra la potenza che

séguita ed aspira,

e l'oggetto che fugge

e si suttrae.

Nel

se -

condo articolo si manifesta la contrarietà ch' è come di doi contrarii appulsi in generale; alli quali si rapportano tutte

le particolari

e subalternate contrarietadi,

mentre

come

a doi luoghi e sedie contrarie si monta o scende: anzi il composto tutto per la diversità de le inclinazioni che son nelle diverse parti, e varietà de disposizioni che accade nelle medesime, viene insieme insieme a salire ed abbassare, a farsi avanti ed adietro, ad allontanarsi da sé e tenersi ristretto in sé. Nel

terzo articolo si discorre circa la conseguenza da tal contrarietade. Nel Terzo dialogo si fa aperto quanta forza abbia la volontade

tiene ordinare, nato

in questa

milizia,

cominciare,

nella Cantica:

Surge,

come

quella

a cui sola appar-

exeguire e compire;

propera,

columba

mea,

cui vien intoet veni: iam

enim hiems transiit, imber abiît, flores apparuerunt in terra nostra; tempus putationis advenit®. Questa sumministra forza ad

altri

in

molte

maniere,

ed

a

se

medesima

specialmente,

quando si reflette in se stessa e si radoppia; allor che vuol volere, e gli piace che voglia quel che vuole; o si ritratta, allor che non 1 Nei

vuol

dialoghi

® Cantico

dei

quel

De

che vuole 3, e gli dispiace

/a causa,

cantici,

II,

p.

10-12.

318

che voglia

sgg.

3 W salta le parole: o si ritratta, allor che

non vuol quel che vuole

{B. [15-6)) (W. I_, 304-5) (L. 614) (G.1 IT, 295-6) (G2 II, 318-9).

938

ARGOMENTO

DEL

NOLANO

quel che vuole: cossi in tutto e per tutto approva

quel ch’ è

bene e quel tanto che la natural legge e giustizia gli definisce:

e mai affatto approva quel che è altrimente. E questo è quanto si esplica nel primo e secondo articolo. Nel terzo si vede il gemino frutto di tal efficacia, secondo che (per consequenza de l’affetto che le attira e rapisce) le cose alte si fanno basse, e le basse dovegnono alte; come per forza de vertiginoso appulso e vicissitudini successo dicono che la fiamma s' inspessa in aere, vapore ed acqua, e l’acqua s’assottiglia

in vapore,

la fiera,

gli cagnuoli,

In sette l’ impeto e il progresso de l’anima turbulenta. preda,

aere

e fiamma.

articoli del Quarto dialogo si contempla vigor de l’ intelletto, che rapisce l'affetto seco, ed de pensieri del furioso composto, e delle passioni che si trova al governo di questa republica cossi Là non è oscuro chi sia il cacciatore, l'ucellatore,

il compimento

gli pulcini, de

tante

la tana,

fatiche,

il nido,

la pace,

la rocca,

riposo

la

e bra-

mato fine de si travaglioso conflitto. Nel Quinto dialogo si descrive il stato del furioso in questo mentre, ed è mostro l’ordine, raggione‘e condizion de studii e fortune. Nel primo articolo per quanto appartiene a perseguitar l'oggetto che si fa scarso di sé; nel secondo

quanto

al

continuo

e

non

remittente

concorso

de gli affetti; nel terzo quanto a gli alti e caldi, benché vani proponimenti; nel quarto quanto al volontario volere; nel quinto quanto a gli prontie forti ripari e soccorsi. Ne gli seguenti si mostra variamente la condizion di sua fortuna, studio e stato, con la raggione e convenienza di quelli, per le antitesi, similitudini e comparazioni espresse in ciascuno di essi articoli. Argomento

de’

cinque

dialogi

della seconda

parte.

Nel Primo dialogo della seconda parte s'adduce un seminario delle maniere e raggioni del stato dell’eroico furioso. Ove nel primo sonetto vien descritto il stato di quello sotto la ruota del tempo; nel secondo (B.

[16-8))

(W.

II,

305-6)

(L.

614-5)

939

(G.1

II,

296)

(G.*

II,

3190-20).

DE

GLI

EROICI

FURORI

viene ad iscusarsi dalla stima d'’ ignobile occupazione ed indegna iattura della angustia e brevità del tempo; nel terzo

accusa l' impotenza de suoi studi, gli quali, quantunque all'interno sieno illustrati dall'eccellenza de l'oggetto, questo per l’incontro viene ad essere offoscato ed annuvolato da quelli; nel quarto è il compianto del sforzo senza profitto delle

facultadi

de

l'anima,

mentre

cerca

risorgere

con

l’ im-

parità de le potenze a quel stato che pretende e mira; nel quinto vien rammentata la contrarietà e domestico conflitto che si trova in un suggetto, onde non possa intieramente appigliarsi l'affetto

ad

un

aspirante;

termine

o fine;

nel

nel

settimo

sesto

vien

vien

espresso

in

conside-

messa

razione la mala corrispondenza che si trova tra colui ch'aspira, e quello a cuì s’aspira; nell’ottavo è messa avanti gli occhi la distrazion dell'anima, conseguente della contrarietà de cose esterne ed interne tra loro, e de le cose interne in se stesse, e de le cose esterne in se medesime; nel nono è ispie-

gata l’etate ed il tempo del corso de la vita ordinarii all'atto de l'alta e profonda contemplazione: per quel che non vi

conturba

il

flusso

o

reflusso

della

complessione

vegetante,

ma l'anima sì trova in condizione stazionaria e come quieta; nel decimo l'ordine e maniera in cui l'eroico amore talor

ne assale, fere e sveglia; nell'undecimo la moltitudine delle specie ed idee particolari che mostrano l'eccellenza della marca dell’unico fonte di quelle, mediante

l’affetto verso alto; nel

duodecimo

le quali vien incitato

s'esprime la condizion

del studio umano verso le divine imprese, perché molto si presume prima che vi s’entri, e nell'entrare istesso: ma quando poi s'ingolfa e vassi più verso il profondo, viene ad essere smorzato il fervido spirito di presunzione, vegnono relassati i nervi, dismessi gli ordegni, inviliti gli pensieri, svaniti tutti

dissegni, e riman l’animo confuso, vinto ed exinanito. Al qual proposito fu detto dal sapiente: gui scrutator est maiestatis,

opprimetur

a gloria:.

I Proverbi

(B.

[18-0]))

(W.

di

Nell'ultimo

SALOMONE,

II,

306)

XXV,

27.

(L. 615-6)

(G.1

940

è più

II,

296-7)

manifestamente

(G.è

II,

320-1).

ARGOMENTO

DEL

NOLANO dr

espresso quello che nel duodecimo e figura.

Nel Secondo dialogo scorso dialogale sopra di quello che

domò

imperio

studio,

di

il forte,

Cupidine

elezione

Nel

ramollò

Terzo

superiore,

dialogo

risposte del core a gli occhi,

rato l'essere e modo

in similitudine

è in un sonetto ed un dispecificato il primo motivo

il duro

e scopo.

è mostrato

ed

con

il rese

sotto

l'amoroso

proposte

e quattro

celebrar

in quattro

e de gli! occhi

tal

vigilanza,

al core, è dechia-

delle potenze cognoscitive ed appetitive.

Là si manifesta qualmente la volontà è risvegliata, addirizzata, mossa e condotta dalla cognizione; e reciprocamente la cognizione è suscitata, formata e ravvivata dalla volontade, procedendo or l'una da l'altra, or l’altra da l'una. Là si fa

dubio,

se l’ intelletto

o pur

l’atto della cognizione

neralmente

della

non si può amare modo

si desidera,

roverso;

onde

è

o generalmente

potenza

sia maggior

appetitiva,

più che intendere, in

certo

consueto

la potenza

modo

di

conoscitiva,

de la volontà

o pur

de

o ge-

l'affetto:

se

e tutto quello ch' in certo

ancora

chiamar

si conosce,

l'appetito

e per

il

cogni-

zione, perché veggiamo che gli peripatetici, nella dottrina de quali siamo allievati e nodriti in gioventù 2, sin a l'appetito in

potenza

ed

atto

naturale

chiamano

cognizione;

onde tutti effetti, fini e mezzi, principii, cause ed elementi distingueno in prima-, media- ed ultimamente noti secondo la natura, nella quale fanno in conclusione concorrere l’appetito e la cognizione. Là si propone infinita la potenza della materia ed il soccorso dell'atto che non fa essere la potenza vana. Laonde cossi non è terminato l’atto della volontà circa il bene, come è infinito ed interminabile l'atto della cognizione circa il vero: onde ente, vero e buono son presi per medesimo significante circa medesima cosa significata,

1 BL:

del gl.

? Anche nella Cena (p. 136) il DB. accenna al periodo peripatetico de’ suoi studi filosofici. Cfr. poi SPAMPANATO, Vita, pp. 189-90.

(B. [19-21]) (W. II, 306-7) (IL. 616-7) (G.1 II, 297-8) (Ga II, 321).

94I

DE

GLI

EROICI

FURORI

Nel Quarto dialogo son figurate ed alcunamente ispiegate le nove raggioni della inabilità, improporzionalità e difetto dell'umano sguardo e potenza apprensiva de cose divine. Dove nel primo cieco, che è da natività, è notata la raggione ch’ è per la natura che ne umilia ed abbassa.

Nel

secondo,

cieco per il tossico della gelosia, è notata quella ch’ è per l’ irascibile e concupiscibile che ne diverte e desvia. Nel terzo, cieco per repentino apparimento d’ intensa luce, si mostra quella che procede dalla chiarezza de l’oggetto che ne abbaglia. Nel

quarto,

allievato

e nodrito

a lungo

a l'aspetto

sole, quella che da troppo alta contemplazione

ne

fura

alla

moltitudine.

Nel

quinto,

del

de l’unità che

che

sempre

mai

ha gli occhi colmi de spesse lacrime, è designata I’ improporzionalità de mezzi tra la potenza ed oggetto che ne impedisce. Nel

sesto,

che

organico visivo,

per

molto

è figurato il mancamento

intellettuale che ne occhi sono inceneriti affetto che disperge,

Nell'ottavo,

di

quello

della

specie

de

ave

svanito

l’umor

de la vera pastura

indebolisce. Nel settimo, cui gli da l'ardor del core, è notato l'ardente attenua e divora tal volta la potenza

discretiva. strale,

lacrimar

che

orbo

proviene

l'oggetto;

per

la ferita

dall’ istesso

la qual

vince,

d'una-punta

atto

altera

dell'unione

e corrompe

la potenza apprensiva, che è suppressa dal peso e cade sotto l’ impeto de la presenza di quello; onde non senza raggion talvolta la sua vista è figurata per l'aspetto di folgore pene-

trativo. Nel

la causa

della

che

possa

nono,

che per esser mutolo

sua

cecitade,

mai

gionger

vien

significata

non può

ispiegar

la raggion

de

le

raggioni, la quale è l’occolto giudicio divino che a gli uomini ha donato questo studio e pensiero d’ investigare, de sorte non

sua cecità ed

ignoranza,

più

alto

e stimar

che

più

alla cognizione

degno

il silenzio

della

ch’ il

parlare. Dal che non vien iscusata né favorita l'ordinaria ignoranza; perché è doppiamente cieco chi non vede la sua

cecità: e questa è la differenza tra gli profettivamente studiosi e gli ociosi insipienti: che questi son sepolti nel letargo della

privazion dcl giudicio di suo non vedere,

svegliati (B.

[21-2))

e prudenti (W.

giudici

II, 307-8)

della sua

(L. 617-8)

942

(G.!

e quelli sono accorti,

cecità,

II, 298-9)

e però

son nel-

(G.2 II, 321-2).

ARGOMENTO

l’ inquisizione quali

e nelle porte

son lungamente

Argomento

DEL

de l'acquisizione

banditi

cd

NOLANO

della

luce,

delle

gli altri.

allegoria

del quinto

dialogo.

Nel Quinto dialogo, perché vi sono introdotte due donne, alle quali (secondo la consuetudine del mio paese) non

sta

bene

di commentare,

argumentare, desciferare,

saper

molto ed esser dottoresse, per usurparsi ufficio d' insegnare e donar instituzione, regola e dottrina a gli uomini, ma ben de divinar

corpo;

e profetar

qualche

volta

che

si trovano

però gli ha bastato de farsi solamente

figura, lasciando a qualche maschio negocio di chiarir la cosa significata.

overamente

tòrgli

nove

come

ciechi,

la fatica)

in forma

fo

in

recitatrici della

ingegno il pensiero e Al quale (per alleviar

intendere,

d'ufficio

il spirito

e cause

molte altre differenze suggettive correno zione, che gli nove del dialogo precedente;

qualmente esterne,

questi

cossi

con

con altra significaatteso che, secondo

la volgare imaginazione delle nove sfere, mostrano il numero, ordine e diversità de tutte le cose che sono subsistenti infra unità absoluta, nelle quali e sopra le quali tutte sono ordinate le proprie intelligenze che, secondo certa similitudine analogale, dependono dalla prima ed unica. Queste da cabalisti, da

caldei,

da

maghi,

da

platonici

e da

cristiani

teologi

son

distinte in nove ordini per la perfezione del numero che domina nell'università de le cose ed in certa maniera formaliza il tutto; e però con semplice raggione fanno che si significhe la divinità, e secondo la reflessione e quadratura in se stesso, il numero e la sustanza de tutte le cose dependenti.

Tutti gli contempla-

tori più illustri, o sieno filosofi, o siano teologi, raggione

e proprio

lume,

o parlino per

o parlino per fede e lume

superiore,

intendeno ‘in queste intelligenze il circolo di ascenso e descenso. Quindi dicono gli platonici, che per certa conversione

accade che quelle, che son sopra il fato, si facciano sotto il fato del tempo e mutazione, e da qua montano altre al luogo (B.

[22-4])

(W.

II,

308)

(L.

618)

(G.!

943

II,

299-300)

(G,?

II,

322-3).

DE

di

quelle.

poeta,

Medesima

dove

GLI

EROICI

conversione

FURORI

è significata

dal

pitagorico

dice:

Has omnes, ubi mille Lethaeum ad fluvium

Rursus

ut incipiant

rotam volvere per annos deus evocat agmine magno,

in corpora

velle reverti

Questo, dicono alcuni, è significato dove è detto in revelazione che il drago starà avvinto nelle catene per mille anni, e passati quelli, sarà disciolto 2. A cotal significazione voglion che mirino molti altri luoghi, dove il millenario ora è espresso, ora è significato

cubito,

ora

per

per uno

una

ed

anno,

ora per una

un’altra

maniera.

etade,

Oltre

ora per un

che

certo

il

millenario istesso non si prende secondo le revoluzioni definite da gli anni del sole, ma secondo le diverse raggioni delle di-

verse misure ed ordini con li quali son dispensate diverse cose: perché cossi son differenti gli anni de gli astri, come le specie de particolari non son medesime. Or quanto al fatto della revoluzione, è divolgato appresso gli cristiani teologi, che da ciascuno de’ nove ordini de spiriti sieno trabalzate le moltitudini de legioni a queste basse ed oscure regioni; e che per non esser quelle sedie vacanti, vuole la divina providenza che di

queste

anime,

che

vivono

a quella eminenza. Ma espressamente 3, come luzione

non

in

è de tutti, né sempre,

v.

è

vicissitudinale

1 VirciLio, Aen., 749 (ma 750):

umani,

siano

assumpte

tra’ filosofi Plotino solo ho visto dire tutti teologi grandi, che cotal revo-

Origene solamente, come tutti duchini ed altri molti riprovati,

voluzione

corpi

e

ma

una

volta.

E tra teologi

filosofi grandi, dopo gli Saave ardito de dire che la re-

sempiterna;

e che

tutto

quel

VI, 748-51; cîr. sopra p. 883. ÉÉ saltato il Scilicet immemores super ut convexa revisant.

Quindi, è sostituito a rursus el incipiaut: rursus tl. * Apocal., XX, 2, 7. 3 Allude forse ad Enn. III, lib. IV, c. 6. (Il MicHEL

rinvia

alle Exn., IV, 8 e osserva: « PLOTIN ne dit pas ‘expressement' ce que Bruno lui fait dire, mais on trouve quelque chose d'analogue dans le commentaire de Marsile Iicin: ‘ Praeterea nec oporterel ommnem animam onmnes induere species, nec quamlibet animam pariter ascendere vel descendere....* (In Plotinum, IV. 8, 2)n.) (DB. (24-5))

(W.

II, 308-9)

(L. 618-0)

944

(G.I II, 300-1)

(G.2 II, 323-4).

ARGOMENTO

DEL

NOLANO

medesinto che ascende, ha da ricalar a basso; come si vede in tutti gli elementi e cose che sono nella superficie, grembo e

ventre de la natura. Ed io per mia fede dico e confermo per convenientissimo, con gli teologi e color che versano su le leggi ed instituzioni de popoli, quel senso loro: come non manco d’affirmare ed accettar questo senso di quei che parlano

secondo la raggion naturale tra’ pochi, buoni e sapienti. L'opinion de' quali degnamente è stata riprovata, per esser divolgata a gli occhi della moltitudine; la quale se a gran pena può essere refrenata da vizii e spronata ad atti virtuosi per la fede

de

pene

sempiterne,

che

sarrebe

se

la

si

persuadesse

qualche più leggiera condizione in premiar gli eroici ed umani gesti, e castigare gli delitti e sceleragini? Ma per venire alla conclusione di questo mio progresso, dico che da qua si prende la raggione

e discorso

della

cecità

e luce

di questi

nove,

or

vedenti, or ciechi, or illuminati; quali son rivali ora nell'ombre e vestigii della divina beltade, or sono al tutto orbi, ora nella

più aperta luce pacificamente

si godeno.

Allor che sono nella

prima condizione, son ridutti alla stanza di significa la omniparente materia. Ed è detta

perché

da

quel

padre

de

le forme

ha

l'eredità

Circe, la figlia del

qual sole,

e possesso

di

tutte quelle le quali, con l'aspersion de le acqui, cioè con l’atto

della generazione, per forza d' incanto, cioè d’occolta armonica raggione, cangia il tutto, facendo dovenir ciechi quelli che

vedeno. Perché la generazione e corrozione è causa d’oblio e cecità, come esplicano gli antichi con la figura de le anime che

e

si bagnano ed inebriano di Lete. Quindi dove gli ciechi si lamentano,

madre

conturbazion

di

tenebre

ed

e

contristazion

de

dicendo:

orrore,

l’anima

che

Figlia

è significata ha

perse

la

l’ali,

la quale se gli mitiga allor che è messa in speranza di ricovrarle. Dove Circe dice: Prendete un altro mio vase fatale, è significato che seco portano il decreto e destino del suo cangiamento; il qual però è detto essergli porgiuto dalla medesima

mente disse (B.

Circe; perché un contrario è original-

nell'altro, quantunque

lei, che

[25-6])

(W.

sua medesima II, 309-10)

non vi sia effettualmente:

mano

(L. 619-20)

945

non

(G.*

vale aprirlo, IT, 301)

ma

onde

com-

(G.2 II, 324-5).

DE metterlo.

Significa

sotto il firmamento mento

che

GLI

ancora

che

son

quelle

che

FURORI due

che acciecano;

illuminano:

rici e platonici

EROICI

nel descenso

sorte

d’acqui:

e superiori,

da un

sono

inferiori,

sopra il firma-

significate

da

pitago-

tropico ed ascenso

da un

altro. Là dove dice: Per largo e per profondo peregrinate il mondo, cercate tutti gli numerosi regni, significa che non è progresso immediato

da

una

da una forma

forma

contraria

a l’altra,

a la medesima;

né regresso

immediato

però bisogna trascorrere,

se non

tutte le forme che sono nella ruota delle specie naturali, certamente molte e molte di quelle. Là s’ intendeno illuminati da la vista de l'oggetto, in cui concorre il ternario delle perfezioni,

che

sono

beltà,

sapienza

e verità,

per

l’aspersion

de

l’acqui,

che negli sacri libri son dette acqui di sapienza, fiumi d’acqua

di vita eterna, Queste non si trovano nel continente del mondo, ma penitus tolo divisim ab orbe 1, nel seno dell’ Oceano?, del-

l'Anfitrite,

della

divinità,

dove

è

quel

fiume

che

apparve

revelato procedente dalla sedia divina, che ave altro flusso che ordinario naturale. Ivi son le Ninfe, cioè le beate e divine

intelligenze che assisteno ed amministrano alla prima intelligenza, la quale è come la Diana tra le nimfe de gli deserti. Quella sola tra tutte l'altre è per la triplicata virtude potente

ad

aprir

ogni

sigillo,

a sciòrre ogni

secreto, e disserrar3 qualsivoglia

cosa

nodo,

a discuoprir

rinchiusa.

Quella

ogni

con

la

sua sola presenza e gemino splendore del bene e vero, di bontà e bellezza appaga le volontadi e gl’ intelletti tutti, aspergendoli con l'acqui salutifere di ripurgazione. Qua è conseguente il canto

e suono,

condo

l'ordine

monia

di ciascuna,

dove

de nove che

son

nove

sfere;

intelligenze,

dove

è continuata

prima con

nove

muse,

si contempla

l'armonia

de

(G.

del

se-

l’ar-

l’altra;

perché il fine ed ultimo della superiore è principio e capo dell’ inferiore, perché non sia mezzo e vacuo tra l’una ed altra:

di

1 Vedi, sopra, n. 1 2 (Mi: dell'Oceano;

a p. 936. G!G?: de

Lagarde, che però registra in 3 (LFM: et disserrar; G! G3:

l'Oceano

nota l’origin. a disserrar)

risolve

Oceano

dell' Oceano).)

(B. [26-8]) (W. II, 310) (L. 620) (G.! II, 301-2) (G.2 II, 325-0).

946

ARGOMENTO e l'ultimo

de

l’ultima,

per

DEL

via

NOLANO

de circolazione,

concorre

con

il

principio della prima. Perché medesimo è più chiaro e più occolto, principio e fine, altissima luce e profondissimo abisso, infinita

esplicati

potenza

da

ed

noi

infinito

in altri

monia e consonanza instrumenti insieme;

della

natura,

della mente,

il

atto,

luoghi.

secondo

le raggioni

Appresso

e modi

si contempla

l’ar-

de tutte le sfere, intelligenze, muse ed dove il cielo, il moto de’ mondi, l’opre

discorso

il decreto

de

gl'intelletti,

la

contemplazion

della divinà providenza,

tutti d'accordo

celebrano l'alta e magnifica vicissitudine che agguaglia l’acqui inferiori alle superiori, cangia la notte col giorno, ed il giorno con la notte, a fin che la divinità sia in tutto, nel modo

con cui

tutto è capace di tutto, e l’' infinita bontà infinitamente si communiche secondo tutta la capacità de le cose. Questi son que’ discorsi, gli quali a nessuno son parsi più convenevoli ad essere addirizzati e raccomandati, che a voi,

Signor

altri

fanno

penso

aver

eccellente,

fatto

quasi

alcuna per

a

fin

volta

ch'io

ordinario,

non

per poca come

vegna

a

fare,

advertenza,

colui

che

come

e molti

presenta

la

lira ad un sordo ed il specchio ad un cieco. A voi dunque

si

presentano, perché 1’ Italiano raggioni con chi l’ intende 1; gli versi sien sotto la censura e protezion d’un poeta ?; la filo-

sofia si mostre ignuda3 ad un si terso ingegno come il vostro;

I Il Sidney, si è avvertito nella Cena (p. 72, n. I), aveva studiato in Italia, nonostante, qui giova aggiungere, i pregiudizi diffusi nella sua patria, sin tra coloro che gli erano per ogni ragione carissimi.

Il IFlorio,

in

una

delle

sue

opere:

« Perché

io son

io,

un

tratta per altro

da

ro-

inglese in un italiano, non dubito che si ha già pronto il coltello per tagliarmi la gola:un Inglese italianato è un diavolo incarnato». Ma cfr. Spampanato, Sulla soglia del Secento, Milano, Albrighi, Segati & C., 1926, pp. 81-2; e del medesimo Vita di G. B., pp. 383-4. è In fatti, è l'autore non solo della Difesa della poesia, di cui

nella Cena, p. 70, n. 1; non solo dell'Arcadia,

manzi bizantini più che da canti pastorali italiani; ma anche delle mirabili liriche composte per Penelope Devercux, la leggiadra figlia

del Conte 3 Cfr. (B.

d'’ Essex. i bellissimi

(28-9))

(W.

versi

II, 310-1)

del

De

(L. G20-1)

947 64



G,

Bruno,

Dialoghi

italiani

immenso, (G.t

II,

lib. 302-3)

VIII,

cap.

(G.2 II, 326).

I,

DE

GLI

EROICI

FURORI

le cose eroiche siano addirizzate ad un eroico e generoso animo,

di qual vi mostrate dotato; gli officii s'offrano ad un suggetto si grato,

e gli ossequi!

vi scorgo

quello

mente

venuto

biano v.

86

ad

un

signor

talmente

vi siete manifestato per sempre. ne

con

gli officii 2, che

seguitato. sgg.,

che

in

maggior alcuni

qual-

E nel mio particolare

magnanimità

altri

degno,

con

m'’avete

riconoscenza

pre-

m'ab-

Vale.

Opera,

I,

tt,

290.

Cfr.

il mio

G.

B.

e il pensiero

Rinascimento*, pp. 191-2. 1 W salta le parole: ad un soggetto st grato e gli ossequii. ? Vedi, sopra, l’ Epist. proem. dello Spaccio, p. 549.

(B. (29)) (W. II, a11) (L. 621) (G.! II, 303) (G4 II, 326-7).

948

del

ARGOMENTO

DEL

AVERTIMENTO Amico

lettore,

NOLANO

A’ LETTORI.

m’occorre ‘al fine da obviare

al rigore d'al-

cuno a cui piacesse che tre de’ sonetti, che si trovano nel primo dialogo della seconda parte de’ Furori eroici, siano in

forma

simili

a

gli

altri,

che

sono

nel

medesimo

dialogo;

voglio che vi piaccia d’aggiongere a tutti tre gli suoi tornelli !. A quello che comincia: Quel ch’il mio cor, giongete

in

fine:

Onde di me si diche: Costui or ch'av’affissi gli occhi

Che

A quello in fine:

fu

che

terra,

mi

gete

quello

al fine:

che

Avida

Lasso,

que’

ALCUNI Da

A insino

potente

giorni

l'efficacia

femmi

a lungo

ERRORI

DI

Piacciavi, benigno

gli

s'opponi;

comincia:

illustre,

si duole.

da

e accende

Troncommi

Che

orco

Se

splend’

Farammi

A

d' Endimion,

comincia:

Ciel,

S'ella

rival

lieti

d’un

al sole,

ed

èmmi

e beato.

di

giongete

a lato,

trovar,

gion-

instante,

infortunato

STAMPA

eroi,

amante.

PIÙ

URGENTI

=.

lettore, prima che 3 leggere, di corregere.

a Q significano

gli quinterni.

Il numero

seguente

1 (G1 = L: tornelli; G2z: sfornelli) ® Questa errata-covrige tralasciò W, non L. E anche noi, pur servendocene, come dell'Avertimiento, a correzione del testo, abbiamo

creduto qui di riprodurla, giusta quello che già si è fatto per lo Spaccio (pp. 830-1), a documento della edizione originale curata dal B. (Questo prospetto è ora riprodotto anche dal Michel.) 3 (EM: che; GI! G3: di)

(B. [29-30]) (W. II, 311) (L. 621-2) (G.1 II, 304) (G.? II, 329). 949

DE

quella lettera,

GLI

EROICI

FURORI

significa la carta. F significa la faccia prima

o

seconda. I significa la linea. A 1, f 2, l. 2 correte a’ miei dolori. A 2, f I, li 12, ritenendolo da cose. F 2, li 30, Homerica poesia. illustre mentre canto di morte cipressi et

li 4, la gelosia sconsola. ben

soli con

sua

diva

li 11, di regione. corte.

B

‘A 4, f 1, li (1)5, inferni. A 25,f 1,

1, f 2, li 7, Potran

C 2, f 2, li 2, sappia

certo

che

se

quei. lin 4, seguite che parlino. li 23 son divini. C 7, f 2, 1 15, suspicientes in. D 8, f 1, Alti, profondi. f 2, l 10, compagni del mio core. E 6, f 1, l 21, intrattiene in quel essere. F 1, f 1, li 16, dice quell’altezza. G 8, f 1, ì 2, che fa volgar. I 2,

f 1, li 17, sguardo

Per quanto

apri

le porte.

mi si diè, L

6,

K

f£ 2,

5, f 2, li 19, Del

li 21,

XII,

Cesa.

gratioso L

7,

f 1,

1. 1o, da cure moleste. M 4, f 1, li 15, ergo. Cor. N 5, f. 1, lin

penultima Deucalion. O 3, f 1, li 14, Hammi si crudament' il spirto infetto. O 4, f 2, li 10, Il Nil d'ogn’altro suon. O 5,

f 2, li 13, intromettcea la luce. O 7, f 1, li 6, Aspra ferit' empio ardor, li 13, appresso Dite, f 2, li ultima, in quello aspira per certo più. O 8, f 2, li ultima, alli quali si mostra, non proviene

con misura di moto et tempo, come accade nelle. P 6, f 1, li antepenultima, quale chiumque ave ingegno. P. 7, f 1, li 12,

Siam

nove

esprimere.

spirti che molt'anni.

Q

4,f

1 (G! = L: A (B.

[30-1})

1, l1 22,

De

622)

1, f I, li 10, Ch’io possa

le dimore

7 (emendaz. (L.

Q

alterne.

accolta da M).)

(G.!

II, 304-5)

950

(G.2

II,

328-9).

ISCUSAZION ALLE

PIÙ

DEL

VIRTUOSE

E

NOLANO

LEGGIADRE

DAME.

De l’ Inghilterra o vaghe Ninfe e belle, Non voi ha nostro spirto in schifo, e sdegna, Né

per mettervi

Se

l’ influsso

giù

suo

stil s' ingegna,

Se non convien che femine v’appelle. Né computar, né eccettuar da quelle Son certo che voi dive mi convegna, commun

in

voi

non

regna,

E siete in terra quel ch’ in ciel le stelle. De voi, o Dame, la beltà sovrana

Nostro

Che non

rigor né morder

fa mira

Lungi

arsenico

può,



vuole,

a specie soprumana.

tal quindi

s’ invole,

Dove si scorge l'unica Diana!, Qual’ è tra voi quel che tra gli astri il sole ?. L’ ingegno, le parole

E "1 mio

(qualunque

Faranvi ! Cfr.

sopra,

ossequios’ il studio p.

* Il PETRARCA,

tra le donne

sia) vergar di carte

936,

nel

n.

son.

2.

Quando

un sole »; nel Trionfo

e l'arte.

"/ pianeta:

d'Amore,

«Cosi

II, 44:

costei,

ch' è

« E veramente

è fra le stelle un sole »; nel Trionfo della Morte, I, 9: « Stelle chiare pareano, in mezzo un Sole, Che tutte ornava e non togliea lor vista »;

ecc.

(B.

[32])

(W.

II,

312)

(L.

622-3)

951

(G.t

II,

[306])

(G.2

II,

[330]).

PRIMA

PARTE

DE GLI

DIALOGO

EROICI

FURORI=

PRIMO

INTERLOCUTORI Tansillo,

Cicada *.

Tansillo. Gli furori, dunque, atti più ad esser qua primieramente locati e considerati, son questi che ti pono avanti secondo l’ordine a me parso più conveniente. t Manca in BL. ® Il Tansillo

introdotto

in

questi

dialoghi

è

1’ insigne

poeta, n. a Venosa nel 1510, m. nel 1568. Le sue opere erano molto familiari e care al B., che cita spesso o imita i versi di lui (V. Spam-

PANATO, Bruno e Nola, p. 69e n. I a p. 185). Intorno a lui son ai

Capitoli

giocosi

e satirici,

sgg.; Vita di G.B., pp. 184-5, € da vedere le note di S. Volpicella

Napoli,

Dura,

1870,

e Morano,

1887;

la prefazione del Fiorentino alle Poesie liriche; l'introd. del Flamini alla sua edizione dell’ Ec/oga e i poemetti; ed in fine l’ introd. e le note

prossima 1926.) Napoli,

(1884),

di

E.

Pèrcopo

pubblicazione

Canzoniere

(Napoli,

edito

ed

Tipografia

inedito,

degli

vol.

I,

di

Artigianelli,

Vedi anche FIioRENTINO, Aneddoti tansilliani e danteschi, Morano, 1883; e B. Martirano e L. T., in Napoli lett., I

19;

G.

RosaLza,

Napoli, Giannini, BECK, L. Tansillo

1894; Studii

al

Nuovi

documenti

per

la

vita

di

L.

T.,

1903 (in Studi di letter. ital., vol. V); KuHLENu. G. Bruno nei Preussische Jahrbucher, LKXV,

Pèrcopo, Un codice autogr. di rime tans. in Ispagna, in dedicati a F. Torraca, Napoli, Perrella, 1902, pp. 525-53.

Cicada

è la

forma

latina

di

Cicala,

e l'una

e l’altra

forma

sono, nello Spaccio (pp. 633 e 639), usate indifferentemente. Lo Spam. PANATO (Bruno e Nola, pp. 21 2, e Vita, p. 65, n. 2) osserva che il Cicala

è il solo interlocutore

degli

Eroici furori

che

non

sia

di Nola,

(B. (331) (\W. IL, 313) (L. 623) (G.1 IT, [307)) (G II, [331)).

953

DE

GLI

EROICI

FURORI

Cicada. Cominciate pur a leggerli. Tasillo. Muse, che tante Importune correte

volte ributtai, a' miei dolori,

Per consolarmi sole ne' miei guai Con tai versi, tai rime e tai furori, Con

quali

ad

altri

vi

mostraste

mai,

Che de mirti si vantan ed allori; Or sia appo voi mia aura, fncora e porto, Se non mi lice altrov'ir a diporto.

2

ma che tuttavia non va considerato interamente come un estraneo, perché il Tansillo lo mette appresso, in questo stesso nostro dialogo (p. 975),

nel numero

dei conoscenti

suoi e di Giovanni

Bruno,

padre

e ivi, n. 5. Nella

quale

del Nolano. Non è improbabile che si tratti di quel magnifico Odoardo

Cicala,

ricordato

nella p. 204 del De /a Causa,

fuor di posto si cita, devo qui avvertire, lo Spaccio, dove si discorre d’una collina e non del padrone della nave. Nella prima parte di una memoria sugli Eroici furori, letta nel 1882 all'Accademia delle scienze mor. e polit. di Napoli, ma non mai pubblicata, il FioRENTINO pare dimostrasse, prima dello Spampanato, la storicità di questo Cicada. Essendo stata dimenticata fin la notizia di quella memoria, è opportuno riferire il sunto che della 18 e della 28 parte di essa l'A. inseri nei Rendiconti dell’Ac-

cademia:

I. «Il

riferisce

disserente

esamina

alla tragicomedia

l'invenzione

di Marcantonio

di questi

Epicuro

dialoghi,

intitolata:

e la

La

cecaria. Qui, come negli Eroici furori, si tratta di ciechi, i quali hanno perduta la vista per causa di amore, e per virtù di amore la ricuperano; se non che i ciechi del componimento dell' Epicuro sono tre, e nei dialoghi del Bruno sono nove ». [Questo primo brano della memoria fu pubbl. dal F. nel Giorn. napol. della dom., a. I, n. 29, 16 luglio 1882].

« Un

del Bruno

stesso

l'amore

nei

altro riscontro e quelle

suoi

è messa

istituisce il socio

di Luigi Groto,

dialoghi dal

citato;

poeta

Fiorentino

fra Je poesie

detto il Cieco d'Adria,

dove

d'Adria

la contrarietà

in rilievo,

dal Bruno

implicata

e filosoficamente

nel-

for-

mulata. a Finalmente il disserente dimostra la storicità de’ personaggi introdotti ne' dialoghi bruniani; quali sono il Tansillo, il Cesarino,

il Cicada, il Maricondo ed altri, Del Tansillo specialmente fa vedere

quali poesie appartengono a lui, e quali propriamente a Giordano Bruno: poesie che prima erano state malamente attribuite da alcuni

critici al solo Bruno. (B.

(33-4]))

(W.

IL,

313)

(L. 623)

954

(Gt

II,

308)

(G.?

II,

332).

PARTE 3

PRIMA

DIALOGO

PRIMO

O monte, o dive, o fonte, Ov’abito, converso e mi nodrisco;

Dove

quieto imparo

ed imbellisco;

Alzo, avvivo, orno il cor, il spirto e fronte, Morte, cipressi, inferni Cangiate in vita, in lauri, in astri eterni!.

I. È da credere che più volte e per pi caggioni le ributtasse,

come

tra le quali

deve

possono

il sacerdote

ocioso; perché

esser queste.

de le muse,

l’ocio non

può

non

Prima,

perché,

ha possut'esser

trovarsi là dove

si combatte

contra gli ministri e servi de l’ invidia, ignoranza e malie ne

« Il disserente dimostra il carattere simbolico di questi dialoghi, svela

il contenuto

negli

affetti

filosofico ».

II. «La Psicologia e l' Etica qui hanno un valore più universale, e s' immedesimano con le leggi naturali. La contrarietà contenuta

ne’

principii

teria:

dono

i gradi

naturali.

alle forme

corruzione. «Dopo

è simbolo

della

di

delle

La

cecità

aver

cose

della

Circe

e della

vasta

contrarietà

incantatrice

naturali,

riguardato

più

è l'onnipotente

successiva al loro

illuminazione

nascimento

i dialoghi

implicata

ed

bruniani

ma-

rispon-

alla loro

sotto

questo

nuovo aspetto, il socio Fiorentino li riscontra con l’ Etica di Spinoza,

ingegnandosi di provare, che lo Spinoza ne- abbia ricavato parecchi concetti fondamentali della sua grande opera. «Nel filosofo olandese ‘di fatti l' Etica è insieme Cosmologia e

Metafisica, come nel Bruno: la contrarietà è il cardine della teorica degli affetti: l'amore intellettuale di Dio è l'apice della liberazione, o della illuminazione, come direbbe il Nolano. «La dottrina della sostanza e dell’attributo, cioè dell’ infinito assolutamente, e dell'infinito in un dato genere, sono due concetti che si trovano esplicitamente insegnati negli Eroici furori; sicché,

tutto

ragguagliato,

Rend.

delle

l’Etica

spinoziana

si può

dire

una

sistematica

esposizione di ciò che ne' dialoghi bruniani era stato poeticamente, e in guisa frammentaria, circa un secolo prima, concepito; salvo, beninteso, la differenza che proviene dalla interposizione di Cartesio »: torn.

e de’

lavori

dell'Acc.,

ecc.,

a

XXI,

Napoli,

1882,

maggio-giugno, pp. 8-9; settembre, pp. 1-2. ! Questa rarissima forma di sonetto misto, col settenario nelle due terzine quasi sempre a’ medesimi posti, è quella che il B. conserva in quasi tutti gli Er. fur., e quasi pare la conservi per distinguere le sue dalle rime altrui. (Sulla struttura dei sonetti

(B. [34]) (W. II, 313-4)

(L. 623-4)

955

(G.! II, 309) (G.? II, 333).

DE

GLI

EROICI

FURORI

gnitade. Secondo, per non assistergli degni protectori e defensori che l’assicurassero, îuxfa quello: Non mancaranno, o Flacco, gli Maroni, Se penuria non è de Mecenati!.

Appresso, studi

de

per

trovarsi

ubligato

filosofia,

li quali,

se non

alla contemplazion son

più

maturi,

e

denno

però, come parenti de le Muse, esser predecessori a quelle. Oltre, perché, traendolo da un canto la tragica Melpomene con pit materia che vena, e la comica Talia con più vena che

materia

da l’altro,

accadeva

l'altra, lui rimanesse in mezzo

dato, che comunmente

negli Ev.

Fur.

negocioso.

vedi

l’una

suffurandolo

a

più tosto neutrale e sfacen-

rità de censori che, ritenendolo del B.

che

Finalmente,

per l’auto-

da cose più degne

ora l'osservazione

di A.

ed alte,

FERRUOLO,

Sîr

Ph. Sidney e G. B., in « Convivium », r. n., 1948, n. 5, p. 607, n. 3, dove si richiama la «forma tipica del sonetto inglese » (tre quartine

e un

56,

distico

1 Si 5:

finale

ricordi

«Sint

nell’ Orlandino

a rima

il noto

verso

Maecenates,

(I, 4)

baciata).)

di

non

MarziaLE,

deeruunt,

Flacce,

o giorni

fortunati,

il FoLENGO:

O tempi

grassi,

Epigrammata, Marones».

VIII,

Donde

Quando de' poeti si trovorno boni, Mercé Gian Bocca d'or de' Mecenati, Ch ingrassar

BeRNI, nel cap.

Sopra

Per Dio,

Nati

a un

fenno

già

molli

Maroni;

un garzone: noi altri siam

tempo,

dove

pure

non

sgraziati

si trova

Di questi così fatti Mecenati; e il TAnsILLO,

Poesie son. Deh

p.

foss' io, Martirano,

Marone, Voi

XLVII,

0 Flacco in una

siete în ogni

cosa

24: a' tempi

sola, come

nostri

Mecenate.

(B. [34-5)) (\W. IT, 314) (L. 624) (G.! II, 309) (G.? II, 333-4).

956

PARTE

PRIMA

- DIALOGO

PRIMO

alle quali era naturalmente inchinato, cattivavano il suo ingegno, perché da libero sotto la virti lo rendesser cattivo sott'una vilissima e stolta ipocrisia; al fine, nel maggior fervor

de

fastidi

nelli

quali

incorse,

è avvenuto

che

non

avend’altronde da consolarsi, accettasse l’ invito di costoro,

che son dette inebriarlo de tai furori, versi e rime, con quali non si mostràro ad altri;' perché in quest'opra più riluce d' invenzione che d’ imitazione. Cicada. Dite: che intende per quei che si vantano de mirti ed allori? Tansillo. Si vantano e possono vantarsi de mirto quei che

cantano

tocca

la

d’amori;

corona

di

tal

alli quali, pianta

se nobilmente consecrata

si portano,

a Venere,

dalla

quale riconoscono il furore. Possono vantarsi d’allori quei che degnamente

cantano cose eroiche, instituendo gli animi

eroici per la filosofia speculativa e morale, overamente celebrandoli e mettendoli per specchio exemplare a gli gesti politici e civili. Cicada. Dunque, son più specie de poeti e de corone? Tansillo. Non solamente quante son le muse, ma e di gran numero di vantaggio: perché, quantunque sieno certi geni, non possono però esser determinate certe specie e modi d’ ingegni umani. Cicada. Son certi regolisti de poesia che a gran pena passano per poeta Omero, riponendo Vergilio, Ovidio, Marziale, Exiodo, Lucrezio, ed altri molti in numero de versi-

ficatori, examinandoli d'Aristotele 1, della

pp.

(B.

per

le regole

1 Del medesimo

avviso è il CAMPANELLA

119-21)

e respinge

Philos.

[35-6])

rat.

(Parisiis,

confuta (W.

II, 314)

Apud

I. du

de

Bray,

(GI,

957

Poetica

che nella quarta parte

la precettistica

(L. 624)

la

1638,

c. IV,

aristotelica;

309-10)

art.

III,

perché

(G.? II, 334-5).

DE

Tansillo. bestie;

Sappi

perché

GLI

EROICI

certo,

non

FURORI

fratel mio, che

considerano

questi son

quelle

regole

vere

principal-

mente servir per pittura dell’omerica poesia o altra simile in particolare, e son per mostrar tal volta un poeta eroico

tal qual fu Omero, e non per instistuir altri che potrebbero essere, con altre vene, arti e furori, equali, simili e maggiori de diversi geni, Cicada. Si che, come Omero nel suo geno non fu poeta che pendesse da regole, ma è causa delle regole che serveno a coloro

che

son più atti ad imitare

che

ad inventare;

e

son state raccolte da colui che non era poeta di sorte alcuna,

ma che seppe raccogliere le regole di quell’una sorte, cioè

dell'omerica poesia, in serviggio di qualch'uno che volesse

doventar

propria

non

musa,

Tansillo.

un

altro poeta,

ma

scimia

Conchiudi

ma

un

come

de la musa

bene,

Omero,

altrui.

che la poesia



non

non

nasce

di

da

altrimenti non sarebbero poeti quanti «veras res canunt», ma quelli che credono che al’ imitazione e la favola siano fine ed essenza di qualsiasi poema ». Quindi non sarebbe poeta chi è giudicato «il più dotto di tutti» Lucrezio, non non Empedocle, non Parmenide, non Lucano

l'uno della « vera storia della

guerra

amores

dolores

punica ».

Similmente,

canunt

et

qui

«eximentur veros

a

Virgilio cd ed Ennio,

civile » e l’altro in

poetarum

elegiis »,

Esiodo; cantore

della « guerra

choro

Catullo,

qui

veros

Marziale

e Properzio; non Ovidio nell’ Arte d'amare, negli Amori, ne' Fasti, ma solo nelle Metamorfosi. Non poeti coloro che prescelsero, come

Teognide e Focilide, argomenti morali, o, come Arato scientifici, 0, come Orazio, Persio e Giovenale, satirici. i veri poeti italiani, Dante e il Petrarca, il Sannazaro,

e il Vida,

per

non

nominare

altri;

ma

bensi

gli autori

e Manilio, Né in fine il Pontano

di novelle

e di antichi e rozzi poemi romanzeschi, come « Amadis de Gallia, Amadis de Grecia, Sferamundo, Palmerin d' Oliva, li Real de Franza, la Tavola rotunda, il Meschino cet consimiles fabulationes nugis

plenas et mendaciis ». ! Cfr. Spaccio, p. 601, n. 3. Negli Er. Fur. questa f. capita molto più frequentemente che in qualunque altra opera del B. (B.

[36-7]))

(W.

IT,

314-5)

(L. 624-5)

958

(G.!

IT,

310)

(G.

II,

335-6).

PARTE

PRIMA

DIALOGO

PRIMO

le regole, se non per leggerissimo accidente; ma le regole derivano da le poesie: e però tanti son geni e specie de vere regole,

quanti

son

geni

e specie

de veri pocti.

Cicada. Or come dunque saranno conosciuti gli veramente poeti ? Tansillo. Dal cantar de versi; con questo che cantando o vegnano

a delettare,

o vegnano

e delettare insieme :. Cicada. A chi dunque Tanstllo. Orfeo

ed

A

chi

servono

non

altri, poetare

a giovare,

potesse, senza

o a giovare

le regole d’Aristotele? come

le regole

Omero,

Exiodo,

d'Aristotele;

e che

per non aver propria musa, vuolesse ? far l’amore con quella d’ Omero. Cicada. Dunque, han torto certi pedantacci de tempi nostri, che excludeno dal numero de poeti alcuni, o perché non apportino favole 3 e metafore conformi, o perché non hanno principii de libri e canti conformi a quei d' Omero e Vergilio,

o perché

l’ invocazione,

non

osservano

la consuetudine

di far

o perché intesseno una istoria o favola con

l'altra, o perché finiscono4 gli canti epilogando di quel ch' è detto, e proponendo per quel ch' è da dire; e per mille altre 1 Reminiscenza Aut

Aut

Epist.

ad

oraziana:

prodesse

simul

Pison.,

volunt

et iucunda

vv.

aut

delectare

et idonea

poetae,

dicere vitae.

333-4.

2 BL: vuolesse; WGt: volesse. 3 Anche nelle Poesie filos. (ediz. Gentile, pp. 8-9), il CampPaNELLA «dice che più mirabili sono l’opere di Natura », contro «i poeti moderni » convinti che «le favole sono degne di cantarsi per l'ammirazione », giusta

essenziale al poeta ». 4 (Il Firpo integra manca

(B.

in

tutte

[37]))

(W.

le

II,

la

Poetica

perché

edizioni,

315)

ma

(L.

di

non il

625)

959

Aristotele

finiscono

senso

(G3

lo

II,

«che

fece

la favola

osservando:

«Il

esigé ».)

310-1)

(G.2

II

non

336).

DE

maniere

testo.

GLI

d’examine,

Onde

un proposito

par

EROICI

FURORI

per censure

e regole

vogliano

conchiudere

che

in virti

di quel

ch’essi loro

a

(se gli venesse de fantasia) sarrebono gli veri

poeti, ed arrivarebbono là, dove questi si forzano: e poi in fatto non son altro che vermi, che non san far cosa di buono,

ma

son

nati

solamente

per

rodere,

insporcare

e

stercorar gli altrui studi e fatiche; e non possendosi render

celebri per propria virtude ed ingegno, cercano di mettersi avanti

o a dritto

Tansillo.

o a torto,

per

altrui vizio

ed errore.

Or per non tornar là donde l’affezione n’ ha

fatto al quanto a lungo digredire, dico che sono e possono essere tante sorte de poeti, quante possono essere e sono maniere

de sentimenti

ed invenzioni

umane,

alli quali son

possibili d’adattarsi ghirlande non solo da tutti geni e specie de piante, ma ed oltre d'altri geni e specie di materie. Però corone a’ poeti non si fanno solamente de mirti e lauri,

ma anco de pampino per versi fescennini, d'edera per baccanali, d'oliva per sacrifici e leggi, di pioppa !, olmo e spighe per l'agricoltura, de cipresso per funerali, e d’altre innumerabili

per

altre

tante

occasioni;

e,

se

vi

piacesse,

anco di quella materia che mostrò un galant'uomo, quando disse: O fra Porro, poeta da scazzate, Ch' a Milano t’'affibbi la ghirlanda Di boldoni, busecche e cervellate 2. del

1 Di questi due femminili, pioppa e oliva, non mancano esempi,

primo

più

quecenteschi,

che

del

secondo,

ne’

in ispecie di poesia.

nostri

Vedi

classici, non esclusi i cin-

anche

Cand.?,

p. 83, e ivi,

n. 2. (Il FLORA osserva che fioppa « può essere preso per femminile singolare od anche per plurale di forma neutra. Presso i buoni scrittori si trovano esempi dell’un caso e dell’altro, per questa e per parole affini ».)

® Versi del cap. All’Albicante di P. ARETINO,

lant'uomo », di certo, (B.

[37-8))

(W.

con

IT, 315-6)

ironia

(cfr.

(L. 625-6)

960

Spaccio,

pp.

dal B. detto ga-

(G.1 II, 3r1-2)

673-4),

intorno

(G.? IT, 336-7).

PARTE

PRIMA

- DIALOGO

PRIMO

Cicada. Or dunque, sicuramente costui per diverse vene che

mostra

in

diversi

propositi

e sensi,

potrà

infrascarsi

de rami de diverse piante, e potrà degnamente parlar con

le muse, perché sia appo loro sua aura con cui si conforte, ancora in cuisi sustegna, e porto al qualsi

retire nel tempo de fatiche, exagitazioni e tempeste. Onde dice:

O

quali

monte

Parnaso

converso,

dove

fonte

abito,

eliconio

o

Muse altro

con dove

le mi

nodrisco, monte che mi doni quieto alloggiamento, Muse che m' inspirate profonda dottrina, fonte che mi fai ripolito

e

terso,

monte

dove

ascendendo

inalzo

il

core,

Muse con le quali versando avvivo il spirito, fonte sotto li cui arbori poggiando adorno la fronte, cangiate la mia morte in vita, gli miei cipressi in lauri e gli miei inferni in cieli:

cioè

illustre,

destinatemi

mentre

canto

immortale, di morte,

fatemi cipressi

poeta,

rendetemi

ed inferni.

Tansillo. Bene; perché a color che son favoriti dal cielo, gli più

gran

mali

si converteno

in beni

tanto

maggiori:

perché le necessitadi parturiscono le fatiche e studi, e questi per il più de le volte la gloria d’immortal splendore. Cicada. E la morte d'un secolo fa vivo in tutti gli altri. Séguita. Tansillo.

Dice

appresso:

In luogo e forma di Parnaso ho "I core, Dove per scampo mio convien ch'io monte, Son mie muse i pensier ch'a tutte l'ore

Mi

fan presenti

a cui il CAMPANELLA ed

ipocriti,

eretici

di

le bellezze conte;

nelle Poesie

(p. 95), in proposito

e falsi miracolari », ebbe

bene

e mal

ci fa tutto

una

a dire

che

de’ « sofisti egli

lista

per giuoco, non per fraude; ed ha a vergogna parer men tristo degli altri c' han doglia che di tant'arte si scuopra la fogna. (B.

[38-9))

(W.

TI,

316)

(L.

626)

(G.!

961

TI,

312-3)

(G.2

II, 337-8).

DE

GLI

EROICI

FURORI

Onde sovente versan gli occhi fore Lacrime molte, ho 1’ Eliconio fonte: Per tai montagne, per tai ninfe ‘ed acqui, Com' ha piaciuto al ciel poeta nacqui. Or non alcun de reggi, ;

2.

Non

favorevol

Mio

cor,

man

d' imperatore,

Non sommo sacerdote e gran pastore Mi dien tai grazie, onori e privileggi; Ma di lauro m° infronde

I. Qua

gli

mici

dechiara

esser l’alto affetto

pensieri

prima

e le mie

onde.

qual sia il suo monte,

del suo core;

secondo,

dicendo

quai sieno le sue

muse, dicendo esser le bellezze e prorogative! del suo oggetto; terzo, quai sieno gli fonti, e questi dice esser le lacrime. In quel monte s'accende l'affetto, da quelle bellezze si concepe il furore, e da quelle lacrime il furioso affetto si dimostra. 2. Cossi se stima di non posser essere meno

illustremente

coronato

per via del suo

core,

pensieri

e lacrime, che altri per man de regi, imperadori ? e papi. Cicada. Dechiarami quel ch’ intende per ciò che dice: il core in forma di Parnaso. Tansillo. vanno

Perché

a terminarsi

cossi

il cuor

umano

ha

doi

capi,

a una

radice,

e spiritualmente

che

da uno

affetto del core procede l’odio ed amore di doi contrarii 3, come

ave sotto

due

teste una base

il monte

Parnaso 4.

Cicada. A l’altro. Tansillo. I, t Cfr.

2

(LM:

Dice:

Chiama per suon di tromba il capitano Tutti gli suoi guerrier sott’un’ insegna; Spaccio,

p.

816,

imperadori;

ivi,

3 Cfr. le Theses p. 6961.

(B.

[39-41))

n.

2.

G! G%:

de magia,

imperatori)

in Opera,

III,

49113;

4 Lucano, Pharsalia, v. 72-3: « Parnassus colle Mons Phoebo Bromioque sacer.... ». (W.

II, 316-7)

(L. 626-7)

962

e il De

gemino

(G.t II, 313)

(G.?

vinculis,

petit aethera II, 338-0).

PARTE

PRIMA

DIALOGO

PRIMO

Dove s'avvien che per alcun in vano Udir si faccia, perché pronto vegna,

Qual nemico l’uccide, o a qual insano Gli dona bando dal suo campo e ’1 sdegna:

Cossi l’alma i dissegni Sott’un

stendardo

non

o gli vuol

w

Un oggetto riguardo; Chi la mente m'ingombra,

accolti

morti,

è un

«AA

una beltà sola io resto affiso, Chi si m' ha punto il cor, è un Per un sol fuoco m'ardo,

E non

conosco

più

ch'un

o tolti.

sol viso. sol

dardo,

paradiso.

1. Questo capitano è la voluntade umana, che siede in poppa de l’anima, con un picciol temone de la raggione governando gli affetti d'alcune potenze interiori ! contra l'onde degli émpiti naturali 2. Egli con il suono de la tromba, cioè della determinata elezione, chia ma tutti gli guerrieri, cioè provoca tutte le potenze (le quali s'appellano guerriere per esserno3 in continua ripugnanza e contrasto), o pur gli effetti di quelle, che sono gli contrarii pensieri, de quali altri verso l’una, altri verso l'altra parte inchinano; e cerca constituirgli tutti sott’un’'insegna d'un determinato fine. Dove s'accade ch’alcun d'essi vegna chiamato in vano a farsi prontamente vedere ossequioso (massime quei che procedeno dalle potenze naturali, quali o nullamente o poco ubediscono

alla

raggione),

al meno,

forzandosi

d’ impedir

gli loro atti e dannar quei che non possono essere impediti, viene a mostrarsi come uccidesse quelli e donasse bando a questi,

procedendo

contra

gli altri

con

la spada

de

l'ira,

ed altri con la sferza del sdegno. 1! (AM: inferiori) * Vedi sopra, p. 561,

3 Cfr.

Spaccio,

p.

605,

n.

n.

2.

3;

e appresso,

p.

996,

ecc.

(B. [41-2)) (W. II, 317) (L. 627-8) (G.1 II, 313-4) (G.2 IT, 339-40).

963 65



G.

Bruno,

Dirlaghi

italiani

DE

2. Qua con

un

si

diletta

e

EROICI

oggetto

l'intenzione;

ingombra

GLI

la

per

riguarda, a

un

viso,

mente;

compiace,

e

FURORI

in

con

una

dicesi

cui è volto cui

s'appaga,

sola

beltade

restarvi

affiso,

perché l'opra d' intelligenza non è operazion di moto, ma di quiete. E da là solamente concepe quel dardo che l’uccide, cioè che gli constituisce l’ultimo fine di perfezione. Arde

per

un

sol

fuoco,

cioè dolcemente

si con-

suma in uno amore. Cicada. Perché l’amore è significato per il fuoco ? Tansillo. Lascio molte altre caggioni, bastiti per ora questa: perché cossi la cosa amata l’amore converte ne l'amante, come

il fuoco,

tra tutti gli elementi

attivissimo,.

è potente a convertere tutti quell’altri semplici e composti in se stesso.

Cicada. Or séguita. Tansillo.

principale;

il qual si essenza, e zione. Del non è più modo sono

Conosce

perché

un

paradiso

paradiso,

comunmente'

fine

significa il fine,

distingue in quello ch’è absoluto, in verità ed l’altro ch'è in similitudine, ombra e participaprimo modo non può essere più che uno, come che uno l’ultimo ed il primo bene; del secondo infiniti. Amor,

M'’appaga,

Il putto

L'alta

sorte,

l'oggetto

affanna,

irrazional,

bellezza,

Mi mostra

e gelosia

contenta

e sconsola.

la cieca e ria,

la mia

il paradiso,

morte

sola,

il toglie via,

Ogni ben mi presenta, me l'invola; Tanto ch'il cor, la mente, il spirito, Ha gioia, ha noia, ha refrigerio, ha

(B.

cioè un

1 (G!1 = L:

comunmente;

[42-3])

II,

(W.

317-8)

G*: (L.

l'’alma salma.

comunemente)

628)

964

(G.!

II,

314-5)

(G2

II,

340).

PARTE

PRIMA

DIALOGO

PRIMO

Chi mi torrà di guerra? Chi mi farà fruir mio ben in pace? Chi quel ch'annoia e quel che si mi piace, I

Farà

lungi disgionti,

Per gradir le mie fiamme

e gli miei fonti?

Mostra= la caggion ed origine onde si concepe il furore e nasce l'entusiasmo,

per solcar il campo

de le muse,

spar-

gendo il seme de suoi pensieri, aspirando a l’amorosa messe, scorgendo in sé il fervor de gli affetti in vece del sole, e l'umor de gli occhi in luogo de le piogge. Mette quattro cose

avanti:

l’amore,

la

sorte,

l’oggetto,

la gelosia. Dove l’amore non è un basso, ignobile ed indegno motore, ma un eroico signor e duce de lui; la sorte non è altro che la disposizion fatale ed ordine d’accidenti, alli quali è suggetto per il suo destino; l'oggetto

è la cosa

amabile

ed il correlativo

de l'amante;

la

gelosia è chiaro che sia un zelo de l'amante circa la cosa amata, il quale non bisogna donarlo a intendere a chi ha gustato amore, ed in vano ne forzaremo dechiararlo ad altri. L'amore e

colui

che

appaga, veramente

perché a chi ama, piace l'amare; ama,

non

vorrebbe

Onde non voglio lasciar de referire quel che in questo mio sonetto: Cara,

bel

ed

dardo,

onorata

più

Che

gir fai l’alma di sempr'arder

leggiadro

che

mai

piaga

Del

Alto,

Che

suave

e precioso

scelse

ardore,

non

ne mostrai

Amore,

vaga;

1 Manca in BL il primo verso di quest'altra terzina. del cielo le porte im’apre e serra.

paradiso m'apre in un e serra».

E in nota:

(Il Firpo

amare,

« Cosf,

W suppli:

0 forse:

Che il

ricostruisce « per conget-

tura, in base al commento che ne fa il Bruno »: Quel che mi danna e quel che il Ciel disserra.) 2 In BL è ripetuto il nome dell’interlocutore: Tansil.

(B. {43-4]) (W. II, 318-9) (L. 628-9) (G.1 IT, 315-6) (G.2 II, 341).

965

DE

Ti

Qual

torrà

GLI

forza mai

EROICI

d'erba dal

FURORI

e virti

centro

d'arte

del

mio

maga

core;

Se chi vi porge ognor fresco vigore, Quanto più mi tormenta, più m’appaga? Dolce

Quando

mio

duol,

del peso

S’il rimedio Occhi, del

Doppiate

m'è mio

fiamme

Poich' il languir

novo

tuo

nel mondo

girò

mai

e raro,

scarco,

noia, e ’1 mal diletto? signor facelle ed arco,

a l’alma

m'è

e strali al petto,

dolce

e l’ardor

caro *.

La sorte affanna per non felici e non bramati successi, o perché faccia stimar il suggetto men degno de la fruizion de l'oggetto, e men proporzionato a la dignità di quello; o perché non faccia reciproca correlazione; o per altre caggioni ed impedimenti che s'attraversano. L'oggetto contenta il suggetto, che non si pasce d'altro, altro non cerca, non s'occupa in altro e per quello bandisce

ogni altro pensiero. La gelosia sconsola, perché, quantunque sia figlia dell'amore da cui deriva, compagna di quello con cui va sempre insieme, segno del medesimo, perché quello s' intende per necessaria consequenza dove lei si dimostra (come sen può far esperienza nelle generazioni intiere, che per freddezza di regione e tardezza d’ ingegno meno apprendono, poco amano e niente hanno di gelosia), tutta volta con Ila sua figliolanza, compagnia e significazione

vien

a perturbar

ed

attossicare

tutto

quel

che si trova di bello e buono nell'amore. Là onde dissi in un altro mio sonetto: O d'invidia ed amor

Che

le gioie del padre

figlia st ria,

volgi

in pene,

Caut’Argo al male, e cieca talpa Ministra di tormento, Gelosia,

al

bene,

I Questo sonetto è realmente del Tansillo. Vedi Poesie liriche edite ed inedite di L. TansiLLO (ediz. Fiorentino), son. XXVIII,

(B. [44-5))

(W.

II, 319)

(L. 629-30)

966

(G.! IT, 316-7)

(G.2 II, 341-2).

PARTE

PRIMA

Tisifone

infernal

Che

l'altrui

dolce

DIALOGO

PRIMO

fetid' Arpia,

rapi

ed

avvelene;

Austro crudel, per cui languir conviene Il più bel fior de la speranza mia; Tiera

Augel Pena, Se

da

te

di duol,

ch’entri

si potesse

medesma

non

disamata,

d'altro

mai,

nel cor per mille a te chiuder

presago,

porte:

l’entrata,

Tant' il regno d'amor saria più vago, Quant" il mondo senz'odio e senza morte!.

Giongi a quel ch’ è detto, che la Gelosia non sol tal volta è la morte

e ruina

de

l'amante,

Dirò

tutto.

non

perché

ma

per

le spesse

volte

uccide l' istesso amore, massime quando parturisce il sdegno: percioché viene ad essere talmente dal suo figlio affetta, che spinge * l’amore e mette in dispreggio l'oggetto, anzi non lo fa più essere oggetto. Cicada. Dechiara ora l’altre particole3 che siegueno, cioè perché l'amore si dice putto irrazionale? Tansillo. dice l’amore,

Putto egli per

irrazionale sé sia tale;

ma

per

si ciò,

che per il più fa tali suggetti, ed è in suggetti tali: atteso

p. 15, con le note a pp. 217-18; Canzoniere (ediz. Pèrcopo), son. XXXII con le relative note a pp. 49-50. ! Anche questo sonetto è del Tansillo; vedi Poesîe, son. XXXIII,

p. 17, e le note a pp. 220-1; Canzoniere, son. VII e le note a pp. 14-5. I versi della seconda terzina sono citati dal B. anche nel De vinculis

în genere (Opera, III, 637-38). Il FLorIo poi novera tra i proverbi, nel suo Giardino di ricreazione (Londra, T. Woodcoock, 1591), il terzo verso della prima quartina, levandolo di peso dal dialogo del suo amico; perché, venti anni appresso, nell'elenco dei libri

ch'egli conosceva e di cui si servi per compilare il Nuovo Mondo di parole, mentre non dimenticò d'includervi gli Eroici furori, del Tansillo ricordò solamente il Vendemumnziatore e le Lagrime di S. Pietro (Seamp., Sulla soglia del Secento, pp. 109 e LI9).

? Spinge: 3 Del

(B.

[45-6]))

son.,

(W.

spenge,

s’ intende,

II, 319-20)

spegne. Amor,

V. sopra,

sorte,

(L. 630)

967

(G.!

p. 773,

l'oggetto

n. 2.

e gelosia.

II, 317-8)

(G.2

IT, 342-3).

DE

GLI

EROICI

FURORI

che, in qualunque è più intellettuale e speculativo, inalza più l'ingegno e più purifica l’ intelletto, facendolo svegliato, studioso e circonspetto, promovendolo ad un’animositate eroica ed emulazion di virtudi e grandezza per il desio di piacere e farsi degno della cosa amata; in altri poi (che: son la massima

perché

parte)

s’' intende

le fa uscir de proprii sentimenti,

far delle

extravaganze,

perché

ritrova

pazzo

e stolto,

e le precipita

il spirito,

a

anima

e

corpo mal complessionati ed inetti a considerar e distinguere quel che gli è decente, da quel che le rende più sconci, facendoli suggetti di dispreggio, riso e vituperio. Cicada. Dicono volgarmente e per proverbio, che l’amor fa dovenir gli vecchi pazzi, e gli giovani savii. Tansillo. Questo inconveniente

non accade a tutti vec-

chi, né quel conveniente a tutti giovani; ma è vero de quelli ben complessionati, e de mal complessionati quest’altri. E con questo è certo, che chi è avezzo nella gioventii d’amar circonspettamente,

amarà

vecchio

senza

straviare.

Ma

il

spasso e riso è di quelli alli quali nella matura etade l'amor mette l’alfabeto in mano. Cicada.

Ditemi

adesso,

perché

cieca

e

ria

se dice

la sorte o fato? Tansillo. per

sé,

Cieca

perché

e

è l’istesso

ria

si dice la sorte ancora,

ordine

de

numeri

e misure

non de

l'universo; ma per raggion de suggetti si dice ed è cieca, perché le rende ciechi al suo riguardo, per esser ella incertissima: E detta similmente ria, perché nullo de mortali è che in qualche maniera lamentandosi e querelandosi di

1

{B.

(GI

(46-7))

=

L:

che;

G*%:

ché)

(W.

II,

320)

(L.

630-1)

968

(G.1

II,

318)

(G.2

II,

343-4).

PARTE

PRIMA

lei, non la incolpe. Onde

DIALOGO

PRIMO

disse il pugliese poeta:

Che vuol dir, Mecenate, che nessuno Al mondo appar contento de la sorte, Che gli ha porgiuta la raggion o cielo ?!

Cossi chiama l’oggetto alta bellezza, perché a lui è unico e più eminente ed efficace per tirarlo a sé; e però lo stima più degno, più nobile; e però sel sente predominante e superiore; come lui gli vien fatto suddito e cattivo. La mia morte sola dice dela gelosia; perché come l’amore non ha più stretta compagna che costei,cossf anco non ha senso di maggior nemica; come nessuna cosa è più nemica al ferro che la ruggine, che nasce da lui medesimo. Cicada.

mostrar

Or poi ch’ hai cominciato

parte per parte

a far cossi, séguita a

quel che resta.

Tansillo. Cossi farò. Dice mostra il paradiso;

a presso de l’amore: Mi onde fa veder che l’amore

non è cieco in sè, e per sé non rende

ciechi alcuni

amanti,

ma per l’ignobili disposizioni del suggetto; qualmente avviene che gli ucelli notturni dovegnon ciechi per la presenza del sole. Quanto

a sé, dunque,

l'amore illustra, chia-

risce, apre l'intelletto e.fa penetrar il tutto e suscita miracolosi effetti.

Cicada. Molto mi par che questo il Nolano lo dimostre

in un altro suo sonetto: Amor, per cui tant'alto il ver discerno, Ch’apre le porte di diamante nere, Per gli occhi entra il mio nume, e per vedere Nasce, 1 Orazio, Qui

vive,

Sa?., fit,

I,

si

1,

nutre,

ha

regno

eterno;

1-3:

Maecenas,

ut nemo,

quani

sibi

II,

318-9)

Seu ratio dederit seu fors obiecevit, Contentus vivat? (B.

[47-8))

(W.

II,

320-1)

(L.

631)

969

(G.

illa

sorlem

(G.?

II,

344-5).

DE

Ta

Fa

scorger

presenti

Repiglia

E

GLI

EROICI

quanto

ha

d’absenti

forze,

FURORI

‘1 ciel,

effiggie

e col

trar

terra

vere,

ed

dritto,

fere,

non

fallace,

inferno.

impiaga sempr’ il cor, scuopre l' interno. O dunque, volgo vile, al vero attendi,

Porgi

l'orecchio

al mio

dunque

il

dir

Apri, aprì, se puoi, gli occhi, insano e bieco: Fanciullo il credi, perché poco intendi; Perché ratto ti cangi, ei par fugace; Per esser orbo tu, lo chiami cieco !.

Mostra intendere,

capire

grandi, almeno via,

ed

paradiso

effettuar

cose

amore,

altissime;

in apparenza le cose amate.

dice de la sorte; perché questa sovente,

per

far

o perché

Il

fa

toglie

a mal grado

de l'amante, non concede quel tanto che l’amor dimostra, e quel che vede e brama, gli è lontano ed adversario. Ogni

ben mi presenta, dice de l'oggetto; perché questo che vien dimostrato da 1’ indice de l’amore, gli par la cosa unica,

principale

ed il tutto.

Me

l’invola,

dice

della

Gelosia, non già per non farlo presente, togliendolo d'avanti gli occhi; ma in far ch'il bene non sia bene,

ma un ango-

scioso male; il dolce non sia dolce, ma un angoscioso lan: guire.

Tanto

ch'il

cor,

cioè la volontà,

ha

gioia

nel suo volere per forza d'amore, qualunque sia il successo. La

mente,

l’apprension Il

per

cioè la parte

de

la sorte,

intellettuale,

qual

non

spirito, cioè l'affetto naturale,

esser rapito

da

quell'oggetto

che

ha

noia,

aggradisce ha



per

l'amante.

refrigerio,

gioia al core,

e

potrebbe aggradir la mente. L'alma, cioè la sustanza passibile e sensitiva, ha salma, cioè si trova oppressa dal grave peso de la gelosia, che la tormenta. 1 Sonetto del B. premesso, causa ( p. 189). (B.

[48-09])

(W.

II, 321-2)

con lievi ‘varianti, a’ Dialoghi De la

(L, 631-2)

970

(G.! IT, 319-20)

(G.3 II, 345-0).

PARTE

Appresso

PRIMA

DIALOGO

la considerazion

lacrimoso lamento, e dice: e metterammi

in pace;

PRIMO

del stato

Chi

mi

suo,

torrà

o chi disunirà

soggionge di

quel

il

guerra,

che

m'’annoia

e danna da quel che si mi piace ed apremi le porte del cielo, perché gradite sieno le fervide fiamme del mio core, e fortunati i fonti de gli occhi miei ? Appresso, continuando il suo proposito, soggionge: Premi, oimé, gli altri, o mia nemica Vatten via, Gelosia, dal mondo fore:

Potran

ben

soli con

sua

diva

Tar tutto nobil faccia e vago Lui

Lei

me

mi

tolga

de

l'impenne,

vita,

lei

corte

de

lui brugge

sorte;

amore.

morte,

il mio

core,

Lui me l'ancide, lei ravvive l’alma, Lei mio sustegno, lui mia grieve salma. Ma che dich’ io d’amore ?

Se lui e lei son un suggetto o forma, Se con medesmo imperio ed una norma

Fanno

Non

un vestigio al centro del mio core

son

Che

doi

dunque;

fa gioconda

è una

?

e triste mia fortuna.

Quattro principii ed estremi de due contrarietadi vuol ridurre a doi principii ed una contrarietade. Dice dunque: Premi,

oimè,

gli

altri;

cioè

basti

a te, o mia

sorte, d’avermi sin a tanto oppresso, e (perché non puoi essere senza il tuo essercizio) volta altrove il tuo sdegno. E vatten via fuori del perché uno di que’ doi altri che

plire alle vostre

vicende

ed offici:

non

sei altro ch’ il mio Amore,

nea

dalla

‘privarmi

sustanza de

vita,

mondo, tu, Gelosia; rimagnono, potrà sup-

tu, mia

sorte,

e tu, Gelosia, non sei estra-

del medesimo. per

se pur

bruggiarmi,

Reste per

dunque

donarmi

lui per la morte,

e per salma de le mie ossa: con questo che lei mi tolga di morte, mì impenne, mi avvive e mi sustente. Appresso, (B.

(49-51))

(W.

II,

322)

(L. 632-3)

971

(G.I

II,

320-1)

(G.2

IT,

346).

DE

GLI

EROICI

FURORI

doi principii ed una contrarietade riduce ad un principio ed una efficacia, dicendo: ma che dich’io d’Amore? Se questa faccia, questo oggetto è l’ imperio suo, e non par altro che l’imperio de l'amore; la norma de l'amore è la sua medesima norma; l’ impression d'amore ch'appare nella sustanza del cor mio, non è certo altra impression che la sua: perché dunque dopo aver detto nobil faccia, replico dicendo vago amore? Fine (B.

[5s1])

(W.

II,

del 322-3)

primo (L.

633)

(G.1

dialogo. II.

321)

(G.

II,

346-7).

DIALOGO

SECONDO

Tansillo. Or qua comincia il furioso a mostrar gli affetti suoi e discuoprir le piaghe che sono per segno nel corpo, ed in sustanza Io

o in essenza

che

porto

nell'anima;

d'amor

l'alto

e dice

cossi:

vessillo,

Gelate ho spene e gli desir cuocenti: A un tempo triemo, agghiaccio, ardo'c sfavillo, Son muto, e colmo il ciel de strida ardenti: Dal cor scintillo, e dagli occhi acqua stillo; E vivo e muoio, e fo riso e lamenti: Son vive l’acqui, e l'incendio non more, Ché a gli occhi ho Teti, ed ho Altr’'amo, odio me stesso 2;

Ma

s’'io m’impiumo,

altri sì cangia

Poggi'altr’al

cielo,

s' io mi

S' io chiamo,

non

risponde;

Sempre

Vulcan

ripogno

al

al

core!

in sasso; basso;

altri fugge, s’ io seguir non cesso;

E quant’ io cerco più, più mi s’asconde3. ! Queste due quartine sono citate dal B. nell'art. TX del De vinculis in genere, in Opera, III, 653-9; dove si tocca dello stesso argomento: «quem Cupidinis vincula invaserint, uno eodemque

igne atque laquei sensu videbitur cogi ad exclamandum et tacendum, laetitiam

tristitiam,

etc. ».

% PETRARCA: Pace

E E

non

e non

ho da far guerra;

temo e spero, ed ardo e son volo sopra "I cielo, e giaccio

Veggio

E bramo Ed 3 Cfr.

trovo,

M.

ho

senz’occhi;

di perir, e chieggio

in odio

A.

e non

me

Epicuro,

stesso La

O stato pien d'amaro,

ho

un ghiaccio; in terra....

lingua

aîta;

ed amo

cecaria,

e grido;

altrui.

ed.

Palmarini,

pp.

38-90:

e di sospetto!

In un ferito petto ognor dar loco Or al ghiaccio, ov al fuoco; ed amar

spesso

(B. [52-3)) (W. II, 323) (L. 633-4) (G.! II, {322)) (G.* II, [348)).

973

DE

A

proposito

GLI

di

EROICI

questo

FURORI

voglio

seguitar

quel

che

poco

nessuna

cosa

avanti ti dicevo, che non bisogna affatigarsi per provare quel che tanto manifestamente si vede: cioè che nessuna cosa

è pura

composta

e schetta

(onde

diceano

esser vero ente; come

alcuni,

l'oro composto

non

è vero

oro, il vino composto non è puro vero e mero vino); appresso, tutte

le cose

constano

de contrarii;

da onde

avviene,

che

gli successi de li nostri affetti per la composizione ch'è nelle cose, non hanno mai delettazion alcuna senza qual-

ch’amaro; anzi dico e noto di più, che se non fusse l'amaro nelle cose, non

sarrebe la delettazione,

fa che troviamo

delettazione nel riposo; la separazione è

causa che troviamo mente

piacere

essaminando,

è caggione

Cicada.

atteso che la fatica

si

nella congiunzione;

trovarà

sempre

che

che l’altro contrario sia bramato

Non

Tansillo.

è dunque

Certo

non,

e general-

un

contrario

e piaccia 1.

delettazione senza contrarietà?

come

senza

contrarietà

non

è do-

lore; qualmente manifesta quel pitagorico Poeta 2, quando dice: Hinc

metuunt

Respiciunt,

cupiuntque,

clausae

tenebris

dolent

gaudentque,

et carcere

cacco 3.

nec auras

Altruì più che se stesso; una nimica, Che si pasce e nutrica del tuo sangue... Che del tuo mal si vide, che ti fugge, Che L’avde, ti distrugge e si nasconde,

Che mai

non ti risponde....

Vedi SpampanaTto, Bruno con l’ Epicuro, cîr., nella

e Nola, pp. 67-8. Pel rapporto Cena, la n. 4 della p. 59.

del B.

! Cfr. lo Spaccio, sopra, pp. 571-2. ® BL: quel Pythagorico Poeta; WGL1: quell'aureo pitagorico poeta. 3 VircILIO,

(B. [53-4])

Aen.,

VI,

(W. II, 323-4)

733-4.

(L. 634)

974

(G.t II, 323)

(G2 II, 349).

PARTE

PRIMA

- DIALOGO

SECONDO

Ecco dunque quel che caggiona la composizion de le cose. Quindi aviene che nessuno s’appaga del stato suo, eccetto qualch' insensato e stolto, e tanto più quanto più si ritrova nel maggior grado del fosco intervallo de la sua pazzia: allora ha poca o nulla apprension del suo male, gode l’esser presente senza temer del futuro, gioisce di quel ch' è, e per quello in che si trova, e non ha rimorso o cura

di quel ch'è o può contrarietade,

essere, ed in fine non ha senso

della

la quale è figurata per l’arbore della scienza

del bene e del male. Cicada. Da qua si vede che l’ ignoranza è madre della felicità e beatitudine sensuale; e questa medesima è l’orto del paradiso de gli animali; come si fa chiaro nelli dialogi de la Cabala del cavallo Pegaseo e per quel che dice il sapiente Salomone: chi aumenta sapienza, aumenta dolore:. Tansillo. Da qua avviene che l’amore eroico è un tormento, perché non gode del presente, come il brutale amore; ma e del futuro e de l’absente, e del contrario sente

l'ambizione,

emulazione,

suspetto

e timore.

Indi

dicendo

una sera dopo cena un certo de nostri vicini: — Giamai fui tanto allegro quanto sono adesso; — gli rispose Gioan Bruno, padre del Nolano :: — Mai fuste pit pazzo che adesso. — ! Ecclesiaste, I, 18. 3 Vedi sopra, a p. 633, nonché la nota a p. 637, e quella in principio di questo Dialogo a p. 954. Oggi del padre del Nolano si conosce con certezza quanto basta, e che evidentemente non fu del tutto estraneo al destino del nostro filosofo. Giovanni fu un « gentiluomo modesto » che non era provveduto di quei beni di fortuna che gli permettessero di «star tanto sopra essî» da vivere senza bisogno dei proventi d’un ufficio. Passò quindi i migliori suoi anni

(B. [54]) (W. II, 324)

(L. 634-5)

(G.! II, 323-4)

975

(G.* II, 349-50).

DE

Cicada.

GLI

EROICI

Volete dunque,

FURORI

che colui che è triste, sia savio,

e quell'altro ch’ è più triste, sia più savio ? Tansillo.

Non,

anzi

intendo

in

questi

essere

specie di pazzia, ed oltre peggiore. Cicada, Chi dunque sarà savio, se pazzo contento,

e pazzo

è colui

un’altra

è colui ch' è

ch’ è triste?

Tansillo. Quel che non è contento, né triste. Cicada. Chi? quel che dorme? quel ch'è privo di sentimento ? quel ch'è morto? 1 Tansillo.

il quale

No;

ma

quel

considerando

e l’altro èome

ch’ è vivo,

il male

vegghia

ed il bene,

cosa variabile e consistente

ed intende;

stimando

l'uno

in moto,

muta-

zione e vicissitudine (di sorte ch' il fine d'un contrario è principio de l’altro, e l'estremo de l'uno è cominciamento de l’altro), non si dismette, né si gonfia di spirito, vien continente

nell’ inclinazioni

e

temperato

nelle

voluptadi;

stante ch'a lui il piacere non è piacere, per aver come presente il suo fine. Parimente la pena non gli è pena, perché con la forza della considerazione ha presente il termine di quella. Cossi il sapiente ha tutte le cose mutabili come cose

che

non

sono,

ed

afferma

quelle

non

esser

altro

che

vanità ed un niente; perché il tempo a l'eternità ha proporzione come il punto a la linea. Cicada. Si che mai possiamo tener proposito d'esser agli stipendi del Conte di Caserta D. Baldassarre Acquaviva e del Duca di Sessa D. Consalvo di Cordova, in Compagnie di genti d'armi

di presidio

in terre e città lontane

conosciuto

il cugino

Pp.

e principalmente

di Gian mente

Bernardino

a Nola

38-45,

! Delle

e fu

«specie

Tansillo,

e l'ospite,

anche

lui

da Nola. Commilitone

il poeta

soldato.

Luigi,

Cfr.

che

Spamp.,

la n. 2 della p. 65.

della pazzia », nel Cand.?,

(B. (54-5]) (W. IT, 324-5)

di Cola

è inammissibile che egli non ne abbia

(L. 635)

976

dimorò Vita

di

lunga-

G.

B.,

p. 202.

(G.I II, 324-5) (G.? II, 350-1).

PARTE

PRIMA

- DIALOGO

SECONDO

contenti o mal contenti, senza tener proposito de la nostra pazzia, la qual espressamente confessiamo; là onde nessun che ne raggiona, e per consequenza nessun che n'è participe, sarà savio; ed infine tutti gli omini saran pazzi. Tansillo. Non tendo ad inferir questo; perché dirò massime savio colui che potesse veramente dire talvolta il contrario di quel che quell'altro: — Giamai fui men allegro che adesso; — over: — Giamai fui men triste che

ora. —

Cicada. Come? non fai due contrarie qualitadi dove son doi affetti contrarii? perché, dico, intendi come due virtudi,

e non

come

un vizio ed

una

virtude

mamente allegro e! l’esser minimamente Tansillo. Perché ambi doi li contrarii per quanto vanno a dar su quel pi) son sano la linea; e gli medesimi in quanto meno, vegnono ad esser virtude, perché rinchiudono intra gli termini?. Cicada. non

son

Come

una

Tansillo. perché

l’esser men

virti ed un

Anzi

il vizio

dico

vizio,

che

è là dove

contento ma

son

freddo,

1

(G!:

o

né caldo

e (cfr. la nota

? Su q. I. vedi Tocco, (B.

(55-6])

(\V.

II,

325)



due

è la contrarietade;

freddo,

virtude;

la contrarie-

contrarietà maggiore o nulla è nel mezzo, uno ed indifferente: il più caldo ed il più che puoi dire o caldo

senza

n. 3 a p. 841);

triste

virtudi?

e medesima

tade è massime là dove è l'estremo; la è la più vicina all'estremo; la minima dove gli contrarii convegnono e son come tra il freddissimo e caldissimo è freddo, e nel mezzo puntuale è quello e

triste? in eccesso (cioè vizii, perché pasvanno a dar sul si contegnono e

e l’esser men

son

una

l’esser mini-

G2:

contrarietade.

In

ed)

Le opere latine di G. B., p. 401.

(L.

635-6)

977

(Gt

IT,

325)

(G2

II, 351-2).

DE

GLI

EROICI

FURORI

cotal modo chi è minimamente contento e minimamente allegro, è nel grado della indifferenza, sì trova nella casa della temperanza, e là dove consiste la virtude e condizion d'un

animo

forte,

che

non

vien

per

venir

al

piegato

da

l’Austro



da l’Aquilone. Ecco furor

dunque,

eroico,

che

si chiarisce

proposito,

come

questo

nella presente

parte,

è diffe-

rente dagli altri furori più bassi, non

ma come namente,

come

virti dal vizio,

un vizio ch’ è in un suggetto più divino o divida un vizio ch'è in un suggetto! più ferino o

ferinamente: di maniera che la differenza

è secondo gli sug-

getti e modi differenti, e non secondo la forma de l’esser vizio.

