Dante leggero. Dal priorato alla Commedia 9788843088331, 8843088335

Il tempo della «visione» - collocato in anticipo rispetto alla fase culminante della vita politica del poeta (che si sno

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Dante leggero. Dal priorato alla Commedia
 9788843088331, 8843088335

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Marco Veglia

Dante leggero Dal priorato alla Commedia

Carocci editore

l

DANTE ALIGHIERI LO VISO MOSTRA 750 Al'f'.JIVERSARIO LO COLOR DEL CUORE

Questo volume è pubblicato con il contributo dell'Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, Dipartimento di Filologia classica e ltalianistica

r'

edizione, giugno 2.017

©copyright 2.017 by Carocci editore S.p.A., Roma Impaginazione e servizi editoriali: Pagina soc. coop., Bari Finito di stampare nel giugno 2.017 da Grafiche VD srl, Città di Castello (PG)

ISBN 978-88-430-8833-1

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione,

è vietato riprodurre questo volume

anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Premessa

7

I.

Dante priore e la genesi della Commedia

13

2.

Il priorato di Dante e il tempo della Commedia

41



Beatrice e il traviamento di Dante

77



Una controfigura biblica

III



Un poeta leggero da Firenze all'Empireo

149

Riferimenti bibliografici 185

Indice dei nomi e dei personaggi principali 195

s

Premessa

A non pochi lettori sarà forse capitato di pensare alla «leggerezza» del corpo di Dante che, in quella condizione, si trova a compiere il viaggio della Commedia, che lo conduce da Firenze all'Empireo. Per la letteratura, dopo Milan Kundera e soprattutto dopo ltalo Calvino, la categoria antro­ pologica della «leggerezza» è entrata con profitto nel dibattito critico su autori antichi e moderni; per l'esperienza religiosa, essa è stata studiata da pensatori come Henry Corbin o Simone Weil, per non tacere di Cristina Campo; come pure, per la storia dell'arte, in relazione a Medusa, daJean Clair. Nel cinema, non saprei ricordare nulla di più limpido e puro dell' im­ magine conclusiva di Being There di Hal Ashby

(1979), con

Peter Sellers,

innocente e onirico, che cammina lieve sull'acqua, mentre, in sottofondo, risuona la frase: «Life is a state of mind». A questa «leggerezza», cui dapprincipio mi volsi studiando Boc­ caccio', ho dedicato gli studi che compongono la presente monografia, i quali, nel tempo, hanno cercato di chiarire la genesi della Commedia e le caratteristiche del personaggio che ne è il protagonista. La mia atten­ zione si è così orientata al priorato di Dante e al rapporto che il tempo del viaggio intrattiene, anticipandolo, col tempo della effettiva e culmi­ nante esperienza politica vissuta dal poeta al governo di Firenze, come pure con le conseguenze di quella medesima esperienza (dal maggio del

1300 all'autunno del 1301), in un

«discorso, per dirla con Coleridge, in

cui la Z è già implicita mentre viene pronunciata la A», se ascoltiamo ora la voce di Leonardo Sciascia2: non, si badi, perché si voglia cedere alla «tentazione di interpretare un'opera d'arte», tanto più quando la sua «genesi si distribuisce in un considerevole periodo di tempo», come «una struttura orizzontale in cui tutto tiene e ogni episodio implica sin

1. Veglia, 2oooa, pp. 245-87. 2. Sciascia, 2016, p. 15.

7

DANTE LEGGERO

dal principio tutti quelli successivi», a maggior ragione al cimento «con la grande avventura compositiva della Commedia», dove è indubitabile «il gioco delle occasioni e degli eventi, in una parola quel tanto di caso, o di imprevisto, che entra pure, e spesso con un ruolo tutt'altro che secon­ dario, nella più compatta, nella più calcolata delle fabbriche letterarie»3• Senza negare insomma la «discontinuità architettonica» causata dagli imprevisti della storia, che pur Dante sapeva convertire «in superba vittoria di stile»\ non mi pare davvero che si possa disconoscere che il principio e la finalità ultima del poema, insomma la A e la Z di Coleridge e di Sciascia, fossero presenti alla mente del poeta. Poiché, del resto, lo scrittore del poema «risponde a precise sollecitazioni storiche»1, queste ultime, di norma messe a frutto dai lettori nella storicizzazione dei suoi interlocutori e nell'esegesi delle sue profezie, ma assai meno nella com­ prensione della sua natura peculiare, che è al centro della visione, vanno intese in dialettica col tempo affidato strutturalmente al viaggio e non solo col tempo della composizione del testo, tanto più perché il tempo del viaggio è, nella sua forza cogente, la sovrana prova architettonica della storicità della condizione del viandante e della rilettura poetica, che egli voleva fornire su quel fondamento, della sua intera vicenda biografica e letteraria: vuoi per il mezzo del cammino della sua vita, vuoi per le sue vicende politiche, vuoi ancora per la ricorrenza decennale della morte di Beatrice (eventi che, tutti, nell'anno giubilare, si verificarono nel giro di pochi giorni nella tarda primavera del 1300: dalla fine di maggio del

° 35 compleanno di Dante alla ricorrenza della scomparsa di Beatrice l' 8

giugno, fino all'ascesa del poeta, una settimana più tardi, al priorato, il 15 giugno successivo). La tensione feconda tra l'autobiografia dello scrittore e le vicende compositive della Commedia, mentre consentiva a Dante di profetizzare eventi già trascorsi e dei quali l'esilio gli disvelava la portata, attribuiva al personaggio-poeta, al protagonista indiscusso del viaggio, le caratteristiche che Dante ebbe propriamente a partire dal maggio e dal giugno di quell'anno, prima del periodo culminante e fatale della propria carriera politica: anticipate poeticamente rispetto a quel periodo, tali ca­ ratteristiche, che avrebbero determinato la sventura politica di Dante e le vicende successive della sua vita di esule, venivano presentate come il frutto di una investitura profetica ricevuta direttamente da Dio. Quello,

3· 4· 5·

Raimondi, Ibid. lvi, p. 123.

1970,

p.

134.

8

PREMESSA

dunque, che Dante avrebbe fatto, scontrandosi con i Bianchi e i Neri, definendo una prospettiva politica di autonomia cittadina che si sarebbe opposta alle mire temporalistiche di Bonifacio VIII, sarebbe avvenuto, a Firenze, secondo le premesse provvidenziali affidate poi al poema. Votati, come giustamente siamo, alla ricerca di documenti e di testi che auspicabilmente chiariscano le dinamiche del costituirsi progressivo della

Commedia, abbiamo finito per non considerare forse a sufficienza la prova che il testo, dopo tutto, rappresenta in se stesso, nella chiarezza delle sue coordinate temporali. Come spesso accade, si va a cercare lontano ciò che rifulge sotto i nostri occhi, velato dalla sua medesima evidenza. Chi era, insomma, il Dante dell'anno giubilare, nella primavera del 1300? Quale relazione testuale, quale prospettiva poetico-profetica si stabilisce fra quel Dante e un poema che viene scritto, in esilio, con lo scopo preciso di retro­ datarne l'azione ali'epoca anteriore al priorato? Al bivio tra storia politica e storia poetica si innesta il nodo del travia­ mento, che definisce la situazione spirituale di Dante e insieme determina la fisionomia che egli attribuisce a se stesso e a Beatrice. A un'ulteriore tra­ sposizione in chiaro del volto dell'autore contribuisce non poco la sua scelta di una controfigura biblica, come è quella di David, poeta, peccatore, pro­ feta e re, vero antefatto del personaggio-poeta e, anche, dell'uomo politico della primavera del 1300, come pure coerente premessa del tema trattato nel capitolo conclusivo, il quale si ferma infine sulla «leggerezza» del corpo del viandante per comprenderne la progressiva manifestazione. I primi tre capitoli dibattono così della genesi della Commedia tra­

guardandola da diverse angolature, mentre il quarto assume il tema dei precedenti capitoli come leva per intendere il personaggio dello scrittore

dei Salmi, autentico modello e "specchio di [ im]perfezione" di Dante che,

intonando la propria voce sul retroterra dell' «umile salmista», racconta la propria salvezza dai tentacoli della selva6• L'ultimo capitolo, dal canto suo,

6. Il primo capitolo

è comparso, col titolo Dante priore e la genesi della "Commedia",

in Veglia, 2.015, pp. 85-109 (in un numero monografìco di studi danteschi offerti a Emilio Pasquini per i suoi ottant'anni). Il secondo capitolo, inedito, svolge le premesse del primo, mettendole a frutto, se possibile, nella lettura di episodi del poema che ricevono forse una diversa luce dall'essere ripensati in relazione alla vita politica di Dante nel 1300. Il terzo rie­ labora, anzi quasi interamente riscrive Due canzoni, il "traviamento''di Dante e lagenesi della

"Commedia", uscito dapprima in Veglia, 2.0rob, pp. 2.79-306. Il quarto capitolo rispecchia, con varianti, il testo della relazione destinata agli atti del convegno I classici di Dante - In

ricordo di Umberto Carpi, tenutosi a Firenze, presso la Società dantesca italiana, il 2.4-2.5 novembre 2.014, al Palagio dell'Arte della Lana.

