Dal diritto romano al diritto brasiliano. Fondamenti romanistici della disciplina sui vizi occulti nel contratto di compravendita 9788855293006, 9788855293013

La monografia ha per oggetto lo studio delle radici romanistiche della garanzia per i vizi occulti nel diritto brasilian

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Dal diritto romano al diritto brasiliano. Fondamenti romanistici della disciplina sui vizi occulti nel contratto di compravendita
 9788855293006, 9788855293013

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Rosanna Ortu Dal diritto romano al diritto brasiliano Fondamenti romanistici della disciplina sui vizi occulti nel contratto di compravendita

Quaderni dell’Archivio Giuridico Sassarese

Collana diretta da Giovanni Maria Uda

Comitato scientifico Luigi Balestra, Francesco Capriglione, Maria Rosa Cimma, Claudio Colombo, Maria Floriana Cursi, Andrea Di Porto, Iole Fargnoli, Roberto Fiori, Lauretta Maganzani, Dario Mantovani, Maria Rosaria Maugeri, Fabio Padovini, Salvatore Patti, Andrea Zoppini

Quaderni dell’Archivio Giuridico Sassarese

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Rosanna Ortu

Dal diritto romano al diritto brasiliano Fondamenti romanistici della disciplina sui vizi occulti nel contratto di compravendita

© 2021, INSCHIBBOLETH EDIZIONI, Roma. Proprietà letteraria riservata di Inschibboleth società cooperativa, via G. Macchi, 94 – 00133 – Roma

www.inschibbolethedizioni.com e-mail: [email protected] Quaderni dell’Archivio Giuridico Sassarese ISSN: 2724-1769 n. 5 – ottobre 2021 ISBN – Edizione cartacea: 978-88-5529-300-6 ISBN – Ebook: 978-88-5529-301-3 Copertina e Grafica: Ufficio grafico Inschibboleth Immagine di copertina: Edwin Longsden Long (1829-1891), The Babylonian Marriage Market (1875), oil paint on canvas, Royal Holloway College Collection, University of London

Queste pagine sono dedicate a due persone speciali della mia vita. A mio zio Beppe Gallus, uomo straordinario, con immenso affetto. A Salvatore Piliu, faro della mia vita, con amore infinito.

RINGRAZIAMENTI

A conclusione di questo lavoro, vorrei esprimere la mia più viva riconoscenza al prof. Alessandro Hirata, della Faculdade de Direito de Ribeirão Preto da Universidade de São Paulo (USP), collega e amico carissimo, per avermi dato la possibilità di sviluppare questo tema di ricerca nell’ambito delle attività svolte dai gruppi di ricerca internazionali della USP, in tema di Direito contratual contemporâneo e di Exegese de Fontes Romanas, per essere sempre stato un punto di riferimento imprescindibile durante i miei soggiorni di didattica e ricerca presso la USP e per la sua disponibilità incondizionata. Ringrazio poi, con gratitudine, il collega ed amico fraterno prof. Luigi Nonne, per il suo costante sostegno, per la sua generosità e per la condivisione di tanti bei progetti accademici sviluppati insieme negli ultimi anni. I miei più sentiti ringraziamenti sono rivolti anche al dr. Giuseppe Pintus e alla dr. Chiara Maggese, di Inschibboleth Edizioni, per la professionalità e la generosa disponibilità dimostratami durante il lavoro di edizione di questo volume. Alla dr. Stefania Fusco, al dr. Pietro Giovanni Antonio Santoru e al dr. Laudevino Bento dos Santos Neto da Silveira, rivolgo poi i miei più vivi ringraziamenti per il preziosissimo contributo nella fase conclusiva di revisione dei testi.

INDICE

INTRODUZIONE

p. 15

I. LA GARANZIA PER I VIZI OCCULTI NEL DIRITTO ROMANO: L’EDITTO DE MANCIPIIS EMUNDIS VENDUNDIS

p. 19

1. Premessa 2. Il testo dell’editto de mancipiis emundis vendundis tramandato da Ulpiano: D. 21.1.1.1 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.) 3. Il testo dell’editto de mancipiis emundis vendundis tramandato da Aulo Gellio: Noctes Atticae, 4.2.1 4. Il vitium della res come nozione cardine della disciplina edilizia 5. I c.d. vizi corporali: cenni sul valore dell’endiadi morbus vitiumque nei percorsi interpretativi dei prudentes 6. Vitia corporis e vitia animi 7. I c.d. vizi dell’animo espressamente previsti nell’editto degli edili curuli (servus fugitivus o erro) e valore del tentato suicidio del mancipium (sibi mortis consciscere) ai fini della redibizione del servus 7.1. La propensione alla fuga 7.2. La propensione al vagabondaggio 7.3. La propensione a tentare il suicidio (sibi mortem consciscere)

p. 25 p. 30 p. 36 p. 37 p. 44

p. 50 p. 50 p. 59 p. 62

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INDICE

7.4. Osservazioni conclusive a proposito della valenza dei vitia animi 8. Le altre dichiarazioni del venditore previste in D. 21.1.1.1 8.1. ‘Noxa solutus non sit’ 8.2. ‘Si capitalem fraudem admiserit’ e ‘in harenam depugnandi causa ad bestias intromissus fuerit’ 9. Le azioni edilizie a tutela del compratore 9.1. L’actio redhibitoria 9.2. Rilievi della dottrina sulla classicità dell’actio aestimatoria

p. 73 p. 74 p. 74 p. 80 p. 84 p. 91 p. 101

II. REGOLAMENTAZIONE GIURIDICA DELLA SCHIAVITÙ NELLE ORDENAÇÕES DO REINO DE PORTUGAL

1. Premessa 2. Le Ordenações Afonsinas 3. Le Ordenações Manuelinas

p. 109 p. 114 p. 118

III. REGOLAMENTAZIONE GIURIDICA DEL COMMERCIO DEGLI SCHIAVI NELLA COLONIA LUSITANA DEL BRASILE E NELL’IMPERO BRASILIANO: LE ORDENAÇÕES FILIPINAS

1. Premessa 2. Annotazioni sulle caratteristiche storico-sociali della schiavitù nei territori della Colonia Lusitana del Brasile 3. Le Ordenações Filipinas 4. La vendita dell’escravo doente nelle Ordenações Filipinas

p. 127 p. 129 p. 131 p. 134

INDICE

13

NOTA CONCLUSIVA DAL DIRITTO ROMANO AL DIRITTO CIVILE BRASILIANO: LA GARANZIA PER VIZI NEL CODICE CIVILE DEL 1916 E DEL 2002 p. 147

INDICE DELLE FONTI

p. 159

INDICE DELLA NORMAZIONE CITATA

p. 163

INDICE DEGLI AUTORI

p. 167

INTRODUZIONE

Il mio più vivo interesse per lo studio dei Fondamenti romanistici di alcuni ambiti del Diritto civile brasiliano, soprattutto quelli inerenti alla disciplina in materia di contratto, che appaiono tutt’oggi ancorati ad alcuni principi fondamentali elaborati nel sistema giuridico romano, è sorto grazie alla collaborazione scientifica e didattica con l’Universidade de São Paulo (USP), Faculdade de Direito de Ribeirão Preto, iniziata nel 2015 e consolidatasi successivamente con la stipula dell’Accordo generale tra l’Universidade de São Paulo (USP) e l’Università degli Studi di Sassari nel 2017, accordo precedentemente anticipato dal mio inserimento nel 2016 nei due gruppi di ricerca internazionali della USP, coordinati dal prof. Alessandro Hirata, in tema di Direito contratual contemporâneo e di Exegese de Fontes Romanas, registrati presso il Conselho Nacional de Pesquisa (CNPq) del Ministério da Educação brasiliano e tuttora pienamente operativi. Questa mia riflessione in merito alle radici romanistiche della regolamentazione giuridica in tema di vizi occulti nel contratto di vendita nel diritto civile brasiliano, strettamente collegata all’attività scientifica dei due gruppi di ricerca sopra citati, scaturisce dalla constatazione che nel Codice civile del 2002, sulla scorta del dettato normativo già presente nel Codice civile emanato nel 1916 e della successiva disciplina prevista nel c.d. Codice di Difesa dei consumatori del 1990 (Legge federale n. 8.078, dell’11 settembre 1990), sono incluse alcune norme, nello specifico gli artt. 441 e 442, che ripropongono principi e rimedi giuridici fortemente connessi al diritto romano.

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INTRODUZIONE

In particolar modo, nel Codice del 2002 si fa chiaro riferimento ad alcune soluzioni giuridiche già formulate dagli edili curuli nel II sec. a.C. nell’Editto de mancipiis emundis vendundis, in cui gli antichi magistrati curuli, per sanzionare la mancata dichiarazione dei vizi occulti da parte del venditore al momento della conclusione del contratto di compravendita, avevano previsto, in maniera del tutto innovativa, la concessione dell’actio redhibitoria e dell’actio aestimatoria detta anche quanti minoris. Negli articoli 441 e 442 del Codice civile del 2002 il legislatore brasiliano afferma che: Art. 441. A coisa recebida em virtude de contrato comutativo pode ser enjeitada por vícios ou defeitos ocultos, que a tornem imprópria ao uso a que é destinada, ou lhe diminuam o valor. Parágrafo único. É aplicável a disposição deste artigo às doações onerosas. Art. 442. Em vez de rejeitar a coisa, redibindo o contrato (art. 441), pode o adquirente reclamar abatimento no preço.

Già da una prima lettura delle norme, appare chiaro che la tutela del compratore trova un suo solido fondamento nella possibilità di ottenere la redibizione o la diminuzione del prezzo, così come era stato già previsto nell’editto edilizio, che in questo contesto, però, riguarda in maniera estensiva qualsiasi oggetto di vendita, mentre nel dettato normativo elaborato dagli edili curuli, come è noto, era inerente alle sole compravendite di schiavi ed animali. Pertanto, in questa mia ricerca mi ripropongo di tracciare il percorso giuridico storico-temporale che dal diritto romano, attraverso la disciplina della garanzia per vizi nella compravendita di schiavi e animali, ha portato il legislatore brasiliano a concepire una responsabilità oggettiva in capo al venditore per i vizi occulti della cosa venduta. A mio avviso, l’anello di congiunzione tra la disciplina varata dagli edili curuli e il dettato normativo del Codice civile brasiliano del 2002, erede della tradizione romanistica in tema di garanzia per i vizi nella compravendita, è sicuramente rappresentato dalla Orde-

INTRODUZIONE

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nações Filipinas vigenti nel territorio brasiliano a far data dal 1603, rimaste in vigore fino al 1830, ma di fatto applicate fino all’emanazione del Codice civile brasiliano del 1916. Infatti, come cercherò di dimostrare, grazie all’influenza del diritto portoghese, le norme giuridiche in tema di compravendita di schiavi ed animali incluse nel Título XVII del Livro IV delle Ordenações Filipinas sono intrinsecamente collegate ai principi romanistici contenuti nell’Editto degli edili curuli, riproposti puntualmente nel testo del Codice filippino, quasi si trattasse di una traduzione letterale dell’editto edilizio, in alcuni casi anche con la citazione dei medesimi exempla elaborati dai giuristi romani a commento del dettato normativo dell’editto curule. La struttura della ricerca si svilupperà attraverso un’indagine storico-giuridica di tipo diacronico in cui cercherò di ricostruire il filo conduttore che lega strettamente il Diritto civile brasiliano attuale ai principi romanistici in tema di garanzia per vizi occulti nella compravendita. Nel primo capitolo, proporrò una sintesi delle principali regole giuridiche contenute nell’editto degli edili curuli, il cui studio è stato da me in precedenza affrontato in un lavoro monografico del 2008 (R. ORTU, “Aiunt aediles…”. Dichiarazioni del venditore e vizi della cosa venduta nell’editto de mancipiis emundis vendundis, [Università degli Studi di Sassari-Dipartimento di Scienze Giuridiche-Pubblicazioni del Seminario di Diritto romano, n. 19 (Collana a cura di G. Lobrano e F. Sini)] Giappichelli, Torino 2008, pp. VIII-324 [ISBN: 9788834884720]), le cui soluzioni giuridiche di fondo saranno in parte riproposte in questa sede, opportunamente riviste, aggiornate e adeguate, con una nuova stesura, all’attuale contesto di riferimento. Il secondo capitolo sarà interamente dedicato alla ricostruzione della regolamentazione giuridica del diritto portoghese in materia di compravendita di schiavi e di tutela del compratore in caso di mancata dichiarazione dei vizi occulti da parte del venditore, con particolare riguardo alle specifiche norme delle Ordenações Afonsinas del 1446 e delle Ordenações Manuelinas del 1514 estese poi per competenza territoriale anche ai territori brasiliani.

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INTRODUZIONE

Il terzo capitolo sarà dedicato all’analisi della normativa sul tema delle dichiarazioni del venditore a proposito degli schiavi oggetto di vendita e della tutela del compratore sulla base della regolamentazione prevista dalle Ordenações Manuelinas e dalle successive Ordenações Filipinas nei territori dell’Impero brasiliano, con l’intento di far emergere gli strettissimi collegamenti con la disciplina giuridica proposta dagli edili curuli nell’editto de mancipiis emundis vendundis. Infine, le note conclusive del presente lavoro, dedicate al dettato normativo del diritto civile brasiliano, in cui svilupperò una breve disamina delle norme dei Codici del 1916 e del 2002 e della legislazione della fine degli anni ’90 del Novecento in tema di tutela dei diritti dei consumatori, in cui compaiono ampie tracce delle radici romanistiche nelle soluzioni giuridiche prospettate dal legislatore brasiliano. Vale la pena ricordare che i primi risultati di questa ricerca sono stati da me resi noti in una relazione dal titolo ‘Dal diritto romano al diritto brasiliano: radici romanistiche della regolamentazione giuridica in tema di vizi occulti nella compravendita’, svolta in modalità online durante il ‘Seminario internazionale di Diritto romano e di Diritto comparato’ il giorno 14 maggio 2021, organizzato dalle cattedre di Diritto romano e Diritto comparato della Faculdade de Direito de Ribeirão Preto, Universidade de São Paulo (USP). Sassari, 4 ottobre 2021

CAPITOLO I

LA GARANZIA PER I VIZI OCCULTI NEL DIRITTO ROMANO: L’EDITTO DE MANCIPIIS EMUNDIS VENDUNDIS

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Il testo dell’editto de mancipiis emundis vendundis tramandato da Ulpiano: D. 21.1.1.1 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.). – 3. Il testo dell’editto de mancipiis emundis vendundis tramandato da Aulo Gellio: Noctes Atticae, 4.2.1. – 4. Il vitium della res come nozione cardine della disciplina edilizia. – 5. I c.d. vizi corporali: cenni sul valore dell’endiadi morbus vitiumque nei percorsi interpretativi dei prudentes. – 6. Vitia corporis e vitia animi. – 7. I c.d. vizi dell’animo espressamente previsti nell’editto degli edili curuli (servus fugitivus o erro) e valore del tentato suicidio del mancipium (sibi mortis consciscere) ai fini della redibizione del servus. – 7.1. La propensione alla fuga. – 7.2. La propensione al vagabondaggio. – 7.3. La propensione a tentare il suicidio (sibi mortem consciscere). – 7.4. Osservazioni conclusive a proposito della valenza dei vitia animi. – 8. Le altre dichiarazioni del venditore previste in D. 21.1.1.1. – 8.1. ‘Noxa solutus non sit’. – 8.2. ‘Si capitalem fraudem admiserit’ e ‘in harenam depugnandi causa ad bestias intromissus fuerit’. – 9. Le azioni edilizie a tutela del compratore. – 9.1. L’actio redhibitoria. – 9.2. Rilievi della dottrina sulla classicità dell’actio aestimatoria.

1. Premessa Al fine di cogliere i collegamenti tra il diritto romano e il diritto brasiliano in tema di vizi occulti della cosa venduta, in questo capitolo cercherò di tracciare in maniera sintetica la disciplina elaborata dagli edili curuli nell’editto de mancipiis emundis vendundis1, 1 L’edictum degli edili curuli relativo alla vendita dei mancipia viene tradizionalmente denominato de mancipiis vendundis (cfr. O. LENEL, Das Edictum Per-

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CAPITOLO I

il cui testo, come risaputo, è stato quasi integralmente trascritto sia nel Titolo I del XXI libro del Digesto, in un frammento tratto dal commentario di Ulpiano all’editto degli edili curuli, e sia in un lungo brano delle Notti Attiche di Aulo Gellio. Come è noto, la regolamentazione giuridica dettata dagli edili curuli in tema di garanzia per vizi occulti della res oggetto di vendita contribuì ad ampliare e sostanzialmente adeguare alle nuove esigenze, scaturite dai notevoli mutamenti di carattere economico e sociale verificatisi tra il III e il II sec. a.C., la disciplina del contratto consensuale di compravendita2. petuum3, Leipzig 1927, p. 554). Sulla scorta, però, delle osservazioni di V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, II, Napoli 1954, p. 362, in questo contesto preferisco utilizzare la dicitura “originaria”, così come viene riprodotta nella tavoletta ercolanese TH 60, in cui, nelle linee 9-12, G. PUGLIESE CARRATELLI-V. ARANGIO-RUIZ, Tabualae Herculanenses, in PdP, IX (1954), pp. 59 ss., leggono: ex [i]mp[e]rio aedi / [liu]m curulium ita uti adsolet / [h]oc anno de mancipi emundis /[vendu]ndis. Per una più recente riedizione della TH 60, rinvio però alla rielaborazione delle Tavolette di Ercolano di G. CAMODECA, Tabulae Herculanenses: riedizione delle emptiones di schiavi (TH 59-62), in U. MANTHE-C. KRAMPE (a cura di), Quaestiones Iuris. Festschrift für Joseph Georg Wolf zum 70. Geburstag, Berlin 2000, pp. 53 ss., in cui le linee 9-12 vengono lette dall’A. come segue: ex formula edicti / [aedili]um curulium, ita uti adsolet, / [quae h]oc anno de mancipìs emundis / [vendu]ndis. La «lezione corretta del testo» offerta dal Camodeca conferma l’esattezza della ricostruzione delle linee 11-12 del documento, dell’editio prior curata dal Pugliese Carratelli e dall’Arangio-Ruiz, in cui l’editto edilizio viene designato de mancipiis emundis vendundis. Per una disamina in merito alle parti strutturali dell’editto edilizio e la sequenza delle rubriche edittali rinvio a R. ORTU, “Aiunt aediles…”. Dichiarazioni del venditore e vizi della cosa venduta nell’editto de mancipiis emundis vendundis, Torino 2008, pp. 40 ss. (con ampia letteratura sul tema). 2 Cfr. G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, Padova 1955, p. 2, il quale in maniera incisiva afferma che la garanzia per i vizi occulti della cosa venduta concorse ad arricchire ed innovare «il regime positivo della vendita romana». In generale, sul valore dell’intervento innovativo da parte degli edili curuli, rinvio anche alle interessanti osservazioni di F. SERRAO, Impresa, mercato e diritto. Riflessioni minime, in E. LO CASCIO (a cura di), Mercati permanenti e mercati periodici nel mondo romano, Atti degli Incontri capresi di storia dell’economia antica, Capri 13-15 ottobre 1997, Bari 2000, pp. 33 ss., il quale ritiene che gli edili curuli con il loro editto contribuirono a formare un «diritto del mercato» che a partire dall’età repubblicana rappresenterà «un fenomeno anche esso, come quello pretorio, originalissimo» (p. 37).

LA GARANZIA PER I VIZI OCCULTI NEL DIRITTO ROMANO

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Per comprendere in pieno la portata di tale intervento da parte degli edili curuli, è necessario rammentare che nell’arco temporale sopra citato, il lavoro servile divenne il fulcro dell’economia dell’antica Roma. Infatti, con l’annessione di nuovi territori alla civitas romana e con la conseguente estensione dei confini dell’imperium del Popolo romano, un gran numero di prigionieri di guerra, diventati servi sulla base dei principi dello ius gentium, contribuirono ad incrementare in maniera esponenziale le vendite di schiavi. Su tale forza lavoro, il cui approvvigionamento era assicurato da una fiorente attività mercantile da parte dei venaliciarii3, gli antichi imprenditori romani organizzarono forme specifiche, talvolta anche assai com-

Sulle attività commerciali dei mercanti di schiavi e in particolar modo dei venaliciarii, rinvio a R. ORTU, Schiavi e mercanti di schiavi in Roma antica, Torino 2012, pp. 77 ss. in cui ricostruisco il complesso sistema organizzativo posto in essere da mangones e venaliciarii per le attività di commercio e compravendita di schiavi (ivi ampia letteratura sul tema). In merito alla societas venaliciaria e alle sue caratteristiche, nonché alle problematiche inerenti alla c.d. rilevanza esterna dell’assetto societario dei venaliciarii, vedi R. ORTU, “Qui venaliciariam vitam exercebat”: ruolo sociale e qualificazione giuridica dei venditori di schiavi, in Diritto@Storia. Quaderni di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana, I (2002), pp. 1 ss.; EAD., Note in tema di organizzazione e attività dei venaliciarii, in Diritto@Storia. Quaderni di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana, II (2003), pp. 1 ss.; EAD., Schiavi e mercanti di schiavi, cit., pp. 77 ss., in part. pp. 108 ss.; EAD., Note in tema di societas venaliciaria, in Jus online, I (2018), pp. 204-224; F.S. MEISSEL, Societas. Struktur und Typenvielfalt des Römischen Gesellschaftsvertrages, Frankfurt am Main 2004, in part. p. 138 [su cui vedi G. SANTUCCI, Rec. a F.S. Meissel, ‘Societas: Struktur und Typenvielfalt des Römischen Gesellschaftsvertrages’, in IURA, LV (2008), pp. 271 ss.]; Z. SŁU EWSKA, Societates venaliciariae. Szczególny typ rzymskiej spółki czy kolejny krok na drodze do wykształcenia si solidarnej odpowiedzialno ci wspólników?, in Studia Iuridica, XLIII (2004), pp. 201 ss.; A. PETRUCCI, Per una storia della protezione dei contraenti con gli imprenditori, Torino 2007, pp. 199 ss.; ID., Osservazioni minime in tema di protezione dei contraenti con i venaliciarii in età commerciale (II secolo a.C.-metà del III sec. d.C)., in . Scritti in onore di G. Franciosi, III, Napoli 2008, p. 2105; L. CHIOFFI, Congressus in venalicio: spazi urbani e mercato degli schiavi a Capua e a Roma, in MEFRA, CXXII.2 (2010), pp. 503 ss. Da ultima vedi L. SOLIDORO MARUOTTI, Vendite di schiavi e societates venaliciariae in età imperiale, in LR, IX (2020), pp. 315 ss.; EAD., Contratti socialmente tipici e clausole pattizie nell’esperienza giuridica romana. L’exemplum della societas venaliciaria, in KOINΩNIA, 44.II (2020), pp. 1463 ss. 3

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CAPITOLO I

plesse, di attività produttive che traevano originalità e consistenza proprio dall’apporto del lavoro servile. Una siffatta trasformazione delle attività produttive, innescando una costante e crescente domanda di manodopera servile, contribuì a creare una complessa organizzazione commerciale preposta alla compravendita di mancipia (attraverso l’attività dei venaliciarii); allo stesso tempo, fece emergere prepotentemente l’esigenza di una regolamentazione giuridica dei mercati e dei mercanti di schiavi4 al fine di garantire una adeguata protezione nei confronti degli interessi degli emptores di servi, il cui numero era ormai diventato rilevantissimo in tutti gli strati della società romana. In questo clima, e muovendo dall’esigenza di tutelare i compratori dai frequenti atti di frode dei venaliciarii, gli edili curuli sanzionarono nel loro Editto, mediante la concessione dell’actio redhibitoria5 e dell’actio quanti minoris6, la responsabilità generale ed oggettiva del venditore per mancata dichiarazione dei vizi occulti nelle compravendite di mancipia. In questo modo gli edili elaborarono una disciplina giuridica sicuramente all’avanguardia in materia di emptiones di servi e di garanzia per i vizi; superando così gradualmente le molteplici lacune che una stretta interpretazione dello ius civile (pur tuttavia presupposto necessario per la responsabilità edilizia) poteva determinare nella materia; dando vita ad una nuova disciPer la regolamentazione specifica dei mercati degli schiavi e dei mercanti di schiavi rinvio a R. ORTU, Schiavi e mercanti di schiavi, cit., pp. 77 ss. 5 Sull’actio redhibitoria rinvio tra tutti a L. GAROFALO, Studi sull’azione redibitoria, Padova 2000, ivi ampia letteratura sul tema; ID. L’impossibilità della redibizione nella riflessione dei giuristi classici, ora in Tutele rimediali in tema di rapporti obbligatori. Archetipi romani e modelli attuali, Torino 2015, pp. 1 ss. Da ultima, in tema di azione redibitoria nell’ambito della riflessione svolta dalla giurisprudenza romana e le implicazioni di natura filosofica sul tema, si veda l’interessante contributo di L. D’AMATI, L’actio redhibitoria tra giurisprudenza romana e riflessione filosofica, in TSDP, IX (2016), pp. 1 ss. Recentissima, sul tema, l’analisi di B. CORTESE, La tutela in caso di vizio della res empta e della res locata: inadempimento e rispondenza ex fide bona, Roma 2020, in part. pp. 100 ss.; a proposito dei rapporti tra actio empti e actio redhibitoria vedi pp. 104 ss. 6 Sull’actio quanti minoris, detta anche aestimatoria, rinvio tra tutti al recente studio di F. OLIVIERO, La riduzione del prezzo nel contratto di compravendita, Napoli 2015, con completa letteratura sull’argomento. 4

LA GARANZIA PER I VIZI OCCULTI NEL DIRITTO ROMANO

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plina sul tema, che si consolidò con il tempo e si arricchì progressivamente di nuove regole7. L’intervento degli aediles fu quindi dettato anche dall’inadeguatezza degli strumenti del ius civile a fornire una tutela completa agli emptores di servi. L’editto edilizio, quindi, iniziò a coesistere con i rimedi del ius civile, ampliandone la portata e colmandone le lacune8, come emerge dal seguente frammento di Ulpiano: D. 21.1.1.2 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Causa huius edicti proponendi est, ut occurratur fallaciis vendentium et emptoribus succurratur, quicumque decepti a venditoribus fuerint: dummodo sciamus venditorem, etiamsi ignoravit ea quae aediles praestari iubent, tamen teneri debere. Nec est hoc iniquum: potuit enim ea nota habere venditor: neque enim interest emptoris, cur fallatur, ignorantia venditoris an calliditate.

Il tenore del passo permette di riconoscere nella disciplina edilizia l’intento di migliorare, supplendi gratia, il regime dei mezzi a favore del compratore predisposti dal ius civile9. Nel diritto classico, infatti, il venditore era tenuto dall’azione ex empto soltanto se in dolo, ma questo criterio era a sua volta assorbito dalla conoscenza Cfr. G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., pp. 90 ss. Vedi in particolare p. 105: «L’editto è venuto successivamente arricchendosi di nuove regole; gli edili seguivano a tal proposito un duplice sistema: o aggiungevano nuove parti al testo edittale del fr. 1,1, oppure emanavano addirittura nuove rubriche». Ma vedi anche F. SERRAO, Impresa, mercato e diritto, cit., p. 39; R. ORTU, “Aiunt aediles…”, cit., pp. 2 ss.; E. PARLAMENTO, Labeone e l’estensione della «redhibitio» all’«actio empti», in RDR, III (2003), p. 3. Da ultima sul tema B. CORTESE, La tutela in caso di vizio, cit., pp. 96 ss., in part. p. 103. 8 Cfr. F. SERRAO, Impresa, mercato e diritto, cit., p. 39, il quale inoltre rileva che «in questo ordine di idee ben si spiega l’importanza degli editti che essi emanavano durante la carica, importanza dimostrata dai loro contenuti e dalla elaborazione cui i giuristi li sottoponevano sia partecipando, mediante intepretazioni estensive e suggestioni varie, al loro sviluppo e continuo adattamento alle rinnovatesi esigenze della prassi, sia provvedendo, con ampia casistica e con sforzo sistematore ed unificante, alla costruzione di un corpus e di un sistema di forme giuridiche relative al commercio che si svolgeva pubblicamente nei mercati e nelle vie della città». 9 In tal senso cfr. G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 19: «L’introduzione della norma edilizia vuole essere un completamento del regime civilistico». 7

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del vizio. Con l’esclusione dell’atteggiamento psicologico a latere venditoris della scientia, invece, si determinò un parametro oggettivo fondato sull’obbligo di dichiarazione, secondo modalità prestabilite, consentendo al compratore di poter sostenere le proprie ragioni senza provare lo stato soggettivo della controparte. Dal contenuto del frammento, si evince, inoltre, che l’Editto non solo sarebbe stato rivolto a introdurre un pesante rimedio contro gli inganni dei venditori, nonché la loro astuzia (fallacia)10, in soccorso dei compratori, ma praticamente avrebbe portato il venditore a garantire per i vizi del mancipium, anche non conosciuti, che si sarebbero potuti presentare una volta conclusa la compravendita11. In relazione alla compravendita di schiavi e di animali si venne così a delineare una regolamentazione più rigorosa, che addossava l’obbligo di informazione a carico del venditore e faceva venire meno qualsivoglia problematica legata alla reticenza dello stesso. La maggiore tutela apprestata dall’Editto de mancipiis emundis vendundis a favore del compratore risiedeva pertanto nell’obbligatorietà della dichiarazione a proposito dei difetti e i vizi del mancipium, nascente da una responsabilità oggettiva che prescindeva dalla conoscenza degli stessi, in buona o in mala fede, da parte del venditore12. La compravendita romana veniva così progressivamente ad assumere un nuovo assetto improntato ad un dovere di informazione, intercorrente tra venditore e compratore, antecedente alla conclusione del negozio13. 10 Sul significato del termine cfr. AE. FORCELLINI, voce Fallacia, in Lexicon Totius Latinitatis2, II, Patavii 1805, p. 273. 11 Cfr. G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., pp. 19 s. 12 Sul punto vedi R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, Paris 1930, p. 32; L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, Milano 1994, pp. 33 s.; R. ORTU, “Aiunt aediles…”, cit., p. 71. 13 A tale proposito cfr. L. SOLIDORO MARUOTTI, Annotazioni sui precedenti storici degli obblighi precontrattuali di informazione, in TSDP, III (2010), p. 7. In generale vedi EAD., La violazione degli obblighi di informazione in compravendita: un difficile recupero della prospettiva storica, in AA.VV., Studi in onore di Remo Martini, III, Milano 2009, pp. 609 ss.

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2. Il testo dell’editto de mancipiis emundis vendundis tramandato da Ulpiano: D. 21.1.1.1 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.) Le informazioni obbligatorie, utili per realizzare una regolare compravendita, sono esplicitamente elencate nel testo dell’Editto, il cui contenuto, come già ricordato in precedenza, è stato riprodotto nel lungo frammento del Digesto, tratto dal commentario ulpianeo all’editto degli edili curuli: D. 21.1.1.1 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Aiunt aediles: “qui mancipia vendunt certiores faciant emptores, quid morbi vitiive cuique sit, quis fugitivus errove sit noxave solutus non sit: eademque omnia, cum ea mancipia venibunt, palam recte pronuntianto. Quodsi mancipium adversus ea venisset, sive adversus quod dictum promissumve fuerit cum veniret, fuisset, quod eius praestari oportere dicetur: emptori omnibusque ad quos ea res pertinet iudicium dabimus, ut id mancipium redhibeatur. Si quid autem post venditionem traditionemque deterius emptoris opera familiae procuratorisve eius factum erit, sive quid ex eo post venditionem natum adquisitum fuerit, et si quid aliud in venditione ei accesserit, sive quid ex ea re fructus pervenerit ad emptorem, ut ea omnia restituat. Item si quas accessiones ipse praestiterit, ut recipiat. Item si quod mancipium capitalem fraudem admiserit, mortis consciendae sibi causa quid fecerit, inve harenam depugnandi causa ad bestias intromissus fuerit, ea omnia in venditione pronuntianto: ex his enim causis iudicium dabimus. Hoc amplius si quis adversus ea sciens dolo malo vendidisse dicetur, iudicium dabimus”.

Il testo edittale, trascritto e commentato da Ulpiano, appartiene sicuramente all’editto redatto in epoca adrianea dal giurista Salvio Giuliano14.

In particolare, rinvio alle osservazioni di L. GAROFALO, ‘Redhibitoria actio duplicem habet condemnationem’ (a proposito di Gai. 1 ad ed. aed. cur. D. 21,1,45), in Atti del II convegno sulla Problematica Contrattuale in Diritto romano (Milano, 11-12 maggio 1995). In onore di Aldo Dell’Oro, Milano 1998, pp. 57 ss., ora in Studi sull’azione redibitoria, cit., p. 5. Dello stesso avviso, R. ORTU, “Aiunt aediles…”, cit., p. 70; ma vedi anche, tra i più recenti, L. D’AMATI, L’actio redhibitoria tra giurisprudenza romana e riflessione filosofica, cit., p. 10; B. CORTESE, La tutela in caso di vizio, cit., pp. 99 ss. 14

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Gli edili imposero ai venditori di schiavi l’obbligo di dichiarare15 ai compratori con voce chiara (palam recte pronuntianto16) i difetti fisici dello schiavo, se esso avesse la tendenza a fuggire o a vagabondare o se fosse a rischio di giudizio nossale. I venditori sarebbero stati considerati responsabili e passibili di actio redhibitoria qualora avessero contravvenuto a tali disposizioni o se avessero affermato che lo schiavo possedeva qualità in realtà assenti. Si prescriveva poi un risarcimento per il deterioramento dello schiavo provocato dal compratore, o dalla sua familia o dal suo procurator, e che la redibizione del mancipium comportava anche, qualora il servus non si fosse rivelato adatto al lavoro, la restituzione di tutti i frutti percepiti, a mezzo suo, dal compratore. Tutto ciò sarebbe avvenuto anche se l’emptor avesse scoperto che lo schiavo era stato condannato per un crimine capitale, o aveva tentato il suicidio o era stato condannato a combattere nell’arena. Infine, si stabili-

15 A proposito degli obblighi di informazione da parte dei venditori rinvio a L. SOLIDORO MARUOTTI, Gli obblighi di informazione a carico del venditore. Origini storiche e prospettive attuali, Napoli 2007, pp. 23 ss.; EAD., Annotazioni sui precedenti storici degli obblighi precontrattuali di informazione, cit., pp. 1 ss. Cfr. anche R. ORTU, “Aiunt aediles…”, cit., p. 70, nt. 211, per quanto attiene allo specifico obbligo di dichiarazione dei vizi nelle compravendite di schiavi. Da ultima sul tema vedi B. CORTESE, La tutela in caso di vizio, cit., pp. 99 ss. 16 L’espressione ‘palam recte’ viene usata dagli edili anche nell’editto de iumentis vendundis riportato in D. 21.1.38 pr. (Ulp. 2 ad ed. aed. cur.): Aediles aiunt: “qui iumenta vendunt, palam recte dicunto, quid in quoque eorum morbi vitiique sit…”. Il ‘palam recte pronuntiare’ e il ‘palam recte dicere’ nella realtà dei fatti si traducevano in una aperta denuncia dei vizi da parte del venditore, denuncia sottesa all’esigenza di chiarezza derivante dal principio della bona fides delle parti durante la contrattazione. Questa esigenza di chiarezza imposta dalla bona fides, per E. BETTI, Istituzioni di diritto romano, II.I, Padova 1960, p. 211: «da onere, la cui osservanza era deferita alla vigile iniziativa dei compratori, si convertiva in obbligo edittale destinato a garantire la sicurezza delle contrattazioni». Vedi anche A. WATSON, The Imperatives of the Aedilicean Edict, in Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis, XXXIX.1 (1979), pp. 73 ss.; S. RANDAZZO, Leges mancipii. Contributo allo studio dei limiti di rilevanza dell’accordo negli atti formali di alienazione, Milano 1998, pp. 125 s., il quale sottolinea che l’espressione ‘palam recte pronuntiando’ dell’editto edilizio non può essere considerata tra quelle dichiarazioni che venivano a configurarsi come leges mancipii. Ma vedi anche R. ORTU, “Aiunt aediles…”, cit., pp. 70 ss.

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va che sarebbe stata concessa l’azione edilizia in ogni caso in cui il venditore avesse agito con dolo. Dalla lettura del lungo frammento emergono i principi fondamentali della regolamentazione giuridica creata dagli edili per disciplinare la compravendita dei mancipia. Attraverso l’editto venne introdotto, come già specificato supra, il nuovo principio della responsabilità generale ed oggettiva per i vizi nelle vendite di schiavi. In seguito a ciò il venditore doveva dichiarare i vizi fisici, nonché alcuni particolari vizi morali e giuridici dello schiavo oggetto di vendita, e se non avesse ottemperato a tale obbligo sarebbe potuto incorrere, indipendentemente dalla buona o mala fede, nell’esperimento delle azioni edittali (il testo dell’editto riportato da Ulpiano fa menzione della sola azione redibitoria, che produceva effetti risolutori del contratto). L’editto prevedeva anche una responsabilità oggettiva ex dicto vel promisso17, responsabilità già prevista dal ius civile18, limitatamente ai casi in cui il venditore in buona fede avesse promesso determinate qualità o garantito l’assenza di vizi del mancipium con apposita stipulazione, il che comportava il solo risarcimento del danno subito dal compratore. Gli edili, però, prospettarono anche in questo caso la possibilità di esperire l’azione redibitoria, che comportava la risoluzione del con-

A proposito della responsabilità ex dicto vel promisso rinvio alla riflessione di N. DONADIO, Qualità promesse e qualità essenziali della res vendita: il diverso limite tra la responsabilità per reticentia e quella per dicta promissave nel ‘diritto edilizio’ o nel ius civile, in TSDP, II (2010), pp. 1 ss. Da ultima, vedi B. CORTESE, La tutela in caso di vizio, cit., p. 102. 18 Cfr. E. BETTI, Istituzioni di diritto romano, cit., p. 211, il quale afferma che «la disciplina del ius civile è stata confermata e integrata dal diritto onorario». A proposito delle questioni inerenti alla coesistenza dei differenti piani rimediali, e dei rapporti tra le azioni edilizie e le azioni contrattuali, oltre a N. DONADIO, Qualità promesse, cit., pp. 19 ss., rinvio tra tutti a T. DALLA MASSARA, Modelli della vendita di tradizione romanistica e vendita internazionale, in Contratto e impresa. Europa, XVII (2012), p. 856, il quale rileva che «è comunque da ritenere che il sistema risultasse nel suo complesso duttilmente integrabile, certamente con ampie fasce di sovrapposizione tra strumenti edilizi e civili, nonché caratterizzato da una forte capacità di adattamento ai profili del caso di specie». Ma vedi anche B. CORTESE, La tutela in caso di vizio, cit., p. 102. 17

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tratto, purché la fattispecie concreta presentasse i requisiti necessari per i quali fosse già possibile intentare l’azione di ius civile per il risarcimento del danno. Vi era quindi nell’editto un esplicito rinvio alla disciplina civilistica, che in questa particolare ipotesi costituiva il presupposto della responsabilità edilizia. Nell’editto edilizio fu introdotta dai magistrati curuli anche il principio relativo alla responsabilità per i danni causati dal compratore (o dai suoi sottoposti o dal suo procurator) e la restituzione dei frutti o accessori da lui guadagnati ad opera dello schiavo redibito19. Inoltre, gli edili contemplarono anche una ulteriore responsabilità per il dolo del venditore, in base alla quale si sanciva che fosse ritenuto dolosamente responsabile colui che, pur essendo a conoscenza del vizio, non lo avesse dichiarato al momento della conclusione del contratto di compravendita20. Gli edili concessero al compratore anche la possibilità di intentare l’actio aestimatoria21 contro il venditore, il quale avrebbe potuto essere condannato alla riduzione del prezzo di vendita nel caso in cui risultasse responsabile per l’omessa dichiarazione dei vizi occulti se la scoperta del vizio si fosse verificata da parte del compratore entro un anno dall’avvenuta compravendita. L’editto edilizio si configurava, pertanto, come una struttura composita il cui specifico campo di attuazione scaturiva dalla iurisdictio degli edili curuli, che si esplicava nei confronti delle vendite che si concludevano nei mercati. Le nuove disposizioni edilizie diedero vita ad una settorializzazione della materia, collocata comunque nella cornice normativa della vendita in generale. Scaturiva così una stratificazione in livelli della disciplina giuridica negoziale, in cui la disciplina di ius civi-

Cfr. R. ORTU, “Aiunt aediles…”, cit., p. 70. Cfr. R. ORTU, “Aiunt aediles…”, cit., pp. 70 s. A tale proposito vedi anche le osservazioni recentissime di B. CORTESE, La tutela in caso di vizio, cit., pp. 119 ss., la quale fornisce un completo e puntuale quadro degli orientamenti della dottrina su tale questione. 21 Sulla concessione da parte degli edili curuli dell’actio aestimatoria, e le problematiche ad essa sottese, vedi infra, §9.2, pp. 102-108. 19 20

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le della compravendita veniva integrata da una regolamentazione speciale di ius honorarium introdotta dall’Editto degli edili curuli. La certezza circa le qualità, o meglio l’assenza di vizi e difetti, del mancipium assumeva una connotazione primaria nello stesso testo. Il venditore aveva l’onere di rendere consapevole il compratore (certiorem faciat emptorem) pronunciando con voce chiara l’eventuale presenza di vizi e difetti del mancipium22. Il vitium, in forma di endiadi con il morbus, infatti, rappresentava concettualmente la chiave di volta dell’intero disposto edilizio; di esso venne definita una esaustiva cornice che contemplava i numerosi casi in cui era possibile ricondurre una determinata situazione concernente la res all’ipotesi di vizi fisici, psicologici e giuridici23. La dichiarazione del venditore fissava in questo modo lo status della res e determinava l’esperibilità dei rimedi previsti dall’Editto degli edili curuli nel caso in cui non vi fosse corrispondenza tra il dichiarato e l’oggettiva condizione del bene compravenduto24. Il venditore, una volta convenuto dinnanzi agli edili curuli per la violazione degli obblighi edittali, non poteva difendersi adducendo la sua bona fides, per ignoranza del difetto contestato25. L’elemento

R. ORTU, “Aiunt aediles…”, cit., pp. 70 s. Gli edili curuli ponevano a carico del venditore l’obbligo di dichiarare i vizi che avrebbero potuto nuocere all’utilizzazione economica del servus da parte del dominus. Il godimento del bene, in tal senso, deve essere inteso sia sotto il profilo materiale, sia sotto il profilo giuridico. Secondo R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., p. 32, i vizi che fanno sorgere l’obbligo della dichiarazione possono essere raggruppati in tre categorie: a) i difetti fisici, individuabili in malattie e altri vizi corporali (morbi vitiave); b) i vizi morali e le inclinazioni d’animo (servus fugitivus o erro); c) e infine i vizi giuridici derivanti dall’assoggettabilità all’azione nossale (servus noxa non solutus). Ai quali devono essere aggiunti specifici vizi previsti da clausole aggiuntive non riprodotte nel testo principale dell’Editto. 24 Il vitium rappresenta un criterio di qualificazione giuridica e fattuale della res che si basa su caratteristiche ontologiche del bene stesso. 25 La responsabilità ex edicto poteva, ad ogni buon conto, venire meno qualora il compratore, legittimato all’azione, rinunciasse espressamente e tramite patto, anteriore o posteriore alla vendita, alla tutela predisposta dagli edili curuli, considerando, infatti, che le disposizioni edilizie entravano in vigore automaticamente a meno che non fossero state esplicitamente escluse. Cfr. D. 2.14.31 (Ulp. 1 ad 22 23

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soggettivo della scientia, infatti, non era un parametro di responsabilità per la disciplina edittale, a meno che non riguardasse la sfera del compratore, in quanto il presupposto della tutela così configurata era la non conoscibilità del vizio da parte di quest’ultimo26.

3. Il testo dell’editto de mancipiis emundis vendundis tramandato da Aulo Gellio: Noctes Atticae, 4.2.1 Come già ricordato in precedenza, il testo dell’Editto è pervenuto ai giorni nostri anche al di fuori della compilazione giustinianea, ed. aed. cur.): Pacisci contra edictum aedilium omnimodo licet, sive in ipso negotio venditionis gerendo convenisset sive postea. Con la rinuncia alla garanzia edittale per il compratore era chiaro che avrebbe assunto su di sé il rischio di eventuali difetti. Questa, come evidenzia É. JAKAB, Praedicere und cavere beim Marktkauft. Sachmängel im griechischen und römischen Recht, München 1997, pp. 186 s., era una possibilità spettante all’acquirente e riconducibile al principio del ‘caveat emptor’: «Dem Käufer war klar, daß er jedes Risiko der eventuellen Mängel auf sich nahm. Das Prinzip des caveat emptor umfaßt also auch den Fall, daß es der Käufer unterläßt, Garantie zu verlangen». La rinuncia poteva avvenire anche in forma tacita. In questo caso il compratore rinunciava alla propria azione quando il venditore avvertiva di non voler assumere la garanzia circa l’assenza di un determinato vizio e concludendo ad ogni modo la vendita egli assumeva su di sé l’idea di quanto non dichiarato durante le trattative. Tuttavia, avvertiva G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., pp. 20 s., che, siccome nel caso di specie il vizio non era stato espressamente denunciato, la contravvenzione si era comunque configurata: formalmente l’emptor era legittimato all’azione, ma la responsabilità del venditore veniva a cessare ope exceptionis, in quanto si considerava concluso un pactum de non petendo. 26 La conoscenza del vizio da parte del compratore escludeva la responsabilità del venditore, così come comprovato nelle fonti: Gell., noct. att. 4.2.6: De eunucho quidem quaesitum est, an contra edictum aedilium videretur venundatus, si ignorasset emptor eum eunuchum esse; e D. 21.1.14.10 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Si nominatim morbus exceptus non sit, talis tamen morbus sit, qui omnibus potuit apparere (ut puta caecus homo venibat, aut qui cicatricem evidentem et periculosam habebat vel in capite vel in alia parte corporis), eius nomine non teneri Caecilius ait, perinde ac si nominatim morbus exceptus fuisset: ad eos enim morbos vitiaque pertinere edictum aedilium probandum est, quae quis ignoravit vel ignorare potuit (cfr. O. LENEL, Palingenesia, II, cit., col. 888). Sul punto vedi anche R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., p. 41; G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 19, nt. 32.

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in una formulazione più ridotta e differente rispetto a quella sopra esaminata27, ad opera dell’erudito Aulo Gellio28, il quale nelle Noctes Atticae ne riporta un brano: Gell., noct. att. 4.2.1: In edicto aedilium curulium, qua parte de mancipiis vendundis cautum est, scriptum sic fuit: “Titulus servorum singulorum scriptus sit curato ita, ut intellegi recte possit, quid morbi vitiive cuique sit, quis fugitivus errove sit noxave solutus non sit”29.

Il passo riproduce una disposizione concernente l’obbligo gravante sul venditore di servi di indicare chiaramente su un cartello, il titulus30, l’eventuale presenza di malattie o vizi, l’abitualità alla fuga o al vagabondaggio e la commissione di un illecito31 che lo esponesse al rischio di un giudizio nossale32. L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., pp. 33 s.; R. ORTU, “Aiunt aediles…”, cit., pp. 72 s. 28 Su Aulo Gellio vedi O. DILIBERTO, Contributo alla palingenesi delle XII Tavole. Le “sequenze” nei testi gelliani, in Index, XX (1992), pp. 229 ss.; ID., I destinatari delle Noctes Atticae, in Labeo, XLII (1996), pp. 277 ss. 29 Cfr. F.P. BREMER, Iurisprudentiae antehadrianae quae supersunt, II, Lipsiae 1898, p. 142. 30 L’apposizione della targa con le generalità dello schiavo, senza però cenno alcuno all’iscrizione di eventuali vizi, è attestata anche da Petr., Sat. 29: […] Erat autem venalicium titulis pictis, et ipse Trimalchio capillatus caduceum tenebat Minervamque ducente Romam intrabat. Nel testo viene anche utilizzato il termine venalicium per indicare il mercato di schiavi, su cui vedi AE. FORCELLINI, voce Venalitius, in Lexicon Totius Latinitatis2, IV, Patavii 1805, p. 472. Cfr. anche ID., voce Titulus, in Lexicon, IV, cit., pp. 375 s., in part. p. 376, in cui è richiamato il passo di Gell., noct. att. 4.2.1. 31 Si noti che nello stesso ordine sono considerati i vizi sottoposti all’obbligo di dichiarazione che grava sul venditore per evitare la sanzione dell’Editto degli edili curuli in Cic., de off. 3.17.71: Nec vero in praediis solum ius civile ductum a natura malitiam fraudemque vindicat, sed etiam in mancipiorum venditione venditoris fraus omnis excluditur. Qui enim scire debuit de sanitate, de fuga, de furtis, praestat edicto aedilium. La lettura del testo permette di rilevare che l’Arpinate avesse accesso ad un testo edittale in una redazione molto vicina ai testi dell’epoca del principato. 32 L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., p. 4; R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., p. 73. P. ARZT-GRABNER, “Neither a Truant nor a Fugitive”. Some Remarks on the Sale of Slaves in Roman Egypt and Other Provinces, in T. GAGOS-A. HYATT (a cura di), Procee27

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Appare evidente quanto i due testi divergessero per le modalità di manifestazione dei vizi: se il testo di Ulpiano richiedeva una dichiarazione orale (palam recte pronuntianto) che rendesse consapevole il compratore dei vitia dello schiavo, il testo delle Notti Attiche riferiva l’ulteriore onere della redazione scritta del titulus che contribuiva a porre il compratore nella condizione di poter leggere esattamente le caratteristiche del servus33. A prima vista le due prescrizioni potrebbero sembrare contrastanti, tuttavia è necessario, come da me già sostenuto in passato34, verificare quale fosse il momento di insorgenza degli obblighi edittali e le conseguenze derivanti dalla loro omissione. L’obbligo di esposizione del titulus in realtà si inseriva nell’ambito delle disposizioni collegate alle funzioni di polizia nei mercati, proprie degli edili curuli. Il testo dell’editto riportato da Gellio non avrebbe introdotto l’obbligo di esposizione del cartello, ma avrebbe dettato il contenuto di questo35. Il cartello recava le caratteristiche più rilevanti dal punto di vista commerciale – il prezzo e la provenienza dello schiavo – e dal punto di vista giuridico, affinché il compratore potesse effettuare la propria scelta tra i vari mancipia esposti in vendita nel mercato. Come da me ribadito in un mio precedente lavoro monografico sul tema, in questa circostanza la fase della contrattazione tra le parti non era stata ancora intrapresa e quindi il momento giuridicamente rilevante per far sorgere in capo al venditore l’obbligo della garanzia per vizi avrebbe avuto luogo solo con una dichiarazione successiva, contestuale al momento della formaziodings of the Twenty-Fifth International Congress of Papyrology (Ann Arbor, July 29th-August 4th 2007), Ann Arbor 2010, p. 21. 33 R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., p. 32 s.; L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., p. 4 s.; R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., 73 s. 34 Cfr. R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 73 ss. 35 Cfr. G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 40; L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., p. 4.

