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Italian Pages [1302] Year 1958
DIALOGHI ITALIANI
GIORDANO
BRUNO
DIALOGHI DIALOGHI
ITALIANI
METAFISICI Nuovamente
E
ristampati
GIOVANNI Terza
DIALOGHI con
SANSONI
da
GENTILE
edizione a cura
GIOVANNI
note
di
AQUILECCHIA
-
FIRENZE
MORALI
PROPRIETÀ
LETTERARIA
Stampato
RISERVATA
în Italia
PREMESSA
Esauritasi da tempo l'edizione riveduta e accresciuta dei Dialoghi bruniani a cura di Giovanni Gentile: — edi-
zione
che
fin dal suo ‘primo
ed utile funzione
apparire ? ebbe
di rappresentare
la meritata
la «vulgata»
dei testi
filosofici volgari del Bruno — l'esigenza avvertitasi in questi ultimi anni di una ristampa a sua volta riveduta e corretta ha assunto ormai un carattere di vera e propria
urgenza.
La
gentiliana
è infatti non
ottocentesche, l’unica edizione completa
pure,
dopo
le due
dei Dialoghi finora
apparsa in questo secolo; peri lo scrupolo filologico
ma altresi l’unica che contemcon intenti dichiaratamente ed
loghi
cinquantennio:
onestamente divulgativi. Non è meraviglia dunque che su di essa si fondino quasi tutte le ristampe parziali dei Diaapparse
nell'ultimo
le
quali,
salvo
le eccezioni che verrò indicando, per il testo si attengono appunto dove
viene
ciecamente
occasionalmente
mediante
alla
lezione
pretendano
congetture,
se
gentiliana,
pur
e perfino
distaccarsene,
a
volte
ciò
là
av-
indovinate,
stimolate però unicamente dal testo suddetto. Né diversa appare essere la sorte delle note gentiliane: per lo pit meccanicamente sunteggiate nelle ristampe parziali. Il
1 Giorpano
Bruno,
Opere
Italiane,
I, Dialoghi
Metafisici;
rl’
Dialoghi Morali, nuovamente ristampati con note da GIOVANNI GENTILE, seconda edizione riveduta e accresciuta, Bari, Gius.
Laterza
&
Figli,
1925
a cura di B. Croce ® Bari, Laterza,
e 1927
(«Classici
e' G. Gentile», 1907 e 1908. v
II
della
e VI).
Filosofia
Moderna
PREMESSA
danno
che da una tale situazione può derivare agli studi
bruniani
rori
e
è evidente:
sviste,
talora
esso
consiste
puramente
nel
perpetuarsi
materiali,
che
in
di ereffetti
non mancano nel testo e nelle note della pur benemerita edizione gentiliana. Va da sé quindi che in ultima istanza
soltanto
degli
da
un
esemplari
nuovo
studio
superstiti
delle
diretto
prime
e
dalla
edizioni
collazione
bruniane
possa scaturire un'edizione che, pur facendo tesoro dei risultati conseguiti dal Gentile, apra una fase realmente nuova nella pubblicazione dei testi bruniani. Quanto in-
vero si è pur impreso a fare in diversa sede con risultati (incorporati
nella
presente
ristampa)
che
finora
confer-
mano la fruttuosità di un nuovo vaglio del materiale bruniano. Ciò che non viene ad infirmare l'opportunità o a diminuire l'urgenza di una edizione riveduta dei Dialoghi pubblicati
dal Gentile:
sia perché
il lavoro
per l'edizione
critica è in buona parte tuttora nella sua fase esplorativa, sia anche perché quella gentiliana (riveduta e corretta) rimane
tuttavia
l’unica
edizione
completa
adatta,
per
metodo ed intenti, ad una collana di classici della filosofia. La riunione poi, ora per la prima volta attuata, dei sei dialo-
ghi bruniani in un volume unico viene a conferire a questa terza edizione il carattere di un’opera di consultazione assai maneggevole malgrado la mole del materiale raccolto: L’ incarico datomi nel corso del 1955 dalla Casa Sansoni
di curare la terza edizione dei Dialoghi di Giordano Bruno apportando correzioni e varianti ai testi composti secondo il testo della seconda edizione di Giovanni Gentile si riduceva a due punti esclusivi: a) curare l'edizione Gentile dei Dialoghi ponendo in nota — tra parentesi quadra * —
le varianti
della Cena
de le Ceneri
secondo
il
1 Per le correzioni esplicite e le aggiunte alle note si è poi do-
vuto ricorrere alle parentesi tonde in neretto giacché le parentesi quadre risultavano già adoperate nell’edizione base ad indicare integrazioni nel testo e nel commento: come tali esse sono state quindi adoperate anche nell’ambito dei brani aggiunti tra parentesi tonde in neretto. Quest’ultime e queste soltanto indicano quindi gli interventi del curatore della presente edizione. VI
PREMESSA
testo critico da me stabilito (e che apparve nel corso dello
stesso anno) !; è) correggere — sempre tra parentesi quadra ? e con riferimento a tutti e sei i Dialoghi — gli errori e le inesattezze chiaritisi nell'ultimo trentennio, posteriormente cioè alla seconda edizione Gentile. Il principio conservatore posto alla base della progettata edizione
mi parve invero opportuno: non solo perché ad oltrepassare quei limiti si sarebbe rischiato di alterare sostanzialmente l'apparato originale ovvero raddoppiarne la mole
pur
soltanto
con
l'aggiornamento
di
rinvii
biblio-
grafici vari; ma anche in quanto si veniva in tal modo a stabilire una implicita ma chiara distinzione tra il lavoro tuttavia in corso per l'edizione critica dei Dialoghi e questo di revisione del tuttora fondamentale lavoro gentiliano. In pratica però l’incarico affidatomi si rivelò per diversi aspetti inadeguato al fine di produrre una terza
edizione
genuinamente
corretta
rispetto
alla
precedente.
Come anzitutto regolarsi nel caso di errori ed inesattezze non chiaritisi in quest’ultimo trentennio, anzi ripetuti meccanicamente da successivi ristampatori dei singoli dialoghi ? Come
per i non pochi casi in cui la prima edizione Gentile
o edizioni ad essa anteriori presentassero lezioni più corrette e attendibili rispetto alla seconda dello stesso Gentile ? Se poi il sistema degli interventi tra parentesi poteva fino ad un certo punto risultare tollerabile per le correzioni apportate alle note (ma anche per ovvi lapsus o errori meccanici ?), lo si poteva a ragione tollerare per il testo bruniano,
tramandando
cosi
l'errore
o la svista
in
bella
evidenza nel corpo di esso? A queste e non poche altre questioni di metodo ho dovuto rispondere, risolvendole,
caso per caso: sempre tenendo presenti, da una parte, i criteri cditoriali dello stesso Giovanni Gentile, dall’alI GiorpaNO Bruno, La Aquilecchia, Giulio Einaudi
colta
di classici
riferimento crit.
italiani
Cena de le Ceneri, Editore, Torino,
annotati»,
IV).
‘A questa
nelle note aggiunte al commento
? Si veda la nota n. 1 di p. vI. VII
a cura di Giovanni 1955 («Nuova rac-
edizione
con la formula:
si farà
ediz.
PREMESSA tra, fin dove sunto.
possibile,
i limiti
definiti
nell'impegno
as-
Ciò che andava pur premesso a meglio intendere i criteri particolari seguiti nella revisione e correzione del-
l'opera:
criteri che
guono,
con
TITOLO
verrò
riferimento
DEL voLUME.
esponendo
nei paragrafi
alle diverse
sezioni
Il titolo complessivo
che sè-
del volume.
del volume,
Dialoghi Italiani, per quanto possa apparire naturale, data l'opportunità di distinguere il gruppo dei dialoghi in volgare da quelli scritti in latino, figura ora per la prima volta in testa ad una edizione dei Dialoghi bruniani. Esso è stato da
me
deciso,
benché
nuovo
anche
rispetto
all'edizione
gentiliana che qui si riproduce, in base ad alcune considerazioni di ordine pratico oltre che critico. Le edizioni complete dei Dialoghi, a cura, rispettivamente, di Adolfo Wagner,
Paolo
de
Lagarde
e Giovanni
Gentile
(1%
e 22
ediz.) erano infatti integrate dalla commedia (Il Candelaio) e ben potevano quindi costituire, come più o meno esplicitamente
indicato
nei
rispettivi
titoli,
il corpus
su-
originale
di Opere
Italiane
sarebbe
ri-
volumi
laterziani
che
si riprodu-
perstite delle « opere italiane » di Giordano l'assenza della commedia dalla presente titolo
complessivo
Bruno +. Data ristampa *, il
sultato ingiustificato. A non volerlo mutare, lo si sarebbe dovuto addirittura eliminare: riunendo in uno i titoli particolari
cono:
dei
Dialoghi
tal modo
due
Metafisici e Dialoghi
qui
Morali. Avremmo in
sancito, in questa che è l'edizione corretta e ag-
! L'edizione wagneriana Opere di G. B. ecc. (Lipsia, Weidmann,
1830) lascia sottintendere l'aggettivo ilaliane. % Questa esclusione, conforme peraltro a motivi editoriali, appare giustifitata in questa sede dal valore preminentemente letterario del Candelzio. Senza voler escludere possibili obiezioni a una
tale
discriminazione,
va
notato ‘tuttavia
che
essa
veniva
già osser-
vata dagli editori Laterza, i quali inserivano i due volumi delle Opere Italiane di G. B. contenenti i sei Dialoghi nella collana dei
«Classici della filosofia moderna (voll.
a cura
II
Italiane,
e
VI),
di V. ma
mentre
il
Spampanato,
al di fuori
terzo
a cura di B. Croce volume,
appariva
della
collana VIII
contenente
si come
suddetta.
vol.
e G. Gentile»
III
il
Candelaio
delle
Opere
PREMESSA
giornata della vulgata dei Dialoghi, una distinzione e definizione quanto mai controverse, e comunque estranee alla mente e allo stile bruniani. Già Felice Tocco aveva osservato
che «di
tutte
le opere
italiane,
il solo
dialogo
schiettamente metafisico è quello della causa; gli altri invece sono o rigorosamente scientifici o etici» (G. B., Conferenza, Firenze 1886, p. 77). Osservazione sviluppata, subito dopo l'apparizione della prima edizione Gentile, da
Erminio
Torino
Troilo
1907
rimproverava
nel suo
volume
La
filosofia
(cap. II: L'Antimetafisica). il titolo
di Metafisici
di G.
B.,
Al Troilo che gli
da lui accolto
ed im-
posto ai primi tre dialoghi italiani (pp. 15-16, nota 1), il Gentile volle rispondere con una lezione di metodo (« Il Troilo confonde il naturalismo dei filosofi con quello dei naturalisti... »:
v.
Studi
sul
Rinascimento,
Firenze
1936,
pp. 155-67) che implica però una giustificazione solamente relativa del titolo in questione: il quale può risultare per
lo meno
anacronistico,
confrontato mine
con
sietafisico.
occorre pur ammetterlo,
le particolari È
curioso
anzi
levava a questo proposito un Pref. aù ‘ Diall. Metaf.’, pp. meglio vide dunque il Corsano questione va distinto un aspetto delimitato al tempo del Bruno, perennemente timetafisico
speculativo.
s’ intendesse
Ché
accezioni
bruniane
notare
che
specie se del ter-
il Gentile
ri-
anacronismo inverso (vedi XXx-xXxxI di questo vol.): quando osservò che « nella terminologico, storicamente da un altro propriamente e se
per
atteggiamento
antispeculativo,
con
rinunzia
an-
a
penetrare infinitamente più addentro e più profondo del dato empirico-sensibile, nessuno più metafisico del Bruno.... Ma
se
per
metafisica
s'intende
la
vecchia
scienza
onto-
logica classico-medievale, egli non poteva vederci altro che una di quelle muraglie, anzi la più spessa e massiccia di tutte, da attaccare e rovesciare perché si scoprisse il volto della divina natura.... Quanto al termine metafisica, non si può dir certo che nelle opere volgari il Bruno lo
adoperi
suo
con troppo
svolgimento
rispetto....»
storico,
Firenze
(Il pensiero
1940,
p.
di G. B. nel
129,
n.
I).
Lo
stesso Gentile, del resto, se pur si trovò a difendere il tiIN
PREMESSA
tolo del primo volume in polemica con il Troilo, non aveva
mancato
egli
stesso
di manifestare
alcune
esitazioni
ri-
spetto ai due titoli in questione (si veda la Prefazione ai ‘ Dialoghi Metafisici’ e l’altra ai ‘ Dialoghi Morali”, pp.
XXX-XXXI e LXI di questo volume). L’esitazione del Gentile è stata di recente rilevata e confermata esplicitamente da Paul-Henri Michel nella sua introduzione al Des Fureurs Héroiques (Paris, 1954, p. 19). Il Michel osserva inoltre che «les Fureurs héroigues ne relèvent pas moins de la métaphysique que de la morale» e che se la funzione
di quei due sottotitoli gentiliani può
parsa
confacente
ben
consistere
nel « mettre en relief la cohésion des dialogues réunis sous chacun d’eux», a questo riguardo «un seul titre eùt-ilété préférable ». Che è quanto si è pur fatto nella presente edizione: per la quale alla novità del volume unico ci è in senso editoriale,
si trova
non
gentiliani
sia
perché
del
titolo:
ché la definizione
già ampiamente
Risolta
unico,
la novità
accolta
cosi la questione
c’era poi motivo
(per quanto la nostra
del
essere
s' intende,
di « dialoghi italiani »
nella critica
titolo
di sacrificare
possano
vuol
novità,
bruniana.
unico
i due
essi apparire anzitutto
al volume
sottotitoli
inadeguati):
una
ristampa
del lavoro gentiliano, con l'intesa di rispettarne perfino le inesattezze (e tanto più quelle « intenzionali ») — salvo a rilevarle nelle note aggiunte; — sia perché nel caso specifico dei sottotitoli il G. prese posizione decisa contro i suoi diretti oppositori. Motivo quindi di chiarezza editoriale non solo, ma altresi di rispetto della volontà esplicita del curatore
PREFAZIONI:
primo.
nell'originale le due prefazioni erano col-
locate in testa, rispettivamente,
Opere Italiane: alterando
i due
le ho
collocate
titoli originali
al I e al II volume
di seguito,
(Prefazione
integrando
delle
e Prefazione
ed
al
secondo volume), in Prefazione ai ' Dialoghi Metafisici' e Prefazione ai ‘ Dialoghi Morali”. Le mie precisazioni (ove non sì tratti di tacite correzioni di ovvi errori di stampa)
occorrono — rilevate tra parentesi tonde in neretto — ovunque si avverta l'esigenza di rettificare dichiarazioni
PREMESSA
erronee
o imprecise.
Quanto
alle osservazioni
critiche,
mi
sono astenuto da ogni intervento che non sia un semplice rinvio a studi posteriori e nei quali gli argomenti dal G. proposti risultino meglio sviluppati o direttamente discussi.
In alcuni casi tuttavia, come a proposito della duplice redazione del principio del dial. I della Cena (cfr. p. xxxv, n. 2), non ho esitato ad offrire in nota un ulteriore contributo
rispetto
agli
studi
da
cui pur faccio riferimento: nitivamente
cui soluzione in parte. Dove
una
me
stesso
ciò allo scopo
questione
le osservazioni
finora
del
rimasta
G.
già
compiuti
di chiarire defi-
non
oscura
e
giovavano
alla
che
il G. fornisce ragguagli bibliografici relativi a tra-
duzioni o edizioni dei Dialoghi sono intervenuto
cisazioni
opere
e
e
citate
integrazioni
dal
da lui presentate.
G.
nei
stesso
limiti,
e delle
con pre-
rispettivamente,
sezioni
delle
bibliografiche
Interventi di diverso genere appariranno anch'essi evidenti grazie al rilievo delle parentesi in neretto: tacitamente ho però corretto gli errori di trascrizione che erano rilevabili nei passi tratti da Le Ciel réforme, per i quali
ho
centesca.
scrupolosamente
Tacitamente,
riscontrato
s'intende,
ho
la
poi
stampa
corretto
ventina di sviste o errori meccanici rilevabili nelle prefazioni (seconda edizione), particolarmente nella scrizione
di nomi
e titoli
francesi,
inglesi
e tedeschi.
setteuna
due tra-
DiaLOGHI: a parte le mie note e i miei interventi tra parentesi in neretto (e di cui dirò in seguito), tanto per il testo bruniano quanto per le note gentiliane mi sono anzitutto proposto di riprodurre scrupolosamente la seconda edizione Gentile, confortato in ciò da quanto il G. stesso ebbe a dichiarare, a proposito del testo e del commento, sui vantaggi della sua seconda edizione rispetto alla prima (si veda la Prefazione ai ‘ Dialoghi Metafisici', Pp.
XLVII-xLIX
e
la
Prefazione
ai
‘ Dialoghi
Morali',
p. LXI). Ovviamente non potevo portare lo scrupolo fino alla riproduzione incondizionata di manifesti quanto presumibilmente involontari errori o sviste rilevabili nelle xI
PREMESSA
due parti (testo e commento) forme
alle
direttive
infatti
in un
di quella edizione. Se, con-
editoriali,
il sistema
delle
note
ag-
giunte o degli interventi al mezzo o in fine di nota poteva anche in questi casi valere a mettere in guardia il lettore suggerendogli la lezione genuina o la correzione di dichiarazioni inesatte — ed in tal senso esclusivamente impostai
rebbe
tuttavia
tramandare
destinato corpus
dei
si sarebbe vizio non
non
sue),
primo
tempo la
risultato
comunque
imperdonabile la corretta
Oltre
venuti a rendere
pure
ma
al
altresi
berate
inesattezze
mermi
senz'altro
di ogni
singola
Bruno
in
dell’opera
—
il pedantismo
sa-
di
quel tipo di inesattezze in un testo
a rappresentare Dialoghi.
‘revisione
che,
mi
resi
lezione
in tal modo
realtà
del
un pessimo
ser-
conto
(tramandando
al Gentile
vulgata ben
nel
(attribuendogli
involontarie).
A
presto,
testo
come
sviste
deli-
correggere
tacitamente le inesattezze da me ritenute meccaniche, sarei incorso, agli occhi del lettore, nell’arbitrio di assula responsabilità
di decidere
tra espres-
sioni deliberate ed altre involontarie. Il che avrei anche rischiato, e in virtà degli elementi a me noti a sostegno intralciare
alterazione,
la lettura
con
come
pure
interventi,
allo scopo
sf necessari,
di non
ma
non
si fondano
per il testo
e in
delle nostre
correzioni
meno fastidiosi. Va tuttavia tenuto presente che tutte le ristampe moderne dei Dialoghi (ad eccezione, ovviamente, dell'edizione critica della Cena, ma anche dell'edizione francese
degli Eroîcî
per caso,
il motivo
Furori)
gran parte anche per il commento sulla seconda edizione Gentile (G*): della quale riproducono fedelmente non pochi errori materiali. Ne deriva che ad evitare perplessità da parte di studiosi e lettori si è pur dovuto enunciare, caso obiettivo
condo testo gentiliano. Quanto al testo, dunque,
va qui osservato
che
al se-
G? si
avvantaggia effettivamente (tranne eccezioni) rispetto a G!,
limitatamente
ramento
note
mente
o quasi però a quei luoghi in cui il miglio-
di lezione
mediante accolta.
sia dichiarato
la riprovazione
Per il resto
dal Gentile
della
si noterà
XII
lezione
che
in apposite
precedente-
la lezione
di G!,
PREMESSA
derivata immediatamente garde (L), risulta spesso involontariamente !)
in
G?,
da quella diplomatica del Laalterata tacitamente (e quindi essendo
ciò
imputabile
o
a
Nessun
dubbio
quindi
materiali errori tipografici consumati nel trapasso da Gi a G* 0 a casi di vera e propria lectio facilior verificatisi
nel corso
che in tali a G:=L nel testo, formula G!
del
trapasso
medesimo.
casi la correzione del testo bruniano conforme si imponeva, e l’ho attuata immediatamente non senza però dichiararla in nota (dietro la = L seguita dalla forma corretta e dalla le-
zione errata di G*)'. Ad analoga correzione mi hanno indotto i casi in cui una svista di G' risultava tramandata
in
G?:
di edizioni
con
con
il conforto
quella
della
concordanti)
lezione
ho
il testo fornendo in nota la giustificazione
diplomatica
quindi
di G? = G!, Neppur
emendato
(e cioè il rinvio
all'ediz. diplomatica e a edizioni parallele) la corruzione
(e
e denunciando
qui potevano
sussistere
perplessità, data l’abitudine gentiliana di segnalare in nota lezioni del L. da lui deliberatamente rifiutate. Altrove ho restituito il testo di G' anche in quei casi in cui la lezione di G? (da me.-riportata in nota), benché dovuta a
intenzionale
emendazione
del
G.,
risultava
patente-
mente erronea (es. p. 334 n. 1). Là dove potesse sussistere
dubbio a questo riguardo mi sono limitato a denunciare in nota la probabile svista mediante il rinvio a G1= B per la Cena e a G: = L peri rimanenti dialoghi (si vedano più sotto le precisazioni a questo proposito) ?. Specifico
T Quando il mio rinvio al testo Lagarde è indicato dalla lettera L posta tra parentesi, ciò indica che la grafia della parola, resa diplomaticamente dal Lagarde, è modernizzata in G!. ® Le divergenze da me indicate con riferimento a B (per la Cena) e a L (per i rimanenti dialoghi) non includono, se non in
casi
di
puntive:
mente
particolare giacché
per
modernizzato.
(specie nei plurali)
interesse, questo
Non
quelle
aspetto
sempre
delle preposizioni
meramente il testo
esso
grafiche
Gentile
rispetta
articolate;
le
o
inter-
è dichiarata-
forme
né sempre
deboli
segue
B
(ovvero L) nella riunione o divisione delle parole (es. per che - perché):
ho tralasciato di rilevare la divergenza ove questa apparisse intenzionale e quindi rispondente a un criterio interpretativo. Ho per
XIII
PREMESSA
qui di seguito alcune minuzie riguardanti il testo, prima di procedere ad osservazioni sul commento. In G? il «punto interrogativo » apposto ad una citazione impressa in corsivo è anch’esso in corsivo: l’ ho trascritto in tondo ove non appartenga alla citazione stessa ma al periodo in cui la citazione è inserita.
Per iniziativa editoriale i nomi degli interlocutori sono trascritti per esteso e in corsivo (anziché abbreviati e in maiuscoletto come in G?). Riguardo alle varianti noterò che talvolta il G. nel riportare in nota una lezione di B o di altre edizioni usa
la maiuscola per la lettera iniziale: ove ho potuto rilevare invece
la minuscola
nel
testo
citato
(sia
pure
dietro
la
scorta di L con riferimento a B) l’ ho tacitamente sostituita alla maiuscola. Una certa confusione nelle note testuali di G* deriva
dal
fatto
che sono
impressi
in corsivo
pur
i segni
inter-
puntivi intesi a introdurre o distinguere tra loro le varianti (anch'esse in corsivo): ho quindi trascritto in tondo i punti
interpuntivi
suddetti,
lasciando
in corsivo
varianti, oltre alle sigle che rappresentano
si fa rinvio.
Quanto
a queste ultime,
le sole
le edizioni cui
ho operato
(tra pa-
rentesi in neretto) alcune integrazioni in conformità a costanti moduli
gentiliani.
Anche per il commento ho potuto risolvere grazie al confronto con G! non poche perplessità che sorgono dalla
lettura delle note di G? (ciò che vale soprattutto
o numeri Dove
vari come
G! era corretto,
G! e G? concordavano
cisare tra parentesi
tamente, ove la tutto patente) !.
pure
per date
per citazioni da testi diversi).
ho emendato
tacitamente
G*;
nell'errore sono intervenuto
in neretto
(ma anche
irresponsabilità
della
dove
a pre-
qui talora taci-
svista
fosse
del
contro emendato denunciando la divergenza ove questa potesse alterare il senso del periodo. ! Va anche contemplato il caso in cui un brano del commento
in G? non trovi il suo precedente in G!. Pur qui mi sono regolato,
per
le correzioni
tacite,
analogamente XIV
a quanto
avvertito
circa
le
PREMESSA
Nel
tener
conto,
edizioni e traduzioni
anche
a me
per
il commento,
note,
non
di
tutte
ho mancato
le
di citare
ad ogni luogo la fonte delle correzioni: ove quella non compaia, la correzione è mia. Quanto alle osservazioni o
divergenze altrui da me riportate, non sempre esse implicano la mia adesione: figurano comunque in ogni caso a
documento del lavoro
della critica
gentiliano.
bruniana
sviluppatasi
sulla base
Dirò infine che le mie note e i miei interventi tra parentesi in neretto si hanno di regola là e soltanto là dove fosse obiettivamente. rilevabile un errore nel testo o una imprecisione nel commento gentiliano. Le note linguistiche
del G. hanno per lo più carattere meramente divulgativo: non sempre esse risultano quindi tecnicamente soddisfacenti. Ad evitare comunque il pericolo di una alterazione sensibile del commento
in una direzione estranea
ai
di regola, da ogni intervento:
tranne in quei casi in cui la
fini propostisi dal curatore originario, ho deciso di astenermi,
nota linguistica potesse fuorviare il lettore mediante il suggerimento implicito o esplicito di un significato inesatto. L'aggiornamento (tra parentesi in neretto) della bibliografia citata
nelle note
è
limitato,
per
evitare
una
sovrapposizione eccessiva, a quei casi in cui esso implichi una precisazione critica. Quanto alle soluzioni « meccaniche » va ricordato che nell'originale
(cioè nella seconda
edizione
Gentile)
i rinvii
ai vari dialoghi italiani del Bruno sono a volte riferiti alla prima edizione Gentile (cosi i rinvii dai dialoghi Metafisici a quelli Morali, non essendo ancora apparsi quest’ultimi in seconda edizione al ternpo della pubblicazione del
primo
volume
G?),
a volte
alla
seconda
edizione
di regola, dai dialoghi Morali ai Metafisici, come pure,
(cosi, non
sviste patenti. A proposito delle quali va ricordato che non sempre il G. riproduce fedelmente la grafia e l'interpunzione nel corpo di citazioni tratte dalla sua stessa edizione: ovunque ho potuto rilevare divergenze tra la citazione e il testo ho corretto tacitamente quella (tranne nei casi in cui la divergenza apparisse volontaria,
al fine di piegare scorso critico).
le parole
citate
NV
alle esigenze
sintattiche °
del di-
PREMESSA
però costantemente, all’ interno dei Metafisici). Ho naturalmente alterato le formule di questi rinvii in modo da
riferirli tutti alla presente edizione !. Essendo poi mantenuto nella nostra edizione il rinvio, in calce ad ogni pagina, alle corrispondenti pagine delle precedenti edizioni complete dei Dialoghi (con l'aggiunta, ora, del rinvio
alla seconda edizione Gentile), rinviando ad una pagina della nostra edizione si viene a rinviare alla pagina corrispondente in tutte le precedenti edizioni. Naturalmente si è dovuta alterare, in calce ad ogni pagina, conforme all’ impaginatura
del presente
volume,
la numerazione
dei
rinvii alle altre edizioni già riferita all’impaginatura
del-
l'originale (cioè della seconda edizione Gentile) 2. Va da sé che tanto nei rinvii alle diverse parti dell'opera, quanto
in quelli alle precedenti edizioni, ho dovuto correggere tacitamente le immancabili sviste dell'originale aggiornando nello stesso tempo i numeri del rinvio 3. ! In pratica ho sostituito f. (0 fp.) alla sigla G. (che indicava la prima edizione Gentile) dinanzi al numero delle pagine cui si rinviava in prima edizione, ovvero ho eliminato l'esponente 2 (che indicava la seconda edizione Gentile) già apposto al titolo dei dialoghi cui si faceva rinvio in seconda edizione. Quando nelle note il G.
si riferiva
al vol.
II
(o I) delle
due
edizioni
da
lui curate,
eliminato le parole che rinviano a uno dei due volumi
ho
(e, nel rife-
rimento alla seconda edizione, l'esponente 2 apposto al numero romano) sostituendo il numero di pagina della preserite edizione a quello delle precedenti gentiliane. Quando il rinvio dal vol. II dell'originale al vol. I° implicava un confronto «contenutistico» tra
dialoghi
diversi,
alla
formula
vo/.
/I2
ho
sostituito
il titolo
del
dialogo cui si allude. Analogamente ho sostituito a vol. /2 e a vol. II
i sottotitoli Dial. Afet. e Diall. Mor. quando il riferimento compor-
tava una intenzionale distinzione della materia nell'ambito rispettivo delle due parti dell’opera. Cosi pure mi sono regolato quando le formule originali del rinvio semplicemente affettavano la costruzione della ‘frase gentiliana. Talvolta, indipendentemente dalla distinzione per volumi nell'originale, ho dovuto operare alcune
alterazioni
« Cosf
nelle formule
in fine
della
p.
38:
è La. numerazione
a quanto
si rileva
di rinvio
suole»;
(es.:
ho
ridotto
della Caba!/a non
nella
prima
a p.
edizione
590,
nota
«Cos!
5, G?
sopra:
diceva
suole »).
è indicata in 8: conforme Gentile
l'ho
quindi
inse-
rita tra parentesi quadre. 3 Quando nelle note i rinvii ad altre parti dei Dialoghi non
sono
parsi
calzanti,
ho
sostituito
ugualmente
NVI
il numero
delle
mi
pa-
PREMESSA
Ho unificato la numerazione delle figure (che nel secondo volume Laterza riprendeva da 1), facendo seguire al n. 14 dell'ultima figura del De /’ Infinito (in G! e G? segnata per errore con il n. 15 sia nel testo che in calce alla figura stessa) il n. 15 della prima figura dello Spaccio (in G! e G? n. I). Gli indici sono stati interamente rifatti per le ragioni indicate e conforme ai criteri esposti nella Nota sugli indici (pp. 1181-1187). i Mentre
un
orientamento
esauriente,
oltre
quanto
fin
qui detto, circa la natura dei miei interventi, potrà derivare soltanto dal confronto dei medesimi, preme ora precisare alcuni particolari, con riferimento ai singoli dialo-
ghi, utili alla comprensione
degli interventi stessi.
e già introdotte
e spiegate
dal
del testo critico
della
già citato
Le sigle da me adoperate nelle note al testo della Cena de le Ceneri (accanto a quelle comuni a tutti i Dialoghi Gentile:
con
l'avvertenza
che la sigla G è ora divenuta G! e si è aggiunta la sigla G?) comprendono la lettera A la quale indica le varianti definitive del dialogo derivate dall’esemplare rawlinsoniano, e trasmesseci dal codice Romano, quali figurano nel corpo Cera
(Torino,
1955)
dal
quale appunto sono qui desunte. Le varianti A — indicate in nota per non alterare la struttura del lavoro gentiliano e conforme del resto alle istruzioni editoriali — sono quindi riprodotte con la medesima grafia e interpunzione con le quali appaiono nel testo critico della Cena. Ho però avuto ora occasione di apportare, nel loro ambito, un ritocco
forse
opportuno
ad
una
mia
lezione
congetturale:
a p. 83, nota 1, le parole non prenderanno
quanti han fatti]
de passi sono
[tanti bocconi
infatti emendate
rispetto
gine corrispondenti nel presente volume, facendo però seguire il numero stesso da un punto intetrogativo tra parentesi in neretto. Soltanto a p. 365, nota 1, ho conservato il rinvio alle pagine della prima edizione Gentile (indicata nell'originale con la sigla G. e in questo
pur
volume
con
la
provvisoriamente,
proposito
del sonetto
sigla
G!)
non
al singolare
bruniano
parendomi
abbaglio
E chi mi
di
preso
impenna....
dover
dal
aderire,
Gentile
(la mia
a
preci-
sazione segue, al luogo indicato, tra le consuete parentesi in neretto). XVII 2 —
G.
Eruno.
Dialoghi
italiani
PREMESSA
al testo
in
critico
considerazione
(p.
di
1431718:
.... quanto
analoghe
chetipo della lezione vulgata
han
formule
—
fatto....) anche
bruniane 1, L’ar-
rappresentato
plari superstiti della prima edizione del dialogo continua
peraltro
ad essere indicato
con
dagli esem-
(1584)
la sigla B
—
(il ri-
ferimento a B rispecchia anch'esso il testo critico del dialogo per i brani in cui questo ne deriva). Ove vi siano divergenze tra esemplari della prima edizione (all'infuori
dell'esemplare rawlinsoniano rispecchiato in A), si farà riferimento ad esse precisando la collocazione degli esem-
plari
che
le rivelano.
La
formula
G:!= B
è adoperata
quando la prima edizione Gentile sia analoga all’archetipo mentre la seconda se ne distacchi: se ciò avviene manifestamente
direttamente
fuor
nel
d’intenzione
testo
del
la lezione
curatore,
G'
ho
(relegando
restituito
in
nota
l'erronea versione G?); quando invece la divergenza possa apparire in qualche modo intenzionale, e ove non sia lo stesso
Gentile
a darne
avviso,
di regola
mi
sono
limitato
a indicare G! = B in nota, sempre che la lezione G! mi sia parsa sostenibile contro G?.
Le figure del dialogo sono state corrette conforme alla riproduzione fattane per il testo critico (si veda in proposito
a p.
Quanto
96 l'aggiunta
alla redazione
alla nota
1 di p. 95)*.
primitiva
del principio
del dia-
logo primo — da noi riportata (pp. 541-44) in appendice ai Dialoghi Metafisici per analogia con la seconda edizione Gentile, nella quale figurava in appendice al primo vo1 A conforto
della congettura
stessa
rinvio
alla
Causa,
p. 302:
a fin che non prenda boccone. Sempre con riferimento alle varianti 4
avverto
che nel testo critico del dialogo la parola
dei versi virgiliani riportati a p. 63, nota
l'iniziale
maiuscola
centesco
(cfr.
ediz.
conforme
crit.,
pp.
alla
grafia
1274,
282
a/veus dell'ultimo
3, venne del
nota
riprodotta con
manoscritto
2).
sette-
® Avverto inoltre che conforme a B (e al testo critico) la didascalia della figura 8 (p. 144) è stata posta in calce alla figura stessa anziché
in
alto,
come
si trova
in
G!G?
=
L
(ma
nell'edizione
di-
plomatica quella particolare disposizione era giustificata dall’esigenza di porre il contrassegno della pagina originale all'inizio della didascalia). XVII
PREMESSA
lume — il Gentile dichiara (p. xxxv1) di averla riprodotta « diplomaticamente, con tutti gli errori e le imperfezioni di stampa, solo sciogliendo le poche abbreviature dell’originale »: va tuttavia notato che agli errori e alle sviste dell'originale se ne aggiunsero di nuovi pur nella seconda edizione Gentile (dove peraltro risultano scrupolosamente rivedute alcune lezioni della precedente edizione). Poiché una rigorosa trascrizione diplomatica, derivata dall’esemplare bodleiano della Cena, si trova ora nell’ Appendice I della citata edizione torinese del Dialogo, su questa mi
sono basato per la presente ristampa !. Ho tuttavia segnalato nelle note alcune divergenze di maggior rilievo tra la
mia trascrizione e quella di G? (correggendo però tacitamente l'errata trascrizione della « e della v e pur tacitamente restituendo la riunione o separazione delle parole
conforme
all'originale).
citamente
al mio
Ho
profittato
per
segnalare
in
nota anche alcune sviste della trascrizione in appendice all’edizione torinese. Per le precisazioni alle note della Cena ho attinto taHo
invece
commento
indicato
la fonte
al testo
delle
critico
correzioni
del Dialogo.
ove
quella
fosse diversa. L'edizione della Cera contenuta a pp. 43-121 degli Scritti scelti di Giordano Bruno e di Tommaso Cam-
panella a cura di Luigi Firpo, U.T.E.T. 1949, cui faccio riferimento con la sigla Fi (Firpo), riproduce inalterato il testo della seconda edizione Gentile (dalla quale deriva ampiamente
anche
per le note).
Avverto
qui,
anche
con
riferimento ai dialoghi successivi, che nel denunciare (correggendo) un errore o una svista di G?, mi sono astenuto
di regola dall’ indicare le ulteriori edizioni che ne riproducono il testo e nelle quali l'errore o la svista appaiano meccanicamente ripetuti: tranne nei casi in cui un tale rilievo potesse implicare speciale significato critico.
! Conforme al criterio gentiliano si è però tralasciato di indicare
la misura delle righe dell'originale e si è accettata la soluzione gentiliana delle abbreviature, come pure si sono mantenute le altera-
razioni tipografiche interlocutori.
apportate
dal G.
XIX
nel titolo
e nella lista degli
PREMESSA
Per i dialoghi successivi alla Cena, le correzioni al testo sono di regola giustificate dal rilievo G:=L (anziché
G: = B): il ricorso all'edizione diplomatica del Lagarde anziché all’archetipo bruniano rappresentato dagli esemplari superstiti delle prime stampe si è infatti rivelato op-
portuno per i dialoghi che vanno dalla Causa ai Furori in considerazione del fatto che il lavoro di collazione degli esemplari superstiti è, per questi dialoghi, tuttora in corso
ovvero i risultati relativi non figurano ancora in opera a
stampa :. editoriale
scrupolo diversi
Non
soltanto
assunto,
filologico
esemplari
quindi
e di cui
suscitato
in
si è pur
della prima
dalle
omaggio detto,
ma
divergenze
all’ impegno anche
rilevate
edizione
della Cena
il testo
Lagarde
per
in
si è ri-
tenuto opportuno seguire questa linea ?, in quella che vuol essere l'edizione aggiornata e corretta della « vul-
gata » bruniana
(per la quale
costituisce
tuttavia un precedente prezioso). Per i dialoghi De la Causa, Principio e Uno non si è potuto trarre alcun giovamento dalle ristampe parziali posteriori alla seconda edizione gentiliana: di C. Licitra (1925 e 1948), N. Valeri (1928), A. Guzzo (1933 ecc.), A. Corsano (1936), B. Micardi (1941), A. Renda (rg4i), A. Aliotta (s. d.). Quanto al testo il loro merito consiste in-
fatti nella dichiarata fedeltà all'edizione Gentile o — come nel caso della scelta contenuta nel volume garzantiano Giordano Bruno (1941 e 1944) a cura del Guzzo — all'edizione Spampanato (della quale il Gentile tenne pur conto nella propria seconda edizione). Quanto al commento,
alcune
di quelle ristampe
non fanno
che sunteggiare
sal-
1 Per quanto concerne i dialoghi De la Causa il lavoro per l'edizione critica è ormai compiuto e il volume uscirà prossimamente nella « Nuova raccolta di classici italiani annotati» della Casa Einaudi presso la quale è già uscita l'edizione della Cena.
? Ciò che non ha impedito in pratica il riscontro con esemplari dell'edizione originale particolarmente là dove una lezione di L apparisse sospetta: si è potuto in tal modo correggere (con maggiore sicurezza per i dialoghi De la Causa) qualche errore di lettura tramandatosi dall'edizione diplomatica alle due gentiliane. XX
PREMESSA
tuariamente
le note
del Gentile,
altre si propongono
una
interpretazione ad uso scolastico dei concetti bruniani senza peraltro sviluppare o precisare i dati storico-filologici forniti dal Gentile. Di maggiore utilità si è rivelato invece il Saggio di un commento letterale ad alcune pagine di G. Bruno di Ludovico Limentani (saggio rimasto come dimenticato nei Ricordi e Studi in memoria di Francesco Flamini, Napoli-Città di Castello, 1931, pp. 55-80). La fatica del Limentani è limitata, purtroppo, alle pagine preliminari del Dialogo (pp. 175-90 di questo volume) 1: il testo è basato sulla seconda edizione Gentile, confrontata però di nuovo con l'edizione originale nell’esemplare
che se ne conserva presso la Biblioteca Nazionale di Firenze (e che è quello stesso di cui si servi il Russo per la
revisione
del testo gentiliano:
cfr. p. xXLvIlI di questo
vo-
lume). Ne deriva che il testo Limentani è più accurato dei precedenti: in esso risultano corrette alcune sviste
contenute
in G*
e presentate
di quelle
(sviste
alcune
rilevate
lezioni
tradizionalmente
in nota
congetturali
accolte:
dal
più
mentre
Limentani)
soddisfacenti
mi
sono
limi-
tato a segnalare quest'ultime in nota, ho accolto la lezione
Limentani (Lim) non solo là dove essa fosse già giustificata dal rilievo G: = L, ma pur dove concordasse con il solo L contro G'! e G? (di che ho naturalmente dato notizia
in nota). Per i dialoghi De la Causa faccio riferimento anche alla traduzione francese del Namer? e a quella inglese della Greenberg 3. Delle due la prima è senza dubbio ! Nella premessa al suo Saggio il Limentani dichiarava tra l'altro «li non disperare « di potere, quando che sia, dare alle stampe tutto il commento di questi Dialoghi....» (p. 55). Purtroppo tale proposito non ha avuto effetto. * Giorpano
compagnée philosophie Paris,
Bruno,
Jibrairic
Félix
3 The Infinite in Dialogue ‘ Concerning GrreensERG,
York,
1950.
Cause,
Principe
et
Unité,
traduction
ac-
de notes et d'analyses et précédée d'une étude sur la de Bruno par ÈMiLe NAMER, Docteur en Philosophie,
King's
La
Alcan,
1930.
Giordano Bruno, with a Translation of his the Cause, Principle, and One’ by SipNnEY
Crown
traduzione
Press,
occupa
XXI
Columbia
le pp.
77-173.
University,
New
PREMESSA
più
interessante
anche
perché
tiene
esplicitamente
conto,
oltre che del testo Gentile, della edizione diplomatica del Lagarde e dell’edizione originale (suppongo in uno dei due esemplari parigini); per il commento essa si rivela
spesso
indipendente
da
nella traduzione Namer
quello
gentiliano.
Non
mancano
(e neppure nelle note di commento)
errori e sviste singolari: ma di questi non era qui mio compito avvertire il lettore. Per i dialoghi De /' Infinito, Universo e Mondi qualche riferimento mi è pur occorso di fare alla traduzione (e alle note) della Singer. Quanto allo Spaccio de la Bestia Trionfante e alla Cabala del Cavallo Pegaseo l'unica ristampa posteriore alla seconda
gentiliana
è
quella,
tuttavia
parziale,
contenuta
nel volume XXXIII della collana ricciardiana «La letteratura italiana, storia e testi» del quale dirò tra breve
anche con riferimento ai dialoghi che precedono e a quello che segue.
Nelle
note
aggiunte
ho adoperato
F
Furori,
ai dialoghi
De
Bruno
Nolano,
introduzione
(1928),
note », seconda
e
note
di
(«Collezione
serie,
volume
Italiani », volume
XLVIII);
(Michel) = Giordano
De
Francesco
di
XIX);
Classici
Fi (Firpo) = pp. 161-240 (contenenti dialoghi della parte prima degli Eroici lume Scretti scelti di Giordano Bruno e di panella a cura di Luigi Firpo, U.T.E.T. M
Furori
le seguenti sigle oltre a quelle consuete:
(Flora) = Giordano
U.T.E.T.
gli Eroici
Bruno,
gl’ Heroici
Flora,
Torino,
Italiani
con
i primi quattro Furori) del voTommaso Cam(1949) (« Classici
Des Fureurs
Héroiques
(De gl’ Heroici Furori), Texte établi et traduit par Paul-
Henri tres»,
Michel, 1954.
Paris;
Société
d’ Èdition
«Les
Belles
Let-
Il Flora dichiara di essersi « larghissimamente giovato » 1 DoROTHEA
Thought, Universe
traduzione
With and
WALEY
SINGER,
Giordano
Annotated Translation Worlds', New York,
occupa
le pp.
225-378.
XXII
of His Henry
Bruno,
His
Work ‘ On Schuman
Life
and
the Infinite (1950). La
PREMESSA
dell'edizione Gentile: talvolta comunque se ne distacca tacitamente (a parte per la dichiarata restituzione dell’ et dell'originale) conforme per lo pit alla lezione diplomatica: dove L F concordano contro il testo neralmente una lezione genuina di F
Gentile si ha gecui ne corrisponde
una corrotta di G! e G?. Il Firpo riproduce il testo Gentile (seconda edizione) pur introducendo eccezionalmente una emendazione congetturale. L'edizione del Michel si fonda
sull'edizione
originale
(evidentemente
negli
esem-
plari parigini) e tiene conto di tutte le edizioni precedenti
fino al Flora compreso: di queste fornisce in nota le varianti (o, più spesso, le sviste) rispetto a B, come pure
elenca le lezioni di B da lui stesso criticamente rifiutate. Il testo italiano riproduce quale tuttavia modernizza
l'ortografia dell'originale della alcuni particolari; l' interpun-
zione è modernizzata e in sostanza rifatta «en vue d'une meilleure intelligence du texte »: ne .deriva una certa am-
biguità
formale,
ma
anche
in
virti
delle
note
al
testo
questa edizione si è rivelata la più utile ai nostri fini. Quanto ai miei interventi, il rilievo G:= L ha pur qui
dispensato,
di regola, dall’elencazione di ulteriori analogie;
quando invece G! e G: differiscono da L, il rinvio a L è stato corroborato ovvero confrontato con il rinvio a F e M (secondo che questi ultimi concordino con l’edizione diplomatica o ne differiscano). Quando L e M sono d'accordo contro G! e G= (ed eventualmente gli altri editori)
ho
accolto
la loro lezione
come
genuina,
sempre
nuto conto dei criteri editoriali del Gentile. Recentissimo è il volume Opere di Giordano
di Tommaso Romano
Napoli
liana,
intero,
Campanella
Amerio,
Riccardo
(1956), XXXIII
storia oltre
neri e De la De l’ Infinito, e una scelta PP. 1I12-22 e
a cura di Augusto
e testi».
Ricciardi
Bruno
Guzzo
Editore,
te-
e
e di
Milano-
della collana «La letteratura ita-
La
alla commedia,
sezione
bruniana
i Dialoghi
La
contiene,
Cena
per
de le Ce-
Causa, Principio e Uno; i dialoghi I e V del Universo e Mondi, il dialogo I dello Spaccio dai dialoghi II e III (corrispondente alle 146-54 di G*); una scelta dalla Cabala (G? XXIII
PREMESSA
pp. 242-52, 268-71, 272-87); i dialoghi I, II, III, IV della prima parte degli Eroici Furori e i dialoghi III, IV e V della seconda parte. L'edizione dei Dialoghi è fondata sulla seconda gentiliana; gli editori dichiarano inoltre {p. 760) di aver «tenuto conto per edizione torinese della Cena (1955) ma «mutare
la base
filologica » dei loro
chiarimenti» della di non aver voluto
testi, che
è da inten-
dere fossero già pronti per la stampa all'uscita dell’edizione critica del dialogo 1. Gli editori dichiarano infine di
aver «procurato
di trarre giovamento », nel loro «lavoro
di emendazione delle opere italiane », dalla traduzione tedesca che della Causa diede il Lasson: traduzione, del
resto, già utilizzata dal Gentile. Potremmo quindi considerare questa edizione una ristampa meccanica di G? se una Tavola delle emendazioni non ci costringesse a fornire una definizione più dettagliata. Va anzitutto rilevato che
dei due
curatori l’Amerio
ha fornito
«le chiose
e gli
emendamenti al testo». Poiché egli non ha confrontato la seconda èdizione Gentile con la prima dello stesso Gentile e neppure con l'edizione diplomatica del Lagarde {tanto meno, s' intende, con le edizioni originali); né d'altro canto è disceso ad edizioni recenti dei singoli dialoghi, o di parte di essi, fondate sugli originali (quali l'edizione del Michel per i Furori e il «saggio» del Limentani per la Causa, mentre si è accennato all'uso parziale fatto del testo
critico
testo
in più
zioni » sono quanta gnalate zione o cordare
della
Cena),
ne
risulta
in realtà delle congetture
punti
tipograficamente
che
le sue
basate
corrotto.
«emenda-
su un unico
Delle
cin-
emendazioni fatte dall’Amerio, nove non sono senelle nostre note perché consistenti nella mutaaggiunta di numeri e lettere allo scopo di far conil testo con le figure: con procedimento estraneo
ai criteri gentiliani (che qui giova seguire) e vicino piuttosto ai wagneriani (ma le lettere e la disposizione della
1 Nel volume Guzzo-Amerio non si fa alcun riferimento alle varianti definitive del Dialogo: va tuttavia osservato che quelle varianti si potevano leggere fin dal 1950 in una memoria dei Lincei.
XXIV
PREMESSA
figura
4 risultano
della Cexa);
ovviamente
tredici sono,
derivate
dal
inconsapevolmente,
testo
critico
correzioni
di
errori di stampa conforme a G! (= B) o G1(= L): dietro tali formule (che ricorrono in numero di troppo maggiore pur nelle pagine corrispondenti alla scelta ricciardiana) esse trovano
luogo
edizione,
sono
in conformità (Amerio),
si
nelle
al principio
anche
nostre
le rimanenti
che è alla base
riportate
se non
note;
in
sempre
nota
dietro
infine,
della presente la
di emendazioni
sigla
Am
si tratta;
del che potrà giudicare chi legge. Si è però accolta nel testo l'’emendazione Libia per Libra (p. 159, nota 3), per la quale, oltre all'osservazione del Firpo riportata in nota all'edizione critica, va confrontato lo Spaccio a p. 734 di
questo
volume.
che derivano ad An
servire
a riprova
Qualche
esempio
dal mancato
della inevitabilità
degli
inconvenienti
riscontro G! = L potrà di quel confronto
per
una riproduzione corretta del testo gentiliano. L'errore tipografico di G? da me rilevato a p. 535, nota I (ove di tal
angue di aguzzati denti han morso) viene disinvoltamente spiegato: « dî aguzzati denti è partitivo » (Am p. 469 nota 1). Neppur là dove si accorge dell'errore Ax. può emendare con sicurezza non avendo riscontrato G! = L: l'errore tipografico entia ad
di G? da me registrato entium) viene corretto
a p. 245 nota 2 (Nor troppo ovviamente at
dall'Amerio (A#m p. 343 riga 17); ma l’archetipo (seguito da G! = L) aveva sed. Altrove può avvenirgli di guastare il testo bruniano dove G? l’ha trasmesso intatto: cfr. p. 900 nota 4 di questo volume dove l’Amerio (47m p. 567 nota 1) non ha inteso che nel periodo da lui incriminato oltre vale «inoltre» e de quelle cose dipende da ritegno ancora l'abito, come pure vi dipende de molte ecc. La parola inebriato di p. 886 sembra all’Amerio « errore delle stampe », ma poco prima ha accolto senza commento due patenti errori tipografici di G? da lui lasciati intatti e che non danno senso alcuno: gloria d'asino
(Am p. 553: cfr. p. 879
nota 3 di q. v.) e competa (Am p. 554: cfr. p. 881 nota I di q. v.). Se egli fosse risalito a L o disceso a M si sarebbe persino accorto di alcune parole omesse dal Gentile nei XXV
PREMESSA
Furori o a L
un
(cfr. p. 1025 nota 1 di q. v.). Se fosse risalito a G!
non
trascorso
avrebbe
fatto
dire
tipografico
di
G*?,
a Bruno,
che
ripetendo
la
«materia....
ancora
vien
significata sempre come il geno» (Am p. 297) anziché « per il geno » (cîr. p. 183 nota 2 di q. v.); o, per limitarmi ancora a pochissimi forme inaudite quali
esempi, non gli avrebbe attribuito Unzversade (Am p. 319) per Univer-
sitade (cfr. p. 213 nota I di q. v.), quando poi a p. 323 riga 4 altera di proposito un tipico dicolon bruniano (copulazioni e apposizioni: cîr. il precedente felicità e vera beatitudine) mutando le apposizioni in opposizioni: senza dire, ove in quella formula si volesse ad ogni costo vedere
l’ «antitesi », che apporre e apposizione
furono pur
usati
confusione
(Am
per opporre e opposizione (cfr. p. 219 nota I di q. v.); né gli
avrebbe
sancito
un
conclusione
p. 363 riga 4: cfr. p. 271
confusione
buono
un
del senso;
P. 374 nota
nota 3 di q. v.) con singolare
e neppure
abscurabuntur,
per
3: cfr. p. 286
specie
nota
gli avrebbe
passato
in citazione
biblica
per
(Am
1 di q. v.); né ancora
a
proposito della « materia » sarebbe dovuto ricorrere ad una emendazione (Am p. 387 nota 3: cfr. p. 302 n. s di q. v.) lasciando
q. v.);
con
né
intatta
una
avrebbe
«artificioso
(se
svista
dovuto
non
di G?
spiegare
(cfr. p. 302
un
è trascorso
delle
p. 488 nota 3), ché arfificioso appunto inalterata
si
mantenne
quella
parola
assurdo
nota 4 di
articioso
stampe)»
(Am
scrisse il Bruno
fino
a
G'
e
incluso
(cfr. p. 595 nota 3 di q. v.); né avrebbe attribuito tacitamente al Bruno un stiamo tanti ubligati (Am p. 49I:
cfr. p. 600 nota 5 di q. v.). Se per contro fosse disceso a
Fi per i Furori avrebbe potuto tener conto almeno di una
integrazione opportuna (cfr. p. 959 nota 4 di q. v.). È proprio questo metodo di emendare senza ricorrere a testi
di confronto che induce l’Amerio alle soluzioni più strane. Bruno
scriveva
ad
esempio:
vuole,
che
il mondo
sappia
certo che se quei non parlano per proprio studio.... (p. 986 di q. v.), lezione riprodotta guasta nell'edizione lagardiana
vano
ma
ripresa intatta
erroneamente
da F e M, mentre G! e G? inseri-
(ma certo per trascorso tipografico XXVI
di
PREMESSA
G: riprodotto
1. c., nota
1).
in G*) un primo se dinanzi a il mondo L'Amerio,
anziché
emendare
(cfr.
eliminando
il
primo se inserito dal tipografo laterziano, elimina quello legittimo davanti a quei (vuole, che se il mondo sappia certo che quei ecc.) con quel danno, per il senso dell’ intero periodo,
che ognuno
può rilevare
(cfr. 41: p. 59I
nota 2,
dove si dichiara: «innanzi quei abbiamo espunto un superfluo ‘se’ delle stampe»!). Bruno dice regolarmente .. quello che #° innamora del corpo è una certa spiritualità che abbiamo
in esso.... »;
l’Amerio
(Am p. 595), senza
rilevare il passaggio dal singolare al plurale. riproduce la corruzione (tipografica ?) di G?: «quello che 7’ innamora....»
(cfr. p. 992,
nota
1 di q. v.). Bruno
ha un
verso
note
2 e 3
degno del modello biblico (Che mi bacie col bacio de sua bocca) e l’Amerio glielo riproduce accogliendovi una lezione assurda determinata da errore tipografico in G?: .. di suo
bocca....
di q. v.). Bruno è vano,
possiamo
per
consueta
(Am
dice:
p.
609:
« Perché
certificarci
de
cfr.
p.
nessun stato
1010
desiderio
più
naturale
eccellente
che
certificarci
da
conviene a l’anima fuor di questo corpo.... », e l'Amerio rende paradossale questa sentenza facendogli dire, sempre la
ragione:
«.... possiamo
stato....» (Am p. 642; cfr. p. 1153 nota 3). Potrei moltiplicare tali esempi,
ma
non è questo il luogo
di recensire,
pur limitatamente alla parte testuale, il lavoro in discussione. Quanto alle «chiose » dell’Amerio, è pure occorso citarle
ogni
qual
citato,
esse
dipendano
sazione
al Gentile:
volta
ne
tranne
derivi
una
correzione
là dove, come
dalla
riproduzione
o preci-
pur in un caso di
corruzioni
tipografiche di G* ovvero nei casì in cui al rilievo storicofilologico si sostituisca una particolare intenzione ideo-
logica.
Nel chiudere questa premessa aggiungo, con riferimento alla nota 1 di p. 571, che lo stesso personaggio (Sauolinus) è interlocutore di due dialoghi latini di Bruno (/diota Triumphans, seu De Mordentio inter Geometras Deo e De Somnii Interpretatione, seu Sylua Geometrica) non compresi nell'edizione nazionale degli Opera latine conscripta XXVII
PREMESSA
e rimasti finora ignorati dagli studiosi del Bruno. Di essi vado preparando l'edizione per le « Edizioni di Storia e Letteratura » (Roma) dirette da don Giuseppe De Luca. GIOVANNI University
Gennaio
College London.
1957.
XXVI
AQUILECCHIA
PREFAZIONE
G.
SomMarto:
Bruno. —
I.
AI ‘DIALOGHI
Posto
dei
Dialoghi
METAFISICI’
metafisici
tra
II. Brano sconosciuto d'uno di essi. —
tuna fino all'edizione Wagner. — sente: criteri e metodo di questa.
le
opere
di
III. Loro for-
IV. L'edizione Lagarde e la pre— V. Nuove traduzioni tedesche.
Delle sue opere più filosofiche Giordano Bruno non ne aveva pubblicata nessuna fin alla primavera del 1583, quando si recò a Londra, al servizio dell'ambasciatore francese Michele di Castelnau di Mauvissiére,
come suo gentiluomo.
A Parigi,
nel 1582, oltre il Candelaio, aveva dato in luce il De umbris idearum
con
l’Ars
memoriae,
#
Cantus
Circaeus,
1! De
compendiosa architectura et complemento Artis Lullii. Ma l’ultima di queste operette non è se non un riassunto dell'Ars magna dî Raimondo espositori
precedenti,
Lullo, con commenti e critiche degli
che non
mutano
il carattere,
né accre-
scono il valore del libro; e le prime due trattano di arte innemonica: altra bizzarra passione del Bruno, la quale doveva essergli cosi tragicamente fatale a Venezia. I In Inghilterra, sulla fine dell''8 3, pubblicò un altro volume
di scritti mnemonici,
contenente la Recens
et completa
ars
reminiscendi (ristampa dell’Ars memoriae, uscita l’anno prima XXIXN
PREFAZIONE
AI ‘| DIALOGHI
METAFISICI*
col De Umbris); Za Explicatio triginta sigillorum, dedicata al Mauvissière; e il Sigillus sigillorum. Sicché la serie delle sue opere d’argomento schiettamente filosofico s° inizia nel 1584 con la Cena de le ceneri; a cui, nello stesso anno, seguono immediatamente gli altri due libri: De
la causa,
mondi. della
principio
Awnche
bestia
e uno
nel 1584
trionfante;
e De
il Bruno
l'infinito,
universo
pubblicherà
e nell'anno
seguente,
e
lo Spaccio
prima
di la-
sciare Londra, le altre due opere italiane: Cabala del cavallo pegaseo con l'aggiunta dell’Asino cillenico, e De gli eroici furori. Queste opere, scrilte in italiano, come comportava la cultura
e una
certa
moda
letteraria
di Londra,
dove
allora
era largamente diffusa la conoscenza della nostra lingua, e în dialoghi, che erano la forma preferita dai filosofi e moralisti italiani del Cinquecento, si lasciano agevolmente classificare, per la materia, in due gruppi: Dialoghi metafisici è primi tre; e Dialoghi morali gli altri tre, secondo l'ordine stesso in cui vennero in luce. E «Dialoghi morali» vengono ordinariamente
denominati
benché,
lo Spaccio,
a dir proprio,
la Cabala
la Cabala
non
e gli Eroici
sia un'opera
furori; di etica,
avendo per motivo prevalente la satira del misticismo. Ma « Dialoghi inetafisici » possono di certo intitolarsi questi, raccolti nel presente
del De 1 La
ciascuna
numero
l'infinito; dicitura
opera
delle
volume,
della
quantunque
completa
in questo
del
volume;
carte, numerate
Cena,
del De
oggi possano frontespizio
la causa
parere
è riferita
e
estranee in
testa
a
dal quale si può pure desumere il
o no, delle edizioni originali. Le quali
sono tutte tre in piccolo formato in-12° STRINI, Bibl. bruniana, nn. 47, 53, 69).
(in-8° picc.: La data di
cfr. SALVEVenezia
apposta al De la causa e al De l’ infinito è falsa. Questi libri, come la
Cena,
uscirono
in
Londra.
% (Per queste osservazioni si veda ora G. AQuILEcCHIA, zione del volgare nei Dialoghi londinesi di G. B., « Cultura tina », XIII (1953), fasc. 2-3, pp. 165-809.) XXX
L’adoNeola-
PREFAZIONE
AI
‘DIALOGHI
METAFISICI’
al dominio della metafisica le discussioni astronomiche e cosmologiche della prima e della terza opera. Metafisici sono perché il motivo del filosofare del Bruno, anche in tali discus-
sioni,
è schiettamente
metafisico ; e perché la Fisica
telica, a cui questa del Bruno sullo
stesso suo
terreno
con
aristo-
vuole sostituirsi, e che combatte le stesse
sue
armi,
è appunto,
com’è noto, un corpo di dottrine puramente metafisiche intorno alla natura. Dopo queste opere italiane, in Inghilterra il Bruno non pubblicherà altro. Ma dall''85, quando tornò in Francia, fino al 159I, quando fu chiamato dal Mocenigo
a
Venezia;
dove l’anno appresso la denuncia al S. Uffizio troncò la sua carriera
di scrittore,
per troncargli,
dopo
nove anni
di pri-
gionia, anche la vita, togliendogli di pur dare in luce le altre opere già pronte e «una in particulare Delle sette arti liberali »1 (che più non si trova, quantunque finora si sperasse conservata nell'Archivio del S. Uffizio*); in questi sei anni di vita raminga, da Parigi a Magonza, a Marburgo, a Vittemberga, a Praga, ad Helmstadt, a Francoforte, a Zurigo e di nuovo a Francoforte, il Bruno non ebbe più agio di pubblicare alcun libro italiano. Stampò ancora parecchi scritti latinî,
lulliani
e mnemonici,
che qui non
un riassunto della fisica aristotelica:
accade
Figuratio
ricordare;
Aristotelici
physici auditus; e l'esposizione di talune invenzioni smatema-
tiche del salernitano Fabrizio Mordente: Dialogi duo de T'abricii Mordentis Salernitani prope divina adinventione eic. (1586). Stampò due opuscoli critici contro la fisica aristotelica e contro è matematici : Centum
et viginti articuli
! Vedi
il costituto veneto del B., del 30 maggio
® Vedi
E. C., Nuovi
PANATO,
in Giorn.
Vita di G. Bruno,
Messina,
Principato,
1921,
1592;
in SPAM-
p. 703.
documenti inediti sul processo di G. Bruno,
crit. di filos. ital., V (1925), fasc. XXXI
2°.
PREFAZIONE
de
natura
AI‘ DIALOGHI
et mundo
adversus
METAFISICI’
Peripateticos
nel 1588 col titolo di Acrotismus);
(1586;
Articuli centum
rist.
et sexa-
ginta adversus huius tempestatis mathematicos atque philosophos (7588). Rappresenta un corso di sue lezioni dettate a Zurigo nel 1591 la Summa terminorum metaphysicorum e Praxis descensus (applicazione al reale dei concetti metafisici definiti nella Summa), che fu pubblicata da un suo scolaro, Raffaele Eglin, nel 1595. Ma le opere più importanti di questo secondo periodo son quelle venute alla luce nel 1591 a Francoforie; ossia i tre poemi latini: 1° De triplici minimo et mensura ad trium speculativarum scientiarum et multarum activarum artium principia libri V; 29° De monade,
et
figura,
secretioris .nempe
physicae,
numero
mathematicae
et
metaphysicae elementa; 3° De immenso et innumerabilibus,
seu de universo et mundis libri VIII. Le opere inedite, pubblicate nel 189I dal Tocco e dal Vitelli appartengono a questo stesso periodo dei poemi; e confermano la predilezione del Bruno per l’arte lulliana nonché lo studio profondo che egli aveva fatto della Fisica di Aristotele; giovano a chiarire alcune delle idee metafisiche dei poemi; ma non contengono nulla di nuovo !.
Sicché gli scritti principali, da cui bisogna attingere la cognizione della filosofia bruniana, sono i dialoghi italiani di Londra e i poemi latini di Francoforte. Anche le altre opere, s’ intende, vanno studiate da chi voglia indagare lo sviluppo del pensiero bruniano. Lo stesso De umbris di Parigi e il Sigillus di Londra ci mostrano un Bruno neoplatonico, che ci fa intendere il neoplatonismo del De la causa. Ma le idee, R.
I Vedi F. Tocco,
Università,
1891
Le opere
(estr.
e politiche di Napoli).
dagli
inedite di G. Afti
XXXII
della
D.,
Napoli,
R. Acc.
tip, della
di scienze
mor.
PREFAZIONE
AI‘ DIALOGHI
METAFISICI’
che han guadagnato al Bruno un posto cospicuo nella storia della filosofia, sono esposte nei dialoghi italiani
e nei poemi
latini. Dei quali, si badi, il maggiore, quello che, a parere del Bruno, raccoglieva la somma del suo filosofare, il De immenso, era già cominciato a Londra, nello stesso anno 1584,
quando il Bruno scriveva il De l’ infinito +. E rel De minimo e nel De monade, che furono scritti dopo il poema maggiore (o
dopo, almeno,
buona
parte
di
esso),
il
Bruno
credette
esporre le dottrine che dovevano servire di base 0 preparazione alla sua intuizione del mondo, qual'è presentata e difesa nel De immenso.
«In primo
volumine
(De
ininimo)
cupimus, in secundo (De mmonade) incerti quaerimus, in tertio
(De immenso) clarissime demonstramus » ?.
Ora, se fra la trilogia italiana e la latina non c'è una perfetta corrispondenza, se î poemi offrono svolgimenti nuovi di pensiero
e notevoli modificazioni în taluni particolari, si
badi tultavia che il De minimo riprende la stessa materia del De la causa; e #1 De immenso quella della Cena e del
De
l'infinito,
che
sono
tra
loro
streltamente
congiunti.
Chi
pertanto leggerà i dialoghi raccolti in questo volume, entrerà
nel cuore stesso della filosofia bruniana ; e se, prima di riscon-
trare le opere latine, non potrà dire di avere una conoscenza compiuta di essa, certo ne possederà la parte sostanziale +. delle in
! Vedi
le osservazioni
del FioRENTINO,
nella prefazione
Opere latine del B., ediz. più sotto citata. ® Vedi l' Epistola dedicatoria et clavis premessa
Opera,
3 Delle
italiana,
I,
1,
196.
opere
a spese
latine
dello
si
ha,
Stato,
com'è
decretata
noto, dal
al I vol.
al De immenso,
un'edizione
ministro
completa
Francesco
de
Sanctis. Consta di 8 tomi in 3 voll.; dei quali il vol. I, in 4 parti, contiene i poemi latini e le altre opere costruttive, espositive e cri-
tiche; il vol. II, in 3 parti, le opere mnemoniche e lulliane; il III le opere
inedite
conservate
in vari
codici
di Mosca,
di
Augusta
e di
Francesco
Fio-
Erlangen. Le prime due parti del vol. I furono pubblicate a Napoli,
editore
Domenico
Morano,
nel
1879
XXXIII 1
—
G.
Bruno,
Diuloghi
italiani
e nel
1884
da
PIREFAZIONE
AI‘ DIALOGHI
METAFISICI'
I L'esemplare della Cena de le ceneri che nel 1907 fu acquistato dalla Biblioteca Nazionale di Napoli presenta una singolarità, sulla quale giova qui subito fermare l’attenzione. St conosceva dell'opera una copia esistente nella Biblioteca di Gottinga, e în essa notavasi un errore nella numerazione delle pagine (che incomincia dopo l' Epistola proemiale); e cioè alla p. 4 ne seguivano due segnate col numero 5. Errore certo non grave e da non meravigliare chi sappia che questi errori non sono poi tanto rari negli archetipi bruniani. Poteva bensi parere strano a un osservatore attento del libro, che la numerazione cominciasse a mezzo il primo foglio di stampa,
dopo,
come
pagina undecima;
s'è detto,
l’ Epistola
che
termina
alla
ciò che poteva indurre a credere che la
stampa fosse stata iniziata col frontespizio, esistente nella prima pagina dello stesso primo foglio; e non si vedeva quindi perché non si fossero numerate anche le pagine dell’ Epistola, cominciando dalla prima. La copia napoletana fa piena luce, in modo inatteso, sopra questo punto. Essa infatti dopo il primo foglio ci dà quattro
RENTINO, col titolo: Opera latine conscripta publicis sumplibus edita. Con lo stesso titolo si continuò a pubblicare il resto. E cioè: la parte 18 del vol. II a cura di VITTORIO IMBRIANI e CARLO MARIA TAL-
LaRrIGO, ancora a Napoli, presso il Morano, ncl 1886; tutte le altre parti del vol. I e del II, e il III, a Firenze, coi tipi dei Succ. Le Monnier,a cura di FrLIce Tocco e GrroLAMO VITELLI: vol. I,
parti 35 e 43 e vol, II, parte 38 nel 1889; vol. II, parte 28 nel 1890; vol. III nel 1891. Noi le citeremo col semplice titolo: Opera. Intorno
alla parte
curata
dal
Fiorentino
v.
SIGWART,
in Goettingische
gelehvte Anzeigen del 5 e 12 gennaio 1881; e Tocco ne La Cultura di R. Bonghi, a. IV (1885), vol. VI, pp. 337-44. Il vol. dell’ Imbriani
e Tallarigo è riproduzione diplomatica degli archetipi. Ottima l’edizione
delle parti
stampate
a Firenze.
XXXIV
PREFAZIONE
AI
‘* DIALOGHI
METAFISICI*'
pagine finora sconosciute ai bibliofili e agli studiosi di Bruno,
contenenti una redazione primitiva del principio dei dialoghi della Cena, e precisamente del brano compreso nelle prime cinque pagine numerate degli altri esemplari noti; le quali sono le ultime cinque del primo foglio. Onde si spiega agevolmente l'errore delle due pagine segnate col numero 5 (una
essendo
l'ultima
del primo
con 5, la prima»
foglio,
del secondo
e l'altra,
foglio);
già
riumerata
viene accertato che il
primo foglio del libro fu l'ultimo a stamparsi; e quindi viene anche chiarito perché la numerazione non poteva più incominciare dalla prima pagina dello stesso primo foglio*. Nella nuova redazione il Bruno ampliò notevolmente 1 (Ma ® (La
pagine
in realtà la quinta: segnata in calce B. 3 (recto).) «singolarità» sopra discussa, e cioè la presenza delle
contenenti
la redazione
primitiva
del principio
del
I dial.
accanto a quelle contenenti la definitiva — rilevata invero fin dal sec. XVIII da Laus de Boissy in una nota ms. (cfr. G. AQUILECcHIA,
La
lezione
Pp. 211-12) —
definitiva
ecc.,
Roma,
Acc.
Naz.
dei
Lincei,
1950,
si riscontra in altri esemplari della Cera, alcuni dei
quali già illustrati nella citata memoria: Nazionale di Firenze (ms.), Nationale di Parigi, Bodleian Library (Oxford); cui aggiungo ora,
tra
le copie
da
me
recentemente
esaminate,
due
dei
tre
esemplari
del Trinity College di Cambridge (M. r2. 145! e D. 9. 122) e l'esemplare del Saint John's College di Cambridge. Avevo già rilevato
l'estirpazione delle due pagine in questione da quattro almeno degli esemplari che ora presentano soltanto la redazione definitiva del I dial,
(cfr. l’ediz. crit. della Cena,
che l'esemplare l'estirpazione.
da me
sidente lege di
di AIl Souls
Ma
a seguito
finora esaminati e dei Fellows, Oxford) posso
College
di
(incluso,
più
pp.
238
(Oxford)
attento
per cortese
e 274):
presenta
esame
degli
preciso ora
tracce
concessione
esemplari
del
Pre-
quello che si conserva al Corpus Christi Colaffermare che essi tutti contenevano in ori-
gine le due pagine discusse dal Gentile (segnate in calce B. B. îi.): infatti in tutti gli esemplari mancanti della redazione
mitiva il secondo
del-
quaderno
i. e pri-
del volume risulta privo delle cc. B. i.
e B. ti. (cfr. la descrizione dell'esemplare moscovita a p. 274 dell'ediz. crit. della Cena). Ciò che viene a ridurre a tre (di cui la prima soltanto ipotetica: cfr. la nota del Boissy riportata a pp. 211-12
della cit. Memoria)
ritenute
quattro
le fasi note della stampa del dialogo, già da me
pur
nella citata
ediz.
NXXV
critica.)
PREFAZIONE
questo primo
AI
DIALOGHI
METAFISICI'
tratto del primo dialogo, tanto da farne cinque,
in luogo di qualtro pagine; di convenienza personali 0 capriccio, natogli a vedersi stegli nel foglio, stampato da
non si può dire se per ragioni per motivi artistici, o per mero le cinque pagine bianche rimaultimo, del frontespizio ed Epi-
stola proemiale. Certo, 11 brano mella seconda redazione guadagna di brio e di bizzarra vivacità. È anche da notare che
due persone (il Florio e il Gwinne), che prima eran nominale, si ritirano nell'ombra. Dell'ambasciatore di Francia non st fa più menzione. Di quel Frulla ammesso nella conversazione con maestro Smith a pigliarsi giuoco del pedante non si fa piu un servitore dello stesso Smith. E veramente, per servo, sape-
va troppo di latino, di Bibbia e di letteratura. Basta supporre il desiderio di mutare uno di questi particolari per spiegarci
il bisogno che sorgeva di rifare e ampliare il principio del pri-
mo dialogo, fino a riempire le pagine bianche del primo foglio.
Comunque,
lano
le quatiro pagine che l'esemplare napole-
ci ha conservate, e che si possono considerare quasi ine-
dite, sono riprodotte nell'Appendice del presente volume?, dove ogni lettore, col confronto della redazione che a quelle pagine venne sostituita (pp. 19-27), potrà vedere come Bruno abbia rifatto e recato a maggiore perfezione il suo scritto. E vi sono riprodotte diplomaticamente, con tutti gli errori e le imperfezioni di stampa, solo sciogliendo le poche abbreviature dell'originale. III I Dialoghi metafisici, usciti, dunque,
a Londra nel 1584,
quantunque, a giudizio del Florio, facessero parte del « meglio ! (Vedi
pp.
539-44
della
presente NXXVI
edizione.)
PREFAZIONE che
è pui
celebri
AI‘ DIALOGHI
uomini
hanno
METAFISICI’
scritto »*,
andarono
presto
dispersi, come î Dialoghi morali, dopo la fine sventurata dell'autore. Ed è noto che nel sec. XVIII, quando cominciarono ad attrarre l'attenzione degli studiosi,
che nel Bruno
videro
un precursore di Spinoza e di Leibniz, eran diventati di una rarità
estrema.
Pochissimi,
per
un
secolo,
poterono
vederli ;
e generalmente non ne correvano se non notizie indirette e qualche estratto. Nel 1726 venne alla luce una esposizione del De l'infinito con la traduzione in inglese dell’ Epistola proemiale,
del
libero
pensatore
irlandese,
il
pan-
teista Giovanni Toland ®. Nel 1789 Federigo Enrico Jacobi, nella seconda edizione delle sue Lettere sulla dottrina di Spinoza,
convinto
che Gassendi,
Descartes e Leibniz avessero
tratto partito da quello oscuro scrittore e da lui prese talune parti importanti dei loro sistemi (wichtige Theile ihrer Lehrgebiude aus ihm gezogen)3, offriva al lettore, come saggio della Filosofia nolana, alcuni estratti del De la causa: cioè la traduzione di questi dialoghi, tolta via la forma dialogica, e tutte le ripetizioni, dieressioni e lungherie, non rare negli scritti del Bruno, il quale compose affrettatamente tutte le sue opere, e più queste italiane. Anzi che una traduzione, pertanto, questa data dal Jacobi in appendice
alle sue Lettere,
è un
riassunto;
ma
un
riassunto
compilato quasi sempre con i termini stessi del Bruno. I V.
SPAMPANATO,
® Collection
in Critica,
of several
pieces
McINTYRE,
G.
XIX,
of
367-8,
Mr.
JOHN
XXI,
314,
TOLAND,
XXI,
with
Del
I2I.
some
memoirs of his life and writings, London, Peele, 1726, vol. I, pp. 304-49.
Cfr.
J.
P. 349.
Lewis
Il McINTYRE
(p. 94
l' infinito una trad. ingl. di La
ignota anche
a I. FRITH,
n.)
Bruno,
cita
RocHE,
nel Catalogo
in app. all'opera qui appresso citata.
London,
della stessa
Memoirs
di The
Macmillan,
Epistola
1903,
del
existing works
of B.,
3 Pref. alla 2% ed. dell'opera Ueber die Lehre des Spinoza Briefen: in Werhe, Leipzig, Fleischer, 1812-25, IV, 1, 8-9. XXXVII
De
of literature, vol. II;
in
PREFAZIONE
AI‘ DIALOGHI
METAFISICI'
lesto italiano, egli, oltre poche righe del 3° dial. (Tra le specie di filosofia.... una vita più beata e più divina; f. 277 di g. ediz.), apposte per epigrafe a tutto il corpo delle appendici, diede soltanto tre pagine, in nota (Mi par udir cosa..., E non dico di vantaggio: ff. 239-43 di 9. cd.). L'estratto consta di quatiro capi : 1° Della causa in quanto è diversa dal principio
e una
con
esso.
Identità
della causa
agente,
formale e ideale; 2° Del principio materiale in generale, e quindi, in particolare, del principio materiale considerato come potenza; 3° Del principio materiale considerato come soggetto;
4°
Questo
Dell'uno!.
estratto, mirabile di chiarezza
il principio
della
rinnovata
Joriuna
e precisione,
delle
opere
segnò
bruniane.
Pochi estratti e accurati riassunti ne diede nel 1802 il Buhle
nella sua Geschichte stesso Jacobi (morto a più ampia traduzione Bruno fu pubblicata del Rixner e del Siber Monaco)
sulla
del sec. XVI
der neuern Monaco il 10 tedesca, che di nel 1824 nella (professore di
vita e le dottrine
Philosophie =. Ma allo marzo 1819) si deve una queste opere italiane del parte quinta dell'opera fisica nel Liceo reale di
de’
fisici
e il principio del XVII3.
celebri
della
fine
In questo volumetto,
1 Werke, VI, n: Beilagen zu d. Briefen liber d. Lehve des Spinoza; Beil. I, pp. 5-46. (ma
? Nella
23),
trad.
franc.
sono frammisti riepiloghi
un
XVI
brano
(par
A.
J.
pp. 604-730. All’esposizione
3 Leben
del De
und am
und
la causa
delle
tradotto.
Lehrmeinungen
Anfange
opere
des XVII
L.
Jourpan)
minuta
italiane,
beriihinter
t.
II,
del pensiero
parte
e in
nota (pp.
Physikev
am
Jahrhunderts,
1%
bruniano
664-6)
Ende
als Beytrige
des
z. Ge-
schichte der Physiologie in engerer u. weiterer Bedeutung hg. v. THADDX ANSELM RIXNER.... u. THADDA mit dessen Portrait, Sulzbach,
SiBER: Seidel,
V. Heft: Jordanus Brunus, 1824. Il ritratto, qui per la
prima volta pubblicato (riprodotto poi dal Wagner nella sua ediz. delle Opere italiane, da I. FrITH [ISABELLA OPPENHEIM] nella sua Life of G. B. the Nolan revised by prof. M. Carriere, London, Triibner,
XXXVII
PREFAZIONE
AI ‘| DIALOGHI
METAFISICI*
a poche notizie biografiche sul Bruno tengon dietro dieci dialoghi, tradotti in tedesco, del Dela causa ed el De l' infinito 1:
ossia quasi interi questi due libri, tolte le epistole proemiali
e fatti alcuni brevi tagli nel mezzo. E nella prefazione i traduttori dichiarano di dovere alla liberalità del Jacobi di essersi potuto procurare un esemplare dei due libri, che il Jacobi
possedeva. Segue una serie di estrattî delle opere latine, pure
tradotti, e la versione tedesca di 10 sonetti (dal De la causa, dal De l’ infinito e dallo Spaccio) eseguita dal parroco Michele Waldhausen. Se non
che,
cioè poca; e la diffusione Rixner e del non poté che
questo
libro ebbe la fortuna
che meritava,
nulla o quasi si può dire se ne avvantaggiasse della conoscenza di Bruno. La traduzione del Siber formicola dei pi grossi spropositi =. Essa acuire il desiderio delle opere originali.
E tal desiderio, finalmente,
venne soddisfatto nella stessa
Germania nel 1830 dal dottore Adolfo Wagner, con la sua edizione delle Opere (sic) di Giordano Bruno Nolano ora per la prima volta raccolte e pubblicate in due volumi 3: 1887;
citata)
e dal KUHLENBECK
dicono
gli autori
nella trad. della Cena
di aver ricavato
da una
che sarà più sotto
stampa
apparte-
nente alla raccolta del sig. Consigliere (Kyeisregierungsrathes) mann, di Monaco: stampa in-8° picc. « Il nome del calcografo strappato. Probabilmente apparteneva come rame del titolo kupfer) a qualcuna delle operette del Bruno » (p. Iv). Se è da per autentica, siccome rappresenta Bruno giovanissimo e cocolla, bisogna pensare che fosse premessa a uno degli opuscoli
Wirthè stato (Titeltenersi con la smar-
riti, pubblicati dal B. prima di lasciare 1’ Italia, probabilmente l'Arca di Noè,
dedicata a Pio V. Cfr. V. SPAMPANATO,
I (Il SALVESTRINI
(Bibliogr.
brun.,
nn.
59,
Vita di G. B., p.580.
73,
330),
nell’attri-
‘buire erroneamente allo stesso Jacobi queste traduzioni, sembra fraintendere il presente passo del G. Cfr. L. LIMENTANI, in Ricordi e studi în mem. di F. Flamini, Napoli 1931, p. 56.)
2? È il giudizio del Lasson, op. pit sotto cit., p. x1x.
3 Lipsia,
Weidmann,
MDCCCXXX,
in-8°.
Vol.
I,
col
ritratto
del B., di pp. xXxVI-292; vol. II, di pp. 437. L' Introduzione W. reca la data di «Lipsia a' di 20 Nov. 1829». XXXIX
del
PREFAZIONE
AI' DIALOGHI
METAFISICI*
dove erano ristampati nel vol. I: il Candelaio, la Cena e il De
la causa;
e nel vol. II:
il De
l'infinito,
Jo Spaccio,
la
Cabala e gli Eroici furori. Che la pubblicazione venisse incontro a un vivo desiderio di molti, è mostrato anche dal fatto,
che tre o quattro anni dopo l'edizione era esaurita *. Fu quindi per parecchi decennit assai ricercata; e nel 1855 Bertrando Spaventa, che allora studiava la filosofia del Bruno e intendeva
scriverne
anche
la
vita,
trattava
con
l'editore
Felice
Le Monnier di Firenze per una nuova ristampa degli scritti italiani. Essa certo sarebbe stata una riproduzione dell'edizione Wagner ®; ma lo Spaventa avrebbe premesso a tutta la raccolta un volume d' introduzione,
e a ciascuna
opera
un
riassunto sull'esempio del Jacobi». Le trattative per altro non giunsero în porto. E dei Dialoghi metafisici soltanto la Cena /u riprodotta nel 1864 da E. Camerini nel vol. 36 della
Biblioteca
veva
rara,
che si pubblicava
1 Il GioBERTI,
a Teodoro
in una
di Santa
copia del Bruno
a Milano
lett. del 9 maggio
Rosa:
del Wagner;
temere
1834
di non
dal
da
Daelli 4.
Parigi,
poter
trovare
scri-
una
« perché mi è stato detto che lo stam-
patore di Lipsia ne ha vendute tutte le copie » (Ric. biografici e car-
teggio,
Torino,
Botta,
1860-62,
I, 285).
Silvestro Centofanti nel
dovette chiedere l’opera in prestito al Capponi E
il Capponi,
Bruno
sinché
mandandogliela,
vi
abbisogna;
ma
gli
scriveva:
tenetemene
per poterla leggere.
a Tenete
conto,
che non si trova » (Lettere, ed. Carraresi, I, 367). 2 Alla quale più tardi B. Spaventa desiderava
critica, a tutti
1834
il Giordano
perché
è libro
indulgente
la
non foss'altro perché questa edizione aveva reso « accessibili le scritture volgari del B., ch'eran prima albis corvis rario-
res»: V. IMBRIANI,
Nafanar II, in Propugnatore,
col titolo L'amore
dell'eterno
1875, VIII, 1, 73-4.
3 Un estratto degli Eroici furori pubblicò lo Spaventa nel 1855
di critica, Napoli, Ghio,
e del divino;
1867, pp.
del B. si vegga S. SravenTA,
ed è rist.
ne’ suoi
Saggi
176-095. Per la disegnata edizione
Dal/1848 al 1861: lettere, scritti e docu-
menti, a cura di B. Croce, Bari, Laterza, 1923, p. 180; Bertrando Spaventa, Firenze, Vallecchi, 1924, p. 744 Il Camerini non vi mise, del resto, il suo nome,
e GENTILE, e si
limitò
a mandare innanzi alla Cena il giudizio del Bartholmèss su quest'opera, recato in italiano. L’ediz. in-12° è di pp, x1II-142. Nella stessa Bibl. XL
PREFAZIONE
«Nuova
edizione
AI
‘DIALOGHI
diligentemente
METAFISICI’
corvetta », si annunzia
nel
frontespizio. Ma è condotta sulla wagneriana; e le correzioni, per quanto diligenti, sono tutte arbitrarie. Cattiva era quella
del Wagner; e peggiore fu questa del Camerini. I gravi difetti dell'edizione Wagner furono la prima volta argutamente e ampiamente illustrati, con l'esame del testo del Candelaio, nel 1875-76, da Vittorio Imbriani in una lettera dal titolo bizzarro: Natanar Il: Vi tornò Francesco Fiorentino nel 1879, nella prefazione alle Opere latine, confrontando parzialmente il testo Wagner del De la causa con l'edizione principe =. E piu tardi, additando nuovi errori e dimostrandone
în
modo
definitivo
lo
scarso
valore
critico,
Paolo de Lagarde, in appendice a una nuova edizione accuratissima di tutte le opere italiane del Bruno. IV L'edizione Berlino,
curata
orientalista
da
Paolo
insigne,
de Lagarde editore
del
(1827-1891)
testo
siriaco
di delle
Sacre Scritture, scrittore di cose religiose e di educazione, è di un'importanza capitale, data la straordinaria rarità delle edizioni originali di questi scritti italiani del nostro filosofo. Venne în luce nel 1889; ma reca questo frontespizio: Le opere italiane | di | Giordano
Bruno | ristampate
| da
PaoLo DE LAGARDE— Gottinga 1888 —Dieterichsche Universitàtsbuchhandlung| (Lùder Horstmann). rara uscirono, come si dirà altrove, la Cabala,
furori;
e anche
! Lettera
Gnatore,
1875,
il Candelaio.
al comm. VIII,
Fr. Zambrini
I, 72-99,
lo Spaccio e gli Evoici
sul testo del Candelaio;
187 sgg.; VIII,
11, 434-64;
1876,
PropuIX,
1,
328-62; IX, 11, 74-89. Un esempio eloquente del genere degli errori commessi dal Wagner è indicato in q. ediz. a p. 439 n. 2. ® Opera,
I,
1, XII-XVII.
XLI
PREFAZIONE
AI
' DIALOGHI
METAFISICI'
È in-8° gr. di pp. 800, divise în 2 voll., ma progressiva-
mente numerate:
il vol. I da p. I a 400;
il II da p. gor
a 800. Le ultime 46 pagine contengono un indice alfabetico di nomi e cose notabili, e una relazione » del Lagarde sui criteri della propria edizione. D' importanza
capitale,
ho
detto,
perché
questa
edizione
riproduce letteralmente, e quasi diplomaticamente, gli archetipi, solo correggendone gli errori tipografici manifesti, segnati per altro în nota, a piè di pagina. IL confronto che io ho potuto farne con gli esemplari delle edizioni originali mi ha assicurato dell’accuratezza grandissima con cui il testo Lagarde si attiene all'archetipo. Gli scrupoli del Lagarde nella riproduzione delle prime stampe in verità furono eccessivi. Aderendo aî criteri espressi pel testo del Candelaio dall’ Imbriani (col quale egli stesso ci fa sapere di aver discorso personalmente intorno ai doveri di un editore, a Napoli, nella Pasqua del 1885), egli osservava =: « St ritiene che il Bruno abbia di persona curato la stampa di tutti i suoi scritti. A Ginevra si guadagnò il pane come correttore. Che, più tardi, a Francoforte, si correggesse da sé i suoî scritti latini, ci è attestato esplicitamente dal Wechel. Per scritture italiane difficilmente si trovavano corvettori a Parigi e a Londra; e non essendovi esperti compositori d' italiano, l’autore dei dialoghi italiani era naturalmente
costretto, se non voleva lasciar guastare î suoi testi, per sé
difficili a intendersi, a riveder lui le bozze di stampa. Quindi
segue che una nuova edizione delle opere italiane di G. Bruno non può essere altro che una riproduzione letteralmente fedele delle antiche stampe, che per noi tengono luogo dell'autografo ». 1 Inserita
Stuck 4. ® Pag.
anche
in Goeltingische
779. XLII
gelehrte
Anzeigen,
anno
1889,
PREFAZIONE
AI‘ DIALOGHI
METAFISICI'
L' Imbriani voleva la fedeltà spinta fino a riprodurre gli errori di stampa; e tale criterio applicò in un'edizione del Candelaio 1. Ma a questo punto, s'è già delto, il Lagarde non giunse. Scrupolosamente bensi volle riprodurre non solo la grammatica, ma anche la interpunzione e la grafia degli archetipi ; salvo
eccezioni
rarissime,
di cui avverti
sempre
il
lettore. Delle antiche stampe riportò la paginatura; e nulla, insomma, neglesse a fine di rendere quasi inutile affatto l'uso di quelli. E si può dire che dalla sua edizione il Bruno uscisse fuori con aspetto nuovo, per chi non avesse avuto la ventura di aver tra mani le vecchie edizioni; con un aspetto più arcaico e più napoletanesco insieme: il vecchio Bruno del Cinquecento. E chi volesse fare uno studio sulla grammatica, sulla grafia, sull’ars punctandi di luî,
garde dovrà sempre ricorrere; necessari.
Ma
a noî,
all'edizione
La-
ristampa
delle
e ci troverà tutti i documenti
preparando
una
nuova
opere italiane del Bruno per una collezione di filosofi, è parso che egli debba essere e sia letto da assai più che non potranno essere mai gli studiosi della sua grammatica,
della sua grafta
e punteggiatura. I lettori ordinari di Bruno sono infatti coloro che amano intraltenersi. con lui intorno alla nolana filosofia; che vogliono st sentirlo impetuosamente discorrere nel suo linguaggio vivace e immaginoso, incolto e ricercato a un tempo, a volte potente di espressiva brevità, a volte strascinato e contorio în periodi faticosamente composti di lunghe invettive e critiche complicate; sentirlo în quella sua fonetica ondeggiante tra la studiata forma arcaica e latineggiante e la nativa irrompente napoletana, e libera sempre da regole costanti e coerenti; e vogliono insomma ria1 Curata 1886).
da
lui
e dal ‘dott.
Giovanni
XLHI
Tria
(Napoli,
Marghieri,
PREFAZIONE
AI‘ DIALOGHI
METAFISICI'
verlo innanzi, come l’ebbero innanzi a Londra amici e discepoli, come l’ebbe p. e. il « dotto onesto, amorevole, ben creato
e tanto fidele amico Alessandro Dicsono », per affiatarsi con lui
ed
entrare
nel
suo
tumultuoso
pensiero;
ma,
appunto
per non incontrare impedimenti a tale comunione spirituale — che è il fine di ogni vero lettore — hanno in fastidio tutte quelle quisquilie del mezzo grafico, andate în disuso, le quali, invece, formano la delizia degli eruditi incuriosi del pensicro di un vecchio testo. A siffatti lettori, ai veri lettori di Bruno, questi deve star innanzi, crediamo, în una forma graficamente moderna e nostra, foneticamente antica e bruniana: in una forma, dico, che coi mezzi a noi usuali, ci faccia riascoltare la paro-
la viva e schietta di Bruno, per quanto, s'intende, è possibile. Adduco pochi esempi. Quando il Bruno scrive meglo, voglo,
meglore,
conseglo,
vorremo
mnoî credere
che
non
leg-
gesse meglio, voglio, megliore e conseglio? E perché allora riprodurre le prime forme, se si mira, non a far sapere che il Bruno scriveva meglo, dove noi ‘scriviamo meglio (che non è precisamente quello che il Bruno voleva farci sapere scrivendo quella parola), ma a farci vedere e sentire la parola che lo scrittore pronunziava a se stesso scrivendo meglo ? Cost, perché scrivere philosopho o philosofo (forme dal Bruno
usate
promiscuamente),
se lo
stesso
suono,
identico,
noi sogliamo vederlo rappresentato altrimenti ?_ Perché riprodurre tutte le h mule, che noi non incontriamo nella nostra
ordinaria lettura ? È evidente che tali particolari, se hanno un
valore storico, non possono
pedire il corso
naturale
non
distrarre il leltore,
e im-
della lettura.
Il Bruno scrive murmuration
e contradittioni;
suspitioni
e detrattioni; munitioni e corrottione; cognitione e correttione; comparatione e perfettione. Oltre l' inopportunità del rappresentare oggi con la 1 il suono della z, perché riXLIV
PREFAZIONE
produrre
la
doppia
AI
‘DIALOGHI
terminazione,
METAFISICI'
ora
con
la
consonante
(t=z) scempia, ora con la doppia? IL motivo ortografico di quest'uso costante del Bruno è evidente: egli raddoppia la consonante dove il latino innanzi al suffisso nominale -tio, ha
una
guiturale
o
una
labiale
(contradic-tio,
detrac-tio,
corrup-tio). Ma, se del latino, che era pur solito parlare, si ricordava
în
questi
casi,
mentre
scriveva,
è evidente
che
ei
non poteva badarci parlando: perché altrimenti sarebbe stato
per analogia, e secondo la pronunzia meridionale, tratto a pronunziare murmurazzion, suspizzioni, cognizzione e simili: forine di cui non occorre esempio nelle sue scritture. Cosi par ragionevole alleggerire il testo corrente di queste forme solo graficamente latineggianti‘: liberarlo, diremmo,
di
questa pedanteria, a cui il Bruno indulgeva per vezzo di scrittore che aveva fatto per bene i suoi studi, e se ne ricor-
dava quando aveva la penna în mano ?.
1 (Ma la distinzione grafica tra la z scempia e la doppia
servata Bartoli,
nel corso il Varchi
seconda
metà
—
o0s-
del secolo dal Giambullari, il Lenzoni, Cosimo (oltre al Trissino e al Tolomei) — «corrisponde
a una differenza fonetica che tende
del Cinquecento,
a obliterarsi a Firenze
mentre
è tuttora
viva
già nella
nell’ Italia
meridionale» (B. MicLIORINI, Note sulla grafia ital. del Rinascim. in Studi di filol. ital., XIII, 1955, p. 276). Cfr. F. D' Ovipio, Appunti sulla storia dello zeta (1911) in Opere, XVIII, pp. 209 sgg. c vedi ora la soluzione adottata per il testo critico della Cena bruniana (cfr. ed. cit., Nota al testo, p. 261).) 2 CESARE GUASTI, che tra i nostri letterati e filologi del secolo scorso fu di giudizio e di gusto assai fine, oltre che di consumata perizia nello studio degli antichi testi, nella sua edizione delle Poesie
di Fra Girolamo Savonarola (Firenze, Cecchi, 1862, p. x) scriveva: «Tranne, dunque, nell'uso tutto latino dell’ &, dei ff, ct, ti, x ecc. (che i nostri antichi adoperarono, più per un cotal marchio della
razza delle parole, come dice il Salviati, che perché in fatti l'esprimessero con la voce), io ho riprodotto l’autografo di Fra Girolamo nella sua integrità ». V. anche una dichiarazione metodica analoga del Carducci riferita nella prefazione alla sua eccellente edizione del Candelaio® (Bari, Laterza, 1923) dallo SPAMPANATO (pref., p. xx), che si attenne anche lui al metodo da me adottato. XLV
PREFAZIONE
Ma
Al‘ DIALOGHI
METAFISICI’
il Bruno, flagellatore de’ pedanti, voleva dunque fare
il pedante anche lui ? AL contrario:
al Bruno, che non voleva
impicciarsi di grammatica, pedanieria parve questa grafia più conforme alla pronunzia, che i grammatici già al suo tempo cominciavano a propugnare. A Poliinnio (il cui nome egli scrive sempre Polihimnio), il pedante canzonato nei dialoghi De la causa, egli fa dire: «Non si scrive homo, ma
omo;
munito, trionfa,
non
honore,
ma
ma Poliinnio» st contenta di sé»t.
not dobbiamo
scrivere homo,
E —
onore;
non
Polihki-
soggiunge: «Con questo Dunque, dice il Lagarde,
honore,
Polihimnio 2. —
Certo,
quel passo dimostra che tale cra l' intenzione esplicita del Bruno: Ma è pur certo che dimostra altresi che come egli, scrivendo
honore,
diceva
.onore,
scrivendo
Polihimnio,
di-
ceva Poliinnio; e che se non scriveva come pronunziava, era perché l'uso fin allora seguito non comportava ciò, e perché l'andare contro l’uso gli pareva un dar retta per l'appunto a Poliinnio: una pedanteria bella e buona! Ma, se oggi Bruno
tornasse
tra not,
egli, fustigatore dei Manfuvii,
Pru-
denzii e Poltinnit, st vergognerebbe di scrivere honore e Polihimnio, come nel 1584 si vergognava di scrivere onore e Poliinnio, Onde, « non correggere queste forme e le consinuli, a scrivere costantemente
et, invece di e 0 ed, secondo
î
casi
— come già il Petrarca scriveva — ho creduto che sarebbe stato si un servire ai criteri di Bruno, ma anche un rendergli un cattivo servizio !3 Fedeltà, 1 Vedi
dunque, pp.
* Pag. 779.
assoluta,
ma
non
fino
alla
pedantevia.
215-16.
3 (La et del testo originale è stata riprodotta in seguito da ‘FT. FLora nella sua ediz. degli Heroici furori (U.T.E.T., Torino 1929) e da G. AquiLeccHIA nella cit. ediz. della Cena (si vedano
le ragioni
addotte
ivi, Nota
al testo, pp. XLVI
258-60).)
PREFAZIONE
AI
‘DIALOGHI
METAFISICI’
Cosi, per la fedeltà, ho mantenuta
scrupolosamente la stessa
incostanza
che
morfologica
del Bruno,
nulla
mi
autorizzava
a correggere. Di modo che una stessa parola, una stessa forma fessionale ricomparisce a volta a volta in fogge diverse; che è un carattere notabile della lingua bruniana. Ma, l' interpunzione, pel principio che è a base della mia edizione, di agevolare ai moderni la lettura del testo, I’ ho mutata, e
quasi rifatta secondo l'uso oggi più comune, abbondando nei segni, segnatamente nei periodi lunghi e complessi. Una virgola, si sa, talvolta fa più di una nota. Per lo stesso motivo ho illustrato il testo, il meglio che ho saputo, con note storiche e filologiche.
Le scritture bruniane,
per la gran copia di reminiscenze, per le bizzarre filastrocche secentistiche e quasi fiabesche, per le citazioni e allusioni letterarie, di cui son piene, sono delle più difficili ad essere intese in intii i loro particolari. E però qualche punto oscuro è rimasto ; e invano în tal caso ho guardato i libri del Florio (che sono veramente preziosi per la lingua bruniana); invano mi sono rivolto a studiosi di speciale competenza, dove mi pareva che l'oscurità restasse per mia ignoranza. Aî loro luoghi ho additato gli opportuni riscontri con le opere latine, e per le concordanze e per le divergenze. E in questa parte,
molto mi son giovato dei lavori accurati, soprattutto dell’espo-
sizione delle opere latine del Bruno confrontate con le italiane, del prof. Felice Tocco, al quale tanto debbono gli studi bruniani. Aiuti ebbi anche dalle poche.ma dotte illustrazioni aggiunte dal Lagarde in appendice alla sua edizione; nonché dagli studi positivi,
del Bruno
continua
metodici,
sempre
fruttuosi,
che sui testi italiani
a fare® con amore instancabile
1 (Ciò si poteva ben affermare, ancora quando A proposito dello scomparso studioso del Bruno.) NLVII
il G,
scriveva,
PREFAZIONE
AI
'DIALOGHI
METAFISICI’*
Vincenzo Spampanato, l’autore della migliore biografia che si abbia di Giordano Bruno. Nelle note ho pur segnate le varianti delle edizioni originali e lagardiana, dove ho creduto dovermene dipartire. E în fondo a ciascuna pagina ho indicato, per comodo degli s'udiosi, la corrispondente paginatura delle altre tre edizioni: l'originale, curata dal Bruno (contrassegnata con la sigla B); la wagneriana (W), e la lagardiana (L). Alle quali in questa seconda
edizione ho aggiunto anche la prima
da me curata,
e ormai citata in tutti gli studi bruniani (G) 1. Questa seconda edizione s'avvantaggia molto sulla prima per la nuova revisione del testo sulle stampe originali e per le molte aggiunte fatte alle note, grazie ai muovi studi mici e d'altri, massime dello Spampanato *. IL quale în questo lavoro mi ha prestato l'aiuto del suo occhio attento, acuto e diligentissimo con tanta abnegazione, che vorrei attribuire alla grande amicizia
che ci lega ormai da molti anni, se nou
sapessi che c'entra pure per gran parte la sua religiosa devozione alla memoria del Martire nolano, suo concittadino. Desi-
dero qui pubblicamente ringraziarlo del molto che con me gli dovranno
î lettori di questo
volume;
e insieme
ringraziare
il
prof. Luigi Russo e il dott. Angelo Bruschi, che nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze collazionarono per sne l'edizione principe del De la causa nell’esemplare che vi si conserva, appartenente alla preziosa collezione Guicciardini; perché la Cena e il De l' infinito sono stati rivisti sugli archetipi della Nazionale di Napoli, la quale possiede anche quelli 1 (Nella presente edizione mente, la prima e la seconda dei
si indica con G! e G?, edizione Gentile.)
rispettiva-
? Lo Spampanato ha anche pubblicato un’edizione scolastica dialoghi De la causa (Messina, Principato, 1923) con una intro-
duzione
e note sobrie
e accurate,
tralasciandone
XLVII
il primo
dialogo.
PREFAZIONE
AI‘ DIALOGHI
METAFISICI’
dello Spaccio e degli Eroici furori; e sono tra gli esemplari più belli che si conoscano, tutti elegantemente rilegati.
Vv Ma non voglio finire questa prefazione senza accennare alle traduzioni recenti che i tedeschi posseggono dei Dialoghi metafisici. Quelli De la causa furono tradotti nel 1872 dall hegeliano Adolfo Lasson per la Biblioteca del Kirchmann *. Tradotii assai bene sull'edizione Wagner confrontata con l'originale; e corredati di note dichiarative, di cui largamente mi son valso nel mio commento. Molto inferiore è la traduzione, pure annotata, impresa
nel 1890? da Lodovico Kuhlenbeck di tutte le opere filosofiche
îtaliane ; poi tralasciata, e ripresa nel 1904. Egli ha voltato în tedesco 1 (La
la
Cena,
Bibliot.
lo Spaccio
del
e il De
Kirchmann
pon
l' infinito3,
risulta
Ma
menzionata
nel
né vol.,
il cui frontespizio reca: Giorpano Bruno, Von der Ursache, dem Princip und dem Einen. Aus dem Italienischen ibersetzt und mit erliuternden Anmerkungen 1872. L. Heimann's Verlag
fatta nel 1889.
verschen von ApoLr Lasson. Berlin, (Erich ICoschny).) Una 2° ed. ne fu
Quella citata nelle note di questo
Philosophische
Bibliother,
Bd.
21:
GiorpaNo
Ursache, dem Ubers. u. mit
Princip und dem Einen, aus erliuternden Anmerk. versehen
della
una
Dritte verbess. Aufl., Leipzig, 1%
ediz.,
nuova
bio-bibliografica. Il Lasson ? (In realtà nel 1889:
segue.)
3 Non
conosco
Diirr,
prefazione
1902. — per
la
volume
Bruno,
Von
der
dem Italienischen v. ApoLF LASSON,
Precede la prefazione
3*
e
un’ introduzione
tralascia l' Epistola proemiale. vedi la mia precisazione alla
direttamente
è la 33:
nota
la 18 ediz. G. Br.s Gesamm:.
che
philos.
Werke, Bd. (I): Reformation des Himmels, Leipzig, 1890. (Si tratta del vol. Giordano Bruno's Reformation des Himmels, lo spaccio della
bestia trionfante. BECK....
Facsimile
Leipzig.
Nebst
Verdeutscht
einer
seiner
Verlag
Abbildung
und
Handschrift,
von
Rauert
&
des
erliutert von
sowie
Rocco, XLIX
4
—
G-
Renna
PDinloohi
stalinni
Lupwic
Bruno-Denlkmals
zwei
1889
KUHLEN-
in Rom,
einem
Sternbilderkarten....
(pp.
[1}-xv:
Vorrede
PREFAZIONE
AI‘ DIALOGHI
METAFISICI’
possiede la conoscenza, abbastanza sicura, della nostra lingua,
di cui disponeva il Lasson, né la sua dottrina storico-filosofica, né il suo
senso
critico;
e, pur
dopo
l'edizione
Lagarde,
si
attiene al testo scorrettissimo del Wagner +. Le note non sempre
sono esatte, e spesso riescono oziose per confronti inopportuni
des Uebersetzers; pp. [1]-339: Die Vertreibung der triumphierenden Bestie; pp. [341]-75: Giordano Bruno, sein Leben und seine Weltanschauung; p. (377): Nachtrag zu den Erlduterungen; le due carte
allegate in fondo al vol. riproducono, rispettivamente, l’ Hemisphae-
rium Coeli Boreale e l' Hemisphaeriuwm Coeli Australe), di cui alcune copie presentano un secondo frontespizio (che è quello di cui ha avuto
del
De
notizia il G.) con la data
l'infinito,
dal
G.
citata
1890, prefisso al suddetto.
qui
di
séguito,
non
La traduz.
venne
invece
classificata come parte di sedicenti Gesammelte philosophische Werke:
il vol. comprende pp. xxxvI d’introduz.; pp. [3)-201 di testo; pp. [202]-07 di osservazioni sulla cosmologia bruniana); Von: Unendlichen, dem AU u. d. Welten, Berl., 1893. Né l'altra traduzione di estratti delle opere latine dello stesso Kuhlenbeck: Licltstrahlen
aus G. Brunos
Werke,
Leipzig,
note è quella appartenente
blicata Werhe,
1891. L'edizione da me citata nelle
alla collezione dei mistici e teosofi pub-
da Eugen Diederichs di Lipsia: Bd. I: Das Aschermitiwochsmah!
Giorpano BRUNO, Gesamm. ins Deutsche ùbertragen v.
Lupw. KuHLENBECK, Diederichs, Leipzig 1904 (col ritratto di Monaco); 37 pp. d' introduzione, e 148-175 di commento, dov’ è inserita la traduzione del 1° dialogo del De /a causa. — Bd. II: Die Ver-
treibung der triumphierenden mento
pp.
264-370);
Bd.
Bestie, etc.,
III:
1904
Zwiegesprache
(pref. pp.
vom
1-8; com-
unendlichen
AI
und dev Welten (prefazione pp. I-LXXI1 col titolo: Die wissenschaftliche Bedeutung
u.
dieser Dialoge
seinen
Vorgangern.
pp. 169-238. — und
che,
dem Einen.
dem
Werke,
Il
Bd.
und
KuHLENBECK,
IV:
Kuhlenbeck
Die
(Il titolo esatto
di cui xx
aveva
la nota n. 2 a p. LvIn).
di Paut
—
—
B.s
SeLicGER:
Von
dem
tradotto
zu Kopernikus
Einen,
Bruno,
Verdeutscht
Jena,
d' introduz.
in
e
commento
Von der Ursache, dem Prinzip
è Giorpano
Diederichs,
pp.
Verhdltniss
Unendlichheitsidee;
Si annunzia il Bd. IV:
Anfangsgrund
von Lupwic
Brunos.
tedesco
1906
und
der
Ursa-
erliutert
(G. Br.s Gesamm.
e 139-57
anche
Von
la
di commento).
Cabala
(vedi
Va qui segnalata anche la traduz. completa
der
Ursache,
dem
Prinzip
und
dem
Einen
von GIiorDaNo Bruno, Reclam. jun., Leipzig [1909]; 3-6 pp. di introduz. e 7-194 di testo.) 1 Cosi il luogo di p. 439, saltato dal Wagner, naturalmente è saltato
anche
dal
KuHLENBECK,
III,
oI.
PREFAZIONE
AI‘
DIALOGHI
e inutili con scrittori modernissimi
METAFISICI'
e considerazioni teoriche,
che non giovano certo a chiarire îl pensiero del nostro filosofo. Tuttavia
mento
qualche
cosa
del Kuhlenbeck.
ho
potuto
spigolare
anche
GIOVANNI
LI
nel
com-
GENTILE
PREFAZIONE
AI ‘ DIALOGHI
MORALI’
Sommario: I. Cronologia dei Dialoghi morali. — II. Traduzioni straniere. — III. Le edizioni antecedenti e la presente.
I
Delle tre operette raccolte in questo volume, lo Spaccio, nella prima stampa curata dallo stesso Bruno, reca la data del 1584; la Cabala e gli Eroici furori, del 1585. Tutte e ire si danno per stampate a Parigi; e le ultime due aggiungono alla città il nome dell'editore 0 tipografo: « Appresso Antonio Baio». Stando, perciò, alla stessa dichiarazione del Bruno nel processo veneto 1, lo Spaccio potrebbe ritenersi impresso
a Londra;
la Cabala e gli Eroici
furori, realmente,
a Pangi.
1 Nel costituto del 2 giugno 1592 (SPAMPANATO, Vita di G. Bruno, PP. 707-8) il B. disse: « Tutti quelli {libri stampati] che dicono nella
impression loro che sono stati stampati in Venezia, sono stati stampati in Inghilterra; e fu il stampator che volse metterve che erano stampati
in Venezia,
maggior esito,
perché
per venderli
quando
più
s'avesse
facilmente
detto
ed acciò
che fossero
avessero
stampati
in Inghilterra, più difficilmente se averiano venduti in quelle parti; @ QUASI TUTTI li altri ancora sono stampati in Inghilterra, ancor che dicano a Parisi o altrove ». (Nel Sommario del processo di G. B. (pubblicato da A. Mercati, Città del Vaticano, 1942) «.... et dicit quod libri, qui continent nomen Venetijs vere in Anglia fuerunt impressi, sed quod impressor voluit apponere Venctijs, ut facilins venderentur, et alios etiam impressos fuisse in Anglia, licet dicatur
Parisijs, ....»
(p.
110,
n. 229).)
LII
PREFAZIONE
Ma,
AI
se si riflette che
‘DIALOGHI
il Bruno
non
MORALI’
passò
da
Londra
a
Parigi prima dell'ottobre 1585*; che nell’Argomento degli Eroici furori, scrivendo al Sidney (che probabilmente sostenne le spese della stampa) si dice ancora in Inghilterra (cfr. d. 935); e che questo Argomento (insieme col frontespizio, l’errata
corrige
e il son.
Scusazion
del
Nolano,
ossia,
i
tutto, è primi due fogli di stampa) non poterono essere stam-
pati se non alla fine, dopo tutto il resto del libro; per gli Eroici furori la ipotesi sopra detta è da escludersi affatto. Della Cabala son si può non dire altrettanto, poiché essa certamente precede, anche in ordine di pubblicazione, gli Eroici
furori, come dimostra
la citazione che se ne fa in
questi a p. 975. Cosi la citazione dello Spaccio nella Cabala, d.
842,
attesta,
se ce
ne
fosse
bisogno,
la
precedenza
dello
Spaccio. Ma l’allusione a quest'opera, che s° incontra nella stessa Cabala, $. 862, raccostata alle parole dello Spaccio ivi
richiamate
da
me
nella
nota,
dimostra
che
la
Cabala
doveva essere almeno abbozzata quando venne in luce lo Spaccio; e ne viene spiegato quel che l’autore dice della Cabala al principio della epistola dedicatoria (pp. 835-6) ». I tre libri
pressi
furono,
a Londra
molto
probabilmente
scritti,
e il 1585,
nell'ordine
tra il 1584
certo
im-
in
cui,
dopo il Wagner e il Lagarde, sono riprodotti da me in questo volume. 1 V. McINTYRE,
nascimento, Firenze, Vita, pp. 402-4. *
Si noti
pensieri,
Dello
napol., scenza,
ma
G. Bruno, pp. 47-8, e GENTILE, Vallecchi,
la frase:
a un
Spaccio
«..... dopo
certo
fascio
il FIORENTINO
1923,
p.
aver
dato
131;
e ora
spaccio,
di scritture... »: p.
aprile-maggio 1882, p. 42; p. 349) ritenne che «non
(Dial.
mor.
Studi sul RiSFAMPANATO,
non
836.
di G. B.,
a tutti
miei
nel Giorn.
e ora Studi e ritratti della Rinafu fornito di stampare il 1584,
come apparirebbe dal frontespizio, il quale dovette essere stampato per primo, e porta quindi la data del cominciamento, LIII
non già quella
PREFAZIONE
AI‘ DIALOGHI
MORALI
II È noto il gran fantasticare che, continciando dalla famosa leltera dello Schopp, s' è fatto lungo î secoli XVII e XVIII intorno allo Spaccio, la più celebre e la più rara delle tre operetter. Qui basta ricordare che fu tradotto in inglese
nel
1713:
Spaccio
della
bestia
trionfante,
or
the
Expulsion of the Triumphant Beast, translated from the Italian of Giordano 2 Bruno (London) 3. Della traduzione fu ritenuto autore il Toland4, grande ammiratore del Bruno, e tra-
duttore, come fu detto nella prefazione al primo volume, d'una
in cui l'autore vi diede l'ultima mano »; indotto in tale opinione dal
preteso accenno ai casi napoletani del maggio
di scorgere nelle ultime pagine del Ma,
oltre
che
è
inaccettabile,
2° dial.
secondo
me,
1595, che egli credette
(cfr. p. 720, e ivi n. 2). l’ interpetrazione
data
dal Fiorentino a questi accenni storici dello Spaccio, e vien meno perciò la base stessa alla cronologia da lui sospettata, veggasi quanto poco probabile sia per se stesso che tra il maggio e l'ottobre 1585
il B. potesse scrivere resto, cioè due
(almeno in buona parte)
terzi circa,
dello
Spaccio,
e stampare
e la Cabala,
tutto il
e gli Evoici fu-
rori. Infine, l’esame della stampa del 1584 esclude con certezza, se io non m' inganno, che il frontespizio possa essere stato stampato per primo. Il primo foglio infatti (A. j.) è quello che comincia col 1° dialogo; e il frontespizio fa parte del primo dci due fogli, non numerati, contenenti 1’ Epistola esplicatoria, che il B. soleva per ogni suo libro scrivere e stampare alla fine; com’ è sicuramente attestato per gli Eroici furori, che come s’ è detto, in questi fogli dell’ Epistola hanno anche
l’errata-corrige
di tutto
si vegga il volume I di questa ‘ Diall. Metaf., pp. xxx1v-v1). 1 Vedi
PP. 346-8. The location
BARTHOLMÈss,
il libro;
edizione
G. Bruno,
II,
nonché
per
(si veda
69-72;
la Cena,
ora
per
la Prefaz.
cui
aî
eMCINTYRE, op.
cit.,
1956, n. 2, pp.
152-
(Per Fattuale rarità va osservato che J. HavwaARD, of copies of the first editions of G. B. e Location of ad-
ditional copies (« The
Book
Collector », vol. V,
57, e n. 4, pp. 381-82) segnala 18 esemplari dello Spaccio e 20 degli Evroici Fuvori contro 7 soltanto della Cabala.)
2
(Ma Jordano.)
3 omessa la dedica al Sidney. 4 BARTHOLMÈSs, II, 70-1. LIV
PREFAZIONE
AI
‘DIALOGHI
MORALI’
parte del De l'infinito. Il catalogo del British Museum l'attribuisce invece
a un
certo
IV.
Morchead 1, il quale, secondo
uno
studioso înglese?, potrebbe essere un fratello dello stesso Toland. Egualmente anonima è una traduzione parziale dello Spaccio pubblicata in Francia nel 1750 col titolo: Le ciel réformé 3. Ma si sa che fu opera dell'abate de Vougny, conseiller de grand-chambre e canonico di Notre-Dame 4. La iraduzione non va oltre la prima parte del primo dialogo; preceduta
stampa
da
una
lettera,
a documento
(Pag. à ce que
che
mi
piace
riferire
dalla
rara
della storia dello Spaccio:
3). A_Monsicur***. je crois, Monsieur,
— de
Il vous est assez indifferent, sgavoir s’il est vrai ou non
que Jordanus-Brunus 5, Auteur Italien fameux, ait ét6 bràlé àÀ Rome au Champ de Flore en 1600, pour les impiétés qu'on prétend
étre
répandues
1 ]J. FRITH,
of B., view,
p.
dello
october
ses différens
Life of G. B., London,
321.
* L'autore
dans
1902,
studio
cit.
dal
G.
B.
în
Ecrits.
1887, app. England,
McINTYRE,
op.
The existing worîs nella
cif.,
Quarterly
p.
349.
Re-
(OLIVER
ELTON è l'autore di questo studio, apparso anonimo nella civ. cit. e poi riprodotto nel vol. Modera Studies, London 1907, pp. 1-36.)
3 Il titolo completo è il seguente: Le | Ciel réforiné | essai | de |
traduction de partie | du Livre Italien, | Spaccio | della (|) Bestia trionfante.
veniam, 700 50.
|
Demus
alienis
obtvectationibus
dum | nostris impetremus — Segue un frontespizio
Ciel réformé.
| essai
(ma
oblectationibus)
PLIN.... | (vignetta) | L'an interno col titolo seguente:
| de traduction
de partie
| du
Livre
1000 Le |
Italien,
intitulé: | Spaccio | della Bestia trionfante: | La Déroute, | ou l'expulsion | de la beste triomphante: | proposée par Jupiter, | effectuée par le Conseil des Dicux;-| déclarée par Mercure. | C'est Sophie,
qui en fait le Récit; | c'est Saulin, qui l'entend, | et Nolanus, qui le publie. | Le tout divisé en trois Dialogues, subdivisé | en trois
Parties.
| Dedié
è l'Illustre et Preux
Chevalier,
le
(|)
copia
è
seigneur
Philippe Sidney. | Imprimé è Paris. 1584. | È un volumetto di pp. 92 in
piccolo
dalla Bibl. 4
formato,
Naz.
con
grandi
II
(p.
di Napoli.
BARTHOLMÈSS,
5 A p. 11 si legge questa
Livre,
était
de
Nole,
Ville
margini.
71).
du
noterella:
Royaume
LV
Una
« Jordan-Brun, de
Naples ».
posseduta
Auteur
du
PREFAZIONE
AI‘ DIALOGHI
MORALI*
C'est une des ces Anecdotes littéraires que nous laisserons volentiers vous et moi dans l’état problématique; et je ne vous rappelle celle-ici, que parce que ce bon Jacobin du seizième
vous
que
siècle
me
vous
est
l'Auteur,
demandiez, desiriez
entr’autres,
il y a quelque
connoitre.
d’un
Livre
tems,
des
[4]
dont
nouvelles,
et
Cet Ouvrage est intitulé en Italien: Spaccio della Bestia trionfante, etc. 11 se trouve joint quelquefois à un autre, qui a pour titre: La Cena de i ceneri!, ainsi nommé, parce que le cinq Dialogues qui le composent, ont pour époque un premier jour du Carème. Si
au
ces
deux
moins
en
Ouvrages
ont-ils
acquis
ne
sont
en
pas
quelque
des
chefs
d'oeuvres,
sorte
la
valeur
et le
été
vendus
onze
renom, par le prix exorbitant où ils sont portés, lorsqu’ il se trouvent dans quelque vente publique. C'est ce que est arrivé en dernier lieu à celle qui [5] vient de se faire de la Biblioteque
de
M.
l’abbé
de
Rothelin,
où
ils
ont
cens trente-deux livres, quoiqu' ils ne forment qu'un in 12. sans beauté particuliere d’impression ni de caracteres, Seroit-ce donc la rareté qui en seroit seule le mérite? Il faut croire qu’ il s' y joint celui de la singularité. un
Mais
ce n'est pas
Curieux
que
je
au
moins
rencontrai
celle qu’y
l'autre
jour,
comptoit qui
trouver
s' imaginoit,
ct s’' étoit mème déterminé à en faire l'acquisition dans cette idée, que c' étoit une satyre contre la Cour de Rome. Il ne me regarda pas de trop bon oeil, lorsque j’osai lui répresenter, que de ces deux Ouvrages, l’un n'étoit [6] qu'un Traité de Philosophie morale suivant un plan extrémement bisarre, mais dans lequel la Ville Sainte n’est pas seulement nommée; et que l’autre où l'Auteur semble étre le précurseur du Spinosisme, est un Essai sur le systéme du monde, qui adopte
le Système
tourbillons 1 Come
dont
de Copernic,
Descartes
appunto
et où l'on se trouve
a fait depuis
nell’esemplare LVI
della
si grand
Nazionale
dans
usage.
di
Napoli.
ces
PREFAZIONE
AI‘ DIALOGHI
MORALI’
Pour preuve de ma proposition, je lui fis part peu après du commencement de la traduction que j'ai faite, et que vous me demandez aujourd’ hui de partie du premier de ces Livres, intitulé: Spaccio della Bestia trionfante. Vous
quelques
jugerez
idées
vous-mème
de
l’Auteur,
mieux
et du
que
projet
[7]
qu'il
tout
autre,
de
annonce.
En état de comparer le texte avec la traduction, vous déciderez si j'ai saisi le juste milieu entre la liberté et la contrainte que demande le génie de chaque langue, et la difference qui s'y trouve. Peut-étre tement dans n’arrive que qu’en fait de vention agit de
certains
me reprocherez-vous de m'étre arreté sì prompcet amusement de mon loisir; à moins qu’ il cet échantillon seul vous prouve suffisamment Livres, comme è bien d'autres égards, la préavec un empire trop souverain; et que la rareté
Livres
diùs, à bien meilleur
leur
conserve
des
avantages,
[8] titre, à un mérite
qui
eflectif,
seroient
auquel
il
seroit plus à propos de s'attacher par préference. Vous sgavez que vos avis me décident: ils ranimeront ma plume ou la remettront dans son repos. Je
suis,
etc.
Ce 20 Juin
1750.
A pp. 9-10 segue una tavola dei Noms des quarante-huit constellations
suivant
l'Auteur.
Quindi
da
p. 4I
a 55 la
traduzione dell'epistola al Sidney, e da p. 57 a 72, cioè alla fine, quella della prima parte del primo dialogo. Chi volesse avere un' idea del juste milieu, în cui l'abate volle mantenersi
nella traduzione, può confrontare dal principio dell’ Epistola: Cieco stolto giato
chi non
chi chi
vede
il sole,
nol conosce, nol ringrazia;
in- | se |
questo
Ne
breve saggio,
tolto
voir pas le Soleil c’est
ètre aveugle; ne pas desirer de le connaitre c'est étre mal
LVII
PREFAZIONE tanto è il lume,
AI‘ DIALOGHI
avisé; ne pas lui rendre graces c'est ‘manquer de reconnois-
tanto il bene,
tanto il beneficio; per cui risplende, per cui eccelle, per
sance. lence
con
siete scuoperto mo
principio,
gli
quali
a me
ne
1’ isola Britannica,
l'occasione
remirate
a
tutti,
de la vie.
de
méme
esprit
toute
l’ hommage,
per quanto
per
le nombre
ce
que
Je
je
l’estime,
l'aménité de vos moeurs
a
vi presenta;
Etre,
l’auteur
sgais
votre
v' ha conceduto il tempo; vi manifestate a molti, per quanto
son
l’excel-
devrois penser de moi (Illustre Seigneur), si je ne déferois à
vi
giunsi
de
stances,
nel pri-
ch'io
méconnoître
de ses bienfaits; c'est le guide de nos sens, le père des sub-
non onorasse gli vostri costumi, non celebrasse gli vomeriti;
Peut-on
l'éclat de ses rayons,
cui giova; maestro de’ sensi, padre di sustanze, autor di vita. Or non so qual mi sarei, eccellente Signore, se io non stimasse il vostro ingegno,
stri
MORALI’
et
à vos
à
tout
vertus
tout l’ honneur qui leur est dù; belle est l’ idée que je me suis faite de vous, dés les premiers momens dont vous
e
quanto
vi mostra la vostra natural inclinazione veramente eroica.
m’avez voyage
fait part dans mon d’Angleterre, tel vous
montrez-vous dans les diverses occasions qui se présentent.
Un'altra traduzione dello Spaccio venne menzionata nella
prefazione al primo volume; ed è quella recente del Kuhlenbeck,
in
ledesco,
corredata
di
note
copiose,
ma
non
sempre
ulili, né tulte esatte*.
La Cabala non è stata inai voltata in altra lingua =. Degli Eroici furori (rentanove anni fa venne pubblicata una versione inglese
siasts, -an
nella nn.
da
L.
ethical
Poem
1 (Le
traduzioni,
86-95,
98.)
3 Non
ho
Bibliografia
Williams,
anche
bruniana
col titolo:
(London, parziali,
di
V.
? (Ma vedi la traduz. tedesca (1909) delle Gesammelte Werke (cfr.
potuto
vedere
questa
The
heroic Enthu-
1887) 3. dello
Spaccio
SALVESTRINI
sono
(Pisa
elencate
1926),
ai
del KunLENBECK nel vol. VI SALVESTRINI, o. c., nn. 9, 104).)
LVIII
traduzione,
che
è citata
dal
PREFAZIONE
AI ' DIALOGHI
MORALI"
III Tra le edizioni originali di questi dialoghi e quella di tutte le opere italiane curata nel 1830 dal Wagner neppur di essi si ebbe nessuna ristampa. Il testo del Wagner riprodussero le ristampe posteriori, che furono curate da Eugenio Camerini nella Biblioteca rara del Daelli. E sono le seguenti: I. Giordano
Bruno,
Spaccio
de
la
bestia
trionfante.
Nuova edizione con proemio storico-bibliografico di Cristiano Bartholmèss. Milano, Daelli e C. ed. (pp. xvi-244; vol. XXVI della Bibl. rara). Nel frontespizio interno: «Nuova ediz. diligentemente corretta »; e vi è aggiunto l'anno: MDCCC-
IXIII.
2. La cabala del cavallo Pegaseo con l'aggiunta de l'Asino cillenico fer Giordano Bruno. Nuova edizione diligentemente corretta, Milano, id. id. (pp. xIv-70; vol. XXV : della B. R.). Nel frontespizio interno è l'anno MDCCCLXIV. McINTYRE,
comprende
op.
cit.
Il Williams
i cinque
omette
dialoghi della prima
l'Argomento.
(La
parte dell’opera.
traduz.
Il titolo
esatto è: The Heroic Enthusiasts | (Gli Eroici Furovi) | An Ethical
Poem | By Giordano Bruno | Part the Fivst | Translated by L. Williams | With an Introduction, compiled chiefly from David Levi's |
«Giordano Bruno o la veligione del pensiero » | London
dway | .... | 1887.)
Alcuni
P. 323,
una
dei
sonetti
degli
| George Re-
Eroici
furori
sono
pure
in te-
poi stati tradotti egregiamente da M. CARRIERE, Die Weltanschauung dev Reformationszeit, 2. Aufl., Leipzig 1887. La FRITH, of. cit., ricorda
anche
diligente
traduzione
in versi,
desco, d'un gran numero di questi sonetti, pubblicata dal prof. HERMANN SCHUTZ nel Program des stadtischen Gymnasiums zu Stolp for das Schuljahv 1869-70. (Va inoltre ricordata la traduz. tedesca del KuHLENBECK nel vol. V (2% ediz., 1907) delle Gesamumelte WWerke (cir. SALVESTRINI, 0. c., n. 115). Recentissima è la traduz. francese apparsa
Fureurs par
nella
serie
Hérotques
PauL-HenrI
Lettres », 1954.) I (Ma
« Les
(De
Classiques
gl' Hevoici
MicHeL,
Paris,
de
l' Humanisme
Fuvori), Société
xxxv.}
LIXN
texte
»: G.
établi
d’ Edition
et
«Les
B.,
Des
traduit
Belles
PREFAZIONE
AI ' DIALOGHI
MORALI"
Anche a questo volume è premessa la traduzione del brano dell’opera del Bartholmèss relativo alla Cabala. 3. Gli
eroici
furori
di G.
Bruno.
Due
fomi
in
uno.
Milano, id. id., MDCCCLXV! (pp. x1v-230, vol. LVII » della B. R.). Col solito proemio tolto dal Bartholméss. In queste edizioni si corregge în qualche rarissimo punto, ad arbitrio, il testo Wagner, che per aliro non sempre viene esattamente
riprodotto.
E
da
queste
edizioni
dipendono
le
due ristampe popolari dello Spaccio, nella Biblioteca classica per il popolo3, n. 3, dî E. Perino (Roma, 1888, di pp. 2104) con una prefazione d' intonazione anticlericale di G. Stiavelli; e degli Eroici furori in due volumetti della Biblioteca universale, n. 343 e 347 di E. Sonzogno (Milano, 1905, di pp. 130 e 94): anch'essi preceduti da una prefazione dello stesso gusto. Sono due edizioni senza tmportanza bibliografica e — occorre dirlo? — di nessuna utilità popolareS.
1
(Questa
MDCCCLXIV.)
data
è
impressa
® (Ma questo numero non esterno né su quello interno.)
3 (Sul frontespizio:
sulla
copertina;
appare
sul
impresso
sul
frontespizio: frontespizio
Biblioteca classica popolare.)
4 (Ma 212.) 5 (Per completezza va aggiunta la ristampa dello Spaccio della Bestia trionfante, con prefaz. di G. V’ArINI, vol. primo (secondo), Lanciano, Carabba (1920), che dipende dalla prima ediz. Gentile.
Posteriore G.
B.
di
NoLano,
un
anno
De
Francesco FLORA, Classici Italiani con collezione
2% ediz.
gl' Heroici
dei
Gentile
Furori,
U.T.E.T. (vol. note - seconda
loghi della parte prima
seconda
alla
introduzione
e
torinese
note
di
XIX della «Collezione di serie »). I primi quattro dia-
sono stati pubblicati
Classici
è l'edizione
U.T.E.T.:
nel vol.
Scritti
XLVIII
scelti di G.
della
B.
di Tommaso Campanella a cura di Luici Firpo, Torino (1949), pp. 161-240. Per l’ediz.-traduz. del MrcÒELt vedi sopra, n. 3 pp. LVIII-
LIx.
Infine parti scelte dei tre dialoghi sono riprodotte
a pp. 471-657
e
delle Opere di G. B. e T. Campanella a cura di A. Guzzo e R. Amerio, Ricciardi, Milano-Napoli, 1956 (« La letteratura italiana, storia e testi », vol. 33).) LX
PREFAZIONE
AI‘ DIALOGHI
Della edizione Wagner e di mane nulla da aggiungere a quel al primo volume; alla quale mi è dei criterii adottati nel fermare zioni, le allusioni e è luoghi più
volume già nella prima
MORALI'
quella Lagarde non mi riche ne dissi nella prefazione riferisco altresi per quanto il testo e postillarne le citaoscuri. Chiudeva il presente
edizione un ricco indice alfabetico
dei nomi e delle cose notabili, che s’ incontrano nel testo dei due volumi, traendo profitto da quello del Lagarde e migliorandolo. Ma in questa edizione l indice stesso è stato rifatto e accresciuto,
nuovo
e un
Indice
si è formato
delle materie
sparse nelle note: e tutto ciò grazie alle cure instancabili dell'amico Spampanato. Al quale molto devo delle aggiunte fatte alle note, e della più rigorosa revisione del testo, accuratamente riscontrato con le stampe originali. Poiché oltre le edizioni del 1584 e del 1585 dello Spaccio e degli Eroici furori, possedute dalla Biblioteca nazionale di Napoli, si è potuta questa volta tener presente una riproduzione fotografica della
Cabala,
tratta
dall’esemplare
che
si
nella
conserva
Biblioteca Centrale di Zurigo per la cortese intercessione di S. E. il sig. Ministro svizzero G. Wagnière, al quale mi piace rinnovare pubblicamente 1 miei ringraziamenti. Il titolo dî Dialoghi morali, con cui anche noi abbiamo creduto di poter designare î dialoghi raccolti in questo vo-
lume, non corrisponde esattamente al contenuto di essi. A ri-
gore non converrebbe se non allo Spaccio. La Cabala e gli Eroici furori hanno come argomento principale la dottrina
della conoscenza: lirico; questi,
quella
invece,
con intento
piuttosto
polemico-sa-
dommatico-costruttiva.
in forma
Ma,
poiché pel Bruno, come sarà poi per lo Spinoza, la conoscenza è un
processo
di
liberazione
e purificazione
dello
spirito,
che eleva all'amore intelleltuale di Dio, riformando tuito l’uomo, alla sua dottrina non si disdice un nome analogo a LXI
PREFAZIONE
AJ‘ DIALOGHI
MORALI"
quello dato dal filosofo di Amsterdam alla sua opera maggiore. E certo nel presente volume,
tutta
morale
di séguito,
domina
e di ascensione
uno
la cui materia
spirito
al nuovo
Dio
unico
forse fu scritta
di edificazione
del Nolano;
e il libro
st può considerare tutto indirizzato all'allegoria finale degli Eroici furori. Allegoria che, com’ è stata ora per la prima volta rischiarata, può ben dirsi l'epilogo del periodo inglese della speculazione bruniana. GIOVANNI
LXII
GENTILE
DIALOGHI
METAFISICI
LA
CENA
DE
LE CENERI
DESCRITTA IN CINQUE DIALOGI PER
QUATTRO
INTERLOCUTORI CON
TRE CONSIDERAZIONI CIRCA DOI SUGGETTI ALL'UNICO
REFUGIO
DE LE MUSE
L'ILLUSTRISSIMO
MICHEL
DI
CASTELNOVO
Signor di Mauvissier, Concressalto e di Jonvilla, Cavalier de l'ordine del Re Cristianissimo e Conseglicr nel suo privato Conseglio,
Capitano di 50 uomini d'arme, Governator e Capitano di S. Desiderio ed
Ambasciator
L'universale
alla Serenissima
intenzione è dechiarata 1584.
5
—
di,
Bruno,
Regina
Dirloghi
italiani
d' Inghilterra.
nel proemio,
AL
Se
dal
cinico!
Lamentati Ch’ invan
Se non
Perché
Però
MAL
col torto pelle
sei
barbaro
mostri
ti guardi
tua
dente
di te, mi
CONTENTO.
trafitto,
perro 2;
il tuo
da farmi mi
straccio,
baston
despitto.
venesti
e ferro,
a dritto,
e ti disserro;
E s' indi accade ch’ il mio corpo atterro, Tuo vituperio è nel diamante scritto. Non andar nudo a tòrre a l'api il mele; Non morder, se non sai s' è pietra o pane; Non gir discalzo a seminar le spine. Non spreggiar, mosca, d'aragne le tele; Se sorce sei, non seguitar le rane 3; Fuggi le volpi, o sangue di galline. E
credi
a l' Evangelo,
Che dice di buon zelo: Dal nostro campo miete penitenza Chi vi gittò d’errori la semenza. ® Canino, da xùwvy, cane. ® Perro, spagn. cane.
lago,
3 Se non
nella
vuoi
far la fine del topo,
Balracomiomachia.
che seguitò
‘
la rana
dentro
(B. (23) (W. I, [115]) (L. 114) (GLI, (3) (G*. I, [3]).
al
PROEMIALE ALL’
EPISTOLA
SCRITTA ILLUSTRISSIMO ED ECCELLENTISSIMO
SIGNOR
DI
MAUVISSIERO!
cavalier de l'Ordine del Re e Conseglier del suo privato Conseglio, Capitano di cinquant'uomini d'arma, Governator generale
di S. Desiderio
ed Ambasciator
Or
eccovi,
Signor,
di Francia
presente,
in Inghilterra.
non
un
convito
nettareo
de
1 A Michel de Castelnau, seigocur de Mauvissière, sono dedicati anche i dialoghi De /a Causa e quelli De l' Infinito; e prima della
Cena il Bruno
gli aveva già dedicato l'opuscolo Triginta sigillorum
explicatio, stampato a Londra nello stesso anno 1583, appena l’autore giunse in Inghilterra. Nel suo costituto del 30 maggio 1592 il Bruno
dirà al Tribunale dell’ Inquisizione di Venezia: « Con littere dell’istesso Re [di Francia,
sciator
di
Enrico
Sua
III] andai in Inghilterra a star con l’Amba-
Maestà,
che
si chiamava
per nome Michel de Castelnovo; in se non che stava per suo gentilomo. anni e mezo [dalla primavera 1583 il detto Ambasciator in Francia alla
Nelle Memorie
et augmentez
che
(Les Mémoires
de
il Castelnau
plusieurs
scrisse
de MicHEL
commentaires,
durante
della
Malviciera,
DE CASTELNAU,
Bruxelles,
illustrez
1731,
il soggiorno
del
e il 1570.)
Il Castelnau
non si fa parola del filosofo italiano. tra il 1559
il Signor
casa del qual non faceva altro, E me fermai in Inghilterra doi all’ottobre 1585].... E tornando Corte, l'accompagnai a Paris ». Bruno
3
voll.),
a Londra,
(I Mémoires trattano solamente
del periodo
compreso
tradusse
Elisabetta.
Su lui e sulle sue relazioni col Bruno, del resto illustrate
in francese il Liber de moribus veterum Gallorum di Pietro Ramo. Fu valente diplomatico, amico di Maria Stuarda e pure ben veduto da dal
Bruno
stesso
in questi
dialoghi,
v.
BARTHoLMÈSss,
/.
Bruno,
Paris, Ladrange, 1846-7, I, 104 sgg.; BERTI, G. Bruno da Nola, sua vita e sua dottrina, 28 ed., cap. IX e J. Lewis MCINTYRE, G. B.,
London, nuovi);
1903, p. 26 sgg.
SPAMPANATO,
(dov'è
Vita, pp.
data notizia di alcuni documenti
344 SEg.
(B. [3)) (W. I, [116)) (L. 114) (GI,
7
[4)) (G# I, [5]).
LA l’Altitonante,
CENA
DE
LE
per una maestà;
CENERI
non un protoplastico !, per una
umana desolazione; non quel d’Assuero, per un non di Lucullo, per una ricchezza; non di Licaone,
misterio ?; per un sa-
crilegio 3; non di Tieste, per una tragedia 4; non di Tantalo, per un supplicio; non di Platone, per una filosofia; non di Diogene, per una. miseria; non de le sanguisughe, per una bagattella; non d'un arciprete di Pogliano $, per una bernesca; non d'un Bonifacio candelaio 6, per una comedia; ma un convito
sî
grande,
si
picciolo;
si
maestrale,
si
disciplinale;
si
sacrilego, si religioso; si allegro, si colerico; si aspro, si giocondo; si magro fiorentino, si grasso bolognese 7; si cinico, si sardanapalesco; si bagattelliero, si serioso; si grave, si mattacinesco; si tragico, sî comico; che, certo, credo che non vi sarà poco occasione da dovenir eroico, dismesso; maestro, discepolo; credente, mescredente; gaio, triste; saturnino, gioviale; leggiero, ponderoso; canino, liberale; simico, consulare; sofista con Aristotele, filosofo con Pitagora; ridente con Democrito, pian-
gente con Eraclito 8. Voglio dire: dopo
ch'arrete odorato
con i
peripatetici, mangiato con i pitagorici, bevuto con stoici, potrete aver ancora da succhiare con quello che, mostrando i denti, avea un riso st gentile, che con la bocca toccava l’una e l’altra orecchia. midolla, trovarete
triarca
de
gli
Perché, cosa da
Gesuati9,
rompendo l’ossa e cavandone le far dissoluto san Colombino, pa-
far
impetrar
qualsivoglia
mercato,
smascellar le simie e romper silenzio a qualsivoglia cemiterio. ! Cioè del protoplasto, o primo formato (Adamo): Genesi, III, 0. ® V. il Libro di Esther, cap. I (ec I, VII, 1 sgg.). 3 V. Ovipio, Metam., I, 221 sgg. (216-32). 4 Il Thyestes di Seneca. 5 Non Pogliano, ma Povigliano, poiché si allude al noto capitolo di Irancesco Berni A messer Jeronimo Fracastoro veronese. PoviBliano è nel veronese, Pogliano nel bergamasco; e lo scambio è
facile,
citando
6 Vedi
a memoria.
la comniedia
il protagonista. 7 Era in proverbio:
del Bruno,
Candelaio,
di cui
un
« Bologna la grassa, ma Padova
Bonifacio
la passa»:
FLorio, Secondi frutti, Londra, 1591, p. 106. 8 Cir. Cand. proprol., De la Causa, p. 219, Cabala, p. 847. 9 Giovanni Colombini, senese (1304 ?-1367), fondò nel
(B. (3-4) (W. I, [116]-7) (L. 114-5) (Gt I, 5) (GI,
8
è
1367
[5]-0).
PROEMIALE Mi
dimandarete:
che
EPISTOLA
simposio,
che
convito
è
questo
?
È una cena, Che cena? De le ceneri, Che vuol dir cena de le ceneri ? Fuvi posto forse questo pasto innante? Potrassi
forse dir qua: cinerem tamquam panem manducaban :? Non, ma è un convito fatto dopo il tramontar del sole, nel primo giorno de la quarantana ?, detto da’ nostri preti dies cinerum,
e talvolta giorno del anemernto. In che versa questo convito, questa cena ? Non già in considerar l'animo ed effetti del molto
nobile e ben creato
sig.
Folco
Grivello 3, alla
cui
onorata
stan-
l'ordine de' Gesuati. Di lui restano Lettere (ed. Bartoli, Lucca, 1856). Su lui G. ParDI, Della vita e degli scritti dì G. C. da Siena (Siena, Lazzeri, 1895). Ben nota la vita che ne scrisse nel 1449 Feo Belcari
(sulla quale PAaRDI nel Bull. senese di st. patria, II, 4 e ALBERTAZZI
nel Propugnatore, 1885-1886). A chiarimento dell'allusione del B. cecco un brano del Belcari (Vita, Palermo, 1818, pp. 5-6): «E per questo modo gastigando la carne e recandola in servitù, venne in desiderio di vivere in castità, e con molte ragioni ed esempli confortò la donna sua, che fusse contenta d'abbandonare ogni atto carnale e santamente vivere: la quale, avvenga che fusse giovane, nientedimeno consentendo al santo desiderio di suo marito, insieme
con
lui si proposeno
e deliberarono fermamente infino
alla
morte
castità tenere: e subito fatta la detta deliberazione, l’onestissimo Giovanni s' inginocchiò in terra in presenza della donna sua, e con buono cuore disse: — Signore mio Gesi Cristo, siccome la mia donna è contenta d’osservare castità, cosi prometto a te osservarla
tutto il tempo della vita mia. — E da quella ora incominciò a non diacere più in letto, dormendo e quando in sulla cassa e quando in sulla panca, vegliando gran parte della notte all’orazione ». 1 Salmi,
CI,
@ Quaresima.
10.
3 Sir Fulke Greville, per la cui relazione col Bruno,
v.
McINTYRE,
P. 33. Più tardi tra lui e il B. sparse il suo « arsenito de vili, maligni, ed ignobili interessati 1’ invidiosa Erinni» (Lett. al Sidney, innanzi
allo Spaccio,
p.‘550).
generale
dotti
Il
McIntyre
sospetta
che
la ragione
rottura fu «il tono in cui la Cena parla delle persone di Oxford,
dei
inglesi », che
potrebbe
Ma, se si pone mente alla discrepanza del dialogo
veridica
in casa
(ma
vedi
del Greville,
la
n.
2
a
avere
si
dell'ediz.
che
crit.
e in
il Greville.
tra la Cena, che pone
e l' affermazione,
p.
offeso
della
è da
della
il luogo credere
Cena),
del Bruno stesso nei costituti del processo veneto (SPAMPANaTO, Vita, p. 733), che la disputa avvenne «in casa dell'amba-
sciator di Francia», si può pur sospettare che, essendosi permesso il Bruno di pubblicare il dialogo, dove si faceva la più fosca e sarca-
(B. [4)) (W. I, 117) (L. 115) .(G.1 I, 5-6) (G= 1, 7). 9
LA
CENA
DE
LE
CENERI
za! si convenne; non circa gli onorati costumi di que’ signori civilissimi, che, per esser spettatori ed auditori, vi furono presenti; ma circa un voler veder quantunque può natura in far due fantastiche befane, doi sogni, due ombre e due febbri quartane 2: del che, mentre si va crivellando il senso istoriale,
e poi si gusta e mastica,
geografice,
altre
si tirano a proposito topografie,
altre raziocinali,
metafisiche,
altre
matematiche,
Argomento Onde
altre morali;
speculazioni ancora,
altre
del primo
altre
naturali.
dialogo.
vedrete nel primo dialogo proposti in campo doi sug-
getti con la raggion condo,
di nomi
loro,
se la vorrete capire;
in grazia loro, celebrata la scala del numero
se -
binario;
terzo, apportate le condizioni lodabili della ritrovata e riparata filosofia; quarto, mostrato di quante lodi sia capace il Copernico; quinto, postivi avanti gli frutti de la nolana filosofia, con la differenza tra questo e gli altri modi di filosofare. Argomento Vedrete
nel secondo
del secondo dialogo. dialogo:
prima
la causa originale
de la cena; secondo, una descrizion di passi e di passaggi, che più poetica e tropologica, forse, che istoriale sarà da tutti stica
rappresentazione
della
società
inglese,
come
avvenuto
anzi
che in casa dell’ambasciator di Francia, presso l'amico inglese Greville, a questo ne fossero venute noie nei furori che, come si vedrà,
la Cena suscitò in Inghilterra, e quindi
sofo italiano. presenti
Si noti quella frase di p.
(alla tavola
del
Greville,
motivo
quindi
132
di romperla col filo-
«se quelli
lo stesso
che v'eran
Greville],
come
erano civili, fussero stati civilissimi ». Si rimproverava poi al B., com’ è detto nella Causa: «La offesa fu privata, la vendetta è pu-
blica» (p. 200).
1 Posta, pare, in Whitehall, o lf vicino (O. ELTON, G. Bruno England, in Modern studies, London, 1907, p. 12).
® Cfr. il son. del BERNI
che comincia:
in
«Chi vuol vedere quan-
tunque può natura In far una fantastica befana, Un'ombra, un sogno, una febbre quartana, Un model secco di qualche figura.... Legga per cortesia questa scrittura ». (B.
[4-5])
(W.
I,
117)
(L.
115-6) IO
(GI
I, 6)
(GI,
7-8).
PROEMIALE
EPISTOLA
giudicata; terzo!, come confusamente si precipita in una topografia morale, dove par che, con gli occhi di Linceo? quinci e quindi guardando (non troppo fermandosi) cosa per cosa, mentre fa il suo camino, oltre che contempla le gran machine, mi par che non sia minuzzaria, né petruccia, né sas-
setto, che non vi vada ad intoppare. Ed ciò fa giusto com'un pittore; al qual non basta far il semplice ritratto de l’ istoria; ma
anco,
per
empir
il quadro,
e conformarsi
con
l'arte
a la
natura, vi depinge de le pietre, di monti, de gli arbori, di fonti, di fiumi, di colline; e vi fa veder qua un regio palaggio, ivi una selva,
là
un
straccio
di
cielo,
in
nasce,
e da passo
in passo
un
asino,
un cavallo:
mentre
basta
quel
ucello,
canto
un
un porco,
di questo
mezo
sol
che
un cervio,
un
far veder
una testa,
di quello un corno, de l'altro un quarto di dietro, di costui l’orecchie, di colui l' intiera descrizione; questo con un gesto
ed una mina, con
maggior
che non
tiene quello e quell’altro,
satisfazione
di
chi
remira
e
di sorte che
giudica
viene
ad
istoriar, come dicono, la figura. Cossi, al proposito, leggete e vedrete quel che voglio dire. Ultimo, si conclude quel benedetto dialogo con l'esser gionto a la stanza, esser graziosamente accolto e cerimoniosamente assiso a tavola. Argomento
del terzo dialogo.
Vedrete il terzo Dialogo, secondo il numero de le proposte del dottor Nundinio, diviso in cinque parti. De quali la prima versa circa la necessità de l'una e de l'altra lingua. La seconda esplica l’ intenzione del Copernico, dona risoluzione d’un dubio importantissimo circa le fenomie3 celesti, mostra la vanità del studio di perspettivi ed optici circa la determinazione della quantità di corpi luminosi, e porge circa questo nuova, risoluta e certissima dottrina. La terza mostra il 1 BWL: secondo. ? Cfr. Sen., Medea,
summota Lynceus 3 I fenomeni.
lumine
231-2:
inmisso
«Quique
videt ».
trans
Pontum
quoque
(B. [5-6]) (W. I, 117-8) (L. 116) (G.1 I, 6-7) (G: I, 8-9). II
LA
CENA
DE
LE
CENERI
modo della consistenza di corpi mondani; e dechiara essere infinita la mole de l’universo, e che invano si cerca il centro o la circonferenza del mondo universale, come fusse un de’ cor-
pi
particulari.
La
quarta
afferma
esser
conformi
in
materia questo mondo nostro, ch'è detto globo della terra, con gli mondi, che son gli corpi degli altri astri; e che è cosa da fanciulli aver creduto, e credere, altrimente; e che quei
son tanti animali intellettuali; e che non meno
in quelli vege-
tano plici
ed intendono molti ed innumerabili individui e composti, che veggiamo vivere e vegetar nel
semdorso
sioni,
con
accie-
di questo. La quinta, per occasion d'un argomento ch’apportò Nundinio al fine, mostra la vanità di due grandi persuale quali,
cati si, che non terra;
quello
molti
e
son
esser
secreti
e simili,
veddero
stati
si
possibile;
Aristotele
ed
altri son
esser vero e necessario
impediti,
il che
de la natura
Argomento
che
non
facendosi,
sin al presente
han
stati
il moto
possuto
vengono
occolti.
de
la
credere
discoperti
del quarto dialogo.
Avete al principio del quarto dialogo mezzo per rispondere
a tutte raggioni ed inconvenienti teologali, e per mostrar questa filosofia esser conforme alla vera teologia e degna d'esser
faurita da le vere religioni. Nel resto vi se pone avanti uno, che non sapea né disputar, né dimandar a proposito; — il quale
per
esser più
impudente
ed arrogante
pareva
a gli più
ignoranti più dotto ch’ il dottor Nundinio; ma vedrete che non bastarebbono tutte le presse del mondo per cavar una stilla di succhio dal suo dire, —
per prender materia da far dimandar
Smitho, e rispondere il Teofilo; ma è a fatto soggetto de le spampanate di Prudenzio e di rovesci di Frulla. E certo mi
rincresse1 che quella parte ve si trove.
1 Rincresce. Assimilazione propria dei dialetti settentrionali (ma non estranea ai centro-meridionali (cfr. Arch. glott. ital., IV, II, 167-68)); della quale altri esempi nel Cand. (ded. alla signora Morgana B.) e nella Cabala, p. 866.
(B.
(6-7))
(W.
I, 118-9)
(L. 116-7) I2
(G.I I, 7-8)
(GI,
0-10).
PROEMIALE Argomento
EPISTOLA
del quinio
dialogo.
S'aggionge il quinto dialogo, vi giuro, non per altro rispetto,
eccetto che per non
Ivi
primamente
sizione che
di
corpi
si dice
conchiudere
s’apporta
nell'eterea
ottava
si sterilmente
sfera,
la convenientissima
reggione,
Cielo
mostrando
de le fisse,
un cielo, che que’ corpi, ch'appaiono
dal
mezzo;
ma
che
la nostra
tali appaiono
non
che
cena.
dispo-
quello,
è si fattamente
lucidi, siano equidistanti
vicini,
che
son
distanti
di
longhezza e latitudine l'uno da l’altro più che non possa essere
l'uno
sono
e l’altro
dal
sole
e da
la terra.
sette erranti corpi solamente,
n’abbiamo
compresi
per
tali;
ma
Secondo,
che
per tal caggione
che,
per
non
che sette
la medesima
rag-
gione, sono altri innumerabili, quali da gli antichi e veri filosofi non
senza
causa
son
stati nomati
corridori!,
perché
muovono,
l’imaginate
e non
aethera,
essi son
que’
sfere.
corpi,
che
che
Terzo,
vuol
veramente che cotal
procede da principio interno necessariamente,
dire
come
si
moto
da propria
natura ed anima; con la qual verità sì destruggono molti sogni, tanto circa il moto attivo della luna sopra l'acqui ed altre sorte
d’umori,
quanto
circa
l’altre
cose
naturali,
che
par
che
conoscano il principio de lor moto da efficiente esteriore. Quarto, determina contra que’ dubii, che procedeno con la stoltissima raggione
della gravità e levità di corpi;
quanto
che
c dimo-
stra ogni moto naturale accostarsi al circolare, o circa il proprio centro, o circa qualch’altro mezzo. Quinto, fa vedere sia
si muovano
necessario, non
con
una,
questa
ma
terra
con
più
ed
altri
simili
diflerenze
di
corpi
moti;
e
che quelli non denno esser più, né meno di quattro semplici, benché concorrano in un composto; e dice quali siano questi moti ne-la terra. Ultimo, promette di aggiongere per ! Cîr. PLATONE, Cratilo,p. 410 B (trad. l'icino): « al@épa praeterea
sic exponendum arbitror, quoniam
del det
semper curtit circa agrem fluens
quo
falsa etimologia
Meteor.,
Anche ARISTOTELE, (B.
[7-8]))
(W.
di
De coelo, I, 4
al0fp.
I, 119-20)
Cir.
(L.
circa
circa
(ma 3: 270 b 20),
117-8)
13
(G.1
dépa
déeoy, idest
&eu0edp dici
I, 3.
I, 8-0)
potest».
ripete la stessa
°
(G.2 I, 10-11).
LA
altri dialogi
filosofia;
quel
CENA
DE
LE
CENERI
che par che manca al compimento di questa
e conchiude
con
una
adiurazione
di
Prudenzio.
Restarete maravigliato, come con tanta brevità e sufficienza s'espediscano si gran cose. Or qua, se vedrete talvolta
certi
men
gravi
propositi,
che
par
che
debbano
farsi innante alla superciliosa censura di Catone,
perché sapran
temere
non
di
dubitate;
questi Catoni saranno molto ciechi e pazzi, se non scuoprir quel ch’ è ascosto sotto questi Sileni!, Se vi
1 Cfr. PLAT., Conv. p. 215 A, dove Alcibiade paragona Socrate ai brutti Sileni che si vedevano nelle officine degli scultori, e che,
divisi in due,
immagine
articulorum
mostravano
il Bruno
d'aver dentro le statue degli dei. La stessa
adoperò
physicorum
più tardi nell’ Acrotismus, seu vationes
adversus
Peripateticos
Parisiis
propositorum
ridersi, scherzare,
burlare e va-
(1588) e nel De imunenso et innumerabilibus (1591): Opera, I, 1, 62 e 208. Cfr. la pref. del FIoRENTINO, pp. xvn-xvur. Nello Spaccio, p. 550:
«Lasciaremo
la
moltitudine
gheggiarsi su la superficie de
mimici, comici e istrionici Sileni, sotto
gli quali sta ricoperto, ascoso e sicuro il tesoro della bontade e veri-
tade ».
Lo
Portici,
SrAMPANATO
1905,
p.
adoperata
dal
au-dessus
des
17)
(A/c.
ha
antec.
notato
RaBELAIS
che
e imitaz.
(Garganiua,
la stessa
Prol.),
franc.
del
immagine
autore
Candelaio,
molto
era
stata
probabil-
mente letto dal Bruno. Ma il Rabelais, pur citando esplicitamente il Convito platonico, dice che i sileni « estoyent jadis petites boistes, telles que voyons de present és bouticques des apothicaires, peinctes
satyres,
figures
oysons
bridez,
cerfs limoniers
juyeulses
et
liebvres cornus,
et austres
belles
frivoles, canes
peinctures
comme
des
bastées,
boucs
contrefaictes
harpies,
volants,
à plaisir,
pour exciter le monde è rire, quel feut Silene maistre du bon Bacchus: mais au dedans l'on reservoit les fines drogues, comme baume,
ambre
gris,
amomon,
precieuses» (Euvres,
musc,
Londres
civette, et
Paris,
pierreries
Bastien,
et
austres
1783,
I,
pp.
Sileni
di
choses xxv-
xxvi). — Negli Adagi di ErasMO, invece, notissimi al Bruno (chil. III, cent.
III, n.
1), si ha un
lungo
ragionamento
sui
cibiade (che apud eruditos et in proverbium del quale pare si ricordi il Bruno nelle sue opere.
lungamente Sileno,
dichiarato perché
Erasmo
soggiunge
che
natura
servus,
pauper,
claudus;
abduntque;
quod
rerum
recondunt
vere honestarum:
abiisse videtur), Ivi, dopo avere
Alcibiade assomigliasse Socrate a un un sileno
stene daculo suo, pera pallioque; Diogene, teto,
Al-
e
di questo
fu
habent
«Haec
eximium,
contemptissimum,
id
nimirum
est
id in intimis
prima
(B. [8-9)) (W. I, 120) (L. 118) (G.! I, 9) (G2= I, 11).
14
Anti-
vulgo canis habitus; Epit-
conchiude:
quod
genere
specie
PROEMIALE
occoreno
EPISTOLA
tanti e diversi propositi
attaccati
insieme,
che
non
par che qua sia una scienza, ma dove sa di dialogo, dove di comedia, dove di tragedia, dove di poesia, dove d’oratoria; dove lauda, dove vitupera, dove dimostra ed insegna; dove
ha or del fisico, or del matematico,
or del morale,
or del logico;
in conclusione, non è sorte di scienza, che non v’abbia di stracci !, Considerate, Signore, che il dialogo è istoriale, dove, mentre si riferiscono l'occasioni, i moti, i passaggi, i rancontri,
i gesti, gli affetti, i discorsi, le proposte, le risposte, i propositi ed i spropositi, remettendo tutto sotto il rigore del giudizio di que’ quattro, non è cosa, che non vi possa venir a proposito con qualche raggione. Considerate ancora, che non v’ è parola ociosa; perché in tutte parti è da mietere e da disotterrar cose di non mediocre importanza, e forse più là dove meno appare. Quanto a quello che nella superficie si presenta, quelli che n’ han
donato
occasione
di far il dialogo,
e forse una
satira
e comedia, han modo di dovenir più circonspetti, quando misurano gli uomini con quella verga, con la quale si misura il velluto, e con la lance di metalli bilanciano gli animi. Quelli, che
sarrano
prae
spettatori
se gerunt,
o lettori,
ac thesaurum
e che
ceu
vedranno
vili cortice
il modo,
dissimulant
nec
con
pro-
phanis ostendunt oculis. Ac vulgarium et umbraticarum longe statim obviis ostentant; sin penitus introspicias, nihil minus sunt quam quod titulo specieque prae se ferebant » (Adagia, Lutetiae, Chevillot,
MDLXXIX, coll. 635-6). Cfr. anche Moriae encomium (Lugd. Batav., 1648), pp. 99-9. Pico DELLA MIRANDOLA nella sua lett. a Ermolao Barbaro del 5 giugno 1485 (verisimilmente nota anch'essa al Bruno) aveva detto: «Sed vis effingam ideam semonis nostri? Ea est
ipsissima quae silenorum nostri Alcibiadis. Erant enim horum simu-
lachra hispido ore tetro et aspernabili, sed intus plena gemmarum, suppellectilis rarae et prociosae. Ita extrinsecus si aspexeris feram
videas; si introspexeris, numen agnoscas »: Io. Picr MIR., Omnia opera, Venetiis, De Fontaneto, MDXIX: Epist., lib. I. « Già ne l'aprir d'un rustico Sileno, Meraviglie vedea l'antica etade....v (Tasso, Ger. lib., xvii, 30. Cfr. dello stesso Tasso I1°Apologia). 1 (G! = B:
punti
di
dell’archetipo
scorso).) (B.
[9])) (W.
suoi
stracci:
determina
I, 120-1)
(L.
(il punto
una
fermo
arbitraria
118) 2
15
in
luogo
interruzione
(G.3 I, 9-10)
(G=T,
dei
del
11-2).
due
di-
LA
CENA
DE
LE
CENERI
cui altri son tocchi, hanno per farsi accorti ed imparar a l'altrui spese. Que’, che son feriti o punti, apriranno forse gli occhi;
e vedendo la sua povertà, nudità, indignità, se non per amore,
per vergogna almeno si potran correggere o cuoprire, se non vogliono confessare. Se vi par il nostro Teofilo e Frulla troppo
grave
e rigidamente
siderate,
Signor,
toccare il dorso
che questi
animali
d’alcuni
non
han
suppositi,
si tenero
con-
il cuoio;
che se le scosse fussero a cento doppia maggiori, non le stimarebono punto, o sentirebbono più che se fussero palpate d'una fanciulla. Né vorrei che mi stimate degno di riprensione per quel che sopra si fatte inepzie e tanto indegno campo, che n’ han porgiuto questi dottori, abbiamo voluto exaggerar
si gravi e si degni propositi; perché son certo, che sappiate esser differenza da togliere una cosa per fondamento, e prenderla per occasione. I fondamenti invero denno esser propor-
zionati alla grandezza, condizione e nobiltà de l'edificio; ma le occasioni possono essere di tutte sorte, per tutti effetti;
perché cose minime e sordide son semi di cose grande ed eccellenti, sciocchezze e pazzie sogliono provocar gran consegli,
giudizii
ed
invenzioni.
proprii,
sappiate
Lascio
ch’ è
manifesto,
che
gli
errori
e delitti han molte volte porgiuta occasione a grandissime regole di giustizia e di bontade. Se nel ritrare vi par che i colori non rispondano perfettamente al vivo, e gli cielineamenti non vi parranno al tutto pittore
non
e distanze,
ch’ il difetto
ha possuto
che
soglion
è provenuto
essaminar
prendère
il ritratto
i maestri
da
de
questo,
con
che
que’
l’arte;
il
spacii
perché,
oltre che la tavola, o il campo era troppo vicino al volto e gli occhi, non si possea retirar un minimo passo a dietro, o discostar da l’uno e l’altro canto,
senza timor di far quel salto,
che feo il figlio del famoso defensor di Troia !. Pur, tal qual è,
prendete
mille,
questo
que’
tutti;
! SENECA,
« Mactata (B.
virgo
[9-10]))
ritratto,
atteso
Tro0as,
(W.
V,
[Polyxena] I,
121)
ove
son
che non
1o60
est;
(L.
que’
vi si manda
(1063
missus
118-0)
16
doi,
(GI
dell’ediz.
que’
cento,
que’
per informarvi
Picper-Richter):
e muris puer {Astyanax] ». I,
10-1)
(GI,
12-3).
PROEMIALE
EPISTOLA
di quel che sapete, né per gionger acqua al rapido fiume del vostro giudizio ed ingegno; ma perché so, che secondo l’ordinario, benché conosciamo le cose più perfettamente al vivo, non sogliamo però dispreggiar il ritratto e la rapreséntazion di
quelle.
Oltre
che
son
certo,
ch' il generoso
animo
vostro
drizzarà l'occhio della considerazion più alla gratitudine del: l'affetto con cui si dona, che al presente della mano che vi porge. Questo s’ è drizzato a voi, che siete più vicino e vi mostrate più propizio e più favorevole al nostro Nolano, e però vi siete reso più degno supposito di nostri ossequi in questo clima, dove
i mercanti
senza
conscienza
e fede
son
facilmente
Cresi,
e gli virtuosi senz'oro non son difficilmente Diogeni. A voi, che con tanta munificenza e liberalità avete accolto il Nolano
al vostro tetto e luogo più eminente di vostra casa !; dove, se questo terreno, in vece che manda fuori mille torvi gigantoni, producesse altri tanti Alessandri Magni, vedreste più
di cinquecento
venir a corteggiar questo Diogene,
il qual per
il sole,
(per non
cinico ma-
grazia de le stelle non ave altro, che voi che gli venga a levar
se pur
scalzone? manda che
qualche
quella
buca,
tannia
rapresentate
potente Re 3,
farlo
sapete.
che
diretto
A
o
di quel
reflesso
voi si consacra,
l'altezza
dal
più povero
raggio
dentro
che
in questa
Bri-
di si magnanimo,
si grande
e si
generosissimo
petto
de 1’ Europa,
la voce de la sua fama fa rintronar gli estremi cardini terra; quello che, quando irato freme, come leon da
con
de la l'alta
spelonca, dona spaventi ed orror mortali a gli altri predatori potenti di queste selve, e quando si riposa e si quieta, manda
talvampo
di liberale
e di cortese
amore4,
ch' infiamma
il tro-
1 Casa posta in Butcher's Row, in uno stretto vicolo della piazza
presso
S. Clemente
* Nel
con quante
Cand.,
IV,
Danese:
BouLTING,
5: « Dopo
filosofie giamai
G. B., London,
ch' io arrò compassato
abbiano
avuto
que’
1917,
p. 90.
i miei negocii
barbiferi
mascalzon
di Grecia e de l' Egitto, si, per disgrazia, la cosa non accade a proposito,
ognun
mi
chiamerà
balordo ».
3 Per una più alta lode di Enrico
4 (A: (B.
10-1)
animo). (W.
I,
121-2)
(L.
119-20)
III, v. Spaccio, (GI
I, 11-2)
pp. (G2
8206-27. I, 13-4).
LA
CENA
DE
LE
CENERI
pico vicino, scalda l' Orsa gelata, e dissolve il rigor de l’artico deserto,
gira!.
che
Vale.
t Cir.
sotto
SENECA,
l'eterna
Octavia,
custodia
28-30
del
(237-39
fiero
dell'ediz.
Boote
cit.):
si
rag-
« Infau-
stam facem Qua plaustra tardus noctis aeternae vice Regit Bootes frigori arctoo rigens ». Cfr. anche Medea, 314-6. (B.
[11))
(W.
I,
122)
(L.
120)
18
(GTI,
12)
(G2I,
19).
DIALOGO
PRIMO
INTERLOCUTORI Smitho,
un
Teofilo
filosofo,
Prudenzio
pedante,
rulla.
1 Di questi interlocutori il primo è certamente, al pari del terzo, personaggio storico, sebbene sia difficile identificarlo. Secondo
Lewis
EinsTEIN,
The
ital.
Renaiss.
in
England,
New
York,
1902,
or the Complaint
of the
p. 101, sarebbe un Giovanni Smith; secondo il McINTYRE, pp. 36-37, diligente indagatore delle relazioni del Bruno con gl'inglesi, potrebbe essere stato il pocta William Smith, discepolo di Spenser,
che pubblicò
un pocma
pastorale
Chloris,
passionate despised Shepherd. Ma, come assennatamente osserva lo SPAMPANATO (Vita, p. 353, n. 1), non è possibile individuare questo Smith tra molti inglesi contemporanei di questo cognome. d'un
Quanto allo Smith dell' EINSTEIN, questi, 0. c., p. 101, dà notizia metodo
italiano
pubbl.
a
Londra
dal
francese
DESAINLIENS,
più noto sotto il nome di Claudio Hollyband: The italian Schoolmaister
Containing rules for the perfect prononcing of th' italian tongue, with familiar Speeches and certain Phrases taken out of the best Italian authors, anda fine Tuscan histoire called Arnald and Lercenda, London 1575 (rist. in forma ampliata nel 1597); e nota che il libro è dedicato al « master John Smith, probabilmente quel medesimo Smith,
che più tardi divenne amico di Giordano Bruno ». (B.
1)
(W.
I,
[123))
(L.
120)
19 ù
—
G,
Lruno,
Dialoghi
italiani
(GTI,
[13))
(GI,
(15)).
LA
CENA
Smitho.
Parlavan*
Teofilo.
Si.
DE
ben
LE
CENERI
latino?
Sutitho. Galantuomini ? Teofilo. SÉ.
Smitho. Di buona riputazione? Teofilo. Sf.
Teofilo, come Filoteo dei diall. De Ja Causa, e De l' Infinito, è «il fidel relatore della nolana filosofia » (v. alla fine del De la Causa). Altri filosofi, prima e dopo Bruno, scelsero tale appellativo a rappresentare l’espositore delle proprie dottrine; A. Nifo, p. e. prima del Bruno, Spinoza (Dial. tra Erasmo e Filoteo) e Leibniz (Nouveaux Essais) dopo. Il Bruno già aveva assunto personalmente l'appellativo di Philoteus premettendolo nel frontespizio al proprio nome e cognome nel De compendiosa architeciura et complemento Avtis Lullii (Parigi, 1592) e poi nella Recens et completa ars reminiscendi (Londra, 1583). Il IKUHLENBECK (III, 178) nota che Fra Teofilo (da Vairano) si chiamava il primo maestro di logica che ebbe, tra
il 1563
e il 65,
in Napoli,
il Bruno
(SPAMPANATO,
Vita, pp.
651,
697 e 97-9), e crede quindi che la « predilezione del Bruno d' introdurre questo nome come rappresentante delle sue idee, poté deri-
vare dal ricordo affettuoso
(fietàtvoller)
FrANcEsco BrLo d. neuer. dramas,
dové esser nota. n., e A. SaLza,
spirituale nel campo Prudenzio è, dante. Il nome non fu tolto dalla commedia
di questa sua prima
guida
della filosofia ». come dice il B., «troppo prudente », un pcdel resto inventato dal B., che pare l'abbia I! Pedante (1529) (più probabilmente 1538) di
che gli II, 281,
V. CREIZENACH, Gesch. Una commedia pedan-
tesca del Cinquecento (nella Miscell. di studi crit. ed. in onore di A. Graf, Bergamo, 1903, p. 45° (ma 449.) Intorno al tipo comico del pedante nella letteratura del sec. XVI v. il noto saggio del Grar,
Attrav.
il
Cinquee.,
Torino,
1888,
pp.
171-213.
Per
la
rappresentazione che ne fa il Bruno nelle sue opere italiane v. SPamPANATO, Antipetrarchismo di G. B., Milano 1900, pp. 69-76, nonché il suo ricco commento al Candelaio 1-3, e SALZA, 0. c., pp. 449-452. Frulla, come dice il suo nome, è un uomo da poco, intro-
dotto a prendersi giuoco di maestro Prudenzio.
Frullare
significa
anche battere, percuotere; e questo è appunto l'ufficio di Frulla. ! (A: Parlavon)
(B. 1) (W. I, (r23)) (L. 120) (G.1 I, [13]-4) (G3 I, (15]-0). 20
DIALOGO
PRIMO
Smitho. Dotti? Teofilo. Assai competentemente. Smitho.
Ben
creati,
cortesi,
civili?
Teofilo. Troppo mediocremente. Smutho. Dottori? Teofilo.
Messer
si,
padre
si,
madonna
sî,
madesi ‘,
credo da Oxonia. Smitho. Qualificati? Teofilo. vestiti
Come
non ? uomini
di velluto;
un
da scelta,
de’ quali
avea
due
di robba lunga ?, catene
d’oro
lu-
cente al collo, e l’altro, per Dio, con qeulla preziosa mano, che contenea
dodeci
anella
in due
chissimo3 gioielliero, che ti quando la vagheggiava 4.
cavava
dita, sembrava
gli occhi
ed
uno ric-
il core,
Smitho. Mostravano saper di greco? Teofilo. E di birra eziandio.
Prudenzio. Togli via quell’eziandio, poscia; una obsoleta ed antiquata dictione. Frulla. Tacete, maestro, ché non parla con voi. Smitho. Come eran fatti? 1 IVL correggono: madre st. Ma arbitrariamente;
madesi
è
era
usato negli antichi scrittori come rinforzativo di sf. ? Abito de’ dottori. Cfr. il prov. «Dottor di Valenzia, longa robba © corta scienzia» (FLORIO, Giardino di ricreazione, p. 47). | 1 (A: richissimo.) 4 Si noti che, come
ha avvertito il B., qui i due dottori Torquato
e Nundinio sono « proposti in campo.... con la raggion di nomi loro, se la vorrete capire» (cfr. p. 10). Uno dunque è detto Torquato {da
torgues)
per
catene
che
ha
al
collo;
l'altro
Nundinio
(da
nundinae, fiera, mercato) per le anella che porta alle dita, e che dovevano essere segno distintivo degl’ interpreti delle fiere. Il Nundinio, infatti, come si vedrà, farà nel dialogo da interprete del Torquato, 5 (G!1 = B: poscia; G? poscia che) Cfr. Cand3, p. 102.
6 (B: absoleta (cfr. p. 1117 nota).)
(B.
1-2)
(W.
I,
(123])
(L.
120-1) ZI
(G.!
I,
14)
(GI,
16-7).
LA
Teofilo. L'uno
CENA
parea
DE
LE
CENERI
il connestabile ! della
gigantessa
e l’orco, l’altro l’amostante della dea de la riputazione ?. Smitho. Si che eran doi? Teofilo. Si per esser questo un numero misterioso. Prudenzio.
Ut essent duo
lestes.
Frulla. Che intendete per quel festes? Prudenzio. cienza.
At,
numero
me
hercle,
binario
Teofilo. dice
Testimoni,
sinistro,
e va
perché
avete
della
detto,
nolana Teofilo,
due
finito
sono ed
le prime
moti:
infinito,
discorrendo.
retto,
vazione,
che
Due
coordinazioni,
curvo sono
e retto,
il
le spezie
con
il quale
e circulare,
col
i corpi
quale
tendeno
si conservano.
come
destro
e
di numeri,
pare ed impare, de' quali l’una è maschio, l’altra Doi sono gli Cupidi, superiore e divino, inferiore Doi sono gli atti della vita, cognizione ed affetto. gli oggetti di quelli, il vero ed il bene. Due sono di
suffi-
è misterioso?
Perché
Pitagora,
essaminatori
è femina. e volgare. Doi sono le specie
alla conserDoi
son
gli
principii essenziali de le cose, la materia e la forma. Due le specifiche
differenze
della sustanza,
raro e denso,
semplice
e misto. Doi primi contrarii ed attivi principii, il caldo e il freddo.
Doi
primi
parenti
de
le cose
naturali,
il sole
e la
terra.
Frulla. Conforme un'altra
scala
al proposito di que’ prefati doi, farò
del binario. Le bestie entrorno ne l’arca, a due
a due; ne uscirono ancora
a due
a due 3. Doi sono i corifei
di segni celesti: Aries e Taurus. Due sono le specie di wnolite
1 Cand.,
p.
3 Genesi,
VI,
28:
« connestable ».
® Paragone aretinesco già adoperato nel Cand.?, (B.
2)
(W.
I,
19 e VIII,
16 sgg.
123-4)
121)
(L.
22
(GI,
14-5)
p. 27.
(GT,
17-8).
DIALOGO
PRIMO
fieri: cavallo e mulo.
Doi
son
gli animali
ad imagine
e
similitudine de l’uomo:
la scimia in terra, e ’1 barbagianni
in cielo. Due sono le false ed onorate reliquie di Firenze in questa patria: i denti di Sassetto e la barba di Pietruccio ?. Doi sono gli animali, che disse il profeta aver più intelletto, ch’il popolo d’ Israele: il bove perché conosce il suo possessore, € l'asino perché sa trovar il presepio del padrone 3. Doi furono le misteriose cavalcature del nostro redentore, che significano il suo antico credente ebreo ed il novello
gentile: l’asina e il pullo 4. Doi sono da questi li nomi derivativi, ch’ han formate le dizioni titulari al secretario d’Augusto: Asinio e Pullione. Doi sono i geni 5 degli asini: domestico e salvatico. Doi i lor più ordinarii colori: biggio e morello. Due sono le piramidi, nelle quali denno esser scritti e dedicati all’eternità i nomi di questi doi ed altri simili dottori:
non
1 Cfr. Salmo XXXI, g: « Nolite fieri sicut equus et mulus, quibus
est intellectus ». 2 BL: Pietruccia; ma può trattarsi, come ha notato per primo lo SPAMPANATO (Postille, p. 468), di « un refuso possibile ne’ libri del B.,
anzi
più
volte
da lui rilevato
quando
formò
l’elenco
degli
errori
‘ più fastidiosi’ o ‘ più urgenti» La correzione è consigliata (ma si noti il richiamo al petruccia di p. 11), perché ne vien fuori un toscano assai noto a Londra e benvoluto a Corte: Pietruccio Ubaldini,
soldato,
insegnante
seggiatore, autore di una Vite delle donne illustri di
ital.
d’ italiano,
miniatore
di
codici,
ver-
Vita di Carlomagno (1581) e di certe Inghilterra e di Scozia (1591). (Su lui
EINSTEIN,
The
Renaiss.
colonnello,
servi molti anni
in England,
passim).
E
con
lui
fa
bene il paio Tommaso di Vincenzio Sassetto, toscano anche lui, e uomo d'arme prima in Irancia, poi in Inghilterra, dove, col titolo d P. 369,
e G.
S. GARGANO,
e morf
praescpe
non
4 Cfr.
domini
MATTEO,
5 Plur. di (B.
sui:
intellexit ».
2-3)
(W.
I,
Israel
XXI,
5,
124)
(L.
geno
1593. V. pure
Scapigliatura ital. a Londra,
tistelli, 1923, p. 45. 3 Isara, I, 3: « Cognovit meus
nel
bos
autem 7.
= genere;
possessorem
me
non
cfr. Cand2,
121-2)
23
(GI,
Spamp.,
Vita,
Firenze,
suum,
cognovit,
et
Bat-
asinus
et populus
p. 49, n. 1. 15-6)
(GI,
18-9)
LA
CENA
DE
la destra orecchia del caval
LE
CENERI
di Sileno, e la sinistra de l'an-
tagonista! del dio degli orti 3. Prudenzio. Optimae indolis ingenium, entoneratio minime contenmenda !
Frulla. Io mi glorio, messer Prudenzio mio, perché voi
approvate il mio discorso, che sete più prudente che l' istessa prudenzia, perciò che sete la pridentia masculini generis. Prudenzio. Neque id sine lepore et gratia. Orsù, isthaec inittamus
encomia.
princeps,
sedendo
Sedeamus,
quia,
et quiescendo
ut
ait
sapimus;
Peripateticorum
e cossi,
insino
al
tramontar del sole, protelaremo il nostro tetralogo circa il
successo del colloquio del Nolano col dottor Torquato e il
dottor Nundinio. Frulla. Vorrei sapere quel che volete intendere per quel tretalogo
Prudenzio. Tetralogo, dissi io: id est, quatuorum sernto; come dialogo vuol dire duorum sermo, trilogo frium sernito; e cossi oltre, de pentalogo, mente
si chiamano
eptalogo,
dialogi,
come
ed altri, che abusiva-
dicono
alcuni
quasi
dt-
versoruni logi: ma non è verisimile che li greci inventori di questo nome abbino quella prima sillaba adi» pro capite illins latinae dictionis a diversuni ». 1 (B:
antigonista
(cfr. p.
776
n.
1).)
= Il caval di Sileno era un asino; e l'asino fors'anco si deve in-
tendere
per
l'antagonista,
o rivale,
di
Priapo,
dio
degli
piacendosi non di rado il B. di siffatte oscene allusioni.
orti,
com-
(L’antago-
nista di Priapo è certamente l'asino, che contese con il dio in una serie di*occasioni (elencate da V. CARTARI, Le imagini de i dei, Venezia 1550, p. 445): cfr. son. A l’Asino Cillen., v. 13 (p. 913).) Due orecchie d'asino dovrebbero quindi essere il monumento di
cotali dottori.
3 (GI = B: tretalogo; G>: fetralogo (la correzione, se pur è tale, è arbitraria, perché trattasi qui di uno sproposito di Frulla ripreso dal pedante nella battuta che segue).) (B.
3-4)
(W.
I
124-5)
(L.
122)
24
(GI
I, 16-7)
(G=I,
19).
DIALOGO
PRIMO
Smitho. Di grazia, signor maestro, lasciamo questi rigori di gramatica, e venemo al nostro proposito. Prudenzio. O saeclum! voi mi parete far poco conto delle buone
se non
lettere.
sappiamo
Come
che
potremo
significhi
far un
questa
logo
e, quod peius est, pensaremo
Nonne
a
come
difinitione
il nostro
et a nonunis
buon
tetralogo,
dizione
tetra-
che sia un dialogo?
explicatione
exordiendum,
Arpinate * ne insegna?
Teofilo, Voi, messer Prudenzio, sete troppo prudente. Lasciamo, vi priego, questi discorsi grammaticali; e fate conto, che questo nostro raggionamento sia un dialogo, atteso
che
benché
siamo
quattro
in
persona,
saremo
dui
in officio di proponere e rispondere, di raggionare e ascoltare. Or, per dar principio e reportar il negocio da capo, venite ad inspirarmi,
o Muse.
Non
dico a voi, che parlate
per gonfio e superbo verso in Elicona: perché dubito che forse non vi lamentiate di me al fine, quando, dopo aver fatto sf lungo e fastidioso peregrinaggio, varcati sf perigliosi mari, gustati si fieri costumi, vi bisognasse discalze e nude tosto repatriare, perché qua non son pesci per Lombardi ?. Lascio, che non
solo siete straniere, ma siete ancor di quella
razza, per cui disse un poeta: Non
fu mai
greco
di malizia
netto 3.
! Cic., De officiis, I, 2, 7. ? Vecchio proverbio, che s'incontra anche in un verso maccheronico di Gian Giorgio Alione: Nec per Lombardis sunt pisces in Astesana; e in una lettera (di A. Persio diretta al Doni nell'aprile)
del
1570:
Delle lettere facete et piacevoli
et chiari et begli ingegni Altobcello Salicato, 1601,
BurcmeLLo
(Rime,
1553,
di diversi
huomini
grandi
raccolte da Francesco TurcHi, Vinegia, lett. 157, p. 393 (dove però deriva dal
p. 17). L'Amerio
(p. 194,
n. 2) ha rile-
vato la connessione di questo detto con una leggenda domenicana.) 3 Fusione di due versi del Morgante del Pulci (XVIII, 175 e XXI,
138:
di malizia (B.
4)
« Odi,
ribaldo,
netto ». V. (W.
I,
odi
anche
125)
(L.
malizia
FLoRrIo, 122-3)
25
greca »; « Non
Giard.
(GAI,
fu
mai
di ricreazione,
17)
(GI,
guercio
p.
19-20).
162.
LA
CENA
DE
LE
Oltre che non posso inamorarmi Altre, altre,
CENERI
di cosa, ch'io non vegga.
altre sono che m'hanno incatenata l'alma. A voi dunque, dico, graziose, gentili, pastose, morbide,
gioveni, belle, delicate, biondi capelli, bianche guance, miglie
gote,
labra
succhiose,
e cuori di diamante;
occhi
divini,
petti
ver-
di smalto
per le quali tanti pensieri fabrico
ne la mente, tanti affetti accolgo nel spirto, tante passioni concepo
nella vita,
tante
lacrime
verso
da gli occhi,
tanti
suspiri sgombro dal petto e dal cor sfavillo tante fiamme; a voi, Muse d’ Inghilterra, dico: inspiratemi, suffiatemi, scaldatemi, liquore,
accendetemi,
datemi
picciolo,
lambiccatemi
in succhio,
delicato,
stretto,
e
risolvetemi
e fatemi
comparir
non
corto
succinto
epigramma,
e
con
in un
ma con una copiosa e larga vena di prosa lunga, corrente, grande e soda: onde, non come da un arto calamo, ma come da un largo canale, mande i rivi miei. E tu, Mnemosine mia, ascosa sotto trenta sigilli, e rinchiusa nel tetro carcere del-
l'ombre de le idee, intonami un poco ne l'orecchio ?. Ai di passati vennero doi al Nolano da parte d’un regio scudiero, facendogl' intendere qualmente colui bramava sua conversazione, per intender il suo Copernico ed altri para-
1 Lo SFPAMPANATO (Vila, p. 368) ha notato come Erasmo avesse sentito similmente il fascino delle dame inglesi; e come col B. consentisse il suo amico FLoRIO, Secondi frutti, p. 130; non dimentica le «labra succhiose »: v. Critica, XXI, 122, 246, 247, ccc.
il quale poi 125; XXII,
2 Il B. accenna a due delle sue opere consacrate all'esposizione
dell'arte della memoria, blicata
dall'autore
a
cioè alla Triginta sigillorum explicatio, pub-
Londra,
nel
1583,
e
al
De
Umbris
idearum,
pubblicato l’anno innanzi a Parigi; rist. entrambe in Opera, vol. II. Di queste due opere un'esposizione accurata nel Tocco, Le opere lat.
part.
di
G.
Bruno
II, capp.
(B. 4-5)
esposte
2° e 4°.
(W.
e confrontate
I, 125-6)
(L.
123)
26
con
(G.!
le italiane,
17-8)
(G2
Firenze,
I, 20-1).
1880,
DIALOGO
PRIMO
dossi di sua nova filosofia. Al che rispose il Nolano, che Iui non vedea per gli occhi di Copernico, né
per i proprii, quanto
altri
Ptolomeo, ma
quanto al giudizio e la determinazione; benché
alle
osservazioni,
solleciti
e tempi,
di
stima
matematici,
giongendo
lume
che
dover
molto
a questi
successivamente,
a lume,
ne han
ed
a tempi
donati
principii
sufficienti, per i quali siamo ridutti a tal giudicio, quale non possea se non dopo molte non ociose etadi esser partu-
rito. Giongendo,
che
costoro
in effetto son
come
quelli
ne’ sentimenti,
e non
interpreti, che traducono da uno idioma a ma sono gli altri poi, che profondano
l’altro le paroli:
essi medesimi 1, E son simili a que’ rustici, che rapportano gli affetti e la forma d'un conflitto a un capitano absente: ed essi non intendono il negocio, le raggioni e l’arte, co’ la quale questi son stati vittoriosi; ma colui, che ha esperienza e meglior giudicio ne l’arte militare. Cossf a la tebana Manto,
che
vedeva,
divino
interprete,
ma
non
intendeva,
Tiresia,
cieco,
ma
diceva:
Visu carentem magna pars veri latet, Sed quo vocat me patria, quo Phoebus, sequar. Tu lucis inopem gnata genitorem regens, Manifesta sacri signa fatidici refer ?,
Similmente
che potreimo
giudicar noi, si le molte e diverse
verificazioni de l'apparenze de’ corpi superiori o circostanti non ne fussero state dechiarate e poste avanti gli occhi de la raggione ? Certo, nulla. Tuttavia, dopo aver rese le grazie a gli dei, distributori de’ doni, che procedono dal primo 1 Circa 250-252.
il pensiero
® SENECA,
Cedipus,
l'ediz. Peiper-Richter). (B. 5-5*)
(W.
I, 126)
di
B.
vv.
(L.
sulle
traduzioni
cfr.
299-300,
505-6
(295-906
123-24)
27
(G.1 I, 18-9)
Critica,
(G2
e
XXII,
301-2
I, 21-2).
del-
LA
CENA
DE
LE
CENERI
ed infinito onnipotente lume, ed aver magnificato il studio di questi generosi spirti, conoscemo apertissimamente, che doviamo aprir gli occhia quello ch’ hanno osservato e visto, e non porgere il consentimento a quel ch’ hanno conceputo,
inteso
Smitho.
e determinato. Di grazia, fatemi intendere, che opinione
avete
del Copernico ? Teofilo.
Lui
avea
un
grave,
elaborato,
sollecito
e ma-
turo ingegno 1; uomo che non è inferiore a nessuno astronomo che sii stato avanti lui, se non per luogo di successione
e tempo;
stato molto
uomo
superiore
che,
quanto
al giudizio
a Tolomeo, Ipparco,
naturale,
Eudoxo
è
e tutti
gli altri, ch' han caminato appo i vestigi di questi. Al che è dovenuto per essersi liberato da alcuni presuppositi falsi de la comone e volgar filosofia, non voglio dir cecità. Ma però non se n° è molto allontanato; perché lui, più studioso de la matematica che de la natura, non ha possuto profondar e penetrar sin tanto che potesse a fatto toglier via le radici de inconvenienti e vani principii, onde perfettamente sciogliesse tutte le contrarie difficultà e venesse
a liberar e sé ed altri da tante vane inquisizioni e fermar
la contemplazione ne le cose costante e certe. Con tutto ciò chi potrà a pieno lodar la magnanimità di questo germano,
il quale,
avendo
poco
riguardo
a la stolta
moltitu-
dine, è stato sf saldo contra il torrente de la contraria fede, e benché quasi inerme di vive raggioni, ripigliando quelli abictti e rugginosi fragmenti ch’ ha possuto aver per le mani
da
la antiquità,
le ha
ripoliti,
accozzati
e risaldati
1 Cfr. il cap. IX del lib. ITI del poema De immenso (Opera, I, 1, p. 388 (380) sgg.) intitolato: De lumine Nicolai Copernici. (B.
5*-6)
(W.
I,
126-7)
(L.
124)
28
(G.!
I,
19-20)
(G.2
T,
22).
DIALOGO
PRIMO
in tanto, con quel suo più matematico che natural discorso, ch’ ha resa la causa, già ridicola, abietta e vilipesa, onorata, preggiata, più verisimile che la contraria, e certissima-
mente più comoda ed ispedita per la teorica e raggione calculatoria ? Cossi questo alemano, benché non abbi avuti sufficienti modi, per i quali, oltre il resistere, potesse a bastanza vencere, debellare e supprimere la falsità, ha pure fissato il piede in determinare ne l’animo suo ed apertissimamente confessare, ch'al fine si debba conchiudere necessariamente, che più tosto questo globo si muova a l'aspetto de l’universo, che sii possibile che la generalità di tanti corpi innumerabili, de’ quali molti son conosciuti più magnifici e più grandi, abbia, al dispetto della natura e raggioni che con sensibilissimi moti cridano il contrario, conoscere questo per mezzo e base de’ suoi giri ed influssi. Chi dunque sarà sf villano e discortese verso il studio di quest'uomo, che, avendo posto in oblio quel tanto che ha fatto,
con
dovea
precedere
filosofia,
esser
per
de la cieca,
ordinato
dagli
dei
l’uscita di questo
tanti
secoli
maligna,
sepolta
proterva
come
sole
nelle
una
aurora,
de l'antiqua
vera
ignoranza;
vogli,
tenebrose
ed invida
che
caverne
notandolo per quel che non ha possuto fare, metterlo medesmo
numero
della gregaria
moltitudine,
che
nel
discorre,
si guida e si precipita più ! per il senso de l'orecchio d’una brutale e ignobil fede; che vogli ? computarlo tra quei, che col felice ingegno s' han possuto drizzare ed inalzarsi per la fidissima scorta de l'occhio della divina intelligenza? Or
che
dirrò
1 (Amerio:
? (Amerio: (B.
6-7)
io del
giù) che (W.
I,
[non] 127)
Nolano? Forse,
per
essermi
tanto
vogli) (L.
124-5)
29
(Gi
I, 20)
(G.2
I, 22-3).
LA
CENA
DE
LE
CENERI
prossimo, quanto io medesmo a me stesso, non mi converrà lodarlo 1? Certamente, uomo raggionevole non sarà, che mi riprenda in ciò, atteso che questo talvolta non solamente
quel
conviene,
terso Di
ma
e colto
è anco necessario,
come
bene espresse
Tansillo:
Bench’ad un uom, che preggio ed onor sé stesso parlar molto sconvegna,
brama,
Perché la lingua, ov'il cor teme ed ama, Non è nel suo parlar di fede degna;
L’esser altrui precon de la sua fama Pur qualche volta par che si convegna, Quando vien a parlar per un di dui: Per fuggir biasmo, o per giovar altrui ?.
Pure, se sarà un tanto supercilioso, che non vogli a propo-
sito alcuno patir la lode propria, o come propria, sappia, che quella talvolta non si può dividere da sui presenti e riportati effetti. Chi riprenderà Apelle, che presentando l’opra, a chi lo vuol sapere, dice, quella esser sua manifattura?
di
Chi biasimerà Fidia, s' a un, che dimanda
questa
magnifica
scoltura,
risponda
esser
l’autore
stato
lui?
Or dunque, a fin ch’ intendiate il negocio presente e l’ importanza presto
sua, vi propono
facile-
e
per
una
chiarissimamente
conclusione, vi
si
provarà:
che
ben
che,
se
vien lodato lo antico Tifi per avere ritrovata la prima nave, e cogli
Argonauti Audax
Rate
trapassato nimium,
tam
Terrasque
Animam
lib.
1 Cfr. 1V,
le lodi
cap.
I, in
» L. TansiLLo,
di L.
che
(B.
7-8)
freta primus
suas
levibus
post
il Bruno I,
terga
credidit
11,
torna
1-2
Vendemmiatore,
Medea,
(W.
qui
fragili perfida rupit,
Opera,
T., ed. Flamini,
3 SENECA,
il mare:
I,
p. 64.
vv.
128)
videns,
auris 3;
a far
(2-3).
di sé
st. XXIX:
nel
De
L'egloga e i poemetti
301-304.
(L.
125) 30
(GI
IT, 20-1)
im,
(G.2
I, 23-4).
DIALOGO
se a’ nostri tempi
PRIMO
vien magnificato il Colombo,
per esser
colui, de chi tanto tempo prima fu pronosticato: Saccula
seris,
Venient
quibus
annis
Oceanus
Vincula rerum laxet, et ingens Pateat tellus, Tiphysque novos Detegat orbes, nec sit terris Ultima
Thule 1;
che de’ farsi di questo, che ha ritovato il modo di montare al cielo, discorrere
la circonferenza
de le stelle, lasciarsi
a
le spalli la convessa superficie del firmamento? Gli Tif han ritrovato il modo di perturbar la pace altrui, violar i patrii genii de le reggioni, di confondere quel che la provida natura distinse, per il commerzio radoppiar i difetti, e gionger
vizii a vizii de l'una e l'altra generazione,
più
mostrar
con
violenza propagar nove follie e piantar l’ inaudite pazzie ove non sono, conchiudendosi alfin più saggio quel ch'è forte;
novi
studi,
instrumenti
rannizar e sassinar l’un l’altro; per tempo verrà, che, avendono = quelli parato, per forza de la vicissitudine e potranno renderci simili e peggior
ed
arte
mercé de’ a sue male de le cose, frutti de si
de
ti-
quai gesti spese imsapranno perniciose
invenzioni 3. Candida nostri saccula patres Videre procul fraude remota. Sua
quisque
1 Ivi, vv. 378-82
p.
® Forma
6I, n. 3 Cfr.
(B.
1. il De
8-9)
plurale
(W.
ismn.,
I,
piger
(375-79
del
dell’ediz.
gerundio.
lib. VII,
128-9)
littora
(L.
Ter
cap.
XVI,
126)
(G.!
3I
tangens,
cit.).
cui si
in
vegga
Opera,
I, 21-2)
(G2
I,
appresso, 11, 271
I, 24-5).
sgg.
LA
CENA
Patrioque Parvo
Natale
DE
senex
dives,
solum,
Bene
nisi
fractus
non
dissepti
LE
quas
CENERI in arvo
tulerat
norat
opes.
foedera
mundi
Traxit in unum Thessala pinus, Iussitque pati verbera pontum, Partemque metus fieri nostri Mare sepostum *.
Il Nolano, per caggionar effetti al tutto contrarii, ha disciolto l'animo umano e la cognizione, che era rinchiusa ne l’artissimo carcere de l’aria turbulento; onde a pena, come
per certi. buchi, avea facultà de remirar le lontanis-
sime stelle, e gli erano mozze l'ali, a fin che non volasse ad aprir il velame di queste nuvole e veder quello che veramente
là su si ritrovasse, e liberarse da le chimere di quei,
che, essendo usciti dal fango e caverne de la terra, quasi Mercuri ed Apollini discesi dal cielo, con moltiforme impostura han ripieno il mondo tutto d' infinite pazzie, bestialità
e vizii,
come
di tante
verti,
divinità
e discipline,
smorzando quel lume, che rendea divini ed eroici? gli animi di nostri antichi padri, approvando e confirmando le tenebre caliginose de’ sofisti ed asini. Per il che già tanto tempo l’umana
vallo
raggione
piangendo
oppressa,
la sua
tal volta nel suo lucido
sf bassa
condizione,
alla
divina
(cfr.
p.
e provida mente, che sempre ne l'interno orecchio
surra, si rivolge con simili accenti: Chi
A
salirà
per
riportarne
me,
il mio
madonna,
perduto
1 SENECA, Medea, vv. 329-330. nota 4).) 2 (B: hevoichî) 3 Ariosto, Orl. Fur., XXXV, 1.
(B. 9-10)
(W.
I, 120)
(L.
126-7) 32
(BD:
(G.!
inter-
li su-
in ciclo,
ingegno ? 3. sepositum
I, 22-3)
(GI,
25-60).
533;
DIALOGO
Or
ecco
quello 1, ch' ha
discorse svanir
le stelle,
varcato
trapassati
le fantastiche
decime
PRIMO
l’aria,
penetrato
gli margini
muraglia
de
il cielo,
del mondo,
le prime,
ed altre, che vi s'avesser potuto
fatte
ottave,
none,
aggiongere,
sfere,
per relazione de vani matematici e cieco veder di filosofi volgari; cossi al cospetto d'ogni senso e raggione, co’ la chiave di solertissima inquisizione aperti que’ chiostri de la verità, che da noi aprir si posseano, nudata la ricoperta e velata natura, ha donati gli occhi a le talpe, illuminati i
ciechi che non possean fissar gli occhi e mirar l’ imagin sua in tanti specchi che da ogni lato gli s'opponeno, sciolta la lingua a’ muti che non sapeano e non ardivano esplicar
gl intricati sentimenti, far quel progresso col e dissolubile composto, fussero proprii abitatori astri,
dimostra
risaldati i zoppi che non valean spirto che non può far l' ignobile le rende non men presenti che si del sole, de la luna ed altri nomati
quanto
siino
simili
o
dissimili,
maggiori
o peggiori quei corpi che veggiamo lontano a quello che n’ è appresso ed a cui siamo uniti, e n' apre gli occhi a veder questo nume, questa nostra madre, che nel suo dorso ne alimenta e ne nutrisce, dopo averne produtti dal suo grembo, al qual di nuovo sempre ne riaccoglie, e non pensar oltre lei essere un corpo senza alma e vita, ad anche feccia tra le sustanze che,
si noi
fussimo
corporali. ne
la luna
A questo o in
modo
altre
sappiamo
stelle,
non
sar-
reimo in loco molto dissimile a questo, e forse in peggiore; come possono esser altri corpi cossf buoni, ed anco megliori
Il passo che segue, fino alla citazione del Tansillo, fu in parte
parafrasato,
tismus (B.
seu
10-1)
in
parte
raliones (W.
I,
letteralmente
tradotto
arliculorum
physicorum,
129-30)
127)
(L.
33
(G.!
dal
in
Bruno nell’ Acro-
Opera,
I, 23-4)
I,
(GI,
1, 06-67.
26-7).
LA
CENA
DE
LE
CENERI
per se stessi, e per la maggior felicità de’ propri animali. Cossi
conoscemo
tante
stelle,
tanti
astri,
tanti
numi,
che
son quelle tante centenaia de migliaia, ch’assistono al ministerio
e contemplazione
del primo,
universale,
infinito
ed
eterno efficiente. Non è più impriggionata la nostra raggione coi ceppi de’ fantastici mobili e motori otto, nove e diece.
Conoscemo, che non è ch’un cielo, un’eterea reggione immensa, dove questi magnifici lumi serbano le proprie distanze,
per comodità
de la participazione
de la perpetua
vita. Questi fiammeggianti corpi son que’ ambasciatori, che annunziano l'eccellenza de la gloria e maestà de Dio !, Cossf siamo promossi a scuoprire l’ infinito effetto dell’ infinita causa, abbiamo
il vero e vivo vestigio de l’ infinito vigore;
dottrina di non cercar la divinità rimossa
ed
da noi,
se l'abbiamo appresso, anzi di dentro, più che noi medesmi siamo dentro a noi?; non meno che gli coltori degli altri mondi non la denno cercare appresso di noi, l’avendo appresso e dentro di sé, atteso che non più la luna è cielo a noi, che noi alla luna. Cossf si può tirar a certo meglior proposito quel che disse il Tansillo quasi per certo gioco: Se
Come
non
togliete
il ben
che
v'è
da
torrete quel che v’ è lontano?
presso,
Spreggiar il vostro mi par fallo espresso, E bramar quel che sta ne l'altrui mano. Voi sete quel ch'abandonò se stesso,
La sua sembianza Voi
sete
Mentre
! Cfr.
il biblico
il veltro,
desiando
che
l'ombra
desia
Coeli
enarrant
nel
in vano:
rio
di quel
trabocca,
ch' ha
gloriam
in bocca.
Dei:
Salmo,
XVIII,
2,
? Vedi su questo punto F. Tocco, Le opere inedite di G. B., Napoli, 1891 (estr. dagli Atti della R. Acc. delle sc. mor. e pol. di (B.
11-2)
(W.
I, 130)
(L.
127-8)
34
(GI
I, 24-5)
(G2
I, 27).
DIALOGO Lasciate
l'ombre,
Non
cangiate
Ma,
per
Io d'aver
PRIMO
ed
abbracciate
il presente
dì!
meglior
viver
più
lieto
il vero;
col futuro.
già non
dispero;
e più
sicuro,
può
e potrà
Godo il presente e del futuro spero: Cossi doppia dolcezza mi procuro?.
Con
ciò un
fine arà e non
solo,
vinto,
è dubio
benché
solo,
e trionfarà
contra
vencere,
l'ignoranza
se la cosa de’ determinarsi,
non
ed al
generale;
co’ la .mol-
titudine di ciechi e sordi testimoni, di convizii e di parole vane,
ma
co’
la forza
di regolato
sentimento,
il qual
bi-
sogna che conchiuda al fine; perché, in fatto, tutti gli orbi non vagliono per uno che vede, e tutti i stolti non possono servire per un savio 3.
Napoli), pp. 46-7 e n. 1 a p. 47; dove
è indicato un divario
nota-
bile tra la dottrina dell’ immanenza qui professata e quella, anche più recisa, accennata nelle opere del Bruno fino a pochi decenni fa inedite.
I! (GIG:
= D: di)
2 TAnsILLO, // vendemmiatore, st. XVIII questi versi non corrisponde interamente
tuito dal I°LAMINI,
Ma
cfr.
L'egloga e ‘i poemetti
SPAMPANATO,
Lo
spaccio
della
e XIX. La lezione di al testo critico resti-
di L.
bestia
Tansillo,
trionfante
pp.
59-60.
con
alcuni
antecedenti, Tortici, 1902, pp. 96-7. Intorno al significato originario dei versi stessi v. Flamini, Introd. all'op. cit., pp. LV-LVIII; dove però non
è esatto
quel
nobis
unus,
che si dice del Bruno.
Una
parte
di questi
adversus
generalis
versi il Bruno tornò a citare nello Spaccio, dial. 3.”, parte I. 3 Cfr. quel frammento (49 Diels) di Eraclito: Tg popror. « Hinc
tandem
e
quantumvis
solus....,
ignorantiac myriades triumphabit. Interim decernendi iudicium non ad edita convitia, inanes somniantium authoritates, non ad lumine captorum testimonia, sed ad vim regulatioris sensus.et ad
illustrioris
videntis sunt
ingenii
acquiescendum
et erunt
, I, 69).
(B.
obtutum;
12)
cacci,
(W.
est
si
reclamet
I, 130-1)
de
iudicio,
(L.
(.
fenno.
Dialoghi
deque
128)
italiani
colore
quamvis
omnium
(G.t IT, 25)
(G2I,
ignorantia ». Così
35 71 —-
lumine
vere
qui
nell’Acrot.
unius
fuerc,
(Opera,
27-98).
LA
CENA
DE
LE
CENERI
Prudenzio. Rebus
Fac Ne
et
in
censu
vivas contentus
Iudicium
populi
nulli placeas,
Teofilo. Questo
si non
eo, quod
nunquam
dum
est
quod
tempora
vis contemnere
ma non già in proposito
Disce,
sed
detto
indoctos
in propo-
prattica de la civile
de
di contemplazione,
a doctis;
unus,
multos 1.
è prudentissimamente
de la verità e regola medesmo saggio:
ante,
praebent.
contempseris
sito del convitto e regimento comone e
conversazione:
fuit
ipse
la cognizione
per
cui
disse
il
doceto ?.
È anco, quel che tu dici, in proposito di dottrina espediente
a molti; e però è conseglio, perché
ma
non fa per le
per quelli,
almeno
che
muoverla
che riguarda la moltitudine:
spalli
di
possono
qualsivoglia
portarla,
come
verso il suo termine,
ficoltà
disconveniente,
come
Oltre,
color ch’ hanno
la possessione
questa
soma,
il Nolano;
o
senza incorrere dif-
il Copernico
ha
possuto
di questa
fare.
verità,
non
denno ad ogni sorte di persona comunicarla, si non vogliono lavar, come se dice, il capo a l'asino, se non vuolen vedere
quel che san far i porci a le perle 3, e raccogliere que’ frutti 1 Sono due dei cosiddetti Disticha Catonis così diffusi nel M. E.
e di cui vari rimaneggiamenti
derne, lib. III, III, 228 e 226.
Boas,
1926,
pp.
3 MATTH.,
porcos ». Cfr. 12-3)
29)
166-67).
» Disticha
(B.
(ma
p.
în censu debba all. c.)
nelle letterature
mo-
dist. 11, e II, 29: in BAEHRENS, Poetae lat. min., Ho corretto il 1° verso, che in Bruno ha erronea-
mente: ix sensu (Liège,
si fecero anche
—
la variante è
Catonis,
pp. (W.
108
ben
6:
sospetta,
rebus in adversis.
IV,
23;
«Neque
e 135.
I, 131)
(L.
già accolta dal NÈvE
documentata
Il Bachrens
leggersi:
VII,
ora
în sensu —
cd.
cit.,
mittatis
128-0)
36
(GI!
p.
che
(Ma
nell'’ediz.
invece
vedi
232.
margaritas
I, 25-6)
(G2
crit.
di rebus
del
et
ora l'cd. crit. vestras
I, 28-09).
ante
DIALOGO
del suo studio
PRIMO
e fatica, che suole produrre
la temeraria
e
sciocca ignoranza, insieme co’ la presunzione ed incivilità, la quale è sua perpetua e fida compagnia. Di que' dunque indotti possiamo esser maestri, e di que’ ciechi illuminatori,
che non per inabilità di naturale impotenza, o per privazion d’ingegno
e disciplina,
ma
sol per
non
avvertire
e non
considerare son chiamati orbi; il che avviene per la privazion de l’atto solo, e non de la facultà ancora. Di questi sono
alcuni
tanto
maligni
e scelerati,
che
per
una
certa
neghittosa invidia si adirano ed inorgogliano contra colui, che par loro voglia insegnare; essendo, come son creduti e, quel ch’ è peggio, si credono, dotti e dottori, ardisca mostrar
saper quel che essi non sanno. Qua le! vederete infocar e rabbiarsi. Frulla. Come avvenne a que’ doi dottori barbareschi, de’ quali parlaremo; l'un de’ quali, non sapendo più che si rispondere e che argumentare, s'alza in piedi in atto di volerla finir con una provisione di adagi d’ Erasmo, over coi pugni: cridò: — Quid? nonne Antyciram navigas? Tu ille philosophorum protoplastes, qui nec Piolomaeo, nec tot lantorumque philosophorum et astronomorum maîestali quippiam concedis ? Tu ne nodum in scirpo quaeritas ?®; — ed 1 Le dialetto.
per li: scambio di pronomi frequente nell'uso arcaico e nel
? Gli adagi
I
di Erasmo
centuria
della
chiliade,
ciusdem
nominis,
quae
13)
I,
qui
ricordati
e il 76° della
son due:
cent.
IV
il 52° della VIII
della
chil.
II.
Per
spiegare l’adagio navigare Antyciras, che ricorre anche in Orazio (Sat., II, 3, 83; Epist. ad Pis., 300), Erasmo ricorda: «Strabo libro Geographiae nono, duas Antyciras commonstrat, et in altera, quae sit post Crissam oppidum, elleborum nasci, in altera sit ad
sinum
Maliacum
et
Oétam
montem,
optime temperari; atque in cam quamplurimis e regionibus vigari sanitatis gratia. Pausanias in ultimo libro scripsit, (B.
(W.
131)
(L.
129)
37
(G.
I, 26-7)
(G.=
I, 29-30).
adnasupra
LA
CENA
DE
LE
CENERI
altri propositi, degni d’essergli decisi a dosso co’ quelle verghe doppie, chiamate bastoni, co’ le quali i facchini soglion prender la misura per far i gipponi agli asini. Teofilo. Lasciamo questi propositi per ora. Sono alcuni altri, che, per qualche credula pazzia, temendo che per vedere non se guastino, vogliono ostinatamente perseverare ne le tenebre di quello c' hanno una volta malamente appreso. Altri poi sono i felici e ben nati ingegni, verso gli quali nisciuno onorato studio è perso: temeriamente non giudicano,
hanno
libero
l’ intelletto,
terso
il vedere
e son
prodotti dal cielo, si non inventori, degni però esaminatori,
scrutatori, giodici e testimoni de la verità. Di questi ha guadagnato, guadagna e guadagnarà l'assenso e l’amore il Nolano. Questi son que’ nobilissimi ingegni, che son capaci d’udirlo e disputar co’ lui. Perché in vero nisciuno è degno di contrastargli! circa queste materie, che, si non
vien con-
tento di consentirgli a fatto, per non esser tanto capace, Antyciram montes esse magnopere petricosos, in his copiose provenire elleborum. Stephanus addit, Anticyrensem quempiam fuisse, qui Herculem elleboro dato liberarit insania »: (Adagia, Lutetiac, Chevillot, MDLXXIX, col. 255). Navigare Anticyras, insomma, suo-
nava come dar segni di pazzia. L'altro adagio è nodum în scyrpo quaeri, Erasmo lo spiega: «in anzium dicebatur nimisque diligentem qui illic scrupulum
aut meticulosum,
moveret
ubi
nihil esset addu-
bitandum ». Aggiunge che il detto ricorre nei Menaechmi
di Plauto
e nell'Andria di Terenzio, oltre che in un verso di Ennio citato da Festo; e rammenta che « Donato iunci species est scyrpus, laevis
atque
enodis »: col. 433. — dico
Erasmi,
adagiani
negli
Nel
Cand.?,
Erasmi
p. 130,
adagiani
voglio dire ne gli Erasmiani adagi, ve n'è uno
Manfurio:
« Negli
(io sono allucinato),
tra gli altri, il qual
dice: a foga ad pallium ». Cfr. Adagia, chil. IV, cent. V, n.° 45, col. 862.
— Il Bruno aveva in grande stima Erasmo: nell’Artificium perorandi (1537) stampato nel 1592 dall’Almsted, lo chiama princeps humanista Vita, pp. 74, 154, 184, (Opera, II, 111, 370). Cîr. SrAMPaNATO,
230,
234, 1 (B: (B.
14)
°
339 e 366. contrastarli) (W.
I,
132)
(L.
129-30)
38
(G.!
I, 27-8)
(GT,
30-1).
DIALOGO
non gli sottoscriva almeno principali,
e confesse
che
PRIMO
ne
le
quello,
cose che
molte, non
può
maggiori
e
conoscere
per più vero, è certo che sii più verisimile. Prudenzio. Sii come la si vuole, io non voglio discostarmi dal parer de gli antichi, perché, dice il saggio, nell'antiquità è la sapienza.
Teofilo. E soggionge: in molti anni la prudenza. Si voi
intendeste= bene
quel che
dite,
vedreste,
che
dal
vostro
fondamento s’ inferisce il contrario di quel che pensate: voglio dire, che noi siamo più vecchi ed abbiamo più lunga età, che i nostri predecessori: intendo, per quel che appartiene in certi giudizii, come in proposito. Non ha possuto essere
sf
maturo
il
giodicio
d' Eudosso,
che
visse
poco
dopo la rinascente astronomia, se pur in esso non rinacque,
come quello di Calippo, che visse trent'anni dopo la morte d'Alessandro magno; il quale come giunse anni ad anni, possea giongere ancora osservanze ad osservanze. Ip-
t uIn antiquis est sapientia et in multo tempore prudentia »: IoB, x11, 12. Intorno al capovolgimento che qui appresso il B. fa
di questo
concetto,
e che
dopo
D.
si ritrova
in
Bacone,
in Galileo,
in Pascal e in molti altri illustri scrittori e antesignani del pensiero
moderno, nonché intorno al suo grande significato storico e filosofico, veggasi GENTILE, G. Bruno e il pensiero del rinascimento, Fi-
renze,
Vallecchi,
1925,
cap.
VII.
(Ora
nel
vol.
Il pensiero
italiano
del Itinascimento 3, Firenze, Sansoni, 1940, pp. 331-55. Recenti sviluppi delle ricerche e della discussione su questo passo in F. SIMONE, Veritas filia temporis, Pp. 508-21; E. GARIN,
in Revue de littér. comparée, XXII (1948), Dal Medioevo al Rinascimento, Firenze, San-
soni, 1950 (partic. le pp. 32-34, nota 2); G. SAITTA, Iutroduz. alla filos. di G. B., in Giorn. crit. della filos. ital., a. XXIX, s. III, vol. IV (1950), pp. 12-29; E. TroiLo, Prospetto, sintesi e commentario della filosofia di G. B., in Atti dell’Acc. Naz. dei Lincei, Memorie, Classe
di Scienze morali ecc., s. VIII, III, 9 (1951), in part. le pp. 591-904; G. AquiLecchiAa, Introduz. alla Cena (Torino, Einaudi, 1955).) * (B: intendreste)
(B.
14-5)
(W.
I, 132)
(L.
130)
39
(G.! I, 28)
(GI,
31).
LA
parco,
per
CENA
la medesma
DE
LE
CENERI
raggione,
dovea
saperne
più
di
Calippo, perché vedde la mutazione fatta sino a centononantasei anni dopo la morte d'Alessandro. Menelao, romano geometra, perché vedde la differenza de moto qua-
trocentosessantadui anni dopo Alessandro morto, è raggione che n’intendesse più ch'Ipparco. Più ne dovea vedere
Macometto
Aracense
milleducento
e dui anni dopo
quella 1. Più n’ ha veduto il Copernico quasi a nostri tempi 1 Intorno
a
Eudosso
da
Cnido,
scolaro
di
Platone,
fondatore
della scuola di Cizico, e a Callippo, scolaro di Polemarco
(scolaro
a
sua volta di Eudosso) si può vedere SCHIAPARELLI, Le sfere 0mocentriche di Eudosso, di Callippo e di Aristotile nelle Memorie del
R. Istit. Lomb., concetto
del
vol. XIII, 1875,
sistema
e Come î greci arrivarono al primo
planetario eliocentrico detto
oggi
Copernicano
in
Atene e Roma, a. I, 1898, n. 2. — Per Ipparco di Nicea (II sec. a. Cr.)
e per Menelao di Alessandria (vissuto intorno al 98 d. Cr.) si può vedere ogni storia dell'astronomia antica. Ma per tutto questo brano cfr. CoPERNICO,
bantium
De revol. orb.,
inaequalem
III, 2: Historia observationum
aequinoctiorum
conversionumque
praecessionenm:
dov’è ricordata l'osservazione di Callippo «anno erat ab excessu Alexandri Magni annus XXX » (la B. evidentemente
è sbagliata).
conmpro-
eius XXXVI, traduzione del
« Hipparcus autem....
Alexandri
vero
anno CXCVI.... invenit.... Deinde Menelaus geometra Romanus anno primo Traiani principis, qui fuit... a morte Alexandri COCCXXII
[B. dice per errore 462).... Post multum vero temporis, nempe anno Alexandrini occubitus MCII, Machometi Aracensis observatio successit....
morte
Nos
etiam
anno
Aegyptiorum
Christi
annorum
MDXXV,...
qui
MDCCCXLIX,
(ed. cit., f.° 64). II nome di Albategnio è dunque Copernico,
che
ora
lo
chiama
Arensis,
est
ab
Alexandri
observavimus.... »
attinto dallo stesso
ora Aratensis
o
Avactensis.
— Circa questa denominazione di Albategnio, il mio illustre collega prof. C. A. NALLINO mi comunica i seguenti schiarimenti: « Mahu-
metus Haracensis è appunto al-Battàni
latina
di
Roberto
Opus
astronomicum,
nome
di battesimo,
Retinense
ad fidem
[NaLLINOo,
codicis
(= Albategnio). Al-Boltîni
Escurialensis
La versione
sive
arabice
Albatenii
editum,
latine versum, adnotationibus instructum, Mediolani, Hoepli, 1902, I, xxxv], portava appunto Albaten (var. Albategnius) Havacensis. — Mahometus (Muhammed) è il nome personale, quello che noi diremmo vato
del nostro autore. Haracensis
da ar-Ragqah, (B.
15)
(W.
sua patria;
I
132)
(L.
Aractensis
130)
40
(GI,
è una 28)
è aggettivo deri-
variante
(G2I,
desunta
31-2).
DIALOGO
PRIMO
appresso la medesma anni milleottocentoquarantanove. Ma che di questi alcuni, che son stati appresso, non siino però stati più accorti, che quei che furon prima, e che la moltitudine di que’ che sono a nostri tempi, non ha però più sale, questo accade per ciò che quelli non vissero, e questi non vivono gli anni altrui, e, quel che è peggio, vissero morti quelli e questi ne gli anni proprii. Prudenzio. Dite quel che vi piace, tiratela a vostro bel piacer dove vi pare: io sono amico de l’antiquità; e quanto appartiene a le vostre opinioni o paradossi, non credo che sf molti e sf saggi sien stati ignoranti, come pensate voi ed altri amici di novità. Teofilo. Bene, maestro Prudenzio; si questa volgare e vostra opinione per tanto è vera in quanto che è antica, certo era falsa quando la fu nova. Prima che fusse questa filosofia conforme al vostro cervello, fu quella degli caldei, egizii,
maghi,
orfici,
pitagorici
ed
altri di prima
memoria,
conforme al nostro capo; da' quali prima si ribbellorno questi insensati e vani logici e matematici, nemici non tanto de la antiquità, quanto alieni da la verità. Poniamo dunque da canto la raggione de l'antico e novo, atteso che
non
è cosa
nova
è cosa vecchia
che
che non
non
possa
sii stata
esser
nova,
vecchia,
come
ben
e non
notò
il
vostro Aristotele. Frulla. S' io non parlo, scoppiarò, creparò certo. Avete detto
il
vostro
Aristotele,
dalla versione di Platone questa versione. Platone
Tiburtino, Tiburtino
parlando
15-6)
(W.
I,
132-3)
(L.
130-1)
41
mastro
o meglio, da alcuni codici di aveva trascritto il nome ar-
Raggah, che più volte occorre nell'opera, con Arracca; fecero Aracta, conservata nelle edizioni a stampa ». (B.
a
(GI
I, 28-9)
(G.2
i copisti ne I, 32-3).
Prudenzio.
LA
CENA
DE
LE
CENERI
Sapete,
come
intendo,
che
Aristotele
sii
suo,
idest lui sii peripatetico? (Di grazia, facciamo questo poco di digressione per modo di parentesi). Come di dui ciechi mendichi a la porta de l’arcivescovato di Napoli l'uno se diceva guelfo e l’altro ghibellino; e con questo si cominciorno sf crudamente a toccar l’un l’altro con que’ bastoni ch’aveano,
che,
si non
fussero
stati
divisi,
non
so
come
sarebbe passato il negozio. In questo se gli accosta un uom da bene, e li disse: — Venite qua, tu e tu, orbo mascalzone:
che cosa è guelfo ? che cosa è ghibellino ? che vuol dir esser guelfo ed esser ghibellino ? —
In verità,
l'uno non
seppe
punto che rispondere, né che dire. L'altro si risolse dicendo: — Il signor Pietro Costanzo, che è mio padrone, ed al quale io voglio molto bene, è un ghibellino ». — Cossi a punto
che
1 (B:
gibellino)
persistevano
Sulle
denominazioni
in Italia
ancora
nei
di
secc.
XVI
Guclfi
e
Ghibellini,
c XVII,
e che
co-
privano le più diverse fazioni, molte testimonianze raccolse il D'AnconA, L'Italia alla fine del sec. XVI, Giornale di viaggio di MicneLE DE
MONTAIGNE
1889,
pp.
în
157,
Italia
427-9
nel
1580
n. Vedi
1545), 1. I, c. 21 v.; BANDELLO,
365-74
ult.
(?
Persistevano
Baldus,
anche
in
pure
XXV,
Napoli
e 15SI,
O.
LanDI,
Nov. I, 20;
alla
Città
3092-96; fine
di
Castello,
Paradossi
(Venezia,
Zanitonella,
233-34.)
FoLENGO,
del
cîr.
sec.
Lapi,
Macar.
XVI,
delle vecchie lotte, le fazioni francese e spagnuola
XXIV,
come
eredità
(che corrisponde-
vano talora a guelfo, e a ghibellino o imperiale); cfr. G. C. CAPACCIO,
Il forastiero, dialoghi, Napoli, Roncagliolo,
1634, p. 217; cir. anche la
testimonianza del Bouchard, che fu a Napoli nel 1632 in L. MarcHEIX, Ux Parisien à Itome et à Naples, Paris, Leroux, p. 607. Dalle
ricerche
di Angelo
del
prof.
G.
di Costanzo
RosaLBa, non
che
lavora
risulterebbe
altro
intorno
Pietro
alla
biografia
Costanzo
sto-
rico, potuto vivere nel sec. XVI, che un Pierluigi e un Pier Antonio,
nominati da F. Sansovino, Orig. e fatti delle fam. illustri d' Italia, PP. 292 sgg., e FRANC. ZAZZERA, Della nobiltà d' Italia, pp. 140 sgg. Ora
invece
principio
di
lo SPAMPANATO,
quel
sccolo
(W.
I, 133)
si
Postille,
trova
pp.
398-9,
memoria
di
ha
mostrato
Pietro
che
Paolo,
in
Pier
Luigi e Pier Antonio Costanzo; e nella Vita (pp. 39, 824 e 828 ha messo in rilievo che durante il 1567 appartenne alla compagnia (B.
16)
(L.
131)
42
(GI,
29-30)
(GI,
33).
DIALOGO
PRIMO
molti sono peripatetici, che si adirano, se scaldano e s' imbraggiano per Aristotele, voglion defendere la dottrina d'Aristotele,
son inimici de que’
che non sono
amici
d’Ari-
stotele, voglion vivere e morire per Aristotele; i quali non intendono né anche quel che significano i titoli de’ libri d'Aristotele.
Se
volete
ch'io
ve
ne
dimostri
uno,
ecco
costui, al quale avete detto il vosiro Aristotele, e che a volte a volte ti sfodra un Aristoteles noster, Peripateticorum
princeps,
un
Plato
Prudenzio. Io fo poco istimo la vostra stima.
noster,
conto
del
et ultra.
vostro
Teofilo. Di grazia, non interrompete scorso. Smiîtho. Seguite, signor Teofilo. Tcofilo.
Notò,
la vicissitudine
dico,
il vostro
de l'altre cose,
niente
più il nostro
Aristotele,
cossf non
conto,
che,
meno
di-
come
è
de le opi-
nioni ed effetti diversi: però tanto è aver riguardo alle filosofie per le loro antiquità, quanto voler decidere se fu prima il giorno o la notte. Quello dunque, al che doviamo fissar l'occhio de la considerazione, è si noi siamo nel giorno,
e la luce de la verità è sopra il nostro orizonte,
overo in
quello degli aversarii nostri antipodi; si siamo noi in tenebre, over essi: ed in conclusione, si noi, che damo principio
a rinovar l’antica filosofia, siamo ne la mattina per dar fine a la notte, o pur ne la sera per donar fine al giorno. E
questo
certamente
non
è difficile a determinarsi,
anco
giudicando a la grossa da’ frutti de l’una e l’altra specic di contemplazione. d'uomini d'arme del padre del B., Pietro
della
(B.
Cena.
16-7)
(W.
I,
Conte di Caserta, c però fu commilitone del Costanzo, che potrebbe essere il gentiluomo
133-4)
(L.
131-2)
43
(GI
I, 30-1)
(G2
I, 33-4).
LA
CENA
DE
LE
CENERI
Or veggiamo la differenza tra quelli e questi. Quelli nel viver temperati, zione giudiziosi,
miracolosi,
ne la medicina esperti, ne la contemplane la divinazione singolari, ne la magia
ne le superstizioni
providi,
ne le leggi osser-
vanti, ne la moralità irreprensibili, ne la teologia divini, in
tutti effetti eroici; come ne mostrano lor prolongate vite, i meno
infermi
corpi,
pronosticazioni,
l’ invenzioni
le sustanze
per
altissime,
lor
opra
le
adempite
transformate,
il
convitto pacifico de que’ popoli, gli lor sacramenti inviolabili,
l’essecuzione
giustissime,
la
familiarità
de
buone
e
protettrici intelligenze ed i vestigii, ch’ ancora durano, de lor maravigliose prodezze. Questi altri contrarii lascio essa-
minargli al giudizio de chi n°’ ha. Smitho. Or che direte, se la maggior tempi
parte
di nostri
pensa tutto il contrario, e spezialmente quanto
a la
dottrina ? Teofilo. Non mi maraviglio; perché, come è ordinario, quei che manco intendeno credono saper più, e quei che sono
al tutto
pazzi,
pensano
saper
tutto.
Sinitho. Dimmi, in che modo si potran corregger questi ? Frulla. Con toglierli via quel capo, e piantargliene ! un
altro.
Teofilo. Con toglierli via in qualche modo d’argumentazione quella esistimazion di sapere, e con argute persuasioni spogliarle, quanto si può, di quella stolta opinione, a fin che si rendano
uditori;
avendo
prima
avvertito
quel
che insegna, che siino ingegni capaci ed abili. Questi, secondo l'uso de la scuola pitagorica e nostra, non voglio ch’ abbino facultà di esercitar atti de interrogatore o di! (B; (B.
piantargline) 17-8)
(W.
TI, 134)
(L.
132)
44
(GTI,
31)
(GI,
34-5).
DIALOGO
PRIMO
sputante prima ch'abbino udito tutto il corso de la filosofia;
perché
allora,
se la dottrina
quelli è stata perfettamente toglie
via
tutte
le
è perfetta
intesa, purga
contradizioni.
Oltre,
in sé,
e da
tutti i dubii e
s'avviene
che
ri-
trove un più polito ingegno, allora quel potrà vedere il tanto, che vi si può aggiongere, togliere, correggere e mutare. Allora potrà conferire questi principii e queste con-
clusioni a quelli altri contrarii principii e conclusioni; e cossi raggionevolmente consentire o dissentire, interrogare e rispondere; perché altrimente non è possibile saper, circa una arte o scienza, dubitar ed interrogar a proposito e co’
gli ordini che sì convengono, se non ha udito prima. Non
potrà mai esser buono inquisitore e giodice del caso, se prima non s'è informato del negocio. Però, dove la dottrina va per i suoi gradi, procedendo da posti e confirmati principii e fondamenti a l’edificio e perfezione de cose, che per quella si possono ritrovare, l’auditore deve essere taciturno,
e, prima
d’aver
tutto
udito
ed
inteso,
credere
che
con il progresso de la dottrina cessarranno tutte difficultadi. Altra
consuetudine
hanno
gli Efettici
e Pirroni:,
i quali,
facendo professione che cosa alcuna non si possa sempre vanno dimandando e cercando per non giamai. Non meno infelici ingegni son quei, che cose chiarissime vogliono disputare, facendo la
sapere, ritrovar anco di maggior
perdita
che
di tempo
che imaginar
si possa;
e quei,
per
parer dotti e per altre indegne occasioni, non vogliono in1 Efettici,
gr. épertixol,
furono chiamati i seguaci di l’ir-
rone di Elide (circa 365-275) per la dottrina scettica che professavano
dell' èroyà eréyovor
(sospensione
repl
dxataANTTW5v prensibili). — (B.
18-09)
mpayudtowv
d'ogni
giudizio).
(leggi:
adrav
Dioc.
L., I, 16: Scoot
[sc. rpayudtov)
e
(= quanti s'arrestano innanzi alle cose come incomPirroni sta qui per Pirronici.
(W.
I,
134-5)
(L.
132-3)
45
(GI
I, 31-2)
(GI,
35-60).
LA
CENA
DE
LE
CENERI
segnare, né imparare, ma solamente contendere ed oppugnar il vero.
Smitho. Mi occorre un scrupolo circa quel ch’avete detto: che, essendo una innumerabil moltitudine di quei che presumeno di sapere e se stimano degni d'essere costantemente uditi,
come
vedete
che
per tutto le università
e academie
so’ piene di questi Aristarchi, che non cederebbono uno zero a l'altitonante Giove; sotto i quali quei che studiano, non aranno al fine guadagnato altro, che esser promossi da non sapere, che è una privazione de la verità, a pensarsi e credersi di sapere,
che è una
pazzia
ed abito
di falsità;
vedi
dunque, che cosa han guadagnato questi uditori: tolti da la ignoranza di semplice negazione son messi in quella di mala disposizione,
come
la dicono,
Ora, chi me farà sicuro,
che, facendo io tanto dispendio di tempo e di fatica, e d'occasione di meglior studi ed occupazioni, non mi avvenga quel ch'a la massima
parte
suole
d'aver comprata la dottrina, non di perniziose pazzie? Come io, conoscere la differenza de dignità e ricchezza di que’ che si stimano bene, che tutti nascemo
accadere,
che,
in luogo
m'abbi infettata la mente che non so nulla, potrò ed indignità, de la povertà e son stimati savi ? Vedo
ignoranti, credemo facilmente d'es-
sere ignoranti;
crescemo,
e siamo
allevati
e consuetudine
di nostra casa, e non meno
co’ la disciplina noi udiamo
bia-
simare le leggi, gli riti, le fede e gli costumi de’ nostri adver-
sari ed alieni da noi, che quelli de noi e di cose nostre. Non
meno
in noi si piantano
per
forza di certa naturale
nutritura le radici del zelo di cose nostre, che in quelli altri molti e diversi de le sue. Quindi facilmente ha possuto porsi in consuetudine,
che i nostri stimino
far un sacrificio a gli
dei, quando arranno oppressi, uccisi, debellati e sassinati (B.
19-20)
(W.
I,
135)
(L.
133)
40
(G.!
T, 32-3)
(G2
I, 36-7).
DIALOGO
PRIMO
gli nemici de Ja fé nostra; non meno che quelli altri tutti, quando arran fatto il simile a noi. E non con minor fervore e persuasione di certezza quelli ringraziano Idio d’aver quel Iume, per il quale si prometteno eterna vita, che noi rendiamo grazie di non essere in quella cecità e tenebre, ch’essi sono. A queste persuasioni di religione e fede s'aggiongono le persuasioni de scienze. Io, o per elezione di quei che me governaro, padri e pedagoghi !, o per mio capriccio e fantasia,
o per fama
d’un
dottore,
non
men
con satisfa-
zione de l’animo mio, mi stimarò aver guadagnato sotto l’arrogante e fortunata ignoranza d'un cavallo, che qualsivoglia altro sotto un meno
ignorante o pur dotto. Non sai
quanta
forza abbia la consuetudine
nodrito
da
da
fanciullezza
l'intelligenza
de
in certe
cose
di credere,
persuasioni,
manifestissime;
ad non
ed esser
impedirne altrimente
ch'accader suole a quei che sono avezzati a mangiar veleno,
la complession de’ quali al fine non solamente non ne sente oltraggio, ma ancora se l’ ha convertito in nutrimento
na-
turale, di sorte che l'antidoto istesso gli è dovenuto mortifero ? Or dimmi, con quale arte ti conciliarai queste orecchie più tosto
tu ch’un
altro,
essendo
che ne l’animo
di quello
è forse meno inclinazione ad attendere le tue proposizioni, che quelle di mill'altri diverse? Teofilo. Questo è dono de gli dei, se ti guidano e dispensano le sorte da farte venir a l' incontro un uomo, che non tanto abbia l'esistimazion di vera guida, quanto in verità
sii
tale,
ed
illuminano
elezione de quel ch’ è megliore. 1 (B:
pedagogi;
svista tipografica).)
G!:
pedagoghi;
l’ interno
G*:
tuo
pedadoghi
spirto
(per
al
evidente
(B. 20-1) (W. I, 135-6) (L. 133-4) (G.1 I, 33-4) (G? I, 37).
47
far
.
LA
CENA
DE
LE
CENERI
Smitho. Però comunemente si va appresso al giudizio comone, a fin che, se si fa errore, quello non sarà senza
gran
favore
Teofilo.
e compagnia.
Pensiero
indegnissimo
d'un
uomo!
è stimato
né
Per questo
gli uomini savii e divini son assai pochi; e la volontà di dei
è questa,
atteso
che
non
prezioso
quel
tanto ch'è comone e generale. Smitho. Credo bene, che la verità è conosciuta da pochi, e le cose
preggiate
confonde,
che
son
molte
possedute
cose
son
da
poche,
pochissimi;
ma
tra
e
pochi,
mi forse
appresso un solo, che non denno esser stimate, non vaglion
nulla
e possono
Teofilo.
esser
Bene,
ma
maggior
pazzie
in fine è più
e vizii.
sicuro
cercar
il vero
e
conveniente fuor de la moltitudine 2, perché questa mai apportò cosa preziosa e degna, e sempre tra pochi si trovorno le cose di perfezione e preggio. Le quali, se fusser sole3 ad esser rare le sapesse
ed
ritrovare,
appresso almeno
rari,
ognuno,
benché
non
le potrebbe conoscere; e cossi
non sarebbono tanto preziose per via di cognizione, ma di possessione solamente. Smitho. Lasciamo dunque questi discorsi, e stiamo un poco
ad udire cd osservare i pensieri
del Nolano.
È pure
1 (Amerio toglie la virgola dopo foche e la pone dopo son.) ® « Bcatius est citra opinionem in rei veritate, quam citra veritatem in opinione sapere, praesertim cum nimis usuveniat illud profiteri, quod nihil ad crrorem pronius (ipso etiam vulgo contestante) vulgi opinione habeatur: non obstante quod non ubi de veritate definiendum est, sed ubi leges instituendae, religionum cultus sanciendus, et cas quae ad populorum convictum faciunt deliberationes, vocem populi pro voce Dei habendam (ubi consenserit) esse censeo ». Cosi lo stesso B. nell'Acrotismus:
3
(Gr = Di:
(B.
21)
(W.
sole; I,
G3*:
136)
solo
(L.
(per
134)
48
evidente
(GI,
svista
34-5)
Opera, I,
1, 65-6.
tipograf.).)
(GI,
37-83).
DIALOGO
assai, che
sin ora s’abbia
PRIMO
conciliato
tanta
mato degno d'essere udito. Teofilo. A lui basta ben questo.
fede,
ch'è
sti-
Or attendete
quanto
defendersi,
scuoprir
la sua filosofia sii forte a conservarsi,
la vanità e far aperte le fallacie de’ sofisti e cecità del volgo e volgar filosofia. Smitho. A questo fine, per essere ora notte, tornaremo domani
qua
a
l'ora
medesma,
e
faremo
considerazione
sopra gli rancontri e dottrina del Nolano. Prudenzio. Sat prata biberunt; nam iam caelo praccipitat *. Fine
1 Virc., (B.
21-2)
Ecl., (W.
del
primo
III,
ni;
e Aen.,
I,
136-7)
(L.
II,
134-5)
49
nox
humida
dialogo.
8-9. (GI
I, 35)
(G2
I, 38).
DIALOGO
SECONDO
Teofilo. Allora gli disse il signor Folco Grivello: grazia,
signor
Nolano,
fatemi
intendere
le quali stimate la terra muoversi.
non gli arebbe possuto scendo lui
la sua capacità;
essere
inteso,
—
temerebbe
alcuna,
sapendo
far come
le raggioni,
Di per
A cui rispose, che lui
donar raggione e non
—
come
quei,
non
cono-
potesse
che
dicono
da le
sue raggioni ale statuee andano a parlare cogli morti. Pertanto gli piaccia prima farsi conoscere con proponere quelle
raggioni, che gli persuadeno il contrario; perché, secondo il lume e la forza de l'ingegno, che lui dimostrarà apportando quelle, gli potranno esser date risoluzioni. Aggiunse a questo,
che per desiderio,
che tiene,
di mostrar
la imbe-
cillità di contrari pareri per i medesimi principii, co' quali pensano
esser confirmati, se gli farebbe non mediocre pia-
cere di ritrovar persone, le quali fussero giudicate sufficiente a questa impresa; e lui sarebbe sempre apparecchiato e pronto al rispondere. Con questo modo si potesse veder la virti de’ fondamenti di questa sua filosofia contra la volgare tanto megliormente, quanto maggior occasione gli verrebe presentata di rispondere e dechiarare. Molto piacque al signor Folco questa risposta. Disse: (B. 23-4) (W. I, 137) (L. 135) (G.! I, (36]) (GI, 50
[39)).
DIALOGO
SECONDO
— Voi mi fate gratissimo officio; accetto la vostra proposta e voglio determinare un giorno, nel quale ve si opporranno persone,
che
forse non vi faran
mancar
materia
di produr
le vostre cose in campo. Mercoldi ad otto giorni, che sarà de
le ceneri!,
sarete
convitato
con
molti
gentilomini
e
dotti personaggi, a fin che, dopo mangiare, si faccia discussione di belle e varie cose. — Vi prometto, disse il Nolano, ch'io non mancarò d'esser presente allora e tutte volte che si presentarà simile occasione; perché non è gran cosa sotto la mia elezione, che mi ritarde dal studio di voler intendere e sapere. Ma, vi priego, che non mi fate venir innanzi persone ignobili, mal create e poco intendenti in simile speculazioni. — (E certo ebbe raggione di dubitare, perché molti dottori di questa patria, coi quali ha raggionato
di lettere,
ha
trovato
nel
modo
di
aver più del bifolco, che d'altro che si potesse
procedere desiderare).
Rispose il signor Folco, che non dubitasse; perché quelli, che lui propone, son morigeratissimi e dottissimi. Cossi fu
conchiuso.
aggiutatemi,
Or,
Muse,
Prudenzio. Smnitho.
essendo
venuto
Apostrophe, pathos, invocatio, poclarum
Ascoltate,
avendo
determinato,
a raccontare! vi
priego,
Prudenzio. Lubentissime. Teofilo. Il Nolano, avendo e non
il giorno
nuova
alcuna,
maestro
aspettato
more.
Prudenzio.
sin dopo
stimò quello
pranso
gentiluomo
per
altre occupazioni aver posto in oblio, o men possuto proveder al negocio. E, sciolto da quel pensicro, andò a rime-
î Il B. fu dunque invitato il 7 febbraio 1584, e intervenne alla disputa il 14: cfr. SPAMPANATO, Vila, p. 362, e 363 n. 1. (B.
24-25)
(W.
I,
137-8)
(L.
135-6) 51
3 —
G,
Druno,
Dialoghi
italiani
(GI
I, 37)
(GI,
39-40).
LA
CENA
DE
LE
CENERI
narsi, e visitar alcuni amici italiani 1; e ritornando al tardi,
dopo il tramontar del sole... Prudenzio. Già il rutilante Febo, avendo volto al nostro
emisfero il tergo, con il radiante capo ad illustrar gli antipodi sen giva?. Frulla. Di grazia, magister, raccontate voi, perché il vostro modo di recitare mi sodisfa mirabilmente. Prudenzio.
Oh
s’'io
sapessi 3 l’ istoria!
Teofilo.
sera al tardi,
Frulla. Or tacete dunque, La
in nome
gionto
del vostro diavolo.
a casa,
la porta messer Florio 4 e maestro
ritrova
avanti
Guin 5, i quali s'erano
1 Forse il Gentili, il Citolini, l'amico diletto del Florio Teodoro Diodati o altri, soliti a ritrovarsi alla Borsa, e « spasseggiarvi da una
bandan (SPAMPANATO, XXII,
Vita, pp.
249).
419,
367,
e in Critica,
XXI,
122
e
2 Anche nel Cand., II, 6, una lettera scritta da un pedante: «Quando il rutilante Febo scuote dall'oriente il radiante capo, non si bello in questo superno emisfero appare, come.... ». 3 (G1 = B: sapesse) 4 Giovanni
Florio,
tempo,
Ben
nato
in Londra
nel
1553,
ma
oriundo
senese,
di famiglia valdese rifugiatasi in Inghilterra: insegnante di lingua italiana, autore di un dizionario italiano-inglese (1598), e di vari libri inglesi, fra cui una eccellente traduzione degli Essais del Montaigne (1604); amico molto stimato dei maggiori scrittori inglesi
del
di
Jonson
e di
Shakespeare,
cognato
di
Samuel
Daniel. Mori nel 1625. Su lui Woop, Atkenae Oronienses, London, 1721, I, 497 e sgg.; L. EINSTEIN, The italian renaissance in England, New-York, 1902, pp. 102-106; F. WaAIson, /. Florio nell’AngloUalian Review, vol. III, 1919; CLARA LONGWORTII DE CHAMBRUN,
Shakespeare et Florio nella Revue del maggio 1916, e Giovanni Florio (Paris, 1921); SPAMPANATO, Vita, 353 sgg. e G. Florio, Un amico del B. in Inghilterra nella Critica del 1924: dove sono minutamente illustrati i rapporti tra i due scrittori e dimostrati copiosamente gli echi delle opere bruniane nei libri del Torio. (Vedi ora la fondamentale
of
an
Florio
monografia
di
FrRANcES
Italian in Shakespeare's and
Bruno).)
5 Matteo
e poeta.
(B.
Mori 25)
Gwinne,
nel
(W.
1627.
I,
medico,
138)
Su
(L.
A.
Yates,
England, ma
52
Florio;
Cambridge,
apprezzato
lui Woop, 136)
Joln
Aik.
(GI,
37-8)
1934
anche
Ox.,
The
come
I, 513
(GI,
(cap.
sgg.
Life
V:
filosofo
40-1).
Aiutò
DIALOGO
SECONDO
e, quando
molto
travagliati
in cercarlo,
—
di
dissero,
presto,
tanti
cavallieri,
O,
ché
vi
grazia,
aspettano
il veddero
senza
dimora
venire: andiamo,
gentilomini
e
dottori,
e tra gli altri ve n'è un di quelli ch'hanno a disputare, il quale è di vostro cognome. — Noi dunque, disse il Nolano,
non
ne
potremo
far
male.
Sin
adesso
una
cosa
m'è
venuta in fallo, ch’ io sperava di far questo negocio a lume di sole,
e veggio
che
si disputarà
a lume
di
candela.
—
Iscusò maestro Guin per alcuni cavallieri, che desideravano esser presenti: non han possuto essere al desinare, e son venuti a la cena. — Orsi, disse il Nolano, ghiamo Dio, che ne faccia accompagnare
andiamo e prein questa sera
oscura, a sf lungo camino, per si poco sicure strade, Or, benché fussemo ne la strada diritta, pensando far
meglio,
fiume
per
Tamesi,
accortar
il
per ritrovar
il Florio
nella traduzione
divertimmo
un battello,
verso il palazzo. Giunsemo Beuckhurst 2; e quinci,
camino,
che
di
verso
il
ne conducesse
al ponte de palazzo del milord
cridando
e chiamando
di Montaigne,
oares
e nella Epistola
(idest
dedicatoria
di quest'opera è ricordato con viva gratitudine (v. Critica, XXII, 249).
sec.
! Cioè,
NVI
in inglese,
fiorirono,
Brown
(=
tra gli altri,
Bruno);
e nella
il traduttore
seconda
Tommaso
metà
Brown
del
e
Antonio Browne che fu il primo visconte Montague (v. Dictionary of National Biography, ITI, 20 e 40). Si noti che il B. non lo nomina, come pur avrebbe dovuto, in fine di questo dialogo, salvo che non
si alluda a lui, in quel cavaliere che sedé « al capo de la tavola, a viso a viso de messer Florio ». Cfr. SPAMPANATO,
Vila, p. 363 n. 1 e 359 n. 2.
® L. corregge: ponte del palazzo. Ma la correzione non è necessaria. Apparteneva questo palazzo a Tommaso Sackville, d'antichissima e nobilissima famiglia, Nel 1557 membro dci Comuni, nove anni appresso,
alla morte
del padre,
Tommaso
entrò
nella Camera
dei
Pari
col titolo di Lord Buckhurst. loeta di grido. Fu lui a significare l'arresto a Maria Stuarda e a condannare il conte d' Essex; a trattare il matrimonio della sua sovrana col Duca d'Anjou e a riparare
poi alle disfatte del Leicester. Cancelliere dell’ Università di Oxford (B.
25-6)
(W.
I, 138)
(L.
136)
53
(GI
I, 38)
(GI,
41-2).
LA
gondolieri),
CENA
passammo
DE
LE
tanto
CENERI
tempo,
quanto
arrebbe
ba-
stato a bell’agio di condurne per terra al loco determinato,
ed avere spedito ancora qualche piccolo negozio. Risposero al fine da lungi dui barcaroli; e pian pianino, come venessero ad appiccarsi, giunsero a la riva; dove, dopo molte interrogazioni e risposte del donde,
e quanto,
approssimorno
ponte.
ecco di dui, che v’erano,
Ed
chier antico
del tartareo
dove, e perché, e come,
la proda regno,
a l’ultimo
scalino
un, che pareva
porse
la mano
del
il noc-
al Nolano,
e un altro, che penso ch'era il figlio di quello, benché fusse uomo di sessantacinque anni in circa, accolse noi altri appresso. Ed ecco che, senza che qui fusse entrato un Ercole,
un
Enea,
Sutilis,
Udendo che
questa
questo
over
et multam
musica,
non
un
sii
re
di
gemuit acccpit
Sarza',
sub pondere cymba limosa!** paludem?.
il Nolano:
Caronte;
Rodomonte,
—
credo,
Piaccia a Dio, che
questa
disse,
è
quella
arca chiamata l’emula de la /ux perpetua 3: questa può sicuramente competere in antiquità con l’arca di Noè e per mia fé, per certo, par una de le reliquie del diluvio. — Le parti di questa barca ti rispondevano ovonque la toccassi, e per ogni minimo moto risuonavano per tutto. e gran tesoriere del Regno. Mori il 19 agosto 1608, a 72 anni (Diction. of Nat. Biography, III, 201, e XVIII, 585-809). 1 Cfr.
Arrosto,
Orl.
fur.,
XXVIII,
86-7.
1 dis (Si noti la variante di rîmrosa, come appunto muta l’Amerio.) * Vircitio, Aen., VI, 412-413 (413-14). DB: cimba.
3 Come chi dicesse: più vecchia del salterio. (L'Amerio spiega Cfr., nel invece l'analogia tra il Reguiem e la barca di Caronte.) Breviario, l’ Officium defunctorum. (In fine Psalm. dicitur): « Et
lux perpetua luceat eis ». B. se ne ricorda anche nel Card., proprol.
4 (B: respondeuano)
(B.
26)
(W.
I,
138-9)
”
(L.
136-7)
54
(GI
I, 38-9)
(GI,
42-3).
DIALOGO
SECONDO
— Or credo, disse il Nolano, non esser favola che le muraglia, si ben mi ricordo, di Tebe tavano
a raggion
di
accenti
di questa
barca,
musica.
que’ fischi, che fanno
sue fessure e rime!
erano
vocali, e che talvolta
Si
che
nol
ne
credete,
sembra
udir le onde,
d'ogni canto.
—
ascoltate
tanti
quando
can-
pifferi
entrano
gli
con
per le
Noi risemo, ma Dio
sa come. ... Anmibal,
Vedde
Rise
Prudenzio. Teofilo.
farsi
a l’imperio
fortuna
tra gente
Risus
Noi,
quando
si molesta,
lacrimosa
afilitto
e mesta 2.
Sardonicus 3.
invitati
sf da quella
dolce
armonia,
come
da ‘amor gli sdegni, i tempi e le staggioni, accompagnammo i suoni
con
i canti.
Messer
Florio,
suoi amori, cantava il « Dove, ! Rima
come
ricordandosi
de'
senza me, dolce mia vita 4».
(anche nel Cand,, I, 14) lat. Cîr. Viro. Aen., I, 123:
naves fatiscunt vimis: buco, crepaccio, fessura. Questa barca ricorda quella descritta dal BERNI, son. O spirito bizzarro. ® Versi
del
PETRARCA,
son.
Cesare,
poi
che
'l traditor
d’ Egitto,
imitati dal TansILLO: « Non sempre per gli effetti il cor si scopre. Ride Annibale in bocca, e piange in core » (Poesie liriche con pref.
e note di I. Fiorentino, e Nola,
Castrovillari,
3 Si dice
(Erasmo,
Napoli,
1899,
p.
Adagia)
1882, p. 154;
71).
«de
risu
ficto
SPAMPANATO, atque
Bruno
amarulento,
aut insano denique; tractum e Sardoa herba, quac ora hominum et rictus dolore contrahit, et quasi ridentes |interimit» (chil. II,
cent.
V,
n.
1).
4 Ariosto,
Orl. Deh!
Fur.,
VIII,
76:
dove
senza
me,
dolce
mia
Itimiasa sei st giovane e st bella?
vita,
È il lamento di Orlando per Angelica smarrita. —
in risposta, il lamento di Rodomonte dricardo (XXVII, 117):
posposto
Il Nolano ‘canta,
da Doralice
a Man-
Di cocenti sospir l'aria accendea Dovunque andava il Saracin dolente....
(B. 26-7) (W. I, 139) (L. 137) (G.1! I, 39-40)
55
(GI,
43).
LA
CENA
DE
LE
CENERI
Il Nolano ripigliava: «Il Saracin dolente, o femenil ingegno », e va discorrendo.
Cossi a poco a poco, per quanto
ne per-
mettea la barca, che (benché dalle tarle ed il tempo fusse ridutta
a
tale,
ch’ arrebe
persona
mostrassero
possuto
servir
per
subero 1)
parea col suo festina lente*® tutta di piombo, e le braccia di que’ dua vecchi rotte; i quali, benché col rimenar de la la misura
lunga,
remi faceano i passi corti.
Prudenzio.
dorso
Optime
frettoloso
descripium
di marinai;
nulla
illud
«/enfe»
di
meno
coi
«festina» con
col profitto
de’
i)
remi,
qual mali operarii del dio de gli orti 3. Teofilo.
A
questo
poco di camino, viaggio,
poco
modo,
non
oltre
avanzando
avendo
il loco,
molto
di
tempo
e
già fatta la terza parte del
che
si chiama
il
Tempio,
ecco che i nostri patrini, invece d’affrettarsi, accostano la proda verso il lido. Dimanda il Nolano: — Che voglion far costoro? voglion forse riprendere un po’ di fiato?
— E gli oltre;
venne interpretato, che quei non erano per passar perché
quivi
era
la lor stanza.
Priega
e ripriega,
ma tanto peggio; perché questa è una specie de rustici, nel petto de’ quali spunta tutti i sui strali il dio d'amor del popolo villano. Oh femminile ingegno, egli dicea, Come ti volgi e muli facilmente. Circa l'uso di cantare squarci del poema ariostesco vedi notizie raccolte dallo SPAMPANATO, Postille, pp. 312-3. 1 Cand., pp.o9oe
* L'adagio greco (ore5de
Augusto
(SvetONIO,
le molte
Bpadfwc) che aveva sempre sulle labbra
Aug., 25).
V.
anche
Giovio,
Imprese,
ediz.
Daclli, p. 3. 3 Allusione oscena, abbastanza evidente, Cfr. sopra p. 24 n. 2. 4 Il «Tempio », a Londra {in origine appartenente ai Templari), presso il Tamigi (Fleet Street). (B.
27-8)
(W.
I,
139)
(L.
137-8)
56
(G.!
I, 40)
(G21,
43-4).
DIALOGO
Prudenzio.
Principio
omni
a natura
tributum,
ut nihil
quicquam
formidine
pocnae.
Frulla.
schedun
SECONDO
rusticorum
virtutis
È un altro proverbio
generi
amore
hoc
est
faciant,
et vix
anco in proposito
di cia-
villano: Rogatus
Pulsatus
Pugnis
tumet, rogat,
concisus
adorat!.
Teofilo. In conclusione, ne gittarono là; e dopo pagategli e resegli le grazie (perché in questo loco non si può
far altro, quando se riceve un torto da simil canaglia), ne mostrorno il diritto camino per uscire a la strada. Or
qua
te
voglio,
dolce
Mafelina,
che
sei
la musa
di
Merlin
Cocaio ?, Questo era un camino, che cominciò da una buazza 1, ! « Versione libera del motto già diffuso nel secolo XII e cosi interpretato nel suo Graecisinus da Eberardo di Beéthune: ‘ Quando
mulcetur,
villanus
peior
habetur:
Pungas
villanum,
polluet
manum; Ungentem pungit, pungentem rusticus ungit’: in Sranc.: ‘Oignez vilain il vous poindra, poignez vilain
oindra '; in italiano (e ve n' ha esempio volgari del sec. XIII,
ille
ridotto il vous
nella prima serie dei prov.
da me editi nel Giorn. stor. d. letter. ital., XVIII,
107):‘ Bacte el villano ct a' load amico”, che il Sacchetti (n. CLXVIII) pur ripete »: NovatIi in SPAMPANATO, Postille, p. 311. Ma il 2° e il 3° v. sono il verso 300 della III sat. di GrovENALE, come ha poi osservato 2
lo
stesso
SPAMPANATO,
Vita,
p.
367,
n.
1.
Pancificae tantum Musac doctaeque sorellac, Gosa, Comina, Striax, Mafelinaque, Togna,
Imboccare suum veniant imacarone poetam.... Hic macaronescam pescavi primior artem, Hic me pancificum fecit Mafelina poctam. MertLIN Cocai (T. Folengo), I! Baldo, macch. Chaos del Triperuno, selva 2°, Mafelina è
I,
13-15,
Pedrala
62-63.
Nel
Aspra, crudelis, manigolda, ladra, Fezza boydelli, mulier diabli, Vacca vaccarum, lupaque Iuparuni.
3 Buazza e
(B. 28)
(W.
più sotto (p. 59)
I, 1309-40)
(L.
138)
57
bua
dal franc. bone, fango.
(G.t I, 40-1)
(G.2 I, 44-5).
LA
CENA
DE LE CENERI
la quale né per ordinario, né per fortuna, avea divertiglio !. Il Nolano, il quale ha studiato ed ha pratticato ne le scuole
più che noi ?, disse: però seguitate dire, che vien
—
Mi par veder un porco passaggio;
a me. — Ed ecco, non avea finito quel piantato lui in quella fanga di sorte, che
non possea ritrarne fuora le gambe; e cossi, aggiutando l’un l'altro, vi dammo per mezzo, sperando che questo purgatorio durasse poco. Ma ecco che, per sorte iniqua e dura, lui e noi, noi e lui ne ritrovammo ingolfati dentro un limoso
giardin buone
varco,
il qual,
come
de
le delizie,
era
muraglia;
fusse
l’orto
terminato
de
la gelosia,
quinci
o il
e quindi
da
e perché non era luce alcuna che ne gui-
dasse, non sapeamo far differenza dal camino ch’aveam fatto e quello che doveam fare, sperando ad ogni passo il fine: sempre spaccando il liquido limo, penetravamo sin alla misura delle ginocchia verso il profondo e tenebroso Averno 3, Qua non
l'uno
sapevam
che
non
dire,
possea
ma
con
dar un
conseglio
muto
a l'altro;
silenzio
chi sibi-
lava per rabbia, chi faceva un bisbiglio, chi sbruffava co' le labbia,
chi
gittava
un
suspiro
sotto lengua bestemmiava; veano,
i piedi faceano
1 Cand.,
ticolo ».
un
poco,
chi
e perché gli occhi non ne ser-
la scorta ai piedi,
un cicco ‘cera con-
p. 132, con forma più vicina alla originaria lat., « diver.
® Si ricordi
dove,
e si fermava
l'avvertenza che fa il B. nell'Argomento
accennando
a
questa
dice (pp. 10-11) che essa «più che istoriale sarà da tutti
«descrizion
poetica
di
passi
e
di
del 2° dial.,
passaggi»,
e tropologica,
forse,
giudicata ». Intese l'autore raffigurare in
questi pantani la scienza delle scuole del tempo, attraverso la quale anche
a lui era
convenuto
passare
per raggiungere
luni verrà csposta e difesa in casa del Greville.
3 Cir. quel son. Dal più profondo e tenebroso del (B.
28-20)
(W.
I,
140)
(L.
138)
58
(GI
IT, 41-2)
quella
che
BERNI.
(G.2 I,
45-0).
da
DIALOGO
SECONDO
fuso in far più guida a l’altro. Tanto che, Qual
Sul duro Or
uom,
giace
or carme,
ch’uccida
Ma,
e piange
letto il pigro andar
pietre,
Spera,
che
or polve,
il grave
poi ch’a lungo
mal,
andar
lungamente
de l’ore,
ed or liquore
che
sente:
vede il dolente,
Ch'ogni rimedio è vinto dal dolore, Disperando 1! s’acqueta; e, sc ben more,
Sdegna
cossf
noi,
rimedio
ch'a sua salute altro si tente 2;
dopo
aver
al nostro
tentato
male,
e ritentato,
desperati,
e non
vedendo
senza pit studiar e bec-
carsi il cervello in vano, risoluti ne andavamo a guazzo a guazzo per l'alto mar di quella liquida bua, che col suo
lento flusso andava del3 profondo Tamesi a le sponde. Prudenzio. O bella clausola! Teofilo. Tolta ciascun di noi la risoluzione del tragico cieco d’ Epicuro 4: Dov” il fatal
Lasciami
Né
andar,
Trovarò
forse
a trarmi
Precipitando
menle:
in
Poesie
3 (G! = B:
ed.
del;
G®:
loco
cavo
fuor
un
di tanta
cieco,
porta;
Fiorentino,
(per
speco,
un
sasso
guerra,
e basso;
Qual uom,
dal
mi
venir più mocco.
fosso,
del TansiLLo,
liriche,
il piè
un
Desperado)
® Dal son.
mi 5 guida
e dove
per pictà di me
Piatoso
1 (B:
destin
che giace, e piange
p.
8.
evidente
Iunga-
svista tipograf.).)
4 Marco Antonio Epicuro (1472-1555) nella tragicommedia La Cecaria (Venezia, 1525), terzine 1° e 3% (ediz. Palmarini, in Scelta di
curios.
letter,
Disp.
225,
Bologna,
Romagnoli,
1888,
pp.
35-6).
Circa l'imitazione che il Bruno fece della Cecaria negli Evoici furori,
v. FIORENTINO nel Giorn. nap. della domenica, a. I, n. 29, del 16 luglio 1882; TALLARIGO e IMBRIANI, Nuova crestom. italiana, vol. IIl, Napoli, Morano, 1883, p. 54; € SPAMPANATO, Bruno e Nola, pp. 63-69;
e il mio Appunti
XII,
testo
commento biografici
1-76.
Nel
dell’ Epicuro
20-30}
(W.
di
E.
19 verso ha:
oscuro e basso. 5 (B: mia) (B.
ai diall. Degli eroici furori. Sull' Epicuro
I,
n
140-1)
PàrcoPO,
Giorn.
st. letter,
ital.
speco,
un
nel
della seconda fosso,
(L.
un
138-9)
59
terzina citata
(G.1
sasso;
I, 42-43)
dal
del
1888,
Bruno
3°:
(GI,
v. gli
in
il
loco
46-7).
LA
CENA
DE
LE
CENERI
ma, per la grazia degli Dei (perché, come dice Aristotele, non datur infinitum in actu), senza incorrer peggior male, ne ritrovammo al fine ad un pantano; il quale, benché
ancor lui fusse avaro strada,
d’un
poco
di margine
per darne la
pure ne relevò con trattarci più cortesemente,
inceppando
oltre ì nostri piedi;
non
sin tanto che, montando
noi più alto per il sentiero, ne rese a la cortesia d’una lava 1,
la quale
da
un
canto
lasciava
un
si petroso
spazio per
porre i piedi in secco, che passo passo ne fe’ cespitar come
ubriachi, non senza pericolo di romperne o gamba. Prudenzio. Conclusio, conclusio! Teofilo.
In
conclusione,
tandem
laeta
qualche
arva
testa
fcnemus >:
ne parve essere ai campi Elisii, essendo arrivati a la grande ed ordinaria strada;
c quivi da la forma
del sito,
conside-
rando dove ne avesse condotti quel maladetto divertiglio, ecco che ne ritrovammo poco più o meno di vintidui passi
discosti da onde eravamo partiti per ritrovar gli barcaroli, e vicino a la stanza del Nolano. O varie dialettiche, o nodosi
dubii,
o
enigmi, tevi,
importuni
sofismi,
o intricati
o fatevi In
Che
laberinti,
o
cavillose
capzioni,
o indiavolate
sfinge,
o
scuri
risolve-
risolvere. questo
debbo 3
bivio,
in questo
far,
che
dcbbo
dubbio dir,
passo,
ahi,
lasso?
Da qua ne richiamava il nostro allogiamento; perché ne avea si fattamente imbottati maestro Buazzo e maestro ! Cfr. p. 81. Lava dicono a Napoli un corso d’acqua piovana che scenda per una via in pendio: p. e..la lava dei Vergini.
® Vira. den.,
tencmus ».
VI, 744:
«Mittimur
Elysium et pauci laeta arva
3 B: delo. (B.
30)
(W.
I,
141)
(L.
139-490)
60
(G.
I, 43)
(GI,
47-38).
DIALOGO
Pantano,
SECONDO
ch'a pena posseamo
movere le gambe.
Oltre, la
regola de la odomantia e l’ordinario de gli augurii importu-
namente ne consegliavano a non seguitar quel viaggio. Li astri, per esserno ! tutti ricoperti sotto l'oscuro e tenebroso manto, e lasciandoci l'aria caliginoso 2, ne forzavano al ritorno. Il tempo ne dissuadeva l’andar sf lungi avante, ed essortava a tornar quel pochettino a dietro. Il loco vicino
applaudeva
mano
benignamente.
L'occasione,
ci avea risospinti sin qua,
pulsi facea il maggior alfine,
non
e natura
meno
empito
ch’una
è mossa
la quale
con una
con dui
più forti
l’ intrinseco
principio
adesso
del mondo.
pietra da
verso il centro,
La stanchezza
ne mostrava
il medesmo
camino e ne fea inchinar verso la destra. Da l'altro canto ne chiamavano le tante fatiche, travagli e disaggi, i quali sarrebono stati spesi invano. Ma il vermine de la conscienza
diceva: se questo poco di camino n' ha costato tanto, che non è vinticinque passi, che sarà di tanta strada che ne resta ? Mejor es perder que mas perder 3. Da là ne invitava il desio
comone,
ch’aveamo,
1 Esserno
(cîr.
sopra
di non
p.
31:
defraudar
la espetta-
avendono;
p.
Itr,
ben
dire
manendono, e pp. 125 e 148 ancora: esserno) mica errore di stampa. Appo il 13., come appo molti altri
ed
in
alcuni
dialetti
embrione o come presente
Candelaio 1886,
G.
Lopez,
p.
si
trova
di G.
IX;
B.
studiò
Tria,
nel
Propugnatore,
saprei
Natanar
1876,
il fenomeno più tardi in
pref. alla ristampa
ma
non
«non è scrittori se
in
reliquia, alcun vestigio di un plurale e dell' infinito
e del gerundio ». V. IMBRIANI,
L' Imbriani Vedi
d'Italia,
ri-
cir. la nota
Studi di antico
del
del
napoletano,
vol.
una
Candelaio,
Lacarpe,
Infinito
II,
lett. sul testo del
IX,
nota
P. 1%, p.
Napoli,
p. 784.
coniugato
Itom. Philo!. XXIV, 501-3; e SPAMPANATO, Introd. ? In Bruno aria è sempre mascolino, come
345.
accademica.
Vedi
Marghieri,
P. Savv-
in Zeitschr. f.
al Cand., IV. aere. (Non
proprio sempre: cir. De la Causa son. Causa...., Vv. 12.) 3 Prov. spagn.: meglio perdere che perdere maggiormente. B: perdere (,) che mas perdere.
(B. 30-1) (W. I, 141-2) (L. 140)
6I
(G.! I, 43-4) (G2 I, 48-90).
LA
CENA
DE
LE
CENERI
zione di que’ cavallieri e nobili personaggi; dall'altro canto
rispondeva il crudo rimorso, che quelli, non avendo cura,
né pensiero
mini in questo
di mandar
tempo,
cavallo
avuto
o battello a gentiluo-
ora ed occasione, non farebbono
an-
cora scrupolo del nostro non andare. Da là eravamo accusati per poco cortesi al fine, o per uomini che van troppo sul pontiglio, che misurano le cose dai meriti ed uffici, e fan professione più di ricever cortesia che di farne, e come villani ed ignobili voler più tosto esser vinti in quella che vencere; da qua eravamo iscusati, ché dove è forza non è raggione. Da là ne attraea il particolare interesse del Nolano, ch’avea promesso, e che gli arrebono possuto attaccar a dosso un non so che; oltre c’ ha lui gran desio, che se gli offra
occasione
accorgersi,
di
veder
costumi,
si sia possibile,
conoscere
di qualche
mar il buono abito de la cognizione,
nova
gl’ ingegni,
verità,
accorgersi
confir-
di cosa che
gli manca. Da qua eramo ritardati dal tedio comone e da non so che spirto, che diceva certe raggioni più vere,
che degne a referire. A chi tocca determinar questa contradizione? chi ha da trionfar di questo libero arbitrio? a chi consentisce la raggione? che ha determinato il fato ? Ecco
questo
fato,
ispedisca
il
per
mezzo
de
la raggione,
porta de l' intelletto, si fa dentro, e comanda che
consentimento
di
continuar
aprendo
la
a l’elezione, il
viaggio.
O passi graviora!, ne vien detto, o pusillanimi, o leggeri, incostanti ed uomini di poco spirto ?....
1 Viro.,
finem n.
Aen., I, 199:
® (G! = N:
spirto;
«O passi graviora! Dabit deus his quoque
G*;
spirito
(per
evidente
svista tipogri.).)
(B. 31-2) (W. I, 142) (L. 140-1) (GLI, 44-5) (G2 I, 49). 62
DIALOGO
SECONDO
Prudenzio.
Exaggeratio concinna!
Teofilo.
non è, non
—
è impossibile,
benché
sii difficile,
questa impresa. La difficoltà è quella, ch'è ordinata a far star a dietro gli poltroni. Le cose ordinarie e facili son per il volgo ed ordinaria gente;
gli uomini
rari, eroichi e
divini passano per questo camino de la difficoltà, a fine che sii costretta la necessità a concedergli la palma de la immortalità. Giungesi a questo che, quantunque non sia possibile arrivar al termine di guadagnar il palio ', correte pure e fate il vostro sforzo in una cosa de sf fatta importanza, e resistete
sin
a l’ultimo
spirto.
Non
sol chi
vence
vien
ladato, ma anco chi non muore da codardo e poltrone: questo rigetta la colpa de la sua perdita e morte in dosso de la sorte, e mostra
al mondo
che non per suo difetto, ma
per torto di fortuna è gionto a termine tale. Non solo è degno di onore quell’uno ch' ha meritato il palio, ma ancor quello e quell'altro c* ha? si ben corso, ch' è giudicato anco degno
e sufficiente
vinto.
E son
desperati,
si
de l'aver
vituperosi fermano,
meritato,
quelli,
ch'al
e non
vanno,
benché
mezzo ancor
non
l'abbia
de la carriera, che
ultimi,
a
toccar il termine con quella lena e vigor che gli è possibile 3. Venca dunque
la perseveranza,
! BL: palo. % (G! = D: ch ha) 3 (d inscrisce i seguenti 197-203):
versi
perché, se la fatica è tanta,
(corruzione
Vidi ego lecta diu, et multo
di
Verc.,
Georg.,
spectata labore
Degenerare tamen, ni vis. Sic omnia falis In peius vuere, ac vetro sublata veferri: Non aliter quam qui adverso vix flumine lembum
Remigiis Atque
subigit: si brachia forte remisit;
illum
in preceps
prono
rapit
alveus
amne.)
(B. 32-3) (W. I, 142-3) (L. 141) (G.! I, 45) (G.* I, 49-50).
63
I,
LA
CENA
DE
LE
CENERI
il premio non sarà mediocre. Tutte cose preziose son poste
nel difficile. gran cosa
Stretta e spinosa
forse
Haud
Movit
Nec
ne
promette
facilem agros,
esse
via de la beatitudine;
il cielo !:
viam
curis
è la
acuens
Pater ipse colendi voluit, primusque per
torpere gravi passus
mortalia
sua regna
corda,
artem
veterno ?.
Prudenzio. Questo è un molto enfatico progresso, converrebe a una materia di più grande importanza.
che
Frulla. È lecito, ed è in potestà di principi, de essaltar
le cose
basse;
le quali,
degne,
e veramente
se essi farran tali3, saran giudicate
saran
degne;
e in questo gli atti loro
son più illustri e notabili, che si aggrandissero i grandi, perché + non è cosa, che non credeno meritar per la sua grandezza;
overo che si mantenessero i superiori ne la sua
superiorità, perché5 diranno, quello convenirgli non per grazia, cortesia e magnanimità di principe, ma per giusticia e raggione 6, Cossf non essaltano per ordinario degni c vir1 (A:
il cielo. Per il che dice il Pocta:)
2 Viro.,
Georg.,
3 (A: degne,)
I,
121-4.
4 (A: i quali) 5 (A: i quali) 6 (AI lungo brano che segue (incluse le due battute di Prudenzio c di Smitho) A sostituisce: Or applica a proposito del tliscorso del nostro Teofilo. Pure (maestro Prudenzio) se vi par ancor aspro; distaccalo da questa maleria, et attacalo ad un’altra. Pru. To non dissi altro, eccetto che il progresso parea molto emfatico per questa materia, che s'offre al presente.
Fru.
Volevo io ancor dive che Teofilo par ch'abbia un poco del Pru-
vertù.
Et
denzio: ma perdonategli, per che (come mi pare) questa vostra infirmità è contagiosa. Et non dubitate, per che Teofilo sa far de necessità de
infirmità
cautela,
preservazione,
filo il vostro discorso. Irru. Ultra domine, a fin che "l tempo non ci vegna meno.)
et
Smr.
sanità.
Seguite
Via su affrettiamoci
(B. 33) (W. I, 143) (L. 141) (Gt I, 45-6) (G= I, 50).
64
Teo-
DIALOGO
SECONDO
tuosi, perché gli pare che quelli non hanno occasione di rendergli tante grazie, quante un aggrandito poltrone e feccia di forfanti. Oltre, hanno questa prudenza, per far conoscere che la fortuna, alla cui cieca maestà son obligati molto, è superiore a la virtii. Se tal volta esaltano un uom
da bene ed onorato tra quelli, di rado li faran tener quel grado, nel quale non se gli prepona un tale, che gli faccia conoscere, quanto l'autorità vale sopra i meriti, e che i meriti non vagliono, se non quanto quella permette e dispensa. Or vedete con qual similitudine potrete intendere, perché Teofilo essaggere tanto questa materia: la qual, quantunque salza,
rozza
l’orticello,
vi paia, il culice,
è pur
altra cosa
la mosca,
la noce
ch’esaltar e cose
la
simili,
con gli antichi scrittori; e con que' di nostri tempi, il palo, la stecca, il ventaglio, la radice, la gniffeguerra !, la candela, il scaldaletto,
il fico, la quintana,
il circello, ed altre cose,
che non solo son stimate ignobili, ma son anco molte di quelle stomacose =. Ma si tratta dell'andar a ritrovar tra 1 B:
XXII,
Guniffegnerra.
Ma
già il FLORIO
122) aveva corretto
da un
altro in guerra,
coloro
che
gniffeguerra:
soldato
per profitto ».
* G. B. Giratpi Cinzio, ne' suoi cose basse nacque medesimamente il
per loro
(SPAMPANATO,
principale
esercizio
ch'egli scrisse; ed infelici mi paiono
«chisi
in Critica,
fa sostituire
Discorsi (1554) dice: « Alle Bernia tra’ toscani, e tutti
a quel
quegli
modo
han
scritto,
ingegni che spendono
le
lor buone ore in cosî fatte scritture, piene di nascosa disonestà, e di materie plebeie, che sol dilettano a salsicciai, ed a simili sorti di genti » (cit. da S. VOLPICELLA, 0, c., p. 70, n. 17). Per gli antichi v. i due pocmetti Moretfum (salsa) e Culex attribuiti a Virgilio, in Poetae latini minores,
rec. Bachrens,
II,
178, 46, e Nux
Elegia
(ricor-
data anche nel Candelaio, III, 7), ivi I, 88. 11 B. accenna poi molti dei soggetti soliti delle poesie bernesche del '500; delle quali si può vedere la copiosa raccolta: I fre librî delle opere burlesche di M. F. BERNI, di G. DELLA Casa,
delet,
(B.
1726.
33-4)
Tra
gli
(W.
I,
del VARCHI,
ecc. ecc. Usecht al Reno, Broe-
autori a cui si allude
143-4)
(L.
141-2)
65
(G.I
oltre
I, 46)
il Berni, (G.3
il Casa,
I, 50-1).
LA
CENA
DE
LE
CENEKI
gli altri un par di suppositi !, che portan seco tal significazione, che certo gran cosa ne promette il cielo, Non sapete che quando il figlio di Cis, chiamato Saul, andava cercando
gli asini, fu in punto d'esser stimato degno ed esser ordinato
re del popolo
israelita? Andate,
andate
a leggere
il
primo libro di Samuele; e vi vedrete, che quel gentil personaggio tuttavia fea più conto di trovar: gli asini, che d’esser onto re. Anzi par che non si contentava del regno, se non trovava gli asini. Onde, tutte volte che Samuele gli
parlava di coronarlo, lui rispondeva: — E dove son gli asi-
ni? gli asini dove sono? Mio padre m'ha inviato a ritrovar gli asini, e non volete voi ch’ io ritrove gli miei asini?
—
In conclusione,
gli
non
si quietò
mai, sin tanto
che non
disse il profeta, che gli asini eran trovati; volendo accennar
forse ch’avea quel regno, per cui possea contentarsi, che valeva per gli suoi asini, e d’avantaggio ancora ?. Ecco dunque come alle volte tal cosa si è andata cercando, che quel cercare è stato presagio di regno. Gran cosa dunque ne
promette
Narra
il cielo.
i successi
di
Or
séguita,
questo
Teofilo,
cercare,
che
il tuo facea
discorso.
il
fanne udire il restante dei casi di questo viaggio.
Nolano;
Prudenzio. Bene est, pro bene est, proseqguere, Theophile. Smitho. Ispedite presto, perché s’accosta l'ora d’andar a cena. Dite brevemente quel che vi occorse dopo che vi il Mauro,
guardando
il Molza,
a’
Postille, p. 231) quintana,
cui
messer
componimenti
che invecc
quartana;
Bino,
invece
il Doni,
si
può
l’Aretino,
sospettare
di palo il 13. dovesse di scaldaletto,
caldo
il Bronzini,
(SPAMPANATO,
dir pilo;
del
letto;
radice, ravanello. 1 Suppositi, soggetti, persone: ossia i dottori Torquato dinio. * Vedi il Libro I dei Ite, capp. IX e X.
invece
invece
di
di
e Nun-
(B. 34-5) (W. I, 144) (L. 142) (G.! I, 47) (G3I, s1-2). 66
ccc.,
DIALOGO
SECONDO
risolveste di seguitar più tosto il lungo e fastidioso camino che ritornar a casa. Teofilo.
Alza*
i
vanni,
Teofilo,
e ponti
in
ordine,
e
sappi ch'al presente non s' offre occasione di apportar de le più alte cose del mondo. Non hai qua materia di parlar di quel nume de la terra, di quella singolare e rarissima Dama, che
da
questo
freddo
cielo,
vicino
a l’artico
parallelo,
a
tutto il terrestre globo rende si chiaro lume: Elizabetta dico, che per titolo e dignità regia non è inferiore a qualsivoglia re, che sii nel mondo ?; per il giodicio, saggezza, con-
seglio e governo, non è facilmente seconda ad altro, che porti scettro
in terra:
ne
la cognizione
de
le arti,
notizia
de le
scienze, intelligenza e prattica de tutte lingue, che da per-
sone popolari e dotte possono in Europa parlarsi3, lascio al ! (A:
® Qui,
Or alza) come
nel De
cpiteto,
che
la Causa,
p.
222,
il
B.
adopera
la
forma
inglese (Elizabeth). Scusandosi delle lodi tributate ne’ suoi scritti a principi eretici, nel costituto vencto del 3 giugno 1592 egli dirà: a Nel mio libro Della Causa, principio e uno io lodo la Regina de Inghilterra, e la nomino ‘ Diva‘ non per attributo di religione, ma per
un
certo
li antichi
ancora
solevano
dare
a' principi;
ed in Inghilterra, dove allora io mi ritrovava e composi quel libro, se suole dar questo titolo de ‘Diva' alla Regina; e tanto più me indussi
a
nominarla
cusfî,
perché
ella
me
conosceva,
andando
io
continuamente con l'ambasciator in corte» (SpamP., Vita, p. 734). Anche il filosofo italiano Aconzio aveva dedicato il suo De methodo (ma
i Strafagematton
Elisabetta»
ale.
filos.
l'italiano
(BERTI,
3 (A:
ifal., e
p. 294
«con
udirsi;
gli
1868,
1093-90;
p.
italiani»,
n.), «non
vuol
— Il passo
in A:
contradizzione
Libri
I,
Benevento,
è cosl rimaneggiato senza
Satanae
(BARTHOLM®Ss,
che
alcuna
mai
71
(Basilea
BoBna,
e sgg.).
scriveva
1565))
alla
Saggio.
Elisabetta
l'ambasciatore
parlare altrimenti ».
segue
(fino alla riga
«diva
intorno
ad
parlava
veneto
rI1 di p. 69)
è a tutti gli altri prencipi
superiore,
et trionfatvice di tal sorte; che se l''imperio de la fortuna corrispondesse,
et fusse
ingegno:
sarebbe
agguagliato
l'unica
a l'imperio
imperatrice
(B. 35) (W. I, 144-45)
G.
Bruno,
Dialoghi
di questa
generosissimo
terrestre
spirito
italiuni
et
sfera; et con
(L. 142-3) (G.! I, 47-8) (G.* IL 52-53).
67 9 —
del
LA
mondo
tutto
CENA
giudicare
DE
qual
LE
CENERI
grado
lei tenga
tra tutti
gli
altri principi. Certo, se l’imperio de la fortuna corrispondesse e fusse agguagliato a l’ imperio del generosissimo spirto ed ingegno, bisognerebbe che questa grande Amfttrite * aprisse le sue fimbrie, ed allargasse tanto la sua cir-
conferenza, Ibernia,
che sf come gli comprende
gli
desse
un
altro
globo
una Britannia ed
intiero,
che
venesse
ad
uguagliarsi a la mole universale, onde con più piena signi-
ficazione la sua potente mano sustente il globo d’una generale ed intiera monarchia. Non
hai
provido
conseglio,
vinticinque centro
materia
de
anni le
di parlar
con
di tanto
il quale
quell'animo
e pit 2, col cenno
borasche
d'un
maturo,
mare
discreto
eroico,
e
già
de gli occhi
suoi,
d’adversità,
ha
nel fatto
trionfar la pace e la quiete, mantenutasi salda in tanto Gagliardi flutti e tumide onde di si varie tempeste; con le più piena significazione quella sua divina mano sustentarebbe il globo
di questa universale monarchia. Non hai qua materia di far discorso di colei, la quale se volessi assomigliar a regina di memoria di passati tempi: profanareste la dignità del suo essere singolare et sola; perché di gran lunga avanza tutte: altre in grandezza de l'autorità, altre ne la perseveranza del lungo, inticro, et non ancora abbreviato governo; tulle poi ne la sobrietà, pudicizia, ingegno, et cognizione. Tutte ne
l'ospitalità et cortesia, co la quale accoglie ogni sorte di forastiero, che non si rende al tutto incapace di grazia et favore. Non te si offre occasione di parlar de la generosissima umanità dell' illustrissimo monsiglnor) conte Roberto Dudlco, conte di Licestra etc. tanto conosciuta dal mondo, nominata insieme con la famia del regno, et la regina
d' Inghilterra ne’ circostanti regni; tanto predicata da i cuori di gene-
rosi spirti ilaliani quali specialmente da lui con particolar favore (accompagnando quello de la sua signora) son stati, et son sempre accarezzati. Questo....) 1 Cfr.
terrarum v.
Ovipio,
porrexerat
SPAMPANATO
* Dal
1558,
in
Met.,
I,
Amphitrite n.
Critica,
quando
14-15:
XXII,
Elisabetta
«Nec
(Per
58).
brachia
longo
l'imitazione
del
Margine
sali al trono.
(BD. 35-6) (W. I, 145) (L. 143) (G.! I, 48) (G2 1, 53).
68
Florio
DIALOGO
SECONDO
quali a tutta possa gli ha fatto impeto pazzo
Oceano,
che
bench' io come siero
di
tutti
contorni
particolare non
conoscerli,
eccellentissimi
da odo
tanto
cavallieri,
Roberto
Dudleo,
Conte
umanità
di quali
è tanto
quest'orgoglioso la
circonda.
le conosca, nominar
gran
tesorier
di
Licestra=;
conosciuta
Quivi,
né abbia pen-
gl’ illustrissimi
un
la
e
del
ed
regno !, e
generosissima
dal mondo,
nominata
insieme con la fama della. Regina e regno, tanto predicata
ne le vicine provinze, come quella ch'accoglie coh particolar favore ogni sorte di forastiero, che non si rende al tutto incapace
di grazia ed ossequio.
Questi,
insieme co’ l’eccel-
lentissimo signor TFrancesco \Walsingame 3, gran secretario del Regio Conseglio +, come quelli che siedono vicini al sole del regio splendore, con la luce de la lor gran civiltade 5 son sufficienti a spengere ed annullar l'oscurità, e con il caldo de l'amorevol cortesia desrozzir 6 e purgare qualsivoglia rudezza e rusticità, che ritrovar si possa non solo tra brittanni,
ma
anco
pofagi. Non
tra sciti, arabi,
tartari,
canibali
ed antro-
ti viene a proposito di referire l’onesta conver-
sazione, civilitàe buona creanza di molti cavallieri e molto
nobili personaggi del regno 7, tra' quali è tanto conosciuto cd a noi particolarissimamente, per fama prima, quando
cravamo
in Milano 5 ed in Francia,
e poi per esperienza,
! William Cecil, lord Burlcigh (1520-98). 2 Robert Dudley, conte di Leicester (1532(?)-88), il favorito della Regina Elisabetta, cancelliere dell’ Università di Oxford dal 1565
al 1588. Vedi l'elogio che ne lasciò il FLorIo 3 (A: 4 Sir
5 (A;
Walsinghame) Francis Walsingham nobiltade)
(1530
(1532
in Critica, XXI,
ca.)
r14.
-1590).
6 (A: cortisia disrozzir)
2 (A: personaggi inghilesi) 8 Forse nel 1578. Cîr. BERTI,
Vita, p. 64,
(B. 36-7) (W. I, 145) (L. 143-4) (GT,
69
e Sramp.,
Vita, p. 276.
48-90) (G.2 I, 53-4).
LA
CENA
DE
LE
CENERI
or che siamo ne la sua patria, manifesto, il molto illustre ed eccellente cavalliero, signor Filippo Sidneo:; di cui il tersissimo ingegno, oltre i lodatissimi costumi, è si raro
e singolare, che difficilmente tra’ singolarissimi e rarissimi, tanto
fuori
Ma,
quanto
a
dentro
proposito,
Italia, ne trovarete
importunissimamente
un simile =.
ne
si
mette
avanti gli occhi una gran parte de la plebe; la quale è una si fatta sentina che, se non fusse ben ben suppressa da gli altri,
mandarebbe
ad offuscar
tal puzza
tanto
il nome
e si mal
fumo,
che
di tutta la plebe
verrebbe
intiera,
che
potrebe vantarsi l’ Inghilterra d’aver una plebe, la quale in essere irrespettevole, incivile, rozza, rustica, salvatica e male allevata non cede ad altra, che pascer possa la terra nel suo seno. Or, messi da canto molti soggetti, che sono ! Il celebre Sir Philip Sidney (1554-1580), nipote del Dudley, autore della Defense of Poetry, che è stata detta «un vero com-
pendio
della
critica
italiana
del
tempo
della
Rinascenza» (Srin-
GARN, La crit. letter, nel Rinascimento, trad. ital. del dott. A. lusco, Bari, Laterza, 1905, p. 266). Egli conosceva bene la lingua e la let-
teratura italiana; e aveva studiato giurisprudenza a l’adova. l°u molto benevolo al Bruno, che gli dedicò nello stesso anno 1594 lo Spaccio e l'anno dopo gli Eroici furori. — Ma il Bruno non è mai
menzionato
amicissimo
nella
Sidney
London,
1891)
ripete
le
Sidney,
notizie
London,
che
si
al
Fulke
1651),
ricavano
Bruno
Groville,
Fox age,
Philip
anche
da
spondence of Ph. Sidney and Hubert Languet, London, 1845. Bourne (Sir Ph. S., type of english chivalry in the Elizabethan
Sr.
dapprima
scritta
life
renowned
e amico
del
(The
of the
al Sidney
vita
né
dagli
nella
Corre-
scritti
stessi
del Bruno. Per tutto ciò vedi GùTTLER, in Arch. f. Gesch. d. Philos., 1893, VI, 340. 2 (Il brano che segue (fino alla riga 2 di p. 71) è così rimancg-
giato
in A:
Tolto
ne
è a fatto
materia
di
lode:
ma
importunissimamente,
a
dispetto del mondo ne viene a proposito una plebe, la quale in esser plebe, non è inferiore a plebe alcuna, che pasca nel suo seno la pur troppo prodiga terra: perché questa veramente dà saggio di plebe de tutte le plebe che io possa aver sin ora conosciute irveverente, irrospettevole, di nulla civilità, male allevate. Quando vede....)