9

DANTE LEGGERO

ricompone i percorsi che lo precedono, indugiando sulla mirabile gravita­ zione della carne del poeta7• Ringrazio, per quanto hanno fatto per me sin da anni lontani, Emilio Pasquini e Marcello Ciccuto. Il silenzio della discrezione non occulti ai loro occhi la certezza della mia gratitudine. Allo studio della biografia di Dante, considerata in relazione alle dinamiche testuali e interpretative della Commedia, mi dedicai sin dal2.003, seguendo i con­ sigli di Clemente Mazzotta, che mi piace qui ricordare con riconoscenza. Un ringraziamento particolare va a Gian Mario Anselmi, che più volte mi ha esortato a pubblicare questo percorso unitario di studi, ritenendo che i diversi mo­ menti che lo costituiscono non avrebbero sdegnato di trovarsi «conflati insieme» in un solo volume; a Giorgio Melloni, Angelo M. Mangini, Francesco Benozzo, Stefano Scioli, Edoardo Ripari, che nutrono d'amicizia le nostre conversazioni dantesche; a Wayne Storey e a Michael Papio che, nelle loro horae subsecivae, hanno ascoltato, con il dono della loro « amistade», le versioni orali di questi capito­ li, come del pari agli amici che, tra Barcellona e Madrid, tra Poughkeepsie e Los Angeles e Buenos Aires, mi hanno donato indimenticabili «diporti» danteschi: Raffaele Pinto, Rossend Arques,Juan Varéla-Portas de Orduna,John Ahern, Mas­ simo Ciavolella, Mariano Pérez-Carrasco. Un pensiero di riconoscente amicizia va a Teodolinda Barolini, non solo perché il nucleo originario del primo capitolo risale a un intervento tenuto a New York sul Trattate/lo di Boccaccio, dove potem­ mo conversare di alcuni temi che ora il mio libro affronta, ma perché, in quella e in altre occasioni, abbiamo sempre coltivato un dialogo franco e appassionato sulla necessità di ricondurre Dante, non dogmaticamente, alle asperità della storia politica e culturale del tempo che fu suo. Altre conversazioni, ad ora ad ora, hanno accompagnato la stesura del libro, come quelle, in un pomeriggio bolognese, con Mirko Tavoni, rispecchiare in par­ ticolare dal secondo capitolo. Con una cortesia che è, essa medesima, un segno di amicizia, mi hanno aiu­ tato nella correzione del dattiloscritto alcuni valenti giovani studiosi: Alberto Di Franco, Veronica Bernardi, Alessandra Di Tella. S'intende che tutti questi amici sono responsabili unicamente del bene che si possa trovare in queste pagine. I difetti del libro sono soltanto miei. Un dialogo del tutto speciale, oltre l'esile parete che ci separa dai compagni di viaggio che ci hanno lasciato, è stato quello con Umberto Carpi, sicché, non di rado, mi sono domandato, scrivendo o rileggendomi, se Paci avrebbe approvato o criticato le mie tesi. Mi piace pensare che il rilievo concesso al priorato di Dante,

7· Sia pure con ritocchi e ripensamenti, le pagine che chiudono questo libro muovono da Veglia, 2005, pp. 123-47. In diverso modo, questi lavori nascono da un nucleo preciso, rappresentato dal mio primo, ormai remoto saggio dantesco: Veglia, 1997, pp. 9-21.

IO

PREMESSA

fin nel sentiero che conduce il poeta alla «candida rosa», lo avrebbe indotto a non guardare questi miei lavori con troppa severità. Di là, tuttavia, dalla contingenza del caso personale, è degno di memoria che non si dia esperienza critica se non attraverso la conversazione con gli amici, che sono sì i libri, ma che sono soprattutto, come volevano Hugo von Hofmannsthal e Ludwig Wittgenstein, le persone sparse agli angoli del mondo, con le quali, coi loro concretissimi volti, tracciamo le linee di un dialogo che è alimento delle nostre esistenze quotidiane. Raffaele Spongano un tempo mi diceva: «Ricordati, figlio, che si impara in quest'ordine: prima dai compagni di studio, poi dai libri, solo in ultimo dai professori!». A questo insegnamento ho cercato di tener fede sin dal 1992, quando gli feci visita per la prima volta in via Vallescura, a Bologna. E qui

vorrei aggiungere che non si tratta davvero della sola verità del topos umanistico della conversazione coi libri, ma dell'autentica sostanza della vita dei lettori dispo­ sti all'avventura di un incontro, sulla carta o nelle strade della terra. Senza tutto questo, la letteratura rischierebbe ancora di essere un artificio pedantesco, se non ricordo male le parole di George Steiner in Language and Silence, o un prologo alla barbarie, tanto più periglioso quanto più seducente. Ma se un qualche pregio, nella disponibilità a percorrere nuovi orizzonti in­ terpretativi, si può riverberare su queste pagine, ne vorrei rendere grazie alla figura di Ezio Raimondi. Quando Emilio Pasquini, che mi ha iniziato agli studi con la sicurezza di una guida che non mi è venuta mai a mancare, me lo assegnò, un quarto di secolo addietro, come correlatore per la tesi di laurea sul Decameron, Ezio Raimondi si compiacque di dedicarmi ore preziose, per me indimenticabili. Riceveva- ricordo- alcuni suoi laureandi in piedi («Hanno bisogno di me?»), sulla soglia del suo studio, in Dipartimento. Poi, quando non v'era più nessuno ad attenderlo, mi faceva segno di entrare movendo con lestezza la mano destra: «Venga, venga che parliamo liberamente!». Pochi giorni prima della discussione della tesi di laurea mi fermò sorridendo: «Conosce il Robertson di A Preface to

Chaucer? L'ho consigliato anche a V ittore Branca. Sa, per il Trecento, e per Boc­ caccio, è fondamentale». Ed ecco un semenzaio di appunti e di ricordi, che attende ancora di portare frutto e che cercava di tenere il passo con la cortese pioggia di idee che mi veniva allora imbandita. L'ultima volta che lo vidi mi disse, col suo sorriso lieve e cordiale: «Certo che io e lei ci siamo sempre incontrati, abbiamo sempre conversato, senza chiederci nulla in cambio. È vero? Abbiamo goduto, come dire?, di una felicità laterale». A Ezio Raimondi, a quella felicità, è dedicato questo libro. Bologna, 19 ottobre 2016

II

I

Dante priore e la genesi della Commedia

La genesi del poema dantesco si può forse traguardare da una diversa

1.

prospettiva, quando si consideri con attenzione il tempo, non si dice della scrittura della Commedia, sibbene del viaggio intrapreso dal poeta nell'Ol­ tremondo1. Se, in altre parole, il testo della Commedia è indizio autore­ vole, talvolta unico, per ricostruire con verosimiglianza ciò che altrimenti resterebbe malcerto (le letture, i viaggi, gli incontri, le dottrine filosofiche dell'autore, le sue strategie letterarie e politiche), è improbabile che nulla di cogente sia da indurre dai capisaldi del testo stesso: tra i quali è certo da annoverare, principalissimo, il periodo che Dante scelse per rappresentare il suo attraversamento dei regni ultraterreni'.

È pertanto legittimo interrogarci su alcuni elementi oggettivi del poe­ ma, ovvero su aspetti che, pur nella diffrazione delle ipotesi di lettura, non paiono sottoposti ad alcun revisionismo critico: la data del viaggio nella

1. Utile, fin d'ora, la sintesi della genesi del poema che si trova in Santagata, 2012a, p.

119: «È bene essere chiari. La Commedia che noi leggiamo è quella che Dante ha scritto

quasi sicuramente a partire dal 1306-1307 fin quasi alla morte. Non esiste traccia alcuna

di un testo preesistente. Ciò nonostante l'ipotesi che [ ...] egli abbia schizzato almeno un

abbozzo di poema o una serie di cartoni, come dicono i pittori, appare ragionevole alla luce di quanto sappiamo della sua personalità e della sua evoluzione ideologica e politica. Tanto più che essa può appoggiarsi anche a un dato testuale, e cioè alle differenze riscon­ trabili tra i primi canti e il resto del poema. Si sarebbe trattato di un lavoro preparatorio, forzatamente interrotto dalle vicende politiche, che Dante poi avrebbe sfruttato quando, alcuni anni dopo, avrebbe messo mano alla grande opera senza più alcuna interruzione. L'idea di una fase primitiva attenuerebbe non poco la sensazione di frutto maturato quasi istantaneamente trasmessa da una Commedia che irrompe all'improvviso nell'orizzonte intellettuale e creativo di Dante». Per la composizione del poema è più tardo il periodo additato ora da Inglese, 2015, p. 103, che pensa a un lasso di tempo compreso «tra l'estate del 1308 e i primi mesi del 1309». D'ora in avanti, dove non diversamente indicato, i corsiVI sono m1e1. .

