De motu musculorum. Testo greco a fronte 8862271379, 9788862271370

I due libri del "De motu musculorum" fanno parte dei trattati anatomici di Galeno. Egli li ricorda sia nel de

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De motu musculorum. Testo greco a fronte
 8862271379, 9788862271370

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OK-Aì GALENVS

EDIZIONE CRITICA, TRADUZIONE, COMMENTO

PIETRO ROSA

BIBLIOTECA DI «GALENOS» · 1.

PISA · ROMA

FABRIZIO SERRA EDITORE MMIX

PREMESSA redizione critica curata da Pietro Rosa del de motu musculorum di Galeno si inaugura la biblioteca di «Galenos», una collana destinata ad accogliere edi­ zioni critiche, studi di maggiore ampiezza, raccolte di frammenti, atti di convegni, nell" ambito di ricerca nel quale si muove la rivista ormai giunta al suo terzo nu­ mero. I membri del comitato scientifico e quelli della redazione hanno voluto confer­ mare il loro sostegno, e per questo vogliamo ringraziarli, e vogliamo ringraziare anche Veditore, Fabrizio Serra, per la fiducia accordata nell·accogliere questa nostra iniziativa. Il secondo volume della biblioteca ospiterà gli atti del II seminario sulla tradi­ zione indiretta dei testi medici (Siena, 19-20 settembre 2008), il terzo la raccolta dei frammenti del commento di Galeno al de humoribus ippocratico. Altri volumi quasi ultimati aspettano il loro turno. Auguriamo alla nuova collana Γaccoglienza accordata alla rivista. on

C

Pisa, settembre 2009

Ivan Garofalo, Alessandro Lami, Amneris Roselli

INTRODUZIONE libri del de motu musculorum1 fanno parte dei trattati anatomici di Galeno. Egli li ricorda sia nel de libris suis,23che nel più breve scritto de ordine librorum suorum/ dopo altri suoi testi, volti a illustrare le facoltà naturali e quelle psichiche. Essi sono dunque inseriti nelfordine ideale che Galeno stesso suggerisce di seguire nella lettura delle sue opere principali, dopo una serie di scritti non pervenutici e prima del de placitis Hippocratis et Platonis. due

I

i. Data di composizione

Sulla data di composizione non esiste alcuna testimonianza diretta; essa viene ge­ neralmente fissata al tempo del secondo soggiorno romano di Galeno, a partire dal 169 d.C.,4 in quanto il trattato non è menzionato, nel de libris suis, tra i libri scritti a Roma κατά τήν πρώτην επιδημίαν. Il terminus ante quem è invece definito dalle citazioni nel de difficultate respirationis (7.821.2 K), nel de symptomatum diffe­ rentiis (7.56.4 K) e nei commenti ai trattati ippocratici defracturis (18B.328, 3 K), de articulis (18A.319, 2 sg. K) e de medici officina (18B.860.1 K), tutti composti dopo la prima metà della methodus medendi, ancora sotto Marco Aurelio.5 Sulla base della ci­ tazione di altri trattati galenici che si trovano nel de motu, la sua datazione può es­ sere poi ulteriormente precisata, e fissata a prima del 175. I trattati citati sono: de musculorum dissectione, de usu partium, anatomicae administrationes (I 6 = p. 13,12 sg. di questa edizione), de causis respirationis (II 5 = p. 34,16 e II 9 = p. 41,18), de voce e de utilitate respirationis (II 9 = p. 47, 5). 2. Struttura e contenuto

Il trattato si divide in due libri.6 Il primo si apre con la considerazione della molte­ plicità e della quantità dei muscoli, tanto numerosi che è difficile anche solo ap­ prenderne il numero. Galeno sottolinea come fesperienza della dissezione dimostri che i muscoli sono organi di movimento volontario e che le modalità del loro mo­ vimento non sono facilmente individuabili. Sono discusse con particolare atten­ zione le differenze tra tendine, legamento e nervo: il primo ha una natura mista, tra legamento e nervo, il secondo serve per collegare i muscoli alle ossa, il terzo for­ nisce al muscolo sensazione e movimento, che trae dal cervello. Questo è come una 1 In greco περί μυών κινήσεωο nei codici LP2, in Oribasio e nelfedizione Aldina, περί κινήοεωο μυών in S e R, περί μυών κινήοεων in PMP1M1. La forma corretta parrebbe la prima perché così Ga­ leno cita l’opera in altri suoi scritti (cfr. infra). 2 P. 154,19-20 Boudon, secondo il codice Vlatadon 14 e la traduzione araba. 3 P. 93,7 Boudon = Scripta minora II 84 Muller. La traduzione araba precisa che si tratta di due libri. 4 Cfr. Ilberg 1892, pp. 498-500; Bardong 1942, p. 633. 5 Altre citazioni dell'opera sono in A.A. IV 7 e 11 (Garofalo 1991, 431 e 453), XIV 2 (Garofalo 1991, 1043), UPII16 = 1111, 14 Helmreich; III16 = 1192, 7 Helmreich; X 9 = II 83, pp. 18 sgg. Helmreich; XI 10 = II142, 24 sgg. Helmreich, etc., deplac. I 9 = I 94, 18 De Lacy; e in ars medica p. 390, 2 BoudonMillot (1. 409, 5 K). 6 La divisione in due rotoli è dovuta all·ampiezza della materia, non a diversità di oggetto.

DE MOTV MVSCVLORVM XII fonte a cui attingono - come fiumi - i nervi, per irrigare il territorio muscolare; gra­ zie ad altri fiumi (arterie e vene, provenienti rispettivamente da cuore e fegato) tale territorio diviene simile ad una pianta, mentre il nervo, fornendogli sensazione e movimento, lo rende simile ad un essere animato. Il muscolo è dunque organo di sensazione e movimento, ma è il movimento che gli è peculiare (§ i). Galeno si sofferma quindi sulla definizione di "tendine". Il tendine è un misto di legamento e nervo, più duro del primo, più molle del secondo, che supera anche in spessore, fino a sei-dieci volte. Suo compito è legare il muscolo alle ossa, men­ tre il nervo deriva dal cervello e si inserisce in una terminazione d"osso (§ 2). Segue una classificazione dei muscoli come organi di movimento volontario, se­ condo queste categorie: a) i muscoli che muovono ossa terminano generalmente in tendini; b) altri muscoli, contraendosi, muovono solo se stessi (ano, vescica), o trascinano la pelle con sé (labbra, fronte, volto): da questi non proviene alcun ten­ dine; c) altri ancora muovono alcune parti diverse dalle ossa (occhi, lingua, testicoli, pene, orifizio dello stomaco, laringe e faringe): alcuni di questi presentano tendini, altri no. Molto spazio è dato alla discussione sul cuore: secondo Galeno non è un muscolo e fa parte a sé. Ogni muscolo ha poi una propria modalità di movimento, descritta con gli esempi di lingua, occhi, muscoli temporali, muscolo grande del braccio (il bicipite) e muscolo grande dell·avambraccio (flessore profondo delle dita), ano, diaframma, muscoli del torace e dell·addome (§ 3). Si passa quindi all" esame dei movimenti muscolari. Per Galeno i muscoli non hanno sei movimenti distinti, come sostengono alcuni, ma un unico movimento at­ tivo, quello di contrazione; festensione è solo uri azione passiva, dovuta al movi­ mento attivo del muscolo opposto, come avviene nei muscoli di braccia e gambe, nonché in quelli temporali. Lo si deduce praticando la dissezione: quando si taglia, o si incide, un solo muscolo, o tendine, vengono meno due movimenti; quando viene meno uno dei due movimenti successivi, viene meno anche 1"altro (§ 4). Si prosegue esaminando i risultati delle esperienze di dissezione: a) i muscoli in­ terni di una parte ne provocano la flessione, quelli esterni, invece, festensione; b) i muscoli opposti sono responsabili dei movimenti opposti; c) ogni parte del mu­ scolo ha come azione innata la contrazione su se stessa (§ 5). Tumori e affezioni sviluppati nella parte interna di un muscolo provocano la fles­ sione del membro, senza che si possa poi realizzare uri estensione attiva; se hanno luogo nella parte esterna, il membro si estende ma non si flette più: la malattia provoca, in questi casi, la stessa azione normalmente esercitata dalla volontà. I mu­ scoli hanno uri unica modalità di movimento, ma producono molte azioni diverse, dovute alle differenti articolazioni. Vengono proposti vari esempi di figure delle membra prodotte dai muscoli di braccio e avambraccio in azione (§ 6). Riguardo ai movimenti Galeno puntualizza come non tutti i moti del corpo av­ vengano per azione dei muscoli, e così pure non ogni stato di immobilità è dovuto alla loro quiete; accanto a contrazioni ed estensioni i muscoli hanno altri due tipi di movimento: un terzo è lo stesso che hanno anche le ossa; non è proprio del mu­ scolo come organismo vivente, ma come inanimato; un quarto è il cosiddetto mo­ vimento "tonico", presente quando i muscoli sono in azione ma il membro, di cui sono parte, non si muove nel suo insieme, né essi singolarmente (§ 7).