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ne della volontà contrattuale, al fine di raggiungere l’accordo tra le parti36. Pertanto, il precetto edilizio della denuncia orale dei vizi si inseriva nella fase di contrattazione vera e propria e quindi atteneva al momento di perfezionamento del contratto di compravendita37. A tal proposito, la responsabilità del venditore reticente era «inscindibilmente connessa con l’acquisita qualità di contraente»38, e perciò egli rispondeva per l’omessa dichiarazione dei vizi solo nel caso in cui la compravendita si fosse conclusa39. Di conseguenza, gli effetti di tale responsabilità rimanevano sospesi fino al perfezionamento del contratto e tale obbligo di informazione, sebbene con effetti immediati nella fase della trattativa, aveva carattere potenziale ed eventuale con riferimento all’esperibilità delle azioni connesse al disposto edilizio. La dichiarazione verbale, da effettuarsi in maniera chiara e corretta, faceva così sorgere in capo al venditore la responsabilità per vizi dinnanzi agli edili curuli e il diritto alla redibizione da questi predisposta a favore dell’emptor40. Per contro, la mancata esposizione del cartello avrebbe comportato solamente l’applicazione di una sanzione amministrativa nei confronti del venditor e non l’assoggettabilità all’azione edilizia41. La dottrina è concorde nel ritenere che la testimonianza di Gellio riportasse un testo edittale notevolmente più risalente rispetto a quello trascritto da Ulpiano in D. 21.1.1.142, ma ciò non porta ad escludere a priori che questo secondo testo non contenesse l’obbli-

R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., p. 74. Ibidem. 38 L. SOLIDORO MARUOTTI, Annotazioni, cit., p. 12. 39 Ibidem. 40 Cfr. L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., pp. 22 s.; R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., p. 74. 41 In tal senso, R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., p. 75. 42 Vedi R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., pp. 32 ss.; V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 365. Sul punto anche L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., pp. 22 s. 36 37

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go di apposizione del titulus43. Vero è che l’Editto si caratterizzò per la sua secolare stratificazione, ciò nonostante, va rammentato che il testo giustinianeo si deve ascrivere, pur con qualche differenza, alla redazione definitiva44 condotta da Salvio Giuliano45, contemporaneo di Aulo Gellio46. Alla luce di ciò, mi pare plausibile ipotizzare che il testo edittale si componesse di una preliminare disposizione circa il contenuto del titulus da apporre al collo dello schiavo e che questa non fosse stata riportata da Ulpiano, ed in seguito dai compilatori giustinianei, in virtù di una trattazione puramente giuridica sulle problematiche legate alla contrattazione e al contratto di compravendita47. Di converso, è bene ricordare che l’intento di Gellio era quello di realizzare una trattazione sui vizi, in sé e per sé considerati, tralasciando lo studio dei rimedi apprestati dagli edili curuli in caso di vendita di cosa viziata. Il fine precipuo dell’erudito era quello di chiarire la distinzione tra morbus e vitium: in questo senso il riferiR. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 75 s. Per la codificazione dell’editto del pretore e la figura di Giuliano, sommo giurista, redattore dell’edictum perpetuum si veda lo studio di F. CANCELLI, La codificazione dell’edictum praetoris. Dogma romanistico, Milano 2010, pp. 249 ss. Sul punto si veda anche A. GUARINO, La formazione dell’editto perpetuo, in A. GUARINO (a cura di), Le ragioni del giurista: giurisprudenza e potere imperiale nell’età del principato romano, Napoli 1983, pp. 321 ss. 45 Sulla figura del giurista adrianeo vedi P. DE FRANCISCI, Contributo alla biografia di Salvio Giuliano, in RIL, XLI (1908), pp. 442 ss.; ID., Nuovi appunti intorno a Salvio Giuliano, in RIL, XLII (1909), pp. 657 ss.; ID., voce Salvio Giuliano, in Enc. It. Treccani, XVII (1933), p. 318; A. GUARINO, Salvius Iulianus. Profilo biobliografico, Catania 1946 [= in Labeo, X (1964), pp. 364 ss.]; E. BUND, Salvius Iulianus, Leben und Werk, in ANRW, II.15 (1976), pp. 408 ss.; F. CASAVOLA, Cultura e scienza giuridica nel secondo secolo d.C.: il senso del passato, in ANRW, II.15 (1976), pp. 131 ss. [ora in ID., Giuristi adrianei, (con Note di prosopografia e bibliografia su giuristi del II sec. d.C., G. DE CRISTOFARO, a cura di, Napoli 1980, pp. 185 ss., pp. 295 ss.]; V. SCARANO USSANI, L’utilità e la certezza. Compiti e modelli del sapere giuridico in Salvio Giuliano, Milano 1987. 46 Cfr. L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., pp. 6 ss.; R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 74 ss. 47 In questo senso cfr. R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., p. 76. 43 44

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mento all’Editto degli edili era puramente strumentale e non lo si può considerare alla stregua di un vero e proprio commentario48. Relativamente a questa osservazione vale la pena citare un altro passo delle Noctes Atticae immediatamente successivo a quello precedentemente esaminato: Gell., noct. att. 4.2.2: Propterea quaesierunt iureconsulti veteres, quod “mancipium morbosum” quodve “vitiosum” recte diceretur quantumque “morbus” a “vitio” differret49.

Già da una prima lettura del testo, appare con sufficiente chiarezza che il proposito dell’autore fosse indirizzato alla trattazione dei concetti di mancipium morbosum ovvero vitiosum. Queste nozioni furono, tra l’altro, oggetto di dibattito tra i prudentes vissuti principalmente nella tarda res publica e nel principato50; tanto è vero che Gellio riporta letteralmente le disquisizioni di costoro nei passi a seguire quest’ultimo citato, che funge da prefazione alla trattazione successiva51.

L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., p. 9; R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., p. 76. 49 Sul passo vedi infra, § 5, pp. 37-43. 50 Per quanto riguarda il dibattito giurisprudenziale sui contenuti dell’editto edilizio, lo studio organico e completo dello stesso e il contributo concreto alla stesura dell’editto da parte dei giuristi che ricoprirono la carica di edile curule rinvio alle considerazioni da me svolte in R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 46 s., in part. ntt. 130-136, in cui evidenzio che in età repubblicana e tardo repubblicana vi furono un buon numero di prudentes che ebbero un ruolo fondamentale nel delineare e arricchire la disciplina edilizia grazie alla magistratura curule ricoperta, quale tappa del cursus honorum. Tra i giuristi che ricoprirono la magistratura edilizia si possono annoverare Gneo Flavio (nel 304 a.C.), Licinio Crasso Dives (nel 212 a.C.), Sesto Elio Peto Cato (nel 200 a.C.), C. Sempronio Tuditano (nel 135 a.C.), Q. Mucio Scevola (già tribuno nel 106 ed edile curule nel 104 a.C.), Servio Sulpicio Rufo (edile curule tra il 74 e il 65 a.C.) ed infine Marco Tullio Cicerone (nel 69 a.C.). Si veda, a proposito della giurisprudenza più risalente, con raccolta di testi e commento sistematico, il volume AA.VV. Antiquissima iuris sapientia. Saec. VI-III a.C., Praefatores V. MAROTTA-E. STOLFI, Roma 2019. 51 Cfr. R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., p. 76. Sul punto anche L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., pp. 5 ss. 48

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4. Il vitium della res come nozione cardine della disciplina edilizia Gli edili curuli posero, come si è più volte ribadito, a carico del venditore, l’obbligo di dichiarare i vitia che avrebbero potuto inficiare lo sfruttamento economico del servus da parte dell’acquirente, nonché futuro dominus. Il godimento del bene doveva pertanto essere inteso sia sotto il profilo materiale, sia sotto il profilo giuridico. Il testo edittale prevedeva un elenco rigoroso di vizi che dovevano essere dichiarati in maniera chiara al compratore. La dichiarazione, che aveva luogo nel momento della contrattazione, cristallizzava lo status del bene compravenduto con riferimento ai due profili anzidetti. Una volta indicata espressamente la condizione della cosa, la comprova dell’esistenza del vizio avveniva con il raffronto ad un archetipo ideale di res alla quale l’oggetto del contratto avrebbe dovuto corrispondere. In caso contrario, il compratore sarebbe stato legittimato all’esperimento dei rimedi messi a sua disposizione dall’Editto stesso. Il vizio appariva, quindi, come un difetto strutturale per la valutazione del quale era necessario avere riguardo al bene in sé considerato, prescindendo da eventuali inclinazioni e interessi che le parti contraenti avrebbero voluto attribuire alla merx di compravendita. Per questo motivo, alle parti non era concessa la possibilità di assegnare al bene un parametro di valutazione interno al contratto. Il vizio stesso, pertanto, implicava un criterio ontologico di raffronto, con una natura eterodiretta rispetto al dichiarato. L’obbligo della dichiarazione scaturiva solo ed esclusivamente ogni qualvolta l’oggetto di vendita si discostasse dal prototipo perfetto di res. Di conseguenza, questo archetipo tendeva ad accentrare su di sé un insieme di caratteristiche imprescindibili la cui mancanza ha portato la dottrina ad elaborare una classificazione generale di tre grandi gruppi di vitia redibitori52 che si possono così sintetizzare: il primo corrisponderebbe a quello dei morbi e dei vitia, Per altro già individuati in passato da autorevole dottrina, le stesse alle quali in passato il Monier ricorreva per classificare i vizi che davano luogo alla redibizione. In questo senso cfr. R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., p. 76. 52

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menzionati in endiadi nel testo edittale53, identificabili come difetti fisici che danno luogo a malattie e altri difetti corporali; il secondo coinciderebbe invece con quello dei vizi morali e delle inclinazioni d’animo, citati dall’Editto quando il servus fosse stato fugitivus oppure erro, a cui si aggiunge la successiva previsione in ordine temporale collegata al tentativo di suicidio da parte del mancipium; e da ultimo, quello dei vizi scaturenti dall’assoggettabilità del mancipium all’azione nossale, dalla quale dipendeva l’obbligo arcaico di dichiarazione per il servus noxa non solutus, a cui si devono sommare le due più recenti prescrizioni edittali relative alla dichiarazione della condanna dello schiavo per aver commesso un crimine punito o con pena capitale (si capitalem fraudem admiserit), o con la pena infamante di combattere nell’arena contro le belve, ovvero l’essere condannato ad bestias (si in harenam depugnandi causa ad bestias intromissus fuerit).

5. I c.d. vizi corporali: cenni sul valore dell’endiadi morbus vitiumque nei percorsi interpretativi dei prudentes A proposito della prima generale ‘famiglia’ di vitia, gli edili curuli avevano statuito che il venditore dovesse manifestare mediante dichiarazione orale eventuali morbi o vitia dello schiavo, come testimoniato sia nel più antico testo dell’Editto trascritto da Aulo Gellio (noct. att. 4.2.1) e sia in quello riprodotto da Ulpiano (D. 21.1.1.1). Nel quarto libro delle Noctes Atticae, Aulo Gellio, al fine di far emergere le differenze concettuali tra morbus e vitium (‘quantum morbus a vitio differet’), riporta le dispute dei giuristi tardo repubblicani e del primo principato, a partire dalla riflessione elaborata da Labeone, che risulta centrale nell’esposizione dell’antiquario, messa

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La forma di endiadi conterrebbe secondo la dottrina, per tutti vedi O. KAR-

LOWA, Römische Rechtgeschichte, II, Leipzig 1901, pp. 1291 s., un rapporto di spe-

cies a genus che però, come rileva G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 7, nt. 4, p. 195, non si rifletterebbe sugli effetti giuridici relativi alla concessione dei rimedi dell’actio redhibitoria o dell’actio quanti minoris.

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a confronto con quella di un giurista di epoca successiva, Celio Sabino54, e poi correlata al pensiero di alcuni giureconsulti precedenti (nello specifico Trebazio Testa55, Servio Sulpicio Rufo56 e i veteres57),

Sul tema della giurisprudenza romana nelle opere letterarie, ed in particolare la citazione dell’opera di Celio Sabino a commento dell’editto edilizio da parte di Aulo Gellio (noct. att. 4.2.1), rinvio tra tutti a O. DILIBERTO, La giurisprudenza romana nelle opere letterarie, in AA.VV., Giuristi romani e storiografia moderna. Dalla Palingenesia iuris civilis agli Scriptore iuris Romani, A. SCHIAVONE (a cura di), Torino 2017, p. 155. Sul pensiero di Celio Sabino in materia contrattuale vedi tra i più recenti C. PELLOSO, ‘Do ut des’ e ‘do ut facias’. Archetipi labeoniani e tutele acontrattuali nella giurisprudenza romana tra primo e secondo secolo d. C., in L. GAROFALO (a cura di), Scambio e gratuità. Confini e contenuti dell’area contrattuale, Padova 2011, pp. 107-108; G. NICOSIA, Celio Sabino e le dispute su permutatio ed emptio venditio, in IURA, LXII (2014), pp. 17 ss. 55 Sul giurista vedi O. STANGE, De Gaio Trebatio Testa et de eo loco, Berolini 1849; M. TALAMANCA, Trebazio Testa fra retorica e diritto, in G.G. ARCHI (a cura di), Questioni di giurisprudenza tardo-repubblicana, Milano 1985, pp. 29 ss.; M. D’ORTA, La giurisprudenza tra repubblica e principato: primi studi su C. Trebazio Testa, Napoli 1990. 56 Sulla figura di Servio Sulpicio Rufo vedi H. KRÜGER, Römische Juristen und ihre Werke, in AA.VV., Studi in onore di P. Bonfante, II, Milano 1930, pp. 326 ss.; M. BRETONE, La tecnica del responso serviano, in Labeo, XVI (1970), pp. 7 ss.; ID., Tecniche e ideologie dei giuristi romani, Napoli 1982, pp. 91 ss.; F. CASAVOLA, Auditores Servii, in AA.VV., La critica del testo. Atti del II Convegno della Società Italiana di Storia del Diritto, I, Firenze 1969, pp. 153 ss.; ID., Giuristi adrianei, Napoli 1980, pp. 135 ss.; A. GUARINO, Servio Sulpicio e Manilio, in Atti dell’Accademia Pontaniana, XXXI (1972), pp. 145 ss.; F. D’IPPOLITO, I giuristi e la città: ricerche sulla giurisprudenza romana della Repubblica, Napoli 1978, pp. 15 ss.; ID., Cicerone e i maestri di Servio, in La giustizia tra i popoli nell’opera e nel pensiero di Cicerone. Atti del Convegno dell’Accademia ciceroniana di Arpino, Roma 1993, pp. 53 ss.; A. SCHIAVONE, Il caso e la natura. Un’indagine sul mondo di Servio, in A. GIARDINA-A. SCHIAVONE (a cura di), Società romana e produzione schiavistica, III. Modelli etici, diritto e trasformazioni sociali, Roma-Bari 1981, pp. 41 ss.; ID., Giuristi e nobili nella Roma repubblicana: il secolo della rivoluzione scientifica nel pensiero giuridico antico, Roma-Bari 1992, pp. 38 ss.; C.A. CANNATA, Per una storia della scienza giuridica europea, I. Dalle origini all’opera di Labeone, Torino 1997, pp. 273 ss.; M. PIERPAOLI, L’orazione di Servio Sulpicio Rufo nel processo di Murena, in Maia, XLIX (1997), pp. 231 ss.; F. BRIGUGLIO, Servio Sulpicio e la definizione di tutela: vis ac potestas o ius ac potestas?, in C. RUSSO RUGGERI (a cura di), Studi in onore di A. Metro, I, Milano 2009, pp. 163 ss.; M. MIGLIETTA, «Servius respondit». Studi intorno a metodo e interpretazione nella scuola giuridica serviana. Prolegomena I, Trento 2010. 57 Sul punto cfr. R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., p. 23; L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della 54

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menzionati nel testo seguendo una cronologia a ritroso nel tempo: Gell., noct. att. 4.2.2-5: Propterea quaesierunt iureconsulti veteres, quod “mancipium morbosum” quodve “vitiosum” recte diceretur quantumque “morbus” a “vitio” differret. 3 Caelius Sabinus in libro, quem de edicto aedilium curulium composuit, Labeonem refert, quid esset “morbus”, hisce verbis definisse: “Morbus est habitus cuiusque corporis contra naturam, qui usum eius facit deteriorem”. 4 Sed “morbum” alias in toto corpore accidere dicit, alias in parte corporis. Totius corporis “morbum” esse, veluti sit pthisis aut febris, partis autem, veluti sit caecitas aut pedis debilitas. 5 “Balbus autem” inquit “et atypus vitiosi magis quam morbosi sunt, et equus mordax aut calcitro vitiosus, non morbosus est. Sed cui morbus est, idem etiam vitiosus est. Neque id tamen contra fit; potest enim qui vitiosus est non morbosus esse. Quamobrem, cum de homine morboso agetur, aeque” inquit ita dicetur: “quanto ob id vitium minoris erit”.

Nella definizione58 elaborata da Labeone59, che Gellio leggeva cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., pp. 22 s.; R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., p. 120. In generale per il ricorso al termine ‘veteres’ nel linguaggio dei giuristi romani cfr. O. BEHRENDS, Les “veteres” et la nouvelle jurisprudence à la fin de la République, in RH, LV (1977), pp. 7 ss.; ID., Le due giurisprudenze romane e le forme delle loro argomentazioni, in Index, XII (1983-1984), pp. 188 ss. Tra i più recenti, rinvio tra tutti alla trattazione del tema di D. MANTOVANI, Quando i giuristi diventarono “veteres”. Augusto e Sabino, i tempi del potere e i tempi della giurisprudenza, in Augusto. La costruzione del Principato (Roma, 4-5 dicembre 2014), Roma 2017, pp. 257 ss., il quale, a proposito di Gell. 4.2.3, scrive che «Celio Sabino, cos. suff. 69 d.C., è fonte delle opinioni dei iureconsulti veteres (in senso cronologico) Servio, Trebazio, Labeone …» (p. 269, nt. 43). 58 Per quanto attiene al ‘definire’ e alle ‘definitiones’ nel linguaggio delle fonti, si fa rinvio agli studi di R. MARTINI, Le definizioni dei giuristi romani, Milano 1966; A. CARCATERRA, Le definizioni dei giuristi romani. Metodo, mezzi e fini, Napoli 1966. In merito alle definizioni dei giuristi romani in cui si riferisce l’etimologia dei termini, si veda L. CECI, Le etimologie dei giureconsulti romani, Torino 1892, pp. 16 ss.; in particolare, su Labeone come «novatore della grammatica e dell’etimologia» vedi pp. 24 ss.: «nella grammatica è analogista […] e crea nuovi costrutti sintattici sempre col procedimento analogico». Lo studioso aggiunge che Labeone, così come «fu analogista appassionato nella trattazione della lingua, lo fu anche nella elaborazione del diritto» (p. 27). 59 Sulla dottrina di Labeone in materia di schiavitù, vedi A. PERNICE, Marcus Antistius Labeo. Das Römisches privatrecht im ersten Jahrhunderte der Kaiserzeit, I, Halle 1873, pp. 113 ss. La definizione labeoniana di morbus, ai fini della redibi-

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nel Liber de edicto aedilium curulium60 di Celio Sabino, il morbus appare rappresentato come «una condizione, di un qualunque corpo, contraria alla natura, che rende peggiore l’impiego di esso»61, incidendo così direttamente sulle possibilità di utilizzazione e la destinazione del mancipium62 da parte del compratore. La definitio di morbus labeoniana compare anche in un frammento del commentario all’Editto curule di Ulpiano, seppure in qualche parte differente nella sua formulazione, in cui il giurista severiano mostra di attribuirla a Celio Sabino63:

zione del servus, viene analizzata in maniera specifica da R. MONIER, La position del Labéon vis à vis de l’expression morbus vitiumve dans l’édit del édiles, in Eos. Symbolae R. Taubenschlag ded., XLIX.3 (1957), pp. 443 ss., il quale ripropone la teoria interpretativa elaborata nella sua precedente opera, ID., La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., pp. 33 ss., in cui aveva sostenuto che nel brano di Gellio, noct. att. 4.2.2-5, il giurista augusteo aveva tentato di elaborare una definizione generale di morbus e di vitium, definizione che però non aveva avuto seguito nella giurisprudenza successiva. 60 Come rilevava R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., p. 33, Gellio ha come unica fonte per i primi dodici paragrafi (del capitolo secondo del libro quarto) l’opera di Celio Sabino, esplicitamente richiamata agli inizi (Gell., noct. att. 4.2.3). Ma vedi anche tra i più recenti, D. MANTOVANI, Quando i giuristi diventarono “veteres”, cit., p. 269, nt. 43; L. D’AMATI, L’actio redhibitoria tra giurisprudenza romana e riflessione filosofica, cit., pp. 12 ss. 61 F. CAVAZZA, Aulo Gellio, Le Notti attiche, IV-V, Bologna 1987, p. 21. 62 A tal proposito cfr. R. MONIER, La position del Labéon vis à vis de l’expression morbus vitiumve dans l’édit del édiles, cit., pp. 443 ss. Sul punto vedi anche ID., La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., p. 34; L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., p. 35; R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., p. 123; L. D’AMATI, L’actio redhibitoria tra giurisprudenza romana e riflessione filosofica, cit., p. 12, nt. 28. 63 Cfr. R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 159 s., in cui sottolineo che «la dottrina ha dibattuto a lungo sulla attribuzione della definizione di morbus contenuta in questi passi: il problema nasce dal fatto che Ulpiano si riferisce ad un Sabino, senza specificare di quale Sabino si tratti, e per di più nel modo da lui solitamente usato per riferirsi a Masurio Sabino. L’opinione prevalente è nel senso di ritenere che il Sabino di cui si tratta sia Celio Sabino, il quale già in Gellio dichiarava di riportare testualmente la definizione data da Labeone, definitio che ovviamente egli approvava. Del resto, i due passi sono molto simili, non solo nel contenuto, ma anche nella struttura semantica e nella sequenza concettuale.

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D. 21.1.1.7 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Sed sciendum est morbum apud Sabinum sic definitum esse habitum cuiusque corporis contra naturam, qui usum eius ad id facit deteriorem, cuius causa natura nobis eius corporis sanitatem dedit: id autem alias in toto corpore, alias in parte accidere (namque totius corporis morbus est puta febris, partis veluti caecitas, licet homo itaque natus sit): vitiumque a morbo multum differre, ut puta si quis balbus sit, nam hunc vitiosum magis esse quam morbosum. Ego puto aediles tollendae dubitationis gratia bis idem 64 dixisse, ne qua dubitatio superesset .

La giurisprudenza, ai fini di pervenire ad una distinzione dei concetti utilizzati dagli edili curuli, intendeva evidenziare che nel morbus vi era una sorta di snaturamento dello stato del corpo, e che questo, in relazione alla compravendita di schiavi e alla destinazio-

Sembra assai improbabile che Masurio Sabino possa aver formulato una definizione di morbus identica a quella di Labeone, riportata testualmente nell’opera di Celio Sabino. Anche nell’ipotesi in cui Labeone e Masurio Sabino, appartenenti a scuole giuridiche diverse, fossero pervenuti ad una medesima opinione in merito alla definitio di morbus, non avrebbero mai potuto esprimerla con le medesime parole». 64 Sul problema segnalato da R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., p. 33, per quel che riguarda l’attribuzione del frammento a Celio Sabino o a Masurio Sabino, si veda anche F. SCHULZ, Sabinus-Fragmente in Ulpianus Sabinus Commentar, in Labeo, X (1964), pp. 50 ss. In riferimento all’orientamento prevalente della dottrina in merito all’identificazione del Sabino citato con Celio Sabino, vedi Cfr. O. LENEL, Palingenesia iuris civilis, II, cit., col. 200, fr. 98-99; F.P. BREMER, Iurisprudentiae antehadrianae quae supersunt, II, cit., pp. 323 s.; W.W. BUCKLAND, The Roman law of slavery: the condition of the slave in private law from Augustus to Justinian, Cambridge 1908 (rist. 1969), p. 54; D. DALLA, L’incapacità sessuale in diritto romano, Milano 1978, p. 142, nt. 42; ma soprattutto R. ASTOLFI, I libri tres iuris civilis di Sabino, Padova 1983, p. 258, nt. 299, il quale afferma: «il testo di D. 21.1.1.7 (1760 L.) riproduce un passo del commento di Celio Sabino all’editto degli edili curuli come mostra il confronto di Gellio 4.2.3 […] In tutto il fr. 1760 Ulpiano fa costante riferimento a Celio Sabino, talvolta chiamandolo Sabino (D. 21.1.1.7 e D. 21.1.14 pr.), più spesso Celio». Secondo R. MARTINI, Le definizioni dei giuristi romani, cit., p. 152, Ulpiano non avrebbe voluto attribuire alcuna paternità alla definizione e, per tanto utilizza la generica espressione ‘apud Sabinum’. Dello stesso avviso anche C. LANZA, D. 21.1: res se moventes e morbus vitiumve, in SDHI, LXX (2004), p. 88; R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 159 s.

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ne per cui il servus veniva acquistato, si traduceva nella conseguenza giuridica dell’impossibilità di un impiego ottimale dello schiavo da parte dell’emptor65. Il vizio veniva, invece, considerato in termini di un mero difetto66 che conteneva in sé la nozione di morbus, avendo un significato più generale. Pertanto, se uno schiavo fosse stato affetto da un morbus, questo sarebbe stato conseguentemente vitiosus, ma non necessariamente sarebbe contemplato il contrario67: ‘Sed cui morbus est, idem etiam vitiosus est. Neque id tamen contra fit; potest enim qui vitiosus est non morbosus esse’68. È interessante osservare come Ulpiano dopo l’esposizione del pensiero di Celio Sabino – sulla scorta dell’insegnamento di Labeone – concluda adducendo la propria opinione su tale distinzione: ‘Ego puto aediles tollendae dubitationis gratia bis idem dixisse, ne qua dubitatio superesset’. Sembrerebbe che il giurista non volesse attribuire a questa distinzione un’eccessiva importanza, non tanto dal punto di vista dottrinale, quanto dal punto di vista pratico. In quest’ottica gli edili curuli avrebbero voluto essere più esaustivi, in modo da ricomprendere più fattispecie di difetti

65 Sul punto, vedi L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., pp. 35 s.; E. PARLAMENTO, «Servus melancholicus». I «vitia animi» nella giurisprudenza classica, in RDR, I (2001), pp. 4 s., R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 124 s. 66 Celio Sabino non dà una definizione di vitium, ma ne delinea il significato attraverso alcuni esempi, così sarebbe affetto da un vizio colui che è balbuziente (balbus) o che non articola bene le parole (atypus), ovvero sarebbe vitiosus un cavallo mordace o calcitrante (mordax aut calcitro). Cfr. Gell., noct. att. 4.2.5. Vedi, a tale proposito, N. DONADIO, Garanzia per vizi della cosa e responsabilità contrattuale, in É. JAKAB-W. ERNST (a cura di), Kaufen nach Römischem Recht. Antikes Erbe in den europäischen Kaufrechtsordnungen, Berlin-Heidelberg 2008, p. 73, nt. 27, la quale sostiene che Celio Sabino giunga a soluzioni diverse rispetto a Labeone, perché probabilmente in polemica con quest’ultimo. 67 In tal senso anche R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., p. 34; L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., pp. 35 s.; E. PARLAMENTO, «Servus melancholicus», cit., 5; R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 123 s. 68 Cfr. Gell., noct. att. 4.2.5.

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sempre e comunque riferibili allo status del corpo da cui derivava la intercambiabilità del bene69. Come da me dimostrato in precedenza70, la situazione circa la distinzione tra i due concetti di morbus e di vitium era già stata ampiamente superata tra i giuristi del I sec. d.C., e che all’epoca di Celio Sabino «il vitium ricomprendeva in sé anche il concetto di morbus, tanto è vero che il giurista scrive[va] che nei casi in cui si agisce de homine morboso si dovrà fare riferimento alla diminuzione di valore dello schiavo per la presenza di quel vitium (inteso a mio avviso come ‘difetto’), senza più distinguere concettualmente se avesse originaria natura di morbus o di vitium»71. A dimostrazione che l’iter concettuale evolutivo si era ormai concluso da tempo, dettato principalmente dall’esigenza di risolvere il maggior numero di fattispecie concrete, e che si configurava come il risultato di una stratificazione di diversi orientamenti giurisprudenziali, valga un passo dello stesso Ulpiano: D. 21.1.1.8 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Proinde si quid tale fuerit vitii sive morbi, quod usum ministeriumque hominis impediat, id dabit redhibitioni locum, dummodo meminerimus non utique quodlibet quam levissimum efficere, ut morbosus vitiosusve habeatur,

in cui il giurista afferma che, ai fini della redibizione dello schiavo in età severiana, la presenza del vizio o del morbo devono impedire l’usum ministeriumque hominis. La locuzione usum ministeriumque è ricca di significato e rappresenta una perfetta sintesi degli orientamenti giurisprudenziali affermatisi in epoca precedente ad Ulpiano72.

Dello stesso avviso anche J.J. AUBERT, Vitia animi: tares mentales, psychologiques, caractérielles et intellectuelles des sclaves en droit romain, in A. MAFFIL. GAGLIARDI (a cura di), I diritti degli altri in Grecia e a Roma, Sankt Augustin 2011, p. 239. 70 R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 136 s. 71 Così R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., p. 136. 72 A tale proposito rinvio alle considerazioni da me svolte in R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 136 s.: «Infatti, il termine usus viene utilizzato, in riferimento 69

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6. Vitia corporis e vitia animi L’espressione morbus vitiumve si riferisce, come si è osservato precedentemente73, ai soli vitia corporis e non anche ai vitia animi74. Al momento della vendita del servus, il venditore doveva dichiarare oltre ai vitia corporis anche talune peculiarità legate all’indole dello schiavo, che avrebbero comunque potuto riflettersi sull’impiego ottimale del mancipium. Queste ultime, contemplate testualmente nella disposizione edittale più risalente, si concretizzavano inizialmente nelle due fattispecie del servus fugitivus o erro75, a cui si sommò l’ulterioalla mancata funzionalità del servus a causa della presenza di un morbus, prima da Labeone (noct. att. 4.2.2: … qui usum eius facit deteriorem) e poi, successivamente, da Celio Sabino (D. 21.1.1.7: … qui usum eius ad id facit deteriorem) che fa propria la definitio di morbus di Labeone. Ministerium, invece, […] viene impiegato per la prima volta da Sesto Pedio (D. 21.1.12.1: … si nihil ex ministerio praestando subtrahit) per indicare l’incidenza della funzionalità del corpo sano/ non sano del servus sullo svolgimento della attività lavorativa a cui era preposto. Il giurista severiano, nel riprendere la terminologia di Pedio, affiancando usum e ministerium, procede ad una operazione di sintesi rispetto ai diversi orientamenti giurisprudenziali che lo avevano preceduto nel tempo». Vedi anche: C. GIACHI, Studi su Sesto Pedio. La tradizione, l’editto, Milano 2005, p. 79. 73 Per una disamina più articolata della tematica proposta in questo paragrafo, che rappresenta solo una sintesi delle problematiche inerenti alla categoria dei vitia animi, della loro valenza nella disciplina edilizia e nelle concezioni della giurisprudenza, nonché della trattazione dei singoli vizi dell’animo nominalmente citati nell’editto curule, rinvio alla trattazione da me svolta in R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 189 ss. 74 A tal proposito vedi E. PARLAMENTO, «Servus melancholicus», cit., p. 5, la quale, anche in riferimento a D. 21.1.4.3 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.), riconosce che «è dunque evidente l’atteggiamento dei giuristi, i quali, concentrando la loro attenzione sulla rilevanza che deve essere data al morbo o al vizio, sembrano essere concordi nell’intendere quest’ultimo pur sempre come difetto corporale, al punto di affermare che “videmur hoc iure uti, ut vitii morbique appellatio non videatur pertinere nisi ad corpora”». 75 Appare probabile l’ipotesi che siano stati proprio gli edili curuli a dare rilevanza giuridica alla fuga e al vagabondaggio e quindi ad introdurre con l’Editto la possibilità per il compratore di avvalersi di tutela anche in queste evenienze. Nella testimonianza di Varrone, che ben riporta la prassi invalsa nella compravendita di servi non è fatta alcuna menzione della possibilità di effettuare stipulazioni di garanzia con riguardo alla possibilità di fuga. Cfr. Varr. de re rust. 2.10.5: In horum emptione solet accedere peculium aut excipi et stipulatio intercedere, sanum

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re previsione, contenuta nella parte più recente76 del testo dell’editto curule, della propensione a sibi mortis consciscere del mancipium. La responsabilità del venditore sorgeva esclusivamente nei casi categoricamente citati nell’Editto e non vi era una tipologia generale riconducibile ai vitia animi che desse adito alla redibizione. Il venditore poteva comunque prestare garanzia attraverso una apposita stipulazione su altre qualità non corporali dello schiavo. Così come testimoniato da Ulpiano in: D. 21.1.4.3 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): […] et videmur hoc iure uti, ut vitii morbique appellatio non videatur pertinere nisi ad corpora: animi autem vitium ita demum praestabit venditor, si promisit, si minus, non. Et ideo nominatim de errone et fugitivo excipitur: hoc enim animi vitium est, non corporis. unde quidam iumenta pavida et calcitrosa morbosis non esse adnumeranda dixerunt: animi enim, non corporis hoc vitium esse.

Già da una prima lettura, appare chiaro come il pensiero di fondo del giurista circoscriva la pertinenza del morbus vitiumve ai soli difetti corporali. Il venditore, infatti, non era tenuto per il vitium animi a meno che non lo promettesse, ma era tassativamente imposto l’obbliesse, furtis noxisque solutum; aut, si mancipio non datur, dupla promitti, aut, si ita pacti, simpla. Pertanto, è plausibile che gli edili, in ossequio alla ratio del loro intevento, volessero ampliare le possibilità di rimedio nei confronti dei compratori che rischiassero di essere privati della possibilità di una piena utilizzazione del mancipium, ove la tendenza alla fuga e al vagabondaggio si manifestassero come causa. A tal proposito si veda L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., pp. 55 s. Si tratta di causae redhibitionis rinvenibili nel testo edittale anche nella sua formulazione più risalente, come quella riportata da Gell., noct. att. 4.2.1, e verosimilmente erano presenti nell’Editto degli edili curuli anche nella sua forma genetica, come risulta da alcune testimonianze di età repubblicana. Cfr. a tale proposito Cic., de off. 3.17.71: […] Qui enim scire debuit de sanitate, de fuga, de furtis, praestat edicto aedilium. Heredum alia causa est. Ma vedi, sulla specifica condizione del fugitivus, anche R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 52 ss., pp. 69 ss.; G. RIZZELLI, Il fugitivus di D. 50.16.225 (Tryph. 1 disp.), in C. RUSSO RUGGERI (a cura di), Studi in onore di Antonino Metro, V, Milano 2010, pp. 262 s.; L. D’AMATI, L’actio redhibitoria tra giurisprudenza romana e riflessione filosofica, cit., p. 13. 76 Sul punto rinvio alle osservazioni svolte in R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 203 s. e nt. 50.

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go di rendere noto al compratore la propensione alla fuga o al vagabondaggio, ricondotti da Ulpiano alla categoria dei vizi dell’animo. In Ulpiano la distinzione principale dei vitia mancipii è da intendersi tra vitia corporis e vitia animi. Dai primi nasceva la responsabilità del venditore a prescindere dal fatto che derivassero da un morbus o da un vitium: nel momento in cui la mancanza di una qualità corporale avrebbe potuto compromettere l’usus del servus, questa, da sola, sarebbe stata idonea a legittimare il compratore a ricorrere agli strumenti di tutela dell’editto curule. I secondi invece rilevavano, come già evidenziato in precedenza, solo in virtù di una specifica promessa ad eccezione dei casi espressamente previsti nell’editto degli edili curuli del servus fugitivus errove o del mancipium che avesse tentato il suicidio. Gli edili curuli, nell’esercizio del ius edicendi, non si riferirono ad una categoria di vizi piuttosto che all’altra, si limitarono bensì ad indicare nell’Editto i casi tassativi che avrebbero permesso il ricorso alle azioni rientranti nella loro iurisdictio77. L’elaborazione di una categoria generale di vitia animi era quindi assente nel testo edittale, e pertanto i giuristi dell’età repubblicana e tardo repubblicana furono portati a circoscrivere l’ambito dei loro studi ai singoli casi di redibizione previsti dall’Editto78. A tale Nell’Editto, tra i casi che avrebbero comportato la concessione dell’actio redhibitoria e dell’actio quanti minoris, si fa riferimento alla presenza di un morbus o di un vitium, all’essere il servo propenso alla fuga o al vagabondaggio, all’essere noxa solutus, l’aver tentato il suicidio, l’aver commesso un crimine capitale, l’essere condannato alla lotta in arena con le fiere. Sul punto vedi R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 194 ss. 78 A tal proposito rinvio alle osservazioni da me espresse in R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 195 s., in cui rilevo «che i giuristi dell’età repubblicana, tardo repubblicana e del primo principato nelle loro riflessioni sul contenuto dell’editto degli edili curuli si limitarono a commentare i singoli casi, previsti tassativamente nel dettato edilizio, idonei a configurare una responsabilità sanzionata con l’actio redhibitoria e con l’actio quanti minoris, citandoli con la stessa terminologia usata dagli edili nel testo edittale, seguendo il loro ordine di elencazione, senza mai manifestare la volontà di procedere ad astrazioni di carattere generale al fine di ricondurli a quelle categorie generali (vitium corporis / vitium animi) menzionate inizialmente da Viviano e poi fatte proprie da Ulpiano». Va inoltre evidenziato che lo studio delle due categorie a cui si riferisce Ulpiano è stato elaborato inizial77

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proposito, si potrebbe anche ipotizzare che la difficoltà dei giuristi a configurare una simile generalizzazione del vitium animi potesse essere ricondotta alla problematicità di fare riferimento ad un modello ideale che avesse delle caratteristiche oggettive. Con i giuristi Celio Sabino e Viviano79, nel I sec. d.C., si cominciò a teorizzare una categoria di vizi non corporali che avrebbero potuto comunque avere rilevanza ai fini della redibizione o della diminuzione del valore del servus; anche se la tutela edilizia continuava ad operare solo in riferimento ai soli vizi corporali, o a quelle figure eccezionali dichiaratamente previste nel testo edittale. L’impostazione che configurava quest’ultima categoria dei vizi dell’animo come criterio di esclusione della redibizione80 tentava

mente da Viviano, quindi a partire dalla seconda metà del I sec. d.C., il quale si pose «il problema di valutare l’incidenza di alcune condizioni, notoriamente legate all’animus, sulla sanità del servus e, di conseguenza, di stabilire se esse fossero rilevanti ai fini della configurazione della responsabilità edilizia» (ibidem, p. 199). L’orientamento di Viviano a tale proposito trovava già una corrispondenza anche nel pensiero di Celio Sabino, suo contemporaneo, dimostrando così una linea interpretativa comune per la giurisprudenza della seconda metà del I sec. d.C. 79 Sul giurista vedi C. FERRINI, Viviano – Prisco Fulcinio, in RIL, XIX (1886), pp. 735 ss. (ora in Opere, II, Milano 1929, pp. 71 ss., in part. pp. 78 s.); C. RUSSO RUGGERI, Viviano giurista minore?, Milano 1997, in part. pp. 144 ss. 80 Vale la pena rammentare le problematiche inerenti alla concessione dell’actio redhibitoria anche ai casi di vitium animi derivato da vitium corporis, sulle quali risulta assai interessante l’interpretazione offerta dalla Glossa Posse a D. 21.1.4.1, in cui si legge: propter vitium corporis: non dico animi. La dottrina prevalente non dubita che Viviano concepisse la concessione dell’actio redhibitoria per i vizi dell’animo derivanti da vizi corporali: cfr. C. FERRINI, Viviano – Prisco Fulcinio, cit., p. 78; G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., pp. 7 ss.; E. NARDI, Squilibrio e deficienza mentale, Milano 1983, p. 283; C. RUSSO RUGGERI, Viviano giurista minore?, cit., p. 148; E. STOLFI, Studi sui «Libri ad edictum» di Pomponio. II. Contesti e pensiero, Milano 2002, pp. 458 s. n. 255. Tuttavia, L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., p. 49, non tenendo conto della ricostruzione palingenetica del Lenel, sostiene che in D. 21.1.4.1 Ulpiano riporta la sua opinione e non quella di Viviano, e che per i vizi considerati nel frammento Viviano avrebbe invece concesso l’actio empti. Per la Manna, pertanto, la concessione dell’actio redhibitoria per i vizi dell’animo causati da un vizio corporis sarebbe da imputare alla interpretazione di Ulpiano. L’opinione della Manna è stata criticata da C. RUSSO RUGGERI, Viviano giurista minore?, cit., p. 148, nt. 187. Ambigua, al riguardo, l’interpretazione di N. DONADIO, La tutela

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di contrastare l’influsso medico-filosofico greco nella scienza medica romana. Tale influsso trovava fondamento nel fatto che alcune deficienze psichiche si manifestavano anche nel corpo81, ovvero quelle patologie oggi inquadrate nella categoria delle ‘malattie psicosomatiche’. Va inoltre ricordato, che proprio da questo influsso medico filosofico Ulpiano, anche per il tramite del pensiero di Viviano, giungerà a formulare la sua concezione, secondo la quale la garanzia prevista nelle norme edittali doveva ricomprendere anche i vitia animi generati dalla presenza di un vizio corporale. Tale elaborazione concettuale si evince nitidamente in un frammento del giurista severiano, in cui è possibile riscontrare una netta propensione verso l’eventualità dell’origine psicosomatica di alcuni vitia animi: D. 21.1.4.1 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Sed si vitium corporis usque ad animum penetrat, forte si propter febrem loquantur aliena vel qui per vicos more insanorum deridenda loquantur, in quos id animi vitium ex corporis vitio accidit, redhiberi posse.

La regola dell’esclusione dei vitia animi come categoria generale, volta a respingere la possibilità della redibizione, subisce a questo punto un’elisione nella sua rigidità, seppur non in contrasto, che contribuisce ad ampliare le possibilità di tutela del compratore anche in tutti i casi in cui il vizio non sia esclusivamente riferibile allo stato psichico, e quindi quando quest’ultimo sia coesistente e/o connesso ad un vizio del corpo, o dal quale ne fosse scaturito. È poi lo stesso Ulpiano a chiarire ulteriormente le affermazioni espresse in D. 21.1.4.1 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.) nel seguente frammento: D. 21.1.4.4 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): In summa si quidem animi tantum vitium est, redhiberi non potest, nisi si dictum est hoc abesse et non abest: del compratore tra actiones aediliciae e actio empti, Milano 2004, p. 126. Ma vedi anche R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 195 s. 81 In tal senso vedi L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., pp. 45 s.; E. PARLAMENTO, «Servus melancholicus», cit., pp. 11 ss.

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ex empto tamen agi potest, si sciens id vitium animi reticuit: si autem corporis solius vitium est aut et corporis et animi mixtum vitium, redhibitio locum habebit,

in cui il giurista severiano, realizzando una efficace operazione di sintesi delle concezioni della giurisprudenza del I-II sec. d.C., indica come forma di tutela per il compratore la possibilità di esperire l’actio empti nel caso in cui il venditore abbia consapevolmente taciuto la presenza del vizio dell’animo promettendone contestualmente l’assenza; oppure, concedendo la redibitoria nell’ipotesi della presenza di un vizio misto del corpo e dell’animo82. Insomma,

A proposito della dottrina di Viviano su alcune ipotesi di redibizione per i vizi dell’animo derivanti da vitia corporis, e il riferimento nella sintesi di Ulpiano, in D. 21.1.4.4, al corporis et animi mixtum vitium, rinvio tra tutti all’analisi specifica di R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 230 ss. In merito all’espressione mixtum vitium, considerata da una buona parte della dottrina come non classica, vedi A. BERGER, Miszellen aus der Interdiktenlehre, in ZSS, XXXVI (1915), pp. 217 s., il quale ritiene che si tratti di una espressione tarda; G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 257 n. 49, il quale osserva che la locuzione deve «considerarsi un inciso aggiunto» in quanto in realtà Ulpiano, sulla scorta del contenuto di D. 21.1.1.9, avrebbe parlato di “vitium et corporis et animi”; P. STEIN, Fault in the formation of contract in Roman Law and Scots Law, Edinburg-London 1958, p. 17, il quale, sulla scia del Berger, considera l’espressione mixtum vitium come un esempio delle c.d. categorie miste considerate come non classiche; D. LIEBS, Gemischte Begriffe im römischen Recht, in Index, I (1970), p. 148; L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., p. 43. Contra, N. DONADIO, La tutela del compratore, cit., p. 129, la quale, non dubitando della classicità dell’espressione mixtum vitium, osserva che «Ulpiano potrebbe aver inteso riassumere il concetto secondo cui un vizio nella personalità, nel temperamento del servus venditus può diventare fonte di responsabilità edilizia per il venditore reticente se esso incida con conseguenze negative sul corpo dello schiavo, falsandone la naturale funzionalità; oppure se tragga la sua origine da anomalie fisiche, malattie, ecc.». A mio avviso, però, la classicità dell’espressione può essere dimostrata considerando che in Ulpiano si può riscontrare un uso abituale del termine mixtum (cfr. D. 2.1.3; D. 6.1.5.1; D. 7.2.8; D. 13.4.2.3; D. 21.1.4.4; D. 38.2.6.3; D. 39.3.1 pr.; D. 39.5.18 pr.; D. 42.6.1.12; D. 43.1.1.1; D. 44.7.37.1; D. 45.1.29 pr.; D. 48.22.7.22), il che mi porta a pensare che il termine mixtum sia genuino, e non aggiunto successivamente (cfr. R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 235 ss.). Ma vedi anche M. MEMMER, Der “schöne Kauf” des “guten Sklaven”: Zum Sachmängelrecht im Syrisch-römischen Rechtsbuch, in ZRG, CVII (1990), p. 24; C. RUSSO RUGGERI, 82

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come ribadisce Ulpiano, se vi è soltanto un vizio dell’animo, non può aversi redibizione. Alla luce di quanto detto sopra, è quindi possibile sostenere, senza alcun dubbio, che i casi di vizi dell’animo previsti in forma esplicita nella parte iniziale dell’Editto, ovvero l’essere fugitivus o erro, nonché l’ipotesi residuale contemplata nella parte finale dell’editto curule tramandato da Ulpiano coincidente con la propensione del servus a tentare il suicidio (sibi mortis consciscere), si trovino in un rapporto di eccezione rispetto alla disciplina generale prevista per la categoria elaborata dalla giurisprudenza dei c.d. vitia animi, totalmente esclusa dalla tutela edittale edilizia.

7. I c.d. vizi dell’animo espressamente previsti nell’editto degli edili curuli (servus fugitivus o erro) e valore del tentato suicidio del mancipium (sibi mortis consciscere) ai fini della redibizione del servus Prenderò, quindi, in considerazione qui di seguito le fattispecie eccezionali di vitia amini che davano vita alla tutela redibitoria, delineandone brevemente le caratteristiche sulla scorta delle riflessioni elaborate dai giuristi a partire dall’età repubblicana e tardo repubblicana fino a giungere al lavoro di sintesi operato dalla giurisprudenza di età severiana, attraverso il contributo di Ulpiano. 7.1. La propensione alla fuga Come già sottolineato in precedenza, la propensione alla fuga o al vagabondaggio erano le uniche due ipotesi di vitia animi enumerate espressamente dagli edili curuli nella parte iniziale dell’editto, qualificate come idonee a dar luogo all’esperibilità dell’actio redhibitoria o dell’actio quanti minoris. Viviano giurista minore?, cit., pp. 150 s.; A. WACKE, Zur Folgen-Berücksichtigung bei der Entscheidungsfindung, besonders mittels deductio ad absurdum, in Mélanges Fritz Sturm, I, Lausanne-Liège 1999, pp. 562 s.; E. PARLAMENTO, «Servus melancholicus», cit., p. 2, nt. 4.

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I due vitia animi erano esplicitamente richiamati nel testo edittale con una locuzione che riproduceva il modello di dichiarazione a cui era obbligato il venditore, dove erano citati i due vizi in forma di endiadi: ‘(servus) fugitivus errove83 (non) sit’. Vale la pena rammentare che nella più risalente testimonianza di Varrone non è fatta alcuna menzione della possibilità di effettuare stipulazioni di garanzia con riguardo alla possibilità di fuga o di vagabondare84: Varr. de re rust. 2.10.5: In horum emptione solet accedere peculium aut excipi et stipulatio intercedere, sanum esse, furtis noxisque solutum; aut, si mancipio non datur, dupla promitti, aut, si ita pacti, simpla.

Pertanto, è plausibile che gli edili, in ossequio alla ratio del loro intervento, volessero ampliare le possibilità di rimedio nei confronti dei compratori che rischiassero di essere privati della possibilità di una piena utilizzazione del mancipium, ove la tendenza alla fuga e al vagabondaggio si manifestassero come causa. Quanto al concetto di ‘servus fugitivus’85, è assai eloquente Sul valore dell’endiadi fugitivus errove, vedi N. DONADIO, Sulla comparazione tra ‘desertor’ e ‘fugitivus’, tra ‘emansor’ ed ‘erro’ in D. 19.16.4.14, in Scritti in ricordo di Barbara Bonfiglio, Milano 2004, pp. 137 ss. tra i più recenti vedi R. GAMAUF, Erro: Suche nach einem verschwundenen Sklaven. Eine Skizze zur Interpretationsgeshichte des ädilizischen Edikts, in J. HALLEBEEK-M. SCHERMAIERR. FIORI-E. METZGER-J.P. CORIAT (a cura di), Inter cives necnon peregrinos: Essays in honour of Boudewijn Sirks, Göttingen 2014, pp. 269 ss.; C. CARRASCO GARCIA, ‘Fugitivus vel erro’: del que huye aun estando presente y del que permanece pese a la ausencia. O de la dialéctica voluntad-acción, in Sem. Compl., XXVIII (2015), pp. 165 ss. A proposito del frammento D. 21.1.17.14 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.), vedi C. CASCIONE, ‘Bonorum proscriptio apud columnam Maeniam’, in Labeo, XLII (1996), p. 446, nt. 8. 84 In merito alle stipulazioni di garanzia citate da Varrone nel De re rustica, rinvio alle considerazioni da me svolte in R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 21 ss., ivi ampia letteratura sul tema. 85 Sulla nozione di fugitivus, vedi in particolare H. RUBENBAUER, voce Fugitivus, in Thesaurus Linguae Latinae VI, Lipsiae 1924, coll. 1495 ss., in cui è possibile riscontrare un gran numero di ricorrenze del termine sia nelle fonti giuridiche, sia nelle fonti letterarie, in riferimento specifico per i servi. Per l’etimologia del sostantivo fugitivus, nel senso di «fugitif» e dell’aggettivo fugitivus-a («esclave fugi83

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la definizione di Ofilio riportata da Ulpiano nel frammento

tif»), rinvio a A. ERNOUT-A. MEILLET, voce Fugio, in Dictionnaire étymologique de la langue latine. Histoire des mots3, Paris 1979, p. 258. Ma vedi anche R. MARTINI, Le definizioni dei giuristi romani, cit., p. 381, il quale è dell’avviso che la definizione di fugitivus, come del resto tutte quelle che si riferiscono a termini contenuti nelleditto, «non venivano certo formulate per uno scopo meramente speculativo, ma in vista di una loro utilizzazione sul piano concreto quando si fosse trattato di applicare quella data statuizione». L’A. sottolinea che tutto ciò è confermato anche dalle numerose discussioni giurisprudenziali sulla definitio di fugitivus. In generale, sul servus fugitivus si veda W.W. BUCKLAND, The Roman law of slavery, cit. pp. 267 ss.; R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., pp. 37 ss.; G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., pp. 9 ss.; V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., pp. 355 s.; G. NICOSIA, L’acquisto del possesso mediante i potestati subiecti, Catania 1960, pp. 397 ss.; P. BONETTI, In tema di “servus fugitivus”, in Synteleia Arangio-Ruiz II, Napoli 1964, pp. 1094 ss.; A.D. MANFREDINI, Ad ecclesiam confugere, ad statuas confugere nell’età di Teodosio I, in Atti del VI Convegno internazionale dell’Accademia Romanistica Costantiniana, Perugia 1986, pp. 52 ss.; G. POMA, “Servi fugitivi” e schiavi magistrati, in Index, XV (1987), pp. 149 ss.; L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., pp. 55 ss.; C. RUSSO RUGGERI, Viviano giurista minore?, cit., pp. 154 ss.; R. GAMAUF, Ad statuam licet confugere. Untersuchungen zum Asylrecht im römischen Prinzipat, Frankfurt am Main 1999, pp. 66 ss.; N. DONADIO, Sulla comparazione tra desertor e fugitivus, cit., pp. 137 ss.; F. REDUZZI MEROLA, Schiavi fuggitivi, schiavi rubati, «servi corrupti», in Studia Historica Historia Antigua, XXV (2007), pp. 325 s.; R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 206 ss.; P. ARZT-GRABNER, “Neither Truant nor a Fugitive”, cit., pp. 21 ss; G. RIZZELLI, Il fugitivus, cit., pp. 258 ss.; P. DESIDERI, Gli spazi del fugitivus nell’impero romano, in A. BELTRÁN-I. SASTRE-M. VALDÉS (a cura di), Los espacios de la esclavitud y la dependencia desde la antiguedad. Madrid, 28-30 novembre 2012. Actas del XXXV coloquio del GIREA: homenaje a Domingo Placido, Besançon 2015, p. 391. Tra i più recenti, a proposito dell’aspetto più specifico di acquisto a non domino da parte del servus fugitivus, vedi P. FERRETTI, Acquisto a non domino da parte del servus fugitivus: un rincorrersi tra regole ed eccezioni, in CGDV (Materiali), VII (2020), pp. 1 ss. Invece, per gli aspetti relativi alla ricerca degli schiavi fuggitivi, i cui frammenti di riferimenti sono stati collocati dai compilatori giustinianei nel titolo D. 11.4 (De fugitivis), e il ruolo dei cohortes vigilum preposti alla ricerca dei fugitivi dall’età augustea, vedi in particolare Y. RIVIÈRE, Recherche et identification des esclaves fugitifs dans l’Empire Romain, in J. ANDREAU-C. VIRLOUVET (a cura di), L’information et la mer dans le monde antique, Roma 2002, pp. 115 ss.; C. CASCIONE,‘Fugitivarii’ a caccia di schiavi in Roma antica, in . Scritti per G. Franciosi, I, Napoli 2007, 501 ss.; B. SANTALUCIA, Incendiari, ladri, servi fuggitivi: i grattacapi del praefectus vigilum, in Index, XL (2012), pp. 396 s.; C.J. FUHRMANN, Policing the Roman Empire. Soldiers, Administration and Public Order, Oxford-New York 2014, pp. 21 ss.