(B. 37) (W. I, 145-6) (L. 144) (G.! I, 49-50) (GI, 54-5). 70
DIALOGO
SECONDO
in quella degni di qualsivoglia onore, grado e nobiltà, eccovi proposta avanti gli occhi un’altra parte, che, quando vede
un
forastiero,
sembra,
per Dio,
tanti lupi,
tanti
orsi,
che con suo torvo aspetto gli fanno quel viso, che saprebe far un porco ad un che venesse a torgli il tinello! d'avanti. Questa ignobilissima porzione ?, per quanto appartiene
al proposito,
Prudenzio.
cibilis
ad
Omnis
è divisa in due diviso
specie3; —
debet esse bimembris,
vel redu-
bimembrem.
Teofilo. — de quali l'una è de arteggiani e bottegari, che 4, conoscendoti in qualche foggia forastiero, ti torceno il musso 5, ti ridono,
ti ghignano,
bocca,
in
ti
chiamano,
suo
ti petteggiano6 co’
lenguaggio,
cane,
la
traditore,
straniero?; e questo appresso loro è un titolo ingiuriosissimo, e che rende il supposito capace a* ricevere tutti i torti del mondo, sia? pur quanto si voglia uomo giovane o vecchio, togato o armato, nobile o gentiluomo 1°.
1 (A:
tino)
3 (A: 4 (A:
parti) i quali)
? (A:
plebe)
S Cfr. Cand3, 6 In Fiorio,
p. 3, n. I. Nuovo miondo
‘ petteggiare ’, accanto 7 (A: strangier[0))
alla
di
forma
parole,
pp.
semplice.
374-5
‘ pettare*
e
8 B: ad. 9
(A:
sii)
10 (A inserisce il seguente brano: Al che son mossi dal desio di aver occasione di far a questione con un forastiero. Et în questo le assicura che non come in Italia s'av-
viene ch'un rompa ad vedere pur
il capo ad un de simil canaglia,
se per sorte viene
è alcuno
che
si muova;
qualche
si staranno
zaffo ufficiale ch' il prenda:
lo fa per
dividere
et appacare,
tutti
et se
aggiutare
l'impotente, et prendere specialmente la causa d'un forastiero. Et nisc{i]uno che non è ufficial di corte, o ministro de la giustizia id est (B.
37-8)
(W.
IT,
146)
(L.
144) 71
(G.!
I, 50)
(GT,
55).
LA
CENA
DE
LE
CENERI
Or! qua, se per mala sorte ti vien fatto che prendi occasione di toccarne uno, o porre mano a l'armi, ecco in un punto ti ve-
drai, quanto è lunga la strada, in mezzo d'uno esercito di co-
teconi »; i quali più di repente che, come fingono i poeti, da' denti del drago seminati per Iasone risorsero tanti uomini armati3, par che sbuchino da la terra, ma certissimamente esceno 1 da le botteghe;
e facendo
una onoratissima
e gentilis-
sima prospettiva de una selva de bastoni, pertiche ; lunghe, alebarde, partesane e forche rugginenti (le quali, benché ad ottimo uso gli siano state concesse dal prencipe, per questa e simili occasioni han sempre apparecchiate c pronte); cossi con una rustica furia te le vedrai avventar sopra,
senza
guardare
a chi,
perché,
dove
e come,
senza
ch’un se ne referisca a l’altro: ognuno sfogando quel sdegno naturale
mano
c’ ha
(se non
contra
sarà
il forastiero,
impedito
ti verrà
di sua propria
da la calca de gli altri, che
poneno in effetto simil pensiero) e con la sua propria verga, a prendere
la misura
del saio; e se non
sarai cauto,
a sal-
darti ancora il cappello in testa. E se per caso vi fusse presente qualch’uomo da bene, o gentiluomo, ‘al quale simil villania dispiaccia, quello, ancor che fusse il conte o il duca,
birro,
have
ardire,
né
autorità
di
por
mano
sopra
il delinquente:
cet
se pur quello non sarà potente a prenderlo: si vergognerà ogn'uno di aggiutarlo in simile ufficio. Et cossì il birro, et tal volta i birri perdeno la caccia.)
I (A:
Ma)
è Cotecone, villanzone. Cfr, Cand.?, p. 161, n. 2. Il BASILE, Cunto de li cunti, ed. Croce, p. 98: «Lo re, sentenno chiesto, levaje
la corona
da
3 Ovipio,
4 (A: 5 (A:
capo
Met.,
a chilo
sorteno) di pertiche)
VII,
cuojero
121
e
sgg.
cotecone ».
6 (A: a meglior) (B.
38)
(W.
I,
£40)
(L.
144-5) 72
(G.!
T, so-1)
(G.?
I, 55-06).
DIALOGO
dubitando,
con
compagno
quando
suo
(perché
si veggono
a rodersi
dentro
ed
al tandem, quando
SECONDO
danno,
questi
senza
non
tuo
profitto,
hanno
rispetto
in questa foggia armati), aspettar,
stando
discosto,
d’esserti
a persona,
sarà forzato il fine.
Or,
pensi che ti sii lecito d’andar a trovar
il barbiero, e riposar il stanco e mal trattato busto, ecco che
trovarai quelli medesimi esser tanti birri e zaffi, i quali, se potran fengere che tu abbi tocco alcuno, potreste. aver la schena e gambe quanto si voglia rotte, come avessi gli talari di Mercurio, o fussi montato
sopra il cavallo
Pegaseo,
o premessi la schena al destrier di Perseo ‘, o cavalcassi l’ippogrifo d’Astolfo, o ti menasse il dromedario di Madian ?, o ti trottasse sotto una delle ciraffe degli tre Magi, a forza di bussate ti faran correre, aggiutandoti ad andar avanti con que’ fieri pugni, che meglio sarrebe per te fussero tanti calci di bue, d'asino o di mulo:
tanto
che
non
t’abbiano
non
ficcato
ti lasciaranno
dentro
una
mai, sin
priggione;
qua, me tibi comendo. Prudenzio. A fulgure et tempestate, ab ira et indignatione, malitia, tentatione et furia rusticorum Frulla. — libera nos, domine.
— 3
Teofilo. Oltre a questi s'aggionge
Non
parlo de quelli de la prima
luomini
de’ baroni,
1 Accenno
scherzoso ‘ai
calzari
IV, 065-6. Ma cfr. Spaccio, p. 710. ? Vedi
il Libro
dei
Giudicî,
VI,
l’ordine di servitori.
cotta,
e per ordinario
non
alati
di
5
(ma
e
i quali son genti-
portano
L’erseo:
OviDb.,
impresa
Melan.,
Isai.
LX,
6 (Amerio)).
51)
(G2=
I, 56-7).
3 Cfr. nel Brevario le Litanie della Quaresima: « Ab ira ct odio et omni mala voluntate, libera.... A Sulgure et tempestate libera nos, Domine ». (DB. 38-9)
(W.
I,
146-7)
(L.
145)
73
(GI,
LA
CENA
DE
LE
CENERI
o marca, se non o per troppa! ambizione de gli uni, o per soverchia adulazion de gli altri: tra questi se ritrova civilità. Prudenzio. Omnis regula exceplionem patitur. Teofilo. Ma, eccettuando però di tutte specie alcuni, che vi posson essere men capaci di tal censura *, parlo de
le altre specie di servitori; de’ quali altri sono de la seconda cotta; e questi tutti portano la marca affibbiata a dosso. Altri sono de la terza cotta, li padroni de’ quali non son
tanto grandi, che li convegna dar marca a’ servitori, o pur essi son stimati indegni ed incapaci di portarla. Altri sono
de la quarta marcati,
cotta,
e son
Prudenzio.
e questi
servi
de’
siegueno
gli marcati
e non
servi.
Servus
servorum
non
est
malus
titulus usquequaque 3. Teofilo. Quelli de la prima cotta son i poveri e bisognosi gentiluomini, li quali, per dissegno di robba o di favore,
se riducono sotto l'ali di maggiori; e questi per il più non son tolti da sua casa, e senza indignità seguitano i sui milordi,
son
stimati
e fauriti
da
quelli.
Quelli
de la seconda
cotta sono de’ mercantuzzi falliti o arteggiani, o quelli che senza profitto han studiato a leggere scrivere, o altra arte 4;
e questi son tolti o fuggiti da qualche scuola, fundaco o bottega. Quelli de la terza cotta son que’ poltroni, che, per fuggir maggior
fatica, han lasciato più libero mesticro;
e questi o son poltroni acquatici, tolti da’ battelli; o son poltroni terrestri, tolti dagli aratri. Gli ultimi, de la quarta 1 (B:
* (A
troppo)
cspunge
3 Servus
l’inciso eccelfuardo.... censura)
servorum
Dei
(Genesi,
IX,
titolo dei pontefici romani, da Gregorio 4 (A: a leggere 0 qualche altra arte)
(B. 39-40)
25),
Magno
come
tutti
in poi.
(W. I, 147) (L. 145-6) (G.1 T, sr-2) (G2I,
74
sanno,
57).
è
DIALOGO
SECONDO
cotta, sono una mescuglia di desperati, di disgraziati da’ lor padroni, de fuorusciti da tempeste, de pclegrini, de disutili ed inerti, di que’ che non han più comodità di rubbare, di que’ che frescamente son scampati di priggione, di quelli che han disegno d'ingannar qualcuno, che le viene a torre da là, E questi son tolti da le colonne de la Borsa!
e da la porta di San
Paolo.
De simili, se ne vuoi
Paolo;
in Venezia,
a Parigi, ne trovarai quanti ti * piace a la porta del Palazzo; in Napoli,
a le grade di San
al Campo di Flora3. De le tre ultime specie sono
in Roma,
quei,
a Rialto;
che,
per mostrar
quanto
siino
potenti
in casa sua,
e che sono persone di buon stomaco, son buoni soldati e hanno a dispreggio il mondo tutto: ad uno che non fa 1 The
durante
edificato
Gresham
il
Royal
1609
da
Exchange: Lord
quarantacinque e
detto
poi
naturalmente
Salisbury
anni
l'O/d
nello
avanti
Change,
non
quello
Strand,
(ncl
ma
1566)
ricco,
se
si
costruito
il più
da
vuol
antico,
Tommaso
credere
al
FLorio
nel cap. II de' Secondi Frutti, più di chiacchiere e menzogne
nostri,
corrono
Borsa
(FLorio,
che di oro. Comunque, certo non con buoni propositi, era anche bazzicato da certi pessimi soggetti che, come accade pure ai giorni
dove
per
o.
L
qualsiasi ragione s'incontra della gente.
La quale, secondo questo luogo della Cena, non mancava a S. Paolo, posto nel centro di Londra e con un molo da cui s'imbarcava chi, passando sotto il ponte omonimo, volesse recarsi alla
nali
presso
parigini
l'antica
vicinanza
cioè,
descritta
a S.
spicga
c.,
il
c.);
dal
al
BouchÒarp
e monumentale
Lorenzo,
FLorIo
in cui
(v.
Palazzo,
chiesa
(0.
magnifica
c., p.
di S. Paolo
si riunivano
Critica,
XXII,
p.
sede
62),
de’
e a Napoli,
Maggiore,
gli
61)
tribu-
per
la
Eletti; a Rialto, «un
dove a Venezia convengono i mercanti come in Londra
alto
luogo
alla Borsa »;
a Campo di Flora che, fin dal '400, cra stata trasformata da prato, che serviva da pascolo per il bestiame, in una delle più spaziose piazze
di
Roma,
circondata
da
superbi
palazzi
taverne, nella quale (scrive il Grecorovius,
Roma,
cdiz.
di
G.,
Romagna,
v.
«molta della vita cittadina ». * DB: vi. 3 (A espunge în Roma.... Flora)
IV,
pp.
e celebri
alberghi
Sf. di Roma nel medioevo,
251
e
206-8),
affluiva
(B. 40) (W. I, 147-8) (L. 145-6) (G.1 I, 52-3) (G= I, 57-8).
75
c
LA
CENA
DE
LE
CENERI
mina ! di volergli dar la piazza larga, gli donaranno con la spalla,
faran
come
con
un sprone
di galera,
voltar tutto ritondo,
forti, robusti e possenti,
una spinta,
facendogli
che
veder quanto
e ad un bisogno
buoni
lo
siino
per rom-
pere un’armata. E se costui, che se farà incontro sarà un forastiero, dònigli pur quanto si voglia di piazza, che vuole per ogni modo che sappia quanto
san far il Cesare,
balle, l’ Ettore ed un bue che urta ancora. mente
come
l'asino,
il
quale,
che
non o
ti muovi,
tu
a
cesso,
non o
quando
è
per il filo; d'onde,
si muoverà? anco lui, e converrà
esso
cossi questi che portan
fanno sola-
massimamente
carco, si contenta del suo diritto camino se tu
Non
l’Anni-
a
te doni
la scassa;
ma
fanno
l'acqua, che se tu non stai in cer-
vello 3, ti farran sentir la punta di quel naso di ferro che sta
a la
bocca
che
portan
de
la giarra 4. Cossi
birra ed
alas;
i quali,
fanno
facendo
ancora
il corso
color suo, sè
per sua inavertenza te si avventaranno sopra, te faran sentire l’émpito de la carca che portano $, e che non solamente
son
possenti
a
portar
su
le
spalli,
ma
ancora
a
buttar una casa innante e tirar, se fusse un carro, ancora.
Questi particolari per l'autorità, che tegnono in quel caso che portano la soma, son degni d'escusazione, perché
hanno ma
più
del
cavallo,
mulo
ed
asino
accuso tutti gli altri, li quali hanno
razionale, ! Cfr.
? (G!
3 Cir.
e sono,
mine.
Canda,
p.
moverà)
102,
n.
4 F. napol. per « giara ». 5 B: hala. — Ale (ingl.),
6 (4: portan sopra) 7 (A: (B.
un pochettino
2.
birra
forte.
che quest’ al[tri))
40-1)
(W.
del
più che gli predetti?, ad imaginee simili-
franc.
(= 2):
che de l'uomo;
T,
1489)
(L.
146-7)
76
(G.TT,
53)
(GI,
58-09).
DIALOGO
tudine de l'uomo:
ed in luoco
o buona sera, dopo
conoscessero
SECONDO
di donarte
il buon
averti fatto un grazioso
e ti volessero
salutare,
giorno
volto, come
ti verranno
ti
a donar
una scossa bestiale 1. Accuso, dico, quell’altri, i quali talvolta fingendo di fuggire, o voler perseguitare alcuno, o correre a qualche negocio necessario, se spiccano da dentro una bottega;
e con quella furia ti verranno
da dietro o da
costa a donar quella spinta che può donar un toro quando è stizzato, come
pochi mesi fa accadde ad un povero messer
Alessandro Citolino =; al quale, in cotal modo, piacer di tutta la piazza,
al che
volendo
poi
con riso e
fu rotto e fracassato un braccio,3
provedere
il magistrato,
non
trovò
manco che tal cosa avesse possuto accadere in quella piazza.
Sf che, quando ti piace uscir di casa, guarda prima di farlo senza
urgente
occasione,
che
non
pensassi
come
di voler
andar per la città a spasso. Poi sègnati col segno de la santa
1 Cfr. GIOVENALE, Sa. III, 243-8. > (A: un povero [ge]utiluo[m]o italifa]no,) Alessandro Citolini, di Serravalle delle Alpi (ora Città Vittorio), che, abbracciata la Riforma, s'era rifugiato nel 1565 in Isvizzera (GALIFFE, Le re-
fuge italien
de Genève,
B. forse per la sua
(1551),
opere
p.
172),
poi a Londra,
Tifocosmia
mnemoniche
(Venezia,
del genere
1561)
in che
dove
mori;
noto
al
o per i suoi Luoghi
molto
si compiacque
il nostro filosofo. Pubblicò anche una Lett. in difesa della lingua volgare (Vinegia, Marcolini, 1540) e si fece editore del Diasnerone di VaLerIO MARCELLINO, ove si mostra, la morte non esser quel male,
RoGER
che
il senso
ASCHAM
l’el conto
in
cui
si persuade
(1515-68)
fu
(Venetia,
nelle
tenuto
da’
sue
Giolito,
Epistolae
1564).
(EINSTEIN,
contemporanei
Vita, p. 367, n. 2. Su' suoi scritti v. le Ammotazioni
Bib. dell'elog.
ital.
di
G.
FonTANINI,
Venezia,
Di
v.
lui
p.
parla
212).
SPAMPANATO,
di A. Zeno
1753,
I,
38,
alla
158;
I, 33$); Bonai, Aunali di G. Giolito, Roma, 1895, s. a. 1564. Sulla sua vita Jac. BERNARDI, A. Cit. di Serravalle delle Alpi, cenni biografici, Torino, tip. Torinese, 1867 (e ora L. FESSIA, .1. Cit., esule italiano in Inghilterra, Milano, 1939-40).) 3 (A: votta, et fracassata (un]a gamba.)
(DB. 41-2)
(W.
I, 148) (L.
147)
77
(G.!
I, 53-4)
(GI,
59-60).
LA
croce,
àrmati
CENA
di una
DE
LE
corazza
CENERI
di pazienza,
che
possa
stare
a prova d’archibugio, e disponeti sempre a comportar il manco male liberamente, se non vuoi comportar il peggio
per forza !. Ma di che devi lamentarti, ahi lasso? Ti par
123).
1 Gli
stessi consigli
il FLorio
nel
Secondi
fruttì
(Critica,
XXI,
(Al brano che segue (fino alla riga 12 di p. 81) A sostituisce
questo
passo
Portati
solo, né con
più
ampio:
prudentemente; doi
et pensa
o cinquanta;
ma
che non
hai
a far mai
con tutta la republica,
con
un
et la patria
plebesca, per la quale 0 a dritto 0 a torto ogn'uno è ubligato di ponere sin
a la vita.
Però
fratello quando
ti sentirai
toccare
ponî mano al tuo cappello, saluta il tuo antagonista, quello abbia fatto come si suol fare tra compagni, et se la ti parrà troppo dura: dimandagli perdono a fin a farti peggio: con provocarti, filn)gendo che tu l' hai voluto spengere. Or ecco quel tempo, quell'occasione, ne
che mai
le potrai conoscere.
Dice il Nolano
in questo
modo;
et fa conto che amici. O pure che non ritorni spento, 0 l' hai la quale meglio
che in diece
mesi ch' ha
soggiornato in Inghilterra: non ha profittato quanto questa una sera in far penitenze, et guadagnar perdoni. Questa sera gli fu bene accomodata ad esser principio, mezzo, et fine de la quarantana. Questa sera (disse) voglio che vaglia per la penitenza ch'arrei fatta diggiunando quaranta giorni benedetti, et quaranta notte ancora. Questa sera son
stato
tazioni
ho
nel deserto;
guadagnato
dove
non
per
una,
quarantamilia
o tre,
anni
ma
per
quaranta
d'indulgenzia
teu-
plenaria.
Tru. Per modum suffragii. Tro. Tanto che per buona fede, credo averne non solo per è peccati ch' ho fatti: ma anco per inolti altri che oltre potrei fare. PRU. Supererogatorie. FRU. Vorrei sapere se egli
mumerò questi vintuzzi, ct urli salvatichini che dici esserno stali quavanta?
Mi
saputo,
che ne dovea
marranchini
tarle:
ma
fate
venir
ne ferno
lui
sempre
a
memoria
contare
mastro
non
portar tanti; forse
stimava
Mamfurio,
so quante.
che
sarebbe
ogn'uno
Tro.
al
quale
Se costui
stato curioso
dovesse
essere
certi
avesse
in con-
l'ultimo;
ma era ben ultimo a vispelto de quelli ch'erano passati. In questo che lui dice esserno stati gli urti, quaranta; forse fa conv'un devoto pec-
catore;
îl quale
cioè quante
dovendo
volte: et non
rispondere
al padre
se ricordando
a punto
confessore
del quoties,
il numero:
se teneva
a l'alto più tosto che al basso; dubitando che per dir meno più presto
che
d'avantaggio;
qualche
peccato
ne
rimanesse
di fuori,
in
loco che
più tosto alcuno vi arebbe rimaner dentro la mano del prete che l’assolve. Et lascio che nel ricevere di questo spinte, usti, et ferute, non si prende
quel piacere, che l'uomo può avere in racontarle: perché in corpo non si senteno senza dolore 0 cordoglio: et da la bocca escono con quella
{B. 42) (W. I, 149) (L. 147) (G.! I, 54) (G2 I, 60). 78
DIALOGO
ignobiltà
l'essere
un
SECONDO
animale
urtativo? Non
ti ricordi,
Nolano, di quel ch’ è scritto nel tuo libro intitolato L’arca di Noè? 1, Ivi, mentre si dovean disponere questi animali
medessima facilità le due, che le dodici, che le quaranta, che le cento, che le mille, Ma siino quante si vogliano; io mon ho possute contar le sue ma ben le mie. Egli sì teneva a dietro come soglion far quei ch'al mal passo onorano il compagno, ma lui s'ingannava: per che le battarie non meno occorrevano dalle spalli per quei che ne seguivano, che
da la fronte
per quei che ne venevano
a I incontro.
Nondimeno
lui
per manco male faceva com'un priore che seguita il suo convento, o pur come si fa în forma quando si va a combattere (ove al presente si imaginava d'essere col sentirse adosso tantì rincontri di lance spezcate) facendosi riparo di noi altri se teneva a dietro come buon [capitano che per salute del) suo esercito, la quale con la sua morte perirebbe, se tiene a dietro in conserva al sicuro et al largo, onde poi ad un bisogno possa
ver
correre
essere
caminando
lui
a
comandar
medesimo
ad
altre
genti
l'ambasciator
în questo ordine, non
che
della
vengano
desgrazia.
al
soccorso,
Lui
dunque
0
possea esser veduto da noi, i quali
medesmamente essendo oceupati in casi nostri non aveamo aggio di rivoltarci a dietro, et far que’ gesti per manco dissimular più criminali. Pru. Optime consultum. Teo. Pure particolarmente quando fummo ala piramide vicina al Palazzo, in mezzo di tre strade. — Pru, In trivio.
Tro —
quivi ne se ferno incontro sei galantomini
che
aveano
avanti
in putto con una lanterna, et de questi uno dà una scossa a ne che mi
fe voltar a veder un altro che ne die' un'altra doppia al Nolano, la quale
fu si gentile, et gorda; che sola possea passar per diece, et gli ne fe' donav un'alira al muro, che possea quella anco passar per altre diece.
Pru.
In silentio,
alapam;
tribue
ct spe,
erit fortitudo
illi ct alteram.
Treo.
vestra.
Questa
Si quis dederit
fu l'ultima
tibi
borasca....)
! Opera smarrita del Bruno, il quale Ia menziona anche nella dedica della Cabala del Cavallo pegaseo, dicendo averla dedicata al papa Pio V (che pontificò dal 1566 al ’72); e fors'anche vi allude nel De wnbris (Opera, I, p. 60). Non c'è ragione per sospettare col Berti, che non sia stata condotta a termine e pubblicata (Vita?, p. 51). Il McINTYRE (p. 11) nota che il titolo è quello d'uno scritto mistico
di
Ugo
di
S.
Vittore;
ma,
secondo
l'accenno
della
Cena,
doveva essere un'opera allegorica e probabilmente satirica, simile alla Cabala. Lo SPAMPANATO, Vila, p. 155, congettura che « fosse
uno scritto d'occasione per rispetto agli avvenimenti svoltisi dal 1570 in poi, tra cui principalissimo, la lega contro i turchi.... Per avere
un pontefice,
lega,
la
sede
come
già nel
apostolica
1537,
‘ presa
abbracciava
la
sopra
di sé la somma della
causa
comune
(D. 42) (W. I, 149) (L. 147) (G.! I, 54) (GI, 60). 79
alla
cri-
LA
CENA
DE
LE
CENERI
per ordine, e doveasi terminar la lite nata per le precedenze, in quanto pericolo è stato l'asino di perdere la preeminenza, che consistea nel seder in poppa de l’arca, per essere un animal più tosto di calci che di urti? Per quali
animali si rapresenta la nobiltà del geno umano nell'orrido giorno del giudizio, eccetto che per gli agnelli e gli capretti ? Or questi son que’ virili, intrepidi ed animosi, de’ quali gli uni da gli altri non
ma,
saran
qual più venerandi,
divisi, come
oves ab haedis +;
feroci ed urtativi,
saran
distinti,
come gli padri de gli agnelli da’ padri di capretti. Di questi «però non
i primi hanno
nella corte gli secondi;
celestiale hanno e se non
quel
il credete,
favore,
che
alzate un
poco
gli occhi, e guardate chi è stato posto per capo de la vanguardia di segni celesti: chi è quello, che con la sua cornipotente scossa ne apre l'anno?
Prudenzio. Aries primo; post ipsum, Taurus. Tcofilo. Appresso a questo gran capitano c primicro prencipe de le mandre, chi è stato degno d’essergli prossimo e secondo,
eccetto
ch’il
granduca
de
gli
armenti,
a
cui
s'aggiongono, come per doi paggi o doi Ganimedi, que’ bei gemegli garzoni? Considerate dunque, quale e sia cotal razza di persone, che tengono il primato
che dentro Frulla.
un’arca
Certo,
infracidita.
non
saprei
trovar
differenza
quanta altrove
alcuna
tra
costoro e quel geno d'animali, eccetto che quelli urtano di testa
ed
stianità’;
essi urtano
e
CAMPANELLA mentre
ben
poteva
di spalla
venir
si rappresentò....
inonda’
....
(Poesie,
ed.
ancora.
Ma,
rappresentata
lasciate
come
Venezia,... ‘ Nuova Gentile,
p.
90) ».
queste
appresso
dal
arca di Noè, che
t MatTH., XXV, 32: « Et congregabuntur ante cam omnes gentes, et separabit cos.... sicut pastor segregat oves ab laedis ». (B.
42-3)
(W.
I,
1409)
(L.
147-8)
Ro
(G.1
I, 54-5)
(G.3
I, Go-1).
DIALOGO
SECONDO
digressioni, e tornate al proposito di quel ch’avvenne questo residuo del viaggio, in questa sera. Teofilo.
Or
dopo
in circa di queste
ch’'il
Nolano
spuntonate,
ebbe
riscosse
da
particolarmente
mide vicina al palazzo in mezzo
in
vinti
alla pira-
di tre strade, ne si ferno
incontro sei galantuomini, de’ quali uno gli ne dié una si gentile e gorda”, che sola possea passar per diece; e gli ne fé donar
un'altra
al muro,
altre dice. Il Nolano
disse:
che
possea
Tanchi,
certo
macster =.
valer per
Credo che lo
ringraziasse perché li diè di spalla, e non di quella punta ch'è
posta
per
centro
del brocchiero
o per
cimiero
de la
testa. Questa3 fu l’ultima borasca; perché poco oltre, per la grazia di San Fortunnio, dopo aver discorsi sf mal triti sentieri, passati si dubbiosi divertigli, varcati sf rapidi
fiumi, tralasciati si arenosi lidi, superati sf limosi spaccati
sl
turbidi
pantani,
vestigate
fanghi,
si pietrose lave 4,
trascorse sf lubriche strade, intoppato in sf ruvidi sassi, urtato in si perigliosi scogli, gionsemo ‘per grazia del cielo vivi al porto, idest alla porta;
fu apperta. Entrammo, versi
personaggi,
la quale,
trovammo
diversi
subito
toccata,
ne
a basso de molti e di-
e molti
servitorii quali,
senza
cessar, senza chinar la testa e senza segno alcun di riverenza,
mostrandone
questo
favore
montamo
de
spreggiar
co'
monstrarne
su, trovamo
la porta.
molto
1 Gordo (spagn.): grasso, grande. ? Cioè: Thank ye, Master = vi ringrazio,
signore.
4 (A
5 (Cfr.
(B.
inserisce:
43-4)
Ariosto, (W.
T,
Questa
/ustrati
st
Or/ando
1409-50)
dopo
Andiamo
averci
nuncia quasi ji. 3 BWLG!: Teo.
che,
la sua gesta i, ne ferno
fu
(andando
salvalichi
Furioso, (L.
148)
81
dentro,
aspettato,
Ve
si
pro-
a capo).
incontri.)
XLVI,
(G.I
104.)
T, 55-6)
(G.3
I, Gr-2).
LA
CENA
DE
LE
CENERI
desperatamente s'erano posti a tavola a sedere. Dopo fatti i saluti e i resaluti
—
Prudenzio. Vicissim +. Teofilo. — ed alcuni altri piccoli ceremoni (tra’ quali vi fu questo da ridere, che ad un de’ nostri essendo presentato per
l’ultimo loco 2, elui
umiltà
voleva
andar
pensando a seder
che
dove
là fusse
sedeva
il capo,
il primo;
e
qua si fu un picciol pezzo di tempo in contrasto tra quelli che per cortesia lo voleano far sedere ultimo, e colui che per umiltà volea seder il primo); in conclusione, messer Florio seddé 3 a viso a viso 4 d'un cavalliero, che sedeva al capo de la tavola; il signor Folco a destra de messer Florio;
io e il Nolano a sinistra de messer Florio; il dottor Torquato a sinistra del Nolano;
il dottor
Nundinio
Nolano$ .Qua, per grazia di Dio, non
a viso a viso del
viddi il ceremonio
di
quell’urciuolo o becchieri, che suole passar per la tavola a mano
a mano,
da alto a basso, da sinistra a destra, ed altri
lati, senza altro ordine che di conoscenza e cortesia da montagne;
il quale,
dopo
che quel,
che
mena
il ballo,
se l'ha
tolto di bocca, e lasciatovi quella impannatura di pinguedine, che può ben servir per colla, appresso beve questo
e vi lascia una mica di pane, I (A: [S]alulazioni) 2 (A inserisce: [ne] 3 (G! = D: sedde)
in
la coda
[dJella tavola,)
4 Nel significato del franc. vis d vis; c non in quello che avrebbe
ital:
5 (A
«in
SMI.
presenza».
(A:
su
cenar
sopprime
ste battute: Or
il brano
lasciamo
sin a domani. I°rU. Son quanti han fatti) de passi. l°ru.
beve quell'altro e v’affigge
A
Dio.
Iru.
a
viso)
che segue costoro,
e il dialogo termina con quelasciamole
a
favola
ripossar
certo che non prenderanno [fanti bocconi SMI. Suppliranno le parole. A rivederci.
Valete.)
(3. 44) (W. I, 150) (L. 148) (G.! I, 56) (G.* I, 62). 82
DIALOGO
SECONDO
all'orlo un frisetto di carne, beve costui e vi scrolla un pelo de la barba; e cossf, con bel disordine, gustandosi da tutti la bevanda,
nessuno
è tanto
malcreato,
che
non
vi lasse
qualche cortesia de le reliquie, che tiene circa il mustaccio :. Or, se a qualcuno, o perché non abbia stomaco, o perché faccia del grande, non piacesse di bere, basta che solamente
se l’accoste tanto
a la bocca,
che v’ imprima un
poco di vestigio
de le sue labbra ancora,
fine, che
tutti son
lupo
sicome
col mangiar
pretto,
di
d'un
montone
convenuti
medesmo
o
di
un
Questo si fa a
a farsi un
corpo
Grunnio
carnivoro
d'agnello,
di ca-
Corocotta?;
cossi,
applicando tutti la bocca ad un medesimo bocale, venghino a farsi una sanguisuga medesima, in segno d’una urbanità, una fratellanza,
un morbo,
un cuore, un stomaco,
una gola
1 In una facezia del Domenicni (Fac., cd. lano, 1593, lib. I, p. 54) si racconta d'un inglese, che, «cssendo a un convito, fu portato un gran tazzone di vino, col quale avevano a bere di mano in mano quelli, che erano a tavola. E mentre che se lo voleva mettere alla bocca, vi vide dentro una mosca morta, la quale egli
trasse
cagione
fuora,
disse:
di
—
poi
Io
bevuto ber
me
la rimise non
amo
dentro.
E domandato
le mosche;
ma
che
della
so
io,
se ciè alcuno di voi a cui elle piacciono | ». La brutta usanza inglese
è ricordata anche nell'Elogio della pazzia di Erasmo (ed. cit., p. 67); il quale nei Colloguia (Lugd. Batav., 1720), p. 666 e 577: « In Anglia porrigere
poculum
tuum
intervenienti
in
convivio,
civilitatis
in Gallia contumeliae est.... Feratur lex, nc quis cum habcat commune: istam vix recipiat Anglia». * Ossia
un porcello.
1l Bruno
scherzosamente
est;
alio poculum
si serve
del nome
del porcellino, di cui nel Cinquecento fu tante volte ristampato testamento
Tommaso mava
giocoso,
Moro,
premessa
giù la delizia
(testamentuni
rum
agmina
Grunnii
Lipsia,
(B. 44-5)
dei
ragazzi
Corocotlae
(W.
ristampato Hirzel,
da
(L.
—
Qi,
Bruno,
Dialoghi
da
Erasmo
della Pazzia; al tempo
porcelli
decantant
MaurIZIO
HAuPT
Comm.
1876,
I, 150-1)
di scuola
pp.
149)
83 Io
anche
al suo Elogio
cachinnantium;
È criticamente
Opuscula,
che è ricordato
italiani
in
Isaiani,
178-183.
(GI,
50-7)
in
lib.
nel
nella lettera
ma
un
a
che for-
di S. Girolamo scholis
XII,
vol.
puero-
praef.).
II
degli
(G.2 I, 62-3).
LA
CENA
DE
LE
CENERI
e una bocca. E ciò si pone in effetto con certe gentilezze e bagattelle, che è la pit bella comedia del mondo a vederlo, e la più crudae fastidiosa tragedia a trovarvisi un galantuomo in mezzo,
quando
altri, temendo
stima
esser ubligato
a far, come
fan gli
esser tenuto incivile e discortese; perché qua
consiste tutto il termine della civilità e cortesia. Ma, perché questa
osservanza
è rimasta
nelle
più
basse
tavole,
e in
queste altre non si trova oltre, se non con certa raggione più veniale,
per tanto,
senza guardare
ad altro,
lasciamoli
cenare; e domani parlaremo di quel ch'occorse dopo Sinitho.
A
rivederci.
Frulla. A Dio. Prudenzio.
Valete.
Fine (DB. 45)
(\V.
dcl I,
151)
secondo (L.
149)
(G!
dialogo. I, 57)
(GI,
63).
cena.
DIALOGO
TERZO
Teofilo. Or il dottor Nundinio, dopo essersi posto in punto de la persona, rimenato ! un poco la schena ?, poste le due
mani
su la tavola,
accomodatosi occhi
al
alquanto
cielo,
riguardatosi
un
poco
la lingua in bocca,
spiccato
dai
denti?
un
circum
circa,
rassercnati gli
delicato
risetto
e
sputato una volta, comincia in questo modo: Prudenzio. In haec verba, în hosce prorupit sensus.
Prima proposta di Nundinio. Teofilo. — Intelligis, domine, quac diximus? — E gli dimanda, s' intendea la lingua inglesa. Il Nolano rispose che
no 4, e disse il vero.
Frulla, Meglio per lui, perché intenderebbe più cose dispiacevoli e indegne, che contrarie a queste. Molto giova esser sordo
per elezione. 1 (A:
® (A:
per
necessità,
Ma
dove
facilmente
la persona
mi persuaderei
sarebbe
sorda5
che lui la in-
[s]}crollato)
il dorso)
3 (A: da la bocca) 4 (B: non) 3 B: non sarebbe sordo.
(B. 46-7) (W. I, 151) (L. 149-50) (G.1 I, [58]) (G.2 I, [64]).
85
LA
tenda; geno posser fanno
CENA
DE
LE
CENERI
ma per non togliere tutte l’occasioni, che se gli porper la moltitudine de gli incivili rancontri, e per meglio filosofare circa i costumi di quei che gli se innanzi, finga di non intendere.
Prudenzio.
Surdorum
alii rationali voluntate. Teofilo. Questo non
alit natura,
aliî physico
v’imaginate
de
accidente,
lui; perché, ben-
ché sii appresso un anno, che ha pratticato in questo paese 1,
non
intende
più
che
due
o tre ordinariissime
quali sa che sono salutazioni,
ma
paroli;
le
non già particolarmente
quel che voglian dire: e di quelle, se lui ne volesse proferire una,
non
potrebbe.
Smitho. Che vol dire, ch' ha sf poco pensiero d’ intendere nostra lingua? Teofilo. Non è cosa che lo costringa o che l’ inclini a questo;
perché
coloro,
che
son
onorati
e
gentiluomini,
co’ li quali lui suol conversare, tutti san parlare o latino o francese o spagnolo o italiano ?; i quali, sapendo che la lingua inglesa non viene in uso se non dentro quest' isola, se stimarebbono salvatici, non sapendo altra lingua che la propria naturale. Smnitho. Questo è vero per tutto, ch'è cosa indegna non solo ad un ben nato inglese, ma ancora di qualsivoglia altra generazione, non saper parlare più che una 3 lingua. KI.
1 JI D. era venuto in Inghilterra nella primavera Schrift.2,
dice il BERTI,
I, 303);
Vifa?,
non
p.
a verso
158;
gli ultimi
forse in aprile
mesi
1583
(SIGWART,
dell'anno », come
(McINTYRE,
p. 21);
certo prima del 10 giugno (cÎr. p. 133-34): Sramr., Vifa, p. 329. % Intorno alla diffusione della conoscenza dell'italiano in Inghilterra nel sec. XVI vedi oltre le molte notizie raccolte dall' EtnSTEIN, 0. €., Pp. 97-107 € fass., quelle veramente importanti lascia-
teci dal lLorro 3 B:
d'una.
(Critica,
XXI,
113-115,
118 e puass.).
(B. 47) (\V. I, 151-2) (I. 150) (G.! I, [58]-9) (G.3 I, [64]-5).
86
DIALOGO
TERZO
Pure in Inghilterra, come son certo che anco in Italia e Francia, son molti gentilomini di questa condizione, coi quali
chi non
ha la lingua del paese, non
senza
quella angoscia
fotto interpretare. Teofilo. È vero
gentilomini nostro
che sente
che
un che si fa, ed a cui è
ancora
son
d'altro che di razza,
espediente,
è
bene
può conversare
che
molti,
che
non
son
i quali per più loro, e
non
siano intesi,
né
visti
ancora. Da la seconda proposta di Nunudinio. Smitho. Che soggionse il dottor Nundinio? Teofilo. — Io dunque, disse in latino, voglio interpretarvi quello che noi dicevamo: che è da credere, il Copernico non esser stato d'opinione, che la terra si movesse,
perché
questa
è una
cosa
inconveniente
ed
impossibile;
ma che lui abbia attribuito il moto a quella, più tosto che al ciclo ottavo, Nolano
disse,
per la comodità che,
se
disse la terra moversi,
dc le supputazioni 1. —
Copernico
per
questa
causa
sola
e non ancora per quell’altra, lui ne
intese poco
e non
intese come
la disse, e con tutto suo sforzo la provò.
Sutttho.
Il
assai. Ma
è certo, che il Copernico
la
Che vuol dir, che costoro sl vanamente buttorno
quella sentenza
su l'opinione
di Copernico,
se non la pos-
sono raccogliere da qualche sua proposizione? Teofilo. Sappi che questo dire nacque dal dottor Torquato; il quale di tutto il Copernico (benché posso credere
De
I Latinismo:
yev.
(B.
orb.,
47-8)
III,
(W.
calcoli 12.
I,
152)
Termine (L.
adoperato
150-1)
87
(G.!
anche
I, 59-60)
in CoPERNICO, (G.?
I, 65-60).
LA
che
l’avesse
l'autore,
CENA
tutto
del
DE
voltato)
libro,
del
LE
ne
CENERI
avea
stampatore,
retenuto
il nome
del
ove
loco
fu
de im-
presso, de l'anno, il numero de’ quinterni e de le carte; e per non essere ignorante in gramatica, avea intesa certa Epistola superliminare attaccata non so da chi asino ignorante e presuntuoso 1; il quale (come volesse iscusando faurir l’autore, o pur a fine che anco in questo libro gli altri asini, trovando
ancora le sue lattuche e frutticelli, avessero
occasione di non partirsene a fatto deggiuni), in questo modo le avvertisce, avanti che cominciano a leggere il libro e considerar le sue sentenze. «Non
dubito,
che
alcuni
eruditi »,
(ben
disse
alcuni,
de’ quali lui può esser uno), « essendo già divolgata la fama de le nove supposizioni di questa opera, che vuole la terra esser mobile ed il sole starsi saldo e fisso in mezzo de l'universo, non si sentano fortemente offesi, stimando che questo
sia un principio per ponere in confusione l'arte liberali già tanto bene e in tanto tempo poste in ordine. Ma, se costoro
vogliono meglio considerar la cosa, trovaranno, che questo autore non è degno di riprensione; perché è proprio agli astronomi raccòrre diligente e artificiosamente l' istoria di moti celesti; non
possendo
poi per raggione
alcune
trovar
le vere cause di quelli, gli è lecito di fengersene e formarsene a sua posta per principii di geometria, mediante i quali
tanto per il passato, quanto per avenire si possano calculare; onde non solamente non è necessario, che le supposi1 ANDREA OSIANDER, autore dell'anonima avvertenza .1d lectorem, De hypothesibus huius operis, promessa al De revolutionibus orbium coelestiu (p. e. nell'ediz. di Basilca, off. Ienricpetrina,
MDLXVI).
da
cotesta
Il passo
riferito
avvertenza.
(B. 48-09)
(W.
I, 152-3)
dal
BD. è quasi
(Li 151)
88
(G.t
letteralmente
I, Go-1)
tradotto
G.t I, (6-7).
DIALOGO
zioni
siino
vere,
ma
né
anco
TERZO
verisimili,
Tali
denno
esser
stimate l'ipotesi di questo uomo, eccetto se fusse qualcuno tanto ignorante de l'optica e geometria, che creda, che la distanza di quaranta gradi e pi, la quale acquista Venere discostandosi dal sole or da l'una or da l’altra parte, sii caggionata
dal
movimento
suo
ne l'epiciclo.
Il che se
fusse vero, chi è si cieco, che non veda quel che ne seguirebbe contra ogni esperienza: che il siametro de la stella apparirebbe quattro volte, ed il corpo de la stella più di sedici volte più grande quando è vicinissima, ne l’opposito de l’auge, che quando è lontanissima, dove se dice essere in auge? !. Vi sono ancora de altre supposizioni non meno inconvenienti che questa, quali non è necessario riferire 3, — E conclude al fine: « Lasciamoci dunque prendere il tesoro di queste supposizioni =, solamente per la facilità mirabile ed artificiosa del computo; perché, se alcuno queste cose fente prenderà per vere, uscirrà più stolto da questa
disciplina, che non v'è entrato ». Or vedete, che bel portinaio! Considerate quanto bene v'apra la porta per farvi entrar alla participazion di quella
onoratissima cognizione, senza la quale il saper computare c misurare e geometrare e perspettivare non è altro che un passatempo da pazzi ingeniosi. Considerate come fidelmente
serve al padron di casa. 1 «Quis cnim non videt, hoc posito, necessario sequi, diametrum stellae in mepryelo plusquam quadruplo, corpus autem ipsum plusquam sedecuplo, maiora quam in &royelw apparere, cui tamen omnis aevi experientia refragatur ?»: Ad lectorem. La traduzione del B. dice tutto il contrario. — Auge (dall'arabo: v. LAGARDE, P. 775) vale perigeo (ma apogeo: cîr. Giorn. crit. d. fil. it., 1950,
PP. 550-2.)
? aSinamus
verisimiliores (B.
49-50)
igitur et has
novas
innotescere ». (W.
IL
153)
(L.
hypotheses
151-2)
80
(GI,
inter veteres 61-2)
(G2
nihilo
1, 67).
LA
AI
terra
Copernico
non
si
ma
move;
scrivendo
son
CENA
al
molto
ha
LE
dire
solamente,
protesta
e dicendo
da
CENERI
bastato
ancora
Papa!,
lontane
DE
quelle
che
del
e le
che
conferma opinioni
volgo,
quello
di
indegne
la
filosofi
d’essere
seguitate, degnissime d'esser fugite, come contrarie al vero e dirittura. Ed altri molti espressi indizii porge de la sua sentenza;
non
ostante ch’alfine
par,
ch’ in certo modo
vuole a comun giudizio tanto di quelli che intendeno questa filosofia, quanto degli altri, che son puri matematici, che, se per gli apparenti inconvenienti non piacesse tal supposizione, conviene ch’'anco a lui sii concessa libertà di ponere
il moto
de la terra,
per
far demostrazioni
più
ferme
di quelle, ch' han fatte gli antichi, i quali furno liberi nel fengere
tante
sorte e modelli
di circoli,
per dimostrar
gli
fenomeni de gli astri. Da le quale paroli non si può raccèrre, che lui dubiti di quello che sf constantemente ha confessato, e provarà nel primo libro, sufficientemente respon-
dendo ad alcuni argomenti di quei che stimano il contrario;
dove non solo fa ufficio di matematico che suppone, anco de fisico che dimostra il moto de la terra.
ma
Ma certamente al Nolano poco sc aggionge, che il Copernico, Ponto,
Niceta
Siracusano
Ecfanto
Pitagorico,
Pitagorico 3,
Filolao,
Platone
nel
Eraclide
Timeo,
di
benché
1 Nella lett. di dedica a Paolo III il CorernIco dice: « Et quamvis sciam, hominis philosophi cogitationes esse remotas a iudicio vulgi, propterca quod illius studium sit veritatem omnibus in rebus, qua-
tenus id a Deo rationi humanae permissum est, inquirere, alienas prorsus a rectitudine opiniones fugiendas censco ». cap.
è Autori
V.
l’ Hicetas
fu
maestro
in dubbio (B.
già citati
ll Niceta
Syracusius
di
dallo stesso
pitagorico di
Ecfanto,
E
Copernico,
(cost
CiceroNE,
denominato
gli
antichi
Acad.
(Droc.
se attribuire a lui o a Filolao
50-1)
(W.
I,
153-4)
(L.
152) 90
Pr.
De
revol.
già da
L.,
IT,
39,
VIII,
tamen
orb.,
lib.
123.
Forse
Copernico) 85)
I,
è
furono
(sec. V a. C.) l'avere per
(G.!
I, 62)
(G.2
I, 68).
timida-
DIALOGO
TERZO
ed inconstantemente,
perché
l’avea
più per
fede
che per scienza !, ed il divino Cusano nel secondo suo libro
De la dotta ignoranza *, ed altri in ogni modo rari soggetti l’abbino detto, insegnato e confirmato prima: perché lui lo tiene per altri proprii e più saldi principii, per i quali, non per autoritate ma
per vivo senso e raggione,
ha cossî
certo questo come ogni altra cosa che possa aver per certa. Smitlo.
quello, che perché gli (se pur non varietà di Teofilo.
Questo
è bene.
Ma,
di grazia, che argumento
è
apporta questo superliminario del Copernico, pare ch'abbia più che qualche verisimilitudine è vero), che la stella di Venere debba aver tanta grandezza, quanta n' ha di distanza? Questo pazzo, il quale teme ed ha zelo che
alcuni impazzano
con
la dottrina del Copernico,
non
so se
ad un bisogno avrebe possuto portar più inconvenienti di quello,
che per aver apportato
sufficiente
a 3 dimostrar,
che
con
tanta solennità,
pensar
quello sii cosa
stima da
un
troppo ignorante d’optica e geometria. Vorrei sapere de quale optica e geometria intende questa bestia, che mostra pur troppo quanto sii ignorante de la vera optica e geometria lui c quelli da’ quali ave imparato. Vorrei sapere
primo sostenuta la dottrina del movimento della terra intorno al fuoco centrale. Eraclide da Eraclea sul Ponto fu scolaro di Platone.
Sulle dottrine di costoro v. SCHIAPARELLI, I precursori di Copernico well’antichità, Milano, 1873 (nelle Men. del RR. Ist. Lomb, di sc.
matem. e naturali, vol. X1I); Origine del sistema planetario eliocentrico presso i Greci, Milano 1898 (Memorie cit., col. XVII); c art. cit. Come i Greci arrivarono al primo concetto del sistema planetario
eliocentrico detto oggi copernicano.
I Vedi il Timeo, p. 40 B-C: luogo molto oscuro, che ha dato appiglio a molte discussioni. Cfr. SCHIAPARELLI, Precursori, pp. 14 e SS.
2 Capp.
3 B: (B.
ad.
51-2)
XI
(W.
e XII. I,
154)
(L.
152-3) 9I
(G.!
T, 62-3)
(G.2
I, 65-9).
LA
CENA
DE
LE
CENERI
come da la grandezza de’ corpi luminosi si può inferit la raggione de la propinquità e lontananza di quelli; e per ìl contrario, come da la distanza e propinquità di corpi simili si può inferire qualche proporzionale varietà di grandezza. Vorrei sapere con qual principio di prospettiva o di optica noi da ogni varietà di diametro possiamo definitamente conchiudere la giusta distanza o la maggior e minor differenza.
Desiderarei
intendere
si
noi
facciamo
errore,
che
poniamo questa conclusione: da l'apparenza de la quantità del corpo luminoso non possiamo inferire la verità de la sua grandezza né di sua distanza; perché, sf come non è medesma raggione del corpo opaco e corpo luminoso, cossf
non è medesma raggione d'un corpo men luminoso ed altro più luminoso e altro luminosissimo, acciò possiamo giudicare la grandezza o ver la distanza loro. La mole d'una testa d'uomo a due miglia non si vede; quella molto pii piccola
de
una
lucerna,
o altra
cosa
simile
di
fiamma,
si
vedrà senza molta differenza (sc pur con differenza) discosta
sessanta miglia; come da Otranto di Puglia sì veggono al spesso le candele’ d'Avellona!, tra’ quai pacsi tramezza gran tratto del mare Jonio. Ognuno, che ha senso e raggione, sa che, se le lucerne fussero di lume più perspicuo a doppia proporzione, come ora son viste ne la distanza di settanta
miglia,
senza
variar grandezza,
si vedrebbono
ne
la distanza di cento quaranta miglia; a = tripla di ducento
1 Avlona,
dirimpetto
* B:
ad.
(B3. 52)
alla
cittadina
(W.
Puglia. LL
c porto
154-5)
(L.
sulla costa
153) 92
(G.I
adriatica
I, 63-4)
(G.?
dell'Albania,
I, 69-70).
DIALOGO
e diece;
a!
TERZO
quatrupla? di ducento
ottanta,
medesmamente
sempre giudicando ne l'altre addizioni di proporzioni e gradi; perché più presto da la qualità e intensa virti de la luce, che da la quantità
del corpo
acceso,
suole
mante-
nersi la raggione del medesmo diametro e mole del corpo. Volete dunque, o saggi optici ed accorti perspettivi che,
se io veggo un lume distante cento stadii, aver quattro dita di diametro, sarà raggione che, distante cinquanta stadii,
debbia
averne
otto;
a la
distanza
di
vinticinque,
sedeci; di dodici e mezzo, trentadue; e coss! va discorrendo,
sin tanto che, vicinissimo, venghi ad essere di quella grandezza che pensate? Smitho.
falsa,
non
Tanto
però
geometrice,
sole essere
che
potrà
la
secondo
il vostro
dire,
benché
essere
improbata,
per
le raggioni
opinione
di
Eraclito
di quella grandezza,
Sofocle3; e ne
l'undecimo
che
disse
che s'offre agli occhi;
quale sottoscrisse Epicuro, come a
Efcsio,
sii il
al
appare ne la sua Epistola
libro
De
natura,
come
refe-
risce Diogene Laerzio 4, dice che, per quanto lui può giudicare, la grandezza del sole, de ia luna e d’altre stelle è tanta quanta a' nostri sensi appare; perché, dice, se per la distanza perdessero la grandezza, a5 più raggione perderebbono il colore; e certo, dice, non altrimente doviamo giudicare di que’ lumi, che di questi, che sono appresso noi. 1 B: ad. ? (Gt = B:
quatrupla;
G*:
quadrupla)
3 Intendi la Lettera a Pitocle, che B. evidentemente cita moria. Cfr. Dioc. L., X, 91, o UsenER, Kpicurea, Lipsia,
D. 39.
mento
Su a
questo
Lucrezio,
luogo IV,
le osservazioni 69-72.
4 Diog. L., X, 91 e USENER, 5 B:
(B.
ad.
52-3)
(W.
I, 155)
(L.
nel
suo
com-
fr. BI.
153-4)
93
del GiussAnI,
a me1887,
(G.!
I, 64-5)
(GT,
70-1).
LA
CENA
DE
LE
CENERI
Prudenzio. Ilud quoque epicureus quinto De natura libro! Nec
nimio
Esse Nam
solis
maior
rota,
nec
Lucretius
minor
testatur
ardor
potest, nostris quam sensibus esse videtur. quibus e spaciis cumque ignes lumina possunt
Adiicere
et calidum
membris
adflare
vaporem,
Illa ipsa intervalla nihil de corpore libant Flammarum, nihilo ad speciem est contractior
Lunaque
sive Notho
Quicquid
id est, nihilo fertur maiore
Sive
suam
Postremo
Dum
proprio
iactat
quoscumque
tremor
Scire
est clarus,
licet perquam
Esse,
vel
fertur loca lumine
exigua
Quandoquidem
Derparvum
Alterutram
de corpore
vides
hinc
dum
quiddam
in partem
figura.
ignes,
minores
brevique,
in terris cernimus
interdum filum,
lucem.
actheris
posse
parte
quoscumque
lustrans,
cernitur ardor corum,
pauxillo
maiores
ignis.
mutare
cum
videntur
longius
ignes,
absint.
Teofilo. Certo, voi dite bene, che con l’ordinarie c proprie raggioni invano verranno i perspettivi c geometri a disputar con Epicurci; non dico gli pazzi, qual è questo luminare
del libro di Copernico, ma di quelli più saggi ancora; e veggiamo come potran concludere, che a tanta distanza, quanta è il diametro de l'epiciclo di Venere, si possa inferir raggione di tanto diametro del corpo del pianeta,
ed altre
cose simili. Anzi,
voglio
avertirvi
d’un’altra
cosa.
Vedete
quanto
è grande il corpo de la terra? Sapete, che di quello non possiamo veder se non quanto è l'orizonte artificiale ? Smitlto. Cossì è. I Vv.
504-509,
574-570,
584,
586,
580-590,
585,
587-598,
se-
condo la numerazione del Bernays. Il v. 569 (ma 568) è dato variamente nelle diverse edizioni. I mss.: wiltil nisi iitervallis de
corpore libant. (B.
53-4)
(W.
I,
155-6)
(L.
154-5)
94
(G.t
I, 65-6)
(GT,
71).
DIALOGO
TERZO
Teofilo. Or, credete voi che, se vi fusse possibile di retirarvi fuor de l'universo globo de la terra in qualche punto de l'eterea regione, sii dove si vuole, che mai avverrebbe che Ia terra vi paia più grande?
Smitho.
Penso
di non;
perché
non
è raggione
alcuna,
per la quale de la mia vista la linea visuale debba esser forte più ed allungar il semidiametro suo, che misura il
diametro de l'orizonte. Teofilo. Bene giudicate. rò
è da
credere,
Pe-
che, discostan-
dosi più l'orizonte, sempre si di-
sminuisca. nuzione de ne si viene fusa vista
Ma con questa dimil'orizonte notate che ad aggiongere la condi quello che è oltre
il già compreso orizonte; come sì può mostrare nella presente figura! [fig. 1] dove l’orizonte artificiale è 1-1, al quale rispon-
de l'arco del globo A A; l'orizonte de la prima diminuzione è
2-2,
al
quale
risponde
l’arco
del globo
B B;
l'orizonte
de la
Fig. 1.
terza diminuzione è 3-3, al quale risponde l’arco CC; l'orizonte de Ja quarta diminuzione è 4-4, al quale risponde
l'arco
sempre
D
D.
E
crescerà
la
cossî
oltre,
attenuandosi
comprensione
de
l'arco,
l'orizonte, insino
alla
! La medesima figura è introdotta nel De immenso (Opera, I, I, 327). A differenza del Wagner, — che semplificò e talora corresse
O guastò le figure del testo bruniano, — e del Kuhlenbeck, che riprodusse quelle del Wagner, noi abbiamo preferito, col Lagarde, resti(B.
54-5)
(W.
I,
156-7)
(L.
155)
95
(GT,
66-7)
(GI,
71-2).
LA
linea
emisferica
CENA
ed
DE
oltre.
LE
Alla
CENERI
quale
distanza,
o
circa
quale posti, vedreimo la terra con quelli medesmi accidenti coi quali veggiamo la luna aver le parti lucide ed oscure, secondo che la sua superficie è aquea e terrestre.
Tanto
che, quanto
base. maggiore
più se strenge l'angolo visuale, tanto la
si comprende
de l'arco emisferico,
e tanto
ancora in minor quantità appare l'orizonte; il qual vogliamo che
tutta
via
perseveri
a chiamarsi
orizonte,
benché,
se-
condo la consuetudine, abbia una sola propria significazione. Allontanandoci dunque, cresce sempre la comprensione de l'emisfero cd il lume; il quale, quanto più il diametro si disminuisce, sorte
che,
tanto se
noi
d’'avantaggio fussemo
più
si
viene
discosti
da
a?
riunire;
la luna,
di
lc sue
macchie sarrebono sempre minori, sin alla vista d'un corpo piccolo e lucido solamente. Sinitho. Mi par aver intesa cosa non volgare e non di poca importanza. Ma, di grazia, vengamo al proposito de
l’opinion di Eraclito ed Epicuro; la qual dite che può star cotuire
scrupolosamente
-le
costruzioni
primitive
del
D.,
anche
sc
talora non ben chiare c non perfettamente corrispondenti al commento, solo rimpiccolendole per adattarle al sesto di questo volume. (Ma, a parte la stilizzazione delle figure nelle singole riproduzioni (tranne
per
la
fig.
6,
riprodotta
con
ONO,
puntualmente
dall'originale),
L.
e
G. indicano nella fig. 1 le Icttere DD che non sono rilevabili nell'archetipo; nella fig. 2 leggono / per H; nella fig. 3 riducono a un segno insignificante la A che nell'originale è espressa nel centro del globo ed aggiungono una d (accanto alla g e alla e) inesistente nell'originale; nella fig. 4 (da essi orientata in senso diverso dall'originale) tacciono le sci N espresse nell'originale lungo la retta centrale,
indicano
i tre punti del diametro,
rendono
anziché
con A
con
ANO
dell'originale,
la lettera K dell'originale
espressa all'estremo della retta centrale. Abbiamo qui corretto le figure conforme agli originali riprodotti nell'ed. crit.) A completare questa prima figura basta immaginare con 4 ec 4 i punti dlintersezione superiori a 3 c 3. 1 B: ad.
(B. 55-7) (W. I, 157) (L. 155-6) (G! I, 67) (G2 I, 72-3). 96
DIALOGO
TERZO
stante contra le raggioni perspettive, per il difetto de’ prin-
cipii già posti difetti,
in questa
e veder
scienza.
qualche
frutto
Or, per scuoprir
de
la
vostra
questi
invenzione,
vorrei intendere la risoluzione di quella raggione, co’ la quale molto demostrativamente si prova ch' il sole non solo è grande, ma anco più grande che la terra. Il principio della qual raggione è, che il corpo luminoso maggiore, spar-
gendo il suo lume in un corpo opaco minore, de l’ombra conoidale produce la base in esso corpo opaco, ed il cono, oltre quello, ne la parte opposita: come, ne la seguente figura (fig. 2), A/ corpo lucido
dalla
basc
di C,
la quale
è terminata per H /, manda il cono de l'ombra ad N punto. Il corpo luminoso minore, avendo
formato
il
cono
nel
corpo opaco maggiore, non conoscerà determinato loco, ove
raggionevolmente possa designarsi la linea de la sua base; e par che vada a formar una conoidale infinita; come quella
medesma figura A, corpo lucido, dal cono de l'ombra, ch’ è in C, corpo opaco, manda quelle due linee C D, C E, lc quali, sempre più e più dilatando la ombrosa conoidale, più tosto correno in infinito, che possino trovar la base che
le termini !. La
conclusione
di questa
raggione
è, che
il
1 l’er mettere d'accordo la figura col commento che vi fa il 13., basta sostituire, nelle lettere di quella, M ad 4; N ad I; 4 a B;
segnare con // il punto
con H I e DB, Il
Liri,
(DB.
57-8)
econ I
Hist.
(W.
d.
I,
d’ intersezione delle rette segnate
nella figura
quello delle rette ivi segnate con F/e
scienc.
157-9)
(L.
inathém. 150)
97
en Italie, 28 ed.,
(G.!
I, 67-3)
(G.2
Halle
BE.
I, 73-4).
s/S.,
LA
CENA
DE
LE
CENERI
sole è corpo più grande che la terra, perché manda il cono de l’ombra di quella sin appresso alla sfera di Mercurio, e non
passa oltre. Che
se il sole fusse corpo lucido minore,
bisognarebbe giudicare altrimente: onde seguitarebbe che, trovandosi questo luminoso corpo ne l'emisfero inferiore, verrebbe oscurato il nostro cielo in più gran parte che illustrato, essendo
dato o concesso, che tutte le stelle pren-
deno lume da quello. |
Teofilo.
1
N
un
/
EROS x x
Or
corpo
vedete,
luminoso
come
minore
può illuminare più della mittà d’un corpo opaco più grande. Dovete avvertire quello che
Ni
veggiamo
per esperienza.
Po-
sti dui corpi, de’ quali l'uno ì
è
h
l’altro piccolo lucido, come N, se sarà messo il corpo lucido nella minima! e prima di-
b
stanza, come è notato nella seFig.
opaco
guente
3.
e
grande,
figura
come
[fig. 3],
A,
verrà
ad illuminare secondo la raggione de l'arco piccolo C D, stendendo la linea Bi. Se sarà messo nella seconda distanza maggiore, verrà ad illu1865,
IV,
145,
dice
che
il
B.
«semble
avoir
embrassé
è
priori
le
système de Copernic par une espèce d' intuition, car il n’ était rien moins que mathématicien: ses ouvrages renferment les erreurs
les plus singulières en géometrie. Lisez par exemple ce qu'il dit dans la Cena de le ceneri, sur la manière dont un corps lumineux éclaire les autres corps ». Vedi tuttavia Tocco, Le opp. lat. di G. B., Pp. 272 n. 1 B: massima. W pel primo corresse: minima. (B.
58-9)
(W.
I, 1509-60)
(L.
157)
98
(GL
I, 68-9)
(GT,
74-5).
DIALOGO
TERZO
minare secondo la raggione de l'arco maggiore E F, stendendo
la linea B 2; se sarà nella terza e maggior
distanza,
terminarà secondo la raggione de l’arco più grande G H, terminato dalla linea B 3. Dal che si conchiude che può avvenire che il corpo lucido B, servando il vigore di tanta lucidezza che possa penetrare tanto spacio, quanto a simile
effetto si richiede, potrà, col molto discostarsi, comprendere al fine arco maggior che il semicircolo; atteso che non è raggione che quella lontananza, ch’ ha ridutto a tale il corpo lucido che comprenda il semicircolo, non possa oltre promoverlo a comprendere di vantaggio. Anzi vi dico de più, che, essendo ch’ il corpo lucido non perde il suo diametro se non tardissima- e difficilissimamente, e il corpo opaco, per grande che sia, facilissimamente e improporzionalmente il perde; però, si come
per progresso de distanza
dalla corda minore C D è andato a terminare la corda maggiore E F e poi la massima GH, la quale è diametro; cossî, crescendo più e più la distanza, terminarà l’altre corde minori oltre il diametro, sin tanto ch’ il corpo opaco tramezzante non impedisca la reciproca vista de gli corpi diametralmente opposti. E la causa di questo è, che l’ impedimento, che dal diametro procede, sempre con esso diametro si va disminuendo più e più, quanto l'angolo B si rende
più
acuto.
Ed
è necessario
al fine,
che
l’angolo
sii tanto acuto (perché nella fisica divisione d'un corpo finito è pazzo chi crede farsi progresso in infinito, o l' intenda in atto oin potenza) ! che non sii più angolo, ma una linea, per la quale dui corpi visibili oppositi possono essere alla vista l'un
de l’altro,
I Cir.
De
minimo,
(B.
59-61)
(W.
I,
senza
—
G.
Bruno,
in punto
alcuno,
I. 160)
(L.
157-8)
99 11
che
Dialoghi
italiani
(G.I
I, 69)
(GI,
75).
quel
LA
ch’è
in mezzo,
CENA
vaglia
DE
LE
CENERI
impedire;
essendo
che
questo
ha
persa ogni proporzionalità e differenza diametrale, la quale
nei
corpi
opaco,
lucidi
che
persevera.
tramezza,
l’altro, per quanta
Però
ritegna
tanta
il cui
diametralmente come
l'occhio,
distanza
il corpo
da
l'un
4
e differenza del suo diametro: terra;
che
possa aver persa la detta proporzione
Fig.
nella
si richiede
diametro
opposte senza
come si vede ed è osservato non
si
impedisce,
veggano
differenza
che
l'una
alcuna,
due stelle
l'altra,
cossf
veder
l’una
può
e l'altra dal centro emisferico N e dalli punti de la circon-
ferenza A NO (avendoti imaginato in tal bisogno, che la terra per il centro sii divisa in due parte uguali a fin ch’ogni linea perspettivale abbia il loco). Questo si fa manifesto. facilmente nella presente figura [fig. 4]!. Dove, per quella raggione che la linea A N, essendo diametro, fa l’ angolo retto ne la circonferenza; dove è il secondo loco,
lo fa acuto; nel terzo più acuto; bisogna ch'al fine dovenghi a l’acutissimo, ed al fine a quel termine che non appaia più
I,
* Una
11,
133).
(B.
61-3)
figura (W.
non I,
dissimile
160-1)
(L.
è inserita 158) 100
(G.!
nel
De
I, 69-70)
immenso (G.2
(Opera,
I, 75-6).
e
DIALOGO
TERZO
angolo, ma linea; e per conseguenza è destrutta la relazione
e differenze del semidiametro; e differenza del diametro intiera A al fine è necessario che dui corpi sf tosto perdeno il diametro, non vedersi
reciprocamente;
non
per medesma raggione la 0 si destruggerà. Là onde più luminosi, i quali non saranno impediti per non
essendo
il lor diametro
sva-
nito, come quello di non lucido o men luminoso corpo tramezzante. Concludesi, dunque, che un corpo maggiore, il quale è più atto a perdere il suo diametro, benché stia per linea rettissima al mezzo, non impedirà la prospettiva di dui corpi quantosivoglia minori, pur che serbino il diametro della sua visibilità, il quale nel più gran corpo è perso. Qua, per disrozzir uno ingegno non troppo sullevato, a fin che possa facilmente introdurse a comprendere la apportata raggione
e per ammollar
al possibile la dura
apprensione, fategli esperimentare ch’avendosi posto un stecco vicino a l'occhio, la sua vista sarà di tutto impedita a veder il lume de la candela posta in certa distanza: al qual lume quanto più si viene accostando il stecco, allontanandosi da l'occhio, tanto meno impedirà detta veduta, sin
tanto
che,
essendo
sf
vicino
e
gionto
al
lume,
come
prima già era vicino e gionto a l'occhio, non impedirà forse tanto quanto il stecco è largo. Or giongi a questo, che ivi rimagna il stecco, ed il lume altrettanto si discoste: verrà il stecco ad impedir molto meno. Cossf, più e più aumentando l’equidistanza de l’occhio e del lume
del stecco,
dal stecco, al fine, senza sensibilità
vedrai
il lume
solo.
Considerato
questo,
alcuna
facil-
mente quantosivoglia grosso intelletto potrà essere introdutto ad intendere quel che poco avanti è detto. Smitho. Mi par, quanto al proposito, mi debba molto (B. 63-4)
(W.
I, 161-2)
(L.
158-9) IOI
(G.1 T, 70-1)
(GI,
76-7).
LA
essere
satisfatto;
nella mente, alzandoci
CENA
ma
mi
quanto
DE
LE
CENERI
rimane
ancora
a quel che prima
da la terra e perdendo
una
confusione
dicesti:
la vista
come
noi,
de l’orizonte,
di
cui il diametro sempre più e più si va attenuando, vedreimo questo
corpo
ch’avete
detto,
essere
una
stella.
aggiongessivo
Vorrei
che
qualche
a quel
cosa
circa
tanto
questo,
essendo che stimate molte essere terre simili a questa, anzi
innumerabili; e mi ricordo de aver visto il Cusano, di cui il giodizio so che non riprovate, il quale vuole che anco il sole abbia parti dissimilari, che
dice
che,
come
se attentamente
la luna e la terra;
fissaremo
l’occhio
per il
al corpo
di quello, vedremo in mezzo di quel splendore, più circonferenziale che altrimente, aver Teofilo. Da lui divinamente
notabilissima opacità !. detto e inteso, e da voi
assai lodabilmente applicato. Se mi recordo, io ancor poco fa dissi che, — per tanto che il corpo opaco perde facilmente
per
il diametro,
la
il lucido
lontananza
l'oscuro;
e quella
difficilmente,
s’'annulla de
e
rantia,
lib.
o in Opera,
II,
cap.
Basilea,
tunc habet quandam ditatem quasi ignilem nubem
et aerem
(Fior.,
I, 1,
12
1565,
svanisce
l’illuminato
1 Cfr. De l'infinito,p. 440. Il Bruno (ed.
Rotta,
I, 39):
—
avviene
che
l’apparenza
de
diafano,
o d'altra
ma-
si riferisce al De docta igno-
Bari,
Laterza,
« Considerato
1913,
enim
p.
II1,
corpore solis,
quasi terram centraliorem et quandam lucicircumferentialem, et in medio quasi aqueam
clariorem ». Cfr. anche
Bruno,
De .inunenso,
IV,
7,
ed. Fior., I, 11, 40. Del Cusano nell’ Oratio valedicioria (1588) il B. dirà: «Deus bone, ubi illi Cusano adsimilandus [sc. Aristoteles), qui quanto maior est, tanto paucioribus est accessibilis? Huius ingenium, si presbyteralis amictus non imperturbasset, non Pythagorico par, sed Pythagorico longe superius agnoscerem, profiterer »
17).
quello del Cusano
Intorno
ai rapporti
v. CLEMENS,
del pensiero
G. B. und
Nic. v. Cusa,
e Tocco, Le fonti più recenti della filos. del B. R. Acc.
(B.
d. Linc. 64)
(W.
Sc.
I,
mor., 162)
1892,
(L.
vol.
159) 102
(GI
del
I, fasc.
Bruno
Bonn,
con
1847,
(estr. da’ Rend, della
7-8),
I, 71-2)
(G3
$ VI.
I, 778).
DIALOGO
niera lucido,
disperse luna
si va come
si forma
fusse
più
una
TERZO
ad unire;
e di quelle parti lucide
visibile continua
lontana,
non
luce.
eclissarebbe
Però,
il sole;
se la e facil-
mente potrà ogni uomo che sa considerare in queste cose, che quella più lontana sarebbe ancor più luminosa; nella quale se noi fussemo, non sarrebe più luminosa a gli occhi nostri;
suo
come,
lume
essendo
che porge
in questa
a quei
terra,
che sono
non
veggiamo
ne la luna,
quel
il quale
forse è maggior di quello, che lei ne rende per i raggi del sole nel suo liquido cristallo diffusi. Della luce particolare del sole non so per il presente, se si debba giudicar secondo
il medesmo modo, o altro. Or vedete sin quanto siamo trascorsi da quella occasione; mi par tempo di rivenire all’altre parti
del nostro
proposito.
Sntitho. Sarà
bene
quali lui ha possute
de intendere
l’altre pretensioni,
le
apportare.
La terza proposta del dottor Nundinio. Teofilo. Disse verisimile
che
appresso
la terra
Nundinio,
si muove,
che
essendo
non
può
quella
essere
il mezzo
e centro de l’universo, al quale tocca essere fisso e costante fundamento d'ogni moto. Rispose il Nolano, che questo medesmo può dir colui che tiene il sole essere nel mezzo de
l'universo,
Copernico
e per
ed
altri
tanto molti,
inmobile che
e fisso,
hanno
come
donato
intese
termine
il
cir-
conferenziale a l'universo; di sorte che questa sua raggione (se pur è raggione) è nulla contra quelli, e suppone i proprii principi.
il mondo (B.
64-5)
È
nulla
anco
contra
il Nolano,
il quale
vuole
essere infinito, e però non esser corpo alcuno in (W.
I,
162-3)
(L.
159-60)
103
(G.I
I, 72-3)
(GI,
78).
LA
CENA
DE
LE
CENERI
quello, al quale simplicemente ! convegna essere nel mezzo, o nell'estremo, o tra que’ dua termini, ma per certe rela-
zioni ad altri corpi e termini intenzionalmente Smitho. Che vi par di questo? Teofilo.
naturali e per
Altissimamente
nessuno
si
conseguenza
è
detto;
perché,
verificato
aver
appresi ?.
come
di
semplicemente
semplicemente
centro,
corpi
rotondo, cossf
anco
de’ moti, che noi veggiamo sensibile- e fisicamente ne’ corpi naturali, non è alcuno, che di gran lunga non differisca dal
semplicemente
circulare
e regolare
circa qualche
férzensi quantosivoglia color, che fingono empiture de orbi disuguali, di diversità
centro;
queste borre de diametri
ed ed
altri empiastri e recettarii per medicar la natura sin tanto che
venga,
al servizio
di
maestro
Aristotele
o d'altro,
a
conchiudere che ogni moto è continuo e regolare circa il centro. Ma noi, che guardamo non a le ombre fantastiche, ma a le cose medesme; noi che veggiamo un corpo aereo,
etereo, spirituale, liquido, capace loco di moto e di quiete, sino immenso e infinito, — il che dovamo
affermare almeno,
perché non veggiamo fine alcuno sensibilmente né razional-
mente, — sappiamo? certo che; essendo effetto e principiato da una causa infinita e principio infinito, deve, secondo la capacità sua corporale e modo suo, essere infinitamente infinito 4. E son certo che non solamente a Nundinio, ma ancora a tutti i quali sono professori de l’ intendere I Nel senso di simpliciter, assolutamente. Vi si oppone: « per certe relazioni ». 2 Cfr. il De
immenso,
III,
2,
dove
si dimostra
tellurem
(cum infinitum sit universum) in medio, nisi ea, qua omnia dicere possumus, ratione (Opera, I, 1, 329 SEE). 3 B: et sappiamo. 4 Cfr. De l'infinito, pp. (B.
65-6)
(W.
I, 163)
397-98, (L.
e la stessa Cena,
160-1)
104
(G.!
I, 73)
pp.
(G=
non
esse
in medio
146-47 (?).
I, 79).
DIALOGO
non
è possibile
giamai
di
TERZO
trovar
raggione
semiprobabile,
per la quale sia margine di questo universo corporale, e per conseguenza ancora li astri, che nel suo spacio si contengono,
siino
di numero
finito;
ed
oltre,
essere
natural.
mente determinato centro e mezzo di quello. Smiîtho. Or Nundinio aggiunse qualche cosa a questo? Apportò che
qualche
l'universo
argomento
prima
per suo mezzo;
o verisimilitudine
sii finito;
secondo,
che
terzo, che questo mezzo
Nundinio,
dice per una fede lo niega per una di que’ che poco prie azioni tanto e attonito,
fantasma.
come
Come
come
colui
che
abbia
la terra
sii in tutto e per
tutto inmobile di moto locale? Teofilo.
per inferire
quello
che
dice,
lo
e per una consuetudine, e quello che niega, dissuetudine e novità, come è ordinario considerano e non sono superiori alle prorazionali quanto naturali, rimase stupido quello
a cui
di
repente
appare
nuovo
quello poi, che era alquanto più discreto
e men borioso e maligno ch'il suo compagno, tacque; e non aggiunse paroli, ove non posseva aggiongere raggioni.
Frulla. Non è cossi il dottor Torquato, il quale o a torto
o a raggione, o per Dio o per il diavolo, la vuol sempre combattere;
quando : ha perso
il scudo
da
defendersi
e la
spada da offendere; dico, quando non ha pi risposta, né argumento, salta ne’ calci de la rabbia, acuisce l’unghie de la detrazione, ghigna i denti delle ingiurie, spalanca la gorgia dei clamori, a fin che non lascie dire le raggioni contrarie e quelle non pervengano a l'orecchie de’ circostanti,
come
Smitho. 1
(G!
ho
Dunque
= B:
(B. 66-7)
udito
non
quando;
(W.
dire.
163-4)
G*:
disse altro? quanto
(per evidente
(L. 161) (G.! I, 73-4)
105
(G3
svista
tipogr.).)
I, 79-80).
LA
Teofilo. Non
CENA
disse
altro
in un'altra proposta.
Quarta» Perché terre
il Nolano,
innumerabili
DE
LE
CENERI
a questo
proposito,
ma
entrò
proposta del Nundinio. per modo
simile
di passaggio,
a questa,
or
il dottor
disse essere Nundinio,
come bon disputante, non avendo che cosa aggiongere al proposito, comincia a dimandar fuor di proposito; e da
quel che diceamo della mobilità o immobilità di questo globo, interroga della qualità degli altri globi, e vuol sapere di che materia fusser quelli corpi, che son stimati di quinta essenzia,
d’una
materia
inalterabile
le parti più dense son le stelle. Frulla. Questa interrogazione
e incorrottibile,
mi
par
fuor
di
di cui
propo-
sizio ® benché io non m'’ intendo di logica. Teofilo.
Il Nolano, per cortesia, non gli volse improperar
questo; ma, dopo avergli detto che gli arebbe piaciuto che Nundinio seguitasse la materia principale, o che interrogasse circa quella, gli rispose che li altri globi, che son terre,
non sono in punto
alcuno
differenti da questo in specie;
solo 3 in esser più grandi e piccioli, come ne le altre specie d'animali
per
le
differenze
individuali
ma quelle sfere, che son foco come che
differiscono
in specie,
per sé e lucido
per altro.
1 B:
Terza.
* In bocca a Frulla può
sito» (cfr. Cand.?, 3 Cioè,
ma
come
correre
è il sole, il caldo
ecc.
per
inequalità; ora,
e freddo,
proposizio
I, 3, p. 34, n. 4). Forma
solo
accade
comica
crede lucido
per « propo-
e maccheronica.
(B. 67-8) (W. I, 164) (L. 161-2) (G.! L 74-5) (GI, 80-1). 106
DIALOGO
Smitho.
Perché
disse
TERZO
creder
questo
per
ora,
e non
lo
affirmò assolutamente ? Teofilo. Temendo che Nundinio lasciasse ancora la questione, che novamente aveva tolta, e si afferrasse ed attaccasse a questa. Lascio che, essendo la terra un animale !,
e per conseguenza un corpo dissimilare, non? deve esser stimata un corpo freddo per alcune parti, massimamente esterne,
eventilate
da l'aria; che per altri membri,
gli più di numero
e di grandezza,
debba
che son
esser creduta
e
calda e caldissima; lascio ancora che, disputando con supponere
in parte
i principii
de
l’adversario,
il quale
vuol
essere stimato e fa professione di peripatetico, ed in un'altra parte i principii proprii, e gli quali non son concessi, ma provati, la terra verrebbe ad esser cossi calda, come il sole
in qualche Smitho.
comparazione. Come
questo?
Teofilo. Perché, nimento
delle
parti
per quel che abbiamo oscure
ed
opache
detto,
del
globo
dal svae dalla
unione delle parti cristalline e lucide si viene sempre alle reggioni più e più distante a diffondersi più e pit di lume. Or se il lume è causa del calore (come, con esso Aristotele, molti altri affermano, i quali vogliono che anco la luna ed altre stelle per maggior e minor participazione di luce son più e meno calde; onde, quando alcuni pianeti son chiamati freddi, vogliono che se intenda per certa comparazione
e rispetto), avverrà che la terra co’ gli raggi, che ella manda alle lontane parti de l'eterea reggione, secondo la virti 1 « Hinc ad meliorem numinis istius atque
producimur, enutrimur atque recipimur)
matris
(in cuius
contemplationem
sinu
promove-
mur, ne ultra eam sine anima corpus esse existimemus »: Acrot., p. 68.
*
(Amerio
espunge
n0x.)
(B. 68-9) (W. I, 164-5) (L. 162) (G.1 I, 75-06) (G2 I, 81). 107
LA
CENA
DE
LE
CENERI
della luce venghi a comunicar altrettanto di virtù di calore.
Ma a noi non costa che una cosa per tanto che è lucida
sii
calda,
perché
lucide, ma comincia
veggiamo
appresso
di
noi
molte
non calde, Or, per tornare a Nundinio, a mostrar
i denti,
allargar
cose
ecco che
le mascelle,
strenger
gli occhi, rugar le ciglia, aprir le narici e mandar un crocito di cappone per la canna del polmone, acciò che con questo riso
gli
circostanti
lui avea raggione, Frulla.
e
che
e quell'altro
lui
la
intendeva
bene,
dicea cose ridicole.
E che sia il vero, vedete come lui se ne rideva ? :
Teofilo. Questo
porci.
stimassero
accade
Dimandato
imaginarsi
a quello,
perché
che
siino
ridesse,
altre
che
dona
confetti
rispose che
terre,
che
questo
abbino
a
dire
medesme
proprietà ed accidenti, è stato tolto dalle Vere narrazioni * di Luciano. Rispose il Nolano,
essere
un’altra
venne
terra
cossi
terre
WW corresse:
che non
dà nessun
Luciano
abitata
a dirlo per burlarsi
essere molte
1
che se, quando
e colta
di que’
come
questa,
filosofi che affermorno
(e particolarmente
la luna,
« E che sia il vero vedere,
senso.
disse la luna
Il Kuhlenbeck
come
la cui simili-
lui, se ne videva ? »:
ha tradotto:
Warum
kan
ihm die Wahrheit lucherlich vor? (Perché la verità gli riusciva ridicola ?) — Frulla invece vuol dire: Che quello che diceva il Nolano sia il vero, non lo prova appunto il fatto che il Nundinio ne ridesse tanto ?
2 O
Vera
historia,
lib.
I,
dove
Luciano
introdusse
zioni che paiono probabili e verosimili »; ma lo stesso A.
scuna delle baie che io conto,
poeti
(Opere
e storici di
L.
e filosofi
volt.
in
che
ital.
è una ridicola allusione
da
scrissero L.
da
nel
far
pensare
Lonigo,
1541);
(B.
che
stampata
cit.
69-70)
anche
(W.
I,
egli a
lo
avesse
Venezia
dal
165)
nel
a questo
letto
1520
Settembrini,
(L.
favole
SetTtEMBRINI,
II, 89). Il titolo attribuito dal Bruno
può
tante
162-3)
108
I,
(G.1
nella e
nel
« molte
dice: « cia-
a certi
e
fin-
antichi
maraviglie»
Firenze,
1861-62,
scritto di Luciano traduz.
170.
T, 76-7)
1551
(G.3
di Niccolò
(ma
anche
I, 82).
DIALOGO
TERZO
tudine con questo nostro globo è tanto più sensibile, quanto è più vicina a noi), lui non ebbe raggione, ma mostrò essere nella comone ignoranza e cecità; perché, se ben consideriamo, trovarremo
mati
astri,
la terra e tanti altri corpi, che son chia-
membri
principali
de l'universo,
come
danno
la vita e nutrimento alle cose che da quelli toglieno la materia, ed a’ medesmi la restituiscano, cossi e molto maggiormente, hanno la vita in sé; per la quale, con una ordinata
e natural volontà, da intrinseco principio se muoveno alle cose e per gli spacii convenienti ad essi. E non sono altri motori estrinseci, che col movere fantastiche sfere vengano a trasportar questi corpi come inchiodati in quelle; il che se fusse
vero,
del mobile,
solleciti
animale,
il motore
femina
qual
più
violento
e altri molti
Consideresi
alla
sarrebe
più imperfetto,
e laboriosi;
gerebbeno.
muove
il moto
dunque,
e la femina e qual
meno
fuor
il moto
de
la natura
ed il motore
inconvenienti s'aggion-
che,
come
al maschio,
il maschio
ogni
espressamente,
se
erba
e
si muove
al suo principio vitale, come al sole e altri astri; la calamita se muove al ferro, la paglia a l’ambra! e finalmente ogni cosa va a trovar il simile e fugge il contrario. Tutto avviene dal sufficiente principio interiore per il quale naturalmente viene ad esagitarse, e non da principio esteriore, come veggiamo sempre accadere a quelle cose, che son mosseo contra o extra la propria natura. Muovensi dunque la terra e gli altri astri secondo le proprie differenze locali dal principio intrinseco, che è l'anima propria?. — Credete, disse Nundinio, che sii sensitiva quest'anima ? — Non solo sensitiva, rispose il
1 (G! = L: l'ambra; G?: l'ombra) ? Cfr. De immenso, VI, 5 (Opera,
I, 11,
178).
(B. 70) (W. I, 165-6) (L. 163) (GI, 77) (GI, 82-3). 109
LA
CENA
DE
Nolano, ma anco intellettiva:
LE
CENERI
non solo
intellettiva, come la
nostra, ma forse anco più. — Qua tacque Nundinio, e non rise. Prudenzio.
Mi par, che la terra, essendo
non aver piacere quando
animata,
se gli
fanno
queste
ebbe
tanto
del
deve
grotte e ca-
verne nel dorso, come a noi vien dolor e dispiacere quando ne si pianta qualche dente là o ne si fora la carne. Teofilo.
Nundinio
non
Prudenzio,
che
potesse stimar questo argomento degno di produrlo, benché gli fusse occorso. Perché non è tanto ignorante filosofo, che non sappia che, se ella ha senso, non l' ha simile al nostro; se quella ha le membra,
non le ha simile a le nostre;
se ha
carne, sangue, nervi, ossa e vene, non son simile a le nostre; se ha il core, non l’ ha simile al nostro; cossf de tutte l'altre
parti,
le quali
hanno
e altri,
che
noi
stimati
solo
animali.
proporzione
chiamiamo Non
a gli membri
animali, è tanto
e
buono
de
altri
comunmente
son
Prudenzio
e mal
medico che non sappia, che alla gran mole de la terra questi sono insensibilissimi accidenti, li quali a la nostra imbecillità sono
tanto
sensibili.
E
credo
che
intenda,
che
non
altri-
mente che ne gli animali, quali noi conoscemo per animali, le loro parti sono in continua alterazione e moto, ed hanno un certo flusso e refiusso, dentro accogliendo sempre qualche
cosa dall’estrinseco e mandando fuori qualche cosa da l’ intrinseco: onde s'allungano l’unghie, se nutriscono i peli, le lane ed i capelli, se risaldano le pelle, s’ induriscono i cuoii; cossi la terra riceve l’efflusso ed influsso delle parti,
per quali molti animali, a noi manifesti per tali, ne fan vedere espressamente la lor vita. Come è più che verisimile, essendo che ogni cosa participa de vita, molti ed innumerabili
individui
vivono
in tutte le cose composte; (B.
70-1)
(W.
I, 166-7)
(L.
non
solamente
in
noi,
ma
e quando veggiamo alcuna cosa 163-4) IIO
(G.I
I, 77-8)
(G.2
I, 83-4).
DIALOGO
TERZO
che se dice morire, non doviamo tanto credere quella morire, quanto che la si muta, e cessa quella accidentale composizione
e
incorreno,
concordia,
sempre
rimanendono'!
inmortali:
più
le
cose
che
quella
che
son
dette
come
altre
quelle,
spirituali, che quelle dette corporali e materiali, volte mostraremo.
Or, per venire
al Nolano,
quando
vedde
Nundinio tacere, per risentirse a tempo di quella derisione nundinica
che
comparava
le
Vere narrazioni di Luciano, disse, che,
burlarse
disputando
di quello
il Nolano,
non
posizioni
del
Nolano
e
le
espresse un poco di fiele; e li
onestamente,
non
dovea
riderse
e
che non può capire. — Ché se io, disse
rido
per
le vostre
fantasie,
né
voi
dovete
per le mie sentenze; se io con voi disputo con civilità e rispetto,
almeno
altretanto
dovete
vi conosco di tanto ingegno per verità le dette narrazioni ficiente a destruggerle. — Ed di còlera rispose al riso, dopo alla dimanda.
far
voi
a me,
il quale
che, se io volesse defendere di Luciano, non sareste sufin questo modo con alquanto aver risposto con più raggioni
Quinta proposta di Nundinio. Importunato Nundinio si dal Nolano, come da gli altri, che, lasciando le questioni del perché, e come, e quale, facesse qualche argomento.... Prudenzio. Per quomodo et quare quilibet asinus novit disputare.
! Cfr. (B.
sopra 71-2)
p. 61,
(W.
I,
n. 167)
1. (L.
164) III
(GT,
78-0)
(G2
I, 84-5).
LA
CENA
DE
LE
CENERI
Teofilo. — al fine fe’ questo, del quale ne son pieni tutti cartoccini: che se fusse vero la terra muoversi verso il lato che chiamiamo oriente, necessario sarrebbe che le nuvole de l’aria sempre apparissero discorrere verso l’occidente,
per raggione
questo globo, compito
del velocissimo
e rapidissimo
moto
di
che in spacio di vintiquattro ore deve aver
si gran
giro.
—
A
questo
rispose il Nolano,
che
questo aere, per il quale discorrono le nuvole e gli venti, è parte de la terra +; perché sotto nome di terra vuol lui (e deve essere cossi al proposito) che se intenda tutta la machina
e tutto l’animale intiero, che costa di sue parti
dissimilari: onde gli fiumi, gli sassi, gli mari, tutto l’aria vaporoso e turbulento, il quale è è rinchiuso negli altissimi monti, appartiene a la terra come membro di quella, o pur come l’aria ch' è nel pulmone ed altre cavità de gli animali, per cui respirano, se dilatano le arterie ed altri effetti necessarii a la vita s’adempiscono. Le nuvole dunque da gli accidenti,
come
che son nel corpo
nelle
lo intese
viscere
de quella,
Aristotele
che « questo
de la terra, si muoveno
cossi come
nel primo
de
e son
le acqui.
la Meteora,
aere, che è circa la terra, umido
Questo
dove
e caldo
dice, per le
exalazioni di quella, ha sopra di sé un altro aere, il quale è caldo e secco, ed ivi non si trovan nuvole: e questo aere è fuori della circonferenza de la terra e di quella superficie,
mente
che
la
definisce,
rotonda;
a fin
che
venga
e che la generazion
ad
de’
essere
venti
non
perfetta-
si fa se
non nelle viscere e luochi de la terra »; però sopra gli alti
1 Cfr. De imm., 2? Bi et; W: è.
(B.
72-3)
(W.
VI,
I,
13;
167-8)
e Tocco,
(L.
165)
112
Le
(G.I
opere
ined.,
I, 79-80)
p.
(G.2
189,
n.
T, 85).
1.
DIALOGO
monti né nuvole
TERZO
né venti appaiono,
ed ivi « l’aria si muove
regolarmente in circolo ! », come l’universo corpo. Questo forse intese Platone allor che disse noi abitare nelle concavità e parte oscure de la terra; e che quella proporzione abbiamo a gli animali, che vivono sopra la terra, la quale hanno gli pesci a noi abitanti in un umido pi grosso *. Vuol dire, che in certo modo questo aria vaporoso è acqua; ed il puro aria, che contiene più felici animali, è sopra la terra, dove, come questa Amfitrite è acqua a noi, cossî questo nostro aere è acqua a quelli. Ecco, dunque, onde si può rispondere a l'argomento referito dal Nundinio: perché cossf il mare non è nella superficie, ma nelle viscere de la terra, come l’epate, fonte de gli umori, questo
aria turbolento
è dentro noi 3;
non è fuori, ma è come
nel polmone
de gli animali. Sinitho.
intiero,
Or
onde
essendo
avviene,
che
che
abitiamo
noi
ne
veggiamo
le viscere
Teofilo. Da la mole de la terra globosa ultima superficie, ma anco in quelle che accade che alla vista de l’orizonte cossi una doni loco a l’altra, che non può avvenire mento, qual parte
del
veggiamo
cielo
se
quando
interpone
de
monte,
la terra?
non solo nella sono interiori, convessitudine quello impedi-
tra gli occhi un
l'emisfero
nostri
e una
per
esserne
che,
vicino, ne può togliere la perfetta vista del circolo de l’orizonte. La distanza dunque di cotai monti, i quali siegueno la convessitudine de la terra, la quale non è piana ma orbicolare,
fa che
non
1 Meteorologicorum,
® PLATONE,
3 B: è moi. (B. 73-4)
(W.
Fedone,
I, 168)
ne sii sensibile l'essere entro
I, 3, p.
15-17:
versione
165-6)
(G.!
109
(L.
C-F.
113
alquanto
I, 80-1)
le vi-
libera.
(G.2 I, 85-60).
LA
CENA
DE
LE
CENERI
scere de la terra. Come si può alquanto considerare nella presente figura [fig. 5]: dove la vera superficie de la terra
è A BC, entro la quale superficie vi sono molte particolari del mare ed altri continenti, come per essempio MM; dal cui punto non meno veggiamo l’intiero emisfero, che dal
punto A, ed altri de l’ultima superficie. Del che la raggione
è da dui capi; e dalla grandezza de la terra e dalla convessitudine circunferenziale di quella; per il che Mf punto non è in tanto impedito che non posB
A
M
e
sa vedere l'emisfero; perché gli altissimi monti non si vengono
Cc
À\
ad interporre al punto M, come
(| Cc
la linea Af B (il che credo accaderebbe, quando la superficie de la terra fusse piana), ma come la linea MC, M D; la quale non viene a caggio-
Fig. s.
nar si
vede,
in
virtà
de
l’arco
tale
impedimento,
circonferenziale.
come E
nota
d’avantaggio, che si come si riferisce M a: C ed M a: D, cossf anco K si riferisce a 3 M;
onde non deve esser stimato
favola quel che disse Platone
delle grandissime
concavità
e seni de la terra.
Smitho. Vorrei sapere se quelli che sono vicini altissimi monti, patiscono questo impedimento. Teofilo.
Non,
ma
quei che sono
vicini a’ monti
a gli minori;
perché non sono altissimi gli monti, se non sono medesmamente
grandissimi
in tanto,
che
la loro grandezza
è insen-
sibile alla nostra vista: di modo che vengono con quello a 4 1, 2,3,
4 B:
ad.
(B. 74-6) (W. I, 168-9) (L. 166) {G.t I, 81) (G2 I, 86-7).
II14
DIALOGO
TERZO
comprendere più e molti orizonti artificiali, nei quali gli accidenti de gli uni non possono donar alterazione a gli altri. Però, per gli altissimi non intendiamo come l’Alpe e gli Pirenei
e simili, ma
dui mari,
settentrionale
da'
mari
quai
verso
come
la Francia
Oceano
tutta,
ed australe
l’Alvernia
sempre
ch’ è tra
Mediterraneo;
si va
montando,
come anco da le Alpe e gli Pirenei, che son stati altre volte la testa d'un
monte
altissimo.
La
qual,
venendo
tutta
via
fracassata dal tempo (che ne produce in altra parte per la vicissitudine de la rinovazione de le parti della terra) forma
tante montagne particolari, le quale noi chiamiamo monti. Però quanto a certa instanzia che produsse Nundinio de gli monti
di Scozia,
dove
forse lui è stato, mostra
che lui non
può capire quello, che se intende per gli altissimi monti; perché, un
secondo
monte,
che
la
verità,
tutta
questa
sopra
l’'onde del mare
alza il capo
isola
Britannia
è
Oceano,
del qual monte la cima si deve comprendere nel loco più eminente de l' isola: la qual cima, se gionge alla parte tranquilla de l’aria, viene a provare, che questo sii uno di que’ monti altissimi, dove è la reggione de' forse più felici animali. Alessandro Afrodiseo raggiona! del monte Olimpo, I Si tratta della leggenda accennata anche da BAcoNE, Mist. ventorum, ed. Ellis e Spedding, II, 51 (cir. N. Org., II, 12). La leggenda risale ai pseudo-aristotelici Problemata (XXVI, 39 (ma 36:
dove tuttavia l' Olimpo non è menzionato) );
errore
di
memoria,
TILE,
Siudi
l’attribuisce
ai Metcorologica
non
Avendo
secondo
sul
taluni,
ce n'è
ad
traccia.
Rinascimento,
Alessandro,
V.
‘Firenze,
questa
e il B., forse per un nel
McINTYRE,
leggenda,
Vallecchi,
scritto
cui
commento
p. 326, 1923,
nella
e GEN-
Pp.
cenere
127.
dei
sacrifizi offerti sulla cima del monte, l’anno dopo, tornati lassi, trovarono ancora la cenere con lo scritto; segno della calma per-
petua proprio
di quell’alta regione.
diseo
forse
al monte
Cillene,
(di qui
(B.
76-7)
(W.
è narrata
da
la confusione
I,
160)
(L.
—
G.
Bruno,
Diuloghi
stessa circostanza,
Olimpiodoro
in cui
166-7)
115 12
(La
italiani
(GI
sull'autorità
incorre
I, 81-2)
Bruno). (G.2
riferita
dell'Afro-
Il fatto
I, 87-8).
è
LA
CENA
DE LE CENERI
dove per esperienza delle ceneri de’ sacrifici mostra la condizion del monte altissimoe de l’aria sopra i confini e
membri
de la terra,
Smitho.
M’'avete
sufficientissimamente
satisfatto,
ed
al-
tamente aperto molti secreti de la natura, che sotto questa chiave sono ascosi. Da quel che respondete a l’argomento tolto da' venti e nuvole, si prende ancora la risposta de
l’altro che
nel secondo
libro Del cielo e mondo:
apportò
Aristotele; dove dice, che sarebbe impossibile che una pietra
gittata a l'alto potesse per medesma rettitudine perpendicolare tornare al basso; ma sarrebbe necessario che il velocissimo moto della terra se la lasciasse molto a dietro ‘verso
l'occidente. Perché, essendo questa proiezione dentro la terra, è necessario che col moto di quella si venga a mutar ogni relazione di rettitudine ed obliquità: perché è differenza tra il moto della nave e moto de quelle cose che sono nella nave. Il che se non fusse vero, seguitarrebe che, quando la nave corre per il mare, giamai alcuno potrebbe trarre per dritto qualche cosa da un canto di quella a l’altro, e non sarebbe
possibile che un potesse far un salto e ritornare co’ piè onde le tolse. [Teofilo.]® Con la terra dunque si muoveno tutte le cose che si trovano esplicitamente rab.,
in terra. Se dunque
riferito al monte
Olimpo
ediz. Mommsen, 8, 5-6.) 1 De coelo et inundo, IT, 14,
* (Tra
senta
forme
un
alla
dal loco extra la terra
296
B
da SoLino:
Reriun
mnento-
23.
la parola folse. e quella che segue (Con) l'archetipo pre-
doppio
spazio
dialettica
bianco:
ritengo
dell'argomentazione,
che
si
a questo chiuda
il
punto,
discorso
con-
di
Smitho e si riapra quello di Teofilo (il cui nome va quindi espresso andando a capo: cfr. l’ediz. crit., p. 178, segufta da Amerio, p. 250). I
precedenti
questo
editori
particolare,
dello stesso
del
dialogo,
facendo
interlocutore
cosi
(vedi
incluso
risultare
avanti).)
il
di
G.,
hanno
séguito
trascurato
due
discorsi
(B. 77) (W. I, 1609-70) (L. 167-8) (G.1 I, 82-3) (G2 I; 88). 116
DIALOGO
qualche
cosa
fusse gittata
TERZO
in terra,
per
il moto
di quella
perderebbe la rettitudine. Come appare nella nave A B [fig. 6], la qual, passando per il fiume, se alcuno che se ritrova nella sponda di quello C venga a gittar per dritto un sasso,
verrà
fallito il suo
tratto
per quanto
la velocità del corso. Ma posto detta nave, che corra quanto
alcuno
si
n
voglia
punto che
veloce,
non
il suo tratto
per
dritto
dal
fallirà
di sorte
punto
===: ZIE
cosa grave gittata non vegna.
D al pun-
muovasi
la
quantosivoglia
di
Prt==k=t=k2* rig. 6.
to E alcuno che è dentro la nave, gitta per dritto una per
sla
AE iZ:
KAI
altra parte del ventre e corpo di detta nave, la pietra o altra
quella
l’arbore
£,
è nella radice de l’arbore, o
pietra,
sopra
o
che è nella cima de l’arbore o nella gabbia, al punto D che
Cossf, se dal punto
comporta
medesma
linea
la
pur
nave,
ritornarà che
non
a
basso,
faccia
de-
gl’ inchini. I Smitho. Dalla considerazione di questa differenza s’apre la porta a molti ed importantissimi secreti di natura e profonda
filosofia;
atteso
che
è
cosa
molto
frequente
e
poco considerata quanto sii differenza da quel che uno medica se stesso e quel che vien medicato da un altro. Assai ne è manifesto, che prendemo maggior piacere e satisfazione se per propria mano venemo ‘a cibarci, che se per l’altrui braccia. I fanciulli, allor che possono adoprar gli proprii instrumenti per prendere il cibo, non vo(B.
77-8)
(W.
I,
170)
(L.
168)
117
(G.t
I, 83)
(GI,
88-9).
LA
lentieri
CENA
si servono
certo
modo
tanto
piacere,
de
gli
che poppano,
DE
gli
quasi
apprendere,
v'è
vedete
CENERI
altrui;
faccia
non
LE
che
che
la
natura
come
non
anco tanto profitto.
come
s’appigliano
in
v'è
I fanciullini
con la mano
alla
poppa? Ed io giamai per latrocinio son stato sf fattamente atterrito, quanto per quel d'un domestico servitore: perché non so che cosa di ombra e di portento apporta seco più un familiare che un strangiero 1, perché referisce
come
una
dui,
quali
l’uno
forma
di mal
genio
e presagio
formi-
dabile. Teofilo. Or, per tornare al proposito, se dunque saranno de’
si trova
dentro
la nave
che
corre,
e
l’altro fuori di quella, de’ quali tanto l’uno quanto l’altro abbia la mano
medesmo
circa il medesmo
loco
nel
medesmo
punto
tempo
de l’aria, e da quel
ancora
l’uno
lascie
scorrere una pietra e l'altro un'altra, senza che gli donino spinta alcuna, quella del primo, senza perdere punto né deviar
da la sua
linea,
secondo
si trovarrà
cede
altro,
da
verrà
al prefisso
tralasciata
eccetto
che
loco,
a dietro.
la pietra,
che
e quella
Il che esce
non
dalla
del
promano
de l’uno che è sustentato da la nave, e per consequenza si muove
quale
secondo
non
il moto
ha l’altra,
di
che
quella,
ha
procede
tal
virtù
da la mano
impressa,
di
quello
che n’ è di fuora; benché le pietre abbino medesma gravità, medesmo aria tramezzante, si partano (se possibil fia) ?
1 Come
‘strangio ‘, forma
arcaica
per
‘stranio,
straniero ’.
® Cioè supponendo questo possibile. (G?: (e possibi! fia); W., L. e G! (possibil fia), riducendo il ( possibil del Gottinghese (= Londinese Britannico); l'e del G. sarà quindi congetturale, ma il nostro se risulta chiaramente impresso nel Romano e
nel
Londinese
Universitario.)
(B. 78-80) (W. I, 171) (L. 168-9) (G.! I, 84) (GI, 89-90). 118
DIALOGO
TERZO
dal medesmo
punto, e patiscano la medesma
spinta. Della
seco
del
con
qual diversità non possiamo apportar altra raggione, eccetto che le cose, che hanno fissione o simili appartinenze nella nave, si muoveno con quella; e la una pietra porta la virtà
motore
il quale
si muove
la
nave,
l’altra di quello che non ha detta participazione. Da questo manifestamente
si
vede,
che
non
dal
termine
del
moto
onde si parte, né dal termine dove va, né dal mezzo
per cui
si move,
da
prende
la virti
d’andar
rettamente;
ma
l’ef-
ficacia de la virti primieramente impressa, dalla quale depende la differenza tutta, E questa mi par che basti aver considerato quanto alle proposte di Nundinio. Smitho. Or domani ne revedremo, per udir gli propositi che soggionse Torquato. Frulla. Fiat.
Fine (B. 80)
(W.
del
I, 171)
terzo (L.
169)
II9
dialogo. (GLI,
84-5)
(GI,
90).
DIALOGO
QUARTO
Smitho. Volete ch'io vi dica la causa? Teofilo. Ditela pure. Smitho. Perché la divina Scrittura (il senso della quale ne deve essere molto raccomandato, come cosa che procede da intelligenze superiori che non accenna e suppone il contrario.
errano)
in molti
luoghi
Teofilo. Or, quanto a questo, credetemi che, se gli Dei si fussero degnati d’insegnarci la teorica delle cose della natura,
come
ne han
mente
ognuno
può
fatto favore
di proporci
la
prattica
divini
in
servizio
di cose morali, io più tosto mi accostarei alla fede de le loro revelazioni, che muovermi! punto della certezza de mie raggioni e proprii sentimenti. Ma, come chiarissimavedere,
nelli
libri
del nostro intelletto non si trattano le demostrazioni e speculazioni
circa le cose naturali, come
se fusse filosofia; ma,
in grazia de la nostra mente ed affetto, per le leggi si ordina la prattica circa le azione morali. Avendo dunque il divino legislatore questo scopo avanti
gli occhii, nel resto non si
cura di parlar secondo quella verità, per la quale non pro1 Lasciarmi
muovere.
(B. 82) (W. I, 172) (L. 169) (G.! I, [86]) (G=I, [or]). 129
DIALOGO
QUARTO
fittarebbono i volgari per ritrarse dal male e appigliarse al
bene; ma di questo il pensiero lascia a gli uomini contemplativi, e parla al volgo di maniera che, secondo il suo modo de intendere e di parlare, venghi a capire quel ch'è principale 1.
Smitho.
Certo
è cosa
conveniente,
quando
uno
cerca
di far istoria e donar leggi, parlar secondo la comone intel-
ligenza, e non esser sollecito in cose indifferenti. Pazzo sarrebe l’ istorico, che, trattando
la sua materia,
volesse ordi-
nar vocaboli stimati novi e? riformar i vecchi, e far di modo che il lettore sii più trattenuto a osservarlo e interpretarlo come
uno,
gramatico,
che
intenderlo
che vuol dare a l’universo
vivere,
se usasse
termini
che
come
istorico.
Tanto
più
volgo la legge e forma
le3 capisse
lui solo
ed
di
altri
pochissimi, e venesse a far considerazione e caso de materie
indifferenti dal fine a cui sono ordinate le leggi, certo parrebbe, che lui non drizza la sua dottrina al generale ed alla
moltitudine, per la quale sono ordinate quelle, ma a’ savii e generosi spirti e quei che sono veramente
senza
legge
Alchazele,
fanno
filosofo,
quel
che
sommo
conviene.
pontefice
e
uomini,
Per
questo
teologo
li quali
disse
mahume-
tano 4, che il fine delle leggi non è tanto di cercar la verità
delle cose e speculazioni, quanto la bontà de’ costumi, pro1 È lo stesso pensiero svolto trentun anno dopo dal nella sua Lettera alla Granduchessa madre, Cristina di
(1615): v. Frammenti Pp. 105-42 e note.
e lettere,
ed.
Gentile,
Livorno,
GALILEI Lorena,
Giusti,
1917,
2 (Gt; e (= B: et); G*: a (per evidente svista tipogr.).) 3 Cfr. p. 37, n. 1.,È uno scambio frequente in B. 4 Su Al-Gazali (1058-1111), il maggiore dei teologi islamiti,
citato dal Bruno anche negli Eyoici furori, p, 1157,v. CARRA DE VAUX,
Gazali, Taris, Alcan, 1902 the Mystic, London, 1944). (B.
82-83)
(W.
I,
172-3)
(e
ora
(L. -160-70) I2I
MARGARET (GT,
SMITH,
[86]-7)
(G2
Al-Ghasdli I,
[91}-2).
LA
CENA
DE
LE
CENERI
fitto della civilità, convitto di popoli e prattica per la com-
modità della umana e aumento
conversazione,
di republiche.
Molte
mantenimento
volte,
dunque,
ed
di pace a molti
propositi, è una cosa da stolto ed ignorante più tosto riferir le cose
secondo
dità, Come
la verità,
quando
che
secondo
l’occasione
e como-
il sapiente disse, « nasce il sole e tra-
monta, gira per il mezo giorno, e s' inchina a l’Aquilone » 1,
avesse detto: la terra si raggira a l'oriente, e si tralascia il sole, verso
che
tramonte,
l’Austro,
s’inchina
e Capricorno
a’ doi
verso
tropici,
del Cancro
l’Aquilone,
sarrebbono
fermati gli auditori a considerare. — Come, costui dice la terra muoversi ? che novelle son queste ? — L'’arrebono al fine stimato un pazzo, e sarrebe stato ? da dovero un pazzo.
Pure,
per
impaziente
satisfare e
a l’importunità
rigoroso,
vorrei
sapere,
di
qualche
se
col
rabbino
favore
della
medesma Scrittura questo che diciamo, si possa confirmare facilissimamente. Teofilo. Vogliono forse questi reverendi, che quando Mosè
disse,
che
Dio
tra gli altri
luminari
ne
ha
fatti
dui
grandi, che sono il sole e la luna 3, questo si debba intendere
assolutamente perché tutti gli altri siino minori della luna, o veramente secondo il senso volgare ed ordinario modo di comprendere e parlare ? Non sono tanti astri più grandi che la luna? Non
manca
possono
essere più grandi
che il sole ? Che
alla terra, che non sii un luminare pi bello e più
grande che la luna, che, medesmamente
1 Ecclesiaste,
revertitur: ibique aquilonem.... u.
® (G! = 8: 3 Genesi,
I,
(B.
(W.
82-3)
I, 5-6:
« Oritur
renascens,
stato;
16.
I,
G*: 173)
sol,
gyrat
stata (L.
et occidit,
et ad
evidente
svista
per
(per
170)
(G.!
122
ricevendo nel corpo
meridiem,
I,
87-8)
(G.2
et
locum
suum
flectitur
tipogr.).) I,
92-3).
ad
DIALOGO
QUARTO
de l' Oceano, ed altri mediterranei mari il gran splendore del sole, può comparir lucidissimo corpo a gli altri mondi, chiamati astri, non meno che quelli appaiono a noi tante lampeggiante faci ? Certo, che non chiami la terra un luminare grande o piccolo e che tali dichi essere il sole e la luna,
è stato bene e veramente detto nel suo grado; perché dovea farsi
intendere
secondo
le
paroli
e
sentimenti
comoni,
e
far come uno, che qual pazzo e stolto usa della cognizione e sapienza. Parlare con i termini de la verità dove non bisogna, è ® voler che il volgo e la sciocca moltitudine,
quale
si richiede
mento;
sarrebe
la prattica, come
volere
abbia il particular che
la mano
abbia
dalla
intendil’occhio ?,
la quale non è'stata fatta dalla natura per vedere, ma per
oprare e consentire a la vista. Cossf, benché intendesse la natura delle sustanze
spirituali,
a che fine dovea
trattarne,
se non quanto che alcune di quelle hanno affabilità e ministerio con gli uomini, quando si fanno ambasciatrici? Benché
avesse saputo, che alla luna ed altri corpi mondani,
che si veggono quel
che
e che sono a noi invisibili, convenga
conviene
a
questo
nostro
mondo,
o,
tutto
almeno,
il
simile, vi par che sarrebbe stato ufficio di legislatore di prenderse e donar questi impacci a’ popoli ? Che ha da far la
prattica
delle
nostre
leggi
e
l’essercizio
delle
nostre
virti con quell'altri? Dove dunque gli uomini divini parlano presupponendo nelle cose naturali il senso comunmente ricevuto, non denno servire per autorità; ma più tosto dove parlano indifferentemente, e dove il volgo non ha risoluzione alcuna, in ! (B: e' (= e?) » D: ochio. (B.
83-4)
(W.
I,
173-4)
(L.
170-1)
123
(G.t
I, 88-9)
(GI,
93-4).
LA
CENA
DE
LE
CENERI
quello voglio che s'abbia riguardo
divini, anco a gli entusiasmi
alle paroli degli uomini
di poeti, che con lume supe-
riore ne han parlato; e non prendere per metafora quel che non è stato detto per metafora, e per il contrario prendere
per vero quel che è stato detto per similitudine. Ma questa distinzione del metaforico e vero non tocca a tutti di volerla comprendere,
come
non
è
dato
ad
ogniuno
di
posserla
capire. Or, se vogliamo voltar l'occhio della considerazione a un
libro
contemplativo,
trovaremo
questa
Dico
Libro
ad un
filosofia di Giob,
naturale,
molto quale
morale
faurita
è uno
colmo
di sapientissimi
e
de’*
che si possan leggere, pieno d'ogni buona lità e moralità,
e divino,
noi
favorevole.
singularissimi
teologia, natura-
discorsi;
che
Mosè,
come un sacramento, ha congionto ai libri nella sua legge. In quello un di, personaggi, volendo descrivere la provida
potenza de Dio, disse quello formar la pace negli eminenti
suoi, cioè sublimi figli 2; che son gli astri, gli Dei, de’ quali
altri son fuochi, altri sono acqui (come noi diciamo: altri soli, altri terre); e questi concordano, perché, quantunque siino
contrarii,
l'altro;
mentre
tutta non
via l'uno
vive,
si confondeno
si nutre insieme,
e vegeta ma
con
per certe
distanze gli uni si moveno circa gli altri. Cossi vien distinto 1 B:
di. — Anche nel De magia (Opera, vol. III, p. 431) il Bruno
cita «sapientissimum (leggi profundissimae) P. 124. . ® Libro
di Giobbe,
facit concordiam
et
multae philosophiae ac profundissimum librum Job». Cir. Tocco, Le opp. ined.,
XXV,
în sublimibus
2: Potestas
suis.
D.
et
terror
apud
eun
est,
qui
CASTELLI a. q. l. (in Tocco,
Le opp. l. di G. B., p. 311): « Le parole: dei quali altri son fuochi, altri sono acque sono del Bruno, non del Job. Credo che il B. qui seguisse l’erronea etimologia che nel Talmud (Haghigà 129) si dà della parola Slamain, cielo, dicendolo composto di Esh fuoco e di Main acqua».
(B. 84-5)
(\W. I,
174)
(L.
171)
124
(GI,
89)
(G? I, 94).
DIALOGO
l'universo
in
fuoco
ed
QUARTO
acqua,
che
sono
soggetti
di doi
primi principii formali ed attivi, freddo e caldo. Que' corpi che spirano il caldo, son gli soli che per se stessi
son lu-
centi e caldi; que’ corpi che spirano il freddo, son le terre; le quali, essendo parimente corpi eterogenei, son chiamate più tosto acqui, atteso che tai corpi per quelle si fanno visibili, onde meritamente le nominiamo da quella raggione, che ne sono sensibili; sensibili dico, non per se stessi, ma per la luce de’ soli sparsa ne la lor faccia. A questa dottrina
è conforme
Mosè,
che
chiama
firmamento
l'aria; nel quale tutti questi corpi hanno la persistenza.e situazione, e per gli spacii del quale vengono distinte c divise le acqui inferiori, che son queste che sono nel nostro globo, da l'acqui superiori, che son quelle de gli altri globi; dove
pure
se
dice,
esserno!
divise
l’acqui
da
l’acqui *.
E, se ben considerate molti passi della Scrittura divina, gli Dei e ministri de l'altissimo son chiamati acqui, abissi, terre e fiamme ardenti: chi lo impediva, che non chiamasse corpi neutri, più dense
inalterabili,
delle sfere,
immutabili 3, quinte essenze, parti
berilli 4, carbuncoli
ed
altre fantasie,
de le quali, come indifferenti, nientemanco il volgo s’arrebe possuto pascere ? Snutho,
Io,
per
certo,
molto
mi
muovo
da
l'autorità
1 Cfr. sopra p. 61, n. 1.
quae
® Genesi, I, 7: « Et fecit Deus firmamentum, divisitque aquas erant sub firmamento ab his quae super firmamentum ». Cir.
De magia,
in Opera,
III,
s10,
e Tocco,
Le
opp.
ined.,
p.
195.
3 (B: inmutabili) 4 Beryllus, occhiale. Il Cusano nel suo De beryllo (1454), cap. Il: « Beryllus Japis est lucidus, albus et transparens, cui datur forma concava pariter et convessa; et per ipsum videns attingit prius invisibile v: Opera, I, 267. (Ma qui è indicato semplicemente il minerale.)
(B. 85-6)
(W.
I, 174-5)
(L. 171-2)
125
(G.I I, 89-90)
(G.2 I, 94-5).
LA
CENA
DE
LE
CENERI
del libro di Giobbe e di Mosè; e facilmente posso fermarmi
in questi
sentimenti
reali più tosto
che in metaforici
ed
astratti: se non che, alcuni pappagalli d’Aristotele, Platone ed Averroe, dalla filosofia de’ quali son promossi poi ad
esser teologi, dicono che questi sensi son metaforici; e cossi, in virti de lor metafore, le fanno significare tutto quel che gli piace, per gelosia ! della filosofia, nella quale son allevati. Teofilo.
Or
quanto
siino
costante
queste
metafore,
lo
possete giudicar da questo, che la medesma Scrittura è in mano
di giudei,
cristiani
e mahumetisti,
sette tanto
diffe-
renti e contrarie, che ne parturiscono altre innumerabili contrariissime e differentissime; le quali tutte vi san trovare quel proposito che gli piace e meglio gli vien comodo: non solo il proposito diverso e differente, ma ancor tutto il contrario,
facendo
di un
sf un
non,
e di un
non
un
sî,
come, verbigrazia, in certi passi, dove dicono che Dio parla per ironia.
Sinitho. Lasciamo
di giudicar
questi.
Son
certo
che a
loro non importa, che questo sii o non sii metafora; però facilmente ne potranno far star in pace con nostra filosofia. Teofilo. Dalla censura di onorati spirti, veri religiosi,
ed anco naturalmente
uomini
conversazione
dottrine
quando
bene
filosofia non
la religione come quelle cacia della intellettuali 1
e buone
Gelosia,
(B. 86-7)
arran
solo
da bene,
considerato,
contiene
non
amici
si de’
temere;
trovaranno
la verità,
ma
della civile
che
ancora
perché questa
favorisce
più che qualsivoglia altra sorte de filosofia; che poneno il mondo finito, l’effetto e l’effidivina potenza finiti, le intelligenze e nature solamente otto o diece, la sustanza de le cose zelo,
(W.
I, 175)
(L. 172-3)
126
(G.1 I, 90-1)
(GI,
95-06).
DIALOGO
esser
corrottibile,
l’anima
QUARTO
mortale,
come
che
consista
più
tosto in un’accidentale disposizione ed effetto di complessione
e dissolubile
contemperamento
ed
armonia,
zione della divina giustizia sopra l’azioni umane,
l'esecu-
per con-
sequenza, nulla, la notizia di cose particolari a fatto rimossa dalle cause prime ed universali, ed altri inconvenienti assai;
li quali
non
solamente,
l'intelletto,
ma
ancora,
come
falsi,
acciecano il lume
come
neghittosi
ed
empii,
de
smor-
zano il fervore di buoni affetti 1. Smitho. Molto son contento di aver questa informazione della filosofia del Nolano. Or veniamo un poco a gli discorsi fatti col dottor Torquato; il quale son certo che non può essere 1% tanto più ignorante che Nundinio, quanto è pin presuntuoso,
temerario
e sfacciato.
Frulla. Ignoranza ed arroganza son vidue in un corpo ed in un'anima. Teofilo.
divum
Costui,
Pater
con
vien
un
enfatico
descritto
nella
due
sorelle
aspetto,
col
Metamorfose®
indi-
quale
il
seder
in
mezzo del concilio de gli Dei per fulminar quella severissima sentenza contra il profano Licaone, dopo aver contemplato la sua aurea collana.... Prudenzio.
Torquem
auream,
aureum
monile.
Teofilo. — ed appresso remirato al petto del Nolano, dove più tosto arrebe possuto mancar qualche bottone 3; dopo essersi rizzato, ritirate le braccia da la mensa, scrolla-
tosi un poco il dorso, sbruffato co’ la bocca alquanto, accon1 (G! = L: affetti; G3: effetti) 1 bis (L'Amerio integra non può
% I,
178-9.
[non]
essere.)
3 Il suo amico FLorIo ci fa sapere che il B. soleva vestire molto
modestamente e
Critica,
(B.
e sempre
XXII,
87-8)
(W.
250.
I,
a un
175-6)
(L.
modo: 173)
127
v. SPAMPANATO,
(G.!
I, 91-2)
Vita,
(GI,
p. 355
96-7).
LA
ciatasi
la
mustaccio,
CENA
beretta!
di
DE
LE
velluto
CENERI
in
testa,
posto in arnese il profumato
intorcigliatosi
il
volto, inarcate le
ciglia, spalancate le narici, messosi in punto con un riguardo
di rovescio, poggiatasi al sinistro fianco la sinistra mano per donar principio a la sua scrima *, appuntò le tre prime dita
della
destra
insieme,
e cominciò
a trar
di mandritti
in questo modo parlando: — Tune3 ille philosophorwum protoplastes? — Subito il Nolano, suspettando di venire ad altri termini che di disputazione, gl’ interroppe il parlare, dicendogli:- Quo vadis, domine, quo vadis? Quid,
si ego philosophorum protoplastes è quid, si nec Aristoteli, nec cuiquan magis concedam, quani mihi ipsi concesserint? Ideone terva est cenirum mundi
altre simili persuasioni, posseva,
inferire
con
inmobile ? — Con
quella maggior
il Nolano
agli
che
quali
potesse
protoplaste.
E vol-
o probabilmente
altri protoplasti contra di questo novo tatosi
pazienza
l’essortava a portar propositi, coni
demostrativa-
queste ed
in favore
circostanti, ridendo
con
de
mezzo
gli
riso:
— Costui, disse, non è venuto tanto armato di raggioni, quanto di paroli e scommi +, che si muoiono di freddo e fame 5. — Pregato da tutti che venesse a gli argumenti, 1 La berretta dottorale. Per la forma, il colore ecc., delle berrette usate nell’ Università di Oxford, v. H. RasuDpaLtt, The sti versities of Europe in the middle ages, Oxford, 1895, vol. II, P. 28,
pp.
641
e sg.
2 Franc.
escrime,
scherma.
Cfr. De
la
causa,
p.
259
e
Spaccio,
p. 562. 3 IV. (seguito dal IKuhlenbeck) corresse malamente tune. Il Torquato domanda. — E sarai tu, dunque, invece di Aristotile il protoplaste,
il padre
o maestro,
dei filosofi. —
Donde
la risposta:
—
E
credi tu d'impormi col nome di Aristotile ? — Cfr. sopra, p. 37. 4 Lat. scomma, -atis, gr. oxippa, facezia. 5 Cfr. Canda3, Proprol.: «Singulti che si muoiono di freddo,...
e giuramenti
che
muoion
(leggi
muion)
di
fame».
(B. 88-9) (W. I, 176) (L. 173-4) (G.! I, 92-3) (GI, 97). 128
DIALOGO
QUARTO
mandò fuori questa voce: — Unde igitur stella Martis nunc maior, nunc vero minor apparel, si terra movetur? Smitho.
sotto
O Arcadia,
titolo
Frulla.
è possibile
di filosofo —
e
che
sii în rerum
e medico....
dottore
e
torquato,
Suitho. — che abbia possuto tirar questa Il Nolano che rispose?
Teofilo. Lui
non
natura,
si
spantò!
per
spose, che una delle cause principali, di Marte appare maggiore o minore,
consequenza ?
questo;
ma gli ri-
per le quali la stella a volte a volte, è il
moto della terra e di Marte ancora per gli proprii circoli, onde aviene che ora siino più prossimi ora più lontani. Smitho. Torquato che soggionse? Teofilo. Dimandò subito della proporzione de' moti degli pianeti e la terra. Smitho. Ed il Nolano ebbe tanta pazienza, che vedendo un sf presuntuoso
e goffo, non
voltò le spalli, ed andarsene
a casa, e dire a colui, che l’avea chiamato,
che....
Teofilo. Anzi rispose, che lui non era andato per leggere né per insegnare, ma per rispondere; e che la simmetria, ordine, e misura de’ moti celesti si presuppone
tal
qual’ è, ed è stata conosciuta da antichi e moderni; e che lui non disputa circa questo, e non è per litigare contra gli matematici, per togliere le lor misure e teorie, alle quali sottoscrive
e crede;
ma
il suo
scopo
versa
circa la natura
e verificazione del soggetto di questi moti. Oltre, disse il Nolano: — Se io metterò tempo per rispondere a questa
gare,
Qui
! Nel
Nuovo
spantare‘,
spantarsi,
mondo
del
FLORIO,
‘spaventoso,
rimaner
sorpreso,
p.
518:
spantoso‘
sconcertato.
e
‘spaventare, ‘spavento,
spante-
spanto ’.
(B. 89) (W. I, 176-7) (L. 174) (G.! I, 93) (G3 I, 97-86). 129
LA
dimanda,
noi
CENA
staremo
DE
qua
LE
CENERI
tutta
la notte
e senza ponere giamai gli fondamenti
senza
disputare
delle nostre preten-
sioni contra la comone filosofia; perché tanto gli uni quanto gli altri condoniamo tutte le supposizioni, pur che sì con-
chiuda la vera raggione delle quantità e qualità di moti, ed in questi siamo concordi. A che dunque beccarse il cervello fuor di proposito ? Vedete voi se dalle osservanze fatte e dalle verificazioni concesse possiate
che
conchiuda
le vostre
noi e poi arrete
Bastava
Teofilo. Or che
dirgli,
qua
che
nessuno
parlasse
di circostanti
col viso e gesti
non
cosa,
libertà di proferire
condannazioni.
Smitho. rante,
contra
inferire qualche
mostrasse
a
proposito.
fu tanto
aver
igno-
capito,
che
costui era una gran pecoraccia aurati ordinis. Frulla. Idest il tosone !, Teofilo.
Pure,
per
imbrogliar
il
negocio,
pregorno
il
Nolano, che esplicasse quello che lui volea defendere, perché il
prefato
dottor
Torquato
argumentarebbe.
Rispose
il
Nolano, che lui s'avea troppo esplicato e che, se gli argumenti
degli
aversarii
erano
scarsi,
festo.
Pure,
di nuovo
gli confirmava,
nito;
e che
quello
questo
non
procedeva
per difetto di materia, come può essere a tutti ciechi mani-
è veramente un
costa
d'una
cielo, il quale
che l’universo
inmensa
eterea
è detto spacio
è infi-
reggione;
e seno,
in cui
sono tanti astri, che hanno fissione in quello, non altrimente che la terra: e cossi la luna, il sole ed altri corpi innumera-
bili sono. in questa eterea reggione,
1 Tosone,
il mitico
istituito nel 1429 da Tmprese, pp. 11-2).
montone
Filippo
III,
dal
vello
come
veggiamo
d'oro,
insegna
e ampliato
da Carlo
essere
dell'ordine
V
(Giovio,
(B. 89-90) (W. I, 177) (L. 174-5) (G.! I, 93-4) (G.? I, 98-90).
130
DIALOGO
QUARTO
la terra; e che non è da credere altro firmamento, altra base,
altro
fundamento,
che concorreno ed
infinita
ove s’appoggino
alla constituzion
materia
della
questi
grandi
del mondo,
infinita
divina
animali
vero soggetto
potenza
attuale;
come bene ne ha fatto intendere tanto la regolata raggione e discorso,
quanto
le
divine
rivelazioni,
che
dicono
non
essere numero de’ ministri de l'Altissimo, al quale migliaia de migliaia assistono, e diece centenaia de migliaia gli amministrano. Questi sono gli grandi animali, de’ quali molti con
lor chiaro
lume,
che
da’
lor corpi
diffondeno,
ne sono
di ogni contorno sensibili. De' quali altri son effettualmente caldi,
come
freddi,
il sole
come
ed
la terra,
altri
innumerabili
la luna,
Venere
fuochi;
ed altre
altri son
terre
innu-
merabili. Questi, per comunicar l'uno all’altro, e participar l'un da l’altro il principio vitale, a certi spacii, con certe
distanze, gli uni compiscono gli lor giri circa gli altri, come è manifesto in questi sette, che versano circa il sole; de' qua«li la terra è uno, che, movendosi
dal lato chiamato ‘occidente parenza di questo moto de
detto
moto
falsissima, possibile,
mundano
contra
conveniente,
ed
vero
il spacio
di 24
ore
verso l'oriente, caggiona l’apl’universo circa quella, che è
e diurno.
natura
circa
La
quale
impossibile: e
necessario,
imaginazione
essendo che
la
è
che
sii
terra
si
muova circa il proprio centro, per participar la luce e tenebre, giorno e notte, pazione
de
caldo e freddo;
la primavera,
estade,
circa il sole per la particiautunno,
inverno;
verso
i chiamati poli ed oppositi punti emisferici, per la rinovazione di secoli e cambiamento del suo volto, a fin che, dove era il mare ! Arida,
sii l’arida ‘, ove era torrido sii freddo, ove
la terra.
(B. 90-1) (W. I, 177-8) (L. 175) (G.t I, 94-5) (G. I, 99-100).
13I 19
—
G.
Bruno.
Diuloghi
italiani
LA
il tropico la
CENA
DE
sii l'equinoziale;
vicissitudine,
come
in
LE
CENERI
e finalmente questo,
sii de tutte
cossi
ne
cose
gli altri astri,
non senza raggione da gli antichi veri filosofi chiamati mondi. Or, mentre il Nolano dicea questo, il dottor Torquato cridava:
—
Ad
rem,
ad rem,
ad rem!
—
AI fine il Nolano
se mise a ridere, e gli disse, che lui non gli argomentava, né gli rispondeva,
ma che gli proponeva;
sunt res, res, res. —
e
però:
E che toccava al Torquato
—
Ista
appresso
de
apportar qualche cosa ad ren. Smitho. Perché questo asino si pensava essere tra goffi e balordi, credeva che quelli passassero questo suo ad rem per un argumento e determinazione; e cossi un semplice crido,
co’ la sua
catena
Teofilo. Ascoltate ad
aspettar
quel
d'oro,
satisfar
d'avantaggio.
tanto
desiderato
voltato il dottor Torquato
alla moltitudine.
Mentre
tutti
argumento,
a gli commensali,
stavano cecco
che,
dal profondo
della sufficienza sua sguaina e gli viene a donar sul mostaccio
un adagio erasmiano.
—
Anticyram mnavigat 1.
Smtîtho. Non possea parlar meglio un asino, e non possea udir altra voce chi va a pratticar con gli asini. Teofilo. Credo che profetasse (benché non intendesse lui medesmo la sua profezia) che il Nolano andava a far provisione d’elleboro, per risaldar il cervello a questi pazzi barbareschi. Smitho. fussero
Se quelli che v'eran presenti,
stati
civilissimi,
gli
arrebbono
come
erano civili,
attaccato,
in
loco
della collana, un capestro al collo, e fattogli contar quaranta
1 Vedi (B.
91-2)
sopra (W.
pp. I,
37-38. 178)
(L.
Qui
DB:
175-6)
132
Auficivan. (GI,
095-6)
(GI,
100-1),
DIALOGO
bastonate
resima.
QUARTO
in commemorazione
del
'
primo
giorno
di qua-
i
Teofilo. Il Nolano gli disse, che il dottor Torquato, non lui 1, era pazzo perché porta la collana; la quale se non avesse a dosso, certamente il dottor Torquato non valerebbe più che per suoi vestimenti; i quali però vagliono pochissimo, se a forza dì bastonate non gli saran spolverati sopra. E
con
questo
dire
si
alzò
di
tavola,
lamentandosi
ch’ il
signor Folco non avea fatto provisione de miglior suppositi. Frulla. Questi sono i frutti d' Inghilterra; e cercatene pur quanti volete, che le troverete tutti dottori in gramatica ? in questi nostri giorni, ne’ quali in la felice patria regna
una
costellazione
di pedantesca
ostinatissima
igno-
ranza e presunzione mista con una rustica incivilità, che farebbe prevaricar la pazienza di Giobbe. E se non il credete, andate
in Oxonia, e fatevi raccontar le cose intrave-
nute al Nolano, quando publicamente disputò con que’ dottori in teologia in presenza del prencipe Alasco polacco ed altri della nobiltà inglesa. Fatevi dire come si sapca rispondere a gli argomenti; come restò per quindeci sillogismi quindeci volte qual pulcino entro la stoppa quel povero dottor, che, come il corifeo dell’Academia, ne puo-
sero avanti in questa grave occasione. Fatevi dire con quanta incivilità e discortesia procedea quel porco, e con quanta
pazienza
ed
umanità
quell’altro,
che
in
fatto
mo-
strava essere napolitano nato ed allevato sotto più benigno
! B:
lui non.
? Intorno all'abbandono degli studi filosofici c al prevalere degli studi umanistici e grammaticali nell'università di Oxford si veda quel che ne dice il DB. nel De (B.
92-3)
(W.
I,
178-9)
la causa,
(L.
176-7)
133
principio (G.t
e uno,
I, 90)
(G.2
pp. I,
209-13.
101).
LA
CENA
DE
LE
CENERI
cielo *. Informatevi come gli han fatte finire le sue publiche letture, e quelle de immiortalitate animae,
e quelle de quin-
tuplici sphaera 3. ! Il principe polacco Alberto da Lask (o Lasco), conte palatino di Sirad (Sieradz), recatosi nel 1583 in Inghilterra, dal 10 al 13 giugno di
quell’anno fu in Oxford, ricevuto dalla città e dall'università con solenni onoranze, minutamente descritte da A. WooD, Mist. et antiquitates
universitatis
Ozoniensis,
Oxoniae,
1674,
I, 209
Sgg.
(BARTHOLMÈSS,
Jord. Bruno, 116 ss., e, dietro a lui, il BERTI, Vita?, 175-8. Cfr. anche BRUNNHOFER, G. B.'s Weltanschauung u. Verhingniss, Lipsia,
1882, pp. 28-9; McInTvYRE, I, G. :B., pp. 23-24): tra le quali una grande « disputatio in theologia, in re civili, medicina, philosophia naturali et morali », che si tenne nella maggiore chiesa (Ad beatam Virginem) di Oxford, e alla quale avrebbe partecipato il Bruno nel modo
che è qui detto, nella Cena. Ma, né il Wood, né altre memorie e documenti
dell'università
di Oxford
ricordano il suo nome;
e infruttuose
sono state le ricerche fatte anche di recente nell'Archivio del Christ Church College. Vedi C. GUrtLER, Zwei unbeh. Dialoge G. Brunos nebst
biographischen
Notizen,
in Avch.
f. Gesch
d. Philos.,
VI,
1892,
PP. 340-341. — Che l'avversario del Bruno nella disputa sia stato Tommaso Leyson, come vuole il Berti (Vita2, p. 177), non risulta né dal racconto del Wood, né dalle parole del Bruno. (Ma è ormai nota la postilla dello Harvey (G. Harvev's Marginalia, edited by C.
C.
Moore
tanus
[sic],
logia,
quàm
et axiomata
Smith,
(Oxonij
in
Stratford,
1013,
disputans cum
philosophia,
Aristotelis;
omnia
p.
156):
Doctore
« Jordanus
Vnderhil)
reuocabat
ad
Neopoli-
tam: in Theo-
Locos
Topicos,
atque inde de quauis materia promptissimè
arguebat.... », per cui si può ritenere che l'avversario di Bruno nella
disputa sia stato John Underhill (1545? Oxford - 1592 Londra), che nel 1584 ottenne la carica di Vice-Chancellor dell’ Università di Oxford (A. À Woop, Fasti Oxonienses, II, p. 225): Bruno lo definisce il corifeo de l’Academia.) Né risulta dalla Cena quale sia stato il soggetto della disputa, essendo affatto arbitrario quel che ne
dice
il
Bartholmèss,
credere che il Bruno rona,
senza
il suo nome.
che
p.
121.
partecipasse
perciò
si
potesse
Secondo
il
Giittler,
alla disputa come credere
opportuno
bisognerebbe
privato,
e co-
menzionare
® Dalle ricerche fatte nell'archivio della università di Oxford non risulta che il Bruno sia mai appartenuto a quella università. «Che
Bruno
nel suo
cenno
(W.
170)
su Oxford
si sia servito
di forti iperboli,
risulta già dal contenuto della lettera al Irocancelliere [premessa all' Explicatio Triginta sigillorun) e dalle sue lagnanze posteriori sulle sue cattive esperienze. Se egli realmente vi avesse come d o (B.
93)
I,
(L.
177)
(GI
134
I, 96-7)
(GI,
101-2).
DIALOGO
Smitho.
Chi
dona
perle
QUARTO
a porci,
non
se gli son calpestrate =. Or sequitate
si de’
lamentar,
il proposito del Tor-
quato. Teofilo.
Alzati
tutti di tavola,
vi furono
di quelli, che in
lor linguaggio accusavano il Nolano per impaziente, in vece che doveano
aver
più
tosto avanti
gli occhi
la barbara
e
salvatica discortesia del Torquato e propria. Tutta volta il Nolano, che fa professione di vencere in cortesia quelli che facilmente posseano superarlo in altro, se rimesse; e come
avesse tutto posto in oblio, disse amichevolmente
Torquato:
opinione amico
—
Non
pensar,
fratello,
ch'io
voglia o possa esservi nemico,
come
di me
stesso.
Per
il che
per
la
al
vostra
anzi vi son cossf
voglio
che sappiate,
alcuni anni a dietro,
la tenni semplicemente
vera; quando
ero più giovane e men più principiante nelle mente falsa che mi solo non si sdegnò di
savio, la stimai verisimile; quando ero cose speculative, la tenni si fattameravigliavo d’Aristotele, che non farne considerazione, ma anco spese
ch’ io prima ch'avesse questa posizione per cosa certissima,
cente
studenti
fatto
lctto
de immortalitate
immatricolati,
parola
di questo
certo
fatto
animae
gli
annali
e de
quintuplici
dell'università
straordinario »: GUTTLER,
sphaera
a
avrebbero
pp.
341-2.
D'altra parte, il B. non in questo luogo soltanto allermò d'aver letto a Oxford. Il dic. 1585, appena tornato da Londra a Tarigi, al bibliotecario Guglielmo Cotin egli asscriva la stessa cosa. « Ay veu, dice il Cotin, J. B., lequel n'a guères a esté en Angleterre avec
l'ambassadeur du
Roy ct a leu à Oxouford »: v. L. Auvrav, G.B. è
Paris d'après la timoignage d'un contemporain (1585-1586), in SPAMP., Vita, p. 649. E l'ELton (G. B. in England, in Modern Studies, Lon-
don,
di un
quella
1907,
Critica,
pp.
uditore non
7-8)
l'attenzione sulla testimonianza
delle lezioni del B. ad Oxford;
meno
XXII
ha richiamato
importante
(1924),
p. 252.
del
Florio:
1 Cfr. sopra p. 36, n. 3. 2 B: calpestrate (G! G2: calpestate
v.
non
SPAMP.,
(cit. p. 634,
(B. 93-4) (W. I, 179) (L. 177) (GI,
135
ma
ha avvertita
0.
c.,
p.
n. 2)).
97.8) (G.2 I, 102-3).
333,
LA
più
della mittà
CENA
DE
del secondo
LE
CENERI
libro
Del
cielo
zandosi dimostrar che la terra non si muova. putto
ed
creder
a fatto
questo
senza
intelletto
era una pazzia;
e mondo,
Quando
speculativo,
e pensavo
che
stimai
for-
ero
che
fusse stato
posto avanti da qualcuno per una materia sofistica e capziosa ed esercizio di quelli ociosi ingegni, che vogliono disputar
per gioco e che fan professione di provar e defendere che il bianco è nero. Tanto dunque io posso odiar voi per questa caggione,
quanto
me
medesmo,
quando
ero
più
giovane,
più putto, men saggio e men discreto !. Cossi, in loco ch' io mi devrei adirar con voi, vi compatisco, e priego Idio che, come ha donato a me questa cognizione, cossi (se non gli piace di farvi capaci del vedere) almeno vi faccia posser credere che sete ciechi. E questo non sarà poco per rendervi più civili e cortesi, meno ignoranti e temerarii. E voi ancora mi dovete amare, se non come quello che sono al presente più prudente
ignorante
e più vecchio,
e più giovane,
almeno
quando
come
quel che fui più
ero in parte ne gli miei
più teneri anni, come voi sete in vostra vecchiaia. Voglio che, quantunque mai son stato, conversando e disputando, cossf * salvatico,
malcreato
ed
incivile,
son
stato
però
un
tempo ignorante come voi. Cossi, avendo io riguardo al stato vostro presente conforme al mio passato, e voi al stato mio passato conforme al vostro presente, io vi amarò
e voi non m’odiarete. — Smitho. Essi, poi che sono entrati in un’altra di disputazione, che dissero a questo?
1 Il medesimo,
ad altro proposito,
*
e Gt:
così)
179-830)
(L.
III, 683). (B.
(BD: cossi;
94-5)
(W.
GI I,
177-8)
136
dirà nel De
(G.!
I, 98-9)
vinculis
(G.?
I,
specic
(Opera,
103-4).
DIALOGO
QUARTO
Teofilo. In conclusione, che loro erano compagni d’Aristotele, di Tolomeo
Nolano sati, non
soggionse,
stupidi
e molti
che
altri
sono
innumerabili
ed ignorantissimi,
solo dì Aristotele
dottissimi
che
e Tolomeo,
filosofi.
sciocchi,
in ciò sono ma
Ed
il
insen-
compagni
di essi loro
ancora;
i quali! non possono capire quel che il Nolano intende, con cui non sono, né possono esser molti consezienti, ma solo uomini divini e sapientissimi, come Pitagora, Platone ed altri. — Quanto? poi alla moltitudine, che si gloria d'aver
filosofi dal canto
suo,
vorrei
che consideri,
che
per
tanto che sono que’ filosofi conformi al volgo, han prodotta una filosofia volgare; e per quel ch’appartiene a voi che vi
fate sotto la bandiera d’Aristotele, vi dono aviso che non vi dovete gloriare, quasi intendessivo quel che intese Aristotele, e penetrassivo3 quel che penetrò Aristotele. Perché è grandissima differenza tra il non sapere quel che lui non seppe, e saper quel che lui seppe: perché dove quel filosofo
fu ignorante, ha per compagni non solamente voi, ma tutti vostri
simili,
insieme
con
i scafari+ e
fachini
londrioti;
dove quel galantuomo fu dotto e giudicioso, credo e son certissimo, che tutti insieme ne sete troppo discosti. Di una cosa fortemente mi maraveglio: che essendo voi stati invitati e venuti per disputare, non avete giamai posto tali fondamenti e proposte tale raggioni, per le quali in modo alcuno possiate conchiudere contra me, né contra il
! (I
quali
si riferisco
a essi
loro:
il segno
interpuntivo
deciso
dal G. risulta quindi inopportuno.) * Il B. passa dall'oratio obliqua all’oratio recta, riferendo le parole del Nolano. 3 Intendessivo e penetrassivo forme arcaiche, tuttora vive a Napoli. 4 Scafaro,
da scala,
barca:
barcaiuolo.
(B. 95-6) (W. I, 180) (L. 178) (G.! I, 99) (G2 I, 104). 137
LA
Copernico;
suasioni.
CENA
DE
e pur vi sono
—
nobilissima
LE
CENERI
tanti gagliardi argumenti
Il Torquato,
come
demostrazione,
volesse
con
una
e per-
ora sfodrare
augusta
una
maestà
di.
manda: — Ubi est aux solis? — Il Nolano rispose, che lo imaginasse dove gli piace, e concludesse qualche cosa, perché l’auge si muta e non sta sempre nel medesmo grado de
l'eclittica:
questo.
e non
Torna
il Nolano
può
il Torquato
veder
a che
a dimandar
non sapesse rispondere
proposito
dimanda
il medesmo,
a questo,
Rispose
come
il No-
lano: — Quot sunt sacramenta Ecclesiae? Est circa vigesimum Cancri, el oppositum circa decimum vel centesimum Capricorni, o sopra il campanile di San Paolo !. Smitho. Possete conoscere a che proposito dimandasse questo ? Teofilo. Der mostrar a que’, che non sapean nulla, che lui disputava
e che
diceva
qualche
cosa;
ed oltre,
tanti quomodo, quare, ubî, sin che ne trovasse uno,
tentare al quale
il Nolano intendere
dicesse, che non sapea; sin a questo, che volse quante stelle sono della quarta grandezza. Ma
il Nolano
disse,
al proposito.
che non
sapeva
Questa interrogazione
altro che quello che era de l'auge del sole con-
chiude in tutto e per tutto, che costui era ignorantissimo di disputare. Ad uno che dice la terra muoversi circa il sole, il sole star fisso in mezzo di questi erranti lumi, dimandare dove è l’auge del sole, è a punto come se uno dimandasse a quello de l’ordinario parere, dove è l’auge della terra. E pur la prima lezione, che si dà ad uno che vuole imparar di argumentare, è di non cercare e dimandar secondo i proprii principii, ma quelli che son concessi da l'avversario. Ma a 1 A
(B.
96)
Londra.
(W.
I,
Vedi
180-1)
p.
75.
(L.
178-9)
138
(G.I
I, 99-100)
(G.
I, 104-5).
DIALOGO
QUARTO
questo goffo tutto era il medesmo; perché cosi arrebe saputo tirar argumenti da que’suppositi che sono a proposito, come da que’ che son fuor di proposito. Finito
glese
questo
tra
loro, e
discorso,
dopo
cominciorno
aver
alquanto
a raggionar
trascorso
ecco comparir su la tavola carta e calamaio. quato
distese; quanto
go e lungo,
un
era lar-
foglio;
la piuma ! in mano;
in in-
insieme,
Il dottor Tor-
PTOLEMAEVS.
prese
tira una
linea retta per mezzo del foglio da un canto a l’altro;
zo
forma un circolo a cui la
linea il
in mez-
predetta,
centro,
passando
facea
per
diametro;
e
dentro un semicircolo di quello scrive Terra, e dentro l'al-
tro scrive
Sol.
Dal canto
la
forma
otto
terra
circoli,
erano
dove
gli
de
semi-
ordinatamente
caratteri
di sette
COPERNICVS,
pianeti (fig. 7] e circa l'ulFig. 7 timo scritto: Octava Sphaera Mobilis; e ne la margine *: Plolomacus 3. Tra tanto il Nolano disse a costui che volea far di questo, che sanno sin ai putti ? Torquato rispose: — Vide, tace et disce: ego docebo te Plolomaeum et Copernicum. — 1 Franc. flume, penna da scrivere. * Di genere comune presso gli antichi, 3 B: Pilolomeus; e poco dopo Ptolomeum.
intendeva tracciare la figura che lib. I, capo 10, cd. cit., f. 9 v.
(B.
06-7)
(W.
I,
181)
(L.
è nel De
179)
(G.!
139
T,
—
revol.
100-1)
Il dottor Torquato
orb.
di CoPERNICO,
(GI,
105-6).
LA
Smitho. Sus
CENA
DE
quandoque
LE
CENERI
Minervam *.
Teofilo, Il Nolano rispose che, quando uno scrive l'alfabeto, mostra mal principio di voler insegnar gramatica ad
un che ne intende più che lui. — Séguita a far la sua descrizione il Torquato,
e circa il sole, che era nel mezzo,
forma
sette semicircoli con simili caratteri, circa l’ultimo scrivendo:
Sphaera Inmobilis ® Fixarivn,
e ne la margine:
Copernicus.
Poi se volta al terzo circolo, ed in un punto della sua circon-
ferenza
forma
delineata
il centro
d'un
la circonferenza,
epiciclo,
in detto
de la terra; ed a fin che alcuno
non
al
quale,
avendo
centro
penge
il globo
s' ingannasse
pensando
che quello non fusse la terra, vi scrive a bel carattere: Terra; ed in un loco de la circonferenza de l'epiciclo, distantissimo
dal mezzo, figurò il carattere della luna. Quando
costui mi
vedde
questo
il Nolano:
—
Ecco,
disse,
che
volea insegnare del Copernico quel che il Coper-
nico medesmo
non
intese,
e piu tosto s'arrebe
fatio tagliar
il collo, che dirlo o scriverlo. Perché il più grande asino del mondo saprà, che da quella parte sempre si vedrebbe il
diametro
del
seguitarebbono,
sole che
equale; non
si
ed
altre
possono
molte
conclusioni
verificare.
—
Tace,
tace, disse il Torquato: tu vis me docere Coperniciun? — Io curo poco il Copernico, disse il Nolano, e poco mi curo, che voi o altri l’ intendano;
ma di questo solo voglio aver-
tirvi: che, prima che vengate ad insegnarmi un'altra volta, che studiate meglio. — Ferno tanta diligenza i gentilomini 1 Proverbio greco e latino. ErAsMO, Adagia, chil. I, cent. I, n. 40 (cd. cit., col. 35): « Dici solet quoties indoctus quispiam atque insulsus eum docere conatur, a quo sit ipse magis docendus ». Cfr. A.
VANNUCCI,
2
(B:
Prov.
Inmobilis;
lat.
illustr.,
G! G*:
Milano,
Immobilis)
1882,
II,
50.
{B. 98-9) (W. I 181-2) (L. 180) (G.! I, 1o1-2) (G.3 I, 106-7). 140
DIALOGO
QUARTO
che v'eran presenti, che fu portato il libro del Copernico;
e guardando nella figura, veddero che la terra non era descritta nella circonferenza de l'epiciclo come la luna. Però volea Torquato che quel punto, che era in mezzo
de l'epici-
clo nella circonferenza della terza sfera, significasse la terra. Snutho.
La
causa
dell'errore
fu,
che
il Torquato
avea
contemplate le figure di quel libro e non avea letto gli capitoli; e se pur le ha letti, non l’ha intesi. Teofilo.
Il
Nolano
se
mise
a'
ridere;
e
dissegli,
che
quel punto non significava altro, che la pedata del compasso, quando si delineò l’epiciclo della terra e della luna, il quale è tutto uno ed il medesmo.
Or, se volete veramente sapere
dove è la terra, secondo il senso del Copernico, sue paroli. Lessero e ritrovarno essere contenute
rimasero
come
e Torquato,
ch'il
Nolano,
da
sua
in
lor
avendo
salutasse
epiciclo,
lingua,
salutato
se n’andorno;
parte
dicea la terra e la luna
da medesmo
mastigando
dinio
che
sin tutti
e lui inviò
loro.
leggete le
Que’
ecc. 2. E cossi
tanto che Nungli uno
altri,
eccetto
appresso,
cavallieri,
dopo
che aver
pregato il Nolano, che non si turbasse per la discortese incivilità e temeraria ignoranza de’ lor dottori, ma che avesse compassione alla povertà di questa patria, la quale è rimasta vedova delle buone lettere per quanto appartiene alla professione di filosofia e reali matematiche (nelle quali, ! B:
ad.
? CoreRNIcO,
l. c.:
« Quartum
in ordine
annua
revolutio
locum
(vedila
citata
obtinct, in quo terram cum orbe lunari tanquam cpicyclo contineri diximus ». (Il medesimo errore del B. era stato commesso da PonTUS
DE
Tyarp
nella sua
in F. A. YATES, London, 1947, p.
nota.)
(B.
909-100)
(W.
traduz.
del passo
copernicano
The Freuch Academies of the Sixicenth Century, 103, in nota; cfr. l'ediz. crit. della Cera, p. 201,
I,
182-3)
(L.
180-1)
I4I
(G.!
I,
102-3)
(G.2
I,
107).
LA
mentre
CENA
DE LE
CENERI
sono tutti ciechi, vengono
questi asini, e ne si ven-
dono per oculati, e ne porgeno vessiche per lanterne) con cortesissime salutazioni lasciandolo, se ne andaro per un camino,
Noi
di a casa,
ed
il Nolano,
senza
ritrovar
per un
altro,
ritornammo
di que’ rintuzzi
la notte era profonda, e gli animali
ordinarii,
tar-
perché
cornupeti e calcitranti
non ne molestaro al ritorno come alla venuta; perché, pren-
dendo l’alto riposo, s'erano nelle lor mandre e stalle retirati. Prudenzio. Nox
erat,
ct placidum
carpebant
fessa soporem
Corpora per terras, sylvaeque et saeva quierant Acequora,
Cum
Smitho. Teofilo, ch’altro
cum
medio
tacet omnis
Orsi,
ager,
abbiamo
volvuntur
pecudes
assai
sidera
etc.!
detto
ritornate domani, perché voglio proposito circa la dottrina del
lapsu,
oggi.
Di
grazia,
intendere qualNolano. Perché
quella del Copernico, benché sii comoda alle supputazioni *, tutta volta non è sicura ed ispedita quanto alle raggioni naturali, le quali son le principali. Teofilo,
Ritornarò
Frulla. Ed io. Prudenzio.
Ego
quoque.
Fine
1 Vircitio,
è? Cfr. sopra, (B.
100-1)
volentieri
del
Aen.,
IV,
un’altra
volta.
Valete.
quarto
dialogo.
522-5.
p. 87, n. 1.
(W.
I,
183)
(L.
181)
142
(G.t
I,
103)
(GI,
107-8).
DIALOGO QUINTO Teofilo.
Perché non son più né altramente fisse le altre
stelle al cielo, medesmo d'esser
che questa
firmamento, chiamato
stella, che
che
ottava
è
è la terra,
l’aria;
sfera,
dove
e
non
è
è la coda
è fissa nel più
degno
de l’ Orsa,
che dove è la terra, nella quale siamo noi; perché in una medesma eterea reggione, come in un medesmo gran spacio e campo, son questi corpi distinti e con certi convenienti intervalli allontanati gli uni da gli altri; considerate la caggione, ‘per la quale son stati giudicati sette cieli degli erranti, ed uno
solo di tutti gli altri. Il vario moto,
vedeva in sette, ed uno serbano perpetuamente fa parer a tutte quelle un orbe, e non esser più
che si
regolato in tutte l'altre stelle, che la medesma equidistanza e regola, convenir un moto, una fissione ed che otto sfere sensibili per gli lumi-
nari, che sono com' inchiodati
in quelle. Or, se noi venemo
a tanto lume e tal regolato senso, che conosciamo
questa
apparenza del moto mondano procedere dal giro de la terra,
se dalla similitudine della consistenzia di questo corpo in mezzo l’aria giudichiamo la consistenza di tutti gli altri corpi,
potremo
conchiudere (B.
101-2)
prima
credere,
il contrario (W.
I,
184)
(L.
di quel 181-2)
143
e
poi
sogno (G3I
demostrativamente
e quella (104))
(G*
fantasia, I
'109]).
LA
CENA
che è stato quel primo ed è per generarne quello
errore,
DE
LE
CENERI
inconveniente,
che ne ha generati
tanti altri innumerabili.
come
a
noi,
che
dal
Quindi
centro
de
accade
l’orizonte,
voltando gli occhi da ognì parte, possiamo giudicar la maggior e minor distanza da, tra, ed in quelle cose, che son B
più vicine, ma
da un
in oltre tutte
ne
mente
D
A
lontane;
firmamento
certo termine
parranno
equal-
cossiî, alle stelle del
guardando,
apprendia-
mo la differenza de’ moti e distanze d'alcuni astri più vicini, ma gli più lontani e lontanissimi ne appaiono stanti
O, la vista, l'occhio, 0 An, tudini
0 D, lunghezze, e
lince visuali,
e lontani,
quanto
alla
di-
longi-
tudine; qualmente un arbore talvolta parrà più vicino e l'altro, perchési accosta al medesmo semidia-
o O C,
inmobili, ed equalmente
Metro; e perché sarà in quello indif-
longiAC,
ferente,
4 ©, € D, larghezze, lati
parta
x
’
tutt'uno:
.
e
pure
con
tutto ciò sarà pit lontananza
tra
questi, che tra quelli che son giudicati molto più discosti per la differenza di semidiametri. Cossi accade che tal stella è stimata molto maggiore, che è molto minore; tale molto più lontana, che è molto più viVig. 8
cina.
Come
occhio,
nella
la stella A
pur si mostra per
essere
in
seguente figura
pare
distinta, un
[fig. 8],
la medesma gli parrà
dove
con la stella B;
vicinissima;
semidiametro
ad
molto
O,
e, se
e la stella C,
differente,
parrà
molto più lontana; ed in fatto è molto più vicina. Dunque, che noi non veggiamo molti moti in quelle stelle, e non si (B. 102-3)
(W.I
184-5)
(L. 182)
(GI I
144
[104]-5)
(G=I
[109)-10).
DIALOGO
mostrino
allontanarsi
QUINTO
ed accostarsi
l'une da l'altre, e l’une
all’altre, non è perché non facciano cossi quelle come queste gli lor giri; atteso che non è raggione alcuna, per la quale in quelle non siano gli medesmi accidenti che in queste, per i quali medesmamente un corpo, per prendere virtù da l’altro, debba
muoversi
circa l’altro.
E però
non
denno
esser chiamate fisse perché veramente serbino la medesma equidistanza da noi e tra loro; ma perché il lor moto
non è
sensibile a noi. Questo si può veder in essempio d’una nave molto lontana,
la quale, se farà un giro di trenta o di qua-
ranta passi,
non
meno
si movesse
punto.
parrà
Cossi,
che la stii ferma,
proporzionalmente,
che
se non
è da
consi-
derare in distanze maggiori, in corpi grandissimi e luminosissimi, de’ quali è possibile che molti altri ed innumerabili siino cossi grandie cossi lucenti come il sole, e di vantaggio.
I circoli e moti di quali molto più grandi non si veggono; onde, se in alcuni astri di quelli accade varietà d’approssimanza, non si può conoscere, se non per lunghissime osser-
vazioni; le quali non son state cominciate, né perseguite,
perché tal moto nessuno l' ha creduto, né cercato, né presupposto; e sappiamo che il principio de l’ inquisizione è il sapere e conoscere, che la cosa sii, o sii possibile e conveniente, e da quello si cave profitto. Prudenzio, Rem acu tangis!. Teofilo. Or questa distinzion di corpi ne la eterea reg-
I«Rem acu tetigisti. Est apud Plautum in Rudente.... pro eo quod est, rem ipsam divinasti, nihil aberrans. Metaphora sumpta videri potest a lusu quopiam, in quo divinator, id quod alius notasset, summa acu tangebat. Igitur acu tangere, est quasi dicas ipsissimum punctum attingere »: Erasmo, chil. II, cent. V (ma IV), n. 93 (ed. cit., col. 441). (B.
103-5)
(W.
I
185)
(L.
182-3)
145
(G!
I
105-060)
(G3
perinde Adagia,
110-I).
LA
CENA
DE
LE
CENERI
gione l’ ha conosciuta Eraclito, Democrito, gora,
Parmenide,
stracci!
che
Melisso,
n’abbiamo:
come
onde
ne
fan
si vede,
Epicuro,
Pita-
manifesto
que’
che
conobbero
un
spacio infinito, regione infinita, selva infinita, capacità infinita di mondi innumerabili simili a questo, i quali cossi compiscono i lor circoli, come la terra il suo; e però anticamente si chiamavano
ethera,
cioè corridori, corrieri 2,
ambasciadori, nuncii della magnificenza de l’unico altissimo, che con musicale armonia contemprano l'ordine della constituzion della natura, vivo specchio dell' infinita deità. Il qual nome di ethera dalla cieca ignoranza è stato tolto
a questi,
ed
attribuito
a certe
quinte
essenze,
nelle
quali, come tanti chiodi, siino inchiodate queste lucciole e lanterne. Questi corridori hanno il principio di moti intrinseco, la propria natura 3, la propria anima, la propria intelligenza: perché non è sufficiente il liquido e sottile aria a muovere si dense e gran machine. Perché a far questo gli bisognarebbe virtù trattiva4 o impulsiva ed altre simili, che
non
si fanno
senza
contatto
di dui corpi almeno,
de'
quali l'uno con l'estremità sua risospinge e l'altro è riso-
spinto.
E certo tutte cose, che son mosse
in questo modo,
riconoscono il principio de lor moto o contra o fuor de la propria natura; dico o violento, o almeno non naturale. È dunque cosa conveniente alla commodità delle cose che sono
ed
a
l’effetto
moto
sii naturale
della
da principio
! Ossia i frammenti
in Opera, ® Cfr.
intrinseco
4
(=
(B.
(G!
dal
105-6)
G.
la propria
guasta,
BD): trattiva;
(W.
I
natura
alterandolo,
G*: trattriva
185-0)
(L.
183)
146
causa,
interno
c le notizie
I, 1, 282 (-283), 288. sopra p. 13, n. I.
3 (B:
interposta
perfettissima
che
e proprio
indirette.
Cfr.
(cioè nella il senso
il De ccc.). La
logico
questo
appulso inmimenso,
della
virgola
frasc.)
(per evidente svista tipogr.).)
(G.T
I,
106-7)
(GI,
111).
DIALOGO
QUINTO
senza resistenza. Questo conviene a tutti corpi, che senza contatto sensibile di altro impellente o attraente si muoveno. Però la intendeno al rovescio quei che dicono, che la calamita tira il ferro, l'ambra la paglia, il getto! la piuma, il sole l'elitropia; ma nel ferro è come un senso, il qual è svegliato da una virtà spirituale, che si diffonde dalla calamita, col quale si muove a quella, la paglia a l’ambra; e generalmente si muove
tutto
quel
che
alla cosa desiderata,
desidera
ed
ha
indigenza,
e si converte in quella al suo
possibile, cominciando
dal voler essere nel medesmo
Da
che
questo
considerar,
da principio resistenza
estrinseco
del
mobile,
nulla cosa si muove
senza
contatto
depende
il
pi
loco.
localmente
vigoroso
considerare
della
quanto
sii
sollenne goffaria e cosa impossibile a persuadere ad un regolato sentimento,
che
la luna muove
l’acqui
del mare,
cag-
gionando il flusso in quello, fa crescere gli umori, feconda i pesci, empie l'ostreche e produce altri effetti; atteso che quella di tutte queste cose è propriamente segno, e non causa =, queste
Segno
ced
indizio, dico,
cose con certe disposizioni
contrarie procede
e diverse da l'ordine
con
perché
della luna,
contrarie
e
e corispondenza
il vedere
ed altre cose
diverse disposizioni, delle cose,
c le leggi
d'una mutazione che son conformi,e corrispondenti alle leggi de l’altra. Sinîtho. Dall’ ignoranza di questa distinzione procede, che di simili errori son pieni molti scartafazzi, che ne insegnano
tante
strane
filosofie;
I Getto, smalto composto Qui espresso cfr. p. 109.
? Cfr. (B.
distinzione
106-7)
(W.
(L.
tra altiov
183-4)
147 14
—
Q,
Bruno,
Diulngli
le cose, che
di ghiaia e calcina.
aristotelica
I, 186)
dove
italiani
(G.!
son
segni,
Per il pensiero
e onuetov. I, 107)
(G.2 I, 112).
LA
circonstanze
CENA
DE
LE
ed accidenti,
son
CENERI
chiamate
cause;
tra
quali
inezie quella è una delle reggine, che dice li raggi perpendicolari e retti esser causa di maggior caldo, e li acuti ed obliqui di maggior freddo, Il che però è accidente del sole, vera causa di ciò, quando persevera più o meno sopra la terra. Raggio reflesso e diretto, angolo acuto ed ottuso, linea perpendicolare, incidente e piana, arco maggiore e minore, aspetto tale e quale son circostanze matematiche e non cause naturali. Altro è giocare con la geometria, altro
è verificare con la natura. Non son le linee e gli angoli, che fanno scaldar più o meno il fuoco, ma le vicine e distanti situazioni, Teofilo.
chiarisce gran
lunghe
La intendete molto
l’altra.
corpi,
e brieve dimore.
se
Or
fusser
per
bene;
conchiudere
mossi
ecco come
una verità
il proposito,
dall’estrinseco
questi
altrimente
che
come dal fine e bene desiderato, ed accidentalmente; ancor che
sarrebono mossi avessero quella
violentepotenza,
la qual è detta non repugnante,
perché il vero non repu-
gnante è il naturale; e il naturale, o vogli o non, è principio
intrinseco, il quale da per sé porta la cosa dove conviene. Altrimente l’estrinseco motore non moverrà senza fatica, © pur non
sarà necessario,
ma
soverchio;
e se vuoi che sia
necessario,
accusi la causa efficiente per deficiente nel suo
effetto, c che occupa gli nobilissimi motori a mobili assai pit indegni;
come
fanno
quelli,
che
dicono
l’azioni
delle
for-
miche ed aragne esserno 1, non da propria prudenza e artificio, ma da l’intelligenze divine non erranti che gli donano, verbigrazia, le spinte, che si chiamano istinti naturali, cd
! Cfr. (B.
p. Gi,
107-8)
(W.
n.
1.
I, 187)
(L.
184-5)
14S
(G.!
I,
107-8)
(GI,
112-3).
DIALOGO
QUINTO
altre cose significate per voci senza sentimento. domandate sapranno cosîf
a questi
savii,
dir altro, che
indeterminata
significa principio per non
dir o un
e
che
cosa
è quello
instinto, sciocca,
istigativo,
instinto,
o qualche
come
questo
ch’è un
sesto senso
Perché, se
nome
o raggione
non
altra voce
instinto,
che
comunissimo,
o pur
intelletto 1,
Prudenzio. Nimis arduae quaestiones! Smitho. A quelli che non le vogliono intendere, ma che vogliono ostinatamente credere il falso. Ma ritorniamo a noi. Io*
saprei
bene, che
rispondere
a costoro, che
cosa difficile, che la terra si muova,
hanno
per
dicendo, ch’ è un corpo
cossi grande, cossi spesso e cossi grave. Pure vorrei udire il vostro modo di rispondere, perché vi veggio tanto risoluto nelle raggioni. Prudenzio. Non talis mihi. Smitho. Perché voi siete una talpa. Teofilo. Il modo di rispondere consiste in questo: che il medesmo potreste dir della luna, il sole e d'altri grandissimi
corpi,
e tanti
innumerabili,
che
gli aversarii
vogliono
che s! velocemente circondino la terra con giri tanto smisurati. E pur hanno per gran cosa, che la terra in 24 ore si svolga circa il proprio centro, ed in un anno circa il sole. Sappi, che né la terra, né altro corpo è assolutamente grave o lieve. Nessuno corpo nel suo loco è grave né leggiero 3; ma queste differenze e qualità accadeno non a’ corpi principali e particolari individui perfetti dell'universo, ma convegnono alle parti, che son divise dal tutto, e che se ritrovano
nel
I Sull' 1591, * (G?: 3 Cfr.
(B.
istinto cfr. la Sinunia terminorum metaphysicorum pubbl. nel 1595), in Opera, I, iv, (120-) 121. lo (svista tipogr.).) De l'infinito, pp. 405-6.
108-9)
(W.
I,
187-8)
(L.
185)
149
(G.!
I,
108-0)
(G.2
I,
(scritta
113-4).
LA
CENA
DE
fuor del proprio continente,
meno
naturalmente
vazione,
CENERI
e come
si forzano
che il ferro verso
varla non
LE
peregrine 1: queste non
verso
il loco della conser-
la calamita;
determinatamente
il quale
al basso
va a
ritro-
o sopra o a destra,
ma ad ogni differenza locale, ovunque sia. Le parti della terra da l’aria vengono verso noi, perché qua è la lor sfera; la qual però se fusse alla parte opposita, se parterebono da
noi,
a quella
drizzando
il corso.
Cossi
l’acqui,
cossi
il
fuoco. L'acqua nel suo loco non è grave, e non aggrava quelli, che son nel profondo del mare. Le braccia, il capo ed altre membra non son grievi al proprio busto; e nessuna cosa naturalmente costituita caggiona atto di violenza nel suo loco naturale. Gravità e levità non si vede attualmente in cosa, che possiede il suo loco e disposizione naturale; ma
si trova
nelle
cose,
che
hanno
un
certo
empito;
col
quale si forzano al loco conveniente a sé. Però è cosa assorda di chiamar corpo alcuno naturalmente grave o lieve, essendo che queste qualità non convengono a cosa che è nella sua constituzione naturale, ma
fuor di quella; il che non aviene
alla sfera giamai, ma qualche volta alle parti di quella, le quali però non sono determinate a certa differenza locale secondo il nostro riguardo, ma sempre si determinano al loco, dove è la propria sfera ed il centro della sua conservazione. Onde, se infra la terra si ritrovasse un’altra spezie di corpo, le parti della terra da quel loco naturalmente montarebbono;
e se
alcuna
scintilla
di
foco
si trovasse,
per parlar secondo il comone, sopra il concavo della luna, verrebbe a basso con quella velocità, con la quale dal con1 Cfr. Corernico,
lat., p. 228). (B.
1009-10)
(W.
De
I, 188)
sevol. ord.,
lib. I, cap.
(L.
(G.!
185-6)
.150
I,
8 (Tocco,
1009-10)
(G.?
Le opp.
I, 114-5).
DIALOGO
QUINTO
vesso de la terra ascende in alto.
Cossi l’acqua non meno
descende in sino al centro della terra, se si gli dà spacio, che dal centro della terra ascende alla superficie di quella. Parimente l’aria ad ogni differenza locale con medesma facilità si muove. Che vuol dir dunque grave e lieve? Non veggiamo noi la fiamma talvolta andar al basso ed altri lati ad accendere un corpo disposto al suo nutrimento e conservazione? Ogni cosa dunque, che è naturale, è facilissima; ogni loco e moto naturale è convenientissimo. Con quella facilità, con la quale le cose che naturalmente non si muoveno persisteno fisse nel suo loco, le altre cose che
naturalmente si muoveno, marciano pe gli lor spacii. E come violentemente
cossi
e contra
violentemente
sua natura
e contra
natura
quelle
arrebono
queste
moto,
arrebono
fis-
sione. Certo è dunque che, se alla terra naturalmente convenesse
l’esser
fissa,
il suo
moto
sarrebbe
violento,
contra
natura e difficile. Ma chi ha trovato questo ? chi l' ha provato ? La comone ignoranza, il difetto di senso e di raggione. Sauitho.
Questo
ho
molto
ben
capito,
che
la terra
nel
suo loco non è più grave che il sole nel suo, e gli membri de’ corpi principali, come le acqui, nelle. sue sfere; da le quali
divise,
da
ogni
loco,
sito
e verso
si moverrebono
a
quelle. Onde noi al nostro riguardo le potreimo dire non meno gravi che lieve, gravi e lieve che indifferenti: come veggiamo ne le comete ed altre accensioni, le quali dai corpi che bruggiano alle volte mandano la fiamma a’ luoghi oppositi, onde le chiamano comate; alle volte verso noi, onde le dicono barbate; alle volte da altri lati, onde le
dicono nente,
caudate.
ed
L'aria, il qual è generalissimo conti-
è il firmamento
di
corpi
sferici,
da
tutte
parti
esce, in tutte parti entra, per tutto penetra, a tutto si dif{B.
rro-1)
(W.
I,
188-9)
(L.
186-7)
ISI
(G.!
I,
r1o-1)
(G.*
I,
115).
LA
CENA
DE
LE
CENERI
fonde; e però è vano l'argomento che costoro apportano, della raggione della fissione de la terra, per esser corpo ponderoso,
denso e freddo.
Teofilo. Lodo Idio, che vi veggio tanto capace, e che mi togliete tal fatica, ed avete ben compreso quel principio, col quale possete rispondere a più gagliarde persuasioni di volgari filosofi, e avete adito a molte profonde contemplazioni della natura. Suutho. Prima che venghi ad altre questioni, al presente
vorrei
sapere,
come
vogliamo
noi
dire
che
il sole
è
l'elemento vero del fuoco, e primo caldo, e quello è fisso in mezzo di questi corpi erranti, tra’ quali intendiamo la terra. Perché mi occorre ch'è più verisimile che questo corpo si muova, che li altri, che noi possiamo veder per esperienza
del
senso.
Teofilo. Dite la raggione. Smitho. Le parti della terra, ovonque mente
o per
violenza
ritenute,
non
siino o natural-
si muoveno.
Cossf
le
parti de l'acqui fuor del mare, fiumi ed altri vivi continenti, stanno
ferme.
Ma
cultà di montare concavità
delle
le parti
del foco,
in alto, come fornaci,
quando
quando
si svolgeno
non
hanno
fa-
son ritenute dalle
e ruotano
in tondo,
e
non è modo che le ritegna. Se dunque vogliamo prendere qualche argumento e fede dalle parti, il moto conviene più al sole ed elemento di foco, che alla terra. Teofilo. A questo rispondo prima, che perciò si potrebe concedere, che il sole si muova circa il proprio centro, ma
lat.
(B.
non già circa altro mezzo; ! Cîr. De di G.
rI1-2)
B.,
îmin., pp.
(W.
I, 5; e vedi
216
e 257,
I, 189-090)
(L.
n.
atteso che basta, su questo 2.
187)
152
(G.1
punto
I, 111-2)
che tutti i
Tocco,
Le
off.
(G.2 I, 115-6).
DIALOGO
QUINTO
circostanti corpi si muovano circa lui, per tanto che di esso
quelli han bisogno; ed anco per quel, che forse anco lui potesse desiderar da essi, Secondo,
mento
del foco è soggetto
denso
e dissimilare
Però
in
del primo
parti
che
si chiama
caldo
e membri,
quello che noi veggiamo
acceso,
è da considerare,
muoversi
fiamma,
come
che l'ele-
e corpo
come
cossî
è la
terra.
di tal sorte,
è aria
il medesmo
aria alte-
rato dal freddo della terra si chiama vapore. Siitho. E da questo mi par aver mezzo di confirmar quel che dico, perché il vapore si muove tardo e pigro, la fiamma ed esalazione velocissimamente; e però quello, che è più simile al foco, si vede molto più mobile che quello aria, ch' è simigliante più alla terra. Teofilo. La caggione è, che il fuoco pi si forza di fuggire da questa reggione, la quale è più connaturale al corpo di contraria qualità. Come se l'acqua o il vapore se ritrovasse nella reggione del fuoco, o loco simile a quella, con più velocità fuggirebbe che l'exalazione, la quale ha con lui
certa participazione e connaturalità maggiore
rietà
o
differenza.
intenzione circa
del
il moto
Bastivi
Nolano
di
non
o quiete
tener
trovo
che contra-
questo,
perché
determinazione
del sole 1. Quel
moto,
della
alcuna
dunque,
che
veggiamo nella fiamma, ch'è ritenuta e contenuta nelle concavità de le fornaci, procede da quel, che la virti del 1 Invece nel cit. cap. del De inunenso sostiene il molo rotatorio del sole intorno al proprio asse: «omnia astra circuire, etiam fixa, inter quae sol est unus » (Opera, I, 1, 218; cfr. lib. IV, cap. 8; I, n, 45):
dottrina
mnacchie
bruniano
che
fu
poi
insegnata
dal
solavî. Circa alla ragione dalla
Cena
al
I,
190)
De
Galilei
di questo
immenso
v.
187-8)
(G.t
nelle
Le/fere
progresso
Tocco,
o.
c.,
intorno
alle
del pensiero p.
258.
« Al
Bruno spetta il merito di aver per primo affermato la rotazione del sole intorno al proprio asse»: BRUNNHOFER, 0. €c., p. 168. (DB.
112)
(W.
(L.
153
I,
112)
(G2
I,
116-7).
LA
CENA
DE
LE
CENERI
foco perseguita, accende, altera e trasmuta l’aria vaporoso, del quale vuole aumentarsi
e fugge il nemico Smitho.
del suo essere e la sua correzione.
Avete
l’aria puro
e nodrirsi, e quell'altro si ritira
detto
l’aria
vaporoso;
che
direste
del-
e semplice?
Teofilo. Quello non è più soggetto di calore, che di freddo; non è più capace e ricetto di umore, quando viene inspessato dal freddo, che di vapore ed essalazione ', quando viene
attenuata
l'acqua
dal caldo.
Smitho.
Essendo
che
nella
providenza
e senza
causa
natura
finale,
non
vorrei
è cosa
di nuovo
senza
saper
da
voi (perché, per quel ch'avete detto, ciò si può perfettamente comprendere): per qual causa è il moto locale della terra ? Teofilo. La caggione di cotal moto è la rinovazione e rinascenza
di questo
corpo;
il quale,
secondo
la medesma
disposizione, non può essere perpetuo; come le cose che non possono
essere perpetue secondo
il numero
(per parlar se-
condo il comune) si fanno perpetue secondo la spezie, le sustanze che non possono perpetuarsi sotto il medesmo volto, si vanno
tutta via cangiando
di faccia.
Perché,
essendo
la
materia e sustanza delle cose incorrottibile, e dovendo quella
secondo tutte le parti esser soggetto di tutte forme, a fin che secondo tutte le parti, per quanto è capace, si fia tutto, sia tutto, se non in un medesmo tempo ed instante d’eternità, al meno in diversi tempi, in varii instanti d’eternità successiva- e vicissitudinalmente; perché, quantunque tutta la materia sia capace di tutte le forme insieme, non però de tutte quelle insieme può essere capace ogni parte della I (B: (B.
exalalione)
112-3)
(W.
T,
190-1)
{L.
188)
154
(G.t
1,
112-3)
(G.2
I,
117-8).
DIALOGO
materia; però questo globo,
QUINTO
a questa massa intiera, della qual consta questo astro, non essendo conveniente la
morte e la dissoluzione, ed essendo a tutta natura impossibile l’annichilazione !, a tempi a tempi, con certo ordine, viene
a rinovarsi,
alterando,
cangiando,
le sue parti
tutte:
il che conviene che sia con certa successione, ognuna pren-
dendo il loco de l’altre tutte; perché altrimente questi corpi, che
sono
bono, Ma
dissolubili,
come
avviene
a costoro,
attualmente
talvolta
a noi particolari
come
crede
Platone
si
dissolvereb-
e minori
nel
Tico,
animali ?. e crediamo
ancor noì, è stato detto dal primo principio: « Voi siete dissolubili, ma non vi dissolverete 3». Accade dunque, che non è parte nel centro e mezzo della stella, che non si faccia
nella circonferenza e fuor di quella; non è porzione in quella cxtima
ed esterna,
che non
debba
tal volta farsi ed essere
intima ed interna. E questo l’esperienza d'ogni giorno ne ’l dimostra;
ché
s'accoglieno, E
noi
nel
grembo
e viscere
della
terra
altre
ed altre cose da quelle ne si mandan
medesmi
e le cose
nostre andiamo
cose
fuori,
e vegnamo,
pas-
siamo e ritorniamo, e non è cosa nostra che non si faccia aliena e non è cosa aliena che non si faccia nostra. E non è cosa della quale noi siamo, nostra,
come
che tal volta non
non è cosa la quale è nostra,
debba esser
della quale non
1 (B: annikilatione) ? Questo residuo d'aristotelismo è abbandonato dal Bruno nel De immenso, II, 5 e V, 3 (Opera, I, 1, 272 e I, II, 126), dove ammette come possibile la mortalità, sostenuta da' Jonici e dagli atomisti,
dei
mondi,
e
mantiene
come
indubitabile
soltanto
l' indi-
sibile che il globo terrestre abbia a finire per combustione III, 529).
(Opera,
struttibilità dell’universo. Vedi su questo punto Tocco, Le opp. lat., pp. 230, 323-4. Anche nelle opere inedite giudica minime impos3 Cfr.
(B.
PLATONE,
113-4)
(W.
L
Tim., 1091)
p.
(L.
41,
A-B;
188-9)
155
(G.t
e il De I,
la causa,
113-4)
(G.*
I,
p.
229. 118).
LA
doviamo
talvolta
CENA
DE
essere,
se
LE
una
CENERI
è la materia
delle
cose,
in un geno, se due sono le materie, in dui geni: perché ancora non
determino,
se la sustanza
e materia,
che
chiamiamo
spirituale, si cangia in quella che diciamo corporale e per il contrario, hanno
o veramente
tutte
infelicità, chiama
non.
vicissitudine
de
morte,
quel
stato
Cossi
tutte
di dominio
cose
nel suo
e serviti,
felicità
che si chiama vita e quello
di luce e tenebre,
di bene
geno
e male.
ed
che
si
E non
è
cosa alla quale naturalmente convegna esser eterna, eccetto che alla sustanza, che è la materia, a cui non meno
essere
in continua
mutazione.
Della
conviene
sustanza soprasustan-
ziale non parlo al presente, ma ritorno a raggionar particularmente di questo grande individuo, ch’ è la nostra perpetua nutrice e madre, di cui dimandaste per qual caggione fusse il moto
locale. E dico, che la causa del moto
locale,
tanto del tutto intiero quanto di ciascuna delle parti, è il fine della vicissitudine, non solo perché tutto si ritrove in tutti luoghi, ma ancora perché con tal mezzo tutto abbia tutte disposizioni e forme: per ciò che degnissimamente il moto locale è stato stimato principio d'ogni altra mutazione e forma; e che, tolto questo, non può essere alcun altro. Aristotele s’' ha possuto accorgere della mutazione secondo le disposizioni e qualità, che sono nelle parti tutte de la terra; ma non intese quel moto locale, che è principio di quelle. Pure nel fine del primo libro della sua Meteora ha parlato
come
medesmé
tal
un
che
volta
profetiza non
e divina.
s’intenda,
Ché,
pure
in
benché certo
lui
modo
zoppigando e meschiando sempre qualche cosa del proprio errore al divino furore, dice per il più e per il principale il vero. Or apportiamo quel che lui dice, e vero e degno d’essere considerato; e poi soggiungeremo le cause di ciò, quali (B.
114-5)
(\WV.
I,
101-2)
(L.
189)
156
(G.1
I,
114-5)
(G.2
I,
118-09).
DIALOGO
lui non «gli
ha possuto
medesmi
luoghi
QUINTO
conoscere. della
« Non
terra
sempre », dice cgli!,
son
umidi
o secchi;
ma,
secondo la generazione e difetto di fiumi, si cangiano. Però quel
che
fu ed
è mare,
non
sempre
è stato
e sarà
mare;
quello che sarà ed è stato terra, non è, né fu sempre terra; ma,
con
certa vicissitudine,
si de’ credere,
sarà
l’uno ». E
determinato
circolo
ed ordine,
che dov’ è l'uno, sarà l’altro, e dov’ è l'altro,
se dimandate
ad
Aristotele
il principio
e
causa di ciò, risponde, che « gl’ interiori de la terra, come gli corpi delle piante ed animali hanno la perfezione, e poi invecchiano. Ma è differenza tra la terra e gli altri detti corpi. Perché essi intieri in un medesmo tempo secondo tutte le parti hanno il progresso, la perfezione ed il mancamento, come
lui dice, il stato e la vecchiaia:
ma
nella terra questo
accade successivamente a parte a parte, con la successione del freddo e del caldo, che caggiona l'aumento e la diminuzione, la qual séguita il sole ed il giro par cui le parti della terra acquistano complessioni e virtii diverse. Da qua i luoghi acquosi in certo tempo rimagnono, poi di novo si disseccano
ed
invecchiano,
altri
si
ravvivano
e secondo
certe parti s'inacquano. Quindi veggiamo svanir i fonti, i fiumi or da piccioli dovenir grandi, or da grandi farsi piccioli, e secchi al fine. E da questo, che gli fiumi si cassano, proviene, che per necessaria conseguenza si tolgano i stagni e mutinsi gli mari; il che però, accadendo successi-
vamente circa la terra a tempi lunghissimi e tardi, a gran pena la nostra e di nostri padri la vita può giudicare ?;
1 Meteor., I, 14, 1-10; trad. quasi * Cîr. Acrot., p. 186; De înunenso,
e III,
4
(I, 1, 341).
(B.
115-6)
{W.
I, 192)
(L.
1859-90)
157
(G.!
letterale. IV, 3 (Opera,
I,
115-6)
(G.2
I,
11,
17-18);
I, 119-20).
LA
CENA
DE
LE
CENERI
atteso che più tosto cade la età e la memoria de tutte genti, ed avvengono grandissime corrozioni e mutazioni, per desolazioni e desertitudini, per guerre, per pestilenze e per diluvii, alterazioni di lingue e di scritture, trasmigrazioni e sterilità de luoghi, che possiamo ricordarci di queste cose da principio sin al fine per si lunghi, varii e turbolentissimi secoli ». Queste gran mutazioni assai ne si monstrano nelle antiquità
de l' Egitto,
tolto il Canobico
nelle porte
del Nilo;
le quali
esito, son fatte a opra di mano;
tutte,
nell’abi-
tazioni della città di Memfi, dove i luoghi inferiori son abitati dopo i superiori; ed in Argo e Micena, de’ quali al tempo di troiani la prima reggione era paludosa, e pochissimi vivevano in quella; Micena, per esser più fertile, era molto più onorata: del che a’ tempi nostri è tutto il contrario, perché Micena è al tutto secca ed Argo è dovenuta temperata ed assai fertile !. «Or come accade in questi luoghi piccioli, il medesmo doviamo pensar circa grandi e reggioni intiere » 2, Però come veggiamo che molti loghi, che prima erano acquosi, ora son continenti, cossi a molti altri è sopra-
venuto il mare. Le quali mutazioni veggiamo
farsi a poco
a poco, come le già dette, e come ne fan vedere le corrosioni
de monti altissimi e lontanissimi dal mare, che quasi fusser freschi mostrano gli vestigii dell'onde impetuose. E ne costa dall’ istorie di Felice Martire Nolano 3, quale dechiarano al
1 Anche
(La traduz.
% Meteor.,
3 Dal
questi
esempi
I,
10.
son
letterale riprende
ms.
14,
uffizio antico
tolti da Aristotele,
12-15.
dalle parole ed in Argo e Micena....)
di questo
ad littora maris singulis diebus
o. c., I, 14,
martire:
« Beatus
festinabat et cum
vero
Felix
hora nona acce-
deret, mare turbabatur, et ad littora piscem preciosum cructabat »: G. S. REMONDINI, Della nolana ecclesiastica storia, Napoli, De Simone,
(B.
116-7)
(W.
I,
192-3)
(L.
190-1)
158
(G.!
I,
116-7)
(G.2
I,
120-1).
DIALOGO
QUINTO
tempo suo, che è stato poco più o meno di mill’anni passati, era il mare
vicino alle mura della città, dove è un tempio,
che ritiene il nome di Porto ', onde al presente è discosto dodeci milia passi. Non si vede il medesmo in tutta la Provenza? Tutte le pietre, che son sparse per gli campi, non mostrano un tempo esser state agitate da l’onde? La temperie della Francia parvi che dal tempo di Cesare al nostro sia cangiata poco? Allora in loco alcuno non era atta alle viti; ed ora manda parti
del mondo,
e da’
vini cossf deliziosi come
settentrionalissimi
terreni
altre
di quella
si raccoglieno gli frutti de le vigne. E questo anno ancora ho mangiate de l'uve de gli orti di Londra, non già cossi perfette come de’ peggiori di Francia, ma pur tale quali affermano mai esserne prodotte simili in terra inglesa?. Da questo
dunque,
che il mare
Mediterraneo,
lasciando più
secca e calda la Francia e le parti de I’ Italia, quali io con li miei occhi ho viste, va inchinando verso la Libia3, séguita 1751, t. I, pp. 343-4. S. Felice fiori propriamente nella seconda metà
del I sec. d. C.
1 Nella Sacra Visita di mons. Scarambo del 1ss1: «Deinde comparuit Antonius de Faivano [clr. Spaccio, p. 637), unus ex magistris cappellae seu heremitorii sub vocabulo Sanctae Mariae dello Porto, sitae ubi dicitur allo Porto [a qualche chilometro da Nola sulla strada che conduce a Palma Campania); asseruit quod homines casalis Sancti Pauli pro eorum devotione olim construxerunt dictam cappellam pro commodo alicuius heremitae » (SPAMPANATO, Vita, p. 54, n. 3 e 62, n. 3). ? Nell'agosto 1500 infatti il mercante Paolo Gondola a un suo amico fiorentino da Londra scriveva: « To di qua ho di già mangiato uva bonissima (leggi: E? se anchora della uva mangiarete io di qua ne ho di già mangiato bonissima), per essere stato quest'anno grandissimo caldo, e di più di quello che è stato questi venti anni; talché ne mangio ogni giorno bonissima »; e il ro ottobre: «Quest'anno abbiamo avuto assai boni frutti, cioè bona uva»: GARGANO,
nota (B.
3
(BWLG'G?Fi ed. crit.: e l'ed. crit. in nota).) 117-8)
(W.
I,
193)
(L.
Libra;
101)
(G.!
159
Amerio: I,
117)
Libia (G#
(cfr.
I,
0. €., p. 32.
Firpo
121-2).
in
LA
che,
venendosi
CENA
DE
LE
CENERI
più e più a scaldarsi l’Italia e la Francia
e temprarsi la Britannia, doviamo giudicare che general. mente si mutano gli abiti de le reggioni, con questo che la
disposizion fredda si va disminuendo
verso l'Artico polo.
Dimandate ad Aristotele: onde questo avviene ? Risponde: dal sole e dal moto circolare. Non tanto confusa- ed oscuramente,
quanto
mamente
detto.
Non: che
ancora
Ma
da
lui
come?
divina-
forse
ed
come
alta-
e verissi-
un
filosofo?
da
ma più presto come da un divinatore, o pur da uno intendeva
e non
ardiva
de
dire,
forse
vede e non crede a quel che vede, e se d’affirmarlo, temendo che alcuno non gerlo di apportar quella raggione, la risce, ma in modo col quale chiuda la oltre
sapere;
o forse
è modo
come
quale
e mancano
ogni
cosa
ha
che
pur il crede, dubita venghi a constrinqual non ha. Refebocca a chi volesse
di parlar
tolto
filosofi. Dice dunque, che il caldo, il freddo,
crescono
colui
dagli
antichi
l’arido, l'umido
sopra tutte le parti della terra, ne la la rinovazione,
consistenza,
vecchiaia
e diminuzione; e volendo apportar la causa di questo, dice: propter solem ct circumlationem +. Or perché non dice: propter solis circulationem ? Perché era determinato appresso lui, e conceduto appo tutti filosofi di suoi tempi e di suo umore, che il sole con il suo moto non possea caggionar questa diversità; perché, in quanto che l’ecliptica declina
1 Meteor., I, 14, 4: tTabta pèv ov abtetar
frtov
xal tiv Teprgopav.
Le
parole
xa
polver Std tv
citate dal B. si trovano nel-
l'antica traduzione dell’opera aristotelica, più volte ristampata nel '500. Cfr. Libros Metheorum (leggi Metheoror[um]) Aristotelis Stra-
givrite (sic) peripatheticorum principis, cum simì expositoris Caietani de Thienis, noviter erroribusque purgatos, Venetiis, 1507, f. 20r. (B.
118)
(W.
I,
193-4)
(L.
191)
160
(G.
I,
commentariis impressos ac
117-8)
(G.2
I,
fidelismendis
122).
DIALOGO
QUINTO
dall’ Equinoziale, il sole eternamente versava tra i doi punti Tropici; e però esser impossibile d'esser scaldata altra parte di terra,
ma
eternamente
le zone ed i climi essere in
medesma disposizione. Perché non disse: per circolazione d’altri pianeti ? Perché era determinato già, che tutti quelli (se pur alcuni per qualche poco non trapassano) si muoveno sol per quanto è la latitudine del zodiaco detto trito camino degli erranti. Perché non disse: per circolazione del primo mobile ? Perché
non
conosceva
altro
moto,
che
il diurno,
ed era a’ suoi tempi un poco de suspizione d'un moto di retardazione, simile a quello di pianeti. Perché non disse: per la circolazion del cielo? Perché non possea dire, come e quale ella potesse essere. Perché non disse: per la circolazion de la terra? Perché avea quasi come un principio supposto, che la terra è inmobile. Perché dunque lo disse? Forzato da la verità, la quale per gli effetti naturali si fa udire.
Resta dunque,
dico,
perché
lui è
virti
vitale;
dal
che sia dal sole e dal moto.
quell’unico moto
che
ancora,
diffonde
perché,
Dal sole,
e comunica
se non
la
si movesse
o lui agli altri corpi o gli altri corpi a lui, come potrebbe ricevere quel che non ha, o donar quel ch’ ha 1? È dunque
necessario, che sia il moto, e questo di tal sorte che non
sia parziale, ma con quella raggione con cui causa la rinovazione di certe parti, venga ad apportarla a quell’altre, che, come
sono
di medesma
medesima
potenza
passiva,
condizione
alla quale,
e natura,
hanno
se la natura non
la
è
ingiuriosa, deve corrispondere la potenza attiva. Ma con ciò
troviamo molto minor raggione, per la quale il sole e tutta ! Cir.
De
astra (Opera, (B.
118-0)
immenso,
I, 11, 42). (W.
TI, 194)
IV,
8:
Quave
(L.
191-2)
16I
(G.I
sol caeteraque T,
118-9)
fixa
(GI,
scintillent 122-3).
LA
l'università globo,
che
CENA
DE
LE
CENERI
de lc stelle s'abbino esso per il.contrario
dell’universo,
facendo
il
a muovere debba
circolo
circa questo
voltarsi
annuale
a l'aspetto
circa
il
sole,
e
diversamente con certe regolate successioni per tutti i lati svolgersi ed inchinarsi a quello, come a vivo elemento del fuoco.
Non
è ragione
occasione
urgente,
magnifici
globi,
alcuna,
gli
astri
che,
senza
innumerabili,
mondi, anco maggiori che questo, abbino zione a questo unico. Non è raggione, che tosto trepidar il polo, nutar? l'asse del gli cardini de l'universo, e si innumerabili, torcersi,
ch’esser
rappezzarsi,
tarsi in tanto,
e,
un
possono,
certo
che
de
son
tanti
si violenta relane faccia dir più mondo, cespitar più grandi e più
scuotersi,
al dispetto
fine ed
svoltarsi,
la natura,
che la terra cossi malamente,
come
ri-
squarpossono
dimostrare i sottili optici e geometri, venghi ad ottener il mezzo, come quel corpo che solo è grave e freddo; il qual però non si può provar dissimile a qualsivoglia altro, che riluce
nel
firmamento,
tanto
nella
quanto nel modo della situazione: può esser vagheggiato da questo e quelli possono parimente esser che le circonda; se quelli da per se anima e natura possono, dividendo mezzo,
e questo
niente
sustanza
e
materia,
perché, se questo corpo aria, nel quale è fisso, vagheggiati da quello, stessi, come da propria l’aria, circuire qualche
meno.
Smitho. Vi priego, questo punto al presente si presuppona, sf perché, quanto a me, tengo per cosa certissima, che
più’ tosto
la terra
possibile quella si anco, perché, 1 Lat. (B.
necessariamente
si muova,
che
sii
intavolatura ed inchiodatura di lampe; quanto a quelli che non l’ han capito, è
vacillare.
119-20)
(W.
I, 194-5)
(L.
192-3)
162
(G.!
I, 119-20)
(G.? I, 123-4).
DIALOGO
QUINTO
più espediente dechiararlo come materia principale, che in altro proposito toccarlo per modo di digressione. Però, se volete compiacermi, venite presto a! specificarme i moti, che convengnono a questo globo. Teofilo. Molto volentieri; perché questa digressione ne arebbe fatto troppo differire di conchiudere quel che io
volevo della necessità ed il fatto de tutte le parti de la
terra, che successivamente devono participar tutti gli aspetti e relazioni del sole, facendosi soggetto di tutte complessioni ed abiti. Or dunque ?, per questo fine è cosa conveniente e necessaria,
che il moto
de la terra sia tale, per quale
con certa
vicissitudine, dove è il mare, sia il continente, e per il contrario; dove è il caldo, sii il freddo, e per il contrario;
dove
è l'abitabile e più temprato, sia il meno abitabile e temprato, e per il contrario; in conclusione, ciascuna parte venghi ad aver
ogni
risguardo,
c'hanno3
tutte
l'altre
parti
al
sole:
a fin che ogni parte venghi a participar ogni vita, ogni generazione, ogni felicità. Prima, dunque, per la sua vita e delle cose che in quella si contengono, e dar come una respirazione
ed
tenebre,
inspirazione
in spacio
! B: ad, * Nel passo
Le opp.
col
diurno
di vintiquattro
seguente,
lat., p. 314),
il B.
ha
notato
«descrive
caldo
ore
e freddo,
equali
la terra
lo ScHIAPARELLI
i moti
luce
della Terra
e
si
(in Tocco, secondo
il
sistema di Copernico, non quale si trova nel libro De revolutionibus, ma secondo l' interpretazione ed immaginazione sua. Non avendo egli idee precise
di geometria
e non
conoscendo
bene
il linguaggio
(Gi!
(G2
I,
(proprio) di questa scienza, la spiegazione dei suoi confusi e indeterminati concetti, presentata in parole e frasi anche più confuse, è avvolta in una grande oscurità, la quale credo sia opera disperata voler interamente dilucidare ». 3 (G1 = B: ch’ hanno) (B.
120-1)
(W.
I,
195)
(L.
193)
163 IS
—
A
NRenra
Nialnabhi
italiani
I,
120)
124-5).
LA
CENA
DE
LE
CENERI
muove circa il proprio centro, esponendo al suo possibile il dorso tutto al sole. Secondo, per la regenerazione delle cose, che nel suo dorso vivono e si dissolveno,
con il centro
suo circuisce il lucido corpo del sole in trecento sessantacinque giorni ed un quadrante in circa; ove da quattro punti della ecliptica fa la crida della generazione, dell’adolescenzia, della consistenzia e della declinazione di sue cose.
Terzo, per la rinovazione di secoli participa un altro moto, per il quale quella relazione, c'ha! questo emisfero superiore della terra a l'universo, venga ad ottener l’emisfero inferiore, e quello succeda a quella del superiore. Quarto, per la mutazione di volti e complessioni gli conviene
un
altro moto,
della terra, necessariamente
per il quale l'abitudine,
ch’ ha
questo vertice de la terra verso il punto circa l'Artico, si cangia con l'abitudine, ch’ ha quell'altro verso l’opposito punto de l’Antartico polo. Il primo moto si misura da un
punto de l'equinoziale della terra; sin che torna ® o al medesmo, o circa il medesmo.
punto
imaginario
de
Il secondo moto si misura da un
l’ecliptica
(ch'è
la via
circa il sole), sin che ritorna al medesmo, Il terzo moto
si misura
da la abitudine,
della
terra
ch' ha una
linea
o circa quello.
emisferica della terra,
che vale per l’orizonte,
differenze
sin che torni la medesima
a l'universo,
con le sue linea,
o
proporzionale a quella, alla medesma abitudine. Il quarto moto si misura per il progresso d'un punto polare de la terra, che, per il dritto di qualche meridiano passando per l’altro polo,
si converta
al medesmo,
o circa
il medesmo
aspetto, dove era prima. E circa questo è da considerare, 1 (G! = B: ch' ha) * BL: si che torna. (B.
121-2)
(W.
I,
195-6)
(L.
193-4)
164
(GI
I,
120-1)
(G.2
T,
125).
DIALOGO
QUINTO
che, quantunque diciamo esser quattro moti, nulla di meno tutti concorreno in un moto composto. Considerate che di questi quattro moti il primo si prende da quel, che in un giorno naturale par che circa la terra ogni cosa si muova sopra i poli del mondo, come dicono. Il secondo si prende da quel che appare, ch’il sole in un anno circuisce il zodiaco
tutto,
terza
dizione!
8 secondi,
facendo de
ogni
giorno,
l’Almagesto,
17 terzi, 13 quarti,
secondo
Tolomeo
cinquanta
nove
nella minuti,
12 quinti, 31 sesti; secondo
Alfonso, cinquanta nove minuti, 8 secondi, II terzi, 37 quarti, 19 quinti, 13 sesti, 56 settimi; secondo Copernico, cinquanta
nove
minuti,
8 secondi,
Ir
terzi.
Il terzo
moto
si
prende da quel, che par che l'ottava sfera, secondo l’ordine
de’ segni,
a l’incontro
del moto
diurno,
sopra
i poli del
zodiaco si muove si tardi, che in ducento anni non si muove
più ch’un grado e 28 minuti; di modo che in quaranta nove milia= anni vien a compir il circolo: il principio del qual moto attribuiscono ad una nona sfera. Il quarto moto si prende
dalla trepidazione,
1 (B:
dittione
LEMARUS,
Syntazis
accesso
(G!: dizione),
Mathematica,
cioè
III,
e recesso, «parte»,
1, ediz.
che dicono
«libro»
HEIBERG,
(cfr.
far Pro-
pp.
191
sgg.). L’emendazione di G? (o sarà una lectio facilior tipografica ?) edizione (seguita da Firpo e Amerio) è insostenibile.) ® Nello Spaccio de la bestia trionfante, p. 577, invece (come nel De ver. principiis, in Opera, III, 538) ridurrà il giro dell'anno cosmico 2 36.000 «0 più 0 meno o a punto » anni solari. La durata di 49.000 anni era quella assegnata dagli astronomi di Alfonso di Castiglia;
laddove,
secondo
l'ipotesi
di
Copernico,
avrebbe
dovuto
essere
di 25.000 anni o poco più. Per questo ed altri errori del Bruno in questa disgressione vedi le osservazioni dello Schiaparelli in Tocco, o. €., p. 313. Profondamente mutata è l'esposizione che il Bruno fa dei moti
solo
non
della terra più tardi nel De immenso,
parla
pii
del
quarto
moto,
ma,
per
III, 9-10, dove
una
divinazione
non
del
principio sostenuto poi dal Galilei, fa le sue riserve anche sul terzo (Tocco, 314-6). (B.
122-3)
(W.
I, 196)
(L.
194)
165
(G.I I, 121-2)
(G.2 I, 125-6).
LA
l'ottava
sfera,
CENA
sopra
DE
dui
LE
circoli
CENERI
equali,
che
fingono
nella
concavità della nona sfera, sopra i principii dell’Ariete e Libra del suo zodiaco; si prende da quel, che veggono esser necessario, che l’ecliptica dell'ottava sfera non sempre s' intenda intersecare l'equinoziale ne’ medesmi punti, ma
tal volta essere nel capo
d'Ariete,
talvolta
oltre quello
da l'una e l’altra parte dell’ecliptica; da quel, che veggono, le grandissime declinazioni del zodiaco non esser sempre medesme; onde necessariamente séguita, che gli equinozii e solstizii continuamente
si variino,
come
effettualmente
è
stato da molto tempo visto. Considerate, che, quantunque diciamo
quattro
essere
questi
notar,
che tutti concorreno
mente
circulare.
moti,
nulla
di
in un composto.
meno
è
Secondo,
da che,
benché le chiamiamo circulari, nullo però di quelli è veraTerzo,
che, benché
molti
si siino affati-
cati di trovar la vera regola de tai moti, l’ han fatto, e quei che
s’affaticaranno,
lo faranno
invano;
perché
nessuno
di
que’ moti è a fatto regolare e capace di lima geometrica. Son dunque quattro, e non denno esser più né meno moti (voglio dir differenze di mutazion locale nella terra), de’ quali l'uno irregolare necessariamente rende gli altri irregolari, i quali voglio che si discrivano nel moto di una palla
che è gittata nell'aria.
Quella prima col centro si muove
Secondo,
intra
tanto
che
con
da A in B [fig.. 9]*.
il centro
si muove
da
alto
a basso, o da basso in alto, si svolge circa il proprio centro,
movendo
il punto / al loco del punto K ed il punto K al
! Per accordare
questa figura col commento
stituire alla lettera E la lettera B; e intendere
colare A B in otto segmenti eguali contrassegnati
con
(B.
le cifre da 123-4)
(W.
1 a 8. I,
196-7)
(L.
194-5)
166
(G.!
del B.,
divisa
bisogna so-
la perpendi-
(dall’alto in basso)
I, 122-3)
(G.à I, 126-7).
DIALOGO
loco del punto I. Terzo,
QUINTO
tornando
a poco a poco,
ed avan-
zando di camino e velocità di giro, over perdendo e scemando (come accade alla palla che, montando in alto da quel che prima si moveva più velocemente, poi si muove più tardi ed il contrario fa ritornando al basso, e in mediocre proporzione nelle mezze distanA ze, per le quali ascende e descende) a. quella abitudine che tiene questa metà della circonI ferenza, che è notata per 1, 2, 3,
4,
promoverrà
quell'altra
metà
la quale è 5, 6, 7, 8. Quarto, perché questa conversione non è retta,
atteso
che non
0
è come
d’ una ruota, che corre con l’im-
peto d’un circolo, in cui consista il momento
della gravità;
va obliquando, perché è globo, il quale facilmente chinarsi a tutte parti, punto I e X non sempre titudine;
onde
ma
K
si
di un È può inFig. 9 però il si converteno per la medesma ret-
è necessario,
che
o a lungo o a breve, o ad
interrotto o a continuo andare si dovenghi a tanto, che si adempisca quel moto, per il quale il punto O si faccia dove
è il punto
V, e per il contrario,
Di questi
moti
uno,
che non sii regolato, è sufficiente a far che nessuno de gli altri sia regolato; uno ignoto fa tutti gli altri ignoti. Tuttavolta hanno un certo ordine, con il quale più e meno s’accostano ed allontanano dalla regolarità, Onde in queste differenze di moti il più regolato, che è più vicino al regolatissimo, è quello del centro. Appresso a questo è quello (B.
124)
(W.
I,
197-8)
(L.
195)
167
(G.!
I, 123-4)
(G.3
I,
127.8).
LA
CENAIDE
LE
CENERI
circa il centro per diametro, più veloce. Terzo è quello, che con la regolarità del secondo (quale consiste nell’avan-
zar di velocità e tardità) a mano a mano muta l' intiero aspetto dell'emisfero. L’ultimo, irregolatissimo ed incertissimo,
è quello
d'andar
avanti,
stanzia viene con la sedia moto del suo e più che gli è
il
che
cangia
torna
i lati;
a dietro,
perché e
talvolta,
in loco
con grandissima
incon-
al fine a cangiar la sedia d’un punto opposito d'un altro *. Similmente la terra: prima ha il centro, che è annuale, più regolato che tutti, altri simile a se stesso; secondo, men regolato,
diurno;
terzo,
l'irregolato,
chiamiamo
l’emisferico ;
quarto, irregolatissimo, è il polare over colurale. Smitho. Questi moti vorrei sapere, con qual ordine e regola il Nolano ne farà comprendere. Prudenzio. Ecquis erit modus? Novis usque semper indigebimus theorits ? Teofilo.
non
Non dubitate, Prudenzio, perché del bon vecchio
vi si guastarà
dialogo del Nolano,
nulla.
A
voi,
Smitho,
mandarò
quel
che si chiama Purgatorio de l' inferno *;
1 a Può certamente un tal globo avere intorno al centro un moto complesso di rotazione, in virti del quale l'asse rotatorio si vada spostando non solo rispetto allo spazio circostante, ma anche rispetto alla massa del globo trasportandosi i poli da un punto
all’altro
del resto)
della sua
movimento
non »:
superficie.
giova
G.
punto
Ma
questo
a provare
SCHIAPARELLI,
in
passo
(non
che la Terra
Tocco,
o.
c., p.
meno
abbia 316,
un
oscuro
n.
1.
simil
? Dialogo disperso del B., di cui non si ha altra notizia, Il BERTI, Vita?, p. 478, dice: « È a presumere che esso fosse compiuto prima
della venuta anche
del B. in Londra »; e quindi
I. FRITH,
Life
0f G. Bruno,
London,
l’assegna al 1582. 1887,
p. 375.
Vedi
Cosî
ora
SPAMP., Vita, p. 375; in cui si congettura che questo dialogo (dove si poteva vedere «il frutto della redenzione ») dovesse trattare di una materia affine allo Spaccio. (Va notata l'espressione questo purgatorio alla fine dello Spaccio (p. 829).) Certo doveva anche (B.
125-6)
(W.
I, 198)
(L.
195-6)
168
(G.I I, 124)
(G-2 I, 128).
DIALOGO
QUINTO
e ivi vedrai il frutto della redenzione.
Voi, Frulla, tenete
secreti i nostri discorsi, e fate che non venghino
a l’orecchie
di quelli ch’abbiamo rimorduti, a fin che non s’adirino contra di noi e venghino e donarne nove occasioni, per farsi trattar peggio e ricever meglio castigo. Voi, maestro Prudenzio, fate la conclusione ed una epilogazione morale solamente del nostro tetralogo; perché l’occasione specolativa,
tolta dalla cena
Prudenzio.
Io
de le ceneri,
ti
scongiuro,
è già conclusa.
Nolano,
per
la
speranza
ch’ hai nell’altissima ed infinita unità, che t’'avviva e adori;
per gli eminenti numi, che ti protegeno e che onori; per il divino
tuo genio,
che
ti defende
e in cui ti fidi, che
vogli
guardarti di vile, ignobili, barbare e indegne conversazioni; a fin che non contrai per sorte tal rabbia e tanta ritrosia, che
dovenghi
forse
come
un
satirico
Momo
tra
gli
dei,
e come un misantropo Timon tra gli uomini. Rimanti tra tanto appo l' illustrissimo e generosissimo animo del signor di Mauvissiero (sotto l’auspicii del quale cominci a publicar tanto sollenne filosofia),
che
forse
verrà
qualche
sufficien-
tissimo mezzo, per cui gli astri e’ potentissimi superi ti guidaranno a termine tale, onde da lungi possi riguardar simil brutaglia. E voi altri, assai nobili personaggi, siete scongiurati per il scettro del fulgorante Giove, per la civilità famosa di Priamidi, per la magnanimità del senato e popolo Quirino, e per il nettareo convito che sopra l’ Etiopia bugliente fan gli Dei, che, se per sorte un'altra volta avviene che il Nolano, venghi
a pernottar
in
per farvi servizio o piacere o favore, vostre
case,
facciate
di
rispondere al desiderio dello Smith circa l'ordine con cui il B. intendeva i moti sopraaccennati. (B.
126-7)
(W.
I,
198-9)
(L.
196-7)
169
(G.!
I,
124-5)
(G2
modo,
e
che
regola I, 128-9).
LA
CENA
DE
LE
CENERI
da voi sii difeso da simili rancontri 1; e dovendo per l'oscuro cielo ritornar
a la sua stanza,
se non
lo volete
far accom-
pagnar con cinquanta o cento torchi, i quali, ancor che debba marciar di mezo giorno, non gli mancaranno, se gli
avverrà di morir in terra catolica romana, accompagnar
con un
sevo
a fin
di quelli;
troppo, improntategli dentro;
della sua
buona
una
venuta
o pur,
se questo
vi parrà
faconda
materia
di parlar
lanterna
ch’abbiamo da
fatelo al meno
vostre
con
un
case,
candelotto
della
qual
di
non
si
è parlato ora. Adiuro
vos, o dottori Nundinio
e Torquato,
per il pasto
de gli antropofagi, per la pila del cinico Anaxarco ?, per gli smisurati serpenti di Laocoonte 3 e per la tremebonda piaga di san Rocco 4, che richiamate, se fusse nel profondo abisso,
e dovesse essere nel giorno del giudizio, quel rustico ed incivile vostro pedagogo che vi dié creanza, e quell'altro archiasino ed ignorante che v'insegnò di disputare; a fin che vi risaldano le male spese e l’ interesse del tempo e cervello,
che
v’ han
fatto
perdere.
londrioti,
che con gli vostri remi
superbo,
per l’onor
d' Eveno
Adiuro
vos,
barcaroli
battete l’onde del Tamesi
e Tiberino 5, per
quali
son
1 Franc.: rencontre: rincontro, incontro. Anche appresso, a p. 207
(e vedi
sopra,
a p.
tiranno
Nicocreonte
15.)
2 Ossia il mortaio (5)poc, lat. fila), in cui fu fatto pestare dal il filosofo
Anassarco
di Abdera,
CX (340-337). V. Diog. LaeRzIo, IX, 58-59; II, 144-9. Cfr. gli Eroici furori, p. 1054. 3 Virc.,. Aen.,
II,
201
4 Anche nel Cardelaio,
di san
Rocco ». Questo
DIELS,
fiorito
nell’ OI,
Vorsohratiker3,
SEg.
III, 8: a Ti giuro per la tremenda piaga
santo,
come
è noto,
è rappresentato
con
un
bubbone su una coscia. « Guarda san Rocco com'egli è dipinto, Che per mostrar la peste si dislaccia » (BERNI, cap. Il Della peste). 5 Le divinità eponime dell’ Eveno (fiume dell’ Etolia) e del Tevere. (B.
127-8)
(W.
I,
199)
(L.
197)
(G.!
170
IT, 125-6)
(G.3
I,
1209-30).
DIALOGO
QUINTO
nomati dui famosi fiumi, e per la celebrata e spaciosa sepoltura di Palinuro !, che per nostri danari ne guidate al porto. E
voi
altri,
Trasoni
salvatici
villano, siete scongiurati monie ? ad
Orfeo,
per
e fieri
mavorzii
del
popolo
per le carezze che ferno le Stri-
l’ultimo
servizio
che
ferno
i cavalli
a Diomede3 ed al fratel di Semele 4 e per la virtii del sassifico brocchier
di Cefeo 5, che,
quando
vedete
ed incontrate
i forastieri e viandanti, se non volete astenervi da que’ visi torvi
ed
erinnici,
al meno
l'astinenza
da
quegli
raccomandata. Torno a scongiurarvi tutti per il scudo ed asta di Minerva, altri per la del Troiano cavallo, altri per la veneranda lapio, altri per il tridente di Nettuno, altri dierno
le cavalle
dialogi
ne
a Glauco $, ch’un’altra
facciate
far
notomia
di
urti
insieme, altri generosa prole barba d' Escuper i baci che
volta con
fatti
vi sii
vostri,
meglior o
almen
tacere. IL
FINE
DE
LA
CENA
DE
LE
CENERI.
! Celebrata da VircILIO, Aen., VI, 380 (3379-81). ® Della Tracia (dal fiume Sfrymon). Allude allo strazio che le Menadi tracie fecero di Orfeo, e che è descritto da OvipIo, Metam., XI, 1 SEB. 3
Il Diomede tracio, che Ercole diede in pasto alle sue cavalle. Cfr. SENECA, Troades, vv. 1118-9 (1108-9 dell'ediz. Peiper-Richter);
Herc, fur.,
1176-7
4 Polidoro.
5 Lo
scudo
Cfr.
(1168-70 Ovin.,
gorgoneo
dell’ediz.
Ibis,
Ovin., Metam., ll. IV e V. 6 Sbranato dalle sue cavalle,
Georg.,
(B.
III,
128)
267-8
(W.
(266-8).
I, 199-200)
v. 280
di Perseo
(L.
cit.).
(273-76).
(genero
per vendetta
197)
171
di Cefeo), di Venere.
(G.! I, 126)
(G.2
per cui cfr. Cfr. Viro.,
I, 130-1).
GIORDANO BRUNO NOLANO.
DE LA CAUSA,
PRINCIPIO
A L'ILLUSTRISSIMO
SIGNOR
DI MAUVISSIERO
STAMPATO Anno
IN
VENEZIA
MDLXXXIIII
E UNO
PROEMIALE SCRITTA SIGNOR Signor
Cavallier
di
ALL’ ILLUSTRISSIMO
MICHELI
Mauvissiero,
de 1' ordine
Illustrissimo
considerazione
DI
CASTELNOVO
Concressalto
di 50 uomini
alla Serenissima
c unico
cui, giongendo
a beneficio,
vinto,
difficultà,
scampar
longanimità,
suo
gli occhi
della
perseveranza
ufficio ad ufficio, beneficio
ubligato e stretto,
da
del
d’ Inghilterra.
s' io rivolgo
la vostra
e sollecitudine, con ogni
Ionvilla,
d'arme
Regina
cavalliero,
a.remirar
m'avete
e di
del Re Cristianissimo, Conseglier privato Conseglio,
Capitano
e Ambasciator
EPISTOLA
qualsivoglia
fine tutti vostri onoratissimi dissegni;
e solete superare
periglio,
e
ridur
a
vegno a scorgere quanto
propriamente vi conviene quella generosa divisa, con la quale ornate il vostro terribil cimiero; dove quel liquido umore, che
suavemente
piaga,
mentre
continuo
e spesso
stilla,
per
forza di perseveranza rammolla, incava, doma, spezza e ispiana un certo, denso!, aspro, duro e ruvido sasso.
Se da l'altro lato mi riduco a mente come (lasciando gli altri vostri onorati gesti da canto), per ordinazion divina e alta
providenza
e predestinazione,
mi
siete
sufficiente
e saldo
difensore negl’ ingiusti oltraggi ch’ io patisco ? (dove bisognava
della
! (L:
un
virgola
certo,
altera
denso;
G!
G®:
arbitrariamente
un
certo denso
il senso).)
(la soppressione
* Nessuno dci biografi di Bruno fermò in passato l'attenzione sugli accenni che in questa lettera e nel primo de' diall. De la causa
(B. [3-4]) (\W. I, (203]) (L. 200) (G.1 I, [129]) (G.2 I, [135]).
175
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
che fusse un animo veramente eroico per non dismetter le braccia, desperarsi e darsi vinto a si rapido torrente di criminali imposture, con quali a tutta possa m'ave fatto émpeto l’ invidia d’ ignoranti, la presunzion di sofisti, la detrazion di malevoli, la murmurazion di servitori, gli sussurri di mercenarii, le contradizioni di domestici, le suspizioni di stupidi,
gli scrupoli di riportatori, gli zeli d’ ipocriti, gli odii di barbari,
le furie di plebei,
furori
voci
ove
di
castigati;
pazzo e malizioso
di popolari,
altro
sdegno
non
feminile,
lamenti
mancava
di ripercossi
ch’un
e
discortese,
di cui le false lacrime
so-
glion esser più potenti, che quantosivoglia tumide onde e rigide
tempeste di presunzioni, invidie, detrazioni, mormorii, menti, ire, sdegni, odii e furori) !; ecco vi veggio qual
fermo e constante scoglio, che, risorgendo e mostrando
tradisaldo,
il capo
fuor di gonfio mare, né per irato cielo, né per orror d' inverno, né per violente scosse di tumide onde, né per stridenti aerie procelle,
si muove
né
per
violento
o si scuote;
ma
soffio
tanto
d’Aquiloni,
più
punto
si scaglia,
si rinverdisce
e di simil
sustanza s' incota ? e si rinveste. Voi, dunque, dotato di doppia virtù,
per
cui son
potentissime
le liquide
nissime l'onde rigide e tempestose;
e amene
per cui contra
stille,
e va-
le goccie
si
rende sf fiacco il fortunato sasso, e contra gli flutti sorge si potente il travagliato scoglio; siete quello, che medesimo si il Bruno fa a una persecuzione, che egli ebbe a soffrire dopo la pubblicazione della Cena a causa del risentimento suscitato a Londra dai severi giudizi di questo dialogo sui dottori e sul popolo inglese. Un interlocutore ricorda al Bruno (Filoteo): i dialoghi della Cena «per esserno essi usciti in campo a spasso, vi hanno forzato di starvi rinchiusi e retirati in casa» (p. 194). Qui (p. 177) il B. stesso parla di « perigliosa e gran tempesta » e dice che dal Castelnau egli fu «difeso, liberato, ritenuto in salvo ». Dunque, era stato im-
prigionato? Vedi
ora SPAMPANATO,
Vita, pp.
368
e 369.
t Questa seconda parentesi è in B; e di proposito, ma a torto, tralasciata da L, che non si cura di chiudere più la prima, messa innanzi a dove bisognava. ® Da cote, come imfietrare da pietra, ingemmare da gemma. Male il Wagner, I, 104 n. 1 (ma 204, n. 1, dove annota: « Si cuopre, come
come
di cotta.... », e fin qui
specificato nel testo)).
è accettabile
(s' incotta,
cioè
si rinveste,
(B. [4-5]) (W. I, [203-4)) (L. 200-1) (G.! I, {129}-30) (GI, [135)-6). 176
PROEMIALE
EPISTOLA
rende sicuro e tranquillo porto alle vere muse, e ruinosa roccia in cui vegnano segni
de
poté
lor
a svanirsi
nemiche
accusar
per
le false munizioni
vele.
Io,
ingrato,
de impetuosi
dunque,
qual
nullo
vituperò
per
genii
bestiali;
io,
nessun
dis-
giamai
discortese,
e di
cui non è chi giustamente lamentar si possa; io, odiato da stolti, dispreggiato da vili, biasimato da ignobili, vituperato da furfanti
e perseguitato
admirato
da dotti,
da
magnificato
da grandi,
amato
da
savii,
stimato
da potenti
salvo,
mantenuto
e favorito dagli dei; io, per tale tanto favore da voi già ricettato,
nodrito,
difeso,
liberato,
ritenuto
in
in porto; come scampato per voi da perigliosa e gran tempesta;
a voi
consacro
vele,
merci,
e queste
questa
a me
a fine che
V’ iniquo,
più
àncora,
care e al mondo
per vostro
turbulento
queste
favore
e mio
nemico
appese,
come
tempio
della Fama
eterna
testimonianza
tervia de l’ ignoranza
sarte,
queste
future!
non
Oceano.
Queste,
del tempo,
dell' invitto
favor
più preziose
si sommergano
saran potenti
e voracità
fiaccate dal-
nel sacrato
contra
la pro-
cossi renderanno
vostro;
a fin
che
co-
nosca il mondo che questa generosa e divina prole, inspirata da alta intelligenza, da regolato senso conceputa e da nolana Musa
parturita,
promette
vita,
per voi
mentre
non
è morta
questa
entro
le fasce,
terra col suo
vivace
e oltre
dorso
si
ver-
rassi svoltando all'eterno aspetto de l’altre stelle lampegianti. Eccovi quella specie di filosofia nella quale certa e veramente si ritrova quello che ne le contrarie e diverse vanamente
si cerca. cinque
plazion
E
primeramente
reale
della causa,
dialogi
tutto
quello
con
non
nel primo
so che,
neri,
e uno.
faccia
dialogi
vi porgo alla
per
contem-
dialogo.
dialogo avete una apologia,
circa gli cinque
futuro.
2 Questo
(B.
del primo
che
brevità
intorno
La
o qualch'altro cena
de le ce-
ecc.
1 W:
desimo.
par
principio
Argomento Ove
che
somma
[s-6])
E forse è miglior lezione. Ma
primo (W.
dial. fu scritto
I, 204-5)
(L.
201)
177
dopo (GI
il senso torna il me-
gli altri quattro,
già com-
I,
136-7).
130-1)
(GI,
DE
LA
CAUSA,
Argomento Nel dialogo
secondo
PRINCIPIO
del secondo
avete
EZUNO
dialogo.
primamente
la raggione
della difficultà di tal cognizione, per sapere quanto il conoscibile oggetto sia allontanato dalla cognoscitiva potenza. Secondo, inche modo e per quanto dal! causato e princi-
piato vien chiarito il principio e causa. Terzo, quanto conferisca la cognizion della sustanza de l'universo alla noticia
di quello da cui ha dependenza. e via noi particolarmente
tentiamo
si distingue
formale
Quarto,
'per qual mezzo
di conoscere il primo
prin-
cipio. Quinto, la differenza e concordanza, identità c diversità, tra il significato da questo termino « causa » e questo termino « principio n Sesto, qual sia la causa la quale in efficiente,
e finale,
e in quanti
modi
è
nominata la causa efficiente, e con quante raggioni è conceputa; come questa causa efficiente è in certo modo intima alle cose naturali, per essere la natura istessa, e come è in certo modo
esteriore
a
quelle;
come
la
causa
formale
è congionta
a l'efficiente, ed è quella per cui l'efficiente opera, medesima vien suscitata dall’efficiente dal grembo
teria;
forma,
come
coincida
e come
la differenza anima
animale ticulare
per
l'una
in un soggetto
causa
è distinta da l'altra.
tra la causa
cui
principio
l'universo
formale
universale,
infinito,
come
positiva- ma negativamente,"e moltiplicabile e ? moltiplicata
e come la de la ma-
l’efficiente e la Settimo,
la quale
infinito,
non
è una
è
uno
la causa formale parin infinito; la quale,
posti forse quando fu pubblicata la Cera e il Bruno non aveva ancora sofferto la persecuzione che il primo dialogo gli procurò. Infatti: 1° gl’ interlocutori del I dial. diversi da quelli degli altri quattro,
parlano di questi ultimi come già scritti; 2° qui appresso il B., nell’Argomento
del
e nell'Argomento
III
del
dial,
IV,
chiama
chiama
primo.
secondo.
il secondo
il dialogo
dialogo;
terzo:
segno evidente che dei quattro dial., che trattano propriamente De la causa, principio e uno, erano scritti anche gli argomenti quando l'A. credette opportuno premettervi questa apologia della Cera; e allora non badò a correggere il numero d'ordine
dei dialoghi precedenti. 1 (G! = L: dal; G2: * BIVL: è. (B.
[7-8))
(W.
I, 205-6)
tal (per evidente (L.
201-2)
178
(G.!
svista I,
131-2)
tipogr.)). (G.2
IT,
137-8).
PROEMIALE quanto
perfetta;
è in un
soggetto
onde,
gli grandi
più
EPISTOLA,
generale
animali,
senza
errore
e operatori
tanto
quai sono gli astri,
esser stimati in gran comparazione genti
e superiore,
più divini,
senza
difetto.
le cose,
che
è più
denno
cioè più intelli-
Ottavo,
che
la prima e principal forma naturale, principio formale e natura efficiente, è l'anima de l’universo: la quale è principio di vita, vegetazione
e senso
di razional
suggetto
sentono.
in
tutte
E si ha per modo
vivono,
di conclusione,
posser credere
che è cosa indegna
che l'universo
corpi principali sieno inanimati; essendo escrementi di quelli derivano gli animali perfettissimi.
Nono,
che
vegetano
nonè
cosa
che che
e
e altri suoi
da le parti ed noi chiamiamo
si manca,
rotta,
dimi-
nuta e imperfetta, che, per quel che ha principio formale, non abbia medesimamente anima, benché non abbia atto di supposito che noi diciamo animale. E si conchiude, con Pita-
gora e altri, che non in vano hanno aperti gli occhi, come un spirito immenso, secondo diverse raggioni e ordini, colma e contiene
essendo
il tutto,
questo
Decimo,
spirito
quale
gli
Babiloni
condo
la sustanza;
e
se viene
persistente Persi
a fare
insieme
chiamaro
con
intendere
che,
la materia,
ombra;
ed
la
essendo
l’uno e l'altra indissolubili, è impossibile che in punto! alcuno cosa veruna vegga la corrozione, o vegna a morte sebenché,
secondo
si cangie di volto, e si trasmute
certi
accidenti,
ogni
cosa
or sotto una or sotto un'altra
composizione, per una o per un'altra disposizione, or questo or quell'altro essere lasciando e repigliando. Undecimo, che gli aristotelici, platonici e altri sofisti non han conosciuta
la sustanza de le cose; e si mostra chiaro che ne le cose naturali quanto chiamano sustanza, oltre la materia, tutto è
purissimo
accidente;
e che
da
la cognizion
de
si conosce
una
de la felicità che apporta
la vera
forma
s' inferisce la vera notizia di quel che sia vita e di quel che sia morte; e, spento a fatto il terror vano e puerile di questa, templazione,
1 (G! = L:
parte
secondo
i
in punto;
fondamenti
G?:
in un
de
punto
la
la nostra
nostra
(per svista
con-
filosofia:
tipogr.).)
{B. [8-9]) (W. I, 206) (L. 202) (G. I, 132-3) (G2 I, 138). 179 16
—
Q.
Bruno,
Dialoghi
italiani
DE atteso
che
1’ Orco
ed
LA
CAUSA,
lei toglie avaro
PRINCIPIO
il fosco
Caronte,
velo
onde
E
del
pazzo
il più
dolce
UNO sentimento de
circa
la nostra
vita
ne si rape ed avelena. Duodecimo, si distingue la forma, non secondo la raggion sustanziale per cui è una; ma secondo
gli atti e gli essercizii de le facultose potenze e gradi specifici de lo ente che viene a produre. Terzodecimo, si conchiude la vera raggion definitiva del principio formale: come
la forma sia specie perfetta, distinta nella materia, secondo le accidentali disposizioni dependenti da la forma materiale, come
da quella
che consiste in diversi
gradi
c disposizioni
de
le attive e passive qualitadi. Si vede come sia variabile, come invariabile; come definisce e termina la materia, come è definita e terminata da quella. Ultimo, si mostra con certa
similitudine
forma,
parte
accomodata
quest'anima
del
tutto.
al
può
senso
esser
Argomento
volgare,
tutta
in
qualmente
tutto
questa
e qualsivoglia
del lerzo dialogo.
Nel terzo dialogo (dopo che nel primo! è discorso circa la forma, la quale ha più raggion di causa che di principio) si procede alla considerazion de la materia, la quale è stimata aver più raggion
di principio
ed elemento
che di causa:
dove,
lasciando da canto gli preludii che sono nel principio del dialogo,
prima
si mostra che non fu pazzo nel suo grado David
de Dinanto
in prendere
e divina =.
Secondo,
possono
prendersi
la materia come
diverse
come
con
raggioni
cosa eccellentissima
diverse
di
vie
materia,
di
filosofare
benché
vera-
mente sia una prima e absoluta; perché con diversi gradi si verifica ed è ascosa sotto diverse specie cotali, diversi la possono
prendere
appropriate
1 Intendi
diversamente
a sé; non nel
secondo
altrimente
secondo.
che
quelle
raggioni
il numero
Cîr. sopra
p.
177,
che
che sono
è preso
n. 2.
* Cfr. De vinculis în genere, art. 15 in Opera, III, 696, dov' è ricordato anche l’Avicebronio per questa sentenza degli arabi « qui
ausi sunt (B.
materiam
[9-10})
(W.
etiam
I, 206-7)
Deum (L.
appellare ».
203)
180
(GI
I,
133-4)
(GI,
139).
PROEMIALE dall’aritmetrico 1 puraarmonicamente,
EPISTOLA
e semplicemente,
tipicamente
dal
è preso
cabalista,
dal
e da
musico
altri
pazzi
e
altri savii altrimente suggetto. Terzo, si dechiara il significato per il nome materia? per la differenza e similitudine che è tra il suggetto naturale e arteficiale. Quarto,
si propone come denno essere ispediti gli pertinaci, e sin quanto siamo ubligati di rispondere e disputare. Quinto, dalla vera raggion de la materia s’ inferisce che nulla forma sustanziale perde l'essere; e fortemente si convence, che gli peripatetici e altri filosofi da volgo,
benché
ziale,
altra
non
hanno
conosciuta
Sesto, si conchiude un è conosciuto un constante
nominano
sustanza
forma
che
sustan-
la
materia.
principio formale constante, come principio materiale; e che con la
diversità de disposizioni, che son nella materia, il principio formale si trasporta alla moltiforme figurazione de diverse specie e individui; e si mostra onde sia avenuto che alcuni, allevati nella scuola peripatetica, non hanno voluto conoscere per sustanza altro che la materia. Settimo, come sia
necessario che la raggione distingua la materia da la forma, la potenza da l'atto; e si replica quello che secondariamente si disse: come il suggetto e principio di cose naturali per diversi modi
di filosofare
samente magici,
massime della
preso;
più
se
può
ma
essere,
più
utilmente
variamente3
questi
raggione,
talmente
che
per
senza
secondo
incorrere
secondo
calunnia,
modi
matematici
fanno
alla
essi al fine
regola
non
si pone
diver-
naturali
e
ed
e
razionali;
essercizio
in atto
cosa
degna e non si riporta qualche frutto di prattica, senza cui sarebbe stimata vana ogni contemplazione. Ottavo, si proponeno due raggioni con le. quali suol essere
considerata
la
materia,
cioè
come
la
è
una
potenza,
e come la è un soggetto. E cominciando dalla prima raggione,
NATO
più
1 Dialettale per aritmetico. nelle
2 Ossia,
note
innanzi, 3 (Lim.:
(B.
[10-2))
al
De
la
Vedi
causa,
p.
un testo citato dallo SpAaMPA38.
«ciò che è significato per il nome dalla p. 264. vanamente (ed (W.
I, 207-8)
è miglior (L.
203-4)
18I
materia».
Cfr.
lezione).) (G.:
I,
134)
(G.2
I,
140).
DE
si distingue in
uno.
CAUSA,
in attiva
Nono,
il supremo verso
LA
PRINCIPIO
e passiva,
s' inferisce
E
UNO
e in certo
dall'ottava
modo
se riporta
proposizione,
come
e divino è tutto quello che può essere, e come l’uni-
è tutto
quello
che
può
tutto quello che esser possono.
essere,
e
altre
Decimo,
cose
non
sono
per conseguenza
di quello ch' è detto nel nono, altamente breve e aperto si dimostra
zione
onde
nella
natura
sono
i vizii,
gli
mostri,
la
corro-
e morte.
Undecimo, in che modo l'universo è in nessuna e in tutte le parti; e si dà luogo a una eccellente contemplazione
della divinità.
Duodecimo,
onde
avvenga
che
l'intelletto
non
può
capir questo absolutissimo atto e questa absolutissima potenza.
Terzodecimo, si conchiude l'eccellenza della materia, la quale cossî coincide con la forma, come la potenza coincide
con l'atto
Ultimo,
tanto da questo,
che la potenza
coin-
cide con l'atto e l'universo è tutto quello che può essere, quanto da altre raggioni, si conchiude ch’ il tutto è uno. Argomento
del quarto
dialogo.
Nel quarto dialogo, dopo aver considerata la materia nel secondo !, in quanto che la è una potenza, si considera la
materia in quanto che la è un suggetto. Ivi prima, con gli passatempi Poliinnici, s'apporta la raggion di quella secondo
gli principii volgari, tanto di platonici alcuni, quanto di peripatetici tutti Secondo, raggionandosi iux/a gli proprii principii,
si mostra
una
essere
la materia
di cose
corporee
e
incorporee con più raggioni. De quali la prima si prende dalla
potenza di medesimo geno; la seconda, dalla raggione di certa analogia proporzionale del corporeo e incorporeo, absoluto e contratto;
la terza,
da
l’ordine
e scala
di
1 Cioè,
nel terzo;
vedi sopra p. 177, n. 2.
natura,
che
monta
ad un primo complettente o comprendente; la quarta, da quel che bisogna che sia uno indistinto prima che la materia vegna
(B.
[12-3]))
(W.
I, 208-9)
(L. 204-5)
182
(G.!
I, 134-5)
(G.2
I, 140-1).
PROEMIALE
EPISTOLA
distinta in corporale e non corporale; il quale indistinto vien significato per il supremo geno della categoria; la quinta, da quel che, siccome è una raggion comune al sensibile e intel-
ligibile, cossi deve essere al suggetto della sensibilità!; la sesta, da quel, che l’essere della materia è absoluto da l'esser corpo, onde non con minor raggione può quadrare a cose incorporee che corporee; la settima, da l'ordine del superiore e inferiore che si trova ne le sustanze, perché, dove è questo, se vi pre-
suppone e intende certa comunione, la quale è secondo la materia che vien significata sempre per?il geno, come la forma
vien significata dalla specifica differenza; la ottava, è da un principio estraneo, ma conceduto da molti; la nona, dalla
pluralità di specie che si dice nel mondo intelligibile; la decima, dalla similitudine e imitazione di tre e logico; la undecima, da quel, che
ordine,
bellezza
e ornamento
mondi, metafisico, fisico ogni numero, diversità,
è circa
la
materia.
Terzo si apportano con brevità quattro raggioni contrarie; e si risponde a quelle. Quarto si mostra come sia diversa raggione tra questa e quella, di questa e quella materia, e come ella nelle cose incorporee coincida tutte le specie de le dimensioni sono nella
qualitadi son comprese ne la forma.
con l'atto, e come materia, e tutte le
Quinto,
che nessun
savio disse mai le forme riceversi da la materia come di fuora, ma quella, ‘cacciandole .come dal seno, mandarle da dentro.
Laonde
non
è un
nuda
e pura,
e che
non
sibile
ed
prope
se tutte
nihil,
un
quasi
le forme
son
come
nulla,
una
contenute
potenza
da quella,
e dalla medesima per virti dell'efficiente (il qual può esser anco indistinto da lei secondo l'essere) prodotte e parturite; hanno
minor3
esplicato,
se
raggione
non
di attualità nell'essere sen-
secondo
sussistenza
accidentale,
essendo che tutto il che 4 si vede e fassi aperto per gli accidenti ! (Lim.,
seguendo
e al suggetto
(3.
traduz.
della
intelligibilità)
3 (Lim.
propone
di leggere
che,
ecc.;
® (G1 = L: per;
le
la
4 Spagn.: (13-4))
EI que:
(W.
ma
G*: v.
come
I, 209-10)
27r,
Namer,
aggiunge
le parole
(per svista tipogr.).) maggior.
quello che. p.
del
n.
Cfr. pp.
Appresso:
(L. 205-6)
183
2.
(G.!
lo
310-13.)
che,
I, 135-6)
la
che,
(G.2 I, 141-2).
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
fondati su le dimensioni, è puro accidente; rimanendo pur sempre la sustanza individua e coincidente con la individua materia. Onde si vede chiaro, che dall’esplicazione non possiamo prendere altro che accidenti, di sorte che le differenze sustanziali sono occolte, disse Aristotele forzato da la verità. Di
maniera che, se vogliamo ben considerare, da questo possiamo inferire! una essere la vero ed ente, che secondo
omniforme sustanza, uno essere il innumerabili 2 circostanze e individui
appare, mostrandosi in tanti e si diversi suppositi. Sesto, quanto sia detto fuor d'ogni raggione quello che Aristotele e altri simili intendono la materia,
simi,
quanto
all'essere in potenza
il qual certo è nulla: essendo che, secondo
questa
è si fattamente
permanente,
che
o varia l’esser suo, ma circa lei è ogni varietà e quello che è dopo che posseva essere, anco
sempre è il composto. de
la materia,
Settimo
mostrandosi
lor mede-
giamai
cangia
e mutazione, secondo essi,
si-determina de l'appetito
quanto
vanamente
vegna
definita
per quello, non partendosi da le raggioni tolte da’ principii e supposizioni di color medesimi che tanto la proclamano
come figlia de la privazione e simile a l'ingordiggia irreparabile de la vogliente3 femina. Argomento
del quinto
dialogo.
Nel quinto dialogo, trattandosi specialmente de l'uno, viene compito il fondamento de l'edificio di tutta la cognizion
naturale
e divina.
1 (Lim.
2
(GI!
3 BIWL
=
= L: L:
Ivi4
possiamo
prima
inferire;
innumerabili;
(G!):
s’apporta
vagliente,
G*:
G! G®
proposito
possiamo
innumercvoli)
che lo SPAMPANATO
tiene una scorrezione tipografica. «Vogliente add. appunto del sec. xvi, ma risponde bene al
più che qui, è chiaro nelle ultime pagine
della coin-
ben
ecc.)
giustamente
ri-
non solo è un significato che,
del dialogo »
(v. p. 315):
ala donna non si contenta meno di maschi.... ». Cfr. anche le prime parole del dial. 4°, p. 289. (Lim. e AM. accettano l’'emendazione Ma la lezione originale è ben sostenibile, proprio nell'accezione erotica, sulla base di esempi latini e volgari.) 4 BW: Ivi. L: lui. (B.
{14-5])
(W.
I, 210)
(L. 206)
184
(G.I
I,
136)
(GI,
142-3).
PROEMIALE
EPISTOLA
cidenza della materia e forma, della potenza che lo ente, logicamente diviso in quel che
e atto: di sorte è e può essere,
fisicamente è indiviso, indistinto ed uno; e questo insieme insieme infinito, immobile, impartibile, senza differenza di
tutto
e parte,
principio
e principiato.
Secondo,
che
in
quello non è differente il secolo da l’anno, l’anno dal momento, il palmo dal stadio, il stadio da la parasanga, e nella sua es-
senza questo e! quell'altro essere specifico non è altro ed altro;
e però
nell'universo
Terzo,
non
è numero,
che ne l’ infinito non
e però
l'universo
è differente il punto
è uno,
dal corpo,
perché non è altro la potenza e.altro l’atto; e ivi, se il punto
può scorrere in lungo, la linea in largo, la superficie in profondo, l'uno è lungo, l’altra è larga, l’altra è profonda; e ogni cosa è lunga,
larga e profonda;
e per consequenza,
medesimo
e l'universo è tutto centro e tutto circonferenza.
Quarto,
qualmente da quel, ché Giove (come lo nominano) mamente è nel tutto che possa imaginarsi esservi
del
tutto
(perché
lui è la essenzia,
ha l'essere; ed essendo lui in tutto,
per
cui
e uno;
tutto
più intila forma
quel
ch’ è
ogni cosa più intimamente
che la propria forma ha il tutto), s' inferisce che tutte le cose sono in ciascuna cosa, e per consequenza tutto è uno.
Quinto,
se risponde al dubio che dimanda, perché tutte le cose particolari si cangiano, e le materie particolari, per ricevere altro e altro essere, si forzano ad altre e altre forme; e si mostra come nella moltitudine è l'unità, e ne l’unità è la moltitudine; e come l'ente è un moltimodo e moltiunico, e in fine uno in sustan-
za e verità.
Sesto,
e quel numero, e che lo ente. Settimo,
dico
senza
la raggione
la quale
plazion
de
seinferisce onde proceda quella differenza
questi non sono ente, ma di ente e circa avertesi che chi ha ritrovato quest’uno,
di questa
è impossibile
la natura.
unità,
aver
Ottavo,
ha
ritrovata
ingresso
quella
alla vera
con
nova
(G.!
I,
chiave,
contem-
contemplazione
si replica, che l'uno, l’ infinito, lo ente e? quello che è in tutto,
I (G! (= L): e; G2: ® (Lim.: « Leggerei: (B.
[15-7))
(W.
0) è.)
I, 210-11)
(L. 206-7)
185
136-7)
(GI,
143).
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
è per tutto, anzi è l' istesso ubigue; e che cossi la infinita dimensione, per non essere magnitudine, coincide con l’ individuo, come la infinita moltitudine, per non esser numero, coincide con la unità. Nono, come nel’ infinito non è parte e parte,
sia che si vuole! ne l'universo esplicatamente; dove però tutto quel che veggiamo di diversità e differenza, non è altro che diverso e differente volto di medesima sustanza. Decimo, come
ne li doi estremi,
che si dicono
nell’estremità
de la scala
della natura, non è più da contemplare doi principii che uno, doi enti che uno, doi contrarii e diversi, che uno concordante e medesimo. Ivi l'altezza è profondità, l'abisso è luce inaccessa, la tenebra è chiarezza, il màgno è parvo, il confuso è distinto, la lite è amicizia, il dividuo è individuo, l'atomo è immenso;
e per il contrario. Undecimo, qualmente certe geometriche nominazioni come di punto e uno, son prese per promo-
vere
alla contemplazione
sé sufficienti
de lo ente e uno,
a significar
quello.
Onde
e non
sono
Pitagora,
da per
Parmenide,
Platone non denno essere sf scioccamente interpretati, secondo la pedantesca censura di Aristotele. Duodecimo, da quel, che la sustanza ed essere è distinto dalla quantità, dalla
misura e numero, s' inferisce che la è una e individua in tutto e in qualsivoglia cosa. Terzodecimo, s'apportano gli segni e le verificazioni per quali gli contrarii veramente concorreno, sono da un
principio
esser
visto
e sono
in
verità
matematicamente,
e sustanza
si
uno;
conchiude
il che,
dopo
fisicamente.
* Secondo Parmenide. Cfr. il dial. V, p. 320 («ma non vedo perché », obietta il Limentani alle due indicazioni del G.; « B. vuol
dire che non si può
parlare di parti dell’ infinito,
in quanto
questo
è ‘implicato nel simplicissimo e individuo primo principio ’ —- comunque poi si voglia pensare la esistenza di parti nell’ infinito, in quanto verso.
possa
A
è
_B.,
esplicato
insomma,
ammettere
in pari tempo,
non
in questo
importava
la distinzione
suo
di parti
simulacro,
determinare,
nel
tutto,
che
qui,
è l'uni-
come
si
e riconoscere,
che ciascuna parte del tutto comprende
a suo modo
tutta l'anima del mondo: ma questa difficoltà è da lui sciolta in questi dialoghi stessi, particolarmente nel 2° e nel 50».)
(B. [17-9)) (W. I, 211-2) (L. 207-8) (G.! I, 137-8) (GI, 143-4). 186
PROEMIALE Ecco,
illustrissimo
Signore,
EPISTOLA onde
bisogna
uscire
prima
della
scienza
naturale.
che
voler entrare alla più speciale e appropriata cognizion de le cose. Quivi, come nel proprio seme, si contiene ed implica la moltitudine
de
le
conclusioni
Quindi
deriva la intessitura, disposizione e ordine de le scienze speculative. Senza questa isagogia in vano si tenta, si entra, si comincia. Prendete, dunque, con grato animo questo principio, questo uno, questo fonte, questo capo, perché vegnano animati
a farsi fuora e mettersi avanti la sua prole e genitura, gli suoi rivi e fiumi
mente
maggiori
si diffondano,
il suo
si moltipliche e gli suoi membri
numero
successiva-
oltre si dispongano
a
fin che, cessando la notte col sonnacchioso velo e tenebroso manto, il chiaro Titone!, parente de le dive Muse, ornato di
sua
fameglia,
notturne
faci,
cinto
da
ornando
la sua
eterna
di nuovo
corte,
giorno
dopo
il mondo,
bandite
le
risospinga
il trionfante carro dal vermiglio grembo di questa vaga Aurora. Vale.
pp.
1 (Lim.
188,
(B.
ritiene
debba
193 e Opera, [18))
(W.
I
leggersi
Titane,
II, I, p. 185.)
212)
(L. 208)
187
cioè
(G.1 I, 138)
il Sole
(Titan).
(G.2 I, 144).
Cîr.
GIORDANO AI Lethaea!
Emigret
PRINCIPI
undantem
o Titan,
NOLANO
DE
L’' UNIVERSO
retinens ab origine
et petat
astra
precor.
Errantes stellae, spectate procedere in Me geminum, si vos hoc reserastis iter.
Dent
geminas
Vestrae
per
somni
vacuum
me
portas
laxarier
properante
orbem
usque,
vices:
Obductum tenuitque diu quod tempus Mi liceat densis promere de tenebris. Ad
Seclo
partum?
haec
properare
indigno
tuum,
campum
mens
sint tribuenda
avarum,
aegra,
licet?
quid
obstat,
Umbrarum fluctu terras mergente, cacumen Adtolle in clarum, noster Olimpe, lovem.
AL
PROPRIO
SPIRTO
Mons, licet innixum tellus radicibus altis Te capiat, tendi vertice in astra vales. Mens, cognata vocat summo de culmine rerum,
Discrimen quo sis manibus atque Iovi. Ne perdas hic iura tui fundoque recumbens Impetitus3 1 BWL:
tingas
Lethaeo.
nigri
Acherontis
Correzione
aquas.
proposta
dal
Lasson,
p.
xxl
(per l'esigenza di far concordare l'agg. con origine (ma cir. primo origine a p. 720); traduce infatti: an der Grenze des Orcus, seguito da altri interpreti. L'Amerio intende l'emendato Lethaea come soggetto: «la tenebrosa Terra ».) ®
W:
portuni;
ma
la correzione
è erronca.
3 W: Impeditus; e guasta il pentametro (FioRENTINO, in BRUNO, Opera, I, pref., p. xvi). Il Lasson congettura sia da correggere (B.
{[19-20])
(W.
I,
212-3)
(L.
208)
188
(G.!
I,
139)
(GT,
[145)).
PROEMIALE
EPISTOLA
At mage! sublimeis tentet Nam, tangente Deo, fervidus
AL Lente senex, Anne?
idemque
bonum
quis
te
natura recessus, ignis eris.
TEMPO celer, claudensque
dixerit,
anne
malum
relaxans, ?
Largus es, esque tenax: quae munera porrigis, Quique parens aderas, ipse peremptor ades3; Visceribusque
Tu
cui
Omnia
educta
prompta
sinu
cumque
Nonne4 bonum Porro ubi tu
tuis
in
carpere
viscera
fauce
facis cumque
aufers;
condis,
licet.
omnia destruis, hinc te
possem dicere, nonne 5 malum? diro rabidus frustraberis ictu,
Falce minax illo tendere parce manus, Nulla ubi pressa Chaos atri vestigia parent4 Ne
videare
bonus,
ne
videare
DE Amor,
per
cui
malus.
L’ AMORE
tant'alto
il ver
$
discerno,
Ch’apre le porte di diamante e nere, Per gli occhi entra il mio nume; e per vedere Nasce,
vive,
Ta
scorger
Ta
presente
Repiglia
si nutre,
quant’ ha
d’absenti
forze,
E impiaga
e,
sempre
! W:
2 3 4 5
Eja,
(B.
PETR.,
age.
Ma
I, dial.
[20-2))
sonetto
(W.
I degli
il ciel
eterno.
terr'
effigie vere, dritto,
il cor,
scuopre
accolta
Afr.,
VI,
Eroici
I, 213-4)
inferno,
ogn’ interno.
dall’Amerio
841,
VII,
fu saltato da
è inserito
ed
fere,
v. FIORENTINO,
B: an ne. Questo verso intero B: non ne. W: apparent.
6 Questo
parte
cfr.
regno
trando
«implicitus» = (emendaz. trica »: ma
ha
(con
furori,
(L. 208-9)
189
l. c.
220).
necessità
me-
IV.
leggere
pp.
«per
varianti)
0969-70.
anche
(G.! I, 139-40) (GI,
nella
(145]-0).
DE O
LA
dunque,
CAUSA,
volgo
PRINCIPIO
vile,
al
vero
E
UNO
attendi,
Porgi l'orecchio al mio dir non fallace, Apri, apri, se puoi, gli occhi, insano e bieco. Fanciullo
il credi,
perché
poco
intendi;
Perché ratto ti cangi, ei par fugace; Per esser orbo tu, lo chiami cieco.
Causa, Onde
principio
l’esser,
ed uno
la vita,
sempiterno,
il moto
pende,
E a lungo, a largo e profondo si stende Quanto si dic’ in ciel, terr' ed inferno; Con senso, con raggion, con mente scerno Ch'atto, Quel
misura
vigor,
mole
Oltr’ogn' inferior,
e conto
non
e numero,
mezzo
comprende
che
tende
e superno.
Cieco error, tempo avaro, ria fortuna, Sord' invidia, vil rabbia, iniquo zelo, Crudo cor, empio ingegno, strano ardire Non bastaranno a farmi l’aria bruna,
Non Non
mi porrann’avanti gli occhi il velo!, faran mai che il mio bel sol non mire.
1 L(G’: Adunque. * Nel son. del PETRARCA
«O giorno,
o ora »: a Ma
(B.
(W.
{22-3])
I, 214)
(11, 57
(CCCXXIX
’nnanzi agli occhi
(L. 209-10)
190
(G.!
I,
dell’ediz. Laterza))
m'era
140-1)
posto un velo ». (G.2
I, 146-7).
DIALOGO
PRIMO
INTERLOCUTORI Elitropio,
Elitropio. dal
fondo
Qual
rei
di qualche
Filoteo,
nelle
Armesso !.
tenebre
oscura
torre,
avezzi, escono
che,
liberati
alla luce,
molti
degli essercitati nella volgar filosofia ed altri paventaranno, admiraranno
chiari
e, non possendo
concetti,
soffrire il nuovo
sole de’ tuoi
si turbaranno 2.
! l'iloteo (o Teofilo) è lo stesso Bruno. Cfr. sopra, n. 1 nelle Pp. 19-20. Elitropio (secondo il suo nome stesso: colui che si volge
al sole, cui è paragonata
qui appresso
la filosofia bruniana)
è un
seguace del Bruno. (FRANCES A. YATES (of. cit., pp. 102-3) ha sostenuto con validi argomenti l’ identificazione di questo -personaggio con John Florio.) Armesso (o Harmesso o Hermesso) è un suo
amico
inglese,
non
ancora,
per
altro,
identificato.
(La
YATES
(op. cit., p. 103) suggerisce il nome di Matthew Gwinne. Più di recente, D. W. SINGER: «We suggest that Armesso.... may be the Mer-
curius
of
Dicson’s
work
[vedi p. 214, n. 3), but we have not iden-
tified a prototype » (G. B., his Life and Thought...., New York,
P. 39, n. 40).)
1950,
® Reminiscenza platonica; cfr. PLAT., Rep., lib. VII, pp. 514-15. (B.
1)
(W.
I,
(215))
(L.
210)
(GI
19I
I,
(142))
(GI,
[148)).
DE
Filoteo.
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
Il difetto non è di luce, ma
UNO
di lumi:
quanto
in
sé sarà più bello e più eccellente il sole, tanto sarà agli occhi de le notturne strige ! odioso e discaro di vantaggio. Elitropio. La impresa che hai tolta, o Filoteo, è difficile, rara e singulare,
mentre
dal cieco
abisso
vuoi
cacciarne
e
amenarne ? al discoperto, tranquillo e sereno aspetto de le stelle, che con sf bella varietade veggiamo disseminate per il ceruleo manto del cielo. Benché agli uomini soli l’aitatrice mano di tuo piatoso zelo soccorra, non saran però meno varii gli effetti 2 dis de ingrati verso di te, che varii son gli animali che la benigna terra genera e nodrisce nel suo materno e capace seno; se gli è vero che la specie umana, particularmente
la
negl’ individui
varietade
tutto, che,
che
per
esser
in quelli
qual’appannata
discorperto,
che
di
suoi,
in
ciascuno
d'altre
non
de
più
specie.
talpa, bel
mostra
l’ altre
espressamente
Onde
sf tosto
nuovo,
tutte
il
vedransi
questi
sentiranno
l'aria
risfossiccando
la
terra 3,
tentaranno agli nativi oscuri penetrali; quelli, qual notturni ucelli, non si tosto arran veduta spuntar dal lucido oriente la
vermiglia
ambasciatrice
del
sole,
che
dalla
imbecillità
degli occhi suoi verranno invitati alla caliginosa ritretta 4. Gli animanti tutti, banditi dall'aspetto de le lampadi celesti e destinati all’eterne gabbie, bolge ed antri di Plutone, dal
spaventoso
ed
erinnico
apriran l’ali e drizzaranno ® Latinismo per streghe
® Appresso
(p. 226):
corno
4 Dal
Spaccio, (B.
1-2)
sfossecare:
franc.
p. 557. (W.
I,
retraite,
[(215))
richiamati,
il veloce corso alle lor stanze.
(ma qui strigî, uccelli rapaci notturni).
ammenare:
forme
Words, p. 24) che spesso s'incontrano 2 4is (L'Amerio muta: affetti.) 3 Napol.
d’Alecto
cavar
fosse,
asilo,
(L.
(GI
192
rifugio.
I,
(New
World
of
nel De /’ infinito.
sfossare.
ricovero,
210)
arcaiche
anche
[142]-3)
Cfr.
Cand.?,
(G.2
I,
p.
23,
(148]-9).
DIALOGO
PRINO
Ma gli animanti nati per vedere il sole, gionti al termine dell’odiosa notte, ringraziando la benignità del cielo e disponendosi a ricevere nel centro del globoso cristallo degli occhi
suoi
applauso dal
gli tanto di cuore,
cui
il vago
bramosi
e aspettati
di voce e di mano
dorato
balco,
avendo
Titane,
rotto
il sonnacchioso
rai,
con
adoraranno
cacciati
gli
l'oriente;
focosi
silenzio
disusato
de
destrieri l’umida
notte, raggionaranno gli uomini, belaranno gli facili, inermi e semplici lanuti greggi, gli cornuti armenti sotto la cura de’ ruvidi bifolchi muggiranno. Gli cavalli di Sileno, perché di nuovo, in favor degli smarriti dei, possano dar spavento ai più de lor stupidi gigantoni, ragghiaranno; versandosi nel suo limoso letto, con importun gruito ne assordiranno
gli sannuti
caccia,
mandaranno
ciacchi.
Le
tigri,
gli orsi,
gli leoni, i
lupi e le fallaci golpi, cacciando da sue spelunche il capo, da le deserte alture contemplando il piano campo de la dal
ferino
petto
i lor
grunniti,
ricti,
bruiti, fremiti, ruggiti ed orli =. Ne l’aria e su le frondi di ramose
piante, gli galli, le aquile, li pavoni, le grue, le tor-
tore, i merli, i passari, i rosignoli, le cornacchie, le piche, gli corvi, gli cuculi e le cicade non sarran negligenti di replicar e radoppiar gli suoi garriti strepitosi. Dal liquido e instabile campo ancora, li bianchi cigni, le molticolorate anitre, gli solleciti merghi, gli paludosi bruchii 3, le ocche rauche,
1 Gli
2 Urli,
le querulose
asini.
3 BWL:
Cfr.
brutii;
rane
Igino, ma
è una
ne
toccaranno
Poetic. svista
l’orecchie
Astronomic., dell’autore
col suo
XXIII. o dello stampatore.
Bruchii (BpùXtos (ma fpiyxtoc): sommerso) o anseres intermedii o medii: oche lombardelle mezzane. (G!: bruzii (ed è lIez. sostenibile). (B. 2-4)
(W.
I, (215]-6)
(L. 210-11)
193
(G.I I, 143-4)
(G.2 I, 149-50).
DE
rumore,
LA
di sorte
CAUSA,
ch'il
PRINCIPIO
caldo
lume
all'aria di questo più fortunato gnato, salutato e forse molestato de voci, quanti e quali son spirti petti le caccian fuori !. Filoteo. Non solo è ordinario, sario,
che ogni
animale
E
UNO
di questo
sole,
diffuso
emisfero, verrà accompada tante e tali diversitadi che dal profondo di proprii ma anco naturale e neces-
faccia la sua voce;
e non
è possi-
bile che le bestie formino regolati accenti e articulati suoni come
gli uomini,
gusti,
varii
gli
Armesso.
come
contrarie
le complessioni,
diversi i
nutrimenti.
Di grazia, concedetemi libertà di dir la parte
mia ancora;
non circa la luce, ma
circa alcune circustanze,
per le quali non tanto si suol consolare il senso, quanto molestar il sentimento di chi vede e considera; perché, per vostra pace e vostra quiete, la quale con fraterna caritade vi
desio,
non
vorrei
che
di
questi
vostri
discorsi
vegnan
formate comedie, tragedie, lamenti; dialogi, o come vogliam dire, simili a quelli che poco tempo fa, per esserno ? essi usciti in campo a spasso, vi hanno forzato di starvi rinchiusi e retirati in casa.
Filoteo. Dite liberamente. Armesso.
Io
non
astratto divino,
parlarò
come
come
assumpto
santo
profeta,
apocaliptico,
come
né
quale
angelicata asina di Balaamo 3; non raggionarò come inspirato da Bacco, né gonfiato di vento da le puttane muse di
1 Tutto
st'ultima De
quest'esordio
parte,
fu
del
tradotta
dial,
con
senza
lievi
immenso, I, 2: Opera, I, 1, 206-8. ? Cfr. sopra, p. 61, n. 1. 3 Vedi i Numeri, XXII, 21-30.
(B.
4)
(W.
I, 216)
(L.
211-2)
194
l’enumerazione
mutamenti
(GI,
144)
(G.=
di
dal
Bruno
I,
150-1).
que-
nel
DIALOGO
PRIMO
Parnaso!, o come una Sibilla impregnata da Febo, o come
una fatidica Cassandra =, né qual ingombrato da le unghie de’ piedi sin alla cima di capegli de l'entusiasmo apollinesco, né qual vate illuminato nell’oraculo o delfico tripode, né come
Edipo
esquisito3 contra gli nodi
della Sfinge,
né
come un Salomone inver gli enigmi della regina Sabba, né qual Calcante, interprete dell'olimpico senato “, né come un inspiritato
Merlino 6,
fonio 7. Ma uomo
che
o come
parlarò .per ho
avuto
uscito
l'ordinario
altro
dall'antro
di
Tro-
e per
volgare,
come
che
d’andarmi
lam-
pensiero
biccando il succhio de la grande e piccola nuca, con farmi al fine rimanere dico,
che
non
in secco la dura e pia madre; ho
altro
cervello
ch'il
mio;
come
uomo,
cui
manco
a
gli dei dell’ultima cotta e da tinello nella corte celestiale (quei
dico
che
non
bevono
ambrosia,
né
gustan
nettare,
ma vi si tolgon la sete col basso de le botte e vini rinversati, se non
vogliono
far stima de linfe e ninfe,
che sogliono esser più domestici, familiari con noi), come è dire né il dio Bacco, né cavalcator
né
de
l'asino 8, né
Pane,
né
quci,
dico,
e conversabili quel imbreaco
Vertunno,
né Fauno,
Priapo, si degnano cacciarmene una pagliusca di più e
1 Cfr. Cand. antiprol.: «che non bastan tutt'i trombetti e tamburini delle Muse puttane d’ Elicona a ficcarmene una pagliusca
ia
a
»
dentro
la memoria ».
Vircicio, Acn., II, 246-7. Latinismo: interrogato. Cfr.
III (ma VirciLio,
I) Reg. Aen., II,
X, 1 sgg. 122-4
SenECA,
Oedipus,
92-102.
11 mago Merlino dell'Artosto, Orl. fur., ITI, 10-16 e XXXIII,
0,
? B: Trifonio. Erasmo, Moriae encomium (Lugd. Batav., 1048), pp. 21-2: «tristes ac solliciti,... quasi super (ma nuper) e Trophonii specu reversi»; e Adagia, ed. Choset, 1593, p. 325.
8 Sileno. (B.
4-5)
(W.
I, 216-7)
(L.
212)
195 17
—
G.
Ununo,
Diuloyhi
italiani
(G.!
I,
144-5)
(G2
I,
151).
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
di vantaggio dentro, quantunque sogliano far copia de’ fatti lor sin ai cavalli. Elitropio. Troppo lungo proemio. Armesso. Pacienza, che la conclusione Voglio
dir brevemente, che
sogna
disciferarle come
lambicco, digerite dal
sarà
breve.
vi farò udir paroli, che non
poste in distillazione, bagno
di maria,
bi-
passate per
e subblimate
in re-
cipe di quinta essenza; ma tale quali m' insaccò nel capo la nutriccia !, la quale era quasi tanto cotennuta, pettoruta, ventruta,
fiancuta
londriota,
che viddi a Westmester;
toio
e naticuta,
del stomaco,
ha un
quanto
paio
può
essere
la quale,
di tettazze,
quella
per iscalda-
che
paiono
gli
borzacchini= del gigante san Sparagorio 3, e che, concie in cuoio, varrebbono sicuramente a far due pive ferrarese 4, Elitropio.
E
Armesso.
questo
Or su,
potrebe
per
venire
bastare al
resto,
per un
proemio.
vorrei
intendere
da voi (lasciando un poco da canto le voci e le lingue a proposito del lume e splendor che possa apportar la vostra filosofia) con che voci volete che sia salutato particolarmente
da
noi
quel
lustro
di
dottrina,
che
esce
dal
libro
de la Cena de le ceneri ? Quali animali son quelli che hanno 1 O
«notriccia»,
® B:
borzacchimi.
quella letteraria:
napol.;
nutrice.
ma
il B.
appresso,
p.
°
205,
adopera
3 Barro nel Cand.3, p. 75: «S'io avesse avuta la testa più grossa
di quella di S. Sparagorio ». V. TmBRIANI (Natanar II, in Propugnatore, 1875, vol. VIII, 11, p. 444) congettura: « Forse ha da leggersi Paragorio »; e ricorda la Chiesa di S. Paragorio in Noli (dove il Bruno dimorò 5 mesi nel 1577), fondata nel sec. vii. Vedi Berti, Vita, P.
S.
55,
dov’ è citato
Paragorio
(in
Tommaso
Scritti
TortEROLI,
letterari).
Noli,
ossia
la
Chiesa
di
4 La descrizione burlesca di questa donna ba modelli nel cap. I
del BERNI Alla sua innamorata e nel Mogliazzo dell’AretINO (Cosmopoli, 1600, p. 52). (B.
5-6)
(W.
I, 217)
(L.
212)
196
(G.3
I,
o nei Ragionamenti
145-6)
(GI,
151-2).
DIALOGO
PRIMO
recitata 1 la Cena de le ceneri ? Dimando, se sono acquatici, o aerei,
o terrestri,
o lunatici? -E lasciando
da canto
gli
propositi di Smitho, Prudenzio e Frulla, desidero di sapere, se fallano coloro che dicono,
che tu fai la voce di un cane
rabbioso e infuriato, oltre che talvolta fai la simia, talvolta
il lupo, talvolta la pica, talvolta il papagallo, talvolta un animale talvolta un altro, meschiando propositi gravi e seriosi, morali e naturali, ignobili e nobili, filosofici e comici ?
Filoteo. Non vi maravigliate, fratello, perché questa non fu altro ch' una cena, dove gli cervelli vegnono governati dagli affetti, quali gli vegnon porgiuti dall'efficacia di sapori e fumi de le bevande e cibi. Qual dunque può essere
la cena materiale e corporale, tale conseguentemente succede la verbale e spirituale; cossi dunque questa dialogale ha le sue parti varie e diverse, qual varie e diverse quell'altra suole aver le suc; non altrimente questa ha le proprie condizioni, circonstanze e mezzi, che come le proprie potrebbe aver quella. Armesso. Di grazia, fate ch'io vi intenda. Filoteo. Ivi, come è l'ordinario e il dovero, soglion trovarsi
cose
da insalata da pasto,
da frutti da ordinario,
cocina da speciaria, da sani da amalati, di
crudo
di
di selvatico,
cotto,
di acquatico
di rosto
di lesso,
di freddo
di terrestre, di maturo
di
di caldo, domestico
di acerbo,
da nutrimento solo e da gusto, sustanziose
da
e cose
e leggieri, salse
e inspide, agreste e dolci, amare e suavi. Cossi quivi, per certa conseguenza,
vi sono
apparse
le sue contrarietadi
e
! Ossia, gl' interlocutori del dialogo principale (Teofilo, Smitho, Prudenzio e I°rulla), nel quale si racconta il dialogo svoltosi durante la cena delle ceneri.
(B. 6-7)
(W.
IT, 217-8)
(L. 212-3)
197
(G.I I, 146)
(G.2
T, 152-3).
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
diversitadi, accomodate a contrarii e diversi stomachi e gusti, a’ quali può piacere di farsi presenti al nostro tipico simposio, a fine che non sia chi si lamente di esservi gionto
invano, e a chi non piace di questo, prenda di quell'altro. Arnesso.
È vero; ma che dirai, se oltre nel vostro con-
vito, ne la vostra ! cena appariranno cose, che non son buone né per insalata né per pasto, né per frutti né per ordinario,
né fredde né calde, né crude né cotte, né vagliano per l’ap-
petito né per fame, non son buone per sani né per ammalati,
e conviene che non escano da mani di cuoco né di speciale ? Filoteo. Vedrai che né in questo la nostra cena è dissimile a qualunqu’altra esser possa. Come dunque là, nel più bel del mangiare, o ti scotta qualche troppo caldo boccone, di
maniera
piangendo palato sin
che
bisogna
cacciarlo
de
bel
nuovo
fuora,
o
e lagrimando mandarlo vagheggiando per il tanto che se gli possa donar quella maladetta
spinta per il gargazzuolo al basso; overo ti si stupefà qualche dente, o te s’ intercepe la lingua che viene ad esser morduta con il pane, o qualche lapillo te si viene a rompere e incalcinarsi tra gli denti per farti regittar tutto il boccone, o qualche pelo o capello del cuoco ti s' inveschia nel palato pei farti presso che vomire,
o te s'arresta qualche aresta *
di pesce ne la canna a farti suavemente tussire, o qualche ossetto te s'attraversa ne la gola per metterti in pericolo di suffocare;
cossi
nella
nostra
cena,
per
nostra
e comun
disgrazia, vi si son trovate cose corrispondenti e proporzio-
nali a quelle. Il che tutto avviene per il peccato dell’ antico
1 B:
nostra.
? Arèsta
«resta », ma
(B.
7-8)
nella
lingua
non
di
(W.
I, 218)
letteraria
«lisca », come
(L.
ha
i
medesimi
significati
(GI
I,
147)
T,
intendono
213-4)
198
i napoletani
(G=
e il 13.
153-4).
di
DIALOGO
PRIMO
protoplaste Adamo ', per cui la perversa natura umana è condannata ad aver sempre i disgusti gionti ai gusti. Armesso. Pia- e santamente. Or che rispondete a quel che dicono, che voi siete un rabbioso cinico ?? Filotco.
Concederò
facilmente,
se
non
tutto,
parte
di
questo.
Armesso. Ma sapete che non è vituperio tanto di ricevere oltraggi, quanto di farne? Filoteo.
ad un
uomo
Ma basta che gli miei sieno chiamati vendette,
e gli altrui sieno chiamati Armesso.
Anco
offese.
gli Dei son suggetti
a ricevere ingiurie,
patir infamie e comportar biasimi: ma biasimare, infamare e ingiuriare è proprio de’ vili, ignobili, dappoco e scelerati. Filoteo. Questo è vero; però noi non ingiuriamo, ma ributtiamo
l’ ingiurie,
che son fatte non
tanto
a la filosofia spreggiata, con far di modo dispiaceri non s’aggiongano degli altri. Arntesso,
Volete,
dunque,
parer
a noi, quanto
ch'agli ricevuti
cane
che
morde,
a
fin che non ardisca ognuno di molestarvi? Filoteo, Cossf è, perché desidero la quiete, e mi dispiace il dispiacere. Armesso. rosamente. . Filoteo.
Si, ma A
giudicano
fine che
non
che
procedete
tornino
un'altra
troppo volta
rigo-
essi,
ed
altri imparino di non venir a disputar meco e con altro, trattando con simili mezzi termini queste conclusioni. ! Cfr.
è Uomo
sopra,
degli antichi,
p.
canino.
dovette
8, n.
Cfr.
1.
la nota
1 a-p.
5. Bruno,
credere che Antistene
come
qualcuno
e i suoi scolari si fossero
chiamati cinici propter mores quasi caninos. Vedi RITTER e PRELLER,
Hist. philos. graecae8, p. 214. (B.
8-9)
(W.
I, 210)
(L.
214)
(GI
199
I,
147-8)
(G2
I,
154-5).
DE
Armesso.
LA
La
CAUSA,
offesa
PRINCIPIO
fu
privata,
E
UNO
la
vendetta
è
pu-
blica.
Filoteo. Non per questo è ingiusta; perché molti errori si commettono in privato, che giustamente si castigano in publico. Armesso.
tazione,
Ma
con ciò venite
a guastare
e vi fate più biasimevole
che coloro;
blicamente se dirà che siete impaziente,
capo
la vostra ripu-
perché
pu-
fantastico, bizarro,
sventato. Filoteo.
Non
mi
curo,
pur
che
oltre
o altri molesti; e per questo mostro
non
mi
siano
essi
il cinico bastone, acciò
che mi lascino star co’ fatti miei in pace; e se non mi vogliono far carezze, non vegnano ad esercitar la loro inciviltà
sopra
di me.
Armesso.
Or vi par che tocca ad un filosofo di star su la
vendetta ?
Filotelo. Se questi che mi molestano
fussero
una Xan-
tippe, io sarei un Socrate.
Armesso. Non sai che la longanimità e pazienza sta bene a tutti, per la quale vegnano ad csser simili agli eroi ed
eminenti
e, secondo
Dei; altri,
che,
secondo
né si vendicano
alcuni,
si vendicano
tardi,
né si adirano?
Filoteo. T' inganni pensando ch’ io sia stato su la vendetta. Armesso. E che dunque? Filoteo.
Io son stato su la correzione, nell'esercizio della
quale ancora siamo simili agli Dei. Sai che il povero Vulcano è stato dispensato da Giove di lavorare anco gli giorni di festa; e quella maladetta incudine non si lassa o stanca mai a comportar le scosse di tanti e sf fieri martelli, che non sf tosto è alzato l'uno che l’altro è chinato, per far che gli (B. 9-10)
(W.
I, 219-20)
(L. 214-5) 200
(G.1
I, 148-09)
(G.2 I, 155).
DIALOGO
giusti
PRIMO
folgori, con gli quali gli delinquenti
gheno,
non vegnan
ec rei si casti-
meno.
Armesso. È differenza tra voi e il fabro di Giove e marito della ciprigna dea.. Filoteo. Basta che ancora non son dissimile a quelli forse nella pazienza e longanimità; la quale in quel fatto ho essercitata,
non rallentando tutto il freno
al sdegno,
né
toccando di più forte sprone l’ ira. Armesso.
Non
tocca
ad
ognuno
massime de la moltitudine. Filoteo. Dite ancora, massime
di
essere
quando
correttore,
quella
non
lo
tocca.
Armesso. Si dice che non devi esser sollecito nella patria aliena. Filoteo. È io dico due cose: prima, che non si deve uccidere un medico straniero, perché tenta di far quelle cure che non fanno
i paesani;
secondo
dico, che al vero filosofo
ogni terreno è patria. Armesso. Ma se loro non ti accettano né per medico, né per paesano? Filoteo. Non
per questo
mancarà
né
ch'io
per
filosofo
sia.
Anmesso. Chi ve ne fa fede? Filoteo.
Gli
numi
che
me
vi
han
messo,
io che
me
vi
ritrovo, e quelli ch’ hanno gli occhi, che me vi veggono. Armesso. Hai pochissimi e poco noti testimoni. Filoteo.
Pochissimi
e
poco
noti
sono
gli
veri
medici,
quasi tutti sono veri amalati. Torno
a dire, che loro non
hanno
permettere
libertà
altri
di
fare,
altri
di
che
fatti tali trattamenti a quei che porgono onorate o sieno stranieri o non. Armesso. Pochi conoscono queste merci. (B.
10-1)
(W.
T,
220)
(L.
215)
(GI
2ZOI
IT,
149-50)
(G
I,
sieno
merci,
155-0).
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
Filoteo. Non per questo le gemme sono men preciose e non le doviamo con tutto il nostro forzo ! defendere e farle defendere,
liberare
e vendicare
ogni
possibil rigore.
porcini con gli superi,
Armesso
mio,
dalla
conculcazione
de’
piè
E cossi mi sieno propicii
che io mai
feci di simili vendette
per sordido amor proprio o per villana cura d'uomo particulare, ma per amor della mia tanto amata madre filosofia e per zelo della lesa maestà di quella. La quale da’ mentiti familiari e figli (perché non è vil pedante, poltron dizionario 2, stupido strarsi carco
fauno,
igriorante
di libri 3, con
cavallo,
allungarsi
maniere mettersi in prosopopeia,
che,
o con
la barba
o con
moaltre
non voglia intitolarsi de
la fameglia) è ridutta a tale, che appresso il volgo tanto val
dire un filosofo, quanto un frappone 4, un disutile, pedan-
taccio,
circulatore,
saltainbanco,
servir per passatempo a la campagna.
ciarlatano,
buono
in casa e per spavantacchio
per
d'ucelli
Elitropio. A dire il vero, la famiglia de’ filosofi è stimata più vile dalla maggior parte del mondo, che la famiglia I A Napoli
? Pedante,
« fuorzo» è lo stesso che
che
non
s'occupa
d'altro
«sfuarzo »: sforzo.
che
di frasi
(dizioni).
3 Ricorda il Sannazaro che lo Scoppa dice che « molti lo han pregato li faccia vedere l'enestella, Antiade, Trogo e gli altri sei
libri dice
de
li l'asti
d’ Ovidio...;
d'averli ». Cfr.
4 Da
SPAMPANATO,
frappare,
frappatore = ciurmatore pugnatore,
IX,
342
[e)
c cfr.
quanti
libri
Cand.!,
ingannare
(v. anche
p.
ode
xXXxXVII,
ciarlando;
IMBRIANI,
il Candelaio,
nominare,
onde
n.
Natanar
V,
6).
«Quando
ad
Aquila,
2.
tutti
frappone
o
alcuno
in
II, in Pro-
favellando dice cose grandi, impossibili o non verosimili, e insomma quelle cose che si chiamano non bugiuzze o bugie, ma bugioni..., se lo fa artatamente per ingannare o (leggi: e) giuntare..., 0 per parer bravo, si dice frappare »: B. VARCHI, Ercolano, p. 64 (ma 54 (dell’ediz. orig.)) cit. da SPAMPANATO, Cand.z, p. 150. Una commedia
di Massimo
II Frappa (B.
11-2)
Cammelli,
stampata
(vedi
QuaDnrio,
Storia,
(W.
I, 220-1)
(L.
216)
202
V,
88).
(G.!
I, 150)
1566,
(G.2
s' intitola
I, 156-7).
DIALOGO
de’
cappellani;
perché
non
specie di gentaglie, hanno
PRIMO
tanto
quelli,
assunti
da ogni
messo il sacerdocio in dispregio,
quanto questi, nominati da ogni geno di bestiali, hanno posto la filosofia in vilipendio. Filoteo.
Lodiamo,
dunque,
nel
suo
geno
l’antiquità,
quando tali erano gli filosofi che da quelli si promovevano ad essere legislatori, consiliarii
e regi; tali erano
consiliarii
e regi, che da questo essere s’ inalzavano a essere sacerdoti.
A questi tempi la massima parte di sacerdoti son tali, che son spreggiati essi, e per essi son spreggiate le leggi divine; son tali quasi tutti quei che veggiamo filosofi, che essi son vilipesi, e per essi le scienze vegnono vilipese. Oltre che, tra questi la moltitudine
de forfanti,
come
di urtiche,
con
gli contrari sogni suole dal suo canto ancora opprimere la rara virtù e veritade, la qual si mostra ai rari. Armesso. Non trovo filosofo che s'adire si per la spreggiata filosofia, né, o Elitropio, scorgo alcuno sf affetto per la
sua
tutti
scienza, gli
altri
quanto filosofi
questo fussero
Teofilo 1; della
che
medesima
sarebbe,
se
condizione,
voglio dire sf poco pazienti? Elitropio. Questi altri filosofi non hanno ritrovato tanto, non hanno tanto da guardare, non hanno da difender tanto.
IFacilmente possono ancor essi tener a vile quella filosofia
che non
val nulla,
o altra che
val poco,
o quella che non
conoscono; ma colui che ha trovata la verità, che è un tesoro
ascoso, acceso da la beltà di quel volto divino, non meno doviene geloso perché la non sia defraudata, negletta e con-
taminata, che possa essere un altro sordido affetto ® sopra 1 Cosî
Filoteo
®? Affetto
geloso
di due
(B.
(W.
12-3)
qui,
righe
I, 221)
continuerà
come
più
innanzi.
su,
(L..216-7)
203
a chiamarsi
è aggettivo,
(Gt
I,
150-1)
nei
diall.
seguenti.
e vale
quanto
(GT,
157-8).
il
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
l'oro, carbuncolo e diamante, ‘0 sopra una carogna di bellezza feminile. Armesso. Ma ritorniamo a noi, e vengamo al quia. Dicono di voi, Teofilo, che in quella
vostra
Cena tassate e in-
giuriate tutta una città, tutta una provinzia, tutto un regno. Filoteo. Questo mai pensai, mai intesi, mai feci; e se l'avesse pensato, inteso o fatto, io mi condannerei
pessimo,
e sarei apparecchiato a mille retrattazioni, a mille revocazioni, a mille palinodie; non solamente s’ io avesse ingiuriato
un nobile e antico altro, quantunque
regno, come è questo, ma qualsivoglia stimato barbaro: non solamente dico
qualsivoglia città, quantunque diffamata incivile, ma e qualsivoglia lignaggio, quantunque divolgato salvaggio, ma e qualsivoglia fameglia, quantunque nominata inospitale: perché
non
può
essere regno,
città, prole o casa intiera, la
quale possa o si deve presupponere d'un medesimo umore, e dove non possano essere oppositi o contrarii costumi; di sorte che quel che piace a l’uno, non possa dispiacere all'altro. Armesso. Certo, quanto a me, che ho letto e riletto e ben considerato il tutto, benché circa particolari non so perché vi trovo alquanto troppo effuso, circa il generale vi veggo castigata- ragionevole- e discretamente
procedere:
ma il rumore è sparso nel modo ch'io vi dico. Elitropio. Il rumore di questo e altro è stato sparso dalla viltà di alcuni di quei che si senton ritoccati; li quali, desiderosi di vendetta,veggendosi insufficienti con propria raggione, dottrina, ingegno e forza, oltre che fingono quante altre possono falsitadi, alle quali altri che simili a loro non possono porger fede, cercano compagnia con fare ch’ il castigo particolare sia stimato ingiuria commune. (B.
13-4)
(W.
T, 221-2)
(L.
217)
204
(Gt
I,
151-2)
(G.2
I,
158).
DIALOGO
PRIMO
Anmesso. Anzi credo che sieno di persone non senza giudicio e conseglio, le quali pensano l' ingiuria universale,
perché
manifestate
razione. Filoteo. Or
tai costumi
quai
costumi
in persone
son
questi
di
tal
gene-
nominati,
che
simili, peggiori e molti più strani in geno, specie e numero
non si trovino in luoghi delle parti e provinze più eccellenti del mondo? Mi chiamerete forse ingiurioso e ingrato alla mia patria, s' io dicesse che simili e più criminali costumi se ritrovano
in Italia, in Napoli,
in Nola? Verrò
forse per
questo a digradir quella regione gradita dal cielo e posta insieme insieme talvolta capo e destra di questo globo, governatrice
e domitrice
dell’altre
da noi cd altri è stata stimata
generazioni,
maestra,
e sempre
nutrice
e madre
de tutte le virtudi, discipline, umanitadi, modestie e cortesie,
se si verrà ad essagerar di vantaggio quel che di quella han cantato gli nostri medesimi poeti che non meno la : fanno maestra di tutti vizii:, inganni, avarizie e crudeltadi? Elitropio. Questo è certo secondo gli principii della vostra
filosofia;
per i quali
volete che gli contrarii
hanno
coincidenza ne' principii e prossimi suggetti: perché que’ medesimi ingegni, che sono attissimi ad alte, virtuose e generose
imprese,
se fian perversi,
vanno
a precipitar
in
vizii
estremi. Oltre che là si sogliono trovare pi rari e scelti ingegni, dove per il comune sono più ignoranti e sciocchi, e dove per il più generale son meno
particulare I
(Gi
=
si trovano
L:
non
meno
civili e cortesi, nel più
de cortesie e urbanitadi
la;
G*:
non
men
estreme:
la)
= Il Bruno doveva pensare alla celebre invettiva «O d'ogni vizio fetida sentina » (Or/. Fuy., XVII, 76) del suo « Poeta ferrarese » (Spaccio, p. 708 ed FEroici furori, p. 995). (B.
14-5)
(W.
I, 222)
(L.
217-8)
205
(G.1
IT, 152-3).
(G2
I, 159).
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
di sorte che, in diverse maniere, a molte generazioni pare che sia data medesima misura de perfezioni e imperfezioni. Filoleo. Dite Armesso. dolgo,
il vero.
Con
Teofilo,
tutto
che
ciò io,
voi
come
nella
molti
nostra
altri
amorevol
meco,
patria
mi siate
incorsi a tali suppositi, che vi hanno porgiuta occasione di lamentarvi con una cinericia cena, che ad altri ed altri molti che vi avesser fatto manifesto,
quanto
questo nostro
paese, quantunque sia detto da' vostri feritus 1! foto divisus ab
orbe =, sia
armi,
prono
cavalleria,
a
tutti
gli
umanitadi
studi
e
de
cortesie;
buone nelle
lettere,
quali,
per
quanto comporta delle nostre forze il nerbo, ne forziamo di non essere inferiori a’ nostri maggiori e vinti da le altre generazioni;
massime
litadi, le scienze, Filoteo.
Per
da quelle che si stimano aver le nobi-
le armi, mia
fede,
e civilitadi come Armesso,
che
da natura.
in quanto
riferisci
io non debbo né saprei con le paroli, né con le raggioni, né con
la
conscienza
contradirvi,
perché
con
ogni
desterità
di modestia e di argomenti fate la vostra causa. Però io per voi, come per quello che non vi siete avicinato con un barbaro orgoglio, comincio a pentirmi, e prendere a dispiacere di aver ricevuta materia da que’
prefati,
di contristar
voi e altri d'onestissima e umana complessione: però bramarei che que’ dialogi non fussero prodotti, e se a voi piace, mi forzarò che oltre non vengan in luce, Armesso. La mia contristazione, con quella d'altri nobilissimi, tànto manca che proceda dalla divolgazione
I B; paenitus. ® Virgilio, Ecl., Britannos.
(B.
15-6)
(W.
I,
I, 222-3)
67
(ma
(L.
66):
218)
206
(G.!
et
I,
penitus
foto
153-4)
(G.è
divisos
I,
orbe
159-60).
DIALOGO
de quei dialogi, che
PRIMO
facilmente
procurarei
che fussero
tra-
dotti in nostro idioma, a fin che servissero per una lezione a quei poco e male 1 accostumati, che son tra noi; che forse, quando vedessero con qual stomaco son presi e con quai delineamenti son descritti gli suoi discortesi rancontri ? e quanto quelli sono mal significativi, potrebbe essere che, se, per buona disciplina e buono essempio che veggano negli megliori e maggiori, non si vogliono ritrar da quel camino, almeno vegnano a cangiarsi e conformarsi a quelli, per ver-
gogna di esserno 3 connumerati tra tali e quali; imparando che l’onor de le persone e la bravura non consiste in posser e saper
con
que’
fatto. Elitropio.
modi
Molto
esser
molesto,
vi mostrate
ma, nel
discreto
contrario
e accorto
a
nella
causa dc la vostra patria, e non siete verso gli altrui buoni uffici ingrato e irreconoscente, quali esser possono molti
poveri d'argumento e di consiglio. Ma Filoteo non mi par tanto aveduto per conservar la sua riputazione e defendere la
sua
persona;
perché,
quanto
è differente
la
nobiltade
dalla rusticitade, tanto contrarii effetti si denno sperare e temere in un Scita villano, il quale riuscirà savio e per il buon
successo
verrà
celebrato,
se, partendosi
dalle
ripe
del Danubio, vada con audace riprensione e giusta querela a tentar l'autorità e maestà del Romano Senato; che dal colui biasimo e invettiva sappia prendere occasione di fabricarvi sopra atto di estrema prudenza e magnanimitade,
onorando
t (G!
il suo
= L:
rigido
male;
® V. nella Cena, p. 3 Cfr. sopra, p. 61,
(B.