INTRODUZIONE

XIII

Si forniscono diversi esempi di movimento tonico: a) un corpo inanimato tirato in direzioni opposte da forze pari; b) un uccello che si libra nell·aria: questi corpi non sono immobili, ma si muovono doppiamente. Segue una discussione sul mo­ vimento muscolare: fino a che punto è dovuto alla contrattilità del muscolo e fino a che punto, invece, alla volontà? Ancora la dissezione dimostra che il corpo del muscolo non potrebbe mai giungere ad una flessione accurata e completa senza Γaiuto della facoltà psichica (§ 8). Lo studio delle figure estreme (completa contrazione e completa estensione) in­ dica che la contrazione è peculiare del muscolo più che l’estensione. Se esse gli fos­ sero ugualmente proprie, il muscolo assumerebbe la figura intermedia, mentre si avvicina di più alla completa flessione. Galeno suggerisce di studiare il movimento dei muscoli e le loro posizioni, prendendo due ossa di qualche animale, unite per mezzo di un" articolazione, a cui applicare delle funi (composte da nerbi), per si­ mulare i muscoli. Se ne deduce quanto segue: a) i muscoli nascono dalle ossa su­ periori, dove si trovano le cotili, e si inseriscono in quelle inferiori; b) i muscoli sono proporzionati alle ossa da muovere; c) senza impulso volontario nessuno dei mu­ scoli può giungere alle posizioni estreme; d) queste ultime si hanno quando prevale uno dei due movimenti di estensione o flessione (§ 9). Ancora riguardo alle posizioni estreme o intermedie dei muscoli Galeno regi­ stra sensazioni e comportamenti che si riscontrano in loro presenza: a) Γestrema estensione provoca dolore; b) la posizione intermedia è la meno dolorosa; c) ten­ diamo a mutare le posizioni dolorose; d) conserviamo per moltissimo tempo la posizione intermedia; e) tendiamo a mutare, di tanto in tanto, anche questa; f) ogni posizione è gravosa per chi è debole (§ 10). Il secondo libro si apre con la descrizione delle posizioni intermedie: ne esistono di due tipi: quella che presenta i due muscoli inattivi e quella che li vede agire con­ temporaneamente (azione "tonica"). Quesfultima è dolorosa quanto le posizioni estreme, mentre non è dolorosa la prima, purché sia "semplice", cioè intermedia tra tutte le posizioni estreme del membro e non intermedia di una sola delle due op­ posizioni. Seguono Tesempio del braccio, che presenta quattro posizioni estreme (pronazione, supinazione, estensione e flessione massime) e la descrizione di posi­ zioni e figure (§ 1). Per studiare i quattro movimenti del braccio occorre appurare a) da quali mu­ scoli vengano compiuti; b) di quale natura essi siano; c) quale articolazione muo­ vano. Dopo la descrizione dell"avambraccio e dell"ulna, viene illustrata nei particolari la straordinaria accuratezza con cui la natura ha apprestato 1"articola­ zione delfulna con 1"omero, responsabile di estensione e flessione (§ 2). Galeno si sofferma sull"articolazione delfulna con 1"omero e sulla posizione dei muscoli presenti in essa: due nella parte anteriore, due in quella posteriore del brac­ cio, detta "olecrano" ο κύβιτον; tutti e quattro si portano direttamente alfulna e danno luogo a estensione e flessione. Altri quattro si inseriscono nel radio e sono responsabili di pronazione e supinazione. Una nuova dimostrazione riguarda le quattro posizioni intermedie "non semplici", in cui un tipo di muscolo agisce sem­ pre, ogni altro è in stato di quiete e viene esteso. Il discorso verte quindi sulla po­

XIV

DE MOTV MVSCVLORVM

sizione angolare e pronatoria e, in particolare, sul comportamento in essa dei mu­ scoli dell·avambraccio: viene ribadita, citando Ippocrate, la superiorità della posi­ zione intermedia semplice su tutte le altre, in quanto unica totalmente priva di dolore (§ 3). Lo stato di quiete perfetta è proprio solo di chi ha tutte le parti completamente rilasciate e in posizione intermedia. Ciò si verifica in chi è ubriaco, molto affati­ cato o indebolito. Chi dorme senza essere in tale condizione non ha i muscoli in perfetta quiete: essi non possono certo trovarsi, durante il sonno, nelle posizioni estreme, che richiedono un’azione forte ed intensa, ma sono in una posizione in­ termedia tra le estreme e la mediana, conservando una certa azione (tonica). Sono addotti alcuni esempi di azione tonica durante il sonno: camminare, stringere pic­ coli oggetti tra le mani, tenere gambe e braccia estese o flesse, quindi si descrive fazione tonica nei muscoli escretori e nella mascella inferiore. L’anima dei dor­ mienti non è in quiete perfetta, ma sente con difficoltà (§ 4). Sono oggetto di ulteriore approfondimento le azioni che avvengono durante il sonno: non è credibile che esse siano tutte opera della natura. Anche molte azioni che compiamo da svegli non sono accompagnate dalla dianoia, ad es. il battito delle ciglia. Per distinguere tra azioni volontarie e non volontarie, occorre basarsi su cri­ teri sicuri; essi sono: a) la possibilità di arrestare azioni in corso e di avviarne ex novo; b) la possibilità di accelerare o rallentare e di rendere più o meno frequenti le azioni stesse. In virtù di questi criteri sono da considerare volontarie la respira­ zione e il moto delle gambe, non volontari i movimenti di arteria e cuore. Resta da appurare per quale motivo la mente non partecipi direttamente a molte azioni vo­ lontarie (§ 5). Galeno intende dimostrare che la respirazione è azione volontaria dovuta al­ l’anima. Per farlo parte dall’assunto che di molte azioni non ci ricordiamo in quanto la parte immaginativa dell’anima, in certe condizioni (ubriachezza, collera, pen­ sieri fissi, follia), non ha fissato nella mente il loro compimento. Anche i deliranti (Galeno cita un caso molto evidente) compiono diverse azioni, di cui poi non ri­ cordano nulla, ma esse, come le nostre azioni realizzate nel sonno, sono volonta­ rie; lo stesso avviene per la respirazione: è volontaria (lo dimostra uno schiavo barbaro che volle morire trattenendo il fiato), ma solo di rado le rivolgiamo at­ tenzione. Le azioni volontarie sono quindi divise in due gruppi: a) alcune del tutto libere, che compiamo quando vogliamo, come andare da qualcuno, parlare, pren­ dere qualcosa; b) altre che sono subordinate agli stati del corpo e avvengono in un tempo ben determinato, come urinare e andare di corpo. Simile a queste ultime, sebbene più incalzante e più frequente, è la respirazione (§ 6). Si tratta ancora la posizione intermedia: nella gamba essa non è priva di dolore, mentre lo è quella compresa tra Γintermedia e l’estensione estrema e questa diffe­ renza, rispetto ad altre parti del corpo, è dovuta all’abitudine. Occorre quindi, per capire quale sia la posizione intermedia e priva di dolore in tutte le articolazioni, considerare non solo la natura, ma anche la consuetudine. In base a questi criteri Galeno individua la posizione intermedia nelle articolazioni del gomito, del gi­ nocchio, della spina dorsale e del carpo, soffermandosi in particolare su queste ul­ time due. Anche i muscoli privi di articolazione hanno la posizione intermedia e

XV

INTRODUZIONE

priva di dolore, come si può vedere in quelli di ano e vescica la cui funzione non è quella di espellere i residui del cibo, ma di trattenerli (§ 7). Gli organi di escrezione sono, invece, di due tipi: a) il diaframma e i muscoli delΓaddome (che appartengono all·anima ed hanno azione volontaria); b) gli intestini e lo stomaco, che appartengono alla natura ed hanno azione involontaria. Ci si sof­ ferma sui primi: la defecazione ha luogo quando la cavità intestinale, che contiene gli escrementi, è premuta dall·esterno (muscoli dell·addome) e dall·interno (dia­ framma). E di grande aiuto, in quest’azione, Γobliquità del diaframma. Agiscono al tempo stesso anche i muscoli della respirazione, il cui scopo è di stringere da ogni parte il diaframma, sostenendolo nel suo compito di bilanciare la tensione dei muscoli del ventre (§ 8). Il diaframma, come strumento di espulsione degli escrementi, ha, come muscoli opposti, quelli che li trattengono e quelli che si trovano nell·addome. Come stru­ mento di respirazione, ora ne ha, ora non ne ha. Nessun muscolo produce espira­ zione (έκπνοή), che pare opera del torace. V effrazione (έκφύσηοιο) è invece opera dei muscoli intercostali. L/έκπνοή è contraria alf εισπνοή e Γ εισπνοή violenta è con­ traria all" έκφύσησισ. La prima opposizione è prodotta dal diaframma, la seconda dai muscoli intercostali insieme a quelli che giungono al torace dalle scapole e dal collo; tali questioni sono più ampiamente trattate in altre opere di Galeno, mentre qui la sua attenzione si concentra sul diaframma e sulle particolarità dovute alla sua forma. Come tutti i muscoli anche quelli del diaframma hanno duplice tensione, la prima nelle inspirazioni non violente, la seconda nelle espirazioni non violente. Inoltre solo il diaframma ha una posizione intermedia duplice: si inclina verso la spina dorsale in tutte le posizioni tranne che durante i decubiti sul ventre, quando si inclina verso lo stomaco. Questo è dovuto al fatto che i muscoli del torace, come quelli dell·addome, non poggiano su una sostanza ossea, dura e resistente, ma hanno sotto di sé spazi cedevoli. Si conclude la trattazione con la descrizione di fi­ gure dei muscoli del ventre e del torace (§ 9).

