Culture della valutazione [Vol. 3] 8843093339, 9788843093335

Dopo aver affrontato i temi della ricerca e della didattica, l'attenzione si sposta sull'ultimo tassello della

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Culture della valutazione [Vol. 3]
 8843093339, 9788843093335

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BIBLIOTECA DI TESTI E STUDI TRANSITI - IULM

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3

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1207

Serie diretta da Angelo Turco

Comitato scientifico Gianni Canova (Università IULM, Milano), Jeanne Clegg (Università Ca' Foscari, Venezia), Enrico Guglielminetti (Università di Torino), Giacomo Manzoli (Università di Bologna), Angelo Miglietta (Università IULM, Milano), Mario Negri (Università IULM, Milano), Diego Poli (Università di Macerata)

I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: Carocci editore Corso V ittorio Emanuele telefono o6 42. 81 84 17 fax o6 42. 74 79 31

Siamo su: www.carocci.it www.facebook.com/caroccieditore www.twitter.com/ caroccieditore

Culture della valutazione 3 IULM,

Università e public engagement A cura di Angelo Turco

Carocci editore

In copertina: Il villaggio-mondo, artigianato del Malawi, Collezione Angelo Turco.

Il volume è stato realizzato nel quadro delle attività progettuali di Fondazione Università IULM, con un contributo finanziario della Libera Università IULM di Milano

1' edizione, settembre 2.018 ©copyright 2.018 by Carocci editore S.p.A., Roma Impaginazione e servizi editoriali: Pagina soc. coop., Bari Finito di stampare nel settembre 2.018 da Grafiche VD srl, Città di Castello (PG)

ISBN 978-88-430-9333-5

Riproduzione vietata ai sensi di legge

( art. 171 della legge 2.2. aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione,

è vietato riprodurre questo volume

anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Alla comunità iulrnina, riflessiva, aperta, solidale

Indice

Presentazione

9

di Mario Negri Università e Terza Missione: il cerchio da chiudere

II

di Angelo Turco

L'impegno sociale dell'Università Università e Terza Missione. Conoscenza, formazione e territorio

23

di Vincenzo Zara SITM:

sistema IULM per la Terza Missione

31

di Emma Zavarrone La misura del mondo. Tra ricerca e social engagement

49

di Massimo De Giuseppe IULM

lnnovation Lab: un percorso di formazione e di accelerazio­

ne di idee di business ad elevato impatto sociale, culturale ed economico

63

di Angelo Miglietta, Anna Nelayeva, Giuseppe Stigliano ed Emanuele Mario Parisi

Territori sostenibili in un mondo che cambia velocemente Terza Missione: è lei la prima vittima della cultura della valutazione? di Giuseppe De Nicolao

7

77

INDICE IULM

per il territorio: eventi e attività di Terza Missione

9I

di Raffaella Quadri Migration, regards croisés, co-construction des savoirs: recherche et Troisième Mission

97

di Laye Camara Convitato di pietra o pratica burocratica? Gli opposti della Third

Mission di Paolo Giovannetti

III

In guisa di conclusione

Terza Missione: misurare la "terza gamba" dell'Università

I2I

di Vanni Codeluppi Università e Terza Missione: in guisa di conclusione di Pietro Mazzola

Gli autori

I37

8

Presentazione di Mario Negri

Esattamente cinquant'anni fa, nel 1967, prendevano avvio le occupazioni delle università italiane da parte di giovani che reclamavano il proprio di­ ritto di "cambiare il mondo" : nel febbraio di quell'anno furono settantadue gli studenti che si barricarono nel Palazzo della Sapienza di Pisa; fu poi la volta di Torino, Trento e Milano, con l'occupazione, nell'autunno, dell'U­ niversità Cattolica. L'anno seguente il movimento dilagava a Genova, Napoli, Firenze, Cagliari, Salerno, Padova e Roma, inaugurando così il "Sessantotto", certa­ mente la stagione di maggiore permeabilità tra il sistema universitario e la società di cui la mia generazione abbia potuto essere testimone. Le porte dell'istituzione furono allora violentemente scardinate ad opera di coloro che erano i diretti destinatari della sua prima missione, la didattica, e che seppero imprimere profonde modifìcazioni all'articolazio­

ne e all'impianto anche della seconda missione, la ricerca ( ricordo infatti,

per inciso, come la struttura dipartimentale sia stata teorizzata per la prima volta proprio entro le Tesi della Sapienza, redatte nei giorni dell'occupa­ zione pisana e poi pubblicate sulla rivista "D Mulino" nello stesso anno ) .

L'"impossibile': che allora gli studenti pretendevano con inedita forza, era proprio l'apertura dell'accademia, la sua trasformazione da luogo elita­ rio ed esclusivo a strumento di inclusione e promozione sociale, la rottura di un isolamento a lungo rivendicato come necessario alla libertà accademica ma di fatto funzionale al mantenimento dello status quo. Oggi, la distanza che ci separa da quegli anni permette di misurare quanto quella volontà di apertura- dirompente, conflittuale, eversiva- sia stata di fatto normalizzata, istituzionalizzata - e temo, tradita- attraverso la riduzione del rapporto tra università e società a una relazione di servizio, variamente declinata in prodotti e prestazioni che le tabelle della valuta­ zione ministeriale raccolgono entro la definizione di Terza Missione: dai brevetti agli spin-off aziendali, dal trasferimento tecnologico alle attività

9

MARIO NEGRI

conto terzi, dagli scavi archeologici alla gestione diretta di spazi museali o espositivi, dalla divulgazione scientifica alla penetrazione dei propri stu­ denti e prodotti- qui volutamente unificati nel discorso- nel mercato. Eppure, proprio questa espressione mutuata dalla pragmaticità anglo­ sassone - tecnica, vaga - contiene in sé i propri limiti e al tempo stesso i mezzi per tornare a immaginare, e reclamare, l'impossibile: la Terza Missio­ ne, infatti, si connota per definizione come ancillare, come non pensabile autonomamente, indissolubilmente legata com'è- fin dal nome- alle due originarie. In altre parole, l'unico modo per l'università di incidere sul mondo che la circonda è attraverso la qualità della didattica, e la sola via che essa ha per promuovere lo sviluppo territoriale è attraverso l' innovatività della ricerca. Quando queste due condizioni siano soddisfatte la Terza Missione può dirsi compiuta e l'università torna a occupare natura/iter il posto che le compete, anche entro l'opinione pubblica: la vituperata turris eburnea fa­ cilmente trasformata in un faro, l' hortus conclusus dei nostri campus e città universitarie in un ospitale giardino ornato di frutti. Quando queste due condizioni siano soddisfatte, l'impegno sociale dell'università- quel public engagement di cui troviamo scritto nelle tabel­ le ministeriali di valutazione - torna a essere rivolto alla comunità e non, come sempre più spesso accade, esclusivamente orientato al mercato. Viceversa, è per molti versi corretto affermare che una corrispondenza perfetta tra azione dell'Università ed esigenze del mercato, tra produzione scientifica degli atenei e standard della valutazione, sia indicativa di scarsa innovatività della ricerca, nella misura in cui adempiere pedissequamente a una committenza impedisce lo scarto verso il nuovo, l'inatteso. Ecco, io credo che il ciclo di convegni sulle "culture della valutazione" di cui il nostro ateneo si è fatto - tramite il collega e amico Angelo Tur­ co - promotore, e di cui oggi consegniamo alle stampe il terzo e ultimo volume di atti, nella sua ampiezza di sguardo e orizzonte, nella sua artico­ lazione critica e plurale, nella scelta di non assumere in modo acritico il dettato economicista, mercantile e globalizzato della valutazione, bensì di rileggedo e passar!o al vaglio delle specificità disciplinari e delle esigenze dei territori, abbia costituito proprio questo: un atto di impegno nei confronti della comunità, un gesto di profondo realismo, un tentativo di reclamare l'impossibile.

IO

Università e Terza Missione: il cerchio da chiudere di Angelo Turco

I

Questo Convegno Si svolge oggi il terzo e conclusivo Convegno sulle culture della valutazione dal titolo Universita e Terza Missione. Conoscenza, formazione, territorio. Dopo aver affrontato i temi della ricerca e della didattica, l'attenzione si sposta sull'ultimo tassello della mission universitaria, la Terza Missione, di cui si vogliono delineare le caratteristiche e il significato per l'università in generale e per la realtà IULM in particolare. Questa trilogia mira a costruire e consolidare il "senso di IULM per la valutazione" per modo che il nostro ateneo possa dare un contributo criti­ co non solo alle sue proprie pratiche valutative, ma anche a una riflessione sulle "culture della valutazione" così fortemente condizionate dalle agenzie deputate e segnatamente dall'ANVUR (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca). Terza Missione, dunque. Ma già, Terza Missione. Impegno sociale dell'università. Sì, ma di che parliamo? Un grande calderone retorico o una strada ricca di fermenti attraverso la quale l'università italiana vive il suo tempo in sintonia con quello della società, di cui è espressione e di cui vuole essere supporto? E IULM in tutto questo? Cercheremo di capire come il nostro ateneo rappresenta se stesso nell'impegno di Terza Missione. Se riesce a trasferire - e come - saperi estesi e profondi in un contesto come quello milanese e lombardo, proiettato verso orizzonti globali ma attento alle aspirazioni locali. E ancora, che ruolo ricopre l'ateneo nella riqualifi­ cazione del territorio e quali sono le sfide da cogliere per lo sviluppo delle collettività insediate, la costruzione di identità inclusive? Su questo e altro, ma senza chiudere alcun cerchio, il Convegno cerca di offrire spunti di riflessione, come si dice, mettere in luce nodi controversi, delineare punti di vista, opinioni, sforzandosi di portare concreti esempi.

II

ANGELO TURCO

2

Gli autori invitati Anche quest'anno abbiamo invitato due personalità del mondo universita­ rio italiano con profili forti ed alquanto diversi tra loro. Suscettibili dunque di sviluppare punti di vista differenti, senza per questo essere necessaria­ mente antagonisti. Si tratta di due scienziati, diciamolo subito, un biochi­ mico e un ingegnere-matematico, lontani dalle culture dominanti nel no­ stro ateneo, eppure attenti a ciò che si muove nel campo delle humanities e capaci di dialogare con esse. Parliamo dunque di Vincenzo Zara, professore ordinario di Biochimica presso l'Università del Salento, di cui è rettore. La sua attività di ricerca trova riscontro in circa 250 pubblicazioni scientifiche, in gran parte su qua­ lificate riviste internazionali, e in 4 brevetti internazionali. Ma ciò per cui oggi Zara è qui ha a che fare con la sua qualità di esperto sulle tematiche della riforma universitaria, su cui ha anche pubblicato vari volumi e artico­ li. Nulla dirò sui suoi posizionamenti, se non per segnalare la sua recente partecipazione al volume Etica. 9 dialoghi controcorrente ( De Monticelli, Fazio, Zara,

2016). E naturalmente per evocare la sua concezione di Terza

Missione, a sua volta alimentata dalla sua azione di rettore di un ateneo, come quello di Lecce, fortemente impegnato nella configurazione della territorialità salentina.

E parliamo, come relatore invitato, di Giuseppe De Nicolao, profes­ sore ordinario di Automatica presso la Facoltà di Ingegneria dell' Univer­ sità di Pavia dove insegna Identificazione dei modelli e analisi dei dati. De Nicolao è uno scienziato che si occupa di controlli automatici, stima di modelli matematici tramite analisi statistica dei dati, automazione nella produzione dei semiconduttori, modellistica in campo farmacologico e il pancreas artificiale. In questo, De Nicolao intercetta in qualche modo la traiettoria di Zara, a sua volta farmacologo. Su questi argomenti, Giu­ seppe ha scritto più di

100 articoli pubblicati su riviste scientifiche inter­

nazionali di alto profilo, ed è inventore di brevetti. Ma egli è qui soprat­ tutto in altra veste, se posso dire, e particolarmente quale animatore del dibattito pubblico sui temi dell'università. De Nicolao è tra i fondatori di

ROARS

ROARS.

( Return on

Academic Research ) e membro dell'Associazione

Non mi dilungo su

ROARS,

che tutti conoscono. Mi limito a se­

gnalare l'infaticabile tessitura di De Nicolao, con interventi memorabili tra cui quello sulla "matematica come retorica" e, da ultimo, quello per

12

UNIVERSITÀ E TERZA MISSIONE: IL CERCHIO DA CHIUDERE

il quale - insieme a molti di voi - ho scoperto di aver fatto un mutuo, oltretutto "perpetuo': senza saperlo'.

3

Terza Missione: di che parliamo? Ma infine, Terza Missione: di che parliamo? Come sempre ci muoviamo su due piani strettamente intrecciati: quello generale, e potremmo dire "di contesto" e quello specifico, concernente il nostro ateneo. 3.I. IL LIVELLO GENERALE

Da un lato, si pone il tema generale: e quindi che significa Terza Missione per l'università italiana, un'istituzione multisecolare che oggi sta cambian­ do velocemente, assumendo fisionomie inimmaginabili anche solo pochi decenni orsono sulla spinta di fattori molteplici tra cui voglio menzionare almeno l'avvento delle

ICT

(lnformation and Communication Technolo­

gies ), il Finanzkapitalismus e quella che viene usualmente chiamata globa­ lizzazione, con i suoi molteplici volti che investono il campo politico, eco­ nomico, sociale. Campi che a loro volta presentano sfumature molteplici, con grappoli di convergenze problematiche: pensiamo alle configurazioni che vanno assumendo, da ultimo, i fenomeni migratori e a quello che con­ verrebbe chiamare ormai il "pianeta migrante". Volendo sintetizzare per punti, diremo che la Terza Missione dell'uni­ versità si specifica solitamente come: 1.

trasferimento tecnologico, con un'accezione di senso assai lato. Significa

infatti moltissime cose, anche perché bisogna adattare la concezione del "tecnologico" alle humanities. Queste per un verso rappresentano, nel loro insieme, uno strumento essenziale per la comprensione del "senso compiu­ to", comunque esso si manifesti. Come "narrazione" verbale o visuale o, più comprensivamente, segnica, quale ne sia la provenienza o il mezzo che la veicola; come "formazione discorsivà' in un'accezione "pragmaticà', cioè che ci orienta a fare questo e quello e ci suggerisce o ci spinge a farlo così e

1.

Sul "mutuo perpetuo", con gli sviluppi che sono seguiti all'intervento originario:

https: l /www.roars.i t/online/scatti-e-a-te-quanto-ti-hanno-stangato-piu-o-meno-di­

wo-ooo-euro-scopri-qui-cosa-ti-costa-il-mutuo-perpetuo/ (ultima consultazione: 19 giu­

gno

2018).

13

ANGELO TURCO

così. Infine, e per fermarci qui, richiamando un punto sollevato da Canfora

(2017 ), come "testo" del passato che racchiude e veicola conoscenze, visioni, concezioni del mondo, progettazioni politiche che trasferiscono nel nostro agire quella che chiamiamo "culturà: nell'esatta misura in cui riusciamo a mobilitarla in uno sforzo ermeneutico che per essere creativo, non può che essere senza fine. Per altro verso, strettamente legato al primo, le "scienze umane" sono impegnate costitutivamente nella fabbricazione di quelle che Nussbaum

(2012, pp. 25 ss.; 2ou), nell'ambito della sua disamina tipologica delle "ca­ pacità': chiama le «capacità centrali», ossia quelle che, nel garantire la tu­ tela e il sostegno dell' agency della persona, definiscono «cosa è necessario , perché una vita sia ali altezza della dignità umana». n richiamo alla dignità umana come criterio valutativo fondamentale delle politiche pubbliche, se da un lato implica la necessità di tener conto della pluralità degli sguardi che si incrociano nel mondo -provenienti da Nord, come si dice, ma anche da Sud-

(Diogene, 2016), dall'altro lato pone in una più completa luce la

distinzione abbastanza standard che circola in questo campo, quella che appunto distingue tra: valorizzazione economica della conoscenza; trasferimento delle conoscenze nelle pratiche sociali, integrarle in una sorta di comunicazione pubblica dei modi e delle tecniche con cui la società funziona, adattandosi al cambiamento ( crisi economica, ad esempio; inno­ vazione tecnologica; crisi della politica, tipo mutazione delle forme e degli strumenti della rappresentanza ) . 2.

Sperimentazione e implementazione di pratiche innovative sul piano eco­

nomico, culturale, sociale. Mi fa piacere citare in proposito le esperienze di "incubazione formativà' messe in atto con IULM lnnovation Lab la presen­ tazione delle cui attività trova un suo spazio anche nel Convegno da parte di Michele Stigliano. 3·

Apertura al territorio, recuperandone le istanze di sviluppo sostenibile.

E ciò, non solo in termini economici ed ambientali, ma più ampiamente in

senso culturale e sociale. Pensiamo alle istanze identitarie e ai modi con cui queste si debbano non già contrapporre alle schiaccianti forze che guidano la globalizzazione, ma rendersi compatibili con esse, in uno sforzo di intelligenza come pure di buone pratiche che vada oltre la dicotomia spazio/luogo. Una dicotomia semplificatrice, oppositiva, secondo la quale, il primo sarebbe il «mondo liscio» evocato da Casey

(2001)

sul quale si appiattirebbe tutto; e l'altro

14

UNIVERSITÀ E TERZA MISSIONE: IL CERCHIO DA CHIUDERE

esprimerebbe la specificità locale, la rugosità di un mondo che perciò stesso, dunque, sarebbe irriducibile al globalitarismo uniformante. E pensiamo altresì ai bisogni di comunità, di fare comunità, di essere comunità e non solo "collettività'.' Vorremmo insistere su questo che è un punto cruciale sul quale abbiamo avuto modo di esprimerci a più riprese, sottolineando che se una collettività esprime una "condivisione di interes­ si" - cosa che è del tutto legittimo, sia chiaro- una comunità condivide un ben più denso e impegnativo "patrimonio di valori". Resta- proprio perciò - da dire che, di là dai contenuti "oggettuali", la Terza Missione è un dispositivo che vorrei considerare olisticamente di "inclusione sociale", in quanto punta a facilitare e, in prospettiva, a garantire l'accesso più ampio possibile:

a)

alla conoscenza, e particolarmente a quella forma alta, specifica e infun­

gibile di conoscenza che è il "sapere scientifico" : con riferimento, beninteso, non solo ai suoi contenuti- magari resi fruibili per un pubblico di non spe­ cialisti attraverso percorsi di progettazione didattica "democraticà,' aperta ad alleanze con le famiglie o l'arco ampio degli operatori sociali-; ma al­ tresì ai modi di produzione non meno che alle condizioni di produzione della ricerca scientifica, argomento sopra i quali hanno ragionato con noi Andrea Bonaccorsi e Mauro Fiorentino nel Convegno sulla ricerca svoltosi in IULM nel giugno del2oi6 ( Turco, 20I7 ) ;

b)

ai modi attraverso i quali la conoscenza scientifica può entrare non solo

nei circuiti della produzione economica, ma nella vita ordinaria di ciascuno di noi. In quella quotidianità nella quale l'uso consapevole del pensiero razionale può portare un contributo di fondatezza- se non proprio di as­ soluta verità- alla comprensione di processi complessi, che altrimenti sono "capiti" attraverso gli stimoli irriflessi, le credenze ingiustificate, gli stati d'a­ nimo, la convenienza degli interessi in gioco. A sua volta, questo dispositivo funziona dentro l'università, come avrà modo di illustrare, proprio per il nostro ateneo, Emma Zavarrone, delegata del rettore per la

TM

a

IULM;

e si irradia fuori: per esempio nei

percorsi di formazione permanente', nelle attività di placement post-lau­ rea, ovvero, e su tutt'altro registro, nelle sue conseguenze manageriali e governamentali sulle quali hanno riflettuto con noi Matteo Turri e Vale­ ria Pinto nel Convegno sulla didattica svoltosi in

IULM

lo scorso marzo

( Turco, 20I8 ) . 2.. Per esempio a sostegno di un più generale impegno di inclusive education (cfr. "Scuo­ la democraticà', 1, 2.017, parte n).

IS

ANGELO TURCO

4

Una Terza Missione per

IULM

Ma veniamo alla declinazione specificamente iulmina del problema.

È qui

che il nostro ateneo, a fronte delle pratiche e degli obblighi di autovaluta­ zione che lo accomunano a tutta l'università italiana ( Formica,

2014), mi­

sura tutto il privilegio e la responsabilità civica, vorrei dire, del suo profilo vocazionale, che esibisce tanto sul piano scientifico e formativo quanto su quello geografico-territoriale. Che significa Terza Missione sul piano scientifico e formativo per IULM,

un'università di comunicazione?

È un interrogativo al quale, pun­

tando l'attenzione sul digitale e sui modi di interazione del digitale con altri strumenti e forme di comunicazione (dal cinema alla televisione e alla fotografia, dal teatro alla letteratura, dai media alla musica e alle arti ) , vorrei tentare di rispondere evocando un impegno triplice del nostro ateneo, po­ sto ali' incrocio tra ciò che si fa, ciò che si potrebbe fare e ciò che si dovrebbe fare. Val la pena situare questo impegno in una unità di contesto, certo, ma distinguendo un orizzonte tecnico e un orizzonte etico: sul piano

tecnico,

si tratta di "trasferire" il senso complessivo della co­

municazione -cosa che

IULM

fa abbondantemente, anche se forse non in

modo sistematico -nell'era digitale, senza dimenticare di stimolare l'ap­ prendimento diffuso -per esempio in chiave (di insegnamento/apprendi­ mento per/degli adulti ) -di qualche tecnica non banale e possibilmente anticipatrice di tendenze educative innovanti; sul piano etico, che è quello sul quale resta probabilmente molto più da fare, vorrei riferirmi all'idea di manipolazione e alla necessità di costruire e diffondere abilità non solo volte a sfruttare conoscenze performanti, ma anche volte a decostruire percorsi di manipolazione della realtà. Ma dal momento che, come ormai sappiamo da tempo, la realtà è nel suo insie­ me una costruzione sociale, ben lontana da quella che un tempo si sarebbe chiamata "realtà oggettivà' ( l'espressione sinonimica più ambiziosa, forse, per rendere l'idea di "verità'' ) , si tratterebbe di mitigare le pulsioni manipo­ latrici dei sistemi informativi e comunicativi che competono nella "fabbri­ cazione" della realtà. Non voglio soffermarmi troppo a lungo su fatti clamorosi, -per tutti: le armi chimiche di Saddam Hussein -né su quelle che oggi sono note a un vasto pubblico come fake

news.

Tutto ciò interpella fortemente il sistema

della ricerca e la coscienza stessa del nostro ateneo. E non è un caso che l'i­ naugurazione dell'a.a.

2016-17 ( parliamo di qualche mese fa dunque )

con

UNIVERSITÀ E TERZA MISSIONE: IL CERCHIO DA CHIUDERE

Ferruccio de Bortoli, abbia evocato proprio uno di questi temi. Né è un caso che uno dei discorsi più sentitamente veicolati in

IULM

come Gianni Canova, preside della facoltà più robusta di

da studiosi

IULM,

o come il

prorettore Angelo Miglietta, insista sulla necessità di orientare la forma­ zione verso

so.ft skills che includano la

"riflessività comunicativa'' in figure

che non solo devono "produrre" o "markettare" qualcosa, ma devono avere consapevolezza della responsabilità che assumono nell'esercizio dell'atto comunicativo. Certo, "la parola è fatta per dire": ma sempre con un intento di chia­ rezza. E vorrei intendere la chiarezza, come un programma non solo scien­ tifico che ispira ed al quale si ispira il ricercatore, ma etico a fronte di una opacità che non si declina puramente come menzogna, come rotonda "bu­ gia'', ma anche come omissione di notizie, o come selezione strumentale di informazioni: operazioni che sono comunque e sempre, in qualche modo, sopraffazione. Quanto al piano geografico-territoriale, si tratta di un punto partico­ larmente intrigante. Da un lato infatti IULM ha il privilegio di operare nel contesto milanese e lombardo, un territorio con decisa vocazione europea e globale, assolutamente permeato delle culture della sfida, della compe­ titività, dell'innovazione. In questo quadro

IULM

sviluppa una serie di

rapporti internazionali estremamente qualificati, ad esempio sul piano della formazione per lo sviluppo locale. E mi piace in proposito citare il programma che stiamo svolgendo con l'ucM (Universidade Cat6lica de Moçambique), a sostegno della "formazione di formatori" che proprio in queste settimane si sta svolgendo in

IULM

in tema di turismo sostenibile

ed avrà una prosecuzione in Mozambico nel primo trimestre del prossimo anno. Dall'altro lato il nostro ateneo opera in un quartiere milanese della cin­ tura esterna, che ha contribuito a modellare, che contribuisce a qualificare (vedi Cascina Moncucco) e con il quale intende sviluppare rapporti sempre più aperti e di reciproco scambio, come sottolinea nel suo intervento Raffa­ ella Quadri e come mostra la presenza al Convegno di Gabriele Rabaiotti, assessore a Lavori pubblici e casa del Comune di Milano e di Santo Minniti, presidente del Municipio 6 Milano. Dunque trasferimento di servizi e competenze, certamente (pensiamo alla mensa e alla biblioteca); ma anche ricezione delle pulsioni e istanze della collettività locale e coinvolgimento degli abitanti nelle iniziative di ateneo. 17

ANGELO TURCO

s

Trilogia

IULM

per la cultura della valutazione

La trilogia di convegni è una risposta

IULM

al bisogno di riflessione sulle

culture della valutazione, come detto in apertura. Riflessione sugli aspetti normativi, tecnici e manageriali che l'evaluative society pone alla nostra at­ tenzione, certamente. Ma senza dimenticare né sottostimare gli elementi critici che le questioni affrontate sollevano, nei tre domini evocati: ricerca, didattica, Terza Missione.

È emersa in questo quadro, particolarmente, una forte esigenza di rifles­ sività affinché le pratiche valutative non rischino di espropriare l'università più ancora che del suo fondamento istituzionale, della sua responsabilità sociale e della sua stessa ragione epistemica se così posso esprimermi, quel­ l'"operare spirituale" che secondo il dettato humboldtiano «produca e mantenga in vita un incessante e autostimolantesi cooperare il quale sia però privo di costrizione e intenzionalità»3• Il richiamo a von Humboldt è fortemente voluto, perché non vorrei che a furia di ricordare a noi stessi

che il modello di "Università Humboldtiana" è abbondantemente supe­ rato, finissimo col buttare via il bambino con l'acqua sporca. E viene in mente, in proposito, l'impegnativo dibattito segnalato ed alimentato da ROARS

a partire dalla ricezione (e recensione ) del volume di Bonaccorsi, La

valutazione possibile (2015), un autore e un libro con cui IULM ha dialogato fin dal primo Convegno della trilogia. Dibattito incernierato proprio sulla pretesa di

nonnazione

del processo critico che conduce all'idea di verità

consensuale a cui siamo disposti a riconoscere valore scientifico, normazio­

ne che

viceversa rischia di reintrodurre un'idea di verità autoritativa, per

non dire dogmatica, di cui le epistemologie contemporanee sembravano essersi definitivamente sbarazzate4• Ma !asciatemi menzionare, come coda non banale di questo ragiona­ mento, un'implicazione che è venuta proprio qui in

IULM,

qualche giorno

fa, in occasione di un pubblico riconoscimento dell'ateneo alla qualità della ricerca dei propri studiosi (EccellenzaiULM). Uno dei nostri invitati, Giaco­ mo Manzoli, con esperienze importanti nel seno delle istituzioni valutative, ha svolto, tra le altre notazioni, quella secondo cui i nostri giovani studiosi,

3· Wilhelm von Humboldt citato in Paparella



(2014, p. 15).

Rinvio a: https://www.roars.it/online/il-valutatore-bonaccorsi-alla-prova-della­ valutazione-aperta-anche-i-valutatori-piangono/, con i riferimenti puntuali agli interventi di Roberto Caso e Maria Chiara Pievatolo (ultima consultazione: 19 giugno 2018).

18

UNIVERSITÀ E TERZA MISSIONE: IL CERCHIO DA CHIUDERE FIGURA

1.1

Convegno Culture della valutazione. Universita e Terza Missione. Conoscenza,Jòrrn,z­

zione, territorio, Università IULM, Milano,

10

ottobre 2017

l \J/1 H\11 /l Il H/ l 11/\\10" Il C/H(I//0/Jilii/I/1/H/

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FIGURA

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Il

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1.2

Convegno Culture della valutazione. Universi!tl e Terz11 Missione. Conoscenza,jòrrn,z­

zione, territorio, II sessione

per non vanificare il loro tempo e il loro impegno e facilitare i processi di accettazione nella peer review, "vanno direttamente al centro", ossia si occu­ pano dei temi che la comunità scientifica maggiormente apprezza, indagati nei modi che la comunità scientifica maggiormente apprezza. Andando di-

19

ANGELO TURCO

rettamente al centro, questo il punto, disertano le periferie, i margini provo­ catori, le intersezioni da esplorare, provocando un drammatico paradosso, consistente nel fatto che il paradigma dominante si rafforza per l'apporto dei giovani studiosi, che nel modello kuhniano -e nel senso comune -do­ vrebbe essere messo in discussione da quei giovani. Tutto ciò ha l'effetto di creare cupole gigantesche di "scienza normale': mentre le speranze "rivolu­ zionarie" sono affidate ai vecchi studiosi che non devono più costruire la loro carriera. Resta da dire che di là dall'occasione che l' ha generata e dal giudizio che se ne vorrà dare, la trilogia di convegni fa parte ormai della biografia intellettuale di

IULM.

Una risorsa conoscitiva e memoriale in base a cui il

nostro ateneo può più autorevolmente concorrere ad ispirare la costruzione di un modello di università rigorosa, riflessiva, plurale.

Riferimenti bibliografici BONACCORSI A.

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Teoria e pratica nel mondo della

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métaphysique et de morale': 32

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( a cura di) (2014),

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PAPARELLA N.

e globalizzazione, Carocci, Roma. ID.

( a cura di ) (2018), Culture della valutazione 2. IULM, Carocci, Roma.

