Degli ebrei e delle loro menzogne 8806195123, 9788806195120

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Degli ebrei e delle loro menzogne
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Martin Lutero

Degli ebrei e delle loro menzogne Introduzione di Adriano Prosperi Edizione a cura di Adelisa Malena

EINAUDI TA SC A B ILI

«Lutero non è responsabile della Shoah... Il passato e il presente sono divisi da abissi profondi, i loro legami non sono quelli superficiali c grossolani che un facile e deresponsabilizzante determinismo è portato a vedere. Le differenze tra l’antiebraismo e poi antigiudaismo cristiano e l’antisemitismo razzista e nazifascista restano grandissime». °

ADRIAN O PROSPERI

II violento libello Degli ebrei e delle loro menzogne, pubblicato nel 1 5 4 3 da Lutero ( 1 4 8 3 - 1 5 4 6 ), è diventato celebre nel X X secolo molto più che nel X V I - per l’uso strumentale fattone dalla propaganda nazista. Nella riflessione apertasi dopo Auschwitz sulle responsabilità e sui precedenti della Shoah, la cultura e la società europea sono state costrette a fare i conti con la lunghissima storia dell’antiebraismo cristiano, e nel mondo protestante Lutero ha costituito un termine di confronto obbligato. 1 risultati della discussione intorno al rapporto tra l’antiebraismo di Lutero e il moderno antisemitismo, raccolti nell’apparato critico che accompagna questa nuova traduzione condotta sulla prima edizione tedesca dell’opera, offrono la possibilità di verificare i termini reali della questione, stimolando cosi la presa di coscienza delle forme larvate di razzismo che hanno accompagnato la lunga storia dell’Europa cristiana. In copertina: Lucas Cranach il Vecchio, Lutero e i suoi sostenitori, 1530 circa. Toledo (Ohio), Museum of Art.

(pii S f rttion oon timi ^Jurfitr. ©ortous ffiartim ìLuttjrr 2Jugù|iino su XDm m tojjf.

L'incisione - evidente caricatura dell’usuraio ebreo - compare sul fron­ tespizio dello scritto di Lutero Un sermone sull'usura [Ein Serrnon von dem Wucher] del 152 0 , edizione ampliata di uno scritto del 1 5 1 9 sul­ lo stesso argomento (il cosiddetto «piccolo sermone»). Lo stampatore Grunenberg di Wittenberg pubblicò il testo all’inizio del 15 2 0 con que­ sta immagine caricaturale sul frontespizio all’insaputa di Lutero, il qua­ le reagi dicendo di non potersi occupare anche delle illustrazioni delle sue opere. Le parole che compaiono nell’incisione (Bezal oddergib zinfi - Dariti ich begere gewinnfi, «Pagami e dammi gli interessi - perché io bramo il profitto») non sono di Lutero.

INTRODUZIONE di Adriano Prosperi

Lei non può capire - diceva Otto Bauer - perché dietro di lei nessuno ha mai mor­ morato la parola «porco ebreo». ERNST fisch er , Ricordi e riflessioni'.

Il 29 aprile 1946, davanti al tribunale internaziona­ le di Norimberga, comparve tra gli imputati anche l’ombra di Lutero. La chiamata di correo venne da Ju ­ lius Streicher, l’editore del foglio nazista «Der Stiirmer». Alla domanda del suo difensore se in Germania ci fossero state altre forme di aggressione a stampa con­ tro gli ebrei oltre a quelle da lui organizzate, Streicher rispose che per secoli la stampa tedesca aveva avuto to­ ni antisemiti e che, se l’accusa avesse preso in consi­ derazione un certo libro di Lutero, lo stesso dottor Lu­ tero avrebbe dovuto sedere al banco degli accusati3. Incalzato dalla «guerra fredda», il tribunale di No­ rimberga chiuse rapidamente i suoi lavori. Il processo a Lutero, però, ci fu ugualmente: non nell’aula del tri­ bunale ma nella ricerca storica e teologica. Quel pro­ cesso dura ancora. Non nella ricerca storica propria­ mente intesa, ma nella mezza cultura di una pubblici­ stica fatta di orecchianti, che hanno colto volentieri l’occasione per scaricare su di un unico capro espiato-

' (Amburgo 1969), trad. it. Editori Riuniti, Roma 1973, p. 179. 1 «Dr. Martin Luther sasse heute sicher an meincr Stelle auf der Anklagebank, wenn dieses Buch von der Anklagevertretung in Betracht gezogen wiirde» (dagli atti del processo di Norimberga: Der Prozess gegen die Iiauptknegsverbrecber vor dem Intemationalen Militargerichtshof Numberg, Niirnberg 1947, voi. X II, p. 346). L ’episodio è citato da Martin Stòhr, Mar­ tin Luther und die Juden, in Die Juden und Martin Luther - Martin Luther und die Juden. Geschichte, Wirkungsgeschichte, Herausforderung, a cura di Heinz Kremers, Leonore Siegele-Wenschkewitz, Bertolt Klappert, Neukirchen 1985, pp. 89-108; in particolare p. 89.