3. Tradizione del testo

3.1. Tradizione diretta Diels 1905, 69, nel suo catalogo, registra nove manoscritti greci che conservano il de motu.7 Essi sono i seguenti (in ordine di secolo e, alfinterno di ogni secolo, in or­ dine alfabetico): Laurentianus pi. 74, 3 Parisinus Graecus 1849 Scorialensis T. III. 7 Reginensis Sv. 175 Marcianus Graecus 279 Marcianus App. cl. V 5 Mutinensis Graecus 237

s. s. s. s. s. s. s.

XII XII XII XIV XV XVI XVI

192rv 95r-nov 34r-57v 242 -2Ó4V 7ir-84v 433v-443r 249r-2Ó4v

L P S R M Mi Mu

7 Una traduzione latina, segnalata da Diels 1905, 69 in un manoscritto Basii. D III 8, in realtà non esiste (cfr. Wilson 19832, p. 170, nota 24).

XVI

DE MOTV MVSCVLORVM

Parisinus Graecus 2164 s. XVI 9ir-nor Parisinus Graecus 2278 s. XVI ιΓ-22Γ

Pi P2

Questi mss. si dividono in due famiglie; solo i codici della prima famiglia e lo Sco­ rtai. T. III. 7 della seconda tramandano per intero il trattato, mentre gli altri risul­ tano mutili verso la metà del libro secondo e precisamente nel corso del capitolo sesto, tre di essi (RMiMu) a p. 36,16 = 4.448, 3 K e uno (P2) a p. 37, 9 = 4.450, 3 K. Il codice Laurentianus pi. 74, 3, infine, contiene solo una minima parte del testo gale­ nico, corrispondente alle pagine 1-2, 25 di questa edizione = 4.367-371, 4 K.

Famiglia A La prima famiglia è costituita dai codici PMPi. Il capostipite P è un manoscritto car­ taceo assai noto e studiato, che conserva, oltre al nostro trattato, i primi due libri della Metafisica I e II di Aristotele, le anatomicae administrationes, i commenti ad Ippocrate de articulis, defracturis e de officina medici.8 Attribuito al XIV sec. da Omont 1888, 152 è stato assegnato al XII ο XIII sec. Canari 1978, 151 sg. Lha collocato al principio del sec. XIII, Cavallo 1980, 214 sgg. è per una data attorno al 1200.9 Ma Wilson 19832, 170; 1983^ 314 sgg. e 1987, 53 sgg. lo ha con certezza datato alla se­ conda metà del sec. XII, riconoscendo in esso glosse marginali in latino (ff. 95rio5r),10 da lui attribuite con buona probabilità a Burgundio da Pisa (ino c.-1193).11 Il codice, come diversi altri, fu copiato dallo scriba Ioannikios e dai suoi colla­ boratori, che trascrissero numerosi testi classici di rilievo, molti di argomento me­ dico. Sono state avanzate differenti ipotesi sulla località in cui operarono questi copisti: Wilson 1987, 53 ritiene che essi abbiano avuto accesso ad un ottima biblio­ teca e suggerisce le città di Costantinopoli oppure Palermo, nel più fiorente pe­ riodo del regno normanno. Nel primo caso - secondo F ipotesi di Wilson (19832, 170) - Burgundio da Pisa12 avrebbe potuto acquistare il codice a Costantinopoli, dove egli soggiornò nel 1136 e, di nuovo, nel 1170. Questa è Γopinione prevalente. Cavallo 1980, 214 sgg. è per un’un origine siciliana, Canari 1978,151 sg. suggerisce la Puglia.13 Il manoscritto fu probabilmente utilizzato da Pietro d"Abano che cita un brano del quarto libro delle anatomicae administrationes, come ha notato Stefania Fortuna.14 Entrò poi a far parte della biblioteca del cardinale Nicola Ridolfi, nipote di papa Leone X e giunse in Francia con Pietro Strozzi e tutta la biblioteca Ridolfi, per es­ sere poi ceduto a Caterina de" Medici. Acquistato per la biblioteca di Enrico IV nel 1599, è ora alla Biblioteca Nazionale di Parigi.15 8 Cfr. Omont 1888, p. 152. Per P si veda Roselli 1991, Brockmann (in corso di stampa). 9 Egli segue Fipotesi dij. Wiesner e P. Moraux (Ar^st°Mes graecus, I, Berolini, 1976, p. 472). 10 Wilson i983a, 169 nota tra l'altro come a f. 98r e ioor compaiano glosse marginali in greco e la­ tino che sembrano dello stesso inchiostro. 11 Cfr. anche Gamillscheg, Harlfinger 1989, 2, pp. 113 sg.; e Garofalo 1991, pp. 63 sg. 12 Su Burgundio si veda Wilson 1986, Fortuna, Urso 2009. 13 La scrittura di Ioannikios fu identificata da Bandini (cfr. Wilson 19830, 315), che la riconobbe in vari manoscritti. Si veda ora Degni 2008. 14 Si veda Fortuna 2008. 15 Cfr. Garofalo 1986, pp. XI e XVI.

INTRODUZIONE

XVII

La scrittura di lonnikios è molto variabile e risulta spesso estremamente ardua da decifrare, sia per la grafia tutt'altro che elegante, sia per Γabbondanza di tron­ camenti, segni abbreviativi, che rendono talora soggettiva l'interpretazione delle desinenze stesse di sostantivi e di forme verbali e giustificano molti errori e imba­ razzi negli apografi.16 Altro problema è costituito dall'intervento di più copisti al­ l’interno del codice, come è stato riscontrato anche in altri manoscritti attribuiti allo scriptorium di Ioannikios.17 In P, e soprattutto nei fogli che contengono il de motu, la situazione è estremamente complicata. Wilson i983a, 170 si sente di affer­ mare soltanto che nei fogli 95r-iiov, nei quali appunto è copiato il de motu, inter­ vengono quattro mani (diverse tra loro e da quella di Ioannikios), delle quali le prime tre scrivono i fogli 95-102 con grande varietà di grafia, la quarta i fogli 103-110, con grafia relativamente più normale. L'esame da me condotto su questa parte del codice ha confermato quanto segue:

ff. 95r~97v ff. 97v-iO3r f. iO3r ff. iO3r-iiov

I mano II mano III mano IV mano

L'esame diretto del manoscritto rivela inoltre la mano di un correttore (P2), che in­ terviene sul testo nei ff. 95r-io2r, con un inchiostro molto più scuro rispetto a quello originale. I suoi interventi correggono a volte con decisione il testo, spesso sciol­ gono le abbreviazioni o le completano, aggiungono punteggiatura e, in qualche caso operano l'abrasione del testo originale cui sostituiscono una diversa lezione.18 In altri casi la correzione è invece interlineare. Questi interventi, che non sembrano frutto di collazione con manoscritti della famiglia B, sono anteriori alla metà del XV sec. in quanto l'apografo diretto di P, ovvero il Marcianus graecus 279 (M), li registra tutti e li accoglie nel testo. Wilson19 ritiene che almeno alcune di queste correzioni si possano attribuire a un collaboratore di Ioannikios che egli ritiene un occiden­ tale. Se questo è corretto esse sarebbero contemporanee alla stesura del mano­ scritto. Ulteriore difficoltà deriva dallo stato di conservazione del codice, la cui rilegatura rende talora arduo leggere le parole che si trovano nei margini interni dei fogli. P è stato riconosciuto quale archetipo di tutti i manoscritti greci che conservano le anat. admin. di Galeno,20 mentre per il de motu è antigrafo diretto del Marcianus Graecus 279. Il Marcianus graecus 279 (M) è datato da Mioni 1981, pp. 402 sg. alla metà del sec. XV È un codice membranaceo e fu copiato da lohannes Rhosus per conto del car­ dinale Bessarione.21 La grafia è elegante e, nel complesso, il codice è scritto con 16 Per la difficoltà di lettura vedi Vogt 1910, 9-14; E Kudlien i960, p. 21, Garofalo 1986. 17 Cfr. Wilson i983a, p. 167. 18 È il caso, ad esempio, di f. 9óv, 7 (= p. 5, 6) dove la desinenza del dativo singolare χόνδρω (atte­ stata in tutti i codici) viene erasa e corretta in χόνδροιο. 19 In una lettera gentilmente inviatami in data 29.12.1998. 20 Cfr. Garofalo 1981 e 1986, p. XI. Per altri manoscritti vedi Vogt 1910, pp. 9-14. 21 Su Rhosus cfr. Mioni 1976. Su M vedi anche Helmreich 1923. Secondo D. Harlfinger (comuni­ cazione orale a Ch. Brockmann 2008, p. 622, nota 26) il copista di M è G. Tzangaropoulos.