16-7)
(W.
G?:;
I, 223)
riprensore
mal)
170, n. n. 1.
(L.
di statua e di colosso;
1.
218-9)
207
(G.I
I,
154)
(G2
I,
160-1).
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
che se un gentiluomo e Senator Romano per il mal successo possa riuscir poco savio, lasciando le amene sponde del suo Tevere, sen vada, anco con giusta querela e raggionevolissima riprensione, a tentar gli scitici villani; che da quello prendano occasione di fabricar torri e Babilonie d’argumenti
di maggior
viltade,
infamia
e rusticitade,
con
lapi-
darlo, rallentando alla furia populare il freno, per far meglio sapere all'altre generazioni quanta differenza sia di contrattare e ritrovarsi tra gli uomini e tra color che son fatti ad imagine e similitudine di quelli. Ammesso.
Non
fia mai
vero,
o Teofilo,
che
io debba
o
possa stimare che sia degno ch' io, o altro che ha più sale di me, voglia prendere la causa e protezione di costoro, che son materia de la vostra satira, come per gente e pcrsone del paese, alla cui difensione dall’ istessa legge naturale
siamo
incitati;
perché
non
giamai altro che nemico
confessarò giamai,
e non sarò
de chi affirmasse, che costoro sieno
parte e membri de la nostra patria, la quale non consta d'altro che di persone cossi nobili, civili, accostumate, disciplinate, discrete, umane,
voglia.
Dove,
vi si trovano e carogna;
benché
raggionevoli come
vegnan
altrimente
che
contenuti
come
altra qualsi-
questi,
lordura,
di tal sorte, che non potrebono
certo
feccia,
non
lettame
con altro modo
esser chiamati parte di regno e di cittade, che la sentina parte de la nave. E però per simili tanto manca che noi doviamo
risentirci,
che,
risentendoci,
doveneremmo
vitu-
perosi. Da questi non escludo gran parte di dottori e preti,
de’ quali quantunque alcuni per mezzo del dottorato doven-
tano signori, tuttavolta per il più quella autorità villanesca,
che prima non ardivano mostrare, appresso per la baldanza e presunzione, che sc gli aggiunge dalla riputazion di lctte(13.
17-9)
(W.
I, 223-4)
(L.
219-20)
208
(GI,
154-5)
(G.2
I,
161-2).
DIALOGO
rato e prete, vegnono in campo;
PRIMO
audace-
e magnanimamente
a porla
laonde non è maraviglia se vedete molti e molti,
che con quel dottorato e presbiterato sanno più di armento,
mandra e stalla, che quei che sono attualmente strigliacavallo, capraio e bifolco. Per questo non arrei voluto che sf aspramente vi fuste portato verso la nostra Universitade ! ancora, quasi non perdonando al generale, né avendo rispetto
a quel che è stata, sarà o potrà essere per l'avvenire, e in parte è al presente. Filoteo.%
Non
vi
affannate,
perché,
benché
quella
ne
sia presentata per filo in questa occasione, tutta volta non fa tale errore che simile non facciano tutte l’altre che si stimano maggiori, e per il più sotto titolo di dottori cacciano annulati cavalli e asini diademati. Non gli toglio però quanto da principio sia stata bene instituita, gli begli ordini di studii, la gravità di ceremonie, la disposizione degli esercizii,
decoro degli abiti e altre molte circostanze che fanno alla necessità e ornamento alcuno,
non
è chi
di una
non
academia;
debba
onde,
confessarla
senza dubio
prima
in
tutta
l'Europa e per conseguenza in tutto il mondo. E non niego che, quanto alla gentilezza di spirti e acutezza de ingegni, gli
quali
tannia
naturalmente
produce,
l’una
sia simile
tutte che son veramente
e l’altra
e possa
parte
de
esser equale
eccellentissime.
Né meno
la
Brit-
a quelle è persa
la memoria di quel, che, prima che
le lettere
speculative
si
l’ Europa,
fiorirno
ritrovassero
nell’altre
parti
de
in
questo loco; c da que’ suoi principi de la metafisica, quan-
I Si allude
al modo
Università di Oxford. * BD: Th.[eophilo]. (3.
19-20)
(\V.
in cui
I, 224-5)
(L.
nella
220)
209
Cena,
(G.
p.
I,
133,
155-060)
si discorre
(GI,
della
162).
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
£
UNO
tunque barbari di lingua e cucullati di professione !, è stato il splendor d’una nobilissima e rara parte di filosofia (la quale a’ tempi nostri è quasi estinta) diffuso a tutte l’altre academie de le non barbare provinze. Ma quello
che mi
ha molestato
e mi
dona insieme
insieme
fastidio
e riso, è, che con questo che io non trovo più romani e più
attici di lingua che in questo loco, del resto (parlo del più generale) si vantano di essere al tutto dissimili e contrarii a quei che furon prima; li quali, poco solleciti de l'eloquenza e rigor grammaticale,
erano tutti
che da costoro son chiamate
intenti
Sofismi.
Ma
alle
io
speculazioni,
più
stimo
la
metafisica di quelli, nella quale hanno avanzato il lor prencipe Aristotele (quantunque impura e insporcata con certe vane
conclusioni
e
teoremi,
che
non
sono
filosofici né
teologali, ma da ociosi e mal impiegati ingegni), che quanto possono apportar questi de la presente etade con tutta la lor ciceroniana eloquenza e arte declamatoria. Armesso. Queste non son cose da spreggiare. Filoteo.
È
vero;
ma,
dovendosi
far
elezione
de
l’un
de’ doi, io stimo più la coltura dell'ingegno, quantunque sordida la fusse, che di quantunque disertissime paroli e lingue ?. 1 Basti
di Oxford
ricordare
dal
1248
al
Roberto
1261
(su
Iilwardby,
lui v.
domenicano,
BAUR,
Dom.
professore
Gundissalinus,
de divis. philosophiae, in Beitr. z. Gesch. Phil. Mitt., 1903, IV e DE Woutr, Hist. Philos. méd.2, pp. 315-0) e Giovanni Duns Scoto, fran-
cescano,
che insegnò pure a Oxford
dal 1294, se non prima,
al 1304.
Vedi il cap. The place of Oxford in Medieval Thought, in RASHDALL,
o. c.,
II,
11, 518
è Tilippo
Sgg.
Sidney,
l’amico
del
Bruno,
diceva
di
Oxford
che
«le quattro facoltà ivi non ne formano che una sola, quella dei grammatici »;‘e di quei dottori: « Dum verba sectantur, res ipsas negligunt ».
(B,
20-1)
Vedi
(W,
BartHoLmÈss,
I, 225)
(L.
/.
220-1) 2IO
Bruno,
(G!.
I,
156-7)
128-9
in
nota.
(G2.
T,
102-3).
DIALOGO
PRIMO
Elitropio. Questo proposito mi fa ricordar di fra Ventura: il quale, trattando un passo del santo Vangelo, che dice reddite quae sunt Caesaris Cacesari +, apportò a proposito tutti gli nomi de le monete che sono state a’ tempi di romani, con le loro marche e pesi, che non so da qual diavolo
di annale o scartafaccio l'avesse racolti *, che furono più di cento e vinti, per farne conoscere quanto era studioso e retentivo.
A
costui,
finito
il sermone,
essendosegli
acco-
stato un uom da bene, li disse: — Padre mio reverendo 3, di grazia, imprestatemi un carlino. — A cui rispose che lui era de l'ordine mendicante. Armesso. A che fine dite questo?
Elitropio. Voglio
dire che quei che son molto
versati
circa le dizioni ce nomi, e non son solleciti delle cose, cavalcano la medesima mula con questo reverendo padre de le mule. Armesso.
Io
credo
che,
oltre
il studio
de
l’eloquenza,
nella quale avanzano tutti gli loro antiqui, e non sono inferiori
agli
altri
moderni,
ancora
non
sono
mendichi
nella
filosofica+ e altrimente speculative professioni; senza la perizia de le quali non possono esser promossi a grado alcuno; perché gli Statuti de l’università, alle quali sono astretti per giuramento, comportano che nullus ad philo-
1 MattH., XXII, 21. ? Intorno alla passione da cui furono presi per le monete c per
le medaglie
PANATO,
antiche
Postille,
p. 466.
3 B: R. 4 L: filosofica[-). della frase.
(B. 21)
(W.
i maggiori Ma
uomini
l’avverbio
I, 225-6)
(L. 221) ZII
13
—
G@.
Bruno.
Dialoghi
italiani
non
del Cinquecento, muterebbe
(GT,
157)
vedi
affatto
(GI,
Spam-
il senso
163-4).
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
sophiae et theologiae magisterium et doctoratum promoveatur,
nisi epotaverit: e fonte Aristotelis. Elitropio. Oh, io ve dirò quel ch’ han esser
pergiuri.
all'una hanno
Fons
Di
tre
fontane,
imposto
Pythagorae=,
nome
Valtra
che
sono
fatto
per
non
nell’ Università,
Fons Artsfotelis, l’altra dicono
chiamano
Fons
Platonis.
Da
questi tre fonti traendosi l’acqua per far la birra e la cervosa 3 (de la qual acqua pure non mancano di bere i buoi e gli cavalli), conseguentemente non è persona, che, con esser
dimorata meno che tre o quattro giorni in que’ studii e collegii, non vegna ad esser imbibito non solamente del fonte di Aristotele,
ma
e oltre di Pitagora e Platone.
Armesso. Oimé, che voi dite pur troppo il vero. Quindi aviene, o Teofilo, che li dottori vanno a buon mercato come le sardelle, perché come con poca fatica si creano, si trovano,
si pescano, cossi con poco prezzo si comprano. Or dunque, tale essendo appresso di noi il volgo di dottori in questa etade (riserbando però la reputazione d'alcuni celebri c per l’eloquenza e per la dottrina c per la civil cortesia, quali sono un Tobia Mattheo 4, un Culpepero 5, e altri che non
so
nominare),
accade
che
tanto
manca
che
uno,
per
chiamarsi dottore, possa esser stimato aver novo grado di nobiltade, che più tosto è suspetto di contraria natura e condizione, se non sia particolarmente conosciuto. Quindi 1 L
corregge
potaverit.
® (G!: Phytagorae; G*: Phifagorae (L, correttamente, Pylhagorac).) 3 Lo stesso che «cervogia», dal lat. cervisia.
4 Tobias Matthew (1546-1628), allora decano della Christ Church a Oxford, più tardi arcivescovo di York: eccellente predicatore. V. McINTYrRE, p. 20. $ Martin Culpepper, rettore del Nuovo Collegio di Oxford dal 1573
al
‘00
(B. 21-2)
(McInTYRE,
(W.
I, 226)
ivi).
(IL. 221-2) 212
(GI,
158)
(G.2 I, 164-5).
DIALOGO
accade
PRIMO
che quei, che per linea o per altro accidente
son
nobili, ancor che gli s'aggiunga la principal parte di nobiltà
che è per la dottrina, si vergognano di graduarsi e farsi chiamar dottori, bastandogli l’esser dotti. E di questi arrete maggior numero ne le corti, che ritrovar si possano pedanti nell’ Universitade !. Filoteo.*»
Non
i luoghi,
dove
semenza
di
veramente
vi
son
quelli; preti,
lagnate, dottori dove
Armesso 3,
e preti, quei
benché
perché
si trova
che
sono
promossi
da
in
l'una
e l’altra
veramenti bassa
tutti
dotti
e
condizione,
non può essere che non sieno 3.:s inciviliti e nobilitati, perché la scienza è uno esquisitissimo camino a far l'animo umano eroico. Ma quegli altri tanto più si mostrano espressamente rustici, quanto par che vogliano o col divum pater + 0 col gigante Salmoneos altitonare, quando se la spasseggiano da purpurato satiro 0 fauno con quella spaventosa e imperial
prosopopeia, dopo aver determinato nella catedra regentale 6 a qual declinazione appartenga lo Hic, el hacc, et hoc nihil. Armesso. Or lasciamo questi propositi. Che libro è questo che tenete in mano ? Filoteo. Son certi dialogi. 1 (G! (= L): uiversitade; G>: Universade tipogr.).) è» B:Th.[cophilo] 3 B: Henmnesso. Li Harmesso. 3 dis (Gt = L: sieno; G?: siano) 4 Giove tonante. 5 VirgiLIo,
Aes.,
VI,
585-6.
B:
Salmonea
maestro
d'una
delle
(per
evidente
svista
(cfr.
il testo
di Vir-
gilio e vedi per un analogo caso p. 1083, n. 4: la correzione è dunque superflua). 6 Cioè, di «reggente ». Ed era chiamato «reggente» non solo chi aveva Ila soprintendenza negli studi, ma anche, specialmente fuor
d’ Italia,
condario. (B.
22-3)
il
(W.
I
220)
(L.
222)
213
(GI!
classi
dell'insegnamento
1, 158-9)
(G2
I,
105).
se-
DE
LA
CAUS.I,
PRINCIPIO
E
UNO
Armesso. La Cena? Filoteo. No. Armesso. Che dunque? Filoteo. Altri, ne li quali si tratta De /a causa, principio
e uno secondo la via nostra. Armesso.
Quali interlocutori ? Forse abbiamo quall’altro
diavolo di Frulla o Prudenzio,
che di bel nuovo ne mettano
in qualche briga. Filoteo.
son
Non
suggetti
quieti
Armesso.
da scardar
dubitate,
Si
che, tolto uno,
tra gli altri tutti
e onestissimi.
che,
qualche
secondo
il vostro
dire,
arremo
pure
cosa in questi dialogi ancora?
Filoteo. Non dubitate, perché più tosto sarrete grattato
dove
vi prore!,
Armesso.
che
Pure?
Filoteo. Qua
amorevole, Dicsono 3,
stuzzicato
per
ben che
uno
creato il
vi duole.
trovarete
e tanto
Nolano
dove
ama
quel
dotto,
fidele
amico
quanto
gli
onesto,
Alessandro* occhi
suoi;
il
quale è causa che questa materia sia stata messa in campo. Lui è introdutto come quello, che porge materia di considerazione al Teofilo. Per il secondo
avete Teofilo,
che sono io;
che secondo le occasioni, vegno a distinguere, definire e dimostrare circa la suggetta materia. Per il terzo avete Gervasio, uomo che non è de la professione; ma per passa1 V. napol. che corrisponde alla letteraria: prude. La locuzione usata qui è oggi più che mai viva. * (GI! = L: Alessandro; G?: Alessando (per evidente errore tipogr.).) 3 Alexander
Dicson,
che
scrisse
un’opera
I, 226-7)
(L.
222-3)
(G.!
mnemonica
De
rationis et iudicii, sive de memoriae virtute prosopopeia (1593) tracce del trattato De wnbris idearum (1582) del Bruno. McINTYRE, pp. 35-6, 324. (B.
23-4)
(W.
214
I,
159-60)
(G.2
I,
umbra
sulle Vedi
165-6).
DIALOGO
PRIMO
tempo vuole esser presente alle nostre conferenze; ed è una persona che non odora né puzza! e che prende per comedia gli fatti di Poliinnio e da passo in passo gli dona campo di fargli esercitar Ja pazzia. Questo sacrilego pedante avete per il quarto: uno de’ rigidi censori di filosofi, onde
si aflerma
Momo,
uno
affettissimo*
circa
il suo
gregge di scolastici, onde si noma nell'amor socratico3; uno, perpetuo nemico del femineo sesso, onde,
per non esser fisico, si stima Orfeo, Museo, Titiro e Anfione.
Questo è un di quelli, che, quando ti arran fatto una bella construzione,
prodotta
una
elegante
epistolina,
una bella frase da la popina ciceroniana, Demostene,
re di Creta, zioni;
qua è risuscitato
qua vegeta Tullio, qua vive Salustio;
Argo, che vede qua Radamanto
qua è un
ogni lettera, ogni sillaba, ogni dizione; wnibras vocat ille silentum +, qua Minoe,
urnam
movet i. Chiamano
queste
sanno di poeta, queste di comico, questa di oratore;
questo
grave,
discussione
questo
è
de
lieve,
le
frase,
all’essamina le ora—
è
fanno
scroccata
quello
è
con
dire:
sublime,
quell'altro
è
humile dicendi genus; questa orazione è aspera; sarrebe leve, se fusse formata cossi; questo è uno infante scrittore,
poco studioso de la antiquità, non redolet Arpinatem, desipit Latium. Questa voce non è tosca, non è usurpata da Boccaccio,
Petrarca
e
altri
probati
autori 6.
Non
si
scrive
1 Come Mochione (nel Cand., proprol.) il garzone di Bartolomeo, che «non è caldo né freddo, non odora né puzza ». * Cfr. sopra, p. 203, n. 2, 3 Cfr. nel dial. IV, p. 293. 4 B:
VI, 432-3.
Radamento.
5 Vira.
L'emistichio
seguente
è
di
ViRro.,
Aen.,
ivi.
VI,
6 11 pedante del Cand., III, 12. «Questo vocabulo che voi dite, non è latino né etrusco; e però non lo proferiscono di miei pari». (B.
24-5)
(W.
I, 227)
(L.
223)
215
(G.t
I,
160)
(GI,
166-7).
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
homo, ma omo; non honore, ma onore; non Polihimnio, ma Poliinnio. — Con questo
triomfa,
si contenta
di
sé,
cosa i fatti suoi: è un Giove,
gli
piaceno
che, da l'alta specula, remira,
e considera la vita degli altri uomini rori,
calamitadi,
miserie,
più ch’ogn’altra
fatiche
suggetta
inutili.
Solo
a tanti erlui
è felice,
lui solo vive vita celeste, quando contempla la sua divinità nel
specchio
pino,? Con
d’un Spicilegio 1, un
un Lessico,
questa
un
sufficienza
Dizionario,
Cornucopia 3, dotato,
un
mentre
un
Cale-
Nizzolio:. ciascuno
è
uno,
I Lo Spicilegion del celebre grammatico napoletano L. G. Scoppa, che fece epoca e imperò nelle scuole per tutto il sec. XVI
e parte
del
seguente.
Vedi
N.
BaroNE,
Lucio
Giovanni
Scoppea,
grammatico napol. del sec. XVI, in Hrch. stor. napol., XVIII. ? Ambrogio Calepino (1435-1511), agostiniano, autore del primo vocabolario latino per le scuole, divenuto celeberrimo (stampato a Reggio, 1502). 3 Cornucopiae sive commentaria linguae latinae, opera anch'essa usitatissima allora, di Nicola Perotti (1430-1480), arcivescovo di Manfredonia, stampata la prima volta nel 1480. 4 Mario Nizzoli (n. 1488, m. 1566), notissimo per le suc Observationes in M. Tullinni Ciceronem (1535) o Thesaurus ciceronianus, come s' intitola in alcune ristampe; stampato già più di trenta volte,
quando GANI,
M.
lo citava qui il Bruno Nizzoli,
nei Rend.
(cfr. l'elenco delle edizioni in G. Da-
della R. Acc. dei Lincei,
a. 1893,
p.
914
sgg.). Sul Nizzoli filosofo v. M. GLossNER, Nic. v. Cusa u. AM. Niz. als Vorlaufer der neueren Philos,, Miinster, 1891, pp. 148 e sgg.; G. CALDI, La critica nel sec. XVI contro la log. avistot. e l’ insegn. scolastico, Udine, 1896; e l'opuscolo di R. BATTISTELLA, M. Niz. tnnamista e filosofo, Treviso, Zoppelli, 1004. Nel De Afinimto, lib. III,
c. I (in Opera, 1, 11, p. 236) il Bruno accenna con disprezzo al diluvio dei presuntuosi e arroganti grammatici del suo tempo «qui, recitatis a fonte Graecorum textibus, synopsibus, erotematibus, enchiridiis, spicilegiis, thesauris, ad Cicceronis et veri Latii amussim inter-
pretationibus, variis (cum originalium falsificatione, ut aliquid inde noviter sibi cudendum pro literario specimine conquirerent) lectionibus, ut novarum litium de Iegitimo textu e regione adiccto proto-
(B. 25)
(W.
I, 227-8)
(L. 223)
(G.!
216
I, 160-1)
(G.3
I, 167-8).
DIALOGO
lui solo è tutto.
Se avvien
PRIMO
che
rida si chiama
Democrito,
s'avvien che si dolga si chiama Eraclito, se disputa si chiama Crisippo, se discorre si noma Aristotele, se fa chimere si appella Platone, se mugge un sermoncello se intitula Demostene,
se construisce
Virgilio lui è il Marone.
Qua
cor-
rege Achille, approva Enea, riprende Ettore, esclama contro Pirro, si condole comenda
infilza
di Priamo,
arguisce Turno,
Acate 1; e in fine,
salvatiche
mentre
sinonimie,
will
iscusa Didone,
verdbun divinum
verbo
reddit
a
aliemon
se
e
putat. E cossi borioso smontando da la sua catedra, come colui ch’ ha disposti i cieli, regolati i senati, domati eserciti, riformati
i mondi,
è certo
che,
se non
fusse
l' ingiuria
dcl
tempo, farebbe con gli effetti quello che fa con l'opinione. — 0 tempora, 0 mores*) Quanti son rari quei che intendeno la natura de’ participi, degli adverbii, delle coniunctioni! Quanto tempo è scorso, che non s' è trovata la raggione e vera causa, per cui l'adiectivo deve concordare col sustantivo,
il relativo
che
ora
regola
si pone
e con che misure intericzione
con
l'antecedente
avanti,
ora
deve
addietro
coire, de
l’orazione;
e quali ordini vi s' intermesceno
dolentis,
gaudentis,
heu,
oh,
ahi,
e con
quelle
ah, hem,
ohe,
lui, ed altri condimenti, senza i quali tutto il discorso è insipidissimo?_ — Elitropio. Dite quel che volete, intendetela come vi piace; io dico, che per la felicità de la vita è meglio sti-
plastes et archimandritae asinorum patres censerentur, innumerabilibus tabulis, lexiconibus, item isagogiis, id est introductoriis seu, si dicere mavis,
exclusoriis,
in extremam
! Per questo ritratto cfr, GIOVENALE,
2 CicERONE,
(B.
25-6)
(W.
/n
Catil.,
I, 228)
I,
(L.
2.
224)
217
(GI
confusionem
perduxerunt
».
Saf., VI, 434-7 e VII, 35-09.
I,
161-2)
(G.2
I,
108).
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
marsi Creso ed esser povero, che tenersi povero ed esser Creso. Non è più convenevole alla beatitudine aver una zucca che ti paia bella e ti contente,
che una
Leda,
una
Elena,
che ti dia noia e ti vegna in fastidio ? Che dunque importa a costoro l'essere ignoranti e ignobilmente occupati, se tanto son più felici, quanto più solamente piaceno a se medesimi?
Cossi
è
cavallo, come 1 BL:
buona
l’erba
fresca
a
l'asino,
l’orgio
al
a te il pane di puccia e la perdice !; cossi
come
un
te il pane
di puccia,
é la perdice.
W
corresse;
come unto il pane di puccia a la perdice, annotando
(**): « Puccia =
PUZZA; né s’accorge
che, cosi conciato,
cibo,
non
ghiottoneria.
l'a«unte»
correggersi
in
puzza ». E a IV si attenne, benché tenesse pure avanti B, il Lasson, traducendo (p. 20): wie mit Dreck beschmiertes Brot dem Rebhuhn, come pane mischiato allo sterco [piace] alla pernice. Il TFrorenTINO (Opera, I, 1, p. xiv), fra gli altri errori commessi dal Wagner nella stampa di questo dialogo, nota: «Il Bruno, ricordevole di una ghiottoneria napoletana del suo tempo, parla del pane di puccia unto alla perdice; ed il IV annota: puccia =
fa stomaco ». Ma
Che
non
dice donde
questo
abbia
debba
chiaro dalla contrapposizione tra l'uomo e
che far gola,
cavato la notizia di cotesta «a
te»
par
l'asino o il cavallo, come
appresso tra il porco e un Giove. E la virgola data dalla stampa originale dopo freccia ci assicura che l'è seguente va corretto in e (senza l'accento) e non in a. Sicché le ghiottonerie ricordate dal B. son due: il pane di puccia (non certo dreckig, come crede il Lasson)
e la pernice.
Dal
«pane
bruno
vel de assisa,
paris
secundarius »,
dal « peruto vel muffuto vel fiorito, paris caerileus », dall’ « infarigno vel de brenna, epitfiyrins », dal «facto con tucta la brenna, autopyrus» nello Spicilegio dello ScopraA (ediz. napol. del 1551, p. I, p. 214 c Indice) è distinto il «fpanis primarius, pane bianco vel de puccia ». Il quale è ricordato nel principio del Seicento da G. C. CortEsE (Micco Passaro nnamorato, II, 10): A la casa porzi l'era mannata “La falanghina da lo tavernaro
Pane Che
Ma
due
puccia
spesa
stea
da lo panettiero,
da cavaliero.
sccoli avanti anche un pocta toscano; Ben ch'io mangi a Gaeta pan di puccio:
Burcmerto,
(B.
de
senza
26)
Rime,
(W.
Venezia,
T, 228)
(L.
Marcolini,
224)
(GT,
218
1553,
162)
part.
(G3=
V,
I,
p.
198.
168-0).
Ci
DIALOGO
PRIMO
si contenta il porco de le ghiande e il brodo, come un Giove
de l'ambrosia e nettare. Volete forse toglier costoro da quella dolce pazzia, per la qual cura appresso ti derrebono rompere il capo ? Lascio che, chi sa se è pazzia questa
o quella? Disse un pirroniano: chi conosce se il nostro stato è morte, e quello di quei che chiamiamo defunti, è vita? Cossf chi sa se tutta la felicitàe vera beatitudine consiste nelle debite copulazioni e apposizioni! de’ membri dell'orazioni ? Armesso, Cossi è disposto il mondo: noi facciamo il Democrito sopra gli pedanti e grammatisti, gli solleciti corteggiani fanno il Democrito sopra di noi, gli poco penserosi monachi e preti democriteggiano sopra tutti; e reciprocamente gli pedanti si beffano di noi, noi di corteggiani, tutti degli monachi; all’altro,
verremo
e in conclusione,
ad
esser
tutti
mentre
differenti
l'uno è pazzo
in specie
e con-
cordanti in genere et numero el casu. Filoteo. Diverse per ciò son specie e maniere de le censure, varii sono gli gradi di quelle, ma le più aspre, dure, orribili e spaventose son degli nostri archididascali. Però a questi doviamo picgar le ginocchia, chinar il capo, converter gli occhi
ed alzar le mani,
suspirar,
lacrimar,
escla-
mare e dimandar mercede. A voi dunque mi rivolgo, o chi portate in mano il caducco di Mercurio per decidere ne le si consenta qui di notare che in due versi dello stesso poeta (part. p. 150): Che
camminando,
Andvebbe è
indietro
avendo
al cul
il di sessanta
l'illustrazione, (come mi fa avvertire
notata,
d'una
delle
1 (L'«emendaz.» cessaria.) (B.
26-7)
(\V.
I,
tante
bizzarre
opposizioni
229-9)
{L.
la Lriglia,
miglia
219
—
lo Spampanato)
oscenità
del
(Amerio:
224-5)
(G.t
IV,
cfr. I,
Cand.
Namer)
162-3)
(G.2
non
ancora
(II, 5).
non
è ne-
169-70).
DE
controversie,
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
e determinate!
E
UNO
le questioni ch’accadeno tra
gli mortali e tra gli dei; a voi, Menippi, che, assisi nel globo de la luna,
con
gli occhi
ritorti
e bassi
ne mirate,
avendo
a schifo e sdegno i nostri gesti; a voi, scudieri di Pallade, antesignani
di
Minerva,
castaldi
di
Mercurio,
magnarii
di Giove, collattanei di Apollo, manuarii d’ Epimeteo, botteglieri di Bacco, agasoni delle Evante =, fustigatori de le Edonide 3, impulsori delle Tiade, subagitatori delle Menadi,
subornatori
delle
Bassaridi,
mallonidi 14, concubinarii
della
l’ intusiasmo,
del popolo
demagoghi
di Demogorgone,
Dioscori
rieri del Pantamorfo, fice Aron $; a voi
equestri
ninfa
Egeria,
e capri emissarii
raccomandiamo
Mi-
correttori
errante,
delle fluttuanti
delle
disciferatori
discipline,
del sommo
la nostra
de
teso-
ponte-
prosa,
sotto-
mettemo le nostre muse, premisse, subsunzioni, digressioni, parentesi, applicazioni, clausule, periodi, costruzioni, adiettivazioni,
epitetismi.
O
voi,
suavissimi
aquarioli,
che
con
le belle eleganzucchie nc furate l'animo, ne legate il core, ne fascinate la mente, e mettete in prostribulo le meretricole anime
nostre;
riferite a buon
conseglio i nostri barbarismi,
date di punta a' nostri solecismi, turate le male olide voragini, castrate i nostri Sileni, imbracate
gli nostri Nohemi ‘,
fate eunuchi di nostri macrologi, rappezzate le nostre eclipsi, affrenate
gli nostri
taftologi,
moderate
le nostre
1 IVL: determinare. ? Cioè, asinai delle Baccanti. 3 Le Haccanti del monte Edone. altri
4 Bassaridi.
nomi
5 Vedi 6 Noè.
delle
(B:
Mimallonidi
il Levitico, VIII, 18-23. Per l‘allusione cir. lo Spaccio,
per l'amor del vino, razione a' figli »).
(B. 27-8)
Bussaridi),
Baccanti.
(W.
mostrava
I, 229)
il principio
(L. 225)
(G.1
220
p.
(2: 799
organico
I, 163-4)
acrilogie,
Afinmiallonidi), («che,
della
(GI,
imbreaco
lor gene-
170-1).
DIALOGO
PRIMO
condonate a nostre escrilogie, iscusate i nostri perissologi 1, perdonate a' nostri cacocefati. Torno a scongiurarvi tutti in generale,
e in particulare te, severo supercilioso e salva-
ticissimo maestro Poliinnio, che dismettiate quella rabbia
contumace e quell’odio tanto criminale contra il nobilissimo sesso femenile =; e non ne turbate quanto ha di bello il mondo,
e il cielo
con
suoi
tanti
occhi
scorge.
Ritornate,
ritornate a voi, e richiamate l'ingegno, per cui veggiate che questo vostro livore non è altro che mania espressa e
frenetico furore. Chi è più insensato e stupido, che quello che
non vede la luce? Qual pazzia può esser più abietta, che per raggion
di sesso, esser nemico
barbaro
re di Sarza, Natura
che,
non
per aver
può
Poi che natura
lat.,
1 L:
perissologie.
rec.
KEIL,
IV,
—
far cosa
femina
Nell'Ars
304-5),
all’istessa natura, come quel
oltre
imparato
da voi, disse:
perfetta
vien
detta3.
grammatica
il barbarismo
di
DonATO
(Granun.
e il solecismo,
sono
enumerati altri dicci vizi: l'acsrolfogia (impropria dictio), il cacenphaton (obscena enuntiatio), il fp/conasmos, la perissologia (supervacua verborum adicctio sine ulla vi rerum), la macrologia (longa sententia res non
nccessarias comprehendens),
la tautologia,
l'eclipsis,
la fapinosis (umilitas rei magnae non id agente sententia) e il cacosyntheton (vitiosa compositio dictionum), — Il B. anche nel Cand., II, 1 fa dire a Manfurio: «Questo cacocephaton, idest prava clocuzione.... ». Ma né in Donato né nelle grammatiche cinquecentesche del Despautères c dello Scoppa è questa forma forse volutamente scorretta. Cosî la sua acrilogia è l'acyrologia di Donato (ma la Greenberg traduce sharpness: cfr. lFLorIo, New World of Words, D. 9); i faftologi saranno tautologie (ma vedi l’LORIO, 0. c., p. 552); i cacocefati, cacenphata; le escrilogie, alogpoAoyriar (SENOFONTE, Lac., 5, 6), espressioni oscene. 2 Non è difficile che dalla chiusa di questo primo dialogo abbia tratto
l'ispirazione
l'autore
de’
Secondi
frutti:
v.
SPAMPANATO,
G. Florio, un anrico del B. in Inghilterra, in Crit., v. XXIL pp. 123-4, 2460-7 (e ora YATES, op. cit., pp. 122 SgE.). 3 Arrosto, Orf. Fur., XXVII, 120. Ma il 19 verso è: « Veggo che (la Natura) non può far cosa perfetta ». Cfr. p. 202.
(B. 28-0)
(W.
I, 2209-30)
(L. 225-60) 221
(Gt
T, 164-5)
(G2
I, 171-2).
DE
Considerate
LA
CAUSA,
alquanto
il
PRINCIPIO
vero,
E
alzate
UNO
l’occhio
a
l’albore
de la scienza del bene e il male 1, vedete la contrarietà ed
opposizione ch’ è tra l’uno e l’altro. Mirate chi sono i maschi, chi sono le femine. Qua scorgete per suggetto il corpo, ch' è vostro
amico,
maschio,
là
l’anima
che
è
vostra nemica,
femina. Quail maschio caos, là la femina disposizione; qua il sonno,
là la vigilia;
qua
il
letargo,
là la memoria;
qua
l’odio, là l'amicizia; qua il timore, là la sicurtà; qua il rigore, là la gentilezza; qua il scandalo, là la pace; qua il furore, là la
quiete;
qua
perfezione;
l'errore,
là la verità;
il difetto,
là la
qua l'inferno, là la felicità; qua Poliinnio poe-
dante,
là Poliinnia
musa.
menti
e delitti son
maschi;
bontadi
son
fortezza,
la temperanza,
la divinità,
qua
femine. cossi
E
finalmente
tutti
vizii, manca-
e tutte le virtudi,
Quindi
la prudenza,
la bellezza,
si nominano,
la giustizia,
Ia maestà,
cossf
eccellenze
e
la
la dignità,
s' imaginano,
cossi
si
reali
c
descriveno, cossf si pingono, cossi sono. E per uscir da queste raggioni teoriche, nozionali e grammaticali, convenienti
al vostro
argumento,
e venire
alle naturali,
prattiche: non ti deve bastar questo solo essempio a ligarti la lingua, e turarti la bocca, che ti farà confuso con quanti altri sono tuoi compagni, se ti dovesse mandare a ritrovare
un maschio megliore o simile a questa Diva Elizabetta *, che regna in Inghilterra; la quale, per esser tanto dotata, esaltata,
faurita,
! Della
scienza
difesa
stessa,
e mantenuta
s'intende,
da’
cicli,
di
Poliinnio.
(GT,
165-6)
in vano
Tutta
si
la confu-
tazione seguente è satirica, « con raggioni convenienti all'argomento » di Poliinnio. Il vero pensiero del Bruno sulle donne è espresso nella lettera al Sidney premessa agli Zroici furori. ? Vedi sopra, pp. 67-9. (B.
29-30)
(W.
I, 230)
(IL. 220) 222
(G2
I,
172-3).
DIALOGO
PRIMO
forzaranno di desmetterla l’altrui paroli o forze? A questa dama, dico, di cui non è chi sia più degno
in tutto
il regno,
non è chi sia più eroico tra’ nobili, non è chi sia più dotto tra’ togati, non è chi sia più saggio tra’ consulari 1 ? In comparazion de la quale, tanto per la corporal beltade, tanto per la cognizion de lingue da volgari e dotti, tanto per la notizia de le scienze ed arti, tanto per la prudenza nel governare, tanto per la felicitade di grande e lunga autoritade, quanto per tutte l'altre virtudi civili e naturali, vilissime
sono
le
Sofonisbe,
le
Faustine,
le
Semirami,
le
Didoni, le Cleopatre ed altre tutte, de quali gloriar si possano l' Italia, la Grecia, l’ Egitto e altre parti de l’ Europa ed Asia per gli passati tempi ? Testimoni mi sono gli effetti c
il
fortunato
rimira
che
il secolo presente;
correndo dano,
successo,
irato il Tevere,
sanguinosa
non
senza
quando
nel dorso
minaccioso
la Senna,
nobil
il Po,
turbida
maraviglia
de l’ Europa, violento
la Garonna,
il Ro-
rabbioso
l’Ebro, furibondo il Tago, travagliata la Mosa, inquieto il Danubio; ella col splendor degli occhi suoi, per cinque lustri e più s' ha fatto tranquilla il grande Oceano, che col continuo reflusso e flusso lieto e quieto accoglie nell'ampio seno
il suo
diletto
Tamesi;
il quale,
fuor
d'ogni
tema
e
noia, sicuro e gaio si spasseggia, mentre serpe e riserpe per
l'erbose sponde. Or dunque, per cominciar da capo, quali... Anmesso.
acqua
t
al
Taci è, taci,
al nostro
IWL
tolsero
Occano
(B.
Cfr.
30-1)
Cand.,
(W.
non
e lume
al nostro
l'interrogazione,
2 Napoletanescamente
tu.
Filotco
I,
3,
T, 230-1)
p.
costui 32,
(L.
n.
ti forzar
di
sole:
gionger
lascia
di
dal
voi
erroncamente.
passa, 1.
226-7)
223
(GI
senz'avvedersene, I,
166-7)
(G2
I,
173).
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
mostrarti abstratto, per non dirti peggio, disputando con gli absenti
Poliinnii,
Fatene
un poco
copia
di questi presenti
dialogi, a fine che non meniamo ocioso questo giorno e ore. Filoteto.
Prendete,
Fine
(B.
31)
(W.
leggete.
dcl
I, 231)
primo
(L.
227)
224
(GT
dialogo.
I,
167)
(G:2
I,
173).
DIALOGO
SECONDO
INTERLOCUTORI Diesuno
Dicsono.
Avelio 1, Teofilo,
Di
grazia,
Gervasio,
maestro
Poliinnio.
l'oliinnio, c tu,
Gervasio,
non interrompete oltre i nostri discorsi. Poltinnio. Fiat. Gervasio.
io
non
Se costui, che è il magister,
posso
Dicsono.
tacere. Si che
dite, Teofilo,
primo principio e prima causa, Teofilo.
parla, senza dubio
Senza
dubio
che
ogni
cosa,
che
non
è
ha principio ed ha causa?
e senza controversia
alcuna.
Dicsotto. Credete per questo, che chi conosce le cose causate e principiate, conosca la causa e principio? Tcofilo. Non facilmente la causa prossima e principio prossimo,
difficilissimamente,
e principio Dicsono.
dial.
Or come
Alessandro,
nome
dal
intendete
primo
vestigio,
la
causa
che
(p.
214)
fu il vero
fu Alexander
dell'opera
che le cose, che hanno
e prossimo,
precedente
» del Dicson
titolo
in
primo.
sa e principio ! Nel
anco
citata
lo
nome
Dicsonus
a p.
214,
siano
veramente
stesso
B.
del
n.
Dicson.
Areliuts,
2.)
lo
come
ha
(Ma
cau-
conochiamato
pure
il « vero
risulta
(B. 33) (W. I, 232) (L. 227). (G.! I, [168]) (G.2 I, (174).
225
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
sciute, se, secondo la raggione della causa efficiente (ia quale è una di quelle che concorreno alla real cognizione de le cose),
Teofilo.:
demostrativa,
sono
occolte?
Lascio
ma
cosa è ordinare
che
è facil
cosa
ordinare
circostanze
e metodi
il demostrare
le cause,
è difficile;
la dottrina
agevolissima di dottrine;
ma poi malamente gli nostri metodici e analitici metteno in esecuzione i loro organi, principii di metodi ed arti de le arti, Gervasio.
Come
quei che san far si belle spade, ma
non
le sanno adoperare. Poltinnio. Ferme *. Gervasio, Fermàti te siano
gli occhi,
che
mai
le possi
aprire. Teofilo. Dico però che non si richiede dal filosofo naturale che ammeni tutte le cause e principii; ma le fisiche sole, e di queste le principali e proprie. Benché dunque, perché dependeno dal primo principio e causa, si dicano aver quella causa e quel principio, tuttavolta non è sf necessaria relazione, che da la cognizione de l'uno s’ inferisca la cognizione de l'altro. E però non si richiede che vengano ordinati in una medesma disciplina. Dicsono. Come questo? Teofilo. Perché dalla cognizione di tutte cose dependenti non possiamo inferire altra notizia del primo principio e causa che per modo men efficace che di vestigio, essendo che il tutto deriva dalla sua volontà o bontà, la quale è principio della sua operazione, da cui procede l’universale 1 BL: Dlicsono]. * B: Fermo. (B. 33-4)
(VV. I, 232-3)
(L. 227-8)
(G.!
226
I, [168]-9)
(G.3 I, [174]-5).
DIALOGO
SECONDO
effetto. Il che medesmo si può considerare ne le cose artificiali, in tanto che chi vede la statua, non vede il scultore; chi vede
il ritratto
di Elena,
non
vede
Apelle,
ma
vede
lo
effetto de l'operazione che proviene da la bontà de l’ingegno d'Apelle, il che tutto è uno effetto degli accidenti e circostanze de la sustanza di quell'uomo, il quale, quanto al suo essere assoluto, non è conosciuto punto. Dicsono.
Tanto
noscer
nulla
perché
è come
che
dello
conoscere
l’ universo,
essere e sustanza
conoscere
Teofilo. Cossfj
ma
non
come
co-
del primo principio,
gli accidenti
vorei
è
degli accidenti.
che
v’imaginaste
ch' io
intenda in Dio essere accidenti, o che possa esser conosciuto
come per suoi accidenti. Dicsono. Non vi attribuisco altro
è
dire
essere
accidenti,
sf duro altro
ingegno; e so che
essere
suoi
accidenti,
altro essere come suoi accidenti ogni cosa che è estranea dalla natura divina. Nell’ ultimo modo di dire 1 credo che intendete esscre gli effetti della divina operazione;
quantunque sustanze
li quali,
siano la sustanza de le cose, anzi e l’ istesse
naturali,
tuttavolta
sono
come
accidenti
remotis-
simi, per farne toccare la cognizione appreensiva della divina soprannaturale essenza. Tcofilo. Voi
dite
Dicsono.
Ecco
essere
infinita
per
bene. dunque,
si per
che
della
essere
effetti che sono l’ultimo
termine
scorsiva
possiamo
facultade,
per modo effetto,
di vestigio, come
come
1 BL: (B.
non
modo
34-5)
(W.
dicono
—
0,
sustanza,
lontanissima
da
si
quelli
del corso della nostra diconoscer
nulla,
se
non
dicono i platonici, di remoto
i peripatetici,
di indumenti,
come
(L.
I,
I,
di-
dire. I,
233)
228-9)
227 19
divina
Bruno,
Dialoghi
italiani
(G.!
169-70)
(G.?
175-6).
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
cono i cabalisti, di spalli o posteriori, come dicono i thalmu-
tisti, di spechio,
ombra
ed enigma,
come
dicono gli apo-
caliptici.
Teofilo. Anzi di più: perché non veggiamo perfettamente questo universo di cui la sustanza e il principale è tanto difficile ad essere compreso, avviene che assai con minor raggione noi conosciamo il primo principio e causa per il suo effetto, che Apelle per le sue formate statue possa esser
conosciuto; perché essaminar parte per effetto della divina essere intesa senza Dicsono.
Cossi è, e cossi la intendo.
Teofilo. Sarà alta
queste le possiamo veder tutte ed parte, ma non già il grande e infinito potenza. Però quella similitudine deve proporzional comparazione.
dunque
bene
d'’astenerci
da parlar
materia. Dicsono.
Io
lo
consento,
perché
basta
moralmente
teologalmente conoscere il primo principio che i superni numi hanno revelato e gli vini
di sf
dechiarato.
teologia,
ma
Oltre
ancora
in quanto uomini di-
che, non solo qualsivoglia
tutte
riformate
filosofie
e
legge e
conchiudeno
esser cosa da profano e turbulento spirto il voler precipitarsi a dimandar raggione e voler definire circa quelle cose che son sopra la sfera della nostra intelligenza !. Teofilo.
Bene.
Ma
non
tanto
son
degni
di riprensione
costoro, quanto son degnissimi di lode quelli che si forzano alla cognizione di questo principio e causa, per apprendere la sua grandezza quanto fia possibile discorrendo con gli occhi di regolati sentimenti circa questi magnifici astri ! Cir. più innanzi Opera, I, 1, p. 13. (B.
35-6)
(W.
I,
pp.
233-4)
308-9; (L.
e l' Oratio valedicioria
229)
228
(G.!
I,
170-1)
(G.2
(1588), I,
176-7).
in
DIALOGO
SECONDO
e lampeggianti corpi, che son tanti abitati mondi e grandi animali ed eccellentissimi numi, che sembrano e sono innumerabili mondi non molto dissimili a questo che ne contiene;
i quali,
essendo
impossibile
ch’abbiano
l'essere
da
per sé, atteso che sono composti e dissolubili (benché non per questo siano degni d'esserno ! disciolti, come è stato ben detto nel Tin:eo *, è necessario che conoscano principio e causa, e consequentemente con la grandezza del suo essere,
vivere ed oprare: monstrano e predicano in uno spacio infinito, con voci innumerabili,
la infinita eccellenza e maestà
del suo primo principio e causa. Lasciando voi dite,
quella considerazione
per quanto
dunque,
come
è superiore
ad
ogni senso e intelletto, consideriamo del principio e causa per quanto, in vestigio, o è la natura istessao pur riluce ne l'ambito e grembo di quella. Voi dunque dimandatemi per ordine,
se volete
ch'io
per ordine
vi risponda.
Dicsono. Cossf farò. Ma primamente, perché usate dir causa e principio, vorei saper se questi son tolti da voi come nomi sinonimi? Teofilo.
Non,
Dicsono.
Or
dunque,
che
differenza
è tra
l'uno
e l’al-
tro termino ? Teofilo. Rispondo, che, quando diciamo Dio primo principio
e
prima
causa,
intendiamo
una
medesma
cosa
con
diverse raggioni; quando diciamo nella natura principii e cause, diciamo diverse cose con sue diverse raggioni. Diciamo Dio primo principio, in quanto tutte cose sono dopo
lui,
secondo
! Cfr. sopra,
è Vedi (B.
sopra,
36-7)
(W.
certo
p. Gr, n. .I p.
155,
n.
LI
234)
(L.
ordine
di
priore
e posteriore,
3. 229-30)
229
(G.
I,
171)
(G.3
I,
177).
o
DE
secondo
LA
CAUSA,
la natura,
dignità. Diciamo tutte son
o
secondo
Dio prima
da lui distinte
cosa prodotta
PRINCIPIO
la
E
UNO
durazione,
o secondo
causa, in quanto
la
che le cose
come
lo effetto
da
l’efficiente,
la
dal producente.
E queste
due raggioni son
differenti, perché non ogni cosa, che è priore e piu degna, è causa di quello ch’ è posteriore 1 e men degno; e non ogni cosa che è causa, è priore e più degna di quello che è causato,
come è ben chiaro a chi ben discorre. Dicsono. Or dite in proposito naturale, che differenza è tra causa e principio? Teofilo. Benché alle volte l’uno si usurpa per l'altro, nulladimeno,
parlando
propriamente,
non
ogni
cosa che è
principio, è causa, perché il punto è principio della linea, ma non è causa di quella; l’ instante è principio dell’operazione; il termine onde è principio del moto e non causa del moto; le premisse son principio dell'argumentazione, non son causa di quella. Però principio è più general termino
che
causa?
Dicsono. Dunque, strengendo questi doi termini a certe proprie significazioni, secondo la consuetudine di quei che parlano più riformatamente, credo che vogliate che principio sia quello che intrinsecamente concorre alla con1 L:che [è] posteriore, (G!:che è posteriore e in nota, con riferim. alla lezione Lagarde: « Ma l'aggiunta non è necessaria ». Intenderei quindi che il G. intendesse leggere che posteriore. Altrimenti non si
spiega il riferimento 2 Cir.
Summa
corrispondenti
in
come
In
a L anziché
term.
a BD).
metaphys.,
Aristotile
in Opera,
sono
&pyn
I, 1v,
(principio)
17.
I due
termini
e altia (causa):
che una volta son dati da Aristotile (Metaph., V (A), 1, p. 1013 a 16) come sinonimi, altre volte (p. e. Metaph., IV (A), 2, 1013 b.18 e 24)
diversi.
atoryetov,
proposito (B.
37-8)
Metaph.,
ed entrambi
la
nota
(W.
del
I,
XII,
4,
subordinati
Lasson,
234-5)
(L.
a
1079b
al
q. l.,
230)
230
(G.t
22, apyf
concetto
pp.
I,
di
126-8.
171-2)
è distinto
alria.
(G2
I,
Vedi
177-8).
da
in
DIALOGO
stituzione
della cosa
SECONDO
e rimane
nell’effetto,
come
dicono
la
materia e forma, che rimangono nel composto, o pur gli elementi da' quali la cosa viene a comporsi e ne’ quali va a risolversi. Causa chiami quella che concorre alla produzione delle cose esteriormente, ed ha l'essere fuor de la composizione, come è l'efficiente e
il fine, al qual è ordinata
la cosa prodotta. Teofilo.
Dicsono. queste cose, zione circa alle cause, formale
Assai
bene.
dite
esser
Or poi che siamo risoluti de la differenza di prima desidero che riportiate la vostra intenle cause, e poi circa gli principii. E quanto prima vorei saper della efficiente prima; della
che
congionta
all’efficiente;
oltre,
della
finale, la quale se intende motrice di questa. Teofilo. Assai mi piace il vostro ordine di proponere. Or,
quanto
alla causa
effettrice,
dico l'efficiente
fisico uni-
versale essere l’ intelletto universale, che è la prima e principal facultà de l'anima del mondo, la”quale è forma universale di quello. Dicsono. Mi parete essere non tanto conforme all'opinione di Empedocle 1, quanto più sicuro, più distinto e più esplicato; oltre, per quanto la soprascritta mi fa vedere,
più profondo.
Però ne farete cosa grata di venire alla de-
1 Certamente Empedocle fu un ilozoista (Sesto, Adv. VIII, 286): v. ZeLLer, Philos. d. Griech., 14, p. 275, GOMPERZ,
Denker
cetto
(trad.
franc.),
dell'anima
attribuivano
empedoclei
ad
I, 260-61.
del mondo,
Empedocle
si mescolavano
Ma
il Bruno,
si fonda
alcuni
dottrine
attribuendogli
su tradizioni
scritti
in cui
agli
neoplatoniche.
l., pp.
(B. 38-9)
I, 235)
(L. 230-1)
231
(GI,
172-3)
(G2
che
insegnamenti
Cfr.
123-0.
(W.
il con-
medievali,
Mélanges de Philos. juive et arabe, Paris, 1859, pp. 241 sgg. a q.
Math, Grieck.
S. MunKk,
e LASSON,
I, 178-9).
chiarazion
DE
LA
CAUSA,
del
tutto
per
PRINCIPIO
il minuto,
E
UNO
cominciando
dal
che cosa sia questo intelletto universale. Teofilo.
L’ intelletto
universale
è l’ intima,
più
dire
reale
e
propria facultà e parte potenziale
de l'anima del mondo.
Questo
il tutto,
è uno
medesmo,
che empie
illumina
l’uni-
verso e indrizza la natura a produre le sue specie come
si
conviene; e cossi ha rispetto alla produzione di cose naturali, come il nostro intelletto alla congrua produzione di specie
razionali. Questo è chiamato da’ pitagorici esagitator
Poeta,
de
l’universo,
motore
come
ed
esplicò
il
che disse: Mens
agitat
molem,
totamque infusa per artus et toto se corpore miscet!.
Questo è nomato da’ platonici Questo
fabro
del
fabro, dicono, procede dal mondo
è a fatto uno,
a questo mondo
mondo».
superiore, il quale
sensibile, che è diviso in
molti; ove non solamente la amicizia, ma
anco la discordia,
per la distanza de’ le parti, vi regna. Questo intelletto, infondendo e porgendo qualche cosa del suo nella materia, mantenendosi lui quieto e inmobile, produce il tutto. È
detto
da’
maghi
fecondissimo
dc
semi,
o
pur seminatoare; perché lui è quello che impregna la materia di tutte forme 3 e, secondo la raggione e condizion
di quelle, la viene a figurare, formare, intessere con tanti ! VireiLIo, Aen., VI, 726-7
Questi
versi dell’ Eneide
2 giugno p. 711).
1592
® Platone
innanzi
però
(cfr. Georg., IV, 210). —
il Bruno
citò anche
all’ Inquisizione
distingue
(Timeo,
p.
di
28
DB: arctus. —
nel suo costituto
Venezia
E
(SraMmP.,
(ma
C)
demiurgo dall'anima del mondo. Cfr. Lasson, a q.'l., 3 Cfr. le Theses de snagia, in Opera, III, 462, 12. (B.
39-40)
(W.
I, 235-6)
(L.
231)
232
(GI
I,
173-4)
(GI,
p.
del
Vita,
segg.) 130.
1709-80).
il
DIALOGO
ordini
mirabili,
né ad
altro principio
Orfeo
li
lo chiama
quali
SECONDO
non
che
possono
non
occhio
attribuirsi
sa distinguere
del
caso,
e ordinare.
mondo,
il vede entro e fuor tutte le cose naturali,
al
perciò
che
a fine che tutto
non solo intrinseca-, ma anco estrinsecamente venga a prodursi e mantenersi nella propria simmetria. Da Empedocle è chiamato distintore, come quello che mai si stanca nell’esplicare le forme confuse nel seno della materia e di suscitar la generazione de l'una dalla corrozion de l’altra cosa. Plotino lo dice padre e progenitore, perché questo distribuisce gli semi nel campo della natura, ed è il prossimo dispensator de le forme. Da noi si chiama
artefice
interno,
perché forma la ma-
teria e la figura da dentro, come da dentro del seme o radice manda ed esplica il stipe 1; da dentro il stipe caccia i rami;
da
dentro
i rami
le
formate
brance =;
da
dentro
queste ispiega le gemme;
da dentro forma, figura, intesse,
come
gli
di nervi,
le frondi,
fiori,
gli frutti;
e da
dentro,
a certi tempi, richiama gli suoi umori da le frondi e frutti alle
brance,
da
le brance
agli
rami,
dagli
rami
al
stipe,
dal stipe alla radice. Similmente negli animali spiegando il suo lavore dal seme prima, e dal centro del cuore ali membri
esterni, e da quelli cate facultadi, fa distese fila 3. Or, intelletto prodotta
al fine complicando verso il cuore l'esplicome già venesse a ringlomerare le già se credemo non essere senza discorso e quell'opra come morta, che noi sappiamo
fengere con certo ordine e imitazione ne la superficie della
! Da
sfipes,
3 Cfr.
il De
2 Cfr.
(B.
franc.
40-1)
(W.
-itis:
tronco.
branches;
niinimo,
I, 2360)
I,
branche. 3,
(L.
in
Opera,
231-2)
233
(G!
I,
I,
n,
142.
174-5)
(GI,
180).
DE
materia,
ciamo biamo
LA
quando,
CAUSA,
PRINCIPIO
scorticando
E
UNO
e scalpellando
un legno,
fac-
apparir l’effige d’un cavallo; quanto credere dobesser maggior quel intelletto artefice, che da l’ in-
trinseco
della
seminal
materia
risalda
l’ossa,
stende
le
cartilagini, incava le arterie, inspira i pori, intesse le fibre, ramifica gli nervi, e con si mirabile magistero dispone il tutto? Quanto, dico, più grande artefice è questo, il quale non è attaccato ad una sola parte de la materia, ma opra
continuamente tutto in tutto? Son tre sorte de intelletto; il divino che è tutto, questo mundano
particolari che si fanno estremi
se
ritrove
efficiente,
non
tutto;
questo
tanto
che fa tutto, gli altri
perché bisogna che tra gli
mezzo,
estrinseca
il quale
come
è vera
anco
intrinseca,
tutte cose naturali !. Dicsono. Vi vorei veder distinguere come
causa estrinseca e come intrinseca. Teofilo.
Lo
chiamo
causa
estrinseca,
causa de
lo ? intendete
perché,
come
ef-
ficiente, non è parte de li composti e cose produtte. È causa
intrinseca, in quanto che non opra circa la materia e fuor di quella,
ma,
come
è stato
poco
fa detto.
Onde
è causa
estrinseca per l'esser suo distinto dalla sustanza ed essenza degli effetti, e perché l'essere suo non è come di cose generabili
e
corrottibili,
benché
verse
circa
quelle;
è
causa
intrinseca quanto a l'atto della sua operazione 3. Dicsono. Mi par ch’abbiate a bastanza parlato della causa efficiente. Or vorci intendere che cosa è quella che 1 V.
* BL:
la nota
la.
del Lasson,
130-1.
3 Cfr. lo Spaccio, pp. 556-7, cla Lampas triginta statuarion, in Ope-
ra, III, pp. 242, 243, 251; e vedi in proposito Tocco, Le opp. inedite di G. B.,
pp.
(B. 41-2)
57-61.
(W.
I, 236-7)
(L. 232)
234
(G.1 I, 175)
(GI,
180-1).
DIALOGO
SECONDO
volete sia la causa formale gionta all’efticiente: è forse la raggione ideale? Perché ogni agente che opra secondo la regola intellettuale, non procura effettuare se non secondo qualche intenzione; e questa non è senza apprensione di
qualche cosa; e questa non è altro che la forma de la cosa che è da prodursi: e per tanto questo intelletto, che ha facultà di produre tutte le specie e cacciarle con sf bella architettura
dalla
potenza
della
materia
a l'atto,
bisogna
che le preabbia tutte secondo certa raggion formale, senza la quale l'agente non potrebe procedere alla sua manifattura; come al statuario non è possibile d’essequir diverse statue senza aver precogitate diverse forme prima,
Teofilo, Eccellentemente la intendete, perché voglio che
siano considerate due sorte di forme: l’una, la quale è causa,
non già efficiente, ma per la quale l'efficiente effettua; l'altra è principio, la quale da l'efficiente è suscitata da la materia. Dicsono. Il scopo e la causa finale, la qual si propone l'efficiente, è la perfezion dell'universo; la quale è che in diverse parti della materia tutte le forme abbiano attuale esistenza: nel qual fine tanto si deletta e si compiace l’ intelletto, che mai si stanca suscitando tutte sorte di forme da la materia, come par che voglia ancora Empedocle !.
Teofilo. Assai bene. E giongo a questo che, sicome questo efficiente è universale nell'universo ed è speciale e particulare nelle parti e membri di quello, cossf la sua forma e il suo fine. Dicsono. Or assai è detto delle cause; procediamo a raggionar de gli principii. forse
1 Il
(B.
Bruno,
attingendo
indirettamente 42-3)
(W.
ai vv.
I, 237)
(L.
sempre
a
232-3)
(GI
del
fr. 35
235
fonti
di
medievali,
Empedocle
I,
175-6)
si
(Diels).
(GI,
riferisce
181-2).
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
Teofilo. Or, per venire
E
UNO
a li principii constitutivi de le
cose, prima raggionarò de la forma per esser medesma in certo modo con la già detta causa efficiente; per che l’ intelletto che è una potenza de l’anima del mondo, è stato
detto efficiente prossimo
di tutte cose naturali,
Dicsono. Ma come il medesmo soggetto può essere principio e causa di cose naturali ? Come può aver raggione di parte
intrinseca,
Teofilo.
Dico
e non
che
di parte
questo
non
estrinseca ? ?
è inconveniente,
conside-
rando che l’anima è nel corpo come nocchiero nella nave. Il qual nocchiero, in quanto vien mosso insieme con la nave,
è parte di quella; considerato in quanto che la governa e muove,
non se intende parte, ma come
Cossf l’anima de l'universo, in quanto viene
ad
esser
parte
intrinseca
distinto efficiente ?. che anima e informa,
e formale
di
quello;
ma,
come che drizza e governa, non è parte, non ha raggione di principio, ma di causa. Questo ne accorda l’ istesso Aristotele; il qual, quantunque neghi l’anima aver quella raggione verso il corpo, che ha il nocchiero alla nave 3, tuttavolta, considerandola secondo quella potenza con la quale intende e sape, non ardisce di nomarla atto e forma di corpo; secondo
ma,
come
uno efficiente, separato
l'essere, dice che quello è cosa che viene
secondo la sua subsistenza, 1 (B:
del Lac). ? La
dalla materia
infrinseca? stessa
Bruno aveva II, 1, 42), e
°
I)
immagine
G.
di fuora,
divisa dal composto 4. accoglie
circa
qui
i rapporti
l'erronea dell'anima
emendazione col
corpo
adoperato nel De umbris idearum (1582) (in Opera, adoprerà nello Spaccio, p. 557, come anche nella
Lampas triginta statuarum (III, 246 (ma 253 4-2). 3 ARIST., De anima, II, 1, 413 a 8-0.
4 Ivi,
III,
il
5, 4304
17-25.
{B. 43-4) (W. I, 237-8) (L. 233-4) (G.1 I, 176-7) (G2 I, 182:3). 236
DIALOGO
SECONDO
Dicsono. Approvo quel che dite, perché, se l'essere separata dal corpo alla potenza intellettiva de l’anima nostra conviene, e lo aver raggione di causa efficiente, molto più si deve affirmare dell'anima del mondo; Perché dice Plotino, scrivendo contra gli Gnostici, che « con maggior facilità
l’anima del mondo regge l'universo, che l’anima nostra il corpo nostro » 1; poscia ® è gran differenza dal modo con cui
quella
e questa
governa.
Quella,
non
come
alligata,
regge il mondo di tal sorte che la medesma non leghi ciò che prende; quella non patisce da l'altre cose né con l'altre cose; quella senza impedimento
s' inalza alle cose superne;
quella, donando la vita e perfezione al corpo, non riporta da esso ‘imperfezione alcuna; e però eternamente è congionta
al medesmo
soggetto.
denno
essere attribuite
Questa
poi
è manifesto
che
è di contraria condizione. Or se, secondo il vostro principio, le perfezioni che sono nelle nature inferiori, più altamente doviamo
senza
dubio
e conosciute
alcuno
nelle nature
affirmare
superiori,
la distinzione
che
avete apportata. Questo non solo viene affirmato ne l’anima del
mondo,
ma
anco
de
ciascuna
stella,
essendo,
come
il
detto filosofo vole, che tutte hanno potenza di contemplare Idio, gli principii di tutte le cose e la distribuzione degli ordini de l'universo; e vole che questo non accade per modo
di
memoria,
di
discorso
e
considerazione,
perché
ogni lor opra è opra eterna, e non è atto che gli possa esser nuovo, e però niente fanno che non sia al tutto condecente, 1 Il Bruno ritraduce dal Ficino, che, riassumendo PLOTINO, Enn., II, 9, 7, aveva detto: «Quomodo facilius anima mundi regat
mundum, quam anima nostra corpus nostrum ». Vedi Tocco, Le opp. lat. di Giordano Bruno, p. 340, n. 2; e ivi pure per le altre
citazioni di Plotino. ? Ossia, posciachè. (B. 44-5)
(W.
I, 238)
(L. 234)
(GT,
237
177-8)
(G.2 I, 183-4).
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
perfetto, con certo e prefisso ordine, senza atto di cogitazione; come,
per
essempio
rista, mostra
ancora
di un
Aristotele,
perfetto quando,
scrittore
e cita-
per questo
che la
natura non discorre e ripensa, non vuole che si possa conchiudere
perché
che
ella opra
li musici
senza
intelletto
e intenzion
e scrittori esquisiti meno
sono
finale,
attenti a
quel che fanno, e non errano come gli più rozzi ed inerti, gli quali, con più pensarvi e attendervi, fanno l'opra men
perfetta e anco non senza errore 1, Teofilo. La intendete. Or venemo al più particolare. Mi par che detraano alla divina bontà e all’eccellenza di questo grande animale e simulacro del primo principio, quelli che non vogliono intendere né affirmare il mondo con gli suoi membri essere animato, come Dio avesse invidia alla sua
imagine,
come
l'architetto
non
amasse
l'opra
sua
singulare; di cui dice Platone 2, che si compiacque nell'opificio suo, per la sua similitudine che remirò in quello. E certo che cosa può più bella di questo universo
presen-
tarsi agli occhi della divinità? ed essendo che quello costa di sue parti, a quali di esse si deve più attribuire che al principio formale ? Lascio a meglio e pi particolar discorso mille raggioni naturali oltre questa topicale o logica.
! Cfr.
ARISTOTILE,
* PLATONE,
7tm.,
Physica,
VI,
p.
29
II, 8. E:
« Bonus
erat
(autor
rerum).
Bonus autem nulla unquam aliqua de re invidia tangitur. Ergo.... omnia sibi quantum fieri poterant similima fieri voluit »; X, 37 C-D: «Cum igitur hoc a se factum sempiternorum deorum pulchrum simulacrum moveri et vivere pater ille qui genuit animadverteret,
delectatus est opere, et hac ductus laetitia opus suum multo etiam magis primo illi exemplari simile reddere cogitavit. Itaque quemad-
modum illud sempiternum animal est, ita universum tale facere instituit» (trad. Ficino).
hoc pro viribus
(B. 45) (W. I, 238-9) (L. 234-5) (Gt I, 178-9) (GI, 184). 238
DIALOGO
Dicsono.
Non
SECONDO
mi curo che vi sforziate in ciò, atteso !
non è filosofo di qualche riputazione, anco tra’ peripatetici,
che non voglia il mondo
e le sue sfere essere in qualche
modo animate*, Vorei ora intendere, con che modo volete da
questa forma venga ad insinuarsi alla materia de l'universo. Teofilo. Se gli gionge di maniera che la natura del corpo, la quale secondo sé non è bella, per quanto è capace viene a farsi partecipe di bellezza, atteso che non è bellezza se non consiste in qualche specie o forma, non è forma alcuna che non sia prodotta da l'anima. Dicsono. Mi par udir cosa molto nova: volete forse che
non solo la forma de l'universo, ma tutte quante le forme di cose naturali siano anima? Teofilo. SÉ.
Dicsono.
Sono
dunque tutte le cose animate?
Teofilo. Si.
Dicsono. Or chi vi accordarà questo? Teofilo. Or chi potrà riprovarlo con raggione? Dicsono. È comune senso che non tutte le cose vivono. Teofilo. Il senso più comune non è il più vero. Dicsono. Credo facilmente che questo si può difendere. Ma non bastarà a far una cosa vera perché la si possa difendere, atteso che bisogna che si possa anco provare.
1 Lo stesso di atteso che.
2 Il Lasson, a q.l., p. 132: Aristotile «insegna in molti punti una specie di animazione di tutte le cose » e rimanda per gli astri a De part. animal.,
I, 1 e I, 5, De coelo, I,
2 e I,
9, Eth. Nic., VI, 7;
per gli elementi a De gen. arim., IV, 10; per la formazione dell'essere organico a De gen. anim., III, tr. Il corpo terrestre (Cfr. Cena, p. 157) ha una spccie di sviluppo vitale, di giovinezza e di vecchiaia (Meseor., I, 14); e la natura procede da ciò, che non ha vita, al vivente (De part. anim., IV, v). (B.
45-6)
(W.
I, 239)
(L.
235)
(G.I
239
I,
179)
(GI,
184-5).
DE
LA
CAUSA,
Teofilo. Questo
PRINCIPIO
E
non è difficile. Non
UNO
son de’ filosofi che
dicono il mondo essere animato? Dicsono. Son certo molti, e quelli principalissimi. Teofilo. Or perché gli medesmi non diranno le parti tutte del mondo essere animate? Dicsono. Lo dicono certo, ma de le parti principali, e quelle che son vere parti del mondo; atteso che non in minor raggione vogliono l'anima essere tutta in tutto il mondo, e tutta in.qualsivoglia parte di quello, che l’anima degli animali,
a noi
sensibili,
è tutta
Teofilo. Or quali pensate mondo vere ? Dicsono.
i peripatetici: secondo
Quelle
che
non
per
tutto.
voi, che non son primi
siano parti del
corpi,
come
dicono
la terra con le acqui e altre parti, le quali,
il vostro
dire,
constituiscono
l’animale
intiero:
la
luna, il sole, e altri corpi. Oltre questi principali animali, son quei che non sono primere parti de l'universo, de quali altre dicono aver l’anima vegetativa, altre la sensitiva, altre
la intellettiva.
Teofilo. Or, se l’anima per questo che è nel tutto, è anco ne le parti, perché non volete che sia ne le parti de le parti ? Dicsono. Voglio, ma ne le parti de le parti de le cose animate.
i
Teofilo. Or quali son queste cose, che non sono animate, o non son parte di cose animate? Dicsono. Vi par che ne abbiamo poche avanti gli occhi ? Tutte le cose che non hanno vita. Teofilo.
E quali
son le cose
che non
hanno
vita,
almeno
principio vitale ? Dicsono. che
non
(B. 46-7)
Per conchiuderla,
abbia (W.
anima, I, 2309-40)
e che
volete non
(L. 235-6)
240
voi
abbia (G.!
che
non
principio
I, 1709-80)
(G.2
sia cosa vitale? I, 185-0).
DIALOGO
Teofilo. Questo è quel j Poltinnio. Dunque, un A miei calopodii!, le mie proni e il mio annulo e mia toga4 e il mio pallio Gervasio.
Si,
messer
contiene
un
ch'io voglio al fine. corpo morto ha anima? dunque, pianella, le mie botte 2, gli miei chiroteche3 serano animate? la sono animati?
si, mastro
Credo bene che la tua toga quando
SECONDO
Poliinnio,
perché
non?
e il tuo mantello è bene animato,
animal,
come
tu sei, dentro;
le botte
e gli sproni sono animati, quando contengono gli piedi; il cappello è animato, quando contiene il capo, il quale non è senza anima; e la stalla è anco animata quando contiene
il cavallo,
la mula
over
la Signoria
Vostra.
Non
la
intendete cossi, Teofilo ? non vi par ch'io l’ ho compresa meglio che il dominus magister? Poliinnio. Cuium pecus ? s come che non si trovano degli asini ettam alque etiam sottili ? hai ardir tu, apirocalo $, abe-
cedario 7, di volerti equiparare ad un archididascalo e maderator di ludo minervale $ par mio?
vale:
1 Dal greco forma
xaAoré&tov, dimin.
da. calzolaio.
Secondo
di xaA6rovc,
il FLorro,
piede
New
World
London, 1611, p. 76: zoccolo, pianella da notte. % Franc. bottes, stivali. Anche questa parola è FLORIO,
p.
4 Manfurio (nel Cand.2, «la mia toga magisterial ». to,
5 (GI= L:
non
cuium
compare
pecus?
6 Dal
greco
Cuium
an
in
pp.
pecus?
G2))
108,
(il punto
VirciLio,
Meliboei ?
&rstpéxaXoc,
130):
«la mia
toga
interrogativo,
Fel.,
III,
inesperto,
Words,
registrata
66.
3 Guanti.
of
di legno,
literaria »,
qui restitui-
1: Dic miki,
ignorante,
dal
Damoeta,
volgare.
7 Ignorante. Cfr. Cand.?, p. 106: «subito ch'io ebbi imparata la B.A.BA.». Sopra p. 202: «poltron dizionario ». 8 Manfurio nel Cand.?, p. 105: «grave moderator di ludo lite-
rario» e (p. (B.
47-8)
38)
(\.
di
«almo
I, 240)
minervale
(L.
236)
241
(G.!
ginnasio n. I,
180-1)
(G.2
I,
156-7).
DE
LA
Gervasio. Pax
CAUSA,
vobis !, domine
et scabellum pedum Senza
UNO
magister,
te Deus
còlera:
cose a noi. Poltinnio.
Prosequatur
Teofilo.
farò.
Cossi
E
servus servorum *
tuorum 3.
Poliinnio. Maledicat
Dicsono.
PRINCIPIO
lasciatene
seculorum a.
determinar
ergo sua dogmata
Dico
tavola non è animata,
in secula
dunque,
né la veste,
che
queste
Theophilus. la
tavola
come
né il cuoio come
cuoio,
né il vetro come vetro; ma, come cose naturali e composte, hanno in sé la materia e la forma. Sia pur cosa quanto piccola e minima si voglia, ha in sé parte di sustanza spirituale; la quale,
se trova il soggetto
esser pianta,
esser animale,
ad
disposto,
si stende
e riceve membri
ad
di qualsi-
voglia corpo che comunmente se dice animato: perché spirto si trova in tutte le cose, e non è minimo corpusculo che non
contegna
cotal
porzione
in sé che
Poliinnio. Ergo, quidquid est, animal est. Teofilo, Non
tutte le cose che hanno
non
inanimi s.
anima si chiamano
animate. Dicsono. Dunque, almeno, tutte le cose han vita? Teofilo. Concedo che tutte le cose hanno in sé anima, hanno
vita,
secondo
la sustanza
e non
secondo
l'atto
ed
operazione conoscibile da’ peripatetici tutti, e quelli che la vita e anima definiscono secondo certe raggioni troppo grosse. Dicsono. Voi mi scuoprite qualche modo
il quale
si potrebe
! Genesi,
XLIII,
» Cfr. sopra,
(B.
48-9)
inamini, (W.
l’opinion
d’Anaxagora;
che
23.
p. 74.
3 Isara, LXVI, 4 Tozia, VIII,
5 BL:
mantener
verisimile con
1. 9.
I, 240-1)
(L.
236-7)
242
(G.1
I,
181-2)
(GT,
187-8).
DIALOGO
SECONDO
voleva ogni cosa essere in ogni cosa!,
perché,
essendo
spirto o anima o forma universale in tutte le cose,
il
da tutto
si può produr tutto. Teofilo. Non dico verisimile, ma vero; perché quel spirto si trova in tutte Ie cose, le quali, se non sono animali, sono animate; se non sono secondo l’atto sensibili 1dΰ d’animalità
e vita, son però secondo il principio e certo atto primo d'animalità e vita, E non dico di vantaggio, perché voglio supersedere circa la proprietà di molti lapilli e gemme; le quali, rotte e recise e poste in pezzi disordinati, hanno certe virti di alterar il spirto ed ingenerar novi affetti e passioni ne l’anima, non solo nel corpo. E sappiamo noi che tali effetti non procedeno, né possono provenire da qualità puramente materiale, ma necessariamente si riferiscono a principio simbolico vitale e animale; oltre che il medesmo veggiamo sensibilmente ne’ sterpi e radici smorte, che, purgando e congregando gli umori, alterando gli spirti, mostrano necessariamente effetti di vita. Lascio che non senza caggione li necromantici sperano effettuar molte cose
per le ossa de’ morti *; non quel medesmo, un gli viene a proposito a sioni 3 mi faranno più
e credeno che quelle ritegnano, se tale però e quale atto di vita, che effetti estraordinarii. Altre occaa lungo discorrere circa la mente,
1 Lo stesso raccostamento arbitrario della dottrina neoplatonica al concetto di Anassagora era stato fatto dal Bruno anche nel Si. gillus
sigillorum,
II,
3;
Opera,
II,
11,
196.
I dis (Amerio: sensibile) ? Lo stesso accenno alla negromanzia
II, 11, 197.
Per
le dottrine
del Bruno
in Sig. sigill., II, 4: Opf.,
sulla magia
v. le sue opere ine-
dite De magia, Theses de magia e De magia matheinatica, in Opera, III. 3 Accenna
al
De
immenso
et
îinnumerabilibus,
che
in
parte
fu
scritto in Inghilterra (v. FIORENTINO, pref. ad Opera, I, 1, p.xxx1esg.) e forse allora era già scritto o cominciato.
(B. 49)
(W.
I, 241)
(L. 237)
243 20
—
G.
Bruno,
Diuloghi
italiani
(G.:
I, 182)
(G.2
I, 188-9).
DE
il spirto,
LA
CAUSA,
l'anima,
la vita
PRINCIPIO
che
E
UNO
penetra tutto,
è in tutto
e
move tutta la materia; empie il gremio di quella, e la sopravanza
pit
tosto
che
da
quella
è sopravanzata,
che la sustanza spirituale dalla materiale non superata, ma più tosto la viene a contenere. Dicsono.
Pitagora,
Questo
mi
par
conforme
non
atteso
può essere
solo al senso di
la cui sentenza recita il Poeta,
quando
dice:
Principio caelum ac terras camposque liquentes, Lucentemque globum lunae Titaniaque astra Spiritus intus alit, totamque infusa per artus! Mens agitat molem, totoque se corpore miscet 2;
ma ancora al senso del teologo, che dice: « il spirito colma ed empie
altro,
la terra,
parlando
e quello
‘forse
del
che
contiene
commercio
il tutto » 3, E
della
forma
un
con
la
materia e la potenza, dice che è sopravanzata da l’atto e da la forma. Teofilo. Se dunque il spirto, la anima, la vita si ritrova in tutte le cose e, secondo certi gradi, empie tutta la materia; viene certamente ad essere il vero atto e la vera forma
de tutte le cose. L'anima, dunque, del mondo è il principio formale constitutivo de l'universo e di ciò che in quello
si contiene.
Dico
che, se la vita si trova in tutte le cose,
l’anima viene ad esser forma di tutte le cose: quella per tutto è presidente alla materia e signoreggia nelli composti, 1 B:
nota
2 Viro.,
VI,
724.
464-65.)
3 L: quello {e
Anche (B.
En.,
2 a pp.
Domini 1591
abclus.
replevit
questo
(ma é)]
orbem
detto
il B.
Vita,
40-50)
241-2)
I,
p. 232;
ivi, n.
1
(si veda
la
che. Ma cfr. Sap. Salom., I, 7: « Spiritus
terrarum,
(SPAMPANATO, (W.
V. sopra, et
hoc
quod
237-8)
(G.!
T,
continet
citò nel costituto
veneto
(L.
182-3)
p. 711).
244
del
(G
omnia ».
2 giugno IT,
180).
DIALOGO
SECONDO
effettua la composizione e consistenzia de le parti. E però la persistenza non meno par che si convegna a cotal forma, che a la materia, Questa intendo essere una di tutte le cose;
la qual però,
secondo
la diversità delle disposizioni
della
materia e secondo la facultà de’ principii materiali attivi e
passivi 1, viene
a produr
diverse
figurazioni,
ed effettuar
diverse facultadi, alle volte mostrando effetto di vita senza senso, talvolta effetto di ‘vita e senso senza intelletto, talvolta par ch'abbia tutte le facultadi suppresse e reprimute o dalla imbecillità o da altra raggione de la materia. Cossi,
mutando questa forma sedie e vicissitudine, è impossibile che se annulle, perché non è meno subsistente la sustanza spirituale che la materiale. Dunque le formi esteriori sole si cangiano
e si annullano
ancora,
perché
de le cose, non sono sustanze, ma
non sono cose ma
de le sustanze sono acci-
denti e circostanze. Poliinnio. Non entia sed ? entium. Dicsono. Certo, se de le sustanze s'annullasse cosa,
verrebe
ad
evacuarse
qualche
il mondo.
Teofilo. Dunque abbiamo un principio intrinseco formale, eterno e subsistente 3, incomparabilmente megliore di quello ch' han finto gli sofisti che versano circa gli accidenti, ignoranti della sustanza de le cose, e che vengono a ponere le sustanze corrottibili, perché quello chiamano massimamente, primamente e principalmente sustanza, che
1 Principii materiali
della natura:
attivi
eran detti quelli che ora si direbbero
il caldo e il freddo,
passivi
forze
l'umido
e il secco. ® (G! = L: sed; G*: ad (per evidente svista tipogr.).) 3 Cfr. Lampas trig. statuarum in Opera, III, 253 e 256; lo Spaccio, 556-7; il De minimo, I, 3, in Opera, I, ni, 11 (ma 141). (B.
50-51)
W.
I,
242-3)
(L.
238)
245
(G.t
I,
183-4)
(G.2
I,
1809-90).
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
resulta da la composizione;
E
UNO
il che non è altro ch’uno
acci-
dente, che non contiene in sé nulla stabilità e verità, e se risolve in nulla. Dicono quello esser veramente omo che resulta dalla composizione; quello essere veramente anima
che è o perfezione ed atto resulta da certa simmetria non è maraviglia se fanno per la morte e dissoluzione, la iattura
de l'essere.
di corpo vivente, o pur cosa che di complessione e membri. Onde tanto e prendeno tanto spavento come quelli a’ quali è imminente
Contra
la qual pazzia crida ad alte
voci la natura, assicurandoci che non gli corpi né l’anima deve terer la morte, perché tanto la materia quanto la
forma sono principii constantissimi: O genus attonitum gelidae formidine mortis, Quid Styga, quid tenebras et nomina vana timetis, Materiam vatum falsique pericula mundi? Corpora sive rogus flamma seu tabe vetustas Abstulerit, mala posse pati non ulla putetis: Morte carent animae domibus habitantque receptae. Omnia mutantur, nihil interit!.
Dicsono. Conforme a questo mi par che dica il sapientissimo stimato tra gli Ebrei Salomone: Quid est quod est?
dei
Nel
1 Ovipio, Metam., XV, 153-59 e 165. Il Bruno fa un verso solo due vv. 158-509: Morte cavent animae: semperque priore velicta Sede novis domibus vivunt habitantque veceptae. De
minimo,
I,
n,
1-50,
Bruno:
I nunc, stulte, minas mortis fatumque timeto, Non audita ferunt Samii sacra verba parentis,
I trepida Fatalem
Anche
ad voces stultorum,
incutiant
tervorem....
nella dedica del Cand.?
(p. 7):
et somnia
« Il tempo
vulgi
tutto toglie e tutto
dà; ogni cosa si muta, nulla s'annichila; è un solo che non può mutarsi, un solo è eterno, e medesmo ». (B.
51-2)
(W.
I, 243)
e può (L.
perseverare
238-9)
246
(G.I
eternamente
I, 184-5)
(G.2
uno,
I,
simile
190-1).
DIALOGO
SECONDO
Ipsum quod fuit. Quid est quod fuit? Ipsum quod est. Nihil sub sole novum*. — Si che questa forma, che voi ponete, non è inesistente e aderente a la materia secondo l'essere, non depende dal corpo e da la materia a fine che subsista? Teofilo. la
forma
Cossi è. E oltre ancora non è accompagnata
da
la
determino
materia,
cossi
sicuramente dico de la materia non esser parte che
sia
destituita
da
quella,
eccetto
come. da Aristotele *, il quale mai
compresa
se tutta come
già
a fatto
logicamente,
si stanca di dividere con
la raggione quello che è indiviso secondo la natura e verità 3. Dicsono. Non volete che sia altra forma che questa eterna compagna de la materia? Teofilo, E più naturale ancora, che è la forma materiale,
della quale raggionaremo ! V.
il Libro
appresso.
dell’Ecclesiaste,
Per ora notate questa
I, 9-10:
anche
qui
il Bruno
cita
a
memoria, con qualche alterazione. Questo motto famoso tornava spesso sotto la penna e sulle labbra del Bruno. Cfr. i Libri physicorum Avistotelis explanati (in Opera, III, 341), il De Usmbris (II, 1, 44) e il Sigillus sigillorum (II, 1, 213); il costituto veneto del 2 giugno 1592 (in SPAMPANATO, Vita, p. 711). Il 18 settembre 1587, a \Witten-
berg, dalla
in un album Biblioteca di
di certo Hans von Stuttgart, scrisse:
Salomon
et Pythag[oras):
Quid est quod est? Ipsum Quid
Warnsdorfi,
est quod
fuit? Ipsum
ora
posseduto
G*:
Avistotile)
quod fuit. quod
Nihil sub sole novum.
est.
Jordanus Brunus Nolanus etc.
(Stewart, Kleine Schriftent, I, 293-4). 2 (Qui e passim in séguito G! = L:
3 Se questo
è un rimprovero
che
bisogna riconoscere col Lasson (p. 136) si può rimproverare ad un filosofo di quello che è indiviso secondo
noto, (De
non
gen.
(B.
ammetteva
el corv.,
52-3)
(W.
II,
una
1,
I, 243)
Bruno
muove
ad
Aristotile,
che il Bruno ha torto. Ma «dividere con la raggione
la natura e verità ? ». Aristotile,
materia
e Plys.,
(L.
Aristotele;
239)
realmente
III
(G.!
247
5).
I,
priva
185-6)
di ogni
(GI,
com' è
forma
1091-2).
DE
LA
CAUSA,
distinzione de la forma, la
quale
informa,
PRINCIPIO
E
UNO
che è una sorte di forma prima,
si estende
e depende;
e questa,
perché
informa il tutto, è in tutto; e perché la si stende, comunica
la perfezione del tutto alle parti; e perché la dipende e non
ha operazione da per sé, viene a communicar la operazion del tutto alle parti; similmente
forma materiale, del
fuoco
come
scalda,
si stende;
si chiama
e tale,
e l’essere. Tale è la
quella del fuoco; perché ogni parte
un'altra sorte di forma, non
il nome
fuoco,
ed
la quale
perché
è fuoco.
informa
fa perfettò
Secondo,
e depende, e attua
è
ma
il tutto,
è nel tutto e in ogni parte di quello; perché ‘non sì stende, avviene che l'atto del tutto non attribuisca a le parti;
perché depende, l'operazione del tutto comunica a le parti. E tale è l’anima vegetativa e sensitiva, perché nulla parte de l'animale è animale, e nulladimeno ciascuna parte vive e sente.
Terzo,
fa perfetto
il tutto,
a l'operazione. tutto,
è un'altra
e in tutto
ma
Questa
sorte di forma,
non
si stende,
perché
attua
e in ogni parte;
la quale
né depende
e fa perfetto,
perché
la non
attua
e
quanto
è nel
si stende,
la perfezione 1 del tutto non attribuisce a le parti; perché non depende, non comunica l'operazione. Tale è l’anima per quanto può esercitar la potenza intellettiva, e si chiama intellettiva; la quale non fa parte alcuna de l’uomo che si possa nomar uomo, né sia uomo, né si possa dir che intenda. Di queste tre specie la prima è materiale,
intendere,
né può essere senza materia;
che non si può
l'altre due specie
1 Il Lasson, a q.l,, p. 41 n.: « Probabilmente in corrispondenza a quel che precede e a quel dhe segue, invece che: la perfezione del
tutto,
bisogna
terebbe.
(B. 53-4)
leggere:
l'atto del tutto ». Il
(W. I, 243-4)
(L. 239-40)
248
senso,
per
(G.' I, 186)
altro,
non
mu-
(G.2 I, 192-3).
DIALOGO
SECONDO
(le quali in fine concorreno a uno, secondo la sustanza ed essere, e si distingueno secondo il modo che sopra abbiamo detto) denominiamo quel principio formale, il quale è distinto dal principio materiale. Dicsono. Intendo. Teofilo.
Oltre
di
questo
voglio
che
si
avertisca
che,
benché, parlando secondo il modo comune, diciamo che sono cinque
gradi de le forme:
sensitivo
e intellettivo;
cioè di elemento, non
lo
intendiamo
misto,
vegetale,
però
secondo
l’ intenzion volgare; perché questa distinzione vale secondo
l’operazioni che appaiono e procedono dagli suggetti, non secondo quella raggione de l’essere primario e fondamentale di quella forma e vita spirituale, la quale medesma empie il tutto,
e non
Dicsono.
secondo
Intendo.
il medesmo Tanto
che
modo. questa
forma,
che
voi
ponete per principio, è forma subsistente, constituisce specie perfetta, è in proprio geno, e non è parte di specie, come quella peripatetica. Teofilo. Cossi è.
Dicsono. La distinzione de le forme nella materia non è secondo le accidentali disposizioni che dependeno da la forma materiale. Teofilo. Vero.
Dicsono. Onde anco questa forma separata non viene a essere moltiplicata secondo il numero, perché ogni multiplicazione numerale depende da la materia. Teofilo.
Si.
Dicsono. Oltre, in sé invariabile, variabile poi per li soggetti e diversità di materie. E cotal forma, benché nel soggetto faccia differir la parte dal tutto, ella però non differisce nella parte e nel tutto; benché altra raggione li con(B. 54-5) (W. T, 244-5) (L. 240) (G.! I, 186-7) (G.2 I, 193). x
249
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
vegna come subsistente* da per sé, altra in quanto che è atto e perfezione di qualche soggetto, ed altra poi a riguardo d’un soggetto con disposizioni d’un modo, d'un altro. Teofilo. Cossi a punto.
Dicsono.
né simile
Questa
forma
non
alla accidentale,
altra con quelle
la intendete
né come
mista
accidentale,
alla materia,
né
come inerente a quella, ma inesistente, associata, assistente.
Teofilo. Cossi dico. Dicsono.
Oltre,
per la materia;
questa
perché,
forma
avendo
è definita
e determinata
in sé facilità di constituir
particolari di specie innumerabili, viene a contraersi, a constituir uno individuo; e da l’altro canto, Ia potenza della materia indeterminata, la quale può ricevere qualsivoglia forma, viene a terminarsi ad una specie: è causa della definizione e determinazion Teofilo.
Molto
bene.
Dicsono. Dunque, Anaxagora,
che
latitanti;
tanto che l'una de l’altra.
in certo modo
chiama alquanto
le
forme
quel
di
approvate
il senso di
particolari
di
natura
le
deduce
Platone,
che
da le idee; alquanto quel di Empedocle, che le fa provenire da la intelligenza; in certo modo
quel di Aristotele, che le
fa come uscire da la potenza de la materia? 2. Teofilo. Si, perché, come abbiamo detto che dove è la forma,
è in certo modo
1 (G!1 = L: pografica).)
subsistente;
® Per Anassagora
tutto, G*:
dove
è l’anima,
subistente
v. il fr. 1 Diels;
(per
e ARIST.,
il spirto,
evidente Phys.,
svista
la ti-
I, 4, 187 a 26.
Per Empedocle osserva il Lasson, a Q.1., p.137, che si tratta anche qui
di dottrine falsamente attribuite nel M. E. ad Empedocle, ed essenzial-
mente neoplatoniche; giacché pel genuino Empedocle le cose partico-
lari provengono (B.
55-6)
(W.
dallo Sfero, che non è concepito come
TI, 245)
(IL.
240-1)
250
(G.!
I,
187-8)
(G=
intelligenza. I,
193-4).
DIALOGO
SECONDO
vita, è tutto, il formatore è l’ intelletto per le specie ideali;
e le forme, se non le suscita da la materia, non le va però mendicando
da fuor di quella; perché questo spirto empie
il tutto. Poltinnio. Velim scire quomodo forma est anima mundi ubique tota, se la è individua. Bisogna dunque che la sia molto
grande,
anzi de infinita dimensione,
se dici il mondo
essere infinito.
Gervasio. È ben raggione che sia grande, Come anco del Nostro Signore disse un predicatore a Grandazzo ! in Sicilia; dove, in segno che quello è presente in tutto il mondo, ordinò
un
crucifisso
tanto
grande,
quanta
era la chiesa,
similitudine de Dio padre, il quale ha il cielo empireo baldacchino,
il ciel
stellato
per
seditoio,
ed
ha
a
per
le gambe
tanto lunghe, che giungono sino a terra, che gli serve per scabello. A cui venne a dimandar un certo paesano, dicendogli: — Padre mio reverendo, or quante olne = di drappo bisognaranno per fargli le calze? — E un altro disse che 1 Randazzo,
Per es. nelle
326): de’
«O
bon
in prov.
Commedie
Mattinatai
Dieu da
de
di Catania.
di G.
famoso
B. della Porta
Grandazzo!».
Messina,
Fra
secondo
la
Lavoro
nel Cinquecento.
(ed.
Spampanato,
bizantino
tradizione
in
il crocifisso
I,
legno
era
stato fatto per la chiesa d'un casale; ma, a causa di una pioggia dirotta, non si poté trasportare fuori di Randazzo, e quivi nel 1540 comprato da Valerio Rubbino, e quivi lasciato. Analoga leggenda
pel più celebre crocifisso di Monreale, miracoloso anch'esso, per apportare il buon tempo, v. PITRÈ, Bibl. trad. popol. sic., XVIII, 262 e XXII, 326-7, 367. Lo Spampanato nelle sue note al De la causa:
a Nel
1806,
o giù di li, il CAPUANA
ferenza il crocifisso di Randazzo mostruose”
onde,
mirandosi
‘ad
ricordava
fra ‘le immagini impressionare
il
in una
sua
con-
mastodontiche volgo ',
e
furono
‘riempiti i templi’, come quelle che ‘rendevano sensibile l’ indeterminato assoluto e simboleggiavano la sostanza universale ’». m.
® Olna,
da
1.188. (B.
55)
(W.
aune
I, 245)
o
aulne,
(L.
241)
misura
(GI,
25I
francese
188)
(G2
equivalente
L
194-5).
a
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
non bastarebono tutti i ceci, faggiuoli e fave di Melazzo e Nicosia! per empirgli la pancia. — Vedete dunque che questa anima del mondo non sia fatta a questa foggia anch'ella. Teofilo, Io non saprei rispondere al tuo dubio, Gervasio,
ma bene a quello di mastro similitudine,
per
satisfar
Poliinnio.
Pure dirò con una
alla dimanda
di ambidoi,
perché
voglio che voi ancora riportiate qualche frutto di nostri raggionamenti e discorsi. Dovete dunque saper brevemente
che l’anima del mondo e la divinità non sono tutti presenti
per tutto
e per
ogni
parte,
in modo
con
cui qualche
cosa
materiale possa esservi, perché questo è impossibile a qualsivoglia corpo
quale
non
e qualsivoglia
spirto;
è facile a displicarvelo
ma
con
un
altrimente
modo,
se non
questo. Dovete avvertire che, se l’anima del mondo universale
se
poralmente cossi non
dicono e
essere
per
dimensionalmente,
tutto,
non
perché
non
con
e forma
s’ intende
tali
il
cor-
sono,
e
possono essere in parte alcuna; ma sono tutti per
tutto
spiritualmente.
treste
imaginarvi
una
Come, voce,
per
esempio,
la quale
anco
rozzo,
po-
è tutta in tutta una
stanza e in ogni parte di quella, perché da per tutto se intende tutta; come queste paroli ch'io dico, sono intese tutte da tutti, anco se fussero mille presenti; e la mia voce,
si potesse giongere a tutto il mondo, sarebe tutta per tutto ?. Dico
dunque
a voi,
mastro
Poliinnio,
che
l’anima
individua, come il punto; ma, in certo modo, E rispondo
a te, Gervasio,
che la divinità non
non
è
come la voce. è per tutto,
come il Dio di Grandazzo è in tutta la sua cappella; perché 1 Milazzo, in prov. di Messina; 2 Lo stesso paragone era stato (ma VI), 4, 12.
Nicosia, in prov. di Catania. usato da PLotINO, .Enn., IV
(B. 56-7) (W. 1, 245-0) (L. 241-2) (G.1 I, 189) (G? I, 195-6). 252
DIALOGO
quello, tutta,
benché ma
sia in tutta
ha il capo
SECONDO
la chiesa,
non
parte,
li piedi
in una
è però
tutto
in
iu un'altra,
le
braccia e il busto in altre ed altre parti. Ma quella è tutta in qualsivoglia parte, come la mia voce è udita tutta da tutte le parti di questa sala. Poliinnio. Percepi ! optime. Gervasio. Io l'ho pur capita la vostra voce. Dicsono. Credo ben de la voce; ma del proposito penso
che vi è entrato per un’orecchia e uscito per l'altra. Gervasio. To penso che non v’ è né anco entrato, perché è tardi,
e l'orloggio ? che tegno
dentro
il stomaco,
ha toc-
cata l’ora di cena. Politnnio.
Hoc
est, idest,
ave
il cervello
în patinis3.
Dicsono. Basta dunque. Domani conveneremo gionar forse circa il principio materiale.
per rag-
Teofilo. O vi aspettarò o mi aspettarete 4 qua.
Fine
del
! B: percaepì. ® Forma dialettale
verbio, anche nel 3 aTJamdudum
46):
ed
secondo
arcaica
Cand., p. 13. animus est in
pensare alla cucina (da 4 BL: mi aspettar et.
che
dialogo,
si legge,
patinis»
patina,
nel
(TERENZIO,
tegame,
medesimo
padella,
Eun.,
proIV,
piatto).
{B. 57-8) (W. I, 246) (L. 242) (G.! I, 189-90) (G.? I, 196).
253
7,
DIALOGO
Gervasio.
TERZO
È pur gionta l’ora, e costoro
non
son
venuti.
Poi che non ho altro pensiero che mi tire, voglio prender spasso di udir raggionar costoro, da' quali oltre che posso imparar qualche tratto di scacco di filosofia, ho pur un bel passatempo eteroclito
circa
que’
grilli
che
ballano
di Poliinnio 1 pedante. Il quale,
in quel mentre
cervello dice
che
vuol giudicar chi dice bene, chi discorre meglio, chi fa delle incongruità ed errori in filosofia, quando poi è tempo de dir la sua parte,
e non
sapendo
che porgere,
viene
a sfilzarti
da dentro il manico della sua ventosa pedantaria una insa-
latina
di
proverbiuzzi,
di
frase= per
latino
o
greco,
che
non fanno mai a proposito di quel ch’altri dicono: onde, senza troppa difficultà, non è cieco che non possa vedere quanto lui sia pazzo per lettera 3, mentre degli altri son savii per volgare.
che
par che
Or
eccolo
nel movere
per lettera. Ben
in fede mia,
di passi
venga il dominus
ancora
per
sappia
sen viene
caminar
magister.
1 (G!: Poliinnio (conforme alla trascriz. Prefaz. ai ' Dialoghi Metafisici”, p. XLVI; G?:
in séguito).)
come
decisa dal G: vedi Poliimnio (cosi pure
® Plur. arcaico. 3 FLORIO, Giardino di ricreazione (Londra, 1501, p. 123): « I pazzi lettera
sono
(B. 59-60)
i peggiori
pazzi».
(W. I, 247) (L. 242-3) (G.* I, [191]) (G2 I, [197]).
254
DIALOGO
TERZO
Poliinnio. Quel magister non*mi cale: poscia che in questa devia ed enorme etade, viene attribuito non più ai miei pari che ad qualsivoglia barbitonsore, cerdone* e castrator di porci, però ne vien consultato: molite vocari Rabi *, Gervasio. Come dunque volete ch'io vi dica? Piacevi il reverendissimo? Poliinnio. Ilud est presbiterale et clericum. Gervasio, Vi vien voglia de l’illustrissimo? Poliinnio. Cedant arma togae 3: questo è da equestri eziandio, come da purpurati. Gervasio.
La
Poliinnio.
maestà
cesarea,
anh?
Quae Caesaris Caesari 4.
Gervasio. Prendetevi dunque il Zomine, deh! 5, toglietevi il
gravitonante,
noi;
perché
siete
tutti
il divum coss!
pater!...
—
Venemo
a
tardi?
Phiinnio. Cossi credo che gli altri sono impliciti6 in qualche altro affare, come io, per non tralasciar questo giorno senza linea 7, sono versato circa la contemplazion del tipo del globo detto volgarmente il mappamondo. Gervasio. Che avete a far col mappamondo? Politnnio. Contemplo le parti de la terra, climi, provinze e regioni; de quali tutte ho trascorse con l’ ideal raggione, molte cogli passi ancora.
8 Aug
Cerdo,
cita
-onis
lat.:
MATTEO,
XXIII,
MATTEO, B: dè,.
XXII,
che 8.
esercita
CICERONE, De meo consulatu 21.
Cir.
un
(cir
Eroici
mestiere
vile.
MorEL, Frag. Poet. Lat., 16.) furori,
p.
931.
Impliciti, usato nel Trecento, per implicati. 7 Cfr. il noto adagio pliniano nulla dies sine linea che Manfurio nel
(B.
Cand.,
60)
(W.
I,
s.
I, 247)
(L.
243)
(GI,
255
[191])-2)
(G.2
I,
[197)-8).
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
Gervasio. Vorei che discorressi alquanto dentro di te medesmo; perché questo mi par che più te importi, e di questo credo che manco ti curi. Poltinnio. Absit verbo invidia;
perché con questo molto
più efficacemente vengo a conoscere me medesmo. Gervasio. E come mel persuaderai? Poliinnio. Per quel che dalla contemplazione del megacosmo
facilmente,
necessaria
deductione
facta
a
si può pervenire alla cognizione del microcosmo, particole alle parti di quello corrispondeno *. Gervasio. Si che trovaremo
simili,
di cui le
dentro voi la Luna,
il Mer-
curio e altri astri? la Francia, la Spagna, l' Italia, l’ Inghilterra,
il Calicutto © e altri paesi?
Poliinnio.
Quidni ? per quamdam
Gervasio.
un
gran
Per quamdam
monarca;
ma,
se vi è per alloggiare una di quelle piante Poliinnio. Ah, ah, zione non quadra ad Gervasio.
analogiam
se fuste una
analogiam.
io credo
donna,
che siate
vi dimandarei
un putello 3, o di porvi in conserva che disse Diogene 4. quodammodo facete. Ma questa petiun savio ed erudito.
S' io fusse
erudito,
e mi
istimasse
savio,
non
verrei qua ad imparar insieme con voi. Poliinnio. Voi si, ma io non vegno per imparare, perché
nunc meum
est docere; mea quoque interest cos qui docere
volunt iudicare; però vegno per altro fine che per quel che 1 Per
questo
concetto,
STOTILE,
Plys.,
VIII,
(putedw
&vOpwrov)
2
e
che
De
l'uomo
anima,
è un III,
microcosmo,
8.
cfr. ARI-
2? Calicut (o Calicutte) per tutto il distretto (Malabar) o tutta la regione (India inglese), a cui appartiene. 3 Cfr. venez. putelo bambino. 4 Allusione oscena alla vecchia leggenda del planto hominem (B. 60-1)
(W.
di Diogene
di Sinope.
I, 247-8) (L. 243-4)
256
(G.! I, 192-3)
(G.2 I, 198-9).
DIALOGO
TERZO
dovete
voi venire, a cui conviene
sia che
tegna
l'essere tirone, isagogico
e discepolo. Gervasio. Per qual fine? Politnnio. Per giudicare dico. Gervasio. Invero, a’ pari vostri più che ad altri sta bene di far giudicio de le scienze e dottrine; perché voi siete que’ soli a’ quali la liberalità de le stelle e la munificenza del fato ha conceduto il poter trarre il succhio da le paroli. Poliinnio. E consequentemente dai sensi ancora i quali sono congionti alle paroli. Gervasio. Come al corpo l’anima. Poltinnio. Le qual paroli, essendo ben comprese, fanno ben considerar ancor il senso: però dalla cognizion de le lingue (nelle quali io, più che altro che sia in questa città, sono exercitato e non mi stimo men dotto di qualunque ludo
di Minerva:
zione di scienza qualsivoglia. Gervasio. Dunque, tutti que’ italiana,
comprenderanno
aperto)
che
la filosofia
procede
la cogni-
intendeno del
la lingua
Nolano?
Poliinnio. Si, ma vi bisogna anco qualch’'altra prattica e giudizio.
Gervasio. Alcun tempo io pensava che questa prattica fusse il principale; perché un che non sa greco, può intender tutto il senso d’Aristotele e conoscere molti errori in quello,
come apertamente si vede che questa idolatria, che versava circa l’autorità di quel filosofo (quanto a le cose naturali principalmente), è a fatto abolita appresso tutti che comprendeno i sensi che apporta questa altra setta; ed uno che non sa né di greco, né di arabico, e forse né di latino, 1 Scuola,
(B. 61-02)
(W.
Cfr.
241,
IL, 248-9)
n.
8.
(L. 244-5)
257
(GI
I, 193-4)
(G.*
I,
199-200).
DE
come
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
il Paracelso 1, può aver meglio conosciuta la natura
di medicamenti
e medicina
che
Galeno,
Avicenna
e tutti
che si fanno udir con la lingua romana. Le filosofie e leggi non
vanno
in perdizione
per
penuria
d’ interpreti
di pa-
roli, ma di que’ che profondano ne’ sentimenti ?. Poltinnio. Cossf dunque vieni a computar un par mio nel
numero della stolta moltitudine? Gervasio. Non vogliano gli Dei, perché so che con la cognizione e studio de le lingue (il che è una cosa rara e singulare) non sol voi, ma tutti vostri pari sete valorosis-
simi circa il far giudicio delle dottrine, dopo aver crivellati i sentimenti di color che ne si fanno in campo. Poliinnio. Perché voi dite il verissimo, facilmente posso 3
persuadermi
che
non
lo
dite
senza
raggione:
per
tanto,
come non vi è difficile, non vi fia grave di apportarla,. Gervasio. Dirò (referendomi pur sempre alla censura de la prudenza e letteratura vostra) è proverbio comune che quei che son fuor del gioco, ne intendeno più che quei che x
1 Theophrastus
raculum
usque
Bombaste
medicus,
com'è
von
Hohenheim
detto
dal
(1493-1541),
Bruno
nell’ Oratio
ad mi-
valedi-
ctoria (1588; in Opera, I, 1, p. 17), fu uno degli autori a cui questi attinse largamente nelle sue opere di magia e nel De Monade. Nella
pref.
al De
Lamp.
Combin.,
in
Opera,
II,
11,
234,
P.
è detto
«ille medicorum princeps, ille qui in alio non inferiore medicinae genere cum Hippocrate primus sedere debet ». Su di lui v. anche l'accenno in Sig. sigill., in Opera, II, 1, 181; per la sua biografia SIGWART, o. c., I, 25-48; per la storia delle idee CARRIERE, Philosophische Weltanschauung der Reformationszeit, 2% ed., I, 114-121; Strunz, Th. Paracelsus, sein Leben u. seine Personlichkeit, Leipzig,
1903 (cîr. La Critica, II, 410-11); per le sue relazioni col Bruno, Tocco, Le fonti più recenti, p. 71, e MCINTYRE, pp. 149-50. ® Pare che in pubbliche lezioni (ad Oxford, nel 1583) il B. avesse
avuto v.
occasione
SPAMPANATO,
3 BL:
(B.
di
possom.
60%-12)
in
(W.
parlare
Critica, I, 249)
della
grande
(L. 245)
(GI
1924,
258
pp.
utilità
250-2. I,
Cir.
194)
delle
traduzioni:
Cena,
(G=
p.
27.
I, 200-1).
DIALOGO
vi son dentro;
meglio
come
giudicar
que’
TERZO
che sono nel spettacolo,
de li atti, che quelli personaggi
possono
che sono
in scena; e della musica può far meglior saggio un che non è de la capella o del conserto; similmente appare nel gioco de le carte, scacchi, scrima *! ed altri simili. Cossi voi
altri signor pedanti, per esser esclusi e fuor d'ogni atto di scienza
e filosofia,
e per
non
aver,
e giamai
aver
avuto
participazione con Aristotele, Platone e altri simili, possete meglio giudicarli e condannar con la vostra sufficienza grammatticale e presunzion del vostro = naturale, che il Nolano che
si ritrova
nel
medesmo
liarità e domestichezza,
teatro,
tanto
nella
medesma
che facilmente
fami-
le 3 combatte
dopo aver conosciuti i loro interiori e più profondi sentimenti. Voi dico per esser extra ogni profession di galantuomini e pelegrini ingegni, meglio le possete giudicare. Poltinnio. Io non saprei cossi di repente rispondere a questo impudentissimo. Vox faucibus haesit 4. Gervasio.
Però
i pari vostri
sono
sî presuntuosi,
come
non son gli altri che vi hanno il piè dentro; e pertanto io vi assicuro, che degnamente vi usurpate l'ufficio di approvar questo, riprovar quello, glosar quell’altro, far qua una
concordia5 e collazione,
Poliinnio.
perito
nelle
Questo
buone
là vina
appendice.
ignorantissimo,
lettere
umane,
da
vuol
quel
inferir
che che
io son sono
ignorante in filosofia.
AA
OO
Gervasio,
(B.
Vedi
Dottissimo,
sopra,
p.
128,
B: nostro. Le, li: Confusione VirciLIo,
Riscontro 612-2)
(W.
Eneid.,
di testi.
messer
n. II,
I, 249-50)
—
@
Bruno.
Diulouhi
io vo' dire che,
2.
facile ai napoletani. 774.
Cîr.
(Li 245-6)
259 21
Poliimnio;
italiani
Cand.,
(GI
II,
1.
I, 194-5)
(G.3 I, 201-2).
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
se voi aveste tutte le lingue, che son (come dicono i nostri predicatori) settantadue.... 1, Poliinnio. — cum dimidia. Gervasio.
—
per questo
non
solamente
non
impedisca
non
siegue che
uno
ch’abbia
siate atto a far giudizio di filosofi, ma oltre non potreste togliere di essere il più gran goffo animale che viva in viso umano:
e anco
è che
che
a
pena una de le lingue, ancor bastarda, sia il più sapiente e dotto di tutto il mondo. Or considerate quel profitto ch’ han fatto doi cotali, de’ quali è un francese arcipedante, c’ ha fatte le Scole sopra le arte liberali e l'Animadversioni contra
Aristotele *;
e un
altro
sterco
di
pedanti,
italiano,
che ha imbrattati tanti quinterni con le sue Discussioni peripaltetiche 3. Facilmente ognun vede ch’ il primo molto eloquentemente mostra esser poco savio; il secondo, sem-
1 Riferendosi
® Pietro
Ramo
agl'interpreti (de
anche
gli Eyoici
e quel lecchi,
che ne è detto Firenze, p. 125.
della Bibbia.
la Ramée)
furori,
p.
(1515-72);
1115;. autore
delle
contro
Scholae
il quale
v.
dialecticae
(1543) e già delle Animadversiones in dialecticam Avistotilis, fu il logico degli umanisti, e l’antesignano d’una scuola che in Inghilterra combatté Bruno e i suoi seguaci, v. McINTYRE, o. c., pp. 324-5; in Si
GENTILE, Studi sul Rinascimento, Valnoti altresî che il Bruno, combattendo
la metafisica e soprattutto la filosofia naturale di Aristotile, teneva però in gran conto le sue opere logiche e rettoriche (Tocco, Fonti,
36-37).
3 Francesco
Patrizzi
LERTI, Autobiografia il Trentino, Roma,
di F. 1886,
(1520-1597);
sulla
Tasso
(Nozze
ediz.
Philosophia », nel
a. XII,
sua
1879.
«Nova
Di lui il Bruno
non
So-
l’Istria ed F. Patr.,
Morpurgo-Franchetti), Verona,
e per la bibliografia O. GUERRINI,
della
v. A.
P., in Aych. stor. per Trieste, III, 275-281 e O. ZENAITI,
Orazio Ariosto e Torg. 1895,
cui biografia,
Di F. Patr. e della rarissima
Propugnatore
conobbe
di
Bologna
se non le Discussiones
peripateticae (1571-81). La Nova de universis philosophia fu pubblicata nel 1501. Sulle relazioni del Bruno col Patrizzi, v. FIORENTINO, B. Telesio, I, 370-76 e Tocco, Fonti, 35-37. (B.
62)
(W.
I, 250)
(L. 246)
(G.t
260
I,
195-6)
(GI,
202).
DIALOGO
TERZO
plicemente parlando, mostra aver molto del bestiale e asino. Del primo possiamo pur dire che intese Aristotele; ma che l’ intese male;
e se l’avesse inteso bene,
arebbe forse avuto
ingegno di far onorata guerra contra lui, come ha fatto il giudiciosissimo Telesio consentino 1. Del secondo non pos-
siamo dir che l'abbia inteso né male né bene; ma che l'abbia letto
e
riletto,
greci autori,
cucito,
scucito
amici e nemici
e
conferito
di quello;
grandissima fatica, non solo senza etiam con un grandissimo sprofitto, vedere in quanta pazzia e presuntuosa e profondare un abito pedantesco, prima
che
se ne perda
Teofilo col Dicsono. Poliinnio.
causa
che la mia
fulminee
questo
Adeste
sentenze
garrulo
domini:
excandescenzia
contra
i vani
mill’altri
e al fine fatta una
profitto alcuno, ma di sorte che chi vuol vanità può precipitar veda quel sol libro,
la somenza ?. Ma
felices,
con
ecco
presenti “il
la presenzia
non
venga
propositi
frugiperda 3.
vostra
è
ad exaggerar
c'ha
Gervasio. Ed a me tolta materia di giocarmi maestà di questo reverendissimo gufo. Dicsono. Ogni cosa va bene se non v’adirate.
tenuti
circa la
! Bernardino Telesio (1508-1588) di Cosenza, autore dei libri De natura rerun iuxta propria principia (1565-86), ricordato dal Bruno anche nel De Monade (in Opera, I, 2, 395) e nel De immenso, lib. II, cap. 9 (in Opera, I, 1, 289). GENTILE, / problemi della Scolastica*, Bari, Laterza, 1923, pp: 119-185. Per le sue relazioni col Bruno v. FIORENTINO, o. c., II, 67 sgg. e Tocco, Fonti, 72-5. 2 W: semenza. Ma somenza (forma dei dialetti settentrionali: cir. SPAMPANATO, Cand.?, p. 23) ha lo stesso valore; e sbaglia il LAsson sospettando (p. 51 n.) che debba leggersi: reminiscenza.
1 Sterile. PLINIO, Nat. kist., XVI, semen antequam omnino maturitatem
mero
(B.
frugiperda, 62-3)
(W.
I, 250)
@bAeclxaprog». (L.
246)
261
(G.!
26: « Ocissime salix amittit sentiat, ob id dicta ab Ho-
I,
196-7)
(G.2
I, 202-3).
DE
Gervasio.
LA
To,
CAUSA,
quel
che
PRINCIPIO
dico,
lo
E
dico
UNO
con gioco,
perché
amo
il signor maestro. Polrinnio. Ego quoque quod irascor, non serio îrascor, quia Gervasium non odi. Dicsono. Bene: dunque, lasciatemi discorrer con Teofilo. Teofilo. Democrito dunque e gli epicurei, i quali, quel che non è corpo, dicono esser nulla, per conseguenza vogliono la materia sola essere la sustanza de le cose; ed anco
quella
arabo,
essere
chiamato
la natura
divina,
Avicebron 1,
come
come
mostra
intitolato Fonte di vita. Questi medesmi, naici, cinici e stoici, vogliono
cette
accidentali
tempo
son
stato
le forme
disposizioni assai
de
aderente
disse
un
certo
in
un
libro
insieme con cire-
non
essere altro che
la materia, a questo
E
io molto
parere,
solo
per
questo che ha fondamenti più corrispondenti alla natura che quei di Aristotele; ma, dopo aver più maturamente considerato, avendo risguardo a pit cose, troviamo che è necessario
conoscere
nella
natura
doi
geni
di
sustanza,
l’uno che è forma e l’altro che è materia; perché è necessario che sia un atto sustanzialissimo, nel quale è la potenza attiva di tutto, 1 Salomone
Ibn
ed ancora una Gebirol,
potenza e un soggetto
latinamente
Avicebronius,
nel
della
prima
Trattò originalmente le dottrine neoplatoniche, MunK, GUTTIMANN, Die Philos. d. Sal. ibn Gebirol, Gòttingen,
o. c., 1889;
p. 7; e M.
Philosophie,
B.
H.
metà clel sec. xI, ebreo (non arabo, come Bruno con gli scolastici lo credette) di Spagna, autore del Fons vifae (ed. Baeumker, Monasterii, 1895), che ebbe molta influenza sugli scolastici del sec. XIII. WITTMANN, Die Stellung d. Thomas v. Aquin zu Avencebrol e Zur Stellung Avencebrols (Ibn Gebirols) im Entwicklungsgang des arabischen in Deitr. 2. Gesch.
d. Philos.
des Mittelalters,
V,
I,
Miinster, 1904 (ma il primo saggio nel Band III, Heft III, 1900). Sulle sue relazioni col B., v. Tocco, Le opp. lat. di G. B., p. 345, Fonti,
29-31; WITTMANN, Giord. Brunos Beziehungen zu Avencebrol, in Arch. f. Gesch. d. Philos., 1900, XIII, 147-52; e MCINTYRE, o. c., 135-0.
(B.
63-4)
(W.
I, 250-1)
(L.
246-7)
262
(G.!
I,
197-198)
(G.?
I,
203-4).
DIALOGO
TERZO
quale non sia minor potenza passiva di tutto: in quello è potestà di fare, in questo è potestà di esser fatto. ‘Dicsono. È cosa manifesta ad ognuno che ben misura, che
non
è possibile
che
quello
sempre
possa
far il tutto
senza che sempre sia chi può esser fatto il tutto. Come l’anima del mondo (dico ogni forma), la quale è individua, può essere figuratrice, senza il soggetto delle dimensioni o quantità, che è la materia ? E-la materia come può essere figurata? Forse da se stessa? Appare che potremo dire, che la materia vien figurata da se stessa, se noi vogliamo
considerar l'universo corpo formato esser materia, chiamarlo materia; maremo
come
un
materia,
animale,
con
distinguendolo,
solo efficiente. Teofilo. Nessuno
vi può
tutte non
impedire
le sue
facultà,
da la forma,
che non
del nome di materia secondo il vostro modo,
chia-
ma
dal
vi serviate
come a molte
sette ha medesmamente raggione di molte significazioni. Ma questo modo di considerar che voi dite, so che no’ potrà star bene se non a un mecanico o medico che sta su la prattica, come a colui che divide l'universo corpo in mercurio, sale e solfro 1; il che dire non tanto viene
vino ingegno tissimo
che
di medico volesse
quanto
chiamarsi
potrebe
a mostrar un di-
mostrare
un stol-
filosofo; il cui fine non
è de
venir solo a quella distinzion di principii, che fisicamente si fa per la separazione che procede dalla virtù del fuoco, ma anco a quella distinzion de principii, alla quale non 1 Il Bruno accenna qui a Paracelso: del resto, « questa dottrina, che il sale, Io zolfo e il mercurio siano gli elementi delle cose, viene
attribuita
sec. XVI,
per
e a
la prima
Basilio
principio del sec. XV,
P. 14I.
(B.
64-5)
(W.
volta
Valentino,
a Isaac
monaco
Hollandus,
benedettino
alchimista di
Erfurt
del
del
la cui esistenza per altro è dubbia »: Lasson,
I, 251)
(L.
247)
263
(GI,
198)
(G:?
I, 204-5).
DE
LA
arriva
efficiente
male;
quale
CAUSA,
alcuno
PRINCIPIO
materiale,
E
UNO
perché
l’anima,
inse-
parabile dal solfro, dal mercurio e dal sale, è principio fornon
è soggetto
a qualità
materiali,
ma
è al
tutto signor della materia, non è tocco dall'opra di chimici
la cui divisione scono
un’altra
si termina specie
alle tre dette cose,
d'anima
che
questa
e che cono-
del
mondo,
e!
che noi doviamo diffinire. Dicsono. Dite eccellentemente; e questa considerazione molto mi contenta, perché veggio alcuni tanto poco accorti che
non
secondo
distingueno tutto
le cause
l'ambito
de
della natura
lor essere,
che
da’ filosofi, e * priato; perché in quanto che a' filosofi, in
de quelle prese il primo modo son medici, il quanto che son
Teofilo.
Avete
toccato
quel
ch’ ha
trattata
la filosofia
Paracelso,
assolutamente, son
considerate
in un modo limitato e approè soverchio e vano a’ medici, secondo è mozzo e diminuto? filosofi. punto
nel
quale
medicinale,
è lodato e biasi-
mato Galeno in quanto ha apportata la medicina filosofale, per far una mistura fastidiosa e una tela tanto imbrogliata, che al fine renda un poco exquisito medico e molto confuso filosofo. Ma questo sia detto con qualche rispetto; perché non ho avuto ocio per esaminare tutte le parti di quell'uomo. Gervasio. Di grazia, Teofilo, prima fatemi questo piacere a me, che non sono tanto prattico in filosofia: dechiaratemi ‘che cosa intendete per questo nome materia, e che cosa
è quello
che
è materia
nelle
cose
naturali.
Teofilo, Tutti quelli che vogliono distinguere la materia e considerarla da per sé, senza la forma, ricorreno alla simi-
1
®
(B.
(L’Amerio (G!
65-6)
=
L:
(W.
espunge
diminuto;
I, 251-2)
la e.) G?:
(L.
diminuito)
247-8)
264
(G.I
I,
198-0)
(G.?
I, 205-60).
DIALOGO
TERZO
litudine de l’arte. Cossi fanno i pitagorici, cossi i platonici, cossi i peripatetici. Vedete una specie di arte, come del lignaiolo, la quale per tutte le sue forme e tutti suoi lavori lia per soggetto il legno; come il ferraio il ferro, il sarto il panno. Tutte queste arti in una propria materia fanno diversi ritratti, ordini e figure, de le quali nessuna è propria e naturale
a quella.
Cossî
la natura,
a cui è simile
l’arte,
bisogna che de le sue operazioni abbia una materia; perché non è possibile che sia agente alcuno che, se vuol far qualche cosa,
non
abbia
di che
farla;
o se vuol
oprare,
non
abia!
che oprare. È dunque una specie di soggetto, del qual, col quale e nel quale la natura effettua la sua operazione, il suo
lavoro;
e il quale
è da
lei formato
di tante
forme
che ne presentano a gli occhi della considerazione tanta varietà di specie. E sf come il legno da sé non ha nessuna forma artificiale, ma tutte può avere per operazione del? legnaiolo; cossî la materia, di cui parliamo, da per sé e in sua natura non
ha forma alcuna naturale,
ma
tutte le può
aver per operazione dell'agente attivo principio di natura. Questa materia naturale non è cossi sensibile come la materia artificiale, perché la materia della natura non ha forma alcuna
assolutamente;
ma
la materia
dell’arte
è una
cosa
formata già della natura, poscia che l’arte non può oprare se non nella superficie delle cose formate da la natura come legno,
ferro, pietra,
dal centro,
lana e cose simili; ma
per dir cossf, del suo soggetto
la natura opra o materia,
che è
al tutto informe. Però molti sono i soggetti de le arti, ed uno è il soggetto della natura; perché quelli, per essere diversa—
I
(GI
=
L:
? B
(e G!=
(B. 66-7)
(W.
non
L):
abia;
de.
I, 252-3)
G2:
non
(L. 248-9)
265
abbia)
(G.!
I, 199-200)
(G.? I, 206).
DE
mente
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
formati dalla natura,
per non essere alcunamente
sono
E
UNO
differenti e varii; questo,
formato, è al tutto indifferente,
atteso che ogni differenza e diversità procede da la forma. Gervasio, Tanto che le cose formate della natura sono materia de l’arte, e una cosa informe sola è materia della natura? Teofilo.
Cossi è.
Gervasio. chiaramente
È possibile che si come vedemo e conoscemo gli soggetti de le arti, possiamo similmente
conoscere il soggetto de la natura? Teofilo. Assai bene, ma con diversi zione;
perché
si come
non
principii
col medesmo
senso
di cogniconoscemo
gli colori e gli suoni, cossi non con il medesmo occhio veggiamo il soggetto de le arti e il soggetto della natura. Gervasio. Volete dire, che noi con gli! occhi sensitivi veggiamo quello, e con l'occhio della raggione questo. Teofilo. Bene.
Gervasio. Or piacciavi formar questa raggione. Teofilo. Volentieri. Quella relazione e riguardo che ha la forma de l’arte alla sua materia, medesma (secondo la debita proporzione) teria.
Si come
ha la forma della natura alla sua ma-
dunque
ne
l’arte,
variandosi
in infinito
(se
possibil fosse) le forme, è sempre una materia medesima che persevera sotto quelle; come, appresso, la forma de l’arbore è una forma di tronco, poi di trave,
poi di tavola, poi
di scanno, poi di scabello, poi di cascia, poi di pettine e cossf va discorrendo, tuttavolta l'esser legno sempre persevera; non altrimente nella natura,
variandosi
in infinito e succe-
dendo l’una a l’altra le forme, è sempre una materia medesma. Gervasio. Come si può saldar questa similitudine? 1 B: (B.
no; 67-8)
gli
(ma
moi gli
(W.
I, 253)
(L.
(cfr. 249)
266
Lac.)). (G.!
I, 200-1)
(G.2
I, 206-7).
DIALOGO
Teofilo. erba, e da si fa pane, da questo
TERZO
Non vedete voi che quello che era seme si fa quello che era erba si fa spica, da che era spica da pane chilo, da chilo sangue, da questo seme, embrione, da questo uomo, da questo cadavero,
da questo! terra, da questa pietra o altra cosa, e cossi oltre,
per venire a tutte forme naturali? Gervasio. Facilmente il veggio. Teofilo. Bisogna dunque che sia
una
medesima
cosa
che da sé non è pietra, non terra, non cadavero, non uomo, non
embrione,
sangue, che
sangue
si fa embrione,
era
come
non
embrione,
quella
ricevendo
riceva
formata
o altro;
ma
che,
dopo
che era
l’essere embrione;
l’essere
uomo,
dalla natura,
che
dopo
facendosi
omo;
è soggetto
de la
arte, da quel che era arbore, è tavola, e riceve esser tavola;
da quel?
che era tavola,
riceve l’esser porta,
ed è porta.
Gervasto. Or l’ ho capito molto bene. Ma questo soggetto della natura mi par che non possa esser corpo, né di certa qualità; perché questo, che va strafugendo or sotto una forma ed essere naturale,
or sotto un’altra forma ed essere,
non si dimostra corporalmente, come il legno o pietra, che sempre si fan veder quel che sono materialmente, o soggettivamente3 pongansi pure sotto qual forma si voglia. Teofilo.
Voi dite bene.
Gervasio. Or che farò quando mi avverrà di conferiìr questo pensiero con qualche pertinace, il quale non voglia credere che sia cossi una sola materia sotto tutte le formazioni
della
natura,
come
è una
sotto
tutte
le formazioni
di ciascuna arte? Perché questa che si vede con gli occhi, 1 (GI = L: questo; G3: questa) ? B: qual. 3 (L’Amerio interpunge materialmente (B.
68-0)
(W.
I,
253-4)
(L.
249-50)
267
(G.
o soggettivamente,) I, 201)
(Gè
I,
207-8).
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
non si può negare; quella che si vede con la raggione sola, si può negare. Teofilo. Mandatelo via, o non gli rispondete. Gervasio. Ma se lui sarà importuno in dimandarne evidenza, e sarà qualche persona di rispetto, il quale non si possa più tosto mandar via che mandarmi via, e che abbia per ingiuria ch'io non li risponda? Teofilo. Che farai, se un cieco semideo, degno di qualsi-
voglia onor e rispetto,
sarà protervo,
importuno
nace a voler aver cognizione e dimandar
e perti-
evidenza di colori,
di’ pure 1, de le figure esteriori di cose naturali, come è dire: quale è la forma de l'arbore? quale è la forma de monti? di stella? oltre,
la veste?
quale è la forma
de la statua,
de
e cossf di altre cose arteficiali, le quali a quei
che vedeno Gervasio.
son
tanto
manifeste?
Io li risponderei
ne dimandarebe
evidenza,
che, se lui avesse
ma
le potrebe
occhi,
non
veder da per lui;
ma, essendo cieco, è anco impossibile che altri gli le dimostri. Teofilo. Similmente potrai dire a costoro, sero = intelletto, non ne dimanderebono
che, se aves-
altra evidenza;
ma
la potrebono veder da per essi. Gervasio. Di questa risposta quelli si vergognarebono, e altri la stimarebono troppa cinica. Teofilo. Dunque, li direte più copertamente cossi: — Illustrissimo signor mio;
— o: — Sacrata Maestà, come alcune
cose non, possono essere evidenti se non con le mani e il toccare, altre se non con l’udito, altre non, eccetto che con
il gusto; altre non, eccetto che con gli occhi: cossi questa 1 B: di pure. * BL: avesse. (D.
69-70)
(W.
IW salta queste I,
254)
(L.
parole.
250-1)
208
(G.!
I,
201-2)
(G.2
I,
208-09).
DIALOGO
TERZO
materia di cose naturali non può essere evidente se non con l’ intelletto. — Gervasio. Quello, forse, intendendo il tratto per non esser tanto oscuro né coperto me dirà: — Tu sei quello che non hai intelletto: io ne ho più che quanti tuoi pari si ritro-
veno. —
Teofilo. Tu non lo crederai più che se un cieco ti dicesse, che tu sei un cieco e che lui vede più che quanti pensano veder come tu ti pensi. Dicsono.
Assai
è detto
in dimostrar
più evidentemente,
che mai abbia udito, quel che significa il nome materia, e quello che si deve intender materia nelle cose naturali. Cossf il Timeo Pitagorico il quale, dalla trasmutazione dall’uno elemento
nell’altro, insegna ritrovar la materia che
è occolta, e che non si può conoscere, eccetto che con certa
analogia 1. « Dove era la forma della terra », dice lui, « appresso * appare la forma de l’acqua», e qua non si può dire che una forma riceva l’altra; perché un contrario non accetta né riceve l’altro, cioè il secco non
riceve l’umido
o
pur la siccità non riceve la umidità, ma da una cosa terza vien scacciata la siccità e introdotta la umidità, e quella terza cosa è soggetto dell’uno e l'altro contrario, e non
è contraria
ad alcuno. Adunque, se non è da pensar che la terra sia andata in niente, è da stimare che qualche cosa che era nella terra, è rimasta ed è ne l’acqua: la qual cosa per la medesima raggione, quando l’acqua sarà trasmutata in 1 Si riferisce allo scritto dello Pseudo-Timeo
mundi
et natura,
p. 94 A
(v. MULLACH,
contenute in quest'opera sono v. Lasson, a q.l., 141-2. ® B: appesso. (B.
70-1)
(W.
I, 254-5)
(L.
piuttosto
251)
269
(G.!
Fragm.,
di Locri, De anima
II, 38).
platoniche
I, 202-3)
Le
dottrine
e aristoteliche,
(G.2
I,
2009-10).
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
aria (per quel che la virtà del calore la viene ad estenuare in fumo o vapore), rimarrà e sarà ne l’aria. Teofilo.
Da
questo si può
conchiudere
(ancor a lor di-
spetto) che nessuna cosa si anichila e perde l'essere, eccetto che la forma accidentale esteriore e materiale. Però tanto la materia quanto la forma sustanziale di che si voglia cosa naturale,
che
perdendo
l'essere al tutto
possono
è l’anima,
essere
tutte
sono
indissolubili
e per tutto;
le forme
ed
adnihilabili,
tali per certo non
sustanziali
de’ peripatetici
e altri simili, che consisteno non in altro che in certa com-
plessione e ordine di accidenti; e tutto quello che sapranno nominar
fuor
che
la
lor
materia
prima,
non
è altro
che
accidente, complessione, abito di qualità, principio di definizione, quiddità. Laonde alcuni cucullati suttili meta-
fisici * tra quelli, la insufficienza umanità, cifiche;
del suo
la bovinità, questa
questa
volendo
nume
Aristotele,
come
essere
la
trovata
sustanziali
socreità,
sustanza
che accusare
hanno
la olività, per forme
umanità,
cavallinità
piuttosto iscusare
questa
la
spe-
bovinità,
numerale ?;
il
che
tutto han fatto per donarne una forma sustanziale, la quale merite nome di sustanza, come la materia ha nome ed essere
di substanza. Ma
però
non
han
profittato
giamai
nulla;
1 Nell'Acrotisinus (1588) dirà che Aristotile insegnò, che la scienza è dell'uno in quanto uriversale, della natura delle cose, della
natura
di Socrate,
Callia,
Platone,
in quanto
sono
uomini;
e che
degl’ individui mon aliud esse practerquam historiam; non insegnò «quorundam Scoticolarum voces atque similium cucullatorum » (in Opera, I; 1, 85-6). Agli scotisti (seguaci di Duns Scoto) allude
anche
sua
in q. I. della Causa.
2 La
sostanzialità
propria
nella materia,
dell'individuo,
individualità, Scoto,
e che
per contro,
san
ciò
che
Tommaso
nella forma
dà
all'individuo
faceva
speciale dell' individuo,
la haecceitas, il 168 ti elvar di Aristotile: v. PRANTL, III,
(B.
218-219.
71-2)
(W.
I,
255)
(L.
251-2)
270
(GI,
la
consistere
203-4)
Gesch. d. Log.,
(G.4
I,
2009-10).
DIALOGO
TERZO
perché, se gli dimandate per ordine: — In che consiste l’essere sustanziale di Socrate ? — risponderanno: — Nella socreità. Se oltre dimandate: — Che intendete per socreità? — Risponderanno: — La propria forma sustanziale e la propria materia di Socrate. — Or lasciamo star questa sustanza che è la materia, e ditemi: — Che è la sustanza come forma? — Rispondeno alcuni: — La sua anima. — Dimandate: — Che cosa è questa anima? — Se diranno una entelechia e perfezione di corpo che può vivere 7, considera che questo è uno accidente. Se diranno che è un principio di vita, senso, vegetazione e intelletto, considerate
che, benché quel principio sia qualche sustanzia fundamentalmente considerato,
come
noi lo consideriamo,
tuttavolta
costui non lo pone avanti se non come accidente; perché esser principio di questo o di quello non dice raggione sustanziale e assoluta, ma una raggione accidentale e respettiva a quello che è principiato; come non dice il mio essere e sustanza quello che proferisce lo che = io fo o posso fare; ma si bene quel che dice lo che io sono, come io e absoluta-
mente considerato. Vedete dunque come trattano questa forma sustanziale che è l'anima; la quale, se pur per sorte è stata conosciuta da essi per sustanza, giamai però l’ hanno nominata né considerata come sustanza. Questa confusione 3 molto più evidentemente la possete vedere, se diman1 Definizione aristotelica dell'anima (De anima, II, 1, p. 412427).
® Lo
che
(spagn. lo que): quello che. Intorno a questo spagno-
lismo, non infrequente negli scrittori italiani del 600, v. D’ OvipIO,
Lo che, loché, locché, in Bibl. d. scuole ital., a. X, n. 2 (15 gennaio 1904) Pp. 2-3; e Ancora del «lo che», ivi, n. 4 (15 febbraio 1904) pp. 3-4.
Ma
nelle
a Napoli
3
(B.
rime
(IVL 72)
del
non
mancano
Conte
di
(= B)
S:
(W.
255-6)
I
esempi
Policastro.
confusione; (L.
fin dallo scorcio del '400, come
V.
sopra,
G! G*
252)
271
(G.1
Am.:
p.
142,
n.
1.
conclusione)
I, 204-5)
(G.2
I, 210-1).
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
date a costoro la forma sustanziale d'una cosa inanimata in
che
consista,
ranno
que’
come
la forma
sustanziale
del legno.
che son più sottili: nella ligneità.
Finge-
Or togliete
via quella materia, la quale è comune al ferro, al legno e la pietra, e dite: — Quale resta forma sustanziale del ferro? Giamai ve diranno altro che accidenti. E questi
sono tra’ principii d' individuazione e danno la particularità, perché la materia non è contraibile alla particularità se non per qualche forma;
e questa forma, per esser prin-
cipio constitutivo d’una sustanza, vogliono che sia sustanziale, ma poi non la potranno mostrare fisicamente se non
accidentale. E al fine, quando aranno fatto tutto, per quel che
possono,
hanno
una
forma
sustanziale,
sf,
ma
non
naturale, ma logica; e cossi, al fine, quale logica intenzione
viene ad esser posta principio di cose naturali. Dicsono. Aristotile non si avvedde di questo? Teofilo.
Credo
che
se
ne
avvedde
certissimo;
ma
non
vi pòtte: rimediare; però disse che l’ultime differenze sono innominabili ed ignote. Dicsono, Cossi mi pare che apertamente confesse la sua ignoranza; e però giudicarei ancor io esser meglio di abbracciar que’ principii di filosofia, li quali in questa importante dimanda non allegano ignoranza, come fa Pitagora, Empedocle
e il tuo
Nolano,
le opinioni
de’
quali
ieri
toccaste.
Teofilo. Questo vuole il Nolano, che è uno intelletto che dà l'essere a ogni cosa ?, chiamato da’ pitagorici e il Timeo datore de le forme; una anima e principio
formale,
che
si
1 Forma
dialettale
(B.
(W.
® B:
essere
72-4)
ogni
fa
e
informa
delle province
cosa.
1, 256)
(L.
252-3)
272
ogni
meridionali; (GI
I, 205)
cosa,
chiamata
e arcaica. (GI,
211-2).
DIALOGO
da’
medesmi
fonte
de
TERZO
le
forme;
una
materia,
della quale vien fatta e formata ogni cosa, chiamata da: tutti ricetto de le forme. Dicsono. Questa dottrina (perché par che non gli manca cosa alcuna) molto mi aggrada.
E veramente è cosa neces-
saria, che, come possiamo ponere un principio materiale costante ed eterno, poniamo un similmente principio formale. Noi veggiamo che tutte le forme naturali cessano dalla par
materia realmente
e novamente
vegnono
nessuna
esser
cosa
nella
materia;
costante,
ferma,
onde eterna
e degna di aver esistimazione di principio, eccetto che materia. Oltre che le forme non hanno l'essere senza materia, in quella si generano e corrompono, dal seno quella esceno ed in quello si accogliono: però la materia qual sempre rimane medesima e feconda, deve aver principal
prorogativa
d’esser conosciuta
sol principio
la la di la la
sub-
stanziale, e quello che è, e che sempre rimane; e le forme tutte insieme
non
intenderle,
sizioni' varie della materia, cessano
e se rinnovano,
se non
che sen
onde
non
come
che sono
vanno hanno
dispo-
e vegnono,
altre
riputazione
tutte
di principio. Però si son trovati di quelli che, avendo ben considerata la raggione delle forme naturali, come ha possuto
aversi
da
Aristotele
ed
altri
simili,
hanno
concluso
al fine che quelle non son che accidenti e circostanze della
materia; e però prerogativa di atto e di perfezione doverse referire
alla
possiamo cose
della
materia,
sustanza
cose,
e della natura,
che appresso
1 (G1 = L: 74-5)
a
de
quali
veramente
dire che esse non: sono sustanza nè natura,
la materia;
(B.
e non
(W.
la quale
dicono
essere
quelli è un principio necessario,
di) I, 256-7)
(L.
ma
253)
273
(G.I
I, 205-6)
(GI,
212-3).
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
eterno e divino, come a quel moro Avicebron, che la chiama
Dio che è in tutte le còse. Teofilo, A questo errore son stati ammenati
quelli da
non conoscere altra forma che l’accidentale; e questo moro,
benché dalla dottrina peripatetica, nella quale era nutrito, avesse
accettata
la forma
sustanziale,
tuttavolta,
conside-
randola come cosa corrottibile, non solo mutabile circa la materia, e come quella che è parturita e non parturisce,
fondata e non fonda, è rigettata * e non rigetta, la dispreggiò
e la
tenne
a vile
in
comparazione
della
materia
stabile,
eterna, progenitrice, madre. E certo questo avviene a quelli
che non conoscono Dicsono.
Questo
quello che conosciamo è stato
tempo che dalla digressione Sappiamo ora distinguere dalla forma accidentale (sia sustanziale; quel che resta
molto
ben
noi.
considerato;
ma
è
ritorniamo al nostro proposito. la materia dalla forma, tanto come la si voglia) quanto dalla a vedere è la natura e realità
sua. Ma prima vorrei saper se, per la grande unione che ha questa anima del mondo
e forma universale con la materia,
si potesse patire quell'altro modo e maniera di filosofare di quei che non separano l'atto dalla raggion della materia, e la intendono
cosa divina,
che lei medesma Teofilo.
Non
e non pura e informe
talmente
non si forme e vesta. facilmente,
perché
niente
assolutamente
opera in se medesimo, e sempre è qualche distinzion tra quello che è agente, e quello che è fatto, o circa il quale è l'azione e operazione, laonde è bene nel corpo della natura distinguere
la materia
da l’anima,
e in questa
distinguere
quella raggione delle specie. Onde diciamo in questo corpo 1 SpamP.,
De
la cuusa,
p.
GI:
e rigettata.
(B. 75-6) (W. L 257-8) (L. 253-4) (G.! I, 206-7)
274
(G.? I, 213-4).
DIALOGO
tre
cose:
secondo,
TERZO
prima,
l'intelletto
universale,
indito
l'anima
vivificatrice
del tutto;
terzo,
nelle
cose;
il soggetto.
Ma non per questo negaremo esser filosofo colui.che prenda nel geno di suo filosofare questo corpo formato 0, come vogliam dire, questo animale razionale, e comincie a prendere per primi principii in qualche modo i membri di questo corpo, come dire aria, terra, fuoco; over eterea regione e astro; over spirito e corpo; o pur vacuo e pieno: intendendo
però il vacuo non come il prese Aristotele 1; o pur in altro
modo conveniente. Non mi parrà però quella filosofia degna di essere rigettata, massime quando, sopra a qualsivoglia fundamento che ella presuppona, o forma d'edificio che si propona, venga ad effettuare la perfezione della scienzia speculativa e cognizione di cose naturali, come invero è stato fatto da molti più antichi filosofi. Perché è cosa da ambizioso e cervello presuntuoso, vano e invidioso voler persuadere ad altri, che non sia che una sola via di investigare
e
venire
alla
cognizione
della
natura;
ed
è
cosa
da pazzo e uomo senza discorso donarlo ad intendere a se medesimo. Benché dunque la via più costante è ferma, e più contemplativa e distinta, e il modo di considerar più alto deve sempre esser preferito, onorato e procurato più; non per tanto è da biasimar quell'altro modo il quale non è senza buon frutto, benché quello non sia il medesmo arbore. Dicsono. Dunque, approvate il studio de diverse filosofie ?
Teofilo. Assai, a chi ha copia di tempo ed ingegno: ad
1 Il Bruno
LaAssoN, frase
di
si
spiegherà
n. 45, p. 143,
Bruno,
critica che
egli
che
non
vuol
ne fece ».
meglio
par che
dire:
« non
nel
abbia
come
De
l'infinito,
inteso il senso l’intese
22
—
G.
Lkuno,
Dislayhi
italiani
Il
di questa
Aristotile
(B. 76-7) (W. I, 258) (L. 254) (G.! I, 267-8) (GI, 275
p. 398.
219).
nella
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
altri approvo il studio della megliore, se gli Dei che la addovine. Dicsono. filosofie,
Son
ma
Teofilo.
certo
però
le buone
Cossi
che
non
vogliono
approvate
tutte
le
e le megliori.
è. Come
anco
in diversi
ordini
di medi-
melancolia.
Accetto
care, non riprovo quello che si fa magicamente per applicazion di radici, appension di pietre * e murmurazione d’ incanti, s' il rigor di teologi mi lascia parlar come puro naturale 2, Approvo quello che si fa fisicamente e procede per apotecarie3 ricette, con le quali si perseguita o fugge la
còlera,
il sangue,
la flemma
e la
quello altro che si fa chimicamente, che abstrae le quinte essenze e, per opera del fuoco, da tutti que’ composti fa
volar 3 bis il mercurio, subsidere il sale e lampeggiar o disolar 4
il solfro. Ma però, in proposito terminare tra tanti buoni modi l'epilettico, sopra il quale han il chimista 5, se vien curato dal raggione più questo che quello 1 a Hommi al collo attaccato TINO, cap. Della quartana.
® Filosofo naturale. 3 Apotecario,
3 éis_
4 BL:
(L
disolgar
probabilmente
termine
(= B):
(ma
che non
manca
un'osteria
farmacista.
uolar;
d'errore
di medicina, non voglio dequal sia il megliore, perché perso il tempo il fisico ed mago, approvarà non senza e quell'altro medico. Simil-
di
B:
G! G2:
volare)
disoglar);
stampa.
W:
Perciò
D' incanti... »: P. ARE-
discioglier.
SPAMP.
Ma
trattasi
sostituisce
«un
nella bassa latinità e nell’italiano antico,
massime perché il New World of Words del FLORIO (pp. 154? e 156?) avverte che il disolare e dissolare significano non pure
dissipare,
distruggere,
Florio intende
ma,
come
dissolvere,
o vrsole, to loose, to seuer,
disciogliere ».
to sunder
(Ma
as the shooe from
the sole. L'Amerio spiega lampeggiar o disolar: isolare per combustione. Ma la forma originale (disoglar = disogliar) varrà qui dis-oliare.) 5 Alchimista (FLorio, 18 (ma 098?)). (B.
77)
(W.
I, 258-9)
(L/ 254-5)
(G.!
276
I, 208)
(G.2
I, 214-5).
DIALOGO
TERZO
mente discorri per l’altre specie: de quali nessuna verrà ad essere
men
buona
che
l’altra,
se cossîi l'una
come
le altre
viene ad effettuar il fine che si propone. Nel particolar poi è meglior questo medico che mi sanarà, che gli altri che m’uccidano o mi tormentino. Gervasio. Onde avviene che son tanto nemiche fra lor queste sette di medici? Teofilo.
Dall’ avarizia,
dall’ invidia,
dall’ ambizione
e
dall’ ignoranza. Comunmente a pena intendono il proprio metodo di medicare; tanto si manca che possano aver raggione
di quel d'altrui. Oltre che la maggior
possendo
alzarsi
all'’onor
e guadagno
con
parte,
proprie
non
virtù,
studia di preferirsi con abbassar gli altri, mostrando di dispreggiar quello che non può acquistare. Ma di questi l'ottimo e vero è quello che non è si fisico, che non sia anco
chimico e matematico. Or, per venir al proposito, tra le specie della filosofia, quella è la meglior, che più comodae altamente effettua la perfezion de l'intelletto umano, ed è più corrispondente alla verità della natura, e quanto* sia possibile cooperatori di quella o divinando (dico per ordine naturale e raggione di vicissitudine, non per animale istinto come fanno le bestie e que’ che gli son simili; non per ispirazione di buoni o mali demoni, come fanno i profeti;
non
per melancolico
contemplativi), medicando,
entusiasmo,
o ordinando
come
i poeti
leggi e riformando
o pur conoscendo
e vivendo
e altri
costumi,
o
una vita più beata
e più divina. Eccovi dunque come non è sorte di filosofia, che sia stata ordinata da regolato sentimento, la quale non contegna in sé qualche buona proprietà che non è 1 (B.
(L'Amerio
integra
77-9)
I, 259)
(W.
e {ne rende] (L.
255-6)
277
quanto) (GI
I,
208-0)
(G.?
I,
215-0).
DE
contenuta
da
LA
le
CAUSA,
altre.
PRINCIPIO
Il simile
E
UNO
intendo
della
medicina,
che da tai principii deriva, quali presupponeno non imperfetto abito di filosofia; come l’operazion del piede o della mano, quella de l'occhio. Però è detto che non può aver buono
principio di medicina chi non ha buon termine di filosofia. Dicsono.
Molto
mi
piacete,
e
molto
vi
lodo;
che,
si
come non sète cossi plebeio come Aristotele, non sète anco cossi ingiurioso e ambizioso come lui; il quale l'opinioni di tutti altri filosofi con gli lor modi di filosofare volse che fussero a fatto dispreggiate. Teofilo.
Benché,
più fondato lui;
de quanti
filosofi sono,
su l’ imaginazioni
e se pur
qualche
volta
e rimosso
dice cose
io non
conosca
dalla natura
eccellenti,
son
che cono-
sciute che non dependeno da principii suoi, e però sempre son proposizioni tolte da altri filosofi; come ne veggiamo molte
mali
divine
nel libro
Della
generazione,
Meteora,
De
ani-
e Piante.
Dicsono.
Tornando
che della 1 materia,
dunque
senza
errore
al nostro proposito: e incorrere
volete
contradizione,
se possa definire diversamente? Teofilo. Vero, come del medesmo
oggetto possono esser
giodici
cosa
diversi
sensi,
ec la medesma
si può
insinuar
diversamente. Oltre che (come è stato toccato) la considerazione di una cosa si può prendere da diversi capi. Hanno dette molte cose buone gli epicurei, benché non s' inalzassero sopra la qualità materiale. Molte cose excellenti ha date a conoscere Eraclito, benché non salisse sopra l’anima. Non manca Anassagora * di far profitto nella natura, perché 1 Ossia,
circa la materia.
Definire,
usato
assolutamente.
? Cfr. più avanti, p. 311; e il De imwm., III, 8, in Opera, I, 1, 377. (B. 79-80)
(W.
I, 259-60)
(L. 256)
278
(G.1
I, 209-10) (G.2 I, 216-7).
DIALOGO
TERZO
non solamente entro a quella, ma fuori e sopra, forse, cono-
scer
voglia
un
intelletto,
il quale
medesmo
da
Socrate,
Platone, Trimegisto ! e nostri teologi è chiamato Dio. Cossi nientemanco bene può promovere a scuoprir gli arcani della natura uno che comincia dalla raggione esperimentale
di semplici
(chiamati
da loro), che quelli che cominciano
dalla teoria razionale. E di costoro, non meno
chi da com-
plessioni che chi da umori %, e questo non più che colui che
descende da’ sensibili elementi, o, più da alto, quelli assoluti, o da la materia una, di tutti più alto e più distinto
principio. Perché talvolta chi fa pi lungo camino, non farà
però si buono peregrinaggio, massime se il suo fine non è tanto la contemplazione quanto l'operazione. Circa il modo poi di filosofare, non men
come che
da un implicato distribuirle come
comodo
sarà di esplicar le forme
che distinguerle da una
come
da. un caos,
fonte ideale, che
cacciarle
in
atto come da una possibilità, che riportarle come da un seno, che dissotterrarle alla luce come da un cieco e tenebroso
abisso; perché ogni fundamento è buono, se viene approvato per l’edificio, ogni seme è convenevole se gli arbori e frutti sono desiderabili. Dicsono. Or, per venire al nostro scopo, piacciavi apportar la distinta dottrina di questo principio. Teofilo. Certo, questo principio, che è detto materia, ! Ermete o Mercurio Trimegisto, autore favoloso di parecchi scritti della fine del sec. III d. C., in cui le dottrine platonico-pita-
goriche sono mescolate a dottrine egiziane ed orientali, e che ebbero una grande fortuna e autorità nel M. E., specie tra gli alchimisti.
Esso è pur menzionato dal B. nel De îmm., III, 8 (I, 1, 376), oltre che nel Cand., I, 9 (nello Spaccio p. 784 e negli Er. Fur. p. 1074). % I quattro umori della medicina ippocratica e galenica, com-
battuti da Paracelso. (B.
80-1)
(W.
I,
260)
(L.
256-7)
279
(G.!
I,
2i0-1)
(G.2
I,
217-S).
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
può essere considerato in doi modi: tenza; secondo, come un soggetto.
E
UNO
prima, come una poIn quanto che presa
nella medesima significazione che potenza, non è cosa nella quale, in certo modo e secondo la propria raggione, non possa ritrovarse; e gli pitagorici ', platonici, stoici e altri non meno l' han posta nel mondo intelligibile che nel sensibile. E noi, non la intendendo appunto come quelli la intesero, ma con una raggione più alta e più esplicata, in questo modo
raggionamo
della potenza over possibilità.
La potenza comunmente si distingue in attiva, per la quale il soggetto di quella può operare; e in passiva, per la quale o può essere, o può ricevere, o può avere, o può essere soggetto di efficiente in qualche maniera. De la potenza attiva non raggionando al presente, dico che la potenza che significa in modo passivo (benché non sempre sia passiva) si può considerare o relativamente o vero * assolutamente.
E cossi non
è cosa
di cui si può
dir l'essere,
della
quale non si dica il posser essere. E questa si fattamente risponde
alla potenza attiva, che l’ una non è senza l' altra
in modo
alcuno;
onde se sempre
è stata la potenza di fare,
di produre, di creare, sempre è stata la potenza di esser fatto, produto e creato; perché l'una potenza implica l’altra; voglio dir, con esser posta, lei pone necessariamente
l’altra 3. La qual potenza, perché non dice imbecillità in quello di cui si dice, ma piuttosto confirma la virti ed efficacia, anzi al fine si trova che è tutt'uno ed a fatto la me-
desma cosa con la potenza attiva, non è filosofo né teologo che dubiti di attribuirla al primo principio sopranaturale. 1 I neopitagorici. è B: considerare 0 vero.
3 Cfr. De l’infinito,
(B.
81-2)
(W.
p. 384.
I, 26o0-1)
(L.
257)
280
(G.!
I, 211-2)
(GI,
218).
DIALOGO
TERZO
Perché la possibilità assoluta per la quale le cose che sono
in atto, possono
essere, non
è prima che la attualità,
né
tampoco poi che quella. Oltre, il possere essere è con lo essere
in atto, e non precede quello; perché, se quel che può essere, facesse se stesso, sarebe prima che fusse fatto, Or contempla
il primo e ottimo principio, il quale è tutto quel che può essere,
e lui
medesimo
non
sarebe
tutto
se
non
potesse
essere tutto; in lui dunque l'atto e la potenza son la medesirna cosa! Non è cossî nelle altre cose, le quali, quantunque sono quello che possono essere, potrebono però non esser forse,
e certamente
altro,
o altrimente
che
quel
che
sono;
perché nessuna altra cosa è tutto quel che può essere. Lo uomo è quel che può essere, ma non è tutto quel che può essere. La pietra non è tutto quello che può essere, perché
non
è calci 2, non
è vase,
non
è polve,
non
è erba.
Quello che è tutto che può essere, è uno, il quale nell’esser suo comprende ogni essere. Lui è tutto quel che è e può essere qualsivoglia altra cosa che è e può essere. Ogni altra cosa non è cossî. Però la potenza non è equale a l’atto, perché non è atto assoluto ma limitato; oltre che la potenza sempre è limitata ad uno atto, perché mai ha più che uno essere specificato e particolare; e se pur guarda ad ogni forma ed atto, questo è per mezzo di certe disposizioni e con certa successione di uno essere dopo l’altro. Ogni potenza dunque ed atto, che nel principio è come complicato, unito 1 Il Cusano,
nel dial. De
possest,
in princ.
aveva
detto:
« Possi-
bilitas absoluta.... per quam ea quae actu sunt, actu esse possunt, non praecedit actualitatem, neque etiam sequitur. Quomodo enim actualitas est posset possibilitate non existente? Coaeterna ergo
sunt ed.
absoluta
potentia
cit., t. I, p. 250, * Forma erronea.
(B.
82-83)
(W.
et
actus
cfr. Tocco,
I, 261)
(L.
et
257-8)
281
utriusque
Fonti,
(G.I
pp.
potentia »:
42-43.
I, 212)
(GI,
Opera,
218-9).
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
e uno, nelle altre cose è esplicato, disperso e moltiplicato !. Lo universo, che è il grande simulacro, la grande imagine e l'unigenita natura, è ancor esso tutto quel che può essere, per le medesime specie e membri principali e continenza di tutta la materia, alla quale non si aggionge e dalla quale non si manca,
di tutta e unica forma;
ma
non
già è tutto
quel che può essere per le medesime differenze, modi, proprietà ed individui. Però non è altro che un’ombra del primo atto e prima potenza, e pertanto in esso la potenza e l’atto non è assolutamente la medesima cosa, perché nessuna parte sua è tutto quello che può essere. Oltre che in quel modo
specifico
che
abbiamo
detto,
l'universo
è tutto
quel
chie può essere, secondo un modo esplicato, disperso, distinto.
Il principio suo è unitamente tutto
è tutto e il medesmo
e indifferentemente;
semplicissimamente,
perché
senza
dif-
ferenza e distinzione. Dicsono.
Che dirai della morte,
della corrozione, di vizii,
di diffetti, di mostri? Volete che questi ancora abiano luogo in quello che è il tutto, che può essere ed è in atto tutto quello che è in potenza? Teofilo. Queste cose non sono atto e potenza, difetto
e impotenza,
che
si trovano
nelle
ma sono
cose
esplicate,
perché non sono tutto quel che possono essere, e si forzano a quello che possono
essere.
Laonde,
non possendo
essere
insieme e a un tratto tante cose, perdeno l'uno essere per aver l’altro: e qualche volta confondeno l'uno essere con l'altro, e talor sono diminuite, manche e stroppiate per l' incompassibilità di questo essere e di quello, e occupazion ! E il Cusano: « Volo dicere quod omnia illa complicite in Deo sint Deus, sicut explicite in creatura mundi sunt mundus»: p. 251. (B.
83-4)
(\V.
I,
261-2)
(L.
258)
282
(G.!
I,
212-3)
(G.2
I,
219-20).
DIALOGO
TERZO
della materia in questo e quello. Or tornando al proposito, il primo principio assoluto è grandezza e magnitudine +; ed è tal magnitudine e grandezza, che è tutto quel che può essere. Non è grande di tal grandezza che possa essere maggiore, né che possa esser minore, né che possa dividersi, come ogni altra grandezza che non è tutto quel che può essere; però è grandezza massima, minima, infinita, imparti-
bile e d'ogni misura 1, Non è maggiore, per esser minima; non è minima, per esser quella medesima massima; è oltre ogni equalità, perché è tutto quel che ella possa essere. Questo che-dico
della grandezza,
si può dire: perché che possa essere; è essere; e non è altro se non questo uno.
intendi di tutto quel che
è similmente bontà che è ogni bontà bellezza che è tutto il bello che può bello che sia tutto quello che può essere, Uno è quello che è tutto e può esser
tutto assolutamente. Nelle cose naturali oltre non veggiamo
cosa alcuna che sia altro che quel che è in atto, secondo il quale è quel che può essere, per aver una specie di attualità; tuttavia né in quest'unico esser specifico giamai è tutto quel che può essere qualsivoglia particulare. Ecco il sole: non è tutto quello che può essere il sole, non è per tutto dove può essere il sole, perché, quando è oriente a la terra, non gli è occidente, né meridiano, né di altro aspetto ?. 1 B: grandezza, è magnitudine (ma GARDE, p. 258, riga 38), cfr. subito grandezza. * E
il
Cusano:
«Deus
est
grandezza é ecc.: cir. Ladopo: fel magnitudine et
magnus...,
sed
sic
magnus,
quod
magnitudo quae est omne id quod esse potest. Nam non est magnus magnitudine, quae maior esse potest, aut magnitudine quae dividi
et minui potest.... minima»: p. 251. ilum
3 Cusano:
(B.
(Deum). 84-5)
(W.
Tunc
« Clare
Deus
videtur,
Hic enim I, 262)
est
hic
magnitudo
Sol
non
Sol sensibilis dum
(L.
258-0)
283
(G.!
maxima
esse
pariter
aliquid
est in Oriente,
I, 213-4)
(G.3
simile
non
I, 220-1).
et
ad
est
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
Or se vogliamo mostrar il modo con il quale Dio è sole, diremo (perché è tutto quel che può essere) che è insieme oriente, occidente, meridiano, merinoziale e di qualsivoglia di
tutti
punti
de
la convessitudine
della
terra;
onde,
se
questo sole (o per sua revoluzione o per quella della terra) vogliamo intendere che si muova e muta loco, perché non è attualmente! in un punto senza potenza di essere in tutti gli altri, e però ave attitudine ad esservi; se dunque è tutto quel che può essere e possiede tutto quello che è atto a possedere, sarà insieme per tutto ed in tutto; è si fattamente
mobilissimo
e immobilissimo.
e velocissimo,
che
è anco
stabilissimo
Però tra gli divini discorsi troviamo
che
è detto stabile in eterno e velocissimo che discorre da fine a fine=; perché se intende inmobile3 quello che in uno istante
medesimo si parte dal punto di oriente ed è ritornato al punto di oriente, oltre che non meno si vede in oriente che in occidente e qualsivoglia altro punto del circuito suo; per il che non è più raggione che diciamo egli partirsi e tornare, esser partito e tornato, da quel punto a quel punto, che da qualsivoglia altro de infiniti al medesimo. Onde verrà esser tutto e sempre in tutto il circolo ed in qualsivoglia parte di quello; e per consequenza ogni punto indiin qualibet parte coeli, ubi esse potest, et
minimus,
ubique
ut
non
possit
esse
et ubilibet » ecc.: p. 252.
1 (GI (= L): non ® Cusano: «Iam
theologos, quorum est, omni
mobili
nec
neque est maximus
maior
nec
minor,
pariter
neque
est
è attualmente; G®: non attualmente) intelligitis facilius quomodo concordabitis
alter [Saf., VII. 25] dicit sapientiam, quae Deus
mobiliorem,
et verbum
velociter
currere
et omnia
penetrare atque a fine ad finem pertingere atque ad omnia progredi; alius vero [Saf., VII, 22) dicit primum principium fixum, immobile, stare in quiete, Fonti, l. c.
licet
det
3 (G1 = L: inmobîle;
(B.
35-6)
(W.
I, 262-3)
omnia
G%: (L.
moveri
» ecc.:
p.
254,
cfr.
Tocco,
immobile) 259-60)
284
(G.!
I, 214-5)
(GT,
221-2).
DIALOGO
viduo
dell'eclittica contiene
cossi viene uno
individuo
TERZO
tutto il diametro
del sole. E
a contener il dividuo;
il che non
accade per la possibilità naturale, ma sopranaturale; voglio dire quando si supponesse che il sole fosse quello che è in atto tutto quel che può essere. La potestà sf assoluta non è solamente quel che può essere il sole, ma quel che è ogni cosa e quel che può essere ogni cosa: potenza di tutte le potenze, atto di tutti gli atti, vita di tutte le vite, anima di tutte le anime, essere de tutto l’essere; onde altamente è
detto dal Revelatore: « Quel che è, me invia; Colui che è, dice cossi » . Però quel che altrove è contrario ed opposito, in lui è uno
e medesimo,
ed ogni
cosa
cossi discorri per: le differenze di tempi
in lui è medesima e durazioni,
per le differenze di attualità e possibilità.
Però
cosa antica
che ben
e
non
è
cosa
nuova;
per il
lui
come
non è disse il
Revelatore: « primo e novissimo » 2. Dicsono. Questo atto absolutissimo, che è medesimo che l’absolutissima potenza, non può esser compreso da l'intelletto, se non per modo di negazione: non può, dico, esser capito, né in quanto può esser tutto, né in quanto è tutto. Perché l'intelletto, quando vuole intendere, gli fia mestiero di formar la specie intelligibile, di assomigliarsi, di conmesurarsi ed ugualarsi3 a quella: ma questo è impossibile, perché l’intelletto mai è tanto che non possa essere maggiore; e quello per essere inmenso da tutti lati e modi non può esser più grande. Non è dunque occhio ch'approssimar si possa o ch'abbia accesso a tanto altissima luce e si profondissimo abisso 4. I Esodo,
III,
14.
* Apocalisse,
I, 17: cfr. Jsaia, XLI,
4 Cfr.
furori,
3 Ugualare Eroici
frequente
nei
p. 1123.
secc.
4; XLIV,
XIV-XVI
.
6; e XLVIII,
per
ugnagliare.
(B. 86-7) (W. I, 263) (L. 260) (G.! I, 215-6) (G2 I, 222). 285
12.
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
Teofilo. La concidenzia di questo atto con l’assoluta potenza è stata molto apertamente descritta dal spirto divino dove dice: « Tenebrae non obscurabuntur a te. Nox sicut dies illuminabitur, Sicut tenebrae eius, ita et lusnen eius » =, Conchiudendo, dunque, vedete quanta sia l’eccellenza della potenza, la quale, se vi piace chiamarla raggione di materia,
che
non
hanno
penetrato-i
filosofi
volgari,
la
possete senza detraere alla divinità trattar più altamente,
che Platone nella sua Politica e il Timeo? dis, Costoro, per
averno3 troppo alzata la raggione della materia, son stati scandalosi ad alcuni teologi. Questo 4 è accaduto o perché quelli non si son bene dechiarati, o perché questi non hanno bene inteso, perché sempre prendeno il significato della materia secondo
che è soggetto
di cose naturali, solamente
come nodriti nelle sentenze d’Aristotele; e non considerano che la materia
è tale appresso
gli altri, che
è comune
al
mondo intelligibile e sensibile, come essi dicono, prendendo il significato secondo una equivocazione analoga. Però, prima che sieno condannate,
denno essere ben bene essami-
nate le opinioni, e cossf distinguere i linguaggi come distinti gli sentimenti;
atteso che, benché
talvolta in una raggion comune
son
tutti convegnano
della materia, sono diffe-
renti poi nella propria. E quanto appartiene al nostro pro-
posito, è impossibile (tolto il nome della materia, e sie capzioso e malvaggio ingegno quanto si voglia) che si trove teologo che mi possa-imputar impietà per quel che dico 1 (G! = L: obscurabuntur;
2 Salmo,
CXXXVIII,
12.
G3: abscurabuntur)
2 bis (G1 spaziegg.; G? in corsivo. Ma qui si allude di Locri come filosofo e non al titolo del dial. (cfr. trad. 3 Cfr.
4 BL: (BD.
87-8)
sopra,
p.
T.[eophilo) (W.
61,
n.
1.
(andando
I, 263-4)
(L.
a capo 260-1)
286
(G.!
(soltanto I, 216)
a Timeo Namer.))
L)). (GI,
222-3).
DIALOGO
TERZO
e intendo della coincidenza della potenza e atto, prendendo assolutamente l'uno e l’altro termino. Onde vorrei inferire che, — secondo tal proporzione quale è lecito dire, in questo simulacro di quell'atto e di quella potenza (per essere in atto specifico tutto quel tanto che è in specifica potenza, per tanto che l'universo, secondo tal modo, è tutto quel che
può
essere),
numerale, absoluta
sie che
—
viene!
dall'atto,
si voglia
quanto
all'atto
ad aver una potenza
una
anima
non dico il composto, ma il verso sia un primo principio più distintamente materiale dalla similitudine del predetto,
non
e potenza
la quale
absoluta
da
non
è
l’animato,
semplice: onde cossîf de l’uniche medesmo se intenda, non e formale, che possa inferirse potenza absoluta e atto. Onde
non fia difficile o grave di accettar al fine che il tutto, secondo la sustanza, è uno, come forse inte-
se Parmenide ' di, ignobilmente trattato da Aristotele *. ! (G! presenta questo che riflette quella originale a quella
adottata
tal proporzione,
ora
brano con (cfr. L) cd
dall'Amerio:
Onde
la seguente interpunzione è sostanzialmente analoga vorrei
inferire
quale è lecito dire, in questo simulacro
che,
secondo
di quell’atto
e di quella potenza, — per essere in alto specifico tutto quel tanto che è in specifica potenza, per tanto che l'universo, secondo tal modo, è tutto quel che può essere (sie che si voglia quanto all'atto e potenza numerale),
—-
viene...)
1 dis Cfr, più innanzi, p. 319, Sigil!us Sigillor., in Opera, MI, 11, 180.
® Phys., I, 2 (ma 3); art. III (Opera, I, 1, 96-8):
Metaph., 986 b, 30. Nell'Acrotisamis, « Unum ens infinitum immobile bene
posuit Xenophanes, ut eius discipulus Parmenides et huius discipulus
Melissus, nec feliciter eos insectatur Aristotiles.... Adversus istos orthodoxa intelligentia examinatos, quid rationis habeat Aristotiles non coniicio; sed, cum gravior occasio dabitur, ad singulas aristo-
telicac invectivac partes respondebimus ». Nella
Causa
Parmenide
(p.
Parmenide;
citato da solo, quasi il principale rappresentante della scuola eleatica. Non ha luogo quindi l'osservazione del Lasson contro q. 1. della Causa 146):
taph.,
« Del
resto
Arist.
parla
con
stima
di
I, 5 lo pone esplicitamente al disopra di Senofane
in
e Melisso ».
(B. 88) (\W. I, 264) (L. 261) (G.! I, 216-7) (GT, 223). 287
Me-
è
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
Dicsono. Volete dunque che, benché descendendo per questa scala di natura, sia doppia sustanza, altra spirituale, altra corporale,
che
in somma
l'una
e l’altra se riduca
ad
uno essere e una radice. Teofilo. Se vi par che si possa comportar da quei che non penetrano più che tanto. Dicsono. Facilissimamente, purché non t’inalzi sopra i termini
della natura.
Teofilo. Questo è già fatto. Se non avendo simo
senso
e modo
di diffinire della divinità,
quel medeil qual
è co-
mune ', avemo un particolare, non però contrario né alieno
da quello, ma più chiaro forse e pit esplicato, secondo la raggione
che
non
è sopra
il nostro
discorso,
da
la quale
non vi promesi di astenermi. Dicsono. Assai è detto del principio materiale, secondo la raggione della possibilità o potenza; piacciavi domani di apparecchiarvi alla considerazion del medesimo, secondo la raggione dell'esser soggetto. Teofilo. Cossi farò.
Gervasio. A rivederci. Poltinnio. Bonis avibus ?.
Fine
del
terzo
dialogo.
a
1 B:
il quale comune.
® Augurio
già
volatili ». OvipIo, mihique ». (B.
89)
(W.
usato
Fesf.,
da
Manfurio
I, 513:
I, 264-5)
(L.
« Este
261)
286
nel
Cand.,
bonis
(G.I
I,
avibus
I, 217)
(G.2
5:
« Coi
visae
fausti
natoque
I, 224).
DIALOGO
QUARTO
Poliinnio. Et os vulvae nunquam dicit: sufficitt: id est, scilicet, videlicet, utpote, quod est dictu, materia (la qual viene significata per queste cose) recipiendis formis numquam expletur. Or, poi che altro non è in questo Liceo, vel potius Antiliceo, solus (ita, inquam, solus, ut minime omnium
solus)
deambulabo,
ei
ipse
mecum
confabulabor.
La materia, dunque, di peripatetici dal prencipe e dell’altigrado ingenio del gran Macedone moderatore, non minus che
dal
Platon
divino
e altri,
or chaos,
or kyle,
or sylva,
or massa, or potenzia, or aptitudine, or privationi admixtum,
or peccati causa, or ad maleficium ordinata, or per se non ens, or per se non scibile, or per analogiam ad forma cognoscibile, or tabula
stratum,
or
rasa,
or indepictum,
substerniculum*,
indeterminatum,
or
or subiectum,
campus,
or
or sub-
infinitum,
or
or prope nihil, or neque quid, neque quale,
neque quantum ; tandem dopo aver molto con varie e diverse 1 Proverbi
di SALOMONE,
XXX,
1-6:
« Tria
sunt
insaturabilia,
et quartum, quod nunquam dicit: Sufficit. Infernus et os vulvae ct terra, quae non satiatur aqua: ignis vero nunquam dicit; Sufficit ».
Manfurio nel Cand., IT, 1: « Terra mai sazia, fuoco e vulva cupida ». 2 Da swbsterniuni: letto, strame che si stende sotto le bestie. (B.
90-1)
(W.
I,
265)
(L,
20r-2)
289
(G.!
I,
[218]))
(G.3
I,
[225]).
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
nomenclature (per definir questa natura) collimato ', ab ipsis scopum ipsum attingentibiis, femina vien detta; tandem, inquam (ut una complectantur omnia vocabula 2), a melius rem ibsam perpendentibus focmina dicitur3. Et mehercle, non senza non mediocre caggione a questi del Palladio regno senatori ha piaciuto di collocare nel medesimo equilibrio queste due cose: materia e femina; poscia che da l'esperienza fatta del 4 rigor di quelle son stati condotti a quella rabia e quella frenesia (or qua mi vien per filo un color retorico). Queste sono un chaos de irrazionalità, lyle di
sceleraggini,
selva
di
ribalderie,
massa
d’ immundizie,
aptitudine ad ogni perdizione (un altro color retorico, detto da alcuni complexio! 5). Dove era in potenza, non solum remoa ma etiam propinqua, la destruzion di Troia ? In una donna *. 1 Cîr. lat. collinzo -as, dare nel segno. ® BL: vocula.
3 « Aristotile stesso contrappone la materia alla forma come la femmina al maschio (De gen. anim., I, 2). Come la materia è l’elemento puramente passivo, inerte (De gen. et corr., II, 9), così la femmina è senza attività (De gen. anim., IV, 1). La materia è il
xaxorotéy, l'elemento difettoso, perturbatore,
che impedisce il con-
seguimento dei fini della natura e diviene cagione di mostruosità e mutilazioni, se la forma non riesce a prevalere su di essa (Phys., I, 9; De gen. anim., IV, 4). Quindi la femmina è per se stessa qualche cosa d'incompleto, e in certo modo un maschio evirato (De gen. anim., II, 3; IV, 1) ». Lasson, p. 147, n. 54. Poliinnio è la caricatura di queste idee di Aristotile. — Il paragone, del resto, della materia
alla femmina
non è proprio
di Aristotile;
(Tim., 50 D), da cui lo ripete Plotino, Ewx., Le opp. lat. di G. B., n. 3 a pp. 343-4. 4 B (I): dal.
perché
è già in Platone
III, 6, 19;
cfr. Tocco,
5 BL: complessio. «Figura rhetorum, quae repetitionem et conversionem amplectitur »: Cic., Ad Herenn., IV, 14. (L’interpunz. del G. è qui inesatta: complezio va riferito al brano che segue (cfr.
l’es.
fornito
6 Tema
tesca,
che
(B. 91)
al I. c.).)
molto
prendeva
(W.
sfruttato
le mosse
I, 265-6)
nella
dalla
(L. 262)
letteratura sesta
(G.1
290
misogina
satira
T, [(218])-9)
di
cinquecen-
Giovenale.
(G.2 I, [225]-6).
DIALOGO
Chi
fu
l’instrumento
fortezza?
di
mascella
quello
d'asino
QUARTO
della eroe,
destruzion
della
dico,
con
io
che
che si trovava, dovenne
di filistei? Una
donna‘.
la forza del gran
Chi domò
capitano
quella
sua
trionfator invitto
a Capua=*
e nemico
sansonica
perpetuo
l’empito
e
della repu-
blica romana, Annibale? Una donna! (Exclamatio!)3 Dimmi, o cytaredo profeta, la caggion della tua fragilità. — Quia in peccatis concepit me mater mea 4. — Come, o antico nostro protoplaste 5, essendo tu un paradisico ortolano e agricoltor de l’arbore de la vita, fuste maleficiato sf, che te
con tutto il germe umano al baratro profondo della perdizion risospingesti? Mulier, quam dedit miki: ipsa, ipsa me decepit 6. —
forma
Procul dubio, la forma non pecca e da nessuna
proviene
errore,
se non
per
esser
congionta
materia. Cossi la forma, significata per il maschio,
alla
essendo
posta in familiarità della materia e venuta in composizione o copulazion con quella, con queste parole, o pur con questa sentenza risponde alla natura naturante: Mulier, quam dedisti mihi,
— idest, la materia, la quale mi hai dato con-
sorte, — ipsa me decepit: hoc est, lei è caggione d'ogni mio peccato.
Contempla,
contempla,
divino ingegno, qualmente
gli egregii filosofanti e de le viscere della natura discreti notomisti, per porne pienamente avante gli occhi la natura
della
materia,
non
han
ritrovato
che con avertirci con questa
più
accomodato
modo
proporzione,, qual significa il
! «Dalila, quae habitabat in valle Sorec» (Lib. Iudicum,XVI,
® O piuttosto a Salpi, in Capitanata. 3 (G! (cfr. L): (Exclamatio!) Dimmi;
Dimmi:
ma
cfr.
4 Salmo 5 Cfr.
L,
sopra,
6 Genesi, (B.
91-2)
Ad
6 (ma
III,
(W.
p.
I,
Herenn.,
7).
199,
12-4. 266)
n.
(L.
IV,
15.)
262-3)
(G.!
—
G. Bruno,
Dialoghi
(Exclamatio!).
I.
291 23
G?:
4-5).
italiani
I,
219-20)
(G.?
I, 226-7).
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
stato delle cose naturali per la materia essere come l’economico, politico e civile per il femineo sesso. Aprite, aprite gli occhi, ecc.1 — Oh, veggio quel colosso di poltronaria, Gervasio,
il quale
il filo. Dubito
interrompe
della mia
nervosa
orazione
che son stato da lui udito; ma che importa?
Gervasio. Salve, magister doctorum optime! Poliinnio. Se non (tuo more) mi vuoi deludere 1 dis 1y quoque, salve! Gervasio. Vorrei saper che è quello che andavi solo ruminando ? Politnnio. apud
Studiando
Aristotelem
in calce ?, dove,
nel
est, locum volendo
mio
museolo,
incidi,
del
elucidare
che
in
primo cosa
eum,
della
qui
Fisica
fosse la prima
materia, prende per specchio il sesso femminile;
sesso, dico,
ritroso, fragile, inconstante, molle, pusillo, infame, ignobile,
vile,
abietto,
roso,
frigido,
perfido,
indegno,
deforme,
neghittoso,
imperfetto, tenuato,
negletto,
rugine,
vacuo,
putido,
incoato,
reprobo, vano,
sozzo,
insufficiente,
eruca 4, zizania,
sinistro,
vitupe-
indiscreto,
insano,
ingrato,
trunco,
mutilo,
preciso 3, amputato, peste,
morbo,
at-
morte,
Messo tra noi da la natura a Dio Per una soma e per un greve fio 5.
Gervasio. Io so che voi dite questo più per esercitarvi ne l’arte oratoria e dimostrar quanto siate copioso ed eloI (Leggerei:
1 sis
? Cap.
e
(il G.
Deludere,
IX,
3 Latinismo:
pp.
192
reciso.
accoglie
canzonare.
l'integraz.
del
Lac.:
et(c).)
a 22.
4 Lat. eruca, insetto parassita della verdura. 5 ARIOSTO, Orl. Fur., XXVII, 119: « Credo che t’abbia la Natura e Dio Produtto, o scellerato sesso, al mondo, Per una soma, per un grave fio Dell'uom.... », cfr. sopra, p. 221; Caend., I, 5; MERLIN Cocat, Per alphabetum, in Opera, ed. Bari, I, 28.
(B.
92-3)
(W.
I, 266-7)
(L.
263)
292
(G.I
I, 220)
(G2
I,
227-8).
DIALOGO
quente,
QUARTO
che abbiate tal sentimento
paroli. Perché vi chiamate
che dimostrate per le
è cosa ordinaria a voi, signori umanisti,
professori de le buone lettere, quando
che
vi ritro-
vate pieni di que' concetti che non possete ritenere, non andate a scaricarli altrove che sopra le povere donne; ‘come quando qualch’altra còlera vi preme, venete ad isfogarla sopra il primo delinquente di vostri scolari. Ma guardatevi,
signori
Poliinnio.
Orfei, dal furioso sdegno
de le donne tresse 1,
Poliinnio* son io, no’ sono * BÎs Orfeo.
Gervasto,3 Dunque, non biasimate le donne da dovero? Poltinnio. Minime,
minime quidem.
Io parlo da dovero,
e non intendo altrimente, che come dico; perché non fo (sophistarun more) professione di dimostrar ch’il bianco è nero. Gervasio. Perché dunque vi tingete la barba? 4. Poliinnio, Ma ingenue loquor; e dico, che un uomo senza donna è simile a una de le intelligenze;
è 5, dico, uno eroe,
un semideo, qui non duxit uxorem. Gervasio. Ed è simile ad un’ostreca e ad un fungo ancora, ed è un
tartufo.
Poliinnio,
Onde
Credite,
divinamente Pisones,
disse il lirico poeta:
melius
nil
caelibe
vita
£.
1 Cfr. sopra, p. 171, n. 2. Circa il « vizio nefando », di cui eran macchiati troppo spesso questi «umanisti», come pur li chiama
l’AriosTo (Sat., VII, 25), cfr. p. 215, nonché le allusioni del B. nello Spaccio (p. 585) e la nota dello Spamp. (Cand.2, p. 142). % (Vedi p. 254, nota 5.) 2 dis (G1 = L: sono; G2: son) 3 (L (= B): G[ervasio].; W Lasson G! SG? Am: Dics[on].)
4 Il TANSILLO scrisse un capitolo, In lode di quelli che si tingono la barba ed il capo. II,
5 B:
e (ma
3,
Credite,
6 Orazio, 6:
(B. 93-4)
é:
cfr.
Epist.,
(W.
Lac.)
I, 1, 88: Melius
Pisones.
I, 267)
(L. 263-4)
293
nil caelibe, vita; ed
(G.1 I, 220-1)
Epist.,
(G.2 I, 228).
DE
LA
CAUSA,
PRINCIPIO
E
UNO
E se vuoi saperne la caggione, odi Secondo femina », dice egli, «è uno
impedimento
orribil
mare,
filosofo: « La
di quiete,
danno
continuo, guerra cotidiana, priggione di vita, tempesta di casa, naufragio de l’uomo »*. Ben lo confirmò quel Biscaino? che, fatto impaziente e messo in còlera per una fortuna
e furia
del
con
un
torvo
e colerico
viso, rivoltato all'’onde: — Oh mare, mare, disse, ch'io ti potesse maritare! — volendo inferire che la femina è la
tempesta de le tempeste 3. Perciò Protagora, dimandato perché avesse data ad un suo nemico la figlia, rispose che non possea fargli peggio che dargli moglie. Oltre, non mi farà mentire un buon uomo francese, al quale (come a tutti
gli altri che
pativano
essendo 1 comandato
pericolosissima
da Cicala, padron
1 Secondo d'Atene,
tempesta
de la nave :
interpelri)
I,
1.
(ma in B si legge la c).)
544
DIALOGHI
MORALI
SPACCIO
DE LA BESTIA TRIONFANTE PROPOSTO
DA GIOVE,
EFFETTUATO DAL CONSEGLIO, REVELATO DA MERCURIO, RECITATO DA SOFIA, UDITO DA SAULINO, REGISTRATO DAL NOLANO; DIVISO
IN
TRE
DIALOGI,
SUBDIVISI
IN
TRE
PARTI;
CONSECRATO AL MOLTO
ILLUSTRE Sic.
ED
ECCELLENTE
FILIPPO
STAMPATO
SIDNEO.
IN
PARIGI
M.D.LXXXIIILL
39
--
G. Bruno,
Dialoghi
italiani
CAVALLIERO
EPISTOLA
ESPLICATORIA SCRITTA
AL
MOLTO
SIGNOR
ILLUSTRE
ED
FILIPPO
Cieco chi non chi nol ringrazia;
ECCELLENTE
SIDNEO!
CAVALLIERO
DAL
NOLANO.
vede il sole, stolto chi nol conosce, ingrato se tanto è il lume, tanto il bene, tanto il
beneficio; per cui risplende, per cui eccelle, per cui giova; maestro de sensi, padre di sustanze, autor di vita. Or non so qual
mi
ingegno,
sarei,
non
vostri meriti;
principio
conceduto
eccellente
onorasse
ch'io
con
Signore,
gli vostri costumi,
giunsi
il tempo;
a l’ isola Britannica,
vi manifestate
stimasse
non
gli quali vi siete scuoperto
casione vi presenta; e remirate la vostra natural inclinazione
dunque,
se io non
a molti,
il vostro
celebrasse* gli
a me
nel primo
per quanto per
quanto
v' ha
l’oc-
a tutti, per quanto vi mostra veramente eroica. Lasciando,
il pensier dei tutti ai tutti, ed il dover
de’ molti a'
molti, non permetta il fato, che io, per quel tanto che spetta al mio particolare, come tal volta mi son mostrato sensitivo
verso le moleste ed importune discortesie d'alcuni; cossf avanti gli occhi de l'eternità vegna a lasciar nota d’ ingratitudine, voltando
le spalli3 a la vostra
bella,
fortunata
e cortesissima
patria, prima ch’al meno con segno di riconoscenza non vi salutasse, gionto al generosissimo e gentilissimo spirito del 1 Intorno
al
Sidney,
vedi
p.
70,
n.
1.
® Io non stimasse...., non onorasse...., non celebrasse. Più giù non salutasse. Quanto a questa desinenza dell'impf. c., v. Cand.,
p. LVII.
3 Cfr.
appresso,
p. 551,
n.
I.
(B. (3-4) (W. II, 107) (L. 404) (G.t IL [3]) (GIL, 549
[3)).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
signor Folco Grivello !. Il quale, come con lacci di stretta e lunga amicizia, con cui siete allevati, nodriti e cresciuti insieme,
vi sta congionto:
cossi nelle molte
e degne,
esterne ed interne
perfezioni v’'assomiglia; ed al mio riguardo fu egli quel secondo, che,
appresso
gli vostri primi,
gli secondi
offici mi
propose
ed
offerse: quali io arrei accettati, e lui certo arrebe effettuati, se tra noi non avesse sparso il suo arsenito de vili, maligni ed
ignobili
interessati
l’ invidiosa
Erinni.
Si che, serbando a lui qualch’altra materia, ecco a voi presento questo numero de dialogi, li quali certamente saranno cossi buoni o tristi, preggiati o indegni, eccellenti o vili,
dotti o ignoranti, alti o bassi, profittevoli o disutili, fertili o sterili, gravi o dissoluti, religiosi o profani, come di quei, nelle mani
de quali
contraria
potran
maniera.
incomparabilmente
venire,
E perché
altri son de l’una,
più grande
il numero
altri de l’altra
de stolti e perversi
che de sapienti e giusti, aviene
è
che, se voglio remirare alla gloria o altri frutti che parturisce la moltitudine de voci, tanto manca ch' io debba sperar lieto successo del mio studio e lavoro, che più tosto ho da aspettar materia de discontentezza, e da stimar molto meglior il silenzio
ch' il parlare. Ma, se fo conto de l'occhio de l'eterna veritade, a cui le cose son tanto più preciose ed illustri, quanto talvolta non solo son da più pochi conosciute, cercate e possedute, ma,
ed
oltre,
tenute
ch'io tanto più torrente, quanto
a vile,
biasimate,
perseguitate;
accade
mi forze a fendere il corso de 1’ impetuoso gli veggiò maggior vigore aggionto dal tur-
bido, profondo e clivoso varco. Cossi dunque lasciaremo la moltitudine
ridersi,
scherzare,
burlare e vagheggiarsi su la superficie de mimici, comici ed istrionici Sileni, sotto gli quali sta ricoperto, ascoso e sicuro il tesoro della bontade e veritade 2, come, per il contrario, si trovano più che molti, che sotto il severo ciglio, volto sommesso,
prolissa barba e toga maestrale e grave, studiosamente a danno
1 Sul Greville e le sue relazioni col B., si guardi la n. 3 a pag. * Cfr. p. 14, n. 1.
9.
(B. [4-6)) (W. II, 107-8) (L. 404-5) (G.! II, [3]-4) (G.* II, [3]-4).
550
EPISTOLA
ESPLICATORIA
universale conchiudeno l’' ignoranza non men vile che boriosa, e non manco perniciosa che celebrata ribaldaria. Qua molti, che per sua bontà e dottrina non possono vendersi per dotti e buoni, facilmente potranno farse innanzi, mostrando quanto noi siamo ignoranti e viziosi. Ma sa Dio, conosce
stolti,
la
verità
perversi
infallibile
e scelerati,
che,
cossi
come
tal
sorte
io in miei
d'uomini
pensieri,
son
paroli!
e gesti non so, non ho, non pretendo altro, che sincerità, simplicità, verità. Talmente sarà giudicato dove l’opre ed effetti eroici non saran creduti frutti de nessun valore e ‘vani; dove
non è giudicata somma sapienza il credere senza discrezione; dove si distingueno le imposture de gli uomini da gli consegli divini; dove non è giudicato atto di religione e pietà sopraumana il pervertere la legge naturale; dove la studiosa contemplazione non è pazzia; dove ne l’avara possessione non consiste l'onore, in atti di gola la splendidezza, nella molti-
tudine de servi, qualunque sieno, la riputazione, nel meglio vestire la dignità, nel più avere la grandezza, nelle maraviglie la
verità,
nella
malizia
la
prudenza,
tezza, ne la decepzione la prudenza,
nel
tradimento
l'accor-
nel fengere il saper vivere,
nel furore la fortezza, ne la forza la legge, ne la tirannia la giustizia,
ne la violenza
il giudicio;
e cossi
si va
discorrendo
per
tutto. Qua Giordano parla per volgare, nomina liberamente, dona il proprio nome a chi la natura dona il proprio essere; non
dice vergognoso
quel
che fa degno
quel ch'ella mostra aperto;
chiama
la natura;
il pane, pane;
non
cuopre
il vino,
vino;
il bere,
bere;
il capo, capo; il piede, piede; ed altre parti, di proprio nome;
dice il mangiare,
mangiare;
il dormire,
dormire;
e cossf gli altri atti naturali significa con proprio titolo 2. Ha gli miracoli per miracoli, le prodezze e maraviglie per prodezze e maraviglie, la verità per verità, la dottrina per 1 Intorno a questo pl, v. più gii, a pp. 588 (n. 1) e Goo (n. 6) ecc. * P. ARETINO (nel cap. 4/7 Duca di Mantova) « dice pane al
pane....
Ed
abbi,
chi l’ ha a schifo,
pazienza »; e ne' Ragionamenti
(Cosmopoli, 1600), p. 50: « parla a la libera n, e p. 351: « Cento volte ho pensato, per che conto noi ci aviamo a vergognare di mentovare quello
(B.
che
[6-7))
la natura
(W.
non
II, 108-9)
s’ è vergognata
(L. 405-6)
551
di fare ».
(G.1 II, 4-5)
(G2
II, 4-5).
SPACCIO
dottrina,
DE
LA
BESTIA
la bontà e virtà
per per
imposture, coltello e
che
si dicono,
per
bontà
gl’ inganni per fuoco, le paroli
TRIONFANTE
e virtù,
inganni, e sogni
le
il coltello per paroli
imposture e
fuoco e sogni,
la pace per pace, l’amore per amore. Stima gli filosofi per filosofi, gli pedanti per pedanti, gli monachi per monachi, li ministri per ministri, li predicanti per predicanti, le sanguisughe per sanguisughe, gli disutili, montainbanco, ciarlatani, bagattellieri 1, barattoni, istrioni, papagalli per quel mostrano
e sono;
ha
gli operarii,
benefici,
sa-
transmigrazione,
del
pienti ed eroi per questo medesimo. Orsi, orsi ! questo, come cittadino e domestico del mondo, figlio del padre Sole e de la Terra madre, perché ama troppo il mondo, veggiamo come debba essere odiato, biasimato, perseguitato e spinto? da quello. Ma in questo mentre non stia ocioso, né mal occupato su
l'aspettar
de
la sua
morte,
suo cangiamento. Oggi presente3 al Sidneo
della
sua
gli numerati
ed
ordinati
semi
della sua moral filosofia, non perché come cosa nuova le mire, le conosca, le intenda; ma perché le essamine, considere e giu-
dichi; accettando tutto quel che si deve accettare, iscusando tutto quel che si deve iscusare, e defendendo tutto quel che si deve defendere contra le rughe e supercilio d’ipocriti, il dentee naso de scioli, la lima e sibilo de pedanti; avertendo gli primi, che lo stimino certo di quella religione la quale comincia, cresce e sì mantiene con suscitar morti, sanar infermi e donar del suo; e non può essere Affetto, dove si rapisce quel d’altro,
si stroppiano
i sani
ed
uccidono
gli vivi;
consegliando
a gli
secondi, che si convertano a l’ intelletto agente4 e sole intellettuale, pregandolo che porga lume a chi non n’ ha; facendo
intendere
a gli
terzi,
che
a noi
1 In questa stessa Epistola
non
(p. 568)
conviene
nonché
l'essere,
nel primo
quali
dialogo
(600): bagattelle. V. in quest'ultima pag. la n. 3; e anche il De /’ infi-
nito,, p. 492.
? Spento. Nel qual significato anche appresso;
n. 4.
1 Cioè,
4 Cfr. p.
presenti,
498,
ma già a p. 364,
offra.
n. 2.
(B. (7-8)) (W. II, 109) (L. 406) (G.1 II, 5-6) (G.2 II, 5-6). 552
EPISTOLA essi
sono,
schiavi
de
ESPLICATORIA
certe
e determinate
voci
e paroli;
ma,
per grazia de dei, ne è lecito, e siamo in libertà di far quelle servire a noi, prendendole ed accomodandole
a nostro commodo
e piacere. Cossi non ne siano molesti gli primi con la perversa conscienza,
gli secondi
con
il cieco vedere,
gli terzi con
la mal
impiegata sollecitudine, se non vogliono esser arguiti gli primi de stoltizia, invidia e malignitade; ripresi gli secondi d’ ignoranza,
presunzione
e
temeritade;
notati
gli
terzi
de
viltà,
leggerezza e vanitade: per non esserse gli primi astenuti dalla
rigida censura de nostri giudicii, gli secondi da proterva calunnia de nostri sentimenti, gli terzi dal sciocco crivellar de
nostre paroli. Or, per venire a far intendere, a chiunque vuole e puote, la mia intenzione ne gli presenti discorsi, io protesto e certifico
che, per quanto appartiene a me, approvo quello che comunmente da tutti savii e buoni è stimato degno di essere appro-
vato, e riprovo con gli medesimi il contrario. E però priego e scongiuro tutti, che non sia qualcuno di animo tanto enorme e spirito tanto maligno, che voglia definire, donando ad intendere a sé e ad altri, che ciò che sta scritto in questo volume, sia
detto
da
me
come
assertivamente!;
né
creda
(se
vuol
credere il vero) che io, o per sé o per accidente, voglia in punto alcuno prender
mira contra la verità, e balestrar contra
l’one-
sto, utile e naturale, e, per conseguenza, divino; ma tegna per
fermo che con tutto il mio sforzo attendo? al contrario; e se tal volta aviene ch'egli non possa esser capace di questo,
non
si determine;
ma
reste
in dubio
sin
tanto
che
non
vegna
risoluto dopo penetrato entro la midolla del senso. Considere appresso che questi son dialogi, dove sono interlocutori gli quali fanno la lor voce e da quali son raportati gli discorsi de molti e molti altri, che parimente abondano nel proprio senso, raggionando con quel fervore e zelo che massime può 1 Nella copia napolitana dello Spaccio un anonimo
di cui nella n. 2 a p. 739, osserva: « Non acerbe stomachatur in contradicentes ? ». 2 « Sed infeliciter nimis» (Post. napol.). (B.
[8-9))
(W.
II,
109-10)
(L.
406-7)
553
(G.!
asserit.
II,
6-7)
Postillatore,
Cur igitur tam
(G.?
II,
6-7).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
essere ed è appropriato a essi. Per tanto altrimente, eccetto che questi tre dialogi
non son
sia chi pense stati messi e
distesi sol per materia e suggetto d’un artificio futuro; perché, essendo io in intenzione di trattar la moral filosofia secondo il lume interno che in me ave irradiato ed irradia il divino sole intellettuale, mi par espediente prima di preponere certi preludii a similitudine de musici; imbozzar certi occolti e confusi delineamenti ed ombre, come certa fila !, come le tessetrici;
gli pittori; ordire e distendere e gittar certi bassi, profondi e
moralità,
e
ciechi fondamenti, come gli grandi edificatori: il che non mi parea più convenientemente poter effettuarsi, se non con ponere in numero e certo ordine tutte le prime forme de la vedrete colmo
che
sono
le
al presente
di tante bestie,
virtudi
introdutto come
forma di quarant'otto bandir quelli dal cielo,
vizii
un
capitali,
repentito
di tanti
nel
Giove,
vizii, il cielo,
famose imagini; ed da la gloria e luogo
modo
che
ch'avea
secondo
la
ora consultar di d’esaltazione, de-
stinandogli per il più certe regioni in terra, ed in quelle medesime stanze facendo succedere le già tanto tempo bandite e tanto indegnamente disperse virtudi 2. Or, mette in esecuzione, se vedete vituperar cose
indegne
cose
di vitupèro,
meritevoli
per detto
biasimo;
cose degne
e per
in
come
messo
teatro,
che
in
di
ciò si paiono
inalzate
abbiate
tutto
nel suo grado dirlo) inde-
difficultade,
aspetta
di stima,
il contrario;
(anco da quei che possono
finitamente 3, cacciato
di
spreggiate
mentre che vi
essere
posto
in
essaminato,
campo,
discusso
e messo al paragone, quando si consertarà la musica, si figurarà 1 Il B. non solo qui, nel concordare, si lascia guidare dalla con-
sonanza. Tuttavia più giù (p. 557) ‘le fila’, ‘medesime fila’, ecc. % Intorno alle ispirazioni che il Bruno ebbe dai dialoghi di
Lucianoe probabilmente anche dai Dialoghi piacevolissimi (Venezia,
1539) di NiccoLò Franco, nella orditura della favola dello Spaccio, v. FIORENTINO, Diall. mor. di G. Bruno, in Studi e ritratti della Ri-
nascenza,
domenica,
de
pp. a.
la bestia
3 Ossia,
345-7,
I,
n.
e Un
20,
trionfante,
senza
14
dial.
maggio
Portici,
definire
di G. B. 1882;
1902,
nel Giorn.
p.
napoletano
e SPAMPANATO,
15
e sgg.
Lo
(nel senso in cui B. usa questo
senza decidere o concludere perentoriamente. Cfr. p. 278, n. I. (B.
[9-11])
(W.
II,
r1o)
(L.
407-8)
554
(G.!
IL,
7)
(G:?
II,
della
spaccio”
verbo): 7-8).
EPISTOLA
la imagine,
ESPLICATORIA
s’ intesserà la tela, s' inalzarà
il tetto.
In questo
mentre Sofia presenta Sofia, Saulino! fa il Saulino, Giove il Giove; Momo, Giunone, Venere ed altri Greci o Egizii, disso-
luti o gravi, quel che essi e qual essi sono, e puote appropriarsi alla condizion
e natura
che possono
degni
d'essere
con
ordinarii
sione,
non
riosi e giocosi
propositi, non
abbiate
pensate
altro per
presentare.
che
tutti
occhiali
definito
Se vedete
sono
equalmente
remirati.
che l’ordine
se-
In
contlu-
ed il numero
de soggetti della considerazion morale, insieme con gli fondamenti di tal filosofia, la qual tutta intieramente vedrete figurata in essi. Del resto, in questo mezzo ognuno prenda gli frutti che può, secondo la capacità del proprio vase; perché non è cosa si ria che non si converta in profitto ed utile de buoni;
e non
è cosa
tanto buona
e degna
che non
possa
esser
caggione e materia di scandalo a' ribaldi. Qua, dunque, avendo
tutto l’altro (onde non si può raccorre degno frutto di dottrina)
per
cosa
dubia,
suspetta
ed
impendente,
prendasi
per
final
nostro intento? l’ordine, l’ intavolatura, la disposizione, l’ indice del metodo, l’arbore, il teatro e campo de le virtudi e vizii; dove appresso s' ha da discorrere, inquirere, informarsi, addirizzarsi, distendersi, rimenarsi ed accamparsi con altre considerazioni; quando, determinando del tutto secondo il
nostro
altri
lume
e propria
intenzione,
ne
filosofia verrà
pienamente
compita,
particulari
di cotal
dialogi3,
remo più per modo Abbiamo,
leggitimo
1 Sopra
? Lo stesso che
3 « È
qua
vicario
Saulino,
probabile
li quali
definitivo.
dunque,
e buon
ne
un
n.
intenzione
B.
Giove,
1.
accenni
in altri ed
l’universal
non
o luogotenente
a p. 571,
che
esplicaremo
del
architettura
e dove
preso
raggiona-
per
primo
troppo
principio
(nel senso scolastico): pensiero.
a’ suoi
diall.
scritti più
tardi
Degli evoici furori; ma è anche probabile che abbia in mente un'opera più sistematica di etica, rimasta incompiuta, o, se compiuta, sep-
pellita negli archivii del Vaticano BECK,
der
Giordano
Bruno's
triumphierenden
derichs,
{B.
1904,
[11-2))
p.
(\W.
266,
Gesammelte
Bestie
II,
n.
8.
rro-r)
ins
con altri suoi scritti »: KUHLENWerhe;
Deutsche
(L. 408)
555
Band
2: Die
iibertragen,
(G.t
II, 7-8)
Vertreibung
Leipzig,
(G2
Die-
II, 8).
SPACCIO
DE
LA
e causa
universale;
ma
ben tolto qual cosa variabile,
al
della
fato
mutazione,
BESTIA
Però,
TRIONFANTE
conoscendo
egli
suggetta
che
in
tutto
uno infinito ente e sustanza sono le nature particolari infinite ed innumerabili (de quali egli è un individuo), che, come in
sustanza,
essenza
e
natura
sono
uno,
cossi
per
raggion
del
numero che subintrano, incorreno innumerabili vicissitudini e specie di moto e mutazione; ciascuna, dunque, di esse, e particularmente Giove, si trova esser tale individuo, sotto tal composizione, con tali accidenti e circonstanze, posto in
numero per differenze che nascono da le contrarietadi, Ie quali tutte si riducono ad una originale e prima, che è primo principio de tutte l'altre, che sono efficienti prossimi d'ogni cangia-
mento e vicissitudine: ‘per cui, come da quel che prima non era Giove, appresso fu fatto Giove, cossi, da quel ch’al presente è Giove,
al
sustanza
fine
sarà
corporea
altro
(la quale
bile 2, ma rarefabile,
bile)
Giove.
non
Conosce
che
dell'eterna
è denichilabilet né adnichila-
inspessabile,
la composizione
muta
che
formabile,
si dissolve,
ordinabile,
si cangia
figura-
la complessione,
la figura, si altera l'essere, si varia la fortuna;
si
rimanendo
sempre quel che sono in sustanza gli elementi; e quell’ istesso,
che
fu sempre,
vera sustanza Conosce bene,
cangia,
che
non
perseverando
principio
materiale,
che
è
de le cose, eterna, ingenerabile, incorrottibile. che dell'eterna sustanza incorporeaà niente si
si forma o può
l’uno
si difforma;
essere suggetto
sibil che sia suggetto
ma
sempre
de dissoluzione,
rimane
pur quella
come
non
è pos-
di composizione; e però né per sé né per
accidente alcuno può esser detta morire 3; perché morte non è altro che divorzio de parti congionte nel composto; dove,
rimanendo tutto l’essere sustanziale (il quale non può perdersi)
di
ciascuna,
cessa
complessione,
bench'abbia
propriamente
quell'accidente
unione
ed ordine.
vegna
in
familiarità con
d'amicizia,
Sa che la sustanza
gli corpi,
composizione
non o
si deve
mistione
perché questo conviene a corpo con corpo, !
(L:
? (L:
3 Cfr.
(B.
denihilabile
adnihilabile De
(12-3))
(cir.
la causa,
(W.
II,
Pref.
ai Diall.
Met.,
(così pure in seguito).) p. 245,
rti-2)
(L.
d'accordo,
di
spirituale,
stimar
con
che
quelli:
a parte di materia p. xLVI).)
n. 3.
408-9)
556
(G.!
II,
8-0)
(G.2
II,
8-9).
EPISTOLA
ESPLICATORIA
complessionata d'un modo con parte di materia complessionata d’un'altra maniera; ma è una cosa, un principio efficiente ed informativo da dentro, dal quale, per il quale e circa il quale si fa la composizione; ed è a punto come il nocchiero a la nave !, il padre di fameglia in casa ed uno artefice non esterno, ma che da entro fabrica, contempra e conserva l’edificio; ed in esso
è l'efficacia di tener uniti gli contrarii elementi,
contemperar
insieme,
qualitadi,
come
in
certa
armonia,
le
far e mantenir? la composizione
il subbio 3,
pone
ordisce
gli ordini,
la
tela,
d'uno
intesse
digerisce
discordante
le
animale.
fila,
e distribuisce
Esso
modera
gli spiriti,
a
intorce
le tempre,
infibra
le
carni, stende le cartilagini, salda l’ossa, ramifica gli nervi, incava le arterie, infeconda le vene, fomenta il core, inspira gli polmoni, soccorre a tutto, di dentro, con il vital calore ed
umido radicale, onde tale ipostasi consista, e tal volto, figura e faccia appaia di fuori. Cossî si forma la stanza in tutte le cose dette animate, dal centro del core, o cosa proporzionale a quello, esplicando e figurando le membra, e quelle esplicate e figurate conservando. Cossî, necessitato dal principio della dissoluzione, abandonando la sua architettura, caggiona la ruina
de l’edificio,
la lega,
dissolvendo
togliendo
eternamente
la ipostatica
con
medesimi
li contrarii
elementi,
composizione,
temperamenti,
rompendo
per non
perpetuando
posser me-
desime fila, e conservando quegli ordini istessi, annidarsi in uno medesimo composto: però da le parti esterne e membra facendo la ritretta + al core, e quasi riaccogliendo gl’ insensibili stormenti ed ordegni, mostra apertamente, che per la medesima porta esce, per cui gli convenne una volta entrare. Sa Giove che non è verisimile né possibile che, se la materia corporale, la quale
è componibile,
1 Altrove dice anche:
ratione,
trig.
quam
statuarum,
ut
in Opera,
® F. popolare 3 Subbio,
nauta
del sec. bastone
divisibile, « Animae
in
navi
a
maneggiabile,
a diis non alia differre videntur nauta
extra
III,
253.
del
telaio,
con
cui
409-10)
(G.!
II,
XV.
contrattabile,
navem»:
Lampas
si tendono î fili.
4 Dal franc. retraite (New World of Words, p. 448): asilo, rifugio, ricovero. Cfr. Cand.3, p. 23; De la causa, p. 192. (B.
(13-5))
(W.
II,
112)
(L.
357
g-10)
(G.?
II,
g-10).
SPACCIO
DE
LA
DESTIA
TRIONFANTE
formabile, mobile e consistente sotto il domino, imperio e virtà de l'anima, non è adnichilabile, non è in punto o atomo
adnullabile; impera,
per
il contrario,
governa,
presiede,
la
natura
muove,
più
vivifica,
eccellente,
invegeta,
che
insensua,
mantiene e contiene, sia di condizion peggiore: sia, dico (come vogliono certi stolti sotto nome de filosofi) un atto, che resulta da l’armonia, simmetria, complessione, ed in fine un accidente
che per la dissoluzione del composto vada in nulla insieme con la composizione; più tosto che principio e causa intrinseca di armonia,
non
complessione
meno
può
da lui mosso,
sussistere
governato,
absenza
disperso
dunque,
stima
l’uomo,
e simmetria
—
può
Giove
senza
che da esso deriva;
il corpo
che
il corpo
il quale
—
e per sua presenza unito, e per sua essere
esser
senza
quella
lui!.
sustanza
Questo che
è
principio,
veramente
e non accidente che deriva dalla composizione,
è il nume,
l’eroe,
che è
il demonio,
il dio
in cui, da cui e per cui, come
particolare,
vegnon
formate
Questo
l’ intelligenza;
e si formano
diverse complessioni e corpi, cossi viene a subintrare diverso esscre in specie, diversi nomi, diverse forme *. Questo, per esser
quello che, quanto a gli atti razionali ed appetiti, secondo la raggione muove e governa il corpo, è superiore a quello, e non può essere da lui necessitato e constretto; aviene per l’alta giustizia che soprasiede alle cose tutte, che per gli disordinati affetti vegna nel medesimo o in altro corpo tormentato ed ignobilito, e non debba aspettar il governo ed administrazione di meglior stanza, quando si sarà mal guidato nel regimento d’un’altra. 1 Nel
simum
Per De
aver,
minimo,
argumentum,
exglomeratque,
dunque, I,
3:
quod
osdinat,
ivi
« Est
menata
vita,
et immortalitatis
individua
vivificat,
quae
movet,
per
nostrae
‘aedificat,
intexit,
essempio,
et
validis-
agglomerat
ut
mirabilis
opifex tanto operi est praefecta, substantia minime deterioris debet
esse conditionis (accidens utpote quoddam, entelechia, energia, harmonia et contemperamentum, ut omnium stupidissime definierunt Aristoteles et Galenus) quam corpora quae agglomerantur, exglomerantur, ordinantur, moventur, et in illius usum adsumuntur haec quorum substantia vere est aeterna» Opera, I, 111, 143. ® BWLG: fortune. Ma giustamente il Post. napol.: «forme, credo che si debbia legere ». (B.
[15-6))
(W.
II,
112-3)
(L.
410)
558
(G.!
II,
10-1)
(G.2
II,
10-1).
EPISTOLA cavallina hanno
o porcina,
inteso;
ed
io
ESPLICATORIA
verrà
(come
stimo,
che
molti
filosofi
se non
è da
più
eccellenti
esser
creduto,
è
a tale
operario
o
molto da esser considerato) disposto dalla fatal giustizia, che gli sia intessuto in circa ùn carcere conveniente a tal delitto o crime, organi
ed
instrumenti
convenevoli
artefice. E cossî, oltre ed oltre sempre discorrendo per il fato della mutazione, eterno verrà incorrendo altre ed altre peggiori e megliori specie di vita e di fortuna, secondo che s’ è maneggiato megliore-1 o peggiormente nella prossima precedente condizione e sorte. Come veggiamo che l’uomo, mutando ingegno e cangiando affetto, da buono dovien rio, da temprato stemprato;
e per il contrario,
da quel che sembrava
una bestia,
viene a sembrare un'altra peggiore o megliore, in virtù de certi delineamenti
e figurazioni, che,
appaiono
corpo;
dente
nel
fisionomista.
di sorte
Però,
derivando
che
non
come
da
fallaran*
nell'umana
de molti in viso, volto, voci, gesti, affetti ed cavallini,
altri
porcini,
asinini,
l’ interno
aquilini,
mai
specie
spirito,
un
pru-
veggiamo
inclinazioni, altri
buovini;
cossi
è
da
credere che in essi sia un principio vitale, per cui, in potenza di prossima
passata
o di prossima
futura
mutazion
di corpo,
sono stati o sono per esser porci, cavalli, asini, aquile, o altro che mostrano; se per abito di continenza, de studii, di contem-
plazione ed altre virtudi o vizii non si cangiano e non si disponeno altrimente 3. Da questa sentenza (da noi, più che par comporte
la raggion
1 (G! =)
B:
loco,
non
senza
gran
causa
pp.
883-4,
megliore.
® Inganneranno.
3 Sulla
del presente
dottrina
della
metempsicosi
cfr.
la Cabala,
ed Er. fur., pp. 941-4. Nel secondo costituto veneto del 2 giugno
1592
il B. dichiara: «Io ho tenuto e tengo, che l'anime siano immortali, e che siano substanzie subsistente, cioè l’anime intellettive; e che
catolicamente parlando non passino da un corpo all'altro, ma vadino o in paradiso o in purgatorio o in inferno; ma ho ben raggionato, e seguendo le raggion filosofiche, che, essendo l’anima subsistente
senza il corpo ed inexistente nel corpo, possa col medemo che è in un corpo essere in un altro, e passar de un corpo
modo in un
altro: il che se non è vero, par almeno verisimile {secondo} l’opinione di Pittagora »: SPAMP., Vita, p. 720. (B.
[16-7])
(W.
II,
113)
(IL. 410-1)
559
(Gt
IT,
11)
(G3
II,
11-2).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
distesa) pende l’atto de la penitenza di Giove, il qual s' introduce! come volgarmente è descritto: un dio che ebbe de le virtudi e gentilezze, ed ebbe de le dissoluzioni, leggerezze c fragilitadi umane, e talvolta brutali e bestiali; come è figurato, quando
è fama,
che si cangiasse in que' varii suggetti o forme,
per significar la mutazion de gli afletti suoi diversi che incorre il
Giove,
l’anima,
l’uomo,
trovandosi
in
questa
fluttuante
materia. Quel medesimo è messo governatore e motor del cielo, per donar ad intendere, come in ogni uomo, in ciascuno individuo si contempla un mondo, un universo 2; dove per
Giove governatore è significato il lume intellettuale che dispensa e governa in esso, e distribuisce in quel mirabile architetto gli ordini e sedie de virtudi e vizii. Questo
mondo,
tolto secondo
l’ imaginazion
de stolti mate-
matici, ed accettato da non più saggi fisici, tra quali gli Peripatetici son più vani, non senza frutto presente: prima diviso come in tante sfere, e poi distinto in circa quarant'otto imagini (nelle quali intendeno primamente partito un cielo ottavo, stellifero,
essere
detto
da’
principio
Giove
(che
nacque,
da
e
volgari
suggetto
rapresenta
fanciullo
firmamento),
del
ciascun
dovenne
di
nostro
lavoro.
noi),
giovane
come
viene
da
e robusto,
ad
Perché
qua
conceputo
e da
dovenuto e dovien sempre più e più vecchio ed infermo:
tale
è
cossi
da innocente ed inabile si fa nocivo ed abile, dovien tristo, e talor si fa buono; da ignorante savio, da crapulone sobrio,
da incontinente casto, da dissoluto grave, da iniquo giusto; al che tal volta vien inchinato da la forza che gli vien meno,
e spinto a’
dei,
celebra
e spronato
che
ne
dal timor
minaccia.
Nel
della giustizia
giorno
dunque,
la festa de la Gigantoteomachia
continua e senza triegua alcuna, vizii e disordinati affetti), vuole
fatale, che
(segno
nel
superiore cielo
si
de la guerra
che fa l'anima contra gli effettuar e definir questo
! Cioè, si rappresenta. ? Cfr. 243 p. 188, e ivi n. 1. Vedi pure Lampas trig. stat. in Opera, III, 42 e 54; BRUNNHOFER, G. Bruno's Lehre vom Klein-
sten als die Quelle der pristabilirien Harmonie v. Leibniz, Lpz.,
1890,
(B.
12-3).
P. 32
e n.; e contro
[17-8))
(W.
II,
di esso Tocco,
113-4)
(L.
411-2)
560
Le
opp.
(G.1
II,
ined.,
11-2)
p. 52 sg. (G.*
II,
EPISTOLA
ESPLICATORIA
padre quello che per qualche spacio di tempo avanti avea proposto e determinato; come un uomo, per mutar proposito di vita e costumi,
nella
specola,
gaggia!
alcuni è detto sempre
prima
vien
invitato da certo
6 poppa
sinderesi?
per Momo.
Propone,
l'atto del raziocinio
de
de
lume
la nostra
che siede
anima,
che
da
e qua forse è significato quasi
dunque,
l’ interno
a gli dei,
conseglio,
cioè essercita
e si mette
in con-
sultazion circa quel ch’ è da fare; e qua convoca i voti, arma
le potenze, adatta gl’ intenti; non dopo cena, e ne la notte de l’ inconsiderazione, e senza sole d'intelligenza e lume di
raggione;
fervor
non
di
a
diggiuno
spirito,
ed
stomaco,
esser
bene
la
mattina,
iscaldato
cioè
dal
superno
nettare
del divino
amore;
più
favorisce
senza
ardore;
ma dopo pranso, cioè dopo aver gustato ambrosia di virtuosu zelo
ed
esser
mezogiorno, oltraggia
imbibito
o
nel
nemico
del
punto
errore,
di
e
quello, ne
cioè,
circa
quando
meno
l’amica
il
ne
veritade,
in termine di più lucido intervallo. Allora si dà spaccio a la bestia trionfante, cioè a gli vizii che predominano e sogliono
conculcar la parte divina;
si ripurga l’animo da errori, e viene
a farsi ornato de virtudi; e per amor della bellezza che si vede nella bontà e giustizia naturale, e per desio de la voluttà con-
sequente da frutti di quella, e per odio e tema de la contraria difformitade e dispiacere. Questo s’ intende accettato ed accordato da tutti e in tutti gli dei, quando le virtudi e potenze de l'anima concor! Gaggia, Words, p. 201).
francesismo,
? Sinderesi
etimologia)
o
adoperato
etico-religioso.
Vedi
da
cage,
gabbia
(New
sinteresi, termine scolastico
H.
a
significare
SirBECK,
in
la
coscienza
Arch.
f. Gesch.
d.
World
of
(di dubbia
nel
senso
Fhilos.,
X,
520 sgg. Nella Lampas trig. stat. (Opera, III, 342) dell'anima, in genere, è detto che «sedet in puppi et gubernator est totius compositi,
ad cuius
nutum
omnia
moventur,
vibrantur
nervi et musculi
obtemperant. Est ergo quoddam velut libere agens et praesidet suo operi n. Negli Er. fur., p. 963: «Ia voluntade umana siede in poppa de l’anima, con un picciol temone della raggione governando
gli
affetti
naturali ». (B.
di alcune
(18-0])
W.
II,
potenze
inferiori,
114)
412)
(L.
561
(G.
contra II,
l'onde
12-3)
(G#
degli II,
émpiti
13-4).
SPACCIO
DE
LA
reranno a faurir l’opra buono e vero definisce senso,
l' intelletto,
piscibile 1,
BESTIA
TRIONFANTE
ed atto di quel tanto che per giusto, quello efficiente lume; ch'addirizza il
il discorso,
l’ irascibile,
la
la memoria,
sinderesi ?,
l’amore,
l'elezione:
la concu-
facultadi
si-
gnificate per Mercurio, Pallade, Diana, Cupido, Venere, Marte,
Momo,
Giove
Dove
ed
altri
dunque
numi.
era l’ Orsa,
per
raggion
del luogo,
per esser
parte più eminente del cielo, si prepone la Verità; la più alta e degna de tutte cose, anzi la prima, ultima e perché ella empie il campo de l' Entità, Necessità, Principio, Mezzo, Fine, Perfezione: si concepe ne gli
quale è mezza; Bontà, campi
contemplativi metafisico, fisico, morale, logicale. E con 1’ Orsa descendeno la Difformità, Falsità, Difetto, Impossibilità,
Contingenzia, Ipocrisia, Impostura, Fellonia. — La stanza de l’ Orsa maggiore, per causa da non dirla in questo luogo,
rimane
vacante.
—
Dove
s'obliqua
ed
incurva
il Drago,
per
esser vicina alla Verità, si loca la Prudenza con le sue damigelle, Dialettica e Metafisica, che ha circonstanti da la destra la Callidità, Versuzia, Malizia, da la sinistra la Stupidità,
l’ Inerzia, zione,
Sorte, Da
l' Imprudenzia.
Da
quel
luogo
circonstanti;
vi si presenta,
vedrassi cose
campo
Casualità,
della ‘Consulta-
l’ Improvisione,
cade il Sofisma,
per
esser
compagna
—
la Legge, versare
per
ne
superiori,
Là
dove
farsi
Artofilace
vicina
li campi
alla madre
divino,
si
descende
ministre
e
divino,
naturale,
Sofia;
e quella
osserva
naturale,
ed etico particolare,
l’ Ignoranza
de la Prudenza,
e si vedrà versar negli campi
razionale.
la
le sinistre e destre circonstanti.
la Stolta Fede con le serve,
e la Sofia,
politico, economico a
nel
solo scrimisce4 Cefeo,
di prava disposizione,
monta
la
la Stracuragine 3, con
là, dove
morale,
casca
Versa
il
carro,
gentile,
civile,
per gli quali s’ascende
a
cose
inferiori,
appresso,
a p.
649:
.
oi
si
distende
ed
allarga a cose uguali e si versa in se stesso. Da là cade la Pre! Sottintendi,
come
P77, DD 4.
.
facoltà:
.
cfr.
* B: irascibilela, sinderesi. L: irascibiletà, sinderesi. 3 W: trascuratezza. — V. appresso, p. 669, n. 4. 4 Cfr. scrima nella Cena (p. 128): scherma. Franc.
(B.
[19-21))
(W.
II,
114-5)
(L. 412-3)
562
(G.I
II,
13-4)
Cand.,
. escrimer.
(G.2 IT,
14-5)»
EPISTOLA varicazione,
ministri
Delitto,
ESPLICATORIA
Eccesso,
e compagni.
Ove
Exorbitanza
luce
con
la Corona
li
loro
boreale,
figli,
accompa-
gnandola la Spada, s’ intende il Giudizio, come prossimo effetto de la legge ed atto di giustizia. Questo sarà veduto versare in cinque zione.
campi
Imposizione,
di Apprensione,
Execuzione;
Discussione,
Determina-
ed indi, per conseguenza,
cade
l' Iniquitade con tutta la sua fameglia. Per la corona, che tiene la quieta sinistra, si figura il Premio e Mercede; per la spada,
che
Vendetta.
—
vibra
Dove
la negociosa
destra,
è figurato
con la sua mazza
il Castigo
e
par che si faccia spacio
Alcide, dopo il dibatto ! de la Ricchezza, Povertade, Avarizia e Fortuna, con le lor presentate corti, va a far la sua residenza
la Fortezza, la qual vedrete versar negli campi de l’ Impugnazione, Ripugnanza,
Defensione; Fierezza; e
mità;
dalla dalla
e circa
Presunzione,
Espugnazione,
Mantenimento,
Offensione,
cui destra cascano la Ferinità, la Furia, la sinistra la Fiacchezza, Debilità, Pusillapi-
la quale
si veggono
la Temeritade,
Audacia,
Insolenza,
Confidenza,
ed
la
a l’incontro
Viltà,
Trepidazione, Dubio, Desperazione con. le compagne e serve. Versa quasi per tutti gli campi. — Dove si vede la Lira di nove
corde, monta la madre Musa con le nove figlie, Aritmetrica ?, Geometria, Musica, Logica, Poesia, Astrologia, Fisica, Metafisica, Etica; onde, per conseguenza, casca l’ Ignoranza, Inerzia
e Bestialitade. Le madri han l'universo per campo, e ciascuna de le figlie ha il proprio suggetto. — Dove distende l’ali il Cigno, ascende
la
Lavamento; mondizia,
Penitenza,
per conseguenza,
Sordidezza,
Impudenzia,
1 Franc. Cfr.
* Anche
p. 181, (B.
n. 1,
(21-2))
Arroganza,
nel campo
débat
Cand2,
(New p.
appresso
(W.
—
G.
la Filautia,
Protervia
II,
13.
Bruno,
World
(pp.
701
115-6)
(L.
Dinlophi
Iattanza
ed
de l'Ambizione of
Words,
e 743);
ma
413-4)
(G.t
563 40
cade
Riformazione, con
le
Im-
loro
Versano circa e per il campo de l’Errore e è dismessa l’incatedrata Cassiopea con la
Alterezza,
che si vedeno
stione.
Palinodia,
ed indi,
intiere fameglie. Fallo. — Onde Boriosità,
Ripurgazione,
italiani
altre
compagne
e Falsitade;
p. vedi II,
144): nel 14-5)
monta
disputa, De (G?
/a IT,
quecausa, 15).
SPACCIO
la regolata
Maestà,
compagni
campi
con
della
elezione;
DE
la lor
LA
BESTIA
Gloria,
Decoro,
corte,
Simplicità,
TRIONFANTE
che
Verità
Dignità,
per
ed
Onore
ordinario
altri
simili
e talvolta per forza di Necessitade
ed
versano
per
altri
ne
li
principale
in quello de la
Dissimulazione ed altri simili, che per accidente possono esser ricetto
de virtudi.
trofeo,
monta
lanza, zelo
Negocio,
e del
la
—
Ove
Fatica,
il feroce
Perseo
Sollecitudine,
mostra
Studio,
Essercizio!, Occupazione, con
timore.
Ha
Perseo
gli
talari
de
il gorgonio
Fervore,
gli
l’util
sproni
Vigi-
del
Pensiero
e
Dispreggio del ben popolare, con gli ministri Perseveranza, Ingegno, Industria, Arte, Inquisizione e Diligenza; e per figli conosce l’ Invenzione ed Acquisizione, de quali ciascuno ha tre vasi pieni di Bene di fortuna, di Ben di corpo, di Bene d’animo. Discorre ne gli campi di Robustezza, Forza, Incolumità; gli fuggono d’avanti il Torpore, l’Accidia, 1’ Ocio,
l' Inerzia,
la Desidia,
la Poltronaria,
con
tutte le lor fameglie
da un canto; e da l’altro l’ Inquietitudine, Occupazion stolta, Vacantaria, Ardelia?, Curiositade, Travaglio, Perturbazione,
che esceno dal campo de l’ Irritamento, Instigazione, Constrettura, Provocazione ed altri ministri che edificano il palaggio del Pentimento. — A la stanza de Triptolemo monta
la umanità con la sua fameglia: Conseglio, Aggiuto, Clemenzia, Favore,
Suffragio,
Soccorso,
Scampo,
Refrigerio,
con
altri
compagni e fratelli di costoro e suoi ministri e figli, che versano nel campo de la Filantropia proprio, a cui non s'accosta la Misantropia,
con
la sua corte:
Invidia,
Malignità,
Disdegno,
Disfavore ed altri fratelli di questi, che discorreno per il campo de la Discortesia, ed altri viziosi. — A la casa de l’ Ofiulco sale
la Sagacità,
che
tutte
Accortezza,
Sottilezza
ed
altre
simili
virtudi
abitanti nel campo de la Consultazione e Prudenza; onde fugge la Goffaria, Stupidezza, Sciocchezza con le lor turbe,
T
(GI
cespitano
(=
L):
Essercizio;
® Vacantaria,
FLorIoO
ardelio,
nel
New
affannone
nel
World
o
of
{FeDRO,
campo G*.
de
l’ Imprudenza
Esercizio)
vaccantaria:
Words
II,
5;
(p.
585);
MARZIALE,
ed
‘vacuità’,
ardelia,
II,
7;
IV,
Incon-
spiega
cfr.
78).
lat.
(B. [22-4]) (W. II, 116) (L. 414) (Gt IL r5-6) (G= II, 15-6).
564
il
EPISTOLA
ESPLICATORIA
sultazione, — In loco de la Saetta si vede la giudiciosa Elezione, Osservanza ed Intento, che si essercitano nel campo de l’ordinato Studio, parteno la Calunnia,
d’ Odio
ed
Invidia
Attenzione ed la Detrazione,
Aspirazione; e da là si il Repicco ed altri figli
che si compiaceno
ne gli orti de l’ Insidia,
Ispionia e simili ignobili e vilissimi coltori. — Al spacio, in cui
s' inarca il Delfino,
si vede la Dilezione, Affabilità,
Officio, che
insieme con la lor compagnia si trovano nel campo de la Filantropia, Domestichezza; onde fugge la nemica ed oltraggiosa turba,
ch'a
gli
si ritira. —
sunzione,
pagne
ad
campi
della
Contenzione,
Duello
e
Vendetta
Là d'onde l'Aquila si parte con l’Ambizione, Temeritade,
negociose
nel
soggiornare
la
Tirannia,
campo
Oppressione
de
l’ Usurpazione
Magnanimità,
ed
altre
Pre-
com-
e Violenza,
Magnificenza,
va
Generosità,
Imperio, che versano ne li campi della Dignitade, Potestade, Autoritade. — Dove era il Pegaseo cavallo, ecco il Furor divino, Entusiasmo, Rapto, Vaticinio e Contrazione, che ver-
sano nel campo ferino,
la
de l’ Inspirazione;
Mania,
l’Impeto
onde fugge lontano il Furor
irrazionale,
la
Dissoluzione
di
spirito, la Dispersion del senso interiore, che si trovano nel campo de la stemprata Melancolia, che si fa antro al Genio perverso.
—
Ove
versitade
e stolta
de la doppia l'Aspettazione, sciplina. —
cede
Andromeda
Persuasione,
che
Ignoranza, succede che si mostraranno
Onde
con
si apprendeno
Fideltade, Sincerità,
Per-
nel campo
la Facilità, la Speranza, al campo della buona Di-
si spicca il Triangolo,
Fede, altrimente detta la Constanza, Amore,
l’ Ostinazione,
ivi si fa consistente la
che s'attende nel campo de Simplicità, Verità ed altri,
da quali son molto discosti gli campi de la Frode, Inganno, Instabilità. — A la già regia del Montone ecco messo il Ve-
scovato,
Ducato,
Exemplarità,
Demonstranza,
dicazione, che son felici nel campo
Conseglio,
de l’ Ossequio,
In-
Obedienza,
Consentimento, virtuosa Emulazione, Imitazione; e da là si parte il mal Essempio, Scandalo, Alienamento, che son cruciati nel campo de la Dispersione, Smarrimento, Apostasia, Scisma, Eresia. — Il Tauro mostra esser stato figura de la
Pazienza,
Toleranza,
Longanimitade,
Ira
regolata
e
giusta,
(B. [24-5)) (W. IT, 116-7) (L. 414-5) (G.t II, 16) (G.? II, 16-7).
565
che
tude,
SPACCIO
DE
si maneggiano
nel
Fatica,
Lavoro,
disordinata,
la Stizza,
zienza, Lamento, medesimi
campi.
consisteno
nel
LA
BESTIA
campo
Ossequio
del
TRIONFANTE
Governo,
ed
altri.
il Dispetto,
Ministerio,
Servi-
Ritrosia,
Impa-
Seco
il Sdegno,
si parte
l' Ira
Querela, Còlera, che si trovano quasi per gli —
Dove
abitavano
le
Pleiadi,
monta
la
Unione, Civilità, Congregazione, Popolo, Republica, Chiesa, che dove
campo
presiede
del
Convitto,
il regolato
dal cielo
il Monopolio,
Fazione,
la
—
parteno
Partita,
Amore;
la Turba,
l’Addizione,
Concordia,
e con
quelle
la Setta,
Communione;
è trabalsato
il Triumvirato,
la
che periclitano ne'! campi
de
disordinata Affezione, iniquo Dissegno, Sedizione, Congiura, dove presiede il Perverso Conseglio con tutta la sua fameglia. Onde
Pace,
che
li Gemegli,
si compiaceno
sale
ne’
il figurato
proprii
Amore,
campi;
Amicizia,
e quelli
banditi
menan seco la Parzialitade indegna, che ostinata affigge il piede nel campo de l' iniquo e perverso Desio. — Il Granchio mena seco la mala Repressione, l’ indegno Regresso, il vil Difetto, il
non
lodabile
Refrenamento,
la
Dismession
serbano
nel
l' Inconstanza,
de
le
braccia,
la Ritrazion de’ piedi dal ben pensare e fare, il Ritessimento di Penelope ed altri simili consorti e compagni che si rimetteno
e
Povertà
de
ascende
dal
la
falso
campo
lodevol
del
campo
spirto,
ed
Ignoranza
Conversion
iniquo
con
Timore
retta,
ed
ed
altri
Ripression
Amor
Pusillanimità,
molti; dal
gli lor ministri,
onesto,
Penitenza
de
altri sozii ? contrarii
alle
male,
che
ordinato,
ed
Ritrazion
si regolano
retta
al mal
stelle nel
Intenzione,
Progresso,
al rio Avanzamento, Pertinacia profittevole. — Mena seco il Leone il tirannico Terrore, Spavento e Formidabilità, la perigliosa3 ed odibile Autoritade e Gloria della presunzione e
Piacere di esser temuto più tosto che amato. Versano nel campo del Rigore, Crudeltà, Violenza, Suppressione, che ivi son tormentate da le ombre del Timore e Suspizione; ed al celeste spacio 1
(G!:
® BW:
3 BL:
(B.
[25-7))
ne';
ascende
sozii;
G*:.
ne
LG!:
perigliosia. (W.
II,
la Magnanimità,
Generosità,
(così
568,
socii.
117-8)
(L.
pure
a pp.
Correzione
415-6)
566
573,
superflua.
(G.!
II,
16-7)
Splendore,
5833))
(G.2
II,
17-8).
EPISTOLA Nobiltà,
Prestanza,
che
ESPLICATORIA
administrano
nel
campo
della
Giu-
stizia, Misericordia, giusta Debellazione, degna Condonazione, che pretendeno sul studio d’esser più tosto amate che temute; ed ivi si consolano con la Sicurtà, Tranquillitade di spirito e lor fameglia. — Va a giongersi con la Vergine la Continenza, Pudicizia,
Castità,
fano nel campo
Modestia,
Verecundia,
della Puritade
Onestade,
ed Onore,
che
spreggiato
trion-
da l’ Im-
pudenza, Incontinenza ed altre madri de nemiche fameglie. — Le Bilancie son state tipo de la aspettata Equità, Giustizia, Grazia, Gratitudine, Rispetto ‘ed altri compagni, administratori e seguaci, che versano nel trino campo della Distribuzione,
Commutazione
l' Ingiustizia,
lor compagne,
Dove
Disgrazia,
il finto virtudi,
Retribuzione,
Ingratitudine,
dove
non
l’adunca
appare
coda
oltre
non
Arroganza
figlie ed amministratrici.
incurvava
lo Scorpione,
e
e stendeva
la Frode,
mette
ed
piè
altre
le sue branche
l’ iniquo
Applauso,
Amore, l’ Inganno, il Tradimento, ma le contrarie figlie della Simplicità, Sincerità, Veritade, e che ver-
sano ne gli campi de le madri. — Veggiamo ch' il Sagittario era segno della Contemplazione, Studio e buono Appulso con gli lor seguaci e servitori, che hanno per oggetto e suggetto il campo del Vero e del Buono, per formar l’ Intelletto e Voluntade, onde è molto absentata l’affettata Ignoranza e Spen-
seramento vile. — Là dove ancora risiede il Capricorno, vedi l' Eremo, la Solitudine, la Contrazione ed altre! madri, compagne ed ancelle, che si ritirano nel campo de l’Absoluzione
e Libertà, tratto,
nel quale
Curia,
non
Convivio
sta sicura ed
altri
la Conversazione,
appartinenti
a
questi
figli,
Barbaria. —
Onde
compagni ed amministratori. — Nel luogo de l’umido prato Aquario vedi la Temperanza, madre de molte numerabili virtudi, che particolarmente ivi si mostra figlie Civilità ed Urbanitade, dalli cui campi fugge l’ peranza d'affetti con la Silvestria, Asprezza, con
l’indegno
di dottrina, 1 L: (B.
Silenzio,
Invidia
di
che versano nel campo
il Con-
sapienza
e
e stemed incon le Intem-
Defraudazion
de la Misantropia e Viltà
altri.
[27-8))
(W.
II,
118-19)
(L. 416-7)
567
(G.!
II,
17-8)
(G.2 II,
18-9).
SPACCIO d’ ingegno,
contrarii
LA
BESTIA
son tolti gli Pesci,
e Taciturnitade
tinenza,
DE
che
Pazienza, ricetti
la
rilità, Boffonaria, Susurro, Querela,
versano
Moderanza
TRIONFANTE
vi vien nel
Loquacità,
ed
messo
il degno
de
la Prudenza,
Con-
Garrulità,
Scur-
campo
altri,
da
Moltiloquio,
quali
Silenzio
fuggono
a’
Istrionia, Levità Mormorazione. —
di propositi, Vaniloquio, Ove era il Ceto in secco,
si trova la Tranquillità de l’animo,
che sta sicuro nel campo
là
e miracoloso
de la Pace e Quiete; onde viene esclusa la Tempesta, Turbulenza, Travaglio, Inquietitudine ed altri socii e frategli. — Da
dove
spanta!
gli numi
il divo
Orione
con
l’ Impostura, Destrezza, Gentilezza disutile, vano Prodigio, Prestigio, Bagattella ? e Mariolia, che qual guide, condottieri
e portinaii
administrano
alla Iattanzia,
Vanagloria,
Usurpa-
zione, Rapina, Falsitade ed altri molti vizii, ne’ campi de quali conversano, ivi viene esaltata la Milizia studiosa contra
le inique, campo
altre
visibili ed
invisibili potestadi;
e che s’affatica nel
della
Magnanimità,
Fortezza,
Amor
publico,
virtudi
innumerabili.
—
ancor
rimane
del fiume
Eridano,
s' ha da trovar
altre volte parlarerno, cape
tra questi
vano
Timore,
zione,
Suspizion
altri.
perché
—
Codardiggia,
falsa
ed
è tolta
Tremore,
altri
e Considerazione,
qualche
cosa
il suo venerando
D’onde
cagine ed Ignoranza madre, Prudenza
Dove
Verità
la fantasia
nobile,
di cui
proposito
la fugace
ed
Lepre
Diffidenza,
non
col
Despera-
figli e figlie del padre
Dappo-
si contemple il Timor, figlio della
ministro
de la Gloria e vero Onore,
che riuscir possono da tutti gli virtuosi campi. — Dove in atto di correre appresso la lepre, avea il dorso disteso il Can maggiore, monta la Vigilanza, la Custodia, l’Amor de la republica,
la Guardia
di
cose
domestiche,
il Tirannicidio,
il Zelo,
la Predicazion salutifera, che si trovano nel campo de la Prudenza e Giustizia naturale; e con quello viene a basso la Venazione ed altre virtà ferine e bestiali, le quali vuol Giove che siano stimate eroiche, benché verseno nel campo de la Manigoldaria, Bestialità e Beccaria. — Mena seco a basso la Ca-
1 Cîr.
p.
120,
* V. sopra,
(B.
[28-30]))
p.
(W.
n.
I.
552,
n.
II, 119)
I.
(L. 417)
568
(G3
IT,
18-9)
(G.2 II,
19).
EPISTOLA
ESPLICATORIA
gnuola, l’Assentazione, Adulazione e vile Ossequio con le lor compagnie; ed ivi in alto monta la Placabilità, Domestichezza, Comità, Amorevolezza, che versano nel campo de la Grati-
tudine con
e Fideltade.
—
la vile Avarizia,
fluttuante
Onde
la Nave
buggiarda
Piratismo
ed
ritorna al mare
Mercatura,
altri
compagni
sordido
infami,
insieme
Guadagno,
e per
il più
de le volte vituperosi, va a far residenza la Liberalità, Comunicazione officiosa, Provision tempestiva, utile Contratto,
degno
Peregrinaggio,
munifico
Transporto
con
gli lor fratelli,
comiti, termonieri, remigatori, soldati, sentinieri ed altri ministri, che versano nel campo de la Fortuna. — Dove s'allungava
e stendeva le spire il Serpe australe, la provida
onde
Cautela,
cade
giudiciosa
il senil
Torpore,
detto l' Idra, si fa veder
Sagacità,
la stupida
revirescente
Virilità;
Rifanciullanza! con
l’ Insidia, Invidia, Discordia, Maldicenza ed altre commensali. — Onde è tolto con il suo atro Nigrore, crocitante Loquacità,
turpe cieco
e
zinganesca
Dispreggio,
impaziente,
il
Impostura,
negligente
Corvo,
figlie, Ja Mantia
con
con
l'odioso
Servitude,
succedeno
la
Affrontamento,
tardo
Magia
Officio
divina
gli suoi ministri e fameglia,
co
e
Gola
le
sue
tra gli quali
l'Augurio è principale e capo, che sogliono per buon fine eser-
citarsi nel campo
dozio. Tazza
— D'onde con quella
tauro,
si ordina
de l'Arte militare,
Legge,
Religione e Sacer-
con la Gola ed Ebrietade è presentata la moltitudine de ministri, compagni e circon-
stanti, là si vede l’Abstinenza, ivi è la Sobrietade e Temperanza circa il vitto, con gli lor ordini e condizioni. — Dove persevera ed è confirmato nella sua sacristia il semideo Cen-
Favola morale,
insieme
la divina
Parabola,
il Misterio
sacro ?,
il divino e santo Sacerdocio con gli suoi insti-
tutori, conservatori e ministri; da là cade ed è bandita la Favola anile e bestiale con la sua stolta Metafora, vana Analogia,
caduca le
lor
Anagogia, false
corti,
sciocca
Tropologia
conventi
porcini,
e cieca
Figuratura,
sediciose3
sette,
con
confusi
! Nel scc. XIV: rinfanciullare. ® BL: sacro; WG!: sagro. 3 Sediziose. (B.
(30-1))
(W. II, 119-20)
(L. 417-8)
569
(G.! II, 19-20)
(G.2 II, 19-20).
SPACCIO gradi,
ordini
DE
LA
disordinati,
BESTIA
difformi
TRIONFANTE-
riforme,
sporche purificazioni e perniciosissime
nel
campo
de
l'Avarizia!,
Con
l'Altare
golo orientale cade la Credulità l’ iniqua
Impietade
ed insano
cipizio.
—
aspetta
Corona
virtuosi
studi,
che
che
son
la
pendeno
Ambizione;
ne
li
la cieca e crassa
e Fede:
e dal
suo
an-
tante pazzie e la Super-
dentale
e Gloria,
coselle
con
con
Dove
cose,
Pietade
stizione
l’ Onore
tante
ed
e si maneggia
è la Religione,
puritadi,
forfantarie che versano
Arroganza
quali presiede la torva Malizia, Ignoranza.
immonde
e coselline;
e dal
Ateismo
australe,
gli frutti de
canto
vanno ivi
occi-
in pre-
è il Premio,
le virtudi
faticose
e
dal favore
de le dette
celesti im-
de la Voluptade,
ivi la Cena,
ivi l’anima
pressioni. — Onde si prende il Pesce meridionale, là è il Gusto de gli già detti onorati e gloriosi frutti; ivi il Gaudio, il fiume de le Delicie,
torrente
Pasce la mente de sf nobil cibo, Ch'ambrosia e nettar non invidia
Là
è il Termine
tranquillo Vale. 1 «In
de gli tempestosi
Riposo,
universam
ivi la sicura
pontificiam
travagli,
Quiete.
ceconomiani,
a Giove?.
ivi il Letto,
credo » (Post.
® PETRARCA, son. 193 (ed. Salvo-Cozzo). liriche, p. 143, imitò questi versi:
Il TANSILLO,
ivi il
napol.).
Poesie
Io non invidio a Giove L'ambrosia sua soave. E il Geloso
nella
Cecaria
dell’ Epicuro
(ed.
Per la dolcezza che qui piove Ambrosia e nettar non invidio
Palmarini,
p. 51)
dice:
a Giove.
Il 2° v, del Petrarca è citato anche nel Candelaio?, p. 60. Sono tra i versi del P. diventati proverbiali nel Cinquecento. Cfr. SPAMP.,
Postille, p. 309. (B.
[31-2))
(W.
II,
120)
(L.
418-9)
570
(G.!
II,
20)
(G
II,
20-1).
DIALOGO
PRIMO
INTERLOCUTORI Sofia, Sofia. Talché, la mutazione, veniente,
se ne li corpi, materia
varietade
e vicissitudine,
nulla di buono,
Saulino.
Sofia. altro,
Saulino ®, Mercurio.
Molto
Ogni
che
in
bene
niente l’ hai
delettazione certo
fusse
nulla
con-
sarrebe
delettevole.
dimostrato,
non
transito,
ed ente non
Sofia.
veggiamo
camino
consistere
e moto.
in
Atteso
che
fastidioso e triste è il stato de la fame; dispiacevole e grave è il stato della sazietà: ma quello che ne deletta, è il moto da l'uno a l’altro.
Il stato del venereo
ardore ne tormenta,
il stato dell’ isfogata libidine ne contrista 2; ma quel che ne appaga, è il transito da l’uno stato a l’altro. In nullo 1 Nome
del
casato
quattro
censimenti
nolani
cazione,
è impossibile
materno
del sec.
del
XVI,
Bruno,
molto
se in quello
comune
del
nei
1526 del
solo «casale » di S. Paolo era di ben nove «focolari » e di quattordici famiglie, ed andò sempre più diffondendosi, tanto da giungere ai giorni nostri. Tra tanta gente, per la mancanza di qualsiasi indi-
riconoscere
l'interlocutore
dello
Spaccio
e
della Cabala. Si potrebbe tuttavia pensare ad Andrea Savolino, che nel 1561 fu «deputato delle paranze de la provincia de Principato Citra nella nova Numerazione », cioè ebbe l'ufficio che non disdegnarono uomini noti per nobiltà d'ingegno e di natali, come
Angelo di Costanzo,
PP. 47-50, 64, ecc.). * Cfr.
(B.
1-2)
l'Arg.
(W.
Antonio Albertino e simili (SPAMPANATO,
degli II,
Er. 121)
fur., (L.
Vita,
930.
410)
(G.1
971
II,
(21))
(GC.
II,
[23)).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
esser presente si trova piacere, se il passato non n’ è venuto
in fastidio. La fatica non piace, se non in principio, dopo il riposo;
e se non
in principio,
non è delettazione. Saulino.
Se
cossi
è, non
dopo
la fatica, nel riposo
è delettazione
senza
mistura
di tristezza, se nel moto è la participazione di quel che contenta e di quel che fastidisce. Sofia. Dici bene. A quel che è detto aggiongo, che Giove qualche
certe
volta,
vacanze
soldato;
con
come
ora
li venesse
tedio
di agricoltore,
di esser Giove,
ora
prende
di cacciatore,
ora
adesso è con gli dei, adesso con gli uomini,
le bestie.
Color che
sono
o colcato,
piace
di
adesso
ne le ville, prendeno
la lor
e giova il caminare;
e chi
festa e spasso ne le cittadi; quei che sono nelle cittadi, fanno le loro relassazioni, ferie e vacanze ne le ville 1. A chi è stato
assiso
ha discorso con gli piedi, trova refrigerio nel sedere. Ha piacer nella campagna chi troppo ha dimorato in tetto: brama la stanza chi è satollo del campo. Il frequentar un cibo, quantunque
Tanto
piacevole,
è caggione
di nausea
che la mutazione da uno contrario
al fine.
a l’altro per gli
suoi participii, il moto da uno contrario a l’altro per gli suoi mezzi viene a soddisfare; ed in fine veggiamo tanta familiarità di un contrario con l'altro, che uno più conviene con
Sat.,
l’altro, 1 Il
che
il simile
IKUHLENBECK
I- 1,
(p.
9-12:
Agricolam laudat Sub galli cantum Ille
datis
con
277,
vadibus
(B.
2-3)
(W.
il 2° Efodo II,
121-2)
n.
24)
richiama
i versi
iuris legumque peritus consultor ubi ostia pulsat. qui
Solos felices viventes
Cfr. anche
il simile.
rure
clamat
extractus
in urbe.
in
urbem
di
Orazio,
est,
oraziano. (L. 419-20)
572
(G.1
II,
[21)-2)
(G.2 II,
[23}-4)-
DIALOGO
PRIMO
Saulino. Cossi mi par vedere, perché la giustizia non ha l'atto
se non
dove
è l'errore,
la concordia
se non dove è la contrarietade; rico,
perché
si toccano
non
s'effettua
il sferico non posa nel sfe-
in punto,
ma
il concavo
si quieta
nel convesso; e moralmente
il superbo non può convenire
col
superbo,
povero,
ma
si compiace
col
splendido.
il
povero
col
l’uno Però,
nell'umile, se fisica-,
l’avaro
l'altro
con
nel
matematica-
l’avaro;
ricco,
questo
e moralmente
si considera, vedesi che non ha trovato poco
quel filosofo *
che è dovenuto alla raggione della coincidenza de contrarii, e non è imbecille prattico quel mago che la sa cercare dove ella consiste 2. Tutto, dunque, che avete proferito, è verissimo:
ma
vorrei
sapere,
o
Sofia,
a che
proposito,
a che fine voi lo dite.
Sofia. Quello che da ciò voglio inferire, è che il prin-
cipio,
il mezzo
ed
il fine,
il nascimento,
l'aumento
e la
perfezione di quanto veggiamo, è da contrarii, per contrarii, ne’ contrarii, a contrarii: e doveèla contrarietà, è la azione e reazione,
è il moto,
è la diversità,
è la
l'ordine, son gli gradi, è la successione,
Perciò nessuno, aver
presente
moltitudine,
è la vicissitudine 3.
che ben considera, giamai si desmetterà
è
o s’inalzarà
per l'essere ed d’animo,
quan-
tunque, in comparazion d’altri abiti e fortune, gli paia buono o rio, peggiore o megliore. Tal io con il mio divino oggetto, che è la verità, tanto tempo, come fuggitiva,
il
1 Allude al Cusano: cfr. pp. 335 e 340. ® « Profonda magia è saper trar il contrario, dopo aver trovato punto de l’unione n»: De la causa, p. 340. Cfr. anche Er. fur.,
974,
dove
ricavano
3 W:
(B.
dallo stesso
conseguenze
diverse
la successione.
3-4)
(W.
II,
principio
122)
da
Per ciò.
(L. 420)
della coincidenza queste (G.!
573
dello
II,
22-3)
dei contrarii
Spaccio. (G.
II,
24-5).
si
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
occolta, depressa e sommersa, ho giudicato quel termine, per ordinanza del fato, come principio del mio ritorno, apparizione,
essaltazione
e magnificenza
tanto più grande,
alzarsi da terra, li fia mestiero
che prima ben si
quanto maggiori son state le contradizioni. Saulino. Cossi aviene, che chi vuol più gagliardamente saltando
recurve; sando
otto
e chi studia di superar più efficacemente trapas-
un
fosso,
o diece
Sofia.
accatta
passi
Tanto
talvolta
a dietro.
più,
dunque,
l’ émpito,
spero
nel
sé
ritirando
futuro
meglior
successo, per grazia del fato, quanto sin al presente mi son trovata al peggio. Saulino. - + Quanto più depresso, Quanto è pi l'uom di questa ruota al fondo, Tanto a quel punto più si trova appresso, C’ ha
da
salir,
si de’
girarsi
in
tondo:
Alcun sul ceppo quasi il capo ha messo, Che l’altro giorno ha dato legge al mondo 3,
Ma, di grazia, séguita, Sofia, a specificar più espressamente il tuo proposito. Sofia. 1l tonante Giove, dopo che tanti anni ha tenuto del giovane, s' è portato da scapestrato ed è stato occupato ne
l’armi
e ne gli amori,
ora,
come
domo
dal
tempo,
co-
mincia a declinare da le lascivie e vizii e quelle condizioni che la virilitade e gioventude apportan seco. Saulino.
Poeti
sf, filosofi non
descritti ed introdotti gli dei. ! Ariosto,
Orl. fur., XLV,
si dé girar îl tondo ». %* W:
(B.
4-5)
descritti (W.
II,
mai
hanno
Dunque,
2. Nel 4° v.
B
sf fattamente
Giove e gli altri (L):
«Che
da salir
li dei. 122-3)
(L.
420-1)
574
(G.!
IT,
23)
(G.2
II, 25-6).
DIALOGO
PRIMO
dei invecchiano? dunque, non è impossibile ch’ancor essi abbiano ad oltrepassar le rive di Acheronte? 1 Sofia. Taci,
non mi levar di proposito,
Saulino.
Ascol-
tami sin al fine. Saulino. perché
son
Dite pure, ch'io certo,
che
attentissimamente
dalla
tua
bocca
non
vi ascolto;
esceno
se non
grandi e gravi propositi: ma dubito che la mia testa non le = possa capire e sustenere. Sofia. maturo,
Non e
dubitate.
non
Giove,
admette
persone ch’ hanno
oltre
in capo
dico, nel
comincia
conseglio,
la neve,
ad
esser
eccetto
che
alla fronte gli solchi,
al naso gli occhiali, al mento la farina, alle mani il bastone,
ai piedi il piombo: in testa, dico, la fantasia retta, la cogitazion sollecita, la memoria
ritentiva;
ne la fronte la sen-
sata apprensione, ne gli occhi la prudenza, nel naso la sagacità, nell'orecchio l'attenzione, ne la lingua la veritade,
nel petto
la sinceritade,
nel core
gli ordinati
affetti,
ne le spalli la pazienza, nel tergo l’oblivio 3 de le offese, nel stomaco
la discrezione,
la continenza, rettitudine,
ne
ne
la
destra la raggione golativa giustizia,
nel
ventre
le gambe sinistra
la sobrietade,
la constanza, il pentateuco
ne di
nel
seno
le piante decreti,
la
nella
discussiva, la scienza indicativa, la rel’imperativa autoritade e la potestà
executiva,
Saulino. Bene abituato: ma bisogna, che prima sia ben lavato, ben ripurgato. 1 Evidentemente
Luciano.
l’autore
ha
presenti
i Dialoghi
dei
® Le per li, non meno spesso che li per /e. Cfr. Cand,
Cena, p. 37, n. 1. 3 (G! (= L): oblivio; G®: oblio) (B. 5)
(W.
II,
123)
(L.
421)
(G!
575
II,
23-4)
(G.#
II,
morti
di
p. Lv;
26-7).
SPACCIO
Sofia.
Europe
Ora
DE
non
LA
son
bestie
che l’ incornino
lidiscano
in oro,
non
BESTIA
TRIONFANTE
nelle
quali
in toro, non
Lede
si trasmute,
Danae
non
che lo impal-
che l’ impiumino
in cigno,
non
ninfe Asterie e frigii fanciulli * che lo imbecchino in aquila, non Dolide ? che lo inserpentiscano, non Mnemosine che lo degradino in pastore, non Antiope che lo semibestialino in
Satiro,
perché de
non
Alcmene
quel temone
che
lo
che volgeva
trasmutino
in
Anfitrione:
e dirizzava questa
le metamorfosi 3, è dovenuto
si fiacco,
che
nave
poco
piri
che nulla può resistere a l’émpito de l’onde, e forse che l’acqua ancora gli va mancando a basso. La vela è di maniera tale stracciata e sbusata 4, che in vano per ingonfiarla il vento soffia. Gli remi, ch'al dispetto di contrarii venti e turbide tempeste soleano risospingere il vascello avanti,
ora, faccia quantosivoglia calma,
e sia a sua posta
tranquillo il campo di Nettuno, in vano il comites sibilarà 6 a orsa,
son
a poggia,
a la sia, a la voga,
perché
gli remigatori
dovenuti come paralitici. Saulino. Oh gran caso! 1 Allusione
* Anche
a Ganimede.
negli Er.
fur.,
p.
1oor,
niente o da un errore di memoria vecchie
edizioni,
invece
di
si ripete
del Bruno
Deoide.
Cfr.
questa
forma prove-
o da falsa lettura di Ovipio,
Metamm.,
II, 850 sgg., VI, 114; luoghi a cui il B. s’ inspira in quest'enumerazione delle metamorfosi erotiche di Giove. V. pure IGINO, Favole, 63, 53. 3 Questo
e
quelli
che
seguono,
sono
paragoni
apparirà meglio appresso, in ispecie a p. 590. 4 Sbusata, da buso (buco): sbucata (New P. 468). S Comite,
delle grandi
navi,
anchea p.
e dava
osceni,
come
World of Words,
569: dicevasi chi comandava i marinai
loro tutti gli ordini:
il nostromo.
6 Darà con i fischi i comandi seguenti. Sia, qui appresso, per scia (New World of Words, p. 498); e cosî orsa. per orza,
Cfr. Cand.3, p. 19. (B.
5-6)
(W.
II,
”
123-4)
(L.
421-2)
576
(G.2 II,
24-5)
(G.3
II,
27).
DIALOGO
PRIMO
Sofia. Indi non fia chi più dica e carnale e voluttuario; perché al buon il spirito 1, Saulino. Come colui, che tenea già ancelle di moglie e tante concubine, al ben satollo, stuffato e lasso, disse:
favoleggi Giove per padre s'è addonato tante moglie, tante fine dovenuto qual
Vanità,
vanità,
ogni cosa è vanità? Sofia. Pensa al suo giorno del giudizio, perché il termine de gli o più o meno o a punto trentasei mila anni, come è publicato, è prossimo; dove la revoluzion de l'anno del mondo minaccia, ch'un altro Celio 3 vegna a repigliar il 1 B: il buon padre s'è addonato il spirito; W: il buon padre s’è adonato al spirito; LG1: il buon padre s'è addovato il spirito. — Adonare, lat. domare, antico gallicismo: abbattere, opprimere. Nel qual senso anche DANTE nell'Inf., VI, 34; mentre nel Purg., XI, 19, l'usa per ‘cedere’. 2 V.
i Re,
I,
3 Celio,
Celeo,
sacerdote
Coelus,
Urano
manda
11,
e l’Ecclesiaste,
celeste. di
Il
Cerere,
alle Favole
2.
KUHLENBECK,
di Igino,
(nella
I,
re
Lampas
di
Eleusi,
147.
Ma
trig.
p.
padre
Celio
stat.,
279,
n.
di
Opera,
30,
intende
Trittolemo,
e ri-
è qui probabilmente III,
106-11,
il
B.
usa promiscuamente Caelius, Coelius, Coelum), poiché appresso si accenna al mito di Saturno che spodesta il padre. Coelus il B. trovava
nominato
il
padre
di
Saturno
nella
traduzione
di
Plotino,
fatta
dal Ficino, Enw., III, 5, 2. — L'anno del mondo (cfr. Cena, p. 165) si riferisce, secondo il B. (De rev. princ., in Opera,
III, 538), «ad vicissitudinem tempestatum haec inferiora non annuis, sed saecularibus
tantur
atque
denza,
e Bruno,
ritorno
di
disponuntur ». Circa
tutte
le
De
cose,
Ut
Minos
fuerat
Sic
habet
Avcturus
Ut sumpsit
Gottfridum
Aeneae
6-7)
(W.
II,
I,
Gli
166-74
cristata
dottrina
Egiziani
(in
casside
neoplatonica
Opera,
o
T,
Della
111,
iunctam
pulcher,
spoliisque
cum
viribus
gaudetque
Rolandus
artem,
Pipinus
Achillis.
antiquo nova vestis, et hic sunt (L.
422)
577
(G.I
Caesaris
II,
25)
(G2
acta.
IT,
del
Provvi-
136):
Quondam
in alterius femoralia 124)
quibus permu-
torsitque hastile venuste,
vestit Turnus,
numeris,
Syndonem
SINESIO,
clypeum
Exit de panno (B.
v.
minimo,
questa
et fortunarum, vicissitudinibus
27-8).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
domino e per la virtà del cangiamento ch’apporta il moto de la trepidazione, e per la varia, e non più vista, né udita
relazione ed abitudine di pianeti. Teme che il fato disponga, che
l’ereditaria 1 successione
precedente
grande
non
mondana
sia
come
revoluzione,
ma
quella
della
molto * varia
e diversa, cracchieno quantosivoglia gli pronosticanti astrologi ed
altri divinatori.
Saulino. Dunque, si teme che non vegna qualche pi cauto Celio, che, all’essempio 3 del prete Gianni 4, per obviare Il compimento dell’anno cosmico era stato predetto appunto pel 1584' tra la fine di marzo ei primi di aprile, dall’astrologo boemo CIPRIANO Leowicz nel suo libro De coniunctionibus magnis insignioribus superiorum planetarumn, pubblicato vent'anni prima. V. FioRENTINO,
Studi
e ritratti, p. 348.
1 BL: ch’ l' heveditaria. % BL: volto. 3 (L: essempio; G! G2; esempio)
4
Il
Presbyter La
prete
Johannes
légende
du
Johannes
Gianni
Prétre
in
Sage
Jean,
in Abhandl.
della leggenda,
u.
su
Geschichte,
Bordeaux,
der philol.-hist.
cui
Berlin,
1877;
v.
OPPERT,
1864;
ZARNCKE,
k. (leggi:
classe)
Der
Der
BRUNET,
Priester
d. h. sachs.
Gesell. d. Wiss. di Lipsia, 1876-90; e anche GRAF, Roma nella memoria e nelle immaginaz. del M. E., Torino, 1883, II, 548 sg.; Car-
DUCCI, Opere, XI, 75-7 (ma 73-77 (Fologna, 1902): L. MANZONI, Del Prete Janni). Il KUHLENRECK cita (ma traducein parte, a p. 230, n. 32) il seguente luogo d'un vecchio scrittore:
«Apud
Habessinos
sapienter
constitutum
ut soli masculi
suc-
cedant, agnatione propinquiores; sed quia et patrum et matrum regnique primorum arbitrium admiscetur, neî non illegitimis aditus ad Regnum datur, infelicissimae et turbulentace ut plurimum sunt
illorum successiones.... «Reges Habessinorum
prisci,
bulentis
manerent:
filios
quam
Rupes
regii
regni
exsortes,
hominibus
moliri
Amharae
iuvenes
Historiam
P. Antonii Imperator (B.
7)
in
ignoti
possent,
arctam
et
Geshen
excelsae
ut
custodiam
tamen
totam
ex
Tellezio
(W.
II,
124)
nec
nunquam
et Ambacel
nativitatis
tantis
suae
malis
obviam
irent,
regnanies
quid-
concluserunt,
contra
successores
huic fini delectae,
poenas
(1. I,c.
ubi
dare
17), quam
tur-
deessent
coacti
in quibus
fuerunt.
ex relationibus
d’'Almeyda testis oculati habet, nostro stylo referemus: Jcon-amlacus quinque filios (alii novem aiunt) genuit, (L.
422)
(Gt
578
1LI, 26)
(G.2
II,
28-9).
DIALOGO
PRIMO
a gli possibili futuri inconvenienti, non bandisca gli suoi figli a gli serragli del monte Amarat, ed oltre, per tema che qualche Saturno non lo castre, non faccia mai difetto di non
allacciarsi
dormire
senza
le mutande
braghe
di
di
ferro,
diamante.
e non
si riduca
Laonde,
non
a
succe-
dendo l’antecedente effetto, verrà chiusa la porta a tutti gli altri conseguenti, ed in vano s’aspettarà il giorno natale della Dea di Cipro, la depressione «del zoppo Saturno, l’essaltazion di Giove, la moltiplicazion di figli e figli de’ figli, nipoti e nipoti de’ nipoti, sino a la tantesima generazione, quantesima è a tempi nostri, e può sin al prescritto termine essere ne gli futuri. Nec
iterum
Sofia =.
In
ad
tal
Troiam
magnus
termine,
mittetur
dunque,
Achilles 1.
essendo
la
condizion
de le cose, e vedendo Giove ne l' importuno memoriale de quos
omnes
cum aequali' amore aequaliter
imperare
iussit.
complecieretur,
regnare
Natu
voluit,
minimus,
imprudentissimo
ct, quod
morac
tot
peius
est,
annorum
consilio,
alternis
annis
pertaesus,
et
fortassis altius metuens, in animum sibi induxit, sceptrum semel acceptum non deponere, sed fratres in rupem aliquam relegare, atque sic imperium ad posteros suos derivare. Verum proditus a familiari suo, qui pracmia a regnante accipere quam a regnaturo expectare malcbat, insidias quas fratribus struxerat, ipse expertus,
et in rupem suae
quam
Geshen
regni
abductus
consuluisse
inclusit.
fuit. Ne
videretur,
Duravitque
vero
ista
filios
Iex
magis
proprios,
consuetudo
securitati
quos
iam
habebat,
simul
instar
legis
Naodum,
qui anno circiter 1590 ultimus e rupe illa ad regnum evec-
fundamentalis in Aethiopia per ducentos et triginta fere annos, quibus pacatum imperantibus fuit regimen, usque ad Imperatorem tus fuit ». JoBI LuDOLF
sive
Brevis
male,
et succincta
presbyteri
MDCLXXXI,
I VirciLio,
Johannis
descriptio vocatur
lib. II, c. 8). Ecl.,
IV,
IT,
124)
% Manca
in AL.
(B.
(W.
7-8)
(alias LEUT-HOLF
36;
579 dl
—
G,
Bnuno,
Dialoghi
italiani
Habessinorum
(Francofurt
atque
(L. 422)
vegni
dicti) Historia Aethiopica,
iterum
°
(GI
ad
IT, 26)
ad
quod
Menum,
Troiam,
vulgo
Zunner,
etc.
(G:è II, 29-30).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
la sfiancuta forza e snervata virtude appressarsi sua
morte,
cotidianamente
fa
caldi
voti
ed
come
effonde
la fer-
venti preghiere al fato, acciò che le cose ne gli futuri secoli in suo favore vegnano disposte. Saulino. voi
che
non
proprio rabile? (se pur qualche mani il
Tu,
conosca
e pur È pur il fato poeta; tragico E
o Sofia,
me
Giove
dici de
la condizion
E
Fato
i rati
ne guida,
stami
che
e noi
cedemo
per
Discorron
decreto
con
ciascun
al fato;
non ponno.
e comportiamo, il tutto
E la dura sorella Il torto filo non ritorce
Va
che
del contorto fuso ?
facciamo
prefisso
Mentre
del fato,
Volete
troppo divolgato epiteto è intitolato inesoverisimile, che nel tempo de le sue vacanze gli ne concede), talvolta si volga a leggere e non è difficile che gli sia pervenuto alle Seneca, che li done questa lezione 1:
Solleciti pensier mutar Ciò
le maraviglie.
cert'ordine
di noi
pende;
d'alto
a dietro.
le Parche,
incerto ad incontrar gli fati suoi.
Sofia. Ancora il fato vuol questo, che, benché sappia. il medesimo Giove che quello è immutabile, e che non possa essere
altro
che
quel
che
deve
essere
e sarà,
non
manchi
d'incorrere3 per cotai mezzi il suo destino. Il fato ha ordinate le preci, tanto per impetrare, quanto per non impetrare; e per non aggravar troppo gli animi trasmigranti, interpone la bevanda del fiume Leteo, per mezzo 1 SENECA,
Oedipus,
chor.,
vv.
1001-8,
1015-6
Richter). 2 Il testo lat.: rati stamina fusi. 3 Non di rado dal XIV al XVII sec. si trova caso. V. pp. 556, 559, 560 ecc. (B.
8-9)
(W.
II,
124-5)
(L.
422-3)
580
(G.!
II, 26-7)
(ed.
Peiper
e
usato col quarto (G.2
II,
30-1).
DIALOGO
de le mutazioni,
PRIMO
a fine che, mediante
l'oblio,
ognuno
mas-
sime vegna affetto e studioso di conservarsi nel stato presente. Però li giovani non richiamono * il stato de la infanzia,
gl’ infanti non appeteno *? il stato nel ventre de la madre, e nessuno di questi il stato suo in quella vita, che vivea prima che si trovasse in tal naturalitade. Il porco non vuol morire per non esser porco, il cavallo massime di scavallare. Giove per le instante necessitadi
paventa somma-
mente teme di non esser Giove. Ma, la mercé e grazia del fato, senza averlo imbibito de l’acqua di quel fiume, non cangiarà il suo stato.
Saulino. Talché, o Sofia (cosa inaudita !), questo nume ancora av'egli dove effondere orazioni? esso ancora versa nel timore della giustizia? Mi maravigliavo io, perché gli dei sommamente temevano di spergiurare la Stigia palude 3;
ora comprendo che questo procede dal fio che denno pagare anch'essi. Sofia. Cossi è. Ha ordinato al suo fabro Vulcano, che non
lavore
de giorni
di festa; ha
non
faccia
comparir
la sua
I B:
richiamo;
W:
LVuI,
I.
% Forme
Cand3,
p.
consimili n.
3 Nel Candelaio,
coli inviolando)
a
corte,
richiamano;
pp.
comandato
551,
L:
559,
e non
permetta
richiamono.
564,
a Bacco
566,
567,
debac-
per
II, 6: «per le onde stigie (giuramento
vada.... ». Cfr.
VIRGILIO,
Aex.,
VI,
che
cui
v.
ai Celi-
323-4,
€ ARIST.,
seiu
specierum
Metaph., 983 b 32. Nel De rerum principiis il B. dice che Stige o abisso designa uno dei due principii della materia: il principio umido, agglutinante e formativo (cir. De l'infinito, p. 453, n. 1): «Hinc omnes philosophi divini et magi et poetae Stygem, quam
matricem
aquarum
intelligunt,
matrem
Deorum
intelligunt; et hoc significant Orpheus, Linus, Hesiodns et omnes poetae, cum dicunt Stygem esse inviolabile iusiurandum Deorùm »:
Opera,
III,
(B.
0)
si.
(W.
II,
125)
(L.
423)
581
(G.
IT, 27-8)
(G.2
II, 31).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
care! le sue Evanti, fuor che nel tempo nelle
feste
principali
de
l’anno,
di carnasciale, e
solamente
dopo
cena,
ap-
presso il tramontar del sole, e non senza sua speciale ed espressa licenza. Momo, il quale avea parlato contra gli dei, e, come a essi pareva, troppo rigidamente arguiti gli loro errori, e però
era.stato
bandito
dal-concistoro
e conversa-
zion di quegli, e relegato alla stella ch'è nella punta de la coda di Calisto 2, senza facultà di passar il termine di quel parallelo a cui sottogiace il monte Caucaso, dove il povero dio è attenuato dal rigor del freddo e de la fame; ora è richiamato,
giustificato,
restituito
al suo
stato
pristino,
e
posto precone ordinario ed estraordinario con amplissimo privileggio di posser riprendere gli vizii, senza aver punto risguardo a titolo o dignitade di persona alcuna. Ha vietato a Cupido d’andar più vagando, in presenza degli3 uomini,
eroi e dei,
ingiontoli
strando
ma
cossi sbracato 4, come
che non
le natiche
offenda
che vada- per
oltre
la vista
per la via lattea,
l’avenire
ha
vestito
di costume; de
Celicoli,
ed Olimpico
almeno
ed mo-
senato:
da la cintura
a basso; e gli ha fatto strettissimo mandato che non ardisca
oltre di trar dardi se non per il naturale, e l'amor de gli uomini faccia simile a quello de gli altri animali, facendoli a certe
e determinate
staggioni
inamorare;
e cossf,
come
a gli gatti è ordinario il marzo, a gli asini il maggio, a questi
1 W:
? Cioè
Bunte,
vedrà,
di vagare.
nell’ Orsa
lib.
nello
3 (L:
II,
de
c.
Spaccio.
gl’)
4 Nel Baldo
maggiore, 30:
opera
(ediz. Laterza,
Nudus
it et nullis
(B.
(W.
9-10)
1, p.
II,
cfr.
XIV,
tegitur vergogna 125-6)
(L.
HyGINI,
probabilmente
423-4)
552
166-8):
Astronomica, sfruttata,
«.... Veneris....
mudandis ». (G.! II,
28-9)
(G#
II,
come
rec.
si
putellus
31-2).
DIALOGO
sieno
accomodati
que’
PRIMO
giorni
Petrarca di Laura ?, e Dante
ne’
quali
se
di Beatrice;
innamorò!
e questo
il
statuto
è in forma de interim sino al prossimo concilio futuro, entrante il sole al decimo grado di Libra, il quale è ordinato nel capo del fiume Eridano, là dove è la piegatura del ginocchio d' Orione. Ivi si ristorarà quella legge naturale, per la quale è lecito a ciascun maschio di aver tante moglie
quante
ne
può
nutrire
ed
impregnare;
perché
è
cosa superflua ed ingiusta, ed a fatto contrario alla regola naturale, che in una già impregnata e gravida donna, o in altri soggetti peggiori, come
altre illegitime procacciate,
— che per tema di vituperio provocano l'aborso 3, — vegna ad esser sparso quell'omifico seme che potrebbe eroi e colmar le vacue sedie de l’empireo.
suscitar
Saulino. Ben provisto, a mio giudizio: che più? Sofia. Quel Ganimede, ch'al marcio dispetto de la gelosa Giunone,
gli era tanto
in grazia,
ed a cui solo liceva
d'accostarsegli, e porgergli li fulmini trisolchi, mentre a lungi4 passi a dietro riverentemente si tenevano gli dei, al presente
1 L:
credo
inamorò:
* Il Petrarca,
che,
ma
B:
se non
innamorò.
com’ è noto,
ha
altra
dice
d’essersi
il
Petrarca,
virtute
che
innamorato
quella
il 6 aprile
1327. Nel Cand., I, 3: « fui questo aprile da un'altra fiamma acceso.
—
In
questo
tempo
s'inamorò
fu
molto parodiato nel Cinquecento. 3 Il grammatico Nonio MARCELLO,
e
gli
asini
anch'essi,
cominciano a rizzar la coda ». Il son. del Petrarca « Voglia mi sprona » (Coloniae
quod cum riendi 4 come
Allobrog.,
1622,
c.
5,
n.
nel De compendiosa doctrina
ult.):
«Aborsus,
idem
fere
abortus; differt tamen, quia aborsus est in primis mensibus conceptui exordium factum est, abortus prope tempus pa». B. usa questo pl. de’ primi secoli, nella stessa guisa, che userà, avverbio (pp. 680 e 608), /unghi invece di lungi.
(B.
10-1)
(W.
II,
126)
(L. 424) (G.!
583
IT, 29)
(G.? II, 32-3).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
che è quasi persa, è da temere che da paggio di Giove non debba aver a favore di farsi come scudiero a Marte.
Saulino. Onde questa mutazione?
Sofia. E da quel che è detto del cangiamento e perché lo invidioso Saturno ai giorni passati, di fargli
de vezzi,
ruvida mano
gli andò
per il mento
di maniera
tale
di Giove, con finta
rimenando
la
e per le vermiglie gote, che da
quel toccamento se gl'impela il volto, di sorte che pian piano va scemando quella grazia che fu potente a rapir Giove dal cielo, e farlo essere rapito da Giove in cielo, ed onde il figlio d'un uomo venne deificato, ed ucellato ! il padre de gli dei. Saulino. Cose troppo stupende! Passate oltre. Sofia. Ha imposto a tutti gli dei di non aver paggi o cubicularii
di minore
etade
che
di vinticinque
anni.
Saulino. Ah ah? Or che fa, che dice Apolline del suo caro Giacinto ? * Sofia. Oh se sapessi, quanto è egli mal contento! Saulino. Certo credo che la sua contristazione caggiona questa oscurità del cielo, ch’ ha perdurato più di sette giorni; il suo alito produce tante nuvole, i suoi suspiri si tempestosi venti, e le sue lacrime sf copiose piogge. Sofia.
Hai
divinato.
Saulino. Or, che sarà di quel povero fanciullo? Sofia. Ha preso partito di mandarlo a studiar lettere umane in qualche universitade o collegio riformato, e sottoporlo a la verga di qualche pedante. 1 V.
Cand:,
p.
609,
n.
2.
® Nelle Fabulae d'Icino (ed. Schmidt, cap. CCLXXI, p. 146) «Hyacinthus Ocbali filius» è ricordato appunto dopo Ganimede, tra gli «ephebi formosissimi »: «quem Apollo amavit ». (B.
11-2)
(W.
II,
126-7)
(L.
424-5)
584
(G.1
II,
29-30)
(G.2
II,
33-4).
DIALOGO
PRIMO
Saulino. O fortuna, o sorte traditora! Ti par questo boccone da pedanti ? 1, Non era meglio sottoporlo alla cura d'un
poeta,
farlo a la mano
d'un
oratore,
o avezzarlo
su
il baston de la croce? Non era più espediente d’ubligarlo sotto la disciplina di.... Sofia. Non
più, non
più!
Quel?
che deve
essere, sarà;
quel che esser devea, è. Or per compire l’ istoria di Gani-
mede, l’altr'ieri, sperando le solite accoglienze, con quell'usato ghigno fanciullesco li porgeva la tazza di nettare; e Giove, avendogli alquanto fissati gli turbidi occhi al volto: — Non ti vergogni, li disse, o figlio di Troo? pensi ancor essere3 putto ? forse che con gli anni ti cresce la discrezione, e ti s'aggionge di giudizio ? non ti accorgi che è passato quel tempo, quando mi venevi ad assordir l’orecchie,
che,
Fauno,
allora
quel
ch'uscivamo
per
di Lampsaco4
ed
l’atrio
altri
esteriore,
Sileno,
si stimavano
beati,
se posseano aver la commodità di rubbarti una pizzicatina, o almeno
toccarti
la veste,
non si lavar le mani,
ed in memoria
quando
andavano
di quel
tocco
a mangiare,
e far
de l'altre cose che lì dettava la fantasia? Ora dispònite, e pensa che forse ti bisognarà di far altro mestiero. Lascio che io non voglio più frasche appresso di me. — Chi avesse veduto
il cangiamento
di volto
di quel
povero
garzone
o
adolescente, non so se la compassione, o il riso, o la pugna de l'uno e l’altro affetto l'avesse mosso di vantaggio.
1 Cfr. Cand.?,
p. 142, n. 3, e De la causa,
p. 293,
n. I.
ARIOSTO,
Sat., VII, 25: « Ride il volgo se sente un ch’abbia vena | Di poesia,
e poi
dice:
2 W:
è gran
Sofia: Non
periglio
pi?
| A
Quel.
dormir
3 (GI = L: essere; G2: esser) 4Quel di Lampsaco, (B.
12-3)
(W.
II,
127)
(L.
425)
585
seco
e volgerli
la schiena ».
Priapo. (GI
II, g0-1)
(G.
II,
34-5).
SPACCIO
Saulino.
DE
LA
BESTIA
Questa volta credo
Sofia. Attendi,
perché
TRIONFANTE
io, che risit Apollo 1.
quel ch’ hai sin ora udito,
non
è
altro che fiore. Saulino. Di’ pure. Sofia. Ieri che fu la festa in commemorazion del giorno de la vittoria de dei contra gli giganti, immediatamente dopo pranso *, quella 3, che sola governa la natura de le cose, e per la qual gode tutto quel che gode sotto il cielo, — La
La bella madre diva
potestà
del gemino
d’uomini
amore,
e dei,
Quella per cui ogni animante al mondo Vien conceputo, e nato vede il sole, Per cui fuggono i venti e le tempeste, Quando spunta dal lucid'oriente, Gli arride il mar tranquillo, e di
La terra si rinveste, e gli presenta
bel
manto
Der belle man di Naiade gentili Di copia di fronde, fiori e frutti Colmo
avendo
il smaltato
ordinato
corno
il ballo,
se
d’Achcloo4, —
gli
fece
innante
con
quella
grazia che consolarebbe ed invaghirebbe il turbido Caronte; e come è il dovero de l'ordine, andò a porgere la prima mano a Giove. Il quale, — ‘in loco di quel ch'era
Pp.
1 Orazio, Odi, I, 10, v. 12. * Anche Erasmo, Moriae encomium
193-4:
« Nam
hi quidem
(sc. Dei)
(Lugd.
horas
Batav.,
1648),
illas sobrias et ante-
meridianas iurgiosis consultationibus ac votis audiendis impartiunt. Caeterum ubi iam nectare madent, neque lubet quicquam serium agere, tum qua parte coelum quam maxime prominet, ibi consident ac quid agitent homines speculantur!». E le seguenti pagine
di Erasmo pare abbiano inspirato la rappresentazione presso farà il B. del consiglio degli dei. 3 Venere. 4 Trad.
libera
il KURLENBECK neca ».
(B.
Cfr.
13-4)
altra
(W.
II,
di Lucrezio,
(p. 284) trad.
127-8)
De
ver.
BERNI,
Orl.
pensa
del
(L.
a «una
425-6)
586
(G.I
nat.,
I,
1-9.
traduzione Imnam.,
II,
che qui ap-
Erroneamente
italiana
di Sc-
(G?
35-6).
XXX,
31-2)
2-3.
II,
DIALOGO
PRIMO
uso di fare !, dico, di abbracciarla col sinistro braccio, e strenger petto a petto, e con le due prime dita della destra premendogli
il
labro
inferiore,
accostar
bocca
a
bocca,
denti a denti, lingua a lingua (carezze più lascive che pos-
sano convenire a un padre in verso de la figlia), e con questo sorgere al ballo, — ieri, impuntandogli la destra al petto, e ritenendola a dietro (come dicesse: Nol: me tangere) ?, con un compassionevole aspetto ed una faccia piena di devozione: pur
una
—
Ah
volta
Venere,
Venere,
al fine non
li disse;
consideri
il stato
è possibile che nostro,
e spe-
cialmente il tuo? Pensi pur che sia vero quello che gli uomini s' imaginano di noi, che chi è vecchio è sempre vecchio, chi è giovane è sempre giovane, chi è putto è sempre putto, cossi perseverando eterno, come quando da la terra siamo stati assunti al cielo; e cossî, come là la pit-
tura ed il ritratto nostro si contempla
sempre
medesimo,
talmente qua non si vada cangiando e ricangiando la vital
nostra complessione? Oggi per la festa mi si rinova la memoria di quella disposizione, nella quale io mi ritrovavo quando fulminai e debellai que’ fieri giganti che ardîro di ponere sopra Pelia Ossa, e sopra Ossa Olimpo; quando io il feroce Briareo, a cui la madre Terra avea donate cento braccia e cento mani, acciò potesse con l’émpito di cento
versati scogli contra gli dei debellare il cielo, fui potente di abissare alle nere caverne dell’orco voraginoso 3; quando
relegai il presuntuoso Tifeo là dove il mar Tirreno col Jonio si congionge, spingendogli sopra l'isola Trinacria, a
1 Vedi
VirciLIO,
? Vangelo 3 Cir.
(B.
di Giovanni,
Viro.,
14-5)
Aen.,
(W.
Aen.,
IT,
VI,
128)
I,
254-6.
XX,
286-7;
17.
(L. 426-7)
587
Luc.,
Phars.,
(G.T II,
32-3)
IV,
(G.
596.
II,
36).
SPACCIO
DELLA
fin che al vivo dice un poeta: Ivi
corpo
BESTIA
TRIONFANTE
la fusse perpetua
a l’ardito
ed
audace
sepoltura.
Onde
Tifeo,
Che carco giace del Trinacrio pondo, Preme la destra del monte Peloro La
grieve
salma;
e preme
la sinistra
Il nomato Pachin; e l’'ampie spalli!, Ch'al peso han fatto i calli, Calca il sassoso e vasto Lilibeo;
E 'l capo orrendo aggrieva Dove
Folgori
Io che
col gran
tempra
sopra
martello
il scabroso
quell'altro
ho
Mongibello,
Vulcano ?.
fulminata
l'isola
di Pro-
chita; io ch’ ho reprimuta l’audacia di Licaone, ed a tempo di Deucalione
altri
liquefeci la terra al ciel rubella;
manifesti
mia autoritade;
segnali or non
mi
son
mostrato
ho polso
e con tanti
degnissimo
di contrastar
della
a certi mezi
uomini, e mi bisogna, al grande mio dispetto, a voto di caso e di fortuna lasciar correre il mondo; e chi meglio la séguita, l’arrive, e chi la vence, la goda. Ora son fatto qual
quel vecchio esopico lione3, a cui tmpune l'asino dona di calci, e la simia
fa de le beffe, e, quasi
come
ad un insen-
sibil ceppo, il porco vi si va a fricar la pancia polverosa. Là
dove
io
avevo
nobilissimi
oracoli,
fani
ed
altari,
ora,
essendono4 quelli gittati per terra ed indegnissimamente profanati,
in loco
loro
han
dirizzate
are
e statue
a certi
ch'io mi vergogno nominare, perché son peggio che lì no_ ! Questa antica forma di plur., come si è avvertito nel Cand.? (p. 13, n. 3), è comune ne’ libri del B. Vedi sopra, p. 551. 2 Trad. libera di Ovipio, Metamm., V. 346-54. 3 Cfr. la favola (non esopiana) di FepRO, I, 21: Leo senex, aper, taurus, asinus (SPAMPANATO, Lo spaccio, p. 85, n. 3). 4 Forma plurale del gerundio. Vedi a p. 488, la n. 3. (B.
15-6)
(W.
II,
128-9)
(L.
427)
588
(G.!
II,
33)
(G
II,
36-7).
DIALOGO
PRIMO
stri satiri e fauni ed altri semebestie 1, anzi più vili che gli
crocodilli = d’ Egitto; perché quelli pure, magicamente guidati, mostravano qualche segno de divinità; ma costoro sono a fatto lettame3 de la terra. Il che tutto è provenuto per la ingiuria della nostra nemica fortuna, la quale non l'ha eletti ed inalzati tanto per onorar quelli, quanto per nostro vilipendio, dispreggio e vituperio maggiore, Le leggi, statuti,
culti,
sacrificii
e ceremonie,
ch'io
Mercurii ho donate, ordinati, comandati
già
per
li miei
ed instituiti 4, son
cassi ed annullati; ed in vece loro si trovano le più sporche ed indegnissime poltronarie che possa giamai questa cieca altrimente fengere, a fine che, come per noi gli omini doventavano eroi, adesso dovegnano peggio che bestie. Al nostro naso non ariva più fumo di rosto, fatto in nostro servizio da gli altari; ma se pur tal volta ne viene appetito, ne fia mestiero d’andar a sbramarci
patellari.
E benché
per le cocine, come
alcuni altari fumano
d’ incenso
dei
(quod
dai avara manus), a poco a poco quel fumo dubito che non se ne
vada
in fumo,
a fine che
nulla rimagna
di vestigio
ancora delle nostre sante instituzioni. Ben conoscemo per prattica, che il mondo è a punto come un gagliardo cavallo, il quale molto ben conosce quando è montato da uno che non lo può strenuamente maneggiare, lo spreggia, e tenta di toglierselo da la schena; e gittato che l’ha in terra, lo viene a pagar di calci. Ecco, a me si dissecca il corpo I Sconcordanza
cui
non
tutti
badano
badava nemmeno scrivendo. 2 Grecismo frequente negli seritti 3 Cfr. p. 502, n. 2. 4 Il primo di questi
gli altri co” nomi
si riferisce a leggi
concordato
(donate);
mentre
gli statuti sono
(Non
e
il
complessivamente
è esatto:
con
non
‘ceremonie’,
il primo
comandati
participio
ordinati;
i culti,
ed instituiti.)
{B. 16-7) (W. II, 129) (L. 427-8) (G. II, 33-4) (GIL
5809
B.
del Cinquecento.
participii
precedenti.
sacrificiù e ceremonie
parlando,
37-8).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
e mi s'umetta il cervello; mi nascono i tofi ® e mi cascano gli denti;
mi
s'inora
la carne
e mi
s'inargenta
il crine;
mi si distendeno le palpebre e mi si contrae la vista; mi s' indebolisce il fiato e mi si rinforza la tosse; mi si fa fermo
il sedere e trepido il caminare; saldano
grossano
mi trema il polso e mi si
le coste *; mi s'assottigliano
le gionture:
gli articoli e mi s’ in-
ed in conclusione
(quel che
più mi
tormenta), perché mi s'indurano gli talloni e mi s'ammolla il contrapeso,
il bordon
l’otricello
de
la cornamusa
mi
s’allunga
s’accorta: La
mia
Giunon
La mia
di me
Giunon
non
è gelosa,
di me non
ha più cura.
Del tuo Vulcano (lasciando gli altri dei da canto) che consideri tu medesima. Quello che con tanto solea
percuotere
schiassi,
ed
quali
la
salda
incudine,
dall’ ignivomo
Etna
che
voglio vigore
a
gli fragrosi3
uscivano
a l’orizonte.
Eco dalle concavitadi del campano Vesuvio e del sassoso Taburno 4, rispondeva 5, — adesso dove è la forza del mio
fabro e tuo consorte ? Non è ella spinta 6 ? non è ella spinta ? Forse che ha più nerbo da gonfiar i folli per accendere il foco? forse ch’ ha più lena d’alzar il gravoso martello per battere
l’infocato
metallo?
Tu
non credi ad altri, dimandane 1 Tofi,
latinismo,
usato
ancora,
mia
sorella,
se
al tuo specchio; e vedi come
anche
dal
Tansillo,
per
tufi.
è BLG!: costa; giustamente W: coste. 3 E anche ‘fragoso’: rimbombante. 4 Il massiccio tra il Volturno ed il Calore che, abbassandosi fra Arienzo ed Arpaia, forma la gola detta Val Caudina, VIRGILIO
nelle Georgiche 5
W:
risponde.