Cicada. Molto ben posso, da quel ch'avete detto, conchiudere la condizion di questo eroico furore che dice: gelate

perché

ho

non

l’eccesso

triema è

per

spene,

e

li

è nella temperanza

delle

nelle

contrarietadi;

gelate

l'avidità

desir

cuocenti;

della mediocrità,

ha

speranze,

l’anima

arde

stridolo,

ma

discordevole,

negli

mutolo

cuocenti per

nelse

desiri;

il timore;

sfavilla dal core per cura d'’altrui, e per compassion di sé versa lacrime da gli occhi; muore ne l'altrui risa, vive ne’ proprii lamenti; e (come colui che non è pit suo) altri ama, odia se stesso: perché la materia, come dicono gli fisici, con quella misura ch'ama

la presente.

E cossf conclude

la forma absente,

odia

nell’ottava la guerra ch’ ha

l'anima in se stessa; e poi quando dice ne la sestina, ma s'io

m’impiumo,

altri

si

cangiainsasso,

e quel che séguita, mostra le sue passioni ch’essercita con li contrarii esterni. ! BWL: (B.

[56-8))

in un (W.

II,

suggetto; 325-6)

Gl: (L.

per la guerra

in suggetto. 630)

978

(G.

II,

325-6)

(G.2

II,

352).

PARTE

PRIMA

- DIALOGO

SECONDO

Mi: ricordo aver letto in Iamblico, dove tratta degli Egizii misterii, questa sentenza: Impius animam dissidentem habet: unde nec secum ipse convenire potest neque cum aliis 3. Tansillo. Or odi un altro sonetto di senso consequente al detto: In

Ahi,

viva

Amor

qual

condizion,

morte

m'ha

morta

morto

natura,

vita

(ahi

vivo!

o sorte:

lasso !) di

Che son di vita insieme e morte Voto

di

spene,

d'inferno

tal

privo.

morte,

a le porte,

E colmo di desio al ciel arrivo: Talché suggetto a doi contrarii eterno, Bandito son dal ciel e da l’ inferno. Non Perché

De

quai

han mie pene triegua 3, in mezzo di due scorrenti

qua

Qual

l’una,

là l’altra

Ixion convien

mi

ruote,

scuote,

mi fugga e siegua4,

Perché al dubbio discorso Dan lezion contraria il sprone

e ’1 morso.

1 BL: «Cic. Mi ricordo.... ». 2 In GiamgstIco, De myst. Aegypt. cit., non c’è. (Il MicHEL osserva: « Bruno attribue è Jamblique un passage du commentaire

de Proclus è l'Alcibiade de Platon. que,

dans

l’édition

des

Oeuvres

de

Cette erreur s'explique Ficin,

Bàle,

1561,

t.

du fait

2....,

les

extraits de Proclus figurent immédiatement après la traduction des Mystéres Egyptiens de Jamblique. La phrase, citée de memoire, est inspirée par le chapitre intitulé Malus neque cum aliis convenit neque secum (p. 1923), où il est dit: ‘ Improbus secum ipse consentire non potest. Necesse enim est.... plurimum ignorare secumque dissidere..., Cumque semper secum ipse pugnat, nimirum cum aliis

consentire non potest’ ».) 3 PETRARCA, son. Mirando Per

e sestina

A

Non

4 Ovipio, [58))

estremi

qualunque

(W.

’I sol:

duo,

-—

G.

e misti;

ho mai triegua di sospir....

II,

326)

Iv, (T..

461: 636-7)

979 66

contrari

animal:

Metamin.,

fugitque ». (B.

questi

Bruno,

Dialoghi

italiani

« Volvitur (G.1

II,

Izion 326-7)

et (G.?

se IT,

sequitur 352-3).

DE

GLI

Mostra qualmente zione in se medesimo: e meta

EROICI

patisca quel disquarto! e distramentre l’affetto, lasciando il mezzo

de la temperanza,

e talmente

si trasporta

sporta a basso

Cicada.

FURORI

tende alto

a l’uno

e l’altro

o a destra,

che

anco

estremo; si tra-

ed a sinistra.

Come

con

questo

che non

è proprio

de l’uno

né de l’altro estremo, non viene ad essere in stato o termine

di virtude ? Tansillo.

Allora

è in stato

di virtude,

quando

si tiene

al mezzo, declinando da l’uno e l’altro contrario: ma quando

tende a gli estremi, inchinando a l'uno e l’altro di quelli, tanto gli manca de esser virtude, che è doppio vizio; il qual consiste in questo, che la cosa recede dalla sua natura, la perfezion della quale consiste nell'unità; e là dove convegnono gli contrarii, consta la composizione e consiste la virtude.

Ecco

dunque

come

è morto

riente; là onde dice: In viva vivo. Non è morto, perché

vivente,

o vivo

morte morta vive ne l’oggetto;

mo-

vita non è

vivo, perché è morto in sè stesso; privo di morte, perché parturisce pensieri in quello; privo di vita, perché non vegeta o sente in se medesimo.

Appresso, è bassissimo per

la considerazion de l’alto intelligibile e la compresa imbecillità della potenza. È altissimo per l’aspirazione dell’eroico desio che trapassa di gran lunga gli suoi termini; ed è altissimo per l'appetito intellettuale, che non ha modo e fine di gionger

numero

a numero;

è bassissimo

per la

violenza fattagli dal contrario sensuale che verso l’ inferno impiomba. Onde trovandosi talmente poggiàr e descendere, sente ne l'alma il pivi gran dissidio che sentir si possa; 1 Cir.

Spaccio,

p. 661,

n.

1.

(B. [58-Go)) (W. II, 326-7) (L. 637) (G.1 II, 327-8) (G.2 II, 353-4).

980

PARTE

PRIMA

DIALOGO

SECONDO

e.confuso rimane per la ribellion del senso, che lo sprona là d’onde la raggion l’affrena, e per il contrario. Il medesimo

affatto

si dimostra

nella

seguente

sentenza,

dove

la

raggione in nome de Filenio dimanda, ed il furioso risponde in nome di Pastore, che alla cura del gregge o armento de suoi pensieri si travaglia, quai pasce in ossequio e serviggio de la sua ninfa, ch'è l’affezione di quell'oggetto alla cui osservanza è fatto cattivo. Filenio.

Pastor !

Pastore.

Filenio.

Che

vuoi ?

Pastore. Filenio.

Pastore.

Perché

Filenio. Pastore. Filenio. Pastore. Filenio. Pastore. Filenio. Pastore. Filenio. Pastore. Filenio. Pastore, Filenio.

Chi

Doglio.

Nel centro del mio cor Che fa ? Fere. Chi ? Me.

rio ?

gli

Speri ?

Filenio. Pastore. Filenio. Pastore.

occhi,

Spero.

de

l'inferno

(W.

chi

II,

327)

si mi (L.

Si.

e del

Con

che ?

ciel

porte.

Mercé ? Mercé.

Da

rio.

Dov' è ? se tien si forte.

Te ?

Con

Perché ?

Amor. Quel

Filenio. Pastore,

[60])

fallo ?

fai?

m’ ha per suo vita, né morte.

Quel

Pastore.

(DB.

non

Che

martora

637-8)

931

(G.!

nott'e II,

328)

Da di.

chi ?

(G.2 II, 354-5).

DE Filenio. Pastore, Filcnio.

GLI

Hanne

EROICI

? Non

Pastore. Filenio, Pastore. Filenio. Pastore.

FURORI

so.

Sci

folle.

Che, se cotal follia a l’alma piace? Promette ? No. Niega ? Né meno.

Filenio. Pastore. Filenio. Pastore.

Sî, perché Vaneggi.

Filenio. Pastore.

Temo

ardir tant'onestà In

il suo

Tace ? tolle.

mi

che ?

Nei stenti. sdegno, più che

mici tormenti.

Qua dice che spasma: lamentasi dell'amore, non già perché ami (atteso che a nessuno veramente amante dispiace l’amare) 1, ma perché infelicemente ami, mentre escono que’ strali che son gli raggi di quei lumi, che medesimi, secondo che son protervi e ritrosi, overamente benigni e graziosi, vegnono ad esser porte che guidano al cielo, overamente

a l'inferno.

Con

questo

vien

mantenuto

in

speranza di futura ed incerta mercé, ed in effetto di presente e certo martire. E quantunque molto apertamente vegga la sua follia, non per tanto avvien che in punto alcuno si correga, o che almen possa conciperne dispiacere;

perché tanto ne manca, che più tosto in essa si compiace, come mostra dove dice: Mai

Senza

fia che

dell’amor

del qual

non

io

mi

lamente,

vogli'esser

felice 2.

1 BL: l’amare; WGI: l’amore. 2 I primi versi d'un sonetto del quinto dialogo (p. 1037), dove nota la probabile originc.

in (B.

[60-1])

(W.

II,

327)

(L.

638) (G.!

982

II, 328-9)

(G.?

II, 355).

PARTE

PRIMA

DIALOGO

SECONDO

Appresso, mostra un'altra specie di furore, parturita da qualche lume di raggione, la qual suscita il timore e supprime la già detta, a fin che non proceda a fatto, che possa inasprir o sdegnar la cosa amata. Dice dunque la speranza esser fondata sul futuro, senza che cosa alcuna se gli prometta o nieghe: perché lui tace e non dimanda, per tema d’offender l’onestade. Non ardisce esplicarsi e proporsi, onde fia o con ripudio escluso, overamente con promessa

accettato:

perché

nel

suo

pensiero

più

contra-

pesa quel che potrebbe esser di male in un caso, che bene in un altro. Mostrasi dunque disposto di suffrir più presto per sempre il proprio tormento, che di poter aprir la porta a l'occasione, per la quale la cosa amata si turbe e contriste. Cicada. Con questo dimostra l'amor suo esser veramente eroico, perché si propone per piu principal fine la

grazia del spirito e la inclinazion de l'affetto, che la bellezza del

corpo,

in

cui

non

si

termina

quell’amor

ch'ha

del

divino. Tansillo. Sai bene che come il rapto platonico è di tre specie 1, de quali l'uno tende alla vita contemplativa o speculativa,

l’altro

a

l’attiva

morale,

l’altro

a l’ociosa

e

voluptuaria; cossi son tre specie d’amori, de quali l'uno dall'aspetto della forma corporale s'inalza alla considerazione della spirituale e divina; l’altro solamente persevera

nella delettazion

del vedere

e conversare;

l’altro

dal

vedere va a precipitarsi nella concupiscenza del toccare. Di questi tre modi si componeno altri, secondo che o il primo s'accompagna col secondo, o che s'accompagna col terzo, o che concorreno tutti tre modi insieme; de li quali ! Cfr.

(B.

(61-2])

il De

(W.

vinculis,

in

II,

(L.

328)

Opera,

638-9)

983

III,

(G.!

642,

II,

15.

329-30)

(G.?

II,

356).

DE

GLI

EROICI

FURORI

ciascuno e tutti oltre si moltiplicano in altri, secondo gli affetti de furiosi che tendeno o più verso l’obietto spirituale: , o più verso l’obietto corporale, o equalmente verso l'uno e l’altro. Onde avviene che di quei che si ritrovano in questa milizia e son compresi nelle reti d'amore, altri tendeno a fin del gusto che si prende dal raccòrre le poma da

l'arbore

de

(o speranza amoroso

son

la

corporal

al meno)

studio;

di barbaro

gnificarsi,

ed

stimano in cotal

ingegno,

amando

bellezza,

degno modo

che non

cose

senz’ il qual

degne,

ottento

di riso e vano

corrono

possono

aspirando

e, più alto, a cose divine accomodando

tutti

quei

né cercano

a cose

ogni che

ma-

illustri,

gli suoi studi e gesti,

a i quali non è chi possa più ricca- e comodamente suppeditar

l’ali,

che

l’eroico

amore;

altri

si fanno

avanti

a fin

del frutto della delettazione che prendeno da l’aspetto della bellezza e grazia del spirito che risplende e riluce nella leggiadria del corpo; e de tali alcuni, benché amino il corpo e bramino assai d’esser uniti a quello, della cui lontananza si lagnano

presumendo

e disunion

s’attristano,

in questo,

lità, conversazione,

non

tutta volta temeno

vegnan

privi

amicizia ed accordo,

che,

di quell’affabi-

che gli è più prin-

cipale: essendo che dal tentare non più può aver sicurezza di successo grato, che gran

tema di cader da quella grazia,

qual, come cosa tanto gloriosa e degna, gli versa avanti gli occhi del pensiero. Cicada,

È

cosa

degna,

o Tansillo,

per

molte

virtudi

e

perfezioni, che quindi derivano nell’umano ingegno, cercar, accettar,

nodrire

e conservar

un simile

amore;

ma

si deve

1 In BL manca: o più verso l’obietto spirituale. Ma il supplemento già fatto da W par necessario. (Il MicHeL denuncia l’omis-

sione (B.

come

[62-4])

esclusiva

del LAGARDE.)

(W. IT, 328-0)

(L. 6309-40)

984

(G.1 II, 330-1)

(G.2 II, 356-7).

PARTE

PRIMA

DIALOGO

SECONDO

ancora aver gran cura di non abbattersi ad ubligarsi ad un oggetto indegno e basso, a fin che non vegna a farsi partecipe della bassezza ed indignità del medesimo, in proposito de quali intendo il conseglio del poeta ferrarese: Chi

mette il piè su l’amorosa

Cerchi

ritrarlo,

e non

pania,

v'inveschi

l’ali!.

Tansillo. A dir il vero, l'oggetto ch’oltre la bellezza del corpo non av’altro splendore, non è degno d'esser amato ad

altro

fine che

di far, come

dicono,

la razza:

e mi

par

cosa da porco o da cavallo di tormentarvisi su; ed io, per me, mai fui più fascinato da cosa simile, che potesse al presente esser fascinato da qualche statua o pittura, dalle quali ‘mi pare indifferente 2. Sarebbe dunque un vituperio grande ad un animo generoso, se d'un sporco vile, bardo 3 ed ignobile ingegno (quantunque sotto eccellente figura venesse ricuoperto) dica: Temo il suo sdegno più ch’il mio tormento. Fine 1 Arrosto,

anche

nel De

% Come

del

Orl.

fur.,

secondo XXIV,

vinculis în genere,

a p.

883,

vale:

non

1.

dialogo.

Il primo

in Opera,

differente,

3 Bardus, a, um (gr. Bpadbg): Vedi anche sopra, p. 919.

lento,

verso

III, 652. non

tardo,

citato

diversa.

stolido,

dal

balordo.

(B. [64]) (W. II, 329) (L. 640) (G.1 IL, 331) (G3 IL 357-8).

985

B.

DIALOGO

Tansillo.

Poneno,

e sono,

TERZO

più specie

de

furori,li quali

tutti si riducono a doi geni: secondo che altri non mostrano che

cecità,

stupidità

ed

ferino

insensato; ‘altri

zione

per

cui

impeto

irrazionale

consisteno

dovegnono

alcuni

in

certa

megliori,

che

tende

divina in

al

abstra-

fatto,

che

uomini ordinarii. E questi sono de due specie; perché altri, per esserno fatti stanza de dei o spiriti divini, dicono ed operano cose mirabile senza che di quelle essi o altri intendano

la raggione;

e tali per l’ordinario

sono

promossi

è manifesto,

séguite3

a questo da l'esser stati prima indisciplinati ed ignoranti; nelli quali, come voti di proprio spirito e senso, come in una stanza purgata, s’intrude il senso e spirito divino. Il qual meno può aver luogo e mostrarsi in quei che son colmi de propria raggione e senso, perché tal volta vuole, che il mondo! sappia certo che se quei? non parlano per

proprio studio ed esperienza,

come

che parlino ed oprino per intelligenza superiore: e con questo la moltitudine de gli uomini in tali degnamente ha maggior admirazion e fede. Altri, per essere avezzi o abili alla contemplazione, e per aver innato un spirito t (LM: ch' il mondo; F: che il mondo; G!e ® BL: che quei; ma cfr. sopra, p. 950.

3 BL:

seguita;

ma

cfr. sopra,

G2: che se il mondo)

p. c.

(B. [65-6)) (W. II, 329-30) (L. 640-1) (G.! II, [332]) (G.? IT, [359)).

986

PARTE

lucido

ed

naturale, stizia,

PRIMA

intellettuale,

suscitato

della

DIALOGO

da

uno

dall’amor

veritade,

soffio dell’ intenzione,

della

interno

della gloria,

acuiscono

TERZO

stimolo

divinitate, dal

fuoco

e fervor

della del

giu-

desio

e

gli sensi; e nel solfro della

cogitativa facultade accendono il lume razionale con cui veggono pi che ordinariamente: e questi non vegnono, al fine, a parlar ed operar come vasi ed instrumenti, ma come

principali artefici ed efficienti.

Cicada. Di questi doi geni quali stimi megliori? Tansillo. Gli primi hanno più dignità, potestà ed efficacia in sé, perché hanno la divinità; gli secondi son essi più degni, più potenti ed efficaci, e son divini. Gli primi son degni come l’asino che porta li sacramenti *; gli secondi

come effetto

una

cosa sacra.

la divinità;

Nelli primi

e quella

si considera

s'admira,

adora

ed

e vede

in

obedisce;

ne gli secondi si considera e vede l'eccellenza della propria umanitade. Or venemo*? al proposito. Questi furori de quali noi raggioniamo, e che veggiamo messi in execuzione in queste sentenze, genze

non

son oblio, ma

di se stesso,

ma

una memoria;

amori

e brame

del

non son neglibello

e buono

con cui si procure farsi perfetto con trasnsformarsi ed assomigliarsi a quello. Non è un raptamento sotto le leggi d'un fato indegno,

impeto buono

razionale e bello

che

con gli lacci de ferine affezioni; ma un

che siegue conosce,

l’apprension a cui

vorrebbe

intellettuale

del

conformandosi

1 «Vetus proverbium quod dicitur: Asinum portare mysteria». Vedi sopra, p. 838, in n., per la fonte di questa citazione. ® BL attribuiscono questo discorso a Cicada. Ma chi ripiglia poi la parola, è appunto Cicada.

(B. [66-7)) (W. II, 330) (L. 641) (G.! II, (332]-3) (G.2 II, [359]-60).

987

DE

GLI

EROICI

FURORI

parimente piacere; di sorte che della nobiltà e luce di quello viene ad accendersi ed investirsi de qualitade e condizione per cui appaia illustre e degno. Doviene un dio dal contatto intellettuale di quel nume oggetto; e d'altro non ha pensiero che de cose divine, e mostrasi insensibile ed impassibile in quelle cose che comunmente massime senteno, e da le quali

più vegnon

altri tormentati;

niente

teme,

e

per amor della divinitade spreggia gli altri piaceri, e non fa pensiero alcuno de la vita. Non è furor d'atra bile che fuor di conseglio, raggione ed atti di prudenza lo faccia vagare guidato dal caso e rapito dalla disordinata tempesta; come quei, ch’'avendo prevaricato da certa legge de la divina Adrastia? vegnono le

Furie,

corporale

acciò per

sieno

condannati

essagitati

sedizioni,

ruine

da

sotto la carnificina de una

e morbi,

dissonanza quanto

tanto

spirituale

per la iattura dell'armonia delle potenze cognoscitive ed appetitive. Ma è un calor acceso dal sole intelligenziale ne l'anima e impeto divino che gl’ impronta l’ali3; onde più e più avvicinandosi al sole intelligenziale, rigettando la ruggine de le umane cure, dovien un oro probato e puro 4, ha

sentimento

della

divina

ed

interna

armonia,. concorda

gli suoi pensieri e gesti con la simmetria della legge insita ! Cfr. PLotino, Enn. VI, ® O Nemesi. 3 BL: l'ali; WGI: l'ale.

4 Cfr.

penes erat,

PLotINo,

se ipsam,

agnitione,

Enn.

IV,

7, 34. 7,

10:

« Anima

in sui ipsius animadversione,

velut. divinas

imagines

non

extra

ciusque,

in

se

sitas

II,

333-4)

iam

currens....

quod

prius

intuetur,

quas ante per tempus rubigine obsitas iam rite detersit: velut si forte aurum animatum foret et quia terra obsitum, ideo non se intuens aurum, se ipsum penitus ignoraret: aliquando veroa se terram excutiens, cernensque purum, se ipsum admiraretur, cognosceretque non sibi opus esse extrinseca pulchritudine » (trad. Iicino).

(B.

[67-8))

(W.

II,

330)

(L.

641-2)

988

(G.t

(G.2

II,

360-1).

PARTE

PRIMA

DIALOGO

TERZO

in tutte le cose. Non come inebriato da le tazze di Circe va cespitando ed urtando or in questo, or in quell'altro fosso, or a questo or a quell’ altro scoglio; o come un Proteo vago or in questa, or in quell'altra faccia cangiandosi,

giamai

ritrova

loco,

modo,

fermarsi e stabilirsi. Ma senza vince e supera gli orrendi mostri; a dechinare,

facilmente

ritorna

timi

che

nove

instinti,

come



materia

di

distemprar l’ armonia e per tanto che vegna al

sesto

muse

con

saltano

quelli e

in-

cantano

circa il splendor dell’universale Apolline; e sotto I’ imagini sensibili e cose materiali va comprendendo divini ordini e consegli. È vero che tal volta avendo per fida scorta l'amore, ch’ è gemino, e per hé tal volta per occorrenti impedimenti

si vede defraudato

dal suo sforzo, allora

come insano e furioso mette in pregipizio l’amor di quello che

non

può

comprendere;

onde

confuso

da

l'abisso

della

divinità tal volta dismette le mani, e poi ritorna pure a forzarsi con la voluntade verso là dove non può arrivare con l'intelletto. È vero pure che ordinariamente va spasseggiando, ed ora più in una, or più in un'altra forma del gemino Cupido si trasporta; perché la lezion principale che gli dona Amore, è che in ombra contemple (quando non puote in specchio) la divina beltade!; e come gli proci di Penelope s'intrattegna con le fante ?, quando non gli lice conversar con la padrona. Or dunque, per conchiudere, possete

da quel

ch'è

1 (M legge beltate) ? BL: le fante; WG*:

si è notato nel Cand.?,

secondo

il quale

mantengono

detto,

comprendere

le fanti.

Correzione

qual

inutile,

sia questo

perché,

come

(p. LVII), il B. si attiene ancora all'uso antico,

sostantivi

ed

aggettivi

nel plurale la desinenza

della

terza

del singolare.

declinazione

(B. [68-69]) (W. IT, 330-1) (L. 642) (G.! II, 334-5) (G.? II, 301-2).

989

DE

furioso

di

cui

GLI

EROICI

l’imagine

ne

FURORI

vien

messa

avanti,

quando

si dice: Se la farfalla al suo

splendor

ameno

Vola, non sa ch’è fiamma al fin discara!; Se, quand' il cervio per sete vien meno, AI rio va, non sa della freccia amara; S’ il lioncorno corre al casto seno ?,

Non

vede

il laccio

I' al lume,

Veggio

al

fonte,

le fiamme,

S'è

dolce

Perché Perché

che

se gli prepara.

al

grembo

del

mio

i strali e Ie catene.

il mio

bene,

languire,

quell'alta face si m'appaga, l’arco divin si dolce impiaga,

Perché

in

quel

nodo

Mi fien eterni impacci Fiamme

al

cor,

strali

è avvolto

al

petto,

il mio

a

l'alma

desire, lacci.

Dove dimostra l’amor suo non esser come de la farfalla, del cervio e del lioncorno, che fuggirebono s'avesser giudizio

del fuoco,

della saetta

e de gli lacci, e che

non

han

senso d'altro che del piacere; ma vien guidato da un sensatissimo e pur troppo oculato furore, che gli fa amare più quel fuoco che altro refrigerio, più quella piaga che altra sanità, più que’ legami che altra libertade. Perché questo male non è absolutamente male; ma per certo ri1 Cfr. TansILLO, Poesie liriche, p. 155; Canzoniere, Quel vago animaletto ecc. E già il PETRARCA: Come talora.... Semplicetta farfalla al lume n. avven ch'ella move..... vedi

2 Per A.

questo

SALZA,

motivo

Imprese

del liocorno

e divise

P. 43. Il Pèrcopo poi (Canzoniere, con

ragione,

rivato

abbia (B.

i vv.

imitato

[69-70])

ciò che

sostiene

7 e 8 da

un

(W.

II,

331)

del

133

162-3°

avvezza....

cosi frequente e d'amore

nelle impresc,

nell Orl.

furioso,

n. al son. L, p. 67) nega, e forse

il IFiorentino,

son.

il petrarchesco

d'arme

pp.

Tansillo,

e non

(L. 642-3)

990

che

(G.I

cioè

e che

piuttosto II,

335)

il B.

questi

abbia

il 312. (G.?

II,

in

de-

esso

362-3).

PARTE

PRIMA

DIALOGO

TERZO

spetto al bene secondo l'opinione !, e falso, quale il vecchio Saturno ha per condimento nel devorar che fa de proprii figli. Perché questo male absolutamente ne l'occhio de l’eternitade è compreso o per bene, o per guida che ne conduce a quello; atteso che questo fuoco è l'ardente desio de le cose divine, questa saetta è l’ impression del raggio della beltade della superna luce, questi lacci son le specie del vero che uniscono la nostra mente alla prima verità, e le specie del bene che ne fanno uniti e gionti al primo e sommo bene. A quel senso io m’accostai, quando dissi: D'un

Beltà

sf bel fuoco e d’un si nobil laccio

m'accende,

ed

onestà

m'annoda,

Ch’in fiamm’e serviti convien ch'io goda. Fugga la libertade e tema il ghiaccio.

L’ incendio è tal ch’ io m’ardo e non mi sfaccio, E "1 nodo è tal ch’il mondo meco il loda, Né mi gela timor, né duo] mi snoda;

Ma

tranquillo

è l’ardor,

dolce l’ impaccio.

Scorgo tant’alto il lume che m’ infiamma, E ’1 laccio ordito di si ricco stame, Che nascendo il pensier, more il desio. Poiché mi splend’al cor si bella fiamma, E mi stringe il voler sf bel legame, Sia serva l'ombra, ed arda il cener

Tutti gli amori

mio.

(se sono eroici e non son puri animali,

che chiamano naturalie cattivi alla generazione, come instrumenti de la natura in certo modo) hanno per oggetto la divinità, tendeno alla divina bellezza, la quale prima 1 Cioè,

rispetto

? Sonetto

del

a quello

TansILLO,

che

è bene

in Poesie

secondo

liriche,

l'opinione.

XXVII,

p.

14;

Can-

(G.2

II,

363).

zontere, I, pp. 3-4. Non è superfluo avvertire che il ms. autografo riprodotto dal Pèrcopo mostra notevoli varianti e spostamenti

nell'ultimo terzetto. (B.

[70-1])

(W.

IL

331-2)

(L.

643)

991

(Gt

II,

335-6)

DE

si comunica

GLI

all’anime

EROICI.FURORI

e risplende

in quelle;

e da quelle

poi o, per dir meglio, per quelle poi si comunica alli corpi;

onde è che l’affetto ben formato ama gli corpi o la corporal bellezza, per quel che è indice della bellezza del spirito. Anzi

quello che n’innamora!

del corpo

è una

certa spiri-

tualità che veggiarno in esso, la qual si chiama bellezza; la qual non consiste nelle dimensioni maggiori o minori, non

nelli determinati

colori o forme,

ma

in certa armonia

e consonanza de membri e colori?. Questa mostra certa sensibile affinità col spirito a gli sensi più acuti e penetrativi; onde séguita che tali più facilmenté ed intensamente s’innamorano;

ed

anco

pi

facilmente

\si

disamorano,

e

più intensamente si sdegnano, con quella facilità ed intensione, che potrebbe essere nel cangiamento del spirito brutto, che in qualche gesto ed espressa intenzione si faccia aperto; di sorte che tal bruttezza trascorre da l’anima al corpo, La

a farlo

beltà

non

dunque

apparir

del corpo

oltre ha

come

forza

già di legare e far che l'amante grazia,

che

si richiede

d'accendere,

non

nel spirito,

gli apparia

bello.

ma

non

possa fuggire, se la

non

soccorre,

come

la

onestà, la gratitudine, la cortesia, l'accortezza. Però dissi bello quel fuoco che m'accese, perché ancor fu nobile il laccio che m'annodava. Cicada. Non creder sempre cossi, Tansillo; perché qualche volta, quantunque lasciamo

però

discuopriamo

di rimaner

accesi

ed

vizioso il spirito, non allacciati;

che, “quantunque

la raggion veda il male

tale

ha

amore, 1 (GL = L: ® Cfr. il De

non

però

efficacia

d'alienar

n° innamora; G*: m' innamora) vinculis in genere, in Opera, III,

di maniera

ed indignità di il disordinato

641,

15,

(B. [71-2)) (W. IT, 332-3) (L. 643-4) (G.! IT, 336-7) (G2 II, 363-4).

992

PARTE

PRIMA

- DIALOGO

TERZO

appetito. Nella qual disposizion credo che fusse il Nolano, quando disse: Oimè, che son constretto D'appigliarmi al mio male,

Ch'apparir

fammi

Tasso,

a l’alma

E

fero

un

non

dal furore

sommo

ben

cale,

Amore.

Ch'a contrarii consigli unqua

ritenti;

Che mi nodrisce in stenti, E poté! pormi da me stesso

in bando,

del

tiranno,

Più che di libertade i’ son contento. Spiego

Che

E

che

a l'odioso

al dolce

Questo

e son

al vento,

suttraga

tempestoso

Tansillo. è vizioso

mi

le vele

accade,

tinti come

dalla conformità

bene,

danno. amene.

quando

l’uno e l’altro spirto

di medesimo

si suscita,

accende

inchiostro,

atteso

e si confirma

l’a-

more. Cossi gli viziosi facilmente concordano in atti di medesimo vizio. E non voglio lasciar de dire ancora quel che per esperienza conosco: che quantunque in un animo abbia discuoperti? vizii molto abominati da me, com’è dire una sporca avarizia, una vilissima ingordiggia sul da_naio, irreconoscenza

di ricevuti

favori

e cortesie,

un

amor

di persone al tutto vili (de quali vizii quest'ultimo massime dispiace, perché toglie la speranza a l'amante, che per esser egli, o farsi, più degno, possa da lei esser più accettato); tutta volta non mancava ch’ io ardesse per la beltà corporale,

Ma

che?

io

l’amavo

senza

buona

volontà,

che non per questo m’arrei più contristato delle sue disgrazie ed infortunii. 1 BL: % BL:

essendo

che allegrato

poté; WG®: pote. di scuoperti.

(B. [72-3]) (W. IL 333) (L. 644-5) (G.! IL 337-8) (G.2 II, 364-5).

993

DE

GLI

EROICI

FURORI

Cicada. Però è molto propria ed a proposito distinzion che fanno intra l’amare e voler bene. Tansillo.

È

desideramo

perché

vero:

che

sono

perché

siano

iniqui

a molti

savii

ed

e giusti,

ignoranti;

quella

vogliamo, bene,

ma

molti

non

cioè

le amiamo,

amiamo,

perché

son belli, ma non gli vogliamo bene, perché non meritano. E tra l'altre cose

che stima l'amante

quello non

meritare,

la prima è d'essere amato; e però benghé non possa astenersi d'amare, niente di meno gli ne rirìeresce e mostra il suo rincrescimento, come costui che diceva: Oimé,

ch’io son costretto dal furore D'’appi: gliarmi al mio male. In contraria disposizione fu, o per altro oggetto corporale in similitudine, o per suggetto

divino

in verità,

Bench'a

Pur

Che E

tanti

martir

ti ringrazio,

tal

quando

e assai

impadroniste

chi

vuol

Ch’uccid'in

Amore,

apriste il petto,

del

mio

core!,

divo e viv’oggetta, ’n terra adore;

ch’ il mio

speme

fai suggetto,

ti deggio,

con si nobil piaga

Per cui fia ver, ch'un De Dio più bella imago Pensi

mi

disse:

destin?

e fa viv’in

sia rio,

desio.

Pascomi in alta impresa; bench'il fin bramato non consegua, E 'n tanto studio l'alma si dilegua; Basta che sia sf nobilment'accesa; Basta ch'alto mi tolsi,

E

E

da l'ignobil

1 L’ Epicuro

nella

Quanto Che con Ponesti Che fa

numero

mi

sciolsi,

Cecaria,

ed.

cit.,

ti debb' st mal nel mio la ment’

p.

40:

io pur, spietato arciero, curata e dolce piaga cor si bel pensiero, innamorata e vaga.

Questo ed altri raffronti con la favola pastorale dell' Epicuro, pit largamente imitata nella parte II degli Evoici furori, ha fatto lo SPAMPANATO,

® (G?:

in Bruno

destino

e Nola,

(per evidente

(B. [73-4)) (W. II, 333-4)

p.

68.

svista tipogr.).)

(L. 645) (G.! II, 338-9)

994

(G.2 II, 365-6).

PARTE

PRIMA

- DIALOGO

TERZO

L’amor suo qua è a fatto eroico e divino; e per tale voglio intenderlo, benché per esso si dica suggetto a tanti martiri; perché ogni amante, ch'è disunito e separato da la cosa amata (alla quale com'è congionto con l’affetto, vorrebe essere con l'effetto), si trova in cordoglio e pena, si crucia e si tormenta: non già perché ami, atteso che degnissima- e nobilissimamente sente impiegato l'amore; ma perché è privo di quella fruizione la quale ottenerebbe se fusse gionto a quel termine al qual tende. Non dole per il desio che l’avviva, ma per la difficultà del studio ch' il martora. Stiminlo dunque altri'a sua posta infelice per questa apparenza de rio destino, come che l’abbia condannato a cotai pene; perché egli non lasciarà per tanto de riconoscer l’obligo ch’ave ad Amore,

e rendergli grazie,

perché gli abbia presentato avanti gli occhi de la mente una specie intelligibile, nella quale in questa terrena vita, rinchiuso

in questa

priggione

de la carne,

ed avvinto

da

questi nervi, e confirmato da queste ossa, li sia lecito di contemplar più altamente la divinitade, che se altra specic e similitudine di quella si fusse offerta. Cicada. Il divo dunque e vivo oggetto, ch'ei dice, è la specie intelligibile più alta che egli s'abbia possuto formar della divinità; e non è qualche corporal bellezza che gli adombrasse il pensiero, come appare in superficie del senso ? Tansillo. Vero, perché nessuna cosa sensibile, né specie di quella, può inalzarsi a tanta dignitade. Cicada. Come dunque fa menzione di quella specie per oggetto,

se,

istessa ? Tansillo.

come

La

mi

pare,

è oggetto

il vero

oggetto

finale, ultimo

è la divinità

e perfettissimo,

(B. (74-6)) (W. II, 334) (L. 645-6) (G.1 IL, 339-40) (G.? II, 366).

995 G7

11

Miniina

Dialaebi

Hnliani

DE

GLI

EROICI

FURORI

non già in questo stato dove non possemo veder Dio se non come in ombra e specchio; e però non ne può esser oggetto se non in qualche similitudine; non\tale qual possa esser abstratta ed acquistata da bellezza ed\eccellenza corporea per virti del senso; ma qual può esser formata nella mente

per virtù de l’ intelletto. Nel qual stato ritrovandosi, viene a perder l’amore ed affezion d'ogni altra cosa tanto sensibile quanto intelligibile; perché questa congionta a quel lume dovien lume essa ancora, e per consequenza si fa un Dio: perché contrae la divinità in sé, essendo ella in Dio per la intenzione

con

cui penetra

nella

divinità

(per

quanto

si può), ed essendo Dio in ella, per quanto dopo aver penetrato viene a conciperla e (per quanto e comprenderla nel suo concetto. Or

similitudini

si pasce l’ intelletto umano

si può) a ricettarla di queste specie e

da questo mondo

inferiore, sin tanto che non gli sia lecito de mirar con più

puri occhi la bellezza della divinitade. Come accade a colui che

è gionto

simo,

mentre

a qualch’edificio

eccellentissimo

va

cosa

considerando

per

cosa

ed ornatis-

in

quello,

si

aggrada, si contenta, si pasce d'una nobil maraviglia; ma se avverrà poi che vegga il signor di quelle imagini, di bellezza incomparabilmente maggiore, lasciata ogni cura e pensiero

quell’uno.

di esse,

Ecco

tutto

dunque

è volto

come

ed

intento

a considerar

è differenza in questo

stato

dove veggiamo la divina bellezza in specie intelligibili tolte da gli effetti, opre, magisteri, ombre e similitudini di quella;

ed in quell'altro stato dove sia lecito di vederla in propria presenza. Dice

perché

e muove

appresso:

(come notano circa

Dio,

Pascomi

gli pitagorici)

come

il corpo

d’alt’impresa,

cossi l’anima si versa circa

l’anima.

(B. [76-7) (W. II, 334-5) (L. 646-7) (G.! II, 340) (G.? II, 366-7).

996

PARTE

Cicada.

Dunque,

Tansillo. mente,

PRIMA

DIALOGO

il corpo non è luogo de l’anima?

Non +; perché

ma

come

TERZO

l’anima

non

è nel corpo local-

forma intrinseca e formatore

estrinseco ?;

come quella che fa gli membri, e figura il composto da dentro e da fuori. Il corpo dunque è ne l’anima, l’anima nella mente, la mente

o è Dio,

o è in

Dio,

come

disse

Plotino:

cossi

come per essenza è in Dio che è la sua vita, similmente per

l'operazione intellettuale e la voluntà conseguente dopo tale operazione, si referisce alla sua luce e beatifico oggetto. Degnamente

dunque

questo

affetto

de

l’eroico

furore

si

pasce de si alta impresa. Né per questo che l’obietto è infinito,

in

atto

simplicissimo,

e la nostra

potenza

intellet-

tiva non può apprendere l'infinito se non in discorso, o in certa maniera de discorso, com’ è dire in certa raggione potenziale o aptitudinale, è come colui che s'amena a la consecuzion de l'immenso onde vegna a constituirse un fine dove non è fine. Cicada. Degnamente, perché l’ultimo fine non deve aver fine, atteso che sarebe ultimo. È dunque infinito in intenzione, in perfezione, in essenza ed in qualsivoglia altra maniera d’esser fine. Tansillo 3. Dici il vero. Or in questa vita tal pastura è di maniera tale, che più accende, che possa appagar il desio, come ben mostra quel divino poeta, che disse: Bra mando

è

lassa

ed in altro luogo:

1 BL:

Non;

® PLotINO,

3 BL

4 Cfr.

(B.

[77-8))

continuano Isasa,

(W.

No.

IV,

ad

XXVI,

IT,

a

Dio

viventea;

Atfenuati sunt oculi mei suspicientes in

1VG!:

Eun.

l’alma

335-6)

3,

24.

attribuire 8-9.

(L.

647)

997

il discorso (G.I

II,

a

Cicada.

340-1)

(G.2

IT,

367-8).

DE

excelsum 1. Però non si

GLI

dice:

consegua, dilegua,

accesa

dire,

FURORI

E

bench'il

E'’n

tanto

Basta

vuol

EROICI

che

bramato

studtol'alma

sia

ch’in

Na sf

tanto

nobilmente

l’anima

si consola

e

riceve tutta la gloria che può ricevere in cotal stato, e che sia partecipe

di

quell’ultimo

furor

de

l'uomo,

in

quanto

uomo di questa condizione, nella qual si trova adesso, e come ne veggiamo, Cicada. Mi par che gli peripatetici (come esplicò Averroe) vogliano intender questo, quando dicono la somma felicità de l’uomo consistere nella perfezione per le scienze speculative ®. Tansillo.

È

vero,

e dicono

molto

bene;

perché

noi

in

questo stato nel qual ne ritroviamo, non possiamo desiderar né ottener maggior perfezione che quella in cui siamo quando il nostro intelletto mediante qualche nobil specie intelligibile s’unisce o alle sustanze separate, come dicono costoro,

o a la divina mente,

come

è modo

de dir de pla-

tonici. Lascio per ora di raggionar de l’anima, o uomo in altro stato e modo di essere che possa trovarsi o credersi. Cicada. Ma che perfezione o satisfazione può trovar l'uomo in quella cognizione la quale non è perfetta? Tansillo. Non sarà mai perfetta 3 per quanto l' altissimo oggetto possa esser capito, ma per quanto l' intelletto nostro possa capire: basta che in questo ed altro stato gli sia presente la divina’ bellezza per quanto s’estende "l'orizonte della vista sua.

1 Ivi,

XXXVIII,

14.

® Cfr. i Libvi physic. Arist. explanati, 3 (G! = L: perfetta; G?: perfetto)

in prine.: Opera,

III, 261.

(B. [78-9]} (W. II, 336) (L. 647-8) (G.1 IL, 341-2) (G.à II, 369-0).

998

PARTE

Cicada.

Ma

PRIMA

DIALOGO

TERZO

de gli uomini non tutti possono giongere a

quello dove può arrivar uno o doi. Tansillo.

Basta

che

tutti

corrano;

assai

è

ch'ognun

faccia il suo possibile; perché l'eroico ingegno si contenta più tosto di cascar o mancar degnamente e nell’alte imprese, dove mostre la dignità del suo ingegno, che riuscir a perfezione in cose men nobili e basse. Cicada. Certo che meglio è una degna ed eroica morte, che un indegno e vil trionfo. Tansillo. A cotal proposito feci questo sonetto: Poi che spiegat’ ho l'ali al bel desio,

Quanto

più

sott' il piè l'aria mi

Più le veloci penne

scorgo,

al vento porgo,

E

spreggio il mondo, e vers' il ciel m' invio. Né del figliuol di Dedalo il fin rio Fa che gii pieghi, anzi via più risorgo. Ch’ i' cadrò morto a terra, ben m’accorgo; Ma qual vita pareggia al morir mio? La voce del mio cor per l’aria sento:



Che

Ove

raro

mi

porti,

è senza

temerario?

duol

China,

tropp'ardimento.



Non temer, respond’ io, l’alta ruina. Fendi sicur le nubi, e muor contento,

S’ il ciel si illustre

morte

ne

destina.

Cicada. Io intendo quel che dice: mi tolsi; ma non quando dice: numero

III,

mi

! Sonetto del TansILLO,

pp.

chesa del

5-6:

Laura

scritto,

Vasto,

fondamento da

sciolsi,

crede

Monforte,

quando

aveva

secondo

Maria

s’egli

la quale

appena

non

Poesie liriche, XXVI,

il Fiorentino

D'Aragona,

il Pèrcopo

basta ch'alto e da l’ignobil

intorno

nell’ Intr.

visse

(pp. al

al Canz.,

lungamente

intende

d'esser

p. 14; Canzoniere,

214-7),

1536,

anni,

(L. 648)

(G.I II, 342-3)

per

non

la mar-

senza

per la napoletana

a Nola,

quindici

0,

dove

se n'invaghîf,

il pocta,

In qualche

verso arieggia il son. petrarchesco Quando Amor i belli occhi, la st. 48 del c. XXXIV del Furioso e la I selva del Cliaos del Tripe-(DB. {79-80])

(W.

II, 336-7)

999

(G.3 II, 3609-70).

DE

uscito

fuor

de

GLI

l’antro

EROICI

FURORI

platonico !, rimosso

dalla-condizion

della sciocca ed ignobilissima moltitudine;

essendo che quei

che profittano in questa contemplazione, non possono esser molti e numerosi, Tansillo. Intendi molto bene. Oltre, per l’ignobil numero può intendere il corpo e sensual cognizione, dalla quale bisogna alzarsi e disciòrsi chi vuol unirsi alla natura

di contrario

geno.

Cicada. Dicono gli quali l'anima è legata che da l’anima come è certa qualità vitale

runo; sio.

e come

Che

questo

già

platonici due sorte de nodi con gli al corpo. L’uno è certo atto vivifico un raggio scende nel corpo; l’altro che da quell'atto risulta nel corpo ?.

si è detto

son.,

(p.

come

gli

365,

altri

n.

due

I),

piacque

Cara,

suave

a B. Telced

onorata

piaga, O d'invidia e d'amor figlia st via, sia del T. e non del B., di cui furono talvolta creduti, benché più innanzi (1098) B. torni a citarlo come del T. (cfr., p. e., FIORENTINO,

Napoli,

1861, pp.

112-113, e DE SANCTIS,

Il panteismo di G. Bruno,

Storia d. let. îtal., n. ediz.

Bari, Laterza, 1912, II, 254, che per altro aggiunge la riserva: « Bruno o l'anonimo

autore »), è dimostrato

Cooperativa,

1889;

con

certezza

dal

fatto

che

esso

si trova con gli altri due sotto il nome del T. nella raccolta di Fiori delle rime dei poeti illustri del Ruscelli del 1558. Vedi FIORENTINO, B. Telesio, II, 469; A. Orvieto, Noterelle critiche, Firenze, Tip. e B. Croce,

Per un famoso son. del T., in Critica,

VI (1908), 237-40. Il B. ebbe presente, giova ripetere, e questo c l'altro son. Amor m° impenna l'ale, quando dettò il suo E chi 1° impenna per il De l'infinito (p. 365); e non reca maraviglia, perché a quelle due liriche s’ ispirarono anche dei poeti stranieri contemporanei,

tra cui

il Desportes,

il Bertaut

e il Malherbe,

avverte nella sua ediz. (p. 4 in n.) il Pércopo. 1 Vedi l'allegoria della caverna al prince. del lib. VII pubblica

di

Platone;

% a Duobus

quasi

ma

cfr.

nodis

PLotINO,

anima

cum

Ewn.

IV,

corpore

B,

1.

come

della Re-

devincitur:

unus

quidem vergit ad animam, id est vivificus eius actus emicans erga corpus: alter vero declinat ad corpus, id est qualitas ipsa quasi vitalis per hunc actum infusa corpori» (M. Ficino, ad PLOTINI Enn. IV, 4, 191€ ad Enn, IV, 4, 18: «sicut ex sole micat lu-

(B. [80]) (W. II, 337) (L. 648-9) (G.! II, 343) (G.* II, 370). 1000

PARTE

PRIMA

- DIALOGO

TERZO

Or questo numero nobilissimo movente, ch'è l'anima, come intendete che sia disciolto da l’' ignobil numero, ch' è il corpo? Tansillo. Certo non s’' intendeva secondo alcun modo di questi; ma secondo quel modo con cui le potenze che non son comprese e cattivate nel grembo de la materia, e qualche volta come sopite ed inebriate si trovano quasi ancora esse occupate nella formazion della materia e vivificazion del corpo; talor come risvegliate e ricordate di se stesse, riconoscendo il suo principio e geno, si voltano alle cose superiori, si forzano al mondo intelligibile, come al natio soggiorno; alle cose

quali

inferiori,

tal volta da là, per la conversione

si son

trabalsate

sotto

il fato e termini

della generazione. Questi doi appolsi son figurati nelle due specie de metamorfosi espresse .nel presente articolo che dice: Quel

dio

che

scuote

il folgore

Asterie vedde furtivo aquilone, Mnemosine pastor, Danae oro,

Alcmena Fu

A

pesce 2, Antiopa

di

Cadmo a

Leda

cigno,

le suore

sonoro,

caprone; bianco

a Dolide3 dragone:

Io per l'altezza de l'oggetto mio

Da

suggetto

più

vil dovegno

un

toro,

dio4.

men,.... sic ab anima nostra emicat vivificus actus »). Cîr. PLOTINO, Enn. IV, 3,9. 1 L'opinione che l'anima fosse un numero semovente è ricordata da ARISTOTELE,

De

anima,

I, 2, 404 b, 27;

II, 4, gra, 35; e da PLUTARCO, attribuita a Senocrate. 2 (M sostituisce sposo

phique

due à une mauvaise

ultérieures ».)

3 (FM 4 Cfr.

leggono

Spaccio,

Dolida)

p.

576,

4, 408 b, 32; Anal.

post.,

De anim. procr., 1, 5, p. 1012, viene

e avverte:

« B:

pesce.

lecture et mantenue

e ivi,

n.

Erreur

dans

typogra-

les éditions

2.

(B. [80-1]) (W. II, 337) (L. 649) (G.1 II, 343-4) (G.2 II, 370-1). IOOI

DE

GLI

EROICI

FURORI

Tu cavallo Saturno, Nettun delfin, e vitello si tenne Ibi, e pastor Mercurio dovenne, Un’uva Bacco, Apollo un corvo

Ed io, mercé d'amore, Mi cangio in dio da cosa

Nella

natura

per l'altrui

è una

inferiore!.

revoluzione

perfezione

fùrno;

e soccorso,

ed un

circolo per cui,

le cose

superiori

s' in-

chinano all’ inferiori, e per propria eccellenza e felicitade le cose inferiori s' inalzano alle superiori. Però vogliono i

pitagorici e platonici esser donato a l’anima, ch'a certi tempi non solo per spontanea voluntà, la qual le rivolta alla comprension

de le nature;

ma

ed anco

della necessità

d’una legge interna scritta e registrata dal decreto

fatale

vanno a trovar la propria sorte giustamente determinata. E dicono che l'anime non tanto per certa determinazione e proprio

quanto

volere,

per

materia:

certo

onde,

come

ribelle 2, declinano

ordine

per cui vegnono

non

come

per

libera

dalla

affette verso

intenzione,

per certa occolta conseguenza vegnono

divinità,

a cadere.

ma

la

come

È questa

è l'inclinazion ch' hanno alla generazione, come a certo minor bene. (Minor bene dico, per quanto appartiene a quella

natura

particolare;

non

già per quanto

appartiene

alla natura universale, dove niente accade senza ottimo ‘fine che dispone il tutto secondo la giustizia). Nella qual generazione

ritrovandosi

(per la conversione

che vicissitu-

dinalmente succede) de nuovo ritornano a gli abiti superiori. Cicada. Si che vogliono costoro che l’anime sieno spinte 1 Vedi

sopra p. 576;

? Vedi

sopra,

[81-2]))

(W.

Opera, (B.

III,

699. ,

pp.

e l'art. XIX del De vinculis in genere,

643 .e 989,

II, 338)

nn.

(L. 649-50) 1002

in

3 e 2.

(GI

IL

344-5)

(G.* II, 37I-2).

PARTE

PRIMA

- DIALOGO

TERZO

dalla necessità del fato, e non hanno proprio consiglio che le guide.a fatto ? Tansillo. Necessità, fato, natura, consiglio, voluntà nelle

cose

giustamente

e senza

errore

ordinate,

tutti

con-

correno in uno. Oltre che, come riferisce Plotino 1, vogliono

alcuni

che

certe

anime

possono

fuggir

quel

proprio

male,

le quali prima che se gli confirme l’abito corporale, conoscendo il periglio, rifuggono alla mente. Perché la mente l’inalza

alle

cose

sublimi,

come

l’imaginazion

l’abbassa

alle cose inferiori; la mente le mantiene nel stato ed identità

come l’ imaginazione nel moto e diversità; la mente sempre intende

uno,

varie imagini.

come

l’imaginazione

In mezzo

sempre

vassi

fingendo

è la facultà razionale la quale è

composta de tutto, come quella in cui concorre l'uno con la moltitudine, il medesimo col diverso, il moto col stato,

l’ inferiore col superiore. Or questa conversione

e vicissitudine

ruota

dove

siede

al

fondo,

delle

eminente, mezzo

metamorfosi, giace

bestia

una

bestia

descende

dalla

è figurata nella

l’uomo un

nella

mezzo

sinistra, ed un

mezzo

parte

uomo

e

bestia

e mezzo uomo ascende de la destra. Questa conversione si mostra dove Giove, secondo la diversità de affetti e maniere

di quelli figure,

verso

le cose

dovenendo

inferiori,

in forma

transmigrano in forme

s’ investisce

de bestie;

basse ed aliene.

de

diverse

e cossi gli altri E per

dei

il contrario,

per sentimento della propria nobiltà, ripigliano la propria e divina forma: come il furioso eroico, inalzandosi per la conceputa specie della divina beltà e bontade, con l’ali de l intelletto 1 Cfr.

e

voluntade

Ficino,

ad

intellettiva

PLOTINI

(B. [82-4)) (W. IL 338-9)

Enx.,

IV,

s’inalza 4,

divini-

5.

(L. 650) (G.! II, 345-6)

1003

alla

(G.2 II, 372-3).

DE

GLI

EROICI

tade, lasciando la forma disse: Da suggetto Dio, Mi cangio in Fine (B.

[84))

(WW. IL

del 339)

FURORI

de suggetto più basso. E però più vil dovegno un Dio da cosa inferiore. terzo

(L. 650)

1004

dialogo. (G.I II, 346)

(G.z II, 373).

DIALOGO

QUARTO

Tansillo.® Cossi si descrive il discorso de l'amor eroico, per quanto tende al proprio oggetto, ch’ è il sommo bene,

e l’eroico intelletto che giongersi studia al proprio oggetto, che è il primo vero o la verità absoluta. Or nel primo discorso

apporta

tutta la somma

di questo

e l’ intenzione;

l'ordine della quale vien descritto in cinque altri seguenti. Dice dunque: Alle selve i mastini

Il giovan Gli

Di

Atteon,

drizz’il

dubio

e i veltri siaccia

quand’ il destino ed

incauto

boscareccie ? fiere appo

Ecco

Che

veder

Vedde;

poss’ il mortal

e

Il cervio

Ratto 1 (La

di questo * B

18

’1 gran

ch'a’

drizzav’i

voràro

ediz.

primo

(IL):

la traccia.

tra l’acqui il più bel busto

In ostro ed alabastro

Luoghi

camino,

cacciator

più

dovenne

folti

gran

cani

avverte:

interlocutore ».)

boscarecchie;

ma

e molti.

«In

di

Atteone:

nella

Cecaria

BL

nel commento,

p. 1008 ecc., egli stesso dà la f. corretta. 3 Anche

dell’ Epicuro

da

miei

can

stracciato

Cfr. del resto la canz. del PETRARCA,

p.

813.

manca a

(p. 52)

Andasse cost cieco, o fusse stato Com'Aiteon, mutato allor în cervo,

Poi

caccia 3.

passi più leggieri,

i suoi

Gentile

e divino,

ed oro fino

e faccia,

a nervo

p.

l'indicazione

1006,

si accenna

nonché

al mito

a nervo.

Nel dolce tempo. Vedi Spaccio,

(B. [85-6]) (W. II, 339) (L. 651) (G.! IL, [347)) (G2 II, [374)).

1005

a

.

DE

Ad

GLI

EROICI

I’ allargo i miei pensieri alta preda,

Morte

ed essi a me

mi dàn con

morsi

FURORI

rivolti

crudi e fieri.

Atteone significa l'intelletto intento alla caccia della divina sapienza, all'apprension della beltà divina. Costui slaccia i mastini ed i veltri. De quai questi son più veloci, quelli più forti. Perché l’operazion de l' in-

telletto precede l'operazion della voluntade; ma questa è più vigorosa ed efficace che quella; atteso che a l' intelletto

umano

e bellezza

è più

divina,

amabile oltre

che

che

comprensibile

l’amore

è quello

la bontade che

muove

e

spinge l'intelletto acciò che lo preceda, come lanterna. Alle selve, luoghi inculti e solitarii, visitati e perlustrati da pochissimi, e però dove non son impresse l’orme de molti uomini.

Il

giovane

poco esperto e prattico,

come quello di cui la vita è breve ed instabile il furore, neldubio camino del’incerta ed ancipite raggione ed affetto designato nel carattere di Pitagora !, dove si vede più spinoso, inculto e deserto il destro ed arduo camino, e per dove costui slaccia i veltri e mastini appo la traccia di boscareccie fiere, che sono le specie intelligibili de’ concetti ideali; che sono occolte, 1 Cir.

i versi

premessi

al De

Umbris

Et littera Pythagorae, Bicorni acta discrimine,

Quacis Finem De II,

trucem ostendit vultum lavgitur optimum.

La lettera (o carattere) compositione imaginum, circa rr, 128 e 153; e anche il De

(Opera,

II,

1, 2):

dextri tramitis,

a cuisi allude è la Y. Vedi il l’atrium Pythagorae, in Opera, lampade combinatoria, in Opera,

II, 11, 304. Cfr. Persio, Sat., III, 56, in Auth, lat., ed. Riese, n. 632; ManitIUS, Philologus, XLVII, 713; DIietERICH, NeAyia, p. 192; PascaL, Cultura, 1900, p. 114.

{B. [86-7]) (W. II, 339-40) (L. 651) (G.! II, [347]-8)-(G.* II, [374]-5). 1006

PARTE

perseguitate

da

PRIMA

pochi,

DIALOGO

visitate

da

QUARTO

rarissimi,

s'offreno a tutti quelli che le cercano.

e che

Ecco

non

tra

l'ac-

il firmamento;

vede

qui, cioè nel specchio de le similitudini, nell'opre dove riluce l'efficacia della bontade e splendor divino; le quali opre vegnon significate per il suggetto de l’acqui superiori ed

il

inferiori,

più

che

del

operazion

son

sotto

e sopra

busto

esterna

e

che

faccia,

cioè

potenza

vedersi

possa

per

faccia

comparazione,

ed

abito

ed atto di cohtemplazione ed applicazion di mente mortal o divina, d'uomo o dio alcuno. Cicada.

Credo

che

non

e

pona

come in medesimo geno la divina ed umana apprensione quanto al modo di comprendere il quale è diversissimo, ma quanto al suggetto che è medesimo. Tansillo.

Cossi

è.

Dice

in

ostro,

alabastro

ed oro, perché quello che in figura nella corporal bellezza è vermiglio, bianco e biondo, nella divinità significa l'ostro della divina vigorosa potenza, l'oro della divina sapienza, l’alabastro della beltade divina, nella contemplazion

della quale gli pitagorici, Caldei, platonici ed altri, al meglior modo che possono, s’' ingegnano d' inalzarsi. Vedde il gran cacciator comprese, quanto è possibile e dovenne caccia andava per predare e rimase preda questo cacciator per l’operazion de l’ intelletto con cui converte le cose apprese in sé. Cicada. Intendo, perché forma le specie intelligibili a suo modo e le proporziona alla sua capacità, perché son ricevute a modo de chi le riceve 1 Cfr.

pientis (B.

il detto

recipitur.

[87-8))

(W.

II,

scolastico: 340)

(L.

Quidguid 651-2)

1007

(G.I

recipitur IT,

348-0)

ad

modum

(G.?

II,

veci375-6).

DE

Tansillo.

E

GLI

EROICI

FURORI

questa caccia per: l’operazion

della volun-

tade, per atto della quale lui si converte nell’oggetto. Cicada. Intendo, perché lo amore transforma e converte nella

cosa

Tansillo.

amata.

Sai

bene

intelligibilmente,

che

l'intelletto

idest secondo

il suo

apprende modo;

le cose

e la voluntà

perseguita le cose naturalmente, cioè secondo la raggione con la quale sono in sé. Cossi Atteone con que’ pensieri, quei

cani

che

cercavano

estra

di sé

il bene,

la sapienza,

la beltade, la fiera boscareccia, ed in quel modo

che giunse

avendola

di

alla presenza di quella, rapito fuor di sé dovenne preda, veddesi convertito in e s'accorse che de gli suoi cani, de gli medesimo venea ad essere la bramata contratta

in

sé,

non

era

da tanta bellezza, quel che cercava; suoi pensieri egli preda, perché già

necessario

fuor di sé la divinità. Cicada. Però ben si dice il regno

de Dio

cercare

esser in noi,

e la divinitade abitar in noi per forza del riformato intelletto

in

e voluntade.

Tansillo. Cossi è. Ecco dunque come l’Atteone, messo preda de suoi cani, perseguitato da proprii pensieri,

corre

e

cedere

drizza

i

divinamente

maggior più

prensibili; dovien

alli

da

raro

quel ed

vita.

gran

e

(B.

èrinovato*?

leggiermente,

cani (L'Amerio

(G!

[88-0])

=

L:

(W.

deserti,

ch'era

eroico,

estraordinaria

®

e più

passi;

facilità e con una più efficace lena,

folti,

1

novi

un

ha

rinovato;

Qua

gli

II, 340-1)

uom

dàn

de

volgare e

cioè con luoghi

cose

incom-

e commune,

concetti

rari,

morte

i

e fa

suoi

qua finisce la sua vita secondo

caccia

G2:

reggion

costumi

molti

integra:

alla

a"

a pro-

[è] per)

rinnovato)

(L. 652-3)

1008

(G.î II, 349-50)

(G.? 1I, 376-7).

PARTE

il mondo pazzo,

PRIMA

sensuale,

vivere

intellettualmente;

brosia

e inebriasi

di

- DIALOGO

cieco

vive

QUARTO

e fantastico,

vita

nettare.

de



e comincia

dei,

Appresso

d’un'altra similitudine descrive la maniera

a

pascesi

d'am-

sotto

forma

con cui s'arma

alla ottenzion de l'oggetto, e dice: Mio

passar

solitario,

Che adombr'e ingombra Tosto t’annida, ivi ogni

Rafferma,

a quella

parte

tutt’ il mio pensiero, tuo mestiero

ivi l’ industria

spendi

e l’arte.

Rinasci là, là su vogli allevarte Gli tuoi vaghi pulcini omai ch' il fiero Destin av’espedit' il cors’ intiero Contro l'impresa, onde Va', più nobil ricetto

solea

Che

è cieco

Bramo

ti godi,

da

chi

Va',

ritrarte.

e arai per guida un dio

nulla

vede,

ti sia sempre

pio

detto.

Ogni nume di quest’ ampio architetto, E non tornar a me se! non sei mio?.

Il progresso sopra significato per il cacciator che agita gli suoi cani, vien qua ad esser figurato per un cuor alato che è inviato

da la gabbia,

ad

alto,

annidarsi

essendo che

venuto

ad

allievar

il tempo

da fuori mille

in cui si stava ocioso e quieto, pulcini,

in cui cessano

occasioni,

cillità subministravano.

gli

e da

Licenzialo

dentro

suoi

pensieri,

gli impedimenti la natural imbe-

dunque,

per

fargli

più

magnifica condizione, applicandolo a più alto proposito ed intento, or che son più fermamente impiumate quelle ! Quando,

nella

pag.

seguente,

dovrà

ripetere

questo

verso,

il B. sostituirà che a se. Questo se, quindi, non ha valore di condizionale, ma di causale, significando: perché, dal momento che.

? Sonetto già premesso al De /’ infinito, 364). Passar solitario è immagine

Dio

(B.

(Salmi,

[$9-90))

CI,

(W.

8). Vedi

II, 341)

sopra,

p. 788,

(L. 653)

n. 3.

universo e mondi (p. biblica per designare

(G.I II, 350-1)

1009

(G.*

II, 377-8).

DE

GLI

EROICI

FURORI

potenze de l’anima significate anco da platonici per le due ali. E gli commette per guida quel dio che dal cieco volgo è stimato insano e cieco, cioè l'Amore; il qual per mercé e favor del cielo è potente di trasformarlo come in quell'altra natura alla quale aspira o quel stato/dal quale va peregrinando bandito. Onde disse: E non tornar a

me

che

gnità

possa

non

sei

mio,

io dire

con

quell'altro:

Lasciato

m’ hai,

E lume

cuor

mio,

d'’occhi miei,

non

di sorte che non con indi-

sei più meco!.

Appresso descrive la morte de l’anima, che da cabalisti è chiamata morte di bacio, figurata nella Cantica di Salomone, dove l'amica dice: Che mi bacie col bacio Perché col suo ferire Un troppo crudo amor

da altri è chiamata S'avverrà,

E

3

(LM:

(G@:

me

dia

mie

bocca,

fa languire4;

dove

dice il Salmista:

a gli

occhi

sonno

dormitaransi,

son.

Poî

che

la vista:

dove

lasci,

sconsolato

e cieco,

Lume

degli

occhi

miei

è più

de;

G!G2:

(per

di)

evidente

de’ cantici,

errore

non

[00-1])

floribus,

stipate

me

malis;

quia

(W.

341-2)

(L.

653-4)

(G.1

II,

IOIO

meco ?

tipografico).)

I, 1: « Osculetur me

osculo

amore

5 Salmi, CXKXXI, 4-5: « Si dedero somnum tationem, El requiem temporibus meis.... n. (B.

mici,

Me

suo

4 Cantico

«Fulcite

ch’ io

sua3

’n colui pacifico riposo S.

1 PETRARCA,

%

mi

sonno,

le palpebre

Arrò

de?

IT,

ovis sui»;

langueo ».

oculis °

351)

meis

(G.2

IT,

II, 5:

dormi378).

.

PARTE

PRIMA

DIALOGO

QUARTO

esser

per

languida

Dice, dunque, cossi l'alma, come morta in sé, e viva ne l'oggetto:

Abbiate cura, o furiosi, al core; Ché tropp’ il mio, da me fatto lontano,

Condotto in crud’e dispietata mano, Lieto soggiorn’ove-si spasma e muore. Co i pensier mel richiamo a tutte l'ore;

Ed ei rubello, qual girfalco insano, Non più conosce quell'amica mano, Onde, per non tornar, è uscito fore. Bella fera, ch'in pene Tante contenti, il cor, spirto, alma annodi Con tue punte, tuoi vampi e tue catene, De sguardi, accenti e modi; Quel che languisc’ ed arde, e non riviene,

Chi

fia che

saldi,

refrigere

e snodi?

Ivi l'anima dolente non già per vera discontentezza, ma con affetto di certo amoroso martfre parla come drizzando il suo sermone a gli similmente appassionati: come se non a felice suo grado abbia donato congedo al core, che corre dove non può arrivare, si stende dove non può giongere, e vuol abbracciare quel che non può comprendere; e con ciò perché in vano s’allontane da lei, mai sem-

pre più e più va accendendosi Cicada.

Onde

procede,

verso

l' infinito.

o Tansillo,

che

l’animo

in

tal

progresso s'appaga del suo tormento ? onde procede quel sprone ch' il stimola sempre oltre quel che possiede? Tansillo.

telletto forma

Da

questo,

divenuto intelligibile,

che

ti dirò

all’apprension c la volontà

adesso.

d'una

Essendo

certa

e

l' in-

definita

all’affezione commensurata

a tale apprensione, l’intelletto non si ferma là; perché dal proprio lume è promosso a pensare a quello che contiene in sé ogni geno de intelligibile ed appetibile, sin che vegna ad apprendere con l'intelletto l’eminenza del fonte de (B. [91-3]) (W. II, 342-3) (L. 654-5) (G.t IL 351-2) (G.3 II, 379). IOlI 63



G., Bruno,

Dialoghi

italiani

DE

GLI

EROICI

FURORI

l’ idee, oceano d'ogni verità e bontade. Indi aviene che qualunque specie gli vegna presentata e da lei vegna compresa, da questo che è presentata e compresa, giudica che Sopra essa è altra maggiore e maggiore, con ciò sempre ritfovandosi in discorso e moto in certa maniera. Perché sempre vede che quel tutto che possiede, è cosa misurata, e però non

può

essere bastante

per sé, non buono

da per sé, non

bello da per sé; perché non è l'universo, non è l'ente absoluto, ma contratto ad esser questa natura, ad esser questa specie, questa forma rapresentata, a l’ intelletto e presente a l'animo. Sempre dunque dal bello compreso, e per conseguenza misurato, e conseguentemente bello per participazione,

fa progresso

verso

quello

che è veramente

che non ha margine e circonscrizione alcuna. Cicada. Questa prosecuzione mi par vana. Tansillo.

Anzi

non,

atteso

che

non

conveniente

che l'infinito sia compreso,

narsi

percioché

niente

finito, e

naturale

che

non

sarrebe

l’ infinito,

è cosa

naturale

né esso può

infinito; per

bello,

essere

ma



do-

è conve-

infinito,

sia

infinitamente perseguitato 1, in quel modo di persecuzione il quale non ha raggion di moto fisico, ma di certo moto metafisico; ed il quale non è da imperfetto al perfetto, ma va circuendo per gli gradi della perfezione, per giongere a quel centro infinito, il quale non è formato né forma.?. Cicada. Vorrei sapere come circuendo si può arrivare al centro ? ! A questo punto in BL è aperta una parentesi, che poi non è più chiusa. ? Di questo luogo v. il classico commento di B. SPAVENTA, La dottrina della conoscenza di G. Bruno, in Saggi di critica, Napoli, Ghio, 1867, pp. 252-55.

(B. [93-4]) (W. II, 343) (L. 655) (G.t II, 352-3) (G.? IT, 379-#0). I0I2

PARTE

PRIMA

DIALOGO

QUARTO

Tansillo. Non posso saperlo. Cicada. Perché lo dici? Tansillo.

Perché

Cicada. l' infinito,

Se è

posso

non

dirlo e lasciarvel considerare.

volete

come

colui

dire

che

che

quel

discorrendo

che per

perséguita la circonfe-

renza cerca il centro, io non so quel che vogliate dire. Tansillo. Altro. Cicada. Or se non vuoi dechiararti, io non voglio intenderti. Ma dimmi, se ti piace: che intende per quel che dice il

core

esser

condotto

in

cruda

e

dispietata

mano? Tansillo. Intende una similitudine o metafora tolta da quel, che comunmente si dice crudele chi non si lascia fruire o non pienamente fruire, e che è più in desio che in possessione; onde per quel che possiede alcuno, non al tutto lieto soggiorna, perché brama, si spasma e muore. Cicada. Quali son quei pensieri che il richiamano a dietro, per ritrarlo da si generosa impresa? Tansillo. Gli affetti sensitivi ed altri naturali che guardano

al regimento

del corpo.

Cicada. Che hanno

alcuno

non

Tans.

può

Non

a far quelli di questo che in modo

aggiutargli,

hanno

né favorirgli ? :

a far di lui, ma

de l’anima;

la quale,

essendo troppo intenta ad una opra o studio, dovien remissa e poco sollecita ne l’altra. Cicada. Perché lo chiama qual Tanstllo.

Cicada.

sanno.

1 BL: aggiutarli,

Perché

Sogliono

soprasape.

esser

chiamati

aggiutargli, né favorirgli; né favorirgli.

W:

insano? insani aiutarli,

quei

che

né favorirli;

men Gt:

(B. [94]) (W. II, 343-4) (L. 655-6) (G.! IL 353-4) (G? II, 380-1). 1013

DE

GLI

EROICI

FURORI

Tansillo. Anzi insani son chiamati quelli che non sanno secondo

senso,

l'ordinario,

o che tendano

o che' tendano ! più

alto

più basso

per aver

per avèr men

piu intelletto.

Cicada. M’accorgo che dici il vero. Or dimmi appresso: quai sono le punte, gli vampi e le catene? Tansillo. Punte son quelle nuove che stimulano e risvegliano l’affetto perché attenda; vampi son gli raggi della bellezza presente che accende quel che gli attende; catene son le parti e circonstanze che tegnono fissi gli occhi de

l’attenzione

ed

uniti

insieme

gli oggetti

e le potenze.

Cicada. Che son gli sguardi, accenti e modi? Tansillo. Sguardi son le raggioni con le quali l'oggetto

(come ne mirasse)

ci si fa presente; accenti son le raggioni

con le quali ci inspira ed informa; modi son le circonstanze con le quali ci piace sempre cd aggrada. Di sorte ch’ il cor che dolcemente languisce, suavemente arde e constantemente nell’opra persevera, teme che la sua ferita si salde, ch' il suo incendio si smorze e che si sciolga il suo laccio. Cicada. Or recita quel che séguita. Tansillo.

ANI, profondi e desti miei pensieri,

Ch’uscir De

volete

l’'afflitt'alma,

da

materne

e siete ? acconci

Per tirar al versaglio L'alto

concetto;

Scontrarvi

Sovvengav” il tornar, Di

Armatevi

erti

sentieri

e richiamate

di dea selvaggia

fiamme,

si forte,

arcieri

vi nasce

fiera il ciel non

d’amore

domestiche

Reprimete

man

onde

in questi

a cruda

Il cor ch’in

fasce

che

ed

lasce.

late.

il vedere

straniere

1 B: quelli che non sanno.... 0 che tendano... 0 che tendano; WLGL: quelli che non sanno.... o che tendono.... o che tendono. Ma la natura della prima'proposizione si differisce da quella delle altre due. 2

W:

fieri.

Il L.

poi

non

emenda,

come

vuole

B.,

il v.

12.

(B. [94-6)) (W. II, 344) (L. 656-7) (G.t IL, 354-5) (G.* II, 381-2).

1014

PARTE

PRIMA

- DIALOGO

Non vi rendan, compagni Al men portate nuova

QUARTO

del

mio

core.

Di quel ch'a lui diletta e giova.

Qua descrive la natural sollecitudine de l'anima attenta circa la generazione

materia. spinti

Ispedisce

dalla

per l’amicizia ch’ ha contratta con Ja

gli

querela

armati

della

pensieri

natura

che,

sollecitati

inferiore,

son

e

inviati

a

richiamar il core. L'anima l’instruisce come si debbano portare, perché invaghiti ed attratti da l'oggetto non facilmente vegnano anch'essi sedotti a rimaner cattivi e compagni del core. Dice dunque che s'armino d'amore: di quello amore che accende con domestiche fiamme, cioè quello che è amico de la ! generazione alla quale son ubligati, e

nella

cui

legazione,

Appresso

li dà ordine

gli occhi,

perché

non

ministerio

e

milizia

che reprimano mirino

altra

si

ritrovano.

il vedere chiudendo

beltade

o bontade

che

quella qual gli è presente, amica e madre. E conchiude al fine che se per altro ufficio non vogliono farsi rivedere, rivegnano al manco per donargli saggio delle raggioni e stato del suo core. Cicada. Prima che procediate ad altro, vorrei intender da voi, che è quello che intende l’anima quando dice a gli pensieri: il vedere reprimete sf forte? Tansillo. Ti dirò. Ogni amore procede dal vedere: l’amore intelligibile dal vedere intelligibilmente; il sensibile

dal

vedere

sensibilmente.

Or

questo

vedere

ha

due

significazioni: perché o significa la potenza visiva, cioè la vista,

che

l'atto

di

1 (L:

(B. [96-7))

è

l'intelletto,

quella

potenza,

overamente

cioè

senso;

o

quell’applicazione

significa

che

fa

della)

(W. IL 344-5)

(L. 657)

1015

(G.! II, 355)

(G? II, 382-3).

DE

GLI

EROICI

FURORI

l'occhio o l'intelletto a l'oggetto materiale o intellettuale. Quando dunque si consegliano gli pensieri di reprimere il vedere,

non

s’ intende

del

primo

modo,

ma

del

secondo;

perché questo è il padre della seguente affezione de l’appetito sensitivo o intellettivo. Cicada. Questo è quello ch'io volevo udir da voi. Or se l'atto della potenza visiva è causa del male o bene che procede

dal

vedere,

onde

avviene

che

amiamo

e deside-

tamo di vedere? Ed onde avviene che nelle cose divine abbiamo più amore che notizia? Tansillo. Desideriamo il vedere, perché in qualche modo veggiamo la bontà del vedere, perché siamo informati

che

per

l’' atto

no: però desideramo

del

vedere

le

cose belle s' offre-

quell’atto perché desideriamo le cose

belle. Cicada.

Desideriamo

non è bello, né buono,

il

bello

e

buono;

ma

il

vedere

anzi più tosto quello è paragone '

o luce per cui veggiamo

non

solamente

il bello

e buono,

ma anco il rio e brutto. Però mi pare ch’'il vedere tanto può esser bello o buono, quanto la vista può esser bianco o nero; se dunque la vista (la quale è atto) non è bello né buono,

come

Tansillo.

può Se non

cadere

in

desiderio?

per sé, certamente

per altro è deside-

rata, essendo che l'apprension di quell'altro senza lei non si faccia. Cicada. Che dirai, se quell'altro non è in notizia di senso, né d' intelletto ? Come,

dico, può esser desiderato‘almanco

d'esser visto, se di esso non è notizia alcuna, se verso quello

1 BL:

(B.

[97-8))

parangone.

(W. II, 345)

(L. 657-8) 1016

(G.1 II, 355-6)

(G.= II, 383).

PARTE

né l'intelletto,

PRIMA



DIALOGO

il senso

ha

QUARTO

esercitato

atto

alcuno,

anzi

è in dubio se sia intelligibile o sensibile, se sia cosa corporea o incorporea,

se sia

uno

0 doi

o più,

d'una

o d’'un’altra

maniera ? Tansillo. Rispondo che nel senso e l'intelletto è un appetito ed appulso al sensibile in generale; perché l' intelletto vuol intender tutto il vero, perché s'apprenda poi tutto quello che è bello o buono intelligibile: la potenza sensitiva vuol informarsi de tutto il sensibile, perché s'apprenda

poi quanto

che non meno

è buono

o bello sensibile.

Indi aviene

desideramo vedere le cose ignote e mai viste,

che le cose conosciute e viste. E da questo non séguita ch’ il desiderio non proceda da la cognizione, e che qualche cosa

desideriamo

che

non

è conosciuta;

ma

dico

che

sta

pur rato e fermo che non desideriamo cose incognite. Perché

se sono occolte quanto

all'esser particulare,

non sono oc-

colte quanto

a l’esser generale;

come

in tutta la potenza

clinazione

l'atto,

l’una

e

visiva si trova tutto il visibile in attitudine, nella intellettiva tutto l' intelligibile. Però come ne l'attitudine è l’ ina

aviene

che

l’altra

potenza

è

inchinata a l'atto in universale, come a cosa naturalmente appresa per buona. Non parlava dunque a sordi o ciechi l’anima, quando consultava con suoi pensieri de reprimere il vedere, il quale quantunque non sia causa prossima del volere è però causa prima e principale. Cicada. Che intendete per questo ultimamente detto ? Tansillo. Intendo che non è la figura o la specie sensibilmente o intelligibilmente representata, la quale per sé muove;

perché

mentre

alcuno

sta mirando

la figura mani-

festa a gli occhi, non viene ancora ad amare; ma da quello instante che l'animo concipe in se stesso quella figurata non

(B. 98-0]) (W. II, 345-6) (L. 658) (G. II, 356-7) (G.2 II, 383-4). 1017

DE

GLI

EROICI

FURORI

più visibile ma cogitabile, non più dividua ma individua, non più sotto specie di cosa, ma sotto specie di buono o bello, allora subito nasce l’amore. Or questo è quel vedere dal quale l’anima vorrebbe divertir gli occhi de suoi pensieri. Qua la vista suole promuovere l'affetto ad amar più che

non

è quel

che

vede;

perché,

come

poco

fa ho detto,

sempre considera (per la notizia universale che tiene del bello e buono) che, oltre li gradi della compresa specie de buono

e bello,

sono

altri

ed

altri

in infinito.

Cicada. Onde procede che dopo che siamo informati de la specie del bello la quale è conceputa nell'animo, pure desideriamo di pascere la vista esteriore? Tansillo. Da quel che l'animo vorrebbe sempre amare quel che ama, vuol sempre vedere quel che vede. Però vuole che quella specie, che gli è stata parturita dal vedere, non vegna ad attenuarsi, snervarsi e perdersi. Vuol dunque sempre oltre ed oltre vedere, perché quello che potrebe oscurarsi nell’affetto interiore, vegna spesso illustrato dall'aspetto

esteriore;

il quale

come

è principio

de

l’essere,

bisogna che sia principio del conservare. Proporzionalmente accade ne l’atto de l' intendere e considerare; perché come

la vista si referisce ! alle cose visibili, cossi l’ intelletto

alle cose intelligibili. Credo dunque ch' intendiate a che fine ed in che modo l’anima intenda quando dice: reprimete il vedere. Cicada. Intendo molto bene. Or seguitate a riportar quel -ch'avvenne di questi pensieri. Tansillo. Séguita la querela de la madre contra gli detti figli li quali, per aver contra l’ordinazion sua aperti gli 1

(G!

=

L:

rveferisce;

G?:

riferisce)

(B. [99-101]) (W. II, 346-7) (L. 658-9) (G.! II, 357-8) (G.2 IT, 394-5). 1018

PARTE

PRIMA

DIALOGO

QUARTO

occhi, ed affissigli al splendor de l’oggetto, in compagnia del core. Dice dunque: E

voi

Per

ancor,

pit

inasprir

a me

E perché senza Ogni

mia

A

che

spene

il senso

figli

doglia,

con

voi

riman,

rimasi

crudeli,

mia

fin più

erano

mi

lasciaste,

mi quereli,

n'amenaste.

o avari

cieli?

A che queste potenze tronche e guaste, Se non per farmi materia ed essempio

De

si grave

Deh,

Lasciate E

martir,

per

Dio,

pur mio

cari

si lungo scempio? figli,

fuoco alato in preda,

fate ch'io di voi alcun riveda Tornato a me da que’ tenaci artigli.

Lassa, Per

Eccomi

nessun

tardo

riviene

refrigerio

misera,

de!

mie

priva del core,



pene.

abandonata

da gli pen-

sieri, lasciata da la speranza, la qual tutta avevo = fissa in essi. Altro

infelicità

non

mi rimane

e miseria.

E

che il senso

perché

non

della mia

son

oltre

povertà,

lasciata

da

questo ? perché non mi soccorre la morte, ora che son priva

de la vita? A che mi trovo le potenze naturali prive de gli atti

suoi?

Come

potrò

io sol pascermi

di

specie

intelli-

gibili, come di pane intellettuale, se la sustanza di questo supposito

è composta?

domestichezza intessute

Come

di queste amiche

in circa,

potrò

io

trattenirmi

e care membra,

contemprandole

con

nella

che m' ho

la simmetria

de

le

qualitadi elementari, se mi abandonano gli miei pensieri tutti ed affetti, intenti verso la cura del pane immateriale e divino? Su, su, o miei fugaci pensieri, o mio rubelle cuore: viva il senso di cose sensibili e l’ intelletto de cose 1 BL:

2 BL: (B.

[101-2})

de;

WG!:

haueno. (W.

di.

II, 347)

(L. 659-60)

1019

(G.1 II, 358-0)

(G.2 II, 385-6).

DE

GLI

intelligibili. Soccorrasi

corporeo,

e l'intelletto

EROICI

al corpo

con

FURORI

con la materia

gli suoì

oggetti

e suggetto

s' appaghe;

a fin che conste questa composizione, non si dissolva

Cote

machina, dove per mezzo del spirito l’anima è unita al corpo. Come, misera, per opra domestica più tosto che per esterna violenza, ho da veder quest'orribil divorzio ne le mie parti e membra? Perché

l' intelletto s’ impaccia

di donar

legge

al senso e privarlo de suoi cibi ? e questo, per il contrario, resiste a quello, volendo vivere secondo gli proprii e non secondo l’altrui statuti ? Perché questi e non quelli possono mantenerlo

e bearlo, percioché

comoditade

e vita,

cordia dove l'essere; ma

non

deve essere attento

a l’altrui.

Non

alla sua

è armonia

e con-

è unità, dove un essere vuol assorbir tutto dove è ordine ed analogia di cose diverse;

dove ogni cosa serva la sua natura. Pascasi dunque il senso secondo la sua legge de cose sensibili, la carne serva alla legge de la carne, il spirito alla legge del spirito, la raggione a la legge de la raggione: non si confondano, non si conturbino. Basta che uno non guaste o pregiudiche alla legge de l’altro, se non è giusto che il senso oltragge alla legge della raggione.

È pur cosa vituperosa

la legge di questo, grino

e straniero,

massime

ed il senso

che quella

tirannegge

su

dove l'intelletto è più pereè più

domestico

e come

in

propria patria. Ecco

dunque,

o

miei

pensieri,

come

di

voi

altri

son

ubligati di rimanere alla cura di casa, ed altri possono andar a procacciare altrove. Questa è legge di natura, questa per conseguenza è legge dell’autore e principio della natura. Peccate dunque, or che tutti, sedotti dalla vaghezza de l’ intelletto, lasciate al periglio de la morte l'altra parte di me. Onde vi è nato questo malencolico e perverso umore

{B. [102-3]) (W. IT, 347-8) (L. 660) (G.! II, 359) (G.2 II, 386). 1020

PARTE

PRIMA

- DIALOGO

QUARTO

di rompere le certe e naturali leggi de la vita vera che sta nelle

vostre

mani,

per una

incerta

e che

non

è se non

in

ombra oltre gli limiti del fantastico pensiero? Vi par cosa naturale

che

non

vivano

animale-

ed

umanamente,

ma

divina-, se elli non sono dei ma uomini ed animali? È legge del fato e della natura che ogni cosa s'adopre secondo la condizion de l’esser suo. Perché, dunque, mentre

perseguitate il nettare avaro de gli dei, perdete il vostro presente e proprio, affligendovi: forse sotto la vana speranza de l'altrui ? Credete che non si debba sdegnar la natura di donarvi l’altro bene, se quello che presentaneamente v’offre, tanto stoltamente dispreggiate? Sdegnarà il ciel dar il secondo bene A chi ’1 primiero don caro non tiene 2,

Con queste e simili ‘raggioni l’anima, prendendo la causa de

la parte

più

inferna,

cerca

de

richiamar

gli

pensieri

alla cura del corpo. Ma quelli, benché al tardi, vegnono a mostrarsegli non già di quella forma con cui si partîro, ma sol per dechiarargli la sua ribellione, e forzarla tutta a seguitarli. Là onde in questa forma si lagna la dolente: Ahi,

Che

cani

drizzai

d'Atteon,

al ricetto

o fiere

de

mia

mio

sol

ingrate, diva,

E voti di speranza mi tornate, Anzi venendo a la materna riva, Tropp' infelice fio mi riportate: Mi sbranate, e volete ch'i’ non viva. Lasciami,

Tatta ! BL:

? Vedi

arrecato

vita,

gemino

affligendovi;

quel che nel

sopra

dal

B.

ch'al

rio senz'il mio

WGI:

rimonte,

fonte!

affliggendovi.

Vendemmiatore

medesimo

a p.