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D. 21.1.1786, tratto dal commentario del giurista severiano all’eSi tratta di un frammento molto lungo, in cui emerge chiaramente la volontà dei giuristi di stabilire in quali circostanze si debba ritenere che lo schiavo avesse tentato la fuga. Riporterò qui il testo per esteso, per comodità di lettura, riservandomi di evidenziare nel prosieguo della trattazione le parti via via più interessanti: D. 21.1.17 pr.-16 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Quid sit fugitivus, definit Ofilius: fugitivus est, qui extra domini domum fugae causa, quo se a domino celaret, mansit. 1. Caelius autem fugitivum esse ait eum, qui ea mente discedat, ne ad dominum redeat, tametsi mutato consilio ad eum revertatur: nemo enim tali peccato, inquit, paenitentia sua nocens esse desinit. 2. Cassius quoque scribit fugitivum esse, qui certo proposito dominum relinquat. 3. Item apud Vivianum relatum est fugitivum fere ab affectu animi intellegendum esse, non utique a fuga: nam eum qui hostem aut latronem, incendium ruinamve fugeret, quamvis fugisse verum est, non tamen fugitivum esse. Item ne eum quidem, qui a praeceptore cui in disciplinam traditus erat aufugit, esse fugitivum, si forte ideo fugit, quia immoderate eo utebatur. Idemque probat et si ab eo fugerit cui erat commodatus, si propter eandem causam fugerit. Idem probat Vivianus et si saevius cum eo agebat. Haec ita, si eos fugisset et ad dominum venisset: ceterum si ad dominum non venisset, sine ulla dubitatione fugitivum videri ait. 4. Idem ait: interrogatus Proculus de eo, qui domi latuisset in hoc scilicet, ut fugae nactus occasionem se subtraheret, ait, tametsi fugere non posset videri, qui domi mansisset, tamen eum fugitivum fuisse: sin autem in hoc tantum latuisset, quoad iracundia domini effervesceret, fugitivum non esse, sicuti ne eum quidem, qui cum dominum animadverteret verberibus se adficere velle, praeripuisset se ad amicum, quem ad precandum perduceret. Ne eum quidem fugitivum esse, qui in hoc progressus est, ut se praecipitaret (ceterum etiam eum quis fugitivum diceret, qui domi in altum locum ad praecipitandum se ascendisset), magisque hunc mortem sibi consciscere voluisse. Illud enim, quod plerumque ab imprudentibus, inquit, dici solet, eum esse fugitivum, qui nocte aliqua sine voluntate domini emansisset, non esse verum, sed ab affectu animi cuiusque aestimandum. 5. Idem Vivianus ait, si a magistro puer recessit et rursus ad matrem pervenit, cum quaereretur, num fugitivus esset: si celandi causa quo, ne ad dominum reverteretur, fugisset, fugitivum esse: sin vero ut per matrem faciliorem deprecationem haberet delicti alicuius, non esse fugitivum. 6. Caelius quoque scribit, si servum emeris, qui se in Tiberim deiecit, si moriendi dumtaxat consilio suscepto a domino discessisset, non esse fugitivum, sed si fugae prius consilium habuit, deinde mutata voluntate in Tiberim se deiecit, manere fugitivum. Eadem probat et de eo, qui de ponte se praecipitavit. Haec omnia vera sunt, quae Caelius scribit. 7. Idem ait, si servus tuus fugiens vicarium suum secum abduxit: si vicarius invitus aut imprudens secutus est neque occasionem ad te redeundi nactus praetermisit, non videri fugitivum fuisse: sed si aut olim cum fugeret intellexit quid ageretur aut postea cognovit quid acti esset et redire ad te cum posset noluit, contra esse. Idem putat dicendum de eo, quem plagiarius abduxit. 8. Idem Caelius ait, si servus, cum in fundo esset, exisset de villa ea mente, ut profugeret et quis eum, priusquam ex fundo tuo exisset comprehendisset, fugitivum videri: animum enim fugitivum facere. 9. Idem ait nec eum, qui ad fugam gradum unum 86

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ditto curule: D. 21.1.17 pr. (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Quid sit fugitivus, definit Ofilius: fugitivus est, qui extra domini domum fugae causa, quo se a domino celaret, mansit.

Perché potesse definirsi fuggitivo era necessario che il servus rimanesse nascosto al di fuori della casa padronale avendo come scopo l’allontanamento materiale dalla domus e quindi dalla dominica potestas. L’elemento soggettivo a prima vista parrebbe essere del tutto irrilevante in quanto, in questa definizione, non emergono i motivi che avrebbero potuto indurre lo schiavo ad allontanarsi dalla casa87, anche se a mio avviso nella definitio compare chiaramente un alterumve promovit vel etiam currere coepit, si dominum sequentem non potest evadere, non esse fugitivum. 10. Idem recte ait libertatis cuiusdam speciem esse fugisse, hoc est potestate dominica in praesenti liberatum esse. 11. Pignori datus servus debitorem quidem dominum habet, sed si, posteaquam ius suum exercuit creditor, ei se subtraxit, potest fugitivus videri. 12. Apud Labeonem et Caelium quaeritur, si quis in asylum confugerit aut eo se conferat, quo solent venire qui se venales postulant, an fugitivus sit: ego puto non esse eum fugitivum, qui id facit quod publice facere licere arbitratur. Ne eum quidem, qui ad statuam Caesaris confugit, fugitivum arbitror: non enim fugiendi animo hoc facit. Idem puto et in eum, qui in asylum vel quod aliud confugit, quia non fugiendi animo hoc facit: si tamen ante fugit et postea se contulit, non ideo magis fugitivus esse desinit. 13. Item Caelius scribit placere eum quoque fugitivum, qui eo se conferat, unde eum dominus reciperare non possit, multoque magis illum fugitivum esse, qui eo se conferat, unde abduci non possit. 14. Erronem ita definit Labeo pusillum fugitivum esse, et ex diverso fugitivum magnum erronem esse. Sed proprie erronem sic definimus: qui non quidem fugit, sed frequenter sine causa vagatur et temporibus in res nugatorias consumptis serius domum redit. 15. Apud Caelium scriptum est: liberti apud patronum habitantis sic, ut sub una clave tota eius habitatio esset, servus ea mente, ne rediret ad eum, extra habitationem liberti fuit, sed intra aedes patroni, et tota nocte obtulit: videri esse fugitivum Caelius ait. Plane si talem custodiam ea habitatio non habuit et in ea cella libertus habitavit, cui commune et promiscuum plurium cellarum iter est, contra placere debere Caelius ait et Labeo probat. 16. Idem Caelius ait servum in provinciam missum a domino, cum eum mortuum esse et testamento se liberum relictum audisset et in eodem officio permansisset tantumque pro libero se gerere coepisset, hunc non esse fugitivum: nec enim mentiendo se liberum, inquit, fugitivus esse coepit, quia sine fugae consilio id fecit. 87 Sulla definizione di Ofilio e la sua valenza, rinvio alle considerazioni D. CLOUD, The Stoic , Affectus and the Roman jurists, in ZSS, CXXIII (2006),

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elemento intenzionale, enunciato dal giurista mediante l’espressione “fugae causa, quo se a domino celaret”88. Sull’elemento oggettivo, invece, è possibile riscontrare una corrispondenza con le definizioni di Celio Sabino e Cassio Longino, i quali però, a distanza di un secolo, mostrano come fossero mutati la concezione ed il rapporto tra l’elemento oggettivo e quello psicologico ai fini di una qualificazione del servus come fugitivus. Assumeva infatti rilevanza giuridica l’intenzione di sottrarsi e di abbandonare il dominus: D. 21.1.17.1-2 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Caelius autem fugitivum esse ait eum, qui ea mente discedat, ne ad dominum redeat, tametsi mutato consilio ad eum revertatur: nemo enim tali peccato, inquit, paenitentia sua nocens esse desinit. §.2. Cassius quoque scribit fugitivum esse, qui certo proposito dominum relinquat.

Celio Sabino qualificava come fugitivus il mancipium allontanatosi dal padrone con l’intenzione di non fare ritorno e, al pari di quep. 42, nt. 58., il quale rileva che con molta probabilità era contenuta in un’appendice dell’editto del pretore; e di R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 209 ss. Per una riflessione critica della dottrina che intravvede nella definitio di Ofilio una natura esclusivamente oggettiva vedi L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., p. 57; G. RIZZELLI, Il fugitivus, cit., pp. 258 ss. e nt. 18. Ma vedi anche P. DESIDERI, Gli spazi, cit., p. 390. 88 Contra C. RUSSO RUGGERI, Viviano giurista minore?, cit., p. 158, la quale ritiene che «dalle fonti, infatti, sembra doversi trarre l’idea che la prima interpretazione giurisprudenziale della voce fugitivus contenuta nell’editto edilizio facesse leva sul fatto materiale della fuga, senza alcuna considerazione circa l’animus»; N. DONADIO, Sulla comparazione tra desertor e fugitivus, cit., pp. 149 s., la quale, allo scopo di dimostrare che all’epoca di Ofilio non erano state ancora definite le fattispecie del vitium del fugere separatamente da quelle dell’errare, osserva «che la condotta caratteristica del servus fugitivus viene descritta dal giureconsulto con una formula piuttosto generica, estensibile cioè anche ad ipotesi meno gravi di allontanemento dello schiavo dalla casa del dominus; quale poteva essere, per esempio quello dettato dall’abitudine a girovagare, bighellonando per osterie». Ma vedi anche R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 209 ss., in cui avevo già espresso, con una formulazione probabilmente poco chiara che destava ambiguità, la presenza dell’elemento intenzionale nella definitio di Ofilio, a cui si agganciano le osservazioni, pienamente condivisibili, di G. RIZZELLI, Il fugitivus, cit., p. 259, nt. 18, il quale, a questo proposito, rileva che «l’elemento intenzionale emerge chiaramente dal passo, accanto a quello materiale».

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sto, non poteva non qualificarsi come tale anche colui che, essendosi pentito dell’atto posto in essere, fosse ritornato nella casa padronale. Alla stregua di questa definizione la qualifica di fugitivus risulta essere intrinsecamente connessa all’elemento soggettivo, o per meglio dire meglio intenzionale, riscontrabile nella volontà del servus di sottrarsi al dominus. In questo senso appare particolarmente significativo il frammento D. 21.1.17.8 in cui Ulpiano continua a citare il pensiero di Celio Sabino89: D. 21.1.17.8 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Idem Caelius ait, si servus, cum in fundo esset, exisset de villa ea mente, ut profugeret et quis eum, priusquam ex fundo tuo exisset comprehendisset, fugitivum videri: animum enim fugitivum facere.

Sabino, infatti, affermava che era possibile considerare fugitivus colui il quale avesse posto in essere atti astrattamente idonei alla fuga, ma nonostante ciò non avesse avuto modo di sottrarsi al proprio dominus: nel caso di specie il tentativo di fuga dello schiavo era stato bloccato proprio quando questi si trovava ancora nel fondo del padrone. Tale opinione è confermata anche da Viviano90: D. 21.1.17.3 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Item apud Vivianum relatum est fugitivum fere ab affectu animi intellegendum esse, non utique a fuga: nam eum qui hostem aut latronem, incendium ruinamve fugeret, quamvis fugisse verum est, non tamen fugitivum esse. item ne eum quidem, qui a praeceptore cui in disciplinam traditus erat aufugit, esse fugitivum, si forte ideo fugit, quia immoderate eo utebatur. idemque probat et si ab eo fugerit cui erat commodatus, si propter eandem causam fugerit. idem probat Vivianus et si saevius cum eo agebat. haec ita, si eos fugisset et ad La dottrina ritiene che l’orientamento giurisprudenziale di Celio Sabino sul fugitivus fu quello prevalente. Sul punto vedi G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 9; R. MARTINI, Le definizioni dei giuristi romani, cit., p. 118 n. 69; F. REDUZZI MEROLA, “Servo parere”, cit., p. 129. 90 Sulla dottrina di Celio Sabino e Viviano in tema di elemento soggettivo rilevante ai fini della qualificazione del servus fugitivus vedi C. RUSSO RUGGERI, Viviano giurista minore?, cit., pp. 160 s. 89

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dominum venisset: ceterum si ad dominum non venisset, sine ulla dubitatione fugitivum videri ait.

Lo schiavo era quindi considerato fuggitivo principalmente per l’intenzione che aveva determinato la sua fuga, piuttosto che per la fuga in sé e per sé considerata. Molta importanza ha poi, in questo passo di Viviano, la distinzione tra le fattispecie di fuga giuridicamente rilevanti da quelle ipotesi di allontanamento dello schiavo determinate da fatti eccezionali ed esterni. Ed è proprio l’animus fugiendi 91 a qualificare (e distinguere) la fuga come vizio dell’animo dall’allontanamento dovuto ad altri motivi cogenti. Questa differenziazione era importante poiché consentiva di poter distinguere quali atti potessero dar luogo alla tutela edilizia, e quindi alla concessione dell’azione redibitoria, dagli atti che invece non fossero idonei a far sorgere in capo all’alienante alcuna responsabilità in caso di mancata dichiarazione92. La volontà dello schiavo di voler porre in essere un atto di fuga, per avere rilevanza estrinseca, doveva essere accompagnata dall’allontanamento (anch’esso volontario) dalla casa ma che al contem-

91 Sull’importanza dell’elemento soggettivo nel pensiero di Viviano vedi C. FERRINI, Viviano – Prisco Fulcinio, cit., p. 79, il quale ritiene che l’alta importanza data all’animus domini relinquendi non fu avvertita per la prima volta dal giurista Viviano. Il Ferrini sottolinea che l’elemento dell’animus si ritrova già nei responsi di Proculo, i cui libri vennero raccolti e commentati da Viviano; C. RUSSO RUGGERI, Viviano giurista minore?, cit., pp. 157 s., invece, pur riconoscendo che Viviano non fu «il primo tra i giuristi ad aver sostenuto la necessità di rifarsi all’animus dominum relinquendi», è dell’avviso che «quanto meno per la definitiva affermazione di questo indirizzo interpretativo l’autorità di Viviano, insieme a quella di Celio Sabino, sia stata tuttavia determinante». Sul punto vedi anche L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., p. 59.; R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., p. 212 e nt. 69. 92 Sul punto vedi R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., p. 37; G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., pp. 9 ss.; L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., pp. 56 ss.; R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 205 ss.; P. ARZT-GRABNER, “Neither a Truant nor a Fugitive”, cit., pp. 21 ss. Su D. 21.1.17.3 e sulla definizione di fugitivus di Viviano, vedi P. FERRETTI, Acquisto a non domino, cit., p. 5.

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po era da sola qualificante dell’atto di fuga. Da ciò, «emerge una certa differenza: fugitivus è colui che è fuggito, non colui che è in fuga»93. La rilevanza esterna dell’atto di fuga del servus è riportata all’attenzione dal giurista Trifonino, nella sua nota definizione di fugitivus, in cui emerge chiaramente che l’intenzione doveva essere accompagnata (esteriorizzata e qualificata) da un atto materiale: D. 50.16.225 (Tryph. 1 disp.): ‘Fugitivus’ est non is, qui solum consilium fugiendi a domino suscepit, licet id se facturum iactaverit, sed qui ipso facto fugae initium mente deduxerit94.

Per questo giureconsulto, come si legge nel frammento, non aveva rilevanza il fatto che lo schiavo si fosse vantato di voler fuggire dal padrone, ma era necessario che in qualche modo avesse posto in essere questa sua intenzione. Un semplice proponimento di fuggire, dunque, non trasformava il servus in fugitivus, ma era necessario che tale proponimento si concretizzasse in qualche modo in azione95, mostrando così di operare una sintesi degli orientamenti precedenti. Una volta individuata la rilevanza ai fini redibitori della qualifica di servus fugitivus era necessario un riscontro pratico perché si conR. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., p. 212. Per una completa cognizione del contesto, riporto qui di seguito l’intero frammento D. 50.16.225 (Tryph. 1 disp.): ‘Fugitivus’ est non is, qui solum consilium fugiendi a domino suscepit, licet id se facturum iactaverit, sed qui ipso facto fugae initium mente deduxerit. Nam et furem adulterum aleatorem quamquam aliqua significatione ex animi propositione cuiusque sola quis dicere posset, ut etiam is, qui numquam alienam rem invito domino subtraxerit, numquam alienam matrem familias corruperit, , si modo eius mentis sit, ut occasione data id commissurus sit, tamen oportere eadem haec crimina adsumpto actu intellegi. Et ideo fugitivum quoque et erronem non secundum propositionem solam, sed cum aliquo actu intellegi constat. Sul passo di Trifonino cfr. L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., pp. 161 s.; R. ORTU, op. cit., pp. 215 s.; G. RIZZELLI, Il fugitivus, cit., pp. 253 ss. 95 Cfr. L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., p. 61; R. ORTU, op. cit., pp. 215 s.; G. RIZZELLI, Il fugitivus, cit., pp. 253 ss. 93 94

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figurasse la responsabilità del venditore. In dottrina si è affrontato il problema riguardante il momento decisivo della manifestazione del vitium e quindi se ai fini della concessione della redibizione fosse sufficiente che lo schiavo fosse fuggito prima della vendita o se a questo episodio si dovesse accompagnare il verificarsi di una fuga successiva presso il nuovo padrone. Posto che il dettato edilizio poneva a carico del venditore di dichiarare se lo schiavo in vendita annoverasse episodi di fuga nel suo passato, la sussistenza del vitium nel tempo era di importanza imprescindibile96. 7.2. La propensione al vagabondaggio Nel novero del dettato edilizio riguardante i vizi dell’animo oltre alla tendenza alla fuga era contemplata la propensione al vagabondaggio. Quest’ultima doveva essere dichiarata al compratore al pari di quanto richiesto per il caso del fuggitivo. La definizione della figura dell’erro97 risale all’età della tarda repubblica grazie all’elaborazione di Labeone: Secondo quanto afferma G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., pp. 10 ss., era necessaria la dimostrazione della presenza del vitium attraverso due tentativi o episodi di fuga, uno anteriore alla vendita ed uno successivo. Ciò secondo l’autore dimostrava che il vizio, da considerare come una inclinazione di per sé latente, per legittimare il ricorso alla tutela edilizia dovesse presentarsi in entrambe le occasioni sicché il servus non poteva considerarsi «guarito dal vitium fugitivi» (ibidem). Di parere contrario L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., p. 163, la quale vede come eccessiva ed eccezionale l’interpretazione summenzionata rispetto alla regola generale che emerge dalle fonti, e R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., p. 218, in cui rilevo come la ricostruzione dell’Impallomeni sia basata su una interpretazione che va oltre il contenuto delle fonti, inducendo l’A. ad affermare che per configurare le responsabilità del venditore fossero necessari due tentativi di fuga, l’uno precedente e l’altro successivo alla vendita. Sul punto vedi anche G. RIZZELLI, Il fugitivus, cit., pp. 265 s., nt. 39. 97 Per il significato di erro, vedi O. HEY, voce Erro, in Thesaurus Linguae Latinae V, Lipsiae 1936, coll. 813 ss., in cui è possibile riscontrare un buon numero di occorrenze del termine nell’ambito del significato generale “de personis errantibus” in merito alla specifica accezione “in vita servili”. Per l’etimologia del sostantivo erro, nel senso di «vagabond» rinvio a A. ERNOUT-A. MEILLET, voce Fugio, in Dictionnaire étymologique de la langue latine. Histoire des mots, cit., p. 201. 96

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D. 21.1.17.14 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Erronem ita definit Labeo pusillum fugitivum esse, et ex diverso fugitivum magnum erronem esse. Sed proprie erronem sic definimus: qui non quidem fugit, sed frequenter sine causa vagatur et temporibus in res nugatorias consumptis serius domum redit.

Nella prima parte del testo, il giurista severiano trascrive la definizione di Labeone, il quale, assimilando l’erro ad un fuggitivo “in piccolo”, sembrerebbe sostenere una differenza di carattere quantitativo98 tra i due vizi: ‘fugitivum magnum erronem esse’. A mio avviso, però, questo criterio quantitativo non fornirebbe «elementi sufficienti per consentire all’operatore del diritto di distinguere concretamente il servus fugitivus dall’erro»99. Ritengo che «Labeone con questa definitio abbia voluto sottolineare che non esistevano differenze sostanziali tra il servus fugitivus e l’erro: il vitium animi si manifestava in entrambi i soggetti sempre con il materiale allontanamento dalla casa del dominus»100. Nella seconda parte del frammento, invece, è lo stesso Ulpiano a fornire una diversa e più ‘appropriata’ definizione, escludendo nel Vedi in particolar modo R. MARTINI, Le definizioni dei giuristi romani, cit., p. 144. Ma anche G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 12, ritiene che tra le due definizioni non vi siano grandi differenze. La definizione di Labeone starebbe a sottolineare una differenza quantitativa, mentre quella di Ulpiano sarebbe formulata in termini qualitativi. Ritiene, invece che i due termini siano utilizzati in senso sinonimico nel testo dell’editto degli edili curuli e che solo in età del principato i giuristi avrebbero differenziato le due fattispecie a seguito di una compiuta elaborazione concettuale del concetto di vitium animi, N. DONADIO, Sulla comparazione tra desertor e fugitivus, cit., pp. 137 ss. Contra, G. RIZZELLI, Il fugitivus, cit., p. 265, il quale rileva che «la menzione dello schiavo fuggitivo e dell’erro, all’interno dell’editto de mancipiis vendundis, si spiega agevolmente quale a richiamo ad ipotesi rilevanti per l’incidenza sociale del fenomeno della fuga dei servi o del loro vagabondare». Ma vedi anche C. CASCIONE, ‘Bonorum proscriptio apud columnam Maeniam’, in Labeo, XLII (1996), p. 446, nt. 8; R. GAMAUF, Ad statuam licet confugere, cit., p. 50; ID., Erro: Suche nach einem verschwundenen Sklaven. Eine Skizze zur Interpretationgeschichte des ädilizische Edikts, cit., pp. 269 ss.; C. CARRASCO GARCIA, ‘Fugitivus vel erro’: del que huye aun estando presente y del que permanece pese a la ausencia. O de la dialéctica voluntad-acción, cit., pp. 165 ss. 99 Cfr. R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., p. 220. 100 Ibidem. 98

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vagabondo la presenza dell’animus fugiendi e rinvenendo in questi, piuttosto, la tendenza a girovagare senza motivo e a perdere il proprio tempo inutilmente senza mai escludere la possibilità di ritornare nella casa del padrone. Dalla definizione di Ulpiano, a mio parere, emergono sia un elemento materiale e sia un elemento soggettivo che congiuntamente contribuiscono a caratterizzare la figura dell’erro. In base al primo elemento, infatti, è necessario che vi sia l’allontanamento del servus dalla casa padronale mentre per il secondo deve sussistere la volontà di ritornarvi dopo aver vagabondato. Si noti poi come la propensione alla fuga del servus venisse contemplata sia nella sua intenzionalità definitiva, e sia anche nel caso della presenza di un animus redhibendi. Difatti, l’animus rappresenta la chiave di volta per distinguere la figura del fugitivus dall’erro101. È proprio la presenza di quest’ultimo elemento soggettivo che contribuisce a distinguere nettamente la figura dell’erro da quella del fugitivus102, infatti l’erro, pur allontanandosi, agiva sempre con la volontà di poter ritornare nella casa del dominus; mentre il fugitivus abbandonava la casa del dominus con l’intenzione di non farvi più ritorno (anzi con l’intento proprio di nascondersi, come affermato da Ofilio in D. 21.1.17 pr.). L’animus, in quanto elemento psicologico che contribuisce a qualificare la distinzione tra le due figure edittali di vizi dell’animo è sicuramente utile ai fini di un’indagine teorica. Al contrario, nelle fattispecie concrete, reputo che potesse sicuramente comportare una certa difficoltà «stabilire se l’animus del servus, al momento dell’allontanamento dalla casa del dominus, fosse determinato dalla volontà di fuga oppure da quella di girovagare senza meta»103. Dal punto di vista pratico, è comunque pacificamente ammissibile che l’allontanamento dello schiavo dalla casa padronale fosse di per sé sufficiente a legittimare l’esperimento dell’actio redhibitoria. Mentre maggiori problemi sarebbero potuti insorgere per quanto

101 102 103

Vedi R. ORTU, loc. ult. cit. Cfr. V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 356. Vedi R. ORTU, loc. ult. cit.

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concerne il ricorso all’actio quanti minoris, dove la responsabilità del venditore era direttamente correlata alla diminuzione del valore dovuta alla presenza di un vitium dell’animo. Indubbiamente la valutazione pecuniaria di un servus fugitivus a domino non poteva che essere inferiore rispetto a quella dell’erro. Il primo infatti comportava una totale perdita della possibilità di utilizzazione economica da parte del dominus, tuttavia anche il secondo poteva garantire ben poca affidabilità e utilità104. 7.3. La propensione a tentare il suicidio (sibi mortem consciscere) D. 21.1.1.1 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): … Item si quod mancipium capitalem fraudem admiserit, mortis consciscendae sibi causa quid fecerit, inve harenam depugnandi causa ad bestias intromissus fuerit, ea omnia in venditione pronuntianto: ex his enim causis iudicium dabimus. Hoc amplius si quis adversus ea sciens dolo malo vendidisse dicetur, iudicium dabimus105.

Nel solo testo dell’editto curule trascritto da Ulpiano risulta che gli edili imposero l’obbligo di dichiarare al compratore anche alcuni particolari ‘eventi’ o propensioni del servus per non incorrere nella responsabilità edilizia. Il venditore, infatti, era tenuto a rendere noto alcune attività criminose commesse dal mancipium o, per meglio dire, se il servus avesse compiuto una capitalis fraus o se in harenam depugnandi causa ad bestias intromissus fuerit; oltre a pronunciare la dichiarazione inerente alla peculiare propensione dello schiavo a sibi mortem consciscere, che sarà oggetto di riflessione in questo paragrafo. La perifrasi sibi mortem consciscere106, in cui si dà ampio risalto

In tal senso cfr. L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., p. 63; R. ORTU, op. cit., pp. 221 s.; A.D. MANFREDINI, Il suicidio. Studi di diritto romano, Torino 2008, p. 154. 105 O. LENEL, Palingenesia iuris civilis, II, cit., col. 885, fr. 1758. 106 Nel latino classico non esiste un vocabolo per indicare il suicidio. Il termine neolatino “suicidium”, derivante da ‘sui-caedere’, per A. WACKE, Il suicidio nel diritto romano, in AA.VV., Studi in onore di Cesare Sanfilippo, III, Milano 1983, 104

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alla volontarietà dell’atto, viene utilizzata nel testo edittale dagli edili curuli per indicare il tentato suicidio107 del mancipium.

pp. 679 ss., dovrebbe risalire al 1650. M. BATTAGLINI, Il problema filosofico-religioso del suicidio nel mondo romano, in Il bollettino dei protesti cambiari, II (1950), pp. 3 ss., sostiene, sulla scorta degli studi di O. PIANIGIANI, Vocabolario etimologico, vol. II, Milano 1937, p. 1387, che «il termine suicidio è di origine piuttosto recente ed è totalmente ignoto al latino classico», ed inoltre che «il vocabolo fu inventato dall’abate Des Fontaines nell’ultimo secolo». Tuttavia, l’A. riporta la notizia che nel 1788 venne stampata a Napoli un’opera di Agatopisto Cromaziano intitolata Istoria critica e filosofica del Suicidio. Dall’analisi delle fonti, lo studioso rileva che i Romani esprimevano il concetto di suicidio senza mai adoperare un termine unico, ma attraverso numerose perifrasi, che egli raggruppa come segue: a) perifrasi generiche corrispondenti al termine italiano “uccidersi”: se occidere; se interficere; se interimere; se perimere; se tueri; vitam finire; b) perifrasi riferentesi al gesto del suicida: mortem sibi irrogare; manus sibi intulere; in suum corpus saevire; c) perifrasi che pongono in risalto la volontà dell’atto: sibi mortem consciscere; mortem malle; decedere sponte; sua manu perimere; mortem sibi festinare; de se statuire; voluntario exitu cadere; voluntaria mors; voluntarius finis; d) perifrasi che indicano il modo di darsi morte: vitam suspendio finire; sibi collum ligare; sibi laqueo manus afferre; se suspendio necare; se praecipitare; se praecipitem dare; se praecipitem mittere; e) perifrasi che si riferiscono alla pena di morte commutata in suicidio: liberam mortis facultatem concedere; liberum arbitrium mortis permittere. In fine, il Battaglini sottolinea che per i Romani era rilevante la volontarietà dell’atto, infatti, la perifrasi che viene maggiormente utilizzata nelle fonti per indicare il suicidio è sibi mortem consciscere «che significa appunto “darsi volontariamente la morte”» (p. 5). 107 In generale, per gli studi sul suicidio nel mondo romano vedi A. BAYET, Le suicide et la morale, Paris 1922; M. BATTAGLINI, Il problema filosofico-religioso, cit., pp. 3 ss.; A. VANDENBOSSCHE, Recherches sur le suicide en droit romain, in Mélanges Henry Grégoire, IV, Bruxelles 1953, pp. 471 ss.; M. BATTAGLINI, Libertà e determinazione nel suicidio in Roma antica, in AA.VV., Scritti in onore di Gaspare Ambrosini, I, Milano 1970, pp. 93 ss.; J.C. GENIN, Réflexion sur l’originalité juridique de la repression du suicide en droit romain, in Mélanges L. Falletti, II, Paris 1971, pp. 233 ss.; G. CRIFÒ, Il suicidio di Cocceio Nerva “pater” e i suoi riflessi sui problemi del quasi usufrutto, in AA.VV., Studi in onore di G. Scherillo, I, Milano 1972, pp. 427 ss.; Y. GRISÉ, Le suicide dans la Rome antique, Paris 1982; A. WACKE, Il suicidio, cit., pp. 681 ss.; P. VEYNE, Suicidio, fisco, schiavitù, capitale e diritto romano, in P. VEYNE (a cura di), La società romana, Roma-Bari 1990, pp. 71 ss.; M. BRUTTI, Il potere, il suicidio, la virtù. Appunti sulla ‘Consolatio ad Marciam’ e sulla formazione intellettuale di Seneca, in A. CALORE (a cura di), Seminari di storia e di diritto, Milano 1995, pp. 65 ss.; N. BELLOCCI, Il tentato suicidio del servo. Aspetti socio-familiari nei giuristi dell’ultima epoca dei Severi, in M. MOGGI-G. CORDIANO (a cura di), Schiavi e dipendenti nell’ambito

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Del tentato suicidio del servus ai fini della redibizione mostrano particolare interesse i giuristi di età severiana, il cui pensiero emerge chiaramente in alcuni frammenti riportati nel titolo primo del XXI libro del Digesto, tratti dai commentari all’editto edilizio di Paolo (D. 21.1.43.4) e Ulpiano (D. 21.1.17.4; 21.1.23.3). I tre frammenti citati danno conto del comune sentire dei giuristi del III sec. d.C. in merito ad una tematica così particolare, anche se va specificato che Ulpiano in D. 21.1.17.4 riporta, facendola propria, l’opinione di Viviano. Nei passi citati i giureconsulti pongono sempre l’accento sulla volontarietà dell’atto volto alla privazione della vita da parte del servus, sulla connotazione in negativo della figura del mancato suicida, nonché sulla conseguente valutazione dell’evento a fini redibitori. Il pensiero di Paolo a tale proposito trova la sua espressione con le seguenti parole: D. 21.1.43.4 (Paul. 1 ad ed. aed. cur.): Mortis consciscendae causa sibi facit, qui propter nequitiam malosque mores flagitiumve aliquod admissum mortem sibi consciscere voluit, non si dolorem corporis non sustinendo id fecerit108.

Il testo, tratto dal commentario del giurista all’editto degli edili curuli si colloca nel contesto più ampio di dibattito inerente alla valutazione dei vizi non corporali dei giumenti e alla condizione del fugitivus. Precisamente, il passo di Paolo viene collocato dai compilatori giustinianei successivamente alla trascrizione dell’editto de iumentis vendundis fra i primi commenti dei prudentes a tale editto. Il giurista severiano, infatti, dopo aver discusso della condizio-

dell’“oikos” e della “famiglia”. Atti del XXII Colloquio GIREA, Pontignano 19-20 novembre 1995, Pisa 1997, pp. 377 ss.; R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 220 ss. Fra i più recenti vedi L. D’AMATI, L’actio redhibitoria tra giurisprudenza romana e riflessione filosofica, cit., p. 16 e nt. 32; T. NÓTÁRI, Some Remarks on the Issue of Suicide in Roman Criminal Law, in Acta Univ. Sapientiae, Legal Studies, VIII.1 (2019), pp. 75 ss. 108 O. LENEL, Palingenesia iuris civilis, I, cit., col. 1095, fr. 834, in cui l’A. racchiude i paragrafi dal pr. fino al 4 del frammento D. 21.1.43 in un unico brano.

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ne del fugitivus, introduce la questione inerente ad un altro vitium animi previsto dell’editto curule, con l’intento di stabilire in quali casi fosse rilevante ai fini redibitori il comportamento di colui che «fa qualcosa per procurarsi la morte». Paolo manifesta immediatamente un giudizio negativo nei confronti dello schiavo che volontariamente avesse cercato di togliersi la vita: tale gesto estremo, come scrive il giurista, può essere dovuto alla nequitia del servo, o ai suoi cattivi costumi, oppure al peso di un grave misfatto da lui commesso. La valutazione di Paolo è in ogni caso negativa e sottende a far rientrare il mancato suicida nella più ampia qualificazione del servus come ‘nequam’109. Tuttavia, il dato più significativo di questo frammento riguarda la piena giustificazione dei casi in cui il tentativo di suicidio del servus fosse motivato dalla volontà di sottrarsi con la morte a intollerabili sofferenze fisiche. Si tratta di una giustificazione fortemente permeata di elementi riconducibili alla filosofia stoica110. Gli Stoici, infatti, avevano individuato una serie di motivazioni che giustificavano il suicidio, fra le quali si annoveravano una grave decrepitezza, una malattia insanabile, una penosa miseria o una sofferenza insopportabile111. Già nel pensiero di Seneca è possibile riscontrare l’influsso della filosofia stoica in tema di suicidio. La dottrina di Seneca nei riguardi del suicidio112 trovava la sua base nella esaltazione della morte e nel bi-

Cfr. P. VEYNE, Suicidio, fisco, schiavitù, cit., pp. 93 s.; N. BELLOCCI, Il tentato suicidio del servo, cit., p. 378. Ricorre anche in questo passo la qualificazione del servus attraverso l’aggettivo nequam, qualificazione assai comune nelle fonti per indicare gli schiavi peggiori. Sul significato del termine nequitia e di nequam, vedi quanto già detto in R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., p. 64, nt. 163. 110 Cfr. P. VEYNE, Suicidio, fisco, schiavitù, cit., pp. 93 ss., in particolare p. 95. 111 Sull’influenza della filosofia stoica in tema di suicidio nel mondo romano rinvio, soprattutto, a Y. GRISÉ, Le suicide, cit., pp. 193 ss. Vedi anche M. BATTAGLINI, Il problema filosofico-religioso, cit., pp. 17 ss., che a proposito di Seneca cita l’ep. ad Lucil. 104, nella quale il filosofo «fa comprendere ai Romani che la morte deve essere considerata il mezzo per raggiungere la libertà dello spirito che è la massima espressione della vita dell’uomo» (p. 18); ID., Libertà e determinazione nel suicidio, cit., pp. 106 ss.; A. WACKE, Il suicidio, cit., pp. 692 s. 112 Cfr. M. BRUTTI, Il potere, il suicidio, la virtù, cit., pp. 78, 140, 186 s. 109

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nomio morte-libertà113. Vale la pena ricordare che nella Consolatio ad Marciam la morte volontaria viene indicata come l’evento che libera dalla schiavitù contro la volontà dei padroni: haec servitutem invito domino remittit114. L’esperienza vissuta di una lunga malattia, e il confronto con il padre, porteranno il grande filosofo a concepire il suicidio soltanto nei casi-limite115. In un altro frammento del libro XLVIII del Digesto, a proposito del tentativo di suicidio di un uomo libero, si fa riferimento alla stessa motivazione indicata da Paolo per giustificare quello del mancipium, cui si aggiunge il taedium vitae, non contemplato per lo Sen., cons. ad Marc. 1.3: Optime meruisti de Romanis studiis: magna illorum pars arserat; optime de posteris, ad quos veniet incorrupta rerum fides auctori suo magno imputata; optime de ipso, cuius viget vigebitque memoria, quam diu in pretio fuerit romana cognosci, quam diu quisquam erit, qui reverti velit ad acta maiorum, quam diu quisquam qui velit scire, quid sit vir romanus, quid subactis iam cervicibus omnium et ad Seianianum iugum adactis indomitus, quid sit homo ingenio animo manu liber. Sono significative, al riguardo, alcune espressioni della Consolatio ad Marciam (… quid sit homo ingenio animo manu liber) sulla triplice dimensione della libertà: intellettuale, morale e, in fine, quella che deriva dall’atto di procurarsi la morte (l’avverbio manu veniva utilizzato abitualmente nelle locuzioni che esprimevano l’idea del suicidio). 114 Sen., cons. ad Marc. 20.1-2: O ignaros malorum suorum, quibus non mors ut optimum inventum naturae laudatur expectaturque sive felicitatem includit, sive calamitatem repellit, sive satietatem ac lassitudinem senis terminat, sive iuvenile aevom dum meliora sperantur in flore deducit, sive pueritiam ante duriores gradus revocat, omnibus finis, multis remedium, quibusdam votum, de nullis melius merita quam de is, ad quos venit antequam invocaretur. Haec servitutem invito domino remittit, haec captivorum catenas levat; haec e carcere educit quos exire imperium inpotens vetuerat; haec exulibus in patriam semper animum oculosque tendentibus ostendit nihil interesse, infra quos qius iaceat; haec, ubi res communis fortuna male divisit et aequo iure genitos alium alii donavit, exaequat omnia; haec est, post quam nihil quisquam alieno fecit arbitrio; haec est, in qua nemo humilitatem suam sensit; haec est, quae nulli non patuit; haec est, Marcia, quam pater tuus concupiit; haec est inquam, quae efficit, ut nasci non sit supplicium, quae efficit, ut non concidam adversus minas casuum, ut servare animum salvom ac potentem sui possim: habeo quod appellem. 115 Sen., ep. 9.78.2: Saepe impetum cepi abrumpendae vitae: patris me indulgentissimi senectus retinuit. Cogitavi enim non quam fortiter ego mori possem, sed quam ille fortiter desiderare non posset. Itaque imperavi mihi ut viverem, aliquando enim et vivere fortiter facere est. 113

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schiavo. Nel frammento di Marciano, incluso in un titolo significativamente rubricato De bonis eorum, qui ante sententiam vel mortem sibi consciverunt vel accusatorem corruperunt, si legge: D. 48.21.3.6 (Marcian. l. s. de del.): Sic autem hoc distinguitur, interesse qua ex causa quis sibi mortem conscivit; sicuti cum quaeritur, an is, qui sibi manus intulit et non perpetravit, debeat puniri, quasi de se sententiam tulit. Nam omnimodo puniendus est, nisi taedio vitae vel inpatientia alicuius doloris coactus est hoc facere. Et merito, si sine causa sibi manus intulit, puniendus est: qui enim sibi non pepercit, multo minus alii parcet116.

Nel passo il giurista distingue le ipotesi di suicidio sine causa da quelle causate dal taedium vitae o da qualche insopportabile sofferenza (vel inpatientia alicuius doloris coactus est hoc facere)117. Tale distinzione ha per Marciano notevole rilevanza giuridica, in quanto il tentativo sine causa118 viene equiparato ad una confessione di colpevolezza e, quindi, il mancato suicida dovrà essere punito, anche perché “chi non risparmia se stesso ancor meno risparmierà gli altri” (si sine causa sibi manus intulit, puniendus est; qui enim sibi non

116 O. LENEL, Palingenesia iuris civilis, I, cit., col. 644, fr. 16. Sul passo di Marciano vedi A. WACKE, Il suicidio, cit., pp. 703 ss.; P. VEYNE, Suicidio, fisco, schiavitù, cit., pp. 84 ss., 117 n. 31; N. BELLOCCI, Il tentato suicidio del servo, cit., p. 386; M.U. SPERANDIO, Dolus pro facto. Alle radici del problema giuridico del tentativo, Napoli 1998, p. 44, nt. 144. 117 Anche in questo frammento di Marciano si riscontra l’uso dell’enunciato a due termini (in cui al taedium vitae viene sempre accompagnata un’altra motivazione che giustifica il suicidio, legata ad un dolore del fisico o ad una malattia incurabile), presente anche in altri passi del Digesto: si vedano, ad esempio, D. 3.2.11.3 (non taedio vitae, sed mala coscientia); D. 28.3.6.7 (taedio vitae vel dolore); D. 29.5.1.23 (non metu criminis imminentis, sed taedio vitae vel impatientia doloris); D. 29.1.34 pr. (doloris impatientia vel taedio vitae). Cfr. P. VEYNE, Suicidio, fisco, schiavitù, cit., p. 118, nt. 37. 118 P. VEYNE, Suicidio, fisco, schiavitù, cit., p. 84, a questo proposito afferma che «l’idea di un suicidio “senza motivo” equiparata al suicidio come confessione di colpevolezza» rappresenta un enigma, dato che nelle fonti «i giuristi distinguevano due tipi di suicidio: quelli che avevano come motivo la colpevolezza, da una parte, e, dall’altra, tutti gli altri, quali che fossero le cause, assai varie, senza dubbio, ma senza importanza giuridica».

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pepercit, multo minus alii parcet). Questa sanzione non si applicava nei confronti di chi fosse stato spinto a togliersi la vita per la stanchezza di vivere o per una sofferenza intollerabile. Anche in questo frammento, come nel precedente di Paolo, il suicidio viene giustificato qualora scaturisca dalla volontà di sottrarsi ad atroci sofferenze: motivazione valida sia per lo schiavo, sia per l’uomo libero, mentre per l’uomo libero si concepiva anche la causa del taedium vitae119. L’ideologia della società schiavista rendeva impossibile giustificare l’azione dello schiavo che avesse posto fine o tentato di porre fine alla sua vita per taedium vitae. Si tratta, come appare evidente, di un fondamentale elemento di differenziazione tra le giustificazioni al suicidio ammesse per gli uomini liberi e quelle previste per i servi. Forti motivazioni economiche stanno alla base delle posizioni dei giuristi romani tendenti a negare che il mancipium possa rinunciare alla sua condizione umana per taedium vitae; nell’ottica della giurisprudenza severiana il tentativo di suicidio sarà comunque giustificabile solo quando consegua ad un difetto caratteriale del servus, oppure, come ribadito da Paolo, quando sia motivato dal volersi sottrarre a insopportabili sofferenze fisiche. Nel suo commento all’editto edilizio, Ulpiano individua la motivazione che indusse gli edili a concepire l’obbligo di dare notizia al

Cfr. P. VEYNE, Suicidio, fisco, schiavitù, cit., p. 99; N. BELLOCCI, Il tentato suicidio del servo, cit., p. 387. Come risulta da un frammento tratto dal De re militari di Arrio Menandro, si teneva conto del taedium vitae anche nella valutazione del tentativo di suicidio da parte di un militare: D. 49.16.6.7 (Arr. Men. 3 de re mil.): Qui se vulnerabit vel alias mortem sibi conscivit, imperator Hadrianus rescriptis, ut modus eius rei statutus sit, ut, si inpatientia doloris aut taedio vitae aut morbo aut furore aut pudore mori maluit, non animadvertatur in eum, sed ignominia mittaur, si nihil tale praetenda, capite puniatur. Nel passo si fa riferimento ad un rescritto dell’imperatore Adriano in cui il taedium vitae era considerato (al pari di altre motivazioni quali l’inpatientia doloris, la presenza di una malattia, la pazzia o la vergogna) come causa attenuante ai fini dell’applicazione della sanzione nei confronti del miles che avesse tentato di togliersi la vita: in luogo della pena capitale si comminava una missio ignominiosa. Sul frammento vedi J.C. GENIN, Réflexion sur l’originalité juridique de la repression du suicide, cit., p. 241 n. 10 bis; A. WACKE, Il suicidio, cit., p. 706; P. VEYNE, Suicidio, fisco, schiavitù, cit., p. 110; M.U. SPERANDIO, Dolus pro facto, cit., pp. 43 s. 119

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compratore del tentato suicidio del servo proprio nel tasso di pericolosità sociale sotteso a tale tentativo: D. 21.1.23.3 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Excipitur et ille, qui mortis consciscendae causa quid fecerit. malus servus creditus est, qui aliquid facit, quo magis se rebus humanis extrahat, ut puta laqueum torsit sive medicamentum pro veneno bibit praecipitemve se ex alto miserit aliudve quid fecerit, quo facto speravit mortem perventuram, tamquam non nihil in alium ausurus, qui hoc adversus se ausus est120.

Il giureconsulto qualifica ‘malus servus’ colui che abbia posto in essere un qualsiasi tentativo contro la propria persona al fine di sottrarsi alla sua condizione umana. Elenca quindi i modi attraverso i quali era possibile per un servo togliersi la vita: impiccagione, avvelenamento, oppure lasciarsi precipitare dall’alto121; concludendo poi con una considerazione riguardo alla pericolosità dell’individuo che abbia cercato di togliersi la vita, sostenendo che chi «è capace di far male a se stesso è capace di far male anche agli altri». Così facendo il giurista esprime una convinzione assai comune nella sua epo-

O. LENEL, Palingenesia iuris civilis, II, cit., col. 891, fr. 1769. Per quanto attiene ai modi più frequenti attraverso i quali gli antichi Romani facevano ricorso per togliersi la vita, vedi A. WACKE, Il suicidio, cit., pp. 691 ss., il quale afferma che «per gli antichi la scelta del modo di suicidarsi non costituiva solo un problema del mezzo più comodo e indolore, ma anche di quello più dignitoso». Era assai utilizzata la precipitazione dall’alto, che per altro rappresentava il modo più comune di suicidarsi da parte degli schiavi. Per quanto riguarda l’impiccagione, lo studioso tedesco evidenzia che presso i Romani e i Greci questo tipo di morte veniva considerata ignobile ed infamante. Viene menzionata a tale proposito una iscrizione tombale proveniente da Sarsina (CIL I.1418 = XI.6528 = Dessau II.2.7846), nella quale si attesta l’esclusione di alcuni morti dalla sepoltura: gli ‘auctorati’, ovvero coloro che combattevano volontariamente nell’arena, i suicidi mediante impiccagione, e coloro che esercitavano mestieri turpi o attività infamanti. «L’orrore dei Greci e dei Romani per la morte dell’impiccato, da loro reputata del tutto contro natura, deriva dal convincimento che attraverso lo stringimento delle vie respiratorie l’anima non possa uscire dalla bocca e che ciò precluda l’ingresso nell’al di là. A causa della chiusura dell’anima al corpo, l’uomo veniva considerato come morto non giustamente e il suo cadavere come impuro», mentre la morte mediante la spada era considerata dagli antichi come nobile e pura. 120

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ca; anche Marciano, del resto, aveva sostenuto che chiunque fosse capace di aggredire il proprio corpo poteva costituire un pericolo anche per gli altri122. Pare condivisibile l’opinione degli studiosi, i quali ritengono questa motivazione di Marciano e di Ulpiano fortemente influenzata dal pensiero di Seneca padre: contr. 8.4.3: ‘Nihil non ausurus fuit qui se potuit occidere’123.