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la didattica in questione,

L'impegno sociale dell'Università

Università e Terza Missione. Conoscenza, formazione e territorio di Vincenzo Zara

Il tema delle culture della valutazione, nell'ambito della Terza Missione, è estremamente interessante. Per anni mi sono occupato, a livello nazionale, di didattica e della sua valutazione sia in qualità di docente sia in qualità di prorettore con delega alla didattica. Da quando quattro anni fa, nel no­ vembre del2013, ho iniziato la mia avventura di rettore dell'Università del Salento, ho esteso il mio interesse anche a questo aspetto della vita univer­ sitaria, riguardante, appunto, la Terza Missione. Una delle sfide fondamen­ tali del mio mandato, infatti, consiste nella collaborazione e interazione di UniSalento con il territorio, un territorio caratterizzato da tanti punti di forza, ma più difficile rispetto ad altri sia per la sua localizzazione geografica sia per alcuni fattori di contesto di natura socio-economica. L'Università del Salento è stata fondata nel I9SS· e originariamente ave­ va anche un nome diverso in quanto era semplicemente l'Università degli Studi di Lecce. Negli anni 2000 ha cambiato il suo nome proprio per in­ dicare che con il passar del tempo ha inteso estendere la propria missione su un territorio più ampio, comprendente anche le province di Taranto e Brindisi. È un'università relativamente giovane se paragonata ad alcune università storiche del nostro paese che esistono da centinaia di anni. Ma ha radici profonde nel suo territorio: è nata quasi per volontà popolare dei cittadini dell'epoca che si auto-tassarono per consentirne l'istituzione. Per questo ho ritenuto opportuno, dopo i rettori che mi hanno pre­ ceduto nel governo di UniSalento, verificare a che punto fosse giunto il rapporto tra la nostra università e il territorio circostante, così da riflettere su cosa fosse accaduto nei primi 6o anni di vita dell'ateneo e quali fossero le prospettive per il futuro. Ritengo che nell' interazione tra la mia università e il territorio siano importanti, prima di tutto, i fattori di contesto: ogni territorio ha delle caratteristiche peculiari delle quali bisogna tener conto e con cui necessa­ riamente l'istituzione universitaria deve rapportarsi. A queste si affiancano

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VINCENZO ZARA

alcune caratteristiche generali che prescindono dall'area specifica in cui opera un ateneo e che rappresentano elementi distintivi della società. Ad esempio, l'estrema rapidità nei cambiamenti, soprattutto nell'ultimo perio­ do, e la notevole fluidità che caratterizza la società odierna condizionano, gioco forza, i rapporti che l'università stabilisce con il territorio. Una sorta di rete quasi tentacolare, i cui punti nodali si spostano di continuo, e in cui è difficile pianificare un organigramma nel quale riconoscersi e rapportarsi in maniera stabile. Per tutti questi motivi, su cui si erge prepotente la fluidità e dinamicità della società, la Terza Missione ha diverse declinazioni. C'è una Terza Missione tradizionale, quella più nota e misurabile, che si basa sulla valorizzazione della ricerca intesa come trasferimento tecnologi­ co. È quella che si identifica nei brevetti, negli spin-off, nel conto terzi, e che si rapporta con imprese e aziende, cercando di mettere a frutto, da un punto di vista pratico e operativo, ciò che viene fatto all'interno dell'università. Poi esiste una Terza Missione, che ritengo più affascinante forse perché ha una connessione più diretta con la società e le sue tradizioni, riguar­ dante il public engagement, l'apprendimento permanente, i musei, gli scavi archeologici, e così via. Una serie di altre iniziative nelle quali l'università è coinvolta e può dare il proprio contributo. Così nella nostra UniSalento abbiamo voluto fare una riflessione a 360 gradi su quale fosse il rapporto tra i docenti universitari di varie aree disci­ plinari e il territorio circostante. UniSalento è una università generalista, e quindi include l'area tecnico-scientifica, quella umanistico-sociale e quella economico-giuridica, su un territorio con proprie particolari caratteristi­ che, il Salento, appunto. La prima interazione tra la nostra università e il territorio, maturata nel corso dei primi anni di esistenza dell'ateneo, è stata caratterizzata dal trasferimento tecnologico sotto forma di incubatori, di­ stretti tecnologici, con vari tipi di coinvolgimenti delle imprese. Sotto certi aspetti, abbiamo realizzato quelli che sono i principi della cosiddetta "tripla elicà' che vede l'università da un lato, l'impresa dall'altro e poi il decisore politico che "orchestra" l'interazione tra questi attori principali. In realtà, nell'ultimo periodo, si è assistito ad una transizione dalla "tripla elicà' alla cosiddetta "quadrupla elicà'. La "quadrupla elicà' mette insieme università, impresa, decisore politico e società civile realizzando, di fatto, la "strategia della specializzazione intelligente" o "smart specialisation strategy". Negli ultimi tempi la "smart specialisation strategy" sembra essere divenuta una sorta di mantra, cui bisogna necessariamente adeguarsi, altrimenti si corre il rischio di essere fuori tempo o non in sintonia con i grandi cambiamenti che caratterizzano la nostra epoca. Sembra che tutto sia o debba essere "in-

UNIVERSITÀ E TERZA MISSIONE. CONOSCENZA, FORMAZIONE E TERRITORIO

telligente": la città intelligente, i trasporti intelligenti, la sanità intelligente, la domotica intelligente. Peccato che poi talvolta ci si accorga che non tutti questi elementi, o le soluzioni adottate, siano intelligenti. Intanto però il monito "Facciamo cose intelligenti" rappresenta il mo­ tivo dominante nell' interazione con i decisori politici, a vari livelli, e con i rappresentanti delle imprese. In queste partnership pubblico-private - in cui si parla di soluzioni intelligenti - si è anche assistito, ad un certo pun­ to, ad una evoluzione ulteriore della "quadrupla elicà' che si è trasformata nella "quintuplà: mettendo assieme a tutti gli elementi prima menzionati i cittadini "attivi" e l'ambiente circostante. n fìne ultimo è quello di poter creare qualcosa di nuovo, qualcosa che sia sì intelligente, ma sia anche in grado di trasferire conoscenza nella cittadinanza attiva, creando, quindi, valore aggiunto. Questa esperienza e quindi la reiterata partecipazione a vari tavoli, a numerose discussioni riguardanti i distretti tecnologici, i parchi scientifici, gli incubatori, i pre-incubatori, gli acceleratori e così via, alla fìne mi ha indotto a riflettere su un elemento fondamentale: le risorse. Non voglio ovviamente generalizzare, ma talvolta ho avuto l'impressione che le impre­ se interagissero con le università e i centri di ricerca perché c'erano risorse pubbliche da distribuire e da utilizzare su progetti sicuramente interessanti ma, alcune volte, con limitate ricadute nella società civile. In altri termini, lo stanziamento di ingenti risorse ha spinto talvolta le imprese a partecipare a un'attività progettuale con l'obiettivo di utilizzare quelle risorse per scopi che forse non erano completamente trasparenti, forse perché orientati ad un assistenzialismo di Stato piuttosto che ad una reale competizione su un mercato globale. Talvolta il "Mettiamoci insieme, università, imprese, de­ cisore politico, risorse, società civile" per cercare di produrre qualcosa che avesse delle ricadute in termini di miglioramento delle condizioni di vita in chiave intelligente non si è rivelato poi così intelligente.

È importante, invece, che la Terza Missione abbia reali ricadute nel ter­ ritorio e quindi promuova l' inclusione sociale, il senso di comunità, ma soprattutto lo sviluppo di una cultura diversa nelle giovani generazioni, indirizzandole verso il futuro in maniera consapevole e motivata. Soprat­ tutto in alcuni territori, in maniera particolare nel Sud Italia, si combatte giornalmente per il destino dei distretti, degli incubatori, e di altre iniziative più o meno collegate al trasferimento tecnologico, ma in presenza di un tessuto imprenditoriale che non è in grado di fare ricerca e sviluppo ed è quindi incapace di stare al passo con questi meccanismi. E allora, nell'ambito della nostra università, abbiamo cercato di portare

25

VINCENZO ZARA

avanti esperienze diverse, che potessero essere coerenti con le caratteristiche e le aspettative del territorio. Tra queste, abbiamo sviluppato con i colle­ ghi di economia l'esperienza dei "laboratori diffusi". Si tratta di un tipo diverso di incubatori, in questo caso di idee imprenditoriali, in cui si tenta una mediazione, una interazione con un partner esterno all'università, cer­ cando di sviluppare una cultura d'impresa partendo dagli studenti e dagli imprenditori più illuminati. Gli studenti e i docenti hanno incontrato i rap­ presentanti di varie imprese al fine di sviluppare nuove idee, tirar fuori dei modelli di sviluppo e d' interazione, e quindi cercando di costruire assieme, o

almeno di immaginare, nuovi paradigmi di interazione. E tutto questo

senza avere alle spalle un bando ministeriale o regionale, con risorse ingenti stanziate, che in un certo senso avrebbero "drogato" l' interazione finaliz­ zandola, esclusivamente, alla definizione di progetti coerenti con le finalità del bando. In questo caso non c'erano risorse, c'erano fortunatamente le idee, molte delle quali estremamente innovative e senza sovrastrutture or­ ganizzative a contorno dell'iniziativa. Non c'era, quindi, un organigramma che avrebbe complicato l'interazione tra studenti, docenti ed imprese: il risultato è stato abbastanza buono sia per le idee prodotte sia per il metodo di lavoro sviluppato. Questi laboratori diffusi hanno portato a realizzare anche una raccolta di fondi mediante il crowdfounding: in questo modo vi è stata la possibilità di raccogliere un po' di risorse per premiare e portare

avanti quei progetti che erano risultati più stimolanti o più interessati a seguito delle azioni realizzate nei laboratori diffusi. Un'altra sfida alla quale ci siamo dedicati all'interno del nostro ate­ neo - che credo rientri a pieno titolo nell'ambito delle attività di Terza Missione

-

è il cosiddetto apprendimento permanente e/ o formazione

continua. Si è trattato di un'esperienza molto stimolante perché ha avvici­ nato ulteriormente l'università al mondo delle professioni e quindi a varie categorie professionali, ordini e collegi professionali. Differentemente da quello che si potrebbe in genere pensare, non è stata un'operazione sem­ plice. Partiamo però dall'inizio e quindi dalla progettazione dei corsi di stu­ dio. Nel momento in cui si delineano i nuovi percorsi formativi, oppure si rimodulano quelli già esistenti, è necessario effettuare una consultazione con i soggetti rappresentativi del mondo del lavoro al fine di ottenere in­ formazioni utili per definire gli obiettivi formativi del corso di studio. Tale consultazione non deve essere condotta in maniera limitata, ma deve essere abbastanza ampia per sviluppare una visione consapevole e aggiornata sui profili culturali e professionali che si intendono formare. In questo modo

UNIVERSITÀ E TERZA MISSIONE. CONOSCENZA, FORMAZIONE E TERRITORIO

si è in grado di offrire un percorso formativo aggiornato, che traguarda il futuro, e conferisce al titolo di studio quel valore reale - più importante del valore legale - che qualifica in maniera preziosa e innovativa il profilo professionale. Lo stesso procedimento deve essere seguito nel momento in cui si av­ viano iniziative riguardanti l'apprendimento permanente. Fare apprendi­ mento permanente non significa semplicemente erogare crediti perché vi è un "mercato dei crediti': cosa che talvolta accade in determinati ambiti pro­ fessionali. Per esempio gli ECM, i crediti professionali rilasciati per l'educa­ zione continua in medicina, generano un mercato dei crediti che poco ha a che vedere con la qualità del percorso erogato. Talvolta vengono organizzati corsi, seminari, convegni, in cui il primo obiettivo è la quantificazione in termini di crediti delle attività formative erogate. Poca attenzione viene de­ dicata ai contenuti, come dovrebbe accadere, e invece massima attenzione viene rivolta a quanti crediti sono rilasciati al termine del percorso formati­ vo. Ricordiamo che tali crediti sono necessari, come previsto dalla norma­ tiva, per il mantenimento dell'iscrizione a determinati albi professionali. Fare un buon apprendimento permanente, invece, significa fare meglio quello che costantemente l'università fa nell'ambito dei corsi di studio, analizzando l'evoluzione culturale e professionale delle attività lavorative, e quindi qualificando e innovando, in questo caso in maniera intelligente, i profili professionali. È quindi importante, quando si attivano iniziative nell'ambito dell'apprendimento permanente, non riproporre argomenti già ampiamente trattati nell'ambito del corso di studio ma stimolare l'u­ ditorio, rappresentato dai già laureati, con nuovi argomenti che non solo risentano degli aggiornamenti scientifici più recenti ma aprano l'orizzonte verso un'analisi critica e prospettica dell'evoluzione professionale. Un esempio è rappresentato dalla nuova formazione degli insegnanti che prevede l'acquisizione di 24

CFU

in determinati ambiti disciplinari,

quale requisito di accesso per la partecipazione al concorso per il successi­ vo percorso di formazione triennale. È importante che i 24

CFU

abbiano

un senso e si inseriscano in un percorso verticale e integrato tra quanto già fatto nel corso di studio e quanto sarà fatto nel successivo percorso trien­ nale. La posta in gioco è molto alta: stiamo infatti parlando della qualità della formazione del futuro insegnante. Per raggiungere questo importante obiettivo dobbiamo uscire dagli schemi, che non sono quelli riguardanti il classico percorso curriculare, perché le esigenze sono diverse. Non possia­ mo !imitarci a erogare didattica disciplinare, dobbiamo saper insegnare la "didattica della disciplinà: che è cosa ben diversa e richiede, anche da parte

VINCENZO ZARA

nostra, uno sforzo ulteriore. È quindi importante utilizzare metodologie didattiche appropriate, riuscire a far capire ai futuri insegnanti che la di­ sciplina andrà proposta agli studenti in maniera diversa a seconda dell'età e delle caratteristiche, talora individuali, degli studenti. Tutto questo non è semplice e richiede anche una forte collaborazione tra aree disciplinari

diverse in ambito universitario al fine di raggiungere in maniera efficace e proficua gli obiettivi di apprendimento proposti. L'apprendimento permanente nell'università non deve essere pensato solo dal punto di vista amministrativo. Per esempio, quando è stata propo­ sta l'istituzione di un centro per l'apprendimento permanente che potesse coordinare le attività pertinenti all'interno dell'ateneo, qualcuno ha imme­ diatamente pensato al suo organigramma, alla ripartizione dei compiti, e quindi anche al ruolo di coordinamento all'interno del centro. In sostanza, senza preoccuparsi degli obiettivi didattici e scientifici del centro, si è di­ scusso maggiormente del riposizionamento di alcuni colleghi nell'ambito del centro. Tutte le attività di Terza Missione nelle quali l'università è coin­ volta, così come l'apprendimento permanente, rappresentano un momento importante in cui la realtà universitaria incontra le necessità del territorio. Non è, invece, un momento in cui esercitare le logiche del potere accade­ mico con ben poca lungimiranza sugli effetti negativi che tutto ciò può comportare nei rapporti con l'esterno. L'apprendimento permanente è una missione nuova per l'università, una sfida bella e avvincente che ci sprona a pensare in maniera innovativa, a rapportarci con l'esterno in maniera di­ versa dal solito. In un certo senso, si ha la possibilità di osservare come si sviluppa la professione nel corso del tempo, cercando di cogliere le necessità emergenti, offrendo, di conseguenza, qualcosa d'importante e di innovati­ vo al mondo delle professioni. Un'altra esperienza di Terza Missione è rappresentata dai cosiddetti "tavoli imer-istituzionali" ai quali partecipano, oltre al rettore, altri rappre­ sentanti di enti e/ o istituzioni, come il sindaco, il presidente della Regione, il capo di Confindustria, il vertice della Camera di Commercio, con l'o­ biettivo di creare un gruppo di lavoro operativo. In questi tavoli, ciascuno per gli ambiti di propria competenza cerca di fornire un contributo per la risoluzione di problemi, promuovendo la discussione su temi di portata imer-istituzionale. Queste attività sono molto comuni in vari ambiti ma spesso si incontrano varie difficoltà e non è infrequente che le attività addi­ rittura si arenino, essenzialmente per due ordini di motivi. Un motivo è di carattere interno all'accademia ove, talvolta si scon­ trano due visioni contrapposte. Da una parte vi sono alcuni colleghi che

UNIVERSITÀ E TERZA MISSIONE. CONOSCENZA, FORMAZIONE E TERRITORIO

ritengono che l'università abbia tra i propri compiti istituzionali primari la didattica e la ricerca e che tutto il resto rappresenti una fastidiosa"contami­ nazione". Il rischio, a loro parere, è di effettuare scelte -anche se non assun­ te, ma solo ponderate -che non rientrino nei compiti di un ateneo. Dall'al­ tra parte vi sono colleghi pronti a"contaminarsi" e quindi a spendersi per le necessità del territorio, offrendo il proprio know-how per la risoluzione di problemi che richiedono un approccio multifattoriale e condiviso con altre istituzioni. Talvolta, queste diverse visioni all'interno dell'università hanno portato ad accese dispute sul senso di sedersi al tavolo imer-istituzionale e su quali fossero i limiti entro cui operare. Se non si riescono a governare bene queste diverse visioni all'interno del sistema accademico risulta diffi­ cile, se non impossibile, portare avanti una interlocuzione efficace con altri attori istituzionali. Un altro motivo è esterno all'accademia e dipende essenzialmente da fattori comuni in altri contesti nazionali. Capita di trovarsi in tavoli di coordinamento nazionale, anche ad alti livelli come i tavoli ministeriali, nei quali si comprende, abbastanza presto, che la riunione prevede una decisione già assunta da altri e che il tavolo, e quindi la presenza di altri interlocutori, serve solo per validare quanto già deciso in altri contesti. Questa realtà è abbastanza deprimente, poiché si basa sulla consapevo­ lezza che il tavolo imer-istituzionale non serve ad affrontare in maniera incisiva i problemi, ma svolge solo il ruolo di offrire una sponda a deci­ sioni di altri. Alla luce di queste considerazioni, che hanno abbracciato differenti temi, ritengo che la chiave del successo consista nel fatto che didattica, ri­ cerca e Terza Missione debbano essere inscindibili. La Terza Missione non deve essere qualcosa creata in maniera estemporanea al momento, magari per rincorrere una moda o soddisfare esigenze di scarso rilievo, è invece un qualcosa che mette insieme tutte le competenze possedute all'interno dell'accademia, offrendole al territorio per il suo sviluppo e la sua crescita razionale e produttiva. Mi piacerebbe sviluppare un nuovo concetto di "tripla elicà: questa volta calata all'interno dell'ambiente universitario, i cui componenti sono costituiti da didattica, ricerca e Terza Missione, missioni tutte strettamen­ te interconnesse tra loro. In questo modo l'università può contribuire alla crescita sociale, culturale ed economica del territorio, fornendo conoscenza qualificata in base al patrimonio didattico e scientifico posseduto. Forse potremmo osare ancora di più e quindi passare dalla tripla alla "quadrupla elicà: considerando strettamente interconnesse la didattica, la ricerca, la

VINCENZO ZARA

Terza Missione e, infine, anche la valutazione, che, peraltro, rappresenta il tema portante di questo incontro. Valutazione che non deve tradursi necessariamente - anche se in alcuni casi potrebbe essere utile - in indicatori quantitativi che certamente descri­ vono i fenomeni, ma spesso non riescono a cogliere quella che è l'essenza dei fenomeni. Gli indicatori quantitativi, che in questo periodo sono partico­ larmente numerosi, cercano di descrivere le caratteristiche e le performance degli atenei, fornendo però un'immagine che non è esaustiva delle innume­ revoli sfaccettature e dimensioni possedute da ciascuna realtà universitaria. Con questo non intendo affermare che gli indicatori non siano impor­ tanti. Se è opportuno conoscere il numero degli immatricolati, c'è necessità di indicatori quantitativi. Parimenti importante potrebbe essere analizzare il trend di un fenomeno e quindi anche in questo caso è necessario disporre di dati numerici in un arco temporale definito. Ma altri aspetti, ad esempio la qualità dell'insegnamento, e a maggior ragione la qualità degli interventi di Terza Missione, sono difficilmente quantificabili e rappresentabili con meri indicatori quantitativi. Come si quantifica il valore di un tavolo imer-istituzionale? Col nu­ mero delle riunioni e dei componenti? Con la frequenza delle riunioni e delle relazioni prodotte? Col numero e la lunghezza dei verbali? Talvolta, è necessaria minore enfasi dal punto di vista delle definizioni, degli acronimi, di ciò che vogliamo fornire dal punto di vista dell'immagine, e maggiore concretezza per quello che effettivamente riusciamo a realizzare e quindi per le positive ricadute a livello territoriale. In definitiva, ritengo che la valutazione sia uno strumento che aiuta a riflettere sui risultati ottenuti e a migliorare costantemente le nostre attivi­ tà. Ovviamente esisterà una metodologia della valutazione che sarà diversa a seconda dei casi, ma la valutazione deve servire a spronarci per migliorare le nostre attività. La valutazione non deve essere intesa come un adempi­ mento, un dovere che ci sottrae tempo che potremmo utilmente dedicare altrove, ma un mezzo per capire in che direzione ci stiamo muovendo quindi per correggere la rotta verso obiettivi sempre più efficaci.

e

SITM:

sistema IULM

per la Terza Missione di Emma Zavarrone

I

Introduzione Questa nota è dedicata alla descrizione del sistema IULM sulla Terza Mis­ sione

(TM ) sottolineando che, sebbene in assenza di una strategia dedica­

ta e di strutture di supporto preposte, l'università è da tempo fortemente caratterizzata da una costellazione di attività sia nel public engagement (PE) che nella ricerca applicata, attività volte entrambe all'integrazione sul territorio. L'assenza di una struttura di supporto, seppur ampiamente compensata dalla esperienza dell'università nel suo complesso, comporta, non solo difficoltà nella fase di quantificazione delle attività svolte da parte dei singoli docenti, nella fattispecie in occasione delle rilevazioni predisposte dall'ANVUR, ma anche e soprattutto, un impoverimento delle connessioni sul tessuto locale. Ciò impedisce, di fatto, l'ulteriore svilup­ po di esternalità per l'ateneo stesso che potrebbe valorizzare le attività pregresse. Questo aspetto innesca un circolo vizioso alimentato da una scarsa sensibilizzazione alla tematica con la pesante ricaduta sul progressi­ vo sfilacciamento dei rapporti tra università e territorio di riferimento. La presenza, invece, di un sistema deputato allo sviluppo della TM, articolata in tutte le sue manifestazioni, rappresenta una opportunità di interazione con il territorio agendo come un moltiplicatore di conoscenza. L'isti­ tuzione della figura del delegato del rettore alla Terza Missione

( DTM )

dovrebbe svolgere il ruolo di facilitatore (sviluppatore) delle possibilità per la diffusione della conoscenza prodotta all'interno dell'università. I primi risultati ottenuti dall'implementazione del sistema di attivazione di Terza Missione sono incoraggianti, si percepisce una sensibilizzazione crescente sia presso i docenti sia presso il personale tecnico amministra­ tivo. L'operato del DTM è caratterizzato da quattro assi fondamentali che sono:

31

EMMA ZAVARRONE

r.

valorizzare la TM attraverso la progettazione e l'implementazione di un

sistema di valutazione; 2.

sviluppare indicatori che seguano una logica

FFO

( Fondo di finanzia­

mento ordinario) ossia: a

)

fondamentali per i segmenti vocativi dell'ateneo, nel senso che devono

essere in grado di misurare ciò che l'ateneo produce nella sua forma identi­ taria più completa;

b)

funzionali alle valutazioni contenute nella scheda SU A

-

TM

( scheda uni­

ca annuale per la Terza Missione) , nel senso che deve essere in grado di ri­ condurre tutte le attività svolte alla griglia di valutazione proposta dall'AN­ VUR;

c)

orientati alla quantificazione dell'impegno sociale, nel senso che de­

vono cogliere l'aspetto decisamente qualitativo caratterizzato dal livello di permeabilità sul territorio; 3·

diffusione presso i peers delle



sviluppare nuove aree di TM.

TM

in tutte le sue complessità;

Gli assi fondamentali saranno esplorati nei prossimi paragrafi. In par­ ticolare, il paragrafo

2

farà riferimento alla rassegna della letteratura, il pa­

ragrafo 3 a un confronto tra i piani strategici in vigore per comprendere se effettivamente le università si stanno adeguando alla

TM

e l'ultimo para­

grafo sarà dedicato all'architettura del sistema di valutazione in corso di implementazione con le relative sotto fasi.

2 TM:

alcune questioni definitorie

La TM potrebbe essere considerata il residuo a tutto ciò che non è didattica e ricerca. Tuttavia, in un approccio matematico- statistico, nell'ambito del modello lineare, la modellizzazione del residuo o dell'errore è un aspetto molto importante, in quanto consente di verificare il rispetto dei requisiti metodologici necessari per una corretta interpretazione del dato.

È eviden­

te che il residuo non può essere ignorato, e soprattutto, in ambito sociale, non esiste un modello in cui il residuo non agisca. Pertanto, paradossal­ mente definire la

TM

residuale rispetto a didattica e ricerca, conferisce in

una visione tecnico-formale il ruolo più importante all'interno del sistema universitario. Ciò vale nell'ipotesi che, la definizione del residuo, fosse con­ siderata come la ricerca di una soluzione a un problema di identificazione del modello analiticamente migliore. L'importanza della

TM

risiede nel

SITM: SISTEMA IULM PER LA TERZA MISSIONE FIGURA 3.1 Schema delle azioni previste nella Terza Missione

(a) Knowledge capabilities

(d) Teaching

(e) Communication Fonte: Molas-Gallart et al.

(2.002.).

fatto che rappresenta la modalità di contaminazione tra la torre di avo­ rio e la società, contaminazione che consente a quest'ultima di aumentare il proprio capitale umano. Molas-Gallart

al.

(2002) hanno fornito una schematizzazione molto efficace delle azioni che rientrano nella TM ( FIG. 3.I ) . Vorley e Nelles (2oo8), indicano la TM come un insieme di funzio­ et

ni ben distinte da didattica e ricerca e quanto schematizzato nella

FIG.

3.I

conferma il loro approccio. La pluralità di aspetti in cui si decompone la TM

rende effettivamente complesso delineare un quadro univoco delle de­

finizioni e, mette al contempo in evidenza, che la

TM

non è una attività

residuale ma è un corpus variegato di attività volte al supporto e all'integra­ zione del sistema universitario nella società imprenditoriale e civile. Risulta chiaro come lo sviluppo di questo ramo di attività richieda professionalità apposite e non sempre di facile formazione e reperibilità sul mercato. Per cui la differenza in termini di TM diventa palese quando i singoli ingranaggi si muovono all'unisono creando una sinfonia magistrale. Sinfonia che deve avere un ruolo fortemente strategico all'interno delle università. Nel ricercare una definizione congiunta, due aspetti si impongono

33

EMMA ZAVARRONE

all'attenzione: 1. assenza di definizione condivisa, 2. aspetto strategico. La mancanza di unicità definitoria fa riferimento sia alla natura sia ai diversi percorsi di sviluppo che connotano la

TM:

un approccio di tipo impren­

ditoriale letto nella direzione di trasferimento delle tecnologie prodotte all'interno delle università presso le imprese vs. un approccio volto alla

diffusione di saperi associato a forme difu ndraising. Sicuramente la defini­ zione risente delle tendenze temporali e domestiche, tendenze che non si

sono omologate ma che hanno mantenuto nel corso del tempo una propria identità portando tutt'ora alla convivenza dei termini: Third Stream (in cui è forte l'orientamento al trasferimento tecnologico) o Third Mission (in cui prevale l'orientamento al trasferimento di conoscenze) (Gorason, Maharajh, Schmoch, 2009).]ongbloed, Enders e Salerno (2oo8) afferma­ no che «third mission is understood as the relationship between higher education and society beyond the first (education) and second (research) missions of universities». Tuunainen (2oos) definisce «The third mission encompasses a wide range of activities involving the generation, use, appli­ cation and exploitation of knowledge and other university capabilities out­ side academic environments». Zomer e Benneworth (2ou) definiscono la TM

come «[l'insieme delle] attività sociali, imprenditoriali ed innovative

che le università realizzano congiuntamente con la ricerca e la didattica». La rassegna della letteratura assimila la

TM

al trasferimento di cono­

scenze inserendosi nel dibattito che era in corso negli anni Sessanta tra co­ noscenze tacite ed esplicite (Polanyi, 2009; Nonaka, Konno, 1998). Negli anni Settanta, invece, il concetto di trasferimento delle conoscenze diventa l'applicazione della ricerca nella società dando un forte impulso allo svi­ luppo dell'imprenditorialità governata dai risultati ottenuti nella ricerca che, se opportunamente combinati diventavano fonte di innovazione. Gli anni Settanta-Ottanta vedono negli

USA

il fiorire di quelle realtà impren­

ditoriali geolocalizzate nella Silicon Valley. La dimensione spaziale non era certamente frutto di un caso ma dovuta da una parte alla presenza delle più prestigiose università americane e dall'altra all'emanazione del Bayh-Dole

Act (Perk.ins, Tierney, 2014) che regolava appunto l'utilizzo dei brevetti da parte della comunità imprenditoriale (Wynarczyk et al., 2016), e pro­ babilmente anche alla ricezione di un nuovo modo di creare ed erogare conoscenza, modalità veicolata dalle applicazioni, di tipo multidisciplinare e sottoposta a verifiche continue (Mode 2 ) (Gibbons et al., 1994). I trasfe­

rimenti di know-how al mondo dell'imprenditorialità e la sempre più fre­ quente commistione tra l'applicazione della ricerca (di base e/ o di eccellen­ za) portano alla generazione e alla diffusione delle startup e all'affermarsi

34

SITM: SISTEMA IULM PER LA TERZA MISSIONE

in letteratura delle relazioni che sussistono tra la ricerca pura e i risultati di quella applicata di cui le startup sono espressioni. La discussione scientifica fu animata dalla pubblicazione del libro di Stokes (2011) in cui formalizzava il quadrante di Pasteur evidenziando il diverso contributo apportato allo sviluppo della società dalla diversa gestione delle applicazioni della scienza. Gli anni

2000

sono stati governati dallo sviluppo sempre più complesso

delle interazioni non solo tra la ricerca scientifica e la società ma anche con le istituzioni. Questo nuovo approccio, che nella sua formulazione iniziale è noto come la Triple Helix, introdotto nel I993 da Etzkowitz e formalizza­ to congiuntamente in seguito da Etzkowitz e Leydesdorff

(I995), consen­

te di mettere l'attenzione su due concetti molto importanti e ancora non pienamente radicati nella cultura italiana: l'università imprenditoriale e il capitale intellettuale che alimenta ed è alimentato dalla società'. Se il panorama internazionale si è evoluto affrontando diverse temati­ che e riconoscendo l'importanza sia della ricerca di base che di quella di ec­ cellenza, facendo notare come non si può avere ricerca di eccellenza se non c'è quella di base, in Italia questa consapevolezza fatica ad attecchire. Il si­ stema universitario italiano a partire dal2oi2 (D.L. 27 gennaio 20I2, n. 19) è stato investito dalla necessità di occuparsi insieme alla didattica e alla ricerca anche della ricaduta nella società delle conoscenze generate, nota appunto come Terza Missione. Andando con ordine: all'interno del processo di ade­ guamento del sistema universitario italiano alle direttive europee, allinea­ mento iniziato con il Processo di Bologna di Lisbona

(1999 ), in occasione dell'Agenda

(20o6) si mette il focus sulla necessità di potenziare il capitale

umano della società attraverso il processo di disseminazione dei risultati scientifici realizzati in seno al sistema universitario. La presenza della Ter­ za Missione è relativamente recente, le aree interessate non appaiono ben delineate e definite, determinando così ulteriore confusione sulle attività che afferiscono alla Terza Missione, andando a configurare così aree grigie nella definizione e nell'inclusione della tipologia di azioni. Questi limiti, tuttavia, non esulano dall'attivare un processo di valutazione aggiuntivo, seppure blando, pertinente alle attività di Terza Missione espletate. Questa percezione sfumata dei confini della

TM

probabilmente è dovuta anche a

una recente formulazione legislativa le cui misure sono state esplicitate nel D.M. 30 gennaio 2013, n. 47 ed implementate dall'ANVUR e somministrate in occasione della VQR, nelle due ultime edizioni. ANVUR

1.

A partire dalla

Quintuple Helix.

(2015) definisce

Triple Helix sono stati sviluppati diversi modelli fìno ad arrivare alla

35

EMMA ZAVARRONE

la TM come: «concetto di apertura verso il contesto socio-economico me­ diante la valorizzazione e il trasferimento delle conoscenze, [in cui sono] definiti alcuni indicatori di valutazione sia dal punto di vista strettamente tecnologico che da quello delle scienze umane». Definizione molto ampia in cui dominano i concetti di valorizzazione, trasferimento, conoscenza e valutazione, i quali non sempre sono stati inclusi nei piani strategici del­ le università per cui è presumibile attendersi un effetto di spiazzamento tra quanto le università hanno dichiarato nelle proprie linee strategiche di ateneo (piano strategico di ateneo,

PSA

ritrovano a dover gestire in termini di

) e perseguono, e quanto, invece, si

TM.