Correzione

aveva

730.

superflua.

scritto il TANSILLO,

(B. [103-5]) (W. II, 348-9) (L. 660-1) (GI, II, 359-G0) (G.2 II, 386-7). 102I

DE

GLI

EROICI

FURORI

Quando il mio pondo greve Converrà che natura mi disciolga ? Quand’avverrà ch’anch'io da qua mi E ratto l’alt'oggetto mi sulleve? E insieme col mio core

E i communi

Vogliono

pulcini

gli platonici

tolga,

_

ivi dimore?

che

l’anima,

quanto

alla parte

superiore, sempre consista ne l’ intelletto, dove ha raggione

d’ intelligenza più che de anima; atteso che anima è nomata per

quanto

medesima alto,

vivifica

essenza

insieme

col

il corpo

che

e lo sustenta.

nodrisce

magnificato

Cicada.

Si che non

sono

e mantiene

cuore

inferiore contristarsi e richiamar due

Cossi

ribelli.

contrarie,

suggetta a doi termini di contrarietade? Tansillo. Cossi è a punto. Come il raggio oscure,

che

l'elemento

illustra, del

vivifica

fuoco, ‘cioè

ed

ma

una

del sole il

a cose inferiori ed

accende;

a la stella

in

dalla parte

quelli come

quale quindi tocca la terra ed è gionto

la

li pensieri

se induce

essenze

qua

indi

da

cui

è gionto procede,

a ha

principio, è diffuso ed in cui ha propria ed originale sussistenza;

cossi

l’anima

che

è nell’orizonte

della natura

cor-

porea ed incorporea, ha con che s' inalze alle cose superiori ed inchine a cose inferiori. E ciò puoi vedere non accadere per raggion

ed ordine

di moto

locale,

ma

solamente

per

appulso d'una e d’un’altra potenza o facultade. Come quando il senso monta all’ imaginazione, l’ imaginazione alla raggione, la raggione a l'intelletto, I’ intelletto a la mente, allora l’anima tutta si converte in Dio ed abita il mondo intelligibile. Onde per il contrario descende per conversion al mondo sensibile per via de l'intelletto, raggione, immaginazione,

Cicada.

(B.

{105-6])

senso, - vegetazione.

È vero ch’ ho inteso che per trovarsi

(W.

II, 349)

(L. 661-2) 1022

(G.!

II,

360-1)

l’anima

(G.2 II, 387-8).

PARTE

nell’ultimo

grado

nel corpo

mortale,

PRIMA

de

- DIALOGO

cose

divine,

e da questo

QUARTO

meritamente

risale

di nuovo

descende alli divini

gradi; e che son tre gradi d' intelligenze: perché son altre nelle quali l' intellettuale supera l’animale, quali dicono essere l’ intelligenze celesti; altre nelle quali l’animale supera l’ intellettuale, quali son l' intelligenze umane; altre sono nelle quali l'uno e l’altro si portano ugualmente, come quelle de demoni o eroi. Tansillo.

Nell’apprender

dunque

che

fa la mente,

non

può desiderare se non quanto gli è vicino, prossimo, noto e familiare. Cossi il porco non può desiderar esser uomo, né quelle cose che son convenienti all’appetito umano. Ama più d' isvoltarsi per la luta ! che per un letto de bissino ?; ama d’unirsi ad una scrofa, non a la più bella donna

che produca la natura:

perché l'affetto séguita la raggion

della specie 3. E tra gli uomini si può vedere il simile, se-

condo che altri son più simili a una specie de bruti animali, altri ad un’altra: questi hanno del quadrupede, quelli del volatile4, e forse hanno qualche vicinanza (la qual non voglio dire) per cui si son trovati quei che sono affetti a certe sorte di bestie. Or a la mente (che trovasi oppressa dalla material congionzione de l’anima) se fia lecito di alzarsi

alla contemplazione

d’un

altro

stato

in cui

l’anima

Quanto

al

può arrivare, potrà certo far differenza da questo a quello, e per il futuro spreggiar il presente. Come se una bestia avesse senso della differenza che è tra le sue condizioni e 1 Cir. Cabala, p. 890, 2 Byssinus, a, un, di

n. 2. bisso,

di

lino

finissimo.

para-

gone del porco, voli il De la causa, pp. 218-9; e per quello consimile della scimmfa, l’ Infinito, p. Sor. 3 Qui cei BL una parentesi, che non è più chiusa. 4 B:

quelli

vplatile.

(B. [106-7)) (W. II, 349-50) (L. 662) (G.1 II, 361-2) (G.? II, 388-0). 1023

DE

GLI

EROICI

FURORI

quelle de l’uomo, e l’ignobiltà del stato suo dalla nobiltà del stato umano, al quale non stimasse impossibile di poter pervenire; amarebbe più la morte che li donasse quel camino ed ispedizione, che la vita, quale l’ intrattiene in quell’esser presente. Qua dunque, quando l’anima si lagna dicendo: O cani d’Atteon, viene intro-

dotta corne cosa che consta di potenze inferiori solamente, e da cui la mente è

cioè onde altro esser

ribellata con aver menato

gl’intieri affetti con tutto l’exercito per apprension del stato presente ed stato, il quale non più lo stima essere, conosciuto, si lamenta de pensieri,

convertendosi

a lei vegnono

dal

amore

seco il core,

de pensieri: là ignoranza d’ogni che da Ici possa li quali al tardi

per tirarla su più tosto che a

farsi ricettar da lei. E qua per la distrazione che patisce commune

della

materia

e di

cose

intelligibili,

si sente lacerare e sbranare di sorte che bisogna al fine di cedere a l'appulso più vigoroso e forte. Qua se per virti di contemplazione

ascende

o è rapita

sopra

l’orizonte

de

gli affetti naturali, onde con più puro occhio apprenda la differenza pensieri,

de

l'una

come

viva nel corpo,

e l’altra

morta

vita,

al corpo,

vi vegeta

come

allora

vinta alto;

da

gli alti

aspira

ad

e benché

morta,

e vi è presente

in

atto de animazione, ed absente in atto d’operazioni; non perché non vi operi mentre il corpo è vivo, ma perché l’operazioni del composto sono rimesse, fiacche e come dispenserate. Cîcada. Cossi un certo Teologo (che si disse rapito sin al terzo cielo) !, invaghito da la vista di quello, disse che desiderava

la dissoluzione

dal suo

1 S. Paoto, Ep. II ai Corinzii, XII, ® Cfr. S. Paoto, Ai Filipp., I, 23. (B.

[107-8])

(W.

II, 350)

(L. 662-3)

corpo ?. 2-4.

(G.! IT, 362-3)

1024

(G.2 II, 3809-90).

PARTE

PRIMA

- DIALOGO

QUARTO

Tansillo. In questo modo, dove prima si lamentava del core e querelavasi de pensieri, ora desidera d’alzarsi con quelli in alto, e mostra il rincrescimento suo per la communicazione e familiarità contratta con la materia corporale, e dice: Lasciami vita corporale, e non m'impacciar ch'io rimonti al mio più natio albergo, al mio sole: lasciami ormai che più non verse pianto da gli occhi miei, o perché mal posso soccorrerli, o perché rimagno

divisa dal mio

bene;

lasciami,

ché non

né possibile che questi doi rivi scorrano fonte,

è decente,

senza

il

suo

cioè senza il core: non bisogna, dico, che io faccia

doi fiumi de lacrime qua basso, se il mio core, il quale è fonte

de tai fiumi,

se n’ è volato

ad alto con le sue ninfe,

che son gli miei pensieri. Cossi a poco a poco, da quel disamore e rincrescimento procede a l’odio de cose inferiori; come quasi dimostra dicendo: Quand'il mio pondo greve converrà che natura mi disciolga?! e quel che seguita appresso. Cicada. Intendo molto bene questo, e quello che per questo volete inferire a proposito della principale intenzione: cioè che son gli gradi de gli amori, affezioni e furori, secondo gli gradi di maggior o minore lume di cognizione ed intelligenza. Tanstillo. Intendi bene. Da qua devi apprendere quella dottrina che comunmente, tolta da’ pitagorici e platonici, vuole che l’anima fa gli doi progressi d'ascenso e descenso per la cura ch’ ha di sé e de la materia; per quel ch’ è mossa

dal proprio appetito del bene, e per quel ch’ è spinta da la providenza del fato. 1 (LM:

et quel che/seguita

[108-9])

(W.

levata (B.

in G

e F e, II/

appresso

gggiungiamo,

350-1)

in Fi

(L. 663-4)

1025

(omissione

e Am).)

(G.t

II, 363-4)

dal MicHEL

ri-

(G.2 II, 390).

Cicada.

DE

GLI

di

grazia,

Ma

EROICI

FURORI

dimmi

brevemente

quel

che

intendi de l’anima del mondo, se ella ancora non può ascen-

dere né descendere? Tansillo. Se tu dimandi significazione,

quello,

per

del mondo

cioè in quanto

essere

infinito

significa l'universo,

e senza

dimensione

viene a essere inmobile ed inanimato

que

sia luogo

spacio

de mondi

infinito,

dove

secondo

la volgar dico

che

o misura,

ed informe,

quantun-

infiniti mobili in esso,

ed abbia

son

tanti

animali

grandi,

che

son

chiamati astri. Se dimandi secondo la significazione che tiene appresso gli veri filosofi, cioè in quanto significa ogni globo, ogni astro, come è questa terra, il corpo del sole, luna ed altri, dico che tal anima non ascende né descende,

ma si volta in circolo. Cossi essendo composta de potenze superiori nitade,

ed

inferiori,

con

l’ inferiori

con

le superiori

circa

la mole

versa

circa

la divi-

la qual

vien

da

essa

vivificata e mantenuta

intra gli tropici della generazione

e corrozione

viventi

de le cose

in essi mondi,

servando

la

propria vita eternamente: perché l'atto della divina providenza sempre con misura ed ordine medesimo, con divino calore e lume le conserva nell’ordinario e medesimo essere. Cicada. Mi basta aver udito questo a tal proposito. Tansillo. Come

dunque

accade che queste anime parti-

colari diversamente, secondo diversi gradi d'ascenso e descenso, vegnono affette quanto a gli abiti ed inclinazioni, cossi vegnono

a mostrar

diverse

maniere

ed ordini

841);

G3:

ed)

(G.!

II,

364)

de fu-

rori, amori e ! sensi; non solamente nella scala de la natura, secondo gli ordini de diverse vite che prende l’anima in diversi corpi, come vogliono espressamente gli pitagorici, 1 (GI:

'B.

e (vedi

[109-10])

(W.

la nota

II,

n. 3 a p.

351-2)

(L. 664)

1026

(G.2

II,

391).

PARTE

Saduchimi

ed

PRIMA

altri,

ed

DIALOGO

QUARTO

implicitamente

Platone

ed

alcuni

che più profondano in esso !; ma ancora nella scala de gli affetti umani,

la quale

scala della natura;

è cossi numerosa

de gradi,

come

la

atteso che l'uomo in tutte le sue potenze

mostra tutte le specie de lo ente. Cicada. Però da le affezioni sì possono conoscer gli animi, se vanno

alto

o basso,

o se vegnono

da

alto

o da basso,

se procedeno ad esser bestie o pur ad essere divini, secondo lo essere specifico, come la similitudine

intesero

gli pitagorici;

de gli affetti solamente,

come

o secondo

comunmente

si crede: non dovendo la anima umana posser essere anima di bruto, come

ben disse Plotino, ed altri platonici secondo

la sentenza del suo principe. Tansillo. Bene. Or per venire al proposito, da furor animale questa anima descritta è promossa a furor eroico, se la dice: Quando averrà ch'a l’alto oggetto

mi

sulleve,

pagnia del cini? Questo

ed

ivi

sarà

ch'io

dimore

in

com-

mio core e miei e suoi pulmedesimo proposito continova quando

dice: Destin,

Qual Che

E



per bearm'a

fan

fe'

bellezze

dolor

le

l'alte porte

conforte

membra

spirto

più

l’error

Cabala,

p.

ch'il

non

885,

n.

più

monte

me?

suo

monte,

porte,

conte,

conte,

forte

disgionte,

lascia mie potenze smorte

S'ove 1 Cfr.

quelle

'l tenace

Chi

Mio

quando

rivale

l’assale,

gionte,

morte ? vale;

sale.

1.

? Cioè, mie, come più gii lo stesso. Intorno a questo possessivo che ordinariamente si affigge, v. Cand., p. LVII, e ivi n. 1. (Il

T°LOoRA,

trattarsi (B.

pur lasciando

di un

[110-2))

69



(W.

errore

inalterato

di stampaj

II, 352)

O. Luuno,

il ine, osserva:

da

(L. 66445)

Dialoyhi itulicni

correggere

(G.!

« Ma

potrebbe

anche

in sie », come

II, 364-5)

(G2

II,

in-

391-2).

DE

GLI

EROICI

Se, dove attende,

E E

FURORI

tende,

là ’ve l'alto oggett’'ascende, ascende: se quel ben ch’un sol comprende, prende, Per cui convien che tante emende mende, Esser falice lice,

Come

O

destino,

quando

_

chi sol tutto predice dice.

sarà,

o fato, ch'io

o divina inmutabile providenza, monte

a

quel

monte,

cioè ch'io vegna a tanta altezza di mente, che mi faccia toccar transportandomi quegli alti aditi e penetrali, che mi fanno evidenti e come comprese e numerate quelle conte, cioè rare bellezze? Quando sarà, che forte:

ed efficacemente conforte il mio dolore (sciogliendomi da gli strettissimi lacci de le cure, nelle quali mi trovo) colui

che

fe’

gionte

ed unite le

mie

membra,

ch’erano disunite e sgionte cioè l’amore che ha unito insieme queste corporee parti, ch'erano divise quanto un contrario è diviso da l'altro, e che ancora queste

potenze

smorte,

non

intellettuali, quali ne gli atti suoi son le

iascia

a

fatto

morte,

facen-

dole alquanto respirando aspirar in alto? Quando, dico, mi confortarà a pieno, donando a queste libero ed ispedito il volo, per cui possa la mia sustanza tutta annidarsi là dove,

forzandomi,

convien

mie? dove pervenendo più ch'il rivale; resista,

non

l'assaglia.

attende;

se

ed

emende

tutte le mende

il mio spirito, vale perché non v'è oltraggio che li

è contrarietà

Oh

ch'io

tende

ch'il

vinca,

non

ed

arriva

là dove

ascende

e perviene

v'è

error

che

forzandosi

a quell’altezza,

fatti corregge il MicHrL che intende «126, sans doute par une faute

d’ impression ».) I L corregge forte!-], cioè fortemente. avverbio usato nel v. 4° del sonetto. (B.

[112-3))

(W.

II, 352-3)

(L. 665)

1028

Ma,

forte

(G.! II, 365-6)

è lo stesso

(G.2 II,

392-3).

PARTE

dove

PRIMA

ascende,

vuol

- DIALOGO

star

QUARTO

montato,

alto

ed

elevato

il

suo oggetto; se fia che prenda quel bene che non può esser

compreso da altro che da uno, cioè da se stesso (atteso che ogni

altro

l’ave

in misura

della propria

capacità;

e quel

solo in tutta pienezza): allora avverrammi l’esser felice in quel modo che dice chi tutto predice, cioè dice quella altezza* nella quale il dire tutto e far tutto è la medesima cosa; in quel modo che dice o fa chi tutto predice, cioè chi è de tutte cose efficiente e principio, di cui il dir e preordinare* è il vero fare e principiare. Ecco come per la scala de cose superiori ed inferiori procede l'affetto

de

l'amore,

come

l'intelletto

o

sentimento

pro-

cede da questi oggetti intelligibili o conoscibili a quelli; o da quelli a questi. Cicada. Cossi vogliono la più gran parte de sapienti la natura compiacersi in questa vicissitudinale circolazione che si vede ne la vertigine de la sua ruota.

1 (FM:

motivo

di

Fine

del

dice

quella

da

chiarezza,

sopra, p. 950).) ® B:

ordinare; (B.

una

dire preordinare.

FM:

[113])

quarto

altezza

lezione

II,

353)

(L: dire

(L.

(restituendo

respinta

dive et preordinare)

(W.

dialogo.

dallo

cosi,

stesso

[et] preordinare;

665-6)

1029

(G.I

II,

366)

per

G1: (G.2

evidente

Bruno:

cfr.

dire e preII,

393).

DIALOGO QUINTO I. Cicada.

potrò

Fate

considerar

ch’appare scritto !,

pure

ch'io

veda,

le condizioni

esplicato

nell'ordine,

perché

da me

di questi

furori,

in questa

milizia,

stesso

per

quel

qua

de-

Tansillo. Vedi come portano l’' insegne de gli suoi affetti o fortune. Lasciamo di considerar su gli lor nomi ed

abiti;

basta

che

stiamo

su

la

significazion

ed intelligenza de la scrittura, tanto per forma = del corpo de la imagine,

de

l' imprese

quella che è messa quanto l’altra ch' è

messa per il più de le volte a dechiarazion

de l' impresa 3.

Cicada. Cossi farremo, Or ecco qua il primo che porta

un

scudo

distinto

in

quattro

colori,

dove

nel

cimiero

è

depinta la fiamma sotto la testa di bronzo, da gli forami 1 (L: descritta (la stessa forma in B) rilevata dal MicHEL).) ? Ossia a complemento: complemento che la maggior parte dei trattatisti delle imprese ritenevano necessario per evitare equivoci

e ambiguità quel che la stotelico. nel

(cfr. SALZA, of. cit., p. 238), e quindi paragonabile a forma è rispetto all’ individuo nel linguaggio ari-

3 Quanto alla lingua da usare nei motti delle imprese il CONTILE

tutte

cit.

Ragionamento:

le altre

preponersi,

giocondi la toscana, cese,

«Io,

ne i simulati

diceva,

dico

ne

giudico

i motti

la spagnola

amorosi,

ne

dovere

a

i festivi e

ne i motti severi la todesca, ne i vezzosi la fran-

la greca,

e in tutte le spezie

veramente

massimamente ne î concetti gravi » (cit. dal SALZA, Il Bruno perciò era in regola.

op.

la latina,

cit., p. 238).

(B. [r14]) (W. IL 353) (L. 666) (G.t II, [367]) (G.* II, (394).

1030

PARTE

PRIMA

- DIALOGO

QUINTO

della quale esce a gran forza un fumoso vento, e vi è scritto

in circa: At regna senserunt tria. Tansillo. Per dichiarazion di questo direi che per essere ivi il fuoco che, per quel che si vede, scalda il globo, dentro il quale è l’acqua, avviene che questo umido elemento, essendo rarefatto ed attenuato per la virtù del calore, e per consequenza risoluto in vapore, richieda molto maggior spacio per esser contenuto. Là onde se non trova facile exito, va con grandissima forza, strepito e ruina a crepare il vase. Ma se vi è loco o facile exito donde possa evaporare, indi esce con violenza minore a poco a poco; e secondo la misura con cuì l’acqua se risolve in vapore, soffiando svapora in aria. Qua vien significato il cor del furioso, dove,

accade

come

che

in esca ben disposta

della

sustanza

attaccato

vitale

altro

l’amoroso

sfaville

in

foco,

fuoco,

altro si veda in forma de lacrimoso pianto boglier ! nel petto, altro per l’exito di ventosi suspiri accender l’aria. E però dice: At regna senserunt tria. Dove quello At ha virti di supponere differenza o diversità o contrarietà; quasi dicesse che l’altro è che potrebbe aver senso del medesimo,

e non l’ave. Il che è molto bene esplicato ne le

rime seguenti sotto la figura: .

Dal

mio

gemino

lume

io,

poca

terra,

Soglio non parco umor porgere al mare; Da quel che dentr' il petto mi si serra,

Spirto non scarso accolgon l’aure avare; E ’l vampo che dal cor mi si disserra,

Si può senza scemars’ al ciel alzare: Con lacrime, suspiri ed ardor mio A l’acqua, a l’aria, al fuoco rendo

1 W: volger. as boglfre.

FLorio,

New

Woòld

of

Words,

il fio.

613:

bégliere

(B. (114-6)) (W. IT, 353-4) (L. 666-7) (G.! II, [367]-8) (G.2 II, (394)-5).

103I

DE

GLI

Accogli’

Qualche Si

EROICI

acqua,

aria,

foco

parte di me;

dimostra

ma

cotant’iniqua

Che né mio pianto appo Né la mia voce ascolta,

Né pietos'al mi’ ardor

Qua la

la suggetta

sustanza

cioè

da

gli

del occhi,

la mia e rea,

loco,

si volta.

significata per la

versa

copiose

dea

lei trova

unqua

materia

furioso;

FURORI

dal

lacrime

terra

gemino che

è

lume,

fluiscono

al mare;

manda dal petto la grandezza e moltitudine de suspiri a l'aria capacissimo 1: ed il vampo del suo core non come picciola favilla o debil fiamma nel camino de l’aria s’ intepidisce,

tente

infuma

e trasmigra

e vigoroso

(più

in

tosto

altro

essere,

acquistando

ma

de

come

po-

l’altrui

che

perdendo del proprio) gionge alla congenea sfera. Cicada. Ho ben compreso il tutto. A l'altro.

II. Tansillo. scudo,

Appresso

parimente

è designato

destinto

in

un

quattro

che ha nel suo

colori,

il

cimiero,

dove è un sole che distende gli raggi nel dorso de la terra; e vi è una nota, che dice: Idem semper ubique totum. Cicada. Vedo che non può esser facile l’ interpretazione. Tansillo. Tanto il senso è più eccellente, quanto è men volgare: il qual vedrete essere solo, unico enon

stiracchiato.

Dovete considerare che il sole, benché al rispetto de diverse

regioni de la terra per ciascuna sia diverso/a tempi a tempi, a loco a loco, a parte a parte; al riguardo però del globo tutto, come

medesimo,

sempre

ed in cadaun

loco fa tutto;

atteso che, in qualunque punto de l'eclittica ch'egli si trove, viene

a far l'inverno,

1 Per

(B.

[116-7])

questo

maschile

(W. II, 354-5)

l'estade, vedi

l'autunno

Cena,

(L. 667-8)

1032

p.

GI,

e la primavera; n.

2.

(G.! II, 368-9)

(G.2 II, 395-0).

PARTE

PRIMA

DIALOGO

QUINTO

e l’universal globo de la terra a ricevere in sé le dette quattro

tempeste. Perché mai è caldo a una parte che non sia freddo a l’altra; come quando fia a noi nel tropico del Cancro caldissimo, è freddissimo al tropico del Capricorno; di sorte che è a medesima raggione l’ inverno a quella parte, con cui a questa è l’estade, ed a quelli che son nel mezzo, è temperato, secondo la disposizion vernale o autumnale. Cossi la terra sempre sente le piogge, li venti, gli calori, gli freddi;

anzi non

sarebbe umida

qua, se non

disseccasse

in un'altra parte, e non la scalderebe da questo lato il sole,

se non

avesse lasciato d’ iscaldarla da quell’altro.

Cicada.

Prima

che

finisci

ad

conchiudere,

io

intendo

quel che volete dire. Intendeva egli che, come il sole sempre dona tutte le impressioni a la terra, e questa sempre le ri-

ceve intiere e tutte, cossi l'oggetto del furioso col suo splendore attivamente lo fa suggetto passivo de lacrime, che

son

l’acqui;

de

ardori,

che

son

gl’ incendii;

e de

suspiri,

quai son certi vapori, che son mezzi che parteno dal fuoco e vanno a l’acqui, o partono da l’acqui e vanno al fuoco. Tansillo.

Assai

bene s’esplica appresso:

Quando

declin’ il sol

al Capricorno,

Fan più ricco le piogge ogni torrente; Se va per l’equinozio o fa ritorno, Ogni postiglion d’ Eolo più si sente; E

scalda

Nel tempo Non Con

van

tai

Sempre

più

col

più

che rimonta

miei

freddi,

pianti,

prolisso

al Cancro

suspiri

temperie

equalmente

ed

e calori.

giorno,

ardente

ardori

in pianto,

Quantunqu' intensi siàn suspiri e fiamme. E! benché troppo m' cet ed infiamme, 1B

(B.

(W

[117-9])

L:

(W.

En.

II, 355)

(L. 668)

(G.! II, 369-70)

1033

(G.2 II, 396-7).

DE Mai

Infinito

GLI

avvien mi

ch'io

suspire

scaldo,

Equalmente

Cicada. Questo come il precedente la consequenza di Tansillo. Dite

EROICI FURORI

ai suspiri

non tanto discorso quello, o megliore,

men

e pianger

che

tanto;

saldo.

dechiara il senso de la divisa :, faceva, quanto più tosto dice l’ accompagna. che la figura è latente ne la

prima parte, ed il motto è molto esplicato ne la seconda; come l'uno e l’altro è molto propriamente significato nel

tipo del sole e de la terra. Cicada. Passamo al terzo.

III. Tansillo. Il terzo nel scudo porta un fanciullo ignudo disteso sul verde prato, e che appoggia la testa sullevata

sul braccio,

con

gli occhi

rivoltati

verso

il cielo

a certi edifici de stanze, torri, giardini ed orti che son sopra le nuvole;

e vi è un castello di cui la materia

in mezzo

è la nota

che

dice:

Mutuo

è fuoco;

ed

fulcimur.

Cicada. Che vuol dir questo? Tansillo. Intendi quel furioso significato per il fanciullo ignudo, come semplice, puro ed esposto a tutti gli accidenti

di natura

e di fortuna,

qualmente

con

la forza

del

pensiero edifica castegli in aria; e tra l'altre cose una torre di cui l’architettore è l'amore, la materia l'amoroso foco, ed il fabricatore

egli medesimo,

che dice:

Mutuo

fulcimur:

cioè io vi edifico e vi sustegno là con il pensiero, e voi mi sustenète qua con la speranza: voi non sareste in essere

se non fusse l’imaginazione ed il pensiero con cui vi? formo 1 Dal

2

(GI

franc.

(= L):

(B. (119-20])

devise: vi;

G2:

impresa.

(W. II, 355-6)

ivi))

Lo

(L. 668-9)

1034

stesso

gallicismo

(G.I IT, 370-1)

a p.

1061.

(G.? II, 397-8).

PARTE

PRIMA

- DIALOGO

QUINTO

e sustegno; ed io non sarrei in vita, se non fusse il refrigerio e conforto che per vostro mezzo ricevo. Cicada, È vero che non è cosa tanto vana e tanto chimerica fantasia, che non sia più reale, e vera medicina d'un furioso cuore, che qualsivoglia erba, pietra, oglio o altra specie che produca la natura.

Tansillo. Pit possono far gli maghi per mezzo della fede, che gli medici per via de la verità: e ne gli più gravi morbi più vegnono giovati gl’ infermi con credere quel tanto che quelli dicono, che con intendere quel tanto che

questi facciono 1. Or legansi ? le rime. Sopra

de

Quando

nubi,

a l’eminente

tal volta

loco,

vaneggiando

avvampo,

Per di mio spirto refrigerio e scampo, Tal formo a l’aria castel de mio foco: S' il mio destin fatale china un poco, A fin ch'intenda l'alta grazia il vampo, I « (Contractione)

rique

animus

tione

nos

meque

supra

corpora

imperare

evenit,

per affectum

posse

quando

creditur,

fidei adeo

praevalere

ut et montibus

dicamur.

Porro

respondentia

tunc

id

quaedam

domina-

non

in

vere

sine

ra-

maxi-

principio

activo cum passivo reperitur. In eos etenim, qui timoris, (amoris,) spei, laetitiae, tristitiae, et generaliter consensus, ac-

clives

non

perhibent

affectus,

Dii

non

posse

mirabiles

produ-

penetrant

malefi-

cere effectus quandoque protestati sunt; hoc de magicis medicisque principiis unum atque praecipuum esse novimus. Praepollent

medici, in quibus

cia,

(...)

plurimi confidunt,

superstitiosulos

vero versutulosque

et

rusticos

numquam.

formidantes vidi

Excantantes

energumenos,

quoque,

cautiores

ni sc in vehe-

mentiorem spiritum concitent inculcandum, commovendum, exsolvendum devinciendumque, non devincient, non exsolvent, non commovebunt, non inculcabunt spiritum. Hinc illae artificiosae fascinationes, hinc medicae adiurationes. Et certe ex naturalibus

concitato pacatis

affectu

sunt

haec

irati

impossibilia »v:

perficimus,

quae

Sigi/lus\gigillorum,

nobis

183-4. Vedi anche nel De la causa, ppX276-7. % BL: legansi; WG!: leggansi. Ma B. anche

usa la medesima (B.

[120])

(W.

f. alla latina.

II,

356)

(L.

669)

(G.!

1035

II,

371-2)

in

quietis

atque

Opera,

appresso, (G.?

II,

II,

p.

1,

1046,

398-0).

DE In

cui

mi

GLI

EROICI

muoio,

e non

FURORI

si sdegne

o adire,

O felice mia pena e mio morire! Quella de fiamme e lacci

Tuoi, Fan Ma

o garzon,

suspirar,

L’ardor può

Man

non

che gli uomini

e soglion

sente,

'ntrodurti,

far

e gli divi

cattivi,

né prova

gl’ impacci;

o Amore,

di pietà, se mostri il mio

dolore.

Cicada. Mostra che quel che lo pasce in fantasia, e gli fomenta il spirito, è che (essendo lui tanto privo d’ardire d'esplicarsi a far conoscere la sua pena, quanto profondamente suggetto a tal martire), se avvenesse ch' il fato rigido

e rubelle chinasse un poco (perché voglia il destino al fin rasserenargli il volto), con far che senza sdegno o ira de l'alto oggetto gli venesse manifesto, non stima egli gioia tanto

felice,

lui stime

né vita

tanto

felice la sua

beata,

pena,

quanto

e beato

per

il suo

tal successo

morire.

Tansillo. E con questo viene a dechiarar a l'Amore che

la raggion per cui possa aver adito in quel petto, non è quell'ordinaria de le armi con le quali suol cattivar uomini

e dei; ma solamente con fargli aperto il cuor focoso ed il travagliato spirito de lui; a la vista del quale fia necessario che la compassion possa aprirgli il passo ed introdurlo a quella difficil stanza. IV. Cicada. Che significa qua quella mosca che vola circa la fiamma e sta quasi quasi per bruggiarsi? e che vuol dir quel motto: Mostis non hostis ? Tansillo. Non è molto difficile la significazione de la farfalla, che sedotta dalla vaghezza del splendore, innocente onde (B.

ed

amica,

hostis [120-2]))

sta (W.

va

ad incorrere

scritto II, 356-7)

per

l’effetto

(L. 669-70)

1036

nelle del (G.!

mortifere fuoco; II,

372)

won (G.2

fiamme: Hostis, II, 390).

PARTE

PRIMA

DIALOGO

QUINTO

per l'affetto de la mosca. Hostis, la mosca, non

hostis,

attivamente.

Hostis,

la

passivamente;

fiamma,

per

l’ardore;

non hostis, per il splendore. Cicada. Or che è quel che sta scritto nella tabella?

Tanstllo.

Mai fia che de l'amor io mi lamente,

Senza del qual non voglio esser felice 1; Sia pur ver che per lui penoso stente, Non vo' non voler quel che si me lice. Sia

chiar

o fosco

il ciel,

fredd’o

Sempr' un sarò ver l’unica fenice.

ardente,

Mal può disfar altro destin o sorte Quel nodo che non può sciòrre la morte. AI

cor,

Non

al spirto,

è piacer,

a l’alma

o libertade,

o vita,

Qual tanto arrida, giove e sia gradita, Qual più sia dolce, graziosa ed alma, Ch'il stento, giogo e morte,

Ch' ho per natura,

voluntade

e sorto.

Qua nella figura mostra la similitudine che ha il furioso con la farfalla affetta verso la sua luce *; ne gli carmi poi

mostra più differenza e dissimilitudine che altro: essendo che comunmente si crede che se quella mosca prevedesse la sua ruina, non tanto ora séguita la luce, quanto allora la

fuggirebbe,

stimando

male

risolvendosi in quel fuoco ! Vedi

sopra,

a p. 982.

di

perder

nemico.

Ma

Il PETRARCA,

l’esser

a costui

nel son.

Cantai,

proprio,

non

men

or piango:

Arda 0 mora o languisca, un più gentile Stato del mio non è sotto la luna; Sf dolce è del mio amaro la radice. ed anche

il Tansitto, La

Due

pellegrini,

Quantunque

donna Ta

cagion

sola de la morte

Di voi non fia già ch'io ® Sopra,

a p. 990,

vv.

il son.

873-5: mia

mi lamenti.

Se Ia farfalla,

(B. [122-3])) (W. II, 357-8) (L. 670-1) (G.! II, 372-3) (G. II, 309-400). 1037

DE piace

svanir

abstratto

nelle

a

GLI

EROICI

fiamme

contemplar

de

la

e disposizion

del

l’amoroso

beltà

sotto il qual per inclinazion luntade

FURORI

di

ardore,

quel

di natura,

fato

raro

che

essere

splendore,

per elezion di vo-

stenta,

serve

e muore,

più

gaio, più risoluto e più gagliardo, che sotto qualsivogli’altro piacer

che s’offra al core, libertà che si conceda

al spirito,

e vita che si ritrove ne l’alma.

Cicada. Dimmi, perché dice: Sempre un sarò? Tansillo. Perché gli par degno d’apportar raggione della sua constanza, atteso che il sapiente non si muta con la luna 1, il stolto si muta come la luna. Cossf questo è unico con la fenice unica ?. V. Cicada. Bene; ma che significa quella frasca palma, circa la quale è il motto: Caesar adest? Tansillo.

Senza

dere per quel che Trionfator

Essendo

discorrere,

tutto

potrassi

inten-

è scritto nella tavola: invitto

di Farsaglia,

quasì estinti i tuoi guerrieri,

Al vederti, Sorser,

molto

di

fortissimi

e vinser

suoi

'n battaglia

nemici

altieri 3.

Tal il mio ben, ch'al ben del ciel s'agguaglia, Fatto a la vista de gli miei pensieri,

Ch’eran da l'alma disdegnosa spenti, Le fa tornar più che l'amor possenti. 1 BL:

luna.

Cfr.

il sapiente Liber

pientia manet

(B.

con la luna,

Ecclesiastici;

sicut sol:

2 Per la fenice, 3 Lucano,

si muta

qui

Pharsalia,

XXVII,

nam

stultus

appresso VII,

539

12:

il stolto si muta «Homo

sicut luna

(p. 1042 sgg.:

Caesare

Constitit

Caesaris

[123-4])

(W.

II, 358)

fortunaque (L. 671)

1038

(G.TII,

mutatur ».

sgg.), la VI

.... Semel ortus in omneis It timor, et fatis datus est PH hic bellum

sanctus

come in

sa-

impresa.

cursus

373-4)

haestt.... . (G4

la

II, 400-1).

PARTE

PRIMA

DIALOGO

QUINTO

La sua sola presenza, O memoria di lei, sf le ravviva,

Che La NÉ

con imperio

e potestade

Déman ogni contraria mi governa in pace; fa cessar quel laccio

Tal volta

le potenze

de

diva

violenza.

e quella

l’anima

face.

inferiori,

come

un ga-

gliardo e nemico essercito, che si trova nel proprio paese, prattico,

esperto

ed

accomodato,

insorge

contra

il pere-

grino adversario che dal monte de la intelligenza scende a frenar gli popoli de le valli e palustri pianure; dove dal rigor della presenza de nemici e difficultà de precipitosi fossi

vansi

perdendo,

e perderiansi

a fatto,

se

non

fusse

certa conversione al splendor de la specie intelligibile, mediante l’atto della contemplazione, mentre da gli gradi inferiori si converte a gli gradi superiori. Cicada. Che gradi son questi? Tansillo. Li gradi della contemplazione son come li gradi della luce, la quale nullamente è nelle tenebre; alcu-

namente è ne l'ombra; megliormente è ne gli colori secondo gli che

suoi

ordini

da

è il bianco;

l’un più

contrario,

ch'è

efficacemente

il nero,

è nel

a l’altro,

splendor

diffuso

sugli corpi tersi e trasparenti, come nel specchio 6 nella luna; più vivamente ne gli raggi sparsi dal sole; altissimae principalissimamente nel sole istesso. Or essendo cossi ordinate le potenze apprensive ed affettive, de le quali sempre sima

la prossima antecedente,

conseguente e

per

la

ave

affinità con

conversione

a

quella

la prosche

la

sulleva, viene a rinforzarsi contra l’ inferior che la deprime (come la raggione, per la conversione a l’ intelletto, non è sedotta o vinta dalla notizia o apprensione e affetto sensitivo, (B.

ma

[124-5))

più (W.

tosto, IT, 358-9)

secondo

la legge

(L. 671-2) 1039

(GI

di quello,

II, 374-5)

viene

a

(G.* II, 4q01-2).

DE

GLI

EROICI

FURORI

domar e correger questo): accade che quando l'appetito razionale contrasta con la concupiscenza sensuale, se a quello per atto di conversione si presente a gli occhi la luce intelligenziale, viene a repigliar la smarrita virtude, rinforzar i nervi, spaventa e mette in rotta gli nemici. Cicada. In che maniera intendete che si faccia cotal conversione ? Tansillo.

Con

tre preparazioni

che

nota

il contempla-

tivo Plotino nel libro Della bellezza intelligibile; de le quali la prima è proporsi de conformarsi d'una

similitudine

sono

infra

divina,

la propria

divertendo

perfezione,

la vista

da

e commune

cose

alle

che

specie

uguali ed inferiori; secondo 1 è l’applicarsi con tutta l’ intenzione ed attenzione alle specie superiori; terzo il cattivar tutta la voluntade ed affetto a Dio 2. Perché da qua avverrà che senza dubio gl'influisca la divinità la qual da per tutto è presente e pronta ad ingerirsi a chi se gli volta con l'atto de l’ intelletto, ed aperto se gli espone con l’afietto de la voluntade. Gicada. Non è dunque corporal bellezza quella che invaghisce costui? ‘@nsillo. Non

certo;

perché

la non

è vera né constante

bellezza, e però non può caggionar vero né constante amore. 1! W

corregge

? Il Tocco

la seconda,

a q. 1:

della bellezza

(I, 6, 7), ma

atque” fidem

se

ade V, S, 11; ‘ Deo

deinde

tota

tota

Deum

ad

solum

e più

«Il passo

ipsum

Dcum

[divina

quadam)

cogitationis

voluntate

intelligibile

[125-6])

(W.

II,

il B.,

non

ardenter

3509)

672)

amare»:

Dei notionem conformare,

contendere,

(Le

tertio

opp.

lat.

di

che il B. non cita il libro della x&XX00), ma quello della bel-

(appunto

(L.

similitudine

intentione

è nel libro

ficiniano all'enne-

fruiturus debet per communem

vongtoi x&AXov). (B.

la terza.

allude

invece nell'argomento

G. B., p. 370, n. 1). Si noti bensì bellezza (6° dell'Exn., I: mepì

lezza

sotto

a cui

cioè l' 8° dell’ Enn.

(G.I

1040

II,

375-6)

(G.2

II,

V:

repl

402-3).

PARTE

PRIMA

DIALOGO

QUINTO

La bellezza che si vede ne gli corpi, è una cosa accidentale ed

umbratile,

e come

l’altre

e guaste per la mutazione da bello si fa brutto,

che

sono

del suggetto,

assorbite,

senza che alterazion

ne l'anima. La raggion dunque

alterate

il quale sovente veruna

si faccia

apprende il più vero bello

per conversione a quello che fa la beltade nel corpo, e viene a formarlo

fabricato

bello;

e questa

e infigurato.

è l’anima

Appresso

che

l'ha

l’ intelletto

talmente

s'inalza

più,

ed apprende bene che l’anima è incomparabilmente bella sopra la bellezza che possa esser ne gli corpi; ma non si

persuade che sia bella da per sé e primitivamente: atteso che non accaderebbe quella differenza che si vede nel geno de

le anime;

stolte,

onde

odiose

altre

e brutte.

son

savie,

Bisogna

intelletto superiore il quale

amabili

dunque

e belle;

alzarsi

altre

a quello

da per sé è bello e da per sé

è buono. Questo è quell’unico e supremo capitano, qual solo, messo alla presenza de gli occhi de militanti pensieri, le illustra, incoraggia, rinforza e rende vittoriosi sul. dispreggio d'ogni altra bellezza e ripudio di qualsivogli’altro bene. Questa dunque è la presenza che fa superar ogni difficultà e vincere ogni violenza. Cicada. Intendo tutto. Ma che vuol dire: La mi governa in pace, Né fa cessar quel laccio

e

quella

face?

Tansillo. Intende e prova, che qualsivoglia sorta d’amore quanto ha maggior imperio e più certo domino, tanto fa sentir più stretti i lacci, più fermo il giogo e più ardenti le fiamme. Al contrario de gli ordinarii prencipi e tiranni, che usano maggior strettezza e forza, dove veggono aver minore

imperio.

Cicada. Passa oltre.

e

(B. [126-7]) (W. II, 3509-60) (L. 672-3) (G.! II, 376) (G.2 II, 403-4).

104I

DE

GLI

EROICI

FURORI

VI. Tansillo. Appresso veggio descritta la fantasia d'una fenice volante ', alla quale è volto un fanciullo che bruggia in mezzo le fiamme, e vi è il motto: Fata obstant. Ma perché s’ intenda meglior, leggasi la tavoletta: Unico

augel

del

sol, vaga

Ch'appareggi col mondo

Fenice,

gli anni tui,

Quai colmi ne l'Arabia felice, Tu sei chi fuste, io son quel che non fui. To per caldo d'amor muoio infelice;

Ma te ravviv’ il sol co’ raggi sui. Tu bruggi ’n un, ed io in ogni loco; Io

da

Cupido,

hai

tu

da

Febo

il foco.

Hai termini prefissi Di lunga vita, e io ho breve fine, Che pronto s’offre per mille ruine; Né so quel che vivrò, né quel che Me

cieco

Tu

fato

certo

torni

adduce,

a riveder

. vissi:

tua luce.

Dal senso de gli versi si vede che nella figura si disegna l'antitesi de la sorte de la fenice e del furioso, e che il motto: Fata obstant, non è per significar che gli fati siano contrarii o al fanciullo, o a la Fenice, o a l'uno e l’altro; ma che non

che

I La fenice era uno dei motivi prediletti delle insegne. Si ricordi l'Ariosto

XXVI,

imprese

H.

ne

3; XXXVI,

animalesche

VARNHAGEN,

virtù »,

fa

in

Racc.

Die

di

l'insegna

di

Marfisa

(Orl.

Fur.,

XXV,

097;

17, 18). La fonte di questa come di altre simili è da cercare nei bestiarii.

Quellen

studi

crit.

der

Per la fenice v., p. e.,

Bestiùir-Abschnitte

dedicata

ad

A.

im

D'Ancona,

«Fiore

di

Firenze,

1901, p. 533 Sgg., cit. dal SaLza, /mpr. e divise, p. 39. Lo stesso Salza, L. Contile, p. 217, nota che fra tutti gli animali che fregiarono le imprese, niuno raggiunse la diffusione della fenice. Nel 600 e 700 imprese con la fenice se ne fecero in numero straordinario.

Nel

500

una

raccolta di prose e poesie di varii

della

casa

poi

essa

Giolito

adornava

di Venezia;

SCANDIANESE, Venezia, 1555, giolitini, I, xXxI e 477 SG&.

il frontespizio

delle

numerose

e l'insegna

giolitina

fu

per la quale

v. anche

Bonci,

autori:

stampe

celebrata

in

La fenice di T. G. Annali

(B. [127-9)) (W. IL 360-1) .(L. 673) (G.1 II, 376-7) (G.2 II, 404-5).

1042

PARTE

PRIMA

- DIALOGO

QUINTO

son medesimi, ma diversi ed oppositi gli decreti fatali de l'uno e gli fatali decreti de l’altro. Perché la fenice è quel che

fu,

essendoché

la

medesima

materia

per

il fuoco

si

rinova ad esser corpo di fenice, e medesimo spirito ed anima viene

ad informarla;

il furioso

è quel che non

fu, perché

il suggetto che è d'uomo, prima fu di qualch'altra specie secondo innumerabili differenze. Di sorte che si sa quel che fu la fenice, e si sa! quel che sarà: ma questo suggetto non può tornar se non per molti ed incerti mezzi ad investirsi de medesima o simil forma naturale. Appresso, la fenice

al cospetto

del sole

cangia

la morte

con

la vita;

e questo nel cospetto d'amore muta la vita con la morte.

Oltre, quella su l'aromatico

altare accende il foco; e questo

il trova e mena seco, ovunque termini

di lunga

vita;

ma

va. Quella ancora ha certi

costui

per

infinite differenze

di

tempo ed innumerabili caggioni de circonstanze ha di breve vita termini incerti. Quella s’accende con certezza, questo con dubio de riveder il sole. Cicada. Che cosa credete voi che possa figurar questo? Tansillo. La differenza ch'è tra l'intelletto inferiore, che chiamano intélletto di potenza o possibile o passibile, il quale è incertd moltivario e moltiforme; e l' intelletto superiore, forse quale è quel che da peripatetici è detto infima de l’intelligenze, e che immediatamente influisce sopra tutti gl’ individui dell’umana specie, e dicesi intelletto agente ed attuante ?. Questo intelletto unico specifico de

1 DLG%: fa; ma lW, G: sa» (MICHEL).)

a ragione,

sa.

(«mais

% Si riferisce alla dottrina degli averséisti

B,

malgré

(cfr. Tocco,

la note

Le fonti

più rec. della filos. del B., p. 29). Lo stesso linguaggio aristotelico d'accatto nella Lampas trig. stat., in Opera, III, 49 (cfr. Tocco, Le opp. ined. di G. B., p. 42). L’ intellefto passibile (o pas-

(B.

[129-30])

(W.

II, 361)

(L. 673-4)

1043 70



6

Renna.

Dialaohi

italiani

(G.1 II, 377-8)

(G.? II, 405).

DE

GLI

EROICI

FURORI

umano che ha influenza in tutti li individui, è come la luna

la quale! non prende altra specie che quella unica, la qual sempre se rinova per la conversion che fa al sole, che è la

prima

ed

individuale

universale

e numeroso

ad innumerabili finiti gradi,

intelligenza: viene,

come

e diversissimi

che son secondo

ma

l'intelletto gli

occhi,

oggetti;

tutte

onde,

le forme

umano

a voltarsi

secondo

naturali,

in-

viene

informato. Là onde accade che sia furioso, vago ed incerto questo

intelletto

particulare,

come

quello

quieto, stabile e certo, cossi secondo condo

l’apprensione.

O pur quindi

universale

l'appetito,

(come

come

è

se-

da per te stesso

puoi facilmente desciferare) vien significato la natura dell'apprensione ed appetito vario, vago, inconstante ed incerto del senso, e del concetto ed appetito definito, fermo e stabile de l’ intelligenza; la differenza de l'amor sensuale che non ha certezza né discrezion de oggetti, da l'amor intellettivo il qual ha mira ad un certo e solo, a cui si volta, da cui è illuminato

s' infamma, e stato.

nel concetto, onde è acceso ne l’affetto,

s' illustra ed è mantenuto

nell'unità, identità

VII. Cicada. Ma che vuol significare quell’ imagine del

sole con un circolo motto Circuit?

dentro,

ed

un

sivo)

voic di Aristotele

altro

da

fuori,

con

il

Tansillo. La significazione di questo son certo che mai arrei compresa, se non fusse che l’ ho intesa dal medesimo figuratore. Or è da sapere che quel Circuit si referisce al moto del sole che fa per quel circolo, il quale gli vien deletto

èil xa0qtixèg

potenziale

o

possibile,

recato

in

(torntixég): per Averroè unico per tutti 1’ intelligenza motrice della sfera infima 1 (G1 = L: la luna, la quale)

(B.

(130-1])

(W.

II, 36r-2)

(IL. 674-5)

1044

(De anima,

atto

III, 5), intel-

dall’ intelletto

agente

gli uomini, e identico con del cielo, cioè della luna.

{(G.I IT, 378-0)

(G.2 IT, 405-0).

PARTE

scritto insieme sempre s'egli si

PRIMA

DIALOGO

QUINTO

dentro e fuori; a significare che quel moto insieme si fa ed è fatto; onde per consequenza il sole viene ad ritrovarsi in tutti gli punti di quello: perché muove in uno instante, séguita che insieme si muove

ed è mosso,

e che

è per

equalmente,

e che

in

quiete. Cicada.

Questo

tutta la circonferenza

esso

convegna

ho compreso

in

uno

del circolo

il moto

nelli dialogi

De

e la

l’in-

finito, universo e mondi innumerabili:, e dove si dechiara come la divina sapienza è mobilissima

(come disse Salomone) è e che la medesima sia stabilissima, come è detto ed inteso da tutti quelli che intendono. Or séguita a farmi comprendere il proposito. Tansillo.

che

Vuol

(come

moto

dire che

comunmente

diurno

in

il suo

sole non

si crede)

vintiquattro

ore,

è come

circuisce

la

e col moto

questo,

terra

col

planetare

in

dodeci mesi; laonde fa distinti gli quattro tempi de l’anno, secondo che a termini3di quello si trova in quattro punti cardinali del Zodiaco;

ma

è tale, che, per essere la eternità

istessa e conseguentemente una” possessione insieme tutta e compita, insieme insieme comprende l’ inverno, la primavera,

l’estade,

l’autunno,

insieme

insieme

il

giorno

e

la

notte: perché è tutto per tutti ed in tutti gli punti e luoghi. Cicada. Or applicate quel che dite alla figura. 1 B.

qui

contamina

il titolo

del

dial.

italiano

De

/° infinito,

universo e mondi e quello del poema latino: De imuinenso et innume-

rabilibus, un buon

che già allora doveva essere stato cominciato e condotto tratto innanzi. Cfr. Pref. ai ‘ Diallf Met.”, p. xxXMII.

2 Sapienza, VII, 24: «Omnibus enim niobilibus mobilior est sapientia: attingit autem ubique propter siam munditiam ». Per il luogo del De !’ infinito accennato cfr. pp.\ 3809-01. 3 (GI: a' termini (L: d termini).) (B.

{131-2])

(W.

II,

362)

(L.

675) (G.!

1045

II,

379-80)

(G.2

II,

406-7).

DE

Tansillo. tutto

in

Qua,

tutti

gli

GLI

EROICI

FURORI

perché

non

è possibile

punti

del

circolo,

vi

designar

son

il sol

delineati

doi

circoli: l'un che '1 comprenda, per significar che si muove per quello: l’altro che sia da lui compreso, per mostrar che è mosso per quello. Cicada. Ma questa demostrazione non è troppo aperta e propria. Tanstillo. Basta che sia la più aperta e propria che lui abbia possuta fare. Se voi la possete far megliore, vi si dà autorità di toglier quella e mettervi quell'altra; perché questa è stata messa solo a fin che l’anima non fusse senza

corpo.

Cicada. Che dite di quel Circuit? Tansillo. Quel motto, secondo tutta la sua significazione, significa la cosa quanto può essere significata: atteso che significa, che volta e che è voltato;

cioè, il moto

presente e perfetto. Cicada. Eccellentemente. E però quei circoli li quali malamente significano la circonstanza del moto e quiete tale, possiamo

dire che son messi

a significar la sola circu-

lazione. E cossi vegno contento del suggetto e de la forma de l'impresa eroica. Or legansi ! le rime. Tansillo.

Sol, che del Tauro fai temprati lumi, E dal Leon tutto maturi e scaldi, E quando dal pungente Scorpio allumi,

De

l'ardente

vigor

non

poco faldi ?;

Poscia dal fier Deucalion consumi Tutto col freddo, e i corp’ umidi saldi:

De primavera, estade, autunno, inverno Mi scald’, accend’, ard’, avvamp’ in eterno.

1 BL:

legansi;

® FLorio,

(B.

(132-3))

New

WWG!:

World

(W. II, 362-3)

leggansi. of

Words,

Ma

(L. 675-6)

1046

vedi

178,:

sopra,

p.

faldare

(G.' II, 380-1)

1035,

n.

1.

as sfaldare.

(G.? II, 407-8).

PARTE Ho

Che

PRIMA

sl caldo

DIALOGO

il desio,

facilmente

a remirar

QUINTO.

m'accendo

Quell’alt'’oggetto, per cui tant’ardendo Fo sfavillar a gli astri il vampo mio. Non han momento gli anni, Che vegga variar miei sordi

Qua

nota

che

gli quattro

affanni.

tempi

de l'anno

son

signifi-

cati non per quattro segni mobili che son Ariete, Cancro, Libra e Capricorno, ma per gli quattro che chiamano fissi, cioè

Tauro,

Leone,

Scorpione

ed

Aquario,

per

significare

la perfezione, stato e fervor di quelle tempeste. Nota appresso, che in virti di quelle apostrofi, che son nel verso ottavo,

possete

leggere

ardo,

avampo;

ardi,

avampi;

arde,

avvampa.

mi

over, over,

scaldo,

accendo,

scaldi,

accendi,

scalda,

accende,

Haioltre da considerare che questi

non son quattro sinonimi, ma quattro termini diversi che significano tanti gradi de gli effetti del fuoco. Il qual prima scalda,

secondo

accende,

terzo

bruggia,

quarto

infiamma

o invampa quel ch’ha scaldato, acceso e bruggiato. son

denotate

nel

furioso

il desio,

l’attenzione,

E cossi il studio,

l’affezione, le quali in nessun momento sente variare. Cicada. Perché le mette sotto titolo d'affanni? Tansillo. Perché l'oggetto, ch’ è la divina luce, in questa

vita è più in laborioso voto che in quieta fruizione; perché

la nostra mente verso quella è come gli occhi de gli uccelli notturni

al sole.

Cicada. Passa, perché comprender tutto.

ora

da quel

ch'è

detto,

posso

VIII. Tansillo. Nel cimiero seguente vi stà depinta una luna piena col motto: Talis mihi semper et astro. Vuol dir (B.

[133-4])

(W.

II,

363-4)

(L.

676)

1047

(G.!

II,

381)

(G.2

II,

408-9).

DE

che

GLI

EROICI

FURORI

a l’astro, cioè al sole, ed a lui sempre

è tale,

come

si

mostra qua piena e lucida nella circonferenza intiera del circolo: il che acciò che meglio forse intendi, voglio farti udire quel ch’ è scritto nella tavoletta. Luna inconstante, luna varia, quale Con corna or vote e talor piene svalli, Or l'orbe tuo bianco, or fosco risale,

Or

Bora

Fai

e de’

lustre,

or

Rifei

torni

A chiarir l’Austro La

Mai

luna

mia,

sempre

monti per

sempre

Sempre

mia

Questa

Sempre

mia

trite

continua

è ferma,

ed è mai

scale

e tanto

bella;

nobil

face

si mi martora,

sempre si rende,

bruggia

crudele

pena,

e mai

tanto

tanto

tue

e di Libia le spalli.

per

È tale la mia stella, Che sempre mi si toglie

Che

le valli

e tanto

piena.

splende,

e sf mi piace.

Mi par che voglia dire che la sua intelligenza particulare alla intelligenza universale è sempre tale; cioè da quella viene eternamente illuminata in tutto l’emisfero: benché alle potenze inferiori e secondo gl’ influssi de gli atti suoi or viene oscura, or più e meno lucida. O forse

vuol significare che l’ intelletto suo speculativo (il quale è sempre in atto invariabilmente) è sempre volto ed affetto verso l'intelligenza umana significata per la luna. Perché come questa è detta infima de tutti gli astri ed è più vicina a noi, cossi l’ intelligenza illuminatrice de tutti noi (in questo stato) è l’ultima in ordine de l’altre intelligenze, come nota Averroe ed altri più sottili peripatetici !. Quella a l’ intelletto in potenza or tramonta, per quanto non è in atto alcuno, or come ! Cîr. (B.

sopra,

[134-6])

(W.

p. II,

1043, 364)

n. (L.

svallasse,

cioè sorgesse

2. 676-7)

1048

(G.!

II,

381-2)

(G.2

II,

400).

PARTE

dal basso piena, or

de

l’occolto

secondo

ha

PRIMA

che

l’orbe

DIALOGO

emispero,

dona

più

più e più apertamente;

a Borea,

lume

vacua,

or

d' intelligenza;

bianco,

perché

similitudine e vestigio,

tal-

tal volta or monta

cioè or ne si va più e più allontanando, or più Ma

pena

questo

(percioché

tato,

or

or

or declina a l'Austro,

c più s'avvicina. umana

mostra

o meno

oscuro,

volta mostra per ombra,

si

QUINTO

l'intelletto in atto con sua continua

in cui si trova sollecitato,

non

è per

natura

cossi travaglioso,

distratto

e come

e condizione

combattuto,

lacerato

dalle

invi-

potenze

inferiori) sempre vede il suo oggetto fermo, fisso e constante, e sempre pieno e nel medesimo splendor di bellezza. Cossî sempre se gli to glie

per quanto non se gli concede,

sempre se gli rende per quanto se gli concede. Sempre tanto lo bruggia ne l'affetto, come sempre tanto gli splende nel pensiero; sempre è tanto crudele

in suttrarsi per quel che si suttrae, come sempre

tanto senta.

per

bello

in comunicarsi per quel che gli se pre-

Sempre

differenza

percioché

è

lo

locale

martora,

da

lui,

gli è congionto

come

percioch'è

sempre

gli

con l'affetto.

diviso

piace, i

Cicada. Or applicate l'intelligenza al motto. Tansillo. Dice dunque: Talis mihi semper; cioè, per la mia

continua

e volontade

applicazione (perché non

secondo

voglio

l' intelletto,

altro ramentare,

memoria intendere,

né desiderare) sempre mi è tale e, per quanto posso capirla, al tutto presente, e non m' è divisa per distr Éion de pen-

siero, né me si fa più oscura per difetto d’atterizione, perché non

è pensiero

necessità Talis

mihî

(B. (136-7])

che mi

di natura semper

divertisca

qual m’oblighi dal

(W. II, 364-5)

canto

suo,

(L. 677-8)

1049

da quella

perché perché

luce, e non

meno la

(G.! II, 382-3)

è

attenda.

è invariabile (G.? II, 4090-10).

DE

in sustanza,

GLI

EROICI

FURORI

in virtà, in bellezza ed in effetto

verso quelle

cose che sono constanti ed invariabili verso lei. Dice appresso: wt astro, perché al rispetto del sole illuminator de quella sempre è ugualmente luminosa, essendo che sempre ugualmente gli è volta, e quello sempre parimente «diffonde gli suoi raggi: come fisicamente questa luna che veggiamo

con gli occhi, quantunque

verso

la terra or ap-

paia tenebrosa, or lucente. or più or meno illustrata ed illustrante, sempre però dal sole vien lei ugualmente illuminata; perché sempre piglia gli raggi di quello al meno nel dorso del suo emispero intiero. Come anco questa terra sempre è illuminata nell'emisfero equalmente; quantunque da l’acquosa superficie cossi inequalmente a volte a volte mande il suo splendore alla luna (quai, come molti altri astri

innumerabili,

che

quella mande

insieme

un’altra

a lei, atteso

terra),

come

la vicissitudine

aviene

ch' hanno

de ritrovarsi or l'una or l’altra più vicina al sole.

Cicada. Come luna che luce per Tansillo. Tutte in quanto che son dico, che hanno pazione,

stimiamo

questa intelligenza è significata per la l'emisfero? l’ intelligenze son significate per la luna, partecipi d'atto e di potenza, per quanto,

la luce

ricevendola

materialmente,

da

altro;

dico,

e secondo

non

essendo

particiluci

per

sé e per sua natura, ma per risguardo del sole ch’ è la prima intelligenza,

la quale

è pura

ed

absoluta

luce,

è puro ed absoluto atto. Cicada. Tutte dunque le cose che hanno

come

dependenza e

che non sono il primo

atto e causa, sono composte

luce

di

e tenebra,

come

materia

e forma,

anco

di

come

potenza

di ed

atto ? Tansillo.

Cossi

è, Oltre,

l’anima

nostra,

secondo

tutta

(B. [137-8)) (W. II, 365) (L. 678) (G.1 II, 383-4) (GIL, 4ro-1).

1050

PARTE

PRIMA

DIALOGO

QUINTO

la sustanza, è significata per la luna la quale splende per l'emispero delle potenze superiori, onde è volta alla luce del mondo intelligibile; ed è oscura per le potenze inferiori, onde è occupata al governo della materia. IX. Cicada. E mi par, che a quel ch’ora è detto abbia certa consequenza e simbolo l' impresa ch'io veggio nel seguente scudo, dov’ è una ruvida e ramosa quercia piantata, contra

la quale

il motto: che dice:

è un

vento

che

Ut robori robur. Ed Annosa

quercia,

A l’aria, NÉ

e fermi

terra

smossa,

soffia,

appresso

che gli rami

le radici né

circonscritto

è affissa la tavola

spandi

’n terra;

gli spirti

Che da l'aspro Aquilon

ed ha

grandi,

il ciel disserra,

Né quanto fia ch' il vern'orrido mandi, Dal luogo ove stai salda, mai ti sferra;

Mostri della mia fé ritratto vero, Qual smossa mai strani accidenti Tu medesmo terreno

Mai

sempre

abbracci,

fai

colto

E di lui per le viscere distendi

Radici grate al generoso T' ad un sol oggetto

Ho 1 Cfr.

sonetto

fisso il spirto,

TansiLLo,

XCVI,

pp.

Come

Mentre

Quinci

E

seno:

liriche,

1309-40:

dal ceppo

talora

alta

son. ed

suo ruvida

al ciel la cima

CL,

p.

76;

Canzoniere,

annosa,

e grande

e quindi superba î rami

dvizza

e comprendi,

il senso e l'intelletto !.

Poesie

quercia

fèro.

alta

spande,

e frondosa,.....

Improvisa poi vien che a terra mande Ira di Dio ch' è tra le nubi ascosa; Cost dal petto mio ne svelse Amore

L’arbore

In

L’ immagine,

un

che

nudria

moinento,

come

nota

de

la speranza,

frutto, fronde

il Fiorentino

e fiore.

(p. 302),

è catulliana;

ma

non

(B. [138-39]) (W. II, 365-6) (L. 678-9) (G.! II, 384-5) (G.2 II, 411-2).

1051

DE

GLI

EROICI

FURORI

Tansillo.* Il motto è aperto, per cui si vanta il furioso d'aver forza e robustezza, come la rovere; e come quell'altro,

essere

sempre

e come

il prossimo

uno

al riguardo

precedente

da

l’unica

conformarsi

fenice;

a quella luna

che sempre tanto splende, e tanto è bella; o pur non asso-

migliarsi a questa antictona tra la nostra terra ed il sole, in quanto ch’ è varia a’ nostri occhi, ma in quanto sempre

riceve ugual porzion del splendor solare in se stessa; e per ciò cossi rimaner constante e fermo contra gli Aquiloni e tempestosi inverni per la fermezza ch’ ha nel suo astro in cui

è piantato

con

l'affetto

ed

intenzione,

come

la detta

radicosa pianta tiene intessute le sue radici con le vene de la terra. Cicada. Più stimo io l’essere in tranquillità e fuor di molestia che trovarsi in una sf forte toleranza. Tansillo. È sentenza d’epicurei la qual, se sarà bene intesa, non sarà giudicata tanto profana quanto la stimano

gli ignoranti; atteso che non toglie che quel ch’ io ho detto sia

virti,

ma

più tosto aggionge

è parso

anche,

quercia. quella



dubbio

avverte Se

non

pregiudica

alla

perfezione

della

constanza,

a quella perfezione

che intendeno

che il B. l’attingesse dal Tansillo,

il quale compose

lo stesso che

la quercia

di Catullo », osserva

dal canto suo, oppone

zione avvertita: non corrisponde

Fiorentino

del

il Torraca,

di non

scorgere

a p.

281,

Tansillo

«lasciando stare che a quella del Nolano,

citato

un'impresa

con

Pèrcopo.

Il quale,

«non

dal

la

è precisamente

negli Eroîci furori la deriva-

la similitudine del Tansillo questi non potea conoscere

il sonetto [del suo compaesano] che rimase inedito sino al Fiorentino, né pare che il Bruno possedesse un manoscritto delle liriche tansilliane, ch’ei conobbe solo nelle stampe venete del 1542, 1553 e 1558. Egli forse si ricordò di due altre similitudini consimili di VIRGILIO (Aen., IV, 441 sgg.) e dell’Ariosto (Fur., XXI, 16)». Vedi la n. alle pp. 139-40 del Canzoniere. 1 In BL manca «Tansillo.» (B.

[139-40])

(W.

II,

366)

(L.

679)

1052

(G.!

II,

385)

(G.

II,

412-3).

PARTE

PRIMA

DIALOGO

QUINTO

gli volgari: perché lui non stima vera e compita virtù di fortezza

e constanza

quella

che

sente

e comporta

gl’ in-

commodi, ma quella che non sentendoli le porta :; non stima compito amor divino ed eroico quello che sente il sprone, freno o rimorso o pena per altro amore, ma quello ch'a fatto non ha senso de gli altri affetti; onde talmente è gionto

ad un piacere che non è potente dispiacere alcuno a distorlo o far cespitare in punto. E questo è toccar la somma beatitudine in questo stato, l’aver la voluptà e non aver senso di dolore. Cicada. La volgare opinione non crede questo senso d’ Epicuro. Tansillo. Perché non leggono gli suoi libri, né quelli che senza invidia apportano le sue sentenze, al contrario di color che leggono la sua morte; dove

il corso de sua vita ed il termine de con queste paroli dettò il principio

del suo testamento: Essendo ne l’ultimo e medesimo felicissimo giorno de nostra vita, abbiamo ordinato questo con mente

quieta,

quantunque

tra

ne

sana

e tranquilla;

grandissimo

tormentasse

da

dolor

un

perché

de

canto,

pie-

quel

tormento tutto venea assorbito dal piacere de le nostre invenziogzi e la considerazion del fine=?. Ed è cosa mani1 A questa dottrina dell'atarassia epicurea s'accenna anche nel Sigillus sigillorum, $ 49, in Opera, II, 1, 192.

® Trad. un po' libera del principio della lett. di Epicuro a Idomeneo (Dioc. L., X, 22: USENER, Epic., fr. 138, p. 143). Giustamente

nota il Tocco,

Le opp.

lat., p. 397, n. 2, che la « considerazion

del fine » non c’ è nel testo, che dice soltanto: tò yaîpov Eni tm tv

yerovérwv (B.

{140-1))

Apiv (W.

diadoytopàv

II, 366-7)

uvnppn. Ed è anche da avvertire col

(L. 6709-80) (G.1 II, 385-6) 1053

(G.2 II, 413).

DE

GLI

EROICI

FURORI

festa, che non ponea felicità più che dolore nel mangiare, bere,

posare

né fatica,

e generare,

né libidine.

noi la perfezion

l’arbore

non

ma

Da

si muova:

fisso

senso

sentir

considera

de la constanza:

che né manco mento

qua

si fracasse,

il spirto,

in non

non

rompa

fame,



sete,

qual sia secondo

già in questo

o pieghe;

ma

in

che

questo

alla cui similitudine costui tien

ed

intelletto,



dove

non

ha

senti

di tempestosi insulti.

Cicada. Volete dunque che sia cosa desiderabile il comportàr de tormenti, perché è cosa da forte? Tansillo.

Questo

che

dite

comportare

è parte

di constanza e non è la virtude intiera; ma questo che dico

fortemente comportare ed Epicuro disse non sentire. La qual privazion di senso è caggionata da quel

che

tutto

è stato

absorto

dalla

cura

della

virtude,

vero bene e felicitade. Qualmente Regolo non ebbe senso de l'arca, Lucrezia del pugnale, Socrate del veleno, Anaxarco

de la pila,

Scevola

del fuoco,

Cocle

de la voragine,

ed altri virtuosi d’altre cose che massime dànno orrore a persone ordinarie e vili !, Cicada. Or passate oltre.

tormentano

e

X. Tansillo. Guarda, in quest'altro ch’ ha la fantasia di quella incudine e martello, circa la quale è il motto: Tocco che è alquanto sforzata questa interpretazione pessimistica dell'epicureismo, che raccosterebbe Plotino ad Epicuro. ! Per questi esempi famosi d’ insensibilità raggiunta da chi è absorto

dalla

cura

della

virtude,

cfr.

la

Lampas

triginta statuarum, in Opera, III, 101, e il De vinculis in genere, ivi, p. 657, e i commenti del Tocco, Le opp. ined. di G. B., pp. 226-7, in

n.

La

pila

ce ivi, n. 2. (B.

[141-2))

d’Anassarco

(W.

II,

367)

è

anche

(L.

680)

ricordata

(G.:

1054

IT,

nella

386-7)

Cena,

(G.2

TI,

p.

170,

413-4).

PARTE

PRIMA

DIALOGO

QUINTO

Ab Aetna. Ma prima che la consideriamo, leggemo la stanza. Qua s’ introduce di Vulcano la prosopopea: Or non

al monte

Torn' ove

tempri

mio

i folgori

siciliano di

Giove;

Qua mi rimagno scabroso Vulcano, Qua più superbo gigante si smuove, Che contra il ciel s' infiamm'e stizza in vano,

Tentando nuovi studii è varie prove; Qua trovo meglior fabri e Mongibello, Meglior

Dov'un

fucina,

incudine

e martello,

petto ha suspiri,

Che quai mantici avvivan la fornace, U' l'alm'a tante scosse sottogiace Di que’ si lunghi scempii e gran martiri; E manda quel concento

Che

fa volgar si aspro e rio tormento.

Qua si mostrano le pene ed incomodi che son ne l’amore, massime nell'amor volgare, il quale non è altro che la fucina di Vulcano,

quel

fabro che forma

i folgori de Giove

che tormentano l'anime delinquenti. Perché il disordinato amore ha in sé il principio della sua pena; atteso che Dio è vicino, è nosco, è dentro di noi. Si trova in noi certa sacrata mente ed intelligenza, cui subministra un proprio affetto

che

ha il suo

sinderesi 1 al

vendicatore,

meno,

come

con

che

certo

col rimorso rigido

di certa

martello,

fla-

gella il spirito prevaricante. Quella osserva le nostre azioni ed

affetti,

e come

è trattata

da

noi,

fa che

ngi

vengamo

trattati da lei, In tutti gli amanti:

dico, è questo fabro

Vulcano,

abbia

come

non

è uomo

che

non

Dio

in sé, non

è amante che non abbia questo dio. In tutti è Dio certissimamente;

ma

qual

dio

sia

in

ciascuno,

non

si sa

cossi

facilmente; e se pur si può examinare e distinguere, altro non potrei credere che possa chiarirlo che l'amore; come 1 ‘Cfr.

(B.

[142-3])

sopra,

(W.

p.

561,

II, 367-8)

n.

2.

(L. 680-1) 1055

(G.! II, 387-8)

(G.2 IT, 414-5).

DE

GLI

EROICI

FURORI

quello che spinge gli remi, gonfia la vela e modera questo composto,

onde

vegna

bene

Dico bene o malamente in execuzione per l’azioni del resto tutti gli amanti comodo: essendoché come

o malamente

affetto.

affetto quanto a quel che mette morali e contemplazione; perché comunmente senteno qualch' inle cose son miste, non essendo

bene alcuno sotto concetto ed affetto a cui non sia gionto

o opposto il male, come né alcun vero a cui non sia apposto e gionto il falso; cossi non è amore senza timore, zelo, gelosia, rancore ® ed altre passioni

che procedeno

dal con-

trario che ne perturba, se l'altro contrario ne appaga. Talmente venendo l’anima in pensiero di ricovrar la bellezza naturale, studia purgarsi, sanarsi, riformarsi: e però adopra il fuoco; perché essendo come oro trameschiato a la

terra

ed

informe,

con

impurità;

il che

s’effettua

di Giove,

vi mette le mani,

certo quando

rigor

vuol

liberarsi

l'intelletto,

essercitandovi

gli

vero atti

da

fabro

dell’ in-

tellettive potenze.

Cicada. A questo mi par che si riferisca quel che si trova

nel

Convito

madre

Penia

di Platone,

dove

ereditato

l’esser

ha

discalzo, summisso,

dice,

che l'Amore

arido,

magro,

da la

pallido,

senza letto e senza tetto ?. Per le quali

circonstanze vien significato il tormento ch’ ha l’anima tra-

vagliata da gli contrarii affetti. Tansillo. Cossi è; perché il spirito affetto di tal furore viene

da

profondi

pensieri

distratto,

martellato

da

cure

1 BD: roncore.

? Vedi PLATONE, Conv., p. 203 c-d. Il Tocco (Le opp. lat. di G. B., p. 396) a q. l.: «L’ interpretazione del mito del Convito è arbitraria: l'Amore, come è noto, è figlio di P'enia in quanto non ha

il possesso (B.

(143-4])

di quel che desidera ». Tuttavia (W.

IT, 368-9)

(L. 681-2)

1056

cfr. Conv.,

(G.! IT, 388-9)

p. 204 d.

(G.2 II, 415-0).

PARTE

urgenti,

PRIMA

scaldato

occasioni.

Onde

da

DIALOGO

ferventi

trovandosi

desii, l’anima

QUINTO

insoffiato

da

suspesa,

spesse

necessaria-

mente viene ad essere men diligente ed operosa al governo del corpo per gli atti della potenza vegetativa. Quindi il corpo è macilento, mal nodrito, estenuato, ha difetto de sangue, copia di malancolici umori, li quali se non saranno instrumenti de l'anima disciplinata o pure d’un spirito chiaro

e lucido,

menano

ad

insania,

stoltizia

e furor

bru-

tale; o al meno a certa poca cura di sé e dispreggio de l'esser proprio, il qual vien significato da Platone per gli piedi discalzi. Va summisso l'amore e vola come rependo ! per la terra, quando è attaccato a cose basse; vola alto, quando vien intento a più generose imprese. In conclusione ed a proposito, qualunque sia l'amore, sempre è trava-

gliato e tormentato di sorte che non possa mancar d’esser materia nelle focine di Vulcano; perché l'anima essendo cosa divina, e naturalmente non serva, ma signora della materia corporale, viene a conturbarsi ancor in quel che voluntariamente serve al corpo, dove non trova cosa che la contente; e quantunque fissa nella cosa amata, sempre gli aviene, che altre tanto vegna ad essagitarsi e fluttuar in mezzo gli soffii de le speranze, timori, dubii, zeli, conscienze,

rimorsi,

ostinazioni,

pentimenti

ed

altri

mani-

goldi che son gli mantici, gli carboni, l’ incudini, gli martelli,

le tenaglie ed altri stormenti ? che si ritrovano nella di questo

sordido

e sporco

consorte

bottega

di Venere.

Cicada. Or assai è stato detto a questo proposito. Piacciavi

di veder

1 Cfr. sopra,

1 È una

mento,

che cosa séguita nell’ Epist.

metatesi.

ogni

genere

appresso.

della Cabala,

FLorIo,

New

di strumento

World

p. 341,

n. 7.

of Words,

meccanico

5363:

o musicale.

stor-

(B. [144-6])) (\W. IL 369) (L. 682) (G.! II, 389) (G? II, 416-7). 1057

DE

GLI

EROICI

FURORI

XI. Tansillo. Qua è un pomo d'oro ricchissimamente, con diverse preciosissime specie, smaltato; ed ha il motto in circa che

dice:

Pulchriori detur.

Cicada. L'allusione al fatto delle tre dee che si sottoposero al giudicio de Paride, è molto volgare. Ma leggansi le rime che più specificatamente ne facciano capaci de l'intenzione Tansillo.

del furioso presente. venere,

Del

cieco

L'altra,

E

di

De

dea del terzo ciel 1, e madre

arciero,

domator

d’'ognuno;

ch' ha ’] capo giovial per padre,

Giove

Il troiano

la moglie

pastor

altera,

chiaman,

Giuno,

che

squadre

chi de lor più bella è l’aureo muno.

Se la mia

Non

diva

di Venere,

al paragon

Pallade,

s'appone,

o Giunone.

Per belle membra è vaga La cipria dea, Minerva per l’ ingegno, E la Saturnia piace con quel degno

Splendor d'altezza, ch'il Tonante Ma quest’ ha quanto aggrade Di

Ecco quale

bel,

qualmente

contiene

tutte

di bellezza come

strano

d'intelligenza

e maestade.

fa comparazione le

circonstanze,

in un suggetto,

più che una per ciascuno;

suppositi:

come

avvenne

appaga;

nel geno

dal

suo

oggetto

condizioni

ad altri che non

e

il

specie

ne mo-

e tutte poi per diversi solo della corporal bel-

lezza di cui le condizioni tutte non le poté approvare Apelle in una ma in più vergini. Or qua dove son tre geni di Cfr.

EPICURO,

Cecaria:

Madye del mio signor leggiadra e santa Del terzo ciel regina e imperatrice. 2 Nel De vinculis in genere, in Opera, III, 659 (ma 63817 e 66012-14), B. parla invece di Zeusi (conforme alla tradiz.: cfr. Cic., De Inv., II, 1. Apelle per Zeusi anche a p. 227.) (B.

[146-7]))

(W.

II, 369-70)

(L. 682-3)

1058

(G.! II, 390)

(G.2 II, 417-8).

PARTE

PRIMA

- DIALOGO

QUINTO

beltade, benché avvegna che tutti si troveno in ciascuna de le tre dee, perché a Venere non manca sapienza e maestade, in Giunone non è difetto di vaghezza e sapienza, ed in Pallade è pur notata la maestà con la vaghezza: tutta

volta

aviene

che

l'una

condizione

supera

le

altre,

onde quella viene ad esser stimata come proprietà, e l’altre come accidenti communi, atteso che di que’ tre doni l’uno predomina in una, e viene ad mostrarla ed intitularla sovrana de l’altre. E la caggion di cotal differenza è lo aver queste raggioni non per essenza e primitivamente, ma per participazione e derivativamente. Come in tutte le cose dependenti sono le perfezioni secondo gli gradi de maggiore e minore,

Ma

e meno.

nella simplicità della divina essenza è tutto total-

mente, che

più

e non

bellezza

secondo

misura:

e maestade,

non

e però

non

è più sapienza

è più

bontà

che

fortezza;

ma tutti gli attributi sono non solamente uguali, ma ancora medesimi ed una istessa cosa. Come nella sfera tutte le dimensioni sono non solamente uguali (essendo tanta la lunghezza

quanta

è la profondità

medesime ', atteso

che

quel

che

e larghezza) chiami

ma anco

profofdo,

mede-

simo puoi chiamar lungo e largo della sfera. (ossi è nell'altezza de la sapienza divina, la quale è medesimo ? che la profondità de la potenza e latitudine de la bontade. Tutte queste perfezioni sono uguali, perché sono infinite. Percioché necessariamente l'una è secondo la grandezza de l’altra,

atteso che,

dove

queste cose son finite, avviene

che sia più savio che bello e buono,

1 Cfr. Lampas

triginta statuarum,

* Medesimo,

la medesima

più buono

in Opera,

cosa.

II,

e bello che

38.

(B. (147-8)) (W. II, 370) (L. 683-4) (G.! II, 390-1) (G.2 II, 418). 1059 TI



G.

Buono,

Dialoghi

italiani

DE

GLI

EROICI

FURORI

savio, più savio e buono che potente, e più potente che buono e savio. Ma dove è infinita sapienza, non può essere se non

infinita

potenza;

infinitamente.

perché

Dove

altrimente

è infinita

non

bontà,

potrebbe

bisogna

saper

infinita

sa-

pienza; perché altrimente non saprebbe essere infinitamente

buono. Dove è infinita potenza, bisogna che sia infinita bontà e sapienza, perché tanto ben si possa sapere e si

sappia possere.

furioso,

quasi

Or dunque

inebriato

incomparabilmente

che

di

vedi come. l'oggetto di questo bevanda

gli altri

de

diversi

dei,

da

sia

più

quello:

alto

come,

voglio dire, la specie intelligibile della divina essenza comprende la perfezione de tutte l’altre specie altissimamente, di sorte che, secondo il grado che può esser partecipe di quella forma, potrà intender tutto e far tutto, ed esser cossi amico d’una che vegna ad aver a dispreggio e tedio ogni altra bellezza. Però a quella si deve esser consecrato il sferico pomo, come chi è tutto in tutto; non a Venere bella che da Minerva è superata in sapienza e da Giunone in maestà; non a Pallade di cui Venere è più bella e l’altra più magnifica; non a Giunone che non è la dea dell’ intelli-

genza ed amore

ancora.

Cicada. Certo come son gli gradi delle nature ed essenze,

cossi proporzionalmente son gli gradi delle specie intelligibili e magnificenze de gli amorosi affetti e furori. XII.

Cicada. Il seguente porta una testa, ch' ha quattro

faccia : che

soffiano

verso

gli

quattro

angoli

del

cielo;

e son quattro venti in un suggetto, alli quali soprastanno 1 Faccia,

tempia,

(B.

braccia

[148-9))

(W.

forma

e simili.

neutra di plurale per analogia di membra,

IT, 370-1)

(L. 684)

1060

(G.

II, 391-2)

(G.2 IT, 418-9).

PARTE

PRIMA

due stelle, ed in mezzo

liae.. Vorrei

sapere

DIALOGO

il motto

QUINTO

che dice: Novac

che cosa vegna

ortae Aco-

significata.

Tansillo. Mi pare ch’ il senso di questa divisa è conseguente di quello de la prossima superiore. Perché come là è predicata una infinita bellezza per oggetto, qua vien

protestata una tanta aspirazione, studio, Percioch' io credo

che

gli suspiri; stanza:

conosceremo,

il che

Figli

Che

d’Astreo

conturbate

affetto e desio.

questi venti son messi

Titan

se verremo

a significar

a leggere

la

e de l’Aurora,

il ciel,

il mar

e terra,

Quai spinti fuste dal Litigio fuora, Perché facessi a’ dei superba guerra:

Non

Fate,

più a I’ Eolie spelunche

ov'imperio

mio

vi

frena

dimora

e serra:

Ma rinchiusi vi siet'entr’a quel petto, Ch'i' veggo a tanto sospirar costretto. Voi, socii turbulenti De le tempeste d’un ed altro mare, Altro non è che vagli’ asserenare,

Che

Quegli

que’

lumi

aperti ed ascosi

Vi renderan

Aperto

omicidi

tranquilli

ed

ed

innocenti:

orgogliosi.

si vede ch'è introdotto

Eolo parlar a i venti,

quali non più dice esser da lui moderati ne l' Eolie caverne,

ma

da due

stelle nel petto

di questo

furioso.

Qua

le due

stelle non significano gli doi occhi che son ne la bella fronte;

ma le due specie apprensibili della divina bellezza e bontade di quell’ infinito splendore, che talmente influiscono nel desio intellettuale e razionale, che lo fanno venire ad aspirar infinitamente, secondo il modo

grande,

bello

e

buono

apprende

con cui infinitamente

quell’eccellente

lume.

Perché l’amore, mentre sarà finito, appagato e fisso a certa misura, non sarà circa le specie della divina bellezza, ma (B. [149-51]) (W. II, 371-2) (L. 684-5) (G.T IL 392-3) (G.* IT, 419-20). 1061

DE

altra

formata;

aspirando,

GLI

ma,

EROICI

mentre

FURORI

verrà!

sempre

oltre

ed

oltre

potrassi dire che versa circa l' infinito.

Cicada.

Come

comodamente

l’aspirare è significato per

il spirare? che simbolo hanno i venti col desiderio? Tansillo. Chi de noi in questo stato aspira, quello suspira, quello medesimo spira. E però la veemenza dell’aspirare è notata per quell’ ieroglifico ® del forte spirare. Cicada, Ma è differenza tra il suspirare e spirare. Tansillo. Però non vien significato l'uno per l’altro, come medesimo per il medesimo; ma come simile per il simile, Cicada. Seguitate dunque il vostro proposito. Tansillo. L' infinita aspirazion dunque mostrata per gli suspiri,

e significata per gli venti,

d’ Eolo

nell' Eolie,

innocente-,

ma

ma

di detti

è sotto il governo

doi lumi;

e benignissimamente

li quali

uccidono

non il

non solo

furioso,

facendolo per il studioso affetto morire al riguardo d'ogni altra cosa: con ciò che quelli, che, chiusi e ascosi lo rendono

tempestoso,

aperti, lo renderan tranquillo; atteso che nella

staggione che di nuvoloso velo adombra mana

mente

in

questo

corpo,

aviene

gli occhi de l’ uche

l'alma

con

tal

studio vegna più tosto turbata e travagliata, come, essendo quello stracciato e spinto 3, doverrà tant’altamente quieta, quanto

baste

ad appagar

la condizion

Cicada. Come l'intelletto l'oggetto infinito ? ! B: varrà. * BL: quell ieroglifico;

nostro

Wi: quell’....;

G!:

di sua natura.

finito

può

seguitar

quel...

3 Anche qui spinto, spento. V. sopra, p. 967, n. 2. (Il MicHEL osserva: « Cependant le sens est plus satisfaisant si l’ont fait dériver spinto de spingere ».) (B.

[151-2]))

(W.

II, 372)

(L. 685-6)

1062

(G.t II, 393-4)

(G.

II, 420-1).

PARTE

PRIMA

- DIALOGO

QUINTO

Tansillo. Con l’ infinita potenza ch'egli ha. Cicada. Questa è vana, se mai sarrà in effetto. Tansillo.

Sarrebe

vana,

se fusse

circa atto

finito,

dove

l’ infinita potenza sarrebe privativa; ma non già circa l'atto infinito, dove l’ infinita potenza è positiva perfezione. Cicada. Se l'intelletto umano è una natura ed atto finito,

come

e perché

Tansillo. non

abbia

Perché

ha

potenza

è eterno,

fine né misura

infinita?

ed

la sua

acciò

sempre

felicità;

si dilette

e perché,

e

come

è

finito in sé, cossi sia infinito nell'oggetto. Cicada. Che differenza è tra la infinità de l'oggetto ed infinità della potenza? Tansillo. Questa è finitamente infinita, quello infinitamente infinito. Ma torniamo a noi. Dice, dunque, là il motto: Novae partae: Acoliae, perché par si possa credere che tutti gli venti (che son negli antri voraginosi d' Eolo) sieno convertiti in suspiri, se vogliamo numgfar quelli che procedeno da l'affetto che senza fine aspira/al sommo bene ed infinita beltade. XIII. quella

non

Cicada.

face

Veggiamo

ardente,

circa

appresso la

quale

la significazione è

scritto:

Ad

di

vita,

ad horam.