6 Spenta; (B.
17-8)
(II, 38)
(W.
Cosf
cfr. sopra, IT,
lo descrive sopra
suole.
coperto
di olivi.
p. 5, n. 3.
7129-30)
(L.
428)
590
(G.t
II,
34-5)
(GI,
38-0).
DIALOGO
PRIMO
per le rughe che ti sorio aggionte, e per gli solchi che l’aratro del tempo t’ imprime ne la faccia, porgi giorno per giorno maggior difficultade al pittore, s’egli non vuol mentire, dovendoti ritrare per il naturale. Ne le guancie, ove ridendo formavi quelle due fossette tanto gentili, doi centri, doi punti in mezzo de le tanto vaghe pozzette, facendoti il riso, che imblandiva il mondo tutto, giongere sette volte maggior grazia al volto, onde (come da gli occhi ancora) scherzando scoccava gli tanto acuti ed infocati strali Amore: adesso, cominciando da gli angoli de la bocca, sino a la già commemorata parte, da l’uno e l’altro canto comincia a scuoprirsi forma di quattro parentesi, che ingeminate par che ti vogliano, strengendo la bocca, proibir il riso con quelli archi circonferenziali, ch'appaiono tra gli denti ed orecchi, per farti sembrar un crocodillo. Lascio che, o ridi o non
ridi,
ne la fronte
il geometra
interno,
che
ti
dissecca l’umido vitale, e con far più e più sempre accostar la pelle a l'osso, assottigliando la cute, ti fa profondar la descrizione de le parallele a quattro a quattro, mostrandoti per quelle il diritto camino, il qual ti mena come verso il defuntoro 1. — Perché piangi Venere ? perché ridi, Momo ? disse, vedendo questo mostrar i denti, e quella versar lacrime.
Ancora
Momo
sa,
quando
un
di
questi
buffoni
(de quali ciascuno suol porgere più veritadi di fatti suoi a l’orecchi del principe, che tutto il resto de la corte insieme, e per quali per il più color, che non ardiscono di parlare,
sotto
muovono
nel
(B.
specie
di gioco
parlano,
Nel
18-9)
muovere
e
de propositi ?) disse che Esculapio ti avea fatta
I Cir. Canda, p. 137, n. 3. * Accenno ai buffoni di cui ancora 500.
e fanno
Cand.,
(W.
II,
v.
19:
« Ho
130), (L.
udito
428-9)
591
dilettavansi
dire che
(G.!
II,
un
35)
principi
e papi
certo censore
(G.=
II,
39-40).
del-
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
provisione di polvere di corno di cèrvio! e di conserva di coralli, dopo averti cavate due mole guaste tanto secretamente, Vedi,
che ora non è pietruccia in cielo che nol sappia.
dunque,
cara sorella, come
ne doma
il tempo
tradi-
tore, come tutti siamo suggetti alla mutazione: e quel che più tra tanto ne afflige, è che non abbiamo certezza né speranza alcuna di ripigliar quel medesimo in cui tal
volta
fummo.
Andiamo,
essere a fatto,
e non
torniamo
mede-
simi; e come non avemo memoria di quel che eravamo, prima che fussemo in questo essere, cossi non possemo aver
saggio
di quel
che
saremo
da
poi.
Cossî,
il timore,
pietà e religione di noi, l'onore, il rispetto e l’amore vanno via; li quali appresso la forza, la providenza, la virti, dignità,
maestà
e bellezza,
che
volano
da
noi,
non
altri-
mente che l'ombra insieme col corpo, si parteno. La veritade sola con l’absoluta virtude è inmutabile ed immortale: e se tal volta
mente
casca
e si sormmerge,
medesima
necessaria-
al suo tempo risorge, porgendogli il braccio la sua
ancella
Sofia.
Guardiamoci,
la divinitade,
tanto
facendo
raccomandato
prossimo il nume
affetto
a quello
l'opera di Giove,
cessari
torto
questi
che
di offendere
a questo
e da lui tanto
stato futuro, universale,
dunque,
elargitore
che si chiama
parlan
quasi3
d'alzare
d'ogni Momo,
liberamente:
bene —
nume
fato a lui
faurito 2. Pensiamo
e non, come
manchiamo
gemino
del
poco curando
il nostro
core
ed
e distributor
de
perché
prima
al
son per tutto
perché
i principi
ne-
o
giodici s'accorgano degli errori che fanno e non conoscono, mercé di poltroni.... ». Da questi buffoni, aveva osservato ERASMO (Moriae
encomiwn, p. 136), i principi ascoltano «non vera modo, verum etiam aperta
convicia
cum
voluptate ».
1 IV: polpa di cervio.
% W: 3 W: (B.
a lui tanto non quasi.
19-20)
(W.
II,
raccomandato 130-1)
e faurito.
(L. 429)
592
(GI
II,
35-60)
(G.2
II,
40).
DIALOGO
tutte l'altre
sorti.
PRIMO
Supplichiamolo
che
ne la nostra
tran-
sfusione, o transito 1, o metampsicosi, ne dispense felici genii: atteso che, quantunque egli sia inesorabile, bisogna pure aspettarlo con gli voti 0? di essere conservati nel stato presente,
o di subintrar un altro megliore,
o simile, o poco
peggiore. Lascio che l'esser bene affetto3 verso il nume superiore è come un segno di futuri effetti favorevoli da quello;
come
chi è prescritto
ad
esser
uomo,
è necessario
ed ordinario ch' il destino lo guida, passando per il ventre de.la madre; il spirto predestinato ad incorporarsi in pesce, bisogna che prima vegna attuffato a l’acqui: talmente a chi è per esser favorito da gli numi4 conviene che passe per mezzo de buoni voti ed operazioni. Seconda parte del primo Dialogo. Con questo dire, di passo in passo suspirando, il gran padre de la patria celeste, avendo finito il suo raggionamento 5 con Venere, il proposito di ballare converse in proponimento di fare il gran conseglio con gli dei de la tavola ritonda: cioè tutti quei che non sono apposticci, ma naturali, ed han testa di conseglio, esclusi gli capi di montone,
corna
di bue,
barbe
di capro,
orecchie
d’asino,
denti di cane, occhi di porco, nasi di simia, fronti di becco, stomachi
di gallina, pancie di cavallo, piedi di mulo
1 W:
transfissione.
3 Cfr.
pp.
® (G1 = L:
o; G3:
203,
215,
sposto ’, ‘ applicato ’.
e (per svista ecc.;
ma qui
tipografica).) affetto
e code
nel senso di ‘ di-
41 W: numini. 5 BL: raggionamente.
(B. 20-1)
(W.
II,
131)
(L. 429-30) (G.1 II, 36-7)
593
(G.2 II, 40-31).
SPACCIO
di scorpione.
figlio
di
DE
Però,
Eolo*®
anticamente
LA
data
TRIONFANTE
la crida:
(perché
fue,
BESTIA
Mercurio
trombettiero
e
per
bocca
sdegna
di Miseno,
l’essere,
pronunziator
di
come editto),
que’ tutti dei, ch'erano dispersi per il palaggio, si trovorno ben presto radunati. Qua dopo tutti, essendo fatto alquanto di silenzio,
non
men
con
triste
e mesto
aspetto
che
con
alta presenza e preeminenza maestrale, menando i passi Giove, prima che montasse in solio e comparisse in tribunale, se gli appresenta Momo; il quale, con la solita libertà di parlare, disse cossi con voce tanto bassa che fu da tutti
udita: giorno
— Questo concilio deve essere differito ad altro3 ed altra occasione, o padre, perché questo umore
di venir in conclave adesso, immediate dopo pranso, che sia occasionato dalla larga mano del tuo tenero piero; ben
perché
digerito,
il nettare, non
che
non
può
essere
consola o refocilla, ma
dal
pare cop-
stomaco
altera e contrista
la natura e perturba la fantasia, facendo altri senza propo: sito gai, altri disordinatamente allegri, altri superstiziosamente
devoti,
altri
vanamente
eroici,
altri
colerici,
altri
machinatori di gran castegli, sin tanto che, col svanimento di medesime fumositadi, che passano per diversamente complessionati
cervelli, ogni
cosa
casca
e
va
in
fumo.
A te, Giove, par che abbian commosse 4 le specie di gagliardi e fluttuanti pensieri,
che
nei
e t'abbia fatto dovenir
inescusabilmente
ognuno
ti
giudica,
1 In proposito dello scambio dell'iniziale derivati, v. De l'infinito, p. 531, n. 4.
® VIRGILIO,
Aen.,
pracstantior alter, Aere 3 W: a l’altro.
4 B
(L):
VI,
164-65:
ciere
viros
« Misenum
Martemque
triste; per ciò
benché
in
questa
Acoliden,
accendere
io
solo
parola quo
non
cantu ».
abbia commosse.
(B. 21-2) (W. 11, 131-2) (L. 430) (Gt II, 37-8) (G? Il, 4r-2).. 594
e
DIALOGO
PRIMO
ardisca di dirlo, vinto ed oppresso da l’atra bile, perché in questa occorrenza che non siamo convenuti provisti a far conseglio, in questa occasione che siamo uniti per la festa, in questo
tempo
dopo
pranso,
e con queste
circon-
stanze d'aver ben mangiato e meglio bevuto, volete trattar di cose
tanto
seriose,
quanto
mi
par intendere
ed alcuna-
mente posso annasare col discorso. — Ora, perché non è consuetudine, né pur molto lecito a gli altri dei di disputar con Momo, Giove, avendolo con un mezzo ed alquanto dispettoso riso remirato, senza punto rispondergli, monta su l'alta catedra,
siede, remira in cerchio la corona de l’as-
sistente gran Senato. Da quel sguardo convien ch'a tutti venesse a palpitar il core e per scossa di maraviglia e per punta di timore e per émpito di riverenza e di rispetto, che suscita ne’ petti mortali ed immortali la maestade quando si presenta; appresso, avendo alquanto bassate le palpebre, e poco dopo allunate * le pupille in alto, e sgombrato un focoso suspiro dal petto, proruppe in questa sentenza: Orazione
di
Giove.
— Non aspettate, o Dei, che, secondo la mia consuetudine, v’abbia ad intonar ne l’orecchio con uno artificioso 3
proemio, con un terso tevole agglomeramento
filo di narrazione e con un deletepilogale. Non sperate ornata tes-
situra di paroli, ripolita infilacciata di sentenze, ricco ap-
luna.
1 W:
‘allungate.
? Questo
3
(B.
(G1
=
22-3)
Allunate,
—
G.
del cerchio della
titolo è tralasciato in W.
L:
artificioso;
(W.
IL
132)
G?:;
(L.
articioso)
430-1)
595 42
curvate a mo’
Bruno.
Dialonhi
italiani
(G.!
II,
38)
(G2
II,
42-3).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
parato di eleganti propositi, suntuosa pompa discorsi
e,
secondo
l'instituto 1 di
oratori,
di elaborati concetti
posti
tre volte a la lima prima ch'una volta a la lingua: #0 hoc. Non
Credetemi,
hoc ista sibi tempus
dei, perché
spectacula
credete
poscit 2.
il vero,
già dodici
volte
ha ripiene l' inargentate corna la casta Lucina, ch'io son stato in la determinazione di far questa congregazione oggi, in questa ora e con tai termini che vedete. Ed in questo mentre son stato più occupato sul considerar quello che devo a nostro mal grado tacere, che mi sia stato lecito
di premeditar sopra quello che debbo dire. Odo che vi maravigliate, perché a questo tempo, rivocandovi da vostro spasso, v’abbia fatto citar alla congregazione e dopo pranso a subitanio concilio. Vi sento mormorare,
che in giorno
seriose,
e non
festivo vi vien tocco
è di voi chi a la voce
il core
de la tromba
di cose e pro-
posito de l'editto non sia turbato. Ma io, benché la raggione
di queste azioni e circostanze pende
l'ha
possute
instituire,
e
la
mia
dal mio volere che
voluntà
e
decreto
l’ istessa raggione de Ila giustizia, tutta volta non mancar, prima che proceda ad altro, di liberarvi da confusione e maraviglia. Tardi, dico, gravi e pesati essere gli proponimenti; maturo, secreto e cauto essere il conseglio: ma l’essecuzione bisogna che sia veloce
e presta.
Però
non
credete,
che
intra
sia
voglio questa denno deve alata,
il desinare
qualche strano umore m'abbia talmente assalito che, dopo pranso, mi tegna legato e vinto, onde non a posta di rag1 B:
gl' instituto.
* VirciLIo,
Aen.,
VI,
37.
(B. 23-4) (W. II, 132-3) (L. 431-2)
596
(G.HII, 38-9) (G.2 II, 43).
DIALOGO
PRIMO
gione, ma per impeto di nettareo fumo proceda a l'azione; ma dal medesimo giorno de l’anno passato cominciai a consultar entro di me quel tanto che dovevo esseguire in questo giorno ed ora. Dopo pranso, dunque, perché le nove
triste non è costume d’apportarle a stomaco diggiuno; all’ improviso, perché so molto bene che non cossi come alla festa solete convenir volentieri al conseglio, il quale è intensissimamente
da molti
di voi
fuggito:
mentre
chi
lo teme per non farsi di nemici, chi per incertezza di chi vince e di chi perde, chi per timore ch'il suo conseglio non sia tra dispreggiati, chi per dispetto per quel che il suo
parere
tal volta non
strarsi neutrale l'altra
parte,
è stato
approvato,
nelle cause pregiudiciose
chi
per
1 Se nel Cand.?
(pp.
non
aver
chi per mo-
o de l’una o de
occasione
d’aggravarsi
la
conscienza: chi per una, chi per un'altra causa. Or vi ricordo, o fratelli e figli, che a quelli, ai quali il fato ha dato di posser gustare l'ambrosia e bevere il nettare e goder il grado della maestade, è ingionto ancora di comportar tutte gravezze che quella apporta seco. Il diadema, la mitra, la corona, senza aggravarla, non onorano la testa; il manto regale ed il scettro non adornano senza impacciar il corpo. Volete sapere perché io a ciò abbia impiegato il giorno di festa, e specialmente tale quale è la presente? Pare a voi, dunque, pare a voi che sia degno giorno di festa questo ? E credete voi che questo non deve essere il più tragico giorno di tutto l’anno? Chi di voi, dopo ch'arrà ben pensato, non giudicarà cosa vituperosissima di celebrar Ia commemorazion de la vittoria contra gli giganti a tempo che da gli sorgi ! de la terra siamo dispregl'infinito, p. 501,
invece,
124
e 126),
‘ sorgio ’.
‘ sorece’
e ‘ sorecillo ', ncl De
(B. 24-6) (W. II, 133) (L. 432) (G.! II, 39-40)
597
(G.* II, 43-4).
SPACCIO
DE
giati e vilipesi?
Oh
irrefragabil
che
fato,
LA
BESTIA
che
avesse
allora
TRIONFANTE
piaciuto
fussemo
a l’omnipotente
stati
discacciati
dal
cielo, quando la nostra rotta per la dignità e virti di nemici non era vituperosa tanto; perché oggi siamo nel cielo peggio che se non vi fussemo, peggio che se ne fussemo stati discacciati, atteso che quel timor di noi, che ne rendea
tanto gloriosi, è spento; la gran riputazione de la maestà, providenza e giustizia nostra è cassa; e quel che è peggio, non abbiamo facultà e forza di riparar al nostro male, di vendicar le nostre onte; perché la giustizia con la quale il fato governa gli governatori del mondo, ne ha a fatto tolta quella autorità e potestà la quale abbiamo tanto male adoperata, discoperti e nudati avanti gli ‘occhi di mortali e fattigli1 manifesti i nostri vituperii; e fa che il cielo medesimo con cossi chiara evidenza, come chiare ed evidenti
nostri.
son
le
Perché
stelle,
renda
vi si vedeno
testimonianza
aperto
de
misfatti
gli frutti, le reliquie,
gli riporti, le voci, le scritture, le istorie di nostri adulterii,
incesti, fornicazioni, ire, sdegni, rapine ed altre iniquitadi e delitti; e che per premio di errori abbiamo fatto maggiori errori, inalzando al cielo i trionfi de vizii e sedie de sceleragini, lasciando bandite, sepolte e neglette ne l'inferno le virtudi e la giustizia. E per cominciare da cose minori, come da peccati veniali: perché solo il Deltaton *, dico quel triangolo, ha ottenute quattro stelle appresso il capo di Medusa, sotto le natiche di Andromeda e sopra le corna del Montone? A
I IV: fatti. % Cioè il Deltoton
Ps.-ERATOSTENE,
HT,
18.
(B. 26-7) ’
(W.
(gr.
AcXAtwrév);
Cafasterismi,
II, 133-4)
c.
20;
cfr.
IciNo,
ARATO,
Astron.,
(L. 432-3) (G.1 IL 40-1) 598
Phoen., II,
235;
19,
ce
(G.2 II, 44-5).
DIALOGO
PRIMO
per far vedere la parzialità, che si trova fa il Delfino, gionto al Capricorno da la nale, impadronito di quindeci stelle? vi possa conterplar la assumpzione di colui, sanzale *, per non
Perché
dir ruffiano,
tra gli dei. Che parte settentrioè, a fine che si che è stato buon
tra Nettuno
ed Amfitrite =,
le sette figlie d’Atlante3 soprasiedeno
collo del bianco
Toro? per essersi,
ocn
appresso
lesa maestà
il
di noi
altri dei, vantato il padre di aver sostenuti ‘noi edil cielo ruinante; o pur per aver in che mostrar la sua leggerezza i numi 4, che vi l' han condotte. Perché Giunone ha ornato il Granchio
di
novè
stelle,
senza le quattro
altre circon-
stanti che non fanno imagine? solo per un capriccio, perché forficò 5 il tallone ad Alcide a tempo che combatteva con quel gigantone $. Chi mi saprà dar altra caggione che il semplice ed irrazional decreto de’ superi, perché il Serpentauro 7, detto da noi Greci
Ofiulco #, ottiene con la sua
colobrina il campo di trentasei stelle ? Qual grave ed opportuna caggione fa al Sagittario usurparsi trenta ed una stella? perché fu figlio di Euschemia, la quale fu nutriccia 1 0‘ sanzaro ‘, f. napol.: sensale:
dello
(New
World of Words, p. 463).
? Vedi la favola raccontata da Icino, Ps.-ERATOSTENE, Cafast., c. 31. 3 Le Pleiadi, per cui v. Ps.-ERAT., 23; 4 Wi: ai numi.
Astror.,
II,
e
o.
Igino,
17,
c.,
e
già
II,
21.
5 Wi: fortificò. Lat. forfex; napol. fuorfecejare: tagliare. 6 Icino, Astr., II, 23: «Cancer dicitur Junonis veneficio
astra
collocatus,
stitisset,
ex
quod,
palude
culem permotum, STENE, Catast., Cc.
cum
eum II.
7 BL: Serpentaiuro; Serpentauro.
8 Invece di Ofiuco
tenens).
e III,
Cfr.
13.
Hercules
pedem
eius
interfecisse n.
ma,
contra
mordicus
più
Lo
Ps.-ERATOSTENE,
Catast.,
6,
nel e
lernaeam
arripuisset;
stesso
innanzi,
(gr. 'Oplouyoc
hydram
=Botv
dice
III
IGINO,
con-
quare
Her-
il Ps.-ERATO-
dial.
(p.
749):
Éyuy, lat. anguiAstron.,
Il,
(B. 27) (W. II, 134) (L. 433) (G.1 II, 41) (G2 II, 45-6). 599
inter
14,
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
o baila: de le Muse =. Perché non più tosto a la madre? perché lui oltre seppe ballare e far i giuochi de le bagattelle 3. Aquario perché ha quaranta cinque stelle appresso il Capricorno ? forse, perché salvò la figlia di Venere Facete nel stagno ? 4. Perché non altri, a gli quali noi dei siamo tantos ubligati, che sono sepolti in terra, ma più tosto costui, ch’ ha fatto un serviggio indegno di tanta ricompensa, è stato conceduto Venere.
Gli Pesci, dal
fiume
spacio? perché
benché
Eufrate
colomba,
volta
quel
meritino
cacciato
cossi
qualche
ha
piaciuto
mercede
quell’ovo,
che,
per aver
covato
da
ischiuse la misericordia de la dea di Pafo,
paionvi
quattro
soggetti
stelle,
senza
d’ottenir
altre
quattro
a
la
tutta
l’ornamento
di
trenta-
circostanti,
ed
abitare
fuor de l’acqui 6 nella region più nobile del cielo? Che fa Orione,
tutto
armato
braccia,
impiastrato
a scrimir? di
trent’otto
australe verso il Tauro? Nettuno, 1
a cui non
Nel
Cand.®
(p.
con
stelle,
le
ne
spalancate
la
vi sta per semplice
ha bastato 38),
solo,
latitudine
capriccio di
di privilegiarlo su l’acqui,
l'arcaismo
‘baila’;
e
nel
De
la causa
(pp. 205 e 196), accanto alla letteraria, la f. napoletana ‘ nutriccia ’. 2 Igino,
o. c., II,
nomine, Euphemes
27:
« Dicunt
(Ps.-Er.:
enim
Ebo/Aunc)
nonnulli
Musarum
hunc
esse
nutricis
Crotum
filium.
Ut ait Sosithcus tragoediarum scriptor, eum domicilium in monte Hclicone habuisse et cum Musis solitum delectari, non numquam ctiam studio venationis exerceri ». Cfr. PS.-ERATOSTENE,
Catast., 28.
3 Come nel De /’infinito (p. 492), giuochi di mano, se a p. 568 si confondono col « Prodigio, Prestigio e Mariolia »; mentre a Napoli erano i giuochi delle marionette, per cui 'far le bagattelle’ volle pur dire ‘spiare’: Croce in BasiLe, Pentamerone (Napoli, 1891, p.
12, n. 4 W:
5
70) e nella traduzione, lari, Laterza, 1925, p. 9, Venere Taicete, e in nota: « Lezione incerta ! ». BL:
(G! = L:
tanto;
27-8)
II,
G*:
fanti
6 V. sopra, p. 588, n. 1. 7 Cîr. p. 502, n. 4. (B.
(W.
134-5)
(L.
(per
433)
600
svista
(G.!II,
tipografica).)
41-2)
(G.2
II,
n. 1. Phacete.
46-7).
DIALOGO
PRIMO
dove ha il suo legitimo! imperio; ma oltre, fuor del suo patrimonio, si vuol con si poco proposito prevalere. La Lepre, il Cane e la Cagnolina sapete ch’ hanno quarantatré stelle ne la parte meridionale, non per altro, che per due o
tre frascarie non minori che quella, che vi fa essere appresso la Idra, la Tassa ed il Corvo, che ottegnono
quarant'ed una
stella 2, per memoria di quel, che mandàro una volta gli dei il Corvo a prender l’acqua da bere; il qual per il camino vedde un fico, ch'avea le fiche o gli fichi (perché l’uno e l'altro geno 3 è approvato da grammatici 4, dite come vi piace): per gola quell’ucello5 aspettò che fussero maturi, de quali al fine essendosi pasciuto, si ricordò de l'acqua; andò per empir la lancella, veddevi il dragone, abbe paura, e ritornò con la giarra6 vota agli dei. Li quali, per far chiaro quanto hanno ben impiegato l'ingegno ed il pensiero, hanno descritta in cielo questa istoria di si gentile ed accomodato servitore. Vedete quanto bene abbiamo speso il tempo, l’ inchiostro e la carta 7. La Corona austrina, che sotto l’arco e piedi di Sagittario si vede ornata di tredeci topacii lucenti, chi l' ha predestinata ad essere eterna1 (G! = L: legitimo; 2 (L: stelle)
3 Forma
G*:
legittimo)
familiare al B.; v. Cand.3,
p. 49, n. 1;
Cena,
p. 23, n. 5.
4 In fatti, nello Spicilegio dello Scopra (Venezia, 1543, cc. 135 e 227), i due generi. Amusio, il pedante del Moro (III, 8) di G. B. DELLA PORTA, prescrive: «Dicemus ficus, nasci; Dicemus ficos, Caeciliane, tuos.... ». 5 V. sopra, p. 584, n. I.
quas
cella,
dial.
scimus
in
arbore
6 Come giarra (Cena, p. 76, n. 4; e di nuovo nello Spaccio, a p. 821), ricordata nello Spic. dallo ScopPA a p. 96, anche lanche
è una
grossa
brocca,
è voce
napol.
7 In fine dello Spaccio (pp. 818-21), il B. pur non volendo « sten-
dersi a dechiarare la dotta metafora », mostra tuttavia quanto questa concordi col dire degli Ebrei e degli Egizii. Cfr. poi G. Florio, in
Critica,
XXIII,
248.
(B. 28-9) (W. IL 135) (L. 433-4) (G.3 II, 42-3) (G II, 47). 60I
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
mente senza testa ? Che bel vedere volete voi che sia di quel pesce Nozio, sotto gli piedi d’Aquario e Capricorno, distinto in dodici lumi, con sei altri che gli sono in circa? De l’Altare, o turribulo o fano o sacrario, come vogliam dire,
io non parlo; perché giamai li convenne cossi bene d'essere in cielo, se non ora, che quasi non ha dove ora vi sta bene, come
della sommersa d’ottenere
una reliquia, o pur come
non
tavola
dico nulla, perché mi par dignis-
il cielo,
per
averne
insegnandoci la ricetta, con cui tone 1; perché bisognava, che gli bestie, se volevano aver onor di donata dottrina, facendoci sapere
fatto
per conservar
tanto
beneficio,
potessimo vencere il Pidei si trasformassero in quella guerra: e ne ha che non si può mantener
superiore chi non si sa far bestia. Non perché,
una
nave de la religion e colto di noi.
Del Capricorno simo
essere in terra;
parlo de la Vergine;
la sua verginità,
in nessun
loco
sta
sicura se non in cielo, avendo da qua un Leone e da là un Scorpione per sua guardia. La poverina è fuggita da terra, perché l'eccessiva libidine de le donne ?, le quali, quanto pi son pregne, tanto più sogliono appetere il coito, fa che
non
sia sicura
di non
esser
trovasse nel ventre de la madre; carbuncoli
con
quelli
altri
sei,
contaminata,
anco
se si
però goda i suoi vintisei che
li sono
attorno.
Circa
l’ intemerata maestà di que’ doi Asini che luceno nel spacio di
Cancro,
non
oso
dire,
perché
di
questi
massimamente
per dritto e per raggione è il regno del cielo: come con molte efficacissime raggioni altre volte 3 mi propono di \
1 Cfr. quel che è raccontato negli Scholii In Caesaris Germanici
Aratea, v. 285. * Cîr. Cand.,
3 Accenno
(B. 29-30)
p.
198,
e De
la
causa,
p.
289.
alla Cabala del Cavallo pegaseo e probabile prova
(W. II, 135-6)
(L. 434) 602
(GIL
43-4)
che
(G.2 IT, 47-8).
DIALOGO
PRIMO
mostrarvi, perché di tanta materia non ardisco parlare per
modo di passaggio. Ma di questo assai, che questi divini animali trattati, non facendogli essere, nell’ospizio di quel retrogrado munerandoli*
più che
de
sol mi doglio e mi lamento sieno stati si avaramente come in casa propria, ma animale aquatico, e non
la miseria
di due
stelle,
donan-
done una a l'uno e l’altra all’altro; e quelle non maggiori
che de la quarta grandezza. De l’Altare, dunque, Capricorno, Vergine ed Asini (benché prendo a dispiacere ch'ad alcuni di questi non essendo * lor trattati
secondo
la dignità,
in loco
di essere
fatto onore, forse gli è stato fatta ingiuria) or al presente non voglio definir cosa alcuna; ma torno a gli altri suppositi, che vanno per la medesima bilancia con gli sopradetti. Non
volete voi che murmurino
in terra,
per il torto
gli altri fiumi,
che gli vien
fatto?
Atteso
che sono che,
qual
raggion vuole che più tosto l’Eridano deve aver le sue trenta e quattro lucciole, che si veggono citra ed oltre il tropico di Capricorno, pit tosto che tanti altri non meno degni e grandi, ed altri più degni e maggiori? Pensate che basta dire che le sorelle di Fetone3 v’abbiano la stanza? O forse volete che vegna celebrato, perché ivi per mia mano cadde il fulminato figlio d’Apollo, per aver il padre abu-
lo Spaccio e
e i Dialoghi
il febbraio
1584,
metafisici
e
che,
mentre
furono
questi
dettati si
tra il giugno
stampavano,
1583
vennero
stesi gli altri due Dialoghi morali (SPAMP., De la causa, pp. Xx e xI). (Ma cfr. l'osservazione dello stesso Gentile in appendice ai Dial. Met., p. 544, n. 1). Asini sono chiamate le due stelle in testa
alla costellazione
del
I Latinismo. 2 BL: ad essendo. 3 Le
(B.
Heliades:
30-1)
(W.
Cancro:
cfr.
IL
Scholia
136)
(L.
IGINo, in
Astr.,
Caes.
435)
603
(G
III,
22.
Germanici
II,
44)
Aratea,
(G.2
II,
v.
48-09).
366.
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
sato del suo ufficio, grado ed autoritade ? Perché il cavallo
di Bellerofonte è montato ad investirsi de vinti stelle in cielo, essendo che sta sepolto in terra il suo cavalcatore? A che proposito quella saetta, che per il splendor di cinque stelle, che tiene inchiodate, luce prossima a l'Aquila e Delfino ? Certo, che se gli fa gran torto che non stia vicina al Sagittario a fin che se ne possa servire, quando arrà tirato quella che tiene in punta; o pur non appaia in parte dove possa rendere qualche raggion di sé. Appresso bramo intendere, tra il spoglio del Leone e la testa di quel bianco e dolce ‘Cigno,
che fa quella
forma di testugine? Vorrei de la testugine,
lira fatta
di corna
di bue
in
sapere, se la vi dimore per onor
o de le corna,
o de la lira, o pur
perché
ognun veda la mastria ! di Mercurio che l' ha fatta, per testimonio
de la sua dissoluta e vana iattanzia?
Ecco, o dei, l'opre nostre; ecco le egregie nostre mani-
fatture,
con
le quali
ne rendemo
onorati
al cielo!
Vedete
che belle fabriche, non molto dissimili a quelle che sogliono far gli fanciulli, quando contrattano la luta =, la pasta, le miscuglie 3, le frasche e festuche, tentando d’ imitare l'opre di maggiori! Pensate, che non doviamo render raggione e conto di queste? Possete persuadervi, che de l'opre ociose sarremo meno richiesti, interrogati, giudicati e condannati, che dell’ociose paroli? La dea Giustizia, la dea Tempe1 Dell'arc. e dial. ‘ mastro’. Intorno alla favola della Lira, v. Ps.-ERATOSTENE, Calast., 24; Sch. in Germanici Aratea, v. 269; Igino, Astron., II, 7.
® Cir. De l'infinito, 1 BLG!:
biscuglie;
p. 416,
W:
n. 1.
boscaglie.
È
certo
un errore,
perché con
molta probabilità l’A. scrisse ‘ miscuglie *, f. non lontana dalla lctteraria ‘ miscuglio” dii terra o di altro.
e ‘mescuglio ’, e intese
(B. 31-2) (W. II, 136-7)
parlare
di mescolanza
(L. 435-6) (G.! II, 44-5) (G-2 II, 49-50).
604
DIALOGO
PRIMO
ranza, la dea Constanza, la dea Liberalitade, la dea Pazienza, la dea
Veritade,
la dea
Mnemosine,
la dea
Sofia
e tante
altre dee e dei vanno banditi non solo dal cielo, ma ed oltre da la terra;
ed in loco loro e ne gli eminenti
palaggi,
edi-
ficati da l'alta Providenza per residenza loro, vi sì veggono delfini,
capre,
corvi,
serpenti
ed
altre
sporcarie,
levitadi,
capricci e legerezze !. Se vi par questa cosa inconveniente, e ne tocca il rimorso de la conscienza per il bene che non abbiam fatto; quanto più dovete meco considerare che doviamo esser punti e trafitti per le gravissime sceleraggini e delitti, che comessi* avendono 3, non solamente
non ne *
siamo ripentiti ed emendati,
celebrati
triomfi e drizzati come noso,
non
in
tempio
ma oltre ne abbiamo
trofei, non terrestre,
ma
in un fano labile e ruinel
cielo
e nelle
stelle
eterne. Si può patire, o dei, e facilmente si condona a gli errori,
che
son
per
fragilità,
e per
non
molto
giudiciosa
levità; ma qual misericordia, qual pietate può rivoltarsi a quelli,
che
son
commessi
da
color
che,
essendono
posti
presidenti nella giustizia, in mercede di criminalissimi errori, contribuiscono maggiori errori con onorare, premiar ed essaltar al cielo gli delitti insieme con gli delinquenti? Per qual grande e'virtuoso fatto Perseo av’ottenute vintesei stelle? Per aver con gli talari e scudo di cristallo, che lo rendeva invisibile, in serviggio de 1’ infuriata Minerva ammazzate le Gorgoni che dormivano,
e presentatogli il capo
di Medusa. E non ha bastato che vi fusse lui, ma per lunga
e celebre memoria
bisognava che vi comparisse la moglie
1 Con più frequenza la f. che poi prevalse. V. p. 560 ecc. 2 In questa stessa pag., la f. ortografica comune. 3 V. sopra, p. 588, n. 4. Più giù: essendono; e appresso f. simili.
4 BL:
se.
(B. 32-3) (W. II, 137) (L. 436) (Gt IL, 45-6) (G? II, 50-1). 605
SPACCIO
Andromeda
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
con le sue vintitré, il suo genero 1 Cefeo con
le sue tredeci,
che espose
la figlia innocente
alla bocca del
Ceto per capriccio di Nettuno, adirato solamente perché la sua madre Cassiopea pensava essere più bella che le Nereidi. E però anco la madre vi si vede residente in catedra,
ornata
di tredeci
altre stelle ne'
confini
de l'Artico
circolo. Quel padre di agnelli con la lana d’oro, con le sue diece ed otto stelle 2, senza l’altre sette circonstanti, che fa
balando 3 sul punto la pazzia
equinoziale ? È forse ivi per predicar
e sciocchezza
del
re di
Colchi,
l' impudicizia
di
Medea 4, la libidinosa temeritade di Giasone e l’ iniqua providenza di noi altri? Que’ doi fanciulli 5, che nel signifero
senza buono proco pione che
succedeno
al
Toro,
compresi
da
diece
e otto
stelle,
altre sette circonstanti informi, che mostrano di o di bello in quella sacra sedia, eccetto che il reciamore di doi bardassi 6 ? Per qual raggione il Scorottiene il premio di venti ed una stelle, senza le otto
son
ne
le chele 7, e le nove
che
sono
circa
lui,
e tre
altre informi ? Per premio d'un omicidio ordinato dalla leggerezza ed invidia di Diana, che gli fece uccidere l'emulo cacciator Orione. Sapete bene che Chirone con la sua bestia
1 Anzi, suocero di TLersco. Cfr. pel mito Ovipio, Metamum., IV e V; per le corrispondenti costellazioni, Ps.-ERATOSTENE, Cafast., 15; Scholia in Germanici Aratea, v. 183; IGINo, Astron., II, 9.
= La costellazione d’Aricte, che, secondo
Avatca,
1II,
v. 223,
f9, gliene
3 Dal
lat.
ha
18 stelle.
dànno
balo,
as:
17.
Ps.-EraT.,
gli Scho!. în Germanici
Catast.,
19, c IGINO,
Astron.,
belare.
4 BW: Medusa; giustamente L: Medea. 5 La costellazione dei Gemini. 6 Effeminati, cinedi: Cand2, p. 114, n. 1. 7 Le Chele (gr. ymaei, lat. chelae) sono le forbici, o branche del Cancro, e quindi una parte della costellazione di questo nome.
(B. 33-4) (W. IT, 137-8) (L. 436-7) (Gt II, 46) (G:? II, 51). 606
DIALOGO
PRIMO
ottiene ! nella australe latitudine del cielo sessanta e sei stelle per esser stato pedante di quel figlio, che nacque dal stupro di Peleo e Teti. Sapete che la corona di Ariadna, nella quale risplendeno otto stelle, ed è celebrata là, avanti il petto
di Boote
e le
spire de l'angue, non v'è se non in commemorazione
per-
petua
del
disordinato
amor
del
padre
Libero,
che
s' im-
bracciò la figlia del re di Creta, rigettata dal suo stuprator Teseo 2.
Quel Leone, che nel core porta il basilisco, e che ottiene
il campo
di trenta e cinque
stelle, che fa continuo
al Can-
cro? Evi forse3 per esser gionto a quel suo conmilitone e suo conservo4 de l’irata Giunone, che lo apparecchiò vastatore del Cleoneo paese, a fine che, a mal grado di. quello, aspetasse l'advenimento del strenuo Alcide? Ercole invitto, laborioso mio figlio, che col suo spoglio di leone e la sua mazza par che si difenda le vinti ed otto stelle, quali con più che mai .altri abbia fatto tanti gesti eroici s’' ha meritate, pure, a dire il vero, non mi par conveniente
che tegna quel loco, onde il suo geno pone avanti gli occhi della giustizia il torto fatto al nodo coniugale della mia Giunone per me e per la pellice Megara 5, madre di lui. La nave di Argo, nella quale sono inchiodate quarantacinque risplendenti stelle, ne l'ampio spacio vicino al circolo Antartico,
evi ad altro fine che per eternizare la me-
1 In questo dial. più che nel De /' infinito (pp. 353 usato ottenere nel significato latino di occupare. v.
? Cir. AratO, Fenom., v. 72; 70; Ps.-ERATOSTENE, Catast., 5; 3 W: fortasse.
4 Il Cancro, 5 Alcmena.
(B.
34-5)
(W.
per cui
Cfr.
II,
vedi
Hycin.,
138)
(L.
sopra,
Scholia, in Gemnanici IcIino, Astron., II 5.
p.
Fab.,
29.
437)
(G.I
607
e 360) Aratea,
599. IT,
46-7)
(G2
II, 51-2).
è
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
moria del grande errore che commese ! la saggia Minerva, che mediante quella instituf gli primi pirati a fine che, non meno che la terra, avesse gli suoi solleciti predatori il mare ? =. E per tornar là dove s' intende la cintura del cielo, perché quel Bove, verso il principio del zodiaco, ottiene trenta e due chiare stelle, senza quella ch’ è nella punta
del
corno
settentrionale,
ed
undeci
altre
chiamate informi? Per ciò che è quel Giove rubbò la figlia ad Agenore 3, la sorella a Cadmo. è quella che nel firmamento s'usurpa l’atrio stelle, oltre Sagittario, verso il polo ? Lasso, è che ivi celebra il trionfo del rapito Ganimede vittoriose
fiamme
ed
amori 4. Quella
Orsa,
che
son
(oimè !) che Che Aquila di quindeci quel Giove e di quelle
quella
Orsa,
o
dei, perché nella più bella ed eminente parte del mondo, come in una alta specola, come in una più aprica piazza e più celebre spettacolo, che ne l'universo presentar si possa a gli occhi nostri, è stata messa? Forse a fine che non sia occhio, che non veda I’ incendio ch'assalse il padre de gli dei appresso l’ incendio de la terra per il carro di Fetonte, quando in quel mentre ch’andavo guardando le ruine di quel fuoco, e riparando a quelle con richiamare i fiumi che ciò
timidi
effettuando
nel
e fugaci mio
diletto
fuoco m’accese il petto, 1 F.
p. 605:
pop.,
usata
' comessi ’.
anche
erano
ristretti a le caverne,
Arcadio
paese:
che dal splendor a
pp.
609,
617,
6209,
ecco,
e
altro
del volto de la ecc.;
mentre
a
® « Post Canis igitur magni caudam, secundum stellarum ordinem Navis constituta est, quam quidam beneficio Minervae inter astra collocatam dicunt, quaeque prima ab cea fabricata est, et mare quod antea invium fuerat hominibus, pervium nautis ingenio fecit »: Sch. in Germanici Avatea, v. 353. 3 Europa. V. Scholia in Germanici Avatea, v. 173. 4
Cfr.
Ovipio,
Metanun.,
II,
401-503.
(B. 35-6) (W. II, 138) (L. 437-8) (G.1 IT, 47-8) (G.2 IT, 52-3). 608
DIALOGO
vergine
Nonacrina!
scorsemi
nel
core,
PRIMO
procedendo, scaldommi
passommi
per gli occhi,
l’ossa e penetrommi
dentro
le midolla; di sorte che non fu acqua né remedio che potesse dar soccorso
e refrigerio all’ incendio
mio.
In questo
foco
fu il strale che mi trafisse il core, il laccio che mi legò l'alma, e l’artiglio che mi tolse a me e diemmi in preda alla beltà di lei. Commesi il sacrilego stupro, violai la compagnia di Diana e fui a la mia fidelissima consorte ingiurioso; per la quale in forma e specie d’una Orsa presentandomise la bruttura del fedo eccesso mio, tanto si manca che da quella abominevol
vista
io
concepesse
orrore,
che
si
bello
mi
parve quel medesimo mostro e si mi soprapiacque, che volsi ch’ il suo vivo ritratto fusse essaltato nel più alto e magnifico
sito de l'architetto del cielo: quell’errore,
bruttezza,
quell’orribil
lavar
l’acqua
de
minar
l’onde
sue,
macchia
l’ Oceano,
non
che
vuol
che
che
sdegna
Teti,
per
punto
ed
tema
quella
abomina di
s’avicine
conta-
verso
la
sua stanza, Dictinna? l’ha vietato l'ingresso di suoi deserti per tema di profanar il sacro suo collegio, e per la medesima caggione gli niegano i fiumi le Nereidi e Ninfe. To,
misero
gravissima
peccatore,
dico
colpa 3, in conspetto
la mia
colpa,
dico
de l’ intemerata
la
mia
absoluta
giustizia, e vostro 4, che sin al presente ho molto gravemente peccato, e per il mal essempio ho porgiuta ancor a voi permissione e facultà di far il simile; e con questo con-
fesso che degnamente
sul
io insieme con voi siamo
incorsi il
® Callisto, figlia del re Licaone, la quale cacciava con monte Nonacri in Arcadia. V. IGINo, Astron., II, 1. ® Dictinna, Diana.
Diana
3 Cfr. il Confiteor.
4 W:
mostro.
{B. 36-7)
(W. II, 138-9)
(L. 438) (G. II, 48-9)
609
(G.? II, 53-4).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
sdegno del fato, che non ne fa più essere riconosciuti per dei, e mentre abbiamo a le sporcarie de la terra conceduto il cielo, ha dispensato ch’a noi fussero cassi gli tempii, imagini
e statue,
mente
da
mente
han
Oimè,
alto
ch’avevamo
vegnano*
messe dei,
in alto
che
in
depressi
le cose
facciamo?
terra;
a fine
quelli,
che
quali
degna-
indegna-
vili e basse.
che
pensiamo?
che
indug-
giamo? Abbiamo prevaricato, siamo stati perseveranti ne gli errori, e veggiamo la pena gionta e continuata con l'errore.
Provedemo,
dunque,
provedemo
a’
casi
nostri;
perché, come il fato ne ha ‘negato il non posser cadere, cossi ne ha conceduto il possere risorgere; però come siamo stati pronti al cascare, cossi anco siamo apparecchiati a rimetterci su gli piedi. Da quella pena nella quale mediante l'errore siamo incorsi, e peggior della quale ne potrebe sopravenire, mani,
mediante
potremo
senza
la riparazione, difficultade
che
uscire.
sta nelle Per
nostre
la catena
de
gli errori siamo avinti; per la mano della giustizia ne disciogliamo. Dove la nostra levità ne ha deprimuti, indi bisogna che Ila gravità ne inalze. Convertiamoci alla giustizia,
dalla
quale
essendo
noi
allontanati,
siamo
allonta-
nati da noi stessi; di sorte che non siamo piri dei, non siamo
più noi. Ritorniamo dunque a quella, se vogliamo ritornare a noi. L'ordine e maniera di far. questo riparamento è che prima togliamo da le nostre spalli la grieve soma d’errori che
ne trattiene;
velo
de
bramo 3 W:
la poca
rimoviamo
d'avanti
considerazione,
che
dal core la propria affezione, degnamente
gli ne
nostri
impaccia;
occhi
il
isgom-
che ne ritarda;
git-
vegnano.
(B. 37-8) (W. II, 1309-40) (L. 438-9) (G.1 II, 49-50) (G.2 II, 54-5). 610
DIALOGO
PRIMO
tiamo da noi tutti que’ vani pensieri che ne aggravano; adattiamoci a demolire le machine di errori ed edificii di
perversitade camino;
che
impediscono
cassiamo
ed
la strada
annulliamo,
ed
quanto
occupano
possibil
fia,
il
gli
trionfi e trofei di nostri facinorosi gesti, a fine che appaia
nel tribunal della giustizia verace pentimento di commessi errori. Su, su, o dei, tolgansi dal cielo queste larve, statue, figure, imagini, rizie,
libidini,
ritratti, furti,
processi
sdegni,
ed istorie de nostre
dispetti
ed
onte*.
Che
avapasse,
che passe questa notte * atra e fosca di nostri errori, perché
la vaga aurora del novo giorno de la giustizia ne invita; e disponiamoci di maniera tale al sole, ch' è per uscire, che non
ne
discuopra
mondare
cossf
e renderci
come
belli;
siamo
non
immondi.
solamente
noi,
ma
nostre stanze e gli nostri tetti fia mestiero che e
netti:
doviamo
Disponiamoci,
interiore-
dico,
prima
ed
cielo
che
anco
le
sieno puliti
esteriormente
nel
Bisogna
ripurgarci.
intellettualmente
è dentro di noi, e poi in questo sensibile che corporalmente
si presenta a gli occhi. Togliemo via dal cielo de l'animo nostro
l’ Orsa
della difformità,
la Saetta
de la detrazione,
l' Equicolo de la leggerezza, il Cane de la murmurazione, la
Canicola
de
de
la
de
l' impietà,
l’adulazione.
violenza,
la il
Bandiscasi
da
Lira
de
la
Boote
de
l'inconstanza,
noi
congiurazione, il
l’ Ercole
il Triangolo Cefeo
de
la
durezza. Lungi da noi il Drago de l' invidia, il Cigno de l’ imprudenza,
desidia,
la
il
Cassiopea
Perseo
1 S.
Paoto,
® W:
Che
appropinquavit. arma lucis ». (B.
38-9)
de
della
la
vana
Ai
Rom.,
XIII,
passe
questa
notte.
Abiiciamus
(W.
II,
140)
12:
ergo
(L.
439)
—
G. Ununo,
Dialoyhi
italiani
l'Andromeda
sollecitudine. a Nox
opera
6II 15
vanità,
(G.!
praecessit,
tenebrarum,
II,
50)
(G
de
la
Scacciamo dies
autem
et induamur
II,
55).
SPACCIO
1’ Ofiulco fino
de
DE
LA
BESTIA
de Ia maldizione, Ja
libidine,
TRIONFANTE
l’Aquila de l'arroganza,
il Cavallo
de
l’impacienza,
il Del-
l’ Idra
de
la concupiscenza. Togliemo da noi il Ceto de l’ ingordiggia, l' Orione de la fierezza, il Fiume
de le superfluitadi, la Gor-
gone
del vano
de l'ignoranza,
la Lepre
timore.
Non
ne
sia oltre dentro il petto l’Argo-nave de l'avarizia *, la Tazza
de l’ insobrietà,
la Libra de l’ iniquità,
regresso,
il Capricorno
s’avicine
il Scorpio
affezione,
l’Altare
de la decepzione.
de la frode, de
la
il Cancro
Non
il Centauro
superstizione,
del mal
fia che ne
de Ia animale
la
Corona
de
la
superbia, il Pesce de l’' indegno silenzio. Con questi caggiano gli Gemini de la mala familiaritade, il Toro de la cura di cose basse, de la Tirannia,
l'Ariete de 1° inconsiderazione,
l’Aquario
de la dissoluzione,
il Leone
la Vergine
de
l' infruttuosa conversazione, il Sagittario de la detrazione. Se
cossi,
o dei,
renderemo
purgaremo
novo
il nostro
la nostra cielo,
nove
abitazione, saranno
se cossf le
costel-
lazioni ed influssi, nove l’ impressioni, nove fortune; perché da questo mondo superiore pende il tutto, e contrarii effetti sono ramente
dependenti
da cause
fortunati noi, se farremo
contrarie. buona
O
felici, o ve-
colonia del nostro
animo e pensiero ! A chi de voi non piace il presente stato, piaccia il presente conseglio. Se vogliamo mutar stato, cangiamo
costumi *, Se
megliore,
questi
l’ interiore
non
affetto,
vogliamo
sieno
atteso
simili
che
che
quello
sia buono
o peggiori.
e
Purghiamo
da Il’ informazione
di questo
mondo. interno non sarà difficile di far progresso alla riformazione di questo sensibile ed esterno. La prima pur1 W:
1 W:
(B. 39-40)
de la vanità.
cangiamo,
(W.
IL,
cangiamo.
140-1)
(L. 439-40)
612
(G.! II, 50-1)
(G.? II, 55-6).
.
DIALOGO
PRIMO
gazione, o dei, veggio che la fate, veggio che l’avete fatta; la vostra
determinazione
determinazione,
la
io la veggio;
è fatta;
ed
ho
è subito
vista fatta,
la vostra perché
la’
non
è soggetta a’ contrapesi del tempo. Or su, procediamo alla seconda purgazione. Questa è circa l'esterno, corporeo, sensibile e locato. Però bisogna che
vada
bisogna
con
certo
aspettare,
discorso,
successione
ed
ordine;
però
conferir una cosa con l’altra, comparar
questa raggione con quella, prima che determinare; atteso che circa le cose corporali, come in tempo è la disposizione, cossf non può
essere,
Eccovi
il termine
dunque
decidere e determinare debba
che
fare
vi
o non;
l’ho
nientissima,
come
instante,
l'essecuzione.
di tre giorni, dove
non
infra di voi, se questa
perché
proposta,
in uno
per
ordinanza
insieme
l'avete
necessaria ed ottima;
del
avete
da
riforma si fato,
giudicata
subito
conve-
e non in segno esteriore,
figura ed ombra, ma realmente ed in verità veggio il vostro affetto, come
voi reciprocamente
vedete il mio;
e non men
subito ch'io v' ho tocco l'orecchio col mio proponimento, voi col splendor del consentimento vostro m'avete tocchi gli occhi. Resta dunque che pensiate e conferite infra di voi circa la maniera, con cui s' ha da provedere a queste cose che si toglieno dal cielo, per le quali fia mestiero procacciare ed ordinar altri paesi e stanze; ed oltre, come s' hanno da empire queste sedie a fin che il cielo non rimagna deserto, ma megliormente colto ed abitato che prima. Passati che saranno gli tre giorni, verrete premeditati in mia presenza circa loco per loco e cosa per cosa, acciò
che,
non
senza
ogni
possibile
discussione,
conve-
niamo il quarto giorno a determinare e pronunziar la forma di questa colonia. Ho detto. (B. 40-2)
(W.
II, 141)
(L. 440-1)
613
(G.M IT, 51-2)
(G3
II, 56-7).
SPACCIO
DE
Cossi, o Saulino,
il spirto
BESTIA
il padre
e commosse
che lui medesimo mentre minato
LA
Giove
il core
apertamente
TRIONFANTE
toccò l’orecchio,
del Senato
e Popolo
accese
celeste,
ne’ volti e gesti s’accorse,
orava, che nella mente loro era conchiuso e deterquel tanto che da lui lor venia proposto. Avendo
dunque fatta la ultima clausola ed imposto silenzio al suo dire il gran Patriarca degli dei, tutti con una voce e con un tuono
dissero:
—
Molto
volentieri,
o
Giove,
consentemo
d’effettuar quel tanto che tu hai proposto e veramente ha predestinato il fato. — Qua succese ! il fremito de la moltitudine, qua apparendo segno d'una lieta risoluzione, là d'un volenteroso ossequio, qua d’un dubio, là d’un pensiero, qua un applauso, là un scrollar di testa di qualche interessato,
ivi
una
specie
di
vista,
e quivi
un’altra,
sin
tanto che, gionta l'ora di cena, chi da questo lato si retirò,
e chi da quell'altro. Saulino.
Cose
di non
poco
momento,
o Sofia!
Terza parte del primo Dialogo. Sofia. Venuto il quarto giorno, ed essendo appunto l’ora di mezo di, convennero di bel novo al conseglio generale, dove non solamente fu lecito d'esser presenti gli prefati numi più principali, ma oltre tutti quelli altri, ai quali
è conceduto, come per lege naturale, il cielo, Sedente dunque
il Senato e Popolo de gli dei, e con il consueto modo essendo montato sul solio di safiro inorato Giove, con quella forma di diadema e manto con cui solamente ne gli sollennissimi 1 Cir. (B.
42-3)
De (W.
l'infinito, II,
p. 434,
14r-2)
(L.
n. 441)
614
1. (G.
IT,
52-3)
(G2
II,
57-8).
DIALOGO
concilii suol comparire, d’attenzion
la
turba,
PRIMO
rassettato ed
inditto
il tutto, alto
messa
silenzio,
in punto
di
maniera
che gli congregati sembravano tante statue o tante pitture; si presenta in mezzo con gli suoi ordini, insegna! e circonstanze il mio bel nume Mercurio. E gionto avanti il conspetto del gran padre, brevemente annunziò, interpretò ed espose quel che non era a tutto il conseglio occolto, ma che, per servar la forma e decoro de statuti, bisogna pronunziare. Cioè come gli dei erano pronti ed apparecchiati senza simulazione e dolo, ma con libera e spontanea voluntade, ad accettare e ponere in esecuzione tutto quello che
per
il presente
ordinato.
Il che
sinodo
avendo
verrebe
detto,
conchiuso,
statuto
ed
si voltò
a gli circonstanti
dei, e gli richiese che con alzar la mano
facessero aperto e
ratificato quel tanto ch'in nome loro aveva presenza de l'altitonante. E cossi fu fatto. Appresso
apre la bocca il magno
in cotal
tenore
udire:
—
vittoria
contra
gli giganti,
Se
protoparente,
gloriosa,
che
esposto
o dei,
in breve
in
e fassi
fu la nostra
spacio
di tempo
risorsero contra di noi, che erano nemici stranieri ed aperti,
che ne combattevano
solo da l’ Olimpo,
e che non
posse-
vano né tentavano altro che de ne precipitar dal cielo; quanto più gloriosa e degna sarà quella di noi stessi, li quali fummo
contra lor vittoriosi ? Quanto
e gloriosa
è quella
di nostri
trionfato
di noi, che
sono
affetti,
nemici
che
più degna, dico, tanto
domestici
tempo
ed interni
han che
ne tiranneggiano da ogni lato, e che ne hanno trabalsati e smossi da noi stessi? Se dunque di festa degno ne ha parso quel giorno che 1 Dal
(B. 43-4)
pl. neutro:
(W.
insignia.
IT, 142)
(L. 441-2) (G.1 IL 53-4)
615
(G-* IT, 58-09).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
ne partori vittoria tale di quale il frutto in un momento disparve, quanto più festivo dev'essere questo di cui la fruttuosa gloria sarà eviterna! per gli secoli futuri? Sèguite,
dunque,
d'essere
festivo
il
giorno
de
la
vittoria;
ma da quel ? che si diceva de la vittoria de giganti, dicasi de la vittoria de gli Dei, perché in esso abbiamo
vinti noi
medesimi. Instituiscasi oltre festivo il giorno presente nel quale si ripurga il cielo, e questo sia più sollenne a noi, che abbia mai possuto essere a gli Egizii la trasmigrazione del popolo leproso, ed a gli Ebrei il transito dalla Babilonica cattivitade. Oggi il morbo, la peste, la lepra3 si bandisce
dal cielo a gli deserti; oggi vien rotta quella ca-
d'essere
approvato,
tena di delitti e fracassato il ceppo de gli errori, che ne ubligano al castigo eterno. Or dunque, essendo voi tutti di buona voglia per procedere a questa riforma, ed avendo, come intendo, tutti premeditato il modo con cui si debba e possa venire al fatto; acciò che queste sedie non rimagnano disabitate, ed agli trasmigranti sieno ordinati luoghi convenienti, io cominciarò a dire il mio parere circa uno per uno; e prodotto che sarà quello, se vi parrà degno ditelo;
se
vi sembrarà
inconveniente,
esplicatevi; se vi par che si possa far meglio, dechiaratelo;
se da quello si deve togliere, dite il vostro parere; se vi par che vi si deve aggiongere, fatevi intendere; perché ognuno ha plenaria libertà di proferire il suo voto; e chiunque tace, se intende affirmare. — Qua assorsero alquanto tutti gli dei, e con questo segno ratificàro la proposta. 1 Cfr. p. 349, n. 2 IW: ma quel. vedi
3 Leproso, p.
722,
n. 2.
1.
lepra:
lebbroso,
lebbra.
Quanto
agli Ebrei,
(B. 44-5) (W. II, 142-3) (L. 442) (G.1 IT, 54) (G.2 II, 59). 616
DIALOGO
PRIMO
— Per dar, dunque, principio e cominciar da capo, disse Giove, veggiamo prima le cose che sono da la parte boreale, e provediamo circa quelle; e poi a mano a mano
per ordine faremo progresso sin al fine. Dite voi: che vi pare,
e che giudicate
di quella Orsa ? —
Gli dei, alli quali
toccavano le prime voci, commesero a Momo che rispondesse; il qual disse: — Gran vituperio, o Giove, e più grande che tu medesimo possi riconoscere, che nel luogo del cielo più celebre, là dove Pitagora (che intese il mondo aver le braccia, gambe, busto e testa) disse essere la parte superior di quello, alla quale è contraposto l’altro estremo che dice
essere l’ infima regione; di quella setta: Hic
Sub
vertex
pedibus
nobis
Styx
tuxta quello che cantò
semper
atra
sublimis,
videt
at
manesque
un
Poeta
illum
profundi!:
là dove gli marinaii si consultano negli devii ed incerti camini del mare, là verso dove alzano le mani tutti gli travagliati che patiscono tempeste: là verso dove ambivano gli giganti: là dove la generazion fiera di Belo facea montare la torre di Babelle =: là dove gli maghi del specchio calibeo cercano gli oracoli de Floron,
uno de' grandi prin-
cipi de gli arctici spiriti: là dove gli Cabalisti dicono che Samaele volse inalzare il solio per farsi assomigliante al primo altitonante; hai posto questo brutto animalaccio, il quale,
non
con
una
staccio,
non
con
qualche
1 VirgiLIo, Georg., al Carmen aureum. 2 Genesi,
XI,
occhiata,
I, 242-3.
non
imagine
con
un
di mano,
Erroneamente
rivoltato
non
mu-
con
il Kuhlenbeck
un
pensa
4.
(B. 45-6) (W. II, 143) (L. 442-3) (G.t II, 54-5)
617
(G.* II, 59-60).
SPACCIO
DE
Lu
BESTIA
TRIONFANTE
piede, non con altra meno ignobil parte del corpo, ma con una coda (che contra la natura de l'orsina specie volse Giunone che gli rimanesse attaccata dietro), quasi come un? indice degno di tanto luogo, fai che vegna a mostrar a tutti terrestri, maritimi e celesti contemplatori il polo magnifico e cardine del mondo. Quanto, dunque, facesti male de vi la inficcare 3, tanto farai bene di levarnela; e vedi di farne intendere dove la vuoi mandare,
ch’in
suo
loco
succeda.
—
Vada,
disse
e che
cosa
vuoi
Giove,
dove
a voi altri pare e piace, o a gli Orsi d’ Inghilterra,
o a gli Orsini o Cesarini di Roma 4, se volete che stia in città
a bell’aggio. — A gli claustri di Bernesi vorei che la fusse impriggionata, disse Giunone. — Non tanto sdegno, mia moglie,
replicò
Giove;
vada
dove
si vuole,
purché
sia li-
bera e lasce quel loco nel quale, per essere la sedia più eminente, voglio che faccia la sua residenza la Veritade; perché
là je unghie de la detrazione non arivano, il livore de l’ invidia
non
avelena,
le
tenebre
de
dano.
Ivi starà stabile e ferma;
l'errore
là non
non
vi
profon-
sarà exagitata
da
flutti e da tempeste; ivi sarà sicura guida di quelli che vanno errando per questo tempestoso pelago d'errori; ed indi si mostrarà
chiaro
e terso specchio
zione. — Disse il padre Saturno:
1 Onde
quanto
pare
la «ridicula
2 Bi come 3 Oppure
ma; non
4 Allusioni
Cand.?
fabella » del
(p.
186;
con un. nfeccare. a famiglie,
— Che farremo di quella
ivi,
PANORMITA,
n.
3), dal
Napolitanismo.
città e stati,
non
B.
ignorata,
a
che hanno
l’orso nello stem-
a Nola
ed
ebbero
55-6)
(G.2
cosî, appresso, si allude allo stemma di Berna. Comunque, a caso B. ricorda famiglie italiane, per esempio gli Orsini ei
Cesarini,
piccola (B.
nel
di contempla-
di cui
rami
nella storia
46-7)
(W.
II,
si trapiantarono
di essa. 143-4)
(L.
443)
618
(G.1
II,
parte
II,
non
60-1).
DIALOGO
PRIMO
Orsa maggiore ? Propona Momo.
—
E lui disse:
dico,
e con
—
Vada,
perché la è vecchia, per donna di compagna! di quella minore giovanetta; e vedete che non gli dovegna roffiana; il che se accaderà, sia condannata ad servira qualche menche
con
andarla
mostrando
farla cavalcare
da
fanciulli ed altri simili, per curar la febre quartana ed altre picciole infirmitadi, possa guadagnar da vivere per lui e lei. — Dimanda .Marte: — Che farremo di quel nostro Draggonaccio 2,
o Giove?
—
Dica
Momo,
—
rispose
il
padre. E quello; — La è una disutile bestia, e che è meglio morta che viva. Però, se vi pare, mandiamola
ne l’ Ibernia,
o in un'isola de 1° Orcadi a pascere. Ma guardate bene, ché con la coda è dubio che non faccia qualche ruina di stelle
con
farle
precipitar
in mare.
—
Rispose
Apolline:
— Non dubitar, o Momo: perché ordinarò a qualche Circe o Medea, che con quei versi con gli quali si seppe addormentare
quando
era guardiano
de le poma
d'oro,
adesso
di nuovo insoporato sia trasportato pian pianino in terra. E non mi par che debba morire, ma si vada mostrando ovunque è barbara bellezza: perché le poma d’oro saranno
la beltade 3, il drago sarà la fierezza, Giasone sarà l'amante, 1 BWLG!:
pagnia,
compagno.
come
Evidentemente
allora si diceva.
compagna
per
com-
® (G1 = L: Dragonnaccio (Lagarde registra Draggonaccio come forma originale; G?: Draggonnaccio (volendo forse restituire la [. orig.).) 3 Cfr. TANSILLO, Vendemmiatore, st. 158 (ed. Flamini, p. 58). Ercole,
credo,
si facea
Donne,
che avete,
nomare,
Che "Il drago uccise, e tolse ogni ricchezza. Le poma d'or son le bellezze care, il drago
è la fierezza,
Che dentro a’ vostri cuor chiusa dimora, E ogni bel piacer caccia 0 divora.
(B. 47-8) (W. IT, 144) (L. 443-4) (G1 II, 56) (G2 IL 61-2). 619
SPACCIO
l'incanto
DE
LA
ch’addormenta
BESTIA
TRIONFANTE
il drago, sarà che
Non è si duro cor che proponendo, Tempo aspettando, piangendo ed amando, E talvolta pagando, non si smuova: Né si freddo voler, che non si scalde!.
Che cosa vuoi che succeda al suo luogo, o padre? prudenza,
rispose
Giove,
la
quale
Veritade;
perché
questa
non
deve
deve
essere
—
vicina
maneggiarsi,
La alla
moversi
ed adoperarsi senza quella, e perché l’una senza la compagnia de l’altra non è possibile che mai profitte o vegna onorata. — Ben provisto, — dissero i dei. Soggionse Marte: — Quel Cefeo, quando era re, malamente seppe menar le braccia per aggrandir quel regno che la fortuna gli porse. Ora,
non è sorte piazza che se
bene che qua, in quel modo che fa, spandendo di tal le braccia ed allargando i passi, si faccia cossi la grande in cielo. — È bene, dunque, disse Giove, gli dia da bere l'acqua di Lete, a fin che si dismen-
tiche,
ponendo
in oblio
la terrena
e celeste
possessione,
rinasca un animale che non abbia né gambe né braccia.
e
—
Cossi deve essere, soggionsero li dei: ma che in loco suo succeda la Sofia, perché la poverina deve anch'ella participar de gli frutti e fortune de la Veritade, sua indissociabile compagna, con la quale sempre ha comunicato nelle angustie, afflizioni, ingiurie e fatiche; oltre che, se non è costei che li coadministre, non so come ella potrà essere mai gradita ed onorata. — Molto volentieri, disse Giove, lo accordo, e vi consento o Dei; perché ogni ordine e. rag1 Contraffazione
atto V, coro.
di
versi
Il B. aggiunge
del
Tasso,
di suo,
Aminta,
atto
I,
a dileggio delle donne,
colare del «talvolta pagando ». Cfr. SpramPanaTtO, Critica, XXIII, 248, e Lo spaccio, p. 94.
G.
sc.
1,
il parti-
Florio,
(B. 48-90) (W. IT, 144-5) (L. 444) (G.! II, 56-7) (G.2 II, 02-3). 620
e
in
gione
il
vuole;
e
DIALOGO
PRIMO
massime,
perché
malamente
crederei
aver reposta quella nel suo luogo senza questa, ed ivi non si potrebe trovar contenta, lontana della sua tanto amata sorella e diletta compagna. —
De
l’Arctofilace,
disse
Diana,
che,
si ben
smaltato
di stelle, guida il carro, che credi, Momo, che fare? — Rispose!: — Per esser lui quel Arcade,
si debba frutto di
quel sacrilego ventre, e quel generoso parto testimonio ancora de gli orrendi furti del gran stro 2, deve partirsi da qua: .or provedete voi abitazione. — Disse Apolline: — Per esser figlio séguite la madre! — Soggionse Diana: — E cacciatore
d'orsi,
séguite
la madre,
con
questo
gli ficchi qualche punta di partesana adosso. Mercurio:
—
che rende padre node la sua di Calisto, perché fu che
—
non
Aggiunse
E perché vedete, che non sa far altro camino,
vada pur sempre guardando vria ritornare
la madre, la quale se ne de-
all’ Erimantide
selve.
—
Cossi
sarà
meglio,
disse Giove: e perché la meschina fu violata per forza, io voglio se
riparar
cossi
figura. rete
al suo
piace
—
danno,
a Giunone nel
grado
della
disse Giove;
discussioni:
—
Ivi,
questa
ma
(B.
sua
pristina
veggiamo
49-50)
II,
(W.
verginità,
4.
II,
145)
conse-
445)
621
vogliamo
far
Dopo fatte molte e molte Giove,
che
nato dagli amori (L.
Della
prima l’are per
che cosa
succeda
(G.!
II,
la
Legge,
sia in cielo, atteso
è figlia della Sofia celeste
Rispose che)
Astron.,
—
è necessario
® L’Arctofilace sarebbe
Icino,
nella
sua
sentenziò
ancora
cossîf questa 1 (L:
rimettendola,
— Non parliamo più di questo
succedere al luogo di costui.
che
loco
ancora,
quenza in grazia de Diana.
perché
quel
Mi contento, disse Giunone, quando
rimessa
per ora,
da
e divina,
come
di Callisto e di Giove: 57-8)
(G.?
II,
63).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
quell’altra è figlia de l’ inferiore, in cui questa Dea manda il suo influsso ed irradia il splendor del proprio lume, in quel mentre che va per gli deserti e luoghi solitari de la terra. — Ben disposto, o Giove, disse Pallade; perché non è vera, né buona legge quella che non ha per madre la Sofia, e per padre l'intelletto razionale; e però là questa figlia non deve star lungi da la sua madre;
ed a fin che da basso
contempleno gli uomini come le cose denno essere ordinate appreso ! loro, si proveda qua in questa maniera, se cossi piace a Giove. Appresso séguita la sedia della corona Boreale,
fatta
di safiro,
arrichita=
di
tanti
lucidi
diamanti,
e che fa quella bellissima prospettiva con quattro e quattro, che son otto, carbuncoli ardenti. Questa, per esser cosa fatta
a basso,
trasportata
da
basso,
mi
par
molto
degna
d'esser presentata a qualche eroico prencipe, che non ne sia indegno; però veda il nostro padre, a chi manco meno indegnamente deve essere presentata da noi. — Rimagna in cielo, rispose Giove, aspettando il tempo, in cui devrà essere donata in premio a quel futuro invitto braccio, che con la mazza ed il fuoco riportarà la tanto bramata quiete alla misera ed infelice Europa, fiaccando gli tanti capi
di questo
peggio che Lerneo
mostro,
che con
molti-
forme eresia sparge il fatal veleno, che a troppo lunghi passi serpe per ogni parte per le vene di quella 3. — Ag1 F. rarissima nel ? Spagn.: rico. 3 Questa
ridarà
sedia
la quiete
de
B.
e nei
la
corona
all' Turopa,
suoi
non
contemporanei.
boreale,
ricorda
vuota,
il gran
e destinata
seggio
a
chi
e la corona
che già v’ è su posta, aspettante l’anima di Arrigo VII nel Paradiso,
c.
XXV
parso.
La
(ma
XXX,
133
moltiforme
e 134),
di DANTE,
eresia,
non
come
occorre
a qualcuno
avvertirlo,
è
è
la Riforma, della quale il B. continua qui appresso a discorrere; v. anche p. 655. Pei suoi giudizi sulla Riforma, oltre gli scritti citati (B.
5so-1)
(W.
II,
145-6)
(L.
445-6)
622
(G.1
II,
58-9)
(G.?
II,
63-4).
DIALOGO
giunse
Momo:
—
Bastarà
PRIMO
che done
fine a quella poltro-
nesca setta di pedanti, che senza ben fare secondo la legge divina e naturale,
si stimano
e vogliono
essere stimati re-
ligiosi grati a' dei, e dicono che il far bene è bene, il far male
è male;
si faccia,
sperare
ma
non per ben
si viene
ad essere
e credere
che si faccia o mal
degno
secondo
e grato
che non
a’ dei;
il catechismo
ma
per
loro !. Vedete,
dei, se si trovò mai ribaldaria pi aperta di questa, che da quei soli non è vista, li quali non veggon nulla. —
Certo,
forfantaria, Quando
patto
morte, vitto
disse
non
Mercurio,
conosce
colui
questa
che
ch'è
non
conosce
la madre
nulla
di tutte.
Giove istesso e tutti noi insieme proponessimo
a gli uomini, come
umano,
deremmo
essere più abominati
quei che, in grandissimo non
siamo
solleciti
tal
che la
pregiudizio del con-
d'altro,
che
della
vana
gloria nostra. — Il peggio è, disse Momo, che ne infamano, dicendo
che questa
è instituzione de superi;
e con questo
che biasmano gli effetti e frutti, nominandoli ancor con titulo di defetti e vizii. Mentre nessuno opera per essi, ed essi operano per nessuno (perché non fanno altra opra che dir male de l’opre), tra tanto vivono de l’opre di quelli ch’hanno operato per altri che per essi, e che per altri hanno instituiti tempii, capelle, xeni 2, ospitali, collegii ed universitadi; onde sono aperti ladroni ed occupatori di beni ereditari
d'altri;
li
quali,
se
non
son
perfetti,
né
cossi
a p. 385, n. 1, v. ora anche GENTILE, G. B. e il pensiero del Rinascimento?, pp. 166-72. ! Il sullodato anonimo Postillatore segna in margine a q. l.: «contra lustitiam Fidei ». ® Grecismo: ricoveri, alberghi. Cfr. dial. seg., p. 662, per la retta interpretazione. (B.
51-2)
(W.
II,
146)
(L.
446)
(G.!
623
IT,
59-60)
(G,?
II,
64-5).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
buoni, come denno, non saranno però (come sono essi) perversi e perniciosi al mondo; ma più tosto necessarii alla republica, periti ne le scienze speculative, studiosi de la moralitade,
solleciti
di giovar
l’altro,
l’un
circa
l'aumentar
e mantener
ordinate tutte leggi), proponendo tori,
e
mentre
minacciando
certi
dicono!
lor
ogni
le quali
né essi, né
secuzion
di quelle
tabile,
mediante
massimamente
basta certi
affetti
a’
‘delinquenti. circa
intesero,
il solo
interiori —
cose
dicono
destino,
gli dei si pascano.
(a cui
sono
certi premii a’ benefat-
essere
altri mai
e la cura
il convitto
castighi cura
il zelo
invisibili,
ch’alla con-
il quale
e fantasie, Però,
Oltre,
è immude
quali
disse Mercurio,
non gli deve dar fastidio, né eccitar il zelo, che alcuni credeno le opere essere necessarie; perché tanto il destino di quelli,
quanto
il
destino
loro
che
credeno
il
contrario,
è prefisso, e non si cangia perché il lor credere o non credere sì cangie,
e sia d'una
ed un’altra maniera.
E per la mede-
sima caggione essi non denno essere molesti a color che non gli credeno, e che le stimano sceleratissimi; perché non per questo che gli vegnono a credere e stimarli uomini da
bene,
dottrina,
cangiaranno non
è in
destino.
libertà
Oltre
de
l’elezion
che, loro
secondo di
la
lor
mutarsi
a
questa fede. Ma gli altri che credeno il contrario, possono giuridicamente,
secondo
essere a lor molesti 2; ma, dei
e beneficio
al
mondo
la lor
conscienza,
non
solamente
oltre, stimar gran sacrificio a gli di
perseguitarli,
ammazzarle
e
spengerli3 da la terra, perché son peggiori che li bruchi e
1A q. 1: «Contra Praed. Calvini» (Post. napol.). ® BL: modesti. Fu il Post. napol. a correggere per il primo l'errore. 3 Esempio dell'incostanza grammaticale del B.
(B. 52-3) (W. II, 146-7) (L. 446-7) (G.! II, 60) (G? II, 65-0). 624
DIALOGO
PRIMO
le locuste sterili e quelle arpie le quali non opravano nulla di buono, ma solamente que’ beni che non posseano! vorare, strapazzavano ed insporcavano con gli piedi, e faceano impedimentò a quei che s’esercitavano. — Tutti quei, ch’ hanno giudicio naturale, disse Apolline, giudicano le leggi buone, perché hanno per scopo la prattica; e quelle in comparazione son megliori, che donano meglior occasione a meglior prattica: perché de tutte leggi altre
son
massime
state per
donate
da
il comodo
noi,
de
altre
finte
da
gli uomini,
l’umana
vita;
e per
ciò
che
alcuni non veggono il frutto de lor meriti in quella vita, però gli vien promesso e posto avanti gli occhi de l'altra vita il bene e male, premio e castigo, secondo le lor opre. De
tutti quanti,
dunque,
segnano, disse Apollo, perseguitati dal cielo e peste del mondo, e non gli lupi, orsi e serpenti, meritoria e degna: anzi
che
diversamente
credeno
ed in-
questi soli = son meritevoli d'esser da la terra, ed esterminati come son più degni di misericordia che nel spenger de quali consiste opra tanto incomparabilmente meritarà
più chi le toglierà, quanto pestilenza e ruina maggiore apportano questi che quelli. Però ben specificò Momo, che la Corona australe a colui massime si deve, il quale è disposto
dal fato a togliere questa fetida sporcaria del mondo 3. —
Bene,
disse Giove,
cossi voglio, cossf determino,
che
sia dispensata questa corona, come raggionevolmente Mercurio, Momo ed Apolline hanno proposto, e voi altri con-
1.BL:
posseno.
2 «Cioè quelli gui niegano opere» (Post. napol.). 3 « Notate bene » (Id.). (B.
53-4)
(W.
II,
147-8)
la santità
(L. 447)
625
(G
et iustizia consestir
II,
60-1)
(G.?
II,
en le
66).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
sentite. Questa pestilenza !, per essere cosa violenta e contra
ogni legge e natura, certo non potrà molto durare; come possete accorgervi, ch’ hanno costoro il lor destino o fato nemicissimo, perché mai crebbe il numero di questi, se non a fine di far più numerosa ruina. — È ben degno premio, disse Saturno,
la corona
per colui,
a questi perversi ® è picciola sieno solamente spenti dalla però mi par oltre giusto che, appresso, per molti lustri e corpo
in corpo
che le toglierà via;
ma
ed improporzionata pena, che conversazion de gli uomini: lasciato ch’aranno quel corpo, per più centinaia d'anni, da
trasmigrando
per
diverse
vice e volte,
se
ne vadano ad abitar in porci 3, che sono gli più plotroni animali del mondo, o vero sieno ostreche marine attaccate ai scogli.
— La giustizia, disse Mercurio, vuole il contrario 4. Mi par giusto, che per pena de l’ocio sia data la fatica. Però sarà meglio, che vadano in asini, dove ritegnano la ignoranza e si dispogliano de l’ocio; ed in quel supposito, in mercé di continuo lavore, abbiano poco fieno e paglia per cibo, e molte bastonate per guidardone. — Questo parere
approvàro
tutti
gli Dei
insieme.
Allora
sentenziò
Giove, che la corona sia eterna di colui che gli arà donata l’ultima scossa; ed essi per tremilia anni da asini sempre vadano migrando in asini. Sentenziò oltre, che in loco di quella corona particolare succedesse la ideale e comunicabile in infinito, perché da quella possano essere suscitate 1 «Ancora
contro
3 « Et
seranno
% « Ancora » (Post. athei
qui
Epicuri, nalurae 4 «Ancora » (Id.).
i Riformati
napol.). quei,
ductum
evangelici » (Id.).
donca,
qui
triompheranno?
sequentes », etc.
(Id.).
Nismirum
{B. 54-5) (W. II, 148) (L. 447-8) (G.4 IT, 61-2) (G2 II, 66-7). 626
DIALOGO
infinite
corone,
diminuzione,
come
da
una
PRIMO
lampade
accesa
senza
sua
e senza scemarsi punto di virtude ed efficacia,
se ne accendeno infinite altre. Con la qual corona intese che fusse aggionta la spada ideale, la quale similmente ha più vero essere che qualsivoglia particolare, sussistente infra gli limiti delle naturali operazioni. Per la qual spada e corona intende Giove il giudicio universale, per cui nel mondo ogniuno vegna premiato
e castigato,
secondo la misura de
gli meriti e delitti. Approvàro molto questa provisione tutti gli dei, per quel che conviene che alla Legge abbia la sedia vicina il Giudicio, perché questo si deve governar per quella, e quella deve esercitarsi per questo; questo deve esseguire, e quella dettare; in quella ha da consistere tutta la teoria,
in
questo
tutta
la pratica.
Dopo fatti molti discorsi e digressioni in proposito di questa sedia, mostrò Momo a Giove Ercole, e gli disse: —
Or, che faremo di questo tuo bastardo ? —
Avete udito,
dei, rispose Giove, la caggione per la quale il mio Ercole deve andarsene con gli altri altrove. Ma non voglio che la sua andata sia simile a quella de tutti gli altri; perché la causa, modo e raggione de la sua assumpzione è stata molto
dissimile, per e meriti de gli spurio, degno dimostrato. E adventizio,
ciò che solo e gesti eroici s' però di essere vedete aperto,
e non
singularmente per le virtudi ha meritato il cielo; e benché legitimo figlio di Giove s'è che solo la causa de l’essere
naturalmente
dio,
fa
che
li sia
negato
il cielo; ed è il mio, non suo errore quello che per lui io vegno, come è stato detto, notato. E credo, che vi rimorda la conscienza; ché se uno da quella regola e determinazion gene-
rale devesse
essere eccettuato,
questo
solo derrebe
Ercole. Però, se lo togliemo da qua e lo mandamo
essere
in terra,
(B. 55-7) (W. IL 149-9) (L. 448) (G.1 II, 62-3) (G-3 II, 67-8). 627 di
—
G. Bruno,
Dialoghi
italiani
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
facciamo che non sia senza suo onore e riputazione, la quale non sia minore che se continuasse in cielo. — Assorsero molti, dico, la più gran parte de gli dei, e dissero: — Con maggiore, se maggior si puote. — Instituisco, dunque, Giove soggionse, che con questa occasione a costui, come a persona operosa e forte, sia donata tal commissione e cura, per quale si faccia dio terrestre, talmente grande, che vegna da tutti stimato maggior che quando era autenticato per celeste semideo. — Risposero que’ medesimi: —
Cossi sia. —
E perché alcuni de quegli né erano assorti
allora, né parlavano disse,
che
ancor
adesso, si converse
essi si facessero
Giove
intendere.
a loro, e gli
Però
di quelli
alcuni dissero: Probamus; — altri dissero: Adinittimus. — Disse Giunone: Non refragamur. — Indi si mosse Giove a proferir il decreto in questa forma: — Per causa che in loghi de la terra in questi tempi si scuoprono de mostri, se non tali quali erano a’ tempi de gli antichi cultori di quella,
forse peggiori;
rile, instituisco,
che,
io, Giove, se non
con
padre
e proveditor
simile o maggior
gene-
mole
di
corpo, dotato però ed inricchito di maggior vigilanza, di sollecitudine, vigor d' ingegno ed efficacia di spirto, vada Ercole, come mio luogotenente e ministro del mio potente braccio, in terra; e come vi si mostrò grande prima, quando fu nato
e parturito
in
quella,
con
aver
superati
e vinti
tanti fieri mostri; e secondo, quando rivenne a quella vittorioso da l’ inferno, apparendo insperato consolator de gli amici, ed inaspettato vendicator de gli oltragiosi*! tiranni; cossi, al presente, qual nuovo e tanto necessario e bramato proveditore, 1 Con
vegna
la scempia
la terza volta visto da la madre; come
e di-
in francese.
(B. 57-8) (W. II, 149) (L. 448-9) (G.1 IT, 63-4) (G.2 II, 08-9). 628
DIALOGO
PRIMO
scorrendo per gli tenimenti di quella, veda se di bel nuovo per le cittadi Arcadiche vada dissipando ! qualche Nemeo leone; se il Cleoneo di nuovo appaia in Tessaglia. Guarde se quell’ idra, quella peste di Lerne, sia risuscitata a prendere le sue teste rigermoglianti. Scorga se ne la Tracia sia di nuovo risorto quel Diomede, e chi de sangue de peregrini pascea ne l’ Ebro gli cavalli. Volte l'occhio a la Libia, se forse
quell'Anteo,
che
tante
volte
ripigliava
il spirto,
abbia pur una volta ripigliato il corpo. Considere se nel regno Ibero è qualche tricorporeo Gerione. Alze il capo e veda se per l'aria a questo tempo volano le perniciosissime Stinfalidi: dico, se volano quelle Arpie che talvolta soleano annuvolar l’aria ed impedir l'aspetto de gli astri luminosi. Guate se qualch’ ispido cinghiale va spasseggiando per gli Erimantici deserti. Se s’ incontrasse a qualche toro, non dissimile a quello che donava orrido spavento a tanti popoli; se bisognasse far uscir a l’aria aperto? qualche triforme
Cerbero
che
latre,
a fin che
vomisca
l’aconito mor-
tifero; se circa gli crudi altari versa qualche carnefice Busire; se qualche cerva, che di dorate corna adorna il capo, appare per que’ deserti, simile a quella che con gli piedi di bronzo correa veloce, pari al vento; se qualche nova regina Amazonia ha congregate le copie rubelle; se qualche
infido
e vario
Acheloo
con
inconstante,
molti-
forme e vario aspetto tiranneggia in qualche parte; se sono Esperidi ch’ in guardia del drago han commese le poma d’oro; se di nuovo appare la celibe ed audace Regina del popolo Termodonzio; se per l’Italia va grassando 1 Distruggere,
(B.
abbattere.
® Per
questo
mascolino
58-9)
(W.
149-50)
II,
Latinismo.
cfr. p. 61,
(L. 449-50)
629
n.
(G.1
2. II,
64)
(G.2
II,
69-70).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
qualche Lancinio ladro, o discorra qualche Cacco predatore che con il fumo e fiamme defenda gli suoi furti!; se questi, o simili, o altri nuovi ed inauditi mostri gli occor-
reranno, e se gli aventaranno, mentre per il spacicso dorso de
la
terra
perseguite, franga,
verrà?
leghe,
lustrando;
domi,
deprima,
svolte,
spoglie,
sommerga,
riforme,
dissipe,
brugge 3,
discacce,
rompa,
casse,
spezze,
uccida,
an-
nulle. Per gli quai gesti, in mercé di tante e sf gloriose fatiche, ordino che ne gli luoghi dove effettuarà le sue eroiche imprese,
gli sieno drizzati
trofei,
statue,
colossi,
ed
oltre
mi
pari
fani e tempii, se non mi contradice il fato. —
Veramente,
o
Giove,
disse
Momo,
adesso
a fatto a fatto dio da bene; perché veggio che la paternale affezione non ti trasporta a passar gli termini circa la retribuzione secondo gli meriti del tuo Alcide; il quale se non
è degno
di tanto,
è meritevole
oltre forse di qualche
cosa di vantaggio, anco a giudicio di Giunone, la qual veggio che ridendo pur accetta quel ch’ io dico. — Ma
ecco
il mio
tanto
aspettato
Mercurio,
o
Saulino,
per cui conviene che questo nostro raggionamento si differisca ad un’altra volta. Però piacciati discostarti e lasciarne
privatamente
Saulino. Sofia.
Bene,
Ecco
raggionar
a rivederci
quello
a cui
insieme. domani.
ieri
ho
indirizzati
i voti:
al
fine, dopo ch'ha alquanto troppo induggiato, mi si fa presente. Ierì a la sera doveano essere pervenuti a lui, questa notte ascoltati, e questa mattina exequiti dal medesirno. Se subito a la mia voce non è comparso, gran cosa ! Cîr. ® BL: 3 Cir. (B.
VirciLio, Aen., VIII, 251-55. varrà. (Cfr. p. 636) Cand.?, p. 23, n. 5 (ma p. 33,
59-60)
(W.
II,
150)
(L.
450)
630
(G.I
n. 3). II
64-5)
(G.2
II,
70).
DIALOGO
lo deve meno
aver
amata
intrattenuto; da lui, che
PRIMO
per ciò che
da me
credo
medesima.
non
Ecco,
essere
il veggo
uscire da quella nuvola candente ‘, che dal spirto d’Austro
risospinta corre verso dendo a’ lampegianti ? coronando il mio nobil stade, io ti ringrazio,
il centro del nostro orizonte, rai del sole s'apre in cerchio, pianeta. O sacrato padre, alta perché veggio il mio alato
e cequasi maenume
spuntar da quel mezzo e con l’ali distese battendo l’aria, lieto col caduceo
in mano,
fender
il cielo
a la mia
volta,
pi veloce che l’ucello di Giove, più vago che l’alite di Giunone, più singulare che l’Arabica Fenice; presto mi s'è aventato
vicino,
gentile
mi
zionato mi si dimostra. Mercurio. Eccomi teco tuoi voti, o mia
si presenta,
ossequioso
Sofia, perché
ben
secondo
il suo
costume,
alata saetta di raggio
Sofia.
Ma
tu, mio
e favorevole
m' hai mandato
e la tua orazione non è pervenuta matico,
a me ma
risplendente.
nume,
unicamente
a gli
a chiamare;
qual fumo
qual
affe-
aro-
penetrativa
e
che vuol dire che si tosto, se-
condo il tuo costume, non mi ti sei fatto presente? Mercurio. Ti dirò la veritade, o Sofia. La tua orazione mi giunse a tempo ch'io ero già ritornato da l’ inferno, a
commettere
nelle
mani
di
Minoe,
Eaco
e
Radamanto
ducento quarantasei milia cinquecento e vinti due anime, che per diverse battaglie, supplicii e necessitadi hanno compito 1 Dal
il corso
de
lat. candeo.
2 I Napolitani
l'animazione
dicono:
di
corpi
presenti 3. Ivi
lampejare.
3 Dì. non solo qui imita Luciano, ma allude anche ad avvenimenti contemporanei. In Ispagna l’infierire del Santo Uffizio e l’accanimento contro gli Ebrei ed i Moreschi, le persecuzioni in
(B.
60-1)
(W.
II,
rso-1)
(L. 450-1)
631
(G.1 IL
65-6)
(G.? II, 70-1).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
era meco
la Sofia
celeste,
e Pallade,
la qual,
al vestito ed a l'andare,
che
quella ambasciata
Sofia. con
Ben
chiamata
volgarmente
Minerva
subito conobbe
era la tua...
la possea conoscere,
te, frequentemente
suole
perché
contrattar
non meno con
che
lei.
Mercurio ... E mi disse: — Volgi gli occhi, o Mercurio,
ché per te viene questa ambasciaria de la nostra germana
e figlia terrestre. Quella che vive del mio spirito e più di lungi, vicino alle tenebre, procede dal lume del mio padre, voglio che ti sia raccomandata. — È cosa soverchia, io li risposi,
o nata
del cervello
di Giove,
il raccomandarmi
la
tanto amata nostra comune sorella e figlia. — Mi approssimai, dunque, alla tua messaggera: l'abbraccio, la bacio, la
metto
in
compendio,
apro
gli
bottoni
del
gippone ',
e me l’insacco tra la camicia e la pelle, sotto la quale batte e ribatte il polso del core. Giove (il quale era presente, poco discosto, raggionando in secreto con Eolo ed Oceano, li quali erano inbottati *, per ritornarsene presto alli negocii suoi qua gid) vedde quel ch'io feci, e rompendo il raggionamento in cui si ritrovava, fu curioso di dimandarmi subito che memoriale quello fusse che m'’avevo messo in petto; ed avendogli io risposto com’era cosa tua 3:
— Oh la mia povera Sofia! disse, come la passa ? come la fa? Ahi poverina, da quel cartoccio, che non è troppo Inghilterra contro i Presbiteriani e i Cattolici, l'ottava guerra civile in Francia,-Il' insurrezione delle Fiandre contro Filippo II, le lotte
religiose in Germania, di sterminio.
n.
per
non
dire
altro,
I Cir. Candè, p. 191, n. I. è Franc. botte, botter: stivali, stivalare.
2. 3 BL: (B.
61-2)
erano
Cfr. De
cause
di stragi
la causa,
p.
241,
sua. (W.
II,
151)
(L.
451)
632
(Gt
II,
66-7)
(G.*
II,
e
71-2).
DIALOGO
PRIMO
riccamente piegato, io comprendevo che non possev’essere altro che quel che dici. È pur gran tempo che non abbiamo avuto nova alcuna di lei. Or che cosa la dimanda ?
che gli manca? che ti propone ? — Non altro, dissi, cccetto ch'io gli sia assistente ad ascoltarla per un'ora. — Sta bene, — disse, e tornò a compire il raggionamento con que’ doi dei; e cossi poi in fretta mi chiamò a sé, dicendo:
— Su,
su, presto, doniamo ordine a nostri affari, prima che tu vadi
a veder che vuole quella meschina, ed io a ritrovar questa mia tanto fastidiosa mogliera, che certo mi pesa più che tutta la carca de l'universo. — Subito volse (perché cossi è novamente decretato nel cielo) che di mia mano registrasse tutto quel che deve essere provisto oggi nel mondo. Sofia. Fatemi, se vi piace, alquanto udire di negocii, poi che m' hai svegliata questa cura nel petto. Mercurio. Ti dirò. Ha ordinato, che oggi a mezzo giorno doi
meloni :, tra
perfettamente
gli altri,
maturi;
nel melonaio
ma
che non
di Franzino
sieno
colti,
sieno
se non
tre
giorni appresso, quando non saran giudicati buoni a mangiare. alle
Vuole radici
ch'al
medesimo
del monte
di
tempo
Cicala,
dalla
in
casa
iviuma, di
che
Gioan
sta
Bruno,
trenta iuiomi? sieno perfetti colti, e diece sette caggiano 1 Melone
de
acqua
(=
cocomero)
pane (= popone): napolitanismo. per la gran copia d’acqua a poca numerosi e ricchi mellonai, zIuiuma
e
iviomi,
di tutto il Napoletano (ora
ioiole,
voci
iuiula,
di un luogo detto (1557)
joiome
DeLLa
(B.
appresso
Porta,
62-3)
(W.
ieile,
de
che l'agro nolano, vantava, e vanta,
del Salernitano
ioive,
(Napoli,
Iojema,
la chiesa
dei
151-2)
451-2)
Tabernaria,
II,
ora
melone
eun giorno
per indicare la pianta e il frutto del giuggiolo
Hist. della città e regno di Napoli di
È notabile profondità,
e
III,
(L.
ecc.).
«per essere stato ivi un arbore
Monaci
da
7: « Vorrisse
633
Il SUMMONTE,
1749, t. v., p. 362) parla
(G.t
II,
Montevergine ».
doie
67)
ioiole
(G2
Il
[alfra ed.:
II,
72-3).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
scalmati ! in terra, quindeci sieno rosi da’ vermi. Che Vasta,
moglie di Albenzio, mentre si vuole increspar gli capelli de le tempie, vegna, per aver troppo scaldato il ferro, a bruggiarne cinquanta sette; ma che non si scotte la testa, e per questa volta non biastemi quando sentirà il puzzo; ma con pazienza la passe. Che dal sterco del suo bove nascano ducento cinquanta doi scarafoni, de quali quattordeci sieno calpesirati * ed uccisi per il piè di Albenzio, vinti sei muoiano di rinversato, venti doi vivano in caverna,
ottanta vadano in peregrinaggio per il cortile, quarantadoi si retireno
sedeci vien
a vivere
vadano
quel
isvoltando
comodo,
quando
sotto
il resto
si pettina,
gli rompano,
ceppo
vicino
le pallotte
corra
caschino
a la diece
per
dove
fortuna. sette
a la porta,
A
li
Laurenza,
capelli,
e di quelli diece rinascano
meglio
tredeci
in spacio
se
di tre
giorni, e gli sette non rivegnano più. La cagna d’Antonio Savolino concepa cinque cagnolini, -de quali tre a suo tempo vivano, simile
e doi sieno a la madre,
gittati
via;
il secondo
e di que’ sia vario,
tre il primo il terzo
sia
sia parte
simile al padre e parte a quello di Polidoro. In quel tempo il cuculo
s'oda
jojome] ». Nel
cantare
Catal.
della
da
la Starza 3, e non
collez.
agr.
del
R.
faccia
udire
delle
Piante
Giard.
(Nap., 1815, s. XIII, p. 75): «Giuggiola, jojeva, jojema, jojoma (Zizyphus vulgaris) » (v. SPaMP., Rass. crit. lett. ît., XIII, 163; Po-
stille, pp. 467-468).
‘iuiuma’
si trova
nel New
aScarmare,
scarmanare;
e dicesi
dei
2 Nelle due edizioni della Cene
(pp. 97 e 102
World
of
Words,
1 Il D'AMBRA:
p.
ticelli che immaturi
Con
273.
l’es. dello Sp.
cascano
dalla pianta ».
frut-
(cîr. p. 135. n. 2,
della presente ediz.) ) ho corretto: ma ora mi accorgo che B. non scrive mai questa parola diversamente, come si vedrà più volte anche nello Spaccio. 3 Sin oggi gli editori moderni hanno stampato ‘stanza’, senza avvertire che da una simile lettura non sarebbe venuto fuori alcun (B.
63-4)
(W.
IT,
152)
(L. 452)
634
(G.t
IT,
67-8)
(G.?
73-4).
DIALOGO
PRIMO
più né meno che dodici cuculate; e poi si parta, e vada a le roine del castello Cicala! per undeci minuti d'ora, e da là se ne vole a Scarvaita 2; e di quello che deve essere appresso, provederemo poi. Che la gonna che mastro Danese taglia su la pianca 3, vegna stroppiata 4. Che da le tavole
del letto
di Costantino
si partano dodeci
cimici,
e
senes vadano al capezzale: sette degli più grandi, quattro de più piccioli, uno de mediocri; e di quello che di essi ha da essere questa sera al lume di candela, provederemo. senso e che sarebbe scomparsa senza motivo una preziosa indicazione locale. B. scrisse invece e stampò ‘starza’, usando una voce che non solo nelle province napolitane, ma anche altrove, come in Puglia, significa ‘ tenuta ', ‘ fattoria ‘ e simili. Ed aggiungo ch'egli indicò un luogo che conserva tuttora il nome con cui fu ricordato da’ documenti del tempo. Nella Sacra Visita del 15512, il 15 maggio, il Vescovo di Nola Scarampo, come risulta da' ff. CLXXI e CLXII del
volume
trascurò
che
conserva
di notare
l'Archivio
il «redditum
diocesano
super
quadam
di
quella
domo
città,
cum
non
cortina
et horto, sita in dicto Casali [di S. Paolo], iuxta cortinam Ecclesiae Sanctae Primae [cîr. Cand.ì, pp. 188 e 189), iuxta bona Iacobi
Francisci
quae
{di
Maccaroni,
fuerunt
Nola],
ditum]
ad
inxta
Pacelli
Macharoni,
praesens
debetur per
bona
Ioannis
Marcum
ecclesiae Sancti Pauli, iuxta bona
iuxta
Startiam
Leonardi
olim Curiae
Maccaroni;
quod
[{red-
Ferrantem de Visciano ». Stendendosi
la Starza tra le pendici del Cicala e l'odierno
cimitero
di S. Paolo,
breve volo giungere in cima alla collina, sulle rovine 1 Castello costruito su uno dei colli che s'elevano
del Castello. tra S. Paolo
il cuculo
dello
Spaccio,
dopo
aver
cantato
in
essa,
poteva
con
un
e Casamarciano, sopra Nola, al principio del sec. XII. Al tempo che lo storico nolano A. Leone
dettò le memorie
1512, non ne restavano che ruderi. V.
della sua patria, cioè nel
SPAMP.,
Bruno
e Nola, p. 29.
2 Nel Cand.?, p. 56: « sta da là del monte de Cicala ». È la « mon-
tagna » che piglia il nome da Scaraviti, Scatvaiti, Scarvaita o Sgravaita, frazione del comune di S. Paolo Belsito (presso Nola).
3 Dal lat. planca, come ‘chianca', cioè il desco su cui il macellaio taglia e vende la carne, cosi viene anche ‘ pianca ’, ‘ panca ',
"banca ”. 4 Napol., sconciare.
‘stroppejare’,
Anche
avanti,
5 (G! = L: se ne)
a p.
‘stroppiato’,
552.
storpiare,
guastare,
(B. 64) (W. II, 152-3) (L. 452) (G.t II, 68) (G2 II 74).
635
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
Che a quindeci minuti de la medesima ora per il moto de la lingua, la quale si varrà la quarta volta rimenando per il palato, a ia vecchia di Fiurulo casche la terza mola
che tiene nella mascella destra di sotto; la qual caduta sia senza sangue e senza dolore; perché la detta mola è gionta al termine della sua trepidazione, che ha perdurato a punto
diece
sette
annue
revoluzioni
lunari.
Che
Am-
bruoggio nella centesimae duodecima spinta abbia spaccio ed ispedito il negocio con la mogliera, e che non la ingra-
vide per questa volta, ma ne l’altra con quel seme in cui si convertisce
quel
porro
cotto,
che mangia
al presente
con
la sapa e pane di miglio !. Al figlio di Martinello comincieno a spuntar i peli de la pubertade nel pettinale 2, ed insieme insieme comincie a gallugarli3 la voce. Che a Paulino, mentre vorrà alzar un'ago rotta4 da terra, per la forza che egli farà, se gli rompa la stringa rossa de le braghe; per
la qual
cosa,
se bestemmiarà,
voglio
che
sia
punito
appresso con questo, che questa sera la sua minestra sia troppo salita e sappia di fumo; caggia e se gli rompa il fiasco
pieno
provederemo
di
vino;
poi.
per
Che
la
qual
causa
di sette talpe,
se
bestimmiarà,
le quali
da quattro
giorni fa son partite dal fondo de la terra, prendendo diversi camini verso l’aria, due vegnano a la superficie de la terra nell'ora medesima, l'una al punto di mezzo giorno, l'altra a quindeci minuti e diece nove secondi appresso, ®! Cfr. De l’ infinito, p. 460. 2 Napol., ‘ pettenale *: pettignone. 3 Dal
basso
lat.
gallulo,
as
(gallulasco,
is=
pubesco).
Dicesi
della voce dei fanciulli che, accostandosi alla pubertà, s’ ingrossa. NonIO, of. c., c. 2, n. 369, arreca l'esempio: « Puer, cuius vox galluTascit ».
4 Nel Napoletano
ago
si usa al femminile.
(B. 64-5) (W. II, 153) (L. 452-3) (G.! II, 68-9)(G2 II, 74-5). 636
DIALOGO
PRIMO
discoste l’una da l’altra tre passi, un piede e mezzo! dito ne l'orto di Anton Faivano. Del tempo e luogo de l'altre si provederà al più tardi ?.
da
1 (Lagarde G2.)
registra
è Il discorso
del
Bruno.
alcuni
di Mercurio
Il quale
ricordi
l'origin.
in questo
del piccolo
#ezo,
ha dato
altrove
molto
luogo
mondo,
che
viene
da fare
si compiacque
in cui
era
vissuto
di
accolto
agli studiosi
raccogliere
fanciullo,
e che
a Londra, dopo tanti anni che ne era lontano, dopo tanti paesi visitati e tanta vita più ampia in cui s'era trovato mescolato, gli tornava naturalmente alla memoria, volendo rappresentare le pic-
cole cure che-Ia Provvidenza divina doveva pur darsi per la piccola vita,
la
anche
meschina
volgare,
d’una
«contrada »,
piccolissima
dove
era
la
parte
del mondo,
modesta
casetta
come
paterna
era
di
lui e quelle poche delle poche persone, da lui conosciute. negli anni
ormai lontani della fanciullezza. F. FiorENTINO nell’Archivio di Stato di Napoli si abbatté nei censimenti fatti nel sec. XVI della popolazione di Nola e casali circostanti; e in essi poté identificare
parecchie delle persone ricordate qui dal Bruno; ma incorse in alcuni errori gravi per ciò che disse della famiglia del filosofo. Vedi il suo articolo La 20 gennaio
fanciullezza di G. 1882; e Dialoghi
Pp. 351-6; e cfr. la 372. Egli, infatti, appartiene al 1563, che non poté certo
B., nel Giorn. napol. della morali di G. B., in Studi
domenica, e ritratti,
Nota illustrativa IX del BERTI, Vita?, pp. 366attribul al 1545 un censimento, che realmente dove s' incontra un Giovanni Bruno di 20 anni, essere il padre di Giordano (n. nel 1548). Nuova
luce più tardi recò sugli accenni storici di questa pagina dello Spaccio e sui genitori
lari, Patitucci,
del filosofo lo SPAMPANATO
1899), che tornò a studiare
napoletano con maggior e ne riprese da capo lo questa volta giovandosi Dalle indagini dell'uno e Quel Franzino
tedesco
Franzinus
FioRENTINO,
foc.
1164
quella
del
ma,
1545
terriccinola,
(Bruno
e Nola,
i censimenti
Castrovil-
dell'Archivio
diligenza c maggior frutto del Fiorentino; studio con ogni cura nella Vita, cap. II, largamente de’ libri nolani di Sacra Visita. dell'altro si raccolgono molte curiose notizie. del mellonaio dovette essere non l’oriundo
Allamanna
secondo
e il foc. vicino
da
lo
1710
di
Casamarciano,
SprampPaNaTO,
del
casa
1563,
dei
un
che
come può
nativo
Savolino,
D.
suppose
addurre
e abitante Francinus
il
il
di
di
Potenza e di Andrea Vecchione, che contando nel 1563 trentatré anni ed essendo prete poteva più di ogni altro possedere un orto (Vita, pp. 53 € 54), — Gioan Bruno è certo il padre del filo-
sofo,
Vita,
che
ne
fece
il
nome,
(B.
65)
(W.
II,
153)
p. 696;
cir. Eroici
Gioanni,
furori, (L.
nel
p. 975);
453)
637
(Gi
processo
come
II,
69)
veneto
(SPAMP.,
fece
anche
(G:
II,
75).
allora
SPACCIO
Sofia.
Hai
DE
molto
LA
da
BESTIA
fare,
TRIONFANTE'
o Mercurio,
se mi
contare tutti questi atti della provisione, Giove; per
e nel
volermi
tutti
far
ascoltare,
mi
uno
quello
della
madre:
questi pari
Fyaulissa
rac-
particolari
uno
che fa il padre
decreti
che
vuoi
sei simil
Savolino.
ll
a colui,
FIORENTINO,
che
Giorn.
napol., luglio 1879, p. 450, non credette potesse leggersi nel ms. del processo Fraulissa, ma Francisca. Nel 1882 confermò il sospetto
della falsa lettura, non trovando nessuna Fraulissa nei Fuochi di Nola; ma non trovò né anche una Francisca Savolino, bensi solo una Silvia, che per l'età avrebbe potuto essere madre del B. Lo
Spampanato invece, più fortunato, trovò una Flaulisa nata nel 1522 (e però di 26 anni circa nell'anno della nascita di Giordano): figlia
di
Iannello
e sorella
di
Scipione
Savolino.
Il padre
aveva
circa
31 anno quando nacque il Filosofo, e si chiamava Giovanni. Cfr. l’App. dello SpamP., Vita, pp. 807 sgg. — Un Savolino, zio di Giordano,
era
56 anni.
l'’Albenzio,
La
moglie
marito
è pure
di
indicata
Vasta,
col nome
sette figliuoli, alcuni già accasati; ed avevano
e aveva
di Basta.
nel
1563,
E avevano
beni anche « proprie
ubi dicitur alle tiglie» sempre «in dicto casali». — Laurenza, vedova di Marcantonio Solombria, nel 1545 aveva 32 anni: ed era una povera fantesca: sine filiîs et pauperrima, manet ad aliena servitia. — L’ Antonio Savolino della cagna aveva 51 anno nel '63; ammogliato con certa Margherita, aveva cinque figli; ed era proprietario d'un oliveto nelle « pertinenzie dove
se dice
allo
fornillo
nato il 1540 da Giacomo fu
numerato
dovrà è un
ne'
e Medea
Fuochi
di
de
Cicala.
Cicala»n
Santorello, —
—
Polidoro,
il 21 maggio
Mastro
del 1545
Danese,
che
stroppiare la gonna chesta tagliando su d'una panca, «magister Confraternitatis et Cappellae S.ti Sebastiani »,
Adanesio
Biancolella
di 25 anni
nel
1545:
marito
— Il patrono « Cappellae S.tae Mariae della Stella»
di una
Polissena.
Costantino
Buonaiuto (de dono aiuto) era allora di 46 anni, e aveva per moglie una Imperia, con cinque figliuoli. — Della vecchia di Fiurulo e di Ambruoggio nessuna traccia. — Il figlio di Martinello potrebbe essere un Paolino datoci nei fuochi
di Casamarciano
—
Il
nel
Paolino,
1563
come
acuisi
punito, se bestemmierà,
figliuolo d'un
Martinello
Alemanno.
dovrà rompere la stringa, salvo a esser
« con questo che questa sera la sua minestra
sia troppo salita, c sappia di fumo, caggia e se gli rompa il fiasco pieno di vino», par probabile debba identificarsi, col Fiorentino,
con un Paolino da Casoria, notato nei fuochi, come padrone della taverna lorda. — Infine, anche l’Antonio Faivano dell'orto,
(B. 65-6) (W. II, 153) (L. 453) (G.! IT, 70) (G= II, 76). 638
DIALOGO
PRIMO
volesse prendere il conto de granegli de la terra. Tu sei stato tanto a apportare quattro minuzzarie de infinite altre che nel medesimo tempo sono accadute in una picciola contrada, dove son quattro o cinque stanze non troppo magnifiche;
or che sarrebe, se dovessi
donar
conto
a pieno
de
cose ordinate in quella ora per questa villa 1, che sta alle radici
del
monte
Cicada ? 2. Certo,
non
ti bastarebbe
un
anno da esplicarle una per una, come hai cominciato a fare. Che credi, se oltre volessi apportar tutte le cose accadute circa la città di Nola, circa il regno di Napoli, circa l' Italia,
circa l’ Europa, circa tutto il globo terrestre, circa ogni altro globo in infinito, come infiniti son gli mondi sottoposti alla providenza di Giove? In vero, per apportar solo
vien fuori nei fuochi come figlio di Domenico,
marito di una Soprana,
da cui nel 1563 avrebbe già avuto cinque figliuoli; e da' libri di Sacra Visita del 1551*% «comparuit unus ex magistris Cappellae seu
Heremitorii suo vocabulo S.tae Mariae dello porto, sitae ubi dicitur
allo porto», cioé di que' dintorni posito di spiriti, nel De magia. V. anche Si
noti,
anni.
da
Perché
ultimo,
che
il Bruno
i documenti
di
S.
che l'A. ricordò, in prola Cena, p. 159, n. I. —
dovette
lasciare
Domenico
Nola,
Maggiore
di
13
o
14
correggono
quelli veneti, e c' informano che B. entrò in convento a diciassette anni e mezzo (SramP., Vite, pp. 80, 81, 121 e 122), dopo aver studiato a Napoli umanità, logica e dialettica, Sicché tutti i ricordi
nolani
(e quindi il momento
lirebbero 1 La
del dialogo tra Mercurio e Sofia) risa-
agli anni che precedono villa (nel Cand:, p.
il 1563. 188: villaggio),
posta
alle
radici della collina meridionale del Cicala, era il casale di S. Paolo, che nel 1526 contava appena
del B. E, come
contrada,
lui dice,
dove
era
132 focolari, tra cui la famiglia materna
era molto
la sua
neva a S. Giovanni del Cesco, costruzione del convento de’ ad
esso.
% L:
V.
SpamP.
Bruno
casa,
più
grande
picciola
che
indubbiamente
16;
e
apparte-
che intorno al 1570 scomparve Cappuccini e nelle donazioni
e Nola,
p.
Cicala. Nello Spaccio (cfr. SPAMP.,
all'italiana
della
la f. latina cicada.
Vita,
pp.
50-6.
nella fatte
Vita, p. 65, n. 2) accanto
(B. 66) (W. IT, 153) (L. 453) (G.1 IT, 70-1) (G? II, 76-38).
639
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
quello che è accaduto ed ordinato d’esser in uno instante nell'ambito d’un solo di questi orbi o mondi, non ti fia mestiero
dimandar
cento
lingue
e cento
bocche
di
ferro,
come fanno gli poeti !, ma mille millia migliaia de millioni in termine
d'un
anno,
ad
non
averne
executata
la mille-
sima parte, E per dirla, o Mercurio, non so che voglia dir questo tuo riporto, per cui alcuni de’ miei coltori, chiamati filosofi, stimano che questo povero gran padre Giove sia molto sollecito, occupato ed impacciato; e credeno che lui sia
di tal
fortuna,
che
non
è minimo
mortale
che
debba
aver invidia al stato suo. Lasciò che in quel tempo che spendeva a proponere e destinar questi effetti, necessariamente dere
scorsero ed
aver
raccontare,
e farne
infinite
volte
infinite
provisto
ad
altri;
se: volesse
far
l’officio
infinite volte
Mercurio.
Sai,
occasioni
e tu,
mentre
tuo,
devi
di me
provele vuoi
averne
fatti
altri infiniti.
Sofia,
se
sei
Sofia,
che
Giove
fa
tutto
senza occupazione, sollecitudine ed impacciamento, perché a specie innumerabili ed infiniti individui provede donando ordine,
ed
avendo
successivo,
ma
le cose a modo
donato
subito
ordine,
subito
non
ed insieme
con
certo
insieme;
ordine
e non
fa
de gli particolari efficienti, ad una ad una,
con molte azioni, e con quelle infinite viene ad atti infiniti;
ma
tutto il passato, presente e futuro fa con un atto sem-
plice e singulare. Sofia.
To
posso
saper
questo,
o Mercurio,
che
non
in-
sieme insieme raccontate e mettete in execuzione queste cose, ed esse non sono in un suggetto semplice e singolare: I Vira., Aen., VI, 625-6: centum, l'errca vox.... ».
(B.
66-7)
(W.
II,
153-4)
(L.
« ....Mihi si linguae centum
453-4)
640
(G.I
II,
71-2)
(G
sint oraque
II,
78).
DIALOGO
PRIMO
e però l'efficiente. deve essere proporzionato, o almeno con l'operazione proporzionarsi a ‘quelle. Mercurio.
È
vero
quel
che
dici,
e deve
essere
cossî,
non può essere altrimente nello efficiente particolare, simo
e naturale;
perché
ivi, secondo
la raggione
e
pros-
e misura
dell'effettiva virtude particulare, séguita la misura e raggione de l’atto particolare circa il particular suggetto; ma nell’efficiente universale non è cossi, perché lui è proporzionato,
lui
se si può dir cossi, a tutto l’effetto infinito che da
depende,
secondo
la raggione
de
tutti
luoghi,
tempi,
modi e suggetti, e non definitamente ad certi luoghi, suggetti, tempi Sofia. distinta
So, dalla
Mercurio.
e modi. o
Mercurio,
particolare,
che
la
come
cognizione il finito
universale
da
è
l’ infinito.
Di' meglio: come l’unitade da l'infinito nu-
mero.
E devi saper
mero
infinito,
o Sofia, che la unità è nel nuoltre
che
è la unità
ex-
plicita: appresso che dove non è unità, non è numero,
né
l'unità
è uno
ed
ancora, il numero
infinito
infinito
implicito,
finito, né infinito; e dovunque
nell'unità;
e l'infinito
è numero
o finito o infinito,
ivi necessariamente è l’unità. Questa dunque è la sustanza di quello; dunque, chi non accidentalmente, come alcuni intelletti genza
particolari,
universale,
ma
conosce
essenzialmente,
come
l'unità,
l’uno
conosce
l' intellied
il nu-
mero, conosce il finito ed infinito, il fine e termine da com-
preensione ed eccesso di tutto; e questo può far tutto non solo in universale, è particolare
che
ma non
oltre in particolare; sia compreso
cossîf come -non
nell’universale,
non
è
numero, in cui più veramente non sia l’unità, che il numero istesso.
Cossi,
dunque,
senza
difficoltà
alcuna
e senza
im-
paccio Giove provede a tutte cose in tutti luoghi e tempi,
(B. 67-8) (W. IL, 154-5) (L. 454-5) (G.! II, 72) (G2 II, 78-9). 64I
SPACCIO
come
DE
LA
necessariamente
DESTIA
lo essere
TRIONFANTE
ed unità si trova in tutti
numeri, in tutti luoghi, in tutti tempi ed atomi di tempi, luoghi e numeri; e l’unico principio de l’essere è in infiniti individui,
che
furono,
sono
e saranno.
Ma
non
è questa
disputazione il fine per cui sono venuto, e per cui credo d'esser stato chiamato da te. Sofia. È vero che so bene che queste son cose degne d'esser decise da miei filosofi, e pienamente intese non da me,
che
non
le posso
comparazioni
capire,
eccetto
e similitudini, ma
che
difficilmente
in
dalla Sofia celeste e da te;
ma da quel tuo raccontare son stata commossa a cotal questione, prima che venire a discorrere circa gli mei particolari interessi e dissegni. E certo mi parevi che senza ogni
proposito
quello
tu,
discorrer
Mercurio. providenza,
giudiciosissimo
nume,
di cose cossi minime
Non
l’ ho
Sofia;
fatto
perché
con
ho
fussi
entrato
in
e basse.
vanità,
giudicata
ma
con
grande
necessaria
questa
animadversione a te, per quel che conosco, che per le molte affliczioni sei di tal maniera turbata, che facilmente l’affetto
ti vegna trasportato a voler non troppo piamente opinare circa il governo de gli dei; il quale è giusto e sacrosanto al fin finale,
che
benché
le cose
tu vedi, confusissime.
trattasse
altro,
renderti volte
non
Ho
provocarti
sicura dal dubio
dimostri;
puoi
perché,
apertamente
appaiono,
voluto
a
cotal
in quella
dunque,
maniera
prima
che
contemplazione,
per
che potessi aver, e forse molte
essendo
intendere
tu
terrena
l’ importanza
e
discorsiva,
de la pro-
videnza di Giove, e del studio di noi altri suoi collaterali 1.
! Queste parole di Mercurio
tamente (B.
che
68-09)
il B.
(W.
II,
nelle
155)
con quel che segue mostrano
minuzzarie
(L.
455)
(Gt
642
II,
di pp. 633-7
72-3)
(G:
II,
non
aper-
mira
79-80).
DIALOGO
Sofia. Ma pure, o Mercurio,
PRIMO
che vuol dire, che più tosto
al presente, che altre volte, ti ha commosso questo zelo ? - Mercurio. Ti dirò (quello ch'ho differito di dirti sin al presente);
perché
il tuo
voto,
la
tua
orazione,
la tua
ambasciaria, benché sia gionta in cielo e pervenuta a noi veloce e presta, era però a mezza-estade agghiacciata, era irresoluta, era tremante, quasi più gittata come alla fortuna che inviata e commessa come a la providenza: quasi che era dubia, se la possea aver effetto di toccarne l’orecchie 1, come di quelli che sono attenti a cose che son stimate più principali. Ma te inganni, Sofia, se pensi, che non ne sieno a cura cossi le cose minime, come le principali, talmente sicome le cose grandissime e principalissime non costano senza le minime ed abiettissime. Tutto dunque, quantunque minimo, è sotto infinitamente grande providenza *; ogni quantosivoglia vilissima minuzzaria in ordine del tutto ed universo è importantissima; perché le cose grandi son composte de le picciole, e le picciole de le picciolissime, e queste de gl'individui e minimi. Cossi intendo de le grande sustanze, come de le grande3 efficacie e grandi effetti. Sofia. È vero, perché non è si grande, sf magnifico e sf bello
architetto4 che
sime
ed informi
appaiono
a schernire
il concetto
affatto
non
coste
di cose
che picciole,
vilis-
e son giudicate. della
Provvidenza,
come
tante
volte
e tanti han ripetuto; ma solo a rappresentare in una forma bizzarra e paradossale, com'era dell'indole del suo ingegno, un concetto, che per lui aveva un valore altamente speculativo. 1 B: orechie.
3 W:
infinita providenza.
1 Cfr. Cand3, p. 27, n. 8. 4 Non l'artefice, ma l'opera.
(B.
69-70)
(W.
II,
155-6)
(L. 455-6)
643 45
—
G. Bruno,
Diuloyhi italiani
(G.
II,
73-4)
(G
II,
80-1).
SPACCIO
Mercurio. de l'essere
DE
L'atto
di tutte
o infinito hanno
LA
BESTIA
della cose;
TRIONFANTE
cognizion e però,
divina
come
è la sustanza
tutte
l'essere, tutte ancora
sono
cose
o finito
conosciute
ed
ordinate e proviste. La cognizion divina non è come la nostra, la quale séguite dopo le cose; ma è avanti le cose e si trova! in tutte le cose, di maniera che, se non la vi si trovasse, non sarrebono Sofia.
E
per
questo
cause prossime e secondarie. vuoi,
o Mercurio,
che
io non
mi
sgomente per cosa minima o grande che mi accade, non solo come principale e diretta, ma ancora come indiretta ed accessoria;
e che Giove
è in tutto,
e colma
il tutto,
ed
ascolta tutto. Mercurio. Cossi è; però per l’avenire sovengati di scaldar più la tua ambasciaria,
e non mandarla
cossi negletta, mal
vestita e fredda in presenza di Giove; e lui e la tua Pallade m' hanno
imposto,
con qualche
che
prima
ch'io
ti
parlasse
desterità ti facesse accorta di questo.
d'altro,
Sofia. Io vi ringrazio tutti. Mercurio. Or esplica la causa per la quale m' hai fatto venire a te. Sofia.
Per
la
mutazione
e
cangiamento
di
costumi,
ch’ io comprendo in Giove, per quello che per altri raggionamenti ho appreso da te; io sono entrata in sicurtà di dimandargli e fargli instanza di ciò che altre volte non ho avuto ardire, quando temeva che qualche Venere o Cupido o Ganimede rigettasse e risospingesse la mia ambasciaria- quando si presentava a la porta de la camera di Giove.
Adesso
altri portinaii, I L:
(B.
ch'è
riformato
condottieri
il tutto,
e che sono
ed assistenti,
c che
ordinati
lui è ben
Irove.
70-1)
(W.
II,
156)
(L. 456) (G.! II, 74-5)
644
(G-2 II, 81-2).
DIALOGO
disposto vegna
verso
la giustizia,
presentata
PRIMO
voglio
che
la mia richiesta,
per
la qual
tuo versa
mezzo
li
circa, gli
gran torti che mi vegnono fatti da diverse sorte di uomini in terra, e pregarlo che mi sia favorevole e propicio, secondo che Ia sua conscienza li dettarà. Mercurio.
Questa
tua
richiesta,
per
esser
lunga
e di
non poca importanza, ed anco per esser novamente decretato nel cielo, che tutte le espedizioni; tanto civili quanto criminali, vegnano registrate nella camera, non senza tutte le
occasioni,
mezzi
e circonstanze
loro,
però
è necessario,
che tu me la porghi in scritto, e cossi la presenti a Giove ed al Senato celeste. Sofia. Onde questo nuovo ordine? Mercurio. Acciò che ognuno di gli dei in questo modo vegna costretto a far la giustizia; perché per la registrazione che eterniza la memoria de gli atti, vengano a temer
l'eterna infamia, e d’incorrere biasimo perpetuo con la condannazione che si deve aspettar dall’absoluta giustizia che regna sopra li governatori, ed è presidente sopra tutti dei. Sofia. Cossi, dunque, farò. Ma vi bisogna del tempo a pensare e scrivere; però ti priego che rivegni domani a me, o vero il prossimo seguente giorno. Mercurio. Non mancarò. Tu pensa a quel che fai. Fine (B. 71-2)
(W.
II,
del
primo
dialogo.
156-7)
(L. 456-7)
(G.!
045
II, 75)
(G2
II, 82).
DIALOGO
SECONDO
Saulino. Di grazia, Sofia, prima che procediamo in altro, donatemi raggione di questo ordine e disposizione di numi, la quale ha formata Giove ne gli astri. E prima fatemi udire, perché nell’eminentissima (perché cossi è stimata volgarmente) Veritade ? Sofia.
Facilmente.
sedia
abbia
Sopra
tutte
voluto le
che
cose,
sia
o
la dea
Saulino,
è
situata la verità; perché questa è la unità che soprasiede al tutto, è la bontà che è preeminente ad ogni cosa; perché uno è lo ente, buono e vero; medesimo è vero, ente e buono. La verità è quella entità che non è inferiore a cosa alcuna;
perché, se vuoi fengere qualche cosa avanti la verità, bisogna che stimi quella essere altro che verità; e se la fingi altro
che
verità,
necessariamente
la intenderai
non
aver
verità in sé ed essere senza verità, non essere vera; onde conseguentemente è falsa, ‘è cosa de niente, è nulla, è non
ente. «non vero può simo
Lascio che è vero che essere non essere altro
niente può essere prima quello sia primo e sopra può essere se non per la insieme con la verità, ed
senza verità;
percioché,
se per la verità non
non è ente, è falso, è nulla, Parimente appresso la
veritade;
perché,
che Ila verità, se la verità; e cotal verità. Coss! non essere quel mede-
se
è vero,
non può essere cosa
è dopo
lei,
è senza
(B. 73-4) (W. IL; 157) (L. 457) (G3 II, [76)) (C2 II, [83)). 646
lei;
DIALOGO
se è senza lei, non
sarà
dunque
è vero;
SECONDO
perché
falso, sarà dunque
non
ha la verità in sé;
niente.
Dunque
la werità
è avanti tutte le cose, è con tutte le cose, è dopo tutte le cose, è sopra
tutto,
principio, mezzo
con
dopo
tutto;
e fine. Essa è avanti
causa e principio, denza;
tutto,
mentre
ha raggione
di
le cose, per modo
di
per essa le cose hanno
è nelle cose ed è sustanza
depen-
di quelle istessa, mentre
per essa hanno la sussistenza; è dopò tutte le cose, mentre per lei senza falsità si comprendeno. È ideale, naturale e .nozionale; dunque,
è metafisica,
quello
verità.
Sopra tutte le cose,
è la verità; e ciò che è sopra tutte le cose, benché
sia conceputo
nato,
fisica e logica.
secondo
pure
Per questa
altra raggione,
in sustanza causa,
ed altrimente
bisogna
dunque,
che
nomi-
sia l'’ istessa
raggionevolmente
Giove
ha voluto che nella più eminente parte del cielo sia vista la veritade. Ma certo questa che sensibilmente vedi e che puoi con l'altezza del tuo intelletto capire, non è la somma
e prima, ma certa figura, certa imagine e certo splendor di quella, la quale è superiore a questo Giove di cui parliamo sovente
e che è soggetto delle nostre metafore.
Saulino.
Degnamente,
o
Sofia;
perché
la
verità
è la
cosa più sincera, più divina di tutte; anzi la divinità e la sincerità,
bontà
e bellezza
de le cose
è la verità;
la quale
né per violenza sì toglie, né per antiquità si corrompe, né per occultazione si sminuisce, né per communicazione si disperde: perché senso non la confonde, tempo non l’arruga, luogo
non
l’asconde,
notte
non
l’ interrompe,
tenebra
non
l’avela; anzi, con essere più e più impugnata, più e più risuscita e cresce. Senza difensore e protettore si defende; e però ama la compagnia di pochi e sapienti, odia la moltitudine,
non
si dimostra
a quelli
che
per
se stessa
non
la
(B. 74-5) (W. II, 157-8) (L. 457-8) (G.1 IT, [76)-7) (G. IT, [83]-4).
647
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
cercano, e non vuol essere dechiarata a color che umilmente non se gli esponeno, né a tutti quei che con frode la inquireno; e però dimora altissima, dove tutti remirano e pochi veggono. Ma perché, o Sofia, la prudenza gli succede ? forse, perché coloro che vogliono contemplar la verità e che la vogliono predicare, si deveno con prudenza governare ? Sofia. Non è questa la causa. Quella dea che è gionta e prossima
alla verità,
prudenza.
ha
doi
nomi:
providenza
e
Esi chiama providenza, in quanto influisce
e si trova nelli principii superiori; e si chiama prudenza, in quanto mato
è effettuata in noi:
e quello
che scalda
come
e diffonde
sole suole il lume,
essere
no-
ed oltre quel
lume e splendor diffuso che si trova nel specchio ed oltre in altri suggetti. La providenza, dunque, se dice nelle cose superiori, ed è compagna della verità, e non è senza quella, ed è la medesima niera
che
la unità,
libertà e la medesima
la verità,
la providenza,
la verità,
la essenzia,
necessità;
la libertà
la entità,
di ma-
e necessità,
tutte
sono uno
absolutissimo, come altre volte ti farò meglio intendere. Ma, per comodità della presente contemplazione, sappi che questa influisce in noi la prudenza, la qual è posta e consistente in certo discorso temporale; ed è una razione principale che versa circa l’universale e particolare; ha per damigella la dialettica, e per guida la sapienza acquisita, nomata volgarmente metafisica, la quale considera gli universali de tutte le cose che cascano in cognizione umana: e, queste due, tutte le sue considerazioni referiscono all’uso
di
quella;
dalla
ha
destra
due
insidiatrici
si trova
nemiche
la callidità,
che
versuzia
sono
viziose:
e malizia;
dalla
sinistra, la stupidità, inerzia ed imprudenzia. E versa circa (B.
75-60)
(W.
II,
158-9)
(L. 458-0)
648
(G.!
II,
77-8)
(G.3
II,
84-5).
DIALOGO
la virti
consultativa,
l’ iracundia,
Ia
SECONDO
come
la fortezza
temperanza
circa
il
circa
l' impeto
consentimento
de
della
concupiscibile, la giustizia circa tutte le operazioni, tanto esterne, quanto interiori. Saulino. Dalla providenza, dunque, vuoi che influisca in noi la prudenza, e che nel mondo archetipo quella risponda a questa che è nel mondo fisico: questa che porge a gli mortali il scudo, per cui contra le cose adverse con la raggione si fortificano *, per cui siamo insegnati di prendere più pronta e perfetta cautela dove maggiori dispendii si minacciano e temeno; per cui gli agenti inferiori s’accomodano alle cose, ai tempi ed all'occasioni; e non si mutano,
ma s'adattano gli animi e Ie voluntadi. Per cui a gli bene affetti niente accade come dubitano, tutto
si
ma
tutto
subitanio
aspettano;
guardano;
ed improviso,
di nulla
ricordandosi
il
di nulla
suspicano,
passato,
ma
ordinando
presente e prevedendo il futuro. Or dimmi, perché succede ed è prossima a la prudenza e veritade?
da il
Sofia
Sofia. La Sofia, come la verità e la providenza, è di due
specie =. L'una è quella superiore, sopraceleste ed oltremondana, se cossi dir si puote; e questa è l’ istessa provi«denza,
medesima
è luce ed occhio:
occhio 3, che
è la luce
istessa; luce, che è l'occhio istesso. L'altra è la consecutiva, mondana e partecipe
ed inferiore;
e non
della verità; non
è verità istessa, ma è il sole, ma
ed astro, che per altro luce. Cossi non
1 BL: fortifica. ? Cfr. De la causa,
pp. 226-9,
è verace
la luna, la terra
è Sofia per essenza,
309-10, 332-3;
Cabala,
pp.
872-3;
Er. Fur., pp. 1121 sgg., 1161-4; e l' Orazio valed., in Opera, I, 1, 13-15. 3 B: ochio. Appresso,
n. 2.
(B.
76-7)
(W.
II,
159)
pit volte con la doppia. (L.
459)
649
(G.!
II,
78-9)
Cir. Cera, p. 123, (G
II,
85-6).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
ma per participazione '; ed è un occhio che riceve la luce e viene illuminato da lume esterno e peregrino; e non è occhio
da sé, ma
da altro; e non ha essere per sé, ma
per
altro. Perché non è l'uno, non è l’ente, il vero; ma de l’uno, de l'ente, del vero; a l'uno, a l'ente, al vero; per l'uno, per l’ente, per il vero; nell’uno, nell’ente, nel vero; da l’uno,
da l’ente, dal vero. La prima è invisibile ed infigurabile ed incomprensibile sopra tutto, in tutto ed infra tutto; la seconda è figurata in cielo, illustrata nell’ ingegni, communicata per le paroli, digerita per l’arti, repolita per le discussioni,
delineata per le scritture; .per la quale chi dice
sapere quel che non sa, è temerario sofista; chi nega sapere quel che sa, è ingrato a l'intelletto agente ed ingiurioso a la verità, ed oltraggioso a me. E di simil sorte vegnono ad
essere
tutti
quelli
che
non
mi
cercano
per
me
stessa,
o per la suprema virtude ed amor della ‘divinitade, ch’ è sopra ogni Giove ed ogni cielo, ma o per vendermi per denari o per onori, o per altre specie di guadagno; o non tanto per sapere, quanto per essere saputi, o per detraere e posser impugnare, e farsi contra la felicità d’alcuni mo-
lesti censori e rigidi osservatori;
e di questi li primi son
miseri, li secondi son vani, li terzi son malignie di vil animo.
Ma color che mi cercano per edificar se stessi, sono prudenti; gli altri
che
m'osservano
per
edificar
altrui,
sono
umani;
quei che mi cercano absolutamente, sono curiosi; gli altri che m° inquireno per amor della suprema e prima verità, sono sapienti, e per conseguenza felici. Saulino. Onde
aviene, o Sofia, che non tutti, che mede-
simamente ti possedeno, non vegnono tutti medesimamente 1 La ué@etig (B.
77-9)
(W.
II,
platonica. 159-60)
(L. 459-60)
650
(G.!
II, 79-80)
(G.3 II, 86).
DIALOGO
affetti;
anzi
talor, chi meglio
edificato ? Sofia. Onde tutti
SECONDO
quelli
accade,
alli quali
o Saulino, luce,
a’ quali maggiormente Saulino.
Io
ti possede,
men
bene
che il sole non
e tal volta
meno
vien scalda
riscalda
tali
risplende?
t’ intendo,
Sofia;
e comprendo
che
tu
sei
quella che in varii modi contempli, comprendi ed esplichi questa veritade, e gli effetti di quella superna influenza de l'esser tuo, alla quale per varii gradi e scale diverse tutti aspirano,
tentano,
studiano
e si forzano
salendo
pervenire,
e si obietta e presenta medesimo fine e scopo a’ diversi studii, e viene ad attuare diversi suggetti de virtudi intellettuali, secondo
diverse misure, mentre
a quell’una e sem-
alcunamente
possa!
non
plicissima veritade la
l’addrizza;
la quale
toccare,
cossi
come
non
si
trova
basso chi la possa perfettamente comprendere: è compresa,
o veramente
non
viene
è chi qua
perché non
appareggiata
se non
da quello in cui è per essenza; e questo non è altro che lei
medesima.
E perciò da fuori non si vede se non in ombra,
similitudine,
specchio
alla
quale
atto
di providenza
Sofia,
non
mentre
admirando,
è in vi
ed in superficie e maniera di faccia,
questo
mondo
ed effetto conduci
chi
di prudenza,
sette
altre parabolando,
diverse,
magia,
per
di ‘negazione,
modo
altre per via di composizione, 1 B
2 B:
(L):
alcunamente
via divisione.
non
eccetto
de
le
per
per
che tu,
quali
altre
altre opi-
altre per sufficienza
altre per superstiziosa altre
s’avicine
altre inquirendo,
nando, altre iudicando e determinando; di natural
più
modo
divinazione, di
altre
affirmazione,
altre per via di divisione ?,
possa...
(B. 79-80) (W. II, 160) (L. 460-1) (G.! II, So) (G2 II, 86-7). 65I
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
altre per via de definizione, altre per via di demostrazione;
altre per principii acquisiti, altre per principii divini aspirano: mentre quella gli crida, in nullo luogo presente, da nullo
luogo
sentimento
absente, per
proponendogli
scrittura
tutte
avanti
le cose
ed
gli
occhi
effetti
del
naturali,
e gl' intona nell'orecchio de l’ interna mente per le concepute specie di cose visibili ed invisibili. Sofia *. Alla Sofia succede la legge, sua figlia; e per essa quella vuole oprare, e per questa lei vuole essere adoperata; per questa gli prencipi regnano, e li regni e repuLliche si mantegnono. Questa, adattandosi alla complessione
e costumi
timore,
e fa che
di popoli la bontade
e genti,
reprime
sia sicura
l’audacia
col
tra gli scelerati;
ed
è caggione, che ne gli rei sempre sia il rimorso della conscienza, con il timore della giustizia ed aspettazione di quel supplicio l'umile
che
discaccia
consentimento
taglione,
carcere,
l’orgoglioso con
percosse,
vertade e morte. Giove I’ questa condizione, che preeminenza e forza non a maggior providenza e
ardire,
gli suoi otto esilio,
ed
introduce
ministri,
ignominia,
che
serviti,
sono po-
ha riposta in cielo ed essaltata con faccia che gli potenti per la lor sieno sicuri; ma referendo il tutto legge superiore (per cui, come di-
vina e naturale, si regole la civile), faccia intendere, che per coloro
ch'esceno
dalle
tele d’aragne,
sono
ordinate
le reti,
gli lacci, le catene ed i ceppi, atteso che per ordine della legge eterna è sancito, che gli più potenti sieno più potentemente compresi e vinti, se non sotto un manto e dentro una ! BLW
continuano
attribuendo
a Saulino
il discorso
seguente,
che evidentemente è di Sofia. E però I fonde in uno questo discorso con quello qui appresso di Saulino, che comincia
capoverso.
in B al successivo
(B. 80-1) (W. II, 160-1) (L. 461) (G.1 II, 80-1) (G.? II, 87-8). 652
DIALOGO
SECONDO
stanza, sotto altro manto ed altra stanza, che sarà peggiore. Appresso gli ha ordinato ed imposto, che massimamente verse e vegna rigorosa circa le cose alle quali da principio e prima e principal causa è stata ordinata: cioè circa quel tanto ch’appartiene alla communione de gli uomini, alla civile conversazione; a fine che gli potenti sieno
sustenuti
sieno
promossi,
da gl' impotenti,
gli deboli
non
sieno
op-
pressi da gli più forti, sieno deposti gli tiranni, ordinati e confirmati gli giusti governatori e regi, sieno faurite le republiche, la violenza non inculche la raggione, l’ ignoranza non dispreggie la dottrina, li poveri sieno agiutati! da’ ricchi, le virtudi e studii utili e necessarii al commune avanzati
e
mantenuti;
sieno
esaltati
e
remunerati coloro che profittaranno in quelli; e gli desidiosi, avari e proprietarii sieno spreggiati e tenuti a vile. Si mantegna il timore e culto verso le potestadi invisibili; onore, riverenza e timore verso gli prossimi viventi governatori; nessuno sia preposto in potestà, che medesimo non sia superiore de meriti, per virtude ed ingegno
in cui
prevaglia, o per sé solo, il che è raro e quasi impossibile, o con debito,
comunicazione ordinario
e conseglio
e necessario.
d'altri
ancora,
Gli ha donata
il che
Giove
è
la po-
tenza di legare, la quale massime consista in questo, che lei non si faccia tale che incorra dispreggio e indignità; a cui si potrà incontrare, menando gli passi per doi camini, de quali l’uno è della iniquità, comandando * e proponendo cose ingiuste, l’altro è della difficultà, proponendo e coman-
1 L: aggiustati (ma aggiutati). *® BL: comendando. IV: commendando. Il quale non avverte la necessaria correzione, anzi corregge, nella riga appresso, la f. buona.
(B. 81-2) (\V. II, 160-1) (L. 461-2) (G.! II, 81-2) (G2 II, 88-90).
653
SPACCIO
dando
DELA
BESTIA
TRIONFANTE
cose impossibili, le quali pure sono ingiuste:
perciò
che due sono le mani per le quali è potente a legare ogni legge, l’una è della giustizia, l’altra è della possibilità; e di queste l'una è moderata da l’altra, atteso che, quantunque molte cose sono possibili che non son giuste, niente però è giusto che non sia possibile. Saulino.! Bene dici, o Sofia, che nessuna legge che non è ordinata alla prattica del convitto umano, deve essere accettata.
Ben
ha
disposto
ed
ordinatogli
Giove;
perché,
o che vegna dal cielo, o che esca da la terra, non deve esser approvata, né accettata quella instituzione o legge che non apporta
fine:
la utilità e commodità,
del quale
maggiore
non
che
ne
amena
possiamo
ad
ottimo
comprendere
che
quello, che talmente indirizza gli animi e riforma gl'ingegni, che da quelli si producano frutti utili e necessari alla conversazione
umana;
ché
certo
bisogna
che
sia cosa
divina, arte de le arti e disciplina de le discipline quella per cui hanno da esser retti e reprimuti gli uomini, che tra tutti gli animali son di complessioni più distinti, di costumi più
più varii, d' inclinazioni più divisi, e di voluntadi
diversi,
di appulsi
più inconstanti.
Ma,
oimè,
o Sofia,
che siamo dovenuti a tale ? (chi mai avri’ possuto credere,
che questo fusse possibile ?), che quella deve essere stimata massime religione la quale per minimo e vile, e per errore abbia l’azione ed atto di buone operazioni 3; dicendo alcuni,
1 IV
attribuito
gelii,
lcga, già
? « Ritorna
a
come
fideles
(B.
Saulino,
ancora
sed calummniose
3 « Calumnia
ad bona
$2-3)
(W.
s’è
notato,
senza
a i suoi
II,
andare
dolori
et inendaciter,
apertissima,
opera
questo
in quibus
161-2)
imo
a
discorso capo.
precedente,
contra Reformationem
ut solet» docet,
(Post.
crealos
ambulent» etc.
aut
napol.).
(Id.).
(L. 462) (G.1 II, 82-3)
654
col
(G
Evan-
venalos
II, 80).
esse
DIALOGO
SECONDO
che di quelle non si curano gli dei, e per quelle, quantunque sieno grandi, non sono giusti gli uomini 1. Sofia. Certo, o Saulino,
io credo sognare;
penso
che sia
un fantasma, una apparizione di turbata fantasia, e non cosa vera quella che dici; ed è pur certo che si trovano tali, che proponano e facciano creder questo a le misere genti.
Ma
non
dubitare,
perché
il mondo
facilmente
si ac-
corgerà che questo non si può digerire, cossi come facilmente si può avedere di non posser sussistere senza legge e religione.
Or abbiamo alquanto veduto, come bene è stata ordinata e situata la legge: devi adesso udire, con qual cognizione a quella è vicino aggionto il giudizio. Giove al giudicio ha messo in mano la spada e la corona: questa, con cui premie quelli che oprano bene, astenendosi dal male; quella, con cui castighe color che son pronti a gli delitti, e son disutili ed infruttifere piante. Ha ingionto al giudicio la defensione e cura della vera legge, e la destruzione dell’iniqua e falsa, dettata da genii perversi ed inimici del tranquillo e felice stato umano; ha comandato al giudicio che, gionto alla legge, non estingua, ma, quanto si può, accenda l'appetito de la gloria ne gli petti umani, perché questo è quel solo ed efficacissimo sprone, che suole incitar gli uomini e riscaldarli a quelli gesti eroici che aumentano, mantegnono e fortificano le republiche. Saulino. Li nostri de la finta religione tutte queste glorie le chiamano vane; ma dicono che bisogna gloriarsi solamente in non so che tragedia caballistica ?. t Nuovo accenno alle dottrine della Riforma. Cfr. sopra pp. 622-3. ® L'anonimo postillatore napoletano: «'Scire et nosse mea’
IEREM., (B.
et PauULUS:
83-4)
(W.
II,
‘ Ut qui gloriatur in Domino
162)
(L.
462-3)
655
(G.!
II,
83-4)
gloriatur’. (G.?
II,
DAan.,
89-90).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
Sofia. Oltre, che non attenda a quel che s’imagine o pense ciascuno, pur che le paroli e gesti non corrompano il stato tranquillo; e massime verse in correggere e man-
tenere tutto quel che consiste ne l’operazioni, non giudicar l'arbore
da
belle
frondi,
ma
da
buoni
frutti;
e quelli
che
non le producono, sieno tolti e cedano il loco ad altri che porgano.
Che non
creda,
che in modo
alcuno
li dei si sen-
teno interessati in quelle cose nelle quali nessuno uomo si sente interessato; perché di quelle cose solamente gli dei si curano de le quali si possono curar gli uomini, e non per cosa che vegna fatta o detta o pensata per essi, si commuoveno o se adirano, se non in quanto per quello venesse a
perdersi quel rispetto per cui si mantegnono le republiche; atteso che gli dei non sarebono dei, se si prendessero piacere o dispiacere, tristizia o allegrezza per quello che fanno o pensano gli uomini; ma quelli sarebono più bisognosi che questi, o al meno cossi quelli riceverebono utilitade e profitto da ‘questi, come questi da quelli. Essendono, dunque, li dei rimossi da ogni passione, vegnono ad aver ira e piacere
attivo solamente,
e non passivo;
e però non
minacciano castigo e prometteno premio, per male o bene che risulta in essi, ma per quello che viene ad essere commesso
nelli popoli e civile conversazioni, alle quali hanno soccorso con le loro divine, non bastandogli le umane leggi e statuti. Per
tanto
è cosa
indegna,
stolta,
profana
e
biasimevole
pensare che gli dei ricercano la riverenza, il timore, l'amore, II: ‘Tibi gloria, nobis autem confusio faciei’ Similes sententiae sunt isti poltrono tragediae cabalisticae. Curistus ita docet et comminaturi ' Qui se exaltat, humiliabitur' (Apud. Ioan.), Pharisacis. ‘ Et, inquit, quomodo potestis credere, qui gloriam mutuam quaeritis? Ego gloriam non quaero’ etc. ‘ Discite a me qui mitis sum ct humilis corde’ etc. n.
(B. 84-5) (W. 1I, 162-3) (L. 463) (G.1 II, 84) (G= II, 90-1).
650
DIALOGO
SECONDO
il culto e rispetto da gli uomini per altro buon fine ed utilitade che de gli uomini
medesimi:
atteso che, essendo
essi
gloriosissimi in sé, e non possendosegli aggionger gloria da fuori, han fatto le leggi non tanto per ricevere gloria, quanto
per communicar
la gloria
a gli uomini:
e però
tanto
le
leggi e giudicii son lontane dalla bontà e verità di legge e giudicio, quanto se discostano dall’ordinare ed approvare massimamente quello che consiste nell'azioni de gli uomini a riguardo de gli altri uomini ?. Saulino.
Efficacemente,
o Sofia,
per
questa
morali
ordinazion
di Giove si dimostra, che gli arbori, che sono ne gli orti delle leggi, sono ordinati da gli dei per gli frutti, e specialmente
tali,
de
quali
si pascano,
si nutriscano
e conservino
gli uomini; e che gli superi non si delettano d’odore d’altri che di questi. Sofia. Ascolta. Da questo vuole, che il giudizio inferisca
che
li dei massime
fine
di
faurire
vogliano
al consorzio
essere umano,
amati ed
e temuti,
avertire
per
massima-
mente que’ vizii che apportano noia a quello; e però li peccati interiori solamente denno esser giudicati peccati, per quel che metteno o metter possono in effetto esteriore 3; e le giustizie interiori mai sono giustizie senza la
prattica esterna, come le piante in vano sono piante senza Îrutti, o in presenza o in aspettazione.
E vuole che de gli
1 «È un stolto paralogismo: sono gloriosissimi in sé, ergo non cercano essere glorificati da gli homini» (Post. napol.). ® «De sorte che il divino culto in rispetto d' Idio vada come si voglia, pure che la humana concordia sia conservata. Imypie dictum » (Id.). 3 « Regula, quid sit aut non sit peccatum ex Giordani cerebro omnino contra Dei mentem in decalogo declaratam de peccatis externis. MATTH., V, [28]: ‘qui viderit mulierem ad concupiscentiam cius jam inchoatus est’ etc. » (Post. napol.). (B.
85-6)
(W.
II,
163)
(L. 463-4)
057
{Gt
II,
84-5)
(G.2
II, 91-2).
SPACCIO
DE
LA
errori, in comparazione, pregiudicio
BESTIA
massimi
della republica;
minori
TRIONFANTE
sieno quelli che sono quelli che sono
in
in pre-
giudicio d'un altro particolare interessato; minimo. sia quello ch’accade tra doi d'accordo; nullo è quello, che non procede a mal essempio o male effetto, e che da gl’ impeti accidentali accadeno nella complessione dell’ individuo !. E questi son que’ medesimi errori, per gli quali gli eminenti dei
si senteno
massime-,
minore-,
minima-,
e nullamente
offesi 2; e per di questi l’opre contrarie si stimano massime-, minore-,
minima-,
ed
alcunamente
serviti.
Ha
comandato
ancora al giudicio, che sia accorto che per l'avenire approve la penitenza,
ma
che non la metta
al pari dell’ innocenza;
approvi il credere e stimare, ma giamai al pari del fare ed
operare. Cossi intende del confessare e dire al rispetto del corregere ed astinere; tanto comende li pensieri, per quanto riluceno nelli segni espressi e ne gli effetti possibili. Non faccia che colui che doma vanamente il corpo, sieda vicino a colui ch’affrena l'ingegno; non pona in comparazione questo solitario disutile con quello di profittevole conver-
sazione 3. Non distingua gli costumi e religioni tanto per la distinzione di toghe e differenze de vesti, quanto per buoni e megliori abiti di virtudi e discipline. Non tanto arrida a quello che ha frenato il fervor della libidine, che forse è impotente e freddo, quanto a quell'altro ch’ ha mitigato 1 «Unde istam theologiam Nolanus? Certe non ex Dei verbo; ex Mercurio et Gentilismo » (Id.). * «Cossî vorrea ben it Nolano et ogri huomo simil a coloro di cui Cristo diceva: ‘ Similes estis sepulclris dealbatis’ etc, I quali, secondo il Nolano, non sono ingrati a i dei per loro spurcizia interiore, pure che di fuora non siano in cativo essempio» (Id.). 3 BIVL: conservatione. Ma la correzione ci sembra richiesta dall'antitesi con solitario disulile.
(B. 86-7) (W. IT, 163-4) (L. 464-5) (G.! II, 85-0) (G2 II, 92-3). 658
DIALOGO
SECONDO
l'empito de l'ira, che certo non è timido, ma paziente. Non applauda tanto a quello che forse disutilmente s'è ubligato a non mostrarsi libidino$o, ch’a quell'altro che si determina di non essere oltre maledico e malfattore. Non dica maggior errore il superbo appetito di gloria, onde resulta sovente bene alla republica, che la sordida cupidiggia di danari. Non faccia tanto trionfo d’uno, perché abbia sanato sano
un
vile e disutil zoppo,
che
infermo,
quanto
d'un
che poco altro
o nulla vale pi ch'ha
liberata
la
patria e riformato un animo perturbato. Non stime tanto, o più, gesto eroico l'aver in qualche modo e qualche maniera possuto estinguer il fuoco d’una fornace ardente senz'acqua, che l’aver estinte le sedizioni d'un popolo acceso senza sangue. Non permetta, che si addrizzeno statue a' poltroni, nemici del stato de le republiche, e che in pregiudicio di costumi e vita umana ne porgono paroli e sogni, ma a color che fanno tempii a’ dei, aumentano il
culto ed il zelo di tale legge e religione per quale vegna accesa la magnanimità ed ardore di quella gloria che séguita dal.servizio della sua patria ed utilità del geno umano; onde appaiono instituite universitadi per le discipline di costumi,
lettere
ed
armi.
E
guarde
di promettere
amore,
onore e premio di vita eterna ed immortalitade ! a quei che
approvano gli pedanti e parabolani; ma a quelli che per adoprarsi nella perfezione del proprio ed altrui intelletto, nel
servizio
circa gli atti piaceno
1 B:
della
della
a gli dei.
communitade,
magnanimità, Li quali
per
nell'osservanza
espressa
giustizia e misericordia, questa
caggione
magnifi-
în immortalitade.
(B. 87-8) (W. IT, 164) (L. 465) (G! IT, 86) (G:3 IL 93).
659 46
—
G.
Bnvwo.
Dialoski
itatinni
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
corno il popolo Romano! sopra gli altri; perché con gli suoi magnifici gesti, più che l'altre nazioni, si seppero conformare ed assomigliare ad essi, perdonando a’ summessi,
debellando gli superbi *, rimettendo l’ ingiurie, non obliando gli beneficii, soccorrendo a’ bisognosi, defendendo gli afflitti, relevando gli oppressi, affrenando gli violenti, promovendo gli meritevoli, abbassando gli delinquenti, mettendo questi in terrore ed ultimo esterminio con gli flagelli e secure 3, e quelli in onore e gloria con statue e colossi. Onde
consequentemente ritenuto
e pronto
da
apparve
quel
vizii d’ incivilitade
a generose
imprese,
popolo
più
e barbaria,
ch’altro
affrenato
e più
che
e
esquisito
si sia
veduto
giamai. E mentre fu tale la lor legge e religione, tali furono gli lor costumi e gesti, tal è stato lor onore e lor felicitade. Saulino. Vorrei, ch'al giudicio avesse ordinato qualche cosa
espressa
contra
la temeritade
di questi
gramatici 4,
che in tempi nostri grassano per l’ Europa. Sofia.
Molto
bene,
o
Saulino,
Giove
ha
comandato,
imposto ed ordinato al giudizio, che veda se gli è vero che
costoro inducano gli popoli al dispreggio ed al meno a poca cura di legislatori e leggi, con donargli ad intendere, che quelli proponeno cose impossibili e che comandano come per burla; cioè, per far conoscere a gli uomini, che gli dei sanno comandare quello che loro non possono met1
«Il popolo
Romano
messo
per
esempio
di una
vera
Chiesa
et regno d' Idio, cioè d'un popolo et republica a Dio cara et da lui favorita. Tale è la teologia del Nolano; perché qui (si diîs placet) theologizat, ubi agit de peccato et de vera iustitia» (Post. napol.). ® Reminiscenza
del virgiliano
et debellare superbos ». 3 Latinismo: scuri.
4 aIntelligit Reformatores posse tacere » (Post. napol.).
(Aex.,
VI,
Evangelicos,
853):
de
« Parcere
quibus
subiectis
videtur
non
(B. 88-89) (W. II, 164-5) (L. 465-6) (G.t IL, 86-7) (G4 II, 93-4). 660
DIALOGO
SECONDO
tere in esecuzione. Veda se, mentre dicono che vogliono riformare le difformate leggi e religioni, vegnono per certo a guastar
tutto
quel
tanto
che
ci è di buono,
e confirmar
e inalzar a gli astri tutto quello che vi può essere o fingere di perverso e vano. Veda se apportano altri frutti, che di togliere
le conversazioni,
dissipar
le
concordie,
dissolvere
l'unioni, far ribellar gli figli da’ padri, gli servi da padroni,
gli sudditi da superiori, mettere scisma tra popoli e popoli, gente e gente, compagni e compagni, fratelli e fratelli, e ponere in disquarto ! le fameglie, cittadi, republiche e regni: ed in conclusione, se, mentre salutano con la pace, portano, ovunque
entrano, il coltello della divisione ed il fuoco della
dispersione, togliendo il figlio al padre, il prossimo al prossimo, l’ inquilino a la patria, e facendo altri divorzii orrendi
e contra ministri
ogni d'un
natura
e legge. Veda
che risuscita morti
se, mentre
e sana
si dicono
infermi ?, essi son
quei che, peggio di tutti altri che pasce la terra, stroppiano gli sani ed uccideno gli vivi, non tanto con il fuoco e con il ferro, quanto con la perniciosa lingua. Veda che specie di pace e concordia è quella, che proponeno a gli popoli miserandi, se forse vogliono ed ambiscono, che tutto il mondo concorde e consenta alla lor maligna e presuntuosissima ignoranza, ed approve la lor malvaggia conscienza, mentre essi non vogliono concordare né consentire a legge, a giustizia e dottrina alcuna; ed in tutto il resto del mondo
e di secoli non appare tanta discordia e dissonanza, quanta si convence tra loro. Per ciò che tra diece mila di simil
! Meno raramente ‘squarto ': ® Cfr. MattEO, XI, 5; Luca, LXI, 1.
(B.
89-00)
(W.
II,
165)
(L.
divisione, VII, 22;
460)
G6I
(G.1
II,
discordia. Isara, XXXV,
87-8)
(G.2
II,
5,
094-5).
e
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
pedanti non si trova uno che non abbia un suo catecismo ! formato;
se
non
publicato,
al meno
per
publicare
quello
che non approva nessuna altra instituzione che la propria, trovando
in tutte
l’altre
che
dannare,
riprovare
e dubi-
universitadi,
tempii,
tare; oltre che si trova la maggior parte di essi che son discordi in se medesimi, cassando oggi quello che scrissero l’altro giorno. Veda qual riuscita facciano essi, e quai costumi suscitano e provocano ne gli altri, per quanto appartiene a gli atti de la giustizia e misericordia, e Ia conservazione ed aumento di beni publici; se per lor dottrina e magistero
sono
drizzate
academie,
ospitali, collegi, scuole e luoghi de pure, dove queste cose si trovano, e fatte de medesime facultadi che venissero e comparissero tra le genti.
discipline ed arti; o son quelle medesime erano prima che loro Appresso, se per loro
cura queste cose sono aumentate, o pure per loro ? negligenza disminuite, poste in ruina, dissoluzione e dispersione.
Oltre, se sono occupatori di beni altrui, o pure elargitori di beni proprii; e finalmente, se quelli, che prendono la lor parte, aumentano e stabiliscono gli beni publici, come faceano gli lor contrarii predecessori:3, o pure insieme con questi le dissipano, squartano e divorano; e mentre deprimeno l'opre, estingueno ogni zelo di far le nuove e conservar
le
antiche.
convitti4; e
se
Se
cossf
dopo
che
è,
e se
saranno
tali
saran
avertiti,
compresi
e
mostrandosi
incorrigibili, fermaranno i piedi de l’ostinazione, comanda 1 F. del * B:
lora.
sec.
XIV.
A
p.
623
la f. comune.
3 «E di grazia, a qual titolo? se non de messe, capellanie, indolgenzie per liberar dal Purgatorio vano gli edificatori, cd il tuto mescolato con una infinità de buggie, idolatrie etc. » (Post. 4 Latinismo (convicti) per convinti. Cfr. p. 467, n. 4.
napol.).
(B. 90-1) (W. II, 165-6) (L. 466-7) (G.1 II, 88-0) (G.? IL, 95-6). 662
DI.1LOGO
SECONDO
Giove al giudizio, sotto pena della disgrazia sua e di perdere quel grado e preeminenza che tiene nel cielo, che le dissipe,
disperda
ed
annulle;
e spinga * con
qualsivoglia
forza, braccio ed industria sino a la memoria del nome di tanto pestifero germe =. E gionge a questo, che faccia intendere
a
tutte
le
generazioni
del
mondo,
sotto
pena
de la lor ruina, che s'armino in favor di esso giudizio, in sino a tanto che sarà pienamente messo in essecuzione il decreto di Giove contra questa macchia del mondo. Saulino.
Credo,
o
Sofia,
che
Giove
non
cossi
rigida-
mente voglia al fine risolvere questa misera sorte di uomini,
e non cominciarli a toccar di tal sorte, che prima che gli
done
la final ruina,
accorgere
della
tente se le possa corregere,
sua maldizione
ed errore,
e facendoli
le provoche
a
pentimento.
Sofia. Si bene; però Giove ha ordinato al giudicio che
proceda
in quella maniera
che ti dico. Vuole
che li sieno
tolti tutti que’ beni 3, che hanno acquistati coloro che predicavano, lodavano
ed insegnavano
lasciati
da
ed ordinati
nell’opre,
con
e che sono
quell’opre,
color,
che
oprare, e che son stati opravano
e confidavano
stabiliti da questi che hanno
beneficii
e testamenti
farsi
grati
creduto
a’ dei;
e cossi vegnano ad execrare gli frutti ancora di quelli arbori,
che procedeno da quel seme tanto odioso a essi; e vegnano a mantenersi,
conservarsi,
defendersi
e nodrirsi
solamente
da que’ frutti, da que’ redditi e suffragii, li quali appor1 Invece
2 « Vota
di spenga,
et decreta
napol.). 3 I beni, cioè, dai protestanti. (B.
91-3)
(W.
dei II,
come
si è detto
impiorum cattolici, 166)
(L.
mon
a p. 500,
stabunt
usurpati, 467)
663
(G.!
n. 6.
neque
massime II,
89)
(G.:
fient»
in
(Post.
Inghilterra, II,
96-7).
SPACCIO
DE
LA
DESTIA
TRIONFANTE
tano ed hanno apportati loro e quelli che gli credeno e che approvano e defendono questa opinione. E che non gli sia oltre lecito d’occupare con rapina e violenta usurpazione quello che a commune utilitade gli altri con libero e grato animo,
per mezi ! termini
contrarii a contrario fine, hanno
parturito e seminato. E cossi escano da quelle profanate stanze e non mangino de quel pane iscomunicato; ma vadano
ad
abitare
in quelle
pure
ed incontaminate
case,
e
si pascano di que’ cibi, che mediante la loro riformata legge li sono stati destinati, e novamente prodotti da questi personaggi
pii che fanno
tanto
poco stima de l’opere ope-
rate =, e solamente per una importuna,
vile e stolta fantasia
sl stimano regi del cielo e figli de li dei, e più credeno ed attribuiscono a una vana, bovina ed asinina fiducia, ch'ad un utile, reale e magnanimo Saulino.
Subito,
o Sofia,
effetto. si vedrà
quanto
siano
atti
a
guadagnarsi un palmo di terra questi che sono cossi effusi e prodighi a donar regni de’ cieli; e conoscerassi de quelli altri imperatori del cielo empireo quanto liberalmente de la propria sustanza gli lor Mercurii, che forse, per la poca fede che hanno
nell’opre
di carità, ridurranno
in necessità
di andar a lavorar i campi, o a far altr'arte questi lor celesti messaggieri:
che,
senza
altrimente
beccarsi
il cervello,
le
assicurano che non so qual giustizia d’un altro è fatta giustizia loro propria 3: dalla qual purità e giustizia per questo solo vegnano
esclusi,
che per sassinii 4, rapine,
violenze
ed
1 Cosf a pp. 56r, 588, 614, (741,) 824 ecc.; ma più spesso con la doppia. Napol.: miezo, meza. 3 BL: operato. 3 «Aperta blasfemia în Christum. Qui factus est nobis a Deo Sapientia, Iustitia etc. » (Post. napol.). 4 W: fascinj. Sulla voce sassinii v. L. 775; Cand2, p. Lvi.
(B. 93-4) (W. II, 166-7) (L. 467-8) (G.1 II, 89-90) (G II, 97). 6604
DIALOGO
omicidii atti
ch’abbiano
di
liberalitade,
fatti,
SECONDO
si sgomentino,
misericordia
e
e per
giustizia
elemosine,
si
confideno,
le
conscienze
si attribuiscano e sperino punto. Sofia.
Come
è
possibile,
o
Saulino,
che
talmente affette possano giamai aver vero amore d’oprar bene, e vera penitenza e timore di commettere qualsivoglia ribaldaria, se per commessi errori vegnono tanto assicurati, e per opre di giustizia son messi in tanta diffidenza?
Saulino. Tu vedi gli effetti, Sofia; perché e certa, come
è cosa vera
essi sono veri e certi, che, quando
da qualsi-
voglia altra professione e fede alcuno si muove
a questa,
da quel che era già liberale, doviene
avaro,
da quel ch'era
mite, è fatto insolente, da umile lo vedi superbo, da donator del suo è rubbator ed usurpator de l'altrui, da buono è ipocrita, da sincero è maligno, da semplice è malizioso, da riconoscente di sé è arrogantissimo, da abile a qualche bontà e dottrina è prono ad ogni sorte d’ ignoranza e ribaldaria;
ed in conclusione,
è dovenuto
da quel che possea esser tristo,
pessimo, che non può esser peggiore.
Seconda parte del secondo dialogo. Sofia. mento
Or seguitiamo
di Mercurio
il proposito,
ieri ne venne
quale
interrotto.
per l’adveni-
Saulino. È ben tempo dopo che, donata de la collocazione e situazione de’ buoni numi erano quelle bestie, si vegga quali altri sieno succedere al luogo de l’altre; e se vi piace, non 1 W:
(B. 94-5)
tempo
(W.
la raggione in loco dove ordinati di vi sia grave
che.
II,
167-8)
(L. 468-0)
665
(G.I II, 90-1)
(G.2 II, 07-85).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
di farmi sempre intendere
la raggione
ieri su aver
il padre
dizione da
ad Ercole;
vedere, Sofia.
cielo
narrato, che
Io,
altro
come abbia
Saulino,
che
Giove
ha
però consequentemente
cosa
o
e causa.
quel
fatto
ho
tanto,
che
in
in
donata
ispe-
per la primna è
succedere
inteso
Eravamo
in
verità
suo
luogo.
accaduto
fantàsia,
in
in
sogno,
in
ombra,
in spirito di profezia vedde Crantore circa il dibatto
de
Ricchezza,
la
quando avanti
Giove
Sanità
e
escluso
Ercole
da
ebbe
la Ricchezza,
questo loco 3. — gione? tanto
—
E
e disse:
A cui
lei:
—
—
hai
denno
rispose
Anzi
non
solo
cedere,
oltre
sentarmi
contra
io non
me,
hai
Perché, si mese ?
o padre,
—
conviene
Per qual cagdisse,
che
sin
e prima che ti ricordassi
altre.dee
ed altri numi
sostenuto
che
mio
e torto
che
bisognasse
venesse ad opponermi
il pregiudizio
— E Giove rispose:
là, subito
maraviglio,
collocate
ma
Fortezza *!.
Giove:
mi
che io da per me medesima
perché
A
abbi differito di collocarmi,
di me, mi
Voluptà,
che
e pre-
mi
fate.
— Dite pur la vostra causa, Ricchezza;
stimo
d’averti
fatto torto
col non
darti4
una de le stanze già proviste; ma ancora credo di non far-
tene con negarti la presente che è da provedere: e forse ti potrai accorgere di peggio che non ti pensi. — E che peggio mi può e deve accadere per vostro giudizio, di quel che m' è accaduto?
qual
raggione
—
m'hai
la Sofia, la Legge,
disse la Ricchezza.
preposta
la Veritate,
il Giudicio,
se io son
Veritate si stima, la Prudenza 1 Vedi Sesto EMpirIcoO, Adv. * F. popolare. 3 BL: loco; WGI: luogo.
—
Dimmi,
la Prudenza,
quella,
95-6)
(W,
II,
168)
(L.
per cui la
si dispone, la Sofia è pregMathem.,
XI,
51-58.
4 Per il passaggio dal voi al tx, cfr. il De la causa, (B.
con
469)
666
(G.!
II,
0r-2)
(G.?
p. 223, n. 2. II,
08-90).
DIALOGO
SECONDO
giata, la Legge regna, il Giudicio dispone, Verità è vile, la Prudenza
e senza me
la
è sciagurata, la Sofia è negletta,
la Legge è muta, il Giudicio è zoppo; perché io a la prima dono
campo,
alla seconda
do
nervo,
alla terza lume,
a la
quarta autoritade, al quinto forza; a tutte insieme giocundità bellezza
ed ornamento, e le libero
da
fastidii
e
miserie?
— Rispose Momo: — O Ricchezza, tu non dici il vero più che il falso; perché tu oltre sei quella per cui zoppica il Giudizio, la Legge sta in silenzio, la Sofia è calpestrata,
la Prudenza è incarcerata e la Verità è depressa, quando ti fai compagna di buggiardi e ignoranti, quando favorisci col braccio de la sorte la pazzia, quando accendi e cattivi gli animi ai piaceri, quando amministri alla violenza, quando resisti a la giustizia. Ed appresso, a chi ti possiede non
meno
apporti fastidio che giocondità,
difformità che bel-
lezza,
bruttezza
sei quella,
che
ornamento;
e non
che
dùi
fine a’ fastidii e miserie, ma che le muti e cangi in altra specie. SI che in opinione sei buona, ma in verità sei più malvaggia;
per
in apparenza
fantasia
sei
utile,
sei cara, ma
ma
in esistenza sei vile;
in effetto
sei perniciosissima;
atteso che per tuo magistero, quando investisci di te qualche
perverso
(come
scelerati,
raro
fatta
per ordinario sempre
vicina
la Veritade
ad
esclusa
hai rotte le gambe
uomini fuor
da de
a la Prudenza,
ti veggio in casa di
bene), le cittadi
a gli
hai
deserti,
hai fatta vergognar
Sofia, hai chiusa la bocca a la Legge, ardire al Giudicio,
là a basso
la
non hai fatto aver
tutti hai resi vilissimi.
—
Ed in questo,
o Momo, rispose la Ricchezza, puoi conoscere la mia potestate ed eccellenza: che io, aprendo e serrando il pugno, e per comunicarmi o qua o là, fo che questi cinque numi vagliano, possano e facciano, o ver sieno spreggiati, bariditi (B.
96-7)
(W.
II,
168-9)
(L.
469-70)
667
(G.t
II,
92-3)
(G.2
II,
99-100).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
e ributtati; e per dirla, posso cacciarle al cielo o ne l’ inferno. — Qua rispose Giove: — Non vogliamo in cielo e in queste sedie altro che buoni numi. Da qua si togliano que’ che son rei, e quei che o sono più rei che buoni, e quei che indifferentermente son buoni e rei; tra gli quali io penso
che sei tu, che sei buona con gli buoni, e pessima con gli scelerati. —
Sai, o Giove,
buona,
disse la Ricchezza,
che io per me
son
e non sono per me indifferente o neutra, o d’una
ed altra maniera,
come
bene
servire
si vogliano
dici, se non
o male.
in quanto
—
Qua
di me
rispose
altri
Momo:
— Tu dunque, Ricchezza, sei una Dea maneggiabile, servibile, contrattabile,
e che non ti governi
non
quella che reggi e disponi de altri, ma
sei veramente
da te stessa, e che
di cui altri disponeno, e che sei retta da altri; onde sei buona quando altri ti maneggiano bene, sei mala quando sei mal guidata;
Sofia,
sei,
della
dico,
buona
Prudenza,
in
della
mano
della
Religione,
Giustizia,
della
della
Legge,
della
Liberalità ed altri numi; sei ria se gli contrariì di questi ti maneggiano: come sono la violenza, l’avarizia, l’ ignoranza ed altri. Come, dunque, da per te non sei né buona né
ria,
cossi
credo
essere
bene,
se Giove
il consente,
che
per te non abbi né vergogna né onore; e per consequenza non sii degna d’aver propria stanza, né ad alto tra gli dei e numi
celesti,
né
a basso
tra
gli inferi,
ma
che
eterna-
mente vadi da loco in loco, da regione in regione. Artisero tutti gli dei al dir di Momo, e Giove sentenziò cossi:
—
Si che,
Ricchezza,
quando
sei di Giustizia,
abi-
tarai nella stanza della Giustizia; quando sei di Verità, sarai dove è l'eccellenza di quella; quando sei di Sapienza e Sofia, sederai nel solio suo; quando di voluttuarii piaceri,
(B. 97-8) (W. II, 169) (L. (L. 470) (G.1 II, 93) (G II, 100-1). 668
DIALOGO
trovati là dove caccia
ne
sono;
le borse
SECONDO
quando
d'oro
e casce 1; quando
ed argento, di vino,
allora ti
oglio
e fru-
mento, va ficcate= ne le cantine e magazini; quando di pecore, capre e buovi, va a pascolar con essi e posa ne gli greggi ed armenti. Cossî Giove l’ impose quello che deve fare quando si trova con gli pazzi, e come si deve comportare quando è in casa di sapienti; in che modo per l'avenire perseverar debba a far come per il passato (forse perché non si può far altro), di farsi in certo modo
certo modo
difficilmente.
la fece intendere
Ma
a molti;
e gli ne dié un’altra,
facilmente
trovare ed in
quella raggione e modo
se non
se non
che Momo
non
alzò la voce
fu quella medesima
via, cioè:
— Nessuno ti possa trovare senza che prima si sia pentito d'aver avuto buona mente e sano cervello. — Credo che volesse dire, che bisogna perdere la considerazione ed il giudicio di prudenza, non pensando mai all' incertezza ed infidelità de tempi, non avendo riguardo alla dubia ed instabile promessa del mare, non credere a cielo, non guar-
dare a giustizia"o a ingiustizia, ad onore o vergogna, a bonaccia o tempesta, ma tutto si commetta a la fortuna; — E che ti guardi di farti mai domestica di quei che con troppo giudicio ti cercano; e color meno ti veggano che con più tendicoli 3, lacci e reti di providenza ti perseguitano; ma per l'ordinario va’ dove son gli più insensati, pazzi, stracurati4 e stolti; ed in conclusione, quando sei I! Casce:
2 B:;
va
casse.
ficcate;
W:
(Cand.?, va,
p.
ficcati;
57,
LG:
n.
va
5).
W:
ficcave.
tasche. Ma
B.
usa
maniera di dire schiettamente napolitana, la quale significa, ha inteso il W., va’, ficcati, oppure va' @ ficcarti. 3 Lat.
tendicula,
98-09)
(W.
ae:
laccio
che si tende
agli
470-1)
TI,
uccelli
una
come
ed alle fiere:
4 O'‘straccurare’ (trascurare), f. comune nel sec. XVI. Cfr. p.502. (B.
II
169-70)
(L.
669
(G.!
93-4)
(G2
II,
101).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
in terra, guàrdati da’ più savii come dal fuoco: e cossf sempre accòstati e fatti familiare a gente semibestiali, e tieni sempre
la medesima
regola che
tiene la fortuna.
Saulino. È ordinario, o Sofia 1, che gli più savii non son gli più ricchi; o perché si contentano di poco, e quel poco stimano
assai, se è sufficiente
a la vita;
o per altre cause,
che forse, mentre sono attenti a imprese più degne, non troppo vanno vagando qua e là per incontrarsi a uno di questi
numi,
che son le ricchezze
o la fortuna.
Ma
séguita
il tuo raggionamento. Sofia. Non st tosto la Povertà vedde la Ricchezza, sua nemica, esclusa, che con una più che povera grazia si fece
innante; e disse che per quella raggione, che facea la Ricchezza indegna di quel loco, lei ne dovea essere stimata degnissima, per esser contraria a colei. A cui rispose Momo: —
Povertà,
Povertà,
tu
non
sareste= al
tutto
Povertà,
se non fussi ancora povera d’argumenti, sillogismi3 e buone consequenze.
Non
per questo, o misera, che siete contrarie,
séguita che tu debbi essere investita di quello che lei è dispogliata o priva, e tu debbi essere quel tanto che lei non è: come, verbigrazia (poi che bisogna donartelo ad intendere con essempio), tu devi essere Giove e .Momo, perché lei non è Giove né Momo: ed in conclusione ciò che si niega di quella, debba essere affirmato di te; perché quelli che son pit ricchi de dialettica che tu non sei, sanno che li contrarii non son medesimi con positivi e privativi, 1 BL: (o Saulino). Ma W. corresse: o Sofia. 2 La medesima uscita alla seconda sing. e pl. nel condiz. sempl. è di uso del B. e dei suoi contemporanei. Lo stesso va ripetuto per altri
modi e tempi: per es., 3 B: sollogismi. Ma vedi
a p. 675: ti partiste. appresso, a p. 672, la f. corretta.
(B.
99-100)
471-2)
(W.
II,
170)
(L.
670
(G.?
IT,
94-5)
(G?
II,
101-2).
DIALOGO
contradittorii,
versi.
Sanno
varii,
SECONDO
differenti,
ancora
che
per
altri,
divisi,
distinti
e di-
raggione
di
contrarietà
sé-
guita, che non possiate essere insieme in un loco; ma non che, dove non è quella e non può esser quella, sii tu, o possi
esser tu 1. — Qua risero tutti li dei, quando veddero Momo voler insegnar logica a la Povertà; ed è rimasto questo proverbio in cielo: Momo è maestro de la Povertà, o ver: Momo insegna dialettica a la Povertà. E questo lo dicono, quando vogliono delleggiar ? qualche fatto scontrafatto. — Che dunque ti par che si debba far di me, o Momo ? — disse la Povertà. — Determina presto, perché io non sono sf ricca di paroli e concetti che possa disputar con Momo, né si copiosa d’ ingegno che possa molto imparar da lui. Allora Momo dimandò a Giove per quella volta licenza, se voleva che determinasse. A cui Giove: — Ancora mi burli,
o Momo?
che
hai
tanta
licenza,
che
sei più
licen-
zioso (volsi dir licenziato) tu solo che tutti gli altri. Dona pur
sicuro
la sentenza
a costei;
perché,
se la sarà
buona,
l'approvaremo. — Allora Momo disse: — Mi par congruo e condigno ch’ancor questa se la vada spasseggiando per quelle piazze, nelle quali si vede andar circumforando3 la Ricchezza,
e corra e discorra, vada e vegna per le mede-
sime campagne; perché (come vogliono gli canoni del raziocinio) per raggione di cotai contrarii questa non deve entrare se non là onde quella fugge, e non succedere se 1 Le
condo
proposizioni
la logica
opposte
aristotelica,
contrarie
essere
non
possono,
tutte
due
vere;
(G.!
II,
95-6)
ma
infatti,
possono
sere tutte due false. Vedi i Topici di ARISTOTILE, 2 Wi: dileggiar. 3 Lat. circumforare, girare per le piazze.
l. IT, capp.
(B.
(G.?
100-2)
(W.
II,
170-1)
(L.
472)
671
II,
se-
es-
6-8.
102-3).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
non là d’onde quella si parte; e quella non deve succedere ed entrare se non là d'onde questa si parte e fugge; e sempre l’una sia ‘a le spalli de l'altra, e l'una doni la spinta a l’altra, non
toccandosi
il petto,
mai
l’altra
da faccia a faccia, ma
abbia
il tergo,
come
se
dove
l'una ha
giocassero
(come
facciamo noi tal volta) al giuoco de la rota del scarpone !.
Saulino. altri ? Sofia.
Che
Tutti
disse
sopra
confirmàro
Saulino. La Povertà che Sofia. Disse: — Non mi il mio parer ha luogo, e non che la condizion mia debba de la Ricchezza. dente,
che
—
versate
Giove
nel medesimo
sequenza,
che
ad
versantur
gli
la sentenza.
A cui rispose Momo:
vengate
con
disse? par cosa degna, o dei (se pur sono a fatto priva di giudicio), essere al tutto simile a quella
tragedia o comedia,
disse la Povertà,
questo
e ratificàro
medesima
quia contraria
di
Da l’antece-
e rapresentate
la
non devi tirar questa con-
essere circa
teatro
—
di medesima
idem.
—
che tu ti? burli di me;
Vedo,
condizione, o
Momo,
che anco
tu, che
fai professione de dir il vero e parlar ingenuamente, mi dispreggi; e questo non mi par che sia il tuo dovero, perché la Povertà è più degnamente difesa tal volta, anzi il più de
le volte,
che
rispose Momo,
la Ricchezza.
—
Che
vuoi
che
ti faccia,
se tu sei povera a fatto a fatto ? La Povertà
non è degna de difensione, se è povera di giudizio, di raggione, di meriti e di sillogismi, come sei tu, che m’ hai 1 Non è facile dire quale sia questo giuoco, sc non corrisponde al «giuocare alla scarpaccia », usato « dla grandi », nonostante abbia «del fanciullesco in parte», come c'informa nel disc. Lx1x della Piazza universale T. GARZONI. * B: tutti.
(3.
102-3)
(W.
II,
171)
(L. 472-3)
672
(G.!
IT, 06)
(G.2 II,
103-4).
DIALOGO
SECONDO
ridutto a parlar ancor per le regole analittiche delli Priori e
Posteriori! Saulino.
Che
d’Aristotele.
cosa me
—
dici, Sofia?
Dunque
li dei pren-
deno qualche volta Aristotele in mano? studiano verbigrazia ne gli filosofi? Sofia. Non ti dirò di vantaggio di quel ch' è su la Pippa, la Nanna,
l’Antonia,
il Burchiello,
l'Ancroia,
ed
un
altro
libro, che non si sa, ma è in questione s’ è di Ovidio o Virgilio, ed io non
Saulino. riose ?
Sofia.
gravi?
me
ne ricordo
il nome,
ed altri simili ?.
E pur adesso trattano cose tanto gravi e se-
E ti par che
Saulino,
quelle non
son
seriose?
se 3 tu fussi piri filosofo, dico
non
son
più accorto,
credereste che non è lezione, non è libro che non sia essaminato da dei, e che, se non è a fatto senza sale, non sia maneggiato da dei; e che, se non è tutto balordesco, non sia
approvato e messo con le catene nella biblioteca commune;
! Cioè degli Analytici priores Aristotile. è La Pippa, la Nanna
locutrici
il quale
leggendo
dei
sudici
Magionamenti
la
Pippa
e l’Antonia,
stesso,
nel
Filosofo
(it,
e
degli
e
l’Antonia
(1535
Analytici
0 '36)
7), fa dire
di
dalla
posteriores sono
Pietro
Lisa:
stima.... ». Sull'Aretino
di
tre inter-
ARETINO;
« Che
v.
più?
Eroici
furori, p. 960. Burchiello è il celebre poeta fiorentino e barbiere Domenico di Giovanni, detto il Burchiello (1404-1449), autore di una forma dì poesia burlesca, detta appunto burchiellesca. L'Ancroia # il pur noto poema cavalleresco del ciclo francese, cosî popolare
in Italia nel 500; in fatti nel Ba/do, 111, 104-9, il primo tra tutti: «Legerat Ancroiam, Tribisondam, facta Danesi, | Antonnaeque Bovum, Antiforra, Realia Franzae, | innamoramentum Carlonis et
Asperamontem,
| Spagnam,
Altobellum,
Morgantis
bella
gigantis, |
Meschinique provas, et qui Cavalerius Orsae | dicitur, et nulla cecinit qui laude Leandram ». Il libro d’ incerto autore sono i Priapea
che ricorderà infatti a p. 742. Quanto
Jesche
nelle
3 BL:
(B.
103)
opere
Saulino, (W.
II,
del
B.,
cfr.
171-2)
(L.
se;
WG1:
la
Se.
n.
473)
673
1,
(G»
poi a reminiscenze burchiela p. .218,
II,
96-7)
del
(G.
De
II,
/a
causa.
104-5).
SPACCIO
perché
pigliano
DE
LA
piacere
BESTIA
nella
moltiforme
di tutte cose e frutti moltiformi
loro si compiaceno presentazioni
TRIONFANTE
representazione
de tutti ingegni, perché
in tutte le cose che sono,
che si fanno,
non
meno
che
e tutte le re-
essi hanno
cura
che sieno, e donano ordine e permissione che si facciano 1, E pensa ch’ il giudicio de gli dei è altro che il nostro commune,
e non tutto quello che è peccato a noi e secondo noi,
è peccato a essi e secondo essi. Que’ libri certo cossi, come le teologie,
non
ranti,
medesimi
che
mala
denno
esser communi sono
a gli uomini
scelerati;
perché
ne
igno-
ricevono
instituzione.
Saulino. disonesti
e dissoluti,
Sofia. frutti
Or non son libri fatti da uomini
È vero;
della
e forse
ma
a mal
di mala fama,
fine ??
non sono senza la sua
cognizione
de
chi
scrive,
come
instituzione scrive,
e
perché
ed onde scrive, di che parla, come ne parla, come s’ inganna lui, come come
gli altri s' ingannano
s' inclina
muove
a uno
affetto
di lui, virtuoso
il riso, il fastidio, il piacere,
come
si declina
e vizioso,
Ia nausea;
come
e si
ed in tutto
è sapienza e providenza, ed in ogni cosa è ogni cosa, e massime
è l'uno
dove è
l'altro
contrario,
e questo
massime
si
cava da quello. Saulino. Or torniamo al proposito donde ne ha divertiti il nome d’Aristotele e la fama de la Pippa. Come fu ! B. lascia qui intravvedere la copia straordinaria delle sue letture,-le cui tracce non riesce sempre cogliere, tante son numerose nella Commedia come nei Dialoghi, nelle operei taliane come nelle latine. Alla medesima guisa il CAMPANELLA, nelle Poesie (ediz. Gentile, p. 15), di se stesso: « Di cervel dentro un pugno io sto, e
divoro | tanto che quanti libri tiene il mondo mio
(B.
profondo ». ® BL non hanno
103-4)
(W.
II,
il punto
172)
(L.
interrogativo,
473-4)
674
(G!
| non sazian l’appetito
ma
il punto
II, 97-8)
fermo.
(G.= IT,
105).
DIALOGO
licenziata
la Povertà
da
SECONDO
Giove,
dopo
che
era si schernita
da Momo ? Sofia. Io non voglio referir tutti gli ridicoli propositi che passàro tra quello e colei, la quale non meno momezzava di Momo che di essa seppe momezzar ' colui. Dechiarò Giove, che questa abbia di privileggii e prorogative che non
ha quella in queste cose qua a basso.
Saulino. Sofia.
Dite
—
le cose che sono.
Voglio,
vertà :, sii oculata,
disse il padre, e sappi
ritornar
in prima,
che
tu, Po-
facilmente là ‘d'onde
tal volta ti partiste, e discacciar con maggior possa la Ricchezza; che per il contrario tu vegni scacciata da quella la qual voglio che sia perpetuamente cieca. Appresso voglio che
tu,
che
son
Povertà,
sii alata,
fatte d’aquila
che sii come
destra
ed ispedita
o avoltore;
un vecchio
bove
ma
per le piume
ne li piedi
che tira il grave
voglio
aratro,
che
profonda ne le vene de la terra: e la Ricchezza, per il contrario,
abbia
l’ali
tarde
d’un'oca3 0 cigno; ma
e
gravi,
accomodandosi
quelle
gli piedi sieno di velocissimo
cor-
siero o cervio, a fine che, quando lei fugge da qualche parte
adoprando gli piedi, tu con il batter de l’ali vi ti facci presente; ed onde tu con opra de le ali tue disloggi, quella possa succedere con l’uso di suoi piedi: di maniera che con quella medesima prestezza che da lei sarai fuggita o perseguitata, tu vegni a perseguitarla e fuggirla. Saulino. Perché non le fa o ambe due bene in piuma, 1 Scherzava,
® « Povertà
Beati pauperes V,
alla
non
104-5)
(W.
di
ha luoco
Momo.
nel cielo del Nolano.
spiritu,
quia ipsorum
II,
(L.
3]» (Post. napol.). 3 B: occa.
(B.
guisa
172-3)
474)
675 47
—
G.
Bruno,
Diuloghi italiani
est regnum
(G.!
II,
98)
Christus
contra:
coelorum
[MATTH.,
(G:è
105-6).
II,
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
o ambe due bene in piedi, se niente meno se potrebbono accordare di perseguitarsi e fuggirsi, o tardi o presto? Sofia. Perché, andando la Ricchezza sempre catca, viene per la soma a impacciar alcunamente l'ali, e la Povertà,
andando
sempre
discalza,
facilmente
per ruvidi ca-
mini viene ad essere offesa negli piedi: però questa in vano arrebe
le piante,
Saulino. Sofia.
Questa
Oltre
e quella
le piume
risoluzione
vuole,
che
mi
la
veloci.
contenta.
Povertà
Or séguita.
massimamente
sé-
guite Ia Ricchezza, e sia fuggita da quella quando si versa nelli palaggi terreni, ed in quelle stanze nelle quali ha il suo imperio la Fortuna; ma allor che ella s’appiglia a ‘cose
alte e rimosse dalla rabbia del tempo e di quell'altra cieca, non voglio che abbi tanto ardire o forza d’assalir per farla fuggire e tòrgli il loco. Perché non voglio che facilmente si parta da là dove con tanta difficultade e dignitade bisogna pervenire; e cossi, per a l’incontro, abbi tu quella fermezza nelle cose inferiori che lei può avere nelle superiori.
—
Anzi,
in voi vegna
soggionse
voglio che in certo modo
ad essere una certa concordia
giera sorte, ma
pensi,
Giove,
di grandissima
che con esser bandita
d'una
importanza;
dal cielo vegni
non
leg-
a fin che
non
più relegata
ne l'inferno, che, per il contrario, con esser tolta da l' inferno, vegni collocata in cielo: di maniera che la, condizion
de la Ricchezza,
la quale
ho detta,
vegna
incomparabil-
mente meglior che la tua. Però voglio, che tanto si manche
che l'una discacce l’altra dal loco del suo maggior domino,
che più tosto l'una si mantegna e fomente per l’altra, di maniera che tra voi sia strettissima amicizia e familiaritade. Saulino. Fatemi presto intendere come sia questo. Sofia. Disse Giove, soggiongendo a quel ch’avea detto: {B.
105-6)
(W.
II,
173)
(L. 474-5)
676
(G.1
II, 98-09)
(G.2
II,
106-7).
DIALOGO
SECONDO
— Tu, Povertà, quando sarai di cose inferiori, potrai esser gionta, alligata e stretta alla Ricchezza di cose superiori, quanto mai la tua contraria Ricchezza di cose inferiori esser possa; perché con questa nessuno, che è savio e vuole
sapere, stimarà giamai posser aggiongersi a cose grandi, atteso che alla filosofia donano impedimento le ricchezze, e la Povertade porge camino sicuro ed ispedito: essendo che non può essere la contemplazione, ove è circonstante la turba di
di molti
debitori
e
servi,
dove
creditori,
è importuna
computi
di
Ia moltitudine
mercanti,
villici, la pastura di tante pancie mal avezze, tanti
ladroni,
occhii
de
avidi
tiranni
raggioni
di
l’ insidie di
ed exazioni
de infidi
ministri: di maniera che nessuno può gustar che cosa sia tranquillità di spirito, se non è povero o simile al povero. Appresso voglio che sia grande colui che ne la povertà è ricco,
perché
si contenta;
e sia vile e servo colui che ne le
ricchezze è povero, perché non è sazio. Tu sarai sicura e tranquilla;
lei turbida,
sollecita,
suspetta
ed
inquieta;
tu
sarai più grande e magnifica, dispreggiandola, che esser mai possa lei, riputandosi e stimandosi; a te, per isbramarti, voglio che baste la sola opinione; ma per far lei satolla, non voglio che sia sufficiente tutta la possessione de le cose. Voglio che tu sii più grande con togliere dalle cupiditadi, che non possa esser quella con aggiongere alle possessioni. A te voglio che siano aperti gli amici, a quella occolti gli nemici. Tu con la legge della natura voglio che sie ricca, quella con tutti studii ed industrie civili poverissima; perché non colui che ha poco, ma quello che molto desidera, è veramente povero 1. A te (se strengerai il sacco 1 Il Post. mirazione. (B.
106-7)
(W.
napol. II,
sottolinea
173-4)
questa
(L. 475)
677
(G.!
sentenza
con
II, 099-100)
evidente
am-
(G.* II, 107-8).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
della cupidità) il necessario sarà assai, e poco sarà bastante;
ed a lei niente baste, benché ogni cosa con le spalancate braccia apprenda. Tu, chiudendo il desiderio tuo, potrai contendere de la felicità con Giove; quella, amplificando le fimbrie de la concupiscenza, più e più si sommerga al baratro de le miserie. — Conchiuso ch’ebbe Giove l'espedizione di costei, contentissima chiese licenza di far il suo camino; e la Ricchezza fece segno di volersi un'altra volta accostar, per sollicitar il conseglio con qualche nuova proposta; ma non gli fu lecito di giongere più paroli. — Via, via! li disse Momo. Non odi quanti ti chiamano, ti cridano, ti priegano, ti sacrificano, ti piangono, e con si gran
voti e stridi, che ormai
hanno
tutti noi altri
assorditi, ti appellano ? E tu ti vai tanto trattenendo e strafuggendo per queste parti ? Va via presto, a la mal’ora, se non ti piace andar a la buona. — Non t' impacciar di questo,
o Momo,
li disse il padre
Giove;
lascia che si parta
e vada, quando gli pare e piace. — Ella mi par in vero, disse Momo, cosa degna di compassione ed una specie d' ingiustizia a riguardo de chi non vi provede, e puote, che questa meno vada a chi più la chiama e richiama, ed a chi più la merita, meno s’accosta ! —
Voglio, disse Giove,
quel che vuole il fato. Saulino. Sofia.
Fanne
—
Io
altrimente,
voglio,
ch’al
dovea
dire
Momo.
rispetto
de
le cose
là basso
questa sia sorda: e che giamai, per esser chiamata, risponda o vegna;
ma,
guidata più da la sorte e la fortuna,
la cieca ed a tastoni
rancontrarsegli 1 BIVL:
(B.
tra
la
s'accosta:
G!:
2 BL:
averrsà;
107-8)
(W.
WG!:
II, 174-5)
ad comunicarsi
moltitudine.
vada
a
a colui, che verrà a
—
Quindi
averrà ?,
s’accoste.
avverrà.
(L. 475-6)
678
(G.
II, 100-1)
(G.? II, 108-0).
DIALOGO
SECONDO
disse Saturno, che si comunicarà più presto ad uno de gran poltroni e forfanti, il numero de quali è come l'arena che ad alcuno che sia mediocremente uomo da bene: e
più tosto ad uno
di questi mediocri
che sono
assai, che
ad uno de piu principali che son pochissimi; e forse mai, anzi certamente mai a colui che è più meritevole che gli altri,
ed unico
individuo.
Saulino.
Che
Sofia.
Cossi bisogna che sia; è donata dal fato questa
—
disse
Giove
a questo?
condizione a la Povertà, che la sia chiamata con desiderio da
rarissimi e pochissimi, ma che ella si comuniche e si presente a gli assaissimi e moltitudine più grande; la Ricchezza, per il contrario,
chiamata,
desiderata,
invocata, adorata ed
aspettata da quasi tutti, vada a far copia di sé a rarissimi, e quei che manco la coltivano ed aspettano. Questa sia sorda a fatto, che da quantunque grande strepito e fragore
non si smuova! e sia dura e salda che a pena tirata da rampini ed argani ? si approssime a chi la procaccia; e quella auritissima 3, prestissima, prontissima, sibilo,
cenno,
da
quantunque4
che ad ogni minimo
lontana
parte
chiamata,
subito sia presente: oltre che per l’ordinario la si trova a la casa ed a te spalli de chi non solo non la chiama, ma ed oltre con ogni diligenza da lei s’asconde. — Mentre la Ricchezza e Ia Povertà cedevano al luogo: —
Olà,
disse Momo,
dua contrarii,
T BL: * BL:
3 Lat.
4 BWL:
5 BIVL:
(B.
108-9)
che ombra
è quella familiare5 a que’
e che è con la Ricchezza
smuova; argini. auritus,
IWGI: a,
ttin:
quantunque;
e che è con la Po-
smova. orecchiuto,
GI:
attento.
qualunque.
familiare; G!: familliare. (W.
II,
175)
(L. 476-7)
679
(G.!
IT,
101-2)
(G.?
II,
109).
SPACCIO
DE
vertà? Io soglio verse; che
ma
io
de
abbia
Apollo:
—
LA
vedere
BESTIA
d'un
diversi
corpi
notato,
eccetto
Dove
non
è
TRIONFANTE
medesimo
medesima
corpo
ombra,
ch’adesso.
lume,
tutto
— è
ombre non
A
di-
giamai,
cui
rispose
un'ombra;
ancor
che sieno diverse ombre, se son senza lume, si confondeno
e sono una: come quando son molti lumi senza che qualche densità di corpo opaco se gli oppona'! o interpona, tutti concorreno a far un splendore. — Qua non mi par che debbia esser cossî *: disse Momo; perché, dove è la Ricchezza,
ed è a fatto esclusa la Povertà, e dove è la Povertà, suppositalmente
distinta
concorrenti
in
un
essere un'ombra bene,
o Momo,
bra.
—
gionta
Non a
è una
la
Ricchezza,
soggetto
doì
e vedrai
è ombra,
numi,
rispose
come
adesso considero; è 3 le tenebre
una
si
che
è ella figlia e compagna
doi
vede
lumi
quella
—
Guardala
che non
è un’om-
Momo,
ma
medesima
che
è
ombra
a
la mi par la Avarizia, sono
è le tenebre che sono de la Povertà.
curio:
come
che è con l'una e con l’altra.
dissi che
ombra:
non
illuminabile,
disse Mercurio,
quelli
doi corpi. Oh
da
della Ricchezza, —
che ed
Cossf è, disse Mer-
della Povertà,
nemicissima
de la sua madre, e che quanto può la fugge; inamorata ed invaghita de la Ricchezza, alla quale, quantunque sia giunta, sempre sente il rigor de la madre che la tormenta: e benché li sia appresso, li è lungi, e benché li sia lungi, li è appresso,
perché, se si gli discosta, secondo la verità gli è intrinseca, e gionta secondo l’esistimazione. E non vedi che essendo gionta
non
e compagna
sia Ricchezza, 1 B: opona. 2 (Li: cossi; 3 BL: e. 4 V. sopra,
(B.
de la Ricchezza,
1009-11)
(W.
e lunghi4
G!1G%: p.
583,
II,
fa che
essendo
la
da la
Ricchezza
Povertà,
fa
cost) n. 4; ed innanzi, p. 698.
175-6)
(L. 477)
680
Ma,
(G.I IT, 102)
come
(G.2 II,
spesso
nei
1090-10).
DIALOGO
SECONDO
che la Povertà non sia Povertà? Queste tenebre, questa oscurità, questa ombra è quella che fa la Povertà esser mala e la Ricchezza non esser bene; malignar
l’una
de
le due,
o ambe
e non si trova senza due
insieme;
rarissime
volte né l'una né l’altra: e questo è quando sono da ogni lato circondate dalla luce della raggione ed intelletto. — Qua
dimandò
come
quella
A
cui
Momo
faceva
rispose,
l’avarizia
a Mercurio,
non
che
la Ricchezza
che
il ricco
è dove
sono
li facesse
non
avaro
è
intendere
essere
ricchezze 1.
poverissimo;
ricchezze,
se non
perché
vi è anco
la
Povertà; la quale non men veramente se vi trova per virti de l'affetto, che ritrovar si possa per virti d'effetto; di sorte che questa ombra, al suo marcio dispetto, mai si può discostare da la madre più che da se stessa. Mentre
questo
buonissima con
avere
vista messo
dicevano,
(benché più
Momo,
non
il quale
sempre
d'attenzione:
non
vegga
—
O
è senza
a la prima),
Mercurio,
disse,
quello ch’ io ti dicevo essere come un'ombra, adesso scorgo che son tante bestie insieme insieme; perché la veggio canina, vina,
porcina, falconina *,
arietina,
scimica,
leonina,
asinina,
orsina, e
aquilina,
cor-
nine
nine
quante
e
bestie giamai fùro; e tante bestie è pur un corpo. La mi par certo il pantamorfo de gli animali bruti 3. — Dite meglio,
rispose
Mercurio,
la pare una, ed è una; libri di B., questa è poi prevalsa. 1 B:
vicchezze;
forma
causa, (B.
Nella
mia
prima
p.
220:
«tesorieri
111)
(W.
II,
è
una
ricchezza.
ediz.,
del
176) (L.
bestia
non è uniforme,
si alterna con
WLGI:
zione non è necessaria. 2 B: falconia. 3
ma
che
quella
Ma,
a
erroneamente:
Pantamorfo ».
477-8)
(G.
681
II,
moltiforme;
come
ch'è
la corretta
pensarci ‘ brutti’.
102-3)
è proprio
(G.2
su, —
II,
la
ed
corre-
Il De
100-1).
la
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
de vizii de aver molte forme, percioché sono informi e non hanno propria faccia, al contrario de le virtudi. Qualmente vedi essere la sua nemica liberalitade, la quale è semplice
ed una; la giustizia è una e semplice; come ancora vedi la sanità essere una, e gli morbi innumerabili. — Mentre Mercurio diceva questo, Momo gl’ interruppe il raggionamento, e gli disse: — Io veggio, che la ha tre teste in sua mal’ora;
bata,
pensavo,
quando
o Mercurio,
di questa
bestia
uno
ed uno ed un altro capo;
chio
per tutto,
e visto
che
che
sopra
ma,
non
la vista
un
mi
fusse
busto
tur-
scorgevo
poi che ho voltato l’oc-
è altro
che
mi
paia simil-
mente, conchiudo che non è altrimente che come io veggio.
— Tu vedi molto bene, rispose Mercurio. Di quelle tre teste l'una è la illiberalità, l'altra è il brutto guadagno, l’altra è
la
tenacità.
—
Dimandò
Momo,
se
quelle
parlavano;
e Mercurio rispose che sî, e che la prima dice: esser
più
liberale
ricco e
che
grato;
esser
la seconda:
Meglio
stimato Non
ti
più morir
di fame per esser gentiluomo; la dice: Se non mi è onore, mi è utile.
pur non hanno più che due braccia? disse Momo. stano
le due
mani,
rispose
Mercurio,
de le quali
è aperta aperta, larga larga, per prendere;
terza — E
— Ba-
la destra
l’altra è chiusa
chiusa, stretta stretta, per tenere, e porgere come per distillazione e per lambicco, senza raggione di tempo e loco, come ancor senza raggione di misura. — Accostatevi alquanto
più a me,
tu,
Ricchezza
e Povertà,
disse Momo,
a
fin che io possa meglior! vedere la grazia di questa vostra bella pedissequa. — Il che essendo fatto, disse Momo: 1 Come avverbio, è di uso nel Quattrocento. (B.
111-3)
(W.
II,
176-7)
(L.
479) (G.! II,
682
V. appresso, p. 717.
103-4)
(G.2
IL,
111-2).
DIALOGO
—
È
un
volto,
è femina,
faccia
son
più volti;
è femina;
sia più che
SECONDO
è una
testa,
ha la testa molto
mediocre;
son
picciola,
è vecchia,
pit teste; benché
è vile,
la
è sordida,
ha ’1 viso rimesso, è di color nero; la veggio rugosa, ed ha capelli retti ed adri, occhi attentivi !, bocca aperta ed ane-
lante, e naso ed artigli adunchi; (maraviglia) essendo un animal pusillo, ha il ventre tanto capace e voraginoso, imbecille,
mercenario ? e servile,
ch' il volto
drizzato
a le
stelle incurva. Zappa, s' infossa; e per trovar. qualche cosa, s' immerge al profondo de la terra, e dando le spalli a la luce, a gli antri tende ed a le grotte, dove giamai giunse differenza del giorno e de la notte;
ingrata,
a la cui
per-
versa speranza giamai fia molto, assai o bastante quel che si dona, e che quanto più cape tanto si fa più cupa: come la fiamma che più vorace si fa quanto è più grande. Manda, manda,
scaccia,
scaccia
presto,
o
Giove,
da
questi
teni-
menti la Povertà e la Ricchezza insieme, e non permettere
che s’accostino alle stanze de dei, se non vegnono senza questa vile ed abominevol fiera! — Rispose Giove: — Le vi verranno3 addosso ed appresso, come voi vi disporrete a riceverle. Per il presente se ne vadano con la già fatta risoluzione, e venemo noi presto al fatto nostro di determinare Ed
il nume ecco,
possessor
mentre
di questo
il padre
degli
campo. dei
si
volta
in
circa,
da per se medesima impudentemente e con una non insolita arroganza si fece innante la Fortuna, e disse: — Non ! Cfr.
Ovibio,
Metamm.,
crinis, cava lumina. 2 BL: mercenaria.
3 B: vi verranno;
rendeva (B.
oscuro
113-4)
(W.
VIII,
801
(per
la
fame):
hirtus
erat
WLG!: viverranno. Svista sinora sfuggita, che
un
luogo
II,
177)
chiarissimo.
(L.
478-9)
(G.
II,
104-5)
(G2
II,
112).
SPACCIO
è bene,
o Dei
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
consulari 1, e tu, o gran
sentenziator
che, dove parlano e possono essere tanto e
Ricchezza,
viltade,
io
e non
To, che son
sia
veduta
mostrarmi,
tanto
come
e con
udite la Povertà
pusillanime
ogni
Giove,
tacere
raggione
degna e tanto potente, che
per
risentirmi.
metto
avanti
la Ricchezza, la guido e spingo dove mi pare e piace, d'onde voglio
la scaccio
successione
e
e dove
voglio
vicissitudine
la conduco,
de
quella
con
con la
oprar
la
Povertade;
ed ognun sa che la felicitade di beni esterni non si può riferir più alla Ricchezza, come a suo principio, che a me; sicome la beltà della musica ed eccellenza de l'armonia da qualcuno ? non si deve più principalmente referire alla lira ed instrumento,
che
neggia. Io son quella derata,
tanto3
a l’arte ed a l'artefice che le ma-
dea divina ed eccellente, tanto desi-
cercata,
tanto
tenuta
cara,
per
cui
per
il
più de le 4 volte è ringraziato Giove, dalla cui mano aperta procede la ricchezza, e dalle cui palme chiuse tutto il mondo
plora,
e si metteno
ri.
Chi
le,
chiama
chi le
tuna
mai
offre
ringrazia
me,
sozzopra voti
mai?
le
citadi 5, regni
alla
Ricchezza
Ognuno
che
vuole
me,
sacrifica
a
invoca
o
ed impe-
alla
Povertà?
me$;
chiunque
e brama
quel-
1 Al principio di questo discorso: « Posizion e difesa de la Forcontra gli dei: la più degna cosa da leggere che sia in tutto
il libro»
(Post.
napol.).
= IV: Za qual. Perché W.
piglia per parola intera l’abbreviatura
che si legge negli ‘ Errori più fastidiosi” posti dal B. in fine del dial.
3 BL: tanto; WG!: come. 4 B: de de; LG! de: ma senza dubbio ha ragione W. a proporre
la correzione:
de le.
5 WLG!: cittadi; ma B., come ancora si ode a Napoli e nei dintorni, aveva scritto: cifadi; sebbene altrove, come a pp. 661, 667 ecc.
con
la doppia.
6 Cfr. PLINIO, Epist., II, 2: « Toto mundo, locis omnibus busque horis, omnium vocibus, Fortuna sola invocatur, una
(B.
114)
(W.
IT,
177-8)
(L.
479)
6084
(G.!
II,
105)
(G.2
II,
omninomi-
1r12-3).
DIALOGO
SECONDO
viene ! contento per quelle, ringracia= me, rende mercé alla Fortuna, per la Fortuna pone al foco gli aromati, per la Fortuna fumano gli altari. E che sono una causa, la quale quanto son più incerta tanto sono più veneranda e formidanda, e tanto son desiderabile ed appetibile quanto mi faccio meno compagna e familiare; perché ordinariamente nelle cose meno aperte, più occolte e maggiormente secrete si trova più dignità e maestade. Io che col mio splendore infosco la virtude, denigro la veritade, domo e dispreggio la maggior e meglior parte di queste dee e dei che veggio apparecchiati e messi come in ordine per prendersi piazza in cielo; ed io che
ancor
qua,
in
presenza
di
tale
e tanto
senato,
sola
metto terrore a tutti; perché (benché non ho la vista che mi serva) ho pur orecchie, per Ie quali comprendo, ad una gran parte de loro, battere e percuotersi gli denti per il timore che concepeno dalla mia formidabile presenza; quantunque con tutto ciò non perdano l’ardire e presunzione non
di
mettersi
è stato
avanti,
disposto
a farsi
della mia
nominare,
dignitade;
dove
che
ho
prima sovente,
e più che sovente, imperio sopra la Raggione, Veritade, Sofia, Giustizia ed altri numi; li quali, se non vogliono mentire di quello che è a tutto l'universo evidentissimo, potranno dire se possono apportar computo del numero de le volte che le ho buttate gi bunali
loro,
ed
a mia
chiuse ed incarcerate. volte
hanno
potuto
posta
da le catedre,
le ho
reprimute,
(B.
114-5)
(W.
II,
legate,
rin-
Ed anco per mia mercé poi ed altre uscire,
liberarsi,
ristabilirse
natur, una cogitatur, sola laudatur, sola arguitur colitur» (SPAMPANATO, Lo spaccio, p. 88). 1 Viene, di uso ® B: ringracia;
sedie e tri-
e ricon-
et cum
conviciis
classico, per diviene. WLG!: ringrazia.
178)
(L. 479-80)
685
(G.1
II,
105-6)
(G.2
II,
113-4).
SPACCIO
firmarse,
mai
DE
senza
LA
BESTIA
timore
delle
TRIONFANTE
mie
disgrazie.
—
Momo
disse: — Comunemente, o cieca madonna, tutti gli altri dei aspettano la retribuzion di queste sedie per l’opre buone ch’ han fatte, facciono e posson fare: e per tali il senato s' è proposto di premiar quelli; e tu, mentre fai la
causa tua, ne ameni la lista e processo di que’ tuoi delitti per gli quali non solo dereste esser bandita dal cielo, ma e da
la terra
era men
male;
ancora.
buona
perché,
—
Rispose
che altri boni;
quanto
la Fortuna,
lei non
e che la fusse tale, non
il fato dispone,
la natura sua fusse tale, come
che
tutto è bene;
de la vipera,
era
e se
che è natural-
mente velenosa, in questo non sarrebe sua colpa, ma o de la natura, o d'altro, che l’ ha talmente instituita. Oltre
che nessuna cosa è absolutamente mala +; perché la vipera non è mortale e tossicosa a la vipera; né il drago, il leone, l'orso a l'orso, al leone, al drago; ma ogni cosa è mala a rispetto
di qualch’altro;
come
voi,
dei virtuosi,
siete mali
ad riguardo de viziosi, quei del giorno e de la luce son mali a quei de la notte ed oscuritade: e voi tra voi siete buoni, e lor tra loro son mondo
nemiche,
buoni; dove
come gli
aviene anco
contrarii
tra
essi
ne le sette del se
chiamano
figli de dei e giusti; e non meno questi di quelli, che quelli di questi, li più principali e più onorati chiamano peggiori e più riprovati. Io, dunque, Fortuna, quantunque a rispetto d’alcuni sia reproba, a rispetto d'altri son divinamente buona; ed è sentenza passata della maggior parte del
onde
mondo,
non
che
la fortuna
è stella minima
de
gli
omini
né grande,
pende
dal
che appaia
cielo;
nel fir-
1 Cfr. più innanzi p. 796; E». fur., p. 1002: il De minimo, IV, 1, in Ofera, I, 1, 272. Vedi anche Tocco, Le opp. ined. di G. Bruno,
P. 53, n. 1. (B.
115-7)
(W.
II,
178-9)
(L.
480)
686
(G.
II,
106-7)
(G.2
II,
114-5).
DIALOGO
SECONDO
mamento, da cui non si dica ch'io dispenso. — Qua rispose Mercurio, dicendo che troppo equivocamente era preso il suo nome: perché tal volta per la T'ortuna non è altro che uno incerto evento de le cose; la quale incertezza a l'occhio
de la providenza è nulla, benché de mortali.
—
sia massima *! a l'occhio
La Fortuna non udiva questo, ma seguitava,
ed a quel ch’avea detto, aggiunse che gli più egregii ed eccellenti filosofi del mondo, quali son stati Empedocle ed Epicuro 2, attribuiscono
più a lei che a Giove
istesso,
anzi
che a tutto il concilio de dei insieme. — Cossf tutti gli altri, diceva,
e me
intendeno
Dea,
e me
intendeno
celeste
Dea,
come credo che non vi sia novo a l’orecchie questo verso, il quale non è putto abecedario 3 che non sappia recitare: Te
E
facimus,
voglio
Fortuna,
ch’intendiate,
alcuni son detta pazza, essi si pazzi,
si stolti,
portar raggione
deam,
o
cacloque
Dei,
stolta,
con
quanta
inconsiderata,
verità
da
mentre
son
sanno
ap-
ed onde trovo di que’
che
sf inconsiderati
de l’esser mio;
locamus 4.
che
non
son stimati più dotti che gli altri, quali in effetto dimostrano e conchiudeno il contrario, per quanto son costretti dal vero; talmente mi dicono irrazionale e senza discorso, che non per questo m’ intendeno brutale e sciocca, atteso che con tal negazione non vogliono detraermi, ma attribuirmi di vantaggio; come ed io tal volta voglio negar cose
piccole per concedere le maggiori. Non son, dunque, da essi compresa come chi sia ed opre sotto la raggione e 1 BW: massime; LG!: massima. ® Per Empedocle v. DieLs, Vorsokratiker2,
3 Cosi Gervasio 4 GIOVENALE,
(B.
117-8)
(W.
II,
fu chiamato
Saf.,
179)
X,
(L.
366;
da Polinnio: cfr.
480-1)
687
anche
(G.!
II,
s.
fr.
De
103.
la causa,
XIV,
107-8)
316.
(G.3
II,
p. 241. 115-6).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
con la raggione; ma sopra ogni raggione, sopra ogni discorso
ed ogni
ingegno.
confessano,
massime
Lascio
ch'io
che pur in effetto s’accorgeno
ottegno
sopra gli razionali,
ed
esercito
il governo
e
e regno
intelligenti e divini:
e non è
savio che dica me effettuar col mio braccio sopra cose prive
di raggione ed intelletto, quai sono le pietre, le bestie 1, gli fanciulli, gli forsennati ed altri che non hanno appren-
sione di causa finale e non possono oprare per il fine. — Te
dirò, disse Minerva, o Fortuna, per qual caggione ti dicono senza
discorso
e raggione.
A
chi
manca
qualche
senso,
manca qualche scienza, e massime quella che è secondo quel senso. Considera di te, tu ora essendo priva * del lume de gli occhi, li quali son la massima causa della scienza. — Rispose la Fortuna, che Minerva o s’ingannava lei, o voleva ingannar la Fortuna; la vedea
non
cieca:
—
Ma,
e si confidava
quantunque
di farlo, perché
io sia priva
d'occhio,
son però priva d’'orecchio ed intelletto, — gli disse. Saulino. E credi che sia vero questo, o Sofia?
Sofia.
Ascolta,
e vedrai
come
sa distinguere,
e come
non gli sono occolte 3 le filosofie e, tra l'altre cose, la
tafisica
d'Aristotele.
—
Io,
diceva,
so
che
Me -
si trova
chi dica4 la vista essere massimamente desiderata per il sapere; ma giamai conobbi si stolto che dica la vista fare massimamente conoscere. E quando alcuno disse, quella essere massimamente desiderata, non voleva per tanto, che quella fusse massimamente necessaria, se non per la cognizione di certe cose: quai sono colori, figure, simmetrie 1
W:
le pietre,
li fanciulli.
2 In G! per errore:
3 BL: accolte. 4 ARISTOTELE, (B.
118-9)
(W.
privo.
Metaph.,
II, 179-80)
I, 1, a principio. (L. 481-2)
688
(G.! II,
108-9)
(G.2 II,
116-7).
DIALOGO
SECONDO
corporali, bellezze, vaghezze ed altre visibili che più tosto sogliono
perturbar
la fantasia
ed
alienar
l'intelletto;
ma
non che fusse necessaria assolutamente per le tutte o megliori specie di cognizione, perché sapea molto bene che molti, per dovenir sapienti, s' hanno
cavati gli occhi; e di
quei che o per sorte o per natura son stati ciechi, molti son
visti più mirabili, come ti potrei mostrar assai Democriti, molti Tiresii, molti Omeri e molti come il Cieco d’Adria !, Appresso credo che sai distinguere, se sei Minerva, che, quando un certo filosofo Stagirita disse che la vista è massimamente desiderata per il sapere, non comparava la vista con altre specie di mezzi per conoscere, come con l’udito, con la cogitazione, con l’ intelletto; ma facea comparazione tra questo fine de la vista, che è il sapere, e altro fine, che
la medesima si possa proponere. Però, se non ti rincresce d’andar sin ai campi Elisii a raggionar con lui (se pur non ha indi
fatta
di Lete),
partenza
vedrai
deramo
la
per
altra vita,
che lui farà questa
vista
e bevuto
chiosa:
massime
de
Noi
per
l’onde desi-
questo
fine di sapere; e non quell'altra: Noi desideramo tra gli altri sensi massime la vista per sapere. Saulino. È maraviglia, o Sofia, che la Fortuna sappia discorrere meglio, e meglio intender gli testi che Minerva, la quale Sofia. mente
è soprastante Non
a queste
ti maravigliare;
considerarai,
e quando
intelligenze. perché,
quando
profonda-
pratticarai e conversarai ben
bene, trovarai che li graduati dei de le scienze e de l’elo! Luigi Groto (1541-85), uno dei pochi cinquecentisti p. 10, n. 2 (ma 1)). (B.
119-20)
(W.
II,
180)
detto il Cieco d'Adria, oratore e pocta nominati dal B. (SPAMPANATO, Cand.?, (L.
482)
689
(G.!
IT,
1009)
(G.?
II,
117).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
quenze e de gli giudizii non sono pi giudiziosi, più savi e più eloquenti de gli altri. Or, per seguitare il proposito della causa
sua,
che
lando
a tutti:
faceva —
la Fortuna
Niente,
nel
senato,
disse,
par-
niente, o dei, mi toglie la cecità,
niente che vaglia, niente che faccia alla perfezione de l’esser mio;
per ciò che,
e tanto
manca
s’ io non
che
per
fusse cieca,
questa
cecità
non
sarei
possiate
Fortuna,
disminuire
o attenuar la gloria di miei meriti, che da questa medesima
prendo argumento
della grandezza ed eccellenza di quelli:
atteso che da quella verrò a convencere
ch’ io sono meno
astratta da gli atti della considerazione, e non posso esser ingiusta nelle distribuzioni. — Disse Mercurio a Minerva: — Non arrai fatto poco, quando arrai dimostrato questo. — E soggionse la Fortuna: — Alla mia giustizia conviene essere
tale;
alla vera
giustizia non
conviene,
anzi ripugna ed oltraggia l’opra de son fatti per distinguere e conoscere glio per ora mostrar quanto sovente gannati quei che giudicano); io sono
non
quadra,
gli occhi. Gli occhi le differenze (non voper la vista sono inuna giustizia che non
ho da distinguere, non ho da far differenze; ma come tutti sono principalmente, realmente e finalmente uno ente, una cosa medesima
simo),
cossf ho
tutti parimente,
(perché lo ente, uno
da ponere aver
ogni
e vero son mede-
tutti in certa equalità, cosa per uno,
pronta a riguardare, a chiamar
e non
stimar
esser più
uno che un altro, e non più
disposta a donar ad uno che ad un altro, ed essere più inclinata al prossimo che al lontano. Non veggio mitre, toghe,
corone,
arti, ingegni;
non
scorgo
meriti
e demeriti;
perché, se pur quelli si trovano, non son cosa da natura altra ed altra in questo ed in quello, ma certissimamente per
circostanze
(B. 120-1)
ed
occasione,
(W. II, 180-1)
o
accidente
(L. 482-3) (G.! II, 1009-10)
690
che
s'offre,
si
(G.? II, 117-8).
DIALOGO
SECONDO
rancontra e scorre in questo o in quello; e però, quando dono,
non vedo
a chi dono;
quando
toglio, non vedo
a chi
toglio: acciò che in questo modo io vegna a trattar tutti equalmente e senza differenza alcuna. E con questo certamente io vegno ad intendere e fare tutte le cose equali e giuste, e giusta- ed equalmente dispenso a tutti. Tutti metto dentro d’un’urna, e nel ventre capacissimo di quella tutti confondo, inbroglio ed exagito; e poi, zara a chi tocca; e chi l’ ha buona, ben per lui, e chi l’ ha mala, mal
per lui! In questo modo, dentro l'urna de la Fortuna non è differente il più grande dal più picciolo; anzi là tutti sono equalmente grandi ed equalmente piccioli, perché in essi s’ intende differenza da altri che da me: cioè prima che entrino ne l’urna, e dopo che esceno da l'urna. Mentre son dentro, tutti vegnono dalla medesima mano, nel medesimo
vase,
con
poi si prendeno chi
tocca
mala
medesima
scossa
le sorti, non riuscita,
isvoltati.
Però,
è raggionevole
si lamente
o di chi
quando
che colui, a tiene
o de l’urna, o de la scossa, o di chi mette la mano
l'urna,
a l’urna;
ma deve, con la meglior e maggior pazienza ch’ ei puote, comportar quel ch' ha disposto e come ha disposto, o è disposto il Tato: atteso che, quanto al rimanente, lui è stato equalmente scritto, la sua schedula era uguale a quella de
tutti -gli
altri, è
stato
parimente
annumerato,
messo
dentro, scrollato. Io dunque, che tratto tutto il mondo equalmente, e tutto ho per una massa, di cui nessuna parte stimo pit degna ed indegna de l’altra, per esser vase d'’opprobrio; io che getto tutti nella medesima urna della mutazione
e moto,
sono
equale
a tutti,
tutti
equalmente
remiro, o non remiro alcuno particulare più che l’altro, vegno ad esser giustissima ancor ch'a tutti voi il contrario (B.
121-2)
(W.
IT,
181-2)
(L. 483)
69I 48
—
G. Bruno,
Dialoghi
italiani
(G.!
II,
rro-1)
(G.* II,
118-9).
SPACCIO
appaia.
DE
LA
DESTIA
Or che a la mano,
TRIONFANTE
che s’ intrude
a l’urna, prende
e cava le sorti, per chi tocca il male, e per chi tocca il bene,
occorra gran numero d'indegni e raro occorrano meritevoli: questo procede dalla inequalità, iniquità ed ingiustizia di voi altri, che non fate tutti equali, e che avete gli occhi
delle comparazioni,
distinzioni,
imparitadi
ed ordini,
con gli quali apprendete e fate differenze. Da voi, da voi, dico, proviene ogni inequalità, ogni iniquitade; perché la dea Bontade non equalmente si dona a tutti; la Sapienza non
si communica
a tutti
con
medesima
misura;
la Tem-
peranza si trova in pochi; a rarissimi si mostra la Veritade. Cossi
voi
facendo
qualitadi
altri numi le
buoni
distantissime
siete
scarsi,
differenze,
e le confusissime
siete
parzialissimi,
le smisuratissime
sproporzioni
nelle
cose
ine-
parti-
colari. Non sono, non son io iniqua, che senza differenza guardo tutti, ed a cui tutti sono come d'un colore, come
d’un merito, come d'una sorte. Per voi aviene, che, quando
la mia mano
cava le sorti, occorrano più frequentemente,
non solo al male, ma ancora al bene, non solo a gl’ infortunii,
ma ancora a le fortune, più per l’ordinario gli scelerati che gli buoni, più gl'insipidi che gli sapienti, più gli falsi che gli veraci. Perché questo? perché? Viene la Prudenza e getta ne l’'urna non più che doi o tre nomi; viene la Sofia e non ve ne mette più che quattro o cinque; viene la Verità
e non ve ne lascia più che uno, e meno, se meno si potesse: e poi di cento millenarii che son versati ne l’urna, volete che alla sortilega mano più presto occorra uno di questi otto o nove, che di otto o novecento mila. Or fate voi il contrario ! Fa’,
dico,
tu,
Virti,
che
che gli viziosi; fa' tu, Sapienza,
più grande (B.
122-3)
che quello (W.
1I,
182)
che il numero
de stolti; (L.
483-4)
gli virtuosi
(G.I
6092
fa’ tu, Verità, II,
111-2)
(G.z
sieno
più
de savii sia
che vegni IT,
119-20).
DIALOGO
SECONDO
aperta e manifesta a la più gran parte: e certo certo a gli ordinari premii e casi incontraranno più de le vostre genti che de gli loro oppositi. Fate che sieno- tutti giusti, veraci, savii e buoni; e certo certo non sarà mai grado o dignità ch'io dispense, che possa toccare a buggiardi, a iniqui, a pazzi. Non son, dunque, pi ingiusta io che tratto e muovo
tutti
equalmente,
che
voi
altri che
non
fate
tutti
equali. Tal che, quando aviene che un poltrone o forfante monta
ad esser principe o ricco, non è per mia colpa, ma
per iniquità di voi altri che, per esser scarsi del lume e splendor vostro, non lo sforfantaste o spoltronaste prima, o non lo spoltronate e sforfantate al presente, o almeno appresso lo vegnate a purgar della forfantesca poltronaria, a fine che un tale non presieda. Non è errore che sia fatto un prencipe, ma che sia fatto prencipe un forfante. Or essendo
due
cose,
cioè
principato
e
forfantaria,
il vizio
certamente non consiste nel principato che dono io, ma ne la
forfanteria,
l’urna altro; cipe o mano
che
lasciate
esser
voi.
Io
perché
muovo
e caccio le sorti, non riguardo più a lui che ad un è però non l'ho determinato prima ad esser prinricco (benché bisogna che determinatamente alla uno occorra tra tutti gli altr); ma voi, che fate le
distinzioni,
con
gli
occhi
mirando
e
communicandovi
a
chi più ed a chi meno, a chi troppo ed a chi niente, siete venuti
a lasciar
costui
determinatamente
forfante
e pol-
trone. Se dunque, la iniquità consiste non in fare un prencipe, e non in arricchirlo, ma in determinare un suggetto di forfantariae poltronaria , non voi. Ecco dunque, come
verrò io ad essere iniqua, ma
il Fato m’
ha fatto equissima,
e non
mi può aver fatta iniqua, perché mi fa essere senz'occhi, a fin che per questo vegna a posser equalmente graduar tutti. — (B.
123-5)
(W.
II,
182-3)
(L.
484-5)
693
(G.!
II,
112-3)
(G.2
II,
120).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
Qua soggionse Momo dicendo: — Non ti diciam iniqua per gli occhi, ma per la mano. — A cui quella rispose: — Né meno per la mano, o Momo; perché non son più io causa del male, che le prendo come vegnono, che quelli che non vegnono come le prendo: voglio dire, che non vegnono cossi senza differenza come senza differenza le
piglio. Non son io causa del male, se le prendo come occorreno; ma essi che mi se presentano quali sono, ed altri che non
le fanno
essere
altrimente.
Non
son
cieca indifferentemente stendo la mano senta chiaro o oscuro, ma
e me
l'invia.
venessero
—
Momo
indifferenti,
perversa
io,
che
a quel che si pre-
chi tali le fa, e chi tali le lascia,
suggionse:
uguali
—
Ma,
e simili, non
quando
tutti
mancareste
per
tanto ad essere pur iniqua: perché, essendo tutti equalmente degni di prencipato, tu non verrai a farli tutti prencipe, ma un solo tra quelli. — Rispose sorridendo la Fortuna:
—
Parliamo,
o Momo,
de chi è ingiusto,
e non
par-
liamo de chi sarrebe ingiusto. E certo, con questo tuo modo di proponere o rispondere, tu mi pari assai a sufficienza convitto !, poiché da quel che è in fatto, sei proceduto a quel che sarrebe; e da quel che non puoi dire ch'io sono iniqua, vai a dire ch'io sarrei iniqua. Rimane
giusta,
dunque,
ma
secondo
sarrei
la
ingiusta;
tua
e
concessione,
che
voi
siete
ch'io
son
ingiusti,
ma
sarreste giusti. Anzi, a quel ch'è detto aggiongo, che non solamente non sono, ma né = pure sarrei men giusta allora, quando voi m'offressi3 tutti uguali; perché, quanto ! Vedi sopra ® BL: et. 3 B:
quella (B.
voi
del B.
125-6)
la n.
4, a p.
m'offressi;
IV:
è la dialettale,
(W.
II,
183)
(L.
662.
voi
m'offriste;
LG!:
oltre
che
arcaica.
485)
(G.
II
694
113)
voi
(G.?
m'offresti.
II,
Ma
r20-1).
DIALOGO
SECONDO
a quello che è impossibile, non s'attende giustizia né ingiustizia. Or non è possibile che un principato sia donato a tutti; non
è possibile che
tutti abbiano
una
sorte; ma
è
possibile ch'a tutti sia ugualmente offerta. Da questo possibile séguita il necessario, cioè che de tutti bisogna che riesca
uno;
male;
perché
ed
in
non
questo
non
è possibile
consiste che
l’ ingiustizia
sia più ch’ uno;
ed
ma
il
l’er-
rore consiste in quel che séguita, cioè che quell’uno è vile, che quell'uno è forfante, che quell'uno non è virtuoso; e di questo male non è causa la Fortuna che dona l’esser prencipe ed esser facultoso; ma la dea Virtù che non gli dona, né gli donò esser virtuoso. — Molto eccellentemente ha
fatte le sue
raggioni
la Fortuna,
disse
il padre
Giove,
e per ogni modo mi par degna d’aver sedia in cielo; ma ch’abbia una sedia propria, non mi par convenevole, essendo che non n’ ha meno
che sono le stelle; perché la For-
tuna è in tutte quelle non meno che ne la terra, atteso che quelle non manco son mondi che la terra. Oltre, secondo la generale
esistimazion! de
gli
uomini,
da
tutte
si dice
pendere la Fortuna: e certo, se avessero più copia d’ intelletto, direbono qualche cosa di vantaggio. Però (dica Momo quel che gli piace), essendo che le tue raggioni, o Dea, mi paiono pur troppo efficaci, conchiudo che, se non offriranno in contrario de la tua causa altre allegazioni, che vagliano più di queste sin ora apportate, io non voglio ardire di definirti stanza, come già volesse? astrengerti o relegarti a quella; ma ti dono, anzi ti lascio in quella potestà che mostri avere in tutto il cielo: poi che per te stessa ! Non
(B.
estimazion,
come
* BL:
volesse;
WG!:
126-7)
(W. II, 183-4)
per sbaglio in G!.
volessi.
(L. 485-6)
695
(G.I II, 113-4)
(G.2 II, 121-2).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
tu hai tanta autorità, che puoi aprirti que’ luoghi che son chiusi a Giove istesso insieme con tutti gli altri dei. E non
voglio dir più circa quello per il che ti siamo tutti insieme ubligati assai assai. Tu, disserrando tutte le porte, ed aprendoti
tutt’i
camini
e disponendoti
tutte
tutte le cose aliene; e però non manca
degli altri, non
le stanze,
fai tue
che le sedie che son
siano pur tue; per ciò che quanto
è sotto
il fato della mutazione, tutto tutto passa per l’urna, per la rivoluzione e per la mano de l'eccellenza tua.
Terza parte del secondo dialogo. Talmente, Fortuna,
dunque,
che
a suo
Giove
arbitrio
negò la sedia d'Ercole lasciò
e quella
a la
ed altre
tutte
che sono ne l'universo. Dalla qual sentenza, comunque se sia, non dissentirno gli dei tutti; e la orba dea, vedendo
la determinazion fatta citra ogni sua ingiuria, si licenziò dal Senato dicendo: — Io, dunque, me ne vo aperta aperta ed
occolta
occolta
a tutto
l'universo;
discorro
gli alti
e
bassi palaggi, e non meno che la morte so inalzar le cose infime e deprimere le supreme; ed al fine, per forza di vicissitudine,
sione
vegno
e raggion
estra le raggioni volto la ruota, non
vegna
a far tutto uguale,
irrazionale,
che
particolari), scuoto
incusata!
mi
e con
l’urna,
e con incerta succes-
trovo
(cioè sopra ed
indeterminata
misura
a fine che la mia intenzione
da individuo
alcuno.
Su,
Ricchezza,
vieni a la mia destra, e tu, Povertà,
a la mia sinistra:
nate
Ricchezza,
vosco ! Per
(B.
127-8)
il vostro
accusare: (W.
IL
comitato;
arcaismo 184)
(L.
de’
tu,
primi
486-7)
696
(G.!
me-
li ministri
secoli. IT,
114-5)
(G.?
II,
122-3).
DIALOGO
SECONDO
tanto grati, e tu, Povertà, gli tuoi tanto noiosi alla molti-
tudine. Seguiteno, licità
ed
dico, prima il fastidio e la gioia, la fe-
infelicità,
maninconia;
la
la sordidezza, il lusso,
la
la
tristizia,
fatica,
l’allegrezza;
la
letizia,
il
riposo 1;
l’ocio,
l’ornamento.
Appresso
l'austerità,
sobrietà;
la
libidine,
la
l'occupazione;
l'astinenza;
le delicie;
l’ebrietà,
la
sete; la crapula, la fame; l’appetito, la sacietade; la cupidiggia,
il tedio
e saturità;
la pienezza,
la
vacuità;
il dare, il prendere; l’effusione, la parsimonia; il
dispogliare;
guadagno, numero tade;
il
il
la
dispendio;
e misura, debito,
lucro,
l’avarizia,
eccesso
credito,
iattura; e difetto;
Dopoi
l’ investire,
l’ introito, la
oltre
l’exito;
liberalitade, equalitade,
sicurtà,
con
il il
inequali-
suspizione;
zelo,
adulazione; onore, dispreggio; riverenza, scherno *; ossequio, dispetto;
grazia,
consolazione;
passione;
onta;
invidia,
confidenza,
cattività;
compagnia,
agiuto,
destituzione;
congratulazione;
diffidenza;
emulazione,
dominio,
solitudine.
Tu,
disconforto, com-
servitù;
libertà,
Occasione,
camina
avanti, precedi gli miei passi, aprime mille e mille- strade, va
incerta,
incognita,
mio advenimento
occolta,
percioché
sia troppo antiveduto.
non
Dona
voglio
che
il
de sghiaffi3
a tutti vati, profeti, divini, mantici e prognosticatori. A tutti quei che si attraversano per impedirne il corso nostro, donagli su le coste. Togli via davanti gli miei piedi ogni possibile intoppo.
Ispiana e spianta ogni altro cespu-
glio de dissegni che ad un cieco nume possa esser molesto, onde comodamente per te, mia guida, mi fia ‘definito il 1 BL: 2 BL:
risposo. schermo.
3 Scambio
Napolitani.
della
gutturale
media
°
con
la
tenue,
comune
tra
(B. 128-9) (W. IL 184-5) (L. 497) (Gt IL, 115-6) (G: II, 123).
697
i
SPACCIO
montare
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
o il poggiare, il divertir a destra o a sinistra, il
movere, il fermare, il menar ed il ritener de passi. Io in un momento ed insieme insieme vo e vegno, stabilisco e muovo,
assorgo e siedo, mentre a diverse ed infinite cose con diversi mezzi de l'occasione stendo le mani. Discorremo dunque dei,
da
tutto,
ivi con
per
gli eroi;
tutto, qua
in tutto,
con
a tutto:
uomini,
là con
quivi
bestie.
con —
Or essendo finita questa lite e donato spaccio alla Fortuna, voltato Giove d’ Ercole
debba
a gli dei:
succedere
—
Mi par, disse, che in loco
la Fortezza,
perché
da
dove
è
la verità, la legge, il giudicio, non deve esser lunghi * la fortezza; perché constante e forte deve essere quella voluntà
che
administra
legge,
secondo
il giudicio
la verità:
atteso
con
la prudenza,
che
come
la
per
verità
la
e la
legge formano l’ intelletto, la prudenza, il giudicio e giustizia regolano la voluntà; cossi la constanza e fortezza conducono a l’effetto. Onde è detto da un sapiente: Non ti
far
giudice,
non sei potente de l’iniquitade,
se
a
con
la
virtude
e
forza
rompere le machine — Risposero tutti gli dei: — Bene
hai disposto, o Giove, che Ercole sin ora sia stato come tipo
de la fortezza cedi
che
tu, Fortezza,
dovea
contemplarsi
con la lanterna
ne gli astri. Suc-
de la raggione
perché altrimente non sareste fortezza, ma audacia.
E
non
sareste
stimata
fortezza,
perché per pazzia, errore ed alienazion a non temere il male e la morte. Quella ardisci dove si deve temere: atteso che forsennato non teme che, quanto uno
(B.
1 V. sopra,
p. 680, n. 4.
129-30)
II,
(W.
185-6)
(L. 487-8)
698
innante,
stupidità, né
men
furia,
sareste;
di mente -verreste luce farà che non tal cosa il stolto e è più prudente e
(G.! IT, 116-7)
(G.? IT, 123-4).
DIALOGO
SECONDO
saggio, deve più paventare. Quella farà che dove importa l'onore, l’utilità publica, la dignità e perfezione del proprio essere, la cura delle divine leggi e naturali, ivi non ti
smuovi per terrori che minacciano morte; sie presta ed ispedita dove gli altri son torpidi e tardi; facilmente comporti quel ch'altri difficilmente; che altri stimano
pagne: fidenzia;
Audacia,
e quella,
spirto,
Toleranza,
con
la Fame,
Furia,
alla sinistra con
Timore,
Viltade,
Con-
la Povertà
Pusillanimitade,
le tue virtuose figlie, Sedulità, Zelo,
Cautela,
Sufferenza;
la Solitudine,
Insolenzia,
Longanimità,
Animosità,
con il libro del catalogo
deve temere:
come
ti vien
Magnanimità,
governano non
che
Conduci
Industria,
o con
Presunzione,
Deiezione,
Desperazione. crità,
ed assai. Modera’ le tue male com-
e quella che ti viene a destra con le sue ministre,
Temeritade,
di
molto
abbi per poco o nulla ciò
o con
notate
cioè quelle che
non
la Nudità,
delle cose che si
Perseveranza,
ed in cui son
la Sete,
Ia Persecuzione,
Ala-
o con
le cose
ne
ch' il forte
fanno
il Dolore,
la Morte;
e de
Fuga,
peggiore,
la Povertà, l'altre
cose
che, per ne rendere peggiori, denno essere con ogni diligenza fuggite: come l' Ignoranza crassa, l' Ingiustizia, l’ Infidelità, la Buggia, temperandoti,
l’Avarizia e cose simili. Cossî con-
non declinando
a destra ed a sinistra, e non
allontanandoti da tue figlie, leggendo ed osservando il tuo catalogo, de
non
Virtudi,
facendo unica
estinto il tuo lume,
custodia
di
Giustizia
sarai sola tutela e torre
singulare
de la Veritade; inespugnabile da’ vizii, invitta da le fatiche,
constante giatrice fatrice
a gli perigli, rigida contra le voluttadi, de
la Ricchezza,
del tutto.
domitrice
Temerariamente
della non
Fortuna,
ardirai,
spregtriom-
inconsulta-
mente non temerai; non affettarai gli piaceri, non fuggirai (B.
130-1)
(W.
II,
186)
(L.
488)
699
(G.t
II,
117)
(G.%
II,
124-5).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
gli odori; per falsa lode non ti compiacerai, e per vituperio non ti sgomentarai; non t' inalzarai per le prosperitadi, non ti dismetterai per le adversitadi; non t’ impiombarà la gravità de fastidii, non ti sulleverà il vento de la leggerezza; non ti farà! gonfia la ricchezza, e non ti confondarà la povertade: spreggiarai il soverchio, arrai poco senso del necessario. Divertirai da cose basse, e sarai sempre attenta ad alte imprese. — — Or, che ordine si prenderà per la mia Lira? — disse Mercurio. A cui rispose Momo: — Abbila per teco per tuo passatempo, quando ti trovi in barca o pur quando ti trovarai nell’ostarie. E se fai elezione di farne qualche presente,
donandola
a chi più meritevolmente
si conviene,
e non vuol andar troppo vagando per cercarlo, vattene a Napoli, a la piazza de Il’ Olmo 3; over in Venezia in piazza di S. Marco 3, circa il vespro: perché in questi doi luoghi compariscono gli corifei di color che montano in banco; ed ivi ti potrà occorrere quel megliore a cui iure meriti 1 BL: far. ® La via detta
tissimo.
Vedi
una
poi
nota
di
in
Porto.
Basile,
3 Nel CV discorso della vuol raccontare minutamente tani per far bezzi, avrà preso della piazza ldi S. Marco] tu sieme con Tritata.... trattener
Vi
si faceva
Pentanm:.,
ed.
mercato
Croce,
frequentaI,
90.
Piazza universale il GARZONI: «Chi tutti i modi.... che adoprano i cereda fare assai. Basta che da un canto vedi il nostro galante Fortunato inla brigata ogni sera dalle ventidue
fino alle ventiquattro ore di giorno, fingere novelle, trovare istorie, formar dialoghi,.... cantare all'improvviso, corrucciarsi insieme, far la pace, morir dalle risa, alterarsi di nuovo,.... e finalmente
buttar fuori bussoli e venire al guanguam
carpire con queste un
altro
del
suo
canto....
delle gazette, che vogliono
loro gentilissime e garbatissime chiacchiere.
Burattino....
chiama
l’audienza
ad
alta
Da
voce;....
ma questo col sgarbato modo di dire, con la prononcia bolognese, col parlare da melenso,.... col sfodrar fuor di proposito i privilegi (B.
dottorato,....
131-2)
(W.
II,
col
186)
farsi
protomedico
(L. 488-0)
700
(G.! II,
senza
scienza,....
117-8)
(G.# II,
resta
125-6).
DIALOGO
SECONDO
la si debbia. — Dimandò Mercurio: — Perché più tosto a megliori di questa che di altra specie ? — Rispose Momo, che a questi tempi la lira è dovenuto principalmente instrumento
da
chiarlatani !,
l'udienza, e meglior come la rebecchina mendicanti. Mercurio quel che mi piace? per ora di lasciarla
per
lira de le nove corde con le nove Muse, sue gli dei tutti in segno con le sue figlie rese primogenita, disse che mastro
Grillo
e
trattenersi
vendere le sue pallotte ed albarelli, ancora è fatto instrumento da ciechi disse: — È in mia potestà di farne — Cossi è, disse Giove; ma non già star in cielo. E voglio (se cossi pare
ancor a voi altri del conseglio)
un
conciliarsi
che in luogo di questa sua
succeda la gran ‘madre Mnemosine figlie. — Qua fèrno un chino di testa di approvazione; e la Dea promossa le grazie. L’Aritmetrica =, la quale è le ringraziava per più volte che non
a mezo
della piazza.
Frattanto
sbucca
fuor
de'
portici il Toscano su con la putta....; ed ecco in un tratto si dà principio con lingua fiorentinesca a qualche papolata ridicolosa, ed in questo mezo la putta.... va porgendo uno strano desiderio al popolo della sua lascivia grata.... Da un'altra parte della piazza il Milanese con la berretta di veluto in testa e con la penna bianca alla guelfa, vestito nobilmente da Signore, finge l' innamorato con
Gradella, il qual si ride del padrone.... Il Cieco da Forli con qualche
bel strambotto e con qualche barzeletta all’ improviso.... ruba.... un pochetto d’audienza.... Non manca Zan della vigna....; e la
nobiltà ride, la plebe sgrigna, di corpo,
tante destrezze
il vilano crepa a veder tanti motivi
di mano,
tante fusarie che fa e dice in un
fiato solo. Né Catullo con la sua lira, né il Mantoano vestito da zani hanno
timore
o spavento
tilmente il Napolitano
della concorrenza....
Il che
mirando
gen-
col bacile da barbiere sotto i bacoli, va gri-
dando alle quattro ed alle cinque campanelle, e con duc caraffe e quattro bicchieri sopra la testa va ragirando, e fa suonare i bacili
tutti i suoni di campana.... Fra tanto mastro Paolo d’Aresa comparisce in campo... ». 1 Sopra (p. 552), ciarlatani; ma qui, e appresso (p. 749), chiarlatani: f. che può ben essere erronea. ® V. sopra, p. 563, n. 2. (B.
132-3)
(W.
II,
186-7)
(L.
489)
701
(G.!
II,
118)
(G.2
II,
126-7).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
concepe individui e specie di numeri, ed oltre per più millenarii de millenarii che mai possa con le sue addizioni apportar l'intelletto; la Geometria più che mai forme e figure formar si vagliano, e che atomi possa mai incorrere per le fantastiche resoluzioni di continui; la Musica più che mai
fantasia possa combinar
forme
di concenti
e sin-
fonie; la Logica più che non fanno absurdità li suoi gramatici 1, false persuasioni i suoi retorici, e sofismi e false demostrazioni i dialettici; la Poesia più che, per far correre le lor tante favole, non hanno
piedi quanti han
fatti e son
per far versi i suoi cantori; la Astrologia più che contegna stelle l’ inmenso spacio dell'eterea regione, se più dir si puote; la Fisica tante mercé li rese, quante possono essere prossimi e primi principii ed elementi nel seno de la natura; la Metafisica più che non son geni d’idee e specie de fini ed efficienti sopra gli naturali effetti, tanto secondo la realità che è ne le cose, quanto secondo il concetto representante; l' Etica, quanti possono essere costumi, consuetudini, leggi, giustizie e delitti in questo ed altri mondi de l'universo. La madre Mnemosine disse: — Tante grazie e mercé
vi rendo,
o dei, quanti
colari suggetti
a la memoria
esser possono
ed a l'oblio,
parti-
alla cognizione
ed ignoranza. — Ed in questo mentre Giove ordinò alla sua primogenita Minerva, che gli porgesse quella scatola che teneva
sotto
il capezzal
del letto;
ed indi cacciò
nove
bussole, le quali contegnono nove collirii che son stati ordinati. per purgar l'animo umano, e quanto alla cognizione e quanto alla affezione. E primamente ne donò tre
1 Come a p. 660; ma nel B. è più frequente la f. con la doppia. (B.
133-4)
(W.
II,
187)
(L. 4809-90)
702
(G.!
II,
118-0)
(G.2
II,
127).
DIALOGO
SECONDO
alle tre primiere, dicendogli:
— Eccovi il meglior unguento
con cui possiate purgar e chiarir la potenza sensitiva circa la moltitudine, grandezza ed armonica proporzione di cose
sensibili.
—
Ne dié uno
a la quarta,
e disse:
—
Questo
servirà per far regolata la facultà inventiva e giudicativa.
— Prendi questo, disse a la quinta, che con suscitar certo melancolico
appulso
è
potente
ad
incitar
di
archetipe
a
delettevole
furore e vaticinio. — Donò il suo a la sesta, mostrandogli il modo, con cui mediante quello aprisse gli occhi de mortali
alla
contemplazion
cose
e superne.
La
settima ricevé quello per cui meglio vien riformata la facultà razionale circa la contemplazion de la natura. La ottava, l’altro non meno eccellente che promove l’ intelletto all'apprension di cose sopranaturali, in quanto che influiscono ne la natura e sono in certo modo absolute da quella. L'ultimo, più grande, più precioso e più eccellente, dié in mano de l'altre
de l’ultimogenita;
tutte,
tanto
è più
la quale, quanto che
tutte
l'altre
è posterior degna;
e gli
disse: — Ecco qua, Etica, con cui prudentemente, con sagacità, accortezza e generosa filantropia saprai instituir religioni, ordinar gli culti, metter leggi ed esecutar giudicii; ed
approvare,
che ! è bene
confirmare,
instituito,
conservar
ordinato,
e defendere
messo
tutto
ed esecutato,
il
ac-
comodando quanto si può gli affetti ed effetti al culto de dei e convitto de gli uomini. — — Che faremo del Cigno? — dimandò Giunone. Rispose Momo: — Mandiamolo in nome del suo diavolo a natar con gli altri, o nel lago di Pergusa, o nel fiume Caistro, ! Cfr.
n. 3. (B.
134-5)
per questa (W.
II,
locuzione
187-8)
(L.
spagnuola 490)
793
(G.!
II,
il De
/' infinito,
119-20)
(G.? II,
p.
450,
127-8).
SPACCIO
dove
arrà
molti
DE
LA
BESTIA
compagni!
Giove; ma ordino che nel becco e messo nel Tamesi; perché là parte, atteso che per la tema di essere cosi facilmente rubbato
TRIONFANTE
—
Non
voglio
cossi,
disse
sia marcato del mio sigillo sarà più sicuro ch'in altra pena capitale non mi potrà =. — Saviamente, suggion-
sero gli dei, hai provisto, o gran padre;
—
ed aspettavano
venevole
la qual tra le vir-
che Giove determinasse del successore. Onde séguita il suo decreto il primo presidente, e dice: — Mi par molto conche vi sia locata la Penitenza,
tudi è come il cigno tra gli ucelli: perché la non ardisce, né può volar alto per il gravor dell'erubescenza ed umile recognizion
di se stessa,
si mantiene
sommessa;
però,
to-
gliendosi a l’odiosa terra, e non ardendo de s'inalzare al cielo, ama gli fiumi, s'attuffa a l’acqui, che son le lacrime della compunzione nelle quali cerca lavarsi, purgarsi, mondarsi, dopo ch’a sé nel limoso lido de. l'errore insporcata dispiacque, mossa
dal senso di tal dispiacere,
è incorsa la-
determinazione del corregersi, e, quanto possibil fia, farsi simile alla candida innocenza. Con questa virtii risaleno l’ariime che son ruinate dal cielo ed inmerse broso,
passate
per
il Cocito
de
a l' Orco tene-
le voluttadi
sensitive,
ed
accese dal Periflegetonte de l’amor cupidinesco ed appetito di generazione; de quali il primo ingombra il spirto di 1 Reminiscenza
dei
versi
di
Ovipio,
Metamm.,
V,
385-7:
Haud procul Hennaeis lacus est a moenibus altae, Nomine Pergus, aquae. Non illo plura Caystros Carmina cycnorum labentibus audit in undis. Pel fosse
ad
(B.
Caistro cir. VIRGILIO, Georg., I, 384. ® Accenno evidente alla pena che ai tempi comminata
ornamento 135-6)
(W.
nel
a chi
II,
rubasse
Tamigi. 188)
(L.
uno
490-1)
704
dei
(G.!
cigni,
II,
di
che
120-1)
Elisabetta
dovevano
(G.3
II,
pare
essere
128-09).
DIALOGO
SECONDO
tristizia, ed il secondo rende l’alma disdegnosa; come per rimembranza de l’alta ereditade ritornando in se medesima, dispiace a se medesima per il stato presente; si duole
per quel che si delettò e non vorrebe aver compiaciuto a se stessa: ed in questo modo viene a poco a poco a dispogliarsi dal presente stato, attenuandosegli Ja materia carnale
ed
piume,
il peso
de
s’accende
la crassa e
si
sustanza;
scalda
al
si mette
sole,
concepe
tutta il
in
fervido
amor di cose sublimi, doviene aeria, s'appiglia al sole e di bel nuovo si converte al suo principio. — Degnamente la Penitenza
è messa
quantunque madre,
tra
le virtudi,
sia figlia del padre
è nulladimeno
come
adre e pungenti spine sì scintilla che dalla negra e tende al suo cognato minato! — disse tutto Penitenza
A
voce
Errore
la
Saturno;
e de l' Iniquitade
vermiglia
rosa
sia uno
generale,
de
prima
gli celesti
ch'altro
Cassiopea, alzò la voce il furibondo Marte,
sia,
o dei,
matrona
chi tolga
perché,
che
da
le
caccia; è come una lucida e liquida e dura selce si spicca, fassi in alto sole. — Ben provisto, ben deteril concilio de gli dei. — Sieda la
tra le virtudi,
questa
disse
alla mia
che cossi boriosa,
bellicosa
numi!
—
proponesse
di
e disse:
Ispagna:
—
Non
questa
altiera e maestrale non si con-
tentò di salir al cielo senza condurvi la sua catedra col baldacchino. Costei (se cossi piace al padre summitonante, e se voi altri non volete discontentarmi a rischio di patir a buona misura il simile, quando mi passarete per le mani) 1 Intorno
nella nostra
no-îtaliane,
Napoli,
alla
iattanza
letteratura
II (estr. dagli
1898,
p.
10;
e
degli
spagnuoli,
del Cinquecento,
Atti
dell'Acc.
FARINELLI,
in
diventata
proverbiale
v. B. Croce, Iicerche ispa-
Pontaniana, Rass.
vol. XXVIII),
bibliogr
af. lett. it.,
VII (1899), 288-0. Nel Moriae encomiun di Erasmo (Lugd. Batav., 1648), p. 172, gli spagnuoli « bellicam gloriam nulli concedunt ». (B.
136-7)
(W.
II,
188-9)
(L. 401)
705
(G.!
II,
121-2)
(G.z II,
129-30)'
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
vorrei che, per aver costumi di quella patria, e parer ivi nata, nodrita ed allevata, determiniate che la vi soggiorne. — Rispose Momo: — Non sia chi tolga l'arroganza e questa femina, ch' è vivo ritratto di quella, al signor bravo capitan di squadre. — A cui Marte: — Con questa spada farò conoscere non solamente a te poveraccio, che non hai altra virtude
e forza che
de lingua
fracida senza sale;
ma
ed oltre a qualsivogli'altro (fuor di Giove, per essere superior di tutti),
che sotto
si trovar bellezza,
quella
che
voi dite iattanza,
gloria, maestà,
magnanimità,
dica non
e fortezza
degna della protezion del scudo marziale; e di cui l’onte non son indegne d'esser vendicate da questa orribil punta ch’ ha soluto domar uomini e dei. — Abbila pur, soggionse Momo,
in tua mal’ora teco:
perché
tra noi altri dei non
vi
trovarai un altro si bizzarro e pazzo, che, per guadagnarsi una de queste colubre ! e tempestose bestie, voglia mettersi
a rischio
di farsi rompere
il capo.
Marte, non ti rabbiar, Momo, Facilmente
ramente
cosa,
che
Non
te incolerar,
disse il benigno protoparente.
a te, dio de la guerra,
questa
—
non
si potrà concedere
è troppo
libe-
d'importanza,
se
adulterii, tanti latrocinii, usurpazioni
ed
ne bisogna talvolta, al nostro dispetto, comportar, che con la sola autorità della tua fiammeggiante spada commetti tanti stupri, assassinii.
tanti
Va’
dunque,
che
io insieme
con
gli altri
dei la
commettemo in tutto alla tua libidinosa voglia; sol che non più la facci induggiar qua in mezzo a gli astri, vicina a tante-virtuose
e conduca
dee.
Vada
con
la
sua
catedra
a basso,
la Iattanzia seco. E ceda il luogo alla Sempli-
1 Dal lat. colubra,
ae, t. poet.
come
add.;
qui
non
può
che
(B.
137-8)
(W.
II,
189)
(L.
lett. come
valere
40r-2)
706
sost., ma
infernale.
(GI
II,
122)
non registrato
(G.2
II,
130-1).
DIALOGO
cità,
la qual
declina
dalla
SECONDO
destra
di costei,
che
ostenta
e
predica più di quel che possiede, e dalla sinistra della Dissimulazione la quale occolta e finge di non aver quel ch’ave, e mostra posseder meno di quel che si trova. Questa pedissequa de la Veritade non deve lungi peregrinare dalla sua
regina, benché talvolta la dea Necessitade la costringa di declinare
verso
la Dissimulazione,
inculcata
la Simplicità
o Veritade,
a fine che o per
non
evitar
vegna
altro
in-
conveniente. Questo facendosi da lei non senza modo ed ordine, facilmente potrà essere fatto ancora senza errore e vizio.— Andando la Semplicità per prendere il suo luogo, comparve de incesso sicuro e confidente; al contrario de la Iattanzia e Dissimulazione,
le quali caminano
non senza
téma, come con gli suspiciosi passi e formidoloso aspetto dimostravano. Lo aspetto della Simplicità piacque a tutti gli dei, perché per la sua uniformità in certa maniera rapresenta. ed ha la similitudine del volto divino. Il volto suo è amabile, perché non si cangia mai; e però con quella raggione, per cui comincia una volta a piacere, sempre piacerà; e non per suo, ma per l’altrui difetto aviene che cesse d'essere amata. Ma la Iattanzia, la qual suol piacere, per donare ad intendere di possedere più di quel che possiede, facilmente, quando sarà conosciuta, non solo incorrerà dispiacenza, ma ed oltre, talvolta, dispreggio. Similmente
la Dissimulazione,
per
esser
altrimente
conosciuta,
che come prima si volse persuadere, non senza difficultade potrà venir in odio a colui da chi ! fu prima grata. Di queste dunque l'una e l'altra fu stimata indegna del cielo, e di esser unita a quello che suol trovarsegli in mezzo. Ma non 1 Cfr.
(B.
138-9)
Cand?,
(W.
p.
208,
II, 189-090)
n.
2.
(L. 492-3)
707 ‘19 — G, Bruno, Dialoghi italiani
(G.t II, 122-3)
(G
II, 131).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
tanto la Dissimulazione, di cui talvolta sogliono servirsi anco gli dei; perché talvolta, per fuggir invidia, biasmo ed oltraggio, con gli vestimenti di costei la Prudenza suole occultar la Veritade. Saulino.
È
vero e bene,
o Sofia;
e non
senza
spirto
di
veritade mostrò il Poeta ferrarese, questa essere molto pi conveniente
a gli
omini,
se
talvolta
non
è sconvenevole
a dei: Quantunque
Ripreso,
e dia
Si trova
pur
di
mala
in molte
sia le più
mente
cose
Aver fatti evidenti E danni, e biasmi,
benefici, e morte
In questa
oscura
Ché non Vita
Ma
il simular
vorrei
conversiam assai
mortal,
sapere,
più
tutta
sempre
d'invidia
indici,
volte
e molte aver
con
che
già
tolte;
gli amici
serena
piena !.
o Sofia, in che maniera
intendi
la Sim-
plicità aver similitudine del volto divino. Sofia. suo
con
Per questo, la iattanza,
simulazione.
E
se non
e non
questo
ed apprensione simo,
che la non può
procede
di se stessa; vuol
essere
può
suttraere
dal non
come
altro
aggiongere
che
a l'esser
da quello con
avere
la
intelligenza
quello che è simplicissemplicissimo,
non
in-
tende se stesso. Perché quello che si sente e che si remira, si fa in certo modo
molto, e, per dir meglio, altro ed altro;
perché si fa obietto e potenza, conoscente e conoscibile: essendo che ne l'atto dell’ intelligenza molte cose incorreno in uno. Però quella semplicissima intelligenza non si dice intendere se stessa, come se avesse un atto reflesso
de intelligente ed intelligibile; ma 1 ARIosTO,
(B.
139-40)
(W.
Orl.
II,
fur.,
190-1)
XXIV,
perché è absolutissimo
1.
(L. 493)
708
(G.!
II,
123-4)
(G.2 II,
13x-2).
DIALOGO
SECONDO
e semplicissimo lume, solo dunque se dice intendersi negativamente, per quanto non si può essere occolta. La Semplicità dunque, in quanto che non apprende e non commenta
su
l’esser
suo,
s'intende
aver
similitudine
divina.
Dalla quale a tutta distanza dechina la boriosa Iattanzia. Ma non tanto la studiosa Dissimulazione, a cui Giove fa lecito che talvolta si presente in cielo, e non già come
dea,
ma come tal volta ancella della Prudenza e scudo della Veritade. Saulino. Or vengamo ad considerar quel ch' è fatto di Perseo e della sua stanza. Sofia.
—
Che
farai,
o Giove,
di questo
tuo
bastardo,
che ti fèsti parturire a Danae? — disse Momo. Rispose Giove: — Vada, se cossi piace al senato intiero (perché mi par che qualche nuova Medusa si trova in terra, che, non meno che quella di già gran tempo, è potente di convertere in selce col suo costei non come
aspetto
mandato
chiunque
la remira),
da un nuovo
Polidette,
vada ma
a
come
inviato da Giove insieme con tutto il senato celeste; e veda
se, secondo la medesima arte, possa superare tanto più orribile quanto più nuovo mostro. — Qua risorse Minerva, dicendo: — Ed io dal mio canto non mancarò d’accomodargli non men commodo scudo di cristallo con cui vegna ad abbarbagliar la vista de le nemiche Forcidi! messe in custodia de le Gorgoni; ed io in presenza voglio assistergli, sin tanto che abbia disciolto il capo di questa Medusa dal suo
busto.
—
Cossî,
figlia; ed io te impono
disse
Giove,
farai
molto
bene,
questa cura, nella qual voglio che
1 «Ex Phorco et Ceto Phorcides: Pemphredo Enyo Pro hac ultima Dino alii ponunt. Et Gorgones: Sthenno, Medusa»: HvGini Fabulae, ed. Schmidt, p. 11.
(B.
140-1)
(W.
II,
r9r)
mia
(L. 493-4)
799
(G.!
II,
124-5)
(G.2 II,
iChersis Euryale,
132-3).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
t'adopri con ogni diligenza. Ma non vorei che di nuovo faccia, che a danno de gli poveri popoli avenga che per le stille, che scorreranno nuovi
da le vene incise, vegnano
serpenti in terra, dove,
a mal grado
generati
de miseri, vi se
ne ritrovano pur assai e troppo. Però, montato sul Pegaso, che verrà fuori del fecondo corpo di colei, discorra (riparando al flusso de le goccie sanguinose) * non già per l'Africa dove di qualche cattiva Andromeda vegna cattivo: dalla quale, avinta in ferree catene, vegna legato di quelle di diamante; ma col suo destriero alato discorra la mia diletta Europa; ed ivi cerca 2, dove son que’ superbi e mostruosi Atlanti, nemici de la progenie di Giove, da cui temeno che gli vegnan tolte le poma d’oro, che sotto la custodia e serragli de l’Avarizia ed Ambizione tegnono occolte. Attenda ove son altre più generose e più belle Andromede3 che per violenza di falsa religione vegnono legate
ed esposte alle marine belve. Guarde se qualche violento Fineo, constipato dalla moltitudine di perniciosi ministri, viene ad usurparsi i frutti dell’altrui industrie e fatiche. Se
qualche
numero
de
ingrati,
ostinati
ed
increduli
Poli-
detti vi presiede, facciasegli a il specchio tutto animoso innante, presentegli agli occhi ove possono remirar il suo fedo ritratto, dal cui orrendo aspetto impetrati perdano
ogni perverso senso, moto —
Bene
conveniente
ordinato
che
e vita 4. —
il tutto, dissero gli dei. Perché è cosa
gionto
ad Ercule,
che
col braccio
della
1 Cfr. Ovipio, Metamm., IV, 618-19. Non occorre avvertire che da Ovidio il B. attinge qui i particolari della favola di Perseo. ? B. usa scambiare il pr. indic. col cong. (Cend., p. LvIN). Cir. appresso, p. 716, n. 1. 3 BW: Cassiopee. 4 Cfr.
(B.
141-2)
Ovipio,
(W.
II,
Metamm.,
191-2)
(L.
V,
248-49.
494)
710
(G.!
II,
125-6)
(G.?
II,
133-4).
DIALOGO
SECONDO
Giustizia e bastone del Giudicio è fatto domator de le corporee forze, compaia Perseo, che, col specchio luminoso della * dottrina e con la presentazion del ritratto abominando
de
la scisma?
ed eresia,
alla perniciosa
conscienza
de gli malfattori ed ostinati ingegni metta il chiodo, togliendoli l’opra di lingua, di mani e senso. — Saulino.
Venite
ora,
Sofia,
a chiarirmi
di
quello
ch’ è
ordinato a succedere a la piazza onde fece partenza costuì. Sofia. Una virtude in abito e gesti niente dissimile a costui, che si chiama
Diligenza,
over Sollecitudine;
la qual
ha ed è avuta per compagna da la Fatica, in virti della quale Perseo fu Perseo, ed Ercole fu Ercole, ed ogni forte e faticoso è faticoso e forte; e per cui il pronepote d’Abante av’ intercetto alle Forcidi il lume, il capo a Medusa, il pennato destriero al tronco busto, le sacre poma al figlio di Climene ed Tapeto, la figlia di Cefeo ed Andromeda al Ceto, difesa la moglie dal rivale, revista Argo sua patria, tolto
il regno
a
Preto,
restituito
quello
a Crisio
fratello,
vendicatosi su l’ ingrato e discortese re de l'isola Serifia; per cui, dico, si supera ogni vigilanza, si tronca ogni adversa occasione, si facilita ogni camino ed accesso, s'acquista ogni tesoro, si doma ogni forza, si toglie ogni cattività, s'ottiene ogni desio, si defende ogni possessione, si gionge ad ogni porto, si deprimeno tutti adversarii, si esaltano tutti amici e si vendicano tutte ingiurie; e finalmente sì viene ad ogni dissegno. Ordinò dunque Giove, e questo ordine approvàro tutti dei, che la faticosa e dili1 Nella
2 Fem.
(B. 143-4)
mia
prima
(W.
II, 192)
dal sec.
ediz.,
XIV
non
al XVII.
bene:
(L. 494-5)
ZII
(GA
de
dottrina.
II, 126)
(G.? II, 134-5).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
gente Sollecitudine si facesse innante!. Ed ecco che la comparve, avendosi adattati gli talari de l' impeto divino con
gli quali
le blande diose,
calpestra
carezze
tentano
de
il sommo
bene
le voluttadi,
di ritardarla
dal
populare,
che,
corso
come de
spreggia
Sirene
insi-
che
la ri-
l’opra
cerca ed aspetta. Appigliatasi con la sinistra al scudo risplendente
dal
suo
fervore,
che
di
stupida
maraviglia
ingombra gli occhi desidiosi ed inerti; compresa con la destra la serpentina chioma di perniciosi pensieri, a’ quai sottogiace quell’orribil capo, di cui l' infelice volto da mille passioni
di sdegno,
d' ira, di
spavento,
di terrore,
di abo-
minio, di maraviglia, di melancolia e di lugubre pentimento disformato, sassifica ed instupisce chiunque v’affigge gli occhi; montata su quell’aligero cavallo della studiosa perseveranza,
con il quale,
a quanto
si forza, a tanto
arriva e giunge, superando ogni intoppo di clivoso monte, ritardamento di profonda valle, impeto di rapido fiume, riparo di siepe densissime e di quantunque grosse ed alte muraglia. Venuta dunque in presenza del sacrosanto senato,
udi dal sommo preside queste paroli: — Voglio, o Diligenza, che ottegni questo nobil spacio nel cielo; perché tu sei quella che nutri con la fatica gli animi generosi. Monta, supera e passa con uno spirto, se possibil fia, ogni sassosa e ruvida montagna. Infervora tanto l’affetto tuo, che non solo resisti e vinci
te stessa,
difficultade, perché
non
ma,
ed oltre,
abbi
cossf la fatica non
medesimo
nessun
grave
non
sentimento
abbi del
senso
tuo
della tua
esser
fatica;.
deve esser fatica a sé, come
è grave.
Però
non
sarai
1 « Excellente discorso de la Solicitudine e de le sue bone pagne per 4 fogli» (Post. napol.).
a se
degna com-
(B. 144-5) (W. II, 192-3) (L. 495) (Gt IT, 126-7) (G.2 II, 135).
712
DIALOGO
fatica,
se
talmente
non
SECONDO
vinci
te stessa,
che
non
essere quel che sei, fatica; atteso che, dovunque
ti stimi
hai senso
di te, non puoi essere superiore a te; ma, se non sei depressa
o suppressa, vieni al meno ad essere oppressa da te medesima. La somma perfezione è non sentir fatica e dolore, quando si comporta fatica e dolore 1. Devi superarti con quel
senso
luttà
di
dico,
voluttà,
la
quale,
che se
non fusse
sente
voluttà;
naturalmente
quella buona,
vonon
verrebe dispreggiata da molti, come principio di morbi, povertade e biasimo. Ma tu, Fatica, circa l’opre egregie sii voluttà e non
fatica a te stessa;
vegni,
dico,
ad esser una
e medesima cosa con quella, la quale fuor di quelle opre ed atti virtuosi sia a se stessa non voluttà, ma fatica intolerabile. Su dunque, se sei virti, non occuparti a cose basse, a cose frivole, a cose vane. Se vuoi esser là dove il polo sublime della Verità ti vegna verticale, passa questo Apennino,
monta
queste
Alpi,
varca
questo
scoglioso
Oceano,
supera questi rigorosi Rifei, trapassa questo sterile e gelato Caucaso, penetra le inaccessibili erture, e subintra quel felice circolo, dove il lume è continuo e non si veggon mai tenebre né freddo, ma è perpetua temperie di caldo e dove eterna ti fia l'aurora o giorno. Passa dunque tu, dea Sollecitudine o Fatica; e voglio (disse Giove) che la difficultade ti corra avanti e ti fugga. Scaccia la Disaventura, apprendi la Fortuna pe’ capelli; affretta, quando meglio ti pare, il corso della sua ruota; e quando ti sembra bene, figigli il chiodo, acciò non scorra. Voglio che teco vegna la Sanità, la Robustezza, l’ Incolumità. Sia tua scudiera la Diligenza I L'anonimo
questo
(B.
periodetto,
145-6)
(W.
postillatore
II,
giustamente
sottolineandolo.
193)
(L.
495-6)
713
(G.1
richiama II,
127-8)
l’attenzione (G.?
II,
su
135-6).
SPACCIO
e tuo con
DE
antesignano
BESTIA
TRIONFANTE
sia l’ Esercizio.
le munizioni
l'animo,
LA
sue,
e, se vuoi,
che
Bene
son
Sieguati
Bene
del
de la fortuna;
l’ Acquisizione
corpo,
Bene
de
e di questi voglio
che più sieno amati da te quei che tu medesima hai acquistati, che altri che ricevi d'altrui:
non
altrimente che una
madre ama pi li figli, come colei che più le conosce per suoi. Non voglio che possi dividerti; perché, se ti smembrarai, parte occupandoti a l'opre de la mente e parte a l'oprazioni del corpo, verrai ad esser defettuosa a l'una e l’altra parte; e se più ti addonarai a l'uno, meno prevalerai ne l’altro verso: vegni dino
ad
essere
se tutta inclinarai in cose
a l’ Occasione,
o con cenno
a cose materiali,
intellettuali,
che quando
e per
l’ incontro.
fia mestiero,
o con silenzio quella
Incomodità,
collare,
che
e quando
ti avertiscano si
denno
poner
le
0!
ti esorti,
alla Comodità
quando gii
Or-
ad alta voce
chiamatati,
o ti alletti, o ti inciti, o ti sforze. Comando ed
nulla
si possano sarcine 2,
accomo
talor quando è necessario transnatare. Voglio che la Dili-
genza ti toglia ogni intoppo; la Vigilanza ti farà la sentinella guardando circa în circa, a fin che cosa non ti s'appresse all’ improviso; che la Indigenza ti averta dalla Sollecitudine e Vigilanza circa cose vane; la quale se non sarà udita da te, succeda al fine la Penitenza, la qual ti faccia esperimentar che è cosa più laboriosa aver menate le braccia
vacue, che con le mani piene aver tirati sassi. Tu con gli piedi della Diligenza, quanto puoi, fuggi e ti affretta, pria ! B: chiamai, tà o (té d (cir. Lac., p. 496 nota)); W: chiami, ella 0; L: chiamai, lè o (ld 0); GL: chiami; la o.... Il refuso parve insanabile.
che (B.
dia
un
La
correzione,
senso
2 Pesi,
carichi.
146-7)
(W.
II,
proposta
chiaro
e richiesto
193-4)
(L. 496-7)
Latinismo.
714
ora,
dal
(G.!
è una
delle poche
contesto. II,
128-09)
(G.3 II,
possibili
136-7).
DIALOGO
x
SECONDO
che Forza maggior intervegna e toglia la Libertade over porga forza ed armi alla Difficultade. — Cossi la Sollecitudine, avendo ringraziato Giove e gli altri, prende il suo camino e parla in questa forma: — Ecco, io Fatica muovo gli passi, mi accingo, mi sbraccio. Via da me ogni torpore, ogni ocio, ogni negligenza, ogni desidiosa
acedia !,
fuori
ogni
lentezza!
Tu,
Industria
mia,
proponite avanti gli occhi della considerazione il tuo profitto, il tuo fine. Rendi salutifere quelle altrui tante calunnie,
quelli
altrui
tanti
frutti
di malignitade
ed invidia,
e quel tuo raggionevole timore che ti cacciàro dallo tuo natio albergo, che ti alienàro da gli amici, che ti allontanàro dalla patria, e ti bandîro a poco amichevole contrade. Ta', Industria mia, meco glorioso quello essilio e travagli, sopra la quiete, sopra quella patria tranquillitade, commoditade e pace. Su, Diligenza, che fai ? perché tanto ociamo e dormiamo
vivi, se
tanto
tanto
doviamo
ociar
e dormire
in morte? Atteso che, se pur aspettiamo altra vita o altro modo
di
esser
noi,
siamo
al presente;
non
sarà
percioché
quella
nostra,
come
de
chi
questa,
senza sperar giamai
ritorno, eternamente passa. Tu, Speranza, che fai, che non
mi sproni, che non m' inciti? Su, fa’ ch'io aspetti da cose difficili
exito
salutare,
se non
mi
affretto
avanti
tempo
e
non cesso in tempo; e non far ch'io mi prometta cosa per quanto
viva,
sempre
assistente,
nume
che
da
sieno
bene,
P. 741.
147-8)
(W.
per
quanto
a fine ch'io
e che
caggione
! Latinismo:
(B.
ma
non
viva.
non
tente cose indegne
stenda
di maggior
accidia; II,
ben
194)
(L.
715
le mani
negocio.
la qual 497)
Tu,
(G.!
ultima II,
Zelo,
a quei
Amor
(G2
di
negocii
di gloria,
f. appresso,
129)
siimi
II,
come 137-8).
a
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
presentami avanti gli occhi quanto sia brutto a vedere, e cosa turpe di esser sollecito della sicurtà nell'entrata e principio del negocio. Sagacità, fa’ che da le cose incerte e dubie non mi retire, né volte le spalli, ma da quelle pian piano mi discoste in salvo. Tu medesima (acciò ch'io non sia ritrovata da nemici, ed il furor di quelli non mi s'avente sopra) confondi, seguendomi, gli miei vestigi. Tu mi fa menar gli passi per vie distanti da le stanze de la Fortuna, perché la non ha lunghe le mani, e non può occupar se non quelli che gli son vicini, e non essagita se non color che si trovano dentro ia sua urna. Tu farai ch' io non
tente cosa,
se non quando attamente posso; e fammi nel negocio pit cauta che forte, se non puoi farmi equalmente cauta e forte. Fa' ch' il mio lavoro sia occolto e sia aperto: aperto, acciò che non ogniuno il cerca ! ed inquira; occolto, acciò che non tutti, ma pochissimi lo ritroveno. Perché sai bene che le cose occolte sono investigate, e le cose inserrate convitano gli ladroni.
Oltre,
quel che appare,
è stimato
vile, e l'arca
aperta non è diligentemente ricercata, ed è creduto poco preggiato quello che non si vede con molta diligenza messo in custodia.
Animosità,
quando
la
mancar
sovente
Tu
difficultà
ne
cede
con la voce del tuo vivace fervore,
mi
preme,
d’ intonarmi malis,
sed
oltraggia,
e resiste,
non
a l'orecchio quella sentenza:
contra
audentior
ito 2,
Tu, Consultazion, mi farai intendere quando mi conviene sciòrre o rompere la mal impiegata occupazione; la qual degnamente prenderà la mira non ad oro e facul-
(B.
1 V. sopra, * ViIrciILIO,
p. 710, n. 2. Aen., VI, 95.
148-9)
II,
(W.
194-5)
(L. 497-8)
716
(G.!
II,
129-30)
(G.2
II,
138).
DIALOGO
SECONDO
tadi da volgari e sordidi ingegni; ma a que’ tesori che meno ascosi e dispersi dal tempo, son celebrati e colti nel campo de l'eternitade; a fin che non si dica
di noi, come di quelli:
meditaniur sua stercora scarabaei. Tu, Pazienza, confirmami, affrenami
ed administrami
è sorella
la Desidia,
ma
quel tuo quello
Ocio
che
eletto,
è fratello
a cui non de la Tole-
ranza. Mi farai declinar dall’ inquietudine ed inclinare alla non
curiosa
Sollecitùdine.
Allora
mi
negarai
il
correre,
quando correr mi cale dove son precipitosi, infami e mortali intoppi. Allora non mi farai alzar l'ancora e sciérre la poppa dal lido, quando aviene che mi commetta ad insuperabile turbulenza di tempestoso mare. Ed in questo mi donarai ocio di abboccarmi con la Consultazione, la quale mi farà guardar prima me stessa; secondo, il negocio ch' ho da fare; terzo, a che fine e perché; quarto, con quai circonstanze;
quinto,
quando;
sesto,
dove;
settimo,
con
cui.
Amministremi quell’ocio con cui io possa far cose pi belle, più buone e più eccellenti che quelle che lascio; perché in casa
de
l’ Ocio
siede
il Conseglio,
ed ivi della vita
beata,
meglior che in altra parte, si tratta. Indi megliormente si contemplano le occasioni; da là con pit efficacia e forza si può uscire al negocio, perché, senza esser prima a bastanza posato, non è possibile di posser appresso ben correre. Tu, Ozio, mi administra, per cui io vegna stimato manco ocioso che tutti gli altri; percioché per tuo mezzo accaderà, che io serva a la republica e defension de la patria più con la mia voce ed esortazione, che con la spada, lancia e scudo
il soldato,
me tu, generoso
il tribuno,
l’imperatore.
ed eroico e sollecito Timore;
Accòstati
a
e con il tuo
stimolo fa’ che io non perisca prima dal nùmero de gl’ illustri che dal numero de vivi. Fa' che prima che il torpore (B. 149-51)
(W.
II, 195-6)
(L. 498-9)
717
(G.! II, 130-1)
(G.2 II, 138-39).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
e morte mi tolga le mani, io mi ritrove talmente provisto che non mi possa togliere la gloria de l’opre. Sollecitudine,
fa’ che sia finito il tetto prima che vegna la pioggia; fa’ che si ripare a le fenestre pria che soffieno gli Aquiloni ed Austri di lubrico ed inquieto inverno. Memoria del bene adoperato corso della vita, farai tu che la senettute e morte
pria mi tolga che mi conturbe l’animo. Tu, Téma di perdere la gloria acquistata ne la vita, non mi farai acerba, ma cara e bramabile la vecchiaia e morte. —
Saulino. Ecco qua, o Sofia, la' più degna ed onorata ricetta per rimediar alla tristizia e dolor che apporta la matura
etade,
ed all’ importuno
terror de la morte
che da
l'ora, che abbiamo uso di sensi, suol tiranneggiar il spirto de gli animanti. Onde ben disse il nolano Tansillo !: E
Godon? quei, ad
alte
Le staggion
imprese
liete,
Cadon su i colli Non han di che
Cangiando Non
ha
che
non
non
son
fùr
ingrati
freddi
allor che neve
al cielo,
e rudi;
e gielo
d’erbe e di fior nudi, dolersi, ancor che, pelo
e volto, cangin
l'agricoltor
vita e studi.
di che
si doglia,
Pur ch'al debito tempo il frutto coglia 3.
I Non è casuale la memoria del Tansillo sulle labbra del Savolino, nolano anche lui, qui come appresso, a p. 746. ? Da qui Ia numerazione delle pagine sbagliata, perché abbiamo di nuovo 150 @ ISI, poi 154 e 155, in fine ancora 154. Il curioso è che, nell’errata, B. aggrava la confusione, scambiando la p. 156 con la 164. Tutto ciò prova la frettolosità con cui egli stampava. 3 TansILLO, I/ vendemmiatore, st. 5* (ed. Flamini, p. 53). Ma il testo tansilliano diceva: E
Tutte non
le donne
hanno
qual
che
voi
son
grate
rigidi
al Cielo,
i cuori,
Vivon contente; e poi che neve e gelo Copron la terra in vece d'erbe e fiori, Ancor'che col piacer cangino il pelo,
Nuovo pensier non han che l'addolori: Non ha l'agricoltor ecc. (B.
151-[2]))
(W.
II,
196)
(L. 499)
718
(G.I
II,
131-2)
(G.? II,
139-40).
DIALOGO
Sofia.
Assai
ben
detto,
SECONDO
Saulino.
Ma
è tempo
che
tu ti
retiri; perché ecco il mio tanto amico nume, quella grazia tanto
desiderabile,
quel
volto
tanto
spettabile
da la parte
orientale mi s’avicina. Saulino.
Bene
dunque,
mia Sofia, domani
a l’ora solita,
se cossi ti piace, ne revederemo. Ed io in questo mentre andarò a delinearmi quel tanto che oggi ho udito da te, a fine che megliormente la memoria de tuoi concetti possa, quando
fia
bisogno,
rinovarmi,
e più
comodamente
per
l'avenir far di quella partecipe altrui :. Sofia. Maraviglia, che con più del solito frettolose piume mi viene a l' incontro; non lo veggio venir, secondo la sua consuetudine,
mente
con
tamente
scherzando
col caduceo
l’ali l’aria liquidissimo.
negocioso.
e battendo
Parmi
vederlo
si vaga-
turba-
Ecco, mi rimira, e talmente ha ver’ me
conversi gli occhi che fa manifesto l’ansioso pensiero non pender da mia causa. Mercurio. Propizio ti sia sempre il fato, impotente sia contra di te la rabbia del tempo, mia diletta e gentil figlia e sorella ed amica. Sofia. Che cosa, o mio bel dio, ti fa si turbato in vista,
benché al miò riguardo non mi sei men ch'altre volte liberale di tua tanto gioconda grazia? perché ti ho veduto venir come in posta, e più accinto di andar e passar oltre che disposto de dimorar alquanto meco ? Mercurio. La caggion di questo è che sono in fretta mandato da Giove a proveder e riparar a l’ incendio che ha cominciato a suscitar la pazza e fiera Discordia = in questo Regno
Partenopeo.
1 Si dà qui la spiegazione ® Per
i colori
con
cui
del titolo,
è qui
descritta
nel frontespizio. l’opera
della
Discordia,
(B. 15[2]-[3]) (\W. II, 196-7) (L. 499-500) (G.! JI, 132-3) (G.= II, 140-1).
719
SPACCIO
Sofia.
In
che
DE
LA
BESTIA
maniera,
o
TRIONFANTE
Mercurio,
questa
pestifera
Erinni * s’ è da là de le Alpi ed il mare aventata a questo nobil paese ? Mercurio. Dalla stolta ambizione e pazza confidenza d'alcuno è stata chiamata;
con assai liberali, ma non meno
incerte promesse è stata invitata; da fallace speranza è stata commossa; è aspettata da doppia gelosia, la quale nel popolo adopra il voler mantenersi nella medesima libertade
più
in cui
arcta
tutto,
è stato
servitude;
per
aver
sempre,
nel
voluto
ed
il temer
prencipe
abbracciar
di subintrar
il suspetto
di perder
troppo.
Sofia. Che cosa è primo origine e principio di questo? Mercurio. La grande avarizia che va lavorando sotto
pretesto
di voler mantener
la Religione ?.
più che l' Eneide, VI, 273 (e segg.: al v. 280 Discordia demens) e il Furioso, XIV, 83, si vuol ricordare il Ba/dus del FoLENGO (mac. XXIV). 1 Le guerre di religione, a cui l’ Italia era rimasta sempre estranea. 2 Ecco un saggio d' interpetrazione materialistica della storia. Infatti il tentativo, che fece nel 1547 D. Pietro da Toledo (e al quale pare a me, come allo SPAMPANATO,
G. Bruno e la letteratura dell'Asino,
Portici, 1904, pp. 105 sgg., che qui il B. alluda), per introdurre nel Napoletano 1’ Inquisizione di Spagna, donde la sollevazione del
popolo del 17 maggio di quell’anno e i disordini che ne seguirono per due mesi, terminò in un'amnistia pagata agli Spagnuoli con 100 mila ducati. — Lo Spampanato immagina che il B. conoscesse
quei
casì «per
averli intesi narrare
le mille volte,
e minutamente,
dopo il 1578, a Ginevra, da un profugo napoletano che fu suo benefattore e amico, il marchese Galcazzo Caracciolo (BERTI, Vita:, 90-4) ». Certo,
anche
senza
i racconti
del Caracciolo,
il B.
poté
aver
sentito parlare degli avvenimenti del '47 già a Napoli, prima della sua fuga. — È fuor di dubbio che mal s'appose il FIorENTINO (Studi e ritratti; pp. 349-51), cercando in questo importante luogo dello Spaccio
un
accenno
a fatti
contemporanei
alla composizione
stessa
di questi dialoghi. Che il B. non si ritenesse obbligato a far coinci-
dere il tempo dell’azione con quello della sua composizione lo dimostrano apertamente tuttii particolari di pp. 633-7, che ci trasportano come osscrvai (p. 639, in nota) agli anni intorno al 1560. Il B., nella
(B.
15[3]-[41)
(W.
II
197)
(L.
500)
720
(G.!
II,
133)
(G.2 II,
141).
DIALOGO
SECONDO
Sofia. Il pretesto in vero mi par falso; e se non m' in-
ganno, è inexcusabile: perché non si richiede riparo o cautela dove nessuna ruina o periglio minaccia, dove gli animi son tali quali erano, ed il culto di quella dea non cespita in queste come in altre parti !. Mercurio. ma
alla
E
quando
Prudenza
ciò
fusse,
e Giustizia
non
tocca
di rimediarvi;
a l’Avarizia, perché
ecco,
che quello ha commosso il popolo a furore, ed a la occasione pare aver tempo d’invitar gli animi rubelli a non tanto defendere la giusta libertà, quanto ad aspirar ad ingiusta licenza,
tumace
e governarsi
libidine,
a cui
secondo
sempre
fu
la perniciosa e con-
prona
la
moltitudine
bestiale.
Sofia. Dimmi, se non ti è grave, in che maniera dite che l’Avarizia vuol rimediare? Mercurio. Aggravando gli castighi de delinquenti, di sorte che della pena d'un reo vegnano equalmente parte-
sua abituale negligenza dei dettagli, non si è curato di fissare stabilmente una certa data alla sua azione drammatica. Ed ha ragione lo Spampanato di notare che i particolari della sommossa napoletana del maggio 1585 contro l’incetta dei grani, fatta dal Viceré d' Ossuna, non corrispondono se non in parte (e in piccolissima
parte)
agli accenni
dello Spaccio:
mentre
vi corrispondono
abbon-
dantemente le notizie dei fatti del 1547; ed è notabile l’allusione, che il medesimo SpaMP. non dimentica nella Vita (p. 257, n. 2), ad uno dalla cui «stolta ambizione e pazza confidenza è stata chia-
mata
questa
pestifera Erinni»
nel Regno,
il Principe
D.
Ferrante
Sanseverino. Cade quindi l’induzione del Fiorentino, che «il maggio del 1585 il B. era appena arrivato alla fine del secondo dialogo ». 1 Anche il SUMMONTE, storico quasi contemporaneo, nella
Historia della città e del Regno di Napoli (Napoli, Raimondi e Vivenzio, 1749, t. V, pp. 280-1), contro l' inopportunità del disegno del Toledo, osservava che Napoli uè stata sempre religiosissima » e pura di « macchia alcuna di eresia ». (B.
15[4))
(W.
II,
197)
(L.
500)
721
(G.!
II,
134)
(G.2
II,
142-3).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
cipi molti innocenti, e tal volta
TRIONFANTE
gli giusti; e con ciò vegna
a farsi sempre più e più grasso il prencipe*. Sofia. È cosa naturale che le pecore ch’ hanno
per governatore, vegnano
il lupo
castigate con esser vorate da lui.
Mercurio. Ma è da dubitare che qualche volta sia sufficiente la sola cupa fame ed ingordiggia del lupo a farle colpevoli. Ed è contra ogni legge, che per difetto del padre, vegnano multati gli agnelli e la madre, Sofia. È vero che mai ho trovato tal giudizio se non tra’ fieri barbari,
e credo
che
prima
fusse
trovato
tra’
per esser quella una generazione tanto pestilente,
Giudei,
leprosa e
generalmente perniciosa, che merita prima esser spinta che nata 2. Si che,
per venire
al nostro
proposito,
questa
è la
caggione che ti tien turbato, suspeso, e per cui fia mestiero che subito mi lasci? Mercurio. Cossi è; ho voluto far questo camino per convenirti prima che giunga a le parti, dove ho drizzato il volo,
per non farti vanamente
aspettare, e non mancar a la pro-
messa che feci ieri. A Giove ho mosso qualche proposito de casi tuoi, e lo veggio più ch'al solito inchinato a compiacerti. Ma per quattro o cinque giorni, ed oggi tra gli altri,
«non
io non
ho
ocio
t E il Summonte tanto
per
l'onor
di trattar
conferma di Dio,
e conferir
che si volevano
quanto
per
teco
quello
che
i processi ereticali
cavarne
le severe
confi-
scazioni delle robe ». Gli stessi concetti del B. e del Summonte erano stati già espressi da T. Tasso nel suo dial. Del piacere onesto (pubbl.
nella primavera del 1583), come ha mostrato lo SPAMPANATO, Postille, p. 314. 2 Spinta, spenta (v. sopra, p. 663, n. 1; e appresso, a p. 724). Ter
l'odio
di
B.
contro
gli Ebrei
cfr. la Cabala,
p.