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INTRODUZIONE

rio e per di piu protestante il peso di un carico diven­ tato intollerabile: la tradizione dell’odio cristiano per gli ebrei. Lutero protagonista, Lutero solo («solus Lutherus»)\ Le ragioni storiche di tutto questo possono essere cercate in Lutero, se prendiamo sul serio l’invito a sro­ tolare la catena degli eventi alla ricerca del punto d ’ini­ zio. Cercheremo più avanti di ripercorrere i testi sugli ebrei del riformatore tedesco. Ma si può affermare fin d’ora che, se dovessimo inseguire quello che Marc Bloch chiamava l’idolo delle origini, arriveremmo as­ sai più lontano: se non all’origine del mondo e della specie umana, certo alla nascita del cristianesimo, a san Paolo e a sant'Agostino. Se invece andiamo alla ricer­ ca delle cause, se cerchiamo di capire come Lutero sia diventato il simbolo di una certa Germania - quella dell’obbedienza cieca al potere e deH’antisemitismo basterà fermarsi molto più vicino e considerare il con­ testo del primo dopoguerra tedesco e dell’ascesa al po­ tere di Hitler. E qui che si situa il cambiamento dell’immagine di Lutero che ce ne ha consegnato i trat­ ti di cui ancora si discute: il maestro del distacco tede­ sco dalla politica, l’antisemita4. Nel processo di inven­ zione della tradizione, la propaganda nazionalsociali­ sta aveva presentato Hitler come il punto d ’arrivo della tradizione tedesca, la somma delle virtù e dei progetti delle grandi ombre di un passato nazionale. Ora, la tra­ dizione nazionale tedesca non era una tradizione qual­ siasi. La cultura storica e filosofica dell’8oo vi aveva ravvisato il paese erede dello spirito del mondo, il frut­ to maturo di quell’età del Moderno che era stata fon­ data dal genio tedesco di Lutero. Perciò, nella costru­ zione della genealogia del nazionalsocialismo non po-

’ Che non sia concepibile affrontare la questione in termini di «solus Lutherus» lo afferma lo storico che pili sollecitamente e con maggiore li­ bertà intellettuale ha affrontato la questione, Heiko A. Oberman (The Im­ pact o f thè Reformation, Grand Rapids, Michigan 1994, p. 102). ‘ Cfr. ibid., p. 75.

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teva mancare Lutero. Naturalmente, questo non si­ gnifica che si debba cadere nell’errore di prendere per buone simili genealogie’ . I dati di fatto sono: l’emer­ gere nella Germania degli anni '20 di un interesse pre­ ciso per gli scritti di Lutero sugli ebrei considerati nel loro insieme («Judenschriften»)‘ ; il coinvolgimento profondo della Chiesa evangelica nel regime nazista sotto il segno di Lutero. Nel 1933 il 450° anniversario della nascita del riformatore fu festeggiato nel segno della vittoria dei nazionalsocialisti; e da allora il regi­ me nazista sfruttò tutto quello che poteva trovare di antiebraico nell’opera di Lutero. La chiesa luterana collaborò. Martin Lutero e Adolfo Hitler affiancati figu­ rano nel discorso tenuto a Dortmund il «giorno della Riforma» (31 ottobre 1935) dal professor Hermann Werdermann7. Hitler vi fu presentato come il protet­ tore della nazione germanica, cosi come lo era stato Lu­ tero; e a Lutero vi si fece risalire la divisione della re­ ligione dalla politica che aveva aperto la strada al do­ minio totale della politica e dello stato nel cuore dei tedeschi. Inoltre, secondo Werdermann, Hitler era co­ lui che, sulle orme di Lutero, portava a compimento la «soluzione del problema ebraico» («Lòsung der Judenfrage»). E un piccolo esempio di una propaganda in senso nazionalista e antisemita che, iniziata già pri­ ma, trovò nel Terzo Reich il terreno per svilupparsi e ingigantire, fino a lasciare durevolmente le sue tracce sull’immagine storica di Lutero: il Lutero nazionalista, antieuropeo, nemico di ogni forma di libertà descritto da Thomas Mann in un discorso del 1945’ , nacque al-

’ Errore che fu rimproverato da Delio Cantimori a Peter Viercck, au­ tore di Metapolitics : Erom thè Romantics to Hitler, I94r, trad. it. 1948 (cfr. D. Cantimori, Studi di storia, Torino 1959, pp. 727-44). * Cfr. K. Hagen, Luther's So-Called Judenschri/ten: a Gerire Approach, in «Archiv fur Reformationsgeschichte», voi. 90 (1999), pp. 130-58. ’ Hermann Werdermann, Martin Luther und Adolf Hitler: Ein geschichtlicher Vergleich, Gnadenfrei in Schlesien 1935 (cfr. Oberman, The Impact o f thè Reformation cit., p. 75). * Thomas Mann, Politische Schriften und Reden, voi. 3, Frankfurt am