Tansillo. La perseveranza in tal amore ed ardente desio del vero bene, in cui arde in questo stato temporale il furioso. Questo credo che mostra la seguente tavola: Partesi

Quando

1 W:

la stanza

il contadino,

il sen d' Oriente

E quand'il

Stanco

da

il giorno

sol ne fere più vicino,

e cotto

da caldo

siede

sgombra;

a l’ombra:

Lipariae.

(B. [152-3)) (W. II, 372-3) (L. 686) (G.! II, 394) (G2 II, 421-2). 1063

DE

GLI

EROICI

FURORI

Lavora poi e s’affatica insino Ch'atra caligo l'emisfer ingombra; Indi si posa. Io sto a continue botte

Mattina, Questi Ch'escon

De

mezo giorno, sera focosi rai, da que’ doi archi

e notte. del

mio

sole,

l'alma mia (com’il mio destin vuole) Da l'orizonte non si parton mai, Bruggiand'a tutte l’ore Dal suo meridian l’afflitto core 1.

Cicada. Questa tavola più esplica il senso de la figura.

vera-

che

‘propriamente

Tansillo. Non ho d’affaticarmi a farvi veder queste proprietadi, dove il vedere non merita altro che più attenta considerazione.

Gli

rai

del

sole

son

le

raggioni

con le quali la divina beltade e bontade si manifesta a noi. E

son

focosi,

l’ intelletto,

perché

non

possono

senza che conseguentemente

essere

appresi

scaldeno

da

l'affetto.

Doi archi del sole son le due specie di revelazione che gli scolastici teologi chiamano matutina e vespertina;

come

onde

l'intelligenza

aere mediante,

ne adduce

che la admira

in se stessa,

ne gli effetti

L’orizonte

1 PETRARCA,, canz. Come

Nella

"I sol volge

quella specie

o in efficacia che

zappator

E con parole

di

noi,

o in virti

la contempla

de l’alma in questo

luogo

stagion: le 'nfiammate

Per dar luogo ‘alla notte...., L'’avaro

illuminatrice

l'arme

vote

riprende

e con alpestri note

Ogni gravezza del suo petto sgombra; E poi la mensa ingombra Di povere vivande. Ma chi vuol si vallegri ad ora ad ora;

Ch'i° pur non ebbi ancor, non dirò lieta, Ma riposata un'ora Né per volgere di ciel né di pianeta.

(B. (153-4]) (W. II, 373) (L. 086-7) (G.1 II, 394-5) (G.2 II, 422-3). 1064

PARTE

PRIMA

DIALOGO

QUINTO

è la parte delle potenze superiori, dove a l'apprensione gagliarda de l’ intelletto soccorre il vigoroso appulso de l’affetto,

significato

per il core,

che bruggiando

a tutte l'ore

s'afflige; perché tutti gli frutti d'amore che possiamo raccòrre in questo stato, non son si dolci che non siano più gionti a certa afflizione: quella almeno che procede da l'apprension di non piena fruizione. Come specialmente accade ne gli frutti de l'amor naturale, la condizion de gli quali non saprei meglio esprimere, che come fe’ il poeta Epicureo: Ex hominis vero facie pulchroque colore Nil datur in corpus praeter simulacra fruendum Tenuia, quae vento spes captat saepe misella. Ut bibere in somnis sitiens cum quaerit, t humor Non datur, ardorem in membris qui stinguere possit; Sic in amore Venus simulacris ludit amantis?, Nec satiare queunt spectando corpora coram, Nec manibus quicquam teneris abradere membris Possunt, errantes incerti corpore toto. Denique cum membris conlatis flore fruuntur Acetatis;

dum

iam

praesagit

gaudia

corpus,

Atque in eo est Venus, ut muliebria conserat arva, Adfigunt avide corpus ijunguntque salivas Oris et inspirant pressantes dentibus ora, Nequicquam, quoniam nihil inde abradere possunt, Nec penetrare et abire in corpus corpore toto 3.

Similmente giudica nel geno del gusto che qua possiamo aver de cose divine: mentre a quelle ne forziamo penetrare

ed unirci, troviamo aver più afflizione nel desio che piacer nel concetto. E per questo può aver detto quel savio Ebreo, I BL: frustaque. ® BW: amantis. L corregge 3 Lucrezio,

De

ver. nat.,

IV,

amant[elîs. 1086 spp.

(B. (154-5]) (W. IL 373-4) (L. 687.8) (G.! II, 395-6) (G.2 II, 423).

1065

DE

GLI

EROICI

FURORI

\

che chi aggionge scienza, aggionge dolore 1; perché dalla maggior apprensione nasce maggior e più alto desio, e da questo séguita maggior dispetto e doglia per la privazione della cosa desiderata. Là onde l’ Epicureo che seguita la più ‘tranquilla vita, disse in proposito de l'amor volgare: Sed

fugitare decet simulacra et pabula amoris

Abstergere sibi atque alio convertere ? mentem, Nec servare sibi curam certumque dolorem: Ulcus enim virescit et inveterascit alendo, Inque dies gliscit furor atque aerumna3 gravescit. Nec Veneris fructu carct is qui vitat amorem, Sed potius quae sunt sine paena commoda sumit 4.

Cicada. Che intende per il meridiano del core? Tansillo. La parte o region più alta e più eminente de la volontà,

dove

pi

illustre-, forte-, efficace- e rettamente

è riscaldata. Intende che tale affetto 5 non è come in principio che si muova,

al mezzo

dove

né come in fine che si quiete, ma come

s' infervora.

XIV. Cicada. Ma che significa ha le fiamme in luogo di ferrigna avolto un laccio ed ha il motto: Dite che ne intendete? Tansillo. Mi par che voglia dire e che eterno parimente

quel strale infocato che punta, circa il quale è Amor instat ut instans ? che l'amor mai lo lascia,

l’affliga.

Cicada. Vedo bene laccio, strale e fuoco; intendo quel che sta scritto: Amor instat; ma quel che séguita, non posso 1 Vedi sopra, p. 975,

* B:

converte;

W:

3 B: erumna. 4 Lucrezio, IV, 5 BWL:

affetto;

n. I.

convertere;

1055-6,

G\:

L:

59-61,

effetto.

convertelre).

65-6

(B. [155-6]) (W. II, 374-5) (L. 688) (G.t II, 396-7) (G.2 II, 423-4).

1066

PARTE

capirlo,

cioè

che

PRIMA

l'amor

DIALOGO

come

QUINTO

istante

o insistente,

inste:

che ha medesima penuria di proposito, che se uno dicesse: questa impresa costui la ha finta come finta, la porta come la porta, la intendo

come

la intendo,

la vale come

la vale,

la stimo come un che la stima. Tansillo. Pià facilmente determina e condanna chi manco considera. Quello instans non significa adiettivamente dal verbo instare; ma è nome! sustantivo preso per l' instante del tempo. Cicada. Or che vuol dir? che l'amor insta come l’instante ? Tansillo. Che vuol dire Aristotele pel suo libro Del tempo3,

quando

dice

che l'eternità

Si come

il tempo

è uno

instante,

e

che in tutto il tempo non è che uno instante? Cicada. Come questo può essere, se non è tanto minimo tempo che non abbia più instanti? Vuol egli forse che in uno instante sia il diluvio, la guerra di Troia e noi che siamo adesso? Vorrei sapere come questo instante se divide in tanti secoli ed anni? e se per medesima proporzione non possiamo dire che la linea sia un punto? Tansillo.

getti

temporali,

le parti

cossi

del tempo.

è uno, ma

l’ instante

Come

è uno

è in diversi sug-

in diverse

io son medesimo

e tutte

che fui, sono

e

sarò; io medesimo son qua in casa, nel tempio, nel campo e per tutto dove sono. Cicada. Perché volete che l’ instante sia tutto il tempo ? 1 ® 3 punto greca

GI; come. (LM: dir; G!G2: dire) Cioè il lib. IV della Fisica, pp. 2194 20-30. Cîr. su questo A. CovottI, Le leorie dello spazio e del tempo nella filosofia fin ad Aristotile, Pisa, 1897, p. 189 e sgg.

(B. [156-7])

(\W. II, 375)

(L. 688-9)

1067

(G.1 II, 397) (G.2 II, 424-5).

DE

Tansillo.

il tempo:

GLI

Perché

EROICI

se

non

FURORI

fusse l’ instante,

non

sarrebe 1

però il tempo in essenza e sustanza non è altro

che instante, E questo baste, se l’ intendi

(perché

non ho

da pedanteggiar ? sul quarto de la Fisica). Onde comprendi che voglia dire, che l’amor gli assista non meno che il tempo tutto; perché questo :irstars non significa punto del tempo. Cicada. Bisogna che questa significazione sia specificata

in qualche maniera,

se non vogliamo

vicioso in equivocazione,

onde

far che sia il motto

possiamo

dere ch'egli voglia dire, che l'amor

liberamente

suo sia d’uno

inten-

instante,

tidest d'un atomo di tempo e d'un niente: o che voglia dire che

sia,

come

Tansillo. contrarii,

voi interpretate,

Certo

punto,

sogna

se vi fussero inplicati

questi

sarrebe

non

il motto

ben consideri;

sempre.

una

baia.

atteso che in uno

che l’amore

Ma

instante,

inste o insista, non

necessariamente

intendere

doi sensi è cossî,

che è atomo

può

l’ instante

essere;

ma

se

o bi-

in altra signi-

ficazione. E per uscir di scuola, leggasi la stanza: Un

Un

Un

Un

tempo

edifica,

tempo

sparge,

un

ha

s’aflatica,

Un

tempo

ed un tempo

strugge;

triste,

un

un

posa;

porge,

un

un

piange,

un

stassi,

tempo

tempo

raccoglie; un

ride:

ha licte voglie; un

side:

si ritoglie;

Un muove, un ferma; un fa vivo, un In tutti gli anni, mesi, giorni ed ore M'attende, fere, accend’e lega amore.

occide;

Continuo mi disperge, .Sempre mi strugg'e mi ritien in pianto, È mio triste languir ogn'or pur tanto, 1 B:

sarebe;

W:

sarebbe;

LG!;

sarrebe

(G?:

malgré la note de G: sarrebe » (MICHEL).) 2? Cioè, fare una lezione; perché pedante maestro. (B.

[157-8]))

(W.

II,

375-6)

(L.

689)

1068

(G.1

II,

308)

sarebe:

era (G.2

« mais

il nome II,

D,

del

425-0).

PARTE

PRIMA

DIALOGO

QUINTO

In ogni tempo mi travaglia ed erge, Tropp' in rubbarmi è forte, Mai

non

Cicada.

mi

scuote,

Assai

bene

mai

ho

non

mi

dà morte.

compreso

il senso;

e

confesso

che tutte le cose accordano molto bene. Però mi par tempo

di procedere a l'altro. XV.

Tansillo. Qua vedi un serpe ch'a la neve languisce

dove l’avea gittato un zappatore, acceso stanze,

in mezzo con

al fuoco,

il motto

con

che

ed un fanciullo. ignudo

certe

dice:

alfre minute

/Idém,

itidem,

e circonnon

idem.

Questo mi par più presto enigma che altro; però non mi confido d’esplicarlo a fatto: pur crederei che voglia significar medesimo l'uno

fato

e l’altro

molesto, (cioè

che

medesimamente

intentissimamente,

tormenta

senza misericordia,

a morte), con diversi instrumenti o contrarii principi, mostrandosi medesimo freddo e caldo. Ma questo mi par che richieda più lunga e distinta considerazione. Cicada. Un'altra volta! Leggete la rima: Tansillo*.

Ti

Languida serpe, a quell'umor si denso ritorci,

contrai,

sullevi,

inondi;

E per temprar il tuo dolor intenso, Al freddo or questa or quella parte S'il

ghiaccio

avesse

Tu voce che propona o .Credo ch'areste efficace Ter renderlo piatoso al Io ne l'eterno foco Mi dibatto, mi struggo,

E al ghiaccio de mia Né

Lasso!

amor

Quant'è

di

perché

1 u4Tansillo.»

me,

non

il rigor

manca



per

udirti

senso,

che rispondi, argumento tuo tormento. scaldo,

avvampo,

diva per mio pietà

sente

ascondi:

de la mia

trova

fiamma

scampo

loco,

ardente.

in BL.

(B. [158-60]) (W. II, 376-7) (L. 6089-90) (G.1 II, 398-9) (G.2 II, 426-7).

1069

DE Angue,

GLI cerchi

Ritenti

a la tua

Attendi

al sol,

Proprie

forze

Mercé

EROICI fuggir,

sei impotente;

buca,

ell’ è disciolta;

richiami,

elle son

l'asconde

chiedi

FUROLI

al villan,

nebbia

odia

spente; folta;

’1 tuo

dente;

Fortuna invochi, non t'ode la stolta: Fuga, luogo, vigor, astro, uom o sorte

Non

è per

darti

scampo

da la morte.

Tu addensi, io liquefaccio; Io miro al rigor tuo, tu a l’ardor mio; Tu brami questo mal, io quel desio;

Or

Né io posso te, né tu me tòr d’ impaccio.

Del

Cicada. snodar

chiariti fato

a bastanza

rio,

lasciamo

Andiamone,

questo

iritrico,

ogni

perché

speranza.

per il camino

vedremo

di

se si può.

Tansillo. Bene.

e (B.

Fine del Prima parte [160])

(W.

II,

377)

(L.

quinto dialogo degli Eroici Furori. 690-1)

(G.!

1070

II,

399-400)

(G.?

II,

427).

SECONDA

PARTE

DE GLI EROICI FURORI

DIALOGO

PRIMO

INTERLOCUTORI Cesarino,

I. Cesarino. eccellenti

ogni

Cossi

sono

parte

nel

di

dicono mondo,

risponde

1 Il FioRENTINO

storicità

questi

due

Maricondo *.

che

le cose

quando

tutto

eccellentemente.

(cfr.

sopra

nuovi

p. 954,

megliori

l’universo

E

in n.)

interlocutori.

e pit da

questo

stimano

dimostrò

anche

Certo,

la

Maricondo

(o Mariconda) è casato che non manca nei Fuochî di Nola, dove alla metà del 1545, nel « focolari» 259 e 339 del « quarterio ditto de Casalenovo », a cc. 23v e 29v, sono numerati Nicolangelo di 55 anni con un fratello diciottenne, il chierico Gian Giacomo e un

altro

marzo

del

giovine

1563,

chierico,

in una

D.

nota

Giovanni

marginale,

Carlo

a c.

Mariconda;

sor,

del

e

il

12

« focolare »

526, è ricordato chi potrebbe bene essere 1’ interlocutore del dialogo

bruniano, un « gentiluorno » morto in quel torno di tempo, Francesco,

che lasciò «domum

magnam

bene fulcitam et XXIII

moyos

terra-

rum arbustatarum» ai figlioletti. Giovan Antonio, Giovan Nicola e Camilla. Anche Cesarino è nome d’una famiglia nolana dei tempi del B. In un suo son. il TAnsILLO (Poesie, p. 50, son. XCVIII) dice a un Cesarino, che egli sperava di seguire a Roma: O Cesarin, cui la mia Nola deve Via più che a Bruto Roma, e a Codro E il Fiorentino Cesarini,

da

lui

Atene.

(ivi, p. 263) crede possa essere un Francesco Antonio trovato

nei

Fwuocki

«figliuolo

di

Ottavio,....

che

(B. [161]) (W. II, 378) (L. 691) (G. II, (4011) (G: II, [429]). 1071

DE

allor che

GLI

EROICI

tutti gli pianeti

FURORI

ottegnono

l’Ariete,

essendo

che

quello de l'ottava sfera ancora ottegna quello del firmamento invisibile e superiore dove è l’altro zodiaco. Le cose peggiori e pit basse vogliono che abbiano loco quando domina la contraria disposizione ed ordine: però per forza di vicissitudine accadeno le eccessive mutazioni dal simile al dissimile,

dal contrario

a l'altro.

La revoluzion

ed anno grande del mondo, è quel spacio da abiti ed effetti diversissimi per gli contrarii si ritorna al medesimo: come anni particolari, qual è quello del sole, d’una

disposizione

contraria

è

fine

de

dunque,

di tempo in cui oppositi mezzi e vegsgiamo ne gli dove il principio l’altra,

ed

il fine

aveva menata in moglie una Maria Giordano di Napoli; e cotesto Cesarini il 1563 aveva 73 anni ». Era perciò già vecchio, di 58 anni,

quando nacque il B. È questo il Cesarino degli Eroici Furori? o, come pare non escludesse lo SPAMPANATO nel Bruno e Nola (pp. 11, 24 € 49-50), qualche altro rammentato dagli stessi Fuochi, sia nel 1526, sia diciannove anni appresso, per esempio Iacopo Antonio, Marcantonio o Alessandro Cesarino? Ma lo SPAMPANATO stesso non tralascia di ritornare su questo argomento nella Vita (p. 37), e acquistata maggiore e più precisa notizia dei Tuochi nolani del sec. XVI, non esita a proporre una nuova e più fondata conget-

tura, pensando che il filosofo metta accanto al Maricondo un « miles

gravis armaturae », un commilitone quindi di suo padre, il magnifico Gian Domenico, che, secondo i Fuochi del 1563 (c. 230r, foc. 1877), era nato il 1521. Comunque sia, dalle curiose carte nolane appartenenti alla Biblioteca della congregazione dell’ Oratorio di Napoli risulta che, come il « nuovo interlocutore» del V dial. De /° infinito era uno di quei «signori Albertini.... apparentati con illustrissime fameglie (Berlingiero, Caracciolo, Torella, Tomacella, ecc.) con facoltà de più de 300 mila ducati, palazzi, giardini, feudi, starze, boschi cd arme e cavalli, che discendono di S. Severino,

massarie, dal 1429

fameglie, videlicet Mastrillo, Giudice, Risi, Sassone e sono padroni de feudi, palazzi, massarie, giardini, arme

Monforte, e cavalli,

sono a Nola, omini de valor e gran animo e generosi cavalieri »; così anche i Cesarini, «apparentati con illustrissime e nobilissime e descendono (B. [161-2])

da

(W.

Romagna

II, 378)

e Campagna

(L. 601)

de

Roma»

(G.! II, [401]-2)

1072

(c. 812rev).

(G.z II, [429]-30).

PARTE

SECONDA

DIALOGO

PRIMO7?

di questa è principio di quella. Però ora che siamo stati nella feccia delle scienze, che hanno parturita la feccia delle opinioni, le quali son causa della feccia de gli costumi ed opre, possiamo certo aspettare

de

ritornare a meglior stati.

Maricondo. Sappi, fratel mio, che questa successione ed ordine de le cose è verissima e certissima: ma al nostro riguardo sempre, in qualsivoglia stato ordinario, il presente più ne afflige che il passatored ambi doi insieme manco possono appagarne che il futuro, il quale è sempre in aspettazione e speranza, come ben puoi veder designato in questa

figura la quale è tolta dall’antiquità de gli Egizii, che férno cotal statua che sopra un busto simile a tutti tre puosero tre teste, l'una di lupo che remirava a dietro, l’altra di leone che

avea

la faccia volta

in mezzo,

e la terza di cane

guardava innanzi; per significare che le fligono col pensiero, ma non tanto quanto che in effetto ne tormentano, ma sempre prometteno meglio. Però là è il lupo che che

rugge,

appresso

il cane

che

che

cose passate afle cose presenti per l’avenire nc urla, qua il leon

applaude.

Cesarino. Che contiene quel motto ch’ è sopra scritto? Maricondo. Vedi che sopra il lupo è Jam, sopra il leone Modo, sopra il cane Praeterea, che son dizioni che significano le tre parti del tempo. Cesarino. Or leggete quel ch'è nella tavola.

Maricondo. Cossi farò.

Un alan, un leon, un can appare A l’auror, al di chiaro, al vespr'oscuro. Quel che spesi, ritegno e mi procuro,

Per quanto mi si die’, si dà, può dare. Per quel che feci, faccio ed ho da fare

AI passato,

al presente

ed

al futuro,

Mi pento, mi tormento, m'’assicuro, Nel perso, nel soffrir, nell'aspettare.

(B. [162-3))

(W.

II, 378-9)

(L. 601-2) 1073

(G.! II, 402-3)

(G.? II, 430-1).

DE

GLI

EROICI

FURORI

Con l’agro, con l'amaro, con il dolce L'esperienza, i frutti, la speranza Mi minacciò, m'affligono, mi molce. L'età che vissi, che vivo, ch’avanza, Mi fa tremante, mi scuote, mi folce,

In

absenza,

Assai,

Quel

presenza

troppo,

e lontananza.

a bastanza

di già, quel di ora, quel d’appresso

M' hanno

in timor,

martir

e spene

messo.

Cesarino. Questa a punto è la testa d'un furioso amante; quantunque sia de quasi tutti gli mortali, in qualunque maniera

viamo, in

e modo

siano malamente

né possiamo

generale,

ma

affetti; perché

dire che questo

a quelli

che

furono

quadre

non

do-

a tutti stati

e sono

travagliosi:

atteso che ad un ch' ha cercato un regno ed ora il possiede,

conviene il timor di perderlo; ad un ch'ha lavorato per acquistar gli frutti de l’amore, come è la particular grazia de la cosa amata, conviene il morso della gelosia e suspizione. E quanto a gli stati del mondo, quando ne ritroviamo nelle tenebre e male, possiamo sicuramente profetizar la luce e prosperitade; quando siamo nella felicità e disciplina, senza dubio possiamo aspettar il successo de l’ignoranze e travagli: come avvenne a Mercurio Trimigisto che per veder l’ Egitto in tanto splendor de scienze e divinazioni, per le quali egli stimava consorti de gli demoni e dei, e per conseguenza religiosissimi, fece quel profetico lamento

ad Asclepio, dicendo che doveano succedere

le tenebre de nove religioni e culti, e de cose presenti non dover rimaner altro che favole e materia di condannazione *, Cossi gli Ebrei, quando erano schiavi nell' Egitto e banditi nelli deserti, erano confortati da lor profeti con l’aspet! Vedi

(B. [163-4])

questo

profetico

(W. II, 379-80)

lamento

nello

Spaccio,

(L. 692-3) (G.1 II, 403)

1074

pp.

784-6.

(G.? IT, 431-2).

PARTE

SECONDA

- DIALOGO

PRIMO

tazione de libertà ed acquisto di patria; quando furono in stato di domino !'e tranquillità, erano minacciati de dispersione e cattività; oggi che non è male né vituperio a cui non siano suggetti, non è bene né onore che non si promettano. Similmente accade a tutte l'altre generazioni e stati: li quali se curano e non sono annichilati a fatto, per

forza

male

della

vegnano

l'altezza,

vicissitudine al bene,

da

l’altezza

delle

dal bene alla

cose,

è

al male,

bassezza,

da

necessario

dal

dalla bassezza le

oscuritadi

a al

splendore, dal splendor alle oscuritadi. Perché questo comporta

l'ordine

naturale;

oltre

il qual

ordine,

se si ritrova

altro che lo guaste o corregga, io lo credo, e non ho da disputarne, perché non raggiono con altro spirito che naturale. Maricondo. Sappiamo che non fate il teologo ma filosofo,

e che

trattate

Cesarino.

filosofia

Cossf è. Ma

II. Cesarino.

non

teologia.

veggiamo

Veggio

appresso

quel che séguita. un

fumante

turribolo

che è sustenuto da un braccio; ed il motto che dice: Illius aram; ed appresso l'articolo seguente: Or

chi

D'un S'in

Da

quell'aura

ossequio

diverse

de

mia

nobil

ornata

vegna

divin credrà men

tabelle

voti miei nel tempio

Perch'altra

Chi pensarà

brama

impresa

giamai

degna

de la fama?

eroica

che men

mi

richiama,

convegna

Ch'al suo culto cattivo mi ritegna Quella ch' il ciel onora tanto ed ama? Lasciatemi,

Importuni

Perché

1 BWL:

lasciate,

pensier,

altri

datemi

volete voi ch'io

desiri,

pace.

mi ritiri

domino; G!: dominio. Ma cfr. pp. 290, 558, 578, 676, ecc.

(B. [164-6]) (W. II, 380-1) (L. 6093-4) (G.! IT, 403-4) (G.2 II, 432-3). 1075 72



0.

Bruno,

Niuloghi

italiani

DE

GLIVEROICI

FURORI

Da l'aspetto del sol che si mi

Dite

Quel

di me

piatosi:

che per remirar



Perché

piace ?

miri

si ti disface?

Perché di quella face Sci vago sf? — Perché

mi

fa contento,

di

questo

Più ch’ogn’altro piacer, questo tormento

Maricondo.

A

proposito

io

ti dicevo

che,

quantunque un rimagna fisso su una corporal bellezza e culto esterno, può onorevolmente e degnamente tratte-

nirsi; purché dalla bellezza materiale, la quale È un raggio e splendor della forma ed atto spirituale, di cui è vestigio ed

ombra,

delia divina

vegna

ad

inalzarsi

bellezza,

alla

considerazion

luce e maestade;

e

culto

di maniera’ che

da

queste cose visibili vegna a magnificar il core verso quelle che son tanto più eccellenti in sé e grate a l'animo ripur-

gato, quanto son più rimosse da la materia e senso. Oimè, dirà,

se

una

bellezza

umbratile,

fosca,

corrente,

depinta

nella superficie de la materia corporale, tanto mi piace e tanto mi commuove l'affetto, m' imprime nel spirito non so che riverenza mente

di maestade,

mi lega e mi

s’attira,

mi si cattiva e tanto ch'io

non

trovo

dolce-

cosa che mi

vegna messa avanti da gli sensi che tanto m’appaghe; che sarà di quello che sustanzialmente, originalmente, primitivamente

è bello?

che

sarà

de

l’anima

mia,

dell’ in-

telletto divino, della regola de la natura ? Conviene dunque,

che la contemplazione di questo vestigio di luce mi amene mediante la ripurgazion de l'animo mio all’ imitazione, conformità e participazione di quella più degna ed alta, in cui mi transforme

ed a cui mi unisca;

perché

son certo

che la natura che mi ha messa questa bellezza avanti gli occhi, e mi ha dotato di senso interiore, per cui posso argumentar

bellezza più profonda

ed incomparabilmente

mag-

(B. [166-7]) (W. IL 381) (L. 694) (G.! II, 404-5) (G.2 II, 433-4).

1076

PARTE

SECONDA

DIALOGO

PRIMO

giore, voglia ch'io da qua basso vegna promosso a l'altezza ed eminenza di specie più eccellenti. Né credo che il mio vero nume, come me si mostra in vestigio ed imagine, voglia sdegnarsi che in imagine e vestigio vegna ad onorarlo, a sacrificargli, con, questo ch' il mio core ed affetto sempre sia ordinato,

e rimirare

più alto;

atteso

che

chi può

esser

quello che possa onorarlo in essenza e propria sustanza, se in tal maniera non può comprenderlo? Cesarino. Molto ben dimostri come a gli uomini di eroico spirito tutte le cose si converteno in bene, e si sanno servire

della

cattività

in

frutto

di

maggior

libertade,

e

l'esser vinto una volta convertiscono in occasione di maggior vittoria. Ben sai che l'amor di bellezza corporale a color che son ben disposti, non solamente non apporta ritardamento da imprese maggiori, ma più tosto viene ad improntargli l’ali per venire a quelle; allor che la necessità de l'amore è convertita in virtuoso studio, per cui l'amante si forza di venire a termine nel quale sia degno della cosa amata, e forse di cosa maggiore, megliore e più bella ancora; onde sia o che vegna contento d'aver guadagnato quel che brama, o sodisfatto dalla sua propria bellezza, per cui degnamente possa spregiar l'altrui che viene ad esser da lui vinta e superata: onde o si ferma quieto, o si volta ad aspirare ad oggetti più eccellenti e magnifichi. E cossi sempre

verrà ! tentando

il spirito

eroico, sin tanto che non

si vede inalzato al desiderio della divina bellezza in se stessa,

senza similitudine, figura, imagine e specie, se sia possibile; e più,

se sa arrivare

Maricondo. 1 B:

(B.

Vedi

a tanto. dunque,

Cesarino,

come

ha

raggione

varrà.

[167-8]))

(W.

II, 381-2)

(L. 694-5)

1077

(G.! IT, 405-6)

(G.

II, 434).

DE

GLI

EROICI

FURORI

questo furioso di risentirsi contra coloro che lo riprendono come cattivo de bassa bellezza a cui sparga voti e appenda tabelle; di maniera che quindi non viene rubelle dalle voci che

lo richiamano

a più

alte

imprese:

essendo

che,

come

queste basse cose derivano da quelle ed hanno dependenza, cossi da queste si può aver accessé a quelle come per proprii gradi. Queste, se non son Dio, son cose divine, sono imagini sue vive: nelle quali non si sente offeso, se si vede adorare; perché abbiamo ordine del superno spirito

che dice: Adorate scabellum pedum cius?. Ed altrove disse

un

divino

imbasciatore:

Adorabimus

ubi

steteruni

pedes

eius ?. Cesarino.

Dio,

la divina

bellezza

e splendore

riluce

ed

è in tutte le cose; però non mi pare errore d'admirarlo in tutte

Ie cose,

secondo

il modo

che

Errore sarà certo, se noi donaremo

si comunica

ad altri l'’onor che tocca

a lui solo. Ma che vuol dir quando dice: lasciate,

altri

a quelle.

Lasciatemi,

desiri?

Maricondo. Bandisce da sé gli pensieri, che gli appresentano altri oggetti che non hanno forza di commoverlo tanto,

e che gli vogliono

involar l'aspetto

del sole, il qual

può presentarsegli da questa fenestra più che da l'altre. Cesarino. Come, importunato da pensieri, si sta con-

stante a remirar quel splendor che lo disface, e non lo fa di maniera

contento

che

ancora

non

vegna

fortemente

a

tormentarlo ? Maricondo. Perché tutti gli nostri conforti in questo stato di controversia non sono senza gli suoi disconforti 1 Salmi,

XCVIII,

® Ivi, CKXXI,

7.

5.

(B. [168-9)) (W. II, 382) (L. 695) (G.t II, 406-7) (G2 II, 434-5). x

1078

PARTE

SECONDA

DIALOGO

PRIMO

cossi grandi come magnifici son gli conforti. Come più grande è il timore

d’un

re che

consiste

su la perdita

d'un

regno,

che di un mendico che consiste sul periglio di perdere dieci danaii;

è più urgente

la cura

d'un

prencipe ! sopra

una

republica, che d’un rustico sopra un grege de porci; come gli piaceri e delicie di quelli forse son più grandi che le delicie di questi. Però l'amare ed aspirar più alto mena seco maggior gloria e maestà con maggior cura, pensiero e doglia: intendo in questo stato dove l’un contrario sempre è congionto

a l'altro,

trovandosi

la massima

contrarietade

sempre nel medesimo geno, e per consequenza circa medesimo suggetto, quantunque gli contrarii non possano es-

sere insieme. E cossi proporzionalemnte nell’amor di Cupido superiore, come dechiarò l’ Epicureo poeta nel cupidinesco volgare e animale, quando disse: Fluctuat

incertis

erroribus

ardor

amantum,

Corporis,

et dentes inlidunt saepe labellis

Nec constat quid primum oculis manibusque fruantur: Quod petiere, premunt arte, faciuntque dolorem Osculaque adfigunt, quia non est pura voluptas Et stimuli subsunt qui instigant laedere id ipsum, Quodcunque est, rabies, unde illa haec germina surgunt. Sed leviter paenas frangit Venus inter amorem, Blandaque refraenat morsus admixta voluptas;

Namque in eo spes est, unde est ardoris origo, Restingui quoque posse ab eodem corpore fiammam ?.

Ecco dunque con quali condimenti il magistero ed arte della natura fa che un si strugga sul piacer di quel che lo disface, e vegna contento in mezzo del tormento, e tormentato in mezzo

de tutte le contentezze;

1 Gl; principe.

% Lucrezio, (B. [169-71])

IV,

atteso che nulla si

1069-79.

(W. IL, 382-3)

(L. 695-6) 1079

(G.t II, 407-8)

(G.? II, 435-6).

DE

GLI

EROICI

FURORI

'

fa absolutamente da un pacifico principio, ma tutto da contrarii principii per vittoria e domino d’una parte della contrarietade; e non è piacere di generazione da un canto senza dispiacere di corrozione da l'altro; e dove queste cose che si generano e corrompono, sono congionte e come in medesimo suggetto composto, si trova il senso di delettazione

e tristizia insieme.

Di

sorte

che

vegna

nominata

più presto delettazione che tristizia, se aviene che la sia predominante, e con maggior forza possa sollecitare il senso. III. Cesarino. seguente,

Or

ch’ è d'una

consideriamo fenice

che

sopra

arde

questa

imagine

al sole, e con

il suo

fumo va quasi a' oscurar il splendor di quello, dal cui calore vien infiammata; ed evvi la nota che dice: Negue simile,

nec par 3.

Maricondo.

Leggasi l'articolo prima:

Questa fenice ch'al bel sol s’accende, E a dramma a dramma consumando vassi,

Mentre

di splendor

cint'ardendo

stassi,

Contrario fio al suo pianeta rende; Perché quel che da lei al ciel ascende, Tepido fumo ed atra nebbia fassi,

Ond’i raggi a’ nostri occhi occolti lassi E quello avvele, per cui arde e splende. Tal il mio spirto (ch'il divin splendore Accende e illustra), mentre va spiegando

Quel

che

tanto

riluce

nel

pensiero,

Manda da l’alto suo concetto fore Rima, ch’ il vago sol vad’oscurando, Mentre mi struggo e liquefaccio inticro,

! BL: a; WG!: ad. ® IV: Neque simile, nec par inar. Ma così scambia per mar ]' indicazione del nome di Maricondo, a cui non s'accorge che appartengono le parole seguenti: « Leggasi l'articolo prima » ecc. Per Ja fenice dell’ impresa,

(B.

[171-2]))

cfr.

(W.

sopra,

II,

383)

p.

1042,

(L.

e ivi,

696-7)

1080

n.

(G.!

1.

II,

408)

(G.?

II,

436-7).

PARTE Oimè!

Nuvol

Quel

SECONDA questo

adro!

ch'aggrandir?

dunque

dal splendor

e di fiamma,

PRIMO

e nero

di foco infosca col suo stile

Cesarino. Dice

venendo

DIALOGO

vorrebbe,

costui

e ’1 rend' umile.

che,

come

questa

fenice,

del sole accesa ed abituata di luce

vien ella poi ad inviar al cielo quel fumo

oscura quello

che 1’ ha resa lucente;

che

cossî egli, infiammato

ed illuminato furioso, per quel che fa in lode di tanto illustre suggetto che gli ave acceso il core e gli splende nel pensiero,

viene

più tosto

ad oscurarlo,

che ritribuirgli luce

per luce, procedendo quel fumo, effetto di fiamme in cui si risolve la sustanza di lui. Maricondo. Io senza che metta in bilancio e comparazione gli studi di costui, torno a dire quel che ti dicevo l’altr’ieri3, che la lode è uno de gli più gran sacrificii che possa far un affetto umano ad un oggetto. E per lasciar da parte il proposito del divino, ditemi: chi conoscerebbe Achille, Ulisse e tanti altri greci e troiani capitani; chi arrebe notizia de

tanti

grandi

soldati,

sapienti

ed eroi

de la terra,

se non fussero stati messi alle stelle e deificati per il sacrificio de laude, che nell’altare del cor de illustri poeti ed altri recitatori

mente

ave acceso il fuoco,

montasse

al cielo

con

questo

il sacrificatore,

che comun-

la vittima

ed il

canonizato divo, per mano e voto di legitimo e degno sacerdote ? Cesarino. Ben dici di degno e legitimo sacerdote; perché degli apposticci 4 n° è pieno oggi il mondo, li quali, come sono 1 BL:

adro;

IVGI:

atro,

Correzione

non

®* (LM: aggradir) 3 (Gr = Li l'altr'ieri; G%: l'altrieri) 4 BL: appostici. Ma, sopra, a p. 593,

necessaria. con

la doppia.

(B. [172-3]) (W. IL 383-4) (L. 697) (G.1 II, 408-9) (G.? II, 437-8). 108I

DE

GLI

EROICI

FURORI

per ordinario indegni essi loro, cossi! vegnono sempre a celebrar altri indegni, di sorte che asini asinos fricant. Ma la

providenza al

cielo,

vuole che, in luogo d’andar gli uni e gli altri

sen

vanno

giontamente

alle

tenebre

de

1’ Orco;

onde fia vana e la gloria di quel che celebra, e di quel ch’ è celebrato; perché l'uno ha intessuta una statua di paglia, o insculpito un tronco di legno, o messo in getto un pezzo di calcina, e l'altro, idolo d’ infamia e vituperio, non sa che non gli bisogna aspettar gli denti de l’evo e la falce di Saturno

per esser messo gid; stante che dal suo encomico *

medesimo vien sepolto vivo all'ora all'ora propria che vien lodato, salutato, nominato, presentato. Come per il contrario è accaduto alla prudenza di quel tanto celebrato Mecenate,

il quale,

se

non

avesse

avuto

altro

splendore

che de l'animo inchinato alla protezione e favor delle Muse, sol per questo meritò che gl’ ingegni de tanti illustri poeti gli dovenessero ossequiosi a metterlo nel numero de più famosi eroi che abbiano calpestrato3 il dorso de la terra. Gli propri studii ed il proprio splendore 1' han reso chiaro e nobilissimo,

e non

l’esser nato

d’'atavi regi4,

non

l’esser

gran secretario e consegliero d'Augusto. Quello, dico, che l’ ha fatto illustrissimo, è l’aversi fatto degno dell’execuzion della promessa di quel poeta che disse: Fortunati

ambo,

si quid

mea

Nulla dies unquam5 memori I!

(LM:

® T.

cossi;

rarissimo:

3 Cir. sopra,

4 Moecenas

S BW:

G!

e

G2:

possunt,

aevo,

così)

encomiatore.

a p. 634,

atavis

nunquam.

carmina

vos eximet

edite

n. 2.

regibus:

ORAZIO,

Odi,

I,

1,

1.

La correzione è resa necessaria più che dalla

grammatica (alla quale, zione), dalla metrica.

è vero, il B. non poneva

una grande atten-

(B. [173-4]) (W. II, 384) (L. 697-8) (G.1 II, 40g-10) (G.2 II, 438-9). 1082

PARTE

SECONDA

DIALOGO

PRIMO

Dum domus Aeneae Capitoli immobile saxum Accolet, imperiumque pater Romanus habebit!.

Maricondo. Mi sovviene di quel che dice Seneca? in certa epistola dove referisce 3 le paroli d’ Epicuro ad un suo amico, che son queste: Se amor di gloria ti tocca il petto, più noto e chiaro ti renderanno le mie lettere che tutte quest'altre

cose

che

tu

onori,

e

dalle

quali

sei onorato, e per le quali ti puoi vantare. Similmente arria possuto dire Omero, se si gli fusse presentato avanti Achille o Ulisse, Vergilio a Enea ed alla sua progenia;

perciò che, come ben suggionse quel

filosofo morale, è più conosciuto Domenea4 per le lettere d’Epicuro, che tutti gli megistani satrapi e regi, dalli quali pendeva il titolo di Domeneas e la memoria de gli quali venia suppressa dall’alte tenebre de l’oblio. Non vive Attico per essere genero d’Agrippa e progenero de Tiberio, ma per l’epistole de Tullio$ Druso, pronepote di Cesare, non si trovarebbe nel numero de’ nomi I VirgILIO,

Aen.,

IX,

SeNEcA,

Epist.,

21;

(MICHEL).)

“=

446-9 cfr.

(«cité par SÈNÈQUE, Usener,

3 (LM: referisce; G! G*: riferisce) 4 L corregge Idomeneo e così poco

tuna:

cfr. Tocco,

5 luglio

nosset,

1908.

nisi

recens.

Da

illum

dopo.

della mia prima

confrontare

Epicurus

Epicurea,

il testo

suis

di

dice: « Nomen

nihil illi profuisset (B.

[174-5))

(W.

Correzione

edizione

SENECA:

21, 5»

132.

literis incidisset » ?

5 B: titolo Domenea. 6 Il Lagarde (p. 796) ha già osservato

SENECA

fr.

Epist.,

inoppor-

nel Marzocco,

«Quis

Idomenea

che qui il testo è errato.

Attici perire Ciceronis epistulae non sinunt:

gener

II, 384-5)

Agrippa

(L. 698)

1083

et

Tiberius

(G.I II, 410-1)

pro-

(G.2 II, 439-409).

DE

tanto

GLI

grandi,

EROICI

se

non

FURORI

vi

l’avesse

inse-

rito Cicerone. Oh che ne sopraviene al capo una profonda altezza di tempo, sopra la quale non molti ingegni rizzaranno il capo. Or per venire al proposito di questo

furioso,

si rammenta

il quale,

vedendo

una

fenice accesa al sole,

del proprio studio, e duolsi che come

quella,

per luce ed incendio che riceve, gli rimanda oscuro e tepido fumo di lode all’olocausto della sua liquefatta sustanza.

Qualmente giamai possiamo non sol raggionare, ma e né men pensare di cose divine che non vengamo a detraergli

più tosto che aggiongergli di gloria, di sorte che la maggior cosa

che

farsi possa

al riguardo

di quelle,

è che

l’uomo

in presenza de gli altri uomini vegna più tosto a magnificar se stesso per il studio ed ardire, che donar splendore ed altro per qualche compita e perfetta azione. Atteso che cotale non può aspettarsi dove si fa progresso all’ infinito, dove l’unità ed infinità son la medesima cosa; e non possono essere perseguitate da l'altro numero, perché non è unità, né da altra unità, perché non è numero, né da altro numero ed unità perché non sono medesimo absoluto ed infinito. Là onde ben disse un teologo che; essendo che il fonte

della luce non solamente gli nostri intelletti, ma ancora gli divini di gran lunga sopraavanza, è cosa conveniente che gener

et

Drusus

Caesar

pronepos»,

Il

L.

però

soggiunge; « Bruno scrive come se nel suo esemplare ci fosse stato ‘ progener. Drusus Caesaris pronepos....' »; il che tuttavia non pare basterebbe a spiegarci tutti gli errori della traduzione bruniana. Ad ogni modo, la lezione del B. «deve tuttavia’ ricercarsi », aggiunge il L., «se provenga dalla traduzione del Doni o da qualche

incunabulo a stampa o da fretta del B. ». Il Doni di certo è innocente: vedi le Epistole di Seneca tr. nella lingua toscana per A. F. Doni,

Milano,

1611,

p.

73.

(B. [175-6]) (W. IL 395) (L. 698-0) (G.! II, 411) (G.2 IL 440). 1084

PARTE

SECONDA

DIALOGO

PRIMO

non con discorsi e paroli, ma con silenzio vegna ad esser celebrata. Cesarino. altri

che

Non

sono

già col silenzio

ad

imagine

de gli animali

e similitudine

d’uomini,

bruti

ed

ma

di

quelli, il silenzio de quali è più illustre che tutti gli cridi, rumori e strepiti di costoro che possano esser! uditi. IV. Maricondo. Ma procediamo oltre a vedere quel che significa il resto. Cesarino. Dite se avete prima considerato e visto quel che voglia dir questo fuoco in forma di core con quattro ali, de le quali due hanno gli occhi, dove tutto il composto è cinto de luminosi raggi, ed hassi incirca scritta la questione: Nitimur in cassum? Maricondo. Mi ricordo ben che significa il stato de la mente, core, spirito ed occhi del furioso; ma leggiamo l'articolo: Questa

mente

Tant'alti Il cor,

Da

studi

che

ch’aspira al splendor santo,

disvelar

recrear

que’

non

ponno;

pensier

vonno,

guai non può ritrarsi più che tanto; Il spirto che devria posarsi alquanto

D'un

momento

Tutta

la notte

al piacer,

non

si fa

son

al pianto.

donno;

Gli occhi ch'esser derrian chiusi dal sonno, aperti

Oimè, miei lumi, con qual studio ed arte ‘Tranquillar posso i travagliati sensi ? Spirto mio, in qual tempo ed in quai parti Mitigarò gli tuoi dolori intensi? E tu, mio cor, come potrò appagarti Di quel ch'al grave tuo suffrir compensi ?

Quand’i

Daratti

debiti censi

l’alma,

o travagliata

mente,

Col cor, col spirto e con gli occhi dolente ? 1

(LM:

(B. [176-7])

esser;

G! G2:

(W. IT, 385-6)

essere)

(L. 699-700)

1085

(G.1 II, 411-2)

(G.t II, 440-1).

DE GLI EROICI

PORORI

Perché la mente aspira al splendor divino, fugge il consorzio de la turba, si ritira dalla commune opinione: non solo, dico, e tanto s’allontana dalla multidudine di suggetti,

quanto dalla communità de studii, opinioni e sentenze; atteso che per contraer vizii ed ignoranze tanto è maggior periglio, quanto è maggior il popolo a cui s’ aggionge. Nelli publici spettacoli, disse il filosofo morale, mediante il piacere più facilmente gli vizii s'ingeriscono*. Se aspira al splendor alto, ritiresi quanto può all'unità, contraasi quanto è possibile in se stesso, di sorte che non sia simile a molti, perché son molti;

e non sia nemico

se possibil sia serbar l’uno

de molti, perché e l’altro bene;

son dissimili,

altrimente

s’ap-

piglie a quel che gli par megliore. Conversa con quelli gli quali o lui possa far megliori, o da gli quali lui possa esser fatto megliore, per splendor che possa donar a quelli, o da quelli possa ricever lui. Contentesi più d’uno idoneo che de l’ inetta moltitudine. Né stimarà d’aver acquistato poco, quando è dovenuto a tale che sia savio per sé, sovvenendogli quel che dice Democrito: Unus miki pro populo est, et populus pro uno; e che disse

Epicuro

ad

un

Haec

tibi, non multis;

trum

sumus?.

consorte

de

suoi

studii,

satis enim magnum

scrivendo:

alter alteri thea-

La mente dunque ch’'aspira alto, per la prima lascia la cura della moltitudine, considerando che quella luce spreggia la fatica, e non si trova se non dove è l' intelligenza;e non

7,

(B.

1 SENECA, Epist., 7, 2. * Per Democrito, v. SENECA, 11 (cfr. Usener, fr. 208).

[177-8]))

(W.

IT, 386-7)

Epist.,

(L. 700)

1086

7,

10;

per

(G.! II, 412-3)

Epicuro,

ivi,

(G.2 IL 441-2).

PARTE

dove

è ogni

SECONDA

intelligenza,

principali e prime

- DIALOGO

ma

la prima,

quella

PRIMO

che

è tra le poche,

principale ed una.

Cesarino. Come intendi che la mente aspira alto ? verbi grazia, con guardar sempre alle stelle? al cielo empireo? sopra il cristallino ? Maricondo.

Non certo, ma procedendo al profondo della

mente, per cui non fia mistiero massime aprir gli occhi al cielo, alzar alto le mani, menar i passi al tempio, intonar l'orecchie

de

simulacri,

onde

più

si

vegna

exaudito;

ma

venir al più intimo di sé, considerando che Dio è vicino, con sé e dentro di sé più ch'egli medesimo esser non si possa; come quello ch’ è anima de le anime,

essenza de le essenze:

vita de le vite,

atteso poi che quello che vedi alto

o basso, o incirca (come ti piace dire) degli astri, son corpi, son

fatture

simili

a questo

globo

in cui siamo

noi,

e nelli

quali non più né meno è la divinità presente che in questo nostro, o in noi medesimi. Ecco dunque come bisogna fare primeramente de ritrarsi dalla moltitudine in se stesso. Appresso deve dovenir a tale che non stime ma spreggie ogni fatica, di sorte che quanto più gli affetti e vizii combattono da dentro, e gli viziosi nemici contrastano

di fuori,

tanto più deve respirar e risorgere, e con uno spirito (se possibil fia) superar questo clivoso monte. Qua non bisognano altre armi e scudi che la grandezza d'un animo invitto e toleranza de spirito che mantiene l'equalità e tenor della

vita,

l’arte

di

che

procede

specolar

le cose

dove consiste quel sommo morale,

dalla

scienza,

ed

alte

e basse,

divine

bene.

che scrisse a Lucilio:

è

regolato ed

da

umane,

Per cui disse un filosofo

non bisogna

tranar le Scille,

le Cariddi, penetrar gli deserti de Candavia ed Apennini, o lasciarsi a dietro le Sirti; perché il camino è tanto sicuro (B.

(178-80])

(W.

II, 387)

(L. 700-1)

1087

(G.! IF, 413-4)

(G.2 II, 442-3).

DE

GLI

EROICI

FURORI

e giocondo quanto la natura medesima abbia possuto ordinare, Non è, dice egli, l'oro ed argento che faccia simile a Dio, perché non fa tesori simili; non gli vestimenti, perché Dio è nudo; non la ostentazione e fama, perché si mostra a pochissimi,

e forse che nessuno

lo conosce,

e certo molti,

e più che molti hanno mala opinion de lui; non tante e tante altre condizioni de cose che noi ordinariamente admiriamo, perché non queste cose delle quali si desidera la copia, ne rendeno talmente ricchi, ma il dispreggio di quelle 1. Cesarino. Bene: ma dimmi appresso, in qual maniera costui Tranquillarà gli sensi, mitigarà gli dolori del spirito, appagarà il core e darà gli proprii censi a la mente, di sorte che con questo suo aspirare e studii non debba dire: Nitimur in cassum? Maricondo. Talmente trovandosi presente al corpo che con la meglior parte di sé sia da quello absente, farsi come con indissolubil sacramento cong'onto ed alligato alle cose divine, di sorte che non senta amor né odio di cose mortali,

considerando d’esser maggiore che esser debba servo e schiavo del suo corpo; al quale non deve altrimente riguardare che come vischio

che

carcere che tien rinchiusa la sua libertade,

tiene

impaniate

le sue

penne,

catena

che

tien

strette le sue mani, ceppi che han fissi gli suoi piedi, velo che gli tien abbagliata la vista. Ma con ciò non sia servo, cattivo,

inveschiato,

incatenato,

discioperato,

saldo

e

cieco; perché il corpo non gli può più tiranneggiare ch'egli medesimo si lasce: atteso che cossi il spirito proporzional1 SENECA,

Epist.,

21,

(ma

31)

8-10;

parafrasi.

(B. {180-1]) (W. II, 387-8) (L. 701-2) (G.1 IL, 414-5) (G.2 IL 443). 1088

PARTE

SECONDA

DIALOGO

mente gli è preposto, come il mondo

PRIMO

corporeo e materia è

suggetta alla divinitade ed a la natura. Cossi farassi forte contra la fortuna, magnanimo contra l’ ingiurie, intrepido contra la povertà, morbi e persecuzioni. Cesarino. Bene instituito è il furioso eroico!

V. Cesarino. Appresso veggasi quel che séguita. Ecco la ruota del tempo affissa, che si muove circa il centro proprio, e vi è il motto: Manens moveor. Che intendete per quella? Maricondo. dove

il moto

Questo

vuol

concorre

con

dire, che si muove la quiete,

atteso

che

in circolo; nel moto

orbiculare sopra il proprio asse e circa il proprio mezzo si comprende la quiete e fermezza secondo il moto retto; over quiete del tutto e moto, secondo le parti; e da le parti

che si muoveno in circolo, si apprendeno due differenze di lazione, in quanto che successivamente altre parti montano

alla

sommità,

altre

dalla

sommità

descendeno

al

basso; altre ottegnono le differenze medianti, altre tegnono l'estremo dell'alto e del fondo. E questo tutto mi par che comodamente viene a significar quel tanto che s'esplica nel seguente

articolo:

Quel ch'il mio cor aperto e ascoso tiene, Beltà m’ imprime ed onestà mi cassa, Zelo ritiemmi, altra cura mi passa

Ter là d'ond'ogni Quando

penso

studio a l'alma viene:

suttrarmi

da le pene,

Speme sustienmi, altrui rigor mi lassa; Amor m'inalza, e riverenz'abbassa,

Allor ch'aspiro a l’alt' e sommo bene. Alto pensier, pia voglia, studio intenso De

A

1

(G!

=

l'ingegno,

l'oggetto L:

del

cor,

inmortal!,

inmortal;

G?:

de

le fatiche,

divin,

inmenso

immortal)

(B. [181-2)) (W. II, 388) (L. 702) (G.1 II, 415) (G? IL 443-4). 1089

DE

GLI

EROICI

FURORI

Fate ch’aggionga, m’appiglie e nodriche; Né più la mente!, la raggion, il senso In

altro

Onde

Costui

Che

attenda,

or

di me

discorra,

s' intriche;

si diche:

ch'av'affissi

gli occhi

fu rival d' Endimion,

al sole,

si duole 2.

Cossî come il continuo moto d'una parte suppone e mena seco il moto del tutto, di maniera che dal ributtar le parti anteriori sia conseguente il tirar de le parti posteriori; cossi il motivo de le3 parti superiori resulta necessariamente nell’ inferiori, e dal poggiar d'una potenza opposita séguita l’abbassar de l’altra opposita.

Quindi

viene il

cor (che significa tutti l’affetti in generale) ad essere ascoso ed aperto, ritenuto dal zelo, sullevato da magnifico pensiero,

rinforzato da la speranza, indebolito dal timore. Ed in questo stato e condizione si vederà sempre che trovarassi sotto il fato della generazione. VI. Cesarino.

Tutto

va bene.

Vengamo

a quel

che sé-

guita. Veggio una nave inchinata su l’onde; ed ha le sarte attaccate a lido ed ha il motto: Fluctuat in portu. Argumentate quel che può significare; e se ne siete risoluto, esplicate.

Maricondo. E la figura ed il motto ha certa parentela col precedente motto e figura, come si può facilmente comprendere, se alquanto si considera. Ma leggiamo l'articolo: Se da gli eroi, da gli dei, da- le genti Assicurato son che non desperi;



tema,

De 1 BL:

la morte,

a p. 1103. 3

(B.

(Gt

dolor,



del corpo,

lamente.

è Gli ultimi

(v. sopra,



p. 949).

=

[182-3])

tre versi furono Mancano

L:

de

le;

G2:

(W.

II, 388-9)

impedimenti

de piaceri

aggiunti

tuttavia

in W.

dal B. nell’errata corrige Lo

stesso dicasi

pel son.

delle)

(L. 702-3)

1090

(G.t II, 415-6)

(G.? II, 444-5).

PARTE Fia

SECONDA

ch'oltre

E perché Faccian

Speranza,

chiari

dubio,

gioia

apprendi,

vegga

dolor,

- DIALOGO

PRIMO

che

e senti;

soffrisca

i miei sentieri,

tristezza

spenti

e gli diletti intieri.

Ma se mirasse, facesse, ascoltasse Miei pensier, mici desii e mie raggioni, Chi le rende sf ’ncerti, ardenti e casse!, SI graditi concetti, atti, sermoni,

Non De

sa ?, non

l'orto,

fa, non ha qualunque

vita e morte

a le maggioni.

stassi

Ciel, terr’, orco s’opponi;

S'ella mi Farammi

splend’ e accend' ed emmi a lato, illustre, potente e beato 3.

Da quel che ne gli precedenti discorsi abbiamo considerato e detto si può comprendere il sentimento di ciò, massime dove si è dimostrato che il senso di cose basse è attenuato

ed

gliardamente

annullato

intente

dove

le potenze

ad oggetto

superiori

più magnifico

sono

ga-

ed eroico.

È tanta la virti della contemplazione (come nota Iamblico)

che accade tal volta non solo che l'anima ripose da gli atti inferiori, ma, ed oltre, lascie il corpo a fatto, Il che non voglio intendere altrimente che in tante maniere, quali sono esplicate nel libro De’ trenta sigilli, dove son prodotti tanti modi di contrazione; de quali alcune vituperosa-, altre eroicamente fanno che non s’apprenda tema

di morte,

non

si soffrisca dolor di corpo,

non

si sen-

tano impedimenti di piaceri; onde la speranza, la gioia e gli diletti del spirto superiore siano di tal sorte intenti, 1 BL: rima. altro

cassi. Ma la correzione, già fatta da IW, è richiesta dalla

2 W: dà, annotando: «Il testo ha fa. La concisione (?) richiede vocabolo; tuttavia è oscura ». 3 Per gli ultimi tre versi, vedi p. 949. Anch'essi son tralasciati

da W.

4 Cfr.

sopra,

p.

842,

n. 3.

(B. [133-4]) (W. II, 3809-90) (L. 703-4) (G.T IT, 416-7) (G.2 II, 445-6).

I09I 7)



G.

Biuno,

Mialoghi

italiani

DE

GLI

EROICI

che faccian spente le passioni

FURORI

tutte che possano

aver ori-

gine da dubbio, dolore e tristezza alcuna. Cesarino. Ma che cosa è quella da cui richiede che mire a que’ pensieri ch’ ha resi cossi incerti, compisca gli suoi desii che fa si ardenti, ed ascolte le sue raggioni che rende

sf casse ? Maricondo. Intende l'oggetto il quale allora il mira, quando esso se gli fa presente; atteso che veder la divinità è l’esser visto da quella, come vedere il sole concorre con l’esser visto dal sole. Parimente essere ascoltato dalla divinità è a punto ascoltar quella, ed esser favorito da quella

è il medesimo esporsegli !: dalla quale una medesima cd immobile procedeno pensieri incerti e certi, desi ardenti ed appagati, e raggioni exaudite e casse, secondo che degnao indegnamente l'uomo se gli presenta con l’ intelletto, affetto ed azioni. Come il medesimo nocchiero vien detto caggione della summersione o salute della nave, per quanto

che o è a quella presente, overo da quella trovasi absente; eccetto che il nocchiero per suo diffetto o compimento ruina e salva la nave; ma la divina potenza che è tutta in tutto, non si porge o suttrae

se non per

altrui

conver-

sione o aversione. VII. Maricondo. Con questa dunque mi par ch'abbia gran concatenazione e conseguenza la figura seguente, dove son due stelle in forma de doi occhi radianti con il

suo motto che dice: Mors et vita. Cesarino. I B(L):

esporsergli. W: esporserle; annotando: « Il testo ha espor-

[184-6))

(W.

sergli (B.

Leggete dunque l'articolo.

viziosamente.

IT,

Emendi 390)

(L.

frattanto

meglio

chi

704)

II,

417-8)

1092

(G.1

può». (G.2

1I,

446-7).

PARTE

Maricondo.

Ma Ed

DIALOGO

PRIMO

Cossi farò:

Per

Nel

SECONDA

man

volto

d’amor

mio

scritto

l' istoria

de!

veder mie

potreste

pene;

tu (perché il tuo orgoglio non si affrene, io infelice eternamente reste) A le palpebre belle a me moleste

Asconder fai le luci tant'amene, Ond' il turbato ciel non s’asserene,



caggian

le nemiche

ombre

funeste.

Per la bellezza tua, per l'amor mio, Ch'a quella, benché tanta 2, è forse uguale,

Rendite a la pietà, diva, per Dio. Non prolongar il troppo intenso male, Ch' è del mio tanto amar indegno fio;

Non

Se,

sia tanto rigor con splendor tale. ch'io

viva,

ti cale,

Del grazioso sguardo

Mirami,

o bella,

apri le porte;

se vuoi

darmi

morte.

Qua il volto in cui riluce l’ istoria de sue pene, è l'anima,

in quanto che è esposta alla recepzion de doni superiori, al riguardo de quali è in potenza ed attitudine, senza compimento di perfezione ed atto, il qual aspetta la ruggiada divina. Onde ben fu detto: Anima mea sicut terra sine aqua tibi 3. Ed altrove: Os meum aperui et atiraxi spirituma, quia mandata

tua desiderabam s. Appresso,

l'orgoglio

che non s’affrena, è detto per metafora e simili-tudine (come de Dio tal volta si dice gelosia, ira, sonno); e quello significa la difficultà con la quale egli fa copia di far

vedere

al meno

le sue

spalli,

che

è il farsi

conoscere

mediante le cose posteriori ed effetti. Cossi copre le luci con I

(LFM:

* BL:

de;

Ch'a

Gle

«aperui;

5 Salmi,

di)

(quella benche

3 Salmi, CXLII,

4 W:

G?:

6.

et altrove

CXVIII,

131.

tanta)

è.

Spiritum ».

(B. [186-7]) (W. II, 390-1) (L. 704-5) (G.! IT, 418-9) (G.? II, 447.8). 1093

DE

le palpebre,

non

GLI

EROICI

FURORI

asserena

il turbato

si fanno

graziosi

cielo de la mente

umana, per toglier via l’ombra de gli enigmi e similitudini, Oltre (perché non crede che tutto quel che non è, non possa essere) priega la divina luce che — per la sua bellezza la quale non deve essere a tutti occolta, almeno secondo la capacità de chi la mira, e per il suo amore che forse a tanta bellezza è uguale (uguale intende de la beltade, in quanto che la se gli può far comprensibile), — che si renda alla pietà, cioè che faccia come quelli che son piatosi, quali da ritrosi e schivi

ed affabili;

e che

non

prolonghe il male che avviene da quella privazione, e non permetta che il suo splendor per cui è desiderata, appaia maggiore che il suo amore con cui si communiche: stante che tutte le perfezioni in lei non solamente sono uguali, ma ancor medesime. Al fine la ripriega che non oltre l’attriste con la privazione; perché potrà ucciderlo con la luce de suoi sguardi, e con que’ medesimi donargli la vita: e però non lo lasce a la morte con ciò che le amene luci siano ascose da le palpebre. Cesarino.

Vuol

cede da somma

dire

quella

morte

gioia, chiamata

de

amanti

da cabalisti mors

che

pro-

osculi 1 ?

la qual medesima è vita eterna, che l’uomo può aver in disposizione in questo tempo ed in effetto nell’eternità? Maricondo. Cossf è. VIII. Cesarino. Ma è tempo di procedere a considerar il seguente dissegno simile a questi prossimi avanti rapportati, con li quali ha certa conseguenza. 1 Cîr. (B.

sopra,

(187-8))

(W.

p.

1010.

II,

301)

(L. 705-6)

1094

(G.!

II,

Vi è un’aquila che

419-20)

(G.2

II,

448).

PARTE

SECONDA

DIALOGO

PRIMO

con due ali s'appiglia al cielo; ma non so come e quanto vien ritardata dal pondo d'una pietra che tien legata a un piede. Ed evvi il motto: Scinditur incertum. E certo significa la moltitudine, numero e volgo delle potenze de l'anima; alla significazion della quale è preso quel verso: Scinditur

incertum

studia

in contraria

vulgus!.

Il quale volgo tutto generalmente è diviso in due fazioni (quantunque, subordinate a queste, non mancano de l'altre); de le quali altre invitano a l'alto dell' intelligenza e splendore di giustizia, altre allettano, incitano e forzano in certa maniera «1 basso, alle sporcizie delle voluttadi e compiacimenti de voglie naturali. Onde dice

l'articolo:

Bene far voglio, e non mi vien permesso; Meco il mio sol non è, bench'io sia seco, Che per esser con lui, non son più meco,

Ma

da me lungi, quanto a lui più presso. Per goder una volta, piango spesso;

Cercando

Perché

gioia,

veggio

afflizion

tropp'alto,

mi

reco;

son sf cieco;

Per acquistar mio ben, perdo me stesso. Per amaro diletto e dolce pena

Impiombo

al centro,

e vers' il ciel m'appiglio;

Necessità mi tien, bontà mi mena; Sorte m'affonda, m' inalza il consiglio; Desio mi sprona, ed il timor m'affrena; Cura m'accende, e fa tardo il periglio.

Qual diritto o divertiglio* Mi darà pace, e mi torrà de] lite, S'avvien

ch'un

si mi

scacce,

e l’altro

invite?

I VirciLIo, Aen., II, 39. è Cfr. Cand?, p. 132, n. LL

3 GI: (B.

di.

[188-9])

(W.

II,

39r-2)

(L. 706)

1095

(G.!

II,

420)

(G.2

IT,

448-9).

DE

L'ascenso

GLI

procede

EROICI

nell'anima

FURORI

dalla facultà ed appulso

ch' è nell’ali, che son l’ intelletto ed intellettiva volontade,

per le quali

essa naturalmente

mira a Dio, come a sommo

si referisce ! ed ha la sua

bene e primo vero, come

all’ab-

soluta bontà e bellezza; cossi come ogni cosa naturalmente ha impeto verso il suo principio regressivamente, e progressivamente

verso

il suo

fine e perfezione,

come

ben

disse?

Empedocle. Da la cui sentenza mi par che si possa inferire quel che disse il Nolano in questa ottava: Convien ch’ il sol, donde parte, raggiri, E al suo principio i discorrenti lumi; E "13 ch’è di terra, a terra si retiri,

E

al mar

corran

dal mar

partiti

fiumi,

Ed ond’ han spirto e nascon i desiri Aspiren, come a venerandi numi. Cossì

Nato,

dalla mia che

torne

diva a

ogni

mia

pensiero

diva

è mistiero4.

La potenza intellettiva mai si quieta, mai s'appaga in verità compresa, se non sempre oltre ed oltre procede alla verità incomprensibile. Cossi la volontà che séguita l'apprensione, veggiamo che mai s'appaga per cosa finita. Onde per consequenza non si referisce l'essenza de l’anima ad altro termine che al fonte della sua sustanza ed entità. Per le potenze poi naturali, per le quali è convertita al favore e governo della materia, viene a referirse ed aver appulso, I

vedi

a giovare

(G! = L:

% GI: dice. 3 B: El. W:

ed

referisce;

Quel. Ma

a comunicar G*:

può

la sua

perfezione

riferisce)

a p. 772, e ivi, n. 4. 4 Ottava appartenente forse

un’altra ottava

de

esser

"1

alla stessa

il B. riferisce nel Cand.?,

che=/o

che,

opera

giovanile

pp.

30-1.

per °

cui

di cui

(B. [189-91]) (W. IL, 392-3) (L. 706-7) (G.I II, 420-1) (G.* II, 449-50).

1096

PARTE

SECONDA

- DIALOGO

PRIMO

a cose inferiori per la similitudine che ha con la divinità, che per la sua bontade si comunica o infinitamente producendo,

idest

communicando

l'essere

mondi innumerabili in quello; solo questo universo suggetto

a l'universo

infinito

e

o finitamente, producendo alli nostri occhi e comun

raggione. Essendo dunque che nella essenza unica de l’anima

se ritrovano questi doi geni de potenze, secondo che è ordinata ed al proprio e l’altrui bene, accade che si depinga con un paio d'ali, mediante le quali è potente verso l’oggetto delle prime ed immateriali potenze; e con un greve sasso, per cui è atta ef efficace verso gli oggetti delle seconde e materiali potenze. Là onde procede che l'affetto intiero del furioso sia ancipite, diviso, travaglioso e messo in facilità de inchinare più al basso, che di forzarsi ad alto: atteso che l’anima si trova nel paese basso e nemico, ed ottiene 1 la regione lontana dal suo albergo pi naturale, dove le sue forze son più sceme. Cesarino. Credi che a questa difficultà si possa riparare ? Maricondo.

Molto

bene;

ma

il principio

è durissimo,

e

secondo che si fa più e più fruttifero progresso di contemplazione, si doviene a maggiore e maggior facilità. Come avviene a chi vola in alto che, quanto più s'estoglie da la terra, vien ad aver più aria sotto che lo sustenta, quentemente

meno

vien fastidito dalla gravità;

e conse-

anzi, tanto

può volar alto, che, senza fatica de divider l’aria, non

può

tornar al basso, quantunque giudicasi che più facil sia divider l’aria profondo * verso la terra, che alto verso l’altre stelle.

(B.

1 Come nel De l’ infinito, p. 360, e ivi, n. 1. ? Per questo mascolino, cir. sopra, p. 884, n.

2.

[r91-2]))

(G.2

(W.

II,

393)

(L.

707) 1007

(G.

II,

421-2)

II,

450-1).

DE

Cesarino.

quista

Tanto

sempre

GLI

EROICI

che col progresso

maggiore

in alto ? Maricondo.

FURORI

in questo

e maggiore

Cossi è; onde

ben

facilità

geno s'ac-

di montare

disse il Tansillo:

Quanto pi sott' il piè l’aria mi scorgo, 1 Pit le veloci penne al vento porgo, E spreggio il mondo, e verso il ciel m' invio ?.

Come ogni parte de corpi e detti elementi quanto più s’avvicina al suo luogo naturale, tanto con maggior impeto e forza va, sin tanto che al fine (o voglia o non) bisogna che vi pervegna. Qualmente dunque veggiamo nelle parti de corpi a gli proprii corpi, cossi doviamo giudicare de le cose intellettive verso gli proprii oggetti, come proprii luoghi, patrie e fini. Da qua facilmente possete comprendere il senso intiero significato per la figura, per il motto e per

gli carmi.

Cesarino. Di sorte mi parrebe soverchio.

che

quanto

vi s'aggiongesse,

tanto

IX. Cesarino. Vedasi ora quel che vien presentato per quelle due saette radianti sopra una targa, circa la quale è scritto Vicit instans. Maricondo.

la qual gran con

La guerra continua

tempo

la materia,

tra l’anima del furioso;

per la maggiore

era più

dura

familiarità che avea

ed inetta

ad esser penetrata

da gli raggi del splendor della divina intelligenza e spezie della divina bontade; per il qual spacio dice ch' il cor smal1 (G!1 = L: scorgo,; G2: % Vedi sopra, p. 999.

3 (G?;

uogo

scorgo.)

(per evidente

scorrezione

tipogr.))

(B. [192-3]) (W. IT, 393-4) (L. 707-8) (G.1 II, 422-3) (G.2 II, 451-2).

1098

PARTE

tato

SECONDA

de diamante,

- DIALOGO

cioè l'affetto

duro

PRIMO

ed inetto

ad esser

riscaldato e penetrato, ha fatto riparo a gli colpi d'amore

che aportavano gli assalti da parti innumerabili. Vuol dire, non ha sentito impiagarsi da quelle piaghe de vita eterna de

le quali

mewn, non

parla

0 dilecta,

son

la Cantica

quando

vulnerasti

cor

o d'altra

materia,

di ferro,

dice:

meum*.

Le

per

gli

deserti

della

contemplazione

quali

vigor

nervi; ma son freccie de Diana o di Febo: de

Vulnerasti

de

cor

piaghe

e forza

de

cioè o della dea la

Veritade,

cioè

della Dina, che è l'ordine di seconde intelligenze che riportano il splendor ricevuto dalla prima, per comunicarlo a gli altri che son privi de più aperta visione; o pur del nume più principale, Apollo, che con il proprio e non improntato splendore manda le sue saette, cioè gli suoi raggi, da parti innumerabili, tali e tante che son tutte le specie delle

cose;

telligenza,

le quali

beltade

son

indicatrici

e sapienza,

della

secondo

divina

bontà,

diversi

in-

ordini

dal-

luce,

con

l'apprension dovenir furiosi amanti *, percioché l’adamantino suggetto non ripercuota dalla sua superficie il lume impresso, ma, rammollato e domato dal calore e lume, vegna

a farsi tutto

in sustanza

luminoso,

tutto

ciò che vegna penetrato entro l'affetto e concetto. Questo non è subito nel principio della generazione, quando l’anima di fresco esce ad essere inebriata di Lete ed imbibita de l’onde de l’oblio e confusione; onde il spirito vien più cattivato al corpo e messo in essercizio della vegetazione, ed a poco a poco si va digerendo per esser atto a gli atti della 1 Cantico dei cantici, IV, sponsa, vulnerasti cor meum

9: « Vulnerasti cor meum, in uno oculorum tuorum

crine colli tui ». ? Il periodo è guasto

ma

(B. [193-4))

(L. 708-9) (G.! II, 423-4)

(W. II, 394)

il senso

1099

soror mea cet in uno

è chiaro.

(G. II, 452).

DE

GLI

EROICI

FURORI

sensitiva facultade, sin tanto che per la razionale e discorsiva. vegna a più pura intellettiva, onde può introdursi a la mente e non più sentirsi annubilata per le fumositadi di quell'umore che per l’exercizio di contemplazione non s'è putrefatto nel stomaco, ma è maturamente digesto. Nella qual disposizione il presente furioso mostra aver durato sei lustri, nel discorso: de quali non era venuto a quella purità di concetto, che potesse farsi capace

abitazione

delle

specie

ugualmente batteno Al fine l’amore che

peregrine,

che

offrendosi

a tutte

sempre alla porta de l' intelligenza. da diverse parti ed in diverse volte

l’avea assaltato come in vano (qualmente il sole in vano se dice lucere e scaldare a quelli che son nelle viscere de la terra ed opaco

profondo),

per essersi

accampato

quelle luci sante, cioè per aver mostrato specie intelligibili la divina bellezza, la quale con la di verità gli legò l'intelletto e con la raggione scaldogli l'affetto, vennero superati gli studi

in

per due raggione di bontà materiali

e sensitivi che altre volte soleano come trionfare, rimanendo

(a mal grado de l'eccellenza de l’anima) intatti; perché quelle luci che facea presente l’ intelletto agente illuminatore e sole d'intelligenza,

ebbero

facile entrata

per le sue

luci: quella della verità per la porta de la potenza intellettiva; quella della bontà per la porta della potenza appetitiva al core, cioè alla sustanza del generale affetto. Questo fu quel doppio strale che venne comc da man de guerriero irato; cioè più pronto, pit efficace ?, più ardito, che per tanto tempo innanzi s'era 1 Lo stesso che ® In IW manca:

corso. più efficace.

{B. [194-5)) (W. IL 394-5) (L. 709) (G.1 II, 424) (G. II, 452-3). II0O

PARTE

SECONDA

come

più debole

dimostrato

primieramente

DIALOGO

PRIMO

o negligente.

Allora

quando

fu si scaldato ed illuminato nel concetto,

fu quello vittorioso punto e momento, per cui è detto: Vicit instans. Indi possete intendere il senso della proposta figura, motto ed articolo che dice: Torte a' colpi d’Amor feci riparo Quando assalti da parti varie e tante Sofferse il cor smaltato di diamante; Ond'i miei studi de’ suoi trionfàro. Un

Al fin (come

Che

Facil

gli cieli destinàro)

di accampossi per

le mie,

entrata

in quelle

sole

al cor

Indi mi s'avventò

Che

da

man

di

Notò

quel

luogo,

Qual

tra

tutte

mio

quel

assalir

quante,

ritrovàro.

doppio

guerriero

sei lustri!

luci sante,

mi

irato

venne,

seppe

e forte

vi

strale,

male.

si tenne,

Piantò 'l1 trofeo di me là d'onde vale Tener ristrette mie fugaci penne. Indi

con

Apparecchio,

Mio

Singular

cor

più

sollenne

mai

cessano

del mio

instante

dolce

fu

della

quelle,

sole tra tutte

data

1 Questi del

sei

sonetto

vittoria;

lustri

(o degli

nemico

l’ ire.

il termine

perfezione

che

ferire

del

singulari

quante nonsi

Eroici

gemine

specie

trovàro

devono

furorî);

cominciamento

furon

facile entrata;

contare

perché

e

a risalire dalla

«un

di»

è ormai

un ricordo pel B.; il quale infatti dirà più sotto, che da allora le ire

del suo dolce nemico (Dio), diventato « unico e intiero possessor e disponitor de la sua anima», non han più cessato di travagliare

il suo cuore. I sei lustri sono i primi trent'anni della vita del filosofo;

e il « df » qui ricordato cadrebbe nel 1578. Al qual anno questo accenno autobiografico cosî determinato riporta quindi la data o del primo

svegliarsi

del

nuovo

spirito

filosofico

del

B.,

o,

se

si

vuole,

della sua conversione filosofica. Quell'anno il B. stampò a Venezia il libretto De' segni de’ tempi (doc. ven. IX); e non è necessario che fosse una specie di almanacco, come ha congetturato l’ IMBRIANI, Natanar II, nel Propugnatore, vol. VIII, parte I, pp. 88-9.

(B. [195-6]) (W. II, 395) (L. 7009-10) (G.t II, 424-5) (G.2 II, 453-4). IIOI

DE

GLI

EROICI

FURORI

atteso che quelle contegnono in sé l'efficacia e virti de tutte l'altre; atteso che qual forma megliore e più eccellente può presentarsi

che di quella bellezza, bontà

e verità, la quale

è

d'ogni

beltade?

il

quel collo,

fonte

altra

luogo,

impressevi

tenne,

verità,

prese

il

e se l’ha

bontà,

possessione

carattere

di

confirmato,

de

sé;

e

l'affetto, forte

stabilito,

sancito

Notò

rimar-

vi

si

di sorte

che non possa più perderlo: percioché è impossibile che uno possa

voltarsi

ad

amar

altra

cosa,

quando

una

volta

ha

compreso nel concetto la bellezza divina; ed è impossibile che possa far di non amarla, come è impossibile che nell'appetito cada altro che bene o specie di bene. E però massimamente deve convenire l'appetenzia del sommo bene. Cossi ristrette son le penne che soleano esser fugaci, concorrendo giù col pondo della materia. Cossi

da là mai

cessano

ferire,

sollecitando

l’af-

fetto e risvegliando il pensiero le dolci ire, che son gli efficaci assalti del grazioso nemico, già tanto tempo ritenuto escluso, straniero e peregrino. È ora unico ed intiero possessore e disponitor de l’anima; perché ella non vuole, né vuol volere altro; né gli piace, né vuol che gli piaccia altro, onde sovente dica: Dolci

Dolci

ire,

guerra

mie piaghe,

dolce,

dolci

dardi,

miei dolci dolori!,

X. Cesarino. Non mi par che rimagna cosa da considerar oltre in proposito di questo. Veggiamo ora questa faretra I Il PETRARCA Dolci Dolce {(B.

[196-8))

(W.

nel son.

Dolci

ire:

ire, dolci sdegni e dolci paci, mal, dolce affanno e dolce peso... II, 395-6)

(L. 710) II02

(G.1

II, 425-6)

(G.2

II, 454-5).

PARTE

ed

arco

SECONDA

d'amore,

come

DIALOGO

mostrano

le

PRIMO

faville

che

sono

in

circa, ed il nodo del laccio che pende, con il motto che è: Subito,

clam.

Maricondo. Assai mi ricordo d’averlo ne l'articolo. Però leggiamolo prima: Avida

di

trovar

bramato

veduto’ espresso

pasto,

L'aquila vers’ il ciel ispiega l’ali, Facend' accorti tutti gli animali, Ch'al

terzo

volo

s'apparecchia

al guasto.

E del fiero leon ruggito vasto

Fa da l'alta spelunca orror Onde le belve, presentendo

T'uggon E

Muto

mortali, i mali,

a gli antri il famelico

’1 ceto,

quando

di Proteo

da

assalir

gli antri

impasto.

vuol

l’armento

di Teti,

Pria fa sentir quel spruzzo violento. Aquile in ciel, leoni in terra e i ceti

Signor' in mar,

Ma

non

vanno

a tradimento:

gli assalti d'amor vegnon! Lasso, que’ giorni lieti

Troncommi

Che

fèémmi

l'efficacia

a lungo

d'un

secreti.

instante,

infortunato

amante ?.

‘Tre sono le regioni de gli animanti composti de più elementi: la terra, l'acqua, l’aria. Tre son gli geni de quelli: fiere, pesci ed ucelli 3. In tre specie sono gli principi conceduti e definiti dalla natura: ne l’aria l'aquila, ne la terra il leone, ne l'acqua il ceto: de quali ciascuno, come dimostra più forza ed imperio che gli altri, viene anco a far aperto atto di magnanimità, o simile alla magnanimità. Percioché è osservato che il leone, prima che esca a la caccia, manda

un ruggito

forte che fa rintonar tutta la selva, come

1 GI; vengon. ® Questo ultimo

3 Cir. Spaccio,

(B.

[198-9])

(W.

terzetto

p. 601,

II, 396)

nelle

n. 5.

giunte.

(L. 7t0-1)

1103

Vedi

de

p. 949.

(G.! IT, 426-7)

(G.2 II

455-6).

DE

l'erinnico

cacciatore

At

saeva

Artdua

GLI

EROICI

nota

il poetico

e speculis

tecta

FURORI

tempus

petit,

stabuli

et

detto:

dea

nacta

de

nocendi,

culmine

summo

Pastorale canit signum, cornuque recurvo Tartaream intendit vocem, qua protinus omne

Contremuit

nemus,

et silvae

intonuere

profundae !.

De l'aquila ancora si sa che, volendo procedere alla sua venazione, prima s'alza per dritto dal nido per linea perpendicolare in alto, e quasi per l'ordinario la terza volta

si balza da alto con maggior impeto e prestezza che se volasse per linea piana; onde dal tempo in cui cerca il vantaggio della velocità del volo, prende anco comodità di specular da lungi la preda, della quale o despera o si risolve dopo fatte tre remirate. Cesarino. Potremmo conietturare per qual caggione, se alla prima

si presentasse

a gli occhi

subito a lanciarsegli sopra? Maricondo. Non certo. Ma

la preda,

non

viene

forse che ella sin tanto di-

stingue, se si gli possa presentar megliote, o più comoda preda. Oltre non credo che ciò sia sempre, ma per il più

ordinario, Or venemo a noi. Del ceto o balena è cosa aperta, che per essere un machinoso animale, non può divider l'acqui se non con far che la sua presenza sia presentita dal

ributto

de

l’onde,

senza

questo,

che

si trovano

assai

specie di questo pesce che con il moto e respirar che fanno, egurgitano una ventosa tempesta di spruzzo acquoso. Da tutte dunque le tre specie de principi animali hanno facultà

di prender

tempo

di scampo

di sorte che non procedeno 1 Vircicio, (B. [199-200])

Aen.,

VII,

(W. II, 396-7)

come

gli animali

inferiori;

subdoli e traditori.

Ma

srr-s. (L. 711-2) (G.!II, 427-8)

1104

(G.2 II, 456-7).

PARTE

SECONDA

DIALOGO

PRIMO

l’Amor che è più forte e più grande, e che ha domino! supremo

in cielo, in terra ed in mare,

e che per similitudine

di questi forse derrebe mostrar tanto più eccellente magnanimità, quanto

ha più forza, niente di manco

assalta e fere

a l’improvisto e subito. Labitur

Igne

Nec

totas

furtivo

habet

furor

in

medullas,

populante

latam

venas,

data

plaga

frontem;

Sed vorat tectas penitus medullas, Virginum ignoto ferit igne pectus ?.

Come vedete, tivo fuoco,

questo tragico poeta lo chiama furignote fiamme; Salomone lo

chiama

furtive3,

acqui

d’aura

sottile4.

Samuele

Li quali

lo nomò

sibilo

tre significano

con

qual

dolcezza, lenità ed astuzia in mare, in terra, in cielo viene

costui a comes tiranneggiar l’universo. Cesarino® Non è più grande imperio, non è tirannide peggiore, non è meglior domîno $, non è potestà più necessaria, non è cosa pi dolce e suave, non si trova cibo che sia più austero ed amaro, non si vede nume più violento, non è dio più piacevole, non agente più traditore e finto, non autor più regale e fidele; e, per finirla, mi par che l'amor sia tutto e faccia tutto; e de lui si possa dir tutto e tutto

possa attribuirsi a lui. Maricondo. Voi dite molto bene. L'amor dunque 1 (LFM:

domino;

? SENECA,

v. 287,

Fedra,

B., come

3 Proverbii,

4 Libro III $ BL:

G!

suole

IX,

(ma

(come).

ed.

e G?:

Peiper

(vedi

dominio e

p. 206,

(ma

Richter,

n.

XIX,

12.

v..

p.

284-7

1), paenitus.

17; cîr. il De vinculis,

lI)dei Re,

vedi

(come

1075, e

n.

298.

1).)

Nel

in Opera,

III,

640 e 660.

II, 428-9)

(G.

II, 457).

6 Cîr. sopra, p. 1075, n. I. (B.

{200-1])

(W.

II, 397)

(L. 712)

1105

(G.!

DE

GLI

EROICI

FURORI

quello che opra massime per la vista, la quale è spiritualissimo de tutti gli sensi, perché subito monta sin alli appresi margini del mondo, e senza dilazion di tempo si porge a tutto l'orizonte della visibilità) viene ad esser presto, furtivo, improvisto e subito. Oltre è da considerare quel che dicono gli antichi, che l'amor precede tutti gli altri dei; però non fia mestiero de fingere che Saturno gli mostre

il camino, se non con seguitarlo. Appresso, che bisogna cercar se l’amore appaia e facciasi prevedere di fuori, se il suo allogiamento stesso core,

è l’anima

medesima,

e consiste nella medesima

il suo letto è l' i-

composizione

de no-

stra sustanza, nel medesimo appulso de nostre potenze. Tinalmente, ogni cosa naturalmente appete il bello e buono, e però non vi bisogna argumentare e discorrere perché l'affetto si informe e conferme; ma subito ed in uno instante

l'appetito s'aggionge a l’appetibile, come la vista al visibile. XI. Cesarino. Veggiamo appresso che voglia dir quella ardente saetta circa la quale è avolto il motto: Cui nova plaga

loco ? Dechiarate

che luogo

Maricondo. Non bisogna colo, che dice cossi:

cerca

far

questa

altro

che

per ferire.

leggere

l’arti-

Che la bogliente Puglia o Libia mieta Tante spiche ed areste tante a i venti Commetta, e mande tanti rai lucenti Da

sua

- Quanti

circonferenza

a gravi

il gran

dolor

pianeta,

quest'alma

lieta

(Che sl triste si gode in dolci stenti) Accoglie da due stelle strali ardenti,

Ogni

senso

Qual

studio

Che

tenti

e raggion più,

a me

dolce

creder

mi

nemico,

Amore?

ferir oltre

ti muove,

(L. 712-3)

(G.! II, 420) (G.? II, 457-8).