XVIII

DE MOTV MVSCVLORVM

molta cura. Riproduce tutte le opere di P, tranne i due libri della Metafisica di Ari­ stotele, nello stesso ordine, e risulta di notevole utilità per i punti in cui quest'ul­ timo, a causa della rilegatura, non è leggibile. Fu utilizzato da J. Key (Caius) per la sua edizione di alcuni trattati galenici, tra cui il nostro, che fu stampato a Basilea nel 1544.22 Per la dipendenza di M da P ho potuto riscontrare, tra gli innumerevoli altri, i seguenti elementi congiuntivi: Libro I: concordanza in errore e omissioni (le pagine e le linee si riferiscono alla pre­ sente edizione): 1,11 τιμή PM : τομή cett. recte 5,1 μάλλον PM : μέλλων cett. recte 7,1-3 testo corrotto in gran parte uguale 9,12 ήοθαι PM : ήδη cett. recte 10,17 καί δήλον τάληθέο om.PM 17,13 Eie ’icov om.PM et scr. ó ψυχικόο ’icoc ών

Libro II: concordanza in errore e omissioni 29,11 eoe διαοπαοθήναι om.PM 32, 23 άγαπώντων PM : άναοπώντων cett. recte 34, 22-23 των τήο άπορίαο- τά σαφή om. ΡΜ 35, 8 τήο ψυχήο om.PM

Elementi separativi, oltre agli errori singolari, sono le numerose omissioni di M ri­ spetto a P, spesso dovute a salti da medesimo a medesimo o a salti di un'intera linea del testo di P. Ecco i più evidenti:

Libro I 4,10-11 ού γάρ έοτι νεΰρον μόνον om. Μ 15, 26-27 άλλ' αργοί - ταθείη μυο om. Μ 24,16-17 τούτω - άνώδυνον om. Μ

Libro II 28, 6-8 κατά - μέγα καί om. Μ 28, 8-9κατά δέ - παντί μορίω om. Μ 28,13-14 έπιοτροφάο - τήο χειρόο om. Μ 29, 6-7 διετρήθη - έδραίωο om. Μ

Il Parisinus graecus 2164 (Pi), datato da Omont 1888, pp. 207 sg. al XVI sec., è un co­ dice cartaceo che contiene una ventina di opere di Galeno.23 de motu è scritto in una 22 Cfr. Garofalo 1986, p. XII; Nutton 1987, pp. 41, 51. Ad esso probabilmente si riferisce Caius, nelle sue note al testo, definendolo «vetustus, antiquus, vetus» (vedi infra). 23 Si tratta dei seguenti testi: defoetuumformatione, an animal sit quod in utero est, de instrumento odo­ ratus, quod optimus medicus sit quoque philosophus, de parvae pilae exercitio, quod qualitates incorporeae

INTRODUZIONE

XIX

grafia chiara, attribuita da Gamillscheg, Harlfinger 1989, 2,161 a Nikolaos Pakhys; condivide con P e M moltissime lezioni, errori e lacune. È apografo di M, in quanto contiene i suoi stessi errori e le sue stesse omissioni rispetto a P, più altre sue pro­ prie ed errori singolari. Nei fogli 9ir-97v (= pp. 1-16, 20) e io4r-nor (pp. 30, 32-43, 8) compare la mano di un correttore (Pi2), che introduce quasi sempre nel testo le­ zioni dei mss. della famiglia B, probabilmente, in gran parte, di Mi (vedi infra). Pi fu utilizzato come copia di stampa per approntare Γedizione Aldina del 1525 (vedi infra). Elementi congiuntivi tra Pi e M, oltre a quelli comuni con P, sono, tra i nume­ rosi altri, i seguenti: Libro I

2, 4, 17 27,

22 μυοίν om. PiM 22 ού γάρ έετι νεύρον μόνον om. PiM ,13-14 άλλ' αργοί - ταθείη μϋσ om. PiM 4-5 τούτω - άνώδυνον om. PiM

Libro II

28, 6-8 κατά - μέγα και om. PiM 28, 8-9 κατά δέ - παντί μορίω om. ΡιΜ 28,13- 14 έπιστροφάο - τήο χειρόο om. ΡιΜ 29, 6-7 διετρήθη - έδραίωο om. ΡιΜ

Lacune ed errori singolari di Pi sono, tra gli altri: Libro I 5, 22 γενομένη Pi : δεόμενη cett. recte 8,14 ΐνα μήν Pi : ένα μυν cett. recte 11,17 τοίνυν Pi : τείνειν cett. recte 12, 26 άρτηρίαο Pi : άπορίασ cett. recte

Libro II

t 31, 9 έχουοιν άπαντασ om. Pi 37, 4 μυσίν Pi : μηείν cett. recte 39, 29 έτερον Pi : οτέρνον cett. recte

Dunque per la famiglia A il parigino P è Punico portatore di tradizione. sint, adversus Lycum, ad Thrasybulum, utrum medicina an gymnastica plus ad valetudinem tuendam confe­ rat, de venarum arteriarumque dissectione, de nervorum dissectione, de alimentorumfacultatibus, de probis pra­ visque alimentorum succis, de tumoribus quae sunt praeter naturam, ad Pisonem de theriaca, de salibus, ad Pamphilianum de theriaca, de antidotis, de compositione medicamentorum per singula loca libri II.Su Pi cfr. Gamillscheg 1991.

XX

DE MOTV MVSCVLORVM

Famiglia B Alla seconda famiglia appartengono i cinque codici restanti SRMiMuPi nonché Γesiguo frammento di testo tràdito da L. Mentre appare evidente la dipendenza di Mi e Mu da R,24 e non presenta grandi difficoltà Γinserimento di L in questa fami­ glia, il rapporto di parentela che lega S agli altri manoscritti di questo gruppo risulta più problematico. Assegnato da Diels 1905, p. 69 e da Revilla 1936, p. 518 al XIII sec., lo Scorialensis T. III. 7, (S), manoscritto pergamenaceo, è invece datato al XII da Cavallo 1980, p. 191; Canart 1983, p. 151, Wilson 1983^ p. 324 e 1987, p. 55. Contiene varie opere di Ga­ leno25 ed è probabilmente originario delfltalia meridionale: Canart 1983,151 ritiene che provenga dalla zona calabra e che appartenga al periodo in cui il cambio della guardia tra Bizantini e Normanni produsse una scrittura rinnovata nell·ornamen­ tazione e nei contenuti ed incrementò notevolmente la copiatura di testi, più che raddoppiata rispetto alTXI sec.26 Paleograficamente si rileva in S la compresenza di due mani, una più calligrafica, Γaltra più corsiva. Per il de motu musculorum Γap­ partenenza di S alla famiglia B è dimostrata dal fatto che condivide significative la­ cune ed errori con R (datato al XIV sec., vedi infra), antigrafo di altri codici di questa famiglia (Mi e Mu) e P2 (XVI sec., vedi infra). Si differenzia tuttavia da essi per lacune autonome, errori singolari e per alcuni errori congiuntivi tanto con la famiglia A, quanto con gli estratti di Oribasio, da cui pare contaminare (v. infra) d7 Si dovrà dunque supporre una derivazione indipendente di S R e P2 dal medesimo sub archetipo. Il manoscritto Reginensis 175 (R) è un cartaceo del XIV sec. in cui sono copiate cinque opere di Galeno;28 si presenta madore inquinatus, praesertim principio et fine (Stevenson 1888, p. 118), ma è perfettamente leggibile, grazie anche ad una grafia chiara, eccezion fatta per alcuni punti che presentano abrasioni e fori nei margini interni dei fogli, de motu è Fultimo dei testi presenti in esso e si interrompe al capi­ tolo VI del libro secondo (36, 162 = 448, 3 K), senza che vi siano mutilazioni nei fogliLacune ed errori congiuntivi tra S ed R sono, tra gli altri:

Libro I 5, 26 ουμφύοει SR : ουγχύοει cett. recte 7, 25 κυρτοϋνται : om. SR 24 Già rilevata per altre opere di Galeno, cfr. Diels 1915, p. XI; Heeg 1915, p. XXL 25 Precisamente estratti da de musculorum dissectione, de ossibus, de ven. art. dissectione, de nervorum dissectione, seguiti da de motu musculorum, de ossibus, de nervorum dissectione e de venarum arteriarumque dissectione, quest'ultimo mutilo.

26 In particolare egli sottolinea come Reggio appaia uno dei centri più importanti nella sfera della medicina, legato a quello di Salerno. Cfr. da ultimo Boudon-Millot 2007, p. CLXXIII. 27 La contaminazione è provata per de oss. de muse, de nerv. diss. de ven. art. diss. Vedi Garofalo 2005. 28 Si tratta di in Hippocratis prognosticum, in Hippocratis prorrheticum, de m. m., de difficultate respi­ rationis, de causis respirationis. Su R cfr. Boudon-Millot 2007, p. CLXXXVIII.

