De ira

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LUCIO ANNEO SENECA

DE

l RA

LUCIO ANNEO SENECA

IRA

DE

Introduzione, versione e nole di

IRMA

de

PASQUALE BARINI

CARLO SIGNORELLI * * * * * * * * * *

• !.DITORI! - MILANO Via lalluada, 7 - Via Bolla, 16

PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

Caoa

Editrice CARLO SIGNORELLI S.p.A. - MILANO - 1963-

Bre99o (Mtlano) - Tip. ABC - Via G. Verdi, 17 Rl.,ompo Identico allo precedente P.tnted In lloly

INTRODUZIONE

Cenni sulla vita e sulle opere di Lucio Anneo Seneca.

Lucio Anneo Seneca, detto " il Filosofo " per distinguerlo dal padre Anneo Seneca " il Retore ", nacque a Cordova qualche anno prima dell'era volgare, verso il 4 a. C. Adolescente fu condotto a Roma, ove seguì, con tutto l'entusiasmo della sua natura portata alla grandezza morale, gli insegnamenti dello stoico Attalo e del pitagorico Sozione. L'ingegno e la naturale facondia, oltre che le relazioni familiari, g)i aprirono ben presto la via ai pubblici onori. Ottenne la questura. Nel 39 d. C. una bella orazione pronunziata in Senato gli attirò l'odio di Caligola, che gli risparmiò la morte solo in considerazione della sua salute malandata, che non l'avrebbe fatto vivere a lungo... Meno fortunato fu sotto Oaudio, quando, nel 41 d. C., coinvolto nella rovina della bellissima Giulia Livilla, sorella di Caligola, ad istigazione di Messalina, fu relegato in Corsica. Il duro esilio in quell'isola allora sterile e barbara durò otto lunghi anni. Ma, uccisa Messalina, nel 49 d. C. la nuova imperatrice Agrippina lo fece ri­ chiamare in patria. Seneca ottenne, allora, la carica di pretore ed insieme una mis­ sione ben più ardua, quella di educare il giovane Domizio, figlio di Agrippina, divenuto, per adozione, Claudio Nerone, al quale la mo­ struosa ambizione materna preparava la successione all'Impero. Nell'anno 54 d.C. moriva, come sembra, di veleno Claudio; e Nerone, calpestando i diritti di Britannico, il legittimo erede, saliva al trono. Così Seneca da maestro divenne consigliere imperiale ed insieme con Burro, prefetto del pretorio, fu per molti anni moderatore della

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INTRODUZIONE

politica di Roma, finché Nerone, ormai intollerante, non volle libe­ rarsi d1 OR'nl ingombro alla sua diabolica volontà di male. Seneca presenti il pericolo e nel 62 d. C., alla morte di Burro, prudentemente si ritirò a vita privata. Ma ciò non valse a salvarlo dall'odio, che in Nerone attizzava la perfidia del nuovo prefetto del pretorio, Sofonio Tigellino. Viveva tutto mtento al suoi studi quando, implicato nella congiura dei Pisoni, fu costretto a tagliarsi le vene: si offrì alla morte con animo forte e sereno di filosofo (65 d. C.). * * •

Copiosa è la produzione letteraria di Seneca, della quale solo una parte, e frammentaria, è a noi pervenuta. Sotto il nome d i Dialogorwn libri sono compresi i seguenti scritti di carattere filosofico-morale: " De Providentia ", " De Constantia Sapientis " , " De Ira ", " Con­ solatio ad Marciam ", "De Vrta Beo.ta ", "De Otro", " De Tran­ quillitate Animi", "De Brevitate Vitae " e,P, infine, le due " Conso­ lationes" a Polibio ed alla madre Elvia, composte durante l'esilio di Corsica. Altre sue op!!re sono la satira menippea mista di prosa e di poesia• . " Ludu• de morte Claudi(', il trattato "De Clementia" diret[c a Nerone imperatore, 1 sette iibri "De Beneficiis ", i venti libri ·• Ebistularwn moraiiwn ·' a Lucilio, al quale pure sono dedicati i libri " Naturalium quaestronum ••. Infine sue sono le nove tragedie: Hercules /urens, Troades, Phoenissae, Medeo., Phaedra, Oedipus, Agamennon, Thiestes, Hercules Oetaeus, mentre la decima " Octavia " è di un ignoto poeta posteriore che, tutto preso dalla grandezza di Seneca, lo fa rivivere sulla scena. * * *

Il De lra dedicato al fratello maggiore L. Anneo Novato, quando questi non aveva ancora preso per adozione il nome d.i Gallione, è una delle prime opere di Seneca; fu probabilmente scritta subito dopo la morte di Caligola, che vi appare rappresentato con i più foschi colori. Seneca vi rielabora un copioso materiale da lui in precedeiiZII raccolto intorno all'ira; e, colorendo la materia di quella sua prosa

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smagliante, di quel suo stile vivo, nervoso, incisivo, con quella sua particolare maniera di narrare, varia di aneddoti e di osservaziom originali, riesce a comporre un vero ed attraente trattato di psicologia e di morale. I tre libri, di proporzioni diverse, fra di l oro si integrano, ed in più punti approfondiscono, o del tutto ripetono, i medesimi con­ cetti, sicché alcuni dotti considerano il terzo hbro, tanto più lungo dei precedenh (43 capitoli rispetto a 21 del primo e 36 del secondo), come un trattato distinto od un rifacimento ampliato del II libro. I libri, ad ogni modo, rivelano un'arte non ancora compiuta, che lascia trasparire qua e là la traccia di esercitazioni retoriche; dal lato filosofico, poi, risentono tutta l'efficacia dell'insegnamento del Neo­ stoicismo pervaso di Pitagori-:ismo, di cui Sestio, Attalo, Sezione furono in Roma maestri al gi ovane Seneca. Sfrondato d1 quanto ha di prolisso e di ridondante, 1l trattato in sostanza approfondisce le ongini, la natura e le conseguenze del­ l'ira, " affetto " che, cons1derato secondo la dottrina stoica, in oppo­ sizione a teorie peripatetiche, è un male morale e sociale, il solo comune a tutti gli uomini ed a tutti i popoli, da esllrparsi radical­ mente. Il II libro sviluppa anche la parte terapeutica, prescrivendo come s1 possa prevenire o curare l'ira in sé, e presso gli altn placarla, ed enuncia teorie, che sono riprese nel I II libro. Tutta l'opera è ispirata ad un concetto fondamentale di grande altezza morale, che addolcisce la rigida concezione stoica, pervaden­ dola di un caldo sensc di umanità: non l'odio deve lacerare il ge­ nere umano; ma un vincolo di simpalla, un sentirei solidali, pure attraverso tanti errori e tante occasiom di male, deve tenerci uniti in questa breve ed angosciosa corsa terrena che si annulla nei silenzi infiniti dell'eternità.