3

Analisi piani strategici università italiane Il

PSA

permette di delineare gli obiettivi che ogni università si propone

di realizzare e la visione conseguente. I piani hanno una cadenza triennale per cui, essendo stata emanata nel Missione, è ragionevole

2013 la legge sull'inclusione della Terza aspettarsi, al 10 ottobre 2017, che tutti gli atenei

abbiano recepito e adeguato i propri PSA alla normativa in termini di Terza Missione. A tal fine si è svolta un'analisi comparativa su

87 atenei che ave­

vano il PSA consultabile in chiaro, ad esclusione di quelli telematici, selezio­ nando dal

PSA

solo la parte pertinente alla

TM.

In base al criterio assenza/

presenza della descrizione dettagliata di TM è emerso che: l'Univesità Ca' Foscari rappresenta una eccellenza confermando così anche quanto è emerso dallo studio di Secundo et al.

(2017 ) ;

l'Università di Ferrara presenta una dettagliata descrizione di obiettivi e il

PSA

più esaustivo;

non tutte le sedi hanno un

PSA

aggiornato online;

l'n,s% delle università non contempla informazioni dedicate alla né sul sito né all'interno del

PSA

TM

ma compare solo la dicitura "Terza Mis­

sione"; tanti PSA sono accomunati dalla genericità tra obiettivi e messa in opera e

ciò genera una confusione tra strategia ed attuazione. In quest'ultimo caso, forte è l'impronta di una rilevazione basata sulle

procedure piuttosto che un ambito con propria identità. Ciò porta al col­ locamento delle attività di

TM

nel presidio di qualità che strutturalmente

risulta inappropriato. Infatti, compito del presidio è quello di rilevare quel­ lo che è stato già fatto al fine di costruire gli indicatori preposti per l'accre-

SITM: SISTEMA IULM PER LA TERZA MISSIONE

FIGURA 3.2.

Barplot percentuale delle occorrenze nei

PSA

per le sezioni dedicate alla TM



1J ....

:::: �

3

:� o

0,1·

o,r-

o,o-

AP:

associazioni professionali;

PE: public

engagement;

TT:

rrasferimenro reenologico

Fonte: elaborazione dell' aurrice.

ditamento, ma non di regolamentare le attività in capo alla

TM

di cui può

però rilevarne gli effetti. Il confronto tra ciò che è richiesto in termini di contenuto per l'ade­ guamento dalle linee guida

accreditamento)

II,

AVA

(Autovalutazione,

valutazione periodica,

sempre in termini di TM, e ciò che è effettivamente rea­

lizzato mette in luce un profondo gap come riportato in

FIG.

3.2 in seguito

all'applicazione dell'analisi testuale. Diventa molto allarmante la lettura del barplot se si concentra l'atten­ zione sui valori percentuali associati alle occorrenze delle singole parole:

37

EMMA ZAVARRONE

FIGURA 3·3

Network semantico basato sulla correlazione nei

AP:

associazioni professionali; PE: public engagement;

avendo selezionato solo i

PSA

TT:

PSA per

le sezioni dedicate alla TM

trasferimento tecnologico

che contenevano un diretto riferimento alla

Terza Missione e volendo verificare se lo spettro semantico dei termini uti­ lizzato fosse molto ampio o molto contenuto, si evince che la

TM,

laddove

contemplata, non è inserita utilizzando ampie descrizioni quindi molti ter­ mini. Al contrario, si assiste a una povertà lessicale con la maggior parte dei termini molto contenuta seppure più volte ripetuti. Se poi si sposta l' atten­ zione sulla correlazione tra i termini>, partendo da un livello molto basso 2. A seguito della costruzione della matrice termini-documenti, in cui ciascun PSA rappresentava un documento, quindi, si è ottenuta una matrice da cui si è calcolato il livello

SITM: SISTEMA IULM PER LA TERZA MISSIONE

pari a 0,20

(FIG . 3.3), si nota come il termine "imprese" sia correlato con un

numero maggiore di termini rispetto agli altri e che sia l'unico elemento di connessione con il tipo di attività più orientate al public

engagement. È

singolare come in un contesto in cui la sola società adulta dovrebbe essere il focus delle azioni il termine "studenti" appare come collegamento tra i ter­ mini "imprese" e "associazioni professionali': Queste evidenze confermano quanto espresso in precedenza: si riscontra ancora un certo disorientamen­ to nei confronti della TM da parte dei decisori.

4 SITM:

sistema IULM per la Terza Missione

La definizione del "sistema IULM" per la

overview

TM

deve essere preceduta da una

sul cosa è valutato ai fini dell'accreditamento da parte dell'AN­

VUR. Anche se il

SITM

ha una natura di tipo

FFO

(cfr. PAR.

x

)

l'aspetto

funzionale non deve essere tralasciato. La scheda di rilevazione ANVUR, denominata

SUA-TM,

a causa del suo

carattere innovativo è stata sottoposta a diverse revisionil. Motivo per cui da una rilevazione all'altra cambiano alcune voci che inequivocabilmente con­ dizionano la rilevazione e la conseguente valutazione. La predisposizione del

SITM,

segue una semplice logica PDCA

un costante aggiornamento. ll compone la scheda

SUA-TM

SITM

(Plan-Do-Check-Act),

richiede

analizza ogni segmento vocativo che

sulla sequenza ciclica:

P: riclassificazione delle attività pregresse per TM in base alla normativa ANVUR; 2. D: attuazione piano di rilevazione per ogni tipologia di indicatori FFO; C: Individuazione punti di forza e di debolezza di ciascun segmento; 3· 4· A: quantificazione dell'impatto nella società per ciascun segmento 1.

classificato. 1.

Fase Pian

I segmenti di osservazione presentati nella scheda SUA-TM sono

suddivisi in due aree: la prima di natura tecnologica e la seconda di natura umanistica. Nel primo gruppo rientra la gestione della proprietà intellet­ tuale: di correlazione tra il numero di volte che compare una determinata parola e il resto dei termini, ossia un vettore composto dal totale delle frequenze. 3· All'epoca del convegno, 10 ottobre 2.017, non erano state emanate le nuove linee guida che regolano attualmente la TM.

39

EMMA ZAVARRONE

imprese spin-off; attività conto terzi; strutture di intermediazione. Nel secondo gruppo rientrano tutte le attività a complemento, infatti convivono tanto attività strettamente connesse all'area delle

humanities

science tanto a quelle mediche. Nello specifico: produzione e gestione di beni culturali; sperimentazione clinica, infrastrutture di ricerca e formazione medica; formazione continua;

- public engagement (PE), suddivisibili ulteriormente al loro interno. L'Università IULM ha nel corso degli anni dedicato tempo ed attenzione alle attività di trasferimento della conoscenza presso la comunità di riferimento come è ampiamente testimoniato dal costante lavoro di raccordo tra comunità scientifica e non, presentato dalla dott.ssa Quadri nel presente volume. La prima operazione ali' interno di questa fase è stata quella di effettua­ re una riclassificazione di tutte le attività realizzate in IULM nelle categorie elencate in precedenza. La sintesi

(TAB. 3.1)

permette di identificare quali

sono le possibili aree in cui la IULM è già attiva o potrebbe attivarsi. L'ul­ tima colonna della

TAB.

3.1 fa riferimento allo stadio di implementazione

del sistema in cui si segnala se è attiva una rilevazione del segmento. Da ciò che emerge è un ateneo con alte potenzialità ma l'unica rilevazione imple­ mentata è quella del conto terzi sotto l'area della ricerca, il job placement dei laureati invece non si è mosso finora nella direzione di una rilevazione sistematica e valorizzazione di quanto realizzato per la valorizzazione dei laureati IULM. Sempre in questa fase l'aspetto della formazione continua declinata se­ condo le linee guida del programma Life

long learning non è stato ancora

saturato. Al potenziamento di questo aspetto saranno orientate gran parte delle attività in capo al delegato alla Terza Missione nel prossimo anno. 2. Fase Do In questa fase l'attenzione si concentra di fatto sulle aree già in nuce sviluppate e sull'implementazione del sistema di rilevazione per il social engagement. Con riferimento al job placement si tratta di creare alcuni indicatori

funzionali alla misura dell'impatto dell'Università IULM sul territorio e nel mondo del lavoro: quanto e come il mondo del lavoro è stato modificato dalla contaminazione delle conoscenze/competenze impartite dall'Uni­ versità IULM? Tale quesito trova una risposta utilizzando congiuntamente

SITM: SISTEMA IULM PER LA TERZA MISSIONE

TABELLA 3.1

Riclassifìcazione delle attività svolte in IULM secondo le voci ANVUR Segmenti Vocativi Ateneo

Rilevazione

Presente

Da personalizzare

Conto terzi

Presente

Presente

Public engagement

Presente

Assente

Formazione continua

Presente

Assente

Aree

job placement

i dati provenienti dall'ufficio di job placement dei laureati, da Almalaurea e dalla segreteria studenti combinati nella misura proposta da Ark et al. (20I3) che prende la forma di un quoziente in cui al numeratore si ritrovano i laureati occupati nella specifica zona geografica per determinato ambito e al denominatore, i laureati per ogni ambito e i settori merceologici in cui sono attive le realtà imprenditoriali. Per quanto riguarda le attività in conto terzi che essenzialmente per la IULM coincidono con i progetti di ricerca commissionati dalle imprese, il

sistema mutua le informazioni (anche quelle di contenuto ragionieristico) dall'ufficio ricerca4• Una prima lettura dei materiali consente di indicare una bassa percentuale di docenti che sono attivi nel conto terzi: solo il2I% di cui si ha una prevalenza di docenti ( s s%) che afferiscono al settore delle

humanities. Sistema di rilevazione public engag ement Nella sezione del PE, l'ANVUR ha collocato numerose attività che se non monitorate in modo continuo potrebbero non essere adeguatamente valorizzate. A tal fine si è sviluppato, di concerto con l'ufficio statistico dell'università\ un sistema di rilevazione e monitoraggio della

PE

attraverso due momenti fondamentali:

1.

una raccolta delle informazioni dal 1° gennaio2017 al31 maggio2017;

2.

una raccolta mensile delle attività di

PE

per ogni singolo docente/cen­

tro di ricerca con periodicità al3o di ogni mese (primo invio30 giugno). La scheda di rilevazione è costruita su un form online, ciò consente di avere un accesso immediato e diretto alle risposte e di contenere i tempi di elaborazione (FIG.3.4). 4· Si ringraziano il dott. Rizzoli e il dott. Florio per la disponibilità e la condivisione

delle informazioni. S· Si ringraziano il dott. Vergani e le dott.sse Ricca e Pirola per l'attento supporto e la disponibilità.

41

EMMA ZAVARRONE

FIGURA 3·4

Form online per la rilevazione delle attività di

PE

IULM : RILEVAZIONE DELLE ATI'IVITÀ

Categoriale di attivid di publicengagement



D

mttlau,·e di\U]j:.all\'C nvohe a

DI PUBLIC ENGAGEMENT DEI DOCENTI

o pubblica.rtoni divul@llth.·c finnatc dallo staffdoccnlc a

O

initiati\'c di dcnxx::r.u:ia pancc ipati \·a (es. conscn�u�

The names and photos associated wit h your Google account will be rccordcd whcn you u pload file� and submit this fonn Not enm\3.r.Jva1Tonerlhulntil ·� Switch accoum "Rcquftd

li-,·ello llaLÌonalc o iuteruuiooale

D parlccipa;ioni

Dottnte responsabile dell ' attività

dello sta ff doccn tc a uasmb• .;ioni

radiofonicbe a liveUo nazionale o ìnternaiìon:tle

O

partetipa;.imli

D

Yourrutsw�'1

Data di svolgimento del l"iniziati\· a

bambtm e ,!!lO\' ani

conferences. citven panell

c ahri

alla fonnulvione di p rogrumm i di

Impano stimato ia termiai di pubblico

(iadicare l 'impallo selezioaando la tipologia di aUività di public enpgemmt) [\'Oli, •..nv di putedpaati di't'Cdvi Yuur1Ul'>l'oCI

pubblico imeresse (policy-making) e

D panecipa7ione

a comitati per

la ddi ni:rion c d1

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Ri�one wrb:

Sum�o documt"nlalo di an·t"'l.. i

e norme tecniche

D

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s:1IU1e (c;;. �•ornate in fomla li\-e

Youranswc1

e d1 preveiVione)

D

iniziative in collabor.u:ione con enli

per progetti d1

sv iluppo urbomo o valoriu.a1.ione del territorio

O

i niziativ-e

supcnon

di

Pubbliuzinni: �llmttn

di 1)12ine

YuurllftS\\CI

oricnlamcmo c intcr.uionc con le scuole

L'invio della scheda ai colleghi è stato preceduto dalla spiegazione negli appositi consessi, di ciò che si può includere nella voce Terza Missione e ciò che invece non può essere inserito. La struttura della scheda è aderente ai campi richiesti dall'ANVUR, al fi­ ne non solo di costituire un archivio in cui tutto è ben fruibile ma anche per fini interni di pianificazione della tipologia di eventi in cui concentrarsi e ultimo, ma non ultimo, per agevolare la compilazione della scheda SUA-TM che richiede, come noto, solo alcune tra le attività più significative svolte dal docente nei diversi tre anni. Purtroppo non sempre è tutto disponibile, per cui si corre il rischio di non avere le informazioni necessarie. La rilevazione contempla tutta la sezione dedicata all'impatto che, tuttavia, anche se la rilevazione è predisposta mensilmente portando ad azzerare l'effetto memoria, molte volte gli organizzatori delle attività di

PE

non curano l'aspetto inerente a un successo della stessa attraverso l' imple­ mentazione di un sistema affidabile di rilevazione delle presenze all'evento, quindi questo porta ad errori grossolani nella stima dell'impatto e in alcuni casi non direttamente verificabili. 3· Fase Check Al 10 ottobre 2017 era in corso la quarta rilevazione e si regi­

strava un tasso di risposte pari al 21% su una base di docenti pari a 9 8, ricor­ dando che il questionario deve essere compilato solo da chi effettivamente

SITM: SISTEMA IULM PER LA TERZA MISSIONE

TABELLA 3.2

Tipologia di Tipologia

PE

Partecipazione

%

Organizzazione Pubblicazione non scientifiche eventi 29

44

Giornate di formazione

Siti web interattivi

7

7

12

Iniziative divulgative

ha svolto attività di Terza Missione aderente a quanto stabilito dall'ANVUR. I risultati permettono di mettere in luce un aspetto molto interessante:

la PE è indipendente dalla tipologia di settore scientifico disciplinare di appartenenza e dalla numerosità come si verifica per il settore scientifico disciplinare

(ssn). I risultati emersi per il periodo dal I0 gennaio al3o

set­

tembre 20I7 riguardano: 105 attività di PE di cui il 44% attribuibile solo alla voce di partecipazione ad eventi di natura sociale e il29% alla categoria organizzazione di eventi, la TAB. 3.2 riporta la distribuzione di attività per le sei voci del PE. Se si osserva la distribuzione degli eventi per

ssn

è ribadito quanto

affermato in precedenza, e cioè che la TM è una espressione del coinvol­ gimento o del riconoscimento del singolo docente nella società, in questo caso si osservano dinamiche uguali per differenti SSD: SPS/o8 e SECS-P/o8, settori molto densi ma con pochi docenti che si dedicano alle attività di TM. Nello specifico si osserva che i

ssn caratterizzati per il maggior numero di

eventi realizzati sono: SECS-P/o8 (3I% ) , M-ST0/04 ( u% ) , SPS/o8 ( u% ) L-ART/o6 ( 9% )

e

( FIG.3.5 ) .

Se si osserva il versante dei costi, il 58% degli eventi è realizzato gratui­ tamente. Per le restanti attività, il budget medio allocato è pari a 242 euro con una variabilità molto elevata pari 557 euro. Se si sofferma l'attenzione sulla porzione delle attività realizzate a zero budget, si evidenzia che circa il 66% dei docenti sono coinvolti in questo tipo di iniziative e, nello specifico, la percentuale più alta si riscontra sempre nelle categorie di partecipazione ed organizzazione di eventi. Per quanto riguarda l'impatto, le informazioni riportate sono risultate molto approssimative per cui non è stato possibile utilizzare tale dettaglio. 4· Fase Act La quarta fase del sistema è ispirata alla valutazione dei risultati ottenuti al fme di poter attivare processi continui di miglioramento. Le consi­ derazioni che derivano dall'implementazione del SITM possono essere ricon­ dotte a due tipologie: la prima presenta una matrice di tipo normativa, la seconda, invece, ha una matrice operativa. Per quanto attiene all'aspetto normativa il complesso di attività della TM è stato declinato in una serie 43

EMMA ZAVARRONE

FIGURA 3·S

Distribuzione dell'impegno per SSD

SSD

di azioni e con esse le misure che non sempre si prestano a quantificare l'operato dei docenti nella società. A questo punto si impone una riflessio­ ne: cosa deve essere realmente valutato nella Terza Missione? La capacità di trasferimento delle conoscenze acquisite durante il proprio lavoro, e/ o la visibilità del proprio corpo docente nella società oppure l' impatto che l' istituzione universitaria ha sul territorio? I due estremi sono intimamente connessi, è ovvio. Tuttavia, in base al vero focus cambiano le modalità di rilevazione. Se si è interessati alla visibilità e alla riconoscibilità, che poi implicitamente attivano un circolo virtuoso, la rilevazione deve essere or­ ganizzata effettuando una distinzione dei pubblici di riferimento che non può essere lasciata a misure soggettive e/o alternative di impatto: interve­ nire/condurre una trasmissione televisiva su un network nazionale in orari caratterizzati da alto ascolto è diverso che curare l'edizione del telegiornale locale di una emittente di provincia; così allo stesso modo scrivere su un quotidiano o un settimanale con elevata tiratura è completamente diverso che collaborare con un giornale con diffusione circoscritta a un ambito lo-

44

SITM: SISTEMA IULM PER LA TERZA MISSIONE

cale. Operare in questa direzione sarebbe sicuramente più semplice al fine di rilevare l'impatto, in quanto in entrambi i casi esistono le fonti ufficiali attraverso le rilevazioni auditel o similari in un caso o attraverso

ADS

(ac­

certamenti diffusione stampa) nell'altro. La visibilità, vista come elemento propulsore dello sviluppo potrebbe essere assunta come una proxy di quan­ to la società riconosca la competenza del docente e quindi, in questo caso potrebbe non essere necessario specificare l'appartenenza all'università di riferimento in quanto il docente stesso è espressione dell'istituzione. Se, invece, il focus è sull'istituzione che produce saperi e i docenti sono visti come ambasciatori, allora ha senso richiamare l'afferenza, pena il mancato riconoscimento dell'attività in

TM.

Tuttavia, anche in quest'ultimo caso,

si dovrebbe procedere a una definizione più puntuale delle categorie che compongono la TM. Restando ancora sull'aspetto normativa, risulta molto allarmante la diversa valutazione che viene conferita alle due componenti della Terza Missione (sommariamente indicate come trasferimento tecno­ logico e trasferimento nella società), enfatizzando e quindi premiando le università che applicano trasferimento tecnologico, valutando addirittura l'indicatore inerente ai brevetti il doppio di quello della

PE.

Questo porta

a discriminare in partenza il sistema universitario, la cui naturale evoluzio­ ne sarà una sempre più crescente distanza tra le università con una forte caratterizzazione nelle scienze dure e quelle caratterizzate dalle discipline umanistiche, quasi dimenticando le origini della nostra cultura e cercando a tutti i costi di inseguire sparute punte di eccellenza. Se lo scopo della Terza Missione è la valorizzazione della conoscenza presso la società non dovreb­ bero sussistere tali differenze, per cui sarebbe opportuno riconfigurare a li­ vello centrale i contenuti su cui vertono la misurazione e la valutazione della TM.

In aggiunta, gli indicatori che si possono costruire, a partire dali'attuale

scheda SUA-TM sono unicamente di natura descrittiva, orientati al fine con­ teggio, ma non forniscono indicazioni sull'impatto del trasferimento di conoscenza nella società, per cui si rischia di avere una visione non realistica dell'effettivo utilizzo e delle trasformazioni che il trasferimento di saperi ha attivato nel corso del tempo. Sul piano invece operativo, le prime rilevazioni del

SITM

hanno evi­

denziato la necessità di sensibilizzare i colleghi sull'importanza della Terza Missione. Infatti, dopo aver introdotto l'importanza della Terza Missione, si percepisce un crescente interesse verso la tematica testimoniato da diversi suggerimenti. Alcuni dei suggerimenti sono stati accolti e hanno contribui­ to a rendere più snello il format online; altri sono ancora sotto esame come ad esempio l'accorpamento delle diverse categorie di azioni. Un modo per

45

EMMA ZAVARRONE

sensibilizzare ulteriormente i colleghi è quello di predisporre una pagina web per ogni segmento vocativo della Terza Missione ispirandosi all'Uni­ versità Ca' Foscari.

s

Conclusioni La Terza Missione, anche se di recente istituzione e formalizzazione, ri­ chiede attenzione costante in quanto responsabile della crescita del capitale umano, nella sua accezione più ampia, all'interno della società. Il concetto di

TM

appare ancora non perfettamente delineato e risente tanto del ver­

sante del trasferimento tecnologico, che è sicuramente molto più semplice da rilevare e confrontare nel tempo e nello spazio, quanto del versante della produzione di beni culturali che, offrendo modalità alternative di disse­ minazione, concorre in modo più diretto ed immediato alla crescita della conoscenza. Ampie riflessioni, invece, merita l'aspetto della misura del trasferimen­ to della conoscenza in ambedue le forme succitate, dato che non sempre le misure, messe a punto, consentono di avere una fotografia aderente alla realtà, pur riconoscendo che i processi di aggiustamento sono necessari per arrivare a modelli definitivi e compiuti. Le attuali misure necessitano di di­ versi livelli di attenzione, in primis una focalizzazione e disaggregazione su tutti gli aspetti che effettivamente possono rientrare nella TM, la creazione di misure atte realmente a quantificare l'impatto sulla società, la necessità di monitorare costantemente la TM. Aspetti che dovrebbero poi essere de­ clinati all'interno di ogni ateneo attraverso l'implementazione di sistemi di valutazione complessi. Il tema della messa a punto di un proprio sistema è da una parte una sperimentazione utile per confrontarsi con le tematiche attuali, dall'altra un modo per quantificare il valore della trasformazione apportata sul ter­ ritorio. L'aspetto cruciale diventa la quantificazione dell'impatto soprattut­ to nella categoria di produzione dei beni culturali, dato che le misure proposte dall'ANVUR sono di fatto di limitata implementazione: fornire una stima delle persone presenti all'evento non implica una effettiva atti­ vazione del calcolo dell'impatto sulla società. In aggiunta significherebbe predisporre modalità di registrazione che andrebbero a confliggere con l'idea di gestione non burocratizzata della disseminazione. Il suggeri-

SITM: SISTEMA IULM PER LA TERZA MISSIONE

mento che si offre è quello di sviluppare un sistema di counting per ogni evento che si realizza ( o richiedere che tale sistema sia esplicitato in caso di partecipazione ad eventi ) . Altra indicazione che emerge tra le diverse attività di Terza Missione è quella inerente alPE: varrebbe la pena investi­ re molto in questo asset dato che produce contaminazione sociale e può essere realizzata anche in assenza di budget. Ovviamente sarebbe neces­ sario prevedere delle misure di premialità per i docenti maggiormente impegnati in queste attività che hanno ampia ricaduta sulla società pur risultando molto time consuming e anche l'ANVUR dovrebbe valorizzarla in modo differente. Altro aspetto che è stato volutamente tralasciato nell'esposizione, ma è necessario ricordarlo in conclusione, è che la TM dovrebbe servire come un propulsore alla raccolta fondi da dedicare alla ricerca e quindi consentire di attivare un processo virtuoso tra TM, ricerca e didattica. In questa ottica, più che contabilizzare gli eventi o gli spin-off creati, il sistema di valutazione dovrebbe essere sensibile alla valorizzazione del ritorno delfundraising.

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La misura del mondo. Tra ricerca e social engagement di Massimo De Giuseppe

l

La profondità del presente Partiamo dal titolo di questo articolo, a un piccolo libro di Fernand Braudel

La misura del mondo, che rimanda (2015), tratto da un saggio postumo

che riprendeva uno dei quaderni contenenti una serie di incontri e rifles­ sioni raccolte in carcere a Lubecca tra il

1942 e il 1943 e spedite al collega

e amico Lucien Febvre. Queste riflessioni, storiografiche, di metodo, ma fortemente incentrate sull'idea del rapporto tra spazio e tempo, territori e snodi, nella ricerca della profondità del presente, maturarono nello storico francese mentre scriveva la sua opera magna sulla costruzione del Mediter­ raneo in quella che gli europei definiscono età moderna, forse uno dei libri più importanti del

xx

secolo (Braudel,

1953).

Quel libro di

1558

pagine,

figlio di una tesi dottorale pronta già nell'estate del 1939 e frutto di più di un decennio di incursioni in archivi e biblioteche mediterranei, ma anche di scoperte urbane e incontri umani, venne stilato fisicamente mentre Braudel si trovava in prigionia: dapprima rinchiuso nell' Ojlag I2B, il carcere mili­ tare di Magonza, quindi, dalla fine del 1942, nel Sonderlager di Lubecca. In un certo senso il saggio da cui siamo partiti può essere considerato il backstage del Mediterraneo. Nelle riflessioni lì contenute sul rapporto tra la storia e il mondo, e più in generale tra le scienze e la società ma anche tra gli spazi interni ed esterni all'accademia, tornava infatti il lavoro storiografico compiuto in quegli anni, ma anche echi di tutto ciò che lo circondava: i regolamenti della Wehrmacht, il dibattito sofferto su Vichy, le speranze ri­ poste nel governo in esilio gollista ma anche i ben più concreti segni dell'a­ nemia, la paura e i riflessi della tragedia bellica giunta ormai in quella fase, nei mesi di Stalingrado ed el Alamein, al suo punto di non ritorno. Con un singolare senso dell'umorismo avrebbe ricordato lo stesso Braudel anni dopo, in un articolo intervista:

49

(1990 )

,

MASSIMO DE GIUSEPPE

Senza la prigione non ci sarebbe stato il libro... se non avessi vissuto la prigionia avrei certamente scritto

un

libro del tutto diverso. Ne ho avuto piena coscienza soltanto

un anno o due fa, quando ho incontrato a Firenze un giovane filosofo italiano: "Ha scritto il suo libro in prigione? Allora è per questo che mi ha sempre dato l' impressio­ ne di un libro di contemplazione". "Ebbene sì. Ho contemplato per anni, a tu per tu, il Mediterraneo pur tanto lontano da me nel tempo e nello spazio. E proprio allora la mia visione della storia ha preso una forma definitiva senza che me ne rendessi conto al momento... in parte come sola risposta intellettuale possibile a uno spettacolo che nessuna narrazione storica tradizionale mi sembrava in grado di cogliere ma in parte anche come risposta esistenziale ai tempi tragici che stavamo vivendo. Tutti quegli avvenimenti che la radio e i giornali nemici ci scaricavano addosso dovevo superarli, gridare abbasso l'avvenimento! io avevo bisogno di credere che la storia e il destino si scrivessero a un livello ben più profondo.

Quella risposta esistenziale dello studioso, ai tempi che lo avvolgevano e lo incalzavano, rimanda a due elementi cruciali della riflessione storiografica allora in atto. Da un lato chiama in causa il rapporto tra l'avvenimento, la sua diffusione mediatica ma anche le rimozioni incessanti, se pensiamo alle riflessioni elaborate mezzo secolo dopo da Tony Judt

(2oo8)

sull'età

dell'oblio. Dall'altro esprime l'esigenza di ricostruirne, in qualche modo e per qualche via misteriosa, l'assoluta profondità. Questo compito rimanda dunque a un lavoro di scavo sotto la superficie, «Digging in the dirt», co­ me dicono i britannici, che formula l'auspicio della fine della storia evene­ menziale. Uno sforzo che diventa inno alla ricerca ma anche confronto con il mondo, tratteggiando il preludio a tre categorie che avrebbero segnato l'esperienza storiografica e accademica di Braudel e, più in generale, della Scuola delle Annales: la categoria della lunga durata (che evidenzia la prov­ visorietà dei segni del presente); la costruzione di una giusta distanza (che aiuta nella misurazione del tempo, dello spazio e dei territori, evidenzian­ do snodi e periodizzazioni ma anche centri e luoghi nevralgici di passaggi, incontri e contaminazioni); infine l'esigenza dell' interdisciplinarietà come carattere fondativo della contemporaneità solo apparentemente iper-spe­ cialistica ma che al contrario obbliga la storia a dialogare con la geografia, l'etnologia, l'antropologia, la teologia, la filosofia, la statistica ecc. Tutti questi temi e inquietudini finiscono per assumere le forme di un'incredibile e stringente attualità in un'epoca segnata dal dominio di internet, dei social media, di archivi interconnessi in tempo reale, in cui lo spazio e il tempo apparentemente si riducono fino ad azzerarsi, riaprendo paradossalmente la strada non solo alla storia evenemenziale ma perfino all'astoricità della politica, dei media, in un trionfo spasmodico delle fake

so

LA MISURA DEL MONDO. TRA RICERCA E SOCIAL ENGAGEMENT

news capaci di cancellare il tempo e rimuovere o modificare transgenica­ mente lo spazio e la sua storicità. In quest'ottica, un altro storico francese, Serge Gruzinski (2oi6), ha re­ centemente scritto un volume sul senso del passato nel mondo globalizzato, partendo da una domanda apparentemente provocatoria: «Abbiamo ancora bisogno della storia?». L'inquietudine partiva da una serie di sollecitazioni poste da un gruppo multietnico di ragazzi incontrati in una scuola di Rubaix, uno dei luoghi più segnati dalla crisi della deindustrializzazione, geografi­ camente vicina ma apparentemente lontanissima dai centri di formazione delle élite francesi, come Science Po o la École nationale d'administration (ENA ) . Quel volumetto, volutamente non un saggio storiografìco, ma un esperimento di dialogo trasversale che prova a parlare tanto agli storici di pro­ fessione quanto a giovani esterni al mondo accademico (dalla provincia alle banlieues), toccava questioni urgentissime quali il senso del passato e l'assenza della geografia (di nuovo il tempo e lo spazio braudeliani) nei "nativi digitali': testimoniati dallo svuotamento di valore di celebrazioni e commemorazioni nazionali di un'era senza memoria; ancora rimanda alle contraddizioni della storia globale e del ritorno di occidentalismi "smisurati': alla coscienza della mondializzazione e dei meticciati, ma poi l'autore finiva per approdare, forse senza volerlo del tutto, ad un punto particolarmente scomodo: la distanza crescente tra un dibattito tutto intra-accademico tra storici (ma il discorso vale naturalmente anche per altre discipline e non solo necessariamente uma­ nistiche), incentrato spesso su questioni formali e compilative, e una contem­ poraneità che corre fuori dalle aule ad altri ritmi, assumendo forme, sonorità e icone sempre più inafferrabili, anche dentro i confini della cosiddetta storia immediata. Una distanza che non sembra più colmata dalla vecchia sana di­ vulgazione (ormai quasi scomparsa dagli scaffali delle librerie, fisiche e digi­ tali) o dagli strumenti mediatici (documentari, fiction storiche, siti internet), perfino dai canali propagandistici; una divaricazione che rischia di spingere le università ai margini di un mondo che si fa sempre più piatto, ben oltre le inquietudini di Copernico, ben al di là delle colonne d'Ercole, fmo a trasfor­ marsi in uno schermo al plasma o a miniaturizzarsi in un invisibile palmare, prima di finire in una discarica abusiva asiatica o africana.