.

.

.

2. Da meditare, sia per gli argomenti, sia per le esigenze metodologiche sollevate, il prezioso studio di Milani, Montefusco, 2014.

13

DANTE LEGGERO

primavera del 1300 ( poco importa, da questo punto di vista, che si tratti del

25 marzo o dell' 8 aprile ) \ le caratteristiche profetiche del poema e lo stesso messaggio politico della Commedia. Innanzi tutto, sembra opportuno chie­ derci quale significato assumano codesti elementi quando vengano colloca­ ti tra il marzo e l'aprile del I300, come esige la manifesta volontà di Dante, dunque prima dei mesi cruciali che segnarono il principio della rovina di Firenze, a causa dello scontro fra il governo della città e Bonifacio VIII4• E ancora a proposito di quegli elementi oggettivi possiamo domandarci:

quali implicazioni possiede la data della primavera del I300 in rapporto alle vicende coeve e successive del poeta, che giunse al colmo del proprio

cursus honorum politico, come pure della propria vita, in coincidenza (tra maggio e giugno ) col principio di quella rovina, che non fu solo della «città partita» (Inf VI 6I ), ma, via via, sua personale? Non dobbiamo insomma trascurare, come consigliava Umberto Carpi, «ciò che Dante aveva avuto sotto gli occhi nel I300 storico della sua esperienza fiorentina», per meglio comprendere l'opzione narrativa di un «immaginario I300»1• Da ultimo, Marco Santagata ha osservato che la

Commedia stende un velo di silenzio

sul periodo nel quale il poeta raggiunge l'apice della carriera politica, che si prolunga dal maggio I300 fino ai primi mesi del I302, quando Cante de' Gabrielli da Gubbio sentenziò il bando e la condanna a morte in contuma­ cia dello scrittore fiorentino (tra il

27 gennaio e il IO

marzo ) 6• La vicenda

del Calendimaggio del I300, origine del declino di Firenze, viene, è vero, rammentata nella Commedia ( «Dopo lunga tendone l verranno al sangue, e la parte selvaggia l caccerà l'altra con molta offensione», Inf VI

64-66),

ma nulla ci viene detto del bimestre successivo, non meno fatale « sovra 'l

(Jnf XXIII 95), quando Dante fu priore ( sicché, dal I0 maggio del I300 il poema trascorre al 4 novembre del I30I e ai mesi e agli anni successivi ) 7• Gli eventi del I30I, dal canto loro, scaturiti bel fiume d'Arno a la gran villa»

dal «sangue» del maggio del I300, sono sì rammentati perché agevolarono l'ingresso in Firenze di Carlo di Valois, per il piano predisposto dali'astuzia di papa Bonifacio

(Jnf VI 67-72)

8,

ma non per essere il frutto di vicende

3· Cfr. Moore, 1900 (uscito nel 2007 in ed. anastatica con una postfazione di B. Basile). 4· Cfr. Canaccini, 2010, come pure Id., 2008. 5· Così Carpi, 200 4, vol. I, pp. 90-r. 6. Santagata, 20r2a, pp. 216-7 (il paragrafo s'intitola

Una reticenza carica di significato).

7· Sulla tensione crescente in Firenze, tra marzo e aprile, quando viene collocata l'azione provvidenziale del viaggio di Dante, si consulti Indizio, 2013, p. 74, che rimanda a Ferreto Ferreti, 1908-20, nell'edizione a cura di Cipolla, II, pp. 87-8. 8. Cfr. ancora Indizio, 2013, pp. 57-91.

14

I. DANTE PRIORE E LA GENESI DELLA COMMEDIA

nelle quali, fin dal suo priorato, aveva primeggiato il poeta9 che, in quel fatidico autunno, sarebbe partito da Firenze per la famosa ambasceria aRo­ ma presso il pontefice, con Maso di Ruggerino Minerbetti e Corazza degli Ubaldini da Signa. Scrive Santagata: Il fatto che nell'Infimo Dante autore non parli mai né dei modi né delle cause né delle responsabilità della sua condanna ha come conseguenza che il racconto mette in scena un personaggio al quale sono preannunciate le gravi difficoltà cui andrà incontro nel tentativo di ritornare in patria senza che qualcuno gli abbia predetto che dalla patria sarebbe stato bandito10•

Si può subito aggiungere che la «reticenza» prosegue, né poteva essere altrimenti, in Purgatorio e in Paradiso, dove, soprattutto nel Cielo di Mar­ te e per voce di Cacciaguida, al Dante personaggio storico del

I300 verrà

affidato il mandato di tener fissa la mente a una Firenze antica, che ben poco aveva da spartire con quella che, rispetto alla data del viaggio, egli avrebbe presto avuto soggetta alla propria responsabilità. L'inattualità della prima, per dir così, doveva anzi divenire il profetico principio direttivo per la riforma della seconda. A tal proposito, Santagata ha parlato di un Dante

bifronte, aperto, come intellettuale, a una

«acuta percezione della storicità

dei fenomeni culturali», ma fermo, come uomo politico, alla volontà di «ricostruire un mondo immobile, garantito da un disegno istituzionale immutabile, simile in questo all'eterna corte celeste del Paradiso»'\ Una siffatta contraddizione è di per sé bastevolmente significativa per compren­ dere alcuni tratti dell'azione politica di Dante: In effetti in tutta la Commedia, e non solo nell'Injèrno, c'è una grande lacuna, un non detto carico di significato: Dante non produce alcuna analisi storico-politica degli anni decisivi che vanno dal priorato al bando".

Il compito profetico, espressamente affidatogli da Beatrice ( «Però, in pro

al carro tieni or li occhi, e quel che vedi, l ritornato di la, jà che tu scrive», Purg. XXXII 103-IOS), avrebbe dovuto dispiegarsi («ritornato di la» : dunque, secondo la data del viaggio e l' intentio aucto-

del mondo che mal vive, l

9· Fin dal 24 aprile 1300, a ridosso della fase più drammatica della «città partita»,

Bonifacio VIII autorizzava il vescovo di Firenze a usare l'arma della scomunica: si veda ancora Indizio, 2013, pp. 72-3. 10. Santagata, 2012a, p. 216. 11. Santagata, 2012b, pp. 13-5 ( consultabile in rete: www.lavitadidante.it ) . 12. Santagata, 2012a, p. 216; cfr. Zabbia, 2005, pp. 247-82; Capitani, 2013, pp. 217-35.

IS

DANTE LEGGERO

ris,

nella primavera dell'anno giubilare ) all'interno del conflitto giurisdi­

zionale con un papato giudicato simoniaco e perciò contrastato nei suoi medesimi presupposti teocratici. n punctum

personaggio Dante,

messo in

saliens è perciò il seguente: il scena dall'autore Dante, viaggia prima delle

vicende che determineranno le progressive cause del bando, sicché la scelta della primavera del

1300

viene pertanto a definire, oltreché il necessario

silenzio "strutturale" sul periodo successivo (fino al marzo

I3o2), la sua in­

nocenza, nell'atto stesso di connotarla profeticamente secondo le forme di una missione antisimoniaca che attraversa tutto il poema, sino al congedo di Beatrice, sillabato contro la «cieca cupidigia» di Clemente

v:

«ch'el

sarà detruso l là dove Simon mago è per suo merto, l e farà quel d'Alagna intrar più giuso»

(Par.

xxx

I46-I48).

Nulla ci viene invece disvelato sul

periodo del protagonismo politico di Dante\ La «reticenza» è quindi inscritta nella cronologia assegnata alla visione e ne è una premeditata stra­ tegia compositiva!+, perché importava allo scrittore qualificarsi come fiorentino della tradizione nobile, alle nobili consuetudini anco­ rato: omogeneo cioè a quello strato cittadino (guelfo o ghibellino, di nobiltà feu­ dale o consolare o di più recente assimilazione magnatizia), che il ceto mercantile era venuto scompaginando o disfacendo1S.

Il raggiungimento di un tale scopo veniva ottenuto inscenando questi pro­ positi, resi chiari in processo di tempo dalle vicende dell'esilio, tra il marzo e l'aprile del

2.