RoTTUI, 6 dicembre 1950.

IRMA de PASQUALE BARINI

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I R. A

LmRo PRIMO Introduzione: segni esteriori e caratteristiche dell'ira (cap. l-II). - Definizione deU'ira, affetto '[JTO'[!Tio ed esclusivo

dell' uomo (ca p. ll-ill), diversa ooll'iracondia (cap. IV),

conforme aUa natura umana (cap. V-VI). Netta confu­ tazwne della teoria peripatetica propugnatrfce di un'ira moderata (cap. VII-XXI).

non

CAP, l. - I. Tu mi ha1 chiesto, o Novato,l di scrivere in qual modo si possa placare l'ira e mi sembra che non a torto tu abbia spavento in ispecie di questa passione, che fra tutte è la più trista e rabbiosa. Nelle altre, infatti, v'è· qualcosa di pacato e di sereno; questa, invece, è tutta concitazione e smania di dolore; furiosa di una brama disumana di armi, di sangue e di supplizi, non curante di se stessa pur di nuocere ad altri, si scaglia sulle sue stesse armi, cupida di una vendetta che trascinerà seco il vendicatore. 2. Perciò alcuni tra i Sapienti definirono l'ira una pazzia di breve durata, cd in realtà è nello stesso tempo incapace di dominarsi, dimentica del decoro, immemore dei vin­ coli familiari, accanita ed ostinata. nel suo intento, chiusa

l. I.. Anneo Novato, fratello mngglore dJ Seneca, che gli dedicò pure i suo1 scritti • De vita bea ta • e • De rcmedils fortultorum •. È noto anche con il nome di Galllone che assunse dopo che fu adottato da lunius Gallio.

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ai consigli della ragione, agitata da vane cause, inabile a. discernere il giusto ed il vero, del tutto simile alle rovine che s'infrangono su ciò che schiacciano.

3. Per convincerti, poi, che non sono sani coloro che l'ira possiede, osserva il loro stesso aspetto; infatti come dei pazzi indizi certi sono lo sguardo audace e minac­ cioso, la fronte corrugata, l'espressione torva, il passo concitato, le mani irrequiete, il colorito mutevole, il re­ spiro frequente ed affannoso, uguali sono i caratteri degli irati: 4. gli occhi sono accesi e fiammeggiano, un vivo rossore si diffonde su tutto il viso per il sangue che af­ fluisce ribollendo dal profondo del cuore, le labbra tre­ ml1no, i denti si serrano, i capelli diventano ispidi e si rizzano, il respiro è forzato ed affannoso, scricchiolano, torcendosi, le articolazioni, risuonano gemiti e muggiti ed un parlare rotto con parole incomprensibili, le mani battono tra loro con più frequenza e la terra è percorsa coi piedi, tutto il corpo è in eccitazione (mentre lancia. grandi minacce rabbiose); sconcio a vedersi ed orribile è l'aspetto di coloro che cosi si deformano e si gonfiano. 5. Non sapresti dire se questo vizio è più detestabile o ll1ido. Le altre passioni, infatti, si possono tener na­ scoste ed in segreto alimentare; l'ira prorompe e si rivela sul volto, e quanto più è grande questa passione tanto più manifestamente trabocca. Non vedi come segni carat­ teristici si mostrino in precedenza in tutti gli anim11li, quando insorgono per nuocere, e come tutto il loro corpo abbandoni l'aspetto solito e tranquillo ed esasperi la sua ferocia? 6. Ai cinghiali la bocca spurneggiu.; si aguzzano i denti con l'attrito; i tori dànno cornate nel vuoto e per i colpi degli zoccoli si solleva un nugolo di sabbia; fremol}O i leoni, si gonfia il collo ai serpenti irritati, brutto è l'aspetto delle cagne rabbiose: non c'è animale cosi orribile e cosi pernicioso per sua natura, nel quale non appaia, appena è in preda dell'ira,

un

accesso di nuova ferocia.

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Il

7. So bene che anche altre passioni si possono difficil­ mente nascondere e che la libidine, la paura e l'audacia hanno i loro segni precursori e si possono presentire; non vi è, infatti, nessuna agitazione intima piuttosto violenta, che non turbi per nulla l'espressione del nostro volto. Qual'è, dunque, la diff erenza? Questa: che gli altri affetti si manifestano, l'ira si palesa spiccatamente. CAP. II. - l. Se, ora, vuoi considerare i suoi effetti ed i suoi danni, sappi che nessun flagello costò di più al genere umano. Vedrai stragi, avvelenamenti, la ver­ gogna delle accuse reciproche, la rovina delle città, la. distruzione di interi popoli, le persone dei principi ven­ dute all'asta, e fiaccole sottoposte alle case, e fuochi non circoscritti entro le mura, ma ampie regioni risplendenti per la fiamma nemica. 2. Guarda le fondamenta appena visibili di nobilissime città: queste l'ira distrusse; guarda le lande sconfinate per molte miglia prive di abitanti: queste l'ira vuotò; ripensa ai comandanti ricordati come esempio di triste destino: chi l'ira trafisse nel suo letto, chi abbatté tra i sacri diritti della mensa, chi fece a pezzi nel tempio della legge o sotto gli occhi della folla radunata nel foro; al padre l'ira fece versare il proprio sangue per opera del figlio parricida, al re squarciare la gola per mano servile, ad altri fece spaccare le membra sulla croce. 3. E sinora parlo di supplizi di singoli; che cosa, se tu volessi, lasciati da parte coloro nei quali isolatamente l'ira divampò, ripensare alle assemblee distrutte dalla spada, al popolo ucciso dalla soldataglia scatenatasi contro, a tutti i popoli condannati a morte in una comune scia­ gura... 4. . .. come se abbandonassero la cura di noi o disprez­ zassero l'autorità. E che? Per quale ragione il popolo si irrita con i gladiatori, e cosi ingiustamente da consi-