INTRODUZIONE

XXI

8, 23 ημών SR : υμών cett. recte 14, 22 πάοιν SR : πάλιν cett. recte 15, 26 δοκώ SR : δοκεΐ cett. recte Libro II

30, 27 τού βραχίονοο om. SR 36,1 άνάλογον τώ SR : έλκόντων cett. recte

Lacune ed errori singolari di S: Libro I

4, 20 τό καθήκον - έμφυοιν om. S 6,18-49 tote μέν - rote δ' ού om. S 18. 8 άγαγειν S : άγειν οχολήν cett. recte 19,13 άπάντων εΰρον S : άπαν τό νεύον cett. recte

Libro II 30, 2-4 τό πάντωο - ενεργείν μέν om. S 30, 20-21 ουνεχηο - τώ βραχίονι om. S 32,16-17 έκατέρωθεν - δ' έοωθεν om. S 41,16 κοιλοδηθείο S : κυλινδηθείο cett. recte 46,17-19 έκφύοηοιο - γινόμενη om. S Per Γindipendenza di R rispetto ad S si vedano le lacune registrate a p. 11 tra gli ele­ menti congiuntivi dello stesso R con i suoi apografi. Derivano dunque da R altri due codici, datati al XVI sec.: Mi e Mu. Il primo è un membranaceo proveniente dal monastero veneziano dei santi Giovanni e Paolo. Scritto da Cesare Stratego a Firenze, tra la fine del XV e Finizio del XVI sec.29 fu acquistato da Marco Musuro, che lo donò al giovane Antonio Brocardo, veneziano, come si legge nel risvolto interno della coperta anteriore: [Marcus Musurus] τώ εύφυεΐ λόγω τε καί ήθει κεκοομημένω άντωνίω βροκάρδω μάρινου τού έξοχου άρχιατρού άγαπητώ καί μονογενει.30 Il Brocardo morì nel 1531· Contiene in tutto 25 opere di Galeno3132 ultima delle quali è il àe motu musculorum; è scritto con grafia estremamente elegante e curata. Questo codice fu noto al Caius (vedi infrd)^ che molto probabilmente ne riporta alcune lezioni nelle sue note al de motu. 29 Cfr. Mioni 1972, p. 255. 30 Cfr. ivi, p. 256. 31 Si tratta di in Hipp. aphorismos, in Hipp. de acut. victu, in Hipp. Progn., in Hipp. Prorrh., de diff. resp., in Hipp. epid. I-III comm., de sympt. causis,, de atra bile, depurg. medie, facuii., de praenotione, de dignotione ex insomniis,, quomodo morbum simulantes sint depr., quos... purgare oporteat, de locis off., de ple­ nitudine, de morb. temporibus, de totius morbi temporibus, de uteri diss., puero epileptico consilium, de atra bile, de tremore, palpitatione,, conv. et rigore, de urinis, ars medica 1-4, de respirationis causis, de motu muse. 32 Cfr. Nutton 1987, 41, 52.

XXII

DE MOTV MVSCVLORVM

Suo coevo è Mu conservato alla Biblioteca estense di Modena.33 Cartaceo, è mu­ tilo nello stesso punto della nostra operetta in cui terminano anche R ed Mi. Pre­ senta una grafìa chiara, ma affrettata, con molti errori banali e travisamenti del testo o di singole parole. Tanto Mi che Mu mostrano imbarazzo in alcuni luoghi del testo e lasciano talora brevi lacune in corrispondenza di piccole abrasioni o veri e propri fori di R, principalmente nel primo libro del trattato. La presenza in en­ trambi i codici di numerose concordanze in errore e omissioni rispetto ad R, cui si aggiungono lacune ed errori singolari, propri di ciascuno dei due, ne fanno sup­ porre una derivazione indipendente. Tale derivazione, tuttavia, probabilmente non è diretta. Non saprei spiegare altrimenti per quale motivo, in corrispondenza di al­ cune abrasioni di R, sia Mi che Mu omettano non solo la parte di testo scomparsa o diffìcilmente leggibile, ma anche parole precedenti, perfettamente leggibili in R. A titolo esemplificativo si veda come a io, 5-6 il nesso ούκ έτι δυνάμενον è omesso da Mi con uno spazio bianco di 15-16 lettere, in corrispondenza di un abrasione di R che ostacola la lettura del solo participio δυνάμενον. Ancora: a 11,18 επιχειρεί robe έν ab- è omesso da Mi che lascia uno spazio di 15 lettere in corrispondenza di un foro di R comprendente soltanto robe έν ab-. Infine a 21, 26 - 22,1. Mu omette τού μέσου con una lacuna di 6-7 lettere, a fronte di un testo di R perfettamente in­ tegro.

Elementi congiuntivi di R, Mi, Mu: Libro I 3, 6 δλα - σώμα om. RMiMu

Libro II 30, 2-3 eòe oi μεν - ανάγκη πλείονοο om. RMiMu 36,16 post άνθρωποσ deficiunt RMiMu

Lacune ed errori separativi: Libro I 2,18-19 καί θλώμενον - καί om. Mu 10, 5-6 ουκ έτι δυνάμενον om. Μι io, 25 διαμένει Μι : διακόπτειν Mu : διακοπείη cett. recte 18,19 άλλά καί - έκτασιν om. Mu 19, 25 post συστολήσ add. διά τούτ’ οίκειοτέραν αυτού την συστολήν ήγητέον Μι che ripete 19, 22-23 21, 26 - 22,1 τού μέσου om. Mu

33 Cfr. Puntoni 1896, p. 518. Contiene in Hipp. praedictiones, in Hipp. praenotiones, de diff. respiratio­ nis, de causis respirationis, de motu musculorum, de differentia morborum, de causis morborum, de differen­ tia symptomatum. Seguono quaedam de febribus. Vedi Petit 2006.

INTRODUZIONE

XXIII

Libro II

28, 27-29 τω του βραχίονοο - έπεί δέ καί om. Mu 30, 26-27 κάτωθεν - τε καί om. Μι Alla famiglia Β appartiene anche P2. Si tratta di un manoscritto cartaceo del XVI sec. (Omont 1888, 229), composto da due parti, differenti per formato, paginazione e mano: nella prima, di maggiore ampiezza, si trova il commento di Galeno agli Aforismi di Ippocrate, mutilo initio et fine. Nella seconda, che reca una nuova nu­ merazione da f. 1 a f. 24, troviamo il de motu, privo della seconda parte del secondo libro. Esso si interrompe infatti ex abrupto a f. 22r, 16 (p. 37, 9 di questa edizione = 4, 450, 3 K). Numerosi errori congiuntivi ed omissioni, condivisi con S ed R, mo­ strano chiaramente la sua appartenenza alla famiglia B. Esso non è però apografo di S, che presenta il testo nella sua completezza, nonché lacune ed errori autonomi, né di R, rispetto a cui P2 conserva una porzione del libro II leggermente più ampia (R è mutilo a p. 36,16 = 448, 3 K, P2 a p. 37, 9 = 450, 3 K), errori e lacune autonomi. Non vi è dubbio, tuttavia, considerate le lezioni e gli errori dei tre codici, che il testo di P2 sia più vicino a quello di R che a quello di S, con cui condivide solo un esiguo numero di errori non presenti in R. Si può dunque supporre la sua deriva­ zione da un antigrafo molto vicino alL antigrafo di R. P2 presenta inoltre alcuni er­ rori assenti in SR, ma attestati in P, che si possono spiegare unicamente come frutto di contaminazione di P2 nei confronti di P (vedi infra). Questo codice appartenne a Niccolò Leoniceno: è infatti tra i volumi della sua biblioteca venduti al cardinale Ridolfi dai suoi eredi (e contro la sua volontà), ora alla Bibliothèque Nationale di Parigi.34 Niccolò Leoniceno se ne servì per la sua traduzione del de motu, almeno fino a p. 37, 9, dove il codice si interrompe (vedi infra). Errori e omissioni congiuntivi di S, R, P2:

Libro I 2, 2-3 από των ένεργειών (+ L) SRP2 ett.: απ' αύτών των ένεργειών cett. 7, 25 pr. κυρτοΰνται om. SRP2 8, 23 ήμών SRP2 : υμών cett. recte 13,11 πάοιν SRP2 : πάλιν P recte

Libro II 28,12 του βραχίονοο om. SRP2 32,15 άνάλογον τω SRP2 : έλκόντων Omissioni indipendenti di S, R, P2:

Libro I 3, 6 δλα... εώμα om. R 34 Cfr. Mugnai Carrara 1991, p. 137; Fortuna 1992, p. 434; 2oo6b, pp. 460 sg.