I300, per non negoziarne in alcun modo la giustizia16•

Sono in proposito assai preziose, dopo le ricerche pionieristiche di Ber­

nardino Barbadoro17, le recenti indagini di Giuliano Milani, che ha mostra­ to, con dovizia di argomenti, quale titanico sforzo Dante fece per riscrivere, 13. Cfr., ancora, Santagata, 2.012a, p. 2.10: «la Commedia che noi conosciamo può essere lo sviluppo di un progetto passato, ma in realtà nasce nell'esilio, e con intendimenti diversi da quelli a cui quel progetto mirava. Tra questi forse», si noti, «il più determinante è la volontà di allontanare da sé la taccia di traditore»: cosa, questa, che poteva unicamente ottenersi riportando l'orologio della propria storia alla stagione che precede il maggio 1300. 14. Sul rilievo del 1300 nella definizione dello statuto profetico dantesco, cfr. Pasquini, 2.006, p. 87. Per uno sguardo d' insieme sul poema, cfr. ora Pasquini, 2.015. 15. Carpi, 2.004, vol. I, p. 135. 16. Da meditare sono le osservazioni di Miglio, 2.001, pp. 41-55. 17. Barbadoro, 192.0, pp. 5-74, nonché Id., 192.4, pp. m-2.7. Per le cure sue, essenziali

sono i Consigli della Repubblica Fiorentina, vol. I, parte I ( 1301-07 ) , con una premessa di !sidoro del Lungo e con tre tavole fuori testo: Barbadoro, 192.1, prosecuzione non solo ideale del grande lavoro di Gherardi, 1898.

16

I. DANTE PRIORE E LA GENESI DELLA COMMEDIA

8

nella Commedia, la propria vicenda politica del I300-02' , con l'intento di ridefinire la «strutturale ambiguità» del suo bando, dapprima rivendicando la sua militanza bianca e collaborando attivamente [ ... ] con l' universitas partis alborum; poi, una volta chiusa quella via, spogliandosi dei panni del Bianco, e tentando di difendersi dalle singole accuse che avevano costitu­ ito la base della sua condanna; infine, una volta che anche questo tentativo si rivelò inefficace, mettendo mano a un progetto autonomo di riscrittura della propria fama, un progetto destinato a realizzarsi nel corso di più di un quindicennio con mezzi che i giudici del 1302. e quelli che li avevano chiamati non avrebbero potuto immaginare, al compimento del quale, la sua condanna sarebbe stata unanimemen­ te considerata ingiusta nei sette secoli seguenti'9•

Una tale riscrittura della propria storia doveva condurre Dante a scegliere un tempo del racconto che fosse insieme vicino ai fatti che prelusero al ban­ do, poiché questi dovevano essere rappresentati con drammatica vivezza, e

anteriore ai mesi che impressero il sigillo della sua medesima responsabilità, nient'affatto secondaria, sulle vicende di Firenze, le quali condussero di

ramo in ramo alla stessa rovina del poeta ( onde la «strutturale ambiguità»

richiamata dal Milani ) . La sua intera azione politica dal maggio del I300 al marzo del I302 veniva così facendo assolta da ogni ombra di sospetto o di colpa, a condizione tuttavia di essere collocata tra l'indizione del giubileo, il 22 febbraio, e il principio del priorato, il IS giugno, prima cioè di ogni successivo evento legato alla diretta opera politica di Dante'0• Tutto questo, oltre a rendere legittimo il dubbio di Santagata, chiarisce la risposta che suggeriamo: la retrodatazione del viaggio alla primavera del I300 sanciva, agli occhi di Dante, la sua estraneità non alla politica, ma alle dinamiche che resero Firenze una diabolica fucina, mentre le caratteristiche del viag­ gio, voluto da Dio e mediato da Beatrice, attribuivano a quella medesima estraneità un carattere profetico, che consacrava anticipatamente l'azione di un priore e di un ambasciatore che si sarebbe scontrato con Bonifacio

18. Milani, 20II, pp. 42-70; Mineo, 2016, pp. u5-36. 19. Milani, 20II, pp. 69-70. Cfr. pure Campanelli, 2006, pp. 187-377. Da non dimen­

ticare Levi, 1882, e Bottagisio, 1926. Per Firenze, oltre a Zabbia, 2005, si torni a Morghen, 1983. 20. Paravicini Bagliani, 2000, pp. 459-83. La bolla del giubileo, Antiquorum habet,

venne promulgata il 16 o 17 febbraio 1300 dalla basilica del Laterano. Pochi giorni più tar­ di, dal Vaticano, il 22 febbraio, «festa della cattedra di San Pietro», il pontefice annunciò l'indulgenza del giubileo e depose la nuova bolla, Nuper per alias, sulla cattedra di San Pietro; ivi, pp. 460-1.

17

DANTE LEGGERO

VIII

e, poi, contro i nemici dell'impero- come l'esule ben sapeva e inten­

deva mostrare con tale scelta cronologica- non perché trascinato da livore personale o da meschino odio di parte, tra il marzo e l'aprile del 1300, ma perché sospinto dalla volontà stessa di Dio'1• 3·

Un dubbio pertanto ci assale: indotti a riflettere sulle strategie po­

etiche dell'autore siamo stati forse sospinti a non considerare in modo adeguato «il vero delle cose certe»", la storicità del personaggio, ovvero quel che Dante fu e foce non solo quando scrisse il poema, ma quando volle che esso fosse ambientato?'' Questo dubbio, a sua volta, può tradur­ si euristicamente in una domanda: perché Dante, in esilio, tramontate le speranze di rientrare in Firenze, avrebbe dovuto compiere la scelta crono­ logica della primavera del 1300, se non per giustificare e presentare in luce provvidenziale sia ciò che egli fu e fece prima, per rendersi degno della grazia di un simile viaggio, sia ciò che egli fu e fece dopo quel «volo», vuoi in Firenze, vuoi in seguito, quale exul inmeritus? Poco importava al poeta che all'altezza della divulgazione delle cantiche i lettori fossero in 21. La situazione fiorentina era già foriera di tensione, se è vero che Corso Donati, bandito dalla città, era a tal segno nelle grazie di Bonifacio che questi, il9 febbraio 1300, lo nominava rettore della Massa Trabaria: Indizio, 2013, p. 74· Sul rilievo del priorato nell'in­ telligenza della Commedia la posizione più chiara ed esplicita, prima di queste pagine, si deve a Tavoni, in Santagata et al., 2006, p. 459: «Secondo l'assunto realistico che Dante impone al lettore, il "viaggio" nell'aldilà è un fatto. Tanto è vero che ha avuto luogo in una data precisa. [ ... ] Prendendo sul serio il realismo che Dante ci impone, ha quindi senso inserire questo fatto nella cronologia degli "altri" avvenimenti della vita di Dante. Balza così agli occhi che Dante ha avuto tale visione prima del bimestre cruciale in cui, da priore, si è assunto le responsabilità più importanti della sua vita. Responsabilità pubbliche gravi, perché hanno spinto le cose in una direzione di scontro con il partito papale, perché hanno contribuito a far precipitare gli eventi: ma anche perché una di esse, quella del confino a Guido Cavalcanti, è stata la causa della morte del suo "primo amico". Il ricordo di quell'a­ zione, sepolta dal silenzio calato su Guido, non poté non restare scomodamente vivo in Dante negli anni seguenti. La data del viaggio nell'aldilà sembra rispondere, oltre che ad altri significati simbolici, a questo fondamentale scopo: segna il discrimine fra il Dante tra­ viato e il Dante rigenerato. E tutte le azioni politiche rilevanti compiute da Dante cadono dopo quel discrimine: non sono state dunque compiute da un uomo smarrito nell'errore, ma dall'uomo investito da Dio di quella eccezionale missione profetica».

22. Compagni, 2000, p. 3· Per i contesti politici: Martines, 1972; Davis, 1988; Rubin­ stein, 2004.

23. Tra i commentatori del poema un luogo d'eccezione spetta a Umberto Bosco, che Inf I 1: «Il 1300 è

ricorda il priorato di Dante nella sua prima, importante annotazione a

un anno cruciale per Dante, per Firenze, per l'umanità. È l'anno del suo priorato, il culmine dunque della sua azione politica, nel quale tuttavia il poeta riconosceva l'origine delle sue dolorose vicende», Dante Alighieri, 2002, vol. I, p. 3·

18

I.