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derare offesa il fatto che non muoiono volentieri? Crede di essere disprezzato, e con l'espressione del suo volto, con il suo gestire, con il suo ardore, si trasforma da spet­ tatore in avversario. 5. Qualunque cosa sia, siffatto sentimento non è ira, ma quasi ira, come quella dei fanciulli che, se sono caduti, vogliono che si picchi la terra e spesso non sanno neppure con chi prendersela, ma soltanto si adirano, senza una ragione o un'offesa, ma non senza una certa parvenza di offesa ed un certo desiderio di punizione. Perciò sono ingannati dalla simulazione delle percosse e sono amman­ siti dalle finte lacrime di chi li prega, sicchè il falso dolore è lenito dalla falsa vendetta. CAP. III. - l. " Ci adiriamo spesso », si dirà, "non contro quelli che ci hanno fatto del male, ma con quelli che stanno per farcelo. Vedi, dunque, che l'ira non ha origine nell'offesa ». È vero che noi ci adiriamo con coloro che stanno per offenderei, ma essi con l'intenzione stessa ci offendono, e colui che sta per arrecarci un torto già ce lo fa. 2. "Perché tu ti convinca » si obietterà " che l'ira non è brama di punizione, pensa che i più deboli spesso si adirano contro i più potenti e non anelano ad una puni­ zione che non sperano di dare ». Innanzi tutto abbiamo detto che vi è il desiderio di esigere una punizione e non la facoltà, infatti gli uomini desiderano anche ciò che non possono ottenere. Inoltre nessuno è cosi in basso da non poter sperare la punizione di un uomo sia pure in posizione elevatissima: per nuo­ cere siamo tutti potenti. 3. La definizione di Aristotele l non si .distacca molto l. TI celebre lllosofo greco nato a Staglra, In Macedonia, nel 384 e morto a Cnlri No. Infatti non mi adiro con me stesso, quando mi cavo il sangue. Applico ogni specie di pena come un rimedio. 2. « Tu ancora ti aggiri nella prima parte degli errori e sbagli non gravemente, ma con frequenza: un rimpro­ vero dapprima segreto, poi pubblico, tenterà di emendarti; tu ormai sei andato troppo oltre da. poter esser guarito con le parole: sarai tenuto a freno dal marchio dell'in­ famia; contro di te bisogna applicare una sanzione più forte e che tu senta: sarai mandato in esilio e in luoghi ignoti; una nequizia ormai radicata in te esige rimedi più duri: ai adoperino allora le catene pubbliche e il carcere; 3. hai un'indole inguaribile che intreccia i delitti ai de­ litti, e non sei più spinto da ragioni, che non mancheranno mai al malvagio, ma per te è causa sufficiente per peccare il peccare, hai bevuto fino in fondo la perfidia e l'hai così. mescolata alle tue viscere che non può venirne fuori se non con esse stesse, e da tempo infelice chiedi di morire: saremo benemeriti di te, ti porteremo via questo furore per il quale tu tormenti e sei tormentato, e a te che ti dibatti tra i tuoi e gli altrui supplizi daremo subito l'unico bene che ti rimane, la morte >>. Perché dovrei adirarmi con colui al quale soprattutto giovo ? Qualche volta uccidere è la forma migliore di misericordia.. 4. Se io, medico pratico e sapiente, entrassi in un ospe­ dale o nella casa di un ricco, non ordinerei lo stesso far-

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maco agli infermi di diversi mali. In tanti animi vedo vizi varii e sono stato adibito alla cura della cittadinanza; per ciascuna malattia si cerchi la medicina adatta: questo guarisca la vergogna, questo l'esilio, questo il dolore, questo la povertà, questo il ferro. 5. Pertanto, anche se io, magistrato, debbo indossare la toga scura e bisogna convocare a suon di tromba l'as­ semblea, avanzerò nel tribunale non furente ed ostile, ma con il volto della legge, e pronuncerò quelle solenni parole con una voce dolce e grave, piuttosto che rabbiosa, e comanderò l'esecuzione non con ira, ma con severità; e quando comanderò che sia tagliata la testa al colpevole, e quando farò cucire i parricidi nel sacco di cuoio, e quando rinvierò al supplizio militare, e quando farò precipitare dalla rupe Tarpea un traditore o un nemico pubblico, avrò, senza ira, quella espressione e quella disposizione d'animo, con cui colpisco i serpenti e gli animali velenosi. 6. "L'ira è necessaria per punire. » Che cosa? Ti sembra che la. legge si adiri contro coloro che non conosce, che non ha visto, che spera non esisteranno? Pertanto bisogna assumere l'animo della legge che non si irrita, ma delibera. Ché, se l'uomo dabbene deve adirarsi per le cattive azioni, dovrù. anche essere invidioso dei beni dei malvagi. Che cosa, infatti, è più indegno che prosperino e per di più approfittino dell'indulgenza della fortuna certuni per i quali non si potrebbe trovare nessuna sorte abbastanza cattiva? Ma vedrà senza rammarico il loro benessere, cosi come senza ira i loro delitti. Il buon giudice condanna ciò che deve essere dis::tpprovato, non odia. 7. "Che, dunque? Quando un sapiente avrà t-ra. le mani delitti di tal genere, il suo animo non sarà turbr.to e non sarà più commosso del solito? » Lo ammetto, sentirà. come una leggera e tenue emozione; infatti, come dice Zenone,l nell'animo pure dd sapiente, anche quando la ·-----

l. Filosofo (ll"eco del IV serolo rnn.latore della scuola stoica.

a. C.,

D!Lto

" C!zio nell'Isola

di

Cipro,

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ferita è risanata, rimane la cicatrice. Sentirà, pertanto, l'idea e l'ombra, per cosi dire, di questi affetti, ma da essi stessi sarà esente.

GAP. XVII. - I. Aristotele dice che alcune passioni, quando se ne faccia buon uso, sono come armi. II che sarebbe giusto se, come gli strumenti bellici, potessero essere prese e deposte secondo il volere di chi se ne ri­ veste. Queste armi, che Aristotele attribuisce alla virtù, combattono da sole, non aspettano la mano che le regga, tengono gli altri in loro potere, non sono tenute. 2. Non c'è bisogno di altri strumenti; la natura ci ha abbastanza muniti con la ragione. Ci ha dato quest'arma solida, eterna, docile, non a doppio taglio, né tale da poter volgersi contro il suo padrone. La ragione di per se stessa è sufficiente non soltanto a prevedere, ma anche ad agire; che v'è, infatti, di più stolto che questa chieda aiuto al­ l'iracondia, una forza salda ad una incerta, una fedele a una infida, una sana ad una malata? 3. Che si dirà, poi, se anche nelle azioni, nelle quali sembra necessaria soltanto l'opera dell'ira, la ragione è molto più forte di per se stessa? Infatti, quando ha giu­ dicato che si deve fare una cosa, vi persevera e non tro­ verà nulla di meglio di se stessa per cui debba mutarsi; sta perciò ferma alle sue delibemzioni una volta prese.