XXIV

DE MOTV MVSCVLORVM

3,18-19 od δε... όρμήσ om. Ρ2 4, 20 καθήκον... έμφυοιν om. S 12, 23-25 έφ' έαυτούο... πολλάκισ om. Ρ2 24, 8-9 μεταβολήσ... τούτο ποτέ om. Ρ2

Libro II 29, 23 εκατέρωθεν... δ' έοωθεν om. S 30, 2-3 ώο οί μέν... πλείονοο om. R Errori e omissioni congiuntivi di R e P2

Libro I 3, 21 ού διοίση RP2 : ούδέν διοίοει cett. recte 7, 6 χαινόντων RPz : κεχηνότων cett. recte 8,10 είοίν om. RP2 9,16 πάντα transp. RP2 post είρήσθαι 12, 26 άλλαο om. RP2 16, 24-25 κρατούντοσ RPz : κινούντοο cett. recte 18, 22 τίνα om. RP2 et scr. πωο

Libro II 26, 29, 29, 29, 30, 31, 31,

10 έτέρα RP2 : προτέρα cett. recte 12 πράο τήν RP2 : περί την cett. recte 19 pr. οί om. RP2 25 τον om. RP2 9 είο om. RP2 2 έοτι om. RP2 6 έν om. RP2

Resta infine da collocare nello stemma codicum il manoscritto laurenziano (L).35 Si tratta di un membranaceo che Bandini 1770,50 assegna al XII sec. (così anche Diels 1905, 69). Composto di 192 fogli contiene 21 opere di Galeno,36 parecchie delle quali, secondo Wilson 1987, 55, molto rare o uniche. Lo stesso Wilson ritiene che possa essere di origine italo-greca. Il breve frammento del de motu (che si interrompe a 2, 25 = 4,371,3 K) ex abrupto si trova tuttavia in un foglio (192™) che funge da coperta posteriore del codice e presenta una grafia assai differente dal resto del manoscritto. Rispetto agli altri codici presi in esame presenta varianti spesso coincidenti con quelle della famiglia B e, in particolare, del codice S. Nonostante fesiguità del fram­ 35 Per questo codice cfr. Marquardt SM, I, pp. XI-XII, XI sgg.. Wenkebach, CMG 5.10.3 (adversus Ly-cum), Perilli (Gloss.), Kollesch (de instrumento odor.), Nickel (defoet.form.), Furley-Wilkie (an in ar­ teriis) Fortuna (de costitutione), Boudon (quod optimus) Helmreich (in Hipp. de diaet. in ac.), Magnaldi (deprop. cuiusque pece.),]. Mewaldt, CMG V 9, 2 (de cornate). 36 L'elenco è in SM I, pp. XI sg.

INTRODUZIONE

XXV

mento e Γ assenza di lacune o errori congiuntivi macroscopici, mi sembra tuttavia di poterlo inserire, con sufficiente sicurezza, nella famiglia B, vicino a S. Lo stemma potrebbe quindi così delinearsi (per Oribasio cfr. infra):

La principale difficoltà che incontra questa ipotesi di stemma è rappresentata dalΓesistenza di alcuni errori comuni (si trascurano quelli dovuti a itacismo o a scam­ bio ο/ω) a P ed S, assenti in R (e suoi apografi) nonché in P2: 10, 9 έλκειν PS : έλθειν RPz 10,19 τμηθέν S τμηθέντοο S : έαθέν RP2 18, 2i έξουοιν PS : έχουοιν RP2 19, 22 τελείαο om. PS 22, 3 ού καλώο PS : ούκ αλλωο RP2

Tale stato di cose sembra potersi spiegare solo con la supposizione che RP2 di­ pendano da un antigrafo che corregge errori, per lo più banali e presenti in tutta la precedente tradizione manoscritta, o che, più probabilmente, opera la collazione di un manoscritto migliore, successivamente perduto. Per alcuni di questi casi è poi forse ipotizzabile che Γantigrafo di RP2 recasse in sé varianti tra cui gli apo­ grafi avrebbero scelto, o che discendesse a sua volta da un manoscritto con va­ rianti. Un secondo non trascurabile problema è creato, come già si è accennato più sopra, dagli errori che P2 condivide con P e che sono assenti in SR, fatto che pre­ suppone una contaminazione di P2 nei confronti di P. Eccone alcuni tra i più si­ gnificativi: Libro I

2,18 βρόχω SRLOr : βρόγχω PP2 13,14 rote μοpiote SR : των μορίων PP2

XXVI

DE MOTV MVSCVLORVM

Libro II 36, 3 γάρ SR : om. PP2 36, 3 έν αύτω SR : έαυτω PPz

In altri casi probabile spia di contaminazione pare il fatto che solo P e Pi presen­ tino, in tutta la tradizione, la lezione corretta: Libro I

9,12 έγκαρσίων PPi : έγκαρσίωσ SR 19,12 ρέπον PPi : ρέπειν SR 19,13 άφυέσ PPi : άφυέστατον SR Libro II 28, 24 κοιλότητοσ PPi : κοιλότητεσ SR 31, 26 κατακεκλιμένων PPi : κεκλιμένων SR 33, 21 έφ' δ PPi : έφ' ω SR 33, 24 ε’ίπησ PP2 : εΐποισ SR 36, 2 οί ΡΡ2 : om. SR È inoltre possibile, come sembra potersi rilevare da due passi, che P2 conoscesse anche Oribasio (cfr. 14, 22-23 έργόν έστι έκούσιον e 17, 25 εκτείνονται, dove solo Oribasio e P2 hanno la lezione corretta). 4. Tradizione del testo. B) Tradizione indiretta: Oribasio

Oribasio di Pergamo,37 vissuto nel IV sec., fu medico personale dell·imperatore Giuliano, che seguì fino alla morte (363). Tra i suoi scritti ci è pervenuto un terzo circa delle collectiones medicae, composte per invito dell·imperatore stesso, al cui in­ terno si tramandano estratti di testi (tra i quali alcuni a noi altrimenti sconosciuti), da numerosi autori medici. Raeder 1933 inserisce nel quarto volume della sua edi­ zione i cosiddetti libri incerti, tra cui trovano posto anche estratti dal de motu (pp. 171180). Il testo di questi estratti è stato stabilito dall'editore sulla base dell'unico codice Parisinus Graecus 2237 (XIV sec.) e giovandosi dell'edizione di Bussemaker-Daremberg, III, Paris 1858. Dalla nostra opera Oribasio (Or) estrasse, con varie omissioni, i capp. 1-9 del primo libro e i capp. 1, 7 e 8 del secondo. In diversi passi il testo di Oribasio presenta lezioni preferibili a quelle della tradizione manoscritta e ho quindi ritenuto di ac­ coglierlo nell'edizione: 1,14 σκέλοσ Or : σκέλη P τα σκέλη SRLP2 3, 25 μετήν Or : μέτεστι codd. 9, 5-6 ού μην ένεργούσιν άμφότεροκ το γάρ ένεργέίν ήγεΐσθαι Or : το δ’ ένερ37 Per Oribasio si veda Η. O. Schroder, in RE Suppi. VII, pp. 797 sgg.; De Lucia 2006.

INTRODUZIONE

XXVII

γείν τείνεεθαι codd. ii, 14-15 συνέρχεσθαι Or : συνέλκεσθαι codd. 40,10 πλευράο Or : άναπνοάο PS 40,10 δντα Or : om. PS

Oribasio conferma in più punti il testo tràdito dai codici della famiglia B. Sembra, in particolare, che S ne sia a conoscenza, in quanto, in alcuni casi, è Γunico di tutta la tradizione diretta a riportare la sua lezione corretta, mentre almeno in tre casi sembra concordare con esso in errore. Lezioni corrette dei soli S e Oribasio: Libro I

1, 5 μύσ SOr : póvoc PLRP2 4, 23 πάλιν SOr : και πάλιν PRP2 5,15 επ' SOr : έν PP2 om. R 14, 23 ούκ SOr : ούτ' PRP2 20, 25 επιτήδειον SOr : επιτήδειον Ρ (ut uid.) RP2

Libro II 26,15 ό έτεροσ μύσ SOr : οί έτεροι μύεο PRP2 37,19 ιθύ τε SOr : τε om. P (RP2 mancano in questa parte come nei due passi suc­ cessivi) 39, 24 τροφήσ SOr : φύοεωο P 40,1 αρχήν SOr : ράχιν P Errori congiuntivi di S e il manoscritto di Oribasio:

3,17 άρτηρία καί φλέψ φυσικά SOr : δι' άρτηρίαν καί φλέβα φυσικόν recte cett. 20, 20 οΐον om. SOr

Va da sé che quando le lezioni del solo S sono confermate da Oribasio, tutto il resto della tradizione concorda in errore e ciò parrebbe in contrasto con lo stemma pro­ posto. L’ipotesi più plausibile per sfuggire a questa aporia è pensare che S contamini da Oribasio, come pare potersi desumere, con una certa sicurezza, per lo meno dall·errore congiuntivo di 3,17 proposto più sopra, e come è confermato per altre opere di Galeno.38 5. Le edizioni a stampa39 A) L’ Aldina. La copia di stampa dell·editio princeps aldina del de mota, pubblicata a 38 In qualche caso la tradizione manoscritta del de motu consente di emendare il testo di Oribasio stabilito da Raeder: 4,10 = ότε Or (privo di senso) va corretto in ότι (codd.); 6, 2 πλείοτα Or va cor­ retto in πάντα (codd.). 39 Sull'argomento cfr. la trattazione più approfondita in Rosa 1999.