Or ch’una piaga è fatto tutto

(B. [201-2)) (W. II, 397-8)

vieta.

1106

il core?

PARTE

SECONDA

DIALOGO

PRIMO

Poiché né tu, né l’altro ha un punto, dove, Per stampar cosa nuova, a punga, o fore,

Volta, volta sicur or l’arco altrove, Non perder qua tue prove, Perché,

Oltre

o bel

tenti

dio,

amazzar

se

non

colui

in

vano,

ch'è

a torto

morto.

Tutto questo senso è metaforico come gli altri, e può esser inteso per il sentimento di quelli. Qua la moltitudine de strali che hanno ferito e feriscono il core, significa gl’ innumerabili individui e specie de cose, nelle quali riluce il splendor della divina beltade, secondo gli gradi di quelle, ed onde ne scalda l'affetto del proposto e appreso bene. De quali l'un e l’altro, per le raggioni de potenzia ed atto, de possibilità ed effetto,

e cruciano

senso

sentir l'amaro.

di dolce

intiero

e fanno

è tutto

convertito

a Dio,

e consolano,

cioè

è tutta amore,

dove

all'idea

dal lume de cose intelligibili la mente unità superessenziale,

Ma

e donano

l'affetto

de

le idee,

viene exaltata alla tutta una,

non

viene

ad sentirsi sollecitata da ! diversi oggetti che la distraano, ma è una sola piaga, nella quale concorre tutto l'affetto, e che viene ad essere la sua medesima affezione. Allora non è amore o appetito di cosa particolare che possa sollecitare, né almeno farsi innanzi a la voluntade; perché non è cosa più retta ch' il dritto, non è cosa pit bella che la bellezza,

non è più buono che la bontà, non si trova più grande che la grandezza,



cosa

più lucida

che

quella

luce,

la quale

con la sua presenza oscura e cassa gli lumi tutti. Cesarino.

Al perfetto,

se è perfetto,

non

è cosa

che

si

possa aggiongere: però la volontà non è capace d'altro appetito, quando fiagli presente quello ch’è% del perfetto, 1 B:

de;

L:

di;

WG!:

da.

(B. [202-4]) (W. II, 398-9) (L. 713-4) ([G.! II, 429-30) (G.? IT, 458-0).

1107 74



0.

Druno,

Dialoghi

italiani

DE

sommo

GLI

e massimo.

EROICI

FURORI

Intendere dunque posso la conclusione,

dove dice a l'amore: Non ve; perché, se non

perder qua tue proin vano, a torto (si

dice per certa similitudine e metafora) tenti amazzar colui ch'è morto; cioè quello che non ha

più vita né senso circa altri oggetti, onde da quelli possa esser

punto

o

forato;

a che

oltre

viene

esposto ad altre specie? E questo lamento

accade a colui

che, avendo gusto de l' ottima unità, vorrebe tutto exempto ed abstratto dalla moltitudine.

Maricondo.

ad essere

essere

al

Intendete molto bene.

XII *. Cesarino. Or ecco appresso un fanciullo dentro un battello che sta ad ora ad ora per essere assorbito da l'onde

tempestose,

gli remi.

Ed

evvi

che

languido

circa lo motto:

è dubio che questo significhe l’acqui fu invitato a solcar il proviso avendo inturbidato il spavento, e per impotenza di dismetter il capo, braccia e

e

lasso

ha

abandonati

Front: nulla fides *. Non

che lui dal sereno aspetto de mare infido; il quale a l’ imvolto, per estremo e mortal romper l’ impeto, gli ha fatto la speranza. Ma veggiamo il

resto: La

Gentil

garzone,

pargoletta

Vago

del mar,

Or sei repente La Né

Vedi

XI.

dal lido

e al

l’ indotta

accorto

traditor

remo

man

scioglieste frale,

porgeste,

del tuo male.

l'onde

funeste,

prora tua, ch'o troppo scende l’alma, vinta da cure moleste,

Contra

1 B:

del

che

barca,

gli obliqui

Cfr. sopra,

2 GIOVENALE,

Sat.,

p.

II,

e gonfii

8.

o sale;

flutti vale.

1106.

(B. [204-5]) (W. II, 399) (L. 714) (G.t II, 430-1) (G.? II, 459-60). 1108

PARTE Cedi

SECONDA

gli

remi

LTALOGO

al tuo

fiero

PRIMO

nemico,

E con minor pensier la morte aspetti, Che per non la veder gli occhi ti chiudi. Se

non

è presto

alcun

soccorso

amico,

Sentirai certo or or gli ultimi effetti De tuoi sf rozzi e curiosi studi. Son

Simili

Sento

gli miei a’

tuoi,

il rigor

fati crudi perché,

del più

vago

gran

d'Amore,

traditore.

In qual maniera e perché l’amore sia traditore e frodulento, l'abbiamo poco avanti veduto. Ma perché veggio il seguente

senza imagine

guenza con il presente: Lasciato

Feriando

Ero

messo

da

e motto,

credo

però continuamo

il porto studi

a mirar

per

più

prova

maturi,

quasi

che

abbia

conse-

leggendolo:

e per poco,

per gioco,

Quando viddi repente i fati duri. Quei si m' han fatto violento il foco,

Ch'in

van

ritento

ai

lidi

più

sicuri,

In van per scampo man piatosa invoco, Perché al nemico mio ratto mi furi. Impotente a suttrarmi, roco To cedo al mio destino, e non

Di

far vani

Facciami

ripari

pur

a la mia

d'ogni

altra

E non più tarde l'ultimo

Che È

Al

m' ha prescritto

Tipo

quel sen

di mio che

mal

si commese

nemico,

morte. vita

casso,

fera

sorte.

tormento,

la mia

forte

e lasso, più tento

per

improvido

trastullo

fanciullo.

Qua non mi confido de intendere o determinar tutto quel che significa il furibso. Pure è molto espressa una

strana condizione

d' un animo dismesso dall’ apprension

della difficultà de l'opra, grandezza de la fatica, vastità del lavoro,

da un canto;

e da un altro, l’ ignoranza,

privazion

de l’arte, debolezza de nervi e periglio di morte. Non ha consiglio atto al negocio; non si sa d’onde e dove debba (B. {205-7])

(W. II, 399-400)

(L. 714-5) (G.! IT, 43:-2) (G.? II, 460-1).

1109

DE

GLI

EROICI

FURORI

voltarsi, non si mostra luogo di fuga o di rifugio; essendo che da ogni parte minacciano l'onde de l’ impeto spaventoso e mortale. Ignoranti portum mnullus suus ventus est.

Vede colui, che molto e pur troppo s' è commesso fortuite, ruina,

s'aver

edificato

la summersione.

la Vede

perturbazione, come

a cose

il

carcere,

la

la fortuna

si gioca

di

noi; la qual ciò che ne mette con gentilezza in mano, o lo

fa rompere facendolo versar da le mani istesse, o fa che da l'altrui violenza ne sia tolto, e fa che ne suffoche ed avvelene,

o ne

sollecita

con

la suspizione,

timore

e gelosia,

a

gran danno e ruina del possessore. Fortune an ulla putatis dona carere dolis ? Or, perché la fortezza che non può far esperienza di sé, è cassa; la magnanimità che non può prevalere,

è nulla,

ed è vano

il studio

senza

frutto;

vede

gli effetti del timore del male, il quale è peggio ch' il male istesso. Petor est morte timor ipse mortis. 1 Già col timore patisce tutto quel che teme de patire, orror ne le membra, imbecillità ne gli nervi, tremor del corpo, anxia del spirito;

e si fa presente quel che non gli è sopragionto ancora, ed è certo peggiore che sopragiongere gli possa. Che cosa più stolta che dolere per cosa futura, absente e la qual presente non

si sente?

Cesarino. Queste son considerazioni su la superficie e l' istoriale de la figura. Ma il proposito del furioso eroico penso che verse circa l’'imbecillità de l’ ingegno umano, il quale, attento a la divina impresa, in un subito talvolta si trova ingolfato nell’abisso della eccellenza incomprensibile; onde il senso ed imaginazione vien confusa ed assor-

1

p. 64, (B.

(Parafrasi

n. 62.)

[207-8]))

di

Sen.,

(W. II, 400-1)

Thyestes,

v.

(L. 715-6) IIIO

572:

cir.

Lim.,

(G.1 II, 432-3)

Saggio

cecc.,

(G.2 II, 461-2).

PARTE

SECONDA

bita, che non sapendo

- DIALOGO

passar avanti,

PRIMO

né tornar a dietro,

né dove voltarsi, svanisce e perde l'esser suo; non altrimente

che una stilla d’acqua che svanisce nel mare, o un picciol spirito che s’attenua perdendo la propria sustanza nell’aere spacioso ed inmenso. Maricondo. stanza,

perché

Bene,

ma

andiamone

discorrendo

verso

è notte.

Fine

del

primo

dialogo.

(B. [208]) (W. II, 4o1) (L. 716) (G.t II, 433) (G2 II, 462).

IIIl

la

DIALOGO Mariconda*. avolto

vuol

de

Qua

vedete

circa

il quale

significar come

sporta

ma

lacci,

il suo

l’inalza,

servo,

lo

libertade. Cesarino.

SECONDO un

giogo

è scritto:

l'amor

divino

cattivo

e schiavo

sulleva,

Priegovi,

fiammeggiante

non

leggiamo

Levius

aura;

che

aggreva,

non

tra-

al basso,

il magnifica

sopra

presto

se pur

in quello

Mariconda.

Dice

non si trova

al fondo;

qualsivoglia

l'articolo,

con più ordine, proprietà e brevità possiamo senso,

ed

perché

considerar il

altro.

cossi:

Chi fémmi ad altro! amor la mente desta, Chi fémmi ogni altra diva e vile e vana,

In cui beltade

Unicamente più Quell' è ch'io

Cacciatrice

di

e la bontà sovrana si manifesta; viddi uscir da

me,

la mia

Diana,

la foresta,

Tra belle ninfe su l’aura Campana,

Per cui dissi ad Amor: — Mi rendo a questa. Ed egli a me: — O fortunato amante! O dal tuo fato gradito consorte!

Ché

colei

Quai

I B:

sola

che

tra

ha nel grembo

tante

e tante,

la vita e la morte,

Più adorna il mondo con le grazie Ottenesti per studio e per sorte;

sante,

Mariconda;

la prima

WLG!:



Maricondo.

Ma

non

è f. er-

(rata; perché appunto questa si trova non solo nelle Numerazioni del 1545 {cc. 23v e 20v) e del 1563 (cc. 58r e sor) de’ Fuochi, ma

anche nel primo ' Alfabeto delle Casare de Citatini Nolani onorate (c. 81v) del Ms. c. della Biblioteca dell’ Oratorio % (L: altr'; M emenda alto (cfr. p. 1119).)

(B. [209-10])

(W. II, 401-2)

(L. 716-7) XII2

(G.! 1I, [4341)

di Napoli.

(G.2 II, [463]).

PARTE

SECONDA

Ne l’amorosa

Si

Che

altamente

non

corte

felice

invidii

DIALOGO

cattivo?

a-sciolto

SECONDO

4

altr'uomo

o divo.

Vedi quanto sia contento sotto tal giogo, tal coniugio, tal soma che l’ ha cattivato a quella che vedde uscir da la foresta, dal deserto, da la selva; cioè da parti rimosse dalla

moltitudine, dalla conversazione, dal volgo, le quali son lustrate da pochi. Diana, splendor di specie intelligibili, è cacciatrice di sé, perché con la sua bellezza e grazia l' ha ferito prima e se l’ ha legato poi; e tienlo sotto il suo imperio più contento che mai altrimente avesse potuto essere. Questa dice

titudine

d’altre

Campana,

a Nola, si rese, che per che, tra

tra

belle

specie,

forme

ninfe,

ed

cioè quello ingegno

idee;

e

cioè tra la mol

su

l’aura

e spirito che si mostrò

che giace al piano de l’orizonte Campano. A quella quella più ch’altra gli venne lodata da l’amore, lei vuol che sì tegna tanto fortunato, come quella tutte quante si fanno presenti ed absenti da gli

occhi de mortali, più altamente adorna il mondo,

fa l'uomo

glorioso e bello. Quindi dice aver sf desta la mente ad eccellente amore, che apprende ogni altra diva, cioè cura ed osservanza d’ogni altra specie, vile e vana. Or in questo che dice aver desta la mente ad amor alto, ne porge essempio de_magnificar tanto alto il core per gli pensieri, studii ed oprè,-quanto più possibil fia, e non intrattenerci a cose basse e messe sotto la nostra facultade,

come

accade

a coloro

che

o per

avarizia,

o per

negligenza, o pur altra dapocagine rimagnono in questo breve spacio de vita attaccati a cose indegne. Cesarino. Bisogna che siano ! arteggiani, meccanici, agri1

(LFM:

(B. [210-2])

siano;

G! G?:

(W. II, 402)

sieno)

(L. 717) (G.! II, [434]-5)

1113

(G.2 II, [463]-4).

DE

coltori,

servidori,

simili:

perché

sofi,

contemplativi,

illustri,

EROICI

pedoni,

altri nobili,

GLI

ignobili,

altrimente coltori

ricchi,

FURORI

vili, poveri,

non

degli

potrebono

animi,

sapienti

ed

pedanti

essere

padroni,

altri

che

ed

filo-

capitani,

siano

eroici

simili a gli dei. Però a che doviamo forzarci ! di corrompere

il stato della natura il quale ha distinto l'universo in cose maggiori e minori, superiori ed inferiori, illustri ed oscure, degne ed indegne, non solo fuor di noi, ma ed ancora dentro di noi, nella nostra sustanza di

sustanza

che

s’afferma

medesima,

inmateriale;

sin a quella parte come

genze altre son suggette, altre preminenti, ubediscono, altre comandano

delle

intelli-

altre serveno ed

e governano ? Però io crederei

che questo non

deve esser messo

delle

al fine

per essempio,

a fin che,

li sudditi volendo essere superiori, e gl’ignobili uguali a gli nobili, non vegna a pervertirsi e confondersi l'ordine cose,

che

succeda

certa

neutralità

e bestiale

equalità, quale si ritrova in certe deserte ed inculte republiche. Non vedete oltre in quanta iattura siano venute le scienze per questa caggione, che gli pedanti hanno voluto essere filosofi, trattar cose naturali, intromettersi a determinar di cose divine ? Chi non vede quanto male è accaduto ed accade per averno simili fatte ad alti amori le menti deste? Chi ha buon senso, e non vede del profitto che fe’ Aristotele, che era maestro de lettere umane ad Alessandro, quando applicò alto il suo spirito a contrastare e muover guerra

a la dottrina

pitagorica

e quella

de’

filosofi natu-

rali ?, volendo con il suo raciocinio3 logicale ponere diffi1 BL:

? Cioè

forzarsi.

i filosofi

3 È' parso,

ma

naturalisti,

non

i fisiologi

è, errore

dopo, si trovi la f. comune.

presocratici.

di stampa,

Perché

quantunque,

prima

B. dà altri esempi di doppioni

{B. [212-3]) (W. II, 402-3) (L. 717-8) (G.1 II, 435-6) (G.2 IL, 464-5). III4

e

PARTE

SECONDA

- I IALOGO

SECONDO

nizioni, nozioni, certe quinte entitadi ed altri parti ed aborsi ! de fantastica cogitazione per principi e sustanza di cose, studioso più della fede del volgo e sciocca moltitudine, che viene più incaminata e guidata con sofismi ed apparenze che si trovano nella superficie delle cose, che della verità che è occolta nella sustanza di quelle ed è la sustanza medesima loro? Fece egli Ia mente desta non a farsi

contemplatore,

ma

giudice

e

sentenziatore

di

cose

che non aveva studiate mai, né bene intese. Cossi a’ tempi nostri quel tanto di buono ch'egli apporta, e singulare di raggione inventiva, indicativa e di metafisica, per ministerio d’altri pedanti che lavorano col medesimo sursunm corda, vegnono instituite nove dialettiche = e modi di formar la raggione tanto più vili di quello d'’Aristotele, quanto forse la filosofia d’Aristotele è incomparabilmente pid vile di quella de gli antichi. Il che è pure avvenuto da quel che certi grammatisti, dopo che sono invecchiati nelle culine de

fanciulli

destar

e notomie

la mente

de

frasi

a far nuove

e de

vocaboli,

logiche

han

voluto

e metafisiche,

giudi-

cando e sentenziando quelle che mai studiorno ed ora non intendono. Là onde cossi questi, col favore della ignorante moltitudine (al cui ingegno son più conformi), potranno3 cossî 4 ben donar il crollo alle umanitadi e raziocinii d’Aristotele,

come

questo

sofie. Vedi dunque simili. P. e., subito spacio; ecc. 1 Anche questa ma

cfr. sopra,

p.

fu carnefice delle

altrui

a che suol promovere qui

appresso,

583,

n. 3.

a Pietro

filo-

questo consiglio,

a p. 1128: nemicicia; a p. 1168!

f. è sembrata

% Nuova allusione 3 GI: si potranno. 4 WGI: così.

divine

crronea

Ramo.

Cfr.

ed

è stata

p. 260,

emendata;

n. 2.

(B. [213-4]) (W. II, 403) (L. 718-9) (G.1 II, 436-7) (G2 II, 465-6). I1I5

DE

GLI

EROICI

se tutti aspireno al splendor prese vili e vane. Mariconda.

FURORI

santo, ed abbiano

altre im-

ride, si sapis, o puella, ride,

Pelignus, puto, dixerat poeta; Sed non dixerat omnibus puellis; Et

Non

si dixerit

omnibus

dixit tibi. Tu

puellis,

puella

non

cs!.

Cossi il sursum corda non è intonato a tutti, ma a quelli ‘ch’ hanno l’ali. Veggiamo bene che mai la pedantaria è stata più in exaltazione per governare il mondo, che a’ tempi nostri; la quale fa tanti camini de vere specie intel-

ligibili ed oggetti de l'unica veritade infallibile, quanti possano essere individui pedanti. Però a questo tempo massime denno esser isvegliati gli ben nati spiriti, armati dalla verità ed illustrati dalla divina intelligenza, di

prender

l’armi

contra la fosca ignoranza,

montando

su

l’alta rocca ed eminente torre della contemplazione. A costoro conviene d’aver ogni altra impresa per vile e vana. Questi non denno in cose leggieri e vane spendere il tempo la cui velocità è infinita; essendo che sf mirabilmente

precipitoso scorra il presente, e con la medesima prestezza s'accoste

il futuro.

Quel

che

abbiamo

vissuto

è nulla,

quel

che viviamo è un punto, quel ch'abbiamo a vivere non è ancora un punto, ma può essere un punto, il quale insierne sarà e sarà stato. E tra tanto questo s' intesse la memoria

di genealogie,

l'altro

sta

quello

occupato

1 MARZIALE,

retto Paelignus.

attende

a moltiplicar

Epigr., II,

Nel



a desciferar scritture,

1 (ma

Verum

41),

ut invece

sofismi

vv.

da

quel-

fanciulli.

1-5. Nel v. 2° va cor-

di E?

si

(ed.

Gilbert).

(B. [214-5)) (W. IL 403-4) (L. 719) (G.! II, 437-8) (G.? II, 466-7). 1116

PARTE

Vedrai,

verbi

SECONDA

grazia,

un

Cor

est fons

Ergo

cornix

Nix

est alba;

DIALOGO

volume

SECONDO

pieno

di:

vitae, est fons

vitae alba.

Quell’altro garrisce, se il nome fu prima o il verbo; l’altro, se il mare o gli fonti; l'altro vuol rinovare gli vocaboli absoleti * che,

per

esserno

venuti

una

volta

in uso

e pro-

posito d'un scrittore antico, ora de nuovo le vuol far montar a gli astri; l'altro sta su la falsa e vera ortografia; altri

sono

sopra

altre

ed

altre

simili

altri ed

frascarie;

le

quali

molto più degnamente son spreggiate che intese. Qua diggiunano, qua ismagriscono, qua intisichiscono, qua arrugano la pelle, qua allungano la barba, qua marciscono, qua

poneno

l’àncora

del sommo

bene.

Con

questo

spreg-

giano la fortuna, con questo fan riparo e poneno il scudo contra le lanciate del fato. Con tali e simili vilissimi pensieri credeno montar a gli astri, esser pari a gli dei, e comprendere il bello e buono che promette la filosofia. Cesarino.

È gran 8osa certo che il tempo, che non può

bastarci manco alle cose necessarie, quantunque diligentissimamente

guardato,

viene pera

maggior

parte

ad esser

sottosopra,

tutto era in ruina, era acceso il fuoco ne la sua

speso in cose superflue, anzi cose vili e vergognose. Non è da ridere di quello che fa lodabile Archimede o altro appresso alcuni, che a tempo che la cittade andava

1 B: absoleti; errore di stampa,

fusione di obsolesco

medesimo

{(p. 497),

WLG!: obsoleti. Non è improbabile che non sia ma piuttosto equivoco del B. dipeso dalla concon

significato.

egli non

absoleo,

Certo,

scrive

verbi

anche

di diversa

altrove,

diversamente.

come

coniugazione

nel

De

ma

di

l'infinito

(B. [215-6)) (W. IL, 404) (L. 719-20) (G.t IL, 438) (G2 II, 467). 1117

DE

stanza,

gli nemici

GLI

EROICI

gli erano

FURORI

dentro

la camera

a le spalli,

nella discrezion ed arbitrio de quali consisteva de fargli perdere l’arte, il cervello e la vita; e lui tra tanto avea

perso il senso e proposito di salvar la vita, per averlo laa perseguitar

a dietro

sciato

de la

la proporzione

forse

curva a la retta, del diametro al circolo o altre simili matesi 1,

tanto degne per giovanetti quanto essere

devrebbe

posseva,

invecchiato

atter.o

ed

più degne d’esser messe per fine de l'umano studio.

cose

a

In proposito di questo, mi piace quello che

Mariconda.

avanti

poco

medesimo

voi

se

che,

d’uno

indegne

dicesti :,

ch’ il

bisogna

che

sia pieno de tutte sorte de persone, e che il numero

mondo

degl’ imperfetti, brutti, poveri, indegni e scelerati sia maggiore; ed in conclusione, non debba essere altrimente che Prisciano, trovati

ed altri, che da la morte son 1 stati

di Donato

occupati

sopra

li

numeri,

le

dialecti, sillogismi

‘scienza’,

‘ disciplina’,

le

dizioni,

le

linee,

scritture,

concordanze,

di

Euclide,

è. La età lunga e vechiaia d' Archimede,

come

formali, metodi,

modi de scienze, organi ed altre isagogie, è stata ordinata al servizio della gioventi e de’ fanciulli, gli quali apprender possano e ricevere gli frutti della matura età di quelli, come conviene che siano mangiati da questi nella lor verde4 etade; a fin che più adulti vegnano senza impedimento atti e pronti a cose maggiori. Cesarino. To non son fuor del proposito che poco avanti ho mosso; essendo in proposito di quei che fanno studio 1 Qui

non

‘quesito ’, ‘ problema '

e simili.

come

suona

in

2 Cfr., per voi dicesti, p. 137, n. 3. nonché l' Introd. PP. LVII e LIX, e n. I a p. LIX. 3

(LM:

4 BL: (B.

[216-7])

son;

veder. (W.

G!G3:

greco,

al

ma

Cand.?,

sono)

II, 404-5)

(L. 720)

1118

(G.1 II, 438-9)

(G.? II, 467-8).

PARTE

SECONDA

DIALOGO

SECONDO

d’ involar la fama e luogo de gli antichi con far nove opre o peggiori, o non megliori de le già fatte, e spendeno la vita su le considerazioni da mettere avanti la lana di capra o l'ombra de l'asino; ed altri che in tutto il tempo de la vita studiano di farsi esquisiti in que’ studii che convegnono alla fanciullezza, e per la massima parte il fanno senza proprio ed altrui profitto. Mariconda. Or assai è detto circa quelli che non possono né debbono ardire d'aver ad alto amor la mente desta. Venemo ora a considerare della volontaria cattività e dell'ameno giogo sotto l’ imperio de la detta Diana: quel giogo, dico, senza il quale l’anima è impotente de rimontar a quella altezza, da la qual cadio !, percioché la rende più leggiera ed agile; e gli lacci la fanno più ispedita e sciolta. Cesarino. Discorrete dunque. Mariconda. ordine, che

Per cominciar, continuar e conchiudere con

considero

vive,

che

conviene

tutto

che

quel

in qualche

che

vive,

in

maniera

quel

modo

si nodrisca,



pasca. Però a la natura intellettuale non quadra altra pastura che intellettuale, come al corpo non altra che corporale: atteso che il nodrimento non si prende per altro fine,

eccetto

perché

vada

in sustanza

de

chi

si nodrisce.

Come dunque il corpo non si trasmuta in spirito, né il spirito si trasmuta in corpo (perché ogni trasmutazione si fa quando

la materia

che

era

sotto

la forma

de

uno,

viene ad essere sotto la forma de l’altro), cossi il spirito ed il corpo non hanno materia commune, di sorte che quello

1 Napol.:

(B.

[217-8))

cadie,

(W.

cadieno:

II, 405)

caddero.

(L. 720-1) (G.! II, 439-40)

1119

(G.2 II, 468-9).

DE

ch'era

soggetto

a uno,

de l'altro.

Cesarino. tarebe

GLI

Certo

meglio

EROICI

possa dovenire

se l’anima

dove

FURORI

è

la

ad essere ! soggetto

se nodrisse

fecondità

de corpo,

si por-

materia

(come

della

argumenta Iamblico); di sorte che, quando ne si fa presente un corpo grasso e grosso, potremmo credere che sia vase

d’un.animo

gagliardo,

fermo,

pronto,

eroico,

e dire:

O anima grassa, o fecondo spirito, o bello ingegnu, o divina

intelligenza, o mente

illustre, o benedetta

un convito a gli leoni, over un banchetto un

vecchio,

come

appare

marcido,

ipostasi da far

a i dogs ?. Cossi

debole

e diminuito

de

forze, debba esser stimato de poco sale, discorso e raggione. Ma seguitate. Mariconda. Or l’esca de la mente bisogna dire che sia quella sola che sempre

da lei è bramata,

cercata,

abbrac-

ciata e volentieri più ch’altra cosa gustata; per cui s'empie,

s'appaga, ha prò e dovien megliore: cioè la verità alla quale in ogni tempo, in ogni etade ed in qualsivoglia stato che si trove l’uomo, sempre aspira, e per cui suol spreggiar qual-

sivoglia fatica, tentar ogni studio, non far caso del corpo ed aver in odio questa vita. Perché la verità è cosa incorporea; perché nessuna, o sia fisica, o sia metafisica, o sia matematica, si trova nel corpo; perché vedete che l’eterna essenza umana non è ne gl’individui li quali nascono e muoiono.

tudine

È la unità specifica,

numerale

Però

chiamò

come

specie

1

(LFM!:

® Dog

che

comporta

l’idea uno

e molti,

incorrottibile, essere;

G!

(inglese), cane.

disse Platone,

e G%:

è cosa

la

non la molti-

sustanza

de

stabile e mobile;

intelligibile

le cose. perché,

ed una;

e

esser)

(B. [218-9]) (W. IL 405-6) (L. 721) (G.1 II, 440-1) (G2 II, 469-790). 1120

PARTE

SECONDA

DIALOGO

SECONDO

come si communica alla materia ed è sotto il moto e generazione, è cosa sensibile e molti. In questo secondo modo ha più de non ente che di ente: atteso che sempre è altro ed altro, e corre eterno per la privazione. Nel primo modo è ente e vero. Vedete appresso che gli matematici hanno per conceduto che le vere figure non si trovano ne gli corpi naturali, né vi possono essere per forza di natura, né di arte. Sapete ancora che la verità de sustanze sopranaturali è sopra la materia. Conchiudesi

dunque,

che

a chi

cerca

il vero,

montar sopra la raggione de cose corporee. da considerare

bisogna

Oltre di ciò è

che tutto quel che si pasce, ha certa mente

e memoria naturale del suo cibo, e sempre {massime quando fia più necessario) ha presente la similitudine e specie di quello, tanto più altamente, quanto è più alto e glorioso chi ambisce, e quello che si cerca. Da questo, che ogni cosa ha innata la intelligenza

de quelle cose che

appartegnono

alla conservazione de l'individuo e specie, ed oltre alla perfezion sua finale, depende la industria di cercare il suo pasto

per qualche

Conviene,

l'ingegno

specie

dunque,

di venazione.

che

l’anima

e gl’ instrumenti

corre la contemplazione,

umana

abbia

atti alla sua caccia.

qua

viene

il lume,

Qua

in uso la logica,

socattis-

simo organo alla venazione della verità, per distinguere, trovare e. giudicare. Quindi si va lustrando la selva de le cose naturali, dove son tanti oggetti sotto l'ombra e manto;

e come in spessa, densa e deserta solitudine la verità suol aver gli antri

e cavernosi

ricetti,

fatti intessuti

de spine,

conchiusi de boscose, ruvide e frondose piante, dove con le raggioni più degne ed eccellenti maggiormente s'asconde, s'avvela e si profonda con diligenza maggiore; come noi (B.

[219-20])

(W.

II, 406-7)

(L. 721-2) 1I2I

(G.!

II,

441)

(G

II, 470).

‘DE

GLI

EROICI

FURORI

sogliamo gli tesori più grandi celare con maggior diligenza e cura,

accioché

dalla moltitudine

e varietà

de

cacciatori

(de quali altri son più exquisiti ed exercitati, altri meno) non vegna senza gran fatica discuoperta. Qua andò Pitagora cercandola per le sue orme e vestigii impressi nelle cose naturali,

progresso, perché

che son gli numeri

raggioni,

in numero

modi

ed

li quali mostrano

operazioni

de moltitudine,

numero

in

il suo

certo

modo;

de misure

e nu-

mero de momento o pondo la verità e l'essere si trova in tutte le cose. Qua andò Anaxagora ed Empedocle che, considerando che la omnipotente ed omniparente divinità empie

il tutto,

volessero

che

non

sotto

trovavano

quella

cosa tanto

fusse

occolta

minima

che non

secondo

tutte

le

da

le

raggioni, benché procedessero sempre ver là dove era predominante ed espressa secondo raggion più magnifica ed alta. Qua gli Caldei la cercavano per via di suttrazione, non sapendo che cosa di quella affirmare; e procedevano senza cani de demostrazioni e sillogismi; ma solamente si forzàro di profondare rimovendo, zappando, isboscando per forza di negazione de tutte specie e predicati comprensibili e secreti. Qua Platone andava como ! isvoltando, spastinando è e piantando ripari; perché le specie labili e fugaci

rimanessero

come

nella

rete,

e

trattenute

siepe 3 de le definizioni, considerando Îe cose superiori essere participativamente, e secondo similitudine speculare 1 Cfr. Spaccio, p. 757, n. 1. 2 Napoletanismo dal Iorio

col termine contrario: New World of Wordes, 261:): «pastinare,

registrato

nei

due

suoi

dizionari

of Words, 361: e 519, (Worlde as piantare o innestare; spa-

stinare, sradicare o potare». 3 B: siepe; WLG!: siepi. Correzione addotta sopra, p. 920, n. 3.

superfiua,

per

la ragione

{B. [220-1]) (W. II, 407) (L. 722-3) (G.1 II, 441-2) (G.# II, 470-1). 1122

PARTE

nelle

cose

dignità

SECONDA

inferiori,

- DIALOGO

e queste

ed eccellenza;

SECONDO

in

quelle

secondo

maggior

e la verità

essere

ne

e l'altre

l'une

secondo certa analogia, ordine e scala, nella quale sempre l’infimo de l'ordine superiore conviene con il supremo de l'ordine inferiore. E cossi si dava progresso da 1’ infimo della natura

al supremo,

come

dal male

al bene,

dalle

te-

nebre alla luce, dalla pura potenza al puro atto, per gli mezzi. Qua Aristotele si vanta pure da le orme e vestigii impressi di posser pervenire alla desiderata preda, mentre da gli effetti vuol amenarsi a le cause; benché egli per il più (massime che tutti gli altri ch’ hanno occupato il studio a questa venazione) abbia smarrito il camino per non saper

a pena distinguere de le pedate. Qua alcuni teologi, nodriti in alcune de le sette, cercano la verità della natura in tùtte-le forme naturali specifiche, nelle quali considerano ! l'essenza eterna e specifico sustantifico perpetuator della sempiterna generazione e vicissitudine de le cose, che son chiamate dei conditori e fabricatori, sopra gli quali soprasiede la forma de le forme, il fonte de Ia luce, verità de le veritadi, dio de gli dei, per

cui tutto è pieno de divinità, verità, entità, bontà. Questa

verità

è cercata

inobiettabile,

come

non

cosa

inaccessibile,

sol che incomprensibile 2. Però

pare possibile de vedere il sole, luce absoluta per specie suprema si bene

la sua

ombra,

la sua

la natura che è nelle cose,

materia,

considerato.

® Cfr. De la causa, (B.

[221-3])

(W.



G.

il mondo,

l'universo,

splende

nelle tenebre.

della

De

p. 285.

II, 407-8)

Liuno,

a nessun

la luce che è nell’opacità

(L. 723)

1123 75

oggetto

l’universale Apolline e ed eccellentissima; ma

Diana,

cioè quella in quanto

t BL:

come

Dieloghi

italiani

(Gt

II, 442-3)

(G2

IT, 47122).

DE

GLI

EROICI

FURORI

molti dunque, che per dette vie ed altre assai discorreno in questa deserta selva, pochissimi son quelli che s'abbattono al fonte de Diana. Molti rimagnono contenti de caccia de fiere salvatiche e meno illustri, e la massima parte non trova da comprendere avendo tese le reti al vento, e trovandosi le mani piene di mosche. Rarissimi, dico, son gli Atteoni alli quali sia dato dal destino di posser contemplar la Diana ignuda, e dovenir a tale che dalla bella, disposizione del corpo della natura invaghiti in tanto, e scorti da que’ doi lumi del gemino splendor de divina bontà e bellezza, vegnano trasformati in cervio, per quanto non siano più cacciatori ma caccia !. Perché il fine ultimo e finale di questa venazione è de venire allo acquisto di quella fugace e selvaggia preda, per cui il predator dovegna preda,

il cacciator

doventi

specie

di venaggione

caccia;

perché

in tutte le altre

che si fa de cose particolari,

il cac-

ciatore viene a cattivare a sé l'altre cose, assorbendo quelle

con la bocca de l' intelligenza propria; ma in quella divina ed universale viene talmente ad apprendere che resta necessariamente

da volgare, come quella

cervio

ancora

ordinario,

assorbito,

civile e populare

ed incola

procerità

compreso,

del deserto;

di selva,

vive

doviene

vive

nelle

unito.

salvatico

divamente

stanze

non

Onde

sotto

artificiose

di cavernosi monti, dove admira gli capi de gli gran fiumi, dove vegeta intatto e puro da ordinarie cupiditadi, dove più liberamente

conversa

la divinità,

alla quale

aspirando

tanti uomini che in terra hanno volsuto gustar vita celeste, dissero con una voce: Ecce elongavi fugiens, ct mansi in

! Per

questo

mito,

vedi

sopra,

p.

1005

sgg:

(B. [223-4)) (W. II, 408) (L. 723-4) (Gt IT, 443-4) (G* II, 472:3). 1124

PARTE

SECONDA

DIALOGO

SECONDO

solitudine *. Cossi gli cani, pensieri de cose divine, vérano questo

Atteone,

facendolo

morto

al

volgo,

alla

moltitu-

dine, sciolto dalli nodi de perturbati sensi, libero dal carnal carcere della materia; onde non più vegga come per forami

e per fenestre la sua Diana, ma avendo gittate le muraglie a terra, è tutto occhio

a l’aspetto

de tutto l’orizonte.

Di

sorte che tutto guarda come uno, non vede più per distinzioni e numeri,

diverse

che secondo

rime

fanno

la diversità

veder

ed

de sensi,

apprendere

come

de

in confusione.

Vede l’Anfitrite, il fonte de tutti numeri, de tutte specie, de

tutte

raggioni,

che

è la

monade,

vera

essenza

de

l'essere de tutti; e sé non la vede in sua essenza, in absoluta luce,

la vede

sua

imagine:

nella sua genitura perché

dalla

che

gli è simile,

monade

che

è

la

che

è la

divinitade,

procede questa monade che è la natura, l'universo, il mondo; dove

si contempla

e specchia,

come

il sole nella luna,

me-

diante la quale ne illumina trovandosi egli nell'emisfero delle sustanze intellettuali. Questa è la Diana, quello uno che è l’ istesso ente, quello ente che è l’ istesso vero, quello vero

che

è la natura

comprensibile,

in cui influisce

il sole

ed il splendor della natura superiore, secondo che la unità è destinta nella generata e generante, o producente e prodotta.

Cossi da voi medesimo

potrete conchiudere

il modo,

la dignità ed il successo più degno del cacciatore e de la caccia. Onde il furioso si vanta d'esser preda della Diana, a cui si rese, per cui si stima gradito consorte, e più felice cattivo e suggiogato, che invidiar possa ad altro uomo

1 Salmi,

n. I

2? Rima

LIV,

nel

8.

significato

latino,

come

si

è

detto

a

p.

55,

(B. [224-5)) (W. II, 408-9) (L. 724) (G.1 II, 444) (G.? II, 473).

1125

DE

GLI

EROICI

FURORI

che non ne può aver ch'altre tanto, o ad altro divo che ne ave in tal specie quale è impossibile d'essere ottenuta da natura inferiore, e per consequenza non è conveniente d’essere desiata, né meno può cadere in appetito. Cesarino,

Ho

ben

compreso

m'avete più che mediocremente ritornar

a casa.

Maricondo.

Fine

quanto

avete

e

satisfatto. Or è tempc di l

Bene. del

detto.

secondo

(B. [225]) (W. II, 409) (L. 724-5)

1120

dialogo.

(G.! II, 444-5)

(G.2 II, 473-4).

DIALOGO

TERZO

INTERLOCUTORI Liberio, Laodonio *. Liberio.

Posando

sotto l’ombra

d’un cipresso

il furioso,

e trovandosi l’alma intermittente da gli altri pensieri (cosa mirabile),

avvenne

che

(come

fussero

animali

e sustanze

de distinte raggioni e sensi) si parlassero insieme il core e gli occhi, l'uno de l’altro lamentandosi come quello che era principio di quel faticoso tormento che consumava l’alma. Laodonio. Dite, se vi ricordate, le raggioni e le paroli. Liberio.

Cominciò

il dialogo

udir dal petto, proruppe

il core,

il qual,

facendosi

in questi accenti:

Prima proposta del core a gli occhi. Come,

Quel

che

occhi da

miei, si forte mi tormenta

voi

deriva

ardente

foco,

Ch'al mio mortal suggetto mai allenta? Di serbar tal incendio, ch' ho per poco 1 Di costoro, come già di Armesso nel primo dialogo della Causa (p. 119), fin oggi non si è saputo dir nulla. Al più si può pensare che ‘ Liberio * sia un nome derivato da Liber, a’ giorni nostri ‘ Li-

veri’,

il «casale»

nolano

che il 3 aprile

1563

contava

appena

un

centinaio di «focolari » (in cc. 147r -159v de' Fuochi di Nola), edificato, appiè del colle Pergola, a non più d’un chilometro di distanza da S. Paolo, e nella propria fanciullezza frequentato dal filosofo, come

lui

stesso

ebbe

a ricordare

nel

De

magia

(cfr.

Vita,

p.

62,

e

ivi n. 4 della p. St). In proposito giova avvertire un uso dei Nolani che risulta dai Fuochi, il prendere talora per cognomi i nomi dei «casali », ad esempio Camposano, Visciano, Faivano, ecc. 2% W: rallenta.

(B. [226-7)) (W. II, 410) (L. 725) (G. II, [446]) (G2 II, [475)). 1127

DE

GLI

EROICI

FURORI

L'umor dell’ Occàn e di più lenta Artica stella il più gelato loco,

Perché ivi in punto si reprima il vampo, O al men mi si prometta ombra di scampo? Voi mi féste cattivo D’una man che mi tiene, e non mi vuole; Per

voi

Non

so

Son

son

entro

quel

che

principio

Ch'appartegno

Laodonio.

al corpo,

de vita, mi

sia,

e fuor

e non

a quest’alma,

Veramente

son

e non

col

sole;

vivo;

è mia.

l' intendere, il vedere, il conoscere

è quello che accende il desio, e per consequenza, per ministerio de gli occhi, vien infiammato il core: e quanto a quelli fia presente più alto e degno oggetto, tanto più forte è il foco e più vivaci son le fiamme. Or qual esser deve quella specie per cui tanto si sente acceso il core, che non spera che temprar possa il suo ardore tanto più fredda quanto più lenta stella che sia conchiusa nell'artico cerchio, né rallentar il vampo l’umor intiero de l'Oceano ? Quanta deve essere ! l'eccellenza di quello oggetto che l’ha reso nemico de l'esser suo, rubello a l’alrma propria, e contento di tal ribellione e nemicicia, quantunque sia cattivo d'una man che ’I dispreggia e non lo vuole? Ma fatemi udire se gli occhi risposero e che cosa dissero. Liberio. Quelli, per il contrario, si lagnavano del core, co-

me quello che era principio e caggione per cui versassero tante lacrime. Però a l'incontro gli proposero in questo tenore:

Prima proposta de gli occhi al core. Come

da te sorgon?

tant’acqui,

o core,

Da quante mai Nereidi alzàr la fronte Ch'ogni giorno al bel sol rinasce e muore?

A par de l'Anfitrite il doppio 1

*

(LM: (G1

essere;

= L:

G! G2:

sorgon;

G*:

esser)

sorgono

fonte

(svista

tipogr.))

(B. [227-81) (W. II, 410-1) (L. 725-6) (G.! II, [446]-7) (G.* IT, [475)-6).

1128

PARTE Versar

Che

puoi

Che

SECONDA

-.DIALOGO

può

fiumi

sf gran

dir

che

l'umor

Die'

A

Tu,

al mondo

tanto

gli fia piccio! rio chi Egitto

Scorrend' al mar

per sette

natura doi lumi

questo

picciol mondo

perversor

di

TERZO fore,

surmonte,

doppia

inonda,

sponda.

per governo;

quell'ordin

eterno,

Le convertiste in sempiterni

E questo il ciel non cura, Ché il natio passa, e ’l violento

fiumi. dura.

Laodonio. Certo ch’ il cor acceso e compunto

fa sorger

lacrime da gli occhi, onde, come quelli accendeno

le fiamme

in questo,

quest'altro viene a rigar quelli d'umore.

Ma mi

maraviglio de si forte exaggerazione, per cui dicono che le Nereidi-non

quanta gliansi possano a loro,

alzano

tanto

bagnata

fronte

a l'oriente

sole,

possa appareggiar queste acqui. Ed oltre agguaall’ Oceano, non perché versino, ma -perché versar questi doi fonti fiumi tali e tanti, che, computato il Nilo apparirebbe una picciola lava! distinta in

sette canali.

Liberio. Non ti maravigliar della forte exaggerazione e di quella potenza priva de l’atto; perché tutto intenderete dopo intesa la conchiusione de raggionamenti loro. Or odi come prima il core risponde alla proposta de gli occhi. Laodonio.

Priegovi,

fatemi

intendere.

Liberio.

Prima risposta del core a gli occhi. Ed

Occhi, s' in me altro non son

E

veggio

Se quel Ma

ch'a

per

me

mio

fiamma immortal s’alluma, io che fuoco ardente,

s'avvicina incendio

s'infuma,

il ciel

fervente;

Come il gran vampo mio non vi consuma, l'effetto contrario in voi si sente?

1 W, cava. (B. [228-30])

Per

lava

(W. II, 411-2)

poi cfr. p. 60, n. 1. (L. 726-7) (G.! II, 447-8)

1129

(G2 II, 476-7).

DE

GLI

EROICI

FURORI

Come vi bagno, e più tosto non cuoco, Se non umor, ma è mia sustanza fuoco? Credete, ciechi voi,

Che

da

si ardente

incendio

derivi

El doppio varco, e que’ doi fonti vivi Da Vulcan abbian gli elementi suoi, Come tal volt’ acquista Torza

un

contrario,

se l’altro resista?

Vede, come non possea persuadersi il core di posser da contraria causa e principio procedere forza di contrario effetto, sin a questo che non vuol affirmare il modo possibile, quando per via d'antiperistasi, che signi fica il vigor che acquista il contrario da quel che, fuggendo l'altro,

viene

ad

unirsi,

inspessarsi,

inglobarsi

e

concen-

trarsi verso l'individuo della sua virtude, la qual, quanto più s'allontana dalle dimensioni, tanto si rende efficace di vantaggio. Laodonio. Dite ora come gli occhi risposero al core, Liberio. Prima risposta de gli occhi al core. Ahi,

cor,

tua

passion

sf ti confonde,

Ch' hai smarrito il sentier di tutt’ il vero. Quanto si vede in noi, quanto s’asconde,

È semenza de’ mari; onde l’intero

Nettun potrà ricovrar non altronde, Se per sorte perdesse il grand’ impero; Come

da

Che siam Sei

Che

noi

del mare

si privo

per

deriva

noi

di

credi

fiamma

il gemino

senso,

la fiamma

ardente,

parente?

trapasse,

E tant'umide porte a dietro lasse,

©

Per

far sentir

a te l'ardor

immenso?

Come splendor per vetri, Crederai forse che per noi penétri ?

Qua

non

voglio filosofare circa la coincidenza

de la quale ho studiato nel libro (B.

[230-2])

(W.

II, 412)

(L. 727-9)

1130

De

de contrarii,

principio

(GI II, 448-9)

ed

(G.3 II, 477-8).

PARTE

SECONDA

- DIALOGO

TERZO

uno:; e voglio supponere quello che comunmente si suppone, che gli contrarii nel medesimo geno son distantissimi, onde vegna più facilmente appreso il sentimento di questa risposta, dove gli occhi si dicono semi o fonti, nella virtual potenza de quali è il mare; di sorte che, se Nettuno perdesse tutte l'acqui, le potrebbe richiamar in atto dalla potenza loro, dove

sono

come

possono

al calore

in principio

agente e mate-

riale. Però non metteno urgente necessità, quando dicono non posser essere che la fiamma per la lor stanza e cortile trapasse al core con lasciarsi tant'acqui a dietro, per due caggioni: prima perché tal impedimento in atto non può essere, se non posti in atto tali oltraggiosi ripari; secondo perché, per quanto l’acqui sono attualmente ne gli occhi, donar

via

come

alla

luce;

essendo

che

l'esperienza dimostra che senza scaldar il specchio viene il luminoso raggio ad accendere per via di reflessione qualche materia che gli vegna opposta; e per un vetro, cristallo, o altro vase pieno d'acqua, passa il raggio ad accendere una

cosa sottoposta

senza

che

scalde

il spesso

corpo

tra-

mezzante: come è verisimile ed anco vero che caggione secche ed aduste impressioni nelle concavitadi del profondo mare. Talmente

per certa similitudine, se non per raggioni

di medesimo geno, si può considerare come sia possibile che per il senso lubrico ed oscuro de gli occhi possa esser

scaldato ed acceso di quella luce l'affetto, la quale secondo

medesima raggione non può essere nel mezzo. Come la luce del sole, secondo altra raggione, è nell'aria tramezzante, altra nel senso vicino ed altra nel senso commune ed altra

! Cfr. pp.

338-40.

(B. [232-3]) (W. II, 412-3) (L. 728) (G.! IL 4490-50) (G.? II, 478-9).

113I

DE

GLI

EROICI

FURORI

ne l'intelletto, quantunque da un modo proceda l'altro modo di essere. Laodonio. Sonvi altri discorsi? Liberio. Si; perché l’uno e l’altro tentano di saper con qual modo quello contegna tante fiamme, e quelli tante acqui.

Fa,

dunque,

il core la seconda

proposta:

Seconda: proposta del core 1. E

S'al

da

Vien

mar

fiumi

spumoso

del mar

impregnato:

Non

fan concorso

è doppio

il cieco

ond'è

i fiumi,

varco

che

da

torrente al mondo

voi,

lumi,

scarco,

Che cresca il regno a gli marini numi, Scemando ad altri il glorioso incarco? Perché non fia che si vegga quel giorno, Ch'a i monti fa Deucalion ritorno?

Dove ‘gli rivi sparsi ?

Dove% il torrente

che

O per ciò non posser, Goccia

non

scende

Per cui fia ch’ io non

Che

sia

Dimanda: atto? Se

cossî,

come

son

fiamma

smorze,

più la rinforze?

a terra

pensi

ad

mostrano

qual potenza

tante

mia

inglobarsi,

i sensi?

è questa

l’acqui,

perché

che

non

Nettuno

si pone non

viene

in a

tiranneggiar su l’imperio de gli altri elementi? Ove son gli inandanti rivi ? Ove chi dia refrigerio al fuoco ardente? Dove è una 3 stilla onde io possa affinmar de gli occhi quel tanto

che niegano

un'altra dimanda:

i sensi?



Ma

gli occhi di pari fanno

Seconda proposta de gli occhi al core. Se la materia convertita in foco Acquista il moto di lieve elemento, 1 IW:

2 W:

3 G1:

(B. 233-4))

del core a gli occhi.

Dov'è. Dove

(W.

una. II, 413-4)

(L. 728-9)

1132

(Gt II, 450-1)

(G.? IT, 479-80).

PARTE E se Onde

SECONDA

ne sale avvien

- DIALOGO

a l’eminente loco, che, veloce più che

TERZO

vento,

Tu ch'incendio d'amor senti non poco, Non ti fai gionto al sole in un momento? Perché soggiorni peregrino al basso, Non t’aprendo per noi e l’aria il passo? Favilla non si scorge

Uscir a l'aria aperto



corpo appar incenerit’ o adusto, Né lacrimoso fumo ad alto sorge:

Tutt' è nel proprio Né

da quel busto,

di fiamma

intiero,

è raggion,

senso

o pensiero.

Laodonio. Non ha più né meno efficacia questa che quell’altra proposta. Ma vengasi presto alle risposte, se vi sono. Liberio. Vi son certamente e piene di succhio. Udite: Seconda risposta del core a gli occhi. Sciocco

è colui

che sol per quanto

appare

Al senso ed oltre a la raggion non crede: Il fuoco mio non puote alto volare, E l'infinito

Perché

incendio

non

de gli occhi han

si vede;

sopraposto.il

E un infinito l’altro non eccede: La natura non vuol ch' il tutto pera, Se basta tanto fuoco a tanta sfera.

Ditemi, occhi, per Dio, Qual mai partito prenderemo Onde

Per

far

possa

scampo

aperto

suo,

o io,

de l'alma

Se l’un e l’altro ascoso Mai potrà fargli il bel nume

Laodonio.

cossî,

è molto

mare,

noi,

o

voi,

il fato

rio,

piatoso?

Se non è vero, è molto ben trovato:

bene

iscusato

l'uno

per

l’altro;

se non è

se,

stante

che dove son due forze, de quali l'una non è maggior de l'altra, bisogna che cesse l'operazion di questa e quella,

(B.

1 WG1:

de le quali.

[234-6))

(W. II, 414-5)

(L. 729-30) II33

(G.1 II, 451-2)

(G.3 II, 480-1).

DE

GLI

EROICI

FURORI

essendo che tanto questa può resistere quanto quella insistere; non meno quella ripugna che possa oppugnar questa: se dunque è infinito il mare ed inmensa la forza de le lacrime che sono ne gli occhi, non faranno giamai ch’apparir possa favillando o isvampando l’impeto del fuoco ascoso nel petto; né quelli mandar potranno il gemino torrente al mare, se con altretanto di vigore gli fa riparo il core. Però accade che il bel nume per apparenza di lacrima che stille da gli occhi, o favilla che si spicche dal petto, non possa esser invitato ad esser piatoso a l’alma afflitta. Liberio. Or notate la conseguente risposta de gli occhi: Seconda risposta de gli occhi al core. Ahi,

per

versar

a l'elemento

ondoso,

L' &mpito de noi fonti al tutt’ è casso; Ché contraria potenza il tien ascoso,

Acciò non mande a rotilon! per basso. L’ infinito vigor del cor focoso A i pur tropp’alti niega il passo; Quindi gemino varco al mar non corre,

Ch' il coperto Or

dinne,

terren natura aborre.

afflitto

core,

Che puoi opporti a noi con altre tanto Vigor: chi fia giamai che porte il vanto D’esser precon di si ’nfelice amore, S' il tuo e nostro male Quant'è

più

grande,

men

mostrarsi

vale? è

Per essere infinito l'un e l’altro male, come doi ugualmente vigorosi contrarii si ritegnono, si supprimeno; e non

potrebbe

esser

cossi,

se

l'uno

e l’altro

fusse

finito,

atteso che non si dà equalità puntuale nelle cose naturali, né ancora

sarebbe

nito;

certo

{(B.

ma

cossi,

questo

! F. erronea.

Rotoloni.

[236-8])

II, 415)

(W.

se l'uno fusse finito e l’altro infi-

assorbirebbe

(L. 730-1)

1134

quello,

(G.! II, 452)

ed

avverrebe

(G.2 II,

381-2).

PARTE

SECONDA

DIALOGO

TERZO

che si mostrarebbono ambi doi o al men l'uno per l’altro. Sotto queste sentenze, la filosofia naturale ed etica che vi sta

occolta,

lascio

cercarla,

considerarla

e

comprenderla

a chi vuole e puote. Sol questo non voglio lasciare, che non

senza raggione l’affezion del core è dall’apprension de gli occhi. Perché getto de la mente, ed a l'intelletto oggetto proposto, non può essere la

detta infinito mare essendo infinito l’ognon essendo definito volontade appagata

de finito bene; ma se oltre a quello si ritrova altro, il brama,

il cerca, perché (come è detto commune) il summo della specie inferiore è infimo e principio della specie superiore, o si prendano gli gradi secondo le forme le quali non possiamo

stimar

che siano

infinite,

o secondo

gli modi

e rag-

gioni di quelle, nella qual maniera, per essere infinito il sommo bene, infinitamente crederno che si comunica secondo la condizione delle cose alle quali si diffonde. Però non è specie definita a l'universo (parlo secondo la figura e mole),

non

è specie definita a l’ intelletto, non

la specie de l'affetto. Laodonio. Dunque

queste due potenze

sono, né essere possono perfette mente si referiscono a quello,

è definita

de l’anima mai

per l'oggetto,

se infinita-

Liberio. Cossi sarrebe se questo infinito fusse per privazion negativa o negazion privativa de fine, come è per più positiva affirmazione de fine infinito ed interminato. Laodonio. Volete dir dunque due specie d’ infinità: l'una privativa, la qual può essere verso qualche cosa che è potenza,

come

infinite son

le tenebre,

il fine delle

quali

è posizione di luce; l’altra perfettiva, la quale è circa l’atto e perfezione,

come

infinita

sarebbe privazione e tenebre. (B.

1238-9])

(VW.

II,

415-6)

è la

luce,

il fine

della

In questo dunque

(L. 731) 1135

(G.

II,

452-3)

(G.2

quale

che l' inII,

482).

DE

GLI

EROICI

FURORI

telletto concepe la luce, il bene, il bello, per quanto s’estende

l'orizonte

della sua capacità,

tare divino

e de la fonte

e l’anima

che

de vita eterna,

beve

del net-

per quanto

com-

porta il vase proprio; si vede che la luce è oltre la circun-

ferenza del suo penetrando; ed mente fecondo, Liberio ». Da

orizonte, dove può il nettare e fonte onde possa sempre qua non séguita

andar sempre più e pii d'acqua viva è infinitaoltre ed oltre inebriarsi. imperfezione nell'oggetto

né poca satisfazione nella potenza;

ma

che la potenza sia

compresa da l'oggetto e beatificamente assorbita da quello. Qua gli occhi imprimeno nel core, cioè nell' intelligenza, suscitano nella volontà un infinito tormento di suave amore; dove non è pena, perché non s’abbia quel che si

desidera, ma è felicità, perché sempre vi si trova quel che si cerca:

ed in tanto non vi è sazietà, per quanto

gustato,

ma

sempre

s'abbia appetito, e per consequenza gusto; acciò non sia come nelli cibi del corpo, il quale con la sazietà perde il gusto, e non ha felicità prima che guste, né dopo ch' ha termine

nel

e fine,

gustar viene

solamente;

ad

aver

fastidio

dove

se

passa

certo

e nausea.

Vedi, dunque, in certa similitudine qualmente il sommo bene deve essere infinito, e l’appulso de l'affetto verso e circa quello esser deggia talvolta a non esser bene: se non ha modo, viene ad de l’ Oceano non estingue

anco infinito, acciò non vegna come il cibo che è buono al corpo, essere veleno. Ecco come l'umor quel vampo, ed il rigor de l’Ar-

tico cerchio non tempra quell’ardore. Cossi è cattivo d'una

mano

che il tiene e non lo vuole:

il tiene, perché l’ ha per

in

1 Nell’ediz. del 1585 manca; e quantunque non fosse Alcuni errori di stampa più urgenti’ (cfr. p. 950), non

{B.

(239-401)

alW.

(W.

II, 416)

(L. 731-2)

1136

(G.! II, 453-4)

(G.

notato isfuggi

II, 482-3).

PARTE

SECONDA

suo; non lo vuole, perché

DIALOGO

TERZO

(come lo fuggesse)

tanto più se

gli fa alto quanto più ascende a quella, quarto più la séguita tanto più se gli mostra lontana per raggion de eminentissima eccellenza, secondo quel detto: Accedet homo ad cor altum, et exaltabitur Deus +.

Cotal felicità d'affetto comincia da questa vita, ed in

questo stato ha il suo modo d'essere. Onde può dire il core d'essere entro

con il corpo,

e fuori col sole, in quanto

che

l'anima con la gemina facultade mette in execuzione doi uffici: l'uno de vivificare ed attuare il corpo animabile, l'altro de contemplare le cose superiori; perché cossî lei è in potenza receptiva da sopra, come è verso sotto al corpo in potenza attiva. Il corpo è come morto e cosa privativa a l’anima la quale è sua vita e perfezione; e l'anima è come morta e cosa privativa alla superiore illuminatrice intelligenza da cui l’ intelletto è reso in abito e formato in atto. Quindi si dice il core essere prencipe di vita, e non esser vivo; si dice appartenere a l’alma animante, e quella non appartenergli: perché è infocato da l'amor divino, è convertito finalmente in fuoco, che può accendere quello che

si gli avicina; atteso che avendo contratta in sé la divinitade,

è fatto

divo;

e conseguentemente

con

la sua

specie

può innamorar altri: come nella luna può essere admirato e magnificato il splendor del sole. Per quel poi ch'appartiene al considerar de gli occhi, sapete che nel presente discorso hanno doi uffici: l'uno de imprimere nel core, l’altro de ricevere l' impressione dal core; come anco questo ha doi ufficii: l'uno de ricevere l’ impressioni da gli occhi, l'altro di imprimere in quelli. Gli occhi apprendono le 1 Salmi, LXIII,

7.

(B. [240-1)) (W. II, 416-7) (L. 732) (G.! II, 454-5) (G. II, 483-4).

1137

DE

GLI

EROICI

FURORI

specie e le proponeno al core, il core le brama ed il suo bramare presenta a gli occhi: quelli concepeno la luce, la diffondeno ed accendeno il fuoco in questo; questo, scaldato ed acceso, invia il suo amore a quelli, perché lo digeriscano. Cossi primieramente la cognizione muove l'affetto, ed appresso l’affetto muove la cognizione. Gli occhi,

quando

di specchio son turbati

moveno,

sono

asciutti,

perché

fanno

ufficio

e di ripresentatore; quando poi son mossi, ed alterati; perché fanno ufficio de studioso

executore:

atteso

che

con

l' intelletto

speculativo

prima

si vede il bello e buono, poi la voluntà l'appetisce, ed appresso l' intelletto industrioso lo procura, séguita e cerca. Gli occhi lacrimosi significano la difficultà de la separazione della cosa bramata dal bramante, la quale acciò non sazie, non fastidisca, si porge come per studio infinito, il quale sempre ha e sempre cerca: atteso che la felicità de’ dei è descritta per il bevere non per l'aver bevuto il nettare, per il gustare continuo

non

affetto

per aver

al cibo

gustato

ed

l’ambrosia,

alla bevanda,

satolli e senza desio de quelli.

Indi, hanno

in moto

come

ed

apprensione,

non

e non

con

aver

con

esser

la sazietà come

in quiete

e compren-

sione; non son satolli senza appetito, né sono appetenti senza essere in certa maniera satolli. Laodonio. Esuries satiata, sattelas esuriens. Liberio. Cossi a punto. Laodonio. Da qua posso intendere come senza biasimo, ma con gran verità ed intelletto è stato detto, che il divino amore piange con gemiti inenarrabili*, perché con questo che ha tutto, ama 1

(«allusione

(B. [241-2])

tutto, a

e con

Rom.,

(W. II, 417-8)

8,

questo che ama tutto, ha tutto. 26,

sfuggita

(L. 732-3)

1138

al

Gentile»

(G.! II, 455-6)

(Amerio).)

(G.2 II, 484-5).

PARTE

Liberio. intendere

SECONDA

Ma de

vi

l’amor

DIALOGO

bisognano divino

molte

che

TERZO

glose,

è la istessa

se

volessirno

deità;

e facil-

mente s' intende de l'amor divino per quanto si trova ne gli effetti e nella subalternata natura; non dico quello che dalla

divinità

si diffonde

alle

che aspira alla divinità. Laodonio. Or di questo aggio appresso. Andiamone. Fine

del

cose,

ed

terzo

altro

ma

quello

delle

raggionaremo

cose

a pit

dialogo.

'B. [242]) (W. II, 418) (L. 733) (G.! II, 456) (G# II, 485).

1139 76



G.

Bruno,

Dialoghi

italiani

DIALOGO

QUARTO:

INTERLOCUTORI Severino,

Minutolo.

Severino. Vedrete dunque la raggione de nove ciechi, li quali apportano nove principii e cause particolari de sua cecità, benché tutti convegnano in una causa generale d’un comun furore. Minutolo. Cominciate dal primo. Severino. Il primo di questi, benché per natura sia cieco,

nulladimeno

! In questi

due

per ultimi

amore

si lamenta,

dicendo

a gli

dialoghi il B. s'ispira al Dialogo

di tre

ciechi, o Cecaria, tragicommedia del napoletano Marco ANTONIO Epicuro (cfr., nella Cena, la n. 4 di p. 59, ed in questo Dial. le nn. delle pp. 928-9, ma molte volte

973-4, 994), pubblicata la poi ristampata, ammirata

prima volta nel 1525. e imitata nel ’500 in

Italia e fuori (per quella specie di parafrasi, che se ne fece in Francia nelle Rime toscane d'Amomo per Madonna Charlotta d' Hisca, vedi FLAMINI,

PP. 252-4).

Studi

di

storia

letter.

Il B. ne doveva

ital.

e stran.,

Livorno,

Giusti,

sapere alcune parti a memoria.

1895,

È un'e-

cloga pastorale semplicissima. Due amanti disgraziati han perduto la vista e un terzo s' è accecato per il dolore; e tutti tre si ritrovano insieme a rimpiangere le bellezze che più non vedranno, a lagnarsi della loro sciagura: e nella disperazione comune risolvono di cercar la pace

nella

morte,

quando

sopravviene

un

ministro

e sacerdote

d’Amore, che li incuora a sperare nell’ onnipossente Dio: e li persuade a venire con lui a supplicarne il soccorso. Entrano nel tempio di Amore,

rano

e il sacerdote

la grazia.

Il

prima,

Geloso

poi a uno

invoca

a uno

i tre

l'intercessione

ciechi impio-

di

Venere

in

(B. [243)) (W. II, 418) (L. 733-4) (G. II, [457)-8) (G@ II, [486)). 1140

PARTE

SECONDA

altri che

non

può

discortese

a essi che

- DIALOGO

persuadersi a lui;

QUARTO

la natura

stante

che,

esser

stata

quantunque

più non

veggono, hanno però provato il vedere, e sono esperti della dignità

del

dovenuti

senso

e de

orbi: ma

sensibile,

come

onde

son

talpa al mondo

a

ricordare quelli di Lucrezio da lui tradotti

p. 586:

Madre

del

egli è venuto

versi che al B. dovevano

nello Spaccio,

l’eccellenza

del mio

Signor leggiadra e santa,

Del terzo ciel regina e imperatrice, Che la tua gloria tutt'il mondo vanta, D'ogni ferito cor vera beatrice,

în te s'appoggia, Speme

d'ogni

e per te vive e scampa,

amiator

lieto e felice.

O dea, che di beltà sei specchio e stampa, O fiume di dolcezza, 0 mar di gioia,

Tra

li lumi

Ride

del ciel più

la terra,

chiara

il mar,

lampa;

fugge

ogni

în

fiamma

noia

'Nanzi "I tuo lume, e innanzi 'l tuo bel viso Convien ch'ogni dolor sparisca e muoia.... O

nata

în

mar,

notrita

Tu sola eletta dal Troian pastore Tra le più belle dee, più bella diva; Deh,

Del

Che

s'ancor

giovinetto

in

tu,

madre

misteriosamente

te parte

d'ardore

îl fior sanguigno

ti lasciò spirando

Prega

Amore

vive

volto,

viva,

in grembo

il core,

risponde:

Quel che a morir v' induce

Vi renderà la luce;

cioè quelle stesse donne, per causa delle quali eran ciechi. Vanno quindi alle loro donne con la scorta d'amore; con la sua luce. Le belle

donne

la vista,

si

muovono

e si compie

a

pietà,

e miracolosamente

l'illuminazione.



Al

B.

essi

non

riacquistano

è improbabile

paresse di scorgere nella favola come adombrata un'allegoria di furore eroico. Egli imita nel 4° dialogo la parte della Cecaria che termina nel proponimento di morte; e il resto, la misteriosa illuminazione, nel 5° dialogo. I suoi nove ciechi rappresentano nove forme

di

furore

Quanto

eroico,

e quindi

dello

stesso

B.

agli interlocutori, occorre avvertire che il secondo

può

(B. [243]) (W. II, 418) (L. 734) (G.! II, 458) (G2 IL [486]-7). II4I

DE

esser

visto

e non

Minutolo. fama 1, Severino.

Si

GLI

EROICI

vedere,

son

Essi,

a bramar

trovati

dice

FURORI

quello

molti

egli,

aver

che mai

innamorati pur

questa

vedde.

per

sola

felicità

de

ritener quella imagine divina nel conspetto de la mente, de maniera che, quantunque ciechi, hanno pure in fantasia quel che lui non puote avere. Poi nella sestina si volta alla sua guida, pregandola che lo mene in qualche. precipizio, a fin che non sia oltre orrido spettacolo del sdegno di natura. Dice dunque:

essere il « magnifico » signor Giovan Geronimo Minutolo, che i Numeratori « dicunt civem Neapolitanum », nato nel 1530, e il 1° aprile

1563 dimorante, con la consorte Isabella e i figliuoli Mario, Giuditta e Laura, nonché con due domestici, a Livardi, il piccolo «casale»

nolano di quindici focolari alle pendici orientali del Cicala, a metà

strada tra Liveri e S. Paolo (Fuochi, c. 144r). Aveva il Minutolo, un po’ dovunque, dei bei fondi, tra cui a noi interessano sopra a tutti quelli che confinavano co’ beni di Antonio Albertino e il territorio di S. Giovanni del Cesco, perché ci lasciano intuire la ragione perché fu introdotto negli Eyoici furori (vedi la Sacra visita del 1551°, ce.

De

Ms.

CLXKXXIIIv,

l'infinito;

c.

‘Casate cc. 16v,

della

Geronimo

CLXKXXIXv

Vita,

pp.

Biblioteca

53



e

CXCIV.;

64).

dell'Oratorio

n.

1

Severino

(c.

8iv),

in

pp.

496-8

poi,

secondo

apparteneva

del

il

alle

de Citatini Nolani onorate'; e secondo i Fuochi (a. 1545, 171 e SIr; a. 1563, c. 67r), del giudice di Lanciano Angelo e di

Iacopo

era fratello

Giambattista

Severino,

che

dalla

moglie Polita, oltre a due femmine, ebbe tre maschi, il maggiore, Orazio, venuto alla luce il 1531, e dieci anni dopo il più piccolo, Francesco.

Il primo

di essi,

addottoratosi

in arti

e medicina,

in un

documento vicereale del 31 agosto 1569 (Collaterale Curiae, v. XX, c. 1481) è tenuto per uno de' quattro principali cittadini nolani;

mentre una Cedola di tesoreria dell'anno avanti (v. 355, n. n.) ricorda

a Lucera Francesco, durante il 1566, nella Compagnia degli uomini d'arme del Marchese di Misuraca e poi in quella di Camillo Pignatello. Dei due germani è facile che il B., come del resto usava, abbia scelto il commilitone

del padre.

1 Cir. il De vinculis Opera, III, 665.

in

Cfr.

genere,

Vita,

art.

pp.

64,

XXXIII

36-7

(ma

e 27.

XXIII),

in

(B. (243-4]) (W. II, 418) (L. 734) (G! II, 458-9) (G.? II, 487-8).

1142

PARTE

SECONDA

- DIALOGO

QUARTO

Parla il primo cieco. Felici

Voi

che

talvolta

per la persa

Compagni Questi

avete,

luce ora dolenti

che doi lumi conoscete.

accesi

Però

visto

non

fùro,



son

spenti;

più grieve mal che non

credete

È il mio, e degno de più gran lamenti:

Perché,

Più

che

a voi

fusse

ch'a

me,

torva

la natura

non

è chi m'assicura.

Al precipizio, o duce, Conducime, se vuoi darmi contento, Perché trove rimedio il mio tormento, Ch'ad esser visto, e non veder la luce,

Qual talpa uscivi! E per

esser

di terra

al mondo, inutil

pondo ?.

Appresso séguita l’altro, che, morsicato dal serpe de la gelosia, è venuto infetto nell’organo visuale. Va senza guida,

se pur non

ha la gelosia per

de circonstanti, che se non 1 Passato

oltre che sopra 126: « mai

fu

la

rotta

rimoto,

(pp.

Pavia,

2 Tl primo

cieco,

dicendo

837,

893,

è rimedio Idiotismo

895

del

suo

usato

non

ecc.), nel Cand.?,

Priega

alcun

male,

faccia

di rado

pp.

97,

dal

B.:

117 c

[io] udivi di tal gioco », « mai viddi né udivi » e « quando di

p. LVII.

1% pers.

scorta.

alla sua

fio)

il

guida

udivi

dire »;

Vecchio,

(ediz.

e del

nella

Palmarini,

pp.

Cand.

Cecaria

35-06):

cfr.

centra

l’ Indrod,, in

scena

Dove "l fatal destin mi guida cieco Lasciami andar, o dove 'l piè mi porta, Né per pietà di mme venir più meco. Deh

Sciogli

lasciami la man,

cader, ch'io

non

non

mi

so

far scorta,

dove,

ahi

lasso,

Se non gir sol, 0 stav fra gente morta. Troverò fors'un fiume, un speco, un sasso

Pietoso a tirarmi fuor di tanta guerra, Precipitando in loco oscuro e basso. La 1% e la 38 terzina sono

state

riferite

dal

B. nella Cena,

p. 59.

Anche i tre ciechi dell’ Epicuro mettono a paragone i loro affanni; e ciascuno pretende che il suo sia più forte e più disperato.

(B. [244-5]) (W. II, 419) (L. 734) (G.t II, 459) (G.2 II, 488-9).

1143

DE

GLI

EROICI

FURORI

per pietà che non oltre aver possa senso del suo male, facendo cossf lui occolto a se medesimo, come se gli è fatta occolta la sua luce, con sepelir lui col proprio male. Dice dunque: Parla il secondo

cieco.

Da la tremenda chioma ha svelto Aletto L' infernal verme, che col fiero morso

Hammi

si crudament' il spirto infetto,

Ch’a tòrmi il senso principal è corso, Privando de sua guida l' intelletto; Ch’ in vano

l’alma

chiede

altrui

soccorso,

Sf cespitar mi fa per ogni via Quel rabido rancor di gelosia.





Se

non

sacra pianta, soccorso

Un

Che Con

divin

né virti de pietra, scampo

m’ impetra,

di voi sia, per Dio, piatoso

di questo

della Cecaria;

il seguente Canzoniere,

incanto,

a me mi faccia occolto: far meco il mio mal tosto

1 I lamenti

loso

magico

in tanto,

sepolto!.

geloso rammentano

ma evidentemente

pure

quelli del

in questo son. il B. imita

son. del TansILLO (Poesie liriche, son. XXXIV, son. XCIX, pp. 142-3, dove cfr. le note):

Dunque, dopo tanti anni, Verme infernal, mi

G e -

p.

18;

a dar di morso, vien'si crudelmente,

Ch' io creda gir sicur già dal tuo dente Tutto quel che m'avanza del mio corso ?

Se non

Temo

mi manda

che morto

Cost

il freddo

io ne

altrui

velen,

Vago, del cor di vena O

Non

Mi

spero

forza

Se

sani, vuol

di

che

viva,

soccorso,

vepente:

rapidamente

în vena

è corso.

virtù

parole,

0 prego

ch'io

cadrò

pietà

d'erbe

o

man

altrui

uccida

la

odi

d'uom

scampo

mia

maga

pietre,

Marso

mimpetre

Chi di liquor mortal m' ha tinto e sparso,

Ed

unga

del suo

sangue

la mia

piaga.

{B. [245]) (W. II, 419) (L. 735) (G.! II, 459-60) (G.* II, 4189-90).

1144

PARTE

Succede

SECONDA

l'altro,

DIALOGO

il qual

dice

esser

QUARTO

dovenuto

cieco

per

essere repentinamente promosso dalle tenebre a veder una gran luce; atteso che essendo avezzo de mirar bellezze

ordinarie,

venne

subito

a presentarsegli

avanti

gli occhi

una * beltà celeste, un divo sole: onde non altrimente si gli è stemprata la vista e smorzatosegli il lume gemino che splende in prora a l'alma (perché gli occhi son come doi fanali che guidano la nave), ch’accader suole a un allievato nelle oscuritadi Cimmerie 2, se subito immediatamente affiga gli occhi al sole 3. E nella sestina priega che gli sia donato libero passagio4 a l'inferno, perché non altro che Vedi lo Spaccio, p. 749.

il suo

male



procede

Da

quel morbo

Anche nella Cecaria, il Geloso dice che

infernal

di gelosia

Che tanto cresce più quanto E prima,

parlando

l'uom vede.

del cuore della sua amica: essendo

ignudo,

Per coprirlo fe' un scudo poi davanie D'un

rigido

D'amor

diamante,

face,



ove non

strale,

sangue

Né virtà d'erbe, 0 incanto Pungergli pur la scorza. Già

vale

o pianto,

o d'altra- forza

il PETRARCA:

I begli occhi ond' i’ fui percosso in guisa Ch'e' medesmi porian saldar la piaga,

E

non

già virtù

O di pietra.... Cfr.

Ariosto,

It B:

Orl.

fur.,

d'erbe

XXXI,

un.

? Gli antichi chiamavano

sforo,

la

quale

(246))

(W.

5;

II,

come

419-20)

maga,

Tasso,

Cimmeria

credevano avesse .il

dense esalazioni. 3 B:a sole. 4 Anche appresso, alla francese. (B.

o d'arte

a p. (L.

cielo

una

1153,

735)

1145

Ger.

(G.!

lib.,

III,

19.

regione posta sul Bo-

scuro

con II,

e

nuvoloso

la gutturale 461)

(G.3

per

lc

scempia, IT,

491).

DE

GLI

tenebre convegnono dunque cossi:

EROICI

ad

un

FURORI

supposito

tenebroso.

Dice

Parla il terzo cieco. S'appaia

il gran

A un vom

nodrito

pianeta

di repente

in tenebre profonde,

O sott’il ciel de la Cimmeria gente, Onde lungi suoi rai il sol diffonde; In

Gli spenge

il lume

prora

a l'alma,

Fatemi

a l'orco

gemino

splendente

e nemico

s’asconde.

Cossi stemprate fùr mie luci avezze A mirar ordinarie bellezze !. Perché Perché

morto discorro tra le genti ? ceppo infernal tra voi viventi

Misto men

Sorbisco,

Messo

andare;

per

vo?

Perché l’aure discare

in tante

aver

pene

visto il sommo

bene ?

Fassi innanzi il quarto cieco per simile, ma non già per medesima caggione orbo, con cui si mostra il primo ?. Perché, come quello per repentino sguardo della luce, cossi questo con spesso e frequente remirare, o pur per avervi troppo fissati gli occhi, ha perso il senso de tutte l'altre luci, e non si dice cieco per consequenza al risguardo

di quella unica che l'ha occecato 3. E dice il simile del senso 1 Il terzo

degli occhî

cieco

dell’ Epicuro

(Cec., p. 63):

Bramando

Diuna

ch’ ha

deve

la sua

cecità

al iropp'ardir

un di fissar l’alto splendore "! cor

di ferro,

o pur

di

smalio,

(Ma la pena è maggior più che l'ardore), Ratto perderno *l lume al prinvassalto} Onde di lor il cor sempre si duole. Ch'ebbero ardir mirar lume tant'alto. ? Cioè

3 (LAM: (B. [246-7])

il precedente,

occecato;

il terzo

G! e G3:

(W. II, 420)

cieco.

accecato (ma cfr. p.

(L. 735-6)

1146

(G.I II, 461-2)

1163,

n. 1).)

(G.2 IL, 4q91r-2).

PARTE

SECONDA

DIALOGO

QUARTO

de la vista a quello ch'aviene al senso dell’udito; essendo che coloro che han fatte l’orecchie a gran strepiti e rumori, non odeno gli strepiti minori, come è cosa famosa de gli popoli Cataduppici, che son là d'onde il gran fiume Nilo da una altissima montagna scende precipitoso alla pianura *. Minutolo. Cossi- tutti color ch' hanno avezzo il corpo, l'animo a cose più difficili e grandi, non sogliono sentir fastidio dalle difficultadi minori. E costui non deve esser discontento della sua cecità. Severino. Non certo. Ma si dice volontario orbo, a cui piace che ogni altra cosa gli sia ascosa, come l’attedia col divertirlo da mirar quello che vuol unicamente mirare. Ed in questo mentre priega gli viandanti che si degnino de non farlo capitar male per qualche mal rancontro *, mentre va sf attento e cattivato ad un oggetto principale.

Minutolo. Severino.

Riferite le sue paroli.

Parla il quarto cieco. Precipitoso

d'alto

al gran

profondo

Il Nil d'ogni altro suon il senso ha spento De’ Cataduppi al popolo ingiocondo. — Cossi stand' io col spirto intiero attento Alla

Tutti Or

più

viva

i minor

mentr'ella

luce

ch'abbia

splendori

unqua

gli splende,

aures

sicut,

hominum

ad

montibus,

magnitudinem * Cir. p. [247-8))

republica,

obsurducrunt

ubi Nilus

altissimis

(B.

De

illa, quae

ea

gens,

sonitus sensu 170, n. 1.

(W.

II,

420-1)

VI,

nec

18,

Catadupa audiendi

(L.

ascose.

19:

est ullus

quae

736)

1147

non sento:

l'altre cose

Sien pur a l'orbo volontario 1 CiceRoNE,

il mondo,

«Hoc

hebetior

pominantur,

illum

locum

caret ».

(G.

II,

462)

sonitu

oppletae

sensus in vobis,

praecipitat

ex

accolit,

propter

(G2

492-3).

II,

DE

Di

GLI

Priegovi,

da

qualche

Fatemi

Perché

In

luogo

Mentre

EROICI

le scosse

sasso,

o fiera irrazionale,

accorto,

e se

cavo

e basso,

non

FURORI

si scende

caggian

queste

privo de guida

meno

o sale;

misere

ossc!

il passo 2.

Al cieco che séguita per il molto3 lacrimare accade che siano talmente appannati gli occhi, che non si può stendere il raggio visuale a compararsi le specie visibili 4, e principalmente per riveder quel lume ch'a suo malgrado, per raggion di tante doglie, una volta vedde. Oltre che si stima la sua cecità non esser più disposizionale, ma 1 BIWVL:

cui

® Si

ossa;

ricordi

vorrebbe

G!:

(vedi

osse:

correzione

sopra,

precipitare

p.

1143,

il Vecchio

necessaria

n. 2) il loco

per

abituale, ed

oscuro

dell’ Epicuro.

la rima.

Dei

e basso,

tre

in

ciechi

della Cecaria solo il primo ha una guida, e gli altri due dicono (p. 42):

St grande

Che,

sol per non

Non

Onde

l'uno

è "I nostro duol, tant’è la doglia

troviam

urta

Crudel,

guida,

nell'altro,

Deh non

Quanta

vederci

poca

che

bastava



tempo

pietà regna

in’ hai

che

con

in tuo petto,

urto

Iudi pur mossi Tanto

.

in

racconta,

alla donna,

rimaso

ci voglia.

si scontrano

terra

(p. 41):

un

la vide

freddo

messo!

che dopo

che l’amava

tosi in fine a scoprirle l'animo suo, e sdegnata allontanarsi (p. 56): Vedendomi

languire,

'! mal che tienmi oppresso ?

nella Cecaria

il suo amore

altri

quando

3 GI: per molto.

4 Il Vecchio

ognor

aver celato lungo

semplicemente,

tutta mutarsi

indot-

in vista,

sasso

’l passo ognor piangendo

e da quell'ora

piant'usci fuora dal mio speco

Ch' io ne

divenni

cieco,

e tanto piansi,

Che già molt’anni son che a questi lumi Mancan gli usati fiumi

Questo motivo è ripreso dal B. e svolto poi nel son. successivo. (B.

[248-0))

(W.

II, 421)

(L. 736-7)

1148

(G.t II, 463)

(G.2 II, 493).

PARTE

al tutto

SECONDA

privativa;

DIALOGO

perché

il fuoco

QUARTO

luminoso

che

accende

l’alma nella pupilla, troppo gran tempo e molto gagliardamente

è stato riprimuto

ed oppresso

dal contrario umore;

de maniera che, quantunque cessasse il lacrimare, non si persuade che per ciò conseguisca il bramato vedere. Ed udirete quel che dice appresso alle brigate, perché lo facessero oltrepassare: Parla il quinto cieco. Occhi miei, d’acqui sempre mai pregnanti, Quando fia che del raggio visuale La scintilla se! spicche fuor de tanti E si densi ripari, e vegna? tale, Che possa riveder que’ lumi santi,

Che

fùr principio del mio

dolce male ? 3

Lasso! credo che sia al tutto estinta, Sf a lungo dal contrario oppressa e vinta. Fate

passar'

il cieco4,

E voltate vostr’occhi a questi fonti, Che vincon gli altri tutti uniti e gionti; E

s'è

chi

ardisce

È chi certo lo rende

Ch’un

disputarne

de’ miei occhi un

1 BL: se; IWG!: si. Se è la ‘nell’ Introd. al Cand., p. LX.

® Vegna, 3 Il

P. 75):

divegna,

TansILLO,

Poesie

come

meco,

Ocean f.

comprende.

arc.

e

nell’ Or.

liriche,

p.

170

dialettale,

fur., I, 2. (SPAMP.,

intorno Bruno

a e

cui

Nola,

Deh, sarà mai che a rivedervi torni, O lumi amati, e che la vostra aurora

Nelle tenebre mie pietosa aggiorni ? 4 Il Geloso

nella

Aprite Che non Il passo La pena Cfr. i due sonn.

La

beltà che

Cecaria,

p. 37:

"1 passo al cieco, vuol guida seco, aprite e date per pietade, acciò si senta che "l tormenta, affligge e coce. qui appresso (pp. 1I151e 1153) dello stesso Bruno:

per gli

occhi

e Fortunati

voi

altri.

B. [249-50]) (W. II, 421) (L. 737) (Gt II, 463-4) (G.* II, 493-4).

1149

DE

Il sesto

orbo

GLI

EROICI

è cieco,

FURORI

perché

per

il soverchio

pianto

ha mandate tante lacrime che non gli è rimasto umore, fin al ghiacio! ed umor per cui come per mezzo diafano il raggio visuale era transmesso e s’intromettea la luce esterna e specie visibile, di sorte che talmente fu com-

punto il core che tutta l’umida sustanza

(il cui ufficio è

de tener unite ancora le parti diverse varie e contrarie) ?

è digerita; ed egli è rimasta* bis l'amorosa affezione senza l’ef-

fetto de le lacrime, perché l'organo è stemprato per la vittoria degli altri elementi, ed è rimasto consequentemente senza vedere e senza constanza3 de le parti del corpo insieme. Poi propone a gli circonstanti quel che intenderete: Parla il sesto cieco. Occhi

non occhi 4;

fonti,

non

pii

fonti,

Avete sparso già l' intiero umore, Che tenne il corpo, il spirto 5 e l'alma E

tu,

visual

ghiaccio,

che

di

fore

1 Sebbene più gi con la tenue doppia,

scrivere,

come

si trova

stampato,

gionti.

con

qui il B. ha ben potuto

la semplice.