4. Spesso la misericordia ha fatto tornare indietro l'ira; questa, infatti, si fonda non su di una solida forza, ma su di un vano gonfiore, e si manifesta con inizi violenti, non altrimenti di alcuni venti che si sollevano dalla terra e, formati dall'evaporazione dei fiumi e delle paludi, sono veementi ma senza durata. 5. Comincia con grande impeto, poi viene meno, spos­ sata prima del tempo; ed essa, che non aveva meditato altro che crudeltà e nuovi generi di castighi, quand'è al momento di decidere è ormai fiaccata e debole. La pas­ sione ben presto cade, la ragione è sempre uguale.

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6. Del resto anche quando l'ira è perseverante, spesso, se sono parecchi quelli che meritano di perire, cessa di uccidere dopo la morte di due o tre. I primi suoi colpi sono acuti; cosi il veleno dei serpenti che strisciano fuori del covo è nocivo ; innocui, invece, sono i denti, quando sono stati vuotati dai frequenti morsi. 7. Perciò non soffrono uguali castighi coloro che hanno commesso le stesse colpe, e spesso chi è meno colpevole soffre di più, perché esposto ad ira più fresca. Ed in tutto essa è ineguale ; ora va oltre i limiti necessari, ora si ferma troppo al di qua del dovuto : indulge, infatti, a so stessa, e giudica a piacer suo, e non vuole ascoltare, e non lascia campo alla difesa, e tiene stretta la preda che ha afferrato, e non permette che le si strappi un suo giu­ dizio anche se iniquo. CAP. XVIII. - l. La ragione dà tempo a tutte e due le parti; chiede, poi, una dilazione anche per se stessa per aver tempo di indagare la verità : l'ira ha fretta. La ragione mira ad accertare ciò che è giusto ; l'ira vuole che sembri giusto ciò che ha giudicato. 2. La ragione non bada ad altro che alla questione da trattare ; l'ira è turbata da particolari vani e non attinenti alla causa. Un volto più sicuro, una voce più chiara, un linguaggio più libero, un'acconciatura più elegante, un lusso esagerato di difensori, il favore popolare la esaspe­ ran o ; spesso perché nemica al patrono, condanna l'accu­ sato ; anche se la verità salta agli occhi, ama e protegge il suo errore, non vuole essere confutata; quando ha male incominciato, le sembra più onesto perseverare che. rav­ vedersi. 3. Gnoo Pisone 1 fu, a nostro ricordo, un uomo privo di molti difetti, ma stravagante cd al qun.lo piaceva la rigil. Tilustre personaggio romano, governatore di Siria sotto Tibe­ rlo, costretto ad uccidersi, perché colpito dall'accuso. di aver avvele­ nato Germanico, flgllo di Druso.

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dezza in luogo della fermezza di carattere. Questi nell'ira ordinò di condurre alla pena capitale un soldato, che era. tornato dal rifornimento senza il commilitone, quasi che, non facendolo vedere al suo fianco, lo avesse ucciso. Né volle concedergli la dilazione che chiedeva per ricercare il compagno. Il condannato fu portato fuori della trincea. e già porgeva il collo alla scure, quando improvvisamente apparve colui che si credeva fosse stato ucciso. 4. Allora. il centurione preposto al supplizio comandò alla guardia. di rinfoderare la spada e ricondurre il condannato a Pi­ sone, per restituirgli la sua innocenza, giacché il fortu­ nato caso l'aveva restituita al soldato. I due commilitoni, l'uno nelle braccia dell'altro, in mezzo ad una gran folla, sono tratti avanti, nel tripudio generale di tutto il campo. Pisone, furente, sale sul tribunale e comanda che si por­ tino a morte l'uno e l'altro, sia quello che non aveva ucciso, sia quello che non era morto. 5. Quale cosa più indegna? Morivano due, perché uno era apparso innocente. Pisone aggiunse anche un terzo. Infatti comandò che si uccidesse anche il centurione, che aveva ricondotto il condannato. Nel medesimo luogo fu­ rono collocati tre destinati a morire per l'innocenza di uno solo. 6. Oh, com'è infaticabile l'ira a crearsi ragioni di furore ! « Oomando » disse « che tu sia ucciso perché sei stato con­ dannato, tu perché sei stato al compagno causa di con­ danna, tu perché, comandato di uccidere, non hai obbedito al comandante "· Trovò il modo di fare tre delitti, poiché non ne aveva scoperto nessuno. CIAP. XIX. l . L'ira ha, dico, questo di male: non vuole essere guidata, si irrita con la verità stessa, se si è mostrata contro la sua volontà ; perseguita coloro che ha preso di mira, con clamore e tumulto e con gesticolazioni di tutto il corpo, aggiungendovi ingiurie e maledizioni -

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2. Questo non fa lo. ra.gio:Je m · . . se ò necessario, silen­ ziosa e tranquilla, do.lle fond. ,meat:l distrugge case intere e manda in rovina le fa m iglie fu neste allo Stato con le mogli e i figli, abbatte perfino e rade al suolo le case, e cancella i nomi nemici alla libertà, e ciò non digrignando i denti, e non scuotendo il capo, e non facendo nulla di indecoroso per un giudice, il cui volto allora soprattutto deve essere sereno e imp�.ssibile, quando pronuncia gravi sentenze. 3. « Che bisogno c'è >> dice Ieronimo 1 « di morderti prima le labbra, quando vuoi bastonare qualcuno? » Che cosa avrebbe detto, se avesse visto saltar giù dal tribunale un proconsole, e strappare i fasci al littore, e lacerare le sue stesse vesti, perché troppo lentamente si laceravano quelle altrui? 4. Che bisogno c'è di rovesciare la mensa? Perché get­ tare a terra i bicchieri? Perché dar di cozzo alle colonne ? Perché strappare i capelli, percuoterai il fianco e il petto? Quale valore attribuisci all'ira che si rivolge contro se stessa, perché non prorompe contro gli altri con quella violenza che vuole? Gli irati sono, perciò, trattenuti da chi è loro presso, e scongiurati di non far male a se stessi. Nulla di tutto ciò fa chiunque è privo d'ira ed infligge a c1a.scuno la pena che merita. Spesso assolve colui che ha colto in flagrante; se il pentimento del malefa.tto dà adito a buone s peranze, se comprende che la nequizia. non viene dal profondo, ma aderisce, per cosi dire, alla superficie dell'animo, concederà l'impunità, che non sarà nociva né a chi la riceve né a chi la concede. 6. Qualche volta reprimerà gravi colpe più legger­ mente delle minori, se le une sono state commesse per smarrimento non per crudeltà e nelle altre, invece, è insita una malizia _ nascosta, segreta e inveterata.; non punirà l. Flloaofo

della

greco del III secolo a. C. nativo di scuola perlpatetlca, era contrarlo all'Ira.