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lora. Nel 1938, il vescovo della Turingia Martin Sasse stampò una antologia di scritti di Lutero sugli ebrei e contro gli ebrei, sotto un titolo violentemente aggres­ sivo per giustificare la «Ktistallnacht»’ . Nel 19 4 1, i di­ rigenti delle chiese evangeliche della Sassonia, di Assia-Nassau, del Mecklemburgo, dello Schleswig-Holstein, di Anhalt Wilkendorf e Lubecca diffusero un documento sulla «posizione» dei membri della chiesa di origine ebraica dove si garantiva piena adesione al­ la politica del regime, si giustificava l’imposizione di un contrassegno per riconoscere gli ebrei in nome del­ la necessità di difendersi dai «nemici giurati del mon­ do e del Reich», ricordando «come già il dottor Mar­ tin Lutero, dopo amare esperienze, aveva espresso l’esi­ genza di prendere i piu duri provvedimenti contro gli ebrei»10. Non si trattava dunque solo di appropriarsi di un li­ bro di Lutero ma di una intera eredità religiosa e cul­ turale, solidamente rappresentata dalle istituzioni te­ desche che avevano sostenuto l’ascesa di Hitler al po­ tere e ne appoggiavano la politica, compresa la distru­ zione degli ebrei. La sentenza di condanna a carico di Lutero fu il sem­ plice rovesciamento della propaganda filonazista. Ne assunse il punto di vista e fece di Lutero il feroce te­ desco nazionalista e antisemita disegnato dalla cultura nazionalista tedesca sfociata nel nazismo. Gli effetti furono durevoli: la percezione di Lutero nella cultura del secondo dopoguerra ne fu fortemente influenzata, come mostra l’esempio ricordato di Thomas Mann. Cu­ riosamente, nessun problema nacque invece nei conMain 1968, pp. 166-67 (cit. da Oberman, The Impact o f thè Reformation cit., p. 77). ’ Martin Luther und die Juden : Weg mit ihnen!, Freiburg im Breisgau 1958. L ’episodio è noto; lo ricorda Lucie Kaennel, Lutero era antisemita?, 1997, trad. it. Torino 1999, p. 114 . " Cito dalla traduzione italiana di D. Garrone, nella introduzione alla versione italiana dello studio di Kaennel, pp. 15-16.

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fronti dell’altra nazione cristiana e antisemita dell’As­ se, l’Italia. Le ragioni che hanno fatto derubricare l’im­ putazione sono state notoriamente molte e non è qui il caso di affrontarle. Resta il dato di fatto del diverso trattamento della questione del razzismo di regime ri­ spetto al parallelo caso tedesco. Indubbiamente, la vi­ cenda dell’antisemitismo italiano fu complessa e non ebbe un unico polo di riferimento storico: tuttavia, non sussiste ormai alcun dubbio sulla durezza estrema del­ le leggi razziali fasciste del 1938, col deciso contribu­ to del cattolico ministro Bottai. L ’unica differenza cer­ ta rispetto alla legislazione razziale tedesca è il fatto che in quella italiana la nozione naturalistica e pseudo­ scientifica di razza fu sostituita con successo da una sua rielaborazione in senso spiritualistico, gradito alla tra­ dizione cattolica e alla filosofia idealistica della cultu­ ra del regime11. L ’assenza di un razzismo popolare con­ sapevole e di una partecipazione di massa alla caccia agli ebrei furono l’altro aspetto della realtà italiana che permise a storici e politici di sorvolare sull’argomento, derubricando ogni accusa in tal senso. Di fatto, nessuno chiese conto del loro operato ai re­ sponsabili delle leggi razziali del 1938 (che rimasero sulle loro cattedre), agli eredi cattolici di monsignor Be­ nigni o di padre Agostino Gemelli, ai gesuiti de «La ci­ viltà cattolica», alle gerarchie ecclesiastiche che in Ita­ lia avevano piaudito all’«uomo della Provvidenza», guardato con favore alla guerra dell’Asse contro il re­ gime sovietico e scagliato anatemi contro il «popolo deicida»12. Più tardi, molto lentamente e per effetto ri­ 11 Secondo Giorgio Israel e Pietro Nastasi, il contributo della cultura accademica italiana alle ideologie razzistiche e antisemite del regime fasci­ sta consistette nella «componente spiritualistica assai accentuata, nella qua­ le l’influsso cattolico si fa sentire con evidenza» (G. Israel e P. Nastasi, Scienza e razza nell’Italia fascista, Bologna 1999, p. 23). 11 L ’espressione figura, ad esempio, nella lettera pastorale del Cardinal Adeodato Piazza, patriarca di Venezia, inviata in occasione della Quaresi­ ma del 1940 (cfr. Giovanni Miccoli, I dilemmi e i silenzi di Pio XII, Milano, Rizzoli 2000, p. 324). Agli ebrei il cardinale faceva risalire la responsabi­ lità della presente «eclissi della luce di Cristo» nel mondo.