867,
Spaccio, pp. 616, 787 e 799-800; cfr. anche BRUNNHOFER,
tanschauung Conferenza,
u.
Verhdngniss,
di T. Campanella, (BD. 15(4]-5)
Lpz.
pp. 53-4; LAGARDE,
p. 201.
(W. IT, 197-8)
1882,
p. 794;
(L. 500-1)
722
pp.
222-3;
FELICI,
e lo stesso
G. B.s Wel.
Tocco,
G. B.,
Le dottr. filos. velig.
(G.! IT, 134-5)
(G.2 IT, 143).
DIALOGO
SECONDO
doviamo negociare in proposito de l’instanza che devi fare; però arai pazienza in questo mentre, atteso che meglio è trovar Giove ed il senato feriante da altri impacci, che in quella maniera che puoi credere che sia al presente. Sofia. Mi piace l’aspettare, perché con questo che la cosa verrà proposta più tardi, potrà anco megliormente essere ordinata. Ed a dire il vero, io in gran fretta (per non mancar il mio dovero per la promessa che ti avevo fatta di commetterti oggi la richiesta) non ho possuto satisfar a me
medesima,
atteso
che
penso
che
le cose
denno
essere
esposte più per particolare che non ho fatto in questa nota; la quale ecco vi porgo, perché veggiate (se vi occorrerà ocio per il camino) la somma de le mie querele. Mercurio. Io vedrò questa; ma voi farrete bene di servirvi della commodità di questo tempo per far più lungo e distinto memoriale, a fine che si possa a pieno provedere al tutto. Io adesso per la prima, per confondere la forza, voglio andar a suscitar l'Astuzia '; acciò che gionta a l’ Inganno,
dettar
possa
una
lettera
di
tradimento
contra
la
pretenduta ambiziosa Ribellione; per la qual finta lettera si diverta l'éempito maritimo= del Turco 3, ed obste al Gal1 « Nell'anno
1558
alla politica
di Alba in unione
con
l'astuto
papa Paolo IV riusci di prevenire lo scoppio di una guerra pericolosa
per il dominio spagnuolo nell'Italia meridionale in Francia»: KUHLENBECK, p. 342, n. 191. (La traduz. del G., specie nell'ultima parte, non è molto chiara. Il KuHLENBECK dice: «Im Jahre 1558 gelang es der Staatskunft Albas in Verbindung mit dem liftigen Papste Paul IV., der Entwicklung eines fùr die spanische Herrschaft
in Unteritalien gef4hrlichen Krieges mit Frankreich vorzubeugen. ») 2
(G!
= L:
marilimo;
G?:
marittimo)
3 «I turchi inquietavano in quel tempo non di rado con la loro flotta le coste dell’ Italia meridionale e anche le città marittime fortificate, Nel 1558 da loro fu saccheggiata Sorrento» (KUHLENB.,
P. 342, (B.
n.
192).
155-6)
(W.
Cosi per il cenno
susseguente
II,
(G.1
198)
(L.
501)
723 50
—
G,
Brumno,
Diuloghi
italiuni
II,
del « gallico
135-0)
(G
II,
furore»
143-4).
SPACCIO
lico
furore
ch'a
DE
LA
lunghi
BESTIA
passi
da
TRIONFANTE
qua
de
l’Alpi
per
terra
s'avicina 1. Cossi per difetto di Forza si spinga l’ardire, si tranquille il popolo, s’assicure il prencipe, ed il timore spinga la sete de l'Ambizione ed Avarizia senza bere. E con ciò al fine vegna richiamata la bandita Concordia, e posta nella sua catedra la Pace, mediante la confirmazione
dell’antiqua Consuetudine di vivere, con abolizione di perigliosa ed ingrata Novitade. Sofia.
felicemente
Va
dunque,
vegnano
mio
Nume,
adempiti
e
piaccia
al
i tuoi dissegni,
fato
che
perché
non
vegna la mia nemica guerra a turbar il stato mio, non meno
che quel de gli altri. Fine
del
secondo
dialogo.
lo stesso KUHLENN., p. 342, n. 193. « Enrico II di Francia minacciava nel 1558 una invasione nel Regno di Napoli ». Anche posteriormente, sotto il medesimo Enrico II, la minaccia non si può dire fosse cessata. Perché informava da Praga nel 15 luglio 1575 Uberto Languet, come ebbe a rilevare lo SPamP. (Vita, p. 256, n. 5): « Scribunt etiam quidam ex Italia Regem Galliae egisse cum Turcico Imperatore, ut mittat ciassem in mare Tyrrhenum ad reprimendos
conatus Hispanorum:
et ob eam
quinquaginta triremes ». 1 Secondo il B., dunque,
l’aiuto dei Turchi,
di terra.
(B.
156)
(W.
II,
dalla parte
198)
(L.
instrui Constantinopoli centum
gl’insorti
di
Napoli
del mare,
e della Francia,
sor)
II,
724
(G.I
136)
(G.2
et
aspettavano
dalla parte
II,
144-5).
DIALOGO
Sofia.
Non
fia mestiero,
TERZO
Saulino,
di farti intendere
per
il particolare tutti que’ propositi che tenne la Fatica, o Diligenza, o Sollecitudine, o come la volete chiamare (perché ha più nomi che non potrei farti udire in una ora); ma non voglio passar con silenzio quello che successe subito che colei con le sue ministre e compagne andò a prendersi il loco là dove dicevamo essere il negocioso Perseo. Saulino. Dite, che io vi ascolto.
Sofia. Subito (perché il sprone dell'Ambizione sovente sa spingere ed incitar tutti eroici e divini ingegni, sin a questi dei compagni Ocio e Sogno) avenne che non ociosae sonnacchiosamente, ma solleciti e senza dimora, non si tosto la Fatica e Diligenza disparve, che essi vi furono visti presenti.
Per il che
disse Momo:
—
Liberaci,
Giove,
da fastidio, perché veggio aperto che ancora non mancaranno garbugli dopo l’espedizione di Perseo, come n'abbiamo avuti tanti dopo quella d’ Ercole. — A cui rispose Giove: — L’ Ocio non sarrebe Ocio, ed il Sonno non sarrebe Sonno, se troppo a lungo ne dovessero molestare per troppa diligenza o fatica che
debbano
prendere;
perché
quella è
discostata da qua, come vedi; e questi son qua solo in virti privativa nemica.
che —
consiste
Tutto
nell'absenza
de
la lor opposita
passarà bene, disse Momo,
se non ne fa-
(B. [157)-8) (W. II, 199) (L. 502) (G.! II, [137]) (G.* II, [146)).
725
e
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
ranno
tanto ociosi e lenti, che per questo giorno non pos-
siamo
definire di quello che si deve
principale.
—
a farsi udire:
conchiudere
circa il
Cominciò, dunque, l’ Ocio in questa maniera —
Cossf l' Ocio, o dei, è talvolta malo, come
la Diligenza e Fatica è più de le volte mala: cossi l’ Ocio il più de le volte è conveniente e buono,
come le sue volte
è buona la Fatica. Non credo dunque, se giustizia tra voi si trova, che vogliate negarmi equale onore, se non è debito che mi stimiate manco degno. Anzi per raggione mi confido di farvi capire (per causa di certi propositi che ho udito allegare in lode e favore della diligenza e negocio) che
quando
saremo
comparazione,
posti
nel
bilancio
della
raggionevole
se l’ Ozio non si trovarà equalmente
buono,
si convencerà di gran vantaggio megliore, di maniera che non solo non la mi stimarete equalmente virtude, ma, oltre,
contrariamente vizio. Chi è quello, o dei, che ha serbata 1 la tanto lodata età de
l'oro *?
chi
l’ ha
instituta,
chi
l’ ha
mantenuta,
altro
che la legge de l’' Ocio, la legge della natura? Chi 1’ ha tolta via? chi l’ha spinta quasi irrevocabilmente dal mondo,
altro
che
l'ambiziosa
Sollecitudine,
la
curiosa 3
Fatica ? Non è questa quella ch' ha perturbato gli secoli, ha messo in scisma il mondo e 1’ ha condotto ad una etade ferrigna
e lutosa
ed argillosa,
avendo
posti
gli popoli
in
ruota ed in certa vertigine e precipizio, dopo che l’ ha sullevati in superbia
e gloria
d'un
ed amor
particolare?
di novità,
Quello
e libidine de l’onore
che,
in sustanza,
non
dissimile a tutti, e tal volta, in dignitade e merito, è infimo I BL:
serbata;
WGI:
servata.
® Cfr. Cabala, p. 855. 3 Nel senso etimologico
(da cura, -ae): diligente, che si dà pena.
(B. 158-9) (W. II, 199-200) (L. 502-3) (G.!II, [137]-8) (G. II, [146]-7).
726
DIALOGO
TERZO
a que’ medesimi, con malignitade è stato forse superiore a molti, e però viene ad essere in potestà di evertere le leggi de la natura, di far legge la sua libidine, a cui servano mille querele, mille orgogli, mille ingegni, mille sollecitudini, mille di ciascuno de gli altri compagni, con gli quali cossi boriosa è passata avanti la Fatica; senza gli altri che sotto
le vesti di que’ medesimi coperti ed occolti non son apertamente
giti,
come
l’Astuzia,
d'altri,
la
Violenza,
la
la Vanagloria,
Malizia,
la
il Dispreggio
Fizione
e
gli
seguaci
loro che non son passati per la presenza vostra; quai sono Oppressione, Usurpazione, Dolore, Tormento, Timore e Morte; li quali son gli executori e vendicatori mai del quieto Ocio, ma sempre della sollecita e curiosa Industria, Lavoro,
Diligenza,
Fatica;
e cossi
di tanti
altri
nomi,
di
quanti, per meno essere conosciuta, se intitula, e per quali più tosto si viene ad occoltare che a farsi sapere. Tutti
lodano
la bella
età
de
l'oro,
ne
la quale
facevo
gli animi quieti e tranquilli, absoluti da questa vostra virtuosa dea; a gli cui corpi bastava il condimento de la fame a far più suave e lodevol pasto le ghiande, le castagne,
le persiche
e le radici,
administrava 1, quando
che
li pomi,
la benigna
con tal nutrimento
natura
meglio
le nu-
triva, più le accarezzava e per più tempo le manteneva
in
vita, che non possano far giamai tanti altri artificiosi condimenti di
ch’ ha ritrovati I’ Industria
costei;
li
quali,
amministrano
come
ingannando cosa
dolce
ed il Studio,
il gusto il
ed
veleno;
ministri
allettandolo, e
mentre
son
prodotte più cose che piaceno al gusto, che quelle che giovano al stomaco, vegnono a noiar alla sanità e vita, mentre 1 Cfr.
(B.
Ovipio,
159-(60]))
(W.
Metamm.,
II, 200)
I,
103-0.
(L. 503) (G.!
727
II,
138-9)
(G.2
II,
147-8).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
sono intenti a compiacere alla gola. Tutti magnificano l'età de l'oro, e poi stimano e predicano per virtù quella manigolda che la estinse, quella ch’ ha trovato il mio ed il tuo: quella ch' ha divisa e fatta propria a costui e colui non solo la terra (la quale è data a tutti gli animanti
suoi), ma,
oltre,
ch' ha messa
il mare,
e forse
l’aria
ancora.
Quella,
ed
la legge a gli altrui diletti, ed ha fatto che quel tanto che
era bastante a tutti, vegna ad essere soverchio a questi e meno a quell’altri; onde questi, a suo mal grado, crapulano,
quelli altri si muoiono mari,
per
violare
di fame,
quelle
leggi
Quella ch’ ha varcati gli della
natura,
confondendo
que’ popoli che la benigna madre distinse, e per propagare i vizii d'una generazione in un’altra 1; perché non son cossî
propagabili le virtudi, eccetto se vogliamo chiamar virtudi e bontadi quelle che per certo inganno e consuetudine son cossf nomate e credute, benché gli effetti e frutti sieno condannati da ogni senso e ogni natural raggione. Quai sono le aperte ribaldarie e stoltizie e malignitadi
di leggi
usurpative e proprietarie del mio e tuo; e del più giusto, che fu più forte * possessore; e di quel più degno, che è stato
pit sollecito e più industrioso e primiero occupatore di que’ doni e membri de la terra, che la natura e, per conseguenza,
Dio indifferentemente donano Io forse sarò
men
a tutti.
faurita che
costei?
Io, che col mio
dolce che esce dalla bocca della voce de la natura, ho inse-
gnato di viver quieto, tranquillo e contento di questa vita presente e certa, e di prendere con grato affetto e mano
il
dolce che la natura porge, e non come ingrati ed irrecono1 Vedi
Cena,
2 (L'Amerio (B.
[160]-2)
pp.
pone
31-2.
Cfr. Orazio,
la virgola
(W. II, zo1) (L.
dopo
503-4)
728
Odi,
forte).
(GT II,
I,
1309-40)
21,
4.
(G.2
II,
148-9).
DIALOGO
TERZO
scenti neghiamo ciò che essa ne dona e detta, perché il medesimo ne dona e comanda Dio, autor di quella a cui medesimamente verremo ad essere ingrati. Sarà, dico, pit favorita costei, che, sf rubella e sorda a gli consegli, e ritrosa
e schiva contra gli doni naturali, adatta li suoi pensieri e
mani
ad artificiose imprese
e machinazioni,
per quali
è
corrotto il mondo e pervertita la legge de la nostra madre ? Non udite come a questi tempi, tardi accorgendosi il mondo di suoi mali, piange quel secolo, nel quale col mio governo
mantenevo gaio e contento il geno
umano, e con alte voci
e lamenti abomina il secolo presente, in cui la Sollecitudine ed
industriosa
Fatica,
conturbando,
si
dice
moderar
il
ultima lezione è quella
che
tutto con il sprone dell’ambizioso Onore ? O
bella
Non
già perché
Se "n
corse
Le
Non
da
l'oro,
di latte
e stillò
i frutti loro
l'aratro
terre,
intatte
e gli angui
perché
Non E ’n
de
il fiume
perché
Non
Diér
età
nuvol
erràr
méle
il bosco;
senz’'ira
fosco
e tòsco;
spiegò allor suo velo, primavera eterna,
Ch’ ora s’accende Rise
di
luce
e di
e verna,
sereno ‘il cielo;
Né portò peregrino O guerra o merce a l'altrui lidi il pino: Ma sol perché quel vano Nome
senza
soggetto,
Quel idolo d’errori!, idol d' inganno, Quel che dal volgo insano Onor poscia fu detto, Che di nostra natura il feo
Non meschiava il suo Tra le liete dolcezze De l’amoroso gregge; 1 BWL:
error;
GI:
errori.
tiranno,
affanno
La
qual
costantemente appare ne’ mss. e nelle antiche stampe di questi versi. (B.
162-3)
(W,
II,
201) (L.
504-5)
729
(G'.
II,
140-1)
(G2,
II,
149-590).
SPACCIO Né
Nota
DE
LA
fu sua dura
BESTIA
TRIONFANTE
legge
a quell’alme
in libertade
Ma legge aurea e felice, Che Natura scolpi: S'ei
avezze,
piace,
ei
lice!
-
Questa, invidiosa alla quiete e beatitudine, o pur ombra di piacere che in questo nostro essere possiamo prenderci, avendo
posta legge al coito, al cibo, al dormire,
onde
non
solamente meno delettar ne possiamo, ma per il più sovente
dolere e tormentarci; fa che sia furto quel che è dono di natura, e vuol che si spregge il bello, il dolce, il buono; e del male mondo
amaro
e rio facciamo
stima.
a lasciar il certo e presente
Questa
bene
che
seduce
quello
il
tiene,
ed occuparsi e mettersi in ogni strazio per l'ombra di futura gloria. Io di quel che con tanti specchi, quante son stelle in cielo,
la verità
dimostra,
e quel
che
con
tante
voci
e
lingue, quanti son belli oggetti, Ia natura di fuore intona, vegno da tutti lati de l’ interno edificio ad esortarlo: Lasciate l'’ombre ed abbracciate il vero. Non cangiate il presente col futuro. Voi
siete il veltro
Mentre
l'ombra
Aviso non Perder un
A
che
che
nel rio trabocca,
desia di quel ch'ha
in bocca.
fu mai di saggio o scaltro ben per acquistarne un altro.
cercate
si lungi
diviso,
Se in voi stessi trovate il paradiso? Anzi,
chi
perde
Non
speri dopo
Cossf
credendo
l'un
mentre
è nel
mondo
morte l’altro bene.
Perché si sdegna il ciel dar il secondo A chi il primero don caro non tene; alzarvi,
gite
al fondo;
Ed ai piacer togliendovi, a le pene Vi condannate; e con inganno eterno,
Bramando
il ciel, vi state ne l’ inferno 2. —
1 Tasso, Aminta, atto I, cora. 2 La 28 ottava è del TAansiLLO,
(B.
163-4)
(W.
II,
202)
(L.
505)
730
Vendemmiatore,
(G.!
IT,
14r1-2)
st.
(G
208
II,
(ediz.
150).
DIALOGO
TERZO
Qua rispose Momo, dicendo che il conseglio non aveva tanto ocio, che potesse rispondere a una per ciascuna de le raggioni che l' Ocio, per non aver avuta penuria d’ocio, ha possute
intessere
ed ordinare.
Ma
che
per il presente
si servisse de l’esser suo, con andar ad aspettar per tre o quattro giorni; perché potrà essere che, per trovarsi gli dei in ocio, potessero determinar ® qualche cosa in suo favore; il che
adesso
è impossibile.
Soggionse
I’ Ocio:
—
Siami
lecito, o Momo, di apportar un altro paio di raggioni, in non più termini che in forma di un paio di sillogismi, più in materia efficaci che in forma. De quali il primo è questo: al primo padre de gli uomini, quando era buon omo, ed a la prima madre de le femine, quando era buona femina, Giove gli concese me per compagno; ma, quando devenne questa trista e quello tristo, ordinò Giove che se gli aventasse quella per compagna, a fin che facesse a costei sudar il ventre ed a colui doler la fronte 2. — Saulino.
Dovea
dire: sudar
a colui la fronte,
e doler a
colei il ventre. Sofia.
—
Or considerate,
dei, disse, la conclusione
che
pende da quel che io fui dechiarato compagno3 de l’ Innocenza,
e costei compagna
del peccato.
Atteso
che, se il
simile s'accompagna col simile, il degno col condegno, io vegno ad esser virtude e colei vizio, e per tanto io degno e lei indegna di tal sedia. Il secondo sillogismo è questo: Li
dei
Flamini,
diverse
giù: (B.
son
dei,
p. 60).
dello
perché
La
stesso
son
18 è formata
felicissimi; dal B. con
Vendemmiatore
(178,
li felici versi tolti da
188,
198).
II,
142)
son
felici,
tre stanze
1 B: derminar. ? Allusione al Genesi (III, 16-19), sottolineata dal post. napol. 3 BL: dechiarato compagna; WG!: dechiarata compagna. Ma pit io degno.... 164-5)
(\.
II,
202-3)
(L.
506)
731
(G.
(G.2
II,
151).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
perché son senza sollecitudine e fatica: fatica e sollecitudine non han color che non sì muoveno
ed alterano;
questi
son massime quei ch’ han seco l’' Ocio; dunque gli dei son dei,
perché
han
seco l' Ocio.
—
Saulino. Che disse Momo a questo? Sofia. Disse che, per aver studiato logica in Aristotele, non aveva imparato di rispondere a gli argumenti in quarta
figura 1.
Saulino.
E Giove che disse ?
Sofia. Che di tutto, che lei avea detto e lui udito, non
si ricordava altro che l’ultima raggione circa l'essere stato compagno del buono uomo e femina; intorno alla quale gli occorreva, che gli cavali non pertanto son asini, perché si trovano in compagnia di quelli, né giamai la pecora è capra tra le capre. E soggionse che gli dei aveano donato a l’uomo
l'intelletto
ordinario,
ma,
e le mani,
e l’aveano
fatto
simile
a
loro, donandogli facultà sopra gli altri animali; la qual consiste non solo in poter operar secondo la natura ed mando
ed oltre,
o possendo
fuor le leggi di quella;
formar
altre
nature,
altri
acciò, corsi,
foraltri
ordini con l’ ingegno, con quella libertade, senza la quale non
arrebe
detta
similitudine,
venesse
la terra =. Quella certo, quando
ad
serbarsi
dio
de
verrà ad essere ociosa, sarà
frustratoria e vana, come indarno è l’occhio che non vede,
e mano che non apprende. E per questo ha determinato la providenza, che vegna occupato ne l’azione per le mani, e contemplazione per l'intelletto; de maniera che non 1 Aristotile, figura. siero (B.
® Cfr.
Pico,
infatti, De
dign.
del Rinascimento,
165-6)
(W.
non
II, 203)
aveva
hominis,
137-0,
parlato dei sillogismi in
145-8,
(L. 506-7)
732
GENTILE,
ecc.
(G.I II,
G.
142-3)
di quarta
Bruno
e il pen-
(G.2 II,
151-2).
DIALOGO
TERZO
contemple senza azione, e non opre senza contemplazione.
Ne l'età dunque de l’oro per l' Ocio gli uomini non erano più virtuosi che sin al presente le bestie son virtuose, e forse erano più stupidi che molte di queste. Or essendo tra essi per l'emulazione d’atti divini ed adattazione di spirituosi
affetti
nate
le difficultadi,
risorte
le necessitadi,
sono acuiti gl’ ingegni, inventate le industrie, scoperte le arti; e sempre di giorno in giorno, per mezzo de l’egestade, dalla profundità
de l’ intelletto
umano
si eccitano
nove
e
maravigliose invenzioni. Onde sempre più e più per le sollecite ed urgenti occupazioni allontanandosi dall’esser bestiale, più altamente s'approssimano a l'esser divino. De le ingiustizie e malizie che crescono insieme con le industrie, non ti devi maravigliare; perché, se gli bovi e scimie avessero tanta virtù ed ingegno, quanto gli uomini, arrebono le medesime apprensioni, gli medesimi affetti e gli medesimi vizii. Cossi tra gli uomini quei ch’ hanno del porco, de l'asino e del bue, son certo men
tristi, e non sono infetti di
tanti criminosi vizii; ma non per ciò sono più virtuosi, eccetto in quel modo con cui le bestie, per non esser partecipi di altretanti vizii, vegnono ad esser più virtuose de loro. Ma noi non lodiamo la virtà de la continenza nella scrofa, la quale si lascia chiavare da un sol porco ed una volta l’anno; ma in una donna la quale non solo è sollecitata una volta dalla natura per il bisogno de la generazione, ma ed ancora dal proprio discorso più volte per l’apprensione del piacere, e per esser ella ancor fine degli suoi atti. Oltre di ciò non troppo, ma molto poco lodiamo di continenza una femina o un maschio porcino, il quale per stupidità e durezza di complessione avien che di rado e con poco senso vegna sollecitato da la libidine, come quell'altro (B.
166-7)
(W.
II,
203-4)
(L.
507)
733
(G.I
II, 143-4)
(G.2
IT,
152-3).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
che per esser freddo e maleficiato, e quell'altro per esser decrepito;
altrimente
deve esser considerata la continenza,
la quale-è veramente
continenza e veramente virtù in una
complessione più
più gentile, più ben
nodrita,
e maggiormente
apprensiva.
perspicace
più ingegnosa, Però
per
la
generalità de regioni a gran pena è virti ne la Germania,
assai è virtù ne la Francia, più è virtù ne l’ Italia, di vantag-
gio è virti nella Libia !. Là onde, se più profondamente consideri, tanto manca che Socrate revelasse qualche suo difetto, che più tosto venne a lodarsi tanto maggiormente di continenza, quando approvò il giudicio del fisionomista circa la sua natural inclinazione al sporco amor di gargioni 2. Se dunque, Ocio, consideri quello che si deve con-
siderar da questo, trovarai che non per tanto nella tua aurea etade gli uomini erano virtuosi, perché non erano cossi viziosi, come al presente; atteso che è differenza molta tra il non esser vizioso e l’esser virtuoso; e non cossi facilmente
l’uno
sono medesime
si tira virtudi
da
l’altro,
dove
non
considerando
son
medesimi
che
non
studi,
me-
desimi ingegni, inclinazioni e complessioni. Però, per comparazione da pazzi ed ingegni cavallini, aviene che gli barbari e salvatici si tegnon megliori che noi altri dei, 1 Per
menti
queste
umani,
cfr.
attinenze il capo
tra l'ambiente
De
virtude
loci
geografico
nel
De
e i tempera-
rerum
principiis,
in Ofera III, 554-56. ® Gargioni in cambio di garzoni, forse per il pensiero di rendere italiana una parola che aveva suono francese. — Cfr. 1’ Asino cillenico, p. 919, e la nota ivi. Venne a lodarsi,
perché mostrò d'aver egli vinto la sua natura. « Cum
multa in con-
ventu vitia conlegissct in eum Zopyrus, qui se naturam cuiusque cx forma perspicere profitcbatur, derisus est a ceteris, qui illa in Socrate vitia non agnoscerent, ab ipso autem Socrate sublevatus cum illa sibi insita, sed ratione a se deiecta diceret»: CICERONE, Tuscul.,
(B.
IV,
167-8)
37,
(W.
80.
Cfr.
II, 204)
il De
Fato,
(L. 507-8)
734
c.
(G.!
5.
II,
144-5)
(G.2 II,
153-4).
DIALOGO
TERZO
per non esser notati di que’ vizii medesimi; per ciò che le bestie, le quali son molto meno in tai vizii notabili che essi, saranno per questo molto più buone che loro. A voi dunque,
Ocio e Sonno, con Ja vostra aurea etade converrà bene che non siate vizii qualche volta ed in qualche maniera; ma giamai ed in nessun modo che siate virtudi. Quando dunque tu,
Sonno,
non
sarai
Sonno,
e
tu,
Ozio,
sarai
allora sarete connumerati tra virtudi ed essaltati. il Sonno si fece un passetto
occhi per dire ancora lui picciolo proposito avanti venuto in vano. Quando rimenarsi pian pianino,
la dea
Oscitazione,
Negocio,
— Qua
avanti, e si fricò alquanto gli
qualche cosetta ed apportar qualche il Senato, per non parer d’esservi Momo il vedde cossi! suavemente rapito dalla grazia e vaghezza de
che,
come
aurora
avanti
il sole,
pre-
cedeva avanti a lui, in punto di voler far ella il prologo; e non osando di scuoprir il suo amor in conspetto de gli dei, per non essergli lecito di accarezzar la fante, fece carezze al signore in questa foggia (dopo aver gittato un caldetto suspiro), parlando per lettera ?, per fargli più riverenza ed onore: Somne,
quies
rerum,
placidissime
somne
deorum,
Pax animi, quem cura fugit, qui corpora duris Tessa ministeriis mulces reparasque labori3. —
Non sf tosto ebbe cominciata questa cantilena il dio de le riprensioni (il quale per la già detta caggione s'era dismenticato 4 de l'ufficio suo), che il Sonno, invaghito per I
(L:
cossi;
? Cîr. Cand.?,
3 Ovipio,
4 Altrove (B.
168-9)
(W.
GI G2:
n. 5 delle pp.
Metamm.,
(Cand.?, II
cost)
p.
204-5)
XI,
72): (L.
38 e 77.
623-25.
desmenticato; 508)
735
(G.
II,
ivi,
n.
145-6)
4. (G.2
II,
154).
SPACCIO
il proposito
DE
LA
di tante
DBDESTIA
TRIONFANTE
lodi e demulcto
dal tono di quella
voce, invita a l'udienza il Sopore che gli alloggiava ne gli precordii. Il quale, dopo aver fatto cenno alle fumositadi
che faceano residenza nel stomaco, gli montorno tutti insieme sul cervello, e cossi vennero ad aggravarli la testa, e con questo vennero a discioperarsi gli sensi. Or mentre il
Ronfo
sonavagli
li scifoli!
e
tromboni
innante,
trepidando trepidando ? a curvarsi e dar il capo di madonna Giunone; e da quel chino avenne
andò
in seno (perché
questo dio va sempre in camicia e senza braghe) che, per essere la camicia troppo corta, mostrò le natiche, il coliseo
e la punta del campanile 3 a Momo ch'erano
da
quella
venuto in campo nato
parte.
Or,
il Riso, con
la prospettiva
con
e tutti questa
gli altri
occasione,
dei ecco
presentar a gli occhi del Se-
di tanti
ossetti,
che
tutti
eran
denti;
e facendosi udire con la dissonante musica di tanti cachinni, interruppe il filo de l’orazione a‘ Momo. Il qual, non possendosi risentir contra costui,
tutto il sdegno suo converse
contra il Sonno che l’avea provocato, con non premiarlo al meno di buona attenzione, e di sopragionta con andar ad offrirgli con tanta sollennitade il purgatorio, con la pera e baculo di Giacobbe, come per maggior dispreggio del suo adulatorio ed amatorio dicendi genus. Là onde ben si accorgeva che gli dei non tanto ridevano per la condizion del 1 W
corregge:
2ufoli;
ma
nel
Baldo
del
FoLeNGO
(II
475-6):
p. 477: scifolare, cifolo, ciuffolo.
scifolo,
« Laetus in hoc medio sentitur iungere Bertus Saepeque cum cifolis
cantuque.... ». Nel New World of Words, as zuffolare, zuffolo; ivi, pp. 101 e 105: ® W tralascia un trepidando.
3 Il
Berni
nel
pone | Vede.... | ....la
son.
‘O
camicia
chi ha la vista più profonda Cfr. anche p. 582, n. 4. (B.
169-70)
(W.
II, 205)
spirito
ch’esce
bizzarro’:
| Il Culiseo,
(L. 508-0)
736
(G.!
dal
« Allor
chi
mente
canestro. | .... | Scorge
l’Aguglia e la Ritonda ».
IT,
146)
(G.*
II,
154-5).
DIALOGO
TERZO
Sonno, quanto per il strano caso intervenuto a lui, e perché il Sonno era giocatore ed egli era suggetto di questa comedia; e con ciò avendogli la Vergogna d'un velo sanguigno ricoperto
il volto:
—
A
chi
tocca,
disse,
di
levarci
dinanzi
questo ghiro ? chi fa che sf a lungo questo ludibrioso specchio ne si presente a gli occhi? — In tanto la dea Poltronaria, commossa da la rabbiosa querela di Momo (dio de' non più volgari ch'abbia il cielo), se mise il suo marito in braccio;
e presto,
avendolo
indi
tolto,
lo menò
verso
la
cavità d'un monte vicino a gli Cimmerii !; e con questi si partiro li suoi tre figli Morfeo,
Icilone e Fantaso;
che tutti
tosto si ritrovorno là dove da la terra perpetue nebbie exalano, caggionando eterno crepuscolo a l'aria: dove vento non soffia, e la muta Quiete tiene un suo palaggio ancora vicino a la regia del Sonno;
avanti il cui atrio è un
giardino di tassi, faghi 2, cipressi, bussi3 e lauri; nel cui mezzo è una fontana, che deriva da un picciol rio, che dal I Cfr.
Ovipio,
Est prope Mons
E
ad
Ovidio
dallo
Spaccio
canto
suo,
Metamm.,
Cimmerios
cavus,
il B.
ignavi
XI,
i nomi
2 Tassi, abeti latinismo: faggi.
longo spelunca
recessu,
in
che
domus
si attiene
il FLorio
et
tutto
nel Nuovo
dei
592-93:
figli del
Faghi
penetralia quel
Somni.
segue;
mentre,
mondo
di parole
(p. 375)
(New
World
Words,
Sonno.
of
dal
prende
p.
177),
3 Busso, bosso, bossolo: New World of Words, p. 72. OvinIo, avanti le porte della casa del Sonno mette i papaveri (XI, 605), come poi il PETRARCA (Rime disperse, Firenze, Sansoni, 1909, p. 254, v. 30). Ma
(ma
92):
l’ArIosto,
di cui il B., anche si ricorda,
D'antiqui Cfr.
SPAMPANATO,
(B.
170-1)
(\W.
Lo
52
e tutta piena
abeti
spaccio,
II, 205-6)
Or. fur., XIV,
e di robusti faggi.
p.
109.
(L. 509)
737
(G.!
II,
146-7)
(G.2 II,
155-6).
SPACCIO
DE
inferno
alla superficie de la terra, ivi viene
Qua
letto, di cui d’ebano
leteo,
TRIONFANTE
varco
aperto.
fiume
BESTIA
rapido
al cielo
del
LA
divertendo
il dormiglioso
dal
tenebroso
a discuoprirsi
dio rimesero
le tavole, di piume
nel suo
i strami ed il pa-
diglion di seta di color pardiglio 1. In questo mentre, presa avendo licenza il Riso, se parti dal conclave;
ed essendo
rimesse
al suo
sesto le bocche
e
ganasse ?'de gli dei, che poco mancò che non venesse smascellato alcuno di essi, l’ Ocio, il qual solo ivi era-rimaso,
vedendo il giudicio de’ dei non troppo inchinato al suo favore, e desperando di profittar oltre in qualche maniera, se le sue quasi tutte e più principali raggioni non erano accettate, ma, tante quante fùro, di rovescio erano state
ributtate a terra, dove per forza de la repulsa altre erano mal
vive,
altre
erano
altre in tutto erano ogni momento
un
crepate,
altre
aveano
il collo
andate in pezzi e fracasso:
anno,
per pigliar occasione
rotto,
stimava
di tòrsi de
là di mezzo, prima che forse gli potesse intravenire qualche vituperosa disgrazia simile a quella del suo compagno, per rispetto del quale dubitava che Momo non gli aggravasse le censure contra. Ma quello, scorgendo il spavento, che costui aveva di fatti non suoi: — Non dubitar, povera persona,
gli disse;
perché
io, instituito
dal
fato
advocato
de poveri, non voglio mancar di far la causa tua. — E voltato a Giove, gli disse: —
Per il tuo dire, o Padre, intorno
alla causa de l’ Ocio, comprendo che non sei a pieno informato de l'esser suo, della sua stanza e de gli suoi ministri \
1«Pardiglio,
bardiglio,
cioè
il colore
del
marmo
stesso nome, di liste bianche e cerulee oscure n: SPAMP., p. 109, n. 1, e in Critica, XXII, p. 121.
? Per
(B. 171-2)
esempi (W.
analoghi
II, 206)
di assimilazione,
(L. 509-10)
738
(G.!
II,
v. Cand.?, 147-8)
Lo
dello
spaccio,
p. 7, n. 6.
(G.2 II, 156-7).
DIALOGO
TERZO
e corte; la qual certamente se verrai a conoscere, facilmente mi persuado che, se non come Ocio lo vuoi incatedrare nelle stelle, almeno come Negocio lo farai alloggiare insieme
con
quell'altro,
detto
e stimato
suo
nemico;
con
il
qual, senza farsi male l’un l’altro, potrà far perpetuo soggiorno.
—
Rispose
poter giustamente
è mortale
Giove,
che
lui desiderava
l’ascoltarebbe,
causa in suo favore.
che
de
casa
l’ Ocio
delettarsi; però
se gli facesse intendere
che nervosa in
di
contentar l’' Ocio, de le cui carezze non
né dio che non soglia sovente
che volentieri
occasione
—
sia ocio,
Ti par, Giove,
quanto
a la vita
qual-
disse, attiva,
là dove son tanti gentiluomini di compagnia e servitori che si alzano ben per tempo la mattina, per lavarsi tre e quatro ! volte con cinque o sette sorte d'acqua il volto e le mani,
e che col ferro caldo e con l’ impeciatura di felce spendeno due ore ad incresparsi e ricciarsi la chioma ?, imitando la alta e grande providenza, da cui non è capello di testa che non
viene 1 WL:
È
ad
in
di
quello
secondo
aulicos Ganimedes, et Anglos praecipue, ut mihi videtur ». tra le postille, sinora riprodotte, una delle più notevoli
storicamente,
nimo
esaminato 3, acciò
quattro.
= «In questa
lingua
essere
se dal genere
usata
e dai
Annotatore
Inghilterra
dell’ inchiostro
sentimenti
espressi
Elisabetta
e Giacomo
e della scrittura,
si deve
arguire
che
se dalla
l'ano-
non fu che uno de’ tanti nostri esuli che vissero
sotto
I ed
appartennero
alla
Chiesa italiana di Londra — è superfluo dire che l'esemplare dello Spaccio della Nazionale di Napoli è di provenienza inglese. Perché, essendo fondata tale congettura,
ci appare
l'opinione del Postillatore non solo
non poco più verosimile,
ma anche ci indica del discorso
che il B. fa pronunziare all’ Ozio, l’ illustrazione più ampia e naturale nei Secondi frutti del FLorIo, specialmente nel primo e nel
quinto capitolo, trattando quello ciò che «appartiene, [levandosi] la mattina, alla camera ed al vestire », e questo «ragionando del giuoco e di molte cose a ciò pertinenti, e descrivendo a primera, una al tavogliere ed una a scacchi»,
3 Cfr. le ultime
(B.
172-3)
(W.
pagine del primo
II, 206-7)
(L. s1o)
739 51
—
G.
Diuno.
Dialovhi
ituliani
dial.
(G.!
(633
II,
148)
sgg.)
una
partita
in proposito.
(G.2 II,
157-8).
SPACCIO
la sua raggione
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
vegna disposto ? Dove
appresso
con tanta
diligenza si rassetta il giuppone, con tanta sagacità si ordinano le piegature del collaio, con tanta moderanza s’affibiano gli bottoni, con tanta gentilezza s'accomodano gli polsi, con tanta delicatura si purgano e si contemprano le unghie,
con
tanta
giustizia,
moderanza
ed
equità
s’ac-
copulano le braghe col giubbone, con tanta circonspezione si disponeno que’ nodi de le stringhe; con tanta sedulità si menano e rimenano le cave palme, per far andar a sesto la calzetta; con tanta simmetria vanno a proporzionarsi
gli termini e confini dove l'orificii de cannoni de le braghe s’uniscono a le calzette in circa la piegatura de le ginocchia, con tanta pazienza si comportano gli artissimi legami o garrettiere,
perché
non
diffluiscano
le calzette
a far le
pieghe e confondere la proporzione di quelle con le gambe; dove col polso della difficultade dispensa e decerne il giudicio, che, non essendo leggiadro e convenevole che la scarpa s’accommode al piede, vegna il piede largo, distorto, nodoso e rozzo,
al suo
marcio
dispetto,
ad
accomodarsi*!
con
la
scarpa stretta, dritta, tersa e gentile ? Dove con tanta leggiadria si muoveno gli passi, si discorre, per farsi contemplare,
la cittade,
si visitano
balla, si fa de capriole, e quando dette
altro non
operazioni,
intertegnono
di correnti,
è che
ad
ed
si
di branli *, di tresche;
fare, per essersi
evitar
le dame,
l’ inconveniente
stancato di
ne le
commet-
tere errori, si siede a giocare 3 di giuochi da tavola 4, ritrandosi da-gli altri più forti e faticosi: ed in tal maniera s’evi1 BWL:
accodarsi;
? « Ballo francese 3 BWL: giocare; 4 Sui giuochi da
(B.
173-4)
(W.
II,
G!:
accommodarsi.
chiamato
bransle »: Mondo
Gl: giuocare. tavola, v. Cand.2,
207)
(L.
S10-1)
740
(G.!
p.
II,
di parole, p. 48.
96.
148-9)
(G.2
II,
158-9).
DIALOGO
TERZO
tano tutti li peccati, se quelli non son più che sette mortali e capitali, perché, come disse un Genoese giocatore: — Che Superbia vuoi tu ch'abbia un uomo il quale, avendo perduti cento scudi con un conte, si mette a giocar per vencere quattro reali *.ad un famiglio ? Che Avarizia può aver colui a cui mille scudi non durano
otto giorni? Che Lus-
suria ed Amor cupidinesco può trovarsi in quello il quale ha messa tutta l’attenzion del spirto al giocare ? Come potrai arguire d’ Ira colui, che per téma ch'il compagno
non si parta dal giuoco comporta mille ingiurie, e con gentilezza e pazienza risponde ad un orgoglioso che gli è avanti? Per qual modo può esser goloso chi mette ogni dispendio e applica ogni sollecitudine a l'esercizio suo? Che Invidia può essere in costui per quel ch'altri possieda, se getta via e par che spreggie il suo ? Che Accidia può essere in quello che cominciando da mezo * giorno, e tal volta
da
la mattina,
insino
a meza
notte,
mai
cessa
di
giuocare ? E vi par che faccia in questo mentre star in ocio gli servitori, e quelli che gli denno assistere, e quelli che gli denno administrare ? al tempio, al mercato, a la cantina, a la cocina, vedere,
a la stalla,
o Giove,
al letto,
al bordello? E per
farvi
e voi altri dei, che in casa de I'Ozio
non
mancano de persone dotte e literate, occupate a studii, oltre quelle occupate a’ negocii, de’ quali abbiamo detto: pare a voi, che in casa de l’ Ocio si stia in ocio quarto a la vita contemplativa, dove non mancano grammatici che disputano di chi è stato prima, il nome o il verbo ? Perché 1 Il
parte
reale,
dello
scudo,
moneta
e di rame
? B: mezo; p. 664, n. 1.
WLG!:
(B.
II,
174-5)
(W.
spagnuola,
mezzo.
207-8)
(L.
valeva
che
pochi
d’argento
centesimi.
E così anche appresso; sir)
741
(G.!
TI,
149-50)
era
l'ottava
ma cfr. sopra, (G.2
II,
1509).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
l'adiettivo accade che si pona avanti ed appresso al sustantivo ? Onde ne la dizione alcuna copula, quale, verbigrazia, et, si pone innanzi ed alcun’altra, quale per essempio, que, sì pone a dietro ? Come lo e e d con la giunta de temone e scissione del 4 per il mezzo,
ritratto di quel nume
mise
l’asinicidio? Chi
referirsi
il libro
viene a far comodamente
il
di Lampsaco !, che per invidia com-
l’autore
della
a cui legitimamente
Priapea,
il Maron
deve
mantuano,
o pur il sulmonese Nasone ? ® Lascio tanti altri bei propositi simili, e più gentili che questi. Dove non mancano dialettici che inquireno se Crisaorio 3, che fu discepolo natura,
se la
di Porfirio,
o per riputazione,
o solamente
Periermenia
presso,
o pur,
avea bocca
d'oro per
per nomenclatura;
deve passar avanti, o venir ap-
ad libitum,
mettersi
innanzi
ed a dietro
de
le
Categorie4;
se l'individuo vago deve esser messo
in
numero
n.
1 Cioè, Priapo (v. sopra, p. 585), intorno a cui nella Cena, p. 24, 2. Non occorrono schiarimenti intorno alla rappresentazione
e posto
in mezzo,
come
un
sesto
predicabile,
oscena che risulta dall'intreccio delle due suddette lettere. ® Per questa questione grammaticale dell'autore dei -Priapeia, v. anche sopra, p. 673, n. 2. «La disputa si'era accesa al primo albore del secolo, nista napolitano
— si desume da un luogo di un'opera dell’umaScoppa (In varios autores Collectanea, Napoli,
1507, p. 54), tanto noto al Bruno: ‘ Ovidius sive alius.... in Priapeîs impudica sic dicens facit’ — e durò a lungo, se il Doni, nelle Foglie della
Zucca
(Venezia,
1589,
c.
156 v.),
rivolgendosi
a messer
Gio-
vanni quidam pedante: ‘Intendo che siete in una gran differenza se la Priapea è di Marone o di Marziale; priegovi che me ne diate
il parer
vostro ’»: SpamP.,
3 Crisaorio,
Postille, in Critica, IX, p. 230.
lo scolaro
di
la sua Zsagoge e lo scritto Ilspl t&v
Porfirio, al quale
questi
dedicò
tp’fiuiv (SroBEO, Ec2. II, 366).
L'etimologia cervellotica accennata dal Bruno fa pensare a una confusione tra Crisaorio e Crisostomo. 4 Le Categorie, e, appresso, gli Analitici posteriori e i Topici di Aristotile. (B.
175-6)
(W.
II, 208)
(L.
511-2)
742
(G.!
II,
150-1)
(G.? II,
159-60).
DIALOGO
TERZO
o pur essere come scudiero de la specie e caudatario del geno !; se, dopo esser periti in forma sillogistica, doviamo
per la prima applicarne al studio della Posteriore, dove si complisce l’arte giudicativa, o ver subito dar su la Topica, per cuì si mette la perfezion de l’arte inventiva; se bisogna pratticar le captiuncule 2 ad usum vel ad fugam vel in abusum: se gli modi, che formano le modali, son quattro, o quaranta, o quattrocento; non voglio dire
mille altre belle questioni.
Dove son gli fisici che dubitano se de le cose naturali può essere scienza; se lo suggetto è ente mobile o corpo mobile, o ente naturale o corpo naturale; se la materia ave altro atto che entitativo; coincidenza
del
produzione senza
la
fisico
dove consiste la linea de la
e matematico;
de niente è o non; forma;
se
più
se
la
creazione3
se la materia
forme
sustanziali
e
può
essere
possono
essere
insieme; ed altri innumerabili simili quesiti circa cose manifestissime,
se :non
in questione.
con
disutile
investigazioni
Dove gli metafisici si rompeno
il principio dell’ individuazione;
quanto
ente;
circa
e magnitudini circa
le idee,
il provar
geometriche se è vero
che
annoverati tile,
specie
e il genere
son
ch'abbiano
sustanza l'essere
(B.
176-7)
de le cose; subsistenziale
o diverso subiettiva-
circa l'essere ed essenzia; circa
sono,
infatti,
due
in
tutte
le
scuole
di
logica
2 Captiuncula, ae, cavillo capzioso (New o astuzia sofistica. 4 Come
aritmetrici4
dei
cinque
predicati
da Porfirio nella celebre Isagoge alle categorie di Aristo-
studiata
1 BLG1:
la testa circa
gli numeri
da per esse; circa l'essere medesimo
1 La
messe
circa il suggetto ente, in
non
mente ed obbiettivamente;
son
se
è la creazione;
sopra,
(W.
II,
IV:
a pp.
563
e 701;
208)
(L.
512)
743
se
medievali.
World of Words, p. 83)
la creazione.
ivi, rispettivamente,
(G.!
II,
151)
(G.2
nn.
II,
2.
160-1).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
gli accidenti medesimi in numero in uno o più suggetti; circa l'’equivocazione, univocazione ed analogia de lo ente; circa la coniunzione de le intelligenze a li orbi stelliferi, se la è per modo di anima o pur per modo di movente; se la virti infinita possa essere in grandezza finita; circa la unità o pluralità de primi motori; circa la scala del progresso finito o infinito in
cause
che
subordinate;
fanno
succhio
freneticar
tante
tante
e
cuculle !,
tante fanno
cose
simili,
lambiccar
il
de la nuca a tanti protosofossi. -—
Qua disse Giove:
guadagnato tempo
e circa
—
O Momo,
o subornato,
ed
il proposito.
che
mi par che l’ Ocio t’abbia
cossî ociosamente
Conchiudi,
perché
spendi
è ben
il
definito
appresso di noi di quel che doviamo far di costui. — Lascio dunque, soggionse Momo, de referir tanti altri negociosi innumerabili che sono occupati in casa di questo dio: come è dir tanti vani versificatori ch'al dispetto del mondo si vogliono
passar
per
poeti,
tanti
scrittori
di fabole,
tanti
nuovi rapportatori d’ istorie vecchie, mille volte da mille altri a mille doppia megliormente referite 2. Lascio gli algebristi,
tori tori novi pata
quadratori
di circoli,
figuristi,
metodici,
riforma-
de dialettiche, instauratori d’ortografie 3, contemplade la vita e de la morte, veri postiglioni del paradiso, condottier di vita eterna novamente corretta e ristamcon molte utilissime addizioni, buoni nuncii di meglior
pane, di meglior carne e vino, che non possa esser il greco di Somma, 1 Cfr.
malvagia Cabala,
p.
di Candia e asprinio di Nola 4. Lascio
897.
? Allusioni alla letteratura del secolo della negare che il B. si mostra giudice severo, ma 3 Vedi
Cand.2,
4 Pompeo
accomenzaje
(B.
177-8)
p.
SARNELLI
a dicere
(W.
26.
nella
Marchionno,
IT, 208-9)
Posilecheata: non
(L. 512-3)
744
me
(G.t
piace,
II,
quale non giusto.
si può
«L'Asprinio,
151-2)
perché
l’asprezza
(G.2 II,
161-2).
DIALOGO
le belle
speculazioni
circa
TERZO
il fato
e l'elezione,
circa
l’ubi-
quibilità d'un corpo, circa la eccellenza di giusticia che si ritrova ne le sanguisughe. — Qua disse Minerva: — Se non chiudi la bocca a questo ciancione, o padre, spenderemo in vani discorsi il tempo, e per il giorno d’oggi non sarà possibile di espedire il nostro principal negocio. — Però disse il padre Giove a Momo: — Non ho tempo di raggionar circa le tue ironie. Ma, per venire alla tua ispedicione,
Ocio,
ti dico,
che
quello
che
è lodevole
e studioso
Ocio, deve sedere e siede nella medesima catedra con la Sollecitudine, per ciò che Ia fatica deve maneggiarsi per l’ocio, e l’ocio deve contemperarsi per la fatica. Per beneficio di quello questa fia più raggionevole, più ispedita e pronta, perché difficilmente dalla fatica si procede a la fatica. E si come le azioni senza premeditazione e considerazione
non
son
buone,
cossi senza
l’ocio premeditante
non vagliono. Parimente non può essere suave e grato il progresso da l’ocio a l’ocio, percioché questo giamai è dolce se non quando esce dal seno della fatica. Or fia dunque giamai,
che
tu
Ocio,
possi
esser
grato
veramente,
se non
quando succedi a degne occupazioni. L’ocio vile ed inerte voglio che ad un animo generoso sia la maggior fatica che aver egli possa, se non se gli rapresenta dopo lodabile esercizio e lavoro.
Voglio
che ti aventi
come
signore
alla Se-
nettute, ed a colei farai spesso ritorcer gli occhi a dietro; e se la non ha lasciati degni vestigii, la renderai molesta, triste, suspetta del prossimo giudicio dell’ impendente stagche porta a lo nomme,
la lassa al palato », mentre «la
te fa lagremare de l’allegrezza » — «la Lagrema (Napoli, D. Morano, 1885, pp. 12 e 142). II monte
a pochi
(B.
chilometri,
178-9)
(W.
II,
di fronte
209)
(L.
al Cicala.
513)
745
(G.1
IT,
152-3)
Lagrema
de Somma» Somma si eleva, (G.
II,
162-3).
SPACCIO
gione
DE
che l’amena
LA
BESTIA
TRIONFANTE
a l’inexorabile
tribunal
di Radamanto,
e cossi vegna a sentir gli orrori della morte prima che la vegna. — Saulino. Ben disse a questo proposito il Tansillo !: Credete a chi può farven giuramento, Che stato tristo non ha il mondo ch'aggia Pena che vada a par del pentimento;
Poi ch’ il passato
non è chi riaggia.
E benché ogni pentir porti tormento, Quel che più ne combatte e più ne oltraggia E piaghe stampa che curar non lece, È
Sofia.
quand’uom
—
Non
poteo
meno,
molto,
disse
e nulla
Giove;
fece 2.
anzi
più
voglio
che
sia triste il successo dell’ inutili negocii, de li quali alcuni ‘ha recitati
Momo
che
si trovano
nella
stanza
de
l’ Ocio;
e voglio che s’ impiomba l’ ira de’ dei contra que’ negociosi ocii ch’ hanno messo il mondo in maggior molestie e travagli che mai avesse possuto mettere negocio alcuno. Que',
dico, che: vogliono
convertere
tutta la nobiltà e per-
fezione della vita umana in sole ociose credenze e fantasie, mentre talmente Jodano le sollecitudini ed opre di giustizia, che per quelle dicano l’uomo non rendersi (benché si mani1 Come sopra (p. 718, e ivi n. 1), è il Savolino a riportare i versi
del suo conterraneo. 2 TANnSILLO, Il vendemmiatore,
dice
st.
(p. 54):
Credete
“Che
Nessun Poi E
a chi
n' ha
fra tutti i martir, che
ben
fatto
78. Nell'ed.
Flamini
il testo
esperimento,
donne
mie
care,
ve n'è maggior che "l pentimento, 'l passato
che
ogni
non
pentiv
si può
porti
disfare:
tormento,
Quel che più fiera piaga ne suol fare, Qve rimedio alcun sperar non lece, È quando un potea mollo e nulla fece.
(B.
179-80)
(W.
II, 2009-10)
(L. 513-4)
746
(G.3: II,
153-4)
(G.2 II, 163).
DIALOGO
TERZO
feste) megliore; e talmente vituperano gli vizii e desidie, che per quelli dicano gli uomini non farsi meno grati a que' dei a’ quali erano grati, con tutto che ciò, e peggio, esser
dovea. Tu, Ocio inerte, disutile e pernicioso, non aspettar che della tua stanza si dispona in cielo e per gli celesti dei; ma nell’ inferno per gli ministri del rigoroso ed implacabile Plutone.
—
Or non voglio riferire quanto ociosamente si portava l'Ocio nel caminarsene via, e con quante spuntonate! incitato a pena si sapea muovere, se non che constretto dalla dea Necessitade, che gli dié de’ calci, se rimosse da là,
lamentandosi del conseglio, che non gli avea voluto concedere alcuni giorni di tempo e di termine, per partirsi dalla loro conversazione.
Seconda parte del terzo dialogo. nere
Allora
delle
Saturno
altre
s'approssimava;
principale
fece
instanza
a
sedie
fusse
e che
solamente
Giove,
più ispedito,
di levare e mettere;
che
nel
perché
s’attendesse
e quanto
al
dispo-
la sera negocio
a quello ch'ap-
partiene a l'ordine con cui le virti di dee ed altri si debano
governare, si determinarà verso la più prossima festa principale,
quando
gnano
insieme,
converrà che
ch’un’altra
sarà
la vigilia
volta
del
proposta con un chino di testa férno dei di consentire,
ivi,
(B.
1 Nel n.
I.
180-1)
Cand?, (W.
eccetto la Pressa,
p. II,
76: 210)
514)
747
(GI
dei
conve-
Panteone.
Alla
l’ Intem-
‘spontoneggiare’, II,
cui
segno tutti gli altri
la Discordia,
‘'spunzonare’ (L.
li
154)
(G.?
II,
ecc.;
163-4).
SPACCIO
pestività
DE.LA
ed altri.
—
BESTIA
Cossi
pare
TRIONFANTE
ancora
a me,
disse l’alti-
tonante. — Su, dunque, soggionse Cerere: dove vogliamo inviar il mio Triptolemo, quel carrettiero che vedete là, quello per cui diedi il pane di frumento! a gli uomini? Volete
ch’ io
lo
mande
Sicilia =, dove
faccia
miei,
sua
che
per
alle
contrade
la residenza;
diligenza
de
come
ed opra
l’una vi ha
mi
e l’altra tre
fùro
tempii
consecrati,
l’uno nella Puglia, l’altro nella Calabria, l’altro nell' istessa
Trinacria? — ministro,
Fate quel che vi piace del vostro cultore e
o figlia,
disse
Giove.
Alla
cui
sedia
succeda,
se
cossî 3 pare a voi ancora, dei, la Umanità, che in nostro idioma
è detta la dea Filantropia;
di cui questo auriga massima-
mente par che sia stato il tipo. Lascio che lei fu che spinse te,
Cerere,
ad
1 OvipIO,
inviarlo,
e che
poi
guidò
lui
ad
eseguire
in una delle sue elegie (Trist., 1. Ir, el. vin, vv.
i
1 ez):
« Nune ego Triptolemi cuperem conscendere currus, Misit in ignotam qui rude semen humum »; e narra l’intero mito nel quarto libro de’ Fasti dal v. 507. ® « Un regno delle Due Sicilie non esiste a rigore che dal 1815, dopo il trattato di Vienna », ma da molti secoli innanzi il nome; essendo il 1442 entrato a Napoli insieme con Alfonso I Lorenzo Valla, questi sostenne che il principe dovesse emettere un decreto
che assegnasse
ai due
regni il nome
spettante
a ciascuno
di essi,
mentre i cortigiani volevano si conservasse la consuctudine diplomatica della Cancelleria angioina, pretendendo che «il nome di Sicilia fosse propriamente della terraferma, e che l'isola fosse chiamata
Sicilia
per
essere
vicina
alla
terraferma,
laddove
il suo
nome vero era di Trinacria »; e la spuntarono se dal 1445 al 1458 accanto alla formula di Sicilia citra et ultra farum s' incontra quella di utriusque Siciliae (G. RoMaAnO, L'origine della denominazione ‘ Due
Sicilie’,
meno
nei documenti
Questa
seconda
dedicando Dio
la
in Arch.
stor.
per le prov.
denominazione
Re di Spagna,
riapparve
lctterari; perché,
Vita di Carlo
sotto
XXII,
per esempio,
V a Filippo
delle Indie,
napol.,
111,
3809-93).
ALFONSO
ULLOA,
del Mare
Oceano,
gli
spagnuoli,
al-
II, lo disse « Per grazia di
Isole e Terraferma,
delle Due Sicilie, di Gierusalem, etc. »; né si può dire che tale denominazione sia appresso interamente 3 (L: cossi; G! G?: così)
scomparsa.
(3.
(G.1 II,
181-2)
(W.
II, 210-1)
(L. 514-5)
748
154-5)
(G.2 II,
104-5).
DIALOGO
tuoi benefici
verso
il geno
TERZO
umano.
—
Cossi
è certo,
disse
Momo; percioché lei è quella per cui Bacco fa ne gli uomini si bel
sangue,
e Cerere
si bella
carne:
quale
essere
non
posseva nel tempo de castagne, fave e ghiande. A questa dunque la Misantropia fugga avanti con la Egestade; e come è consueto e raggionevole, de le due ruote del suo carro la sinistra sia il Conseglio, la destra sia -l’ Aggiuto; e de’ doi mitissimi draghi che tirano il temone, da la sinistra sarà
la Clemenzia,
da
la destra
il Favore.
—
Propose appresso Momo a Mercurio quel che volesse fare del Serpentauro, perché gli parea buono ed accomodato per inviarlo a far il Marso chiarlatano, avendo quella grazia di maneggiar senza timore e periglio un tale e tanto serpente ®.
Propose
anco
del
serpente
al radiante
Apolline,
se lo volea per cosa da servire a’ suoi maghi e malefici, come è dire alle sue Circe e Medee per esecutar gli veneficii; o ver
lo volea
concedere
a’
suoi
medici,
come
è dire
ad
Esculapio per farne tiriaca 3. Propose oltre a Minerva, se quest’uno gli avesse possuto servire per inviarlo a far vendetta di qualche risorto nemico Laocoonte. — Prendalo chi lo vuole, disse il gran Patriarca; e facciane quel che si 1 Manfurio (Cand., p. 89): «Il vino exilara ed il pane confirma: Bacchus et alma Ceyes.... ». 2 Era tradizionale la perizia dci Marsi nell'arte delle incanta-
gioni e della magia. XVII,
29.
Fiorentino,
Anche
p. 18):
Cfr. Ovipio, Ars. a::., II, 102, e ORAZIO,
il TansiLLo
Non
spero
Mi
sani...
O
forza
di
nel
son.
che virtù d’erbe, parole,
0 man
XXXIV
(Poesie
Epodo
liriche,
ed.
o di pietre
d'uom
Marso
3 Cfr. De la causa, p. 339. — Della triaca si era occupato, in un libro uscito a Napoli il 1577 dalla tipografia di Marino d’Ales-
sandro,
(B.
un
182-3)
compaesano
(W.
II,
211)
ed
ammiratore
(L.
s1s)
749
(G.!
del
B.,
II,
155)
lo
STIGLioLA.
(G.2
II,
165-6).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
»
voglia, tanto del serpe, quanto de l’ Ofiulco, pur che si tolgano da là; ed in suo luogo succeda la Sagacità, la qual suole vedersi ed admirarsi nel Serpente. — Succeda dunque la Sagacitade, dissero tutti, atteso che non è men degna del cielo ‘che la sua sorella Prudenza; perché dove quella sa comandare e mettere in ordine quel che s'è da fare e lasciare per venire a qualche dissegno, questa sappia prima e poi giudicare per forza di buona intelligenza, che la è; e discaccia
la
da le piazze, tazione.
Dalli
Grossezza,
dove
Inconsiderazione
le cose si metteno
vasi
della
sapienza
in dubio
imbeva
concepa e parturisca atti di Prudenza. —
Della Saetta, disse
Momo,
ed
Ebetudine o in consul.
il sapere,
onde
—
perché
io mai
fui curioso
di saper a chi appartenesse, cioè, se fusse quella con cui Apolline uccise il gran Pitone, o pur quella per cui madonna Venere fece al suo poltroncello impiagar il feroce Marte, che per vendetta poi a quella cruda ficcò un pugnal
sotto la pancia in sino a l’elsa; o pur una memorabile con la qual Alcide dismese la Regina de le Stimfalidi; o l’altra per cui l’apro Calidonio dié l’ultimo crollo; o ver sia reliquia o trofeo di qualche trionfo di Diana la castissima. Sia che si vuole, riprendesila 1 il suo padrone,
gli piace. —
—
Bene,
Insidia,
e se la ficche là dove
rispose
Giove,
la Calumnia,
tolgasi
la Detrazione,
da
là insieme
atto
de
con
Invidia,
la e la
Maldicenza; ed ivi succeda la buona Attenzione, Observanza, -Elezione e Collimazion di regolato intento. E sog1 BL: riprendesila;
W: riprendasela; G!: riprendasila. Ma forme
simili non mancano nel B., la cui incertezza nella coniugazione si nota specialmente nel Cand., come lo Spamp. ha ricordato nel1’ Introd.
(B.
183-4)
alla
(W.
seconda
ediz.
II, 211-2)
di
esso,
(L. 515-6)
750
p.
(G.!
LVII
II,
155-6)
(G.? II,
166-7).
DIALOGO
TERZO
gionse: De l'Aquila, ucello divino ed eroico e tipo de l’ Imperio,
io determino
e voglio cossi, che vada
carne ed in ossa nella bibace Alemagna: altra
parte
si
trovarà
celebrata
in
a ritrovarsi in
dove più che in
forma,
in
figura,
in
imagine ed in similitudine, in tante pitture, in tante statue,
in tante celature, quanto nel cielo stelle si possono presentar a gli occhi
de la Germania
la Presunzione,
contemplativa.
la Temeritade,
La
Ambizione,
la Oppressione,
la Tirannia
ed altre compagne e ministre di queste dee non bisogna che le mene seco là dove li bisognarebbe a tutte star in ocio; percioché
la campagna
non è troppo
larga per esse;
ma prendano il suo volo lungi da quel diletto almo paese, dove gli scudi son le scudelle, le celate son le pignatte e lavezzi 1, gli brandi
son l’ossa inguainate
in carne
salata,
le trombe son gli becchieri, urcioli e gli bocali, gli tamburi son gli barilli e botte, dir
da
mangiare;
il campo
è la tavola
da bere,
le forterezze, gli baloardi,
gli
volsi
castegli,
li
bastioni son le cantine, le popine, le ostarie, che son di più
gran numero che le stanze medesime. — Qua Momo disse: — Perdonami, gran padre, s'io t'interrompo il parlare. A me pare che queste dee compagne e ministre, senza che vi le mandi,
sere superiore
vi si trovano;
perché
l’Ambizione
a tutti in farsi porco;
la Presunzione
ventre, che pretende di ricevere non meno
t Nel Cand.,
L.
G.
che
puose
Scoppa,
over celata. —
(B.
184-5)
(W.
di alto che da
in
esaltazione
Spicilegio
(Venezia,
Questa
fu certo qualche costel-
1543),
I,
i lavezzi, padelle
lo lavezo, còncola dove se lavano le mano, quando ne lavamo ». Cfr. M. Cocai, Macar.,
World of Words,
del
III, 8: « Alcuni si puosero certi lavezzi di bronzo
in testa per elmetto
lazione
circa l’es-
p. 279.
II,
212)
(L.
516)
751
(G.!
II,
172:
e le caldaie ».
«lebes,
tis:
vel dove cade l'acqua, I, vi, p. 183, e il New
156-7)
(G.*
II,
167).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
alto vaglia mandar a basso il gorgazuolo !; la Temeritade, con cui vanamente il stomaco tenta digerire quel che or ora,
presto
presto
è necessario
di vomire;
la Oppressione
de sensi e natural calore; la Tirannia della vita vegetativa,
sensitiva ed intellettiva regnano più in questa sola che in tutte l’altre parti di questo globo. — È vero, o Momo, soggionse
Mercurio;
zioni ed altre
non
son
ma
simili
punto
tali Tirannie,
cacodee,
aquiline,
con
ma
da
Temeritadi,
le loro
Ambi-
cacodemonesse ?,
sanguisughe,
pacchioni 3,
sturni4 e ciacchi. Appresso, per venire al proposito della sentenza di Giove, la mi par molto pregiudiziosa alla condizione, vita e natura di questo regio ucello; il quale, perché poco beve e molto mangia e vora, perché ha gli occhi tersi e netti, perché è veloce nel corso, perché e con la levità de l’ali sue sopravola al cielo ed è abitante di luoghi secchi, sassosi, alti e forti, non
può
aver simbolo
ed accordo
con
1 Cioè, il gorgozzule (a Napoli: gargaruòzzolo, cannarone), t. scherzoso per il cannone della gola. ® Non solo nel Mondo di parole (p. 59), ma anche nel Nuovo mondo di parole (p. 73) è registrato: cacodemone. 3 Il FLorto, nel New World of Words, pp. 349, 355 e 361: « pacchione= pappone= pastone: un epicureo, un ghiottone, un goJoso, un mangiatore, un grande amatore dei piaceri del ventre, chi fa del ventre il suo dio». 4 V. a p. 821. Dal lat. sturnus (napol. sturno): stornello. Per
la voracità
di questo
uccello,
nel
c.
17 dell.
xvini della
St. mat.,
PLINIO: « Pestem a milio atque panico, sturnorum agmina, abigere »; e Domizio ULPIANO (Digest. 1 xIXx, t. 2, l. 15): «Omnem vim cui resisti non potest, dominus colono praestare debet, ut puta
fluminis, -graculorum,
sturnorum
». Cfr.
tra i moderni
(Vita degli anim., trad. di G. Branca, Torino, che, dopo curiosi particolari riferisce (p. 323) Lenz
d'un
suo stornello,
«un
gran
ghiottone,....
A.
E.
BreHM
1869, v. III, p. 321), quel che racconta il che
una
volta
saltò
sopra uno sgabello, e giunto al vasetto della farina, ne sollevò col becco il coperchio e, cacciatosi nel recipiente, ne mangiò tanto che non poteva più uscirne, e fu a un pelo di morire d’ indigestione ». (B.
185)
(W.
II,
212-3)
(L.
516-7)
752
(G.!
II,
157)
(G.?
II,
167-8).
DIALOGO
TERZO
generazion campestre; ed a cui la doppia soma degli bragoni par che a forte contrapeso le impiomba verso il profondo e tenebroso centro !; e che si fa gente sf tarda e greve, non tanto inetta a perseguitare e fuggire, quanto buona a tener
fermo ne le guerre; e che per la gran parte è soggetta al mal degli occhi; e che incomparabilmente più beve che mangia.
—
Quel che ho detto, è detto, rispose Giove. Dissi,
che vi si presente in carne ed in ritratti; ma non già, che vi stia manca di trovarsi là, dovunque è altre e più degne raggioni con gli sedia gloriosa lascie a tutte quelle esser
stata
vicaria:
Magnificenza, costoro, —
come
ossa per come in in spirito già detti virtudi,
veder gli suoi prigione, o che e veritade con numi: e questa de le quali può
a la dea
Magnanimità,
è dire,
Generosità
ed
altre
sorelle
e
ministre
di
— Or
che
farémo,
disse
Nettuno,
Piacevi ch'io lo metta nel mar Rodano
di
quel
Delfino?
di Marseglia, onde per il
fiume vada e rivegna a volte a volte, visitando e
rivisitando
il Delfinato?
Momo;
perché,
a dire
ridere,
se alcuno Delphinum
I Reminiscenza
—
il vero,
Fa,
La
non
mi
par
presto, cosa
fluctibus aprum,
di
del
quel
Dante
sonetto
BERNI,
mula
che
disse
meno
da
comincia:
e tenebroso centro
ha alloggiati i Bruti
Florimonte
vostra
si faccia
caclis appinxit,
Dal più profondo
Dove
Cosst
mio,
nascere
per urtarvî
e î Cassi
i sassi
dentro.
Anche nel Card.?, proprol., p. 26: «..., un che ti suscita Tullio dal pi profondo e tenebroso centro ». (B.
185-6)
(W.
IL
213)
(L.
517)
753
(G.!
IT,
157-8)
(G.3
II,
168-9).
SPACCIO
che
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
se Delphinum
—
Vada,
sylvis appinxit,
dove
luogo succeda
fluctibus aprum!.
piace a Nettuno,
la figurata Dilezione,
—
disse Giove;
Affabilità,
ed in suo
Officio con
gli suoi compagni é ministri. — Dimandò Minerva che il cavallo Pegaseo, lasciando le vinti lucide macchie e la Curiositade, se ne vada al’? fonte caballino già per molto tempo
confuso,
destrutto
ed inturbidato
da bovi,
porci ed
asini; e veda, se con gli calci e denti possa far tanto che vendiche quel loco da si villano concorso 3: a fin che le Muse, veggendo l’acqua del fonte posta in buono ordine e rassettata, non si sdegnino di ritornarvi 4, e farvi gli lor collegii e promozioni. Ed in questo luogo del cielo succeda il Furor divino 5, il Rapto,
l’ Entusiasmo,
il Vaticinio,
il Studio
ed
Ingegno con gli lor cognati e ministri, onde eternamente da su l’acqua divina, per lavar gli animi ed abbeverar gli affetti, stille a gli mortali. — Tolgasi, disse Nettuno, questa Andromeda, se cossi piace a voi dei; la quale per la mano de l’ Ignoranza è stata avinta al scoglio dell’ Ostinazione con la catena di perverse raggioni e false opinioni, per farla traghiuttir dal ceto della perdizione e final ruina, che
per
l'instabile
e sia commessa 1 Cosl Orazio, * BL. il.
e
tempestoso
alle provide Ep.
mare
ed amiche
va
discorrendo;
mani
del sollecito,
ad Pis., v. 30.
3 Perché, dirà negli Er. fur., p. 928, è una «tragicomedia», uno spettacolo «degno di compassione e riso». V. anche sopra, P. 744, e ivi n. 2. 4 DB:
ritonrarvi;
W:
vritornarvi;
LG?:
rincontrarvi.
Ma
bisogna
riconoscere che quella del W. è la correzione migliore e la più ovvia. 5 Cfr. più giù, p. 776. (B. 186-7)
(W.
II, 213)
(L. 517-8)
754
(G.1 II, 158-0)
(G.= II, 169-70).
DIALOGO
laborioso
ed
accorto
TERZO
Perseo,
ch'avendola
indi
disciolta
e
tolta, dall’ indegna cattività la promova al proprio degno acquisto. E di quel che deve succedere al suo loco tra le stelle dispona Giove. — Là, rispose il padre de gli dei, voglio che succeda la Speranza, quella che, co’ l'aspettar frutto degno delle sue opre e fatiche, non è cosa tanto ardua e difficile a cui non accenda gli animi tutti, i quali aver possono senso di qualche fine. — Succeda, rispose Pallade, quel santissimo scudo del petto umano, quel divino fundamento de tutti gli edificii di bontade, quel sicurissimo riparo della Veritade; quella che per strano accidente qualsivoglia mai si diffida, perché sente in sé stessa gli semi della propria sufficienza, li quali da quantunque violento polso non gli possono essere defraudati; quella in virti della quale è fama che Stilbone vencesse la vittoria de’
nemici;
fiamme
che
quel
Stilbone,
dico,
gl'incinerivano
i figli e le facultadi,
il quale
la patria,
a Demetrio
scampato
da
le
la casa, la moglie,
rispose aver
tutte le cose
sue seco, perché seco avea quella Fortezza, quella Giustizia, quella Prudenza, per quali meglio possea sperar consolazione, scampo e sustegno di sua vita; e per le quali facilmente il dolce di questa sprezzarebbe 1. — Lasciamo questi colori,
disse Momo,
e vengasi
presto
a veder
quello
che si
de’ fare di quel Triangolo o Delta. — Rispose la astifera Pallade: — Mi par degno che sia messo ? in mano del Cardinal
di Cusa,
a fin che
colui veda,
se con
questo
possa
liberar gli impacciati geometri da quella fastidiosa inquisizione della quadratura del circolo, regolando il circolo ed 1 V. Dioc. Laerzio, II, 115. ® BW: messo; LG!: messa. Ma (BD.
188)
(W.
II,
213-4)
(L.
518)
755 52
—
G. Bruno,
Disloghi
italiani
il B. ha ragione. (G.!
II,
159)
(G.?
II,
170).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
il triangolo con quel suo divino principio della commensurazione e coincidenza de la massima e minima figura: cioè di quella che costa! di minimo, e de l’altra che costa di massimo numero degli angoli. Portisi dunque questo trigono
[fig. 15] con un circolo ch’ il comprende,
e con un
altro che da lui sia compreso; e con la relazione di queste due linec (de quali l’una dal centro va al punto della contingenzia del circolo interno no;
con
l’altra dal
il triangolo estermedesimo
centro sì
tende a l’uno de gli angoli del triangolo) vegna a compirsi tempo
Fig. 15
e tanto
quella tanto
vanamente
cercata
quadratura 2. — Qua risorse Minerva, e disse: — Ma io, per non parer meno cortese a le Muse, voglio inviar a gli geometri incomparabilmente maggiore e meglior dono, che questo ed altro che sia sin ora donato; per cui il Nolano, al quale fia primieramente
revelato,
moltitudine,
ecatombi; che
mi
e dalla
debbia
cui mano
non
venga
solamente
diffuso
una,
ma
perché in virti della contemplazion
si trova
tra
il massimo
e minimo,
tra
alla cento
de l’equità l’extimo3 ed
intimo, tra il principio e fine 4, gli porgo una via più feconda,
1 BL:
tosta;
zione è superflua, si trova
WGI:
consta.
perché,
costare
2 Nell'esemplare
E
cosi
da Santa
in cambio
napol.
dello
di
anche
Caterina
appresso;
a Lorenzo
constare.
Spaccio
manca
si avverte ch'è posta «nel fine del libro ». 3 Anche nel De l'infinito, p. 459; ivi, n. 2. 4 BWL: e fine; G!: e il fine. (B. 188-9)
(W.
II, 214-5)
(L. 518-9)
756
ma
la corre-
Magalotti,
la figura che
(G.! II, 1509-60)
qui
(G.? II, 170-1).
DIALOGO
TERZO
più ricca, più aperta e più sicura; la quale non solamente dimostre
como
il quadrato
ed oltre, subito, gono,
ogni trigono,
e finalmente
figura;
dove
non
al circolo,
ogni pentagono,
meno
fia uguale
exa-
poligònia
linea a linea che
a campo,
ma,
ogni
qualsivoglia e quantosivoglia
ficie a superficie, campo solide figure 3. — Saulino.
si fa uguale
super-
e? corpo a corpo nelle
Questa sarà cosa eccellentissima,
inestimabile per gli cosmimetri. Sofia. Tanto eccellente e degna,
che
ed un tesoro
certo
parmi
che
contrapese a l’ invenzione di tutto il rimanente della geo-
metrica facultade. Anzi da qua pende un’altra pivi intiera, più grande, più ricca, pi facile, più esquisita, più breve e niente men certa; la quale qualsivoglia figura poligònia viene ad comensurare
per la linea e superficie del circolo;
ed il circolo per la linea e superficie di qualsivoglia poligonia.
—
Saulino. Vorrei quanto prima intendere il modo. Sofia.
spose:
Cossî
disse Mercurio
a Minerva;
a cui
quella
ri-
— Prima (nel modo che tu fatto hai) dentro questo
1 Per
n. 3.
come.
® Tralasciai
V. p. 714, e cfr. in proposito nel Cand.?,
per
svista
Ja cong.
nell'altra
mia
p. 196,
edizione.
3 « È necessario studiare accuratamente la matematica del .Bruno.... Le incisioni in legno annunziano già al lettore che sfogli il libro, i luoghi dei quali principalmente si tratta.... In questo luogo,
riferendosi
tura
a
Niccolò
del circolo.
di
Cues,
afferma
Il Lindemann
di
di
aver
Kénigsberg
trovato
la
quadra-
e il Weierstrass
di
Berlino hanno insegnato, che questo problema della quadratura coi mezzi soli, di cui poteva disporre l’antichità e il M. E. — regolo e compasso, — non poteva esser risoluto. Io prego i matematici di
contribuire
per parte loro a un
esatto
di proposito il valore delle dichiarazioni
mento
(B.
giudizio
di B., esaminando
fatte con non picciol senti-
di sé dal filosofo di Nola.... »: LAGARDE,
189-90)
(W.
II,
215)
(L.
519)
757
(G.!
II,
16o0-1)
p. 796. (G.?
II,
171-2).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
triangolo * (fig. 16] descrivo un circolo, che massimo discriver vi si possa; appresso fuor di questo triangolo ne delineo un altro che minimo delinear si possa sin al contatto de gli tre angoli; e quindi non voglio procedere a quella tua fastidiosa quadratura, ma al facile
trigonismo,
golo che abbia linea
del
cercando
un
trian-
la linea uguale
circolo,
ed
un
alla
altro che
vegna ad ottenere la superficie uguale alla superficie del circolo. Questo sarà (fig. 17] uno circa quel triangolo mezzano, equidistante da Fig. 16
quello
che
contiene
il
circolo,
e
quell'altro ch’ è contenuto dal circolo; il quale lascio, che con il proprio ingegno altri lo prenda cossi, perché mi basta aver mostrato il luogo de’
luoghi. Cossf, per
quadrare
il cir-
colo, non fia mestiero di prendere il triangolo, ma il quatrangolo che è tra il massimo interno e minimo esterno al circolo (fig. 18]. Per pentagonare il circolo, prenderassi il mezzo tra il massimo pentagono contenuto dal circolo e minimo continente del circolo. Similmente farassi
glia
sempre,
altra
per
far
Fig.
qualsivo-
figura uguale al circolo in
campo
17
ed in linea.
Cossi oltre, per essere trovato il circolo del quadrato 1 Questa, come la figura antecedente e le seguenti, copia napolitana: cfr. sopra, p. 756, n. 2. (B.
190-1)
(W.
II,
215-6)
(L.
s19)
758
(G.I
II,
161-2)
(G2
uguale
manca II,
nella 172-3).
DIALOGO
TERZO
al circolo del triangolo, verrà trovato il quadrato di questo circolo pare al triangolo di quell’ altro circolo, di medesma
quantità Saulino.
l'altre
con
questo.
In questo
figure
uguali
modo,
ad
altre
o Sofia,
figure
si possono
con
l'aggiuto e relazione del circolo, che fate misura
de le misure.
far tutte
N
Cioè, se voglio far
ZN
un triangolo equale al quatrangolo, prendo
quel mezzano
tra gli doi apposti
al cir-
\
4)
colo, con quel mezzano tra doi quatrangoli
apposti al medesimo circolo, o ver ad un Fig. 18 altro uguale. Se voglio prendere un! quadrato uguale a l’exagono, delinearò dentro e fuori del circolo e questo e quello, e prenderò quel mezzano tra gli doi de l’uno e l’altro. Sofia. Bene l’ hai capito. In tanto che quindi non solamente s'ha la equatura di tutte le figure al circolo, ma ed oltre di ciascuna de le figure a tutte l’altre mediante il circolo, serbando sempre l’equalità secondo la linea e secondo la superficie. Cossi con picciola considerazione o attenzione ogni equalità e proporzione di qualsivoglia corda a qualsivogli'arco si potrà prendere, mentre o intiera, o divisa, o con certe raggioni aumentata viene a constituir poligonfa tale, che in detta maniera da cotal circolo sia compresa, o lo comprenda. —
Or
definiscasi
presto,
disse
Giove,
di
quel
che
vo-
gliamo collocarvi. — Rispose Minerva: — Mi par, che vi stia bene la Fede e Sinceritade, senza la quale ogni contratto è perplesso e dubio, si dissolve ogni conversazione, 1 (L:
(B.
191-2)
un;
(W.
GIG®:
II,
una)
216-7)
(L.
519-20)
759
(G.!
1I,
162)
(G.? II,
173-4).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
ogni convitto si destrugge. Vedete a che è ridutto ! il mondo, per esser messo in consuetudine e proverbio, che per regnare non si osserva fede =. Oltre: agl’infideli ed eretici non sì osserva fede. Appresso: si franga la fede a chi la rompe. Or che sarà, se questo si mette in prattica da tutti ? A che verrà il mondo, se tutte le republiche,
regni, dominii,
fameglie e particolari diranno, che si deve esser santo col santo, perverso col perverso? e si faranno iscusati d'esser scelerati, perché hanno il scelerato per compagno o vicino ?
e pensaranno3 che assolutamente,
come
non
doviamo
fusseno
dei,
forzarci
ma
per
ad esser buoni
commoditade
occasione, come gli serpenti, lupi ed orsi, tossichi — Voglio, soggionse il padre, che la Fede sia tra celebratissima; e questa, se non sarà data con d'un’altra fede, mai sia lecito di rompersi per la l'altra, atteso che è legge da qualche Giudeo e bestiale e barbaro, non da Greco e Romano
ed
e veneni ? le virtudi condizione rottura de Sarraceno
civile ed eroico,
che alcuna volta e con certe sorte di genti, sol per propria commoditade ed occasion d’ inganno, sia lecito donar la fede,
con
farla ministra
Saulino.
O Sofia, non
di
tirannia
e tradimento.
è offesa più infame,
—
scelerosa4 ed
indegna di misericordia, che quella che si fa ad uno per un altro,
per
causa
che
l’uno
ha
creduto
a l’altro;
e l’uno
vegna offeso da l’altro, per avergli porgiuta fede, stimandolo uomo da bene. I GI: ridotto. ® « Sic Etheocles
apud
EuvRrIPIDEM:
Si violandum
est ius, regni
causa violandum est» (Post. napol.). Il B., si può aggiungere, come poi il Campanella, avverso alla dottrina del Machiavelli. 3 Cade qui una correzione fatta dall’A., che per isbaglio colloca a p. 189 anziché a p. 192.
4 Scelerosus.
(B.
(B.
192-3)
Latinismo
(W.
II, 217)
del sec.
(L. 520-1)
760
è,
la
XIV.
(G.!
II,
162-3)
{G.2 II,
174).
DIALOGO
TERZO
Sofia.1 — Voglio dunque, disse l’altitonante, che questa virti compaia celebrata in cielo, acciò vegna per l’avenire più stimata in terra. Questa si veda nel luogo in cui si vedea il Triangolo,
da
cui comodamente
è stata ed è significata
la Fede; perché il corpo triangulare di minor numero di angoli ed è più culare) è più difficilmente mobile mente figurato. Cossi viene purgata
(come quello che costa lontano da l'esser cirche qualsivoglia altrila spiaggia settentrio
nale, dove comunmente son notate trecento sessanta stelle:
tre maggiori, diece ed otto grandi, ottanta ed una mediocri, cento
settanta
tredeci
sette
minime,
picciole,
con
una
cinquanta
nebbiosa
ed
e nove
otto
minori,
oscure.
Saulino. Or espediscasi d'apportare brevemente quel che
fu fatto del resto. Sofia.
—
Decerni,
o padre,
disse
Momo,
di
quel
che
doviam fare di quel protoparente de li agnelli; quello che primieramente fa da la terra uscire le smorte piante, quello ch’apre l'anno e di novo florido e frondoso manto ricoprisce quella ed invaghisce questo. — Perché dubito, disse Giove, mandarlo con que’ di Calabria, o Puglia, o de la Campania felice, dove sovente dal rigor de l'inverno sono uccisi, né mi par convenevole inviarlo tra gli altri delle Africane pianure e monti, dove per il soverchio calore scoppiano; mi par convenientissimo ch'egli si trove circa il Tamisi, dove ne veggio tanti belli, buoni, grassi, bianchi e snelli =. E
I BL
guito
del
non
son
continuano,
discorso
smisurati,
come
con
manifesto,
errore
al Savolino.
* In qual pregio
fossero
condi frutti del
« descinari » inglesi
FLORIO
i montoni
(B.
II,
217-8)
193-4)
(\V.
nella
ad
si apprende
dal
521)
761
(G.t
IT,
cap.
163-4)
circa
attribuire
nei «banchetti » ed anche
(p. 50). (L.
regione
sè-
in semplici
quarto
(G.?
il
il
II,
dei
Se-
174-5).
SPACCIO
Nigero :; ’ non macilenti,
DE
negri,
come
circa il Tevere
LA
BESTIA
come
TRIONFANTE
circa il Silere ed Ofito ?; non
circa il Sebeto e Sarno 3; non cattivi, qual ed Arno;
non brutti a vedere, come
circa il
Tago; atteso che quel luogo quadra alla staggione a cui è predominante,
per
esservi,
verde
terreno,
più
ch'in
altra
parte,
oltre
e
citra 1’ Equinoziale, temperato il cielo; ché dalla supposta terra essendo bandito l'eccessivo rigor de le nevi e soverchio fervor del sole, come testifica il perpetuamente e florido
la fa fortunata,
come
di continua
e perpetua primavera. Giongi a questo che ivi, compreso dalla protezion de le braccia dell’ampio Oceano, sarà sicuro da lupi, leoni ed orsi, ed altri fieri animali e potestadi ne-
miche di terra ferma. E perché questo animale tiene del prencipe,
del
1 Fiume
da chi più stante che
duca,
del
ha
del
pastore,
del
che non s' indica facilmente, perché d'ordinario, anche
dovrebbe LoRENZO
saperlo, è conosciuto sotto altro nome, GIUSTINIANI avverta nel Dizion. geogr.
nato del Regno di Napoli Tanagro
conduttiero;
(Napoli,
1816, t. III, p. 11, p. 181)
nonoragio-
che il
«oggi è detto fiume Negro ». Certo, era così detto nel prin-
cipio del secolo
scorso
e anteriormente;
anzi,
nei suoi
Discorsi
sulla
Lucania il Barone di S. Biase GrusePPE ANTONINI (Napoli, Gessari, 1745, p. 203) anche con più precisione: «il fiume Botta, da’ paesani chiamato il Bianco.... s'unisce al Tanagro, corrottamente detto
il Negro ». Il quale si versa nel Sele dopo di aver bagnate terre del
Principato citeriore che il B. mesi del suo sacerdozio. 2 Il Sele e I' Ofanto: cîr. Avc., ecl. XII; TAnsILLO, Il 64 ecc. (SPAMPANATO, recens. po' ad oriente del Calvello,
con
molta probabilità visitò nei primi
Lucano, Phars., II, 426; SANNAZARO, vendemm., 124(?), e Liriche, sonn. 47, cit. Il Sele sorge dal Terminio, un dove nasce l’ Ofanto; e dopo d'avere
scorso, nel primo suo tratto, da nord a sud, ripiega a sud-ovest e passa non più lontano di quattro miglia da Campagna, nel cui convento di S. Bartolomeo il B., si sa da tutti, soggiornò nella sua giovinezza. 3 «Il
mio
Vesevo,
il buon
Sebeto
e ’1 Sarno »: così nelle Poesie
(ediz. Fiorentino, p. 4, son. v11) il TaNsILLO ricorda «l'acque illustri
e ‘1 bel terreno » dove
di lui,
(B.
nominò
194-5)
appena
(W.
egli, come
e sempre
II, 218)
il B., vide la luce, e che, non meno
che
(L. 521-2)
762
n'ebbe
(G.!
l'occasione.
164)
(G.2 II, 175-6).
DIALOGO
TERZO
capitano e guida; come vedete in cielo, dove tutti li segni di questo cingolo del firmamento gli correno a dietro; e come scorgete in terra, dove quando lui si balza o si precipita, quando diverte o s’addrizza, quando declina o poggia, viene facilissimamente tutto l'ovile ad imitarlo, consentirgli e seguitarlo; voglio ch’in suo luogo succeda la virtuosa Emulazione, la Exemplarità e buono Consentimento con altre virtudi sorelle e ministre; a le quali contrarii sono il Scandalo, il Male 1 Essempio; che hanno per ministra
la Prevaricazione, la Alienazione, il Smarrimento; per guida la Malizia
seguace e tenta zione e tade e sedie e
o l’Ignoranza,
o l'una
e l'altra
insieme;
la stolta Credulitade; la qual, come vedete, il camino tastando col bastone della oscura pazza persuasione; per compagna perpetua Dappocagine; le quali tutte insieme lascino vadano raminghe per la terra. —
per
è orba inquisila Vilqueste
— Bene ordinato — risposero li dei tutti. E dimandò
Giunone, che far volesse di quel suo Tauro, di quel suo bue,
di quel consorte del santo —
Se
non
vuole
andar
vicino
dico
alla
città
di Taurino 4, denominata
TA
metropoli
Presepio *. Alla quale rispose:
del
a l'Alpi,
Piamonte3,
p. 720: primo origine;
da
alle
dove
lui,
come
rive
del
Po,
è la deliciosa da
a p. 772: delle exequire
Bucefalo (dove tut-
tavia G2 trascrive dello exequire (G1 = L: dell'exequire)); ecc. Prove del
conto che B. tiene, scrivendo, della pronuncia. (Ma cfr. p. 188 n. 1.) ® Il Post. napol. avverte, sottolineando, l’irriverente allu-
sione. 3 È male correggere, come sin oggi da tutti è stato fatto, Piamonte in Piemonte, perché si viene a distruggere uno de' pit noti esempi di pronuncia meridionale. poi
4 Nel costituto veneto
me
nimento
(B.
partii.... a mia
195-6)
(W.
del 30 maggio
da Savona,
satisfazione,
II, 218)
a Torino;
venni
(L. 522)
1592
dove
a Venezia
(G.1 II,
763
il B. ricordò:
non
per
164-5)
trovando
« Dap-
tratte-
il Po»
(SPAMP.,
(G.2 II,
176-7).
SPACCIO
Bucefalia 1,
Partenope corvi, to,
DE
dalle
verso
gli
Oxonia
BESTIA
capri=
l’isole
l'occidente,
Mirmidonia
da
LA
da
TRIONFANTE
che
al
Corveto3 in
le formiche,
cinghiali
sono
Aprutio,
dal
rimpetto
Basilicata
Delfino
Ofanto
da’
di
da’
il Delfinaserpenti,
ed
da non so qual altra specie 4; vada per compagno
al prossimo
Montone;
dove
(come
testificano
le lor
carni
che per la commodità dell’erbe fresche e delicatura de pascoli vegnono ad essere le più preggiate del mondo) ha gli più bei consorti che veder si possano nel. rimanente del spacio de l'universo. — E dimandò Saturno del successore; che
a cui dura
rispose
cosi:
alle fatiche,
—
Per
esser
questo
un
animal,
pazientemente
laborioso,
voglio
che
sin ora sia stato tipo della Pazienza,
Toleranza,
Sufferenza
e Longanimitade, virtudi in vero molto necessarie al mondo;
e quindi seco si partano vadano
o
non
vadano)
(benché non mi curo che seco
l’ Ira,
l’ Indignazione,
il
Furore,
che sogliono accompagnarsi con questo talvolta stizzoso animale. Qua vedete uscir l’ Ira figlia, che è parturita da l’apprension d’ Ingiustizia ed Ingiuria; e partesi dolorosa e vendicativa, perché gli par inconveniente ch' il Dispreggio la guate e gli percuota le guance. Come ha gli occhi infocati Vita, p. 698). Ciò verso la fine del 1577 (vedi BERTI,
Forse
per Torino
ripassò
al suo ritorno
da Venezia,
Vita, pp. 58-9).
l'anno seguente,
recandosi a Chambéry. 1 Città indiana fondata da Alessandro Magno. ® Intorno a questa f. di pl., v. sopra, p. 588, n. 1. 3 Equivoco spiegabile, dovendo il B. aver negli orecchi
deno-
minazioni somiglianti, ma salernitane, Corbara, Montecorvino; anzi Montecorvino lo ricorda appresso, p. 818, e ivi n. 1. Nella Basilicata, nel circ. di Potenza, vi è Corleto, che i paesani chiamano
Corlito
e gli antichi
dicevano
Corneto.
4 È evidente che il B. non sa o per l'etimologia della città di cui non serbava V. Cena, p. 133.
(B.
196)
(W.
II, 218-9)
(L. 522)
(G.!
764
II,
prudenza non vuol dare certo un gradito ricordo.
165-6)
(G.3
II,
177-8).
DIALOGO
rivolti a Giove,
a Marte,
TERZO
a Momo,
a tutti!
Come
li va a
l'orecchio la Speranza de la vendetta, che Ia consola alquanto e l’affrena, con mostrargli il favor della Possibilitade minacciosa contra il Dispetto, la Contumelia ed il Strazio, gli
suoi
dona
provocatori!
forza,
nerbo
l'accompagna
con
contemprarla
e
Crudeltade
le
Là
l’ Impeto,
e fervore;
e Vecordia.
tre
sue
là la
figlie,
O quanto
reprimerla!
O
suo
fratello,
che
Furia
sorella,
che
cioè
Excandescenzia,
è difficile e molesto
quanto
di
malaggiatamente
può esser concotta e digerita da altri dei, che da te, Saturno; questa,
che
testa dura,
ha
le
narici
aperte,
gli denti mordaci,
la
fronte
impetuosa,
le labbia velenose,
la
la lingua
tagliente, le mani graffiose, il petto tossicoso, la voce acuta,
ed il color sanguigno. — Qua Marte fece instanza per l' Ira, dicendo ch’ella alcuna volta, anzi più de le volte, è virtude necessariissima,
come
quella
che
favorisce
la
Legge,
dà
forza alla Verità, al Giudicio; ed acuisce l’ Ingegno, ed apre il camino a molte egregie virtudi, che non capiscono gli animi tranquilli. A cui Giove:
—
Che allora, ed in quel
modo con cui è virtà, sussista e consista tra quelle, a quali si fa propicia; però mai s’accoste al cielo senza che gli vada innante il Zelo con la lanterna de la Raggione. — —
—
E che farremo
disse Momo.
lampe
a
far
de le sette figlie d'Atlante,
A cui Giove:
lume
a
quel
sponsalizio 1; ed avertiscano si chiuda
e che
ghiaccio,
la bianca
1 «Irvidet
(Post. napol.). (B.
196-8)
comincie
(W.
II, 219)
Vadano
notturno
d’andar
da sopra
neve,
parabolam
—
decem
atteso
virginum:
(L. 522-3)
765
con le sue sette
e merinoziale
prima
che
a destillar
che
o Padre?
la porta
il freddo,
allora
in vano
MATTH.,
XXIV
(G.I II,
166)
santo
(G.2 IT,
il
alza[1-13]»
178).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
ranno le voci e picchiaranno, perché gli sia aperta la porta, rispondendogli il portinaio che tiene la chiave: Non vi conosco, Avisatele che saran pazze, se faranno venir meno l’'oglio a la lucerna; la qual se fia umida sempre e non mai secca, averrà che non sieno tal volte prive di
splendor di degna laude e gloria, Ed in questa region che lasciano, il
vegna
Consorzio,
a metter il
la sua
Connubio,
stanza
la
Confraternitade,
Convitto, Concordia, Convenzione, sieno gionte a l’Amicizia, perché,
suo
luogo
è la Contaminazione,
E se non
son
rette,
non
sono
la Conversazione,
Confederazione; ed ivi dove non è quella, in
Confusione
esse;
perché
e Disordine.
mai
in verità (benché il più de le volte in nome) ma
hanno
spirazione,
verità Turba,
essere detestabile.
hanno
di Monopolio,
proponimento
medesimo
credere
Setta,
d'altro
Con-
nome
ed
sono tra irrazionali e quei che non
di
ed
o cosa
si trovano
tra scelerati;
Conciliabulo,
Congiurazione,
Non
Ecclesia,
buon
fine;
intendere;
ma
non
dove
dove
si
è l'ocioso concorre
a
medesima azione circa le cose similmente intese. Perseverano tra buoni; e son brevi ed inconstanti tra. perversi, come tra quei de quali dissemo in proposito della Legge e Giudicio,
come dere,
nelli
quali
color che non
non
si
versano
trova
veramente
circa virtuose
concordia,
azioni.
Saulino. Quei non sono concordi per parimente intenma
nel
parimente
intendere secondo
ignorare
e malignare
e nel
non
diverse raggioni. Quelli non consenteno
in pariménte oprare a buon fine, ma in far parimente poco
caso di buone opre e stimar indegni tutti gli atti eroici. Ma torniamo a noi. Che si fe’ de’ doi giovanetti? Sofia. Cupido le dimandò per il gran Turco; Febo volea che fussero paggi di qualche principe italiano; Mercurio, (B. 198-9)
(W. II, 219-20)
(L. 523-4)
766
(G.! II, 166-7)
(G.2 II, 178-09).
DIALOGO
TERZO
che fussero cubicularii de la gran camera. A Saturno parea che servissero per iscaldatoio! di qualche vecchio e gran prelato, o pur a lui, povero decrepito. A cui Venere disse: — Ma chi, o barba bianca, le assicura che non gli dii di morso
che non li mangi, se gli tuoi denti non perdonano a' proprii figli, per gli quali sei diffamato per parricida antropofago ? —
È peggio,
disse Mercurio,
che è dubio,
che per qualche
ritrosa stizza che l’assale, non gli piante quella punta di falce su la vita. Lascio che, se pur a questi può esser donato di rimaner in corte de gli dei, non sarà pi raggione che toccano a voi, buon
padre, che ad altri molti non meno
reve-
rendi che vi possono aver aperti gli occhi. — Qua sentenziò Giove, che non permetteva che in posterum in corte de gli dei si admettano paggi o- altri servitori che non abbiano molto sero
senno,
discrezione
e barba.
E che
mediante
le quali
si definisse
alle sorti,
questi
si mettes-
a chi
de
gli
dei toccasse di farne provisione per qualche amico in terra. —
E
mentre
alcuni
instavano
che
ne
determinasse
lui,
disse che non volea per queste cose gelose generar suspizion
di parzialità ne gli lor animi, quasi inchinando più ad una che ad un’altra parte di discordanti. Saulino. Buono ordine, per riparare a le dissenzioni= ‘ch'arrebono possute accadere per questi! Sofia. Chiese Venere l'Amore,
la Pace,
Imbracciamento,
che in luogo succedesse l’Amicizia,
con gli lor testimoni Carezze,
Vezzi,
Contubernio,
e gli tutti
fratelli
vitori, ministri, assistenti e circonstanti del gemino
Bacio, e serCupido.
— La dimanda è giusta, — dissero gli dei tutti. — Che si 1 (G!
ma
? B.
e G2:
stampò,
i nuovi
(B. 199-200)
iscaldalaio;
editori
come
L:
iscaldaloio)
pronunziano
hanno
(W. II, 220-1)
corretto:
i
meridionali,
dissensioni.
.
‘ dissenzioni ';
(L. 524) (G.1 II, 167-8) (G.2 II, 179-80).
767
faccia,
—
SPACCIO
DE
LA
disse
Giove.
BESTIA
TRIONFANTE
Appresso,
dovendosi
definire
del
Granchio (il quale, perché appar scottato dall'incendio del foco e fatto rosso dal calor del sole, non si trova altrimente 1
in cielo che se fusse condannato a le pene de l’ inferno), dimandò Giunone, come di cosa sua, che ne volesse far il senato; di cui la più gran parte lo rimese al suo arbitrio. E
lei disse che,
se Nettuno,
dio
del mare,
il comportava,
arrebe desiderato che s’attuffasse a l’onde del mare Adriatico, là dove ha più compagni che non ha stelle in cielo. Oltre, che sarà appresso l’onoratissima Republica Veneziana la qual, come fusse anch'ella un granchio, a poco a poco da l'oriente sen va verso l'occidente retrogradando *. Consenti quel Dio che porta il gran tridente. E Giove disse, che in loco del Cancro starà bene il tropico della Conversione,
Emendazione,
Repressione,
Ritrattazione,
virtudi
contrarie al Mal progresso. Ostinazione e Pertinacia; e subito soggionse il proposito del Leone, dicendo: — Ma questo fiero animale guardisi di seguitar il Cancro e di 1 B:
de’
altrimen.
2 Cfr. Cand., IV, 5; e CAMPANELLA, Parere intorno allo Stato Veneziani dopo l' interdetto, in AMABILE, T. Camp. ne’ Castelli
di Napoli, ecc. (Napoli 1887), II, p. 107. « Nella guerra sostenuta contro i Turchi nel 1537, la Repubblica [veneta] ebbe devastate le isole dell'Arcipelago; e, per la pace conclusa tre anni dopo, rinunziava.... a Patmos, a Stampalia, a Nio, ad Antiparo, a Paro, a Egina, e permetteva che pagassero un tributo alla Porta i bey di Lemno,
di Metelino, di Negroponte, d’Andro, di Rodi, di Santorino, di Milo, di Morea, di Lepanto e di S. Maura. La Lega, promossa da Pio V, e la vittoria alle Curzolari, per la gelosia dei principi e de’ generali alleati, cagionarono nuove d’Antivari, di Dulcigno, di Sopoto,
perdite, l'abbandono di Cipro, e l’ indennità di guerra di cen-
(B.
(G.!
tomila' ducati. La rovinosa pace del marzo del 1573 non sfuggf a’ contemporanei: per Matteo BanDpELLO (Nov., III, 69, ded.) ‘i Veneziani sono stati sforzati a comprare la Pace dal Turco, e dargli parte delle terre che in Levante s’avevano acquistate’ »: SPAMPANATO, 2 q. l. (Lo spaccio, pp. 134-35). 200-1)
(W.
II,
221)
(L.
524-5)
768
IT,
168-9)
(G.?
II,
180-1).
DIALOGO
TERZO
voler là ancora farsegli compagno; perché, se va a Venezia, trovarà ivi un altro, più che lui essere possa, forte; per-
cioché quello non solo sa combattere in terra, ma oltre guerreggia bene in acqua, e molto meglio in aria, atteso che ha l’ali, è canonizato, ed è persona di lettere: però sarà più espediente per lui di calarsene a gli Libici deserti dove trovarà moglie e compagni. E mi par che a quella piazza si debba transferir quella Magnanimità, quella eroica Generositade, che sa perdonar a' soggetti, compatir a gl’ infermi,
domar
l’ Insolenza,
conculcar
la
Temeritade,
rigettar la Presunzione e debellar la Suberbia. — Assai bene! — disse Giunone e la maggior parte del concistoro. Lascio di riferire con quanto grave, magnifico e bello apparato e gran comitiva se ne andasse questa virtude; perché al presente, per la angustia del tempo, voglio che vi baste di udire il principale circa la riforma e disposizione delle
sedie;
essendo
che
sono
per
informarvi
di tutto
il
resto quando sedia per sedia vi condurrò vedendo ed essaminando queste corti. Saulino. Bene, o cara Sofia. Molto mi appaga la tua cortesissima promessa; però son contento, che con la maggior brevità,
che
vi piace,
mi
doniate
saggio
spaccio dato all’altre sedie e cangiamenti. Sofia. — Or, che sarà della Vergine ? — casta
Lucina,
la
cacciatrice
Diana.
—
dell'ordine
e
dimandò
la
Fategli,
rispose
Giove, intendere se la vuole andare ad esser priora o abbatessa delle suore o monache, le quali son ne’ conventi o monasterii de l' Europa; dico, in que’ luoghi dove non son state messe in rotta e dispersione da la peste 1: o pur 1 Il B. allude alle recenti pestilenze degli anni (B.
201-2)
(W.
II,
221-2)
(L.
525)
769
(G.!
II,
1575-77
169-70)
(G.2
in Italia II,
181).
SPACCIO
a governar la gola di o rendersi tinna, che
LA
BESTIA
TRIONFANTE
le damigelle de le corti, a fin che non le assalte mangiar li frutti avanti o fuor de la. staggione, compagne de le lor signore. — Oh, disse Ditnon puote; e dice che non vuole in punto alcuno
ritornar
onde
fuggita.
—
ferma
DE
è una volta scacciata,
e donde
Il protoparente suggionse:
in cielo,
e guardisi
bene
—
è tante volte
Tegnasi dunque
di cascare,
e veda
di non
farsi contaminare in questo loco. — Disse Momo: — Mi par che la potrà perseverar pura e netta, si perseverarà di esser lungi da animali raggionevoli, eroi e dei, e si terrà tra le bestie, parte
come
occidentale
sin il
al presente
ferocissimo
è stata, Leone,
avendo
e
da
la
dall'oriente
il
tossicoso Scorpio. Ma non so come si portarà adesso, dove gli è prossima la Magnanimitade, l’Amorevolezza, la Generositade e Virilitade, che facilmente montandogli
per raggion di domestico magnanimo,
ranno
amoroso,
dovenir
contatto
generoso
maschio,
a dosso,
facendoli contraere del
e virile,
da
femina
la fa-
e da selvaggia
ed
alpestre
dea,
e nume da Satiri, Silvani e Fauni, la convertiranno in nume galante, essere,
umano, rispose
medesima nenza,
affabile ed ospitale. Giove;
ed
intra
sieno
la
Castità,
sedia
Purità,
Modestia,
tanto,
esser una
Sia quel che deve gionte*
la
Pudicizia,
Verecundia
trarie alla prostituta Libidine,
dicizia, Sfacciatagine;
—
ed
a
lei nella la
Onestade,
effusa Incontinenza,
Conticon-
Impu-
per le quali intendo la Verginitade
de le virtudi, atteso
che quanto
a sé non
è cosa
di valore. Perché, quanto a sé, non è virtà né vizio, e non contiene (SPAMP.,
bontà,
dignità,
né
merito;
Vita, pp. 267-8), e 1580-82
molti conventi. 1 BL: gionta. (B.
202-3)
(W.
II,
222)
(L.
525-6)
770
e quando
in Francia,
(G.
II,
non
serve
che fecero chiudere
170)
(G.3
II,
181-2).
DIALOGO
TERZO
alla natura imperante, viene a farsi delitto, impotenza, pazzia e stoltizia espressa: e se ottempera a qualche urgente raggione, si chiama Continenza, ed ha l'esser di virtii, per quel che participa di tal fortezza e dispreggio di voluttadi: il quale non è vano e frustratorio, ma conferisce alla conversazione umana ed onesta satisfazione altrui. — E che farremo de le Bilancie? — disse Mercurio. —Vadano : per tutto, rispose il primo presidente: vadano per le fameglie, acciò con esse ‘li padri veggano dove meglio inchinano gli figli, se a lettere, se ad armi; se ad agricoltura, se a religione;
se a celibato,
se ad amore;
atteso
che
non
è bene che sia impiegato l'asino a volare e ad arare i porci. Discorrano
le Academie
ed
Universitadi, dove s’essamine
se quei che insegnano, son giusti di peso, se son troppo leggieri o trabuccanti; e se quei che presumeno d’ insegnar in catedra e scrittura, hanno
necessità d’udire e studiare:
e bilanciandoli l’ ingegno, si vegga se quello impenna over impiomba; e se ha della pecora o pur del pastore; e se è buono a pascer porci ed asini o pur creature capaci di raggione. Per gli edificii Vestali vadano a far intendere a questi ed a quelle, quale e quanto * sia il momento del contrapeso, per violentar la legge di natura per un’altra sopra- o estrao contranaturale, secondo o fuor d’ogni raggione e 3 debito. Per le corti, a fin che gli ufficii, gli onori, le sedie, le grazie
ed exenzioni
corrano
dignitade
ciascuno;
di
secondo
che ponderano
perché
non
gli meriti
meritano
d’esser
sidenti a l'ordine, ed a gran torto della Fortuna 1 «Bilances
(Post.
napol.).
% GI: 3 GI:
(B.
et
carum
usus
varîi
(W.
II, 222-3)
(L. 526)
771 --
utilissimi.
Bel
pre-
presiedeno discorso»
quante, 0 debito.
203-4)
543
et
e
G.
Ununo,
Diloghi
italiani
(G.! II,
170-1)
(G.2
II,
182-3).
\
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
a l'ordine quei che non san reggere secondo l'ordine.
le republiche,
acciò
ch'il
carrico 1 delle
Per
administrazioni
contrapesi alla sufficienza e capacità de gli suggetti; e non si distribuiscano le cure con bilanciar gli gradi del sangue, de la nobilitade,
de’
titoli, de ricchezza:
ma
de
le virtudi
che parturiscono gli frutti de le imprese; perché presiedlano
i giusti,
contribuiscano
i facultosi,
insegnino
li dotti,
gui-
deno gli prudenti, combattano gli forti, conseglino quei ch’ han giudicio, comandino quei ch'hanno autoritade, Vadano per gli stati tutti, a fin che negli contratti di pace, confederazioni e leghe non si prevariche e decline dal giusto, onesto ed utile commune,
attendendo
alla misura
e pondo
della fede propria e de quei con gli quali si contratta; e nell’imprese ed affari di guerra si consideri in quale equilibrio concorrano le proprie forze con quelle del nemico, quello che è presente e necessario con quello che è possibile nel futuro, la facilità del proponere con la? difficultà delle exequire 3, la comodità dell’uscire,
l’inconstanza
dell’entrare
d'amici
con
con la
l’ incomodo
constanza
de
nemici, il piacere d’offendere con il pensiero di defendersi, il comodo turbar quel d'altri con il malaggiato conservare il suo, il certo dispendio ed iattura del proprio, con l' incerto acquisto e guadagno de l’altrui. Per tutti gli particulari
vadano,
acciò
ognuno
contrapesi
quel
che
vuole
con quel che sa; quel che vuole e sa con quel che puote; quel che vuole, sa e puote con quel che deve; lo che 4 vuole, 1 Gl: carico.
a p.
(B.
* G!: le difficultà. 3 (B (cfr. L in nota): delle ezequire; G* dello ecc. Vedi la nota 763,
n.
1)
4 È lo spagnolismo 204-5)
(W.
II,
223)
comune (L.
nel B.: cfr. sopra,
526-7)
772
(G.!
II,
171-2)
p. 703, n. 1. (G3
II,
183-4).
DIALOGO
sa, puote e deve!
TERZO
con quel che è, fa, ha ed aspetta.
—
Or,
che metteremo dove son le Bilancie ? Che sarà in loco della Libra ? — domandò Pallade. Risposero molti: — La Equità, il Giusto, la Retribuzione, Grazia,
la Gratitudine,
la raggionevole Distribuzione,
la buona
Conscienza,
la
la
Recogni-
zion di se stesso, il Rispetto che si deve a’ maggiori, l’ Equanimità che si deve ad uguali, la Benignità che si richiede verso gl’ inferiori, la Giustizia senza rigore a riguardo di tutti,
che
spingano = l’ Ingratitudine,
la Temeritade,
l' In-
solenza, l’Ardire, l’Arroganza, il poco Rispetto, l’ Iniquitade, l’ Ingiuria ed altre famigliari di queste. — Bene, bene!
—
dissero
tutti
del concistoro.
gionta
l’ora, o dei, in cui si deve
s'alza in piedi il bel érinito Apolline,
Dopo
la qual
e disse:
donar
—
degna
voce
È pur
ispedizione
a questo verme infernale che fu la principal caggione dell’orribil caso e crudel morte del mio diletto Fetonte; perché,
quando quel miserello dubbioso e timido con gli mal noti destrieri guidava del mio eterno foco il carro, questo per-
nicioso contro
mostro con
minaccioso
la punta
venne
a farsegli
della sua coda
talmente
mortale,
che per
inl'or-
rendo spavento facendolo di se stesso fuori, li fé dalle tenere mani cascar sul tergo de’ cavagli i freni: onde la tanto
signalata
lattea appare molte e molte ontoso scorno vergogna che cielo occupato
ruina
(W.
cielo,
che
ancor
nella
via
detta
arso; il sf famoso danno del mondo, che in parti apparve incinerito; e si fattamente contro la mia deitade ne seguitasse. È pur tanto tempo una simil sporcaria abbia nel il spacio di doi segni. —
I (G1 (= L): deve) * Spingano (come
(DB. 205-6)
del
II,
223-4)
altrove:
(L.
527-8)
773
v.
p.
(G.I
722,
n.
2):
II,
172-3)
spengano.
(G2
II,
184).
SPACCIO
— far
Vedi,
DE
dunque,
di questo
tuo
LA
BESTIA
o Diana,
animale,
TRIONFANTE
disse Giove,
il qual
vivo
quel
che vuoi
è tristo,
e morto
non serve a nulla. — Permettetemi (se cossi piace a voi), disse la vergine dea, che ritorne a Scio nel monte Chelippio; dove per mio ordine nacque a mal grado del presuntuoso Orione, ed ivi in quella materia di cui fu prodotto,
si risolva. Seco si partano la Fraude, la Decepzione, 1’ Inganno, la perniciosa Finzione, il Dolo, 1’ Ipocrisia, la Buggia, il Pergiuro, virtudi,
il Tradimento;
Sincerità,
e quivi
Execuzion
di
succedano
promesse,
le contrarie
Osservanza
di
fede, e le lor sorelle, seguaci e ministre. — Fanne quel che ti piace, disse Momo; perché gli fatti di costui non ti saran messi in controversia, come a Saturno il vecchio quegli de’
doi fanciulli. E veggiamo presto quel che si ! deve far del figlio Euschemico ?, che téma di mandarla vedova
saetta
si continua
E
son già tante migliaia d'anni che con via senza averne un’altra, tiene quella
incoccata
la coda
a l'arco,
alla
facendo
spina3
del
dicono,
al
la mira
dorso
là dove
di
Scorpione,
che
è la metà
certo, se, come lo stimo pur troppo prattico in prender
mira,
in collimare,
come
scopo
de l’arte sagittaria, lo potesse ancor stimare non ignorante
in quel rimanente circa il tirare e dar di punta al bersaglio, che fa l’altra metà de l'esercizio; donarei conseglio che lo inviassemo a guadagnarsi un poco di riputazione nell’ isola Britannica, dove sogliono di que’ messeri, altri in giubbarello ed altri in saio faldeggiante, celebrar la festa del
1 (G! = L:
quel che si;
? Euschemico,
il Sagittario.
3 GI:
(B.
G*:
figlio
quel si (per omissione
di
Euschemia
(cfr.
p.
tipogr.).)
600,
n.
alla spine.
206-7)
(W.
II,
224)
(L.
528)
774
(G.®
II,
173)
(G.2
II,
184-5).
2):
DIALOGO
prencipe Artur e candogli il verbo dentro al segno, tanto vedete voi vero, come
TERZO
duca di Sciardichi ‘, Ma dubito che, manprincipale, per quanto appartiene a donar non vegna a far ingiuria al mistiero. Per altri che ne volete fare; perché (a dir il
la intendo)
non mi par comodo
ad altro che ad
essere spaventacchio degli ucelli, per guardia, delle fave o de’ meloni 2. —
Vada,
verbigrazia,
disse il Patriarca,
dove
vuole; donegli pur alcun di voi il meglior ricapito che gli pare; e nel suo luogo sia la figurata Speculazione, Contemplazione, Studio, Attenzione, Aspirazione, Appulso ad ottimo
fine, con le sue circonstanze
e compagnie.
—
Qua soggionse Momo: — Che vuoi, padre, che si debba fare di quel santo, intemerato e venerando Capricorno? ! Per queste allusioni cfr. nota aggiunta in fondo a q. vol. (Colloco qui di sèguito, eliminata la citaz. dalla presente pagina, la nota in questione:) A illustrazione di queste allusioni l’egregio
prof.
Mario
Praz
mi
comunica
le seguenti
notizie
che
si leggono
nel vol. Archery di C. J. LonGMAn e Cot. H. WaLROND (London, Longmans, Green e Co., 1894): «The archers f{requenting these fields [i. e. I'insbury Fields] for practice formed themselves into
societes or associations, and the
Society
pany;
Arthure mo
it
‘ The
record
of
and
appears
Saint
George,
auncient
his
exists,
that
order
knightly except
these
a
there were apparertly three of these: or
societie
armory book
Archers
the
and
Honourable
of the
Unitie
round
published
called
in
Artillery
laudable
themselves
of
Prince
from
which
table’,
1583,
after
thur's knights; and the Finsbury Archers» (p. 167). VIII] frequently attended shooting matches, and on
Com-
of which
King
Ar-
« He (Henry one occasion
is said to have promised one of his guards, called Barlow, that if he won, he should be created Duke of Shoreditch, and this title,
and similar fantastic ones, seem to have been handed down and used by skilful archers for a considerable time, as Wood, in his Bowman's Glory, uses them to designate certain leading archers» (p. 162). 2 Spaventacchio, spauracchio (sec. XIV); fig., apparenza che
mette spavento (dal XIV al XVII sec.). Anche oggi, non v'è orto nolano nel cui mezzo non sorga un pauroso fantoccio per lo scopo indicato
(B.
dal
207-8)
Bruno.
(W.
II,
—
224)
Cfr.
(L.
sopra,
528)
p.
(G.!
775
633,
II,
n.
1.
173-4)
(G.2
II,
185-6).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
di quel tuo divino e divo connutrizio, di quel nostro strenuo e più che eroico commilitone contra il periglioso insulto della protervia gigantesca? di quel gran consegliero a guerra, che trovò il modo di examinare quel némico che da
la spelunca del monte Tauro apparve ne l' Egitto formidando antigonista! de gli dei? di quello il quale (perché apertamente non arremmo avuto ardire d’assalirlo) ne dié lezione di trasformarci
in bestie, a fin che l’arte ed astuzia
supplisse al difetto di nostra natura e forze per parturirci* onorato trionfo dell’aversarie posse? Ma, oimè, questo merito non è senza qualche demerito; perché questo bene non è senza qualche male aggiunto, forse perché è prescritto e definito dal fato, che nessun dolce sia absoluto da qualche fastidio ed amaro, o per non so qual'altra caggione. — Or che male, disse Giove, ne ha egli possuto apportar, che si possa dir esser3 stato congionto a quel tanto bene? che indignità, che abbia possuto accompagnarsi con tanto trionfo ? —
Rispose
Momo:
—
Fece
egli con
questo,
che
gli Egizii venessero ad onorar le imagini vive de le bestie, e ne adorassero in forma di quelle; onde venemo ad esser beffati,
come
ti dirò.
non averlo per male,
—
E
questo,
o Momo,
disse
Giove,
perché sai, che gli animali e piante
son vivi effetti di natura; la qual natura (come devi sapere)
non è altro che dio nelle cose. — Saulino. Dunque, satura est deus in rebus. 1 Non
è il
solo
esempio
(a p.
593:
metampsicosi)
dell’erronca
formazione di parole composte, mantenendo il B. la finale della prima parte e troncando (La
forma
P. 24.) 2 3
(B.
antigonista
(Gt = L: (G! = L:
208-9)
l’ iniziale della seconda partie della composizione.
(W.
(dal G. emendata tacitam.),
parturirci; G*: partuirci esser; G®:; essere) II,
224-5)
(L.
528-9)
776
(G.!
(svista II,
anche
nella Cena,
tipogr.).) 174)
(G.*
II,
180).
DIALOGO
Sofia.
—
Però,
diversi numi
disse,
e diverse
luto che hanno,
TERZO
diverse
cose
potestadi;
ottegnono
vive
rapresentano
che oltre l'essere abso-
l'essere comunicato
a tutte
le
cose secondo la sua capacità e misura. Onde Idio! tutto (benché non totalmente ma in altre più e meno eccellentemente) è in tutte le cose. Però Marte si trova più efficacemente in natural vestigio e modo di sustanza non solo in una vipera e scorpione, ma ed in una cipolla ed aglio, che in qualsivoglia maniera Cossf
pensa
nel gallo,
del
Sole
nel leone;
di pittura o statua inanimata.
nel croco,
nel
cossi pensar
narciso,
devi
nell’ elitropio,
di ciascuno
de
gli
dei per ciascuna de le specie sotto diversi geni de lo ente, perché sicome la divinità descende in certo modo per quanto
che
si
comunica
s'ascende per la cose naturali si — È vero quel vedo, come que’ a farsi familiari, che mandavano trine,
alla
natura,
cossi
alla
divinità
natura, cossi per la vita rilucente nelle monta alla vita che soprasiede a quelle. che dici, rispose Momo: perché in fatto sapienti con questi mezzi erano potenti affabili e domestici gli dei che per voci, da le statue, gli donavano consegli, dot-
divinazioni
ed
instituzioni
sopraumane?;
onde
con
magici e divini riti per la medesima scala di natura salevano 3 a l’alto della divinità, per la quale la divinità descende sino alle cose minime per la comunicazione di se stessa. Ma quel che mi par da deplorare, è che veggio alcuni
insensati
1 BW:
e stolti idolatri, Idio;
2 « Videluvr
LG*:
Iddio.
excusare,
imo
li quali,
Ma
rum cum hominibus in oraculis (Post. napol.). 3 Fa ricordare la Î. napol.: (B. 209-10)
(W.
IL
225)
è una
laudare
non
f. che
vetus
dacmoniacis.
più
B.
che
l'ombra
adopera spesso.
commercium
Discorso
daemonio-
detestabile»
saglievano.
(L.. 529-30)
777
(G.!
II,
174-5)
(G.2 II,
186-7).
SPACCIO
DE
s'avicina
alla
culto
1’ Egitto;
de
LA
nobilità
del
e che
BESTIA
TRIONFANTE
corpo,
imitano
cercano
la
l'eccellenza
divinità,
di
cui
del non
hanno raggione alcuna, ne gli escrementi di cose morte ed inanimate; quei
che con
divini
ed
tutto ciò si beffano
oculati
color che siamo
cultori,
ma
riputati bestie;
non
anco
di
solamente
di
noi,
di
come
e quel che è peggio,
con
questo trionfano, vedendo gli lor pazzi riti in tanta riputazione, e quelli de gli altri a fatto svaniti e cassi. — Non ti dia fastidio
questo,
o Momo,
disse
Iside,
perché
il fato
ha ordinata la vicissitudine delle tenebre e la luce. — Ma il male è, rispose Momo, che essi tegnono per certo di essere nella luce. — Ed Iside soggionse, che le tenebre non
gli sarrebono tenebre, se da essi fussero conosciute. Quelli dunque, per impetrar certi beneficii e doni da gli dei, con
raggione
di profonda magia passavano
per mezzo
di certe
Là onde que’ ceremoni non erano vane
fantasie,
cose naturali, nelle quali in cotal modo era latente la divinitade, e per le quali essa potea e volea a tali effetti comunicarsi.
ma vive voci che toccavano le proprie orecchie de gli Dei; li quali, come da lor vogliano essere intesi non per voci d' idioma
che
lor sappiano fengere, ma per voci di naturali effetti,
talmente per atti di ceremoni circa quelle volsero studiare di essere intesi da noi: altrimente cossi fussemo stati sordi a gli voti, come un Tartaro al sermone greco che giamai udio.
Conoscevano
vinità,
latente
que’
nella
savii dio essere nelle cose, e la di-
natura,
oprandosi
e scintillando
di-
versamente in diversi suggetti, e per diverse forme fisiche, con certi ordini, venir a far partecipi di sé, dico de l’essere,
della vita ed intelletto; e però con gli medesimamente diversi ordini si disponevano alla recepzion de tanti e tai doni, quali e quanti bramavano. Quindi per la vittoria (B.
210-1)
(W.
II,
225-6)
(L.
530)
778
(G.
II,
175-6)
(G.2
II,
187-8).
DIALOGO
TERZO
libavano a Giove magnanimo nell’aquila, dove, secondo tale attributo, è ascosa la divinità; per la prudenza nelle operazioni a Giove sagace libavano nel serpente; contra la prodizione a Giove minace nel crocodillo; cossi per altri innumerabili fini libavano in altre specie innumerabili. Il che tutto non si faceva senza magica ed efficacissima raggione 1. Saulino.
Come
dite
cossi,
o
Sofia,
se
Giove
non
era
nomato in tempo di egizii culti, ma si trovò molto tempo dopo, appresso gli Greci? Sofia.
Non
aver
perché
io parlo
perché
gli nomi
alla divinità:
secondo
del
nome
greco,
la consuetudine
(anco appresso
o
Saulino;
più universale,
gli Greci)
sono
e
apposticci
atteso che tutti sanno bene che Giove fu un
re di Creta, uomo
quel
pensiero
mortale,
e di cui il corpo,
di tutti gli altri uomini,
non meno
è putrefatto
che
o incinerito ?.
Non è occolto qualmente Venere sia stata una donna mor-
tale, la qual fu regina deliciosissima, e sopra modo bella, graziosa e liberale in Ciprio. Similmente intendi de tutti gli altri dei che son conosciuti per uomini. Saulino.
Come,
dunque,
Sofia. Ti dirò. Non divinità,
ma
la giustizia,
adoravano
adoravano
perché vedendo
le adoravano Giove,
la divinità,
un uomo
ed
invocavano?
come
come
lui fusse la
fusse
in Giove;
in cui era eccellente la maestà,
la magnanimità,
intendevano
in lui esser
dio
magnanimo, giusto e benigno; ed ordinavano e mettevano in consuetudine che tal dio, o pur la divinità, in quanto 1 aZuxta illud nimirum
gloriam
învisibilis
Dei
in
[PauLI]
serpentum 2 Cfr.
etc. » (Post. napol.). il De rerum principiis,
(B.
(W.
211-2)
II, 226-7)
ad Rom.,
imaginem
I [23]: Et mutaverunt
corruptibilis
in Opera,
(L. 530-1)
779
(G.1
II,
III,
hominis,
547,
176-7)
(G2
volucrum,
16/sgg. II,
188-9).
SPACCIO
che
DE
in tal maniera
come
LA
BESTIA
TRIONFANTE
si comunicava,
sotto il nome
di Mercurio
fusse
nominata
Giove;
Egizio sapientissimo
fusse
nominata la divina sapienza, interpretazione e manifestazione. Di maniera che di questo e quell'uomo non viene celebrato altro che il nome
e representazion
della divinità,
che con la natività di quelli era venuta a comunicarsi a gli uomini, e con la morte loro s’ intendeva aver compito il corso
de
l’opra
sua,
o ritornata
in
cielo.
Cossi li numi eterni (senza ponere inconveniente alcuno contra quel che è vero della sustanza divina)
temporali
altri
come
possete
sense
fu
ed
altri
vedere
nomato
in altri
tempi
per manifeste
Mercurio,
ed
istorie,
e Barnaba
hanno
altre
che
nomi
nazioni:
Paulo
Galileo
Tar-
fu nomato
Giove 1, non perché fussero creduti essere que’ medesimi dei;° ma perché stimavano che quella virtà divina che si trovò
in Mercurio
e Giove
in altri tempi,
all’ora presente
si trovasse in questi, per l’eloquenza e persuasione ch'era nell’uno, e per gli utili effetti che procedevano da l'altro. Ecco dunque come mai furono adorati crocodilli, galli, cipolle e rape; ma gli Dei e la divinità in crocodilli, galli ed altri; la quale in certi tempi e tempi, luoghi e luoghi, successivamente
ed
insieme
insieme,
si trovò,
sì
trova
e
sì trovarà in diversi suggetti quantunque siano mortali: avendo riguardo alla divinità, secondo che ne è prossima e familiare,
non
secondo
e senza abitudine
XIV,
! I soggetti
rium;
rr:
«Et
quoniam
2 « Videlicet
è altissima,
absoluta
in se stessa,
alle cose prodotte 2. Vedi dunque
sono
Mercurio
vocabunt
Barnabam
ipse erat dux escusa
molto
e
verbi »,
bella,
Giove.
Iovem,
perché
Cfr.
Paulum
di
questa
Acta
vero
sorte
come apost.,
Mercu-
e per
questa raggione non mai dovevano
essere in reverenza queste cose
(B.
(GI
212-3)
(W.
II,
227)
(L.
531)
780
II,
177)
(G4à
II,
1809-90).
DIALOGO
una
semplice
feconda
divinità
natura,
che
madre
TERZO
si trova
in tutte le cose,
conservatrice
de
una
l'universo,
se-
condo che diversamente si comunica, riluce in diversi soggetti, e prende diversi nomi. Vedi come a quell’una diversamente bisogna ascendere per la participazione de diversi doni; altrimente in vano si tenta comprendere l’acqua con
le reti e pescar i pesci con la pala. Indi ne gli doi corpi che vicino a questo globo e nume nostro materno son più principali, cioè nel sole e luna, intendeano
le cose secondo prendeano dola
due raggioni più principali.
quella
a sette
la vita che informa
lumi
secondo
sette
chiamati
Appresso
altre raggioni,
erranti;
ap-
distribuen-
a gli quali,
come
ad
original principio e feconda causa, riduceano le differenze delle specie in qualsivoglia geno: dicendo de le piante, de li animali, cose,
de le pietre, de gl’ influssi, e di altre ed altre
queste
di Saturno,
queste
di Giove,
queste
di Marte,
queste e quelle di questo e di quell'altro. Cossi de le parti, de’
membri,
de’
colori,
de’
sigilli,
de’
caratteri,
di
segni,
de imagini destribuite in sette specie. Ma non manca questo,
che
quelli
non
intendessero
una
che si trova in tutte le cose, la quale,
merabili
si diffonde
merabili,
e communica,
e per vie innumerabili,
appropriate
a ciascuno,
si ricerca,
essere
come
cossi
la divinità
in modi
ave
nomi
con raggioni mentre
per innu-
innu-
proprie ed
con
riti innu-
merabili si onora e cole, perché innumerabili geni di grazia cercamo impetrar da quella. Però in questo bisogna quella sapienza e giudizio, quella arte, industria ed uso di lume che
tute
lc altre
che
sono
nel mondo,
pietre,
(L. 531-2)
(G.! II,
erbe,
animali,
uccelli,
uomini etc. perché in ciascuna e qualunque parte de la divinità a lei communicata per lo essere etc. como qui se sequita » (Post. napol.). Cir. GIOVENALE, XV, I-II. (B. 213-5)
(W.
II, 227-8)
781
177-8)
(G.? II,
190).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
intellettuale, che dal sole intelligibile a certi tempi più ed a certi tempi meno, quando massima- e quando minimamente viene revelato al mondo. Il quale abito si chiama Magia:
e questa,
rali, è divina; della
natura
per quanto
e quanto
versa in principii sopranatu-
che versa circa la contemplazion
e perscrutazion
di
suoi
secreti,
è naturale;
ed è detta mezzana e matematica, in quanto che consiste circa le raggioni ed atti de l'anima, che è nell’orizonte del corporale e spirituale, spirituale ed intellettuale 1. Or, per tornare al proposito donde siamo dipartiti, disse Iside a Momo, che gli stupidi ed insensati idolatri non aveano raggione di ridersi del magico e divino culto degli Egizii; li quali in tutte le cose ed in tutti gli effetti,
secondo le proprie raggioni di ciascuno, contemplavano la divinità; e sapeano per mezzo delle specie che sono nel grembo della natura, ricevere que’ beneficii che desideravano
da
quella;
la
quale
come
dal
mare
e fiumi
dona
pesci, da gli deserti gli salvatici animali, da le miniere gli metalli, da gli arbori le poma;
cossi da certe parti, da certi
animali, da certe bestie, da certe piante porgono certe sorti, virtudi, fortune ed impressioni 2. Però la divinitade nel
mare
fu
terra Cerere, scuna
chiamata
Nettuno,
ne gli deserti
de le altre specie,
Diana;
nel
sole
Apolline,
e diversamente
le quali, come
nella
in cia-
diverse idee, erano
diversi numi nella natura, li? quali tutti si referivano ad un nume de’ numi e fonte de le idee sopra la natura. Saulino. Da questo parmi che derive quella Cabala de I Cfr.
del
Opp.
lat., v. III,
p.
397
sgg.
(L. 532-3)
(G.I
» « Modus impetrandi dona Dei, secondo la theologia ben cativa Nolano»
3 Gli; le.
(B. 215-6)
(Post.
(W.
napol.).
II, 228)
782
II,
178-9)
(G
II,
190-1).
i
DIALOGO
gli Ebrei,
la cui sapienza
TERZO
(qualunque
la sia in suo geno)
è proceduta da gli Egizii appresso de quali fu instrutto Mosè :. Quella primieramente al primo principio attribuisce un nome ineffabile, da cui secondariamente procedeno quattro, che appresso si risolveno in dodici; i quali migrano per retto in settantadoi, e per obliquo e retto in cento quarantaquattro;
e cossî
narii
innumerabili,
esplicati,
in
oltre,
per
quaternarii
secondo
che
e duode-
innumerabili
sono le specie. E talmente, secondo ciascun nome (per quanto vien commodo al proprio idioma), nominano un dio, un angelo, una intelligenza, una potestà, la quale è presidente ad una specie; onde al fine si trova che tutta la deità si riduce ad un fonte, come tutta la luce al primo e per sé lucido, e le imagini che sono in diversi e numerosi specchi, come in tanti suggetti particulari, ad un principio formale ed ideale, fonte di quelle. Sofia. Cossîf è. Talmente dunque quel dio, come absoluto,
non
ha che
far con
noi; ma
per quanto
si comunica
alli effetti della natura, ed è più intimo a quelli che la natura istessa; certo
di maniera
è la natura
del mondo,
de
se non
che se lui non
la natura;
ed
è la natura
è l’anima
è l'anima istessa:
gioni speciali che voleano accomodarsi
però,
istessa,
de
l'anima
secondo
le rag-
a ricevere l’aggiuto
di quello, per la via delle ordinate specie doveano presentarsegli avanti: come chi vuole il pane, va al fornaio; chi vuole il vino, al cellaraio; chi appete gli frutti, va al giardiniero; chi dottrina, tutte l'altre cose:
e cossi va discorrendo
in tanto che una bontà,
1 « Scilicet,
hoc
deerat
Nolanis
blasphemiis,
216-7)
II,
228-9)
(L.
(G.!
Mosen (B.
al mastro;
una
ut
felicità, un
verbum
traditum acceptum ferret Aegyptiis commentis » (Post. (W.
533)
783
II,
179-80)
per
(G.2
II,
Dei
per
napol.).
191-2).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
principio absoluto de tutte ricchezze e beni, contratto a diverse raggioni, effonde gli doni secondo l'exigenze de particulari.
Da qua puoi inferire, come la sapienza de gli Egizii, la quale è persa, adorava gli crocodilli, le lacerte, li serpenti, le cipolle;
non
solamente
la terra,
la luna,
il sole ed altri
astri del cielo; il qual magico e divino rito (per cui tanto comodamente la divinità si comunicava a gli uomini) viene deplorato dal Trimegisto, dove, raggionando ad Asclepio, disse 1: —
Vedi,
animate, che fanno Queste
di
statue,
cose
e
le
nel è
dir
che
tempio
A
sai,
la
imagine
la
il
la
mense
altre
cap.
Novembri
Il Postillatore
intitola
affetti
del
cielo3,
de
tutte
esercitano terra
cimè,
tempo
in
vano
cultore Lucio
IX;
MDXVI,
Apuleio
della Madaurensi
in JampLICUS,
Venetiis,
tri-
Asclepio,
l’Egitto
opere,
le
nostra
Ma,
Dialogus,
interprete,
ed
o
ed
vero,
infir-
gli
colonia
religioso
TrismEGISTI
platonico
—
ne
Non
apparirà
Aegyptiorum Soceri,
meriti
mondo.
stato
philosopho
letterale.
e
gli
dir
del
® MERCURII
Andreae
allegrezze
governano
che
essere
steriis
le
sia
si
prognostricatrici?
le
meglio,
cielo?
verrà
statue
inducono
umani?
l'Egitto
cose
queste
che
cure,
secondo
corpi per
dico,
future,
stizie, come
Asclepio,
piene di senso e di spirito, tali e tante degne operazioni?
mitadi, e
o
f.
in
aedibus
1307.
il ragionamento
ad
De
Aldi
my-
et
Traduzione
Asclepio:
«Trimegisti laudes in Aegyptum et eius valicinium de abolitione Aegyptiacae religionis et sapientiae ». ® Anche ‘oggi da coloro che non pronunziano correttamente. 3 D: maginne; WLG1: magione. Ma il testo latino ha: imago coelì. (B.
217-8)
(W.
II,
229)
(L.
533-4)
784
(G.!
II,
180)
(G.2
II,
192-3).
DIALOGO
divinitade;
grando serto; marrà essere gli dei, niera e legge
perché
le
alcuno.
che
sculpite
narraranno
ché
remi-
non
questi
Egitto,
gli
a
rimar-
incredibili
alle
quali
pii
nelle dei
saranno
Egitto,
solamente
anco
future,
narri
le Lettefe
O
tue
favole,
generazioni
altro,
divinità,
cielo, lasciarà l'Egitto dee questa sedia de divinità rivedova da ogni religione, per abandonata dalla presenza de perché vi succederà gente strabarbara senza religione, pietà, religioni
ranno
la
al
e culto
delle
TERZO
tuoi ed
non
sarà
gesti,
pietre, e
che
le quali
uomini
morti,
alle
la
(per-
deitade
sarà trasmigrata in cielo), ma a Sciti ed Indiani, o altri simili di salvaggia natura.
alla
luce,
utile
che
occhi
al
Le
tenebre
la
morte
la
vita,
cielo,
insano,
il
l’empio
si
preponeranno
sarà
giudicata
nessuno
religioso
sarà
alzarà sarà
credetemi
pena
capitale
alla
religion
trovaranno nulla
si
! Qui, latina. 218)
a
giudicato
nove
non
ancora
colui
si
II,
229)
(L.
buono.
definita
s’applicarà
giustizie,
nuove leggi,
di
nulla
mente;
santo,
udirà
a differenza di prima (W.
sarà
pru-
che
della
trovarà
ligioso!:
(B.
che
gli
stimato
dente,ilfurioso forte, il pessimo
E
pii
cosa
e dopo,
534)
(G.1
785
perché
180-1)
rel-
degna
scrive questa II,
di
si
(G:=
di
parola alla II,
193).
SPACCIO
LA
BESTIA
cielo
o
ciosi
rimarranno,
con
di
DE
gli
celesti.
uomini
all’audacia rapine,
trarie
e
Soli li
ogni
alla
questa
e
e
la
perni-
meschiati
gli
miseri
come
materia
tutte
anima
sarà
quali male,
donando
frodi
angeli
forzaranno
di
giustizia;
TRIONFANTE
a
altre
giustizia
vecchiaia
fusse
guerre,
cose
ed
con-
naturale
il
disor-
dine e la irreligione del mondo. Ma non dubitare, Asclepio, perché, dopo che saranno accadute queste cose, allora il signore e padre Dio, governator del
mondo,
l’omnipotente
per
diluvio
d’acqua o
o
di
pestilenze,
sua
giustizia
dubbio
o
di
altri
proveditore,
fuoco,
di morbi
ministri
misericordiosa,
donarà
fine
a
cotal
della senza
macchia,
richiamando il mondo all’antico volto. — Saulino. Or tornate al proposito che tenne Iside con Momo.
Sofia. Or, al proposito di calumniatori del-culto egizio !, li recitò quel verso del poeta: Loripedem
Le insensate
rectus
derideat,
Aethiopem
bestie e veri bruti si ridono
albus ?.
de noi dei, come
adorati in bestie e piante e pietre, e de gli miei Egizii che in questo. modo ne riconoscevano; e non considerano che ! «Qui
reprendeno
l'idolatrie
d’Aegypto,
sono
calumniatori;
il Nolano savio ct iusto, gui calomnia la religion Christiana » (Post. napol.).
* GIOVENALE,
(B. 218-9)
(W.
Sal.,
II,
II, 229-30)
23.
(L. 534)
786
(G.t II, 181-2)
(G.2 II,
193-4).
DIALOGO
TERZO
la divinità si mostra in tutte le cose; benché per fine universale ed eccellentissimo in cose grandi e principii generali;
e per
fini prossimi,
comodi
e necessarii
a diversi
atti
della vita umana,
si trova e vede in cose dette abiettissime,
benché ogni
per
cosa,
quel
che è detto, ha la divinità latente
insé; perché la si esplica e comunica insino alli minimi e dalli minimi secondo la lor capacità; senza la qual presenza niente arrebe l’essere, perché quella è l'essenza de l'essere del primo sin all'ultimo. A quel che è detto, aggiongo, e dimando: Per qual raggione riprendeno gli Egipzii in quello nel che essi ancora son compresi? E per venire a coloro che da noi o fuggirono, o fùrno come leprosi scacciati a gli deserti 1, non
sono
essi, nelle loro necessitati,
ricorsi al culto egizio,
quando ad un bisogno mi adorarono nell’ idolo d’un vitello d'oro; e ad un’altra necessità, s' inchinorno, piegàro le ginocchia ed alzàro le mani a Theuth in forma del serpente di bronzo ?, benché per loro innata ingratitudine, dopo
impetrato
favore
dell’uno
nume,
ruppero
e benedetti, in che
maniera
l'uno e l’altro idolo 3? Appresso, onorare
con
dirsi santi,
divini
e l'altro
quando
si hanno
voluto
han possuto farlo eccetto con intitularsi bestie, come si vede dove il padre de dodici trib 4, per testamento donando
a’ figli Ia sua benedizione,
dodici bestie ? Quante risvegliato Fuoco
volte
taCalunnia
chiamano
Leone,
ardente,
le magnificò
il lor vecchio
Aquila
Procella
in populum
Israeliticum»
con nome
risonante,
(Post.
napol.).
* aCalumnia
in usum
serpentis aenei iussu Dei evecti, quasi
219-20)
II,
(L.
(W.
230)
534-5)
787 54
—
G.
Bruno,
Dialoghi
italiani
(G.1
II,
dio
volante,
fecerint ex traditione Aegyptiaca » (Id.). 3 V. Esodo, XXXII, 184 e Numeri, XXI, 9. 4 Il patriarca Jacob. V. Genesi, XLIX, 14. (B.
di
182)
(G.2
II,
id
194-5).
SPACCIO
Tempesta
DE
LA
BESTIA
valorosa',
TRIONFANTE
ed
sciuto da gli altri lor successori? guinato,
Passare
uccis0o3.
E
l’intendeno,
dove
libro,
che
non
cossi
so
se
lui aprirlo
credergli essi
stura,
in mano,
e leggerlo.
Oltre,
che
mandra,
Lascio
asini 5: per
che
gli
la femina
quei
può
un altro
son
per
sua
ovile,
medesimi
con
che
sue,
suo
madre,
non
cossi
da lui, e si chiamano
gloriandosi4, pecore sua
pingono,
e pittura
tutti
chiamati
Agnello
lo
in statua
dire, son
cossi
cono-
insan-
solitario,
lo veggio posso
novamente
Pellicano
chiamano,
deificati, non
ancor
ge?
lo
il
veggio
suo
pagreg-
significati
il popolo
per
giudaico;
gli
e l’altre
generazioni che se gli doveano aggiongere, fede, per il polledro figlio 8. Vedete, dunque,
prestandogli come questi
divi,
questo
geno
sf povere
basse
bestie;
e poi si burlano
eletto
in più forti, degne
vien
significato
per
di noi
siamo
che
e
presentati
ed imperiose altre ?
Lascio che tutte le generazioni illustri ed egregie mentre
per gli lor segni significate, vette,
ed imprese
ecco
le vedi
nottue 7,
vogliono
aquile,
buboni 8,
orsi,
mostrarsi
falconi, lupi,
nibbii,
serpi,
ed essere cuculi,
cavalli,
ci-
buovi,
! Cir. Cabala, p. segg. il B. rimpasta allusioni bibliche che ? «Christum motat
848; ivi, n. 2. Nella medesima pag. e nelle e con più larghezza adopera le citazioni e le si trovano nello Spaccio. » (Post. napol.).
4 B: gloandosi. —
Sostituisco in fine del periodo 1’ interrogativo
3 V.
l’Apocalisse,
ai due punti. 5 «Ad historian napol.). 6 V.
7 Dal
Genesi,
8 Bubo, (B.
220-1)
(W.
gufo.
II,
7,
e V,
ingressus
XVI,
lat. noctua, omnis:
IV,
6.
Jerosol.
12, e XL,
11.
ae: una specie
230-1)
(L.
535)
788
în
asina
et piullo»
(Post.
di civetta. (G.!
IT,
182-3)
(G.?
II,
195).
DIALOGO
becchi;
farsi una
quella, una
e
tal
coda,
volta,
perché
manco
gamba,
o una
testa,
bestia intiera,
o una o un
trasformare
nerbo.
ecco
E
in sustanza
volentiera!; atteso,
suo scudo
TERZO
si stimano
vi presentano
non
o un
pensate
di tali animali,
a qual
fine
le bestie, quando
un
paio
che,
degni
de
pezzo
di
di corna,
o
se si potessero
non lo farrebono
stimate
che
pingono
le accompagnano
nel
col suo ri-
tratto, con la sua statua? Pensate
forse che vogliono dire
altro
cui,
eccetto:
il ritratto,
Questo,
questo 2, di
è quella bestia,
o spettatore,
vedi
che gli sta vicina e compiuta;
overo; Se volete saper chi è questa bestia, sappiate che la è costui di cui vedete qua il ritratto e qua scritto il nome. Quanti sono, che per meglior parere bestie, s' impellicciano di lupo, essere
di volpe,
uno
di cotai
che la coda? dell’ucello,
di tasso,
di caprone,
animali,
non
par
di becco, che
onde,
gli manca
ad
altro
Quanti sono che per mostrar quanto hanno
del volatile
e far conoscere
rezza sì potrebono sullevare cappello e la barretta? 3
alle
Saulino. Che dirai de le dame
con
nubi,
quanta
legge-
s’'impiumano
il
nobili, tanto de le grandi,
quanto di quelle che voglion far del grande? non fanno elle più gran caso delle bestie che de proprii figli? Eccole, quasi dicessero: — O figlio mio, fatto a mia imagine: se come ti mostri uomo, cossi ti mostrassi4 coniglio, cagnolina, messo
martora,
gatto,
gibellino;
certo,
si come
ti ho
com-
a le braccia de la serva, de la fante, de questa igno-
1 Cfr. De l’ infinito, è B: eccelto. Questo,
p. 515; ivi, n. 1. questo. — L: eccetto
3 Cfr. Canda, p. 20; ivi, n. 7. 4 B: cossi si mostrassi; IVLG!:
cossi
errore di stampa che va corretto e non, l’errata, soppresso.
(B. 221-2)
(W.
II, 231)
(L. 535-6)
759
questo:
mostrassi.
come
Questo. Ma
il
sì
è
un
pare faccia il B. nel-
(G.! II, 183-4)
(G.2 II, 195-6).
SPACCIO
bile
DE
nutriccia 1, di
LA
BESTIA
questa
TRIONFANTE
sugliarda 2,
sporca,
imbreaca 3,
che facilmente, infettandoti di lezzo, ti farà morire; perché conviene
anco
che
dormi
medesima
ti
pettinarei,
ti cantarei,
portarei
con
in
ella;
io,
braccio,
ti farei
ti
io sarei
quella
sostenerei,
di vezzi,
che
lattarci,
ti baciarei,
come
fo a quest'altro gentile animale, il qual non voglio che si domestiche
con
altro
che
con
me;
non
permetterò
che
sia
tocco da altro che da me; e non lasciarò star in altra camera
e dormir in altro letto che nel mio. Questo se averrà che la cruda Atropo mi tolga, non patirò che vegna sepolto come tu, ma gl’ imbalsimarò, gli perfumarò 4 la pelle; ed a quella,
come a divina reliquia, dove mancano li membri de la fragil testa e piedi, io vi formarò la figura in oro smaltato ed
asperso
bisognarà
di diamanti, onoratamente
avolgendomelo
di
perle
e di
comparire,
al collo, ora me
rubini.
Cossiî,
il portarò
l'accostando
dove
meco,
ora
al volto,
a la
bocca, al naso; ora me l’appoggiarò al braccio; ora, dismet-
tendo
il braccio
perpendicolarmente
in gi,
lo lasciarò ir
prolungato verso le falde, a fin che non sia parte di quello
che non sia messa in prospettiva. — Onde aperto si vede, quanto con più sedula cura queste più generose donne sono affette circa una bestia che verso un proprio figlio,
per far vedere quanta sia la nobilità di quelle sopra questi, quanto
quelle sono più onorabili che questi 5.
1 Cfr.
sopra,
p.
600,
n.
I.
2 «Sugliardo, assogliardo: porcino, ecc. »: New World of Words, pp. 3 Napol.:
mbrejàco:
imbriaco,
4 I. che ricorda la napol.: 5 Il TansiLLo aveva detto poemetti, ed. Flamini, p. 253): Di
Recar
(B. 222-3)
(W.
Spagna,
vi fate
dal
briaco.
sudicio,
sperfummare: profumare. nella Balia, cap. I (L' Egloga
Peri
ov cagnin
II, 231-2)
sporco, lordo, 546 e 507.
, da
rosso
(L. 536)
790
l' Indie
e i
nove
ov bianco,
(G.1 II,
184)
(G2
II,
196-7).
DIALOGO
TERZO
Sofia. E per tornare a pi seriose raggioni, quelli che sono, o si tegnono più gran prencipi, per far con espressi segni evidente la loro potestà e divina preeminenza sopra gli altri, s'adattano in testa la corona; che
figura
di
tante
corna,
che
in
la quale non è altro
cerchio
gl'incoronano,
id est gl’ incornano
il capo. E quelle quanto
ed eminenti,
fanno
tanto
più maestrale
son più alte
representazione,
e
son segno di maggior grandezza: onde è geloso un duca che un conte o marchese mostre una corona cossî grande come
lui;
maggiore
conviene
al re, massima
a l’ impera-
tore, triplicata tocca al papa, come a quello sommo patriarca che ne deve aver per lui e per li compagni. Li pontefici ancora in
due
sempre
corna;
a mezza
hanno
il duce
testa;
di
il gran
adoperata Venezia
Turco
da
la mitra
compare fuor
con
del
acuminata un
corno
turbante
lo fa
uscir alto e diritto in forma rotonda piramidale: il che tutto è
fatto
per
donar
testimonio
della
sua
grandezza,
con
accomodarsi con la meglior arte questa bella parte in testa, la quale alle bestie ha conceduta la natura:
voglio dir, con
mostrar di aver de la bestia. Questo nessuno avanti, né alcuno da poi ha possuto pit efficacemente esprimere, che il duca e legislatore del popolo giudeo. Quel Mosé dico, che in tutte le scienze de gli Egizii usci addottorato da la corte di Faraone '; quello che nella moltitudine di segni E
Non
non
vi si
allontana
mai
dal fianco,
pur gli aprite il sen, gli date il lembo,
Ma in pelto a fiato a fiato il chiudete anco; E i figli vostri.... par che vi grave Tener ne’ letti, io non vo' dir nel grembo. Contro
lo snaturato
costume
dell’allevamento
Erasmo, Colloquia, ed. cit., pp. 1 « Itursus ad columniandum (B. 223-4)
(W.
II, 232)
39I, 404-5. Mosen » (Post.
(L. 536-7)
791
(G.1 II,
mercenario
dei
figli,
napol.).
184-5)
(G.2 II,
197-3).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
vinse tutti que’ periti nella maggia; in che modo mostrò l'eccellenza sua, per esser divino legato a quel popolo, e representator de l'autorità del dio d’ Ebrei? vi par che, calando giù del monte Sina con le gran tavole, venesse in forma d’un uomo puro, essendo che si presentò venerando con un paio di gran corna, che su la fronte gli ramificavano 1?
Avanti la cui maestral presenza mancando il cuore di quel popolo errante ch'il mirava, bisognò che con un velo si cuoprisse
il volto;
il che pure
fu fatto da lui per dignità
e per non far troppo familiare quel divino e più che umano aspetto.
Saulino.
Cossi odo ch' il gran Turco, quando non porge
familiare udienza, usa il velo avanti la sua persona. Cossî ho visto io gli Religiosi di Castello in Genova mostrar per breve tempo
e far baciar la velata coda *, dicendo:
—
Non
toccate, baciate; questa è la santa reliquia di quella benedetta asina,
monte
che fu fatta degna
Oliveto
limosina:
a Jerosolima.
Centuplum
di portar il nostro
Adoratela,
accipictis,
ci vitam
Dio
baciatela,
dal
porgete
aeternam
possi-
debitis 3. Sofia. Lasciamo questo, e venemo al nostro proposito. Per la legge e decreto di quella nazion eletta nessuno si
fa re se non con dargli de l’oglio con un corno in testa;
1 V. Esodo, XXXIV, 3365. 2 « La coda de l’asina che portò Christo in Jerus. » (Post. napol.).
Noel Cand.2,
p. 29:
«In
nome
della benedetta
coda de l'asino ch'ado-
rano a Castello i Genoesi »: coda che il B. dovette vedere a Genova, passandovi quando fuggiva PP. 2609-70, e nota al Cand.!, nel
poemetto
«L'umil
conio»
cavalcatura
(Scritti
3 MattEO,
(B.
224-5)
di SALVATORE
(VW.
in
VIALE,
di Gesù | Ebbe
versi e in prosa,
XIX,
II,
da Roma. Vedi Spampanato, Vita, pp. 29-30. Questa reliquia è ricordata
29.
232-3)
(L.
537)
792
Dionomachia
(1812),
poi culto ed inni
Firenze,
Le
(G.
185-6) (G.2
II,
Monnier,
VIII,
34:
in suo pre1861).
II,
198-9).
DIALOGO
TERZO
e dal sacrato corno è ordine che esca quel regio liquore, perché appaia quanta sia la dignità de le corna, le quali conservano, effondeno e parturiscono la regia maestade. Or se un pezzo, una reliquia d’una bestia morta è in tanta riputazione, che devi pensar d'una bestia viva e tutta intiera,
che
non
ha
le
corna
improntate,
ma
per
eterno
beneficio di natura ? Séguito il proposito secondo la mosaica autoritade, la quale nella legge e scrittura sempre non usa altre minacce che questa, o simili a questa 1: Ecco, popolo, mio,
che
dice
il nostro
Giova.
Spuntarò
il vostro
corno,
o transgressori di miei precetti =. O prevaricatori della mia legge, fiaccarò, dileguarò le vostre corna 3. Ribaldi e scelerati, vi scornarò ben io 4. Cossf per.l'ordinario non usa altre promesse che questa, o simili a questa: Te incornarò certo; per mia fede, per me stesso ti giuro che ti adaptarò le corna, popolo mio eletto 5. Popolo mio fedele, abbi per fermo che non arranno male le tue corna; di quelle non si scemarà nulla. Generazione santa, figli benedetti, inalzarò, magnificarò, sublimarò le corna vostre, perché denno essere exaltate le corna de' giusti . Da onde appare aperto, che ne le corna consiste il splendor, l'eccellenza e potestade, perché
son
1 « Ridet
cose
propheticas
% GEREMIA,
Dominus ».
3 Salmi,
gam
da eroi,
XLVIII,
LXXIV,
bestie
e dei.
comminationes» (Post.
r1:
25:
« Abscissum
« Et omnia
est
cornua
napol.).
Cornu
Moab....,
peccatorum
ait
confrin-
».
4 Am., III, 14: « Dicit Dominus Deus: amputabunt(ur) cornua (altaris), et cadent in terram». $ Luc., I, 60: « Et Dominus Deus erexit cornu salutis nobis n. 6 I Reg., II, 10: « Dominus... sublimabit cornu eius »; { Paral.,
XXV, 5: « Dominus dedit.... ut exalteretur cornu »; Salmi, LXXIV, Ir: « Et cxaltabuntur cornua iusti »; CXI, o: «Cornu eius exalta-
bitur in gloria »; CKLVITII, (B.
225-6)
(\V.
II,
233)
14: « Et exaltavit cornu populi sui n; ecc,
(L.
537-8)
793
(G.I
II,
186)
(G2
II,
190).
SPACCIO
DELLA
BESTIA
TRIONFANTE
Saulino. Onde aviene che è messo in consuetudine di chiamar cornuto uno, per dirlo uomo senza riputazione, o che abbia perso qualche riputata specie di onore? Sofia. Onde aviene che alcuni ignoranti porcini alle volte ti chiamano filosofo (quale, se è vero, è più onorato titolo che possa aver un uomo), e te lo dicono come per dirti ingiuria o per vituperarti? Saulino. Da certa invidia. Sofia. Onde aviene che alcun pazzo e stolto tal volta da te vien chiamato filosofo? Saulino. Da certa ironia. Sofia.
Cossf
poi!
intendere
che,
o per
certa
invidia
o
per certa ironia, aviene che quei che sono, o che non sono onorati e magnifici, vegnono nomati cornuti. Conchiuse dunque
Iside per il Capricorno,
che, per aver egli le corna
e per esser egli una bestia, ed oltre aver fatti dovenir gli dei cornuti e bestie (il che contiene in sé gran dottrina e giudicio di cose naturali e magiche circa le diverse raggioni con le quali la forma e sustanza divina o s’ immerge, o si explica, o si condona per tutti, con tutti e da tutti suggetti), è un
dio
non
solamente
celeste,
ma,
ed
oltre,
degno
di
maggiore e meglior piazza che non è questa. E per quello che gli più vili idolatri, anzi gli vilissimi de la Grecia e de l'altre parti del mondo, improperano a gli Egizii, risponde per quel che è detto, che se pur si commette indignità nel culto, il quale è necessario in qualche maniera; e se peccano quei che per molte commoditadi e necessitadi, in forme de vive bestie, vive piante, vivi astri, ed inspiritate statue di pietre e di metallo (nelle quali non possiamo dir 1 G!: può. (B.
226-2)
(W.
In cambio II,
233-4)
di può B. altrove (L.
538-090)
794
(G.1
(Cand.?, p. Lv) usa fo. II,
186-7)
(G.2
II, 200).
DIALOGO
TERZO
che non sia quello che è più intimo a tutte le cose, che la
propria forma di esse), adororno la deità una e semplice ed absoluta in se stessa, multiforme ed omniforme in tutte le cose;
quanto
incomparabilmente
peggiore
è quel culto,
e più vilmente peccano quei che senza commodità e necessità alcuna, anzi fuor d’ogni raggione e dignità, sotto abiti e titoli ed insegne divine adorano le bestie e peggiori che bestie ? Gli Egizii, come sanno i sapienti, da queste forme naturali esteriori di bestie e piante vive ascendevano e (come mostrano gli lor successi) penetravano alla divinità; ma loro da gli abbiti ! magnifici esterni de gli lor idoli (ad altri accomodandogli al capo gli dorati raggi apollineschi, ad altri la grazia di Cerere, ad altri la purità di Diana, ad altri l'aquila, ad altri il scettro e folgore di Giove in mano) descendeno poi ad adorar in sustanza per dei quei che a pena hanno tanto spirito quanto le nostre bestie; perché finalmente
la loro
adorazione
si termina
ad
uomini
mortali,
dappoco, infami, stolti, vituperosi, fanatici, disonorati, infortunati, inspirati da genii perversi, senza ingegno, senza facundia e senza virtude alcuna; i quali vivi non valsero per sé, e non è possibile che morti vagliano per sé o per altro. E benché per lor mezzo è tanto instercorata ed insporcata la dignità del geno umano, che in loco di scienze è imbibito de ignoranze più che bestiali, onde è ridotto ad esser governato senza vere giustizie civili, tutto è avenuto non per prudenza loro, ma perché il fato dona il suo tempo e vicissitudine a le tenebre =. E soggionse queste 1 Abiti,
% « Puto (B.
227-8)
Napoletanismo.
ista omnia
(W.
II,
234)
dici in idolatriam (L.
539)
(G.!
795
II,
papisticam 187-8)
(G.2
et cultum II,
di-
200-1).
SPACCIO
paroli,
voltata
per molte indegne
LA
BESTIA
a Giove:
bestie,
del
DE
cielo,
che,
—
E mi
per
essendo
TRIONFANTE
dolgo
esser bestie, però,
come
di voi, o padre, mi
ho
par
che
facci
mostrato,
tanta
la dignità di quelle. — A cui il summitonante: — Te inganni, figlia, che per esser bestie. Se gli altri dei sdegnassero
l’esser
bestie,
non
sarrebono
accadute
tante
e
tali
metamorfosi. Però non possendo, né dovendovi rimanere in ipostatica sustanza, voglio che vi rimagnano in ritratto, il qual sia significativo, indice e figura de le virtudi che in que’ luoghi si stabiliscono. E quantunque alcune hanno espressa significazione di vizio, per essere animali atti
alla vendetta contra la specie umana, non sono però senza virtà divina in altro modo favorevolissime a quella medesima ed altre, perché rispetto,
malo,
nulla è absolutamente,
come 1’ Orsa,
il Scorpione
ma,
ed
per certo
altri:
questo
non voglio che ripugne al proposito, ma lo comporte nel modo che hai possuto aver visto e vedrai. Però non curo che la Verità sia sotto figura e nome
de l' Orsa, la Magna-
nimità sotto quel de l'Aquila, la Filantropia sotto quel del Delfino, e cossi de gli altri. E per venire alla proposta del tuo Capricorno, tu sai quel ch' ho detto da principio, quando feci l’'enumerazione di quei che doveano lasciar il cielo; e credo che ti ricordi lui essere uno de gli riservati. Godasi dunque la sua sedia, tanto per le raggioni da te apportate, quanto per altre molte non minori, che apportar si potrebono. E con lui, per degni rispetti, soggiorne la Libertà-di spirito a cui talvolta amministra il Monachismo (non dico quello de cocchiaroni) !, l' Eremo, la Solitudine, vorumy; nam noster iste Lucianus omnes religiones, praeter Aegyptiam et forte gentilicam omnem, inf[eriores) dig[nitate) habet » (Post. nap.).
1 Ossia,
(B. 228-9)
de’ suoi
(W.
correligionari:
II, 234-5)
(L. 539-40)
796
cfr.
SPAMP.,
Vita,
(G.1 II, 188-9)
pp. 247-50.
(G.? II, 201-2).
DIALOGO
che sogliono Contrazione. Appresso quario !. — sciérgli quella ha
possuto
TERZO
parturir quel divino sigillo ch'è la buona — dimandò Teti di quel che volea far de l'AVada, rispose Giove, a trovar gli uomini, e questione del diluvio, e dechiarare come quello
essere
generale,
perché
s’apersero
tutte
le ca-
taratte del cielo; e faccia che non si creda oltre quello esser stato particolare, perché è impossibile che l’acqua del mare e fiumi possa gli ambi doi ? emisferi ricuoprire, anzi né pur un medesimo citra ed oltre i Tropici o l’ Equinoziale. Appresso
faccia intendere come
questa riparazion del geno
traghiuttito da l’onde fu da l’ Olimpo nostro de la Grecia, e non da gli monti di Armenia, o dal Mongibello di Sicilia, o da qualch’altra parte. Oltre che le generazioni de gli uomini si trovano in diversi continenti non a modo
con cui
si trovano tante altre specie d'animali usciti dal materno grembo
de
la
natura,
ma
per
forza
di
transfretazione
e
virtù di navigazione, perché, verbigrazia, son stati condotti da quelle navi che furono avanti che si trovasse la prima; perché (lascio altre maladette raggioni da canto, quanto a gli Greci,
Druidi
e tavole
di Mercurio,
che
contario
più di
vinti mila anni non dico de lunari, come dicono certi magri
glosatori, ma di que’ rotondi simili a l’annello, che si computano da un inverno a l’altro, da una primavera a l’altra, da uno autunno a l’altro, da una staggione a l'altra medesima) è frescamente scuoperta una nuova parte de la Terra
che
chiamano
Nuovo
1 « Hactenus ivvidet historiam napol.).
è B
3 Nel (B.
(L):
1521
229-30)
Mondo,
dove
hanno
memoriali3 di
de Capricorno, iam de Aquario etc. ubi ironice diluvii unipersalis tanquam impossibilis» (Post.
doi
ambi.
(W.
II,
Altrove
gli Spagnuoli 235)
(L.
sempre
la
f.
s' impadronirono 540)
797
(G.!
II,
corretta.
del
189)
Messico,
(G2
II,
e dopo 202-3).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
diece mila anni e più, gli quali sono, come
vi dico, integri
e rotondi, perché gli loro quattro mesi son le quattro staggioni, e perché, quando gli anni eran divisi in più pochi, erano anco divisi in più grandi mesi. Ma lui, per evitar gl’ inconvenienti derare,
trovando
vada
che
possete
destramente
qualche
bel
da a
modo
per
voi
medesimi
mantenir
di
questa
accomodar
consi-
credenza,
quelli
anni;
e quello che non può glosare ed iscusare, audacemente nieghi, dicendo che si deve porgere più fede a gli dei (de quali portarà le lettere patente e bolle) che a gli uomini, li quali tutti son buggiardi. — — Qua aggionse Momo dicendo: — E ’l mi par meglio di scusarla in questa maniera con
dire, verbigrazia,
che
questi
parte de la umana
generazione,
benché
figura
in membra,
de la terra nova
non
son
perché non sono uomini,
e cervello
siano
molto
simili
a
essi; ed in molte circonstanze si mostrano più savii ed in trattar
gli lor dei
manco
ignoranti.
—
Rispose
Mercurio
che questa era troppo dura a digerire. — Mi par che quanto appartiene alle memorie di tempi, si può facilmente provedere con far maggiori questi, o minori quelli anni; ma penso che sia conveniente trovar alcuna gentil raggione, per qualche soffio di vento, o per qualche trasporto di balene ch'abbiano
inghiuttite
persone
di un
paese,
e quelle
vive andate a vomire in altre parti ed altri continenti 1. Altrimente noi dei greci saremo confusi; perché si dirà che tu, Giove, per mezzo di Deucalione non sei riparator de gli un assedio di sessantacinque giorni nc espugnarono la capitale, la grande città di Tenochtitlan, costruita circa due secoli avanti. Delle meraviglie di questa città e del regno, delle antichità rinvenutevi riferi Fernando Cortez a Carlo V.
1 «Ivridet
(B.
230-1)
(W.
historiam
II, 235-6)
Ionae»
(Post.
(L. 540-1)
798
napol.).
(G.1
II,
189-90)
(G.2
II, 203).
DIALOGO
uomini
tutti, ma
TERZO
di certa parte solamente.
—
Di questo
e
del modo di provedere si parlarà ‘a più bell’agio, — disse Giove. Aggiunse alla commissione di costui, che debba egli definire circa la controversia se lui è stato sin ora in cielo per un padre di Greci, o di Ebrei, o di Egizii o di altri, e se ha nome Finalmente
imbreaco
Deucalione, o Noemo 1, o Otrio, o Osiri.
determine
per l'amor
se
lui
è
di vino,
quel
patriarca
mostrava
Noè,
il principio
che,
orga-
nico della lor generazione a’ figli , per fargli intendere insieme insieme dove consistea il principio ristorativo di quella generazione assorbita ed abissata da l'onde del gran cataclismo, quando doi uomini maschii ritrogradando gittàro
gli panni
sopra
il discuoperto
seno
del padre;
o
pur è quel tessalo Deucalione, a cui, insieme con Pirra sua consorte, fu mostrato ne le pietre il principio della umana
riparazione;
là onde
de
doi
uomini,
un
maschio
e
una femina, retrogradando Ie gittavano a dietrovia al discuoperto seno della terra madre? 3 Ed insegne di questi doi modi de dire (perché non possono esser l’uno e l’altro istoria) qual sia la favola e qual sia la istoria; e se sono ambi doi favole, qual sia la madre e quale sia la figlia; e veda se potrà ridurle a metafora di qualche veritade degna d’essere occolta. Ma non inferisca che la sufficienza della magia caldaica sia uscita e derive da la cabala giudaica; perché gli Ebrei son convitti per escremento de l’ Egitto, e mai è chi abbia possuto fingere con qualche
riam
1 Noemo, Noè: cfr. De la causa, p. 220. Noachi» (Post. napol.).
? V. Genesi, IX,
(Questi
ultimi
3 Vedi
(B.
231-2)
rinvii
Ovipio,
(W.
21
ss. Cfr.
non
sono
Metamm.,
II, 236)
oltre
I,
però
la p. 220,
troppo
399-402.
(L. 541)
799
(G.
II,
—
«Isridet histo-
le pp.
274
convincenti.)
190-1)
(G.? II,
€ 275.
203-4).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
verisimilitudine, che gli Egizii abbiano preso qualche degno
o indegno principio da quelli. Onde noi Greci conoscemo per parenti de le nostre favole, metafore e dottrine la gran monarchia de le lettere e nobilitade, Egitto, e non quella generazione la quale mai ebbe un palmo di terra che fusse naturalmente o per giustizia civile il suo; onde a sufficienza si può conchiudere che non sono naturalmente, come né per lunga violenza di fortuna mai furono, parte
del mondo !. — Saulino. Questo, o Sofia, sia detto da Giove per invidia;
perché
quindi
degnamente
son
detti
e
si
dicono
santi,
per essere più tosto generazion celeste e divina che terrestre ed umana; e non avendo degna parte di questo mondo,
vegnono approvati da gli angeli eredi di quell'altro, il quale tanto è più degno quanto non è uomo, o grande o picciolo, o savio o stolto, che per forza o di elezione o di fato non possa acquistarlo, e certissimamente tenerlo per suo. Sofia. Stiamo in proposito, o Saulino. Saulino.
Or
dite,
che
cosa
volse
Giove
che
succedesse
a quella piazza? Sofia.
La Temperanza,
la Civilità, la Urbanitade,
dando gid la Intemperanza, ticia, Barbaria.
l’ Eccesso,
l’Asprezza,
man-
Selva-
Saulino. Come, o Sofia, la Temperanza ottiene medesima
sedia con l’ Urbanitade ? Sofia. Come la madre può coabitar con la figlia; perché per l' Intemperanza circa gli affetti sensuali ed intellettuali si
dissolveno,
disordinano,
disperdeno
ed
indiluviano
1 ll Post. napol. sottolinea l’ invettiva contro gli Ebrei;
ai quali cfr. sopra, (B. 232-3)
(W.
p. 722,
II, 236-7)
n. 2.
(L. 541-2)
800
(G.!
IT,
191-2)
(G.2
le
intorno
II, 204-5).
DIALOGO
fameglie, le republiche,
TERZO
le civili conversazioni ed il mondo;
la Temperanza è quella che riforma il tutto, come ti farò intendere, quando andaremo visitando queste stanze. Saulino. Sta bene, Sofia. Or, per venire alli Pesci, si alzò in piedi la bella madre di Cupido, e disse: — Vi raccomando con tutto il mio core (per il ben che mi volete ed amor che mi portate, o dei) li miei padrini, li quali al lido ? del fiume Eufrate versàro quel grand’'ovo che covato dalla colomba ischiuse la
mia
misericordia.
—
Tornino
dunque
là
dove
erano,
disse Giove; ed assai li baste di esser stati qua tanto tempo, e che se gli confirme il privilegio che gli Siri non le possano mangiar senza essere iscomunicati; e guardinsi che di nuovo
non
vegna
qualche
condottiero
Mercurio,
che,
to-
gliendoli le ova interiori, forme qualche metafora di nuova misericordia per sanar il mal de gli occhi di qualche cieco 3; perché non voglio che Cupido apra gli occhi, atteso che, se cieco tira tanto diritto ed impiaga tanti quanti vuole, che pensate farrebe, se avesse gli occhi tersi ? Vadino dunque là e stiano in cervello 4 per quel ch’ ho detto. Vedete come da per se medesimo il Silenzio, la Taciturnità, in forma
con cui apparve ne l’ Egitto e Grecia il simulacro di Pixide, con l'indice apposto alla bocca, va a prendere il suo loco. Or lasciatelo passar, non gli parlate, non gli dimandate 1 B (L): racomando.
consonante stampa.
scempia;
ma
Anche una volta parve,
e
nel
Cand.? (p. 46)
probabilmente
è,
® BL: lido; WGL: lito. 3 Cir. il Libro di Tobia, capp. VI e XI. Qulche tiero Mercurio l'angelo Rafaele, compagno
Tobia. 4 Maniera Cand.3,
(B.
p.
233-4)
102,
(W.
di
n.
dire
II,
2.
frequente
237)
(L.
nel
542-3)
801
B., (G.I
come II,
si
192)
un
con
errore
di
condote guida di
è osservato (G.?
la
II,
nel
205-6).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
nulla. Vedete come da quell'altro canto si spicca la Ciarla, la
Garrulità,
la
Loquacità
con
altri
servi,
damigelle
ed
assistenti. — Soggionse Momo: — Tolgasi ancora alla mal'ora quella chioma detta gli Crini di Berenice, e sia portata da quel Tessalo a vendere in terra a qualche calva
principessa. — Bene! — rispose Giove. — Or vedete purgato il spacio! del signifero 2, dove son prese trecento quaranta sei stelle notabili: cinque massime, nove grandi, sessanta quattro mediocri, cento trentatré picciole, centocinque
minori,
vintisette
minime,
tre
nebbiose.
—
Terza parte del terzo dialogo. —
Or ecco, come s’offre da essere ispedita la terza parte
del cielo, disse l'altitonante:
meridionale, tuo
dove
grande
prima,
animalaccio.
la parte
detta
o Nettuno, —
Il Ceto,
australe,
detta
ne si presenta disse
Momo,
se
quel non
è quello che servi per galea, per cocchio o tabernaculo al profeta di Ninive 3, e questo a lui per pasto, medicina e vomitorio,
se non
è il trofeo
del trionfo
di Perseo,
se non
è il protoparente di Ianni de l' Orco, se non è la bestiazza di Cola Catanzano,
quando
descese
a gli inferi: io, benché
sia uno de’ gran secretarii della republica celestialo, non so qual mal'ora egli si sia. Vada, se cossi piace a Giove, in Salonicca 4; e veda se può servir per qualche bella favola 1 BL: spacio; WG1: spazio. * Cfr. sopra, p. 606. — CicEr., De divinat., II, 42:
in orbe,
qui
graece
ZaSlaxdg
dicitur....».
3 Jona. Vedi Jonas, II, 1 ss.; I, 37. 4 « Salonica, hospitium hodie Iudacorum
valde
234-5)
192-3)
«..... signifero
frequens.
vur sus ut bellam fabellam Jonae historiam » (Post. napol.). (B.
(W.
II, 237-8)
(L. 543)
802
(G.!
II,
Irridet
(G.2 II, 206-7).
DIALOGO
TERZO
a la smarrita gente e popolo della dea Perdizione. E perché, quando
questo
animale
si scuopre
sopra l’alto bogliente e
tempestoso mare, annunzia la futura tranquillità di quello, se non in quel medesimo giorno, in uno di quei che vegnono appresso: però mi par che, nel suo grado, debba esser stato
buon tipo della tranquillità del spirito. — È bene, disse Giove, che questa soprana virti, detta Tranquillità de l'animo, appaia in cielo, se la è quella che salda gli uomini contra la mordana instabilità, le rende constanti contra l’ingiurie della fortuna, le mantiene rimossi dalla cura de le administrazioni,
le conserva
poco
studiosi
de
novitadi,
le fa poco molesti a nemici, poco gravi ad amici ed in punto suggetti a vana gloria; non perplessi per la varietà di casi, non irresoluti a gli rancontri de la morte. — Appresso dimandò
Nettuno:
—
Che
farrete,
o dei, del mio
favorito,
del mio bel mignone !, di quell’ Orione dico, che fa, per spavento (come dicono gli etimologisti), orinare il cielo ? * — Qua, rispose Momo: — Lasciate proponere a me, o dei. Ne è cascato, come è proverbio in Napoli, il maccarone dentro il formaggio 3. Questo, perché sa far de maraviglie,
e, come
Nettuno
sa, può
caminar
sopra
l’onde
del
mare senza infossarsi, senza bagnarsi gli piedi; e con questo consequentemente
mandiamolo 1 Nel
Appresso, grazioso.
far
molte
tra gli uomini;
senso
nella
2 « De
potrà
altre
e facciamo
di ‘ favorito ’, nel Boiardo,
Cabala
Orione;
sed,
(p.
841),
suona
o
Christe,
mutato
belle
che
gli done
ad
nel Redi,
ecc.
de te Fabula
nar-
nel Berni,
come
'
in
nomine
gentilezze;
francese:
carino,
ratur» {Post. napol.). 3 Prov. citato anche nel Cand.?, p. 10, dove si avverte (n. 4 (ma 6)) che sin d'allora si usava non pure nella forma riferita dal B., ma anche in quella de’ nostri giorni: «il formaggio sui maccheroni ». (B.
235-6)
(W.
II,
239)
(L.
543-4)
803 55
—
G.
Bruno,
Dialoghi
italiani
(G.1
II,
193-4)
(G.
II,
207).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
intendere tutto quello che ne pare e piace, facendogli credere che il bianco è nero, che l’ intelletto umano, dove li par meglio vedere, è una cecità; e ciò che secondo la raggione pare eccellente, buono
mamente
malo;
ed ottimo,
che
la natura
è vile, scelerato ed estre-
è una
puttana
bagassa1,
che la legge naturale è una ribaldaria; che la natura e di-
vinità non possono concorrere in uno medesimo buono fine, e che la giustizia de l'una non è subordinata alla giustizia de l’altra, la luce;
che
ma
son cose contrarie,
la divinità
tutta
è madre
come di Greci,
le tenebre
e
ed è come
nemica matrigna de l’altre generazioni; onde nessuno può esser grato a’ dei altrimente che grechizando, idest facendosi Greco: perché il più gran scelerato e poltrone ch'abbia la Grecia, per essere appartenente alla generazione de gli dei, è incomparabilmente megliore che il più giusto e magnanimo
ch’abbia possuto uscir da Roma
in tempo
che fu
republica, e da qualsivoglia altra generazione, quantunque meglior
in costumi,
scienze,
fortezza,
giudicio,
bellezza
ed
autorità. Perché questi son doni naturali e spreggiati da gli dei, e lasciati a quelli che non son capaci de pivi grandi privilegii: cioè di que’ sopranaturali che dona la divinità, come questo di saltar sopra l’acqui, di far ballare i granchi, di far fare capriole a’ zoppi, far vedere le talpe senza occhiali ed altre belle galanterie innumerabili. ' Persuaderà con questo che la filosofia, ogni contemplazione ed ogni magia che possa fargli simili a noi, non sono altro che pazzie; che ogni atto eroico non è altro che vegliaccaria; e che la ignoranza è la più bella scienza del mondo, perché ! Per
Canda,
(B.
p.
236-7)
questa 19;
(W.
ivi,
voce
II,
n.
I.
ch'è
238-0)
(L.
adoperata 544)
804
(G.!
pure II,
dagli 194)
(G.2
spagnuoli, II,
207-8).
v.
DIALOGO
TERZO
s'acquista senza fatica e non rende l’animo affetto di melancolia.
Con
culto
onore
ed
facendo
che
esserno
dono
questo
forse potrà
ch’abbiamo
gli nostri
o Greci
questo
ne l'orecchio:
perduto,
mascalzoni
o ingrecati.
conseglio;
richiamare
Ma
perché
ed
il
avanzarlo,
stimati
timore,
qualche
atteso che potrebbe
oltre
siano
con
e ristorar dei
o dei,
mosca
mi
per io vi
susurra
essere che costui al fine,
trovandosi la caccia in mano, non la tegna per lui, dicendo e facendoli
oltre
credere,
che
il gran
Giove
non
è Giove,
ma che Orione è Giove 1; e che li dei tutti non sono altro
che chimere e fantasie. Per tanto mi par pure convenevole che non permettiamo, che per fas et nefas, come dicono, voglia far tante destrezze e demostranze, per quante possa farsi nostro superiore in riputazione. — Qua
rispose
la
savia
Minerva:
—
Non
so,
o
Momo,
con che senso tu dici queste paroli, doni questi consegli, metti in campo queste cautele. Penso ch'il parlar tuo è ironico; perché non ti stimo tanto pazzo che possi pensar che gli dei mendicano con queste povertadi la riputazione appresso gli uomini; e, quanto a questi impostori, che la falsa riputazion
loro, la quale è fondata sopra 1’ ignoranza
e bestialità de chiunque le riputa e stima, sia lor onore più presto che confirmazione della loro indignità e sommo vituperio. Importa a l’occhio della divinità e presidente verità,
che
mortali
lo 2 conosca;
1 «In
uno
Christun
sia
buono
ma
fortasse»
e
che
degno,
un
(Post.
benché
altro
nessuno
falsamente
napol.).
Cfr.
de
venesse
sopra,
p.
803,
n. 2. È la medesima accusa che gli si lancerà contro a Venezia e che da lui sarà respinta con tutte le forze: « Et cum haec diceret,
plurimum putano
se contristavit, repplicando:
queste
* BL:
Ii.
cose v:
Spamp.,
Vita,
—
pp.
Non
so come
488-094.
se me im-
°
(B. 237-8) (W. II, 239) (L. 544-5) (G.! II, 194-5) (G.? II, 208-9),
805
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
sino ad essere stimato dio da tutti mortali, per ciò non si aggiongerà
dignità
a lui, perché
solamente
vien
fatto dal
fato instrumento ed indice per cui si vegga la tanto maggiore indignità e pazzia di que’ tutti, che lo stimano, quanto colui è più vile, ignobile ed abietto. Se dunque si prenda non solamente Orione il quale è Greco ed uomo
di qualche
preggio;
generazion
ma
del mondo,
uno
della più indegna
e fracida
di più bassa e sporca natura e spirito, che sia
adorato per Giove: certo mai verrà esso onorato in Giove, né Giove
spreggiato
in lui: atteso che egli mascherato
ed
incognito ottiene quella piazza o solio, ma più tosto altri verranno vilipesi e vituperati in lui. Mai dunque potrà un forfante essere capace di onore per questo, che serve per scimia e beffa di ciechi mortali con il ministero de genii nemici. —
Or sapete, disse Giove, quel che definisco di costui, per evitar ogni possibile futuro scandalo? Voglio che vada via a basso; e comando che perda tutta la virtù di far de bagattelle 1, imposture, destrezze, gentilezze ed altre maraviglie che non serveno di nulla; perché con quello non voglio che possa venire
a destruggere
quel tanto
di eccel-
lenza e dignità che si trova e consiste nelle cose necessarie alla republica del mondo *; il qual veggio quanto sia facile ad essere ingannato, e per conseguenza inclinato alle pazzie
e prono ad ogni corrozione ed indignità. Però non voglio che la nostra riputazione consista nella discrezione di costui o altro simile;
perché,
se pazzo
è un re, il quale
a un
suo capitano e generoso duca dona tanta potestà ed auto1 V. sopra, p. 600, n. 3. 2« Vana querela atheoruni napol.). (B. 238-40)
(W. II, 239-40)
(L.
hominum 545)
806
in
Christianismunm » (Post.
(G.! II, 195-6)
(G.2 II, 209-10).
DIALOGO
TERZO
rità per quanta quello se gli possa far superiore (il che può essere senza pregiudicio del regno, il quale potrà cossf bene,
e
quello);
forse
meglio,
quanto
e tutore,
se
esser
governato
più sarà insensato
ponesse
o
lasciasse
da
questo
e degno
nella
che
da
di correttore
medesima
autorità
un uomo abietto, vile ed ignorante, per cui vegna ad essere invilito, strapazzato, confuso e messo sotto sopra il tutto; essendo per costui posta la ignoranza in consuetudine di scienza, la nobilità in dispreggio e la villania in riputazione! — — Vada presto, disse Minerva; ed in quel spacio succeda
la
Industria,
l’ Esercizio * bellico
ed
Arte
militare ?;
per cui si mantegna la patria pace ed autoritade; si appugneno, vincano e riducano a vita civile ed umana conversazione
gli barbari;
si annulleno
gli culti,
religioni,
sa-
crificii e leggi inumnane, porcine, salvatiche e bestiali; perché ad effettuar questo tal volta per la moltitudine de' vili ignoranti e scelerati, la quale prevale a’ nobili sapienti e veramente buoni, che son pochi, non basta la mia sapienza
senza la punta de la mia lancia, per quanto cotali ribaldarie son radicate, germogliate e moltiplicate al mondo. — A cui rispose Giove:
—
Basta, basta, figlia mia, la sapienza
contra queste ultime cose, che da per sé invecchiano, cascano, son vorate e digerite dal tempo, come cose di fragilissimo fondamento. — Ma in questo mentre, disse Pallade, bisogna resistere e ripugnare, a fin che con la violenza non ne destruggano prima che le riformiamo. — 1 BWL: esercito. Infatti sopra, a p. 714, B. scrive: Ezercitio (ma Esercitio (cfr. LaG., p. 496)); e cosî appresso, p. 812 ecc. 2 «Loco veri Christianismi reponit Nolanus Militiam» (Post.
napol.). (B.
240-41)
(W.
II. 240)
(L. 545-6)
807
(G!.
II,
196-7)
(G2.
II,
210-1).
SPACCIO
—
non
Venemo,
so come
DE
LA
disse
BESTIA
Giove,
trattarlo;
al
TRIONFANTE
fiume
Eridano;
il
quale
e che è in terra e che è in cielo,
mentre le altre cose, de le quali siamo in proposito, facendosi in cielo, lasciàro la terra. Ma
che è là; e che è basso;
è dentro,
questo
e che è qua,
e
e che è fuori; e che è alto, e che
e che ha del celeste, e che ha del terrestre; e che
è là, ne l’Italia, e che è qua, nella region australe;
or non
mi par cosa a cui bisogna donare, ma
a cui convegna che
e forse non senza buon
sia di tal sorte, che
sia tolto qualche luogo. — Anzi, disse Momo, o Padre, mi par cosa degna (poi che ha questa proprietade l’ Eridano fiume di posser medesimo esser suppositale- e personalmente in più parti) che lo facciamo essere ovunque sarà imaginato, nominato, chiamato e riverito: il che tutto si può far con pochissima spesa, senza interesse alcuno, chi mangiarà
guadagno.
Ma
de suoi pesci imaginati,
e riveriti, sia come,
verbigrazia,
non
nominati, mangiasse;
chiamati chi simil-
mente beverà de le sue acqui, sia pur come colui che non ha
da
pur
bere;
come
chi
parimente
colui
che
l'ha
da
bere,
l’arà
dentro
vacante
del
cervello,
e vodo 1; chi
sia
di mede-
sima maniera arà la compagnia de le sue Nereidi e Ninfe, non sia men solo che colui che è anco fuor di se stesso. — Benel disse Giove; qua non è pregiudizio alcuno, atteso che per costui non averrà che gli altri rimagnano senza cibo,
senza
senza
che
gli
reste
compagni,
per
essere
qualche
in
cervello
e senza
bere, averlo in cervello e tenere in compagnia,
in imagi-
nazione,
in
sia,
nome,
in
voto,
in
quel
cosa
riverenza;
lor mangiare,
però
come
1 B: vodo; W: vuoto; LG!: voto. Ma è lo scambio della dentale tenue con la media, assai comune nella pronunzia napoletana. Nel De l’ infinito, p. 361: svode per svuoti. (B.
241-2)
(W.
II,
240-1)
(L.
546)
808
(G.!
IT,
197)
(G.2
1I, 211).
DIALOGO
TERZO
Momo propone, e veggio che gli altri confirmano, Sia dunque
1’ Eridano in cielo, ma non altrimente che per credito ed imaginazione.
Là onde non impedisca,
che in quel mede-
simo luogo veramente
vi possa essere qualch'altra cosa di
bisogna
di questa
cui in un altro di questi prossimi giorni definiremo; perché pensare
sopra
sedia,
come
sopra
quella
de 1’ Orsa maggiore. Provediamo ora a la Lepre, la qual voglio che sia stata
tipo del timore per la Contemplazion de la morte; ed anco, per quanto si può, de la Speranza e Confidenza, la quale è contraria al Timore: perché in certo modo l’una e l’altra son virtudi,
o almeno
materia
di quelle,
Considerazione e serveno a la Prudenza.
Codardiggia a basso
e Desperazione
a caggionare
a gli animi
vadano
il vero
figlie della
Ma il vano Timore,
insieme
inferno
stupidi ed ignoranti.
se son
con la Lepre
ed Orco
de le pene
Ivi non sia luogo tanto
occolto in cui non entre questa falsa Suspettazione ed il
cieco Spavento rimossa stanza Fede
ed
orba
de la morte, aprendosi la porta d'ogni mediante gli falsi pensieri che la stolta
Credulitade
parturisce,
nutrisce
ed
allieva;
ma non già (se non con vane forze) s’accoste dove l’ inespugnabil muro della filosofica contemplazion vera circonda, dove la quiete de la vita sta fortificata e posta in alto,
dove
è aperta la verità,
de l'eternità d'ogni sustanza;
dove
è chiara la necessitade
dove non si dee temer d'altro
che d’esser spogliato dall'umana perfezione e giustizia, che consiste nella conformità de la natura superiore e non errante.
—
Qua
disse
Momo:
—
Intendo,
o
Giove,
che
chi mangia la lepre, si fa bello; facciamo dunque che chiunque mangiarà di questo animal celeste, o maschio o femina ch'egli sia, da brutto dovegna formoso, da disgraziato (B.
242-3)
(W.
II,
241)
(L. 546-7)
80g
(G.
II,
197-8)
(G.
II,
2r1-2).
SPACCIO
grazioso,
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
da cosa feda e dispiacevole piacevole e gentile;
e fia beato
il ventre
si converte
in
e stomaco
essa.
—
Si;
che ne cape,
ma
non
voglio,
che de la mia lepre si perda la semenza. disse
Momo,
un
modo
mangiare
e bevere
pisca. —
questo,
con
senza
disse
disse
e
Diana,
— Oh, io ti dirò,
tutto il mondo
che
senza che sia dente che occhio che la vegga e Di
cui
e digerisce,
ne potrà
la sia mangiata
e
e bevuta,
la tocche, mano che la palpe, forse ancora luogo che la caGiove,
ne
raggionarete
poi.
Ora
venendo a questo Cagnazzo che gli corre appresso, mentre per tante centinaia d'anni l'apprende in spirito, e per tema
di
perdere
la
materia
d’andar
più
cacciando,
mai
viene quell'ora che la prenda in veritade, e tanto tempo gli va latrando a dietro, fingendosi le risposte. — Di questo mi son lamentato sempre, o padre, disse Momo, che hai mal dispensato, facendo che quel can mastino che fu messo
a perseguitar la tebana volpe, l’ hai fatto montare al cielo, come fusse un levriero alla coda d'una lepre, facendo rimaner là giù la volpe trasmutata in sasso. — Quod scripsi, scripsi,
disse
Giove.
—
E
questo,
disse
Momo,
è il male:
che Giove ha la sua volontà per giustizia, ed il suo fatto per fatal decreto, per far conoscere ch'egli ave absoluta autoritade,
e per
non
donar
a credere
ch'egli
confesse
di
posser fare, o aver fatto errore, come soglion fare altri dei,
che, per aver qualche ramo de discrezione, tal volta si penteno,
sì ritrattano
che pensi
e corregono.
—
che sia quel che facciamo
Ed
ora,
adesso,
disse
Giove,
tu, che
da un
partîcolare vuoi inferir la sentenza generale? — Si escusò Momo che lui inferiva in generale in ispecie, cioè in cose simili; non in genere, (B.
243-4)
(W.
II, 241-2)
cioè in tutte le cose. (L. 547-8)
810
(G.1
II,
198-0)
(G.2 II, 212-3).
DIALOGO
Saulino. dove
La
chiosa
TERZO
fu buona,
perché
non
è il simile
è altrimente.
Sofia. Ma soggionse: — Però, padre santo, poi che hai tanta potestà che puoi fare di terra cielo, di pietre pane e di pane qualch’altra cosa, finalmente puoi fare sin a quel che
non
è, né può
esser fatto;
idest la Venazione, pazzia
ed uno
fa’ che l’arte di cacciatori,
come è una maestrale insania, una regia
imperial
furore,
vegna
ad essere
una
virtii,
una religione, una santità 1; e che grande sia onore a uno per esser carnefice, ammazzando, scorticando, squartando e sbudellando
una
bestia salvaggia.
Di ciò benché
conve-
nerebbe a Diana di priegarti, tutta via io la dimando, per
esser talvolta cosa onesta che, in caso d’ impetrar beneficio
e dignitade, più tosto s' interpona un altro, che quel medesimo, a chi? spetta, vegna per se medesimo a presentarsi, introdursi e proporsi: atteso che con suo maggior scorno gli
verrebe
conceduto
negato, quel
che
e con
minor
suo
decoro
gli
cerca.
—
Rispose
Giove:
—
sarrebe Benché,
come l’esser beccaio debba essere stimata un'arte ed esercizio più vile che non è l'esser boia (come è messo in consuetudine in certe parti d'Alemagna), perché questa si maneggia pure in contrattar membri umani, e talvolta administrando alla giustizia; e quello ne gli membri d’una povera bestia, sempre a cui non
basta
amministrando
il cibo
ordinato
alla disordinata gola,
dalla
natura,
più
conve-
niente alla complessione e vita dell'uomo (lascio l'altre più degne raggione da canto) 3; cossi l’esser cacciatore è 1 Il BartHoLMESs (/. Bruro, II, 104) nota che questo della caccia non poteva dispiacere ad Elisabetta. % Con
valore
244-5)
(W.
3 Le
(B.
più
di
relativo,
degne
II, 242-3)
come
nel
Cand.?,
raggione
(L. 548)
(G.! II,
8II
p.
208;
sarebbero
199-200)
ivi,
elogio n.
quelle
2.
già
(G.? II, 213-4).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
uno esercizio ed arte non meno
TRIONFANTE
ignobile e vile che l’esser
beccaio; come non ha minor raggion di bestia la salvatica fiera che il domestico e campestre animale. Tutta volta mi
pare e piace, per non incusare,
ed a fine che non vegna
incusata di vituperio la mia figlia Diana, sere carnefice d’uomini sia cosa infame; idest
manigoldo
d’animali
domestici,
sia
ordino che l’esl’esser beccaio, cosa
vile;
l’esser boia di bestie salvatiche sia onore, riputazion
ma
buona
e gloria. — Ordine, disse Momo, conveniente non a Giove quando è stazionario o diretto, ma quando è retrogrado. Mi maravigliavo io, quando vedevo questi sacerdoti de Diana,
un
dopo
aver ucciso un daino *, una capriola, un cervio,
porco
cinghiale
o qualch’altro
nocchiarsi
in terra,
snudarsi
di questa
il capo,
alzar
specie, verso
ingi-
gli astri
le palme; e poi con la scimitarra propria troncargli la testa, appresso cavargli il cuore prima che toccar gli altri membri; e cossi successivamente con un culto divino adoprando il picciolo coltello, procedere di mano in mano a gli altri ceremoni; onde appaia con quanta religione e pie circonstanze sa far la bestia lui solo che non admette compagno a questo affare, ma lascia gli altri con certa riverenza e finta maraviglia star in circa a remirare ». E mentre lui è tra gli altri l'unico manigoldo, si stima essere a punto quel sommo sacerdote
a cui solo
era lecito
di portare
il Semammefo-
rasso, e ponere il piè entro in Santasantoro 3. Ma il male è ai Pitagorici professava. 1 BW:
suggerite daino;
2 Il Post,
dalla
LG!:
napol.
dottrina
damo.
si chiede
della
metempsicosi,
che
il B.
se il discorso qui sia «în sacerdotes
vleteres] ». 3 Tanto Santasantoro, quanto Semammeforasso dal FLORIO sono registrati nel New World of Words (pp. 463 e 488) con l'esempio
e la spiegazione (B.
245-6)
(W.
del
II
B.
243)
(L.
548-9)
812
(G.!
IT,
200-1)
(G.2
IT,
214).
DIALOGO
TERZO
che sovente accade che, mentre questi Atteoni vanno perseguitando gli cervi del deserto, vegnono dalla lor Diana ad esser convertiti in cervio domestico !, con quel rito magico soffiandogli al viso, e gittandogli l’acqua de la fonte a dosso,
e dicendo
tre volte:
Si videbas feram, Tu currebas cum
Me,
quae
Spectes
iam
in
ca;
tecum
eram,
Galilea 2;
over, incantandolo per volgare, in questa altra maniera: Lasciaste E
la
A
dietro
Con
la tua
bestia
tanta
stanza
seguitaste;
diligenza
gli
corresti,
Che medesimo in sustanza Compagno te gli fèsti. Amen.
Cossf dunque, conchiuse Giove, io voglio che la venazione sia una virti; atteso a quel che disse Iside3 in proposito
de
le bestie;
ed
oltre,
perché
con
tanto
diligente
vigilanza, con sf religioso culto s' incerviano, incinghialano, 1 V., per l’illustrazione 1005-9 € 1123-5.
del mito
d’Atteone,
gli Er.
fur., pp.
® a Formula magica, strana fusione e insieme contraffazione di due luoghi biblici, atta a convertire in bestie domestiche icacciatori
delle selvatiche, ossia i sacerdoti: .... se alla parola ‘feram’ si sostituirà ‘furem ’, si avranno i versetti del Salmo XLIX, 18: ‘Si
videbas ha
un
furem,
currebas
significato
cum
allegorico
—
co....’. la
figura Cristo (Caxnt., II, 9 e 17, VIII,
Aggiungendo
damma,
poi
il cerviatto
che
con
‘ fera' che
si
14. V. poi Cabala, p. 849), —
s' intravvederà che la seconda parte della formula è tolta dal racconto della Resurrezione, quando l’angelo dice (MATT., XXVIII, 7)
a Maria Maddalena e
laeam:
ibi
eum
246-7)
(W.
3 Vedi sopra,
(B.
all'altra Maria:
videbitis »:
p. 786.
II,
243-4)
SpAmP.,
(L.
549)
813
« Ecce praecedit vos in Gali-
Postille,
(G.
II,
p.
201)
312.
(G2
II,
214-5).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
inferiscono ed imbestialano. Sia, dico, virtù tanto eroica che quando un prencipe perseguita una dama ', una lepre, un cervio o altra fiera, faccia conto
che le nemiche
legioni
gli corrano avanti; quando arà preso qualche cosa, sia? a punto in quel pensiero, come avesse alle mani cattivo quel prencipe o tiranno di cui più teme: onde non senza raggione vegna a far que’ bei ceremoni, rendere quelle calde grazie e porgere al cielo quelle belle e sacrosante bagattelle 3. — Ben provisto per il luogo del cane cacciatore,
disse Momo;
il quale sarà bene
d' inviarlo in Corsica
o in Inghilterra, Ed in suo luogo succeda la Predicazione della
verità,
domestiche, blica.
Or
il Tirannicidio, la Vigilanza,
che
farremo,
il Zelo
la
de la patria
Custodia
disse,
de
e Cura
e di cose della
la Cagnolina? —
repuAllora
s'alzò la blanda Venere e la dimandò in grazia a gli dei, perché qualche volta per passatempo suo e de le sue damigelle,
con
quel
vezzoso
rimenamento
de
la persona,
con
que’ baciotti e con quel gentil applauso di coda, a tempo
de le lor vacanze, gli scherze in seno 4. — Bene, disse Giove;
ma vedi, figlia, che voglio che seco si parta l’Assentazione, l'Adulazione tanto amate, quanto perpetuamente odiati Zelo e Dispreggio; perché in quel loco voglio che sia la Domestichezza, Ossequio
Comità,
ed amorevole
Placabilità, Servitude.
Gratitudine,
—
Fate,
semplice
rispose
la bella
dea, del resto quel che vi piace; perché senza queste cagnoline non si può vivere felicemente in corte, come in quelle
1 ® 3 4 (B.
W: damma. Correzione superflua. BW: sia; LG!: fia; ma è stata una falsa Cfr. sopra, p. 806, n. 1. V. i versi tansilliani a p. 790, n. 5.
247-8)
(W.
II, 244)
(L.
549-50)
814
(G.I
IT,
lettura.
201-2)
(G.2
II,
215-0)
DIALOGO
TERZO
medesime non si può virtuosamente perseverare senza coteste virtudi che tu racconti. — E non si tosto ebbe chiusa la bocca la dea di Pafo, che Minerva
mia
l’aperse
bella
dicendo:
manifattura,
—
Or,
quel
a che
palaggio
fine
destinate
vagabondo,
la
quella
stanza mobile, quella bottega e quella fiera errante, quella vera balena che gli traghiuttiti corpi vivi e sani le va a vomire ne gli estremi lidi de le opposte, contrarie e diverse
margini del mare?! — Vada, risposero molti dei, con l'abominevole Avarizia, con la vile e precipitosa Mercatura,
col desperato
Piratismo,
Predazione,
Inganno,
Usura
ed altre scelerate serve, ministre e circonstanti di costoro. Ed ivi
risieda la Liberalità,
spirito,
la
Comunicazione,
la Munificenza, Officio
ed
altri
la Nobiltà degni
di
ministri
e servi loro. — Bisogna, disse Minerva, che sia conceduta ed appropriata a qualcuno. — Fa' di quella ciò che a te piace, disse Giove. sollecito
—
Portughese,
Or dunque, o
curioso
disse lei, serva a qualche ed
avaro
Britanno,
acciò
con essa vada a discuoprir altre terre ed altre regioni verso l’ India occidentale, dove il capo aguzzo Genovese= non ha discuoperto, e non ha messo i piedi il tenace e stiptico
Spagnolo 3; e cossi successivamente serva per l’avenire al più curioso, sollecito e diligente investigator de nuovi continenti e terre. — 1 a Adhuc
latina,
in historiam
femminile,
* FoLENGo, putini, quippe Disvulvant,
quando
l’avarizia
puer
come
Jonae»
si
è
visto
(Post. nella
napol.). —
Cena,
Baldus, XVII: «Nam cum Dum Catharinette puerum
rogitant
exit,
commadres
arte
aguzzam ». Cfr.
degl' inglesi
v.
G.
magistras,
ARETINO,
Florio,
in
550)
(G.!
Critica,
p.
Margine,
139.
nascuntur pueramve Ut
Zenovesi gridantes
faciant
Ragion., XXI,
alla
p.
124.
testam,
52.
Per
3 Accenno ai viaggi di scoperte compiuti dai portoghesi, dagl’ inglesi, dai genovesi e dagli spagnuoli durante il sec. XV e XVI. (B.
248-9)
(W.
II,
244)
(L.
815
II,
202-3)
(G.2
II,
216-7).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
Finito avendo il suo proposito Minerva, cominciò a farsi udir in questo tenore il triste, restio e maninconioso Saturno:
—
Mi pare, o dei, che tra gli riservati per rimaner
in cielo, con gli Asinelli, Capricorno
e Vergine,
sia questa
Idra, questo antico e gran serpente che dignissimamente ottiene la patria celeste, come quello, che ne revendicò da
le onte
de l’audace
e curioso
Prometeo 1, non
tanto
amico
di nostra gloria, quanto troppo affezionato a gli uomini, quali volea che per privilegio e prorogativa * de l’ immortalitade ne fussero a fatto simili ed uguali. Questo fu quel sagace
ed
accorto
animale,
prudente,
versuto,
callido,
astuto e fino più che tutti gli altri che la terra produca; che,
quando
Prometeo
ebbe
subornato
il mio
figlio, vostro
fratello e padre Giove, a donargli quelle otre o barilli3 pieni di vita eterna, accadde che, avendone cargato4 un asino, mettendoli sopra quella bestia per condurli alla region de gli uomini5 l’asino (perché per qualche tratto di camino andava avanti al suo agasone)6 cotto dal sole, bruggiato dal caldo, arefatto da la fatica, sentendosi gli pulmoni
disseccati
da la sete, venne
invitato
da costui
al
Quanto agli spagnuoli (cfr. sopra p. 720), anche il Tasso, nel disc. Intorno alla sedizione nel regno di Francia nel 1585, dico che la loro «ingorda e insaziabile avarizia ha cagionato fino nell’ Indie che quei popoli comincino a perdere la fede, la quale già con ardore d'animo presero e abbracciarono ». 1 B: Prometho. E cosî alla lin. 13. 2 BW (1): prorogativa (ma W prerogativa); come a p. 675. Arcai-
smo dei primi secoli, al quale male si sostituf la f. che divenne comune.
3 Benché anche a pp. 751, 817 ecc., non è difficile sia f. erronea.
Certo
lo Scorpa
nello
usato
già
la causa,
ma
(B.
Spicilegio
registra
barile,
barrile,
barricello,
non barilli. 4 Cfr. Cand.2, 129 (ma 119); ivi, n. 4. 5 (G! e G? gl'uomini (ma cîr. Pref. ai Diall. Met., p. XLIV).) 6 Agasone, asinaio. Latinismo (New World of Words, P. 14) 249-50)
nel
De
(W.
II,
245)
p.
(L.
220.
550-1)
816
(G.t
II,
203)
(G
II,
217-8).
DIALOGO
fonte;
dove
maniera
(per esser
che
l’acqua
TERZO
quello
alquanto
per doi
o tre
cavo
palmi
e basso,
di
era lontana
da
l’equalità de la terra) bisognò che l’asino si curvasse e si piegasse tanto, per toccar la liquida superficie con le labbia, che vennero a cascargli dal dorso gli barilli, si ruppero gli otricelli, si versò la vita eterna, e tutta venne a disperdersi per terra e quel pantano che facea corona con l'erbe al fonte. Costui se ne raccolse destramente qualche particella la
per
lui:
triste
Prometeo
condizione
ludibrio e nemico
rimase
della
confuso,
mortalità,
gli
e
l'asino,
di questi, condannato Giove,
ad
eterne
uomini
sotto
perpetuo
dall’umana gene-
razione,
consenziente
fatiche e stenti,
a
pessimo
cibo, che trovar si possa, ed a soldo di spesse e
grosse bastonate.
Cossi, o dei, per caggion di costui aviene
vedete
quantunque
che gli uomini facciano qualche caso de fatti nostri: perché che
ora,
siano
loro imbecillità ed aspettan mani,
e ne
reputano fussero bene
dispreggiano,
come
conoscano
di passare per le nostre
si beffano
come
Saturno,
noi
de
—
siamo,
disse
risposero gli dei tutti.
—
Invidia,
la Insidia,
la Maldicenza,
fatti
nostri,
immortali ? —
Giove.
—
Stiasi
mentre
nel Nuovo
mona (cfr. De l'infinito, p. nel Mondo di parole (p. 144) significato di scimmione. (B.
250-1)
(W.
e ne
II
245)
(L.
Assai
dunque,
Ma partasi, soggionse Giove, la Buggia,
Convizio,
tenzione e Discordia; e le virtudi contrarie con la serpentina Sagacità e Cautela. Ma quel posso patire che sia là; però Apolline tolga quel quel buon servitore, quel sollecito ambasciatore 1 Il FLorIo,
la
scimie e gattimammoni :; che farrebono se
similmente,
definisce
pure
mortali,
mondo
di parole
Con-
rimagnano Corvo non suo divino, e diligente
(p. 320) spiega
467) con gattomammone, registra gattomaimone col
551)
817
(GI
II,
203-4)
(G=
II,
218).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
novelliero e posta, che tanto bene effettuò il comandamento de gli dei, quando aspettavano di tòrsi la sete per la sedulità
del costui
serviggio.
—
Se vuol regnare,
disse
Apolline, vada in Inghilterra dove ne trovarà le mille leggioni. Se vuol dimorar
tecorvino molti
appresso
fichi,
vada
Ligustico mare, la gola
de
solitario, stenda il suo volo al Mon-
Salerno 1. Se in
Figonia,
vuole
cioè,
andar,
dove
la riva
da Nizza in sino a Genova.
cadaveri,
vadasi
o pur per il camino,
rimenando
che è tra Roma
per
dove
son
bagna
il
Se è tirato da la
e Napoli,
Campania,
dove
son
messi in quarti tanti ladroni che, da passo in passo, di carne
fresca gli vengono apparecchiati più spessi e suntuosi ban-
chetti che possa ritrovar in altra parte del mondo ?. — Soggionse Giove: — Vadano ancora a basso la Turpitudine, la Derisione, il Dispreggio, la Loquacità, l’ Impostura; ed in quella sedia succeda la Magia, la Profezia ed ogni Divinazione
e
Prognosticazione,
buona ed utile. — Saulino.
Vorrei
* A
di venti
meno
intendere chilometri
da
gli
effetti
il tuo. parere, da Salerno,
nelle
giudicata
o Sofia, ultime
circa propag-
gini occidentali del Terminio verso il mare, si cleva il Monte Corvino sparso di frazioni — Vòtraci, Marangi, Santo Eustachio, Cornea, Nuvolo, Occiano, Toriello, Pugliano e Rovella, — le quali, ad ec-
cezione di Pugliano, formano un solo comune che piglia il nome di Montecorvino Rovella dal monte e dal ' casale * di maggiore importanza. Giova ricordare che Montecorvino è lontano poco più di venti
chilometri
da Campagna.
® Il padre vittorino Guglielmo Cotin il 13 dicembre 1585 ricorda nel suo Diario il discorso avuto con-due italiani che gli parlarono di Sisto V: «Il a fait rude exécution en banissemens et morts de plusieurs gentilshomes, mais par contraincte, car desjà les voleurs, dès le temps de Grégoire XIII, l'assiégeoyent è Rome et tenoyent tous les chemins, entre Rome et Naples, en péril et danger. — De ceste rudesse du pape m’avoit parlé hier Jordanus [Bruno], avec blasme d'iceluy »: Spamp., Vita, pp. 653-4. (B.
251-2)
(W.
Il, 245-6)
(L. 551-2)
818
(G
II, 204)
(G.2 II, 218-9).
DIALOGO
TERZO
la metafora del corvo; la qual primamente fu trovata e figurata in Egitto, e poi in forma d' istoria è presa da gli Ebrei, con gli quali questa scienza trasmigrò
da Babilonia;
ed in forma di favola è tolta da quei che poetòrno in Grecia. Atteso che gli Ebrei dicono d'un corvo inviato da l'arca per uomo, che si chiamava Noé, per veder se Ile acqui erano secche, a tempo che gli uomini aveano tanto bevuto
che crepòrno; e. questo animale, rapito da la gola de cadaveri, rimase, e non tornò mai dalla sua legazione e serviggio. Il che pare tutto contrario a quello che raccontano gli Egipzii e Greci, che il corvo sia stato inviato dal cielo da un dio, chiamato Apolline da questi, per vedere se trovava de l’acqua, a tempo che gli dei si morevano quasi di sete; e questo animale, rapito dalla gola de gli fichi, dimorò molti giorni, e tornò tardi al fine, senza riportar l’acqua, e, credo, avendo perso il vase. Sofia.
Non
voglio
la dotta metafora;
al
ma
presente
questo
Ebrei
tutto
stendermi
a dechiararti
sol ti voglio dire: che il dir
di Egizii
e de
va a rispondere
a medesima
metafora;
perché dire che il corvo si parta da l’arca, che è
diece cubiti sullevata sopra il più alto monte de la terra e che si parta dal cielo, mi par che sia quasi tutt'uno :. E che gli uomini, che si trovano in tal luogo e regione, siano chiamati dei, non mi par troppo alieno; perché, per esser celesti, con poca fatica possono esser dei. E che da questi sia detto Noè quell'uomo principale e da quegli altri Apolline, facilmente s'accorda; perché la denominazione differente concorre in un medesimo officio di regenerare:
atteso che sol et homo generant hominem.
1 «Cioè, (B.
252-3)
bugia (W.
II,
e favola » 246)
(L.
(Post. 552)
819 56
-—
O.
Bruno,
Diafoghi
ituliuni
E che sia
napol.).
(G.!
II,
204-5)
(G.2
II,
219-20).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
stato a tempo che gli uomini aveano troppo da bere, e che sia stato quando
medesimo
gli dei si morevano
ed uno:
perché,
di sete, certo è tutto
quando
le cataratte
del cielo
s’apersero e si ruppero le cisterne del firmamento, è cosa necessaria che si dovenesse a tale che gli terreni avessero
troppo da bere e gli celesti si morissero di sete. Che il corvo sia rimaso allettato ed invaghito per gli fichi, e che quello stesso sia stato attratto dalla gola de corpi morti, certamente viene tutto ad uno, se considerarai la interpretazione di quello Giosefo, che sapea dechiarar gli sogni. Perché al fornaio di Putifaro (che diceva aver avuto in visione,
che
venevano
portava
in testa
a mangiar
un
canestro
gli ucelli)
de
prenosticò
fichi,
che
di cui
lui dovea
essere appiccato, e de le sue carni doveano mangiar i corvi
e gli avoltori. Che il corvo fusse tornato, ma tardi e senza profitto
alcuno,
è tutto
medesimo,
non
solamente
con
il
dire che non tornò mai, ma anco con il dire che mai fusse andato
né
mandato;
perché
non
va,
non
fa,
non
torna
chi va, fa e torna in vano. E sogliamo dir ad un che viene tardi
ed in vano, Andaste,
A
ma
Lucca
ancor
che
riporte
fratel mio,
me
I Genesi, XL, 16ss.; di un ministro del re
ti parse
e non
de
qualche
cosa:
tornaste;
vedere 2.
dove si parla veramente non di Putifar, (cfr. SPAMP., Lo spaccio, p. 83, n. 2). Per
la favola del corvo e dei fichi il prof. Spampanato mi fa avvertire che il B. può essersi servito della Ficheide dell’ArETINO, Caprice. e piac. ragionamenti, p. 483. Cir. Purci, Morgante, XXVIII, 130. ® In questi due vv. lo Spampanato ritiene che il B. abbia rifuso
da sé un
adagio
comune
allora in Italia. L'ARETINO
nel Filosofo
(a. V, sc. 9) fa dire dalla Massara, nello stesso senso del B., «a Lucca ti vidi »; e Lorenzo Lippi nel Malmantile, VII, 57: «.... a Lucca ti riveddi ». Il LALLI nella Eneide travestita, III, 4: « E dicon spesso
altrui:
Ti veddi
(B. 253-4)
a Lucca ». Tommaso
(W. II, 246-7)
(L. 552-3)
820
Buoni
da Lucca,
(G.1 II, 205-6)
nel suo
Te-
(G.? II, 220-1).
DIALOGO
TERZO
Ecco dunque, Saulino, come le metafore egiziane senza contradizione alcuna possono essere ! ad altri istorie, ad altri favole,
ad
altri figurati
Saulino.
non
Questa
mi contenta,
sentimenti.
tua concordanza
di testi, se al tutto
è vicina a contentarmi.
Ma
per ora se-
guitate l’ istoria principale. Sofia. — Or che si farà de la Tazza? dimandò Mercurio. De la giarra che si farà?
—
donata,
vita durante, al più gran bevitore
ture successionis,
che produca tata,
Facciamo,
l'alta e bassa Alemagna,
magnificata,
celebrata
e
disse Momo, dove
che sia
la Gola è esal-
glorificata
tra
le
virtudi
eroiche; e la Ebrietade è numerata tra gli attributi divini: dove
col
ireink
e
retreink*,
bibe
et
rebibe,
vucta
veructa,
cespita recespita, vomi revomi usque ad egurgitationem utriusque
iuris 3, idest
anima
del
brodo,
butargo 4, menestra,
e salzicchia 5, videbitur
Ciacchi 6.
Vadasene con
porcus
quello
cervello,
porcorum
l' Ebrietade,
la
in gloria qual
non
la vedete là in abito todesco con un paio di bragoni tanto grandi,
santo
l’uno
che
paiono
Antonio,
le
e con
bigoncie
quel
e l’altro si discuopre:
del
mendicante
braghettone
che
di sorte che
da
abbate
di
mezzo
de
par che
voglia
soro de’ Proverbi, racconta di un Lucchese, che, imbattutosi a Lucca
in un Pisano, lo colmò di cortesie; ma ne fu ricambiato male, ché, capitato poi a Pisa, non venne riconosciuto. Onde avrebbe escla-
mato: ne'
« A Lucca ti veddi e a Pisa ti conobbi ». Il FLORIO ne fa cenno
manuali di conversazione: ! (L: essere; G1 G2: esser)
Critica,
XXII,
248.
? Trinken, in tedesco significa bere: donde l’ italiano trincare. 3 Da notare il giuoco di parole tra jus diritto e jus brodo. 4 Butargo,
uovo
dî
tonno
5 Nel Cand.2, p. 58; salcica ricorda lo spagn. sa/chicha).) 6 Cfr.
sopra,
p.
752,
dove
affumicato.
(ma
ciacco,
le salciche
usato
come
(lo SPAMPANATO n.
c., è sinonimo
di pacchione e simili. Per una pittura del vizio che si soleva attri(B.
254-5)
(W.
II,
247)
(L.
553)
821
(G.I
II, 206)
(G-?
II,
221-2).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE:
arietare il paradiso ? Guardate come la va, orsa ', urtando ora con questo ora con quel fianco, mo’ di proda mo’ di poppa, in qualche cosa, che non è scoglio, sasso, cespuglio, o fosso a cui non vada a pagar il fio. Scorgete con ella gli
compagni fidelissimi Replezione, Dormitazione, Blesura 2,
caria
Pallore,
ed
la non
Trepidazione,
altri
può
Delirio,
seguaci,
più
Indigestione,
alias
Cespitazione,
Rutto,
ministri
caminare,
Fumositade,
Nausea,
Vomito,
e circonstanti.
vedete
come
Lotto,
de quali li più celebri
Chiaccone,
fiero Zampaglion
Vitanzano,
porta
e famosi
Zucavigna
la banda
Spor-
E
rimonta
carro trionfale 3, dove sono legati molti buoni,
personaggi
Balbuzie,
perché
sul suo
savii e santi
sono
Noemo,
e Sileno 4.
L’al-
scarlato;
dove
fatta di
con il color di proprie penne appare di doi sturni il natural ritratto; e gionti a doi gioghi, con bella leggiadria tirano il temone quattro superbi e gloriosi porci, un bianco, un rosso,
un
vario,
un
negro;
Grungarganfestrofiel, Glutius,
il quarto
buire ai tedeschi, « plus cocti quam
il
de
quali
il primo
si
secondo Sorbiligramfton,
chiama il
terzo
Strafocazio 5. FoLENGO, Macaronea, XXVI: Gestant in cerebro, fumantia
del bere, v. TeoFiLo crudi vina tavernae
supra biretum ». 1 BWL: la va orsa. La virgola, tenda: come orsa, da orsa. ? Balbuzie dal lat. diaesura, ae.
perché
facilmente
più
s' in-
3 È parsa, ma non è, la parodia del carro trionfale dantesco (Purg., XXIX, 92). V. HaRTUNC, Grundlinien der Ethik bei G. Bruno, Leipzig, 1878, p. 7; SPAMPANATO, Lo spaccio, p. 84.
cfr.
più
4 Tutti,
IX,
Genesi,
o meno,
da un
Lot,
20ss.
Per
nome
comune,
per giacere con lui, vedi è derivato
solenni
bevitori.
pure Genesi,
le
che
XIX,
dal napol.
Per
due
Noè
figlie
32 ss.
(Noemo),
Chiaccone
‘ chiaccone
Vitanzano cune’ (pampino, sermento, tralcio). vigna sono nomignoli di beoni. Sileno, come ognun pagno di Bacco.
5 BL:
(B.
255)
Strafocazio;
(W.
II,
247-8)
ma
(L.
gli altri 553-4)
822
editori,
(G.!
II,
per
svista
206-7)
inebriarono,
(G2
’, pl.
‘ chiac-
e Zucasa, è il com-
di lettura; II,
222-3).
DIALOGO
TERZO
Ma di questo altre volte ti dirò a bastanza. Veggiamo che fu, dopo ch’ebbe ordinato Giove: che vi succedesse l’Abstinenza e Temperanza con gli lor* ordini e ministri, che udirai: perché adesso è tempo, che vengamo a raggionar del
centauro
proposito,
o figlio
venendo
fu detto dal vecchio Saturno
e signor
ispediamo Momo
Chirone 3, il qual
mio,
presto
disse:
—
vedi
questi Or,
ch'il
sole
altri quattro,
che vogliamo
ordinatamente
a Giove:
è per
—
a
Perché,
tramontare,
s'el ti piace.
—
far di quest'uomo
E
inser-
tato a bestia, o di questa bestia inceppata ad uomo, in cui una persona è fatta di due nature, e due sustanze concorreno in una ipostatica unione ? 4 Qua due cose vegnono in unione
alcuno.
a far una
Ma
terza entità; e di
in questo
consiste
questo non è dubio5
la difficultà;
cioè,
se cotal
terza entità produce cosa megliore che l'una e l’altra, o d'una de le due parti, overamente più vile. Voglio dire, se, essendo a l'essere umano aggionto l'essere cavallino, viene
prodotto
un
divo
degno
de
la sedia
celeste,
o pur
una bestia degna di esser messa in un armento e stalla? In fine (sia stato detto quanto si voglia da Iside, Giove ed altri
dell'eccellenza
a l’uomo,
per
esser divino, gli conviene aver de la bestia, e quando
ap-
Scrafocazio.
il significato
Lo
de
l’esser
SPAMPANATO
di questi bizzarri
bestia,
(Lo
spaccio,
nomi
e che
p.
89)
ha
voluto
cercare
creati dal B.; e crede che Grun-
garganphestrophiel possa significare «chi mangia grufolando e con orgoglio »; Sorbillgramphion « centellinatore n. Glutius deriva dal lat. glutio,
-ivi,
e vale
ingordo;
come
strafocazio
ingoiare avidamente, da soffocare. 1 (G! (= L): ordinato Giove; G%:
2 Nella prima
/or.
sub
5
dubbio)
Orione » (Post. (B.
ediz., omisi:
3 Allegoria del Cristo. 4 «Rursus in Christum (G!
255-6)
=
L:
(W.
nap.).
dubio;
II,
G?:
248)
(L.
persona
554)
823
(G.!
dal
ordinato
napol.
a
centauri
II,
207-8)
strafocarsi,
Giove) sicut
(G2
supra
II,
sub
223).
SPACCIO
petisce vedere
DE
mostrarsi
LA
BESTIA
altamente
TRIONFANTE
divo,
faccia
in tal misura bestia), mai
conto
di
potrò credere
farsi
che, dove
non è un uomo intiero e perfetto, né una perfetta ed intiera bestia, ma un pezzo di bestia con un pezzo d'uomo,
possa
esser meglio che come dove è un pezzo di braga con un pezzo di giubbone, onde mai provegna veste meglior che giubbone
o braga,
né
cosa
e grande,
meno
cossf,
come
questa
o quella,
di solamente
crederlo.
buona. — Momo, Momo, rispose Giove, il misterio di questa cosa è occolto e grande, e tu non puoi capirlo; però, come —
alta So
bene,
disse
ti fia mestiero Momo,
che
può esser capita da me, ciolo granello
questa
è una
né da chiunque
d’ intelletto;
ma
che
un acino
con —
di miglio, debba
qualche Momo,
bella
disse
maniera
Giove,
non
mi
non
un
dio,
o
esser potrebe
vorrei che da te prima
vegna
devi
son
quanto
crederlo,
che
ha qualche pic-
io, che
altro che si trova tanto sentimento
cosa,
donato
voler
sapere
a credere. più
di quel
che bisogna sapere, e credemi ?, che questo non bisogna sapere 3. — Ecco dunque, disse Momo, quel che è necessario intendere, e ch’ io al mio dispetto voglio sapere; e per farti
piacere, o Giove, voglio credere che una manica ed un calzone vagliono più ch'un par di maniche ed un par di calzoni, e di gran vantaggio ancora; che un uomo non
che
una
bestia
non
sia mezo
non
uomo,
meza
bestia;
che
uomo
imperfetto
! Restituisco
un
è
bestia;
che
e che
la metà
mezo
uomo
e bestia
fedelmente
la metà
(B. 256-7)
(W.
credere
non
sia
e meza
bestia
non
sia
della
ma
bene
vecchia
per farti piacere» (Post.
II, 248-9)
(L. 554-5)
824
uomo
bestia
niana. In G!: In fine, e sia stato detto.... in tal misura 2 BL: credemi; WG!: credimi.
3 a Voglio
d’un
d'una
imperfetta, la lezione
è uomo,
un stampa
bestia;
divo, bru-
mai....
napol.).
(G.! II, 208-9)
(G.2 II, 223-4).
DIALOGO
e pura
mente
colendo.
—
TERZO
Qua
li dei
sollecitarono
Giove,
che s’espedisse presto e determinasse del Centauro secondo il suo
volere.
Però
Giove,
Momo,
determinò
desimo
contra Chirone
avendo
in questo
comandato
modo:
—
Abbia
silenzio
detto
qualsivoglia proposito,
a
io me-
al presente
io mi ritratto; e dico che, per esser Chirone centauro uomo
giustissimo, che un tempo abitò nel monte Pelia, dove insegnò ad Esculapio de medicina, ad Ercole d'astrologia e ad Achille de citara, sanando
infermi, mostrando
come
si
montava verso le stelle, e come gli nervi sonori s’attaccavano ! al legno e si maneggiavano, non mi par indegno del cielo. Appresso ne lo giudico degnissimo, perché in questo tempio celeste, appresso questo altare a cui assiste, non è altro sacerdote che lui; il qual vedete con quella offrenda bestia in mano,
e con un libatorio fiasco appeso
a la cintura. E perché l’altare, il fano, l'oratorio è necessariissimo, e questo
qua
viva,
qua
sarrebe
vano
rimagna
senza l’administrante,
e qua
persevere
eterno,
se
dispone altrimente il fato. — Qua suggionse Momo: gna[-]
e prudentemente
hai
deciso,
o Giove,
però
non
— De-
che
questo
sia il sacerdote nel celeste altare e tempio; perché, quando bene arà spesa quella bestia che tiene in mano, è impossibile che li possa mancar mai la bestia: perché lui medesimo,
ed uno,
può servir per sacrificio e sacrificatore, idest per
sacerdote
e per
bestia.
—
Or
bene
dunque,
disse
Giove,
da questo luogo si parta la Bestialità, l’ Ignoranza, la Favola disutile e perniziosa; la Semplicità 1 B(L):
giusta, la Favola s'attacavano;
cato: ciò nondimeno,
stampa
meno
e dove
è con
« fastidiosi ».
anche
molta
è il Centauro,
morale. nel
De
Da
ove
l'infinito,
probabilità
uno
rimagna è l’Altare,
p.
degli
399:
atta-
errori
(B. 257-9) (W. II, 249) (L. 555) (G.! IT, 209) (G.* II, 224-5). 825
di
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
si parta la Superstizione, l’ Infidelità, l' Impietà e vi soggiorne la non vana Religione, la non stolta Fede e la vera e sincera Pietade. — Qua propose Apolline: —- Che sarà di
quella
vogliamo è
quella
Tiara?
a che
far di essa? corona,
la
—
quale,
è destinata
Questa, non
quella
Corona?
che
disposizion
del
questa,
senza
alta
rispose
Giove,
fato, non senza instinto de divino spirito e non senza merito grandissimo,
aspetta
della magnanima,
l’ invittissimo 1 Enrico
potente
terzo,
Re
e bellicosa Francia 2; che dopo
questa e quella di Polonia, si promette, come nel principio
del suo
regno
ha testificato,
celebrata impresa,
ordinando
quella sua tanto
a cui, facendo corpo le due basse corone
con un'altra più eminente e bella, s’aggiongesse per anima il motto: Tertia coelo manet. Questo Re cristianissimo, santo, religioso e puro può securamente dire; Tertia coelo manet, perchè sa molto bene che è scritto Beati li pacifici, beati li quieti, beati li mondi di cuore, perché de loro è il regno de' cieli3. Ama la pace, conserva quanto si può in tranquillitade e devozione il suo popolo diletto; non gli piaceno gli rumori, strepiti e fragori d’ instrumenti marziali che administrano al cieco acquisto d’ instabili tirannie e prencipati de la terra; ma tutte le giustizie e santitadi che mostrano il diritto camino al regno eterno. Non sperino gli arditi, tempestosi e turbulenti spiriti di quei che sono a lui suggetti, che, mentre egli vivrà (a cui la tranquillità de l'animo non administra bellico furore), voglia porgerli aggiuto per cui non vanamente vadano a perturbar la pace ! L: invitissimo. 2 «O bugiardo assentatore! » (Post. 3 MATTEO,
(B. 259-60)
V,
5-8.
Cfr.
(W. II, 249-50)
il Salmo,
(L. 555-6)
826
napol.).
XXXVI,
I1.
(G.1 II, 209-10)
(G.? II, 225-0).
DIALOGO
de ed sua gli
TERZO
l'altrui paesi, con pretesto d’aggionger gli altri scettri altre corone; perché Tertîa coelo manet. In vano contra voglia andaranno le rubelle Iranche copie a sollecitar fini e lidi altrui; perché non sarà proposta d' instabili
consegli,
non
di esterne
sarà
speranza
administrazioni
de
volubili
e suffragii
fortune,
che
comodità
vagliano ! con
specie d’ investirlo de manti ed ornarlo di corone, toglierli
(altrimente che per forza di necessità) la benedetta cura della tranquillità di spirito, più tosto leberal del proprio che avido de l’altrui. Tentino, dunque, altri sopra il vacante regno Lusitano; sieno altri solleciti sopra il Belgico dominio. Perché vi beccarete la testa e vi lambiccarete il cervello, altri ed altri prencipati ? perché suspettarete e temerete voi altri prencipi e regi che non vegna a domar le vostre forze, ed involarvi le proprie corone? Tertia coelo manet. Rimagna dunque (conchiuse Giove) la Corona, aspettando colui che sarà degno del suo magnifico possesso;
e qua oltre abbia il suo solio la Vittoria, Remunerazione, Premio,
Perfezione,
Onore
e Gloria;
virtudi, son fine di quelle 2, — Saulino. Or che dissero li dei? Sofia. Non fu grande o picciolo,
le quali,
se non
maggiore
son
o minore,
maschio o femina, o d'una e d’un’altra sorte, che si trovasse 1 BL: vagliano; W: vogliono; Gl: vagliono. * Cfr. pp. 17-18. Il Bruno dallo scorcio del 1581 al giugno 1583 era stato in Parigi, e aveva conosciuto Enrico III da vicino, ed era stato da lui favorito. Leggendo quivi una lezione straordinaria, «acquistai, —. dice egli stesso nel costituto veneto del 30 maggio 1592, — nome tale, che il Re Enrico terzo mi fece chiamare un
era
con
giorno,
ricercandomi
naturale quello
o pur
che
per
li dissi
se la memoria
arte
e feci
magica;
provare
che
avevo
al qual a lui
e che
diedi
professava,
sodisfazione:
medesmo,
conobbe
che
non era per arte magica ma per scienza. E doppo questo feci stampar (B.
260-1)
(W.
II,
250)
(L.
556)
(G.!
827
II, 210-2)
(G.2
II,
e
226-7).
SPACCIO
DE
LA
BESTIA
TRIONFANTE
nel conseglio, che con ogni voce e gesto non abbia sommamente approvato il sapientissimo e giustissimo decreto Gioviale.
Là
onde,
fatto
tutto
allegro
e gioioso,
il summito-
nante s’alzò in piedi e stese la destra verso il Pesce australe, un libro de memoria,
sotto titolo De umbris
idearum;
il qual dedicai
a sua Maestà (Opera, II, 1, 3}. E con questa occasione mi fece lettor straordinario e provisionato; e seguitai in quella città a legger, come ho detto, forsi cinqu'anni. Ché per li tumulti che nacquero
doppo,
pigliai licenzia, e con littere dell’ istesso Re andai in Inghil-
terra
a star con
702);
presso
l'Ambasciator
di Sua
Maestà,
che
S.r della Malviciera, per nome de Castelnovo » (SPaMP., pagine
dello
raccontano discorrere,
sopra
il quale
Spaccio.
che
Enrico
—
introducendo
diverse
storia »;
dimorava
materie,
« Enrico
è
in Londra,
Gli ambasciatori
III
«si
perciò,
dilettava stando
studiando
amatore
mentre
veneti
assai
a tavola,
volentieri
delle
arti
e
le
delle
si chiamava
il
Vita, pp. 701-
scriveva
(BERTI?,
nel parlare dispute
morali
scienze
queste
p.
e sentir
di dottori
e i libri e
126)
si
di
diletta
principalmente della poesia e della eloquenza, nella quale riesce per vero mirabilmente ». Questo può bastare a spiegarci le lodi
prodigate dal B. al Re di Francia, che
degno.
nuovo; ritratti,
che
«ei vedeva
il cortese,
e colto,
ed ospital
Castel-
e dal ministro argomentava il re» (FIORENTINO, Studi e pp. 371-2). Era stima personale pel Re, rafforzata dalla
gratitudine
Ja
Non
che ne era, in realtà, tutt'altro
(vedi
Spamp.,
Vita,
pp.
316-21).
Quanto al motto dell’ impresa di Enrico: fertia (oltre la corona corona di Polonia e di Francia) coelo manet, il BARTHOLMÈSS
(J. Bruno, I, 99) nota: « Lorsque B. félicita le roi d’avoir pris pour
devise — ronne au
La troisième, etc., — les ligueurs cloître, de la main du forndeur,
lui promirent du bourreau
cette coupout-étre,
ou lui prédirent qu’elle lui €chapperait comme la couronne de Naples que Paul IV avait prétendu lui transférer avec les armes de Henri II ».
Ecco
il commento
conservato
dal
dei
cronista
partigiani DE
della
L' EtoILE:
Lega
al motto
di Enrico,
Qui dedit ante duas unani abstulit, altera nutat. Tertia tonsoris est facienda manu.
Periuvii
te poena
gravis
manet
ultima
coelo,
Nam Deus infidos despicit ac deprimit; Nil tibi cum coelis, hic nulla corona tyrannis; Te manet infelix ultima coenobio. (Una interpretazione matura dei rapporti tra Bruno e i circoli accademici francesi legati ad Enrico III ci è fornita da FRANCES (B.
261)
(W.
II
250)
(L.
556-7)
828
(GI
II,
212)
(G.?
II,
227).
DIALOGO
TERZO
di cui solo restava a definire, e disse:
—
Presto
tolgasi da
là quel pesce, e non vi rimagna altro che il suo ritratto; ed esso in sustanza sia preso dal nostro cuoco, ed or ora, fresco
fresco,
sia
messo
per
compimento
di
nostra
cena
parte in craticchia ', parte in guazzetto, parte in agresto, parte acconcio come altrimente li pare e piace, accomodato con salza romana. E facciasi tutto presto, perché per il troppo negociare io mi muoio di fame, ed il simile credo de voi altri anco: oltre che mi par convenevole che questo purgatorio non sia senza qualche nostro profitto ancora. — Bene, bene, assai bene! risposero tutti gli dei; ed ivi si trove la Salute, la Securità, 1’ Utilità, il Gaudio, ;l Ri-
poso
e somma
de virtudi,
Voluttade,
e remunerazion
E con questo
purgato
il spacio
che
son
parturite
dal
de studi
e fatiche.
—
festivamente
usciro
oltre il signifero,
premio
dal conclave,
che contiene
avendo
trecento
e sedeci stelle segnalate. Saulino. Or ed io me ne vo alla mia cena. Sofia. Ed io mi ritiro alle notturne contemplazioni, FINE.
A. YATES, The French Academies of the Sixteenth Century, London 1947, Pp. 95, 98, 101-03, IIS, 125, 129. Cîr., della stessa, The reli-
gious policy of G. B., in « Journal of the Warburg and Courtauld Institutes », III (1939-40), pp. 181-207 (particol. pp. 192 ss.: p. 194 ss. per il motto Tertia coelo manet), e ora la comunicaz. Con-
sidérations de Bruno e de Campanella sur la Monarchie Francaise, extrait de volume «L'art et la pensée de Léonard de Vinci », Paris-
Alger, 1954.)
1 Craticola
dialetto.
(B. 261)
(W.
per
II, 250)
graticola (L. 557)
è
dell’ital
(G.! II, 212)
829
ant.
e
(G.2 II, 227-8).
del
ERRORI Car.
21
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33 44
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10 28 18 16
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138
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6 luminoso
»
deve più
tu risaleno l'anime Facilmente guerra si pot. Andromeda luminoso della
l’anime
9 Cassiopea
143
Della
3 della: possa
dettar possa
tradimento ocio penuria d’o
4 tardimento 18 Ocio
20 penuria
21 25 14 15 30 8 10
Seconda de agnelli luogo discussioni altro insieme con la senza verità Seconda se niarmonia da qual
che verità Secondo perché niarmonia qualch’ deve da più
9 tu
»
»
la
136
»
»
*.
torti
»
»
leggi
Secondo de capretti lugo discussionie
1 Sorti
d
D
FASTIDIOSI
d'O
possiute Ocio Costui Compagna disse? che in solo di poquella et acciò
possute ocio
costei compagno disse? Sof. che non solo in po-
quella:
acciò
1 In fondo allo Spaccio il B. ha aggiunto due pagine non numerate con questa errata-corrige, la quale sebbene io l'abbia avuta
nel debito conto nella correzione
del testo, tuttavia mi pare oppor-
tuno riprodurla, come farò a suo luogo per quella (pp. 949-50), anche a titolo di documento.
(B.
(262))
(G!. II, 494)
830
degli
(G?. II, [229])).
Eyoici furori,
»
17
169
n
12
vo xo sce
170 171 173 >»
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176
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178 184
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208
221 222 228
255
1 % 3
ses S x wo
»
FASTIDIOSI
ingegno et con frustatoria
Rapito
3 servello 7 Se mese
Momo
leggi »
dalla
» »
19 giustizia moderanza et
24
moderanza 2 Crisaorio fu 12 applicarve 16 usum nel 30 altre 5 ti instaurat
5
Elezione,
17
16
12 18
2I
» » »
»
ingegno con frustratoria
Rapito
dalla
cervello se mise
giustizia et!
simmetria Crisaorio che
applicarne
fu
vel
»
usum altri
»
tiche,
instaurat
»
Aspirazione,
et Col. 26 perverso. 28 vicino: et che 32
>»
veneni. Con nutrizio ? becchie Cossi si mos Non prudenza Sileno l’alfiero.
Elezione ta
»
PIÙ
wie so sw
12
=
. 166
o È =
verso
o
ERRORI
perverso ? vicino? Et
tanno che veneni ? connutrizio 3 becchi Cossf mos
non
83I
230).
pensa-
per prudenza
Sileno.
(GI: giustitia, et) (Gt: Con nutritio) (GI: connutritio)
(B. [263]) (G1. II, 494) (G?.
et Col.
L’alfiero.
CABALA
DEL
CAVALLO
CON
L'AGGIUNTA
pel’ ASINO
CILLENICO:
DESCRITTA
DEDICATA
AL
PEGASEO
DAL
VESCOVO
NOLANO:
DI
CASAMARCIANO
PARIGI, APPRESSO
ANTONIO
Anno
1585.
BAIO,
EPISTOLA DEDICATORIA SOPRA LA SEGUENTE CABALA AL REVERENDISSIMO SIGNOR DON SAPATINO, abbate
successor
di San
Reverendissime
Quintino
in
e vescovo
Christo
di Casamarciano !.
Pater,
Non altrimente che accader suole a un figolo 2, il qual gionto al termine del suo lavoro (che non tanto per trasmi1 Per quest’operetta è da riscontrare il De compositione imaginum (rsor), dove (Opera II, 11, 237-8) il B. scriverà: « Nullum sane esset Mercurii numen, nisi equitabile pecus aliquod subesset. Animalis imago et figura nota est; de quo varii scripserunt et nos particulari stylo de illo scripsimus, quod,
quia
vulgo
sinistrum
pressum».
displicuit
sensum
et
non
Cfr. anche
sapientibus
placuit,
la dichiarazione
opus
del B.
propter
est
sup-
nel processo
ve-
si dichiarasse soppresso il solo Asino
Cillenico e non la Cabala.
Ed
del capitolo,
Ma questo
neto («alcune mie opere composte da me e date alla stampa, le quali non approbo, perché in esse ho parlato e discorso troppo filosoficamente, disonestamente e non troppo da buon cristiano ») in SpamP., Vita, 704. — Il BERTI? (p. 479) e il Tocco (G. B., Conferenza, p. 46 n.) intendono che nel citato luogo del De compositione è vero
che
l'animale
di cui quivi
è l' Asinus
Cyllenicus.
si parla,
indicato
asino
nel
non
titolo
è altra
cosa dal cavallo pegaseo (cfr. qui, più innanzi, pp. 884 e 899). E nel De c6mpositione enumerando i notabilia dell’Asino cillenico, ricorda la mandibola con cui Sansone ammazza mille filistei, «et de qua surrexerunt aquae, quibus populi errantes refici potuerunt, et alia multa de quibus alias in proprio libro dice-
bamus»; appresso,
riferendosi
p.
evidentemente
853.
appunto
alla
Cabala,
qui
«Il titolo di Cabala va inteso per analogia col significato della cabala ebraica, definita da Rarmonno Lutto (nel De auditu cabbalistico, che
il B. certo
libet
rei
revelatae
chierico
della
lesse)
«receptio
animae rationali»
veritatis
(cit.
dal
cuius-
FRANCK,
op.
qui
appresso (p. 865, n. 1) citata, p. 7, n. 3. Il don Sapatino della dedica è un personaggio storico; ma per ischerzo insignito dei pomposi titoli di abate c vescovo {Casamarciano non fu mai scde o titolo di vescovi). Sabatino Savolino fu un
S. Paolo
parrocchia
Belsito,
(Spaccio,
di
Santa
p. 634,
pellano di un’altra chiesa nel % Vasaio. V. in proposito, (B.
[3])
(W.
II,
253)
(L.
Prima,
n. 3), dal
1586 (Spamp., p. 466, n. 5.
560)
(G.
835 57
—
G.
Bruno,
Dicloghi
di
italiani
II,
fronte
1576;
Vita,
(215]))
(G.=
alla
Starza
e diventò p.
61).
If,
di
cap-
(233])).
CABALA grazion
de
la
DEL
luce,
CAVALLO
quanto per
PEGASEO
difetto
e mancamento
della
materia spacciata è gionto al fine) e tenendo in mano un poco di vetro,
o di legno,
farne
vase,
un
o di cera,
rimane
o altro che non
un pezzo
è sufficiente per
senza sapersi
né potersi risol-
vere, pensoso di quel che n’abbia fare, non avendolo
via
disutilmente,
e volendo
al dispetto
del
mondo
a gittar
che
serva
a qualche cosa; ecco che a l'ultimo il mostra predestinato ad essere una terza manica, un orlo, un coperchio di fiasco, una forzaglia 1, un empiastro, ‘o una intacconata? che risalde,
empia o ricuopra qualche fessura pertuggio o crepatura; è avvenuto a me, dopo aver dato spaccio non a tutti miei pensieri,
ma
a un
non avendo
certo
fascio
de scritture
altro da ispedire,
solamente,
che al fine,
più per caso che per consiglio,
ho volti gli occhi ad un cartaccio 3 che avevo altre volte spreggiato e messo per copertura di que’ scritti: trovai che con-
teneva
in parte
quel
tanto
che vi vederete
presentato.
Questo prima pensai di donarlo a un cavalliero; il quale avendovi aperti gli occhi, disse che non avea tanto studiato
che potesse intendere gli misterii, e per tanto non gli possea piacere. L’offersi appresso ad un di questi ministri verbì Dei;
e disse che era amico della lettera, e che non si delettava de simili esposizioni proprie a Origene, accettate da scolastici ed
altri nemici della lor professione. Il misi avanti ad una dama; e disse
che
non
gli
aggradava
per
non
esser
tanto
grande
quanto conviene al suggetto d’un cavallo ed un asino. Il presentai ad un’altra; la quale, quantunque gustandolo gli pia-
cesse, avendolo gustato, disse che ci volea pensar su per qualche giorno. Viddi se vi potesse accoraggiar una pizocchera1; e la me
disse:
verti
de
Non
lo accetto,
granelli
se parla d'altro
benedetti
che di rosario,
e de l’agnusdei 5.
della
1 Il D’Ampra nel Vocab. napol.: «Forzaglia, striscia di tela cucita orizzontalmente sotto lo sparato della camicia da uomo ». 2 T. proprio dei calzolai; tuttavia nel Cand.2, p. 58: «tacconeggia padelle ».
3 Spagn. cartacho, libercolo. 4 B: pizocchera; WLG1: pinzocchera. cessaria. 5 Cand3,
V,
24,
p.
202:
«Quella
Correzione
è stata
la sua
affatto
ne-
consegliera:
(B. [3-4)) (W. II, 253-4) (L. 560-1) (G.t II, (215)-6) (G.3 II, (233]-4). 836
EPISTOLA Accostailo
al naso
d’un
DEDICATORIA pedante,
il qual,
avendo
torciuto
il viso in altra parte, mi disse che aboliva ogni altro studio e materia eccetto che qualche annotazione, scolia ed interpretazione
sopra
Vergilio,
Terenzio
e Marco
Tullio.
versificante che non lo volea, se non era rime o de sonetti. Altri dicevano che gli stati dedicati a persone che non erano Altri co' l'altre raggioni mi parevan ringraziar
o poco
o niente,
qualche meglior megliori disposti
Udivi!
da un
copia d'ottave trattati erano che essi loro. a dovermene
se io gli l'avesse dedicato;
e questo
non senza caggione, perché, a dir il vero, ogni trattato e considerazione deve essere speso, dispensato e messo avanti a quel tale che è de la suggetta professione o grado.
Stando
materia
dunque
io con gli occhi affissi su la raggion della
enciclopedica,
mi
ricordai
dell’enciclopedico
vostro
ingegno, il qual non tanto per fecondità e ricchezza par abbraccie il tutto, quanto per certa pelegrina eccellenza ch'abbia il tutto e meglio ch' il tutto, Certo nessun potrà espressamente che voi comprendere il tutto, perché siete del tutto;
possete
tegna rinchiuso;
abbiate.
(Non
so
entrar
per tutto,
se
dechiararò
perché
possete aver il tutto, mi
non
perché
meglio
è cosa
che par più fuor
che
vi
descrivere
il
non è cosa che
co’
vostro ineffabile intelletto). Io non so se siete teologo, o filosofo, o cabalista; ma so ben che siete tutti, se non per essenza,
per partecipazione; presso,
da
lontano.
se non In
ogni
in atto, modo
in potenza;
credo
che
se non
siate
cossi
d’ap-
suffi-
ciente nell'uno come nell'altro. E però eccovi cabala, teologia e filosofia:
di
teologia
dico
una
cabala
cabalistica,
sorte
ancora
che
tutto
del niente
non
una
di teologica
teologia
so se queste
di
tre cose
filosofia,
cabala avete
una
filosofia
filosofica, o come
di
tutto,
o come parte, o come niente; ma questo so ben certo che avete la parte
in parte,
parte del tutto
nel niente,
niente
de
in tutto.
quella è la pastora di tutte le belle figlie di Napoli. Chi vuol Agnus
Dei,
chi vuol granelli benedetti, .... ». Cfr. nella stessa pag. la n. 3. 1 Udii. Intorno a questa f. di pass. rim. cfr. appresso la n. I della p. 1143, penultimo dial. degli Er. furori.
(B. [5-6]) (W. II, 254) (L. 561) (G3 II, 216-7) (G-? II, 234-5).
837
CABALA
che
Or
per
venire
DEL
a noi,
m’ inviate? quale
CAVALLO
mi
PEGASEO
dimandarete
è il suggetto
!: che
di questo
presente m'avete fatto degno ? Ed io vi rispondo,
il dono onore,
d’un
Asino,
vi aumentarà
1 G1:
vi sì presenta?
dignità,
l’Asino
vi metterà
cosa
è questa
libro? di che che vi porgo
il quale
vi farà
nel libro de l'eternità 3.
dimanderete.
2 B: vi si presento; WLGI: vi presento. 3 Per gli antecedenti della letteratura dell'asino vedi l'opuscolo diligente dello SPAMPANATO, G. Bruno e la letteratura dell'asino, Portici,
1904.
Ma
al B.
l'immediata
satirica venne certamente tale omnium scientiarum
AGRIPPA
di magia):
ispirazione
della sua
bizzarria
dal cap. CII del De incertitudine et vaniet artium (1527) di ENRICO CORNELIO
(il cui De scientia occulta egli stesso sfruttò nelle sue opere capitolo intitolato appunto
Ad
encomium
asini digressio,
e scritto per giustificare l’ultima frase del precedente capitolo, Cristo
avesse
scelto a suoi apostoli
raturae pene expertes, inscios et
e rudi
asinos
vulgo
idiotas,
ommis
che
lite-
Anche l'Agrippa intende
spiegare asini mysteria. — Ma giova riferirne a confronto i tratti principali (mi servo dell'ediz. di Colonia Agrippina, MDXCVIII). Come poi B., l’Agrippa si rifà dagli ebrei: «Hunc (sce. asinum) Hebraeorum doctores fortitudinis ac roboris excelsi patientiaeque et clementiae symbolum esse exponunt, eiusque influxum a sephiroth, quod ockma, hoc est sapientia dicitur, dependere. Eius namque
conditiones
sapientiae
discipulo
necessariae
maximae
sunt,
vivit
enim exiguo pabulo, eoque qualicumque contentus, tolerantissimus penuriae, famis, laboris, plagarum, negligentiae, omnisque persecutionis patientissimus, simplicissimi ac pauperrimi spiritus, ut ne
inter lactucas et carduos discernere sciat, corde innocenti ac mundo,
ac bili carens, cum omnibus animantibus pacem habens, omnibusque oneribus patienter dorsum supponens.... Iamque ctiam in veteri
lege sic asinum
Deus
ipse honoravit,
ut cum
iuberet omne
primo-
genitum occidi in sacrificium, solis asinis cum hominibus pepercit, videlicet permittens hominem pro pretio redimi, et pro asino ovem
commutari: testem esse
hunc, quae constans fama est, Christus suae nativitatis voluit; in hoc a manibus Herodis salvari voluit, atque
ipse asinus etiam contactu corporis Christi consecratus est, crucisque signaculo insignitus: nam Christus ipse pro redemptione humani generis .triumphaturus ascendens in Hierusalem, testibus Evangelistis, hunc vectorem conscendit, sicut id magno mysterio per Zachariae oraculum pracdictum fuit. Et ipse electorum pater Abraham asinis tantum equitare legitur, ut non inane sit illud apud vulgus vetus proverbium, quod dicitur: asinum portare mysteria; quo nunc ego vos egregios illos scientiarum professores
quinimo (B.
Cumanos
[6))
(W.
asinos
II,
254)
admonitos (L.
561)
838
volo,
(G.!
II,
quod
217)
nisi
(G.2
humanarum
IT,
235).
EPISTOLA
DEDICATORIA
Non vi costa niente per ottenerlo da me ed averlo per vostro; non vi costarà altro per mantenerlo, perché non mangia, non beve,
non
imbratta
la casa;
e sarà
eternamente
vostro,
e du-
scientiarum depositis sarcinis, ac leonina illa (non quidem a leone illo de tribu Iuda, sed ab illo, qui circuit, rugiens et quaerens quem devoret)
mutuata
pelle
exuta,
in nudos
et puros
asinos
redieritis,
esse vos portandis divinae sapientiae mysteriis omnino penitusque inutiles. Neque vero Apuleius ille Megarensis ad Isidis sacra mysteria unquam admissus fuisset, ni primus e philosopho versus fuisset in asinum....
Ammonius
Alexandrinus
summus
suo
tempore
philosophus, Divi Origenis et Porphyrii praeceptor, asinum sapientiae auditorem illis condiscipulum habuisse legitur: quin etiam ex sacra bibliorum historia scimus asinum aliquando prophetico spiritu donatum; nam, diceret populo
cum Balaam vir stiens et propheta cxiret ut maleIsrael, angelum Domini non vidit; vidit autem
asinus, et humana
voce ad sessorem
Balaam
locutus est. Sic, inquam,
saepissume videt simplex et rudis idiota, quae videre non potest depravatus humanis scientiis scholasticus doctor. Nonne Sampson in maxilla asini, in mandibula pulli asinarum percussit et delevit viros Philisteorum; sitiensque oravit Dominum, quia aperuit molarem dentem in maxilla asini et egressae sunt aquae vivae, quibus haustis refocillati sunt spiritus et vires eius? Nonne Christus in bucca asinorum suorum simplicium et rudium idiotarum apostulorum et discipulorum suorum vicit et percussit omnes philosophos gentium et legisperitos Iudaeorum, omnemque humanam sapientiam prostravit atque confecit, propinans nobis ex illorum suorum asinorum maxilla
aquas
sticis historiis,
vitae
et sapientiae
et sanctorum
aeternae? Tam
gestis varia et multa
precibus in diversa animalia collata divino munere
vero
in ecclesia-
legimus
illorum
beneficia: verum
nullum unquam animae a mortuis suscitatum legimus, praeter asinum illum quem Beatus Germanus Britonum Episcopus in vitam revocavit: quo insigni miraculo ostensum videtur asinum ipsum etiam post hanc vitam participare immortalitati. «Ex
iis igitur,
quae
iam
dicta sunt,
sole clarius liquet
nullum
animal tam esse divinitatis capax, quam asinum, in quem nisi versi fueritis, divina mysteria portare non poteritis. Proprium id olim apud
Romanos
Christianorum
nomen
erat,
ut
vocarentur
asinatrii,
ipsamque Christi imaginem asininis auribus pingere solebant: testis horum est Tertullianus. Quocirca iam non indignentur nec sibi opprobrio dari putent scientiarum giganteos
nostri Pontifices et Abbates, elephantes asini sint atque
si apud istos vocentur....».
Molti di questi tratti si ritroveranno in B. (Nella sua 28 ed. G. aggiunge la seguente postilla in fondo al vol.:) Per il proverbio poi dell' «asino che porta i sacramenti», ricordato in questo vol. a (B.
(6))
(W.
1I,
254)
(L.
561)
(G.1
839
IT,
217-8)
(G
II,
235-7).
CABALA
DEL
CAVALLO
PEGASEO
raràvi più che la vostra mitra, croccia!, piovale ?, mula e vita; come, senza molto discorrere, possete, voi medesimo ed
altri comprendere. Qua non dubito, reverendiîssimo monsignor mio, che il dono de l'asino non sarà ingrato alla vostra prudenza e pietà: e questo non dico per caggione che deriva dalla
consuetudine
di presentar a gran
maestri non
solamente
una
gemma, un diamante, un rubino, una perla, un cavallo perfetto, un vase eccellente; ma ancora una scimia, un papagallo, un gattomammone 3, un asino; e questo, allora che è necessario, è raro, è dottrinale; e non è de gli ordinarii. L'asino
indico è precioso e duono papale in Roma; l’asino d’ Otrantò 4 è duono imperiale in Costantinopoli; l'asino di Sardegna è duono regale in Napoli; e l'asino cabalistico, il qual è ideale e per consequenza celeste, volete voi che debba esser men caro in qualsivoglia parte de la terra a qualsivoglia principal personaggio che per certa benigna ed alta repromissione sap-
piamo che si trova in cielo il terrestre? Son certo dunque che verrà
vien
accettato
da
voi
con
quell’animo,
con
quale
da
me
vi
donato. Prendetelo,
o
padre,
se
vi
piace,
per
ucello 5,
perché
è
alato ed il più gentil e gaio che si possa tener in gabbia. Prendetelo, se ‘1 volete, per fiera, perché è unico, raro e pelegrino da un canto, e non è cosa più brava che possiate tener ferma in un stico;
antro o caverna. Trattatelo, perché è ossequioso, comite$
se vi piace, come domee servile, ed è il meglior
compagno che possiate aver in casa. Vedete che non vi scampe di
pp.
mano;
838
perché
e 987,
del lib. V:
cfr.
L'éne
1! Croccia,
2 Piviale.
è il meglior
anche,
tra
destriero
le
Favole
portant des veliques.
Come
il pastorale;
cfr.
‘ pieviale’,
4 Nel
5 V.
Card,
sopra,
p.
I,
4,
6or,
6 Scambio
di
(6-7])
II, 254-5)
aggettivo
e suona:
(B.
(W.
comis,
«asino
n.
5.
di
e con
benigno,
(L.
del
comes,
561-2)
840
è
crosse.
arcaismo
d’ Otranto»
itis,
perché
cortese.
(G.!
pascere,
FONTAINE,
n. 1.
Terra
grazioso,
possiate
LA
il franc.
‘ piovale’
secoli che ricorda il lat. pluvialis. 3 Vedi lo Spaccio, p. 817, e ivi,
che
IT, 218-9)
dei
la
148
primi
è un’ ingiuria. qui
(G.2
‘comite’
II, 237-8).
è
EPISTOLA
DEDICATORIA
o, per dir meglio, vi possa pascere in stalla; meglior familiare che vi possa esser contubernale.e trattenimento in camera.
Maneggiatelo come una gioia e cosa preciosa; perché non possete aver tesoro più eccellente nel vostro ripostiglio. Toccatelo
come
cosa
sacra,
e miratelo
come
cosa
da
gran
consi-
derazione; perché non possete aver meglior libro, meglior imagine e meglior specchio nel vostro cabinetto 1, Tandem, se
per tutte queste raggioni non fa per il vostro stomaco, lo potrete donar ad alcun altro che non ve ne debba essere ingrato. Se
l'avete
per
cosa
ludicra,
donatelo
ad
qualche
buon
caval-
liero, perché lo metta in mano de suoi paggi, per tenerlo caro
tra le scimie
e cercopitechi.
Se
lo passate? per
cosa
armen-
tale, ad un contadino che li done ricetto tra il suo cavallo e 3 bue. Se ’l stimate cosa ferina, concedetelo a qualche Atteone4
che lo faccia vagar con gli capri e gli cervi. Sc vi par ch'abbia del mignone 5, fatene copia a qualche damigella che lo tegna in luogo di martora e cagnuola $. Se finalmente vi par ch'abbia
del matematico, fatene grazia ad un cosmografo, perché gli vada rependo 7 e salticchiando tra il polo artico ed antartico de una di queste sfere armillari, alle quali non men comodamente potrà dar l’ infuso mercurio
cemente
pende
tipo
del
il moto continuo, ch’abbia possuto a quella d’Archimede, ad esser più
megacosmo,
la concordanza
ed
2 Nella
nel
Cand.?,
mia
prima
p.
cui
armonia
Ma se siete, come vi stimo, considerate, lo terrete per voi, 1 Già
in
5,
e ivi,
ediz.,
una
da
del moto
l’anima retto
donar effica-
intrinseca
e circolare.
sapiente, e con maturo giudicio non stimando a voi presentata n.
5.
virgola;
che
non
occorre,
di Attcone
cfr. Cand.?, p.
14;
Spaccio,
p.
I.
perché
passate significa stimate, e innanzi ad un contadino si sottintende donatelo. 3 (GI: e (conforme agli altri casi in cui la cong. et dell'originale si trova dinanzi a conson.); G?: ed) qui
4 Sul mito appresso,
5 V.
sopra,
negli
Er.
803,
furori, n.
p.
1005
SEg.
p.
813;
e
6 GI: în martora e cagnuola. Non si dimentichi il notevole squar-
cio satirico
dello
7 T. poetico.
(B.
[7-9]))
(W.
II,
Spaccio,
Lat. repo, 255)
(L.
in questo
vol.,
psi: strisciare.
562-3)
84I
(G.!
II,
pp.
789-990.
219-20)
(G.z
II,
238-9).
CABALA
da me
cosa men
Pio quinto,
DEL
degna,
CAVALLO
che abbia
a cui consecrai
terzo di Francia,
possuto
l'Arca
il quale
PEGASEO
di
presentar
Njoè:;
immortaleggio
con
a papa
al re Errico
l’Ombre
de
le Idee?; al suo legato in Inghilterra, a cui-ho conceduti Trenta sigilli3; al cavallier Sidneo, al quale ho dedi-
cata
la
Bestia
solamente
la
trionfante.
bestia
trionfante
Perché
viva;
ma,
qua
ed
avete
oltre,
gli
non
trenta
sigilli aperti, la beatitudine perfetta, le ombre chiarite e l’arca governata; dove l'asino (che non invidia alla vita delle ruote del tempo, all’ampiezza de l'universo, alla felicità de 1° intelligenze, alla luce del sole, al baldachino di Giove) è moderatore, dechiaratore, consolatore, aperitore e presidente. Non è,
non
è asino
per
tutto,
comunicar,
non
volete
ch’il
comparir Atteso
da
stalla o da armento,
per tutto,
andar
perché
non
fabro,
s'ei
dica
sarà
di que’
che
consegliar,
definir
e
per tutto,
capir,
che se lo veggio
ma
zappar,
entrar
per tutto,
seder
far
tutto.
inaffiar ed inacquare,
ortolano?
S'ei
solca,
agricoltore? Per
è manipolo4.
possono
mastro
ed
qual
pianta
caggione
perché
e semina,
non
architettore? Chi
sarà
m' im-
pedisce che non lo dica artista, se è tanto inventivo, attivo e reparativo? Se è tanto esquisito argumentore, dissertore ed apologetico, perché non vi piacerà che lo dica scolastico? Essendo
tanto
eccellente
formator
di
costumi,
institutor
di
dottrine e riformator de religioni, chi si farà scrupolo de dirlo academico, e stimarlo archimandrita di qualche archidida-
I Per quest'opera smarrita del
Bruno
cîr.
la
nota
1 a p. 70.
® De umbris idearin, implicantibus artem quacrendi, inveniendi, iudicandi, ordinandî et applicandi, opera dal B. pubblicata a Parigi nel
1582,
Cfr.
sopra
e dedicata
3 Ossia,
et
artium
a
Londra
p. 827,
infatti
e ivi,
l’ Explicatio
inventionem,
a
Enrico
n. 2.
III
(rist.
triginta sigillorum
dispositionem
et
in
Opera,
ad omnium
memoriam,
(II,) 1).
scientiarum
quibus
est Sigillus sigillorum etc., opera pubblicata
dal B. appena
p.
ambasciatore
vii),
presso 4
(B.
nel
1583
e dedicata
Elisabetta
(cfr.
[9-10])
(W.
a Michele
(rist.
Manipolo,
l’introd.
in
di
Opera,
manovale:
II, 255-6)
(L.
alla
Causa,
Castelnau,
II,
New
563)
842
11).
World
(G.!
II,
ediz.
of
giunto
Spampanato,
Words,
220-1)
adiectus
(G.
francese
p.
299.
II,
239).
EPISTOLA scalia? Perché
capitolare
ed
e
sarà
monastico,
dormitoriale?
ubediente,
impedirete
non
DEDICATORIA
S’egli
mi
biasimarete
che
non
voi
possa
stante
è
se
lo
per
dirò
chiamarlo
ch'egli
voto
Se
è!
dottor
sottile,
corale,
povero,
casto
conventuale?
conclavistico,
ch'egli sia per voce attiva e passiva graduabile, latibile?
sia
irrefragabile
Mi
stante
eligibile, pre-
ed
illuminato ?,
con qual conscienza non vorrete che lo stime e tegna per degno consegliero ? Mi terrete voi la lingua, perché non possa 3 bandirlo per domestico, essendo che in quel capo sia piantata tutta la moralità politica ed economica ? Potrà far la potenza de
canonica
autoritade
ch'io
non
lo
tegna
ecclesiastica
co-
lonna, se mi si mostra di tal maniera pio, devoto e continente ? Se lo veggo tanto alto, beato e trionfante, potrà far il cielo e mondo
tutto
che
non
lo
nomine
In conclusione
(per non
più
mi
sia
l' istessa
anima
un
gran
par
che
divino,
rompere del
olimpico,
il capo mondo,
a me tutto
celeste?
ed in
a voi) tutto,
e
tutto in qualsivoglia parte. Or vedete, dunque, quale e quanta sia la importanza di questo venerabile suggetto, circa il quale noi facciamo il presente discorso e dialogi4: nelli quali se vi par
coda,
vedere
non
gliate; che
vi
perché
non
capo
sgomentate, si trovano
hanno
altri
o senza
non
nella
membri
busto
o con
vi sdegnate,
natura
che
testa,
non
molte
una
specie
o par
che
picciola
vi maravi-
d'animali
siano
tutto
testa, avendo questa cossi grande e l’altre parti come insensibili; e per ciò non
manca
che siano perfettissime nel suo geno.
E se questa raggione non vi sodisfa, dovete considerar oltre, che questa operetta contiene una descrizione, una pittura;
e che ne gli ritratti suol bastar il più de le volte d'aver ripre-
sentata
la testa
sola
senza
il resto.
Lascio
che
tal volta
si
D du
mostra eccellente artificio in far una sola mano, un piede, una gamba, un occhio, una svelta orecchia, un mezo 5 volto
n
s
P.
WGI:
Cfr.
S'è.
p. 466,
G!: passa.
n.
G!: dialoghi. B: mezo; WLG!:
977.
(B. {10-1])
1. mezzo.
(W. II, 256-7)
Cîr. sopra,
(L. 563-4)
843
p. 741,
(G.I II, 221-2)
n. 2; e appresso,
(G.3 II, 239-490).
CABALA
DEL
CAVALLO
PEGASEO
che si spicca da dietro un arbore, o dal cantoncello d'una fenestra, o sta come sculpito al ventre d'una tazza, la qual abbia per base un piè d'oca, o d’aquila, o di qualch’altro animale; non però si danna, né però si spreggia, ma più viene accettata ed approvata la manifattura. Cossi mi persuado, anzi
son
certo,
cossi perfetta, Vale. (B.
[11))
(W.
che
voi
IT,
257)
come
con
accettarete
perfettissimo
(L.
564)
844
questo
(G.! II,
cuore 222)
dono
come
vi vien
(G.?
IT,
cosa
offerta.
240).
EPISTOLA
DEDICATORIA
SONETTO
IN O
LODE
DE
sant’asinità,
L’ ASINO.
sant’ ignoranza,
Santa stolticia e pia divozione, Qual sola puoi far l'anime sî buone, Ch’uman
Non
ingegno
gionge
D'arte
e studio
non
faticosa vigilanza
qualunque
sia,
l’avanza;
o ’nvenzione,
Né de sofossi contemplazione AI
ciel dove
Che
vi
val,
t'edifichi
la stanza.
curiosi,
il studiare,
Voler saper quel che fa la natura, Se gli astri son pur terra, fuoco e mare ? La santa asinità di ciò non cura; Ma con man gionte e ’n ginocchion vuol
Aspettando Eccetto
da Dio la sua ventura.
Nessuna cosa dura, il frutto de l’eterna requie,
La qual ne done!
! BW:
done;
scorretta. * Epicuro,
frutto (B.
de
L:
(12)) (W.
dono;
Cecaria
l'eterna
requie
II,
starc,
257)
(cfr.
La (L.
G!:
Dio dopo
donò.
Ma
SPAMPANATO,
qual
564-5)
845
ne donò (G.!
II,
l’essequie 2.
l'antica
lezione
non
Postille,
p.
«....il
Dio
223)
dopo
(G.?
237)
è
l’essequie ». II,
241).
CABALA
DEL
CAVALLO
PEGASEO
DECLAMAZIONE AL Oimè,
STUDIOSO,
DIVOTO
auditor mio,
E PIO
LETTORE.
che senza focoso suspiro,
|
lubrico pianto
e tragica querela, con l’affetto,-con gli occhi e le raggioni non può rammentar il mio ingegno, ‘intonar la voce e dechiarar gli argumenti, quarito sia fallace il senso, turbido il pensiero ed imperito il giudicio, che con atto di perversa, iniqua e pregiudiciosa
sentenza
non
vede,
non
considera,
non
definisce
secondo il debito di natura, verità dì raggione e diritto di giustizia circa la pura bontade, regia sinceritade e magnifica maestade della santa ignoranza, dotta pecoragine e divina
asinitade ! Lasso! a quanto gran mente essagitata quest'eccellenza venti,
contra!
altri con
la quale
aperte
si rendono
—
asino,
stante
maturi
altri con
qualche
Mentre
cosa,
quest'azione
che
larghe
si fan mordaci,
beffeggiatori.
e vilipendeno è un
sanne
torto da alcuni è si fieraceleste tra gli uomini vi-
tenze. Lasso!
più
altri
ovunque
non
è asinesca,
con
censori,
comici
cachini
spreggiano,
questa
è una
convegna
dire
del mio
core,
saldi proponimenti
perché
con
si fan
gli odi dir altro che:
ciò absolutamente
discorsi,
narici
ramarico
Costui
asinitade;
dove
e più
burlano
son
trutinate
cordoglio
più
sendel
spirito ed aggravio de l’alma mi sì presenta a gli occhi questa
imperita, stolta e profana moltitudine che si falsamente pensa, si mordacemente parla, si temerariamente scrive per parturir
que’ scelerati discorsi de tanti monumenti che vanno per le stampe, per le librarie, per tutto, oltre gli espressi ludibrii, dispreggi
e
è
l’asino, 1 GI;
da
n
d'oro,
come
tutti
rifatto da A. Firenzuola,
[13-4])
(W.
II,
d’oro, n
l'asino?;
TT
chiavelli. Encomium
(B.
ll’asinò
l’encomio de
contro.
2 L’Asino
Apuleio,
biasimi:
sanno,
è
nonché
il titolo
(L. 565)
846
(G.!
lodi
e
dove
del
II,
de
non
si
romanzo
di
di un pocmetto
asini s' intitola, s' è visto
257-8)
le
del Ma-
(p.:838, in n.), l'elogio
224)
(G.2
II,
242-3).
«
DECLAMAZIONE
pensa
altro
asinitade
in gioco,
che
non
alle
lingue
come
pensi
STUDIOSO,
con
ironiche
spasso
ch'io
che
non
suggetto credano,
DIVOTO
sentenze
e scherno! ?
E PIO LETTORE
prendere
Or chi terrà
faccia il simile? Chi potrà
mi
mettano
colui che corre appo
cotal non
che
AL
medesimo
gloriosa
il mondo
donar
freno
predicamento,
gli vestigii de gli altri che circa
democriteggiano
affermino
nel
la
* ?
Chi
e confermino
potrà
che
contenerli
io non
intendo
che
vera-
e seriosamente lodar l’asino ed asinitade, ma più tosto procuro di aggionger oglio a quella lucerna la quale è stata da gli altri accesa? Ma, o miei protervi e temerarii giodici, o neghittosi e ribaldi calunniatori, o foschi ed appassionati detrattori, fermate il passo, voltate gli occhi, prendete la mira; vedete, penetrate, considerate se gli concetti semplici, le sentenze
enunciative questo
e gli
sacro,
discorsi
impolluto
demostrativi,
sillogistici
e
santo
ch’apporto
animale 3,
son
in
favor
puri,
di
veri
o pur son finti, impossibili ed apparenti.
e
Se le4
vedrete in effetto fondati su le basi de fondamenti fortissimi, se son belli, se son buoni, non le schivate, non le fuggite, non le rigettate; ma accettatele, seguitele, abbracciatele, e non siate oltre legati dalla consuetudine del credere, ‘vinti dalla
sufficienza del pensare vi
mostra
intona
ed
la luce
altro
e guidati dalla vanità del dire, se altro
de
l’ intelletto,
l'atto
de
altro
l’esperienza
la voce
della
dottrina
conferma.
«L'asino ideale e cabalistico, che ne vien proposto nel corpo de le sacre lettere, che credete voi che sia? Che pensate scritto da Agrippa; e il B. allude forse a più altri componimenti cinquecenteschi in lode dell'asino: p. e., a quello attribuito ad A. F. Doni, // valore degli asini de l' inasinito accademico Pellegrino (Lettere facete e piacevoli, racc. dal Turchi, 588); ma sopra tutto alla 28 selva del Chaos del Triperuno di TroriLo FoLENGO, opera ben nota al B. e della quale taluni periodi « è difficile che non
tornino
a mente
di quanti
pendice di essa, l'Asino 1 BL: schermo.
* Ridono.
Cir. pp.
piglieranno
a leggere la Cabala
Cillenico » (SPAMPANATO,
Postille,
e l'ap-
p.
60).
8 e 219.
3 Adiettivazione suggerita dalla Scrittura. Hebr., 7, 26: « sanctus,
innocens, 4
{B.
Qui,
[14-5]))
impollutus ». come
(W.
appresso,
in cambio di li: v. sopra, p. 565, e ivi ,n. 2.
II,
(L.
258)
565-6)
847
(Gt
II,
224-5)
(G2
II,
243).
CABALA
DEL
CAVALLO
PEGASEO
voi essere il cavallo pegaseo che vien trattato in figura de gli poetici figmenti? De l'asino cillenico degno d'esser messo
în croceis nelle più onorate academie
che v’ imaginate ?
Or lasciando il pensier del secondo e terzo da, canto, e dando sul campo del primo, platonico parimente e teologale, voglio che conosciate che non manca testimonio dalle divine ed umane lettere, dettate da sacri e profani dottori, che parlan
con
l'ombra
de
scienze
e lume
non mentisco ! colui ch’ dottrine, quando avien prodottivo, formativo specie asinina; la quale natura
si
seconde e
vede
è messa
non
quel
nulla di meno medesima che specie
ed
fede.
Saprà,
dico,
ch' io
e nelle
menti
é anco mediocremente perito in queste ch’ io dica l'asino ideale esser principio e perfettivo sopranaturalmente della quantunque nel capacissimo seno della
è dall'altre
in numero,
medesimo
specie
e con
con
cui
distinta,
diverso
l’altre
concetto
forme
appresa,
s'apprendeno;
(quel ch'importa tutto) nella prima mente è la idea de la specie umana, medesima che la
de la terra,
dell’ intelligenze, Punivetso;
della
della luna,
del sole,
de gli dernoni,
anzi è quella
specie
medesima
che la specie
de gli dei, de gli mondi,
da cui non
solamente
de
gli asini,
ma e gli uomini e le stelle e gli mondi e gli mondani animali tutti han dependenza: quella dico, nella quale non è differenza di forma
e suggetto,
di cosa
e cosa;
ma
è semplicissima
ed
una. Vedete, vedete dunque, d'onde derive la caggione che senza biasimo alcuno il santo de santi or è nominato non
solamente
aquila,
monocorno,
pellicano,
abiezion
colpa,
leone,
sin
di
ad
ma
plebe,
esser
rinoceronte,
e non
pecora,
detto
vento,
uomo,
opprobrio
agnello,
verme,
peccato
tempesta,
de
gli uomini,
similitudine
di
e peggio ?. \Considerate
————»——————
il
——
1 Non pure nei primi secoli, ma nello stesso Cinquecento, p. e. presso il Varthi e il Berni, mentire per smentire. (Ma non in questo luogo, dove (come ben osserva l'Amerio) colui è soggetto di saprà.) *' Più che sopra, pp. 788-9, 813 ecc., cfr. GIOvANNI, Evang., III, Gionse, XXVII, 20; Salmi, XLIX, 3; Isata, XV, 9; OskA, V, Num., XXIII, 22; Deuter., XXXII, 11; Salmi, CI, 7; Isa1a, LIV, Giovanni, Evang., I, 29; Apoc., V, 6, e VI, 17; Salmi XXI,
PaoLo,
anche (B.
ai
Rom.,
VIII,
SPAMPANATO,
[15-6))
(\W.
II,
G.
258-9)
3
B.
(ma e
(L.
II
Cor.,
566-7)
(G.1
la
letter.
848
XXI,
dell'asino, II,
5 (Amerio).)
225-6)
p.
38.
(G.2
II,
8; 14; 6; 7;
Cfr.
243-4).
DECLAMAZIONE
AL
STUDIOSO,
DIVOTO
E PIO LETTORE
principio della causa, per cui gli cristiani e giudei non s'adimena rano, ma più tosto con glorioso trionfo si congratulano insieme,
quando
con le metaforiche
figurati
per
definiti
per
titoli
allusioni della santa scrittura son
e definizioni
asini:
di
benedetto animale,
sorte
per
che,
asini,
\son
appellati
di
lettera,
asini,
dovinque si tratta
moralità
son
di quel
allegoria
di
senso
servente,
vedi
ed anagogia di proposito s'intende l'uomo giusto, l’uomo santo, l'uomo de Dio. Però, quando ne l’Exodo si fa menzione della redenzione e mutazion dell'uomo, in compagnia di quello vien fatta la menzion de l'asino. Il primogenito dell’asino dice, cangiarai con la ‘pecora; il primogenito dell’uomo redimerai col prezzo. Quando nel medesimo libro è donata legge al desiderio dell'uomo
che
tibile.
Però
non
si stenda
alla
moglie,
alla
nel
medesimo numero messo il bue e l’asino 2: come che non meno importe proporsi materia di peccato l'uno che l'altro appee
Barac,
porgete montate
quando
figlio
giudicio3,
nel
libro
d’Abinoen,
de
Giudici
dicendo:
cantò
Debora
o
regi,
Udite,
l’orecchie, o principi, li quali su gli asini nitenti e sedete in interpretano
gli
santi
rabini:
O
governatori
de la terra, li quali siete superiori a gli generosi popoli, e con la sacra sferza le governate, castigando gli rei, premiando gli buoni e dispensando giustamente le cose. — Quando ordina il Pentateuco che devi ridur ed addirizzar al suo camino l'asino e bue errante del prossimo tuo, intendeno moralmente gli dottori, che l'uomo del nostro prossimo Idio 4, il quale è dentro di noi ed in noi, s'aviene che prevariche dalla via della giustizia,
debba
l’archisinagogo
riprese
egli rispose che lunque
1 Esod.,
2 Esod., 3 Libro
4
essere
non
giorno XIII,
XX,
dei
(Il testo
noi
corretto
il Signor
che
è uomo non
da
vegna
ed
avertito.
curava
bene a
nel
che
cavar
Quando
sabbato,
in
ed
qua-
l’asino
13
17.
Giudici,
non
da
V,
1,
è guasto,
3 e
10.
come
sembra
invece
all'Amerio.)
(B. [16-8])) (W. II, 259) (L. 567) (G.t II, 226-7) (G2 II, 244-5).
849
CABALA
o bue
dal
DEL
pozzo
CAVALLO
dove
che sta sul naturale,' ‘il pozzo è
è
PEGASEO
)iintengieno
cascato:;
il peccato mortale, quel che cava
l’asino dal pozzo è la divina” grazia e ministero che redime gli suoi diletti da quell’abisso.i Ecco, dunque, qualmente il popolo redemuto, preggiato, bramato, governato, addirizzato, avertito,
corretto,
liberato
e finalmente
per l’asino, è nominato
quali la divina di maniera
guai
è significato.
asino. E che gli asini son quelli per gli
benedizione
che
predestinato,
e grazia piove
a color
che
vegnon
sopra
privi
gli uomini,
del suo
asino,
certamente molto ben si può veder nell’ importanza di quella maledizione che impiomba nel Deuteronomio, quando minacciò Dio dicendo: L’asino tuo ti sia tolto d’avanti, Maladetto
e non il regno,
ti sia resoz! sfortunata la republica,
desolata
la
cità3, desolata la casa, onde è bandito, distolto ed allontanato l'asino! (Guai al senso, conscienza ed anima dove non è participazion d'asinità! Ed è pur trito adagio: ab asino excidere4,
per
significar
vuole
il frutto
Origene Adamanzio, che
l’esser
destrutto,
sfatto,
spacciato.
accettato tra gli ortodoxi e sacri dottori,
de
la predicazione
de’
settanta
doi
disce-
polis è significato per li settanta doi milia asini che il popolo israleita guadagnò contra gli Moabiti: atteso. che de quei settanta $ doi
ciascuno
guadagnò
mille,
cioè
un
numero
per-
fetto, d’anime predestinate, traendole da le mani de Moab, cioè liberandole dalla tirannia de Satan 7. Giongasi a questo ! Luca,
® Deuter., 3 B: cità;
sopra,
Evang.,
p. 684,
4 ALpo
XIII,
14-15,
XXVIII, 31. IWVLG!: città. Ma
n. 5.
ManuzIO
(cir.
e XIV,
non
è un
SPAMPANATO,
al pi comune ab asino delapsus, quippiam agunt et imperite ». 5 Cir. De la causa, p. 260.
5.
errore,
come
Postille,
p.
ho accennato 310)
lo accosta
che «in cos dicitur, qui inconsulte
6 B: settanta; e non, come parve al L. e nella prima ediz. anche
a me, fanta. 7 Luca, Evang., di 72 mila buoi e GI
niti » (Amerio).) (B.
[18-9])
(W.
II,
X, 1, Nion., XXXI, 32-5 («dove si narra mila asini tolti non ai Moabiti, ma ai Madia259-60)
(L.
567-8)
850
(G.!
II,
227)
(G-2
JT,
245-0).
DECLAMAZIONE
AL
STUDIOSO,
DIVOTO
E PIO LETTORE
che gli uomini più divoti e santi, amatori ed exequitori dell'antiquae nova legge, absolutamente e per particolar privilegio son stati chiamati asini. E se non me ’l credete, andate a studiar quel ch' è scritto sopra quell’ Evangelico::L’asina ed
il
pulledro
sciogliete,
e
menateli
a
me:!. Andate a contemplar su gli discorsi che fanno gli teologi €ebrei, greci e latini sopra quel passo che è scritto nel libro de Numeri Aperuit Dominus os asinae, et locuta est?. E vedete come concordano tanti altri luoghi delle sacrate lettere, dove sovente è introdotto il providente Dio aprir la bocca de diversi divini e profetici suggetti, come di quel che disse:
Oh
oh
oh,
Signor,
ch'io
non
so
direi.
E là dove dice: A perse il Signor la sua boccas. Oltre tante volte ch' è detto: Ego ero in ore tuo 5; tante volte che'gli è priegato: Signor, apri le mie labraé$, e la mia bocca ti lodarà7. Oltre nel testamento novo: (Li muti parlano, li poveri evange-
lizano8.
Tutto è figurato per quello che il Signor aperse la bocca de l’asina, ed ella parlò. Per l'autorità di questa, per la bocca, voce e paroli di questa è domata,
vinta e calpestrata 9 la gonfia,
superba e temeraria scienza secolare; ed è ispianata al basso ogni altezza che ardisce di levar il capo verso il cielo: perché Dio av’elette
le forze del mondo";
1 Mattro, Evang., XXI, 1-2. è Cfr. più avanti, p. 870. Vedi Nuwm., XXII, e XXIV, 5-6; Gen., XXII, 17, e XXVIII, GEREMIA, I, 6. EzecHIELE, III, 27. Esod., IV, 10-4.
Mu
da w Au
10,
le cose inferme !° per confondere
G!:
28 e 1, 14.
XXXIII,
labbra.
Salmi, Luca,
L, 17. Evang.,
VII,
22.
9 Cfr. sopra, p. 634, n. 2, e appresso, pp. 10 BLG!: infermi; Wi: inferme. Correzione
854, 896-7, ecc. opportuna; perché
negli scritti del B. s'incontrano sostantivi della I® decl. desinenti in é (cfr. sopra, p. 588, n. 1), ma non mai degli aggettivi. It («traduzione di / Cor., I, 27, non avvertita dal Gentile»
(Amerio).) (B.
[19-21])
(W.
II, 260)
(L. 568)
851 58
-—
G.
Bruno.
Dialanhi
italiuni
(G.I
II,
227-8)
(G.2
II,
246-7).
CABALA
DEL
CAVALLO
PEGASEO
le cose stolte ave messe in riputazione;
per
la
sapienza
non
posseva
essere
asini del mondo
(che
son
che,
atteso che quello, che
restituito,
per
la
santa
stoltizia ed ignoranza è stato riparato: però è riprovata la sapienza de sapienti e la prudenza de prudenti è rigettata. Stolti del mondo son stati quelli ch’ han formata la religione, gli ceremoni ‘, la legge, la fede, la regola di vita; gli maggiori quei
privi
dottrina,
e voti d'ogni vita e costume
perpetua
pedanteria)
mano
piagata
la temerata
risaldano
le scissure
empia
curiosità
arcani
della
Vedete de
natura,
dispersion
de
se curano
della
veste;
sua
o pur
computàro
popoli,
le
giamai
perdonano
sia
de
non
andàro
le ferite de l' im-
le
son
superstizioni,
quelli
che
perseguitando
vicissitudini
de
con
gli
le
stelle.
de
regni,
solleciti circa le cause secrete
a dissipazion
incendii,
salva,
abusi
mai
sangui,
che perisca il mondo
anima
e
civile, marciti sono nella
medicano
gli
o furon
se
fede,
togliendo
vanno,
se sono
le cose;
povera
e
altro senso
son quelli che per grazia del cielo rifor-
e corrotta
religione,
d’ogni
qualunque
ruine
ed
esterminii;
tutto per essi loro:' purché
purché
si
faccia
l’edificio
in
la
cielo,
purché si ripona il tesoro in quella beata patria, niente curando della fama e comodità e gloria di questa frale ed incerta vita, per quell'altra certissima ed eterna. Questi son stati significati per l’allegoria de gli antiqui sapienti (alli quali non ha voluto mancar il divino spirito di revelar qualche cosa, almeno per farli inescusabili) in quello sentenzioso apologo de gli dei che
combattirono
contra
gli rubelli
giganti,
figli de
la terra
ed arditi predatori del cielo; che con la voce de gli asini confusero,
atterrirono,
' Come
spaventàro,
si è osservato
nel
vinsero
Cand.?
(p.
e domorno ?, Il mede11, n.
1), accanto
a ceri-
momnie il B. usa, insieme con altri del suo secolo, il mascolino. 2 a Ut ait Fratostenes [Ps.-ERATOSTHENIS, Catasterismi, C. 11,
ed. Olivieri, p. 14), quo tempore Iuppiter, bello gigantibus indicto, ad eos oppugnandos omnes deos convocasset, venisse Liberum patrem, Vulcanum, Satyros, Silenos asellis vectos. Qui cum non longe
ab
hostibus
abessent,
dicuntur
aselli
pertimuisse,
et
ita
pro
se quisque magnum clamorem et inauditum gigantibus fecisse, ut omnes hostes eorum clamore in fugam se coniecerint et ita sint superati ». Cfr. gli Scholia vetera latina in Caesaris Germanici Aratea
(B. [21-2)) (W. II, 26o-1)
(L. 568-0)
852
(G.1 II, 228-0)
(G.2 II, 247).