Rodi; sebbene foBBe

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in due persone la medesima colpa con la medesima pena, se l'una peccò per trascuratezza, mentre l'altra ebbe tutta la buona intenzione di nuocere.

7. Questo principio osserverà sempre in ogni punizione che l'una si adopera per c8rreggere i cattivi l'altra per toglierli di mezzo; nell'un caso e nell'altro guarderà non il passato ma il futuro, (infatti, come Platone dice : « nessun uomo di senno punisce perché si è peccato, ma affinché non si pecchi in avvenire, perché non si può ri­ chiamare il passato, n..a si può prevenire il futuro n) e farà uccidere pubb licamente quelii che vorrà diventino esempi di malvagi tà c"he finisce male, non soltanto perché muoiano essi, ma perché distolga no gli altri dal perire. 8. Vedi come colui, al quale tocca pesare ed apprez­ zare tutte queste considerazioni, debba, libero da ogni turbamento, accostarsi ad un'arma da trattare con somma delicatezza : il potere di vita e di morte mal si affida al­ l'irato. CJAP. XX. - l . Non bisogna neppure ritenere che l'ira conferisca alcunché alla grandezza d'animo; non è gran­ dezza, infatti, quella ; ma vano gonfiore ; cosl nei corpi tesi per l 'eccesso di umore malsano la malattia non è floridezza, ma sovrabbondanza morbosa. 2. Tutti coloro che un animo insensato innalza al diso­ pra dei pensieri umani, credono di spirare un non so che di alto e di sublime, ma sotto non v'è nulla di solido, e ciò che è cresciuto senza fondamenta è incline a precipi­

tare. L'ira. non ha su che poggiarsi. Non ha. origine dal solido e dal duraturo, ma è gonfia e vuota, e dista dalla. grandezza d'animo tanto quanto l'audacia dalla fortezza, dalla sicurezza di sé la presunzione, dall'austerità la du­ rezza, dalla severità la crudeltà. 3. G'è molta differenza tra l'animo nobile e il superbo. L'ira non costruisce nulla di grande e di dignitoso, anzi

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a me sembra che, consa.pevole della debolezza di un animo fiacco e infelice, spesso risenta dolore, come i corpi malati e piagati che gemono al più leggero contatto. Perciò l'ira un vizio essenzialmente di donne e di fanciulli. dell'animo che insorge al pensiero di un'd'fesa. 3. Questo turbamento ci coglie anche durante gli spet­ tacoli teatrali e la lettura di storie antiche. Spesso ci sembra di adirarci contro Clodio,l che fa bandire Cice­ one, e contro Antonio,2 che lo fa uccidere ; chi ncn si

r

l. P. Claudio Pulcro, flero nemico dJ Cicerone, essendo trlbuno della plebe nel 38 a. C. promulgò apposita. legge (Jex Clodia de capite civl3 Roman i) per bandire dall 'Italia Il grande oratore, che nell'anno dd suo conso lato (63 a. C.) aveva illegalmente condannato l Catilinari. 2. Concluso il secondo triumvirato, Antonio potè vendicarsi dJ C i­ cerone, che contro di lui aveva pronunciato le famose Filippiche, e lo fece uccidere dal suoi sicari sulla via dJ F ormla ( 43 a. C.).

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sdegna contro le armi di 1\:lario,l contro le proscrizioni di Silla? Chi non è nemico a Teodoto ed ad Achilia ed anche a. quel fanciullo 2 che osò un dolitto non di fanciullo ? 4. Qualche volta un canto, un ritmo vivaco e quel marziale squillo delle trombe ci eccita ; una spaventosa. pittura ed il triste spettacolo dei supplizi più giusti tur­ bano il nostro cuore. 5. Da ciò deriva il nostro ridere con chi ride, mentre una. turba di affiitti ci rattrista e ci entusiasmiamo ai combattimenti degli altri. Questa non è ira, non più di quanto sia tristezza il sentimento che ci corruga la fronte alla vista di un naufragio rappresentato sulla scena, non più di quanto sia timore quello che perccrre l'animo del lettore quando Annibale, dopo Canne,3 assedia le mura ; ma tutti questi sentimenti sono moti degli animi che si commuovono senza volerlo, non passioni, ma l'inizio che prelude alle passioni. 6. Gosl ugualmente uno squillo di tromba, in piena pace, fa rizzare le orecchie del militare ormai in abiro civile, ed il crepitio delle armi eccita i cavalli delle soldatesche. Alessandro ,4 dicono, mentre Senofonte cantava. pese mano alla spada. CAP. III. - l. Nessuno di quei moti, che fortuita­ mente colpiscono l'animo, deve essere chiamato passione. Ta.li moti, direi quasi, l'animo subisce più che crea. Dunl . n filosofo allude al sanguinoso periodo delle guerre civili, che ebbero l loro esponenti nel popolare Mario e nell"arlstocratlco Sllla e sparsero Il terrore In Roma daU'87 al 79 a. C. 2. È 11 giovane Tolomeo, re d'Egitto che, secondo n consiglio del suo maestro di retorica Teodoto, fece uccidere da Achlllas Pompelo Magno, sbarcato a Peluslo dopo la sconfitta di Farsalo (48 a. C.). 3. Vil laggio della pianura pugliese, ove Annibale Inflisse al Ro­ mani la più dma e sanguinosa disfatta della II guerra punica (216 a. C.). 4. È Alessandro Magno figlio dJ Filippo, re di Macedonia, che nel breve corso della sua vita (365-323 a. C.) conquistò Il più grande Impero In Oc cldente ed In Oriente.