Anche il retore sottolineava con forza la propensione a commettere qualsiasi crimine da parte di colui che fosse pronto a darsi la morte. Allo stesso modo Ulpiano motivava la responsabilità edilizia per vitium animi di colui che ‘mortis consciscendae sibi causa quid fecerit’, considerando il mancato suicida individuo pericoloso, malus servus124. Le motivazioni del giurista severiano sono state oggetto di critica da parte dell’Impallomeni125. Lo studioso ha rilevato che tali motivazioni non sarebbero del tutto congrue, in quanto chi ha tentato il suicidio sarà incline a reiterare i tentativi piuttosto che a ledere gli altri. Ne consegue che il danno al compratore deriverebbe non dalla presunta aggressività del mancipium, ma dal fatto che l’esito positivo dell’azione del suicida priverebbe l’emptor della disponibilità dello schiavo126. D. 48.21.3.6 (Marcian. l. s. de del.), citato supra, p. 67. Sul passo e sulla sua probabile influenza sul pensiero dei giuristi vedi A. WACKE, Il suicidio, cit., p. 709; P. VEYNE, Suicidio, fisco, schiavitù, cit., pp. 89 e 118 n. 39; M. BRUTTI, Il potere, il suicidio, la virtù, cit., p. 187; N. BELLOCCI, Il tentato suicidio del servo, cit., p. 383; G. KRAPINGER, Die Grabverletzung in den ‘Declamationes minores’, in A. CASAMENTO-D. VAN MAL MAEDER-L. PASETTI (a cura di), Le declamazioni minori dello Pseudo-Quintiliano: discorsi immaginari tra letteratura e diritto, Berlin 2016, p. 20. 124 Cfr. R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 226 s.; G. RIZZELLI, Il fugitivus, cit., p. 266 s. e nt. 43. 125 Cfr. G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., pp. 14 ss. 126 L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., pp. 68 ss., ha rilevato che la spiegazione fornita dall’Impallomeni risente dell’influenza della moderna scienza psichiatrica. L’A. ritiene che il passo debba essere interpretato calandosi nella realtà di quel periodo. I Romani consideravano il suicidio come un gesto aggressivo che rivelava un 122 123

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In tal senso si era già pronunciato W.W. Buckland, per il quale «Ulpian gives some obvious illustrations» 127, in quanto a suo avviso non era necessario ricorrere a simili motivazioni per spiegare la tutela giuridica che in realtà mirava garantire il compratore dalla eventualità di subire una diminuzione patrimoniale, derivante dall’acquisto di un servus che in futuro avrebbe potuto togliersi la vita. Al contrario A. Wacke ritiene la motivazione fornita da Ulpiano non priva di logica giuridica intrinseca, anche se i Romani «non trassero da ciò l’ulteriore conseguenza che tutti gli uomini che avessero tentato il suicidio fossero punibili per l’energia criminale messa in luce con il loro atto»128. L’analisi dei frammenti citati sembra confermare l’impressione che i giuristi romani nel cercare il fondamento della norma edittale fin qui discussa non facessero mai riferimento alla diminuzione patrimoniale che sarebbe potuta derivare al compratore nel caso in cui il servus fosse riuscito ad attuare il suicidio. Tuttavia, può ragionevolmente ritenersi che questa fosse una motivazione implicita: tutti i vizi contemplati nell’editto degli edili curuli erano passibili di una valutazione economica; in generale, gli edili si mostravano particolarmente attenti nell’impedire che il compratore subisse un danno patrimoniale dall’atto di frode del venditore di schiavi. A parte il danno economico, ulteriori motivazioni spinsero gli edili a sancirne l’obbligo di dichiarare il tentativo di suicidio del servus; nella società romana, infatti, pur essendo il suicidio considerato una libertà naturale dei liberi e dei servi (lo stesso Ulpiano manifeanimo malvagio, e quindi non escludevano che tale energia negativa si potesse riversare anche nei confronti di altri. Di conseguenza, sia che un successivo tentativo di suicidio avesse avuto esito positivo, sia che si fosse verificata una aggressione nei confronti di altri soggetti, il compratore si sarebbe visto privare della disponibilità del servus. 127 W.W. BUCKLAND, The Roman law of slavery, cit. p. 57, il quale, inoltre, ritiene che: «It seems hardly necessary to go so far to find a reason for not wanting to give money for a slave who was likely to kill himself». 128 Cfr. A. WACKE, Il suicidio, cit., pp. 709 s.

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sta questo modo di pensare in D. 15.1.9.7; 29 ad ed.129), colui che avesse tentato di togliersi la vita veniva considerato soggetto socialmente pericoloso. Ne conseguiva che il compratore doveva essere avvertito dell’acquisto di un soggetto potenzialmente pericoloso, in quanto, oltre a danneggiare se stesso, poteva recar danno anche ad altre persone. Anche questo danno, per altro, avrebbe comportato una perdita patrimoniale per il dominus. Comunque, la cattiva considerazione del mancato suicida riguardava sia l’uomo libero130, sia lo schiavo; con l’aggravante per quest’ultimo di essere considerato anche ‘malus servus’, ‘nequam’. Vorrei sottolineare, inoltre, come nel sentire comune il mancato suicida suscitasse sempre quel timore quasi religioso manifestato dai Romani nei confronti di tutti coloro che abitualmente avessero a che fare con la morte: si pensi alla diffidenza nei confronti dei 129 D. 15.1.9.7 (Ulp. 29 ad ed.): Si ipse servus sese vulneravit, non debet hoc damnum deducere, non magis quam si se occiderit vel praecipitaverit: licet enim etiam servis naturaliter in suum corpus saevire. Sed si a se vulneratum servum dominus curaverit, sumptuum nomine debitorem eum domino puto effectum, quamquam, si aegrum eum curasset, rem suam potius egisset. Nel passo si discute della responsabilità de peculio del dominus per il suicidio dello schiavo. Ulpiano afferma che il dominus non può sottrarre dal calcolo del peculio la perdita derivante da autolesione o suicidio del suo servus, in quanto anche allo schiavo sarebbe consentito dalla natura di infierire contro il proprio corpo con atti estremi. La frase ‘licet enim etiam servis naturaliter in suum corpus saevire’ viene comunemente interpretata dalla dottrina come una attestazione del riconoscimento, per ius naturale, del diritto al suicidio degli schiavi. Sul punto si rinvia a A. WACKE, Il suicidio, cit., pp. 708 s.; P. VEYNE, Suicidio, fisco, schiavitù, cit., pp. 74 ss.; N. BELLOCCI, Il tentato suicidio del servo, cit., p. 379. Quanto al significato da attribuire a naturaliter, C.A. MASCHI, La concezione naturalistica del diritto e degli istituti giuridici romani, Milano 1937, pp. 71 s. n. 5, inserisce D. 15.1.9.7 nell’elenco dei frammenti nei quali, a suo avviso, «“natura” ha sempre un significato materialistico non giuridico in senso tecnico». 130 Si pensi alla norma di ius pontificium che negava la sepoltura agli impiccati: Serv., ad Aen. 12.603: … cautum fuerat in pontificalibus libris, ut qui laqueo vitam finisset, insepultus abiciatur (= P. PREIBISCH, Fragmenta librorum pontificiorum, Tilsit 1878, p. 13, fr. 57); cfr. G. ROHDE, Die Kultsatzungen der römischen Pontifices, Berlin 1936, p. 40; F. SINI, Documenti sacerdotali di Roma antica. I. Libri e commentarii, Sassari 1983, p. 108. Per quanto riguarda la riprovazione sociale nei confronti del suicida vedi M. BATTAGLINI, Il problema filosofico-religioso, cit., p. 6; A. WACKE, Il suicidio, cit., pp. 693 ss.

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portatori di cadaveri, i vispelliones, o quella per i gladiatori, che sfidavano la morte combattendo contro le belve131. Per concludere, mi pare evidente come dai commenti di Paolo e Ulpiano a questa norma edilizia emerga una motivazione sociale assai rilevante, che portava a giustificare l’obbligatorietà della dichiarazione del vitium animi inerente al tentativo di suicidio del mancipium. 7.4. Osservazioni conclusive a proposito della valenza dei vitia animi Per concludere, ritengo utile sintetizzare per punti alcuni dati emersi nei precedenti paragrafi in merito alla valenza dei vizi dell’animo nelle riflessioni dei prudentes a commento delle disposizioni dell’editto degli edili curuli. Dall’esame delle fonti, a mio avviso appare evidente che la categoria dei vizi dell’animo risultava essere una categoria di portata generale solo per alcuni giuristi, principalmente Viviano e Ulpiano, i quali la utilizzarono in contrapposizione alla categoria vizi corporali al fine di: a) circoscrivere l’ambito applicativo delle disposizioni edilizie ai soli vitia corporis; b) sancire la regola generale di esclusione dei vitia animi dal dettato edilizio; c) ribadire che alcuni casi di vitia animi previsti dall’editto (fugitivus, erro, servus che avesse tentato il suicidio) costituissero eccezione rispetto alla disciplina generale per gli altri vitia animi; d) introdurre un nuovo principio giurisprudenziale secondo cui la tutela edilizia comprendeva anche i casi di vitia animi generati dalla presenza di un vitium corporis; e) confermare la tutela edilizia nei confronti del compratore che avesse riscontrato la presenza di un vitium dell’animus espressamente escluso con promessa del venditore al momento della vendita del servus (responsabilità per il dictum promissumve);

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Vedi soprattutto P. VEYNE, Suicidio, fisco, schiavitù, cit., pp. 88 ss.

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f) rinviare alla tutela mediante la concessione l’actio empti da parte del pretore contro il venditore che, pur sapendo dell’esistenza del vitium animi, non lo avesse dichiarato al compratore al momento della compravendita (dolus in contrahendo).

8. Le altre dichiarazioni del venditore previste in D. 21.1.1.1 8.1. ‘Noxa solutus non sit’ Tra le altre dichiarazioni a carico del venditore previste in D. 21.1.1.1 un posto di rilievo occupava certamente la nossalità. Tale vizio, infatti, era previsto sia nel testo dell’editto riportato da Ulpiano in D. 21.1.1.1 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Aiunt aediles: qui mancipia vendunt certiores faciant emptores, quid morbi vitiive cuique sit, quis fugitivus errove sit noxave solutus non sit: eademque omnia, cum ea mancipia venibunt, palam recte pronuntianto;

sia in quello trascritto da Gell., noct. att. 4.2.1: In edicto aedilium curulium, qua parte de mancipiis vendundis cautum est, scriptum sic fuit: ‘Titulus servorum singulorum scriptus sit curato ita, ut intellegi recte possit, quid morbi vitiive cuique sit, quis fugitivus errove sit noxave solutus non sit’.

Proprio la menzione della nossalità nel testo gelliano fa propendere a ritenere che questa previsione normativa fosse stata inserita dagli edili nel loro editto già in epoca risalente132. La possibile presenza del vizio doveva costituire elemento di forte preoccupazione per il compratore; da qui la necessità di cautelarsi al fine di evitare il danno patrimoniale derivante dall’esperimento vittorioso dell’azione penale da parte dell’offeso ex delicto. Cfr. G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 40. Per quanto attiene alle diverse valenze dei testi edilizi riportati da Gellio e Ulpiano, rinvio a quanto si è detto supra, pp. 33 s. 132

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Forme di garanzia contro questa ipotesi di vizio venivano previste inizialmente nelle vendite di animali. Ne abbiamo attestazione negli Actionum libri di M. Manilio, dove il giurista riporta le formule stipulatorie di garanzia di uso più frequente; infatti, nelle vendite di bestiame il venditore garantiva mediante un praestare133 che gli animali venduti fossero sani, che fossero in grado di nutrirsi, che non facessero parte de pecore morboso e che non fossero soggetti ad un procedimento nossale134. Per quanto riguarda il significato di noxa, bisogna ricordare che la dottrina prevalente non attribuisce al termine – utilizzato in questo contesto – il significato generico di ‘danno’, bensì quello più particolare di danno causato a terzi (danno arrecato a fondi o animali altrui) dal bestiame oggetto di vendita, che rendeva esperibile l’actio de pauperie135 nei confronti del nuovo proprietario. 133 Per il significato di praestare vedi R. MAYR, Praestare, in ZSS, XLII (1921), pp. 198 ss.; G. GROSSO, Obbligazioni. Contenuto e requisiti della prestazione. Obbligazioni alternative e generiche, Torino 1947, pp. 32 ss.; C.A. CANNATA, Per lo studio della responsabilità per colpa nel diritto romano classico. (Corso di diritto romano, Cagliari 1967-1968), Milano 1969, pp. 9 ss.; M. TALAMANCA, voce Obbligazioni, in Enc. dir., XXIX (1979), p. 30 n. 200; R. CARDILLI, L’obbligazione di “praestare” e la responsabilità contrattuale in diritto romano (II sec. a.C.-II sec. d.C.), Milano 1995, cit., pp. 139 ss. Invece, per quanto attiene ai problemi relativi al concetto di praestare nelle stipulazioni di garanzia, vedi R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 1 ss. 134 Ripropongo i testi varroniani in cui si riportano i formulari stipulatori di garanzia di uso più frequente nelle vendite di animali, dove compare la locuzione noxisque praestari: de re rust. 2.4.5: Emi solent sic: “illasce sues sanas esse habereque recte licere noxisque praestari neque de pecore morboso esse spondesne?” quidam adiciunt perfunctas esse a febri et a foria; 2.5.10-11: Eos (sc. boves) cum emimus domitos, stipulamur sic: “illosce boves sanos esse noxisque praestari”; cum emimus indomitos, sic: “illosce iuvencos sanos recte, deque pecore sano esse, noxisque praestari spondesne?” paulo verbosius haec, qui Manili actiones secuntur lanii, qui ad cultrum bouem emunt. Sul punto vedi A. PERNICE, Labeo, cit., p. 237; R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., pp. 12 s.; V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 355; R. CARDILLI, L’obbligazione di “praestare”, cit., p. 128. 135 Sul significato di noxa e sull’actio de pauperiae vedi A. PERNICE, Marcus Antistius Labeo. Das römische Privatrecht im ersten Jahrhunderte der Kaiserzeit, I, Halle 1873, p. 237; R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., pp. 12 s.; V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 355; R. CARDILLI, L’obbligazione di “praestare”, cit., p. 128; M.V. GIANGRIECO

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Nelle più antiche stipulazioni di garanzia relative alle vendite di schiavi si utilizzava prevalentemente l’espressione furem non esse, così come attesta Ulpiano citando nel frammento giuristi vissuti con molta probabilità in età immediatamente successiva a quella di M. Manilio: D. 21.2.31 (Ulp. 42 ad Sab.): Si ita quis stipulanti spondeat “sanum esse, furem non esse, vispellionem non esse” et cetera, inutilis stipulatio quibusdam videtur, quia si quis est in hac causa, impossibile est quod promittitur, si non est, frustra est. Sed ego puto verius hanc stipulationem “furem non esse, vispellionem non esse, sanum esse” utilem esse: hoc enim continere, quod interest horum, quid esse, vel horum quid non esse. Sed et si cui horum fuerit adiectum “praestari” multo magis valere stipulationem: alioquin stipulatio quae ab aedilibus proponitur inutilis erit, quod utique nemo sanus probavit136.

La locuzione furtis noxisque solutus compare invece in formule stipulatorie di epoca successiva, nelle quali si percepisce l’influsso dell’ormai vigente editto edilizio. Vale per tutti la testimonianza di Varrone, già citata in precedenza137: de re rust. 2.10.5: In horum emptione solet accedere peculium aut excipi et stipulatio intercedere, sanum esse, furtis noxsisque solutum: aut, si mancipio non datur, dupla promitti, aut, si ita pacti, simpla138. PESSI, Ricerche sull’actio de pauperie. Dalle XII Tavole ad Ulpiano, Napoli 1995, p. 284, nt. 60. 136 O. LENEL, Palingenesia iuris civilis, II, cit., col. 1170, Ulp. 42 ad Sab., fr. 2886. Per un più ampio commento rinvio a quanto già scritto ed osservato in R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 1 ss. 137 Vedi supra, p. 51. 138 A. CENDERELLI, Varroniana. Istituti e terminologia giuridica nelle opere di M. Terenzio Varrone, Milano 1973, p. 65, fr. 316 (commento a pp. 148 s.). Per ulteriori analisi del passo, rinvio a R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., pp. 14 ss.; V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 356 n. 1; G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 45, nt. 3, e p. 48; A. WATSON, The law of obligations in the later roman republic, Oxford 1965, p. 74; M. TALAMANCA, Costruzione giuridica e strutture sociali fino a Quinto Mucio, in A. GIARDINA-A. SCHIAVONE (a cura di), Società romana e produzione schiavistica, III, Roma-Bari 1981, p. 308, nt. 16, e p. 314; L. MANNA, Actio

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Nello schema stipulatorio citato si fa esplicito riferimento solo al furto, mentre gli altri delitti privati sono compresi nella parola noxa, distinguendo in tal modo nettamente l’ipotesi del furto dalle altre fattispecie delittuose. La diversità tra le locuzioni usate nell’editto (‘noxa solutus non sit’) e quelle usate nelle stipulazioni di garanzia (‘furtis noxsisque solutum esse’) a mio avviso si spiega considerando che gli schemi stipulatori antecedenti all’editto garantissero l’assenza dei c.d. vizi giuridici, o meglio, che in essi il venditore si impegnasse dichiarando che il servus non era ladro o che non aveva commesso altri delicta privati (che sicuramente venivano menzionati in maniera esplicita). Forse si usava con maggiore frequenza la promessa ‘furem non esse’, in quanto il vizio doveva essere assai rilevante per l’emptor, non solo dal punto di vista della responsabilità nossale, ma anche per un altro motivo, che potrebbe sembrare banale ma non irrilevante: nessun compratore avrebbe voluto in casa un servus che aveva il vizio di rubare139. Nell’editto invece l’esigenza di tutelare i compratori dagli atti di frode dei venditori indusse gli edili a scegliere l’espressione ‘noxa solutus non sit’, che implicava una promessa relativa all’inesistenza di un pendente giudizio nossale per un delitto commesso dal serredhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., p. 56; R. CARDILLI, L’obbligazione di “praestare”, cit., p. 128; É. JAKAB, Praedicere und cavere beim Marktkauf, cit., p. 160; S. RANDAZZO, Leges mancipii, cit., p. 111; G. CAMODECA, Tabulae Herculanenses: riedizione delle emptiones di schiavi (TH 59-62), cit., p. 75, ID., Una nuova compravendita di schiavo dalle ‘Tabulae Herculanenses’, in Vesuviana, IV (2012), p. 205; R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 22 ss. Da ultima, vedi L. D’AMATI, L’actio redhibitoria tra giurisprudenza romana e riflessione filosofica, cit., p. 14, nt. 31. 139 A proposito del binomio animus-azione, in riferimento alla condotta del furto e il relativo animus, si vedano le considerazioni di G. RIZZELLI, Il fugitivus, cit., pp. 273 s., nt. 65, a proposito del frammento di Trifonino D. 50.16.225, in cui l’A. rileva che se «il proposito qualifica l’azione, è l’esistenza dell’azione […] a fare del proposito un elemento da cui il giudizio della stessa non può prescindere». In merito alle distinte fattispecie di furtum commesso ope o consilio, rinvio ai risultati pienamente condivisibili di P. FERRETTI, Complicità e furto nel diritto romano, Milano 2005, pp. 31 ss., il quale individua un significato più ampio di consilium (pp. 73 ss.).

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vus. Gli edili, come attesta Ulpiano, non richiedevano la promessa del venditore a garanzia che il mancipium non avesse compiuto nel suo passato un delitto privato, ma richiedevano che non vi fosse il rischio per il compratore di un depauperamento dovuto da un giudizio nossale effettivo e attuale. La previsione edittale è sicuramente più evoluta rispetto alle promesse di garanzia, dove si prometteva solo e semplicemente che il servus ‘furem non esse’. Questa evoluzione si ritrova nel citato passo di Varrone, dove all’originaria promessa ‘furem non esse’, tipica delle stipulazioni di garanzia, si aggiunge l’espressa previsione edittale, dando vita alla locuzione furtis noxsisque solutum. Nella pratica140, tuttavia, era sicuramente assai frequente la promessa stipulatoria sul ‘furem non esse’, come attesta un passo del De officiis di Cicerone141.

Cfr. G. CAMODECA, Tabulae Herculanenses, cit., p. 75; ID., Una nuova compravendita di schiavo dalle ‘Tabulae Herculanenses’, cit., p. 205. 141 Cic., de off. 3.17.71: Nec vero in praediis solum ius civile ductum a natura malitiam fraudemque vindicat, sed etiam in mancipiorum venditione venditoris fraus omnis excluditur. Qui enim scire debuit de sanitate, de fuga, de furtis, praestat edicto aedilium. TH. MOMMSEN, Römisches Strafrecht, Leipzig 1899, p. 9, ritiene che la menzione specifica al furtum si debba ricollegare al fatto che nel I sec. a.C. era considerato come una fattispecie delittuosa distinta rispetto a quelle che davano vita alla nossalità. Contrario a questa impostazione P. HUVELIN, Étude sur le furtum dans le trés ancien droit romain, I, Lion-Paris 1915, p. 441. Sul passo del De officiis di Cicerone, rinvio fra tutti alle recenti considerazioni di L. D’AMATI, L’actio redhibitoria tra giurisprudenza romana e riflessione filosofica, cit., pp. 7 s., p. 19, nt. 31. Per quanto riguarda le attestazioni della locuzione ‘furem non esse’ nei documenti negoziali, vedi una Emptio pueri, in FIRA III2, n. 88 (Dasius Breucus emit mancipioque accepit | puerum Apalaustum, siue is quo alio nomine | est, n(atione) Grecum, apocatum pro uncis duabus, | (denariis) DC de bellico Alexandri, f. r. M. Vibio Longo. | Eum puerum sanum traditum esse, furtis noxaque || solutum, erronem fugitium caducum non esse | prestari: et si quis eum puerum q(uo) d(e) a(gitur) | partenue quam quis ex eo euicerit, q(uo) m(inus) | emptorem s(upra) s(criptum) eunue ad q(uem) ea res pertinebit | uti frui habere possidereq(ue) recte liceat, || tunc quantum id erit, quod ita ex eo euic|tum fuerit, | t(antam) p(ecuniam) duplam p(robam) r(ecte) d(ari) f(ide) r(ogauit) Dasius Breucus, d(ari) f(ide) p(romisit) | Bellicus Alexandri, id[em] fide sua esse | iussit Vibius Longus. ||), su cui O. LENEL, Das Edictum Perpetuum3, cit., p. 567. Sull’emptio pueri citata, si rinvia a É. JAKAB, Praedicere und cavere beim Marktkauf, cit., pp. 167 ss. Ma vedi anche G. CAMODECA, Tabulae Herculanenses, cit., p. 75; ID., Una nuova compravendita di schiavo dalle ‘Tabulae Herculanenses’, cit., p. 205, il quale osserva che nei docu140

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Il significato tecnico di noxa solutus nel testo dell’editto edilizio viene spiegato nel senso che abbiamo detto sopra da Ulpiano: D. 21.1.17.17 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): In quod aiunt aediles “noxa solutus non sit”, sic intellegendum est, ut non hoc debeat pronuntiari nullam eum noxam commisisse, sed illud noxa solutum esse, hoc est noxali iudicio subiectum non esse: ergo si noxam commisit nec permanet, noxa solutus videtur142.

Il giurista chiarisce che la locuzione non deve corrispondere alla dichiarazione che il servus non ha commesso alcun delitto privato. Il venditore deve dichiarare, secondo l’interpretazione di Ulpiano, che sul servus non incombe nessun giudizio nossale “sed illud noxa solutum esse, hoc est noxali iudicio subiectum non esse”. Per il giurista severiano, quindi, gli edili non avevano inserito tale vizio per informare il compratore della presunta pericolosità del mancipium, bensì per tutelare il compratore dai possibili danni patrimoniali derivanti dal giudizio nossale. Ciò è attestato, sempre da Ulpiano, nel seguente frammento: D. 21.1.17.18 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Noxas accipere debemus privatas, hoc est eas, quaecumque committuntur ex delictis, non publicis criminibus, ex quibus agitur iudiciis noxalibus: denique specialiter cavetur infra de capitalibus fraudibus. Ex privatis autem noxiis oritur damnum pecuniarium, si quis forte noxae dedere noluerit, sed litis aestimationem sufferre143.

menti della prassi fosse utilizzata specificamente la formula furtis noxaque solutus in luogo della previsione edilizia che imponeva al venditore l’obbligo verbale con il quale si specificava che il servus fosse dichiarato noxa solutus. 142 O. LENEL, Palingenesia iuris civilis, II, cit., col. 889, fr. 1762. Sul passo vedi W.W. BUCKLAND, The Roman law of slavery, cit., p. 56; G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., pp. 13 s.; L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., p. 64; R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 22 ss.; G. CAMODECA, Tabulae Herculanenses, cit., p. 75; ID., Una nuova compravendita di schiavo dalle ‘Tabulae Herculanenses’, cit., p. 205; L. D’AMATI, L’actio redhibitoria tra giurisprudenza romana e riflessione filosofica, cit., p. 19, nt. 31. 143 O. LENEL, Palingenesia iuris civilis, II, cit., col. 890, fr. 1762, ritiene che la frase ‘quaecumque committuntur ex delictis, non publicis criminibus’, sia una glos-

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Il giurista spiega che la nossalità riguardava i delicta privati e non i crimina pubblici, e fa riferimento anche al danno pecuniario implicato dalla nossalità. In realtà gli edili, con questa specifica previsione, si proponevano di evitare il rischio di depauperamento del compratore, concedendogli la possibilità di restituire, mediante l’esperimento dell’azione redibitoria, lo schiavo per il quale il venditore non avesse dichiarato che era noxa solutus, va da se, che per il caso delle false dichiarazioni il venditor risultava responsabile a seguito della violazione della clausola generale sul dictum promissumve144. Ovviamente, nel caso in cui l’azione per delitto del servus si fosse estinta, veniva meno anche il vizio correlativo, che di conseguenza non doveva essere dichiarato dal venditore. 8.2. ‘Si capitalem fraudem admiserit’ e ‘in harenam depugnandi causa ad bestias intromissus fuerit’ Passo ora a considerare brevemente le altre due previsioni espresse nel dettato edittale riportato in D. 21.1.1.1 con le locuzioni si capitalem fraudem admiserit e in harenam depugnandi causa ad bestias intromissus fuerit. La prima di queste due previsioni edittali imponeva al venditore l’obbligo di dichiarare se lo schiavo avesse commesso un crimine pubblico per il quale fosse prevista la pena capitale; ciò al fine di rendere edotto l’acquirente della possibilità di essere privato del servus in qualsiasi momento: D. 21.1.23.2 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Excipitur etiam ille, qui capitalem fraudem admisit. capitalem fraudem admittere est tale aliquid delinquere, propter quod capite puniendus sit: veteres enim fraudem pro poena sa. Su questo testo di Ulpiano vedi E. VOLTERRA, Delinquere sulle fonti giuridiche romane, in RISG, II (1930), p. 19, nt. 1; G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., pp. 13 ss.; G. LONGO, Delictum e crimen, Milano 1976, p. 106; L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., p. 64. 144 Vedi supra, p. 73.

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ponere solebant. capitalem fraudem admisisse accipiemus dolo malo et per nequitiam: ceterum si quis errore, si quis casu fecerit, cessabit edictum. unde Pomponius ait neque impuberem neque furiosum capitalem fraudem videri admisisse145.

Ulpiano fornisce una spiegazione dell’espressione capitalis fraus146, che a suo avviso deve essere intesa nel senso di illecito pubblico passibile di pena capitale. Perché la fraus fosse qualificabile come capitalis era necessario, a parere del giurista, che essa fosse stata commessa con atteggiamento doloso e per nequitiam (con abilità e astuzia)147 e non per caso o per errore. A sostegno di questa sua tesi cita infatti la precedente dottrina di Pomponio, il quale aveva ritenuto che, proprio per questa ragione, nessuna frode capitale fosse imputabile all’impubere e al furioso148.

145 O. LENEL, Palingenesia iuris civilis, II, cit., col. 891, fr. 1769. Va per altro segnalato che U. BRASIELLO, La repressione penale in diritto romano, Napoli 1937, pp. 234 ss., sulla scorta del E. LEVY, Die Konkurrenz der Aktionen und Personen im klassischen römischen Recht, I, Berlin 1918, pp. 136 ss., ritiene interpolata la frase ‘capitalem fraudem admittere est tale aliquid delinquere, propter quod capite puniendus sit: veteres enim fraudem pro poena ponere solebant’. Sul frammento vedi W.W. BUCKLAND, The Roman law of slavery, cit., p. 57; G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 14; L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., p. 64; R. ORTU, ‘Aiunt aediles…’, cit., pp. 258 ss. Da ultima sul tema, L. D’AMATI, L’actio redhibitoria tra giurisprudenza romana e riflessione filosofica, cit., pp. 16 s. e nt. 33, la quale rileva che «qui il giurista severiano è impegnato a distinguere la fraus dalla poena, che spesso la pratica tendeva a confondere, vista l’equivalenza attribuita dai veteres ai due termini; ma soprattutto riporta il pensiero di Pomponio, che già si interrogava sui requisiti soggettivi della fattispecie, al fine di comprendere in quali casi fosse integrato il vizio previsto dagli edili». 146 Per il concetto di fraus si veda G. ROTONDI, Gli atti in frode alla legge, Torino 1911 (rist. Roma 1977), pp. 11 ss.; U. BRASIELLO, voce Crimina, in NNDI, V (1981), pp. 1 ss.; L. FASCIONE, Fraus legi: indagini sulla concezione della frode alla legge nella lotta politica e nell’esperienza giuridica romana, Milano 1983; ID., Ancora sulla fraus legi, in Labeo, XXXIII (1987), pp. 159 ss. 147 In questo passo del Digesto, il termine nequitia viene utilizzato da Ulpiano con l’accezione di abilità e astuzia, così come era usuale ai tempi di Gellio, il quale in noct. att. 6.11.1-5 ricostruisce l’evoluzione semantica del termine. 148 D. 21.1.23.2 (Ulp. l ad ed. aed. cur.): Unde Pomponius ait neque impuberem neque furiosum capitalem fraudem videri admisisse.

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L’altra previsione edilizia riguardava l’ipotesi di colui che “in harenam depugnandi causa ad bestias intromissus fuerit”. Al riguardo non esistono testi di riferimento, se non la specifica e tassativa indicazione contenuta nel brano dell’editto degli edili curuli riportato da Ulpiano in D. 21.1.1.1, dalla quale si apprende che gli edili ritenevano che il venditore dovesse prestare una particolare dichiarazione nel caso lo schiavo oggetto della compravendita fosse stato destinato a lottare con le belve. Non vi sono fonti che attestino espressamente le cause che indussero gli edili curuli a inserire nell’editto l’obbligo per il venditore di prestare tale dichiarazione. Sicuramente la condanna a combattere nell’arena era considerata una pena infamante, tale quindi da deprezzare oggettivamente il servo, anche in ragione di un certo grado di pericolosità insito nella sua persona, poiché una simile condanna si comminava solo in presenza di colpe veramente gravi. A questo proposito vi sono alcune fonti che attestano come tale punizione potesse derivare non solo da una condanna giudiziaria, ma anche da un atto del dominus149, oppure dal ius belli150. A mio parere l’inserimento di questa previsione nell’editto fu dettato principalmente dalla volontà degli edili curuli di tutelare il compratore anche da un possibile danno patrimoniale, visto che la condanna a combattere contro le belve comportava una notevole diminuzione del valore dello schiavo. Inoltre, non bisogna dimenticare che il servus che avesse subito questa condanna veniva

Particolarmente significativa si presenta, al riguardo, la testimonianza di Petronio, sat. 45.7-8: Iam Manios aliquot habet et mulierem essedariam et dispensatorem Glyconis, qui deprehensus est cum dominam suam delectaretur. Videbis populi rixam inter zelotypos et amasiunculos. Glyco autem, sestertiarius homo, dispensatorem ad bestias dedit. Tuttavia, questa facoltà fu limitata fortemente dalla lex Petronia de servis emanata nel 61 d.C. Al riguardo si veda D. 48.8.11.1-2 (Mod. 6 reg.): Servo sine iudice ad bestias dato non solum qui vendidit poena, verum et qui comparavit tenebitur. Post legem Petroniam et sentus consulta ad eam legem pertinentia dominis potestas ablata est ad bestias depugnandas suo arbitrio servos tradere: oblato tamen iudici servo, si iusta sit domini querella, sic poenae tradetur. 150 Cfr. C. SANFILIPPO, Gli ‘auctorati’, in Studi in onore di Arnaldo Biscardi, I, Milano 1982, pp. 181 ss.; L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., p. 72. 149

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considerato pericoloso, non solo, come si è detto, per la capacità a delinquere del mancipium ma anche per il timore, la diffidenza e la ripugnanza che nella società romana suscitavano tutti i soggetti, sia che fossero liberi o servi, che in un modo o nell’altro avessero a che fare con la morte151. Tale diffidenza e ripugnanza veniva manifestata dai Romani nei confronti dei gladiatori, dei bestiarii, degli auctorati, di coloro che tentavano il suicidio. Di conseguenza, anche in considerazione di ciò tale modo di considerare queste categorie di soggetti, era comprensibile che il compratore venisse informato di questa “caratteristica” dello schiavo. A tal proposito va osservato che sulla base della lex Aelia Sentia, emanata nel 4 d.C., quanti avessero subito una pena così infamante, se manomessi, non acquistavano lo status di cives Romani ma di peregrini dediticii152. Ne consegue per l’Impallomeni153 che la previsione edittale sul servus ad bestias intromissus fu concepita dagli edili successivamente all’emanazione della lex Aelia Sentia, e quindi dopo il 4 d.C.154 Spiegazione che non appare particolarmente convincente a L. Man-

Cfr. P. VEYNE, Suicidio, fisco, schiavitù, cit., p. 89, il quale sottolinea la ripugnanza dei Romani nei confronti di coloro che «corrono rischi […] futili, tanta è la paura di morire per così poco; così come il gladiatore, colui che si toglie la vita è un essere impuro e di malaugurio (il gladiatore era importunus, secondo Cicerone, e obscaenus, secondo Petronio). Esporsi nelle arene ai morsi delle fiere, che macabra demenza (san Cipriano, Ad Donatum, 7)! Il gladiatore è una vittima o un assassino? È entrambe le cose». 152 Vedi Tituli ex corp. Ulp. 1.11 e Gai. 1.15. G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., pp. 15 s., ritiene che le conseguenze giuridiche connesse a questo status si ripercuotessero indirettamente anche a danno del patrono, il quale non avrebbe potuto utilizzare le operae del dediticius a Roma, in quanto questi non vi poteva entrare. 153 Cfr. G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., pp. 15 ss. Per l’A. «tutte queste circostanze rendono verosimile, seppur non provata, l’ipotesi che gli edili abbiano imposto la dichiarazione del combattimento in arena, sostenuto dallo schiavo, proprio a causa di quanto era stabilito, in relazione a questo combattimento, dalla lex Aelia Sentia» (p. 16). 154 Segue l’orientamento dell’Impallomeni anche, in tal senso, G. CAMODECA, Tabulae Herculanenses, cit., p. 75; ID., Una nuova compravendita di schiavo dalle ‘Tabulae Herculanenses’, cit., p. 206. Dello stesso avviso anche L. D’AMATI, L’actio redhibitoria tra giurisprudenza romana e riflessione filosofica, cit., p. 17. 151

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na155, in quanto la condanna a combattere in harena costituiva un tipo di condanna capitale, e quindi rappresentava una previsione edittale sovrabbondante, poiché nell’editto edilizio era già prevista la dichiarazione in merito alla fraus capitalis. Ma è anche vero che la fraus capitalis prevedeva la poena capitalis, e quindi sul compratore incombeva il rischio, decisamente più grave, di vedersi privato definitivamente del mancipium.

9. Le azioni edilizie a tutela del compratore Nel presente paragrafo cercherò di delineare sinteticamente le caratteristiche delle azioni giudiziali esperibili dal compratore dinnanzi alla giurisdizione speciale degli edili curuli. L’ulteriore innovazione introdotta dai magistrati risiedeva nella concessione di due azioni in favore dei compratori che avessero scoperto, nel periodo successivo all’acquisto, determinati vizi non denunciati dal venditore, contrariamente agli obblighi previsti dal testo edittale, oppure se avessero riscontrato la mancanza di alcune qualità dichiarate all’atto della compravendita156. Le due azioni si differenziavano per effetti e finalità: l’actio redhibitoria, considerata la più risalente dalla dottrina157, comportava la risoluzione del contratto di compravendita e obbligava il venditore, previa restituzione del mancipium e di ogni altro acquisto che ne fosse derivato, alla restituzione del pretium; l’actio quanti minoris, detta anche actio aestimatoria, prevedeva, invece, una riduzione nonché un adeguamento del prezzo proporzionalmente alla diminuzione di valore conseguente alla presenza di vizi non conosciuti originariamente.

155 Cfr. L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., p. 71. 156 In generale sul punto vedi A. BURDESE, voce Vendita, in NNDI, XX (1975), p. 599. 157 In tal senso vedi per tutti G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., pp. 192 ss.

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Per entrambe le azioni erano poi previsti termini di prescrizione distinti: la prima doveva essere proposta entro sei mesi utili dalla conclusione della vendita158, la seconda poteva essere esperita entro un anno159. Chiaro sul punto è il commentario ulpianeo: D. 21.1.19.6 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Tempus autem redhibitionis sex menses utiles habet: si autem mancipium non redhibeatur, sed quanto minoris agitur, annus utilis est160. sed tempus redhibitionis ex die venditionis currit aut, si dictum promissumve quid est, ex eo ex quo dictum promissumve quid est161.

Se la dottrina, confortata dalle fonti, ritiene pacificamente la sussistenza del vincolo della prescrizione per le azioni edilizie – al contrario di quanto invece accadeva per l’azione contrattuale162 ai Il carattere della temporaneità delle azioni edilizie è ampiamente documentato e non paiono sussistere dubbi in ordine ad esso né nelle fonti né in dottrina. Nota in proposito V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 369, che «in un sistema come il [diritto] romano, che [ignorava] perfino la regola della risoluzione dei contratti per inadempimento, l’introduzione dell’azione in discorso rappresentava un’innovazione audace», da cui il brevissimo termine, sei mesi, per poterla intentare. Sul punto vedi anche L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., pp. 178 ss. 159 A. BURDESE, voce Vendita, cit., p. 599; V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 381. 160 Sul punto cfr. G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 215, il quale ritiene insiticia la proposizione ‘si autem mancipium non redhibeatur, sed quanto minoris agitur, annus utilis est’, adducendo tre ordini di motivi: a) in primo luogo, dall’azione redibitoria il passaggio all’azione estimatoria sarebbe repentino; b) l’accenno all’actio quanti minoris sarebbe, poi, fuori posto dal punto di vista sistematico; c) infine, l’interpolazione sarebbe confermata dal raffronto con il testo dei Basilici (19.10.17.1), che non riportano la traduzione della frase. 161 Cfr. O. LENEL, Palingenesia, II, cit., col. 890, fr. 1766. 162 L’impiego dell’azione contrattuale nell’ambito della garanzia per i vizi occulti – che permetteva al compratore di chiamare il venditore a rispondere per i casi in cui il bene presentasse un vizio di gravità tale da diminuirne considerevolmente il valore, benché questo fosse stato conosciuto ovvero ignorato dal venditor – mostra come sulla disciplina della responsabilità iure civili per i vizi della cosa venduta avesse influito il regime della responsabilità edilizia. Parte della dottrina meno recente (cfr. R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., pp. 186 ss.; V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto roma158

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no, cit., p. 355; G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., pp. 241 ss.) ammette che tale estensione operativa sarebbe da attribuire all’intervento di risistemazione del ius realizzato da Giustiniano, con la previsione delle tre azioni a tutela del compratore esperibili a seguito della scoperta di vizi occulti della cosa acquistata dopo l’avvenuta compravendita, ovvero l’actio empti per il risarcimento del danno contro il venditore di mala fede; l’actio empti quanti minoris per la riduzione del prezzo di vendita, qualora la mala fede del venditore non fosse stata dimostrabile; infine il rimedio della redibizione, che poteva essere ottenuto attraverso l’esperimento dell’actio redhibitoria davanti agli edili curuli o per mezzo dell’actio empti proposta dinnanzi al pretore. In tal senso rinvio per tutti a R. MONIER, op. cit., pp. 190 ss., su cui si vedano anche le osservazioni di N. DONADIO, La tutela del compratore, cit., pp. 213 s. Invece, secondo l’opinione prevalente e più recente l’esperibilità dell’actio empti per determinati vizi della cosa era possibile, almeno a partire dalla giurisprudenza adrianea, sia in concorso alternativo con le azioni edilizie, laddove queste risultassero applicabili, sia per estendere la tutela dell’azione redibitoria e dell’azione estimatoria ad alcune ipotesi non tutelate secondo il regime edilizio. In tal senso vedi M. TALAMANCA, voce Vendita (dir. rom.), in Enc. dir., XLVI (1993), pp. 445 s.; L. VACCA, Ancora sull’estensione dell’ambito di applicazione dell’actio empti in età classica, in IURA, XLV (1994), pp. 60 ss., in part. p. 65, nt. 58. In particolare parrebbe che l’actio empti fosse esperibile dal compratore anche nei confronti del venditor ignorans, così come attestato in D. 21.1.51 pr. (Afr. 8 quaest.): Cum mancipium morbosum vel vitiosum servus emat et redhibitoria vel ex empto dominus experiatur, omnimodo scientiam servi, non domini spectandam esse ait, ut nihil intersit, peculiari an domini nomine emerit et certum incertumve mandante eo emerit, quia tunc et illud ex bona fide est servum, cum quo negotium sit gestum, deceptum non esse, et rursus delictum eiusdem, quod in contrahendo admiserit, domino nocere debet. sed si servus mandatu domini hominem emerit, quem dominus vitiosum esse sciret, non tenetur venditor. Dalla lettura del testo si evince che il giurista ammettesse l’actio empti accanto all’actio redhibitoria avendo riguardo al requisito negativo della scientia dell’acquirente nelle vendite per interposta persona: nel caso di specie rilevava, quindi, la conoscenza del vizio da parte del servus e non del dominus, nonostante quest’ultimo esperisse l’azione redibitoria ovvero l’azione ex empto. Sul punto rinvio a H. HONSELL, Quod interest im bonae-fidei-iudicium. Studien zum römischen Schadensersatzrecht, München 1969, pp. 83 ss.; R. ZIMMERMANN, The law of obligations. Roman Foundations of the Civilian Tradition, Oxford 1996, p. 320; L. VACCA, op. cit., 60. Sul frammento cfr. M. TALAMANCA, voce Vendita (dir. rom.), cit., p. 445, nt. 1467. Alla luce di tutto ciò, parrebbe sensato ammettere che anche nel periodo classico, nel caso in cui il vizio avesse reso il bene totalmente inidoneo al suo uso normale, il compratore avesse avuto ugualmente la possibilità di ottenere con l’esperimento dell’azione ex empto la risoluzione del contratto di compravendita, e perciò avrebbe potuto rendere la res acquistata e quindi ottenere la restituzione del prezzo pagato. Tale soluzione parrebbe confermata da Ulpiano in D. 19.1.11.3 (Ulp. 32 ad ed.): Redhibitionem quoque contineri empti iu-

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dicio et Labeo et Sabinus putant et nos probamus. Il testo, ritenuto interpolato dalla dottrina tradizionale, per la quale cfr. R. MONIER, op. cit., p. 131, in part. nt. 5, il quale considera la locuzione ‘redhibitionem quoque contineri’ come insiticia; e ancora, non diversamente, ritengono il frammento di dubbia genuinità V. ARANGIO-RUIZ, op. cit., p. 398; G. IMPALLOMENI, op. cit., pp. 241 ss. Contra, L. VACCA, op. cit., pp. 64 ss., la quale evidenzia che il testo di Ulpiano in realtà si presterebbe ad essere esaminato sotto il profilo del concorso nel diritto classico tra l’azione contrattuale e le azioni edilizie, rivalutando così l’attendibilità della testimonianza offerta dal giurista severiano. L’A. inoltre, partendo dal presupposto che questo il passo è collocato nella parte del commentario ulpianeo dedicata all’analisi dei casi di applicazione dell’actio empti, non parrebbe escludere la possibilità per cui nell’ambito del relativo iudicium già Labeone e Sabino ammettessero l’eventualità della redibizione (pp. 65 s.). Sulla scia di L. Vacca, N. DONADIO, op. cit., pp. 210 ss., in part. pp. 217 ss.; EAD., Azioni edilizie e interdipendenza delle obbligazioni nell’emptio venditio. Il problema di un giusto equilibrio tra le prestazioni delle parti, in L. GAROFALO (a cura di), La compravendita e l’interdipendenza delle obbligazioni nel diritto romano, II, Padova 2007, pp. 458 ss., in part. p. 460, nt. 7. Infatti, in base all’amplissimo officium iudicis fondato sulla clausola ex fide bona, Ulpiano evidenzia che nell’ambito dell’iudicium empti, in assenza di espresse pattuizioni, trovavano sicuramente tutela tutte le situazioni che potevano condizionare negativamente il contenuto del rapporto, così come si deduce dalla lettura di D. 19.1.11.1 (Ulp. 32 ad ed.): Et in primis sciendum est in hoc iudicio id demum deduci, quod praestari convenit: cum enim sit bonae fidei iudicium, nihil magis bonae fidei congruit quam id praestari, quod inter contrahentes actum est. quod si nihil convenit, tunc ea praestabuntur, quae naturaliter insunt huius iudicii potestate. Alla lettera del frammento, il giudizio doveva essere basato secondo buona fede, e nulla era più consono alla bona fides che l’adempimento di quanto si era pattuito tra contraenti. Qualora nulla si fosse convenuto a riguardo, il giurista prescrive che si avrebbe avuto riguardo a quelle circostanze che ‘naturaliter’ sarebbero contenute nella potestas iudicii e certamente tra queste si potevano annoverare i vizi della cosa che davano luogo alla redhibitio, così come sostenuto in D. 19.1.11.3. A tal proposito L. VACCA, op. cit., 66, precisa che in questo punto è probabile che fosse avvenuto «un raccorciamento compilatorio della casistica che il giurista portava ad esplicazione di questa affermazione, come sembra dimostrato dal brusco passaggio, nel paragrafo successivo, alle specifiche garanzie che il venditore [doveva e soleva] espressamente prestare nelle vendite di animali». Alla luce di queste considerazioni è plausibile ammettere che Labeone e Sabino fossero favorevoli ad estendere l’applicazione della redibizione in base all’azione edilizia a tutela di esigenze specifiche del compratore, richiedendo una minore rigidità nella classificazione delle cause redibitorie. Più precisamente risulta verosimile che a fronte delle difficoltà di ampliare la portata del iudicium redhibitorium nell’ambito del processo edilizio – dove gli interessi meritevoli di tutela erano già individuati dagli edili curuli in una elencazione da considerarsi un numerus clausus – si fosse preferito ricorrere all’elasticità dell’azione ex empto,

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fini redibitori163 – non è parimenti unanime relativamente all’indidove il ricorso alla redhibitio si riferisce alla possibilità della sua previsione nella condanna in base agli ampi poteri riconosciuti al giudice in riferimento all’oportere ex fide bona delle parti, per addivenire ad un più duttile e soddisfacente impiego della redibizione, a sua volta intesa a rendere possibile una sostanziale risoluzione della compravendita. Tuttavia, N. DONADIO, Azioni edilizie, cit., p. 460, nt. 7, evidenzia che la redhibitio rei emptae «non è presentata, almeno nei pochissimi testi in cui resta traccia di questa applicazione del iudicium empti, come strumentale alla realizzazione di un ripristino della situazione pregressa alla conclusione del contratto sì ampia da giustificare un’assimilazione con l’in integrum restitutio». In altri termini in virtù della natura di buona fede dell’actio empti si sarebbe potuto ricomprendere in essa la redhibitio, nel senso che, qualora il vizio privasse totalmente il bene del suo valore tanto da inficiarne il suo uso ottimale o addirittura escluderne un totale impiego dello stesso, il giudice, dovendo condannare il convenuto a ciò che avrebbe dovuto dare, fare o praestare ex fide bona, avrebbe potuto, in virtù dei suoi ampi poteri discrezionali, pronunciare una sentenza di condanna pari all’ammontare del prezzo pagato, indi ordinare la restituzione della res al convenuto per scongiurare un possibile ingiustificato arricchimento da parte dell’attore. Sul punto cfr. E. PARLAMENTO, Labeone e l’estensione della «redhibitio» all’«actio empti», cit., pp. 17 ss. Recentissima l’interessante disamina sul tema di B. CORTESE, La tutela in caso di vizio, cit., pp. 104 ss., la quale rileva che: «La flessibilità del sistema delle azioni ex fide bona consentiva, così, di non ripiegare nell’astrattezza, inadeguata rispetto al dato pratico, ma di conformare la tutela alla singola vicenda contrattuale: a rendere, cioè, la dimensione dell’intervento dell’ordinamento del tutto rispondente alle esigenze concrete della realtà contrattuale-commerciale. Così che nell’ottica dell’adempimento dell’obbligo di trasmettere e garantire l’habere licere, che Paolo declina nei tre punti ex D. 19.1.4pr., e che Ulpiano in D. 19.1.11.2 riassume nel praestare rem, diviene un passaggio naturale quello che prevede l’estensione dell’azione da contratto, e nello specifico la rispondenza del venditore, alle ipotesi dei vizi: il vizio inficia il pieno e pacifico godimento del bene. Sul piano della struttura dell’adempimento del contratto, il vizio comporta una violazione della buona fede e altera l’equilibrio fra le prestazioni, dal momento che lede l’affidamento e la aspettativa del contraente, provocando come minimo un pregiudizio economico legato allo squilibrio fra le prestazioni (nel senso del rapporto fra valore/funzionalità del bene e corrispettivo pagato). In quest’ottica, non a caso, al vizio viene affiancato il fenomeno della mancanza delle qualità essenziali». 163 La tendenza dei giuristi a ricercare di volta in volta lo strumento materialmente più idoneo per realizzare la pratica risoluzione del contratto è attestata dalla concessione dell’azione contrattuale, con funzione analoga all’actio redhibitoria, per quei casi che a rigore non rientravano tra le ipotesi tutelate nell’Editto degli edili curuli. Sotto tale profilo è interessante l’esame di un frammento di Ulpiano relativo alla vendita di un’ancilla contenuto in D. 19.1.11.5 (Ulp. 32 ad ed.): Si quis virginem se emere putasset, cum mulier venisset, et sciens errare eum vendi-

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viduazione del dies a quo per il computo del termine prescrittivo. L’opinione dominante della dottrina individua, sulla base delle testimonianze della giurisprudenza classica, il momento iniziale nel giorno in cui l’infrazione poteva considerarsi compiuta, ovvero il tor passus sit, redhibitionem quidem ex hac causa non esse, verum tamen ex empto competere actionem ad resolvendam emptionem, et pretio restituto mulier reddatur. La dottrina tradizionale, per tutti si veda V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 399, non ha dedicato particolare interesse al testo, considerando pressoché insiticia la chiusa (ad resolvendam emptionem, et pretio restituto mulier reddatur), che introduce l’idea dell’utilizzazione dell’actio empti in funzione di risoluzione del contratto. A tale proposito rinvio alle osservazioni di L. VACCA, Ancora sull’estensione, cit., pp. 67 s., la quale ritiene che la soluzione indicata da Ulpiano sia da considerarsi genuina nel suo complesso, e che il caso, «anche se probabilmente abbreviato ed estrapolato dal suo contesto originario, abbia una sua rilevanza e coerenza specifica proprio in rapporto alla particolare soluzione che viene prospettata» nel testo, deve essere ricollegata al casus riportato, qualificato da alcuni elementi specifici espressamente indicati: l’acquirente, infatti, credendo di comperare una vergine, ha acquistato una mulier da un venditore che, pur consapevole dell’errore in cui era incorso l’emptor, non ha reso nota la condizione della schiava. L’errore in questo caso era unilaterale e non era indotto dal venditore, nonostante questi conoscesse la reale situazione di fatto. Questo tipo di errore secondo i principi generali non era causa di nullità del contratto, in quanto non poteva qualificarsi come error in substantia e, semmai, sarebbe stato inquadrabile come error in qualitate. Per altro verso un simile vitium non era tutelabile con l’azione edilizia perché non espressamente contemplato ex edicto. Sennonché il tenore del testo, da attribuirsi al prestigio di Giuliano, secondo l’interpretazione di N. DONADIO, La tutela del compratore, cit., pp. 226 s., indica che nel caso di specie era esperibile l’actio empti per la risoluzione della compravendita, e ottenuta la restituzione del prezzo doveva contestualmente seguire la restituzione della schiava. Vale la pena evidenziare anche l’inversione degli oneri spettanti alle controparti rispetto al giudizio redibitorio arbitrio iudicis, che presupponevano, ai fini della condanna del convenuto, la necessaria e previa restituzione del mancipium. Nel caso specificamente considerato dal giurista, la condizione della schiava, mulier o virgo, doveva essere considerata come una qualità essenziale nella determinazione della causa dell’emptio-venditio e non come una qualità che potesse essere rilevante ai soli fini della determinazione del prezzo. Come conseguenza, l’errore su di essa veniva ad incidere sull’assetto fondamentale di interessi che il compratore intendeva realizzare con la compravendita. La tutela di tale assetto era opportuna in base all’interpretazione del contratto secondo buona fede, ed era, come sottolinea L. VACCA, op. cit., p. 67, «tecnicamente resa possibile dalla flessibilità della condemnatio dell’azione contrattuale, nonché dell’officium iudicis nella fase della decisione della controversia». Ma vedi anche B. CORTESE, La tutela in caso di vizio, cit., pp. 104 ss.