® Perl'ufficio dell'elemento umido vedi il De l'infinito, pp. 460-1. 2 sis (L’Amerio emenda: ed ègli rimasta)

già

3 Constanza, lo stare insieme, 4 Il PETRARCA, son. 0 passi sparsi:

ma

ricalcata

fonti». sulla

Il TansiLLo,

Cecaria,

e

nei

imitata

Due

a

la consistenza. «O occhi miei,

sua

pellegrini, volta

da

ecloga

occhi

non

pastorale

Garcilaso

de

la

Vega nella più bella delle sue ecloghe (vedi Flamini, Introd. all'ediz. cit.,

p.

xxvn),

ba

un’identica

mossa

Occhi soavi...., ahi lasso, Occhi ? non occhi....

(vv.

613-4):

e che diss' io?

E nei versi seguenti si succedono immagini che hanno un riscontro in altri versi del B., del quinto dialogo di questa 2* parte; vedi p.

1177.

Cfr.

SpamPanaTtO,

Bruno

e Nola,

5 BWL: sillabe.

spirito; GI: spirto: correzione

(B. [250-1])

(W. II, 421-2)

(L. 737-8)

1150

pp.

76-7.

voluta dal numero delle

(G.! II, 464-5)

(G.2 II, 494-5).

PARTE Facevi

SECONDA

Vo

QUARTO

tanti oggetti a l’alma conti,

Sei digerito

Cossi

DIALOGO

dal piagato

core:

ver l' infernale ombroso

speco

menando i miei passi, arido cieco. Deh, non mi siate scarsi A farmi pronto andar, di me piatosi,

Che tanti fiumi, a i giorni tenebrosi, Sol de mio pianto m'appagando, ho sparsi: Or ch'ogni umor è casso,

Verso il profondo

oblio datemi

il passo.

Sopragionge il seguente che ha perduta la vista da l'intenso vampo che procedendo dal core è andato prima a consumar gli occhi, ed appresso a leccar tutto il rimanente umore de la sustanza de l'amante, de maniera che tutto incinerito e messo in fiamma non è più lui; perché dal fuoco, la cui virti è de dissolvere gli corpi tutti ne gli loro atomi, è convertito in polve non compaginabile, se per virtà de l’acqua sola gli atomi d'altri se inspessano e congiongono a far! un subsistente composto. Con tutto ciò non è privo del senso de l’ intensissime fiamme. Però nella sestina con questo vuol farsi dar largo da passare; ché, se qualch'uno venesse tocco da le fiamme sue, dovenerebbe a tale che non arrebe più senso delle fiamme infernali come di cosa calda, che come di fredda neve. Dice dunque: Parla il settimo

cieco,

La beltà che per gli occhi scérse al core,

TFormò nel petto Ch'assorbi prima Sgorgand' in

E poi

alt’ il suo

vorando

Per

metter

Chi

ne

{B.

ogni

l'elemento

M' ha reso non 1G!:

mio l’alta fornace il visuale umore,

gli atomi

vampo

altro

secco

mio

compaginabil suoi

tutto

tenace;

liquore,

in pace,

polve,

dissolve,

e far.

[251-2])

(W.

II, 422-3)

(L. 738)

1151

(G.! II, 465-6)

(G.* II, 495-6).

DE

GLI

EROICI

FURORI

Se d' infinito male . Avete orror, datemi piazza, o gente; Guardatevi dal mio foco cuocente;

Che

se contagion

di quel v’assale,

Crederete che inverno Sia ritrovars' al fuoco

de l' inferno.

Succede l'ottavo, la cecità del quale vien caggionata dalla saetta che Amore gli ha fatto penetrare da gli occhi al core.

oltre,

Onde

come

si lagna

ferito

ed

non

solamente

arso

tanto

come

cieco, ma,

altamente

quanto

ed

non

crede ch’altro esser possa. Il cui senso è facilmente espresso in questa sentenza: Parla Assalto

l'ottavo cieco.

vil, ria pugna,

iniqua

palma,

Punt'acuta, esca edace, forte nervo, Aspra ferita, empio ardor, cruda salma, Stral, fuoco e laccio di quel dio protervo, Che punse gli occhi, arse il cor, legò l’alma E fémmi a un punto cieco, amante e servo, Tal che orbo de mia piaga, incendio e nodo Ho ’l senso in ogni tempo, loco e modo. Uomini, eroi e dei, Che siete in terra, o appresso Dite o Giove,

Dite,

vi priego,

Provaste,

quando,

udiste

o vedeste

Medesmi o tali o tanti Tra oppressi, tra dannati,

Viene

al fine

come

l'ultimo,

e dove

unqua

omci!

tra gli amanti?

il quale

è ancor

muto:

perché

non possendo (per non aver ardire) dir quello che massime vorrebe senza offendere o provocar sdegno, è privo di parlar di

qualsivogli’altra

cosa.

Però

1 Lunghi lamenti, esclamazioni cir. Cand.®, p. 24, n. 2.

non di

parla

dolore.

Per

lui, l’uso

ma

la sua

e l'origine,

(B. (252-4]) (W. II, 423) (L. 738-9) (G.! IL 466-7) (G.2 II, 496-7). 1152

PARTE

SECONDA

- DIALOGO

QUARTO

guida produce la raggione circa la quale, per esser facile, non discorro, ma solamente apporto la sentenza.

Parla la guida del nono cieco. Fortunati voi altri ciechi amanti, Che la caggion del vostro mal spiegate: Esser possete, per merto de pianti, Graditi d’accoglienze caste e grate: Di quel ch'io guido, qual tra tutti quanti Più

Muto Di

altamente

spasma,

il vampo

forse per falta1 d'ardimento

far chiaro a sua diva Aprite, aprite il passo,

Siate benigni De

tristi

Di

men

a questo

il suo

vacuo

impedimenti,

o popol

tormento.

volto2

Mentre ch’ il busto travagliato Va picchiando le porte penosa

late,

e più profonda

folto,

e lasso

morte.

Qua son significate nove caggioni per le quali accade che l’umana mente sia cieca verso il divino oggetto, perché non possa fissar gli occhi a quello. De le quali: La prima, allegorizata per il primo cieco, è la natura della propria specie, che per quanto comporta il grado in cui si trova, in quello aspira per certo più alto

che apprender possa. Minutolo.

possiamo P.

! Franc. 1789.

Perché

nessun

desiderio

naturale

è

vano,

certificarci de3 stato più eccellente che conviene faute,

difetto: .

cfr.

Forio, .

New

World

of

Words,

? Epicuro, Cecaria (Spamr., Postille, p. 237). Aprit'il passo al cieco Che non Il passo

vuol guida seco, per pietate.

aprit'e date

3 (G! = L: de; G*: da (per svista tipogr.).) (B. [254-5))

(W. IL, 423-4)

(L. 739-40) (G.I II, 467-8) 1153

(G.2 II, 497-8).

DE

GLI

EROICI

FURORI

a l’anima fuor di questo corpo in cui gli fia possibile d’unirsi più altamente

o avvicinarsi

oggetto.

Dici molto bene che nessuna potenza ed ap-

Severino.

pulso

al suo

naturale

è senza

gran

raggione,

gola di natura la quale ordina le cose.

anzi è l' istessa re-

Per tanto

è cosa

verissima e certissima a’ ben disposti ingegni, che l'animo

umano (qualunque si mostre mentre è nel corpo) per quel medesimo che fa apparire in questo stato, fa espresso il

suo

esser

verità

peregrino

e bene

in questa

universale,

e non

regione;

aspira

alla

di quello

che

perché

si contenta

viene a proposito e profitto della sua specie. La seconda, figurata per il secondo cieco, procede da qualche perturbata affezione, come in proposito de l’amore è la gelosia, la quale è come tarlo che ha medesimo suggetto nemico e padre, cioè che rode il panno o legno di cui è generato. Minutolo. Questa 1 non mi par ch’abbia luogo nell’amor eroico. Severino. Vero, secondo medesima raggione ? che vedesi nell'’amor volgare; ma io intendo secondo altra raggione proporzionale a quella la quale accade in color che amano la verità e bontà; e si mostra quando s’adirano tanto contra quelli che la vogliono adulterare, guastare, corrompere o che in altro modo indegnamente vogliono trattarla, come son trovati di quelli che si son ridutti sino alla morte, alle pene ‘ed esser3 ignominiosamente trattati da gli popoli

ignoranti e sette volgari. I GI; Questo; ma il pronome si riferisce a « caggioni ». ? GI: seconda medesima raggione. 3 GI: ad esser.

(B. [255-6))

(W. IL, 424) (L. 740) (G.1 II, 468) (G.2 II, 493-9).

1154

PARTE

SECONDA

@DIALOGO

QUARTO

Minutolo. Certo, nessuno ‘ama veramente il vero e buono che non sia iracondo contra la moltitudine:

volgarmente

come

nessuno

ama che non sia geloso e timido per la cosa

amata.

Severino. E con questo vien ad esser cieco in molte cose veramente;

ed affatto affatto, secondo

è stolto e pazzo.

Minutolo.

Ho

notato

un luogo

l’opinion commune,

che dice esser stolti e

pazzi tutti quelli che hanno senso fuor ed estravagante dal senso universale de gli altri uomini. Ma cotal estravaganza

è di due

maniere,

secondo

che

si va estra o con

ascender più alto che tutti e la maggior parte sagliano : o salir possano: e questi son gli inspirati de divino furore; o con descendere più basso dove si trovano coloro che hanno difetto di senso e di raggione più che aver possano

gli molti, gli più e gli ordinarii; ed in cotal specie di pazzia, insensazione

e cecità non

si trovarà eroico geloso.

Severino. Quantunque gli vegna detto che le molte lettere lo fanno pazzo, non gli si può dire ingiuria da dovero. La terza, figurata nel terzo cieco, procede da che la divina verità, secondo raggione sopranaturale detta metafisica, mostrandosi a que’ pochi alli quali si mostra, non proviene con misura di moto e tempo, come accade nelle scienze naturale,

fisiche (cioè quelle che s’acquistano per lume

le quali,

discorrendo

da

! BL: sogliano («B, L: soglano note de G.) » (MicHEL).) % (G! = L: scienze; G3: scienzie) (B.

[256-7])

(W.

II, 424-5)

(L. 740-1) 1155

77



G.

Bruno,

Dialoghi

italiani

una

(et

non

cosa

nota

sogliano,

(G.! II, 468-9)

secondo

malgré

la

(G.2 II, 499).

DE

GLI

EROICI

FURORI

il senso o la raggione, procedeno ! alla notizia d'altra cosa

ignota; il qual discorso è chiamato argumentazione); ma subito e repentinamente, secondo il modo che conviene a tale efficiente. Onde disse un divino: Atfenuati sunt oculi mei suspicientes in excelsum?. Onde non è richiesto van discorso di tempo, fatica de studio ed atto d’ inquisizione per averla, ma cossi prestamente s' ingerisce, come proporzionalmente il lume solare senza dimora si fa presente a chi se gli volta e se gli apre 3. Minutolo. Volete dunque che gli studiosi e filosofi non siano più atti a questa luce che gli quantunque ignoranti ?

Severino. In certo modo nona ed in certo modo si, Non è differenza quando la divina mente per sua providenza viene a comunicarsi senza disposizione del suggetto 5,

voglio dire quando si communica, perché ella cerca ed eligge il suggetto; ma è gran differenza quando aspetta e vuol esser cercata e poi, secondo il suo beneplacito, vuol farsi ritrovare. In questo modo non appare a tutti, né può

apparir ad altri che a color che la cercano. Onde è detto:

1 GI:

2 Vedi

procedono. sopra,

p.

998,

e ivi,

n.

1.

3 PLOTINO, Enn. V, 3, 17 (trad. Ficino): « At in eo, quod simplex est omnino, nullus potest esse discursus: sufficit autem modo quo-

dam

dum

intellectuali

attingit,

illud

omnino

attingere:

neque

posse

oportetque

quicquam

attingentem loqui,

neque

ipsum,

otium

habere dicendi, sed posterius de ipso ratiocinari. Credendum vero est, tunc demum nos vidisse illud, quando animus repente lumen

acceperit »; V, 8, 11: «Si [quis nostrum] autem [sc. postquam cum Deo ipso unus fuerit] revertatur in duo, et interea purus sit, deinceps ipsi [Deo] proximus habitat, adeo ut illo rursus modo adesse quandoque possit, si quando convertatur ad ipsum». Cir. Tocco, Le opp. lat. di G. B., p. 369. 4 BL:

5 GI:

non;

WGI:

dal suggetto.

no.

(B. [257)) (W. II, 425) (L. 741) (G.1 II, 4669-70) (G.2 II, 499-500).

1156

PARTE

SECONDA

- DIALOGO

QUARTO

Qui quacrunt me invenient me +; ed in altro loco: Qui silit,

veniat et bibat?. Minutolo. Non si può negare che l'apprensione del secondo modo si faccia in tempo. Severino. Voi non distinguete tra la disposizione alla divina luce e Ia apprensione di quella. Certo non niego

che al disporsi bisogna tempo, discorso, studio e fatica, ma, come diciamo che la alterazione si fa in tempo e la generazione in instante, e come veggiamo che con tempo s'aprono le fenestre ed il sole entra in un momento, cossi accade proporzionalmente al proposito. La

quarta,

mente

indegna,

stimate

vere

significata

come

nel

seguente,

quella che proviene

non

è vera-

dalla consuetu-

dine di credere a false opinioni del volgo il quale è molto rimosso dalle opinioni de filosofi, o pur deriva dal studio de filosofie volgari le quali son dalla moltitudine tanto più quanto

più

accostano

al

senso

commune.

E questa consuetudine è uno de grandissimi e fortissimi

inconvenienti

plificò

et

che

Alcazele

1 Evangelo

invenictis....:

invenit ».

di

trovar

ed

perché

Averroe) 3 similmente

MattEo,

omnis

(Il MicHEL

® Evangelo

si possano:

enim

VII,

rinvia

di Giovanni,

qui

7-8

(Luca,

quacrit,

a GEREMIA,

VII,

37:

«Si

XI,

accipit;

XXIX,

mahumetano

»,

vedi

anche

la

Cena,

accade 9-10):

et

13.)

quis sitit,

et bibat n. 3 Per Al-Gazali, dal B. ritenuto per il «sommo

logo

(come

p.

121,

qui

exem-

a essi,

«Quaerite

veniat

quaerit, ad

me

pontefice e teo-

e ivi,

n.

4.

Una

più precisa citazione della Destructio destructionum di questo filosofo arabo,

« a quo et quidam

Christianorum

didicere », contro la dottrina

dell'eternità della creazione è nel De immenso, I, 4 (Opera, I, 1, 217). Nelle Theses de magia (Opera, III, 475): «Et in proémio libri Physicorum

dicit

Averroés

consuetudinem

esse

maximam

cavsam,

ut quae sunt venena non tantum .vertantur in antidota, sed etiam (B.

[257-8))

(W.

II, 425-6)

(L. 741-2)

1157

(G.!

II, 470)

(G.? II, 500-1).

DE

GLI

EROICI

FURORI

che come a color che da puerizia e gioventi sono consueti

a mangiar veneno,

quai

son dovenuti a tale, che se gli è

convertito in suave e proprio nutrimento, e per il contrario

secondo

e dolci

buone

veramente

le cose

abominano

la

natura. Ma è dignissima, perché è fondata sopra la

comun

consuetudine de mirar la vera luce (la qual consuetudine non può venir in uso alla moltitudine, come è detto).

Questa cecità è eroica, ed è tale, per quale degnamente contentare si possa il presente furioso cieco, il qual tanto

manca che si cure di quella, che viene veramente a spreggiare ogni altro vedere, e da la comunità non vorrebe

impetrar altro che libero passagio

plazione, sogliono

come

opporre

per ordinario

suole

mortali.

intoppi

di contem-

e progresso

patir insidie e se gli

La quinta, significata nel quinto, procede dalla improporzionalità delli mezzi de nostra cognizione al cognoscibile;

sogna

essendo

che, per contemplar

aprir gli occhi per mezzo

le cose

de figure,

divine,

bi-

similitudini ed

altre raggioni che gli peripatetici comprendono sotto il nome de fantasmi, o per mezzo de l’essere procedere alla speculazion de l’essenza, per via de gli effetti alla notizia della causa; gli quali mezzi tanto manca che vagliano per l’assecuzion

di cotal

fine,

che

più

tosto

è da

credere

che

siano impedimenti, se creder vogliamo che la più alta e profonda cognizion de cose divine sia per negazione e non per affirmazione, conoscendo che la divina beltà e bontà non sia quello che può cader e cade sotto il nostro concetto, in nutrimentum ». A q. l. il Tocco, raccosta il De

suetudinis (B.

[258-9))

snînimo,

II,

credendi

sensus

(W.

426)

II,

Le fonti più recenti, p. 27, in n,

15, in Opera,

etiam

(L.

742)

ipse

(G.1

1158

I, 111, 232:

«ex

perturbatur ». II,

470-1)

(G.

virtute con-

II, 501-2).

PARTE

SECONDA

DIALOGO

QUARTO

ma quello che è oltre ed oltre incomprensibile; massime in questo stato detto speculator de fantasmi dal filosofo, e dal teologo vision per similitudine speculare ed enigma 1; perché veggiamo non gli effetti veramente e le vere specie de le cose, o la sustanza

de le idee, ma

le ombre,

vestigii

e simulacri de quelle, come color che son dentro l’antro ed hanno da natività le spalli volte da l’entrata della luce, e la faccia opposta al fondo; dove non vedeno quel che è veramente,

na

le ombre

de ciò che fuor de l’antro sustan-

zialmente si trova ?. Però per la aperta visione la quale ha persa, e conosce aver persa, un spirito simile o meglior di quel di Platone piange,

desiderando

flessione,

ma

l’exito

da

per immediata

l'antro,

onde

conversazione

non

per

possa

re-

riveder

sua luce 3.

Minutolo. Parmi che questo cieco non versa circa la difficultà che procede dalla vista reflessiva, ma da quella che è caggionata dal mezzo tra la potenza visiva e l'oggetto.

Severino. Questi doi modi, quantunque siano distinti nella cognizion sensitiva o vision oculare, tutta volta però concorreno in una nella cognizione razionale o intellettiva. Minutolo. Parmi aver inteso e letto che in ogni visione

si richiede il mezzo over intermedio tra la potenza ed og-

nunc

1 Allusione

al

detto

di

PaoLo,

I ai

Cor.,

XIII,

12:

« videmus

per speculum in aenigmate ». 2 « È un luogo importante, dove si vede chiaro che gli Er. fur.

ritornano

alle vedute

filosofiche

del De

umbris,

e al disopra

di Pla-

tone mettono Plotino ». Tocco a q. L in Opp. latine di G. B., p. 369, n. 4. Cfr. Lampas trig. statuarum, in Opera, III, 43, 7-16. L'antro è quello

di

tecnica:

conversione

3 Questo

P.- 370, (B.

Platone:

vedi

spirito

(W.

p.

è Plotino,

in n.

[259-60])

sopra,

II, 426-7)

1000,

a cui

immediata.

(L. 742-3) 1159

n.

1.

appartiene Cfr.

l’espressione

Tocco,

(G.I II, 471-2)

op.

cit.,

(G.2 II, 502).

DE

getto.

Perché,

GLI

come

EROICI

per mezzo

FURORI

della luce diffusa ne l’aere

e la similitudine della cosa che in certa maniera procede da quel che è visto a quel che vede, si mette in effetto l'atto

del vedere;

cossi nella regione

intellettuale

dove

splende

il sole dell'intelletto agente mediante la specie intelligibile formata e come procedente da l'oggetto, viene a com-

prendere de la divinità l’ intelletto nostro o altro inferiore a quella. Perché come l'occhio nostro (quando veggiamo)

non riceve la luce del foco ed oro in sustanza, ma in similitudine; cossi l' intelletto, in qualunque stato che si trove,

non riceve sustanzialmente la divinità onde sieno sustanzialmente

tanti dei quante sono intelligenze, ma in simili-

tudine; per cui non formalmente son dei, ma denominativamente divini, rimanendo la divinità e divina bellezza una ed exaltata sopra le cose tutte. Severino. Voi dite bene; ma per vostro dire bene non è mistiero ch' io mi ritratte, perché non ho detto il contrario;

ma

bisogna

chiaro

che io dechiare

che

la visione

ed expliche.

immediata,

detta

Però

da

noi

prima ed

de-

intesa,

non toglie quella sorte di mezzo che è la specie intelligibile, né quella che è la luce; ma quella che è proporzionale alla

spessezza e densità del diafano, o pur corpo al tutto opaco tramezzante;

come

aviene

a colui

che

vede

per mezzo

de

le acqui più e meno turbide, o aria nimboso e nebbioso; il quale s' intenderebbe veder come senza mezzo, quando gli venesse concesso de mirar per l’aria puro, lucido e terso. Il che tutto avete come esplicato dove si dice: Spicche fuor di tanti e si densi ripari. Ma ritorniamo

(B.

al nostro. principale.

[260-1])

(W.

IL

427)

(L.

743)

(G.!

1I60

II,

472-3)

(G.+

II,

502-3).

PARTE

SECONDA

- DIALOGO

QUARTO

La sesta, significata nel sequente, non è altrimente caggionata che dalla inbecillità 1 ed insubsistenza del corpo, il

quale

è

in

continuo

moto,

mutazione

ed

alterazione;

e le operazioni del quale bisogna che seguiteno la condizione della sua facultà, la quale è consequente dalla condi-

zione della natura ed essere. Come volete voi che la immobilità, la sussistenza, la entità, la verità sia compresa da quello che è sempre altro ed altro, e sempre fa ed è fatto altri- ed altrimente? Che verità, che ritratto può star depinto ed impresso dove le pupille de gli occhi si dispergono

in acqui,

fiamma

in aura,

scorrendo

l’acqui in vapore, e questa

il suggetto

il vapore

in fiamma,

in altro ed altro,

del senso

senza

e cognizione

la

fine di-

per la ruota

delle mutazioni in infinito? Minautolo. Il moto è alterità, quel che si muove sempre è altro ed altro, quel che è tale sempre altri- ed altrimente

si porta ed opra, perché il concetto ed affetto séguita la raggione e condizione del suggetto. E quello. che altro ed altro,

altri-

ed

altrimente

mira,

bisogna

necessariamente

che sia a fatto cieco al riguardo ? di quella bellezza che è sempre

una ed unicamente,

cd è l’ istessa unità

ed entità,

identità. Severino. Coss! è, La mento

onde

settima, del

alcuni

settimo

si fanno

contenuta cieco,

deriva

impotenti

allegoricamente dal

fuoco

ed inabili

nel senti-

dell’affezione,

ad

apprendere

il vero, con far che l’affetto precorra a l’ intelletto. Questi 1 (G1 = L: inbecillità; 3 GI: a riguardo.

G%:

imbecillità)

(B. [261-3)) (W. II, 427-8) (L. 744) (G.! II, 473-4) (G2 II, 503-4). 1161

DE

GLI

EROICI

FURORI

son coloro che prima hanno l’amare che l’ intendere: onde gli avviene che tutte le cose gli appaiano secondo il colore della sua affezione; stante che chi vuole apprendere il vero per via di contemplazione,

deve

essere

ripurgatissimo

nel

pensiero. Minutolo. In verità si vede che si come è diversità de contemplatori ed inquisitori per quel che altri (secondo gli abiti de loro prime e fondamentali discipline) procedeno per via de numeri, altri’ per via de figure, altri per via de ordinio disordini, altri per via di composizione e divisione, altri per via di separazione ® e congregazione, altri per via de

inquisizion

e dubitazione,

altri

per

via

de

discorso

e

definizione, altri per via de interpretazioni e desciferazion de

voci,

matici,

vocaboli

e dialecti:

altri metafisici,

altri

son

filosofi

altri logici, altri grammatici:

è diversità de contemplatori

metteno

onde

che con

diverse

mate-

cossf

affezioni si

ad studiare ed applicar l’ intenzione alle sentenze

scritte; onde si doviene

sin a questo che medesima

luce di

verità espressa di un medesimo libro per medesime paroli viene a servire al proposito di sette tanto numerose, diverse e contrarie.

Severino. Per questo è da dire che gli affetti molto sono

potenti

per

impedir

l’apprension

del

vero,

quantunque

gli pazienti non se ne possano accorgere; qualmente aviene ad un stupido ammalato che non dice il suo gusto amaricato 2, ma

il cibo

amaro.

! Nella mia prima edizione ho corretto la lezione Wagner solo perché non mi ero accorto che erano cadute le parole: per via di

composizione e divisione.

2 Di uso negli scrittori dal XIII al XV secolo, ma nel traslato (triste, afflitto), e non, come nel B., nel significato proprio.

(B.

{263-4])

(W.

II, 428)

(L. 744-5)

1162

(G.!

II, 474)

(G2

II, 504-5).

PARTE

SECONDA

- DIALOGO

QUARTO

Or tal specie de cecità è notata per costui, gli occhi del quale son alterati e privi dal suo naturale, per quel che dal core è stato inviato ed impresso, potente non solo ad alterar

il senso,

l’alma,

come

ma,

ed

la presente

Al significato

per

oltre,

l’altre

tutte

facultadi

de

figura dimostra.

l’ottavo,

cossi

l'eccellente

intel-

ligibile oggetto ave occecato! l’ intelletto, come l’eccellente sopraposto sensibile a costui ha corrotto il senso. Cossi avviene a chi vede Giove in maestà,

che perde la vita

e per consequenza

avviene

alto guarda,

perde

il senso.

tal volta vegna

Cossi

oppresso

che chi

da la maestà.

Oltre

quando viene a penetrar la specie divina, la passa come strale. Onde dicono gli teologi il verbo divino essere pit penetrativo che qual si voglia punta di spada o di coltello ?. Indi deriva la formazione ed impressione del proprio vestigio, sopra il quale altro non è che possa essere impresso o sigillato; là onde essendo tal forma ivi confirmata, e non possendo succedere la peregrina e nova senza che questa ceda3, conseguentemente può dire che non ha pi

facultà di prendere altro, se ha chi la riempie o la disgrega per la necessaria improporzionalitade. La nona caggione è notata per il nono che è cieco per inconfidenza, per la deiezion de spirito, la quale è administrata

e caggionata

lo ardire teme

pure

de offendere.

1 Latinismo: cfr. obcaccatus. * Cfr. Paoto, Efes., VI, 17,

3 (FM:

cieda

(cîr. il rinvio

da

grande

Onde

ed

a B

amore,

disse la

Ebrei,

IV,

in Lac.

perché

con

Cantica

12.

e MICHEL).)

(B. ‘((264-5]) (W. II, 428-9) (L. 745) (G.1 II, 474-5) (Gè II, 505). 1163

DE

GLI

EROICI

FURORI

Averie oculos tuos a me, quia ipsi me avolare fecere 1. E cossi

supprime gli occhi da non vedere quel che massime desidera e gode di vedere; come raffrena la lingua da non parlare con chi massime brama di parlare, per terna che difetto di sguardo o difettosa parola non lo avvilisca, o per qualche modo non lo metta in disgrazia. E questo suol procedere ® da l’apprensione de l'excellenza de l'oggetto sopra de la sua facultà potenziale: onde gli più profondi e divini teologi dicono che più si onora ed ama Dio per silenzio che per parola,

come

si vede

più per chiuder

gli

occhi alle specie representate che per aprirli: onde è tanto celebre la teologia negativa de Pitagora e Dionisio 3 sopra quella demostrativa de Aristotele e scolastici dottori. Minutolo. Andiamone raggionando per il camino. Severino. Come ti piace. Fine 1 Cantico

2 GI:

3 Per

(B.

[265])

dei

del

quarto

cantici,

VI,

4.

il Ps.-DronIcI,

cfr.

anche

precedere. (W.

II

429)

(L.

745-6)

dialogo.

sopra,

(G.!

1164

II,

p.

879,

475-6)

n.

(G.2

4.

II.

505-6).

DIALOGO QUINTO INTERLOCUTORI Laodomia +, Giulia >. Laodomia.

Un'altra volta, o sorella, intenderai

quel che

apporta tutto il successo di questi nove ciechi; quali eran prima nove bellissimi ed amorosi giovani, che essendo

tanto ardenti della vaghezza del vostro viso speranza de ricevere il bramato frutto de mendo che tal desperazione le riducesse a ruina, partironsi dal terreno della Campania cordo (quei che prima erano rivali) per la giuròrno di non lasciarsi mai sin che avessero

e non avendo l’amore e tequalche final felice, e d'actua beltade, tentato tutto

il possibile per ritrovar cosa più de voi bella, o simile almeno; con ciò che scuoprir si potesse in lei accompagnata

quella mercé e pietade che non si trovava nel vostro petto

1 L corregge qui e più sotto: Laodamia. % Lo SPAMPANATO (Postille, pp. 235-6) riconosce in queste due «soavi figure femminili », rese allegoriche, due fanciulle che il B. «ebbe compagne d'infanzia, e delle quali serbava un ricordo, forse lontano e vago ». Laodomia sarebbe stata per il filosofo una Beatrice vera e propria. Quanto a Giulia, questa confessa (p. 1178): «se per grazia del cielo ottenni d'esser bella, maggior grazia e favor credo che mi sia gionto, perché, qualunque fusse la mia beltade, è stata in qualche maniera principio per far discuoprir quell’unica e divina. Ringrazio gli dei, perché in quel tempo che io fui si verde,

(B. [266-73) (W. IL, 429-30) (L. 746) (G.! II, [477]) (G.2 IL [507)-S). 1165

DE

GLI

EROICI

FURORI

armato di fierezza; perché questo giudicavano unico rimedio che divertir le potesse da quella cruda cattivitade. Il terzo giorno dopo la lor sollenne partita, passando vicini al monte Circeo, gli piacque d'andar a veder quelle antiquitadi de gli antri e fani di quella dea. Dove essendo gionti, dalla maestà del luogo ermo, de le ventose, eminenti e fragose* rupi, del mormorio de l’onde maritime che vanno a frangersi in quelle cavitadi 2, e di molte altre cirche le amorose fiamme non si posseano accendere nel petto mio, mediante la mia tanto restia quanto semplice crudeltade, han preso mezzo per concedere incomparabilmente grazie maggiori a’ miei amanti, che altrimenti avessero possute ottenere per quantunque grande mia benignitade ». La prima volta (osserva lo Spamp.),

molto facilmente, fur.

(p.

1112),

splendor

di

la s’ intravvede in un son. del 2° Dial. degli Er.

dove

specie

ilfil osofo

simboleggia

intelligibili....

il suo

«Non

invaghirsi

sarebbe

dello

stato

il caso di fare qualsiasi congettura, se nelle opere di B. non si ritrovassero ormai da per tutto, e senza più maraviglia, in vece di crea-

zioni

immaginarie,

avvertire

che i nomi

merazione

del 1563

persone

realmente

madre

e

lo

zio

perciò,

di

nolani,

(foc. 502)

che in

a famiglie affini a quella del B. La nuha una Laodomia,

S. Paolo convive con lo zio Angelo del 1526

Occorre,

di esse interlocutrici esistono nei Fuochi

e .per giunta appartengono

Fuochi

vissute.

(focc.

1092

materno

di

Savolino,

e 1093)



Giordano»

tredicenne,

cugino —

risulta da’

di Flaulisa e di Scipione, la (vedi

Cand.*,

n.

2

delle

pp. 188-9); e la numerazione del 1545, secondo nuove e più accurate ricerche (Vita, p. 64, e ivi, n. 3), mostra a c. 97, nel foc. 1192, Giulia, nata a S. Paolo il 1544 (e quindi alcuni anni dopo del fratello Francesco e delle sorelle Preziosa e Vittoria) da Margherita e da quell'Antonio Savolino che nello Spaccio, a p. 634, è ricordato come uno

degli abitanti

di S. Giovanni

del Cesco,

vicino

di casa

del padre

del Nolano. Sicché le due Savolino erano quasi coetanee di Giordano, essendo

dopo

la Giulia

la Laodomia.

1 V.

venuta

alla luce

Spaccio,

p.

590,

n.

strada

di

Capua,

quattro

anni

prima

di lui,

e due

3.

® Di questi luoghi la descrizione è tale che non si può non supporre che l’A. li abbia visti in uno dei suoi viaggi a Roma, prendendo

la

Fondi,

Terracina,

oppure

in

qualche

breve soggiorno, durante il suo monacato, a Gaeta, in uno dei più antichi conventi dell'ordine dei Predicatori della provincia del

(B. (267)) (W. IL, 430) (L. 746) (G.! II, [477]) (G# II, 508). 1166

PARTE

constanze

che

SECONDA

mostrava

- DIALOGO

il luogo

QUINTO

e la staggione,

vennero

tutti come inspiritati: tra’ quali un (che ti dirò), più ardito, espresse queste paroli: — Oh se piacesse al cielo che a questi tempi ne si fesse! presente, come fu in altri secoli più felici, qualche saga? Circe che con le piante, minerali, veneficii ed incanti era potente di mettere come il freno alla natura; certo crederei che ella, quantunque fiera, piatosa pur sarebbe al nostro male.

Ella, molto

sollecitata

da nostri supplichevoli lamenti, condescenderebbe o a darne rimedio, over a concederne grata vendetta contra la crudeltà di nostra nemica. — A pena avea finito di proferir queste paroli, che a tutti si presentò visibile un palaggio, il quale chiunque ave ingegno di cose umane, possea facilmente comprendere che non era manifattura d'uomo, né di natura; de la figura e descrizion de la quale ti dirò un’altra volta. Onde percossi da gran maraviglia, e tàcchi da qualche speranza che qualche propizio nume (il qual ciò gli mise avanti) volesse definire il stato de la lor fortuna, dissero ad una voce che peggio non posseano incorrere che il morire 3, il quale stimavano minor male che vivere in tale e tanta passione 4. Però vi entràro dentro, non trovando porta che fermata gli fusse, o portinaio che gli dimandasse Regno, edificato il 1229 sotto Gregorio IX e che «prior erat in Castello sub nomine S, Nicolaî ». Vedi c. 1471 del vol. 698 dei Momasteriî soppressi dell'Archivio di Stato.

! Arcaismo: facesse. ® Dal lat. saga, ae: t. registrato dal New World of Words, p. 458, con la spiegazione di ‘ maga’, ‘ donna sapiente ’. 3 Cir.

4 Così

Amore,

sopra,

nella

disposti

travagliano: Se

non

p.

580,

Cecaria

a morire c'è speme,

n.

3.

i tre

ciechi

piuttosto 'l duo!

volgono

i passi

al tempio

che a vivere nelle pene

chiuda

le strade

(p.

di

che li

83).

(B. [267-8)) (W. II, 430) (L. 746-7) (G.1 II, [477)-8) (G.2 II, 508-9).

1167

DE

GLI

EROICI

FURORI

raggione; sin che si ritrovàro in una

richissima!

ed oi.

natissima sala, dove in quella regia maestade, che puoi dire che Apolline fusse stato ritrovato da Fetonte 2, apparve

quella ch’ è chiamata sua figlia 3; con l’apparir de la quale

veddero sparire le imagini de molti altri numi che gli administravano. Là con grazioso volto accettati e confortati, si féro avanti; e vinti dal splendor di quella maestade,

piegàro

le ginocchia

in terra,

e tutti insieme

con quella

diversità de note che gli dettava il diverso ingegno,

espo-

mente

laboriosi

tutti

fiumi,

superati

sero gli lor voti alla dea. Dalla quale in conclusione furono talmente trattati, che ciechi, raminghi ed infortunatahanno

varcati

tutti

monti,

spacio de diece anni4;

tutti

mari,

passati

discorse

tutte

pianure,

al termine

per

de quali entrati sotto

quel temperato cielo de l'isola Britannica, gionti al conspetto de le belle e graziose ninfe del padre Tamesi, dopoi 1 Vedi

sopra

2

Quo

Venit

p.

622,

simul

e ivi, n.

acclivo

et intravit

2.

Clymeneta

dubitati

tecta

limite

proles

parentis,

Protinus ad patrios sua fert vestigia vultus Consistitque procul; neque enim propiora ferebat Lumina. Purpurea velatus veste sedebat In solio Phoebus clavis lucente smaragdis.... Ovipio, Metamam., II, 10-24. 3 Circe, dives Solis filia, come è detta da VirciLIO,

4 Questi

diece

anni

sono, evidentemente,

Aen.,

VII,

11.

un altro accenno

autobiografico (pit sotto per quell'uno, tra loro il principale, s'ha da intendere lo stesso B.). I quali dieci anni terminerebbero,

si

badi,

non

con

l'entrare

sotto

il

cielo

britannico

(primavera i583), ma con la data della composizione dei seguenti versi, o. degli Eroîci Furori (1585); e comincerebbero quindi nel 1576: anno che coincide con la data della sua definitiva partenza dal Napoletano (i paesi di Circe) assegnata dallo stesso B., ncl primo

costituto l'altro

si voglia

veneto,

accenno

al 1576

(Vifa,

autobiografico

intendere

quei

30 anni,

p. 697).

della

n.

in modo

Mal

1 a

s'accorda

p.

1I1or,

approssimativo

bensì

salvo

con

non

(propria-

(B. [268)) (W. II, 430) (L. 747) (GI II, 478-9) (G3 II, 509-10). 1168

PARTE

SECONDA

- DIALOGO

QUINTO

aver essi fatti gli atti di conveniente umiltade, ed accettati da quelle con gesti d’onestissima cortesia, uno tra loro, il principale,

che

lamentevole modo: Si

altre

volte

accento

ti sarà

espose

la causa

con

commune

tragico

e

in questo

Di que’, madonne, che col chiuso vase fan presenti, ed han trafitt'il core,

Non per commesso da Ma d’una cruda sorte Ch' in sf vivace morte Le

nomato,

tien .Siam

astretti, ogn'un nove spirti che

Per brama Abbiam

D'un

natura

di saper,

discorsi,

cieco molti

Un'empia

Circe,

D'aver questo

Ne

accolse

Noi

tutti,

e fummo

un

attente, ed o infelici

che

di

surpresi

amanti!

si don’ il vanto

bel sol progenitore !,

dopo

vario

E un certo vase aperse, De le acqui insperse ed

rimase. anni, erranti,

molti paesi

rigid’accidente,

I’er cui, se siete Direte: O degni,

errore,

a quel

far

e lungo

giunse

errore; l’ incanto.

Noi aspettand' il fine di tal opra,

Eravam con silenzio muto Sin al punto che disse: —

Itene

ciechi

in tutto;

attenti, O voi dolenti,

Raccogliete quel frutto, Che trovan troppo attenti al che gli è sopra ?. — mente 28), come terminanti nel 1576 circa; data del secondo processo d'eresia subito dal B. e della sua conseguente uscita dalla Religione. Nella Circe bruniana, innanzi alla quale i ciechi piegàro da

dover

le

ciechi,

ginocchia, raminghi,

e da cui furono

infortunatamente

talmente

laboriosi

trattati

varcar

mari,

passar fiumi, ecc., forse è da scorgere (nonostante la dichiarazione del B. a p. 945) appunto la religione, che B. aveva giovinetto abbrac-

ciata. Per quest’'accenno iperbolico alle sue peregrinazioni, cfr. Spaccio, p. 713, e il mio G. B. nel pensiero del Rinascimento*, n. 1 a pp. 188-0. (Vedi la nota a p. 1178.) 1 La chiesa fondata da Cristo? ? Il frutto che colgono coloro che attendono troppo alla luce (B. [268-70])

(W. II, 431)

(L. 747-8)

1169

(G. II, 479-980) (G.2 II, S10-1).

DE —

Figlia

GLI

EROICI

e madre

di

FURORI

tenebre

ed

orrore,

(Disse ogn’un, fatto cieco di repente), Dunque ti piacque cossi fieramente Trattar miseri amanti,

Che ti si féro avanti, Tacili forse a consecrart’il

core?



Ma poi ch’a i lassi fu sedato alquanto Quel subito furor, ch'il novo caso Porse,

ciascun

Mentre

più

Voltossi

alla

Or

Che

in



rimaso,

mercede,

Con tali accenti —

accolto

ira al dolor cede,

accompagnand' il pianto:

dunque,

s'a

zel di gloria forse

voi

piace,

il cor

o

nobil

maga,

ti punga,

O liquor di pietà il lenisca ed unga, Tarti

Co’

piatosa

medicami

a noi tuoi,

Saldand' al nostro cuor l’ impressa Se la man

Deh,

non

Che

sia

bella è di soccorrer tanto

la

dimora

di noi triste alcun

Pria che per gesti tuoi Possiam unqua dir noi:

Tanto

ne tormentò,

sopra-intelligibile sum.

Ossia,

vallo pegaseo. son.

1 Cfr.

C,

pp.

il

di

Dio:

l’ ignoranza

ma

143-4:

Se vuol ch'io

vaga,

lunga,

giunga

più ne appaga!.

altenuati

messa

TANSILLO,

a morte

piaga;

in

sunt

oculi

canzonatura

Poesie,

son.

XXXV,

scampi

la mia



suspicientes nella

Cabala

p.

18;

in exceldel

ca-

Canzoniere,

nobil maga,

Che pietà del mio mal forse la punga,

Franga

il serpente

che già morse,

ed unga

Del fier suo sangue la mortal inia piaga. Se

Deh,

la

man

non

sia

bella

tanto

è

di

la

soccorrevr

dimora

vaga,

lunga,

Che "I rigor de la morte al cor mi giunga, Che per le membra a lunghi passi vaga. H dente, che mi morde e m'avvelena

SI ch'io ne moro, è fiera gelosia: Benché *l tosco sia sparso în ogni vena, Vivrò, pur ch'io non vegga quel che vidi,

E coi begli occhi la nemica mia, Quanto mi spaventò, tanto m'affidi. L’evidente

imitazione

fu

già

avvertita

dal

Fiorentino

(ivi,

(B. [270]) (W. II, 43x-2) (L. 748) (G.! II, 480-1) (G2 IL, s11-2).

1170

PARTE

SECONDA

DIALOGO

QUINTO

E lei soggiunse: — O curiosi ingegni, Prendete un altro mio vase fatale 1, Che mia mano medesma aprir non vale; Per largo e per profondo Peregrinate il mondo,

Cercate tutti i numerosi regni: Perché vuol il destin che discuoperto

Mai

vegna,

se non

Per

far questo

quando

alta saggezza

E nobil castità giunte a bellezza V'applicaran le mani; D'altri i studi son vani Allor,

liquor

s'avvien

al ciel aperto.

ch’aspergan

le man

Chiunque a lor per remedio s'avicina, Provar potrete la virtà divina

Ch’a

belle

mirabil contento

Cangiando

il rio

tormento,

Vedrete due più vaghe al mondo stelle. Tra tanto alcun di voi non si contriste, Quantunque a lungo in tenebre profonde Quant'è

Perché

sul

firmamento

cotanto

Per quantunque Mai degnamente

se gli

bene

asconde;

gran pene avverrà che s'acquiste ?.

p. 222). Pel motivo raminghe per tutt'il terren globo nostre membra ece. ‘(che ricorre più sotto), cfr. i vv. 1-3 dello stesso TANSILLO,

0. G., p.

170.

1 Quest'altro

vase

fatale,

contrapposto

al

primo,

aperto

stessa Circe, e che delle sue acque asperge gli uomini, come

pare,

sta

qui

a

significare

la

religione,



dalla

se Circe,

e propriamente

la

Chiesa cattolica, il cui insegnamento si riduce all’ Ifene ciechi in tutto, — deve simboleggiare, alla sua volta, Ia promessa che Ja religione fa, ma non mantiene, dell'effettiva cognizione di Dio: un vase,

che la sua mano medesma aprir non vale. E per aprir il quale al B. toccherà andar peregrinando il mondo per largo e per profondo (speculare l'universo naturale ?) finché alta saggezza, nobil castità e

bellezza non

v’applicaran

le mani.

Queste

saranno

le Ninfe britan-

niche, la cui immagine allegorica fu probabilmente suggerita al B. dalla sua idealizzata Cecaria, dove, come s'è veduto, le tre donne

operano

la miracolosa

questa

volta,

di

illuminazione

Ewigweibliche.

Lo

dei ciechi:

stesso

B.

è

una

specie,

ricondotto

a

anche

Dio,

a un Dio mondano, da un senso mistico di ciò che è più vago al mondo:

la femminilità, 2 Si

vedute, (B.

noti

che

il contrapposto

e quant'è

(270-1])

per lui è nobile

(W.

tra

sul firmamento,

IT, 432)

le stelle

(L. 748-9)

1171 78



G.

Bruno,

Dialoghi

italiani

castità

che

(G.!

sarà

del

e bellezza. 1nondo,

mai

che

sempre

II, 481-2)

(G.

saranno

ascoso

in

II, 512-3).

DE Per

GLI

quell'a

cui

EROICI cecità

vi

FURORI conduce,

Dovete aver a vil ogni altro avere E stimar tutti strazii un gran piacere; Ché sperando mirare Tai grazie uniche o rare!, Ben potrete spreggiar ogni altra luce. — Lassi! è troppo gran tempo che raminghe Per tutt’ il terren globo nostre membra Son Che

ite, si ch'al fine la fiera sagace

a tutti

Di speranza fallace Il petto n’ ingombrò

Miseri ! ormai

Ch’a

quella

Tenerci

siam

maga,

a bada

Certo perché

con

sembra

sue

lusinghe.

{bench'al tardi)

per più

eternamente

nostro

cale;

lei crede

male,

avisti,

Che donna non si vede Sott' il manto del ciel con tanti acquisti 2. Or benché sappiam vana ogni speranza, Cedemo al destin nostro e siam contenti Di non ritrarci da penosi stenti, E mai fermando i passi

(Benché

.

trepidi e lassi),

Languir

tutta

la vita

che

n'avanza3.

Leggiadre Ninfe, ch'a l'erbose sponde Del Tamesi gentil fate soggiorno,

Deh,

per

Dio,

non

abiate,

o belle,

a scorno

vase

asconde.

Tentar voi anco in vano Con vostra bianca mano Di scuoprir quel ch’ il nostro

tenebre

luto

che

profonde: non

ha

che

è il contrapposto fav con

nei,

come

tra

dice

il Dio

il B.

dei

teologi,

l’asso-

«quant'è

sul fir-

nello

Spaccio,

e il

2 La religione ritiene che quaggii (sotto il mianto possa esserci una cognizione cosi piena della verità.

del ciel)

non

Deus sive natura dei filosofi. (L'Amerio intende mamento: quanto si vede dipinto nei cicli n.) 1 WGI: e vare. 3 Nel

son. Io

XIV

Poiché cedo

Languiy

(Poesie

liriche,

p.

fin qui fu vana

al mio

destino,

tutta la vita,

ogni

e ini

8) il TANSILLO: speranza,

contento

che m'avanza.

(B. [271-2)) (W. II, 432-3) (L. 749-50) (G.! II, 482-3) (G.? II, 513-4).

1172

PARTE

SECONDA

- DIALOGO

QUINTO

Chi sa ? forse che in queste spiagge, Con le Nereidi sue questo torrente Si vede che cossi rapidamente Da

basso

in

su

dove

rimonte,

Riserpendo al suo fonte, Ha destinat’ il ciel ch’'ella si trove.

Prese una de le Ninfe il vaso in mano, tentare,

offrillo ad una

per una,

di sorte che

e senza altro non

si trovò

chi ardisse provar prima; ma tutte de commun consentimento, dopo averlo solamente remirato, il riferivano e proponevano

per rispetto e riverenza ad una sola; la quale

finalmente non tanto per far pericolo ! di sua gloria, quanto per pietà e desio di tentar il soccorso di questi infelici, mentre

dubbia

lo

contrattava,



come

spontaneamente,

s'aperse da se stesso. Che volete ch'io vi referisca quanto

fusse e quale l'applauso de le Ninfe ? Come possete credere ch’ io possa esprimere l'estrema allegrezza de nove ciechi, quando udîro del vase aperto, si sentîro aspergere dell’acqui bramate, aprîro gli occhi e veddero gli doi soli, e trovarono aver doppia felicitade: l'una della ricovrata già persa

luce,

l’altra

della

nuovamente

discuoperta,

che

sola possea mostrargli l’ imagine del sommo bene in terra ? ? Come, dico, volete ch'io possa esprimere quella allegrezza e tripudio de voci, di spirto e di corpo, che lor medesimi, tutti insieme, non posseano esplicare? Fu per un pezzo il veder tanti furiosi debaccanti, in senso di color che credono sognare, ed in vista di quelli che non credeno quello che apertamente veggono; sin tanto che tranquillato es1 Latinismo,

e vale:

prova.

2L'immagine del sommo bene in l'oggetto della filosofia bruniana, discoperto mente, cioè appunto da questa filosofia.

terra è nuova-

(B. [272-3]) (W. II, 433-4) (L. 750) (G.1 II, 483-4) (GIL 514-5). 1173

DE

sendo

alquanto

GLI

EROICI

l’ impeto

di ruota !, dove

FURORI

del furore,

se misero

in ordine

il primo cantava e sonava la citara in questo tenore: O

O rupi, o fossi, monti, o piani,

o spine, o sterpi, o sassi, o valli, o fiumi, o mari,

Quanto vi discuoprite grati Ché mercé vostra e merto N° ba fatto il ciel aperto!

O fortunatamente

Il secondo O

e cari;

spesi passi!

con la mandòra

fortunatamente

O diva Circe,

spesi

sua sonò e cantò:

passi,

o gloriosi affanni;

O quanti n'affligeste mesi ed anni,

Tante

grazie

divine,

Se tal è nostro fine

Dopo

che

tanto

travagliati

e lassi!

Il terzo con la lira sonò e cantò: Dopo

che

tanto

travagliati

e lassi,

Se tal porto han prescritto le tempeste, Non fia ch'altro da far oltre ne reste

I Anche

nella

Cecaria

i tre

amanti,

ricuperata

la

vista,

effon-

dono, prima essi stessi, ad uno ad uno, la gioia dei loro animi bene-

dicendo

la passata sventura.

Uno

dice

(p. 96):

Sia benedetto il giorno Ch'a quel bel lume adorno

Prima

Quando

questi occhi apersi,

"I mio cor gli offersi.

Sia benedetto Amore, E °l passato dolore,

Benedetto

Poi

Il B. riprende

'1 penar,

la lunga

noia,

ch'ogni altro martir rivolt'è in gioia.

qui appresso

lo stesso

motivo

e, al solito, lo svolge.

(B. [273-5)) (W. IL, 434) (L. 750-1) (G.! II, 484-5) (G-2 II, 515.0).

1174

PARTE Che

SECONDA

ringraziar

Ch'oppose

DIALOGO

QUINTO

il cielo,

a gli occhi il velo,

Per cui presente

al fin tal luce fassi.

Il quarto con la viola cantò: Per cui presente al fin tal luce fassi, Cecità degna più ch'altro vedere,

Cure suavi più ch'altro piacere; Ch'a la più degna luce Vi siete fatta duce; Con far men degni oggetti a l'alma cassi.

IL quinto con un timpano d' Ispagna cantò: Con far men degni oggetti a l’alma Con condir di speranza alto pensiero, Fu

chi

ne

spinse

a l’unico

Per cui a noi si scuopra Di Dio la più bell'opra. Cossi

fato

benigno

sentiero,

a mostrar

vassi.

IL sesto con un lato Cossi

fato

benigno

a mostrar

cantò: vassi;

Perché non vuol ch’ il ben succeda O presagio di pene sien le pene: Ma

Or

svoltando

inalze,

Com’a

al bene,

la ruota,

ora scuota;

vicenda,

cassi,

il di

e la notte

dassi.

Il seitimo con l'arpa d' Ibernia: Come

a vicenda,

Mentre il Scolora il Talmente Con legge

Supprime

il di

e la notte

dassi,

gran manto de faci notturne carro de fiamme diurne: chi governa sempiterna

gli eminenti

e inalza i bassi.

(B. [275-6]) (W. IL 434-5) (L. 751-2) (G.t IL, 485) (G.* II, 516). 1175

DE

GLI

EROICI

FURORI

L’ottavo con la viola ad arco: Supprime gli eminenti e inalza Chi l' infinite machini sustenta, E

con

veloce,

mediocre

e lenta

Vertigine dispensa In questa mole immensa Quant’occolto si rende e aperto

Il nono O

Quant'occolto non

nieghi,

i bassi

stassi.

con una rebecchina: si rend'e aperto stassi,

o confermi

che

prevagli

L’ incomparabil fine a gli travagli Campestri e montanari De

stagni,

De

fiumi,

mari,

rupi, fossi, spine, sterpi, sassi.

Dopo che ciascuno in questa forma, singularmente! sonando il suo instrumento, ebbe cantata la sua sestina, tutti, insieme ballando in ruota e sonando in lode de l’unica Ninfa con un suavissimo concento, cantarono una canzona,

la quale non so se bene mi verrà a la memoria. Giulia. Non mancar, ti priego, sorella, di farmi udire quel tanto che ti potrà sovvenire. Laodomia.

Canzone de gl' illuminati *. —

Non

oltre

invidio,

o Giove,

Dice il padre Ocean col ciglio Se tanto son contento

Per quel che godo I IVGL:

nel proprio

al

altero,

firmamento,

impero.



singolarmente.

? Questa canzone nella struttura dell'opera corrisponde ai versi del Sacerdote, con cui finisce l'illuminazione della Cecaria: dove il Sacerdote esprime quasi i sentimenti comuni a'

tre ciechi.

zione

Ma

del suo

nella sua

spirito

canzone

nella

nuova

B.

canta

filosofia

allegoricamente

naturalistica.

l'esalta-

Giove

(B. [276-8]) (W. II, 435-6) (L. 752) (G.1 II, 486) (G4 II, 517). 1176

PARTE —

A

SECONDA

Che

superbia è la tua?

Ie ricchezze

O

dio

de

Perché

DIALOGO

tue che

Giove risponde;

cosa

le insan’onde,

il tuo

QUINTO

è gionta?

folle ardir tanto

surmonta?

— Hai, disse il dio de l'acqui, in tuo Il fiammeggiante ciel, dov’ è l'ardente Zona, in cui l’eminente

Coro

de tuoi

Qual

ti so

pianeti

puoi

Tra quelli tutt’ il mondo

Quanto

dir

che

lei che

tanto

mi

vedere.

admira

non

rende

io

comprendo

nel

mio

potere

il sole,

risplende,

Più glorioso dio de la gran mole. Ed



vasto

seno,

Tra gli altri, quel paese ove il felice Tamesi

veder

Ch' ha di pid Tra

quelle

lice

vaghe

ottegno

Per far del mar

Te,

Giove

ninfe il coro ameno; tal fra tutte

belle,

più che del ciel amante

altitonante,

Cui tanto il sol non splende tra le stelle1. —

Giove responde: —

Ch'altro si trove Non lo permetta

Ma

O dio d'ondosi mari,

più di me il fato;

beato,

miei tesori e tuoi corrano al pari. Vagl'il sol tra tue ninfe per costei; E per vigor de leggi sempiterne, De

le dimore

Costei

alterne,

vaglia per sol tra gli astri miei.

qui, col suo firmamento, rappresenta la verità sovrintelligibile: il padre Oceano, la Natura. (Il MicHeL osserva: « Si cette intérpretation est exacte, la divinité manifestée

s'égale en

effet,

à la divinité inaccessible admet

le principal

Canzone

que

miei

enseignement

de gl' illuminati.

thesori

(Jupiter, et tuoi

de la chanson

Une

dernière

(1’ Océan,

la Nature)

al pari.

Toutefois,

le dicu

corrano

est dans

du ciel). Celui-ci, le titre mème

fois, et pour

conclure

de

son

ouvrage, Bruno place la connaissance intuitive au-dessus des facultés discursives — meme quand cette connaissance est celle de

la Nature, dès lors que la Nature est contemplée en tant que reflet du divin ».) 1 Anche nei Due pellegrini del TansILLO (vv. 616-3) degli occhi

della

sua

donna

Mento;

Filauto

S' io dico «o stelle »

non

fur già mai,

S' io v'uguagliassi (B.

[278-79])

(W.

dice:

II, 436)

né fian st belle;

al sol, nulla direi.

(L. 752-3) 1177

(G.I II, 486-7)

(G.2 II, 517-8).

DE

GLI

EROICI

FURORI

Credo averla riportata intieramente tutta. Giulia. Il puoi conoscere, perché non vi manca sentenza che possa appartener alla perfezion del proposito; né rima che si richieda per compimento de le stanze. Or io, se per grazia del cielo ottenni d’esser bella, maggior grazia e favor credo che mi sia gionto; perché qualunque fusse la mia beltade, è stata in qualche maniera principio per far discuoprir quell’unica e divina. Ringrazio gli dei, perché in quel tempo che io fui sf verde, che le amorose fiamme non si posseano accendere nel petto mio, mediante la mia tanto restia quanto semplice ed innocente crudeltade, han preso mezzo per concedere incomparabilmente grazie maggiori a’ miei amanti, che altrimente avessero possute ottenere per quantunque grande mia benignitade. Laodomia. Quanto a gli animi di quelli amanti, io ti assicuro ancora che, come non sono ingrati alla sua maga Circe, fosca cecitade, calamitosi pensieri ed aspri travagli per mezzo de quali son gionti a tanto bene; cossi non potranno di te esser poco ben riconoscenti*. Giulia, Cossi desidero e spero. TINE

DELLA DE

N.

SECONDA GLI

ED

ERoIcI

ULTIMA

PARTE

FURORI.

1 (Per una approfondita interpretaz. della Circe bruniana v. ora

BapaLonI,

La

filos.

di

G.

B.,

Firenze,

1955,

pp.

166

sgg.)

(B. [279-80)) (W. IT, 436-7) (L. 753-4) (G.! IT, 487-8) (G.2 II, 518-9).

1178

INDICI

NOTA

nomi

SUGLI

INDICI

La precedente e cose

DELLA

TERZA

edizione presentava

notabili

contenuti

nel

un

testo

EDIZIONE

Indice alfabetico di

e un

Indice

alfabetico

delle principali note (quest'ultimo con riferimento anche alle Prefazioni gentiliane). Il primo di essi, fondato essenzialmente sul

vecchio

indice

dell'edizione

Lagarde,

benché

arricchito

nel passaggio dalla prima alla seconda edizione curata dal Gentile, risentiva di un difetto di origine per quanto riguarda

l’elencazione

dei

nomi

propri:

difetto

sioni notevoli pur nell'ambito

dei nomi

non

margine

consistente

registrati;

in

omis-

quanto

poi

alle «cose notabili », il criterio di scelta (peraltro non rivelato) poteva

non

implicare

un

di arbitrarietà:

difetto

questo comune al secondo indice (delle «principali note »). Ad evitare un perpetuarsi, pur su base ridotta, deì difetti accennati, si è deciso per questa terza edizione, anziché di pro-

cedere

ad

una

revisione

ed

ampliamento

di compilarne due interamente

citamente

tabili

oggettivi.

contenuti

nel

All’ Indice

testo

degli indici esistenti,

nuovi conforme a criteri esplialfabetico

si è sostituito

di

nomi

quindi

un

e cose

no-

esclusivo

Indice dei nomi contenuti. nel testo: nomi propri (e soprannomi),

aggettivi derivati e titoli di opere — alla cui compilazione ha atteso il Dr. B. Rateni — con esclusione quindi delle « cose notabili»

in

considerazione

anche

del

fatto

che

queste,

se-

condo i criteri gentiliani, non possono non coincidere con parte almeno delle note ai testì cui è destinato il secondo indice. Il secondo indice — compilato dal curatore di questa 1 L'abbreviazione

presenza

o,

nell’Indice

comunque,

bolici.

Quasi

termine

tutti

loghi dello Spaccio

prs., subito

come

dopo

il nome,

personificazione,

ricco,

nel

testo

ne

personaggio

bruniano,

giustifica la fantastico

di significati sim-

i nomi seguiti dalla sigla sono contenuti nei dia-

della Bestia

Trionfante.

118I

NOTA

SUGLI

INDICI

nuova edizione — si intitola Indice alfabetico delle note ai Dialoghi e registra in ordine alfabetico tutte le note ai testi raccolti

(siano

esse

del

Gentile

o del

nuovo

curatore),

con

esclu-

sione delle note di «critica testuale », non essendo queste facilmente definibili in una elencazione alfabetica. Mentre per quanto concerne le due prefazioni gentiliane si fa senz'altro rinvio alle pagine che le contengono, quanto alle note di critica testuale giova qui precisare, colmando così la lacuna, che nella nuova edizione esse sono raggruppabili in cinque sezioni

conforme

principali

al

seguente:

prospetto

Cena

a) note che contengono le varianti definitive della (aggiunte dal curatore di questa terza edizione): p. 17

p.

n.

n. 4; p. 20 n. I; p. 21 n. 3; p. 63 n. 3; p. 64 67

1, 3;

p.

69

n.

3,

5, 6, 7;

p.

70

n.

n.1,

2;

3, 4, 5, 6;

p.

71

n.

1,2,

3: 4, 7, 9, 10; p. 72 N. I, 4, 5, 6; P. 74 n. 2, 4; Pp. 75 n. 3;

p.

76 n. 6, 7; p. 77 n.

2,3; p-78

2, 4, 5; P. 85 n. I, 2, 3;

n. 1; p. 81 n. 4; p.82

n. 1,

è) note che rilevano emendazioni al testo fornito dalla seconda edizione Gentile (emendazioni incorporate nei testi dal curatore di questa terza edizione): p. 21 n. 5; p. 24 n. 3; p.

48

n.

2;

p.

62

n.

2; p. 93

n.

2; p.

105

n.

I; p.

II16 n. 2;

SII

p. 118 n. 2; p. 121 n. 2; p. 122 n. 2; p. 135 n.2; p. 136 n. 2; . 140 n. 2; p. 149 n. 2; p. 165 n. I; p. 175 n. I; p. 178 I; p. 179 n. I; p. 183 n. 2; p. 184 n. 2; p. 185 n. 1; . 205 n. I; p. 207 n. I; p. 212 n. 2; p. 213 n.

I, 3 bis; p. 214

. 2} p. 24I N. 5; p. 245 N. 2; p. 247 N. 2; p. 250 n. I; P. 254 . 1; p. 264 n. 2; p. 265 n. 1; p. 267 n. 1; p. 271

n. 3; p. 285

. . .

N. n. n. n.

5959990

999

. 5; p. 286 n. 1 bis; p. 291 n. 3; p. 293 n. 2, 2 bis, 3; p. 296 4; P. 302 N. 4; p. 305 n. I, 3; p. 306 n. I; p. 308 n. 1; 316 n. 3 1; p. 372 3: P. 448 I; p. 535

(cfr. p. 334 © 342); p. 327 n. 1; n. 2; p. 380 n. 1; p. 388 n. 1; n. 2; p. 471 n. 1; p. 481 n. 2; n. I; p. 542 n. 1, 3; p. 544 N. 5;

p. p. p. p.

334 397 506 564

I; 2; 2; 1;

P. p. p. p.

339 416 510 566

. 1} P. 575 n. 3; p. 578 n. 3; p. 585 n. 3; p. 593 n. 2; P. 595

5

.- 3; p. 600

n. 5; p. Gor

n.

1; p. 619

n. 2; p. 680 n. 2; p. 723

SD

- 2; P. 735 n. 1; p. 748 n. 3; p. 759 n. I; p. 767 n. I; p. 773

- 3} P. 774 n. 1; p. 776 n. 2, 3; p. 816 n. 5; p. 821 n..1; p. 823 n. I, 2; p. 841 n. 3; p. 870 n. 2; p. 878 n. 3; p. 879 n. 3; p. 88I

1182

NOTA

DI

2,

Py

1; p. 880 n. 4; p. 9II

1010 2; p. 1083 I; p. 1118

3; Pp. 949

N.

I,

977

n.

1; p. 986 n.

3;

p.

IIS5

n. 2, 1067 n. 3; 1096 n. 3;

SUGLI

INDICI

n. I; p. 913 n. 2; p. 935 n. I; p. 946

3; p. 962

n. 2; p. 964

I; p. 992

n.

n. I; p. 994

I;

2;

p.

II6I

n.

968

n.

n. 2; p. 998

3; p. 1018 n. 1; p. 1025 n. I; p. 1026 n. 2; p. 1068 n. 1; p. 1081 n. 3; p. 1085 n. I; p. 1089 n. I; p. 1090 n. I; p. 1098 n. I, 3; p. 1105 n. I; p. 1120 n. I; p. 1128 n. I; p. 1146 n.

p.

n. p. n. p. n.

1;

n. 3;

I; p. 1082 3; p. II13 3; p.

1034 n. 1; 1093 n. I; 1153

I;

c) note che rilevano emendazioni (o alterazioni) ai testi originali pur tacitamente accolte o introdotte dal Gentile

ed

esplicitamente

ticate dal curatore

o implicitamente

della terza edizione:

ooppppdpos59

23 n. 2; p. 24 n. I; p.

I; 2; I; 3;

p. P. p. p.

44 n. 74 Nn. 137 n. 164 n.

I; I; I; 1;

(mediante p.

15 n.

raffronti)

cri-

1; p. 21 n. 6;

32 n. 2; p. 36 n. I; p. 38 n. 1; p. 42

p. 52 N. 3; p. 76 n. 2; p. 146 n. 3; p. 184 n. 3;

p. 54 n. 4; p. p. 82 n. 3; p. p. 154 n. I; p. p. 188 n. x; p.

59 n. I, 5; P. 85 n. 4; p. 155 n. I; p. 193 n. 3; p.

63 123 163 230

I; p. 236 n. 1; p. 265 n. 2; p. 276 n. 4; p. 287 n. 1; p. 292 I; p. 364 n. 2; p. 381 n. 2; p. 427 n. I; p. 481 n. 4; p. 486 n. 1; p. 543 n. 3; P . 556 3: P. 495 N. I; p. 503 n. 4, 5; p. 516

I

, 2; P. 582 n. 3; p.

601 n. 2; p.

621 n.

I; p. 630 n. 2;

P . 635

. 5; p. 637 n. I; p. 653 n. 1; p. 773 n. 1; p. 831 n. I, 2, 3; . 853 n. 2; p. 865 n. 4; p. 925 n. I; p. 950 n. I; p. 10I5 n. I;

. 1030 N. I; p. 1045 N. 3;

d) note che indicano emendazioni ai testi originali accolte o introdotte dal Gentile e non discusse in questa sede

DI 5DBPPPDS

dal curatore della terza edizione (tranne che per eventuali rettifiche di trascrizione): p. 32 n. 1; p. 60 n. 3; p. 63 n. 1; . 65 n. 1; p. 75 n. 2; p. 76 n. 5; p. 81 n. 3; p. 85 n. 5; p.86

. 3; p. 9I n. 3; p. 92 n. 2; p. 93 n. I, 5; p. 96 n. 1; p. 104 . 3; p. 112 n. 2; p. I13 n. 3; p. II4 n. I, 2, 3, 4; p. 123 . 2; p. 124 n. 1; p. 133 n. I; p. 139 n. 3; p. IqI n. I; p. 163

+ I; p. 164 n. 2; p. 178 n. 2; p. 189 n. 1, 3; p. 195 n. 7; p. 196

. 2; p. 198 n. 1; p. 206 n. I; p. 209 n. 2; p. 2II n. 3; p. 213 . 2, 3; P. 215 n. 4; p. 218 n. I; p. 220 n. 4; p. 226 n. 1; p. 227 I; p. 234 N. 2; p. 253 N. I, 4; p. 255 n. 5; p. 258 n. 3; p. 259 2; p. 266 n. 1; p. 267 n. 2; p. 268 n. 1, 2; p. 269 n. 2; p. 272

1183

NOTA

SUGLI

INDICI

. 2; p. 280 n. 1; p. 282 n. 1; p. 286 n. 3; p. 288 n. 1; p. 290

III

. . . .

2, 4, 5; p. 294 N. 4; P. 296 n. 3; p. 297 n. 2; 305 n. 2; p. 306 n. 2; p. 3I9 N. I, 2, 3, 4; P. 32I 2; P. 323 n. 2, 3; p. 326 n. I; p. 330 n. I; p. 332 n. 3; P. 333 N. I, 2, 3; P. 337 N. I; P. 338 Ii P. 350 n. 2; p. 353 n. 1; p. 356 n. I; p. 357 I

, 2; P. 362 n.

. 2; P. I i p. I, 2; I; p.

381 399 P. 444

n. N. 434 n.

p. Nn. 331 n. N.

302 n. 3; I; p. 322 n. I, 2; 4; p. 346 I; p. 350

I; p. 363 n. 3; p. 376 n. I; p. 377 n. I; p. 380

1; p. 390 n. 2; I, 4; P. 403 n. 3; N. 2; p. 435 n. 2; p. 446 n. I;

p. 392 n. 2; p. 396 p. 405 n. I; p. 417 3; Pp. 438 n. 1, 2, p. 450 n. I, 2; Pp.

n. I; p. 397 N. 2; p. 429 3, 4; P. 440 453 n. 2, 4;

VV

. 454 N. 3; P. 457 N. I; p. 461 n. 1; p. 466 n. 4; p. 467 n. 2; . 468 n. 3; p. 472 N. 1; P. 473 N. 3; P. 474 N. I; p. 476 n. I; . 478 n. 3: p. 482 n. 1; p. 483 n. 1; p. 485 n. 1; p. 486 n. 1;

SVI

. 489 n. . 501 n. .1,2;p. » 532 N.

I, 2; p. 492 N. I; p. 493 2; p. 502 n. I; p. 503 523 n. I, 2; p. 524 N. I; 3, 4, 5; P. 533 N. 3,

N. I; p. 499 n. I; p. 500 n. I; n. I, 2; p. 516 n. 2; p. S2I p. 530 N. I, 2; p. 531 n. 1,2; 4; P. 558 n. 2; p. 559 n. 1;

. 562 n. 2; p. 566 n. 3; p. 577 n. 1; p. 578 n. I, 2; p. 579 n. 2;

. 581 n. 1; p. 590 n. 2; p. 593 N. 5; P. 594 N. 4; p. 596 n. 1;

POSSO

. 599 n. 7; p. 603 n. 2; p. 604 n. 3; p. 606 n. 4; p. 618 n. 2; . 619 n. 1; p. 624 n. 2; p. 625 n. I; p. 632 n. 3/Pp. 643 n. 1; . 649

n.

I,

3; p.

65I

n.

1,

2; p.

652

n.

I; p.

653

n.

2; p.

658

. 3; p. 659 n. 1; p. 662 n. 2; p. 670 n. I, 2; p. 672 n. 2; p. 674 . 2; P. 675 n. 3; p. 679 n. 2; p. 680 n. I,

3; p.

681

n. 2;

p. 633

DIP

- 2; p. 684 n. 4; p. 688 n. 3; p. 694 n. 2; p. 697 n. I, 2; p. 700

DD

. 1; p. 710 n. 3; p. 714 N. 1; p. 729 n. I; p. 731 n. I, 3; P. 740 . I; P. 743 N. 3; P. 754 N. 2, 4; p. 761 n. I: p. 768 n. 1; p. 770 . I; p. 784 n. 3; p. 788 n. 4; p. 789 n. 4; p. 797 n, 2; p. Bor

S

. 1; p. 805 n. 2; p. 807 n. 1; p. 816 n. 1; p. 838 n. x; p. 847 . 1; p. 851 n. 10; p. 856 n. 1; p. 862 n. 1; p. 867 n. 4; p. 870 - 4; p. 872-n. 1; p. 880 n. 3; p. 897 n. 6, 7; p. 890 n. 3; p. 900

I

. I; p. 906

n. 2; p. 908

n.

1; p. 919

n. 4; p. 920

n. 2; p. 94I

IVI

. I; p. 953 n. I; p. 965 n. 2; p. 979 n. I; p. 987 n. 2; P. 993 . 1; p. 997 N. 3; p. 1005 n. I, 2; p. 1008 n. 2; p. 1016 n. I; . 1019 n. 2; p. 1023 n. 3, 4; p. 1033 n. I; p. 1038 n. 1; p. 1052

. 1; p. 1056 n. 1; p. 1062 n. 1, 2; p. 1065 n. I; p. 1066 n. 2, 3;

. 1077 N. 1; p. 1082 n. 5; p. 1083 n. 5; p. 1090 n. 1; p. I09I

1184

NOTA

SUGLI

INDICI

n. 1; p. 1093 n. 2; p. IIOS n. 5; p. 1107 n. I; p. II108 n. 1; p. 1114 n. 1; p. 1118 n. 4; p. 1123 n. I; p. 1145 n. I, 3; p. 1148 n. 1; p. 1ISOo n. 5; p. II55 N. I; e) emendazioni

(e alterazioni)

derivate

dalle

ristampe

dei Dialoghi posteriori alla seconda edizione Gentile, segnalate

9BPP

dal curatore della terza edizione ma non incorporate nel testo: 29 n. I, 2; p. 54 n. 1 bis; p. 107 n. 2; p. I81 n. 3; p. 183 I, 3; p. 185 n. 2; p. 187 n. I; p. 243 n. Ibis; p. 264

I; p. 267 n. 3; p. 302 n. 5; p. 306 n. I bis; p. 338 n. 1 bîs, 3; . 376 n. I; p. 377 N. 2; Pp. 517 N. I, 2; p. 524 n. I; p. 525

DOON

. I; p. 849 n. 4; D. 855 n. 1 dis; p. 894 n. I; p. 900 n. 4; . 959 n. 4; p. 963 n. I; p. 965 n. I; p. 989n. I; p. I00I n. 2, 3; . 1008 n, 1; p. 1027 n. 2; p. 1029 n. I, 2; p. 1081 n. 2; p. III2 2; p. 1150 n. 2 bis; p. 1163 n. 3.

Concerne la ricostruzione delle figure conforme all'originale la nota di ‘p. 95 n. 1. Rimangono

escluse

da ogni

elencazione

mente del tutto ormai inoperanti — denuncino esclusivamente corruzioni ristampe

dei Dialoghi

All’ infuori

delle

di

critica

perché

critica-

le note gentiliane che contenute nelle prime

(particolarmente

note



ad opera del Wagner).

testuale,

delle

quali

si è

tuttavia detto, l’ Indice delle note ai Dialoghi (che pur le riprende in considerazione, ogni qual volta ad esse vadano con-

nesse osservazioni di esegesi filologica, mentre le forme originali dal Gentile respinte ed emendate nel testo vengono pur esse registrate — tra parentesi quadre — qualora importino

a

testimonianza

completezza: Come

ove

criterio

dell’usus

scribendi

si eccettuino di

bruniano)

eventuali

registrazione

si

pretende

inevitabili

è inteso,

possibile, riprodurre testualmente le voci niane che hanno provocato il commento:

nei

alla

sviste.

limiti

del

o espressioni brugli elementi costi-

tutivi di quest’ultimo vengono quindi di regola taciuti intendendosi «coperti» dalle voci ed espressioni suddette: non ho però esitato a rilevare voce o espressione da una parte ed elementi

fosse («

del

commento

raccomandata

dall'altra

da

motivi

qualora

di

la duplice

chiarezza.

») figurano voci ed espressioni spiegate

1185

Tra

notazione

virgolette

nelle note

e tra-

NOTA scritte

nell'indice

zione;

fuor

scempie

SUGLI

conforme

al

rilievo

nomi

INDICI

testo

bruniano,

(‘ —- ') le rare voci del testo alterate

commento

Ferma

registrata

scrizione

d'ogni

ed

espressioni

o che quello riassumono. restando



fin

la regola

dove

che

praticabile

del testo bruniano

ogni

nota

(ripeto)

nel punto

che

tra

virgolette

nella

trascri-

ricavati

viene

dal

comunque

mediante

la

l’ ha provocata

tra—

specifico che per gli elementi costitutivi del commento e che ricorrono con maggiore frequenza ho adottato i seguenti criteri: un Dialogo italiano del Bruno viene registrato quando ad esso sia fatto riferimento in nota ad uno dei rimanenti Dialoghi; la commedia e le opere latine dello stesso vengono registrate sotto i titoli specifici, nella sezione riservata a BRUNO, GiorpaNO, conforme alla successione cronologica della pub-

blicazione

quale

appare

nella

citata

Bibliografia

bruniana

del Salvestrini (tranne che il rinvio ad esse, come pure ai Dialoghi, sia implicito nel rinvio a voci o espressioni del testo

trascritti letteralmente nell'indice); alle opere indicate nel commento come fonti dirette o indirette dei Dialoghi si fa rinvio nell'indice mediante la registrazione del nome dei ri-

spettivi

tamente

autori:

nella sezione BIBBIA

si elencano però distin-

le opere del Vecchio e del Nuovo

forme alla successione vulgata (sempre anch'esse coperte da trascrizioni testuali);

Testamento

con-

che non risultino il nome del Florio

è rilevato, oltre che con riferimento al personaggio storico, ogni qual volta esso ricorra nel commento a suggerire una

derivazione diretta dai testi bruniani (viene invece taciuto qualora introdotto nel commento come autore dei dizionari italo-inglesi allo scopo di spiegare una particolare voce o espressione

trascrizione

bruniane

testuale);

alla composizione

di per sé registrate nell'indice

per altri autori

di Dialoghi

mediante

le cui opere posteriori

siano chiamate

a confronto

nel

commento (es. Campanella o Galileo) l’ inclusione nell’ indice è limitata ai casi in cui si proponga un confronto immediato e una probabile derivazione sia suggerita (per il resto, comunque, il rinvio a quegli autori è anch'esso coperto nell'indice dalla registrazione cato).

delle

parole

o dei concetti

1180

che

lo hanno

provo-

NOTA Poiché,

edizione, più

come

pure

SUGLI

INDICI

osservato

nella

le note linguistiche

formulate

conforme

per le note di questo

Premessa

del Gentile

non

rigoroso

criterio

a un

alla

appaiono

terza

per lo

tecnico, anche

tipo ho preferito registrare testualmente

nell'ordine alfabetico le voci annotate sotto le denominazioni approssimative

anziché raggrupparle e talora ingannevoli

fornite dal commentatore: il che è sempre riuscito praticabile, tranne per i casi concernenti il passaggio nel discorso diretto dal « voi » al «tu » e viceversa (cfr. le note a p. 75 n. 2; p. 223

n. 2; p. 473

n. 2; p. 666 n. 4), oltre a un caso di passaggio

dall’oratio obliqua all’oratio recta (p. 137 n. 2) e ad un altro in cui il Gentile rileva l'uso dell’ infinito in luogo del congiuntivo (p. 381 n. 2). nota

Giova infine dichiarare che pur quando nel commento sia costituita

dice

rinvio

si

registrano

(conforme

dal semplice

rinvio

esplicitamente

anche

qui

ai

gli

criteri

ad altra nota,

elementi

enunciati).

nell’ in-

impliciti

G. A.

1187 78



G,

Lnuno,

Diuluyhi

italiani.

una

nel”

INDICE

DEI

CONTENUTI

876.

(prs.)

567.

Abstinenza (prs.) 560, 823. Academia 133, 904, 916-18, 921-

22.

academico 906,

923.

(-i)

908,

842,

877,

915-16,

Academie 771, Acate 217.

918,

(prs.) 564,

Acheloo

586,

(prs.)

629.

564.

(prs.)

1083.

564,

acustico (-i) 917, 923. Adamanzio, Origene 850. Adamo 199, 878.

Addizione

(prs.) 560.

Adriatico

768.

714.

Adrastia 988. Adria 6809.

Adulazione (prs.) 569, Aeneae 1083. Aeoliae 1061, 1063. Aeropagita 879. Aethiopem 786. Aetna 1055.

Aftabilità

02I,

741.

Acheronte 189, 575. Achille 217, 825, 1081, Achilles 579.

Acquisizione

902,

848.

Accidia

Accortezza

NEL

TESTO

Africa 710.

Abante 711. Abinoen 849. Abraamo 870,

Absoluzione

NOMI

(prs.)

565,

Affetto (prs.) 937. Affezione (prs.) 566. Affrontamento (prs.)

814.

Africane pianure 761. Afrodiseo: v. Alessandro diseo. Agenore 608.

Aggiuto (prs.) 564, 749.

Agnello 788. Agostino 880. Agrippa 1083.

Alacrità

(prs.)

569.

690.

Alasco 133. Albenzio 634. Albertino 358, 495..., 537. Alc(h)azele 121, 1157. Alcide 563, 599, 607, 630, 750. Alcmena(-e) 576, 1001. Alecto 192, 1144. Alemagna 751, 811, 8z1. Alessandro Afrodiseo 115. Alessandro Dicsono: v. Dicsono. Alessandro Magno 17, 39-40, 8093,

896,

III4.

Alfonso 165. Alienamento (prs.) 565. Alienazione (prs.) 763. Almagesto 165. Alpe (-i) 115, 713, 720, 724, 763. Altare 825.

(prs.)

Alterezza

754.

Afro-

570,

(prs.)

Alvaro 9I1. Alvernia 115. Amarat 579. Amazonia, regina

Ambizione

710,

1189

(prs.)

724-25,

602-03,

612,

563.

629.

563,

751-52.

565,

570,

INDICE Ambruoggio

636.

Ambruogio

Amore

897.

(prs.)

566,

565-698,

591,

883,

046,

766-67. 741,

767,

965, 971-72, 989, 993-95, I0I10, 1036,

1056,

1112, II52. Amorevolezza Anagogia

(prs.)

Analogia

II10I,

1106,

(prs.)

569,

569.

II109,

770.

Anaxarco

(Anaxagora) 242, 31I, 934, II22.

170,

1054.

Ancroia 673. Andromeda (-e) 565, 5098, 606, 611, 710-11, 754, 884, QII.

Anfione

215.

Anfitrione 576. Angeli 865. Aniel 866. Animadversioni contra 260. Animali santi 865.

Anime

separate

Aristotele

866.

circolo

Antartico, Anteo

629.

Anticyram Antiliceo

Antiopa

polo

841.

(Antyciram)

289.

(-e)

576,

37,

di,

S.

Anton l’aivano 637. Antonio Savolino 034. antropofagi 69. Apelle 30, 227-28, 1058. Apennino (-i) 713, 1087. Apin 867.

apocaliptici Apolline

(-i)

132.

1001.

Antonia 673. Antonio, abbate

228.

32,

584,

8563,

1168. apollineschi,

884,

015,

raggi

Apostasia

Apostolo

089,

(prs.)

625,

680,

565.

v. Paolo,

Applauso (prs.) 567. Apprensione (prs.) 563.

Appulso 884,

Aquila

1002,

S. s.

(prs.) 567, 775, 937.

764. 567, 600, 602, 612, 797,

1047.

612,

751,

Aquilone (-i) 122, 176, 529, 978, 100I, 1051-52. Arabia 1042. arabico (-a) 257, 63I. arabo (-i) 69, 306, 894. Aracense: v. Macometto.

565,

604,

718,

787, 796.

Arcade

608,

865.

621.

Arcadia 129. Arcadiche, cittadi 629. Arcadio, paese 608.

1117-18.

Arctofilace

621;

v.

Artofilace.

Areopagita

879;

v.

Dionisio.

215,

498,

Ardelia 564. Ardire (prs.) 773. Arelio 225; v. Dicsono. Argo

864,

821.

619,

603,

858;

[Aretino]:

v. galant’uomo.

158,

966.

607,

711,

Argonauti 30. Argo-nave 612. Ariadna 607. Aries

621,

625, 749-509, 773, 782, 817-19, 826,

220,

Arcangeli 865. Archimede 841, Archita 333.

607.

164,

195.

1099. Apollo 586.

Aralin

Animosità (prs.) 699, 716. Annibale (-lle) 55, 76, 291.

Antartico,

Apollo

Aprutio Aquario

(prs.) 569.

Anassagora 250, 278,

NOMI

apollinesco

Amfitrite 68, 113, 599, 1125, 1128.

Amicizia

DEI

22,

80.

Ariete 166, 612, 1047, 1072. (Ariosto, L.}: v. ferrarese, I'octa. Aristarco (-chi) 46, 893. Aristotele 8, 12, 41-43, 60, 104,

1123,

795.

107,

137, 212, 257,

1190

112,

116,

126,

128,

156-57, 160, 186, 217, 236, 238, 247,

259-62,

270,

272-743,

135,

zIo, 250, 275»

INDICE 278,

286-87,

312-13,

306,

324,

309,

340.

DEI

310,

348,

Asinità

352,

355-58, 370, 372, 386-87, 396, 398, 400, 422, 424-27, 446-47, 452, 454, 459, 466, 468, 472, 481,

491,

513, 957,

495,

526, 959,

1123,

1164;

500-04,

506,

673-74, 688, 732, 1067, 1114, 1115, [Opere]:

Fisica

292, 353, 402, 421; Del tempo 1067; Metafisica 688; Del cielo

e mondo

teora

116,

(della

136,

353;

Metorologica

Me-

con-

templazione) 112, 156, 278, 454, 871; Priori 673; Posteriori 673, 743; Categorie 742; Periermenia 742; Poetica 957; Del vacuo 399; Della generazione 278; De animali 278; Piante

278;

Topica

Avistotelem

292.

743.

Aristotelici 179. Aristotelis, fons 212. Aritmetrica (prs.) 563, Armenia 797. Armesso

I9I,

104...,

701.

223.

militare

Artica,

stella

(prs.)

569,

1128.

Artico

164.

Artico, Artico,

deserto 18. polo 160, 841.

Artico, Artico,

cerchic 1128, circolo 606.

Artofilace 562; Artur 775.

Asclepio

784,

Aser 870. Asia 223. Asinelli 816. Asini

Asinio

602-03.

23.

v.

786,

807.

1136.

Arctofilace.

1074.

(prs.)

863.

Asino (Cillenico) 833, 838, 913-14..., 923. Aspettazione (prs.) 565.

848,

Aspirazione (prs.) 565, 775. Asprezza (prs.) 567, 800. Assentazione (prs.) 569, 814. Assuero 8. Asterie, ninfe 576, 1001. Astolfo 74.

Astreo,

Titan

1061.