2

Immagini che si dissolvono Le riflessioni di Gruzinski

(I990 ), da sempre attento alla valenza simbolica

delle immagini, mi hanno ricordato effettivamente che la rimozione del

SI

MASSIMO DE GIUSEPPE

passato nella narrazione degli eventi - in una stagione in cui lo storytelling non è più affidato a griot, pupari, bluesman o cantastorie, nemmeno a eru­ diti e letterati, bensì a esperti aziendali e pubblicitari - ha effettivamente rimodellato gli immaginari a ritmi serrati. Se ripensiamo alla fine di Mu'ammar Gheddafi abbiamo un esempio lampante. Una figura storica complessa e controversa che ha attraversato fasi delicate della storia contemporanea quali la decolonizzazione, la Guer­ ra fredda, il riassestamento degli equilibri Nord-Sud post crisi petrolifera; un protagonista del rilancio del panarabismo prima, dell'africanismo poi, a lungo accusato di alimentare il terrorismo internazionale per essere riabi­ litato in anni post-bipolari; un leader ami-italiano trasformatosi poi in un interlocutore prezioso di Roma e investitore nella finanza nostrana (Del Boca,

2001 ) .

Con l'avvento delle cosiddette Primavere arabe la dimensione storica dell'autore del

al-Kitab al-A!Jrjar (il libro verde), con tutte le sue violente

complessità, è scomparsa in un attimo: dapprima ridicolizzata a stereotipo di dittatore arabo da striscia a fumetti, per essere poi rapidamente fagoci­ tata dalle immagini accelerate di un video di un minuto e mezzo della sua morte, circolato sulle reti internet e televisive. Poco dopo anche il mito della democrazia delle Primavere arabe è scomparso in un battere di ciglia travolto dall'implosione di un impianto statuale e di tutti i suoi articolati connotati novecenteschi. Nelle macerie politiche della nuova Libia post­ intervento militare franco-britannico, snodo cruciale e drammatico delle nuove linee emigratorie, cosa resta nell'immaginario collettivo globale di un'esperienza statuale postcoloniale così pregnante? Solo i pochi avanzi di un macabro rito consumistico o la possibilità di riscavare nella storia di quel paese e nelle sue complesse e profonde reti continentali e internazionali? Ma la domanda che più preme è forse: chi può promuovere interesse per tornare a scavare nei sedimenti di quella storia e delle sue connessioni con noi e con la nostra storia, e provare un sano interesse non solo di ricerca ma di conoscenza diffusa? Questo piccolo esempio si potrebbe allargare a migliaia di altri casi e scenari geografici e ci aiuta forse a capire perché anche paesi che si sono costruiti come Stati nazionali tra il

XIX

e il

xx

secolo sulla reinvenzione

del passato oggi cerchino in altre sfere e ambiti la propria legittimità po­ litica e morale. Ma il discorso va ben oltre la sfera statuale; basti pensare a recenti attacchi concentrici al mondo della cooperazione e, nello spe­ cifico delle organizzazioni non governative, in relazione alla gestione dei tragici attraversamenti del Mediterraneo da parte di migranti provenienti 52

LA MISURA DEL MONDO. TRA RICERCA E SOCIAL ENGAGEMENT

dall'Africa subsahariana, o l'azione di delegittimazione (in parte condotta apertamente dal governo di Teresa May) dell'operato della più grande ONG del mondo, la britannica Oxfam: una confederazione di

22

operante in

travolta da una

90

paesi, attiva fin dal

I942

(Salvatici,

20IS),

associazioni

tormenta mediatica per le malefatte di sette suoi dipendenti assunti tra­ mite un'altra associazione durante l'emergenza pose-terremoto ad Haiti'. Improvvisamente questo scandalo, sulla scia di titoli dedicati al "lato oscu­ ro degli aiuti umanitari': invece di sollevare un serio dibattito sul futuro, i criteri di finanziamento e le nuove forme di cooperazione internazionale, ha semplicemente sollevato fantasmi: quasi a voler cancellare, in un imma­ ginario a-storico, settant'anni di interventi e campagne, premi, denunce anche coraggiose, frutto di una storia composita e certamente non asettica della costruzione delle reti globali di solidarietà internazionale. Una storia che si è collocata nel più generale alveo di quel multilateralismo dal basso e di quell'interesse per l'altro lontano, consolidatosi faticosamente tra gli anni Sessanta e Settanta del "lungo" Novecento1• La rimozione della storia, dell'articolazione dei sedimenti del passato (e quindi anche della complessità dei territori) è divenuta una pratica di derivazione aziendale, metabolizzata a livello culturale, mediatico e poli­ tico; una tendenza velocissima e riadattabile ad ogni esigenza e necessità. Questo sfondo sembra rimbalzare in modo sordo sul sistema accademico, diviso tra le pressioni di un costante allargamento del bacino didattico ma anche da una riduzione degli spazi della ricerca, o, perlomeno, da un loro d-orientamento sulle esigenze di committenze specifiche o di orizzonti mi­ nori; un'esperienza figlia di tagli economici ma anche di un nuovo clima culturale non estraneo alla già evocata crescente distanza tra la profondità e la superficie. Eppure proprio l'università, con tutte le sue debolezze e contraddizioni, è uno dei luoghi in cui reti e risorse umane e perfino utopie transgenerazionali possono rimettere in moto un processo di confronto con il mondo esterno, lungo un sentiero che deve riverberare proprio della libertà della ricerca. n rigore del metodo può rigenerarsi in un dialogo con il mondo e nel confron­ to con le sue misure (attingere e restituire), offrendo non un recinto o torre inaccessibile, bensì un «rifugio e specola sul tempo attuale» (Braudel, 20IS). 1. The Guardian View on Oxfam: Time to Learn, not Destroy, in "The Guardian", 12. February 2.018 (https:/ /www.theguardian.com/commentisfree/2.or8/feb/12./the-guardi­ an-view-on-oxfam-time-to-learn-not-destroy; ultima consultazione: 19 giugno 2.018). 2.. Per il caso italiano rimando a Benci (2.016) e a De Giuseppe (2.017 ). Più in generale Giovagnoli, Del Zanna (2.oor).

53

MASSIMO DE GIUSEPPE 3

Università-mondo Un processo di tal genere necessità dunque di una rilettura del tempo e del­ lo spazio a cui, nonostante tutto, le università stanno, faticosamente e forse troppo normativamente, provando ad adeguarsi. Pur in una logica spesso burocratica e con gli inevitabili problemi di messa a regime e maturazione, i vari sistemi di valutazione, codificazione della Terza Missione, referaggi e apertura al public engagement o alla Terza Missione, sono processi che po­ trebbero, se gestiti in modo creativo e non aziendalistico, aiutare il mondo accademico a ritrovare una propria identità, perfino una stima che potrebbe unire creatività a capacità di misurazione. La spinta all' internazionalizzazione, ad esempio, se costruita in modo

intelligente e pro positivo ( e non esclusivamente e provincialmente anglo­

centrico) non può che far bene alla circolazione della conoscenza e delle idee. In particolare la Terza Missione e il public engagement possono aiutare

la ricerca a ritrovare vie di collegamento con un mondo complesso e in evo­ luzione, offrendo nuovi strumenti per decifrare gli impianti istituzionali, in particolare in ambito multilaterale, in costante trasformazione. La ricerca di orizzonti inediti di movimento dovrebbe rivitalizzare il sistema accade­ mico, restituendogli anche una capacità di progettazione sociale, nonché di denuncia andata gradualmente riducendosi dopo la fine della Guerra fredda e delle ideologie forti. Nel cinquantesimo del I968, la memoria rimanderebbe subito al ruo­ lo assunto dai microcosmi universitari e dalle umanità che li popolavano, fatte di studenti e docenti e altri personaggi vari, a volte contrapposti, altre uniti, per il rinnovamento delle istituzioni politiche e culturali. La denun­ cia del conflitto vietnamita, la Primavera di Praga, una spasmodica a tratti disordinata ma passionale ricerca di forme di libertà, che si sviluppò in un processo globale che da Berkeley alla Carolina, dalla Sorbonne alla

UNAM

( Universida Nacional Autonoma de México) di Città del Messico, innescò

circuiti ora creativi, ora tragici, come avrebbe dimostrato il massacro della «notte di T latelolco» ( Poniatowska, 20I4 ) \ marcando in modo indelebile

il passaggio dalle utopie composite degli anni Sessanta alle fratture violente

(e fallimentari )

dei Settanta, dello shock petrolifero e del circuito rivolu­

zioni/ controrivoluzioni. 3· Si veda l'interessante lavoro svolto nel recupero della memoria storica dei fatti delx968 da parte del Centro cultura! Tlatelolco della Universida Nacional Autonoma de México.

S4

LA MISURA DEL MONDO. TRA RICERCA E SOCIAL ENGAGEMENT

In quelle stagioni complesse, segnate dalle paratie stagne della Guerra fredda prima e dalle crescenti tensioni tra Nord e Sud globale poi, dalle università sono scaturiti anche esperimenti e movimenti di pensiero indi­ pendenti rispetto alle grandi costruzioni politiche novecentesche; processi generatisi perlopiù proprio grazie all'osmosi tra accademia e mondo e che hanno finito per incidere in modo rilevante sulle dinamiche sociali e perfi­ no sugli scenari politici e delle relazioni internazionali, generando shock e rivoluzioni pacifiche tutt'altro che banali. Solo per citare un caso particolarmente emblematico, si ripensi al ruolo svolto da un gruppo di scienziati atomici, sostenuti da gruppi di ricerca e reti tra atenei, istituzioni multilaterali, associazioni e movimenti, capaci di dar vita a forme inedite di mobilitazione pacifista che contribuirono a esercitare una pressione sui governi delle super-potenze per la ricerca di regole stabilite nella corsa nucleare. Un processo iniziato probabilmente fin dal discorso tenuto il

2

novembre del I945 da Robert Oppenheimer,

uno dei protagonisti del Manhattan Project, alla Association ofLos Alamos Scientists; una tragica riflessione formulata a soli tre mesi dal lancio delle due atomiche sul Giappone che si trasformava in un terribile

mea culpa e

che spingeva uno dei più brillanti fisici teoretici a lasciare il gruppo di ricer­ ca atomica governativo per ritornare al mondo accademico, al California Institute of Technology

(CALTEC );

quindi, lasciata la via della didattica,

una nuova svolta per dedicarsi ad attività che oggi definiremmo di public engagement, alla guida dell'Institute for Advanced Study di Princeton. Da lì sarebbe iniziato un percorso che avrebbe spinto lo scienziato a impegnarsi nella costruzione di una Atomic Energy Commission sottratta al controllo dei militari, fino a trasformarsi in uno strenuo oppositore della corsa nu­ cleare, attraverso azioni di denuncia a campagne che gli sarebbero costate anche un processo politico-mediatico per attività sovversiva.

4

Terza Missione e "club atomico" «Perché noi fisici non facemmo dal primo momento qualcosa, tutti insie­ me, dai nostri centri studi, per eliminare la bomba atomica? Noi tentammo di contattarvi ma Gromyko ci rispose che gli scienziati russi erano troppo occupati. Infatti, eravamo impegnati a raggiungere voi» ( Castellani, I9 84 )4•



Così Eugene Rabinowitch, per lungo tempo direttore del "Bulletin of Atomic

55

MASSIMO DE GIUSEPPE

Il caso Oppenheimer, che ebbe grande eco mediatica a livello globale, inaugurando di fatto la stagione della «caccia alle streghe» (Jungk, I9S8)s, poneva naturalmente al centro del dibattito il nodo dell'accresciuta com­ plessità nei rapporti tra mondo accademico e politica nella stagione della Guerra fredda ma anche il suo collegamento con una società disorientata di fronte ad eventi di portata inedita e tendenzialmente incomprensibile. La capacità di filtro tra la ricerca scientifica e l'immaginario, con tutto il suo portato etico e politico, diventava dunque singolarmente pregnante in un'era paradossale come quella della deterrenza. Il caso Oppenheimer divenne emblematico, non solo perché evidenziava gli spazi inediti che connotavano il ruolo etico-politico dell'uomo di scienza, ma perché ri­ metteva in discussione anche il tema da cui siamo partiti: la complessità e la profondità del presente e la costruzione di strumenti per decifrarlo in modo diffuso. Come sostiene il sociologo Bruno Cartosio (I992, p. I74) fu proprio allora che il giornalismo televisivo fece il suo salto di qualità e di pubblico, con i programmi di Murrow, le immagini della bomba H e gli Army-McCartney hearings. [ ... ] le forze armate, la deterrenza nucleare, il segreto scientifico-militare furono le arti­ colazioni principali dei discorsi e dell'attenzione dominanti ma fu in questa stessa congiuntura che fece una nuova, anche se timida, comparsa sui giornali americani la vicenda meno appassionante del nucleare civile e degli studiosi che lavorano dietro le quinte.

E qui tornavano in campo le università e la loro capacità di svolgere quella che oggi definiremmo Terza Missione. Un'ulteriore divaricazione nella comunità scientifica e nel suo rap­ porto con il mondo "esterno" venne dalla mobilitazione che seguì ai test atomici a Bikini nel marzo del 1954, quando un ordigno 2.500 volte più potente della bomba che distrusse Hiroshima annichilì un atollo del Pa­ cifico, investì animali e alcuni indigeni polinesiani, provocando una nu­ be radioattiva così vasta che sarebbe ricaduta perfino su un peschereccio giapponese, il Dragonefortunato, generando un'inedita ondata di panico. Da quel momento il ruolo degli scienziati sarebbe diventato essenziale per l'informazione dell'opinione pubblica: il9 luglio del I95S Albert Einstein e lord Bertrand Russell lanciarono il loro famoso "manifesto" (al governo

Scientists", ricorda un breve dialogo con uno scienziato sovietico, alcuni anni dopo l'esplo­ sione della prima bomba H, in Castellani (1984, p. xss). s. Sui rapporti tra gli scienziati atomici e il mondo politico americano, cfr. Jungk (1958).

s6

LA MISURA DEL MONDO. TRA RICERCA E SOCIAL ENGAGEMENT

britannico e al mondo) in una accorata conferenza stampa, con cui prova­ rono a oltrepassare gli steccati della censura politica, invitando la comunità scientifica e accademica a mobilitarsi per aprire forme di dialogo inedite con l'obiettivo dichiarato di denunciare i rischi della radioattività di fronte all'opinione pubblica mondiale. n punto centrale del manifesto rimanda a un superamento della mentalità forgiatasi nella Seconda guerra mondiale, per cui Il pubblico generale pensa ancora in termini di distruzione delle città, compren­ dendo che le nuove bombe sono più potenti delle vecchie.[ ...] ma se non c'è dub­ bio che una bomba H possa cancellare le più grandi città del mondo, questo è solo il minore dei problemi. [ ...] noi ora sappiamo, dopo Bikini, che il loro vero potere distruttivo è di gran lunga più ampio e devastante6•

Si delineavano i contorni di quello che Giorgio La Pira definì il «crinale apocalittico della storia» ma anche lo scenario paradossale della «guerra impossibile» (Catalano, Mezzanotte,

20I3).

Lord Russell

(I9S4)

riprese

la questione in questi termini: «Non parlerò come cittadino britannico, europeo, di una democrazia occidentale ma come uomo e come scienziato appartenente a una universitas», sostenendo che era compito delle comu­ nità scientifiche e delle università aprire un dialogo con la società civile e spingersi laddove gli attori della Guerra fredda non si sarebbero mai spinti, parlando di una ridefinizione totale del rapporto tra politica, istituzioni, scienza, accademia, mass media e società mondiale. Certo il ruolo delle università continuava ad essere ambivalente: men­ tre Eisenhower nell'ultima fase del suo mandato si dotava di un comitato di scienziati filo-governativi, il President's Science Advisory Committee

( PSAC ), affidato aJames Killian del MITe George Kristiakowski di Harvard (imitando paradossalmente quanto avveniva a Mosca), nel I9S7 nasceva una nuova formula di mobilitazione inter-accademica: il movimento Pugwash, dal nome di una località canadese che ospitò la prima riunione dell'associa­ zione che riuniva scienziati, fisici atomici, matematici, genetisti ma anche qualche umanista, tutti studiosi che si potevano iscrivere a titolo personale o a nome del proprio dipartimento o centro di ricerca universitaria. L'ordi­ ne del giorno di quel primo simposio, cui parteciparono accademici dei due blocchi toccò tre punti:

1.

i rischi crescenti derivanti dall'utilizzo dell'ener­

gia atomica, in pace e in guerra;

2. il controllo degli armamenti nucleari; 3·

6. Cfr. https:/ /pugwash.org/r9ss/ 07 l 09/statement-manifesto/ (ultima consultazio­

ne: 19 giugno

2018).

57

MASSIMO DE GIUSEPPE

la responsabilità sociale degli scienziati e del mondo accademico7• L'obiet­ tivo dichiarato era quello di formare una comunità di scienziati che, al di fuori della logica delle grandi potenze e degli interessi politici, si mettesse al servizio dell'umanità attraverso lo studio delle problematiche nucleari, l'elaborazione di proposte concrete e un'attenta attività d' informazione dell'opinione pubblica e divulgazione di temi così scottanti. Scrisse Roberto Fieschi

(I987 ):

Il Pugwash non è un movimento di massa, è in primo luogo un punto d'incontro per uno scambio d'informazioni fra persone competenti e per un confronto di opi­ nioni su questioni anche delicate e controverse. Proprio per consentire la massima franchezza e libertà alle discussioni, alle quali partecipano scienziati con punti di vista politici anche contrastanti. Il carattere delle riunioni è diverso da quello delle normali riunioni scientifiche: i dibattiti sono chiusi al pubblico e i partecipanti sono impegnati alla riservatezza. Solo le dichiarazioni conclusive, stese a cura del Consiglio Pugwash, sono pubbliche e ad esse i membri sono invitati a dare la mas­ sima diffusione verso i cittadini, gruppi sociali e capi di governo. Grazie a questa sua struttura e alla prudenza con cui si è mosso, il movimento ha saputo esercitare, nel passato, una certa influenza sulle trattative per il controllo degli armamenti e sugli stessi governi.

Anche un gruppo di scienziati sovietici partecipò alle prime conferenze, adottandone le conclusioni in una mozione presentata nel I9S8 all'Accade­ mia delle scienze moscovita. Durante la terza conferenza del movimento8, quello stesso anno, fu sottoscritta la dichiarazione di Vienna, in cui si evi­ denziarono i rischi crescenti provenienti da conflitti locali nell'epoca delle armi di distruzione di massa e delle nuove ondate di decolonizzazione. La dichiarazione si chiuse con un appello al senso di responsabilità di tutti gli scienziati, ritenuti gli unici realmente consapevoli dello stato di rischio verso il quale ci si spingeva: Agli occhi della gente comune la scienza è oggi associata allo sviluppo degli arma­ menti. Gli scienziati vengono ammirati per il loro contributo alla sicurezza nazio-

7· I" July I957 Pugwash, Canada. I" Conference: Appraisal ofDangers from Atomic Weapons. 8. Nel primo quinquennio di vita dell'associazione (I957-I962) furono tenute I2 con­ ferenze. La terza, a Kitzbiihel, fu incentrata sul ruolo dei centri di ricerca universitari e si intitolò Dangers oJthe Atomic Age & What Scientists Can Do About Them. La prima con sede in Italia si tenne invece neli965 a Venezia Ca' Foscari, sul tema Cooperazione interna­ zionale per la scienza e il disarmo.

58

LA MISURA DEL MONDO. TRA RICERCA E SOCIAL ENGAGEMENT

nale o maledetti per aver messo a repentaglio la vita umana con le loro invenzioni. La crescita del sostegno che la scienza oggi conosce in molti paesi, è dovuta, diret­ tamente o indirettamente, alla forza militare delle nazioni e al grado di successo conseguito nella corsa agli armamenti. Tutto ciò allontana la scienza dal suo fìne originario, quello di far progredire la conoscenza umana e di promuovere il con­ trollo dell'uomo sulle forze della natura per un beneficio globale. Noi deploriamo i principi che guidano l'attuale situazione e invitiamo tutti, popoli e governi,

a

stabilire le condizione per una pace effettiva e durevole9•

Quello fu solo il primo di una lunga serie di gruppi e movimenti che si impegnarono (anche nel mondo postcoloniale, come emerge da alcune iniziative scientifiche nate in seno al movimento dei non allineati) nel campo di quella che oggi potremmo definire una Terza Missione contro il nucleare bellico; basti citare le statunitensi T he Federation of American Scientists

( FAS), promotrice del "Bulletin of the Atomic Scientists", l' Emer­

gency Committee of Atomic Scientists ( ECAS), la britannica Atomic Scien­ tists Association

(vnw )

(ASA ) , la tedesca Vereinigung Deutscher W issenschafcler

nata sull'impianto della Dichiarazione di Gottinga'0• Organismi

che aprirono ad altre strutture indipendenti dal forte substrato accademi­ co, sensibili in particolare al tema del disarmo, quali il Private Institute for Social Research

(PRIO ) , fondato a Osio daJohan Galtung, o lo Stockholm International Peace Research Institute ( siPRI ) , il comitato scientifico della International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (insignita nel20I7

del Nobel per la pace), fino alla University for Peace Hague SanJosé Uni­ versity for Peace

( uPEACE ) ,

legata al sistema delle Nazioni Unite, al pari

della University for Peace di SanJosé, Costa Rica.

s

Conclusioni Mi sono limitato in questo breve intervento ad alcuni esempi simbolici ma la lista di esperienze storiche di proto-Terza Missione è in realtà ben più ampia e articolata e tocca ambiti diversi: dall'educazione di base alla pro9· Pugwash Conferences, Declaration oJ Vienna, in Rotblat,1972, p.107. Sulla storia del movimentoPugwash è inoltre ricca la documentazione che si trova nel bollettino ufficiale

dell'associazione ( "Pugwash Newsletter" ) e negli atti delle conferenze, regolarmente pub­ blicati, dal1983, nella serie "Annals ofPugwash". 10. Tra questi vi erano due dei maggiori esperti e divulgatori della ricerca nucleare quali Otto Hahn e Max Born.

59

MASSIMO DE GIUSEPPE

mozione dell'istruzione superiore, dalla cooperazione alla denuncia delle violazioni dei diritti umani; si pensi ad esempio al ruolo di molti diparti­ menti giuridici nella genesi della Corte penale internazionale o del Consi­ glio per i diritti umani dell' ONU ( Carnevali, 20I7 ) , dai temi ambientali agli studi di genere, dalla social communication, allagovernance, alle dinamiche migratorie, oggi sempre più cruciali. La stessa genesi di alcuni settori disciplinari si intreccia in fondo a que­ sto rapporto in costante divenire tra accademia e mondo ( l'americanistica stessa ne è un esempio evidente ) , che riverbera non solo sulle trasformazio­ ni della ricerca ma perfino sulle forme della didattica ( Turco, 20I8 ) . La Terza Missione in tal senso può in fondo rappresentare una sfida cre­ ativa, non solo in ambito valutativo ma ai fini della valorizzazione dell'in­ terdisciplinarietà, aprendo percorsi che, se ben costruiti possono rivelarsi imprevedibili. Un processo che non deve essere visto solo in modo auto­ referenziale come un maquillage burocratico o un dono che l'università può fare al mondo dei suoi saperi, bensì come un'occasione per attingere e portare dentro l'accademia esperienze, storie, diversità e conoscenze. Pen­ so ad esempio alle difficoltà ma anche alle sperimentazioni originali che il circuito delle università interculturali bilingui ha messo in moto nelle aree indigene del Messico.

ll quaderno di Braudel da cui siamo partiti si apriva con una definizione di Lucien Febvre, «lo storico non è colui che sa, è colui che cerca», e la profondità del presente passa inevitabilmente attraverso un confronto tra la ricerca e la società, una ricerca dell'altro, un mutamento di prospettive.

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2.

IULM,

la didattica in

IULM

Innovation Lab:

un percorso di formazione e di accelerazione di idee di business ad elevato impatto sociale, culturale ed economico di Angelo Miglietta, Anna Nelayeva, Giuseppe Stigliano ed Emanuele Mario Parisi I

Introduzione A differenza di quanto accadeva nel pieno dell'epoca industriale, oggi a

decidere le sorti dell'economia non è più la corsa verso i grandi numeri della quantità e della velocità di produzione, bensì la capacità di cogliere gli svi­ luppi del mutevole contesto circostante, saperli interpretare e trasformare in punti di forza attraverso un continuo percorso di innovazione. Trovare delle formule e soluzioni nuove, in seguito ad un'attenta analisi e ad una costante rivalutazione delle proprie attività, oggi non rappresenta più una sfida bensì il requisito indispensabile per essere competitivi e stare al passo all'interno dell'attuale scenario - molto complesso a causa di molteplici fattori. Oltre alla globalizzazione, che eleva gli standard e trasforma la pla­ tea dei possibili progetti imprenditoriali, il secondo fattore cruciale consiste nel progresso delle tecnologie e nella conseguente

digita! transformation,

che coinvolge tutti settori, anche quelli tradizionalmente caratterizzati da massima manualità ( basti pensare allasupp ly chain, e alle difficoltà che oggi imporrebbe gestire una qualsiasi manifattura escludendo in qualsiasi misu­ ra l' influenza della tecnologia ) . Oltre ai cambiamenti più evidenti, come quelli osservabili facilmente nell'ambito della comunicazione, esiste una lunga serie di effetti di questi fattori che si traducono in dinamiche nasco­ ste, graduali nel loro avvenire, visibili solo agli specialisti del settore, ma che devono sempre essere riconosciute e prese in considerazione.

2

Innovare nella formazione L'ambito della formazione è sicuramente tra i più sensibilmente impattati da questa trasformazione. Gli spazi fisici di studio hanno subito una pro-

ANGELO MIGLIETTA l ANNA NELAYEVA l GIUSEPPE ST IGLIANO l MARIO PARISI

fonda evoluzione da ambiente chiuso ad ecosistema aperto - dove i con­ tenuti sono distribuiti attraverso molteplici piattaforme e canali - che ha alla base l' interazione tra educatori, studenti e terze parti su piattaforme di scambio collettive. Questo fenomeno è stato ampiamente esaminato dalla letteratura scientifica che si è occupata della sua definizione (Veletsianos, 20I6 ) ,

del significato (Plucker, McWilliams, Alanazi, 20I6 ) , delle dinami­

che (Dillenbourg, 20I6 ) e dei metodi di apprendimento prevalenti (Col­ lins, Halverson, 2009; Haenlein, Kaplan, 20I6 ) . L'imporsi delle nuove mo­ dalità e condizioni di studio e apprendimento a seguito di trasformazione digitale ha posto gli interrogativi sulle caratteristiche dei profili professio­ nali, sull'attualità dei percorsi di studio e sulle problematiche del matching necessario tra specialisti che si affacciano sul mercato dell'impiego e le reali esigenze degli studenti anche post-education. L'assenza di una posizione comune sul tema è stata la causa del proliferare di una serie di fenomeni mitigativi che hanno tentato di sopperire localmente e singolarmente alle carenze del sistema. Il risultato di questi sforzi, sebbene in taluni casi possa risultare positivo, non può porsi come soluzione proprio a causa della speci­ ficità di sistema. Affinché si possa arrivare a delle soluzioni comuni, l' input complessivo può provenire da enti maggiori che gestiscono la formazione, le università in primis, anche garantendo un'ampia discrezionalità agli enti. Le modalità di innovazione a disposizione di un'istituzione universita­ ria sono riconducibili a due categorie. Nella prima rientrano le componen­ ti contenutistiche come la proposta didattica, gli eventi, le pubblicazioni, la missione di servizio alla società (detta anche la Terza Missione). L'iniziativa principale dell'Università IULM da questo punto di vista consiste nel modi­ ficare l'impostazione dei corsi di laurea, non più basati sullo studio di una disciplina intesa come ambito scientifico, ma intorno ad una tematica con forti connotazioni pratiche: comunicazione, turismo, territorio, marketing digitale, e il corollario delle applicazioni imprenditoriali che queste abilitano. Anche l'approccio e gli strumenti di insegnamento sono costantemente sot­ toposti al processo di aggiornamento, in seguito al quale si adottano le strate­ gie di multidisciplinarietà e la trasversalità degli insegnamenti, si articolano i laboratori linguistici e didattici, si stimola un significativo coinvolgimento dei professionisti del settore anche in qualità di tutor e un ampio utilizzo dei media. Un'altra prassi che merita interesse è rappresentata dalla guida che è offerta agli studenti nella realizzazione di progetti dove si supera il confine della simulazione e dove ogni sfida di apprendimento emula situazioni reali che aziende devono affrontare nel quotidiano. Un esempio rappresentativo di questo riguarda la realizzazione di una mostra d'arte contemporanea con la

IULM INNOVATION LAB

partecipazione di artisti di rilievo, che ha richiesto l'intervento degli studenti in ogni suo aspetto, dall'ideazione al disallestimento. L'ultimo esempio apre la strada al ragionamento sull'altra categoria di interventi, più complessi, da attuare dal punto di vista della struttura. Si tratta di introdurre intere formule innovative che integrano il percorso universitario, cambiando totalmente la logica di lavoro nel tentativo di ri­ spondere ai quesiti inaccessibili con dei mezzi tradizionali.

3 IULM

lnnovation Lab come formula innovativa. Peculiarità e obiettivi

La nascita dello IULM lnnovation Lab è legata esattamente a questo intento.

li progettO lanciato nel gennaio del2016 ha come scopo quello di offrire agli studenti l'accesso agli strumenti e alle competenze in grado di trasformare le loro idee imprenditoriali in modelli di business funzionanti, e successiva­ mente alla validazione del modello e delle assumptions e accompagnarle al go

to market. La IULM fornisce così un contributo al tema attuale della riconsi­ derazione del posizionamento delle università nei confronti del mondo delle imprese. La struttura del percorso comprende un ciclo di incontri con pro­ fessionisti dell'ecosistema delle start up, e una successiva fase di accelerazione e incubazione di idee di business, rientrando così nel settore degli studi che trattano la tematicaftom business to classroom and back. La proposta concreta dello IULM lnnovation Lab in questa direzione consiste in diversi aspetti: il coinvolgimento, oltre ai docenti dell'università, di numerose socie­ tà, enti e professionisti esperti di innovazione aziendale che operano nel settore e che contribuiscono in diversi modi alla definizione dei business progetti dei partecipanti ( sotto forma di lavoro di gruppo o individuale ) , formando inoltre un'importante rete di contatti; l'abbandono dell'idea di progetto di studio che ammette le impreci­ sioni, la superficialità o delle ipotesi irrealistiche, a favore dell'approccio che richiede, come primo criterio, la fattibilità e la rispondenza totale ai requisiti richiesti dalle regole del mercato; il superamento della visione dell'apprendimento esclusivamente come travaso di conoscenze: lo studente stesso in tempo reale crea il contenuto personalizzato, costruito considerando le logiche del mercato attuale, in possesso di reali possibilità di essere trasformato in una fonte di lavoro e di guadagno; 6s

ANGELO MIGLIETTA

l ANNA NELAYEVA l GIUSEPPE

STIGLIANO

l MARIO PARISI

l'organizzazione dell' lnvestor Day che offre ai partecipanti una reale opportunità di contatto con investitori e aziende potenzialmente interes­ sati che può tradursi in proposte di natura economico e/ o lavorativa, dan­ do seguito ai progetti. Durante l' lnvestor Day i progetti selezionati sono presentati di fronte ad una platea di docenti, manager, venture capitalists,

business angels appositamente invitati. Tale elenco può chiamarsi definitivo solo temporaneamente, in quanto la formula utilizzata per impostare il lavoro dello IULM lnnovation Lab è in costante aggiornamento. Un ulteriore obiettivo, che parzialmente deriva da quanto già detto, riguarda l'intento di proporre una soluzione all'attuale fragilità delle pro­ poste di formazione per i futuri imprenditori, che siano dotate di un giusto equilibrio tra le discipline studiate nonché tra le lezioni teoriche e le attività pratiche, in grado di fornire una coerente e aggiornata visione d'insieme

( Schwab, 20I7; Sally et al., 20I2; Gibb, 2002). Il fattore importante che ha fornito le basi per la nascita di un simi­ le progetto alla

IULM

è racchiuso nell'adozione di un approccio olistico

e una particolare focalizzazione all'interno dell'università su materie co­ me marketing, comunicazione, turismo e i media, che svolgono il ruolo di orientamento verso l'imprenditorialità nei confronti di studenti, con un'impostazione che concede molto spazio alla pratica, come detto sopra. La comprensione della tematica "impresà' in questo caso avviene interpre­ tandola come una realtà e non in prospettiva tecnico-disciplinare.