XXVIII

DE MOTV MVSCVLORVM

Venezia negli Opera omnia di Galeno nel 1525 per le cure di Andreas Asulanus, è il ms. Pi. In esso vi sono infatti evidenti segni a penna che dividono il testo e una nu­ merazione a margine delle sezioni così ottenute corrispondente ai fogli dell·Aldina (voi. I, ff. 101-108).40 Pi concorda inoltre ripetutamente in errore con ΓAldina stessa.41 Non c’è dubbio dunque che Pi sia copia di stampa; ma non fu questo Tunico ms. utilizzato dagli editori aldini per il de motu: almeno altri due concorsero all·ap­ prontamento dell1 editio princeps e Pi fornisce in tal senso interessanti indizi sul me­ todo di lavoro seguito dai curatori di questa edizione. Come si è visto più sopra nelle pp. 9ir~97v e io4r-nor del codice, infatti, compare la mano di un correttore che interviene sul testo con emendamenti, aggiunte, modifiche. Per buona parte del trattato (fino a 36,16 = 4, 448, 3 K) questi interventi introducono in Pi lezioni pro­ venienti dalla famiglia B. Ciò è lampante nel caso di singole parole o brevi espres­ sioni omesse dalla famiglia A e che la seconda mano non poteva certo e sempre inserire per congettura autonoma. Esse provengono, anche se non sistematicamente, dalla famiglia B e confluiscono pressoché sempre nell·Aldina.42 È più che probabile che questa seconda mano, verosimilmente la mano degli editori aldini, si sia servita, per tali integrazioni ed emendamenti al testo di Pi, del codice Mi, anche se non abbiamo in merito riscontri testuali cogenti. È in ogni caso noto che questo ms., come pure M dell'altra famiglia, fu impiegato dalTequipe dellOpizzoni per approntare gli Opera omnia di Galeno43 e che gli editori aldini, di norma, non si allontanavano molto dalla città lagunare nella ricerca di mss. utili ai loro scopi.44 Sapendo inoltre che Pi appartenne uno dei collaboratori dellOpizzoni, Γinglese J. Clement,45 è ipotizzabile che egli, o uno dei suoi colleghi, abbia coliazionato Pi con Mi, ovviamente fino al punto in cui questo si interrompe. Altro problema è invece capire da dove provengano le correzioni che la seconda mano apporta all'ultima parte di Pi (36, 30-43,10 = 4, 449, 6-464 K). Esse non pos­ sono ovviamente avere origine dai codici della famiglia B, tutti già mutili, eccezion fatta per S, che pare però del tutto ignoto ai nostri editori. Queste correzioni coin­ 40 Questa la corrispondenza tra i segni divisorii e la numerazione delle pagine dell'Aldina: A (2) p. ioiv = Pi p. 92η 17; A (3) p. io2r = Pi p. 93Y 4; A (4) p. 102V = Pi p. 94V, 7; A (5) p. 1031 = Pi p. 96η15; A (6) p. 1O3V = Pi p. 97v, 4 (non c'è il segno divisorio, ma il numero arabo 6); A (7) p. 104" = Pi p. 98r 25; A (8) p. io4v = Pi p. ioor, 14 (non c'è il segno divisorio, ma il numero arabo 8); A (9) p. i05r = Pi p. ioiv, 3 (non c'è il segno divisorio, ma il numero arabo 9); A (10) p. 105v = Pi p. io2v, 16 (il segno divisorio è 12 linee più sotto rispetto al punto in cui inizia la nuova pagina dell·Aldina); A (11) p. io6r = Pi p. 1O3V, 33; A (12) p. io6v = Pi p. io5r, 16; A (13) p. io7r = Pip. io6v, 1; A (14) p. 1O7V = Pi p. 1O7V, 20; A (15) p. io8r = Pi p. io9v, 7. 41 Esempi di concordanza in errore tra Pie Aldina: libro 110, 22 κατάμπεοθαι per κάμπτεοθαι, io, 24 ó om., 11,17 τοίνυν per τείνειν, 12,11 άναοπάτο per άντεοπάτο, 20, 6 τινών per τίνων, libro II 39, 29έτερον per στερνόν, 41,15 φύοειεν per φήοειεν. 42 Alcuni casi in cui Pi2 utilizza la famiglia B per supplire alle lacune di Pi solo o di Pi e suoi ante­ nati: 2, 14 μυοίν om. MPi; 2,18 θλώμενον om. PMPi; 4, 10-11 ού γάρ έοτι νεύρον μόνον om. ΜΡι; 5,19-20 καί πλοκή om. ΡΜΡι; 31, 7 οχημάτων om. ΡΜΡι; 31, 9 έχουοιν άπανταο om. Pi; 35, 8 τήο ψυχήο om. ΡΜΡι. 43 Nutton 1987, p. 41. 44 Ivi, p. 40. 45 Ivi, p. 58.

INTRODUZIONE

XXIX

cidono pressoché sempre con le lezioni di P e del suo apografo M e per lo più emen­ dano errori autonomi di Pi,46 confluendo anch’esse nell·Aldina. Non disponendo anche in questo caso di elementi testuali cogenti, che permettano di escludere come fonte ο P ο M, è probabile che questa fonte sia M, soprattutto perché, come detto, questo codice era ben noto airéquipe guidata dall'Opizzoni. Naturalmente è poi possibile che tanto nella prima che nella seconda parte dell·opera Clement, o chi per lui, abbia consultato la traduzione latina del trattato, realizzata da Nicolò Leoniceno ed edita a Londra nel 1522, tre anni prima dell·editio princeps greca, ver­ sione nota agli umanisti e da loro utilizzata. Per ΓAldina concorsero dunque tre mss. Pi, Mi e M. In questa edizione gli interventi sul testo sono rari e, quasi sempre, sono dovuti alla collazione di Pi con Mi.47 Gli emendamenti autonomi di un qualche rilievo sono pochissimi e non sempre felici.48 In altri casi non sono emendati errori banali e spesso autonomi di Pi o si stampano lezioni faciliores.49 Domina la tecnica di una acritica conflatio, come si evince da esempi lampanti che dimostrano, nell·editore aldino, la consuetudine a combinare tra loro le lezioni delle due famiglie, piutto­ sto che di scegliere la migliore.50 B) La Basileense. L'Aldina sollevò non poche perplessità e critiche tra gli umanisti del Cinquecento, al di là dell'ammirazione e del rispetto suscitati dal colossale im­ pegno profuso in così importante impresa editoriale. Appena tredici anni dopo (1538), dunque, uscì a Basilea una nuova edizione di tutto Galeno, affidata alle cure di Andreas Cratander, coadiuvato da una nuova équipe di studiosi: Léonard Fuchs, Hieronymus Gemusaeus e Joachim Camerarius. Questa edizione tuttavia viene generalmente considerata come una mera ristampa della precedente Aldina e que­ sto è vero anche per il de motu, compreso nel voi. I alle pp. 553-567. Gli interventi degli editori sono infatti minimi: si contano appena una decina di emendamenti, quasi tutti ope ingenii o più verosimilmente realizzati con l’ausilio della traduzione latina di Leoniceno, di cui fu probabilmente utilizzata una revi­ sione successiva alla prima edizione del 1522. In un solo passo c'è l'integrazione di un verbo (13, 27) senza cui la frase resta priva di senso (così l'aveva lasciata l'Aldina), in un caso si interviene sulla punteggiatura (16, 16), in un solo altro, infine, si in­ contra una crux nel testo accanto alla forma έλκύσαι, emendata a margine dal cor­ retto έκλύοαι (14, 24). 46 Alcuni errori autonomi di Pi emendati dalla seconda mano, probabilmente sulla base di M: 37, 3 τοίνυν per τείνειν, 37, n-i2 κακοΐο om. Pi, 37, 23 άλλοο per άλλωο, 38,12 καρπού per καρ­ πόν (ma in questo caso la correzione non passa all·Aldina), 40, 7 01 om. Pi, 42, 28 K μόνοι om. Pi. 47 Esemplare in tal senso è 6, 4, dove a fronte di un insensato έξήποτε di Pi (corruzione da έξέπλωται dell' antigrafo) l'editore aldino ricorre a Mi e introduce il suo corretto ποτέτακται nel testo. 48 Cfr. 13, 27, dove in presenza di un dubbio επ' έγκράτειαν di Pi l'editore emenda in έν πραγματίω, ignorando il corretto έν παγκρατίω, pur presente nella famiglia B, ma forse non compreso, e lascia poi la frase in sospeso e priva di senso. 49 Cfr. 36, 5 κωλύετε per κωλύεται, 39, 27 έκθλίβοιτ' dv per έκθλίβει τάν, 42,19 τα μόρια per μόρι' άττα. 50 Così, ad esempio, a 19, 111'Aldina presenta l'espressione έγώ μέν γάρ ούδ' έπινοώ εύρειν, fon­ dendo έγώ μέν γάρ ούχ έπινοούν έχω εύρειν di Pi e έγώ μέν γάρ ούδ' έπινοώ della famiglia Β, lezione corretta.