Astuzia (prs.) 723, 727. Ateismo (prs.) 570. Atene 893. Atlante (-i) 599, 710, 765. Atropo 790. Attenzione (prs.) 565, 750,

Atteone

(-i)

1008,

813,

1021,

1024,

841,

775.

1005-06,

1124-25.

attici, di lingua 210. Attico 1083. Audacia (prs.) 563, 699. Augurio (prs.) 569. Augusto 23, Aurora 187,

Arno 762. Aron 220. Arpia (-e) 629, 967. Arpinate 25, 543. Arpinatem 215. Arroganza (prs.) 563, 567, 570,773. Arte (prs.) 564.

Arte

NOMI

1082. 1061.

Australe

862,

Avarizia

(prs.)

828.

Austro (-i) 122, 529, 631, 967, 978, 1048-49. Autoritade (prs.) 565-66. Avanzamento (prs.) 566. 563,

569-70,

718,

680,

699, 710, 721, 724, 741, 815. Avellona 92. Averno 58. Averroè 126, 306, 468, so1, 890, 998, 1048, 1157. Avicebron,

Fonte

di

274, 298. Avicenna 258.

Babelle 617, 878. Babiloni 179, 863.

Babilonia

Babilonica,

Bacco

932,

(-e)

220,

Bacio (prs.) 767. Bagattella (prs.) 568.

I19I

311,

cattivitade

194-95,

1002.

208,

vita

262,

819.

610.

581,

749,

INDICE

DEI

Baio, A. 833, 925. Balaam (-0) 194, 870. Balbuzie (prs.) 822. Barac

849.

Barbaria

567,

Barnaba,

Galileo

Basilicata

Bassaridi

764.

Bor.

Beccaria

569.

Behemoth Belial

Belide

Britanno

827.

(prs.)

53.

Bilancie

567,

Blesura

(prs.)

771,

Bina 865. Biscaino 204.

8,

563,

568,

773.

822.

Caesar

Caesari

Boreale 862. Boriosità (prs.) 563. Borsa, a Londra 75. Bove 608, Briareo 587. Britannia

Britannica,

17,

da

68,

393,

(-i) 181, 228, 617, 837,

869,

875,

(-0)

932,

947,

toro.

866,

608,

Icor.

211,

255.

1038.

Cagnolina, Cagnuola 568-609, 601, 814,

569.

Caio 879. Caistro 703. Calcante Caldaica,

748,

761.

195. magia

799.

Caldei 41, 894, 917,

160,

isola 5409, 774,

209.

1168.

863.

Caesaris 211, 255. Cagnazzo Bio.

Calabria

296.

115,

864,

Cadmo

897.

Maria

Cabalista

cabalistica, teologia 837. Caballino fonte 884. Cacco 630.

1049.

Boshtel,

S19,

QII, 9I2.

cabalistica

Bontà (-de), (prs.) 562, 692, 365. Boote 18, 607, GiI. Bora 1048.

Borea

la

Cabala 565, 782, 799, 833, 837,

Boccaccio 215. Boffonaria (prs.) 568. bolognese, grasso 8. Bonifacio

494,

Buono (prs.) 567. Burchiello 673. Burchio 355, 367, 363..., 432, 446..., 468, 536. Busire 629.

773.

Bernesi 618. Bestialità (de),

362,

De

Buggia (prs.) 699, 774, 817.

865.

802.

214,

214;

168; Cena

Bucefalia 764. Bucefalo 763.

Bellerofonte 604, 884. Bellezza (prs.) 865. Belo 617. Bene (prs.) 564, 714.

Beniamin 870. Benignità (prs.)

204,

1130-31. Buazzo (prs.) 60.

903.

825.

196,

Causa

dominio

925;

Bestia trionfante 842; Cabala 975; Ombre de le idee 842; 177,

866.

Beuckhurst

815.

Purgatorio de l'inferno Trenta sigilli 842, 1091;

854.

Berenice

935.

[Opere]: Arca di Noè 79, 842;

780.

866.

Benelohim

paese

brittanni 69. Bruno, Gioan 633, 975. Bruno, Giordano 173, 343,

583.

Beelzebub Belgico,

Britannico,

220.

Battista

Beatrice

800.

NOMI

1122. Calepino

216.

Calicutto 256. Calidonio 750.

1192

943,

1007,

INDICE Calippo

39, 40.

Calisto

Callidità

Calunnia Camael

582,

562.

(prs.) 565,

866.

Campana,

897.

aura

Campania

761,

750.

Centauro 569, Cerbero 629.

Cesare

r165.

Cesarini,

Campano, orizonte 1113. Campo di Flora 75. 122,

138,

602,

768, 863, 1033, Candavia 1087. Candia 744. Cane

601,

611.

Can maggiore canibali 69.

Canicola

1047.

607,

612,

568.

esito

Capitoli

158.

1099,

1083.

Capricorno 122, 138, 600, 602-03, 612,

1163.

567, 775.

599, 794,

796, 816, 1033, 1047.

Capua

Carezze Caronte

54,

Casamarciano,

835.

Cassandra

180,

vescovo

195.

Cassiopea

Castello, in Castelnovo,

586.

563,

606,

611,

833,

705.

Cola

Catone

(-i)

14.

Cautela Cavallo

(prs.) 612.

582,

Choachin

Ciacchi

569,

606,

711,

del

8660.

cielo

865.

823,

Cicala, Cicala,

825.

B21.

1030...,

monte

castello

Cicerone

639.

987...,

1070.

635.

monte di 633. padron de la nave

1084;

v. Arpinate,

eloquenza

popina

215.

Cieco d’Adria 689. Cielo 34, 87, 98, 113, 161,

1126.

612,

Ciarla (prs.) 802. Cicada 953..., 974...

189-90,

762-63,

786,

765,

192,

768,

294.

Ar-

210.

130,

554,

773,

796, 802, 819, 947.

143,

605,

784,

429, 473, 487, 506, 508, 514-

802.

713,

618.

Cielo, empireo 251, 664, 1087. Cielo, ottavo 429, 560. Cielo, primo 161, 370, 372, 375,

Casualità (prs.) 562. Cataduppi 1147.

Caucaso

Chirone .606,

Ciceroniana,

Castigo (prs.) 563. Castità (prs.) 567, 770.

Catanzaro,

568,

ciceroniana,

Genova 792. Maria da 290.

1147.

Roma

1083.

Chelippio, monte 774. Cherubini 865, 866. Chiaccone 822. Chiesa (prs.) 566.

pinatem.

Castelnovo, Michel di 3, 175, 345; v. Mauvissiero.

Cataduppici

di

931,

189, 290. sublunare,

Cicala, ‘di

159,

(prs.)

Cicada,

767.

1087.

76,

1007...,

291.

Cariddi

Ceto

Chaos Chaos

Cantica 932, 937-38,

825.

Cesarino 1071..., 1112..., Cespitazione (prs.) 822. Ceter 865. 802.

(prs.) GII.

Canobico,

612,

Cerere 455, 748-49, 782, 795.

1112-13.

819,

NOMI

Celicoli 582. Celio 577, 578. Cena (prs.) 570.

621.

(prs.)

Cammaroto

Cancro

DEI

931.

699,

16, 519, 536.

Cielo,

817.

Cecco, ciabattino 469. Cefeo 171, 562, 606, 611, 620, 711.

stellato

251,

866.

[Mercurio]

922.

Cielo, terzo 857, 1058. Cigno 563, 604, 611, 703, 884. Cillenico, asino 833-59, 913-23.

Cillenio

1193

INDICE

Cipro 579, 779. 619,

1169,

Circeo,

Circeo,

749,

1178.

monte

1166.

incantesimo

cirenaici 262. Cis 66. Citereida 933. Citolino, Alessandro

Civiltà

262.

945,

1174,

(prs.) 566,

Clemenzia Cleoneo

Cleopatre

(prs.)

607,

223.

629.

Climene 711. Cacaio, Merlin:

989,

1167,

929.

77.

567,

564,

800.

749.

Concorsia

(prs.)

Concressalto

stelnovo,

566,

3, 175,

Michel

di.

Condonazione (prs.) 567. Confederazione (prs.) 766.

Confidenzii)a 809.

(prs.)

Confraternitade

Confusione

(prs.)

(prs.)

766.

563, 766.

775,

797.

Convenzione

(prs.) 766.

Conversazione (prs.) 567, 766. Conversione (prs.) 566, 708. Convitto (prs.) 566, 760. Convivio (prs.) 567. Convizio (prs.) 817. Copernico 10-11, 87, 90-9I, 94, Copernicus Coribante

567.

345;

766. 567,

Contubernio (prs.) 767. Contumelia (prs.) 765.

42, 165, 544.

724,

564,

Contenzione (prs.) 565, 817. Continenza (prs.) 567-68, 770-71. Contingenzia (prs.) 562. Contratto (prs.) 567, 560. Contrazione (prs.) 565, 5607,

814. 566.

Comunicazione (prs.) 569, Conciliabulo (prs.) 766.

562,

(prs.) (prs.)

809.

8.

Commutazione (prs.) Comodità (prs.) 714.

(prs.)

Contaminazione Contemplazione

v. Merlin.

Comità (prs.) 5609, Communione (prs)

Congregazione (prs.) 566. Connubio (prs.) 766. Conscienza (prs.) 773. Conseglio (prs.) 564-65, 749. Conseglio, Perverso 566. Consentimento (prs.) 565, 763. Consentino: v. Telesio. Considerazione (prs.) 568, 800. Conspirazione (prs.) 766. Constanza (prs.) 565, 6os. Constrettura (prs.) 564.

Consultazione 717.

Cocchiarone, don 898. cocchiaroni 796. Cocito 704. Cocle 1054. Codardiggia (prs.) 568, 809. Colchi 606. Còlera (prs.) 566. Collimazione (prs.) 750. Colofonio: v. Xenofane. Colombino, S. Colombo 31.

NOMI

Congiura(-zione), (prs.) 566, 766.

Cimmeria 1146. Cimmerie 1145. Cimmerii 737. cinica 268. cinico (-i) 5, 8, 170, Cintia 933. Cipria, dea 1058. Circe

DEI

QII.

815.

Corinna

Cornea,

766.

v. Ca-

699,

26-28, 36, 40, 103, 13I, I4I-

139-40. 86r...,

933.

porta

Cornucopia

882,

892...,

884.

216.

Corocotta Grunnio: v. Grunnio. Corona 612, 826-27, 865. Corona australe (austrina) 570, 601,

Corona

625.

boreale

Corsica 814. Corveto 764. Corvo

1194

569,

601,

563, 817.

622.

INDICE Costantino

635.

Costantinopoli

(-de),

42.

(prs.)

570,

Boo. Creso (-i) 17, 218. Creta 215, 607, 779.

Crisaorio

Crisio

711.

703,

Democrito 689,

Crisippo 217.

culice (culex) 65. Culpepero 212.

Cupidi 22. Cupidine (prs.) 941. Cupido 562, 582, 644, 767, 801, 989, 1042, 1079. Cura (prs.) 567, 814. Curiositade (prs.) 564, 754. Cusa, cardinal di 775; v. Cusano.

De

442.

91, 102,

Dan

335, 354, 440;

la dotta ignoranza

Custodia

(prs.)

568,

91, 440,

Danubio

207,

223.

Dappocagine

(prs.)

568,

Debellazione

(prs.)

567.

David

de

Debilità

Dinanto

(prs.) 563.

999.

Defensione

Defraudazion Deiezione

180,

Delfinato

(prs.)

753,

699.

764.

(prs.)

217,

566.

Desperazione 699,

809.

Destrezza

Detrazione Deucalione 1046,

(prs.)

(prs.)

563,

219,

(prs.) 565, 750. 589, 798-99, 950,

1132.

609,

750, 769, 774, 782,

Dicsone

1099,

II23-25.

unica

Dicsono

297;

795,

v.

Dicsono.

253,

261...,

299..., 317, 325..., 342.

Dicsono,

315.

Dictina

Alessandro

Arelio

609,

770.

225.

G21,

Bio-

1112-13,

[Elisabetta]

225...,

Dicsono,

763.

568,

508.

Deuteronomio 850. Dialettica (prs.) 562. Diana 455, 562, 606,

Diana,

936. 288,

214.

Didone (-i) 217, 223. Difetto (prs.) 562, 566. Difficultade (prs.) 715. Diffidenza (prs.) 568.

Difformità

(prs.) 562.

Dignità (-de), (prs.) 504-65. Dilezione (prs.) 565, 754. Diligenza (prs.) 564, 71r-15,

(prs.) 563.

(prs.)

Desio

II1I9,

Debora 849. Decepzione (prs.) 774. Decoro (prs.) 564. Dedalo

146,

1086.

-13, 946, 951,

870.

583.

8,

Demogorgone 220. Demonstranza 565. Demostene 215, 217. Derisione (prs.) 818. Desiderio, S. 3, 7. Desidia (prs.) 564, 717.

814.

Danae 576, 709, 1001. Danese, mastro 635.

Dante

(-i)

262, 311, 356, 361, 4II, 531,

742.

cristiani 126, 840. cristiani, teologi 876, 943, 944. Cristianissimo Re 175, 345, 826. Crudeltà(-de), (prs.) 565, 765.

Cusano

NOMI

Delicie (prs.) 570. Delirio (prs.) 822. Delitto (prs.) 563. Delphinun 753. Delta (prs.) 755. Deltaton (prs.) 598. Demetrio 755.

840.

Costanzo, Pietro Crantore 666.

Credulità

DEI

567.

725-27.

Delfino 565, 599, 604, 612, 753, 704, 796.

Dimas 543. Dinanto: v. David.

Dei

1195

836.

INDICE Deus

Dio

883,

34.

105,

1137.

47,

53-55,

122,.124,

30, 238,

251-52,

386-87, 728-209,

394. 786,

71,

126, 227, 279,

DEI

83-84,

220-

284,

292

347, 362-63, 371, 377, 381-82, 51,

854-58,

465, 792,

870,

512, 845,

551, 849-

879-80,

Donato Dori

1096,

1197,

1132,

I144,

1164, 1172, 1175; v. Idio. Diogene (-i) 8, 17. Diogene Laerzio 93. Diomede

130,

171,

pugnabili,

(prs.)

569,

719,

Discortesia (prs.) 564. Discussione (prs.) 563. Discussioni peripatetiche Disdegno (prs.) 564. Disfavore (prs.) 564. Disgrazia (prs.) 567. Dismession (prs.) 566. Disordine

(prs.)

814.

(prs.)

565,

Drago Druidi

Eaco

irrefragabili,

suttili,

ivi;

ivi;

santi

619.

562, 61. 797, 885.

1083.

(prs.) 563. (prs.)

565.

Roberto

(prs.)

631.

Ebetudine

565.

(prs.)

68-09.

750.

Ebreo (-i) 616, 783, 792, 799, 819, 851, 854-55, 867-609, 934, 1065,

Dispersione (prs.) 565. Dispetto (prs.) 566, 765. Dispreggio (prs.) 564, 569, 727, 764, 814, 818. Dissegno (prs.) 566. Dissimulazione (prs.) 564, 707-9.

Domestichezza

ivi;

543.

Duello

260.

773.

Dite 1152. Dittinna: v. Dictinna. Divinazione (prs.) 818. Dizionario 216. Dolide (Deoide) 576, rI001. Dolo (prs.) 774. Dolore (prs.) 699, 727. Domenea 1083.

822.

ivi; profondi,

Draggonaccio

Dudleo,

766.

Dissoluzione (prs.) 565. Distribuzione (prs.) 567,

serafici,

Ducato

747,

ivi;

magni,

Dubio

Dionisio 1164; v. Aeropagita. Dioscori 220. Disaventura (prs.) 713. Disciplina (prs.) 565.

Discordia 817.

ivi;

Druso

629.

(prs.)

dottore, illuminato 843; irrefragabile, ivi; sottile, ivi. dottori, angelici 466; aurati, ivi;

930-3I, 933-34, 937, 994, 9961093,

933.

1118.

Dormitazione

927,

97, 1004, 1008, IO0I9, 1022, 1040, 1055, 1078, 1087-88,

NOMI

1074.

Ebrietade (prs.) 569, 821. Ebro 223, 629. Eccesso (prs.) 563, 800. Ecclesia (prs.) 766. Ecfanto Pitagorico 90. Edipo

Edonide

195.

220.

Efesio: v. Eraclito. efettici 45, 876-77, 904-05. Effigiatori 865.

880,

902,

Egesia 447. Egestade (prs.) 749. Egitto 158, 223, 4II-12,

580,

Egeria

776, 819,

220.

778,

855,

784-85,

869,

egiziane 821, 868. egizii (-pzii) 41, 555. 560,

776,

779-80,

863, Egizii,

867-69, misterii

1196

791,

794-95,

799-801,

1074,

I129.

589,

616,

800,

819,

782-84, 799.

1073. 979.

7806-87,

INDICE Elena

218,

Elezione Elia

891.

Elicona

Eliconio

Elisii,

227.

(prs.)

25.

fonte

565,

60,

Elitropio 191..., 217. Elizabetta 67, 222;

unica, Elohim 865. Elpino 350,

433...

352,

472...,

Emendazione

689,

1.

367...,

498...,

(prs.)

Erinni

erinnici,

962.

601,

768.

900.

Diana,

397...,

537.

Empedocle 231, 233, 235, 272, 687, 1006, 1122.

Emulazione (prs.) 565, Endimion 949, 1090. Enea 54, 217, 1083.

Entità

(prs.)

Entusiasmo Eolie

1061,

562.

(prs.)

1062.

565,

250,

754.

Epicureo, poeta 1079; v. Lucrezio.

Epicuro 93, 96, 146, 354, 356, 361, 397, 4II, 438, 531, 687, 1053-54, 1083, 1086. Epicuro, M. A. 59.

220.

Equanimità (prs.) Equicolo 611. Equinoziale

797.

161,

Equinozio 1033. Equità (prs.) 567. Eraclide

di

Ponto

762,

773. 90.

Eraclito 8, 96, 146, 217, 279, 320. Eraclito Efesio 93. erasmiano, adagio 132.

Erasmo 37. Ercole (-ule) 54, 607, 611, 62728, 606, 606, 698, 710-11, 725,

825, 9IS. Eremo 567, 796. Eresia (prs.) 565. Eridano 568, 583, 863.

866.

Errico terzo

808-009,

1104.

192.

di Francia 826, 842.

Errore (prs.) 563, 705. Esculapio 171, 591, 749,

Esercizio

(prs.)

714;

cizio. Esercizio bellico esopico 583. Esperidi 629.

v.

825.

Esser-

807.

(prs.)

563.

Essempio (prs.) 565, 763. Essercizio (prs.) 564; v. Esercizio. Etica (prs.) 563, 702-03. Etiopia 169. Etna

590.

Ettore 76, 217. Euclide 333, 1118. Eudosso (Eudoxo) Eufrate

Eumenidi

600,

Europa 17, 639, 660,

535.

570.

801.

28,

67, 209, 710, 769.

39. 223,

Excandescenzia

v. Vangelo.

(prs.)

765.

Execuzione (prs.) 563, 774. Exemplarità (prs.) 565, 763.

Exiodo 957, 959.

Ezxodo

849.

Exorbitanza

l'acilità

Faivano,

Fallo

1197

(prs.)

600.

(prs.)

Anton

(prs.)

622,

599.

Euschemico 774. Evangelico 851. Evangelo 5, 854; Evante 220. Evanti 582. Eveno 170.

Facete

603,

corno

Euschemia

166,

720.

171.

cacciatore

erinnico,

Eroi

550,

visi

erinnico,

Europe

773. 164,

502,

Espugnazione

763.

Eolo 594, 632, 1033, 1061-63. Epicurei 94, 262, 278, 348, 1052, 1065-66.

Epitemeo

NOMI

Erimantici, deserti 629. Erimantide, selve 621.

750.

961,

campi

DEI

565.

563.

563.

637.

INDICE lalsità(-de), Fama Tame

fano

(prs.)

(prs.) (prs.)

602;

562-63,

177. 690.

v.

Fato

725-27.

691,

l'auni 770. Tauno 195,

568.

fiorentino,

Firenze

560,

729.

6093.

202,

Faustine 223. Favola (prs.) 569,

711,

Felice,

Fellonia

565,

Martire

570, °

631,

1052,

Ferinità

ferrarese,

ferrarese,

(prs.)

pive

563.

Poeta

Fetonte

608,

fescennini 960. Fetone 603.

773,

Fiacchezza (prs.) 563. Fidia 30. Tierezza (prs.) 563. Figonia 818. Figuratura (prs.) 560. Filantropia (prs.) 564, Filautia Filenio

Filippo,

-

(prs.)

0981-82.

(prs.)

563,

702.

fisici 399, 923, 978. fisico 917. fisionotomisti 919. fisognomico 919.

Flacco

956.

Flora 75. Tlorio 52, 55, 82, 544. Floron 617. Folco Grivello 9, 50-51,

v. Fe-

(prs.)

Forza

685-91,

Filistei 201, 853. Filolao 90. Filoteo 191-92..., 224, 352, 307...,

394..., 433...) 471..., 495, 504..., 537.

569,

350,

Francesco,

S. 542.

francese Franche

676,

698-99

(prs.) 564, 715, 724.

86,

354,

446...,

367-68...,

473.

294.

arcipedante copie 827.

492,

260.

Francia 7, 69, 87, 115, 159-60, 256, 295, 734, 826, 842; (am-

basciator

893.

6094-96,

Fracastorio

francese

748,

563,

713, 716, 771, 912. Fortunnio, S. 81.

393, 432, 504-05.

565,

82, 133,

Fonte di vita: v. Avicebron. Forcidi 709, 711. Formidabilità (prs.) 566. Fortezza (prs.) 563, 568, 666,

683,

563.

macedone

Fisica

Fortuna

1168;

8

Firmamento 31, 125, 143, ISI, 162, 354, 430, 560, 946, 1007, 1072, 1171, 1176.

698, 755, 865.

708.

(prs.) 564.

796.

1042-43,

1084.

magro

774.

550.

196.

Fervore

tone.

159.

1037-38,

1079-81,

1042,

7509-61,

Nolano

23.

727,

Fiume 612. Fiurulo 636. Fizione: v. Finzione.

825.

(prs.) 562.

Tenice

713,

585.

Favore (prs.) 564, 749. Fazione (prs.) 566. Febo 52, 195, 766, 932,

1099. Fede (prs.) 800, 826.

NOMI

Fine (prs.) 562. Fineo 710. Fi(n)zione (prs.)

Altare.

Fantaso 737. Faraone 791. farisei 932. Farsaglia 1038. Fatica (prs.) 564,

715,

DEI

di...)

Castelnuovo,

544;

Michel

l’ranzino 633. frigii fanciulli 576. Frode (Fraude), (prs.)

774.

Frulla

1198

12,

16,

10...

v.

di.

565,

anche

567,

44, 52.

INDICE 85...,

IIO,

127...,

142,

197, 214, 541-43.

Fuga (prs.) 699. Tumositade (prs.) 822. Fuoco (prs.) 787. Furia(-e) 563, 699, 765,

Furor

(prs.)

Gabriel

565,

754,

DEI

1609,

1152,

Giove,

865.

585,

829.

Gelosia (prs.) 966-67, 970-71. Gemegli (Gemini) 566, 612.

Generosità (-de), 753, 769-790.

(prs.)

Genio (prs.) 565. Genoese (-vese) 741, Genova

792,

818.

1163,

cielo

565-66,

giudaica,

giudaico,

866.

giudei

799.

popolo

126,

788,

543,

722,

876.

849,

860.

giudeo 760, 791. Giudici, Libro dei 849. Giudizio (-cio) 563, 627, 666-67, 711, 765-76. Giulia 1165..., 1178. Giunone 555, 583, 590, 599, 607, 618,

621,

628,

630-0I,

703,

736, 763, 768-69, 1058-60. Giustizia (prs.) 567-68, 604, 668,

Giusto

(prs.) 773.

Gloria

(prs.) 564,

gnostici 237. Goffaria (prs.)

827.

543.

Gesuati 8. ghibellino 42. Giacinto 584. Giacobbe 736. Gianni, prete 578.

171.

Glutius Gola

126;

v.

566, 568, 570,

822.

(prs.)

569,

564.

821.

Gorgone (-i) 605, 612, 709. gorgonio, trofeo 564. Governo (prs.) 566. Granchio 566, 599, 768. Grandazzo

619.

giganti 615-16, 852. Gigantoteomachia 560. Giob(-be), Libro di 124, Iob.

570...,

685, 699, 711, 755, 773.

815.

629.

606,

568,

1176-77.

cabala

Germania 734, 751. Gerusalemme 880. Gervasio 214, 225..., 254..., 292...) 316, 33I..., 342.

Giasone

188, 200-01, 361-62, 547,

562,

di

Glauco

Gestas

Bruno.

185, 322,

560,

gentile, popolo 854, 876. Gentilezza (prs.) 568. Geometria (prs.) 563, 702. Gerione

v.

Gioviale, decreto 828. Giuda 859. Giuda, leone 869.

(prs.) 568, 802. 570,

di 133.

608..., 644..., 725..., 827, 842, 878, 884, 900, 914-15, 921-22, 932, 1003, 1055-56, 1058,

223.

(prs.)

551;

554-59,

704.

866.

Garrulità Geburah

Giordano

pazienza

Giove 46, 160, 216, 2109-20,

988.

Galilea 813. Galileo Barnaba 750. Gallico, furore 723-24. Ganimede (-i) 80, 583, 608, 644. Gaudio

Giobbe,

Gioseffo (-efo) 820, 870. Giova (Iehova) 793, 870.

Gad 870. Galaad 933. galant'uomo, un 960. Galeno 258, 264.

Garonna

NOMI

251,

252.

Gratitudine (prs.) 567, 569, 814. Grazia (prs.) 567, 773.

773,

greci 21, 24-25,

599,

greca,

lingua

779.

797.

1199

819,

869,

306.

261,

799-800,

1081.

555,

B804-05,

INDICE greci, teologi 851. Grecia 223, 412, 794,

797,

801,

greco

760,

779,

804,

819.

25, 257, Bo4, 806. Gregorio 897. Grivello,

306,

Folco;

Folco

v.

vello. Grossezza (prs.) 750. Grungarganfestrofiel 822.

Gri-

Grunnio Corocotta 83. Guadagno (prs.) 560. Guardia (prs.) guello 42. (prs.)

Haioth

heccados

Hod

865.

Homerica poesia 950; v. omerica poesia.

979,

109I,

Ianni de l’ Orco Iapeto

711.

Tasone

72.

Iattanz(i)a

(prs.)

563,

Ibernia

619,

1175.

07, 709.

68,

Ibero regno Ibi 1002. Icilone 737.

Idio

136,

Idra

569,

v. Dio.

Jerusalem

lima.

Improvisione (prs.) 562. Imprudenza (prs.) 562, 564. Impudenz{(i)a, (prs.) 563, 567. Impudicizia (prs.) 770. Impugnazione (prs.) 563. Incolumità (prs.) 564, 713.

629.

152,

GoI,

854,

Iesod 865. Ignoranza, (prs.)

237, 612,

875;

(prs.)

714.

asino

Indigenza

568,

777,

562-63,

714.

(prs.) 822.

Indignazione (prs.) 764. Industria (prs.) 564, 699,

715,

Inerzia (prs.) 562-64. Infidelità (prs.) 6909, Inganno (prs.) 565,

723,

706-

849;

Jeroso565-68,

570, 699, 754, 763, 825.

Imbasciatori 865. Imbracciamento (prs.) 767. Imitazione (prs.) 565. Immondizia (prs.) 563. Impazienza (prs.) 566.

826. 567,

774, 815. Ingegno (prs.) 564, 754, 765. 87,

v.

(prs.)

Indigestione

Inghilterra

816.

840.

727, 807.

1120.

802.

826.

Impostura (prs.) 562, 568-69, 818.

indico,

865.

Iamblico

Imperio (prs.) 565. Impeto (prs.) 565, 765. Impietà(-de), (prs.) 570, Imposizione (prs.) 563. Impossibilità (prs.) 562.

Inconsiderazione (prs.) 750. Inconstanza (prs.) 566. Inconsultazione (prs.) 564. Incontinenza (prs.) 567, 770. India occidentale 815. Indiani 785. Indicazione (prs.) 565.

570.

Hasmalin 865. Hesed 865. Hocma 865-66.

NOMI

Incomodità

568.

Guin 52-53, 544.

Gusto

DEI

133,

3,

7,

175,

26,

222,

68,

70,

256,

345, 618, 814, 818, 842, Ingiuria (prs.) 764, 773. Ingiustizia

inglesa,

(prs.)

lingua

567,

85-86.

6909,

78,

295,

951.

704.

inglesa, nobiltà, 133. inglesa, terra, 159. inglese 86, 139.

Ingratitudine (prs.) 507, 773. Iniquitade (prs.) 563, 705, 773. Innocenza (prs.) 731.

Inquisizione

(prs.) 564.

Inquietudine (prs.) 564, 568. Insidia (prs.) 565, 569, 750, 817. Insolenz(i)a (prs.) 563, 699, 760,

773.

INDICE Inspirazione (prs.) 565. Instabilità (prs.) 565. Instigazione (prs.) 564. Intelletto (prs.) 567. Intemperanza (prs.) 567,

Intempestività Intento

(prs.)

Intenzione

(prs.) 747.

(prs.)

741,

750,

800.

latini,

566.

817.

66.

500,

Iove 0917. Iovem 189. Iovi 188.

(prs.)

Irritamento Isachar

565-66,

870.

Iside 455,

741,

(prs.) 564.

778,

782,

813, 823. Ispagna 705, 1175. Ispionia (prs.) 565. Israele 23, 870. israelita

66,

Italia

70-71,

568.

87,

794,

734, 808.

lingua

159-60,

205,

257.

Jacob 299, 869. Jerosolima 792; v. Ierusalem. Jonio 92, 587. Jonvilla 3, 175, 345; v. Castel-

novo.

Lamento

v.

Lampsaco

Lancinio

Laocoonte

Diogene.

(prs.)

566.

585,

742,

170,

749.

630.

568,

601,

932.

612,

Lerne 629. Lerneo mostro Lesbia 933. Lete 620, 689, letee 900. Leteo, fiume Lettera

979.

Laerzio;

612,

lettere,

italiano (-i) 52, 77, 86, 260, 766, 947. Ixion

607,

Lethaea 188. Lethaeum 883.

223, 256, 295, 412, 629, 639,

italiana,

627,

768, 770, 787, 1046-47.

850.

Issim 865. Istrionia (prs.)

851.

latino (-a) 20, 86-87, 257. Latium 215. Laura 583, 933. Laurenza 634. Lavamento (prs.) 563. Lavoro (prs.) 506, 727. Lazaro 469. Leda(-e) 218, 570, 1001. Legge (prs.) 562, 569, 621,

Lepre

764-65.

780,

teologi

666-63, 765-66. Leone 566, 602, 604,

Ipoczisia .(prs.) 562, 774. Ipparco (prs.) 28, 39-40. ippogrifo 73. Ira

NOMI

Laodomia 1165..., 1178. Laodonio 1127..., 1139. Lasco: v. Alasco. Latini 869.

565.

Invenzione (prs.) 564. Invidia (prs.) 564-65, 567, Tob

DEI

lettere,

Letto

ad

809.

622. 833,

945,

580.

Alexandro

divine

sacre

896.

848.

847.

(prs.) 570.

Levi 869. Leviathan 866. Levità (prs.) 568. Liberalità (prs.) 569, 815. Liberio 1127..., 1139.

Libero

Libertà

796.

Libia

607.

(-de),

159, 629,

(prs.) 734,

Libici deserti 769.

Libidine (prs.) 770. Libra 166, 583, 612, Licaone 8, 127, 588. Liceo 289, 893. Licestra, conte

Dudleo. Licori 0933. 120I

1099.

di

605,

608,

567,

715,

1048,

1106.

773,

1047.

68,

69;

+.

INDICE Ligustico

mare

DEI

818.

mahumetano, Malachim

londrioti

137,

170.

Longanimità 699, 764.

(-de),

Loquacità (prs.) 818. Lotto 822. Lucca 820. Luciano

108,

Lucilio Lucina

Lucretius,

Lucrezia

565,

569,

802.

IIr.

1087. 455, 596,

769.

epicureus

1054.

Lucrezio 957; Lucullo 8.

v.

094.

Lucretius.

Luna 13, 33-34, 93-94, 96, 10203,

1107-08,

122-23,

130-3I,

140-41, 147, 150, 240, 256, 320, 354, 398, 407, 431..., 451,

476, 481, 487, 506, 521, 524, 528, 537, 781, 784, 848, 866, 868-609,

1137.

luna,

1026,

cielo

Lusitano, Lussuria

Macedone

1038...,

della

regno

1052,

866.

827.

(prs.)

741.

289,

893.

Macometto Aracense 40. Madian 73. Maestà (prs.) 564. Mafelina 57. Maghi 41, 232, 943. Magi, tre 73. Magia 569, 782, 799, 818. Magnanimità (-de), (prs.) 565-66,

568-69, 753, 769, 770, 796.

Magnificenza

(prs.)

565.

126.

865.

750,

Maleachim: v. Malachim. Malignità (prs.) 564.

(prs.)

568,

121.

Malchuth 865. Maldicenza (prs.} 569, Male (prs.) 763, 768.

Litigio (prs.) 1061. Lode (prs.) 865. Logica (prs.) 563, 702. Lombardi 25. Londra 159. 196.

teologo

mahumetisti

Lilibeo 588. Linceo 11, 864. lioncorno 990. Lira 563, 611, 700.

Iondriota

NOMI

753.

Malizia (prs.) 562, 570, 703. Mamfurio 78. Mania (prs.) 565. Manigoldaria (prs.) 568. Mantia (prs.) 569. Manto

27.

Marco,

piazza

mantuano

742;

817.

727,

v. Maron.

di

S.

700.

Marco Tullio: v. Tullio. Maria da Boshtel: v. Boshtel. Maria da Castelnovo: v. Castelnovo. Maricondo (-a) 1071..., 1II2..., 1126. Mariolia (prs.) 568. Maron mantuano 742. Marone 217. Marone Virgilio: v. Virgilio. Maroni 956. Marseglia 753. Marso 749. Marte 129, 562, 584, 6109-20,

7905-06, 750, 765, 777, 781.

Marte, Marte,

cielo di 866. stella di 129.

Martinello 636. Maytis 129. Marziale 957. matematici 922. matematico

Mattheo thco.

917.

Tobia:

Mauvissier(0)

v.

Tobia

3, 7, 169,

173,

Mat175,

205, 343, 345; v. Castelnovo, Michel di. mavorzii 171. Mecenate (-i) 956, 960, 1082. Medea

Medce 1202

606,

749.

619.

INDICE Mediterraneo 115, 159. Medusa 598, 605, 709, Megara 607. Megera 364. Melancolia (prs.) 565. Melazzo 252.

Melisso

146.

Menadi

220.

Melpomene

Menelao, Menfi

DEI

711.

(-mfi)

Mobile,

Mercurii Mercurio

32, 589, 664. 73, 98, 219-20,

Mercatura (prs.) 569, Mercede (prs.) 563.

680...,

723,

9I4..., 923,

815. 256,

749...,

Mercurio,

cielo

Mercurio,

tavole

Mercurio,

Egizio

Mercurio,

di

821,

780. di

1074;

562.

Pitagorico

Micena 158. Michael 866. Milano

v.

702.

69,

914...,

923.

632,

749,

807, 815-16, 1058, minervale, ludo 241.

Minervam

709,

759,

1060.

745;

805,

140.

U,

Bruno,

783,

791,

3, 25, SI, 177, 187,

194,

917.

Dicloghi

965,

989,

1082.

Nabuchodonosor Naiade 586.

673.

801.

Napoli 42, 75, 205, 803, 818, 840. napolitano 133. Nasone 742.

1203 —

311,

Muse d'’ Inghilterra 26. Museo 215. Musica (prs.) 563, 702.

Nanna

Ministerio (prs.) 566. Minoe 215, 631. Minutolo 1140..., 1164. Mirmidonia 764.

79

mosaica 793. Mosè 122, 124-26, 886.

+62,

702,

756-57,

737.

600, 701, 754, 756, 884, 915, 937, 946-47, 954-56, 957, 961-

960.

688-90,

561709,

Mormorazione (prs.) 568. Moro, Avicebron: v. Avicebron. Morte (prs.) 599, 727. Mosa 223.

Muse

171, 220, 257, 605, 608,

754,

866.

Monachismo 796. Mondo, Nuovo 797. Mongibello 588, 797, 1055. Monopolio (prs.) 566, 766. Montecorvino 818, Montone 565, 599, 764.

Musae

Milizia (prs.) 568. Mimallonidi 220. Minerva

701,

Munificenza (prs.) 815. Musa 222, 563, 958-509. Musa, nolana 177.

866.

(prs.)

Micco,

563,

primo

Momo 1609, 215, 469, 555, 62, 582..., 630, 667..., 725.., 825.

Morfeo

57.

195.

Mezzo

883,

797.

Metafisica (prs.) 562, Metafora (prs.) 569. Metamorfose 127.

Metattron

665,

806.

Trimigisto

Trimegisto. Merlin Cocaio Merlino

62I..., 645,

1002.

1001.

605,

Moderanza (prs.) 568. Modestia (prs.) 567, 770. Moltiloquio (prs.) 568.

435, 487, 491, 547, 562, 571, 615,

(prs.) 567.

594.

Moab 850. Moabiti 850.

220.

604,

Misericordia 702,

Menippi

594,

(prs.) 564, 567, 749.

Misterio (prs.) 569. Mnemosine 26, 576,

40.

158.

Misantropia

Miseno

956.

romano

NOMI

ituliani.

639,

700,

INDICE Nausea Nave

(prs.)

569.

Necessità

707:

Negocio

822.

(-de),

747.

DEI

(prs.)

562,

564,

(prs.) 564, 735, 739.

Nemeo,

leone

Nereidi

629.

606,

1173. Nettalim

609,

808,

576,

599-600,

870.

Nettuno

171,

1128-29, 606,

753-54, 768, 782, 802-03, 1002,

1131-32.

NOMI

Obedienza (prs.) 565. Observanza (prs.) 750.

Occasione (prs.) 697, 714. Occupazione (prs.) 564. Oceano 69, 115, 123, 177,

456. 609, 632. 713, 762, 946,

1128-29, 1136, Oceanus 31.

Ocio

(prs.)

731-35.

Oco

Odio

1149,

564,

738-39,

867,

Nilo

Ninfe

195,

950,

609,

1147.

808,

1112-13, 1168, 77. Ninive 802. Nizza 818, Nizzolio 216.

Nobiltà

Ofiulco

1129,

946,

1172-73,

951,

1176-

799,

142,

257,

17, 90,

153,

822;

v.

168-690, 272,

343,

Onorio

Opin

214,

542...,

Nonacrina 609. Notho 94. Nozio 602. Numeri 851.

Nuovo

vo.

170.

Mondo:

115,

monte

815.

750.

615,

797.

792.

de l’ 700.

poesia

958.

881,

867.

(prs.) 565, 727, 751,

934.

959.

orfici 41. Origene 836,

Oro,

Nuo-

QIO-I1.

865.

752.

Orione

12, 24, 82, 85, 87, 115, 119, 127, 128,

882...,

570,

Orcadi 619. Orco 180, 704, 809, 1082. Orfeo 171, 215, 233, 293,

774,

v. Mondo,

587,

piazza

Oppressione

549, 756, 833. 925, 927, 951,

I4I,

582.

Ophanim,

969, 975, 993, 1096.

Nundinio 11, 103..., 113,

senato

729, 827.

Noè.

173,

612,

Onestade (prs.) 567, 770. Onore (prs.) 564, 567-68,

22..., 38, 48..., 66, 103..., II2, 127...,

259,

Oliveto,

599,

754,

Omero 455, 957-509, 1083.

815.

Nohemi 220; v. Noè. Nola 205, 630, 1113. Nola, asprinio di 744. nolana, filosofia 10, 342. nolana, Musa 177. Nolano 78...,

Olimpo

omerica,

Noè 54, 79, 542, 799, 819. Noemo

564,

Olimpico,

Olmo,

(prs.) 567,

744-47

(prs.) 565.

Olimpe 188. olimpico 843.

158,

725-27,

741,

8609.

Nicomano 893. Nicosia 252.

Nigero 762. Nigrore (prs.) 569.

1176.

717,

Ofanto 764. Offensione (prs.) 563. Officio (prs.) 565, 560, Ofito 762.

Nezah 865. Niceta Siracusano, Pitagorico 90.

223,

508,

803,

Apolline

850,

583,

805,

863.

Orsa 18, 143, 562, 617, 796, 809.

944.

600,

1204

612,

608-090,

GII,

806.

Orsa maggiore 619, Orsa minore 862. Orsi d' Inghilterra Orsini 618.

606,

862, 618.

873.

INDICE Ortensio 897. Oscitazione (prs.) Osiri

DEI

Paulo Tarsense; Pazienza (prs.)

735.

799.

Ossa 587. Ossequio (prs.) 565-66, 560, 814. Osservanza (prs.) 565, 774. Ostinazione (prs.) 754, 708. Otranto 92, Otrio 799.

840.

Ovidio ‘673, 957. Oxonia 21, 133, versitade,

Pace (prs.) 566, Pachin 588. Pafo

600,

Palazzo,

Talinodia

764;

nostra.

568,

B15.

a Parigi (prs.)

v. 724,

Palladio,

Pandora

regno

(prs.)

928.

S.

61.

75,

Tarsene; Teologo. Parabola (prs.) 569. Paracelso

258,

Parca 883. Parche 580. Paride 1058. Darigi 75, 833, Parmenide

Parnasio, Parnaso

961,

(prs.)

Passare, solitario Pastore 9891-82.

Paulino

630.

73,

565,

755.

754,

833, 848, 884, 892, 899, 975

Pegaso 710. Peleo 607. Pelia 587, 825. Pelignus (Paelignus) Pellicano 788. Peloro 588. 566,

1116.

989.

506,

704-

Pensiero (prs.) 564. Pentateuco 575, 849. Pentimento (prs.) 564. Perdizione (prs.) 803. Peregrinaggio (prs.) 569.

Perfezione

(prs.) 562, 827.

Pergiuro (prs.) 774. Pergusa 703. Periflegetonte 704. peripatetica 249, 446, 525. peripatetica, dottrina 274; 306. peripatetica, scola 397.

681.

Apostolo;

peripatetiche, Discussioni: v. Discussioni. peripatetici 181-82,

270, 312,

899,

186,

(prs.) 566.

Parzialitade

v.

925.

884.

Partenope 764. Partenopeo, Regno

Partita

cavallo

289,

(-0)

227,

297,

314,

8,

42-43,

240,

107,

242,

265,

372,

373.

299, 306, 309,

329,

333,

378, 513, 560, 871, 893, 895,

monte

195,

Cabala 912. asino 903.

Pegaseo,

264.

146,

764.

05, 714.

animali

138;

v. Tartense. 505, 508, 605,

Penia (prs.) 1056. Penitenza (prs.) 563,

290.

degli

717,

Pegasca, Pegaseo,

Penelope

822.

Pantano (prs.) Panteone 747. Paolo,

767.

563.

Pane 195. Pantamorfo. 220.

pantamorfo

Uni-

75.

Palinuro 171. Pallade 562, 622, 632, 644, 773, 807, 932, 1058-60. palladii 466. Pallore

NOMI

287,

962.

719. 566.

788.

326.

0941,

998,

1158. peripateticorum,

543. Persecuzione Perseo

73,

1043,

princeps

(prs.) 699.

564,

605,

(prs.)

Perturbazione

1205

566,

(prs.)

24, 43,

611,

711, 725, 755. 802. l’erseveranza (prs.) 564, Persi 179, 867. Persuasione (prs.) 565.

Pertinacia

1048,

699.

768.

564.

709,

INDICE Perversitade Pesce

(prs.)

612.

DEI

254. 280, 297, 329, 333, 374,

565.

Pesce, australe 828. Pesce, meridionale 570. Pesci 568, 600, Bor, 884. Petrarca 215, 583; v. tosco, poeta. Phoebus 27. Piacere (prs.)

566.

Pitagora

293.

8,

22,

137,

dottrina

Po

146,

880. 179,

1114.

885, 894, 916, 923, 944, 940, 1002,

1007,

Pithagora 542. Pitone 364, 602, Pixide 801.

Placabilità

planetare,

Plato

moto

43.

1025-27.

750.

Platone 8, 90, 113-14, 126, 155, 186, 212, 217, 238,

259,

330,

279,

286,

289,

307,

57, 1120, Convito

Timeo

90,

Mennone

platonico

1122,

893,

1056;

118,

909.

223,

763.

(prs.)

137, 250,

312,

(-i) 179,

1027,

1056-

Politica

286;

1150;

229,

[Opere]:

286,

307,

1027,

892,

1040;

900.

563,

702.

di 8.

709-10.

Polidoro 634. Polihimnio: v.

Poliinnio.

Poliinnio (-a) 215-16, 221, 224, 225..., 254... 289...,

334... 342.

Poliinnici,

passatempi

Polonia 826. Poltronaria (prs.) Pomona 932. Ponto

222, 317,

182.

564,

737.

90.

Popolo 566. Porfirio 742.

Porro, Fra 960. Porto, tempio nome di 159.

Potestadi

331, 386; 396, 440, 447

456, 466, 468,

300,

che

sollecito

ritiene

il

815.

Possibilitade (prs.) 765. Potestade (prs.) 565.

814.

1045.

1003;

regno

Portughese,

(prs.) 569,

1022,

212.

237,

997,

1010,

0983.

Pogliano, Arciprete polacco: v. Alasco.

pitagorica, scola 918. Pitagorico (-i) 8, 41, 90, 232, 264, 269, 272, 280, 311, 528, 881, 974, 996,

Fons

Pleiadi 566. Plotino 233,

Poesia

815.

876-77,

1007, .

rapto

Platonis,

plutonio,

186, 212, 244, 272, 324, 330231, 456, 617, 918, 1006, 1122, 1164.

pitagorica,

platonico,

Polidette

Pirroni 45, 903-06. pirroniano (-i) 219, Pisones

1000, 1002, 1025, 1027.

[Opere]: De Ja materia 300; Della bellezza intelligibile 1040. Plutone 192, 362, 747.

Pippa 673, 674.

569,

848, 880, 892, 943, 946, 998,

944,

Piamonte 763. Pietade (prs.) 570, 826. Pietro, Costanzo: v. Costanzo. Pietruccio 23. Pio quinto, papa 842. Piramidi 169. Piratismo (prs.) Pirenei 115. Tirra 799. Pirro 217.

NOMI

440;

182, 227, 232,

Povertà 699.

865.

(-de),

Predazione

(prs.) 566, 670...,

(prs.)

815.

Predicazione (prs.) 568, 814. Premio (prs.) 563, 570, 827.

Pressa (prs.) 747. Prestanza (prs.) 567.

Prestigio (prs.) 568. Presunzione (prs.) 563, 565, 699,

751, 769.

Preto

1206

711.

INDICE Prevaricazione Priamidi

1609.

Priamo 217. Priapea 742. Priapo

195,

(prs.) 563,

935.

primo mobile; v. mobile, Principati 865. Principio (prs.) 562. Prisciano 1118.

Procella

(prs.)

Prochita

proci 9809. Prodigio

Profezia

588.

(prs.)

DEI

763.

Rabi

rabini,

primo.

787.

Protervia Provenza

563.

Providenza 605, 865. Provision (prs.) 569. Provocazione (prs.) 564. Prudenza (prs.) 562, 564, 666-68,

755,

692,

708-09,

809.

Prudenzio 12, 14, 85..., III, 127...,

721,

568, 750,

19..., 51... 145... 171,

197, 214.

Piolomaco 37. Pitolomaeus 139. Ptolomeo 27, 544; v. Tolomeo. Pudicizia (prs.) 567, 770. Puglia 748, 761, I106.

pugliese,

poeta

566,

699.

Putifaro 820. Pythagorae, Fons

Quirino

abbate

212.

169.

di

S.

568.

835.

897.

Regno (prs.) 865. Regolo 1054. Regresso (prs.) 566. Religione (prs.) 569-70, 668, 720, 826. Remunerazione (prs.) 827. Repicco (prs.) 565. Replezione (prs.) 822. Repressione (prs.) 566, 768. Repubblica (prs.) 566. Retribuzione (prs.) 567, 773. Rialto 75. Ribellione (prs.) 723. Ricchezza (prs.) 563, 666..., 684, 696,

699.

Rifanciullanza (prs.) 569. Rifeo(-i) 713, 931, 1048. filosofie

Riformazione (prs.) Rigore (prs.) 566. Rimorso

567, 770. (prs.) 563,

Querela (prs.) 566, 568. Quiete (prs.) 568, 570, 737. Quintino,

(prs.)

riformate,

969.

Pullione 23. Purità(-de), (prs.) Pusillanimità(-de),

877.

Radamanto 215, 631, 740. Raggione (prs.) 685, 765. Ramath-lechi 853. Raphael 866. (Ramo, P.]: v. francese arcipedante.

Reginaldo

1103.

159.

849,

Raziel(e) 866. Recognizion (prs.) 773. Refrenamento (prs.) 566. Refrigerio (prs.) 564.

508.

(prs.)

santi

Rapto (prs.) 565, 754.

Prognosticazione (prs.) 818. Progresso (prs.) 566. Prometeo 816, 817, 878. Proserpina 455. Protagora 2094. 989,

255.

Rapina

(prs.) 818.

Proteo

NOMI

(prs.)

937.

228.

563.

Riposo (prs.) 570, 829. Ripugnanza (prs.) 563. Ripurgazione (prs.) 563. Riso (prs.) 736, 738. Rispetto (prs.) 567, 773. IRitessimento (prs.) 566. Ritrattazione (prs.) 708. Ritrazione (prs.) 566. Ritrosia (prs.) 566. Robustezza (prs.) 564, 713. Rocco, S. 170. Rodano

1207

223,

753.

INDICE Rodomonte

DEI

Sarza

54.

Roma 75, 618, 804, 818, 840. romana, terra catolica 170. romana, lingua 258. romana, salza 829. romani 210, 2II, Romano

760.

Romano,

Senator

Romano, Romano,

popolo Senato

Rutto

(prs.)

Saturno

208.

750,

817.

608,

612.

Salerna

567,

Salmoneo Salomone

598,

601,

604,

loto.

213. 1095,

246,

324,

932,

937. 975, IO10, 1045, 1105.

Salonicca

802.

Salustio 215.

Salute (prs.) Salvio 897.

Samaell(e)

Samaritani Samuele

Sanità

Sansone

66,

543.

(prs.)

sansonica,

829.

617,

353.

666,

Santasantoro Sapatino, Sapienza

Saracin

D.

(prs.)

44.

sardanapalesco

Sardegna,

812.

835.

668,

8.

725...,

555,

829,

868,

774,

Scevola 1054. Sciardichi, duca Scille 1087. Scio 774.

Sciocchezza

1002,

046...,

892...,

di 775.

(prs.) 504.

Scisma (prs.) 565. Scita(-i) 69, 207-08, 785. scolastici, teologi 1064.

sopra 115.

Scrittura,

dottori

1164.

le arte liberali

Sebasto

Sebeto

Secondo,

602,

606,

divina

120,

122,

125-

882,.., 909,

9II.

86I...,

762.

1046-47

filosofo

294.

Securità

(prs.)

829.

Sedulità

(prs.)

699.

Sedizione Selvaticia

1208

260.

567,

26, 859. Scurrilità (prs.) 568. Sdegno (prs.) 566.

865.

781,

sceptici 902.

Scozia

291.

882,

705,

Savolino, Antonio 634. Scampo (prs.) 564. Scandalo (prs:) 565, 763. Scarvaita 635.

779, 774, 796,

692,

571...,

861...,

9I0, GII.

Scorpio(ne)

asino di 840.

Sarno 762. Sarraceno 760.

Saul 66. Saulino 547,

Scole

713.

fortezza

679,

764-65, .767,

scolastici,

866.

1105.

626,

816-17, 823, 932, 991, 1082, II06. Saturno, cielo di 866.

818.

Salmista

618,

747.

Sabba 195. Sacerdocio(-zi0) 569. sacrario 602; v. Altare. Saduchimi 885, 891, 044, 1027. Saetta (prs.) 565, GII, 750. Sagacità (prs.) 564, 569, 716, Sagittario

23.

408, 437-38, 487, 579,

584,

865.

822.

221.

Satan 850. Sathan 866. Satiri 770. Satiro 576. Saturnia 1058. saturnini 870. saturnino 8.

660. 207.

869. formanti

54,

Sassetto

Romanus, pater 1083. Ronfo (prs.) 736. Ruben Ruote,

NOMI

(prs.) (prs.)

566. 800.

612,

INDICE Semammeforasso Semele,

Semirami

fratel

Semplicità

812.

di

223.

(prs.)

sephiroti

865,

707-009,

865.

Serifia,

isola

serpe

825.

871,

120...,

543. Sobrietate

873,

897.

(prs.)

Soccorso Socrate

566,

socreità

sfera,

Sfinge

Sibilla

ottava

60,

195.

346, 446,

814.

896,

766.

165-66,

429,

70,

547.

549,

567,

508,

801.

Simone 869. Simplicità (prs.) 5604-65, 507.

Sina, monte 792. Sincerità(-de), (prs.)

Sirene 712. Siri Bol.

271.

378-80, 4607-68,

398, 472,

915.

109,

122-23,

361,

390...,

665,

507,

325,

400, 526,

434, 535,

33, 52,

88...,

130...,

165,

483,

192-

506,

522...,

1022:..,

10096,

1125..., 1146, 1177. Sole, cielo del 866.

Silvani 770. Silvestria (prs.) 567.

_ 759 774. siracusano 90.

8093,

215.

944..., 951, 965,

Sileno(-i) 14, 24, 193, 220, 550, 585, 822, 932, 935.

Silenzio (prs.) Silere 762.

734,

552, 583, 611, 631, 651, 762..., 784, 823, B42,

195.

925, 927.

279,

93, 223, 240, 284-85, 295, 320...,

131, 165, 866, 1072.

Iilippo

564.

Sofocle 93. Sofonisbe 223. Sogno (prs.) 725. Sole 9, 13, 17, 22,

431.

Sicilia 251, 748, 797. siciliano 1055. Sicurtà (prs.) 567. Sidneo 552, 842. Sidneo,

54I...,

646..., 725..., 829, 861. sofista(-i) 8, 170, 179, 246,

431, 471, 841, 865, 943, 946-47. nona

amor

197,

560.

271,

880,

86...,

Sofia 324, 547, 555, 562, 571...,

Severino I14o..., 1164. Sfacciatagine (prs.) 770. sfera(-e) 8, 41, 143, 166, sfera,

(prs.)

763.

5I...,

168,

(prs.)

919, 1054.

565,

19...,

143...,

200,

socratico, 711.

750.

(prs.)

12,

socratici

Serpe, australe 569. Serpentauro 599, 749. Serpente 749-50. Servitude (prs.) 566, 560, Sete (prs.) 699.

Setta

Smitho

869.

Serafini

Serafino

867,

NOMI

Sirti 1087. Smarrimento

171.

Seneca 580, 1083. Senettute (prs.) 745. Senna 223. Sephiroth 876.

DEI

solem 160. solis 138, 160, Solitudine

(prs.)

Sollecitudine

717-18,

567,

(prs.)

699,

564,

725, 729, 745.

Somma, greco di 744. Sonno (prs.) 735-37. Sopore (prs.) 736. Sorbillgramfton 822. Sordidezza (prs.) 563. Sorga 935. Sorte (prs.) 562.

Sottilezza Spada

Spagna

563.

Spagnolo

(prs.) 564.

256;

86,

v. Ispagna. 815.

Sparagorio, S. 196. Specie (prs.) 937.

1209

705, 843,

796.

711-15,

INDICE Spceculazione (prs.) 775. Spenseramento (prs.) 567.

Speranza

(prs.)

Spicilegio

216.

765, 809.

565,

715,

DEI

755,

Sphaera Octava Mobilis 139. Sphaera Inmobilis Fixarum 140. Splendore (prs.) 566. Sporcaria (prs.) 822. Stabilimento (prs.) 865. Stagirita 544, 6809. Starza 634. stelle 31, 33, 599..., 608, 695, 761, 870,

768, 802, 820, B48, 852, 951, 1022, 1048, 1061,

1081...,

1097,

II7I,

1177.

stelle, fisse 313. Stigia, palude 581. Stilbone 755. Stinfalidi 629, 750.

Stizza Stoici

(prs.) 566.

8,

252,

280,

754,

775.

Stupidezza

Stupidità

(prs.)

(prs.)

590.

Taciturnitade Tago

223,

Talia 956. Tamesi(-isi) 704, 761,

762.

Tarsense,

(prs.)

tartareo, tartari

69.

780.

baratro

857.

Tartaro 778. Tassa 601.

Taurino Tauro

47.

763.

565,

600,

763,

776,

769,

773.

692,

800-01,

823.

Tempesta

727,

1046-

Taurus 22, 80. Tazza 569, 612, 821. tebana, Manto 27.

565,

6909,

(prs.) 567, 569, 604,

(prs.)

Tempio 56. Teofilo 12, 16,

568,

788.

19...,

50...,

85..,

120..., 143..., 171, 203-04, 206, 208, 212, 214, 225..., 253, 261..., 288, 296..., 318..., 342.

Teologo 1024; v. Paolo, Teophilus 242. Terenzio 837. Termine (prs.) 570.

Termodonzio

Terra

629.

12-13,

22,

31,

S.

87...,

168,

189-90, 192, 251, 284, 295, 308, 326, 328, 353-57, 3601-62, 377, 389-91, 398, 405..., 416,

809.

568.

429...,

447,

529, 542, 608,

568,

Paulo

751-52,

562.

(prs.)

1097.

Tantalo 8. Tarsense 876.

564.

Suspizione (prs.) 566, Susurro (prs.) 568. Taburno

1070,

Temperanza

Styga 246. Styx 617. Sufferenza (prs.) 699, 764. Suffragio (prs.) 564. sulmonese 742. Superbia (prs.) 741, 769. Superstizione (prs.) 570, 826. Suppressione (prs.) 566.

Suspettazione

Tansillo 30, 34, 718, 740, 953..., 973..., 986..., 1005..., 1030...,

Tebe 55, 882. Telesio 261. Tellus 31, 188. Tèma (prs.) 718. Temeritade (prs.) 563,

307.

Stracuragine (prs.) 562. Strafocazio 822. Strazio (prs.) 765. Strimonie 171. Studio (prs.) 564-65, 567,

NOMI

762,

1032-34,

801.

Terrore

Teseo

53, 59, 170, 223, 1168, 1172, 1I77..

464...,

1045,

(prs.)

607.

544, 552,

784,

797,

566.

tesorier del regno, Tessaglia 629. Tessalo 709, 802.

I2I0

495,

515...»

554, 587,

848,

1050,

gran

1026,

1052. 60.

INDICE testamento

Teti

607,

novo

851.

609,

797,

541...,

544.

973,

Thessala

pinus

Theuth 787. Thule 31. Tiade 220. Tiara 826. Tiberino 170.

Timeo

90,

Timon

169.

286,

Timore

803. Transporto (prs.) 569. Trasoni 171. Tremore (prs.) 568. Trepidazione (prs.) 563,

32, 533.

tresse,

Trimigisto,

de 1083.

588. 155,

440,

donne

822.

293.

Triangolo 565, 611, 755. Trimegisto 279, 784; v. Mercurio Trimigisto.

Tiberio, progenero

Tieste 8. Tifeo 587, Tifi 30-31.

NOMI

Tranquillità(-de), (prs.) 567, 508,

1103.

Tevere 208, 223, 762. thalmutisti 228, 867.

Theofilo

DEI

456,

229,

528.

200,

272,

(prs.) 566, 568, 699, 717,

727, 809. Tipheret 865.

Mercurio:

rio Trimigisto. Trinacria 587, 748. Trinacrio, pondo 588. Triptolemo 564, 748. Triumvirato (prs.) 566. Trofonio

Troia

Troiam

195.

16, 290,

579.

troiani

1058,

Troiano,

v.

Mercu-

1067. 1081.

cavallo

171.

Tiphis 31. Tirannia (prs.) 565, 612, 751-52. Tirannicidio (prs.) 568, 814. Tiresia 27.

Troni 865. Troo 585.

Tirreno 587. Tisifone 967.

1033. tropico, del Capricorno 122, 138, 1033.

Tiresii

680.

Titan 188. Titan 1061. Titane 193. Titania astra 244. Titiro 215. Titone 187. “Tobia, Matthco 212. Toleranza

(prs.)

543.

132-33,

tosco, poeta Tracia 629.

Tradimento

Tullio, 699,

138-4I,

935.

(prs.)

tropico,

946,

del

122,

132,

101,

Cancro

122,

138,

1026.

569.

Tullio, epistole de 1083.

565,

135,

797,

18,

Tropologia (prs.) Tullio 215.

717,

764. Tolomeo 28,137, 165; v. Pfolomeo. Tonante 1058. Tormento (prs.) 727. Toro 599, 606, 612. Torpore (prs.) 564, 5609. Torquato 24, 82, 87, 105, 119,

130,

Tropico(-i)

507,

774.

170,

Marco

837.

Turba (prs.) 566, 760. Turbulenza (prs.) 568. Turco 723. Turco, gran 766, 791, 792. Turno 217.

Turpitudine

turribolo

Ulisse

(prs.) 818.

602;

v.

Altare.

1083.

Umanità (prs.) 748. Unione (prs.) 566.

Universitade, nostra 209. Universo 29, 88, 103, 105, 125, 130-31, 149, 162, 164, I73..., 188, 227-289, 235..., 244, 283,

IZII

INDICE 287,

297,

318...,

326,

DEI

347...)

416, 425, 430-33, 435, 462-64,

472-73. 479, 492-93, 506, 508,

515,

520-2I1,

534,

560,

781,

1026, 1071, 1123. Urbanitade (prs.) 567, 800. Usura (prs.) 815. Usurpazione (prs.) 565, 568, 727. Utilità (prs.) 829. Vacantaria (prs.) 564. Valclusa 935. Vanagloria (prs.) 568, 727. Vangelo 211; v. Evangelo. Vaniloquio (prs.) 568. Vasta 634. Vaticinio (prs.) 565, 754.

Vecordia

779,

814,

957,

Venere, cielo di 866. venereo, amor 936.

fra

618, 6092,

620, 699,

771.

Vesuvio 590. Vezzi (prs.) 767. Vigilanza (prs.) 564, 814.

Vilta(-de),

568,

714,

(prs.) 563, 567, 699,

(prs.)

565,-566,

(prs.)

Vitanzano 822. Vittoria (pres.)

750,

Voluntade Voluptade

727.

5609,

Vulcano

200,

1055,

Walsingame,

Xenofane,

770.

568,

646, 666-68, 707-09, 713,

755, 765, 796, 862-63, 1099.

verme,infernale773; v.Scorpione.

581,

1057,

Xantippe Zabulon

827,

(prs.) 567. (prs.) 570,

Westmester

Vergine 567, 6002-03, 612, 769,816.

605, 685,

Vestali

1057-60.

Verginitade (prs.) 770. Vergogna (prs.) 737. Verità(-de), (prs.) 562...,

562.

770.

Virtù (prs.) 692, 695. Virtudi 699, 865.

211.

Venus 1065, 1079. Verecundia (prs.) 567,

(prs.)

Vertunno 195, 932. Vescovato (prs.) 565.

1083. Virilità(-de),

Veneris 1066. Venezia 75, 700, 769, 791. Veneziana, Republica 763. Ventura,

Versuzia

567.

Virgilio 217, 673, 837. 957, 959,

Venere 89, OI, 94, 131, 435, 562, 767.

(prs.)

Violenza

Venazione (prs.) 568, 811. Vendetta (prs.) 563, 565.

593, 600, 644,

Vero

763.

(prs.) 765.

587, 591,

NOMI

865.

588,

1130.

Francesco

196.

200.

Colofonio

666,

590,

829.

973,

69.

906.

870,

Zadkiel 866. Zampaglion 822. Zaphciel 866.

Zelo (prs.) 568-609, 715, 765, 814. Zodiaco

870,

Zopiro

161,

1045,

919.

Zucavigna

1212

165-066,

1072.

822.

528,

608,

INDICE DELLE

ALFABETICO

NOTE

cab asino excidere » p. 850 n. 4. «abbiti» (= abiti) p. 795 n. 1. «abecedario » p. 241 n. 7, p. 687

n. «Ab

3. Iove

p. 917

principium,

N.

I.

«aborsi» p. «aborso»

p.

I1I5

n.

583

Musae» I.

n.

°

3.

[«absoleta ») p. 21 n. 6. «absoleti» p. 1117 n. I.

Accetto,

fra

Reginaldo:

ginaldo ».

«acedia» p.

Aconcio,

acqua

715

n.

v. « Ne-

1.

J. p. 67 n. 2.

elemento

agglutinatore

P. 453 n. 1. «acqui» p. 600 n. 6. «acqui furtive» p. 1105

n.

«acrilogie» p. 221 n. I. Adamo: v. « protoplaste ». «addite» (lat.) p. 362 n. «additti» p. 355 n. I.

«additto» p. 306 n. 3.

«addonato» p.

«Adrastia

n.

2.

è

parte

de

la

p. 297 terra»

p. 112 N. I. « Aeropagita »

(Ps.-Dionigi)

«aethera,

che

879

n. 4.

vuol

«affettissimo» p. 215 n. 2. «affetto» (agg.) p. 203 n.

P. 593

«affetto »

2,

Nn. 3.

(= effetto) p. 427 n. 2.

«affligendovi»

p.

1021

«agasone » p.

816

n.

n.

Afrodiseo: diseo ».

v. « Alessandro

«agasoni» «Agenore

p. 220 n. 2. (figlia di) » p.

n. 3.

1.

Afro-

6.

608

«agiutati» p. 653 n. I. «agnusdei» p. 836 n. s. «ago» (f.) p. 636 n. 4. «Agostino... nelli suoi Soli-

loqui»

p.

880

n.

1.

«ala» (ingl. ale) p. 76 n. s. «Alasco (prencipe) polacco» p.

133

n.

Albategnio

I.

n. x. ‘adulto’

DIALOGHI

I.

Alba (Ferdinando Alvarez de Toledo, duca d') p. 723 n. 1.

(divina) » p. 988 n. 2.

«adro» p. 1081 «adultero» per n. I. «aere...

577

3.

AI

p. dire

corridori» p. 13 n. 1; v. anche «etere » ed «ethera ».

(al-Battani):

cometto Aracense ». «Albenzio» p. 637 n. «Albertino, nuovo re» p. 496 n. I.

vu. «Ma-

2.

interlocuto-

Albertino, Gentile p. 496 n. 1. Alberto da Lask: v, « Alasco... »,

Alberto Magno p. 466 n. tr. « Alcazele» (Al-Gazali) p. 1157 n. 3; v. anche « Alchazele... ». « Alchazele, filosofo, sommo pon-

«al

1213

tefice e teologo mahumetano » p. 121 N. 4. di

questo»

p.

350

n.

T.

INDICE

DELLE

« Alessandro

Afrodiseo»

p.

« Alessandro

Dicsono »:

v. Dic-

n.

I.

son,

Alexander.

115

Alessandro dì Hales p. 466 n. 1. Alessandro Magno: v. « Lettera ad Alexandro ».

Alfonso di Castiglia p. 165 n. 2. Al-Gazali: v. « Alcazele» e « AIchazele... ». Alighieri,

Dante

p.

622

25

n.

p. 822 n. 3, p. 886 n. 2.

Alione,

G.

G.

p.

n.

3,

2.

«allunate» p. 595 n. I. allusioni ad avvenimenti contemporanei p. 631 n. 3; alla letteratura del secolo p. 744 n. 2, p. 935 n. 2; irriverenti p. 763 n. 2; storiche p. 720 n. 2, 768 n. 2. «altrimente» p. 920 n. 1. «altritonante» p. 872 n. 1. «amaricato» p. 1162 n. 2. Ambrogio (sant’) p. 897 n. 5 dis. «Ambruoggio» p. 637 n. I. «Ambruogio» (domenicano regnicolo) p. 807 n. 8.

«amenarne» p.

192

Nn. 2.

«Amfitrite »: v. «Nettuno ed Amfitrite ». «Amfitrite (questa grande)» p. 68 n. 1. «amostante della dea de la ri-

putazione» p.

Anassagora

p. 278

n. 2;v. anche

22

n.

n.

2.

2, p.

443

« Anaxagora... ».

Anassarco di Abdera: XArco.., ».

v. « Ana-

«Anaxagora (opinion d’) » p. 243 n. 1; «. . chiama le forme

particolari

di

natura

lati-

tanti» p. 250 n. 2. «Anaxarco (cinico) » p. 170 n. 2. «Andromede» p. 710 n. 3. «anima del mondo» p. 237

n. I.

anima nel corpo come nella nave p. 236

nocchiero n. 2, 3.

NOTE

anima «numero... movente» p. 1001 N. I. «Animaduersioni contra Avisto-

tele» p. 260 n. 2. animazione del mondo

p.

239

n. 2. «anno del mondo » p. 577 n. 3;

cfr. p. 165 n. 2. «annulati» p. 916 n. 1. «anticefi » p. 407 n. 1. « Anticyram navigatl » p. 132 n. 1; v. anche « Antyciram... ». «antigonista» p. 776 n. 1; cfr. [«antigonista »] p. 24 n. I. « Antonia » p. 673 n. 2. «Anton Faivano» p. 637 n. 1. «Antonio Savolino » p. 637 n. 1. «antro platonico » p. 1000 n. 1; cir. «antro» p. 1159 n. 2. « Antyciram navigas » p. 37 N. 2; v. anche « Anticyram... ».

« Apelle » (per Zeusi) p. 1058 n. 2. «apirocalo » p. 241 n. 6.

«apodiptice» p. 877 n. 1. Apolline, Oro: v. « Oro Apolline ». «apotecarie ricette » p. 276 n. 3. [«appertamente ») p. 454 n. 3.

«appeteno» p.

581

n.

2.

[«appostici ») p. 1081 n. 4. «appreso » (= appresso) p.

n.

I.

(neutr.

[«appropinquasero »] ass.) p. 478 n. 3.

«arca di Noè» «Arca di Noè» «Archita » p.

333

622

n.

p. 79 n. I; p. 842 n. 1. 4.

«architetto » (per l’opera) p. 643 n. 4. «Arctofilace» p. 621 n. 2. «Ardelia » (lat.) «aresta» (lisca)

p. p.

564 198

n. n.

2. 2.

Aretino, P. p. 65 n. 2, p. 196 n. 4, p. 276 n. I, p. 551 N. 2,

p. 673 n. 2, p. 820 n. I, 2, («un galant'uomo») p. 960 n. 2. «Argo (nave di)» p. 608 n. 2. «argumenti in quarta figura»

I2I4

Pp. 732 n. T.

INDICE

DELLE

NOTE

«aria» (m.) p. 61 n. 2, p. 629 n. 2, p. 884 n. 2, p. 1032 n. I,

maschio

n. 3; (f.) p. 516 n. 2. «Ariadna (corona di)»

di B. p. 310 n. 1, p. 340 n. 1, 2,

p. 671

p. 1097 n. 2; (m. o f. ?) p. 486

v.

«arida» p. 131 n. I, p. 408 n. p. 454 N. 2.

Ariete (costellazione n. 2.

di)

1,

p. 606

Ariosto, L. p. 32 n. 3, p. 54 N. 1, P. 55 n. 4, p. 81 n. 5, p. 22I

n. 3, p. 292 n. 5, p. 505 n. I,

P. 574 n. I, p. 708 n. I, p. 737 n. 3, p. 985 n. I, p. 1051 n. I,

p.

1144

n.

I, p.

1149

n.

2.

Aristotele p. 13 n. 1, p. 113 n. 1, p. 116 n. I, p. 147 N. 2, p. 157 I, p. 158 n. 1, 2, p. 160 n.1,

236

n.

3,

4,

p.

238

n.

1,

. 250 n. 2, p. 270 n. 1, p. 328

IU

. . . .

I, p. 330 n. 2, p. 370 n. 2, 372 n. I, p. 400 n. I, p. 402 I, p. 403 n. 2, p. 409 n. I, 414 N. I, p. 415 N. 2, p. 417 I, 3, p. 421 n. I, p.423 n.1,

POI VIII

427 N. 4, p. 428 n. I, p. 454 - 5, P. 455 n. 2, p. 465 n. 1,2,

. 472 n. 3, p. 475 n. 3, p. 481

. 1,3, p. 484 n. 1, p. 487 n.1, . 488 n. I, 2, p. 490 N. I, 2,

. 492 N. 2, p. 498 n. 2, p. 506

326

n.

3;

1; «non

relatore» p.

607

«Ariadna..».

n.

logica

assai fidel 3; critica

P. 427 n. 3; accuse di B. p. 247 n. 3, p. 325 n. 2, p. 893 n. 2; commentatori p. 895 n. 1;v. anche Averroè; pseudo-

Aristotele p. 472 n. 3. aristotelismo (residuo d’) in B. p. 155 n. 2. «aritmetrica» p. 332 n. I, P. 341 n. 3; « Aritmetrica» Pp.

563

n.

2,

p.

701

n.

2;

743

N.

pontefice)»

p.

(«-mente ») p. 414

«aritmetrici» p.

«aritmetrico » p. «Armesso n p.

«Aron

(sommo

I9I

220 N. 5.

n. 2.

181

n.

n.

4.

1.

I.

«Arpinate » p. 25 n. 1. «arrichita » p. 622 n. 2. «Arte militare» p. 807 n. 2. «Artur (festa del prencipe)»

P.

775

n.

I.

«asina di Balaamo » p. 194 n. 3. asino (antecedenti della letteratura dell') p. 838 n. 3.

«asino

che porta

i sacramenti »

p. 838 n. 3 (e 987 n. 1). Asîno cillenico p. 734 n. 2.

«asino «asino

d’oro»

p. 846 n.

d'Otranto» p.

840

n.

. 3, P. 507 N. I, p. 508 n. 2, 3,

«asprinio di Nola» p. 744 n.

. I, p. 513

Astianatte

. 509 n. I, p. SII n. 2, p. 512 n.

I, p. 528

n. 2,

DI

. 688 n. 4, p. 732 N. I, p. 742 - 4, p. 895

n. 3, p. 896 n.

1;

«primo della Fisica în calce » p. 292 n. 2, «nel suo libro Del tempo» p. 1067 n. 3; «suo libro De/ vacuo » p. 399 n. 5; « Priori e Posteriori »

p.673n.1;«Poetica» p.958

n. 1 (cir. p. 959 n. 3); sua critica al vacuo p. 275 n. I;

contrappone forma come

la la

materia alla femmina al

aan

Arianna:

n.

290

«Assuero (convito d') » p. 84 n.

p.

16 n.

1.

399

n.

astri e sole abitati p. 443 atarassia epicurea p. 1053 «atavi regi» p. 1082 n. « Atlante (figlie d') » p. 509 [«attacato »)

p.

1.

D. N. 4. n. 3.

molo

n. 2.

p.

p.

[«attacavano ») p. 825 n. 1. «attatto (l’)» p. 430 n. 1. Atteone (mito di) p. 813 n. 1, p. 841 n. 4, p. 1005 n. 3,

p.

1124

n.

I.

«atteso» (= atteso

1215

n. 1.

che)

p.

239

INDICE

DELLE

attinenze tra l'ambiente geografico e i temperamenti umanì p. 734 N. I. «auge» p. 89 n. I. «auritissima» p. 679 n. 3. «Avellona » p. 92 n. I. «avendono » p. 31 n. 2, p. 43I N.

I, p. 605

«aver circa» p. 406 n. «averno» (inf. coniug.)

n. 3.

1. p.

n. 3.

236

«Averno (profondo e tenebroso)» P. 58 n. 2. Averroè p. 433 n. I, p. 1048 n. 1; p. 1157 n. 3; «nella dottrina

peripatetica... qualsivoglia

n.

4;

n.

1, p.

sua

Aristotele

averroisti 1043 n.

intese

più

greco»

che

p.

306

ammirazione

p. 446

894

n.

2.

degli)

p.

(« Avicebron »),

p.

298

Avlona:

v.

Beccadelli,

« Belide

Belo,

n.

1;

p.

814

n.

« Balaam (il profeta)»

p.

1.

n.

1.

125

n.

4.

P- 55 n. I, p. 5$ n. 3, p.65 n.2,

p. 170 N. 4, p. 196 n. 4, p. 753

n. I, p. 736 n. 3, p. 929 n. 4, 5,

p. 956 n. I. « Beuckhurst (milord) » p. 53 n.2.

Bispia:

«gioco

n. 1. da: v.

n.

19

bernesche (poesie) p. 65 n. 2. Berni, F. p. 8 n. 4, p. 10 n. 2,

1.

«bagattellieri » p. 552 Bagnoli, fra Gregorio « Gregorio ».

«baila» p. 600

p.

n. 3.

allusioni

n.

1;

Lib.

e citazioni Genesis

p.

p.

22

. 3, p. 122 n. 3, p. 125 n. 2,

. 291 n. 6, p. 299 n. I, p. 3LI . I, 2, 3, p. 617 n. 2, p. 730 . 2, p. 788 n. 6, p. 799 n. 2,

. 851 n. 2, p. 870 n. 1, p. 878

3;

n. 3.

A.: v. Panormita.

«berilli n p.

«Avellona »

p. 492

Elia»

protestanti p. 663 n. 3. «beretta» p. 128 n. 1; v. anche «barretta ».

« Bagattella » p. 568 n. 2. «bagattelle » p. 600 n. 3; p. 806

de le»

3.

« beni » dei cattolici usurpati dai

« Bacco.... e Cerere » p. 749 n. 1. «bagassa» p. 804 n. 1. n.

4. n.

fusse

(le) » p. 903

F.

788

«avertano» p. 9I5 N. 1. Avicebron p. 180 n. 2, p. 262 n.1

«a viso a viso» p. 82 n. 4.

«Battista, se lui p. 891 n. 2.

per

n. 2, p. 501

(dottrina 2.

«beretta ». «Bassaridi» p. 220 n. Batracomiomachia p. 6

'OIIVI

1, p. 475

« barretta » p. 789 n. 3; v. anche

n. 3. «balando» p. 606 n. 3. banchetti inglesi -p. 761 n. Bandello, M. p. 768 n. 2. « bardassi» p. 606 n. 6. «bardo» (lat.) p. 985 n.

870

. 1, p. 886

Exodus

- 285 n. 1, p. 787 n. 3, p. 792

. I, p. 849n. 1, 2, p. 851 n. 5; Lib. Numeri p. 787 n. 3, p. 848 n. 2, p. 850 n. 7, p. 851 n. 2; Lib.

Deuteronomii

p. 848

n. 2, p. 291

n.

1, p.

«barilli» p. 816 n. 3. « Barnaba Galileo» p. 780 n. 1.

1216

p. 73

849

n. 3,

p. 853 n. 1; Libri Regum p. 66 n. 2, p. 577 Nn. 2, p. 793 n.6, p. 857 n. 1, p. 1105 n. 4;

Paralipomenon

p.

857

1; Lib. Tobiae p. 242 n. 4, p. 801 n. 3; Lib. Job p. 39 n.

I, p.

(v. anche

124

n.

« Giob

2, p.

848

(Libro

«Iob»); Lib. Psalmorum

3.

n. 2,

p. 850 n. 2; Lib. Iudicum

Libri

2.

n. 3; Lib.

59

n.

NOTE

I, p. 23

n.

1, p. 34

n.

2

di) » e

p. 9

N.

3,

Pp. 291 n. 4, p. 286 n. 2, p. 458 n. I, p. 793 n. 3, p. 826 n. 3,

INDICE

DELLE

braeos p. B47 n. 3, p. 1163 n. 2; Apocalypsis Ioannis p. 299 n. I, p. 788 n. 3, p. 848 n. 2,

. B48 n. 2, p. 851 n. 7, p. 878

SUP

. I, p. 880

n. 2, p. 89t

n.

1,

. IOIO N. S, p. 1078 n. I, 2, . 1093 n. 3, 5, p. 1125 N. 1, 1137 N. 1 ; Lib. Prover-

biorum

n.

I, p.

p.

clesiastes

289

I105 p.

n.

I,

p.

940

n. 3; Lib. 122 n. 1, p.

en. 2, p. 975 n.

Ec577

I, p. 1006 n. 1;

Canticum Canticorum p. 933 toro N. 4, p. 1099 n. 1, p.

NOTE

p. 857 n. 4, p. 944 n. 2.

Bini, G. F. p. 65 n. 2. Biondo, M. A. p. 294 n. 3.

« Biscaino » p. 294 n. 2. « bissino » p. 1023 n. 2. « Blesura» p.

Bochetel,

822

Marie:

v.

Boshtel ».

n.

2.

«Maria

da

n. I, p. 1164 n. 1 (v. anche «Cantica di Salomone»); Lib. Sapientiae p. 244 n. 3, p. 1045 n. 2; Lib. Ecclesiastici P. 1038 n. 1; Proph.

«boglier» p. 1031

«bombo» p. 536 n. 1. Bonaventura (san) p. 466

n.

p. 848 n. 2, p. 857 n. 1, p. 997

«Boote

n.

1.

1005

n.

Isaiae

p.

23

n. 3, p. 661

N. 4, p. 998 n.

n. 2,

1, p. 1156 n. 2;

Proph. Ieremiae p. 793 n. 2, p. 851 n. 3, p. 856 n. 3., p. 1157 n. 1; Proph. Ezechielis p. 851 n. 4; Proph. Osee p. 84€ n. 2; Proph. Amos p. 793 n. 4; Proph. Ionae p. 802 n. 3;

Libri Machabacorum p. 865 n. 2; Ev. sec. Matthaeum p. 23 n. 4, p. 36 n. 3, p. 80 n. I,

D. 135 n.1, p. 211 n.1, p. 661

n. 2, p. 765 n. 1, p. 826 n. 3, p. 851 n. 1, p. 854 n. 1, p. 859 n. I, p. 879 n. 2, p. 1157 n. I; Ev. sec. Marcum p. 854 n. 2; Ev. sec. Lucam p. 850 n. 1, 7,

p. p.

661 851

n. n.

2, 8,

p. 879 n. 2, p.9I3 n. I, p. 1157 n.

1; Ev.

n.

2,

p.

857

sec.

p.

Apostolorum n.

1, 2, p.

Pauli n.

2;

«Borsa»

(fiero)» p.

p.

75

[«boscarecchie »]

« Boshtel ria da

n.

18

«botte » (fr. botfes) p. 241 n. 2. «brance» p. 233 n. 2. «branli» p. 740 n. 2. «breve paroli» p. 514 n. 1.

Breviarium

p.

73

n.

cîr.

«penitus

toto

orbe » p. 946 n.

1.

Brown,

Thomas:

v.

(= Bruno).

«bruchii» «brugge»

p. p.

Epist.

1,

Pauli

1159

n.

ad Ephesios Epist. Pauli

1;

Epist.

divisini

ab

«Britanno (avaro) » p. 815 n. 2. Bronzino, A. p. 65 n. 2. Brown (= Bruno) p. 53 n. 1.

n.

Aclus

3.

«Britannico (paese) diviso in tutto dall'orbe» p. 936 n. 1;

p.

2;

2.

(Maria da) »: v. «MaBoshtel».

Anthony:

780

I.

p.

Browne,

n.

1.

« Bonifacio candelaio » p. 8 n. 5. «Bonis avibus» p. 288 n. 2.

p. 848

ad Romanos p. GiI n. 1, P- 779 n. 1, p. 848 n. 2, p. 1138 n. 1; Epistolae Pauli ad Corinthios, p. B5t n. 11, p. 857 n. 3, p. 876 n. 3, p: 1024

n.

(grasso) » p. 8 n. 6.

Ioannem

1157 2;

«bolognese

n. I.

{= Bruno).

193 630

n. n.

Brown

v.

Brown

3. 3.

Bruno, Gioan: v. « Gioan Bruno ». Bruno, GiorDANO: accenni autobiografici p. 17 n. 1, p. 175 n. 2, p. TIoI n. I, p. II66 n. 2, p. 1168 n. 4, (a Milano)

p. 1163 ad He-

p. 69 n. 8, (a Parigi)

p. 827

n. 2, (in Inghilterra) p. 86 n. 1; allusioni ai propri studi

1217

DELLE

p. 136 n. 1, (periodo peripatetico) p. 941 n. 2; letture p. 674 n. 1; lodi di sé p. 30 n. 1; modo di vestire p. 127 3;

dottrina

della

cono-

scenza p. 1012 n. 2; processo n. 2. —

delle

opere

Opere

italiane:

p.

718

Can-

delaio p. 52 n. 2; p. 128 n. 5, P. 246 n. 1, p. 465 n. 3, p. 570

n. 2, p. 744 N. 3, p. 929 n. 1, La

Cena

de

le Ceneri

n.

5

. 2, p. 389

I, p. 390

p.

360

n. 3,

:D'UTO

. 405 N. 2, p. 435 N. 2, p. 440 . 2, P. 443

N. 2, p. 448

n. 3,

+ 454 N. 5, P. 504 n. 2, p. 529 . 2, p. 728 n. I, p. 1143 n.

(interlocutori)

PESID'9

la

causa,

p.

197 n.

principio

2,

1; De

e

uno

133 n. 2, p. 360 n. 2, p. 390

3. P. 394 N. 1, p. 415 N. 3,

462 n. 1, p. 464 n. 2, p. 494 2, p. 556

970

n.

1131 n. 177 n. 2 182 n. bro De

n. 3, p. 938

1,

p.

1023

n.1,

N.