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que affetto non è commuoversi alle apparenze che si pre­ sentano delle cose, ma. abbandonarsi a. queste idee e se­ condare il moto fortuito. 2. Infatti, se qualcuno considera. indizio di pa.BBione e manifestazione dell'animo il pallore e le lacrime che sgorgano... il profondo sospiro, l' improvviso lampeggiare degli occhi, o qualche cosa. di simile a. questi segni, s'in­ ganna. e non comprende che questi corpo.

sono impulsi

del

3. Per la stessa ragione anche l'uomo più forte, mentre si arma, impallidisce, ed anche al soldato più valoroso, al segnale della battaglia , tremano le ginocchia, ed il cuore balza in petto al grande comandante, prima che le schiere si scontrino ; ed all'oratore più facondo, mentre si prepara a parlare, si gelano le estremità. 4. L'ira non soltanto deve essere suscitata, ma deve prorompere. È, infatti, movimento impetuoso ; mai poi v'è impeto senza l'assenso della mente, né può, infatti, accadere che si discuta di vendetta e di pena. senza che l'animo ne sia consapevole. Qualcuno crede di essere stato offeso, vuole vendicarsi; subito si cheta. perché qualche motivo ne lo distoglie : questa. io non la chiamo ira, ma moto dell'animo che obbedisce alla ragione. È ira quella che scavalca la ragione, che lo. trascina con sé. 5. Dunque quella prima agitazione dell'animo , che l' idea dell'offesa ha provocato, non è ira, cosi come l' idea del­ l'ingiuria non è ingiuria. Quello slancio consecutivo che non soltanto accoglie l'idea dell'offesa, mo. l'approva, quella è ira, concitazione dell'animo che deliberatamente tende alla vendetta. Non v'è dubbi'> che la paura porti di conseguenza la fuga, l' ira l' impeto : vedi, dunque, se puci pensare che ::.1cunché si possa. cercare o evitare senza il consenso della mente.

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Cu IV. - l . Se vuoi sapere in che modo abbiano principio gli affetti o crescano o si esaltino, ti dirò che il primo moto è involontario, quasi una. preparazione e una specie di minaccia della passione, il secondo è con vo­ lontà non ribelle alla ragione, come se io pensassi che debbo vendicarmi essendo stato offeso, e che occorre che sia pnnito chi abbia. commesso Wl delitto ; il terzo è già un moto ormai senza controllo, che non vuole vendetta se è necessaria, ma comnnque, che ormai ha completa­ mente vinto la ragione. 2. Non possiamo sfuggire con la ragione a quel primo moto dell'animo, cosi come non possiamo evitare quegli impulsi fisici dei quali s'è già parlato, che, cioè, lo sbadiglio altrui non ci si comnnichi e che gli occhi non si chiudano al repentino avvicinarsi delle dita. Questi movimenti non può vincere la ragione, forse li attenua l'abitudine e la. vigilanza continua. Quel secondo moto che nasce dal ragio namento, dal ragionamento è annullato. CAP V. - l . Ancora questo dobbiamo indagare, se coloro, che oomu nemente incrudeliscono e godono del sangue umano, siano preda dell'ira, quando uccidono quelli da cui non hanno ricevuto ofiesa., ed essi stessi ben lo sanno, come fu, ad esempio, Apollodoro o Fala.ride. 2. Questa non è ira, è crudeltà: infatti non nuoce per­ ché risponde a. un'ingiuria, ma è pronta anche a. riceverla. pur di nuocere, e pretende fl.a.gellazioni e lacerazioni non a fine di vendetta, ma per il suo godimento. 3. '' Oome mai ? » Questo male ha origine dall'ira, la quale, quando a lungo si è esercitata e sfogata ed ha poeto in oblio la clemenza ed ha sradicato dall'animo ogni prin· cipio di solidarietà umana, infine si trasforma in cru­ deltà. Perciò i crudeli a sangue freddo ridono, se la godono, gioiscono molto e per lo più sono assai diversi dall'aspetto dell'irato.

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4. Si narra che Annibale,1 avendo visto una. fossa. piena di sangue, esclamò : « Che bello spettacolo ! » Quanto gli sarebbe sembrato più bello, se quel sangue avesse colmato un fiume o un lago ? Che meraviglia se tu, cre­ sciuto nel sangue e fin da fanciullo vissuto in mezzo alle stragi, sei rapito soprattutto da questo spettacolo ? La fortuna ti seguirà propizia alla tua ferocia per venti anni e ti offrirà dovunque uno spettacolo gradito ai tuoi occhi; lo vedrai anche al Trasimeno e a Canne e finalmente in· torno alla tua. Oa.rta.gine l 5. Recentemente sotto il divo Augusto 2 il proconsole in Asia. Voleso,8 avendo fa.tto uccidere con la scure in un sol giorno trecento uomini, mentre ava.nza.va. con volto superbo tra i cadaveri quasi avesse fatto qua.lcosa di magnifico e degno di ammirazione, gridò in greco : « O opera degna di un re l ». Ohe cosa avrebbe fatto costui una volta re ? Questa non era ira, ma un male più grave ed insanabile

CAP VI. - l. " La virtù "• osservi, « come è benigna. verso le azioni oneste, cosi deve essere adirata contro quelle turpi ». Obe cosa penseresti, se si dicesse che la. virtù deve essere ad un tempo umile e grande ? Orbene cosi dice colui che vuole che essa ei innalzi e si abbassi; poiché la gioia per una nobile azione è bella e generosa, mentre l'ira per il peccato altrui è sordida e propria. di un animo meschino.

l. D duce Cartaginese della II g11eiTa punlca, che lnfHsse entente dJsfatte al Rornnni, fra cui quelle del 'l'rasbncno e di Cnnne (217-216 a. C ) ma, poi, fu cgn stesso sanguinosamente soonlltto sul suolo Afd· cano da P. Cornelio Sdplone (battaglia di Zama: 202 a. C ) 2. G Cesare Ottaviano. pdrno Imperatore di Roma dal 29 o.. C. al 14 d. C. ; ebbe nel 27 a C. dal Senato il titolo di Augusto, e quello di Divo dopo la s1u1 morte. 3. Voleso Measalla. era stato console nel 5 d. C.