È importante sottolineare che la peculiarità di questo tipo di progetti consiste nell'assenza di modelli prestabiliti e testati, per cui ogni interven­ to dev'essere rimodellato singolarmente a seconda della situazione e delle questioni alle quali vuole fornire risposta. p.

METODOLOGIA DI LAVORO: PRINCIPI

Dal punto di vista della metodologia, l'approccio adottato dallo

IULM

ln­

novation Lab rientra nel fùone learning by doing ( inteso come da concetto di Reime et al.,

20I7 o di Kempf et al., 20I7), finalizzato allo sviluppo nei

partecipanti di capacità pratiche e di lavoro in team, accanto all'appren­ dimento di nozioni operative più attuali, in costante allineamento con il reale contesto di lavoro. In termini operativi esso si traduce attraverso una serie di esplorazioni, test, ricerche di mercato, validazione delle idee, con un costante focus sull' outcome e la monitorizzazione dei risultati. Una particolare attenzione è riservata alle competenze specifiche in 66

IULM INNOVATION LAB

merito alla generazione di soluzioni di business "digitali': tenendo presen­ ti le dinamiche delle trasformazioni delle imprese in seguito al progresso tecnologico dal punto di vista delle attività, processi, modelli, competenze. I sistemi di intelligence sono entrati in ogni aspetto della vita, in seguito al progressivo affermarsi del digita! mindset, rappresentato dall' interconnessio­ ne tra tecnologie, persone e processi. In questo modo, se prima l'acquisizione del prodotto da parte del cliente era interpretata come stadio finale del ciclo economico, ora il subentro e la progressiva centralità del

digita!feedback ha

spinto le aziende a riconsiderare i loro business model, introducendo vari tipi di sensori e i servizi di customerfeedback che forniscono, attraverso una moltitudine di canali, i dati fondamentali per lo sviluppo delle future strate­ gie. Questo tipo di peculiarità, insieme alle opportunità che nascono dalla

digita! revolution e il conseguente impatto sociale sono analizzati in modo strategico e prioritario nel momento in cui si studia la compatibilità e le modalità di inserimento di ogni specifica startup sul mercato. I mezzi digitali sono inoltre ampiamente utilizzati come strumentali durante il processo di lavoro con gli startuppers, orientando lo IULM Inno­ vation Lab verso il percorso di open education, così come è stato affrontato ed interpretato dal settore accademico (Hiltz, Turoff,

2005; Brown, 2oo8).

Il suo valore, anche nel presente caso, emerge proprio per merito delle se­ guenti variabili: della sinergia con lo sviluppo di continuativo di nuovi approcci personalizzati per ogni specifico caso; delle dinamiche di cooperazione tra gli studenti, i mentors e le imprese; delle esperienze di studio immersive e learning by

doing sopracitato.

Queste sono le tre variabili sulle quali investe il processo di formazione adottato, al fine di far emergere le potenzialità degli studenti e massimiz­ zarne i risultati. 3.2. METODOLOGIA

DI LAVORO: FRAMEWORK DI RIFERIMENTO

Dal punto di vista pratico, lo architetturale di Gibb

IULM

Innovation Lab si basa sull'approccio

(1996), il quale suddivide il programma di sviluppo

e di supporto delle capacità imprenditoriali in quattro fasi: I.

il primo passo consiste nello sviluppare comportamenti, atteggiamenti

e capacità imprenditoriali. Si cerca di accrescere la propensione al networ­ king, il modo di pensare strategico, capacità di vendere e di persuadere, di presentare il progetto e di calcolare il possibile rischio. I risultati che si aspettano in questa fase facilitano il perseguimento delle opportunità,

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l ANNA NELAYEVA l GIUSEPPE STIGLIANO l MARIO PARISI

l'acquisizione delle iniziative, la capacità di lavorare sullo sviluppo e di va­ lutare la situazione e di prendere decisioni utilizzando l'intuito, con poche informazioni a disposizione; 2.

il secondo passo consiste nel generare le adeguate motivazioni per la

carriera imprenditoriale. Esso porta alla comprensione dei benefici di que­ sto tipo di carriera, a confronto con il lavoro di impiegato. Si utilizza lo

storytelling dei personaggi di spicco nell'ambito dell'imprenditoria e degli startuppers per poter familiarizzare con attuali soggetti di successo nell'eco­ sistema imprenditoriale, sottolineando i ruoli e i background; 3·

il terzo passo racchiude la comprensione dei processi dietro la creazione

di un business. Durante questa fase gli studenti analizzano in profondità l'insieme del processo imprenditoriale in termini di gestione e di ammini­ strazione di un business, considerando la quantità di sfide capaci di emer­ gere in ogni fase di lavoro, e i modi per poterle gestire; 4·

l'ultimo passo comprende lo sviluppo delle capacità imprenditoriali ge­

neriche di ampio raggio. Dopo il suo superamento si aspetta dagli studenti la capacità di individuare un'idea giusta, di validarla, di vedere potenziali problemi e opportunità, strumenti e strategie per identificare le persone chiave in grado di influenzare positivamente lo sviluppo del business, la capacità di costruire un know how, di valutare le necessità del percorso di sviluppo di un business, di conoscere le fonti delle riposte a delle domande specifiche, di accrescere la propria auto-consapevolezza e di gestire emozio­ ni necessarie per condurre le operazioni di lavoro, di gestire le relazioni e di imparare da esse, di vedere il proprio business attraverso gli occhi di uno stakeholder, investitore o cliente. 3·3· METODOLOGIA DI LAVORO: ELABORAZIONE E APPLICAZIONE DEL FRAMEWORK

Nell'assumere come base queste quattro categorie, lo IULM lnnovation Lab le integra all'interno di un personale disegno che punta su open innovation,

open learninge tutti i particolari orientamenti metodologici teorici descrit­ ti sopra, tra i quali learning by doing, lo studio immersive, lo storytelling, con

un accento su digita! business transjò rmation.

n metodo è applicabile sia agli studenti sia alle imprese, eventualmente con alcune piccole distinzioni, considerando l'importanza delle caratteri­ stiche individuali che consentono di customizzare il processo. La customiz­ zazione avviene partendo dalle situazioni individuali, con la consapevolez­ za della persistente incertezza e la complessità del lavoro da affrontare e del 68

IULM INNOVATION LAB

FIGURA 5.1

La traduzione grafica del framework di Gibb ACCELERATION PHASE

SHAPING PHASE I

INDMDUAUGROUPSKILLS CREATION

l



ENTERPRENEURIAL ENABLEMENT

PRELIMINARY BUSINESS IDEA

l

STUOENTS (OPEN TO CORPORATE IF OESIREO)

--



IDEA & BUSINESS

�··�

VAUDATION

LAUNCH & DBJVERV

�)

Il

BUSINESS IDEA READY

l

STUDENTS, CORPORATE ANO IVIENTORS

l

FROIVI ENTERPRENEURIAL COIVIIVIUNITY --

DEDUCTIVE & INDUCTIVE LEARNING

Frontll cl1ssrooms, Mentoring 1nd Pr1ctlct. Networking,

negatiatian, risk ilSS!!SSI1lPnt and calculatian, cammunicatian, ideas groeratian and validatian

l

TRANSFDRMANAGEMENT-

AGILE

WORKSHOP TO SIMUlATE REAL

TASKS OEBU\IOLING ANO TASKS

ENTERPRENEURIAL LIFE

ACCOIVIPLISHIVIENT

Eviluation and selection Df

Tasks promotion & deiiVI!ry

Vllidltlon ld11s

Tasks ilfl! promated and validated (rom project aMJer. Potrotial spin-in o( project and collection a( skills port(alia

Entrepreneurial experiences storyttllln§ CEOs, Start-Upp!!(S l

Team validates project and or emplavees (rom the corporale indicates patential changes. The WDrld involved in digita/ idea is thro d�bundled inta trans{armatian sma/ler tasks (Agile)

loro interagire con l'ambiente e i desideri dell'individuo, durante la ricerca della soluzione ad un problema. A seconda di queste incertezze, della com­ plessità e dell'ambiente, il compito da svolgere necessita di essere costan­ temente revisionato. Inoltre le quattro fasi di Gibb sono interconnesse

e

unite in un unicoJunnel dove sono in grado di supportarsi reciprocamente, slegando l'ordine gerarchico delle attività proposto da Gibb

(FIG. 5.1)

a fa­

vore di un approccio aperto e integrato. L'insieme del percorso è articolato in due fasi: shaping phase, la quale include i due step come skills ed enablement; e la acceleration phase, a suo turno suddivisa in validation e delivery.

Nellashapingphase, sono presenti: 1.

Creazione delle capacita o skills creation: la parte che mira all'accresci­

mento delle capacità individuali di networking e del pensare strategico, di vendere e di persuadere, di presentare il prodotto e di calcolare il rischio. Lo studio induttivo e deduttivo include lezioni frontali, sedute di men­ toring e lezioni pratiche. Le lezioni in aula - un ciclo di seminari in Lean

Startup & Open Innovation tenuto da specialisti dell'imprenditoria digita­ le - forniscono ilftamework teoretico per gli obiettivi di ogni fase e spaziano dal networking, alla negoziazione, la valutazione e il calcolo del rischio, lo studio del mercato, la comunicazione, la generazione e la validazione di idee.

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La presenza di un mentor svolge il ruolo dello studio deduttivo, finalizzato allo sviluppare le capacità imprenditoriali individuali, con il supporto di un

senior entrepreneur che abbia lo stesso background dello startupper. Durante le sedute pratiche, sia induttive che deduttive, si partecipa in maniera attiva al programma di accelerazione, tale possibilità è offerta sia ai progetti degli studenti sia alle corporate startup, appartenenti alle compagnie già avviate e coinvolte nel processo di trasformazione digitale. Questa fase ha il compito di trasformare gli studenti in imprenditori digitali virtuali che potranno utiliz­ zare tale abilità lavorando in proprio o per altre imprese. I progetti più riusciti riescono ad arrivare alla fase di validazione ed essere sviluppati (spin-in), ma anche laddove ciò non succede il partecipante ottiene un prezioso bagaglio di conoscenze ed esperienze utili per la futura ricerca di lavoro. 2.

Abilitazione imprenditoriale o entrepreneurial enablement: anche que­

sta sezione comprende le attività sia deduttive che induttive ed è mirata a sviluppare la comprensione dei rischi e dei benefici di una carriera im­ prenditoriale. Ciò avviene attraverso lo storytelling delle esperienze di

CEO

( Chief Executive Officer), di startuppers o di lavoratori nell'ambito cor­

porate

-

tutti coinvolti nei processi della digitai business transformation. Si

prende consapevolezza di possibili ruoli e dei background degli imprendi­ tori, il che serve da supporto allo studio teorico. Durante questa fase ha luogo un workshop specific definito Transfor­

management. I gruppi sono divisi in squadre da sei persone, alle quali si attribuiscono i ruoli di vari tipi di leader aziendali, a seconda delle carat­ teristiche personali indicate dagli studenti all'inizio del corso, considerando la valutazione del loro potenziale da parte dei mentors. Attraverso il software specifico ogni gruppo si trova trasportato nella realtà di una compagnia che affronta il problema della trasformazione digitale, riceve una spiegazione delle competenze e dei ruoli, dopodiché si trova assegnato uno scenario di lavoro e una missione (es. scale-up di un modello business, la ricerca o svi­ luppo di un nuovo prodotto o servizio ecc.). Lo scopo dell'attività è quello di eseguire un test delle capacità di ogni team di lavorare a livello indivi­ duale (la valorizzazione del ruolo, un'abile gestione del proprio ambito di competenze) e di gruppo (l'allineamento del team negli obiettivi, il rispetto della struttura gerarchica, analisi congiunta di ogni fase di lavoro). L'atti­ vità avviene con la partecipazione degli advisors che in maniera costante forniscono le spiegazioni teoriche e il supporto in caso di bisogno. Dopo la shaping phase segue l' acceleration phase, nel momento in cui un'idea prende forma in maniera sufficiente da poter accedere alla fase di accelerazione.

IULM INNOVATION LAB



Idea & Business Validation: in questa fase avvengono la raccolta, la va­

lutazione, la selezione e la validazione delle idee imprenditoriali, la verifica finale della loro capacità di azione sul mercato; per accedervi, la fase pre­ cedente di lavoro rappresenta un requisito indispensabile. Sono ammesse al percorso di accelerazione le idee provenienti sia dagli studenti che dalle imprese. Per essere ammesse, le idee sono presentate online dagli studenti o dagli imprenditori e sono valutate a seconda di una serie di variabili (variano a seconda del settore e della value proposition). Le idee selezionate per acce­ dere alla fase di accelerazione sono sezionate in una serie di compiti e di attività minori, assegnate ai vari partecipanti, per le quali essi sviluppano dei piani di sviluppo. L'approccio vicino all'agile methodology (Maruping

et al,

2009) è gestito in gran parte dai partecipanti stessi, tuttavia guidato

e diretto dal team dell'acceleratore, consentendo di massimizzare il ritor­ no dell' open innovation, di ottenere una più forte validazione dell'idea (le reazioni che suscita consentono di prevedere parzialmente le reazioni della futura clientela), di accelerare il processo di lavoro, di fornire occasioni di brainstorming su potenziali alternative e punti interrogativi (beneficio del punto di vista interno ed esterno in contemporanea). 4·

Lancio e consegna o launch & delivery: su una selezione di idee validate,

si passa ali'approccio spin in che presuppone il lancio del progetto. Questa fase finale è chiamata a dare supporto alle startup durante la loro uscita sul mercato, può iniziare soltanto dopo che sia avvenuto il consolidamento teorico, la messa alla prova del framework, e la validazione dell'idea. Anche quest'ultima fase è gestita dai mentors e advisors, ma dipende nella maggior parte dal team e dalle capacità che hanno acquisito durante il percor­ so. Si controlla l'assestamento dello sviluppo del progetto e i key pe rfo rmance

indicators. Il percorso di

IULM

lnnovation Lab è racchiuso nella combinazione

di queste quattro categorie in un unico Junnel, dove si connette il sapere teorico con quello pratico e la conoscenza accademica si incontra con l'e­ sperienza dei professionisti del settore.

4

Missione servizio alla società. Conclusioni Malgrado il progetto sia nato di recente, è già possibile attestare un notevo­ le interesse verso di esso da parte degli studenti, di altri membri dell'univer7I

ANGELO MIGLIETTA

l ANNA NELAYEVA l GIUSEPPE

STIGLIANO

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sità, delle altre università e delle cerchie imprenditoriali. Una parte dell'at­ tenzione è stata attirata dalla sede dello

IULM

lnnovation Lab collocato

nella cascina Moncucco, un edificio storico del Seicento recuperato dallo stato di degrado grazie all'intervento dell'università e aggiunto di recente nell'elenco degli edifici del campus. Alla luce della necessità di attivare i meccanismi di cooperazione tra le istituzioni universitarie e il mondo business, lo

IULM

lnnovation Lab sta

creando un framework operativo dove tutti gli stakeholders possono trova­ re il loro spazio e le condizioni per raggiungere i propri scopi. Le peculiarità del progetto rispetto agli altri incubatori consiste nella particolare apertura verso la cooperazione e l' open innovation, nel ruolo educatorio come pri­ orità, nella segmentazione mirata ad applicare l'innovazione negli ambiti specifici di studio e di ricerca della

n percorso dello

IULM

IULM.

lnnovation Lab è complementare rispetto al­

la didattica dell'ateneo e completamente gratuito, rappresenta una parte dell'offerta dell'università e si pone in continuità con il preesistente corso di Entrepreneurship and Innovation for Creativity & Startup, che si svolge in lingua inglese all'interno del percorso di laurea magistrale in Marketing e comunicazione. L'inizio di ogni edizione è segnato dall'apertura di una califor talents, la partecipazione alla quale è aperta anche agli studenti delle altre univer­ sità per incentivare le sinergie e la contaminazione reciproca che derivano dalla compresenza all'interno dei team delle competenze e dei background diversi e complementari. Inoltre, l'apertura verso gli esterni fa parte della missione servizio alla società dell'università, la quale, continuando a offrire un servizio pubblico, riconosce come uno dei suoi obiettivi primari quello di restituire il valore alla collettività.

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VELETSIANOS G.

73

Territori sostenibili in un mondo che cambia velocemente

Terza Missione: è lei la prima vittima della cultura della valutazione? di Giuseppe De Nicolao

Codeste ambiguità, ridondanze e deficienze ricordano quelle che il dottor Franz Kuhn attribuisce a un'enciclopedia cinese che s'intitola Emporio celeste di conoscimenti benevoli. Nelle sue remote pagine è scritto che gli animali si dividono in (a) ap­ partenenti all'Imperatore, (b) imbalsamati, (c) ammaestrati, (d) lattonzoli, (e) sirene, (f ) favolosi, (g) cani randagi, (h) inclusi in questa classificazione, (i) che s'agitano come pazzi, voli,

(j) innumere­

(k) disegnati con un pennello finissimo di pelo di cammel­

lo, (l) eccetera, (m) che hanno rotto il vaso, (n) che da lontano sembrano mosche.

(]orge Luis Borges, Altre inquisizioni)

I

L'Emporio celeste della Terza Missione

È significativo che nella burocrazia ministeriale, la valutazione della Terza Missione prescinda da una definizione dell'oggetto da valutare. Nel D.M. 30 gennaio 2013, n. 47, Autovalutazione, accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio e valutazione periodica, la locuzione "Terza Missione" compare per la prima volta nell'allegato E, che riporta i seguenti Indicatori eparametri per la valutazioneperiodica della ricerca e delle atti vita di terza missione: 1. percentuale dei docenti che non hanno pubblicato negli ultimi tivi); 2.

3· 4· 5·

5

anni (inat­

produzione scientifica per area degli ultimi IO anni/docenti di ateneo; numero di premi nazionali e internazionali; attività di divulgazione scientifica e culturale; fellow (o equivalenti) di società scientifiche;

rapporto numero di progetti in bandi competitivi/docenti dell'ateneo negli ultimi IO anni; percentuale di prodotti negli ultimi 5 anni con coautori internazionali; 7· 6.

8. 9·

numero medio di tesi di dottorato per docente; numero medio di brevetti per docente negli ultimi

77

IO

anni;

GIUSEPPE DE NICOLAO

IO.

rapporto fatturato conto terzi e progetti di ricerca vinti in bandi competitivi/

numero docenti negli ultimi Io anni; n.

numero di spin-off degli ultimi Io anni;

12. numero di attività extra moenia collegate alle aree di ricerca ( es. organizzazio­

ne di attività culturali o formative, gestione di musei e si ti archeologici, organizza­ zione di convegni ecc. ) ; 13.

numero di mesi/uomo di docenti/ricercatori stranieri trascorsi in ateneo;

14. risultati VQR.

Un elenco borgesiano, soprattutto alla luce della circolarità dell'ultimo indicatore "risultati VQ.R'. Infatti, il comma 6 dell'articolo 2 del D.M. 27 giugno 20IS, n. 458, Linee guida della VQR 2on-20I4, rimanda a sua volta alla valutazione della Terza Missione. Condivide la vocazione classificatoria del MIUR anche l'ANVUR, l'A­ genzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, a cui è affidato il processo di valutazione. A titolo di esempio, ecco, le informazioni richieste per la valutazione dei poli museali (ANVUR, 20I5a, P· 3I ) : per ogni polo saranno rese disponibili le seguenti informazioni: nome della struttura di gestione; numero di siti museali gestiti dal polo museale; numero di giorni di apertura nell'anno; spazi dedicati in mq; informazioni disponibili in via facoltativa; budget impegnato per la gestione dell'attività nell'anno; totale finanziamenti esterni ottenuti per la gestione del polo museale nel­ l'anno; presenza di un sistema di rilevazione delle presenze; se esiste un sistema di rilevazione delle presenze saranno disponibili le seguenti informazioni: nell'anno;

a) numero dei visitatori nell'anno; b) numero dei visitatori paganti ) dipartimenti coinvolti.

c

Una differenza degna di nota è che, pur essendo altrettanto analitici, ben difficilmente i manuali di valutazione dell'ANVUR potrebbero condividere con l'Emporio celeste la qualificazione di benevoli (ivi, p. 6): Ci si attende che le classi "eccellente" e " buono" raccolgano indicativamente intor­ no al3o% dei soggetti, dei quali non più del IO% rientri nella prima classe. La classe centrale "accettabile" dovrebbe includere indicativamente il 40% dei soggetti e la restante classe "limitato" il3o% dei soggetti. In assenza di una metrica tale indica­ zione assume con ogni evidenza solo un valore orientativo, che tuttavia si ritiene

È LEI LA PRIMA V IT TIMA DELLA CULT URA DELLA VALUTAZIONE?

importante al fine di fornire agli atenei e ai dipartimenti un posizionamento rea­ listico e forti stimoli al miglioramento.

A prescindere dal reale valore dei soggetti valutati, il7o% delle valutazioni dovranno essere "accettabili" o "limitate". Tipicamente anvuriana la mo­ tivazione pedagogica, di natura premio-punitiva: «al fine di fornire agli atenei e ai dipartimenti[ ... ] forti stimoli al miglioramento». Per comprendere meglio la ratio che guida le classificazioni anvuriane, risulta utile la lettura degli Esiti della consultazione sul manuale di valuta­

zione della Terza Missione

(ANVUR,

2015b). Alla richiesta di prendere in

considerazione brevetti extra-Europa e USA, l'agenzia risponde nel seguen­ te modo: Si ribadisce che sono esclusi, almeno in prima applicazione, brevetti depositati presso uffici diversi da

USPTO, EPO

e

UIBM,

anche qualora esaminati secondo le

procedure PCT. In tali aree, infatti, non si dispone sempre di banche dati che con­ sentano di produrre informazioni standardizzate e comparabili. Inoltre nelle ana­ lisi internazionali si ritiene che la protezione dei brevetti nei sistemi e UIBM

sia rappresentativa dell'attività inventiva ( ivi, p.

7

EPO, USPTO

).

Insomma, è rappresentativo ciò che rientra nelle informazioni standardiz­ zate e comparabili. Se non rientra, non è rappresentativo. Non molto diver­ sa la risposta alla richiesta di inserire una voce per attività che non rientrano nell'enciclopedia cinese (ivi, p. I9 ): Altri contributi suggeriscono di inserire una voce "altro" allo scopo di tenere conto di ulteriori attività. La assenza della voce "altro" non è casuale: essa invita in un cer­ to senso a "forzare" la classificazione all'interno di una lista, peraltro molto ampia. Infatti in sede di VQR la presenza della voce "altre attività di Terza Missione", non ulteriormente classificate, ha generato oltre I2.ooo indicazioni di estrema eteroge­ neità e di difficilissima classificazione ex post.

La constatazione che le griglie valutative faticano ad abbracciare la com­ plessità del reale si traduce in un ulteriore spunto pedagogico: l'invito esplicito a "forzare" la realtà all'interno delle griglie valutative. Ma, tra le righe, si legge anche l'invito implicito a non sprecare energie in attività poco standardizzabili e comparabili in sede di valutazione. Nella cultura della valutazione, ciò che è reale è valutabile e ciò che è valutabile è reale.

È la stessa ANVUR a riconoscere che, stilando liste da enciclopedia cine­ se, si corre il rischio di suscitare comportamenti opportunistici, ma «pre­ ferisce andare incontro consapevolmente a tale rischio» (ivi, p.

79

6).

Una

GIUSEPPE DE NICOLAO

consapevolezza, che, come testimoniato dall'ossessione per la certificazione

numerica ( i metri quadri, il numero di giorni di apertura, il numero dei

visitatori ecc. ) , alimenta una vera e propria cultura del sospetto. Per fare un esempio, non basta contare i brevetti, ma bisogna verificarne il flusso di redditi

(ANVUR, 20I5a, p. IS ) :

Domande valutative [ . . ] È in grado di ottenere dal portafoglio della proprietà intellettuale un flusso di .

redditi che manifesti l'interesse del mondo economico per le invenzioni prodotte?

Se i brevetti non entrassero negli indicatori della macchina premio-puniti­ va, non vi sarebbero ragioni plausibili per sostenere spese di brevettazione per invenzioni di cui non si prevede un potenziale sfruttamento commer­ ciale. Ma non appena il brevetto diventa moneta spendibile al mercato della valutazione, subito si pone la questione di riconoscere le brevettazioni inu­ tili, perché finalizzate al solo miglioramento della valutazione accademica. Mentre sulle spalle dei valutati grava costantemente l'onere di giusti­ ficare il bilancio costi-benefici delle loro attività, tutt'altra è la prospettiva

entro cui vengono collocati i costi della valutazione ( ivi, p. 4 ) :

La costituzione di una base di dati standardizzati e comparabili è un passaggio necessario per fondare la valutazione su basi solide. Il peso burocratico della fase di raccolta sarà compensato dalla disponibilità di dati dettagliati e affidabili.

Non più calcolo dell'utilità e riscontri quantitativi, ma «un passaggio neces­ sario» e la prospettiva di una ricompensa futura. Un dovere morale o quasi. Ma davvero la «disponibilità di dati dettagliati e affidabili» non ha prezzo? Persino in ambito medico, è noto che alcuni screening di massa portano

più danni che benefici ( McCartney, 20I4 ) . Accade quando le diagnosi sono incerte oppure non sono disponibili terapie efficaci. Un paragone pertinen­ te, se si considerano le difficoltà di valutare appropriatamente le attività di Terza Missione e anche quelle di indirizzarla o renderla più efficace.

2

I pazienti sono morti ma l'impatto è eccellente Nel Regno Unito, una delle novità dell'ultimo esercizio di valutazione, il

( REF ) 2oo8-20I3, è stata la valutazione del cosiddetto impact ( HEFCE, 20I6a) : Research Excellence Framework

8o

È LEI LA PRIMA V IT TIMA DELLA CULT UR A DELLA VALUTAZIONE?

lmpact was defìned as «an effect on, change or benefìt to the economy, society, culture, public policy or services, health, the environment or quality of life, beyond academia ».

Diversamente dall'ANVUR, l'agenzia di valutazione britannica, l'HEFCE (HigherEducation Funding Council ofEngland), non ha fatto ricorso ad un approccio classifìcatorio. Le istituzioni hanno presentato le attività che ritenevano di maggiore impatto attraverso apposite schede, che sono state sottoposte a peer

review.

Una procedura che dà un taglio secco alle vane

dispute tassonomiche, ma che è andata incontro ad altre critiche. Dal momento che la valutazione era inevitabilmente influenzata dall'effi­ cacia dello story telling, si è immediatamente aperto un mercato per consulen­ ti capaci di migliorare la presentazione dei case studies, dal punto di vista della qualità formale e della persuasività (Swain, 20I3). Con il rischio che a ricevere i voti più alti non fossero le attività migliori, ma quelle che erano state affidate alla penna dello story

teller più esperto.

Un'altra differenza rispetto all'agenzia italiana è non aver contingenta­ to la percentuale di giudizi positivi, tanto è vero che, a valutazione conclusa, Steven Hill (20I5), Head ofResearch Policy dell'HEFCE, ha sottolineato con soddisfazione che 1'84% dei giudizi sono ricaduti nelle due fasce più alte:

44%

of impacts were judged outstanding

(4*).

A further

40%

were judged

very considerable (3*). Impressive impacts were found from research in all subjects. REF

shows many ways in which research has fuelled economie prosperity,

influenced public policy and services, enhanced communities and civic society, enriched cultural life, improved health and wellbeing, and tackled environmental challenges.

Un vanto per nulla casuale, se ci si sofferma sull'ultimo punto menzio­ nato da Hill: la valutazione dell'impatto serve a mostrare i molti modi con cui la ricerca porta benefìcio alla società, sotto i più vari aspetti, da quelli economici e materiali a quelli culturali e sociali. Facile leggere in controluce la speranza di usare i risultati della valutazione per convince­ re l'opinione pubblica e la politica ad allargare i cordoni della borsa o, quantomeno, a non stringerli. Una speranza condivisa anche da chi in Australia sta varando un'analoga procedura di valutazione dell'impatto, la cui relazione fìnale includerà un'esposizione divulgativa per persuadere gli elettori dei benefìci concreti che la ricerca porta alla società australiana (Jump,

20IS). 8r

GIUSEPPE DE NICOLAO

Per quanto riguarda l'Italia, è difficile che le relazioni dell'ANVUR, si­ mili ad elenchi telefonici decifrabili da pochissimi addetti ai lavori, possano convincere chicchessia dei benefici della ricerca pubblica. Tanto è vero che si cerca di far leva su altri argomenti. «Si dimentica spesso che l'università italiana è l'unico comparto della PA ad essersi già sottoposto alla valutazio­ ne dell'ANVUR», aveva dichiarato Gaetano Manfredi in occasione della sua elezione a presidente della Conferenza dei rettori delle università ita­ liane

(CRUI, 20IS). Tuttavia, un conto è mostrare come la ricerca cambia in

meglio la qualità della vita, un conto è chiedere una ricompensa per essersi sottoposti ad una radiografia costosa e di scarsa utilità pratica. Soprattutto se il taxpayer scopre che, secondo i radiologi dell'ANVUR, nella Fisica il gradino più alto del podio spetta all'università non statale Kore di Enna, mentre nell'Ingegneria industriale e dell'informazione l'ateneo telematica Unicusano precede di molte posizioni i politecnici di Milano e di Torino

(ROARS, 20I 7 ). Sebbene più lucida di quella italiana, anche la strategia britannica ha le sue ombre. Mettere a disposizione dei cittadini il database

(HEFCE, 20I 6b )

di tutti i case studies della valutazione dell'impatto sortirà davvero l'effetto sperato sulla reputazione dell'accademia e, soprattutto, sul suo finanzia­ mento? Ad essere in discussione, non è solo l'efficacia della valutazione co­ me strumento retorico per migliorare la reputazione dell'istituzione uni­ versitaria. Dare così tanto peso all'impatto

(2o% nel REF britannico )

non

comporta degli effetti indesiderati, anche gravi? Per rispondere a questa domanda, prendiamo uno dei 6.637 case stu­

dies, quello intitolato Development and Transplant oJHuman Organs Using Nanocomposite Materials, presentato da University College London. Appa­ rentemente, si tratta di risultati della massima importanza. Almeno, questa è l'impressione che ne trae chi legge la scheda, di cui riportiamo alcuni

passaggi ( University College London,

20I4, pp. I, 3):

Researchers inucL's Centre for Nanotechnology and Regenerative Medicine have pioneered a transformative therapy using their platform technology of next-gen­ eration nanocomposite biomaterials to create wholly synthetic human organs for transplant, including the world's fìrst synthetic trachea, lacrimai ( tear ) ducts and bypass grafts. These products improve patient outcomes in situations where con­ ventional therapies have not worked. Because the organs are functionalised with peptides and antibodies, as well as seeded with the patients' own stem cells, pa­ tients do not require immunosuppression. A university spinout company has been set up to commercialise the use ofucL's patented nanomaterial for cardiovascular devices as well as other organs. [ .