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flesso di un testo polemico tedesco, si sviluppò un ri­ volo di critica ai «silenzi» di Pio X II che, imputando al papa romano il non fatto e il non detto, si ridusse per lo più a un sentimento di delusione di fedeli, la­ sciando nell’ombra le corpose tracce dell'antiebraismo cattolico. La Chiesa cattolica, che nel disfacimento del­ la nazione italiana dopo 1*8 settembre aveva rappre­ sentato l’unica istituzione funzionante e rappresenta­ tiva del paese, ha sviluppato per suo conto un proces­ so di elaborazione del problema, con atti di grande significato simbolico (dalla cancellazione per volontà di papa Giovanni X X III dalla liturgia della Settimana santa dell’antico, pesante insulto ai «pefidi Judaei» fi­ no alla visita alla Sinagoga di Roma da parte di papa Giovanni Paolo II) ma anche con silenzi e reticenze gravi, come il documento su «la Chiesa e le colpe del passato», pubblicato in prossimità dell’«atto di peni­ tenza» del solenne giubileo del 2000. Sul piano della cultura e della vita civile italiana, sembra di poter dire che c’è stata una generale perdita di memoria. Solo in anni recenti l ’argomento ha cominciato ad affiorare nella memorialistica e nella storiografia: storie di com­ pagni di scuola e di lavoro, colleghi di insegnamento e d ’ accademia, scomparsi improvvisamente, mentre i «cristiani» si spartivano le loro spoglie. Ma si è dovu­ to attendere la quasi completa scomparsa della genera­ zione dei protagonisti, coi loro silenzi interessati e con le loro rarissime ammissioni. La reticenza dei moltissi­ mi che avevano cose da nascondere si è sommata a una generale cancellazione del problema da parte dell’Ita­ lia post-fascista e anti-fascista. E «pour cause»: come ha osservato Vittorio Foa, «non uno di quegli illustri antifascisti aveva detto una sola parola contro la cac­ ciata degli ebrei dalle scuole, dalle università, dal la­ voro, contro quella che è stata un’immonda violenza»15. Ma se a livello delle esperienze individuali il ricordo

Vittorio Foa, Passaggi, Torino 2000, p. 5.

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(quando non è cancellato e taciuto a bella posta) affio­ ra «a poco a poco» - come ha scritto Saul Friedlander in una bellissima autoanalisi14 - nelle ricostruzioni sto­ riografiche la fatica del conoscere e del comprendere ci sta ancora in larga misura davanti. Trattandosi di un’esperienza rimossa a livello individuale come a quel­ lo collettivo, la sua ricostruzione promette di riserva­ re ancora molte e molto sgradevoli sorprese. Promette soprattutto di mettere fortemente in crisi la convin­ zione autorevolmente avallata dall’ Enciclopedia catto­ lica, che «nell’Italia moderna l’antisemitismo non sia mai esistito»1’ . Piuttosto, si deve riconoscere che all’an­ tisemitismo italiano si adatta la definizione che è sta­ ta data di quello dei gesuiti della «Civiltà cattolica»: «Un antisemitismo che si ostina a non voler essere con­ siderato tale»16. In questo, il caso italiano è originale e isolato. Nell’anamnesi collettiva che l’ Europa deve fa­ re, la parte che spetta all’Italia non è la più semplice17. La vicenda tedesca fu - e soprattutto apparve - ben diversa: la colpa collettiva coinvolse le guide spirituali e intellettuali del popolo, la sua intera tradizione stori­ ca. L ’influenza dell’«appassionato antisemita» Martin Lutero fu indicata da William L. Shirer come una cau­ sa fondamentale del favore dei protestanti tedeschi per il nazismo1*. Da allora, la questione «Lutero e gli ebrei» “ Saul Friedlander, A poco a poco il ricordo, trad. it. di Natalia Ginzburg, Torino 1990. " Enciclopedia cattolica, alla voce Antisemitismo di Antonino Romeo, voi. I, Città del Vaticano 1948, p. 15 0 1. Ma vedi ora Michele Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista, Torino 2000. “ Ruggero Taradel e Barbara Raggi, La segregazione amichevole. La eCi­ viltà cattolica» e la questione ebraica 1850-1945, Roma 2000, p. 155. " Di «anamnesi collettiva» come problema europeo in materia di anti­ semitismo ha parlato Heiko A. Oberman, Wurzeln des Antisemitismus. Christenangst und Judenplage im Zeitalter von Humanismus und Reformation, Berlin 19 8 1, p. 18. “ «It is difficult to understand thè behavior of most German Protestants in thè first Nazi years unless one is aware of two things: their history and thè influence of Martin Luther. The great founder of Protestantism was both a passionate anti-Semite and a ferocious believer in absolute obedience to politicai authority. He wanted Germany rid of thè Jews. Luther