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2. La virtù non si comporterà mai in modo da imitare i vizi che cerca di frenare ; deve castigare proprio l'ira che per nulla è migliore, anzi spesso è peggiore di quei delitti per i quali si irrita. È proprio ed insito nella natura della virtù godere e rallegrarsi; adirarsi non è conforme alla sua dignità, non più dell'affliggersi ; ora l'umor nero è il compagno dell'iracondia, ed in esso si riduce ogni ira o dopo il rimorso o dopo il fallimento dei propri sforzi.

3. E, se conviene al sapiente adirarsi contro i peccati, maggiormente si adirerò. contro i maggiori e sarà spesso adirato : ne consegue che il Savio non soltanto sia adirato, ma anche irascibile. Ma se crediamo che non trovi posto nell'animo del Saggio l'ira né grande né frequente, per­ ché non Iiberarlo del tutto da questo sentimento ? 4. Non vi può essere, infatti, misura, se egli si deve adirare secondo le azioni di ciascuno ; ché, o sarà ingiusto se si adirerà ugualmente per delitti di diversa entità, o sarà iracondo al sommo grado se andrà in escandescenze ogni qualvolta la scelleratezza altrui provocherà la sua ira. GAP. VII.

-

l. Quale maggiore indegnità che lo stato

d'animo del Sapiente debba dipendere dalla cattiveria altrui ? Gesserà quel famoso Socrate 1 di riportare a casa lo stesso volto che aveva uscendo. Se il Sapiente deve adi­ rarsi per il male fatto dagli altri ed irritarsi e contristarsi per la delinquenza, nulla può esservi di più angoscioso di chi è savio ; per lui tutta la. vita trascorrerà nell'iracondia. e nella tristezza.

2. Quale sarà, infatti, il momento in cui non vedrà. qualcosa da disapprovare ? Ogni qualvolta uscirà di casa, dovrà avanzare fra scellerati, avari, prodighi, sfrontati, e tutti felici del loro vizio ; in nessun luogo i suoi occhi si volgeranno, ove non trovino qualche motivo di sdegno ; l.

Cfr. nota l, l. 1,

c.

XV.

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gli mancheranno le f Ed altri discorsetti, a i quali a stento resistono menti sane e ben conformate fin dall'inizio. 8. Il fanciullo deve, perciò, esser tenuto ben lontano dall'adulazione, ascolti il vero. E nel contempo abbia timore, sia sempre rispettoso e si inchini dinanzi ai più vecchi. Non ottenga nulla per mezzo dell'ira : ciò che gli sarà stato negato mentre piangeva , gli si offra quando è tranquillo. E veda le ricchezze dei genitori, ma non le usi. Si rimproverino a lui gli sprechi. 9. Sarà opportuno dare agli adolescenti precettori e pedagoghi calmi; tutto ciò che è tenero si appiglia alle cose che gli sono più vicine e cresce a somiglianza di esse ; e ben presto i ghvani riflettono nella loro educazione i costumi delle nutrici e dei pedagcghi. 10. Un fanciullo allevato alla scuola di Platone, ri­ ccndotto presso i suoi genitcri, nel vedere il padre che strillava · « Mai >> disse « vidi una cosa simile presso Pla­ tone >>. Non dubito che abbia imitato più presto il padre che il suo maestro. 1 1 . Abbia il fanciullo prima di tutto vitto e vestiario non ricercato, ma. un tenore di vita simile a quello dei

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coetanei; non si adirerà che qualcuno lo uguagli, se fin da principio l'avrai avvezzato ad essere pari a molti.

OAP. XXII. - l . Ma queste cose riguardano i nostri figli ; in noi adulti ormai la condizione sociale della na­ scita e l'educazione ricevuta non lascia più luogo n� a difetti, :t� ad insegnamenti ; bisogna. pensare a ben di­ sporre il resto della vita. 2. Dobbiamo, innanzi tutto, combattere le prime cause dell'ira : motivo d'ira è il pensiero di ricevere ingiuria, a cui non si deve credere con facilità. E non bisogna pre­ star fede subito nemmeno alle cose chiare e manifeste; talvolta il falso ha l'apparenza del vero. 3. Bisogna sempre prendere tempo ; il tempo svela la verità. E le orecchie non ascoltino con condiscendenza co­ loro che accusano ; ci sia sempre presente e ci tenga in guardia questo difetto della natura umana che volentieri prestiamo fede alle cose spiacevc li e, prima di giudicare, ci adiriamo. 4. Che cosa dire poi del fatto che siamo colpiti non solo dalle accuse, ma anche dai sospetti e, interpretando male l'atteggiamento ed il sorriso altrui, ci adiriamo con degli innocenti ? Perciò occorre discutere contro noi stessi le ragioni dell'assente e tenere l'ira sospesa : infatti una pena differita può essere posta. in esecuzione ; ma, una volta inflitta, non si può revocare. CAP. XXIII. - l . È famoso quel tirannicida, che, preso prima che portasse a termine il suo attentato e messo alla tortura da Jppia l perché rivelasse i suoi complici, fece il nome degli amici più vicini al tiranno e di quelli ai quali soprattutto sapeva essere a cuore la di lui salvezza ; e quand" quegli, dopo aver ordinato che uno per uno, come venivano n. Ma anche lui, irritato perché non si poteva adirare, privo di avversario presto si calmò. 7. Scegliamo, dunque, piuttosto, se sappiamo di essere iracondi, quelli che seguono l'espressione del nostro volto e le nostre parole ; ci renderanno, invero, suscettibili e ci avvezzeranno alla. cattiw abitudine di non ascoltare mai niente contro la nostra volontà ; ma dare un po' di tregua e di riposo al proprio vizio sarà di giovamento. Anche le nature difficili ed indomabili sopporteranno chi li blan­ disce ; niente è aspro e spaventoso per chi carezza. 8. Ogni qualvolta una disputa sarà troppo lunga e troppo violenta, dobbiamo fermarci sul principio prima. che acquisti forza : la discussione si alimenta da sola. ed avvince chi si è abbandonato ad essa ; è più facile aste­ nersi dalla lotta che ritil'arsene. l. M. Celio Rufo, contemporaneo ed amico di Cicerone, che in sua difesa pronunciò un'orazione (pro Caello).