DECLAMAZIONE
AL
STUDIOSO,
DIVOTO
E PIO
LETTORE
simo è sufficientemente espresso dove, alzando il velo de la sacrata figura, s'affigono gli occhi all’anagogico senso di quel divin Sansone, che con l’asinina mascella tolse la vita a mille Tilistei 1; perché dicono gli santi interpreti, che nella mascella de l'asina, cioè de gli predicatori de la legge e ministri della sinagoga, e nella mascella del pulledro de gli asini, cioè de’ predicatori della nova legge e ministri de l'ecclesia militante, delevit cos, cioè scancellò,
spinse que’
mille, quel numero
com-
vittoriosa e trionfatrice3 mascella
d’un
pito, que’ tutti, secondo che è scritto: Cascarono dal tuo lato mille, e dalla tua destra diece milia; ed è chiamato il luogo Ramath-lechi, cioè exaltazion de la mascella. Dalla quale per frutto di predicazione non solo è seguita la ruina delle avversarie? ed odiose potestadi, ma anco la salute de regenerati: perché dalla medesima mascella, cioè per virti di medesima predicazione, son uscite e comparse quelle acqui, che promulgando la divina sapienza, diffondeno la grazia celeste e fanno gli suoi abbeverati capaci de vita eterna.
O dunque
asino morto,
defunto, fortezza, —
o diva,
graziosa e santa
mascella
d’un
polledro
or che deve essere della santità, grazia e divinità, vittoria e trionfo dell'asino tutto, intiero e vivente,
asino,
liquia
forte,
pullo
la gloria
o dilettissimi
e madre,
ed
—
exaltazion
ascoltatori;
se di quest'osso
è tanta4?
E
a voi,
a voi
mi
Il B. ricorda
questo
mito
e sacrosanta
mi
volto
rivolto,
re-
a voi,
o amici
let-
tori de mia scrittura ed ascoltatori de mia voce; e vi dico, e vi avertisco, e vi esorto, e vi scongiuro, che ritorniate a voi medesimi. Datemi scampo dal vostro male, prendete partito Phaenomena,
composit.,
II,
51.
in Opera,
II,
111,
238;
e nel De
anche
la causa,
nel De
p.
193.
imag.
1 Giudici, XV, 15-17. Cfr. De imag. comp., p.c. (e Opera, III, 702 (per il semplice rinvio a q. Il. con riferim. al l. c.)). ? (L: aduersarie) 3 BIV: trionfatrice; LG!: buonfatrice. 4 Cosi nel De îimag. comp., p. 238: «quid putas, facere potuisset cum integro, vero et vivo asino ? »; e similmente nello Spaccio, p. 793: « Or se un pezzo, una reliquia d'una bestia morta è in tanta
riputazione, (B. (22-3))
che
devi
pensar
(W. II, 261-2)
d'una
(L. 5609-70)
853
bestia
viva
e tutta
(G.! II, 229-30)
intiera ? ».
(G.2 II, 247-8).
CABALA del vostro bene, ritiratevi
alla
DEL
CAVALLO
PEGASEO
banditevi dalla mortal magnificenza
povertà
del
spirito,
siate
umili
del core,
di mente,
abre-
nunziate alla raggione, estinguete quella focosa luce de l’ intelletto che vi accende, vi bruggia e vi consuma; \fuggite que’ gradi de scienza che per certo aggrandiscono i vostri dolori;
abnegate ogni senso, fatevi cattivi alla santa fede, siate quella benedetta asina,
riducetevi
a quel
quali soli il redentor del mondo date
al
castello
glorioso
pulledro,
per
disse a gli ministri suoi:
ch’avete
a
li
A n -
l’incontro;
cioè andate per l'universo mondo
sensibile e corporeo il quale
ledro
il
come simulacro è opposto e supposto al mondo ed incorporeo. 'Trovarete l’asina ed
legati i:
v'occorrerà
popolo
intelligibile il pul-
ebreo
e
sottomesso € tiranneggiato dalla captività di Belial. Dice ancora: Scioglietele {levateli de la
vità, per la predicazion "dell ‘Evangelio battismale;
perché cioè
siano
e
menàtele
della mia
essendo
miei:
santa
guidati
perché
a
me,
portando
instituzione
dal freno
gentile,
catti-
ed effusion de l'acqua perché
il peso
e legge
del
sopra
mì
mio
servano,
corpo,
le spalli,
delli miei divini consegli,
ed
sian fatti
degni e capabili d'entrar meco nella trionfante Ierusalem,
nella
mati,
chi
l’asi-
quelli
ch’han
città celeste. Qua vedete chi son li redemuti, chi json gli chianello,
gli
son
gli predestinati,
semplici,
gli
discorso
poveri
de
chi
son
gli salvi:
d’argumento, igli
fanciulli;
quelli,
quelli
regno de’ cieli2; quelli, per dispreggio del mondo
pompe,
calpestrano
cura del corpo,
se
l’ han
messa
gli vestimenti,
hanno
l’asina,
pargoletti,
entrano
nel
e de le sue
bandita
da sé ogni
de la carne che sta avolta circa quest'anima, sotto
gli piedi,
l’ hanno
gittata
vi
sarà
conceduta
5609-70)
(G.!
via
a terra,
per far più gloriosa- e trionfalmente passar l'asina ed il suo caro asinellio. Pregate, pregate Dio, o carissimi, se non siete ancora asini, che vi faccia dovenir asini.' Vogliate solamente; perché certo
perché,
certo,
facilissimamente
benché
naturalmente
la
grazia:
siate asini, e la disciplina com-
1 Cfr. appresso, p. 859, n. 1. ? Marco, Evang., X, 13-06.
(B.
[23-4])
(W.
II,
262)
(L.
854
II,
230)
(G.?
II,
248-9).
DECLAMAZIONE mune
non
AL
STUDIOSO,
sia altro che
una
DIVOTO
asinitade,
E PIO
dovete
LETTORE
avertire
e consi-
derar molto bene se siate asini secondo Dio; dico, se siate quei sfortunati che rimagnono legati avanti la porta, o pur quegli altri felici li quali entran dentro, Ricordatevi, o fideli, che gli nostri primi parenti a quel tempo piacquero a Dio, ed erano in sua grazia, in sua salvaguardia, contenti nel terrestre paradiso, nel quale! erano asini, cioè semplici ed ignoranti del bene e male;'i quando posseano! 4 esser titillati dal desiderio di sapere bene e male, e per consequenza non ne posseano aver notizia alcuna; quando possean credere una buggia che gli venesse detta dal serpente; quando se gli possea donar ad intendere sin a questo: che, benché Dio avesse detto che morrebono, ne potesse essere il contrario: in cotal disposizione erano grati, erano accetti, fuor d'ogni dolor, cura e molestia. Sovvegnavi ancora ch'amò Dio il popolo ebreo, quando era afflitto,
servo,
vile,
de còfini *, somarro,
coda ad
esser asino
oppresso,
che non
naturale
ignorante,
gli possea
onerario,
mancar
sotto il domino
portator
altro che la
de l’ Egitto:
allora fu detto da Dio suo popolo, sua gente, sua scelta gene-
razione,
Perverso,
scelerato, reprobo,
adultero fu detto quando
fu sotto le discipline, le dignitadi, le grandezze e similitudine de gli altri popoli e regni onorati secondo il mondo. Non è chi non loda l'età de l'oro, quando gli uomini erano asini, non sapean lavorar la terra, non sapean l'un dominar a l'altro, intender più de l'altro, avean per tetto gli antri e le caverne, si donavano3 a dosso come fan le bestie, non eran tante coperte e gelosie e condimenti de libidine e gola; ogni cosa era commune, il pasto eran le poma, le castagne, le ghiande in quella forma che son prodotte dalla madre natura 4. Non è 1 Cioè, nel qual tempo. 1 dis (L'Amerio intende ed integra: quando [non] posseano) % New World of Words, p. 134: «cuòfano as còfano ». E bisognava
aggiungere
cdfeno,
(B.
(W.
che,
come
la prima,
è f. napol.,
e significa:
corba,
corbello. 3 BL: donano. 4 Erasmo, Moriac encomium (Lugd. Batav. 1648), pp. 120-22: « Disciplinae cum reliquis humanae vitae pestibus irrepscrunt, iisdem auctoribus, a quibus omnia flagitia proficiscuntur, puta [24-6))
II, 262-3)
(L. 570-1)
855
(G.I II, 230-1)
(G.2
II, 249-50).
CABALA
DEL
CAVALLO
PEGASEO
chi non sappia qualmente non solamente nella specie umana, ma ed in tutti gli geni d’animali la madre ama più, accarezza
più,
mantien
contento
più
ed ocioso,
senza
sollecitudine
e
fatica, abbraccia, bacia, stringe, custodisce il figlio minore, come quello che non sa male e bene, ha dell’agnello, ha de la bestia, è un asino, non sa cossi parlare, non può tanto discorrere; e come gli va crescendo il senno e la prudenza, sempre a mano a mano se gli va scemando l'amore, la cura, la pia
affezione che gli vien portata da gli suoi parenti. Non che
non
quella non non
compatisca,
persona
ha ha
abblandisca,
che
non
ha
del
favorisca
virile,
non
a
è nemico
quella
ha
del!
età,
a
demonio,
de l’uomo, non ha del maschio, non ha de l’accorto, del barbuto, non ha del sodo, non ha del maturo 2.
Però quando si vuol mover Dio a pietà e comiserazione il suo Signore, disse quel profeta: A% ah al, Domine, quia nescio loqui;
dove,
col
ragghiare
e
sentenza,
libri,
con' dire:
Quia
mostra
esser
asino.
Ed in un altro luogo dice: Quia puer sum 3. Però quando si brama la remission della colpa, molte volte si presenta la causa nelli
divini
stulte
egimus,
stulte
egerunt,
daemonibus ,quibus hinc nomen etiam inventum, quasi Sarpovac, lioc est scientes, appelles. Siquidem simplex illa aurei saeculi gens, nullis armata disciplinis, solo naturae ductu instinctuque
vivebat.... Porro religiosiores erant quam ut impia curiositate arcana
naturae, siderum mensuras, motus, effectus, abditas rerum causas scrutarentur, nefas esse rati si homo mortalis ultra sortem suam sapere conaretur.... At labente paulatim aetatis aureae puritate, primum a malis, ut dixi, geniis inventae sunt artes » (trad. in Elogio della pazzia a cura di B. Croce, Bari, Laterza, 1914, p. so sgg. Cfr. sopra il brano dello Spaccio (p. 729 sgg.), nonché il son. O sant'asinità (p. 845). 1 BL: dell. E cosi altre volte.
? «Quis
omnibus
nescit
gratissimam
hominis
aetatem
esse ? Quid
multo
est enim
laetissimam
multoque
illud in infantibus,
quod
sic exoscùlamur, sic amplectimur, sic fovemus, ut hostis etiam huic aetati ferat opem, nisi stulticiae lenocinium ?.... An vero aliud
est
puerum
PP.
46,
maxime
47
ea
quam
® 49;
ed
Prof.,
(26-7))
II,
loqui,
quia
(W.
delirare,
delectat
3 GEREMIA,
nescio (B.
in
esse
aetate,
Elogio,
puer
quam
I,
263)
6:
p.
quod
«Et
18
sum ». Cfr. (L.
s71)
nihil
sgg.
dixi:
desipere? A,
sopra,
(G.!
856
II,
An
sapit ? »:
a,
domine
p. 851,
231-2)
non
hoc
Aforiae
enec.,
Deus:
ecce,
e ivi, n, 2. (Gà
vel
II,
250-1).
DECLAMAZIONE
AL
STUDIOSO,
DIVOTO
E PIO
LETTORE
quia mesciunt quid faciani, ignoramus, non intellexerunt*. Quando si vuol impetrar da lui maggior favore ed acquistar tra gli uomini maggior fede, grazia ed autorità, si dice in un loco,
che
li apostoli eran
che non
sapean
stimati imbreachi 2; in un
quel che dicevano,
perché
non
altro loco,
erano
essi che
parlavano: ed un de più eccellenti, per mostrar quanto avesse del semplice, disse che era stato rapito al terzo cielo, uditi arcani
ineffabili,
e che
non
sapea
s'era
morto
o vivo,
se
era
in corpo o fuor di quello 3, ‘Un altro disse che vedeva gli cieli aperti4, e tanti e tanti altri propositi che tegnono gli diletti de Dio, alli quali è revelato quello che è occolto a la sapienza umana,
ed è asinità esquisita a gli occhi del discorso razionale:
perché queste pazzie, asinitadi e bestialitadi son sapienze, atti eroici ed intelligenze appresso il nostro Dio; il qual chiama li suoi pulcini,
il suo
grege 5, le
li
il
pulledro,
suoi
stolti,
li credeno,
suo
l'amano,
sue
la
il siegueno.
pecore,
sua
Non
specchio messo avanti gli occhi umani
li
asina
è,
non
suoi parvuli,
que’ è,
tali
dico,
che
meglior
che l’asinitade ed asino,
il qual. più esplicatamente secondo tutti gli numeri dimostre qual esser debba colui, che faticandosi nella vigna del Signore deve
aspettar
beatifica toria
vita.
cena, Non
la retribuzion
il riposo
del
che
danaio
segue
è conformità
diurno, il gusto
il corso
megliore
di
o simile
della
questa
transi-
che
amene,
ne
guide e conduca alla salute eterna più attamente che far possa
questa vera sapienza approvata dalla divina voce: come, per il contrario, non è cosa che ne faccia più efficacemente impiombar al centro ed al baratro tartareo, che le filosofiche e razionali
contemplazioni, quali nascono da gli sensi, crescono nella facultà discorsiva e si maturano nell’ intelletto umano. \Forzatevi, forzatevi dunque ad esser asini, o voi, che siete uomini. E voi, che siete già asini, studiate, procurate, adattatevi a 1 Cîr.
7 Re,
XIII,
13,
XXVI,
XVI, 9; Isata, XLIV, 18. 2 Vedi Atti degli apostoli, II, 3 Paoto, II 4 GIOVANNI,
(B.
5 BL:
grege;
(27-8]))
(W.
21;
ad Cor., XII, 2-4. Apocalisse, XXI.
WGI:
gregge. Ma
II, 263-4)
JI Re,
XXIV,
10;
II Paral.,
15. V. poi la n. 3 a p. 897. si distrugge,
(L. 571-2)
857
(G.1
cosî, un latinismo.
II, 232-3)
(G3
II, 251-2).
CABALA
DEL
CAVALLO
PEGASEO
proceder sempre da bene in meglio, a fin che perveniate a quel
termine, a quella dignità, la quale, non per scienze ed opre, quantunque grandi, ma per fede s'acquista; non per igno-
ranza
(come
rete,
e misfatti, dicono,
se
tali
quantunque
secondo
sarete
enormi,
l’Apostolo)
e
talmente
ma
si perde,
vi
per ld incredulità
Se cossi vi dispor-
governarete,
vi
trovarete
scritti nel libro de la vita, impetrarete la grazia in questa militante, ed otterrete la gloria in quella trionfante ecclesia, nella quale vive e regna Dio per tutti secoli de secoli. Cossi sia ! TINIS.
(B.
[28])
(W.
II,
264)
(L.
572) (G.!
858
II, 233)
(G2
II,
252).
UN CIRCA
LA
—
MOLTO
SIGNIFICAZIONE
Ite al castello
E trovarete
Quelli
PIO
SONETTO
DE
L'ASINA
ch’avete
l'asina col figlio:
sciogliete,
e dandogli
E
PULLEDRO.
d’avanti, de
piglio,
L’amenarete a me, servi miei santi. S’alcun, per impedir misterii tanti,
Contra di voi farà qualche bisbiglio, Risponderete lui con alto ciglio, Ch' il gran Signor le vuol far trionfanti!, Dice
cossi
la divina
—
scrittura,
Per notar la salute de’ credenti Al redentor dell’umana natura. Gli fideli di Giuda e de le genti
Con vita parimente sempia ? e pura Potran montar a que’ scanni eminenti,
Divoti e pazienti “= Vegnon a fars’ il pullo con la madre " Apntaernati a l’angeliche squadre.
t MATTEO, Evang., XXI, 1-3: « Et cum appropinquasset Ierosolymis et venissent Bethphage ad montem Oliveti, tunc Iesus misit duos discipulos, dicens eis: Ite in Castellum quod contra vos est, et statim invenietis asinam alligatam et pullum cum ea: solvite
et adducite mihi; et si quis vobis aliquid dixerit, dicite quia Dominus his opus habet: et confestim dimittet eos ». * O scempia: semplice. (B.
(29))
(W.
II,
264)
(L.
572-3)
859
(G.!
II,
234)
(G.
II,
253).
DIALOGO
PRIMO
INTERLOCUTORI Sebasto,
Sebasto.
favole,
similitudini,
Saulino.
Ma
raggioni tratti
io
dico
la
e come la è propriamente, Coribante. che
Coribante 1.
È il peggio che diranno che metti avanti me-
taffore 2, narri accozzi
Saulino,
fusse
Id
cossi,
misterii, cosa
dite,
intessi enigmi,
mastichi
a punto
tropologie.
come
la
passa;
la metto avanti gli occhi.
est, sine fuco, come
in parabola,
plane,
candide;
ma
vorrei
da3 dovero.
Saulino. Cossi piacesse alli dei, che fessi tu altro che fuco4 con questa tua gestuazione 5, toga, barba e supercilio: come, anco quanto a l'ingegno, candide, plane et sine fuco,
mostri
Coribante. loco,
sedia
Hactenus
per
Saulino.
a gli occhi nostri la idea della pedantaria. sedia
haec?
Tanto
che
Sofia
loco
per
vi condusse?
Sf.
1 In questo, come nel dialogo precedente, non s'incontra che un solo interlocutore reale, il Savolino, intorno al quale cfr. Spaccio, p. 571, n. I. . ? Appresso, pp. 891, 933, 934 ecc. metaforici, metafora. 3 Nella mia prima ediz. attribuii al B. e al L. quello che è un
errore
lare.
del
4 Presso
solo
L., che
Cicerone
ed
stampò
/a per
altri facere
da.
fucum
vale:
ingannare,
simu-
5 Gesticolazione.
(B. 133-4)) (W. IL 265) (L. 573) (G.! IT, [235)) (G= IT, (255). 861
CABALA
DEL
CAVALLO
PEGASEO
Sebasto. Occérrevi de dir altro circa la provisione di queste sedie? Saulino. Non per ora, se voi non siete pronto a donarmi occasione di chiarirvi de più punti circa esse col dimandarmi e destarmi la memoria, la quale non può avermi suggerito la terza parte de notabili propositi degni di considerazione. Sebasto. Io, a dir il vero, rimagno si suspeso dal desio de saper qual cosa sia quella ch'il gran padre de gli dei ha fatto succedere in quelle due sedie, l’una Boreale e l’altra Australe, che mm’ ha parso il tempo de mill'anni per veder il fine del vostro filo, quantunque curioso, utile e degno: perché quel proposito tanto più mi vien a spronar il desio d’esserne fatto capace, quanto voi più l’avete differito a farlo udire. Coribante. Spes etenim dilata affligit animum, vel animam,
ut melius dicam; sthilem. Saulino.
haec enim + mage significat naturam
Bene.
Dunque,
pas-
perché non più vi tormentiate
su l’aspettar della risoluzione, sappiate che nella sedia prossima immediata e gionta al luogo dove era l’ Orsa minore, e nel quale sapete essere exaltata la Veritade, essendone tolta via l’ Orsa maggiore nella forma ch’avete inteso =, per providenza del prefato consiglio vi ha succe1 BL:
un.»
® In questo punto la Cabala si ricollega allo Spaccio, dial. INI, parte 3%, p. 809, dove s'era detto: « Sia dunque l' Eridano in cielo,
ma
non
altrimente
che per credito
ed imaginazione.
Là onde
non
impedisca, che in quel medesimo luogo veramente vi possa essere qualch'altra cosa di cui in un altro di questi prossimi giorni definiremo. Perché bisogna pensave sopra di questa sedia, come sopra quella de l’ Orsa maggiore ». E com'era naturale, il Savolino ripete quanto
aveva
udito da Sofia.
(B. [34)) (W. 265-6) (L. 573-4) (G.* II, [235)-6) (G.2 II, (255)-6). 862
DIALOGO
PRIMO
duto l’Asinità in abstratto: e là dove ancora vedete in fantasia il fiume Eridano, piace a gli medesimi che vi si trove l’Asinità in concreto, a fine che da tutte tre le celesti
reggioni possiamo contemplare l’Asinità, la quale in due facelle era come occolta nella via de’ pianeti, dov'è la coccia del Cancro !, Coribante. Procul, 0 procul este, profani ?! Questo è un sacrilegio, un profanismo, di voler fingere (poscia che non è possibile che cossi sia in fatto) vicino a l’onorata ed eminente sedia de la Verità essere l’idea de si immonda e vituperosa specie, la quale è stata da gli sapienti Egizii ne gli lor ieroglifici presa per tipo de l’ ignoranza, come ne rende testimonio Oro Apolline 3, più volte replicando: qualmente gli Babiloni sacerdoti con l’asinino capo compiuto al busto e cervice umana volsero designar un uomo imperito ed indisciplinabile. Sebasto. Non è necessario andar al tempo e luogo d’ Egizii, se non
è né fu mai
generazione,
che con
l'usato modo
di parlare non conferme quel che dice Coribante. Saulino. Questa è la raggione, per cui ho differito al fine di raggionar circa queste due sedie: atteso che dalla I Cfr. Hycinus, Astron., 11, 23. ? VirciLio, Aen., VI, 258-090: ‘ Procul Conclamat vates, ' totoque absistite luco.
o,
procul
este,
profani’,
3 Uno degli autori degli scritti apocrifi del Corpus Hermeticum, già studiato dal REITZENSTEIN, Poimandres, Studien z. griech.dgyptischen u. friihchristlichen Literatur, Leipzig, Teubner, 1904. Vedi ivi pp. 25 Sgg., 40, 135, 365. E ora Hermetica: the Ancient Gvreeh and Latin Writings which contain religious or philosophic Teaching ascribed to Hermes Trismegistus; Introd. testo, trad. e note di
WALTER
Scott,
2 voll.,
New-York,
1924.
Sotto
il nome
di
Oro
Apolline correva un trattatello sui Jevoglifici, stampato da A. Manuzio nel 1505, e poi rist. più volte, in cui si esponeva la teologia simbolica degli antichi egiziani, trad. in italiano da Pietro Vasolli
(B. [34-5]) (\. II, 266) (L. 574) (G.1 IT, 236-7) (G? II, 256-7). 863
CABALA
consuetudine lano,
DEL
CAVALLO
PEGASEO
del dire e credere m’areste
e con
minor
fede
ed
attenzione
creduto
arreste
parabo-
perseverato
ad ascoltarmi nella descrizione della riforma de l'altre sedie celesti, se prima con prolissa infilacciata 1 de propositi
non
v’avesse
resi
capaci
di
quella
verità;
stante
che
queste due sedie da per esse meritano almeno altretanto de considerazione, quanto vedete aver ricchezza di tal suggetta materia.
Or non
pazzia,
ed
ignoranza
avete
asinità
voi unqua? udito,
di
questo
mondo
che la
è sapienza,
dottrina e divinità in quell’altro?
Sebasto. Cossi è stato riferito da primi e principali teologi; ma giamai è stato usato un cossî largo modo de dire, come
è il vostro.
Saulino. È perché giamai la cosa è stata chiarita ed esplicata cossi, come io son per cesplicarvela e chiarirvela al presente. Coribante.
Or dite, perché staremo
attenti ad ascoltarvi.
Saulino. Perché non vi spantiate 3, quando udite il nome d'asino, asinità, bestialità, ignoranza, pazzia, prima voglio proporvi avanti gli occhi della considerazione, c rimenarvi con
a mente
altri lumi
che
il luogo
de gl’ illuminati
di Linceo,
con
altri occhi
cabalisti, che
che
di Argo,
da Fivizzano: Oro APOLLINE, Delli segni jeroglifici, Vinegia, Giolito, 1547; v. FEDERICI, Degli scrittori greci e delle italiane versioni delle loro opere, Padova, 1828, p. 5; C. GIAMBELLI, Dell'opera ps.
arist. intitolata
dei
Theologia
Lincei, Scienze 1 O nfilacciata,
% BW:
unqua;
sive mystica
mor., vol. XV, 1906), pp. v. napol.: sfilata, infilzata,
LG!:
unquam.
Ma
forma che si legge nelle vecchie stampe,
termini del
(B.
DB.
usati tra il XIII
3 Cfr.
[35-6))
p.
120,
(W.
II,
Philosophia
n.
e il XVI
W.
(estr. dai
18-19, 28-30. sequela.
ha ragione,
Rend.
lasciando
la
perché unqua e unque sono
secolo,
con
esempi
negli scritti
1.
266)
(L.
574-5)
864
(G.1
II,
237-5)
(G.2
IT,
257-8).
DIALOGO
PRIMO
profondorno, non dico sin al terzo cielo, ma nel profondo abisso del sopramondano ed ensofico *! universo: per la contemplazione di quelle diece Sephiroth che chiamiamo in nostra lingua membri ed indumenti, penetrorno,
Ivi
veddero,
son
le3
concepirno
dimensioni
Ceter,
Hesed,
Geburah,
Iesod,
Malchuth;
Corona,
la
videnza,
laquarta
la sesta Lode,
gno.
la
nona
fas est homini loqui *.
Hocma,
Tipheret,
Nezah,
Sapienza,
la
Hod,
terza
Bontà,
laquinta
lasettima
Vittoria,
Stabilimento,
Pro-
Fortezza,
la
laottava
decima
Re-
Dove dicono rispondere diece ordini d’ intelligenze 4;
de quali il primo vien da essi chiamato
cados, il
Bina,
de quali la prima da noi è detta
seconda
Bellezza,
quanium
quarto
sesto
il secondo
Ophanim,
Hasmalin,
Malachim,
Benelohim,
Issim; che
il
il
nono
il
Haioth
il terzo
quinto
settimo
hec-
Aralin,
Choachin, Elohim,
Maleachim,
il
l'ottavo
noi nominiamo il primo Animali
il
decimo
santi
o Serafini, il secondo Ruote formanti o Cherubini, ilterzo Angeli robusti o Troni,
il quarto sesto
Effigiatori,
Virtudi,
il quinto
il settimo
Principati
l'ottavo Arcangeli o figli Angeli o Imbasciatori, 1 En
soph,
Infinito,
3
loqui, le
è nella
Potestadi,
de dei, il decimo
terminologia
della
o
il
dei,
il nono Anime
cabala
il nome
onde vien designata la causa suprema, il primo dei dieci Sephiroth, o attributi divini. Cfr. A. FRANCK, La Kabbala ou la Philos. religieuse des Hébreux, Paris, Hachette, 1843, pp. 174-5. * II Machab., xit, 14: « Ac loquentes quae fas non est». W:
sante;
4 (Gl: di | intelligenze
e in
nota:
«Testo:
(L: d° intelligenze).)
/ui
son
le».
(B. {36-7)) (W. II, 266-7) (L.. 575) (G.1 II, 238) (G II, 258). 865
CABALA
separate vano
o
DEL
Eroi.
le diece sfere:
o ottava
sfera
CAVALLO
Onde
Giove,
5. di Marte,
curio,
9.
della
nel mondo
1. il primo
o firmamento,
mobile,
10.
del
sensibile
di Saturno,
7. di Venere,
Chaos
deri-
2. il cielo stellato
3. il cielo
6. del Sole,
Luna,
PEGASEO
4.
di
$. di Mer-
sublunare
diviso
in
quattro elementi. Alli quali sono assistenti diece ® motori, o insite diece anime: la prima Metattron o principe de
faccie,
la
quarta
la seconda Zadkiel,
Raphael, la
Raziel,
nona
la
la settima
Gabriel,
quale son quattro
la terza
quinta
Aniel, la
Zaphciel,
Camael, l'ottava
decima
sesta
Michael,
Samael;
terribili principi,
la
sotto
de quali il primo
il
do-
mina nel fuoco ed è chiamato da Iob? Behemoth, il secondo domina nell'aria ed è nomato da cabalisti e co-
munmente Beelzebub, cioè principe de mosche, idest de volanti immondi, il terzo domina nell’acqui ed è nomato
ne
da
Iob3
la terra,
chiamato
Leviathan,
la qual
da Iob6
spasseggia4
Sathan.
secondo la cabalistica revelazione
le forme o ruote, nomate
il quarto
è presidente
e circuisse5 tutta,
Or contemplate Hocma,
ed
è
qua, che
a cui rispondeno
Cherubini,
che influiscono
nell’ottava sfera, dove consta la virtà dell’ intelligenza de Raziele,
1 WG1:
l'asino
o asinità
dieci.
2? GioBBE,
XL,
3 Ivi. 4 L: spesseggia. 5 Circuisse,
20
è simbolo
sgg.
circuisce.
Assimilazione
trionali d’ Italia (Arch. glott. ital., IV, vedi sopra, p. 738, e ivi, n. 2.
6 GIOBBE, 7 Per
(B.
[37-8])
tutte (W.
I, 6.
queste
II, 267)
della sapienza 7.
indicazioni (L.
familiare
167-8).
Per
cabalistiche
575-6)
866
(G.!
II,
ai dialetti
esempi
setten-
analoghi
cfr. gli estratti
238-9)
{G.2
del
II, 258-0).
DIALOGO
PRIMO
Coribante. Parturient montes *. Saulino. Alcuni thalmutisti apportano rale di cotale influsso,
arbore,
la raggione mo-
scala o dependenza,
dicendo
che però l'asino è simbolo della sapienza nelli divini Sephiroth, perché a colui che vuol penetrare entro gli secreti ed occolti ricetti di quella, d’esser
sobrio
schena3
e
sia necessariamente
paziente,
d'asino;
deve
avendo
aver
de mistiero
mustaccio ?,
l'animo
umile,
testa
e
ripremuto
e
basso, ed il senso che non faccia differenza tra gli cardi e le lattuche. Sebasto.
Io
crederei
più
tosto,
che
gli
Ebrei
abbiano
tolti questi misterii da gli Egizii; li quali per cuoprir certa ignominia loro hanno voluto in tal maniera esaltar al cielo l’asino e l’asinità. Coribante. Declara. Sebasto.
Oco,
re de
Persi,
essendo
notato
da gli Egizi,
suoi nemici, per il simulacro d'asino, ed appresso essendo lui
vittorioso
sopra
de
loro,
ed
avendoseli
fatti
cattivi 4,
le costrinse ad adorar l’imagine de l'asino e sacrificargli il bove già tanto adorato da essi, con rimproverargli che a l'asino il lor bove Opin o Apin verrebbe immolato 5. Questi dunque, per onorar quel loro vituperoso culto, e cuoprir quella machia, hanno voluto fingere raggioni sopra De magia mathematica fonti del B. di È
De
1
È
il primo
(in
Opera,
emistichio
del
III,
495-9),
notissimo
dove
139°
v.
Cand.?,
p.
son
citate
dell'Arte
le
poetica
Orazio, citato anche nel De /’ infinito, p. sor. = New Wovlad of Words, pp. 324-7: mostaccio, mmustaccio: cello. un napoletanismo, come si è detto nel Cand.?, p. 202, n. 1. 3 Intorno
a questa
4 BL: caviti, le. 5 Vedi PLuTtaRco, natura
animalium,
(B.. [38-9])
(W.
voce
cfr.
anche
De Iside et Osiride, X,
II, 267-8)
28.
(L. 576)
867 59
—
GG.
Rruno.
Diselochi
italiani
XI
16,
e XXXI,
(G.! II, 239-40)
n.
5.
ed ELIANO,
(G.2 II, 259-60).
CABALA
DEL
CAVALLO
PEGASEO
il culto de l'asino; il quale da quel che gli fu materia di biasimo e burla, gli venne ad esser materia di riverenza !, E cossf poi, in materia plazione,
onore
chetipo,
d’adorazione,
e gloria,
sephirotico,
admirazione,
se I’ hanno
metafisico,
fatto
ideale,
contem-
cabalistico,
divino.
ar-
Oltre,
es-
sendo l'asino animal de è Saturno e della Luna, e gli Ebrei di natura, ingegno e fortuna saturnini e lunari, gente sempre vile,
servile,
mercenaria,
conversabile
spregiano,
con
solitaria,
l’altre
iricomunicabile
generazioni,
le quali
ed
in-
bestialmente
e da le quali per ogni raggione son degnamente
dispreggiate; or questi si trovàro nella cattività e servizio de l’ Egitto, dove erano destinati ad esser compagni a gli asini con portar le some e servire alle fabriche 3; e là parte
per
esserno
leprosi,
parte
perché
intesero
gli
Egizii,
che
in essi pestilanziati regnava l’ impression saturnia ed asì-
nina,
per
la
conversazione
ch'aveano
con
questa
razza;
vogliono alcuni che le discacciassero dagli lor confini con lasciargli 1’ idolo dell'asino d’oro alle mani; il quale tra tutti li dei se mostrava più propisiabile4 a questa gente, cossi a tutte l’altre nemica e ritrosa, come Saturno a tutti
gli pianeti. Onde rimanendo con il proprio culto, lasciando
da canto l’altre feste egiziane, celebravano per il lor Saturno, demostrato
I Cfr.
Ad
pp.
Tacito,
Apionem, 616,
stata
Tacito,
[39-40])
(W.
gli sabbati 5, e per Ja lor
V,
contrario
i
4,
la f. che
moderni
Hist., II,
268)
e
giudizi
in
nonché
di.
fabbriche. dai
de l’asino,
799-800,
WLG!:
corretta
5 Cfr.
7. Per
787,
4 Restituisco
propice.
Hist.,
II,
722,
a B: de; 3 GI:
(B.
nell’ idolo
si trova
V, (L.
editori,
del
le
B.
sugli
Giuseppe
relative
nelle
vecchie
potendo
Ebrci
note.
cir.
TILAVIO,
sopra
stampe
e ch'è
(G.2
260-1).
derivare
dal
franc.
4. 576-7)
868
(G.!
II,
240)
II,
DIALOGO
Luna
le neomenie ', di sorte
PRIMO
che
non
solamente
uno,
ma,
ed oltre, tutti gli sephiroti possono essere asinini ai cabalisti giudei. Saulino. Voi dite molte cose autentiche, molte vicine all’autentiche,
altre simili
a l’autentiche,
alcune
contrarie
a l’autentiche ed approvate istorie. Onde dite alcuni propositi veri e boni, ma nulla dite bene e veramente, spreggiando e burlandovi di questa santa generazione, dalla quale è proceduta tutta quella luce che si trova sin oggi al mondo, e che promette de donar per tanti secoli. Cossi perseveri nel tuo pensiero ad aver l'asino ed asinità per cosa ludibriosa; quale, qualunque sia stata appresso Persi, Greci e Latini, non fu però cosa vile appresso gli Egizii ed Ebrei. Là onde è falsità ed impostura questa tra l'altre, cioè che quel culto asinino e divino abbia avuto origine dalla
forza e violenza,
e non
più tosto
ordinato
dalla rag-
gione, e tolto principio dalla elezione. Sebasto. Verbi gratia, forza, violenza, raggion ed elezione di Oco. Saulino. Io dico divina inspirazione, natural bontade ed umana intelligenza. Ma prima che vengamo al compimento di questa demostrazione, considerate un poco se mai ebbero, o denno
aver avuto, o tener a vile la idea ed
influenza de gli asini questi Ebrei ed altri partecipi e consorti de la lor santimonia. Il patriarca Iacob, celebrando la natività e sangue della sua prole, e padri de le dodici tribi con la figura de le dodici bestie, vedete se ebbe ardimento di lasciar l'asino. Non avete notato che come fe’ Ruben
(B.
montone,
Simone
1 Neouevla,
novilunio.
[40-1])
II,
(W.
268-9)
(L.
orso,
577)
869
Levi
(G.!
cavallo,
II,
240-1)
Giuda
(G.2
II,
leone,
261-2).
CABALA
Zabulon
balena,
DEL
Dan
CAVALLO
serpente,
PEGASLEO
Gad
volpe,
Aser
bove,
Nettalim cervio, Gioseffo pecora, Beniamin lupo, cossf fece il sesto
quella
genito
bella
Isachar,
gli
Isachar
nuova
il
e
insoffiandoli
misteriosa
asino
termini,
ed
asino,
forte,
ha
trovato
fertilissimo
profezia
che
il
terreno;
per testamento
nell'orecchio:
poggia
riposo ha
tra
buono
sottopo-
ste le robuste spalli al peso, ed èssi destinato al tributario serviggio”. Queste sacrate dodici generazioni rispondeno da qua basso a gli alti dodici segni del zodiaco, che son nel cingolo del firmamento, come=
vedde
e dechiarò il profeta Balaam3, quando
dal luogo eminente d'un colle le scòrse disposte e distinte in dodici castramentazioni 4 alla pianura, dicendo: — Beato e benedetto popolo d’ Israele, voi sète stelle, voi li dodici segni messi in sf bell'ordine di tanti generosi greggi. Cossi promese5 il vostro Giova che moltiplicarebbe il seme del vostro gran padre Abraamo come le stelle del cielo, cioè secondo la raggione delli dodici segni del zodiaco, li quali venite a significar per li nomi de dodici bestie. — Qua vedete
qualmente
quel
profeta
illuminato,
nedire in terra, andò a presentarseli montato per la voce de l'asino venne
dovendole
be-
sopra l’asino,
instrutto della divina volontà,
con la forza de l'asino vi pervenne, da sopra l'asino stese le mani alle tende, e benedisse quel popolo de Dio santo e benedetto, per far evidente che quelli asini saturnini ed 1 Genesi,
2
XLIX,
(G! = L:
3 Numeri,
4 BL: 5 Per
(B.
come;
G2:
XXII-XXIV.
castrametationi.
forme
[41-2]))
14-5.
(W.
simili
II,
v.
269)
comune)
p.
(L.
608,
e ivi,
577-8)
870
(G.t
n.
1.
II, 241-2)
(Gè
II,
262).
DIALOGO
PRIMO
altre bestie, che hanno influsso dalle dette sephiroth, da l'asino archetipo, per mezzo de l'asino naturale e profetico, doveano esser partecipi de tanta benedizione. Coribante. Multa igitur asinorum genera: aureo, archetipo, indumentale, celeste, intelligenziale, angelico, animale,
profetico,
umano,
bestiale,
economico;
vel essenziale,
ipostatico,
nozionale,
superno,
medio
tastico:
vel
subsistenziale,
matematico,
ed inferno;
ideale,
gentile,
etico,
civile
metafisico;
logico
e
ed
fisico,
morale;
vel
vel intelligibile, sensibile e fan-
naturale
e
nozionale;
vel
ante
multa,
in multis et datim atque a riuscirmi.. Saulino. strano che
post multa *. Or seguite, perché paulatim, grapedetentim, più chiaro, alto e profondo venite Per venir dunque a noi, non vi deve parer la asinità sia messa in sedia celeste nella di-
stribuzione
delle
catedre,
che
sono
nella
parte
superna
di
questo mondo ed universo corporeo; atteso che esso deve esser corrispondente e riconoscere in se stesso certa analogia al mondo superiore. Coribante. Ita contiguus hic illi mundus, ut omnis eius virtus inde gubernetur, come oltre promulgò il prencipe de’ peripatetici nel principio del primo della Metorologica? contemplazione3,. 1 Lo
stesso
che
ante rem,
în ve e post rem,
come
si disse
da Al-
berto Magno e S. Tommaso l'universale in sé (o nella mente di Dio), l’universale realizzato negli individui, e l'universale pensato quindi dalla mente umana. Cfr. DE WuLr, Mist. de la philos. médicvale, 2 edizione, pp. 246, 342, n. 2. Lo stesso B. accenna qui appresso alla medesima dottrina, distinguendo tre sorta di verità.
® BW:
Forse
W.
methorologica; LG!: meteorologica
ha fatto bene
positare i suoi pedanti. 3 ARISTOTELE,
(B.
[42-3]))
a non
correggere,
Meteorologic.,
(\V. II, 2609-70)
(ma L metheorologica).
perché
B. suole far spro-
I, 2, 2.
(L. 578)
871
(G.!
II, 242-3)
(G.2
II, 262-3).
CABALA
Scbasto. le vostre,
CAVALLO
O che ampolle, o dottissimo
Coribante.
Sebasto. e non
DEL
PEGASEO
o che parole sesquipedali
ed altritonante 1 messer
Ut libet.
Ma permettiate= che si proceda
son
Coribante!
al proposito,
ne interrompete!
Coribante. Proh! Saulino. A la verità nulla cosa è pivi prossima e cognata
che la scienza; la quale si deve distinguere, come è distinta
in sé, in due maniere:
cioè in superiore
ed inferiore.
La
prima è sopra la creata verità, ed è l’ istessa verità increata, ed è causa
del tutto;
atteso
che per essa le cose vere
vere, e tutto quel che è, è veramente
quel tanto
La
né
seconda
è verità
inferiore,
la quale
son
che
fa le cose
è.
vere
né è le cose vere, ma pende, è prodotta, formata ed informata da le cose vere, ed apprende quelle non in verità, ma in specie e similitudine: perché nella mente nostra, dove
è la scienza dell'oro,
non
si trova l’oro in verità, ma
solamente in specie e similitudine. Si che è una sorte de verità, la quale è causa delle cose, e si trova sopra tutte le cose; un’altra sorte che si trova nelle cose ed è delle cose; ed è un'altra terza ed ultima, la quale è dopo le cose e dalle cose.
La prima
ha nome
cosa, la terza ha nome
di causa,
la seconda
ha nome
di
di cognizione 3. La verità nel primo
1 B: altritonante;, W.LGI: altitonante. Non è meraviglia che Sebasto tratti il pedante come un secondo Giove, sce nel Cand.?,
p. 60: «Ottav. .... Non mi reputo degno di baciar quella dolcissima bocca. Manf. Ch'ambrosia e nectar non invidio a Giove n. * Intorno a questo provincialismo cfr. Cand.2, pp. 94, 81, 174 e 200, e in questa Mor., p. 891.
ultima,
n.
1;
e nei Dial.
Met. pp. 460
e 469,
e
1 Ne Dei imaginum compositione (Opera, II, 111, 94): «Ideae sunt causa rerum ante res, idearum vestigia sunt ipsae res seu quae in rebus, idearum umbrae sunt ab ipsis rebus seu post res». Per
(B. [43)) (W. II, 270) (L. 578-9) (G.! IT, 243-4)
872
(G.3 II, 263-4).
DIALOGO
PRIMO
modo è nel mondo archetipo ideale significata per un de’ sephiroth; nel secondo modo è nella prima sedia dove è il cardine
detta
del cielo a noi supremo;
sedia che
prossimamente
nel terzo modo
da questo
è nella
corporeo
influisce ne gli cervelli nostri, dove è l’ ignoranza,
cielo
stoltizia,
asinità, ed onde è stata discacciata l’ Orsa maggiore. Come dunque la verità reale e naturale è essaminata per la verità nozionale, e questa ha quella per oggetto, e quella mediante la sua specie ha questa per suggetto, cossf è bisogno che a
quella abitazione questa sia vicina e congionta.
Sebasto. Voi dite bene, che secondo l'ordine della natura sono prossimi la verità e l’ ignoranza o asinità: come sono talvolta uniti l'oggetto, l’atto e la potenza. Ma fate ora chiaro, perché più tosto volete far gionta e vicina l’ ignoranza o asinità, che la scienza o cognizione: atteso che tanto manca che l'ignoranza e pazzia debbano esser prossime e come coabitatrici della verità, che ne denno essere a tutta distanza
lontane,
perché
denno
esser
gionte
alla
falsità,
come cose appartenenti ad ordine contrario. Saulino. Perché la sofia creata senza l'ignoranza o pazzia, e per conseguenza senza l’asinità che le significa ed è medesima con esse, non può apprendere la verità; e però bisogna che sia mediatrice; perché come nell’atto mediante concorreno gli estremi o i termini, oggetto e potenza, cossi nell’asinità concorreno la verità e la cognizione, detta da noi sofia. Sebasto. Dite brevemente la caggione.
altri
De
luoghi
monade
del B.,
pp.
analoghi
del
(I, 11, 367)
8-9.
Sig.
sigillorum
cfr. Tocco,
(Opera,
II,
11,
164)
e del
Le fonti più recenti «della filos.
(B. {43-5)) (W. II, 270-1) (L. 579) (G.! IT, 244) (G.? II, 204-5).
873
CABALA
Saulino.
DEL
Perché
CAVALLO
il saper
PEGASEO
nostro ‘è ignorare,
o
perché
non è scienza di cosa alcuna e non è apprensione di verità nessuna, o perché se pur a quella è qualche entrata, non è se non per la porta che ne viene aperta da l'ignoranza, la quale è l’ istesso camino, portinaio e porta. Or se la sofia
scorge la verità per l’ ignoranza, la scorge per la stoltizia consequentemente, onde
e consequentemente
chi ha tal cognizione,
per
l'asinità.
Là
ha de l'asino, ed è partecipe
di
quella idea, Sebasto. Or mostrate come siano vere le vostre assumpzioni: perché voglio concedere le illazioni tutte; perché non ho per inconveniente che chi è ignorante, per quanto è ignorante,
è stolto;
e chi è stolto,
per
quanto
è stolto,
è asino: e però ogni ignoranza è asinità. Saulino. Alla contemplazion de la verità altri si promuoveno per via di dottrina e cognizione razionale, per forza
de
l'intelletto
agente
che
s'intrude
nell'animo,
excitandovi il lume interiore. E questi son rari; onde dice il poeta: Pauci,
quos
ardens
evexit ad
aethera
virtus!.
Altri per via d’ignoranza vi si voltano e forzansi di pervenirvi. E di questi alcuni sono affetti di quella che è detta ignoranza di semplice negazione: e costoro né sanno, né presumeno di sapere; altri di quella che è detta ignoranza di prava disposizione: e tali, quanto men sanno e sono imbibiti de false informazioni, tanto più pensano di sapere: 1 VirciILIo,
.den.,
VI,
i29-30:
Pauci, quos aequus amavit Iuppiter aut ardens evexit ad aethera (B.
[45-0))
(W.
II,
271)
(L.
579-80)
874
(G.1
II,
virtus.
244-5).(G.2
II,
265).
DIALOGO
PRIMO
quali, per informarsi del vero, richiedeno doppia fatica, cioè de dismettere l’uno abito contrario e di apprender l’altro. Altri di quella ch'è celebrata come divina acquisizione; ed in questa son color che né dicendo, né pensando di sapere, ed oltre essendo creduti da altri ignorantissimi, son veramente dotti, per ridursi a quella gloriosissima. asi-
nitade
e pazzia.
E di questi alcuni sono
naturali, come
quei che caminano con il lume suo razionale, con cui negano col lume del senso e della raggione ogni lume di raggione e senso; alcuni altri caminano, o per dir meglio si fanno guidare con la lanterna della fede, cattivando l’ intelletto a colui che gli monta sopra ed a sua bella posta l'addirizza e guida, E questi veramente son quelli che non possono essi errare, perché non caminano col proprio fallace intendimento,
ma
con infallibil lume
di superna
intel-
ligenza. Questi, questi son veramente atti e predestinati per arrivare alla Ierusalem della beatitudine è vision aperta della verità divina: perché gli sopramonta quello, senza il qual sopramontante non è chi condurvesi vaglia *. Sebasto. Or ecco come si distingueno le specie dell' ignoranza ed asinitade, e come vegno a mano
scendere saria
per concedere
e divina,
senza
a mano
a conde-
l’asinitade essere una virti necesla
quale
sarrebe
perso
il mondo,
e
per la quale il mondo tutto è salvo. Saulino. Odi a questo proposito un principio per un’altra più particular distinzione. Quello ch'unisce l' intelletto nostro, il qual è nella sofia, alla verità, la quale è l'oggetto intelligibile, è una specie d’ ignoranza, secondo gli cabalisti e certi mistici teologi; un'altra specie, secondo gli 1 Cfr. gli Eroici furorîi, pp. 986-7. (B.
[46-7]))
(W.
II, 271-2)
(L. 580)
875
(G.1 II, 245-6)
(G.2 II, 265-0).
CABALA
pirroniani,
DEL
efettici 1 ed
CAVALLO
altri
PEGASEO
simili;
un’altra,
secondo
teo-
logi cristiani, tra” quali il Tarsense * la viene tanto più a magnificare 3, quanto a giudicio4 di tutt'il mondo è passata per maggior pazzia. Per la prima specie sempre si niega; onde vien detta ignoranza negativa, che mai ardisce affirmare. Per la seconda specie sempre si dubita, e mai ardisce determinare o definire. Per la terza specie gli principii
tutti
s' hanno
per conosciuti,
approvati
e con
certo
argumento manifesti, senza ogni demostrazione ed apparenza. La prima è denotata per l'asino pullo, fugace ed errabondo;
la seconda
per
un'asina, che
sta fitta tra
due
vie, dal mezo de quali mai si parte, non possendosi risolvere per quale delle due più tosto debba muovere i passi; la terza per l’asina con il suo pulledro, che portano su la schena il redentor del mondo: dove l’asina, secondo che gli
sacri dottori insegnano, pullo
del
popolo
è tipo del popolo
gentile,
che,
come
giudaico,
figlia ecclesia,
ed il
è par-
turito dalla madre sinagoga; appartenendo cossi questi come quelli alla medesima generazione, procedente dal padre de’ credenti, Abraamo. Queste tre specie d’ ignoranza,
come
tre rami,
sì riducono
ad un
stipe $, nel quale
ON
Au
a
ww =
da l'archetipo influisce l’asinità, e che è fermo e piantato su le radici delli diece6 sephiroth. Coribante. O bel senso! Queste non sono retorice7 persuasioni, né elenchici sofismi, né topice ® probabilitadi,
(B.
Vedi p. 45, n. Wr Tartense.
1.
Vedi PaoLo, I ai Cor., I, 17 sgg. BL: giudicio; WGI: giudizio. Tronco. Latinismo già usato nel De /a carsa, p. 233, BL: diece; WG!: dieci.
BL: BL:
[47-8]))
e ivi, n. 1.
retorice; WWG!:; retoriche. topice; WGI: topiche. (W.
II,
272)
(L.
580-1)
876
(GI
II,
246-7)
(G.2
II,
266-7).
DIALOGO
ma
PRIMO
apodiptice ! demostrazioni;
si vile
animale
come
per le quali l'asino non è
comunmente
si crede,
più eroica e divina condizione. Sebasto. Non è d’'uopo ch'oltre
ma
t’affatichi,
di
tanto
o Saulino,
per venir a conchiudere quel tanto che io dimandavo che
da te mi fusse definito: si perché avete sodisfatto a Coribante, si anco perché da li posti mezi termini ad ogni buono intenditore può esser facilmente sodisfatto. Ma di grazia, fatemi ora intendere le raggioni della sapienza, che consiste nell’ ignoranza ed asinitade iuxta il secondo modo: cioè con qual raggione siano partecipi dell’asinità gli pirroniani,
efettici ed altri academici
filosofi; perché
non
du-
bito della prima e terza specie, che medesime sono altissime e remotissime
occhio
da’
sensi
e chiarissime,
di sorte
che
non
è
che non le possa conoscere.
Saulino. Presto verrò al proposito della vostra dimanda;
ma voglio che prima notiate il primo e terzo modo di stoltizia
ed
asinitade
concorrere
in
certa
maniera
in
uno;
e
però medesimamente pendeno da principio incomprensibile ed ineffabile, a constituir quella cognizione, ch’ è disciplina delle discipline, dottrina delle dottrine ed arte de le arti. Della quale voglio dirvi in che maniera con poco o nullo studio e senza fatica alcuna ognun che vuole e volse,
ne ha possuto e può esser capace. Veddero e considerorno que' santi dottori e rabini illuminati, che gli superbi e presumptuosi sapienti del mondo, quali ebbero fiducia nel proprio ingegno, e con temeraria e gonfia presunzione hanno avuto ardire d’alzarsi alla scienza de secreti divini 1 B: apodiptice;
W:
apodittiche;
Restituisco la f. primitiva,
per
la ragione
(B.
[48-9])
(W.
accennata
II
272-3)
L:
apodictice;
G!: apodictiche.
che può essere intenzionalmente
sopra,
p.
(L.
581-2)
877
871,
(G.I
n.
2.
II,
247)
(G.3
II,
erronea,
267-8).
CABALA
e que’
penetrali
ch’edificàro
DEL
della
la torre
CAVALLO
deitade,
non
di Babelle,
PEGASEO
altrimente
son
stati
che
confusi
coloro e messi
in dispersione, avendosi essi medesimi serrato il passo, onde meno fussero abili alla sapienza divina e visione della veritade eterna. Che féro? qual partito presero? Fermàro i passi, piegàro o dismisero le braccia, chiusero gli occhi, bandiro ogni propria attenzione e studio, riprovàro qualsivoglia uman pensiero, riniegàro ogni sentimento naturale: ed in fine si tennero asini. E quei che non erano, si transformàro
in questo
animale:
alzàro,
distesero,
acuminàro,
ingrossàro e magnificorno l’orecchie; e tutte le potenze de l'anima riportorno e uniro nell’udire, con ascoltare solamente e credere: come quello, di cui si dice: In audîtu auris obedivit mihi +. Là concentrandosi e cattivandosi la vegetativa,
sensitiva
ed
intellettiva
facultade,
hanno
in-
ceppate le cinque dita in un’unghia, perché non potessero, come l'Adamo *, stender le mani ad apprendere il frutto vietato
dall’arbore
essere
privi
.meteo mani
de
della
frutti
scienza,
de
l’arbore
per della
cui
venessero
vita,
o come
ad Pro-
(che è metafora di medesimo proposito), stender le
a suffurar
il fuoco
nella potenza razionale. proprio
sentimento
ed
di Giove,
per
accendere
il lume
Cossî li nostri divi asini, privi del affetto,
vegnono
ad
intendere
non
altrimente che come gli vien soffiato a l’orecchie dalle revelazioni o de gli dei o de’ vicarii loro; e per consequenza a governarsi non secondo altra legge che di que’ medesimi. Quindi non si volgono 3 a destra o a sinistra, se non secondo
la lezione e raggione che gli dona il capestro o freno che le I Salmi,
% Genesi,
XVII,
INI,
3 (G! = L: (B.
(49-50])
(W.
45.
6 sgg.
non
II,
si volgono; 273)
(L.
G?:
582)
878
non (G.I
volgono) II,
247-8)
(G.?
II,
268-9).
DIALOGO
PRIMO
tien per la gola o per la bocca, non caminano se non come son
toccati.
Hanno
ingrossate
le làbbra,
insolidate
le ma-
scelle, incotennuti ! gli denti, a fin che, per duro, spinoso, aspro e forte a digerir che sia il pasto che gli vien posto avante,
non
manche
d'essere
accomodato
al
suo
palato.
Indi si pascono de più grossi e materialacci appositotii, che altra qualsivoglia bestia che si pasca sul dorso de la terra; e tutto ciò per venire a quella vilissima bassezza, per cui fiano capaci de più magnifica exaltazione, iuxta quello: Ommnis qui se humiliat exaltabitur ?. Sebasto.
Ma
‘vorrei
intendere
come
questa
bestiaccia
potrà distinguere che colui che gli monta sopra, è Dio o diavolo, è un uomo o un’altra bestia non molto maggiore o minore,
se la più certa cosa ch’egli deve
avere,
è che lui
è un asino e vuole essere asino, e non può far meglior vita
ed aver costumi megliori che di asino, e non deve aspettar meglior fine che di asino, né è possibile, congruo e condigno ch’abbia altra gloria che d'asino? 3 Saulino. Fidele colui che non permette che siano tentati sopra quel che possono: lui conosce li suoi, lui tiene e mantiene gli suoi per suoi, e non gli possono esser tolti. O santa ignoranza, o divina pazzia, o sopraumana asinità! Quel rapto, profondo e contemplativo Areopagita, scrivendo a Caio, afferma che la ignoranza è una perfettissima scienza 4;
come per l’equivalente volesse dire che l’asinità è una di1 GI:
incontennuti.
2 Luca, Evang., XIV,
11, e XVIII,
14; cfr. MATTEO,
XXXIII,
12.
3 (Gr= L: gloria che d'asino?; G*: gloria d'asino? (per evidente svista tipogr.).) 4 Il Ps.-DronIGI (V-VI scc.) citato dal B. anche negli Er. Furori, p. 1164. Per la lett. a Caio cfr. Opera, Antverpiae, MDCLXXXIV, t.
(B.
II,
p.
62.
[5o-1])
(W.
II,
273-4)
(L.
582-3)
879
(G.!
II,
248-9)
(G.2
IT,
260).
CABALA
DEL
CAVALLO
PEGASEO
vinità. Il dotto Agostino, molto inebriato di questo divino nettare,
nelli suoi
Soliloquii!
testifica che
la igno-
ranza piu tosto che la scienza ne conduce a Dio, e la scienza
più tosto che l'ignoranza ne mette in perdizione.
In figura
di ciò vuole ch’ il redentor del mondo con le gambe e de
gli
asini
fusse
entrato
in
Gerusalemme,
piedi
significando
anagogicamente in questa militante quello che si verifica nella trionfante cittade; come dice il profeta salmeggiante: Non
in fortitudine
equi
voluntatem
habebit,
neque
in
tibiis
viri beneplacitum erit ei 2. Coribante. Supple tu: Sed in fortitudine et tibiis asinae ct pulli filii coniugalis. Saulino. 3 Or, per venire
a mostrarvi
come
non
è altro
che l’asinità quello con cui possiamo tendere ed avvicinarci a quell’alta specola, voglio che comprendiate e sappiate non esser possibile al mondo meglior contemplazione che quella che niega ogni scienza ed ogni apprension e giudicio di vero; di maniera che la somma cognizione è certa stima
che non si può saper nulla e non si sa nulla, e per consequenza di conoscersi di non posser esser altro che asino e non esser altro che asino; allo qual scopo giunsero gli socratici, platonici, efettici, pirroniani ed altri simili, che non ebbero
l’orecchie tanto
picciole, e le labbra
tanto
delicate,
e la coda tanto corta, che non le potessero lor medesimi vedere, Sebasto.
per
Priegoti,
confirmazion
Saulino,
e dechiarazion
! Opera omnia, ed. Lione, 2 Salmi, CXLVI, 10.
3 BL
il principio (B.
(51-2])
continuano
non
eredi
attribuendo
delle parole
seguenti
(W.
(L.
II, 274)
583)
procedere
di questo: Giunta,
il séguito
di Sebasto. (GI
880
1561,
oggi
ad
altro
perché
assai
IX,
958.
a Coribante.
II, 2409-50)
(G.?
Ma
cfr.
II, 2609-70).
DIALOGO
PRIMO
per il presente abbiamo inteso; oltre che vedi esser tempo
di cena, e la materia richiede più lungo discorso. Per tanto piacciavi (se cosi pare anco al Coribante) di rivederci domani per la elucidazione di questo proposito; ed io menarò meco Onorio, il quale si ricorda d’esser stato asino, e però è a tutta divozione pitagorico; oltre che ha de grandi proprii discorsi con gli quali forse ne potrà far capaci di qualche proposito. Saulino.
Sarà
bene,
e lo desidero;
perché
lui alleviarà
la mia fatica. Coribante. Ego quoque huic adstipulor sententiae, ed è gionta l'ora, in cui debbo licenziar gli miei discepoli, a fin che propria
revisant hospitia,
proprios
lares.
Anzi,
st lubet,
per sin tanto che questa materia fia compita!, quotidianamente io m'’offero pronto in queste ore medesime farmi qua
vosco
presente.
Saulino. Ed io non mancarò Sebasto. Usciamo dunque. Fine
1
(B.
(GL
(52-3]))
=
L:
(W.
del
compila;
II,
274-5)
primo
G?:
competa
(L. 593-4)
851
di far il medesimo.
dialogo.
(per evidente
errore
(G.I
(G2
II,
250)
tipogr.).)
II,
270-1).
DIALOGO
SECONDO
INTERLOCUTORI Sebasto,
Onorio 1, Coribante,
Saulino.
Sebasto. E tu ti ricordi d'aver portata la soma? Onorio.
La
soma,
la carga?,
e tirato
il manganello3
qualche volta. Fui prima in serviggio d'un ortolano, aggiutandolo a portar lettame 4 dalla cittade di Tebe a l’orto vicino le mura,
ed a riportar
poi cauli, lattuche,
cipolle 5,
cocumeri, pastinache, ravanelli ed altre cose simili dall’orto alla cittade. Appresso ad un carbonaio, che mi comprò da quello, ed il qual pochissimi giorni mi ritenne vivo. Sebasto. Come è possibile ch'abbi memoria di questo? Onorio. Ti dirò poi. Pascendo io sopra certa precipitosa e sassosa ripa, tratto dall’avidità d'addentar un cardo 1 Il nome
asino
malvagio,
SPAMPANATO, suffisso
di Onorio è scelto dal B. ad arte, quasi per significare daédvog
0. ©., p. 44),
derivativo.
e rio
(Cfr.
noti
che
se non
Comunque,
si
è da
BaRTHoLMÈss,
ritenere in
una
-rio per delle
II,
111;
semplice
sue
‘ tra-
scorporazioni ’ l’anima di Onorio aveva pur dato vita ad Aristotele,
che,
dirà il B. qui appresso
a p. 893, aveva
« malamente
mente » riportato le dottrine dei filosofi naturali, aveva perversamente,
pare
delirato»
ecc.
* T. che si trova ne' rimatori antichi. 3 Strettoio, oppure specie di macchina voglia
alludere
4 F. erronea n. 2. 5 BW:
cauli,
Onorio,
adoperata lattuche,
perché
anche
cipolle;
guerresca,
si ricorda
ne’
LGV:
Dialoghi cauli,
di
e sciocca-
«insegnato
averla
alla
metafisici,
quale
tirata.
p.
502,
cipolle.
{B. [53-4]) (W. IT, 275) (L. 584) (G.! IL [251]) (G.* II, [272)). 882
DIALOGO
SECONDO
ch'era cresciuto alquanto più giù verso il precipizio, che io senza periglio potesse stendere il collo, volsi al dispetto d’ogni rimorso di conscienza ed instinto di raggion naturale più del dovero rampegarvi; e caddi da l'alta rupe; onde il mio signore s'accorse d'avermi comprato per gli corvi. Io privo de l'ergastulo corporeo dovenni vagante spirto
senza
condo
la
membra;
spiritual
e venni
sustanza,
a considerare non
ero
come
differente
io, se-
in
geno,
né in specie da tutti gli altri spiriti che dalla dissoluzione de altri animali e composti
corpi transmigravano;
e viddi
come la Parca non solamente nel geno della materia corporale fa indifferente il corpo dell’uomo da quel de l’asino ed il corpo
z'anima;
ma
de gli animali
ancora
dal corpo
nel geno
di cose stimate
della materia spirituale
rimaner indifferente l’anima asinina da l’umana, che
constituisce
gli detti
in tutte le cose: come
animali,
da
quella
che
sen-
fa
e l’anima si trova
tutti gli umori sono uno umore
in
sustanza, tutte le parti aeree son un aere in sustanza, tutti
gli spiriti sono dall’Anfitrite d’un spirito, ed a quello ritornan tutti. Or dopo che qualche tempo' fui trattenuto in cotal stato, ecco che Leithaeum ad fluvium Deus evocat agmine magno, Scilicet immemores supera ut convexa revisant,
Rursus
et incipiant in corpora velle reverti 1,
Allora, scampando io da' fortunati campi, senza sorbir de l’onde del rapido Lete, tra quella moltitudine di cui era principal guida Mercurio, io feci finta de bevere di quel1 VirciLIO, Aen., VI, 749-51. Cfr. appresso gli Er. Furorî, 944, e il De rerum principiis, in Opera, III, 551. Cir. anche Tocco, Le opp. lat., p. 390.
(B. [54-5]) (W. II, 275-6) (L. 584-5) (G.t II, [251]-2) (G-2 IL [272)-3). 883 60
-—
G.
Bruno,
Dialoghi
italiani
CABALA
DEL
CAVALLO
PLEGASEO
l'umore in compagnia de gli altri: ma non feci altro ch’accostarvi
e toccarvi
con
le labbra,
a fin
che
venessero
in-
gannati gli soprastanti a' quali poté bastare ”di vedermi
la bocca! e '1 mento bagnato, Presi il camino verso l’aria più puro ? per la porta Cornea 3, e lasciandomi a le spalli e sotto gli piedi il profondo, venni a ritrovarmi nel Parnasio monte,
il qual
non
è favola
che
per
il suo
fonte
Caballino
sia cosa dal padre Apolline consecrata alle Muse sue figlie 4. Ivi per forza ed ordine
del fato tornai
ad essere asino, ma
senza perdere le specie intelligibili, delle quali non rimase vedovo e casso il spirito animale, per forza della cui virtude m'’uscirno da l'uno e l'altro lato la forma e sustanza de due ali sufficientissime ad inalzar in sino a gli astri il mio corporeo pondo s. Apparvi e fui nomato non asino già semplicemente,
ma
o asino
volante,
o ver
cavallo
Pegaseo.
Indi
fui fatto exequitor de molti ordini del provido Giove, servii a Bellerofonte, passai molte celebri ed onoratissime fortune, ed alla fine fui assumpto in cielo circa gli confini d’Andromeda ed il Cigno d’un canto, e gli Pesci ed Aquario da l’altro. Sebasto. Di grazia, rispondetemi alquanto, prima che mi facciate intendere queste cose pit per il minuto. Dunque, per esperienza e memoria del fatto estimate vera l’opinion ! GI: boca. ? Aria, comesi
scolino.
3 VirciLIo,
Sunt
Aen.,
geminae
Cornea, 4 Cfr.
5 Nello
intorno
OvipIo,
qua
Spaccio,
all'origine
è sopra avvertito (p. 629, n. 2), in B. è maVI,
893-4:
Somni
Metamm., del
portae;
quarum. altera fertur
veris facilis datur exitus umbris.... p.
710,
Pegaso:
V,
fu
250
Sgg.
invece
cfr.
accennato
OvipIo,
il mito
Metamun.,
V,
genuino
250.
(B. [s5-6]) (W. IL, 276) (L. 585) (G.! II, 252-3) (G.2 II, 273-4). 884
DIALOGO
de’
Pitagorici,
quella
Druidi,
continua
SECONDO
Saduchimi*
metamfisicosi 2,
transcorporazione
ed cioè
altri
simili,
circa
transformazione
e
de tutte l’anime?
Spiritus eque feris humana in corpora transit, Inque feras noster, nec tempore deperit ullo 3.
Onorio.
Messer
si, cossi
Sebasto. Dunque,
è certissimamente.
constantemente
vuoi che non sia altro
in sustanza l’anima de l’uomo e quella de le bestie? e non differiscano
se non
in figurazione?
Onorio. Quella de l'uomo è medesima in essenza specifica e generica con quella de le mosche, ostreche marine e piante, e di qualsivoglia cosa che si trove animata o abbia anima: come non è corpo che non abbia o più o meno vivace- e perfettamente communicazion di spirito in se stesso. Or cotal spirito, secondo il fato o providenza, ordine o fortuna, viene a giongersi or ad una specie di corpo, or ad un’altra; e secondo la raggione della diversità di complessioni e membri, viene ad avere diversi gradi e perfezioni d'ingegno ed operazioni. Là onde quel spirito o anima che era nell'aragna, e vi avea quell’ industria e quelli artigli
simo,
e membra
gionto
telligenza,
in tal numero,
quantità
alla prolificazione
altri
instrumenti,
umana,
attitudini
e forma;
acquista ed
atti.
mede-
altra inGiongo
a
questo che, se fusse possibile, o in fatto si trovasse che d’un serpente il capo si formasse e stornasse in figura d'una 1 Per
duchimi
o
i Druidi
Saducei,
e Luca, IX, 16. 2 Sull'erronca
n. I.
3 Ovipio,
(B.
[56-7]))
(W.
cir.
CESARE,
MaTTEO,
formazione
Afetammi.,
II, 276-7)
XV,
De
bello gallico,
Evang.,
XVI,
di questa
parola
14,
VI,
14;
Marco,
vedi
sopra,
per
VII,
p.
i Sa28,
776,
167-8.
(L. 585-6)
835
(G.t II, 253-4)
(G.? II, 274-5).
CABALA
DEL
CAVALLO
PEGASEO
testa umana, ed il busto crescesse in tanta quantità quanta può contenersi nel periodo di cotal specie, se gli allargasse la lingua, ampiassero le spalli, se gli ramificassero le braccia e mani,
ed al luogo
ingeminarsi
dove
le gambe;
è terminata
intenderebbe,
rebbe,
parlarebbe,
oprarebbe
mente
che
l’uomo;
perché
Come,
per
il contrario,
pente,
se
venisse
coda,
non
l’uomo
a contraere,
e
andassero
apparirebbe,
caminarebbe
sarebbe non
sarebbe
come
dentro
spira-
non
altro
ad
altri-
che
uomo.
altro
che
ser-
un
ceppo,
le
braccia e gambe, e l’ossa tutte concorressero alla formazion d'una spina, s’ incolubrasse ! e prendesse tutte quelle figure de membri ed abiti de complessioni =. (Allora arrebe più o men vivace ingegno; in luogo di parlar, sibilarebbe; in. luogo di caminare, serperebbe; in luogo d’edificarsi palaggio, si cavarebbe un pertuggio; e non gli converrebe
la stanza, ma la buca; e come già era sotto quelle, ora è sotto
dal
queste
membra,
medesimo
trazion
instrumenti,
artefice
di materia
potenze
diversamente
e da
diversi
ed
inebriato
organi
atti:
come
dalla
con-
armato,
appaiono
exercizii de diverso ingegno e pendeno execuzioni diverse. Quindi possete capire esser possibile che molti animali possono
aver
più ingegno
e molto
maggior
lume
d'’ intel-
letto che l’uomo (come non è burla quel che proferi Mosè del serpe, che nominò sapientissimo tra tutte l’altre bestie de la terra) 3; ma per penuria d’ instrumenti gli viene ad essere inferiore, come quello per ricchezza e dono de me1 Derivato dal termine poetico colubro (v. sopra, p. 706) e forse
formato dal B. medesimo. ® Reminiscenza di Ovipio (Laf., XXV, 01-135).
(Metamm.,
IV,
3 «Sed et serpens erat callidior cunctis fecerat dominus Deus »: Genesi, II_ 1.
(B.
[s7-8])
(W.
IL
277)
(L.
580)
886
(G.t
II,
563-603)
animalibus
254)
(G.
e di DANTE terrae,
II,
quae
275-0).
DIALOGO
SECONDO
desimi gli è tanto superiore. E che ciò sia la verità, considera
un
poco
al sottile,
ed
essamina
entro
a
te
stesso
quel che sarrebe, se, posto che l'uomo avesse al doppio d’ ingegno che non ave, e l’ intelletto agente gli splendesse tanto più chiaro che non gli splende, e con tutto ciò le mani
gli venesser transformate in forma de doi piedi, rimanendogli .tutto
l'altro
nel
suo
ordinario
intiero;
dimmi,
dove
potrebbe impune esser la conversazion de gli uomini? Come potrebero instituirsi e durar le fameglie ed unioni di costoro parimente, o più, che de cavalli, cervii, porci, senza esserno devorati da innumerabili specie de bestie, per essere in tal maniera suggetti a maggiore e più certa ruina? E per conseguenza dove sarrebono le instituzioni de dottrine, le invenzioni de discipline, le congregazioni de cittadini, le strutture de gli edificii ed altre cose assai che significano la grandezza ed eccellenza umana, e fanno l'uomo trionfator veramente invitto sopra l'altre specie? Tutto questo, se oculatamente guardi, si referisce non tanto
principalmente al dettato de l'ingegno, della mano, organo de gli organi !, Sebasto.
a quello
Che dirai de le scimie ed orsi che, se non
dir ch' hanno la mano ? Onorio.
quanto
mano,
Non
non
hanno
hanno tal
vuoi
peggior instrumento
complessione
che
possa
che esser
capace di tale ingegno; perché l’'universale intelligenza in simili e molti altri animali per la grossezza o lubricità della
material
complessione
non
può
imprimere
tal forza
di sentimento in cotali spiriti. Però la comparazion fatta si 1 Celebre
xelo
detto
dpyravév
tot
di
ARISTOTELE,
dpydvwv.
De
anima,
III,
8,
432
a
1:
(B. 58-9]) (W. II, 277-8) (L. 586-7) (G.t II, 254-5) (G3 II 276). 887
CABALA
DEL
deve intendere nel geno Sebasto.
CAVALLO
PEGASEO
de’ più ingegnosi
Il papagallo
non
ha
animali.
egli l'organo
attissimo
a
proferir qualsivoglia voce articulata? Or perché è tanto duro e con tanta fatica può parlar sf poco, senza oltre intendere quel che dice? Onorio. Perché non ha apprensiva, retentiva adequabile
e congenea a quella de l’uomo, ma tal quale conviene alla sua specie; in raggion della quale non ha bisogno ch'altri gl’ insegne mento
di volare,
dal
veleno,
cercare
il vitto,
generare,
nidificare,
e riparar alle ingiurie del tempo, sitadi della vita non
men
facilmente che l'uomo. Sebasto. Questo dicono
distinguere
bene,
il nutri-
mutar
abitazioni,
e provedere
alle neces-
e tal volta meglior-
li dotti
non
e più
esser per intelletto
o per discorso, ma per istinto naturale.
Onorio.
Fatevi
dire
da
cotesti
dotti:
cotal
instinto
naturale è senso o intelletto ? Se è senso, è interno o esterno ? Or non essendo
esterno,
qual senso interno
come
hanno
è manifesto,
le providenze,
dicano
secondo
tecne ', arti, pre-
cauzioni ed ispedizioni circa l’occasioni non solamente presenti,
ma
ancora
Sebasto.
Son
future,
mossi
megliormente
da l'intelligenza
che
non
l’uomo.
errante.
Onorio. Questa, se è principio naturale e prossimo applicabile all’ operazione prossima ed individuale, non può essere universale ed estrinseco, ma particolare ed intrinseco, e per consequenza potenza dell'anima e presidente nella poppa di quella.
Sebasto. Non volete dunque versale che muove? I Techua,
(B.
[59-60])
ae
(W.
(tihmwy): II, 278-9)
che sia l' intelligenza uni-
artifizio. (L. 587-8)
888
(G.t
II, 255-6)
(G.2
II, 276-7).
DIALOGO
Onorio.
Dico
che
SECONDO
la intelligenza
una de tutti! e quella muove
efficiente
e fa intendere;
universale ma,
è
oltre, in
tutti è l’ intelligenza particulare, in cui son mossi, illuminati ed intendono; e questa è moltiplicata secondo il numero de gli individui. Come la potenza visiva è moltiplicata
secondo
il numero
generalmente
da
un
de gli occhi,
fuoco,
da
un
mossa
lume,
ed illuminata
da un
sole:
cossi
la potenza intellettiva è moltiplicata secondo il numero de suggetti partecipi d'anima, alli quali tutti sopra splende un sole intellettuale. Cossf dunque sopra tutti gli animali è un senso agente, cioè quello che fa sentir tutti, e per cui tutti
son
sensitivi
in atto;
ed
uno
intelletto
agente,
cioè
quello che fa intender tutti, e per cui tutti sono intellettivi in atto; ed appresso son tanti sensi e tanti particolari = intelletti passivi o possibili, quanti son suggetti: e sono secondo tanti specifici e numerali gradi di complessioni, quante sono le specifice 3 e numerali figure e complessioni di corpo.
Sebasto. Dite quel che vi piace, ed intendetela come volete; ché io negli animali non voglio usar di chiamar quello instinto raggionevole intelletto. Onorio. Or se non lo puoi chiamar senso, bisogna che ne gli animali,
oltre la potenza
sensitiva
ed intellettiva,
fingi
qualch'altra potenza cognoscitiva. Sebasto. Dirò ch'è un'efficacia de sensi interiori. Onorio. Tal efficacia possiamo4 ancor dire che sia lo intelletto 1 B:
umano; sopra
onde
splende;
* G!: particulari.
3 BL: specifice; WGI: 4 (G! = L: possiamo; (B.
[60-1])
(W.
II,
279)
naturalmente WLG!:
discorre
l’uomo,
ed
è
soprasplende.
specifiche. G?; possiam) (L.
588)
(G.
889
II,
256-7)
(G.2
II,
277-8).
C:1BALA
DEL
CAVALLO
PEGASEO
in nostra libertà di nominar come ci piace e limitar le diffinizioni e nomi a nostra posta, come fe’ Averroe. Ed anco è in mia libertà de dire che il vostro intendere non è intendere, e qualunque cosa che facciate, pensare che non sia per intelletto, ma per instinto; poiché l’operazioni! de altri animali più degne che le vostre (come quelle dell’api e de le formiche) non hanno nome d' intelletto ma d' instinto. O pur dirò che l’instinto di quelle bestiole è più degno che l’ intelletto vostro. Sebasto. Lasciamo per ora de discorrere più ampiamente circa questo, e torniamo a noi. Vuoi dunque che come d'una medesima cera o altra materia si formano diverse
e contrarie
figure,
cossi
di medesima
porale si fanno tutti gli corpi, spirituale sono tutti gli spiriti? Onorio.
Cossi certo;
materia
e di medesima
e giongi
a questo
cor-
sustanza
che per diverse
raggioni, abitudini, ordini, misure e numeri di corpo e spirito sono diversi temperamenti, complessioni, si producono diversi organi ed appaiono diversi geni de cose. Sebasto. Mi par che non è molto lontano, né abborrisce
da questo parere quel profetico dogma, quando dice il tutto essere in mano dell’universale efficiente, come la medesima luta ? in mano del medesimo figolo 3, che con la ruota di questa vertigine de gli astri viene ad esser fatto e disfatto secondo le vicissitudini della generazione e corrozione
delle
cose,
or
vase
di medesima pezza. Onorio. Cossî hanno 1 Gl; l'operazion.
? Cfr.
3 Vedi (B.. [61-2))
sopra,
p.
(\W.
835,
p.
604,
inteso
e ivi,
e ivi, n.
II, 279-80)
onorato,
2.
n.
or
vase
e dechiarato
contumelioso
molti
de più
2.
(L. 588-0)
890
(G.!
II, 257)
(G.2
II, 278-0).
-
DIALOGO
SECONDO
savii tra gli rabini. Cossi par ch' intendesse colui che disse: uomini e giumenti salverai secondo che
moltiplicarai
la
misericordia;
cossf
si fa chiaro nella metamorfose di Nabuchodonosor !. Quindi dubitorno alcuni Saduchimi
non
già per medesimo
corpo,
un altro corpo. In cotal prometteno l’execuzione affetti ed atti ch’ hanno Sebasto. Di grazia, perché
pur
troppo
mi
del Battista, se lui fusse Elia =,
ma
per medesimo
spirito in
modo di resuscitazione alcuni si della giustizia divina secondo gli exercitati in un altro corpo. non raggioniamo più di questo,
comincia
a piacere
e parermi
più
che verisimile la vostra opinione; ed io voglio mantenermi in quella fede nella quale son stato instrutto da miei progenitori e maestri 3. E però parliate de successi istorici, o favoleschi,
o metaforici,
e lasciate star le demostrazioni
ed autoritadi, le quali credo che sono piti tosto storciute da voi che da gli altri. Onorio.
Hai
buona
raggione,
fratel mio.
Oltre che con-
viene ch'io torne a compire quel ch’avevo cominciato a dirti, se non dubiti che con ciò medesimamente non ti vegna a sobvertere intemerata. Sebasto.
Non
l'ingegno
nona,
e perturbar
certo,
questo
la
ascolto
conscienza più
volen-
tieras che mai posso aver ascoltata favola alcuna. Onorio. Se dunque non m'ascolti sotto specie di dottrina e disciplina, ascoltami per spasso. I Salmi, XXXV, 7-83. Per Nabuchodonosor in DANIELE, è Matteo, Evaug., XI, 14; Luca, Evang., I, 17. 3 Cfr. sopra la n. 1 a p. 559.
4 BL:
5 Vedi,
Non
nel
non; De
WG!:
No,
l'infinito,
p.
no.
55,
E.cosi
e ivi,
anche n.
1.
più
IV,
30.
giù.
(B. [62-3]) (W. II, 290) (L. 589) (G.* II, 257-8) (G II, 279). 891
CABALA
DEL
CAVALLO
PEGASLO
Seconda parte del dialogo. Sebasto. gnono ?
Ma
non
vedete
Saulino
e Coribante
che
ve-
Onorio. È ora che doveano esser venuti. Meglio il tardi che
mai,
Saulino.
Coribante. Si tardus adventus, citior expeditio. Sebasto. Col vostro tardare avete persi de bei propositi,
quali desidero che siano replicati da Onorio. Onorio.
Non,
di grazia,
perché
mi
rincrescerebbe;
ma
seguitiamo il nostro proposito, perché quanto a quello che sarà bisogno de riportar oltre, ne raggionarremo privatamente con essi a meglior comodità, perché ora non vorrei interrompere il filo del mio riporto. Saulino.
Sf, si; cossi
sia. Andate
pur
seguitando.
Onorio. Or essendo io, come ho già detto, nella region celeste in titolo di cavallo Pegaseo, mi è avvenuto per ordine del fato, che per la conversione alle cose inferiori (causa di certo affetto, ch'io indi venevo
molto
bene
vien
descritta
dal
ad acquistare,
platonico
la qual!
Plotino),
come
inebriato di nettare, venea ? bandito ad esser or un filosofo,
or un poeta, or un pedante, lasciando la mia imagine in cielo; alla cui sedia a tempi a tempi delle trasmigrazioni ritornavo, riportandovi la memoria delle specie le quali nell’abitazion corporale avevo acquistate; e quelle medesime, ‘come in una biblioteca,
lasciavo là quando
accadeva
ch’ io dovesse ritornar a qualch’altra terrestre abitazione.
(B.
1 Enneade,
® BL:
IV,
lib.
8.
venea;
WG®:;
(63-4))
(W.
II, 280-1)
venia. (L. 589-90)
892
(G.!
II, 258-9)
(G.? II, 280).
DIALOGO
SECONDO
Delle quali specie memorabili le ultime son quelle ch’ ho cominciate a imbibire a tempo della vita de Filippo macedone, dopo che fui ingenerato dal seme de Nicomaco,
come
si crede. Qua, appresso esser stato discepolo d'Aristarco, Platone ed altri, fui promosso col favor di mio padre, ch'era consegliero di Filippo, ad esser pedante d’Alexandro Magno: sotto il quale,
benché
erudito
molto
bene
nelle umanistiche
scienze, nelle quali ero più illustre che tutti li miei predecessori,
come
entrai
in
presunzione
d'esser
è ordinario nelli pedanti
presuntuosi;
morto
maniere
dispersi,
politico,
d’esser sempre
naturale,
temerarii
e
e con ciò, per esser estinta la cognizione della
filosofia,
facilmente
filosofo
Socrate,
bandito
rimasi
io
possevi 1 aver
logico,
ma
Platone,
solo
lusco
riputazion
ancora
de
ed altri
intra
non
filosofo.
gli
in altre ciechi;
e
sol di retorico,
Cossi
malamente
e
scioccamente riportando le opinioni de gli antiqui, e de maniera tal sconcia, che né manco gli fanciulli e le insensate vecchie parlarebono ed intenderebono come io introduco quelli galant’uomini intendere e parlare 2, mi venni ad intrudere come riformator di quella disciplina della quale io non avevo notizia alcuna. Mi dissi principe de’ peripatetici: insegnai in Atene nel sottoportico Liceo: dove, secondo il lume, e per dir il vero, secondo
le tenebre
che regnavano in me, intesi ed .insegnai perversamente circa la natura de li principii e sustanza delle cose, delirai più che l'istessa delirazione circa l'essenza de l’anima, nulla
moto
possevi
e de l'universo;
I Come
? Cir.
(B.
comprendere
[64-5])
pi
De
(W.
la
giù,
II, 281)
dritto
circa la natura
ed in conclusione
e vale:
Causa,
per
p.
potei.
325
e
son
Vedi
sopra,
(G
II, 259-60)
ivi
(L. 590-1)
893
n.
2.
p.
del
fatto quello
837,
e ivi,
n.
1.
(G.= II, 280-1).
CABALA
DEL
CAVALLO
PEGASEO
per cui la scienza naturale e divina è stinta ! nel bassissimo della ruota, come in tempo de gli Caldei e Pitagorici è stata in exaltazione. Sebasto. Ma pur ti veggiamo esser stato tanto tempo in admirazion del mondo; e tra l’altre maraviglie è trovato un certo Arabo ch’ ha detto la natura nella tua produzione aver fatto l'ultimo sforzo, per manifestar quanto pit terso, puro, alto e verace ingegno potesse stampare *; e generalmente sei detto demonio della natura. Onorio. Non sarebbono gli ignoranti, se non fusse la fede; e se non la fusse, non sarebbono
le vicissitudini
delle
1 (L’Amerio osserva: «se non è guasto per ‘ spinta *, varrebbe: distinta, segnata ». Ma non è guasto, e vale «estinta ».} 2 Nel Parere del sig. LIONARDO DI CAPOA, divisato in otto ragio-
namenti
ne’
quali
partitamente
narvrandosi
Vano
immaginator
d'ombre
l'origine
e
"I progresso
della medicina, chiaramente l'incertezza della medesima si fa manifesta (In Cologna, MDCCXIV, vol. IT, p. 181) è pur detto: «Quindi appare, quanto grande stata si sia la tracotanza di quel miscredente arabo
d’Averroè,
io
dico,
il quale,
privo
e di fole,
affatto
d' intendimento,
ardi
a
dire esser Aristotile la forma e l’idea a noi proposta dalla natura per maraviglia di tutti i secoli, e per additarne l’ultimo sforzo e l’intero compimento d'ogni umana perfezione; e che egli venne a noi conceduto dall’eterna providenza per nostro aiuto; nelle cui opere non s’ è potuto per lo travalicamento di quindici secoli error
alcuno
ritrovare;
e in fine ch'a miracolo
Natura anzi
tanto
stotile
solo
s'avanzò
voler
il fece,
oltre
dare
la
intéra
e poi ruppe follia
la stampa;
d'Averroè
credenza
infra
che
tutti
disse,
sé
gli altri
ad
Ari-
uomini
del mondo, E né meno eccettuonne il santissimo profeta Moisè: qualor disse aver Moisè dette molte cose, ma niuna provata; al che
aggiugner volle, per tacer d'altro, quell'altra bestemmia, che coloro i quali affermano Iddio ritrovarsi per tutto, sian fanciulli, e che
distruggano e mandino a terra l'ordine tutto delle cagioni naturali ».
Sull'ammirazione
del
filosofo
arabo
per
Aristotele,
n. 2, e vedi ReNAN, Averroòs et l'averroisme?, pp. zioni del B. con lui, Tocco, Le fonti, pp. 27-9.
(B.
[65-6])
(W.
TI,
281)
(L.
591)
894
(G.t
II,
260-1)
54-6;
(G.2
cfr.
per
II,
p.
446,
le rela-
28r-2).
DIALOGO
SECONDO
scienze e virtudi, bestialitadi ed inerzie ed altre succedenze de contrarie impressioni, come
del fervor Sebasto. de l’anima ho letti e
son de la notte ed il giorno,
de l’estade e rigor de l’ inverno. Or per venire a quel ch'appartiene alla notizia (mettendo per ora gli altri propositi da canto), considerati que’ tuoi tre libri! nelli quali parli
più balbamente,
che possi mai da altro balbo essere inteso;
come ben ti puoi accorgere di tanti diversi pareri ed estravaganti intenzioni e questionarii, massime circa il dislacciar e disimbrogliar quel che ti vogli dire in que’ confusi e leggieri propositi, gli quali se pur ascondono qualche cosa, non può esser altro che pedantesca o peripatetica levitade. Onorio.
Non
è maraviglia,
fratello;
atteso
che
non
può
in conto alcuno essere, che essi loro possano apprendere il mio intelletto circa quelle cose nelle quali io non ebbi intelletto:
o che
vagliano
trovar
construtto
o argumento
circa quel ch'io vi voglia dire, se io medesimo non sapevo quel che mi volesse dire. Qual differenza credete voi essere tra costoro e quei che cercano le corna del gatto e gambe de
l’anguilla? Nulla
certo. Della
qual
cosa
precavendo*
ch'altri non s'accorgesse, ed io con ciò venesse ad perdere la riputazion di protosofosso, volsi far de maniera, che chiunque mi studiasse nella natural filosofia3 (nella qual fui e mi sentivi4 a fatto ignorantissimo), per inconveniente o confusion che vi scorgesse, se non avea qualche lume
d' ingegno,
dovesse
pensare
e credere ciò non
essere
1 I tre libri De anima, nell’ interpretazione dei quali maggiori sono state le difficoltà e le divergenze tra i commentatori di Aristotile,
® Dal lat. praecaveo, es: star in guardia, usar cautela, prevenire. 3 Cioè,
4 Sentii.
(B.
[66-7])
sugli otto V.
(W.
sopra,
II,
libri De p.
281-2)
893,
(L.
pAysica
auscultatione.
e ivi,
n.
591)
(G.1
895
1.
II,
261)
(G.*
IT,
282-3).
CABALA
DEL
CAVALLO
PEGASEO
la mia intenzion profonda, ma più tosto quel tanto che lui, secondo la sua capacità, posseva da gli miei sensi superficialmente comprendere. Là onde feci che venesse publicata
quella
Lettera
ad
Alexandro!,
dove
protestavo gli libri fisicali esser messi in luce, come non messi in luce. Sebasto. E per tanto voi mi parete aver isgravata la vostra
conscienza;
ed
hanno
torto
questi
tanti
asinoni
a
disporsi di lamentarsi di voi nel giorno del giudicio, come di quel che l’ hai ingannati e sedutti, e con sofistici apparati divertiti dal camino di qualche veritade che per altri principii e metodi. arrebono possuta racquistarsi. Tu l’ hai pure insegnato quel tanto ch'a diritto doveano pensare: che se tu hai publicato, come non publicato, essi, dopo averti avevi
letto,
denno
pensare
cossf scritto, come
di
non
non
averti
letto,
avessi scritto:
come
talmente
tu quei
cotali ch' insegnano la tua dottrina, non altrimente denno essere ascoltati che un che parla come non parlasse. E finalmente
né
a voi
deve
più
essere
atteso,
che
come
ad
un
che raggiona e getta sentenza di quel che mai intese. Onorio. Cossi è certo, per dirti ingenuamente come l’ intendo al presente. Perché nessuno deve essere inteso più ch'egli medesimo mostra di volersi far intendere; e non doviamo andar perseguitando con l'intelletto color che fuggono il nostro intelletto, con quel dir che parlano certi per enigma o per metafora, altri perché vuolen che non l’intendano gl’ignoranti, altri perché la moltitudine non le spreggie, altri perché le margarite non sieno calpe! Vedila in ARISTOTELE,
XX, 5).
Fragmenta,
ed. Rose, n. 612 (ap. GELLIO,
{B. [67-8]) (W. LI, 282-3) (L. 591-2) (G.1 II, 261-2) (G.? II, 283-4). 896
DIALOGO
porci;
siamo
SECONDO
strate
da
dovenuti
a tale
fauno,
malenconico 2, embreaco 3 ed
ch’ogni
infetto
satiro,
d’atra
bile,
in
contar sogni e dir de pappolate senza construzione e senso
alcuno, ne vogliono render suspetti ed profezia grande, de recondito misterio, de alti secreti ed arcani divini da risusci-
tar morti, da pietre filosofali ed altre poltronarie da donar volta a quei ch' han poco cervello, a farli dovenir al tutto pazzi con giocarsi il tempo, l'intelletto, la fama e la robbas,
e spendere sf misera- ed ignobilmente il corso di sua vita. Sebasto.
La
intese
bene
un
certo
mio
amico;
il quale,
avendo non so se un certo libro de profeta enigmatico o d’altro, dopo avervisi su lambiccato alquanto dell’umor del capo, con una grazia e bella leggiadria andò a gittarlo nel
cesso,
dicendogli!
esser
—
inteso;
dere ;sbdîs
io
Fratello,
— e soggionse
non
ti
ch’andasse
tu
non
voglio
vois inten-
con cento diavoli,
e lo lasciasse star con fatti suoi in pace. Onorio. E quel ch' è degno di compassione e riso, è che su questi editi libelli e trattati pecoreschi vedi dovenir attonito
Salvio 6, Ortensio
impallidito zito
Cammaroto,
Gregorio 7,
melanconico,
invecchiato
abstratto
smagrito
Serafino,
Ambruogio,
Reginaldo,
gonfio
impaz-
Bonifacio 8;
1 Cfr. Diall. Met., pp. 36 (ivi, n. 3) e 135; Diall. Mor., p. 634, n. 2.
® Più
lancolico.
giù:
melanconico;
a pp.
1020
e
1057:
malencolico,
ma-
3 È il napoletanismo incontrato già nello Spaccio, p. 790, e ivi, n. 3.
4 Vedi, per una forma somigliante, Card.?, p. 31, n. 5 BL: voi; IVG!: vuoi. Ma B. accanto a vuoi usa voi, è notato nel Cand.?, p. LV.
2. come
si
5 6is (« Bruno cita il motto attribuito a san Gerolamo o sant'Ambrogio....: Sî mon vis intelligi, non debes legi» (Amerio).) 6 BWLG!: Silvio; ma cfr. Spamp., Vita, p. 248, n. 1. 7 BWLG!: Giorgio: 8 Tutti domenicani
(B.
[68-9))
(W.
IT,
ma cir. Vita, p. c., n. 2. regnicoli, vecchie conoscenze
283)
(L. 502)
897
(G.'
II,
262-3)
(G.2
del
II,
B.,
del
284).
CABALA
DEL
CAVALLO
ed il molto reverendo Don finita
e
nobil
PEGASEO
Cocchiarone :,
maraviglia?,
della sua sala, dove,
rimosso
pien
d’in-
sen va per il largo
dal rude ed ignobil volgo,
se
la spasseggia; e rimenando or quinci, or quindi de la litteraria sua toga le fimbrie, rimenando or questo, or quell'altro piede, rigettando or vers'il destro, or vers' il sinistro fianco il petto,
con il texto
commento
sotto l’ascella,
e con gesto di voler buttar quel pulce, ch' ha tra le due prime
dita, in terra, con la rugata fronte cogitabondo,
erte ciglia ed occhi arrotondati, in gesto d’un uomo
con
forte-
convento di S. Domenico di Napoli. Lo SPAMP. (Postille, pp. 465-6, e Vita, pp. 248-50) li ha potuti identificare: fra Ambrogio Salvio da Bagnoli, dottore in teologia, provinciale dal 1559 al 61, eletto da Pio V vescovo di Nardò e suo predicatore particolare; frate Giambattista Ortensio da Campagna, predicatore di grido; fra Serafino Maio da Napoli, lettore di teologia, e due volte reggente dello
Studio
logo,
metafisico,
1589),
tenuto
Ambrogio com'egli
di
S.
Domenico;
a’ suoi
Pasqua
stesso
tempi
reggente
(m.
ricordò
nel a
frate
per
uno
1594),
da
dello
Antonino
dei
Studio,
Venezia,
cui
e poi
da
luminari
Camerota
visitatore;
il Bruno
ammesso
(m.
dell'ordine, fu
il
p.
nel
teo-
maestro
vestito,
allo
Studio
for-
male di Napoli a preferenza di qualsiasi altro (SPAMP., Vita, pp. 697 e 174); fra Gregorio da Bagnoli, provinciale; fra Reginaldo Accetto (m. nel 1590) da Massalubrense, teologo e grammatico. 1 Cfr. Spaccio, p. 796: «La Libertà di spirito a cui talvolta amministra il Monachismo (non dico quello de cocchiaroni)». Il LacaRDE (p. 788) immagina che Don Cocchiarone debba essere il nomignolo scherzoso del priore del convento, in cui una volta visse il B.; ma oppone lo SPaMP. (Vifa, p. 250) che « don Cocchia-
rone, perché ha il titolo di ‘ molto reverendo ', può essere il soprannome soltanto d'un provinciale, forse di fra Domenico Vita; non
mai
quello
rone
d'un
priore ». Pel significato di scherno
si possono
rileggere i versi di Manfurio,
di
Cocchia-
del Cand.2,
p. 87:
Asello auriculato, indocto al tutto, In nullo ludo litterario înstructo; Di fave cocchiaron, gran maccarone
Cha
2 È
Fama.
un
verso
l'oglio fusti posto
del Petrarca, -
a infusione.
il I del cap.
II del
Trionfo
della
(B. [69]) (W. II, 283) (L. 592-3) (G.1! II, 263) (G.2 II, 284-5). 898
DIALOGO
SECONDO
mente! maravigliato, conchiudendola con un grave cd emfatico suspiro, farà pervenir a l’orecchio de circonstanti questa sentenza: Huc usque alti philosophi non pervenerunt. Se si trova in proposito di lezion di qualche libro composto da qualche energumeno o inspiritato, dove non è espresso e donde non si può premere più sentimento che possa ritrovarsi in un spirito cavallino, allora per mostrar d'aver dato sul chiodo, exclamarà: — 0 magnum mysterium!
—
Se
per avventura
l’onor
e facultà
si trovasse
un
libro
de
—
Sebasto. Non più, di grazia, di questi propositi delli quali siamo pur troppo informati; e torniamo al nostro proposito. Coribante. Ita ita, sodes. Fatene intendere con qual ordine e maniera avete repigliata la memoria la qual perdeste nel supposito peripatetico ed altre ipostatiche sussistenze. Onorio. Credo aver detto a Sebasto, che quante volte io migravo dal corpo, prima che m' investisse d'un altro, ritornavo a quel mio vestigio dell’asinina idea (che per de
l’ali
non
ha
piaciuto= ad
alcuni,
che
tegnono tal animale in opprobrio, di chiamarlo asino, ma cavallo Pegaseo): e da là, dopo avervi descritti gli atti e le fortune ch'avevo passate, sempre fui destinato a ritornar 3 più tosto uomo che altra cosa, per privilegio che mi guadagnai per aver avuto astuzia e continenza quella volta con non mandar giù per il gorgazuolo 4 de l’umor de l’onde 1 BIW: fortemente; LG!: fortamente. * T°. dialettale, già si è detto nel Cand.?,
3 BW: sempre tenendomi a ritornar. per essere il luogo guasto. 4 Cfr. Spaccio, p. 752, e ivi, n. 1. (B.
{69-70])
(W.
II, 283-4)
(L. 593)
899
(G.!
La
p. 52, e ivi, n. 3.
correzione
II, 263-4)
è necessaria
(G.? II, 285-6).
CABALA
DEL
CAVALLO
PEGASEO
letee. Oltre, per la giurisdizione di quella piazza celeste, è avvenuto ! che, partendo io da corpi, mai oltre ho preso il camino verso il plutonio regno per riveder gli campi Elisii, ma vér l'illustre ed augusto imperio di Giove. Coribante. Alla stanza dell’aligero quadrupede. Onorio. Sin tanto che a questi tempi, piacendo al senato de gli dei, m'ha convenuto? de transmigrar con l’altre bestie a basso, lasciando solamente l’ impression de mia virtude in alto; onde, per grazia e degno favor de gli dei, ne
vegno
ornato
solamente
la
e cinto
memoria
de mia delle
biblioteca,
specie
portando
opinabili,
non
sofistiche,
apparenti, probabili e demostrative 3, ma, ed oltre, il giudicio
distintivo
di quelle
che
son
vere,
da
l'altre
che
son
false. Ed oltre de quelle cose che in diversamente complessionati diversi corpi per varie sorti de discipline ho concepute, ritegno ancora l'abito, e de molte altre4 veritadi alle quali, senza ministerio de sensi, con puro occhio intel-
lettuale vien tumque
mi
aperto il camino; trove
sotto
e non mi fuggono,
questa
pelle
e
pareti
quan-
rinchiuso,
onde per le porte de' sensi, come per certi strettissimi buchi, ordinariamente possiamo contemplar qualche specie di enti: si come altrimente ne vien lecito di veder chiaro ed
aperto
l’orizonte
tutto
de
le forme
naturali,
ritrovan-
doci fuor de la priggione. Sebasto. Tanto che restate di tutto sf fattamente informato, che ottenete pi che l’abito di tante filosofie, di tanti
onde
1 BW:
l'onde letee, oltre la giurisdizione di quella piazza celeste;
è auvenuto.... 2 Napoletanismo, simile a quello avvertito sopra, in p. 899, n. 2. 3 BW: demostrative; LG!: demonstrative.
4 (L’Amerio .(B.
[70-1])
(W.
fraintende
II,
284)
e muta:
(L. 593-4)
900
l'abito
(G.!
II,
de molte)
264-5)
(G.2
II,
286-7).
DIALOGO
SECONDO
suppositi filosofici, ch'avete presentati al mondo, ottenendo oltre il giudicio superiore a quelle tenebre e quella luce sotto le quali avete vegetato, sentito, inteso, o in atto o in potenza,
abitando
or nelle terrene,
or nell’ inferne,
or
nelle stanze celesti. Onorio. Vero: e da tal retentiva vegno a posser considerar, e conoscer meglio che come in specchio, quel tanto ch' è vero dell'essenza e sustanza de l'anima. Terza parte del dialogo. Sebasto. Soprasediamo circa questo per ora, e venemo a sentir il vostro parere circa la questione qual ieri fu mossa tra me e Saulino qua presente; il quale referisce l'opinion d’alcune sette le quali vogliono non esser scienza alcuna appo noi. Saulino. Feci a certa bastanza aperto, che sotto l’eminenza de la verità non abbiam noi cosa più eminente che l'ignoranza ed asinitade: perciò che questa è il mezzo per cui la sofia si congionge e si domestica con essa; e non
è altra virtude che sia capace ad aver la stanza gionta muro a muro con quella. Atteso che l'umano intelletto ha qualch’accesso a la verità; il quale accesso se non è per la scienza e cognizione, necessariamente bisogna che sia per l'ignoranza ed asinità. Coribante. Nego sequelam. Saulino. La consequenza è manifesta da quel che nell’ intelletto razionale non è mezzo tra l' ignoranza e scienza; perché bisogna che vi sia l'una de due, essendo doi oppositi circa tal suggetto, come privazione ed abito. Coribante. Quid de assumptione, sive antecedente? (B.
[71-3])
(W.
II,
284-5)
(L.
594)
g90I
(G.!
II,
265-6)
(G.2
II,
287).
CABALA
DEL
Quella,
come
Saulino.
C.IVALLO
dissi,
PEG.SEO
è messa
avanti
da
tanti
famosissimi filosofi e teologi. Coribante.
Debilissimo
è l’argumento
ab humana
autho-
ritate. Saulino. Cotali asserzioni non son senza demostrativi discorsi. Sebasto. Dunque, se tal opinione è ‘vera, è vera per demostrazione;
la
demostrazione
è un
sillogismo
scienti-
fico; dunque, secondo quei medesimi che negano la scienza ed apprension
di verità, viene ad esser posta l’apprension
di verità .e discorso scienziale; e consequentemente sono dal suo medesimo senso e paroli redarguiti. Giongo a questo che se non si sa verità alcuna, essi medesimi non sanno quel che dicono, e non possono esser certi se parlano 0 ragghiano,
se son omini
o asini.
Saulino. La risoluzion di questo la potrete attendere da quel che 'vi farò udire appresso; perché prima fia mistiero intendere la cosa, e poi il modo e maniera di quella.
Coribante.
Bene.
Modus
enim
rei
rem
praesupponat
oportet.
Sebasto. Or fatene intendere le cose con quell’ordine che vi piace. Saulino. Farò. Son trovati tra le sette de filosofi alcuni nomati generalmente academici, e più propriamente sceptici o ver efettici, li quali dubitavano determinar di cosa veruna;
bandito!
ogni
enunciazione,
non
mare o negare, ma si faceano chiamare stigatori e scrutatori de le cose. qui
1 B:
non
bandito;
adopera
cfr. Spaccio, (B.
[73-4])
IVLG!:
che
p. 763,
(W.
IT,
bandiro.
imperfetti.
n. I. 285)
(L.
Correzione
Intorno
504-5)
902
(G.1
osavano
affir-
inquisitori,
inve-
non
necessaria.
Il DB.
poi
alla sgrammaticatura
II,
266)
(G.?
II,
287-8).
DIALOGO
Sebasto.
Perché
queste
SECONDO
vane
bestie
inquirevano,
inve-
stigavano e scrutavano senza speranza di ritrovar cosa alcuna ? Or questi son de! quei che s’affaticano senza proposito. Coribante. Per far buggiarda ? quella vulgata sentenza:
Omne
agens est propter finem. Ma edepol, mehercle, io mi
persuado che come Onorio ha dependenza da l' influsso de l'asino
Pegaseo,
filosofi sieno
o pur è il Pegaseo
istesso,
stati le Belide3 istesse,
talmente
cotai
se almeno. quelle non
gl' influivano nel capo. Saulino. Lasciatemi compire. Or costoro non porgean fede a quel che vedeano, né a quel ch'udivano: perché
stimavano
la verità
cosa
confusa
ed incomprensibile,
e
posta nella natura e composizione d'ogni varietà, diversità e contrarietà;
ogni
cosa
essere
una
mistura,
di sé, niente esser di propria natura e virtude,
nulla
costar
e gli oggetti
presentarsi alle potenze apprensive non in quella maniera con cui sono in se medesimi,
ma secondo la relazione ch'ac-
quistano per le lor specie, che in certo modo partendosi da questa e quella materia vegnono a giuntarsi e crear nuove forme ne gli nostri sensi. Sebasto. Oh in verità costoro con non troppa fatica in pochissimo tempo possono esser filosofi e mostrarsi più savii de gli altri. Saulino. A questi succesero4 gli pirroni 5, molto più 1 BL:
2 B:
de;
WG!:
buggiardo;
3 Belide,
di.
WG1:
le Danaidi,
bugiarda; al cui
ragona la filosofia di questi scettici, gavano e scrutavano senza speranza
L:
lavoro
buggiarda. inane
ed
eterno
B.
pa-
i quali «inquirevano, investidi ritrovar cosa alcuna ».
4 BW: succesero; LG!: successero. Ma vedi sopra, p. 614, n. 1. 5 Lo stesso che pirronici o pirronisti, seguaci di Pirrone.
(B. (74-5)) (W. II, 285-6) (L. 595) (G.! II, 266-7) (G2 II, 288-0). 903
CABALA
DEL
CAVALLO
PEGASEO
scarsi in donar fede al proprio senso ed intelletto, che gli efettici; perché, dove quelli altri credeno aver compresa qualche cosa ed esser fatti partecipi di qualche giudicio per aver informazion di questa verità, cioè che cosa alcuna non può esser compresa né determinata, questi anco di cotal giudicio se stimàro privi, dicendo che né men possono esser certi di questo, cioè che cosa alcuna non si possa
determinare. Sebasto. Guardate l’ industria di quest'altra Academia, ch’avendo visto il modello de l’ ingegno e notato l’ industria di quella che con facilità ed atto di poltronaria volea dar de
calci,
per
versar
a
terra
l'altre
filosofie,
essa
armata
di maggior pecoraggine, con giongere un poco più di sale della sua insipidezza, vuol donar la spinta ed a quelle tutte ed
a cotesta
insieme,
con
farsi
tanto
più
savia
de
tutte
generalmente, quanto con manco spesa e lambiccamento di cervello in essa s’ intogano! ed addottorano. Via via, andiam
più oltre.
Or
che
debbo
far io, essendo
ambizioso
di formar nuova setta, e parer piu savio de tutti, e di co-
storo ancora che sono oltre gli tutti ? Farò qua un terzo tabernaculo, piantarò un’Academia più dotta, con stringermi alquanto la cintura. Ma vorrò forse tanto raffrenar la voce con gli efettici, e stringere il fiato con gli pirroni, che per me poi non exali spirito e crepi? Saulino. Che volete dir per questo? Sebasto. Questi poltroni per scampar la fatica di dar raggioni.delle cose, e per non accusar la loro inerzia, ed invidia
(B.
ch’ hanno
all’ industria
1 BW:
s' intogano;
[75-6])
(W.
II,
286)
L GI:
altrui,
volendo
parer
me-
s' integnano.
(L. 595-6)
904
(G.!
IT, 267-8)
(G.? IT, 2809-90).
DIALOGO
SECONDO
gliori, e non bastandoli d'occultar la propria viltade, non possendoli passar avanti né correre al pari né aver modo di far qualche cosa del suo, per non pregiudicar alla lor vana presunzione confessando l’imbecillità del proprio ingegno, grossezza di senso e privazion d' intelletto, e per far parer gli altri senza lume di giudicio della propria cecitade,
donano
rapresentano,
la colpa
e
non
alla
natura,
alle cose
principalmente
alla
che
mala
mal
si
appren-
sione de gli dogmatici; perché con questo modo di procedere sarrebono stati costretti di porre in campo al paragone la lor buona apprensione, la quale avesse parturito meglior fede, dopo aver generato meglior concetto ne gli
animi de quel che si delettano delle contemplazioni de cose
naturali.
Or
dunque
intelletto, e manco
essi,
volendo
con
minor
fatica
ed
rischio de perdere il credito, parer pit
savii che gli altri, dissero,
gli efettici, che nulla si può
de-
terminare, perché nulla si conosce: onde quelli che stimano d' intendere e parlano assertivamente, delirano più in grosso che quei che non intendeno e non parlano. Gli secondi poi, detti pirroni, per parer essi archisapienti, dissero che né tampoco questo si può intendere (il che si credeano intendere gli efettici): che cosa alcuna non possa esser determinata o conosciuta. Sf che dove gli efettici intesero che gli altri, che
pensavano
ora gli pirroni intesero se
gli
altri,
che
si
d’ intendere, non intendevano,
che gli efettici
pensavano
non
intendevano,
d'intendere,
intendessero
o non. Or quel che ne resta per giongere di vantaggio alla sapienza di costoro, è che noi sappiamo che gli pirroni non sapevano, che gli efettici non sapevano, che gli dogmatici,
che
pensavano
aggevolezza,
sempre
di sapere,
non
sapevano;
e cossì,
con
più e più vegna a prendere aumento
(B. [76-7]) (W. II, 286-7) (L. 596-7) (G.I II, 268-9) (G.? II, 290).
905
CABALA
questa
nobil
DEL
scala
de
CAVALLO
filosofie,
PEGASEO
sin
tanto
che
demostrati-
vamente si conchiuda l’ultimo grado della somma filosofia ed ottima contemplazione essere di quei che non solamente non affermano né niegano di sapere o ignorare, ma né manco
possono affirmare né negare; di! sorte che gli asini sono li più divini animali, e l'asinitade sua sorella è la compagna e secretaria della veritade. Saulino. Se questo che dici improperativamente ed in colera,
lo dicessi da
buon
senno
ed
assertivamente,
direi
che la vostra deduzione è eccellentissima ed egregiamente divina; e che sei pervenuto a quel scopo, al quale gli tanti dogmatici
e tanti?
academici
nerti3 di gran lunga a dietro Sebasto. Vi priego (poi che che mi facciate intendere con mici niegano la possibilità di Saulino.
Questa
hanno
concorso,
con
rima-
tanti quanti sono. siamo venuti sin a questo) qual persuasione gli acadedetta apprensione.
vorrei che ne fusse riferita da Onorio,
percioché, per esser egli stato in ipostasi de sf molti e gran notomisti de le viscere de la natura, non è fuor di raggione
che tal volta si sia trovato academico. Onorio. Anzi io son stato quel Xenofane Colofonio, che disse in tutte e de tutte le cose non esser altro che opinione 4. Ma, lasciando ora que’ miei proprii pensieri da canto, dico,
circa il proposito,
esseres
raggion trita
! BL:
di;
IVGI: de.
3 Cioè
‘rimanendoti ’. E se, come
® B: al quale tanti gli dogmatici dogmaticì e tanti. desimo
soggetto
letterario e non 4 Vedi
della relativa,
dialettale,
il fr. 34
sokratiker3, p. SI. 5 BL: essere; WG!:
(B.
[77-8]))
(W.
II,
et tanti;
pare,
WLG!:
de’
pirro-
al quale
l'infinitiva
tanti
ha il me-
‘rimanere ’ ha il significato comune
è un verbo
[SextTUuSs,
quella
Adv.
neutro.
math.,
VII,
49)
in DieLs,
Vor-
esser,
287)
(L.
597)
906
(G.!
II,
269)
(G.t
II,
290-1).
DIALOGO
SECONDO
ni 1, li quali dicevano che per apprendere la verità bisogna la dottrina:
e per mettere
quel che insegna,
in effetto la dottrina,
quel ch'è insegnato
è per insegnarsi:
cioè il mastro,
è necessario
e la cosa la quale
il discepolo,
l’arte;
ma
di
queste tre non è cosa che si trove in effetto; dunque non è dottrina e non è apprension di veritade. Sebasto. Con qual raggione dicono prima, cosa de? cui fia dottrina o disciplina? Onorio.
Con
questa.
Quella
vera o falsa. Se è falsa, non
cosa,
dicono,
non
esser
o devrà
esser
può essere insegnata,
perché
del falso non può esser dottrina né disciplina: atteso che a quel che non è, non può accader cosa alcuna, e perciò non può accader anco d’essere insegnato. Se è vera, non può pure più che tanto essere insegnata: perché o è cosa la quale equalmente appare a tutti, e cossi di lei non può esser dottrina, e per consequenza non può esserne alcun dottore, come
né del bianco
vallo,
de l’arbore
che sia bianco,
che
sia arbore;
del cavallo o è cosa,
che sia ca-
che
altrimente
ed inequalmente ad altri ed altri appare, e cossi in sé non può aver altro che opinabilità, e sopra lei non si può formar altro ‘che opinione. Oltre, s'è vero quel che deve essere insegnato e notificato, bisogna che sia insegnato per qualche causa
o mezzo:
occolta
la qual causa
o conosciuta.
S'ella è occolta,
altro. Se Ja è conosciuta mezzo;
da
e
cossi,
oltre
e mezzo
è necessario
ed
oltre
o bisogna
non
può
che sia
notificar
che sia per causa 0
procedendo,
verremo
ad
1 L'esposizione che qui appresso ne sarà fatta dal B., è attinta
Sesto
EmMPIRICO,
Pirron.
® BL:
de;
di.
in qualche
punto
Hypot.,
letteralmente.
WG!:
(B. (78-9]) (W. II, 287-8)
III,
27-29;
Adv.
(L. 597-8) (G.t II, 269-70)
907
math.,
I,
4:
(G.? II, 201-2).
CABALA
DEL
CAVALLO
accorgerci che non si gionge ogni scienza è per causa. Oltre 1, dicono, sieno
corpi,
vegnono
essendo
altre
al principio
che
de
incorporali,
insegnate,
altre
PEGASEO
de scienza,
le cose
bisogna
che
sono,
altre
de
cose,
quai
che
appartegnano
se
a
l’uno,
altre
a
l’altro geno. Or il corpo non può esser insegnato, percioché non può esser sotto giudicio di senso né d°’ intelletto. Non certo a giudicio di senso: stante che, secondo tutte le dottrine
e sette,
il corpo
consta
de
più
dimensioni,
raggioni,
differenze e circonstanze; e non solamente non è un definito
accidente per esser cosa obiettabile a un senso particolare o al commune,
de proprietadi
ma
è una
composizione
ed individui
cossi piace,
ch' il corpo
ch’ il bianco
è bianco,
e congregazione
innumerabili.
E
sia cosa sensibile,
concesso,
se
non
per questo
Non
può
sarà cosa da dottrina o disciplina; perché non bisogna che vi si trove il discepolo ed il maestro per far sapere ed il caldo
è caldo.
essere
anco il corpo sotto il giudicio d' intelligenza, perché è assai conceduto appresso tutti dogmatici ed academici, che l'oggetto de l'intelletto non può esser altro che cosa incorporea. Da qua s' inferisce secondariamente che non può essere
perché,
chi
insegne;
come
né,
è veduto,
terzo,
questo
chi
possa
non
essere
insegnato;
ha che apprendere
o
concipere, e quello non ha che insegnare ed imprimere. Giongono un’altra raggione, Se avien che s’ insegne,
o uno senz’arte insegna un altro ? senz’arte: e questo non è possibile, perché non men l’uno che l’altro ha bisogno di essere insegnato; o uno artista insegna un altro artista: 1 Qui BL ripetono il nome dell’ interlocutore: 2 Qui, come appresso, ‘insegnare’ col quarto sconosciuto anche ai classici, fino al sec. XVI. (B.
{79-80])
(W.
II,
288)
(L.
598) (GI
908
II,
270-1)
On. caso; (G.2
uso II,
non
292-3).
DIALOGO
e ciò.verrebe ad essere una ha mestiero del mastro; o che sa: e questo verrebe ad guidare colui che vede, Se sibile, rimarrà
dunque
SECONDO
baia, perché né l'uno né l’altro quello che non sa insegna colui essere come se un cieco volesse nessuno di questi modi è pos-
che quel che sa, insegne
colui che
non sa: e ciò è più inconveniente che tutto quel che si può imaginare in ciascuno de gli altri tre modi de fingere; perché quello ch' è senz’arte, non può esser fatto artefice quando non ha l’arte, atteso che accaderia che potesse esser artefice
quando non è artefice. (Oltre che costui è simile ad un nato sordo e cieco, il qual mai può venire ad aver pensiero de voci e di colori. Lascio quel che si dice nel Mennone: con
l’essempio
del
servo
fugitivo,
il qual,
fatto
presente,
non può esser conosciuto che sia lui, se non era noto prima. Onde vogliono per ugual e medesima raggione non posser esser nova scienza o dottrina de specie conoscibili, ma una ricordanza). NÉ tampoco può esser fatto artefice, quando ha l’arte; perché allora non si può dir che si faccia o possa essere fatto artefice, ma che sia artefice, Sebasto. Che pare a voi, Onorio, di queste raggioni? Onorio. Dico che in examinar cotai discorsi non fia? mistiero
d’ intrattenerci.
Basta
che dico
esser buoni,
come
certe erbe son buone per certi gusti. Sebasto. Ma vorrei saper da Saulino
(che
tanto
magnificata
scienza
l’asinitate,
quanto
e speculazione,
non
dottrina
può
esser
e disciplina
magnifica alcuna)
la
se
1 Questo accenno cosi inesatto ai capp. XIV-XXI del Mewnone farebbe sospettare che il B. non avesse mai letto questo dialogo di Platone. Ma l'errore può anche spiegarsi col vago ricordo d’una lontana lettura. ® B:
(B.
[80-1])
fia,
(W.
WLGI:
sia.
II, 288-9)
(L. 598-0)
909
(G.®
II, 271-2)
(G.? II, 293-4).
CABALA
DEL
CAVALLO
PEGASEO
l’asinitade può aver luogo in altri che ne gli asini; come è dire,
se
alcuno
da quel che non
era asino,
possa doventar
asino per dottrina e disciplina. Perché bisogna che di questi quel che insegna o quel che é insegnato, o cossi l'uno come l’altro, o né l’uno né l’altro, siano asini. Dicono se sarà asino
quello
solo
che
insegna,
o quel solo ch'è insegnato, o né
quello né questo, o questo e quello insieme. Perché qua col medesimo
possa
ordine
inasinire.
prension
si può
Dunque
alcuna,
Onorio.
come
vedere
che
in
nessun
modo
dell'asinitade non può essere apmon
è
de
arti
Di questo ne raggionaremo
e
de
scienze.
a tavola dopo cena.
Andiamo dunque, ch'è ora. Coribante. Propere camus.
Saulino.
Sul
Fine
_
del
si
secondo
dialogo.
(B. [81)) (W. IL, 289) (L. 599) (G.! II, 272) (G.2 II, 294).
gio
DIALOGO: TERZO INTERLOCUTORI Saulino,
Alvaro.
Saulino. Ho pur gran pezzo spasseggiato aspettando, e m'accorgo esser passata l’ora del cominciamento de’ nostri colloquii, e costoro non son venuti. Oh, veggio il servitor di Sebasto. Alvaro. parte
del
Ben mio
trovato padrone,
Saulino! che
per
Vegno una
per
avisarvi
settimana
al
da
meno
non potrete convenir un’altra volta. A lui è morta la moglie,
e sta su l’apparecchi de l’execuzion del testamento, per esser libero di quest'altro pensiero ancora. Coribante è assalito da le podagre, ed Onorio è andato a’ bagni. A dio. Saulino. Va in pace. Or credo che passarà l'occasione de far molti altri raggionamenti sopra la cabala del detto cavallo, Perché qualmente veggio, l'ordine de l’universo ! vuole che, come questo cavallo divino nella celeste regione non si = mostra se non sin all'umbilico (dove quella stella che v' è terminante, è messa in lite e questione se appartiene alla testa d’Andromeda o pur al tronco di questo 1
(G!
2 BW:
(=
L):
de
si; LG!:
l'universo;
se,
G*:
dell'universo)
(B. [82-3]) (W. II, 289-90) (L. 599-Goo) (G.1 II, [273]) (G. II, [295]). QII
CABALA
egregio
bruto),
cavallo
descrittorio Cossi
DEL
cossi
CAVALLO
PEGASEO
analogicamente
non
Fortuna
possa venire va cangiando
accade
che
questo
a perfezione: stile I.
Ma non per ciò noi doviamo desperarci; perché, s’avverrà che questi tornino ad cominciar d’accoppiars’ insieme un'altra volta, le rinchiuderò tutti tre dentro del conclave, d’onde non possano uscire sin tanto ch’abbiano spacciata
la creazion d'una Cabala magna del cavallo Pegaseo. Interim, questi doi dialogi = vagliano per una Cabala parva, tironica,
isagogica,
microcosmica.
E
per non
passar
ocio-
samente il presente tempo che mi supera da spasseggiarmi in questo atrio, voglio leggere questo dialogo che tegno in mano 3.
Fine de
del la
terzo
Cabala
dialogo Pegasea.
1 PETRARCA, Trionfo della Morte, I, 135: Come Fortuna va cangiando stile|
È uno dei versi già nel Cinquecento diventati proverbiali. Cfr. sopra, P.- 570, n. 2. ? G1:
3 Cioè,
dialoghi.
l’Asino
cillenico.
(B. [83]) (W. II, 290) (L. 600) (G II, [273]-4) (G* II, [295)-6).
gI2
A
Oh
L'ASINO
beato
quel
CILLENICO.
ventr’e
le mammelle,
Che t’' ha portato e ’n terra Animalaccio divo, al mondo
Che
qua
fai residenza
Mai più preman E contr’ il mondo
e tra le stelle!
tuo dorso basti e selle, ingrato e ciel avaro
Ti faccia sort'e natura Con
si felice ingegno
Mostra
Come
la
Da
riparo
e buona
tua
buon
le nari quel giudicio
L’orecchie
Le
testa
lunghe
ti lattaro!, caro,
un
udito
pelle. naturale, ?
sodo,
regale,
dense labbra di gran gusto il modo, far invidia a' dei quel genitale;
Cervice
tal la constanza
ch’ io lodo.
Sol lodandoti
godo:
Ma, lasso, cercan tue condizioni Non un sonetto, ma mille sermoni.
1 Frasi bibliche: «Beatus venter, qui te portavit, et ubera quae suxisti »: dice una donna a Ges nell’ Evange/o di Luca, XI, 27. 2 (Gt = L: naturale,; G*: naturale) (B.
[84))
(W.
II,
290)
(L.
600-1)
(G.!
913
II,
(275])
(G?
II,
[297]).
L’ASINO
CILLENICO:
DEL
NOLANO
INTERLOCUTORI L'Asino, L’Asino.
Or
Micco
perché
Pitagorico,
derrò
io
Mercurio.
abusar
de
l’alto,
raro
e
pelegrino tuo dono, o folgorante Giove? Perché tanto talento, porgiutomi da te, che con sf particular occhio me miraste (indicante fato), sotto la nera e tenebrosa terra d'un ingratissimo silenzio terrò sepolto? suffrirò più a lungo l’esser sollecitato a dire, per non far uscir quell'estraordinario
ribombo,
da la mia bocca
che la largità
tua,
in questo
confusissimo secolo, nell’ interno mio spirito (perché si producesse fuora) ha seminato? Aprisi aprisi, dunque, con la chiave
de l’occasione l’asinin palato,
dustria del supposito
la lingua,
l’attenzione,
dal
drizzata
1 Cillenico
raccolgansi
braccio
è come
dire
del monte Cillene): cfr. appresso,
di
sciolgasi
de
per l' in-
per mano
l’ intenzione,
Mercurio
(nato
in
una
de
i frutti
grotta
p. 922. Perché l'asino sia di Mer-
curio, è illustrato cosi nel De composiît. imaginum: « Eius qualitates Mercurii qualitatibus sunt contrariae; scd, quia sine contrariis contraria
non
subsistunt
et
contrariis
contraria
cognoscuntur,
nutriuntur ct in codem concurrunt genere, non erit omnimo indignum nec non satis commodum, ut in cadem curia tamquam in scena conspiciendus
veniat »:
Opera,
II,
11,
237-5.
(B. [85-6)) (W. II, 201) (L. Gor) (G.! II, [276)) (G.? II, [298]).
914
L'ASINO
CILLENICO
DEL
NOLANO:
de gli arbori e fiori de l'erbe, che sono nel giardino de l’asinina memoria. Micco. O portento insolito, o prodigio stupendo, o maraviglia incredibile,
o miracoloso
successo!
Avertano'
gli
dii qualche sciagura ! Parla l'asino ? l’asino parla ? O Muse, o Apolline, o Ercule, da cotal testa esceno voci articulate ?
Taci, Micco, forse t' inganni;
ch’uomo
stassi mascherato,
forse sotto questa pelle qual-
per burlarsi di noi.
Asîno. Pensa pur, Micco, ch’ io non sia sofistico, ma che
son naturalissimo asino che parlo; e cossi mi ricordo aver avuti
altre
volte
umani,
come
ora
mi
vedi
aver
bestiali
membri. Micco. Appresso, o demonio incarnato, dimandarotti chi, quale e come sei. Per ora, e per la prima, vorrei saper che cosa dimandi da qua? che augurio ne ameni? qual ordine porti da gli dei ? a che si terminarà questa scena? a qual fine hai messi gli piedi a partitamente mostrarti vocale in questo
nostro
sottoportico?
Asino. Per la prima voglio che sappi, ch’ io cerco d'esser membro e dechiararmi dottore di qualche colleggio 2 o academia,
perché
la mia
sufficienza
sia
autenticata,
a fin
che non siano attesi gli miei concetti, e ponderate le mie paroli, e riputata la mia dottrina con minor fede, che .— Micco. O Giove! è possibile che ab aeferno abbi giamai registrato
vin fatto, un successo,
Asino.
Lascia3 le maraviglie .per ora;
1 Latinismo:
p.
allontanare.
® È della pronunzia
918,
la
un caso simile
f. letteraria.
e scrittura napol.
a questo?
e rispondetemi
la doppia gg. Appresso,
3 L: lascia(te]; ma la vecchia lezione, come implicitamente giudica il W, è corretta, perché soggetto di lascia è Micco, mentre soggetto di rispondetemi è o tu 0 uno de questi altri. (B.
[86])
(W.
II, 291)
(L. Gor-2)
(G.!
9I5 GY
1
Prinito
Dieloabi
Haller!
II,
[276)-7)
(G.? II,
(298]-9).
L'ASINO
CILLENICO
DEL
NOLANO
presto, o tu o uno de questi altri, che attoniti concorreno ad ascoltarmi.
O togati,
annulati,
pileati * didascali,
archi-
didascali e de la sapienza eroi e semidei: volete, piacevi, evvi ? a core d’accettar nel vostro consorzio, società, contubernio, nione
e sotto la banda e vessillo de la vostra commu-
questo
asino
che
vedete
ed
udite?
Perché
di
voi,
altri ridendo si maravigliano, altri maravigliando si ridono, altri attoniti (che son la maggior parte) si mordeno le labbia;
e nessun
risponde?
a
Micco. Vedi che per stupore non parlano, e tutti con esser volti a me, mi fan segno ch'io ti risponda; al qual, come
presidente,
cui, come Asino. la porta: Micco. Asino. Micco. dizioni. Asino, Micco.
ancora
tocca di donarti
risoluzione,
e da
da tutti, devi aspettar l’ ispedizione. Che academia è questa, che tien scritto sopra Lineam ne pertransito ? La è una scuola de pitagorici. Potravis’ entrare ? Per academico non senza difficili e molte conOr quali son queste condizioni? Son pur assai.
Asino.
Quali,
dimandai,
non
quante.
Micco. Ti risponderò al meglio, riportando le principali. Prima,
che
offrendosi
alcuno
per
essere
ricevuto,
avante
che sia accettato, debba esser squadrato nella disposizion del corpo, fisionomia edingegno,
tiva
per la gran consequenza rela-
che conoscemo aver il corpo da l'anima e con l’anima.
! L'anello e la berretta Cfr. Cena, p. ‘128, n. 1.
(fileum)
arbitrariamente
Il legge
® B: euui; che L equivocando
(B. [87])
(W.
sievî,
mentre
II, 291-2)
erano
distintivi
legge cuni (ma bene
euvì.
(L. 002) (G.! II, 277-8)
916
cuui)
dottorali.
c corregge
(G.2 II, 299-300).
L’ASINO
Asino.
Ab
CILLENICO
Iove principium,
DEL
NOLANO
Musae*,
s'egli si vuol
ma-
ritare. Micco.
Secondo,
ricevuto
ch'egli
è, se gli dona
termine
di tempo (che non è men che di doi # anni), nel quale deve tacere e non gli è lecito d’ardire in punto alcuno de dimandar,
anco
di cose non
intese, non
sol che di disputare
ed examinar propositi; ed in quel tempo si chiama acustico. Terzo, passato questo tempo, gli è lecito di parlare, dimandare, scrivere le cose udite, ed esplicar Ie proprie
opinioni; ed in questo mentre si appella o
caldeo.
Quarto,
informato
matematico
de cose simili,
ed ornato
di que’ studii, si volta alla considerazion de l'opre del mondo e principii della natura; e qua ferma il passo, chiamandosi fisico. Asîno. Non procede oltre ? Micco. Pi che fisico non può essere: perché delle cose sopranaturali non si possono aver raggioni, eccetto in quanto riluceno nelle cose naturali; percioché non accade ad altro intelletto
che
al purgato
rarle in sé. Asino. Non si trova appo Micco.
e superiore
di conside-
voi metafisica?
No; e quello che gli altri vantano per metafisica,
non è altro che parte di logica. Ma lasciamo questo che non fa al proposito. Tali, in conclusione, son le condizioni e regole di nostra academia. Asîno. Queste? Micco. Messer si. Asîno. O scola onorata, studio egregio, setta formosa, 1 ViraILIo,
Ecl.,
III,
60.
2 Si sa che la durata varia secondo RUS, presso A. GeLLIO, N, A., I, 9. (B.
[88))
(W.
II, 292-3)
(L.
602-3)
917
(G.!
le diverse fonti. Ma IL,
278-09)
(G.?
II,
v. Tau300-1).
L'ASINO
collegio
academia
CILLENICO
venerando,
gimnasio
DEL
NOLANO
clarissimo,
tra le principali principalissima!
ludo
invitto
ed
L’asino errante,
come sitibondo cervio, a voi, come a limpidissime e freschissime acqui; l’asino umile e supplicante, a voi, benignissimi ricettatori de peregrini, s'appresenta, bramoso d’essere nel consorzio
vostro
ascritto.
Micco. Nel consorzio nostro anh ? Asino. Si, sf, signor sf, nel consorzio vostro. Micco. Va' per quell'altra porta, messere, perché da questa son banditi gli asini. Asino. Dimmi, fratello, per qual porta entrasti tu? Micco. Può far il cielo che gli asini parlino, ma non già che entrino in scola pitagorica. Asino.
Non
esser cossi fiero, o Micco,
e ricordati ch' il
tuo Pitagora insegna di non spreggiar cosa che si trove nel seno della natura. Benché io sono in forma d'asino al presente, posso esser stato e posso esser appresso di grand'uomo;
e benché
tu sia un uomo,
in forma
puoi esser stato
e potrai esser appresso un grand'asino, secondo che parrà ispediente al dispensator de gli abiti e luoghi e disponitor de l’anime transmigranti. Micco.
Dimmi,
fratello,
hai
intesi
gli capitoli
e condi-
tuo,
qualche
zioni dell’academia?
Asino.
Molto bene.
Micco.
Hai
discorso
sopra
l’esser
se per
tuo difetto ti possa essere impedita l’entrata?
Asino. Assai a mio giudicio.
Micco. Or fatevi intendere. Asino. La principal condizione che m' ha fatto dubitare, è stata la prima. È pur vero che non ho quella indole, quelle carni mollecine, quella pelle delicata, tersa (B.
[88-9))
(W.
II,
293)
(L. 603-4)
918
(G.I
II, 2709-80)
(G.2
II, 301-2).
L'ASINO
CILLENICO
DEL
NOLANO
e gentile, le quali integnono! li fisionotomisti* attissime alla recepzion della dottrina; perché la durezza de quelle ripugna a l’agilità de l'intelletto. Ma sopra tal condizione mi par che debba posser dispensar il principe; perché non deve far rimaner fuori uno, quando molte altre parzialitadi suppliscono a tal difetto, come la sincerità de costumi, la prontezza
de
l' ingegno,
l'efficacia
de
I’ intelligenza,
ed
altre condizioni compagne, sorelle e figlie di queste. Lascio che non si deve aver per universale, che l'anime sieguano la complession del corpo; perché può esser che qualche più efficace spiritual principio possa vencere e superar l'oltraggio che dalla crassezza o altra indisposizion di quello gli vegna fatto. A’ qual proposito v’apporto l’essempio de Socrate, giudicato dal fisognomico3 Zopiro per uomo stemprato, stupido, bardo, effeminato, namoraticcio de putti ed inconstante; il che tutto venne conceduto dal filosofo, ma non già che l’atto de tali inclinazioni si consumasse: stante ch'egli venia temprato dal continuo studio della filosofia, che gli avea pòrto 4 in mano il fermo temone contra l’émpito de l'onde de naturali indisposizioni, essendo
che non è cosa che per studio non si vincas. Quanto poi all'altra parte principale fisiognomica, che consiste6 non nella complession
di temperamenti,
ma
nell’armonica
pro-
porzion de membri, vi notifico non esser possibile de ritrovar in me defetto alcuno, quando sarà ben giudicato. Sapete ch' il porco non deve esser bel cavallo, né l'asino bell’uomo; 1 Evidentemente
dal napol.
niènneno,
ntdanono:
intendono.
® L corregge: fisiognomisti. 3 L corregge: fisiognomico. 4 BL: porso. 5 Vedi CICERONE, De fato, 5; Tuscul., 1V, 37. 6 Il L. dà come suo emendamento la f. che si legge nella vecchia stampa e va conservata: consiste. (B.
[89-91))
(W.
II,
293-4)
(L.
604)
9I9
(G.!
II,
280)
(G.2
II,
302).
L'ASINO
ma
CILLENICO
DEL
NOLANO
l'asino bell’asino, il porco bel porco, l’uomo
bell’uomo.
Che se, straportando il giudicio, il cavallo non par bello al porco, né il porco par bello al cavallo; se a l'uomo non par bello l’asino, e l’uomo non s'inamora de l’asino; né per opposito
a l'asino par bello l’uomo e l'asino non s' in-
namora de l’uomo. Sf che quanto a questa legge, allor che le cose sarranno examinate e bilanciate con la raggione, l'uno
concederà
a l’altro
secondo
le proprie
affezioni,
che
le bellezze son diverse secondo diverse proporzionabilitadi; e nulla
è veramente
ed
absolutamente
bello,
se non
uno
che è l’istessa bellezza, o il per essenza bello e non per participazione. Lascio che nella medesima umana specie quel
che
si
dice
de
le
carni,
si
deve
attendere
respeciu
habito a vinticinque circonstanze e glose, che l’accomodino; perché altrimente ® è falsa quella fisiognomica*® regola de le carni molle 3; atteso che gli putti non son pi atti alla scienza che gli adulti, né le donne più abili che gli uomini: eccetto se attitudine maggiore si chiamasse quella possibilità ch'è
più lontana
da l'atto.
Micco. Sin al presente, costui mostra di saper assai assai. Séguita, messer Asino, e fa pur gagliarde le tue raggioni quanto ti piace; perché E
% B:
3 B:
l’onde
solchi
e ne
l’arena
"1 vago
vento
speri
altrimente;
WGI:
altrimenti.
E 1 BL:
Ne
le speranze
phisiconomica. molle;
WLG!:
fondì
molli:
in
in rete cuor
di
correzione
semini,
accogliere, femine4,
superfiua,
perché
si
è
detto pit volte che i sost. e gli aggett. della terza declin. mantengono nel pl. la desinenza del sing. 4 Jacopo Sannazaro, Arcadia, egl. VIII, v. 10-12.. (ed. Scherillo, p. 155). L'ultimo verso nel Sann.: Se Je speranze... (B.
{o1])
(W.
II,
294)
(L.
604-5)
(G.!
920
II,
280-1)
(G.2
II,
302-3).
L'ASINO
CILLENICO
DEL
NOLANO
se speri che da gli signori academici di questa ti possa o debbia esser concessa l’entrata. Ma contèntati de rimanerti con la tua dottrina Asino. O insensati, credete ch'io dica le
o altra setta se sei dotto, solo. mie raggioni
a voi, acciò che me le facciate valide ? credete ch’ io abbia
fatto questo per altro fine che per accusarvi e rendervi inexcusabili avanti a Giove? Giove con avermi fatto dotto mi fe’ dottore. Aspettavo ben io che dal bel giudicio della vostra sufficienza venesse sputata questa sentenza:
— Non
è convenevole
insieme
con
noi
altri
che
gli asini
uomini.
—
entrino
Questo,
in academia
se studioso
di
qualsivo-
gli' altra setta lo può dire, non può essere raggionevolmente detto
da
voi
altri
pitagorici,
che
con
questo,
che
negate
a me l'entrata, struggete gli principii, fondamenti e corpo della vostra filosofia. Or che differenza trovate voi tra noi asini e voi altri uomini, non giudicando le cose dalla superficie, volto ed apparenza? Oltre di ciò dite, giudici inetti: quanti di voi errano ne l'academia de gli asini? quanti imparano nell’acadernia de gli asini? quanti fanno profitto nell’academia de gli asini? quanti s'addottorano, marciscono e muoiono ne l’academia de gli asini? quanti son
preferiti,
inalzati,
magnificati,
canonizati,
glorificati
e
deificati nell'academia de gli asini? che se non fussero stati e non fussero asini, non so, non so come la cosa sarrebe passata e passarebbe per essi loro. Non son tanti studii onoratissimi e splendidissimi, dove si dona lezione di saper inasinire, per aver non solo il bene della vita temporale, ma e de l'eterna ancora? Dite, a quante e quali facultadi ed onori s’entra per la porta dell'asinitade? Dite, quanti son impediti, exclusi, rigettati e messi in vituperio, per non esser partecipi dell’asinina facultade e perfezione? (B. [91-3))
(W. II, 294-5)
(L. II, 605)
92I
(G.I II, 281-2)
(G.2 II, 303-4).
L’ASINO
CILLENICO
DEL
NOLANO
Or perché non sarà lecito ch'alcuno de gli asini, o pur al meno uno de gli asini entri nell’academia de gli uomini? Perché non debbo esser accettato con ‘aver la maggior parte delle voci e voti in favore in qualsivoglia academia, essendo
che,
se non
tutti,
al meno
la maggior
e massima
parte è scritta e scolpita nell’academia tanto universale de noi altri ? Or se siamo si larghi ed effusi noi asini in ricever tutti,
perché
dovete
voi
esser
tanto
restivi
si fa in
cose
ad
accettare
un de noi altri al meno? Micco.
Maggior
importanti:
difficultà
e non si fa tanto
più
degne
caso e non s’aprono
gli occhi in cose di poco momento.
ed
tanto
Però senza ripugnanza
e molto scrupolo di conscienza si ricevon tutti ne l'academia de gli asini, e non deve esser cossi nell'academia de gli
uomini. Asino.
Ma,
o
messere,
sappime!
dire
poco, qual cosa delle due è più degna, sinisca, o che un
asino
e resolvimi
che un uomo
inumanisca? Ma
ecco
un
ina-
in veritade
il mio Cillenio: il conosco per il caduceo e l'ali — Ben vegna il vago aligero, nuncio di Giove, fido interprete della voluntà
de tutti gli dei, largo donator
rizzator
de
l’arti,
continuo
oracolo
de le scienze,
addi-
matematici,
com-
de
putista mirabile, elegante dicitore, bel volto, Ieggiadra apparenza, facondo aspetto, personaggio grazioso, uomo tra gli uomini, tra le donne donna, desgraziato tra’ desgraziati,
tra’ beati
beato,
tra’:
tutti
tutto;
che
godi
con
chi
gode, con chi piange piangi; però per tutto vai e stai, sei ben visto ed accettato. Che cosa de buono apporti? 1 L corregge:
2 G!:
(B.
[93-4))
sappimi.
fra.
(W.
IT,
295)
(L.
605-6)
922
(G.!
II,
282-3)
(G.2
IT,
304-5).
L'ASINO
Mercurio.
CILLENICO
Perché,
sere academico,
Asino,
io, come
DEL
NOLANO
fai conto
di chiamarti
quel che t' ho donati
ed es-
altri doni e
grazie, al presente ancora con plenaria autorità ti ordino, constituisco e confermo academico e dogmatico generale, acciò che. possi entrar ed abitar per tutto, senza ch’alcuno ti possa tener porta o dar qualsivoglia sorte d’oltraggio o impedimento, quibuscumque in oppositum non obstantibus. Entra, dunque, dove ti pare e piace. Né vogliamo che sii ubligato per il capitolo del silenzio biennale che si trova nell'ordine pitagorico, e qualsivogli’ altre leggi ordinarie: perché,
novis
intervenientibus
causis,
novae
condendae
sunt
leges, proque ipsis condita non intelliguntur iura: interimque ad
optimi
iudicium
iudicis
referenda
est
sententia,
cuius
intersit iuxta necessarium atque commodum providere. Parla dunque tra gli acustici; considera e contempla tra’ matematici;
discuti,
dimanda,
tra’ fisici; trovati
con
insegna,
dechiara
tutti, discorri con
unisciti, identificati con tutti, domina a
Asino. Avetel' inteso ? Micco. Non siamo sordi.
e determina
tutti,
affratellati,
tutti, sii tutto.
FINE. (B.
[94-5))
(W.
II, 295-6)
(L. 606)
923
(G.! II, 283)
(G.2 II, 305).
GIORDANO
BRUNO
NOLANO.
DE AL
GLI MOLTO
EROICI
ILLUSTRE
SIGNOR
ED
FURORI
ECCELLENTE
CAVALLIERO,
FILIPPO ‘ SIDNEO. PARIGI,
APPRESSO
ANTONIO
l'anno
I (L:
Phillippo
(cir.
Cena,
BAIO,
1585.
ediz.
crit.,
p.
131
e nota).)
ARGOMENTO
DEL
NOLANO
SOPRA GLI
EROICI
SCRITTO
AL
SIGNOR È
cosa
bruto
e
lezza
d'un
veramente,
sporco
FURORI
MOLTO
ILLUSTRE
FILIPPO o
SIDNEO 1.
generosissimo
ingegno
d'essersi
Cavalliero,
fatto
da
basso,
constantemente
stu-
dioso, ed aver affisso un curioso pensiero circa o sopra la belcorpo
femenile.
vile ed ignobile
può
Che
presentarsi
spettacolo,
ad un
o Dio
occhio
buono!,
più
di terso senti-
mento, che un uomo cogitabundo, afflitto, tormentato, triste, maninconioso, per dovenir or freddo, or caldo, or fervente,
or tremante,
or pallido,
or rosso,
or in mina
di
perplesso,
or
in atto di risoluto; un che spende il meglior intervallo di tempo e gli più scelti frutti di sua vita corrente, destillando l’elixir del cervello
con
mettere
blichi monumenti
que’
simi
razionali
studi
in concetto,
quelle continue
discorsi,
destinati
que’
sotto
la
scritto
torture,
a p. 549,
gravi tormenti,
faticosi pensieri e quelli amaristirannide
cille, stolta e sozza sporcaria ? ?. 1 Cfr. sopra,
que’
e sigillar in pu-
d’una
indegna,
imbe-
n. I.
? Anche in questa tirata contro i petrarchisti contemporanei, italiani e stranieri, il B. aveva innanzi a sé esempi e suggerimenti
in quella corrente di scrittori berneschi e scapigliati, che sono stati detti appunto antipetrarchisti, sorti anch'essi in Italia nel 500. È notissimo lo studio di A. GRAF, Petrarchismo e autipetrarchisino, in Attraverso il Cinquecento, Torino, Loescher, 1888. Su l’Antipe-
trarchismo di G. Bruno ha scritto uno studietto particolare V. SpamPANATO,
Milano,
Spampanato
PP.
2345.
E. Trevisini,
(a proposito
1900.
di queste
Vedi
pure i riscontri dello stesso
pagine
misogine)
nelle Postille,
(B. [3-4)) (W. II, 299) (L. 608) (G.1 II, [287)) (G: II, [309]).
927
DE Che
sione
tragicomedia?
e
mondo,
tanto
GLI
riso in
può
che
atto,
esserne
questa
numerosi
EROICI
scena
dico,
degno
ripresentato delle
suppositi
FURORI
nostre
in
più
di
questo
conscienze,
fatti penserosi,
compas-
teatro che
del
di tali
contemplativi,
e
con-
stanti, fermi, fideli, amanti, coltori, adoratori e servi di cosa senza fede, priva d'ogni costanza, destituta d'ogni ingegno, vacua d’ogni merito, senza riconoscenza e gratitudine alcuna,
dove non
può
capir più
falsitade,
libidine,
senso,
intelletto e bontade,
che
tro-
crimi
exi-
varsi possa in una statua o imagine depinta al muro ? e dove è più superbia, arroganza, protervia, orgoglio, ira, sdegno, ziali,
che
morte
dal
ricetto
avarizia,
avessero
vascello!
dentro
possuto
ingratitudine
ed
uscir
ed
veneni
di Pandora,
il cervello
di
per
aver
mostro
altri
pur
instrumenti
troppo
tale ? Ecco
di
largo
vergato
in
carte, rinchiuso in libri, messo avanti gli occhi ed intonato a gli orecchi un rumore, un strepito, un fracasso d' insegne, d’ imprese, de motti ?, d’epistole, de sonetti, d’epigrammi, de
*
Vascellum
o vasculum,
piccolo
vaso.
? Basta aver letto l’ Orlando Furioso per sapere che cosa fossero
le imprese e i motti nella vita cortigiana del 500; e negli Eroici furori
si vedrà il partito che il Bruno trae da questo costume, dal quale era derivato un particolar genere letterario con la sua relativa rettorica tati,
o precettistica,
che
imprese
non
passò
consacrata
dovettero
poi
alla
in parecchi
essere
ignoti
filosofia
nel
al
sec.
B.
ragionamenti
Dalla
XVIII
rettorica
G.
Scienza Nuova. A proposito del Ragionamento sopra delle imprese di Luca Contile, ha indagato con gran
storia di cotesto
L.
costume
Contile, uomo
e della relativa letteratura
di lettere
e di
negozi
del
sec.
XVI,
e trat-
storia della vita di corte e dei poligrafi del 500,
Firenze,
nell’ Orlando Furioso; estr. vol. XXXVIII, p. 310.
d.
B.
delle
Vico
nella
la proprietà diligenza la
A.
SALza
contributo
in
alla
Carnesecchi,
1903 (tra le Pubblicaz. del R. Ist. degli studi sup. di Firenze), App. I. Dello stesso Salza vedi lo scritto: Imprese e divise d'arme e d'amore L' impresa
simbolica,
con
consisteva un
motto:
dal
Giorn.
stor.
essenzialmente una
specie
di
letter.
in una
rebus.
Se
ital,
1901,
rappresentazione ne
componeva
per i cavalieri in giostra, a insegna delle famiglie, a servizio d'amore, per giuochi di società e per semplice esercizio letterario. Importato in
Italia
se ne
il costume
facevano
già
con
nel
altri
400.
usi
Ma
cavallereschi
vennero
di
in gran
Francia,
voga
nel
imprese
secolo
(B. [4-5]) (\V. II, 299) (L. 608) (G.1 II, [287]-8) (G.2 IT, (3009]-11). 928
ARGOMENTO libri,
de
prolissi
scartafazzi,
DEL de
NOLANO
sudori
estremi,
de
vite
con-
sumate, con strida ch'assordiscon gli astri, lamenti che fanno riboinbar gli antri infernali, doglie che fanno stupefar l'anime
viventi, suspiri da far exinanire e compatir gli dei !, per quegli
occhi, per quelle guance, per quel busto, per quel bianco, per quel vermiglio 2, per quella lingua, per quel dente, per quel labro 3, quel crine, quella veste, quel manto,
quel guanto,
tana,
che
quella scarpetta, quella pianella, quella ‘parsimonia, quel risetto, quel sdegnosetto, quella vedova fenestra, quell’eclissato sole, quel martello, quel schifo, quel puzzo, quel sepolcro, quel cesso 4, quel mestruo, quella carogna, quella febre quarquella
superficie,
cantesimo
estrema
ingiuria
e torto
un'ombra,
un
fantasma,
di bellezza.
La
quale
di natura,
un
sogno 5,
un
insieme
insieme
una
Circeo
ordinato al serviggio della generazione,
in specie
con
in-
ne inganna
viene
e passa,
successivo. Il primo ad elevare il genere a dignità letteraria, e detto perciò primo inventore di imprese, fu il napoletano Marco Antonio Epicuro, che vedemmo nella Cena (p. 59) citato dal B. e vedremo imitato da presso per la sua Cecaria negli Eroici furorî. Le sue im-
prese furono
raccolte da ScIPronE
108),
dovevano
(vedi U. ConcEDO,
e non
altro
poeta
caro
e autore appunto
AMMIRATO
La vita e le opere di S. Anim.,
al B.,
essere che
ignote
vedremo
al B.
nel suo dial. I! Rota
Ne
introdotto
Trani,
1904, pp. 93-
come
interlocutore
compose
anche
di imprese negli Evoici furori, L. Tansillo.
un
Il Fio-
rentino (in Poesie liriche ed. e ined. di L. T., pp. 280-89) ha ristam-
pato
da
una
ediz.,
del
1551
un
Discorso
di L.
T. sopra
la collana
d’oro che la nobilissima città di Napoli dona all'ill'ino S. D. Garzia di
Toledo
strate
sette
1 Più
* V. già
per
3 Del
la vittoria
imprese
composte
diffusamente
appresso,
stanco,
a p.
Canzoniere
Io
avrò
di Africa,
dal
nel Proprol. 1007.
del PETRARCA
sempre
in
odio,
etc.;
dove
Tansillo
sono
per
del Cand.?,
descritte
quell'occasione.
pp.
23-6.
cfir., tra gli altri, i sonetti Jo son
Quella
fenestra,
Erano
i capei
d'oro, Quel sempre acerbo, Questa fenice, O bella man; le Perché la vita, Gentil mia donna, In quella parte; la sestina
donna. 4 BERNI, le
son. Non
vadin più pellegrin
(ma son.
presti): «Un morbo, un puzzo, un cesso ». 5 BERNI, son. Chi vuol veder: « Un’'ombra, un quartana ».
(B.
[5))
(W.
II,
299-300)
(L.
e illu-
608-9)
929
(G.1
II,
Un dirmi ch' io
sogno,
288-9)
canzoni Giovane
una
(G.%
II,
febbre
311).
DE
nasce e muore,
GLI
EROICI
FURORI
fiorisce e marcisce; ed è bella cossi un pochet-
tino a l’esterno, che nel suo intrinseco vera- e stabilmente è contenuto un navilio, una bottega, una dogana, un mercato
de quante
sporcarie,
tossichi e veneni
abbia
possuti
produrre
la nostra madrigna natura !: la quale dopo aver riscosso quel seme di ‘cui la si serva, né viene sovente a pagar d'un lezzo, d'un
pentimento,
di capo,
d'una
d'una
tristizia,
d'una
fiacchezza,
d'un
dolor
dolga,
dove
lassitudine 2, d’altri ed altri malanni
manifesti a tutto il mondo, suavemente proriva.
a fin che amaramente
che son
Ma che fo io ? che penso ? Son forse nemico della generazione? Ho forse in odio il sole? Rincrescemi forse il mio ed altrui essere messo al mondo? Voglio fosre ridur gli uomini a non raccòrre quel più dolce pomo che può produr l’orto del nostro terrestre paradiso ? Son forse io per impedir l’ instituto santo della natura ? Debbo tentare di suttrarmi io o altro dal dolce amato3 giogo che n' ha messo providenza? Ho forse da persuader a me
nostri predecessori
sieno
nati per noi,
al collo la divina e ad altri, che gli
e noi
non
siamo
nati
per gli nostri successori ? Non voglia, non voglia Dio che questo
giamai abbia possuto cadermi nel pensiero! Anzi aggiongo che per quanti regni e beatitudini mi s'abbiano possuti proporre e nominare, mai fui tanto savio o buono che mi potesse venir voglia de castrarmi o dovenir eunuco 4. Anzi mi vergo® Anche
il CAMPANELLA
nella lettera a C.
Flugh
(Codice
delle
lettere edito dall'Amabile, Napoli, 1881, p. 67): « Dunque tutta Ila tua virti e gloria e fama ed amici, anzi Dio stesso hai tu sottoposto ad
una
buca di sporchezze,
ad un orinale,
ad
una
sentina
di fetore ?
O caro amico, mira, per dio, il fine: che ne cavi da quel vil pertugio ? Non vedi che la natura per avvilirci e farci far penitenza di nostri errori ci dona quell'ardor infame di sotterrarci in una puzzolenza....? ». un
*
CESARE
CAPORALI,
Vita
fin brutto e pentito ». 3 IV: amaro. 4 Nel 29 costituto veneto,
della sua opinione intorno
di
Mecenate,
del 2 giugno
IX,
9:
1592,
«Onde
il B.
ne
nasce
interrogato
al « peccato della carne », dichiarò di aver
detto qualche volta che questo, « parlando in genere, era il minor peccato delli altri....; che il peccato della semplice fornicazione sia tanto leggiero, che fosse vicino al peccato veniale ». Ma aggiunse: (B.
[5-6])
(W.
II,
300)
(L.
609)
930
(G.!
II,
289)
(G.2
II,
311-2).
ARGOMENTO
DEL
NOLANO
gnarei, se cossi come mi trovo in apparenza, volesse cedere pur un pelo a qualsivoglia che mangia degnamente il pane per servire alla natura e Dio benedetto. E se alla buona volontà
soccorrer
possano
o
soccorrano
gl'instrumenti
e
gli
lavori, lo lascio considerar solo a chi ne può far giudicio e donar
sentenza.
Io
non
credo
d'esser
legato;
perché
son
certo
che
non bastarebbono tutte le stringhe e tutti gli lacci che abbian saputo e sappian mai intessere ed annodare quanti fèro e sono stringari e lacciaiuoli, (non so se posso dir) se fusse con essi la morte
istessa,
che
volessero
maleficiarmi.
Né
credo
d'esser
freddo, se a refrigerar il mio caldo non penso che bastarebbono le nevi del monte Caucaso! o Rifeo 2. Or vedete dunque se è la raggione
Che
voglio
o qualche
dunque
voglio
determinare ?
Cavalliero
Cesare,
illustre,
e quel
che a le donne,
difetto
è
dire? che
Quel
che
che
mi
fa parlare.
voglio
voglio
quel
ch’ è de Dio,
benché
che
ch’ è
conchiudere? che
conchiudere
di
sia renduto
Cesare,
sia
e dire,
o
donato
a
a Dio 3. Voglio
dire
talvolta non bastino gli onori ed ossequi
divini, non perciò se gli denno onori ed ossequii divini. Voglio che le donne siano cossi onorate ed amate, come denno essere amate
ed
onorate
se non
hanno
le donne:
per
tal
causa
dico,
e per
tanto,
per quanto si deve a quel poco, a quel tempo e quella occasione, altra virtù
di quel splendore,
che
naturale,
cioè
di quella
bellezza,
di quel serviggio, senza il quale denno esser
stimate più vanamente nate al mondo che un morboso fungo, qual con pregiudicio de meglior piante occupa la terra; e più «L’ ho però detto per leggerezza, e trovandomi in compagnia e raggionando di cose oziose e mondane...., e se ho allegerito questo peccato più di quel che dovevo, è stato.... per leggerezza e trastullo della compagnia »: SpamP., Vita, pp. 725-6. 1 Ovipio, Metamm., VIII, 707-8: « Devenit in Scythiam, rigi-
dique
cacumine
canos
nive
quelle
reiterate
2 SENECA,
montis, | Caucason
MHippolytus,
Riphaea....»n;
I,
appellant.... ».
7-8:
CLAUDIANO,
«.... scandite De
raptu
colles | Semper
Proserpinae,
III,
321-22: «non me Riphaea tenebunt | Frigora....». (Il Firpo osserva: «alle citazioni classiche indicate dal Gentile si possono aggiungere 3 Cir.
pp.
di VIRGILIO
211
e 255,
(B. [6-7]) (W. IT, 300-1)
(Georgicor,
e ivi,
n. 4.
—
G,
Bruno,
III,
(L. 6009-10) (GI II, 289-90)
93I 61
I, 240;
Dialoghi
italiani
382;
IV,
518).)
(G.2 II, 312-3).
DE
noiosamente
GLI
EROICI
che qualsivoglia
FURORI
napello!
o vipera
che caccia
il
capo fuor di quella. Voglio dire che tutte le cose de l'universo, perché pondi,
possano aver fermezza e consistenza, hanno gli suoi numeri, ordini e misure, a fin che siano dispensate e
governate
con
ogni
giustizia
e
raggione.
Là
onde
Sileno?,
Bacco, Pomona, Vertunno 3, il dio di Lampsaco4 ed altri simili che son dei da tinello, da cervosa5 forte e vino rinver-
sato 5, come ambrosia
altri
non
nella
simili;
siedeno
mensa
cossi
in cielo
di
a bever
Giove 7, Saturno,
gli lor
fani,
tempii,
nettare
e gustar
Pallade,
Febo
sacrificii
e culti
ed
denno
essere differenti da quelli de costoro. Voglio finalmente dire, che questi Furori eroici ottegnono suggetto ed oggetto eroico, e però non ponno più cadere in stima d’amori volgari e naturaleschi, che veder si
possano delfini su gli alberi de le selve, e porci cinghiali sotto gli marini scogli 8. Però per liberare tutti da tal suspizione,
avevo pensato prima
di donar a questo
libro un titolo simile
a quello di Salomone 9, il quale sotto la scorza d'amori ed affetti ordinarii contiene similmente divini ed eroici furori,
come
dirla,
interpretano chiamarlo
gli mistici
Cantica.
e cabalisti Ma
per
dottori;
più
volevo,
caggioni
mi
per
sono
astenuto al fine: de le quali ne voglio referir due sole. L'una per il timor ch’ ho conceputo dal rigoroso supercilio de certi farisei, che cossi mi stimarebono profano per usurpar in mio naturale
e fisico discorso
sceleratissimi
e
titoli sacri e sopranaturali,
ministri
1 T. botanico:
specie
® Cir. nello Spaccio
d’ogni
ribaldaria,
si
come
usurpano
essi,
più
d’aconito.
le pp.
585 e 822.
3 Vedi p. 195. Il mito di Pomona e di Vertunno si legge nelle Metamm. di OvipIio, XIV, 654-771. 4 Intorno a questo dio anche sopra, a pp. 595 e 742, e ivi, n. 1. 5 Vedi nel De la Causa la n. 3 della p. 212.
6 Derivato dal
Ja volta, che zion., p. 232.
7 Vedi
napol.
‘avèrzeto’
ha preso lo spunto, acido, Cfr. il De la causa, p. 195.
sopra,
a p.
570;
e appresso,
8 Vedi sopra, p. 754, e ivi, n. 1. 9 Il Cantico (B.
[7-9])
(W.
‘d’avèrzeto’:
inacidito:
a p.
che
ha
Rocco,
dato
Di-
1009.
dei cantici.
II, 301)
(L. 6r0-11)
932
(G.! II, 200-1)
(G:= II, 313-4).
ARGOMENTO
DEL
NOLANO
4
altamente, che dir si possa, gli titoli de sacri, de santi, de divini oratori, de figli de Dio, de sacerdoti, de regi; stante che stiamo
aspettando quel giudicio divino che farà manifesta la lor maligna ignoranza ed altrui dottrina, la nostra simplice libertà
e l’altrui maliciose regole, censure
la grande
dissimilitudine
ed instituzioni.
che si vede
fra il volto
L’altra per
di questa
opra e quella, quantunque medesimo misterio e sustanza d’anima sia compreso sotto l'ombra dell'una e l'altra: stante che là nessuno dubita che il primo instituto del sapiente fusse più tosto di figurar cose divine che di presentar altro: perché ivi le figure sono aperta- e manifestamente figure, ed il senso metaforico è conosciuto di sorte che non può esser negato per
metaforico:
dove
odi quelli occhi
di colombe,
quel
collo
di
torre, quella lingua di latte, quella fragranzia d' incenso, que’ denti che paiono greggi de pecore che descendono dal lavatoio, que’ capelli che sembrano le capre che vegnono giù da la montagna volto, che
sentimento;
di Galaad!; cossi al vivo
atteso
ma in questo poema non si scorge ti spinga a cercar latente ed occolto
che per
l'ordinario
modo
di parlare
e de
similitudini più accomodate a gli sensi communi, che ordinariamente fanno gli accorti amanti, e soglion mettere in versi e rime gli usati poeti, son simili ai sentimenti de coloro che parlarono a Citereida, o Licori, a Dori, a Cintia?, a Lesbia,
a Corinna3,
a Laura
1 Cfr. il cap.
2? BL:
Cinthia;
3 Ovipio,
ed altre simili. Onde
IV del Cantico Wi:
Remedia
Cintia;
amoris,
facilmente
ognuno
dei cantici.
G!:
Cinzia.
763-7:
Carmina quis potuit tuto legisse Tibulli, Vel tua, cuius opus Cynthia sola fuit ? Quis poterit lecto durus discedere Gallo ?
Et mea
nescio quid carmina
tale sonant.
Il vescovo Siponio APOLLINARE (Epist., II, 10): «.... Reminiscere quod saepe versum Corinna cum suo Nasone complevit, Lesbia cum Catullo, .... Cynthia cum Propertio »; e nella sua Apologia APULFIO (in Opp., Lugduni, 1614, p. 94): «.... Accusent Catullum quod Lesbiam pro Clodia nominarit, et Propertium qui Cynthiam dicat, Hostiam dissimulet....».
(B.
[9-10])
(W.
Doride
II,
era
301-2)
colei
che,
(IL. GII)
933
secondo
(G.!
IT,
la
sua
291-2)
rivale
(G.2
IT,
Cintia,
314-5).
DE
GLI
EROICI
FURORI
potrebbe esser persuaso che la fondamentale e prima intenzion mia sia stata addirizzata da ordinario amore, che m’abbia dettati concetti tali; il quale appresso, per forza de sdegno, s'abbia improntate l’ali e dovenuto eroico; come è possibile di convertir qualsivoglia fola, romanzo, sogno e profetico enigma,
e transferirle,
goria,
a significar
mente
è atto
in virtù
tutto
quello
a stiracchiar
di
metafora
che
piace
gli sentimenti,
e pretesto
a chi
più
d'alle-
comoda-
e far cossî
tutto
di
tutto, come tutto essere in tutto disse il profondo Anaxagora. Ma pensi chi vuol quel che gli pare e piace, ch’alfine, o voglia o non, per giustizia la deve ognuno intendere e definire come
l’ intendo e definisco io, non io come l' intende e definisce lui: perché come gli furori di quel sapiente Ebreo hanno gli proprii modi,
ordini
e titolo
che
nessuno
ha
possuto
intendere
e po-
trebbe meglio dechiarar che lui, se fusse presente; cossi questi Cantici hanno il proprio titolo, ordine e modo che nessun può ineglio
dechiarar
ed
intendere
che
io
medesimo,
quando
non
sono absente. D’una cosa voglio che sia certo il mondo: che quello, per il che io mi essagito in questo proemiale argomento, dove singularmente
parlo
a voi,
e bestialaccio,
se con
mai
o delettasse
eccellente Signore,
e ne gli Dialogi
formati sopra gli seguenti articoli, sonetti e stanze, è ch' io voglio ch’ognun sappia, ch'io mi stimarei molto vituperoso delettato
circa il culto d'una
molto
pensiero,
de
donna
imitar,
studio
e fatica
come
dicono,
in vita, e dopo
fia, ricovrarla da l’ inferno!: se a senza arrossir il volto, d'amarla sul
morte,
pena la naturale
mi
fusse
un
Orfeo
se possibil
stimarei degna, di quell’ istante
del fiore della sua beltade e facultà di far figlioli alla natura e Dio. Tanto manca, che vorrei parer simile a certi poeti'e versificanti in far trionfo d’una perpetua perseveranza di tale amore, come d'una cossi pertinace pazzia, la qual sicuramente aveva
stregato
ProPERZIO,
mare,
secondo
il costume
delle Elegie
(VI,
25, e VII,
come
72);
questi
attesta
nel
Licoride Cornelio
ricordato
da
Apuleio,
III
e IV
libro
Gallo usò chia-
una
sua
amante,
ch’era già stata l'amica di Bruto e di Antonio, la mima Citeride. ! ViroiLIo, Georg., IV, 485 sgg.; Ovipio, Mefamm., X, 11 Sgg.
(B.
[1o-1})
(W.
II,
302)
(L.
G6r1-2)
934
(G.!
IT,
202)
(G.2
II,
315-6)-
ARGOMENTO
può
competere
con
tutte
DEL
NOLANO
l’altre specie
denza
in un cervello umano:
tosco
poeta,
che
tanto, dico,
possano
far resi-
son lontano
da quella
vanissima, vilissima e vituperosissima gloria, che non credere ch’un uomo, che si trova un granello di senso rito, possa spendere più amore in cosa simile che io abbia al passato e possa spendere al presente. E per mia fede, voglio adattarmi a defendere per nobile l’ ingegno di che si mostrò
tanto
spasimare
posso e spispeso se io quel
alle rive di Sorga
per una di Valclusa, e non voglio dire che sia stato un pazzo da
catene,
donarommi
a credere,
e forzarommi
di
persuader
ad altri, che lui per non aver ingegno atto a cose megliori, volse studiosamente nodrir quella melancolia, per celebrar non meno
il proprio
affetti
d’un
ingegno
ostinato
su
amor
quella
matassa,
volgare,
animale
con
esplicar
e bestiale,
gli
ch’ab-
biano fatto gli altri ch' han parlato delle lodi della mosca, del scarafone,
coloro de la forno, meno de
de l’asino,
Or
scimie
ch’ han poetato a’ nostri tempi delle lodi piva, della fava, del letto, delle bugie, del del martello, della caristia, de Ia peste ?; forse sen denno gir altere e superbe per la
canzonieri
dame
de Sileno, de Priapo,
suoi,
che
per gli suoi. (perché
non
debbano
si faccia
e possano
errore)
qua
de quali son!
de gli orinali, disonore, del le quali non celebre bocca
le prefate
non
ed
voglio
altre
che
sia
tassata la dignità di quelle che son state e sono degnamente
lodate
e lodabili:
colarmente
non
quelle che
in questo paese
possono
Britannico,
essere e sono
a cui doviamo
parti-
la fideltà
ed amore ospitale3: perché dove si biasimasse tutto l’orbe, non si biasima questo, che in tal proposito non è orbe, né
les
!
(AM
singes)ì; 2 Cfr.
(=
DB): scimie de quali son
L G!1G?:
la Cena,
p.
de
65,
scimmie,
e ivi,
quali n.
2.
(tradotto: ef dont se sont faits
son)
del Libro II delle Lettere (ediz. Laterza,
dei capitoli che mandò
Anche
l’'ARETINO
nella
I p.
p. 214), pur compiacendosi
«a lo Albicante, al principe
di Salerno,
al
duca Cosimo e al re Francesco », deve riconoscere che «la fama di coloro che invecchiano drieto a lo scrivere ciance da riso è ridicola ». 3 In proposito vedi, nel De la causa, p. 204 sgg. (B.
(11-2))
(W.
II,
302-3)
(L. 612)
935
(G.!
II,
292-3)
(G.2
II,
316).
DE
parte
d’orbe,
dove
ma
GLI
diviso
si raggionasse
EROICI
da
de
tutto
né può intendere de alcune
parte ma,
di quel
sesso;
in similitudine
Diana 2, che
nare.
ancora
che
a
tutto,
il sesso
non
son
son
come
femenile,
numero
dunque,
ed
nimfe,
non
son
e proposito
ingiustamente
nessuna
particulare
l’ imbecillità e condizion del di complessione; atteso che,
si deve
denno esser stimate
femine,
il geno
sapete !:
non
non
ordinario.
essere
donne,
son
di
su-
quell’unica
voglio
E
perseguitarei
deve
son
dive,
le quali è lecito di contemplar
Comprendasi,
perciò
in
vostre, che non
perché
in questo
indegna-
quello
di quelle,
stanza celeste, tra
FURORI
le
di
nomi-
quello
persone:
improperato
sesso, come né il difetto e vizio se in ciò è fallo ed errore, deve
essere attribuito per la specie alla natura, e non per particolare a gl’ individui. Certamente quello che circa tai supposti abomino,
è
sogliono con
quel
alcuni
l'ingegno,
studioso
spendervi
e
disordinato
de maniera
e vi vegnono
che
amor
venereo
che
se gli fanno
a cattivar le potenze
servi
ed atti più
nobili de l’anima intellettiva. Il qual intento essendo considerato, non sarà donna casta ed onesta che voglia per nostro naturale e veridico discorso contristarsi e farmisi più tosto
irata, che sottoscrivendomi amarmi di vantaggio, vituperando passivamente quell’amor nelle donne verso gli uomini, che io
attivamente riprovo ne gli uomini verso le donne. Tal dunque essendo
il
mio
animo,
ingegno,
parere
e determinazione,
mi
protesto che il mio primo e principale, mezzano ed accessorio, ultimo e finale intento in questa tessitura fu ed è d’apportare contemplazion
divina,
e metter3 avanti
a gli occhi
ed orecchie
altrui furori non de volgari, ma eroici amori, ispiegati in due parti; de le quali ciascuna è divisa in cinque dialogi.
p.
1 Allusione al noto
verso
206, e ivi, n. 2. ? La regina Elisabetta.
virgiliano, Cfr.
PP. 222-3; e Vita di G. B., p. 348,
Bartas
chiamò
3 BL:
(B.
[12-3]))
la Tudor
et metter; (W.
IVG!:
IT, 303-4)
Cena,
come pp.
già nel De /a causa,
, 67-8,
e
De
n. I, dove si avverte
‘la prudente metter.
(L. 612-3)
936
(G.!
Pallade ’.
II, 203-4)
(G.2
la
che
causa,
il Du
II, 316-7).
ARGOMENTO
Argomento
de' cinque
DEL
NOLANO
dialogi de la prima
parte.
Nel Primo dialogo della prima cinque articoli, dove per ordine: nel primo
parte son si mostrano
monte
presenti,
le cause
e principii
e del fiume
perché chiamate, che
più
volte
motivi
intrinseci
e de muse,
che
sotto
nome
si dechiarano
e figura
del
non
invocate e cercate, ma più tosto come quelle
importunamente
si
sono
offerte:
onde
vegna
significato che la divina luce è sempre presente; s’offre sempre, sempre
tenze
chiama
e batte a le porte de nostri sensi ed altre po-
cognoscitive
ed
apprensive:
come
pure
è
significato
nella Cantica di Salomone dove si dice: Ex ipse stat post parictem nostrum, vespiciens per cancellos, ci prospiciens per fenestras®!. La qual spesso per varie occasioni ed impe-
dimenti avvien che rimangna esclusa fuori e trattenuta. Nel secondo articolo si mostra quali sieno que’ suggetti, oggetti, affetti, instrumenti ed effetti ? per li quali s' introduce, si mostra e prende il possesso nell'anima questa divina luce, perché la inalze e la converta in Dio. Nel terzo il proponimento, definizione e determinazione che fa l’anima ben informata circa l'uno, perfetto ed ultimo fine. Nel quarto
la guerra civile che séguita e si discuopre contra il spirito dopo
tal
proponimento;
onde
disse
la
Cantica:
Noli
mirari,
quia
nigra sum: decoloravit enim me sol, quia fratres mei pugnaverunt contra me, quan posueruni custodem in vineis 3. Là sono esplicati solamente come quattro antesignani l’Affetto, l'Appulso fatale,
tante
la Specie
coorte
del
militari
bene
ed
il Rimorso,
de
tante,
contrarie,
che
son
varie
seguitati
e diverse
da
po-
tenze con gli lor ministri, mezzi ed organi che sono in questo
composto. Nel quinto s'ispiega una naturale contemplazione in cui si mostra che ogni contrarietà si riduce a l'amicizia o per vittoria de l'uno de’ contrarii o per armonia e contem1 Cantico
dei
cantici,
II,
3 Cantico
dei
cantici,
I,
* BL:
affetti,
instrumenti
9. 5.
ed affetti.
(B. [13-5)) (W. II, 304) (L. 613-4) (G.! II, 204-5) (G.* II, 317-8).
937
DE peramento
o per
GLI
EROICI
qualch'altra
FURORI
raggione
di
vicissitudine,
ogni
lite alla concordia, ogni diversità a l’unità: la qual dottrina è stata da noi distesa ne gli discorsi d’altri dialogi!. Nel Secondo dialogo viene più esplicatamente descritto l'ordine ed atto della milizia che si ritrova nella sustanza di questa composizione del furioso; ed ivi: nel primo articolo si mostrano tre sorte di contrarietà: la prima d'un affetto ed atto contra l’altro, come dove son le speranze fredde e gli desiderii
caldi;
se stessi,
solo in diversi,
non
la seconda
de
ma
medesimi
affetti ed
ed in medesimi
tempi;
atti
in
come
quando ciascuno non si contenta di sé, ma attende ad altro, ed insieme insieme ama ed odia; la terza tra la potenza che
séguita ed aspira,
e l'oggetto che fugge
e si suttrae.
Nel
se -
condo articolo si manifesta la contrarietà ch' è come di doi contrarii appulsi in generale; alli quali si rapportano tutte
le particolari
e subalternate contrarietadi,
mentre
come
a doi luoghi e sedie contrarie si monta o scende: anzi il composto tutto per la diversità de le inclinazioni che son nelle diverse parti, e varietà de disposizioni che accade nelle medesime, viene insieme insieme a salire ed abbassare, a farsi avanti ed adietro, ad allontanarsi da sé e tenersi ristretto in sé. Nel
terzo articolo si discorre circa la conseguenza da tal contrarietade. Nel Terzo dialogo si fa aperto quanta forza abbia la volontade
tiene ordinare, nato
in questa
milizia,
cominciare,
nella Cantica:
Surge,
come
quella
a cui sola appar-
exeguire e compire;
propera,
columba
mea,
cui vien intoet veni: iam
enim hiems transiit, imber abiît, flores apparuerunt in terra nostra; tempus putationis advenit®. Questa sumministra forza ad
altri
in
molte
maniere,
ed
a
se
medesima
specialmente,
quando si reflette in se stessa e si radoppia; allor che vuol volere, e gli piace che voglia quel che vuole; o si ritratta, allor che non 1 Nei
vuol
dialoghi
® Cantico
dei
quel
De
che vuole 3, e gli dispiace
/a causa,
cantici,
II,
p.
10-12.
318
che voglia
sgg.
3 W salta le parole: o si ritratta, allor che
non vuol quel che vuole
{B. [15-6)) (W. I_, 304-5) (L. 614) (G.1 IT, 295-6) (G2 II, 318-9).
938
ARGOMENTO
DEL
NOLANO
quel che vuole: cossi in tutto e per tutto approva
quel ch’ è
bene e quel tanto che la natural legge e giustizia gli definisce:
e mai affatto approva quel che è altrimente. E questo è quanto si esplica nel primo e secondo articolo. Nel terzo si vede il gemino frutto di tal efficacia, secondo che (per consequenza de l’affetto che le attira e rapisce) le cose alte si fanno basse, e le basse dovegnono alte; come per forza de vertiginoso appulso e vicissitudini successo dicono che la fiamma s' inspessa in aere, vapore ed acqua, e l’acqua s’assottiglia
in vapore,
la fiera,
gli cagnuoli,
In sette l’ impeto e il progresso de l’anima turbulenta. preda,
aere
e fiamma.
articoli del Quarto dialogo si contempla vigor de l’ intelletto, che rapisce l'affetto seco, ed de pensieri del furioso composto, e delle passioni che si trova al governo di questa republica cossi Là non è oscuro chi sia il cacciatore, l'ucellatore,
il compimento
gli pulcini, de
tante
la tana,
fatiche,
il nido,
la pace,
la rocca,
riposo
la
e bra-
mato fine de si travaglioso conflitto. Nel Quinto dialogo si descrive il stato del furioso in questo mentre, ed è mostro l’ordine, raggione‘e condizion de studii e fortune. Nel primo articolo per quanto appartiene a perseguitar l'oggetto che si fa scarso di sé; nel secondo
quanto
al
continuo
e
non
remittente
concorso
de gli affetti; nel terzo quanto a gli alti e caldi, benché vani proponimenti; nel quarto quanto al volontario volere; nel quinto quanto a gli prontie forti ripari e soccorsi. Ne gli seguenti si mostra variamente la condizion di sua fortuna, studio e stato, con la raggione e convenienza di quelli, per le antitesi, similitudini e comparazioni espresse in ciascuno di essi articoli. Argomento
de’
cinque
dialogi
della seconda
parte.
Nel Primo dialogo della seconda parte s'adduce un seminario delle maniere e raggioni del stato dell’eroico furioso. Ove nel primo sonetto vien descritto il stato di quello sotto la ruota del tempo; nel secondo (B.
[16-8))
(W.
II,
305-6)
(L.
614-5)
939
(G.1
II,
296)
(G.*
II,
3190-20).
DE
GLI
EROICI
FURORI
viene ad iscusarsi dalla stima d'’ ignobile occupazione ed indegna iattura della angustia e brevità del tempo; nel terzo
accusa l' impotenza de suoi studi, gli quali, quantunque all'interno sieno illustrati dall'eccellenza de l'oggetto, questo per l’incontro viene ad essere offoscato ed annuvolato da quelli; nel quarto è il compianto del sforzo senza profitto delle
facultadi
de
l'anima,
mentre
cerca
risorgere
con
l’ im-
parità de le potenze a quel stato che pretende e mira; nel quinto vien rammentata la contrarietà e domestico conflitto che si trova in un suggetto, onde non possa intieramente appigliarsi l'affetto
ad
un
aspirante;
termine
o fine;
nel
nel
settimo
sesto
vien
vien
espresso
in
conside-
messa
razione la mala corrispondenza che si trova tra colui ch'aspira, e quello a cuì s’aspira; nell’ottavo è messa avanti gli occhi la distrazion dell'anima, conseguente della contrarietà de cose esterne ed interne tra loro, e de le cose interne in se stesse, e de le cose esterne in se medesime; nel nono è ispie-
gata l’etate ed il tempo del corso de la vita ordinarii all'atto de l'alta e profonda contemplazione: per quel che non vi
conturba
il
flusso
o
reflusso
della
complessione
vegetante,
ma l'anima sì trova in condizione stazionaria e come quieta; nel decimo l'ordine e maniera in cui l'eroico amore talor
ne assale, fere e sveglia; nell'undecimo la moltitudine delle specie ed idee particolari che mostrano l'eccellenza della marca dell’unico fonte di quelle, mediante
l’affetto verso alto; nel
duodecimo
le quali vien incitato
s'esprime la condizion
del studio umano verso le divine imprese, perché molto si presume prima che vi s’entri, e nell'entrare istesso: ma quando poi s'ingolfa e vassi più verso il profondo, viene ad essere smorzato il fervido spirito di presunzione, vegnono relassati i nervi, dismessi gli ordegni, inviliti gli pensieri, svaniti tutti
dissegni, e riman l’animo confuso, vinto ed exinanito. Al qual proposito fu detto dal sapiente: gui scrutator est maiestatis,
opprimetur
a gloria:.
I Proverbi
(B.
[18-0]))
(W.
di
Nell'ultimo
SALOMONE,
II,
306)
XXV,
27.
(L. 615-6)
(G.1
940
è più
II,
296-7)
manifestamente
(G.è
II,
320-1).
ARGOMENTO
DEL
NOLANO dr
espresso quello che nel duodecimo e figura.
Nel Secondo dialogo scorso dialogale sopra di quello che
domò
imperio
studio,
di
il forte,
Cupidine
elezione
Nel
ramollò
Terzo
superiore,
dialogo
risposte del core a gli occhi,
rato l'essere e modo
in similitudine
è in un sonetto ed un dispecificato il primo motivo
il duro
e scopo.
è mostrato
ed
con
il rese
sotto
l'amoroso
proposte
e quattro
celebrar
in quattro
e de gli! occhi
tal
vigilanza,
al core, è dechia-
delle potenze cognoscitive ed appetitive.
Là si manifesta qualmente la volontà è risvegliata, addirizzata, mossa e condotta dalla cognizione; e reciprocamente la cognizione è suscitata, formata e ravvivata dalla volontade, procedendo or l'una da l'altra, or l’altra da l'una. Là si fa
dubio,
se l’ intelletto
o pur
l’atto della cognizione
neralmente
della
non si può amare modo
si desidera,
roverso;
onde
è
o generalmente
potenza
sia maggior
appetitiva,
più che intendere, in
certo
consueto
la potenza
modo
di
conoscitiva,
de la volontà
o pur
de
o ge-
l'affetto:
se
e tutto quello ch' in certo
ancora
chiamar
si conosce,
l'appetito
e per
il
cogni-
zione, perché veggiamo che gli peripatetici, nella dottrina de quali siamo allievati e nodriti in gioventù 2, sin a l'appetito in
potenza
ed
atto
naturale
chiamano
cognizione;
onde tutti effetti, fini e mezzi, principii, cause ed elementi distingueno in prima-, media- ed ultimamente noti secondo la natura, nella quale fanno in conclusione concorrere l’appetito e la cognizione. Là si propone infinita la potenza della materia ed il soccorso dell'atto che non fa essere la potenza vana. Laonde cossi non è terminato l’atto della volontà circa il bene, come è infinito ed interminabile l'atto della cognizione circa il vero: onde ente, vero e buono son presi per medesimo significante circa medesima cosa significata,
1 BL:
del gl.
? Anche nella Cena (p. 136) il DB. accenna al periodo peripatetico de’ suoi studi filosofici. Cfr. poi SPAMPANATO, Vita, pp. 189-90.
(B. [19-21]) (W. II, 306-7) (IL. 616-7) (G.1 II, 297-8) (Ga II, 321).
94I
DE
GLI
EROICI
FURORI
Nel Quarto dialogo son figurate ed alcunamente ispiegate le nove raggioni della inabilità, improporzionalità e difetto dell'umano sguardo e potenza apprensiva de cose divine. Dove nel primo cieco, che è da natività, è notata la raggione ch’ è per la natura che ne umilia ed abbassa.
Nel
secondo,
cieco per il tossico della gelosia, è notata quella ch’ è per l’ irascibile e concupiscibile che ne diverte e desvia. Nel terzo, cieco per repentino apparimento d’ intensa luce, si mostra quella che procede dalla chiarezza de l’oggetto che ne abbaglia. Nel
quarto,
allievato
e nodrito
a lungo
a l'aspetto
sole, quella che da troppo alta contemplazione
ne
fura
alla
moltitudine.
Nel
quinto,
del
de l’unità che
che
sempre
mai
ha gli occhi colmi de spesse lacrime, è designata I’ improporzionalità de mezzi tra la potenza ed oggetto che ne impedisce. Nel
sesto,
che
organico visivo,
per
molto
è figurato il mancamento
intellettuale che ne occhi sono inceneriti affetto che disperge,
Nell'ottavo,
di
quello
della
specie
de
ave
svanito
l’umor
de la vera pastura
indebolisce. Nel settimo, cui gli da l'ardor del core, è notato l'ardente attenua e divora tal volta la potenza
discretiva. strale,
lacrimar
che
orbo
proviene
l'oggetto;
per
la ferita
dall’ istesso
la qual
vince,
d'una-punta
atto
altera
dell'unione
e corrompe
la potenza apprensiva, che è suppressa dal peso e cade sotto l’ impeto de la presenza di quello; onde non senza raggion talvolta la sua vista è figurata per l'aspetto di folgore pene-
trativo. Nel
la causa
della
che
possa
nono,
che per esser mutolo
sua
cecitade,
mai
gionger
vien
significata
non può
ispiegar
la raggion
de
le
raggioni, la quale è l’occolto giudicio divino che a gli uomini ha donato questo studio e pensiero d’ investigare, de sorte non
sua cecità ed
ignoranza,
più
alto
e stimar
che
più
alla cognizione
degno
il silenzio
della
ch’ il
parlare. Dal che non vien iscusata né favorita l'ordinaria ignoranza; perché è doppiamente cieco chi non vede la sua
cecità: e questa è la differenza tra gli profettivamente studiosi e gli ociosi insipienti: che questi son sepolti nel letargo della
privazion dcl giudicio di suo non vedere,
svegliati (B.
[21-2))
e prudenti (W.
giudici
II, 307-8)
della sua
(L. 617-8)
942
(G.!
e quelli sono accorti,
cecità,
II, 298-9)
e però
son nel-
(G.2 II, 321-2).
ARGOMENTO
l’ inquisizione quali
e nelle porte
son lungamente
Argomento
DEL
de l'acquisizione
banditi
cd
NOLANO
della
luce,
delle
gli altri.
allegoria
del quinto
dialogo.
Nel Quinto dialogo, perché vi sono introdotte due donne, alle quali (secondo la consuetudine del mio paese) non
sta
bene
di commentare,
argumentare, desciferare,
saper
molto ed esser dottoresse, per usurparsi ufficio d' insegnare e donar instituzione, regola e dottrina a gli uomini, ma ben de divinar
corpo;
e profetar
qualche
volta
che
si trovano
però gli ha bastato de farsi solamente
figura, lasciando a qualche maschio negocio di chiarir la cosa significata.
overamente
tòrgli
nove
come
ciechi,
la fatica)
in forma
fo
in
recitatrici della
ingegno il pensiero e Al quale (per alleviar
intendere,
d'ufficio
il spirito
e cause
molte altre differenze suggettive correno zione, che gli nove del dialogo precedente;
qualmente esterne,
questi
cossi
con
con altra significaatteso che, secondo
la volgare imaginazione delle nove sfere, mostrano il numero, ordine e diversità de tutte le cose che sono subsistenti infra unità absoluta, nelle quali e sopra le quali tutte sono ordinate le proprie intelligenze che, secondo certa similitudine analogale, dependono dalla prima ed unica. Queste da cabalisti, da
caldei,
da
maghi,
da
platonici
e da
cristiani
teologi
son
distinte in nove ordini per la perfezione del numero che domina nell'università de le cose ed in certa maniera formaliza il tutto; e però con semplice raggione fanno che si significhe la divinità, e secondo la reflessione e quadratura in se stesso, il numero e la sustanza de tutte le cose dependenti.
Tutti gli contempla-
tori più illustri, o sieno filosofi, o siano teologi, raggione
e proprio
lume,
o parlino per
o parlino per fede e lume
superiore,
intendeno ‘in queste intelligenze il circolo di ascenso e descenso. Quindi dicono gli platonici, che per certa conversione
accade che quelle, che son sopra il fato, si facciano sotto il fato del tempo e mutazione, e da qua montano altre al luogo (B.
[22-4])
(W.
II,
308)
(L.
618)
(G.!
943
II,
299-300)
(G,?
II,
322-3).
DE
di
quelle.
poeta,
Medesima
dove
GLI
EROICI
conversione
FURORI
è significata
dal
pitagorico
dice:
Has omnes, ubi mille Lethaeum ad fluvium
Rursus
ut incipiant
rotam volvere per annos deus evocat agmine magno,
in corpora
velle reverti
Questo, dicono alcuni, è significato dove è detto in revelazione che il drago starà avvinto nelle catene per mille anni, e passati quelli, sarà disciolto 2. A cotal significazione voglion che mirino molti altri luoghi, dove il millenario ora è espresso, ora è significato
cubito,
ora
per
per uno
una
ed
anno,
ora per una
un’altra
maniera.
etade,
Oltre
ora per un
che
certo
il
millenario istesso non si prende secondo le revoluzioni definite da gli anni del sole, ma secondo le diverse raggioni delle di-
verse misure ed ordini con li quali son dispensate diverse cose: perché cossi son differenti gli anni de gli astri, come le specie de particolari non son medesime. Or quanto al fatto della revoluzione, è divolgato appresso gli cristiani teologi, che da ciascuno de’ nove ordini de spiriti sieno trabalzate le moltitudini de legioni a queste basse ed oscure regioni; e che per non esser quelle sedie vacanti, vuole la divina providenza che di
queste
anime,
che
vivono
a quella eminenza. Ma espressamente 3, come luzione
non
in
è de tutti, né sempre,
v.
è
vicissitudinale
1 VirciLio, Aen., 749 (ma 750):
umani,
siano
assumpte
tra’ filosofi Plotino solo ho visto dire tutti teologi grandi, che cotal revo-
Origene solamente, come tutti duchini ed altri molti riprovati,
voluzione
corpi
e
ma
una
volta.
E tra teologi
filosofi grandi, dopo gli Saave ardito de dire che la re-
sempiterna;
e che
tutto
quel
VI, 748-51; cîr. sopra p. 883. ÉÉ saltato il Scilicet immemores super ut convexa revisant.
Quindi, è sostituito a rursus el incipiaut: rursus tl. * Apocal., XX, 2, 7. 3 Allude forse ad Enn. III, lib. IV, c. 6. (Il MicHEL
rinvia
alle Exn., IV, 8 e osserva: « PLOTIN ne dit pas ‘expressement' ce que Bruno lui fait dire, mais on trouve quelque chose d'analogue dans le commentaire de Marsile Iicin: ‘ Praeterea nec oporterel ommnem animam onmnes induere species, nec quamlibet animam pariter ascendere vel descendere....* (In Plotinum, IV. 8, 2)n.) (DB. (24-5))
(W.
II, 308-9)
(L. 618-0)
944
(G.I II, 300-1)
(G.2 II, 323-4).
ARGOMENTO
DEL
NOLANO
medesinto che ascende, ha da ricalar a basso; come si vede in tutti gli elementi e cose che sono nella superficie, grembo e
ventre de la natura. Ed io per mia fede dico e confermo per convenientissimo, con gli teologi e color che versano su le leggi ed instituzioni de popoli, quel senso loro: come non manco d’affirmare ed accettar questo senso di quei che parlano
secondo la raggion naturale tra’ pochi, buoni e sapienti. L'opinion de' quali degnamente è stata riprovata, per esser divolgata a gli occhi della moltitudine; la quale se a gran pena può essere refrenata da vizii e spronata ad atti virtuosi per la fede
de
pene
sempiterne,
che
sarrebe
se
la
si
persuadesse
qualche più leggiera condizione in premiar gli eroici ed umani gesti, e castigare gli delitti e sceleragini? Ma per venire alla conclusione di questo mio progresso, dico che da qua si prende la raggione
e discorso
della
cecità
e luce
di questi
nove,
or
vedenti, or ciechi, or illuminati; quali son rivali ora nell'ombre e vestigii della divina beltade, or sono al tutto orbi, ora nella
più aperta luce pacificamente
si godeno.
Allor che sono nella
prima condizione, son ridutti alla stanza di significa la omniparente materia. Ed è detta
perché
da
quel
padre
de
le forme
ha
l'eredità
Circe, la figlia del
qual sole,
e possesso
di
tutte quelle le quali, con l'aspersion de le acqui, cioè con l’atto
della generazione, per forza d' incanto, cioè d’occolta armonica raggione, cangia il tutto, facendo dovenir ciechi quelli che
vedeno. Perché la generazione e corrozione è causa d’oblio e cecità, come esplicano gli antichi con la figura de le anime che
e
si bagnano ed inebriano di Lete. Quindi dove gli ciechi si lamentano,
madre
conturbazion
di
tenebre
ed
e
contristazion
de
dicendo:
orrore,
l’anima
che
Figlia
è significata ha
perse
la
l’ali,
la quale se gli mitiga allor che è messa in speranza di ricovrarle. Dove Circe dice: Prendete un altro mio vase fatale, è significato che seco portano il decreto e destino del suo cangiamento; il qual però è detto essergli porgiuto dalla medesima
mente disse (B.
Circe; perché un contrario è original-
nell'altro, quantunque
lei, che
[25-6])
(W.
sua medesima II, 309-10)
non vi sia effettualmente:
mano
(L. 619-20)
945
non
(G.*
vale aprirlo, IT, 301)
ma
onde
com-
(G.2 II, 324-5).
DE metterlo.
Significa
sotto il firmamento mento
che
GLI
ancora
che
son
quelle
che
FURORI due
che acciecano;
illuminano:
rici e platonici
EROICI
nel descenso
sorte
d’acqui:
e superiori,
da un
sono
inferiori,
sopra il firma-
significate
da
pitago-
tropico ed ascenso
da un
altro. Là dove dice: Per largo e per profondo peregrinate il mondo, cercate tutti gli numerosi regni, significa che non è progresso immediato
da
una
da una forma
forma
contraria
a l’altra,
a la medesima;
né regresso
immediato
però bisogna trascorrere,
se non
tutte le forme che sono nella ruota delle specie naturali, certamente molte e molte di quelle. Là s’ intendeno illuminati da la vista de l'oggetto, in cui concorre il ternario delle perfezioni,
che
sono
beltà,
sapienza
e verità,
per
l’aspersion
de
l’acqui,
che negli sacri libri son dette acqui di sapienza, fiumi d’acqua
di vita eterna, Queste non si trovano nel continente del mondo, ma penitus tolo divisim ab orbe 1, nel seno dell’ Oceano?, del-
l'Anfitrite,
della
divinità,
dove
è
quel
fiume
che
apparve
revelato procedente dalla sedia divina, che ave altro flusso che ordinario naturale. Ivi son le Ninfe, cioè le beate e divine
intelligenze che assisteno ed amministrano alla prima intelligenza, la quale è come la Diana tra le nimfe de gli deserti. Quella sola tra tutte l'altre è per la triplicata virtude potente
ad
aprir
ogni
sigillo,
a sciòrre ogni
secreto, e disserrar3 qualsivoglia
cosa
nodo,
a discuoprir
rinchiusa.
Quella
ogni
con
la
sua sola presenza e gemino splendore del bene e vero, di bontà e bellezza appaga le volontadi e gl’ intelletti tutti, aspergendoli con l'acqui salutifere di ripurgazione. Qua è conseguente il canto
e suono,
condo
l'ordine
monia
di ciascuna,
dove
de nove che
son
nove
sfere;
intelligenze,
dove
è continuata
prima con
nove
muse,
si contempla
l'armonia
de
(G.
del
se-
l’ar-
l’altra;
perché il fine ed ultimo della superiore è principio e capo dell’ inferiore, perché non sia mezzo e vacuo tra l’una ed altra:
di
1 Vedi, sopra, n. 1 2 (Mi: dell'Oceano;
a p. 936. G!G?: de
Lagarde, che però registra in 3 (LFM: et disserrar; G! G3:
l'Oceano
nota l’origin. a disserrar)
risolve
Oceano
dell' Oceano).)
(B. [26-8]) (W. II, 310) (L. 620) (G.! II, 301-2) (G.2 II, 325-0).
946
ARGOMENTO e l'ultimo
de
l’ultima,
per
DEL
via
NOLANO
de circolazione,
concorre
con
il
principio della prima. Perché medesimo è più chiaro e più occolto, principio e fine, altissima luce e profondissimo abisso, infinita
esplicati
potenza
da
ed
noi
infinito
in altri
monia e consonanza instrumenti insieme;
della
natura,
della mente,
il
atto,
luoghi.
secondo
le raggioni
Appresso
e modi
si contempla
l’ar-
de tutte le sfere, intelligenze, muse ed dove il cielo, il moto de’ mondi, l’opre
discorso
il decreto
de
gl'intelletti,
la
contemplazion
della divinà providenza,
tutti d'accordo
celebrano l'alta e magnifica vicissitudine che agguaglia l’acqui inferiori alle superiori, cangia la notte col giorno, ed il giorno con la notte, a fin che la divinità sia in tutto, nel modo
con cui
tutto è capace di tutto, e l’' infinita bontà infinitamente si communiche secondo tutta la capacità de le cose. Questi son que’ discorsi, gli quali a nessuno son parsi più convenevoli ad essere addirizzati e raccomandati, che a voi,
Signor
altri
fanno
penso
aver
eccellente,
fatto
quasi
alcuna per
a
fin
volta
ch'io
ordinario,
non
per poca come
vegna
a
fare,
advertenza,
colui
che
come
e molti
presenta
la
lira ad un sordo ed il specchio ad un cieco. A voi dunque
si
presentano, perché 1’ Italiano raggioni con chi l’ intende 1; gli versi sien sotto la censura e protezion d’un poeta ?; la filo-
sofia si mostre ignuda3 ad un si terso ingegno come il vostro;
I Il Sidney, si è avvertito nella Cena (p. 72, n. I), aveva studiato in Italia, nonostante, qui giova aggiungere, i pregiudizi diffusi nella sua patria, sin tra coloro che gli erano per ogni ragione carissimi.
Il IFlorio,
in
una
delle
sue
opere:
« Perché
io son
io,
un
tratta per altro
da
ro-
inglese in un italiano, non dubito che si ha già pronto il coltello per tagliarmi la gola:un Inglese italianato è un diavolo incarnato». Ma cfr. Spampanato, Sulla soglia del Secento, Milano, Albrighi, Segati & C., 1926, pp. 81-2; e del medesimo Vita di G. B., pp. 383-4. è In fatti, è l'autore non solo della Difesa della poesia, di cui
nella Cena, p. 70, n. 1; non solo dell'Arcadia,
manzi bizantini più che da canti pastorali italiani; ma anche delle mirabili liriche composte per Penelope Devercux, la leggiadra figlia
del Conte 3 Cfr. (B.
d'’ Essex. i bellissimi
(28-9))
(W.
versi
II, 310-1)
del
De
(L. G20-1)
947 64
—
G,
Bruno,
Dialoghi
italiani
immenso, (G.t
II,
lib. 302-3)
VIII,
cap.
(G.2 II, 326).
I,
DE
GLI
EROICI
FURORI
le cose eroiche siano addirizzate ad un eroico e generoso animo,
di qual vi mostrate dotato; gli officii s'offrano ad un suggetto si grato,
e gli ossequi!
vi scorgo
quello
mente
venuto
biano v.
86
ad
un
signor
talmente
vi siete manifestato per sempre. ne
con
gli officii 2, che
seguitato. sgg.,
che
in
maggior alcuni
qual-
E nel mio particolare
magnanimità
altri
degno,
con
m'’avete
riconoscenza
pre-
m'ab-
Vale.
Opera,
I,
tt,
290.
Cfr.
il mio
G.
B.
e il pensiero
Rinascimento*, pp. 191-2. 1 W salta le parole: ad un soggetto st grato e gli ossequii. ? Vedi, sopra, l’ Epist. proem. dello Spaccio, p. 549.
(B. (29)) (W. II, a11) (L. 621) (G.! II, 303) (G4 II, 326-7).
948
del
ARGOMENTO
DEL
AVERTIMENTO Amico
lettore,
NOLANO
A’ LETTORI.
m’occorre ‘al fine da obviare
al rigore d'al-
cuno a cui piacesse che tre de’ sonetti, che si trovano nel primo dialogo della seconda parte de’ Furori eroici, siano in
forma
simili
a
gli
altri,
che
sono
nel
medesimo
dialogo;
voglio che vi piaccia d’aggiongere a tutti tre gli suoi tornelli !. A quello che comincia: Quel ch’il mio cor, giongete
in
fine:
Onde di me si diche: Costui or ch'av’affissi gli occhi
Che
A quello in fine:
fu
che
terra,
mi
gete
quello
al fine:
che
Avida
Lasso,
que’
ALCUNI Da
A insino
potente
giorni
l'efficacia
femmi
a lungo
ERRORI
DI
Piacciavi, benigno
gli
s'opponi;
comincia:
illustre,
si duole.
da
e accende
Troncommi
Che
orco
Se
splend’
Farammi
A
d' Endimion,
comincia:
Ciel,
S'ella
rival
lieti
d’un
al sole,
ed
èmmi
e beato.
di
giongete
a lato,
trovar,
gion-
instante,
infortunato
STAMPA
eroi,
amante.
PIÙ
URGENTI
=.
lettore, prima che 3 leggere, di corregere.
a Q significano
gli quinterni.
Il numero
seguente
1 (G1 = L: tornelli; G2z: sfornelli) ® Questa errata-covrige tralasciò W, non L. E anche noi, pur servendocene, come dell'Avertimiento, a correzione del testo, abbiamo
creduto qui di riprodurla, giusta quello che già si è fatto per lo Spaccio (pp. 830-1), a documento della edizione originale curata dal B. (Questo prospetto è ora riprodotto anche dal Michel.) 3 (EM: che; GI! G3: di)
(B. [29-30]) (W. II, 311) (L. 621-2) (G.1 II, 304) (G.? II, 329). 949
DE
quella lettera,
GLI
EROICI
FURORI
significa la carta. F significa la faccia prima
o
seconda. I significa la linea. A 1, f 2, l. 2 correte a’ miei dolori. A 2, f I, li 12, ritenendolo da cose. F 2, li 30, Homerica poesia. illustre mentre canto di morte cipressi et
li 4, la gelosia sconsola. ben
soli con
sua
diva
li 11, di regione. corte.
B
‘A 4, f 1, li (1)5, inferni. A 25,f 1,
1, f 2, li 7, Potran
C 2, f 2, li 2, sappia
certo
che
se
quei. lin 4, seguite che parlino. li 23 son divini. C 7, f 2, 1 15, suspicientes in. D 8, f 1, Alti, profondi. f 2, l 10, compagni del mio core. E 6, f 1, l 21, intrattiene in quel essere. F 1, f 1, li 16, dice quell’altezza. G 8, f 1, ì 2, che fa volgar. I 2,
f 1, li 17, sguardo
Per quanto
apri
le porte.
mi si diè, L
6,
K
f£ 2,
5, f 2, li 19, Del
li 21,
XII,
Cesa.
gratioso L
7,
f 1,
1. 1o, da cure moleste. M 4, f 1, li 15, ergo. Cor. N 5, f. 1, lin
penultima Deucalion. O 3, f 1, li 14, Hammi si crudament' il spirto infetto. O 4, f 2, li 10, Il Nil d'ogn’altro suon. O 5,
f 2, li 13, intromettcea la luce. O 7, f 1, li 6, Aspra ferit' empio ardor, li 13, appresso Dite, f 2, li ultima, in quello aspira per certo più. O 8, f 2, li ultima, alli quali si mostra, non proviene
con misura di moto et tempo, come accade nelle. P 6, f 1, li antepenultima, quale chiumque ave ingegno. P. 7, f 1, li 12,
Siam
nove
esprimere.
spirti che molt'anni.
Q
4,f
1 (G! = L: A (B.
[30-1})
1, l1 22,
De
622)
1, f I, li 10, Ch’io possa
le dimore
7 (emendaz. (L.
Q
alterne.
accolta da M).)
(G.!
II, 304-5)
950
(G.2
II,
328-9).
ISCUSAZION ALLE
PIÙ
DEL
VIRTUOSE
E
NOLANO
LEGGIADRE
DAME.
De l’ Inghilterra o vaghe Ninfe e belle, Non voi ha nostro spirto in schifo, e sdegna, Né
per mettervi
Se
l’ influsso
giù
suo
stil s' ingegna,
Se non convien che femine v’appelle. Né computar, né eccettuar da quelle Son certo che voi dive mi convegna, commun
in
voi
non
regna,
E siete in terra quel ch’ in ciel le stelle. De voi, o Dame, la beltà sovrana
Nostro
Che non
rigor né morder
fa mira
Lungi
arsenico
può,
né
vuole,
a specie soprumana.
tal quindi
s’ invole,
Dove si scorge l'unica Diana!, Qual’ è tra voi quel che tra gli astri il sole ?. L’ ingegno, le parole
E "1 mio
(qualunque
Faranvi ! Cfr.
sopra,
ossequios’ il studio p.
* Il PETRARCA,
tra le donne
sia) vergar di carte
936,
nel
n.
son.
2.
Quando
un sole »; nel Trionfo
e l'arte.
"/ pianeta:
d'Amore,
«Cosi
II, 44:
costei,
ch' è
« E veramente
è fra le stelle un sole »; nel Trionfo della Morte, I, 9: « Stelle chiare pareano, in mezzo un Sole, Che tutte ornava e non togliea lor vista »;
ecc.
(B.
[32])
(W.
II,
312)
(L.
622-3)
951
(G.t
II,
[306])
(G.2
II,
[330]).
PRIMA
PARTE
DE GLI
DIALOGO
EROICI
FURORI=
PRIMO
INTERLOCUTORI Tansillo,
Cicada *.
Tansillo. Gli furori, dunque, atti più ad esser qua primieramente locati e considerati, son questi che ti pono avanti secondo l’ordine a me parso più conveniente. t Manca in BL. ® Il Tansillo
introdotto
in
questi
dialoghi
è
1’ insigne
poeta, n. a Venosa nel 1510, m. nel 1568. Le sue opere erano molto familiari e care al B., che cita spesso o imita i versi di lui (V. Spam-
PANATO, Bruno e Nola, p. 69e n. I a p. 185). Intorno a lui son ai
Capitoli
giocosi
e satirici,
sgg.; Vita di G.B., pp. 184-5, € da vedere le note di S. Volpicella
Napoli,
Dura,
1870,
e Morano,
1887;
la prefazione del Fiorentino alle Poesie liriche; l'introd. del Flamini alla sua edizione dell’ Ec/oga e i poemetti; ed in fine l’ introd. e le note
prossima 1926.) Napoli,
(1884),
di
E.
Pèrcopo
pubblicazione
Canzoniere
(Napoli,
edito
ed
Tipografia
inedito,
degli
vol.
I,
di
Artigianelli,
Vedi anche FIioRENTINO, Aneddoti tansilliani e danteschi, Morano, 1883; e B. Martirano e L. T., in Napoli lett., I
19;
G.
RosaLza,
Napoli, Giannini, BECK, L. Tansillo
1894; Studii
al
Nuovi
documenti
per
la
vita
di
L.
T.,
1903 (in Studi di letter. ital., vol. V); KuHLENu. G. Bruno nei Preussische Jahrbucher, LKXV,
Pèrcopo, Un codice autogr. di rime tans. in Ispagna, in dedicati a F. Torraca, Napoli, Perrella, 1902, pp. 525-53.
Cicada
è la
forma
latina
di
Cicala,
e l'una
e l’altra
forma
sono, nello Spaccio (pp. 633 e 639), usate indifferentemente. Lo Spam. PANATO (Bruno e Nola, pp. 21 2, e Vita, p. 65, n. 2) osserva che il Cicala
è il solo interlocutore
degli
Eroici furori
che
non
sia
di Nola,
(B. (331) (\W. IL, 313) (L. 623) (G.1 IT, [307)) (G II, [331)).
953
DE
GLI
EROICI
FURORI
Cicada. Cominciate pur a leggerli. Tasillo. Muse, che tante Importune correte
volte ributtai, a' miei dolori,
Per consolarmi sole ne' miei guai Con tai versi, tai rime e tai furori, Con
quali
ad
altri
vi
mostraste
mai,
Che de mirti si vantan ed allori; Or sia appo voi mia aura, fncora e porto, Se non mi lice altrov'ir a diporto.
2
ma che tuttavia non va considerato interamente come un estraneo, perché il Tansillo lo mette appresso, in questo stesso nostro dialogo (p. 975),
nel numero
dei conoscenti
suoi e di Giovanni
Bruno,
padre
e ivi, n. 5. Nella
quale
del Nolano. Non è improbabile che si tratti di quel magnifico Odoardo
Cicala,
ricordato
nella p. 204 del De /a Causa,
fuor di posto si cita, devo qui avvertire, lo Spaccio, dove si discorre d’una collina e non del padrone della nave. Nella prima parte di una memoria sugli Eroici furori, letta nel 1882 all'Accademia delle scienze mor. e polit. di Napoli, ma non mai pubblicata, il FioRENTINO pare dimostrasse, prima dello Spampanato, la storicità di questo Cicada. Essendo stata dimenticata fin la notizia di quella memoria, è opportuno riferire il sunto che della 18 e della 28 parte di essa l'A. inseri nei Rendiconti dell’Ac-
cademia:
I. «Il
riferisce
disserente
esamina
alla tragicomedia
l'invenzione
di Marcantonio
di questi
Epicuro
dialoghi,
intitolata:
e la
La
cecaria. Qui, come negli Eroici furori, si tratta di ciechi, i quali hanno perduta la vista per causa di amore, e per virtù di amore la ricuperano; se non che i ciechi del componimento dell' Epicuro sono tre, e nei dialoghi del Bruno sono nove ». [Questo primo brano della memoria fu pubbl. dal F. nel Giorn. napol. della dom., a. I, n. 29, 16 luglio 1882].
« Un
del Bruno
stesso
l'amore
nei
altro riscontro e quelle
suoi
è messa
istituisce il socio
di Luigi Groto,
dialoghi dal
citato;
poeta
Fiorentino
fra Je poesie
detto il Cieco d'Adria,
dove
d'Adria
la contrarietà
in rilievo,
dal Bruno
implicata
e filosoficamente
nel-
for-
mulata. a Finalmente il disserente dimostra la storicità de’ personaggi introdotti ne' dialoghi bruniani; quali sono il Tansillo, il Cesarino,
il Cicada, il Maricondo ed altri, Del Tansillo specialmente fa vedere
quali poesie appartengono a lui, e quali propriamente a Giordano Bruno: poesie che prima erano state malamente attribuite da alcuni
critici al solo Bruno. (B.
(33-4]))
(W.
IL,
313)
(L. 623)
954
(Gt
II,
308)
(G.?
II,
332).
PARTE 3
PRIMA
DIALOGO
PRIMO
O monte, o dive, o fonte, Ov’abito, converso e mi nodrisco;
Dove
quieto imparo
ed imbellisco;
Alzo, avvivo, orno il cor, il spirto e fronte, Morte, cipressi, inferni Cangiate in vita, in lauri, in astri eterni!.
I. È da credere che più volte e per pi caggioni le ributtasse,
come
tra le quali
deve
possono
il sacerdote
ocioso; perché
esser queste.
de le muse,
l’ocio non
può
non
Prima,
perché,
ha possut'esser
trovarsi là dove
si combatte
contra gli ministri e servi de l’ invidia, ignoranza e malie ne
« Il disserente dimostra il carattere simbolico di questi dialoghi, svela
il contenuto
negli
affetti
filosofico ».
II. «La Psicologia e l' Etica qui hanno un valore più universale, e s' immedesimano con le leggi naturali. La contrarietà contenuta
ne’
principii
teria:
dono
i gradi
naturali.
alle forme
corruzione. «Dopo
è simbolo
della
di
delle
La
cecità
aver
cose
della
Circe
e della
vasta
contrarietà
incantatrice
naturali,
riguardato
più
è l'onnipotente
successiva al loro
illuminazione
nascimento
i dialoghi
implicata
ed
bruniani
ma-
rispon-
alla loro
sotto
questo
nuovo aspetto, il socio Fiorentino li riscontra con l’ Etica di Spinoza,
ingegnandosi di provare, che lo Spinoza ne- abbia ricavato parecchi concetti fondamentali della sua grande opera. «Nel filosofo olandese ‘di fatti l' Etica è insieme Cosmologia e
Metafisica, come nel Bruno: la contrarietà è il cardine della teorica degli affetti: l'amore intellettuale di Dio è l'apice della liberazione, o della illuminazione, come direbbe il Nolano. «La dottrina della sostanza e dell’attributo, cioè dell’ infinito assolutamente, e dell'infinito in un dato genere, sono due concetti che si trovano esplicitamente insegnati negli Eroici furori; sicché,
tutto
ragguagliato,
Rend.
delle
l’Etica
spinoziana
si può
dire
una
sistematica
esposizione di ciò che ne' dialoghi bruniani era stato poeticamente, e in guisa frammentaria, circa un secolo prima, concepito; salvo, beninteso, la differenza che proviene dalla interposizione di Cartesio »: torn.
e de’
lavori
dell'Acc.,
ecc.,
a
XXI,
Napoli,
1882,
maggio-giugno, pp. 8-9; settembre, pp. 1-2. ! Questa rarissima forma di sonetto misto, col settenario nelle due terzine quasi sempre a’ medesimi posti, è quella che il B. conserva in quasi tutti gli Er. fur., e quasi pare la conservi per distinguere le sue dalle rime altrui. (Sulla struttura dei sonetti
(B. [34]) (W. II, 313-4)
(L. 623-4)
955
(G.! II, 309) (G.? II, 333).
DE
GLI
EROICI
FURORI
gnitade. Secondo, per non assistergli degni protectori e defensori che l’assicurassero, îuxfa quello: Non mancaranno, o Flacco, gli Maroni, Se penuria non è de Mecenati!.
Appresso, studi
de
per
trovarsi
ubligato
filosofia,
li quali,
se non
alla contemplazion son
più
maturi,
e
denno
però, come parenti de le Muse, esser predecessori a quelle. Oltre, perché, traendolo da un canto la tragica Melpomene con pit materia che vena, e la comica Talia con più vena che
materia
da l’altro,
accadeva
l'altra, lui rimanesse in mezzo
dato, che comunmente
negli Ev.
Fur.
negocioso.
vedi
l’una
suffurandolo
a
più tosto neutrale e sfacen-
rità de censori che, ritenendolo del B.
che
Finalmente,
per l’auto-
da cose più degne
ora l'osservazione
di A.
ed alte,
FERRUOLO,
Sîr
Ph. Sidney e G. B., in « Convivium », r. n., 1948, n. 5, p. 607, n. 3, dove si richiama la «forma tipica del sonetto inglese » (tre quartine
e un
56,
distico
1 Si 5:
finale
ricordi
«Sint
nell’ Orlandino
a rima
il noto
verso
Maecenates,
(I, 4)
baciata).)
di
non
MarziaLE,
deeruunt,
Flacce,
o giorni
fortunati,
il FoLENGO:
O tempi
grassi,
Epigrammata, Marones».
VIII,
Donde
Quando de' poeti si trovorno boni, Mercé Gian Bocca d'or de' Mecenati, Ch ingrassar
BeRNI, nel cap.
Sopra
Per Dio,
Nati
a un
fenno
già
molli
Maroni;
un garzone: noi altri siam
tempo,
dove
pure
non
sgraziati
si trova
Di questi così fatti Mecenati; e il TAnsILLO,
Poesie son. Deh
p.
foss' io, Martirano,
Marone, Voi
XLVII,
0 Flacco in una
siete în ogni
cosa
24: a' tempi
sola, come
nostri
Mecenate.
(B. [34-5)) (\W. IT, 314) (L. 624) (G.! II, 309) (G.? II, 333-4).
956
PARTE
PRIMA
- DIALOGO
PRIMO
alle quali era naturalmente inchinato, cattivavano il suo ingegno, perché da libero sotto la virti lo rendesser cattivo sott'una vilissima e stolta ipocrisia; al fine, nel maggior fervor
de
fastidi
nelli
quali
incorse,
è avvenuto
che
non
avend’altronde da consolarsi, accettasse l’ invito di costoro,
che son dette inebriarlo de tai furori, versi e rime, con quali non si mostràro ad altri;' perché in quest'opra più riluce d' invenzione che d’ imitazione. Cicada. Dite: che intende per quei che si vantano de mirti ed allori? Tansillo. Si vantano e possono vantarsi de mirto quei che
cantano
tocca
la
d’amori;
corona
di
tal
alli quali, pianta
se nobilmente consecrata
si portano,
a Venere,
dalla
quale riconoscono il furore. Possono vantarsi d’allori quei che degnamente
cantano cose eroiche, instituendo gli animi
eroici per la filosofia speculativa e morale, overamente celebrandoli e mettendoli per specchio exemplare a gli gesti politici e civili. Cicada. Dunque, son più specie de poeti e de corone? Tansillo. Non solamente quante son le muse, ma e di gran numero di vantaggio: perché, quantunque sieno certi geni, non possono però esser determinate certe specie e modi d’ ingegni umani. Cicada. Son certi regolisti de poesia che a gran pena passano per poeta Omero, riponendo Vergilio, Ovidio, Marziale, Exiodo, Lucrezio, ed altri molti in numero de versi-
ficatori, examinandoli d'Aristotele 1, della
pp.
(B.
per
le regole
1 Del medesimo
avviso è il CAMPANELLA
119-21)
e respinge
Philos.
[35-6])
rat.
(Parisiis,
confuta (W.
II, 314)
Apud
I. du
de
Bray,
(GI,
957
Poetica
che nella quarta parte
la precettistica
(L. 624)
la
1638,
c. IV,
aristotelica;
309-10)
art.
III,
perché
(G.? II, 334-5).
DE
Tansillo. bestie;
Sappi
perché
GLI
EROICI
certo,
non
FURORI
fratel mio, che
considerano
questi son
quelle
regole
vere
principal-
mente servir per pittura dell’omerica poesia o altra simile in particolare, e son per mostrar tal volta un poeta eroico
tal qual fu Omero, e non per instistuir altri che potrebbero essere, con altre vene, arti e furori, equali, simili e maggiori de diversi geni, Cicada. Si che, come Omero nel suo geno non fu poeta che pendesse da regole, ma è causa delle regole che serveno a coloro
che
son più atti ad imitare
che
ad inventare;
e
son state raccolte da colui che non era poeta di sorte alcuna,
ma che seppe raccogliere le regole di quell’una sorte, cioè
dell'omerica poesia, in serviggio di qualch'uno che volesse
doventar
propria
non
musa,
Tansillo.
un
altro poeta,
ma
scimia
Conchiudi
ma
un
come
de la musa
bene,
Omero,
altrui.
che la poesia
—
non
non
nasce
di
da
altrimenti non sarebbero poeti quanti «veras res canunt», ma quelli che credono che al’ imitazione e la favola siano fine ed essenza di qualsiasi poema ». Quindi non sarebbe poeta chi è giudicato «il più dotto di tutti» Lucrezio, non non Empedocle, non Parmenide, non Lucano
l'uno della « vera storia della
guerra
amores
dolores
punica ».
Similmente,
canunt
et
qui
«eximentur veros
a
Virgilio cd ed Ennio,
civile » e l’altro in
poetarum
elegiis »,
Esiodo; cantore
della « guerra
choro
Catullo,
qui
veros
Marziale
e Properzio; non Ovidio nell’ Arte d'amare, negli Amori, ne' Fasti, ma solo nelle Metamorfosi. Non poeti coloro che prescelsero, come
Teognide e Focilide, argomenti morali, o, come Arato scientifici, 0, come Orazio, Persio e Giovenale, satirici. i veri poeti italiani, Dante e il Petrarca, il Sannazaro,
e il Vida,
per
non
nominare
altri;
ma
bensi
gli autori
e Manilio, Né in fine il Pontano
di novelle
e di antichi e rozzi poemi romanzeschi, come « Amadis de Gallia, Amadis de Grecia, Sferamundo, Palmerin d' Oliva, li Real de Franza, la Tavola rotunda, il Meschino cet consimiles fabulationes nugis
plenas et mendaciis ». ! Cfr. Spaccio, p. 601, n. 3. Negli Er. Fur. questa f. capita molto più frequentemente che in qualunque altra opera del B. (B.
[36-7]))
(W.
IT,
314-5)
(L. 624-5)
958
(G.!
IT,
310)
(G.
II,
335-6).
PARTE
PRIMA
DIALOGO
PRIMO
le regole, se non per leggerissimo accidente; ma le regole derivano da le poesie: e però tanti son geni e specie de vere regole,
quanti
son
geni
e specie
de veri pocti.
Cicada. Or come dunque saranno conosciuti gli veramente poeti ? Tansillo. Dal cantar de versi; con questo che cantando o vegnano
a delettare,
o vegnano
e delettare insieme :. Cicada. A chi dunque Tanstllo. Orfeo
ed
A
chi
servono
non
altri, poetare
a giovare,
potesse, senza
o a giovare
le regole d’Aristotele? come
le regole
Omero,
Exiodo,
d'Aristotele;
e che
per non aver propria musa, vuolesse ? far l’amore con quella d’ Omero. Cicada. Dunque, han torto certi pedantacci de tempi nostri, che excludeno dal numero de poeti alcuni, o perché non apportino favole 3 e metafore conformi, o perché non hanno principii de libri e canti conformi a quei d' Omero e Vergilio,
o perché
l’ invocazione,
non
osservano
la consuetudine
di far
o perché intesseno una istoria o favola con
l'altra, o perché finiscono4 gli canti epilogando di quel ch' è detto, e proponendo per quel ch' è da dire; e per mille altre 1 Reminiscenza Aut
Aut
Epist.
ad
oraziana:
prodesse
simul
Pison.,
volunt
et iucunda
vv.
aut
delectare
et idonea
poetae,
dicere vitae.
333-4.
2 BL: vuolesse; WGt: volesse. 3 Anche nelle Poesie filos. (ediz. Gentile, pp. 8-9), il CampPaNELLA «dice che più mirabili sono l’opere di Natura », contro «i poeti moderni » convinti che «le favole sono degne di cantarsi per l'ammirazione », giusta
essenziale al poeta ». 4 (Il Firpo integra manca
(B.
in
tutte
[37]))
(W.
le
II,
la
Poetica
perché
edizioni,
315)
ma
(L.
di
non il
625)
959
Aristotele
finiscono
senso
(G3
lo
II,
«che
fece
la favola
osservando:
«Il
esigé ».)
310-1)
(G.2
II
non
336).
DE
maniere
testo.
GLI
d’examine,
Onde
un proposito
par
EROICI
FURORI
per censure
e regole
vogliano
conchiudere
che
in virti
di quel
ch’essi loro
a
(se gli venesse de fantasia) sarrebono gli veri
poeti, ed arrivarebbono là, dove questi si forzano: e poi in fatto non son altro che vermi, che non san far cosa di buono,
ma
son
nati
solamente
per
rodere,
insporcare
e
stercorar gli altrui studi e fatiche; e non possendosi render
celebri per propria virtude ed ingegno, cercano di mettersi avanti
o a dritto
Tansillo.
o a torto,
per
altrui vizio
ed errore.
Or per non tornar là donde l’affezione n’ ha
fatto al quanto a lungo digredire, dico che sono e possono essere tante sorte de poeti, quante possono essere e sono maniere
de sentimenti
ed invenzioni
umane,
alli quali son
possibili d’adattarsi ghirlande non solo da tutti geni e specie de piante, ma ed oltre d'altri geni e specie di materie. Però corone a’ poeti non si fanno solamente de mirti e lauri,
ma anco de pampino per versi fescennini, d'edera per baccanali, d'oliva per sacrifici e leggi, di pioppa !, olmo e spighe per l'agricoltura, de cipresso per funerali, e d’altre innumerabili
per
altre
tante
occasioni;
e,
se
vi
piacesse,
anco di quella materia che mostrò un galant'uomo, quando disse: O fra Porro, poeta da scazzate, Ch' a Milano t’'affibbi la ghirlanda Di boldoni, busecche e cervellate 2. del
1 Di questi due femminili, pioppa e oliva, non mancano esempi,
primo
più
quecenteschi,
che
del
secondo,
ne’
in ispecie di poesia.
nostri
Vedi
classici, non esclusi i cin-
anche
Cand.?,
p. 83, e ivi,
n. 2. (Il FLORA osserva che fioppa « può essere preso per femminile singolare od anche per plurale di forma neutra. Presso i buoni scrittori si trovano esempi dell’un caso e dell’altro, per questa e per parole affini ».)
® Versi del cap. All’Albicante di P. ARETINO,
lant'uomo », di certo, (B.
[37-8))
(W.
con
IT, 315-6)
ironia
(cfr.
(L. 625-6)
960
Spaccio,
pp.
dal B. detto ga-
(G.1 II, 3r1-2)
673-4),
intorno
(G.? IT, 336-7).
PARTE
PRIMA
- DIALOGO
PRIMO
Cicada. Or dunque, sicuramente costui per diverse vene che
mostra
in
diversi
propositi
e sensi,
potrà
infrascarsi
de rami de diverse piante, e potrà degnamente parlar con
le muse, perché sia appo loro sua aura con cui si conforte, ancora in cuisi sustegna, e porto al qualsi
retire nel tempo de fatiche, exagitazioni e tempeste. Onde dice:
O
quali
monte
Parnaso
converso,
dove
fonte
abito,
eliconio
o
Muse altro
con dove
le mi
nodrisco, monte che mi doni quieto alloggiamento, Muse che m' inspirate profonda dottrina, fonte che mi fai ripolito
e
terso,
monte
dove
ascendendo
inalzo
il
core,
Muse con le quali versando avvivo il spirito, fonte sotto li cui arbori poggiando adorno la fronte, cangiate la mia morte in vita, gli miei cipressi in lauri e gli miei inferni in cieli:
cioè
illustre,
destinatemi
mentre
canto
immortale, di morte,
fatemi cipressi
poeta,
rendetemi
ed inferni.
Tansillo. Bene; perché a color che son favoriti dal cielo, gli più
gran
mali
si converteno
in beni
tanto
maggiori:
perché le necessitadi parturiscono le fatiche e studi, e questi per il più de le volte la gloria d’immortal splendore. Cicada. E la morte d'un secolo fa vivo in tutti gli altri. Séguita. Tansillo.
Dice
appresso:
In luogo e forma di Parnaso ho "I core, Dove per scampo mio convien ch'io monte, Son mie muse i pensier ch'a tutte l'ore
Mi
fan presenti
a cui il CAMPANELLA ed
ipocriti,
eretici
di
le bellezze conte;
nelle Poesie
(p. 95), in proposito
e falsi miracolari », ebbe
bene
e mal
ci fa tutto
una
a dire
che
de’ « sofisti egli
lista
per giuoco, non per fraude; ed ha a vergogna parer men tristo degli altri c' han doglia che di tant'arte si scuopra la fogna. (B.
[38-9))
(W.
TI,
316)
(L.
626)
(G.!
961
TI,
312-3)
(G.2
II, 337-8).
DE
GLI
EROICI
FURORI
Onde sovente versan gli occhi fore Lacrime molte, ho 1’ Eliconio fonte: Per tai montagne, per tai ninfe ‘ed acqui, Com' ha piaciuto al ciel poeta nacqui. Or non alcun de reggi, ;
2.
Non
favorevol
Mio
cor,
man
d' imperatore,
Non sommo sacerdote e gran pastore Mi dien tai grazie, onori e privileggi; Ma di lauro m° infronde
I. Qua
gli
mici
dechiara
esser l’alto affetto
pensieri
prima
e le mie
onde.
qual sia il suo monte,
del suo core;
secondo,
dicendo
quai sieno le sue
muse, dicendo esser le bellezze e prorogative! del suo oggetto; terzo, quai sieno gli fonti, e questi dice esser le lacrime. In quel monte s'accende l'affetto, da quelle bellezze si concepe il furore, e da quelle lacrime il furioso affetto si dimostra. 2. Cossi se stima di non posser essere meno
illustremente
coronato
per via del suo
core,
pensieri
e lacrime, che altri per man de regi, imperadori ? e papi. Cicada. Dechiarami quel ch’ intende per ciò che dice: il core in forma di Parnaso. Tansillo. vanno
Perché
a terminarsi
cossi
il cuor
umano
ha
doi
capi,
a una
radice,
e spiritualmente
che
da uno
affetto del core procede l’odio ed amore di doi contrarii 3, come
ave sotto
due
teste una base
il monte
Parnaso 4.
Cicada. A l’altro. Tansillo. I, t Cfr.
2
(LM:
Dice:
Chiama per suon di tromba il capitano Tutti gli suoi guerrier sott’un’ insegna; Spaccio,
p.
816,
imperadori;
ivi,
3 Cfr. le Theses p. 6961.
(B.
[39-41))
n.
2.
G! G%:
de magia,
imperatori)
in Opera,
III,
49113;
4 Lucano, Pharsalia, v. 72-3: « Parnassus colle Mons Phoebo Bromioque sacer.... ». (W.
II, 316-7)
(L. 626-7)
962
e il De
gemino
(G.t II, 313)
(G.?
vinculis,
petit aethera II, 338-0).
PARTE
PRIMA
DIALOGO
PRIMO
Dove s'avvien che per alcun in vano Udir si faccia, perché pronto vegna,
Qual nemico l’uccide, o a qual insano Gli dona bando dal suo campo e ’1 sdegna:
Cossi l’alma i dissegni Sott’un
stendardo
non
o gli vuol
w
Un oggetto riguardo; Chi la mente m'ingombra,
accolti
morti,
è un
«AA
una beltà sola io resto affiso, Chi si m' ha punto il cor, è un Per un sol fuoco m'ardo,
E non
conosco
più
ch'un
o tolti.
sol viso. sol
dardo,
paradiso.
1. Questo capitano è la voluntade umana, che siede in poppa de l’anima, con un picciol temone de la raggione governando gli affetti d'alcune potenze interiori ! contra l'onde degli émpiti naturali 2. Egli con il suono de la tromba, cioè della determinata elezione, chia ma tutti gli guerrieri, cioè provoca tutte le potenze (le quali s'appellano guerriere per esserno3 in continua ripugnanza e contrasto), o pur gli effetti di quelle, che sono gli contrarii pensieri, de quali altri verso l’una, altri verso l'altra parte inchinano; e cerca constituirgli tutti sott’un’'insegna d'un determinato fine. Dove s'accade ch’alcun d'essi vegna chiamato in vano a farsi prontamente vedere ossequioso (massime quei che procedeno dalle potenze naturali, quali o nullamente o poco ubediscono
alla
raggione),
al meno,
forzandosi
d’ impedir
gli loro atti e dannar quei che non possono essere impediti, viene a mostrarsi come uccidesse quelli e donasse bando a questi,
procedendo
contra
gli altri
con
la spada
de
l'ira,
ed altri con la sferza del sdegno. 1! (AM: inferiori) * Vedi sopra, p. 561,
3 Cfr.
Spaccio,
p.
605,
n.
n.
2.
3;
e appresso,
p.
996,
ecc.
(B. [41-2)) (W. II, 317) (L. 627-8) (G.1 II, 313-4) (G.2 IT, 339-40).
963 65
—
G.
Bruno,
Dirlaghi
italiani
DE
2. Qua con
un
si
diletta
e
EROICI
oggetto
l'intenzione;
ingombra
GLI
la
per
riguarda, a
un
viso,
mente;
compiace,
e
FURORI
in
con
una
dicesi
cui è volto cui
s'appaga,
sola
beltade
restarvi
affiso,
perché l'opra d' intelligenza non è operazion di moto, ma di quiete. E da là solamente concepe quel dardo che l’uccide, cioè che gli constituisce l’ultimo fine di perfezione. Arde
per
un
sol
fuoco,
cioè dolcemente
si con-
suma in uno amore. Cicada. Perché l’amore è significato per il fuoco ? Tansillo. Lascio molte altre caggioni, bastiti per ora questa: perché cossi la cosa amata l’amore converte ne l'amante, come
il fuoco,
tra tutti gli elementi
attivissimo,.
è potente a convertere tutti quell’altri semplici e composti in se stesso.
Cicada. Or séguita. Tansillo.
principale;
il qual si essenza, e zione. Del non è più modo sono
Conosce
perché
un
paradiso
paradiso,
comunmente'
fine
significa il fine,
distingue in quello ch’è absoluto, in verità ed l’altro ch'è in similitudine, ombra e participaprimo modo non può essere più che uno, come che uno l’ultimo ed il primo bene; del secondo infiniti. Amor,
M'’appaga,
Il putto
L'alta
sorte,
l'oggetto
affanna,
irrazional,
bellezza,
Mi mostra
e gelosia
contenta
e sconsola.
la cieca e ria,
la mia
il paradiso,
morte
sola,
il toglie via,
Ogni ben mi presenta, me l'invola; Tanto ch'il cor, la mente, il spirito, Ha gioia, ha noia, ha refrigerio, ha
(B.
cioè un
1 (G!1 = L:
comunmente;
[42-3])
II,
(W.
317-8)
G*: (L.
l'’alma salma.
comunemente)
628)
964
(G.!
II,
314-5)
(G2
II,
340).
PARTE
PRIMA
DIALOGO
PRIMO
Chi mi torrà di guerra? Chi mi farà fruir mio ben in pace? Chi quel ch'annoia e quel che si mi piace, I
Farà
lungi disgionti,
Per gradir le mie fiamme
e gli miei fonti?
Mostra= la caggion ed origine onde si concepe il furore e nasce l'entusiasmo,
per solcar il campo
de le muse,
spar-
gendo il seme de suoi pensieri, aspirando a l’amorosa messe, scorgendo in sé il fervor de gli affetti in vece del sole, e l'umor de gli occhi in luogo de le piogge. Mette quattro cose
avanti:
l’amore,
la
sorte,
l’oggetto,
la gelosia. Dove l’amore non è un basso, ignobile ed indegno motore, ma un eroico signor e duce de lui; la sorte non è altro che la disposizion fatale ed ordine d’accidenti, alli quali è suggetto per il suo destino; l'oggetto
è la cosa
amabile
ed il correlativo
de l'amante;
la
gelosia è chiaro che sia un zelo de l'amante circa la cosa amata, il quale non bisogna donarlo a intendere a chi ha gustato amore, ed in vano ne forzaremo dechiararlo ad altri. L'amore e
colui
che
appaga, veramente
perché a chi ama, piace l'amare; ama,
non
vorrebbe
Onde non voglio lasciar de referire quel che in questo mio sonetto: Cara,
bel
ed
dardo,
onorata
più
Che
gir fai l’alma di sempr'arder
leggiadro
che
mai
piaga
Del
Alto,
Che
suave
e precioso
scelse
ardore,
non
ne mostrai
Amore,
vaga;
1 Manca in BL il primo verso di quest'altra terzina. del cielo le porte im’apre e serra.
paradiso m'apre in un e serra».
E in nota:
(Il Firpo
amare,
« Cosf,
W suppli:
0 forse:
Che il
ricostruisce « per conget-
tura, in base al commento che ne fa il Bruno »: Quel che mi danna e quel che il Ciel disserra.) 2 In BL è ripetuto il nome dell’interlocutore: Tansil.
(B. {43-4]) (W. II, 318-9) (L. 628-9) (G.1 IT, 315-6) (G.2 II, 341).
965
DE
Ti
Qual
torrà
GLI
forza mai
EROICI
d'erba dal
FURORI
e virti
centro
d'arte
del
mio
maga
core;
Se chi vi porge ognor fresco vigore, Quanto più mi tormenta, più m’appaga? Dolce
Quando
mio
duol,
del peso
S’il rimedio Occhi, del
Doppiate
m'è mio
fiamme
Poich' il languir
novo
tuo
nel mondo
girò
mai
e raro,
scarco,
noia, e ’1 mal diletto? signor facelle ed arco,
a l’alma
m'è
e strali al petto,
dolce
e l’ardor
caro *.
La sorte affanna per non felici e non bramati successi, o perché faccia stimar il suggetto men degno de la fruizion de l'oggetto, e men proporzionato a la dignità di quello; o perché non faccia reciproca correlazione; o per altre caggioni ed impedimenti che s'attraversano. L'oggetto contenta il suggetto, che non si pasce d'altro, altro non cerca, non s'occupa in altro e per quello bandisce
ogni altro pensiero. La gelosia sconsola, perché, quantunque sia figlia dell'amore da cui deriva, compagna di quello con cui va sempre insieme, segno del medesimo, perché quello s' intende per necessaria consequenza dove lei si dimostra (come sen può far esperienza nelle generazioni intiere, che per freddezza di regione e tardezza d’ ingegno meno apprendono, poco amano e niente hanno di gelosia), tutta volta con Ila sua figliolanza, compagnia e significazione
vien
a perturbar
ed
attossicare
tutto
quel
che si trova di bello e buono nell'amore. Là onde dissi in un altro mio sonetto: O d'invidia ed amor
Che
le gioie del padre
figlia st ria,
volgi
in pene,
Caut’Argo al male, e cieca talpa Ministra di tormento, Gelosia,
al
bene,
I Questo sonetto è realmente del Tansillo. Vedi Poesie liriche edite ed inedite di L. TansiLLO (ediz. Fiorentino), son. XXVIII,
(B. [44-5))
(W.
II, 319)
(L. 629-30)
966
(G.! IT, 316-7)
(G.2 II, 341-2).
PARTE
PRIMA
Tisifone
infernal
Che
l'altrui
dolce
DIALOGO
PRIMO
fetid' Arpia,
rapi
ed
avvelene;
Austro crudel, per cui languir conviene Il più bel fior de la speranza mia; Tiera
Augel Pena, Se
da
te
di duol,
ch’entri
si potesse
medesma
non
disamata,
d'altro
mai,
nel cor per mille a te chiuder
presago,
porte:
l’entrata,
Tant' il regno d'amor saria più vago, Quant" il mondo senz'odio e senza morte!.
Giongi a quel ch’ è detto, che la Gelosia non sol tal volta è la morte
e ruina
de
l'amante,
Dirò
tutto.
non
perché
ma
per
le spesse
volte
uccide l' istesso amore, massime quando parturisce il sdegno: percioché viene ad essere talmente dal suo figlio affetta, che spinge * l’amore e mette in dispreggio l'oggetto, anzi non lo fa più essere oggetto. Cicada. Dechiara ora l’altre particole3 che siegueno, cioè perché l'amore si dice putto irrazionale? Tansillo. dice l’amore,
Putto egli per
irrazionale sé sia tale;
ma
per
si ciò,
che per il più fa tali suggetti, ed è in suggetti tali: atteso
p. 15, con le note a pp. 217-18; Canzoniere (ediz. Pèrcopo), son. XXXII con le relative note a pp. 49-50. ! Anche questo sonetto è del Tansillo; vedi Poesîe, son. XXXIII,
p. 17, e le note a pp. 220-1; Canzoniere, son. VII e le note a pp. 14-5. I versi della seconda terzina sono citati dal B. anche nel De vinculis
în genere (Opera, III, 637-38). Il FLorIo poi novera tra i proverbi, nel suo Giardino di ricreazione (Londra, T. Woodcoock, 1591), il terzo verso della prima quartina, levandolo di peso dal dialogo del suo amico; perché, venti anni appresso, nell'elenco dei libri
ch'egli conosceva e di cui si servi per compilare il Nuovo Mondo di parole, mentre non dimenticò d'includervi gli Eroici furori, del Tansillo ricordò solamente il Vendemumnziatore e le Lagrime di S. Pietro (Seamp., Sulla soglia del Secento, pp. 109 e LI9).
? Spinge: 3 Del
(B.
[45-6]))
son.,
(W.
spenge,
s’ intende,
II, 319-20)
spegne. Amor,
V. sopra,
sorte,
(L. 630)
967
(G.!
p. 773,
l'oggetto
n. 2.
e gelosia.
II, 317-8)
(G.2
IT, 342-3).
DE
GLI
EROICI
FURORI
che, in qualunque è più intellettuale e speculativo, inalza più l'ingegno e più purifica l’ intelletto, facendolo svegliato, studioso e circonspetto, promovendolo ad un’animositate eroica ed emulazion di virtudi e grandezza per il desio di piacere e farsi degno della cosa amata; in altri poi (che: son la massima
perché
parte)
s’' intende
le fa uscir de proprii sentimenti,
far delle
extravaganze,
perché
ritrova
pazzo
e stolto,
e le precipita
il spirito,
a
anima
e
corpo mal complessionati ed inetti a considerar e distinguere quel che gli è decente, da quel che le rende più sconci, facendoli suggetti di dispreggio, riso e vituperio. Cicada. Dicono volgarmente e per proverbio, che l’amor fa dovenir gli vecchi pazzi, e gli giovani savii. Tansillo. Questo inconveniente
non accade a tutti vec-
chi, né quel conveniente a tutti giovani; ma è vero de quelli ben complessionati, e de mal complessionati quest’altri. E con questo è certo, che chi è avezzo nella gioventii d’amar circonspettamente,
amarà
vecchio
senza
straviare.
Ma
il
spasso e riso è di quelli alli quali nella matura etade l'amor mette l’alfabeto in mano. Cicada.
Ditemi
adesso,
perché
cieca
e
ria
se dice
la sorte o fato? Tansillo. per
sé,
Cieca
perché
e
è l’istesso
ria
si dice la sorte ancora,
ordine
de
numeri
e misure
non de
l'universo; ma per raggion de suggetti si dice ed è cieca, perché le rende ciechi al suo riguardo, per esser ella incertissima: E detta similmente ria, perché nullo de mortali è che in qualche maniera lamentandosi e querelandosi di
1
{B.
(GI
(46-7))
=
L:
che;
G*%:
ché)
(W.
II,
320)
(L.
630-1)
968
(G.1
II,
318)
(G.2
II,
343-4).
PARTE
PRIMA
lei, non la incolpe. Onde
DIALOGO
PRIMO
disse il pugliese poeta:
Che vuol dir, Mecenate, che nessuno Al mondo appar contento de la sorte, Che gli ha porgiuta la raggion o cielo ?!
Cossi chiama l’oggetto alta bellezza, perché a lui è unico e più eminente ed efficace per tirarlo a sé; e però lo stima più degno, più nobile; e però sel sente predominante e superiore; come lui gli vien fatto suddito e cattivo. La mia morte sola dice dela gelosia; perché come l’amore non ha più stretta compagna che costei,cossf anco non ha senso di maggior nemica; come nessuna cosa è più nemica al ferro che la ruggine, che nasce da lui medesimo. Cicada.
mostrar
Or poi ch’ hai cominciato
parte per parte
a far cossi, séguita a
quel che resta.
Tansillo. Cossi farò. Dice mostra il paradiso;
a presso de l’amore: Mi onde fa veder che l’amore
non è cieco in sè, e per sé non rende
ciechi alcuni
amanti,
ma per l’ignobili disposizioni del suggetto; qualmente avviene che gli ucelli notturni dovegnon ciechi per la presenza del sole. Quanto
a sé, dunque,
l'amore illustra, chia-
risce, apre l'intelletto e.fa penetrar il tutto e suscita miracolosi effetti.
Cicada. Molto mi par che questo il Nolano lo dimostre
in un altro suo sonetto: Amor, per cui tant'alto il ver discerno, Ch’apre le porte di diamante nere, Per gli occhi entra il mio nume, e per vedere Nasce, 1 Orazio, Qui
vive,
Sa?., fit,
I,
si
1,
nutre,
ha
regno
eterno;
1-3:
Maecenas,
ut nemo,
quani
sibi
II,
318-9)
Seu ratio dederit seu fors obiecevit, Contentus vivat? (B.
[47-8))
(W.
II,
320-1)
(L.
631)
969
(G.
illa
sorlem
(G.?
II,
344-5).
DE
Ta
Fa
scorger
presenti
Repiglia
E
GLI
EROICI
quanto
ha
d’absenti
forze,
FURORI
‘1 ciel,
effiggie
e col
trar
terra
vere,
ed
dritto,
fere,
non
fallace,
inferno.
impiaga sempr’ il cor, scuopre l' interno. O dunque, volgo vile, al vero attendi,
Porgi
l'orecchio
al mio
dunque
il
dir
Apri, aprì, se puoi, gli occhi, insano e bieco: Fanciullo il credi, perché poco intendi; Perché ratto ti cangi, ei par fugace; Per esser orbo tu, lo chiami cieco !.
Mostra intendere,
capire
grandi, almeno via,
ed
paradiso
effettuar
cose
amore,
altissime;
in apparenza le cose amate.
dice de la sorte; perché questa sovente,
per
far
o perché
Il
fa
toglie
a mal grado
de l'amante, non concede quel tanto che l’amor dimostra, e quel che vede e brama, gli è lontano ed adversario. Ogni
ben mi presenta, dice de l'oggetto; perché questo che vien dimostrato da 1’ indice de l’amore, gli par la cosa unica,
principale
ed il tutto.
Me
l’invola,
dice
della
Gelosia, non già per non farlo presente, togliendolo d'avanti gli occhi; ma in far ch'il bene non sia bene,
ma un ango-
scioso male; il dolce non sia dolce, ma un angoscioso lan: guire.
Tanto
ch'il
cor,
cioè la volontà,
ha
gioia
nel suo volere per forza d'amore, qualunque sia il successo. La
mente,
l’apprension Il
per
cioè la parte
de
la sorte,
intellettuale,
qual
non
spirito, cioè l'affetto naturale,
esser rapito
da
quell'oggetto
che
ha
noia,
aggradisce ha
dà
per
l'amante.
refrigerio,
gioia al core,
e
potrebbe aggradir la mente. L'alma, cioè la sustanza passibile e sensitiva, ha salma, cioè si trova oppressa dal grave peso de la gelosia, che la tormenta. 1 Sonetto del B. premesso, causa ( p. 189). (B.
[48-09])
(W.
II, 321-2)
con lievi ‘varianti, a’ Dialoghi De la
(L, 631-2)
970
(G.! IT, 319-20)
(G.3 II, 345-0).
PARTE
Appresso
PRIMA
DIALOGO
la considerazion
lacrimoso lamento, e dice: e metterammi
in pace;
PRIMO
del stato
Chi
mi
suo,
torrà
o chi disunirà
soggionge di
quel
il
guerra,
che
m'’annoia
e danna da quel che si mi piace ed apremi le porte del cielo, perché gradite sieno le fervide fiamme del mio core, e fortunati i fonti de gli occhi miei ? Appresso, continuando il suo proposito, soggionge: Premi, oimé, gli altri, o mia nemica Vatten via, Gelosia, dal mondo fore:
Potran
ben
soli con
sua
diva
Tar tutto nobil faccia e vago Lui
Lei
me
mi
tolga
de
l'impenne,
vita,
lei
corte
de
lui brugge
sorte;
amore.
morte,
il mio
core,
Lui me l'ancide, lei ravvive l’alma, Lei mio sustegno, lui mia grieve salma. Ma che dich’ io d’amore ?
Se lui e lei son un suggetto o forma, Se con medesmo imperio ed una norma
Fanno
Non
un vestigio al centro del mio core
son
Che
doi
dunque;
fa gioconda
è una
?
e triste mia fortuna.
Quattro principii ed estremi de due contrarietadi vuol ridurre a doi principii ed una contrarietade. Dice dunque: Premi,
oimè,
gli
altri;
cioè
basti
a te, o mia
sorte, d’avermi sin a tanto oppresso, e (perché non puoi essere senza il tuo essercizio) volta altrove il tuo sdegno. E vatten via fuori del perché uno di que’ doi altri che
plire alle vostre
vicende
ed offici:
non
sei altro ch’ il mio Amore,
nea
dalla
‘privarmi
sustanza de
vita,
mondo, tu, Gelosia; rimagnono, potrà sup-
tu, mia
sorte,
e tu, Gelosia, non sei estra-
del medesimo. per
se pur
bruggiarmi,
Reste per
dunque
donarmi
lui per la morte,
e per salma de le mie ossa: con questo che lei mi tolga di morte, mì impenne, mi avvive e mi sustente. Appresso, (B.
(49-51))
(W.
II,
322)
(L. 632-3)
971
(G.I
II,
320-1)
(G.2
IT,
346).
DE
GLI
EROICI
FURORI
doi principii ed una contrarietade riduce ad un principio ed una efficacia, dicendo: ma che dich’io d’Amore? Se questa faccia, questo oggetto è l’ imperio suo, e non par altro che l’imperio de l'amore; la norma de l'amore è la sua medesima norma; l’ impression d'amore ch'appare nella sustanza del cor mio, non è certo altra impression che la sua: perché dunque dopo aver detto nobil faccia, replico dicendo vago amore? Fine (B.
[5s1])
(W.
II,
del 322-3)
primo (L.
633)
(G.1
dialogo. II.
321)
(G.
II,
346-7).
DIALOGO
SECONDO
Tansillo. Or qua comincia il furioso a mostrar gli affetti suoi e discuoprir le piaghe che sono per segno nel corpo, ed in sustanza Io
o in essenza
che
porto
nell'anima;
d'amor
l'alto
e dice
cossi:
vessillo,
Gelate ho spene e gli desir cuocenti: A un tempo triemo, agghiaccio, ardo'c sfavillo, Son muto, e colmo il ciel de strida ardenti: Dal cor scintillo, e dagli occhi acqua stillo; E vivo e muoio, e fo riso e lamenti: Son vive l’acqui, e l'incendio non more, Ché a gli occhi ho Teti, ed ho Altr’'amo, odio me stesso 2;
Ma
s’'io m’impiumo,
altri sì cangia
Poggi'altr’al
cielo,
s' io mi
S' io chiamo,
non
risponde;
Sempre
Vulcan
ripogno
al
al
core!
in sasso; basso;
altri fugge, s’ io seguir non cesso;
E quant’ io cerco più, più mi s’asconde3. ! Queste due quartine sono citate dal B. nell'art. TX del De vinculis in genere, in Opera, III, 653-9; dove si tocca dello stesso argomento: «quem Cupidinis vincula invaserint, uno eodemque
igne atque laquei sensu videbitur cogi ad exclamandum et tacendum, laetitiam
tristitiam,
etc. ».
% PETRARCA: Pace
E E
non
e non
ho da far guerra;
temo e spero, ed ardo e son volo sopra "I cielo, e giaccio
Veggio
E bramo Ed 3 Cfr.
trovo,
M.
ho
senz’occhi;
di perir, e chieggio
in odio
A.
e non
me
Epicuro,
stesso La
O stato pien d'amaro,
ho
un ghiaccio; in terra....
lingua
aîta;
ed amo
cecaria,
e grido;
altrui.
ed.
Palmarini,
pp.
38-90:
e di sospetto!
In un ferito petto ognor dar loco Or al ghiaccio, ov al fuoco; ed amar
spesso
(B. [52-3)) (W. II, 323) (L. 633-4) (G.! II, {322)) (G.* II, [348)).
973
DE
A
proposito
GLI
di
EROICI
questo
FURORI
voglio
seguitar
quel
che
poco
nessuna
cosa
avanti ti dicevo, che non bisogna affatigarsi per provare quel che tanto manifestamente si vede: cioè che nessuna cosa
è pura
composta
e schetta
(onde
diceano
esser vero ente; come
alcuni,
l'oro composto
non
è vero
oro, il vino composto non è puro vero e mero vino); appresso, tutte
le cose
constano
de contrarii;
da onde
avviene,
che
gli successi de li nostri affetti per la composizione ch'è nelle cose, non hanno mai delettazion alcuna senza qual-
ch’amaro; anzi dico e noto di più, che se non fusse l'amaro nelle cose, non
sarrebe la delettazione,
fa che troviamo
delettazione nel riposo; la separazione è
causa che troviamo mente
piacere
essaminando,
è caggione
Cicada.
atteso che la fatica
si
nella congiunzione;
trovarà
sempre
che
che l’altro contrario sia bramato
Non
Tansillo.
è dunque
Certo
non,
e general-
un
contrario
e piaccia 1.
delettazione senza contrarietà?
come
senza
contrarietà
non
è do-
lore; qualmente manifesta quel pitagorico Poeta 2, quando dice: Hinc
metuunt
Respiciunt,
cupiuntque,
clausae
tenebris
dolent
gaudentque,
et carcere
cacco 3.
nec auras
Altruì più che se stesso; una nimica, Che si pasce e nutrica del tuo sangue... Che del tuo mal si vide, che ti fugge, Che L’avde, ti distrugge e si nasconde,
Che mai
non ti risponde....
Vedi SpampanaTto, Bruno con l’ Epicuro, cîr., nella
e Nola, pp. 67-8. Pel rapporto Cena, la n. 4 della p. 59.
del B.
! Cfr. lo Spaccio, sopra, pp. 571-2. ® BL: quel Pythagorico Poeta; WGL1: quell'aureo pitagorico poeta. 3 VircILIO,
(B. [53-4])
Aen.,
VI,
(W. II, 323-4)
733-4.
(L. 634)
974
(G.t II, 323)
(G2 II, 349).
PARTE
PRIMA
- DIALOGO
SECONDO
Ecco dunque quel che caggiona la composizion de le cose. Quindi aviene che nessuno s’appaga del stato suo, eccetto qualch' insensato e stolto, e tanto più quanto più si ritrova nel maggior grado del fosco intervallo de la sua pazzia: allora ha poca o nulla apprension del suo male, gode l’esser presente senza temer del futuro, gioisce di quel ch' è, e per quello in che si trova, e non ha rimorso o cura
di quel ch'è o può contrarietade,
essere, ed in fine non ha senso
della
la quale è figurata per l’arbore della scienza
del bene e del male. Cicada. Da qua si vede che l’ ignoranza è madre della felicità e beatitudine sensuale; e questa medesima è l’orto del paradiso de gli animali; come si fa chiaro nelli dialogi de la Cabala del cavallo Pegaseo e per quel che dice il sapiente Salomone: chi aumenta sapienza, aumenta dolore:. Tansillo. Da qua avviene che l’amore eroico è un tormento, perché non gode del presente, come il brutale amore; ma e del futuro e de l’absente, e del contrario sente
l'ambizione,
emulazione,
suspetto
e timore.
Indi
dicendo
una sera dopo cena un certo de nostri vicini: — Giamai fui tanto allegro quanto sono adesso; — gli rispose Gioan Bruno, padre del Nolano :: — Mai fuste pit pazzo che adesso. — ! Ecclesiaste, I, 18. 3 Vedi sopra, a p. 633, nonché la nota a p. 637, e quella in principio di questo Dialogo a p. 954. Oggi del padre del Nolano si conosce con certezza quanto basta, e che evidentemente non fu del tutto estraneo al destino del nostro filosofo. Giovanni fu un « gentiluomo modesto » che non era provveduto di quei beni di fortuna che gli permettessero di «star tanto sopra essî» da vivere senza bisogno dei proventi d’un ufficio. Passò quindi i migliori suoi anni
(B. [54]) (W. II, 324)
(L. 634-5)
(G.! II, 323-4)
975
(G.* II, 349-50).
DE
Cicada.
GLI
EROICI
Volete dunque,
FURORI
che colui che è triste, sia savio,
e quell'altro ch’ è più triste, sia più savio ? Tansillo.
Non,
anzi
intendo
in
questi
essere
specie di pazzia, ed oltre peggiore. Cicada, Chi dunque sarà savio, se pazzo contento,
e pazzo
è colui
un’altra
è colui ch' è
ch’ è triste?
Tansillo. Quel che non è contento, né triste. Cicada. Chi? quel che dorme? quel ch'è privo di sentimento ? quel ch'è morto? 1 Tansillo.
il quale
No;
ma
quel
considerando
e l’altro èome
ch’ è vivo,
il male
vegghia
ed il bene,
cosa variabile e consistente
ed intende;
stimando
l'uno
in moto,
muta-
zione e vicissitudine (di sorte ch' il fine d'un contrario è principio de l’altro, e l'estremo de l'uno è cominciamento de l’altro), non si dismette, né si gonfia di spirito, vien continente
nell’ inclinazioni
e
temperato
nelle
voluptadi;
stante ch'a lui il piacere non è piacere, per aver come presente il suo fine. Parimente la pena non gli è pena, perché con la forza della considerazione ha presente il termine di quella. Cossi il sapiente ha tutte le cose mutabili come cose
che
non
sono,
ed
afferma
quelle
non
esser
altro
che
vanità ed un niente; perché il tempo a l'eternità ha proporzione come il punto a la linea. Cicada. Si che mai possiamo tener proposito d'esser agli stipendi del Conte di Caserta D. Baldassarre Acquaviva e del Duca di Sessa D. Consalvo di Cordova, in Compagnie di genti d'armi
di presidio
in terre e città lontane
conosciuto
il cugino
Pp.
e principalmente
di Gian mente
Bernardino
a Nola
38-45,
! Delle
e fu
«specie
Tansillo,
e l'ospite,
anche
lui
da Nola. Commilitone
il poeta
soldato.
Luigi,
Cfr.
che
Spamp.,
la n. 2 della p. 65.
della pazzia », nel Cand.?,
(B. (54-5]) (W. IT, 324-5)
di Cola
è inammissibile che egli non ne abbia
(L. 635)
976
dimorò Vita
di
lunga-
G.
B.,
p. 202.
(G.I II, 324-5) (G.? II, 350-1).
PARTE
PRIMA
- DIALOGO
SECONDO
contenti o mal contenti, senza tener proposito de la nostra pazzia, la qual espressamente confessiamo; là onde nessun che ne raggiona, e per consequenza nessun che n'è participe, sarà savio; ed infine tutti gli omini saran pazzi. Tansillo. Non tendo ad inferir questo; perché dirò massime savio colui che potesse veramente dire talvolta il contrario di quel che quell'altro: — Giamai fui men allegro che adesso; — over: — Giamai fui men triste che
ora. —
Cicada. Come? non fai due contrarie qualitadi dove son doi affetti contrarii? perché, dico, intendi come due virtudi,
e non
come
un vizio ed
una
virtude
mamente allegro e! l’esser minimamente Tansillo. Perché ambi doi li contrarii per quanto vanno a dar su quel pi) son sano la linea; e gli medesimi in quanto meno, vegnono ad esser virtude, perché rinchiudono intra gli termini?. Cicada. non
son
Come
una
Tansillo. perché
l’esser men
virti ed un
Anzi
il vizio
dico
vizio,
che
è là dove
contento ma
son
freddo,
1
(G!:
o
né caldo
e (cfr. la nota
? Su q. I. vedi Tocco, (B.
(55-6])
(\V.
II,
325)
né
due
è la contrarietade;
freddo,
virtude;
la contrarie-
contrarietà maggiore o nulla è nel mezzo, uno ed indifferente: il più caldo ed il più che puoi dire o caldo
senza
n. 3 a p. 841);
triste
virtudi?
e medesima
tade è massime là dove è l'estremo; la è la più vicina all'estremo; la minima dove gli contrarii convegnono e son come tra il freddissimo e caldissimo è freddo, e nel mezzo puntuale è quello e
triste? in eccesso (cioè vizii, perché pasvanno a dar sul si contegnono e
e l’esser men
son
una
l’esser mini-
G2:
contrarietade.
In
ed)
Le opere latine di G. B., p. 401.
(L.
635-6)
977
(Gt
IT,
325)
(G2
II, 351-2).
DE
GLI
EROICI
FURORI
cotal modo chi è minimamente contento e minimamente allegro, è nel grado della indifferenza, sì trova nella casa della temperanza, e là dove consiste la virtude e condizion d'un
animo
forte,
che
non
vien
per
venir
al
piegato
da
l’Austro
né
da l’Aquilone. Ecco furor
dunque,
eroico,
che
si chiarisce
proposito,
come
questo
nella presente
parte,
è diffe-
rente dagli altri furori più bassi, non
ma come namente,
come
virti dal vizio,
un vizio ch’ è in un suggetto più divino o divida un vizio ch'è in un suggetto! più ferino o
ferinamente: di maniera che la differenza
è secondo gli sug-
getti e modi differenti, e non secondo la forma de l’esser vizio.
Cicada. Molto ben posso, da quel ch'avete detto, conchiudere la condizion di questo eroico furore che dice: gelate
perché
ho
non
l’eccesso
triema è
per
spene,
e
li
è nella temperanza
delle
nelle
contrarietadi;
gelate
l'avidità
desir
cuocenti;
della mediocrità,
ha
speranze,
l’anima
arde
stridolo,
ma
discordevole,
negli
mutolo
cuocenti per
nelse
desiri;
il timore;
sfavilla dal core per cura d'’altrui, e per compassion di sé versa lacrime da gli occhi; muore ne l'altrui risa, vive ne’ proprii lamenti; e (come colui che non è pit suo) altri ama, odia se stesso: perché la materia, come dicono gli fisici, con quella misura ch'ama
la presente.
E cossf conclude
la forma absente,
odia
nell’ottava la guerra ch’ ha
l'anima in se stessa; e poi quando dice ne la sestina, ma s'io
m’impiumo,
altri
si
cangiainsasso,
e quel che séguita, mostra le sue passioni ch’essercita con li contrarii esterni. ! BWL: (B.
[56-8))
in un (W.
II,
suggetto; 325-6)
Gl: (L.
per la guerra
in suggetto. 630)
978
(G.
II,
325-6)
(G.2
II,
352).
PARTE
PRIMA
- DIALOGO
SECONDO
Mi: ricordo aver letto in Iamblico, dove tratta degli Egizii misterii, questa sentenza: Impius animam dissidentem habet: unde nec secum ipse convenire potest neque cum aliis 3. Tansillo. Or odi un altro sonetto di senso consequente al detto: In
Ahi,
viva
Amor
qual
condizion,
morte
m'ha
morta
morto
natura,
vita
(ahi
vivo!
o sorte:
lasso !) di
Che son di vita insieme e morte Voto
di
spene,
d'inferno
tal
privo.
morte,
a le porte,
E colmo di desio al ciel arrivo: Talché suggetto a doi contrarii eterno, Bandito son dal ciel e da l’ inferno. Non Perché
De
quai
han mie pene triegua 3, in mezzo di due scorrenti
qua
Qual
l’una,
là l’altra
Ixion convien
mi
ruote,
scuote,
mi fugga e siegua4,
Perché al dubbio discorso Dan lezion contraria il sprone
e ’1 morso.
1 BL: «Cic. Mi ricordo.... ». 2 In GiamgstIco, De myst. Aegypt. cit., non c’è. (Il MicHEL osserva: « Bruno attribue è Jamblique un passage du commentaire
de Proclus è l'Alcibiade de Platon. que,
dans
l’édition
des
Oeuvres
de
Cette erreur s'explique Ficin,
Bàle,
1561,
t.
du fait
2....,
les
extraits de Proclus figurent immédiatement après la traduction des Mystéres Egyptiens de Jamblique. La phrase, citée de memoire, est inspirée par le chapitre intitulé Malus neque cum aliis convenit neque secum (p. 1923), où il est dit: ‘ Improbus secum ipse consentire non potest. Necesse enim est.... plurimum ignorare secumque dissidere..., Cumque semper secum ipse pugnat, nimirum cum aliis
consentire non potest’ ».) 3 PETRARCA, son. Mirando Per
e sestina
A
Non
4 Ovipio, [58))
estremi
qualunque
(W.
’I sol:
duo,
-—
G.
e misti;
ho mai triegua di sospir....
II,
326)
Iv, (T..
461: 636-7)
979 66
contrari
animal:
Metamin.,
fugitque ». (B.
questi
Bruno,
Dialoghi
italiani
« Volvitur (G.1
II,
Izion 326-7)
et (G.?
se IT,
sequitur 352-3).
DE
GLI
Mostra qualmente zione in se medesimo: e meta
EROICI
patisca quel disquarto! e distramentre l’affetto, lasciando il mezzo
de la temperanza,
e talmente
si trasporta
sporta a basso
Cicada.
FURORI
tende alto
a l’uno
e l’altro
o a destra,
che
anco
estremo; si tra-
ed a sinistra.
Come
con
questo
che non
è proprio
de l’uno
né de l’altro estremo, non viene ad essere in stato o termine
di virtude ? Tansillo.
Allora
è in stato
di virtude,
quando
si tiene
al mezzo, declinando da l’uno e l’altro contrario: ma quando
tende a gli estremi, inchinando a l'uno e l’altro di quelli, tanto gli manca de esser virtude, che è doppio vizio; il qual consiste in questo, che la cosa recede dalla sua natura, la perfezion della quale consiste nell'unità; e là dove convegnono gli contrarii, consta la composizione e consiste la virtude.
Ecco
dunque
come
è morto
riente; là onde dice: In viva vivo. Non è morto, perché
vivente,
o vivo
morte morta vive ne l’oggetto;
mo-
vita non è
vivo, perché è morto in sè stesso; privo di morte, perché parturisce pensieri in quello; privo di vita, perché non vegeta o sente in se medesimo.
Appresso, è bassissimo per
la considerazion de l’alto intelligibile e la compresa imbecillità della potenza. È altissimo per l’aspirazione dell’eroico desio che trapassa di gran lunga gli suoi termini; ed è altissimo per l'appetito intellettuale, che non ha modo e fine di gionger
numero
a numero;
è bassissimo
per la
violenza fattagli dal contrario sensuale che verso l’ inferno impiomba. Onde trovandosi talmente poggiàr e descendere, sente ne l'alma il pivi gran dissidio che sentir si possa; 1 Cir.
Spaccio,
p. 661,
n.
1.
(B. [58-Go)) (W. II, 326-7) (L. 637) (G.1 II, 327-8) (G.2 II, 353-4).
980
PARTE
PRIMA
DIALOGO
SECONDO
e.confuso rimane per la ribellion del senso, che lo sprona là d’onde la raggion l’affrena, e per il contrario. Il medesimo
affatto
si dimostra
nella
seguente
sentenza,
dove
la
raggione in nome de Filenio dimanda, ed il furioso risponde in nome di Pastore, che alla cura del gregge o armento de suoi pensieri si travaglia, quai pasce in ossequio e serviggio de la sua ninfa, ch'è l’affezione di quell'oggetto alla cui osservanza è fatto cattivo. Filenio.
Pastor !
Pastore.
Filenio.
Che
vuoi ?
Pastore. Filenio.
Pastore.
Perché
Filenio. Pastore. Filenio. Pastore. Filenio. Pastore. Filenio. Pastore. Filenio. Pastore. Filenio. Pastore, Filenio.
Chi
Doglio.
Nel centro del mio cor Che fa ? Fere. Chi ? Me.
rio ?
gli
Speri ?
Filenio. Pastore. Filenio. Pastore.
occhi,
Spero.
de
l'inferno
(W.
chi
II,
327)
si mi (L.
Si.
e del
Con
che ?
ciel
porte.
Mercé ? Mercé.
Da
rio.
Dov' è ? se tien si forte.
Te ?
Con
Perché ?
Amor. Quel
Filenio. Pastore,
[60])
fallo ?
fai?
m’ ha per suo vita, né morte.
Quel
Pastore.
(DB.
non
Che
martora
637-8)
931
(G.!
nott'e II,
328)
Da di.
chi ?
(G.2 II, 354-5).
DE Filenio. Pastore, Filcnio.
GLI
Hanne
EROICI
? Non
Pastore. Filenio, Pastore. Filenio. Pastore.
FURORI
so.
Sci
folle.
Che, se cotal follia a l’alma piace? Promette ? No. Niega ? Né meno.
Filenio. Pastore. Filenio. Pastore.
Sî, perché Vaneggi.
Filenio. Pastore.
Temo
ardir tant'onestà In
il suo
Tace ? tolle.
mi
che ?
Nei stenti. sdegno, più che
mici tormenti.
Qua dice che spasma: lamentasi dell'amore, non già perché ami (atteso che a nessuno veramente amante dispiace l’amare) 1, ma perché infelicemente ami, mentre escono que’ strali che son gli raggi di quei lumi, che medesimi, secondo che son protervi e ritrosi, overamente benigni e graziosi, vegnono ad esser porte che guidano al cielo, overamente
a l'inferno.
Con
questo
vien
mantenuto
in
speranza di futura ed incerta mercé, ed in effetto di presente e certo martire. E quantunque molto apertamente vegga la sua follia, non per tanto avvien che in punto alcuno si correga, o che almen possa conciperne dispiacere;
perché tanto ne manca, che più tosto in essa si compiace, come mostra dove dice: Mai
Senza
fia che
dell’amor
del qual
non
io
mi
lamente,
vogli'esser
felice 2.
1 BL: l’amare; WGI: l’amore. 2 I primi versi d'un sonetto del quinto dialogo (p. 1037), dove nota la probabile originc.
in (B.
[60-1])
(W.
II,
327)
(L.
638) (G.!
982
II, 328-9)
(G.?
II, 355).
PARTE
PRIMA
DIALOGO
SECONDO
Appresso, mostra un'altra specie di furore, parturita da qualche lume di raggione, la qual suscita il timore e supprime la già detta, a fin che non proceda a fatto, che possa inasprir o sdegnar la cosa amata. Dice dunque la speranza esser fondata sul futuro, senza che cosa alcuna se gli prometta o nieghe: perché lui tace e non dimanda, per tema d’offender l’onestade. Non ardisce esplicarsi e proporsi, onde fia o con ripudio escluso, overamente con promessa
accettato:
perché
nel
suo
pensiero
più
contra-
pesa quel che potrebbe esser di male in un caso, che bene in un altro. Mostrasi dunque disposto di suffrir più presto per sempre il proprio tormento, che di poter aprir la porta a l'occasione, per la quale la cosa amata si turbe e contriste. Cicada. Con questo dimostra l'amor suo esser veramente eroico, perché si propone per piu principal fine la
grazia del spirito e la inclinazion de l'affetto, che la bellezza del
corpo,
in
cui
non
si
termina
quell’amor
ch'ha
del
divino. Tansillo. Sai bene che come il rapto platonico è di tre specie 1, de quali l'uno tende alla vita contemplativa o speculativa,
l’altro
a
l’attiva
morale,
l’altro
a l’ociosa
e
voluptuaria; cossi son tre specie d’amori, de quali l'uno dall'aspetto della forma corporale s'inalza alla considerazione della spirituale e divina; l’altro solamente persevera
nella delettazion
del vedere
e conversare;
l’altro
dal
vedere va a precipitarsi nella concupiscenza del toccare. Di questi tre modi si componeno altri, secondo che o il primo s'accompagna col secondo, o che s'accompagna col terzo, o che concorreno tutti tre modi insieme; de li quali ! Cfr.
(B.
(61-2])
il De
(W.
vinculis,
in
II,
(L.
328)
Opera,
638-9)
983
III,
(G.!
642,
II,
15.
329-30)
(G.?
II,
356).
DE
GLI
EROICI
FURORI
ciascuno e tutti oltre si moltiplicano in altri, secondo gli affetti de furiosi che tendeno o più verso l’obietto spirituale: , o più verso l’obietto corporale, o equalmente verso l'uno e l’altro. Onde avviene che di quei che si ritrovano in questa milizia e son compresi nelle reti d'amore, altri tendeno a fin del gusto che si prende dal raccòrre le poma da
l'arbore
de
(o speranza amoroso
son
la
corporal
al meno)
studio;
di barbaro
gnificarsi,
ed
stimano in cotal
ingegno,
amando
bellezza,
degno modo
che non
cose
senz’ il qual
degne,
ottento
di riso e vano
corrono
possono
aspirando
e, più alto, a cose divine accomodando
tutti
quei
né cercano
a cose
ogni che
ma-
illustri,
gli suoi studi e gesti,
a i quali non è chi possa più ricca- e comodamente suppeditar
l’ali,
che
l’eroico
amore;
altri
si fanno
avanti
a fin
del frutto della delettazione che prendeno da l’aspetto della bellezza e grazia del spirito che risplende e riluce nella leggiadria del corpo; e de tali alcuni, benché amino il corpo e bramino assai d’esser uniti a quello, della cui lontananza si lagnano
presumendo
e disunion
s’attristano,
in questo,
lità, conversazione,
non
tutta volta temeno
vegnan
privi
amicizia ed accordo,
che,
di quell’affabi-
che gli è più prin-
cipale: essendo che dal tentare non più può aver sicurezza di successo grato, che gran
tema di cader da quella grazia,
qual, come cosa tanto gloriosa e degna, gli versa avanti gli occhi del pensiero. Cicada,
È
cosa
degna,
o Tansillo,
per
molte
virtudi
e
perfezioni, che quindi derivano nell’umano ingegno, cercar, accettar,
nodrire
e conservar
un simile
amore;
ma
si deve
1 In BL manca: o più verso l’obietto spirituale. Ma il supplemento già fatto da W par necessario. (Il MicHeL denuncia l’omis-
sione (B.
come
[62-4])
esclusiva
del LAGARDE.)
(W. IT, 328-0)
(L. 6309-40)
984
(G.1 II, 330-1)
(G.2 II, 356-7).
PARTE
PRIMA
DIALOGO
SECONDO
ancora aver gran cura di non abbattersi ad ubligarsi ad un oggetto indegno e basso, a fin che non vegna a farsi partecipe della bassezza ed indignità del medesimo, in proposito de quali intendo il conseglio del poeta ferrarese: Chi
mette il piè su l’amorosa
Cerchi
ritrarlo,
e non
pania,
v'inveschi
l’ali!.
Tansillo. A dir il vero, l'oggetto ch’oltre la bellezza del corpo non av’altro splendore, non è degno d'esser amato ad
altro
fine che
di far, come
dicono,
la razza:
e mi
par
cosa da porco o da cavallo di tormentarvisi su; ed io, per me, mai fui più fascinato da cosa simile, che potesse al presente esser fascinato da qualche statua o pittura, dalle quali ‘mi pare indifferente 2. Sarebbe dunque un vituperio grande ad un animo generoso, se d'un sporco vile, bardo 3 ed ignobile ingegno (quantunque sotto eccellente figura venesse ricuoperto) dica: Temo il suo sdegno più ch’il mio tormento. Fine 1 Arrosto,
anche
nel De
% Come
del
Orl.
fur.,
secondo XXIV,
vinculis în genere,
a p.
883,
vale:
non
1.
dialogo.
Il primo
in Opera,
differente,
3 Bardus, a, um (gr. Bpadbg): Vedi anche sopra, p. 919.
lento,
verso
III, 652. non
tardo,
citato
diversa.
stolido,
dal
balordo.
(B. [64]) (W. II, 329) (L. 640) (G.1 IL, 331) (G3 IL 357-8).
985
B.
DIALOGO
Tansillo.
Poneno,
e sono,
TERZO
più specie
de
furori,li quali
tutti si riducono a doi geni: secondo che altri non mostrano che
cecità,
stupidità
ed
ferino
insensato; ‘altri
zione
per
cui
impeto
irrazionale
consisteno
dovegnono
alcuni
in
certa
megliori,
che
tende
divina in
al
abstra-
fatto,
che
uomini ordinarii. E questi sono de due specie; perché altri, per esserno fatti stanza de dei o spiriti divini, dicono ed operano cose mirabile senza che di quelle essi o altri intendano
la raggione;
e tali per l’ordinario
sono
promossi
è manifesto,
séguite3
a questo da l'esser stati prima indisciplinati ed ignoranti; nelli quali, come voti di proprio spirito e senso, come in una stanza purgata, s’intrude il senso e spirito divino. Il qual meno può aver luogo e mostrarsi in quei che son colmi de propria raggione e senso, perché tal volta vuole, che il mondo! sappia certo che se quei? non parlano per
proprio studio ed esperienza,
come
che parlino ed oprino per intelligenza superiore: e con questo la moltitudine de gli uomini in tali degnamente ha maggior admirazion e fede. Altri, per essere avezzi o abili alla contemplazione, e per aver innato un spirito t (LM: ch' il mondo; F: che il mondo; G!e ® BL: che quei; ma cfr. sopra, p. 950.
3 BL:
seguita;
ma
cfr. sopra,
G2: che se il mondo)
p. c.
(B. [65-6)) (W. II, 329-30) (L. 640-1) (G.! II, [332]) (G.? IT, [359)).
986
PARTE
lucido
ed
naturale, stizia,
PRIMA
intellettuale,
suscitato
della
DIALOGO
da
uno
dall’amor
veritade,
soffio dell’ intenzione,
della
interno
della gloria,
acuiscono
TERZO
stimolo
divinitate, dal
fuoco
e fervor
della del
giu-
desio
e
gli sensi; e nel solfro della
cogitativa facultade accendono il lume razionale con cui veggono pi che ordinariamente: e questi non vegnono, al fine, a parlar ed operar come vasi ed instrumenti, ma come
principali artefici ed efficienti.
Cicada. Di questi doi geni quali stimi megliori? Tansillo. Gli primi hanno più dignità, potestà ed efficacia in sé, perché hanno la divinità; gli secondi son essi più degni, più potenti ed efficaci, e son divini. Gli primi son degni come l’asino che porta li sacramenti *; gli secondi
come effetto
una
cosa sacra.
la divinità;
Nelli primi
e quella
si considera
s'admira,
adora
ed
e vede
in
obedisce;
ne gli secondi si considera e vede l'eccellenza della propria umanitade. Or venemo*? al proposito. Questi furori de quali noi raggioniamo, e che veggiamo messi in execuzione in queste sentenze, genze
non
son oblio, ma
di se stesso,
ma
una memoria;
amori
e brame
del
non son neglibello
e buono
con cui si procure farsi perfetto con trasnsformarsi ed assomigliarsi a quello. Non è un raptamento sotto le leggi d'un fato indegno,
impeto buono
razionale e bello
che
con gli lacci de ferine affezioni; ma un
che siegue conosce,
l’apprension a cui
vorrebbe
intellettuale
del
conformandosi
1 «Vetus proverbium quod dicitur: Asinum portare mysteria». Vedi sopra, p. 838, in n., per la fonte di questa citazione. ® BL attribuiscono questo discorso a Cicada. Ma chi ripiglia poi la parola, è appunto Cicada.
(B. [66-7)) (W. II, 330) (L. 641) (G.! II, (332]-3) (G.2 II, [359]-60).
987
DE
GLI
EROICI
FURORI
parimente piacere; di sorte che della nobiltà e luce di quello viene ad accendersi ed investirsi de qualitade e condizione per cui appaia illustre e degno. Doviene un dio dal contatto intellettuale di quel nume oggetto; e d'altro non ha pensiero che de cose divine, e mostrasi insensibile ed impassibile in quelle cose che comunmente massime senteno, e da le quali
più vegnon
altri tormentati;
niente
teme,
e
per amor della divinitade spreggia gli altri piaceri, e non fa pensiero alcuno de la vita. Non è furor d'atra bile che fuor di conseglio, raggione ed atti di prudenza lo faccia vagare guidato dal caso e rapito dalla disordinata tempesta; come quei, ch’'avendo prevaricato da certa legge de la divina Adrastia? vegnono le
Furie,
corporale
acciò per
sieno
condannati
essagitati
sedizioni,
ruine
da
sotto la carnificina de una
e morbi,
dissonanza quanto
tanto
spirituale
per la iattura dell'armonia delle potenze cognoscitive ed appetitive. Ma è un calor acceso dal sole intelligenziale ne l'anima e impeto divino che gl’ impronta l’ali3; onde più e più avvicinandosi al sole intelligenziale, rigettando la ruggine de le umane cure, dovien un oro probato e puro 4, ha
sentimento
della
divina
ed
interna
armonia,. concorda
gli suoi pensieri e gesti con la simmetria della legge insita ! Cfr. PLotino, Enn. VI, ® O Nemesi. 3 BL: l'ali; WGI: l'ale.
4 Cfr.
penes erat,
PLotINo,
se ipsam,
agnitione,
Enn.
IV,
7, 34. 7,
10:
« Anima
in sui ipsius animadversione,
velut. divinas
imagines
non
extra
ciusque,
in
se
sitas
II,
333-4)
iam
currens....
quod
prius
intuetur,
quas ante per tempus rubigine obsitas iam rite detersit: velut si forte aurum animatum foret et quia terra obsitum, ideo non se intuens aurum, se ipsum penitus ignoraret: aliquando veroa se terram excutiens, cernensque purum, se ipsum admiraretur, cognosceretque non sibi opus esse extrinseca pulchritudine » (trad. Iicino).
(B.
[67-8))
(W.
II,
330)
(L.
641-2)
988
(G.t
(G.2
II,
360-1).
PARTE
PRIMA
DIALOGO
TERZO
in tutte le cose. Non come inebriato da le tazze di Circe va cespitando ed urtando or in questo, or in quell'altro fosso, or a questo or a quell’ altro scoglio; o come un Proteo vago or in questa, or in quell'altra faccia cangiandosi,
giamai
ritrova
loco,
modo,
fermarsi e stabilirsi. Ma senza vince e supera gli orrendi mostri; a dechinare,
facilmente
ritorna
timi
che
nove
instinti,
come
né
materia
di
distemprar l’ armonia e per tanto che vegna al
sesto
muse
con
saltano
quelli e
in-
cantano
circa il splendor dell’universale Apolline; e sotto I’ imagini sensibili e cose materiali va comprendendo divini ordini e consegli. È vero che tal volta avendo per fida scorta l'amore, ch’ è gemino, e per hé tal volta per occorrenti impedimenti
si vede defraudato
dal suo sforzo, allora
come insano e furioso mette in pregipizio l’amor di quello che
non
può
comprendere;
onde
confuso
da
l'abisso
della
divinità tal volta dismette le mani, e poi ritorna pure a forzarsi con la voluntade verso là dove non può arrivare con l'intelletto. È vero pure che ordinariamente va spasseggiando, ed ora più in una, or più in un'altra forma del gemino Cupido si trasporta; perché la lezion principale che gli dona Amore, è che in ombra contemple (quando non puote in specchio) la divina beltade!; e come gli proci di Penelope s'intrattegna con le fante ?, quando non gli lice conversar con la padrona. Or dunque, per conchiudere, possete
da quel
ch'è
1 (M legge beltate) ? BL: le fante; WG*:
si è notato nel Cand.?,
secondo
il quale
mantengono
detto,
comprendere
le fanti.
Correzione
qual
inutile,
sia questo
perché,
come
(p. LVII), il B. si attiene ancora all'uso antico,
sostantivi
ed
aggettivi
nel plurale la desinenza
della
terza
del singolare.
declinazione
(B. [68-69]) (W. IT, 330-1) (L. 642) (G.! II, 334-5) (G.? II, 301-2).
989
DE
furioso
di
cui
GLI
EROICI
l’imagine
ne
FURORI
vien
messa
avanti,
quando
si dice: Se la farfalla al suo
splendor
ameno
Vola, non sa ch’è fiamma al fin discara!; Se, quand' il cervio per sete vien meno, AI rio va, non sa della freccia amara; S’ il lioncorno corre al casto seno ?,
Non
vede
il laccio
I' al lume,
Veggio
al
fonte,
le fiamme,
S'è
dolce
Perché Perché
che
se gli prepara.
al
grembo
del
mio
i strali e Ie catene.
il mio
bene,
languire,
quell'alta face si m'appaga, l’arco divin si dolce impiaga,
Perché
in
quel
nodo
Mi fien eterni impacci Fiamme
al
cor,
strali
è avvolto
al
petto,
il mio
a
l'alma
desire, lacci.
Dove dimostra l’amor suo non esser come de la farfalla, del cervio e del lioncorno, che fuggirebono s'avesser giudizio
del fuoco,
della saetta
e de gli lacci, e che
non
han
senso d'altro che del piacere; ma vien guidato da un sensatissimo e pur troppo oculato furore, che gli fa amare più quel fuoco che altro refrigerio, più quella piaga che altra sanità, più que’ legami che altra libertade. Perché questo male non è absolutamente male; ma per certo ri1 Cfr. TansILLO, Poesie liriche, p. 155; Canzoniere, Quel vago animaletto ecc. E già il PETRARCA: Come talora.... Semplicetta farfalla al lume n. avven ch'ella move..... vedi
2 Per A.
questo
SALZA,
motivo
Imprese
del liocorno
e divise
P. 43. Il Pèrcopo poi (Canzoniere, con
ragione,
rivato
abbia (B.
i vv.
imitato
[69-70])
ciò che
sostiene
7 e 8 da
un
(W.
II,
331)
del
133
162-3°
avvezza....
cosi frequente e d'amore
nelle impresc,
nell Orl.
furioso,
n. al son. L, p. 67) nega, e forse
il IFiorentino,
son.
il petrarchesco
d'arme
pp.
Tansillo,
e non
(L. 642-3)
990
che
(G.I
cioè
e che
piuttosto II,
335)
il B.
questi
abbia
il 312. (G.?
II,
in
de-
esso
362-3).
PARTE
PRIMA
DIALOGO
TERZO
spetto al bene secondo l'opinione !, e falso, quale il vecchio Saturno ha per condimento nel devorar che fa de proprii figli. Perché questo male absolutamente ne l'occhio de l’eternitade è compreso o per bene, o per guida che ne conduce a quello; atteso che questo fuoco è l'ardente desio de le cose divine, questa saetta è l’ impression del raggio della beltade della superna luce, questi lacci son le specie del vero che uniscono la nostra mente alla prima verità, e le specie del bene che ne fanno uniti e gionti al primo e sommo bene. A quel senso io m’accostai, quando dissi: D'un
Beltà
sf bel fuoco e d’un si nobil laccio
m'accende,
ed
onestà
m'annoda,
Ch’in fiamm’e serviti convien ch'io goda. Fugga la libertade e tema il ghiaccio.
L’ incendio è tal ch’ io m’ardo e non mi sfaccio, E "1 nodo è tal ch’il mondo meco il loda, Né mi gela timor, né duo] mi snoda;
Ma
tranquillo
è l’ardor,
dolce l’ impaccio.
Scorgo tant’alto il lume che m’ infiamma, E ’1 laccio ordito di si ricco stame, Che nascendo il pensier, more il desio. Poiché mi splend’al cor si bella fiamma, E mi stringe il voler sf bel legame, Sia serva l'ombra, ed arda il cener
Tutti gli amori
mio.
(se sono eroici e non son puri animali,
che chiamano naturalie cattivi alla generazione, come instrumenti de la natura in certo modo) hanno per oggetto la divinità, tendeno alla divina bellezza, la quale prima 1 Cioè,
rispetto
? Sonetto
del
a quello
TansILLO,
che
è bene
in Poesie
secondo
liriche,
l'opinione.
XXVII,
p.
14;
Can-
(G.2
II,
363).
zontere, I, pp. 3-4. Non è superfluo avvertire che il ms. autografo riprodotto dal Pèrcopo mostra notevoli varianti e spostamenti
nell'ultimo terzetto. (B.
[70-1])
(W.
IL
331-2)
(L.