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ha assunto una importanza preminente nella letteratu­ ra storica. Decine e decine di saggi, studi, articoli e li­ bri hanno affrontato la questione, accompagnando il processo di lenta presa di coscienza della Shoah nel se­ condo dopoguerra tedesco. E in questo contesto che gli scritti di Lutero relativi agli ebrei sono stati ripetutamente editi, chiosati, discussi. Qui li ripercorreremo, cercando di ricostruire il contesto in cui nacquero; ma - sia detto subito - senza pretendere di risolvere in que­ sto il loro significato e il loro peso storico. Lutero è un anello in una catena: la catena dei discorsi cristiani su­ gli ebrei. É un anello importante, assai più di altri. Ere­ dita e fa suoi determinati modi di ragionare, in un pro­ cesso plurisecolare di trasmissione. Come interprete del­ la tradizione cristiana, riceve e riadatta moduli creati da altri per trasmetterli; come creatore di una nuova chiesa, ne costituisce l ’episodio iniziale e più impor­ tante, per cui la sua eredità intellettuale e religiosa as­ sume un valore esemplare e fondativo. Per queste ra­ gioni, la chiamata di correo che ne fu fatta a Norim­ berga non può essere rifiutata in via di principio. Ma non può nemmeno essere accolta ignorando l’anacroni­ smo su cui si basa e che si riassume in un termine: «An­ tisemitismo». Perciò, nell’esame dei testi di Lutero, bi­ sognerà tener presente la domanda che da Norimberga in poi viene fatta ai testi e ai documenti del riformato­ re: Lutero era antisemita?1’ Le parole hanno la loro storia. Il termine «antise­ mitismo» nacque in Germania nel 1879*°. Lo si usa, da employed a coarseness and brutality of language uncqualed in German history until thè Nazi time» (William L. Shirer, The Rise and Fallo/thè Third Reich; A History o f Nazi Germany, New York i960, p. 236; nella tradu­ zione tedesca (Kòln 1961) il passo fu omesso, come segnala Hciko A. Oberman, Die juden in Luthers Sicht, in Die ]uden und Martin Luther - Martin Luther und die juden cit., pp. 136-62; in particolare p. 1 36n). ” Kaennel, Lutero era antisemita? cit. ” Cfr. J. Katz, Fruhantisemitismus in Deutschland, in Zwischen Messianismus und Zionismus. Zur judischen Sozialgeschicbte, Frankfurt am Main 1993, pp. 133-49.

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allora, riferendosi a un sentimento di ostilità che col­ pisce l’ebreo in quanto geneticamente tale, per seme, sangue, razza. Non era questo l’ebreo di cui parlavano Lutero e i suoi contemporanei. Per gli abitanti dell’Eu­ ropa del '500, «ebreo» era il seguace della religione ebraica, colui che rifiutava il battesimo e non ricono­ sceva in Gesù di Nazareth il Messia, il figlio di Dio. Se battezzato, cessava di essere ebreo. L ’identità dell’ebreo era dunque connotata essen­ zialmente da un dato religioso. Per il popolo ebraico, il vincolo di quella religione era chiamato ad adempie­ re tutte le funzioni di appartenenza e di reciproco ri­ conoscimento che per altri popoli, cristiani e non, era­ no svolte da territorio e istituzioni politiche e civili. Da ciò il carattere speciale e unico costituito dal fatto di essere ebrei: l’identità religiosa ne implicava necessa­ riamente altre, venendo ereditata di padre in figlio e costituendo il legame necessario e la barriera distinti­ va rispetto agli altri. Ma per i cristiani, quella specifi­ ca identità religiosa aveva un significato complesso, al­ la cui decifrazione sono stati dedicati molti studi teo­ logici e storici, che qui non è possibile riassumere. Basterà dire che al fondamentale dato negativo costi­ tuito dal rifiuto della «vera fede» da parte di gruppi e comunità ebraiche si aggiungeva una somma di giudi­ zi elaborati nel corso dei secoli a partire da un nucleo già presente nei testi del Nuovo Testamento. Giudizi durissimi, veri e propri insulti: gente cieca, ostinata, carnale, perversa. Si è formata così una immagine che - ha scritto una teologa cattolica - ha avuto il suo pe­ so nel predisporre lo sbocco di Auschwitz21. Costituiti nel seno dell’Europa cristiana come prototipo del di­ verso e del negativo, furono fatti segno di molte forme1

11 «The Church made thè Jewish people a Symbol of unredeemed humanity; it painted a picture of thè Jews as a blind, stubborn, carnai, and perverse people, an image that was fundamental in Hitler’s choice of thè Jews as thè scapegoat» (Rosemary Ruether, Faitb and Fratricide. The TheologicaiRoots o f Anti-Scmitism, New York 1974; cito dall'ed. 1979, p. 7).