DANTE PRIORE E LA GENESI DELLA COMMEDIA

grado di cogliere appieno l'implicazione della sua scelta cronologica nella definizione anticipata della propria giustizia di esule e di profeta. Impor­ tava invece a lui- si pensi al xxv canto del Paradiso- riavvolgere il filo del tempo e radicare la propria giustizia laddove nessuno potesse contestarne il carattere e la missione. Se, in effetti, una volta scelto il I300, Dante avesse collocato l'inizio del poema al tempo del priorato, avrebbe conferito un accento di parte a un poema che doveva proclamare e incarnare la giusti­ zia, che voleva premiare e castigare gli uomini, non meno che esortarli e persuaderli alla virtÙ24• Se, diversamente, il poeta avesse collocato il tempo del viaggio

dopo il priorato,

a stento avrebbe evitato di assumere nel po­

ema fatti e personaggi di quel periodo, che dovevano essergli amari: su tutto, il bando e la morte di Guido Cavalcanti, che pur affioreranno nel testo ( poiché, nell'immaginata primavera del I300, l'equivoco nel quale cade Cavalcante, in

Inf x

67-72, è spiegabile

post foctum, dopo la morte del

solo,

al pari di tutti i cenni

«primo amico» e quindi

dopo il bimestre

del priorato, allorché si determinarono gli antefatti della scomparsa di Guido ) 21• Del pari, se Dante avesse inscenato il poema

dopo

il I4 agosto

I300, avrebbe dovuto di necessità difendere un'azione politica personale

che egli riteneva giusta e santa nella sua interezza, ma che aveva suscitato contrasti tali da indurre Bonifacio luglio I300

VIII

a dettare la terribile lettera del 22

(Ut possit procedere contra Florentinos sibi et Apostolicae Sedi

rebelles) e Matteo d'Acquasparta a concepire la scomunica contro la città di Firenze, comminata nondimeno a fine settembre, quando Dante non apparteneva più al collegio priorale6• A queste considerazioni dobbiamo

24. I«buoni cittadini popolani» di Firenze,nel racconto del Compagni,sospettavano la parzialità dei Priori sin dall'istituzione di quel collegio, e ne« biasimavano l'ufficio [ . ..],

perché i Guelfi grandi erano signori» ( Cronica I v, in Compagni,2000, p. 9 ). Per un quadro generale cfr. Ottokar,1974, pp. 3-32. Utile,poi, Pampaloni, 1970, per la scheda informativa sul priorato, nell'Enciclopedia Dantesca.

25. A questi aspetti si dedica,praecipue nella sua prima parte,il CAP. 2. Sull'importanza della data di morte di Cavalcanti nella ricostruzione di queste vicende, cfr. Levi, 1882, pp.

53-4,

nota



Per non edulcorare, in esclusiva direzione poetico-filosofica, l'immagine di

Guido e restituirla alla durezza della lotta politica cittadina,giova sempre il ricorso a Barbi, 1975, pp. 371-8. Il rilievo politico di Guido traspare del resto dal ripetuto ricordo,che aleggia nella Cronica del Compagni, dell'odio reciproco fra Cavalcanti e Corso Donati: «Messer Corso forte lo temea, perché lo conoscea di grande animo; e cercò d'assassinarlo,andando

Guido in pellegrinaggio a San Iacopo» ( Cronica I xx 103-104, in Compagni, 2000, pp. 33-

4). Di«odio implacabile» fra i due discorreva pure Carpi,2004, vol. I, p. 140, riferendosi alla «esperienza diretta di Dante priore».

26. Dopo la scomunica, Matteo si sarebbe recato a Bologna, dove intratteneva stretti rapporti con l'Ordine dei Servi di Maria, che Dante evoca per condannarne due ragguar-

19

DANTE LEGGERO

appellarci, poiché la sola occorrenza giubilare non è affatto bastevole, di per sé, a giustificare la scelta della primavera come tempo della visione della

Commedia (lo stesso arcivescovo di Firenze, Francesco Monaldeschi, si re­ cò a Roma per il giubileo nel novembre del 1300), mentre il pellegrinaggio dantesco a Roma sarà da collocare forse tra il22 febbraio e la fine d'aprile, prima dell'ambasceria a San Gimignano e prima del priorato27• Va da sé, al­ lora, che per far scaturire dalla propria innocenza la propria sventura (con la scoperta volontà di legittimare la prima attraverso la seconda), come anche per conferire un valore universale al proprio «fatale andare» v 22

(Inf

) e alle proprie scelte morali e politiche, Dante, nel definire l'assetto

del poema e il tempo dell'esperienza salvifica in esso rievocata, doveva col­ locare la visione

prima dell'estate, liberandone il messaggio di palingenesi

dalla contingenza della lotta politica fiorentina. Per legittimare l'azione del priore, la speranza dell'ambasciatore e la giustizia dell'esule, il viaggio doveva essere sottratto alla durezza dello scontro ideologico che le avrebbe fraintese, come di fatto avvenne, sì da mostrare in luce sinistra, in anticipo sul loro dispiegarsi effettuale, le macchinazioni imbandite non soltanto contro un uomo onesto, ma contro un eletto da Dio. del viaggio a farci comprendere come la re per Dante non solo il

devoli esponenti in

Inj XXIII

racconto,

ma la

È insomma la data

Commedia potesse rappresenta­ prova della sua innocenza (colà

70-90: su questo aspetto, cfr. Canaccini, 2008, pp. 59-65.

Secondo la cronologia di Canaccini la scomunica risale al2.8/2.9 settembre; ivi, p. 114. 2.7· Così, a proposito dell'arcivescovo, leggiamo in un documento dell' 11 novembre riportato da Canaccini, 2008, p. 35, nota 13: «In expensis quas facere nos oportet in eundo Romam pro indulgentia obtinenda». Secondo Canaccini, il viaggio giubilare di Dante a Roma sarebbe da collocare nella primavera del 1300, prima dell'ambasceria a San Gimi­ gnano del 7 maggio, «giacché si deve escludere una sua partecipazione e perciò un suo viaggio nei territori pontifici, dopo il priorato e dopo le sue posizioni chiaramente anti­ bonifaciane», ivi, p. 34· Dunque, fra il 22 febbraio e il 3o aprile. Così, per sua parte, il non diverso parere di Santagata, 2.012a, p. 118: «Il viaggio a Roma, più che un'ipotesi, sembra una certezza. Non sappiamo, però, in quale periodo dell'anno sia avvenuto. Stando alla

( poca ) documentazione in nostro possesso, in marzo-aprile o tra settembre e Natale niente avrebbe impedito a Dante di ritagliarsi un mese di tempo ( quindici giorni di viaggio e quindici per visitare le basiliche ) da dedicare a quel viaggio penitenziale. Il 14 marzo è a Firenze, dove riceve un prestito dal fratello Francesco: è suggestiva l'ipotesi che quei soldi gli servissero proprio per il pellegrinaggio e, magari, egli sia giunto nell'Urbe proprio il2.5 marzo, giorno d'inizio del viaggio ultraterreno della

Commedia». Difforme, invece, il pa­

rere di Inglese,2.015, p. 67, che sposta l'esperienza de visu di Roma al tempo dell'ambasceria del tardo 1301: «A questo viaggio, e non necessariamente a un pellegrinaggio giubilare dell'anno precedente, possono accreditarsi notizie o visioni romane, come quella della Pina di San Pietro [ ... ] o del ponte tra Castel Sant'Angelo e Monte Giordano», rispettivamente in fnj XXXI 59 e XVIII 32-33.

2.0

I.

DANTE PRIORE E LA GENESI DELLA COMMEDIA

riscritta e rappresentata, mercé il silenzio sulle proprie responsabilità), e insieme il pegno di una giustizia individuale di così conclamata grandezza da dover imporre ai suoi concittadini di farlo rientrare gloriosamente nel suo bel San Giovanni. La visione e la missione «in pro del mondo che mal vive»

(Purg. XXXII 103) dovevano compiersi dunque nel poema prima del

decisivo ruolo ricoperto dal poeta negli scontri tra le fazioni fiorentine, poiché di quel ruolo esse anticipavano il carattere offrendone una giusti­ ficazione provvidenziale. La data del viaggio serviva perciò a Dante per spiegare le ragioni della propria vicenda, traguardate nella loro origine, attraverso una vigile ricostruzione dei fatti del

I300-02.,

alla luce folgo­

rante delle sventure patite in esilio. Considerata, dal secolare commento, soprattutto per chiarire il riferimento alla vita o alla morte o alle imprese di certi personaggi della

Commedia, in ispecie per le profezie da leggersi in relazione alla primavera del I300, quella data dovrebbe tornare a essere per noi ciò che per Dante sicuramente fu: un fascio di luce proiettato sulla sua

condizione storica, in rapporto alla finalità di ridisegnare completamente la storia esemplare della sua sventura. Quando si rifletta su tutto questo non può sfuggire l'opportunità, che



si offriva al poeta, di innestare il privilegio della propria visione a ridos­ so dell' indizione del giubileo, per collegarlo così alla grazia ricevuta dalla «corte del cielo»