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giorno in cui era stata conclusa la compravendita, quando il venditore aveva decantato le qualità della merce con un dictum promissumve, come attestato da Ulpiano nel frammento D. 21.1.19.6 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.)164. Per quanto riguardava l’effettività del periodo utile entro il quale esperire le azioni, precisa l’Arangio-Ruiz, si sarebbe trattato di sei mesi utili per quanto riguardava l’actio redhibitoria e dodici mesi utili per l’actio aestimatoria e non di un intervallo continuo, di modo che il compratore avesse realmente avuto possibilità di agire165: D. 21.1.55 (Pap. 12 resp.): Cum sex menses utiles, quibus experiundi potestas fuit, redhibitoriae actioni praestantur, non videbitur potestatem experiundi habuisse, qui vitium fugitivi latens ignoravit: non idcirco tamen dissolutam ignorationem emptoris excusari oportebit166.

In riferimento al testo di Papiniano167, l’Arangio Ruiz specifica ancora che sarebbe un’interpretazione errata quella per cui il computo dei sei mesi utili decorresse dalla scoperta del vizio168. In tal senso, in un tentativo di ricostruzione unitaria, il Monier affermava che i giureconsulti ponevano sullo stesso piano l’ipotesi del compratore che non aveva possibilità di adire il tribunale del magistrato e quella di colui che non conosceva, o non poteva riconoscere,

In part. cfr. G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., pp. 227 ss. Sul punto vedi anche V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., pp. 369 s.; L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., pp. 179 ss. 165 Cfr. V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 369. 166 Cfr. O. LENEL, Palingenesia, I, cit., col. 935, fr. 678. A tal proposito cfr. anche ID., Edictum perpetuum, cit., p. 560, il quale ricostruisce su questo testo il tenore dell’exceptio temporalis: neque plus quam sex menses sunt, cum de ea re experiundi potestas fuit. 167 Sul giurista vedi E. COSTA, Papiniano. Studio di storia interna del diritto romano, Bologna 1894 (rist. anast. Roma 1964); V. GIUFFRÈ, Papiniano: fra tradizione ed innovazione, in ANRW, II.15 (1976), pp. 632 ss. (sul quale cfr. M. TALAMANCA, Per la storia della giurisprudenza romana, cit., pp. 204 ss.). 168 In tal senso V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 369. Sul punto vedi anche L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., p. 181. 164

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il vizio, comportando ad ogni modo il rifiuto dell’azione una volta decorsi i sei mesi dalla scoperta di questo169. Ma, come evidenzia L. Manna, «la generalizzazione non convince» perché si dovrebbe fare riferimento solamente al giorno della conclusione del contratto per determinare il dies a quo, così come chiarito da Ulpiano, mentre il riferimento all’affermazione papinianea relativa al vitium fugitivi sarebbe fuorviante poiché contenuta in un responsum che non consentirebbe «generalizzazioni e, quindi, applicazioni in sede interpretativa della medesima regola (peraltro prontamente smentita dalla volontà imperiale) ad ogni caso di redibizione richiesto a causa della scoperta di un morbus vitiumve»170. 9.1. L’actio redhibitoria In particolare, l’actio redhibitoria si configurava come arbitraria171, o meglio doppiamente arbitraria172, ed imponeva alle parti dei reciproci obblighi propedeutici alla risoluzione del contratto. La richiesta di tutela attribuiva, prima di ogni altra cosa, all’attore, nonché compratore, l’onere di soddisfare alcuni adempimenti, tra i quali alcune cautiones173, perché si potesse accogliere la sua

169 Così R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., pp. 61 s. 170 Così L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., p. 181. 171 In tal senso vedi R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., pp. 71 ss.; G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., pp. 137 ss.; ID., Edictum aedilium curulium, in Scritti di diritto romano e tradizione romanistica, Padova 1996, p. 77. 172 Come meglio precisa L. GAROFALO, Studi sull’azione redibitoria, cit., p. 7. 173 La restituzione del mancipium non esauriva gli adempimenti richiesti al compratore, poiché ad essa potevano aggiungersi delle stipulazioni aventi finalità di garanzia. La possibilità di ordinare alle parti in causa tali stipulazioni era ricompresa tra quei poteri del giudice nel procedimento redibitorio. Un intero frammento del titolo de aedilicio edicto, cfr. D. 21.1.21.1-3 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.), è dedicato alle cautiones in redhibitione praestandi, dove il giurista Ulpiano, sulla scorta di Pomponio, suggerisce il contenuto delle stesse ed esamina le ipotesi in cui è particolarmente opportuna la loro imposizione. A tal proposito H. VINCENT, Le droit des édiles: Étude historique et économique des prescriptions édiliciennes

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sur la vente et la garantie, Paris 1922, pp. 176 s., metteva in correlazione le stipulazioni contenute nel frammento con quanto previsto in I. 3.18.2: ‘praetorias autem stipulationes sic exaudiri oportet ut in his contineantur etiam aediliciae: nam et hae ab iurisdictione veniunt’, sostenendo che sarebbero stati gli edili curuli stessi, in qualità di magistrati giusdicenti, ad imporle in maniera indiretta, costituendo con la loro interposizione un onere per l’attore: esse apparterrebbero quindi alle stipulatione aediliciae. Critico in questione G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 149, il quale, considerando che lo stesso Ulpiano riferisce che le stipulazioni erano state, a loro volta, suggerite da Pomponio, escludeva che queste fossero state previste nella formula tipo, a ragione del fatto che il commentario ulpianeo ad essa le ignora completamente, a tal proposito cfr. D. 21.1 dal fr. 23.7 al fr. 31.15. Pertanto, l’A. concludeva sostenendo che le stipulazioni fossero direttamente richieste dal giudice e non dai magistrati edili e avessero il carattere di stipulationes iudiciales. Tra le cauzioni che il compratore doveva prestare, la prima ad essere vagliata dal giurista è a) la cautio de dolo malo, da prestare nei confronti del venditore, che riguardava il dolo malo dell’attore. Questi, infatti, avrebbe dovuto offrire idonea garanzia affinché lo schiavo non costituisse oggetto di pegno in favore di terzi, ovvero avrebbe dovuto garantire civilmente il convenuto che il servus non fosse soggetto a noxa per aver commesso delitti per suo iussum, così come si legge in D. 21.1.21.1 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Cum redditur ab emptore mancipium venditori, de dolo malo promitti oportere ei Pomponius ait et ideo cautiones necessarias esse, ne forte aut pignori datus sit servus ab emptore aut iussu eius furtum sive damnum cui datum sit. In seguito, nel lungo frammento, si considera b) la cautio de futuro o de praeterito che veniva richiesta all’attore, o al suo procurator, per il caso in cui egli avesse intentato, o stesse per intentare, un’azione contro terzi a causa dello schiavo assoggettato alla redibizione, affinché al venditore venisse restituito anche l’eventuale vantaggio economico che potesse derivare da tale azione processuale, come nel proseguo di D. 21.1.21.2 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Idem Pomponius ait interdum etiam dupliciter cautiones interponi debere, alias in praeteritum, alias in futurum, ut puta si eius servi nomine qui redhibetur emptor procuratorve eius iudicium accepit, vel quod cum eo ageretur vel quod ipse eius nomine ageret. cavendum autem esse ait, si quid sine dolo malo emptor condemnatus fuerit aut dederit, his rebus recte praestari, vel si quid ex eo quod egerit ad eum pervenerit dolove malo vel culpa eius factum sit, quo minus perveniret isdem diebus, reddi. Ad una conclusione conforme, come sottolineava G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 148, conduce la lettura del frammento di Paolo riportato in D. 21.1.30 pr. (Paul. 1 ad ed. aed. cur.), forse anch’esso ispirato al pensiero di Pomponio, da cui si evince l’opportunità per le parti di concludere una stipulazione reciproca di garanzia: Item si servi redhibendi nomine emptor iudicium accepit vel ipse eius nomine dictavit, cavendum ex utraque parte erit, ut, si quid sine dolo malo condemnatus sit vel si quid ex eo quod egerit ad eum pervenerit dolove malo eius factum sit quo minus perveniret, id reddat. Infine c) l’attore era tenuto a garantire la continuazione delle ricerche del servus fugitivus in causa redhibitionis e la sua restituzione al venditore in caso di cattura attraverso una cautio de servo

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persequendo et restituendo, come attestato nella parte finale del lungo frammento contenuto in D. 21.1.21.3 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Idem ait [Pomponius] futuri temporis nomine cautionem ei, qui sciens vendidit, fieri solere, si in fuga est homo sine culpa emptoris et nihilo minus condemnatur venditor: tum enim cavere oportere, ut emptor hominem persequatur et in sua potestate redactum venditori reddat. Relativamente a questo ultimo onere, G. IMPALLOMENI, op. cit., p. 148, nt. 43, osservava come fosse del tutto singolare la regola che imponeva al compratore di perseguire lo schiavo fuggito senza sua colpa, anziché addossare tale incombenza al venditore soccombente. A proposito di tale conclusione nota L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., pp. 199 s., che il problema parebbe strettamente legato al fatto che il compratore era comunque tenuto alla restituzione del servo al fine di ottenere la condanna del venditore. In questo senso non assumeva rilevanza alcuna la circostanza che il mancipium fosse fuggito senza sua colpa. Inoltre, l’A. ipotizza che «tale espediente consentisse, in una interpretazione meno rigida, di tenere conto delle esigenze del venditore di vedersi restituire lo schiavo evitando pertanto un eventuale ingiustificato arricchimento del compratore, il quale – dopo aver ottenuto la restituzione del prezzo propter fugam servi – ritornasse anche in possesso dello schiavo» (ibidem). In quest’ultima eventualità si potrebbe infatti riconoscere la ratio di una simile previsione di garanzia. Su questi paragrafi vedi H. VINCENT, op. cit., pp. 176 s., pp. 238 s.; R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., pp. 73 s.; V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 370; G. IMPALLOMENI, op. cit., p. 143, p. 148; L. CHIAZZESE, Jusiurandum in lite, Milano 1958, pp. 72 s.; A. MOZILLO, Contributi allo studio delle stipulationes praetorie, Napoli 1960, p. 38, nt. 55; H. BELLEN, Studien zur Sklavenflucht im römischen Kaiserreich, Wiesbaden 1971, pp. 36 s.; U. MANTHE, Zur Wandlung Des Servus Fugitivus, in TR, XLIV (1976), pp. 133 ss.; F. BETANCOURT, La stipulatio iudicialis de dolo en el derecho romano clasico, in AHDE, XLIX (1979), pp. 178 s.; A.M. GIOMARO, Cautiones iudiciales e officium iudicis, Roma 1983, pp. 198 ss.; R. LEDERLE, Mortus redhibetur. Die Rückabwicklung nach Wandlung im römischen Recht (Schriften zur Rechtsgeschichte), Berlin 1983, pp. 59 s., pp. 65 ss.; P. MADER, Mortuus redhibetur? Eine Untersuchung zum aedilizischen Sachmängelrecht, in ZSS, CI (1984), pp. 221 ss.; L. MANNA, op. cit., pp. 152 ss., pp. 198 ss.; L. GAROFALO, «Redhibitoria actio duplicem habet condemnationem» (a proposito di Gai. 1 ad ed. aed. cur. D. 21,1,45), cit., pp. 1 ss.; ID., L’impossibilità della redibizione nella riflessione dei giuristi classici, in SDHI, LXV (1999), pp. 58 ss. (ora in Studi sull’azione redhibitoria, cit., pp. 39 ss.); É. JAKAB, Praedicere und cavere, cit., p. 225, p. 250, p. 289; E. STOLFI, Studi sui «libri ad edictum», II, cit., pp. 467 ss. Era poi possibile una particolare cauzione in ragione dell’equità nel caso di inopia venditoris. L’onere di restituzione posto a carico dell’attore quale condizione necessaria per addivenire alla condanna del convenuto avrebbe potuto subire un’inversione di ordine su decisione del giudice. Eccezionalmente se il convenuto non fosse stato in condizione di adempiere immediatamente (inopia venditoris), sul presupposto dell’equità come suggerisce Gaio, sarebbe potuto sì

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richiesta e condannare il venditore, così come attestato da Ulpiano nelle fonti: D. 21.1.29 pr. (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Illud sciendum est, si emptor venditori haec non praestat, quae desiderantur in hac actione, non posse ei venditorem condemnari: si autem emptori venditor ista non praestat, condemnabitur ei174.

Il compratore, per poter esperire vittoriosamente l’azione, doveva restituire quanto era stato oggetto di compravendita, di modo che si potesse procedere alla condanna del venditore. Il testo pone in luce il regime fondamentale dell’azione ed è applicazione del principio già enunciato dallo stesso giurista in un frammento di poco precedente175: D. 21.1.25.10 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Ordine fecerunt aediles, ut ante venditori emptor ea omnia, quae supra scripta sunt, praestet, sic deinde pretium consequatur176.

La principale prestazione imposta al compratore consisteva nella restituzione del mancipium177. In questo risiedeva l’essenza dell’azione: la restituzione della res, quale condizione per la condanna del essere condannato, purché l’attore precedentemente avesse accettato mediante cautio di eseguire le proprie prestazioni una volta soddisfatto. A tal proposito cfr. D. 21.1.26 (Gai. 1 ad ed. aed. cur.): Videamus tamen, ne iniquum sit emptorem compelli dimittere corpus et ad actionem iudicati mitti, si interdum nihil praestatur propter inopiam venditoris, potiusque res ita ordinanda sit, ut emptor caveat, si intra certum tempus pecunia sibi soluta sit, se mancipium restituturum. Con questa previsione, evidenziava G. IMPALLOMENI, op. cit., p. 139, resta sostanzialmente salvo il principio in base al quale la parte attrice doveva adempiere per prima: in questo caso attraverso un’idonea garanzia. Sul punto vedi G. IMPALLOMENI, op. cit., pp. 138 s., e ancora p. 149; ID., Edictum aedilium curulium, cit., p. 78. 174 Cfr. O. LENEL, Palingenesia, II, cit., col. 893, fr. 1775. 175 Sul punto cfr. G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 138, nt. 4; L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., p. 184. 176 Cfr. O. LENEL, Palingenesia, II, cit., col. 893, fr. 1775. 177 Sul punto vedi R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., p. 73; G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 138; L. MAN-

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venditore, che rimetteva a disposizione del venditore ciò che egli aveva prima della vendita: D. 21.1.21 pr. (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Redhibere est facere, ut rursus habeat venditor quod habuerit, et quia reddendo id fiebat, idcirco redhibitio est appellata quasi redditio178.

Alla stregua della definizione di Ulpiano la redibizione non consisteva nel mero fatto materiale della riconsegna della cosa al venditore, bensì richiedeva che il rursus habere fosse conseguenza di un facere posto in essere dal compratore179. L’adempimento di tale prestazione, come sottolineava l’Impallomeni, non rappresentava un obbligo, bensì un onere per l’attore, in quanto era presupposto necessario perché il convenuto potesse essere a sua volta obbligato ad adempiere, ed eventualmente condannato180. Nota ancora L’Impallomeni che si era in presenza di una prestazione indivisibile181 non sostituibile da un eventuale rimborso dell’e-

NA,

Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., pp. 184 s.; L. GAROFALO, Studi sull’azione redibitoria, cit., p. 7. 178 Cfr. O. LENEL, Palingenesia, II, cit., col. 890, fr. 1767. 179 Sul punto cfr. L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., pp. 165 ss., in part. p. 167. In generale vedi G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 125 n. 49; L. GAROFALO, Studi sull’azione redibitoria, cit., 7. 180 G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 138. Sul punto anche L. GAROFALO, Studi sull’azione redibitoria, cit., 8. 181 L’indivisibilità non aveva luogo quando vi fossero più compratori tra loro non obbligati in solido. Cfr. D. 21.1.31.10 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Si venditori plures heredes exstiterint, singulis pro portione hereditaria poterit servus redhiberi. et si servus plurium venierit, idem erit dicendum: nam si unus a pluribus vel plures ab uno vel plura mancipia ab uno emantur, verius est dicere, si quasi plures rei fuerunt venditores, singulis in solidum redhibendum: si tamen partes emptae sint a singulis, recte dicetur alteri quidem posse redhiberi, cum altero autem agi quanto minoris. item si plures singuli partes ab uno emant, tunc pro parte quisque eorum experietur: sed si in solidum emant, unusquisque in solidum redhibebit. In tale fattispecie, infatti, ogni compratore poteva agire separatamente e restituire la propria quota. Sul punto vedi G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 142 nt. 19; L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto

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quivalente in denaro. Ciò derivava dal fatto che l’attore non era un debitore e di conseguenza non potevano venire applicate le regole sull’adempimento e sulla soddisfazione del creditore mediante il risarcimento del danno182. Contestualmente alla redibizione del servus il compratore doveva rendere qualsiasi accessorio: D. 21.1.23.1 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Iubent aediles restitui et quod venditioni accessit et si quas accessiones ipse praestiterit, ut uterque resoluta emptione nihil amplius consequatur, quam non haberet, si venditio facta non esset183.

Gli edili, infatti, ordinano la restituzione degli accessori affinché, una volta risolta la vendita, le parti non conseguano nulla di più di quanto non avrebbero avuto se la vendita non fosse avvenuta184. Andavano consegnati inoltre i frutti, naturali o in denaro, e qualsiasi altro apporto acquistato per mezzo o a causa dello schiavo o dell’accessorio: D. 21.1.23.9 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Cum redhibetur mancipium, si quid ad emptorem pervenit vel culpa eius non pervenit, restitui oportet, non solum si ipse fructus percepit mercedesve a servo vel conductore servi acDe mancipiis vendundis, cit., p. 185, nt. 63. Sul passo cfr. O. LENEL, Palingenesia, II, cit., col. 894, fr. 1778. 182 Sul punto vedi G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 142; L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., p. 185. 183 Cfr. O. LENEL, Palingenesia, II, cit., col. 891, fr. 1768. 184 Con la redibizione del servus il compratore doveva rendere il peculium: D. 21.1.31.4 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Si peculium quaesiit apud emptorem, quid de hoc dicemus? et si quidem ex re emptoris accessit, dicendum est apud ipsum relinquendum, si aliunde crevit, venditori restituendum est (su cui cfr. O. LENEL, Palingenesia, II, cit., col. 894, fr. 1777). Mentre in caso di redibizione di una serva era necessario rendere anche il figlio: D. 21.1.31.2 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Si ancilla redhibeatur, et quod ex ea post venditionem natum erit reddetur, sive unus partus sit sive plures (su cui cfr. O. LENEL, Palingenesia, II, cit., col. 894, fr. 1777). Sul punto vedi R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., p. 73; V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 370; G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 147.

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cepit, sed etiam si a venditore fuerit idcirco consecutus, quod tardius ei hominem restituit: sed et si a quovis alio possessore fructus accepit emptor, restituere eos debebit: sed et si quid fructuum nomine consecutus est, id praestet: item si legatum vel hereditas servo obveneri185.

Di quanto percepito dal compratore, come si legge nella prosecuzione del passo, deve esserne fatta la restituzione al venditore anche qualora non sia stato percepito per colpa a lui imputabile o ancora quando abbia percepito per aver restituito in ritardo la res. Di tutto ciò poi dovrà dare persino garanzia. Posti questi oneri a carico dell’attore, ne conseguiva l’inammissibilità della condanna del convenuto-venditore quando l’impossibilità della redibizione del mancipium, o dell’accessorio, fosse dipesa dall’attore-compratore186. Diversamente la redibizione divenuta impossibile per fatto casuale, e comunque per causa non imputabile al compratore, si considerava avvenuta. A tal proposito, notava l’Impallomeni, «quasi come applicazione del principio casum sentit dominus, [valeva] la regola casum sentit venditor»187 e quest’ultimo infatti avrebbe sop-

185 Cfr. O. LENEL, Palingenesia, II, cit., col. 892, fr. 1772. Così anche in D. 21.1.24 (Gai. 1 ad ed. aed. cur.): Et generaliter dicendum est, quidquid extra rem emptoris per eum servum adquisitum est, id iustum videri reddi oportere. Sul testo cfr. O. LENEL, Palingenesia, I, cit., col. 236, fr. 383. Vedi anche G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 147, in part. nt. 38.; V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto romano, cit., p. 370. 186 Così se lo schiavo fosse stato manomesso, come attestato in D. 21.1.47 pr. (Paul. 11 ad Sab.): Si hominem emptum manumisisti, et redhibitoriam et quanti minoris denegandam tibi Labeo ait, sicut duplae actio periret: ergo et quod adversus dictum promissumve sit, actio peribit. Sul testo cfr. O. LENEL, Palingenesia, I, cit., col. 1282, fr. 1832. Ancora se questi fosse morto per colpa del compratore, nel qual caso si considerava vivo e non redibito, come si legge in D. 21.1.31.11 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Si mancipium quod redhiberi oportet mortuum erit, hoc quaeretur, numquid culpa emptoris vel familiae eius vel procuratoris homo demortuus sit: nam si culpa eius decessit, pro vivo habendus est, et praestentur ea omnia, quae praestarentur, si viveret. Sul testo cfr. O. LENEL, Palingenesia, II, cit., col. 894, fr. 1779. Sul punto vedi inoltre, G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 142. 187 Così G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 143.

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portato la perdita del mancipium così come se fosse sempre stato proprietario o possessore188. Una disciplina particolare era invece prevista per il deterioramento post venditionem dello schiavo imputabile al compratore, ovvero alla sua famiglia o al suo procurator. In questo caso la redibizione non era preclusa, ma contestualmente aveva luogo una prestazione pecuniaria, di tipo risarcitorio, dell’attore nei confronti del convenuto che veniva determinata dal giudice189: D. 21.1.23 pr. (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Cum autem redhibitio fit, si deterius mancipium sive animo sive corpore ab emptore factum est, praestabit emptor venditori, ut puta si stupratum sit aut saevitia emptoris fugitivum esse coeperit: et ideo, inquit Pomponius, ut ex quacumque causa deterius factum sit, id arbitrio iudicis aestimetur et venditori praestetur. quod si sine iudice homo redhibitus sit, reliqua autem quae diximus nolit emptor reddere, sufficiat venditori ex vendito actio190.

Di fatto, si osservi, la responsabilità del compratore era tale nel caso in cui fosse stata corrotta l’integrità fisica o morale dello schiavo191.

188 Se lo schiavo fosse morto per una circostanza casuale, le azioni edilizie sarebbero state sempre esperibili. Cfr. O. LENEL, Palingenesia, II, cit., col. 133, fr. 708, il quale propone la seguente sequenza di testi di Sabino: D. 21.1.47.1 (Paul. 11 ad Sab.): Post mortem autem hominis aediliciae actiones manent, [D. 21.1.48 pr. (Pomp. 23 ad Sab.)] si tamen sine culpa actoris familiaeve eius vel procuratoris mortuus sit. Allo stesso modo, la condanna del venditore non sarebbe venuta meno se lo schiavo fosse fuggito senza colpa del compratore e fosse ancora in fuga, così come attestato in D. 21.1.21.3 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): […] Si in fuga est homo sine culpa emptoris et nihilo minus condemnatur venditor. Ancora si considerava redibito il servus che avesse commesso un delitto contro terzi e che fosse stato abbandonato in nossa all’offeso: D. 21.1.23.8 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): […] Et hoc detrimentum sua culpa emptorem passurum, qui cum posset hominem noxae dedere, maluerit litis aestimationem sufferre: et videtur mihi iuliani sententia humanior esse. Sul testo cfr. O. LENEL, Palingenesia, II, cit., col. 892, fr. 1771. In generale sul punto rinvio a G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., pp. 143 s. 189 A tale proposito vedi G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 144. 190 Cfr. O. LENEL, Palingenesia, II, cit., col. 891. 191 Così in D. 21.1.23 pr. (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.) e ancora lo stesso giurista poco più avanti in D. 21.1.25.6 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Hoc autem, quod dete-

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In virtù della natura arbitraria dell’actio redhibitoria, il giudice, una volta eseguite le prestazioni a carico dell’attore, invitava il convenuto ad eseguire la restituzione del prezzo e quindi in caso di inadempimento lo condannava192. Le prestazioni principali del convenuto, come risulta dalla formula tipo193 contenuta in D. 21.1.25.9, consistevano nella restituzione del prezzo, e insieme a questo le accessioni194, ovvero nella liberazione del compratore che non avesse ancora pagato195. In quest’ultimo caso, in mancanza di una disposizione espressa, do-

rior factus est servus, non solum ad corpus, sed etiam ad animi vitia referendum est, ut puta si imitatione conservorum apud emptorem talis factus est, aleator forte vel vinarius vel erro evasit. Sul testo cfr. O. LENEL, Palingenesia, II, cit., col. 892, fr. 1773. Sul punto vedi R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., p. 73. 192 Si richiama D. 21.1.29 pr. (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Illud sciendum est, si emptor venditori haec non praestat, quae desiderantur in hac actione, non posse ei venditorem condemnari: si autem emptori venditor ista non praestat, condemnabitur ei. Su cui vedi supra, p. 94. Sul punto cfr. G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 150; R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., p. 74. 193 Parte della formula dell’azione è riportata in D. 21.1.25.9 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Praeterea in edicto adicitur sic: “et quanta pecunia pro eo homine soluta accessionisve nomine data erit, non reddetur: cuiusve pecuniae quis eo nomine obligatus erit, non liberabitur”. Sul punto cfr. G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 151; R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., p. 74, in part. nt. 4. 194 Tale disposizione contenuta in D. 21.1.1.1 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): […] item si quas accessiones ipse praestiterit, ut recipiat […], è pacificamente ritenuta come introdotta tardivamente nel testo edittale. Ugualmente nel commento di Ulpiano all’Editto è precisato quae pecunia emptori restitutur. A tal proposito cfr. D. 21.1.27 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Debet autem recipere pecuniam, quam dedit pro eo homine, vel si quid accessionis nomine. dari autem non id solum accipiemus, quod numeratur venditori, ut puta pretium et usuras eius, sed et si quid emptionis causa erogatum est. Sul testo vedi O. LENEL, Palingenesia, II, cit., col. 893, fr. 1775. A tale proposito vedi G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 151; R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., p. 75, in part. nt. 1. 195 Cfr. il frammento di Ulpiano tràdito in D. 21.1.29.1 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Item emptori praestandum est, ut pecuniae, cuius nomine obligatus erit, liberetur, sive ipsi venditori obligatus sit sive etiam alii. Sul punto rinvio a G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 151; R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., p. 74; L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., pp. 193 s.

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veva ritenersi sufficiente, come suggeriva l’Impallomeni, l’operatività di qualsiasi forma di remissione del debito conosciuta dal diritto positivo e quindi un’acceptilatio oppure un pactum de non petendo196. Il convenuto era inoltre tenuto alla corresponsione degli interessi del prezzo, in forza di una condanna al quanti ea res erit197. Tale norma era corrispondente a quella prevista per le prestazioni del compratore, che era tenuto alla restituzione dei proventi procurati dalla res redhibenda. Il convenuto doveva inoltre risarcire il compratore delle spese sostenute per le cure del servus vitiosus198, nonché delle spese autorizzate dal giudice dopo la contestazione della lite. Non sarebbero state oggetto di rifusione, per contro, le spese per il vitto dato al servo, che sarebbero state compensate dalle opere di questo nei confronti del compratore199. In tal senso, G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 152. Così in D. 21.1.29.2 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Condemnatio autem fit, quanti ea res erit: ergo excedet pretium an non, videamus. et quidem continet condemnatio pretium accessionesque. an et usuras pretii consequatur, quasi quod sua intersit debeat accipere, maxime cum fructus quoque ipse restituat? et placet consecuturum. Sul testo cfr. O. LENEL, Palingenesia, II, cit., col. 893, fr. 1776. Sul punto vedi ancora G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 152. 198 Cfr. D. 21.1.29.3 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Si quid tamen damni sensit vel si quid pro servo impendit, consequetur arbitrio iudicis, sic tamen, non ut ei horum nomine venditor condemnetur, ut ait Iulianus, sed ne alias compellatur hominem venditori restituere, quam si eum indemnem praestet. Sul testo vedi S. RICCOBONO, Dal diritto romano classico al diritto moderno, in AUPA, III-IV (1917), pp. 351 s., ora in Scritti di diritto romano, II, Palermo 1964, pp. 167 s., il quale considerava il testo come interpolato, così come si potrebbe evincere dalle formule ‘tamen’ e ‘sic tamen non’ spesso utilizzate dai compilatori giustinianei, sebbene non alterato nel significato e a tal proposito suggeriva di correggere ‘non ut’ in ‘non ita’. Dello stesso avviso anche R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., p. 82, in part. nt. 1; ed ancora E. NARDI, Studi sulla ritenzione in diritto romano, I, Milano 1947, pp. 400 s., il quale indica come interpolata anche la chiusa. Sul passo vedi anche L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., p. 195, in part. nt. 88. 199 Così in D. 21.1.30.1 (Paul. 1 ad ed. aed. cur.): Quas impensas necessario in curandum servum post litem contestatam emptor fecerit, imputabit: praecedentes impensas nominatim comprehendendas Pedius: sed cibaria servo data non esse imputanda Aristo, nam nec ab ipso exigi, quod in ministerio eius fuit. Sul testo O. LE196 197

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Parimenti non erano suscettibili di rimborso i danni subiti a causa dello schiavo. Tali prestazioni non sarebbero state incluse nella condemnatio ed era data possibilità al compratore di ritenere la res200. La retentio era l’unico mezzo coercitivo di cui disponeva il compratore per ottenere il ristoro dei danni, in quanto l’actio redhibitoria non comprendeva nella sua condemnatio la definizione di simili pretese e queste semmai si sarebbero dovute considerare, come inNEL,

Palingenesia, I, cit., col. 1095, fr. 836. Cfr. inoltre S. RICCOBONO, Dal diritto romano classico al diritto moderno, cit., pp. 353 s. (= in Scritti di diritto romano, II, cit., p. 167), il quale indicava come insiticia la frase ‘praecedentes… comprehendendas’ che fa presumere un’accorciamento del passo nella parte in cui si richiamavano i vari casi di spese necessarie ma ripetibili. Sul passo di Paolo si vedano anche R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., p. 82, in part. nt. 2; L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., p. 195, in part. nt. 89. La lettura del passo deve essere inoltre collegata al contenuto di D. 21.1.27 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.), su cui vedi supra nt. 194. In tal senso, infatti, erano da considerarsi spese necessarie quelle incontrate dall’acquirente per la conservazione del mancipium quando veniva a trovarsi in una situazione anormale e straordinaria rispetto a quanto sarebbe stato speso per la consueta gestione. La dottrina sul punto è concorde nel ritenere estensibile per analogia la regola del comodato sulle spese rimborsabili. A tal proposito rinvio a R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., p. 75; G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 152 s.; L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., p. 194, in part. nt. 86. 200 Vedi D. 21.1.23.8 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Quare sive emptori servus furtum fecerit sive alii cuilibet, ob quod furtum emptor aliquid praestiterit, non aliter hominem venditori restituere iubetur, quam si indemnem eum praestiterit. quid ergo, inquit Iulianus, si noluerit venditor hominem recipere? non esse cogendum ait quicquam praestare, nec amplius quam pretio condemnabitur: et hoc detrimentum sua culpa emptorem passurum, qui cum posset hominem noxae dedere, maluerit litis aestimationem sufferre: et videtur mihi Iuliani sententia humanior esse (su cui cfr. O. LENEL, Palingenesia, II, cit., col. 892, fr. 1771); e D. 21.1.31 pr. (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Quodsi nolit venditor hominem recipere, non in maiorem summam, inquit, quam in pretium ei condemnandum. ob haec ergo, quae propter servum damna sensit, solam dabimus ei corporis retentionem: ceterum poterit evitare praestationem venditor, si nolit hominem recipere, quo facto pretii praestationem eorumque quae pretium sequuntur solam non evitabit (su cui cfr. O. LENEL, Palingenesia, II, cit., col. 893, fr. 1776). Sul punto rinvio alle considerazioni di L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., pp. 195 s.

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dicava il Riccobono201, in relazione al portato dell’aequitas. Diversamente il Nardi202 ritiene che l’impossibilità della condanna per i danni, a differenza di quanto era previsto per il prezzo e le accessioni, fosse così prevista solo nel diritto giustinianeo, mentre nel diritto classico la condemnatio avrebbe compreso i danni recati dal servus e le spese203. Non condivide questa opinione L. Manna che sostiene la classicità dell’operatività della ritenzione e la sua applicabilità «non solo nella vendita dei mancipia e nella redhibitio, ma in tutti quei casi in cui un soggetto, detentore o possessore che fosse, dovesse servirsi di un mezzo di coazione per ottenere l’indennizzo delle spese necessarie sostenute»204. 9.2. Rilievi della dottrina sulla classicità dell’actio aestimatoria L’actio aestimatoria, detta anche quanti minoris, era concepita per ottenere quanto fosse stato pagato in più dal compratore, a causa dell’indotta valutazione che la cosa fosse esente da vizi, in ragione di un ingiustificato profitto del venditore205.

Cfr. S. RICCOBONO, Dal diritto romano classico al diritto moderno, cit., p. 354 (= in Scritti di diritto romano, II, cit., p. 168). 202 Cfr. E. NARDI, Studi sulla ritenzione in diritto romano, cit., pp. 400 s. 203 Sulla scorta di D. 21.1.23.8 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Quare sive emptori servus furtum fecerit sive alii cuilibet, ob quod furtum emptor aliquid praestiterit, non aliter hominem venditori restituere iubetur, quam si indemnem eum praestiterit. quid ergo, inquit Iulianus, si noluerit venditor hominem recipere? non esse cogendum ait quicquam praestare, nec amplius quam pretio condemnabitur: et hoc detrimentum sua culpa emptorem passurum, qui cum posset hominem noxae dedere, maluerit litis aestimationem sufferre: et videtur mihi Iuliani sententia humanior esse. E ancora cfr. D. 21.1.31 pr. (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Quodsi nolit venditor hominem recipere, non in maiorem summam, inquit, quam in pretium ei condemnandum. ob haec ergo, quae propter servum damna sensit, solam dabimus ei corporis retentionem: ceterum poterit evitare praestationem venditor, si nolit hominem recipere, quo facto pretii praestationem eorumque quae pretium sequuntur solam non evitabit. 204 Così L. MANNA, Actio redhibitoria e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto De mancipiis vendundis, cit., pp. 196 s. 205 Sul punto vedi G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., pp. 194 ss.; ID., Edictum aedilium curulium, cit., 79 s.; R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., pp. 170 ss. 201

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Nelle fonti il riferimento più importante a questa azione si ritrova nell’edictum de iumentis vendundis, dove espressamente gli edili curuli promettevano, accanto all’azione redibitoria, un’azione quo minoris propter vitium, esperibile entro un anno – da considerarsi dodici mesi utili – dalla vendita206: D. 21.1.38 pr. (Ulp. 2 ad ed. aed. cur.): Aediles aiunt: “qui iumenta vendunt, palam recte dicunto, quid in quoque eorum morbi vitiique sit, utique optime ornata vendendi causa fuerint, ita emptoribus tradentur. si quid ita factum non erit, de ornamentis restituendis iumentisve ornamentorum nomine redhibendis in diebus sexaginta, morbi autem vitiive causa inemptis faciendis in sex mensibus, vel quo minoris cum venirent fuerint, in anno iudicium dabimus. si iumenta paria simul venierint et alterum in ea causa fuerit, ut redhiberi debeat, iudicium dabimus, quo utrumque redhibeatur”207.

La medesima azione era altresì applicata alla compravendita di mancipia, sempre accanto all’azione redibitoria, senza tuttavia essere stata inserita o menzionata nel testo edittale riportato in D. 21.1.1.1. L’incertezza sull’origine e l’introduzione della quanti minoris nel contesto delle vendite di schiavi, quest’ultima avvenuta quasi di riflesso rispetto alle vendite di iumenta, ha portato autorevoli esponenti della dottrina ad elaborare alcune interessanti teorie, delle quali darò conto qui di seguito. Secondo il Karlowa208 alla base della concessione dell’azione in esame vi sarebbe stata la distinzione tra morbus e vitium, dalla quale sarebbe poi dipesa l’applicabilità dell’una o dell’altra azione accordate dagli edili curuli. Partendo dall’assunto che, insito nella locuA tal proposito cfr. G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 194. Sul passo cfr. G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., pp. 75 ss.; É. JAKAB, Praedicere und cavere, cit., 139 s.; EAD., Cavere und Haftung für Sachmängel. Zehn Argumente gegen Berthold Kupisch, in É. JAKAB-W. ERNST (a cura di), Kaufen nach Römischem Recht, Berlin 2008, pp. 134 s.; D. GÖTTLICHER, Auf der Suche nach dem gerechten Preis: Vertragsgerechtigkeit und humanitas als Daueraufgabe des römischen Rechts, Göttingen 2004, p. 88; U. KORTH, Minderung beim Kauf, Tübingen 2010, pp. 25 s. 208 Cfr. O. KARLOWA, Römische Rechtgeschichte, II, Leipzig 1901, pp. 1291 s. 206

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zione ‘morbus vitiumve’ fosse configurabile un rapporto di species a genus – con la conseguenza che lo schiavo affetto da morbo sarebbe stato necessariamente vizioso, anche se non era forzatamente valevole il contrario –, l’A. riteneva che il morbus avrebbe legittimato sia l’azione redibitoria e sia l’azione estimatoria, mentre il vitium, che non fosse stato al contempo morbus, avrebbe reso possibile solo quest’ultima. Tuttavia, col tempo, venuta meno la distinzione sostanziale tra morbus e vitium, l’esperibilità di entrambe le azioni non sarebbe stata ricollegabile all’una o all’altra ipotesi; tanto più che lo stesso Ulpiano, come visto in precedenza, considerava questa endiadi una tautologia voluta appositamente dai magistrati edili per evitare qualsiasi dubbio o incertezza interpretativi209. Dal canto suo il Bechmann, considerando che l’unico testo edittale che prevedesse l’azione estimatoria fosse quello de iumentis vendundis, riteneva che questa azione fosse stata introdotta dagli edili per le vendite di iumenta e solo successivamente fosse stata applicata, per analogia, dalla giurisprudenza alle vendite di schiavi210. Questa teoria potrebbe avere, come notava l’Impallomeni, una confutazione con riguardo alle fonti più risalenti, le quali sembrerebbero ignorare sia la quanti minoris, sia ogni riferimento all’editto sulla vendita di giumenti211. L’introduzione in quest’ultimo editto dell’azione estimatoria sicuramente presupponeva una certa esperienza da parte degli edili curuli e una consolidata prassi, maturate attraverso la concessione dei rimedi di tutela nelle vendite dei servi. A tal proposito, l’Impallomeni considerava come già emanata, al più tardi, al tempo di Labeone la rubrica sull’azione estimatoria, basandosi sul fatto che il giurista parrebbe considerare questa azione, esperibile propter vi-

La tesi del Karlowa è stata criticata da G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 195. Secondo l’A., la tesi dello studioso tedesco sarebbe veramente ingegnosa, ma tutt’altro che provata: nelle fonti romane non sarebbero rintracciabili quei motivi, ipotizzati dal Karlowa, «che avrebbero spinto gli edili a distinguere, quanto agli effetti giuridici, tra morbus e vitium». 210 A. BECHMANN, Der Kauf nach gemeinem Recht, I, rist. Aalen 1969, pp. 410 ss. 211 Cfr. G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 195. 209

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tia servorum, come entrata nell’uso normale e non più «concessa di volta in volta, a discrezione del magistrato»212. In questo senso, accogliendo parzialmente la teoria del Pringsheim213, l’A. sosteneva che l’actio aestimatoria fosse frutto di una trasformazione della redibitoria214. Tesi del tutto dissonante è quella del Monier215, seguita dallo Schulz216, il quale considerava l’azione estimatoria una creazione del diritto giustinianeo e ne metteva per la prima volta in discussione il carattere classico217. In primo luogo, l’autore adduceva a conforto del suo assunto l’assenza nelle fonti classiche di qualsivoglia riferimento all’azione in esame, dove in realtà occupava uno spazio esclusivo l’azione redibitoria218. Un motivo di ordine sostanziale

Cfr. G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., pp. 200 s.: «La rubrica dell’editto de mancipiis relativa all’aestimatoria fu dunque promulgata al più tardi all’epoca di Labeone, ma è possibile, naturalmente, che la sua emanazione fosse avvenuta alcun tempo prima»; il giurista proculiano, infatti, sembra considerare la quanti minoris come usuale nell’ambito della vendita di mancipia, stando a quanto affermato nell’opinione riportata in D. 21.1.47 pr. (Paul. 11 ad Sab.): Si hominem emptum manumisisti, et redhibitoriam et quanti minoris denegandam tibi Labeo ait, sicut duplae actio periret: ergo et quod adversus dictum promissumve sit, actio peribit. A questa supposizione non sarebbe di ostacolo, secondo l’autore, la circostanza che Cicerone, in de off. 3.23.91, non citi tale azione ma soltanto la redibitoria. 213 F. PRINGSHEIM, Das Alter der aedilizischen actio quanti minoris, in ZSS, LXIX (1952), pp. 246 ss. e passim. 214 G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., pp. 196 ss., in part. p. 197. 215 Cfr. R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., pp. 170 ss. 216 F. SCHULZ, Classical Roman Law, Oxford 1954, pp. 537 s. 217 Vedi R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., p. 170: «Personne, jusq’ici, a notre connaissance, n’a contesté le caractère classique de l’action quanti minoris ou aestimatoria. Cependant, nous croyons pouvoir démontrer, à l’aide d’un faisceau de preuves et de présomptions, que cette action est une création de l’époque byzantine: chacun des arguments que nous fournirons à l’appui de notre opinion, ne sera peut-être pas à lui seul décisif, mais nous croyons que l’ensemble se dégage la certitude que les juriconsultes classiques n’ont pas connu l’action quanti minoris». Sul punto cfr. anche G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 196, pp. 211 ss. 218 Le fonti considerate da R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., pp. 170 ss., a sostegno della sua teoria sono: a) Cic., de off. 3.23.91: […] In mancipio vendundo dicendane vitia, non ea, quae nisi dixeris, 212

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che giustificasse questa esclusione era dovuto, secondo il Monier, al fatto che nell’epoca classica, in caso di inesatte dichiarazioni relative al peculium e alle qualità dello schiavo, si sarebbe accordata, accanto alla redibitoria, l’actio empti, che avrebbe avuto «le rôle que l’on attribue généralement à la pretendue action édilicienne quanti minoris, puisque son exercice aboutit à une réduction du prix de vente»219. Tuttavia, i compilatori avrebbero voluto estendere la portata di questa azione attraverso la concessione dell’actio aestimatoria (quanto minoris), applicabile a tutti i casi in cui la cosa venduta fosse affetta da un vizio non dichiarato220. Di fatto l’A. attribuiva alla mano dei commissari di Triboniano i testi, contenuti nei Digesta, concernenti tale azione221.

redhibeatur mancipium iure civili, sed haec, mendacem esse, aleatorem, furacem, ebriosum. Alteri dicenda videntur, alteri non videntur. Qui l’oratore sembrerebbe riconoscere solo l’azione redibitoria come unica sanzione per il difetto di dichiarazione dei vizi rientranti nella tutela edilizia; b) Paul., rec. sent., 2.17 e 5.11; c) Tanta, 5: […] Alio libro eodem inserto volumine, quae aedilicium edictum et redhibitoriam actionem et duplae stipulationem, quae de evictionibus proposita est, continet […]. A tal proposito cfr. anche G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., pp. 211 ss., in part. p. 213. Quest’ultimo confutava quanto detto a sostegno della tesi sulla natura compilatoria della a. quanti minoris in relazione agli argomenti formali. Innanzitutto, l’A. osservava che Cicerone citava l’azione redibitoria al solo scopo di distinguere i vizi rilevanti da quelli non rilevanti agli effetti edilizi, considerando superflua la necessità che l’oratore dovesse alludere alla aestimatoria. Ugualmente l’omissione nella costituzione Tanta, 5, di qualsiasi riferimento all’actio quanti minoris non depone a sostegno della teoria del Monier. 219 Così R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., p. 171. L’A. analizza il frammento di Paul., rec. sent. 2.17.5-6: Redhibitio vitiosi mancipii intra sex menses fieri potest propter latens vitium. 6. Si ut servum quis pluris venderet, de artificio eius vel de peculio mentitus est, actione ex empto conventus quanto minoris valuisset emptori praestare compellitur, nisi paratus sit eum redhibere; considerando che «en tout cas, du moment où Paul connaît une action ex empto au «quanti minoris», et ne cite que celle-ci, il paraît bien difficile de croire qu’il ait existé aussi à l’époque classique, une action quanti minoris édilicienne». 220 In questa direzione è la deduzione di R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., p. 171 e passim. Sul punto vedi anche G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., p. 211. 221 A tal proposito vedi R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, cit., pp. 172 ss. Sul punto cfr. anche G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli, cit., pp. 215 ss.

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Ritengo che, al contrario di quanto affermato dal Monier, l’actio aestimatoria sia stata introdotta in età classica222. A conferma di questo mio assunto rilevano alcune fonti, i cui dati testuali potrebbero contrastare la teoria del Monier. I passi di riferimento, che confermerebbero la classicità dell’azione, si riferiscono a periodi storici differenti. Il primo, un testo delle Notti Attiche di Aulo Gellio (4.2.5), già citato in precedenza223, in cui l’erudito, nel riportare il pensiero di Celio Sabino in materia dei rapporti tra morbus e vitium, così scrive: Gell., noct. att. 4.2.5: “Balbus autem” inquit “et atypus vitiosi magis quam morbosi sunt, et equus mordax aut calcitro vitiosus, non morbosus est. Sed cui morbus est, idem etiam vitiosus est. Neque id tamen contra fit; potest enim qui vitiosus est non morbosus esse. Quamobrem, cum de homine morboso agetur, aeque” inquit “ita dicetur: ‘quanto ob id vitium minoris erit’”.

In questo contesto, rileva l’inciso finale in cui si legge Quamobrem, cum de homine morboso agetur, aeque” inquit “ita dicetur: “quanto ob id vitium minoris erit”, in cui emerge il riferimento ad un contesto di giudizio, dove si richiede, evidentemente, il calcolo del valore di diminizione del servus per la presenza del vizio. L’espressione “quanto ob id vitium minoris erit”, a mio avviso alluderebbe alla possibilità di ottenere l’aestimatio del vizio mediante un’azione che poteva coincidere solo con l’actio aestimatoria, che, come noto, comportava la riduzione del prezzo a causa della presenza del vitium servi. Inoltre, da questa fonte scaturisce anche un importante dato temporale, poiché il testo di Gellio confermerebbe l’uso corrente dell’azione estimatoria nel I sec. d.C., durante il principato di Adriano e di Antonino Pio. Tale testimonianza indurrebbe, inoltre, ad prospettare una datazione dell’azione anteriormente al

Sul punto, vedi le osservazioni pienamente condivisibili di N. DONADIO, Azioni edilizie, cit., pp. 518 ss. 223 Vedi supra, p. 42, nt. 66. 222

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I sec. d.C., coincidente con il periodo della tarda repubblica, come già sostenuto di recente da N. Donadio224. L’attestazione dell’uso nel 239 d.C. dell’actio aestimatoria viene poi confermata in una Costituzione di Gordiano riportata in C. 4.58.2225. Infine, per concludere, come rilevato di recente da F. Oliviero, si può affermare che la classicità dell’azione potrebbe essere ulteriormente dimostrata dal fatto che nelle fonti, in più luoghi, l’azione viene citata con doppia denominazione mediante l’impiego dell’inciso id est quanti minoris, susseguente alla denominazione, probabilmente successiva di aestimatoria, poiché implicava che si procedesse all’aestimatio del vizio226. L’azione estimatoria, creata in epoca classica dagli edili curuli, rappresenterà, quindi, l’ulteriore strumento processuale che consentirà ai compratori di agire contro l’arricchimento della parte venditrice, consentendo così di realizzare un riequilibrio delle posizioni ascrivibili ai contraenti del contratto di compravendita.

Cfr. N. DONADIO, Azioni edilizie, cit., pp. 518 ss. C. 4.58.2 Imp. Gordianus A. Petilio Maximo. Cum proponas servum, quem pridem comparasti, post anni tempus fugisse, qua ratione eo nomine cum venditore eiusdem congredi quaeras, non possum animadvertere: etenim redhibitoriam actionem sex mensum temporibus vel quanto minoris anno concludi manifesti iuris est. PP. K. Dec. Gordiano A. et Aviola conss [a. 239]. Su cui vedi J. HALLEBEEK, C. 4.58.2 and the Civil Remedy for Price Reduction two ways of reading the Corpus Iuris Civili, in RIDA, LV (2008), pp. 267-281, il quale rileva che «his seems to be in conformity also with what is written in the Digest-title on the aedilician actions (see Ulp., D. 21.1.19.6 and Ulp., D. 21.1.38pr.)». 226 Cfr. F. OLIVIERO, La riduzione del prezzo, cit., pp. 16 s. A parere dell’A. risulterebbe assai improbabile che i compilatori dopo aver inventato l’azione, avessero anche previsto una seconda denominazione. 224

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CAPITOLO II

REGOLAMENTAZIONE GIURIDICA DELLA SCHIAVITÙ NELLE ORDENAÇÕES DO REINO DE PORTUGAL

SOMMARIO: 1. Premessa: la valenza giuridica delle Ordenações do Reino de Portugal – 2. Le Ordenações Afonsinas. – 3. Le Ordenações Manuelinas

1. Premessa: la valenza giuridica delle Ordenações do Reino de Portugal Al fine di comprendere in pieno l’influenza del diritto romano rispetto alla legislazione in tema di vizi occulti nella compravendita del diritto brasiliano, sarà bene ricostruire, seppur brevemente, il percorso storico-giuridico che dall’antica Roma porterà a concepire le prime codificazioni lusitane su base romanistica, le cui regole, come noto, saranno poi applicate nei territori brasiliani conquistati dal Regno del Portogallo producendo, conseguentemente, l’effetto di trasmettere i principi cardine del diritto e, per l’ambito che investe questo contesto di studi, anche le regole giuridiche in tema di compravendita di schiavi e di garanzia per i vizi occulti. Pertanto, in questo capitolo prenderò in considerazione la legislazione lusitana su base romanistica delle Ordenações Afonsinas, risalenti al 1446, e delle Ordenações Manuelinas, promulgate nel 1514, riservando la trattazione delle Ordenações Filipinas, susseguenti in ordine temporale di emanazione, rispetto alle altre due sopra menzionate, nel prossimo capitolo, proprio perché considerate legislazione vigente sia nella colonia portoghese del Brasile, e sia successivamente nell’Impero Brasiliano, a seguito della conquistata indipendenza dal Portogallo dei vasti territori brasiliani.