..

]

È LEI LA PRIMA V IT TIMA DELLA CULT UR A DELLA VALUTAZIONE? The trachea and bronchi were implanted in )une 2ou; more than two years on, the patient has a functioning organ and is doing very well. Describing the im­ plantation and its effects, Professor ofLaryngology at the Royal National Throat, Nose and Ear Hospital said: "This is the fìrst time that a trachea made from a syn­ thetic scaffold (here repopulated using stem cells), has preserved life and quality oflife for longer than a few months... follow up is now 2.5 years':

Come si deduce dalle pubblicazioni citate nella scheda, la ricerca era stata svolta in collaborazione con Paolo Macchiarini, professore presso il presti­ gioso Karolinska lnstitutet di Stoccolma. I case studies del REF sono stati pre­ sentati nel20I3. A partire dal2014 cominciano ad emergere sospetti sull'o­ perato di Macchiarini, ma è solo nel2o16 che lo scandalo diventa esplosivo. Si parla di frode scientifica, violazione delle norme etiche, vengono ritrattati articoli, si scopre che le condizioni dei pazienti operati erano ben peggiori di quelle dichiarate negli articoli. Sette pazienti su otto sono deceduti, al­ cuni tra atroci sofferenze. Sul sito di University College London è possibile scaricare il rapporto di un'inchiesta interna, di cui riportiamo alcune delle raccomandazioni finali (University College London, 2017, p. 53):

[. ] ..

Professor Seifalian's research laboratory did not meet the requirements

of the Medicai Devices Regulations 2002 (including the exceptional use require­ ments) during the manufacture of POSS-PCU constructs intended for direct clini­ ca! use as trachea!, vascular, lachrymal duct and post-auricular implants [ . . ] .

That UCL should advise the Karolinska Institute that the POSS-PCU construct made for Patient B had not undergone rigorous pre-clinical assessment and was not made to

GMP

standards under the relevant UK legislation and licensure.

Non conosciamo il voto che l' HEFCE ha assegnato a questo

case study, ma

non sarebbe sorprendente se fosse stato un 4 * ( Outstanding). In seguito allo scoppio dello scandalo Macchiarini, sono cadute le teste del rettore del Karolinska e del segretario della commissione per il Nobel. Poi, è seguita l'indagine interna dell' University College London. Quello che era un fiore all'occhiello è divenuto motivo di imbarazzo. Steven Hill

(wis), tra gli sviluppi futuri della valutazione dell'impatto

vede la sua inclusione come criterio per la promozione nelle carriere accade­ miche. Ma proprio il caso Macchiarini dimostra che rincorrere l'impatto ad ogni costo può condurre ad esiti catastrofici. Persino, un istituzione di fama mondiale come il Karolinska Institutet di Stoccolma si è lasciata abbagliare dalla fama di Macchiarini. Macchiarini,

bel titolò

mago del bisturi all'Ateneo dei No­

un quotidiano italiano, riferendosi all'incarico che Macchiarini

GIUSEPPE DE NICOLAO

ottenne presso il Karolinska lnstitutet, dopo che l'Università di Firenze, più lungimirante, gli aveva negato la chiamata. Dall'esame del suo curri­ culum non risultava che all'estero avesse ricoperto posizioni accademiche equipollenti a quella di professore ordinario. L'impatto va maneggiato con cura, soprattutto in certi settori. Dargli trop­ pa importanza significa correre grandi rischi a causa degli incentivi perversi a ingigantire i successi o persino a truccare le carte. Nel20I7, Science Europe, un'associazione di enti di ricerca e agenzie di finanziamento della ricerca, con sede a Bruxelles, ha rilasciato

un position

statement proprio sulla valutazione

dell'impatto della ricerca. Nelle conclusioni, si sottolineano le difficoltà e i limiti dell'impatto come metro di giudizio del valore della ricerca: There is great diversity in the ways in which research brings its immense value to society. Some of these ways are indirect or intangible and cannot easily be meas­ ured by strictly defìned impact assessment criteria. Others are long-term or unpre­ dictable and may not yet be visible at the time that the research is evaluated. [ ... ] For some types of research, impact assessment may provide essential elements for decision making, while for others it may not be adequate at all. But in all cases, it should be acknowledged that no single indicator or methodology of impact assess­ ment can ever capture the full value of research and predict all of its innumerable contributions to society. Ultimately, the best way to maximise the value of research to society is by ensuring that the research produced meets the highest standards of quality and excellence (Science Europe,

2.017,

p. 6).

Fernando Ferroni, presidente dell'Istituto nazionale di fisica nucleare

(INFN ), nel commentare il documento di Science Europe, ha citato il Centro nazionale di adroterapia oncologica ( CNAO) di Pavia, che usa adroni contro il cancro. Una tecnica che ha le sue radici in ricerche che risalgono agli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso e che si è avvalsa di quegli stessi accelera­ tori con cui i fisici andavano a caccia di quark. Secondo Ferroni (20I7 ): «La ricerca di base è curiosity driven e proprio per questo produce innovazione radicale, e applicazioni impreviste all'origine». Nella scienza non esistono scorciatoie: bisogna seminare bene e aspettare che i frutti maturino.

3

L'inutile mappa dell'Impero La Terza Missione, proprio perché così variegata e difficile da categorizzare

è particolarmente esposta agli effetti indesiderati della valutazione. Effetti

È LEI LA PRIMA V IT T IMA DELLA CULTURA DELLA VALUTAZIONE?

che sono riconosciuti anche da un ex componente del Consiglio direttivo dell'ANVUR. Andrea Bonaccorsi

(20I7,

pp. 35-36, 39 ) , alla domanda se la

valutazione induca comportamenti opportunistici, risponde: certamente sì. [ ...

]

I soggetti valutati ingaggiano un vero e proprio strategie game

con l'istituzione che valuta, cercando di volgere a proprio vantaggio le regole[ ... ] Questi fenomeni suscitano la giusta indignazione dei professori più anziani, che hanno costruito la loro carriera prima della valutazione e prima dell'università di massa. L'etica accademica di un tempo avrebbe censurato in modo irreversibile questi comportamenti, che invece sembrerebbero oggi essere accettati proprio a causa della valutazione. Credo che l'approccio da adottare sia diverso.[ ...] La chi a­ ve non è quindi abbandonare sistemi di governo della complessità, ma assumere il punto di vista dello scienziato sociale che cerca di anticipare non solo le conse­ guenze dirette della propria azione, ma anche le conseguenze dirette e indirette dell'adattamento dei soggetti sociali alla propria azione, e della loro interazione successiva.

Un bel quadretto: una comunità accademica di opportunisti, la cui spre­ giudicatezza suscita l'indignazione dei professori più anziani, i quali, ancorati come sono all'etica accademica del tempo che fu, condanne­ rebbero senza appello una serie di comportamenti che Bonaccorsi non esita a descrivere nel dettaglio: coautoraggi multipli e anche di facciata, citazioni scambiate o forzate,

salami slicing.

Come farvi fronte, ora che

non ci si scandalizza più? Bonaccorsi suggerisce soluzioni tecniche come il fractional

counting degli

autori o l'introduzione di penalità, che però

presuppongono procedure valutative ancora più complesse, capaci di di­ stinguere i comportamenti leciti da quelli meno leciti. Non convince la sua menzione di codici etici e campagne di opinione, quando egli stesso assimila i soggetti valutati a giocatori che massimizzano i loro punteggi sfruttando le pieghe dei regolamenti. Infine, in un contesto italiano in cui la valutazione è sempre più basata sull'uso automatico di indicatori, l'idea che dei manuali di valutazione o delle analisi di discontinuità sul numero dei coautori facciano scattare l'allarme, sembra solo un alibi per non ammettere che i giocatori più abili e spregiudicati finiranno per rim­ piazzare gli scienziati. Qualcuno dirà: meglio punizioni e incentivi, per quanto imper­ fetti e distorsivi, piuttosto che riporre ingenuamente fiducia nel senso di responsabilità degli individui. In realtà, non è detto che punizioni e incentivi funzionino meglio di un sistema di norme sociali condivise. In un famoso articolo, intitolato A

Fine is a Price,

ss

Gneezy e Rustichini

GIUSEPPE DE NICOLAO

(2ooo) hanno presentato e discusso i risultati del cosiddetto esperimento di Haifa. In alcuni centri diurni, ci sono genitori che prelevano i figli in ritardo costringendo gli operatori ad allungare il loro orario di lavoro. In sei centri su dieci viene introdotta una multa monetaria per i genito­ ri ritardatari. In contrasto con le aspettative, l'introduzione delle multe non riduce la frequenza dei ritardi, ma la aumenta. Come mai? La norma sociale - rispettare i diritti degli operatori a terminare il lavoro all'ora prestabilita - era stata rimpiazzata da una norma di mercato. La multa era il prezzo da pagare per il ritardo e il disagio inflitto agli operatori era stato mercificato. Si noti che, una volta eliminata la multa, la frequenza dei ritardi non scese ai livelli di partenza. Una volta sostituita dalla nor­ ma di mercato, la norma sociale stenta ad essere ripristinata. Introdurre premi e penalità significa cambiare il contratto sociale e non è detto che la modifica sia reversibile. Ebbene, una buona parte delle attività di Terza Missione, in particolare quelle più difficilmente misurabili, come la divulgazione e l'impegno pub­ blico, hanno il loro fondamento in norme sociali. Sono parte integrante di quel complesso di comportamenti che Chris Havergal

(2 0 I S )

definisce

"cittadinanza accademicà'. Una serie di compiti che sfuggono alla quantifi­ cazione ma che sono fondamentali per il buon funzionamento della comu­ nità scientifica nazionale e internazionale. Solo per citarne alcuni: l'orga­ nizzazione di eventi scientifici, la partecipazione a commissioni di esame e di concorso al di fuori della propria istituzione, l'attività di revisione di articoli e di valutazione di progetti, il mentoring di colleghi più giovani. Sta crescendo una nuova generazione di accademici per cui questi compiti sono un'inutile perdita di tempo, denuncia Havergal. I meccanismi della valu­ tazione danno un prezzo alle diverse attività e, se bisogna giocare al meglio la propria partita, le attività che non portano punti sono da abbandonare. Havergal si sforza di essere ottimista e cita quei colleghi che, incuranti dei tempi nuovi, si sforzano di fare "la cosa giustà: «Eroi ed eroine della vita accademica» li chiama. Fin troppo facile identificarli con quei «professori più anziani, che hanno costruito la loro carriera prima della valutazione e prima dell'università di massa» menzionati da Bonaccorsi. Una razza in via di estinzione. Come sarà possibile prevenire il crollo o quantomeno la decadenza di un sistema accademico sempre più impegnato a gareggiare solo sui percorsi tracciati dall'agenzia di valutazione, a costo di scaricare come zavorra inuti­ le le attività non soggette a valutazione? Conosciamo la risposta di Bonac­ corsi

(2 0 I 7

,

p. 39 ) : «anticipare non solo le conseguenze dirette della pro86

È LEI LA PRIMA V IT TIMA DELLA CULT UR A DELLA VALUTAZIONE?

pria azione, ma anche le conseguenze dirette e indirette dell'adattamento dei soggetti sociali alla propria azione, e della loro interazione successiva». Per non chiudere i poli museali, bisogna inserirli nella valutazione. Ma, per prevenire le mosse dei furbetti, bisogna accertarsi che il polo museale sia autentico e significativo. Ed ecco la richiesta dei metri quadri, degli orari di apertura, del numero di biglietti staccati. Una lunga rincorsa senza fine. Nel paradigma premio-punitico, le attività di Terza Missione, per non essere marginalizzate, devono entrare nella valutazione. Ma per entrarci devono essere standardizzate o standardizzabili, perché i terreni privi di coordinate geografiche concedono troppi margini all'opportunismo. Se ogni attività deve avere il suo premio e la sua punizione, la valutazione deve tendere ad una rappresentazione completa della vita accademica, capace di contare e pesare ogni gesto che non si voglia condannare all'e­ stinzione. Ancora una volta, è Borges a fornirci la metafora adatta, narrandoci di quell'impero i cui geografi idearono una mappa «che uguagliava in gran­ dezza l'Impero e coincideva puntualmente con esso». Una mappa la cui inutilità fu compresa solo dalle generazioni successive. In quell'impero, l'Arte della Cartografia raggiunse una tale Perfezione che la mappa di una sola provincia occupava tutta una Città e la mappa dell'Impero tutta una Provincia. Col tempo codeste Mappe Smisurate non soddisfecero e i Collegi dei Cartografi eressero una mappa dell'Impero che uguagliava in gran­ dezza l'Impero e coincideva puntualmente con esso. Meno Dedite allo studio della cartografia, le Generazioni Successive compresero che quella vasta Map­ pa era inutile e non senza Empietà la abbandonarono all'Inclemenze del Sole e degl'Inverni. Nei deserti dell'Ovest rimangono lacere rovine della mappa, abi­ tate da Animali e Mendichi; in tutto il paese non è altra reliquia delle Discipli­ ne Geografiche (Suarez Miranda, Viaggi di uomini prudenti, libro

IV,

cap.

XLV,

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È LEI LA PRIMA V IT T IMA DELLA

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IULM

per il territorio:

eventi e attività di Terza Missione di Raffaella Quadri

Il mio intervento vuole documentare l'attività eventistica svolta da

IULM

negli ultimi due anni, non solo per costruire un repertorio ragionato di iniziative, ma, anche e soprattutto, per portare un contributo di riflessione insieme tecnica ed organizzativa poggiata sulla nostra esperienza. La Terza Missione è tutt'altro che un campo ben perimetrato della mis­ sion universitaria, in quanto deve essere configurato, di volta in volta, in

base alle vocazioni scientifiche e ai rapporti territoriali dei singoli atenei. La mia riflessione è diretta alla costruzione di un'idea ampia di Terza Missio­ ne, idonea a rappresentare le declinazioni culturali della nostra università incentrate sulla comunicazione, il turismo, le arti, le lingue e i linguaggi e che dovrà alimentare il sistema di rilevazione di ateneo. La

IULM

organizza oggi molti eventi, sotto la guida del prorettore alla

comunicazione e agli eventi, prof. Gianni Canova, e con un team formato dall'ufficio eventi, Caterina Angeretti e Roshan Raimondo, dal rettorato, con Stefano Vivenzio e Marialuigia Ventura, e dal gruppo di comunicazio­ ne capitanato da Debora Rigato. Vista la mia formazione, ho sempre avuto un occhio particolare per gli eventi che, ancora oggi, mi appassionano e mi coinvolgono, anche per la mia funzione di direttore generale. La

IULM

quotidianamente produce eventi e, in alcune giornate, si è arrivati ad orga­ nizzarne fino a sei nello stesso giorno. La realizzazione del nostro nuovo edificio denominato Space (da tutti noi più familiarmente chiamato

IULM

IULM

Open

6) ci ha permesso di

aprire le porte dell'università alla città, fin dalla sua inaugurazione, qualche anno fa, con la mostra "Foresta Blu" di Fabrizio Plessi. L'edificio compren­ de la sala che ospita il Convegno, denominata sala dei delle poltrone) , un grande auditorium da

146 ( per il numero

6oo posti con

agibilità di pub­

blico spettacolo (tecnologicamente molto avanzato con uno schermo 4k e cabine per la traduzione simultanea) , una sala espositiva ( su due livelli) , altri spazi connettivi utili a tutte le nostre manifestazioni.

91

e

RAFFAELLA QUADRI

Anche il FAI (Fondo ambiente italiano), anni fa, ci ha chiesto di aprire l'edificio alle giornate

FAI

di primavera, giornate in cui si aprono luoghi

della città, generalmente non fruibili al pubblico, di particolare valenza ar­ chitettonica. Ma cosa abbiamo realizzato in questi anni come eventi di Terza Mis­ sione, quindi disponibili al pubblico gratuitamente e in generale aperti alla città? Ne abbiamo organizzati molti, di diverse tipologie, e provo, quindi, a riassumerne i principali. Le mostre Abbiamo realizzato diverse mostre in collaborazione con La

Triennale di Milano, nostro partner istituzionale già da diversi anni, per esempio, quella sui videogames, una su Gregorio Botta, un'altra dedica­ ta alla produzione artistica del fotografo Antonio Biasiucci e altre ancora. Ovviamente, queste mostre hanno sempre coinvolto la Facoltà di Arti del­ la nostra università e fisicamente i nostri studenti, che si sono impegnati nella realizzazione delle stesse e nella parte di comunicazione con preziosi cataloghi. Da non dimenticare, poi, la collaborazione con la Fondazione Corriere della Sera, che ogni anno contribuisce con noi alla realizzazione di una mo­ stra in università, e, a tal proposito, desidero ricordare le mostre "Graphic Novel" e "Fotostorie", entrambe con un buon successo di pubblico. La collaborazione con la Milanesiana, inoltre, dura da molti anni, ogni estate ospitiamo in IULM incontri, mostre, appuntamenti cinematografici, che portano in università cittadini milanesi curiosi di come un ateneo possa trasformarsi, in tempo reale, in location culturale. Il sociale Qui voglio ricordare l'illustre professore ed amico Umberto Vero­

nesi, non senza emozione. Un giorno mi chiamò, anni fa, per propormi di organizzare un convegno per festeggiare i

20

anni di attività dell'Istituito

europeo di Oncologia, un incontro presso la nostra università per affronta­ re pubblicamente un tema molto complesso: "come comunicare il cancro". Furono presenti quel giorno studiosi della materia di tutto il mondo e la nostra aula magna si era trasformata in un centro internazionale per lari­ cerca scientifica. Abbiamo anche ospitato il Forum sull'impresa sociale, che ha accol­ to circa

2.ooo

persone tra imprenditori, investitori, studiosi e sostenitori

per l'evento internazionale più inclusivo al mondo sull'impresa sociale. In quella occasione ci siamo un po' allarmati per la quantità di pubblico, ma siamo riusciti, coinvolgendo anche in questa occasione i nostri studenti, ad 92

IULM PER IL TERRITORIO: EVENTI E ATTIVITÀ DI TERZA MISSIONE

accogliere tutti gli ospiti e a dare loro un buon servizio, anche di traduzione simultanea.

Gli appuntamenti musicali La collaborazione con l'Orchestra sinfonica di Milano Giuseppe Verdi ci ha permesso di realizzare diversi appuntamenti con brani sinfonici molto celebri e popolari, proprio per agevolare anche un pubblico non abituato ad ascoltare la musica classica. I brani, infatti, prima dell'esecuzione, venivano raccontati e spiegati. Sempre nell'ambito degli spettacoli, abbiamo ospitato anche la grande danza con un evento che prevedeva la partecipazione dei primi ballerini dei teatri più importanti del mondo in uno spettacolo realizzato espressamente per la nostra università il I8 ottobre dello scorso anno. Mi preme ricordare, sempre per quanto attiene alla musica, il nostro rapporto con il Teatro alla Scala: da 5 anni, ormai, realizziamo i video di presentazione di tutti i nuovi spettacoli e balletti in cartellone.

Gli incontri aperti al pubblico Nel 20I7 sono stati ideati i corsi aperti al pubblico denominati "Ateneo per la Città': accessibili a tutti, che hanno conseguito un ottimo successo, così da indurre il Senato accademico ad organizzarli nuovamente anche quest'anno. Ricordo le interessanti lezioni di Giovanni Accinni, Aldo Bonomi, Paolo Legrenzi, Angelo Verna, Nicola Di Battista e Mario Abis. Ideati dal prof. Mauro Ceruti, invece, abbiamo anche realizzato alcu­ ni incontri con importanti filosofi: Umberto Galimberti, V ito Mancuso e Massimo Recalcati. Non avremmo mai immaginato un tale successo, la sala del nostro audi­ torium è stata sempre stracolma, e, ancora una volta, è stato possibile parte­ cipare agli incontri gratuitamente. La città di Milano ha risposto a questa iniziativa con grande ed entusiastico coinvolgimento.

Il cinema Grazie al prorettore Gianni Canova, abbiamo ospitato il Noir in Festival, che, dopo aver festeggiato il venticinquesimo compleanno a Courmayeur, si è trasferito presso il nostro

IULM

Open Space.

Fondato da Giorgio Gosetti, è oggi considerato tra i primi IO festival italiani e tra i so più significativi nel mondo, oltre che punto di riferimento insostituibile di ogni manifestazione nel campo del giallo e del thriller. Importanti, inoltre, gli incontri organizzati in collaborazione con Sky, fra gli ultimi quelli con il regista Nicolas Refn e quelli con Dario Argento e Stefano Accorsi.

93

RAFFAELLA QUADRI

La IULM per le aziende Desidero, a questo punto, ricordare l'importante collaborazione con la nostra Associazione laureati, ALIULM, con la quale da diversi anni abbiamo organizzato e continuiamo ad ideare eventi dedicati ai laureati

IULM,

e non solo, che hanno visto la partecipazione, fra mana­

ger, amministratori delegati e comunicatori, anche di Fiorella Mannoia, la quale, in un evento, proprio grazie ad ALIULM, è stata intervistata dai nostri studenti. Oggi le aziende, infatti, ci chiedono di poter organizzare manifesta­ zioni nella nostra sede, coinvolgono i laureati e i nostri docenti, talvolta gli studenti, in eventi anche di formazione, ovviamente aperti a tutti. Abbiamo anche ospitato Philip Koder, nell'unica tappa italiana del più grande evento mondiale di marketing, evento di straordinaria risonanza mediatica per il nostro ateneo. Sono nata in questa parte della città, qui, alla Barona, quando non c'era l'Università

IULM

e gli spazi per le attività culturali erano molto ridotti.

Giovanissima, infatti, avevo creato un'associazione che organizzava con­ certi la domenica pomeriggio coinvolgendo tutto il quartiere e invitando musicisti, magari ancora giovanissimi, in una zona periferica della città. Mi occupavo della scelta degli artisti, della comunicazione, delle pratiche am­ ministrative, e non perdevo l'occasione di andare a distribuire locandine in zona per incentivare la promozione. Ebbene, ogni domenica, partecipava­ no circa soo persone. Non posso, quindi, che essere lieta per il fatto che la nostra

IULM

sia

presente nel quartiere e possa, così, costituire un efficace polo culturale at­ trattivo ed un punto di riferimento altamente qualificato per la numerosa popolazione presente.

L 'ultimo polo culturale Nel settembre del2o1 6 abbiamo organizzato, grazie alla partecipazione di Franco Battiato, l'inaugurazione di Cascina Mon­

cucco, rimasta in degrado per molti decenni (come tutti noi della zona sap­ piamo) , mentre oggi è una residenza per i nostri studenti. L'antico bene secentesco è stato ristrutturato da

IULM,

grazie al con­

tributo del ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, della Regione Lombardia e alla concessione in comodato dell'immobile da parte del Comune di Milano. Oggi è uno studentato per circa

wo

giovani, ma anche una straordina­

ria location della nostra università per eventi, spettacoli, concerti, rassegne cinematografiche. Il s ottobre 2017, per un'idea del prof. Angelo Turco, nostro proretto-

94

IULM PER IL TERRITORIO: EVENTI E ATTIVITÀ DI TERZA MISSIONE

re vicario, abbiamo organizzato una serata con la partecipazione di Moni Ovadia in Cascina. Era il momento conclusivo e di festa della nostra ma­ nifestazione "Eccellenze

" IULM ,

dove sono stati premiati tre libri di nostri

docenti: Maria Bettetini, Guido Formigoni e Gianni Canova. Quando sono arrivata in Cascina, illuminata di notte, sono rimasta davvero colpita, perché straordinariamente suggestiva. I ragazzi che allog­ giano in Moncucco sembravano i padroni di casa e fuori dalle loro stanze ammiravano la Cascina, una fra le più antiche e note di Milano. Come

IULM

Open Space, anche Cascina Moncucco, quindi, si quali­

fica come occasione prestigiosa per il coinvolgimento del territorio, della città e delle associazioni locali.

ll mio sogno per il futuro? Consiste, sicuramente, nel far vivere le nostre due location per eventi istituzionali. Ho già condiviso con il prof. Canova l'idea di provare ad immaginare insieme una stagione

IULM

con un vero e proprio cartellone da presentare

al pubblico con spettacoli di musica, danza, cinema, teatro, oltre che ov­ viamente con le nostre mostre. Potrebbe essere una nuova stagione per Mi­ lano, con spettacoli aperti al pubblico, gratuitamente, con una coda estiva a Cascina Moncucco, nella sua grande corte, dove peraltro abbiamo già la disponibilità di un palco pronto ad ospitare artisti. Oggi l'università è dotata di una società di comunicazione, IULM Com­ munication, che ci permette, essendo oggi

IULM

generatrice di numerosi

eventi, di essere efficaci sia nella promozione, attraverso il nostro portale, i social e tutti i canali di comunicazione istituzionale, sia nella cronaca dell'e­ vento attraverso video ed interviste. Questa attività è molto importante perché, secondo la mia opinione, gli eventi devono essere comunicati al meglio per essere eventi di successo. Di fondamentale valenza è anche il rapporto che l'università ha concre­ tamente costruito, in questi anni, con il Municipio 6, che spesso ci concede il suo patrocinio, come pure con lo stesso Comune di Milano. Abbiamo firmato una convenzione con la quale la nostra università si rende dispo­ nibile per supportare il Comune nei processi di comunicazione interna ed esterna. Per concludere, ritengo, in buona sostanza, che ci siano tutti gli elemen­ ti per legittimare la nostra università quale uno dei più dinamici e propo­ sitivi poli culturali della città. Ora tocca a noi concretizzare questo sogno.

9S

Migration, regards croisés, co-construction des savoirs: recherche et Troisième Mission de Laye Camara

Entre la recherche et la Troisième Mission, la relation peut erre articulée de différentes manières (cf. supra, A. Turco, Universita e Terza Missione: il cer­

chio da chiudere; E. Zavarrone,

SITM:

sistema IULM per la Terza Missione).

L'une d'elle consiste àsuggérer que lorsqu'on exprime de jugements au sujet des autres ou prend des décisions au sujet des autres, on devrait connaitre leur "point de vue". En se plaçant àl' intersection des regards, celui du Nord et celui du Sud, les institutions universitaires lient, justement leur vocation à la recherche avec leur Troisième Mission. Tout particulièrement, elles favorisent une re­ formulation des démarches pour mettre le savoir dont elles sont porteuses à la disposition des analyses et de compréhension de différents facteurs qui interagissent et orientent l'agir social et territorial au sein des sociétés. C'est justement de cette démarche relationnelle, Recherche-Société, qu'on tente d'illustrer ici en s'appuyant sur la recherche

IULM

en cours'.

Restée longtemps analysée, essentiellement, comme réponse déterministe àdes situations de misère, de persécution politiques ou encore de catastrophe environnementale, l'immigration subsaharienne vers l'Europe résulte d'un

I. Les données collectées font partie d'un projet plus vaste de recherche dont le thème centrai est La migrazione africana vista dagli africani: pratiche discorsive e costruzione degli

immaginari. Fiancée par la Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM de Milano, la recherche est conduite sous la responsabilité scientifìque de L. Camara, en collaboration avec d'autres chercheurs des universités ltaliennes et Africaines. Les collectes des données sont réalisées en Europe et auprès des migrants, des associations, des établissements sco­

laires et Universitaires, des communautés villageoises et urbaines au Sénégal et en Gui­ née. Par ailleurs, une immersion dans le contexte local des dahira (associations religieuse confrériques de la moridiya et tidjaniya) et dans certains rites traditionnels de divination et de libation, permet d'élargir le champ de collecte des données et de mieux cerner la culture de la migration à travers ses multiples composantes (pratiques et croyances ancestrales, les dimensions socioprofessionnelles etc.) dont l'influence reste encore un champ à explorer dans la construction de l'imaginaire et la réalisation du projet migratoire.

97

LAYECAMARA

processus de représentations imaginaires de «l'ailleurs», dépositaire des as­ pirations à un mieux-ètre et à un mieux vivre. D es représentations, certes ima­ ginaires, mais qui sont porteuses d'une dimension géographique, car comme le dit Fouquet, les esprits les localisent spatialement presque exclusivement autour du Nord (Fouquet, 2007 ). Un nord projeté à la fois comme ce monde de bien-ètre économique et social, et comme cet espace de liberté. Grace à la magie de la technologie numérique qui rend ces réalités si incisives dans les discours populaires en Afrique subsaharienne, la force de la représentation de l'ailleurs amène les jeunes à décontextualiser leur pro­ jet de vie. Celui-ci se déplace de plus en plus du "territoire du vécu" vers ce "territoire du rève". Mais dès lors que l' issue du processus de réalisation du projet migratoire pour atteindre cet espace imaginaire est envisagée sous l'angle dramatique, comme on le constate dans le cadre de la migration subsaharienne vers l'Eu­ rope, barça ou barsakh (Barcelone ou la Mort), l'université, dans sa relation avec les sociétés, doit s'interroger pour transcender du "déjà connu". A travers l'élaboration de cadres conceptuels cohérents, il s'agit d'explo­ rer d'autres facteurs qui rappellent les contextes socioculturels dans lesquels s'élabore et s'exécute le projet de partir ou de migrer. D es contextes qui font de la mobilité - longtemps inspirée et intégrée dans les stratégies sociales et territoriales de plusieurs acteurs basiques -, à juste titre, une alternative possible face aux diffìcultés temporaires. Pour cette démarche à laquelle se base notre approche, la gouvernance de la migration subsaharienne ne doit pas ètre inspirée par les seules stratégies de mitigation économique, politique ou géopolitique. Celle-ci doit ètre appuyée par une démarche de compréhension de la complexité du phénomène de mobilité, ses interac­ tions avec les dynamiques internes (culturelle, religieuse, sociale, institu­ tionnelle) dans lesquelles le projet migratoire s' alimente.