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di ostilità e di aggressività: la critica dei teologi e dei predicatori era fatta di parole, ma le parole diventava­ no violenza selvaggia e devastante da parte delle folle fanatizzate, dietro le quali stavano principi e autorità avidamente interessati a mettere le mani sulle ricchez­ ze degli ebrei. L ’immagine dell’ebreo dipinta nelle chic*se e diffusa dalle incisioni di soggetti biblici e neote­ stamentari (soprattutto di storie della Passione) era quella di un essere immondo dal ghigno crudele: gli esempi che vengono in mente riguardano artisti di pri­ mo piano, come Martin Schongauer o Albrecht Diirer” . Per questa via, si giungeva fino a mettere in dub­ bio la stessa appartenenza del «giudeo» alla specie uma­ na. E un percorso che dall’antiebraismo religioso scivolava verso l’antisemitismo razzistico, portando dal piano della cultura a quello della natura. Ne dovremo parlare ancora: si tratta di uno dei fili che legano in­ sieme i due termini di questa vicenda, la polemica re­ ligiosa della prima età moderna e quella del razzismo contemporaneo. In questa vicenda, rientra la diffusio­ ne dell’immagine animalesca dell’ebreo come porco o associato a immagini di porci” . Nella chiesa di Wittenberg c’era allora - e c’è ancora oggi - l’immagine scolpita di una scrofa, che allatta ebrei e maiali. Lute­ ro la vide e ne dette una descrizione piena di consen­ so, in uno dei suoi ultimi e piu violenti scritti anti­ ebraici (Voti Schern Hamphoras). Ma in quell’occasione scrisse anche che ai suoi tempi gli ebrei erano quasi scomparsi da quelle terre, dove ne durava il ricordo so­ lo nei nomi di luoghi e di persone. E questo ci ricorda che la sua esperienza in materia fu fondamentalmente " Nella Flagellazione di Martin Schongauer i flagellatori additati all’odio degli spettatori sono ovviamente ebrei (anche se nel catalogo della mostra Grafica fiamminga e renana del Quattrocento, a cura di Anna Omodeo, Fi­ renze 1969, n. 48, p. 78, si parla di «generici orientali e arabi dalla grinta crudele»). Quanto a Dtirer, si vedano i volti degli ebrei nel suo Gesti fra i dottori. ” J. Shachar, The «Judensau». A Medieval Anti-Jewish Motif and its History, London 1974.

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libresca. Dopo l’esplosione violenta di saccheggi e po­ grom dell’anno della Peste Nera, quando gli ebrei, ac­ cusati di disseminare la peste e di avvelenare le fonta­ ne dei cristiani, erano stati eliminati con la violenza da tutta la Turingia, si erano susseguite le espulsioni de­ cretate da diverse città tedesche. Una delle ultime fu quella da Regensburg, nel 15 19 . Una serie di immagi­ ni dell’epoca, tra cui una incisione di Albert Altdorfer, mostra una folla che accorre devota al santuario della «Schòne Maria» di Regensburg. Sullo sfondo, guar­ dando con attenzione, si intravedono le tracce di qual­ cosa che era stato distrutto e sulle cui rovine era nata quella costruzione (ed era nato un celebre pellegrinag­ gio devoto di grande popolarità in Germania): la sina­ goga. Scene del genere erano allora consuete, non solo in Germania. Tra la fine del '400 e l’inizio del '500, la condizio­ ne delle comunità ebraiche, sempre precaria in tutta Europa, aveva subito un peggioramento rapido e vio­ lento. Un vento di tempesta soffiava su di loro. Si chie­ deva con urgenza la cancellazione definitiva di una re­ ligione che era, nello stesso tempo, custode della tra­ dizione profetica necessaria a dimostrare la natura di Messia di Gesti di Nazareth ma anche testimonianza vivente della resistenza a riconoscerlo come tale. Si par­ lava di conversione e si operava per imporre con la for­ za una fede che doveva essere accettata liberamente se­ condo il principio fissato da sant'Agostino. Le strate­ gie erano tante. L ’alternativa tra emigrazione e conversione fu la scelta imposta da Ferdinando d'Ara­ gona: l’Inquisizione spagnola nacque come strumento per controllare l’efficacia e la realtà di una conversio­ ne che era stata imposta con la violenza. Nella peniso­ la iberica viveva una numerosa comunità ebraica che praticava commerci e transazioni finanziarie e si collo­ cava ai livelli più alti tra le classi urbane. La sua opera era essenziale per le esigenze dei sovrani; nello stesso tempo, i privilegi di cui godeva e le ricchezze che ac­ cumulava apparivano intollerabili alle classi popolari

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fanatizzate dalla predicazione degli Ordini mendican­ ti. Nel breve giro di un ventennio, si produssero svol­ te brusche e drammatiche, destinate a condizionare nei secoli futuri la vita degli ebrei e l’atteggiamento delle società cristiane nei loro confronti. Nei territori spagnoli dei Re Cattolici, sull’onda emotiva di un’accusa destinata a rinnovarsi di conti­ nuo - quella di praticare l’infanticidio rituale, per im­ pastare col sangue di fanciulli cristiani il pane azzimo della loro Pasqua - nacquero l’Inquisizione spagnola e una violenta pressione sugli ebrei perché si convertis­ sero. Ferdinando d ’Aragona ottenne dal papa il privi­ legio della istituzione di una Inquisizione di nomina re­ gia che ebbe negli ebrei la materia fondamentale di cui occuparsi. L ’alleanza tra il sovrano e il potente Ordi­ ne domenicano, con la nomina di fra Tommaso de Torquemada, permise di utilizzare gli ebrei come banco di prova della creazione di una identità nazionale spagnola fondata sull’unità di religione. Nel 1492, gli ebrei spa­ gnoli furono posti davanti all’alternativa: accettare il battesimo 0 emigrare. Fu, con ogni evidenza, un bat­ tesimo imposto con la forza: una infrazione - non la prima, certo la più massiccia e violenta - al principio fissato a suo tempo da sant'Agostino per cui la fede cri­ stiana poteva essere accettata solo con libera scelta in­ dividuale. Molte cose erano cambiate da quando sant’Agostino aveva stabilito quel principio; in particolare era cam­ biato il modo cristiano di concepire la presenza degli ebrei e la loro funzione nei disegni della Provvidenza. L ’antiebraismo delle origini cristiane, con Tertulliano e sant’Agostino, in polemica contro il proselitismo ebraico aveva accusato gli ebrei della morte di Gesù e giustificato in tal modo la condizione di dispersione (diaspora) in cui il popolo ebraico viveva dopo la di­ struzione del Tempio di Gerusalemme. Ma si doveva far fronte anche allo scetticismo e all’ostilità del mon­ do pagano. Cosi si era delineata la posizione di Ago­ stino, sulla base della quale era stato costruito un si­