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CAPITOLO II

La storia giuridica della schiavitù sarà l’ulteriore filo conduttore sotteso all’esposizione di questo capitolo, proprio perché il fenomeno del commercio degli schiavi fu ampiamente incrementato e regolamentato dai Lusitani, in quanto la manodopera servile stava alla base dell’organizzazione economica dell’Impero Portoghese che fu «immenso, diverso in molti aspetti dagli altri formati dalle potenze colonizzatrici rivali. Il dominio portoghese era, infatti, basato sul mare più che sulla terra. Un sistema puntiforme di colonie che risultavano quasi sospese tra continente e oceano, piccoli avamposti situati spesso sulla costa delle regioni scoperte, circondati tutto attorno da terre inospitali e selvagge delle quali poco si conosceva e poco si era interessati a conoscere. Per i colonizzatori portoghesi contava la posizione delle feitorias che venivano fondate, il volume di traffici commerciali che un determinato possedimento poteva garantire»1. Più precisamente, proprio grazie all’impulso delle esplorazioni di nuovi territori, dal XV secolo e fino tutto il XVII secolo, si verificò anche una trasformazione a livello sociale, politico ed economico che comportò a livello politico-istituzionale il passaggio da una monarchia di matrice medievale ad un impero vastissimo, che lambiva i territori d’oltremare nelle aree continentali fino a quel momento note. Il suddetto mutamento si riverberò anche nei confronti della concezione lusitana della schiavitù, istituto che prima dell’espansione coloniale, nella cornice di un sistema monarchico di modello tardo medievale, aveva assunto le caratteristiche di una schiavitù collegata soprattutto alle questioni religiose2. In questo contesto, infatti, la principale fonte di schiavitù era rappresentata dalla cattu-

G. PATISSO, Dal Codice afonsino al Codice filippino. Schiavismo e società nel mondo lusitano tra XV e XVII secolo, in Itinerari di Ricerca Storica, XXXIII (2019), p. 143. 2 Cfr. G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., pp. 143 ss. Ma vedi anche C. VERLINDEN, L’esclavage dans l’Europe médiévale, Tome I. Péninsule Ibérique-France, Bruges 1955, pp. 615 ss. Sul tema, fra i più recenti, rinvio a A. STELLA, Histoires d’esclaves dans la péninsule ibérique, Paris 2000. 1

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ra dei ‘non cristiani’3 durante le guerre giuste4 condotte contro gli infedeli o le lotte di religione che incombevano in quel momento storico a seguito dell’espansione araba nella penisola Iberica, tanto è vero che, significativamente, per indicare gli schiavi nella lingua e nella legislazione corrente si utilizzava il termine mouros in luogo di escravos5. I mouros ridotti in schiavitù venivano impiegati principalmente come manodopera nelle attività lavorative, anche se spesso la loro cattura aveva una mera funzione di scambio con i cristiani prigionieri dei musulmani6. Siffatti cambiamenti, legati anche alle nuove scoperte geografiche e al consolidamento del impero coloniale ‘ultramarino’ portoghese, portarono poi all’attestarsi di una nuova concezione della schiavitù denominata dagli storici ‘schiavitù capitalistica’7, poiché 3 Cfr. G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., pp. 143 ss. Vale la pena ricordare che nel 1452, con la bolla Cum Diversas, papa Niccolò V autorizzò il sovrano Alfonso V a condurre una guerra senza limiti di tempo contro gli infedeli, approvando conseguentemente il loro asservimento. 4 Per la nozione di guerra giusta, che trova i suoi fondamenti nel diritto romano, rinvio, anche per la letteratura ivi citata e per la ricognizione dei principali studi sul tema, a R. ORTU, Schiavi e mercanti di schiavi in Roma antica, Torino 2012, pp. 1 ss. Per una ricognizione del concetto di guerra giusta in età medievale, rinvio a A.A. CASSI, Diritto e guerra nell’esperienza giuridica europea tra medioevo ed età contemporanea, in AA.VV., Il diritto come forza. La forza del diritto. Le fonti in azione nel diritto europeo tra medioevo ed età contemporanea, cit., pp. 7-32. 5 Sul punto vedi Cfr. G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., pp. 143. Ma vedi anche S.H. LARA, Do mouro cativo ao escravo negro: continuidade ou ruptura, in Anais do Museu Paulista, XXX (1981), pp. 375-398; F. CARBONI, M. MAESTRI, A linguagem escravizada: Língua, história, poder e luta de classes, São Paulo 2003; M. MAESTRI, Zurara: A Crônica da Guiné e os Primórdios do Racismo Anti-Negro, in C. PEREIRAN. VIANA (a cura di), Capitalismo e Questão Racial, Rio de Janeiro 2011, pp. 33-53. 6 Cfr. G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., pp. 143 ss. Si veda anche S.H. LARA, Do mouro cativo, cit., pp. 375 ss. 7 B.L. SOLOW, Capitalism and Slavery in the Exceedingly Long Run, in The Journal of Interdisciplinary History, XVII (1987) p. 4 e pp. 711-737; J. INIKORI, Slaves or Serfs? A Comparative Study of Slavery and Serfdom in Europe and Africa, in I. OKPEWHO-C. BOYCE DAVIES-A. AL AMIN MAZRUI (a cura di), The African Diaspora: African Origins and New World Identities, Bloomington-Indianapolis 2001, pp. 49-75; W. PHILLIPS, Slavery in the Atlantic Islands and the Early Modern Spanish Atlantic World, in D. ELTIS-S. ENGERMAN (a cura di), The Cambridge

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fondata sullo sfruttamento della manodopera servile nelle immense piantagioni di canna da zucchero, che successivamente alla creazione delle feitorias8, erano sorte nei territori coloniali come quelli brasiliani, in cui gli escravos, ormai non più mouros, venivano addirittura denominati delle trattative commerciali come “peças”9, ovvero “pezzi” o “unità” da vendere o scambiare, dimostrando così una totale reificazione della figura dello schiavo anche a livello terminologico. Nel corso della seconda metà del XV sec., infatti, aumentò in maniera esponenziale l’importazione degli schiavi dal continente africano verso le colonie portoghesi, anche perché nei territori colonizzati dai lusitani gli índios ridotti in schiavitù non rispondevano pienamente alle esigenze di un’organizzazione del lavoro, basata su coltivazioni intensive di canna da zucchero, ed inoltre, a seguito delle malattie importate dall’occidente, erano soggetti ad un’alta mortalità. «Ben presto, infatti, la riduzione in schiavitù degli africani avrebbe perso il suo valore di “missione cristiana”10 ed avrebbe assunto una dimensione più “commerciale” e capitalistica»11. Tale concezione troverà una sua corrispondenza nelle codificazioni Afonsina e Manuelina, le quali verranno emanate per dare World History of Slavery, vol. III, Cambridge 2011, pp. 325-349. Da ultimo vedi G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., pp. 143 ss. 8 Come sostenuto da G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., p. 147, erano dei «veri e propri avamposti di scambio, che utilizzavano come appoggio per commerciare con le popolazioni locali, dalle quali si acquistavano sia pregiate merci (oro, avorio, rame, tessuto, cera) che schiavi». 9 Cfr. G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., p. 153. Da ultima, L. DE MADDALENA, Vitia corporis et animi. Tracce delle azioni edilizie romane nelle Ordenações Filipinas, in Roma e America. Diritto romano comune, XL (2019), p. 242. 10 Cfr. V.M. RODRÍGUEZ-M.E. PERFETTI HOLZHÄUSER, Vida cristiana del negro esclavo y su descendencia en las legislaciones hispánica y lusitana de los siglos XVI y XVII (Estudio comparativo), in Anales de la Universidad Metropolitana, 1XV.1 (2015), pp. 175-194. Ma vedi anche G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., p. 149, il quale rileva inoltre che, con la bolla Romanus Pontifex del 1454, Niccolò V «auspicò che tutti i popoli che si trovavano tra il Marocco e le Indie dovessero essere soggiogati e cristianizzati». 11 G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., p. 149.

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risposte concrete sul piano del diritto anche ad un fenomeno così rilevante come quello della schiavitù, e che saranno stilate sulla base dei principi romanistici della codificazione giustinianea, grazie anche alla formazione di tanti giuristi lusitani nella Scuola giuridica di Bologna12. Le Ordenações Afonsinas e Manuelinas, emanate rispettivamente nel 1446/47 e nel 1514, che rappresentano fondamentalmente uno strumento organico e sistematico a livello normativo, si collocano nell’ampio periodo, tra il 1248 e il 1750, denominato dal Da Silva13 come periodo di influenza del diritto comune, in cui il diritto romano veniva applicato nei territori della Lusitania in funzione sussidiaria, come diritto vigente14. A riprova di ciò, vale la pena notare che sia nel Codice afonsino e sia in quello manuelino, strettamente collegati tra loro per contenuti e struttura, appare una gerarchia delle fonti del diritto, successivamente confermata anche nel Codice Filippino15, in cui il direito nacional, che si componeva della Lei do Reino, dagli estilos da Corte e dal costume antigamente usado, si collocava in una posizione di superiorità assoluta rispetto alle altre fonti del diritto, a cui seguivano in funzione sussidiaria, per tutti i casi di vuoto normativo, il diritto romano, indicato con l’espressione Leys Imperiaes, il diritto canonico (Santos Cânones), i commentari di Accursio e in subordi-

I.M. POVEDA VELASCO, Ordenações do reino de Portugal, in Revista da Faculdade de Direito, LXXXIV.5 (1994), p. 20; L.F. CORRÊA, L’influence du droit romain sur le régime de l’esclavage au Portugal et au Brésil, in Revue internationale des droits de l’antiquité, LIII (2006), pp. 179-197. Da ultima sul tema, L. DE MADDALENA, Vitia corporis, cit., p. 243. 13 N.J. ESPINOSA GOMES DA SILVA, História do Direito português, Lisboa 2006, pp. 299 ss. 14 Sul diritto sussidiario nelle Ordenações do Reino de Portugal, si veda tra tutti L. BENETTI TIMM, O direito subsidiario nas ordenações portuguesas medievais, in Direito e Democracia, VII.2 (2006), pp. 397 ss. Ma vedi anche, G. BRAGA DA CRUZ, O direito subsidiário na história do direito português, in Revista Portuguesa de História, XIV (1975), pp. 177 ss.; I.M. POVEDA VELASCO, Ordenações, cit., pp. 19 ss.; N.J. ESPINOSA GOMES DA SILVA, História, cit., pp. 312 ss. 15 Per la gerarchia delle fonti del diritto nelle Ordenações Filipinas vedi il Livro III, Título LXIV. 12

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ne quelli di Bartolo, ed infine, se la lacuna avesse continuato a persistere, la communis opinio doctorum16.

2. Le Ordenações Afonsinas Le Ordenações Afonsinas, come già anticipato nella premessa, furono completate, dopo un lungo periodo di gestazione17, e promulgate per volontà del Re Alfonso V (1438-1481), probabilmente tra la fine del 1446 e l’inizio del 144718. Gli storici del diritto sono concordi nell’affermare che tale progetto di codificazione debba ascriversi all’opera di eminenti giuristi lusitani, i quali avevano compiuto i loro studi presso la Scuola giuridica di Bologna, e sembrerebbe che fra questi vi fosse anche il Maestro João das Regras, il quale durante la sua formazione bolognese seguì le lezioni di Bartolo da Sassoferrato19. Il contributo di João das Regras fu sicuramente determinante per la stesura dei testi di codificazione del diritto portoghese, anche se, a causa della morte del giurista, il lavoro fu portato avanti dai suoi allievi, i quali completarono l’elaborazione delle Ordenações durante il regno del Re Alfonso V20. Le Ordenações furono elaborate con l’obiettivo precipuo di dare da un lato un ordine sistematico al diritto vigente nei territori por-

Si veda il Livro II, Título IX delle Ordenações Afonsinas e il Livro II, Título V delle Ordenações Manuelinas. 17 Vedi I.M. POVEDA VELASCO, Ordenações, cit., p. 17 ss. Sul punto si veda anche la trattazione più recente e di ampio respiro di N.J. ESPINOSA GOMES DA SILVA, História, cit., pp. 307 ss.; e di L.F. CORRÊA, L’influence, cit., pp. 188 ss. 18 Sulla questione, vedi in particolare I.M. POVEDA VELASCO, Ordenações, cit., p. 17 ss.; A.M. HESPANHA, Direito Luso-brasileiro no Antigo Regime, Florianópolis 2005; N.J. ESPINOSA GOMES DA SILVA, História, cit., pp. 307 ss.; L.F. CORRÊA, L’influence, cit., pp. 188 ss.; M.A.D. PAES, O tratamento jurídico dos escravos nas Ordenações Manuelinas e Filipinas, in R.M. FONSECA-L.F. LOPES PEREIRA-I. FURMANN (a cura di), Anais do V Congresso Brasileiro de História do Direito, Curitiba 2013, pp. 523-535; G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., p. 146. 19 Cfr. L.F. CORRÊA, L’influence, cit., pp. 188 ss. 20 Ibidem. 16

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toghesi, e dall’altro di realizzare il consolidamento di un corpus di norme proprie del nuovo stato nazionale lusitano21. Si trattava di una compilazione su base romanistica che racchiudeva anche regolamenti medievali (tanto municipali, quanto canonici), ed era fortemente ispirata anche all’antico Codice castigliano alle Siete Partidas22, promulgato durante il regno di Alfonso X il Savio23. Le Ordenações si componevano di cinque libri, suddivisi in titoli, a loro volta ripartiti in paragrafi24. La disposizione delle materie seguiva il seguente ordine sistematico: nel I libro erano incluse le norme da administração e da justiça; nel II libro vi era la trattazione della «relação entre Estado e Igreja, dos bens e privilégios da igreja, dos direitos régios e sua cobrança, da jurisdição dos donatários, das prerrogativas da nobreza e legislação “especial” para judeus e mouros»25; nel III libro erano racchiuse le norme do processo civil; nel IV libro era contenuta principalmente la disciplina do direito civil ed infine nel V libro erano stati inseriti i principi normativi do direito penal. La codificazione afonsina racchiudeva anche le norme in tema di schiavitù in cui si ribadivano i principi basilari di questa istituzione, come il completo assoggettamento dello schiavo alla volontà del dominus.

Cfr. N.J. ESPINOSA GOMES DA SILVA, História, cit., pp. 312 ss.; G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., p. 146. 22 Vedi N.J. ESPINOSA GOMES DA SILVA, História, cit., pp. 312 ss.; M. CAETANO, História do Direito Português (1140-1495), Lisboa 1981. 23 Sul punto rinvio alle considerazioni di L.F. CORRÊA, L’influence, cit., pp. 188 ss.; N.J. ESPINOSA GOMES DA SILVA, História, cit., pp. 312 ss.; J. MONTEIRO, Prisoners of War in Portugal, 1350-1450, in e-Strategica, I (2017), pp. 255-268; G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., p. 146. 24 Per la struttura del codice afonsino, rinvio in particolare a I.M. POVEDA VELASCO, Ordenações, cit., p. 18. 25 C.J. COSTA-A. MAZOTI CRUBELATI-A.BARBOSA LEMES-G. A. MONTAGNOLI, História do Direito Português no período das Ordenações Reais, in Atti del Congreso Internacional de História, 2011, p. 2191, consultabile on-line [http://www.cih.uem. br/anais/2011/trabalhos/153.pdf]. 21

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Sulla base della concezione riscontrabile nella Lettera agli Efesini (6.5-9)26 di San Paolo27, il codice afonsino prescriveva che lo schiavo dovesse attenersi e obbedire alla volontà del proprio padrone. Vi erano contenuti principi di carattere generale che imponevano al padrone delle limitazioni nell’esercizio del proprio dominio sullo schiavo. Infatti il dominus non poteva costringere gli schiavi a commettere azioni illegittime, così come si imponeva in alcuni articoli una diffida dall’abusare, in qualsiasi maniera, del proprio schiavo28. Sulla scorta anche dei contenuti delle Siete Partidas, emergeva una sorta di sensibilità nei confronti del trattamento degli schiavi da parte del legislatore lusitano, il quale forgiò una regolamentazione dell’istituto giuridico della schiavitù in cui emergeva «una certa umanità»29. La schiavitù disciplinata nel codice afonsino era, pertanto, un’istituzione ancora fortemente pervasa da concezioni giuridiche medievali, che veniva mostrata come un fenomeno intrinsecamente associato alle lotte di religione30. Anche a livello di terminologia il servus viene denominato mouro per indicarne non tanto il colore della pelle, ma per sottolineare San Paolo, Lettera agli Efesini, 6.5-9: 5. Schiavi, obbedite ai vostri padroni secondo la carne con timore e tremore, con semplicità di spirito, come a Cristo, 6. e non servendo per essere visti, come per piacere agli uomini, ma come servi di Cristo, compiendo la volontà di Dio di cuore, 7. prestando servizio di buona voglia come al Signore e non come a uomini. 8. Voi sapete infatti che ciascuno, sia schiavo sia libero, riceverà dal Signore secondo quello che avrà fatto di bene. 9. Anche voi, padroni, comportatevi allo stesso modo verso di loro, mettendo da parte le minacce, sapendo che per loro come per voi c’è un solo Signore nel cielo, e che non v’è preferenza di persone presso di lui. [tr. it. di A. MARTIN, Lettera agli Efesini. Introduzione, traduzione e commento, Cinisello Balsamo 2011]. 27 Per una bibliografia minima di approfondimento su Paolo di Tarso, rinvio a L. GAROFALO, San Paolo. Esule e martire per volontà imperiale, Milano 2019, pp. 134 ss. Sul processo a Paolo di Tarso, vedi A.M. MANDAS, Il processo contro Paolo di Tarso. Una lettura giuridica degli Atti degli Apostoli (21.27-28.3199), con prefazione di G. RINALDI, Napoli 2017. 28 G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., pp. 146 ss. 29 Cfr. G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., pp. 146 ss. 30 Non è un caso che tutte le norme che regolavano la vita degli assoggettati si trovassero nella sezione del Codice afonsino dedicata alle istituzioni ecclesiastiche. Sul punto vedi I.M. POVEDA VELASCO, Ordenações, cit., p. 18. Da ultimo, vedi G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., pp. 146 ss. 26

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l’appartenenza ad un credo religioso differente dal cristianesimo. L’aspetto più interessante si riscontra nella prevalenza dell’idea che coloro i quali venivano catturati e assoggettati durante le guerre di religione godevano comunque di un rispetto in quanto essere umani, sebbene professassero un’altra religione rispetto al cristianesimo e fossero di altra etnia31. Le Ordenações Afonsinas contemplavano anche la possibilità di riacquistare lo status libertatis, sempre a seguito di atti di disposizione e rinuncia da parte del dominus del diritto di proprietà sullo schiavo. Anche da una prima lettura del codice afonsino appare chiaro che non vi fosse alcuna traccia di disposizioni inerenti alla vendita degli schiavi e alla garanzia per i vizi occulti che nel diritto romano trovava la propria fonte nell’editto degli edili curuli. Tale assenza di normazione specifica, a mio avviso, può essere giustificata dal fatto che nel momento storico in cui furono emanate le Ordenações, il traffico commerciale degli schiavi africani verso le colonie portoghesi era solo agli albori, e quindi non rappresentava un fenomeno rilevante da disciplinare. Come ribadito più volte in questo contesto, la legislazione afonsina rappresenta una regolamentazione di stampo tardo medievale, in cui il fenomeno della schiavitù assume rilevanza solo ed esclusivante in rapporto alle lotte religiose e alla missione di cristianizzazione degli infedeli. Tanto è vero che le prime spedizioni dei portoghesi verso l’Africa, che diedero l’avvio alla successiva tratta degli schiavi africani verso le colonie lusitane ultraoceaniche, furono giustificate dall’intento di cristianizzare le popolazioni dei territori sottomessi32. A riprova di ciò, valgano i contenuti delle due bolle di Niccolò V, Cum Diversas Cfr. G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., pp. 146 ss. Sul commercio degli schiavi africani da parte dei portoghesi rinvio a: E. VIOTTI DA COSTA, The Portuguese-African slave trade: a lesson in colonialism, in Latin American Perspectives, XII.1 (1985), pp. 41-61; A. UNALI, La politica della razzia nelle prime imprese portoghesi nell’Africa atlantica, in L. GATTO-P. SUPINO MARTINI (a cura di), Studi sulle società e le culture del Medioevo per Girolamo Arnaldi, Sesto Fiorentino 2002, pp. 1000-1010. Da ultimo G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., pp. 146 ss. 31

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del 1452, con cui il pontefice «accordò ad Alfonso V la concessione di condurre una guerra imperitura nei confronti degli infedeli, avallando la loro riduzione in schiavitù»33, la successiva Romanus Pontifex del 1454, con cui il medesimo pontefice «auspicò che tutti i popoli che si trovavano tra il Marocco e le Indie dovessero essere soggiogati e cristianizzati»34; ed infine la bolla Intercaetera di papa Callisto III, con cui si assegnarono ai conquistatori portoghesi la cura delle anime delle popolazioni conquistate, produssero come effetto pratico quello di realizzare un completo sostegno da parte del Pontificato romano alle mire espansionistiche della Corona portoghese, contribuendo così al varo e al consolidamento della tratta atlantica degli schiavi35. A seguito di ciò, invalse un nuovo approccio nella conduzione del commercio degli schiavi e nella concezione dell’istituto della schiavitù, superando così la primitiva elaborazione di fondo delle Ordenações Afonsinas invece basata su un atteggiamento più umano e permissivo, che portò a generare una gestione del traffico atlantico degli schiavi caratterizzata da brutalità gratuita e dall’avvio di un processo di totale reificazione della figura dell’escravo36.

3. Le Ordenações Manuelinas Le Ordenações Manuelinas furono concepite con l’idea di rinnovare il contenuto delle precedenti Ordenações Afonsinas, divenute obsolete nel giro di poco tempo e inidonee a disciplinare i nuovi fenomeni sociali ed economici, tra cui anche il mutamento della concezione di base dell’istituto della schiavitù condizionato, come

G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., p. 149. Ibidem. 35 Sulle bolle papali vedi in particolare: J.G. GUIMARÃES, O discurso teológico e a escravatura, in Polissema. revista de letras do ISCAP, VII (2007), pp. 61 ss.; P.O. ADIELE, The Popes, the Catholic Church and the Transatlantic Enslavement of Black Africans 1418-1839, Hildesheim-Zürich-New York 2017. 36 Cfr. G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., pp. 146 ss. 33 34

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già anticipato nel precedente paragrafo, dall’incremento di volume della tratta atlantica degli schiavi destinati a sopperire alla richiesta di manodopera servile da impiegare nelle piantagioni di canna da zucchero delle colonie lusitane37. I primi progetti di riforma delle Ordenações Afonsinas iniziarono ad essere predisposti alla fine del regno di João II, ma solo con l’avvento al trono del sovrano Manuel I si concretizzò il progetto definitivo. Il periodo di compilazione del codice manuelino fu abbastanza lungo. Il Poveda ricostruisce in maniera dettagliata dell’avvicendarsi delle varie tappe di gestazione dell’opera, che fu edita gradualmente a partire dal dicembre del 1512, fino alla definitiva pubblicazione dell’intera codificazione datata 151438 ad opera del sovrano Manuel I, ed entrata in vigore nel 152139. Le Ordenações Manuelinas si compongono di cinque libri, come la precedente codificazione afonsina40. La struttura dell’opera segue una suddivisione in titoli e paragrafi, con una sequenza sistematica delle tematiche oggetto di normazione molto simile a quella delle Ordenações Afonsinas. Vi sono però delle novità, in quanto non compaiono più nel testo sia le norme specifiche destinate aos judeus, poiché espulsi dal

Sul punto rinvio alle considerazioni di G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., pp. 146 ss. 38 Cfr. I.M. POVEDA VELASCO, Ordenações, cit., p. 21, il quale scrive che «em 17 de dezembro de 1512 sai o Livro I das novas Ordenações, e em novembro do ano seguinte o Livro II, ambos das prensas da oficina de Valentim Fernandes. De março a dezembro de 1514 vem à luz, impressa agora por João Pedro Bonhomini, uma edição completa das novas ordenações, já apelidadas de Manuelinas e divididas também em 5 livros», scandendo la sequenza temporale della graduale compilazione del codice manuelino. 39 Cfr. I.M. POVEDA VELASCO, Ordenações, cit., p. 21, per quanto attiene alla ricostrzione dei tempi di entrata in vigore delle Ordenações Manuelinas. Ma vedi anche L.F. CORRÊA, L’influence, cit., pp. 188 ss.; N.J. ESPINOSA GOMES DA SILVA, História, cit., pp. 337 ss.; M.A.D. PAES, O tratamento, cit., pp. 525 ss. 40 Sulla struttura dell’opera, vedi I.M. POVEDA VELASCO, Ordenações, cit., p. 21; M.A.D. PAES, O tratamento, cit., pp. 525 ss.; C.J. COSTA-A. MAZOTI CRUBELATI-A. BARBOSA LEMES-G. A. MONTAGNOLI, História, cit., p. 2192. 37

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Regno nel 1496, e sia quelle relative alla regolamentazione della fazenda real, poiché confluirono nella disciplina autonoma delle Ordenações da Fazenda41. Vale la pena evidenziare che l’innovazione più rimarchevole delle Ordenações Manuelinas riguarda lo stile della stesura della codificazione che propone per la prima volta, non essendo stata concepita come una raccolta di precedenti testi legislativi e regolamentari come invece capitava per le Ordinazioni Afonsine, una astrazione spazio-temporale dei principi giuridici in essa contenuti, conferendo così uno stile ipotetico ed astratto. Parte della dottrina ritiene inoltre che le Ordenações Manuelinas possano considerarsi come precorritrici delle moderne codificazioni42. Un dato importante poi riguarda il riferimento contenuto nel II libro, Tit. V, a proposito della trattazione del diritto sussidiario, che sostanzialmente coincide con la precedente disciplina del Código Afonsino, dove vi è l’espresso richiamo alla funzione sussidiaria dei principi del diritto romano, Leis imperiais, “pela boa razão em que são fundadas”. Si ripropone a tal proposito il richiamo anche alla Glossa di Accursio e all’opinione di Bartolo, come ulteriore fonte di diritto sussidiario, a cui si aggiunge la “comum opinião dos Doutores”43 come ultima previsione nella gerarchia delle fonti. Cfr. I.M. POVEDA VELASCO, Ordenações, cit., p. 21. I.M. POVEDA VELASCO, Ordenações, cit., p. 21, il quale osserva che «a maior mudança, porém, da nova compilação diz respeito ao estilo no qual foi redigida. A o contrário das Afonsinas, as Ordenações Manuelinas não são mera compilação de leis anteriores, transcritas na sua maior parte no teor original e indicando o monarca que as promulgara. E m geral, todas as leis são reescritas, e m estilo decretório, como se de leis novas se tratasse, embora não passando muitas vezes de nova forma dada a leis já vigentes. Fazendo esse esforço de abstração das coordenadas espaço-temporais, e dando à redação cunho mais hipotético e abstrato, as Ordenações Manuelinas são consideradas por alguns como precursoras das modernas codificações». 43 A partire da C. MENDES DE ALMEIDA, Prefácio, in Ordenações Filipinas14, Rio de Janeiro 1870, il quale per primo concepisce l’idea di considerare le Ordenações Manuelinas come primo esempio di codificazione moderna. Sul punto, vedi I.M. POVEDA VELASCO, Ordenações, cit., p. 21. Più in generale, sul valore delle codificazioni nel sitema giuridico latinoamericano, in particolare per il caso del Brasile, rinvio alle considerazioni svolte da F. SIEBENEICHLER DE ANDRADE, Un panorama 41

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La trattazione della materia della schiavitù ripercorre in parte la disciplina proposta nel codice afonsino. La concezione della schiavitù che emerge nel dettato legislativo del codice manuelino appare come l’erede del medesimo istituto collegato alle lotte religiose di cui era stata il teatro la penisola iberica dal Medioevo fino agli albori dell’età Moderna. Significativamente, l’istituto della schiavitù nell’ordine sistematico del codice manuelino era collocato ancora una volta nel titolo riguardante le istituzioni ecclesiastiche, in cui erano ricomprese specificamente le norme inerenti ai rapporti tra schiavi e padroni. A livello terminologico nel codice manuelino prevale l’uso del termine escravo per indicare il soggetto ridotto in schiavitù, con parziale abbandono del sostantivo mouro, che nella legislazione afonsina predominava ampiamente, insieme al termine ‘cativo’ o ‘servo’44. Il termine escravo rappresenta nelle Ordenações Manuelinas il corrispettivo del termine servus, che, come noto, nel diritto romano veniva impiegato nelle fonti per designare lo schiavo. Per quanto attiene alla disciplina generale della schiavitù il Codice manuelino, riporta alcune norme in merito ai rapporti tra padroni e schiavi, in cui emerge chiaramente una sorta di irrigidimento rispetto alla disciplina del codice afonsino, con apposite disposizioni che avevano lo scopo di tutelare lo schiavo dagli atti di violenza da parte del dominus. Erano infatti punite severamente, anche con la pena di morte, le sopraffazioni del padrone nei confronti degli asserviti, che si sostanziavano in soprusi di varia natura con condotte inquadrabili negli atti di violenza sessuale, di sevizie, o di uccisione immotivata45.

sullo sviluppo del Codice civile in Brasile: un’opportunità per una riflessione sulla problematica della tutela della parte debole, in A. SACCOCCIO-S. CACACE (a cura di), Sistema giuridico latinoamericano, Torino 2019, pp. 65 ss. 44 In merito alle problematiche di carattere lessicale legate alla materia della schiavitù nelle Ordenações Manuelinas, rinvio a S.H. LARA, Do mouro, cit., pp. 375 ss. Ma vedi anche F. CARBONI-M. MAESTRI, A linguagem, cit., pp. 8 s. Da ultimo, sul tema, G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., pp. 151 ss. 45 Cfr. G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., pp. 151 ss.

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Il legislatore manuelino poi dimostra particolare attenzione nei confronti di alcune questioni etiche che rilevavano nei rapporti tra il padrone e i suoi sottoposti, fra cui venivano ricondotte anche tutte le disposizioni in tema di rapporti sessuali non consenzienti, sanzionati pesantemente46. Come nel codice afonsino, vi è poi il motivo ricorrente della c.d. ‘missione apostolica’ svolta dai padroni e rivolta verso l’educazione ai valori cristiani degli schiavi, che avrebbe dovuto portare alla conversione alla religione cristiana degli infedeli47. Ma l’aspetto che maggiormente colpisce, riguarda una disposizione normativa in tema di vendita o cessione di schiavi della Guinea48, che mostra una particolare attenzione per il caso dell’escravo doente o affetto da zoppia. La norma è inserita nel libro IV delle Ordenações Manuelinas, al Tit. XVI Como se poder engeitar os escravos, e bestas, por os acharem doentes ou mancos, ovvero ‘come si possono rifiutare gli schiavi o gli animali che siano malati o zoppi’: Título XVI. Como se podem enjeitar os escravos e bestas, por os acharem doentes ou mancos QUALQUER pessoa que comprar ou, por qualquer outro modo, houver escravo de Guiné, da mão daquele que o trouxe de Guiné ou do tratador que o dito trato de Guiné tiver, ou de mercador que os ditos escravos ou parte deles compra para revender, e quiser provar como ao tempo que lhe foi entregue era doente ou manco da doença ou manqueira que, ao tempo que o enjeita, tiver, poderá enjeitar o dito escravo de Guiné e demandar o que lho assim entregou, que tome o dito escravo e que lhe torne o que por ele deu, contanto que o cite e demande dentro de um mês do dia que lhe foi entregue. E isso, mesmo se o dito escravo morrer da dita enfermidade, que lhe torne o que lhe por ele deu, porque, não o citando dentro do dito mês, não o poderá jamais por isso citar nem demandar para o poder enLivro V, Título XIV. Vedi G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., pp. 151 ss.; ID., Codici neri. La legislazione schiavista nelle colonie d’oltremare (sec. XV-XVIII), Roma 2019. 48 A proposito degli schiavi provenienti dall’Africa, vedi L.F. CORRÊA, L’influence, cit., p. 183. 46 47

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jeitar e desfazer o contrato, nem para pedir que lhe torne o que mais deu, pelo dito escravo, do que valia por razão das ditas enfermidades ou defeitos ao tempo do contrato. E isto haverá lugar quando a parte de que assim o houve estiver no lugar onde está o mesmo que lho vendeu ou, por outro qualquer modo, trespassou; porque não estando no dito lugar, se o dito comprador protestar ao juiz do dito lugar e mostrar o dito escravo a dois físicos, que digam que é manco ou doente da enfermidade ou manqueira que tinha ao tempo que lhe foi entregue, em tal caso poderá citar a parte dentro de outro mês e, assim, dentro de dois meses contados do dia da entrega. E isto estando a dita parte que assim vendeu ou trespassou no reino; porque, sendo fora do reino, terá lugar (tendo feito a dita protestação e diligência como dito é) para o citar do dia que chegar ao reino, a um mês. 1. E o que dito é nos escravos de Guiné haja lugar nas compras e vendas e trocas, escambos de todas as bestas que, por quaisquer pessoas forem compradas, vendidas, trocadas e escambadas, que se quiserem enjeitar por manqueira ou doença. 2. E quanto a outros escravos assim de Guiné que outras pessoas venderem, como quaisquer outros escravos e assim outros vícios que nas bestas e nos escravos, por quem quer que forem vendidos, trocados ou escambados, se acharem, que não seja doença ou maqueira, não haverá lugar a disposição desta lei, mas guardar-se-á o que por direito for achado49.

Dalla lettura del testo appare evidente che si tratta di una fattispecie in cui si prospetta la restituzione dello schiavo per la presenza di un vizio corporale scoperto dopo l’avvenuta vendita. Il testo prevede una tutela specifica per il compratore, che ricalca il modello della redibizione romana, basata sulla restituzione dello schiavo affetto da malattia o zoppia contro la restituzione del prezzo pagato, entro il termine brevissimo di un mese dall’avvenuta consegna dell’escravo. Ricade nell’ambito applicativo della norma anche l’ipotesi della morte dello schiavo a seguito dei suddetti vizi corporali, i quali, se dimostrati esistenti dal compratore fin dalla consegna dello schiavo, potevano comportare la restituzione del prezzo pagato.

S.H. LARA, Legislação sobre escravos africanos na América Portuguesa, Madrid 2000, pp. 56 s. 49

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CAPITOLO II

La disposizione, inoltre, prevedeva un differente termine di due mesi dall’avvenuta consegna dell’escravo doente o manco per agire in giudizio nell’eventualità in cui le parti non si trovassero nei territori del regno: in questa specifica fattispecie l’infermità dello schiavo doveva essere attestata da uno specialista (físico), a cui si sarebbe dovuto rivolgere il compratore immediatamente alla scoperta del vizio, successiva alla consegna. Tali disposizioni vengono poi estese dal legislatore manuelino anche alle compravendite di animali, mentre ne è esclusa l’applicazione alle vendite degli altri schiavi, ovvero quelli non provenienti dalla Guinea o quelli affetti da differenti infermità rispetto a quelle citate nominalmente nella norma. Mi pare sia chiaro che il dettato normativo di quest’ultima disposizione sia influenzato dai principi del diritto romano50 in tema di compravendita di schiavi51, ed in particolar modo vi è in maniera del tutto evidente il richiamo alla regola della redibizione del servus sanzionata dall’editto degli edili curuli per le compravendite di schiavi e animali. Dal tenore della norma si evince che la responsabilità del venditore era sicuramente di tipo oggettivo: era sufficiente che il compratore dimostrasse esistenza del vizio corporale al momento della consegna dell’escravo della Guinea per far scattare il meccanismo della redibitoria che, come avveniva nel diritto romano, presupponeva la restituzione del servus affetto da infermità fisica contro la restituzione del corrispettivo pagato. Il dettato normativo lascia intendere, a mio avviso, anche la possibilità di ottenere la riduzione del prezzo pagato quando si legge “nem para pedir que lhe torne o que mais deu pelo dito escravo…”, che nel diritto romano poteva ottenersi mediante l’esperimento dell’actio quanti minoris52.

50 In merito all’influenza del diritto romano nelle Ordinazioni Manueline, vedi fra tutti N.J. ESPINOSA GOMES DA SILVA, História, cit., pp. 243 ss.; e di L.F. CORRÊA, L’influence, cit., pp. 188 ss. 51 Sulle problematiche inerenti alla compravendita di schiavi e ai vizi redibitori, rinvio a quanto detto supra, cap. I. 52 Vedi supra, cap. I, § 9.

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Un ulteriore elemento di collegamento con il diritto romano è da ravvisarsi nell’estensione della norma alle vendite (o cessioni di altra natura) di animali, per le stesse tipologie di vizi corporali indicati per gli schiavi provenienti dalla Guinea. Infine, ritengo che l’esclusione degli altri schiavi dal dettato normativo previsto in questo articolo del codice manuelino sia giustificata dal fatto che gli schiavi della Guinea non rientravano nella tipologia degli schiavi imprigionati a seguito di una guerra giusta intrapresa contro gli infedeli, ma rappresentavano una nuova categoria di escravos catturati o acquistati nei territori africani. È testimoniato da più fonti che gli escravos africani per giungere in Portogallo dovevano affrontare un lungo e periglioso viaggio in mare, in condizioni disumane, in cui il rischio di contrarre malattie poteva essere molto alto53. Pertanto, la tutela dei compratori a cui era indirizzata la norma del lib. IV, Tit. XVI del codice manuelino, che il più delle volte acquistavano schiavi in blocco importati dall’Africa per poi rivenderli al dettaglio, imponeva come già capitava nelle vendite dei servi in Roma antica, l’applicazione di un rimedio giuridico molto forte fino ad allora probabilmente mai applicato, poiché nelle Ordenações Afonsinas il fenomeno del traffico degli schiavi africani era del tutto sconosciuto e tutte norme in tema di schiavitù, come è stato ribadito più volte nel precedente paragrafo, avevano come destinatari i mouros, ovvero i prigionieri islamici ridotti in schiavitù. La norma, come mi pare di aver dimostrato, sicuramente introduce un primo elemento di novità mediante l’applicazione di principi giuridici forgiati dagli edili curuli nell’editto de mancipiis emundis Rinvio a G.E. DE ZURARA, Crónica dos feitos notáveis que se passaram na conquista de Guiné por mandado do Infante D. Henrique, Introdução e notas pelo académico de mérito Torquato de Sousa Soares, Lisboa 1981, pp. 142-145, il quale narra dell’arrivo a Lagos nel 1444 di un consistente numero di schiavi, circa 200, ridotti in fin di vita dalla traversata atlantica e dalle condizioni subumane imposte agli africani trasportati nelle navi dal funzionario regio Lançarote de Freitas, responsabile della spedizione. Ma vedi anche, a tale proposito, G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., pp. 148 ss., a cui rinvio anche per le considerazioni svolte a proposito dell’episodio narrato dal Zurara. 53

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CAPITOLO II

vendundis, elemento che sarà ampiamente sviluppato nelle sue potenzialità nelle Ordenações Filipinas del 1603 che rappresentano, in tema di regolamentazione giuridica dell’istituto della schiavitù. Si trattava, come avrò modo di dimostrare nel prossimo capitolo di una codificazione idonea a disciplinare un fenomeno di portata considerevole come quello della tratta atlantica degli escravos, condotti verso i territori colonizzati del Brasile per essere impiegati come forza lavoro nel complesso sistema economico delle piantagioni, e che porterà inesorabilmente a far perdere definitivamente alla schiavitù lusitana la sua componente religiosa di stampo medievale per trasformarla in ‘schiavitù capitalistica’. Il Codice legislativo di Filippo I, le Ordenações Filipinas, introdussero così «diverse norme tese a istituzionalizzare la tratta atlantica e la schiavitù, cercando di renderle delle attività di Stato»54.

54

G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., p. 148.

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REGOLAMENTAZIONE GIURIDICA DEL COMMERCIO DEGLI SCHIAVI NELLA COLONIA LUSITANA DEL BRASILE E NELL’IMPERO BRASILIANO: LE ORDENAÇÕES FILIPINAS

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Annotazioni sulle caratteristiche storico-sociali della schiavitù nei territori della Colonia Lusitana del Brasile – 3. Le Ordenações Filipinas. – 4. La vendita dell’escravo doente nelle Ordenações Filipinas.

1. Premessa Come evidenziato nel precedente capitolo, dedicato all’analisi delle prime due Ordenações do Reino de Portugal, con le Ordenações Manuelinas entrate in vigore nel 1521, si attestò dal punto di vista legislativo una normativa in tema di schiavitù che, tenendo conto dei mutamenti sociali ed economici, considerava lo schiavo come forza lavoro da impiegare nelle attività delle grandi aziende agricole delle colonie, dedite alle coltivazioni della canna da zucchero, oltre a quelle del caffè e del tabacco1. Le Ordenações ManueliSull’impiego degli schiavi africani come forza lavoro nelle colonie portoghesi, rinvio a: B.L. SOLOW, Capitalism and slavery in the exceedingly long run, in The Journal of Interdisciplinary History, XVII.4 (1987), pp. 711-737; D. TOMICH, The Sugar Trade: Brazil, Portugal and the Netherlands (1595-1630), in New West Indian Guide, LXXXIX.3 (2015), pp. 324-326; A. HIGGINBOTTOM, Enslaved African Labour in the Americas: from primitive accumulation to manufacture with racial violence, in Revista de Estudos e Pesquisas sobre as Américas, XII.1 (2018), pp. 22-46. Sul punto, da ultimo G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., p. 147. Sulle conseguenze economiche della tratta atlantica degli schiavi, rinvio a B.L. SOLOW, The Economic Consequences of the Atlantic Slave Trade, Lanham 2014. 1

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nas rappresentano una legislazione intermedia in tema di schiavitù, in cui si attesta il passaggio dalla medievale concezione di matrice religiosa ad una servitù che iniziava a ricalcare le caratteristiche di quella ‘schiavitù capitalistica’ disciplinata successivamente dalle Ordenações Filipinas. Come ribadito in precedenza, anche il linguaggio giuridico delle Ordenações Manuelinas attesterà questo mutamento mediante l’uso del termine escravo in luogo di mouro, o cativo, innovando così a livello lessicale i testi legislativi in materia di schiavitù. Le Ordenações Filipinas saranno applicate, come già in precedenza capitava per le Ordenações Manuelinas, per competenza territoriale, anche alla colonia lusitana del Brasile, introducendo così nei territori sudamericani conquistati dai Portoghesi una legislazione di marcata derivazione romanistica2, i cui principi in materia di schiavitù e compravendita di servi erano ispirati e ricalcavano testualmente, come avrò modo di dimostrare nei successivi paragrafi, le disposizioni varate dagli edili curuli nell’editto de mancipiis emundis vendundis3. Pertanto, in questo capitolo illustrerò brevemente le caratteristiche storico-sociali del fenomeno della schiavitù nei territori brasiliani, a cui seguirà la trattazione della struttura e della sistematica del Codice filippino, per poi soffermarmi in maniera più diffusa sull’analisi delle norme specifiche redatte per disciplinare la compravendita di schiavi, contenute nel IV Libro Tit. XVII, allo scopo di delineare i collegamenti tra il diritto romano e le Ordenações Filipinas in materia di garanzia per i vizi occulti.

Sull’influenza delle Ordenações do Reino de Portugal (Afonsinas, Manuelinas e Filipinas) sul diritto brasiliano, si veda A.R. DIDONE-J.H. SCHIJMAN, A influência das Ordenações portuguesas e espanhola na formação do direito brasileiro do primeiro império (1822 A 1831), 2005, online su: []. Ma vedi anche A.S. JUSTO, A influência do direito português na formação do direito brasileiro, in RevJurFA7, V.1 (2008), pp. 197-242. 3 Sull’editto de mancipiis emundis vendundis, vedi supra, cap. I, pp. 25 ss. 2

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2. Annotazioni sulle caratteristiche storico-sociali della schiavitù nei territori della Colonia Lusitana del Brasile Come è noto, la conquista dei territori brasiliani da parte dei lusitani si sviluppa agli albori del XVI secolo ad opera di Pedro Álvares Cabral, il quale raggiunse la zona dell’odierno Porto Seguro nel 15004. I colonizzatori portoghesi iniziarono a stabilirsi nei nuovi territori dal 1532 e contestualmente iniziarono a realizzare lo sfruttamento dei territori conquistati servendosi della forza lavoro degli amerindi, i quali venivano utilizzati come manodopera nelle piantagioni di canna da zucchero. Il grande tasso di mortalità5 delle popolazioni locali ridotte in stato di schiavitù ed impiegate nel lavoro estenuante nelle coltivazioni intensive portò i lusitani ad individuare nelle popolazioni africane la nuova forza lavoro da importare nella colonia sudamericana, visti anche gli eccellenti risultati produttivi degli escravos africani utilizzati nelle piantagioni portoghesi di Madeira e São Tomé6. S.B. DE HOLANDA, História geral da civilização brasileira, I, São Paulo 1960, pp. 107 s. 5 A questo proposito rinvio a G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., pp. 154 ss., il quale evidenzia che «a partire dagli anni Settanta del XVI secolo, a seguito di una grande epidemia di vaiolo che sterminò quasi totalmente le popolazioni amerindie ridotte in schiavitù dai colonizzatori portoghesi, ebbe inizio la massiva deportazione di manodopera africana». Invece, per la storia della schiavitù in Brasile, rinvio a L.B. ROUT, Race and Slavery in Brazil, in The Wilson Quarterly, 1.1, Washington 1976, 73 ss.; A.J.R. RUSSELL-WOOD, The Black Man in Slavery and Freedom in Colonial Brazil, London 1982; A.M. BARROS DOS SANTOS, Die Sklaverei in Brasilien und ihre sozialen und wirtschaftlichen Folgen, München 1985; H.S. KLEIN-F. VIDAL LUNA, Slavery in Brazil, Cambridge 2010; F. DE ANDRADE, Sklaverei in Brasilien, in AA.VV., Sklaverei und Recht: Zwischen römischer Antike und moderner Welt, a cura di I. FARGNOLI e T. SPATH, Bern 2018, pp. 151 ss. 6 In merito alle ragioni che condussero i portoghesi ad importare schiavi africani come forza lavoro nelle piantagioni dei territori brasiliani, rinvio a D. ELTIS, The rise of African slavery in the Americas, Cambridge 2000; H. KLEIN-F.V. LUNA, Slavery in Brazil, cit.; J. BLACK, The Atlantic Slave Trade in World History, London-New York 2015; D. ELTIS, Europeans and the rise and fall of African slavery in the Americas: an interpretation, in D.A. PARGAS-F. RO U (a cura di), Critical Readings on Global Slavery, Leiden 2017, pp. 1155-1186. Da ultimo sul tema, G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., pp. 154 ss. 4

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Pertanto, a partire dalla fine del XVI iniziò a svilupparsi la tratta atlantica di schiavi africani verso la colonia brasiliana, mediante deportazioni di massa gestite dalle compagnie commerciali portoghesi, che assunse una dimensione molto consistente a livello numerico7, coincidente anche con l’aumento esponenziale delle attività di produzione dello zucchero e la coltivazione e la lavorazione di altri beni coloniali molto richiesti in Europa8. Tale sistema economico9, che si basava precipuamente sullo sfruttamento della manodopera servile, portò grandi ricchezze al Portogallo, e allo stesso tempo questo modello di produzione modificò pesantemente la concezione della schiavitù che da questo momento storico assunse le caratteristiche di schiavitù capitalistica, basata su una totale reificazione della persona dello schiavo, il quale nelle contrattazioni e nelle bolle di vendita veniva indicato con il termine peça10 in luogo di escravo. La peça rappresentava l’unità di misura nelle vendite in cui si acquistavano gli schiavi per lotti, e dalla lettura dei documenti di vendita appare chiaro che costituivano un’unica peça una schiava con il figlio neonato11. Lo schiavo non appariva più come l’infedele da convertire, ma rappresentava un importante tassello di un modello economico che trovava la sua forza nella manodopera schiavile. Lo schiavo veniva

Sul punto rinvio all’interessante analisi svolta da G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., pp. 154 ss., il quale afferma che «fino al primo decennio del XVII secolo, furono importati nel solo Brasile più di 40.000 schiavi provenienti dal Continente Nero. […] In Brasile gli engenhos dedicati alla produzione zuccheriera passarono dai poco più di 60, attestati all’inizio degli anni Sessanta del XVI secolo, ai 190 esistenti in apertura del secolo XVII». 8 Cfr. G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., pp. 154 ss., ivi letteratura sul tema. 9 Vedi in particolare R. DE BIVAR MARQUESE, Administração & escravidão. Idéias sobre a gestão da agricultura escravista brasileira, São Paulo 1999, pp. 42-49. 10 Sul concetto di peça, vedi A. DE ALMEIDA MENDES, Portugal e o tráfico de escravos na primeira metade do século XVI, in Africana Studia, VII (2004), pp. 1330; R. CHAMBOULEYRON, Escravos do Atlântico equatorial: tráfico negreiro para o Estado do Maranhão e Pará (século XVII e início do século XVIII), in Revista Brasileira de História, LII (2006), pp. 79-114. Tra i più recenti, si vedano G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., p. 153; L. DE MADDALENA, Vitia corporis, cit., p. 242. 11 Cfr. G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., p. 153. 7

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considerato sempre di più come una res da vendere a chi ne offrisse il maggior prezzo12. Le Ordenações Filipinas, promulgate nel 160313, si inseriranno in questo contesto storico-sociale e rappresenteranno per un lunghissimo periodo il testo legislativo di riferimento per la regolamentazione giuridica della schiavitù nelle colonie lusitane ultramarine, tra cui si annoveravano anche i territori brasiliani. Solo con l’approvazione della Lei Áurea del 1888, che abolì assai tardivamente la schiavitù in Brasile, si mise fine a questo sistema economico tristemente improntato sul lavoro schiavile14.

3. Le Ordenações Filipinas Le Ordenações Filipinas, dette anche Código Filipino, furono emanate dal re Filippo I di Portogallo, nel periodo storico in cui le corone di Spagna e Portogallo erano unite, al fine di realizzare l’obiettivo di riorganizzare e riformare le precedenti Ordenações do Reino de Portugal15.