I

Migration subsaharienne et recherche: un enjeu conceptuel et théorique La question migratoire a été longtemps et essentiellement abordée sous le seui angle des facteurs économiques, sécuritaires et, bien que plus ré­ cemment, environnementaux. Basées sur des approches conceptuelles en quelques sortes déterministes, puisqu'elles minimisent le role de l' individu dans la prise de décision de migrer (Boyle et al.,

1998), les théories, considé-

MIGRATION, REGARDS CROISÉS, CO-CONSTRUCTION DES SAVOIRS

rant le phénomène migratoire comme une réponse presque obligée à une situation particulière, ont dominé le débat scientifique. Hagan et Ebaugh (2003), dans leurs analyses, démontrent que dans l'en­ semble, la plupart des théories de la migration internationale se concentrent sur les origines des migrations, la migration elle-meme et sur les facteurs à travers lesquels les flux transnationaux persistent. n n'est donc pas un hasard si ces théories ont longtemps cherché à expliquer pourquoi la décision de mi­ grer est faite en premier lieu sur la base d'une combinaison de variables écono­ miques qu'on retrouve facilement fonctionnant à différents niveaux: théories néoclassiques (Todaro, 1976), la "nouvelle économie de la migration" (Stark, Bloom, 1985) ou la théorie du double marché du travail (Piore, 1979). Aussi, d'autres théoriciens de la migration soutiennent que la persis­ tance des mouvements internationaux s'explique, en grande partie, par le développement de nouvelles conditions qui se mettent sur piace au cours de la migration. A ce niveau, on évoque souvent les réseaux personnels des migrants qui réduisent le coùt de la migration pour les autres membres de la communauté d'origine (Massey

et

al.,

1987; Hagan, 1998) ou encore le

développement d' institutions qui soutiennent le mouvement transnational (Massey et al., 1987 ). Dans l'un au l'autres des cas, toutes ces approches contiennent, à des degrés différents, les axiomes de base du modèle Push-Pull. Un modèle que postule qu'une personne qui décide de migrer ou de rester, le fait à la fois sur la base de facteurs répulsifs tifs

(Push) des zones départ et de facteurs attrac­

(Pull) des zones d' accueil. Dans une telle perception, l' immigration est

considérée quasiment comme une réponse inévitable -car rationnelle -à une situation socio-économique particulière. Ces modèles d'analyse se posent ainsi comme des approches conceptuelles "mécanicistes" qui mi­ nimisent plusieurs autres dimensions -y-compris le contexte socio-cultu­ re! -, qui soutiennent la décision et prédisposent les candidats dans la construction de l' imaginaire et dans la pratique l'expérience migratoire. Ce contexte -qui opère à différentes échelles géographiques -inter­ viene, en primis, dans le processus de construction de l' imaginaire migratoire en tant que "dynamiseur" à partir duquel s'alimentent les nouvelles formes de représentations de la réalité de "l'ailleurs". Par contexte, on entend l'en­ droit où se dessinent les formations sociales, culturelles et territoriales dans lesquelles les données et situations naissent et évoluent, en acquérant sens et signification (Turco, 2018a). Il est donc le lieu qui nourrit la culture de la migration définit, à son tour, comme l'ensemble des conditions géogra­ phiques, des traditions historiques, des modèles sociaux, des connaissances

99

LAYECAMARA

techniques et pratiques, des croyances religieuses, des imaginaires, des insti­ tutions normatives et organisationnelles, qui inspirent le projet migratoire et en déterminent l'exécution (Turco, 2018a). En d' autres paroles, le contexte est le cadre d' incubateur pour l' imagi­ naire migratoire c'est-à-dire la scène de représentation individuelle et collec­ tive de l' acte de migrer, inspiré par la réalité migratoire et symboliquement placé en elle. Dans le dispositif de cet imaginaire s' articulent justement des perceptions, des aspirations, des prédispositions, des évocations mémo­ rielles, des tensions projectuelles, des transactions communicatives, des jeux identitaires, des pulsions émotionnelles qui concourent, au travers de com­ binaisons complexes, à influencer la décision migratoire Turco (2o18a). Ce changement d'échelle d'analyse permet d'orienter le regard sur les réceptacles sociaux dans lesquels la mobilité peut apparaitre à la fois camme une construction identitaire et une affìrmation d'une essence sociale. Dans un tel cas, elle se pose camme réponses collectivement admises, donc légi­ times, aux conséquences qu' imposent les contradictions sociales et la mo­ dernisation des sociétés basiques africaines. L'approche de l' intérieur qu'augure cette démarche, privilégiée dans

notre recherche, permet de mettre l' accent sur le point de vue des acteurs directement concernés en appréhendant quelques facettes de la réalité locale. Plus particulièrement, ici nous nous attarderons sur trois aspects de cette ré­ alité qui influencent l' imaginaire et orientent le projet migratoire. n s'agit:

I.

des pratiques socioprofessionnelles de commerce, d'élevage et probablement de chasse, camme héritage culture! et stratégie de conquete des espaces et territoire de l'ailleurs; 2. des formes de rivalités multiples au sein des familles qui prédisposent les jeunes à la mobilité camme alternative; 3· des croyances et pratiques religieuses dans leur role de support au projet migratoire.

2

Eléments d' analyse des fondements culturels de la mobilité en Afrique subsaharienne l.I.

PRATIQUES SOCIOPROFESSIONNELLES ET CONTRADICTIONS SOCIALES

Auprès de plusieurs peuples subsahariens, certaines pratiques sociales et socioprofessionnelles se découvrent camme de véritables ferments identi­ taires et culturels. Et camme tels, elles fondent, auprès de ces peuples, la base

100

MIGRATION, REGARDS CROISÉS, CO-CONSTRUCTION DES SAVOIRS

d'une véritable culture de la mobilité. En Afrique de l'Ouest par exemple, en dehors des haoussas, les peuls pasteurs et des Dioula-malinké offrent les cas les plus illustratifs liant les pratiques socioprofessionnelles et la forma­ don d'une culture de la mobilité. Les peuls sont traditionnellement des pasteurs, habitant la région sahé­ lo-saharienne. Cohabitant avec les groupes qui leur sont apparentés, on les retrouve généralement dispersés dans une dizaine de pays en Afrique de l'ouest et du centre. De par leur pratique d'anciens éleveurs nomades, la mobilité tradition­ nelle est restée longtemps perçue par les peuls comme un système dont la structure dominante repose sur des mouvements cycliques, déterminés en fonction des conditions climatiques et écologiques des lieu de départ et d'accueil. Dans ce contexte, la mobilité pastorale se dessine comme un pro­ cessus qui constitue la trame de fond de territorialisation dans laquelle les mouvements se pratiquent sur des formes multiples avec une certaine flexi­ bilité dans le temps. Qu'elles soient transhumantes ou semi-transhumantes, autour de ces différentes formes de mobilité, ont été construites les caracté­ ristiques indispensables pour les systèmes pastoraux et pour l'organisation socioculturelle des communautés peules. Par ailleurs, investis par le processus d' islamisation depuis longtemps, le fond religieux a été melé à cette stratégie pour servir du cadre de légiti­ mation de conquete et de gestion territoriale'-. Toutefois, la colonisation, l'urbanisation, l'extension des terres culti­ vées (au détriment des espaces pastoraux)3 et surtout les changements cli­ matiques (notamment les cycles de sécheresse du dernier siècle), ont rendu les différentes formes de mobilité - que celle-ci soit associée au pastora­ lisme ou qu'elle soit tributaire aux conqueres islamique - plus complexes sur les plateaux continentaux restés historiquement le domaine d'installa-

2. L'engagement des peuls dans l'expansion de l'Islam a engendré la formation de nouveaux États et de nouveaux empires, qui ont modelé le paysage politique, religieux et

culture! d'une grande partie de l'Afrique de l'Ouest entre le xvm< et xxx< siècle. 3· Pour plusieurs auteurs dont J. Boutrais (1994) c'est surtout la mise en culture des bas-fonds et des vallées qui a déstabilisé les systèmes pastoraux des peuls qui étaient fondés sur la mobilité; car pour les pasteurs ces milieux sont précieux en saison sèche. L'auteur apporte dans son analyse que l'aménagement agricole des grandes vallées du Nord-Nigeria, à partir des années soixante-dix, contraint pratiquement tous les pasteurs à quitter cette partie du pays. Désormais, les espaces peuls du siècle dernier, au Nigeria, sont peuplés par des Haoussa ou des peuls "haoussalsés", devenus désormais des cultiva­ teurs sédentaires.

101

LAYECAMARA

tion des peuls4• La combinaison de ces facteurs explique en grande partie la fragilisation du secteur économique des peuls par l'élimination du bétail, l'amplifìcation des conflits agriculteurs-éleveurs, et surtout la forte migra­ don des pasteurs vers les régions còtières des pays de la sous-région (Séné­ gal, Gambie, Guinée et Serra Leone). La conséquence immédiate de ce processus est sans nul doute l' accé­ lération de la sédentarisation des groupes peuls dans les nouveaux centres urbains en plein essor en Afrique. Dans ce contexte urbain, les peuls vont s'orienter vers les pratiques commerciales de courte et longue distance qu' ils partageront avec les ethnies mandingues, notamment sa variante dioula-malinkés qu'on retrouve dans une bonne partie de l'Afrique de l'ouest francophone5• De leur part, les mandingues (dioula-malinké), avant et après la déca­ dence de leur Empire au xve siècle, vont s' accrocher aux pratiques commer­ ciales, jadis construites ave c les caravaniers arabo-berbères. En contact avec ces peuples mobiles le long de la zone sahélo-saharienne, les dioula-malinké vont acquérir l'expérience dans les échanges et développer une tradition de colporteurs. Par l' intermédiaire de cette nouvelle forme de commerce auquel sera allié le fond politique, les malinkés vont étendre plus tard leur empire sur plusieurs zones de l 'Afrique occidentale. C'est la révolution dioula dont parle Yves Person

(1968). Une révolution qui a vu cette com­

munauté, à la veille de la colonisation, se transporter hors de son noyau historique, pour fonder des micro-Etats dont la gestion permettait d'unir commerce-Islam-politique et d'asseoir l'hégémonie linguistique, culturelle et territoriale sur des vastes zones allant des savanes mandingues jusqu'à la lisière sahélo-saharienne et des còtes ouest de l'océan adantique. La révolution dioula, bien que combattue au départ par le colon fran­ çais, se verra par la suite renforcée dans ces fondements commerciaux et politiques, par l' administration coloniale faisant de ces marchands des in4· L'occupation des plateaux du Fouta-Djalon, par exemple, en Guinée, s' inscrit dans le cadre de la grande migration générale de cette communauté, meme si le processus qui s'étend sur un siècle au moins, dépasse largement le cadre de cette analyse. Venu du Mas­ sina, la recherche de riches paturages a poussé ce peuple nomade et islamisé dès le XVIème

siècle, vers le sud sur les plateaux herbeux du centre du Fouta. C 'est par la voie du Tinkisso, affluent occidental du Niger, qu' ils pénétrèrent dans la région de Foukoumba et de Timbo dans respectivement les préfectures. S· O n sait par les écrits d'Yves Person (1968) que dès le xvmèmc siècle, toute la cote gui­ néenne était déjà parcourue par les innombrables aventuriers dioulas en contact desquels les peuls vont progressivement adapter de nouvelles stratégies de mobilité de plus en plus orientées vers les pratiques commerciales.

102

MIGRATION, REGARDS CROISÉS, CO-CONSTRUCTION DES SAVOIRS

terlocuteurs privilégiés non seulement pour la diffusion des produits occi­ dentaux mais aussi pour l' intermédiation entre l' administration coloniale et les autres communautés des zones forestières. Comme le soulignent Gré­ goire et Labazée (2003) cette complicité entre l'administration coloniale et les grandes familles colporteurs dioulas, a fait apparait ces derniers aux yeux des autres communautés comme de véritables vecteurs de la diffusion de "l'économie coloniale". Pour plusieurs populations des zones forestières et còtières de l'Afrique de l'ouest, en effet, le nom dioula, est resté assimilé aux migrants-commer­ çants, c'est-à-dire des gens marchands dont on ne connait pas bien l'origine et la culture, avant que l'expression ne prenne une connotation ethnique dans certains pays comme la Cote d'Ivoire et Burkina (Grégoire, Labazée, 1993). Quels soient colporteurs dioula ou pasteurs reconvertis peuls au com­ merce, ces deux communautés, par leurs pratiques socioprofessionnelles, ont été amenées, dès le début, à développer les stratégies de mobilité pour investir et construire des territoires temporaires et/ ou définitifs en de­ hors de leurs zones d'origine d' implantation. Certes la colonisation et l'évolution successi ves des Etats postcoloniaux, à leur tour ont créé les conditions pour les contraindre à se sédentariser avec le développement des centres urbains où ils participeront à la croissance des métropoles comme (Abidjan, Bamako, Conakry, Banjul etc.) par le monopole des échanges. Mais en meme temps, elles renforceront le réflexe de la mobilité par la facilitation de la communication, le transport et mais aussi les crises économiques inhérentes. Concurrencés dans leur profession de dioulaya (le commerce) par les marchands libano-syriens et chinois, les dioula et peuls voient désormais en la migration la reconquete d'un privilège historique et culture!, qu' ils estiment perdu. Désormais, après donc avoir été à la base de l' accélération du peuplement de certaines villes secondaires (Grégoire, Labazée, 1993), les "anciens" marchands et leurs communautés apparentées (Bambara, Wolof, Soninké), constituent aujourd'hui de véritables foyers sociaux pour l'im­ migration extracontinentale dans plusieurs pays, notamment en Guinée (Camara, 2018b; Epiney, 2008), au Sénégal (Fall, 2017) et au Mali. Autresfocteurs sociaux ''dynamiseurs" de la culture de la migration

Aux éléments susmentionnés de la tradition de la mobilité, il faut ajouter d' autres aspects fondamentaux du contexte local qui renforcent la culture

LAYECAMARA

de la migration chez les peuples subsahariens, notamment les communautés mandingues. Ils ont à faire avec les dynamiques internes engendrées par certaines pratiques culturelles, à la base desquelles se retrouvent les formes belliqueuses des rivalités entre les individus au sein des familles, désignées ici sous la dénomination defadenya. Pour Hesseling

et aL (2oos),

l'expression fadenya est utilisée par les

mandingues pour désigner la rivalité entre fìls issus de mères différentes et, plus généralement, entre tous les fìls d'un homme. Dans le passé, cette rivalité pouvait assumer un caractère violent, c'est-à-dire se traduire dans la confrontation directe entre les frères et entre les ménages composant des familles polygames. Mais si dans des sociétés basiques malinkés, pacifìées depuis l'arrivée des colons, et de plus en plus soumises au droit positif, les formes de confrontation directe de fadénya se sont atténuées, elles conti­ nuent pourtant d' influencer les rapports internes entre les frères consan­ guins ou entre les générations de classe d'age. Née et favorisée dans le contexte de polygamie, l' issue des formes de lutte actuelle de fadenya n'est autre que l'affirmation d'un nouveau statut social "supérieur" de la part d'un individu, d'une famille par l'acquisition de bien matériel dont l'immigration constitue une des voies pour tous les vaincus de lafadenya qui voient désormais en la mobilité la salvezza. A la base de ce processus dans lequel on assiste à l'accentuation de la mi­ gration, il faut voir aussi la forte mercantilisassion de la société, déjà obser­ vée par les études de Hesseling et al.

(2oos). Elle explique l'accélération du

contrale individuel des ressources communautaires, notamment foncières, qui échappe désormais à l'autorité de la figure centralisatrice des pères. Le résultat est à la remise en cause d'un des fondements de la légitimité sociale, à savoir le

lambe16, c'est-à-dire le statut social légitime de l' individu et des

familles. Auprès de plusieurs communautés mandingues (notamment les ma­ linkés), l'acquisition de

lambé est souvent déterminée par le djamu

(nom)

(Camara, 19 9 2) dont l' invocation renseigne sur l'appartenance de l'indivi­ du à une classe sociale ou socioprofessionnelle. Et comme tel, sa possession peut se traduire, pour certaines personnes, famille et clan, comme l'expres­ sion d'élévation à une condition de supériorité tant dans l'accès aux res­ sources naturelles qu'au pouvoir institutionnel. Depuis la colonisation, la forte mercantilisassion des ressources com­ munautaires, l'affìrmation du droit positif et les crises sociales engendrées 6. Pour plus d'information sur le lambé malinké, voir Camara, 2004, pp. 93-94.

MIGRATION, REGARDS CROISÉS, CO-CONSTRUCTION DES SAVOIRS

lambétiya (l'acce de pos­ lambé), se mesure de plus en plus sur la base d'autres critères. O n

par la modernité, le référentiel socioculturel de séder le

a, d'une pare, les conditions matérielles des individus, des familles et de la communauté, acquises désormais à travers diverses formes de mobilité. D'autre pare, on a la capacité des individus à s'insérer dans les nouveaux dispositifs sociaux, régis par le cadre normatif de la légalité, et sa capacité à s'approprier de ses outils pour en faire un instrument de protection face

aux multiples défìs dont justement la modernité impose. Dans ce contexte de re mise en cause de lambé social (statut légitime), fonder et socioprofessionnel, les anciens

lambéti

-

vrai détenteur de la

légitimité - comme les marchands dioulas, pasteurs peuls et autres, se voient, en quelque sorte, pousser sur d'autres chemins dont la migration, considérée à juste titre comme alternative possible. Dans cette recon­ quece d'un nouveau statue social, certes que les conditions de mobilité ne sont plus identiques à celles traditionnellement admises, et en dépit du fait que ce nouveau chemin d'acquisition d'un nouveau

lambé

peut

erre joncé de souffrances et, au-delà, de la more, comme l'ont rapporté plusieurs chroniqueurs italiens (Liberi,

2011;

Gatti,

2007 ),

peu imporre.

L'essentiel ici est de prouver et de porter haut l'honneur et l'espérance de la famille, noyés souvent dans les crises multiples que traversent les sociétés africaines. Ne pas assumer cela,

c 'est se livrer à la merci desfoden

ifreres rivaux). Dans ce contexte, face aux diffìcultés du quotidien, le réflexe de la mo­ bilité permet de construire l'espoir - imaginaire ou réel- qui permet à l'in­ dividu et à sa famille de s'affranchir des contingences sociales et accéder au bienecre économique et matériel. Dès lors elle revient dans la stratégie col­ lective comme une sorte d'alternative crédible, facile à légitimer aux yeux de l'histoire et de la communauté. Ainsi, dans ce souci de légitimation, on n' hésitera pas à faire recours à l'expression "sigui tèna ko mèn han mandén, tama lé bèna woban" (ce que

la sédentarisation n'a pas résolu comme problème dans le manding, c'est la mobilité temporaire qui résoudra). Cette assertion populaire chez les man­ dingues désormais tout son sens tane dans la mobilité, en général, et de la migration internationale, en particulier. Attribuée à la maman de Soundja­ ta Keita (fondateur de l'Empire du Mali) - qui suggérait à ses enfants face à la violence de la rivalité fratricide au sein de la famille royale, la mobilité comme alternative -, l'expression fait partie aujourd'hui du langage que l'on peut bien dire "légitimant" de la mobilité contemporaine au sein des communautés mandingues.

IOS

LAYECAMARA

Puisant donc leur force dans ce tréfonds culture! et historique, les jeunes se voient de plus en plus comme investis de la mission délicate de la reconquere d'un statut perdu de "colporteur-marchands ou de pas­ teurs-marchands". En véritable conquistadores des temps modernes, ivres du réve héroique et brutale7, l'acte migratoire se montre pour ces tounkanadén (enfant de l'aventure ou de l'ailleurs), partis des villages et villes africains, comme une "seconde chance" à saisir. Ici l'image projetée d'une vie future de travail­ leurs dans les usines, champs de tomates et dans les entreprises en Europe, hante l'esprit et devient une sorte de remède imaginaire contre la stigmati­ sation, la perte de lambé et des préjugés. 2.2. ET

MÉTAPHORE RELIGIEUSE

PRATIQUES MIGRATOIRES DES SUBSAHARIENS

Dans l' analyse du phénomène de la migration transnationale en Afrique subsaharienne, le contexte socio-culture!, en général, et les croyances et autres formes de rituels, en particulier, jouent un ròle crucial dans la construction et l'exécution du projet migratoire. Ici la divination, le mara­ boutisme et autres rituels traditionnels, aux sources des imaginaires (Sow, 2009 ), se dévoilent comme données fondamentales pour les dynamiques migratoires (Camara, 2018a)8• li s'agit des pratiques qui interagissent avec le cadre local dans lequel s'alimentent les formes de représentations de la réalité de "l' ailleurs". Leur persistance dans le pro jet reflète bien le dualisme auquel l' individu fait face dans ses prises de décision au sein des sociétés africaines. D'une part, au nom de la modernité, il se voit accorder une importance excessive à la "raison" avec une tendance à reléguer le religieux au domaine du "non-rationnel". D'autre part, pour donner suite aux questionnements de la modernité, il exalte de nombreuses expressions cultuelles, rituelles et de croyances qui interagissent désormais dans le quotidien avec les processus ra­ tionnels dit formels. Au lieu donc de conduire à leur abandon progressi[, ce dualisme face auquel font face les sociétés africaines subsahariennes, produit et favorise l'expression de la pluralité et, quelque fois, l'opposition religieuse.

7· Pour reprendre l'expression du poète français J. M. De Heredia, dans ces célèbres poèmes, Les Trophées (1893). 8. Pour plus d' information sur le ròle des pratiques et croyances religieuses dans la migration subsaharienne, nous renvoyons à Camara (2o18a).

106

MIGRATION, REGARDS CROISÉS, CO-CONSTRUCTION DES SAVOIRS

Mais si à la rationalité de cette mondialisation "nivelante" s'opposent de plus en plus la revendication identitaire et l' affirmation culturelle des pratiques religieuses locales, c'est par ce que l'homme africain, comme le souligne I. Sow (2009), a de plus en plus, besoin de tous ses repères pour jouir pleinement de son existence et éclairer son futur. Dans le nouvel envi­ ronnement social et économique, créé par la mondialisation, particulière­ ment réceptif aux superstitions et aux présages, il n'est pas un hasard si on assiste à l'affirmation de fìgures sociales tels que le marabout et les divins en tant que l' incarnation des pouvoirs mystiques capables de libérer les forces ou pesanteurs qui entravent l'esprit, l'ime ou/et le corps dans sa quere du bonheur. En d' autres paroles, ils sont considérés comme les seuls capables de dé­ meler ce que Sow (2009) appelle l' inextricable imbrication entre un en­ semble de réseaux objectifs ou symboliques nuisibles ou bénéfìques soit par la prière, soit par les pratiques d' incantation soit par quelques autres rituels sacrés. Et justement, pour l' auteur, leur soutien à tout projet humain présage à l'obtention " bienfaitrice d'une médicine" spirituelle pour la satis­ faction des besoins terrestres. Pour certains, le contact ave c les savoirs et connaissances du monde ma­ gico-religieux pour sonder le futur migratoire afìn de minimiser les risques, peut advenir à travers des parcours initiatiques. Ce contact peut se faire aus­ si par l'enseignement mystique qu'on peut acquérir dans les sanctuaires ou au sein des dahira (écoles coraniques traditionnelles auprès des confréries Mouride et Tidjiane, notamment au Sénégal). Pour d'autres aussi, l'accès aux services du sacré, passe par la voie de la consultation des marabouts, divins et autres "diseurs de futurs". Ces derniers jouent le role crucial d'in­ terprète des messages transmis par l' intermédiaire du reve ou des signes pré­ monitoires (comme certaines manifestations de la nature), sensés influencé positivement ou négativement le destin migratoire individuel ou collectif. Dans l'un ou l' autre des cas, la décision de migrer est soumise et validée à la suite d'un processus de sondage de l' incertain afìn de fournir le support

nécessaire pour la stabilité de l' individu et de la communauté pendant et après l'acre migratoire (Camara, 2018a). Cette conception d'une destinée enveloppée de carapace religieuse en Afrique au sud du Sahara, met en évi­ dence une des fonctions essentielles de la religion dans la migration que Hirschman (2007) évoque à travers les offres de trois "r": refuge, respecta­

bilité et ressources. Comme "refuge': la religion et les pratiques connexes se montrent comme le lieu où les rituelles, les sacrifìces, les formules incan­ tatoires, les récits cantiques narratifs, les talismans et les amulettes, sont

LAYECAMARA

considérés comme les fondements indispensables de l' assurance et de la protection du "destin mobile': Pour les africains il est donc impossible d'entamer un tel projet, à juste titre, assimilée à l'aventure9 donc comportane de part d' inconnus et d'in­ certitudes, sans faire appel à la foi et l' invocation des divinités. Comme expliquait déjà Bruhl

(1931), ici le succès ou l'échec des entreprises, le bien­

ecre ou le malheur de la communauté, la vie et la mort de ses membres, dépendent à chaque instant des puissances, des "esprits" qui sont les vrais maitres du destin. On s'aperçoit dès lors, comme le souligne I. Sow (2009), que les individus, voir les communautés, mus par quelques appréhensions, incertitudes et angoisse existentielle quant à l'avenir qui leur est réservé, éprouvent toujours ce besoin d'un réconfort par la quete d'une assurance que l'on voudrait divine et donc destinale pour la réalisation des projets comme la migration internationale.

3

Conclusion Dans le cadre de la Troisième Mission, l' intersection des regards, la prise en compte du point de vue des acteurs et des sociétés "autres': ouvre la voie à la co-construction de savoirs. Une démarche indispensable qui exige des institutions universitaires d'assumer un ròle plus visible pour stimuler et guider l'utilisation du savoir à des fìns de compréhension des phénomènes sociaux, culturels et économiques. L'immigration subsaharienne offre, à cet effet, un cadre fertile pour cette co-construction du savoir. Sa dynamique actuelle permet aux cher­ cheurs et universités de s' interroger sur les approches en cours pour trans­ cender du "déjà connu". li s'agit de construire des cadres conceptuels, ca­ pables de souder les regards, du Nord et du Sud à travers des analyses croi­ sées sur les contextes socioculturels des sociétés de partance des migrants et dans lesquels s'élabore l' imaginaire migratoire. Loin des solutions politiques de mitigation de la migration interna­ donale subsaharienne vers l' Europe, les outils d'analyse des dynamiques

9· Dans le langage des jeunes, la migration est considérée comme la "grande aventure" qui selon le Larousse français est défìnie comme «une entreprise comportane des diffìcul­ tés, une grande part d'inconnus, parfois des aspects extraordinaires à laquelle participent une ou plusieurs personnes».

108

MIGRATION, REGARDS CROISÉS, CO-CONSTRUCTION DES SAVOIRS

sociales, des pratiques et croyances religieuses, proposés dans le cadre de la recherche

IULM,

permettent d'explorer des pistes qui mettent clairement

en exergue l' importance des différents éléments socioculturels en tant que facteurs de prédisposition et supports l' imaginaire et du projet migratoire.

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IlO

Convitato di pietra o pratica burocratica? Gli opposti della Third Mission di Paolo Giovannetti

Ho voluto che nel titolo del mio intervento figurasse il sintagma inglese

Third Mission per un paio di ragioni. Quella blandamente censoria è certo la meno importante e fa, per così dire, soprattutto da piattaforma all'altra, ma va tenuta presente. In particolare la parola missione, con il significato di "sistema di obiettivi o finalità'', "compito istituzionale" di un'organizzazio­ ne ecc., fino a una ventina d'anni fa in italiano non esisteva; e infatti ancora oggi solo i dizionari meglio compilati la registrano. Si tratta, come tutti sappiamo, di un anglicismo semantico, uno dei tantissimi che caratterizza­ no lo stato attuale della lingua italiana. Sono cose ben note. Oggi, invece di prove si dice evidenze, nei computer Appie, library è stato tradotto con

libreria, i video di YouTube cominciano in 20 secondi e non tra 20 secondi, un contenuto digitale (e non) viene rilasciato e non pubblicato, e così via. Sono un lettore di notizie sportive sulla pallacanestro, e in certi siti circola da un po' di tempo l'aggettivo decadale invece di decennale. Non sto facen­ do l' italianista parruccone, il difensore della lingua di Dante, anche se - lo confesso - qualche simpatia per moderate forme di purismo da un po' di tempo la sto nutrendo. In realtà, di questo grezzissimo e linguisticamente improbabile Terza Missione mi colpisce in primo luogo il fatto che è qual­ cosa di gergale, di tecnico nel senso forse peggiore del termine: il segnale di una specie di separatezza di casta o di corporazione utilizzabile solo dentro una cerchia ristretta di addetti ai lavori. Si provi a chiedere a uno studente se ne capisce il significato e si vedrà. Ogni professione ha i suoi tecnicismi, non c'è nulla di male se noi docenti abbiamo i nostri: al netto del fatto che po­ tevamo scegliercene uno leggermente più elegante, e direi proprio più cool. L'aspetto che ai miei occhi rende, comunque, a modo suo affascinante il corpo, o corpaccione linguistico, della "terzà' missione è il suo evocare la dimensione del tertium, di ciò che si installa oltre o sopra l'alternativa secca uno-due: che poi è anche lo scambio comunicativo io-tu, vale a dire quanto per noi universitari è il duo, o duetto, ricerca-didattica, la sistole-diastole

III

PAOLO GIOVANNETTI

del cuore accademico tradizionalmente atteso. Non solo. Nella mia privata, privatissima associazione di idee universitarie, il terzo è ciò che non tanto o non solo spariglia i giochi, il lui o lei che mi guarda mentre dialogo con gli studenti; ma rappresenta ciò che potrebbe svolgere quella funzione che nel linguaggio giuridico è definita terzieta. Vale a dire il ruolo di mediare fra istanze concorrenti per riuscire a rendere conto delle buone ragioni di ognuna.

ll punto è proprio questo, a ben vedere. La Terza Missione, come la intendiamo noi accademici e qualche funzionario amministrativo o buro­ crate di ministero, non ha assolutamente nulla a che fare con la terzietà. Potremmo quasi dire che è l'opposto: qualcosa come un rimosso o un resto, un residuo, un'alterità; ciò che abbiamo lasciato fuori - persino dimenti­ cato, esiliato in un territorio separato - e che adesso quasi magicamente abbiamo deciso che c'interessa. Di qui, verrebbe da dire, il suo profilo leg­ germente mostruoso, la sua innegabile bruttezza e ineleganza verbale, come di chi - invitato ad accomodarsi sul divano buono di casa - come primo atto si togliesse le scarpe. Pierre Bourdieu

(1979, trad. it. p. 89), in quel libro non facilissimo ma

sicuramente affascinante che è La distinzione ci ricorda che il capitale sco­ lastico (e accademico, va da sé) da sempre si impegna a svalutare le «cono­ scenze approssimative e [...] [le] confuse intuizioni che si basano sulla fami­ liarità». Non c'è dubbio che l'università in generale e quella humboldtiana in particolare hanno avuto come compito fondante la separazione netta dei saperi positivamente codificati da ciò che appunto si fonda su un'esperienza immediata, quotidiana, amicale. C'è un mondo intra moenia e un mondo

extra moenia. Un sistema scolastico e un sistema universitario tracciano dei confini e lasciano fuori qualcosa. E poco importa se quel qualcosa è ciò su cui i nostri apprendimenti finiranno a misurarsi nella vita, nella vita lavora­ tiva. Humboldt

(1971, p. 41) era chiarissimo quando vedeva nel passaggio

dalla "scuolà' all'"università'' un vero e proprio salto il quale può «com­ mettere [il giovane] fisicamente, moralmente e intellettualmente, alla li­ bertà e all'autonomia di azione senza che egli, scevro dalla costrizione, si abbandoni all'ozio o alla vita pratica, ma porti in sé il desiderio di elevarsi sino a quella scienza che finora, per così dire, gli era stata mostrata solo da lontano». Come si vede, alla separatezza orizzontale se ne affianca una verticale, secondo la scontata metafora o allegoria dell'ascesa. Lo so, sono banalità che tutti conosciamo, e del resto lo stesso Bourdieu ha mostrato con chiarezza come in fondo, per lo meno da de Coubertin in poi, l'assolutismo accademico avesse trovato il modo di capitalizzare molti

112.