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CAP. IX. - I. Gli iracondi devono lasciare da parte anche gli studi troppo pesanti, o almeno non arrivare fino alla stanchezza ; bisogna. che il loro animo non sia agi­ tato fra varie occupazioni, ma si dedichi alle arti amene : la lettura delle poesie lo rassereni e la storia lo avvinca con le sue leggende; aia trattato con più dolcezza e con più delicatezza. 2. Pitagora 1 placava. i turbamenti dell'anima con la. lira. Del reato chi non sa che il suono dei liuti e delle trombe è eccitante, mentre altri canti sono carezze, per effetto delle quali l'animo ai placa? Il verde è di sollievo agli stanchi, e la vista debole ai ripcaa su determinati colori, mentre dallo splendore di altri è abbagliata ; cosi lo studio piacevole calma le menti malate. 3. Dobbiamo fuggire il Foro, le cause, i giudizi e tutto ciò che inasprisce il nostro vizio, ed ugualmente evitare la stanchezza fisica : essa distrugge quanto di placido e di mite è in noi, eccitando gli impulsi violenti. 4. Perciò coloro che non ai fidano del proprio umore, quando stanno per intraprendere affare di una certa importanza, moderano con il cibo la bile che in gran quantità è eccitata dalla fatica, sia perché questa accumula. il calore nel centro del corpo e nuoce al sangue ed impe­ disce la sua circolazione essendo le vene affaticate, sia perché il corpo estenuato ed indebolito pesa sull'animo. Senza dubbio per la stessa ragione sono più iracondi cc loro che sono fiacchi o per malattia o per l'età. Anche la fame e la sete sono da evitare per le stesse ragioni; esasperano ed accendono gli animi. 5. È un vecchio proverbio che l'uomo stanco cerca la rissa e cosi pure l'assetato, l'affamato e chiunque abbia qualche rovello. l . Filosofo grero della metà del serolo

VI a

C., nativo di Samo e

fondatore a Crotone, nella Magna Grerla, di una celebre scuola.

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Come, infatti, le piaghe ad un leggero contatto e poi al pensiero del contatto dolgono, cosi l'animo malato si offende per un nonnulla, al punto che alcuni sono por­ tati al litigio da un saluto, da una lettera, da un discorso, da una domanda: mai le parti malate si toccano senza che dolgano. OAP. X. - l. Il partito migliore, dunoue, è di curarsi al primo sintomo del male, concedere, allora, il minimo di libertà alle proprie parole e frenare l'impulso. 2. È facile, invero, dominare al primo insorgere i propri affetti ; vi sono segni precursori. Come indizi caratteristici precedono la tempesta e la pioggia, cosi vi sono alcuni annunzi dell'ira, dell'amore e di tutte queste burrasche che agitano gli animi. 3. Coloro che sogliano essere preda dell'epilessia com­ prendono l'avvicinarsi dell'attacco, se il calore abban­ dona le estremità e la vista si offusca e i nervi tremano, se la memoria viene meno e la testa gira ; perciò con i soliti rimedi prevengono l'inizio dell' attacco e respingono qualunque cosa che con l'odore e col gusto fa loro per­ dere la conoscenza, o combattono con fomenti contro il freddo e l' irrigidimento ed, infine, se la medicina ha scarso risultato, si appartano e sono preda del male senza testi­ moni. 4. È utile conoscere il proprio vizio e soffocarne le forze prima che prendano piede. Cerchiamo di capire che cosa ci irriti di più : chi è offeso dalle parole, chi dalle azioni; questi vuole che si abbia rispetto alla sua nobiltà, questi alla sua bellezza, questi desidera essere considerato molto elegante, quegli molto dotto. L'uno non sopporta la superbia, l'altro l'ostinazione, quegli non considera i servi degni della sua ira, quest'altro è duro in casa, mite fuori; colui giudica invidia l'essere pregato, costui affronto il nun esserlo. Non tutti si offendono per le stesse ragioni :

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perciò bisogna sapere qual'è il tuo punto debole per po· terlo di più proteggere. CAP. XI. - l . Non giova vedere tutto, sentire tutto. Lasciamo cadere le ingiurie, la maggior parte delle quali non toccano chi le ignora. Non vuoi essere iracondo 1 Non essere curioso. > 3. La tenera età giustifichi il fanciullo, la debolezza. del sesso la donna., la. libertà l'estraneo, la familiarità il servo . Uno ci offende, ora, per la prima volta : pensiamo per quanto tempo ci ha fatto piacere ; ci offende spesso e non per la prima volta . tolleriamo ciò che da. tempo ab­ biamo sopportato. È un amico 1 ha fatto ciò che non vo­ leva ; è un nemico : ha fatto ciò che doveva. 4. Prestiamo fiducia a chi è più saggio ; perdoniamo a chi è più sciocco ; in ogni caso diciamoci che anche gli uomini più saggi sbagliano spesso, e che nessuno è oosl accorto la cui diligenza. qualche volta non venga meno a. se stessa, che nessuno è cosi assennato la. cui gravità. non

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sia eccitata da un incidente a qualche atto piuttosto vivace> che nessuno è tanto timoroso delle offese da non incor­ rere in esse mentre cerca di evitarle.

CAP, XXV. - l . Come per l'uomo mediocre è un con­ forto nella disgrazia il pensiero che anche la fortuna dei grandi uomini è incerta, e con animo più rassegnato piange il figlio in un angolo il padre che h3. VJBto uscire anche dalla reggia il funerale di un giovane principe, cosi chiunque pensa che non esiste potenza. tanto grande che non possa essere offesa, sopporterà oon ammo più sereno di essere offeso, di essere disprezzato d.l. qualcuno. 2. Che se anche i più saggi sbagliano, l'errore di chi non trova una giustificazione ? Ricordiamoci quante volte la nostra adolescenza è stata poco ligia al suo dovere, poco moderata nel discorso, poco temperante nel vino. Se uno

è adirato, diamogli il tempo in cui possa esaminare ciò che ha fatto ; lui stesso si punirà. Ammettiamo che ci debba. dare soddisfazione : non è il caso che gli restituiamo la pa.riglia. 3. Non metteremo in dubbio che chiunque si .tenga lontano dalla. folla e si sollevi più in al«!, disprezza i contendenti; è proprio della. vera grandezza non accu­ sare il colpo. Cosi la belva. imma.ne, al la.tra.to dei cani, lenta si volge indietro ; cosi, inva.no, l'onda. si sca-glia contro un grande scoglio. Chi non si a.dira rimal;le imper­ turbabile dinanzi all'ingiuria, chi si irrita ne è turbato. 4. Clolui che io, ora, ho posto al di sopra di ogni contra­ rietà, tiene qua.si abbracciato il sommo bene e risponde non solo agli uomini, ma. alla. fortuna. stessa. :