(Inf II 12.5)

in quella speciale occasione di palingenesi,

come pure a una generale speranza di renovatio, all'amore per Beatrice e al raggiungimento del «colmo» della sua stessa vita, secondo una prospettiva che si collocava ben più in alto del violento gioco delle parti'8: onde il corol­ lario secondo il quale, nellafictio cronologica del racconto, ciò che egli era e ciò che egli sarebbe di lì a poco divenuto, in Firenze, per volontà divina e per amore della «loda di Dio vera»

(Inf II I03), sarebbe stato rappresentato

come la fattiva conseguenza della propria biografia, individuale e letteraria, senza compromissioni con la «lunga tencione»

(InJ VI 64) del I300-o2.,

per così dimostrarsi innocente delle persecuzioni che lo avrebbero colpito. A tal proposito, nella sua ricostruzione della vita di Dante, Leonardo

Bruni fornirà notizie di indubbio rilievo sul periodo che ora ci interessa («Da questo priorato nacque la cacciata sua e tutte le cose avverse che egli 28. 2013,

Si rammenti Moore, 1900, p. 9· Cfr. poi Cardini, in Veglia, Paolini, Parmeggiani,

pp. 371-84, nelle pagine su Acri, Palestrina, cielo di Marte. Dante e la crociata "tradita",

dove, di Dante, ricorda l' «esperienza di partecipazione al collegio priorale che governava Firenze», ivi, p. 371 . Per il giubileo, è suggestivo e persuasivo quanto osservato da Durling, 2010,

pp. s-17.

21

DANTE LEGGERO

ebbe nella vita sua» ) , allegando una lettera del poeta non altrimenti con­ servataci'9: Dante, adunque, tolto donna e vivendo civile e onesta e studiosa vita, fu adoperato nella repubblica assai; efinalmente, pervenuto alla eta debita, fu creato de' priori: non per sorte, come s'usa al presente, ma per elezione, come in quel tempo si costumava fare. [ ...]Da questo priorato nacque la cacciata sua e tutte le cose avverse che egli ebbe nella vita sua, secondo lui medesimo scrive in una sua epistola, della quale le parole san queste: «Tutti i mali e tutti gli inconvenienti miei dalli infausti comizii del mio priorato ebbono cagione e principio; del qual priorato, benché per prudenza io non fussi degno, nientedimeno per fede e per età non era indegno, però ché dieci anni erano già passati dopo la battaglia di Campaldino, nella quale la parte ghibellina fu quasi al tutto morta e disfatta, dove mi trovai non fanciullo nell'armi, dove ebbi temenza molta e nella fine allegreza grandissima, per li varii casi di quella battaglia». Queste sono le parole sue.

Dante, che sugli eventi fiorentini, tanto più e meglio se lo riguardavano direttamente, era certo più informato di noi, affermava allora che tutti i suoi «inconvenienti» discesero dal priorato, evocato come il compimento di un percorso iniziato a Campaldino e culminato nell'estate del 130030• L'esi­ lio, causa prima del profetismo del poema, nacque e storicamente si radicò, a suo giudizio, in quel bimestre di scontro con il temporalismo pontificio, che avrebbe poi generato, dopo l'entrata in città di Carlo Senzaterra e l' am­ basceria romana, la sua tragica sventura. Sicché, la datazione del viaggio alla primavera del 1300 poneva il frutto della visione a monte dell'opera del priore, prospettandone la giustizia a consacrazione preventiva della sua atti­ vità politica, protesa a sedare le discordie fiorentine per meglio contrastare il progetto espansionistico di Bonifacio VIII3'.

È

ben vero che dobbiamo

querelarci della lacuna dei verbali dei consigli fiorentini dal 1298 al 1301,

come pure di una diffusa noncuranza della recente critica dantesca ( con 29. Così il Bruni, in Dante Alighieri, 2016b, p. 237. 30. Tra le provocazioni dei «grandi» alla vigilia di San Giovanni vi sarebbe stata anche questa, secondo Dino Compagni: «Noi semo quelli che demo la sconfitta in Campaldino,

e voi ci avete rimossi dagli ofici e onori della nostra città» (Cronica I XXI 109, in Compagni,

2000, p. 35 ) . Notevole è pertanto il ricordo orgoglioso di Dante di aver preso parte alla

battaglia di Campaldino nel contesto della rievocazione del prestigio del suo priorato. Se egli ebbe la risolutezza, sul finire di giugno del 1300, di bandire i capiparte Bianchi e Neri, ciò riposò tra l'altro sulla coscienza di aver egli preso parte, colla medesima fierezza dei «grandi», alla gloriosa vittoria di Campaldino. 31. Bruni, in Dante Alighieri, 2016b, p. 236.

22

I.

DANTE PRIORE E LA GENESI DELLA COMMEDIA

l'eccezione rappresentata dagli studi di Giuseppe Indizio, Umberto Carpi, Marco Santagata, Giorgio Inglese, Alberto Casadei e Mirko Tavoni ) verso la stagione culminante dell'attività politica dantesca. Eppure, per Giovan­ ni Villani, il poeta fu «de' maggiori governatori della nostra città»3'. E Boccaccio, cui certo si può concedere l'inclinazione all'enfasi narrativa, ma non alla premeditata falsificazione della biografia dantesca, rammen­ tava che «niuna legazion s'ascoltava, a niuna si rispondea, niuna legge si fermava, niuna se ne abrogava, niuna pace si faceva, niuna guerra publica s' imprendeva, e brievemente niuna deliberazione [... ] se egli in ciò non di­ cesse prima la sua sentenzia»33: evidente esagerazione, certo, di un ruolo pubblico nondimeno importante, perfino cruciale, quando il poeta si trovò «nel colmo del reggimento della republica» e molto «presunse di sé»34• Resta a noi, granitica, la persuasione di Dante che a quel bimestre an­ dasse ricondotta la propria rovina. E s'intende che, nel comprendere sto­ ricamente i fatti e i personaggi della

Commedia,

deve interessarci meno il

rilievo, che essi ebbero nella realtà, del giudizio che ne diede il poeta. Di­ versamente rischieremmo di sdrucciolare in equivoci maldestri, sui quali richiamava l'attenzione un medievista come Ovidio Capitanil5• Sul «con­ testo extraverbale del codice letterario» aveva del resto indugiato Ezio Rai­ mondi, nel vestibolo di Metafora e storia, notando che soprattutto in Dante la realtà viene immessa «addirittura nel profondo del suo racconto lirico ogni volta che nomina un personaggio o un episodio e obbliga il lettore a

32. Ben noto il giudizio che del poeta tracciava il cronista V illani, 1991 (si tratta del cap. cxxxvi) : «Questo Dante fue onorevole e antico cittadino di Firenze di porta San Piero, e

nostro vicino; e 'l suo esilio di Firenze fu per cagione, che quando messer Carlo di Valos de la casa di Francia venne in Firenze l'anno MCCCI, e caccionne la parte bianca, come adietro ne' tempi è fatta menzione, il detto Dante era de' maggiori governatori de la nostra città e di quella parte, bene che fosse Guelfo; e però sanza altra colpa co la detta parte bianca fue cacciato e sbandito di Firenze». Contro la sottovalutazione del ruolo pubblico di Dante si pronuncia autorevolmente Indizio, 2013, p. 7 7, che ricorda «l'assoluto prestigio politico del poeta». 33· Boccaccio, 1974, p. 452. 34· lvi, p. 47 8. 35· Capitani, 2007, pp. 45-59. In polemica con Mellone, 1986, p. 38, che sosteneva la

possibilità che Dante scegliesse alcuni personaggi «per motivi estranei al ruolo che assegna loro nella

Commedia», Capitani, 2007, p. 46, notava che una simile affermazione nasceva

dal «presupposto molto discutibile di cogliere il senso della storia in Dante chiedendosi se il Poeta sia esatto o no». E aggiungeva: «Voglio dire con forza che, se mi importa relati­ vamente stabilire l'esatta corrispondenza della presentazione di Dante con la "reale" figura storica dei personaggi invocati, non posso accettare, non possiamo accettare di disinteres­ sarci del perché Dante abbia fatto certo scelte»

23

(ibid.).

DANTE LEGGERO

una sorta di visione doppia, di confronto tra ciò che egli ricorda e ciò che deve apprendere», in una retorica della rappresentazione verbale dell'Ol­ tremondo dove un simile approccio, se vale per i personaggi incontrati dal poeta, giova del pari a cogliere la dimensione storica del poeta stesso, che del poema è il personaggio principale, nella primavera del 130036• s.