Ibidem. Sulla data di pubblicazione delle Ordenações Filipinas, vedi I.M. POVEDA VELASCO, Ordenações, cit., p. 24; N.J. ESPINOSA GOMES DA SILVA, História, cit., pp. 364 ss.; L.F. CORRÊA, L’influence, cit., pp. 188 ss. 14 In particolare, sulla Lei Áurea (legge n. 3.353 entrata in vigore il 13 maggio del 1888), vedi L.F. CORRÊA, L’influence, cit., pp. 185 s. Sull’abolizione della schiavitù in Brasile rinvio a: J.E. ADAMS, The Abolition of the Brazilian Slave Trade, in The Journal of Negro History, X.4 (1925), pp.607 ss.; D.T. GRADEN, From Slavery to Freedom in Brazil, Albuquerque 2006; A. ECKERT, Aufklarung, Sklaverei und Abolition, in Geschichte und Gesellschaft, XXIII (2010), pp. 243 ss.; L. BETHELL, The Decline and Fall of Slavery in Brazil (1850-88), in EAD., Brazil: Essays on History and Politics, London 2018, pp. 113 ss. 15 Cfr. I.M. POVEDA VELASCO, Ordenações, cit., p. 24, il quale ritiene che «não se trata de obra inovadora. No fundo, a preocupação principal foi reunir, nu m mesmo texto, as Ordenações Manuelinas, a Coleção de Duarte Nunes do Leão e as leis a esta posteriores». Dello stesso avviso anche, G. BRAGA DA CRUZ, Obras esparsas: estudos de história do direito moderno, II, Coimbra 1981, pp. 28 s. Di diverso avviso M.A.D. PAES, O tratamento, cit., p. 525, la quale scrive che le Ordenações Filipinas «promoveram uma revisão atualizadora das Ordenações Manuelinas, 12 13

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Le Ordenações Filipinas appaiono pertanto come una compilazione che, nonostante fu spinta da un intento innovatore, al fine di adattare il diritto alle nuove esigenze economiche e sociali, alla resa dei conti non apportò stravolgimenti rilevanti nell’ambito principi del diritto e risultò essere, come sostenuto da buona parte della dottrina16, come un banale ammodernamento delle precedenti codificazioni, espressione, per altro, del potere assolutistico portoghese17. La struttura del codice filippino ricalca quella delle precedenti Ordenações Afonsinas e Manuelinas, la suddivisione il cinque libri, a loro volta suddivisi in titoli e paragrafi, con una sistematica delle materie trattate simile a quella delle precedenti codificazioni18. Vale la pena però citare un mutamento rilevante nell’ambito della sistematica, ovvero lo spostamento dello schema di carattere generale delle fonti del diritto sussidiario, che nelle precedenti Ordenações trovava la sua collocazione nel II libro «traduzindo de alguma forma o conflito de jurisdições entre o poder temporal simbolizado pelo direito romano – e o poder religioso – simbolizado pelo direito canônico»19. Tale trasferimento nel III Libro delle Ordenações Filipinas, dedicato alla Procedura civile, comportò, conseguentemente, un mutamento della valenza delle fonti sussidiarie, che da questo momento in poi sarebbero state contemplate solo per la risoluzione delle cause pendenti nei tribunali, superando così in maniera sostanziale l’iniziale ou seja, sistematizaram-se as disposições manuelinas e a elas ajuntou-se normas vigentes subsequentes». Da ultima, L. DE MADDALENA, Vitia corporis, cit., p. 242. 16 Vedi I.M. POVEDA VELASCO, Ordenações, cit., p. 24; G. BRAGA DA CRUZ, Obras, cit., pp. 28 s. Da ultima, L. DE MADDALENA, Vitia corporis, cit., p. 242. In generale, sulla valenza del diritto brasiliano, vedi T. ASCARELLI, Osservazioni di diritto comparato privato brasiliano, in Studi di diritto comparato e in tema di interpretazione, Milano 1952, pp. 81 ss., il quale osserva che sia stato un «diritto di marca prettamente medievale» sino ai primi decenni del XX secolo. 17 Cfr. L. DE MADDALENA, Vitia corporis, cit., p. 242. 18 Vedi I.M. POVEDA VELASCO, Ordenações, cit., p. 24; N.J. ESPINOSA GOMES DA SILVA, História, cit., pp. 364 ss.; L.F. CORRÊA, L’influence, cit., p. 188; M.A.D. PAES, O tratamento, cit., p. 525 19 I.M. POVEDA VELASCO, Ordenações, cit., p. 24.

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conflitto di giurisdizioni20. Le fonti del diritto risultavano pressoché immutate nella loro gerarchia, per altro già fissata nelle codificazioni afonsina e manuelina, e il diritto romano continuava, comunque, ad essere considerato fonte sussidiaria del diritto in caso di lacune del direito nacional21. Il Código Filipino regolamentava tutte le branche del diritto e la trattazione della schiavitù era contenuta in 48 titoli suddivisi in differenti libri riguardanti la trattazione dell’amministrazione, dei mercati, del diritto civile e del diritto penale22. Il lessico in tema di schiavitù è ormai consolidato nel codice filippino, e assume significati tecnici ben precisi: il termine escravo infatti indica esclusivamente gli asserviti provenienti dall’Africa23, oggetto di tratta commerciale, e va a sostituire la parola servo che compariva nel precedente codice manuelino usato come sinonimo di escravo. La disciplina della schiavitù che emerge dal codice filippino mostra alcune differenze rispetto a quella rappresentata nel codice manuelino, infatti, pur permanendo le norme inerenti alla tutela della c.d. integrità fisica dell’escravo, dalla lettura dei testi emerge che tal tutela viene giustificata non tanto dall’intento di salvaguardare lo schiavo in quanto essere umano, ma bensì per proteggere il servus in quanto oggetto di proprietà del dominus24. L’incapacità dello schiavo è totale sia nell’ambito del diritto privato, sia in quello del diritto pubblico e del diritto processuale25.

Cfr. I.M. POVEDA VELASCO, Ordenações, cit., p. 24. Ma vedi anche M.A.D. PAES, O tratamento, cit., p. 525. 21 Cfr. I.M. POVEDA VELASCO, Ordenações, cit., p. 24; L. DE MADDALENA, Vitia corporis, cit., p. 243. 22 Per un esame dettagliato delle norme sulla schiavitù nelle Ordenações Filipinas, in raffronto anche con le Ordenações Manuelinas, e la loro collocazione nei titoli delle due codificazioni, vedi tra tutti M.A.D. PAES, O tratamento, cit., pp. 525 ss. 23 Sul lessico della schiavitù nelle Ordenações Filipinas, rinvio a G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., pp. 153 ss., in part. p. 155, ivi altra letteratura sull’argomento. 24 Cfr. G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., p. 153. Ma vedi anche M.A.D. PAES, O tratamento, cit., pp. 525 ss. 25 Vedi, ad es.: Livro IV, título LXXXI, §§ 4 e 6 e Livro IV, título LXXXV, per quanto attiene l’incapacità in materia testamentaria che si sostanziava con il divieto 20

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L’escravo non poteva contrastare la volontà del padrone26 a meno che quest’ultimo non violasse le prescrizioni a tutela dell’integrità fisica dello stesso27. Anche nel codice filippino vi erano le norme inerenti lo status libertatis che poteva essere concesso dal dominus mediante un procedimento alquanto articolato28. A tale proposito, vale la pena ricordare la norma, per altro già presente nelle Ordenações Manuelinas, che attribuiva allo schiavo la facoltà di comprarsi la libertà mediante il pagamento di una somma di denaro (istituto denominato coartação), dato che il codice consentiva l’accumulazione di risorse da parte dei servi29. Infine, fra le norme più interessanti su questa tematica vi era quella che concedeva al padrone la possibilità di revocare “per ingratitudine” (“por ingratidão”)30 la concessione della libertà nell’ipotesi in cui il liberto avvesse assunto nei suoi confronti comportamenti poco rispettosi.

4. La vendita dell’escravo doente nelle Ordenações Filipinas Liv. IV, Título XVII, Quando os que compram escravos, ou bestas, os poderão enjeitar, por doenças ou manqueira, 1-6: QUALQUER pessoa, que comprar algum escravo doente de tal enfermidade, que lhe tolha servir-se delle, o poderá engeitar a quem lho vendeu, provando que já era doente em seu poder da tal enfermidade, com

di poter fare testamenti o di essere testimoni di testamenti altrui; Livro IV, título CII § 1, per quanto riguarda il divieto ad essere tutori o curadori. Sul punto, cfr. M.A.D. PAES, O tratamento, cit., pp. 525 ss. 26 Vedi Livro V, título LXX. 27 Cfr. G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., p. 155. 28 Per quanto attiene alle norme delle Ordenações Filipinas sullo status libertatis, ed in particolare alle modalità di affrancamento dal dominus, vedi il commento di M.A.D. PAES, O tratamento, cit., pp. 525 ss., alle seguenti disposizioni: Livro III, título XVIII, § 8; Livro III, título LXXXII, § 1; Livro IV, título XI, § 4. 29 A tale proposito, vedi G. PATISSO, Dal Codice afonsino, cit., p. 155. 30 Livro IV, título LXIII, su cui vedi il commento di M.A.D. PAES, O tratamento, cit., pp. 525 ss., la quale osserva che dalla norma scaturisce una certa ambiguità nel delineare il concetto di ingratitudine.

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tanto que cite ao vendedor dentro de seis mezes do dia, que o escravo lhe fôr entregue. 1 – E sendo a doença de qualidade, ou em parte, que facilmente se deixe conhecer, ou se o vendedor a manifestar ao tempo da venda, e o comprador comprar o escravo sem embargo disso: em tais casos não o poderá enjeitar nem pedir o que menos valia do preço que por ele deu, por causa da tal doença. Porém, se a doença que o escravo tiver for tão leve que lhe não impeça o serviço, e o vendedor a calar ao tempo da venda, não poderá o comprador enjeitar o escravo, nem pedir o que menos vale por causa da tal doença. 2 – Se o escravo tiver algum vício do ânimo, não o poderá por isso o comprador enjeitar, salvo se for fugitivo ou se o vendedor ao tempo da venda afirmasse que o escravo não tinha vício algum certo, assim como se dissesse que não era bêbado nem ladrão, nem jogador; porque achando-se que ele tinha tal vício ao tempo da venda, o poderá enjeitar o comprador. Porém, ainda que por o escravo ter qualquer vício do ânimo (que não seja de fugitivo) e o vendedor o calar, não possa o comprador enjeitá-lo; poderá todavia pedir o que menos vale por causa do tal vício, pedindo-o dentro de um ano, contado no modo acima dito. 3 – Se o escravo tiver cometido algum delito, pelo qual, sendo-lhe provado, mereça pena de morte e ainda não for livre por sentença, e o vendedor ao tempo da venda o não declarar, poderá o comprador enjeitá-lo dentro de seis meses, contados da maneira que acima dissemos. E o mesmo será, se o escravo tivesse tentado matar-se por si mesmo com aborrecimento da vida e, sabendo-o o vendedor, o não declarasse. 4 – Se o vendedor afirmar que o escravo que vende sabe alguma arte ou tem alguma habilidade boa, assim como pintar, esgrimir ou que é cozinheiro, e isto não somente pelo louvar mas pelo vender por tal, e depois se achar que não sabia a tal arte ou não tinha a tal habilidade, poderá o comprador enjeitá-lo; porém, para que o não possa enjeitar, bastará que o escravo saiba da dita arte ou tenha a tal habilidade meamente. E não se requer ser consumado nela. 5 – Se o escravo, que se pode enjeitar por doente, falecer em poder do comprador, e ele provar que faleceu da doença que tinha em poder do vendedor, poderá pedir que lhe torne o preço que por ele deu. E quando se o escravo enjeitar por fugitivo (como acima dissemos) poderá o comprador pedir o preço que por ele deu, posto que ande fugitivo, contanto

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que possa provar que, em poder do vendedor, tinha o vício de fugitivo. E dará fiança a o buscar, pondo nisso toda a diligência de sua parte, e a o entregar ao vendedor, vindo a seu poder. 6 – Enjeitando o comprador o escravo ao vendedor, tornar-lho-á, e o vendedor tornará o preço e a sisa que o comprador pagou, e assim o que tiver dado ao corretor, não sendo mais que o que por direito ou regimento lhe for devido. E assim mais pagará o vendedor ao comprador as despesas que tiver feitas na cura do escravo, quando por causa da doença o enjeitar.

Il titolo XVII del IV libro delle Ordenações Filipinas riguarda la fattispecie inerente alla compravendita di schiavi e di animali, così rubricata: Quando coloro che comprano schiavi o bestie possono rifiutarli, a causa della malattia o della zoppia. La norma è molto ben articolata e si compone di 10 paragrafi, di cui per i primi sei, per comodità di lettura e per avere un quadro generale d’insieme, ne ho trascritto il testo, con l’intento di analizzarne specificamente il contenuto, anche perché i paragrafi dal settimo in poi riproducono integralmente il testo del Titolo XVI del IV libro delle Ordenações Manuelinas, dedicato alle vendite degli schiavi doentes ou mancos provenienti dalla Guinea31, a cui seguono le disposizioni inerenti alla vendita degli animali. Fin da una prima lettura della norma, appare evidente come, nel susseguirsi dei paragrafi, il legislatore del codice filippino stia man mano adattando la fattispecie astratta che si vuol disciplinare nel Tit. XVII al testo dell’editto degli edili curuli, come da noi conosciuto nella trascrizione offerta da Ulpiano nel suo commentario all’editto edilizio, poi tradita nel frammento D. 21.1.1.1 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.)32.

Disposizione normativa da me già analizzata supra, cap. II. Riporto qui di seguito, per comodità di lettura, il testo dell’editto edilizio tramandato da Ulpiano nel frammento D. 21.1.1.1 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Aiunt aediles: “Qui mancipia vendunt certiores faciant emptores, quid morbi vitiive cuique sit, quis fugitivus errove sit noxave solutus non sit: eademque omnia, cum ea mancipia venibunt, palam recte pronuntianto. quodsi mancipium adversus ea venisset, sive adversus quod dictum promissumve fuerit cum veniret, fuisset, quod eius praestari oportere dicetur: emptori omnibusque ad quos ea res pertinet iudicium da31

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Infatti, come già previsto nell’editto curule, nelle Ordenações Filipinas viene immediatamente introdotta, nel principium della norma e successivamente nel primo paragrafo, la disciplina dei vizi corporali dello schiavo; nel secondo paragrafo, seguendo sempre l’ordine dell’editto curule, si affronta la problematica dei c.d. vitia animi, che vengono identificati con il caso del fugitivus; segue poi il terzo paragrafo, in cui si disciplina la fattispecie dell’escravo che abbia commesso un crimine punito con pena capitale e non ancora sottoposto a giudizio, così come già era stato previsto nella sequenza espositiva delle norme edilizie, a cui viene sommato anche il caso del tentativo di suicidio da parte dell’escravo, vizio che attiene, come nelle disposizioni varate dagli edili, all’indole morale del servus e che i giuristi romani avevano giustamente collocato tra i vitia animi eccezionalmente sanzionati con le azioni edilizie. Segue poi, nel quarto paragrafo del Tit. XVII del Lib. IV del codice filippino, la previsione del c.d. dictum promissumve, per utilizzare la terminologia degli edili curuli; mentre nel quinto e nel sesto paragrafo trovano regolamentazione giuridica l’ipotesi di morte dello schiavo a seguito dell’infermità non dichiarata dal venditore e il regime delle restituzioni, improntati sempre sulla falsariga delle norme dell’editto edilizio. Ovviamente il legislatore del codice filippino introduce opportunamente nella norma anche il regime della tutela, che coincide con l’azionabilità in giudizio da parte del compratore per mezzo delle actiones redhibitoria e quanti minoris, di tradizione marcatamente edilizia.

bimus, ut id mancipium redhibeatur. si quid autem post venditionem traditionemque deterius emptoris opera familiae procuratorisve eius factum erit, sive quid ex eo post venditionem natum adquisitum fuerit, et si quid aliud in venditione ei accesserit, sive quid ex ea re fructus pervenerit ad emptorem, ut ea omnia restituat. item si quas accessiones ipse praestiterit, ut recipiat. item si quod mancipium capitalem fraudem admiserit, mortis consciscendae sibi causa quid fecerit, inve harenam depugnandi causa ad bestias intromissus fuerit, ea omnia in venditione pronuntianto: ex his enim causis iudicium dabimus. hoc amplius si quis adversus ea sciens dolo malo vendidisse dicetur, iudicium dabimus”.

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CAPITOLO III

a) La doenca quale corrispettivo del vitium corporis edilizio e le azioni di tutela del compratore. Fin da una prima lettura del principium della norma e del §1, appare assai chiaro il contesto della fattispecie, in cui uno schiavo con difetti fisici, coincidenti con uno stato di infermità dovuto a malattia o da un difetto fisico, viene venduto senza che il venditore dichiari la doenza dell’escravo al compratore. L’infermità corporale deve essere tale da incidere sulla capacità lavorativa dello schiavo, deve perciò trattarsi di una enfermidade que lhe tolha servir-se dele, ossia di una patologia che colpisca il corpo dello schiavo, non consentendogli di svolgere l’attività lavorativa a cui era stato preposto. Tale connotazione degli effetti scaturenti dall’infermità corporale dello schiavo ricorda molto da vicino la concezione espressa in D. 21.1.1.8 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.)33 da Ulpiano, il quale nella sua sapiente operazione di sintesi delle stratificazioni del pensiero della giurisprudenza romana a proposito della nozione dell’endiadi edittale morbus vitiumve, utilizzava l’efficace espressione usum ministeriumque hominis per indicare l’incidenza del vizio o del morbo sull’attività lavorativa del servus che avrebbe dovuto generare la tutela redibitoria. La tutela redibitoria richiamata dal legislatore filippino poteva essere fatta valere, come nella previsione dell’editto curule34, entro sei mesi dalla consegna dell’escravo, se il compratore avesse dimostrato che la doenca fosse precedente alla vendita. Trascorsi i seis meses dalla consegna dello schiavo, senza che il compratore avesse agito in giudizio, l’azione redibitoria si prescriveva35.

D. 21.1.1.8 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Proinde si quid tale fuerit vitii sive morbi, quod usum ministeriumque hominis impediat, id dabit redhibitioni locum, dummodo meminerimus non utique quodlibet quam levissimum efficere, ut morbosus vitiosusve habeatur. Sul testo di Ulpiano, vedi supra, cap. I, § 5. 34 Come si evince chiaramente dalla formula dell’actio redhibitoria: Si paret homini quo de agitur quem AAs de NNo emit morbi quid fuisse quod NNs adversus edictum illorum aedilium non pronuntiavit neque plus quam sex menses sunt, cum de ea re experiundi potestas fuit, […]; si non paret absolvito. Su cui vedi O. LENEL, Das Edictum, cit., p. 555. Ma vedi anche D. MANTOVANI, Le formule, cit., p. 11314. 35 Sul punto, vedi la trattazione sull’actio redhibitoria svolta nel cap. I, pp. 91 ss. 33

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La norma, inoltre, prevede nel primo paragrafo una limitazione al principio generale sopra enunciato, limitazione che trova una sua forte derivazione dal dettato edilizio. Infatti, si stabilisce che non sarà concessa la tutela redibitoria o l’azione estimatoria per la riduzione del prezzo pagato a causa della presenza della malattia, nell’ipotesi in cui la doença dell’escravo sia palesemente manifesta oppure sia stata resa nota dal venditore alla conclusione del contratto e il compratore abbia comunque deciso di acquistare lo schiavo36. Le azioni di tutela saranno oltremodo escluse qualora la doença sia «tão leve que lhe não impeça o serviço», ovvero cosi lieve da non incidere sulla capacita lavorativa dell’escravo. Già da queste prime battute, appare evidente che la disciplina delle ordinazioni filippine in tema garanzia per i vizi occulti nella compravendita di schiavi derivi direttamente dal modello elaborato dagli edili curuli nel loro editto de mancipiis emundis vendundis, anche in merito alla possibilità di agire con l’actio redhibitoria o con l’actio quanti minoris, che consentivano di fornire una forte tutela per compratori di servi affetti da vizi. Le due azioni edilizie e le corrispettive previste dal legislatore portoghese nel Tit. XVII del Lib. IV delle Ordinazioni filippine erano accomunate non solo dai medesimi presupposti di applicazione delle singole actiones, ma anche dai termini di prescrizione previsti, ossia entro sei mesi per l’azione redibitoria e dodici mesi per quella estimatoria. b) I vitia animi espressamente citati nel §2 e nel § 3 del Tit. XVII del Lib. IV: la propensione alla fuga e al suicidio dell’escravo. Il § 2 fa esplicito riferimento alla categoria dei vizi dell’animo che dovevano essere dichiarati dal venditore: 2 – Se o escravo tiver algum vício do ânimo, não o poderá por isso o comprador enjeitar, salvo se for fugitivo ou se o vendedor ao tempo da venda

Cfr. D. 21.1.1.8 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Si intellegatur vitium morbusve mancipii (ut plerumque signis quibusdam solent demonstrare vitia), potest dici edictum cessare: hoc enim tantum intuendum est, ne emptor decipiatur. 36

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afirmasse que o escravo não tinha vício algum certo, assim como se dissesse que não era bêbado nem ladrão, nem jogador; porque achando-se que ele tinha tal vício ao tempo da venda, o poderá enjeitar o comprador. Porém, ainda que por o escravo ter qualquer vício do ânimo (que não seja de fugitivo) e o vendedor o calar, não possa o comprador enjeitá-lo; poderá todavia pedir o que menos vale por causa do tal vício, pedindo-o dentro de um ano, contado no modo acima dito.

Come nell’editto degli edili curuli, la categoria generale dei vizi dell’animo, individuata nella sua configurazione autonoma grazie all’elaborazione della giurisprudenza del II sec. d.C.37, è ininfluente per la tutela redibitoria. Gli edili curuli avevano previsto una tutela specifica solo per alcune figure di vitia animi del servus nominalmente citate nell’editto, ovvero la tendenza alla fuga o a girovagare, a cui si aggiunse la propensione a tentare il suicidio prevista nella parte più recente del testo edilizio38. Il legislatore portoghese anche in questo caso mostra di seguire pedissequamente il dettato normativo curule, comprendendo tra i vizi dell’animo tutelabili le sole attitudini alla fuga e la tendeza al suicidio (citata nel §3 con le seguenti parole: … E o mesmo será, se o escravo tivesse tentado matar-se por si mesmo com aborrecimento da vida e, sabendo-o o vendedor, o não declarasse). Il § 2, con un susseguirsi di principi di base che ne delineano la disciplina, contiene sicuramente tante previsioni interessanti dal punto di vista giuridico in materia di vitia animi, che confermano in pieno la discendenza della disciplina portoghese il dal diritto romano. La non tutelabilità della generalità dei vitia animi, la menzione del fugitivus quale unica fattispecie tutelata dalle azioni redibitoria ed estimatoria sono totalmente in linea con il disposto normativo degli edili curuli, che però contemplava anche la tutela redibitoria per il caso del servus erro; mentre la disattesa promessa dell’assenza alcuni vitia animi dello schiavo, sanzionata solo con l’actio aestimatoria da intentare entro l’anno, non era intrinsecamente collegata ad una disposizione edilizia.

37 38

Rinvio a quanto già evidenziato supra, cap. I, pp. 44 ss. Vedi supra, cap. I, pp. 50 ss.

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Infine, la propensione al suicidio39, quale vizio dell’animo, citato nel § 3. Il legislatore portoghese prevede chiaramente la possibilità di concedere le azioni redibitoria ed estimatoria anche nell’ipotesi in cui tale propensione dell’animo dell’escravo non fosse stata dichiarata dal venditore. Una disposizione di tal genere, come già evidenziato in precedenza40, era prevista espressamente nel testo edilizio, e il fatto che venga riproposta dal legislatore portoghese attesta, anche in questo caso, la stretta correlazione tra le Ordenações Filipinas e il diritto romano41. Appare interessante, la menzione del tedium vitae come causa giustificatrice del tentato suicidio, espressa con la locuzione aborrecimento da vida, che va oltre la concezione romana delle motivazioni del suicidio per i servi, in quanto riconosciuta nelle testimonianze dei giuristi e degli autori antichi solo come causa giustificatrice dell’atto estremo per i soli liberi42. c) L’aver commesso un crimine punito con pena capitale. Nel § 3 si legge: 3 – Se o escravo tiver cometido algum delito, pelo qual, sendo-lhe provado, mereça pena de morte e ainda não for livre por sentença, e o vendedor ao tempo da venda o não declarar, poderá o comprador enjeitá-lo dentro de seis meses, contados da maneira que acima dissemos. E o mesmo será, se o escravo tivesse tentado matar-se por si mesmo com aborrecimento da vida e, sabendo-o o vendedor, o não declarasse. Su cui vedi la trattazione specifica per la parte romanistica svolta supra, cap. I, pp. 62 ss. 40 Vedi cap. I, pp. 64 ss. 41 Per i collegamenti tra le Ordenações Filipinas e il diritto romano, rinvio a N.J. ESPINOSA GOMES DA SILVA, História, cit., pp. 247 ss.; e di L.F. CORRÊA, L’influence, cit., pp. 188 ss. 42 Rinvio al contenuto del testo di Marciano, commentato supra, cap. I, p. 67: D. 48.21.3.6 (Marcian. l. s. de del.): Sic autem hoc distinguitur, interesse qua ex causa quis sibi mortem conscivit: sicuti cum quaeritur, an is, qui sibi manus intulit et non perpetravit, debeat puniri, quasi de se sententiam tulit. Nam omnimodo puniendus est, nisi taedio vitae vel inpatientia alicuius doloris coactus est hoc facere. Et merito, si sine causa sibi manus intulit, puniendus est: qui enim sibi non pepercit, multo minus alii parcet. 39

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CAPITOLO III

Anche quest’ultima ipotesi prevista dal legislatore portoghese deriva direttamente dalla previsione dell’editto degli edili curuli in cui, nel testo tramandato da Ulpiano in D. 21.1.1.1, si ricomprendeva tra i vizi da dichiarare al compratore anche il particolare status giuridico di chi capitalem fraudem admiserit, ovvero di colui che avesse commesso un crimine capitale e fosse stato venduto prima dell’esecuzione della sentenza43. Mi pare evidente la rispondenza con il testo delle Ordenações Filipinas, in cui si imponeva al venditore la dichiarazione di questo vizio, sanzionata con la concessione dell’azione redibitoria da esperire entro i sei mesi dalla consegna dell’escravo. d) Il dictum promissumve. Nel § 4 il legislatore portoghese prevede una disciplina peculiare per ciò che è stato detto o promesso dal venditore durante il perfezionamento del contratto: 4 – Se o vendedor afirmar que o escravo que vende sabe alguma arte ou tem alguma habilidade boa, assim como pintar, esgrimir ou que é cozinheiro, e isto não somente pelo louvar mas pelo vender por tal, e depois se achar que não sabia a tal arte ou não tinha a tal habilidade, poderá o comprador enjeitá-lo; porém, para que o não possa enjeitar, bastará que o escravo saiba da dita arte ou tenha a tal habilidade meamente. E não se requer ser consumado nela.

Va notato che anche gli exempla di alcune qualità dello schiavo promesse durante la trattativa citati dal legislatore portoghese nel §4, riecheggiano i contenuti di un brano di Gaio (D. 21.1.18.1)44 e di uno Ulpiano (D. 21.1.19 pr.-1 e 5)45, in cui i due giureconsulti Vedi supra, cap. I, pp. 80 ss. D. 21.1.18.1 (Gai 1 ad ed. aed. cur.): Venditor, qui optimum cocum esse dixerit, optimum in eo artificio praestare debet: qui vero simpliciter cocum esse dixerit, satis facere videtur, etiamsi mediocrem cocum praestet. idem et in ceteris generibus artificiorum. 45 D. 21.1.19 pr.-1 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Sciendum tamen est quaedam et si dixerit praestare eum non debere, scilicet ea, quae ad nudam laudem servi pertinent: veluti si dixerit frugi probum dicto audientem. ut enim Pedius scribit, multum inte43

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affrontano la problematica della valenza di ciò che è stato detto o promesso dal venditore in fase di conclusione di contratto. È interessante, a tale proposito, il fatto che sia ammessa la redibitoria nel caso in cui l’escravo non manifesti per niente le caratteristiche promesse riguardo alla specializzazione in una specifica arte o mestiere. Mentre non sarà concessa la redhibitoria nell’eventualità che l’escravo avesse competenze minime nell’arte o nel mestiere promesso. Tale prospettiva discende ampiamente dal pensiero di Ulpiano il quale, commentando l’editto curule scrive le seguenti parole: D. 21.1.19.4 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Illud sciendum est: si quis artificem promiserit vel dixerit, non utique perfectum eum praestare debet, sed ad aliquem modum peritum, ut neque consummatae scientiae accipias, neque rursum indoctum esse in artificium: sufficiet igitur talem esse, quales vulgo artifices dicuntur.

Il contenuto del frammento attesta evidentemente la piena aderenza del disposto normativo del legislatore portoghese al principio giurisprudenziale citato da Ulpiano nel suo commento all’editto degli edili curuli. e) Mortuus redhibetur. Infine il § 5, in cui il legislatore portoghese richiama il rischio incombente sul venditore per la morte dell’escravo a causa della malattia non dichiarata al momento della conclusione del contratto: 5 – Se o escravo, que se pode enjeitar por doente, falecer em poder do comprador, e ele provar que faleceu da doença que tinha em poder do vendedor, poderá pedir que lhe torne o preço que por ele deu.

In questa fattispecie, viene chiaramente delineata la responsabilità del venditore, il quale sarà tenuto alla restituzione del prezzo ricerest, commendandi servi causa quid dixerit, an vero praestaturum se promiserit quod dixit. 1. Plane si dixerit aleatorem non esse, furem non esse, ad statuam numquam confugisse, oportet eum id praestare.

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CAPITOLO III

vuto come corrispettivo della vendita dell’escravo nell’eventualità in cui il compratore dimostri che lo schiavo acquistato sia morto a causa della malattia non dichiarata dal venditore durante il perfezionamento della compravendita. Il principio richiamato nelle Ordenações Filipinas discende anche in questo caso dal diritto romano, come si evince dal un frammento di Paolo, e dal successivo di Pomponio, in cui i due giuristi, a commento dell’opera di Sabino, rimarcano che: D. 21.1.47.1 (Paul. 11 ad Sab.): Post mortem autem hominis aediliciae actiones manent. D. 21.1.48.pr. (Pomp. 23 ad Sab.): Si tamen sine culpa actoris familiaeve eius vel procuratoris mortuus sit.

Il contesto è quello inerente alla riflessione giurisprudenziale della valenza delle azioni edilizie, e Paolo, rileva che tali actiones previste nell’editto degli edili curuli non si estinguevano con la morte dello schiavo, a meno che, soggiunge Pomponio in D. 21.1.48. pr., quest’ultimo non fosse morto o per colpa del compratore, o di una persona soggetta al suo potere o per causa da imputare del suo procurator. L’emptor poteva quindi intentare l’actio redhibitoria, benché non fosse più in grado di restituire la merx venditionis. Nel medesimo senso si colloca il pensiero Ulpiano, il quale ribadisce i principi enunciati nel brano di Pomponio: D. 21.1.31.11 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Si mancipium quod redhiberi oportet mortuum erit, hoc quaeretur, numquid culpa emptoris vel familiae eius vel procuratoris homo demortuus sit: nam si culpa eius decessit, pro vivo habendus est, et praestentur ea omnia, quae praestarentur, si viveret.

f) Il regime delle restituzioni a seguito della redibizione dello schiavo. Da ultimo il §6, in cui si regolano la restituzione del prezzo e il rimborso delle spese sostenute dal compratore:

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6 – Enjeitando o comprador o escravo ao vendedor, tornar-lho-á, e o vendedor tornará o preço e a sisa que o comprador pagou, e assim o que tiver dado ao corretor, não sendo mais que o que por direito ou regimento lhe for devido. E assim mais pagará o vendedor ao comprador as despesas que tiver feitas na cura do escravo, quando por causa da doença o enjeitar.

Così come prescritto dall’editto degli edili curuli, nel §6 viene descritto il regime delle restituzioni sotteso alla regolare procedura della redibizione: con la restituzione dello schiavo affetto da vizio, dovrà contestualmente essere restituito il pretium ricevuto dal venditore. Anche quest’ultima fattispecie è evidentemente collega alla disciplina curule. Al riguardo, vale la pena rammentare che il principio richiamato dal legislatore portoghese viene citato nel testo dell’editto edilizio trascritto in D. 21.1.1.1 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.), già commentato in precedenza nel cap. I46. Da ultimo, il principio regolatore del rimborso delle spese sostenute dal compratore a causa della malattia dell’escravo che ricalca, anche nella stesura lessicale, le parole degli edili. A conclusione di questo breve excursus, e per tirare le fila del discorso, mi sembra che sia stata ampiamente dimostrata la competenza romanistica del legislatore portoghese, che elaborò la disciplina dedicata alla dichiarazione dei vizi occulti nella compravendita degli escravos africani, compravenduti anche nella colonia lusitana del Brasile. I redattori delle Ordenações Filipinas avevano ben chiaro l’impianto normativo dell’editto degli edili curuli denominato de mancipiis emundis vendundis, che viene di volta pedissequamente seguito nei suoi contenuti e nel suo ordine sistematico, al fine di adattato, citarlo e adeguarlo alle esigenze di quel particolare tempo storico. L’editto edilizio, anche per il tramite dell’opera dell’interpretazione giurisprudenziale dei prudentes di età severiana, che nel III

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Vedi supra, pp. 25 ss.

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CAPITOLO III

sec. d.C. avevano operato una sapiente sintesi del pensiero dei giureconsulti di età precedente, ha senza alcun dubbio rappresentato il saldo fondamento di una disciplina che sarà applicata per un lasso di tempo molto lungo e che per il Brasile sarà considerato diritto vigente fino all’emanazione del Codice civile del 191647.

Cfr. L. DE MADDALENA, Vitia corporis, cit., p. 242. Sul Codice civile brasiliano del 1916, vedi infra, Nota Conclusiva, pp. 147-158. 47

NOTA CONCLUSIVA

DAL DIRITTO ROMANO AL DIRITTO CIVILE BRASILIANO: LA GARANZIA PER VIZI NEL CODICE CIVILE DEL 1916 E DEL 2002

Il percorso intrapreso in questa ricerca non può che trovare una sua conclusione naturale nella verifica della sussistenza dei principi romanistici nella loro qualità di presupposti ispiratori della disciplina della garanzia per i vizi occulti regolamentata nel Codice civile brasiliano del 1916 e nel successivo promulgato nel 20021.

1 Per quanto attiene alla codificazione del diritto privato brasiliano, alla promulgazione del Codice civile del 1916 e alla ri-codificazione voluta dal legislatore brasiliano con l’emanazione del Codice civile del 2002, vedi la recente riscostruzione proposta da F. SIEBENEICHLER DE ANDRADE, Un panorama sullo sviluppo del codice civile in Brasile. Un’opportunità per una riflessione sulla problematica della codificazione, in A. LANDI-A. PETRUCCI (a cura di), Plurarismo delle fonti e metamorfosi del diritto soggettivo nella storia della cultura giuridica, I – La prospettiva storica, Torino 2017, pp. 67 ss. [ora anche in A. SACCOCCIO-S. CACACE (a cura di), Sistema giuridico Latinoamericano. Summer School (Brescia, 9 - 13 luglio 2018), Torino 2019, pp. 65 ss.], ivi ampia bibliografia sul tema. L’A. sottolinea le difficoltà che si manifestarono per giungere ad una codificazione del diritto civile brasiliano, fortemente influenzato dal diritto portoghese a seguito della vigenza fino al 1916 delle Ordenações do Reino de Portugal, protrattasi ben oltre la conquista dell’indipendenza dal Portogallo risalente al 1822. Situazione che invece non si verificò per le altre branche del diritto che, a partire dal 1830 fino al 1859, con le codificazioni del diritto penale e processuale penale, e con l’intermedia codificazione del diritto commerciale del 1850, trovarono una naturale riorganizzazione, contribuendo così a costruire le basi di un diritto ‘nazionale’ brasiliano: in questa prospettiva il Codice civile Bevilàqua del 1916 rappresenterà, pertanto, la prima codificazione del diritto civile brasiliano nella nuova dimensione costituzionale degli Stati Uniti del Brasile. Sul punto, rinvio tra tutti a A. CALDERALE, Diritto privato e codificazione in Brasile, Milano 2005, pp. 2-61; S. SCHIPANI, voce Codici civili nel sistema latinoamericano, in Digesto delle Discipline Privatistiche. Sezione Civile. Aggiornamento, Torino 2010, pp. 286 ss. Ma vedi anche, a proposito del-

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NOTA CONCLUSIVA

Il filo conduttore che unisce l’antica disciplina elaborata dagli edili curuli a partire dal II sec. a.C. ai principi codicistici brasiliani nel XX e XXI secolo, come ho cercato di dimostrare nel capitolo III di questo lavoro2, è rappresentato senza alcun dubbio dalle Ordenações Filipinas, in cui appare evidente la discendenza dal diritto romano della disciplina della garanzia per i vizi occulti nelle compravendite di schiavi, il cui preludio si era già manifestato nella disposizione contenuta nel Tit. XVI del IV Libro delle Ordenações Manuelinas, a proposito del regime speciale da applicare nelle compravendite degli escravos provenienti dalla Guinea3. Il problema di superare i contenuti delle Ordenações Filipinas, con l’intento di redigere una legislazione sicuramente più moderna e sganciata dai principi di stampo assolutistico medievale tramandati nelle Ordenações do Reino de Portugal4, si manifesta in Brasile alla fine del XIX secolo, momento storico in cui si iniziano ad approntare progetti di codificazione che avrebbero dovuto innovare il diritto civile brasiliano con la stesura di un nuovo codice civile5. le origini della codificazione brasiliana, F.C. PONTES DE MIRANDA-C. GOES, Brasilien, in Rechtsvergleichendes Handwörterbuch für das Zivil- und Handelsrecht des In- und Auslandes, I, Berlin 1929, p. 811. 2 Vedi supra, pp. 127 ss. 3 Per il commento e contenuto della disposizione del Codice manuelino sulla vendita degli schiavi della Guinea, vedi supra, p. 122. 4 L’esigenza di superare l’impianto strutturale e sistematico delle Ordenações do Reino de Portugal, retaggio del potere assolutistico portoghese viene ben delineato da T. ASCARELLI, Osservazioni, cit., pp. 81 ss. 5 Già nell’art. 179, n. 18, della prima Costituzione dell’Impero del 1824, promulgata a seguito della proclamazione dell’indipendenza del Brasile dal Portogallo avvenuta nel 1822, è contemplata la previsione della redazione di una codificazione in materia civile e criminale. A tale proposito, vedi S. SCHIPANI, A proposito di diritto romano, rivoluzioni, codificazioni, in Index, XIV (1986), pp. 1 ss., in cui, in riferimento al diritto latinoamericano, ben tratteggia il rapporto esistente tra rivoluzioni-costituzioni-codici. Per l’annoso problema inerente alla codificazione separata nell’ambito delle discipline privatistiche, che ha poi portato all’emanazione di distinti codici in materia civile e commerciale, rinvio a F. SIEBENEICHLER DE ANDRADE, Da codificação: crônica de um conceito, Porto Alegre 1997, p. 136; ID., O Código Civil de 2002: influençias das funções atuais, in A.C. BOCHADO TEXEIRA-G. PEREIRA LEITE RIBEIRA (a cura di), Manual de Teoria Geral do Direito Civil, Belo Horizonte 2011, p. 103. Sulla considerazione del diritto commerciale come

DAL DIRITTO ROMANO AL DIRITTO CIVILE

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Basti citare, al riguardo, l’importante contributo di Augusto Texeira de Freitas6, il quale assunse l’onere di redigere un progetto di codificazione civile, l’Esboço do Código civil7, che l’illustre studioso fece precedere dalla pubblicazione nel 1859 dell’opera Consolidação das leis civis8, in cui le norme in materia di garanzia per i vizi della cosa venduta erano strettamente ancorate al testo delle Ordenações Filipinas e conseguentemente ai principi varati dagli edili curuli, e i cui riferimenti emergevano grazie alle note di commento9. disciplina speciale rispetto al diritto civile, vedi le considerazioni di T. ASCARELLI, O Conceito de direito especial e a autonomia do Direito comercial, in Problemas das Sociedades Anônimas e Direito Comparado, São Paulo 1969, p. 85. 6 Sulla figura e l’opera di Augusto Texeira de Freitas, le cui opere hanno contribuito a realizzare i fondamenti del diritto civile brasiliano, non solo dal punto di vista dei contenuti, ma anche per quanto attiene alla sistematica, vedi fra tutti AA.VV., Augusto Teixeira de Freitas e il diritto latinoamericano, a cura di S. SCHIPANI, Padova 1988, a cui rinvio anche per l’ampia letteratura citata. Tra i più recenti vedi: C.H. DE SOUZA VIEGAS, O Vocabulário e o Esboço de Teixeira de Freitas, in Diritto@Storia, VI (2007), pp. 1 ss., consultabile on-line [], con Quadro Sinóptico su La Influencia del Esboço de Augusto Teixeira de Freitas; F. SIEBENEICHLER DE ANDRADE, Un panorama, cit., p. 73. 7 A. TEIXEIRA DE FREITAS, Código civil. Esboço, Rio de Janeiro 1860-1865, ried. con Estudo crıtíco-biográfico di Carneiro, Rio de Janeiro 1952. Il primo fascicolo dell’Esboço fu pubblicato nel 1860 con 316 articoli. La redazione finale del 1865 prevedeva 5000 articoli. In merito all’Esboço, da ultimo vedi, in particolare, F. SIEBENEICHLER DE ANDRADE, Un panorama, cit., p. 73, il quale rileva che le cause del mancato completamento del progetto di realizzazione del codice civile brasilano debbano ascriversi principalmente all’idea propugnata dal Teixeira de Freitas di unificazione del diritto civile brasiliano, che avrebbe conseguentemente portato all’abrogazione del Codice commerciale del 1850. 8 A. TEIXEIRA DE FREITAS, Consolidação das leis civis, 1859, ried. con prefácio di R. ROSARIO DE AGUIAR, Brasilia 2003. In merito alla scelta iniziale di far precedere la stesura del codice civile dalla c.d. consolidazione delle leggi civili si colloca, al riguardo, F. SIEBENEICHLER DE ANDRADE, Un panorama, cit., p. 73, il quale evidenzia l’aspetto peculiare del pensiero del grande giurista brasiliano, che stava alla base del progetto di Consolidação das leis civis, secondo cui, prima di procedere alla codificazione del diritto civile con l’emanzione del nuovo codice, era necessario avere una conoscenza preventiva della legislazione, presupponendo quindi un percorso da realizzarsi in due differenti e successive tappe: la consolidazione e la codificazione. 9 Vedi A. TEIXEIRA DE FREITAS, Consolidação, cit., v.1, pp. 359 s., con nota 56 a commento dell’art. 556 in merito alla dichiarazione «por manqueira ou doença»

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NOTA CONCLUSIVA

Il testo definitivo del nuovo Codice civile brasiliano del 191610 contiene alcune disposizioni normative in merito alla garanzia per i vizi della cosa venduta, che ovviamente tengono conto della tardiva abolizione della schiavitù in Brasile avvenuta nel 188811, regolamentata attraverso un articolato di norme che immediatamente si mostrano eredi della tradizione romanistica sul tema. Già da una prima lettura degli articoli contenuti nel Capitolo V del Codice, dedicato ai vizi redibitori12, che riporto qui di seguito anche al fine di rappresentare a livello sistematico l’organizzazione della disciplina, emerge un dato assai rilevante:

nella vendita di animali, con espresso richiamo alla disciplina delle Ordenações in tema di compravendita «sobre escravos d’Africa» per i vizi redibitori. 10 Il Codice civile brasiliano del 1916, detto anche Codice Beviláqua, dal nome del suo estensore, Clóvis Beviláqua, autore di una delle opere più significative della scienza giuridica comparatistica della fine dell’Ottocento, raffinato cultore anche del diritto civile e del diritto romano, consiste in una codificazione in cui vi è uno strettissimo legame con la tradizione giuridica precedente e, come scrive S. LANNI, voce Brasile, in Digesto delle Discipline Privatistiche. Sezione Civile. Aggiornamento, Torino 2010, p. 141, per «la prima volta viene evidenziata la specificità del sistema giuridico latinoamericano nell’ambito del sistema romanistico, in un quadro dove prende forza il nome “America Latina”, con il quale mette in risalto la consapevolezza di una “unità”, che è “interna” al sub-Continente, ed “esterna” verso l’Europa. Si tratta di un sostrato ai lavori di codificazione non solo giuridico ma anche culturale ed ideologico». A proposito del lungo e complesso percorso di approvazione del Codice Beviláqua, le caratteristiche e la struttura, si rinvia tra tutti a M. REALE, História do novo Código Civil, São Paulo 2005, p. 176, e O. GOMES, Raízes históricas e sociológicas do Código Civil brasileiro, Salvador 1958. Ma vedi anche F. SIEBENEICHLER DE ANDRADE, Da codificação, cit., p. 97; ID., Un panorama, cit., p. 73, in cui l’A. rileva che durante tutta l’età imperiale il Brasile rimase senza un Codice civile e solo nel periodo repubblicano, dopo alcuni progetti di codificazione falliti, successivi al progetto di Teixeira de Freitas, si arriverà a promulgare una codificazione civile grazie al contributo di Clóvis Beviláqua, imputando questo ritardo «all’influenza del diritto portoghese che realizzava sussidiariamente il ruolo di centralizzazione» (p. 74). 11 Sulla Lei Áurea del 13 maggio 1888 che abolì definitivamente l’istituto della schiavitù in Brasile, vedi supra, p. 131, nt. 14. Sul processo di approvazione della legge, vedi in particolare, L. BETHELL, Brazil, cit., pp. 142 s. Sui riverberi di questa importante statuizione sulla codificazione civile brasiliana, vedi F. SIEBENEICHLER DE ANDRADE, Un panorama, cit., p. 74. 12 Capítulo V – Dos Vícios Redibitórios.

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Art. 1101. A coisa recebida em virtude de contrato comutativo pode ser enjeitada por vícios ou defeitos ocultos, que a tornem imprópria ao uso a que é destinada, ou lhe diminuam o valor. Parágrafo único. É aplicável a disposição deste artigo às doações gravadas de encargo. Art. 1102. Salvo clausula expressa no contrato, a ignorância de tais vícios pelo alienante não o exime à responsabilidade (art. 1.103). Art. 1103. Se o alienante conhecia o vício, ou o defeito, restituirá o que recebeu com perdas e danos; se o não conhecia, tão somente restituirá o valor recebido, mais as despesas do contrato. Art. 1104. A responsabilidade do alienante subsiste ainda que a coisa pereça em poder do alienatório, se parecer por vício oculto, já existente ao tempo da tradição. Art. 1105. Em vez de rejeitar a coisa, redigindo o contrato (art. 1.101), pode adquirente reclamar abatimento no preço (art. 178, § 2º e § 5º, n. IV). Art. 1106. Se a coisa foi vendida em hasta pública, não cabe a ação redibitória, nem a de pedir abatimento no preço,

che mostra come il legislatore brasiliano abbia recepito non solo la scansione sistematica dei principi normativi contenuti nelle Ordenações Filipinas, ma anche la stretta aderenza al testo della suddetta codificazione filippina13. La disciplina per i vizi occulti (vícios ou defeitos ocultos, per citare le parole del legislatore brasiliano, espresse nell’art. 1101) appare intrinsecamente collegata ai principi romanistici della responsabilità oggettiva del venditore14, il quale veniva obbligato a dichiararli al momento della conclusione del contratto15. Ma anche rimedi di tutela, coincidenti con la concessione delle azioni redibitoria (art. 1103) 13 A proposito della disciplina dei vizi redibitori nelle Ordenações Filipinas, vedi supra, pp. 134 ss. 14 Per quanto attiene alla responsabilità oggettiva per i vizi occulti nel diritto romano, rinvio a quanto detto supra, pp. 22 ss. 15 Rinvio all’analisi svolta supra, pp. 25 ss., a proposito del testo dell’editto degli edili curuli riportato in D. 21.1.1.1 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.).

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NOTA CONCLUSIVA

ed estimatoria (1105), sono di marcata discendenza romanistica16; così come la disciplina per il perimento della cosa a causa del vizio occulto della cosa venduta, disciplinata dall’art. 110417; ed infine anche per il disposto normativo dell’art. 1106, che potrebbe ritenersi collegato al divieto di applicazione della disciplina edilizia alle vendite fiscali18. Tale impianto normativo è stato integrato ed innovato negli anni ’90 dalla disciplina speciale del Codice di Difesa dei consumatori del 1990 (promulgato con la Legge federale n. 8.078, dell’11 settembre 1990)19, a seguito del quale è stato introdotto nell’ordinamento brasiliano il principio secondo cui in luogo del compratore, con un ampio procedimento di astrazione, debba essere concepita una tutela più ampia nei confronti dei consumatori, i quali rilevano come parte negoziale nei contratti in cui la parte venditrice è rappresentata da un’impresa produttrice di beni od erogatrice di

16 Si veda la trattazione dedicata alle azioni di tutela previste dall’editto degli edili curuli sviluppata supra, pp. 84 ss. 17 A tale proposito si veda il contenuto di: D. 21.1.47.1 (Paul. 11 ad Sab.): Post mortem autem hominis aediliciae actiones manent; D. 21.1.48 pr. (Pomp. 23 ad Sab.): Si tamen sine culpa actoris familiaeve eius vel procuratoris mortuus sit; e D. 21.1.31.11 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Si mancipium quod redhiberi oportet mortuum erit, hoc quaeretur, numquid culpa emptoris vel familiae eius vel procuratoris homo demortuus sit: nam si culpa eius decessit, pro vivo habendus est, et praestentur ea omnia, quae praestarentur, si viveret. Per il commento dei frammenti, in collegamento con le disposizioni delle Ordenações Filipinas, vedi supra, p. 144. 18 D. 21.1.1.3 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.): Illud sciendum est edictum hoc non pertinere ad venditiones fiscales. 19 A proposito del Código de defesa do consumidor brasileiro, rinvio a S. LANNI, voce Brasile, cit., pp. 147 ss., la quale, a proposito di questa legislazione speciale, evidenzia che «raccoglie e converte in legge una politica nazionale diretta ad incidere sui rapporti di consumo. L’intero sistema tende a regolare gli interessi delle parti nella relazione di consumo, ossia nella relazione intercorrente tra il «consumidor» (art. 2º) ed il «fornecedor» (art. 3º, caput) avente ad oggetto il consumo di un prodotto (art. 3º, § 1º) o l’uso di un servizio (art. 3º, § 2º). La finalità principale perseguita dalla legislazione speciale è quella di istituire una politica nazionale delle relazioni di consumo che definisca tutti i diritti dei consumatori, determinando le azioni per difenderli». Ma vedi anche EAD., America Latina e tutela del consumatore. Le prospettive del Mercosur tra problemi e tecniche di unificazione del diritto, Milano 2005.