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stema di relazioni dei cristiani con gli ebrei tenden­ zialmente protettivo: gli ebrei erano considerati giu­ stamente puniti come popolo per aver rifiutato e ucci­ so Gesù; dall’altro però, in risposta a eretici e pagani che negavano la verità storica e la consonanza del cri­ stianesimo con la Bibbia, si sosteneva la concordanza tra Vecchio e Nuovo Testamento come criterio erme­ neutico fondamentale e si rinviava alla testimonianza degli ebrei, preservati per decreto della Provvidenza a testimoniare la verità della profezia antica. La loro pre­ senza tra i cristiani aveva dunque un senso: ricono­ scerlo significava garantire loro la sopravvivenza e il diritto di praticare il loro culto. Al papa neoeletto, gli ebrei romani presentavano ritualmente i libri della Bib­ bia, sacri ad ambedue le religioni; e il papa li rifiutava, perché privi del Nuovo Testamento. Riconoscimento e rifiuto erano le due facce del sistema di convivenza. Era un sistema statico, con una prospettiva di mu­ tamento proiettata nel tempo lontano della fine. Per quanto ostinatamente ciechi nei confronti della verità cristiana, gli ebrei si sarebbero però convertiti alla fi­ ne dei tempi. In tal senso, fin da san Paolo si costituì una tradizione interpretativa (accolta da sant'Agosti­ no) che si appoggiava al versetto 15 del Salmo 58: «Convertentur ad vesperam et famem patientur ut canes». Dall’attesa apocalittica della conversione finale e dal significato provvidenziale attribuito alla presen­ za ebraica era derivata per gli ebrei la garanzia di un li­ bero esercizio della loro religione. Ma le cose erano cambiate intorno al secolo xn. Come ha mostrato Amos Funkenstein” , l’indirizzo razionalistico della nuova fi­ losofia e la conoscenza tra i cristiani della letteratura ebraica post-biblica dettero vita a nuove forme di po­ lemica cristiana contro gli ebrei. Il razionalismo pote­ va portare a una maggiore tolleranza tra esseri umani come partecipi della stessa ragione, ma poteva anche " Amos Funkenstein, Basic Types o f Christian Anti-Jewish Polemici in thè Later Middle Ages, in «Viator», 2 (1971), pp. 373-82

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spingere gli ebrei, refrattari alla «ragione cristiana», verso la sfera degli animali privi di ragione” . Nello sviluppo dell’antiebraismo cristiano, un pas­ saggio decisivo è stato individuato nella nascita degli Ordini religiosi mendicanti26. Con loro, la diga eretta da sant’Agostino a protezione dell’ebraismo fu mina­ ta sul piano teologico mentre veniva sottoposta a un forsennato attacco sul piano sociale: i frati, dotati di grande seguito tra le folle cittadine, scatenarono on­ date di fanatici contro la libertà religiosa e la sicurez­ za fisica delle comunità ebraiche. La volontà di elimi­ nare le residue sacche di diversità religiosa si tradusse in aggressive missioni per la conversione di infedeli ed ebrei e in un rinnovato sviluppo della polemica teolo­ gica. In prima fila nella battaglia intellettuale si collo­ carono allora ebrei convertiti, con ardore e aggressività di neofiti. Ma tanta violenza antiebraica non trove­ rebbe spiegazione se non si tenesse conto del fatto real­ mente nuovo della storia europea: la «rivoluzione pon­ tificia» avvenuta tra l’undecimo e il tredicesimo seco­ lo22. Fu un cambiamento che sostituì all’ordine sociale e politico esistente quello fondato sulla suprema auto­ rità papale. La rapidità e la violenza della rivoluzione trovarono sbocco in una aggressività senza precedenti contro nemici esterni, capaci di compattare l’unità e l’obbedienza del mondo cristiano: le crociate contro i musulmani e i pogrom contro gli ebrei ne furono le ma­ nifestazioni. Tutti gli storici che hanno cercato di ri­ costruire le vicende del rapporto tra cristiani ed ebrei

” Come osserva Funkenstein citando Petrus Venerabilis, «since man is an “ animai rationale” , and thè Jcws would not listen to reason, therc is no conclusion left but that they are beasts» (ivi, p. 378). ” Jeremy Cohen (The Friars ani thè Jew s. The Evolution 0/Medieval Anti-Judaism, Cornell University Press, Ithaca-London 1982) ha studiato que­ sto filone della polemica antiebraica, approfondendo le indicazioni di Funkenstein. " Cfr. HaroldJ. Berman, Law and Revolution. The Formation o f thè We­ stern Legai Tradition, 1983 (trad. it. parziale Diritto e rivoluzione, Bologna 1998).