La Commedia, col disporsi per volontà dell'autore in un tempo nel qua­

le il personaggio non aveva ancora conseguito il priorato (né aveva inizia­ to l'irresistibile ascesa, che si può intravedere fin dalla delicata ambasceria affidatagli a San Gimignano il 7 maggio 1300, a ridosso degli scontri di Calendimaggio suscitati dalla regia di Corso Donati)37, non solo ci sug­ gerisce, ma ci impone, collocando la propria azione tra il marzo e l'aprile del 1300, di porre in relazione stretta, consequenziale, la condizione storica del personaggio da un lato, con gli eventi che, nel breve volgere di pochi mesi avrebbero, dall'altro, determinato le premesse della tragedia di Dante e della crisi, violenta e sanguinosa, di Firenze. L'avversione e lo scontro del priore, del poeta-profeta, poi ambasciatore, con Bonifacio

VIII,

riletti in

questa prospettiva si colorano di una luce diversa. Nel bimestre che precede il priorato di Dante38, ad esempio, assurgeva alla massima carica fiorentina Lapo Saltarelli (15 aprile-14 giugno) che, di­ sprezzato in seguito dal poeta, era tuttavia colui che disvelò e condannò, insieme con Lippo Becca Rinucci, la congiura pontificia contro il Comu­ ne di Firenze, ordita da tre banchieri fiorentini che risiedevano in Curia (Noffo da Quintavalle, Simone Gherardi Spini e Cambio di Sesto), che appunto per aver macchinato contro la libertà di Firenze furono condanna­ ti a un bando di

2..ooo

lire ciascuno o al taglio della lingua. «Bonifazio»,

all'epoca, «avea posta la mira delle sue ambizioni teocratiche, non che a Firenze, ali' intera Toscana», e aveva «tentato il guado mediante l'opera vendereccia di tre suoi cagnotti», così espressivamente Isidoro Del Lungo, «scelti fra i mercatanti fiorentini che maneggiavano la pecunia della Corte

36. Raimondi, 1970, p. X. Sull'importanza della biografia del Bruni si sono sempre

trovati concordi gli studiosi del poema. Quanto al periodo del priorato, se mancano i do­ cumenti col nome di Dante per il quadrimestre maggio-agosto del 1300, ve ne sono che riguardano lo scontro giurisdizionale del pontefice col Comune di Firenze e l'azione di Matteo d'Acquasparta, che precede, accompagna e segue le vicende del priorato di Dante. Da questo punto di vista le appendici pubblicate dal Canaccini, 2008, pp. 125-88, sono di indubbia importanza, perché arricchiscono il ricordato studio di Levi, 1882. 37· Raveggi, 1992, pp. 18-24. 38. Cfr. Raveggi, 2013.

I. DANTE PRIORE E LA GENESI DELLA COMMEDIA

di Roma»39• Nel marzo del I300, in fin dei conti, era cominciata una fase di scontri, ovvero da quando il collegio dei priori aveva inviato a Roma un'ambasceria «per scoprire chi, presso il Lacerano, facesse il doppiogioco, favorendo Bonifacio contro il Comune di Firenze»40• Le «mene» di Si­ mone Gherardi, di Cambio di Sesto e di Noffo erano state severamente punite dalla Signoria del bimestre dal 15 aprile al 15 giugno, nel quale sedeva gonfaloniere Guido Ubaldini da Signa detto il Corazza, e fra' Priori messer Lapo Saltarelli, e questi era stato de' più caldi nel decretare quella punizione. Bonifazio aveva allora fulminato contro la Signoria, e in particolare contro lo zelante legista, una terribile citatoria4'.

Questi eventi, che esasperarono papa Caetani, furono accettati e legittimati dal priorato successivo (quando Dante fu al governo), che quindi aggravò lo scontro con Roma4\ con un'azione politica che la Commedia ci rivelerà nei suoi presupposti profetici e nelle sue fatali conseguenze sulla vita del poeta43: 39· Del Lungo, 1921, p. 124. 40. Cfr. Canaccini, 2008, pp. m-6, per la cronologia relativa agli antefatti e ai fatti della legazione di Matteo a Firenze. Il r8 aprile, con giudizio sommario, erano stati accusati i fiorentini surricordati, quando, da tre giorni ormai, Lapo Saltarelli sedeva nel collegio priorale anteriore a quello di Dante. Bonifacio scrisse prima il 24 aprile, poi il rs maggio. Il 13 giugno, a ridosso dell'elezione di Dante, il governo fiorentino proibì a Matteo qualsivo­ glia intromissione nella pratica della giustizia. Ai nuovi priori il camerlengo consegnava la condanna dei tre fiorentini traditori (ivi, pp. u2-3). 41. Del Lungo, 1921, p. 124. 42. Esplicito il disprezzo del pontefice per Lapo, così declinato nella lettera, la «ter­ ribile citatoria», del rs maggio: «Quid igitur dictus Lapus, qui vere dicendus est lapis offensionis et petra scandali, in caninos latratus prorumpit, detrahendo tradite nobis a Deo plenitudini potestatis?». E in tema appunto di potestas è tutta declinata la lettera contro la protervia fiorentina: «Huic militantis ecclesie summo Jerarche omnis anima debet subisse, omnesque fideles cuiuscumque eminentie sive status colla submittere, et eius mandata et monita cum delinquunt suscipere necessario, velut medicamenta curantis. Nam alias vive­ rent nonnulli homines sine lege qui superiorem non agnoscerent et crederent se impune peccare. Quis eorum peccata corrigeret? Quis malefacta puniret? Certe qui sic sapiunt, desipere dinoscuntur. Et ideo plus turbamur, quando per insipientes corde Apostolice Sedis auctoritate detrahitur, et commissa nobis a Deo potestatis plenitudo non absque heresis suspicione mordetur, presertim ab illis qui speciali et quasi peculiari nobis sunt ratione subiecti» (Canaccini, 2008, p. 187 ). Per il concetto di potestas nella pubblicistica giuridico­ politica medievale è indispensabile il ricorso, ad indicem, a Costa, 1969, da affiancare a Capitani, 1983. 43· Gli «infausti comizii» del priorato, come tali ricordati nella biografia del Bruni (in Dante Alighieri, 2016b, p. 235), sono spiegati da Milani, 20II, p. 69, nota 105, «proprio nell'accezione di "elezione"». Le modalità della elezione dei priori venivano decise volta per volta, allo scopo di garantire il risultato agognato. La lettera salvataci dal Bruni dimostra

25

DANTE LEGGERO

poiché, a differenza degli altri priori, Dante difese sia la libertas di Firenze dal­ le ingerenze pontificie, come era prevedibile che accadesse in quel frangente, sia, se prestiamo fede alla riscrittura compiuta nel poema dell'ingiustizia della propria condanna, la coscienza di dover agire addirittura in nome di Dio, per riformare il mondo attraverso la denuncia senza reticenze della Chiesa simo­ niaca di Bonifacio e dei suoi cupidi successori44• Dal 7 maggio, con l'ambasceria a San Gimignano, era principiata la scalata di Dante al vertice della politica fiorentina, al tempo stesso che il papa inaspriva il suo contrasto con il Comune. Il 4 maggio, tre giorni prima della partenza di Dante per la delicata missione a San Gimignano, una prov­ visione confermava la balìa straordinaria ai priori che, dopo i fatti del Ca­ lendimaggio, si trovavano così a governare un'autentica emergenza. Quella magistratura, che Giorgio Inglese ritiene «decisiva» per la vita di Dante, in quel frangente non può ritenersi una «normale rotazione d' incarichi»41, se non altro perché la drammaticità dello scontro giurisdizionale induceva le parti in conflitto a intervenire sulla modalità stessa di quegli avvicen­ damenti, affinché alcuni e non altri cittadini riuscissero eletti al priorato. Le strategie pontificie attribuivano a ogni aspetto della scena politica fio­ rentina un diverso e più delicato ruolo. La posta in gioco era alta. Sicché, la persuasione di Todeschini che «lo essere assunto alla signoria non do­ vesse riguardarsi come un grande e segnalato onore, ma piuttosto come un argomento necessario per un buon popolano di buona condizione a dimostrare che i suoi cittadini ne facevano qualche stima», non vale certo per il momento più drammatico della vita di Firenze, che scocca a partire dal Calendimaggio del 130046• Da marzo, «sotto le spoglie del pacificato­ re», Bonifacio

VIII

aveva invitato a Roma Vieri de' Cerchi che, secondo

pertanto che, anni dopo, con chiarezza retrospettiva, Dante coglieva nelle modalità della propria elezione il principio della propria sventura; là, in effetti, si sarà radicata la convin­ zione dei Neri di un suo fazioso allineamento alle vicende del maggio e ai loro protagonisti: su tutti, a Lapo Saltarelli. 44·

Dante, secondo la data del viaggio, si attribuì, in anticipo su questi eventi, il dirit­

to-dovere di guidare gli uomini, di castigarli, di premiarli, per volontà di Dio: con la Chiesa vacante, secondo

Par.