2,

I, (composizione) (cfr. p. 180 n. 1, 1), v. anche «liprincipio ed

uno»; De l'infinito, universo e mondi, p. 102 n. I, p. 104

n. 4, p. 149 n. 3, p. 28o n. 3,

p. p.

1009 1045

n. n.

2, p. I, p.

1023 1150

n. n.

2, 2,

(dial. V: numeraz. degli argomenti) p. sti n. 3, (titolo)

P. 346 n. 1; Spaccio

de la be-

stia trionfante p. 35 n. 2, p. 165 n. 2, p. 853 n. 4, p. 855 n. 4, p. 862 n. 2, p. 1144 N. I, (titolo) p. 719 n. 1, (allusioni storiche) p. 723 n. 1, 3, p. 724 n. I, (squarcio satirico) p. 841 n. 6, v. anche Postille anonime allo Spaccio; Cabala del

Cavallo

Pegaseo

p. 466

n.

p.

p.

835

P.

603

n.

835

n.

1;

1,

n.

3,

p.

912

Asino

(titolo)

Cillenico n.

3;

De gli eroici furori p. 189 n. 5, p. 285 n. 4, p. 364 n. 1,

p. 365 n. 1, p. 555 n. 3, P. 571

p. 805 n. 1, p. 930 n. 4; stampa

frettolosa

loghi)

1,

p. 788 n. 1, p. 1169 n. 2, (accenno: datazione dei Dia-

1218

n. 2, p. 686 n. 1, p. 754 N. 3, p. 875 n. 1, p. 833 n. 1, (memoria di FF. Fiorentino) p. 953

n. 2; — Opere latine: De unbris idearum p. 842 n. 2, p. 1006 n. I, p. 1159 n. 2,

v. anche «ombre de Cantus circaeus p. Explicatio triginta p. 134 n. 2, p. 842 n. n.

4, v. anche

e «libro

Dc’

le idee »; 496 n. 1; sigilloruni 3, p. 109I

«trenta

trenta

sigilli »

si-

gilli»; Sigillus sigillorum p. 1053 n. 1; De lampade combinatoria lulliana p. 441 n. 1; Oratio

valedictoria p.

P. 441 n. I, Camoeracensis

102

n.

p. 498 n. Acrotismus

1,

1; p.

33 n. I, p. 35 N. 3, p. 48 n.2,

p. 107 n. I, p. 157 N. 2, P. 373 n.

1;

De

triplici

minimo

et

mensura p. 99 N. I, p. 233 N. 3, Pp. 246 n. 1, p. 558 n. 1, p. 650 n. 1; De immenso et innume-

rabilibus p. . 31 n. 3, . 1, p. 102 . 109 N. 2,

III

n.

NOTE

. I, p.

153

28 p. N. p.

n. 1, p. 30 n.1, 95 N. I, p. 100 I, p. 104 N. 2, II2 n. I, p. 152

n.1,

p.

I6I

n.

1,

. 165 n. 2, p. 157 n. 2, p. 194

. I, p. 253 N. 3, p. 361 n. 1, 365 n. I, p. 369 n, I, p. 37I

9 PI DI DINI

INDICE

. 2, P. 375 N. 1, p. 381

. . . .

384

n. 1,

n. 1, p. 386 n. I, p. 400

I, p. 405 409 n. I, I, p. 423 43I n. 2,

N. 2, 3, P. p. 410 N. n. I, p. p. 433 N.

407 N. 1, I, p. 4II 427 N. 3, I, p. 435

. I, 2, p. 436 n. I, p. 437 N. I,

P. 439 N. 2, p. 44qI N. I, . 442 n. I, p. 443 N. 2, P. 443 . 3, P. 444

N. I, p. 448 n. 3,

INDICE P. 451

n.

I, p. 452

N.

DELLE

3, 4, 6,

P. 453 n. 3, p. 454 N. 1, p. 456 n. 4, p. 459 N. 1, p. 461 n. p. 471 n. 2, 3, p. 476 n.

2, 1,

P. 485 n. 3, p. 486 n. 2, p. 488

n. 2, p. 499 n. I, 3, p. SOI N. I,

P.

506

n.

1,

p.

508

n.

2,

3,

p.

517

n.

I bis, p. 529

n.

1,

NOTE

buffoni p. Burchiello vanni)

p.

591 n. 2. (Domenico 25

n.

chiello» p. 673

di

2,

n. 2.

«bussi»

p.

737

«butargo» p.

Row

N.

3.

821

Butcher's

P. 532 N. 2, p. 947 N. 3, P. 1045 n. 1; De imaginum, signoruni

cabalistiche

terminovum metaphysicorum p.

«cacodemonesse»

n.

p.

4.

17

n. 7.

et idearum compositione p. 835 n. 1, p. 853 n. I, 4; Sumina

n. n.

149 n. 1; Lampas triginta statuarum p. 384 n. I, p. 557

«cadìo»

I.

998

Avistolelis

n.

2;

De

de magia,

p.

explanati

magia

124

N.

p.

et Theses

I, p.

125

n. 2, p. 232 n. 3, p. 962 n. 3;

p.

P. 442 n. I.

« Calepino» p.

in genere p.

«calpestrata »

883

n.

1;.De

vinculis

136 n. 1, p. 967

n. I, p. 973 n. T, p. 983 n.1, P. 985 n. 1, p. 992 n. 2, p. 1002

n. I, p. 1105 n. 3, p. 1142 N. I. —

Opere

Noè p. «arca

smarrite:

842 di

Arca

di

n. 1, v. anche Noè»; Poema

(ottava appartenente ad un'opera giovanile ?) p. 1096 n. 4;

De n. p.

segni

P.

tempi

p.

1ioI

immortalitate

ani-

1; Purgatorio de l'inferno 168 n. 2. — Lezioni oxo-

niensi: mae

de'

de

e de

134

Bruno,

quintuplici

n. 2.

Giovanni:

v.

sphaera « Gioan

Bruno ». [« bruzii »] p. 193 n. 3. «bua » (fr. boue) p. 57 n. 3.

«buazza» (fr. boue) p. 57 n. 3. «buboni» (lat.) p. 788 n. 8. «Bucefalia» p.

764

n.

1.

1219 80



G,

Bruno,

Diuloyghi

italiani.

N.

1.

p.

752

I. I.

866

n.

2.

«Caistro (fiume) » p. 704 n. I. «Calcante» p. 195 D. 5. «calci» (= calce) p. 281 n. 2. «calcipotenti» p. 466 n. 2. caldo e freddo (principii opposti)

Calepino,

2, p.

p.

IIIO

De rerum principiis et elementis et causis p. 339 N. 3, P. 458 n. 1, p. 734 n. 1, p. 779 n.

n.

indicazioni

«cabinetto» p. 841 «cacocefati» p. 221

n. I, p. 1159 n. 2; Libri physi-

Bur-

« Burchio » p. 367 n. 1.

P. 509 n. I, p. SI10 n. 2, p. SII n. 2, p. 512 n. 2, p. 5I3N. I,

corum

Gio-

«il

A.

p.

216

216

n.

2.

n. 2.

«Calicutto» p. 256 n. 2. «calopodii» p. 241 n. 1.

p.

851

n.

9.

«calpestrate » p. 135 n. 2, p. 897

n. I.

«calpestrati» p. 634 n. 2. «calpestrato» p. 1082 n. 3.

Calvino p. 624 n. 1. Camerota, frate Antonino

da:

v. «Cammaroto ». «Cammaroto» (domenicano regnicolo) p. 897 n. 8. Campanella, T. p. 79 n. 1, p. 674 n. I, p. 930 n. I. «campanile di San Paolo» p. 138

n.

I.

«Campo di Flora» p. Cancro p. 607 n. 4.

acandente» «Cantica 937

D.

«Canzone

I,

p.

de

3,

75

n.

1.

631 n. I. di Salomone»

p.

gl'illuminati»

p.

1177 n. I. «capri» (f. pl.)

p.

p.

938

764

n.

2.

n.

2.

INDICE «captiuncule »

p.

743

n.

DELLE

2.

« Capua » (per Salpi) p. 291 n. 2. Caracciolo, Galeazzo p. 720. «carco di libri» p. 202 n. 3.

«carga» p. 882 n. 2. «cargato» p. 816 n. 4. «cartaccio » (spagn. cartacho) 836 n. 3.

Casa, G. della: «Casamarciano P. 835 n. 1. «casce» p. 669

v. Della (vescovo

n.

p.

Casa. di)»

I.

«Cassandra (fatidica) » p. 195 n. 2. [« Cassiopee ») (per Andromede) p. 710 n. 3. Castelnau, Michel de (seigneur

de Mauvissière) p. 842 n. 3; v. anche « Mauvissiero (signor

di)». Castelnau, P.

da

295

n.

Catherine-Marie 2;

v. anche

Castelnovo ».

«Castelnovo

(Maria

Castelnuovo,

Caterina:

« Maria

de

« Maria

da)»:

v.

da Castelnovo ».

v.

Ca-

stelnau, Catherine-Marie de. Castelnuovo, Michele di: v. Castelnau,

Michel

de.

«Cataduppici (popoli) » p. n. I. «catecismo» p. 662 n. I. «Categorie»

«Caucaso «caumi»

p.

742

(monte) » p. 93I

p.

452

n.

1147 n.

n.

2.

4.

1.

«causa n: v. «segno » e acausa n. «causa... cosa... cognizione » p. 872

«causa

n. 3.

estrinseca»

e

«causa

intrinseca» p. 234 n. 3. «causa» e «principio» p. 230

n. 2. « caval di Sileno » p. 24 n. 2. «cavalli di Sileno» p. 193 n. 1. Cecil,

William

(Lord

Burleigh):

NOTE

«Cefeo

n.

5.

(brocchier

«Cefeo...

di)»

genero»

di Perseo

p.

(ma

suocero)

p. 606 n.

«Celio » (= celeste)

171

1.

p. 577 n. 3.

«ceneri de’ sacrificii... sul monte

Olimpo» p. 115 n. 1. «centauro Chirone » p. 823 n. 3, 4. «centro (profondo e tenebroso) »

P. 753 n. I. «cerca» {per ‘cerchi ’) n. 2, p. 716 n. «cerdone» p. 255

«ceremoni

1. n.

(gli)»

p. T.

p.

852

710 n.

r.

Cerere: v. «Bacco... e Cerere n «certa fila» p. 554 n. 1. «cervello (stai in)» p. 76 n. 3; («stiano in)» p. 801 n. 4.

«cervosa » p. 212 n. 3, p. 932 n. S.

Cesare («quel ch'è di Cesare, sia donato a Cesare») p. 931 n. 3; v. anche «Quae Cae-

saris... n

« Cesarini di Roma » p. 618 n. 4. Cesarini, G. D.: v. «Cesarino ». «Cesarino» p.

Chàtelet:

«chele » p.

v.

1071

n.

« Palazzo ».

606

n.

7.

«chi» (rel) p. 707 n. n. 2. «Chiaccone» p. 822 n. «chiarlatani » p. 701 achimista» p. 276 n.

1.

1, p. BII 4. n. 1. 5.

Chirone: v. «centauro Chirone ». «chiroteche» p. 241 n. 3.

«chirugia... non volgare n p. 482 n. 2. «Ciacchi (in gloria) » p. 821 n. 6. «ciacco» p. 821 n. 6. «Cicada»

«Cicada

«Cicala

(interl.)

p.

953

n.

2.

(castello) » p.

635

n.

1.

(monte)»

p.

639

n.

2.

«Cicala, padron de la nave» p. 294 n. 5. Cicerone, p. 217 n. 2, p. 734 n. 2,

v. «tesorier del regno... ».

« Cedant arma togae » p. 255 N. 3.

1220

p.

p.

802

1147

pinate ».

n.

n.

2,

1;

p.

v.

919

anche

n.

s,

« Ar-

INDICE «Cieco

d'Adria»

p. 689

DELLE

n. 1.

[«cieda »)] p. 1163 n. 3. Cillene (monte) p. 115 n. 1. «Cillenico (Asino) » p. 914 n. 1.

« Cimmerie n. 2.

(oscuritadi) » p. 1145

«cinico» p. 6 n. 1. «cinico (rabbioso) » p. 199 n. 2. « Cintia » p. 953 n. 3. Circe p. 1168 n. 3; (allegoria della)

p.

1168

n.

4,

p.

1169

n.

p.

1173

n.

2,

p.

1176

«concordia» (riscontro

p. 259

n.

2, p.

1178

n.

1.

«circuisse» (= circuisce) n. 5. «cità» p. 850 n. 3. «citadi» p.

684

n.

«Citereida» p.

Citolini,

A.

p. 52

933

n.

N.

2.

p. 706 n. 1.

«comessi» p. 605 n. 2. comete p. 485 n. 4. «comite» p.

576

n.

5.

608

n.

«comite» (agg.) p. 840 n. 6. «commese» p.

«como» n.1.

p.

757

«compagna» 619

n.

1.

N.

I,

I.

p.

290 n. p. 964

5. n.

riso



G.

Bruno,

Dialoghi

sta)

p. 476

n.

3.

p.

meno»

p. 977

P. 974

N. 1.

Nn. 2.

(immediata) » p.

«convenuto (m°' ha) » p. 900 n. 2.

«convitti» (lat.) p. 662 n. 4. «convitto» (lat.) p. 467 n. 3, p.

1122 p. I.

694

n.

1.

Copernico, N. p. 28 n. 1, p. 40 n. I, p. 90 n. I, 2, p. 139 n. 3, p. 14I n. 2, p. ISO n. I, p. 163 n. 2, p. «Corinna» p. 933

«Cornucopia» «Corocotta »: rocotta ». «Corveto in

n. 3.

«costa»

165 n. n. 3.

2.

p. 216 n. 3. v. «Grunnio Co-

Basilicata» p.

(= consta)

p.

756 n.

«Costantino », Bonaiuto n. I.

p.

Costanzo, P.: . « Pietro stanzo... n. «coteconi» p. 72 n. 2. G.

p.

818

n.

764 1.

637

Co-

2.

«craticchia» p. 829 n. 1. «crida» p. 531

n. 4, «la crida»

P. 594 N. 1. «Crisaorio» p. 742

n. 3.

Crisostomo p. 742 n. 3. Cristo (allegoria del) p.

n. 3, 4.

122I 80*

3.

«constanza» (= consistenza)

Cotin,

(= compagnia)

ccomplezio» p. «comunmente»

n. 2.

1159 n. 3.

3.

«collimato» (lat.) p. 290 n. 1. Colombini, G.: v. «San Colom«colubre... bestie »

(rimane,

«conversazione

« coincidenza de contrarii » p. 573 n. 2, p. II3I n. I.

bino ».

n.

«contrario (un) è caggione che l’altro contrario sia bramato »

1; v. anche

n.

609

«contrada (picciola) » (a S. Giovanni del Cesco) p. 637 n. 1. «contrarii in eccesso» e «sul

«cocchiaroni» p. 796 n. 1. coda dell’asina (venerata a Genova) p. 792 n. 2. «còfini» p. 855 n. 2. 915

p.

«consiste»

«Citolino... ». «Citolino (messer Alessandro)» p. 77 n. 2. Cleante stoico p. 322 n. 1. « Cocchiarone (Don) » p. 898 n. 1.

«colleggio» p.

testi)

«connestabile» p. 22 n. 1. conoscenza e rivelazione p. 228 n. 1.

n. 3.

5.

Dn. 5.

Confiteor

p. 866

«circumforando» p. 671

di

«concupiscibile (la) » p. 562 n. I.

n. I, 2, p. II7I N. I, 2, p. 1172 2,

NOTE

italiani.

823

INDICE

DELLE

«croccia » p. 840 n. I. «crocodilli » p. 589 n. 2.

«cucullati di professione » p. 210 n. I. «cucullati suttili metafisici» p. 270 n. I. «cuculle» p. 744 n. 1.

«Cuium pecus?» p. 241 N. 5. Culex p. 65 n. 2. «Culpepero» p. 212 n. Ss. Culpepper, Martin: +. «Cul.

pepero ». «curiosa » (senso etimol.) p. 726 n. 3. Cusano p. 102 n. I, p. 125 n. 4,

9 DO 5 DI

. 281 n. 1, p. 282 n. 1; p. 283 . 2, 3, p. 284 n. 2, p. 332 n. 2, - 335 n. I, p. 338 n. I, p. 340

. 2, p. 382 n. I, p. 440 n. 2,

. 441 n. I, p. 443 N. 2, P. 443 . 3, p. 449 n. I, p. 573 N. 1, 757

n.

3,

«. . nel

secondo

suo libro De /a dotta ranza» p. 9I n. 2.

igno-

«dalla » (= da quella) p. 302 n. 2.

Daniel,

S.

p.

52

n.

4.

«David de Dinanto » p. 180 n. 2, ‘P. 315 n. I. [«debo »]

p.

60

n.

3.

«dedalo» p. 346 n. 2. «definire» (assol.) p. 278

n.

I.

«defuntoro » p. 59I n. I. « De iis hactenus» p. 297 n. 3. «delibere » (= liberi) p. 346 n. 4. Della

Casa,

G.

p.

65

n. 2.

a Deltaton » (= Deltoton) p. 598

n. 2. «deludere» (canzonare) n.

1 bis.

esdemensioni»

p.

Democrito

1086

306

p. n.

«democriteggiano» p. 847 dente

n. 7.

demoniaci

Deoide:

con

p.

n.

2;

Democrito »)

(oracoli)

p. 777

v. « Dolide ».

292 1 bis.

n. 2. («ri-

p.

8

n. 2.

NOTE

Deucalione e Pirra p. 799 n. 3. « dialettiche (nove) » p. 1115 n. 2. «dialogi

De

l’infinito,

universo e mondi numerabili» p. n. 1, 2.

«Diana

(unica)»

p.

936

in1045

n.

2,

p. 951 n. 1. «dibatto » (Îr. débat) p. 563 n. 1.

Dicson, Alexander p. 214_n. 3; v. anche « Dicsono Arelio ». «Dicsono Arelio» p. 225 n. 1. « Dictinna» p. 609 n. 2. diluvio universale p. 797 n. 1.

« dimensioni » nella sfera p. 1059 n. I.

Diodati, T. p. 52 n. 1. «dio degli orti» p. 24 n. 2; «operarii del dio de gli orti» p.

56

Diogene

n.

3.

Laerzio

p.

93

P. 443 N. 2, p. 755 n. I.

n.

4,

«Diomede» tracio p. 171 n. 3. Dionigi (pseudo): v. «Aeropagita » e « Dionisio ».

«Dionisio» p.

1164

n.

3.

« Discordia (pazza e fiera) » p. 719

n. 2. « discorso » (= corso) n. 1. « discrime » p. 517 n. « Discussioni 260 n. 3.

p.

2.

peripatetiche vp.

«dismenticato » p. [« disogliar »] p.

276

735

n.

n.

« disquarto» p. 661

n. 1. «dissenzioni» p. «Diva

Catonis

4.

4.

«disolar» p. 276 n. 4. «dispuerascere» p. 503

Disticha

1100

n. 3.

n. I, p. 980

767

p.

36

n.

n.

2.

1,

2.

Elizabetta» p. 222 n. 2.

« dissipando» (lat.) p. 629 n. 1. «diverse gradi» p. 519 n. 2. «divertiglio » p. 58 n. 1, p. 1095

n. 2. «divisa» p. 1034 «divum

1222

pater»

p.

n. I. 213

N.

4.

INDICE «dizionario

p.

165

n.

p.

202

1.

«dogs» p. 1120 n. 2. [« doi ambi ») p. 797 n. 2. « Dolide» p. 576 n. 2, p. 1001

n. 3, 4. «Domenea»

domenicani Domenichi,

p. 295

n.

p.

1083

L.

p.

n.

4.

I.

n.

donne (pensiero di B. sulle) p. 222 n. 1; (contro le) p. 930

n. I, 2; «libidine delle donne » p. 602 n. 2.

933

n.

«dottor

sottile,

«dottori

profondi,

3.

irrefragabile

illumiriato» p. 843 n. 2.

suttili...,

ed ma-

gni... irrefragabili, angelici, serafici » p. 466 n. 1. « Druidi » p. 885 n. 1.

« Dudleo

(Roberto)

» p.

69

n.

2.

Dudley, Robert (Earl of Leicester): v. « Dudlco... ». Duns Scoto p. 210 n. 1, p. 460

n.

1, p.

Elisabetta

468

n.

1.

Tudor,

regina

d’ In-

anche

«Eli-

ghilterra p. 68 n. 2, p. 69 n. 2,

p.

Bit

n,

1;

zabetta »

1,

«don Sapatino» p. 835 n. 1. «dona perle a porci » p. 135 n. I (cfr. p. 36 n. 3). «domino » p. 1075 N. I, p. 1105 n. 6. Doni, A. F. p. 65 n. 2, p. 846 n. 2, p. 1083 n. 6.

«Dori» p.

Egidio di Colonna p. 466 n. 1. Egitto (idolatrie d') p. 786 n. 1. egizia religione p. 795 n. 2. Egizi p. 601 n. 7. Eliano p. 867 n. 5. « Elitropio» p. 191 n. 1.

regnicoli p. 897 n. 8. 83

NOTE

«Diva

v.

«Diana

(unica)»,

Elizabetta ».

« Elizabetta» p. 67 n. 2. « Elpino » p. 350 n. 3, p. 367 n. I. «embreaco» p. 897 n. 3.

« Empedocle » p. 235 n. 1 (250 n. 2), «opinione di» p. 23I n. 1, « Empedocle ed Epicuro » p. 687 «empirici aencomico 1082 n. «enigma

n.

1.

n. 2. (celesti) » p. 466 n. 3. » (= encomiatore) p. 2. (vision per)» p. 1159

Enrico Il di Francia p. 723 n. 3. Enrico III di Francia p. 17 n. 3, p. 827 n. terzo... ».

2; v. anche

«ensofico» p. 865 n. 1.

«entelechia »

p.

271

« Errico

n.

1.

Epicuro p. 1086 n. 2, (lettera a Idomeneo)

v. anche CUTO ».

p.

1053

« Empedocle

n.

‘2;

ed Epi-

Epicuro, M. A. p. 570 n. 2, . B45 n. 2, p. 973 N. 3, p. 994

Eberardo di Béthune p. 57 n. 1. Ebrei p. 601 n. 7, p. 616 n. 3, (contro gli) p. 802 n. 4, (odio di B. contro gli) p. 722 n. 2, (calunnie contro gli) p. 787 n. 1, (invettiva contro gli) p. 800 n. 1, (giudizi di B. sugli) p. 863 n. 1. «eclipsi» (gramm.) p. 221 n. 1. « Edipo (esquisito) » p. 195 n. 3. «Edonide» p. 220 n. 3. « Efettici » p. 45 n. 1, p.876n.1.

pps

n. 2. «dizione»

(poltron)»

DELLE

1,

p.

2,

p.

I, p.

1005

N.

3,

p.

1144

N.

I,

p.

1140

n.

I, p.

1058

1143

1146

1, p. 1148 n. 2, 4, p. 1149 . 4, p. 1153 n. 2, p. 1167 N. 4,

d'»)

1174

p.

n.

59

I;

n.

(«tragico 4.

cieco

«equivoco (agente) » p. 328 n. 1. « Eraclide di Ponto » p. 90 n. 2. Eraclito p. 35 n. 3, p.- 427 N. 3, p. 465 n. 1; «piangente con

1223

Eraclito » p. 8 n. 7; « Eraclito

1, p.

26

93

Epistola

n.

3.

p.

55

Rotterdam n.

I,

p.

14,

n.

3,

p. 83 n. I, p. 140 n. I, p. 145

n. 1, p. 586 n. 2, p. 705 n. I,

P. 790 n. 5, p. 855 n. 4, p. 856 n.

2; «adagi d’ Erasmo » p. 37

n. 2. eresia a Napoli p. 721 n. I, P. 722 n. 1. « Erinni (pestifera) » p. 720 n. 1. «erisipile» p. 452 n. 1, « Errico terzo di Francia » p. 842

n. 2.

«erroni»

p.

480

«eruca » p. 292

n.

N. 4.

«escrilogie» p. 221 «esopico lione» p.

«esquisito»

(lat.)

p.

I.

n. I. 588 n.

195

n.

3.

3.

«essendono » p. 408 n. 2, p. 412

n. I, p. 454 N. 4, P. 475 N. I,

p.

588

n.

4.

cesserno » p. 6I N. I, p. I25 N. 1, p. 148 n. 1, p. 194 n. 2, p. 207

n. 3, p. 229 n. I, p. 323 n.1, P- 383 n. 1, p. 399 n. 2, p. 425 n. 1, p. 436 n. 2, p. 963

esuli

italiani

739

D.

in

I.

n. 3.

Inghilterra

p.

«età de l'oro» p. 726 n. 2, P. 727 n. 1, p. 730 n. I. «etere p. 529 n. I; v. anche «aethera...»

ra... n

eternità

P. 413

ed

«ethe-

1.

ra...» ed’ «eteren «Eudosso » p. 40 n. I. n. I.

760 n. 1. (figlio di) » p.

« Euschemico» p. 774

«Evante n. 2.

«Eveno»

n.

2.

600

(agasoni delle) » p. 220 p.

170

n.

s.

p.

849

n.

«extima» p. 459 «extimo» p. 756

1,

n, 2. n. 3.

2.

«fabro del mondo » p. 232 n. «faccia (quattro) » p. 1060 n. «faghi» (= faggi) p. 737 n.

Faivanus, Antonio de p. 159 n.

«faldi» (= sfaldi) p. 1046 «fallaran» p. 559 n. 2. «falta» p.

1153

n.

n.

1.

«farfalla affetta verso la sua luce» p. 1037 n. 2. «farò dire (ti)» (= ti lascerò dire) p. 316 n. 2. Fedro p. 589 n. 3. «Felice Martire Nolano » p. 158

n.

3.

Felice

(san):

v.

«Felice

Martire

Nolano ». fenice dell’ impresa p. 1080 n. 2. «fenice unica» p. 1038 n. 2. «fenice volante» p. 1042 n. I.

«fenomie» p. 11 n. 3. «fermiate (non vi) » p. 460 n. 1. «fesse » (= facesse) p. 1167 n.

« festina lente » p. 56 n. 2.

« Fetone (sorelle di) » p. 603 n. « fiche (le) o gli fichi » p. 601 n.

Ficino Marsilio p. 237 n. p. 1000 n. 2, p. 1003 n. I, p. 790 n. s.

«ethera, cioè corridori» p. 146 n. 2; v. anche «aethe-

Euripide p. « Euschemia

«Exodo»

figli (allevamento mercenario dei)

della terra e dei mondi

n.

«eviterna» p. 616 n. 1. «eviternamente » p. 349 n. 1.

N

n.

da

sua

NH

Erasmo

p.

la

NA

a Sofocle»

ne

NOTE

mi

Efesio ...

DELLE

Ha Ww

INDICE

«figol» p.

835

p.

n.

466 2,

n.

p.

5;

890

«figolo»

n.

3.

«filosofi naturali » p. 1114 n. 2.

filosofia naturalistica (allegoria della) p. 1176 n. 2. « Filoteo » p. 191 n. I, p.367 n.1. «fiorentino (magro) » p. 8 n. 6. «fisici» p. 399 n. 3. « fisionotomisti » p.

«fisognomico» p. «Fiurulo (vecchia

n. I.

1224

919

n.

919 n. di)» p.

2.

3. 637

INDICE Flavio,

G.

p.

868

n.

DELLE

y.

Florio, G. p. 26 n. I, p.65 n. 1, P. 68 n. 1, p. 78 n. 1, p. 127

n. 3, p. 19I n. I, p. 22I n. 2,

P. 737 N. I, p. 739 n. 2, p. 967 n. 1; «messer Florio» p. 52

n. 4.

« Folco Grivello (sig.) » p. 9 n. 3. Folengo Teofilo p. 57 n. 2, p. 821 n. 6, p.

846

n.

2, p. 719

fonti medievali p. 235 « Forcidi » p. 709 n. I. «forficò» p. 599 n. s. Fortuna

« Fortuna

p.

p. 912

684

n.

va

1.

n.

n.

1, 6.

cangiando

Nn.

n.

I,

p.

462

di zoccoli»

p.

468

«frigii fanciulli» p. 576 n. «frugiperda » p. 261 n. 3.

p.

n.

1,

n.

1.

1.

«Frulla » p. 19 n. 1.

n. 5.

«geni»

G.

(= generi)

p.

23,

P. 958 n. 1.

n.

5,

n. 2.

za»

n. 3.

Bruno, Dialoghi

p.

2I5

«gestuazione» «getto»

p.

n.

147

p.

N.

I.

861

«Gianni

n.

I.

«ghiacio» p. 1150 n. Ghibellini: v. Guelfi. «Giacinto» p. 584 n.

(prete)»:

5.

1.

v.

2.

« prete

Gianni ». « giarra» p. 76 n. 4, p.:601 n. 6. (« gibellino »] p. 42 n. 1. « giganti (rubelli) » p. 852 n. 2. « gigantone » (Idra lernea) p. 599 n. 6. «Gioan Bruno» p. 637 n. 1; «padre del Nolano» p. 975

n. 2. «Giob (Libro « Giosefo,

di)» p.

che

124

sapea

n.

1.

dechiarar

gli sogni» p. 820 n. 1. Giove («fiamme ed amori p. 608 n. 4; («mensa

di ») di»)

n. 7.

«gippone» p. 632

Giraldi,

G.

B.

p.

giuochi

di parola

n.

65

I.

n.

2.

226

n.

« giuochi da tavola » p. 740 n. 4. P.

297

n.

1, p.

p.

821

« Giulia» p. 1165 n. 2. «Glauco» p. 171 n.‘6.

1225 —

2.

n. 2, p. 1108 n. 2. Giovio, P. p. 56 n. 2, p. 130 n. 1.

Galilei, G. p. 121 n.1, p. 165 n.2. « gallico furore » p. 723 n. 3. « gallugarli la voce » p. 636 n. 3. «ganasse» p. 738 n. 2. «gargioni» p. 734 n. 2.

80**

n.

Giovenale p. 77 n. I, p. 217 n.1, p. 687 n. 4, p. 780 n. 2, p. 786

«gaggia» (fr. cage) p. 561 n. 1.

T. p. 700

917

«gelosia » (zelo) p. 126 n. 1. Gemini (costellazione dei) p. 606

P. 932

fucun) «fuco (fessi) » {facere p. 861 n. 4. «Furor divino » p. 754 n. 5.

Garzoni,

p.

stile »

P. 464 n. 2; v. anche «Fracastorio ». «fragose» p. 1166 n. 1. « fragrosi » p. 590 n. 3. Franco, N. p. 554 n. 2. «Franzino» p. 637 n. 1. «frappone» p. 202 n. 4. «frase» (pl) p. 254 n. 2.

«frate

A.

Gentili, Alberico p. 52 n. 1, p. 496 n. I. Gerolamo (san) p. 897 n. 5 bis. « Gervasio... non odora né puz-

1.

1.

452

Gellio,

«geno» (= genere) p. 601 n. 3. « Genovese (capo aguzzo) » p. 815

«forzo » (= sforzo) p. 202 n. 1. «Fracastorio » (interì.) p. 350 n. 3, p. 367 n. 1. Fracastoro, G. p. 448 n. 3, P.

« gattimammoni » p. 817 n. 1. «gattomammone» p. 840 n. 3.

n. 2.

«forzaglia» p. 836 n. 1. [« forzarsi ») (per ‘forzarci ') IIrtdq

NOTE

italiani,

n.

3.

2,

INDICE {«-gline »)

(per

n. I.

‘-gliene ’) p.

« Glutius » p. 822 n. 5. «gniffeguerra » p. 65 Gondola,

orti

P.:

di

v.

Londra ».

«uve

«gorda » p. 81 n. 1. «gorgazuolo» p.

752

«gramatici » p. 702 «Grandazzo

n.

n.

n.

I.

1.

de

DELLE 44

gli

Ran-

gravità e levità dei corpi p. 149 n. 3. «greco di malizia netto (non

‘fu mai)» p. 25 n. 3. «greco di Somma» p. 744 n. 4. «grege» p. 857 n. 5. « Gregorio » (domenicano regnicolo) p. 897 n. 7, 8.

Sir Fulke p. 70 n. 1, n. 1; v. anche « Folco

Grivello... ». Groto, L.: v. «Cieco d’Adria ». «Grungarganfestrofiel» p. 822

n. 5.

« Grunnio Corocotta » p. 83 n. 2. (Guelfi e Ghibellini (denominazioni di) p. 42 n. 1. guerre di religione, p. 720 n. 1. «Guin (maestro) » p. 52 n. 5. Gwinne,

Matthew

v. anche

« Guin

p.

191

n.

(maestro) ».

1;

(«hala n): v. «ala».

p. 863

n. 1.

«Iamblico... degli E gizii misterii» p. 979 n. 2. «Idio» p. 777 n. 1. °

Idomeneo:

v. « Domenea ».

v.

Hyginus.

significato »

(= ciò

che

è

significato). p. 181 n. 2. «il che» (spagn. e/ que) p.

183

«illuminati »:

de-

n. 4, p.

703

v.

»

n.

I.

«canzone

790

n.

3.

«imbreachi» p. 857 n. 2. immanenza (dottrina della)

34 n. 2. «Impetitus» «impliciti» n. 6.

p. 188 n. 3.

(= implicati)

p.

p. 255

«imprese », p. 928 n. 2.

imprese animalesche p. 1042 N. I. «in patinis» p. 253 n. 3. «inbottati» p. 632 n. 2.

«incolubrasse» p.

886

n.

1.

«incorrere... il suo destino» p. 580 n. 3, «incorrere... il morire » p. 1167 n. 3. «incota (s')» p. 176 n. 2. «incusata » p. 690 n. 1. «indefinitamente» p. 554 N. 3. «indifferente» (= non differente)

p.

P.

304

985

«individua «inetti

N.

n.

2.

cosa...

(ogni

I.

(parti) »

p.

485

è)»

n.

«inficcare» p. 618 n. 3.

2.

infinità dell'universo p. 381 n. 3. infinità di Dio p. 381 n. 3. infinito moto e infinita quizte

P. 403

N.

I.

«infilacciata » p. 864 n. «Inghilterra (Muse d’)»

[«heroichi »] p. 32 n. 2. Hicetas Syracusius: v. « Niceta Siracusano... a.

Hyginus

«il

«imbreaca» p.

dazzo) p. 251 n. 1. « grande (le) efficacie » p. 643 n. 3. «grandini» p. 430 n. 2. « granelli benedetti » p. 836 n. 5.

Greville, P. 550

Igino:

gli...

I.

in Sicilia » (=

NOTE

n. I,

inglesi (dame)

1. p.

26

p. 26 n. 1.

«innamorati per sola fama» p. 1142 n. I. Inquisizione di Spagna p. 720 n. 2, p. 721 n. 1. ‘insegnare’ (col quarto caso) p.

615

n.

insensibilità

1,

p.

908

(esempi

2.

famosi

p. 1054 N. I. sinstinto» p. 149 n. I.

1226

n.

di)

INDICE «intacconata» p. 836

«integnono

» p.

919

n.

DELLE

n. 2.

«Lampsaco (dio di) » p. 932 n. 4, («nume di») p. 742 n. 1, («quel di») p. 585 n. 4.

I.

«intelletto agente» p. 552 n. 4. «intelletto agente ed attuante»

p. 1043

«Laocoonte

n. 2.

n. I. «intelletto di potenza o possibile n. 1.

«intendessivo» p. 137 n. 3. [«intendreste ») p. 39 n. 2. «intento » (= intenzione) p. 555

serpenti

«lava » p. 60 n.

1, p.

1129

A.

n.

1,

«lavezzi» p. 751 n. 1. «Lazaro (fratel di) » p. 469 n. 1. «"l che » (= quello che), p. 1096

n. 3.

n. 2.

«Ie» per

p.

p. 624 n. 3, p. 847 n. 4. «le che » (= quelle che) p. 313

«interito (l')» p. 534 n. 1. [«intrinseco la propria natura »] 146

«introduce «Iob»

n.

p.

3.

(s’)» p. 560

866

n.

2,

n.

3,

P. 205

«italiani

n.

1.

n. 2.

(alcuni

amici)»

p.

52

italiano (diffusione in Inghilterra) p. 86 n. 2. «iviomi» p. 633 n. 2. - Jamblicus

p. 784

n. 1} v. anche

«Iamblico ». Jona (storia di) p. 815 n.1.

Jonson, Ben p. 52 n. 4. us diritto e jus brodo p. 821 n. 3.

che»

R.

p.

(= quella

n. 2. «lampegianti» p.

zio

n.

che)

631

n.

1.

p.

2.

314

p.

37

n.

1, p.

1.

clegansi» (= leggansi) n. 2, p. 1046 n. 1.

«legerezze»

legge

di

p.

gravità

605

«Lesbia»

p.

933

p.

481

n.

«lescla n p. 469 n. 2. «lettame» p. 502 n. n. 3, p. 882 n. «Lettera ad

p.

n.

«lepra » p. 616 n. 3.

121

p. 735 v.

allu-

(Earl of): v. « Dudleo

«libro De principio uno» p. 133I n. I. De’

p.

5.

2, p. 589

(Roberto) ». [«-li n] (= gli) p. 38 n. 1. «Liberio» p. 1127 n. 1. «libro

n.

4. Alexan-

letteratura del tempo: sioni alla ecc.

Leicester

1.

1035

3.

dro» p. 896 n. 1. «lettera (parlando per)» n. 2.

li»

Kilwardby,

‘li’

N. 3. p. 259 N. 3, p. 575 N. 2, n.

1.

6.

Tona: v. Jona. «Ipparco» p. 40 n. 1. Tppaso p. 427 n. 3. «Iside (quel che disse in proposito de le bestie) » p. 813 n. 3. «Ispagna (bellicosa) » p. 705 n. I. istinto: v. «instinto». Italia «maestra di tutti vizii»

«la

(smisurati

di)» p. 170 n. 3. «Laodomia» p. 1165 n. 2. «Laodonio» p. 1127 n. I. «Laurenza» (vedova di M. Solombria) p. 637 n. 1.

«intelletto (tre sorte de) » p. 234

o passibile » p. 1043 n. 2. «intelletto verso agente » p. 498

NOTE

1091

trenta n.

4.

ed

sigil-

« Licaone (convito di) » p. 8 n. 2. « Licestra (conte di) »: v. « Dudleo (Roberto) ». « Licori» p. 933 n. 3. «limosa» p. 54 n. 1 his. «Linceo (occhi di)» p. 11 n. 2.

1227

INDICE «liocorno corre p. 990 n. 2. «là

»

(=

là)

al casto

p.

«lo che » (spagn.

490

N.

/o que)

DELLE

seno»

3.

p. 271

n. 2, p. 304 n. 2, p. 3II n. 4,

p. 314 N. I, p. 3I6 n. 1, p. 324

n. I, 3, P. 333 N. 1, p. 371 N. 1,

p. 401 n. I, p. gIS n. I, p. 456

n. 3, P. 772 N. 4. Lombardi: v. «pesci per bardi... ». «Lotto»

p.

822

Lom-

n. 4.

«ludo

di Minerva» p. 257

«ludo

Lucano p.

minervale » p.

241

n.

n.

mu

Luciano p. 108 n. 2, p. 554 n. 2, P. 575 n. 1, p. 631 n. 3.

p. 587 n. 3, p. 962 n. 4,

1038

«Lucca» Italia)

Lucrezio

n.

3.

(adagio comune p. 820 n. 2.

p. 94 n.

1, p. 348

in n.

1,

P. 349 N. 2, p. 371 Di. 3, P. 53I n. 3, p. 532 N. 1, p. 533 n. 1.

Lullo, R. p. 835 n. 1. «luminari... grandi » p. 122 n. 3. «Iuna, ch'è un’altra terra» p.

449

n. 2.

NOTE

Maio,

Serafino

da

«Serafino ».

«malancolico» «malencolico »

Napoli:

p. p.

897 897

n. n.

Manuzio,

A.

p.

850

n.

4.

«margarite... calpestrate da porci» p. 897 n. I. «margine» (f.) p. 139 n. 2, p. 368 n. 1, «margini (diverse) » p. 815 n. 1.

« Maria da Boshtel » p. 296 n. 2. «Maria da Castelnovo» p. 296 n. 2. «Mariconda» p. II12 n. 1.

«Maricondo» p. 1071 n. 1. Maricondo (o Mariconda) Francesco: v. « Maricondo ». « Marso chiarlatano » p. 749 n. 2. «Martinello (figlio di)» p. 637

n. I. Marziale p. 956 n. 1, p. 1116 n. 1. «mascalzone

«mastria » p.

(cinico) » p. 17 n. 2.

604

n.

1.

di B.

p.

757

n.

I.

«mastro

Danese » p. 637

«lunghi » (= lungi) p. 680 n. 4.

materia

p.

«lungi»

(= lunghi)

p. 698

n. 1,

p. 583 n. 4.

«luta» p. 416 n. 1, p. 604 n. 2,

p.

890

n.

2,

p.

1023

alux perpetua » p. 54 n. 3. «maccarone

dentro

il

n.

I.

formag-

gio» p. 803 n. 3. Machiavelli, N. p. 760 n. 1. «Macometto Aracense» p. 40

n.

I.

«macrologi» p. 221 n. 1. «madesì» p. 2I n. 1. «Magia» p. 782 n. 1; dottrine di B. sulla magia p. 243 n. 2. magica formula p. 813 n. 2. «Magno» p. 330 n. 2.

2. 2.

«malenconico » p. 897 n. 2. «manganello» p. 882 n. 3. « manipolo» p. 842 n. 4. «mantenir» p. 557 n. 2.

Luna satellite della Terra p. 435

n. 3.

v.

matematica

e matesi» p.

307

n.

1118

2.

n. 2.

n.

3.

Matthew, Tobias p. 212 n. 4. Mauro, G. p. 65 n. 2. «Mauvissiero (Signor di)» p. 7 n. 1. «me» (= mie) p. 1027 n. 2. « medesimo » (= la medesima cosa) p. 1059 n. 2.

medicina

magica

p.

1035

n.

I.

« Megara (la pellice) » p. 607 n. 5. «meglior» (avv.) p. 682 n. 1. « AMejor es perder que mas perder » p. Gr n. 3.

«melanconico» p. 897 n. 2. «Melazzo» p. 252 n. 1.

«meloni» p. 633 n. 1. Menelao di Alessandria: v. « Me-

1228

nelao,

romano

geometra ».

INDICE «Menelao,

Pp.

40

n.

romano

1.

«Mennone»

«mense

n.

I.

DELLE

geometra»

p.

909

n.

oltramontane»

«mente» (dottrina

p.

della)

n. I.

I.

320

p. 370

a mentisco » (= smentisco) p. 848

n. I. «Mercoldì... de le ceneri» p. 51 n. 1. «Mercurio Trimigisto (profetico lamento ad Asclepio) » p. 1074 n. I « Merlin Cocaio

n. 2.

« Merlino» p.

(musa di) » p. 57

195

«mescuglia » p. 397

n.

6.

n.

3.

«mese» (= mise) p. 666 n. Messico p. 797 n. 3. «metaffore » p. 361 n. 2.

«metamfisicosi » p.

885

2.

576

n.

2,

p.

n. 2.

1001

n.

4.

« metampsicosi » p. 776 n. 1. metempsicosi p. 559 n. 9; (dottrina della) p. 811 n. 3, p.

891

n.

3.

con-

«Metorologica templazione»

n. 2, 3.

«mezi»

p.

664

n.

1.

«microcosmo»

p.

256

«mezo » p. 637 843 n. 5.

n.

«mignone » p. 803 n. 5.

«Milano (quando p. 69 n. 8.

I,

n.

p. 74I

n.

2,

n. 2.

misogina

«molle

letteratura

(carni) » p.

Molza, F. p. 65 n. «momezzar» p. 675

020

n.

2. n.

3.

1.

p.

211

n.

2.

«monine» p. 467 n. 1. « Montecorvino appresso Salerno» p. 818 n. 1. Morelum p. 65 n. 2. morire e rinnovarsi delle parti della terra p. 413 n. I. «morosi » p. 301 n. I. «mors osculi» p. 1094 N. I. mortalità dei mondi

«Mosè» p. 783

n.

1.

della

p.

155

n. 2.

n. 1; cfr. p. 791

Terra

p.

163

n.

2;

(moto di rotazione) p. 168 n. 1. «moto » (= mosso) p. 390 n. 1.

moto

rotatorio

n. 1.

del

Sole

«motti» p. 928 n. 2. motti delle imprese

n.

2,

p.

p.

3.

153

1030

(« moverà »] p. 76 n. 2. «munerabili» p. 603 n. 1.

di freddo e di fame »

p. 128 n. 5. «muovermi» (= lasciarmi muovere) p. Izo n. I. «muse di Parnaso» p. 195 N. I.

7I

«mustaccio» p.

in)»

p. 290 n. 6.

mondi abitati p. 464 n. 1. monete (passione per le) nel ‘500

Musso » p.

1.

1, p. 84r

eravamo

figlio di Eolo » p. 594

«muoiono

871

n.

« Miseno,

moti

«Metamorfose» p. 127 n. 2. metamorfosi erotiche di Giove

P.

NOTE

n.

867

5.

n.

2.

215

« Nabuchodonosor {metamorfose di) » p. 891 n. 1. «Nanna» p. 673 n. 2. «napello » p. 932 n. 1. Napoli (avvenimenti del 1547)

« Minutolo» p. 1140 n. 1. Minutolo, G. G.: v. « Minutolo ». «miscuglie» p. 604 n. 3.

«naturale » (filosofo) p. 276 n. 2. negromanzia p. 243 N. 2. «nemicicia» p. III4 D. 3.

Milazzo: v. «Melazzo ». « Mimallonidi» p. 220 n. «mina »

«Minoe,

n. 5.

(fr. re

mine)

di

p.

Creta»

76

p.

n.

4.

1.

1229

p. 720 n. 2.

INDICE «neomenie» «Nettuno

p.

ed

n. 2.

a Niceta

869

n.

Amfitrite » p.

Siracusano

A.

p.

19

599

Pitagorico »

p. 90 n. 2. « Nicosia » (in prov. P. 252 n. 1.

Nifo,

1.

DELLE

di Catania)

n.

1.

« Nihil sub sole novum» p. 247 n. 1; cfr. «non essere cosa

nova sotto il sole » p. 324 n. 2.

« Nigero» (fiume) p. 762 n. 1. « Ninive (profeta di) » p. 802 n. 3. « nitedole» p. 445 n. I.

Nizzoli, M. p. 216 n. 4. « Nizzolio» p. 216 n. 4. «nodum

P.

în

37

n.

2.

scirpo

quaeritas »

« Noemo » (= Noè) p. 799 n. 1, 2, p. 822 n. 4.

« Nohemi

« Nonacrina n. I.

(vergine)»

«nottue»

788

«nottiluche»

p.

p.

445

p.

n.

n. 7.

609

1.

[«nunquam ») per 1082

n.

‘ unquam'

s.

Mondo » p.

797

«nutar» p. 162 n. I. Nux Elegia p. 65 n. 2. «nutriccia» p.

n.

1, p.

{«occa »]

196

790

p.

n.

n.

675

1.

n.

I, p.

n.

p.

3. 600

3.

«ochio » p. 489 n. 2; cîr. p. 123 2, p.

v.

649

n.

3.

«Ofito ».

voffressi (quando voi m’)» p. 604

n. 3.

599

p.

115

n.

n.

8.

1.

«Olimpo (monte)» (leggenda pseudoaristotelica) p. 115 n.1. «oliva»

p.

960

n.

1.

« Olmo (piazza de l') » p. 700 n. 2. «olne » p. 251 n. 2.

«oltragiosi»

p.

628

«oltramontane «mense...

n.

1.

(mense)»:

v.

».

«Ombre de le Idee» p. S42 n. 2; cfr. p. 26 n. 2. «omei» p. 1152 n. I. «Omero, quando non dorme»

P.

455

n.

2.

«Onorio» p. 882 n. 1. [«opona »] p. 680 n. 1. Orazio

p.

293

n.

6, p. 455

n.

2,

n. 8, p. 959

n.

I, p. 969

n.

I,

n.

1.

P. 572 n. 1, p. 728 n. 1, p. 932

p. 1082 n. 4. «orbi » celesti p. 433 n. 1. [«orechie ») p. 643 n. 1. «orechio» p. 489 n. 2. «Orfeo n» (mito di) p. 934 n. 1. «organo de gli organi» p. 887

I.

«origine

(primo) »

p.

origo

(m.)

p. 188 n. 1.

«Oro

Apolline» p.

Orione (Cristo) p. «orli» (= urli) p. «orloggio » p. 253

763

803 n. 193 n. n. 2.

863

n.

2. 2.

3.

«orsa» (= orza) p. 576 n. 6. Orsa maggiore p. 582 n. 2. « Orsi d' Inghilterra » p. 618 n. 4.

« Orsini... di Roma » p. 618 n. 4.

n. 1.

Ofanto:

Olimpiodoro

p.

n. 2.

« Ortensio » (domenicano colo) p. 897 n. 8.

«occecato» p. 1146 n. 3, p. 1163 n.

762

«Ofiulco »

n.

nulla dies sine linea p. 255 n. 7. «Nundinio » p. 21 n. 4. «Nuovo

«Ofito » p.

(nostri) » p. 220 n. 6.

nolani personaggi p. 636 n. 1. « Noli me tangere v p. 587 n. 2. «nolite fieri» p. 23 n. I. «nolite vocari Rabi n p. 255 n. 2.

NOTE

Ortensio,

G.

B.

da

Otranto:

v. «asino

regni-

Campagna:

v. « Ortensio ». osceni paragoni p. 576 n. 3. Osiander, A. p. $8 n. 1. «ospitale (amore) » p. 935 n. 3. «ottiene» (occupa)

1230

d'Otranto ».

p. 360

n.

1,

INDICE P.

476

n.

2,

p. 1097 n. I. «oves ab haedis»

‘opere burlesche Ovidio p. 72 n. 4, 5, P- 246 n. . 588 n. 2, p.

I, p.

710

p.

DELLE

607

n.

1,

«partecipazione »

So

n.

1.

participi (concordanza di) p. 589

p.

p. 65 n. 2. 3, p. 17I n. 2, I, p. 364 n. 3, 683 n. I, p. 704

n.

I, 4, p.

727

Sv‘

. I, p. 735 n. 3, p. 737 n.1, 3,

. 754 n. 1, p. 884 n. 4, p. 885 . 3, p. 886 n. 2, p. 932 n. 3, 979

n.

4,

p.

1168

n.

anche « Metamiorfose ». Oxford (Università di) p. n. 2, p.

69

n.

2, p.

128

n.

2;

53

1;

(abbandono degli studi filosofici) p. 133 n. 2, p.134 N. 1,2, p. 209 n. 1; (indirizzo grammaticale) p. 210 n. 2; v. anche «Oxonia ». «Oxonia » (etimologia di) p. 764

n.

NOTE

4.

650

n.

1.

« Parturient montes » p. 501 n. 3, p. 867 n. 1.

«Parvo»

p.

«padre di dodici n. 4.

752

n.

3.

tribù » p.

787

« Palazzo» p. 75 n. 1. « Palinuro (celebrata sepoltura di)» p. 17I n. I. «palo» p. 65 n. 2.

Panormita

(Beccadelli

il) p. 618 n. 1. «pantamorfo de gli bruti» p. 681 n. 3. Paolo IV p. 723 n. 1.

« Paracelso » p.

258

A.

detto

animali

n.-1;

p.

186

n.

1,

p.

cfr.

326

n. 2; «Parmenide, ignobilmente trattato da Aristotele »

p.

287

«paroli»

n.

p.

1

SsI

bis,

n.

2.

1.

n.

1145

2.

N.

4.

« passar solitario » p. 1009 n. 2. Pasqua,

maestro

e Ambruogio

Ambrogio:

».

« pastura de l’alma » p. 346 Patrizzi, F. p. 260 n. 3. « Paulino » p. 637 n. 1. «Paulo Tarsense» p. 7$0 «Pax vobis» p. 242 n. pazzia (specie della) p. 976 «pazzo per lettera » p. 254 peccato della carne p. 930 (« pedagogi ») p. 47 n. 1.

pedante p. 215 n. 6, p.217n.

«boccone

da pedanti»

vv.

n. 1. n. 1. n. n. n.

p.

1. 1. 3. 4.

1,2;

585

« carco di libri »,

(poltron) ».

«pedanteggiar » p. 1068 n. 2. Pegaso (mito intorno all'origine di) p. 894 n. 5. «pena capitale » p. 704 n. 2. «penetrassivo» p. 137 N. 3. « perfezione (somma) » p. 713 n. 1. «perfumarò» p. 790 n. 4. «pericolo (far) » p. 1173 n. 1. «perissologi» p. 221 n. 1. «perle a porci» p. 135 n. 1; v. anche « margarite... »,

D. 263 n. 1, p. 279 n. 2. « Parcius ista viris » p. 317 n. 1. «pardiglio (color) » p. 738 n. 1. « pare » (agg. ‘ pari ’) p. 536 n. 2. «pareti» (m.) p. 363 n. 2. Parmenide

330

«passagio» p.

« dizionario

p.

p.

n. 4.

n. 1; v. anche

«pacchioni»

(pé9edte)

ci a le perle...» Perotti, N. p. 216 n. «perro» p. 6 n. 2.

« por-

3.

« Perseo (destrier di) » p. 73 n. 1; favola

Persio,

di Perseo

A.

p.

25

n.

«pesci per Lombardi

p. 25 n. 2.

p. 710

2.

n.

1.

(non son)»

pestilenze in Italia e in Francia p. 769 n. 1. Petrarca, I. p. 55 n. 2, p. 190 n. 1, p. 570 n. 2, p. 583 n. 2, P- 737 N. 3, p. 898 n. 2, p. 912

123I

INDICE

DELLE

NOTE

n. I, p. 929 n. 3, p. gsI n. I,

P. 307 n. I, p. 892 n. 1, p. 944

n.

n. 2, p. 1000 n. I, 2, p. 1003

P. 973 n. 2, p. 979 n. 3, p. 982

p.

1010

n. 1, p. 1102 n. I, p. n. I, p. 1150 N. 4.

1144

petrarchisti

P.

927

n.

I,

(tirata

n.

2, p. 929

p.

1064

contro

n.

1, 2.

[« Phillippo »] p. 925 n.

1.

« piaciuto (ha) » p. 899 n. « Piamonte» p. 763 n. 3. «pianca» p. 635 n. 3. Pico

della

P- 732

Piemonte:

Mirandola

n. 2.

di

14 n.

(il

Toledo

1,

signor)»

(Don)

n. 2, p. 721 n. 1. « Pietruccio » p. 23 n. 2.

p.

720

»

« Pirroni»

p.

673

n.

2.

(= Pirronici)

1006

n.

p.

45

I.

«poco

n.

2,

p.

p.

n. 6.

1000

1156

867

11509 libro

p. 200 n. 1.

e niente»

p.

(arciprete

(tempio

499

di)»

n. 2.

p.

9, ». 3. 3. 2. 2.

(quel che san

che

n. 5, p. 237

n.

3.

ritiene

n. 2.

1. p.

il 21

«posserno» p. 488 n. 3. « possevi » (= potci) p. 893 n. 1. Postille anonime allo Spaccio 553 n. 1, 2, p. 558 n. 2, . 570 n. 1, p. 623 n. I, p. 624 . I, 2, p.

625

. 654

2,

p.

655

n.

n.

1,

2,

739

n.

2, p.

760

n.

1,

. 763 n. 2, p. 765 n. 1, p. 77I

2.

1232

3,

637

626

712 n. I, p. 713 n. I, p. 73I

. 2, p.

n.

Plotino p. 237 n. 1, p. 252 n. 2,

n.

4, p.

2, 3, p.

. 663 n. 2, p. 664 n. 3, p. 675 . 2, p. 677 n. I, p. 684 n.1,

1,

1,

I, 2, 3,

n.

. 657 n.1, 2, 3, p. 658 n. 1, 2, 660 n. I, 4, p. 662 n. 3,

n.

n,

997

n. 5.

«porci a le perle

DV

1056

Plinio p. 684

1,

Pp.

«poi» (= puoi) p. 794 n. 1. Polidoro: v. « Semele (fratel di) poliinnici passatempi p. 297 n. «polso » (lat.) p. 392 n. I. « Pomona, Vertunno » p. 932 n. «ponte de palazzo » p. 53 n. Pontus de Tyard p. 141 n.

DI

5

p.

n.

p.

[« po »] (= può)

P. 238 n. 2, p. 330 n. 2, p. 381

909

n. I.

Plutarco

p. 9I n. I, p. 113 n. 2, p. 155 n. 3, p. 229 n. 2, p. 232 n. 2,

p.

II56 n. 3, p. «Plotino nel

p. 300

Efesio... ». Pitone p. 602 n. I. «piuma » (fr. fiume) p. 139 n. 1. «pizocchera» p. 836 n. 4. planto hominem p. 256 n. 4. Platone p. 13 n. I, p. 14 n. 1,

n. 2, p. 456

4,

nome di)» p. 159 n. «poscia» (= poscia che)

« pitagorici» p. 280 n. 1. Pitocle (Lettera a): v. « Eraclito

. I, p. 396

p. 3;

« Porto

n. 1, p. 903 n. 5, p. 907 n. 1. «Pitagora (nel carattere di)» p.

1,

far) » p. 36 n. 3. «porta Cornea» p. 884

«pila» p. 170 n. 2. « pileati » p. 916 n. 1. «piovale» p. 840 n. 2. «pioppa» p. 960 n. I. « Pippa

I, 2,

« Pogliano n. 3.

2.

v. « Piamonte n.

«Pietro Costanzo P. 42 n. 1.

Pietro

p.

2.

n.

Della bellezza intelligibile» p. 1040 n. 2; «... nel libro De /a materia»

i)

«petteggiano » p. 71 n. 6. «pettinale» p. 636 n. 2. [«phisiconomica ») p. 920 n.

n. n.

5 dI

1037

3,

988

DVI

p.

n.

p.

DI

I,

p. 1005

2,

. I, p. 777 N. 2, p. 779 n. 1,

. 780 n. 2, p. 782 n. 2, p. 783 . 1, p. 784 n. 1, p. 786 n. 1, 787 n. 1, 2, p. 783 n. 2, 3,

. 791 n. I, p. 792 n. 2, p. 793

9

n.

2,

n.

DELLE

S'id'IStdi

«I, P. 795 N. 2, p. 797 N. I, . . . .

798 n. I, I, p. 802 805 n. 1, 2, p. 812

p. n. p. n.

799 4, 806 2,

n. p. n. p.

1, p. 800 803 n. 2, 2, p. 807 815 n. 1,

. 819 n. 1, p. 823 n. 4, p. 824 . 3, p. 826 n. 2.

«Posteriore»

p.

742

n.

4.

«pòtte » (= poté) p. 272 n. I. Povertà p. 675 n. 2, p. 677 n.1. Povigliano:

v. « Pogliano...»

«precavendo»

p.

895

n.

2.

«preciso » (lat.) p. 292 N. 3. « prendiate (non vi) » p. 460 n. I. «prete Gianni» p. 578 n. 4.

Priapo:

v.

«dio

degli

ortin

e

«Lampsaco... ». «Priapea (libro della)» p. 742 n. 2; («libro, che non si sa, ma è in questione s’è di Ovidio o Virgilio ») p. 673

n. 2. «primo p.

(il)»

1146

«primo n. 2.

(= il precedente)

n.

e

2.

novissimo»

p.

285

« principii materiali attivi e pas-

sivi» p. 245 n. 1. «principio » e «causa» p. 230 n. 2. «principio intrinseco formale, eterno

e

subsistente»

p.

245

n. 3. Problemata pseudo-aristotelici p. IIS N. 1. Proclo

p.

979

n.

772

p. 902

n.

n.

1.

3,

« propisiabile » p.

« proposizio» p.

«protoplaste»

p.

«protoplaste

n.

291

n.

Adamo»

1.

«protoplastico » p.

7

n.

2.

p. 649 n. 2. Provvidenza p. 637 n. 2; (concetto della) p. 642 n. 1;

v.

anche

«providenza ».

«Prudenzio » p. 19 n. 1. Ptolemaeus p. 165 n. 1. «puccia (pane di) » p. 218 n. 1. Pulci, L. p. 25 n. 3, p. 504 n. 1. «putello » p. 256 n. 3. quadratura

n. 3.

«Quae

n.

4.

del

Caesaris

cquarantana»

circolo

p.

Caesari» p. p.

9

n.

«quatro» p. 739 n. I. «quintana » p. 65 n. 2. «quinte essenze» p. 445 Rabelais,

F.

p.

«raciocinio»

p.

14

[«racomando »]) p.

«Radamanto »

n.

1114

p.

868

n.

106 n. 2.

4.

proposizioni opposte contrarie p. 671 n. 1. «prore » (= prude) p. 214 n. 1. «prorogativa» p. 816 n. 2. «prorogative» p. 962 n. I.

255

n. 2. 1.

n.

8or

3.

n.

zI15

n.

4.

«radice» p. 296 n. 1. Ramo (de la Ramée), P. p. 260

n. 2, p. IIIS n. 2.

«rancontri»

n. 2.

p.

170

n. I, p. 207

p.

2,

757

2.

«Rara avis» p. 296 n. 1. «rati stami» p. 580 n. 2. «reali » (moneta spagn.) p.

n.

199

«providenza» p. 739 n. 3; «la providenza è di due specie»

«rancontro»

784

5;

p.

2.

« prognostricatrici» p. 784 n. 2. «promese» p. 870 n. 5. pronuncia di B. p. 763 n. 1,

P.

NOTE

(n)

INDICE

Randazzo:

n.

p.

1147

n.

2.

v. «Grandazzo...».

I

74I

«regentale (catedra) » p. 213 n. 6. « Reginaldo » (domenicano regnicolo) p. 897 n. 8.

«relligioso» p.

785

n.

1.

«Rem acu tangis» p. 145 n. I. «rependo» p. 841 n. 7, p. 1057

1233

n. I.

INDICE

« Republica n. 2.

Veneziana»

p.

DELLE

768

Requiem p. 54 n. 2. « Rialto (in Venezia) » p. 75 n. I.

«richissima »

p.

[«riducano »)

1168

n.

(= riducono)

333 N. 3.

« Rifanciullanza» p.

a Rifeo

Riforma n.

(monte)

I, p.

1.

(giudizi

569

» p. 931

622

n.

sulla) 3;

n.

n.

p.

2.

385

Riformati evangelici p. 626 n. 1, 2, p. 660 n. 4; v. anche Riforma (evangelica). «rimanendono » p. III n. I.

«rimanere » (verbo neutro) p. 906 n. 3. «rime » (lat.) p. 55 n. I, p. 1125 n, 2.

«rincresse » p. 12 n. I. «ringracia» p. 685 n. 2. «rinovato» p. 1008 n. I.

I.

(vino) » p. 932 n. 6.

«riprendesila»

«ripuerascere»

p.

750

p.

503

n.

n.

1.

3.

«risfossicando » p. 192 n. 3. «risit Apollo» p. 586 n. 1. «risposta » (obbiezione) p. 481 n.1. « Risus Sardonicus» p. 55 n. 3. «ritretta » p. 192 n. 4, p. 557 N. 4. rivelazione: v. conoscenza e rivelazione,

«robba» p. B97 n. 4. «robba lunga» p. 21 n. 2.

Rocco

(san): v. «san

Rocco».

«rota

del

(giuoco

« Romano

la)» p.

072

n.

1.

«rotilon» p. 1134 N. I. Royal Exchange: v. « Borsa ».

«rutilante

Febo»

p. 52 n. 2.

n. 1. (Lord

4. Bu-

v. « Beuckhurst

(mi-

»

I.

n. Ss.

Salomone di

de

p.

324

n.

Salomone»

(il

p.

«teologo n)

v. anche

p.

2;

244

lomone », «sapiente

802

«libro

932

aCantica

«Salonicca» p.

n.

n.

9;

n.

3;

di Sa-

(il) ».

4.

«Salvio » (domenicano regnicolo) p. 897 n. 6, 8. Salvio,

Ambrogio

v. «Salvio ». «salzicchia» p.

«san San

da

821

Bagnoli:

n.

5.

Colombino» p. 8 n. Giovanni del Cesco:

8. v.

«contrada (picciola) ». «San Marco (piazza di)» p. 700

n. 3.

Sannazaro,

San

J.

Paragorio;

ragorio ». «san Rocco

n. 4. Santa Maria « Porto... n.

«sanzale »

p.

p.

920

v.

(piaga

«san

di)»

del 599

n.

n.

4.

Spa-

p.

170

Porto:

wv.

I.

«San Paolo» (a Londra) p. 75 n. 1; v. anche Saint Paul's. «San Paolo» (a Napoli) p. 75

n. I.

(popolo) » p. 660 n. 1. scarpone

n.

p. 228

n.

n.

«saga» p. 1167 n. 2. Saint Paul's: v. «campanile di San Paolo ». «salevano» p. 777 n. 3. «Salmoneo (gigante)» p. 213

« riformate filosofie » (conclusioni

473

195

F. p. 57 Thomas

ckhurst): lord)

p.

1.

v. anche Riformati evangelici.

«rinversato

Sacchetti, Sackville,

(regina)»

« Saduchimi » p. 885 n. 1, p. 1027

alle dottrine della) p. 655 n. 1; (evangelica) p. 654 n. 2:

«rimproperasseno» p.

«Sabba

p.

(accenni

circa la trascendenza) n. I.

NOTE

«san

196

Sparagorio n.

3.

(gigante)»

«Santasantoro» p. 812 n. 3. «sapiente (il) » p. 940 n. 1. «sappime» p. 922 n. 1. «sarcine » p. 714 n. 2. «sareste (tu) » p. 670 n. 2.

1234

p.

INDICE «Sarno» p. 762 n. 3. «sarrebe » p.

«Sarza

1068

n.

DELLE

«Sebeto» p. 762 n. 3. «secco (sofista)» p. 325

I.

(re di)» p. 54 n. I.

« Sassetto » p.

23

v. « Sassetto n. «sassinii » p. 664 «Saulino » p. 555 n. I, p. 861 n.

n. N. 1.

«secure» (= scuri) p. 660 {«sedde ») p. 82 n. 3. «sediciose » p. 569 n. 3.

2.

4. 1, p.

(signor

571

« Saulino ».

Savolino, (famiglia) Savolino,

Iraulissa

Savolino, Savolino,

p. 637 n. 2. p. 637

n. 2.

Giulia: v. « Giulia ». Laodomia: v. « Lao-

domia ». Savolino, Sabatino:

v.

Sapatino ».

«don

«sbracato » p. 582 n. 4. «sbusata» p. 576 n. 4. «scabellum pedum tuoruni»

242

p.

N. 3.

«scafaro» p. 137 N. 4. «scaldaletto » p. 65 n. 2. «scalmati» p. 634 n. I. «Scarvaita (montagna)» p.

n.

775

n.

di)» 2.

scolastico detto p. 1007 n. I. «Scole sopra le arte liberali»

scotisti

p.

270

n.

p.

n. 1.

4.

216

n.

».

n. 3.

v. « Silere ».

a Semammeforasso» p. 812 n. 3.

«semebestie » p. 589 n. 1. «semediametro» p. 494 N. I., «Semele (fratel di) » p. 171 n. 4. «sempia» (= scempia) p. 859

n. 2. Seneca p. 16 n. 1, p. 18 n. 1, p. 27 n. 2, p. 30 n. 3, p. 31 (RI, p. 32 N. 1, p. 171 N. 3,

P. 533 n. 4, p. 580 n. 1, p. 1083 n. I, 2, 6, p. 1086 n. 1, 2, p. 1088 n. 1, p. II108 n.72,

illo

n.

1.

Senofane p. 326 n. 2. «sentivi » (= sentii) p. 895 n. 4. «seposti» p. 528 n. 1.

635

scienza delle scuole p. 58 n. «scifoli» p. 736 n. 1 «scisma (la)» p. 711 n. 2.

Scoppa, L. G. P. 742 n. 2.

Sele:

«Serafino»

1.

p. 260 n. 2, «scommi» p. 128

Francesco)

«segno » e «causa» p. 147 N. 2.

p.

2.

«scelerosa» p. 760 n. 3. «schena» p. 867 n. 3. « Sciardichi (festa del duca

P.

1.

di Vincenzio:

Savolino p. 718 n. 1, p. 746 n. 1; v. anche

n.

«Secondo filosofo» p. 294 n. 1. «secretario (gran) del Regio Conseglio »: v. « Walsingame

n.

Sassetto, Tommaso

NOTE

1,

Scoto, Duns: v. Duns Scoto. «scrima » p. 128 n. 2, p. 259 n. 2. «scrimir» p. 600 n. 7. «scrimisce» p. 562 n. 4. Scritture sacre (pensiero di B. sulle) p. 121 n. 1. «se» (causale) p. 1009 n. 1.

(domenicano

regni-

colo) p. 897 n. 1. «Serpentauro» p. 599 N. 7. « Servus servorums p. 74 N. 3;

p. 242 n. 2. Sesto Empirico p. 666 n. 1, Pp. 907 n. 1. «settanta doi discepoli » p. 850 n. s. «settantadue (lingue) » p. 260n.1.

«Severino»

Severino,

p.

1140

Irancesco:

verino ». «sghiaffi » p. Shakespeare,

697 W.

n. p.

n.

v.

3. 52

n.

«sia» (= scia) p. 576 «sibilarà » p. 576 n. 6.

«sibilo tile»

p.

di

1105

aura n.

I.

n. 4.

« Se-

4.

6.

sot-

« Sicilia (l'una e l’altra) v p. 748

1235

n.

2.

INDICE «Sidneo

(signor

Sidney,

Sir

n.

I, p.

927

DELLE

Filippo) » p.

n.

I.

Philip

p.

210

n.

70

«spanta» p.

2,

«spantò» p.

P. 549 n. I, p. 947 N. 1, 2,

p.

948

n.

2;

« Sidneo... ». «siepe (le)» p. «sigilli ideali»

«signifero n. 2.

v

anche

1122 n. 3. p. 313 n.

(spacio

del)»

2.

p.

802

«Sileni» comici

p. 14 n. 1; «mimici, ed istrionici» p. 550

«Sileno»

p.

n. 2.

822

n.

4,

p.

n. 2; v. anche «caval leno », «cavalli...»

di

932

Si-

« Silere » p. 762 n. 2. «simplicemente » p. 104 n. 1. «sinderesi» p. 561

n. I

sinteresi:

v.

n. 2, p. 1055

Smith,

John:

v.

William:

568

«spantiate»

n.

p.

1.

864

n.

129 n.

3.

I.

«Sparagorio (san)»: vw. «san Sparagorio ». «spastimando » p. 1122 n. 2. «spaventacchio» p. 775 n. 2. «speculare (similitudine)» p.

1159 n.

I

«spenge » (= spinge) p. 520 n. 2. «Spicilegio » p. 216 n. 1. « spinga » (= spenga) p. 663 n.1. «spingano » (= spengano) p. 773

n. 2.

«spinge » «spinta » p. 590 «spinto » cfr. p.

(= spenge) p. 967 n. 2. (= spenta) p. 364 n. 4, n. 6, p. 722 n. 2. (= spento) p. 552 n. 2; 1062 n. 3.

«spuntonate»

p.

747

«squogli» p. 472 n. 2. «Starza» p. 634 n. 3. «stella ch'è nella punta

«sinderesi».

Sisto V p. 818 n. 2. Smith,

NOTE

«Smitho ».

v. « Smitho ».

coda

di Calisto»

Nn.

I.

de

p. 582

la

n. 2.

«solo » (= ma solo) p. 106 n. 3. «somenza» p. 261 n. 2.

stelle fisse e pianeti p. 439 n. 2. «Stigia palude» p. 581 n. 3. Stigliola, C. A. p. 749 n. 3. «stinta » (= estinta) p. 994 n. 1. «stipe» p. 233 n. I, p. 876 n. 5. storia (interpretaz. materialista della) p. 720 n. 2. «stormenti» p. 1057 n. 2. «stracci» p. 146 n. 1. «Stracuragine» p. 562 n. 3.

«sopranaturale

«Strafocazio » p.

«Smitho » p. 19 n.

1; cfr. p. 541

n. 2.

«socratico (amor) » p. 215 n. 3. «Sofia (la) è di due specie » p. 649 n. 2. «solido» (= soldo) p. 341 n. 2.

Solino p. 115 n. 1. «Sollecitudine» p. 712

n.

sonetto

I.

misto

p.

n. 2.

955

n.

(lume)»

« Sorbillgramfton» p. «sorce»

p.

6 n.

3.

822

1.

p.

308 n.

«sorgi» p. 597 n. I. «sorgio» p. 501 n. 4. sostanzialità dell'individuo: «sustanza numerale ».

«spacio» p. 1114

Spagna:

«Spagnolo p.

815

v.

5.

v.

(tenace

«strangiero »

p. 71

n.

p.

669

n.

4.

p.

118

n.

1;

7.

822

e stiptico)»

«spalli» p. 549 n. 3, p. 588 n. 1.

n. 5.

«strige» p. 192 n. I. «Strimonie » p. 171 n. «Stroppiata»

p.

635

n.

«sturni» p. 752 n. 4. «subbio» p. 557 N. 3.

«subero» p. 56 n.

N. 3.

«Ispagna...».

n. .3.

«stracurati»

«substerniculum»

p.

1.

289

«succese» (= successe) n.

I,

p.

6î4

«succesero» p.

1236

n.

903

1.

N.

cfr.

2.

4.

Pp. 4.

n.

2.

434

INDICE

DELLE

«sugliarda» p. 790 n. 2. «superfice » p. 478 n. 1. «suppositi » p. 66 n. I. «supputazioni» p. 87 n.

1,

Minervam»

p.

P. 142 n. 2. «Sus quandoque 140 N. I.

[«susistenza ») p. 530 n. 1. «sustanza numerale » p. 270 n. 2.

Svetonio p. 56 n. 1. «svode » p. 361 n. 2, p. 808 n. 1. « Taburno

Tacito

(sassoso) » p. 500 n. 4.

p.

868

n.

«taftologi» p. 221 utale cose» p. 475 «Tanchi,

maester»

1,

5.

n. Nn.

p.

1. 2.

BI

n.

2.

Tansillo, L. p. 30 n. 2, p.35 n.2,

NOTE

Teofilo (fra) da Vairano p. 19 n. 1. teologia e filosofia p. 387 n. 1. teologia

di B. p. 782 n. 2.

«teriaca » p.

339

«tesorier

del

n.

2 bis;

p. 269 « tiriaca » «teriaca ‘Titane’

«Titone »:

v.

p. 966 n. 1, p. 967 n. 1, p. 932

Tolomeo:

n. 2, p. 746 n. I, 2, p. 790 n. 5, p. 814 n. 4, p. 956 n. 1,

n. 2, p. 990 n. I, p. 99I n. 2, p. 999 n. 1, p. 1021 n. 2, p. 1037 n. 2, p. I0SI n.

p.

p. p.

1098

n.

1149 1170

2,

n. n.

p.

1144

3, p. I, p.

liso 1172

n.

n. n.

3,

4, 3,

(un

«Timeo

n. I. p. 749 ». p. 187

{«tocare »=] p.

n. 2,

regno

gran)»

« Timeo » (Timeo di Locri) p. 286

p. 619 n. 3, p. 718 n. 3, p. 730

I, p. 570

v. anche

p. 69 n. 1. «Tiberino » p. 170 n. 5. Ticone: v. Tycho Brahe. «Tieste (convito di)» p. 8 n. 3.

«Tobia

n.

2;

«tiriaca ». « Tertia coelo manet » p. 827 n. 2.

P. 55 n. 2, p. 59 n. 2, p. 293 n. 4, p. 365

n.

Pitagorico»

n. 3; v. anche n.

1.

‘Titane’

Mattheo

Tobias.

»:

v.

5Io

n.

1.

«tofi» p. 590 n. 1. «toga» p. 24I n. 4.

Tommaso

v. Ptolemaeus.

(san) p. 466 n. 1.

«Topica»

Tori,

A.:

Torino:

v.

p.

742

n. 4.

Bronzino.

v. «Taurino... ».

«Torquato» «tosone»

Matthew,

p.

p.

130

21

n.

n.

I.

4.

p. 1177 n. 1; «Tansillo (il nolano) » p. 718 n. 1; « Tansillo » (interlocut.) p. 953 n. 2. «tassi» p. 737 n. 2.

traduzioni (pensiero di B. sulle) P. 27 n. I, p. 258 n. 2. «tramezanti » p. 494 N. 3.

P. 730 n. 1. «Taurino (città di) » p. 763 n. 4.

«trenta

Tasso, T. p. 620 n. I, p. 722 n. 1,

atecne»

p.

888

n.

1.

Telesio, B.p. 338 n. 2, p. 365 n.1,

P. 442 n. I, p. 443 N. 1; « Tele-

sio

consentino»

«Tempio» (Temple, p. 56 n. 4.

«temporeo» p.

508

p. 261

n.

1.

a

Londra)

n.

1.

«tendicoli » p. 669 n. 3. « Teofilo » p. 19 n. 1, p. 368 n. 2,

(= Filoteo)

p.

203

n.

1.

«treink e vetreinkh v p. 821 n. 2. «tre libri» (De Anima) p. 895n. 1. sigilli»

«Trenta

n. 3.

p.

26

sigilli»

n.

p. 842

«tresse (donne)» p. 293 n. atretalogo» p. 24 n. 3.

«Trimegisto »

p.

279

«... raggionando ad p. 784 n. 1.

«Triptolemo»

p.

748

2;

1.

n.

I;

Asclepio »

n.

1.

« Trofonio (antro di) » p. 195 n.7. «tropologica (descrizion) » p. 58

1237

n. 2.

INDICE

DELLE

[«troppo ambizione ») p. 74 n. 1. Turchi p. 723 n. 3, p. 724 n. 1. «tuonitrui» p. 448 n. 1. Tycho Brahe p. 485 n. 4.

«ucelli» p. 1103 n. 3. «ucello » p. 601 n. 5, p. 840 n. 5.

(= udii)

«ugualarsi» p.

285

p.

837

n.

n.

3.

cata

p.

n.

in

parte

2;

alcuna»)

(«uno

in

tutto

p.

1.

p.

ficcate» p.

(« vagliente»] p.

(«varrà ») (per

669

184

n.

n.

2.

p.

«vase

928

n.

fatale»

1.

p.

di

1171

2.

1.

n. 2.

« Venazione » (elogio della) p. 811 «veneno

p. 1157

(consueti

n.

17I

3.

a

n.

I,

n. 3, p. 64

6,

p.

206

n.

2,

. 2, p. 719 n. 2, p. 874 n. 1, . 883 n. 1, p. 936 n. 1, p. 944 . I, p. 946 n. I, p. 974 n. 3, 1051 n. I, p. 1083 n. 1,

DO

1095

n.

I, p.

II04

n.

I.

«Vitanzano» p. 822 n. 4. vizio degli umanisti p. 293 n. 1; v. anche «socratico (amor) ».

«vodo» (= vuoto) (= vuoi)

dicesti»

I,

p.

891

p.

p.

p. 808 897

1118

n.

n.

n. I. 5.

2.

n.

5.

959

n.

«voluntade umana» p. 963 n. 2. « Vox faucibus haesit » p. 259 n. 4. «vuolesse»

p.

«Walsingame

«Vasta» (moglie di Albenzio Savolino) p. 637 n. 2. «vegna» (= divenga) p. 1149

n. 1.

I, p. 63

. I, p. 587 n. I, 3, p. 596 . 2, p. 617 n. I, p. 630 n. 1, . 640 n. I, p. 660 n. 2, p. 716

n.

vaso)

n.

n.

«volentiera» p. 515 n. I, p. 789

‘verrà ’) p. 630

(diminut.

2.

Paolo)

. 232 N. I, p. 244 N. 2, p. 579

«voi

n. 2, p. 1062 n. I, p. 1077 N. I.

«vascello»

n.

San

. 2, p. 142 N. I, p. 170 n. 3,

«voi» 2.

(casale

637

. 62

per

p. 159 n. 2.

«va

Ver-

villani (motti sui) p. 57 n. I. Virgilio p. 49 n. 1, p. 60 n. 2,

321

(unità dell’) p. 519 n. 3. «univocamente» p. 478 n. 2. «univoco agente» p. 328 n. 1. «unqua» p. 864 n. 2. « uscivi» (= uscii) p. 1143 n. 1. «uve de gli orti di Londra»

n. 1.

p. 586 n. 3.

di

cui uno è tutto 1) p. 322 n. 1;

«Vacantaria» p. 564 «Vae soli» p. 341 n.

n. 2.

a Villa»

non

e

inaccessibile n

« Pomona,

DV d'PPP'I'I

è

circonferenza

cosa

« Vertunno »: v. tunno ».

cratica e galenica) p. 279 n. 2. universo («il centro... è per la

1123

Venere

«umida sustanza » p. 1150 n. 2. «umori» (della medicina ippotutto...,

come

viaggi di scoperte p. 815 n. 3. «viene» (= diviene) p. 685 n. 1.

Ubaldini, P.: v. « Pietruccio ». «ucellato» p. 584 n. 1. «udivi»

NOTE

(signor

sco) » p. 69 n. 4. Walsingham, Sir

« Walsingame... ».

2.

France-

Francis:

».

Whitehall p. 10 n. 1. «xeni»

p. 623

n. 2.

« Xenofane Colofonio » p. goGn. 4.

mangiar)»

« verità (la) «...è di due specie » p. 649 n. 2; «verità... cer-

zodiaco: v. «signifero... ». «Zucavigna» p. 822 n. 4.

1238

INDICE

Premessa

di G.

GENERALE

AQULECCHIA

Prefazione

ai ‘Dialoghi

metafisici’ di G. GENTILE:

Prefazione

ai ‘ Dialoghi

morali’

DIALOGHI CENA

La

Al mal

DE

LE

CENERI

contento.

Proemiale

Dialogo Dialogo Dialogo Dialogo E

LA

secondo terzo . quarto quinto

CAUSA,

di G. GENTILE

METAFISICI

. .

.

19

. .

50

85 .

E

UNO

Proemiale epistola . . . Giordano Bruno ai principi de l'universo Al proprio spirto eee

LL...

De l'amore. ‘a 2 . Causa principio ed uno sempiterno (sonetto) Dialogo primo. * Dialogo secondo . . Dialogo

terzo

Dialogo quarto Dialogo quinto

.

I20

- 143

PRINCIPIO

Al tempo

LII

.

epistola

Dialogo primo

«+ XXIX

.

. 173 » 175 . . . .

188 188 189 189

. 190 . 191 . 225 » 254

. 289 . 318 1239

INDICE DE

L'INFINITO, Proemiale

UNIVERSO epistola

Sonetti : Mio passar

E MONDI

.

.

.

..

Pag.

.

solitario,

a quelle parti

de priggione

angusta

E

mi

e chi

impenna,

Dialogo primo . . Dialogo secondo . . Dialogo terzo . Dialogo quarto Dialogo quinto

343 * 345

Uscito chi

.

e nera

mi

scalda

.

+ 364 + 364

. il core

. 365

. 367

- 394 - 433 . 471 . 496

APPENDICE: Prima redazione del principio della Cena de le ceneri DIALOGHI SPACCIO

DE

LA

BESTIA

MORALI - 547

TRIONFANTE

Epistola esplicatoria . . Dialogo

- 539

primo

- 549 « 571

La

Seconda parte del primo ‘dialogo La Terza parte del primo dialogo . Dialogo secondo . Seconda parte del secondo dialogo Terza parte del secondo dialogo

Dialogo

terzo

Seconda

Terza

.

parte del terzo

parte

Errori più

del terzo

fastidiosi

» 593 . 614 . 646 . 665 . 696

. 725

dialogo

* 747 . 802 . 830

dialogo

. .

CABALA DEL CAVALLO PEGASEO l’ASINO CILLENICO , .

con

l'aggiunta

Epistola dedicatoria sopra la seguente Cabala Sonetto in lode de l’asino . . . Declamazione al studioso, divoto e pio o lettore Un molto pio sonetto circa la significazione l'asina e pulledro . . Dialogo primo

1240

del-

- 833

. . 835 . - 845 ‘a 846 de .

. 859 . 861

INDICE

Dialogo secondo . . . . Seconda parte del dialogo. Terza parte del dialogo. .

. +. + + + Pag. eee . ........

Dialogo terzo ‘a dee A l'asino cillenico (sonetto) LL. L’asino cillenico del Nolano

DE GLI EROICI FURORI Argomento

.

+ ..°

LL...

del Nolano

Argomento

de’

cinque

Argomento

ed

allegoria

Argomento

.

de’ cinque

. .

.

.

dialogi

.

.

de la prima parte.

dialogi de la seconda parte del quinto

dialogo

. .

2

.

+ PIP

Dialogo

primo...

Dialogo

terzo

Dialogo Dialogo

quarto. ./....... quinto... 0...

dea

°°...

0...

ee

927

937

939

0943 949 949

Iscusazion del Nolano alle più virtuose eleggiadre dame ... +. + Prima parte de gli Eroici {urori. secondo...

II 913 914

925

Avertimento a' lettori ‘ee Alcuni errori di stampa più urgenti

Dialogo

882 892 901

++

. 951 953

953 973

986

Dialogo quarto... ....... 0... . +. 1005 Dialogo quinto . . .. . +. +. 1030 Seconda parte de gli Eroici furori 1071 Dialogo primo... + + 107I Dialogo secondo... 0... 112 Dialogo terzo dee 1I27

0... + +

Nota sugli indici della terza edizione