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hanno dovuto segnalare l ’incupirsi dei toni dell’ antiebraismo cristiano in questa epoca. Secondo alcuni, si può addirittura parlare di un passaggio dalLantiebraismo all’antisemitismo già nel xm secolo28. E un fatto che i toni dei documenti papali in materia di ebrei si caricarono di una cupezza nuova: contro di loro, be­ stemmiatori del nome cristiano, era lo stesso sangue di Cristo^ che gridava vendetta. Cosi scrisse Innocenzo III2’ . E di questa epoca anche la rivendicazione papa­ le di una competenza giuridica sugli ebrei: da Inno­ cenzo IV in poi, il principio venne affermato costan­ temente’0. I rituali del potere papale si caricarono di un’aggressività concentrata. Il papa che faceva il suo solenne ingresso con un cerimoniale ispirato ai model­ li imperiali della Roma antica riceveva l’omaggio anche della comunità ebraica di Roma: ma nei loro confron­ ti divenne normale esibire il disprezzo (ritualizzato nel gesto con cui il papa si gettava dietro le spalle i rotoli della Legge offertigli dagli anziani della comunità). Nel nuovo clima, gravi conseguenze doveva avere anche la conoscenza della letteratura ebraica post-bi­ blica: in particolare, del Talmud. Se fino ad allora la polemica cristiana si era limitata a rilevare come l ’osti­ nata e scorretta interpretazione ebraica del Vecchio T e­ stamento li conducesse a negare la divinità e la natura messianica di Cristo, da allora in poi cominciò la pre­ tesa ecclesiastica di condannare eresie interne all’ebrai­ smo, cioè di imporre agli ebrei la loro ortodossia. Ne

“ Questa è l’opinione di Gavin I. Langmuir, History, Religion and Antisemitism, University of California, Berkeley - Los Angeles - London 1990, pp. 289 sgg In un documento del 1208 (cfr. Shlomo Simonsohn, The Apostolic Sec and thè Jews . Documento 492-1404, Toronto 1988, pp. 92-93; e vedi Solomon Grayzel, The Church and thè Jcws in thè Thirteenth Century, New York 1966, p. 127). Il documento papale aggiungeva, tuttavia, che non si dove­ vano uccidere gli ebrei e che bisognava lasciarli errare raminghi sulla terra fino a quando non avessero riconosciuto e adorato Gesù. ” Cfr. Shlomo Simonsohn, La condizione giunca degli ebrei n ell'Itala centrale c settentrionale, in G li ebrei in Italia, a cura di Corrado V ivam i, T o ­ rino 1996, pp. 97-r2o; in particolare p. n i .

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fece le spese la diffusione del pensiero di Maimonide. E cominciò anche la persecuzione del Talmud, con de­ nunzie e confische’ 1. Era una svolta netta rispetto al percorso segnato da sant'Agostino. L ’evoluzione del pensiero religioso ebraico svelata da quei testi accese da un lato la speranza di operare la conversione degli ebrei al cristianesimo; dall’altro, mise in crisi il pilastro agostiniano della funzione di immobili testimoni delle profezie bibliche che garantiva agli ebrei una funzione apologetica interna al cristianesimo e la conseguente garanzia di essere lasciati liberi di praticare la loro re­ ligione. I fondamenti teorici che avevano garantito una pur limitata tolleranza agli ebrei nel mondo cristiano vennero cosi gravemente indeboliti. Dal Talmud risul­ tava che gli ebrei erano eretici rispetto alla loro reli­ gione: dunque, non meritavano la tolleranza nel senso agostiniano. La neonata Inquisizione fratesca, stru­ mento di controllo e di intervento dalle inaudite capa­ cità, estese progressivamente la sua giurisdizione fino a minacciare direttamente gli ebrei. Mentre i france­ scani si specializzavano in una predicazione violente­ mente aggressiva (nel 1247, due francescani lanciaro­ no l’ accusa di omicidio rituale contro gli ebrei a Valréas), fu affermato il principio che sottometteva al­ la giurisdizione dell’Inquisizione ecclesiastica non so­ lo gli eretici ma tutti coloro che li aiutavano («Turba­ to corde», di Clemente IV, 1267): questo significava che l’ebreo convertito (magari a forza) che tornava al­ la sua fede non poteva essere accolto e aiutato dalla sua antica comunità, pena l’intervento dell’Inquisizione. Dalla pratica dei battesimi forzati, nacquero disquisi­ zioni a non finire su come si dovesse considerare il ri“ Nel 1239, ad esempio, Gregorio IX ordinò la confisca dei libri degli ebrei. D ’altra parte, cominciò anche la strategia missionaria consistente nel dimostrare attraverso il Talmud che Gesù era il vero Messia: su queste ba­ si si ebbe cosi una celebre disputa a Barcellona nel 1263 e la redazione del «Pugio Fidei» di R. Martini (cfr. Cohen, The Friars and thè ]ews cit. e Fau­ sto Parente, La Chiesa e i l