643)
991
(Gt
II,
335-6)
DE
si comunica
GLI
all’anime
EROICI.FURORI
e risplende
in quelle;
e da quelle
poi o, per dir meglio, per quelle poi si comunica alli corpi;
onde è che l’affetto ben formato ama gli corpi o la corporal bellezza, per quel che è indice della bellezza del spirito. Anzi
quello che n’innamora!
del corpo
è una
certa spiri-
tualità che veggiarno in esso, la qual si chiama bellezza; la qual non consiste nelle dimensioni maggiori o minori, non
nelli determinati
colori o forme,
ma
in certa armonia
e consonanza de membri e colori?. Questa mostra certa sensibile affinità col spirito a gli sensi più acuti e penetrativi; onde séguita che tali più facilmenté ed intensamente s’innamorano;
ed
anco
pi
facilmente
\si
disamorano,
e
più intensamente si sdegnano, con quella facilità ed intensione, che potrebbe essere nel cangiamento del spirito brutto, che in qualche gesto ed espressa intenzione si faccia aperto; di sorte che tal bruttezza trascorre da l’anima al corpo, La
a farlo
beltà
non
dunque
apparir
del corpo
oltre ha
come
forza
già di legare e far che l'amante grazia,
che
si richiede
d'accendere,
non
nel spirito,
gli apparia
bello.
ma
non
possa fuggire, se la
non
soccorre,
come
la
onestà, la gratitudine, la cortesia, l'accortezza. Però dissi bello quel fuoco che m'accese, perché ancor fu nobile il laccio che m'annodava. Cicada. Non creder sempre cossi, Tansillo; perché qualche volta, quantunque lasciamo
però
discuopriamo
di rimaner
accesi
ed
vizioso il spirito, non allacciati;
che, “quantunque
la raggion veda il male
tale
ha
amore, 1 (GL = L: ® Cfr. il De
non
però
efficacia
d'alienar
n° innamora; G*: m' innamora) vinculis in genere, in Opera, III,
di maniera
ed indignità di il disordinato
641,
15,
(B. [71-2)) (W. IT, 332-3) (L. 643-4) (G.! IT, 336-7) (G2 II, 363-4).
992
PARTE
PRIMA
- DIALOGO
TERZO
appetito. Nella qual disposizion credo che fusse il Nolano, quando disse: Oimè, che son constretto D'appigliarmi al mio male,
Ch'apparir
fammi
Tasso,
a l’alma
E
fero
un
non
dal furore
sommo
ben
cale,
Amore.
Ch'a contrarii consigli unqua
ritenti;
Che mi nodrisce in stenti, E poté! pormi da me stesso
in bando,
del
tiranno,
Più che di libertade i’ son contento. Spiego
Che
E
che
a l'odioso
al dolce
Questo
e son
al vento,
suttraga
tempestoso
Tansillo. è vizioso
mi
le vele
accade,
tinti come
dalla conformità
bene,
danno. amene.
quando
l’uno e l’altro spirto
di medesimo
si suscita,
accende
inchiostro,
atteso
e si confirma
l’a-
more. Cossi gli viziosi facilmente concordano in atti di medesimo vizio. E non voglio lasciar de dire ancora quel che per esperienza conosco: che quantunque in un animo abbia discuoperti? vizii molto abominati da me, com’è dire una sporca avarizia, una vilissima ingordiggia sul da_naio, irreconoscenza
di ricevuti
favori
e cortesie,
un
amor
di persone al tutto vili (de quali vizii quest'ultimo massime dispiace, perché toglie la speranza a l'amante, che per esser egli, o farsi, più degno, possa da lei esser più accettato); tutta volta non mancava ch’ io ardesse per la beltà corporale,
Ma
che?
io
l’amavo
senza
buona
volontà,
che non per questo m’arrei più contristato delle sue disgrazie ed infortunii. 1 BL: % BL:
essendo
che allegrato
poté; WG®: pote. di scuoperti.
(B. [72-3]) (W. IL 333) (L. 644-5) (G.! IL 337-8) (G.2 II, 364-5).
993
DE
GLI
EROICI
FURORI
Cicada. Però è molto propria ed a proposito distinzion che fanno intra l’amare e voler bene. Tansillo.
È
desideramo
perché
vero:
che
sono
perché
siano
iniqui
a molti
savii
ed
e giusti,
ignoranti;
quella
vogliamo, bene,
ma
molti
non
cioè
le amiamo,
amiamo,
perché
son belli, ma non gli vogliamo bene, perché non meritano. E tra l'altre cose
che stima l'amante
quello non
meritare,
la prima è d'essere amato; e però benghé non possa astenersi d'amare, niente di meno gli ne rirìeresce e mostra il suo rincrescimento, come costui che diceva: Oimé,
ch’io son costretto dal furore D'’appi: gliarmi al mio male. In contraria disposizione fu, o per altro oggetto corporale in similitudine, o per suggetto
divino
in verità,
Bench'a
Pur
Che E
tanti
martir
ti ringrazio,
tal
quando
e assai
impadroniste
chi
vuol
Ch’uccid'in
Amore,
apriste il petto,
del
mio
core!,
divo e viv’oggetta, ’n terra adore;
ch’ il mio
speme
fai suggetto,
ti deggio,
con si nobil piaga
Per cui fia ver, ch'un De Dio più bella imago Pensi
mi
disse:
destin?
e fa viv’in
sia rio,
desio.
Pascomi in alta impresa; bench'il fin bramato non consegua, E 'n tanto studio l'alma si dilegua; Basta che sia sf nobilment'accesa; Basta ch'alto mi tolsi,
E
E
da l'ignobil
1 L’ Epicuro
nella
Quanto Che con Ponesti Che fa
numero
mi
sciolsi,
Cecaria,
ed.
cit.,
ti debb' st mal nel mio la ment’
p.
40:
io pur, spietato arciero, curata e dolce piaga cor si bel pensiero, innamorata e vaga.
Questo ed altri raffronti con la favola pastorale dell' Epicuro, pit largamente imitata nella parte II degli Evoici furori, ha fatto lo SPAMPANATO,
® (G?:
in Bruno
destino
e Nola,
(per evidente
(B. [73-4)) (W. II, 333-4)
p.
68.
svista tipogr.).)
(L. 645) (G.! II, 338-9)
994
(G.2 II, 365-6).
PARTE
PRIMA
- DIALOGO
TERZO
L’amor suo qua è a fatto eroico e divino; e per tale voglio intenderlo, benché per esso si dica suggetto a tanti martiri; perché ogni amante, ch'è disunito e separato da la cosa amata (alla quale com'è congionto con l’affetto, vorrebe essere con l'effetto), si trova in cordoglio e pena, si crucia e si tormenta: non già perché ami, atteso che degnissima- e nobilissimamente sente impiegato l'amore; ma perché è privo di quella fruizione la quale ottenerebbe se fusse gionto a quel termine al qual tende. Non dole per il desio che l’avviva, ma per la difficultà del studio ch' il martora. Stiminlo dunque altri'a sua posta infelice per questa apparenza de rio destino, come che l’abbia condannato a cotai pene; perché egli non lasciarà per tanto de riconoscer l’obligo ch’ave ad Amore,
e rendergli grazie,
perché gli abbia presentato avanti gli occhi de la mente una specie intelligibile, nella quale in questa terrena vita, rinchiuso
in questa
priggione
de la carne,
ed avvinto
da
questi nervi, e confirmato da queste ossa, li sia lecito di contemplar più altamente la divinitade, che se altra specic e similitudine di quella si fusse offerta. Cicada. Il divo dunque e vivo oggetto, ch'ei dice, è la specie intelligibile più alta che egli s'abbia possuto formar della divinità; e non è qualche corporal bellezza che gli adombrasse il pensiero, come appare in superficie del senso ? Tansillo. Vero, perché nessuna cosa sensibile, né specie di quella, può inalzarsi a tanta dignitade. Cicada. Come dunque fa menzione di quella specie per oggetto,
se,
istessa ? Tansillo.
come
La
mi
pare,
è oggetto
il vero
oggetto
finale, ultimo
è la divinità
e perfettissimo,
(B. (74-6)) (W. II, 334) (L. 645-6) (G.1 IL, 339-40) (G.? II, 366).
995 G7
11
Miniina
Dialaebi
Hnliani
DE
GLI
EROICI
FURORI
non già in questo stato dove non possemo veder Dio se non come in ombra e specchio; e però non ne può esser oggetto se non in qualche similitudine; non\tale qual possa esser abstratta ed acquistata da bellezza ed\eccellenza corporea per virti del senso; ma qual può esser formata nella mente
per virtù de l’ intelletto. Nel qual stato ritrovandosi, viene a perder l’amore ed affezion d'ogni altra cosa tanto sensibile quanto intelligibile; perché questa congionta a quel lume dovien lume essa ancora, e per consequenza si fa un Dio: perché contrae la divinità in sé, essendo ella in Dio per la intenzione
con
cui penetra
nella
divinità
(per
quanto
si può), ed essendo Dio in ella, per quanto dopo aver penetrato viene a conciperla e (per quanto e comprenderla nel suo concetto. Or
similitudini
si pasce l’ intelletto umano
si può) a ricettarla di queste specie e
da questo mondo
inferiore, sin tanto che non gli sia lecito de mirar con più
puri occhi la bellezza della divinitade. Come accade a colui che
è gionto
simo,
mentre
a qualch’edificio
eccellentissimo
va
cosa
considerando
per
cosa
ed ornatis-
in
quello,
si
aggrada, si contenta, si pasce d'una nobil maraviglia; ma se avverrà poi che vegga il signor di quelle imagini, di bellezza incomparabilmente maggiore, lasciata ogni cura e pensiero
quell’uno.
di esse,
Ecco
tutto
dunque
è volto
come
ed
intento
a considerar
è differenza in questo
stato
dove veggiamo la divina bellezza in specie intelligibili tolte da gli effetti, opre, magisteri, ombre e similitudini di quella;
ed in quell'altro stato dove sia lecito di vederla in propria presenza. Dice
perché
e muove
appresso:
(come notano circa
Dio,
Pascomi
gli pitagorici)
come
il corpo
d’alt’impresa,
cossi l’anima si versa circa
l’anima.
(B. [76-7) (W. II, 334-5) (L. 646-7) (G.! II, 340) (G.? II, 366-7).
996
PARTE
Cicada.
Dunque,
Tansillo. mente,
PRIMA
DIALOGO
il corpo non è luogo de l’anima?
Non +; perché
ma
come
TERZO
l’anima
non
è nel corpo local-
forma intrinseca e formatore
estrinseco ?;
come quella che fa gli membri, e figura il composto da dentro e da fuori. Il corpo dunque è ne l’anima, l’anima nella mente, la mente
o è Dio,
o è in
Dio,
come
disse
Plotino:
cossi
come per essenza è in Dio che è la sua vita, similmente per
l'operazione intellettuale e la voluntà conseguente dopo tale operazione, si referisce alla sua luce e beatifico oggetto. Degnamente
dunque
questo
affetto
de
l’eroico
furore
si
pasce de si alta impresa. Né per questo che l’obietto è infinito,
in
atto
simplicissimo,
e la nostra
potenza
intellet-
tiva non può apprendere l'infinito se non in discorso, o in certa maniera de discorso, com’ è dire in certa raggione potenziale o aptitudinale, è come colui che s'amena a la consecuzion de l'immenso onde vegna a constituirse un fine dove non è fine. Cicada. Degnamente, perché l’ultimo fine non deve aver fine, atteso che sarebe ultimo. È dunque infinito in intenzione, in perfezione, in essenza ed in qualsivoglia altra maniera d’esser fine. Tansillo 3. Dici il vero. Or in questa vita tal pastura è di maniera tale, che più accende, che possa appagar il desio, come ben mostra quel divino poeta, che disse: Bra mando
è
lassa
ed in altro luogo:
1 BL:
Non;
® PLotINO,
3 BL
4 Cfr.
(B.
[77-8))
continuano Isasa,
(W.
No.
IV,
ad
XXVI,
IT,
a
Dio
viventea;
Atfenuati sunt oculi mei suspicientes in
1VG!:
Eun.
l’alma
335-6)
3,
24.
attribuire 8-9.
(L.
647)
997
il discorso (G.I
II,
a
Cicada.
340-1)
(G.2
IT,
367-8).
DE
excelsum 1. Però non si
GLI
dice:
consegua, dilegua,
accesa
dire,
FURORI
E
bench'il
E'’n
tanto
Basta
vuol
EROICI
che
bramato
studtol'alma
sia
ch’in
Na sf
tanto
nobilmente
l’anima
si consola
e
riceve tutta la gloria che può ricevere in cotal stato, e che sia partecipe
di
quell’ultimo
furor
de
l'uomo,
in
quanto
uomo di questa condizione, nella qual si trova adesso, e come ne veggiamo, Cicada. Mi par che gli peripatetici (come esplicò Averroe) vogliano intender questo, quando dicono la somma felicità de l’uomo consistere nella perfezione per le scienze speculative ®. Tansillo.
È
vero,
e dicono
molto
bene;
perché
noi
in
questo stato nel qual ne ritroviamo, non possiamo desiderar né ottener maggior perfezione che quella in cui siamo quando il nostro intelletto mediante qualche nobil specie intelligibile s’unisce o alle sustanze separate, come dicono costoro,
o a la divina mente,
come
è modo
de dir de pla-
tonici. Lascio per ora di raggionar de l’anima, o uomo in altro stato e modo di essere che possa trovarsi o credersi. Cicada. Ma che perfezione o satisfazione può trovar l'uomo in quella cognizione la quale non è perfetta? Tansillo. Non sarà mai perfetta 3 per quanto l' altissimo oggetto possa esser capito, ma per quanto l' intelletto nostro possa capire: basta che in questo ed altro stato gli sia presente la divina’ bellezza per quanto s’estende "l'orizonte della vista sua.
1 Ivi,
XXXVIII,
14.
® Cfr. i Libvi physic. Arist. explanati, 3 (G! = L: perfetta; G?: perfetto)
in prine.: Opera,
III, 261.
(B. [78-9]} (W. II, 336) (L. 647-8) (G.1 IL, 341-2) (G.à II, 369-0).
998
PARTE
Cicada.
Ma
PRIMA
DIALOGO
TERZO
de gli uomini non tutti possono giongere a
quello dove può arrivar uno o doi. Tansillo.
Basta
che
tutti
corrano;
assai
è
ch'ognun
faccia il suo possibile; perché l'eroico ingegno si contenta più tosto di cascar o mancar degnamente e nell’alte imprese, dove mostre la dignità del suo ingegno, che riuscir a perfezione in cose men nobili e basse. Cicada. Certo che meglio è una degna ed eroica morte, che un indegno e vil trionfo. Tansillo. A cotal proposito feci questo sonetto: Poi che spiegat’ ho l'ali al bel desio,
Quanto
più
sott' il piè l'aria mi
Più le veloci penne
scorgo,
al vento porgo,
E
spreggio il mondo, e vers' il ciel m' invio. Né del figliuol di Dedalo il fin rio Fa che gii pieghi, anzi via più risorgo. Ch’ i' cadrò morto a terra, ben m’accorgo; Ma qual vita pareggia al morir mio? La voce del mio cor per l’aria sento:
—
Che
Ove
raro
mi
porti,
è senza
temerario?
duol
China,
tropp'ardimento.
—
Non temer, respond’ io, l’alta ruina. Fendi sicur le nubi, e muor contento,
S’ il ciel si illustre
morte
ne
destina.
Cicada. Io intendo quel che dice: mi tolsi; ma non quando dice: numero
III,
mi
! Sonetto del TansILLO,
pp.
chesa del
5-6:
Laura
scritto,
Vasto,
fondamento da
sciolsi,
crede
Monforte,
quando
aveva
secondo
Maria
s’egli
la quale
appena
non
Poesie liriche, XXVI,
il Fiorentino
D'Aragona,
il Pèrcopo
basta ch'alto e da l’ignobil
intorno
nell’ Intr.
visse
(pp. al
al Canz.,
lungamente
intende
d'esser
p. 14; Canzoniere,
214-7),
1536,
anni,
(L. 648)
(G.I II, 342-3)
per
non
la mar-
senza
per la napoletana
a Nola,
quindici
0,
dove
se n'invaghîf,
il pocta,
In qualche
verso arieggia il son. petrarchesco Quando Amor i belli occhi, la st. 48 del c. XXXIV del Furioso e la I selva del Cliaos del Tripe-(DB. {79-80])
(W.
II, 336-7)
999
(G.3 II, 3609-70).
DE
uscito
fuor
de
GLI
l’antro
EROICI
FURORI
platonico !, rimosso
dalla-condizion
della sciocca ed ignobilissima moltitudine;
essendo che quei
che profittano in questa contemplazione, non possono esser molti e numerosi, Tansillo. Intendi molto bene. Oltre, per l’ignobil numero può intendere il corpo e sensual cognizione, dalla quale bisogna alzarsi e disciòrsi chi vuol unirsi alla natura
di contrario
geno.
Cicada. Dicono gli quali l'anima è legata che da l’anima come è certa qualità vitale
runo; sio.
e come
Che
questo
già
platonici due sorte de nodi con gli al corpo. L’uno è certo atto vivifico un raggio scende nel corpo; l’altro che da quell'atto risulta nel corpo ?.
si è detto
son.,
(p.
come
gli
365,
altri
n.
due
I),
piacque
Cara,
suave
a B. Telced
onorata
piaga, O d'invidia e d'amor figlia st via, sia del T. e non del B., di cui furono talvolta creduti, benché più innanzi (1098) B. torni a citarlo come del T. (cfr., p. e., FIORENTINO,
Napoli,
1861, pp.
112-113, e DE SANCTIS,
Il panteismo di G. Bruno,
Storia d. let. îtal., n. ediz.
Bari, Laterza, 1912, II, 254, che per altro aggiunge la riserva: « Bruno o l'anonimo
autore »), è dimostrato
Cooperativa,
1889;
con
certezza
dal
fatto
che
esso
si trova con gli altri due sotto il nome del T. nella raccolta di Fiori delle rime dei poeti illustri del Ruscelli del 1558. Vedi FIORENTINO, B. Telesio, II, 469; A. Orvieto, Noterelle critiche, Firenze, Tip. e B. Croce,
Per un famoso son. del T., in Critica,
VI (1908), 237-40. Il B. ebbe presente, giova ripetere, e questo c l'altro son. Amor m° impenna l'ale, quando dettò il suo E chi 1° impenna per il De l'infinito (p. 365); e non reca maraviglia, perché a quelle due liriche s’ ispirarono anche dei poeti stranieri contemporanei,
tra cui
il Desportes,
il Bertaut
e il Malherbe,
avverte nella sua ediz. (p. 4 in n.) il Pércopo. 1 Vedi l'allegoria della caverna al prince. del lib. VII pubblica
di
Platone;
% a Duobus
quasi
ma
cfr.
nodis
PLotINO,
anima
cum
Ewn.
IV,
corpore
B,
1.
come
della Re-
devincitur:
unus
quidem vergit ad animam, id est vivificus eius actus emicans erga corpus: alter vero declinat ad corpus, id est qualitas ipsa quasi vitalis per hunc actum infusa corpori» (M. Ficino, ad PLOTINI Enn. IV, 4, 191€ ad Enn, IV, 4, 18: «sicut ex sole micat lu-
(B. [80]) (W. II, 337) (L. 648-9) (G.! II, 343) (G.* II, 370). 1000
PARTE
PRIMA
- DIALOGO
TERZO
Or questo numero nobilissimo movente, ch'è l'anima, come intendete che sia disciolto da l’' ignobil numero, ch' è il corpo? Tansillo. Certo non s’' intendeva secondo alcun modo di questi; ma secondo quel modo con cui le potenze che non son comprese e cattivate nel grembo de la materia, e qualche volta come sopite ed inebriate si trovano quasi ancora esse occupate nella formazion della materia e vivificazion del corpo; talor come risvegliate e ricordate di se stesse, riconoscendo il suo principio e geno, si voltano alle cose superiori, si forzano al mondo intelligibile, come al natio soggiorno; alle cose
quali
inferiori,
tal volta da là, per la conversione
si son
trabalsate
sotto
il fato e termini
della generazione. Questi doi appolsi son figurati nelle due specie de metamorfosi espresse .nel presente articolo che dice: Quel
dio
che
scuote
il folgore
Asterie vedde furtivo aquilone, Mnemosine pastor, Danae oro,
Alcmena Fu
A
pesce 2, Antiopa
di
Cadmo a
Leda
cigno,
le suore
sonoro,
caprone; bianco
a Dolide3 dragone:
Io per l'altezza de l'oggetto mio
Da
suggetto
più
vil dovegno
un
toro,
dio4.
men,.... sic ab anima nostra emicat vivificus actus »). Cîr. PLOTINO, Enn. IV, 3,9. 1 L'opinione che l'anima fosse un numero semovente è ricordata da ARISTOTELE,
De
anima,
I, 2, 404 b, 27;
II, 4, gra, 35; e da PLUTARCO, attribuita a Senocrate. 2 (M sostituisce sposo
phique
due à une mauvaise
ultérieures ».)
3 (FM 4 Cfr.
leggono
Spaccio,
Dolida)
p.
576,
4, 408 b, 32; Anal.
post.,
De anim. procr., 1, 5, p. 1012, viene
e avverte:
« B:
pesce.
lecture et mantenue
e ivi,
n.
Erreur
dans
typogra-
les éditions
2.
(B. [80-1]) (W. II, 337) (L. 649) (G.1 II, 343-4) (G.2 II, 370-1). IOOI
DE
GLI
EROICI
FURORI
Tu cavallo Saturno, Nettun delfin, e vitello si tenne Ibi, e pastor Mercurio dovenne, Un’uva Bacco, Apollo un corvo
Ed io, mercé d'amore, Mi cangio in dio da cosa
Nella
natura
per l'altrui
è una
inferiore!.
revoluzione
perfezione
fùrno;
e soccorso,
ed un
circolo per cui,
le cose
superiori
s' in-
chinano all’ inferiori, e per propria eccellenza e felicitade le cose inferiori s' inalzano alle superiori. Però vogliono i
pitagorici e platonici esser donato a l’anima, ch'a certi tempi non solo per spontanea voluntà, la qual le rivolta alla comprension
de le nature;
ma
ed anco
della necessità
d’una legge interna scritta e registrata dal decreto
fatale
vanno a trovar la propria sorte giustamente determinata. E dicono che l'anime non tanto per certa determinazione e proprio
quanto
volere,
per
materia:
certo
onde,
come
ribelle 2, declinano
ordine
per cui vegnono
non
come
per
libera
dalla
affette verso
intenzione,
per certa occolta conseguenza vegnono
divinità,
a cadere.
ma
la
come
È questa
è l'inclinazion ch' hanno alla generazione, come a certo minor bene. (Minor bene dico, per quanto appartiene a quella
natura
particolare;
non
già per quanto
appartiene
alla natura universale, dove niente accade senza ottimo ‘fine che dispone il tutto secondo la giustizia). Nella qual generazione
ritrovandosi
(per la conversione
che vicissitu-
dinalmente succede) de nuovo ritornano a gli abiti superiori. Cicada. Si che vogliono costoro che l’anime sieno spinte 1 Vedi
sopra p. 576;
? Vedi
sopra,
[81-2]))
(W.
Opera, (B.
III,
699. ,
pp.
e l'art. XIX del De vinculis in genere,
643 .e 989,
II, 338)
nn.
(L. 649-50) 1002
in
3 e 2.
(GI
IL
344-5)
(G.* II, 37I-2).
PARTE
PRIMA
- DIALOGO
TERZO
dalla necessità del fato, e non hanno proprio consiglio che le guide.a fatto ? Tansillo. Necessità, fato, natura, consiglio, voluntà nelle
cose
giustamente
e senza
errore
ordinate,
tutti
con-
correno in uno. Oltre che, come riferisce Plotino 1, vogliono
alcuni
che
certe
anime
possono
fuggir
quel
proprio
male,
le quali prima che se gli confirme l’abito corporale, conoscendo il periglio, rifuggono alla mente. Perché la mente l’inalza
alle
cose
sublimi,
come
l’imaginazion
l’abbassa
alle cose inferiori; la mente le mantiene nel stato ed identità
come l’ imaginazione nel moto e diversità; la mente sempre intende
uno,
varie imagini.
come
l’imaginazione
In mezzo
sempre
vassi
fingendo
è la facultà razionale la quale è
composta de tutto, come quella in cui concorre l'uno con la moltitudine, il medesimo col diverso, il moto col stato,
l’ inferiore col superiore. Or questa conversione
e vicissitudine
ruota
dove
siede
al
fondo,
delle
eminente, mezzo
metamorfosi, giace
bestia
una
bestia
descende
dalla
è figurata nella
l’uomo un
nella
mezzo
sinistra, ed un
mezzo
parte
uomo
e
bestia
e mezzo uomo ascende de la destra. Questa conversione si mostra dove Giove, secondo la diversità de affetti e maniere
di quelli figure,
verso
le cose
dovenendo
inferiori,
in forma
transmigrano in forme
s’ investisce
de bestie;
basse ed aliene.
de
diverse
e cossi gli altri E per
dei
il contrario,
per sentimento della propria nobiltà, ripigliano la propria e divina forma: come il furioso eroico, inalzandosi per la conceputa specie della divina beltà e bontade, con l’ali de l intelletto 1 Cfr.
e
voluntade
Ficino,
ad
intellettiva
PLOTINI
(B. [82-4)) (W. IL 338-9)
Enx.,
IV,
s’inalza 4,
divini-
5.
(L. 650) (G.! II, 345-6)
1003
alla
(G.2 II, 372-3).
DE
GLI
EROICI
tade, lasciando la forma disse: Da suggetto Dio, Mi cangio in Fine (B.
[84))
(WW. IL
del 339)
FURORI
de suggetto più basso. E però più vil dovegno un Dio da cosa inferiore. terzo
(L. 650)
1004
dialogo. (G.I II, 346)
(G.z II, 373).
DIALOGO
QUARTO
Tansillo.® Cossi si descrive il discorso de l'amor eroico, per quanto tende al proprio oggetto, ch’ è il sommo bene,
e l’eroico intelletto che giongersi studia al proprio oggetto, che è il primo vero o la verità absoluta. Or nel primo discorso
apporta
tutta la somma
di questo
e l’ intenzione;
l'ordine della quale vien descritto in cinque altri seguenti. Dice dunque: Alle selve i mastini
Il giovan Gli
Di
Atteon,
drizz’il
dubio
e i veltri siaccia
quand’ il destino ed
incauto
boscareccie ? fiere appo
Ecco
Che
veder
Vedde;
poss’ il mortal
e
Il cervio
Ratto 1 (La
di questo * B
18
’1 gran
ch'a’
drizzav’i
voràro
ediz.
primo
(IL):
la traccia.
tra l’acqui il più bel busto
In ostro ed alabastro
Luoghi
camino,
cacciator
più
dovenne
folti
gran
cani
avverte:
interlocutore ».)
boscarecchie;
ma
e molti.
«In
di
Atteone:
nella
Cecaria
BL
nel commento,
p. 1008 ecc., egli stesso dà la f. corretta. 3 Anche
dell’ Epicuro
da
miei
can
stracciato
Cfr. del resto la canz. del PETRARCA,
p.
813.
manca a
(p. 52)
Andasse cost cieco, o fusse stato Com'Aiteon, mutato allor în cervo,
Poi
caccia 3.
passi più leggieri,
i suoi
Gentile
e divino,
ed oro fino
e faccia,
a nervo
p.
l'indicazione
1006,
si accenna
nonché
al mito
a nervo.
Nel dolce tempo. Vedi Spaccio,
(B. [85-6]) (W. II, 339) (L. 651) (G.! IL, [347)) (G2 II, [374)).
1005
a
.
DE
Ad
GLI
EROICI
I’ allargo i miei pensieri alta preda,
Morte
ed essi a me
mi dàn con
morsi
FURORI
rivolti
crudi e fieri.
Atteone significa l'intelletto intento alla caccia della divina sapienza, all'apprension della beltà divina. Costui slaccia i mastini ed i veltri. De quai questi son più veloci, quelli più forti. Perché l’operazion de l' in-
telletto precede l'operazion della voluntade; ma questa è più vigorosa ed efficace che quella; atteso che a l' intelletto
umano
e bellezza
è più
divina,
amabile oltre
che
che
comprensibile
l’amore
è quello
la bontade che
muove
e
spinge l'intelletto acciò che lo preceda, come lanterna. Alle selve, luoghi inculti e solitarii, visitati e perlustrati da pochissimi, e però dove non son impresse l’orme de molti uomini.
Il
giovane
poco esperto e prattico,
come quello di cui la vita è breve ed instabile il furore, neldubio camino del’incerta ed ancipite raggione ed affetto designato nel carattere di Pitagora !, dove si vede più spinoso, inculto e deserto il destro ed arduo camino, e per dove costui slaccia i veltri e mastini appo la traccia di boscareccie fiere, che sono le specie intelligibili de’ concetti ideali; che sono occolte, 1 Cir.
i versi
premessi
al De
Umbris
Et littera Pythagorae, Bicorni acta discrimine,
Quacis Finem De II,
trucem ostendit vultum lavgitur optimum.
La lettera (o carattere) compositione imaginum, circa rr, 128 e 153; e anche il De
(Opera,
II,
1, 2):
dextri tramitis,
a cuisi allude è la Y. Vedi il l’atrium Pythagorae, in Opera, lampade combinatoria, in Opera,
II, 11, 304. Cfr. Persio, Sat., III, 56, in Auth, lat., ed. Riese, n. 632; ManitIUS, Philologus, XLVII, 713; DIietERICH, NeAyia, p. 192; PascaL, Cultura, 1900, p. 114.
{B. [86-7]) (W. II, 339-40) (L. 651) (G.! II, [347]-8)-(G.* II, [374]-5). 1006
PARTE
perseguitate
da
PRIMA
pochi,
DIALOGO
visitate
da
QUARTO
rarissimi,
s'offreno a tutti quelli che le cercano.
e che
Ecco
non
tra
l'ac-
il firmamento;
vede
qui, cioè nel specchio de le similitudini, nell'opre dove riluce l'efficacia della bontade e splendor divino; le quali opre vegnon significate per il suggetto de l’acqui superiori ed
il
inferiori,
più
che
del
operazion
son
sotto
e sopra
busto
esterna
e
che
faccia,
cioè
potenza
vedersi
possa
per
faccia
comparazione,
ed
abito
ed atto di cohtemplazione ed applicazion di mente mortal o divina, d'uomo o dio alcuno. Cicada.
Credo
che
non
e
pona
come in medesimo geno la divina ed umana apprensione quanto al modo di comprendere il quale è diversissimo, ma quanto al suggetto che è medesimo. Tansillo.
Cossi
è.
Dice
in
ostro,
alabastro
ed oro, perché quello che in figura nella corporal bellezza è vermiglio, bianco e biondo, nella divinità significa l'ostro della divina vigorosa potenza, l'oro della divina sapienza, l’alabastro della beltade divina, nella contemplazion
della quale gli pitagorici, Caldei, platonici ed altri, al meglior modo che possono, s’' ingegnano d' inalzarsi. Vedde il gran cacciator comprese, quanto è possibile e dovenne caccia andava per predare e rimase preda questo cacciator per l’operazion de l’ intelletto con cui converte le cose apprese in sé. Cicada. Intendo, perché forma le specie intelligibili a suo modo e le proporziona alla sua capacità, perché son ricevute a modo de chi le riceve 1 Cfr.
pientis (B.
il detto
recipitur.
[87-8))
(W.
II,
scolastico: 340)
(L.
Quidguid 651-2)
1007
(G.I
recipitur IT,
348-0)
ad
modum
(G.?
II,
veci375-6).
DE
Tansillo.
E
GLI
EROICI
FURORI
questa caccia per: l’operazion
della volun-
tade, per atto della quale lui si converte nell’oggetto. Cicada. Intendo, perché lo amore transforma e converte nella
cosa
Tansillo.
amata.
Sai
bene
intelligibilmente,
che
l'intelletto
idest secondo
il suo
apprende modo;
le cose
e la voluntà
perseguita le cose naturalmente, cioè secondo la raggione con la quale sono in sé. Cossi Atteone con que’ pensieri, quei
cani
che
cercavano
estra
di sé
il bene,
la sapienza,
la beltade, la fiera boscareccia, ed in quel modo
che giunse
avendola
di
alla presenza di quella, rapito fuor di sé dovenne preda, veddesi convertito in e s'accorse che de gli suoi cani, de gli medesimo venea ad essere la bramata contratta
in
sé,
non
era
da tanta bellezza, quel che cercava; suoi pensieri egli preda, perché già
necessario
fuor di sé la divinità. Cicada. Però ben si dice il regno
de Dio
cercare
esser in noi,
e la divinitade abitar in noi per forza del riformato intelletto
in
e voluntade.
Tansillo. Cossi è. Ecco dunque come l’Atteone, messo preda de suoi cani, perseguitato da proprii pensieri,
corre
e
cedere
drizza
i
divinamente
maggior più
prensibili; dovien
alli
da
raro
quel ed
vita.
gran
e
(B.
èrinovato*?
leggiermente,
cani (L'Amerio
(G!
[88-0])
=
L:
(W.
deserti,
ch'era
eroico,
estraordinaria
®
e più
passi;
facilità e con una più efficace lena,
folti,
1
novi
un
ha
rinovato;
Qua
gli
II, 340-1)
uom
dàn
de
volgare e
cioè con luoghi
cose
incom-
e commune,
concetti
rari,
morte
i
e fa
suoi
qua finisce la sua vita secondo
caccia
G2:
reggion
costumi
molti
integra:
alla
a"
a pro-
[è] per)
rinnovato)
(L. 652-3)
1008
(G.î II, 349-50)
(G.? 1I, 376-7).
PARTE
il mondo pazzo,
PRIMA
sensuale,
vivere
intellettualmente;
brosia
e inebriasi
di
- DIALOGO
cieco
vive
QUARTO
e fantastico,
vita
nettare.
de
—
e comincia
dei,
Appresso
d’un'altra similitudine descrive la maniera
a
pascesi
d'am-
sotto
forma
con cui s'arma
alla ottenzion de l'oggetto, e dice: Mio
passar
solitario,
Che adombr'e ingombra Tosto t’annida, ivi ogni
Rafferma,
a quella
parte
tutt’ il mio pensiero, tuo mestiero
ivi l’ industria
spendi
e l’arte.
Rinasci là, là su vogli allevarte Gli tuoi vaghi pulcini omai ch' il fiero Destin av’espedit' il cors’ intiero Contro l'impresa, onde Va', più nobil ricetto
solea
Che
è cieco
Bramo
ti godi,
da
chi
Va',
ritrarte.
e arai per guida un dio
nulla
vede,
ti sia sempre
pio
detto.
Ogni nume di quest’ ampio architetto, E non tornar a me se! non sei mio?.
Il progresso sopra significato per il cacciator che agita gli suoi cani, vien qua ad esser figurato per un cuor alato che è inviato
da la gabbia,
ad
alto,
annidarsi
essendo che
venuto
ad
allievar
il tempo
da fuori mille
in cui si stava ocioso e quieto, pulcini,
in cui cessano
occasioni,
cillità subministravano.
gli
e da
Licenzialo
dentro
suoi
pensieri,
gli impedimenti la natural imbe-
dunque,
per
fargli
più
magnifica condizione, applicandolo a più alto proposito ed intento, or che son più fermamente impiumate quelle ! Quando,
nella
pag.
seguente,
dovrà
ripetere
questo
verso,
il B. sostituirà che a se. Questo se, quindi, non ha valore di condizionale, ma di causale, significando: perché, dal momento che.
? Sonetto già premesso al De /’ infinito, 364). Passar solitario è immagine
Dio
(B.
(Salmi,
[$9-90))
CI,
(W.
8). Vedi
II, 341)
sopra,
p. 788,
(L. 653)
n. 3.
universo e mondi (p. biblica per designare
(G.I II, 350-1)
1009
(G.*
II, 377-8).
DE
GLI
EROICI
FURORI
potenze de l’anima significate anco da platonici per le due ali. E gli commette per guida quel dio che dal cieco volgo è stimato insano e cieco, cioè l'Amore; il qual per mercé e favor del cielo è potente di trasformarlo come in quell'altra natura alla quale aspira o quel stato/dal quale va peregrinando bandito. Onde disse: E non tornar a
me
che
gnità
possa
non
sei
mio,
io dire
con
quell'altro:
Lasciato
m’ hai,
E lume
cuor
mio,
d'’occhi miei,
non
di sorte che non con indi-
sei più meco!.
Appresso descrive la morte de l’anima, che da cabalisti è chiamata morte di bacio, figurata nella Cantica di Salomone, dove l'amica dice: Che mi bacie col bacio Perché col suo ferire Un troppo crudo amor
da altri è chiamata S'avverrà,
E
3
(LM:
(G@:
me
dia
mie
bocca,
fa languire4;
dove
dice il Salmista:
a gli
occhi
sonno
dormitaransi,
son.
Poî
che
la vista:
dove
lasci,
sconsolato
e cieco,
Lume
degli
occhi
miei
è più
de;
G!G2:
(per
di)
evidente
de’ cantici,
errore
non
[00-1])
floribus,
stipate
me
malis;
quia
(W.
341-2)
(L.
653-4)
(G.1
II,
IOIO
meco ?
tipografico).)
I, 1: « Osculetur me
osculo
amore
5 Salmi, CXKXXI, 4-5: « Si dedero somnum tationem, El requiem temporibus meis.... n. (B.
mici,
Me
suo
4 Cantico
«Fulcite
ch’ io
sua3
’n colui pacifico riposo S.
1 PETRARCA,
%
mi
sonno,
le palpebre
Arrò
de?
IT,
ovis sui»;
langueo ».
oculis °
351)
meis
(G.2
IT,
II, 5:
dormi378).
.
PARTE
PRIMA
DIALOGO
QUARTO
esser
per
languida
Dice, dunque, cossi l'alma, come morta in sé, e viva ne l'oggetto:
Abbiate cura, o furiosi, al core; Ché tropp’ il mio, da me fatto lontano,
Condotto in crud’e dispietata mano, Lieto soggiorn’ove-si spasma e muore. Co i pensier mel richiamo a tutte l'ore;
Ed ei rubello, qual girfalco insano, Non più conosce quell'amica mano, Onde, per non tornar, è uscito fore. Bella fera, ch'in pene Tante contenti, il cor, spirto, alma annodi Con tue punte, tuoi vampi e tue catene, De sguardi, accenti e modi; Quel che languisc’ ed arde, e non riviene,
Chi
fia che
saldi,
refrigere
e snodi?
Ivi l'anima dolente non già per vera discontentezza, ma con affetto di certo amoroso martfre parla come drizzando il suo sermone a gli similmente appassionati: come se non a felice suo grado abbia donato congedo al core, che corre dove non può arrivare, si stende dove non può giongere, e vuol abbracciare quel che non può comprendere; e con ciò perché in vano s’allontane da lei, mai sem-
pre più e più va accendendosi Cicada.
Onde
procede,
verso
l' infinito.
o Tansillo,
che
l’animo
in
tal
progresso s'appaga del suo tormento ? onde procede quel sprone ch' il stimola sempre oltre quel che possiede? Tansillo.
telletto forma
Da
questo,
divenuto intelligibile,
che
ti dirò
all’apprension c la volontà
adesso.
d'una
Essendo
certa
e
l' in-
definita
all’affezione commensurata
a tale apprensione, l’intelletto non si ferma là; perché dal proprio lume è promosso a pensare a quello che contiene in sé ogni geno de intelligibile ed appetibile, sin che vegna ad apprendere con l'intelletto l’eminenza del fonte de (B. [91-3]) (W. II, 342-3) (L. 654-5) (G.t IL 351-2) (G.3 II, 379). IOlI 63
—
G., Bruno,
Dialoghi
italiani
DE
GLI
EROICI
FURORI
l’ idee, oceano d'ogni verità e bontade. Indi aviene che qualunque specie gli vegna presentata e da lei vegna compresa, da questo che è presentata e compresa, giudica che Sopra essa è altra maggiore e maggiore, con ciò sempre ritfovandosi in discorso e moto in certa maniera. Perché sempre vede che quel tutto che possiede, è cosa misurata, e però non
può
essere bastante
per sé, non buono
da per sé, non
bello da per sé; perché non è l'universo, non è l'ente absoluto, ma contratto ad esser questa natura, ad esser questa specie, questa forma rapresentata, a l’ intelletto e presente a l'animo. Sempre dunque dal bello compreso, e per conseguenza misurato, e conseguentemente bello per participazione,
fa progresso
verso
quello
che è veramente
che non ha margine e circonscrizione alcuna. Cicada. Questa prosecuzione mi par vana. Tansillo.
Anzi
non,
atteso
che
non
conveniente
che l'infinito sia compreso,
narsi
percioché
niente
finito, e
naturale
che
non
sarrebe
l’ infinito,
è cosa
naturale
né esso può
infinito; per
bello,
essere
ma
né
do-
è conve-
infinito,
sia
infinitamente perseguitato 1, in quel modo di persecuzione il quale non ha raggion di moto fisico, ma di certo moto metafisico; ed il quale non è da imperfetto al perfetto, ma va circuendo per gli gradi della perfezione, per giongere a quel centro infinito, il quale non è formato né forma.?. Cicada. Vorrei sapere come circuendo si può arrivare al centro ? ! A questo punto in BL è aperta una parentesi, che poi non è più chiusa. ? Di questo luogo v. il classico commento di B. SPAVENTA, La dottrina della conoscenza di G. Bruno, in Saggi di critica, Napoli, Ghio, 1867, pp. 252-55.
(B. [93-4]) (W. II, 343) (L. 655) (G.t II, 352-3) (G.? IT, 379-#0). I0I2
PARTE
PRIMA
DIALOGO
QUARTO
Tansillo. Non posso saperlo. Cicada. Perché lo dici? Tansillo.
Perché
Cicada. l' infinito,
Se è
posso
non
dirlo e lasciarvel considerare.
volete
come
colui
dire
che
che
quel
discorrendo
che per
perséguita la circonfe-
renza cerca il centro, io non so quel che vogliate dire. Tansillo. Altro. Cicada. Or se non vuoi dechiararti, io non voglio intenderti. Ma dimmi, se ti piace: che intende per quel che dice il
core
esser
condotto
in
cruda
e
dispietata
mano? Tansillo. Intende una similitudine o metafora tolta da quel, che comunmente si dice crudele chi non si lascia fruire o non pienamente fruire, e che è più in desio che in possessione; onde per quel che possiede alcuno, non al tutto lieto soggiorna, perché brama, si spasma e muore. Cicada. Quali son quei pensieri che il richiamano a dietro, per ritrarlo da si generosa impresa? Tansillo. Gli affetti sensitivi ed altri naturali che guardano
al regimento
del corpo.
Cicada. Che hanno
alcuno
non
Tans.
può
Non
a far quelli di questo che in modo
aggiutargli,
hanno
né favorirgli ? :
a far di lui, ma
de l’anima;
la quale,
essendo troppo intenta ad una opra o studio, dovien remissa e poco sollecita ne l’altra. Cicada. Perché lo chiama qual Tanstllo.
Cicada.
sanno.
1 BL: aggiutarli,
Perché
Sogliono
soprasape.
esser
chiamati
aggiutargli, né favorirgli; né favorirgli.
W:
insano? insani aiutarli,
quei
che
né favorirli;
men Gt:
(B. [94]) (W. II, 343-4) (L. 655-6) (G.! IL 353-4) (G? II, 380-1). 1013
DE
GLI
EROICI
FURORI
Tansillo. Anzi insani son chiamati quelli che non sanno secondo
senso,
l'ordinario,
o che tendano
o che' tendano ! più
alto
più basso
per aver
per avèr men
piu intelletto.
Cicada. M’accorgo che dici il vero. Or dimmi appresso: quai sono le punte, gli vampi e le catene? Tansillo. Punte son quelle nuove che stimulano e risvegliano l’affetto perché attenda; vampi son gli raggi della bellezza presente che accende quel che gli attende; catene son le parti e circonstanze che tegnono fissi gli occhi de
l’attenzione
ed
uniti
insieme
gli oggetti
e le potenze.
Cicada. Che son gli sguardi, accenti e modi? Tansillo. Sguardi son le raggioni con le quali l'oggetto
(come ne mirasse)
ci si fa presente; accenti son le raggioni
con le quali ci inspira ed informa; modi son le circonstanze con le quali ci piace sempre cd aggrada. Di sorte ch’ il cor che dolcemente languisce, suavemente arde e constantemente nell’opra persevera, teme che la sua ferita si salde, ch' il suo incendio si smorze e che si sciolga il suo laccio. Cicada. Or recita quel che séguita. Tansillo.
ANI, profondi e desti miei pensieri,
Ch’uscir De
volete
l’'afflitt'alma,
da
materne
e siete ? acconci
Per tirar al versaglio L'alto
concetto;
Scontrarvi
Sovvengav” il tornar, Di
Armatevi
erti
sentieri
e richiamate
di dea selvaggia
fiamme,
si forte,
arcieri
vi nasce
fiera il ciel non
d’amore
domestiche
Reprimete
man
onde
in questi
a cruda
Il cor ch’in
fasce
che
ed
lasce.
late.
il vedere
straniere
1 B: quelli che non sanno.... 0 che tendano... 0 che tendano; WLGL: quelli che non sanno.... o che tendono.... o che tendono. Ma la natura della prima'proposizione si differisce da quella delle altre due. 2
W:
fieri.
Il L.
poi
non
emenda,
come
vuole
B.,
il v.
12.
(B. [94-6)) (W. II, 344) (L. 656-7) (G.t IL, 354-5) (G.* II, 381-2).
1014
PARTE
PRIMA
- DIALOGO
Non vi rendan, compagni Al men portate nuova
QUARTO
del
mio
core.
Di quel ch'a lui diletta e giova.
Qua descrive la natural sollecitudine de l'anima attenta circa la generazione
materia. spinti
Ispedisce
dalla
per l’amicizia ch’ ha contratta con Ja
gli
querela
armati
della
pensieri
natura
che,
sollecitati
inferiore,
son
e
inviati
a
richiamar il core. L'anima l’instruisce come si debbano portare, perché invaghiti ed attratti da l'oggetto non facilmente vegnano anch'essi sedotti a rimaner cattivi e compagni del core. Dice dunque che s'armino d'amore: di quello amore che accende con domestiche fiamme, cioè quello che è amico de la ! generazione alla quale son ubligati, e
nella
cui
legazione,
Appresso
li dà ordine
gli occhi,
perché
non
ministerio
e
milizia
che reprimano mirino
altra
si
ritrovano.
il vedere chiudendo
beltade
o bontade
che
quella qual gli è presente, amica e madre. E conchiude al fine che se per altro ufficio non vogliono farsi rivedere, rivegnano al manco per donargli saggio delle raggioni e stato del suo core. Cicada. Prima che procediate ad altro, vorrei intender da voi, che è quello che intende l’anima quando dice a gli pensieri: il vedere reprimete sf forte? Tansillo. Ti dirò. Ogni amore procede dal vedere: l’amore intelligibile dal vedere intelligibilmente; il sensibile
dal
vedere
sensibilmente.
Or
questo
vedere
ha
due
significazioni: perché o significa la potenza visiva, cioè la vista,
che
l'atto
di
1 (L:
(B. [96-7))
è
l'intelletto,
quella
potenza,
overamente
cioè
senso;
o
quell’applicazione
significa
che
fa
della)
(W. IL 344-5)
(L. 657)
1015
(G.! II, 355)
(G? II, 382-3).
DE
GLI
EROICI
FURORI
l'occhio o l'intelletto a l'oggetto materiale o intellettuale. Quando dunque si consegliano gli pensieri di reprimere il vedere,
non
s’ intende
del
primo
modo,
ma
del
secondo;
perché questo è il padre della seguente affezione de l’appetito sensitivo o intellettivo. Cicada. Questo è quello ch'io volevo udir da voi. Or se l'atto della potenza visiva è causa del male o bene che procede
dal
vedere,
onde
avviene
che
amiamo
e deside-
tamo di vedere? Ed onde avviene che nelle cose divine abbiamo più amore che notizia? Tansillo. Desideriamo il vedere, perché in qualche modo veggiamo la bontà del vedere, perché siamo informati
che
per
l’' atto
no: però desideramo
del
vedere
le
cose belle s' offre-
quell’atto perché desideriamo le cose
belle. Cicada.
Desideriamo
non è bello, né buono,
il
bello
e
buono;
ma
il
vedere
anzi più tosto quello è paragone '
o luce per cui veggiamo
non
solamente
il bello
e buono,
ma anco il rio e brutto. Però mi pare ch’'il vedere tanto può esser bello o buono, quanto la vista può esser bianco o nero; se dunque la vista (la quale è atto) non è bello né buono,
come
Tansillo.
può Se non
cadere
in
desiderio?
per sé, certamente
per altro è deside-
rata, essendo che l'apprension di quell'altro senza lei non si faccia. Cicada. Che dirai, se quell'altro non è in notizia di senso, né d' intelletto ? Come,
dico, può esser desiderato‘almanco
d'esser visto, se di esso non è notizia alcuna, se verso quello
1 BL:
(B.
[97-8))
parangone.
(W. II, 345)
(L. 657-8) 1016
(G.1 II, 355-6)
(G.= II, 383).
PARTE
né l'intelletto,
PRIMA
né
DIALOGO
il senso
ha
QUARTO
esercitato
atto
alcuno,
anzi
è in dubio se sia intelligibile o sensibile, se sia cosa corporea o incorporea,
se sia
uno
0 doi
o più,
d'una
o d’'un’altra
maniera ? Tansillo. Rispondo che nel senso e l'intelletto è un appetito ed appulso al sensibile in generale; perché l' intelletto vuol intender tutto il vero, perché s'apprenda poi tutto quello che è bello o buono intelligibile: la potenza sensitiva vuol informarsi de tutto il sensibile, perché s'apprenda
poi quanto
che non meno
è buono
o bello sensibile.
Indi aviene
desideramo vedere le cose ignote e mai viste,
che le cose conosciute e viste. E da questo non séguita ch’ il desiderio non proceda da la cognizione, e che qualche cosa
desideriamo
che
non
è conosciuta;
ma
dico
che
sta
pur rato e fermo che non desideriamo cose incognite. Perché
se sono occolte quanto
all'esser particulare,
non sono oc-
colte quanto
a l’esser generale;
come
in tutta la potenza
clinazione
l'atto,
l’una
e
visiva si trova tutto il visibile in attitudine, nella intellettiva tutto l' intelligibile. Però come ne l'attitudine è l’ ina
aviene
che
l’altra
potenza
è
inchinata a l'atto in universale, come a cosa naturalmente appresa per buona. Non parlava dunque a sordi o ciechi l’anima, quando consultava con suoi pensieri de reprimere il vedere, il quale quantunque non sia causa prossima del volere è però causa prima e principale. Cicada. Che intendete per questo ultimamente detto ? Tansillo. Intendo che non è la figura o la specie sensibilmente o intelligibilmente representata, la quale per sé muove;
perché
mentre
alcuno
sta mirando
la figura mani-
festa a gli occhi, non viene ancora ad amare; ma da quello instante che l'animo concipe in se stesso quella figurata non
(B. 98-0]) (W. II, 345-6) (L. 658) (G. II, 356-7) (G.2 II, 383-4). 1017
DE
GLI
EROICI
FURORI
più visibile ma cogitabile, non più dividua ma individua, non più sotto specie di cosa, ma sotto specie di buono o bello, allora subito nasce l’amore. Or questo è quel vedere dal quale l’anima vorrebbe divertir gli occhi de suoi pensieri. Qua la vista suole promuovere l'affetto ad amar più che
non
è quel
che
vede;
perché,
come
poco
fa ho detto,
sempre considera (per la notizia universale che tiene del bello e buono) che, oltre li gradi della compresa specie de buono
e bello,
sono
altri
ed
altri
in infinito.
Cicada. Onde procede che dopo che siamo informati de la specie del bello la quale è conceputa nell'animo, pure desideriamo di pascere la vista esteriore? Tansillo. Da quel che l'animo vorrebbe sempre amare quel che ama, vuol sempre vedere quel che vede. Però vuole che quella specie, che gli è stata parturita dal vedere, non vegna ad attenuarsi, snervarsi e perdersi. Vuol dunque sempre oltre ed oltre vedere, perché quello che potrebe oscurarsi nell’affetto interiore, vegna spesso illustrato dall'aspetto
esteriore;
il quale
come
è principio
de
l’essere,
bisogna che sia principio del conservare. Proporzionalmente accade ne l’atto de l' intendere e considerare; perché come
la vista si referisce ! alle cose visibili, cossi l’ intelletto
alle cose intelligibili. Credo dunque ch' intendiate a che fine ed in che modo l’anima intenda quando dice: reprimete il vedere. Cicada. Intendo molto bene. Or seguitate a riportar quel -ch'avvenne di questi pensieri. Tansillo. Séguita la querela de la madre contra gli detti figli li quali, per aver contra l’ordinazion sua aperti gli 1
(G!
=
L:
rveferisce;
G?:
riferisce)
(B. [99-101]) (W. II, 346-7) (L. 658-9) (G.! II, 357-8) (G.2 IT, 394-5). 1018
PARTE
PRIMA
DIALOGO
QUARTO
occhi, ed affissigli al splendor de l’oggetto, in compagnia del core. Dice dunque: E
voi
Per
ancor,
pit
inasprir
a me
E perché senza Ogni
mia
A
che
spene
il senso
figli
doglia,
con
voi
riman,
rimasi
crudeli,
mia
fin più
erano
mi
lasciaste,
mi quereli,
n'amenaste.
o avari
cieli?
A che queste potenze tronche e guaste, Se non per farmi materia ed essempio
De
si grave
Deh,
Lasciate E
martir,
per
Dio,
pur mio
cari
si lungo scempio? figli,
fuoco alato in preda,
fate ch'io di voi alcun riveda Tornato a me da que’ tenaci artigli.
Lassa, Per
Eccomi
nessun
tardo
riviene
refrigerio
misera,
de!
mie
priva del core,
—
pene.
abandonata
da gli pen-
sieri, lasciata da la speranza, la qual tutta avevo = fissa in essi. Altro
infelicità
non
mi rimane
e miseria.
E
che il senso
perché
non
della mia
son
oltre
povertà,
lasciata
da
questo ? perché non mi soccorre la morte, ora che son priva
de la vita? A che mi trovo le potenze naturali prive de gli atti
suoi?
Come
potrò
io sol pascermi
di
specie
intelli-
gibili, come di pane intellettuale, se la sustanza di questo supposito
è composta?
domestichezza intessute
Come
di queste amiche
in circa,
potrò
io
trattenirmi
e care membra,
contemprandole
con
nella
che m' ho
la simmetria
de
le
qualitadi elementari, se mi abandonano gli miei pensieri tutti ed affetti, intenti verso la cura del pane immateriale e divino? Su, su, o miei fugaci pensieri, o mio rubelle cuore: viva il senso di cose sensibili e l’ intelletto de cose 1 BL:
2 BL: (B.
[101-2})
de;
WG!:
haueno. (W.
di.
II, 347)
(L. 659-60)
1019
(G.1 II, 358-0)
(G.2 II, 385-6).
DE
GLI
intelligibili. Soccorrasi
corporeo,
e l'intelletto
EROICI
al corpo
con
FURORI
con la materia
gli suoì
oggetti
e suggetto
s' appaghe;
a fin che conste questa composizione, non si dissolva
Cote
machina, dove per mezzo del spirito l’anima è unita al corpo. Come, misera, per opra domestica più tosto che per esterna violenza, ho da veder quest'orribil divorzio ne le mie parti e membra? Perché
l' intelletto s’ impaccia
di donar
legge
al senso e privarlo de suoi cibi ? e questo, per il contrario, resiste a quello, volendo vivere secondo gli proprii e non secondo l’altrui statuti ? Perché questi e non quelli possono mantenerlo
e bearlo, percioché
comoditade
e vita,
cordia dove l'essere; ma
non
deve essere attento
a l’altrui.
Non
alla sua
è armonia
e con-
è unità, dove un essere vuol assorbir tutto dove è ordine ed analogia di cose diverse;
dove ogni cosa serva la sua natura. Pascasi dunque il senso secondo la sua legge de cose sensibili, la carne serva alla legge de la carne, il spirito alla legge del spirito, la raggione a la legge de la raggione: non si confondano, non si conturbino. Basta che uno non guaste o pregiudiche alla legge de l’altro, se non è giusto che il senso oltragge alla legge della raggione.
È pur cosa vituperosa
la legge di questo, grino
e straniero,
massime
ed il senso
che quella
tirannegge
su
dove l'intelletto è più pereè più
domestico
e come
in
propria patria. Ecco
dunque,
o
miei
pensieri,
come
di
voi
altri
son
ubligati di rimanere alla cura di casa, ed altri possono andar a procacciare altrove. Questa è legge di natura, questa per conseguenza è legge dell’autore e principio della natura. Peccate dunque, or che tutti, sedotti dalla vaghezza de l’ intelletto, lasciate al periglio de la morte l'altra parte di me. Onde vi è nato questo malencolico e perverso umore
{B. [102-3]) (W. IT, 347-8) (L. 660) (G.! II, 359) (G.2 II, 386). 1020
PARTE
PRIMA
- DIALOGO
QUARTO
di rompere le certe e naturali leggi de la vita vera che sta nelle
vostre
mani,
per una
incerta
e che
non
è se non
in
ombra oltre gli limiti del fantastico pensiero? Vi par cosa naturale
che
non
vivano
animale-
ed
umanamente,
ma
divina-, se elli non sono dei ma uomini ed animali? È legge del fato e della natura che ogni cosa s'adopre secondo la condizion de l’esser suo. Perché, dunque, mentre
perseguitate il nettare avaro de gli dei, perdete il vostro presente e proprio, affligendovi: forse sotto la vana speranza de l'altrui ? Credete che non si debba sdegnar la natura di donarvi l’altro bene, se quello che presentaneamente v’offre, tanto stoltamente dispreggiate? Sdegnarà il ciel dar il secondo bene A chi ’1 primiero don caro non tiene 2,
Con queste e simili ‘raggioni l’anima, prendendo la causa de
la parte
più
inferna,
cerca
de
richiamar
gli
pensieri
alla cura del corpo. Ma quelli, benché al tardi, vegnono a mostrarsegli non già di quella forma con cui si partîro, ma sol per dechiarargli la sua ribellione, e forzarla tutta a seguitarli. Là onde in questa forma si lagna la dolente: Ahi,
Che
cani
drizzai
d'Atteon,
al ricetto
o fiere
de
mia
mio
sol
ingrate, diva,
E voti di speranza mi tornate, Anzi venendo a la materna riva, Tropp' infelice fio mi riportate: Mi sbranate, e volete ch'i’ non viva. Lasciami,
Tatta ! BL:
? Vedi
arrecato
vita,
gemino
affligendovi;
quel che nel
sopra
dal
B.
ch'al
rio senz'il mio
WGI:
rimonte,
fonte!
affliggendovi.
Vendemmiatore
medesimo
a p.
Correzione
aveva
730.
superflua.
scritto il TANSILLO,
(B. [103-5]) (W. II, 348-9) (L. 660-1) (GI, II, 359-G0) (G.2 II, 386-7). 102I
DE
GLI
EROICI
FURORI
Quando il mio pondo greve Converrà che natura mi disciolga ? Quand’avverrà ch’anch'io da qua mi E ratto l’alt'oggetto mi sulleve? E insieme col mio core
E i communi
Vogliono
pulcini
gli platonici
tolga,
_
ivi dimore?
che
l’anima,
quanto
alla parte
superiore, sempre consista ne l’ intelletto, dove ha raggione
d’ intelligenza più che de anima; atteso che anima è nomata per
quanto
medesima alto,
vivifica
essenza
insieme
col
il corpo
che
e lo sustenta.
nodrisce
magnificato
Cicada.
Si che non
sono
e mantiene
cuore
inferiore contristarsi e richiamar due
Cossi
ribelli.
contrarie,
suggetta a doi termini di contrarietade? Tansillo. Cossi è a punto. Come il raggio oscure,
che
l'elemento
illustra, del
vivifica
fuoco, ‘cioè
ed
ma
una
del sole il
a cose inferiori ed
accende;
a la stella
in
dalla parte
quelli come
quale quindi tocca la terra ed è gionto
la
li pensieri
se induce
essenze
qua
indi
da
cui
è gionto procede,
a ha
principio, è diffuso ed in cui ha propria ed originale sussistenza;
cossi
l’anima
che
è nell’orizonte
della natura
cor-
porea ed incorporea, ha con che s' inalze alle cose superiori ed inchine a cose inferiori. E ciò puoi vedere non accadere per raggion
ed ordine
di moto
locale,
ma
solamente
per
appulso d'una e d’un’altra potenza o facultade. Come quando il senso monta all’ imaginazione, l’ imaginazione alla raggione, la raggione a l'intelletto, I’ intelletto a la mente, allora l’anima tutta si converte in Dio ed abita il mondo intelligibile. Onde per il contrario descende per conversion al mondo sensibile per via de l'intelletto, raggione, immaginazione,
Cicada.
(B.
{105-6])
senso, - vegetazione.
È vero ch’ ho inteso che per trovarsi
(W.
II, 349)
(L. 661-2) 1022
(G.!
II,
360-1)
l’anima
(G.2 II, 387-8).
PARTE
nell’ultimo
grado
nel corpo
mortale,
PRIMA
de
- DIALOGO
cose
divine,
e da questo
QUARTO
meritamente
risale
di nuovo
descende alli divini
gradi; e che son tre gradi d' intelligenze: perché son altre nelle quali l' intellettuale supera l’animale, quali dicono essere l’ intelligenze celesti; altre nelle quali l’animale supera l’ intellettuale, quali son l' intelligenze umane; altre sono nelle quali l'uno e l’altro si portano ugualmente, come quelle de demoni o eroi. Tansillo.
Nell’apprender
dunque
che
fa la mente,
non
può desiderare se non quanto gli è vicino, prossimo, noto e familiare. Cossi il porco non può desiderar esser uomo, né quelle cose che son convenienti all’appetito umano. Ama più d' isvoltarsi per la luta ! che per un letto de bissino ?; ama d’unirsi ad una scrofa, non a la più bella donna
che produca la natura:
perché l'affetto séguita la raggion
della specie 3. E tra gli uomini si può vedere il simile, se-
condo che altri son più simili a una specie de bruti animali, altri ad un’altra: questi hanno del quadrupede, quelli del volatile4, e forse hanno qualche vicinanza (la qual non voglio dire) per cui si son trovati quei che sono affetti a certe sorte di bestie. Or a la mente (che trovasi oppressa dalla material congionzione de l’anima) se fia lecito di alzarsi
alla contemplazione
d’un
altro
stato
in cui
l’anima
Quanto
al
può arrivare, potrà certo far differenza da questo a quello, e per il futuro spreggiar il presente. Come se una bestia avesse senso della differenza che è tra le sue condizioni e 1 Cir. Cabala, p. 890, 2 Byssinus, a, un, di
n. 2. bisso,
di
lino
finissimo.
para-
gone del porco, voli il De la causa, pp. 218-9; e per quello consimile della scimmfa, l’ Infinito, p. Sor. 3 Qui cei BL una parentesi, che non è più chiusa. 4 B:
quelli
vplatile.
(B. [106-7)) (W. II, 349-50) (L. 662) (G.1 II, 361-2) (G.? II, 388-0). 1023
DE
GLI
EROICI
FURORI
quelle de l’uomo, e l’ignobiltà del stato suo dalla nobiltà del stato umano, al quale non stimasse impossibile di poter pervenire; amarebbe più la morte che li donasse quel camino ed ispedizione, che la vita, quale l’ intrattiene in quell’esser presente. Qua dunque, quando l’anima si lagna dicendo: O cani d’Atteon, viene intro-
dotta corne cosa che consta di potenze inferiori solamente, e da cui la mente è
cioè onde altro esser
ribellata con aver menato
gl’intieri affetti con tutto l’exercito per apprension del stato presente ed stato, il quale non più lo stima essere, conosciuto, si lamenta de pensieri,
convertendosi
a lei vegnono
dal
amore
seco il core,
de pensieri: là ignoranza d’ogni che da Ici possa li quali al tardi
per tirarla su più tosto che a
farsi ricettar da lei. E qua per la distrazione che patisce commune
della
materia
e di
cose
intelligibili,
si sente lacerare e sbranare di sorte che bisogna al fine di cedere a l'appulso più vigoroso e forte. Qua se per virti di contemplazione
ascende
o è rapita
sopra
l’orizonte
de
gli affetti naturali, onde con più puro occhio apprenda la differenza pensieri,
de
l'una
come
viva nel corpo,
e l’altra
morta
vita,
al corpo,
vi vegeta
come
allora
vinta alto;
da
gli alti
aspira
ad
e benché
morta,
e vi è presente
in
atto de animazione, ed absente in atto d’operazioni; non perché non vi operi mentre il corpo è vivo, ma perché l’operazioni del composto sono rimesse, fiacche e come dispenserate. Cîcada. Cossi un certo Teologo (che si disse rapito sin al terzo cielo) !, invaghito da la vista di quello, disse che desiderava
la dissoluzione
dal suo
1 S. Paoto, Ep. II ai Corinzii, XII, ® Cfr. S. Paoto, Ai Filipp., I, 23. (B.
[107-8])
(W.
II, 350)
(L. 662-3)
corpo ?. 2-4.
(G.! IT, 362-3)
1024
(G.2 II, 3809-90).
PARTE
PRIMA
- DIALOGO
QUARTO
Tansillo. In questo modo, dove prima si lamentava del core e querelavasi de pensieri, ora desidera d’alzarsi con quelli in alto, e mostra il rincrescimento suo per la communicazione e familiarità contratta con la materia corporale, e dice: Lasciami vita corporale, e non m'impacciar ch'io rimonti al mio più natio albergo, al mio sole: lasciami ormai che più non verse pianto da gli occhi miei, o perché mal posso soccorrerli, o perché rimagno
divisa dal mio
bene;
lasciami,
ché non
né possibile che questi doi rivi scorrano fonte,
è decente,
senza
il
suo
cioè senza il core: non bisogna, dico, che io faccia
doi fiumi de lacrime qua basso, se il mio core, il quale è fonte
de tai fiumi,
se n’ è volato
ad alto con le sue ninfe,
che son gli miei pensieri. Cossi a poco a poco, da quel disamore e rincrescimento procede a l’odio de cose inferiori; come quasi dimostra dicendo: Quand'il mio pondo greve converrà che natura mi disciolga?! e quel che seguita appresso. Cicada. Intendo molto bene questo, e quello che per questo volete inferire a proposito della principale intenzione: cioè che son gli gradi de gli amori, affezioni e furori, secondo gli gradi di maggior o minore lume di cognizione ed intelligenza. Tanstillo. Intendi bene. Da qua devi apprendere quella dottrina che comunmente, tolta da’ pitagorici e platonici, vuole che l’anima fa gli doi progressi d'ascenso e descenso per la cura ch’ ha di sé e de la materia; per quel ch’ è mossa
dal proprio appetito del bene, e per quel ch’ è spinta da la providenza del fato. 1 (LM:
et quel che/seguita
[108-9])
(W.
levata (B.
in G
e F e, II/
appresso
gggiungiamo,
350-1)
in Fi
(L. 663-4)
1025
(omissione
e Am).)
(G.t
II, 363-4)
dal MicHEL
ri-
(G.2 II, 390).
Cicada.
DE
GLI
di
grazia,
Ma
EROICI
FURORI
dimmi
brevemente
quel
che
intendi de l’anima del mondo, se ella ancora non può ascen-
dere né descendere? Tansillo. Se tu dimandi significazione,
quello,
per
del mondo
cioè in quanto
essere
infinito
significa l'universo,
e senza
dimensione
viene a essere inmobile ed inanimato
que
sia luogo
spacio
de mondi
infinito,
dove
secondo
la volgar dico
che
o misura,
ed informe,
quantun-
infiniti mobili in esso,
ed abbia
son
tanti
animali
grandi,
che
son
chiamati astri. Se dimandi secondo la significazione che tiene appresso gli veri filosofi, cioè in quanto significa ogni globo, ogni astro, come è questa terra, il corpo del sole, luna ed altri, dico che tal anima non ascende né descende,
ma si volta in circolo. Cossi essendo composta de potenze superiori nitade,
ed
inferiori,
con
l’ inferiori
con
le superiori
circa
la mole
versa
circa
la divi-
la qual
vien
da
essa
vivificata e mantenuta
intra gli tropici della generazione
e corrozione
viventi
de le cose
in essi mondi,
servando
la
propria vita eternamente: perché l'atto della divina providenza sempre con misura ed ordine medesimo, con divino calore e lume le conserva nell’ordinario e medesimo essere. Cicada. Mi basta aver udito questo a tal proposito. Tansillo. Come
dunque
accade che queste anime parti-
colari diversamente, secondo diversi gradi d'ascenso e descenso, vegnono affette quanto a gli abiti ed inclinazioni, cossi vegnono
a mostrar
diverse
maniere
ed ordini
841);
G3:
ed)
(G.!
II,
364)
de fu-
rori, amori e ! sensi; non solamente nella scala de la natura, secondo gli ordini de diverse vite che prende l’anima in diversi corpi, come vogliono espressamente gli pitagorici, 1 (GI:
'B.
e (vedi
[109-10])
(W.
la nota
II,
n. 3 a p.
351-2)
(L. 664)
1026
(G.2
II,
391).
PARTE
Saduchimi
ed
PRIMA
altri,
ed
DIALOGO
QUARTO
implicitamente
Platone
ed
alcuni
che più profondano in esso !; ma ancora nella scala de gli affetti umani,
la quale
scala della natura;
è cossi numerosa
de gradi,
come
la
atteso che l'uomo in tutte le sue potenze
mostra tutte le specie de lo ente. Cicada. Però da le affezioni sì possono conoscer gli animi, se vanno
alto
o basso,
o se vegnono
da
alto
o da basso,
se procedeno ad esser bestie o pur ad essere divini, secondo lo essere specifico, come la similitudine
intesero
gli pitagorici;
de gli affetti solamente,
come
o secondo
comunmente
si crede: non dovendo la anima umana posser essere anima di bruto, come
ben disse Plotino, ed altri platonici secondo
la sentenza del suo principe. Tansillo. Bene. Or per venire al proposito, da furor animale questa anima descritta è promossa a furor eroico, se la dice: Quando averrà ch'a l’alto oggetto
mi
sulleve,
pagnia del cini? Questo
ed
ivi
sarà
ch'io
dimore
in
com-
mio core e miei e suoi pulmedesimo proposito continova quando
dice: Destin,
Qual Che
E
Né
per bearm'a
fan
fe'
bellezze
dolor
le
l'alte porte
conforte
membra
spirto
più
l’error
Cabala,
p.
ch'il
non
885,
n.
più
monte
me?
suo
monte,
porte,
conte,
conte,
forte
disgionte,
lascia mie potenze smorte
S'ove 1 Cfr.
quelle
'l tenace
Chi
Mio
quando
rivale
l’assale,
gionte,
morte ? vale;
sale.
1.
? Cioè, mie, come più gii lo stesso. Intorno a questo possessivo che ordinariamente si affigge, v. Cand., p. LVII, e ivi n. 1. (Il
T°LOoRA,
trattarsi (B.
pur lasciando
di un
[110-2))
69
—
(W.
errore
inalterato
di stampaj
II, 352)
O. Luuno,
il ine, osserva:
da
(L. 66445)
Dialoyhi itulicni
correggere
(G.!
« Ma
potrebbe
anche
in sie », come
II, 364-5)
(G2
II,
in-
391-2).
DE
GLI
EROICI
Se, dove attende,
E E
FURORI
tende,
là ’ve l'alto oggett’'ascende, ascende: se quel ben ch’un sol comprende, prende, Per cui convien che tante emende mende, Esser falice lice,
Come
O
destino,
quando
_
chi sol tutto predice dice.
sarà,
o fato, ch'io
o divina inmutabile providenza, monte
a
quel
monte,
cioè ch'io vegna a tanta altezza di mente, che mi faccia toccar transportandomi quegli alti aditi e penetrali, che mi fanno evidenti e come comprese e numerate quelle conte, cioè rare bellezze? Quando sarà, che forte:
ed efficacemente conforte il mio dolore (sciogliendomi da gli strettissimi lacci de le cure, nelle quali mi trovo) colui
che
fe’
gionte
ed unite le
mie
membra,
ch’erano disunite e sgionte cioè l’amore che ha unito insieme queste corporee parti, ch'erano divise quanto un contrario è diviso da l'altro, e che ancora queste
potenze
smorte,
non
intellettuali, quali ne gli atti suoi son le
iascia
a
fatto
morte,
facen-
dole alquanto respirando aspirar in alto? Quando, dico, mi confortarà a pieno, donando a queste libero ed ispedito il volo, per cui possa la mia sustanza tutta annidarsi là dove,
forzandomi,
convien
mie? dove pervenendo più ch'il rivale; resista,
non
l'assaglia.
attende;
se
ed
emende
tutte le mende
il mio spirito, vale perché non v'è oltraggio che li
è contrarietà
Oh
ch'io
tende
ch'il
vinca,
non
ed
arriva
là dove
ascende
e perviene
v'è
error
che
forzandosi
a quell’altezza,
fatti corregge il MicHrL che intende «126, sans doute par une faute
d’ impression ».) I L corregge forte!-], cioè fortemente. avverbio usato nel v. 4° del sonetto. (B.
[112-3))
(W.
II, 352-3)
(L. 665)
1028
Ma,
forte
(G.! II, 365-6)
è lo stesso
(G.2 II,
392-3).
PARTE
dove
PRIMA
ascende,
vuol
- DIALOGO
star
QUARTO
montato,
alto
ed
elevato
il
suo oggetto; se fia che prenda quel bene che non può esser
compreso da altro che da uno, cioè da se stesso (atteso che ogni
altro
l’ave
in misura
della propria
capacità;
e quel
solo in tutta pienezza): allora avverrammi l’esser felice in quel modo che dice chi tutto predice, cioè dice quella altezza* nella quale il dire tutto e far tutto è la medesima cosa; in quel modo che dice o fa chi tutto predice, cioè chi è de tutte cose efficiente e principio, di cui il dir e preordinare* è il vero fare e principiare. Ecco come per la scala de cose superiori ed inferiori procede l'affetto
de
l'amore,
come
l'intelletto
o
sentimento
pro-
cede da questi oggetti intelligibili o conoscibili a quelli; o da quelli a questi. Cicada. Cossi vogliono la più gran parte de sapienti la natura compiacersi in questa vicissitudinale circolazione che si vede ne la vertigine de la sua ruota.
1 (FM:
motivo
di
Fine
del
dice
quella
da
chiarezza,
sopra, p. 950).) ® B:
ordinare; (B.
una
dire preordinare.
FM:
[113])
quarto
altezza
lezione
II,
353)
(L: dire
(L.
(restituendo
respinta
dive et preordinare)
(W.
dialogo.
dallo
cosi,
stesso
[et] preordinare;
665-6)
1029
(G.I
II,
366)
per
G1: (G.2
evidente
Bruno:
cfr.
dire e preII,
393).
DIALOGO QUINTO I. Cicada.
potrò
Fate
considerar
ch’appare scritto !,
pure
ch'io
veda,
le condizioni
esplicato
nell'ordine,
perché
da me
di questi
furori,
in questa
milizia,
stesso
per
quel
qua
de-
Tansillo. Vedi come portano l’' insegne de gli suoi affetti o fortune. Lasciamo di considerar su gli lor nomi ed
abiti;
basta
che
stiamo
su
la
significazion
ed intelligenza de la scrittura, tanto per forma = del corpo de la imagine,
de
l' imprese
quella che è messa quanto l’altra ch' è
messa per il più de le volte a dechiarazion
de l' impresa 3.
Cicada. Cossi farremo, Or ecco qua il primo che porta
un
scudo
distinto
in
quattro
colori,
dove
nel
cimiero
è
depinta la fiamma sotto la testa di bronzo, da gli forami 1 (L: descritta (la stessa forma in B) rilevata dal MicHEL).) ? Ossia a complemento: complemento che la maggior parte dei trattatisti delle imprese ritenevano necessario per evitare equivoci
e ambiguità quel che la stotelico. nel
(cfr. SALZA, of. cit., p. 238), e quindi paragonabile a forma è rispetto all’ individuo nel linguaggio ari-
3 Quanto alla lingua da usare nei motti delle imprese il CONTILE
tutte
cit.
Ragionamento:
le altre
preponersi,
giocondi la toscana, cese,
«Io,
ne i simulati
diceva,
dico
ne
giudico
i motti
la spagnola
amorosi,
ne
dovere
a
i festivi e
ne i motti severi la todesca, ne i vezzosi la fran-
la greca,
e in tutte le spezie
veramente
massimamente ne î concetti gravi » (cit. dal SALZA, Il Bruno perciò era in regola.
op.
la latina,
cit., p. 238).
(B. [r14]) (W. IL 353) (L. 666) (G.t II, [367]) (G.* II, (394).
1030
PARTE
PRIMA
- DIALOGO
QUINTO
della quale esce a gran forza un fumoso vento, e vi è scritto
in circa: At regna senserunt tria. Tansillo. Per dichiarazion di questo direi che per essere ivi il fuoco che, per quel che si vede, scalda il globo, dentro il quale è l’acqua, avviene che questo umido elemento, essendo rarefatto ed attenuato per la virtù del calore, e per consequenza risoluto in vapore, richieda molto maggior spacio per esser contenuto. Là onde se non trova facile exito, va con grandissima forza, strepito e ruina a crepare il vase. Ma se vi è loco o facile exito donde possa evaporare, indi esce con violenza minore a poco a poco; e secondo la misura con cuì l’acqua se risolve in vapore, soffiando svapora in aria. Qua vien significato il cor del furioso, dove,
accade
come
che
in esca ben disposta
della
sustanza
attaccato
vitale
altro
l’amoroso
sfaville
in
foco,
fuoco,
altro si veda in forma de lacrimoso pianto boglier ! nel petto, altro per l’exito di ventosi suspiri accender l’aria. E però dice: At regna senserunt tria. Dove quello At ha virti di supponere differenza o diversità o contrarietà; quasi dicesse che l’altro è che potrebbe aver senso del medesimo,
e non l’ave. Il che è molto bene esplicato ne le
rime seguenti sotto la figura: .
Dal
mio
gemino
lume
io,
poca
terra,
Soglio non parco umor porgere al mare; Da quel che dentr' il petto mi si serra,
Spirto non scarso accolgon l’aure avare; E ’l vampo che dal cor mi si disserra,
Si può senza scemars’ al ciel alzare: Con lacrime, suspiri ed ardor mio A l’acqua, a l’aria, al fuoco rendo
1 W: volger. as boglfre.
FLorio,
New
Woòld
of
Words,
il fio.
613:
bégliere
(B. (114-6)) (W. IT, 353-4) (L. 666-7) (G.! II, [367]-8) (G.2 II, (394)-5).
103I
DE
GLI
Accogli’
Qualche Si
EROICI
acqua,
aria,
foco
parte di me;
dimostra
ma
cotant’iniqua
Che né mio pianto appo Né la mia voce ascolta,
Né pietos'al mi’ ardor
Qua la
la suggetta
sustanza
cioè
da
gli
del occhi,
la mia e rea,
loco,
si volta.
significata per la
versa
copiose
dea
lei trova
unqua
materia
furioso;
FURORI
dal
lacrime
terra
gemino che
è
lume,
fluiscono
al mare;
manda dal petto la grandezza e moltitudine de suspiri a l'aria capacissimo 1: ed il vampo del suo core non come picciola favilla o debil fiamma nel camino de l’aria s’ intepidisce,
tente
infuma
e trasmigra
e vigoroso
(più
in
tosto
altro
essere,
acquistando
ma
de
come
po-
l’altrui
che
perdendo del proprio) gionge alla congenea sfera. Cicada. Ho ben compreso il tutto. A l'altro.
II. Tansillo. scudo,
Appresso
parimente
è designato
destinto
in
un
quattro
che ha nel suo
colori,
il
cimiero,
dove è un sole che distende gli raggi nel dorso de la terra; e vi è una nota, che dice: Idem semper ubique totum. Cicada. Vedo che non può esser facile l’ interpretazione. Tansillo. Tanto il senso è più eccellente, quanto è men volgare: il qual vedrete essere solo, unico enon
stiracchiato.
Dovete considerare che il sole, benché al rispetto de diverse
regioni de la terra per ciascuna sia diverso/a tempi a tempi, a loco a loco, a parte a parte; al riguardo però del globo tutto, come
medesimo,
sempre
ed in cadaun
loco fa tutto;
atteso che, in qualunque punto de l'eclittica ch'egli si trove, viene
a far l'inverno,
1 Per
(B.
[116-7])
questo
maschile
(W. II, 354-5)
l'estade, vedi
l'autunno
Cena,
(L. 667-8)
1032
p.
GI,
e la primavera; n.
2.
(G.! II, 368-9)
(G.2 II, 395-0).
PARTE
PRIMA
DIALOGO
QUINTO
e l’universal globo de la terra a ricevere in sé le dette quattro
tempeste. Perché mai è caldo a una parte che non sia freddo a l’altra; come quando fia a noi nel tropico del Cancro caldissimo, è freddissimo al tropico del Capricorno; di sorte che è a medesima raggione l’ inverno a quella parte, con cui a questa è l’estade, ed a quelli che son nel mezzo, è temperato, secondo la disposizion vernale o autumnale. Cossi la terra sempre sente le piogge, li venti, gli calori, gli freddi;
anzi non
sarebbe umida
qua, se non
disseccasse
in un'altra parte, e non la scalderebe da questo lato il sole,
se non
avesse lasciato d’ iscaldarla da quell’altro.
Cicada.
Prima
che
finisci
ad
conchiudere,
io
intendo
quel che volete dire. Intendeva egli che, come il sole sempre dona tutte le impressioni a la terra, e questa sempre le ri-
ceve intiere e tutte, cossi l'oggetto del furioso col suo splendore attivamente lo fa suggetto passivo de lacrime, che
son
l’acqui;
de
ardori,
che
son
gl’ incendii;
e de
suspiri,
quai son certi vapori, che son mezzi che parteno dal fuoco e vanno a l’acqui, o partono da l’acqui e vanno al fuoco. Tansillo.
Assai
bene s’esplica appresso:
Quando
declin’ il sol
al Capricorno,
Fan più ricco le piogge ogni torrente; Se va per l’equinozio o fa ritorno, Ogni postiglion d’ Eolo più si sente; E
scalda
Nel tempo Non Con
van
tai
Sempre
più
col
più
che rimonta
miei
freddi,
pianti,
prolisso
al Cancro
suspiri
temperie
equalmente
ed
e calori.
giorno,
ardente
ardori
in pianto,
Quantunqu' intensi siàn suspiri e fiamme. E! benché troppo m' cet ed infiamme, 1B
(B.
(W
[117-9])
L:
(W.
En.
II, 355)
(L. 668)
(G.! II, 369-70)
1033
(G.2 II, 396-7).
DE Mai
Infinito
GLI
avvien mi
ch'io
suspire
scaldo,
Equalmente
Cicada. Questo come il precedente la consequenza di Tansillo. Dite
EROICI FURORI
ai suspiri
non tanto discorso quello, o megliore,
men
e pianger
che
tanto;
saldo.
dechiara il senso de la divisa :, faceva, quanto più tosto dice l’ accompagna. che la figura è latente ne la
prima parte, ed il motto è molto esplicato ne la seconda; come l'uno e l’altro è molto propriamente significato nel
tipo del sole e de la terra. Cicada. Passamo al terzo.
III. Tansillo. Il terzo nel scudo porta un fanciullo ignudo disteso sul verde prato, e che appoggia la testa sullevata
sul braccio,
con
gli occhi
rivoltati
verso
il cielo
a certi edifici de stanze, torri, giardini ed orti che son sopra le nuvole;
e vi è un castello di cui la materia
in mezzo
è la nota
che
dice:
Mutuo
è fuoco;
ed
fulcimur.
Cicada. Che vuol dir questo? Tansillo. Intendi quel furioso significato per il fanciullo ignudo, come semplice, puro ed esposto a tutti gli accidenti
di natura
e di fortuna,
qualmente
con
la forza
del
pensiero edifica castegli in aria; e tra l'altre cose una torre di cui l’architettore è l'amore, la materia l'amoroso foco, ed il fabricatore
egli medesimo,
che dice:
Mutuo
fulcimur:
cioè io vi edifico e vi sustegno là con il pensiero, e voi mi sustenète qua con la speranza: voi non sareste in essere
se non fusse l’imaginazione ed il pensiero con cui vi? formo 1 Dal
2
(GI
franc.
(= L):
(B. (119-20])
devise: vi;
G2:
impresa.
(W. II, 355-6)
ivi))
Lo
(L. 668-9)
1034
stesso
gallicismo
(G.I IT, 370-1)
a p.
1061.
(G.? II, 397-8).
PARTE
PRIMA
- DIALOGO
QUINTO
e sustegno; ed io non sarrei in vita, se non fusse il refrigerio e conforto che per vostro mezzo ricevo. Cicada, È vero che non è cosa tanto vana e tanto chimerica fantasia, che non sia più reale, e vera medicina d'un furioso cuore, che qualsivoglia erba, pietra, oglio o altra specie che produca la natura.
Tansillo. Pit possono far gli maghi per mezzo della fede, che gli medici per via de la verità: e ne gli più gravi morbi più vegnono giovati gl’ infermi con credere quel tanto che quelli dicono, che con intendere quel tanto che
questi facciono 1. Or legansi ? le rime. Sopra
de
Quando
nubi,
a l’eminente
tal volta
loco,
vaneggiando
avvampo,
Per di mio spirto refrigerio e scampo, Tal formo a l’aria castel de mio foco: S' il mio destin fatale china un poco, A fin ch'intenda l'alta grazia il vampo, I « (Contractione)
rique
animus
tione
nos
meque
supra
corpora
imperare
evenit,
per affectum
posse
quando
creditur,
fidei adeo
praevalere
ut et montibus
dicamur.
Porro
respondentia
tunc
id
quaedam
domina-
non
in
vere
sine
ra-
maxi-
principio
activo cum passivo reperitur. In eos etenim, qui timoris, (amoris,) spei, laetitiae, tristitiae, et generaliter consensus, ac-
clives
non
perhibent
affectus,
Dii
non
posse
mirabiles
produ-
penetrant
malefi-
cere effectus quandoque protestati sunt; hoc de magicis medicisque principiis unum atque praecipuum esse novimus. Praepollent
medici, in quibus
cia,
(...)
plurimi confidunt,
superstitiosulos
vero versutulosque
et
rusticos
numquam.
formidantes vidi
Excantantes
energumenos,
quoque,
cautiores
ni sc in vehe-
mentiorem spiritum concitent inculcandum, commovendum, exsolvendum devinciendumque, non devincient, non exsolvent, non commovebunt, non inculcabunt spiritum. Hinc illae artificiosae fascinationes, hinc medicae adiurationes. Et certe ex naturalibus
concitato pacatis
affectu
sunt
haec
irati
impossibilia »v:
perficimus,
quae
Sigi/lus\gigillorum,
nobis
183-4. Vedi anche nel De la causa, ppX276-7. % BL: legansi; WG!: leggansi. Ma B. anche
usa la medesima (B.
[120])
(W.
f. alla latina.
II,
356)
(L.
669)
(G.!
1035
II,
371-2)
in
quietis
atque
Opera,
appresso, (G.?
II,
II,
p.
1,
1046,
398-0).
DE In
cui
mi
GLI
EROICI
muoio,
e non
FURORI
si sdegne
o adire,
O felice mia pena e mio morire! Quella de fiamme e lacci
Tuoi, Fan Ma
o garzon,
suspirar,
L’ardor può
Man
non
che gli uomini
e soglion
sente,
'ntrodurti,
far
e gli divi
cattivi,
né prova
gl’ impacci;
o Amore,
di pietà, se mostri il mio
dolore.
Cicada. Mostra che quel che lo pasce in fantasia, e gli fomenta il spirito, è che (essendo lui tanto privo d’ardire d'esplicarsi a far conoscere la sua pena, quanto profondamente suggetto a tal martire), se avvenesse ch' il fato rigido
e rubelle chinasse un poco (perché voglia il destino al fin rasserenargli il volto), con far che senza sdegno o ira de l'alto oggetto gli venesse manifesto, non stima egli gioia tanto
felice,
lui stime
né vita
tanto
felice la sua
beata,
pena,
quanto
e beato
per
il suo
tal successo
morire.
Tansillo. E con questo viene a dechiarar a l'Amore che
la raggion per cui possa aver adito in quel petto, non è quell'ordinaria de le armi con le quali suol cattivar uomini
e dei; ma solamente con fargli aperto il cuor focoso ed il travagliato spirito de lui; a la vista del quale fia necessario che la compassion possa aprirgli il passo ed introdurlo a quella difficil stanza. IV. Cicada. Che significa qua quella mosca che vola circa la fiamma e sta quasi quasi per bruggiarsi? e che vuol dir quel motto: Mostis non hostis ? Tansillo. Non è molto difficile la significazione de la farfalla, che sedotta dalla vaghezza del splendore, innocente onde (B.
ed
amica,
hostis [120-2]))
sta (W.
va
ad incorrere
scritto II, 356-7)
per
l’effetto
(L. 669-70)
1036
nelle del (G.!
mortifere fuoco; II,
372)
won (G.2
fiamme: Hostis, II, 390).
PARTE
PRIMA
DIALOGO
QUINTO
per l'affetto de la mosca. Hostis, la mosca, non
hostis,
attivamente.
Hostis,
la
passivamente;
fiamma,
per
l’ardore;
non hostis, per il splendore. Cicada. Or che è quel che sta scritto nella tabella?
Tanstllo.
Mai fia che de l'amor io mi lamente,
Senza del qual non voglio esser felice 1; Sia pur ver che per lui penoso stente, Non vo' non voler quel che si me lice. Sia
chiar
o fosco
il ciel,
fredd’o
Sempr' un sarò ver l’unica fenice.
ardente,
Mal può disfar altro destin o sorte Quel nodo che non può sciòrre la morte. AI
cor,
Non
al spirto,
è piacer,
a l’alma
o libertade,
o vita,
Qual tanto arrida, giove e sia gradita, Qual più sia dolce, graziosa ed alma, Ch'il stento, giogo e morte,
Ch' ho per natura,
voluntade
e sorto.
Qua nella figura mostra la similitudine che ha il furioso con la farfalla affetta verso la sua luce *; ne gli carmi poi
mostra più differenza e dissimilitudine che altro: essendo che comunmente si crede che se quella mosca prevedesse la sua ruina, non tanto ora séguita la luce, quanto allora la
fuggirebbe,
stimando
male
risolvendosi in quel fuoco ! Vedi
sopra,
a p. 982.
di
perder
nemico.
Ma
Il PETRARCA,
l’esser
a costui
nel son.
Cantai,
proprio,
non
men
or piango:
Arda 0 mora o languisca, un più gentile Stato del mio non è sotto la luna; Sf dolce è del mio amaro la radice. ed anche
il Tansitto, La
Due
pellegrini,
Quantunque
donna Ta
cagion
sola de la morte
Di voi non fia già ch'io ® Sopra,
a p. 990,
vv.
il son.
873-5: mia
mi lamenti.
Se Ia farfalla,
(B. [122-3])) (W. II, 357-8) (L. 670-1) (G.! II, 372-3) (G. II, 309-400). 1037
DE piace
svanir
abstratto
nelle
a
GLI
EROICI
fiamme
contemplar
de
la
e disposizion
del
l’amoroso
beltà
sotto il qual per inclinazion luntade
FURORI
di
ardore,
quel
di natura,
fato
raro
che
essere
splendore,
per elezion di vo-
stenta,
serve
e muore,
più
gaio, più risoluto e più gagliardo, che sotto qualsivogli’altro piacer
che s’offra al core, libertà che si conceda
al spirito,
e vita che si ritrove ne l’alma.
Cicada. Dimmi, perché dice: Sempre un sarò? Tansillo. Perché gli par degno d’apportar raggione della sua constanza, atteso che il sapiente non si muta con la luna 1, il stolto si muta come la luna. Cossf questo è unico con la fenice unica ?. V. Cicada. Bene; ma che significa quella frasca palma, circa la quale è il motto: Caesar adest? Tansillo.
Senza
dere per quel che Trionfator
Essendo
discorrere,
tutto
potrassi
inten-
è scritto nella tavola: invitto
di Farsaglia,
quasì estinti i tuoi guerrieri,
Al vederti, Sorser,
molto
di
fortissimi
e vinser
suoi
'n battaglia
nemici
altieri 3.
Tal il mio ben, ch'al ben del ciel s'agguaglia, Fatto a la vista de gli miei pensieri,
Ch’eran da l'alma disdegnosa spenti, Le fa tornar più che l'amor possenti. 1 BL:
luna.
Cfr.
il sapiente Liber
pientia manet
(B.
con la luna,
Ecclesiastici;
sicut sol:
2 Per la fenice, 3 Lucano,
si muta
qui
Pharsalia,
XXVII,
nam
stultus
appresso VII,
539
12:
il stolto si muta «Homo
sicut luna
(p. 1042 sgg.:
Caesare
Constitit
Caesaris
[123-4])
(W.
II, 358)
fortunaque (L. 671)
1038
(G.TII,
mutatur ».
sgg.), la VI
.... Semel ortus in omneis It timor, et fatis datus est PH hic bellum
sanctus
come in
sa-
impresa.
cursus
373-4)
haestt.... . (G4
la
II, 400-1).
PARTE
PRIMA
DIALOGO
QUINTO
La sua sola presenza, O memoria di lei, sf le ravviva,
Che La NÉ
con imperio
e potestade
Déman ogni contraria mi governa in pace; fa cessar quel laccio
Tal volta
le potenze
de
diva
violenza.
e quella
l’anima
face.
inferiori,
come
un ga-
gliardo e nemico essercito, che si trova nel proprio paese, prattico,
esperto
ed
accomodato,
insorge
contra
il pere-
grino adversario che dal monte de la intelligenza scende a frenar gli popoli de le valli e palustri pianure; dove dal rigor della presenza de nemici e difficultà de precipitosi fossi
vansi
perdendo,
e perderiansi
a fatto,
se
non
fusse
certa conversione al splendor de la specie intelligibile, mediante l’atto della contemplazione, mentre da gli gradi inferiori si converte a gli gradi superiori. Cicada. Che gradi son questi? Tansillo. Li gradi della contemplazione son come li gradi della luce, la quale nullamente è nelle tenebre; alcu-
namente è ne l'ombra; megliormente è ne gli colori secondo gli che
suoi
ordini
da
è il bianco;
l’un più
contrario,
ch'è
efficacemente
il nero,
è nel
a l’altro,
splendor
diffuso
sugli corpi tersi e trasparenti, come nel specchio 6 nella luna; più vivamente ne gli raggi sparsi dal sole; altissimae principalissimamente nel sole istesso. Or essendo cossi ordinate le potenze apprensive ed affettive, de le quali sempre sima
la prossima antecedente,
conseguente e
per
la
ave
affinità con
conversione
a
quella
la prosche
la
sulleva, viene a rinforzarsi contra l’ inferior che la deprime (come la raggione, per la conversione a l’ intelletto, non è sedotta o vinta dalla notizia o apprensione e affetto sensitivo, (B.
ma
[124-5))
più (W.
tosto, IT, 358-9)
secondo
la legge
(L. 671-2) 1039
(GI
di quello,
II, 374-5)
viene
a
(G.* II, 4q01-2).
DE
GLI
EROICI
FURORI
domar e correger questo): accade che quando l'appetito razionale contrasta con la concupiscenza sensuale, se a quello per atto di conversione si presente a gli occhi la luce intelligenziale, viene a repigliar la smarrita virtude, rinforzar i nervi, spaventa e mette in rotta gli nemici. Cicada. In che maniera intendete che si faccia cotal conversione ? Tansillo.
Con
tre preparazioni
che
nota
il contempla-
tivo Plotino nel libro Della bellezza intelligibile; de le quali la prima è proporsi de conformarsi d'una
similitudine
sono
infra
divina,
la propria
divertendo
perfezione,
la vista
da
e commune
cose
alle
che
specie
uguali ed inferiori; secondo 1 è l’applicarsi con tutta l’ intenzione ed attenzione alle specie superiori; terzo il cattivar tutta la voluntade ed affetto a Dio 2. Perché da qua avverrà che senza dubio gl'influisca la divinità la qual da per tutto è presente e pronta ad ingerirsi a chi se gli volta con l'atto de l’ intelletto, ed aperto se gli espone con l’afietto de la voluntade. Gicada. Non è dunque corporal bellezza quella che invaghisce costui? ‘@nsillo. Non
certo;
perché
la non
è vera né constante
bellezza, e però non può caggionar vero né constante amore. 1! W
corregge
? Il Tocco
la seconda,
a q. 1:
della bellezza
(I, 6, 7), ma
atque” fidem
se
ade V, S, 11; ‘ Deo
deinde
tota
tota
Deum
ad
solum
e più
«Il passo
ipsum
Dcum
[divina
quadam)
cogitationis
voluntate
intelligibile
[125-6])
(W.
II,
il B.,
non
ardenter
3509)
672)
amare»:
Dei notionem conformare,
contendere,
(Le
tertio
opp.
lat.
di
che il B. non cita il libro della x&XX00), ma quello della bel-
(appunto
(L.
similitudine
intentione
è nel libro
ficiniano all'enne-
fruiturus debet per communem
vongtoi x&AXov). (B.
la terza.
allude
invece nell'argomento
G. B., p. 370, n. 1). Si noti bensì bellezza (6° dell'Exn., I: mepì
lezza
sotto
a cui
cioè l' 8° dell’ Enn.
(G.I
1040
II,
375-6)
(G.2
II,
V:
repl
402-3).
PARTE
PRIMA
DIALOGO
QUINTO
La bellezza che si vede ne gli corpi, è una cosa accidentale ed
umbratile,
e come
l’altre
e guaste per la mutazione da bello si fa brutto,
che
sono
del suggetto,
assorbite,
senza che alterazion
ne l'anima. La raggion dunque
alterate
il quale sovente veruna
si faccia
apprende il più vero bello
per conversione a quello che fa la beltade nel corpo, e viene a formarlo
fabricato
bello;
e questa
e infigurato.
è l’anima
Appresso
che
l'ha
l’ intelletto
talmente
s'inalza
più,
ed apprende bene che l’anima è incomparabilmente bella sopra la bellezza che possa esser ne gli corpi; ma non si
persuade che sia bella da per sé e primitivamente: atteso che non accaderebbe quella differenza che si vede nel geno de
le anime;
stolte,
onde
odiose
altre
e brutte.
son
savie,
Bisogna
intelletto superiore il quale
amabili
dunque
e belle;
alzarsi
altre
a quello
da per sé è bello e da per sé
è buono. Questo è quell’unico e supremo capitano, qual solo, messo alla presenza de gli occhi de militanti pensieri, le illustra, incoraggia, rinforza e rende vittoriosi sul. dispreggio d'ogni altra bellezza e ripudio di qualsivogli’altro bene. Questa dunque è la presenza che fa superar ogni difficultà e vincere ogni violenza. Cicada. Intendo tutto. Ma che vuol dire: La mi governa in pace, Né fa cessar quel laccio
e
quella
face?
Tansillo. Intende e prova, che qualsivoglia sorta d’amore quanto ha maggior imperio e più certo domino, tanto fa sentir più stretti i lacci, più fermo il giogo e più ardenti le fiamme. Al contrario de gli ordinarii prencipi e tiranni, che usano maggior strettezza e forza, dove veggono aver minore
imperio.
Cicada. Passa oltre.
e
(B. [126-7]) (W. II, 3509-60) (L. 672-3) (G.! II, 376) (G.2 II, 403-4).
104I
DE
GLI
EROICI
FURORI
VI. Tansillo. Appresso veggio descritta la fantasia d'una fenice volante ', alla quale è volto un fanciullo che bruggia in mezzo le fiamme, e vi è il motto: Fata obstant. Ma perché s’ intenda meglior, leggasi la tavoletta: Unico
augel
del
sol, vaga
Ch'appareggi col mondo
Fenice,
gli anni tui,
Quai colmi ne l'Arabia felice, Tu sei chi fuste, io son quel che non fui. To per caldo d'amor muoio infelice;
Ma te ravviv’ il sol co’ raggi sui. Tu bruggi ’n un, ed io in ogni loco; Io
da
Cupido,
hai
tu
da
Febo
il foco.
Hai termini prefissi Di lunga vita, e io ho breve fine, Che pronto s’offre per mille ruine; Né so quel che vivrò, né quel che Me
cieco
Tu
fato
certo
torni
adduce,
a riveder
. vissi:
tua luce.
Dal senso de gli versi si vede che nella figura si disegna l'antitesi de la sorte de la fenice e del furioso, e che il motto: Fata obstant, non è per significar che gli fati siano contrarii o al fanciullo, o a la Fenice, o a l'uno e l’altro; ma che non
che
I La fenice era uno dei motivi prediletti delle insegne. Si ricordi l'Ariosto
XXVI,
imprese
H.
ne
3; XXXVI,
animalesche
VARNHAGEN,
virtù »,
fa
in
Racc.
Die
di
l'insegna
di
Marfisa
(Orl.
Fur.,
XXV,
097;
17, 18). La fonte di questa come di altre simili è da cercare nei bestiarii.
Quellen
studi
crit.
der
Per la fenice v., p. e.,
Bestiùir-Abschnitte
dedicata
ad
A.
im
D'Ancona,
«Fiore
di
Firenze,
1901, p. 533 Sgg., cit. dal SaLza, /mpr. e divise, p. 39. Lo stesso Salza, L. Contile, p. 217, nota che fra tutti gli animali che fregiarono le imprese, niuno raggiunse la diffusione della fenice. Nel 600 e 700 imprese con la fenice se ne fecero in numero straordinario.
Nel
500
una
raccolta di prose e poesie di varii
della
casa
poi
essa
Giolito
adornava
di Venezia;
SCANDIANESE, Venezia, 1555, giolitini, I, xXxI e 477 SG&.
il frontespizio
delle
numerose
e l'insegna
giolitina
fu
per la quale
v. anche
Bonci,
autori:
stampe
celebrata
in
La fenice di T. G. Annali
(B. [127-9)) (W. IL 360-1) .(L. 673) (G.1 II, 376-7) (G.2 II, 404-5).
1042
PARTE
PRIMA
- DIALOGO
QUINTO
son medesimi, ma diversi ed oppositi gli decreti fatali de l'uno e gli fatali decreti de l’altro. Perché la fenice è quel che
fu,
essendoché
la
medesima
materia
per
il fuoco
si
rinova ad esser corpo di fenice, e medesimo spirito ed anima viene
ad informarla;
il furioso
è quel che non
fu, perché
il suggetto che è d'uomo, prima fu di qualch'altra specie secondo innumerabili differenze. Di sorte che si sa quel che fu la fenice, e si sa! quel che sarà: ma questo suggetto non può tornar se non per molti ed incerti mezzi ad investirsi de medesima o simil forma naturale. Appresso, la fenice
al cospetto
del sole
cangia
la morte
con
la vita;
e questo nel cospetto d'amore muta la vita con la morte.
Oltre, quella su l'aromatico
altare accende il foco; e questo
il trova e mena seco, ovunque termini
di lunga
vita;
ma
va. Quella ancora ha certi
costui
per
infinite differenze
di
tempo ed innumerabili caggioni de circonstanze ha di breve vita termini incerti. Quella s’accende con certezza, questo con dubio de riveder il sole. Cicada. Che cosa credete voi che possa figurar questo? Tansillo. La differenza ch'è tra l'intelletto inferiore, che chiamano intélletto di potenza o possibile o passibile, il quale è incertd moltivario e moltiforme; e l' intelletto superiore, forse quale è quel che da peripatetici è detto infima de l’intelligenze, e che immediatamente influisce sopra tutti gl’ individui dell’umana specie, e dicesi intelletto agente ed attuante ?. Questo intelletto unico specifico de
1 DLG%: fa; ma lW, G: sa» (MICHEL).)
a ragione,
sa.
(«mais
% Si riferisce alla dottrina degli averséisti
B,
malgré
(cfr. Tocco,
la note
Le fonti
più rec. della filos. del B., p. 29). Lo stesso linguaggio aristotelico d'accatto nella Lampas trig. stat., in Opera, III, 49 (cfr. Tocco, Le opp. ined. di G. B., p. 42). L’ intellefto passibile (o pas-
(B.
[129-30])
(W.
II, 361)
(L. 673-4)
1043 70
—
6
Renna.
Dialaohi
italiani
(G.1 II, 377-8)
(G.? II, 405).
DE
GLI
EROICI
FURORI
umano che ha influenza in tutti li individui, è come la luna
la quale! non prende altra specie che quella unica, la qual sempre se rinova per la conversion che fa al sole, che è la
prima
ed
individuale
universale
e numeroso
ad innumerabili finiti gradi,
intelligenza: viene,
come
e diversissimi
che son secondo
ma
l'intelletto gli
occhi,
oggetti;
tutte
onde,
le forme
umano
a voltarsi
secondo
naturali,
in-
viene
informato. Là onde accade che sia furioso, vago ed incerto questo
intelletto
particulare,
come
quello
quieto, stabile e certo, cossi secondo condo
l’apprensione.
O pur quindi
universale
l'appetito,
(come
come
è
se-
da per te stesso
puoi facilmente desciferare) vien significato la natura dell'apprensione ed appetito vario, vago, inconstante ed incerto del senso, e del concetto ed appetito definito, fermo e stabile de l’ intelligenza; la differenza de l'amor sensuale che non ha certezza né discrezion de oggetti, da l'amor intellettivo il qual ha mira ad un certo e solo, a cui si volta, da cui è illuminato
s' infamma, e stato.
nel concetto, onde è acceso ne l’affetto,
s' illustra ed è mantenuto
nell'unità, identità
VII. Cicada. Ma che vuol significare quell’ imagine del
sole con un circolo motto Circuit?
dentro,
ed
un
sivo)
voic di Aristotele
altro
da
fuori,
con
il
Tansillo. La significazione di questo son certo che mai arrei compresa, se non fusse che l’ ho intesa dal medesimo figuratore. Or è da sapere che quel Circuit si referisce al moto del sole che fa per quel circolo, il quale gli vien deletto
èil xa0qtixèg
potenziale
o
possibile,
recato
in
(torntixég): per Averroè unico per tutti 1’ intelligenza motrice della sfera infima 1 (G1 = L: la luna, la quale)
(B.
(130-1])
(W.
II, 36r-2)
(IL. 674-5)
1044
(De anima,
atto
III, 5), intel-
dall’ intelletto
agente
gli uomini, e identico con del cielo, cioè della luna.
{(G.I IT, 378-0)
(G.2 IT, 405-0).
PARTE
scritto insieme sempre s'egli si
PRIMA
DIALOGO
QUINTO
dentro e fuori; a significare che quel moto insieme si fa ed è fatto; onde per consequenza il sole viene ad ritrovarsi in tutti gli punti di quello: perché muove in uno instante, séguita che insieme si muove
ed è mosso,
e che
è per
equalmente,
e che
in
quiete. Cicada.
Questo
tutta la circonferenza
esso
convegna
ho compreso
in
uno
del circolo
il moto
nelli dialogi
De
e la
l’in-
finito, universo e mondi innumerabili:, e dove si dechiara come la divina sapienza è mobilissima
(come disse Salomone) è e che la medesima sia stabilissima, come è detto ed inteso da tutti quelli che intendono. Or séguita a farmi comprendere il proposito. Tansillo.
che
Vuol
(come
moto
dire che
comunmente
diurno
in
il suo
sole non
si crede)
vintiquattro
ore,
è come
circuisce
la
e col moto
questo,
terra
col
planetare
in
dodeci mesi; laonde fa distinti gli quattro tempi de l’anno, secondo che a termini3di quello si trova in quattro punti cardinali del Zodiaco;
ma
è tale, che, per essere la eternità
istessa e conseguentemente una” possessione insieme tutta e compita, insieme insieme comprende l’ inverno, la primavera,
l’estade,
l’autunno,
insieme
insieme
il
giorno
e
la
notte: perché è tutto per tutti ed in tutti gli punti e luoghi. Cicada. Or applicate quel che dite alla figura. 1 B.
qui
contamina
il titolo
del
dial.
italiano
De
/° infinito,
universo e mondi e quello del poema latino: De imuinenso et innume-
rabilibus, un buon
che già allora doveva essere stato cominciato e condotto tratto innanzi. Cfr. Pref. ai ‘ Diallf Met.”, p. xxXMII.
2 Sapienza, VII, 24: «Omnibus enim niobilibus mobilior est sapientia: attingit autem ubique propter siam munditiam ». Per il luogo del De !’ infinito accennato cfr. pp.\ 3809-01. 3 (GI: a' termini (L: d termini).) (B.
{131-2])
(W.
II,
362)
(L.
675) (G.!
1045
II,
379-80)
(G.2
II,
406-7).
DE
Tansillo. tutto
in
Qua,
tutti
gli
GLI
EROICI
FURORI
perché
non
è possibile
punti
del
circolo,
vi
designar
son
il sol
delineati
doi
circoli: l'un che '1 comprenda, per significar che si muove per quello: l’altro che sia da lui compreso, per mostrar che è mosso per quello. Cicada. Ma questa demostrazione non è troppo aperta e propria. Tanstillo. Basta che sia la più aperta e propria che lui abbia possuta fare. Se voi la possete far megliore, vi si dà autorità di toglier quella e mettervi quell'altra; perché questa è stata messa solo a fin che l’anima non fusse senza
corpo.
Cicada. Che dite di quel Circuit? Tansillo. Quel motto, secondo tutta la sua significazione, significa la cosa quanto può essere significata: atteso che significa, che volta e che è voltato;
cioè, il moto
presente e perfetto. Cicada. Eccellentemente. E però quei circoli li quali malamente significano la circonstanza del moto e quiete tale, possiamo
dire che son messi
a significar la sola circu-
lazione. E cossi vegno contento del suggetto e de la forma de l'impresa eroica. Or legansi ! le rime. Tansillo.
Sol, che del Tauro fai temprati lumi, E dal Leon tutto maturi e scaldi, E quando dal pungente Scorpio allumi,
De
l'ardente
vigor
non
poco faldi ?;
Poscia dal fier Deucalion consumi Tutto col freddo, e i corp’ umidi saldi:
De primavera, estade, autunno, inverno Mi scald’, accend’, ard’, avvamp’ in eterno.
1 BL:
legansi;
® FLorio,
(B.
(132-3))
New
WWG!:
World
(W. II, 362-3)
leggansi. of
Words,
Ma
(L. 675-6)
1046
vedi
178,:
sopra,
p.
faldare
(G.' II, 380-1)
1035,
n.
1.
as sfaldare.
(G.? II, 407-8).
PARTE Ho
Che
PRIMA
sl caldo
DIALOGO
il desio,
facilmente
a remirar
QUINTO.
m'accendo
Quell’alt'’oggetto, per cui tant’ardendo Fo sfavillar a gli astri il vampo mio. Non han momento gli anni, Che vegga variar miei sordi
Qua
nota
che
gli quattro
affanni.
tempi
de l'anno
son
signifi-
cati non per quattro segni mobili che son Ariete, Cancro, Libra e Capricorno, ma per gli quattro che chiamano fissi, cioè
Tauro,
Leone,
Scorpione
ed
Aquario,
per
significare
la perfezione, stato e fervor di quelle tempeste. Nota appresso, che in virti di quelle apostrofi, che son nel verso ottavo,
possete
leggere
ardo,
avampo;
ardi,
avampi;
arde,
avvampa.
mi
over, over,
scaldo,
accendo,
scaldi,
accendi,
scalda,
accende,
Haioltre da considerare che questi
non son quattro sinonimi, ma quattro termini diversi che significano tanti gradi de gli effetti del fuoco. Il qual prima scalda,
secondo
accende,
terzo
bruggia,
quarto
infiamma
o invampa quel ch’ha scaldato, acceso e bruggiato. son
denotate
nel
furioso
il desio,
l’attenzione,
E cossi il studio,
l’affezione, le quali in nessun momento sente variare. Cicada. Perché le mette sotto titolo d'affanni? Tansillo. Perché l'oggetto, ch’ è la divina luce, in questa
vita è più in laborioso voto che in quieta fruizione; perché
la nostra mente verso quella è come gli occhi de gli uccelli notturni
al sole.
Cicada. Passa, perché comprender tutto.
ora
da quel
ch'è
detto,
posso
VIII. Tansillo. Nel cimiero seguente vi stà depinta una luna piena col motto: Talis mihi semper et astro. Vuol dir (B.
[133-4])
(W.
II,
363-4)
(L.
676)
1047
(G.!
II,
381)
(G.2
II,
408-9).
DE
che
GLI
EROICI
FURORI
a l’astro, cioè al sole, ed a lui sempre
è tale,
come
si
mostra qua piena e lucida nella circonferenza intiera del circolo: il che acciò che meglio forse intendi, voglio farti udire quel ch’ è scritto nella tavoletta. Luna inconstante, luna varia, quale Con corna or vote e talor piene svalli, Or l'orbe tuo bianco, or fosco risale,
Or
Bora
Fai
e de’
lustre,
or
Rifei
torni
A chiarir l’Austro La
Mai
luna
mia,
sempre
monti per
sempre
Sempre
mia
Questa
Sempre
mia
trite
continua
è ferma,
ed è mai
scale
e tanto
bella;
nobil
face
si mi martora,
sempre si rende,
bruggia
crudele
pena,
e mai
tanto
tanto
tue
e di Libia le spalli.
per
È tale la mia stella, Che sempre mi si toglie
Che
le valli
e tanto
piena.
splende,
e sf mi piace.
Mi par che voglia dire che la sua intelligenza particulare alla intelligenza universale è sempre tale; cioè da quella viene eternamente illuminata in tutto l’emisfero: benché alle potenze inferiori e secondo gl’ influssi de gli atti suoi or viene oscura, or più e meno lucida. O forse
vuol significare che l’ intelletto suo speculativo (il quale è sempre in atto invariabilmente) è sempre volto ed affetto verso l'intelligenza umana significata per la luna. Perché come questa è detta infima de tutti gli astri ed è più vicina a noi, cossi l’ intelligenza illuminatrice de tutti noi (in questo stato) è l’ultima in ordine de l’altre intelligenze, come nota Averroe ed altri più sottili peripatetici !. Quella a l’ intelletto in potenza or tramonta, per quanto non è in atto alcuno, or come ! Cîr. (B.
sopra,
[134-6])
(W.
p. II,
1043, 364)
n. (L.
svallasse,
cioè sorgesse
2. 676-7)
1048
(G.!
II,
381-2)
(G.2
II,
400).
PARTE
dal basso piena, or
de
l’occolto
secondo
ha
PRIMA
che
l’orbe
DIALOGO
emispero,
dona
più
più e più apertamente;
a Borea,
lume
vacua,
or
d' intelligenza;
bianco,
perché
similitudine e vestigio,
tal-
tal volta or monta
cioè or ne si va più e più allontanando, or più Ma
pena
questo
(percioché
tato,
or
or
or declina a l'Austro,
c più s'avvicina. umana
mostra
o meno
oscuro,
volta mostra per ombra,
si
QUINTO
l'intelletto in atto con sua continua
in cui si trova sollecitato,
non
è per
natura
cossi travaglioso,
distratto
e come
e condizione
combattuto,
lacerato
dalle
invi-
potenze
inferiori) sempre vede il suo oggetto fermo, fisso e constante, e sempre pieno e nel medesimo splendor di bellezza. Cossî sempre se gli to glie
per quanto non se gli concede,
sempre se gli rende per quanto se gli concede. Sempre tanto lo bruggia ne l'affetto, come sempre tanto gli splende nel pensiero; sempre è tanto crudele
in suttrarsi per quel che si suttrae, come sempre
tanto senta.
per
bello
in comunicarsi per quel che gli se pre-
Sempre
differenza
percioché
è
lo
locale
martora,
da
lui,
gli è congionto
come
percioch'è
sempre
gli
con l'affetto.
diviso
piace, i
Cicada. Or applicate l'intelligenza al motto. Tansillo. Dice dunque: Talis mihi semper; cioè, per la mia
continua
e volontade
applicazione (perché non
secondo
voglio
l' intelletto,
altro ramentare,
memoria intendere,
né desiderare) sempre mi è tale e, per quanto posso capirla, al tutto presente, e non m' è divisa per distr Éion de pen-
siero, né me si fa più oscura per difetto d’atterizione, perché non
è pensiero
necessità Talis
mihî
(B. (136-7])
che mi
di natura semper
divertisca
qual m’oblighi dal
(W. II, 364-5)
canto
suo,
(L. 677-8)
1049
da quella
perché perché
luce, e non
meno la
(G.! II, 382-3)
è
attenda.
è invariabile (G.? II, 4090-10).
DE
in sustanza,
GLI
EROICI
FURORI
in virtà, in bellezza ed in effetto
verso quelle
cose che sono constanti ed invariabili verso lei. Dice appresso: wt astro, perché al rispetto del sole illuminator de quella sempre è ugualmente luminosa, essendo che sempre ugualmente gli è volta, e quello sempre parimente «diffonde gli suoi raggi: come fisicamente questa luna che veggiamo
con gli occhi, quantunque
verso
la terra or ap-
paia tenebrosa, or lucente. or più or meno illustrata ed illustrante, sempre però dal sole vien lei ugualmente illuminata; perché sempre piglia gli raggi di quello al meno nel dorso del suo emispero intiero. Come anco questa terra sempre è illuminata nell'emisfero equalmente; quantunque da l’acquosa superficie cossi inequalmente a volte a volte mande il suo splendore alla luna (quai, come molti altri astri
innumerabili,
che
quella mande
insieme
un’altra
a lei, atteso
terra),
come
la vicissitudine
aviene
ch' hanno
de ritrovarsi or l'una or l’altra più vicina al sole.
Cicada. Come luna che luce per Tansillo. Tutte in quanto che son dico, che hanno pazione,
stimiamo
questa intelligenza è significata per la l'emisfero? l’ intelligenze son significate per la luna, partecipi d'atto e di potenza, per quanto,
la luce
ricevendola
materialmente,
da
altro;
dico,
e secondo
non
essendo
particiluci
per
sé e per sua natura, ma per risguardo del sole ch’ è la prima intelligenza,
la quale
è pura
ed
absoluta
luce,
è puro ed absoluto atto. Cicada. Tutte dunque le cose che hanno
come
dependenza e
che non sono il primo
atto e causa, sono composte
luce
di
e tenebra,
come
materia
e forma,
anco
di
come
potenza
di ed
atto ? Tansillo.
Cossi
è, Oltre,
l’anima
nostra,
secondo
tutta
(B. [137-8)) (W. II, 365) (L. 678) (G.1 II, 383-4) (GIL, 4ro-1).
1050
PARTE
PRIMA
DIALOGO
QUINTO
la sustanza, è significata per la luna la quale splende per l'emispero delle potenze superiori, onde è volta alla luce del mondo intelligibile; ed è oscura per le potenze inferiori, onde è occupata al governo della materia. IX. Cicada. E mi par, che a quel ch’ora è detto abbia certa consequenza e simbolo l' impresa ch'io veggio nel seguente scudo, dov’ è una ruvida e ramosa quercia piantata, contra
la quale
il motto: che dice:
è un
vento
che
Ut robori robur. Ed Annosa
quercia,
A l’aria, NÉ
e fermi
terra
smossa,
soffia,
appresso
che gli rami
le radici né
circonscritto
è affissa la tavola
spandi
’n terra;
gli spirti
Che da l'aspro Aquilon
ed ha
grandi,
il ciel disserra,
Né quanto fia ch' il vern'orrido mandi, Dal luogo ove stai salda, mai ti sferra;
Mostri della mia fé ritratto vero, Qual smossa mai strani accidenti Tu medesmo terreno
Mai
sempre
abbracci,
fai
colto
E di lui per le viscere distendi
Radici grate al generoso T' ad un sol oggetto
Ho 1 Cfr.
sonetto
fisso il spirto,
TansiLLo,
XCVI,
pp.
Come
Mentre
Quinci
E
seno:
liriche,
1309-40:
dal ceppo
talora
alta
son. ed
suo ruvida
al ciel la cima
CL,
p.
76;
Canzoniere,
annosa,
e grande
e quindi superba î rami
dvizza
e comprendi,
il senso e l'intelletto !.
Poesie
quercia
fèro.
alta
spande,
e frondosa,.....
Improvisa poi vien che a terra mande Ira di Dio ch' è tra le nubi ascosa; Cost dal petto mio ne svelse Amore
L’arbore
In
L’ immagine,
un
che
nudria
moinento,
come
nota
de
la speranza,
frutto, fronde
il Fiorentino
e fiore.
(p. 302),
è catulliana;
ma
non
(B. [138-39]) (W. II, 365-6) (L. 678-9) (G.! II, 384-5) (G.2 II, 411-2).
1051
DE
GLI
EROICI
FURORI
Tansillo.* Il motto è aperto, per cui si vanta il furioso d'aver forza e robustezza, come la rovere; e come quell'altro,
essere
sempre
e come
il prossimo
uno
al riguardo
precedente
da
l’unica
conformarsi
fenice;
a quella luna
che sempre tanto splende, e tanto è bella; o pur non asso-
migliarsi a questa antictona tra la nostra terra ed il sole, in quanto ch’ è varia a’ nostri occhi, ma in quanto sempre
riceve ugual porzion del splendor solare in se stessa; e per ciò cossi rimaner constante e fermo contra gli Aquiloni e tempestosi inverni per la fermezza ch’ ha nel suo astro in cui
è piantato
con
l'affetto
ed
intenzione,
come
la detta
radicosa pianta tiene intessute le sue radici con le vene de la terra. Cicada. Più stimo io l’essere in tranquillità e fuor di molestia che trovarsi in una sf forte toleranza. Tansillo. È sentenza d’epicurei la qual, se sarà bene intesa, non sarà giudicata tanto profana quanto la stimano
gli ignoranti; atteso che non toglie che quel ch’ io ho detto sia
virti,
ma
più tosto aggionge
è parso
anche,
quercia. quella
né
dubbio
avverte Se
non
pregiudica
alla
perfezione
della
constanza,
a quella perfezione
che intendeno
che il B. l’attingesse dal Tansillo,
il quale compose
lo stesso che
la quercia
di Catullo », osserva
dal canto suo, oppone
zione avvertita: non corrisponde
Fiorentino
del
il Torraca,
di non
scorgere
a p.
281,
Tansillo
«lasciando stare che a quella del Nolano,
citato
un'impresa
con
Pèrcopo.
Il quale,
«non
dal
la
è precisamente
negli Eroîci furori la deriva-
la similitudine del Tansillo questi non potea conoscere
il sonetto [del suo compaesano] che rimase inedito sino al Fiorentino, né pare che il Bruno possedesse un manoscritto delle liriche tansilliane, ch’ei conobbe solo nelle stampe venete del 1542, 1553 e 1558. Egli forse si ricordò di due altre similitudini consimili di VIRGILIO (Aen., IV, 441 sgg.) e dell’Ariosto (Fur., XXI, 16)». Vedi la n. alle pp. 139-40 del Canzoniere. 1 In BL manca «Tansillo.» (B.
[139-40])
(W.
II,
366)
(L.
679)
1052
(G.!
II,
385)
(G.
II,
412-3).
PARTE
PRIMA
DIALOGO
QUINTO
gli volgari: perché lui non stima vera e compita virtù di fortezza
e constanza
quella
che
sente
e comporta
gl’ in-
commodi, ma quella che non sentendoli le porta :; non stima compito amor divino ed eroico quello che sente il sprone, freno o rimorso o pena per altro amore, ma quello ch'a fatto non ha senso de gli altri affetti; onde talmente è gionto
ad un piacere che non è potente dispiacere alcuno a distorlo o far cespitare in punto. E questo è toccar la somma beatitudine in questo stato, l’aver la voluptà e non aver senso di dolore. Cicada. La volgare opinione non crede questo senso d’ Epicuro. Tansillo. Perché non leggono gli suoi libri, né quelli che senza invidia apportano le sue sentenze, al contrario di color che leggono la sua morte; dove
il corso de sua vita ed il termine de con queste paroli dettò il principio
del suo testamento: Essendo ne l’ultimo e medesimo felicissimo giorno de nostra vita, abbiamo ordinato questo con mente
quieta,
quantunque
tra
ne
sana
e tranquilla;
grandissimo
tormentasse
da
dolor
un
perché
de
canto,
pie-
quel
tormento tutto venea assorbito dal piacere de le nostre invenziogzi e la considerazion del fine=?. Ed è cosa mani1 A questa dottrina dell'atarassia epicurea s'accenna anche nel Sigillus sigillorum, $ 49, in Opera, II, 1, 192.
® Trad. un po' libera del principio della lett. di Epicuro a Idomeneo (Dioc. L., X, 22: USENER, Epic., fr. 138, p. 143). Giustamente
nota il Tocco,
Le opp.
lat., p. 397, n. 2, che la « considerazion
del fine » non c’ è nel testo, che dice soltanto: tò yaîpov Eni tm tv
yerovérwv (B.
{140-1))
Apiv (W.
diadoytopàv
II, 366-7)
uvnppn. Ed è anche da avvertire col
(L. 6709-80) (G.1 II, 385-6) 1053
(G.2 II, 413).
DE
GLI
EROICI
FURORI
festa, che non ponea felicità più che dolore nel mangiare, bere,
posare
né fatica,
e generare,
né libidine.
noi la perfezion
l’arbore
non
ma
Da
si muova:
fisso
senso
sentir
considera
de la constanza:
che né manco mento
qua
si fracasse,
il spirto,
in non
non
rompa
fame,
né
sete,
qual sia secondo
già in questo
o pieghe;
ma
in
che
questo
alla cui similitudine costui tien
ed
intelletto,
lì
dove
non
ha
senti
di tempestosi insulti.
Cicada. Volete dunque che sia cosa desiderabile il comportàr de tormenti, perché è cosa da forte? Tansillo.
Questo
che
dite
comportare
è parte
di constanza e non è la virtude intiera; ma questo che dico
fortemente comportare ed Epicuro disse non sentire. La qual privazion di senso è caggionata da quel
che
tutto
è stato
absorto
dalla
cura
della
virtude,
vero bene e felicitade. Qualmente Regolo non ebbe senso de l'arca, Lucrezia del pugnale, Socrate del veleno, Anaxarco
de la pila,
Scevola
del fuoco,
Cocle
de la voragine,
ed altri virtuosi d’altre cose che massime dànno orrore a persone ordinarie e vili !, Cicada. Or passate oltre.
tormentano
e
X. Tansillo. Guarda, in quest'altro ch’ ha la fantasia di quella incudine e martello, circa la quale è il motto: Tocco che è alquanto sforzata questa interpretazione pessimistica dell'epicureismo, che raccosterebbe Plotino ad Epicuro. ! Per questi esempi famosi d’ insensibilità raggiunta da chi è absorto
dalla
cura
della
virtude,
cfr.
la
Lampas
triginta statuarum, in Opera, III, 101, e il De vinculis in genere, ivi, p. 657, e i commenti del Tocco, Le opp. ined. di G. B., pp. 226-7, in
n.
La
pila
ce ivi, n. 2. (B.
[141-2))
d’Anassarco
(W.
II,
367)
è
anche
(L.
680)
ricordata
(G.:
1054
IT,
nella
386-7)
Cena,
(G.2
TI,
p.
170,
413-4).
PARTE
PRIMA
DIALOGO
QUINTO
Ab Aetna. Ma prima che la consideriamo, leggemo la stanza. Qua s’ introduce di Vulcano la prosopopea: Or non
al monte
Torn' ove
tempri
mio
i folgori
siciliano di
Giove;
Qua mi rimagno scabroso Vulcano, Qua più superbo gigante si smuove, Che contra il ciel s' infiamm'e stizza in vano,
Tentando nuovi studii è varie prove; Qua trovo meglior fabri e Mongibello, Meglior
Dov'un
fucina,
incudine
e martello,
petto ha suspiri,
Che quai mantici avvivan la fornace, U' l'alm'a tante scosse sottogiace Di que’ si lunghi scempii e gran martiri; E manda quel concento
Che
fa volgar si aspro e rio tormento.
Qua si mostrano le pene ed incomodi che son ne l’amore, massime nell'amor volgare, il quale non è altro che la fucina di Vulcano,
quel
fabro che forma
i folgori de Giove
che tormentano l'anime delinquenti. Perché il disordinato amore ha in sé il principio della sua pena; atteso che Dio è vicino, è nosco, è dentro di noi. Si trova in noi certa sacrata mente ed intelligenza, cui subministra un proprio affetto
che
ha il suo
sinderesi 1 al
vendicatore,
meno,
come
con
che
certo
col rimorso rigido
di certa
martello,
fla-
gella il spirito prevaricante. Quella osserva le nostre azioni ed
affetti,
e come
è trattata
da
noi,
fa che
ngi
vengamo
trattati da lei, In tutti gli amanti:
dico, è questo fabro
Vulcano,
abbia
come
non
è uomo
che
non
Dio
in sé, non
è amante che non abbia questo dio. In tutti è Dio certissimamente;
ma
qual
dio
sia
in
ciascuno,
non
si sa
cossi
facilmente; e se pur si può examinare e distinguere, altro non potrei credere che possa chiarirlo che l'amore; come 1 ‘Cfr.
(B.
[142-3])
sopra,
(W.
p.
561,
II, 367-8)
n.
2.
(L. 680-1) 1055
(G.! II, 387-8)
(G.2 IT, 414-5).
DE
GLI
EROICI
FURORI
quello che spinge gli remi, gonfia la vela e modera questo composto,
onde
vegna
bene
Dico bene o malamente in execuzione per l’azioni del resto tutti gli amanti comodo: essendoché come
o malamente
affetto.
affetto quanto a quel che mette morali e contemplazione; perché comunmente senteno qualch' inle cose son miste, non essendo
bene alcuno sotto concetto ed affetto a cui non sia gionto
o opposto il male, come né alcun vero a cui non sia apposto e gionto il falso; cossi non è amore senza timore, zelo, gelosia, rancore ® ed altre passioni
che procedeno
dal con-
trario che ne perturba, se l'altro contrario ne appaga. Talmente venendo l’anima in pensiero di ricovrar la bellezza naturale, studia purgarsi, sanarsi, riformarsi: e però adopra il fuoco; perché essendo come oro trameschiato a la
terra
ed
informe,
con
impurità;
il che
s’effettua
di Giove,
vi mette le mani,
certo quando
rigor
vuol
liberarsi
l'intelletto,
essercitandovi
gli
vero atti
da
fabro
dell’ in-
tellettive potenze.
Cicada. A questo mi par che si riferisca quel che si trova
nel
Convito
madre
Penia
di Platone,
dove
ereditato
l’esser
ha
discalzo, summisso,
dice,
che l'Amore
arido,
magro,
da la
pallido,
senza letto e senza tetto ?. Per le quali
circonstanze vien significato il tormento ch’ ha l’anima tra-
vagliata da gli contrarii affetti. Tansillo. Cossi è; perché il spirito affetto di tal furore viene
da
profondi
pensieri
distratto,
martellato
da
cure
1 BD: roncore.
? Vedi PLATONE, Conv., p. 203 c-d. Il Tocco (Le opp. lat. di G. B., p. 396) a q. l.: «L’ interpretazione del mito del Convito è arbitraria: l'Amore, come è noto, è figlio di P'enia in quanto non ha
il possesso (B.
(143-4])
di quel che desidera ». Tuttavia (W.
IT, 368-9)
(L. 681-2)
1056
cfr. Conv.,
(G.! IT, 388-9)
p. 204 d.
(G.2 II, 415-0).
PARTE
urgenti,
PRIMA
scaldato
occasioni.
Onde
da
DIALOGO
ferventi
trovandosi
desii, l’anima
QUINTO
insoffiato
da
suspesa,
spesse
necessaria-
mente viene ad essere men diligente ed operosa al governo del corpo per gli atti della potenza vegetativa. Quindi il corpo è macilento, mal nodrito, estenuato, ha difetto de sangue, copia di malancolici umori, li quali se non saranno instrumenti de l'anima disciplinata o pure d’un spirito chiaro
e lucido,
menano
ad
insania,
stoltizia
e furor
bru-
tale; o al meno a certa poca cura di sé e dispreggio de l'esser proprio, il qual vien significato da Platone per gli piedi discalzi. Va summisso l'amore e vola come rependo ! per la terra, quando è attaccato a cose basse; vola alto, quando vien intento a più generose imprese. In conclusione ed a proposito, qualunque sia l'amore, sempre è trava-
gliato e tormentato di sorte che non possa mancar d’esser materia nelle focine di Vulcano; perché l'anima essendo cosa divina, e naturalmente non serva, ma signora della materia corporale, viene a conturbarsi ancor in quel che voluntariamente serve al corpo, dove non trova cosa che la contente; e quantunque fissa nella cosa amata, sempre gli aviene, che altre tanto vegna ad essagitarsi e fluttuar in mezzo gli soffii de le speranze, timori, dubii, zeli, conscienze,
rimorsi,
ostinazioni,
pentimenti
ed
altri
mani-
goldi che son gli mantici, gli carboni, l’ incudini, gli martelli,
le tenaglie ed altri stormenti ? che si ritrovano nella di questo
sordido
e sporco
consorte
bottega
di Venere.
Cicada. Or assai è stato detto a questo proposito. Piacciavi
di veder
1 Cfr. sopra,
1 È una
mento,
che cosa séguita nell’ Epist.
metatesi.
ogni
genere
appresso.
della Cabala,
FLorIo,
New
di strumento
World
p. 341,
n. 7.
of Words,
meccanico
5363:
o musicale.
stor-
(B. [144-6])) (\W. IL 369) (L. 682) (G.! II, 389) (G? II, 416-7). 1057
DE
GLI
EROICI
FURORI
XI. Tansillo. Qua è un pomo d'oro ricchissimamente, con diverse preciosissime specie, smaltato; ed ha il motto in circa che
dice:
Pulchriori detur.
Cicada. L'allusione al fatto delle tre dee che si sottoposero al giudicio de Paride, è molto volgare. Ma leggansi le rime che più specificatamente ne facciano capaci de l'intenzione Tansillo.
del furioso presente. venere,
Del
cieco
L'altra,
E
di
De
dea del terzo ciel 1, e madre
arciero,
domator
d’'ognuno;
ch' ha ’] capo giovial per padre,
Giove
Il troiano
la moglie
pastor
altera,
chiaman,
Giuno,
che
squadre
chi de lor più bella è l’aureo muno.
Se la mia
Non
diva
di Venere,
al paragon
Pallade,
s'appone,
o Giunone.
Per belle membra è vaga La cipria dea, Minerva per l’ ingegno, E la Saturnia piace con quel degno
Splendor d'altezza, ch'il Tonante Ma quest’ ha quanto aggrade Di
Ecco quale
bel,
qualmente
contiene
tutte
di bellezza come
strano
d'intelligenza
e maestade.
fa comparazione le
circonstanze,
in un suggetto,
più che una per ciascuno;
suppositi:
come
avvenne
appaga;
nel geno
dal
suo
oggetto
condizioni
ad altri che non
e
il
specie
ne mo-
e tutte poi per diversi solo della corporal bel-
lezza di cui le condizioni tutte non le poté approvare Apelle in una ma in più vergini. Or qua dove son tre geni di Cfr.
EPICURO,
Cecaria:
Madye del mio signor leggiadra e santa Del terzo ciel regina e imperatrice. 2 Nel De vinculis in genere, in Opera, III, 659 (ma 63817 e 66012-14), B. parla invece di Zeusi (conforme alla tradiz.: cfr. Cic., De Inv., II, 1. Apelle per Zeusi anche a p. 227.) (B.
[146-7]))
(W.
II, 369-70)
(L. 682-3)
1058
(G.! II, 390)
(G.2 II, 417-8).
PARTE
PRIMA
- DIALOGO
QUINTO
beltade, benché avvegna che tutti si troveno in ciascuna de le tre dee, perché a Venere non manca sapienza e maestade, in Giunone non è difetto di vaghezza e sapienza, ed in Pallade è pur notata la maestà con la vaghezza: tutta
volta
aviene
che
l'una
condizione
supera
le
altre,
onde quella viene ad esser stimata come proprietà, e l’altre come accidenti communi, atteso che di que’ tre doni l’uno predomina in una, e viene ad mostrarla ed intitularla sovrana de l’altre. E la caggion di cotal differenza è lo aver queste raggioni non per essenza e primitivamente, ma per participazione e derivativamente. Come in tutte le cose dependenti sono le perfezioni secondo gli gradi de maggiore e minore,
Ma
e meno.
nella simplicità della divina essenza è tutto total-
mente, che
più
e non
bellezza
secondo
misura:
e maestade,
non
e però
non
è più sapienza
è più
bontà
che
fortezza;
ma tutti gli attributi sono non solamente uguali, ma ancora medesimi ed una istessa cosa. Come nella sfera tutte le dimensioni sono non solamente uguali (essendo tanta la lunghezza
quanta
è la profondità
medesime ', atteso
che
quel
che
e larghezza) chiami
ma anco
profofdo,
mede-
simo puoi chiamar lungo e largo della sfera. (ossi è nell'altezza de la sapienza divina, la quale è medesimo ? che la profondità de la potenza e latitudine de la bontade. Tutte queste perfezioni sono uguali, perché sono infinite. Percioché necessariamente l'una è secondo la grandezza de l’altra,
atteso che,
dove
queste cose son finite, avviene
che sia più savio che bello e buono,
1 Cfr. Lampas
triginta statuarum,
* Medesimo,
la medesima
più buono
in Opera,
cosa.
II,
e bello che
38.
(B. (147-8)) (W. II, 370) (L. 683-4) (G.! II, 390-1) (G.2 II, 418). 1059 TI
—
G.
Buono,
Dialoghi
italiani
DE
GLI
EROICI
FURORI
savio, più savio e buono che potente, e più potente che buono e savio. Ma dove è infinita sapienza, non può essere se non
infinita
potenza;
infinitamente.
perché
Dove
altrimente
è infinita
non
bontà,
potrebbe
bisogna
saper
infinita
sa-
pienza; perché altrimente non saprebbe essere infinitamente
buono. Dove è infinita potenza, bisogna che sia infinita bontà e sapienza, perché tanto ben si possa sapere e si
sappia possere.
furioso,
quasi
Or dunque
inebriato
incomparabilmente
che
di
vedi come. l'oggetto di questo bevanda
gli altri
de
diversi
dei,
da
sia
più
quello:
alto
come,
voglio dire, la specie intelligibile della divina essenza comprende la perfezione de tutte l’altre specie altissimamente, di sorte che, secondo il grado che può esser partecipe di quella forma, potrà intender tutto e far tutto, ed esser cossi amico d’una che vegna ad aver a dispreggio e tedio ogni altra bellezza. Però a quella si deve esser consecrato il sferico pomo, come chi è tutto in tutto; non a Venere bella che da Minerva è superata in sapienza e da Giunone in maestà; non a Pallade di cui Venere è più bella e l’altra più magnifica; non a Giunone che non è la dea dell’ intelli-
genza ed amore
ancora.
Cicada. Certo come son gli gradi delle nature ed essenze,
cossi proporzionalmente son gli gradi delle specie intelligibili e magnificenze de gli amorosi affetti e furori. XII.
Cicada. Il seguente porta una testa, ch' ha quattro
faccia : che
soffiano
verso
gli
quattro
angoli
del
cielo;
e son quattro venti in un suggetto, alli quali soprastanno 1 Faccia,
tempia,
(B.
braccia
[148-9))
(W.
forma
e simili.
neutra di plurale per analogia di membra,
IT, 370-1)
(L. 684)
1060
(G.
II, 391-2)
(G.2 IT, 418-9).
PARTE
PRIMA
due stelle, ed in mezzo
liae.. Vorrei
sapere
DIALOGO
il motto
QUINTO
che dice: Novac
che cosa vegna
ortae Aco-
significata.
Tansillo. Mi pare ch’ il senso di questa divisa è conseguente di quello de la prossima superiore. Perché come là è predicata una infinita bellezza per oggetto, qua vien
protestata una tanta aspirazione, studio, Percioch' io credo
che
gli suspiri; stanza:
conosceremo,
il che
Figli
Che
d’Astreo
conturbate
affetto e desio.
questi venti son messi
Titan
se verremo
a significar
a leggere
la
e de l’Aurora,
il ciel,
il mar
e terra,
Quai spinti fuste dal Litigio fuora, Perché facessi a’ dei superba guerra:
Non
Fate,
più a I’ Eolie spelunche
ov'imperio
mio
vi
frena
dimora
e serra:
Ma rinchiusi vi siet'entr’a quel petto, Ch'i' veggo a tanto sospirar costretto. Voi, socii turbulenti De le tempeste d’un ed altro mare, Altro non è che vagli’ asserenare,
Che
Quegli
que’
lumi
aperti ed ascosi
Vi renderan
Aperto
omicidi
tranquilli
ed
ed
innocenti:
orgogliosi.
si vede ch'è introdotto
Eolo parlar a i venti,
quali non più dice esser da lui moderati ne l' Eolie caverne,
ma
da due
stelle nel petto
di questo
furioso.
Qua
le due
stelle non significano gli doi occhi che son ne la bella fronte;
ma le due specie apprensibili della divina bellezza e bontade di quell’ infinito splendore, che talmente influiscono nel desio intellettuale e razionale, che lo fanno venire ad aspirar infinitamente, secondo il modo
grande,
bello
e
buono
apprende
con cui infinitamente
quell’eccellente
lume.
Perché l’amore, mentre sarà finito, appagato e fisso a certa misura, non sarà circa le specie della divina bellezza, ma (B. [149-51]) (W. II, 371-2) (L. 684-5) (G.T IL 392-3) (G.* IT, 419-20). 1061
DE
altra
formata;
aspirando,
GLI
ma,
EROICI
mentre
FURORI
verrà!
sempre
oltre
ed
oltre
potrassi dire che versa circa l' infinito.
Cicada.
Come
comodamente
l’aspirare è significato per
il spirare? che simbolo hanno i venti col desiderio? Tansillo. Chi de noi in questo stato aspira, quello suspira, quello medesimo spira. E però la veemenza dell’aspirare è notata per quell’ ieroglifico ® del forte spirare. Cicada, Ma è differenza tra il suspirare e spirare. Tansillo. Però non vien significato l'uno per l’altro, come medesimo per il medesimo; ma come simile per il simile, Cicada. Seguitate dunque il vostro proposito. Tansillo. L' infinita aspirazion dunque mostrata per gli suspiri,
e significata per gli venti,
d’ Eolo
nell' Eolie,
innocente-,
ma
ma
di detti
è sotto il governo
doi lumi;
e benignissimamente
li quali
uccidono
non il
non solo
furioso,
facendolo per il studioso affetto morire al riguardo d'ogni altra cosa: con ciò che quelli, che, chiusi e ascosi lo rendono
tempestoso,
aperti, lo renderan tranquillo; atteso che nella
staggione che di nuvoloso velo adombra mana
mente
in
questo
corpo,
aviene
gli occhi de l’ uche
l'alma
con
tal
studio vegna più tosto turbata e travagliata, come, essendo quello stracciato e spinto 3, doverrà tant’altamente quieta, quanto
baste
ad appagar
la condizion
Cicada. Come l'intelletto l'oggetto infinito ? ! B: varrà. * BL: quell ieroglifico;
nostro
Wi: quell’....;
G!:
di sua natura.
finito
può
seguitar
quel...
3 Anche qui spinto, spento. V. sopra, p. 967, n. 2. (Il MicHEL osserva: « Cependant le sens est plus satisfaisant si l’ont fait dériver spinto de spingere ».) (B.
[151-2]))
(W.
II, 372)
(L. 685-6)
1062
(G.t II, 393-4)
(G.
II, 420-1).
PARTE
PRIMA
- DIALOGO
QUINTO
Tansillo. Con l’ infinita potenza ch'egli ha. Cicada. Questa è vana, se mai sarrà in effetto. Tansillo.
Sarrebe
vana,
se fusse
circa atto
finito,
dove
l’ infinita potenza sarrebe privativa; ma non già circa l'atto infinito, dove l’ infinita potenza è positiva perfezione. Cicada. Se l'intelletto umano è una natura ed atto finito,
come
e perché
Tansillo. non
abbia
Perché
ha
potenza
è eterno,
fine né misura
infinita?
ed
la sua
acciò
sempre
felicità;
si dilette
e perché,
e
come
è
finito in sé, cossi sia infinito nell'oggetto. Cicada. Che differenza è tra la infinità de l'oggetto ed infinità della potenza? Tansillo. Questa è finitamente infinita, quello infinitamente infinito. Ma torniamo a noi. Dice, dunque, là il motto: Novae partae: Acoliae, perché par si possa credere che tutti gli venti (che son negli antri voraginosi d' Eolo) sieno convertiti in suspiri, se vogliamo numgfar quelli che procedeno da l'affetto che senza fine aspira/al sommo bene ed infinita beltade. XIII. quella
non
Cicada.
face
Veggiamo
ardente,
circa
appresso la
quale
la significazione è
scritto:
Ad
di
vita,
ad horam.
Tansillo. La perseveranza in tal amore ed ardente desio del vero bene, in cui arde in questo stato temporale il furioso. Questo credo che mostra la seguente tavola: Partesi
Quando
1 W:
la stanza
il contadino,
il sen d' Oriente
E quand'il
Stanco
da
il giorno
sol ne fere più vicino,
e cotto
da caldo
siede
sgombra;
a l’ombra:
Lipariae.
(B. [152-3)) (W. II, 372-3) (L. 686) (G.! II, 394) (G2 II, 421-2). 1063
DE
GLI
EROICI
FURORI
Lavora poi e s’affatica insino Ch'atra caligo l'emisfer ingombra; Indi si posa. Io sto a continue botte
Mattina, Questi Ch'escon
De
mezo giorno, sera focosi rai, da que’ doi archi
e notte. del
mio
sole,
l'alma mia (com’il mio destin vuole) Da l'orizonte non si parton mai, Bruggiand'a tutte l’ore Dal suo meridian l’afflitto core 1.
Cicada. Questa tavola più esplica il senso de la figura.
vera-
che
‘propriamente
Tansillo. Non ho d’affaticarmi a farvi veder queste proprietadi, dove il vedere non merita altro che più attenta considerazione.
Gli
rai
del
sole
son
le
raggioni
con le quali la divina beltade e bontade si manifesta a noi. E
son
focosi,
l’ intelletto,
perché
non
possono
senza che conseguentemente
essere
appresi
scaldeno
da
l'affetto.
Doi archi del sole son le due specie di revelazione che gli scolastici teologi chiamano matutina e vespertina;
come
onde
l'intelligenza
aere mediante,
ne adduce
che la admira
in se stessa,
ne gli effetti
L’orizonte
1 PETRARCA,, canz. Come
Nella
"I sol volge
quella specie
o in efficacia che
zappator
E con parole
di
noi,
o in virti
la contempla
de l’alma in questo
luogo
stagion: le 'nfiammate
Per dar luogo ‘alla notte...., L'’avaro
illuminatrice
l'arme
vote
riprende
e con alpestri note
Ogni gravezza del suo petto sgombra; E poi la mensa ingombra Di povere vivande. Ma chi vuol si vallegri ad ora ad ora;
Ch'i° pur non ebbi ancor, non dirò lieta, Ma riposata un'ora Né per volgere di ciel né di pianeta.
(B. (153-4]) (W. II, 373) (L. 086-7) (G.1 II, 394-5) (G.2 II, 422-3). 1064
PARTE
PRIMA
DIALOGO
QUINTO
è la parte delle potenze superiori, dove a l'apprensione gagliarda de l’ intelletto soccorre il vigoroso appulso de l’affetto,
significato
per il core,
che bruggiando
a tutte l'ore
s'afflige; perché tutti gli frutti d'amore che possiamo raccòrre in questo stato, non son si dolci che non siano più gionti a certa afflizione: quella almeno che procede da l'apprension di non piena fruizione. Come specialmente accade ne gli frutti de l'amor naturale, la condizion de gli quali non saprei meglio esprimere, che come fe’ il poeta Epicureo: Ex hominis vero facie pulchroque colore Nil datur in corpus praeter simulacra fruendum Tenuia, quae vento spes captat saepe misella. Ut bibere in somnis sitiens cum quaerit, t humor Non datur, ardorem in membris qui stinguere possit; Sic in amore Venus simulacris ludit amantis?, Nec satiare queunt spectando corpora coram, Nec manibus quicquam teneris abradere membris Possunt, errantes incerti corpore toto. Denique cum membris conlatis flore fruuntur Acetatis;
dum
iam
praesagit
gaudia
corpus,
Atque in eo est Venus, ut muliebria conserat arva, Adfigunt avide corpus ijunguntque salivas Oris et inspirant pressantes dentibus ora, Nequicquam, quoniam nihil inde abradere possunt, Nec penetrare et abire in corpus corpore toto 3.
Similmente giudica nel geno del gusto che qua possiamo aver de cose divine: mentre a quelle ne forziamo penetrare
ed unirci, troviamo aver più afflizione nel desio che piacer nel concetto. E per questo può aver detto quel savio Ebreo, I BL: frustaque. ® BW: amantis. L corregge 3 Lucrezio,
De
ver. nat.,
IV,
amant[elîs. 1086 spp.
(B. (154-5]) (W. IL 373-4) (L. 687.8) (G.! II, 395-6) (G.2 II, 423).
1065
DE
GLI
EROICI
FURORI
\
che chi aggionge scienza, aggionge dolore 1; perché dalla maggior apprensione nasce maggior e più alto desio, e da questo séguita maggior dispetto e doglia per la privazione della cosa desiderata. Là onde l’ Epicureo che seguita la più ‘tranquilla vita, disse in proposito de l'amor volgare: Sed
fugitare decet simulacra et pabula amoris
Abstergere sibi atque alio convertere ? mentem, Nec servare sibi curam certumque dolorem: Ulcus enim virescit et inveterascit alendo, Inque dies gliscit furor atque aerumna3 gravescit. Nec Veneris fructu carct is qui vitat amorem, Sed potius quae sunt sine paena commoda sumit 4.
Cicada. Che intende per il meridiano del core? Tansillo. La parte o region più alta e più eminente de la volontà,
dove
pi
illustre-, forte-, efficace- e rettamente
è riscaldata. Intende che tale affetto 5 non è come in principio che si muova,
al mezzo
dove
né come in fine che si quiete, ma come
s' infervora.
XIV. Cicada. Ma che significa ha le fiamme in luogo di ferrigna avolto un laccio ed ha il motto: Dite che ne intendete? Tansillo. Mi par che voglia dire e che eterno parimente
quel strale infocato che punta, circa il quale è Amor instat ut instans ? che l'amor mai lo lascia,
l’affliga.
Cicada. Vedo bene laccio, strale e fuoco; intendo quel che sta scritto: Amor instat; ma quel che séguita, non posso 1 Vedi sopra, p. 975,
* B:
converte;
W:
3 B: erumna. 4 Lucrezio, IV, 5 BWL:
affetto;
n. I.
convertere;
1055-6,
G\:
L:
59-61,
effetto.
convertelre).
65-6
(B. [155-6]) (W. II, 374-5) (L. 688) (G.t II, 396-7) (G.2 II, 423-4).
1066
PARTE
capirlo,
cioè
che
PRIMA
l'amor
DIALOGO
come
QUINTO
istante
o insistente,
inste:
che ha medesima penuria di proposito, che se uno dicesse: questa impresa costui la ha finta come finta, la porta come la porta, la intendo
come
la intendo,
la vale come
la vale,
la stimo come un che la stima. Tansillo. Pià facilmente determina e condanna chi manco considera. Quello instans non significa adiettivamente dal verbo instare; ma è nome! sustantivo preso per l' instante del tempo. Cicada. Or che vuol dir? che l'amor insta come l’instante ? Tansillo. Che vuol dire Aristotele pel suo libro Del tempo3,
quando
dice
che l'eternità
Si come
il tempo
è uno
instante,
e
che in tutto il tempo non è che uno instante? Cicada. Come questo può essere, se non è tanto minimo tempo che non abbia più instanti? Vuol egli forse che in uno instante sia il diluvio, la guerra di Troia e noi che siamo adesso? Vorrei sapere come questo instante se divide in tanti secoli ed anni? e se per medesima proporzione non possiamo dire che la linea sia un punto? Tansillo.
getti
temporali,
le parti
cossi
del tempo.
è uno, ma
l’ instante
Come
è uno
è in diversi sug-
in diverse
io son medesimo
e tutte
che fui, sono
e
sarò; io medesimo son qua in casa, nel tempio, nel campo e per tutto dove sono. Cicada. Perché volete che l’ instante sia tutto il tempo ? 1 ® 3 punto greca
GI; come. (LM: dir; G!G2: dire) Cioè il lib. IV della Fisica, pp. 2194 20-30. Cîr. su questo A. CovottI, Le leorie dello spazio e del tempo nella filosofia fin ad Aristotile, Pisa, 1897, p. 189 e sgg.
(B. [156-7])
(\W. II, 375)
(L. 688-9)
1067
(G.1 II, 397) (G.2 II, 424-5).
DE
Tansillo.
il tempo:
GLI
Perché
EROICI
se
non
FURORI
fusse l’ instante,
non
sarrebe 1
però il tempo in essenza e sustanza non è altro
che instante, E questo baste, se l’ intendi
(perché
non ho
da pedanteggiar ? sul quarto de la Fisica). Onde comprendi che voglia dire, che l’amor gli assista non meno che il tempo tutto; perché questo :irstars non significa punto del tempo. Cicada. Bisogna che questa significazione sia specificata
in qualche maniera,
se non vogliamo
vicioso in equivocazione,
onde
far che sia il motto
possiamo
dere ch'egli voglia dire, che l'amor
liberamente
suo sia d’uno
inten-
instante,
tidest d'un atomo di tempo e d'un niente: o che voglia dire che
sia,
come
Tansillo. contrarii,
voi interpretate,
Certo
punto,
sogna
se vi fussero inplicati
questi
sarrebe
non
il motto
ben consideri;
sempre.
una
baia.
atteso che in uno
che l’amore
Ma
instante,
inste o insista, non
necessariamente
intendere
doi sensi è cossî,
che è atomo
può
l’ instante
essere;
ma
se
o bi-
in altra signi-
ficazione. E per uscir di scuola, leggasi la stanza: Un
Un
Un
Un
tempo
edifica,
tempo
sparge,
un
ha
s’aflatica,
Un
tempo
ed un tempo
strugge;
triste,
un
un
posa;
porge,
un
un
piange,
un
stassi,
tempo
tempo
raccoglie; un
ride:
ha licte voglie; un
side:
si ritoglie;
Un muove, un ferma; un fa vivo, un In tutti gli anni, mesi, giorni ed ore M'attende, fere, accend’e lega amore.
occide;
Continuo mi disperge, .Sempre mi strugg'e mi ritien in pianto, È mio triste languir ogn'or pur tanto, 1 B:
sarebe;
W:
sarebbe;
LG!;
sarrebe
(G?:
malgré la note de G: sarrebe » (MICHEL).) 2? Cioè, fare una lezione; perché pedante maestro. (B.
[157-8]))
(W.
II,
375-6)
(L.
689)
1068
(G.1
II,
308)
sarebe:
era (G.2
« mais
il nome II,
D,
del
425-0).
PARTE
PRIMA
DIALOGO
QUINTO
In ogni tempo mi travaglia ed erge, Tropp' in rubbarmi è forte, Mai
non
Cicada.
mi
scuote,
Assai
bene
mai
ho
non
mi
dà morte.
compreso
il senso;
e
confesso
che tutte le cose accordano molto bene. Però mi par tempo
di procedere a l'altro. XV.
Tansillo. Qua vedi un serpe ch'a la neve languisce
dove l’avea gittato un zappatore, acceso stanze,
in mezzo con
al fuoco,
il motto
con
che
ed un fanciullo. ignudo
certe
dice:
alfre minute
/Idém,
itidem,
e circonnon
idem.
Questo mi par più presto enigma che altro; però non mi confido d’esplicarlo a fatto: pur crederei che voglia significar medesimo l'uno
fato
e l’altro
molesto, (cioè
che
medesimamente
intentissimamente,
tormenta
senza misericordia,
a morte), con diversi instrumenti o contrarii principi, mostrandosi medesimo freddo e caldo. Ma questo mi par che richieda più lunga e distinta considerazione. Cicada. Un'altra volta! Leggete la rima: Tansillo*.
Ti
Languida serpe, a quell'umor si denso ritorci,
contrai,
sullevi,
inondi;
E per temprar il tuo dolor intenso, Al freddo or questa or quella parte S'il
ghiaccio
avesse
Tu voce che propona o .Credo ch'areste efficace Ter renderlo piatoso al Io ne l'eterno foco Mi dibatto, mi struggo,
E al ghiaccio de mia Né
Lasso!
amor
Quant'è
di
perché
1 u4Tansillo.»
me,
non
il rigor
manca
né
per
udirti
senso,
che rispondi, argumento tuo tormento. scaldo,
avvampo,
diva per mio pietà
sente
ascondi:
de la mia
trova
fiamma
scampo
loco,
ardente.
in BL.
(B. [158-60]) (W. II, 376-7) (L. 6089-90) (G.1 II, 398-9) (G.2 II, 426-7).
1069
DE Angue,
GLI cerchi
Ritenti
a la tua
Attendi
al sol,
Proprie
forze
Mercé
EROICI fuggir,
sei impotente;
buca,
ell’ è disciolta;
richiami,
elle son
l'asconde
chiedi
FUROLI
al villan,
nebbia
odia
spente; folta;
’1 tuo
dente;
Fortuna invochi, non t'ode la stolta: Fuga, luogo, vigor, astro, uom o sorte
Non
è per
darti
scampo
da la morte.
Tu addensi, io liquefaccio; Io miro al rigor tuo, tu a l’ardor mio; Tu brami questo mal, io quel desio;
Or
Né io posso te, né tu me tòr d’ impaccio.
Del
Cicada. snodar
chiariti fato
a bastanza
rio,
lasciamo
Andiamone,
questo
iritrico,
ogni
perché
speranza.
per il camino
vedremo
di
se si può.
Tansillo. Bene.
e (B.
Fine del Prima parte [160])
(W.
II,
377)
(L.
quinto dialogo degli Eroici Furori. 690-1)
(G.!
1070
II,
399-400)
(G.?
II,
427).
SECONDA
PARTE
DE GLI EROICI FURORI
DIALOGO
PRIMO
INTERLOCUTORI Cesarino,
I. Cesarino. eccellenti
ogni
Cossi
sono
parte
nel
di
dicono mondo,
risponde
1 Il FioRENTINO
storicità
questi
due
Maricondo *.
che
le cose
quando
tutto
eccellentemente.
(cfr.
sopra
nuovi
p. 954,
megliori
l’universo
E
in n.)
interlocutori.
e pit da
questo
stimano
dimostrò
anche
Certo,
la
Maricondo
(o Mariconda) è casato che non manca nei Fuochî di Nola, dove alla metà del 1545, nel « focolari» 259 e 339 del « quarterio ditto de Casalenovo », a cc. 23v e 29v, sono numerati Nicolangelo di 55 anni con un fratello diciottenne, il chierico Gian Giacomo e un
altro
marzo
del
giovine
1563,
chierico,
in una
D.
nota
Giovanni
marginale,
Carlo
a c.
Mariconda;
sor,
del
e
il
12
« focolare »
526, è ricordato chi potrebbe bene essere 1’ interlocutore del dialogo
bruniano, un « gentiluorno » morto in quel torno di tempo, Francesco,
che lasciò «domum
magnam
bene fulcitam et XXIII
moyos
terra-
rum arbustatarum» ai figlioletti. Giovan Antonio, Giovan Nicola e Camilla. Anche Cesarino è nome d’una famiglia nolana dei tempi del B. In un suo son. il TAnsILLO (Poesie, p. 50, son. XCVIII) dice a un Cesarino, che egli sperava di seguire a Roma: O Cesarin, cui la mia Nola deve Via più che a Bruto Roma, e a Codro E il Fiorentino Cesarini,
da
lui
Atene.
(ivi, p. 263) crede possa essere un Francesco Antonio trovato
nei
Fwuocki
«figliuolo
di
Ottavio,....
che
(B. [161]) (W. II, 378) (L. 691) (G. II, (4011) (G: II, [429]). 1071
DE
allor che
GLI
EROICI
tutti gli pianeti
FURORI
ottegnono
l’Ariete,
essendo
che
quello de l'ottava sfera ancora ottegna quello del firmamento invisibile e superiore dove è l’altro zodiaco. Le cose peggiori e pit basse vogliono che abbiano loco quando domina la contraria disposizione ed ordine: però per forza di vicissitudine accadeno le eccessive mutazioni dal simile al dissimile,
dal contrario
a l'altro.
La revoluzion
ed anno grande del mondo, è quel spacio da abiti ed effetti diversissimi per gli contrarii si ritorna al medesimo: come anni particolari, qual è quello del sole, d’una
disposizione
contraria
è
fine
de
dunque,
di tempo in cui oppositi mezzi e vegsgiamo ne gli dove il principio l’altra,
ed
il fine
aveva menata in moglie una Maria Giordano di Napoli; e cotesto Cesarini il 1563 aveva 73 anni ». Era perciò già vecchio, di 58 anni,
quando nacque il B. È questo il Cesarino degli Eroici Furori? o, come pare non escludesse lo SPAMPANATO nel Bruno e Nola (pp. 11, 24 € 49-50), qualche altro rammentato dagli stessi Fuochi, sia nel 1526, sia diciannove anni appresso, per esempio Iacopo Antonio, Marcantonio o Alessandro Cesarino? Ma lo SPAMPANATO stesso non tralascia di ritornare su questo argomento nella Vita (p. 37), e acquistata maggiore e più precisa notizia dei Tuochi nolani del sec. XVI, non esita a proporre una nuova e più fondata conget-
tura, pensando che il filosofo metta accanto al Maricondo un « miles
gravis armaturae », un commilitone quindi di suo padre, il magnifico Gian Domenico, che, secondo i Fuochi del 1563 (c. 230r, foc. 1877), era nato il 1521. Comunque sia, dalle curiose carte nolane appartenenti alla Biblioteca della congregazione dell’ Oratorio di Napoli risulta che, come il « nuovo interlocutore» del V dial. De /° infinito era uno di quei «signori Albertini.... apparentati con illustrissime fameglie (Berlingiero, Caracciolo, Torella, Tomacella, ecc.) con facoltà de più de 300 mila ducati, palazzi, giardini, feudi, starze, boschi cd arme e cavalli, che discendono di S. Severino,
massarie, dal 1429
fameglie, videlicet Mastrillo, Giudice, Risi, Sassone e sono padroni de feudi, palazzi, massarie, giardini, arme
Monforte, e cavalli,
sono a Nola, omini de valor e gran animo e generosi cavalieri »; così anche i Cesarini, «apparentati con illustrissime e nobilissime e descendono (B. [161-2])
da
(W.
Romagna
II, 378)
e Campagna
(L. 601)
de
Roma»
(G.! II, [401]-2)
1072
(c. 812rev).
(G.z II, [429]-30).
PARTE
SECONDA
DIALOGO
PRIMO7?
di questa è principio di quella. Però ora che siamo stati nella feccia delle scienze, che hanno parturita la feccia delle opinioni, le quali son causa della feccia de gli costumi ed opre, possiamo certo aspettare
de
ritornare a meglior stati.
Maricondo. Sappi, fratel mio, che questa successione ed ordine de le cose è verissima e certissima: ma al nostro riguardo sempre, in qualsivoglia stato ordinario, il presente più ne afflige che il passatored ambi doi insieme manco possono appagarne che il futuro, il quale è sempre in aspettazione e speranza, come ben puoi veder designato in questa
figura la quale è tolta dall’antiquità de gli Egizii, che férno cotal statua che sopra un busto simile a tutti tre puosero tre teste, l'una di lupo che remirava a dietro, l’altra di leone che
avea
la faccia volta
in mezzo,
e la terza di cane
guardava innanzi; per significare che le fligono col pensiero, ma non tanto quanto che in effetto ne tormentano, ma sempre prometteno meglio. Però là è il lupo che che
rugge,
appresso
il cane
che
che
cose passate afle cose presenti per l’avenire nc urla, qua il leon
applaude.
Cesarino. Che contiene quel motto ch’ è sopra scritto? Maricondo. Vedi che sopra il lupo è Jam, sopra il leone Modo, sopra il cane Praeterea, che son dizioni che significano le tre parti del tempo. Cesarino. Or leggete quel ch'è nella tavola.
Maricondo. Cossi farò.
Un alan, un leon, un can appare A l’auror, al di chiaro, al vespr'oscuro. Quel che spesi, ritegno e mi procuro,
Per quanto mi si die’, si dà, può dare. Per quel che feci, faccio ed ho da fare
AI passato,
al presente
ed
al futuro,
Mi pento, mi tormento, m'’assicuro, Nel perso, nel soffrir, nell'aspettare.
(B. [162-3))
(W.
II, 378-9)
(L. 601-2) 1073
(G.! II, 402-3)
(G.? II, 430-1).
DE
GLI
EROICI
FURORI
Con l’agro, con l'amaro, con il dolce L'esperienza, i frutti, la speranza Mi minacciò, m'affligono, mi molce. L'età che vissi, che vivo, ch’avanza, Mi fa tremante, mi scuote, mi folce,
In
absenza,
Assai,
Quel
presenza
troppo,
e lontananza.
a bastanza
di già, quel di ora, quel d’appresso
M' hanno
in timor,
martir
e spene
messo.
Cesarino. Questa a punto è la testa d'un furioso amante; quantunque sia de quasi tutti gli mortali, in qualunque maniera
viamo, in
e modo
siano malamente
né possiamo
generale,
ma
affetti; perché
dire che questo
a quelli
che
furono
quadre
non
do-
a tutti stati
e sono
travagliosi:
atteso che ad un ch' ha cercato un regno ed ora il possiede,
conviene il timor di perderlo; ad un ch'ha lavorato per acquistar gli frutti de l’amore, come è la particular grazia de la cosa amata, conviene il morso della gelosia e suspizione. E quanto a gli stati del mondo, quando ne ritroviamo nelle tenebre e male, possiamo sicuramente profetizar la luce e prosperitade; quando siamo nella felicità e disciplina, senza dubio possiamo aspettar il successo de l’ignoranze e travagli: come avvenne a Mercurio Trimigisto che per veder l’ Egitto in tanto splendor de scienze e divinazioni, per le quali egli stimava consorti de gli demoni e dei, e per conseguenza religiosissimi, fece quel profetico lamento
ad Asclepio, dicendo che doveano succedere
le tenebre de nove religioni e culti, e de cose presenti non dover rimaner altro che favole e materia di condannazione *, Cossi gli Ebrei, quando erano schiavi nell' Egitto e banditi nelli deserti, erano confortati da lor profeti con l’aspet! Vedi
(B. [163-4])
questo
profetico
(W. II, 379-80)
lamento
nello
Spaccio,
(L. 692-3) (G.1 II, 403)
1074
pp.
784-6.
(G.? IT, 431-2).
PARTE
SECONDA
- DIALOGO
PRIMO
tazione de libertà ed acquisto di patria; quando furono in stato di domino !'e tranquillità, erano minacciati de dispersione e cattività; oggi che non è male né vituperio a cui non siano suggetti, non è bene né onore che non si promettano. Similmente accade a tutte l'altre generazioni e stati: li quali se curano e non sono annichilati a fatto, per
forza
male
della
vegnano
l'altezza,
vicissitudine al bene,
da
l’altezza
delle
dal bene alla
cose,
è
al male,
bassezza,
da
necessario
dal
dalla bassezza le
oscuritadi
a al
splendore, dal splendor alle oscuritadi. Perché questo comporta
l'ordine
naturale;
oltre
il qual
ordine,
se si ritrova
altro che lo guaste o corregga, io lo credo, e non ho da disputarne, perché non raggiono con altro spirito che naturale. Maricondo. Sappiamo che non fate il teologo ma filosofo,
e che
trattate
Cesarino.
filosofia
Cossf è. Ma
II. Cesarino.
non
teologia.
veggiamo
Veggio
appresso
quel che séguita. un
fumante
turribolo
che è sustenuto da un braccio; ed il motto che dice: Illius aram; ed appresso l'articolo seguente: Or
chi
D'un S'in
Da
quell'aura
ossequio
diverse
de
mia
nobil
ornata
vegna
divin credrà men
tabelle
voti miei nel tempio
Perch'altra
Chi pensarà
brama
impresa
giamai
degna
de la fama?
eroica
che men
mi
richiama,
convegna
Ch'al suo culto cattivo mi ritegna Quella ch' il ciel onora tanto ed ama? Lasciatemi,
Importuni
Perché
1 BWL:
lasciate,
pensier,
altri
datemi
volete voi ch'io
desiri,
pace.
mi ritiri
domino; G!: dominio. Ma cfr. pp. 290, 558, 578, 676, ecc.
(B. [164-6]) (W. II, 380-1) (L. 6093-4) (G.! IT, 403-4) (G.2 II, 432-3). 1075 72
—
0.
Bruno,
Niuloghi
italiani
DE
GLIVEROICI
FURORI
Da l'aspetto del sol che si mi
Dite
Quel
di me
piatosi:
che per remirar
—
Perché
piace ?
miri
si ti disface?
Perché di quella face Sci vago sf? — Perché
mi
fa contento,
di
questo
Più ch’ogn’altro piacer, questo tormento
Maricondo.
A
proposito
io
ti dicevo
che,
quantunque un rimagna fisso su una corporal bellezza e culto esterno, può onorevolmente e degnamente tratte-
nirsi; purché dalla bellezza materiale, la quale È un raggio e splendor della forma ed atto spirituale, di cui è vestigio ed
ombra,
delia divina
vegna
ad
inalzarsi
bellezza,
alla
considerazion
luce e maestade;
e
culto
di maniera’ che
da
queste cose visibili vegna a magnificar il core verso quelle che son tanto più eccellenti in sé e grate a l'animo ripur-
gato, quanto son più rimosse da la materia e senso. Oimè, dirà,
se
una
bellezza
umbratile,
fosca,
corrente,
depinta
nella superficie de la materia corporale, tanto mi piace e tanto mi commuove l'affetto, m' imprime nel spirito non so che riverenza mente
di maestade,
mi lega e mi
s’attira,
mi si cattiva e tanto ch'io
non
trovo
dolce-
cosa che mi
vegna messa avanti da gli sensi che tanto m’appaghe; che sarà di quello che sustanzialmente, originalmente, primitivamente
è bello?
che
sarà
de
l’anima
mia,
dell’ in-
telletto divino, della regola de la natura ? Conviene dunque,
che la contemplazione di questo vestigio di luce mi amene mediante la ripurgazion de l'animo mio all’ imitazione, conformità e participazione di quella più degna ed alta, in cui mi transforme
ed a cui mi unisca;
perché
son certo
che la natura che mi ha messa questa bellezza avanti gli occhi, e mi ha dotato di senso interiore, per cui posso argumentar
bellezza più profonda
ed incomparabilmente
mag-
(B. [166-7]) (W. IL 381) (L. 694) (G.! II, 404-5) (G.2 II, 433-4).
1076
PARTE
SECONDA
DIALOGO
PRIMO
giore, voglia ch'io da qua basso vegna promosso a l'altezza ed eminenza di specie più eccellenti. Né credo che il mio vero nume, come me si mostra in vestigio ed imagine, voglia sdegnarsi che in imagine e vestigio vegna ad onorarlo, a sacrificargli, con, questo ch' il mio core ed affetto sempre sia ordinato,
e rimirare
più alto;
atteso
che
chi può
esser
quello che possa onorarlo in essenza e propria sustanza, se in tal maniera non può comprenderlo? Cesarino. Molto ben dimostri come a gli uomini di eroico spirito tutte le cose si converteno in bene, e si sanno servire
della
cattività
in
frutto
di
maggior
libertade,
e
l'esser vinto una volta convertiscono in occasione di maggior vittoria. Ben sai che l'amor di bellezza corporale a color che son ben disposti, non solamente non apporta ritardamento da imprese maggiori, ma più tosto viene ad improntargli l’ali per venire a quelle; allor che la necessità de l'amore è convertita in virtuoso studio, per cui l'amante si forza di venire a termine nel quale sia degno della cosa amata, e forse di cosa maggiore, megliore e più bella ancora; onde sia o che vegna contento d'aver guadagnato quel che brama, o sodisfatto dalla sua propria bellezza, per cui degnamente possa spregiar l'altrui che viene ad esser da lui vinta e superata: onde o si ferma quieto, o si volta ad aspirare ad oggetti più eccellenti e magnifichi. E cossi sempre
verrà ! tentando
il spirito
eroico, sin tanto che non
si vede inalzato al desiderio della divina bellezza in se stessa,
senza similitudine, figura, imagine e specie, se sia possibile; e più,
se sa arrivare
Maricondo. 1 B:
(B.
Vedi
a tanto. dunque,
Cesarino,
come
ha
raggione
varrà.
[167-8]))
(W.
II, 381-2)
(L. 694-5)
1077
(G.! IT, 405-6)
(G.
II, 434).
DE
GLI
EROICI
FURORI
questo furioso di risentirsi contra coloro che lo riprendono come cattivo de bassa bellezza a cui sparga voti e appenda tabelle; di maniera che quindi non viene rubelle dalle voci che
lo richiamano
a più
alte
imprese:
essendo
che,
come
queste basse cose derivano da quelle ed hanno dependenza, cossi da queste si può aver accessé a quelle come per proprii gradi. Queste, se non son Dio, son cose divine, sono imagini sue vive: nelle quali non si sente offeso, se si vede adorare; perché abbiamo ordine del superno spirito
che dice: Adorate scabellum pedum cius?. Ed altrove disse
un
divino
imbasciatore:
Adorabimus
ubi
steteruni
pedes
eius ?. Cesarino.
Dio,
la divina
bellezza
e splendore
riluce
ed
è in tutte le cose; però non mi pare errore d'admirarlo in tutte
Ie cose,
secondo
il modo
che
Errore sarà certo, se noi donaremo
si comunica
ad altri l'’onor che tocca
a lui solo. Ma che vuol dir quando dice: lasciate,
altri
a quelle.
Lasciatemi,
desiri?
Maricondo. Bandisce da sé gli pensieri, che gli appresentano altri oggetti che non hanno forza di commoverlo tanto,
e che gli vogliono
involar l'aspetto
del sole, il qual
può presentarsegli da questa fenestra più che da l'altre. Cesarino. Come, importunato da pensieri, si sta con-
stante a remirar quel splendor che lo disface, e non lo fa di maniera
contento
che
ancora
non
vegna
fortemente
a
tormentarlo ? Maricondo. Perché tutti gli nostri conforti in questo stato di controversia non sono senza gli suoi disconforti 1 Salmi,
XCVIII,
® Ivi, CKXXI,
7.
5.
(B. [168-9)) (W. II, 382) (L. 695) (G.t II, 406-7) (G2 II, 434-5). x
1078
PARTE
SECONDA
DIALOGO
PRIMO
cossi grandi come magnifici son gli conforti. Come più grande è il timore
d’un
re che
consiste
su la perdita
d'un
regno,
che di un mendico che consiste sul periglio di perdere dieci danaii;
è più urgente
la cura
d'un
prencipe ! sopra
una
republica, che d’un rustico sopra un grege de porci; come gli piaceri e delicie di quelli forse son più grandi che le delicie di questi. Però l'amare ed aspirar più alto mena seco maggior gloria e maestà con maggior cura, pensiero e doglia: intendo in questo stato dove l’un contrario sempre è congionto
a l'altro,
trovandosi
la massima
contrarietade
sempre nel medesimo geno, e per consequenza circa medesimo suggetto, quantunque gli contrarii non possano es-
sere insieme. E cossi proporzionalemnte nell’amor di Cupido superiore, come dechiarò l’ Epicureo poeta nel cupidinesco volgare e animale, quando disse: Fluctuat
incertis
erroribus
ardor
amantum,
Corporis,
et dentes inlidunt saepe labellis
Nec constat quid primum oculis manibusque fruantur: Quod petiere, premunt arte, faciuntque dolorem Osculaque adfigunt, quia non est pura voluptas Et stimuli subsunt qui instigant laedere id ipsum, Quodcunque est, rabies, unde illa haec germina surgunt. Sed leviter paenas frangit Venus inter amorem, Blandaque refraenat morsus admixta voluptas;
Namque in eo spes est, unde est ardoris origo, Restingui quoque posse ab eodem corpore fiammam ?.
Ecco dunque con quali condimenti il magistero ed arte della natura fa che un si strugga sul piacer di quel che lo disface, e vegna contento in mezzo del tormento, e tormentato in mezzo
de tutte le contentezze;
1 Gl; principe.
% Lucrezio, (B. [169-71])
IV,
atteso che nulla si
1069-79.
(W. IL, 382-3)
(L. 695-6) 1079
(G.t II, 407-8)
(G.? II, 435-6).
DE
GLI
EROICI
FURORI
'
fa absolutamente da un pacifico principio, ma tutto da contrarii principii per vittoria e domino d’una parte della contrarietade; e non è piacere di generazione da un canto senza dispiacere di corrozione da l'altro; e dove queste cose che si generano e corrompono, sono congionte e come in medesimo suggetto composto, si trova il senso di delettazione
e tristizia insieme.
Di
sorte
che
vegna
nominata
più presto delettazione che tristizia, se aviene che la sia predominante, e con maggior forza possa sollecitare il senso. III. Cesarino. seguente,
Or
ch’ è d'una
consideriamo fenice
che
sopra
arde
questa
imagine
al sole, e con
il suo
fumo va quasi a' oscurar il splendor di quello, dal cui calore vien infiammata; ed evvi la nota che dice: Negue simile,
nec par 3.
Maricondo.
Leggasi l'articolo prima:
Questa fenice ch'al bel sol s’accende, E a dramma a dramma consumando vassi,
Mentre
di splendor
cint'ardendo
stassi,
Contrario fio al suo pianeta rende; Perché quel che da lei al ciel ascende, Tepido fumo ed atra nebbia fassi,
Ond’i raggi a’ nostri occhi occolti lassi E quello avvele, per cui arde e splende. Tal il mio spirto (ch'il divin splendore Accende e illustra), mentre va spiegando
Quel
che
tanto
riluce
nel
pensiero,
Manda da l’alto suo concetto fore Rima, ch’ il vago sol vad’oscurando, Mentre mi struggo e liquefaccio inticro,
! BL: a; WG!: ad. ® IV: Neque simile, nec par inar. Ma così scambia per mar ]' indicazione del nome di Maricondo, a cui non s'accorge che appartengono le parole seguenti: « Leggasi l'articolo prima » ecc. Per Ja fenice dell’ impresa,
(B.
[171-2]))
cfr.
(W.
sopra,
II,
383)
p.
1042,
(L.
e ivi,
696-7)
1080
n.
(G.!
1.
II,
408)
(G.?
II,
436-7).
PARTE Oimè!
Nuvol
Quel
SECONDA questo
adro!
ch'aggrandir?
dunque
dal splendor
e di fiamma,
PRIMO
e nero
di foco infosca col suo stile
Cesarino. Dice
venendo
DIALOGO
vorrebbe,
costui
e ’1 rend' umile.
che,
come
questa
fenice,
del sole accesa ed abituata di luce
vien ella poi ad inviar al cielo quel fumo
oscura quello
che 1’ ha resa lucente;
che
cossî egli, infiammato
ed illuminato furioso, per quel che fa in lode di tanto illustre suggetto che gli ave acceso il core e gli splende nel pensiero,
viene
più tosto
ad oscurarlo,
che ritribuirgli luce
per luce, procedendo quel fumo, effetto di fiamme in cui si risolve la sustanza di lui. Maricondo. Io senza che metta in bilancio e comparazione gli studi di costui, torno a dire quel che ti dicevo l’altr’ieri3, che la lode è uno de gli più gran sacrificii che possa far un affetto umano ad un oggetto. E per lasciar da parte il proposito del divino, ditemi: chi conoscerebbe Achille, Ulisse e tanti altri greci e troiani capitani; chi arrebe notizia de
tanti
grandi
soldati,
sapienti
ed eroi
de la terra,
se non fussero stati messi alle stelle e deificati per il sacrificio de laude, che nell’altare del cor de illustri poeti ed altri recitatori
mente
ave acceso il fuoco,
montasse
al cielo
con
questo
il sacrificatore,
che comun-
la vittima
ed il
canonizato divo, per mano e voto di legitimo e degno sacerdote ? Cesarino. Ben dici di degno e legitimo sacerdote; perché degli apposticci 4 n° è pieno oggi il mondo, li quali, come sono 1 BL:
adro;
IVGI:
atro,
Correzione
non
®* (LM: aggradir) 3 (Gr = Li l'altr'ieri; G%: l'altrieri) 4 BL: appostici. Ma, sopra, a p. 593,
necessaria. con
la doppia.
(B. [172-3]) (W. IL 383-4) (L. 697) (G.1 II, 408-9) (G.? II, 437-8). 108I
DE
GLI
EROICI
FURORI
per ordinario indegni essi loro, cossi! vegnono sempre a celebrar altri indegni, di sorte che asini asinos fricant. Ma la
providenza al
cielo,
vuole che, in luogo d’andar gli uni e gli altri
sen
vanno
giontamente
alle
tenebre
de
1’ Orco;
onde fia vana e la gloria di quel che celebra, e di quel ch’ è celebrato; perché l'uno ha intessuta una statua di paglia, o insculpito un tronco di legno, o messo in getto un pezzo di calcina, e l'altro, idolo d’ infamia e vituperio, non sa che non gli bisogna aspettar gli denti de l’evo e la falce di Saturno
per esser messo gid; stante che dal suo encomico *
medesimo vien sepolto vivo all'ora all'ora propria che vien lodato, salutato, nominato, presentato. Come per il contrario è accaduto alla prudenza di quel tanto celebrato Mecenate,
il quale,
se
non
avesse
avuto
altro
splendore
che de l'animo inchinato alla protezione e favor delle Muse, sol per questo meritò che gl’ ingegni de tanti illustri poeti gli dovenessero ossequiosi a metterlo nel numero de più famosi eroi che abbiano calpestrato3 il dorso de la terra. Gli propri studii ed il proprio splendore 1' han reso chiaro e nobilissimo,
e non
l’esser nato
d’'atavi regi4,
non
l’esser
gran secretario e consegliero d'Augusto. Quello, dico, che l’ ha fatto illustrissimo, è l’aversi fatto degno dell’execuzion della promessa di quel poeta che disse: Fortunati
ambo,
si quid
mea
Nulla dies unquam5 memori I!
(LM:
® T.
cossi;
rarissimo:
3 Cir. sopra,
4 Moecenas
S BW:
G!
e
G2:
possunt,
aevo,
così)
encomiatore.
a p. 634,
atavis
nunquam.
carmina
vos eximet
edite
n. 2.
regibus:
ORAZIO,
Odi,
I,
1,
1.
La correzione è resa necessaria più che dalla
grammatica (alla quale, zione), dalla metrica.
è vero, il B. non poneva
una grande atten-
(B. [173-4]) (W. II, 384) (L. 697-8) (G.1 II, 40g-10) (G.2 II, 438-9). 1082
PARTE
SECONDA
DIALOGO
PRIMO
Dum domus Aeneae Capitoli immobile saxum Accolet, imperiumque pater Romanus habebit!.
Maricondo. Mi sovviene di quel che dice Seneca? in certa epistola dove referisce 3 le paroli d’ Epicuro ad un suo amico, che son queste: Se amor di gloria ti tocca il petto, più noto e chiaro ti renderanno le mie lettere che tutte quest'altre
cose
che
tu
onori,
e
dalle
quali
sei onorato, e per le quali ti puoi vantare. Similmente arria possuto dire Omero, se si gli fusse presentato avanti Achille o Ulisse, Vergilio a Enea ed alla sua progenia;
perciò che, come ben suggionse quel
filosofo morale, è più conosciuto Domenea4 per le lettere d’Epicuro, che tutti gli megistani satrapi e regi, dalli quali pendeva il titolo di Domeneas e la memoria de gli quali venia suppressa dall’alte tenebre de l’oblio. Non vive Attico per essere genero d’Agrippa e progenero de Tiberio, ma per l’epistole de Tullio$ Druso, pronepote di Cesare, non si trovarebbe nel numero de’ nomi I VirgILIO,
Aen.,
IX,
SeNEcA,
Epist.,
21;
(MICHEL).)
“=
446-9 cfr.
(«cité par SÈNÈQUE, Usener,
3 (LM: referisce; G! G*: riferisce) 4 L corregge Idomeneo e così poco
tuna:
cfr. Tocco,
5 luglio
nosset,
1908.
nisi
recens.
Da
illum
dopo.
della mia prima
confrontare
Epicurus
Epicurea,
il testo
suis
di
dice: « Nomen
nihil illi profuisset (B.
[174-5))
(W.
Correzione
edizione
SENECA:
21, 5»
132.
literis incidisset » ?
5 B: titolo Domenea. 6 Il Lagarde (p. 796) ha già osservato
SENECA
fr.
Epist.,
inoppor-
nel Marzocco,
«Quis
Idomenea
che qui il testo è errato.
Attici perire Ciceronis epistulae non sinunt:
gener
II, 384-5)
Agrippa
(L. 698)
1083
et
Tiberius
(G.I II, 410-1)
pro-
(G.2 II, 439-409).
DE
tanto
GLI
grandi,
EROICI
se
non
FURORI
vi
l’avesse
inse-
rito Cicerone. Oh che ne sopraviene al capo una profonda altezza di tempo, sopra la quale non molti ingegni rizzaranno il capo. Or per venire al proposito di questo
furioso,
si rammenta
il quale,
vedendo
una
fenice accesa al sole,
del proprio studio, e duolsi che come
quella,
per luce ed incendio che riceve, gli rimanda oscuro e tepido fumo di lode all’olocausto della sua liquefatta sustanza.
Qualmente giamai possiamo non sol raggionare, ma e né men pensare di cose divine che non vengamo a detraergli
più tosto che aggiongergli di gloria, di sorte che la maggior cosa
che
farsi possa
al riguardo
di quelle,
è che
l’uomo
in presenza de gli altri uomini vegna più tosto a magnificar se stesso per il studio ed ardire, che donar splendore ed altro per qualche compita e perfetta azione. Atteso che cotale non può aspettarsi dove si fa progresso all’ infinito, dove l’unità ed infinità son la medesima cosa; e non possono essere perseguitate da l'altro numero, perché non è unità, né da altra unità, perché non è numero, né da altro numero ed unità perché non sono medesimo absoluto ed infinito. Là onde ben disse un teologo che; essendo che il fonte
della luce non solamente gli nostri intelletti, ma ancora gli divini di gran lunga sopraavanza, è cosa conveniente che gener
et
Drusus
Caesar
pronepos»,
Il
L.
però
soggiunge; « Bruno scrive come se nel suo esemplare ci fosse stato ‘ progener. Drusus Caesaris pronepos....' »; il che tuttavia non pare basterebbe a spiegarci tutti gli errori della traduzione bruniana. Ad ogni modo, la lezione del B. «deve tuttavia’ ricercarsi », aggiunge il L., «se provenga dalla traduzione del Doni o da qualche
incunabulo a stampa o da fretta del B. ». Il Doni di certo è innocente: vedi le Epistole di Seneca tr. nella lingua toscana per A. F. Doni,
Milano,
1611,
p.
73.
(B. [175-6]) (W. IL 395) (L. 698-0) (G.! II, 411) (G.2 IL 440). 1084
PARTE
SECONDA
DIALOGO
PRIMO
non con discorsi e paroli, ma con silenzio vegna ad esser celebrata. Cesarino. altri
che
Non
sono
già col silenzio
ad
imagine
de gli animali
e similitudine
d’uomini,
bruti
ed
ma
di
quelli, il silenzio de quali è più illustre che tutti gli cridi, rumori e strepiti di costoro che possano esser! uditi. IV. Maricondo. Ma procediamo oltre a vedere quel che significa il resto. Cesarino. Dite se avete prima considerato e visto quel che voglia dir questo fuoco in forma di core con quattro ali, de le quali due hanno gli occhi, dove tutto il composto è cinto de luminosi raggi, ed hassi incirca scritta la questione: Nitimur in cassum? Maricondo. Mi ricordo ben che significa il stato de la mente, core, spirito ed occhi del furioso; ma leggiamo l'articolo: Questa
mente
Tant'alti Il cor,
Da
studi
che
ch’aspira al splendor santo,
disvelar
recrear
que’
non
ponno;
pensier
vonno,
guai non può ritrarsi più che tanto; Il spirto che devria posarsi alquanto
D'un
momento
Tutta
la notte
al piacer,
non
si fa
son
al pianto.
donno;
Gli occhi ch'esser derrian chiusi dal sonno, aperti
Oimè, miei lumi, con qual studio ed arte ‘Tranquillar posso i travagliati sensi ? Spirto mio, in qual tempo ed in quai parti Mitigarò gli tuoi dolori intensi? E tu, mio cor, come potrò appagarti Di quel ch'al grave tuo suffrir compensi ?
Quand’i
Daratti
debiti censi
l’alma,
o travagliata
mente,
Col cor, col spirto e con gli occhi dolente ? 1
(LM:
(B. [176-7])
esser;
G! G2:
(W. IT, 385-6)
essere)
(L. 699-700)
1085
(G.1 II, 411-2)
(G.t II, 440-1).
DE GLI EROICI
PORORI
Perché la mente aspira al splendor divino, fugge il consorzio de la turba, si ritira dalla commune opinione: non solo, dico, e tanto s’allontana dalla multidudine di suggetti,
quanto dalla communità de studii, opinioni e sentenze; atteso che per contraer vizii ed ignoranze tanto è maggior periglio, quanto è maggior il popolo a cui s’ aggionge. Nelli publici spettacoli, disse il filosofo morale, mediante il piacere più facilmente gli vizii s'ingeriscono*. Se aspira al splendor alto, ritiresi quanto può all'unità, contraasi quanto è possibile in se stesso, di sorte che non sia simile a molti, perché son molti;
e non sia nemico
se possibil sia serbar l’uno
de molti, perché e l’altro bene;
son dissimili,
altrimente
s’ap-
piglie a quel che gli par megliore. Conversa con quelli gli quali o lui possa far megliori, o da gli quali lui possa esser fatto megliore, per splendor che possa donar a quelli, o da quelli possa ricever lui. Contentesi più d’uno idoneo che de l’ inetta moltitudine. Né stimarà d’aver acquistato poco, quando è dovenuto a tale che sia savio per sé, sovvenendogli quel che dice Democrito: Unus miki pro populo est, et populus pro uno; e che disse
Epicuro
ad
un
Haec
tibi, non multis;
trum
sumus?.
consorte
de
suoi
studii,
satis enim magnum
scrivendo:
alter alteri thea-
La mente dunque ch’'aspira alto, per la prima lascia la cura della moltitudine, considerando che quella luce spreggia la fatica, e non si trova se non dove è l' intelligenza;e non
7,
(B.
1 SENECA, Epist., 7, 2. * Per Democrito, v. SENECA, 11 (cfr. Usener, fr. 208).
[177-8]))
(W.
IT, 386-7)
Epist.,
(L. 700)
1086
7,
10;
per
(G.! II, 412-3)
Epicuro,
ivi,
(G.2 IL 441-2).
PARTE
dove
è ogni
SECONDA
intelligenza,
principali e prime
- DIALOGO
ma
la prima,
quella
PRIMO
che
è tra le poche,
principale ed una.
Cesarino. Come intendi che la mente aspira alto ? verbi grazia, con guardar sempre alle stelle? al cielo empireo? sopra il cristallino ? Maricondo.
Non certo, ma procedendo al profondo della
mente, per cui non fia mistiero massime aprir gli occhi al cielo, alzar alto le mani, menar i passi al tempio, intonar l'orecchie
de
simulacri,
onde
più
si
vegna
exaudito;
ma
venir al più intimo di sé, considerando che Dio è vicino, con sé e dentro di sé più ch'egli medesimo esser non si possa; come quello ch’ è anima de le anime,
essenza de le essenze:
vita de le vite,
atteso poi che quello che vedi alto
o basso, o incirca (come ti piace dire) degli astri, son corpi, son
fatture
simili
a questo
globo
in cui siamo
noi,
e nelli
quali non più né meno è la divinità presente che in questo nostro, o in noi medesimi. Ecco dunque come bisogna fare primeramente de ritrarsi dalla moltitudine in se stesso. Appresso deve dovenir a tale che non stime ma spreggie ogni fatica, di sorte che quanto più gli affetti e vizii combattono da dentro, e gli viziosi nemici contrastano
di fuori,
tanto più deve respirar e risorgere, e con uno spirito (se possibil fia) superar questo clivoso monte. Qua non bisognano altre armi e scudi che la grandezza d'un animo invitto e toleranza de spirito che mantiene l'equalità e tenor della
vita,
l’arte
di
che
procede
specolar
le cose
dove consiste quel sommo morale,
dalla
scienza,
ed
alte
e basse,
divine
bene.
che scrisse a Lucilio:
è
regolato ed
da
umane,
Per cui disse un filosofo
non bisogna
tranar le Scille,
le Cariddi, penetrar gli deserti de Candavia ed Apennini, o lasciarsi a dietro le Sirti; perché il camino è tanto sicuro (B.
(178-80])
(W.
II, 387)
(L. 700-1)
1087
(G.! IF, 413-4)
(G.2 II, 442-3).
DE
GLI
EROICI
FURORI
e giocondo quanto la natura medesima abbia possuto ordinare, Non è, dice egli, l'oro ed argento che faccia simile a Dio, perché non fa tesori simili; non gli vestimenti, perché Dio è nudo; non la ostentazione e fama, perché si mostra a pochissimi,
e forse che nessuno
lo conosce,
e certo molti,
e più che molti hanno mala opinion de lui; non tante e tante altre condizioni de cose che noi ordinariamente admiriamo, perché non queste cose delle quali si desidera la copia, ne rendeno talmente ricchi, ma il dispreggio di quelle 1. Cesarino. Bene: ma dimmi appresso, in qual maniera costui Tranquillarà gli sensi, mitigarà gli dolori del spirito, appagarà il core e darà gli proprii censi a la mente, di sorte che con questo suo aspirare e studii non debba dire: Nitimur in cassum? Maricondo. Talmente trovandosi presente al corpo che con la meglior parte di sé sia da quello absente, farsi come con indissolubil sacramento cong'onto ed alligato alle cose divine, di sorte che non senta amor né odio di cose mortali,
considerando d’esser maggiore che esser debba servo e schiavo del suo corpo; al quale non deve altrimente riguardare che come vischio
che
carcere che tien rinchiusa la sua libertade,
tiene
impaniate
le sue
penne,
catena
che
tien
strette le sue mani, ceppi che han fissi gli suoi piedi, velo che gli tien abbagliata la vista. Ma con ciò non sia servo, cattivo,
inveschiato,
incatenato,
discioperato,
saldo
e
cieco; perché il corpo non gli può più tiranneggiare ch'egli medesimo si lasce: atteso che cossi il spirito proporzional1 SENECA,
Epist.,
21,
(ma
31)
8-10;
parafrasi.
(B. {180-1]) (W. II, 387-8) (L. 701-2) (G.1 IL, 414-5) (G.2 IL 443). 1088
PARTE
SECONDA
DIALOGO
mente gli è preposto, come il mondo
PRIMO
corporeo e materia è
suggetta alla divinitade ed a la natura. Cossi farassi forte contra la fortuna, magnanimo contra l’ ingiurie, intrepido contra la povertà, morbi e persecuzioni. Cesarino. Bene instituito è il furioso eroico!
V. Cesarino. Appresso veggasi quel che séguita. Ecco la ruota del tempo affissa, che si muove circa il centro proprio, e vi è il motto: Manens moveor. Che intendete per quella? Maricondo. dove
il moto
Questo
vuol
concorre
con
dire, che si muove la quiete,
atteso
che
in circolo; nel moto
orbiculare sopra il proprio asse e circa il proprio mezzo si comprende la quiete e fermezza secondo il moto retto; over quiete del tutto e moto, secondo le parti; e da le parti
che si muoveno in circolo, si apprendeno due differenze di lazione, in quanto che successivamente altre parti montano
alla
sommità,
altre
dalla
sommità
descendeno
al
basso; altre ottegnono le differenze medianti, altre tegnono l'estremo dell'alto e del fondo. E questo tutto mi par che comodamente viene a significar quel tanto che s'esplica nel seguente
articolo:
Quel ch'il mio cor aperto e ascoso tiene, Beltà m’ imprime ed onestà mi cassa, Zelo ritiemmi, altra cura mi passa
Ter là d'ond'ogni Quando
penso
studio a l'alma viene:
suttrarmi
da le pene,
Speme sustienmi, altrui rigor mi lassa; Amor m'inalza, e riverenz'abbassa,
Allor ch'aspiro a l’alt' e sommo bene. Alto pensier, pia voglia, studio intenso De
A
1
(G!
=
l'ingegno,
l'oggetto L:
del
cor,
inmortal!,
inmortal;
G?:
de
le fatiche,
divin,
inmenso
immortal)
(B. [181-2)) (W. II, 388) (L. 702) (G.1 II, 415) (G? IL 443-4). 1089
DE
GLI
EROICI
FURORI
Fate ch’aggionga, m’appiglie e nodriche; Né più la mente!, la raggion, il senso In
altro
Onde
Costui
Che
attenda,
or
di me
discorra,
s' intriche;
si diche:
ch'av'affissi
gli occhi
fu rival d' Endimion,
al sole,
si duole 2.
Cossî come il continuo moto d'una parte suppone e mena seco il moto del tutto, di maniera che dal ributtar le parti anteriori sia conseguente il tirar de le parti posteriori; cossi il motivo de le3 parti superiori resulta necessariamente nell’ inferiori, e dal poggiar d'una potenza opposita séguita l’abbassar de l’altra opposita.
Quindi
viene il
cor (che significa tutti l’affetti in generale) ad essere ascoso ed aperto, ritenuto dal zelo, sullevato da magnifico pensiero,
rinforzato da la speranza, indebolito dal timore. Ed in questo stato e condizione si vederà sempre che trovarassi sotto il fato della generazione. VI. Cesarino.
Tutto
va bene.
Vengamo
a quel
che sé-
guita. Veggio una nave inchinata su l’onde; ed ha le sarte attaccate a lido ed ha il motto: Fluctuat in portu. Argumentate quel che può significare; e se ne siete risoluto, esplicate.
Maricondo. E la figura ed il motto ha certa parentela col precedente motto e figura, come si può facilmente comprendere, se alquanto si considera. Ma leggiamo l'articolo: Se da gli eroi, da gli dei, da- le genti Assicurato son che non desperi;
Né
tema,
De 1 BL:
la morte,
a p. 1103. 3
(B.
(Gt
dolor,
né
del corpo,
lamente.
è Gli ultimi
(v. sopra,
né
p. 949).
=
[182-3])
tre versi furono Mancano
L:
de
le;
G2:
(W.
II, 388-9)
impedimenti
de piaceri
aggiunti
tuttavia
in W.
dal B. nell’errata corrige Lo
stesso dicasi
pel son.
delle)
(L. 702-3)
1090
(G.t II, 415-6)
(G.? II, 444-5).
PARTE Fia
SECONDA
ch'oltre
E perché Faccian
Speranza,
chiari
dubio,
gioia
apprendi,
vegga
dolor,
- DIALOGO
PRIMO
che
e senti;
soffrisca
i miei sentieri,
tristezza
spenti
e gli diletti intieri.
Ma se mirasse, facesse, ascoltasse Miei pensier, mici desii e mie raggioni, Chi le rende sf ’ncerti, ardenti e casse!, SI graditi concetti, atti, sermoni,
Non De
sa ?, non
l'orto,
fa, non ha qualunque
vita e morte
a le maggioni.
stassi
Ciel, terr’, orco s’opponi;
S'ella mi Farammi
splend’ e accend' ed emmi a lato, illustre, potente e beato 3.
Da quel che ne gli precedenti discorsi abbiamo considerato e detto si può comprendere il sentimento di ciò, massime dove si è dimostrato che il senso di cose basse è attenuato
ed
gliardamente
annullato
intente
dove
le potenze
ad oggetto
superiori
più magnifico
sono
ga-
ed eroico.
È tanta la virti della contemplazione (come nota Iamblico)
che accade tal volta non solo che l'anima ripose da gli atti inferiori, ma, ed oltre, lascie il corpo a fatto, Il che non voglio intendere altrimente che in tante maniere, quali sono esplicate nel libro De’ trenta sigilli, dove son prodotti tanti modi di contrazione; de quali alcune vituperosa-, altre eroicamente fanno che non s’apprenda tema
di morte,
non
si soffrisca dolor di corpo,
non
si sen-
tano impedimenti di piaceri; onde la speranza, la gioia e gli diletti del spirto superiore siano di tal sorte intenti, 1 BL: rima. altro
cassi. Ma la correzione, già fatta da IW, è richiesta dalla
2 W: dà, annotando: «Il testo ha fa. La concisione (?) richiede vocabolo; tuttavia è oscura ». 3 Per gli ultimi tre versi, vedi p. 949. Anch'essi son tralasciati
da W.
4 Cfr.
sopra,
p.
842,
n. 3.
(B. [133-4]) (W. II, 3809-90) (L. 703-4) (G.T IT, 416-7) (G.2 II, 445-6).
I09I 7)
—
G.
Biuno,
Mialoghi
italiani
DE
GLI
EROICI
che faccian spente le passioni
FURORI
tutte che possano
aver ori-
gine da dubbio, dolore e tristezza alcuna. Cesarino. Ma che cosa è quella da cui richiede che mire a que’ pensieri ch’ ha resi cossi incerti, compisca gli suoi desii che fa si ardenti, ed ascolte le sue raggioni che rende
sf casse ? Maricondo. Intende l'oggetto il quale allora il mira, quando esso se gli fa presente; atteso che veder la divinità è l’esser visto da quella, come vedere il sole concorre con l’esser visto dal sole. Parimente essere ascoltato dalla divinità è a punto ascoltar quella, ed esser favorito da quella
è il medesimo esporsegli !: dalla quale una medesima cd immobile procedeno pensieri incerti e certi, desi ardenti ed appagati, e raggioni exaudite e casse, secondo che degnao indegnamente l'uomo se gli presenta con l’ intelletto, affetto ed azioni. Come il medesimo nocchiero vien detto caggione della summersione o salute della nave, per quanto
che o è a quella presente, overo da quella trovasi absente; eccetto che il nocchiero per suo diffetto o compimento ruina e salva la nave; ma la divina potenza che è tutta in tutto, non si porge o suttrae
se non per
altrui
conver-
sione o aversione. VII. Maricondo. Con questa dunque mi par ch'abbia gran concatenazione e conseguenza la figura seguente, dove son due stelle in forma de doi occhi radianti con il
suo motto che dice: Mors et vita. Cesarino. I B(L):
esporsergli. W: esporserle; annotando: « Il testo ha espor-
[184-6))
(W.
sergli (B.
Leggete dunque l'articolo.
viziosamente.
IT,
Emendi 390)
(L.
frattanto
meglio
chi
704)
II,
417-8)
1092
(G.1
può». (G.2
1I,
446-7).
PARTE
Maricondo.
Ma Ed
DIALOGO
PRIMO
Cossi farò:
Per
Nel
SECONDA
man
volto
d’amor
mio
scritto
l' istoria
de!
veder mie
potreste
pene;
tu (perché il tuo orgoglio non si affrene, io infelice eternamente reste) A le palpebre belle a me moleste
Asconder fai le luci tant'amene, Ond' il turbato ciel non s’asserene,
Né
caggian
le nemiche
ombre
funeste.
Per la bellezza tua, per l'amor mio, Ch'a quella, benché tanta 2, è forse uguale,
Rendite a la pietà, diva, per Dio. Non prolongar il troppo intenso male, Ch' è del mio tanto amar indegno fio;
Non
Se,
sia tanto rigor con splendor tale. ch'io
viva,
ti cale,
Del grazioso sguardo
Mirami,
o bella,
apri le porte;
se vuoi
darmi
morte.
Qua il volto in cui riluce l’ istoria de sue pene, è l'anima,
in quanto che è esposta alla recepzion de doni superiori, al riguardo de quali è in potenza ed attitudine, senza compimento di perfezione ed atto, il qual aspetta la ruggiada divina. Onde ben fu detto: Anima mea sicut terra sine aqua tibi 3. Ed altrove: Os meum aperui et atiraxi spirituma, quia mandata
tua desiderabam s. Appresso,
l'orgoglio
che non s’affrena, è detto per metafora e simili-tudine (come de Dio tal volta si dice gelosia, ira, sonno); e quello significa la difficultà con la quale egli fa copia di far
vedere
al meno
le sue
spalli,
che
è il farsi
conoscere
mediante le cose posteriori ed effetti. Cossi copre le luci con I
(LFM:
* BL:
de;
Ch'a
Gle
«aperui;
5 Salmi,
di)
(quella benche
3 Salmi, CXLII,
4 W:
G?:
6.
et altrove
CXVIII,
131.
tanta)
è.
Spiritum ».
(B. [186-7]) (W. II, 390-1) (L. 704-5) (G.! IT, 418-9) (G.? II, 447.8). 1093
DE
le palpebre,
non
GLI
EROICI
FURORI
asserena
il turbato
si fanno
graziosi
cielo de la mente
umana, per toglier via l’ombra de gli enigmi e similitudini, Oltre (perché non crede che tutto quel che non è, non possa essere) priega la divina luce che — per la sua bellezza la quale non deve essere a tutti occolta, almeno secondo la capacità de chi la mira, e per il suo amore che forse a tanta bellezza è uguale (uguale intende de la beltade, in quanto che la se gli può far comprensibile), — che si renda alla pietà, cioè che faccia come quelli che son piatosi, quali da ritrosi e schivi
ed affabili;
e che
non
prolonghe il male che avviene da quella privazione, e non permetta che il suo splendor per cui è desiderata, appaia maggiore che il suo amore con cui si communiche: stante che tutte le perfezioni in lei non solamente sono uguali, ma ancor medesime. Al fine la ripriega che non oltre l’attriste con la privazione; perché potrà ucciderlo con la luce de suoi sguardi, e con que’ medesimi donargli la vita: e però non lo lasce a la morte con ciò che le amene luci siano ascose da le palpebre. Cesarino.
Vuol
cede da somma
dire
quella
morte
gioia, chiamata
de
amanti
da cabalisti mors
che
pro-
osculi 1 ?
la qual medesima è vita eterna, che l’uomo può aver in disposizione in questo tempo ed in effetto nell’eternità? Maricondo. Cossf è. VIII. Cesarino. Ma è tempo di procedere a considerar il seguente dissegno simile a questi prossimi avanti rapportati, con li quali ha certa conseguenza. 1 Cîr. (B.
sopra,
(187-8))
(W.
p.
1010.
II,
301)
(L. 705-6)
1094
(G.!
II,
Vi è un’aquila che
419-20)
(G.2
II,
448).
PARTE
SECONDA
DIALOGO
PRIMO
con due ali s'appiglia al cielo; ma non so come e quanto vien ritardata dal pondo d'una pietra che tien legata a un piede. Ed evvi il motto: Scinditur incertum. E certo significa la moltitudine, numero e volgo delle potenze de l'anima; alla significazion della quale è preso quel verso: Scinditur
incertum
studia
in contraria
vulgus!.
Il quale volgo tutto generalmente è diviso in due fazioni (quantunque, subordinate a queste, non mancano de l'altre); de le quali altre invitano a l'alto dell' intelligenza e splendore di giustizia, altre allettano, incitano e forzano in certa maniera «1 basso, alle sporcizie delle voluttadi e compiacimenti de voglie naturali. Onde dice
l'articolo:
Bene far voglio, e non mi vien permesso; Meco il mio sol non è, bench'io sia seco, Che per esser con lui, non son più meco,
Ma
da me lungi, quanto a lui più presso. Per goder una volta, piango spesso;
Cercando
Perché
gioia,
veggio
afflizion
tropp'alto,
mi
reco;
son sf cieco;
Per acquistar mio ben, perdo me stesso. Per amaro diletto e dolce pena
Impiombo
al centro,
e vers' il ciel m'appiglio;
Necessità mi tien, bontà mi mena; Sorte m'affonda, m' inalza il consiglio; Desio mi sprona, ed il timor m'affrena; Cura m'accende, e fa tardo il periglio.
Qual diritto o divertiglio* Mi darà pace, e mi torrà de] lite, S'avvien
ch'un
si mi
scacce,
e l’altro
invite?
I VirciLIo, Aen., II, 39. è Cfr. Cand?, p. 132, n. LL
3 GI: (B.
di.
[188-9])
(W.
II,
39r-2)
(L. 706)
1095
(G.!
II,
420)
(G.2
IT,
448-9).
DE
L'ascenso
GLI
procede
EROICI
nell'anima
FURORI
dalla facultà ed appulso
ch' è nell’ali, che son l’ intelletto ed intellettiva volontade,
per le quali
essa naturalmente
mira a Dio, come a sommo
si referisce ! ed ha la sua
bene e primo vero, come
all’ab-
soluta bontà e bellezza; cossi come ogni cosa naturalmente ha impeto verso il suo principio regressivamente, e progressivamente
verso
il suo
fine e perfezione,
come
ben
disse?
Empedocle. Da la cui sentenza mi par che si possa inferire quel che disse il Nolano in questa ottava: Convien ch’ il sol, donde parte, raggiri, E al suo principio i discorrenti lumi; E "13 ch’è di terra, a terra si retiri,
E
al mar
corran
dal mar
partiti
fiumi,
Ed ond’ han spirto e nascon i desiri Aspiren, come a venerandi numi. Cossì
Nato,
dalla mia che
torne
diva a
ogni
mia
pensiero
diva
è mistiero4.
La potenza intellettiva mai si quieta, mai s'appaga in verità compresa, se non sempre oltre ed oltre procede alla verità incomprensibile. Cossi la volontà che séguita l'apprensione, veggiamo che mai s'appaga per cosa finita. Onde per consequenza non si referisce l'essenza de l’anima ad altro termine che al fonte della sua sustanza ed entità. Per le potenze poi naturali, per le quali è convertita al favore e governo della materia, viene a referirse ed aver appulso, I
vedi
a giovare
(G! = L:
% GI: dice. 3 B: El. W:
ed
referisce;
Quel. Ma
a comunicar G*:
può
la sua
perfezione
riferisce)
a p. 772, e ivi, n. 4. 4 Ottava appartenente forse
un’altra ottava
de
esser
"1
alla stessa
il B. riferisce nel Cand.?,
che=/o
che,
opera
giovanile
pp.
30-1.
per °
cui
di cui
(B. [189-91]) (W. IL, 392-3) (L. 706-7) (G.I II, 420-1) (G.* II, 449-50).
1096
PARTE
SECONDA
- DIALOGO
PRIMO
a cose inferiori per la similitudine che ha con la divinità, che per la sua bontade si comunica o infinitamente producendo,
idest
communicando
l'essere
mondi innumerabili in quello; solo questo universo suggetto
a l'universo
infinito
e
o finitamente, producendo alli nostri occhi e comun
raggione. Essendo dunque che nella essenza unica de l’anima
se ritrovano questi doi geni de potenze, secondo che è ordinata ed al proprio e l’altrui bene, accade che si depinga con un paio d'ali, mediante le quali è potente verso l’oggetto delle prime ed immateriali potenze; e con un greve sasso, per cui è atta ef efficace verso gli oggetti delle seconde e materiali potenze. Là onde procede che l'affetto intiero del furioso sia ancipite, diviso, travaglioso e messo in facilità de inchinare più al basso, che di forzarsi ad alto: atteso che l’anima si trova nel paese basso e nemico, ed ottiene 1 la regione lontana dal suo albergo pi naturale, dove le sue forze son più sceme. Cesarino. Credi che a questa difficultà si possa riparare ? Maricondo.
Molto
bene;
ma
il principio
è durissimo,
e
secondo che si fa più e più fruttifero progresso di contemplazione, si doviene a maggiore e maggior facilità. Come avviene a chi vola in alto che, quanto più s'estoglie da la terra, vien ad aver più aria sotto che lo sustenta, quentemente
meno
vien fastidito dalla gravità;
e conse-
anzi, tanto
può volar alto, che, senza fatica de divider l’aria, non
può
tornar al basso, quantunque giudicasi che più facil sia divider l’aria profondo * verso la terra, che alto verso l’altre stelle.
(B.
1 Come nel De l’ infinito, p. 360, e ivi, n. 1. ? Per questo mascolino, cir. sopra, p. 884, n.
2.
[r91-2]))
(G.2
(W.
II,
393)
(L.
707) 1007
(G.
II,
421-2)
II,
450-1).
DE
Cesarino.
quista
Tanto
sempre
GLI
EROICI
che col progresso
maggiore
in alto ? Maricondo.
FURORI
in questo
e maggiore
Cossi è; onde
ben
facilità
geno s'ac-
di montare
disse il Tansillo:
Quanto pi sott' il piè l’aria mi scorgo, 1 Pit le veloci penne al vento porgo, E spreggio il mondo, e verso il ciel m' invio ?.
Come ogni parte de corpi e detti elementi quanto più s’avvicina al suo luogo naturale, tanto con maggior impeto e forza va, sin tanto che al fine (o voglia o non) bisogna che vi pervegna. Qualmente dunque veggiamo nelle parti de corpi a gli proprii corpi, cossi doviamo giudicare de le cose intellettive verso gli proprii oggetti, come proprii luoghi, patrie e fini. Da qua facilmente possete comprendere il senso intiero significato per la figura, per il motto e per
gli carmi.
Cesarino. Di sorte mi parrebe soverchio.
che
quanto
vi s'aggiongesse,
tanto
IX. Cesarino. Vedasi ora quel che vien presentato per quelle due saette radianti sopra una targa, circa la quale è scritto Vicit instans. Maricondo.
la qual gran con
La guerra continua
tempo
la materia,
tra l’anima del furioso;
per la maggiore
era più
dura
familiarità che avea
ed inetta
ad esser penetrata
da gli raggi del splendor della divina intelligenza e spezie della divina bontade; per il qual spacio dice ch' il cor smal1 (G!1 = L: scorgo,; G2: % Vedi sopra, p. 999.
3 (G?;
uogo
scorgo.)
(per evidente
scorrezione
tipogr.))
(B. [192-3]) (W. IT, 393-4) (L. 707-8) (G.1 II, 422-3) (G.2 II, 451-2).
1098
PARTE
tato
SECONDA
de diamante,
- DIALOGO
cioè l'affetto
duro
PRIMO
ed inetto
ad esser
riscaldato e penetrato, ha fatto riparo a gli colpi d'amore
che aportavano gli assalti da parti innumerabili. Vuol dire, non ha sentito impiagarsi da quelle piaghe de vita eterna de
le quali
mewn, non
parla
0 dilecta,
son
la Cantica
quando
vulnerasti
cor
o d'altra
materia,
di ferro,
dice:
meum*.
Le
per
gli
deserti
della
contemplazione
quali
vigor
nervi; ma son freccie de Diana o di Febo: de
Vulnerasti
de
cor
piaghe
e forza
de
cioè o della dea la
Veritade,
cioè
della Dina, che è l'ordine di seconde intelligenze che riportano il splendor ricevuto dalla prima, per comunicarlo a gli altri che son privi de più aperta visione; o pur del nume più principale, Apollo, che con il proprio e non improntato splendore manda le sue saette, cioè gli suoi raggi, da parti innumerabili, tali e tante che son tutte le specie delle
cose;
telligenza,
le quali
beltade
son
indicatrici
e sapienza,
della
secondo
divina
bontà,
diversi
in-
ordini
dal-
luce,
con
l'apprension dovenir furiosi amanti *, percioché l’adamantino suggetto non ripercuota dalla sua superficie il lume impresso, ma, rammollato e domato dal calore e lume, vegna
a farsi tutto
in sustanza
luminoso,
tutto
ciò che vegna penetrato entro l'affetto e concetto. Questo non è subito nel principio della generazione, quando l’anima di fresco esce ad essere inebriata di Lete ed imbibita de l’onde de l’oblio e confusione; onde il spirito vien più cattivato al corpo e messo in essercizio della vegetazione, ed a poco a poco si va digerendo per esser atto a gli atti della 1 Cantico dei cantici, IV, sponsa, vulnerasti cor meum
9: « Vulnerasti cor meum, in uno oculorum tuorum
crine colli tui ». ? Il periodo è guasto
ma
(B. [193-4))
(L. 708-9) (G.! II, 423-4)
(W. II, 394)
il senso
1099
soror mea cet in uno
è chiaro.
(G. II, 452).
DE
GLI
EROICI
FURORI
sensitiva facultade, sin tanto che per la razionale e discorsiva. vegna a più pura intellettiva, onde può introdursi a la mente e non più sentirsi annubilata per le fumositadi di quell'umore che per l’exercizio di contemplazione non s'è putrefatto nel stomaco, ma è maturamente digesto. Nella qual disposizione il presente furioso mostra aver durato sei lustri, nel discorso: de quali non era venuto a quella purità di concetto, che potesse farsi capace
abitazione
delle
specie
ugualmente batteno Al fine l’amore che
peregrine,
che
offrendosi
a tutte
sempre alla porta de l' intelligenza. da diverse parti ed in diverse volte
l’avea assaltato come in vano (qualmente il sole in vano se dice lucere e scaldare a quelli che son nelle viscere de la terra ed opaco
profondo),
per essersi
accampato
quelle luci sante, cioè per aver mostrato specie intelligibili la divina bellezza, la quale con la di verità gli legò l'intelletto e con la raggione scaldogli l'affetto, vennero superati gli studi
in
per due raggione di bontà materiali
e sensitivi che altre volte soleano come trionfare, rimanendo
(a mal grado de l'eccellenza de l’anima) intatti; perché quelle luci che facea presente l’ intelletto agente illuminatore e sole d'intelligenza,
ebbero
facile entrata
per le sue
luci: quella della verità per la porta de la potenza intellettiva; quella della bontà per la porta della potenza appetitiva al core, cioè alla sustanza del generale affetto. Questo fu quel doppio strale che venne comc da man de guerriero irato; cioè più pronto, pit efficace ?, più ardito, che per tanto tempo innanzi s'era 1 Lo stesso che ® In IW manca:
corso. più efficace.
{B. [194-5)) (W. IL 394-5) (L. 709) (G.1 II, 424) (G. II, 452-3). II0O
PARTE
SECONDA
come
più debole
dimostrato
primieramente
DIALOGO
PRIMO
o negligente.
Allora
quando
fu si scaldato ed illuminato nel concetto,
fu quello vittorioso punto e momento, per cui è detto: Vicit instans. Indi possete intendere il senso della proposta figura, motto ed articolo che dice: Torte a' colpi d’Amor feci riparo Quando assalti da parti varie e tante Sofferse il cor smaltato di diamante; Ond'i miei studi de’ suoi trionfàro. Un
Al fin (come
Che
Facil
gli cieli destinàro)
di accampossi per
le mie,
entrata
in quelle
sole
al cor
Indi mi s'avventò
Che
da
man
di
Notò
quel
luogo,
Qual
tra
tutte
mio
quel
assalir
quante,
ritrovàro.
doppio
guerriero
sei lustri!
luci sante,
mi
irato
venne,
seppe
e forte
vi
strale,
male.
si tenne,
Piantò 'l1 trofeo di me là d'onde vale Tener ristrette mie fugaci penne. Indi
con
Apparecchio,
Mio
Singular
cor
più
sollenne
mai
cessano
del mio
instante
dolce
fu
della
quelle,
sole tra tutte
data
1 Questi del
sei
sonetto
vittoria;
lustri
(o degli
nemico
l’ ire.
il termine
perfezione
che
ferire
del
singulari
quante nonsi
Eroici
gemine
specie
trovàro
devono
furorî);
cominciamento
furon
facile entrata;
contare
perché
e
a risalire dalla
«un
di»
è ormai
un ricordo pel B.; il quale infatti dirà più sotto, che da allora le ire
del suo dolce nemico (Dio), diventato « unico e intiero possessor e disponitor de la sua anima», non han più cessato di travagliare
il suo cuore. I sei lustri sono i primi trent'anni della vita del filosofo;
e il « df » qui ricordato cadrebbe nel 1578. Al qual anno questo accenno autobiografico cosî determinato riporta quindi la data o del primo
svegliarsi
del
nuovo
spirito
filosofico
del
B.,
o,
se
si
vuole,
della sua conversione filosofica. Quell'anno il B. stampò a Venezia il libretto De' segni de’ tempi (doc. ven. IX); e non è necessario che fosse una specie di almanacco, come ha congetturato l’ IMBRIANI, Natanar II, nel Propugnatore, vol. VIII, parte I, pp. 88-9.
(B. [195-6]) (W. II, 395) (L. 7009-10) (G.t II, 424-5) (G.2 II, 453-4). IIOI
DE
GLI
EROICI
FURORI
atteso che quelle contegnono in sé l'efficacia e virti de tutte l'altre; atteso che qual forma megliore e più eccellente può presentarsi
che di quella bellezza, bontà
e verità, la quale
è
d'ogni
beltade?
il
quel collo,
fonte
altra
luogo,
impressevi
tenne,
verità,
prese
il
e se l’ha
bontà,
possessione
carattere
di
confirmato,
de
sé;
e
l'affetto, forte
stabilito,
sancito
Notò
rimar-
vi
si
di sorte
che non possa più perderlo: percioché è impossibile che uno possa
voltarsi
ad
amar
altra
cosa,
quando
una
volta
ha
compreso nel concetto la bellezza divina; ed è impossibile che possa far di non amarla, come è impossibile che nell'appetito cada altro che bene o specie di bene. E però massimamente deve convenire l'appetenzia del sommo bene. Cossi ristrette son le penne che soleano esser fugaci, concorrendo giù col pondo della materia. Cossi
da là mai
cessano
ferire,
sollecitando
l’af-
fetto e risvegliando il pensiero le dolci ire, che son gli efficaci assalti del grazioso nemico, già tanto tempo ritenuto escluso, straniero e peregrino. È ora unico ed intiero possessore e disponitor de l’anima; perché ella non vuole, né vuol volere altro; né gli piace, né vuol che gli piaccia altro, onde sovente dica: Dolci
Dolci
ire,
guerra
mie piaghe,
dolce,
dolci
dardi,
miei dolci dolori!,
X. Cesarino. Non mi par che rimagna cosa da considerar oltre in proposito di questo. Veggiamo ora questa faretra I Il PETRARCA Dolci Dolce {(B.
[196-8))
(W.
nel son.
Dolci
ire:
ire, dolci sdegni e dolci paci, mal, dolce affanno e dolce peso... II, 395-6)
(L. 710) II02
(G.1
II, 425-6)
(G.2
II, 454-5).
PARTE
ed
arco
SECONDA
d'amore,
come
DIALOGO
mostrano
le
PRIMO
faville
che
sono
in
circa, ed il nodo del laccio che pende, con il motto che è: Subito,
clam.
Maricondo. Assai mi ricordo d’averlo ne l'articolo. Però leggiamolo prima: Avida
di
trovar
bramato
veduto’ espresso
pasto,
L'aquila vers’ il ciel ispiega l’ali, Facend' accorti tutti gli animali, Ch'al
terzo
volo
s'apparecchia
al guasto.
E del fiero leon ruggito vasto
Fa da l'alta spelunca orror Onde le belve, presentendo
T'uggon E
Muto
mortali, i mali,
a gli antri il famelico
’1 ceto,
quando
di Proteo
da
assalir
gli antri
impasto.
vuol
l’armento
di Teti,
Pria fa sentir quel spruzzo violento. Aquile in ciel, leoni in terra e i ceti
Signor' in mar,
Ma
non
vanno
a tradimento:
gli assalti d'amor vegnon! Lasso, que’ giorni lieti
Troncommi
Che
fèémmi
l'efficacia
a lungo
d'un
secreti.
instante,
infortunato
amante ?.
‘Tre sono le regioni de gli animanti composti de più elementi: la terra, l'acqua, l’aria. Tre son gli geni de quelli: fiere, pesci ed ucelli 3. In tre specie sono gli principi conceduti e definiti dalla natura: ne l’aria l'aquila, ne la terra il leone, ne l'acqua il ceto: de quali ciascuno, come dimostra più forza ed imperio che gli altri, viene anco a far aperto atto di magnanimità, o simile alla magnanimità. Percioché è osservato che il leone, prima che esca a la caccia, manda
un ruggito
forte che fa rintonar tutta la selva, come
1 GI; vengon. ® Questo ultimo
3 Cir. Spaccio,
(B.
[198-9])
(W.
terzetto
p. 601,
II, 396)
nelle
n. 5.
giunte.
(L. 7t0-1)
1103
Vedi
de
p. 949.
(G.! IT, 426-7)
(G.2 II
455-6).
DE
l'erinnico
cacciatore
At
saeva
Artdua
GLI
EROICI
nota
il poetico
e speculis
tecta
FURORI
tempus
petit,
stabuli
et
detto:
dea
nacta
de
nocendi,
culmine
summo
Pastorale canit signum, cornuque recurvo Tartaream intendit vocem, qua protinus omne
Contremuit
nemus,
et silvae
intonuere
profundae !.
De l'aquila ancora si sa che, volendo procedere alla sua venazione, prima s'alza per dritto dal nido per linea perpendicolare in alto, e quasi per l'ordinario la terza volta
si balza da alto con maggior impeto e prestezza che se volasse per linea piana; onde dal tempo in cui cerca il vantaggio della velocità del volo, prende anco comodità di specular da lungi la preda, della quale o despera o si risolve dopo fatte tre remirate. Cesarino. Potremmo conietturare per qual caggione, se alla prima
si presentasse
a gli occhi
subito a lanciarsegli sopra? Maricondo. Non certo. Ma
la preda,
non
viene
forse che ella sin tanto di-
stingue, se si gli possa presentar megliote, o più comoda preda. Oltre non credo che ciò sia sempre, ma per il più
ordinario, Or venemo a noi. Del ceto o balena è cosa aperta, che per essere un machinoso animale, non può divider l'acqui se non con far che la sua presenza sia presentita dal
ributto
de
l’onde,
senza
questo,
che
si trovano
assai
specie di questo pesce che con il moto e respirar che fanno, egurgitano una ventosa tempesta di spruzzo acquoso. Da tutte dunque le tre specie de principi animali hanno facultà
di prender
tempo
di scampo
di sorte che non procedeno 1 Vircicio, (B. [199-200])
Aen.,
VII,
(W. II, 396-7)
come
gli animali
inferiori;
subdoli e traditori.
Ma
srr-s. (L. 711-2) (G.!II, 427-8)
1104
(G.2 II, 456-7).
PARTE
SECONDA
DIALOGO
PRIMO
l’Amor che è più forte e più grande, e che ha domino! supremo
in cielo, in terra ed in mare,
e che per similitudine
di questi forse derrebe mostrar tanto più eccellente magnanimità, quanto
ha più forza, niente di manco
assalta e fere
a l’improvisto e subito. Labitur
Igne
Nec
totas
furtivo
habet
furor
in
medullas,
populante
latam
venas,
data
plaga
frontem;
Sed vorat tectas penitus medullas, Virginum ignoto ferit igne pectus ?.
Come vedete, tivo fuoco,
questo tragico poeta lo chiama furignote fiamme; Salomone lo
chiama
furtive3,
acqui
d’aura
sottile4.
Samuele
Li quali
lo nomò
sibilo
tre significano
con
qual
dolcezza, lenità ed astuzia in mare, in terra, in cielo viene
costui a comes tiranneggiar l’universo. Cesarino® Non è più grande imperio, non è tirannide peggiore, non è meglior domîno $, non è potestà più necessaria, non è cosa pi dolce e suave, non si trova cibo che sia più austero ed amaro, non si vede nume più violento, non è dio più piacevole, non agente più traditore e finto, non autor più regale e fidele; e, per finirla, mi par che l'amor sia tutto e faccia tutto; e de lui si possa dir tutto e tutto
possa attribuirsi a lui. Maricondo. Voi dite molto bene. L'amor dunque 1 (LFM:
domino;
? SENECA,
v. 287,
Fedra,
B., come
3 Proverbii,
4 Libro III $ BL:
G!
suole
IX,
(ma
(come).
ed.
e G?:
Peiper
(vedi
dominio e
p. 206,
(ma
Richter,
n.
XIX,
12.
v..
p.
284-7
1), paenitus.
17; cîr. il De vinculis,
lI)dei Re,
vedi
(come
1075, e
n.
298.
1).)
Nel
in Opera,
III,
640 e 660.
II, 428-9)
(G.
II, 457).
6 Cîr. sopra, p. 1075, n. I. (B.
{200-1])
(W.
II, 397)
(L. 712)
1105
(G.!
DE
GLI
EROICI
FURORI
quello che opra massime per la vista, la quale è spiritualissimo de tutti gli sensi, perché subito monta sin alli appresi margini del mondo, e senza dilazion di tempo si porge a tutto l'orizonte della visibilità) viene ad esser presto, furtivo, improvisto e subito. Oltre è da considerare quel che dicono gli antichi, che l'amor precede tutti gli altri dei; però non fia mestiero de fingere che Saturno gli mostre
il camino, se non con seguitarlo. Appresso, che bisogna cercar se l’amore appaia e facciasi prevedere di fuori, se il suo allogiamento stesso core,
è l’anima
medesima,
e consiste nella medesima
il suo letto è l' i-
composizione
de no-
stra sustanza, nel medesimo appulso de nostre potenze. Tinalmente, ogni cosa naturalmente appete il bello e buono, e però non vi bisogna argumentare e discorrere perché l'affetto si informe e conferme; ma subito ed in uno instante
l'appetito s'aggionge a l’appetibile, come la vista al visibile. XI. Cesarino. Veggiamo appresso che voglia dir quella ardente saetta circa la quale è avolto il motto: Cui nova plaga
loco ? Dechiarate
che luogo
Maricondo. Non bisogna colo, che dice cossi:
cerca
far
questa
altro
che
per ferire.
leggere
l’arti-
Che la bogliente Puglia o Libia mieta Tante spiche ed areste tante a i venti Commetta, e mande tanti rai lucenti Da
sua
- Quanti
circonferenza
a gravi
il gran
dolor
pianeta,
quest'alma
lieta
(Che sl triste si gode in dolci stenti) Accoglie da due stelle strali ardenti,
Ogni
senso
Qual
studio
Che
tenti
e raggion più,
a me
dolce
creder
mi
nemico,
Amore?
ferir oltre
ti muove,
(L. 712-3)
(G.! II, 420) (G.? II, 457-8).
Or ch’una piaga è fatto tutto
(B. [201-2)) (W. II, 397-8)
vieta.
1106
il core?
PARTE
SECONDA
DIALOGO
PRIMO
Poiché né tu, né l’altro ha un punto, dove, Per stampar cosa nuova, a punga, o fore,
Volta, volta sicur or l’arco altrove, Non perder qua tue prove, Perché,
Oltre
o bel
tenti
dio,
amazzar
se
non
colui
in
vano,
ch'è
a torto
morto.
Tutto questo senso è metaforico come gli altri, e può esser inteso per il sentimento di quelli. Qua la moltitudine de strali che hanno ferito e feriscono il core, significa gl’ innumerabili individui e specie de cose, nelle quali riluce il splendor della divina beltade, secondo gli gradi di quelle, ed onde ne scalda l'affetto del proposto e appreso bene. De quali l'un e l’altro, per le raggioni de potenzia ed atto, de possibilità ed effetto,
e cruciano
senso
sentir l'amaro.
di dolce
intiero
e fanno
è tutto
convertito
a Dio,
e consolano,
cioè
è tutta amore,
dove
all'idea
dal lume de cose intelligibili la mente unità superessenziale,
Ma
e donano
l'affetto
de
le idee,
viene exaltata alla tutta una,
non
viene
ad sentirsi sollecitata da ! diversi oggetti che la distraano, ma è una sola piaga, nella quale concorre tutto l'affetto, e che viene ad essere la sua medesima affezione. Allora non è amore o appetito di cosa particolare che possa sollecitare, né almeno farsi innanzi a la voluntade; perché non è cosa più retta ch' il dritto, non è cosa pit bella che la bellezza,
non è più buono che la bontà, non si trova più grande che la grandezza,
né
cosa
più lucida
che
quella
luce,
la quale
con la sua presenza oscura e cassa gli lumi tutti. Cesarino.
Al perfetto,
se è perfetto,
non
è cosa
che
si
possa aggiongere: però la volontà non è capace d'altro appetito, quando fiagli presente quello ch’è% del perfetto, 1 B:
de;
L:
di;
WG!:
da.
(B. [202-4]) (W. II, 398-9) (L. 713-4) ([G.! II, 429-30) (G.? IT, 458-0).
1107 74
—
0.
Druno,
Dialoghi
italiani
DE
sommo
GLI
e massimo.
EROICI
FURORI
Intendere dunque posso la conclusione,
dove dice a l'amore: Non ve; perché, se non
perder qua tue proin vano, a torto (si
dice per certa similitudine e metafora) tenti amazzar colui ch'è morto; cioè quello che non ha
più vita né senso circa altri oggetti, onde da quelli possa esser
punto
o
forato;
a che
oltre
viene
esposto ad altre specie? E questo lamento
accade a colui
che, avendo gusto de l' ottima unità, vorrebe tutto exempto ed abstratto dalla moltitudine.
Maricondo.
ad essere
essere
al
Intendete molto bene.
XII *. Cesarino. Or ecco appresso un fanciullo dentro un battello che sta ad ora ad ora per essere assorbito da l'onde
tempestose,
gli remi.
Ed
evvi
che
languido
circa lo motto:
è dubio che questo significhe l’acqui fu invitato a solcar il proviso avendo inturbidato il spavento, e per impotenza di dismetter il capo, braccia e
e
lasso
ha
abandonati
Front: nulla fides *. Non
che lui dal sereno aspetto de mare infido; il quale a l’ imvolto, per estremo e mortal romper l’ impeto, gli ha fatto la speranza. Ma veggiamo il
resto: La
Gentil
garzone,
pargoletta
Vago
del mar,
Or sei repente La Né
Vedi
XI.
dal lido
e al
l’ indotta
accorto
traditor
remo
man
scioglieste frale,
porgeste,
del tuo male.
l'onde
funeste,
prora tua, ch'o troppo scende l’alma, vinta da cure moleste,
Contra
1 B:
del
che
barca,
gli obliqui
Cfr. sopra,
2 GIOVENALE,
Sat.,
p.
II,
e gonfii
8.
o sale;
flutti vale.
1106.
(B. [204-5]) (W. II, 399) (L. 714) (G.t II, 430-1) (G.? II, 459-60). 1108
PARTE Cedi
SECONDA
gli
remi
LTALOGO
al tuo
fiero
PRIMO
nemico,
E con minor pensier la morte aspetti, Che per non la veder gli occhi ti chiudi. Se
non
è presto
alcun
soccorso
amico,
Sentirai certo or or gli ultimi effetti De tuoi sf rozzi e curiosi studi. Son
Simili
Sento
gli miei a’
tuoi,
il rigor
fati crudi perché,
del più
vago
gran
d'Amore,
traditore.
In qual maniera e perché l’amore sia traditore e frodulento, l'abbiamo poco avanti veduto. Ma perché veggio il seguente
senza imagine
guenza con il presente: Lasciato
Feriando
Ero
messo
da
e motto,
credo
però continuamo
il porto studi
a mirar
per
più
prova
maturi,
quasi
che
abbia
conse-
leggendolo:
e per poco,
per gioco,
Quando viddi repente i fati duri. Quei si m' han fatto violento il foco,
Ch'in
van
ritento
ai
lidi
più
sicuri,
In van per scampo man piatosa invoco, Perché al nemico mio ratto mi furi. Impotente a suttrarmi, roco To cedo al mio destino, e non
Di
far vani
Facciami
ripari
pur
a la mia
d'ogni
altra
E non più tarde l'ultimo
Che È
Al
m' ha prescritto
Tipo
quel sen
di mio che
mal
si commese
nemico,
morte. vita
casso,
fera
sorte.
tormento,
la mia
forte
e lasso, più tento
per
improvido
trastullo
fanciullo.
Qua non mi confido de intendere o determinar tutto quel che significa il furibso. Pure è molto espressa una
strana condizione
d' un animo dismesso dall’ apprension
della difficultà de l'opra, grandezza de la fatica, vastità del lavoro,
da un canto;
e da un altro, l’ ignoranza,
privazion
de l’arte, debolezza de nervi e periglio di morte. Non ha consiglio atto al negocio; non si sa d’onde e dove debba (B. {205-7])
(W. II, 399-400)
(L. 714-5) (G.! IT, 43:-2) (G.? II, 460-1).
1109
DE
GLI
EROICI
FURORI
voltarsi, non si mostra luogo di fuga o di rifugio; essendo che da ogni parte minacciano l'onde de l’ impeto spaventoso e mortale. Ignoranti portum mnullus suus ventus est.
Vede colui, che molto e pur troppo s' è commesso fortuite, ruina,
s'aver
edificato
la summersione.
la Vede
perturbazione, come
a cose
il
carcere,
la
la fortuna
si gioca
di
noi; la qual ciò che ne mette con gentilezza in mano, o lo
fa rompere facendolo versar da le mani istesse, o fa che da l'altrui violenza ne sia tolto, e fa che ne suffoche ed avvelene,
o ne
sollecita
con
la suspizione,
timore
e gelosia,
a
gran danno e ruina del possessore. Fortune an ulla putatis dona carere dolis ? Or, perché la fortezza che non può far esperienza di sé, è cassa; la magnanimità che non può prevalere,
è nulla,
ed è vano
il studio
senza
frutto;
vede
gli effetti del timore del male, il quale è peggio ch' il male istesso. Petor est morte timor ipse mortis. 1 Già col timore patisce tutto quel che teme de patire, orror ne le membra, imbecillità ne gli nervi, tremor del corpo, anxia del spirito;
e si fa presente quel che non gli è sopragionto ancora, ed è certo peggiore che sopragiongere gli possa. Che cosa più stolta che dolere per cosa futura, absente e la qual presente non
si sente?
Cesarino. Queste son considerazioni su la superficie e l' istoriale de la figura. Ma il proposito del furioso eroico penso che verse circa l’'imbecillità de l’ ingegno umano, il quale, attento a la divina impresa, in un subito talvolta si trova ingolfato nell’abisso della eccellenza incomprensibile; onde il senso ed imaginazione vien confusa ed assor-
1
p. 64, (B.
(Parafrasi
n. 62.)
[207-8]))
di
Sen.,
(W. II, 400-1)
Thyestes,
v.
(L. 715-6) IIIO
572:
cir.
Lim.,
(G.1 II, 432-3)
Saggio
cecc.,
(G.2 II, 461-2).
PARTE
SECONDA
bita, che non sapendo
- DIALOGO
passar avanti,
PRIMO
né tornar a dietro,
né dove voltarsi, svanisce e perde l'esser suo; non altrimente
che una stilla d’acqua che svanisce nel mare, o un picciol spirito che s’attenua perdendo la propria sustanza nell’aere spacioso ed inmenso. Maricondo. stanza,
perché
Bene,
ma
andiamone
discorrendo
verso
è notte.
Fine
del
primo
dialogo.
(B. [208]) (W. II, 4o1) (L. 716) (G.t II, 433) (G2 II, 462).
IIIl
la
DIALOGO Mariconda*. avolto
vuol
de
Qua
vedete
circa
il quale
significar come
sporta
ma
lacci,
il suo
l’inalza,
servo,
lo
libertade. Cesarino.
SECONDO un
giogo
è scritto:
l'amor
divino
cattivo
e schiavo
sulleva,
Priegovi,
fiammeggiante
non
leggiamo
Levius
aura;
che
aggreva,
non
tra-
al basso,
il magnifica
sopra
presto
se pur
in quello
Mariconda.
Dice
non si trova
al fondo;
qualsivoglia
l'articolo,
con più ordine, proprietà e brevità possiamo senso,
ed
perché
considerar il
altro.
cossi:
Chi fémmi ad altro! amor la mente desta, Chi fémmi ogni altra diva e vile e vana,
In cui beltade
Unicamente più Quell' è ch'io
Cacciatrice
di
e la bontà sovrana si manifesta; viddi uscir da
me,
la mia
Diana,
la foresta,
Tra belle ninfe su l’aura Campana,
Per cui dissi ad Amor: — Mi rendo a questa. Ed egli a me: — O fortunato amante! O dal tuo fato gradito consorte!
Ché
colei
Quai
I B:
sola
che
tra
ha nel grembo
tante
e tante,
la vita e la morte,
Più adorna il mondo con le grazie Ottenesti per studio e per sorte;
sante,
Mariconda;
la prima
WLG!:
—
Maricondo.
Ma
non
è f. er-
(rata; perché appunto questa si trova non solo nelle Numerazioni del 1545 {cc. 23v e 20v) e del 1563 (cc. 58r e sor) de’ Fuochi, ma
anche nel primo ' Alfabeto delle Casare de Citatini Nolani onorate (c. 81v) del Ms. c. della Biblioteca dell’ Oratorio % (L: altr'; M emenda alto (cfr. p. 1119).)
(B. [209-10])
(W. II, 401-2)
(L. 716-7) XII2
(G.! 1I, [4341)
di Napoli.
(G.2 II, [463]).
PARTE
SECONDA
Ne l’amorosa
Si
Che
altamente
non
corte
felice
invidii
DIALOGO
cattivo?
a-sciolto
SECONDO
4
altr'uomo
o divo.
Vedi quanto sia contento sotto tal giogo, tal coniugio, tal soma che l’ ha cattivato a quella che vedde uscir da la foresta, dal deserto, da la selva; cioè da parti rimosse dalla
moltitudine, dalla conversazione, dal volgo, le quali son lustrate da pochi. Diana, splendor di specie intelligibili, è cacciatrice di sé, perché con la sua bellezza e grazia l' ha ferito prima e se l’ ha legato poi; e tienlo sotto il suo imperio più contento che mai altrimente avesse potuto essere. Questa dice
titudine
d’altre
Campana,
a Nola, si rese, che per che, tra
tra
belle
specie,
forme
ninfe,
ed
cioè quello ingegno
idee;
e
cioè tra la mol
su
l’aura
e spirito che si mostrò
che giace al piano de l’orizonte Campano. A quella quella più ch’altra gli venne lodata da l’amore, lei vuol che sì tegna tanto fortunato, come quella tutte quante si fanno presenti ed absenti da gli
occhi de mortali, più altamente adorna il mondo,
fa l'uomo
glorioso e bello. Quindi dice aver sf desta la mente ad eccellente amore, che apprende ogni altra diva, cioè cura ed osservanza d’ogni altra specie, vile e vana. Or in questo che dice aver desta la mente ad amor alto, ne porge essempio de_magnificar tanto alto il core per gli pensieri, studii ed oprè,-quanto più possibil fia, e non intrattenerci a cose basse e messe sotto la nostra facultade,
come
accade
a coloro
che
o per
avarizia,
o per
negligenza, o pur altra dapocagine rimagnono in questo breve spacio de vita attaccati a cose indegne. Cesarino. Bisogna che siano ! arteggiani, meccanici, agri1
(LFM:
(B. [210-2])
siano;
G! G?:
(W. II, 402)
sieno)
(L. 717) (G.! II, [434]-5)
1113
(G.2 II, [463]-4).
DE
coltori,
servidori,
simili:
perché
sofi,
contemplativi,
illustri,
EROICI
pedoni,
altri nobili,
GLI
ignobili,
altrimente coltori
ricchi,
FURORI
vili, poveri,
non
degli
potrebono
animi,
sapienti
ed
pedanti
essere
padroni,
altri
che
ed
filo-
capitani,
siano
eroici
simili a gli dei. Però a che doviamo forzarci ! di corrompere
il stato della natura il quale ha distinto l'universo in cose maggiori e minori, superiori ed inferiori, illustri ed oscure, degne ed indegne, non solo fuor di noi, ma ed ancora dentro di noi, nella nostra sustanza di
sustanza
che
s’afferma
medesima,
inmateriale;
sin a quella parte come
genze altre son suggette, altre preminenti, ubediscono, altre comandano
delle
intelli-
altre serveno ed
e governano ? Però io crederei
che questo non
deve esser messo
delle
al fine
per essempio,
a fin che,
li sudditi volendo essere superiori, e gl’ignobili uguali a gli nobili, non vegna a pervertirsi e confondersi l'ordine cose,
che
succeda
certa
neutralità
e bestiale
equalità, quale si ritrova in certe deserte ed inculte republiche. Non vedete oltre in quanta iattura siano venute le scienze per questa caggione, che gli pedanti hanno voluto essere filosofi, trattar cose naturali, intromettersi a determinar di cose divine ? Chi non vede quanto male è accaduto ed accade per averno simili fatte ad alti amori le menti deste? Chi ha buon senso, e non vede del profitto che fe’ Aristotele, che era maestro de lettere umane ad Alessandro, quando applicò alto il suo spirito a contrastare e muover guerra
a la dottrina
pitagorica
e quella
de’
filosofi natu-
rali ?, volendo con il suo raciocinio3 logicale ponere diffi1 BL:
? Cioè
forzarsi.
i filosofi
3 È' parso,
ma
naturalisti,
non
i fisiologi
è, errore
dopo, si trovi la f. comune.
presocratici.
di stampa,
Perché
quantunque,
prima
B. dà altri esempi di doppioni
{B. [212-3]) (W. II, 402-3) (L. 717-8) (G.1 II, 435-6) (G.2 IL, 464-5). III4
e
PARTE
SECONDA
- I IALOGO
SECONDO
nizioni, nozioni, certe quinte entitadi ed altri parti ed aborsi ! de fantastica cogitazione per principi e sustanza di cose, studioso più della fede del volgo e sciocca moltitudine, che viene più incaminata e guidata con sofismi ed apparenze che si trovano nella superficie delle cose, che della verità che è occolta nella sustanza di quelle ed è la sustanza medesima loro? Fece egli Ia mente desta non a farsi
contemplatore,
ma
giudice
e
sentenziatore
di
cose
che non aveva studiate mai, né bene intese. Cossi a’ tempi nostri quel tanto di buono ch'egli apporta, e singulare di raggione inventiva, indicativa e di metafisica, per ministerio d’altri pedanti che lavorano col medesimo sursunm corda, vegnono instituite nove dialettiche = e modi di formar la raggione tanto più vili di quello d'’Aristotele, quanto forse la filosofia d’Aristotele è incomparabilmente pid vile di quella de gli antichi. Il che è pure avvenuto da quel che certi grammatisti, dopo che sono invecchiati nelle culine de
fanciulli
destar
e notomie
la mente
de
frasi
a far nuove
e de
vocaboli,
logiche
han
voluto
e metafisiche,
giudi-
cando e sentenziando quelle che mai studiorno ed ora non intendono. Là onde cossi questi, col favore della ignorante moltitudine (al cui ingegno son più conformi), potranno3 cossî 4 ben donar il crollo alle umanitadi e raziocinii d’Aristotele,
come
questo
sofie. Vedi dunque simili. P. e., subito spacio; ecc. 1 Anche questa ma
cfr. sopra,
p.
fu carnefice delle
altrui
a che suol promovere qui
appresso,
583,
n. 3.
a Pietro
filo-
questo consiglio,
a p. 1128: nemicicia; a p. 1168!
f. è sembrata
% Nuova allusione 3 GI: si potranno. 4 WGI: così.
divine
crronea
Ramo.
Cfr.
ed
è stata
p. 260,
emendata;
n. 2.
(B. [213-4]) (W. II, 403) (L. 718-9) (G.1 II, 436-7) (G2 II, 465-6). I1I5
DE
GLI
EROICI
se tutti aspireno al splendor prese vili e vane. Mariconda.
FURORI
santo, ed abbiano
altre im-
ride, si sapis, o puella, ride,
Pelignus, puto, dixerat poeta; Sed non dixerat omnibus puellis; Et
Non
si dixerit
omnibus
dixit tibi. Tu
puellis,
puella
non
cs!.
Cossi il sursum corda non è intonato a tutti, ma a quelli ‘ch’ hanno l’ali. Veggiamo bene che mai la pedantaria è stata più in exaltazione per governare il mondo, che a’ tempi nostri; la quale fa tanti camini de vere specie intel-
ligibili ed oggetti de l'unica veritade infallibile, quanti possano essere individui pedanti. Però a questo tempo massime denno esser isvegliati gli ben nati spiriti, armati dalla verità ed illustrati dalla divina intelligenza, di
prender
l’armi
contra la fosca ignoranza,
montando
su
l’alta rocca ed eminente torre della contemplazione. A costoro conviene d’aver ogni altra impresa per vile e vana. Questi non denno in cose leggieri e vane spendere il tempo la cui velocità è infinita; essendo che sf mirabilmente
precipitoso scorra il presente, e con la medesima prestezza s'accoste
il futuro.
Quel
che
abbiamo
vissuto
è nulla,
quel
che viviamo è un punto, quel ch'abbiamo a vivere non è ancora un punto, ma può essere un punto, il quale insierne sarà e sarà stato. E tra tanto questo s' intesse la memoria
di genealogie,
l'altro
sta
quello
occupato
1 MARZIALE,
retto Paelignus.
attende
a moltiplicar
Epigr., II,
Nel
4°
a desciferar scritture,
1 (ma
Verum
41),
ut invece
sofismi
vv.
da
quel-
fanciulli.
1-5. Nel v. 2° va cor-
di E?
si
(ed.
Gilbert).
(B. [214-5)) (W. IL 403-4) (L. 719) (G.! II, 437-8) (G.? II, 466-7). 1116
PARTE
Vedrai,
verbi
SECONDA
grazia,
un
Cor
est fons
Ergo
cornix
Nix
est alba;
DIALOGO
volume
SECONDO
pieno
di:
vitae, est fons
vitae alba.
Quell’altro garrisce, se il nome fu prima o il verbo; l’altro, se il mare o gli fonti; l'altro vuol rinovare gli vocaboli absoleti * che,
per
esserno
venuti
una
volta
in uso
e pro-
posito d'un scrittore antico, ora de nuovo le vuol far montar a gli astri; l'altro sta su la falsa e vera ortografia; altri
sono
sopra
altre
ed
altre
simili
altri ed
frascarie;
le
quali
molto più degnamente son spreggiate che intese. Qua diggiunano, qua ismagriscono, qua intisichiscono, qua arrugano la pelle, qua allungano la barba, qua marciscono, qua
poneno
l’àncora
del sommo
bene.
Con
questo
spreg-
giano la fortuna, con questo fan riparo e poneno il scudo contra le lanciate del fato. Con tali e simili vilissimi pensieri credeno montar a gli astri, esser pari a gli dei, e comprendere il bello e buono che promette la filosofia. Cesarino.
È gran 8osa certo che il tempo, che non può
bastarci manco alle cose necessarie, quantunque diligentissimamente
guardato,
viene pera
maggior
parte
ad esser
sottosopra,
tutto era in ruina, era acceso il fuoco ne la sua
speso in cose superflue, anzi cose vili e vergognose. Non è da ridere di quello che fa lodabile Archimede o altro appresso alcuni, che a tempo che la cittade andava
1 B: absoleti; errore di stampa,
fusione di obsolesco
medesimo
{(p. 497),
WLG!: obsoleti. Non è improbabile che non sia ma piuttosto equivoco del B. dipeso dalla concon
significato.
egli non
absoleo,
Certo,
scrive
verbi
anche
di diversa
altrove,
diversamente.
come
coniugazione
nel
De
ma
di
l'infinito
(B. [215-6)) (W. IL, 404) (L. 719-20) (G.t IL, 438) (G2 II, 467). 1117
DE
stanza,
gli nemici
GLI
EROICI
gli erano
FURORI
dentro
la camera
a le spalli,
nella discrezion ed arbitrio de quali consisteva de fargli perdere l’arte, il cervello e la vita; e lui tra tanto avea
perso il senso e proposito di salvar la vita, per averlo laa perseguitar
a dietro
sciato
de la
la proporzione
forse
curva a la retta, del diametro al circolo o altre simili matesi 1,
tanto degne per giovanetti quanto essere
devrebbe
posseva,
invecchiato
atter.o
ed
più degne d’esser messe per fine de l'umano studio.
cose
a
In proposito di questo, mi piace quello che
Mariconda.
avanti
poco
medesimo
voi
se
che,
d’uno
indegne
dicesti :,
ch’ il
bisogna
che
sia pieno de tutte sorte de persone, e che il numero
mondo
degl’ imperfetti, brutti, poveri, indegni e scelerati sia maggiore; ed in conclusione, non debba essere altrimente che Prisciano, trovati
ed altri, che da la morte son 1 stati
di Donato
occupati
sopra
li
numeri,
le
dialecti, sillogismi
‘scienza’,
‘ disciplina’,
le
dizioni,
le
linee,
scritture,
concordanze,
di
Euclide,
è. La età lunga e vechiaia d' Archimede,
come
formali, metodi,
modi de scienze, organi ed altre isagogie, è stata ordinata al servizio della gioventi e de’ fanciulli, gli quali apprender possano e ricevere gli frutti della matura età di quelli, come conviene che siano mangiati da questi nella lor verde4 etade; a fin che più adulti vegnano senza impedimento atti e pronti a cose maggiori. Cesarino. To non son fuor del proposito che poco avanti ho mosso; essendo in proposito di quei che fanno studio 1 Qui
non
‘quesito ’, ‘ problema '
e simili.
come
suona
in
2 Cfr., per voi dicesti, p. 137, n. 3. nonché l' Introd. PP. LVII e LIX, e n. I a p. LIX. 3
(LM:
4 BL: (B.
[216-7])
son;
veder. (W.
G!G3:
greco,
al
ma
Cand.?,
sono)
II, 404-5)
(L. 720)
1118
(G.1 II, 438-9)
(G.? II, 467-8).
PARTE
SECONDA
DIALOGO
SECONDO
d’ involar la fama e luogo de gli antichi con far nove opre o peggiori, o non megliori de le già fatte, e spendeno la vita su le considerazioni da mettere avanti la lana di capra o l'ombra de l'asino; ed altri che in tutto il tempo de la vita studiano di farsi esquisiti in que’ studii che convegnono alla fanciullezza, e per la massima parte il fanno senza proprio ed altrui profitto. Mariconda. Or assai è detto circa quelli che non possono né debbono ardire d'aver ad alto amor la mente desta. Venemo ora a considerare della volontaria cattività e dell'ameno giogo sotto l’ imperio de la detta Diana: quel giogo, dico, senza il quale l’anima è impotente de rimontar a quella altezza, da la qual cadio !, percioché la rende più leggiera ed agile; e gli lacci la fanno più ispedita e sciolta. Cesarino. Discorrete dunque. Mariconda. ordine, che
Per cominciar, continuar e conchiudere con
considero
vive,
che
conviene
tutto
che
quel
in qualche
che
vive,
in
maniera
quel
modo
si nodrisca,
sì
pasca. Però a la natura intellettuale non quadra altra pastura che intellettuale, come al corpo non altra che corporale: atteso che il nodrimento non si prende per altro fine,
eccetto
perché
vada
in sustanza
de
chi
si nodrisce.
Come dunque il corpo non si trasmuta in spirito, né il spirito si trasmuta in corpo (perché ogni trasmutazione si fa quando
la materia
che
era
sotto
la forma
de
uno,
viene ad essere sotto la forma de l’altro), cossi il spirito ed il corpo non hanno materia commune, di sorte che quello
1 Napol.:
(B.
[217-8))
cadie,
(W.
cadieno:
II, 405)
caddero.
(L. 720-1) (G.! II, 439-40)
1119
(G.2 II, 468-9).
DE
ch'era
soggetto
a uno,
de l'altro.
Cesarino. tarebe
GLI
Certo
meglio
EROICI
possa dovenire
se l’anima
dove
FURORI
è
la
ad essere ! soggetto
se nodrisse
fecondità
de corpo,
si por-
materia
(come
della
argumenta Iamblico); di sorte che, quando ne si fa presente un corpo grasso e grosso, potremmo credere che sia vase
d’un.animo
gagliardo,
fermo,
pronto,
eroico,
e dire:
O anima grassa, o fecondo spirito, o bello ingegnu, o divina
intelligenza, o mente
illustre, o benedetta
un convito a gli leoni, over un banchetto un
vecchio,
come
appare
marcido,
ipostasi da far
a i dogs ?. Cossi
debole
e diminuito
de
forze, debba esser stimato de poco sale, discorso e raggione. Ma seguitate. Mariconda. Or l’esca de la mente bisogna dire che sia quella sola che sempre
da lei è bramata,
cercata,
abbrac-
ciata e volentieri più ch’altra cosa gustata; per cui s'empie,
s'appaga, ha prò e dovien megliore: cioè la verità alla quale in ogni tempo, in ogni etade ed in qualsivoglia stato che si trove l’uomo, sempre aspira, e per cui suol spreggiar qual-
sivoglia fatica, tentar ogni studio, non far caso del corpo ed aver in odio questa vita. Perché la verità è cosa incorporea; perché nessuna, o sia fisica, o sia metafisica, o sia matematica, si trova nel corpo; perché vedete che l’eterna essenza umana non è ne gl’individui li quali nascono e muoiono.
tudine
È la unità specifica,
numerale
Però
chiamò
come
specie
1
(LFM!:
® Dog
che
comporta
l’idea uno
e molti,
incorrottibile, essere;
G!
(inglese), cane.
disse Platone,
e G%:
è cosa
la
non la molti-
sustanza
de
stabile e mobile;
intelligibile
le cose. perché,
ed una;
e
esser)
(B. [218-9]) (W. IL 405-6) (L. 721) (G.1 II, 440-1) (G2 II, 469-790). 1120
PARTE
SECONDA
DIALOGO
SECONDO
come si communica alla materia ed è sotto il moto e generazione, è cosa sensibile e molti. In questo secondo modo ha più de non ente che di ente: atteso che sempre è altro ed altro, e corre eterno per la privazione. Nel primo modo è ente e vero. Vedete appresso che gli matematici hanno per conceduto che le vere figure non si trovano ne gli corpi naturali, né vi possono essere per forza di natura, né di arte. Sapete ancora che la verità de sustanze sopranaturali è sopra la materia. Conchiudesi
dunque,
che
a chi
cerca
il vero,
montar sopra la raggione de cose corporee. da considerare
bisogna
Oltre di ciò è
che tutto quel che si pasce, ha certa mente
e memoria naturale del suo cibo, e sempre {massime quando fia più necessario) ha presente la similitudine e specie di quello, tanto più altamente, quanto è più alto e glorioso chi ambisce, e quello che si cerca. Da questo, che ogni cosa ha innata la intelligenza
de quelle cose che
appartegnono
alla conservazione de l'individuo e specie, ed oltre alla perfezion sua finale, depende la industria di cercare il suo pasto
per qualche
Conviene,
l'ingegno
specie
dunque,
di venazione.
che
l’anima
e gl’ instrumenti
corre la contemplazione,
umana
abbia
atti alla sua caccia.
qua
viene
il lume,
Qua
in uso la logica,
socattis-
simo organo alla venazione della verità, per distinguere, trovare e. giudicare. Quindi si va lustrando la selva de le cose naturali, dove son tanti oggetti sotto l'ombra e manto;
e come in spessa, densa e deserta solitudine la verità suol aver gli antri
e cavernosi
ricetti,
fatti intessuti
de spine,
conchiusi de boscose, ruvide e frondose piante, dove con le raggioni più degne ed eccellenti maggiormente s'asconde, s'avvela e si profonda con diligenza maggiore; come noi (B.
[219-20])
(W.
II, 406-7)
(L. 721-2) 1I2I
(G.!
II,
441)
(G
II, 470).
‘DE
GLI
EROICI
FURORI
sogliamo gli tesori più grandi celare con maggior diligenza e cura,
accioché
dalla moltitudine
e varietà
de
cacciatori
(de quali altri son più exquisiti ed exercitati, altri meno) non vegna senza gran fatica discuoperta. Qua andò Pitagora cercandola per le sue orme e vestigii impressi nelle cose naturali,
progresso, perché
che son gli numeri
raggioni,
in numero
modi
ed
li quali mostrano
operazioni
de moltitudine,
numero
in
il suo
certo
modo;
de misure
e nu-
mero de momento o pondo la verità e l'essere si trova in tutte le cose. Qua andò Anaxagora ed Empedocle che, considerando che la omnipotente ed omniparente divinità empie
il tutto,
volessero
che
non
sotto
trovavano
quella
cosa tanto
fusse
occolta
minima
che non
secondo
tutte
le
da
le
raggioni, benché procedessero sempre ver là dove era predominante ed espressa secondo raggion più magnifica ed alta. Qua gli Caldei la cercavano per via di suttrazione, non sapendo che cosa di quella affirmare; e procedevano senza cani de demostrazioni e sillogismi; ma solamente si forzàro di profondare rimovendo, zappando, isboscando per forza di negazione de tutte specie e predicati comprensibili e secreti. Qua Platone andava como ! isvoltando, spastinando è e piantando ripari; perché le specie labili e fugaci
rimanessero
come
nella
rete,
e
trattenute
siepe 3 de le definizioni, considerando Îe cose superiori essere participativamente, e secondo similitudine speculare 1 Cfr. Spaccio, p. 757, n. 1. 2 Napoletanismo dal Iorio
col termine contrario: New World of Wordes, 261:): «pastinare,
registrato
nei
due
suoi
dizionari
of Words, 361: e 519, (Worlde as piantare o innestare; spa-
stinare, sradicare o potare». 3 B: siepe; WLG!: siepi. Correzione addotta sopra, p. 920, n. 3.
superfiua,
per
la ragione
{B. [220-1]) (W. II, 407) (L. 722-3) (G.1 II, 441-2) (G.# II, 470-1). 1122
PARTE
nelle
cose
dignità
SECONDA
inferiori,
- DIALOGO
e queste
ed eccellenza;
SECONDO
in
quelle
secondo
maggior
e la verità
essere
ne
e l'altre
l'une
secondo certa analogia, ordine e scala, nella quale sempre l’infimo de l'ordine superiore conviene con il supremo de l'ordine inferiore. E cossi si dava progresso da 1’ infimo della natura
al supremo,
come
dal male
al bene,
dalle
te-
nebre alla luce, dalla pura potenza al puro atto, per gli mezzi. Qua Aristotele si vanta pure da le orme e vestigii impressi di posser pervenire alla desiderata preda, mentre da gli effetti vuol amenarsi a le cause; benché egli per il più (massime che tutti gli altri ch’ hanno occupato il studio a questa venazione) abbia smarrito il camino per non saper
a pena distinguere de le pedate. Qua alcuni teologi, nodriti in alcune de le sette, cercano la verità della natura in tùtte-le forme naturali specifiche, nelle quali considerano ! l'essenza eterna e specifico sustantifico perpetuator della sempiterna generazione e vicissitudine de le cose, che son chiamate dei conditori e fabricatori, sopra gli quali soprasiede la forma de le forme, il fonte de Ia luce, verità de le veritadi, dio de gli dei, per
cui tutto è pieno de divinità, verità, entità, bontà. Questa
verità
è cercata
inobiettabile,
come
non
cosa
inaccessibile,
sol che incomprensibile 2. Però
pare possibile de vedere il sole, luce absoluta per specie suprema si bene
la sua
ombra,
la sua
la natura che è nelle cose,
materia,
considerato.
® Cfr. De la causa, (B.
[221-3])
(W.
—
G.
il mondo,
l'universo,
splende
nelle tenebre.
della
De
p. 285.
II, 407-8)
Liuno,
a nessun
la luce che è nell’opacità
(L. 723)
1123 75
oggetto
l’universale Apolline e ed eccellentissima; ma
Diana,
cioè quella in quanto
t BL:
come
Dieloghi
italiani
(Gt
II, 442-3)
(G2
IT, 47122).
DE
GLI
EROICI
FURORI
molti dunque, che per dette vie ed altre assai discorreno in questa deserta selva, pochissimi son quelli che s'abbattono al fonte de Diana. Molti rimagnono contenti de caccia de fiere salvatiche e meno illustri, e la massima parte non trova da comprendere avendo tese le reti al vento, e trovandosi le mani piene di mosche. Rarissimi, dico, son gli Atteoni alli quali sia dato dal destino di posser contemplar la Diana ignuda, e dovenir a tale che dalla bella, disposizione del corpo della natura invaghiti in tanto, e scorti da que’ doi lumi del gemino splendor de divina bontà e bellezza, vegnano trasformati in cervio, per quanto non siano più cacciatori ma caccia !. Perché il fine ultimo e finale di questa venazione è de venire allo acquisto di quella fugace e selvaggia preda, per cui il predator dovegna preda,
il cacciator
doventi
specie
di venaggione
caccia;
perché
in tutte le altre
che si fa de cose particolari,
il cac-
ciatore viene a cattivare a sé l'altre cose, assorbendo quelle
con la bocca de l' intelligenza propria; ma in quella divina ed universale viene talmente ad apprendere che resta necessariamente
da volgare, come quella
cervio
ancora
ordinario,
assorbito,
civile e populare
ed incola
procerità
compreso,
del deserto;
di selva,
vive
doviene
vive
nelle
unito.
salvatico
divamente
stanze
non
Onde
sotto
artificiose
di cavernosi monti, dove admira gli capi de gli gran fiumi, dove vegeta intatto e puro da ordinarie cupiditadi, dove più liberamente
conversa
la divinità,
alla quale
aspirando
tanti uomini che in terra hanno volsuto gustar vita celeste, dissero con una voce: Ecce elongavi fugiens, ct mansi in
! Per
questo
mito,
vedi
sopra,
p.
1005
sgg:
(B. [223-4)) (W. II, 408) (L. 723-4) (Gt IT, 443-4) (G* II, 472:3). 1124
PARTE
SECONDA
DIALOGO
SECONDO
solitudine *. Cossi gli cani, pensieri de cose divine, vérano questo
Atteone,
facendolo
morto
al
volgo,
alla
moltitu-
dine, sciolto dalli nodi de perturbati sensi, libero dal carnal carcere della materia; onde non più vegga come per forami
e per fenestre la sua Diana, ma avendo gittate le muraglie a terra, è tutto occhio
a l’aspetto
de tutto l’orizonte.
Di
sorte che tutto guarda come uno, non vede più per distinzioni e numeri,
diverse
che secondo
rime
fanno
la diversità
veder
ed
de sensi,
apprendere
come
de
in confusione.
Vede l’Anfitrite, il fonte de tutti numeri, de tutte specie, de
tutte
raggioni,
che
è la
monade,
vera
essenza
de
l'essere de tutti; e sé non la vede in sua essenza, in absoluta luce,
la vede
sua
imagine:
nella sua genitura perché
dalla
che
gli è simile,
monade
che
è
la
che
è la
divinitade,
procede questa monade che è la natura, l'universo, il mondo; dove
si contempla
e specchia,
come
il sole nella luna,
me-
diante la quale ne illumina trovandosi egli nell'emisfero delle sustanze intellettuali. Questa è la Diana, quello uno che è l’ istesso ente, quello ente che è l’ istesso vero, quello vero
che
è la natura
comprensibile,
in cui influisce
il sole
ed il splendor della natura superiore, secondo che la unità è destinta nella generata e generante, o producente e prodotta.
Cossi da voi medesimo
potrete conchiudere
il modo,
la dignità ed il successo più degno del cacciatore e de la caccia. Onde il furioso si vanta d'esser preda della Diana, a cui si rese, per cui si stima gradito consorte, e più felice cattivo e suggiogato, che invidiar possa ad altro uomo
1 Salmi,
n. I
2? Rima
LIV,
nel
8.
significato
latino,
come
si
è
detto
a
p.
55,
(B. [224-5)) (W. II, 408-9) (L. 724) (G.1 II, 444) (G.? II, 473).
1125
DE
GLI
EROICI
FURORI
che non ne può aver ch'altre tanto, o ad altro divo che ne ave in tal specie quale è impossibile d'essere ottenuta da natura inferiore, e per consequenza non è conveniente d’essere desiata, né meno può cadere in appetito. Cesarino,
Ho
ben
compreso
m'avete più che mediocremente ritornar
a casa.
Maricondo.
Fine
quanto
avete
e
satisfatto. Or è tempc di l
Bene. del
detto.
secondo
(B. [225]) (W. II, 409) (L. 724-5)
1120
dialogo.
(G.! II, 444-5)
(G.2 II, 473-4).
DIALOGO
TERZO
INTERLOCUTORI Liberio, Laodonio *. Liberio.
Posando
sotto l’ombra
d’un cipresso
il furioso,
e trovandosi l’alma intermittente da gli altri pensieri (cosa mirabile),
avvenne
che
(come
fussero
animali
e sustanze
de distinte raggioni e sensi) si parlassero insieme il core e gli occhi, l'uno de l’altro lamentandosi come quello che era principio di quel faticoso tormento che consumava l’alma. Laodonio. Dite, se vi ricordate, le raggioni e le paroli. Liberio.
Cominciò
il dialogo
udir dal petto, proruppe
il core,
il qual,
facendosi
in questi accenti:
Prima proposta del core a gli occhi. Come,
Quel
che
occhi da
miei, si forte mi tormenta
voi
deriva
ardente
foco,
Ch'al mio mortal suggetto mai allenta? Di serbar tal incendio, ch' ho per poco 1 Di costoro, come già di Armesso nel primo dialogo della Causa (p. 119), fin oggi non si è saputo dir nulla. Al più si può pensare che ‘ Liberio * sia un nome derivato da Liber, a’ giorni nostri ‘ Li-
veri’,
il «casale»
nolano
che il 3 aprile
1563
contava
appena
un
centinaio di «focolari » (in cc. 147r -159v de' Fuochi di Nola), edificato, appiè del colle Pergola, a non più d’un chilometro di distanza da S. Paolo, e nella propria fanciullezza frequentato dal filosofo, come
lui
stesso
ebbe
a ricordare
nel
De
magia
(cfr.
Vita,
p.
62,
e
ivi n. 4 della p. St). In proposito giova avvertire un uso dei Nolani che risulta dai Fuochi, il prendere talora per cognomi i nomi dei «casali », ad esempio Camposano, Visciano, Faivano, ecc. 2% W: rallenta.
(B. [226-7)) (W. II, 410) (L. 725) (G. II, [446]) (G2 II, [475)). 1127
DE
GLI
EROICI
FURORI
L'umor dell’ Occàn e di più lenta Artica stella il più gelato loco,
Perché ivi in punto si reprima il vampo, O al men mi si prometta ombra di scampo? Voi mi féste cattivo D’una man che mi tiene, e non mi vuole; Per
voi
Non
so
Son
son
entro
quel
che
principio
Ch'appartegno
Laodonio.
al corpo,
de vita, mi
sia,
e fuor
e non
a quest’alma,
Veramente
son
e non
col
sole;
vivo;
è mia.
l' intendere, il vedere, il conoscere
è quello che accende il desio, e per consequenza, per ministerio de gli occhi, vien infiammato il core: e quanto a quelli fia presente più alto e degno oggetto, tanto più forte è il foco e più vivaci son le fiamme. Or qual esser deve quella specie per cui tanto si sente acceso il core, che non spera che temprar possa il suo ardore tanto più fredda quanto più lenta stella che sia conchiusa nell'artico cerchio, né rallentar il vampo l’umor intiero de l'Oceano ? Quanta deve essere ! l'eccellenza di quello oggetto che l’ha reso nemico de l'esser suo, rubello a l’alrma propria, e contento di tal ribellione e nemicicia, quantunque sia cattivo d'una man che ’I dispreggia e non lo vuole? Ma fatemi udire se gli occhi risposero e che cosa dissero. Liberio. Quelli, per il contrario, si lagnavano del core, co-
me quello che era principio e caggione per cui versassero tante lacrime. Però a l'incontro gli proposero in questo tenore:
Prima proposta de gli occhi al core. Come
da te sorgon?
tant’acqui,
o core,
Da quante mai Nereidi alzàr la fronte Ch'ogni giorno al bel sol rinasce e muore?
A par de l'Anfitrite il doppio 1
*
(LM: (G1
essere;
= L:
G! G2:
sorgon;
G*:
esser)
sorgono
fonte
(svista
tipogr.))
(B. [227-81) (W. II, 410-1) (L. 725-6) (G.! II, [446]-7) (G.* IT, [475)-6).
1128
PARTE Versar
Che
puoi
Che
SECONDA
-.DIALOGO
può
fiumi
sf gran
dir
che
l'umor
Die'
A
Tu,
al mondo
tanto
gli fia piccio! rio chi Egitto
Scorrend' al mar
per sette
natura doi lumi
questo
picciol mondo
perversor
di
TERZO fore,
surmonte,
doppia
inonda,
sponda.
per governo;
quell'ordin
eterno,
Le convertiste in sempiterni
E questo il ciel non cura, Ché il natio passa, e ’l violento
fiumi. dura.
Laodonio. Certo ch’ il cor acceso e compunto
fa sorger
lacrime da gli occhi, onde, come quelli accendeno
le fiamme
in questo,
quest'altro viene a rigar quelli d'umore.
Ma mi
maraviglio de si forte exaggerazione, per cui dicono che le Nereidi-non
quanta gliansi possano a loro,
alzano
tanto
bagnata
fronte
a l'oriente
sole,
possa appareggiar queste acqui. Ed oltre agguaall’ Oceano, non perché versino, ma -perché versar questi doi fonti fiumi tali e tanti, che, computato il Nilo apparirebbe una picciola lava! distinta in
sette canali.
Liberio. Non ti maravigliar della forte exaggerazione e di quella potenza priva de l’atto; perché tutto intenderete dopo intesa la conchiusione de raggionamenti loro. Or odi come prima il core risponde alla proposta de gli occhi. Laodonio.
Priegovi,
fatemi
intendere.
Liberio.
Prima risposta del core a gli occhi. Ed
Occhi, s' in me altro non son
E
veggio
Se quel Ma
ch'a
per
me
mio
fiamma immortal s’alluma, io che fuoco ardente,
s'avvicina incendio
s'infuma,
il ciel
fervente;
Come il gran vampo mio non vi consuma, l'effetto contrario in voi si sente?
1 W, cava. (B. [228-30])
Per
lava
(W. II, 411-2)
poi cfr. p. 60, n. 1. (L. 726-7) (G.! II, 447-8)
1129
(G2 II, 476-7).
DE
GLI
EROICI
FURORI
Come vi bagno, e più tosto non cuoco, Se non umor, ma è mia sustanza fuoco? Credete, ciechi voi,
Che
da
si ardente
incendio
derivi
El doppio varco, e que’ doi fonti vivi Da Vulcan abbian gli elementi suoi, Come tal volt’ acquista Torza
un
contrario,
se l’altro resista?
Vede, come non possea persuadersi il core di posser da contraria causa e principio procedere forza di contrario effetto, sin a questo che non vuol affirmare il modo possibile, quando per via d'antiperistasi, che signi fica il vigor che acquista il contrario da quel che, fuggendo l'altro,
viene
ad
unirsi,
inspessarsi,
inglobarsi
e
concen-
trarsi verso l'individuo della sua virtude, la qual, quanto più s'allontana dalle dimensioni, tanto si rende efficace di vantaggio. Laodonio. Dite ora come gli occhi risposero al core, Liberio. Prima risposta de gli occhi al core. Ahi,
cor,
tua
passion
sf ti confonde,
Ch' hai smarrito il sentier di tutt’ il vero. Quanto si vede in noi, quanto s’asconde,
È semenza de’ mari; onde l’intero
Nettun potrà ricovrar non altronde, Se per sorte perdesse il grand’ impero; Come
da
Che siam Sei
Che
noi
del mare
si privo
per
deriva
noi
di
credi
fiamma
il gemino
senso,
la fiamma
ardente,
parente?
trapasse,
E tant'umide porte a dietro lasse,
©
Per
far sentir
a te l'ardor
immenso?
Come splendor per vetri, Crederai forse che per noi penétri ?
Qua
non
voglio filosofare circa la coincidenza
de la quale ho studiato nel libro (B.
[230-2])
(W.
II, 412)
(L. 727-9)
1130
De
de contrarii,
principio
(GI II, 448-9)
ed
(G.3 II, 477-8).
PARTE
SECONDA
- DIALOGO
TERZO
uno:; e voglio supponere quello che comunmente si suppone, che gli contrarii nel medesimo geno son distantissimi, onde vegna più facilmente appreso il sentimento di questa risposta, dove gli occhi si dicono semi o fonti, nella virtual potenza de quali è il mare; di sorte che, se Nettuno perdesse tutte l'acqui, le potrebbe richiamar in atto dalla potenza loro, dove
sono
come
possono
al calore
in principio
agente e mate-
riale. Però non metteno urgente necessità, quando dicono non posser essere che la fiamma per la lor stanza e cortile trapasse al core con lasciarsi tant'acqui a dietro, per due caggioni: prima perché tal impedimento in atto non può essere, se non posti in atto tali oltraggiosi ripari; secondo perché, per quanto l’acqui sono attualmente ne gli occhi, donar
via
come
alla
luce;
essendo
che
l'esperienza dimostra che senza scaldar il specchio viene il luminoso raggio ad accendere per via di reflessione qualche materia che gli vegna opposta; e per un vetro, cristallo, o altro vase pieno d'acqua, passa il raggio ad accendere una
cosa sottoposta
senza
che
scalde
il spesso
corpo
tra-
mezzante: come è verisimile ed anco vero che caggione secche ed aduste impressioni nelle concavitadi del profondo mare. Talmente
per certa similitudine, se non per raggioni
di medesimo geno, si può considerare come sia possibile che per il senso lubrico ed oscuro de gli occhi possa esser
scaldato ed acceso di quella luce l'affetto, la quale secondo
medesima raggione non può essere nel mezzo. Come la luce del sole, secondo altra raggione, è nell'aria tramezzante, altra nel senso vicino ed altra nel senso commune ed altra
! Cfr. pp.
338-40.
(B. [232-3]) (W. II, 412-3) (L. 728) (G.! IL 4490-50) (G.? II, 478-9).
113I
DE
GLI
EROICI
FURORI
ne l'intelletto, quantunque da un modo proceda l'altro modo di essere. Laodonio. Sonvi altri discorsi? Liberio. Si; perché l’uno e l’altro tentano di saper con qual modo quello contegna tante fiamme, e quelli tante acqui.
Fa,
dunque,
il core la seconda
proposta:
Seconda: proposta del core 1. E
S'al
da
Vien
mar
fiumi
spumoso
del mar
impregnato:
Non
fan concorso
è doppio
il cieco
ond'è
i fiumi,
varco
che
da
torrente al mondo
voi,
lumi,
scarco,
Che cresca il regno a gli marini numi, Scemando ad altri il glorioso incarco? Perché non fia che si vegga quel giorno, Ch'a i monti fa Deucalion ritorno?
Dove ‘gli rivi sparsi ?
Dove% il torrente
che
O per ciò non posser, Goccia
non
scende
Per cui fia ch’ io non
Che
sia
Dimanda: atto? Se
cossî,
come
son
fiamma
smorze,
più la rinforze?
a terra
pensi
ad
mostrano
qual potenza
tante
mia
inglobarsi,
i sensi?
è questa
l’acqui,
perché
che
non
Nettuno
si pone non
viene
in a
tiranneggiar su l’imperio de gli altri elementi? Ove son gli inandanti rivi ? Ove chi dia refrigerio al fuoco ardente? Dove è una 3 stilla onde io possa affinmar de gli occhi quel tanto
che niegano
un'altra dimanda:
i sensi?
—
Ma
gli occhi di pari fanno
Seconda proposta de gli occhi al core. Se la materia convertita in foco Acquista il moto di lieve elemento, 1 IW:
2 W:
3 G1:
(B. 233-4))
del core a gli occhi.
Dov'è. Dove
(W.
una. II, 413-4)
(L. 728-9)
1132
(Gt II, 450-1)
(G.? IT, 479-80).
PARTE E se Onde
SECONDA
ne sale avvien
- DIALOGO
a l’eminente loco, che, veloce più che
TERZO
vento,
Tu ch'incendio d'amor senti non poco, Non ti fai gionto al sole in un momento? Perché soggiorni peregrino al basso, Non t’aprendo per noi e l’aria il passo? Favilla non si scorge
Uscir a l'aria aperto
Né
corpo appar incenerit’ o adusto, Né lacrimoso fumo ad alto sorge:
Tutt' è nel proprio Né
da quel busto,
di fiamma
intiero,
è raggion,
senso
o pensiero.
Laodonio. Non ha più né meno efficacia questa che quell’altra proposta. Ma vengasi presto alle risposte, se vi sono. Liberio. Vi son certamente e piene di succhio. Udite: Seconda risposta del core a gli occhi. Sciocco
è colui
che sol per quanto
appare
Al senso ed oltre a la raggion non crede: Il fuoco mio non puote alto volare, E l'infinito
Perché
incendio
non
de gli occhi han
si vede;
sopraposto.il
E un infinito l’altro non eccede: La natura non vuol ch' il tutto pera, Se basta tanto fuoco a tanta sfera.
Ditemi, occhi, per Dio, Qual mai partito prenderemo Onde
Per
far
possa
scampo
aperto
suo,
o io,
de l'alma
Se l’un e l’altro ascoso Mai potrà fargli il bel nume
Laodonio.
cossî,
è molto
mare,
noi,
o
voi,
il fato
rio,
piatoso?
Se non è vero, è molto ben trovato:
bene
iscusato
l'uno
per
l’altro;
se non è
se,
stante
che dove son due forze, de quali l'una non è maggior de l'altra, bisogna che cesse l'operazion di questa e quella,
(B.
1 WG1:
de le quali.
[234-6))
(W. II, 414-5)
(L. 729-30) II33
(G.1 II, 451-2)
(G.3 II, 480-1).
DE
GLI
EROICI
FURORI
essendo che tanto questa può resistere quanto quella insistere; non meno quella ripugna che possa oppugnar questa: se dunque è infinito il mare ed inmensa la forza de le lacrime che sono ne gli occhi, non faranno giamai ch’apparir possa favillando o isvampando l’impeto del fuoco ascoso nel petto; né quelli mandar potranno il gemino torrente al mare, se con altretanto di vigore gli fa riparo il core. Però accade che il bel nume per apparenza di lacrima che stille da gli occhi, o favilla che si spicche dal petto, non possa esser invitato ad esser piatoso a l’alma afflitta. Liberio. Or notate la conseguente risposta de gli occhi: Seconda risposta de gli occhi al core. Ahi,
per
versar
a l'elemento
ondoso,
L' &mpito de noi fonti al tutt’ è casso; Ché contraria potenza il tien ascoso,
Acciò non mande a rotilon! per basso. L’ infinito vigor del cor focoso A i pur tropp’alti niega il passo; Quindi gemino varco al mar non corre,
Ch' il coperto Or
dinne,
terren natura aborre.
afflitto
core,
Che puoi opporti a noi con altre tanto Vigor: chi fia giamai che porte il vanto D’esser precon di si ’nfelice amore, S' il tuo e nostro male Quant'è
più
grande,
men
mostrarsi
vale? è
Per essere infinito l'un e l’altro male, come doi ugualmente vigorosi contrarii si ritegnono, si supprimeno; e non
potrebbe
esser
cossi,
se
l'uno
e l’altro
fusse
finito,
atteso che non si dà equalità puntuale nelle cose naturali, né ancora
sarebbe
nito;
certo
{(B.
ma
cossi,
questo
! F. erronea.
Rotoloni.
[236-8])
II, 415)
(W.
se l'uno fusse finito e l’altro infi-
assorbirebbe
(L. 730-1)
1134
quello,
(G.! II, 452)
ed
avverrebe
(G.2 II,
381-2).
PARTE
SECONDA
DIALOGO
TERZO
che si mostrarebbono ambi doi o al men l'uno per l’altro. Sotto queste sentenze, la filosofia naturale ed etica che vi sta
occolta,
lascio
cercarla,
considerarla
e
comprenderla
a chi vuole e puote. Sol questo non voglio lasciare, che non
senza raggione l’affezion del core è dall’apprension de gli occhi. Perché getto de la mente, ed a l'intelletto oggetto proposto, non può essere la
detta infinito mare essendo infinito l’ognon essendo definito volontade appagata
de finito bene; ma se oltre a quello si ritrova altro, il brama,
il cerca, perché (come è detto commune) il summo della specie inferiore è infimo e principio della specie superiore, o si prendano gli gradi secondo le forme le quali non possiamo
stimar
che siano
infinite,
o secondo
gli modi
e rag-
gioni di quelle, nella qual maniera, per essere infinito il sommo bene, infinitamente crederno che si comunica secondo la condizione delle cose alle quali si diffonde. Però non è specie definita a l'universo (parlo secondo la figura e mole),
non
è specie definita a l’ intelletto, non
la specie de l'affetto. Laodonio. Dunque
queste due potenze
sono, né essere possono perfette mente si referiscono a quello,
è definita
de l’anima mai
per l'oggetto,
se infinita-
Liberio. Cossi sarrebe se questo infinito fusse per privazion negativa o negazion privativa de fine, come è per più positiva affirmazione de fine infinito ed interminato. Laodonio. Volete dir dunque due specie d’ infinità: l'una privativa, la qual può essere verso qualche cosa che è potenza,
come
infinite son
le tenebre,
il fine delle
quali
è posizione di luce; l’altra perfettiva, la quale è circa l’atto e perfezione,
come
infinita
sarebbe privazione e tenebre. (B.
1238-9])
(VW.
II,
415-6)
è la
luce,
il fine
della
In questo dunque
(L. 731) 1135
(G.
II,
452-3)
(G.2
quale
che l' inII,
482).
DE
GLI
EROICI
FURORI
telletto concepe la luce, il bene, il bello, per quanto s’estende
l'orizonte
della sua capacità,
tare divino
e de la fonte
e l’anima
che
de vita eterna,
beve
del net-
per quanto
com-
porta il vase proprio; si vede che la luce è oltre la circun-
ferenza del suo penetrando; ed mente fecondo, Liberio ». Da
orizonte, dove può il nettare e fonte onde possa sempre qua non séguita
andar sempre più e pii d'acqua viva è infinitaoltre ed oltre inebriarsi. imperfezione nell'oggetto
né poca satisfazione nella potenza;
ma
che la potenza sia
compresa da l'oggetto e beatificamente assorbita da quello. Qua gli occhi imprimeno nel core, cioè nell' intelligenza, suscitano nella volontà un infinito tormento di suave amore; dove non è pena, perché non s’abbia quel che si
desidera, ma è felicità, perché sempre vi si trova quel che si cerca:
ed in tanto non vi è sazietà, per quanto
gustato,
ma
sempre
s'abbia appetito, e per consequenza gusto; acciò non sia come nelli cibi del corpo, il quale con la sazietà perde il gusto, e non ha felicità prima che guste, né dopo ch' ha termine
nel
e fine,
gustar viene
solamente;
ad
aver
fastidio
dove
se
passa
certo
e nausea.