XXVII 19-56,

non toccherà che a lui il compito, il quale, a questo

punto proditoriamente, si sarebbe attribuito Bonifacio VIII nella storia dei suoi rapporti con Firenze: «Quis eorum peccata corrigeret?». Beatrice non mancherà di riconoscere nel suo poeta l'ultimo rappresentante della Chiesa militante (militantis ecclesie), Par. xxv

52-57. Il tutto, ricordiamo sempre, viene nel poema retrodatato, mentre Dante compone il poema in esilio, alla primavera del 1300. 45·

Come, appunto, è di norma giudicata; cfr. Inglese, 2015, p. 65.

46.

Per il giudizio di Todeschini cfr. ancora ivi, p. 64, nota 3·

I.

DANTE PRIORE E LA GENESI DELLA COMMEDIA

la testimonianza del Villani, si mostrò col papa «troppo duro e bizzarro», sì che Bonifacio

VIII

«rimase molto isdegnato» con Vieri «e contro sua

parte»47• Quando fallì la congiura donatesca (ordita a ridosso dell'incon­ tro di Vieri col pontefice), cui partecipò Guido da Battifolle «col preciso scopo di abbattere i cerchieschi Scali» e nella quale ebbe un ruolo non secondario Simone de' Bardi, il vedovo di Beatrice, Bonifacio, per tutelare e imporre i propri interessi, inviò a Firenze Matteo d'Acquasparta48• Giunto in città, preso alloggio nella dimora del vescovo, egli si scontrò subito coi governanti, che si opposero «ad ogni ingerenza del vicario di Cristo negli affari» del Comune: a tal fìne, essi votarono, due giorni prima dell'inizio del priorato di Dante, il I3 giugno, «un decreto che limitava fortemente i casi in cui si potesse concedere ali' Inquisizione l'uso del braccio secolare». Opportunamente ha così osservato Giuseppe Indizio: «Con un tale benve­ nuto il conflitto da coperto diventava palese e il sospetto di eretica pravità cominciò ad aleggiare sui membri delle principali istituzioni fiorentine»49• In un simile contesto, il IS giugno, Dante diveniva priore: «la sua appar­ tenenza cerchiesca » doveva «apparire indiscussa se lo si nominava alla massima magistratura cittadina in un frangente di tale delicatezza». Né, dopo i fatti della vigilia di San Giovanni, le cose migliorarono. Dal canto suo, tetragono nel difendere la libertà fiorentina dalle ingerenze di Boni­ facio

VIII,

Dante cercò di non mostrarsi fazioso, né «intransigente»: «il

collegio di cui faceva parte proclamò cerimonie di giubilo il25 giugno alla notizia di una (fugace) vittoria degli Angioini sugli Aragonesi a Trapani; inoltre accolse alcune richieste del Legato per l'uso del braccio secolare da parte dell'Inquisizione» (così il27 giugno; questa la richiesta di Matteo: «Petit venerabilis parer dominus Matheus episcopus portuensis apostoli­ ce sedis legatus pro bono statu civitatis Florentie et partis ecclesie dari et concedi per comune et popolum florentinum potestatem, auctoritatem et bailiam adque auxilium bracchii secularis super reformatione pacis inter aliquos magnates et magnates et etiam inter aliquos magnates et populares

singulares partis prefate qui habent guerras et vero inimicitias» ) 10, in una

47· Si ricorra per queste vicende a Indizio, 2013, pp. 74-5. 48. Ibid. 49· lvi, p. 76.

so. Canaccini, 2008, p. 132. Naturalmente ciò che veniva concesso al Legato non doveva minare le fondamenta della civitas fìorentina: «ita quod per predicta vel aliquod predictorum sive per ea que predictorum auctoritate vigore providebantur et fìent eisdem ordinamentis iustitie non sit nec intelligatur esse in aliquo derogatum. Nec contra ipsa ordinamenta vel aliquod e orum vel directe vel indirecte, tacite vel espresse possit vel debeat

DANTE LEGGERO

fase, tuttavia, nella quale «nessun gesto distensivo poteva ormai risultare efficace»1'. La stessa condanna di Guido Cavalcanti dové suonare alla co­ scienza del priore come la prova più alta, certo sofferta, del proprio impe­ gno per una giustizia superiore allo scontro fra i Bianchi e i Neri. Di un tale quadro politico resta esemplare la testimonianza del Bruni1': Essendo adunque la città in armi e in travagli, i priori, per consiglio di Dante, provi­ dono di fortificarsi della moltitudine del popolo; e, quando furono fortificati, ne mandarono a' confini gli uomini più principali delle due sette, che furono questi: messer Corso Donati, messer Geri Spini, messer Giachinotto de' Pazi, messer Ros­ so della Tosa e altri co' loro. Tutti questi erano per la parte nera e furono mandati a' confini a Castel della Pieve, in quel di Perugia; da l'altra parte de' Bianchi furo­ no mandati a' confini a Serezana messer Gentile e messer Torrigiano de' Cerchi, Guido Cavalcanti, Baschiera della Tosa, Baldinaccio Adimari, Naldo di messer Lottino Gherardini e altri.

�esto diede graveza assai a Dante e, con tutto che lui si scusi come uomo senza parte, nientedimanco fu reputato che pendesse in parte bianca e che gli di­ spiacesse il consiglio tenuto di chiamare Carlo di Valos a Firenze, come materia di scandalo e di guai alla città; e acrebbe l'invidia, perché quella parte de' cittadini che fu confinata a Serezana subito ritornò in Firenze e l'altra parte che era confinata a Castel della Pieve si rimase di fuori. A questo risponde Dante che quando quegli da Serezana furono revocati esso era fuori dello offizio del priorato e che a lui non si debbe imputare; più dice che la ritornata loro fu per la infermità e morte di Guido Cavalcanti, il quale ammalò a Serezana per l'aire cattiva e poco appresso morì. 6.

Il tempo della visione, rispetto alla crudezza dei fatti politici che si sa­

rebbero verificati a partire dal maggio del qoo, configura perciò il mandato profetico di Dante come la premessa, con due mesi d'anticipo, di un'attività politica vissuta come «milizia», mentre ragionevolmente suggerisce per­ ché Dante si dovesse far investire del proprio compito provvidenziale in un cielo di guerra, più propriamente di crociata, non nelle pacate atmosfere del Cielo del Sole o del Cielo di Saturno, rispettivamente tra spiriti sapienti

fieri vel veniri aliquo modo iure vel causa et si factum esset conntra, non valeat vel teneat ipso iure».ln questa discussione è dato cogliere la presenza dei priori: «Quibus omnibus ut susceptum est seriatim lectis predictus dominus capitaneus et defensor presentibus, volen­ tibus et consentientibus dominis prioribus artium et vexillifero iustitie iamdictis in predicto consilio centum virorum proposuit omnia et singula supradicta que supra proxime et im­ mediate in ispo presenti consilio notata et distinte scripta et ut supra dicitur per ordinem lecta sunt» (ivi, p. 133). 51. Indizio, 2013, p. 77· 52. Dante Alighieri, 2016b, p. 2.36.

I.

DANTE PRIORE E LA GENESI DELLA COMMEDIA

e tra spiriti contemplativi. Dove, se non nel Cielo di Marte, non per nulla bellicoso dio di Firenze, che «sempre con l'arte sua la farà trista»

(Jnf XIII

I4S ) , poteva compiersi una sequela di profezie che preludevano al «mili­

(«Questo si vuole e questo gia si cerca, l e tosto verrà fatto a chi ciò pensa l la dove Cristo tutto di si merca», Par. XVII 49-SI ) , avrebbe presto infestato la città votata ora al Battista? Il tar» del poeta contro il male che, da Roma

Cielo di Marte, quale sede della investitura poetico-profetica di Dante nella primavera del 1300, è di per sé una conferma contestuale dell'indirizzo po­ litico che i canti di Cacciaguida intendono additare per giustificare a priori l'azione di Dante nel periodo successivo alla visione: il presente verbale del milite-«si

vuole», «gia si cerca», riferito alla stagione del viaggio-non lascia in merito alcun dubbio. La menzione disonorevole di Lapo Saltare/lo in Par. xv 128, a ridosso del rimpianto, colà pronunciato, per un perduto «viver di cittadini», per una tramontata