XXX

DE MOTV MVSCVLORVM

C) L'edizione di Caius. Di poco posteriore alla Basileense è Indizione del de m. m. di John Key (Caius), che vide la luce, sempre a Basilea, nel 1544, insieme ad altri trattati galenici.51 Per il de motu Indizione segna una svolta nella storia del testo, sebbene in genere per molte delle sue congetture Caius dipenda dalle note margi­ nali di Agostino Ricci al Galeno latino, pubblicato a Venezia tra il 1541 e il 1545.52 Questa svolta è rimasta purtroppo del tutto ignorata fino ad oggi, dato che Γedi­ zione corrente del de motu, quella di Kuhn (1822), non si basa su Caius ma sul suc­ cessivo Chartier, che a sua volta riprende sostanzialmente la Basileense. Nello stemma delle edizioni del de motu insomma, come per altre opere di Galeno, Caius resta in una posizione esterna alla principale linea di trasmissione del testo, pur avendo approntato un'edizione nettamente migliore delle precedenti e delle suc­ cessive. Ciò avviene probabilmente perché, a differenza di Aldina, Basileense, Char­ tier e Kiihn, Caius non arrivò a pubblicare tutto Galeno, ma solo alcune delle sue opere. Grazie alle note esplicative che arricchiscono i suoi lavori, possiamo ricostruire con una certa sicurezza i codici di cui Caius si servì per stabilire il testo di Galeno. Per il de motu abbiamo trenta annotazioni di varia lunghezza e natura (pp. 83-90), da cui possiamo evincere che utilizzò certamente un ms. della famiglia A, proba­ bilmente M, ripetutamente citato e definito antiquus, vetustus, vetus (cfr. pp. 85, 87).53 Oltre a M Caius mostra di conoscere anche un codice dell'altra famiglia, visto che cita ripetutamente e discute le lezioni divergenti che essa reca. Si tratta con ogni probabilità di Mi, perché, almeno in un caso (3,1), è l'unico a presentare la variante edita e discussa da Caius e questo è un ms. che l'erudito inglese certamente studiò durante i soggiorni veneziani.54 È possibile tuttavia che egli abbia consultato e col­ lazionato altri codici ancora.55 A p. 84, infatti, attribuisce ad un ms. una variante (ταύτα in luogo di ταύτηο = cfr. apparato 9, 20) assente nella tradizione superstite e ancora Nutton 1987, 54 ci informa che egli potè visionare a Padova, per conces­ sione di Lazzaro Bonamico, un codice contenente le A.A. e il de motu, trattati per i quali, tuttavia, sempre secondo Nutton, non c’è traccia di varianti registrate nei margini delle edizioni di sua proprietà conservate a Eton e Cambridge. Caius con­ sulta inoltre costantemente anche la traduzione di Leoniceno, confrontandola con i codici da lui esaminati e notandone le divergenze. Di Leoniceno ha stima, come 51 Nutton 1987, p. 42. 52 Galenus. Libri aliquot Graeci partim hactenus non visi... integritati suae restituti per Iohannem Caium Britannicum, Basileae 1544. Fra questi il deplac. Hipp. et Piat., le A.A. e un brano di UP omesso dal?Al­ dina. Sull'opera di questo medico e umanista anglosassone inglese cfr. Nutton 1987. 53 Cfr. Nutton 1987, pp. 87-88. Nel caso del de motu il contributo di Ricci (Galeni Operum omnium sectio prima, Venetiis 1541, pp. 489-535) pare tuttavia piuttosto limitato: si tratta di una dozzina di note marginali relative prevalentemente ad errori delle edizioni a stampa precedenti, che solo in un passo (38,10) credo Caius abbia utilizzato per integrare il testo. 54 Sappiamo che già per altri trattati Caius si era servito di questo codice (cfr. Garofalo 1986, XII; Nutton 1987, 51), ma qui l'identificazione è resa molto probabile per un preciso riferimento (p. 83 = 7, 29) ad un avverbio (άληθώο) in unius codici vetusti margine, di cui attribuisce la paternità non allo scriba del codice, ma all'azione legentis cuiuspiam. Lunico ms. superstite che reca questa nota margi­ nale è proprio M. 55 Cfr. Nutton 1987, p. 52.

INTRODUZIONE

XXXI

si evince da una nota (p. 87) in cui osserva: codex quo Leonicenus usus est hic multo cor­ ruptissimus erat. Nam corruptissime transtulit vir ille doctissimus, quod alioqui non fecis­ set.56 Non pochi sono gli interventi che Caius opera sui testo a stampa di Aldina e Ba­ sileense sia ope codicum, sia ope ingenii, sia consultando la traduzione di Leoniceno e le note di Ricci e ciò fa sì che la sua edizione sia migliore delle precedenti, in quanto ripulita da tutta una serie di errori banali, dovuti spesso al copista di Pi, fonte principale dell·Aldina.57 Pienamente condivisibili paiono in tal senso, anche dopo aver realizzato la completa collazione della tradizione superstite, molte delle sue correzioni. Non meno interessanti, anche se non tutti accettabili paiono altri interventi testuali, per lo più integrazioni necessarie alla comprensione di alcuni brani, che dimostrano in Caius la conoscenza della materia di cui si sta occupando (un fatto in realtà del tutto comprensibile, dato che si trattava pur sempre di un medico) non meno che dell·autore.58 Di un certo rilievo, per la modernità della concezione, è anche il ricorso allo studio dell’usus scribendi per la costituzione del testo e la scelta delle varianti, e Γabbondante richiamo a passi paralleli galenici e ip­ pocratici.59 D) L'edizione di Chartier. Pubblicata a Parigi nel 1639 (ma diffusa nel 1679) Fedizione del medico personale di Luigi XIII presenta assai poche novità rispetto ai ri­ sultati raggiunti da Caius. Per il de motu Chartier lo utilizza in modo alquanto sporadico, a differenza di quanto fa per le AA contenute nello stesso V volume della sua edizione, limitandosi a riprodurre pressoché sistematicamente il testo della Ba­ sileense. Anche per il de motu Funico elemento innovativo è in realtà la suddivi­ 56 È di grande interesse, in questo senso, il caso di un intero passo che Caius potrebbe aver rico­ struito in greco proprio sulla base di Leoniceno. Esso si trova nella parte conclusiva dell'opera (38,1113 K) e manca in Aldina e Basileense che dipendono, come visto, da Pi. Il passo manca anche nel suo antigrafo M, noto a Caius, probabilmente perché in P, capostipite di questa famiglia, è segnato a mar­ gine da una crux. Anche in questo caso ci si potrebbe chiedere se Caius abbia coliazionato P, ma ciò non appare probabile per due motivi: 1) perché se ne avesse conosciuto la lezione di P non avrebbe avuto motivi per emendarla; 2) perché a fronte di un passo segnato da crux avrebbe avuto ottime ra­ gioni per discuterlo in nota e, eventualmente, rendere lì conto delle sue correzioni. Tutta la famiglia B non può essere d'aiuto perché è mutila del finale, ad eccezione di S, che però Caius non mostra mai di conoscere. Resta dunque una doppia ipotesi: o Caius ha coliazionato un codice per noi perduto, oppure, come penso più verosimile, ha ricostruito questa frase sulla base della traduzione latina di Leoniceno: τήν μέν γάρ ράχιν επιπλέον κυρτήν ή καμπύλην δυνάμεθα ποιεΐν. τόν καρπόν δ' άνακάμπτομεν καί κάμπτομεν ’tccoc πράο έκάτερον μέροσ ευθύ (Caius); spinam enim plus curvam aut flexam fa­ cere possumus. Brachiale autem reflectimus etflectimus aeque ad utramque partem recti (Leonicenus); τήν μέν γάρ ράχιν έπιπλέον κυρτήν ή λορδήν ποιεΐν δυνάμεθα τον καρπόν δ'ανακλώμεν τε καί κάμπτομεν ’icov έφ' έκάτερα τού κατ' εύθύ PS (S con errori banali). 57 Così sviste evidenti come βάθει per βάρει (ιμ, 25) ο νεύρον per νεύον (19,13) ο ancora τόπουο per τύπουο (35, 9), passate impunemente fino a Kiihn, e addirittura giunte fino al LSJ, come nel caso del­ l'inesistente hapax άγκώνιον (38, io, corruzione da έγγώνιον) sono corrette da Caius, ma ricompaiono nelle edizioni successive, che lo ignorano pressoché del tutto. 58 Così è, ad esempio, per Lespunzione di μύντμηθέντα a 20, 8, nesso assente in tutta la famiglia B e probabile glossa nella famiglia A. Analogamente è del tutto condivisibile la scelta del testo della famiglia B a 20, 31-32, dopo aver emendato il testo, frutto di conflatio, dell·Aldina. 59 Così, ad esempio, egli propone di leggere ουγκύοει a 5, 26, laddove il testo della famiglia A è cor­ rotto e quello della famiglia B reca un banalizzante συμφύοοει. Altrove (41, 19) integra parte di un ti­ tolo galenico (περί χρείαο