Vedi, dunque, in certa similitudine qualmente il sommo bene deve essere infinito, e l’appulso de l'affetto verso e circa quello esser deggia talvolta a non esser bene: se non ha modo, viene ad de l’ Oceano non estingue
anco infinito, acciò non vegna come il cibo che è buono al corpo, essere veleno. Ecco come l'umor quel vampo, ed il rigor de l’Ar-
tico cerchio non tempra quell’ardore. Cossi è cattivo d'una
mano
che il tiene e non lo vuole:
il tiene, perché l’ ha per
in
1 Nell’ediz. del 1585 manca; e quantunque non fosse Alcuni errori di stampa più urgenti’ (cfr. p. 950), non
{B.
(239-401)
alW.
(W.
II, 416)
(L. 731-2)
1136
(G.! II, 453-4)
(G.
notato isfuggi
II, 482-3).
PARTE
SECONDA
suo; non lo vuole, perché
DIALOGO
TERZO
(come lo fuggesse)
tanto più se
gli fa alto quanto più ascende a quella, quarto più la séguita tanto più se gli mostra lontana per raggion de eminentissima eccellenza, secondo quel detto: Accedet homo ad cor altum, et exaltabitur Deus +.
Cotal felicità d'affetto comincia da questa vita, ed in
questo stato ha il suo modo d'essere. Onde può dire il core d'essere entro
con il corpo,
e fuori col sole, in quanto
che
l'anima con la gemina facultade mette in execuzione doi uffici: l'uno de vivificare ed attuare il corpo animabile, l'altro de contemplare le cose superiori; perché cossî lei è in potenza receptiva da sopra, come è verso sotto al corpo in potenza attiva. Il corpo è come morto e cosa privativa a l’anima la quale è sua vita e perfezione; e l'anima è come morta e cosa privativa alla superiore illuminatrice intelligenza da cui l’ intelletto è reso in abito e formato in atto. Quindi si dice il core essere prencipe di vita, e non esser vivo; si dice appartenere a l’alma animante, e quella non appartenergli: perché è infocato da l'amor divino, è convertito finalmente in fuoco, che può accendere quello che
si gli avicina; atteso che avendo contratta in sé la divinitade,
è fatto
divo;
e conseguentemente
con
la sua
specie
può innamorar altri: come nella luna può essere admirato e magnificato il splendor del sole. Per quel poi ch'appartiene al considerar de gli occhi, sapete che nel presente discorso hanno doi uffici: l'uno de imprimere nel core, l’altro de ricevere l' impressione dal core; come anco questo ha doi ufficii: l'uno de ricevere l’ impressioni da gli occhi, l'altro di imprimere in quelli. Gli occhi apprendono le 1 Salmi, LXIII,
7.
(B. [240-1)) (W. II, 416-7) (L. 732) (G.! II, 454-5) (G. II, 483-4).
1137
DE
GLI
EROICI
FURORI
specie e le proponeno al core, il core le brama ed il suo bramare presenta a gli occhi: quelli concepeno la luce, la diffondeno ed accendeno il fuoco in questo; questo, scaldato ed acceso, invia il suo amore a quelli, perché lo digeriscano. Cossi primieramente la cognizione muove l'affetto, ed appresso l’affetto muove la cognizione. Gli occhi,
quando
di specchio son turbati
moveno,
sono
asciutti,
perché
fanno
ufficio
e di ripresentatore; quando poi son mossi, ed alterati; perché fanno ufficio de studioso
executore:
atteso
che
con
l' intelletto
speculativo
prima
si vede il bello e buono, poi la voluntà l'appetisce, ed appresso l' intelletto industrioso lo procura, séguita e cerca. Gli occhi lacrimosi significano la difficultà de la separazione della cosa bramata dal bramante, la quale acciò non sazie, non fastidisca, si porge come per studio infinito, il quale sempre ha e sempre cerca: atteso che la felicità de’ dei è descritta per il bevere non per l'aver bevuto il nettare, per il gustare continuo
non
affetto
per aver
al cibo
gustato
ed
l’ambrosia,
alla bevanda,
satolli e senza desio de quelli.
Indi, hanno
in moto
come
ed
apprensione,
non
e non
con
aver
con
esser
la sazietà come
in quiete
e compren-
sione; non son satolli senza appetito, né sono appetenti senza essere in certa maniera satolli. Laodonio. Esuries satiata, sattelas esuriens. Liberio. Cossi a punto. Laodonio. Da qua posso intendere come senza biasimo, ma con gran verità ed intelletto è stato detto, che il divino amore piange con gemiti inenarrabili*, perché con questo che ha tutto, ama 1
(«allusione
(B. [241-2])
tutto, a
e con
Rom.,
(W. II, 417-8)
8,
questo che ama tutto, ha tutto. 26,
sfuggita
(L. 732-3)
1138
al
Gentile»
(G.! II, 455-6)
(Amerio).)
(G.2 II, 484-5).
PARTE
Liberio. intendere
SECONDA
Ma de
vi
l’amor
DIALOGO
bisognano divino
molte
che
TERZO
glose,
è la istessa
se
volessirno
deità;
e facil-
mente s' intende de l'amor divino per quanto si trova ne gli effetti e nella subalternata natura; non dico quello che dalla
divinità
si diffonde
alle
che aspira alla divinità. Laodonio. Or di questo aggio appresso. Andiamone. Fine
del
cose,
ed
terzo
altro
ma
quello
delle
raggionaremo
cose
a pit
dialogo.
'B. [242]) (W. II, 418) (L. 733) (G.! II, 456) (G# II, 485).
1139 76
—
G.
Bruno,
Dialoghi
italiani
DIALOGO
QUARTO:
INTERLOCUTORI Severino,
Minutolo.
Severino. Vedrete dunque la raggione de nove ciechi, li quali apportano nove principii e cause particolari de sua cecità, benché tutti convegnano in una causa generale d’un comun furore. Minutolo. Cominciate dal primo. Severino. Il primo di questi, benché per natura sia cieco,
nulladimeno
! In questi
due
per ultimi
amore
si lamenta,
dicendo
a gli
dialoghi il B. s'ispira al Dialogo
di tre
ciechi, o Cecaria, tragicommedia del napoletano Marco ANTONIO Epicuro (cfr., nella Cena, la n. 4 di p. 59, ed in questo Dial. le nn. delle pp. 928-9, ma molte volte
973-4, 994), pubblicata la poi ristampata, ammirata
prima volta nel 1525. e imitata nel ’500 in
Italia e fuori (per quella specie di parafrasi, che se ne fece in Francia nelle Rime toscane d'Amomo per Madonna Charlotta d' Hisca, vedi FLAMINI,
PP. 252-4).
Studi
di
storia
letter.
Il B. ne doveva
ital.
e stran.,
Livorno,
Giusti,
sapere alcune parti a memoria.
1895,
È un'e-
cloga pastorale semplicissima. Due amanti disgraziati han perduto la vista e un terzo s' è accecato per il dolore; e tutti tre si ritrovano insieme a rimpiangere le bellezze che più non vedranno, a lagnarsi della loro sciagura: e nella disperazione comune risolvono di cercar la pace
nella
morte,
quando
sopravviene
un
ministro
e sacerdote
d’Amore, che li incuora a sperare nell’ onnipossente Dio: e li persuade a venire con lui a supplicarne il soccorso. Entrano nel tempio di Amore,
rano
e il sacerdote
la grazia.
Il
prima,
Geloso
poi a uno
invoca
a uno
i tre
l'intercessione
ciechi impio-
di
Venere
in
(B. [243)) (W. II, 418) (L. 733-4) (G. II, [457)-8) (G@ II, [486)). 1140
PARTE
SECONDA
altri che
non
può
discortese
a essi che
- DIALOGO
persuadersi a lui;
QUARTO
la natura
stante
che,
esser
stata
quantunque
più non
veggono, hanno però provato il vedere, e sono esperti della dignità
del
dovenuti
senso
e de
orbi: ma
sensibile,
come
onde
son
talpa al mondo
a
ricordare quelli di Lucrezio da lui tradotti
p. 586:
Madre
del
egli è venuto
versi che al B. dovevano
nello Spaccio,
l’eccellenza
del mio
Signor leggiadra e santa,
Del terzo ciel regina e imperatrice, Che la tua gloria tutt'il mondo vanta, D'ogni ferito cor vera beatrice,
în te s'appoggia, Speme
d'ogni
e per te vive e scampa,
amiator
lieto e felice.
O dea, che di beltà sei specchio e stampa, O fiume di dolcezza, 0 mar di gioia,
Tra
li lumi
Ride
del ciel più
la terra,
chiara
il mar,
lampa;
fugge
ogni
în
fiamma
noia
'Nanzi "I tuo lume, e innanzi 'l tuo bel viso Convien ch'ogni dolor sparisca e muoia.... O
nata
în
mar,
notrita
Tu sola eletta dal Troian pastore Tra le più belle dee, più bella diva; Deh,
Del
Che
s'ancor
giovinetto
in
tu,
madre
misteriosamente
te parte
d'ardore
îl fior sanguigno
ti lasciò spirando
Prega
Amore
vive
volto,
viva,
in grembo
il core,
risponde:
Quel che a morir v' induce
Vi renderà la luce;
cioè quelle stesse donne, per causa delle quali eran ciechi. Vanno quindi alle loro donne con la scorta d'amore; con la sua luce. Le belle
donne
la vista,
si
muovono
e si compie
a
pietà,
e miracolosamente
l'illuminazione.
—
Al
B.
essi
non
riacquistano
è improbabile
paresse di scorgere nella favola come adombrata un'allegoria di furore eroico. Egli imita nel 4° dialogo la parte della Cecaria che termina nel proponimento di morte; e il resto, la misteriosa illuminazione, nel 5° dialogo. I suoi nove ciechi rappresentano nove forme
di
furore
Quanto
eroico,
e quindi
dello
stesso
B.
agli interlocutori, occorre avvertire che il secondo
può
(B. [243]) (W. II, 418) (L. 734) (G.! II, 458) (G2 IL [486]-7). II4I
DE
esser
visto
e non
Minutolo. fama 1, Severino.
Si
GLI
EROICI
vedere,
son
Essi,
a bramar
trovati
dice
FURORI
quello
molti
egli,
aver
che mai
innamorati pur
questa
vedde.
per
sola
felicità
de
ritener quella imagine divina nel conspetto de la mente, de maniera che, quantunque ciechi, hanno pure in fantasia quel che lui non puote avere. Poi nella sestina si volta alla sua guida, pregandola che lo mene in qualche. precipizio, a fin che non sia oltre orrido spettacolo del sdegno di natura. Dice dunque:
essere il « magnifico » signor Giovan Geronimo Minutolo, che i Numeratori « dicunt civem Neapolitanum », nato nel 1530, e il 1° aprile
1563 dimorante, con la consorte Isabella e i figliuoli Mario, Giuditta e Laura, nonché con due domestici, a Livardi, il piccolo «casale»
nolano di quindici focolari alle pendici orientali del Cicala, a metà
strada tra Liveri e S. Paolo (Fuochi, c. 144r). Aveva il Minutolo, un po’ dovunque, dei bei fondi, tra cui a noi interessano sopra a tutti quelli che confinavano co’ beni di Antonio Albertino e il territorio di S. Giovanni del Cesco, perché ci lasciano intuire la ragione perché fu introdotto negli Eyoici furori (vedi la Sacra visita del 1551°, ce.
De
Ms.
CLXKXXIIIv,
l'infinito;
c.
‘Casate cc. 16v,
della
Geronimo
CLXKXXIXv
Vita,
pp.
Biblioteca
53
€
e
CXCIV.;
64).
dell'Oratorio
n.
1
Severino
(c.
8iv),
in
pp.
496-8
poi,
secondo
apparteneva
del
il
alle
de Citatini Nolani onorate'; e secondo i Fuochi (a. 1545, 171 e SIr; a. 1563, c. 67r), del giudice di Lanciano Angelo e di
Iacopo
era fratello
Giambattista
Severino,
che
dalla
moglie Polita, oltre a due femmine, ebbe tre maschi, il maggiore, Orazio, venuto alla luce il 1531, e dieci anni dopo il più piccolo, Francesco.
Il primo
di essi,
addottoratosi
in arti
e medicina,
in un
documento vicereale del 31 agosto 1569 (Collaterale Curiae, v. XX, c. 1481) è tenuto per uno de' quattro principali cittadini nolani;
mentre una Cedola di tesoreria dell'anno avanti (v. 355, n. n.) ricorda
a Lucera Francesco, durante il 1566, nella Compagnia degli uomini d'arme del Marchese di Misuraca e poi in quella di Camillo Pignatello. Dei due germani è facile che il B., come del resto usava, abbia scelto il commilitone
del padre.
1 Cir. il De vinculis Opera, III, 665.
in
Cfr.
genere,
Vita,
art.
pp.
64,
XXXIII
36-7
(ma
e 27.
XXIII),
in
(B. (243-4]) (W. II, 418) (L. 734) (G! II, 458-9) (G.? II, 487-8).
1142
PARTE
SECONDA
- DIALOGO
QUARTO
Parla il primo cieco. Felici
Voi
che
talvolta
per la persa
Compagni Questi
avete,
luce ora dolenti
che doi lumi conoscete.
accesi
Però
visto
non
fùro,
né
son
spenti;
più grieve mal che non
credete
È il mio, e degno de più gran lamenti:
Perché,
Più
che
a voi
fusse
ch'a
me,
torva
la natura
non
è chi m'assicura.
Al precipizio, o duce, Conducime, se vuoi darmi contento, Perché trove rimedio il mio tormento, Ch'ad esser visto, e non veder la luce,
Qual talpa uscivi! E per
esser
di terra
al mondo, inutil
pondo ?.
Appresso séguita l’altro, che, morsicato dal serpe de la gelosia, è venuto infetto nell’organo visuale. Va senza guida,
se pur non
ha la gelosia per
de circonstanti, che se non 1 Passato
oltre che sopra 126: « mai
fu
la
rotta
rimoto,
(pp.
Pavia,
2 Tl primo
cieco,
dicendo
837,
893,
è rimedio Idiotismo
895
del
suo
usato
non
ecc.), nel Cand.?,
Priega
alcun
male,
faccia
di rado
pp.
97,
dal
B.:
117 c
[io] udivi di tal gioco », « mai viddi né udivi » e « quando di
p. LVII.
1% pers.
scorta.
alla sua
fio)
il
guida
udivi
dire »;
Vecchio,
(ediz.
e del
nella
Palmarini,
pp.
Cand.
Cecaria
35-06):
cfr.
centra
l’ Indrod,, in
scena
Dove "l fatal destin mi guida cieco Lasciami andar, o dove 'l piè mi porta, Né per pietà di mme venir più meco. Deh
Sciogli
lasciami la man,
cader, ch'io
non
non
mi
so
far scorta,
dove,
ahi
lasso,
Se non gir sol, 0 stav fra gente morta. Troverò fors'un fiume, un speco, un sasso
Pietoso a tirarmi fuor di tanta guerra, Precipitando in loco oscuro e basso. La 1% e la 38 terzina sono
state
riferite
dal
B. nella Cena,
p. 59.
Anche i tre ciechi dell’ Epicuro mettono a paragone i loro affanni; e ciascuno pretende che il suo sia più forte e più disperato.
(B. [244-5]) (W. II, 419) (L. 734) (G.t II, 459) (G.2 II, 488-9).
1143
DE
GLI
EROICI
FURORI
per pietà che non oltre aver possa senso del suo male, facendo cossf lui occolto a se medesimo, come se gli è fatta occolta la sua luce, con sepelir lui col proprio male. Dice dunque: Parla il secondo
cieco.
Da la tremenda chioma ha svelto Aletto L' infernal verme, che col fiero morso
Hammi
si crudament' il spirto infetto,
Ch’a tòrmi il senso principal è corso, Privando de sua guida l' intelletto; Ch’ in vano
l’alma
chiede
altrui
soccorso,
Sf cespitar mi fa per ogni via Quel rabido rancor di gelosia.
Né
Né
Se
non
sacra pianta, soccorso
Un
Che Con
divin
né virti de pietra, scampo
m’ impetra,
di voi sia, per Dio, piatoso
di questo
della Cecaria;
il seguente Canzoniere,
incanto,
a me mi faccia occolto: far meco il mio mal tosto
1 I lamenti
loso
magico
in tanto,
sepolto!.
geloso rammentano
ma evidentemente
pure
quelli del
in questo son. il B. imita
son. del TansILLO (Poesie liriche, son. XXXIV, son. XCIX, pp. 142-3, dove cfr. le note):
Dunque, dopo tanti anni, Verme infernal, mi
G e -
p.
18;
a dar di morso, vien'si crudelmente,
Ch' io creda gir sicur già dal tuo dente Tutto quel che m'avanza del mio corso ?
Se non
Temo
mi manda
che morto
Cost
il freddo
io ne
altrui
velen,
Vago, del cor di vena O
Non
Mi
spero
forza
Se
sani, vuol
di
che
viva,
soccorso,
vepente:
rapidamente
în vena
è corso.
virtù
parole,
0 prego
ch'io
cadrò
pietà
d'erbe
o
man
altrui
uccida
la
odi
d'uom
scampo
mia
maga
pietre,
Marso
mimpetre
Chi di liquor mortal m' ha tinto e sparso,
Ed
unga
del suo
sangue
la mia
piaga.
{B. [245]) (W. II, 419) (L. 735) (G.! II, 459-60) (G.* II, 4189-90).
1144
PARTE
Succede
SECONDA
l'altro,
DIALOGO
il qual
dice
esser
QUARTO
dovenuto
cieco
per
essere repentinamente promosso dalle tenebre a veder una gran luce; atteso che essendo avezzo de mirar bellezze
ordinarie,
venne
subito
a presentarsegli
avanti
gli occhi
una * beltà celeste, un divo sole: onde non altrimente si gli è stemprata la vista e smorzatosegli il lume gemino che splende in prora a l'alma (perché gli occhi son come doi fanali che guidano la nave), ch’accader suole a un allievato nelle oscuritadi Cimmerie 2, se subito immediatamente affiga gli occhi al sole 3. E nella sestina priega che gli sia donato libero passagio4 a l'inferno, perché non altro che Vedi lo Spaccio, p. 749.
il suo
male
—
procede
Da
quel morbo
Anche nella Cecaria, il Geloso dice che
infernal
di gelosia
Che tanto cresce più quanto E prima,
parlando
l'uom vede.
del cuore della sua amica: essendo
ignudo,
Per coprirlo fe' un scudo poi davanie D'un
rigido
D'amor
diamante,
face,
né
ove non
strale,
sangue
Né virtà d'erbe, 0 incanto Pungergli pur la scorza. Già
vale
o pianto,
o d'altra- forza
il PETRARCA:
I begli occhi ond' i’ fui percosso in guisa Ch'e' medesmi porian saldar la piaga,
E
non
già virtù
O di pietra.... Cfr.
Ariosto,
It B:
Orl.
fur.,
d'erbe
XXXI,
un.
? Gli antichi chiamavano
sforo,
la
quale
(246))
(W.
5;
II,
come
419-20)
maga,
Tasso,
Cimmeria
credevano avesse .il
dense esalazioni. 3 B:a sole. 4 Anche appresso, alla francese. (B.
o d'arte
a p. (L.
cielo
una
1153,
735)
1145
Ger.
(G.!
lib.,
III,
19.
regione posta sul Bo-
scuro
con II,
e
nuvoloso
la gutturale 461)
(G.3
per
lc
scempia, IT,
491).
DE
GLI
tenebre convegnono dunque cossi:
EROICI
ad
un
FURORI
supposito
tenebroso.
Dice
Parla il terzo cieco. S'appaia
il gran
A un vom
nodrito
pianeta
di repente
in tenebre profonde,
O sott’il ciel de la Cimmeria gente, Onde lungi suoi rai il sol diffonde; In
Gli spenge
il lume
prora
a l'alma,
Fatemi
a l'orco
gemino
splendente
e nemico
s’asconde.
Cossi stemprate fùr mie luci avezze A mirar ordinarie bellezze !. Perché Perché
morto discorro tra le genti ? ceppo infernal tra voi viventi
Misto men
Sorbisco,
Messo
andare;
per
vo?
Perché l’aure discare
in tante
aver
pene
visto il sommo
bene ?
Fassi innanzi il quarto cieco per simile, ma non già per medesima caggione orbo, con cui si mostra il primo ?. Perché, come quello per repentino sguardo della luce, cossi questo con spesso e frequente remirare, o pur per avervi troppo fissati gli occhi, ha perso il senso de tutte l'altre luci, e non si dice cieco per consequenza al risguardo
di quella unica che l'ha occecato 3. E dice il simile del senso 1 Il terzo
degli occhî
cieco
dell’ Epicuro
(Cec., p. 63):
Bramando
Diuna
ch’ ha
deve
la sua
cecità
al iropp'ardir
un di fissar l’alto splendore "! cor
di ferro,
o pur
di
smalio,
(Ma la pena è maggior più che l'ardore), Ratto perderno *l lume al prinvassalto} Onde di lor il cor sempre si duole. Ch'ebbero ardir mirar lume tant'alto. ? Cioè
3 (LAM: (B. [246-7])
il precedente,
occecato;
il terzo
G! e G3:
(W. II, 420)
cieco.
accecato (ma cfr. p.
(L. 735-6)
1146
(G.I II, 461-2)
1163,
n. 1).)
(G.2 IL, 4q91r-2).
PARTE
SECONDA
DIALOGO
QUARTO
de la vista a quello ch'aviene al senso dell’udito; essendo che coloro che han fatte l’orecchie a gran strepiti e rumori, non odeno gli strepiti minori, come è cosa famosa de gli popoli Cataduppici, che son là d'onde il gran fiume Nilo da una altissima montagna scende precipitoso alla pianura *. Minutolo. Cossi- tutti color ch' hanno avezzo il corpo, l'animo a cose più difficili e grandi, non sogliono sentir fastidio dalle difficultadi minori. E costui non deve esser discontento della sua cecità. Severino. Non certo. Ma si dice volontario orbo, a cui piace che ogni altra cosa gli sia ascosa, come l’attedia col divertirlo da mirar quello che vuol unicamente mirare. Ed in questo mentre priega gli viandanti che si degnino de non farlo capitar male per qualche mal rancontro *, mentre va sf attento e cattivato ad un oggetto principale.
Minutolo. Severino.
Riferite le sue paroli.
Parla il quarto cieco. Precipitoso
d'alto
al gran
profondo
Il Nil d'ogni altro suon il senso ha spento De’ Cataduppi al popolo ingiocondo. — Cossi stand' io col spirto intiero attento Alla
Tutti Or
più
viva
i minor
mentr'ella
luce
ch'abbia
splendori
unqua
gli splende,
aures
sicut,
hominum
ad
montibus,
magnitudinem * Cir. p. [247-8))
republica,
obsurducrunt
ubi Nilus
altissimis
(B.
De
illa, quae
ea
gens,
sonitus sensu 170, n. 1.
(W.
II,
420-1)
VI,
nec
18,
Catadupa audiendi
(L.
ascose.
19:
est ullus
quae
736)
1147
non sento:
l'altre cose
Sien pur a l'orbo volontario 1 CiceRoNE,
il mondo,
«Hoc
hebetior
pominantur,
illum
locum
caret ».
(G.
II,
462)
sonitu
oppletae
sensus in vobis,
praecipitat
ex
accolit,
propter
(G2
492-3).
II,
DE
Di
GLI
Priegovi,
da
qualche
Fatemi
Perché
In
luogo
Mentre
EROICI
le scosse
sasso,
o fiera irrazionale,
accorto,
e se
cavo
e basso,
non
FURORI
si scende
caggian
queste
privo de guida
meno
o sale;
misere
ossc!
il passo 2.
Al cieco che séguita per il molto3 lacrimare accade che siano talmente appannati gli occhi, che non si può stendere il raggio visuale a compararsi le specie visibili 4, e principalmente per riveder quel lume ch'a suo malgrado, per raggion di tante doglie, una volta vedde. Oltre che si stima la sua cecità non esser più disposizionale, ma 1 BIWVL:
cui
® Si
ossa;
ricordi
vorrebbe
G!:
(vedi
osse:
correzione
sopra,
precipitare
p.
1143,
il Vecchio
necessaria
n. 2) il loco
per
abituale, ed
oscuro
dell’ Epicuro.
la rima.
Dei
e basso,
tre
in
ciechi
della Cecaria solo il primo ha una guida, e gli altri due dicono (p. 42):
St grande
Che,
sol per non
Non
Onde
l'uno
è "I nostro duol, tant’è la doglia
troviam
urta
Crudel,
guida,
nell'altro,
Deh non
Quanta
vederci
poca
che
bastava
né
tempo
pietà regna
in’ hai
che
con
in tuo petto,
urto
Iudi pur mossi Tanto
.
in
racconta,
alla donna,
rimaso
ci voglia.
si scontrano
terra
(p. 41):
un
la vide
freddo
messo!
che dopo
che l’amava
tosi in fine a scoprirle l'animo suo, e sdegnata allontanarsi (p. 56): Vedendomi
languire,
'! mal che tienmi oppresso ?
nella Cecaria
il suo amore
altri
quando
3 GI: per molto.
4 Il Vecchio
ognor
aver celato lungo
semplicemente,
tutta mutarsi
indot-
in vista,
sasso
’l passo ognor piangendo
e da quell'ora
piant'usci fuora dal mio speco
Ch' io ne
divenni
cieco,
e tanto piansi,
Che già molt’anni son che a questi lumi Mancan gli usati fiumi
Questo motivo è ripreso dal B. e svolto poi nel son. successivo. (B.
[248-0))
(W.
II, 421)
(L. 736-7)
1148
(G.t II, 463)
(G.2 II, 493).
PARTE
al tutto
SECONDA
privativa;
DIALOGO
perché
il fuoco
QUARTO
luminoso
che
accende
l’alma nella pupilla, troppo gran tempo e molto gagliardamente
è stato riprimuto
ed oppresso
dal contrario umore;
de maniera che, quantunque cessasse il lacrimare, non si persuade che per ciò conseguisca il bramato vedere. Ed udirete quel che dice appresso alle brigate, perché lo facessero oltrepassare: Parla il quinto cieco. Occhi miei, d’acqui sempre mai pregnanti, Quando fia che del raggio visuale La scintilla se! spicche fuor de tanti E si densi ripari, e vegna? tale, Che possa riveder que’ lumi santi,
Che
fùr principio del mio
dolce male ? 3
Lasso! credo che sia al tutto estinta, Sf a lungo dal contrario oppressa e vinta. Fate
passar'
il cieco4,
E voltate vostr’occhi a questi fonti, Che vincon gli altri tutti uniti e gionti; E
s'è
chi
ardisce
È chi certo lo rende
Ch’un
disputarne
de’ miei occhi un
1 BL: se; IWG!: si. Se è la ‘nell’ Introd. al Cand., p. LX.
® Vegna, 3 Il
P. 75):
divegna,
TansILLO,
Poesie
come
meco,
Ocean f.
comprende.
arc.
e
nell’ Or.
liriche,
p.
170
dialettale,
fur., I, 2. (SPAMP.,
intorno Bruno
a e
cui
Nola,
Deh, sarà mai che a rivedervi torni, O lumi amati, e che la vostra aurora
Nelle tenebre mie pietosa aggiorni ? 4 Il Geloso
nella
Aprite Che non Il passo La pena Cfr. i due sonn.
La
beltà che
Cecaria,
p. 37:
"1 passo al cieco, vuol guida seco, aprite e date per pietade, acciò si senta che "l tormenta, affligge e coce. qui appresso (pp. 1I151e 1153) dello stesso Bruno:
per gli
occhi
e Fortunati
voi
altri.
B. [249-50]) (W. II, 421) (L. 737) (Gt II, 463-4) (G.* II, 493-4).
1149
DE
Il sesto
orbo
GLI
EROICI
è cieco,
FURORI
perché
per
il soverchio
pianto
ha mandate tante lacrime che non gli è rimasto umore, fin al ghiacio! ed umor per cui come per mezzo diafano il raggio visuale era transmesso e s’intromettea la luce esterna e specie visibile, di sorte che talmente fu com-
punto il core che tutta l’umida sustanza
(il cui ufficio è
de tener unite ancora le parti diverse varie e contrarie) ?
è digerita; ed egli è rimasta* bis l'amorosa affezione senza l’ef-
fetto de le lacrime, perché l'organo è stemprato per la vittoria degli altri elementi, ed è rimasto consequentemente senza vedere e senza constanza3 de le parti del corpo insieme. Poi propone a gli circonstanti quel che intenderete: Parla il sesto cieco. Occhi
non occhi 4;
fonti,
non
pii
fonti,
Avete sparso già l' intiero umore, Che tenne il corpo, il spirto 5 e l'alma E
tu,
visual
ghiaccio,
che
di
fore
1 Sebbene più gi con la tenue doppia,
scrivere,
come
si trova
stampato,
gionti.
con
qui il B. ha ben potuto
la semplice.
® Perl'ufficio dell'elemento umido vedi il De l'infinito, pp. 460-1. 2 sis (L’Amerio emenda: ed ègli rimasta)
già
3 Constanza, lo stare insieme, 4 Il PETRARCA, son. 0 passi sparsi:
ma
ricalcata
fonti». sulla
Il TansiLLo,
Cecaria,
e
nei
imitata
Due
a
la consistenza. «O occhi miei,
sua
pellegrini, volta
da
ecloga
occhi
non
pastorale
Garcilaso
de
la
Vega nella più bella delle sue ecloghe (vedi Flamini, Introd. all'ediz. cit.,
p.
xxvn),
ba
un’identica
mossa
Occhi soavi...., ahi lasso, Occhi ? non occhi....
(vv.
613-4):
e che diss' io?
E nei versi seguenti si succedono immagini che hanno un riscontro in altri versi del B., del quinto dialogo di questa 2* parte; vedi p.
1177.
Cfr.
SpamPanaTtO,
Bruno
e Nola,
5 BWL: sillabe.
spirito; GI: spirto: correzione
(B. [250-1])
(W. II, 421-2)
(L. 737-8)
1150
pp.
76-7.
voluta dal numero delle
(G.! II, 464-5)
(G.2 II, 494-5).
PARTE Facevi
SECONDA
Vo
QUARTO
tanti oggetti a l’alma conti,
Sei digerito
Cossi
DIALOGO
dal piagato
core:
ver l' infernale ombroso
speco
menando i miei passi, arido cieco. Deh, non mi siate scarsi A farmi pronto andar, di me piatosi,
Che tanti fiumi, a i giorni tenebrosi, Sol de mio pianto m'appagando, ho sparsi: Or ch'ogni umor è casso,
Verso il profondo
oblio datemi
il passo.
Sopragionge il seguente che ha perduta la vista da l'intenso vampo che procedendo dal core è andato prima a consumar gli occhi, ed appresso a leccar tutto il rimanente umore de la sustanza de l'amante, de maniera che tutto incinerito e messo in fiamma non è più lui; perché dal fuoco, la cui virti è de dissolvere gli corpi tutti ne gli loro atomi, è convertito in polve non compaginabile, se per virtà de l’acqua sola gli atomi d'altri se inspessano e congiongono a far! un subsistente composto. Con tutto ciò non è privo del senso de l’ intensissime fiamme. Però nella sestina con questo vuol farsi dar largo da passare; ché, se qualch'uno venesse tocco da le fiamme sue, dovenerebbe a tale che non arrebe più senso delle fiamme infernali come di cosa calda, che come di fredda neve. Dice dunque: Parla il settimo
cieco,
La beltà che per gli occhi scérse al core,
TFormò nel petto Ch'assorbi prima Sgorgand' in
E poi
alt’ il suo
vorando
Per
metter
Chi
ne
{B.
ogni
l'elemento
M' ha reso non 1G!:
mio l’alta fornace il visuale umore,
gli atomi
vampo
altro
secco
mio
compaginabil suoi
tutto
tenace;
liquore,
in pace,
polve,
dissolve,
e far.
[251-2])
(W.
II, 422-3)
(L. 738)
1151
(G.! II, 465-6)
(G.* II, 495-6).
DE
GLI
EROICI
FURORI
Se d' infinito male . Avete orror, datemi piazza, o gente; Guardatevi dal mio foco cuocente;
Che
se contagion
di quel v’assale,
Crederete che inverno Sia ritrovars' al fuoco
de l' inferno.
Succede l'ottavo, la cecità del quale vien caggionata dalla saetta che Amore gli ha fatto penetrare da gli occhi al core.
oltre,
Onde
come
si lagna
ferito
ed
non
solamente
arso
tanto
come
cieco, ma,
altamente
quanto
ed
non
crede ch’altro esser possa. Il cui senso è facilmente espresso in questa sentenza: Parla Assalto
l'ottavo cieco.
vil, ria pugna,
iniqua
palma,
Punt'acuta, esca edace, forte nervo, Aspra ferita, empio ardor, cruda salma, Stral, fuoco e laccio di quel dio protervo, Che punse gli occhi, arse il cor, legò l’alma E fémmi a un punto cieco, amante e servo, Tal che orbo de mia piaga, incendio e nodo Ho ’l senso in ogni tempo, loco e modo. Uomini, eroi e dei, Che siete in terra, o appresso Dite o Giove,
Dite,
vi priego,
Provaste,
quando,
udiste
o vedeste
Medesmi o tali o tanti Tra oppressi, tra dannati,
Viene
al fine
come
l'ultimo,
e dove
unqua
omci!
tra gli amanti?
il quale
è ancor
muto:
perché
non possendo (per non aver ardire) dir quello che massime vorrebe senza offendere o provocar sdegno, è privo di parlar di
qualsivogli’altra
cosa.
Però
1 Lunghi lamenti, esclamazioni cir. Cand.®, p. 24, n. 2.
non di
parla
dolore.
Per
lui, l’uso
ma
la sua
e l'origine,
(B. (252-4]) (W. II, 423) (L. 738-9) (G.! IL 466-7) (G.2 II, 496-7). 1152
PARTE
SECONDA
- DIALOGO
QUARTO
guida produce la raggione circa la quale, per esser facile, non discorro, ma solamente apporto la sentenza.
Parla la guida del nono cieco. Fortunati voi altri ciechi amanti, Che la caggion del vostro mal spiegate: Esser possete, per merto de pianti, Graditi d’accoglienze caste e grate: Di quel ch'io guido, qual tra tutti quanti Più
Muto Di
altamente
spasma,
il vampo
forse per falta1 d'ardimento
far chiaro a sua diva Aprite, aprite il passo,
Siate benigni De
tristi
Di
men
a questo
il suo
vacuo
impedimenti,
o popol
tormento.
volto2
Mentre ch’ il busto travagliato Va picchiando le porte penosa
late,
e più profonda
folto,
e lasso
morte.
Qua son significate nove caggioni per le quali accade che l’umana mente sia cieca verso il divino oggetto, perché non possa fissar gli occhi a quello. De le quali: La prima, allegorizata per il primo cieco, è la natura della propria specie, che per quanto comporta il grado in cui si trova, in quello aspira per certo più alto
che apprender possa. Minutolo.
possiamo P.
! Franc. 1789.
Perché
nessun
desiderio
naturale
è
vano,
certificarci de3 stato più eccellente che conviene faute,
difetto: .
cfr.
Forio, .
New
World
of
Words,
? Epicuro, Cecaria (Spamr., Postille, p. 237). Aprit'il passo al cieco Che non Il passo
vuol guida seco, per pietate.
aprit'e date
3 (G! = L: de; G*: da (per svista tipogr.).) (B. [254-5))
(W. IL, 423-4)
(L. 739-40) (G.I II, 467-8) 1153
(G.2 II, 497-8).
DE
GLI
EROICI
FURORI
a l’anima fuor di questo corpo in cui gli fia possibile d’unirsi più altamente
o avvicinarsi
oggetto.
Dici molto bene che nessuna potenza ed ap-
Severino.
pulso
al suo
naturale
è senza
gran
raggione,
gola di natura la quale ordina le cose.
anzi è l' istessa re-
Per tanto
è cosa
verissima e certissima a’ ben disposti ingegni, che l'animo
umano (qualunque si mostre mentre è nel corpo) per quel medesimo che fa apparire in questo stato, fa espresso il
suo
esser
verità
peregrino
e bene
in questa
universale,
e non
regione;
aspira
alla
di quello
che
perché
si contenta
viene a proposito e profitto della sua specie. La seconda, figurata per il secondo cieco, procede da qualche perturbata affezione, come in proposito de l’amore è la gelosia, la quale è come tarlo che ha medesimo suggetto nemico e padre, cioè che rode il panno o legno di cui è generato. Minutolo. Questa 1 non mi par ch’abbia luogo nell’amor eroico. Severino. Vero, secondo medesima raggione ? che vedesi nell'’amor volgare; ma io intendo secondo altra raggione proporzionale a quella la quale accade in color che amano la verità e bontà; e si mostra quando s’adirano tanto contra quelli che la vogliono adulterare, guastare, corrompere o che in altro modo indegnamente vogliono trattarla, come son trovati di quelli che si son ridutti sino alla morte, alle pene ‘ed esser3 ignominiosamente trattati da gli popoli
ignoranti e sette volgari. I GI; Questo; ma il pronome si riferisce a « caggioni ». ? GI: seconda medesima raggione. 3 GI: ad esser.
(B. [255-6))
(W. IL, 424) (L. 740) (G.1 II, 468) (G.2 II, 493-9).
1154
PARTE
SECONDA
@DIALOGO
QUARTO
Minutolo. Certo, nessuno ‘ama veramente il vero e buono che non sia iracondo contra la moltitudine:
volgarmente
come
nessuno
ama che non sia geloso e timido per la cosa
amata.
Severino. E con questo vien ad esser cieco in molte cose veramente;
ed affatto affatto, secondo
è stolto e pazzo.
Minutolo.
Ho
notato
un luogo
l’opinion commune,
che dice esser stolti e
pazzi tutti quelli che hanno senso fuor ed estravagante dal senso universale de gli altri uomini. Ma cotal estravaganza
è di due
maniere,
secondo
che
si va estra o con
ascender più alto che tutti e la maggior parte sagliano : o salir possano: e questi son gli inspirati de divino furore; o con descendere più basso dove si trovano coloro che hanno difetto di senso e di raggione più che aver possano
gli molti, gli più e gli ordinarii; ed in cotal specie di pazzia, insensazione
e cecità non
si trovarà eroico geloso.
Severino. Quantunque gli vegna detto che le molte lettere lo fanno pazzo, non gli si può dire ingiuria da dovero. La terza, figurata nel terzo cieco, procede da che la divina verità, secondo raggione sopranaturale detta metafisica, mostrandosi a que’ pochi alli quali si mostra, non proviene con misura di moto e tempo, come accade nelle scienze naturale,
fisiche (cioè quelle che s’acquistano per lume
le quali,
discorrendo
da
! BL: sogliano («B, L: soglano note de G.) » (MicHEL).) % (G! = L: scienze; G3: scienzie) (B.
[256-7])
(W.
II, 424-5)
(L. 740-1) 1155
77
—
G.
Bruno,
Dialoghi
italiani
una
(et
non
cosa
nota
sogliano,
(G.! II, 468-9)
secondo
malgré
la
(G.2 II, 499).
DE
GLI
EROICI
FURORI
il senso o la raggione, procedeno ! alla notizia d'altra cosa
ignota; il qual discorso è chiamato argumentazione); ma subito e repentinamente, secondo il modo che conviene a tale efficiente. Onde disse un divino: Atfenuati sunt oculi mei suspicientes in excelsum?. Onde non è richiesto van discorso di tempo, fatica de studio ed atto d’ inquisizione per averla, ma cossi prestamente s' ingerisce, come proporzionalmente il lume solare senza dimora si fa presente a chi se gli volta e se gli apre 3. Minutolo. Volete dunque che gli studiosi e filosofi non siano più atti a questa luce che gli quantunque ignoranti ?
Severino. In certo modo nona ed in certo modo si, Non è differenza quando la divina mente per sua providenza viene a comunicarsi senza disposizione del suggetto 5,
voglio dire quando si communica, perché ella cerca ed eligge il suggetto; ma è gran differenza quando aspetta e vuol esser cercata e poi, secondo il suo beneplacito, vuol farsi ritrovare. In questo modo non appare a tutti, né può
apparir ad altri che a color che la cercano. Onde è detto:
1 GI:
2 Vedi
procedono. sopra,
p.
998,
e ivi,
n.
1.
3 PLOTINO, Enn. V, 3, 17 (trad. Ficino): « At in eo, quod simplex est omnino, nullus potest esse discursus: sufficit autem modo quo-
dam
dum
intellectuali
attingit,
illud
omnino
attingere:
neque
posse
oportetque
quicquam
attingentem loqui,
neque
ipsum,
otium
habere dicendi, sed posterius de ipso ratiocinari. Credendum vero est, tunc demum nos vidisse illud, quando animus repente lumen
acceperit »; V, 8, 11: «Si [quis nostrum] autem [sc. postquam cum Deo ipso unus fuerit] revertatur in duo, et interea purus sit, deinceps ipsi [Deo] proximus habitat, adeo ut illo rursus modo adesse quandoque possit, si quando convertatur ad ipsum». Cir. Tocco, Le opp. lat. di G. B., p. 369. 4 BL:
5 GI:
non;
WGI:
dal suggetto.
no.
(B. [257)) (W. II, 425) (L. 741) (G.1 II, 4669-70) (G.2 II, 499-500).
1156
PARTE
SECONDA
- DIALOGO
QUARTO
Qui quacrunt me invenient me +; ed in altro loco: Qui silit,
veniat et bibat?. Minutolo. Non si può negare che l'apprensione del secondo modo si faccia in tempo. Severino. Voi non distinguete tra la disposizione alla divina luce e Ia apprensione di quella. Certo non niego
che al disporsi bisogna tempo, discorso, studio e fatica, ma, come diciamo che la alterazione si fa in tempo e la generazione in instante, e come veggiamo che con tempo s'aprono le fenestre ed il sole entra in un momento, cossi accade proporzionalmente al proposito. La
quarta,
mente
indegna,
stimate
vere
significata
come
nel
seguente,
quella che proviene
non
è vera-
dalla consuetu-
dine di credere a false opinioni del volgo il quale è molto rimosso dalle opinioni de filosofi, o pur deriva dal studio de filosofie volgari le quali son dalla moltitudine tanto più quanto
più
accostano
al
senso
commune.
E questa consuetudine è uno de grandissimi e fortissimi
inconvenienti
plificò
et
che
Alcazele
1 Evangelo
invenictis....:
invenit ».
di
trovar
ed
perché
Averroe) 3 similmente
MattEo,
omnis
(Il MicHEL
® Evangelo
si possano:
enim
VII,
rinvia
di Giovanni,
qui
7-8
(Luca,
quacrit,
a GEREMIA,
VII,
37:
«Si
XI,
accipit;
XXIX,
mahumetano
»,
vedi
anche
la
Cena,
accade 9-10):
et
13.)
quis sitit,
et bibat n. 3 Per Al-Gazali, dal B. ritenuto per il «sommo
logo
(come
p.
121,
qui
exem-
a essi,
«Quaerite
veniat
quaerit, ad
me
pontefice e teo-
e ivi,
n.
4.
Una
più precisa citazione della Destructio destructionum di questo filosofo arabo,
« a quo et quidam
Christianorum
didicere », contro la dottrina
dell'eternità della creazione è nel De immenso, I, 4 (Opera, I, 1, 217). Nelle Theses de magia (Opera, III, 475): «Et in proémio libri Physicorum
dicit
Averroés
consuetudinem
esse
maximam
cavsam,
ut quae sunt venena non tantum .vertantur in antidota, sed etiam (B.
[257-8))
(W.
II, 425-6)
(L. 741-2)
1157
(G.!
II, 470)
(G.? II, 500-1).
DE
GLI
EROICI
FURORI
che come a color che da puerizia e gioventi sono consueti
a mangiar veneno,
quai
son dovenuti a tale, che se gli è
convertito in suave e proprio nutrimento, e per il contrario
secondo
e dolci
buone
veramente
le cose
abominano
la
natura. Ma è dignissima, perché è fondata sopra la
comun
consuetudine de mirar la vera luce (la qual consuetudine non può venir in uso alla moltitudine, come è detto).
Questa cecità è eroica, ed è tale, per quale degnamente contentare si possa il presente furioso cieco, il qual tanto
manca che si cure di quella, che viene veramente a spreggiare ogni altro vedere, e da la comunità non vorrebe
impetrar altro che libero passagio
plazione, sogliono
come
opporre
per ordinario
suole
mortali.
intoppi
di contem-
e progresso
patir insidie e se gli
La quinta, significata nel quinto, procede dalla improporzionalità delli mezzi de nostra cognizione al cognoscibile;
sogna
essendo
che, per contemplar
aprir gli occhi per mezzo
le cose
de figure,
divine,
bi-
similitudini ed
altre raggioni che gli peripatetici comprendono sotto il nome de fantasmi, o per mezzo de l’essere procedere alla speculazion de l’essenza, per via de gli effetti alla notizia della causa; gli quali mezzi tanto manca che vagliano per l’assecuzion
di cotal
fine,
che
più
tosto
è da
credere
che
siano impedimenti, se creder vogliamo che la più alta e profonda cognizion de cose divine sia per negazione e non per affirmazione, conoscendo che la divina beltà e bontà non sia quello che può cader e cade sotto il nostro concetto, in nutrimentum ». A q. l. il Tocco, raccosta il De
suetudinis (B.
[258-9))
snînimo,
II,
credendi
sensus
(W.
426)
II,
Le fonti più recenti, p. 27, in n,
15, in Opera,
etiam
(L.
742)
ipse
(G.1
1158
I, 111, 232:
«ex
perturbatur ». II,
470-1)
(G.
virtute con-
II, 501-2).
PARTE
SECONDA
DIALOGO
QUARTO
ma quello che è oltre ed oltre incomprensibile; massime in questo stato detto speculator de fantasmi dal filosofo, e dal teologo vision per similitudine speculare ed enigma 1; perché veggiamo non gli effetti veramente e le vere specie de le cose, o la sustanza
de le idee, ma
le ombre,
vestigii
e simulacri de quelle, come color che son dentro l’antro ed hanno da natività le spalli volte da l’entrata della luce, e la faccia opposta al fondo; dove non vedeno quel che è veramente,
na
le ombre
de ciò che fuor de l’antro sustan-
zialmente si trova ?. Però per la aperta visione la quale ha persa, e conosce aver persa, un spirito simile o meglior di quel di Platone piange,
desiderando
flessione,
ma
l’exito
da
per immediata
l'antro,
onde
conversazione
non
per
possa
re-
riveder
sua luce 3.
Minutolo. Parmi che questo cieco non versa circa la difficultà che procede dalla vista reflessiva, ma da quella che è caggionata dal mezzo tra la potenza visiva e l'oggetto.
Severino. Questi doi modi, quantunque siano distinti nella cognizion sensitiva o vision oculare, tutta volta però concorreno in una nella cognizione razionale o intellettiva. Minutolo. Parmi aver inteso e letto che in ogni visione
si richiede il mezzo over intermedio tra la potenza ed og-
nunc
1 Allusione
al
detto
di
PaoLo,
I ai
Cor.,
XIII,
12:
« videmus
per speculum in aenigmate ». 2 « È un luogo importante, dove si vede chiaro che gli Er. fur.
ritornano
alle vedute
filosofiche
del De
umbris,
e al disopra
di Pla-
tone mettono Plotino ». Tocco a q. L in Opp. latine di G. B., p. 369, n. 4. Cfr. Lampas trig. statuarum, in Opera, III, 43, 7-16. L'antro è quello
di
tecnica:
conversione
3 Questo
P.- 370, (B.
Platone:
vedi
spirito
(W.
p.
è Plotino,
in n.
[259-60])
sopra,
II, 426-7)
1000,
a cui
immediata.
(L. 742-3) 1159
n.
1.
appartiene Cfr.
l’espressione
Tocco,
(G.I II, 471-2)
op.
cit.,
(G.2 II, 502).
DE
getto.
Perché,
GLI
come
EROICI
per mezzo
FURORI
della luce diffusa ne l’aere
e la similitudine della cosa che in certa maniera procede da quel che è visto a quel che vede, si mette in effetto l'atto
del vedere;
cossi nella regione
intellettuale
dove
splende
il sole dell'intelletto agente mediante la specie intelligibile formata e come procedente da l'oggetto, viene a com-
prendere de la divinità l’ intelletto nostro o altro inferiore a quella. Perché come l'occhio nostro (quando veggiamo)
non riceve la luce del foco ed oro in sustanza, ma in similitudine; cossi l' intelletto, in qualunque stato che si trove,
non riceve sustanzialmente la divinità onde sieno sustanzialmente
tanti dei quante sono intelligenze, ma in simili-
tudine; per cui non formalmente son dei, ma denominativamente divini, rimanendo la divinità e divina bellezza una ed exaltata sopra le cose tutte. Severino. Voi dite bene; ma per vostro dire bene non è mistiero ch' io mi ritratte, perché non ho detto il contrario;
ma
bisogna
chiaro
che io dechiare
che
la visione
ed expliche.
immediata,
detta
Però
da
noi
prima ed
de-
intesa,
non toglie quella sorte di mezzo che è la specie intelligibile, né quella che è la luce; ma quella che è proporzionale alla
spessezza e densità del diafano, o pur corpo al tutto opaco tramezzante;
come
aviene
a colui
che
vede
per mezzo
de
le acqui più e meno turbide, o aria nimboso e nebbioso; il quale s' intenderebbe veder come senza mezzo, quando gli venesse concesso de mirar per l’aria puro, lucido e terso. Il che tutto avete come esplicato dove si dice: Spicche fuor di tanti e si densi ripari. Ma ritorniamo
(B.
al nostro. principale.
[260-1])
(W.
IL
427)
(L.
743)
(G.!
1I60
II,
472-3)
(G.+
II,
502-3).
PARTE
SECONDA
- DIALOGO
QUARTO
La sesta, significata nel sequente, non è altrimente caggionata che dalla inbecillità 1 ed insubsistenza del corpo, il
quale
è
in
continuo
moto,
mutazione
ed
alterazione;
e le operazioni del quale bisogna che seguiteno la condizione della sua facultà, la quale è consequente dalla condi-
zione della natura ed essere. Come volete voi che la immobilità, la sussistenza, la entità, la verità sia compresa da quello che è sempre altro ed altro, e sempre fa ed è fatto altri- ed altrimente? Che verità, che ritratto può star depinto ed impresso dove le pupille de gli occhi si dispergono
in acqui,
fiamma
in aura,
scorrendo
l’acqui in vapore, e questa
il suggetto
il vapore
in fiamma,
in altro ed altro,
del senso
senza
e cognizione
la
fine di-
per la ruota
delle mutazioni in infinito? Minautolo. Il moto è alterità, quel che si muove sempre è altro ed altro, quel che è tale sempre altri- ed altrimente
si porta ed opra, perché il concetto ed affetto séguita la raggione e condizione del suggetto. E quello. che altro ed altro,
altri-
ed
altrimente
mira,
bisogna
necessariamente
che sia a fatto cieco al riguardo ? di quella bellezza che è sempre
una ed unicamente,
cd è l’ istessa unità
ed entità,
identità. Severino. Coss! è, La mento
onde
settima, del
alcuni
settimo
si fanno
contenuta cieco,
deriva
impotenti
allegoricamente dal
fuoco
ed inabili
nel senti-
dell’affezione,
ad
apprendere
il vero, con far che l’affetto precorra a l’ intelletto. Questi 1 (G1 = L: inbecillità; 3 GI: a riguardo.
G%:
imbecillità)
(B. [261-3)) (W. II, 427-8) (L. 744) (G.! II, 473-4) (G2 II, 503-4). 1161
DE
GLI
EROICI
FURORI
son coloro che prima hanno l’amare che l’ intendere: onde gli avviene che tutte le cose gli appaiano secondo il colore della sua affezione; stante che chi vuole apprendere il vero per via di contemplazione,
deve
essere
ripurgatissimo
nel
pensiero. Minutolo. In verità si vede che si come è diversità de contemplatori ed inquisitori per quel che altri (secondo gli abiti de loro prime e fondamentali discipline) procedeno per via de numeri, altri’ per via de figure, altri per via de ordinio disordini, altri per via di composizione e divisione, altri per via di separazione ® e congregazione, altri per via de
inquisizion
e dubitazione,
altri
per
via
de
discorso
e
definizione, altri per via de interpretazioni e desciferazion de
voci,
matici,
vocaboli
e dialecti:
altri metafisici,
altri
son
filosofi
altri logici, altri grammatici:
è diversità de contemplatori
metteno
onde
che con
diverse
mate-
cossf
affezioni si
ad studiare ed applicar l’ intenzione alle sentenze
scritte; onde si doviene
sin a questo che medesima
luce di
verità espressa di un medesimo libro per medesime paroli viene a servire al proposito di sette tanto numerose, diverse e contrarie.
Severino. Per questo è da dire che gli affetti molto sono
potenti
per
impedir
l’apprension
del
vero,
quantunque
gli pazienti non se ne possano accorgere; qualmente aviene ad un stupido ammalato che non dice il suo gusto amaricato 2, ma
il cibo
amaro.
! Nella mia prima edizione ho corretto la lezione Wagner solo perché non mi ero accorto che erano cadute le parole: per via di
composizione e divisione.
2 Di uso negli scrittori dal XIII al XV secolo, ma nel traslato (triste, afflitto), e non, come nel B., nel significato proprio.
(B.
{263-4])
(W.
II, 428)
(L. 744-5)
1162
(G.!
II, 474)
(G2
II, 504-5).
PARTE
SECONDA
- DIALOGO
QUARTO
Or tal specie de cecità è notata per costui, gli occhi del quale son alterati e privi dal suo naturale, per quel che dal core è stato inviato ed impresso, potente non solo ad alterar
il senso,
l’alma,
come
ma,
ed
la presente
Al significato
per
oltre,
l’altre
tutte
facultadi
de
figura dimostra.
l’ottavo,
cossi
l'eccellente
intel-
ligibile oggetto ave occecato! l’ intelletto, come l’eccellente sopraposto sensibile a costui ha corrotto il senso. Cossi avviene a chi vede Giove in maestà,
che perde la vita
e per consequenza
avviene
alto guarda,
perde
il senso.
tal volta vegna
Cossi
oppresso
che chi
da la maestà.
Oltre
quando viene a penetrar la specie divina, la passa come strale. Onde dicono gli teologi il verbo divino essere pit penetrativo che qual si voglia punta di spada o di coltello ?. Indi deriva la formazione ed impressione del proprio vestigio, sopra il quale altro non è che possa essere impresso o sigillato; là onde essendo tal forma ivi confirmata, e non possendo succedere la peregrina e nova senza che questa ceda3, conseguentemente può dire che non ha pi
facultà di prendere altro, se ha chi la riempie o la disgrega per la necessaria improporzionalitade. La nona caggione è notata per il nono che è cieco per inconfidenza, per la deiezion de spirito, la quale è administrata
e caggionata
lo ardire teme
pure
de offendere.
1 Latinismo: cfr. obcaccatus. * Cfr. Paoto, Efes., VI, 17,
3 (FM:
cieda
(cîr. il rinvio
da
grande
Onde
ed
a B
amore,
disse la
Ebrei,
IV,
in Lac.
perché
con
Cantica
12.
e MICHEL).)
(B. ‘((264-5]) (W. II, 428-9) (L. 745) (G.1 II, 474-5) (Gè II, 505). 1163
DE
GLI
EROICI
FURORI
Averie oculos tuos a me, quia ipsi me avolare fecere 1. E cossi
supprime gli occhi da non vedere quel che massime desidera e gode di vedere; come raffrena la lingua da non parlare con chi massime brama di parlare, per terna che difetto di sguardo o difettosa parola non lo avvilisca, o per qualche modo non lo metta in disgrazia. E questo suol procedere ® da l’apprensione de l'excellenza de l'oggetto sopra de la sua facultà potenziale: onde gli più profondi e divini teologi dicono che più si onora ed ama Dio per silenzio che per parola,
come
si vede
più per chiuder
gli
occhi alle specie representate che per aprirli: onde è tanto celebre la teologia negativa de Pitagora e Dionisio 3 sopra quella demostrativa de Aristotele e scolastici dottori. Minutolo. Andiamone raggionando per il camino. Severino. Come ti piace. Fine 1 Cantico
2 GI:
3 Per
(B.
[265])
dei
del
quarto
cantici,
VI,
4.
il Ps.-DronIcI,
cfr.
anche
precedere. (W.
II
429)
(L.
745-6)
dialogo.
sopra,
(G.!
1164
II,
p.
879,
475-6)
n.
(G.2
4.
II.
505-6).
DIALOGO QUINTO INTERLOCUTORI Laodomia +, Giulia >. Laodomia.
Un'altra volta, o sorella, intenderai
quel che
apporta tutto il successo di questi nove ciechi; quali eran prima nove bellissimi ed amorosi giovani, che essendo
tanto ardenti della vaghezza del vostro viso speranza de ricevere il bramato frutto de mendo che tal desperazione le riducesse a ruina, partironsi dal terreno della Campania cordo (quei che prima erano rivali) per la giuròrno di non lasciarsi mai sin che avessero
e non avendo l’amore e tequalche final felice, e d'actua beltade, tentato tutto
il possibile per ritrovar cosa più de voi bella, o simile almeno; con ciò che scuoprir si potesse in lei accompagnata
quella mercé e pietade che non si trovava nel vostro petto
1 L corregge qui e più sotto: Laodamia. % Lo SPAMPANATO (Postille, pp. 235-6) riconosce in queste due «soavi figure femminili », rese allegoriche, due fanciulle che il B. «ebbe compagne d'infanzia, e delle quali serbava un ricordo, forse lontano e vago ». Laodomia sarebbe stata per il filosofo una Beatrice vera e propria. Quanto a Giulia, questa confessa (p. 1178): «se per grazia del cielo ottenni d'esser bella, maggior grazia e favor credo che mi sia gionto, perché, qualunque fusse la mia beltade, è stata in qualche maniera principio per far discuoprir quell’unica e divina. Ringrazio gli dei, perché in quel tempo che io fui si verde,
(B. [266-73) (W. IL, 429-30) (L. 746) (G.! II, [477]) (G.2 IL [507)-S). 1165
DE
GLI
EROICI
FURORI
armato di fierezza; perché questo giudicavano unico rimedio che divertir le potesse da quella cruda cattivitade. Il terzo giorno dopo la lor sollenne partita, passando vicini al monte Circeo, gli piacque d'andar a veder quelle antiquitadi de gli antri e fani di quella dea. Dove essendo gionti, dalla maestà del luogo ermo, de le ventose, eminenti e fragose* rupi, del mormorio de l’onde maritime che vanno a frangersi in quelle cavitadi 2, e di molte altre cirche le amorose fiamme non si posseano accendere nel petto mio, mediante la mia tanto restia quanto semplice crudeltade, han preso mezzo per concedere incomparabilmente grazie maggiori a’ miei amanti, che altrimenti avessero possute ottenere per quantunque grande mia benignitade ». La prima volta (osserva lo Spamp.),
molto facilmente, fur.
(p.
1112),
splendor
di
la s’ intravvede in un son. del 2° Dial. degli Er.
dove
specie
ilfil osofo
simboleggia
intelligibili....
il suo
«Non
invaghirsi
sarebbe
dello
stato
il caso di fare qualsiasi congettura, se nelle opere di B. non si ritrovassero ormai da per tutto, e senza più maraviglia, in vece di crea-
zioni
immaginarie,
avvertire
che i nomi
merazione
del 1563
persone
realmente
madre
e
lo
zio
perciò,
di
nolani,
(foc. 502)
che in
a famiglie affini a quella del B. La nuha una Laodomia,
S. Paolo convive con lo zio Angelo del 1526
Occorre,
di esse interlocutrici esistono nei Fuochi
e .per giunta appartengono
Fuochi
vissute.
(focc.
1092
materno
di
Savolino,
e 1093)
—
Giordano»
tredicenne,
cugino —
risulta da’
di Flaulisa e di Scipione, la (vedi
Cand.*,
n.
2
delle
pp. 188-9); e la numerazione del 1545, secondo nuove e più accurate ricerche (Vita, p. 64, e ivi, n. 3), mostra a c. 97, nel foc. 1192, Giulia, nata a S. Paolo il 1544 (e quindi alcuni anni dopo del fratello Francesco e delle sorelle Preziosa e Vittoria) da Margherita e da quell'Antonio Savolino che nello Spaccio, a p. 634, è ricordato come uno
degli abitanti
di S. Giovanni
del Cesco,
vicino
di casa
del padre
del Nolano. Sicché le due Savolino erano quasi coetanee di Giordano, essendo
dopo
la Giulia
la Laodomia.
1 V.
venuta
alla luce
Spaccio,
p.
590,
n.
strada
di
Capua,
quattro
anni
prima
di lui,
e due
3.
® Di questi luoghi la descrizione è tale che non si può non supporre che l’A. li abbia visti in uno dei suoi viaggi a Roma, prendendo
la
Fondi,
Terracina,
oppure
in
qualche
breve soggiorno, durante il suo monacato, a Gaeta, in uno dei più antichi conventi dell'ordine dei Predicatori della provincia del
(B. (267)) (W. IL, 430) (L. 746) (G.! II, [477]) (G# II, 508). 1166
PARTE
constanze
che
SECONDA
mostrava
- DIALOGO
il luogo
QUINTO
e la staggione,
vennero
tutti come inspiritati: tra’ quali un (che ti dirò), più ardito, espresse queste paroli: — Oh se piacesse al cielo che a questi tempi ne si fesse! presente, come fu in altri secoli più felici, qualche saga? Circe che con le piante, minerali, veneficii ed incanti era potente di mettere come il freno alla natura; certo crederei che ella, quantunque fiera, piatosa pur sarebbe al nostro male.
Ella, molto
sollecitata
da nostri supplichevoli lamenti, condescenderebbe o a darne rimedio, over a concederne grata vendetta contra la crudeltà di nostra nemica. — A pena avea finito di proferir queste paroli, che a tutti si presentò visibile un palaggio, il quale chiunque ave ingegno di cose umane, possea facilmente comprendere che non era manifattura d'uomo, né di natura; de la figura e descrizion de la quale ti dirò un’altra volta. Onde percossi da gran maraviglia, e tàcchi da qualche speranza che qualche propizio nume (il qual ciò gli mise avanti) volesse definire il stato de la lor fortuna, dissero ad una voce che peggio non posseano incorrere che il morire 3, il quale stimavano minor male che vivere in tale e tanta passione 4. Però vi entràro dentro, non trovando porta che fermata gli fusse, o portinaio che gli dimandasse Regno, edificato il 1229 sotto Gregorio IX e che «prior erat in Castello sub nomine S, Nicolaî ». Vedi c. 1471 del vol. 698 dei Momasteriî soppressi dell'Archivio di Stato.
! Arcaismo: facesse. ® Dal lat. saga, ae: t. registrato dal New World of Words, p. 458, con la spiegazione di ‘ maga’, ‘ donna sapiente ’. 3 Cir.
4 Così
Amore,
sopra,
nella
disposti
travagliano: Se
non
p.
580,
Cecaria
a morire c'è speme,
n.
3.
i tre
ciechi
piuttosto 'l duo!
volgono
i passi
al tempio
che a vivere nelle pene
chiuda
le strade
(p.
di
che li
83).
(B. [267-8)) (W. II, 430) (L. 746-7) (G.1 II, [477)-8) (G.2 II, 508-9).
1167
DE
GLI
EROICI
FURORI
raggione; sin che si ritrovàro in una
richissima!
ed oi.
natissima sala, dove in quella regia maestade, che puoi dire che Apolline fusse stato ritrovato da Fetonte 2, apparve
quella ch’ è chiamata sua figlia 3; con l’apparir de la quale
veddero sparire le imagini de molti altri numi che gli administravano. Là con grazioso volto accettati e confortati, si féro avanti; e vinti dal splendor di quella maestade,
piegàro
le ginocchia
in terra,
e tutti insieme
con quella
diversità de note che gli dettava il diverso ingegno,
espo-
mente
laboriosi
tutti
fiumi,
superati
sero gli lor voti alla dea. Dalla quale in conclusione furono talmente trattati, che ciechi, raminghi ed infortunatahanno
varcati
tutti
monti,
spacio de diece anni4;
tutti
mari,
passati
discorse
tutte
pianure,
al termine
per
de quali entrati sotto
quel temperato cielo de l'isola Britannica, gionti al conspetto de le belle e graziose ninfe del padre Tamesi, dopoi 1 Vedi
sopra
2
Quo
Venit
p.
622,
simul
e ivi, n.
acclivo
et intravit
2.
Clymeneta
dubitati
tecta
limite
proles
parentis,
Protinus ad patrios sua fert vestigia vultus Consistitque procul; neque enim propiora ferebat Lumina. Purpurea velatus veste sedebat In solio Phoebus clavis lucente smaragdis.... Ovipio, Metamam., II, 10-24. 3 Circe, dives Solis filia, come è detta da VirciLIO,
4 Questi
diece
anni
sono, evidentemente,
Aen.,
VII,
11.
un altro accenno
autobiografico (pit sotto per quell'uno, tra loro il principale, s'ha da intendere lo stesso B.). I quali dieci anni terminerebbero,
si
badi,
non
con
l'entrare
sotto
il
cielo
britannico
(primavera i583), ma con la data della composizione dei seguenti versi, o. degli Eroîci Furori (1585); e comincerebbero quindi nel 1576: anno che coincide con la data della sua definitiva partenza dal Napoletano (i paesi di Circe) assegnata dallo stesso B., ncl primo
costituto l'altro
si voglia
veneto,
accenno
al 1576
(Vifa,
autobiografico
intendere
quei
30 anni,
p. 697).
della
n.
in modo
Mal
1 a
s'accorda
p.
1I1or,
approssimativo
bensì
salvo
con
non
(propria-
(B. [268)) (W. II, 430) (L. 747) (GI II, 478-9) (G3 II, 509-10). 1168
PARTE
SECONDA
- DIALOGO
QUINTO
aver essi fatti gli atti di conveniente umiltade, ed accettati da quelle con gesti d’onestissima cortesia, uno tra loro, il principale,
che
lamentevole modo: Si
altre
volte
accento
ti sarà
espose
la causa
con
commune
tragico
e
in questo
Di que’, madonne, che col chiuso vase fan presenti, ed han trafitt'il core,
Non per commesso da Ma d’una cruda sorte Ch' in sf vivace morte Le
nomato,
tien .Siam
astretti, ogn'un nove spirti che
Per brama Abbiam
D'un
natura
di saper,
discorsi,
cieco molti
Un'empia
Circe,
D'aver questo
Ne
accolse
Noi
tutti,
e fummo
un
attente, ed o infelici
che
di
surpresi
amanti!
si don’ il vanto
bel sol progenitore !,
dopo
vario
E un certo vase aperse, De le acqui insperse ed
rimase. anni, erranti,
molti paesi
rigid’accidente,
I’er cui, se siete Direte: O degni,
errore,
a quel
far
e lungo
giunse
errore; l’ incanto.
Noi aspettand' il fine di tal opra,
Eravam con silenzio muto Sin al punto che disse: —
Itene
ciechi
in tutto;
attenti, O voi dolenti,
Raccogliete quel frutto, Che trovan troppo attenti al che gli è sopra ?. — mente 28), come terminanti nel 1576 circa; data del secondo processo d'eresia subito dal B. e della sua conseguente uscita dalla Religione. Nella Circe bruniana, innanzi alla quale i ciechi piegàro da
dover
le
ciechi,
ginocchia, raminghi,
e da cui furono
infortunatamente
talmente
laboriosi
trattati
varcar
mari,
passar fiumi, ecc., forse è da scorgere (nonostante la dichiarazione del B. a p. 945) appunto la religione, che B. aveva giovinetto abbrac-
ciata. Per quest’'accenno iperbolico alle sue peregrinazioni, cfr. Spaccio, p. 713, e il mio G. B. nel pensiero del Rinascimento*, n. 1 a pp. 188-0. (Vedi la nota a p. 1178.) 1 La chiesa fondata da Cristo? ? Il frutto che colgono coloro che attendono troppo alla luce (B. [268-70])
(W. II, 431)
(L. 747-8)
1169
(G. II, 479-980) (G.2 II, S10-1).
DE —
Figlia
GLI
EROICI
e madre
di
FURORI
tenebre
ed
orrore,
(Disse ogn’un, fatto cieco di repente), Dunque ti piacque cossi fieramente Trattar miseri amanti,
Che ti si féro avanti, Tacili forse a consecrart’il
core?
—
Ma poi ch’a i lassi fu sedato alquanto Quel subito furor, ch'il novo caso Porse,
ciascun
Mentre
più
Voltossi
alla
Or
Che
in
sé
rimaso,
mercede,
Con tali accenti —
accolto
ira al dolor cede,
accompagnand' il pianto:
dunque,
s'a
zel di gloria forse
voi
piace,
il cor
o
nobil
maga,
ti punga,
O liquor di pietà il lenisca ed unga, Tarti
Co’
piatosa
medicami
a noi tuoi,
Saldand' al nostro cuor l’ impressa Se la man
Deh,
non
Che
sia
bella è di soccorrer tanto
la
dimora
di noi triste alcun
Pria che per gesti tuoi Possiam unqua dir noi:
Tanto
ne tormentò,
sopra-intelligibile sum.
Ossia,
vallo pegaseo. son.
1 Cfr.
C,
pp.
il
di
Dio:
l’ ignoranza
ma
143-4:
Se vuol ch'io
vaga,
lunga,
giunga
più ne appaga!.
altenuati
messa
TANSILLO,
a morte
piaga;
in
sunt
oculi
canzonatura
Poesie,
son.
XXXV,
scampi
la mia
—
suspicientes nella
Cabala
p.
18;
in exceldel
ca-
Canzoniere,
nobil maga,
Che pietà del mio mal forse la punga,
Franga
il serpente
che già morse,
ed unga
Del fier suo sangue la mortal inia piaga. Se
Deh,
la
man
non
sia
bella
tanto
è
di
la
soccorrevr
dimora
vaga,
lunga,
Che "I rigor de la morte al cor mi giunga, Che per le membra a lunghi passi vaga. H dente, che mi morde e m'avvelena
SI ch'io ne moro, è fiera gelosia: Benché *l tosco sia sparso în ogni vena, Vivrò, pur ch'io non vegga quel che vidi,
E coi begli occhi la nemica mia, Quanto mi spaventò, tanto m'affidi. L’evidente
imitazione
fu
già
avvertita
dal
Fiorentino
(ivi,
(B. [270]) (W. II, 43x-2) (L. 748) (G.! II, 480-1) (G2 IL, s11-2).
1170
PARTE
SECONDA
DIALOGO
QUINTO
E lei soggiunse: — O curiosi ingegni, Prendete un altro mio vase fatale 1, Che mia mano medesma aprir non vale; Per largo e per profondo Peregrinate il mondo,
Cercate tutti i numerosi regni: Perché vuol il destin che discuoperto
Mai
vegna,
se non
Per
far questo
quando
alta saggezza
E nobil castità giunte a bellezza V'applicaran le mani; D'altri i studi son vani Allor,
liquor
s'avvien
al ciel aperto.
ch’aspergan
le man
Chiunque a lor per remedio s'avicina, Provar potrete la virtà divina
Ch’a
belle
mirabil contento
Cangiando
il rio
tormento,
Vedrete due più vaghe al mondo stelle. Tra tanto alcun di voi non si contriste, Quantunque a lungo in tenebre profonde Quant'è
Perché
sul
firmamento
cotanto
Per quantunque Mai degnamente
se gli
bene
asconde;
gran pene avverrà che s'acquiste ?.
p. 222). Pel motivo raminghe per tutt'il terren globo nostre membra ece. ‘(che ricorre più sotto), cfr. i vv. 1-3 dello stesso TANSILLO,
0. G., p.
170.
1 Quest'altro
vase
fatale,
contrapposto
al
primo,
aperto
stessa Circe, e che delle sue acque asperge gli uomini, come
pare,
sta
qui
a
significare
la
religione,
—
dalla
se Circe,
e propriamente
la
Chiesa cattolica, il cui insegnamento si riduce all’ Ifene ciechi in tutto, — deve simboleggiare, alla sua volta, Ia promessa che Ja religione fa, ma non mantiene, dell'effettiva cognizione di Dio: un vase,
che la sua mano medesma aprir non vale. E per aprir il quale al B. toccherà andar peregrinando il mondo per largo e per profondo (speculare l'universo naturale ?) finché alta saggezza, nobil castità e
bellezza non
v’applicaran
le mani.
Queste
saranno
le Ninfe britan-
niche, la cui immagine allegorica fu probabilmente suggerita al B. dalla sua idealizzata Cecaria, dove, come s'è veduto, le tre donne
operano
la miracolosa
questa
volta,
di
illuminazione
Ewigweibliche.
Lo
dei ciechi:
stesso
B.
è
una
specie,
ricondotto
a
anche
Dio,
a un Dio mondano, da un senso mistico di ciò che è più vago al mondo:
la femminilità, 2 Si
vedute, (B.
noti
che
il contrapposto
e quant'è
(270-1])
per lui è nobile
(W.
tra
sul firmamento,
IT, 432)
le stelle
(L. 748-9)
1171 78
—
G.
Bruno,
Dialoghi
italiani
castità
che
(G.!
sarà
del
e bellezza. 1nondo,
mai
che
sempre
II, 481-2)
(G.
saranno
ascoso
in
II, 512-3).
DE Per
GLI
quell'a
cui
EROICI cecità
vi
FURORI conduce,
Dovete aver a vil ogni altro avere E stimar tutti strazii un gran piacere; Ché sperando mirare Tai grazie uniche o rare!, Ben potrete spreggiar ogni altra luce. — Lassi! è troppo gran tempo che raminghe Per tutt’ il terren globo nostre membra Son Che
ite, si ch'al fine la fiera sagace
a tutti
Di speranza fallace Il petto n’ ingombrò
Miseri ! ormai
Ch’a
quella
Tenerci
siam
maga,
a bada
Certo perché
con
sembra
sue
lusinghe.
{bench'al tardi)
per più
eternamente
nostro
cale;
lei crede
male,
avisti,
Che donna non si vede Sott' il manto del ciel con tanti acquisti 2. Or benché sappiam vana ogni speranza, Cedemo al destin nostro e siam contenti Di non ritrarci da penosi stenti, E mai fermando i passi
(Benché
.
trepidi e lassi),
Languir
tutta
la vita
che
n'avanza3.
Leggiadre Ninfe, ch'a l'erbose sponde Del Tamesi gentil fate soggiorno,
Deh,
per
Dio,
non
abiate,
o belle,
a scorno
vase
asconde.
Tentar voi anco in vano Con vostra bianca mano Di scuoprir quel ch’ il nostro
tenebre
luto
che
profonde: non
ha
che
è il contrapposto fav con
nei,
come
tra
dice
il Dio
il B.
dei
teologi,
l’asso-
«quant'è
sul fir-
nello
Spaccio,
e il
2 La religione ritiene che quaggii (sotto il mianto possa esserci una cognizione cosi piena della verità.
del ciel)
non
Deus sive natura dei filosofi. (L'Amerio intende mamento: quanto si vede dipinto nei cicli n.) 1 WGI: e vare. 3 Nel
son. Io
XIV
Poiché cedo
Languiy
(Poesie
liriche,
p.
fin qui fu vana
al mio
destino,
tutta la vita,
ogni
e ini
8) il TANSILLO: speranza,
contento
che m'avanza.
(B. [271-2)) (W. II, 432-3) (L. 749-50) (G.! II, 482-3) (G.? II, 513-4).
1172
PARTE
SECONDA
- DIALOGO
QUINTO
Chi sa ? forse che in queste spiagge, Con le Nereidi sue questo torrente Si vede che cossi rapidamente Da
basso
in
su
dove
rimonte,
Riserpendo al suo fonte, Ha destinat’ il ciel ch’'ella si trove.
Prese una de le Ninfe il vaso in mano, tentare,
offrillo ad una
per una,
di sorte che
e senza altro non
si trovò
chi ardisse provar prima; ma tutte de commun consentimento, dopo averlo solamente remirato, il riferivano e proponevano
per rispetto e riverenza ad una sola; la quale
finalmente non tanto per far pericolo ! di sua gloria, quanto per pietà e desio di tentar il soccorso di questi infelici, mentre
dubbia
lo
contrattava,
—
come
spontaneamente,
s'aperse da se stesso. Che volete ch'io vi referisca quanto
fusse e quale l'applauso de le Ninfe ? Come possete credere ch’ io possa esprimere l'estrema allegrezza de nove ciechi, quando udîro del vase aperto, si sentîro aspergere dell’acqui bramate, aprîro gli occhi e veddero gli doi soli, e trovarono aver doppia felicitade: l'una della ricovrata già persa
luce,
l’altra
della
nuovamente
discuoperta,
che
sola possea mostrargli l’ imagine del sommo bene in terra ? ? Come, dico, volete ch'io possa esprimere quella allegrezza e tripudio de voci, di spirto e di corpo, che lor medesimi, tutti insieme, non posseano esplicare? Fu per un pezzo il veder tanti furiosi debaccanti, in senso di color che credono sognare, ed in vista di quelli che non credeno quello che apertamente veggono; sin tanto che tranquillato es1 Latinismo,
e vale:
prova.
2L'immagine del sommo bene in l'oggetto della filosofia bruniana, discoperto mente, cioè appunto da questa filosofia.
terra è nuova-
(B. [272-3]) (W. II, 433-4) (L. 750) (G.1 II, 483-4) (GIL 514-5). 1173
DE
sendo
alquanto
GLI
EROICI
l’ impeto
di ruota !, dove
FURORI
del furore,
se misero
in ordine
il primo cantava e sonava la citara in questo tenore: O
O rupi, o fossi, monti, o piani,
o spine, o sterpi, o sassi, o valli, o fiumi, o mari,
Quanto vi discuoprite grati Ché mercé vostra e merto N° ba fatto il ciel aperto!
O fortunatamente
Il secondo O
e cari;
spesi passi!
con la mandòra
fortunatamente
O diva Circe,
spesi
sua sonò e cantò:
passi,
o gloriosi affanni;
O quanti n'affligeste mesi ed anni,
Tante
grazie
divine,
Se tal è nostro fine
Dopo
che
tanto
travagliati
e lassi!
Il terzo con la lira sonò e cantò: Dopo
che
tanto
travagliati
e lassi,
Se tal porto han prescritto le tempeste, Non fia ch'altro da far oltre ne reste
I Anche
nella
Cecaria
i tre
amanti,
ricuperata
la
vista,
effon-
dono, prima essi stessi, ad uno ad uno, la gioia dei loro animi bene-
dicendo
la passata sventura.
Uno
dice
(p. 96):
Sia benedetto il giorno Ch'a quel bel lume adorno
Prima
Quando
questi occhi apersi,
"I mio cor gli offersi.
Sia benedetto Amore, E °l passato dolore,
Benedetto
Poi
Il B. riprende
'1 penar,
la lunga
noia,
ch'ogni altro martir rivolt'è in gioia.
qui appresso
lo stesso
motivo
e, al solito, lo svolge.
(B. [273-5)) (W. IL, 434) (L. 750-1) (G.! II, 484-5) (G-2 II, 515.0).
1174
PARTE Che
SECONDA
ringraziar
Ch'oppose
DIALOGO
QUINTO
il cielo,
a gli occhi il velo,
Per cui presente
al fin tal luce fassi.
Il quarto con la viola cantò: Per cui presente al fin tal luce fassi, Cecità degna più ch'altro vedere,
Cure suavi più ch'altro piacere; Ch'a la più degna luce Vi siete fatta duce; Con far men degni oggetti a l'alma cassi.
IL quinto con un timpano d' Ispagna cantò: Con far men degni oggetti a l’alma Con condir di speranza alto pensiero, Fu
chi
ne
spinse
a l’unico
Per cui a noi si scuopra Di Dio la più bell'opra. Cossi
fato
benigno
sentiero,
a mostrar
vassi.
IL sesto con un lato Cossi
fato
benigno
a mostrar
cantò: vassi;
Perché non vuol ch’ il ben succeda O presagio di pene sien le pene: Ma
Or
svoltando
inalze,
Com’a
al bene,
la ruota,
ora scuota;
vicenda,
cassi,
il di
e la notte
dassi.
Il seitimo con l'arpa d' Ibernia: Come
a vicenda,
Mentre il Scolora il Talmente Con legge
Supprime
il di
e la notte
dassi,
gran manto de faci notturne carro de fiamme diurne: chi governa sempiterna
gli eminenti
e inalza i bassi.
(B. [275-6]) (W. IL 434-5) (L. 751-2) (G.t IL, 485) (G.* II, 516). 1175
DE
GLI
EROICI
FURORI
L’ottavo con la viola ad arco: Supprime gli eminenti e inalza Chi l' infinite machini sustenta, E
con
veloce,
mediocre
e lenta
Vertigine dispensa In questa mole immensa Quant’occolto si rende e aperto
Il nono O
Quant'occolto non
nieghi,
i bassi
stassi.
con una rebecchina: si rend'e aperto stassi,
o confermi
che
prevagli
L’ incomparabil fine a gli travagli Campestri e montanari De
stagni,
De
fiumi,
mari,
rupi, fossi, spine, sterpi, sassi.
Dopo che ciascuno in questa forma, singularmente! sonando il suo instrumento, ebbe cantata la sua sestina, tutti, insieme ballando in ruota e sonando in lode de l’unica Ninfa con un suavissimo concento, cantarono una canzona,
la quale non so se bene mi verrà a la memoria. Giulia. Non mancar, ti priego, sorella, di farmi udire quel tanto che ti potrà sovvenire. Laodomia.
Canzone de gl' illuminati *. —
Non
oltre
invidio,
o Giove,
Dice il padre Ocean col ciglio Se tanto son contento
Per quel che godo I IVGL:
nel proprio
al
altero,
firmamento,
impero.
—
singolarmente.
? Questa canzone nella struttura dell'opera corrisponde ai versi del Sacerdote, con cui finisce l'illuminazione della Cecaria: dove il Sacerdote esprime quasi i sentimenti comuni a'
tre ciechi.
zione
Ma
del suo
nella sua
spirito
canzone
nella
nuova
B.
canta
filosofia
allegoricamente
naturalistica.
l'esalta-
Giove
(B. [276-8]) (W. II, 435-6) (L. 752) (G.1 II, 486) (G4 II, 517). 1176
PARTE —
A
SECONDA
Che
superbia è la tua?
Ie ricchezze
O
dio
de
Perché
DIALOGO
tue che
Giove risponde;
cosa
le insan’onde,
il tuo
QUINTO
è gionta?
folle ardir tanto
surmonta?
— Hai, disse il dio de l'acqui, in tuo Il fiammeggiante ciel, dov’ è l'ardente Zona, in cui l’eminente
Coro
de tuoi
Qual
ti so
pianeti
puoi
Tra quelli tutt’ il mondo
Quanto
dir
che
lei che
tanto
mi
vedere.
admira
non
rende
io
comprendo
nel
mio
potere
il sole,
risplende,
Più glorioso dio de la gran mole. Ed
—
vasto
seno,
Tra gli altri, quel paese ove il felice Tamesi
veder
Ch' ha di pid Tra
quelle
lice
vaghe
ottegno
Per far del mar
Te,
Giove
ninfe il coro ameno; tal fra tutte
belle,
più che del ciel amante
altitonante,
Cui tanto il sol non splende tra le stelle1. —
Giove responde: —
Ch'altro si trove Non lo permetta
Ma
O dio d'ondosi mari,
più di me il fato;
beato,
miei tesori e tuoi corrano al pari. Vagl'il sol tra tue ninfe per costei; E per vigor de leggi sempiterne, De
le dimore
Costei
alterne,
vaglia per sol tra gli astri miei.
qui, col suo firmamento, rappresenta la verità sovrintelligibile: il padre Oceano, la Natura. (Il MicHeL osserva: « Si cette intérpretation est exacte, la divinité manifestée
s'égale en
effet,
à la divinité inaccessible admet
le principal
Canzone
que
miei
enseignement
de gl' illuminati.
thesori
(Jupiter, et tuoi
de la chanson
Une
dernière
(1’ Océan,
la Nature)
al pari.
Toutefois,
le dicu
corrano
est dans
du ciel). Celui-ci, le titre mème
fois, et pour
conclure
de
son
ouvrage, Bruno place la connaissance intuitive au-dessus des facultés discursives — meme quand cette connaissance est celle de
la Nature, dès lors que la Nature est contemplée en tant que reflet du divin ».) 1 Anche nei Due pellegrini del TansILLO (vv. 616-3) degli occhi
della
sua
donna
Mento;
Filauto
S' io dico «o stelle »
non
fur già mai,
S' io v'uguagliassi (B.
[278-79])
(W.
dice:
II, 436)
né fian st belle;
al sol, nulla direi.
(L. 752-3) 1177
(G.I II, 486-7)
(G.2 II, 517-8).
DE
GLI
EROICI
FURORI
Credo averla riportata intieramente tutta. Giulia. Il puoi conoscere, perché non vi manca sentenza che possa appartener alla perfezion del proposito; né rima che si richieda per compimento de le stanze. Or io, se per grazia del cielo ottenni d’esser bella, maggior grazia e favor credo che mi sia gionto; perché qualunque fusse la mia beltade, è stata in qualche maniera principio per far discuoprir quell’unica e divina. Ringrazio gli dei, perché in quel tempo che io fui sf verde, che le amorose fiamme non si posseano accendere nel petto mio, mediante la mia tanto restia quanto semplice ed innocente crudeltade, han preso mezzo per concedere incomparabilmente grazie maggiori a’ miei amanti, che altrimente avessero possute ottenere per quantunque grande mia benignitade. Laodomia. Quanto a gli animi di quelli amanti, io ti assicuro ancora che, come non sono ingrati alla sua maga Circe, fosca cecitade, calamitosi pensieri ed aspri travagli per mezzo de quali son gionti a tanto bene; cossi non potranno di te esser poco ben riconoscenti*. Giulia, Cossi desidero e spero. TINE
DELLA DE
N.
SECONDA GLI
ED
ERoIcI
ULTIMA
PARTE
FURORI.
1 (Per una approfondita interpretaz. della Circe bruniana v. ora
BapaLonI,
La
filos.
di
G.
B.,
Firenze,
1955,
pp.
166
sgg.)
(B. [279-80)) (W. IT, 436-7) (L. 753-4) (G.! IT, 487-8) (G.2 II, 518-9).
1178
INDICI
NOTA
nomi
SUGLI
INDICI
La precedente e cose
DELLA
TERZA
edizione presentava
notabili
contenuti
nel
un
testo
EDIZIONE
Indice alfabetico di
e un
Indice
alfabetico
delle principali note (quest'ultimo con riferimento anche alle Prefazioni gentiliane). Il primo di essi, fondato essenzialmente sul
vecchio
indice
dell'edizione
Lagarde,
benché
arricchito
nel passaggio dalla prima alla seconda edizione curata dal Gentile, risentiva di un difetto di origine per quanto riguarda
l’elencazione
dei
nomi
propri:
difetto
sioni notevoli pur nell'ambito
dei nomi
non
margine
consistente
registrati;
in
omis-
quanto
poi
alle «cose notabili », il criterio di scelta (peraltro non rivelato) poteva
non
implicare
un
di arbitrarietà:
difetto
questo comune al secondo indice (delle «principali note »). Ad evitare un perpetuarsi, pur su base ridotta, deì difetti accennati, si è deciso per questa terza edizione, anziché di pro-
cedere
ad
una
revisione
ed
ampliamento
di compilarne due interamente
citamente
tabili
oggettivi.
contenuti
nel
All’ Indice
testo
degli indici esistenti,
nuovi conforme a criteri esplialfabetico
si è sostituito
di
nomi
quindi
un
e cose
no-
esclusivo
Indice dei nomi contenuti. nel testo: nomi propri (e soprannomi),
aggettivi derivati e titoli di opere — alla cui compilazione ha atteso il Dr. B. Rateni — con esclusione quindi delle « cose notabili»
in
considerazione
anche
del
fatto
che
queste,
se-
condo i criteri gentiliani, non possono non coincidere con parte almeno delle note ai testì cui è destinato il secondo indice. Il secondo indice — compilato dal curatore di questa 1 L'abbreviazione
presenza
o,
nell’Indice
comunque,
bolici.
Quasi
termine
tutti
loghi dello Spaccio
prs., subito
come
dopo
il nome,
personificazione,
ricco,
nel
testo
ne
personaggio
bruniano,
giustifica la fantastico
di significati sim-
i nomi seguiti dalla sigla sono contenuti nei dia-
della Bestia
Trionfante.
118I
NOTA
SUGLI
INDICI
nuova edizione — si intitola Indice alfabetico delle note ai Dialoghi e registra in ordine alfabetico tutte le note ai testi raccolti
(siano
esse
del
Gentile
o del
nuovo
curatore),
con
esclu-
sione delle note di «critica testuale », non essendo queste facilmente definibili in una elencazione alfabetica. Mentre per quanto concerne le due prefazioni gentiliane si fa senz'altro rinvio alle pagine che le contengono, quanto alle note di critica testuale giova qui precisare, colmando così la lacuna, che nella nuova edizione esse sono raggruppabili in cinque sezioni
conforme
principali
al
seguente:
prospetto
Cena
a) note che contengono le varianti definitive della (aggiunte dal curatore di questa terza edizione): p. 17
p.
n.
n. 4; p. 20 n. I; p. 21 n. 3; p. 63 n. 3; p. 64 67
1, 3;
p.
69
n.
3,
5, 6, 7;
p.
70
n.
n.1,
2;
3, 4, 5, 6;
p.
71
n.
1,2,
3: 4, 7, 9, 10; p. 72 N. I, 4, 5, 6; P. 74 n. 2, 4; Pp. 75 n. 3;
p.
76 n. 6, 7; p. 77 n.
2,3; p-78
2, 4, 5; P. 85 n. I, 2, 3;
n. 1; p. 81 n. 4; p.82
n. 1,
è) note che rilevano emendazioni al testo fornito dalla seconda edizione Gentile (emendazioni incorporate nei testi dal curatore di questa terza edizione): p. 21 n. 5; p. 24 n. 3; p.
48
n.
2;
p.
62
n.
2; p. 93
n.
2; p.
105
n.
I; p.
II16 n. 2;
SII
p. 118 n. 2; p. 121 n. 2; p. 122 n. 2; p. 135 n.2; p. 136 n. 2; . 140 n. 2; p. 149 n. 2; p. 165 n. I; p. 175 n. I; p. 178 I; p. 179 n. I; p. 183 n. 2; p. 184 n. 2; p. 185 n. 1; . 205 n. I; p. 207 n. I; p. 212 n. 2; p. 213 n.
I, 3 bis; p. 214
. 2} p. 24I N. 5; p. 245 N. 2; p. 247 N. 2; p. 250 n. I; P. 254 . 1; p. 264 n. 2; p. 265 n. 1; p. 267 n. 1; p. 271
n. 3; p. 285
. . .
N. n. n. n.
5959990
999
. 5; p. 286 n. 1 bis; p. 291 n. 3; p. 293 n. 2, 2 bis, 3; p. 296 4; P. 302 N. 4; p. 305 n. I, 3; p. 306 n. I; p. 308 n. 1; 316 n. 3 1; p. 372 3: P. 448 I; p. 535
(cfr. p. 334 © 342); p. 327 n. 1; n. 2; p. 380 n. 1; p. 388 n. 1; n. 2; p. 471 n. 1; p. 481 n. 2; n. I; p. 542 n. 1, 3; p. 544 N. 5;
p. p. p. p.
334 397 506 564
I; 2; 2; 1;
P. p. p. p.
339 416 510 566
. 1} P. 575 n. 3; p. 578 n. 3; p. 585 n. 3; p. 593 n. 2; P. 595
5
.- 3; p. 600
n. 5; p. Gor
n.
1; p. 619
n. 2; p. 680 n. 2; p. 723
SD
- 2; P. 735 n. 1; p. 748 n. 3; p. 759 n. I; p. 767 n. I; p. 773
- 3} P. 774 n. 1; p. 776 n. 2, 3; p. 816 n. 5; p. 821 n..1; p. 823 n. I, 2; p. 841 n. 3; p. 870 n. 2; p. 878 n. 3; p. 879 n. 3; p. 88I
1182
NOTA
DI
2,
Py
1; p. 880 n. 4; p. 9II
1010 2; p. 1083 I; p. 1118
3; Pp. 949
N.
I,
977
n.
1; p. 986 n.
3;
p.
IIS5
n. 2, 1067 n. 3; 1096 n. 3;
SUGLI
INDICI
n. I; p. 913 n. 2; p. 935 n. I; p. 946
3; p. 962
n. 2; p. 964
I; p. 992
n.
n. I; p. 994
I;
2;
p.
II6I
n.
968
n.
n. 2; p. 998
3; p. 1018 n. 1; p. 1025 n. I; p. 1026 n. 2; p. 1068 n. 1; p. 1081 n. 3; p. 1085 n. I; p. 1089 n. I; p. 1090 n. I; p. 1098 n. I, 3; p. 1105 n. I; p. 1120 n. I; p. 1128 n. I; p. 1146 n.
p.
n. p. n. p. n.
1;
n. 3;
I; p. 1082 3; p. II13 3; p.
1034 n. 1; 1093 n. I; 1153
I;
c) note che rilevano emendazioni (o alterazioni) ai testi originali pur tacitamente accolte o introdotte dal Gentile
ed
esplicitamente
ticate dal curatore
o implicitamente
della terza edizione:
ooppppdpos59
23 n. 2; p. 24 n. I; p.
I; 2; I; 3;
p. P. p. p.
44 n. 74 Nn. 137 n. 164 n.
I; I; I; 1;
(mediante p.
15 n.
raffronti)
cri-
1; p. 21 n. 6;
32 n. 2; p. 36 n. I; p. 38 n. 1; p. 42
p. 52 N. 3; p. 76 n. 2; p. 146 n. 3; p. 184 n. 3;
p. 54 n. 4; p. p. 82 n. 3; p. p. 154 n. I; p. p. 188 n. x; p.
59 n. I, 5; P. 85 n. 4; p. 155 n. I; p. 193 n. 3; p.
63 123 163 230
I; p. 236 n. 1; p. 265 n. 2; p. 276 n. 4; p. 287 n. 1; p. 292 I; p. 364 n. 2; p. 381 n. 2; p. 427 n. I; p. 481 n. 4; p. 486 n. 1; p. 543 n. 3; P . 556 3: P. 495 N. I; p. 503 n. 4, 5; p. 516
I
, 2; P. 582 n. 3; p.
601 n. 2; p.
621 n.
I; p. 630 n. 2;
P . 635
. 5; p. 637 n. I; p. 653 n. 1; p. 773 n. 1; p. 831 n. I, 2, 3; . 853 n. 2; p. 865 n. 4; p. 925 n. I; p. 950 n. I; p. 10I5 n. I;
. 1030 N. I; p. 1045 N. 3;
d) note che indicano emendazioni ai testi originali accolte o introdotte dal Gentile e non discusse in questa sede
DI 5DBPPPDS
dal curatore della terza edizione (tranne che per eventuali rettifiche di trascrizione): p. 32 n. 1; p. 60 n. 3; p. 63 n. 1; . 65 n. 1; p. 75 n. 2; p. 76 n. 5; p. 81 n. 3; p. 85 n. 5; p.86
. 3; p. 9I n. 3; p. 92 n. 2; p. 93 n. I, 5; p. 96 n. 1; p. 104 . 3; p. 112 n. 2; p. I13 n. 3; p. II4 n. I, 2, 3, 4; p. 123 . 2; p. 124 n. 1; p. 133 n. I; p. 139 n. 3; p. IqI n. I; p. 163
+ I; p. 164 n. 2; p. 178 n. 2; p. 189 n. 1, 3; p. 195 n. 7; p. 196
. 2; p. 198 n. 1; p. 206 n. I; p. 209 n. 2; p. 2II n. 3; p. 213 . 2, 3; P. 215 n. 4; p. 218 n. I; p. 220 n. 4; p. 226 n. 1; p. 227 I; p. 234 N. 2; p. 253 N. I, 4; p. 255 n. 5; p. 258 n. 3; p. 259 2; p. 266 n. 1; p. 267 n. 2; p. 268 n. 1, 2; p. 269 n. 2; p. 272
1183
NOTA
SUGLI
INDICI
. 2; p. 280 n. 1; p. 282 n. 1; p. 286 n. 3; p. 288 n. 1; p. 290
III
. . . .
2, 4, 5; p. 294 N. 4; P. 296 n. 3; p. 297 n. 2; 305 n. 2; p. 306 n. 2; p. 3I9 N. I, 2, 3, 4; P. 32I 2; P. 323 n. 2, 3; p. 326 n. I; p. 330 n. I; p. 332 n. 3; P. 333 N. I, 2, 3; P. 337 N. I; P. 338 Ii P. 350 n. 2; p. 353 n. 1; p. 356 n. I; p. 357 I
, 2; P. 362 n.
. 2; P. I i p. I, 2; I; p.
381 399 P. 444
n. N. 434 n.
p. Nn. 331 n. N.
302 n. 3; I; p. 322 n. I, 2; 4; p. 346 I; p. 350
I; p. 363 n. 3; p. 376 n. I; p. 377 n. I; p. 380
1; p. 390 n. 2; I, 4; P. 403 n. 3; N. 2; p. 435 n. 2; p. 446 n. I;
p. 392 n. 2; p. 396 p. 405 n. I; p. 417 3; Pp. 438 n. 1, 2, p. 450 n. I, 2; Pp.
n. I; p. 397 N. 2; p. 429 3, 4; P. 440 453 n. 2, 4;
VV
. 454 N. 3; P. 457 N. I; p. 461 n. 1; p. 466 n. 4; p. 467 n. 2; . 468 n. 3; p. 472 N. 1; P. 473 N. 3; P. 474 N. I; p. 476 n. I; . 478 n. 3: p. 482 n. 1; p. 483 n. 1; p. 485 n. 1; p. 486 n. 1;
SVI
. 489 n. . 501 n. .1,2;p. » 532 N.
I, 2; p. 492 N. I; p. 493 2; p. 502 n. I; p. 503 523 n. I, 2; p. 524 N. I; 3, 4, 5; P. 533 N. 3,
N. I; p. 499 n. I; p. 500 n. I; n. I, 2; p. 516 n. 2; p. S2I p. 530 N. I, 2; p. 531 n. 1,2; 4; P. 558 n. 2; p. 559 n. 1;
. 562 n. 2; p. 566 n. 3; p. 577 n. 1; p. 578 n. I, 2; p. 579 n. 2;
. 581 n. 1; p. 590 n. 2; p. 593 N. 5; P. 594 N. 4; p. 596 n. 1;
POSSO
. 599 n. 7; p. 603 n. 2; p. 604 n. 3; p. 606 n. 4; p. 618 n. 2; . 619 n. 1; p. 624 n. 2; p. 625 n. I; p. 632 n. 3/Pp. 643 n. 1; . 649
n.
I,
3; p.
65I
n.
1,
2; p.
652
n.
I; p.
653
n.
2; p.
658
. 3; p. 659 n. 1; p. 662 n. 2; p. 670 n. I, 2; p. 672 n. 2; p. 674 . 2; P. 675 n. 3; p. 679 n. 2; p. 680 n. I,
3; p.
681
n. 2;
p. 633
DIP
- 2; p. 684 n. 4; p. 688 n. 3; p. 694 n. 2; p. 697 n. I, 2; p. 700
DD
. 1; p. 710 n. 3; p. 714 N. 1; p. 729 n. I; p. 731 n. I, 3; P. 740 . I; P. 743 N. 3; P. 754 N. 2, 4; p. 761 n. I: p. 768 n. 1; p. 770 . I; p. 784 n. 3; p. 788 n. 4; p. 789 n. 4; p. 797 n, 2; p. Bor
S
. 1; p. 805 n. 2; p. 807 n. 1; p. 816 n. 1; p. 838 n. x; p. 847 . 1; p. 851 n. 10; p. 856 n. 1; p. 862 n. 1; p. 867 n. 4; p. 870 - 4; p. 872-n. 1; p. 880 n. 3; p. 897 n. 6, 7; p. 890 n. 3; p. 900
I
. I; p. 906
n. 2; p. 908
n.
1; p. 919
n. 4; p. 920
n. 2; p. 94I
IVI
. I; p. 953 n. I; p. 965 n. 2; p. 979 n. I; p. 987 n. 2; P. 993 . 1; p. 997 N. 3; p. 1005 n. I, 2; p. 1008 n. 2; p. 1016 n. I; . 1019 n. 2; p. 1023 n. 3, 4; p. 1033 n. I; p. 1038 n. 1; p. 1052
. 1; p. 1056 n. 1; p. 1062 n. 1, 2; p. 1065 n. I; p. 1066 n. 2, 3;
. 1077 N. 1; p. 1082 n. 5; p. 1083 n. 5; p. 1090 n. 1; p. I09I
1184
NOTA
SUGLI
INDICI
n. 1; p. 1093 n. 2; p. IIOS n. 5; p. 1107 n. I; p. II108 n. 1; p. 1114 n. 1; p. 1118 n. 4; p. 1123 n. I; p. 1145 n. I, 3; p. 1148 n. 1; p. 1ISOo n. 5; p. II55 N. I; e) emendazioni
(e alterazioni)
derivate
dalle
ristampe
dei Dialoghi posteriori alla seconda edizione Gentile, segnalate
9BPP
dal curatore della terza edizione ma non incorporate nel testo: 29 n. I, 2; p. 54 n. 1 bis; p. 107 n. 2; p. I81 n. 3; p. 183 I, 3; p. 185 n. 2; p. 187 n. I; p. 243 n. Ibis; p. 264
I; p. 267 n. 3; p. 302 n. 5; p. 306 n. I bis; p. 338 n. 1 bîs, 3; . 376 n. I; p. 377 N. 2; Pp. 517 N. I, 2; p. 524 n. I; p. 525
DOON
. I; p. 849 n. 4; D. 855 n. 1 dis; p. 894 n. I; p. 900 n. 4; . 959 n. 4; p. 963 n. I; p. 965 n. I; p. 989n. I; p. I00I n. 2, 3; . 1008 n, 1; p. 1027 n. 2; p. 1029 n. I, 2; p. 1081 n. 2; p. III2 2; p. 1150 n. 2 bis; p. 1163 n. 3.
Concerne la ricostruzione delle figure conforme all'originale la nota di ‘p. 95 n. 1. Rimangono
escluse
da ogni
elencazione
mente del tutto ormai inoperanti — denuncino esclusivamente corruzioni ristampe
dei Dialoghi
All’ infuori
delle
di
critica
perché
critica-
le note gentiliane che contenute nelle prime
(particolarmente
note
—
ad opera del Wagner).
testuale,
delle
quali
si è
tuttavia detto, l’ Indice delle note ai Dialoghi (che pur le riprende in considerazione, ogni qual volta ad esse vadano con-
nesse osservazioni di esegesi filologica, mentre le forme originali dal Gentile respinte ed emendate nel testo vengono pur esse registrate — tra parentesi quadre — qualora importino
a
testimonianza
completezza: Come
ove
criterio
dell’usus
scribendi
si eccettuino di
bruniano)
eventuali
registrazione
si
pretende
inevitabili
è inteso,
possibile, riprodurre testualmente le voci niane che hanno provocato il commento:
nei
alla
sviste.
limiti
del
o espressioni brugli elementi costi-
tutivi di quest’ultimo vengono quindi di regola taciuti intendendosi «coperti» dalle voci ed espressioni suddette: non ho però esitato a rilevare voce o espressione da una parte ed elementi
fosse («
del
commento
raccomandata
dall'altra
da
motivi
qualora
di
la duplice
chiarezza.
») figurano voci ed espressioni spiegate
1185
Tra
notazione
virgolette
nelle note
e tra-
NOTA scritte
nell'indice
zione;
fuor
scempie
SUGLI
conforme
al
rilievo
nomi
INDICI
testo
bruniano,
(‘ —- ') le rare voci del testo alterate
commento
Ferma
registrata
scrizione
d'ogni
ed
espressioni
o che quello riassumono. restando
—
fin
la regola
dove
che
praticabile
del testo bruniano
ogni
nota
(ripeto)
nel punto
che
tra
virgolette
nella
trascri-
ricavati
viene
dal
comunque
mediante
la
l’ ha provocata
tra—
specifico che per gli elementi costitutivi del commento e che ricorrono con maggiore frequenza ho adottato i seguenti criteri: un Dialogo italiano del Bruno viene registrato quando ad esso sia fatto riferimento in nota ad uno dei rimanenti Dialoghi; la commedia e le opere latine dello stesso vengono registrate sotto i titoli specifici, nella sezione riservata a BRUNO, GiorpaNO, conforme alla successione cronologica della pub-
blicazione
quale
appare
nella
citata
Bibliografia
bruniana
del Salvestrini (tranne che il rinvio ad esse, come pure ai Dialoghi, sia implicito nel rinvio a voci o espressioni del testo
trascritti letteralmente nell'indice); alle opere indicate nel commento come fonti dirette o indirette dei Dialoghi si fa rinvio nell'indice mediante la registrazione del nome dei ri-
spettivi
tamente
autori:
nella sezione BIBBIA
si elencano però distin-
le opere del Vecchio e del Nuovo
forme alla successione vulgata (sempre anch'esse coperte da trascrizioni testuali);
Testamento
con-
che non risultino il nome del Florio
è rilevato, oltre che con riferimento al personaggio storico, ogni qual volta esso ricorra nel commento a suggerire una
derivazione diretta dai testi bruniani (viene invece taciuto qualora introdotto nel commento come autore dei dizionari italo-inglesi allo scopo di spiegare una particolare voce o espressione
trascrizione
bruniane
testuale);
alla composizione
di per sé registrate nell'indice
per altri autori
di Dialoghi
mediante
le cui opere posteriori
siano chiamate
a confronto
nel
commento (es. Campanella o Galileo) l’ inclusione nell’ indice è limitata ai casi in cui si proponga un confronto immediato e una probabile derivazione sia suggerita (per il resto, comunque, il rinvio a quegli autori è anch'esso coperto nell'indice dalla registrazione cato).
delle
parole
o dei concetti
1180
che
lo hanno
provo-
NOTA Poiché,
edizione, più
come
pure
SUGLI
INDICI
osservato
nella
le note linguistiche
formulate
conforme
per le note di questo
Premessa
del Gentile
non
rigoroso
criterio
a un
alla
appaiono
terza
per lo
tecnico, anche
tipo ho preferito registrare testualmente
nell'ordine alfabetico le voci annotate sotto le denominazioni approssimative
anziché raggrupparle e talora ingannevoli
fornite dal commentatore: il che è sempre riuscito praticabile, tranne per i casi concernenti il passaggio nel discorso diretto dal « voi » al «tu » e viceversa (cfr. le note a p. 75 n. 2; p. 223
n. 2; p. 473
n. 2; p. 666 n. 4), oltre a un caso di passaggio
dall’oratio obliqua all’oratio recta (p. 137 n. 2) e ad un altro in cui il Gentile rileva l'uso dell’ infinito in luogo del congiuntivo (p. 381 n. 2). nota
Giova infine dichiarare che pur quando nel commento sia costituita
dice
rinvio
si
registrano
(conforme
dal semplice
rinvio
esplicitamente
anche
qui
ai
gli
criteri
ad altra nota,
elementi
enunciati).
nell’ in-
impliciti
G. A.
1187 78
—
G,
Lnuno,
Diuluyhi
italiani.
una
nel”
INDICE
DEI
CONTENUTI
876.
(prs.)
567.
Abstinenza (prs.) 560, 823. Academia 133, 904, 916-18, 921-
22.
academico 906,
923.
(-i)
908,
842,
877,
915-16,
Academie 771, Acate 217.
918,
(prs.) 564,
Acheloo
586,
(prs.)
629.
564.
(prs.)
1083.
564,
acustico (-i) 917, 923. Adamanzio, Origene 850. Adamo 199, 878.
Addizione
(prs.) 560.
Adriatico
768.
714.
Adrastia 988. Adria 6809.
Adulazione (prs.) 569, Aeneae 1083. Aeoliae 1061, 1063. Aeropagita 879. Aethiopem 786. Aetna 1055.
Aftabilità
02I,
741.
Acheronte 189, 575. Achille 217, 825, 1081, Achilles 579.
Acquisizione
902,
848.
Accidia
Accortezza
NEL
TESTO
Africa 710.
Abante 711. Abinoen 849. Abraamo 870,
Absoluzione
NOMI
(prs.)
565,
Affetto (prs.) 937. Affezione (prs.) 566. Affrontamento (prs.)
814.
Africane pianure 761. Afrodiseo: v. Alessandro diseo. Agenore 608.
Aggiuto (prs.) 564, 749.
Agnello 788. Agostino 880. Agrippa 1083.
Alacrità
(prs.)
569.
690.
Alasco 133. Albenzio 634. Albertino 358, 495..., 537. Alc(h)azele 121, 1157. Alcide 563, 599, 607, 630, 750. Alcmena(-e) 576, 1001. Alecto 192, 1144. Alemagna 751, 811, 8z1. Alessandro Afrodiseo 115. Alessandro Dicsono: v. Dicsono. Alessandro Magno 17, 39-40, 8093,
896,
III4.
Alfonso 165. Alienamento (prs.) 565. Alienazione (prs.) 763. Almagesto 165. Alpe (-i) 115, 713, 720, 724, 763. Altare 825.
(prs.)
Alterezza
754.
Afro-
570,
(prs.)
Alvaro 9I1. Alvernia 115. Amarat 579. Amazonia, regina
Ambizione
710,
1189
(prs.)
724-25,
602-03,
612,
563.
629.
563,
751-52.
565,
570,
INDICE Ambruoggio
636.
Ambruogio
Amore
897.
(prs.)
566,
565-698,
591,
883,
046,
766-67. 741,
767,
965, 971-72, 989, 993-95, I0I10, 1036,
1056,
1112, II52. Amorevolezza Anagogia
(prs.)
Analogia
II10I,
1106,
(prs.)
569,
569.
II109,
770.
Anaxarco
(Anaxagora) 242, 31I, 934, II22.
170,
1054.
Ancroia 673. Andromeda (-e) 565, 5098, 606, 611, 710-11, 754, 884, QII.
Anfione
215.
Anfitrione 576. Angeli 865. Aniel 866. Animadversioni contra 260. Animali santi 865.
Anime
separate
Aristotele
866.
circolo
Antartico, Anteo
629.
Anticyram Antiliceo
Antiopa
polo
841.
(Antyciram)
289.
(-e)
576,
37,
di,
S.
Anton l’aivano 637. Antonio Savolino 034. antropofagi 69. Apelle 30, 227-28, 1058. Apennino (-i) 713, 1087. Apin 867.
apocaliptici Apolline
(-i)
132.
1001.
Antonia 673. Antonio, abbate
228.
32,
584,
8563,
1168. apollineschi,
884,
015,
raggi
Apostasia
Apostolo
089,
(prs.)
625,
680,
565.
v. Paolo,
Applauso (prs.) 567. Apprensione (prs.) 563.
Appulso 884,
Aquila
1002,
S. s.
(prs.) 567, 775, 937.
764. 567, 600, 602, 612, 797,
1047.
612,
751,
Aquilone (-i) 122, 176, 529, 978, 100I, 1051-52. Arabia 1042. arabico (-a) 257, 63I. arabo (-i) 69, 306, 894. Aracense: v. Macometto.
565,
604,
718,
787, 796.
Arcade
608,
865.
621.
Arcadia 129. Arcadiche, cittadi 629. Arcadio, paese 608.
1117-18.
Arctofilace
621;
v.
Artofilace.
Areopagita
879;
v.
Dionisio.
215,
498,
Ardelia 564. Ardire (prs.) 773. Arelio 225; v. Dicsono. Argo
864,
821.
619,
603,
858;
[Aretino]:
v. galant’uomo.
158,
966.
607,
711,
Argonauti 30. Argo-nave 612. Ariadna 607. Aries
621,
625, 749-509, 773, 782, 817-19, 826,
220,
Arcangeli 865. Archimede 841, Archita 333.
607.
164,
195.
1099. Apollo 586.
Aralin
Animosità (prs.) 699, 716. Annibale (-lle) 55, 76, 291.
Antartico,
Apollo
Aprutio Aquario
(prs.) 569.
Anassagora 250, 278,
NOMI
apollinesco
Amfitrite 68, 113, 599, 1125, 1128.
Amicizia
DEI
22,
80.
Ariete 166, 612, 1047, 1072. (Ariosto, L.}: v. ferrarese, I'octa. Aristarco (-chi) 46, 893. Aristotele 8, 12, 41-43, 60, 104,
1123,
795.
107,
137, 212, 257,
1190
112,
116,
126,
128,
156-57, 160, 186, 217, 236, 238, 247,
259-62,
270,
272-743,
135,
zIo, 250, 275»
INDICE 278,
286-87,
312-13,
306,
324,
309,
340.
DEI
310,
348,
Asinità
352,
355-58, 370, 372, 386-87, 396, 398, 400, 422, 424-27, 446-47, 452, 454, 459, 466, 468, 472, 481,
491,
513, 957,
495,
526, 959,
1123,
1164;
500-04,
506,
673-74, 688, 732, 1067, 1114, 1115, [Opere]:
Fisica
292, 353, 402, 421; Del tempo 1067; Metafisica 688; Del cielo
e mondo
teora
116,
(della
136,
353;
Metorologica
Me-
con-
templazione) 112, 156, 278, 454, 871; Priori 673; Posteriori 673, 743; Categorie 742; Periermenia 742; Poetica 957; Del vacuo 399; Della generazione 278; De animali 278; Piante
278;
Topica
Avistotelem
292.
743.
Aristotelici 179. Aristotelis, fons 212. Aritmetrica (prs.) 563, Armenia 797. Armesso
I9I,
104...,
701.
223.
militare
Artica,
stella
(prs.)
569,
1128.
Artico
164.
Artico, Artico,
deserto 18. polo 160, 841.
Artico, Artico,
cerchic 1128, circolo 606.
Artofilace 562; Artur 775.
Asclepio
784,
Aser 870. Asia 223. Asinelli 816. Asini
Asinio
602-03.
23.
v.
786,
807.
1136.
Arctofilace.
1074.
(prs.)
863.
Asino (Cillenico) 833, 838, 913-14..., 923. Aspettazione (prs.) 565.
848,
Aspirazione (prs.) 565, 775. Asprezza (prs.) 567, 800. Assentazione (prs.) 569, 814. Assuero 8. Asterie, ninfe 576, 1001. Astolfo 74.
Astreo,
Titan
1061.
Astuzia (prs.) 723, 727. Ateismo (prs.) 570. Atene 893. Atlante (-i) 599, 710, 765. Atropo 790. Attenzione (prs.) 565, 750,
Atteone
(-i)
1008,
813,
1021,
1024,
841,
775.
1005-06,
1124-25.
attici, di lingua 210. Attico 1083. Audacia (prs.) 563, 699. Augurio (prs.) 569. Augusto 23, Aurora 187,
Arno 762. Aron 220. Arpia (-e) 629, 967. Arpinate 25, 543. Arpinatem 215. Arroganza (prs.) 563, 567, 570,773. Arte (prs.) 564.
Arte
NOMI
1082. 1061.
Australe
862,
Avarizia
(prs.)
828.
Austro (-i) 122, 529, 631, 967, 978, 1048-49. Autoritade (prs.) 565-66. Avanzamento (prs.) 566. 563,
569-70,
718,
680,
699, 710, 721, 724, 741, 815. Avellona 92. Averno 58. Averroè 126, 306, 468, so1, 890, 998, 1048, 1157. Avicebron,
Fonte
di
274, 298. Avicenna 258.
Babelle 617, 878. Babiloni 179, 863.
Babilonia
Babilonica,
Bacco
932,
(-e)
220,
Bacio (prs.) 767. Bagattella (prs.) 568.
I19I
311,
cattivitade
194-95,
1002.
208,
vita
262,
819.
610.
581,
749,
INDICE
DEI
Baio, A. 833, 925. Balaam (-0) 194, 870. Balbuzie (prs.) 822. Barac
849.
Barbaria
567,
Barnaba,
Galileo
Basilicata
Bassaridi
764.
Bor.
Beccaria
569.
Behemoth Belial
Belide
Britanno
827.
(prs.)
53.
Bilancie
567,
Blesura
(prs.)
771,
Bina 865. Biscaino 204.
8,
563,
568,
773.
822.
Caesar
Caesari
Boreale 862. Boriosità (prs.) 563. Borsa, a Londra 75. Bove 608, Briareo 587. Britannia
Britannica,
17,
da
68,
393,
(-i) 181, 228, 617, 837,
869,
875,
(-0)
932,
947,
toro.
866,
608,
Icor.
211,
255.
1038.
Cagnolina, Cagnuola 568-609, 601, 814,
569.
Caio 879. Caistro 703. Calcante Caldaica,
748,
761.
195. magia
799.
Caldei 41, 894, 917,
160,
isola 5409, 774,
209.
1168.
863.
Caesaris 211, 255. Cagnazzo Bio.
Calabria
296.
115,
864,
Cadmo
897.
Maria
Cabalista
cabalistica, teologia 837. Caballino fonte 884. Cacco 630.
1049.
Boshtel,
S19,
QII, 9I2.
cabalistica
Bontà (-de), (prs.) 562, 692, 365. Boote 18, 607, GiI. Bora 1048.
Borea
la
Cabala 565, 782, 799, 833, 837,
Boccaccio 215. Boffonaria (prs.) 568. bolognese, grasso 8. Bonifacio
494,
Buono (prs.) 567. Burchiello 673. Burchio 355, 367, 363..., 432, 446..., 468, 536. Busire 629.
773.
Bernesi 618. Bestialità (de),
362,
De
Buggia (prs.) 699, 774, 817.
865.
802.
214,
214;
168; Cena
Bucefalia 764. Bucefalo 763.
Bellerofonte 604, 884. Bellezza (prs.) 865. Belo 617. Bene (prs.) 564, 714.
Beniamin 870. Benignità (prs.)
204,
1130-31. Buazzo (prs.) 60.
903.
825.
196,
Causa
dominio
925;
Bestia trionfante 842; Cabala 975; Ombre de le idee 842; 177,
866.
Beuckhurst
815.
Purgatorio de l'inferno Trenta sigilli 842, 1091;
854.
Berenice
935.
[Opere]: Arca di Noè 79, 842;
780.
866.
Benelohim
paese
brittanni 69. Bruno, Gioan 633, 975. Bruno, Giordano 173, 343,
583.
Beelzebub Belgico,
Britannico,
220.
Battista
Beatrice
800.
NOMI
1122. Calepino
216.
Calicutto 256. Calidonio 750.
1192
943,
1007,
INDICE Calippo
39, 40.
Calisto
Callidità
Calunnia Camael
582,
562.
(prs.) 565,
866.
Campana,
897.
aura
Campania
761,
750.
Centauro 569, Cerbero 629.
Cesare
r165.
Cesarini,
Campano, orizonte 1113. Campo di Flora 75. 122,
138,
602,
768, 863, 1033, Candavia 1087. Candia 744. Cane
601,
611.
Can maggiore canibali 69.
Canicola
1047.
607,
612,
568.
esito
Capitoli
158.
1099,
1083.
Capricorno 122, 138, 600, 602-03, 612,
1163.
567, 775.
599, 794,
796, 816, 1033, 1047.
Capua
Carezze Caronte
54,
Casamarciano,
835.
Cassandra
180,
vescovo
195.
Cassiopea
Castello, in Castelnovo,
586.
563,
606,
611,
833,
705.
Cola
Catone
(-i)
14.
Cautela Cavallo
(prs.) 612.
582,
Choachin
Ciacchi
569,
606,
711,
del
8660.
cielo
865.
823,
Cicala, Cicala,
825.
B21.
1030...,
monte
castello
Cicerone
639.
987...,
1070.
635.
monte di 633. padron de la nave
1084;
v. Arpinate,
eloquenza
popina
215.
Cieco d’Adria 689. Cielo 34, 87, 98, 113, 161,
1126.
612,
Ciarla (prs.) 802. Cicada 953..., 974...
189-90,
762-63,
786,
765,
192,
768,
294.
Ar-
210.
130,
554,
773,
796, 802, 819, 947.
143,
605,
784,
429, 473, 487, 506, 508, 514-
802.
713,
618.
Cielo, empireo 251, 664, 1087. Cielo, ottavo 429, 560. Cielo, primo 161, 370, 372, 375,
Casualità (prs.) 562. Cataduppi 1147.
Caucaso
Chirone .606,
Ciceroniana,
Castigo (prs.) 563. Castità (prs.) 567, 770.
Catanzaro,
568,
ciceroniana,
Genova 792. Maria da 290.
1147.
Roma
1083.
Chelippio, monte 774. Cherubini 865, 866. Chiaccone 822. Chiesa (prs.) 566.
pinatem.
Castelnovo, Michel di 3, 175, 345; v. Mauvissiero.
Cataduppici
di
931,
189, 290. sublunare,
Cicala, ‘di
159,
(prs.)
Cicada,
767.
1087.
76,
1007...,
291.
Cariddi
Ceto
Chaos Chaos
Cantica 932, 937-38,
825.
Cesarino 1071..., 1112..., Cespitazione (prs.) 822. Ceter 865. 802.
(prs.) GII.
Canobico,
612,
Cerere 455, 748-49, 782, 795.
1112-13.
819,
NOMI
Celicoli 582. Celio 577, 578. Cena (prs.) 570.
621.
(prs.)
Cammaroto
Cancro
DEI
931.
699,
16, 519, 536.
Cielo,
817.
Cecco, ciabattino 469. Cefeo 171, 562, 606, 611, 620, 711.
stellato
251,
866.
[Mercurio]
922.
Cielo, terzo 857, 1058. Cigno 563, 604, 611, 703, 884. Cillenico, asino 833-59, 913-23.
Cillenio
1193
INDICE
Cipro 579, 779. 619,
1169,
Circeo,
Circeo,
749,
1178.
monte
1166.
incantesimo
cirenaici 262. Cis 66. Citereida 933. Citolino, Alessandro
Civiltà
262.
945,
1174,
(prs.) 566,
Clemenzia Cleoneo
Cleopatre
(prs.)
607,
223.
629.
Climene 711. Cacaio, Merlin:
989,
1167,
929.
77.
567,
564,
800.
749.
Concorsia
(prs.)
Concressalto
stelnovo,
566,
3, 175,
Michel
di.
Condonazione (prs.) 567. Confederazione (prs.) 766.
Confidenzii)a 809.
(prs.)
Confraternitade
Confusione
(prs.)
(prs.)
766.
563, 766.
775,
797.
Convenzione
(prs.) 766.
Conversazione (prs.) 567, 766. Conversione (prs.) 566, 708. Convitto (prs.) 566, 760. Convivio (prs.) 567. Convizio (prs.) 817. Copernico 10-11, 87, 90-9I, 94, Copernicus Coribante
567.
345;
766. 567,
Contubernio (prs.) 767. Contumelia (prs.) 765.
42, 165, 544.
724,
564,
Contenzione (prs.) 565, 817. Continenza (prs.) 567-68, 770-71. Contingenzia (prs.) 562. Contratto (prs.) 567, 560. Contrazione (prs.) 565, 5607,
814. 566.
Comunicazione (prs.) 569, Conciliabulo (prs.) 766.
562,
(prs.) (prs.)
809.
8.
Commutazione (prs.) Comodità (prs.) 714.
(prs.)
Contaminazione Contemplazione
v. Merlin.
Comità (prs.) 5609, Communione (prs)
Congregazione (prs.) 566. Connubio (prs.) 766. Conscienza (prs.) 773. Conseglio (prs.) 564-65, 749. Conseglio, Perverso 566. Consentimento (prs.) 565, 763. Consentino: v. Telesio. Considerazione (prs.) 568, 800. Conspirazione (prs.) 766. Constanza (prs.) 565, 6os. Constrettura (prs.) 564.
Consultazione 717.
Cocchiarone, don 898. cocchiaroni 796. Cocito 704. Cocle 1054. Codardiggia (prs.) 568, 809. Colchi 606. Còlera (prs.) 566. Collimazione (prs.) 750. Colofonio: v. Xenofane. Colombino, S. Colombo 31.
NOMI
Congiura(-zione), (prs.) 566, 766.
Cimmeria 1146. Cimmerie 1145. Cimmerii 737. cinica 268. cinico (-i) 5, 8, 170, Cintia 933. Cipria, dea 1058. Circe
DEI
QII.
815.
Corinna
Cornea,
766.
v. Ca-
699,
26-28, 36, 40, 103, 13I, I4I-
139-40. 86r...,
933.
porta
Cornucopia
882,
892...,
884.
216.
Corocotta Grunnio: v. Grunnio. Corona 612, 826-27, 865. Corona australe (austrina) 570, 601,
Corona
625.
boreale
Corsica 814. Corveto 764. Corvo
1194
569,
601,
563, 817.
622.
INDICE Costantino
635.
Costantinopoli
(-de),
42.
(prs.)
570,
Boo. Creso (-i) 17, 218. Creta 215, 607, 779.
Crisaorio
Crisio
711.
703,
Democrito 689,
Crisippo 217.
culice (culex) 65. Culpepero 212.
Cupidi 22. Cupidine (prs.) 941. Cupido 562, 582, 644, 767, 801, 989, 1042, 1079. Cura (prs.) 567, 814. Curiositade (prs.) 564, 754. Cusa, cardinal di 775; v. Cusano.
De
442.
91, 102,
Dan
335, 354, 440;
la dotta ignoranza
Custodia
(prs.)
568,
91, 440,
Danubio
207,
223.
Dappocagine
(prs.)
568,
Debellazione
(prs.)
567.
David
de
Debilità
Dinanto
(prs.) 563.
999.
Defensione
Defraudazion Deiezione
180,
Delfinato
(prs.)
753,
699.
764.
(prs.)
217,
566.
Desperazione 699,
809.
Destrezza
Detrazione Deucalione 1046,
(prs.)
(prs.)
563,
219,
(prs.) 565, 750. 589, 798-99, 950,
1132.
609,
750, 769, 774, 782,
Dicsone
1099,
II23-25.
unica
Dicsono
297;
795,
v.
Dicsono.
253,
261...,
299..., 317, 325..., 342.
Dicsono,
315.
Dictina
Alessandro
Arelio
609,
770.
225.
G21,
Bio-
1112-13,
[Elisabetta]
225...,
Dicsono,
763.
568,
508.
Deuteronomio 850. Dialettica (prs.) 562. Diana 455, 562, 606,
Diana,
936. 288,
214.
Didone (-i) 217, 223. Difetto (prs.) 562, 566. Difficultade (prs.) 715. Diffidenza (prs.) 568.
Difformità
(prs.) 562.
Dignità (-de), (prs.) 504-65. Dilezione (prs.) 565, 754. Diligenza (prs.) 564, 71r-15,
(prs.) 563.
(prs.)
Desio
II1I9,
Debora 849. Decepzione (prs.) 774. Decoro (prs.) 564. Dedalo
146,
1086.
-13, 946, 951,
870.
583.
8,
Demogorgone 220. Demonstranza 565. Demostene 215, 217. Derisione (prs.) 818. Desiderio, S. 3, 7. Desidia (prs.) 564, 717.
814.
Danae 576, 709, 1001. Danese, mastro 635.
Dante
(-i)
262, 311, 356, 361, 4II, 531,
742.
cristiani 126, 840. cristiani, teologi 876, 943, 944. Cristianissimo Re 175, 345, 826. Crudeltà(-de), (prs.) 565, 765.
Cusano
NOMI
Delicie (prs.) 570. Delirio (prs.) 822. Delitto (prs.) 563. Delphinun 753. Delta (prs.) 755. Deltaton (prs.) 598. Demetrio 755.
840.
Costanzo, Pietro Crantore 666.
Credulità
DEI
567.
725-27.
Delfino 565, 599, 604, 612, 753, 704, 796.
Dimas 543. Dinanto: v. David.
Dei
1195
836.
INDICE Deus
Dio
883,
34.
105,
1137.
47,
53-55,
122,.124,
30, 238,
251-52,
386-87, 728-209,
394. 786,
71,
126, 227, 279,
DEI
83-84,
220-
284,
292
347, 362-63, 371, 377, 381-82, 51,
854-58,
465, 792,
870,
512, 845,
551, 849-
879-80,
Donato Dori
1096,
1197,
1132,
I144,
1164, 1172, 1175; v. Idio. Diogene (-i) 8, 17. Diogene Laerzio 93. Diomede
130,
171,
pugnabili,
(prs.)
569,
719,
Discortesia (prs.) 564. Discussione (prs.) 563. Discussioni peripatetiche Disdegno (prs.) 564. Disfavore (prs.) 564. Disgrazia (prs.) 567. Dismession (prs.) 566. Disordine
(prs.)
814.
(prs.)
565,
Drago Druidi
Eaco
irrefragabili,
suttili,
ivi;
ivi;
santi
619.
562, 61. 797, 885.
1083.
(prs.) 563. (prs.)
565.
Roberto
(prs.)
631.
Ebetudine
565.
(prs.)
68-09.
750.
Ebreo (-i) 616, 783, 792, 799, 819, 851, 854-55, 867-609, 934, 1065,
Dispersione (prs.) 565. Dispetto (prs.) 566, 765. Dispreggio (prs.) 564, 569, 727, 764, 814, 818. Dissegno (prs.) 566. Dissimulazione (prs.) 564, 707-9.
Domestichezza
ivi;
543.
Duello
260.
773.
Dite 1152. Dittinna: v. Dictinna. Divinazione (prs.) 818. Dizionario 216. Dolide (Deoide) 576, rI001. Dolo (prs.) 774. Dolore (prs.) 699, 727. Domenea 1083.
822.
ivi; profondi,
Draggonaccio
Dudleo,
766.
Dissoluzione (prs.) 565. Distribuzione (prs.) 567,
serafici,
Ducato
747,
ivi;
magni,
Dubio
Dionisio 1164; v. Aeropagita. Dioscori 220. Disaventura (prs.) 713. Disciplina (prs.) 565.
Discordia 817.
ivi;
Druso
629.
(prs.)
dottore, illuminato 843; irrefragabile, ivi; sottile, ivi. dottori, angelici 466; aurati, ivi;
930-3I, 933-34, 937, 994, 9961093,
933.
1118.
Dormitazione
927,
97, 1004, 1008, IO0I9, 1022, 1040, 1055, 1078, 1087-88,
NOMI
1074.
Ebrietade (prs.) 569, 821. Ebro 223, 629. Eccesso (prs.) 563, 800. Ecclesia (prs.) 766. Ecfanto Pitagorico 90. Edipo
Edonide
195.
220.
Efesio: v. Eraclito. efettici 45, 876-77, 904-05. Effigiatori 865.
880,
902,
Egesia 447. Egestade (prs.) 749. Egitto 158, 223, 4II-12,
580,
Egeria
776, 819,
220.
778,
855,
784-85,
869,
egiziane 821, 868. egizii (-pzii) 41, 555. 560,
776,
779-80,
863, Egizii,
867-69, misterii
1196
791,
794-95,
799-801,
1074,
I129.
589,
616,
800,
819,
782-84, 799.
1073. 979.
7806-87,
INDICE Elena
218,
Elezione Elia
891.
Elicona
Eliconio
Elisii,
227.
(prs.)
25.
fonte
565,
60,
Elitropio 191..., 217. Elizabetta 67, 222;
unica, Elohim 865. Elpino 350,
433...
352,
472...,
Emendazione
689,
1.
367...,
498...,
(prs.)
Erinni
erinnici,
962.
601,
768.
900.
Diana,
397...,
537.
Empedocle 231, 233, 235, 272, 687, 1006, 1122.
Emulazione (prs.) 565, Endimion 949, 1090. Enea 54, 217, 1083.
Entità
(prs.)
Entusiasmo Eolie
1061,
562.
(prs.)
1062.
565,
250,
754.
Epicureo, poeta 1079; v. Lucrezio.
Epicuro 93, 96, 146, 354, 356, 361, 397, 4II, 438, 531, 687, 1053-54, 1083, 1086. Epicuro, M. A. 59.
220.
Equanimità (prs.) Equicolo 611. Equinoziale
797.
161,
Equinozio 1033. Equità (prs.) 567. Eraclide
di
Ponto
762,
773. 90.
Eraclito 8, 96, 146, 217, 279, 320. Eraclito Efesio 93. erasmiano, adagio 132.
Erasmo 37. Ercole (-ule) 54, 607, 611, 62728, 606, 606, 698, 710-11, 725,
825, 9IS. Eremo 567, 796. Eresia (prs.) 565. Eridano 568, 583, 863.
866.
Errico terzo
808-009,
1104.
192.
di Francia 826, 842.
Errore (prs.) 563, 705. Esculapio 171, 591, 749,
Esercizio
(prs.)
714;
cizio. Esercizio bellico esopico 583. Esperidi 629.
v.
825.
Esser-
807.
(prs.)
563.
Essempio (prs.) 565, 763. Essercizio (prs.) 564; v. Esercizio. Etica (prs.) 563, 702-03. Etiopia 169. Etna
590.
Ettore 76, 217. Euclide 333, 1118. Eudosso (Eudoxo) Eufrate
Eumenidi
600,
Europa 17, 639, 660,
535.
570.
801.
28,
67, 209, 710, 769.
39. 223,
Excandescenzia
v. Vangelo.
(prs.)
765.
Execuzione (prs.) 563, 774. Exemplarità (prs.) 565, 763.
Exiodo 957, 959.
Ezxodo
849.
Exorbitanza
l'acilità
Faivano,
Fallo
1197
(prs.)
600.
(prs.)
Anton
(prs.)
622,
599.
Euschemico 774. Evangelico 851. Evangelo 5, 854; Evante 220. Evanti 582. Eveno 170.
Facete
603,
corno
Euschemia
166,
720.
171.
cacciatore
erinnico,
Eroi
550,
visi
erinnico,
Europe
773. 164,
502,
Espugnazione
763.
Eolo 594, 632, 1033, 1061-63. Epicurei 94, 262, 278, 348, 1052, 1065-66.
Epitemeo
NOMI
Erimantici, deserti 629. Erimantide, selve 621.
750.
961,
campi
DEI
565.
563.
563.
637.
INDICE lalsità(-de), Fama Tame
fano
(prs.)
(prs.) (prs.)
602;
562-63,
177. 690.
v.
Fato
725-27.
691,
l'auni 770. Tauno 195,
568.
fiorentino,
Firenze
560,
729.
6093.
202,
Faustine 223. Favola (prs.) 569,
711,
Felice,
Fellonia
565,
Martire
570, °
631,
1052,
Ferinità
ferrarese,
ferrarese,
(prs.)
pive
563.
Poeta
Fetonte
608,
fescennini 960. Fetone 603.
773,
Fiacchezza (prs.) 563. Fidia 30. Tierezza (prs.) 563. Figonia 818. Figuratura (prs.) 560. Filantropia (prs.) 564, Filautia Filenio
Filippo,
-
(prs.)
0981-82.
(prs.)
563,
702.
fisici 399, 923, 978. fisico 917. fisionotomisti 919. fisognomico 919.
Flacco
956.
Flora 75. Tlorio 52, 55, 82, 544. Floron 617. Folco Grivello 9, 50-51,
v. Fe-
(prs.)
Forza
685-91,
Filistei 201, 853. Filolao 90. Filoteo 191-92..., 224, 352, 307...,
394..., 433...) 471..., 495, 504..., 537.
569,
350,
Francesco,
S. 542.
francese Franche
676,
698-99
(prs.) 564, 715, 724.
86,
354,
446...,
367-68...,
473.
294.
arcipedante copie 827.
492,
260.
Francia 7, 69, 87, 115, 159-60, 256, 295, 734, 826, 842; (am-
basciator
893.
6094-96,
Fracastorio
francese
748,
563,
713, 716, 771, 912. Fortunnio, S. 81.
393, 432, 504-05.
565,
82, 133,
Fonte di vita: v. Avicebron. Forcidi 709, 711. Formidabilità (prs.) 566. Fortezza (prs.) 563, 568, 666,
683,
563.
macedone
Fisica
Fortuna
1168;
8
Firmamento 31, 125, 143, ISI, 162, 354, 430, 560, 946, 1007, 1072, 1171, 1176.
698, 755, 865.
708.
(prs.) 564.
796.
1042-43,
1084.
magro
774.
550.
196.
Fervore
tone.
159.
1037-38,
1079-81,
1042,
7509-61,
Nolano
23.
727,
Fiume 612. Fiurulo 636. Fizione: v. Finzione.
825.
(prs.) 562.
Tenice
713,
585.
Favore (prs.) 564, 749. Fazione (prs.) 566. Febo 52, 195, 766, 932,
1099. Fede (prs.) 800, 826.
NOMI
Fine (prs.) 562. Fineo 710. Fi(n)zione (prs.)
Altare.
Fantaso 737. Faraone 791. farisei 932. Farsaglia 1038. Fatica (prs.) 564,
715,
DEI
di...)
Castelnuovo,
544;
Michel
l’ranzino 633. frigii fanciulli 576. Frode (Fraude), (prs.)
774.
Frulla
1198
12,
16,
10...
v.
di.
565,
anche
567,
44, 52.
INDICE 85...,
IIO,
127...,
142,
197, 214, 541-43.
Fuga (prs.) 699. Tumositade (prs.) 822. Fuoco (prs.) 787. Furia(-e) 563, 699, 765,
Furor
(prs.)
Gabriel
565,
754,
DEI
1609,
1152,
Giove,
865.
585,
829.
Gelosia (prs.) 966-67, 970-71. Gemegli (Gemini) 566, 612.
Generosità (-de), 753, 769-790.
(prs.)
Genio (prs.) 565. Genoese (-vese) 741, Genova
792,
818.
1163,
cielo
565-66,
giudaica,
giudaico,
866.
giudei
799.
popolo
126,
788,
543,
722,
876.
849,
860.
giudeo 760, 791. Giudici, Libro dei 849. Giudizio (-cio) 563, 627, 666-67, 711, 765-76. Giulia 1165..., 1178. Giunone 555, 583, 590, 599, 607, 618,
621,
628,
630-0I,
703,
736, 763, 768-69, 1058-60. Giustizia (prs.) 567-68, 604, 668,
Giusto
(prs.) 773.
Gloria
(prs.) 564,
gnostici 237. Goffaria (prs.)
827.
543.
Gesuati 8. ghibellino 42. Giacinto 584. Giacobbe 736. Gianni, prete 578.
171.
Glutius Gola
126;
v.
566, 568, 570,
822.
(prs.)
569,
564.
821.
Gorgone (-i) 605, 612, 709. gorgonio, trofeo 564. Governo (prs.) 566. Granchio 566, 599, 768. Grandazzo
619.
giganti 615-16, 852. Gigantoteomachia 560. Giob(-be), Libro di 124, Iob.
570...,
685, 699, 711, 755, 773.
815.
629.
606,
568,
1176-77.
cabala
Germania 734, 751. Gerusalemme 880. Gervasio 214, 225..., 254..., 292...) 316, 33I..., 342.
Giasone
188, 200-01, 361-62, 547,
562,
di
Glauco
Gestas
Bruno.
185, 322,
560,
gentile, popolo 854, 876. Gentilezza (prs.) 568. Geometria (prs.) 563, 702. Gerione
v.
Gioviale, decreto 828. Giuda 859. Giuda, leone 869.
(prs.) 568, 802. 570,
di 133.
608..., 644..., 725..., 827, 842, 878, 884, 900, 914-15, 921-22, 932, 1003, 1055-56, 1058,
223.
(prs.)
551;
554-59,
704.
866.
Garrulità Geburah
Giordano
pazienza
Giove 46, 160, 216, 2109-20,
988.
Galilea 813. Galileo Barnaba 750. Gallico, furore 723-24. Ganimede (-i) 80, 583, 608, 644. Gaudio
Giobbe,
Gioseffo (-efo) 820, 870. Giova (Iehova) 793, 870.
Gad 870. Galaad 933. galant'uomo, un 960. Galeno 258, 264.
Garonna
NOMI
251,
252.
Gratitudine (prs.) 567, 569, 814. Grazia (prs.) 567, 773.
773,
greci 21, 24-25,
599,
greca,
lingua
779.
797.
1199
819,
869,
306.
261,
799-800,
1081.
555,
B804-05,
INDICE greci, teologi 851. Grecia 223, 412, 794,
797,
801,
greco
760,
779,
804,
819.
25, 257, Bo4, 806. Gregorio 897. Grivello,
306,
Folco;
Folco
v.
vello. Grossezza (prs.) 750. Grungarganfestrofiel 822.
Gri-
Grunnio Corocotta 83. Guadagno (prs.) 560. Guardia (prs.) guello 42. (prs.)
Haioth
heccados
Hod
865.
Homerica poesia 950; v. omerica poesia.
979,
109I,
Ianni de l’ Orco Iapeto
711.
Tasone
72.
Iattanz(i)a
(prs.)
563,
Ibernia
619,
1175.
07, 709.
68,
Ibero regno Ibi 1002. Icilone 737.
Idio
136,
Idra
569,
v. Dio.
Jerusalem
lima.
Improvisione (prs.) 562. Imprudenza (prs.) 562, 564. Impudenz{(i)a, (prs.) 563, 567. Impudicizia (prs.) 770. Impugnazione (prs.) 563. Incolumità (prs.) 564, 713.
629.
152,
GoI,
854,
Iesod 865. Ignoranza, (prs.)
237, 612,
875;
(prs.)
714.
asino
Indigenza
568,
777,
562-63,
714.
(prs.) 822.
Indignazione (prs.) 764. Industria (prs.) 564, 699,
715,
Inerzia (prs.) 562-64. Infidelità (prs.) 6909, Inganno (prs.) 565,
723,
706-
849;
Jeroso565-68,
570, 699, 754, 763, 825.
Imbasciatori 865. Imbracciamento (prs.) 767. Imitazione (prs.) 565. Immondizia (prs.) 563. Impazienza (prs.) 566.
826. 567,
774, 815. Ingegno (prs.) 564, 754, 765. 87,
v.
(prs.)
Indigestione
Inghilterra
816.
840.
727, 807.
1120.
802.
826.
Impostura (prs.) 562, 568-69, 818.
indico,
865.
Iamblico
Imperio (prs.) 565. Impeto (prs.) 565, 765. Impietà(-de), (prs.) 570, Imposizione (prs.) 563. Impossibilità (prs.) 562.
Inconsiderazione (prs.) 750. Inconstanza (prs.) 566. Inconsultazione (prs.) 564. Incontinenza (prs.) 567, 770. India occidentale 815. Indiani 785. Indicazione (prs.) 565.
570.
Hasmalin 865. Hesed 865. Hocma 865-66.
NOMI
Incomodità
568.
Guin 52-53, 544.
Gusto
DEI
133,
3,
7,
175,
26,
222,
68,
70,
256,
345, 618, 814, 818, 842, Ingiuria (prs.) 764, 773. Ingiustizia
inglesa,
(prs.)
lingua
567,
85-86.
6909,
78,
295,
951.
704.
inglesa, nobiltà, 133. inglesa, terra, 159. inglese 86, 139.
Ingratitudine (prs.) 507, 773. Iniquitade (prs.) 563, 705, 773. Innocenza (prs.) 731.
Inquisizione
(prs.) 564.
Inquietudine (prs.) 564, 568. Insidia (prs.) 565, 569, 750, 817. Insolenz(i)a (prs.) 563, 699, 760,
773.
INDICE Inspirazione (prs.) 565. Instabilità (prs.) 565. Instigazione (prs.) 564. Intelletto (prs.) 567. Intemperanza (prs.) 567,
Intempestività Intento
(prs.)
Intenzione
(prs.) 747.
(prs.)
741,
750,
800.
latini,
566.
817.
66.
500,
Iove 0917. Iovem 189. Iovi 188.
(prs.)
Irritamento Isachar
565-66,
870.
Iside 455,
741,
(prs.) 564.
778,
782,
813, 823. Ispagna 705, 1175. Ispionia (prs.) 565. Israele 23, 870. israelita
66,
Italia
70-71,
568.
87,
794,
734, 808.
lingua
159-60,
205,
257.
Jacob 299, 869. Jerosolima 792; v. Ierusalem. Jonio 92, 587. Jonvilla 3, 175, 345; v. Castel-
novo.
Lamento
v.
Lampsaco
Lancinio
Laocoonte
Diogene.
(prs.)
566.
585,
742,
170,
749.
630.
568,
601,
932.
612,
Lerne 629. Lerneo mostro Lesbia 933. Lete 620, 689, letee 900. Leteo, fiume Lettera
979.
Laerzio;
612,
lettere,
italiano (-i) 52, 77, 86, 260, 766, 947. Ixion
607,
Lethaea 188. Lethaeum 883.
223, 256, 295, 412, 629, 639,
italiana,
627,
768, 770, 787, 1046-47.
850.
Issim 865. Istrionia (prs.)
851.
latino (-a) 20, 86-87, 257. Latium 215. Laura 583, 933. Laurenza 634. Lavamento (prs.) 563. Lavoro (prs.) 506, 727. Lazaro 469. Leda(-e) 218, 570, 1001. Legge (prs.) 562, 569, 621,
Lepre
764-65.
780,
teologi
666-63, 765-66. Leone 566, 602, 604,
Ipoczisia .(prs.) 562, 774. Ipparco (prs.) 28, 39-40. ippogrifo 73. Ira
NOMI
Laodomia 1165..., 1178. Laodonio 1127..., 1139. Lasco: v. Alasco. Latini 869.
565.
Invenzione (prs.) 564. Invidia (prs.) 564-65, 567, Tob
DEI
lettere,
Letto
ad
809.
622. 833,
945,
580.
Alexandro
divine
sacre
896.
848.
847.
(prs.) 570.
Levi 869. Leviathan 866. Levità (prs.) 568. Liberalità (prs.) 569, 815. Liberio 1127..., 1139.
Libero
Libertà
796.
Libia
607.
(-de),
159, 629,
(prs.) 734,
Libici deserti 769.
Libidine (prs.) 770. Libra 166, 583, 612, Licaone 8, 127, 588. Liceo 289, 893. Licestra, conte
Dudleo. Licori 0933. 120I
1099.
di
605,
608,
567,
715,
1048,
1106.
773,
1047.
68,
69;
+.
INDICE Ligustico
mare
DEI
818.
mahumetano, Malachim
londrioti
137,
170.
Longanimità 699, 764.
(-de),
Loquacità (prs.) 818. Lotto 822. Lucca 820. Luciano
108,
Lucilio Lucina
Lucretius,
Lucrezia
565,
569,
802.
IIr.
1087. 455, 596,
769.
epicureus
1054.
Lucrezio 957; Lucullo 8.
v.
094.
Lucretius.
Luna 13, 33-34, 93-94, 96, 10203,
1107-08,
122-23,
130-3I,
140-41, 147, 150, 240, 256, 320, 354, 398, 407, 431..., 451,
476, 481, 487, 506, 521, 524, 528, 537, 781, 784, 848, 866, 868-609,
1137.
luna,
1026,
cielo
Lusitano, Lussuria
Macedone
1038...,
della
regno
1052,
866.
827.
(prs.)
741.
289,
893.
Macometto Aracense 40. Madian 73. Maestà (prs.) 564. Mafelina 57. Maghi 41, 232, 943. Magi, tre 73. Magia 569, 782, 799, 818. Magnanimità (-de), (prs.) 565-66,
568-69, 753, 769, 770, 796.
Magnificenza
(prs.)
565.
126.
865.
750,
Maleachim: v. Malachim. Malignità (prs.) 564.
(prs.)
568,
121.
Malchuth 865. Maldicenza (prs.} 569, Male (prs.) 763, 768.
Litigio (prs.) 1061. Lode (prs.) 865. Logica (prs.) 563, 702. Lombardi 25. Londra 159. 196.
teologo
mahumetisti
Lilibeo 588. Linceo 11, 864. lioncorno 990. Lira 563, 611, 700.
Iondriota
NOMI
753.
Malizia (prs.) 562, 570, 703. Mamfurio 78. Mania (prs.) 565. Manigoldaria (prs.) 568. Mantia (prs.) 569. Manto
27.
Marco,
piazza
mantuano
742;
817.
727,
v. Maron.
di
S.
700.
Marco Tullio: v. Tullio. Maria da Boshtel: v. Boshtel. Maria da Castelnovo: v. Castelnovo. Maricondo (-a) 1071..., 1II2..., 1126. Mariolia (prs.) 568. Maron mantuano 742. Marone 217. Marone Virgilio: v. Virgilio. Maroni 956. Marseglia 753. Marso 749. Marte 129, 562, 584, 6109-20,
7905-06, 750, 765, 777, 781.
Marte, Marte,
cielo di 866. stella di 129.
Martinello 636. Maytis 129. Marziale 957. matematici 922. matematico
Mattheo thco.
917.
Tobia:
Mauvissier(0)
v.
Tobia
3, 7, 169,
173,
Mat175,
205, 343, 345; v. Castelnovo, Michel di. mavorzii 171. Mecenate (-i) 956, 960, 1082. Medea
Medce 1202
606,
749.
619.
INDICE Mediterraneo 115, 159. Medusa 598, 605, 709, Megara 607. Megera 364. Melancolia (prs.) 565. Melazzo 252.
Melisso
146.
Menadi
220.
Melpomene
Menelao, Menfi
DEI
711.
(-mfi)
Mobile,
Mercurii Mercurio
32, 589, 664. 73, 98, 219-20,
Mercatura (prs.) 569, Mercede (prs.) 563.
680...,
723,
9I4..., 923,
815. 256,
749...,
Mercurio,
cielo
Mercurio,
tavole
Mercurio,
Egizio
Mercurio,
di
821,
780. di
1074;
562.
Pitagorico
Micena 158. Michael 866. Milano
v.
702.
69,
914...,
923.
632,
749,
807, 815-16, 1058, minervale, ludo 241.
Minervam
709,
759,
1060.
745;
805,
140.
U,
Bruno,
783,
791,
3, 25, SI, 177, 187,
194,
917.
Dicloghi
965,
989,
1082.
Nabuchodonosor Naiade 586.
673.
801.
Napoli 42, 75, 205, 803, 818, 840. napolitano 133. Nasone 742.
1203 —
311,
Muse d'’ Inghilterra 26. Museo 215. Musica (prs.) 563, 702.
Nanna
Ministerio (prs.) 566. Minoe 215, 631. Minutolo 1140..., 1164. Mirmidonia 764.
79
mosaica 793. Mosè 122, 124-26, 886.
+62,
702,
756-57,
737.
600, 701, 754, 756, 884, 915, 937, 946-47, 954-56, 957, 961-
960.
688-90,
561709,
Mormorazione (prs.) 568. Moro, Avicebron: v. Avicebron. Morte (prs.) 599, 727. Mosa 223.
Muse
171, 220, 257, 605, 608,
754,
866.
Monachismo 796. Mondo, Nuovo 797. Mongibello 588, 797, 1055. Monopolio (prs.) 566, 766. Montecorvino 818, Montone 565, 599, 764.
Musae
Milizia (prs.) 568. Mimallonidi 220. Minerva
701,
Munificenza (prs.) 815. Musa 222, 563, 958-509. Musa, nolana 177.
866.
(prs.)
Micco,
563,
primo
Momo 1609, 215, 469, 555, 62, 582..., 630, 667..., 725.., 825.
Morfeo
57.
195.
Mezzo
883,
797.
Metafisica (prs.) 562, Metafora (prs.) 569. Metamorfose 127.
Metattron
665,
806.
Trimigisto
Trimegisto. Merlin Cocaio Merlino
62I..., 645,
1002.
1001.
605,
Moderanza (prs.) 568. Modestia (prs.) 567, 770. Moltiloquio (prs.) 568.
435, 487, 491, 547, 562, 571, 615,
(prs.) 567.
594.
Moab 850. Moabiti 850.
220.
604,
Misericordia 702,
Menippi
594,
(prs.) 564, 567, 749.
Misterio (prs.) 569. Mnemosine 26, 576,
40.
158.
Misantropia
Miseno
956.
romano
NOMI
ituliani.
639,
700,
INDICE Nausea Nave
(prs.)
569.
Necessità
707:
Negocio
822.
(-de),
747.
DEI
(prs.)
562,
564,
(prs.) 564, 735, 739.
Nemeo,
leone
Nereidi
629.
606,
1173. Nettalim
609,
808,
576,
599-600,
870.
Nettuno
171,
1128-29, 606,
753-54, 768, 782, 802-03, 1002,
1131-32.
NOMI
Obedienza (prs.) 565. Observanza (prs.) 750.
Occasione (prs.) 697, 714. Occupazione (prs.) 564. Oceano 69, 115, 123, 177,
456. 609, 632. 713, 762, 946,
1128-29, 1136, Oceanus 31.
Ocio
(prs.)
731-35.
Oco
Odio
1149,
564,
738-39,
867,
Nilo
Ninfe
195,
950,
609,
1147.
808,
1112-13, 1168, 77. Ninive 802. Nizza 818, Nizzolio 216.
Nobiltà
Ofiulco
1129,
946,
1172-73,
951,
1176-
799,
142,
257,
17, 90,
153,
822;
v.
168-690, 272,
343,
Onorio
Opin
214,
542...,
Nonacrina 609. Notho 94. Nozio 602. Numeri 851.
Nuovo
vo.
170.
Mondo:
115,
monte
815.
750.
615,
797.
792.
de l’ 700.
poesia
958.
881,
867.
(prs.) 565, 727, 751,
934.
959.
orfici 41. Origene 836,
Oro,
Nuo-
QIO-I1.
865.
752.
Orione
12, 24, 82, 85, 87, 115, 119, 127, 128,
882...,
570,
Orcadi 619. Orco 180, 704, 809, 1082. Orfeo 171, 215, 233, 293,
774,
v. Mondo,
587,
piazza
Oppressione
549, 756, 833. 925, 927, 951,
I4I,
582.
Ophanim,
969, 975, 993, 1096.
Nundinio 11, 103..., 113,
senato
729, 827.
Noè.
173,
612,
Onestade (prs.) 567, 770. Onore (prs.) 564, 567-68,
22..., 38, 48..., 66, 103..., II2, 127...,
259,
Oliveto,
599,
754,
Omero 455, 957-509, 1083.
815.
Nohemi 220; v. Noè. Nola 205, 630, 1113. Nola, asprinio di 744. nolana, filosofia 10, 342. nolana, Musa 177. Nolano 78...,
Olimpo
omerica,
Noè 54, 79, 542, 799, 819. Noemo
564,
Olimpico,
Olmo,
(prs.) 567,
744-47
(prs.) 565.
Olimpe 188. olimpico 843.
158,
725-27,
741,
8609.
Nicomano 893. Nicosia 252.
Nigero 762. Nigrore (prs.) 569.
1176.
717,
Ofanto 764. Offensione (prs.) 563. Officio (prs.) 565, 560, Ofito 762.
Nezah 865. Niceta Siracusano, Pitagorico 90.
223,
508,
803,
Apolline
850,
583,
805,
863.
Orsa 18, 143, 562, 617, 796, 809.
944.
600,
1204
612,
608-090,
GII,
806.
Orsa maggiore 619, Orsa minore 862. Orsi d' Inghilterra Orsini 618.
606,
862, 618.
873.
INDICE Ortensio 897. Oscitazione (prs.) Osiri
DEI
Paulo Tarsense; Pazienza (prs.)
735.
799.
Ossa 587. Ossequio (prs.) 565-66, 560, 814. Osservanza (prs.) 565, 774. Ostinazione (prs.) 754, 708. Otranto 92, Otrio 799.
840.
Ovidio ‘673, 957. Oxonia 21, 133, versitade,
Pace (prs.) 566, Pachin 588. Pafo
600,
Palazzo,
Talinodia
764;
nostra.
568,
B15.
a Parigi (prs.)
v. 724,
Palladio,
Pandora
regno
(prs.)
928.
S.
61.
75,
Tarsene; Teologo. Parabola (prs.) 569. Paracelso
258,
Parca 883. Parche 580. Paride 1058. Darigi 75, 833, Parmenide
Parnasio, Parnaso
961,
(prs.)
Passare, solitario Pastore 9891-82.
Paulino
630.
73,
565,
755.
754,
833, 848, 884, 892, 899, 975
Pegaso 710. Peleo 607. Pelia 587, 825. Pelignus (Paelignus) Pellicano 788. Peloro 588. 566,
1116.
989.
506,
704-
Pensiero (prs.) 564. Pentateuco 575, 849. Pentimento (prs.) 564. Perdizione (prs.) 803. Peregrinaggio (prs.) 569.
Perfezione
(prs.) 562, 827.
Pergiuro (prs.) 774. Pergusa 703. Periflegetonte 704. peripatetica 249, 446, 525. peripatetica, dottrina 274; 306. peripatetica, scola 397.
681.
Apostolo;
peripatetiche, Discussioni: v. Discussioni. peripatetici 181-82,
270, 312,
899,
186,
(prs.) 566.
Parzialitade
v.
925.
884.
Partenope 764. Partenopeo, Regno
Partita
cavallo
289,
(-0)
227,
297,
314,
8,
42-43,
240,
107,
242,
265,
372,
373.
299, 306, 309,
329,
333,
378, 513, 560, 871, 893, 895,
monte
195,
Cabala 912. asino 903.
Pegaseo,
264.
146,
764.
05, 714.
animali
138;
v. Tartense. 505, 508, 605,
Penia (prs.) 1056. Penitenza (prs.) 563,
290.
degli
717,
Pegasca, Pegaseo,
Penelope
822.
Pantano (prs.) Panteone 747. Paolo,
767.
563.
Pane 195. Pantamorfo. 220.
pantamorfo
Uni-
75.
Palinuro 171. Pallade 562, 622, 632, 644, 773, 807, 932, 1058-60. palladii 466. Pallore
NOMI
287,
962.
719. 566.
788.
326.
0941,
998,
1158. peripateticorum,
543. Persecuzione Perseo
73,
1043,
princeps
(prs.) 699.
564,
605,
(prs.)
Perturbazione
1205
566,
(prs.)
24, 43,
611,
711, 725, 755. 802. l’erseveranza (prs.) 564, Persi 179, 867. Persuasione (prs.) 565.
Pertinacia
1048,
699.
768.
564.
709,
INDICE Perversitade Pesce
(prs.)
612.
DEI
254. 280, 297, 329, 333, 374,
565.
Pesce, australe 828. Pesce, meridionale 570. Pesci 568, 600, Bor, 884. Petrarca 215, 583; v. tosco, poeta. Phoebus 27. Piacere (prs.)
566.
Pitagora
293.
8,
22,
137,
dottrina
Po
146,
880. 179,
1114.
885, 894, 916, 923, 944, 940, 1002,
1007,
Pithagora 542. Pitone 364, 602, Pixide 801.
Placabilità
planetare,
Plato
moto
43.
1025-27.
750.
Platone 8, 90, 113-14, 126, 155, 186, 212, 217, 238,
259,
330,
279,
286,
289,
307,
57, 1120, Convito
Timeo
90,
Mennone
platonico
1122,
893,
1056;
118,
909.
223,
763.
(prs.)
137, 250,
312,
(-i) 179,
1027,
1056-
Politica
286;
1150;
229,
[Opere]:
286,
307,
1027,
892,
1040;
900.
563,
702.
di 8.
709-10.
Polidoro 634. Polihimnio: v.
Poliinnio.
Poliinnio (-a) 215-16, 221, 224, 225..., 254... 289...,
334... 342.
Poliinnici,
passatempi
Polonia 826. Poltronaria (prs.) Pomona 932. Ponto
222, 317,
182.
564,
737.
90.
Popolo 566. Porfirio 742.
Porro, Fra 960. Porto, tempio nome di 159.
Potestadi
331, 386; 396, 440, 447
456, 466, 468,
300,
che
sollecito
ritiene
il
815.
Possibilitade (prs.) 765. Potestade (prs.) 565.
814.
1045.
1003;
regno
Portughese,
(prs.) 569,
1022,
212.
237,
997,
1010,
0983.
Pogliano, Arciprete polacco: v. Alasco.
pitagorica, scola 918. Pitagorico (-i) 8, 41, 90, 232, 264, 269, 272, 280, 311, 528, 881, 974, 996,
Fons
Pleiadi 566. Plotino 233,
Poesia
815.
876-77,
1007, .
rapto
Platonis,
plutonio,
186, 212, 244, 272, 324, 330231, 456, 617, 918, 1006, 1122, 1164.
pitagorica,
platonico,
Polidette
Pirroni 45, 903-06. pirroniano (-i) 219, Pisones
1000, 1002, 1025, 1027.
[Opere]: De Ja materia 300; Della bellezza intelligibile 1040. Plutone 192, 362, 747.
Pippa 673, 674.
569,
848, 880, 892, 943, 946, 998,
944,
Piamonte 763. Pietade (prs.) 570, 826. Pietro, Costanzo: v. Costanzo. Pietruccio 23. Pio quinto, papa 842. Piramidi 169. Piratismo (prs.) Pirenei 115. Tirra 799. Pirro 217.
NOMI
440;
182, 227, 232,
Povertà 699.
865.
(-de),
Predazione
(prs.) 566, 670...,
(prs.)
815.
Predicazione (prs.) 568, 814. Premio (prs.) 563, 570, 827.
Pressa (prs.) 747. Prestanza (prs.) 567.
Prestigio (prs.) 568. Presunzione (prs.) 563, 565, 699,
751, 769.
Preto
1206
711.
INDICE Prevaricazione Priamidi
1609.
Priamo 217. Priapea 742. Priapo
195,
(prs.) 563,
935.
primo mobile; v. mobile, Principati 865. Principio (prs.) 562. Prisciano 1118.
Procella
(prs.)
Prochita
proci 9809. Prodigio
Profezia
588.
(prs.)
DEI
763.
Rabi
rabini,
primo.
787.
Protervia Provenza
563.
Providenza 605, 865. Provision (prs.) 569. Provocazione (prs.) 564. Prudenza (prs.) 562, 564, 666-68,
755,
692,
708-09,
809.
Prudenzio 12, 14, 85..., III, 127...,
721,
568, 750,
19..., 51... 145... 171,
197, 214.
Piolomaco 37. Pitolomaeus 139. Ptolomeo 27, 544; v. Tolomeo. Pudicizia (prs.) 567, 770. Puglia 748, 761, I106.
pugliese,
poeta
566,
699.
Putifaro 820. Pythagorae, Fons
Quirino
abbate
212.
169.
di
S.
568.
835.
897.
Regno (prs.) 865. Regolo 1054. Regresso (prs.) 566. Religione (prs.) 569-70, 668, 720, 826. Remunerazione (prs.) 827. Repicco (prs.) 565. Replezione (prs.) 822. Repressione (prs.) 566, 768. Repubblica (prs.) 566. Retribuzione (prs.) 567, 773. Rialto 75. Ribellione (prs.) 723. Ricchezza (prs.) 563, 666..., 684, 696,
699.
Rifanciullanza (prs.) 569. Rifeo(-i) 713, 931, 1048. filosofie
Riformazione (prs.) Rigore (prs.) 566. Rimorso
567, 770. (prs.) 563,
Querela (prs.) 566, 568. Quiete (prs.) 568, 570, 737. Quintino,
(prs.)
riformate,
969.
Pullione 23. Purità(-de), (prs.) Pusillanimità(-de),
877.
Radamanto 215, 631, 740. Raggione (prs.) 685, 765. Ramath-lechi 853. Raphael 866. (Ramo, P.]: v. francese arcipedante.
Reginaldo
1103.
159.
849,
Raziel(e) 866. Recognizion (prs.) 773. Refrenamento (prs.) 566. Refrigerio (prs.) 564.
508.
(prs.)
santi
Rapto (prs.) 565, 754.
Prognosticazione (prs.) 818. Progresso (prs.) 566. Prometeo 816, 817, 878. Proserpina 455. Protagora 2094. 989,
255.
Rapina
(prs.) 818.
Proteo
NOMI
(prs.)
937.
228.
563.
Riposo (prs.) 570, 829. Ripugnanza (prs.) 563. Ripurgazione (prs.) 563. Riso (prs.) 736, 738. Rispetto (prs.) 567, 773. IRitessimento (prs.) 566. Ritrattazione (prs.) 708. Ritrazione (prs.) 566. Ritrosia (prs.) 566. Robustezza (prs.) 564, 713. Rocco, S. 170. Rodano
1207
223,
753.
INDICE Rodomonte
DEI
Sarza
54.
Roma 75, 618, 804, 818, 840. romana, terra catolica 170. romana, lingua 258. romana, salza 829. romani 210, 2II, Romano
760.
Romano,
Senator
Romano, Romano,
popolo Senato
Rutto
(prs.)
Saturno
208.
750,
817.
608,
612.
Salerna
567,
Salmoneo Salomone
598,
601,
604,
loto.
213. 1095,
246,
324,
932,
937. 975, IO10, 1045, 1105.
Salonicca
802.
Salustio 215.
Salute (prs.) Salvio 897.
Samaell(e)
Samaritani Samuele
Sanità
Sansone
66,
543.
(prs.)
sansonica,
829.
617,
353.
666,
Santasantoro Sapatino, Sapienza
Saracin
D.
(prs.)
44.
sardanapalesco
Sardegna,
812.
835.
668,
8.
725...,
555,
829,
868,
774,
Scevola 1054. Sciardichi, duca Scille 1087. Scio 774.
Sciocchezza
1002,
046...,
892...,
di 775.
(prs.) 504.
Scisma (prs.) 565. Scita(-i) 69, 207-08, 785. scolastici, teologi 1064.
sopra 115.
Scrittura,
dottori
1164.
le arte liberali
Sebasto
Sebeto
Secondo,
602,
606,
divina
120,
122,
125-
882,.., 909,
9II.
86I...,
762.
1046-47
filosofo
294.
Securità
(prs.)
829.
Sedulità
(prs.)
699.
Sedizione Selvaticia
1208
260.
567,
26, 859. Scurrilità (prs.) 568. Sdegno (prs.) 566.
865.
781,
sceptici 902.
Scozia
291.
882,
705,
Savolino, Antonio 634. Scampo (prs.) 564. Scandalo (prs:) 565, 763. Scarvaita 635.
779, 774, 796,
692,
571...,
861...,
9I0, GII.
Scorpio(ne)
asino di 840.
Sarno 762. Sarraceno 760.
Saul 66. Saulino 547,
Scole
713.
fortezza
679,
764-65, .767,
scolastici,
866.
1105.
626,
816-17, 823, 932, 991, 1082, II06. Saturno, cielo di 866.
818.
Salmista
618,
747.
Sabba 195. Sacerdocio(-zi0) 569. sacrario 602; v. Altare. Saduchimi 885, 891, 044, 1027. Saetta (prs.) 565, GII, 750. Sagacità (prs.) 564, 569, 716, Sagittario
23.
408, 437-38, 487, 579,
584,
865.
822.
221.
Satan 850. Sathan 866. Satiri 770. Satiro 576. Saturnia 1058. saturnini 870. saturnino 8.
660. 207.
869. formanti
54,
Sassetto
Romanus, pater 1083. Ronfo (prs.) 736. Ruben Ruote,
NOMI
(prs.) (prs.)
566. 800.
612,
INDICE Semammeforasso Semele,
Semirami
fratel
Semplicità
812.
di
223.
(prs.)
sephiroti
865,
707-009,
865.
Serifia,
isola
serpe
825.
871,
120...,
543. Sobrietate
873,
897.
(prs.)
Soccorso Socrate
566,
socreità
sfera,
Sfinge
Sibilla
ottava
60,
195.
346, 446,
814.
896,
766.
165-66,
429,
70,
547.
549,
567,
508,
801.
Simone 869. Simplicità (prs.) 5604-65, 507.
Sina, monte 792. Sincerità(-de), (prs.)
Sirene 712. Siri Bol.
271.
378-80, 4607-68,
398, 472,
915.
109,
122-23,
361,
390...,
665,
507,
325,
400, 526,
434, 535,
33, 52,
88...,
130...,
165,
483,
192-
506,
522...,
1022:..,
10096,
1125..., 1146, 1177. Sole, cielo del 866.
Silvani 770. Silvestria (prs.) 567.
_ 759 774. siracusano 90.
8093,
215.
944..., 951, 965,
Sileno(-i) 14, 24, 193, 220, 550, 585, 822, 932, 935.
Silenzio (prs.) Silere 762.
734,
552, 583, 611, 631, 651, 762..., 784, 823, B42,
195.
925, 927.
279,
93, 223, 240, 284-85, 295, 320...,
131, 165, 866, 1072.
Iilippo
564.
Sofocle 93. Sofonisbe 223. Sogno (prs.) 725. Sole 9, 13, 17, 22,
431.
Sicilia 251, 748, 797. siciliano 1055. Sicurtà (prs.) 567. Sidneo 552, 842. Sidneo,
54I...,
646..., 725..., 829, 861. sofista(-i) 8, 170, 179, 246,
431, 471, 841, 865, 943, 946-47. nona
amor
197,
560.
271,
880,
86...,
Sofia 324, 547, 555, 562, 571...,
Severino I14o..., 1164. Sfacciatagine (prs.) 770. sfera(-e) 8, 41, 143, 166, sfera,
(prs.)
763.
5I...,
168,
(prs.)
919, 1054.
565,
19...,
143...,
200,
socratico, 711.
750.
(prs.)
12,
socratici
Serpe, australe 569. Serpentauro 599, 749. Serpente 749-50. Servitude (prs.) 566, 560, Sete (prs.) 699.
Setta
Smitho
869.
Serafini
Serafino
867,
NOMI
Sirti 1087. Smarrimento
171.
Seneca 580, 1083. Senettute (prs.) 745. Senna 223. Sephiroth 876.
DEI
solem 160. solis 138, 160, Solitudine
(prs.)
Sollecitudine
717-18,
567,
(prs.)
699,
564,
725, 729, 745.
Somma, greco di 744. Sonno (prs.) 735-37. Sopore (prs.) 736. Sorbillgramfton 822. Sordidezza (prs.) 563. Sorga 935. Sorte (prs.) 562.
Sottilezza Spada
Spagna
563.
Spagnolo
(prs.) 564.
256;
86,
v. Ispagna. 815.
Sparagorio, S. 196. Specie (prs.) 937.
1209
705, 843,
796.
711-15,
INDICE Spceculazione (prs.) 775. Spenseramento (prs.) 567.
Speranza
(prs.)
Spicilegio
216.
765, 809.
565,
715,
DEI
755,
Sphaera Octava Mobilis 139. Sphaera Inmobilis Fixarum 140. Splendore (prs.) 566. Sporcaria (prs.) 822. Stabilimento (prs.) 865. Stagirita 544, 6809. Starza 634. stelle 31, 33, 599..., 608, 695, 761, 870,
768, 802, 820, B48, 852, 951, 1022, 1048, 1061,
1081...,
1097,
II7I,
1177.
stelle, fisse 313. Stigia, palude 581. Stilbone 755. Stinfalidi 629, 750.
Stizza Stoici
(prs.) 566.
8,
252,
280,
754,
775.
Stupidezza
Stupidità
(prs.)
(prs.)
590.
Taciturnitade Tago
223,
Talia 956. Tamesi(-isi) 704, 761,
762.
Tarsense,
(prs.)
tartareo, tartari
69.
780.
baratro
857.
Tartaro 778. Tassa 601.
Taurino Tauro
47.
763.
565,
600,
763,
776,
769,
773.
692,
800-01,
823.
Tempesta
727,
1046-
Taurus 22, 80. Tazza 569, 612, 821. tebana, Manto 27.
565,
6909,
(prs.) 567, 569, 604,
(prs.)
Tempio 56. Teofilo 12, 16,
568,
788.
19...,
50...,
85..,
120..., 143..., 171, 203-04, 206, 208, 212, 214, 225..., 253, 261..., 288, 296..., 318..., 342.
Teologo 1024; v. Paolo, Teophilus 242. Terenzio 837. Termine (prs.) 570.
Termodonzio
Terra
629.
12-13,
22,
31,
S.
87...,
168,
189-90, 192, 251, 284, 295, 308, 326, 328, 353-57, 3601-62, 377, 389-91, 398, 405..., 416,
809.
568.
429...,
447,
529, 542, 608,
568,
Paulo
751-52,
562.
(prs.)
1097.
Tantalo 8. Tarsense 876.
564.
Suspizione (prs.) 566, Susurro (prs.) 568. Taburno
1070,
Temperanza
Styga 246. Styx 617. Sufferenza (prs.) 699, 764. Suffragio (prs.) 564. sulmonese 742. Superbia (prs.) 741, 769. Superstizione (prs.) 570, 826. Suppressione (prs.) 566.
Suspettazione
Tansillo 30, 34, 718, 740, 953..., 973..., 986..., 1005..., 1030...,
Tebe 55, 882. Telesio 261. Tellus 31, 188. Tèma (prs.) 718. Temeritade (prs.) 563,
307.
Stracuragine (prs.) 562. Strafocazio 822. Strazio (prs.) 765. Strimonie 171. Studio (prs.) 564-65, 567,
NOMI
762,
1032-34,
801.
Terrore
Teseo
53, 59, 170, 223, 1168, 1172, 1I77..
464...,
1045,
(prs.)
607.
544, 552,
784,
797,
566.
tesorier del regno, Tessaglia 629. Tessalo 709, 802.
I2I0
495,
515...»
554, 587,
848,
1050,
gran
1026,
1052. 60.
INDICE testamento
Teti
607,
novo
851.
609,
797,
541...,
544.
973,
Thessala
pinus
Theuth 787. Thule 31. Tiade 220. Tiara 826. Tiberino 170.
Timeo
90,
Timon
169.
286,
Timore
803. Transporto (prs.) 569. Trasoni 171. Tremore (prs.) 568. Trepidazione (prs.) 563,
32, 533.
tresse,
Trimigisto,
de 1083.
588. 155,
440,
donne
822.
293.
Triangolo 565, 611, 755. Trimegisto 279, 784; v. Mercurio Trimigisto.
Tiberio, progenero
Tieste 8. Tifeo 587, Tifi 30-31.
NOMI
Tranquillità(-de), (prs.) 567, 508,
1103.
Tevere 208, 223, 762. thalmutisti 228, 867.
Theofilo
DEI
456,
229,
528.
200,
272,
(prs.) 566, 568, 699, 717,
727, 809. Tipheret 865.
Mercurio:
rio Trimigisto. Trinacria 587, 748. Trinacrio, pondo 588. Triptolemo 564, 748. Triumvirato (prs.) 566. Trofonio
Troia
Troiam
195.
16, 290,
579.
troiani
1058,
Troiano,
v.
Mercu-
1067. 1081.
cavallo
171.
Tiphis 31. Tirannia (prs.) 565, 612, 751-52. Tirannicidio (prs.) 568, 814. Tiresia 27.
Troni 865. Troo 585.
Tirreno 587. Tisifone 967.
1033. tropico, del Capricorno 122, 138, 1033.
Tiresii
680.
Titan 188. Titan 1061. Titane 193. Titania astra 244. Titiro 215. Titone 187. “Tobia, Matthco 212. Toleranza
(prs.)
543.
132-33,
tosco, poeta Tracia 629.
Tradimento
Tullio, 699,
138-4I,
935.
(prs.)
tropico,
946,
del
122,
132,
101,
Cancro
122,
138,
1026.
569.
Tullio, epistole de 1083.
565,
135,
797,
18,
Tropologia (prs.) Tullio 215.
717,
764. Tolomeo 28,137, 165; v. Pfolomeo. Tonante 1058. Tormento (prs.) 727. Toro 599, 606, 612. Torpore (prs.) 564, 5609. Torquato 24, 82, 87, 105, 119,
130,
Tropico(-i)
507,
774.
170,
Marco
837.
Turba (prs.) 566, 760. Turbulenza (prs.) 568. Turco 723. Turco, gran 766, 791, 792. Turno 217.
Turpitudine
turribolo
Ulisse
(prs.) 818.
602;
v.
Altare.
1083.
Umanità (prs.) 748. Unione (prs.) 566.
Universitade, nostra 209. Universo 29, 88, 103, 105, 125, 130-31, 149, 162, 164, I73..., 188, 227-289, 235..., 244, 283,
IZII
INDICE 287,
297,
318...,
326,
DEI
347...)
416, 425, 430-33, 435, 462-64,
472-73. 479, 492-93, 506, 508,
515,
520-2I1,
534,
560,
781,
1026, 1071, 1123. Urbanitade (prs.) 567, 800. Usura (prs.) 815. Usurpazione (prs.) 565, 568, 727. Utilità (prs.) 829. Vacantaria (prs.) 564. Valclusa 935. Vanagloria (prs.) 568, 727. Vangelo 211; v. Evangelo. Vaniloquio (prs.) 568. Vasta 634. Vaticinio (prs.) 565, 754.
Vecordia
779,
814,
957,
Venere, cielo di 866. venereo, amor 936.
fra
618, 6092,
620, 699,
771.
Vesuvio 590. Vezzi (prs.) 767. Vigilanza (prs.) 564, 814.
Vilta(-de),
568,
714,
(prs.) 563, 567, 699,
(prs.)
565,-566,
(prs.)
Vitanzano 822. Vittoria (pres.)
750,
Voluntade Voluptade
727.
5609,
Vulcano
200,
1055,
Walsingame,
Xenofane,
770.
568,
646, 666-68, 707-09, 713,
755, 765, 796, 862-63, 1099.
verme,infernale773; v.Scorpione.
581,
1057,
Xantippe Zabulon
827,
(prs.) 567. (prs.) 570,
Westmester
Vergine 567, 6002-03, 612, 769,816.
605, 685,
Vestali
1057-60.
Verginitade (prs.) 770. Vergogna (prs.) 737. Verità(-de), (prs.) 562...,
562.
770.
Virtù (prs.) 692, 695. Virtudi 699, 865.
211.
Venus 1065, 1079. Verecundia (prs.) 567,
(prs.)
Vertunno 195, 932. Vescovato (prs.) 565.
1083. Virilità(-de),
Veneris 1066. Venezia 75, 700, 769, 791. Veneziana, Republica 763. Ventura,
Versuzia
567.
Virgilio 217, 673, 837. 957, 959,
Venere 89, OI, 94, 131, 435, 562, 767.
(prs.)
Violenza
Venazione (prs.) 568, 811. Vendetta (prs.) 563, 565.
593, 600, 644,
Vero
763.
(prs.) 765.
587, 591,
NOMI
865.
588,
1130.
Francesco
196.
200.
Colofonio
666,
590,
829.
973,
69.
906.
870,
Zadkiel 866. Zampaglion 822. Zaphciel 866.
Zelo (prs.) 568-609, 715, 765, 814. Zodiaco
870,
Zopiro
161,
1045,
919.
Zucavigna
1212
165-066,
1072.
822.
528,
608,
INDICE DELLE
ALFABETICO
NOTE
cab asino excidere » p. 850 n. 4. «abbiti» (= abiti) p. 795 n. 1. «abecedario » p. 241 n. 7, p. 687
n. «Ab
3. Iove
p. 917
principium,
N.
I.
«aborsi» p. «aborso»
p.
I1I5
n.
583
Musae» I.
n.
°
3.
[«absoleta ») p. 21 n. 6. «absoleti» p. 1117 n. I.
Accetto,
fra
Reginaldo:
ginaldo ».
«acedia» p.
Aconcio,
acqua
715
n.
v. « Ne-
1.
J. p. 67 n. 2.
elemento
agglutinatore
P. 453 n. 1. «acqui» p. 600 n. 6. «acqui furtive» p. 1105
n.
«acrilogie» p. 221 n. I. Adamo: v. « protoplaste ». «addite» (lat.) p. 362 n. «additti» p. 355 n. I.
«additto» p. 306 n. 3.
«addonato» p.
«Adrastia
n.
2.
è
parte
de
la
p. 297 terra»
p. 112 N. I. « Aeropagita »
(Ps.-Dionigi)
«aethera,
che
879
n. 4.
vuol
«affettissimo» p. 215 n. 2. «affetto» (agg.) p. 203 n.
P. 593
«affetto »
2,
Nn. 3.
(= effetto) p. 427 n. 2.
«affligendovi»
p.
1021
«agasone » p.
816
n.
n.
Afrodiseo: diseo ».
v. « Alessandro
«agasoni» «Agenore
p. 220 n. 2. (figlia di) » p.
n. 3.
1.
Afro-
6.
608
«agiutati» p. 653 n. I. «agnusdei» p. 836 n. s. «ago» (f.) p. 636 n. 4. «Agostino... nelli suoi Soli-
loqui»
p.
880
n.
1.
«ala» (ingl. ale) p. 76 n. s. «Alasco (prencipe) polacco» p.
133
n.
Albategnio
I.
n. x. ‘adulto’
DIALOGHI
I.
Alba (Ferdinando Alvarez de Toledo, duca d') p. 723 n. 1.
(divina) » p. 988 n. 2.
«adro» p. 1081 «adultero» per n. I. «aere...
577
3.
AI
p. dire
corridori» p. 13 n. 1; v. anche «etere » ed «ethera ».
(al-Battani):
cometto Aracense ». «Albenzio» p. 637 n. «Albertino, nuovo re» p. 496 n. I.
vu. «Ma-
2.
interlocuto-
Albertino, Gentile p. 496 n. 1. Alberto da Lask: v, « Alasco... »,
Alberto Magno p. 466 n. tr. « Alcazele» (Al-Gazali) p. 1157 n. 3; v. anche « Alchazele... ». « Alchazele, filosofo, sommo pon-
«al
1213
tefice e teologo mahumetano » p. 121 N. 4. di
questo»
p.
350
n.
T.
INDICE
DELLE
« Alessandro
Afrodiseo»
p.
« Alessandro
Dicsono »:
v. Dic-
n.
I.
son,
Alexander.
115
Alessandro dì Hales p. 466 n. 1. Alessandro Magno: v. « Lettera ad Alexandro ».
Alfonso di Castiglia p. 165 n. 2. Al-Gazali: v. « Alcazele» e « AIchazele... ». Alighieri,
Dante
p.
622
25
n.
p. 822 n. 3, p. 886 n. 2.
Alione,
G.
G.
p.
n.
3,
2.
«allunate» p. 595 n. I. allusioni ad avvenimenti contemporanei p. 631 n. 3; alla letteratura del secolo p. 744 n. 2, p. 935 n. 2; irriverenti p. 763 n. 2; storiche p. 720 n. 2, 768 n. 2. «altrimente» p. 920 n. 1. «altritonante» p. 872 n. 1. «amaricato» p. 1162 n. 2. Ambrogio (sant’) p. 897 n. 5 dis. «Ambruoggio» p. 637 n. I. «Ambruogio» (domenicano regnicolo) p. 807 n. 8.
«amenarne» p.
192
Nn. 2.
«Amfitrite »: v. «Nettuno ed Amfitrite ». «Amfitrite (questa grande)» p. 68 n. 1. «amostante della dea de la ri-
putazione» p.
Anassagora
p. 278
n. 2;v. anche
22
n.
n.
2.
2, p.
443
« Anaxagora... ».
Anassarco di Abdera: XArco.., ».
v. « Ana-
«Anaxagora (opinion d’) » p. 243 n. 1; «. . chiama le forme
particolari
di
natura
lati-
tanti» p. 250 n. 2. «Anaxarco (cinico) » p. 170 n. 2. «Andromede» p. 710 n. 3. «anima del mondo» p. 237
n. I.
anima nel corpo come nella nave p. 236
nocchiero n. 2, 3.
NOTE
anima «numero... movente» p. 1001 N. I. «Animaduersioni contra Avisto-
tele» p. 260 n. 2. animazione del mondo
p.
239
n. 2. «anno del mondo » p. 577 n. 3;
cfr. p. 165 n. 2. «annulati» p. 916 n. 1. «anticefi » p. 407 n. 1. « Anticyram navigatl » p. 132 n. 1; v. anche « Antyciram... ». «antigonista» p. 776 n. 1; cfr. [«antigonista »] p. 24 n. I. « Antonia » p. 673 n. 2. «Anton Faivano» p. 637 n. 1. «Antonio Savolino » p. 637 n. 1. «antro platonico » p. 1000 n. 1; cir. «antro» p. 1159 n. 2. « Antyciram navigas » p. 37 N. 2; v. anche « Anticyram... ».
« Apelle » (per Zeusi) p. 1058 n. 2. «apirocalo » p. 241 n. 6.
«apodiptice» p. 877 n. 1. Apolline, Oro: v. « Oro Apolline ». «apotecarie ricette » p. 276 n. 3. [«appertamente ») p. 454 n. 3.
«appeteno» p.
581
n.
2.
[«appostici ») p. 1081 n. 4. «appreso » (= appresso) p.
n.
I.
(neutr.
[«appropinquasero »] ass.) p. 478 n. 3.
«arca di Noè» «Arca di Noè» «Archita » p.
333
622
n.
p. 79 n. I; p. 842 n. 1. 4.
«architetto » (per l’opera) p. 643 n. 4. «Arctofilace» p. 621 n. 2. «Ardelia » (lat.) «aresta» (lisca)
p. p.
564 198
n. n.
2. 2.
Aretino, P. p. 65 n. 2, p. 196 n. 4, p. 276 n. I, p. 551 N. 2,
p. 673 n. 2, p. 820 n. I, 2, («un galant'uomo») p. 960 n. 2. «Argo (nave di)» p. 608 n. 2. «argumenti in quarta figura»
I2I4
Pp. 732 n. T.
INDICE
DELLE
NOTE
«aria» (m.) p. 61 n. 2, p. 629 n. 2, p. 884 n. 2, p. 1032 n. I,
maschio
n. 3; (f.) p. 516 n. 2. «Ariadna (corona di)»
di B. p. 310 n. 1, p. 340 n. 1, 2,
p. 671
p. 1097 n. 2; (m. o f. ?) p. 486
v.
«arida» p. 131 n. I, p. 408 n. p. 454 N. 2.
Ariete (costellazione n. 2.
di)
1,
p. 606
Ariosto, L. p. 32 n. 3, p. 54 N. 1, P. 55 n. 4, p. 81 n. 5, p. 22I
n. 3, p. 292 n. 5, p. 505 n. I,
P. 574 n. I, p. 708 n. I, p. 737 n. 3, p. 985 n. I, p. 1051 n. I,
p.
1144
n.
I, p.
1149
n.
2.
Aristotele p. 13 n. 1, p. 113 n. 1, p. 116 n. I, p. 147 N. 2, p. 157 I, p. 158 n. 1, 2, p. 160 n.1,
236
n.
3,
4,
p.
238
n.
1,
. 250 n. 2, p. 270 n. 1, p. 328
IU
. . . .
I, p. 330 n. 2, p. 370 n. 2, 372 n. I, p. 400 n. I, p. 402 I, p. 403 n. 2, p. 409 n. I, 414 N. I, p. 415 N. 2, p. 417 I, 3, p. 421 n. I, p.423 n.1,
POI VIII
427 N. 4, p. 428 n. I, p. 454 - 5, P. 455 n. 2, p. 465 n. 1,2,
. 472 n. 3, p. 475 n. 3, p. 481
. 1,3, p. 484 n. 1, p. 487 n.1, . 488 n. I, 2, p. 490 N. I, 2,
. 492 N. 2, p. 498 n. 2, p. 506
326
n.
3;
1; «non
relatore» p.
607
«Ariadna..».
n.
logica
assai fidel 3; critica
P. 427 n. 3; accuse di B. p. 247 n. 3, p. 325 n. 2, p. 893 n. 2; commentatori p. 895 n. 1;v. anche Averroè; pseudo-
Aristotele p. 472 n. 3. aristotelismo (residuo d’) in B. p. 155 n. 2. «aritmetrica» p. 332 n. I, P. 341 n. 3; « Aritmetrica» Pp.
563
n.
2,
p.
701
n.
2;
743
N.
pontefice)»
p.
(«-mente ») p. 414
«aritmetrici» p.
«aritmetrico » p. «Armesso n p.
«Aron
(sommo
I9I
220 N. 5.
n. 2.
181
n.
n.
4.
1.
I.
«Arpinate » p. 25 n. 1. «arrichita » p. 622 n. 2. «Arte militare» p. 807 n. 2. «Artur (festa del prencipe)»
P.
775
n.
I.
«asina di Balaamo » p. 194 n. 3. asino (antecedenti della letteratura dell') p. 838 n. 3.
«asino
che porta
i sacramenti »
p. 838 n. 3 (e 987 n. 1). Asîno cillenico p. 734 n. 2.
«asino «asino
d’oro»
p. 846 n.
d'Otranto» p.
840
n.
. 3, P. 507 N. I, p. 508 n. 2, 3,
«asprinio di Nola» p. 744 n.
. I, p. 513
Astianatte
. 509 n. I, p. SII n. 2, p. 512 n.
I, p. 528
n. 2,
DI
. 688 n. 4, p. 732 N. I, p. 742 - 4, p. 895
n. 3, p. 896 n.
1;
«primo della Fisica în calce » p. 292 n. 2, «nel suo libro Del tempo» p. 1067 n. 3; «suo libro De/ vacuo » p. 399 n. 5; « Priori e Posteriori »
p.673n.1;«Poetica» p.958
n. 1 (cir. p. 959 n. 3); sua critica al vacuo p. 275 n. I;
contrappone forma come
la la
materia alla femmina al
aan
Arianna:
n.
290
«Assuero (convito d') » p. 84 n.
p.
16 n.
1.
399
n.
astri e sole abitati p. 443 atarassia epicurea p. 1053 «atavi regi» p. 1082 n. « Atlante (figlie d') » p. 509 [«attacato »)
p.
1.
D. N. 4. n. 3.
molo
n. 2.
p.
p.
[«attacavano ») p. 825 n. 1. «attatto (l’)» p. 430 n. 1. Atteone (mito di) p. 813 n. 1, p. 841 n. 4, p. 1005 n. 3,
p.
1124
n.
I.
«atteso» (= atteso
1215
n. 1.
che)
p.
239
INDICE
DELLE
attinenze tra l'ambiente geografico e i temperamenti umanì p. 734 N. I. «auge» p. 89 n. I. «auritissima» p. 679 n. 3. «Avellona » p. 92 n. I. «avendono » p. 31 n. 2, p. 43I N.
I, p. 605
«aver circa» p. 406 n. «averno» (inf. coniug.)
n. 3.
1. p.
n. 3.
236
«Averno (profondo e tenebroso)» P. 58 n. 2. Averroè p. 433 n. I, p. 1048 n. 1; p. 1157 n. 3; «nella dottrina
peripatetica... qualsivoglia
n.
4;
n.
1, p.
sua
Aristotele
averroisti 1043 n.
intese
più
greco»
che
p.
306
ammirazione
p. 446
894
n.
2.
degli)
p.
(« Avicebron »),
p.
298
Avlona:
v.
Beccadelli,
« Belide
Belo,
n.
1;
p.
814
n.
« Balaam (il profeta)»
p.
1.
n.
1.
125
n.
4.
P- 55 n. I, p. 5$ n. 3, p.65 n.2,
p. 170 N. 4, p. 196 n. 4, p. 753
n. I, p. 736 n. 3, p. 929 n. 4, 5,
p. 956 n. I. « Beuckhurst (milord) » p. 53 n.2.
Bispia:
«gioco
n. 1. da: v.
n.
19
bernesche (poesie) p. 65 n. 2. Berni, F. p. 8 n. 4, p. 10 n. 2,
1.
«bagattellieri » p. 552 Bagnoli, fra Gregorio « Gregorio ».
«baila» p. 600
p.
n. 3.
allusioni
n.
1;
Lib.
e citazioni Genesis
p.
p.
22
. 3, p. 122 n. 3, p. 125 n. 2,
. 291 n. 6, p. 299 n. I, p. 3LI . I, 2, 3, p. 617 n. 2, p. 730 . 2, p. 788 n. 6, p. 799 n. 2,
. 851 n. 2, p. 870 n. 1, p. 878
3;
n. 3.
A.: v. Panormita.
«berilli n p.
«Avellona »
p. 492
Elia»
protestanti p. 663 n. 3. «beretta» p. 128 n. 1; v. anche «barretta ».
« Bagattella » p. 568 n. 2. «bagattelle » p. 600 n. 3; p. 806
de le»
3.
« beni » dei cattolici usurpati dai
« Bacco.... e Cerere » p. 749 n. 1. «bagassa» p. 804 n. 1. n.
4. n.
fusse
(le) » p. 903
F.
788
«avertano» p. 9I5 N. 1. Avicebron p. 180 n. 2, p. 262 n.1
«a viso a viso» p. 82 n. 4.
«Battista, se lui p. 891 n. 2.
per
n. 2, p. 501
(dottrina 2.
«beretta ». «Bassaridi» p. 220 n. Batracomiomachia p. 6
'OIIVI
1, p. 475
« barretta » p. 789 n. 3; v. anche
n. 3. «balando» p. 606 n. 3. banchetti inglesi -p. 761 n. Bandello, M. p. 768 n. 2. « bardassi» p. 606 n. 6. «bardo» (lat.) p. 985 n.
870
. 1, p. 886
Exodus
- 285 n. 1, p. 787 n. 3, p. 792
. I, p. 849n. 1, 2, p. 851 n. 5; Lib. Numeri p. 787 n. 3, p. 848 n. 2, p. 850 n. 7, p. 851 n. 2; Lib.
Deuteronomii
p. 848
n. 2, p. 291
n.
1, p.
«barilli» p. 816 n. 3. « Barnaba Galileo» p. 780 n. 1.
1216
p. 73
849
n. 3,
p. 853 n. 1; Libri Regum p. 66 n. 2, p. 577 Nn. 2, p. 793 n.6, p. 857 n. 1, p. 1105 n. 4;
Paralipomenon
p.
857
1; Lib. Tobiae p. 242 n. 4, p. 801 n. 3; Lib. Job p. 39 n.
I, p.
(v. anche
124
n.
« Giob
2, p.
848
(Libro
«Iob»); Lib. Psalmorum
3.
n. 2,
p. 850 n. 2; Lib. Iudicum
Libri
2.
n. 3; Lib.
59
n.
NOTE
I, p. 23
n.
1, p. 34
n.
2
di) » e
p. 9
N.
3,
Pp. 291 n. 4, p. 286 n. 2, p. 458 n. I, p. 793 n. 3, p. 826 n. 3,
INDICE
DELLE
braeos p. B47 n. 3, p. 1163 n. 2; Apocalypsis Ioannis p. 299 n. I, p. 788 n. 3, p. 848 n. 2,
. B48 n. 2, p. 851 n. 7, p. 878
SUP
. I, p. 880
n. 2, p. 89t
n.
1,
. IOIO N. S, p. 1078 n. I, 2, . 1093 n. 3, 5, p. 1125 N. 1, 1137 N. 1 ; Lib. Prover-
biorum
n.
I, p.
p.
clesiastes
289
I105 p.
n.
I,
p.
940
n. 3; Lib. 122 n. 1, p.
en. 2, p. 975 n.
Ec577
I, p. 1006 n. 1;
Canticum Canticorum p. 933 toro N. 4, p. 1099 n. 1, p.
NOTE
p. 857 n. 4, p. 944 n. 2.
Bini, G. F. p. 65 n. 2. Biondo, M. A. p. 294 n. 3.
« Biscaino » p. 294 n. 2. « bissino » p. 1023 n. 2. « Blesura» p.
Bochetel,
822
Marie:
v.
Boshtel ».
n.
2.
«Maria
da
n. I, p. 1164 n. 1 (v. anche «Cantica di Salomone»); Lib. Sapientiae p. 244 n. 3, p. 1045 n. 2; Lib. Ecclesiastici P. 1038 n. 1; Proph.
«boglier» p. 1031
«bombo» p. 536 n. 1. Bonaventura (san) p. 466
n.
p. 848 n. 2, p. 857 n. 1, p. 997
«Boote
n.
1.
1005
n.
Isaiae
p.
23
n. 3, p. 661
N. 4, p. 998 n.
n. 2,
1, p. 1156 n. 2;
Proph. Ieremiae p. 793 n. 2, p. 851 n. 3, p. 856 n. 3., p. 1157 n. 1; Proph. Ezechielis p. 851 n. 4; Proph. Osee p. 84€ n. 2; Proph. Amos p. 793 n. 4; Proph. Ionae p. 802 n. 3;
Libri Machabacorum p. 865 n. 2; Ev. sec. Matthaeum p. 23 n. 4, p. 36 n. 3, p. 80 n. I,
D. 135 n.1, p. 211 n.1, p. 661
n. 2, p. 765 n. 1, p. 826 n. 3, p. 851 n. 1, p. 854 n. 1, p. 859 n. I, p. 879 n. 2, p. 1157 n. I; Ev. sec. Marcum p. 854 n. 2; Ev. sec. Lucam p. 850 n. 1, 7,
p. p.
661 851
n. n.
2, 8,
p. 879 n. 2, p.9I3 n. I, p. 1157 n.
1; Ev.
n.
2,
p.
857
sec.
p.
Apostolorum n.
1, 2, p.
Pauli n.
2;
«Borsa»
(fiero)» p.
p.
75
[«boscarecchie »]
« Boshtel ria da
n.
18
«botte » (fr. botfes) p. 241 n. 2. «brance» p. 233 n. 2. «branli» p. 740 n. 2. «breve paroli» p. 514 n. 1.
Breviarium
p.
73
n.
cîr.
«penitus
toto
orbe » p. 946 n.
1.
Brown,
Thomas:
v.
(= Bruno).
«bruchii» «brugge»
p. p.
Epist.
1,
Pauli
1159
n.
ad Ephesios Epist. Pauli
1;
Epist.
divisini
ab
«Britanno (avaro) » p. 815 n. 2. Bronzino, A. p. 65 n. 2. Brown (= Bruno) p. 53 n. 1.
n.
Aclus
3.
«Britannico (paese) diviso in tutto dall'orbe» p. 936 n. 1;
p.
2;
2.
(Maria da) »: v. «MaBoshtel».
Anthony:
780
I.
p.
Browne,
n.
1.
« Bonifacio candelaio » p. 8 n. 5. «Bonis avibus» p. 288 n. 2.
p. 848
ad Romanos p. GiI n. 1, P- 779 n. 1, p. 848 n. 2, p. 1138 n. 1; Epistolae Pauli ad Corinthios, p. B5t n. 11, p. 857 n. 3, p. 876 n. 3, p: 1024
n.
(grasso) » p. 8 n. 6.
Ioannem
1157 2;
«bolognese
n. I.
{= Bruno).
193 630
n. n.
Brown
v.
Brown
3. 3.
Bruno, Gioan: v. « Gioan Bruno ». Bruno, GiorDANO: accenni autobiografici p. 17 n. 1, p. 175 n. 2, p. TIoI n. I, p. II66 n. 2, p. 1168 n. 4, (a Milano)
p. 1163 ad He-
p. 69 n. 8, (a Parigi)
p. 827
n. 2, (in Inghilterra) p. 86 n. 1; allusioni ai propri studi
1217
DELLE
p. 136 n. 1, (periodo peripatetico) p. 941 n. 2; letture p. 674 n. 1; lodi di sé p. 30 n. 1; modo di vestire p. 127 3;
dottrina
della
cono-
scenza p. 1012 n. 2; processo n. 2. —
delle
opere
Opere
italiane:
p.
718
Can-
delaio p. 52 n. 2; p. 128 n. 5, P. 246 n. 1, p. 465 n. 3, p. 570
n. 2, p. 744 N. 3, p. 929 n. 1, La
Cena
de
le Ceneri
n.
5
. 2, p. 389
I, p. 390
p.
360
n. 3,
:D'UTO
. 405 N. 2, p. 435 N. 2, p. 440 . 2, P. 443
N. 2, p. 448
n. 3,
+ 454 N. 5, P. 504 n. 2, p. 529 . 2, p. 728 n. I, p. 1143 n.
(interlocutori)
PESID'9
la
causa,
p.
197 n.
principio
2,
1; De
e
uno
133 n. 2, p. 360 n. 2, p. 390
3. P. 394 N. 1, p. 415 N. 3,
462 n. 1, p. 464 n. 2, p. 494 2, p. 556
970
n.
1131 n. 177 n. 2 182 n. bro De
n. 3, p. 938
1,
p.
1023
n.1,
N.
2,
I, (composizione) (cfr. p. 180 n. 1, 1), v. anche «liprincipio ed
uno»; De l'infinito, universo e mondi, p. 102 n. I, p. 104
n. 4, p. 149 n. 3, p. 28o n. 3,
p. p.
1009 1045
n. n.
2, p. I, p.
1023 1150
n. n.
2, 2,
(dial. V: numeraz. degli argomenti) p. sti n. 3, (titolo)
P. 346 n. 1; Spaccio
de la be-
stia trionfante p. 35 n. 2, p. 165 n. 2, p. 853 n. 4, p. 855 n. 4, p. 862 n. 2, p. 1144 N. I, (titolo) p. 719 n. 1, (allusioni storiche) p. 723 n. 1, 3, p. 724 n. I, (squarcio satirico) p. 841 n. 6, v. anche Postille anonime allo Spaccio; Cabala del
Cavallo
Pegaseo
p. 466
n.
p.
p.
835
P.
603
n.
835
n.
1;
1,
n.
3,
p.
912
Asino
(titolo)
Cillenico n.
3;
De gli eroici furori p. 189 n. 5, p. 285 n. 4, p. 364 n. 1,
p. 365 n. 1, p. 555 n. 3, P. 571
p. 805 n. 1, p. 930 n. 4; stampa
frettolosa
loghi)
1,
p. 788 n. 1, p. 1169 n. 2, (accenno: datazione dei Dia-
1218
n. 2, p. 686 n. 1, p. 754 N. 3, p. 875 n. 1, p. 833 n. 1, (memoria di FF. Fiorentino) p. 953
n. 2; — Opere latine: De unbris idearum p. 842 n. 2, p. 1006 n. I, p. 1159 n. 2,
v. anche «ombre de Cantus circaeus p. Explicatio triginta p. 134 n. 2, p. 842 n. n.
4, v. anche
e «libro
Dc’
le idee »; 496 n. 1; sigilloruni 3, p. 109I
«trenta
trenta
sigilli »
si-
gilli»; Sigillus sigillorum p. 1053 n. 1; De lampade combinatoria lulliana p. 441 n. 1; Oratio
valedictoria p.
P. 441 n. I, Camoeracensis
102
n.
p. 498 n. Acrotismus
1,
1; p.
33 n. I, p. 35 N. 3, p. 48 n.2,
p. 107 n. I, p. 157 N. 2, P. 373 n.
1;
De
triplici
minimo
et
mensura p. 99 N. I, p. 233 N. 3, Pp. 246 n. 1, p. 558 n. 1, p. 650 n. 1; De immenso et innume-
rabilibus p. . 31 n. 3, . 1, p. 102 . 109 N. 2,
III
n.
NOTE
. I, p.
153
28 p. N. p.
n. 1, p. 30 n.1, 95 N. I, p. 100 I, p. 104 N. 2, II2 n. I, p. 152
n.1,
p.
I6I
n.
1,
. 165 n. 2, p. 157 n. 2, p. 194
. I, p. 253 N. 3, p. 361 n. 1, 365 n. I, p. 369 n, I, p. 37I
9 PI DI DINI
INDICE
. 2, P. 375 N. 1, p. 381
. . . .
384
n. 1,
n. 1, p. 386 n. I, p. 400
I, p. 405 409 n. I, I, p. 423 43I n. 2,
N. 2, 3, P. p. 410 N. n. I, p. p. 433 N.
407 N. 1, I, p. 4II 427 N. 3, I, p. 435
. I, 2, p. 436 n. I, p. 437 N. I,
P. 439 N. 2, p. 44qI N. I, . 442 n. I, p. 443 N. 2, P. 443 . 3, P. 444
N. I, p. 448 n. 3,
INDICE P. 451
n.
I, p. 452
N.
DELLE
3, 4, 6,
P. 453 n. 3, p. 454 N. 1, p. 456 n. 4, p. 459 N. 1, p. 461 n. p. 471 n. 2, 3, p. 476 n.
2, 1,
P. 485 n. 3, p. 486 n. 2, p. 488
n. 2, p. 499 n. I, 3, p. SOI N. I,
P.
506
n.
1,
p.
508
n.
2,
3,
p.
517
n.
I bis, p. 529
n.
1,
NOTE
buffoni p. Burchiello vanni)
p.
591 n. 2. (Domenico 25
n.
chiello» p. 673
di
2,
n. 2.
«bussi»
p.
737
«butargo» p.
Row
N.
3.
821
Butcher's
P. 532 N. 2, p. 947 N. 3, P. 1045 n. 1; De imaginum, signoruni
cabalistiche
terminovum metaphysicorum p.
«cacodemonesse»
n.
p.
4.
17
n. 7.
et idearum compositione p. 835 n. 1, p. 853 n. I, 4; Sumina
n. n.
149 n. 1; Lampas triginta statuarum p. 384 n. I, p. 557
«cadìo»
I.
998
Avistolelis
n.
2;
De
de magia,
p.
explanati
magia
124
N.
p.
et Theses
I, p.
125
n. 2, p. 232 n. 3, p. 962 n. 3;
p.
P. 442 n. I.
« Calepino» p.
in genere p.
«calpestrata »
883
n.
1;.De
vinculis
136 n. 1, p. 967
n. I, p. 973 n. T, p. 983 n.1, P. 985 n. 1, p. 992 n. 2, p. 1002
n. I, p. 1105 n. 3, p. 1142 N. I. —
Opere
Noè p. «arca
smarrite:
842 di
Arca
di
n. 1, v. anche Noè»; Poema
(ottava appartenente ad un'opera giovanile ?) p. 1096 n. 4;
De n. p.
segni
P.
tempi
p.
1ioI
immortalitate
ani-
1; Purgatorio de l'inferno 168 n. 2. — Lezioni oxo-
niensi: mae
de'
de
e de
134
Bruno,
quintuplici
n. 2.
Giovanni:
v.
sphaera « Gioan
Bruno ». [« bruzii »] p. 193 n. 3. «bua » (fr. boue) p. 57 n. 3.
«buazza» (fr. boue) p. 57 n. 3. «buboni» (lat.) p. 788 n. 8. «Bucefalia» p.
764
n.
1.
1219 80
—
G,
Bruno,
Diuloyghi
italiani.
N.
1.
p.
752
I. I.
866
n.
2.
«Caistro (fiume) » p. 704 n. I. «Calcante» p. 195 D. 5. «calci» (= calce) p. 281 n. 2. «calcipotenti» p. 466 n. 2. caldo e freddo (principii opposti)
Calepino,
2, p.
p.
IIIO
De rerum principiis et elementis et causis p. 339 N. 3, P. 458 n. 1, p. 734 n. 1, p. 779 n.
n.
indicazioni
«cabinetto» p. 841 «cacocefati» p. 221
n. I, p. 1159 n. 2; Libri physi-
Bur-
« Burchio » p. 367 n. 1.
P. 509 n. I, p. SI10 n. 2, p. SII n. 2, p. 512 n. 2, p. 5I3N. I,
corum
Gio-
«il
A.
p.
216
216
n.
2.
n. 2.
«Calicutto» p. 256 n. 2. «calopodii» p. 241 n. 1.
p.
851
n.
9.
«calpestrate » p. 135 n. 2, p. 897
n. I.
«calpestrati» p. 634 n. 2. «calpestrato» p. 1082 n. 3.
Calvino p. 624 n. 1. Camerota, frate Antonino
da:
v. «Cammaroto ». «Cammaroto» (domenicano regnicolo) p. 897 n. 8. Campanella, T. p. 79 n. 1, p. 674 n. I, p. 930 n. I. «campanile di San Paolo» p. 138
n.
I.
«Campo di Flora» p. Cancro p. 607 n. 4.
acandente» «Cantica 937
D.
«Canzone
I,
p.
de
3,
75
n.
1.
631 n. I. di Salomone»
p.
gl'illuminati»
p.
1177 n. I. «capri» (f. pl.)
p.
p.
938
764
n.
2.
n.
2.
INDICE «captiuncule »
p.
743
n.
DELLE
2.
« Capua » (per Salpi) p. 291 n. 2. Caracciolo, Galeazzo p. 720. «carco di libri» p. 202 n. 3.
«carga» p. 882 n. 2. «cargato» p. 816 n. 4. «cartaccio » (spagn. cartacho) 836 n. 3.
Casa, G. della: «Casamarciano P. 835 n. 1. «casce» p. 669
v. Della (vescovo
n.
p.
Casa. di)»
I.
«Cassandra (fatidica) » p. 195 n. 2. [« Cassiopee ») (per Andromede) p. 710 n. 3. Castelnau, Michel de (seigneur
de Mauvissière) p. 842 n. 3; v. anche « Mauvissiero (signor
di)». Castelnau, P.
da
295
n.
Catherine-Marie 2;
v. anche
Castelnovo ».
«Castelnovo
(Maria
Castelnuovo,
Caterina:
« Maria
de
« Maria
da)»:
v.
da Castelnovo ».
v.
Ca-
stelnau, Catherine-Marie de. Castelnuovo, Michele di: v. Castelnau,
Michel
de.
«Cataduppici (popoli) » p. n. I. «catecismo» p. 662 n. I. «Categorie»
«Caucaso «caumi»
p.
742
(monte) » p. 93I
p.
452
n.
1147 n.
n.
2.
4.
1.
«causa n: v. «segno » e acausa n. «causa... cosa... cognizione » p. 872
«causa
n. 3.
estrinseca»
e
«causa
intrinseca» p. 234 n. 3. «causa» e «principio» p. 230
n. 2. « caval di Sileno » p. 24 n. 2. «cavalli di Sileno» p. 193 n. 1. Cecil,
William
(Lord
Burleigh):
NOTE
«Cefeo
n.
5.
(brocchier
«Cefeo...
di)»
genero»
di Perseo
p.
(ma
suocero)
p. 606 n.
«Celio » (= celeste)
171
1.
p. 577 n. 3.
«ceneri de’ sacrificii... sul monte
Olimpo» p. 115 n. 1. «centauro Chirone » p. 823 n. 3, 4. «centro (profondo e tenebroso) »
P. 753 n. I. «cerca» {per ‘cerchi ’) n. 2, p. 716 n. «cerdone» p. 255
«ceremoni
1. n.
(gli)»
p. T.
p.
852
710 n.
r.
Cerere: v. «Bacco... e Cerere n «certa fila» p. 554 n. 1. «cervello (stai in)» p. 76 n. 3; («stiano in)» p. 801 n. 4.
«cervosa » p. 212 n. 3, p. 932 n. S.
Cesare («quel ch'è di Cesare, sia donato a Cesare») p. 931 n. 3; v. anche «Quae Cae-
saris... n
« Cesarini di Roma » p. 618 n. 4. Cesarini, G. D.: v. «Cesarino ». «Cesarino» p.
Chàtelet:
«chele » p.
v.
1071
n.
« Palazzo ».
606
n.
7.
«chi» (rel) p. 707 n. n. 2. «Chiaccone» p. 822 n. «chiarlatani » p. 701 achimista» p. 276 n.
1.
1, p. BII 4. n. 1. 5.
Chirone: v. «centauro Chirone ». «chiroteche» p. 241 n. 3.
«chirugia... non volgare n p. 482 n. 2. «Ciacchi (in gloria) » p. 821 n. 6. «ciacco» p. 821 n. 6. «Cicada»
«Cicada
«Cicala
(interl.)
p.
953
n.
2.
(castello) » p.
635
n.
1.
(monte)»
p.
639
n.
2.
«Cicala, padron de la nave» p. 294 n. 5. Cicerone, p. 217 n. 2, p. 734 n. 2,
v. «tesorier del regno... ».
« Cedant arma togae » p. 255 N. 3.
1220
p.
p.
802
1147
pinate ».
n.
n.
2,
1;
p.
v.
919
anche
n.
s,
« Ar-
INDICE «Cieco
d'Adria»
p. 689
DELLE
n. 1.
[«cieda »)] p. 1163 n. 3. Cillene (monte) p. 115 n. 1. «Cillenico (Asino) » p. 914 n. 1.
« Cimmerie n. 2.
(oscuritadi) » p. 1145
«cinico» p. 6 n. 1. «cinico (rabbioso) » p. 199 n. 2. « Cintia » p. 953 n. 3. Circe p. 1168 n. 3; (allegoria della)
p.
1168
n.
4,
p.
1169
n.
p.
1173
n.
2,
p.
1176
«concordia» (riscontro
p. 259
n.
2, p.
1178
n.
1.
«circuisse» (= circuisce) n. 5. «cità» p. 850 n. 3. «citadi» p.
684
n.
«Citereida» p.
Citolini,
A.
p. 52
933
n.
N.
2.
p. 706 n. 1.
«comessi» p. 605 n. 2. comete p. 485 n. 4. «comite» p.
576
n.
5.
608
n.
«comite» (agg.) p. 840 n. 6. «commese» p.
«como» n.1.
p.
757
«compagna» 619
n.
1.
N.
I,
I.
p.
290 n. p. 964
5. n.
riso
—
G.
Bruno,
Dialoghi
sta)
p. 476
n.
3.
p.
meno»
p. 977
P. 974
N. 1.
Nn. 2.
(immediata) » p.
«convenuto (m°' ha) » p. 900 n. 2.
«convitti» (lat.) p. 662 n. 4. «convitto» (lat.) p. 467 n. 3, p.
1122 p. I.
694
n.
1.
Copernico, N. p. 28 n. 1, p. 40 n. I, p. 90 n. I, 2, p. 139 n. 3, p. 14I n. 2, p. ISO n. I, p. 163 n. 2, p. «Corinna» p. 933
«Cornucopia» «Corocotta »: rocotta ». «Corveto in
n. 3.
«costa»
165 n. n. 3.
2.
p. 216 n. 3. v. «Grunnio Co-
Basilicata» p.
(= consta)
p.
756 n.
«Costantino », Bonaiuto n. I.
p.
Costanzo, P.: . « Pietro stanzo... n. «coteconi» p. 72 n. 2. G.
p.
818
n.
764 1.
637
Co-
2.
«craticchia» p. 829 n. 1. «crida» p. 531
n. 4, «la crida»
P. 594 N. 1. «Crisaorio» p. 742
n. 3.
Crisostomo p. 742 n. 3. Cristo (allegoria del) p.
n. 3, 4.
122I 80*
3.
«constanza» (= consistenza)
Cotin,
(= compagnia)
ccomplezio» p. «comunmente»
n. 2.
1159 n. 3.
3.
«collimato» (lat.) p. 290 n. 1. Colombini, G.: v. «San Colom«colubre... bestie »
(rimane,
«conversazione
« coincidenza de contrarii » p. 573 n. 2, p. II3I n. I.
bino ».
n.
«contrario (un) è caggione che l’altro contrario sia bramato »
1; v. anche
n.
609
«contrada (picciola) » (a S. Giovanni del Cesco) p. 637 n. 1. «contrarii in eccesso» e «sul
«cocchiaroni» p. 796 n. 1. coda dell’asina (venerata a Genova) p. 792 n. 2. «còfini» p. 855 n. 2. 915
p.
«consiste»
«Citolino... ». «Citolino (messer Alessandro)» p. 77 n. 2. Cleante stoico p. 322 n. 1. « Cocchiarone (Don) » p. 898 n. 1.
«colleggio» p.
testi)
«connestabile» p. 22 n. 1. conoscenza e rivelazione p. 228 n. 1.
n. 3.
5.
Dn. 5.
Confiteor
p. 866
«circumforando» p. 671
di
«concupiscibile (la) » p. 562 n. I.
n. I, 2, p. II7I N. I, 2, p. 1172 2,
NOTE
italiani.
823
INDICE
DELLE
«croccia » p. 840 n. I. «crocodilli » p. 589 n. 2.
«cucullati di professione » p. 210 n. I. «cucullati suttili metafisici» p. 270 n. I. «cuculle» p. 744 n. 1.
«Cuium pecus?» p. 241 N. 5. Culex p. 65 n. 2. «Culpepero» p. 212 n. Ss. Culpepper, Martin: +. «Cul.
pepero ». «curiosa » (senso etimol.) p. 726 n. 3. Cusano p. 102 n. I, p. 125 n. 4,
9 DO 5 DI
. 281 n. 1, p. 282 n. 1; p. 283 . 2, 3, p. 284 n. 2, p. 332 n. 2, - 335 n. I, p. 338 n. I, p. 340
. 2, p. 382 n. I, p. 440 n. 2,
. 441 n. I, p. 443 N. 2, P. 443 . 3, p. 449 n. I, p. 573 N. 1, 757
n.
3,
«. . nel
secondo
suo libro De /a dotta ranza» p. 9I n. 2.
igno-
«dalla » (= da quella) p. 302 n. 2.
Daniel,
S.
p.
52
n.
4.
«David de Dinanto » p. 180 n. 2, ‘P. 315 n. I. [«debo »]
p.
60
n.
3.
«dedalo» p. 346 n. 2. «definire» (assol.) p. 278
n.
I.
«defuntoro » p. 59I n. I. « De iis hactenus» p. 297 n. 3. «delibere » (= liberi) p. 346 n. 4. Della
Casa,
G.
p.
65
n. 2.
a Deltaton » (= Deltoton) p. 598
n. 2. «deludere» (canzonare) n.
1 bis.
esdemensioni»
p.
Democrito
1086
306
p. n.
«democriteggiano» p. 847 dente
n. 7.
demoniaci
Deoide:
con
p.
n.
2;
Democrito »)
(oracoli)
p. 777
v. « Dolide ».
292 1 bis.
n. 2. («ri-
p.
8
n. 2.
NOTE
Deucalione e Pirra p. 799 n. 3. « dialettiche (nove) » p. 1115 n. 2. «dialogi
De
l’infinito,
universo e mondi numerabili» p. n. 1, 2.
«Diana
(unica)»
p.
936
in1045
n.
2,
p. 951 n. 1. «dibatto » (Îr. débat) p. 563 n. 1.
Dicson, Alexander p. 214_n. 3; v. anche « Dicsono Arelio ». «Dicsono Arelio» p. 225 n. 1. « Dictinna» p. 609 n. 2. diluvio universale p. 797 n. 1.
« dimensioni » nella sfera p. 1059 n. I.
Diodati, T. p. 52 n. 1. «dio degli orti» p. 24 n. 2; «operarii del dio de gli orti» p.
56
Diogene
n.
3.
Laerzio
p.
93
P. 443 N. 2, p. 755 n. I.
n.
4,
«Diomede» tracio p. 171 n. 3. Dionigi (pseudo): v. «Aeropagita » e « Dionisio ».
«Dionisio» p.
1164
n.
3.
« Discordia (pazza e fiera) » p. 719
n. 2. « discorso » (= corso) n. 1. « discrime » p. 517 n. « Discussioni 260 n. 3.
p.
2.
peripatetiche vp.
«dismenticato » p. [« disogliar »] p.
276
735
n.
n.
« disquarto» p. 661
n. 1. «dissenzioni» p. «Diva
Catonis
4.
4.
«disolar» p. 276 n. 4. «dispuerascere» p. 503
Disticha
1100
n. 3.
n. I, p. 980
767
p.
36
n.
n.
2.
1,
2.
Elizabetta» p. 222 n. 2.
« dissipando» (lat.) p. 629 n. 1. «diverse gradi» p. 519 n. 2. «divertiglio » p. 58 n. 1, p. 1095
n. 2. «divisa» p. 1034 «divum
1222
pater»
p.
n. I. 213
N.
4.
INDICE «dizionario
p.
165
n.
p.
202
1.
«dogs» p. 1120 n. 2. [« doi ambi ») p. 797 n. 2. « Dolide» p. 576 n. 2, p. 1001
n. 3, 4. «Domenea»
domenicani Domenichi,
p. 295
n.
p.
1083
L.
p.
n.
4.
I.
n.
donne (pensiero di B. sulle) p. 222 n. 1; (contro le) p. 930
n. I, 2; «libidine delle donne » p. 602 n. 2.
933
n.
«dottor
sottile,
«dottori
profondi,
3.
irrefragabile
illumiriato» p. 843 n. 2.
suttili...,
ed ma-
gni... irrefragabili, angelici, serafici » p. 466 n. 1. « Druidi » p. 885 n. 1.
« Dudleo
(Roberto)
» p.
69
n.
2.
Dudley, Robert (Earl of Leicester): v. « Dudlco... ». Duns Scoto p. 210 n. 1, p. 460
n.
1, p.
Elisabetta
468
n.
1.
Tudor,
regina
d’ In-
anche
«Eli-
ghilterra p. 68 n. 2, p. 69 n. 2,
p.
Bit
n,
1;
zabetta »
1,
«don Sapatino» p. 835 n. 1. «dona perle a porci » p. 135 n. I (cfr. p. 36 n. 3). «domino » p. 1075 N. I, p. 1105 n. 6. Doni, A. F. p. 65 n. 2, p. 846 n. 2, p. 1083 n. 6.
«Dori» p.
Egidio di Colonna p. 466 n. 1. Egitto (idolatrie d') p. 786 n. 1. egizia religione p. 795 n. 2. Egizi p. 601 n. 7. Eliano p. 867 n. 5. « Elitropio» p. 191 n. 1.
regnicoli p. 897 n. 8. 83
NOTE
«Diva
v.
«Diana
(unica)»,
Elizabetta ».
« Elizabetta» p. 67 n. 2. « Elpino » p. 350 n. 3, p. 367 n. I. «embreaco» p. 897 n. 3.
« Empedocle » p. 235 n. 1 (250 n. 2), «opinione di» p. 23I n. 1, « Empedocle ed Epicuro » p. 687 «empirici aencomico 1082 n. «enigma
n.
1.
n. 2. (celesti) » p. 466 n. 3. » (= encomiatore) p. 2. (vision per)» p. 1159
Enrico Il di Francia p. 723 n. 3. Enrico III di Francia p. 17 n. 3, p. 827 n. terzo... ».
2; v. anche
«ensofico» p. 865 n. 1.
«entelechia »
p.
271
« Errico
n.
1.
Epicuro p. 1086 n. 2, (lettera a Idomeneo)
v. anche CUTO ».
p.
1053
« Empedocle
n.
‘2;
ed Epi-
Epicuro, M. A. p. 570 n. 2, . B45 n. 2, p. 973 N. 3, p. 994
Eberardo di Béthune p. 57 n. 1. Ebrei p. 601 n. 7, p. 616 n. 3, (contro gli) p. 802 n. 4, (odio di B. contro gli) p. 722 n. 2, (calunnie contro gli) p. 787 n. 1, (invettiva contro gli) p. 800 n. 1, (giudizi di B. sugli) p. 863 n. 1. «eclipsi» (gramm.) p. 221 n. 1. « Edipo (esquisito) » p. 195 n. 3. «Edonide» p. 220 n. 3. « Efettici » p. 45 n. 1, p.876n.1.
pps
n. 2. «dizione»
(poltron)»
DELLE
1,
p.
2,
p.
I, p.
1005
N.
3,
p.
1144
N.
I,
p.
1140
n.
I, p.
1058
1143
1146
1, p. 1148 n. 2, 4, p. 1149 . 4, p. 1153 n. 2, p. 1167 N. 4,
d'»)
1174
p.
n.
59
I;
n.
(«tragico 4.
cieco
«equivoco (agente) » p. 328 n. 1. « Eraclide di Ponto » p. 90 n. 2. Eraclito p. 35 n. 3, p.- 427 N. 3, p. 465 n. 1; «piangente con
1223
Eraclito » p. 8 n. 7; « Eraclito
1, p.
26
93
Epistola
n.
3.
p.
55
Rotterdam n.
I,
p.
14,
n.
3,
p. 83 n. I, p. 140 n. I, p. 145
n. 1, p. 586 n. 2, p. 705 n. I,
P. 790 n. 5, p. 855 n. 4, p. 856 n.
2; «adagi d’ Erasmo » p. 37
n. 2. eresia a Napoli p. 721 n. I, P. 722 n. 1. « Erinni (pestifera) » p. 720 n. 1. «erisipile» p. 452 n. 1, « Errico terzo di Francia » p. 842
n. 2.
«erroni»
p.
480
«eruca » p. 292
n.
N. 4.
«escrilogie» p. 221 «esopico lione» p.
«esquisito»
(lat.)
p.
I.
n. I. 588 n.
195
n.
3.
3.
«essendono » p. 408 n. 2, p. 412
n. I, p. 454 N. 4, P. 475 N. I,
p.
588
n.
4.
cesserno » p. 6I N. I, p. I25 N. 1, p. 148 n. 1, p. 194 n. 2, p. 207
n. 3, p. 229 n. I, p. 323 n.1, P- 383 n. 1, p. 399 n. 2, p. 425 n. 1, p. 436 n. 2, p. 963
esuli
italiani
739
D.
in
I.
n. 3.
Inghilterra
p.
«età de l'oro» p. 726 n. 2, P. 727 n. 1, p. 730 n. I. «etere p. 529 n. I; v. anche «aethera...»
ra... n
eternità
P. 413
ed
«ethe-
1.
ra...» ed’ «eteren «Eudosso » p. 40 n. I. n. I.
760 n. 1. (figlio di) » p.
« Euschemico» p. 774
«Evante n. 2.
«Eveno»
n.
2.
600
(agasoni delle) » p. 220 p.
170
n.
s.
p.
849
n.
«extima» p. 459 «extimo» p. 756
1,
n, 2. n. 3.
2.
«fabro del mondo » p. 232 n. «faccia (quattro) » p. 1060 n. «faghi» (= faggi) p. 737 n.
Faivanus, Antonio de p. 159 n.
«faldi» (= sfaldi) p. 1046 «fallaran» p. 559 n. 2. «falta» p.
1153
n.
n.
1.
«farfalla affetta verso la sua luce» p. 1037 n. 2. «farò dire (ti)» (= ti lascerò dire) p. 316 n. 2. Fedro p. 589 n. 3. «Felice Martire Nolano » p. 158
n.
3.
Felice
(san):
v.
«Felice
Martire
Nolano ». fenice dell’ impresa p. 1080 n. 2. «fenice unica» p. 1038 n. 2. «fenice volante» p. 1042 n. I.
«fenomie» p. 11 n. 3. «fermiate (non vi) » p. 460 n. 1. «fesse » (= facesse) p. 1167 n.
« festina lente » p. 56 n. 2.
« Fetone (sorelle di) » p. 603 n. « fiche (le) o gli fichi » p. 601 n.
Ficino Marsilio p. 237 n. p. 1000 n. 2, p. 1003 n. I, p. 790 n. s.
«ethera, cioè corridori» p. 146 n. 2; v. anche «aethe-
Euripide p. « Euschemia
«Exodo»
figli (allevamento mercenario dei)
della terra e dei mondi
n.
«eviterna» p. 616 n. 1. «eviternamente » p. 349 n. 1.
N
n.
da
sua
NH
Erasmo
p.
la
NA
a Sofocle»
ne
NOTE
mi
Efesio ...
DELLE
Ha Ww
INDICE
«figol» p.
835
p.
n.
466 2,
n.
p.
5;
890
«figolo»
n.
3.
«filosofi naturali » p. 1114 n. 2.
filosofia naturalistica (allegoria della) p. 1176 n. 2. « Filoteo » p. 191 n. I, p.367 n.1. «fiorentino (magro) » p. 8 n. 6. «fisici» p. 399 n. 3. « fisionotomisti » p.
«fisognomico» p. «Fiurulo (vecchia
n. I.
1224
919
n.
919 n. di)» p.
2.
3. 637
INDICE Flavio,
G.
p.
868
n.
DELLE
y.
Florio, G. p. 26 n. I, p.65 n. 1, P. 68 n. 1, p. 78 n. 1, p. 127
n. 3, p. 19I n. I, p. 22I n. 2,
P. 737 N. I, p. 739 n. 2, p. 967 n. 1; «messer Florio» p. 52
n. 4.
« Folco Grivello (sig.) » p. 9 n. 3. Folengo Teofilo p. 57 n. 2, p. 821 n. 6, p.
846
n.
2, p. 719
fonti medievali p. 235 « Forcidi » p. 709 n. I. «forficò» p. 599 n. s. Fortuna
« Fortuna
p.
p. 912
684
n.
va
1.
n.
n.
1, 6.
cangiando
Nn.
n.
I,
p.
462
di zoccoli»
p.
468
«frigii fanciulli» p. 576 n. «frugiperda » p. 261 n. 3.
p.
n.
1,
n.
1.
1.
«Frulla » p. 19 n. 1.
n. 5.
«geni»
G.
(= generi)
p.
23,
P. 958 n. 1.
n.
5,
n. 2.
za»
n. 3.
Bruno, Dialoghi
p.
2I5
«gestuazione» «getto»
p.
n.
147
p.
N.
I.
861
«Gianni
n.
I.
«ghiacio» p. 1150 n. Ghibellini: v. Guelfi. «Giacinto» p. 584 n.
(prete)»:
5.
1.
v.
2.
« prete
Gianni ». « giarra» p. 76 n. 4, p.:601 n. 6. (« gibellino »] p. 42 n. 1. « giganti (rubelli) » p. 852 n. 2. « gigantone » (Idra lernea) p. 599 n. 6. «Gioan Bruno» p. 637 n. 1; «padre del Nolano» p. 975
n. 2. «Giob (Libro « Giosefo,
di)» p.
che
124
sapea
n.
1.
dechiarar
gli sogni» p. 820 n. 1. Giove («fiamme ed amori p. 608 n. 4; («mensa
di ») di»)
n. 7.
«gippone» p. 632
Giraldi,
G.
B.
p.
giuochi
di parola
n.
65
I.
n.
2.
226
n.
« giuochi da tavola » p. 740 n. 4. P.
297
n.
1, p.
p.
821
« Giulia» p. 1165 n. 2. «Glauco» p. 171 n.‘6.
1225 —
2.
n. 2, p. 1108 n. 2. Giovio, P. p. 56 n. 2, p. 130 n. 1.
Galilei, G. p. 121 n.1, p. 165 n.2. « gallico furore » p. 723 n. 3. « gallugarli la voce » p. 636 n. 3. «ganasse» p. 738 n. 2. «gargioni» p. 734 n. 2.
80**
n.
Giovenale p. 77 n. I, p. 217 n.1, p. 687 n. 4, p. 780 n. 2, p. 786
«gaggia» (fr. cage) p. 561 n. 1.
T. p. 700
917
«gelosia » (zelo) p. 126 n. 1. Gemini (costellazione dei) p. 606
P. 932
fucun) «fuco (fessi) » {facere p. 861 n. 4. «Furor divino » p. 754 n. 5.
Garzoni,
p.
stile »
P. 464 n. 2; v. anche «Fracastorio ». «fragose» p. 1166 n. 1. « fragrosi » p. 590 n. 3. Franco, N. p. 554 n. 2. «Franzino» p. 637 n. 1. «frappone» p. 202 n. 4. «frase» (pl) p. 254 n. 2.
«frate
A.
Gentili, Alberico p. 52 n. 1, p. 496 n. I. Gerolamo (san) p. 897 n. 5 bis. « Gervasio... non odora né puz-
1.
1.
452
Gellio,
«geno» (= genere) p. 601 n. 3. « Genovese (capo aguzzo) » p. 815
«forzo » (= sforzo) p. 202 n. 1. «Fracastorio » (interì.) p. 350 n. 3, p. 367 n. 1. Fracastoro, G. p. 448 n. 3, P.
« gattimammoni » p. 817 n. 1. «gattomammone» p. 840 n. 3.
n. 2.
«forzaglia» p. 836 n. 1. [« forzarsi ») (per ‘forzarci ') IIrtdq
NOTE
italiani,
n.
3.
2,
INDICE {«-gline »)
(per
n. I.
‘-gliene ’) p.
« Glutius » p. 822 n. 5. «gniffeguerra » p. 65 Gondola,
orti
P.:
di
v.
Londra ».
«uve
«gorda » p. 81 n. 1. «gorgazuolo» p.
752
«gramatici » p. 702 «Grandazzo
n.
n.
n.
I.
1.
de
DELLE 44
gli
Ran-
gravità e levità dei corpi p. 149 n. 3. «greco di malizia netto (non
‘fu mai)» p. 25 n. 3. «greco di Somma» p. 744 n. 4. «grege» p. 857 n. 5. « Gregorio » (domenicano regnicolo) p. 897 n. 7, 8.
Sir Fulke p. 70 n. 1, n. 1; v. anche « Folco
Grivello... ». Groto, L.: v. «Cieco d’Adria ». «Grungarganfestrofiel» p. 822
n. 5.
« Grunnio Corocotta » p. 83 n. 2. (Guelfi e Ghibellini (denominazioni di) p. 42 n. 1. guerre di religione, p. 720 n. 1. «Guin (maestro) » p. 52 n. 5. Gwinne,
Matthew
v. anche
« Guin
p.
191
n.
(maestro) ».
1;
(«hala n): v. «ala».
p. 863
n. 1.
«Iamblico... degli E gizii misterii» p. 979 n. 2. «Idio» p. 777 n. 1. °
Idomeneo:
v. « Domenea ».
v.
Hyginus.
significato »
(= ciò
che
è
significato). p. 181 n. 2. «il che» (spagn. e/ que) p.
183
«illuminati »:
de-
n. 4, p.
703
v.
»
n.
I.
«canzone
790
n.
3.
«imbreachi» p. 857 n. 2. immanenza (dottrina della)
34 n. 2. «Impetitus» «impliciti» n. 6.
p. 188 n. 3.
(= implicati)
p.
p. 255
«imprese », p. 928 n. 2.
imprese animalesche p. 1042 N. I. «in patinis» p. 253 n. 3. «inbottati» p. 632 n. 2.
«incolubrasse» p.
886
n.
1.
«incorrere... il suo destino» p. 580 n. 3, «incorrere... il morire » p. 1167 n. 3. «incota (s')» p. 176 n. 2. «incusata » p. 690 n. 1. «indefinitamente» p. 554 N. 3. «indifferente» (= non differente)
p.
P.
304
985
«individua «inetti
N.
n.
2.
cosa...
(ogni
I.
(parti) »
p.
485
è)»
n.
«inficcare» p. 618 n. 3.
2.
infinità dell'universo p. 381 n. 3. infinità di Dio p. 381 n. 3. infinito moto e infinita quizte
P. 403
N.
I.
«infilacciata » p. 864 n. «Inghilterra (Muse d’)»
[«heroichi »] p. 32 n. 2. Hicetas Syracusius: v. « Niceta Siracusano... a.
Hyginus
«il
«imbreaca» p.
dazzo) p. 251 n. 1. « grande (le) efficacie » p. 643 n. 3. «grandini» p. 430 n. 2. « granelli benedetti » p. 836 n. 5.
Greville, P. 550
Igino:
gli...
I.
in Sicilia » (=
NOTE
n. I,
inglesi (dame)
1. p.
26
p. 26 n. 1.
«innamorati per sola fama» p. 1142 n. I. Inquisizione di Spagna p. 720 n. 2, p. 721 n. 1. ‘insegnare’ (col quarto caso) p.
615
n.
insensibilità
1,
p.
908
(esempi
2.
famosi
p. 1054 N. I. sinstinto» p. 149 n. I.
1226
n.
di)
INDICE «intacconata» p. 836
«integnono
» p.
919
n.
DELLE
n. 2.
«Lampsaco (dio di) » p. 932 n. 4, («nume di») p. 742 n. 1, («quel di») p. 585 n. 4.
I.
«intelletto agente» p. 552 n. 4. «intelletto agente ed attuante»
p. 1043
«Laocoonte
n. 2.
n. I. «intelletto di potenza o possibile n. 1.
«intendessivo» p. 137 n. 3. [«intendreste ») p. 39 n. 2. «intento » (= intenzione) p. 555
serpenti
«lava » p. 60 n.
1, p.
1129
A.
n.
1,
«lavezzi» p. 751 n. 1. «Lazaro (fratel di) » p. 469 n. 1. «"l che » (= quello che), p. 1096
n. 3.
n. 2.
«Ie» per
p.
p. 624 n. 3, p. 847 n. 4. «le che » (= quelle che) p. 313
«interito (l')» p. 534 n. 1. [«intrinseco la propria natura »] 146
«introduce «Iob»
n.
p.
3.
(s’)» p. 560
866
n.
2,
n.
3,
P. 205
«italiani
n.
1.
n. 2.
(alcuni
amici)»
p.
52
italiano (diffusione in Inghilterra) p. 86 n. 2. «iviomi» p. 633 n. 2. - Jamblicus
p. 784
n. 1} v. anche
«Iamblico ». Jona (storia di) p. 815 n.1.
Jonson, Ben p. 52 n. 4. us diritto e jus brodo p. 821 n. 3.
che»
R.
p.
(= quella
n. 2. «lampegianti» p.
zio
n.
che)
631
n.
1.
p.
2.
314
p.
37
n.
1, p.
1.
clegansi» (= leggansi) n. 2, p. 1046 n. 1.
«legerezze»
legge
di
p.
gravità
605
«Lesbia»
p.
933
p.
481
n.
«lescla n p. 469 n. 2. «lettame» p. 502 n. n. 3, p. 882 n. «Lettera ad
p.
n.
«lepra » p. 616 n. 3.
121
p. 735 v.
allu-
(Earl of): v. « Dudleo
«libro De principio uno» p. 133I n. I. De’
p.
5.
2, p. 589
(Roberto) ». [«-li n] (= gli) p. 38 n. 1. «Liberio» p. 1127 n. 1. «libro
n.
4. Alexan-
letteratura del tempo: sioni alla ecc.
Leicester
1.
1035
3.
dro» p. 896 n. 1. «lettera (parlando per)» n. 2.
li»
Kilwardby,
‘li’
N. 3. p. 259 N. 3, p. 575 N. 2, n.
1.
6.
Tona: v. Jona. «Ipparco» p. 40 n. 1. Tppaso p. 427 n. 3. «Iside (quel che disse in proposito de le bestie) » p. 813 n. 3. «Ispagna (bellicosa) » p. 705 n. I. istinto: v. «instinto». Italia «maestra di tutti vizii»
«la
(smisurati
di)» p. 170 n. 3. «Laodomia» p. 1165 n. 2. «Laodonio» p. 1127 n. I. «Laurenza» (vedova di M. Solombria) p. 637 n. 1.
«intelletto (tre sorte de) » p. 234
o passibile » p. 1043 n. 2. «intelletto verso agente » p. 498
NOTE
1091
trenta n.
4.
ed
sigil-
« Licaone (convito di) » p. 8 n. 2. « Licestra (conte di) »: v. « Dudleo (Roberto) ». « Licori» p. 933 n. 3. «limosa» p. 54 n. 1 his. «Linceo (occhi di)» p. 11 n. 2.
1227
INDICE «liocorno corre p. 990 n. 2. «là
»
(=
là)
al casto
p.
«lo che » (spagn.
490
N.
/o que)
DELLE
seno»
3.
p. 271
n. 2, p. 304 n. 2, p. 3II n. 4,
p. 314 N. I, p. 3I6 n. 1, p. 324
n. I, 3, P. 333 N. 1, p. 371 N. 1,
p. 401 n. I, p. gIS n. I, p. 456
n. 3, P. 772 N. 4. Lombardi: v. «pesci per bardi... ». «Lotto»
p.
822
Lom-
n. 4.
«ludo
di Minerva» p. 257
«ludo
Lucano p.
minervale » p.
241
n.
n.
mu
Luciano p. 108 n. 2, p. 554 n. 2, P. 575 n. 1, p. 631 n. 3.
p. 587 n. 3, p. 962 n. 4,
1038
«Lucca» Italia)
Lucrezio
n.
3.
(adagio comune p. 820 n. 2.
p. 94 n.
1, p. 348
in n.
1,
P. 349 N. 2, p. 371 Di. 3, P. 53I n. 3, p. 532 N. 1, p. 533 n. 1.
Lullo, R. p. 835 n. 1. «luminari... grandi » p. 122 n. 3. «Iuna, ch'è un’altra terra» p.
449
n. 2.
NOTE
Maio,
Serafino
da
«Serafino ».
«malancolico» «malencolico »
Napoli:
p. p.
897 897
n. n.
Manuzio,
A.
p.
850
n.
4.
«margarite... calpestrate da porci» p. 897 n. I. «margine» (f.) p. 139 n. 2, p. 368 n. 1, «margini (diverse) » p. 815 n. 1.
« Maria da Boshtel » p. 296 n. 2. «Maria da Castelnovo» p. 296 n. 2. «Mariconda» p. II12 n. 1.
«Maricondo» p. 1071 n. 1. Maricondo (o Mariconda) Francesco: v. « Maricondo ». « Marso chiarlatano » p. 749 n. 2. «Martinello (figlio di)» p. 637
n. I. Marziale p. 956 n. 1, p. 1116 n. 1. «mascalzone
«mastria » p.
(cinico) » p. 17 n. 2.
604
n.
1.
di B.
p.
757
n.
I.
«mastro
Danese » p. 637
«lunghi » (= lungi) p. 680 n. 4.
materia
p.
«lungi»
(= lunghi)
p. 698
n. 1,
p. 583 n. 4.
«luta» p. 416 n. 1, p. 604 n. 2,
p.
890
n.
2,
p.
1023
alux perpetua » p. 54 n. 3. «maccarone
dentro
il
n.
I.
formag-
gio» p. 803 n. 3. Machiavelli, N. p. 760 n. 1. «Macometto Aracense» p. 40
n.
I.
«macrologi» p. 221 n. 1. «madesì» p. 2I n. 1. «Magia» p. 782 n. 1; dottrine di B. sulla magia p. 243 n. 2. magica formula p. 813 n. 2. «Magno» p. 330 n. 2.
2. 2.
«malenconico » p. 897 n. 2. «manganello» p. 882 n. 3. « manipolo» p. 842 n. 4. «mantenir» p. 557 n. 2.
Luna satellite della Terra p. 435
n. 3.
v.
matematica
e matesi» p.
307
n.
1118
2.
n. 2.
n.
3.
Matthew, Tobias p. 212 n. 4. Mauro, G. p. 65 n. 2. «Mauvissiero (Signor di)» p. 7 n. 1. «me» (= mie) p. 1027 n. 2. « medesimo » (= la medesima cosa) p. 1059 n. 2.
medicina
magica
p.
1035
n.
I.
« Megara (la pellice) » p. 607 n. 5. «meglior» (avv.) p. 682 n. 1. « AMejor es perder que mas perder » p. Gr n. 3.
«melanconico» p. 897 n. 2. «Melazzo» p. 252 n. 1.
«meloni» p. 633 n. 1. Menelao di Alessandria: v. « Me-
1228
nelao,
romano
geometra ».
INDICE «Menelao,
Pp.
40
n.
romano
1.
«Mennone»
«mense
n.
I.
DELLE
geometra»
p.
909
n.
oltramontane»
«mente» (dottrina
p.
della)
n. I.
I.
320
p. 370
a mentisco » (= smentisco) p. 848
n. I. «Mercoldì... de le ceneri» p. 51 n. 1. «Mercurio Trimigisto (profetico lamento ad Asclepio) » p. 1074 n. I « Merlin Cocaio
n. 2.
« Merlino» p.
(musa di) » p. 57
195
«mescuglia » p. 397
n.
6.
n.
3.
«mese» (= mise) p. 666 n. Messico p. 797 n. 3. «metaffore » p. 361 n. 2.
«metamfisicosi » p.
885
2.
576
n.
2,
p.
n. 2.
1001
n.
4.
« metampsicosi » p. 776 n. 1. metempsicosi p. 559 n. 9; (dottrina della) p. 811 n. 3, p.
891
n.
3.
con-
«Metorologica templazione»
n. 2, 3.
«mezi»
p.
664
n.
1.
«microcosmo»
p.
256
«mezo » p. 637 843 n. 5.
n.
«mignone » p. 803 n. 5.
«Milano (quando p. 69 n. 8.
I,
n.
p. 74I
n.
2,
n. 2.
misogina
«molle
letteratura
(carni) » p.
Molza, F. p. 65 n. «momezzar» p. 675
020
n.
2. n.
3.
1.
p.
211
n.
2.
«monine» p. 467 n. 1. « Montecorvino appresso Salerno» p. 818 n. 1. Morelum p. 65 n. 2. morire e rinnovarsi delle parti della terra p. 413 n. I. «morosi » p. 301 n. I. «mors osculi» p. 1094 N. I. mortalità dei mondi
«Mosè» p. 783
n.
1.
della
p.
155
n. 2.
n. 1; cfr. p. 791
Terra
p.
163
n.
2;
(moto di rotazione) p. 168 n. 1. «moto » (= mosso) p. 390 n. 1.
moto
rotatorio
n. 1.
del
Sole
«motti» p. 928 n. 2. motti delle imprese
n.
2,
p.
p.
3.
153
1030
(« moverà »] p. 76 n. 2. «munerabili» p. 603 n. 1.
di freddo e di fame »
p. 128 n. 5. «muovermi» (= lasciarmi muovere) p. Izo n. I. «muse di Parnaso» p. 195 N. I.
7I
«mustaccio» p.
in)»
p. 290 n. 6.
mondi abitati p. 464 n. 1. monete (passione per le) nel ‘500
Musso » p.
1.
1, p. 84r
eravamo
figlio di Eolo » p. 594
«muoiono
871
n.
« Miseno,
moti
«Metamorfose» p. 127 n. 2. metamorfosi erotiche di Giove
P.
NOTE
n.
867
5.
n.
2.
215
« Nabuchodonosor {metamorfose di) » p. 891 n. 1. «Nanna» p. 673 n. 2. «napello » p. 932 n. 1. Napoli (avvenimenti del 1547)
« Minutolo» p. 1140 n. 1. Minutolo, G. G.: v. « Minutolo ». «miscuglie» p. 604 n. 3.
«naturale » (filosofo) p. 276 n. 2. negromanzia p. 243 N. 2. «nemicicia» p. III4 D. 3.
Milazzo: v. «Melazzo ». « Mimallonidi» p. 220 n. «mina »
«Minoe,
n. 5.
(fr. re
mine)
di
p.
Creta»
76
p.
n.
4.
1.
1229
p. 720 n. 2.
INDICE «neomenie» «Nettuno
p.
ed
n. 2.
a Niceta
869
n.
Amfitrite » p.
Siracusano
A.
p.
19
599
Pitagorico »
p. 90 n. 2. « Nicosia » (in prov. P. 252 n. 1.
Nifo,
1.
DELLE
di Catania)
n.
1.
« Nihil sub sole novum» p. 247 n. 1; cfr. «non essere cosa
nova sotto il sole » p. 324 n. 2.
« Nigero» (fiume) p. 762 n. 1. « Ninive (profeta di) » p. 802 n. 3. « nitedole» p. 445 n. I.
Nizzoli, M. p. 216 n. 4. « Nizzolio» p. 216 n. 4. «nodum
P.
în
37
n.
2.
scirpo
quaeritas »
« Noemo » (= Noè) p. 799 n. 1, 2, p. 822 n. 4.
« Nohemi
« Nonacrina n. I.
(vergine)»
«nottue»
788
«nottiluche»
p.
p.
445
p.
n.
n. 7.
609
1.
[«nunquam ») per 1082
n.
‘ unquam'
s.
Mondo » p.
797
«nutar» p. 162 n. I. Nux Elegia p. 65 n. 2. «nutriccia» p.
n.
1, p.
{«occa »]
196
790
p.
n.
n.
675
1.
n.
I, p.
n.
p.
3. 600
3.
«ochio » p. 489 n. 2; cîr. p. 123 2, p.
v.
649
n.
3.
«Ofito ».
voffressi (quando voi m’)» p. 604
n. 3.
599
p.
115
n.
n.
8.
1.
«Olimpo (monte)» (leggenda pseudoaristotelica) p. 115 n.1. «oliva»
p.
960
n.
1.
« Olmo (piazza de l') » p. 700 n. 2. «olne » p. 251 n. 2.
«oltragiosi»
p.
628
«oltramontane «mense...
n.
1.
(mense)»:
v.
».
«Ombre de le Idee» p. S42 n. 2; cfr. p. 26 n. 2. «omei» p. 1152 n. I. «Omero, quando non dorme»
P.
455
n.
2.
«Onorio» p. 882 n. 1. [«opona »] p. 680 n. 1. Orazio
p.
293
n.
6, p. 455
n.
2,
n. 8, p. 959
n.
I, p. 969
n.
I,
n.
1.
P. 572 n. 1, p. 728 n. 1, p. 932
p. 1082 n. 4. «orbi » celesti p. 433 n. 1. [«orechie ») p. 643 n. 1. «orechio» p. 489 n. 2. «Orfeo n» (mito di) p. 934 n. 1. «organo de gli organi» p. 887
I.
«origine
(primo) »
p.
origo
(m.)
p. 188 n. 1.
«Oro
Apolline» p.
Orione (Cristo) p. «orli» (= urli) p. «orloggio » p. 253
763
803 n. 193 n. n. 2.
863
n.
2. 2.
3.
«orsa» (= orza) p. 576 n. 6. Orsa maggiore p. 582 n. 2. « Orsi d' Inghilterra » p. 618 n. 4.
« Orsini... di Roma » p. 618 n. 4.
n. 1.
Ofanto:
Olimpiodoro
p.
n. 2.
« Ortensio » (domenicano colo) p. 897 n. 8.
«occecato» p. 1146 n. 3, p. 1163 n.
762
«Ofiulco »
n.
nulla dies sine linea p. 255 n. 7. «Nundinio » p. 21 n. 4. «Nuovo
«Ofito » p.
(nostri) » p. 220 n. 6.
nolani personaggi p. 636 n. 1. « Noli me tangere v p. 587 n. 2. «nolite fieri» p. 23 n. I. «nolite vocari Rabi n p. 255 n. 2.
NOTE
Ortensio,
G.
B.
da
Otranto:
v. «asino
regni-
Campagna:
v. « Ortensio ». osceni paragoni p. 576 n. 3. Osiander, A. p. $8 n. 1. «ospitale (amore) » p. 935 n. 3. «ottiene» (occupa)
1230
d'Otranto ».
p. 360
n.
1,
INDICE P.
476
n.
2,
p. 1097 n. I. «oves ab haedis»
‘opere burlesche Ovidio p. 72 n. 4, 5, P- 246 n. . 588 n. 2, p.
I, p.
710
p.
DELLE
607
n.
1,
«partecipazione »
So
n.
1.
participi (concordanza di) p. 589
p.
p. 65 n. 2. 3, p. 17I n. 2, I, p. 364 n. 3, 683 n. I, p. 704
n.
I, 4, p.
727
Sv‘
. I, p. 735 n. 3, p. 737 n.1, 3,
. 754 n. 1, p. 884 n. 4, p. 885 . 3, p. 886 n. 2, p. 932 n. 3, 979
n.
4,
p.
1168
n.
anche « Metamiorfose ». Oxford (Università di) p. n. 2, p.
69
n.
2, p.
128
n.
2;
53
1;
(abbandono degli studi filosofici) p. 133 n. 2, p.134 N. 1,2, p. 209 n. 1; (indirizzo grammaticale) p. 210 n. 2; v. anche «Oxonia ». «Oxonia » (etimologia di) p. 764
n.
NOTE
4.
650
n.
1.
« Parturient montes » p. 501 n. 3, p. 867 n. 1.
«Parvo»
p.
«padre di dodici n. 4.
752
n.
3.
tribù » p.
787
« Palazzo» p. 75 n. 1. « Palinuro (celebrata sepoltura di)» p. 17I n. I. «palo» p. 65 n. 2.
Panormita
(Beccadelli
il) p. 618 n. 1. «pantamorfo de gli bruti» p. 681 n. 3. Paolo IV p. 723 n. 1.
« Paracelso » p.
258
A.
detto
animali
n.-1;
p.
186
n.
1,
p.
cfr.
326
n. 2; «Parmenide, ignobilmente trattato da Aristotele »
p.
287
«paroli»
n.
p.
1
SsI
bis,
n.
2.
1.
n.
1145
2.
N.
4.
« passar solitario » p. 1009 n. 2. Pasqua,
maestro
e Ambruogio
Ambrogio:
».
« pastura de l’alma » p. 346 Patrizzi, F. p. 260 n. 3. « Paulino » p. 637 n. 1. «Paulo Tarsense» p. 7$0 «Pax vobis» p. 242 n. pazzia (specie della) p. 976 «pazzo per lettera » p. 254 peccato della carne p. 930 (« pedagogi ») p. 47 n. 1.
pedante p. 215 n. 6, p.217n.
«boccone
da pedanti»
vv.
n. 1. n. 1. n. n. n.
p.
1. 1. 3. 4.
1,2;
585
« carco di libri »,
(poltron) ».
«pedanteggiar » p. 1068 n. 2. Pegaso (mito intorno all'origine di) p. 894 n. 5. «pena capitale » p. 704 n. 2. «penetrassivo» p. 137 N. 3. « perfezione (somma) » p. 713 n. 1. «perfumarò» p. 790 n. 4. «pericolo (far) » p. 1173 n. 1. «perissologi» p. 221 n. 1. «perle a porci» p. 135 n. 1; v. anche « margarite... »,
D. 263 n. 1, p. 279 n. 2. « Parcius ista viris » p. 317 n. 1. «pardiglio (color) » p. 738 n. 1. « pare » (agg. ‘ pari ’) p. 536 n. 2. «pareti» (m.) p. 363 n. 2. Parmenide
330
«passagio» p.
« dizionario
p.
p.
n. 4.
n. 1; v. anche
«pacchioni»
(pé9edte)
ci a le perle...» Perotti, N. p. 216 n. «perro» p. 6 n. 2.
« por-
3.
« Perseo (destrier di) » p. 73 n. 1; favola
Persio,
di Perseo
A.
p.
25
n.
«pesci per Lombardi
p. 25 n. 2.
p. 710
2.
n.
1.
(non son)»
pestilenze in Italia e in Francia p. 769 n. 1. Petrarca, I. p. 55 n. 2, p. 190 n. 1, p. 570 n. 2, p. 583 n. 2, P- 737 N. 3, p. 898 n. 2, p. 912
123I
INDICE
DELLE
NOTE
n. I, p. 929 n. 3, p. gsI n. I,
P. 307 n. I, p. 892 n. 1, p. 944
n.
n. 2, p. 1000 n. I, 2, p. 1003
P. 973 n. 2, p. 979 n. 3, p. 982
p.
1010
n. 1, p. 1102 n. I, p. n. I, p. 1150 N. 4.
1144
petrarchisti
P.
927
n.
I,
(tirata
n.
2, p. 929
p.
1064
contro
n.
1, 2.
[« Phillippo »] p. 925 n.
1.
« piaciuto (ha) » p. 899 n. « Piamonte» p. 763 n. 3. «pianca» p. 635 n. 3. Pico
della
P- 732
Piemonte:
Mirandola
n. 2.
di
14 n.
(il
Toledo
1,
signor)»
(Don)
n. 2, p. 721 n. 1. « Pietruccio » p. 23 n. 2.
p.
720
»
« Pirroni»
p.
673
n.
2.
(= Pirronici)
1006
n.
p.
45
I.
«poco
n.
2,
p.
p.
n. 6.
1000
1156
867
11509 libro
p. 200 n. 1.
e niente»
p.
(arciprete
(tempio
499
di)»
n. 2.
p.
9, ». 3. 3. 2. 2.
(quel che san
che
n. 5, p. 237
n.
3.
ritiene
n. 2.
1. p.
il 21
«posserno» p. 488 n. 3. « possevi » (= potci) p. 893 n. 1. Postille anonime allo Spaccio 553 n. 1, 2, p. 558 n. 2, . 570 n. 1, p. 623 n. I, p. 624 . I, 2, p.
625
. 654
2,
p.
655
n.
n.
1,
2,
739
n.
2, p.
760
n.
1,
. 763 n. 2, p. 765 n. 1, p. 77I
2.
1232
3,
637
626
712 n. I, p. 713 n. I, p. 73I
. 2, p.
n.
Plotino p. 237 n. 1, p. 252 n. 2,
n.
4, p.
2, 3, p.
. 663 n. 2, p. 664 n. 3, p. 675 . 2, p. 677 n. I, p. 684 n.1,
1,
1,
I, 2, 3,
n.
. 657 n.1, 2, 3, p. 658 n. 1, 2, 660 n. I, 4, p. 662 n. 3,
n.
n,
997
n. 5.
«porci a le perle
DV
1056
Plinio p. 684
1,
Pp.
«poi» (= puoi) p. 794 n. 1. Polidoro: v. « Semele (fratel di) poliinnici passatempi p. 297 n. «polso » (lat.) p. 392 n. I. « Pomona, Vertunno » p. 932 n. «ponte de palazzo » p. 53 n. Pontus de Tyard p. 141 n.
DI
5
p.
n.
p.
[« po »] (= può)
P. 238 n. 2, p. 330 n. 2, p. 381
909
n. I.
Plutarco
p. 9I n. I, p. 113 n. 2, p. 155 n. 3, p. 229 n. 2, p. 232 n. 2,
p.
II56 n. 3, p. «Plotino nel
p. 300
Efesio... ». Pitone p. 602 n. I. «piuma » (fr. fiume) p. 139 n. 1. «pizocchera» p. 836 n. 4. planto hominem p. 256 n. 4. Platone p. 13 n. I, p. 14 n. 1,
n. 2, p. 456
4,
nome di)» p. 159 n. «poscia» (= poscia che)
« pitagorici» p. 280 n. 1. Pitocle (Lettera a): v. « Eraclito
. I, p. 396
p. 3;
« Porto
n. 1, p. 903 n. 5, p. 907 n. 1. «Pitagora (nel carattere di)» p.
1,
far) » p. 36 n. 3. «porta Cornea» p. 884
«pila» p. 170 n. 2. « pileati » p. 916 n. 1. «piovale» p. 840 n. 2. «pioppa» p. 960 n. I. « Pippa
I, 2,
« Pogliano n. 3.
2.
v. « Piamonte n.
«Pietro Costanzo P. 42 n. 1.
Pietro
p.
2.
n.
Della bellezza intelligibile» p. 1040 n. 2; «... nel libro De /a materia»
i)
«petteggiano » p. 71 n. 6. «pettinale» p. 636 n. 2. [«phisiconomica ») p. 920 n.
n. n.
5 dI
1037
3,
988
DVI
p.
n.
p.
DI
I,
p. 1005
2,
. I, p. 777 N. 2, p. 779 n. 1,
. 780 n. 2, p. 782 n. 2, p. 783 . 1, p. 784 n. 1, p. 786 n. 1, 787 n. 1, 2, p. 783 n. 2, 3,
. 791 n. I, p. 792 n. 2, p. 793
9
n.
2,
n.
DELLE
S'id'IStdi
«I, P. 795 N. 2, p. 797 N. I, . . . .
798 n. I, I, p. 802 805 n. 1, 2, p. 812
p. n. p. n.
799 4, 806 2,
n. p. n. p.
1, p. 800 803 n. 2, 2, p. 807 815 n. 1,
. 819 n. 1, p. 823 n. 4, p. 824 . 3, p. 826 n. 2.
«Posteriore»
p.
742
n.
4.
«pòtte » (= poté) p. 272 n. I. Povertà p. 675 n. 2, p. 677 n.1. Povigliano:
v. « Pogliano...»
«precavendo»
p.
895
n.
2.
«preciso » (lat.) p. 292 N. 3. « prendiate (non vi) » p. 460 n. I. «prete Gianni» p. 578 n. 4.
Priapo:
v.
«dio
degli
ortin
e
«Lampsaco... ». «Priapea (libro della)» p. 742 n. 2; («libro, che non si sa, ma è in questione s’è di Ovidio o Virgilio ») p. 673
n. 2. «primo p.
(il)»
1146
«primo n. 2.
(= il precedente)
n.
e
2.
novissimo»
p.
285
« principii materiali attivi e pas-
sivi» p. 245 n. 1. «principio » e «causa» p. 230 n. 2. «principio intrinseco formale, eterno
e
subsistente»
p.
245
n. 3. Problemata pseudo-aristotelici p. IIS N. 1. Proclo
p.
979
n.
772
p. 902
n.
n.
1.
3,
« propisiabile » p.
« proposizio» p.
«protoplaste»
p.
«protoplaste
n.
291
n.
Adamo»
1.
«protoplastico » p.
7
n.
2.
p. 649 n. 2. Provvidenza p. 637 n. 2; (concetto della) p. 642 n. 1;
v.
anche
«providenza ».
«Prudenzio » p. 19 n. 1. Ptolemaeus p. 165 n. 1. «puccia (pane di) » p. 218 n. 1. Pulci, L. p. 25 n. 3, p. 504 n. 1. «putello » p. 256 n. 3. quadratura
n. 3.
«Quae
n.
4.
del
Caesaris
cquarantana»
circolo
p.
Caesari» p. p.
9
n.
«quatro» p. 739 n. I. «quintana » p. 65 n. 2. «quinte essenze» p. 445 Rabelais,
F.
p.
«raciocinio»
p.
14
[«racomando »]) p.
«Radamanto »
n.
1114
p.
868
n.
106 n. 2.
4.
proposizioni opposte contrarie p. 671 n. 1. «prore » (= prude) p. 214 n. 1. «prorogativa» p. 816 n. 2. «prorogative» p. 962 n. I.
255
n. 2. 1.
n.
8or
3.
n.
zI15
n.
4.
«radice» p. 296 n. 1. Ramo (de la Ramée), P. p. 260
n. 2, p. IIIS n. 2.
«rancontri»
n. 2.
p.
170
n. I, p. 207
p.
2,
757
2.
«Rara avis» p. 296 n. 1. «rati stami» p. 580 n. 2. «reali » (moneta spagn.) p.
n.
199
«providenza» p. 739 n. 3; «la providenza è di due specie»
«rancontro»
784
5;
p.
2.
« prognostricatrici» p. 784 n. 2. «promese» p. 870 n. 5. pronuncia di B. p. 763 n. 1,
P.
NOTE
(n)
INDICE
Randazzo:
n.
p.
1147
n.
2.
v. «Grandazzo...».
I
74I
«regentale (catedra) » p. 213 n. 6. « Reginaldo » (domenicano regnicolo) p. 897 n. 8.
«relligioso» p.
785
n.
1.
«Rem acu tangis» p. 145 n. I. «rependo» p. 841 n. 7, p. 1057
1233
n. I.
INDICE
« Republica n. 2.
Veneziana»
p.
DELLE
768
Requiem p. 54 n. 2. « Rialto (in Venezia) » p. 75 n. I.
«richissima »
p.
[«riducano »)
1168
n.
(= riducono)
333 N. 3.
« Rifanciullanza» p.
a Rifeo
Riforma n.
(monte)
I, p.
1.
(giudizi
569
» p. 931
622
n.
sulla) 3;
n.
n.
p.
2.
385
Riformati evangelici p. 626 n. 1, 2, p. 660 n. 4; v. anche Riforma (evangelica). «rimanendono » p. III n. I.
«rimanere » (verbo neutro) p. 906 n. 3. «rime » (lat.) p. 55 n. I, p. 1125 n, 2.
«rincresse » p. 12 n. I. «ringracia» p. 685 n. 2. «rinovato» p. 1008 n. I.
I.
(vino) » p. 932 n. 6.
«riprendesila»
«ripuerascere»
p.
750
p.
503
n.
n.
1.
3.
«risfossicando » p. 192 n. 3. «risit Apollo» p. 586 n. 1. «risposta » (obbiezione) p. 481 n.1. « Risus Sardonicus» p. 55 n. 3. «ritretta » p. 192 n. 4, p. 557 N. 4. rivelazione: v. conoscenza e rivelazione,
«robba» p. B97 n. 4. «robba lunga» p. 21 n. 2.
Rocco
(san): v. «san
Rocco».
«rota
del
(giuoco
« Romano
la)» p.
072
n.
1.
«rotilon» p. 1134 N. I. Royal Exchange: v. « Borsa ».
«rutilante
Febo»
p. 52 n. 2.
n. 1. (Lord
4. Bu-
v. « Beuckhurst
(mi-
»
I.
n. Ss.
Salomone di
de
p.
324
n.
Salomone»
(il
p.
«teologo n)
v. anche
p.
2;
244
lomone », «sapiente
802
«libro
932
aCantica
«Salonicca» p.
n.
n.
9;
n.
3;
di Sa-
(il) ».
4.
«Salvio » (domenicano regnicolo) p. 897 n. 6, 8. Salvio,
Ambrogio
v. «Salvio ». «salzicchia» p.
«san San
da
821
Bagnoli:
n.
5.
Colombino» p. 8 n. Giovanni del Cesco:
8. v.
«contrada (picciola) ». «San Marco (piazza di)» p. 700
n. 3.
Sannazaro,
San
J.
Paragorio;
ragorio ». «san Rocco
n. 4. Santa Maria « Porto... n.
«sanzale »
p.
p.
920
v.
(piaga
«san
di)»
del 599
n.
n.
4.
Spa-
p.
170
Porto:
wv.
I.
«San Paolo» (a Londra) p. 75 n. 1; v. anche Saint Paul's. «San Paolo» (a Napoli) p. 75
n. I.
(popolo) » p. 660 n. 1. scarpone
n.
p. 228
n.
n.
«saga» p. 1167 n. 2. Saint Paul's: v. «campanile di San Paolo ». «salevano» p. 777 n. 3. «Salmoneo (gigante)» p. 213
« riformate filosofie » (conclusioni
473
195
F. p. 57 Thomas
ckhurst): lord)
p.
1.
v. anche Riformati evangelici.
«rinversato
Sacchetti, Sackville,
(regina)»
« Saduchimi » p. 885 n. 1, p. 1027
alle dottrine della) p. 655 n. 1; (evangelica) p. 654 n. 2:
«rimproperasseno» p.
«Sabba
p.
(accenni
circa la trascendenza) n. I.
NOTE
«san
196
Sparagorio n.
3.
(gigante)»
«Santasantoro» p. 812 n. 3. «sapiente (il) » p. 940 n. 1. «sappime» p. 922 n. 1. «sarcine » p. 714 n. 2. «sareste (tu) » p. 670 n. 2.
1234
p.
INDICE «Sarno» p. 762 n. 3. «sarrebe » p.
«Sarza
1068
n.
DELLE
«Sebeto» p. 762 n. 3. «secco (sofista)» p. 325
I.
(re di)» p. 54 n. I.
« Sassetto » p.
23
v. « Sassetto n. «sassinii » p. 664 «Saulino » p. 555 n. I, p. 861 n.
n. N. 1.
«secure» (= scuri) p. 660 {«sedde ») p. 82 n. 3. «sediciose » p. 569 n. 3.
2.
4. 1, p.
(signor
571
« Saulino ».
Savolino, (famiglia) Savolino,
Iraulissa
Savolino, Savolino,
p. 637 n. 2. p. 637
n. 2.
Giulia: v. « Giulia ». Laodomia: v. « Lao-
domia ». Savolino, Sabatino:
v.
Sapatino ».
«don
«sbracato » p. 582 n. 4. «sbusata» p. 576 n. 4. «scabellum pedum tuoruni»
242
p.
N. 3.
«scafaro» p. 137 N. 4. «scaldaletto » p. 65 n. 2. «scalmati» p. 634 n. I. «Scarvaita (montagna)» p.
n.
775
n.
di)» 2.
scolastico detto p. 1007 n. I. «Scole sopra le arte liberali»
scotisti
p.
270
n.
p.
n. 1.
4.
216
n.
».
n. 3.
v. « Silere ».
a Semammeforasso» p. 812 n. 3.
«semebestie » p. 589 n. 1. «semediametro» p. 494 N. I., «Semele (fratel di) » p. 171 n. 4. «sempia» (= scempia) p. 859
n. 2. Seneca p. 16 n. 1, p. 18 n. 1, p. 27 n. 2, p. 30 n. 3, p. 31 (RI, p. 32 N. 1, p. 171 N. 3,
P. 533 n. 4, p. 580 n. 1, p. 1083 n. I, 2, 6, p. 1086 n. 1, 2, p. 1088 n. 1, p. II108 n.72,
illo
n.
1.
Senofane p. 326 n. 2. «sentivi » (= sentii) p. 895 n. 4. «seposti» p. 528 n. 1.
635
scienza delle scuole p. 58 n. «scifoli» p. 736 n. 1 «scisma (la)» p. 711 n. 2.
Scoppa, L. G. P. 742 n. 2.
Sele:
«Serafino»
1.
p. 260 n. 2, «scommi» p. 128
Francesco)
«segno » e «causa» p. 147 N. 2.
p.
2.
«scelerosa» p. 760 n. 3. «schena» p. 867 n. 3. « Sciardichi (festa del duca
P.
1.
di Vincenzio:
Savolino p. 718 n. 1, p. 746 n. 1; v. anche
n.
«Secondo filosofo» p. 294 n. 1. «secretario (gran) del Regio Conseglio »: v. « Walsingame
n.
Sassetto, Tommaso
NOTE
1,
Scoto, Duns: v. Duns Scoto. «scrima » p. 128 n. 2, p. 259 n. 2. «scrimir» p. 600 n. 7. «scrimisce» p. 562 n. 4. Scritture sacre (pensiero di B. sulle) p. 121 n. 1. «se» (causale) p. 1009 n. 1.
(domenicano
regni-
colo) p. 897 n. 1. «Serpentauro» p. 599 N. 7. « Servus servorums p. 74 N. 3;
p. 242 n. 2. Sesto Empirico p. 666 n. 1, Pp. 907 n. 1. «settanta doi discepoli » p. 850 n. s. «settantadue (lingue) » p. 260n.1.
«Severino»
Severino,
p.
1140
Irancesco:
verino ». «sghiaffi » p. Shakespeare,
697 W.
n. p.
n.
v.
3. 52
n.
«sia» (= scia) p. 576 «sibilarà » p. 576 n. 6.
«sibilo tile»
p.
di
1105
aura n.
I.
n. 4.
« Se-
4.
6.
sot-
« Sicilia (l'una e l’altra) v p. 748
1235
n.
2.
INDICE «Sidneo
(signor
Sidney,
Sir
n.
I, p.
927
DELLE
Filippo) » p.
n.
I.
Philip
p.
210
n.
70
«spanta» p.
2,
«spantò» p.
P. 549 n. I, p. 947 N. 1, 2,
p.
948
n.
2;
« Sidneo... ». «siepe (le)» p. «sigilli ideali»
«signifero n. 2.
v
anche
1122 n. 3. p. 313 n.
(spacio
del)»
2.
p.
802
«Sileni» comici
p. 14 n. 1; «mimici, ed istrionici» p. 550
«Sileno»
p.
n. 2.
822
n.
4,
p.
n. 2; v. anche «caval leno », «cavalli...»
di
932
Si-
« Silere » p. 762 n. 2. «simplicemente » p. 104 n. 1. «sinderesi» p. 561
n. I
sinteresi:
v.
n. 2, p. 1055
Smith,
John:
v.
William:
568
«spantiate»
n.
p.
1.
864
n.
129 n.
3.
I.
«Sparagorio (san)»: vw. «san Sparagorio ». «spastimando » p. 1122 n. 2. «spaventacchio» p. 775 n. 2. «speculare (similitudine)» p.
1159 n.
I
«spenge » (= spinge) p. 520 n. 2. «Spicilegio » p. 216 n. 1. « spinga » (= spenga) p. 663 n.1. «spingano » (= spengano) p. 773
n. 2.
«spinge » «spinta » p. 590 «spinto » cfr. p.
(= spenge) p. 967 n. 2. (= spenta) p. 364 n. 4, n. 6, p. 722 n. 2. (= spento) p. 552 n. 2; 1062 n. 3.
«spuntonate»
p.
747
«squogli» p. 472 n. 2. «Starza» p. 634 n. 3. «stella ch'è nella punta
«sinderesi».
Sisto V p. 818 n. 2. Smith,
NOTE
«Smitho ».
v. « Smitho ».
coda
di Calisto»
Nn.
I.
de
p. 582
la
n. 2.
«solo » (= ma solo) p. 106 n. 3. «somenza» p. 261 n. 2.
stelle fisse e pianeti p. 439 n. 2. «Stigia palude» p. 581 n. 3. Stigliola, C. A. p. 749 n. 3. «stinta » (= estinta) p. 994 n. 1. «stipe» p. 233 n. I, p. 876 n. 5. storia (interpretaz. materialista della) p. 720 n. 2. «stormenti» p. 1057 n. 2. «stracci» p. 146 n. 1. «Stracuragine» p. 562 n. 3.
«sopranaturale
«Strafocazio » p.
«Smitho » p. 19 n.
1; cfr. p. 541
n. 2.
«socratico (amor) » p. 215 n. 3. «Sofia (la) è di due specie » p. 649 n. 2. «solido» (= soldo) p. 341 n. 2.
Solino p. 115 n. 1. «Sollecitudine» p. 712
n.
sonetto
I.
misto
p.
n. 2.
955
n.
(lume)»
« Sorbillgramfton» p. «sorce»
p.
6 n.
3.
822
1.
p.
308 n.
«sorgi» p. 597 n. I. «sorgio» p. 501 n. 4. sostanzialità dell'individuo: «sustanza numerale ».
«spacio» p. 1114
Spagna:
«Spagnolo p.
815
v.
5.
v.
(tenace
«strangiero »
p. 71
n.
p.
669
n.
4.
p.
118
n.
1;
7.
822
e stiptico)»
«spalli» p. 549 n. 3, p. 588 n. 1.
n. 5.
«strige» p. 192 n. I. «Strimonie » p. 171 n. «Stroppiata»
p.
635
n.
«sturni» p. 752 n. 4. «subbio» p. 557 N. 3.
«subero» p. 56 n.
N. 3.
«Ispagna...».
n. .3.
«stracurati»
«substerniculum»
p.
1.
289
«succese» (= successe) n.
I,
p.
6î4
«succesero» p.
1236
n.
903
1.
N.
cfr.
2.
4.
Pp. 4.
n.
2.
434
INDICE
DELLE
«sugliarda» p. 790 n. 2. «superfice » p. 478 n. 1. «suppositi » p. 66 n. I. «supputazioni» p. 87 n.
1,
Minervam»
p.
P. 142 n. 2. «Sus quandoque 140 N. I.
[«susistenza ») p. 530 n. 1. «sustanza numerale » p. 270 n. 2.
Svetonio p. 56 n. 1. «svode » p. 361 n. 2, p. 808 n. 1. « Taburno
Tacito
(sassoso) » p. 500 n. 4.
p.
868
n.
«taftologi» p. 221 utale cose» p. 475 «Tanchi,
maester»
1,
5.
n. Nn.
p.
1. 2.
BI
n.
2.
Tansillo, L. p. 30 n. 2, p.35 n.2,
NOTE
Teofilo (fra) da Vairano p. 19 n. 1. teologia e filosofia p. 387 n. 1. teologia
di B. p. 782 n. 2.
«teriaca » p.
339
«tesorier
del
n.
2 bis;
p. 269 « tiriaca » «teriaca ‘Titane’
«Titone »:
v.
p. 966 n. 1, p. 967 n. 1, p. 932
Tolomeo:
n. 2, p. 746 n. I, 2, p. 790 n. 5, p. 814 n. 4, p. 956 n. 1,
n. 2, p. 990 n. I, p. 99I n. 2, p. 999 n. 1, p. 1021 n. 2, p. 1037 n. 2, p. I0SI n.
p.
p. p.
1098
n.
1149 1170
2,
n. n.
p.
1144
3, p. I, p.
liso 1172
n.
n. n.
3,
4, 3,
(un
«Timeo
n. I. p. 749 ». p. 187
{«tocare »=] p.
n. 2,
regno
gran)»
« Timeo » (Timeo di Locri) p. 286
p. 619 n. 3, p. 718 n. 3, p. 730
I, p. 570
v. anche
p. 69 n. 1. «Tiberino » p. 170 n. 5. Ticone: v. Tycho Brahe. «Tieste (convito di)» p. 8 n. 3.
«Tobia
n.
2;
«tiriaca ». « Tertia coelo manet » p. 827 n. 2.
P. 55 n. 2, p. 59 n. 2, p. 293 n. 4, p. 365
n.
Pitagorico»
n. 3; v. anche n.
1.
‘Titane’
Mattheo
Tobias.
»:
v.
5Io
n.
1.
«tofi» p. 590 n. 1. «toga» p. 24I n. 4.
Tommaso
v. Ptolemaeus.
(san) p. 466 n. 1.
«Topica»
Tori,
A.:
Torino:
v.
p.
742
n. 4.
Bronzino.
v. «Taurino... ».
«Torquato» «tosone»
Matthew,
p.
p.
130
21
n.
n.
I.
4.
p. 1177 n. 1; «Tansillo (il nolano) » p. 718 n. 1; « Tansillo » (interlocut.) p. 953 n. 2. «tassi» p. 737 n. 2.
traduzioni (pensiero di B. sulle) P. 27 n. I, p. 258 n. 2. «tramezanti » p. 494 N. 3.
P. 730 n. 1. «Taurino (città di) » p. 763 n. 4.
«trenta
Tasso, T. p. 620 n. I, p. 722 n. 1,
atecne»
p.
888
n.
1.
Telesio, B.p. 338 n. 2, p. 365 n.1,
P. 442 n. I, p. 443 N. 1; « Tele-
sio
consentino»
«Tempio» (Temple, p. 56 n. 4.
«temporeo» p.
508
p. 261
n.
1.
a
Londra)
n.
1.
«tendicoli » p. 669 n. 3. « Teofilo » p. 19 n. 1, p. 368 n. 2,
(= Filoteo)
p.
203
n.
1.
«treink e vetreinkh v p. 821 n. 2. «tre libri» (De Anima) p. 895n. 1. sigilli»
«Trenta
n. 3.
p.
26
sigilli»
n.
p. 842
«tresse (donne)» p. 293 n. atretalogo» p. 24 n. 3.
«Trimegisto »
p.
279
«... raggionando ad p. 784 n. 1.
«Triptolemo»
p.
748
2;
1.
n.
I;
Asclepio »
n.
1.
« Trofonio (antro di) » p. 195 n.7. «tropologica (descrizion) » p. 58
1237
n. 2.
INDICE
DELLE
[«troppo ambizione ») p. 74 n. 1. Turchi p. 723 n. 3, p. 724 n. 1. «tuonitrui» p. 448 n. 1. Tycho Brahe p. 485 n. 4.
«ucelli» p. 1103 n. 3. «ucello » p. 601 n. 5, p. 840 n. 5.
(= udii)
«ugualarsi» p.
285
p.
837
n.
n.
3.
cata
p.
n.
in
parte
2;
alcuna»)
(«uno
in
tutto
p.
1.
p.
ficcate» p.
(« vagliente»] p.
(«varrà ») (per
669
184
n.
n.
2.
p.
«vase
928
n.
fatale»
1.
p.
di
1171
2.
1.
n. 2.
« Venazione » (elogio della) p. 811 «veneno
p. 1157
(consueti
n.
17I
3.
a
n.
I,
n. 3, p. 64
6,
p.
206
n.
2,
. 2, p. 719 n. 2, p. 874 n. 1, . 883 n. 1, p. 936 n. 1, p. 944 . I, p. 946 n. I, p. 974 n. 3, 1051 n. I, p. 1083 n. 1,
DO
1095
n.
I, p.
II04
n.
I.
«Vitanzano» p. 822 n. 4. vizio degli umanisti p. 293 n. 1; v. anche «socratico (amor) ».
«vodo» (= vuoto) (= vuoi)
dicesti»
I,
p.
891
p.
p.
p. 808 897
1118
n.
n.
n. I. 5.
2.
n.
5.
959
n.
«voluntade umana» p. 963 n. 2. « Vox faucibus haesit » p. 259 n. 4. «vuolesse»
p.
«Walsingame
«Vasta» (moglie di Albenzio Savolino) p. 637 n. 2. «vegna» (= divenga) p. 1149
n. 1.
I, p. 63
. I, p. 587 n. I, 3, p. 596 . 2, p. 617 n. I, p. 630 n. 1, . 640 n. I, p. 660 n. 2, p. 716
n.
vaso)
n.
n.
«volentiera» p. 515 n. I, p. 789
‘verrà ’) p. 630
(diminut.
2.
Paolo)
. 232 N. I, p. 244 N. 2, p. 579
«voi
n. 2, p. 1062 n. I, p. 1077 N. I.
«vascello»
n.
San
. 2, p. 142 N. I, p. 170 n. 3,
«voi» 2.
(casale
637
. 62
per
p. 159 n. 2.
«va
Ver-
villani (motti sui) p. 57 n. I. Virgilio p. 49 n. 1, p. 60 n. 2,
321
(unità dell’) p. 519 n. 3. «univocamente» p. 478 n. 2. «univoco agente» p. 328 n. 1. «unqua» p. 864 n. 2. « uscivi» (= uscii) p. 1143 n. 1. «uve de gli orti di Londra»
n. 1.
p. 586 n. 3.
di
cui uno è tutto 1) p. 322 n. 1;
«Vacantaria» p. 564 «Vae soli» p. 341 n.
n. 2.
a Villa»
non
e
inaccessibile n
« Pomona,
DV d'PPP'I'I
è
circonferenza
cosa
« Vertunno »: v. tunno ».
cratica e galenica) p. 279 n. 2. universo («il centro... è per la
1123
Venere
«umida sustanza » p. 1150 n. 2. «umori» (della medicina ippotutto...,
come
viaggi di scoperte p. 815 n. 3. «viene» (= diviene) p. 685 n. 1.
Ubaldini, P.: v. « Pietruccio ». «ucellato» p. 584 n. 1. «udivi»
NOTE
(signor
sco) » p. 69 n. 4. Walsingham, Sir
« Walsingame... ».
2.
France-
Francis:
».
Whitehall p. 10 n. 1. «xeni»
p. 623
n. 2.
« Xenofane Colofonio » p. goGn. 4.
mangiar)»
« verità (la) «...è di due specie » p. 649 n. 2; «verità... cer-
zodiaco: v. «signifero... ». «Zucavigna» p. 822 n. 4.
1238
INDICE
Premessa
di G.
GENERALE
AQULECCHIA
Prefazione
ai ‘Dialoghi
metafisici’ di G. GENTILE:
Prefazione
ai ‘ Dialoghi
morali’
DIALOGHI CENA
La
Al mal
DE
LE
CENERI
contento.
Proemiale
Dialogo Dialogo Dialogo Dialogo E
LA
secondo terzo . quarto quinto
CAUSA,
di G. GENTILE
METAFISICI
. .
.
19
. .
50
85 .
E
UNO
Proemiale epistola . . . Giordano Bruno ai principi de l'universo Al proprio spirto eee
LL...
De l'amore. ‘a 2 . Causa principio ed uno sempiterno (sonetto) Dialogo primo. * Dialogo secondo . . Dialogo
terzo
Dialogo quarto Dialogo quinto
.
I20
- 143
PRINCIPIO
Al tempo
LII
.
epistola
Dialogo primo
«+ XXIX
.
. 173 » 175 . . . .
188 188 189 189
. 190 . 191 . 225 » 254
. 289 . 318 1239
INDICE DE
L'INFINITO, Proemiale
UNIVERSO epistola
Sonetti : Mio passar
E MONDI
.
.
.
..
Pag.
.
solitario,
a quelle parti
de priggione
angusta
E
mi
e chi
impenna,
Dialogo primo . . Dialogo secondo . . Dialogo terzo . Dialogo quarto Dialogo quinto
343 * 345
Uscito chi
.
e nera
mi
scalda
.
+ 364 + 364
. il core
. 365
. 367
- 394 - 433 . 471 . 496
APPENDICE: Prima redazione del principio della Cena de le ceneri DIALOGHI SPACCIO
DE
LA
BESTIA
MORALI - 547
TRIONFANTE
Epistola esplicatoria . . Dialogo
- 539
primo
- 549 « 571
La
Seconda parte del primo ‘dialogo La Terza parte del primo dialogo . Dialogo secondo . Seconda parte del secondo dialogo Terza parte del secondo dialogo
Dialogo
terzo
Seconda
Terza
.
parte del terzo
parte
Errori più
del terzo
fastidiosi
» 593 . 614 . 646 . 665 . 696
. 725
dialogo
* 747 . 802 . 830
dialogo
. .
CABALA DEL CAVALLO PEGASEO l’ASINO CILLENICO , .
con
l'aggiunta
Epistola dedicatoria sopra la seguente Cabala Sonetto in lode de l’asino . . . Declamazione al studioso, divoto e pio o lettore Un molto pio sonetto circa la significazione l'asina e pulledro . . Dialogo primo
1240
del-
- 833
. . 835 . - 845 ‘a 846 de .
. 859 . 861
INDICE
Dialogo secondo . . . . Seconda parte del dialogo. Terza parte del dialogo. .
. +. + + + Pag. eee . ........
Dialogo terzo ‘a dee A l'asino cillenico (sonetto) LL. L’asino cillenico del Nolano
DE GLI EROICI FURORI Argomento
.
+ ..°
LL...
del Nolano
Argomento
de’
cinque
Argomento
ed
allegoria
Argomento
.
de’ cinque
. .
.
.
dialogi
.
.
de la prima parte.
dialogi de la seconda parte del quinto
dialogo
. .
2
.
+ PIP
Dialogo
primo...
Dialogo
terzo
Dialogo Dialogo
quarto. ./....... quinto... 0...
dea
°°...
0...
ee
927
937
939
0943 949 949
Iscusazion del Nolano alle più virtuose eleggiadre dame ... +. + Prima parte de gli Eroici {urori. secondo...
II 913 914
925
Avertimento a' lettori ‘ee Alcuni errori di stampa più urgenti
Dialogo
882 892 901
++
. 951 953
953 973
986
Dialogo quarto... ....... 0... . +. 1005 Dialogo quinto . . .. . +. +. 1030 Seconda parte de gli Eroici furori 1071 Dialogo primo... + + 107I Dialogo secondo... 0... 112 Dialogo terzo dee 1I27
0... + +
Nota sugli indici della terza edizione