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servizi. Anche in questo caso, pur non essendo mia competenza specifica quella di effettuare un’analisi compiuta e dettagliata della disciplina, che tutt’oggi appare di grande importanza nel contesto giuridico brasiliano, dimostrato dal fiorire di ampi studi da parte della dottrina civilistica20, a seguito delle sollecitazioni provenienti da importanti pronunciamenti della giurisprudenza21, mi limiterò a constatare solamente la sussistenza di un legame con il diritto romano di alcuni articoli di questo importante codice. A titolo di esempio, riporto il testo dell’art. 18 inserito dal legislatore brasiliano nella Seção III, Da Responsabilidade por Vício do Produto e do Serviço:

Tra gli studi più recenti della dottrina brasiliana sul tema, vedi: G. TEPESCHREIBER, Os efeitos da Constituição em relação à cláusula da boa-fé no Código de Defesa do Consumidor e no Código Civil, in Revista da EMERJ, VI (2003), pp. 139 ss.; C.R.P. LIMA, A inversão do ônus da prova no Código de Defesa do Consumidor, in Revista de Direito do Consumidor, XLVII (2003), pp. 200 ss.; EAD., Aplicação do Código de Defesa do Consumidor às instituições financeiras, in Revista da Faculdade de Direito da Universidade de São Paulo, CI (2006), pp. 653 ss.; N. DE LUCCA, Direito do consumidor: teoria geral da relação jurídica de consumo², São Paulo 2008; C.A. BITTAR, Direitos do consumidor: Código de Defesa do Consumidor , Rio de Janeiro 2011; C.R.P. LIMA-L.C. FANECO, Inversão do ônus da prova no CDC e a inversão procedimental no projeto de novo CPC: distinção entre institutos afins, in Revista de Direito do Consumidor, XCI (2014), pp. 309 ss.; R.A.C. PFEIFFER, Defesa da concorrência e bem-estar do consumidor, São Paulo 2015; J.G.B. FILOMENO, Direitos do consumidor15, Rio de Janeiro 2018; B. MIRAGEM, Curso de direito do consumidor , São Paulo 2018; C. LIMA MARQUES, Contratos no Código de Defesa do Consumidor , São Paulo 2019; A. PELLEGRINI GRINOVER-A. H. BENJAMIN-D.R. FINK-J. G. B. FILOMENO-N. NERY JR.-Z. DENARI-K. WATANABE, Código Brasileiro de Defesa do Consumidor¹², Rio de Janeiro 2019; S. CAVALIERI FILHO, Programa de direito do consumidor , São Paulo 2019; B. MIRAGEM-C. LIMA MARQUES-L.A. MAGALHÃES (a cura di), Direito do consumidor – 30 anos do CDC, Rio de Janeiro 2021; H. THEODORO JR., Direitos do consumidor10, Rio de Janeiro 2021. Per un commentario al CDC, si veda il recentissimo C. LIMA MARQUES-A.H. BENJAMIN-B. MIRAGEM, Comentários ao Código de Defesa do Consumidor , São Paulo 2021. 21 Rinvio alla importante decisione del Superior Tribunal de Justiça, Terceira Turma. REsp 1027165/ES. rel. Sidnei Beneti, 07-06-2011. P. 14-06-2011, con cui si autorizza l’applicazione del Código de Defesa do Consumidor nei casi in cui la parte (persona fisica o giuridica), pur non essendo tecnicamente il destinatario finale del prodotto o servizio, si trova in una situazione di vulnerabilità. 20

DINO-A.

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NOTA CONCLUSIVA

Art. 18. Os fornecedores de produtos de consumo duráveis ou não duráveis respondem solidariamente pelos vícios de qualidade ou quantidade que os tornem impróprios ou inadequados ao consumo a que se destinam ou lhes diminuam o valor, assim como por aqueles decorrentes da disparidade, com a indicações constantes do recipiente, da embalagem, rotulagem ou mensagem publicitária, respeitadas as variações decorrentes de sua natureza, podendo o consumidor exigir a substituição das partes viciadas. § 1° Não sendo o vício sanado no prazo máximo de trinta dias, pode o consumidor exigir, alternativamente e à sua escolha: I – a substituição do produto por outro da mesma espécie, em perfeitas condições de uso; II – a restituição imediata da quantia paga, monetariamente atualizada, sem prejuízo de eventuais perdas e danos; III - o abatimento proporcional do preço. § 2° Poderão as partes convencionar a redução ou ampliação do prazo previsto no parágrafo anterior, não podendo ser inferior a sete nem superior a cento e oitenta dias. Nos contratos de adesão, a cláusula de prazo deverá ser convencionada em separado, por meio de manifestação expressa do consumidor.

Già da una prima lettura dell’art. 18, emerge chiaramente l’applicabilità alla fattispecie descritta dei rimedi di stampo marcatamente romanistico della redibizione e della riduzione del prezzo, prevedendo una responsabilità oggettiva e solidale dei produttori di beni e servizi in presenza di vizi occulti idonei ad alterare la conformità del prodotto alle caratteristiche oggettive che avrebbe dovuto avere e che conseguentemente ne alterano l’uso corretto. Ma tali rimedi giuridici sono previsti anche per le fattispecie previste agli articoli successivi che disciplinano i vizi inerenti alla qualità del prodotto, alla qualità dei servizi, anche offerti da enti pubblici. Altro elemento che va a confermare la discendenza della disciplina per i vizi redibitori nel Codice di difesa dei consumatori, si rinviene nell’art. 2322, in cui il legislatore brasiliano ribadisce la re-

Art. 23. A ignorância do fornecedor sobre os vícios de qualidade por inadequação dos produtos e serviços não o exime de responsabilidade. 22

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sponsabilità oggettiva per vizi occulti del fornitore per la qualità dei beni e servizi forniti. L’ignoranza del vizio, come chiaramente espresso nella norma non esonera dalla responsabilità, cosi come capitava nell’antica Roma sulla base dei principi fondamentali creati dagli edili curuli a tutela della parte debole del contratto per contrastare gli atti di frode dei venditori di schiavi che spesso solevano riunirsi in società per la gestione delle proprie attività commerciali23. Infine, per concludere, la disciplina prevista nel Codice civile brasiliano riformato nel 200224, in cui nel riproporre la normativa in

23 Per quanto attiene alla parte venditrice rappresentata dai mercanti di schiavi, i venaliciarii, vale la pena ricordare come l’attività di questi soggetti venisse svolta su base professionale, attraverso una configurazione societaria di carattere imprenditoriale che conferiva loro una particolare forza nell’ambito della valutazione degli equilibri tra le parti contrattuali nell’assetto della compravendita consensuale. L’intervento degli edili curuli, mediante la concessione delle azioni redibitoria e quanti minoris, comportò pertanto un riallineamento di questi equilibri, rafforzando la posizione giuridica del compratore. Per la disciplina della societas venaliciaria, rinvio a quanto detto supra, p. 21, nt. 3. 24 Dopo quindici anni di lavori da parte della commissione incaricata, il secondo codice civile brasiliano è stato approvato con la Legge del 10 gennaio 2002, n. 10406, a quasi cento anni dalla promulgazione del Codice civile del 1916, ed è entrato in vigore il 10 gennaio 2003. L’idea di realizzare una ricodificazione ha fatto scaturire un vivo dibattito tra i giuristi brasiliani, dando vita alla manifestazione di ampi rilievi critici nei confronti dei lavori svolti dalla commissione incaricata di realizzare il progetto del codice. A tale proposito, anche per i riferimenti alla struttura e la sistematica del codice, rinvio alle osservazioni svolte da S. LANNI, voce Brasile, cit., pp. 142 ss., la quale rileva che «Sebbene l’obiettivo del Progetto di nuovo codice civile fosse principalmente quello di riformulare e riunire per intero tutto il diritto civile brasiliano, non è stata tuttavia inserita al suo interno la cospicua legislazione speciale, che per quasi un secolo si è affiancata (e talvolta sostituita) alla normativa prevista nel codice Beviláqua e in quello di commercio (1850). La Commissione codificatoria ha sapientemente calibrato l’apparato normativo del nuovo codice predisponendo una serie di “parti generali” […] che conferiscono ampio respiro all’intero sistema civilistico ed estendono la sua protezione anche a quelle nuove istanze di tutela, come il diritto dell’ambiente e del consumatore, che altrove avevano già trovato, prima del codice del 2002, una specifica disciplina e la cui vigenza permane tuttora indiscussa pur dopo l’approvazione del nuovo codice civile». Sul Codice civile del 2002, vedi AA.VV., «Il nuovo codice civile del Brasile e il sistema giuridico latinoamericano», Atti del Congresso internazionale, in Roma e America, XVI (2003). Sulle specifiche funzioni del Codice civile del 2002 di realizzare il coordinamento delle materie del diritto civile

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NOTA CONCLUSIVA

tema di garanzia per i vizi redibitori25, sostanzialmente basata sulla disciplina del Codice civile del 191626, il legislatore brasiliano, nella sequenza degli art. dal 441 al 446 afferma che: Art. 441. A coisa recebida em virtude de contrato comutativo pode ser enjeitada por vícios ou defeitos ocultos, que a tornem imprópria ao uso a que é destinada, ou lhe diminuam o valor. Parágrafo único. É aplicável a disposição deste artigo às doações onerosas. Art. 442. Em vez de rejeitar a coisa, redibindo o contrato (art. 441), pode o adquirente reclamar abatimento no preço. Art. 443. Se o alienante conhecia o vício ou defeito da coisa, restituirá o que recebeu com perdas e danos; se o não conhecia, tão-somente restituirá o valor recebido, mais as despesas do contrato. Art. 444. A responsabilidade do alienante subsiste ainda que a coisa pereça em poder do alienatário, se perecer por vício oculto, já existente ao tempo da tradição.

situate nella parte generale e nella parte speciale, oltre che di integrare il diritto privato, con particolare attenzione all’integrazione tra il diritto civile e il diritto commerciale, e tra il diritto civile e il diritto dei consumatori, rinvio a F. SIEBENEICHLER DE ANDRADE, O modelo do Código civil brasileiro de 2002 sob a perspectiva das funções atuais da codificação, in Revista Brasileira de Direitos Fundamentais & Justiça, I (2007), pp. 155 ss. Invece sul dibattito inerente alle valutazioni critiche in merito all’effettiva necessità di una ‘ricodificazione’ rinvio a O. GOMES, Novos Temas de Direito Civil, Rio de Janeiro 1983, p. 48; L.E. FACHIN, Sobre o Projeto do Codigo Civil Brasileiro: Crítica á Racionalidade Patrimonialista e Conceitualista, in Boletim da Faculdade de Direito de Coimbra, LXXVI (2000), p. 129; A. JUNQUEIRA DE AZEVEDO, O Direito pós-moderno e a codificação, in Estudos e Pareceres de Direito Privado, São Paulo 2004, pp. 55 ss.; Ma vedi anche F. SIEBENEICHLER DE ANDRADE, Da codificação, cit., p. 97; ID., Un panorama, cit., p. 74. Tra coloro che si sono espressi a favore della scelta di ricodificazione, vedi tra tutti C. DO COUTO E SILVA, O Direito civil brasileiro em perspectiva histórica e visão do futuro, in Ajuris, XL (1987), p. 149. 25 La tutela dei vizi redibitori trova la sua collocazione nella Seção V – Dos Vícios Redibitórios. 26 Per un ‘Quadro Comparativo entre o Novo Código Civil e o Código Civil Anterior’, vedi BRASIL, Código Civil. Quadro Comparativo.1916/2002, Senado Federal, Brasília 2003, pp. 110 s., da cui emerge che gli art. 441, 443, 444 del Codice civile del 2002 corrispondono totalmente, nella formulazione dei contenuti e nella stesura, agli artt. 1101, 1103 e 1104 del Codice civile del 1916.

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Art. 445. O adquirente decai do direito de obter a redibição ou abatimento no preço no prazo de trinta dias se a coisa for móvel, e de um ano se for imóvel, contado da entrega efetiva; se já estava na posse, o prazo conta-se da alienação, reduzido à metade. § 1º Quando o vício, por sua natureza, só puder ser conhecido mais tarde, o prazo contar-se-á do momento em que dele tiver ciência, até o prazo máximo de cento e oitenta dias, em se tratando de bens móveis; e de um ano, para os imóveis. § 2º Tratando-se de venda de animais, os prazos de garantia por vícios ocultos serão os estabelecidos em lei especial, ou, na falta desta, pelos usos locais, aplicando-se o disposto no parágrafo antecedente se não houver regras disciplinando a matéria. Art. 446. Não correrão os prazos do artigo antecedente na constância de cláusula de garantia; mas o adquirente deve denunciar o defeito ao alienante nos trinta dias seguintes ao seu descobrimento, sob pena de decadência.

Come nel caso del Codice civile del 1916, ho riportato la trascrizione della disciplina nell’intero articolato delle norme, allo scopo di dare immediata e completa visione della struttura e della sistematica adottata dal legislatore brasiliano. Fin da una prima analisi, si riscontra che già nel disposto normativo contenuto negli articoli 441 e 442 del Codice civile brasiliano è confluita pienamente l’eredità romanistica delle azioni edilizie redibitoria ed estimatoria, che in questo caso, come già previsto nel Codice civile del 1916, riguardavano qualunque tipologia di vizi della cosa venduta. Le norme successive ripercorrono la scansione strutturale e tematica dei corrispettivi articoli del codice del 1916, confermando così ulteriormente gli agganci ai principi del diritto romano. La disciplina creata dagli edili curuli, come ho ribadito più volte nello sviluppo di questo lavoro, era sicuramente all’avanguardia e di sorprendente modernità. Gli antichi magistrati curuli diedero vita ad un sistema speciale di norme che si sovrapponeva e innestava nel regime della vendita consensuale del ius civile al fine precipuo di dare risposte adeguate alle esigenze della parte più debole del contratto, rappresentata dal compratore, ed assicurando così nell’am-

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NOTA CONCLUSIVA

bito dello ius honorarium una solida tutela, utile per contrastare i frequenti atti fraudolenti della parte venditrice su cui incombevano gli specifici obblighi di informazione e la responsabilità oggettiva per la mancata dichiarazione dei vizi occulti. Si tratta senza alcun dubbio di una eredità importante quella che discende dal diritto romano, che ha lasciato un’impronta indelebile non solo nei confronti della disciplina giuridica attuale in tema di compravendita e di la garanzia per i vizi occulti nei sistemi27 giuridici dell’Europa continentale28, ma anche, come emerso in questa ricerca, nell’ambito della regolamentazione in materia di vizi redibitori, realizzata per il tramite delle Ordenações Filipinas, nella codificazione brasiliana che, come è noto, si colloca nell’ampia cornice del sistema giuridico romanistico29 latinoamericano30.

27 A tale proposito, vale la pena rilevare che il termine sistema compare già in F.C. VON SAVIGNY, System des heutigen römischen Rechts, 8 voll., Berlin 1840-1849 (= ID., Sistema del diritto romano attuale, tr. it. di V. SCIALOJA, Torino 1889-1898). Ma vedi l’interessante saggio di A. SACCOCCIO, Il sistema giuridico latinoamericano: storia di una storia, in Il sistema giuridico latinoamericano, cit., pp. 35 s., a cui rinvio, anche per la letteratura ivi citata. Su sistema e ordinamento, rinvio a P. CATALANO, Sistema y ordenamientos: el ejemplo de América Latina, in Roma e America. Diritto romano comune, XVIII (2004), pp. 19 ss. [ma ora, anche in S. SCHIPANI (a cura di), Mundus novus. America. Sistema giuridico latinoamericano, Roma 2005, pp. 18 ss.]. 28 Per quanto attiene alla discendenza dal diritto romano della Direttiva 1999/44/CE, rinvio tra tutti a L. GAROFALO, Le azioni edilizie e la direttiva 1999/44/CE, in S. MAZZAMUTO (a cura di), Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo, Torino 2002, pp. 488 ss. Da ultima, sul tema, R. ORTU, Alle origini della tutela giuridica del consumatore: fondamenti romanistici della disciplina europea, in Archivio Storico e Giuridico Sardo di Sassari, XXI (2016), pp. 131 ss. 29 Fra tutti rinvio a S. SCHIPANI, Riconoscimento del sistema, interpretazione sistematica, armonizzazione e unificazione del diritto, in Roma e America. Diritto romano comune, XXIV (2007), pp. 3 ss. 30 Su sistema giuridico romanista e subsistema giuridico latinoamericano rinvio tra tutti a: D.F. ESBORRAZ, La individualización del subsistema jurídico latinoamericano como desarrollo interno propio del sistema jurídico romanista: (I) La labor de la ciencia jurídica brasileña entre fines del siglo XIX y principios del siglo XX, in Roma e America, XXIII (2006), pp. 5-56; ID., Subsistema jurídico latinoamericano, comparación y tradición romanística, Roma 2020, ed ivi ampia bibliografia di riferimento.

INDICE DELLE FONTI

M. TULLIUS CICERO Philosophica De officiis 3.17.71

3.23.91

31, nt. 31 45, nt. 75 78, nt. 141 105, nt. 212

7.2.8 13.4.2.3 15.1.9.7 19.1.11.1 19.1.11.2 19.1.11.3 19.1.11.5 21.1.1.1

CORPUS INSCRIPTIONUM LATINARUM I.1418 XI.6528

69, nt. 121 69, nt. 121

CORPUS IURIS CIVILIS Codex C. 4.58.2

Digesta 2.1.3 2.14.31 3.2.11.3 6.1.5.1

108 108, nt. 225

49, nt. 82 27, nt. 25 65, nt. 117 49, nt. 82

21.1.1.2 21.1.1.3 21.1.1.7

49, nt. 82 49, nt. 82 72 72, nt. 129 87, nt. 162 88, nt. 162 86, nt. 162 87, nt. 162 88, nt. 163 25 33 37 62 74 80 82 97, nt. 194 103 136 136, nt. 32 142 145 151, nt. 15 23 152, nt. 18 41 41, nt. 64 44, nt. 72

160 21.1.1.8

21.1.1.9 21.1.4.1 21.1.4.3 21.1.4.4 21.1.12.1 21.1.14 pr. 21.1.14.10 21.1.17 21.1.17 pr. 21.1.17 pr.-16 21.1.17.1-2 21.1.17.3 21.1.17.4 21.1.17.8 21.1.17.14 21.1.17.17 21.1.17.18 21.1.18.1 21.1.19 pr.-1 21.1.19.5 21.1.19.6

21.1.21 pr. 21.1.21.1 21.1.21.2

INDICE DELLE FONTI

43 138 138, nt. 33 139, nt. 36 49, nt. 82 47, nt. 80 48 44, nt. 74 45 42 49, nt. 82 44, nt. 72 41, nt. 64 30, nt. 26 53 54 61 53, nt. 86 55 56 57, nt. 92 64 56 51, nt. 83 60 79 79 142 142, nt. 44 142 142, nt. 45 142 143 85 90 108, nt. 225 95 92, nt. 173 92, nt. 173

21.1.21.3 21.1.23 pr. 21.1.23.1 21.1.23.2 21.1.23.3 21.1.23.8

21.1.23.9 21.1.24 21.1.25.6 21.1.25.9 21.1.25.10 21.1.26 21.1.27 21.1.29 pr. 21.1.29.1 21.1.29.2 21.1.29.3 21.1.30 pr. 21.1.30.1 21.1.31 pr. 21.1.31.2 21.1.31.4 21.1.31.10 21.1.31.11

21.1.38 pr.

93, nt. 173 190 98 98, nt. 191 96 80 81, nt. 148 64 69 98, nt. 188 101, nt. 200 102, nt. 203 96 97, nt. 185 98, nt. 191 99 99, nt. 193 94 94, nt. 173 99, nt. 194 101, nt. 199 94 99, nt. 192 99, nt. 195 100, nt. 197 99, nt. 198 92, nt. 173 100, nt. 198 101, nt. 200 102, nt. 203 96, nt. 184 96, nt. 184 95, nt. 181 97, nt. 186 144 152, nt. 17 26, nt. 16 103 108, nt. 225

161

INDICE DELLE FONTI

21.1.43.4 21.1.47 pr. 21.1.47.1

21.1.48 pr.

21.1.51 pr. 21.1.55 21.2.31 28.3.6.7 29.1.34 pr. 29.5.1.23 38.2.6.3 39.3.1 pr. 39.5.18 pr. 42.6.1.12 43.1.1.1 44.7.37.1 45.1.29 pr. 48.8.11.1-2 48.21.3.6

48.22.7.22 49.16.6.7 50.16.225

Institutiones 3.18.2

64 64, nt. 108 97, nt. 186 105, nt. 212 98, nt. 188 144 152, nt. 17 98, nt. 188 144 152, nt. 17 86 90 76 67, nt. 117 67, nt. 117 67, nt. 117 49, nt. 82 49, nt. 82 49, nt. 82 49, nt. 82 49, nt. 82 49, nt. 82 49, nt. 82 82, nt. 149 67 70, nt. 122 141, nt. 42 51, nt. 82 68, nt. 119 58 58, nt. 94 77, nt. 139

FIRA III2 Negotia 88 78, nt. 141 (Emptio pueri)

GAIUS Institutiones 1.15

83, nt. 152

AULUS GELLIUS Noctes Atticae 4.2.1

4.2.2 4.2.2-5 4.2.3

4.2.5

4.2.6 6.11.1-5

31 31, nt. 30 37 38, nt. 54 45, nt. 75 74 35 44, nt. 72 39 40, nt. 59 39, nt. 57 40, nt. 60 41, nt. 64 42, nt. 66 42, nt. 68 107 30, nt. 26 81, nt. 147

92, nt. 173 GLOSSA

Tanta 5

106, nt. 218

‘Posse’ a D. 21.1.4.1

47, nt. 80

162

INDICE DELLE FONTI

INSCRIPTIONES LATINAE SELECTAE II.2.7846

69, nt. 121

PAULI SENTENTIAE 2.17 2.17.5-6 5.11

106, nt. 218 106, nt. 219 106, nt. 218

Epistulae ad Lucilium 9.78.2 66, nt. 115 104 65, nt. 111

SERVIUS et SCHOLIA DANIELIS (= Servio Dant.) In Vergilii Aeneidem 12.603 72, nt. 130

PAULUS TARSENSIS TITULI EX CORPORE ULPIANI Epistula ad Ephesios 6.5-9 116 116, nt. 26

1.11

83, nt. 152

M. TERENTIUS VARRO PETRONIUS Satyricon 29 45.7-8

31, nt. 30 82, nt. 149

L. ANNAEUS SENECA (RHETOR) Controversiae 8.4.3

70

L. ANNAEUS SENECA (PHILOSOPHUS) Consolatio ad Marciam 1.3 66, nt. 113 20.1-2 66, nt. 113

De re rustica 2.4.5 2.5.10-11 2.10.5

75, nt. 134 75, nt. 134 44, nt. 75 51 76

INDICE DELLA NORMAZIONE CITATA

ORDENAÇÕES DO REINO DE PORTUGAL ORDENAÇÕES AFONSINAS (OU CÓDIGO AFONSINO) Livro I

125 136

ORDENAÇÕES FILIPINAS (OU CÓDIGO FILIPINO)

115 Livro II

132

Livro III

132

Livro II

115

Título IX

114, nt. 16

Livro III

115

Título XVIII §8

134, nt. 28

Livro IV

115

Título LXIV

113, nt. 15

Livro V

15

Título LXXXII §1 134, nt. 28

ORDENAÇÕES MANUELINAS (OU CÓDIGO MANUELINO) Livro II Título V

Livro IV Título XVI

Livro IV Título XI §4

114, nt. 16 120

122

Título XVII

134, nt. 28 128 134 136 137

164

INDICE DELLA NORMAZIONE CITATA

§4 §5

139 138 139 140 139 140 141 142 143

Título LXIII

134, nt. 30

§1 §2 §3

Título LXXXI §§ 4 e 6 133, nt. 25

LEGISLAZIONE BRASILIANA CONSTITUIÇÃO POLÍTICA DO IMPÉRIO DO BRASIL Art. 179, nt. 18 148, nt. 5 LEI ÁUREA

CÓDIGO CIVIL DOS ESTADOS UNIDOS DO BRASIL (1916) Art. 1101

Título LXXXV 133, nt. 25 Título CII §1

Art. 1102 Art. 1103 134, nt. 25 Art. 1104

Livro V Título LXX

134, nt. 26 Art. 1105

BOLLE PAPALI

131 131, nt. 14 150, nt. 11

Art. 1106

151 156, nt. 26 151 151 152 156, nt. 26 151 152 156, nt. 26 151 152 151 152

CALLISTUS III Intercaetera

118

NICOLAUS V Cum Diversas Rom. Pontifex

111, nt. 3 118 112, nt. 10 118

CÓDIGO DE DEFESA DO CONSUMIDOR Art. 2º Art. 3º, caput Art. 3º, §1º Art. 3º, §2º Art. 18 Art. 23

152 152 152 152 153 154 154

INDICE DELLA NORMAZIONE CITATA

CÓDIGO CIVIL (2002) Art. 441

Art. 442

Art. 443 Art. 444 Art. 445 Art. 446

15 16 156 156, nt. 26 157 15 16 156 157 156 156, nt. 26 156 157 156 157

PRONUNCIAMENTO GIURISPRUDENZIALE SUPERIOR TRIBUNAL DE JUSTIÇA REsp 1027165/ES 156, nt. 21

165

INDICE DEGLI AUTORI

ADAMS, J.E. – 131 nt. 14 ADIELE, P.O. – 118 nt. 35 AL’AMIN MAZRUI, A. – 111 nt. 7 ANDREAU, J. – 52 nt. 85 ARANGIO-RUIZ, V. – 20 nt. 1, 33 nt. 42, 52 nt. 85, 61 nt. 102, 75 nt. 134, 75 nt. 135, 76 nt. 138, 85 nt. 158, 85 nt. 159, 85 nt. 162, 87 nt. 162, 89 nt. 163, 90, 90 nt. 164, 90 nt. 165, 90 nt. 168, 93 nt. 173, 96 nt. 184, 97 nt. 185 ARCHI, G.G. – 38 nt. 55 ARZT-GRABNER, P. – 31 nt. 32, 52 nt. 85, 57 nt. 92 ASCARELLI, T. – 132 nt. 16 ASTOLFI, R. – 41 nt. 64 AUBERT, J.J. – 43 nt. 69 BARBOSA LEMES, A. – 115 nt. 25 BARROS DOS SANTOS, A.M. – 129 nt. 5 BATTAGLINI, M. – 63 nt. 106, 63 nt. 107, 65 nt. 111, 72 nt. 130 BAYET, A. – 63 nt. 107 BECHMANN, A. – 104, 104 nt. 210 BEHRENDS, O. – 39 nt. 57 BELLEN, H. – 93 nt. 173 BELLOCCI, N. – 63 nt. 107, 65 nt. 109, 67 nt. 116, 68 nt. 119,

70 nt. 123, 72 nt. 129 BELTRÁN, A. – 52 nt. 85 BENETTI TIMM, L. – 113 nt. 14 BENJAMIN, A. H. – 153 nt. 20 BERGER, A. – 49 nt. 82 BETANCOURT, F. – 93 nt. 173 BETHELL, L. – 131 nt. 14, 150 nt. 11 BETTI, E. – 26 nt. 16, 27 nt. 18 BITTAR, C. A. – 153 nt. 20 BLACK, J. – 129 nt. 6 BOCHADO TEXEIRA, A.C. 148 nt. 5 BONETTI, P. – 52 nt. 85 BOYCE DAVIES, C. – 111 nt. 7 BRAGA DA CRUZ, G. – 113 nt. 14, 131 nt. 15, 132 nt. 16 BRASIELLO, U. – 81 nt. 145, 81 nt. 146 BREMER, F.P. – 31 nt. 29, 41 nt. 64 BRETONE, M. – 38 nt. 56 BRUTTI, M. – 63 nt. 107, 65 nt. 112, 70 nt. 123 BUCKLAND, W.W. – 41 nt. 64, 71, 71 nt. 127, 81 nt. 145 BUND, E. – 37 nt. 45 BURDESE, A. – 84 nt. 156, 85 nt. 159 CACACE, S. – 121 nt. 43, 147 nt. 1 CAETANO, M. – 115 nt. 22 CALDERALE, A. – 147 nt. 1

168

INDICE DEGLI AUTORI

CALORE, A. – 63 nt. 107 CAMODECA, G. – 20 nt. 1, 77 nt. 138, 78 nt. 140, 78 nt. 141, 79 nt. 142, 83 nt. 154 CANCELLI, F. – 34 nt. 44 CANNATA, C.A. – 38 nt. 56, 75 nt. 133 CARBONI, F. – 121 nt. 44 CARCATERRA, A. – 39 nt. 58 CARDILLI, R. – 75 nt. 133, 75 nt. 134, 75 nt. 135, 77 nt. 138 CARRASCO GARCIA, C. 60 nt. 98 CASAMENTO, A. – 70 nt. 123 CASAVOLA, F. – 34 nt. 45, 38 nt. 56 CASCIONE, C. – 60 nt. 98 CASSI, A.A. – 111 nt. 4 CATALANO, P. – 158 nt. 27 CAVALIERI FILHO, S. – 153 nt. 20 CAVAZZA, F. – 40 nt. 61 CECI, L. – 39 nt. 58 CENDERELLI, A. – 76 nt. 138 CHAMBOULEYRON, R. – 130 nt. 10 CHIAZZESE, L. – 93 nt. 173 CHIOFFI, L. – 21 nt. 3 CLOUD, D. – 54 nt. 87 CORDIANO, G. – 63 nt. 107 CORIAT, J.P. – 51 nt. 83 CORRÊA, L.F. – 113 nt. 12, 114 nt. 17, 114 nt. 18, 114 nt. 19, 115 nt. 23, 119 nt. 39, 122 nt. 48, 124 nt. 50, 131 nt. 13, 131 nt. 14, 132 nt. 18, 141 nt. 41 CORTESE, B. – 22 nt. 5, 23 nt. 7, 25 nt. 14, 26 nt. 15, 27 nt. 17, 27 nt. 18, 28 nt. 20, 88 nt. 162, 89 nt. 163 COSTA, C.J. – 115 nt. 25 COSTA, E. – 90 nt. 167 D’AMATI, L. – 22 nt. 5, 25 nt. 14, 40

nt. 60, 40 nt. 62, 45 nt. 15, 64 nt. 107, 77 nt. 138, 78 nt. 141, 79 nt. 142, 81 nt. 145, 83 nt. 154 D’IPPOLITO, F. – 38 nt. 56 D’ORTA, M. – 38 nt. 55 DALLA MASSARA, T. – 27 nt. 18 DALLA, D. – 41 nt. 64 DE ALMEIDA MENDES, A. – 130 nt. 10 DE ANDRADE, F. – 129 nt. 5 DE BIVAR MARQUESE, R. 130 nt. 9 DE FRANCISCI, P. – 34 nt. 45 DE HOLANDA, S.B. – 129 nt. 4 DE LUCCA, N. – 153 nt. 20 DE MADDALENA, L. – 112 nt. 9, 113 nt. 12, 130 nt. 10, 132 nt. 15, 132 nt. 16, 132 nt. 17, 133 nt. 21, 146 nt. 47 DE SOUZA VIEGAs, C.H. 149 nt. 6 DE ZURARA, G.E. – 125 nt. 53 DENARI, Z. – 153 nt. 20 DESIDERI, P. – 52 nt. 85, 55 nt. 87 DIDONE, A.R. – 128 nt. 2 DILIBERTO, O. – 31 nt. 28, 38 nt. 54 DO COUTO E SILVA, C. – 156 nt. 24 DONADIO, N. – 27 nt. 17, 27 nt. 18, 42 nt. 66, 47 nt. 80, 49 nt. 82, 51 nt. 83, 52 nt. 85, 55 nt. 88, 60 nt. 98, 86 nt. 162, 87 nt. 162, 88 nt. 162, 89 nt. 163, 107 nt. 222, 108, 108 nt. 224 ECKERT, A. – 131 nt. 14 ELTIS, D. – 111 nt. 7, 129 nt. 6 ERNOUT, A. – 52 nt. 85, 59 nt. 97 ERNST, W. – 42 nt. 66, 103 nt. 207 ESBORRAZ, D.F. – 158 nt. 30 ESPINOSA G. DA SILVA, N.J. – 113 nt. 13, 113 nt. 14, 114 nt. 17, 114 nt. 18, 115 nt. 21, 115 nt.

INDICE DEGLI AUTORI

22, 115 nt. 23, 119 nt. 39, 124 nt. 50, 131 nt. 13, 132 nt. 18, 141 nt. 41 FACHIN, L.E. – 156 nt. 24 FANECO, L. C. – 153 nt. 20 FARGNOLI, I. – 129 nt. 5 FASCIONE, L. – 81 nt. 146 FERRETTI, P. – 52 nt. 85, 57 nt. 92, 77 nt. 139 FERRINI, C. – 47 nt. 79, 47 nt. 80, 57 nt. 91 FILOMENO, J. G. B. – 153 nt. 20 FINK, D. R. – 153 nt. 20 FIORI, R. – 51 nt. 83 FONSECA, R.M. – 114 nt. 18 FORCELLINI, AE. – 24 nt. 10, 31 nt. 30 FUHRMANN, C.J. – 52 nt. 85 FURMANN, I. – 114 nt. 18 GAGLIARDI, L. – 43 nt. 69 GAGOS, T. – 31 nt. 32 GAMAUF, R. – 51 nt. 83, 52 nt. 85, 60 nt. 98 GAROFALO, L. – 22 nt. 5, 25 nt. 14, 38 nt. 54, 87 nt. 162, 91 nt. 172, 97 nt. 173, 95 nt. 177, 95 nt. 179, 95 nt. 180, 116 nt. 27, 158 nt. 28 GATTO, L. – 117 nt. 32 GENIN, J.C. – 63 nt. 107, 68 nt. 119 GIACHI, C. – 44 nt. 72 GIANGRIECO PESSI, M.V. – 75 nt. 135 GIARDINA, A. – 38 nt. 56, 76 nt. 138 GIOMARO, A.M. – 93 nt. 173 GIUFFRÈ, V. – 90 nt. 167 GOES, C. – 148 nt. 1 GOMES, O. – 150 nt. 10, 156 nt. 24 GÖTTLICHER, D. – 103 nt. 207

169

GRADEN, D.T. – 131 nt. 14 GRISÉ, Y. – 65 nt. 111 GROSSO, G. – 75 nt. 133 GUARINO, A. – 34 nt. 44, 34 nt. 45, 38 nt. 56 GUIMARÃES, J.G. – 118 nt. 35 HALLEBEEK, J. – 51 nt. 83, 108 nt. 225 HESPANHA, A.M. – 114 nt. 18 HEY, O. – 59 nt. 97 HIGGINBOTTOM, A. – 127 nt. 1 HONSELL, H. – 86 nt. 162 HUVELIN, P. – 78 nt. 141 HYATT, A. – 31 nt. 32 IMPALLOMENI, G. – 20 nt. 2, 23 nt. 7, 23 nt. 9, 24 nt. 11, 30 nt. 25, 30 nt. 26, 32 nt. 35, 37 nt. 53, 47 nt. 80, 49 nt. 82, 52 nt. 85, 56 nt. 89, 57 nt. 92, 59 nt. 96, 60 nt. 98, 70, 70 nt. 125, 70 nt. 126, 74 nt. 132, 76 nt. 138, 79 nt. 142, 80 nt. 143, 81 nt. 145, 83, 83 nt. 152, 83 nt. 153, 83 nt. 154, 84 nt. 157, 85 nt. 160, 86 nt. 162, 87 nt. 162, 90 nt. 164, 91 nt. 171, 92 nt. 173, 93 nt. 173, 94 nt. 173, 94 nt. 175, 94 nt. 177, 95, 95 nt. 179, 95 nt. 180, 95 nt. 181, 96 nt. 182, 96 nt. 184, 97, 97 nt. 185, 97 nt. 186, 97 nt. 187, 98 nt. 188, 98 nt. 189, 99 nt. 192, 99 nt. 193, 99 nt. 194, 99 nt. 195, 100, 100 nt. 196, 100 nt. 197, 101 nt. 199, 102 nt. 205, 103 nt. 206, 103 nt. 207, 104, 104 nt. 209, 104 nt. 211, 105 nt. 212, 105 nt. 214, 105 nt. 217, 106 nt. 218, 106 nt. 220, 106 nt. 221

170

INDICE DEGLI AUTORI

INIKORI, J. – 111 nt. 7 JAKAB, É. – 30 nt. 25, 42 nt. 66, 77 nt. 138, 78 nt. 141, 93 nt. 173, 103 nt. 207 JUNQUEIRA DE AZEVEDO, A. – 156 nt. 24 JUSTO, A.S. – 128 nt. 2 KARLOWA, O. – 37 nt. 53, 103 nt. 208, 104 nt. 209 KLEIN, H. – 129 nt. 5, 129 nt. 6 KORTH, U. – 103 nt. 207 KRAMPE, C. – 20 nt. 1 KRÜGER, H. – 38 nt. 56 LANDI, A. – 147 nt. 1 LANNI, S. – 150 nt. 10, 152 nt. 19, 155 nt. 24 LANZA, C. – 41 nt. 64 LARA, S.H. – 111 nt. 5, 111 nt. 6, 121 nt. 44, 123 nt. 49 LEDERLE, R. – 93 nt. 173 LENEL, O. – 19 nt. 1, 30 nt. 26, 41 nt. 64, 47 nt. 80, 62 nt. 105, 64 nt. 108, 67 nt. 116, 69 nt. 120, 76 nt. 136, 78 nt. 141, 79 nt. 142, 79 nt. 143, 81 nt. 145, 85 nt. 161, 90 nt. 166, 94 nt. 174, 94 nt. 176, 95 nt. 178, 96 nt. 181, 96 nt. 183, 96 nt. 184, 97 nt. 185, 97 nt. 186, 98 nt. 188, 98 nt. 190, 99 nt. 191, 99 nt. 194, 100 nt. 197, 101 nt. 200, 138 nt. 34 LEVY, E. – 81 nt. 145 LIEBS, D. – 49 nt. 82 LIMA MARQUES, C. – 153 nt. 20 LIMA, C. R. P. – 153 nt. 20 LO CASCIO, E. – 20 nt. 2 LONGO, G. – 80 nt. 143 LOPES PEREIRA, L.F. – 114 nt. 18

LUNA, F.V. – 129 nt. 5, 129 nt. 6 MADER, P. – 93 nt. 173 MAESTRI, M. – 111 nt. 5, 121 nt. 44 MAFFI, A. – 43 nt. 69 MAGALHÃES, L. A. – 153 nt. 20 MANDAS, A.M. – 116 nt. 27 MANFREDINI, A.D. – 52 nt. 85, 62 nt. 104 MANNA, L. – 24 nt. 12, 31 nt. 27, 31 nt. 32, 32 nt. 33, 32 nt. 35, 33 nt. 40, 33 nt. 42, 34 nt. 46, 35 nt. 48, 35 nt. 51, 38 nt. 57, 40 nt. 62, 42 nt. 65, 42 nt. 67, 45 nt. 75, 47 nt. 80, 48 nt. 81, 49 nt. 81, 52 nt. 85, 55 nt. 87, 57 nt. 91, 57 nt. 92, 58 nt. 94, 58 nt. 95, 59 nt. 96, 62 nt. 104, 70 nt. 126, 76 nt. 138, 79 nt. 142, 80 nt. 143, 81 nt. 145, 82 nt. 150, 84 nt. 155, 85 nt. 158, 90 nt. 164, 90 nt. 168, 91, 91 nt. 170, 93 nt. 173, 94 nt. 175, 95 nt. 179, 96 nt. 181, 96 nt. 182, 99 nt. 195, 100 nt. 198, 101 nt. 199, 101 nt. 200, 102, 102 nt. 204 MANTHE, U. – 20 nt. 1, 93 nt. 173 MANTOVANI, D. – 39 nt. 57, 40 nt. 60, 138 nt. 34 MARTIN, A. – 116 nt. 26 MARTINI, R. – 39 nt. 58, 41 nt. 64, 52 nt. 85, 56 nt. 89, 60 nt. 98 MASCHI, C.A. – 72 nt. 129 MAYR, R. – 75 nt. 133 MAZOTI CRUBELATI, A. – 115 nt. 25, 119 nt. 40 MAZZAMUTO, S. – 158 nt. 28 MEILLET, A. – 52 nt. 85, 59 nt. 97 MEISSEL, F.S. – 21 nt. 3

INDICE DEGLI AUTORI

MEMMER, M. – 49 nt. 82 MENDES DE ALMEIDA, C. – 120 nt. 43 METZGER, E. – 51 nt. 83 MIGLIETTA, M. – 38 nt. 56 MIRAGEM, B. – 153 nt. 20 MOGGI, M. – 63 nt. 107 MOMMSEN, TH. – 78 nt. 141 MONIER, R. – 24 nt. 12, 29 nt. 23, 30 nt. 26, 32 nt. 33, 33 nt. 42, 36 nt. 52, 38 nt. 57, 40 nt. 59, 40 nt. 60, 40 nt. 62, 41 nt. 64, 42 nt. 67, 52 nt. 85, 57 nt. 92, 75 nt. 134, 75 nt. 135, 76 nt. 138, 85 nt. 162, 86 nt. 162, 87 nt. 162, 90, 91 nt. 169, 91 nt. 171, 93 nt. 173, 94 nt. 177, 96 nt. 184, 99 nt. 191, 99 nt. 192, 99 nt. 193, 99 nt. 194, 99 nt. 195, 100 nt. 198, 101 nt. 199, 102 nt. 205, 105 nt. 215, 105 nt. 217, 105 nt. 218, 106, 106 nt. 218, 106 nt. 219, 106 nt. 220, 106 nt. 221, 107 MONTAGNOLI, G. A. – 115 nt. 25, 119 nt. 40 MONTEIRO, J. – 115 nt. 23 MOZILLO, A. – 93 nt. 173 NARDI, E. – 47 nt. 80, 100 nt. 198, 102 nt. 202 NERY JR., N. – 153 nt. 20 NICOSIA, G. – 38 nt. 54 NÓTÁRI, T. – 64 nt. 107 OKPEWHO, I. – 111 nt. 7 OLIVIERO, F. – 22 nt. 6, 108, 108 nt. 226 ORTU, R. – 17, 20 nt. 1, 21 nt. 3, 22 nt. 4, 23 nt. 7, 24 nt. 12, 25 nt. 14, 26 nt. 15, 26 nt. 16, 28 nt.

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19, 28 nt. 20, 29 nt. 22, 31 nt. 27, 31 nt. 32, 32 nt. 33, 32 nt. 34, 33 nt. 36, 33 nt. 40, 33 nt. 41, 34 nt. 43, 34 nt. 46, 34 nt. 47, 35 nt. 48, 35 nt. 50, 35 nt. 51, 36 nt. 52, 39 nt. 57, 40 nt. 62, 40 nt. 63, 41 nt. 64, 42 nt. 65, 42 nt. 67, 43 nt. 70, 43 nt. 71, 43 nt. 72, 44 nt. 73, 45 nt. 75, 45 nt. 76, 46 nt. 77, 46 nt. 78, 48 nt. 80, 49 nt. 82, 51 nt. 84, 52 nt. 85, 55 nt. 87, 55 nt. 88, 57 nt. 91, 57 nt. 92, 58 nt. 93, 58 nt. 94, 58 nt. 95, 59 nt. 96, 60 nt. 99, 61 nt. 100, 61 nt. 103, 62 nt. 104, 64 nt. 107, 65 nt. 109, 70 nt. 124, 75 nt. 133, 76 nt. 136, 77 nt. 138, 79 nt. 142, 81 nt. 145, 111 nt. 4, 158 nt. 28 PAES, M.A.D. – 114 nt. 18, 119 nt. 39, 119 nt. 40, 131 nt. 15, 132 nt. 18, 133 nt. 20, 133 nt. 22, 133 nt. 24, 134 nt. 25, 134 nt. 28, 134 nt. 30 PARGAS, D.A. – 129 nt. 6 PARLAMENTO E. – 23 nt. 7, 42 nt. 65, 42 nt. 67, 44 nt. 74, 48 nt. 81, 50 nt. 82, 88 nt. 162 PASETTI, L. – 70 nt. 123 PATISSO, G. – 110 nt. 1, 110 nt. 2, 111 nt. 3, 111 nt. 5, 111 nt. 6, 112 nt. 7, 112 nt. 8, 112 nt. 9, 112 nt. 10, 112 nt. 11, 114 nt. 18, 115 nt. 21, 115 nt. 23, 116 nt. 28, 116 nt. 29, 116 nt. 30, 117 nt. 31, 117 nt. 32, 118 nt. 33, 118 nt. 36, 119 nt. 37, 121 nt. 44, 121 nt. 45, 122 nt. 47,

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INDICE DEGLI AUTORI

125 nt. 53, 126 nt. 54, 127 nt. 1, 129 nt. 5, 129 nt. 6, 130 nt. 7, 130 nt. 8, 130 nt. 10, 130 nt. 11, 133 nt. 23, 133 nt. 24, 134 nt. 27, 134 nt. 29 PELLEGRINI GRINOVER, A. – 153 nt. 20 PELLOSO, C. – 38 nt. 54 PEREIRA, C. – 111 nt. 5 PEREIRA LEITE RIBEIRA, G. – 148 nt. 5 PERFETTI HOLZHÄUSER, M.E. – 112 nt. 10 PERNICE, A. – 39 nt. 59, 75 nt. 134, 75 nt. 135 PETRUCCI, A. – 21 nt. 3, 147 nt. 1 PFEIFFER, R. A. C. – 153 nt. 20 PHILLIPS, W. – 111 nt. 7 PIANIGIANI, O. – 63 nt. 106 PIERPAOLI, M. – 38 nt. 56 POMA, G. – 52 nt. 85 PONTES DE MIRANDA, F.C. – 148 nt. 1 POVEDA VELASCO, I.M. – 113 nt. 12, 113 nt. 14, 114 nt. 17, 114 nt. 18, 115 nt. 24, 116 nt. 30, 119, 119 nt. 38, 119 nt. 39, 119 nt. 40, 120 nt. 41, 120 nt. 42, 120 nt. 43, 131 nt. 13, 131 nt. 15, 132 nt. 16, 132 nt. 18, 132 nt. 19, 133 nt. 20, 133 nt. 21 PREIBISCH, P. – 72 nt. 130 PRINGSHEIM, F. – 105, 105 nt. 213 PUGLIESE CARRATELLI, G. 20 nt. 1 RANDAZZO, S. – 26 nt. 16, 77 nt. 138 REALE, M. – 150 nt. 10 REDUZZI MEROLA, F. – 52 nt. 85, 56 nt. 89 RICCOBONO, S. – 100 nt. 198, 101

nt. 199, 102, 102 nt. 201 RIVIÈRE, Y. – 52 nt. 85 RIZZELLI, G. – 45 nt. 75, 52 nt. 85, 55 nt. 87, 55 nt. 88, 58 nt. 94, 58 nt. 95, 59 nt. 96, 60 nt. 98, 70 nt. 124, 77 nt. 139 RODRÍGUEZ, V.M. – 112 nt. 10 ROHDE, G. – 72 nt. 130 RO U, F. – 129 nt. 6 ROTONDI, G. – 81 nt. 146 ROUT, L.B. – 129 nt. 5 RUSSELL-WOOD, A.J.R. 129 nt. 5 RUSSO RUGGERI C. – 45 nt. 75, 47 nt. 79, 55 nt. 88, 56 nt. 90, 57 nt. 91 SACCOCCIO, A. – 121 nt. 43, 158 nt. 27 SANFILIPPO, C. – 62 nt. 106, 82 nt. 150 SANTALUCIA, B. – 52 nt. 85 SANTUCCI, G. – 21 nt. 3 SCHIPANI, S. – 147 nt. 1, 148 nt. 5, 149 nt. 6, 158 nt. 27, 158 nt. 28 SPATH, T. – 129 nt. 5 SASTRE, I. – 52 nt. 85 SCARANO USSANI, V. – 34 nt. 45 SCHERMAIER, M. – 51 nt. 83 SCHIAVONE, A. – 38 nt. 54, 38 nt. 56, 73 nt. 138 SCHIJMAN, J.H. – 128 nt. 2 SCHREIBER, A. – 153 nt. 20 SCHULZ, F. – 41 nt. 64, 105, 105 nt. 216 SERRAO, F. – 20 nt. 1, 23 nt. 7, 23 nt. 8 SIEBENEICHLER ANDRADE, F.120 nt. 43, 147 nt. 1, 148 nt. 5, 149 nt. 6, 149 nt. 7, 149 nt. 8, 150 nt. 10, 150 nt. 11, 156 nt. 24

INDICE DEGLI AUTORI

SINI, F., 72 nt. 130 SŁU EWSKA, Z. – 21 nt. 3 SOLIDORO MARUOTTI, L. 21 nt. 3, 24 nt. 13, 26 nt. 15, 33 nt. 38 SOLOW, B.L. – 111 nt. 7, 127 nt. 1 SPERANDIO, M.U. – 67 nt. 116, 68 nt. 119 STANGE, O. – 38 nt. 54 STEIN, P. – 49 nt. 82 STELLA, A. – 110 nt. 2 STOLFI, E. – 35 nt. 50, 47 nt. 80, 93 nt. 173 SUPINO MARTINI, P. – 117 nt. 32 TALAMANCA, M. – 38 nt. 55, 75 nt. 133, 76 nt. 138, 86 nt. 162, 90 nt. 167 TEIXEIRA DE FREITAS, A. – 149 nt. 6, 149 nt. 7, 149 nt. 8, 149 nt. 9, 150 nt. 10 TEPEDINO, G. – 153 nt. 20 THEODORO JR., H. – 153 nt. 20 TOMICH, D. – 127 nt. 1 UNALI, A. – 117 nt. 32 VACCA, L. – 86 nt. 162, 87 nt. 162, 89 nt. 163 VALDÉS, M. – 52 nt. 85 VAN MAL MAEDER, D. – 70 nt. 123 VANDENBOSSCHE, A. – 63 nt. 107 VERLINDEN, C. – 110 nt. 2 VEYNE, P. – 63 nt. 107, 65 nt. 109, 65 nt. 110, 67 nt. 116, 67 nt. 117, 67 nt. 118, 68 nt. 119, 70 nt. 123, 72 nt. 129, 73 nt. 131, 83 nt. 151 VIANA, N. – 111 nt. 5 VIDAL LUNA, F. – 129 nt. 5 VINCENT, H. – 91 nt. 173, 93 nt. 173 VIOTTI DA COSTA, E. – 117 nt. 32

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VIRLOUVET, C. – 52 nt. 85 VON SAVIGNY, F.C. – 158 nt. 27 VOLTERRA, E. – 80 nt. 143 WACKE, A. – 62 nt. 108, 65 nt. 111, 67 nt. 116, 68 nt. 119, 70 nt. 123, 71 nt. 128, 72 nt. 129, 72 nt. 130 WATANABE, K. – 153 nt. 20 WATSON, A. – 26 nt. 16, 76 nt. 138 ZIMMERMANN, R. – 86 nt. 162

Quaderni dell’Archivio Giuridico Sassarese | 5 Collana diretta da Giovanni Maria Uda

La monografia ha per oggetto lo studio delle radici romanistiche della garanzia per i vizi occulti nel diritto brasiliano. L’analisi del tema si sviluppa attraverso un percorso giuridico storico-temporale che dal diritto romano, attraverso la disciplina della garanzia per vizi nella compravendita di schiavi e animali, contenuta nell’editto degli edili curuli de mancipiis emundis vendundis risalente al II sec. a.C., per il tramite delle Ordenações do Reino do Portugal, in particolar modo delle Ordenações Filipinas, entrate in vigore nel 1621, ha portato il legislatore brasiliano nel XIX e XX secolo a concepire una regolamentazione giuridica della responsabilità oggettiva in capo al venditore per i vizi occulti della cosa venduta, confluita nel Codice civile del 1916 e in quello più recente del 2002, di marcata derivazione romanistica.

Rosanna Ortu è Professore associato di Diritto romano nell’Università di Sassari. Autrice di numerosi saggi e volumi. Tra le monografie più recenti pubblicate: Schiavi e mercanti di schiavi in Roma antica (2012); Condizione giuridica e ruolo sociale delle Vestali in età imperiale: la Vestale Massima Flavia Publicia (2018).

€ 9,00

ISBN ebook 9788855293013