CONVITATO DI PIETRA O PRATICA BUROCRATICA?

aspetti di una cultura della familiarità, segnatamente quella proveniente dallo sport, per annetterla al proprio campo simbolico. Nel sistema acca­ demico americano, già negli anni Trenta del Novecento il docente meglio remunerato era un allenatore di football; a maggior ragione oggi, lo stesso tipo di professore in media guadagna almeno dieci volte di più di un docen­ te di ruolo (cfr. Rampell,

2008).

n punto è un altro, forse leggermente meno scontato. Se da un lato l'inelegante Terza Missione è ciò che per contratto le vecchie università facevano finta che non esistesse per riuscire, loro stesse, a esistere, dall'altro lato gli ultimi cinquant'anni di storia accademica possono essere letti come il progressivo trionfo del nostro convitato di pietra. La rivincita di ciò che nessuno poteva guardare se non innervosendosi un po'. Non so quanto sia ancora conosciuto il pensiero di quel vecchio matto ( a modo suo simpatico ) che è stato lvan lllich, con la sua idea della descolarizzazione. n suo era un mettere Humboldt esattamente a testa in giù per scoprire e valorizzare ciò che la scuola e l'università lasciavano e lasciano fuori. n suo eroe era la figura di Epimeteo, fratello di Prometeo, «colui che apprende in ritardo», che agisce in modo poco saggio, casuale. n suo pensiero era già interno a una logica globale che lo portava a enunciare paradossi di cui ogni tanto anche noi dovremmo tenere conto. Affermava lllich ( I97I, trad. it. p.

68):

Il laureato è stato preparato dalla scuola per prestare servizio tra i ricchi del mondo. Quali che siano le sue simpatie verbali per il Terzo Mondo, ogni laureato america­ no ha avuto un'istruzione che è costata circa cinque volte di più di quello che è il reddito medio, in tutta la vita, di mezza umanità.

Di qui l'idea di descolarizzare la scuola e l'università sostituendovi «una rete, o un servizio, che offrisse a ciascuno la stessa possibilità di mettere in comune ciò che lo interessa in quel momento con altri che condividano il suo stesso interesse» ( ivi, p. 47 ) . Parole che suonano sin troppo familiari, a ben vedere: la rete minuscola di lllich può confondersi con la Rete maiu­ scola del nostro internet'. I. Osservo di passaggio che le tesi di Illich piacquero subito a Franco Fortini che negli anni Sessanta-Settanta faceva il lettore editoriale per la Mondadori, e gli piacquero anche perché vi colse la promessa di democrazia connessa al possibile uso in rete dei computer. Di recente è stato riprodotto un suo parere risalente al 1971, in cui a un certo punto si legge:

«Contro il mondo del prodotto finito e inaccessibile, il mondo della confezione (e quindi della classificazione e della scuola come trasmissione di modelli di comportamento) egli [Illich] disegna un mondo del bricolage, della "composizione", quindi dell'uso dei "resti", un mondo antispreco. In esso l'educazione permanente non dovrà essere l'estensione a tutto il

II3

PAOLO GIOVANNETTI

Ma soprattutto può stagliarsi sullo sfondo il fantasma di una tentazione che-lo sappiamo-circola tuttodì, e contro la quale molti di noi (tutti noi, forse) combattono battaglie patetiche e, forse, male organizzate. Insomma: perché studiare, se c'è già tutto in internet? Lo dico in modo volutamente brutale. Quasi ogni contenuto che trasmetto a lezione potrebbe essere veri­ ficato dal discente in tempo reale via smartphone. Ma già ai tempi di lllich le conseguenze che si traevano da simili consi­ derazioni non erano le migliori. Una certa destra "pedagogicà: americana e non solo, elaborava idee ai nostri occhi sconsiderate. Per quale ragione insomma spendere tanto danaro pubblico per ottenere risultati di appren­ dimento a cui si potrebbe giungere attraverso percorsi più liberi e meno costosi? C 'è una ricca bibliografia sul tema. Negli anni Settanta un dirigen­ te allora jugoslavo dell'uNESCO, Dragoljub Najman, pubblicò una specie di pamphlet

(L'enseignement supérieur, pour quoifaire?)

in cui si scagliava

contro l'idea stessa di una ricerca di massa, a favore di una resoluta profes­ sionalizzazione dell'università, che lui pensava come qualcosa di centra­ lizzato, emanazione diretta di un potere tecnocratico ben pianificato. Del resto, una delle sue idee era quella di integrare il più possibile il corpo di professori con dei tecnici-professionisti (cfr. Najman, 1974, pp. 129-146). E non aggiungo altro, ovviamente. Si respira un'aria molto più tersa-ma il problema è il medesimo-se ci spostiamo sul fronte diametralmente opposto, e in anni successivi, sempre però restando dentro tematiche affrontate soprattutto nelle università ame­ ricane. Mi riferisco al pensiero diJacques Derrida e a esponenti statunitensi della sua scuola che si sono occupati di questioni didattiche. La citazione forse più suggestiva che posso trarre da una conferenza che Derrida tenne a Stanford nel

1998,

intitolata

L'Universitè sans condition,

è la seguente:

«l'università senza condizione [ ... ] ha luogo, cerca il suo luogo ovunque l'incondizionatezza può annunciarsi» (Derrida, 2001, trad. it. p.

64) .

n discorso in fondo è abbastanza chiaro: il sapere accademico se pro­

fessato (Derrida ama molto il

calembour a sfondo religioso tra professore e

mondo extrascolastico dei criteri oggi scolastici ma il risultato della creazione di un réseau di contatto fra la gente assolutamente nuovo. Ne parla il cap. 6, dove gli elementi utopici vanno, io penso, presi molto sul serio: perché contengono lo sviluppo di uno dei punti più importanti della attuale "rivoluzione americana": la possibilità di usare in senso incredi­ bilmente nuovo i computers. È quel che qui è proposto con una sorta di immenso libro-a­ pagine-gialle, che permetta alla gente di incontrarsi e di scambiare esperienze, lottando così contro la burocrazia che controlla la vita urbana» (parere editoriale, datato 28 giugno 1971, riguardante Illich, 1971, riprodotto in Daino, 2017, p. 42).

114

CONVITAT O DI PIETRA O PRATICA BUROCRATICA?

projèssione dijède), nel modo più corretto, non può non mettere in crisi la separazione, la divisione fra intra moenia ed extra moenia. n bravo professo­ re decostruisce ogni certezza in nome in particolare di un "come se': di una condizione leggermente paradossale che è a un tempo pragmatica ( la pro­ fessione pubblica di una disciplina ) e contigua ai limiti estremi del sapere. Il meccanismo stesso di generazione dei processi discorsivi finisce così, quasi automaticamente, per interrogarsi sul

come se della globalizzazione e sulla

"storia del lavoro". Il fare cultura del professore decostruzionista- semplifi­ co al massimo- forza a tal punto i contenuti accademici da rovesciarli fuori di sé, ribaltandoli direttamente nella società. La Terza Missione è già impli­ cita, disciolta dentro il fare istituzionale del docente. Un'allieva di Derrida, la statunitense Peggy Kamuf

(I997 ), aveva esplicitamente lavorato sempre

una ventina d'anni fa su queste nozioni, affermando che il campo degli studi universitari non può essere definito da una logica escludente del tipo

né né e che la sua pratica più corretta e in fondo ineliminabile è quella che nega l'opposizione intramural/ extramural ( a dirla in inglese ) . Personalmente, riesco a rendere conto, a giustificare un simile procedi­ mento decisamente astratto, riesco a farmi una ragione di simili tentativi, quando prendo in considerazione un libro bellissimo, intitolato in modo molto minaccioso

The University in Ruins, a opera di un giovane compara­

cista canadese, purtroppo morto prematuramente, Bill Readings. Readings

( I 996) caratterizza un particolare tipo di trionfo della Terza Missione, nella forma di un'università in cui il confine fra accounting e accountability si è perso, e la seconda è assimilata alla prima: la contabilità detta legge all'af­ fidabilità, alla reputazione, alla fama del docente, al suo valore scientifico. Non c'è, non ci sarebbe valore scientifico, anzi, là dove trionfano le relazio­ ni contabili. Non insisto su queste nozioni, che certi nostri colleghi in Italia declinano in maniera francamente monotona e forse inutile. n punto non è la "mercificazione" degli atenei. Il punto è quello che viene dopo, il

day after per così dire.

n sapere senza condizione in qualche

modo nasce qui, e da qui. Nel senso che il sistema di delegittimazione dei saperi ereditati che l'università-impresa (o università-azienda che dir si vo­ glia ) inevitabilmente determina crea anche le condizioni per un rilancio di quei saperi su basi appunto ben diverse. Readings, guarda caso, parla di

comunita del dissenso in cui il valore condiviso, la valutazione, vada incontro a un processo di rielaborazione discorsiva, di negoziazione, nel corso del quale il professore si incontra su nuove basi con l'esperienza dello studente. Non posso svolgere troppo a fondo questo discorso ( avevo cercato di farlo a suo tempo in Giovannetti,

2oo6). IIS

Ma a me sembra evidente che la

PAOLO GIOVANNETTI

mortificazione disciplinare che necessariamente discende da molte delle procedure amministrative implicate negli attuali processi di valutazione (il sistema ANVUR, qui in Italia) definisce scenari nuovi in cui il senso dei con­ tenuti didattici deve essere ridiscusso, e le separazioni intra moenia/ extra moenia non possono non sbriciolarsi. Faccio un esempio concreto che pertiene ai miei studi di didattica, della letteratura ma non solo (cfr. Giovannetti,

2oxs). Da parecchi anni si parla

di insegnamento per competenze, e tutto ciò ha moltissimo a che fare con la Terza Missione. Se io ragiono per competenze, sono costretto a pormi il problema dei comportamenti che la disciplina da me impartita genera. Co­ sa fa uno studente con la letteratura? Come la letteratura lo aiuta a vivere? Quali virtù, anche e soprattutto pratiche, gli trasmette? Da un certo punto di vista, simili ragionamenti possono fare paura. Ricondurre i contenuti dell'umanesimo alla loro "spendibilità'' sociale,

a

una Terza Missione degradata, indubbiamente lascia perplessi. Ma, atten­ zione: è vero anche l'opposto. Nel senso che la misurazione dell'efficacia di un intervento didattico può attuarsi anche in entrata. Più esattamente, lo si negozia. Le competenze non sono solo quei risultati a cui pervengo, ma anche quelle da cui parto. Secondo molti pedagogisti del modello didattico "per competenze': ogni percorso didattico dovrebbe muovere da una fa­ se -diciamo -di discussione dei metodi e dei contenuti con la classe che ho davanti a me (cfr. Batini,

2013).

Contenuti e metodi non solo possono ma

devono essere rimodulati con lo studente reale con cui comincio a lavorare. Da questo punto di vista, il docente governa, deve governare l'irruzione dell'extra moenia, le cattive abitudini dei discenti, le tante forme di appren­ dimento non formale, selvaggio, che però per lui divengono ottime occa­ sioni per ripensare la propria disciplina, per reinventare qui e ora il proprio modo d'insegnare. Ivan lllich sarebbe contento di un simile modello in ul­ tima analisi descolarizzante, ma anche il buon Derrida non brontolerebbe, così come (almeno lo spero) tanti didattologi illuminati dell'università ita­ liana: da Carlo Ludovico Ragghianti a Marino Raicich a Tullio De Mauro a Roberto Maragliano. La competenza, in definitiva, diverrebbe un modo per capire meglio quello che stiamo realmente facendo e come possiamo verificarlo giorno dopo giorno. Prima di concludere, vorrei proporre due esempi che sono quasi delle parabole. Una specie di contrasto fra l'angelo e il diavolo, all'insegna di qualcosa a cui penso spesso. Ogni novità non solo comporta dubbi e incer­ tezze, ma è anche proprio pericolosa: può fare danni, o comunque metterei in contatto con qualcosa che ci destabilizza. E tuttavia il bravo docente deve u6

CONVITAT O DI PIETRA O PRATICA BUROCRATICA?

attraversare tutto ciò, nutrendosi dei propri dilemmi ma sapendo anche che sono necessari, che vanno vissuti fino in fondo; insomma che i pericoli devono essere corsi perché, tutto sommato, ci fanno bene. C'è, dunque, un angelo della Terza Missione, costituito da un exem­

plum antichissimo collocato alle origini delle università come le conoscia­ mo, esempio virtuoso di economia paleocapitalistica governata dagli ate­ nei. Intorno al I200-12SO i professori delle università di Bologna e Parigi si accorsero che qualche studente in accordo con gli stationarii (una via di mezzo tra il libraio e il cartolaio, che serviva gli atenei) portava fuori dall'università appunti dei corsi e li metteva in vendita in modo, diciamo, abusivo, senza che il professore e la sua universitas avessero la possibilità di controllare i contenuti e di trarre un minimo di profitto dall'operazione. Nella città medievale la corporazione universitaria era molto potente (oh, bei tempi!), e la cosa si risolse piuttosto alla svelta e in un modo che sod­ disfaceva tutti. Le università cedevano poco per volta, "a fascicoli" (che si chiamavano peciae), le lezioni che gli stationarii riproducevano in serie e mettevano in vendita agli studenti - diremmo noi - non frequentanti. La

pecia è un tipo di libro manoscritto di formato molto grande (per consenti­ re di prendere appunti nei margini delle pagine) di cui sopravvivono ancora oggi parecchi esemplari, proprio perché gli stationarii ne producevano pa­ recchi per volta, sicuri di poterli vendere (su tutto questo cfr. almeno Brizzi, Tavoni, 2009 ). Ecco, questa è una gestione intelligente del rapporto extra/ intra moe­

nia. L'università che dialoga con l'impresa e gestisce sia il technology trans­ Jer sia il knowledge transfer. E l'esempio o apologo diabolico? Di questo, purtroppo, sono protagoni­ sta io. Quando, ai primi di luglio del20I7, la collega Emma Zavarrone indisse il primo censimento dell'attività di Terza Missione, chiese a me e ai miei col­ leghi

IULM

di raccogliere tutte le informazioni riguardanti il primo seme­

stre di quell'anno. lo sono uno che fa un sacco di cose "da Terza Missione" in giro per Milano e l'Italia, e tuttavia, o proprio per questo, mi dimentico quasi subito cosa ho combinato volta per volta. In ogni caso con un po' di pazienza in quell'occasione ricostruii i miei movimenti terzo-missionari, e infatti credevo di aver tralasciato solo cose minori. Mi sbagliavo. Quando ho cominciato a pensare all'intervento qui stampato, mi sono reso conto di avere omesso una delle uscite che mi erano piaciute di più. Si trattava della presentazione di un libro su Franco Fortini che il

4

febbraio 20I7

avevo fatto insieme ad amici (anche un collega accademico) presso un cen­ tro sociale di Padova, denominato Catai. Un centro sociale di quelli molto II7

PAOLO GIOVANNETTI

radicali, molto combattivi, molto comunisti. li dialogo con quei ragazzi era stato bellissimo, e io ero uscito dall'incontro arricchito culturalmente e politicamente. Avrei voglia dimetterla sul ridere; ma sono costretto a essere serio. Una Terza Missione che mi invita, peraltro giustamente, a rendicontare tutto porta a galla parti di me che pertengono alla sfera delle mie scelte politiche, e che passo il tempo a non manifestare quando professo in modo frontale le mie competenze disciplinari. C 'è un rischio in tutto questo, mi sembra. Rischio mio e della mia università. Se, come credo necessario, decidiamo di correrlo, qualche chiarezza su tante cose dobbiamo però farla.

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II8

In guisa di conclusione

Terza Missione: misurare la "terza gambà' dell'Università di Vanni Codeluppi

Le attività che vengono svolte abitualmente oggi dalle università sono nu­ merose, articolate e implicano diverse difficoltà qualora si voglia tentarne un'approfondita analisi. Ma ciò risulta soprattutto evidente quando ci si ponga il problema di considerare con attenzione la categoria delle cosid­ dette "attività di Terza Missione" svolte dalle università, le quali presentano una natura particolarmente diversificata. Ciò non impedisce però di poter­ ne tentare un'analisi. Il compito che ci prefiggiamo con queste riflessioni è pertanto di sviluppare un'analisi che muova dal ruolo svolto nelle società contemporanee dalle università e dalle loro attività di Terza Missione per affrontare in seguito la controversa questione della valutazione relativa a tale tipo di attività.

I

Università e società Ali' interno del!'etichetta "attività di Terza Missione" sono racchiuse delle iniziative che vengono abitualmente svolte oggi da parte delle università, ma che, come si è affermato in precedenza, possiedono una natura estrema­ mente differenziata. In generale, si tratta di attività che hanno il compito di mettere il mondo universitario in sintonia con il contesto socioculturale nel quale esso opera. Un contesto che può innanzitutto essere suddiviso in base alla sua maggiore o minore ampiezza. Può cioè essere considerato na­ zionale, cittadino o di quartiere. Si spiega così perché tra le attività di Terza Missione ci sia di tutto: gli articoli scritti su riviste di larga diffusione e le mostre, i corsi di formazione rivolti agli adulti e le attività imprenditoriali promosse direttamente dalle università ecc. Si potrebbe continuare a lungo, ma è fondamentale chiedersi perché le università hanno bisogno di svolgere delle attività di Terza Missione. Le ragioni sono molteplici. Innanzitutto, si

I2.I

VANNI CODELUPPI

può considerare il fatto che le università e in generale il mondo universita­ rio e coloro che vi lavorano non godono oggi nella società di un'immagine particolarmente positiva. Anzi, gli attacchi rivolti al mondo universitario sono molto frequenti e spesso anche ingiustificati. Sembra dunque esserci una notevole necessità del ruolo che può essere svolto dalle attività di Terza Missione, le quali vengono solitamente svolte dalle università a beneficio dell'intera società. In apparenza si tratta di attività che esulano da quello che è stato tradizionalmente considerato il cuore della funzione svolta so­ cialmente dal sistema universitario. A ben vedere, però, si tratta di attività strettamente legate all'identità universitaria. Sono, insomma, una specie di "terza gambà: che oggi viene sempre più riconosciuta e pertanto va progres­ sivamente ad affiancarsi a quelle tradizionali della didattica e della ricerca. Non è però solamente questo il motivo che giustifica lo svolgimento di attività di Terza Missione da parte delle università. Anzi, appare essere de­ cisamente più significativo il fatto che tali attività si inserivano all'interno di quel ruolo sociale che le università hanno sempre ricoperto. Tale ruolo però è stato sinora poco considerato e analizzato e pertanto può essere in­ teressante vedere le riflessioni che sono state sviluppate in un ambito che rappresenta una porzione limitata del mondo universitario: quello della ricerca sociologica. Qui già a partire dagli anni Cinquanta del Novecento il sociologo statunitense Charles Wright Milis

(1962)

ha sostenuto l'op­

portunità di dare vita a una vera e propria "sociologia pubblicà: cioè a una sociologia che fuoriesca dall'ambito strettamente scientifico e accademico per incidere pienamente all'interno del contesto culturale e sociale. Anzi, a suo avviso, tutta la sociologia dovrebbe riuscire ad assumere una natura pubblica. In seguito, anche altri sociologi hanno lavorato sull'ipotesi della sociologia pubblica, ma è interessante soprattutto considerare quello che, in anni recenti, è stato affermato da parte di Michael Burawoy

(2007)

e

cioè il tentativo di tale autore di mettere a punto una classificazione dei principali tipi di sociologia esistenti, ciascuno dei quali integra e completa gli altri. Si tratta della sociologia professionale, critica, di policy e pubblica. La prima - la sociologia professionale - è fondamentale perché si carat­ terizza per la sua capacità di elaborare metodi affidabili e sperimentati di ricerca, di accumulare conoscenze e di produrre interrogativi, teorie e sche­ mi concettuali di riferimento. La sociologia critica, invece, ha lo scopo di analizzare e valutare i programmi di ricerca che sono propri della sociologia professionale, mentre la sociologia di policy si mette solitamente al servizio di precisi obiettivi, di solito definiti da un committente che le propone dei problemi da risolvere. Come quest'ultima, anche la sociologia pubblica si

122

TERZA MISSIONE: MISURARE LA "TERZA GAMBA' DELL'UNIVERSITÀ

rivolge essenzialmente a un pubblico extra-accademico. Mentre la prima, però, fa ricorso a un sapere di tipo strumentale, la seconda utilizza piutto­ sto un approccio di tipo riflessivo. Burawoy cioè sostiene: «La sociologia critica è la coscienza della sociologia professionale così come la sociologia pubblica è la coscienza della sociologia di policy» ( ivi, p. 12 ) . Come la sociologia, anche l'università dovrebbe dunque trarre giova­ mento da una strategia mirante ad intensificare la sua funzione pubblica. D'altronde, come già previsto all'interno del modello formativo svilup­ pato a Berlino nel corso dell'Ottocento, l'università moderna dovrebbe avere tra i suoi principali compiti anche l'assunzione di un ruolo di tipo pubblico ( Readings, I996 ) . Non a caso Wilhelm von Humboldt, com'è noto, pensava che, grazie alla produzione di un sapere nuovo, originale e sviluppato criticamente, l'università potesse essere in grado di pervenire alla formazione di soggettività libere, autonome e sicure di sé. Vale a dire alla formazione di individui in grado di andare a costituire i ceti dirigenti della nazione. La progressiva estensione di una condizione di benessere socioeconomico a gran parte della popolazione ha naturalmente reso ana­ cronistica questa concezione elitaria del sistema universitario e del ruolo svolto da questo ali' interno della società. L'arrivo infatti della cosiddetta "università di massa'' ha notevolmente modificato il ruolo formativo svol­ to dall'università all'interno del sistema sociale. D'altro canto, nella socie­ tà si sono moltiplicati i centri di elaborazione della cultura e tra questi cer­ tamente ha assunto un ruolo sempre più importante il sistema dei media. Rimane valida però l'idea che la scienza e la cultura elaborate all'interno delle università siano in grado di fornire alla società delle importanti forme d'interpretazione della vita sociale, della politica e della storia. Senza tale funzione svolta dalle università un sistema sociale tende progressivamente ad indebolirsi e ad andare alla deriva. Un saggio monografico realizzato all'interno di una università, pertanto, può anche rappresentare una po­ tente forza di cambiamento della società. Non a caso l'evoluzione del pen­ siero scientifico, ma anche quella della cultura sociale, non hanno potuto fare a meno nella storia della modernità di questo importante strumento di elaborazione teorica. Si pensi inoltre a una questione come quella delle cosiddettefoke news, di cui si è discusso molto negli ultimi tempi, perché circolano abbondan­ temente nel sistema mediatico e nella cultura sociale ( Ferraris, 20I7 ) . Tali false informazioni possono essere contrastate soprattutto attraverso quel pensiero scientifico che viene coltivato all'interno delle università. In un'aula universitaria infatti, com'è noto, la menzogna non viene tollerata,

123

VANNI CODELUPPI

perché la scienza si basa su delle affermazioni che devono essere verificabili. Il docente, che è uno scienziato, non può permettersi pertanto di mentire.

È indiscutibile dunque il fatto che la società oggi abbia la necessità che le università ricoprano un ruolo di tipo pubblico. Perché rientra all'interno di tale ruolo anche la capacità di insegnare a utilizzare i dati e le informazio­ ni allo scopo di poter valutare efficacemente le ragioni di ciascun individuo. Non a caso Umberto Eco

(2010),

che aveva molto a cuore il destino del

sistema universitario, si è espresso con queste parole: Ho varie volte osservato che l'università rimane, coi suoi corsi e seminari migliori, l'unico luogo in cui si può ancora elaborare un sapere che si opponga al livella­ mento verso il basso prodotto dai mass media. I mass media possono essere in­ formativi per quanto riguarda i fatti ma non per quanto riguarda i concetti e le interpretazioni dei fatti. I mass media ci dicono (quando dicono il vero) che il tale è morto, che è caduto un aereo, che si è aperta una crisi governativa, ma sono incapaci di interpretare questi fenomeni. I mass media possono captare la notizia che in un certo laboratorio si studia una certa particella, ma non sono in grado di fornire un'interpretazione adeguata dell'evento. Nel campo dei fatti i mass me­ dia dicono quello che accade ora, ma nel campo delle interpretazioni dicono al massimo quello che era attendibile vent'anni fa. In questo scarto di vent'anni, si colloca la cultura prodotta dalle università, dove si discute qualcosa a cui i mass media non sono ancora arrivati. Quando vi saranno arrivati, l'università discuterà già o dovrà discutere di qualche cosa d'altro. Inoltre i mass media sono di memoria corta. Possono dedicare pagine e pagine, ore e ore di trasmissione, a un problema emergente, ma sono poi catturati dalla notizia successiva, e del primo problema si dimenticano, anche se continua a sussistere. L'università è ancora l'unico posto in cui, nel seminario adatto, si continuerà a studiare, senza clamori, ciò di cui i media si sono dimenticati.

Le università sono dunque necessariamente portate a sviluppare uno stretto legame con il contesto culturale e sociale in cui operano, ma ciò non deve comportare delle rigide limitazioni del loro operato. Ad esempio, subor­ dinando eccessivamente le proprie finalità a quelle del sistema economi­ co e produttivo. Infatti, come ha affermato con decisione qualche anno fa Jacques Derrida

(2001),

alle università non dovrebbero essere poste delle

condizioni. Vale a dire che, secondo il filosofo francese, le università non devono mai perdere di vista la loro esigenza fondamentale, che è quella di riuscire a tenere insieme l'insegnamento con la ricerca scientifica. Solo ciò può consentire loro di godere di quella libertà che rappresenta la loro ca­ ratteristica più specifica. E può anche permettere loro di perseguire quei tre fondamentali obiettivi che, secondo Juan Carlos De Martin

124

(2017 ) ,

è

TERZA MISSIONE: MISURARE LA "TERZA GAMBA' DELL'UNIVERSITÀ necessario che vengano tenuti sempre presenti da tutte le università odier­ ne, le quali devono perciò cercare di essere per la persona, per il sapere e per la società democratica.

2

La valutazione delle attività di Terza Missione

È noto come la questione della valutazione sia particolarmente complessa e problematica. D'altronde, la letteratura scientifica internazionale relativa a questo problema è molto vasta e non possiamo certamente pretendere di affrontarla esaurientemente in questa sede. È certo comunque che il proble­ ma della valutazione dev'essere considerato facente parte in maniera signi­ ficativa della cultura occidentale e in particolare del pensiero di tipo scienti­ fico. Va pertanto riconosciuto che, come ha sostenuto Angelo Turco

(20I7,

p. I7 ) , è evidente «che la valutazione è un'interpretazione e che il processo ermeneutico, pur nella sua natura aperta e nella sua vastità implicativa, non può ignorare - né tanto meno aggirare - i presìdi epistemologici che ne garantiscono la tenuta, la coerenza, la credibilità». Dunque la valutazione dev'essere considerata, come qualsiasi altra forma d'interpretazione, sog­ getta a dei limiti di varia natura che le derivano dal contesto culturale

e

sociale in cui si trova ad essere applicata ( Eco, I990 ) . Va riconosciuto inoltre che per il sistema universitario italiano è in atto da qualche anno un processo di cambiamento che presenta un carattere decisamente rivoluzionario. Un processo che s'interseca inevitabilmente con qualsiasi procedura di valutazione e può produrre dunque, durante il suo manifestarsi, delle conseguenze problematiche. Ad esempio, sembra prevalere oggi in maniera crescente la volontà di affidarsi nelle procedure di valutazione soprattutto a delle misurazioni di natura quantitativa. Tali misurazioni, indubbiamente, sono rassicuranti, ma i progressi della cono­ scenza e della cultura, com'è noto, possono essere solo in minima parte valutati attraverso delle misurazioni quantitative. Non a caso anche per il sistema universitario, come ha sostenuto Giuseppe De Nicolao (2012), «c'è un vasto consenso internazionale sull'impossibilità di ridurre a indicatori numerici le valutazioni individuali usate per il reclutamento e la carriera». Risulta evidente, inoltre, che oggi sorgono frequentemente delle distor­ sioni all'interno dei parametri che vengono utilizzati per le misurazioni di tipo quantitativo. Ciò comporta, ad esempio, che le università italiane stiano abbandonando quel modello di produzione culturale basato sulla

125

VANNI CODELUPPI

monografia scientifica che è stato a lungo centrale per esse. Le regole di va­ lutazione del lavoro di ricerca svolto dai docenti stabilite negli ultimi anni dal ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca e dall'ANVUR han­ no infatti progressivamente indebolito il valore attribuito alle monografie. Già oggi agli articoli pubblicati su riviste scientifiche classificate nella co­ siddetta "fascia A' viene attribuito un valore decisamente superiore rispetto alle monografie. Ma è evidente che tali articoli richiedono agli studiosi un lavoro molto inferiore rispetto a quello che è richiesto dalla realizzazione di una monografia. Un articolo infatti ha mediamente una lunghezza che corrisponde a circa un decimo delle pagine di un saggio monografico. Non consente pertanto di sviluppare un'analisi e un'argomentazione così appro­ fondite come quelle che caratterizzano tale saggio. Ciò non comporta che un saggio innovativo nel campo scientifico deb­ ba necessariamente essere corposo. Un testo come La moda del sociologo Georg Simmel

(2015) è lungo una cinquantina di pagine, eppure, dopo più

di un secolo dalla sua pubblicazione, costituisce ancora oggi il punto di riferimento fondamentale della riflessione teorica sulla moda. E un altro saggio che consta di un centinaio di pagine -Produzione di merci a mezzo di merci di Piero Sraffa

(1960)- ha rivoluzionato a sua volta nel Novecento la

concezione dominante all'interno della teoria economica. Quello che con­ ta è che l'autore di un saggio possa strutturare il suo lavoro con la massima libertà, per poter esprimere al meglio il suo pensiero. Invece, un articolo di una rivista scientifica impone al suo autore un livello di libertà decisamente basso, perché il suo contenuto dev'essere fatto rientrare all'interno di un formato internazionale che è stato da tempo rigidamente normato. Si per­ de pertanto anche quella capacità di dare spazio a un pensiero innovativo che un saggio scientifico può avere. Come ha scritto cioè il fùosofo Rober­ to Esposito

(2017, p. 81) sul settimanale "L'Espresso":

«Ve li immaginate,

per restare nel campo della fùosofia, Habermas e Derrida che cercano le riviste di fascia A per scrivere dodici articoletti?». Ve li immaginate cioè due giganti del pensiero come questi che rinunciano ad esprimere in una monografia la forza dirompente della loro innovativa capacità di riflessione per fare rientrare quest'ultima all'interno del restrittivo formato che carat­ terizza solitamente una rivista scientifica internazionale? La questione della progressiva scomparsa del modello della monografia dal nostro scenario culturale sembra interessare poco oggi, eppure è della massima importanza.

È vero che viviamo all'interno di una condizione so­

ciale che è dominata dalla comunicazione iperveloce del web, ma dobbiamo comunque chiederci se le attuali società possono permettersi di rinunciare a !2.6

TERZA MISSIONE: MISURARE LA "TERZA GAMBA' DELL'UNIVERSITÀ

quell'approfondimento e a quella riflessione che il modello del saggio con­ sente di sviluppare pienamente. Se possono cioè permettersi di convivere con un significativo indebolimento della loro capacità di produrre cultura. Ma la questione maggiormente rilevante in questa sede è quella di come si possa ottenere una soddisfacente misurazione dei risultati raggiunti nella società dalle attività di Terza Missione. Tali attività possono sicuramente essere quantificare, ma devono anche essere sottoposte a delle valutazioni di altro genere. D'altronde, va anche considerato che, se in generale si può dire che il particolare ruolo che viene solitamente svolto dalle università rende difficoltoso misurare l'operato a lungo termine di tali istituzioni formati­ ve, ciò vale a maggior ragione per le attività che sono rivolte alla società, le quali producono necessariamente degli effetti che si manifestano durante un consistente arco di tempo. Attualmente non abbiamo a disposizione per questo genere di valu­ tazione delle soluzioni che possano essere considerate pienamente soddi­ sfacenti e immediatamente operative.

È certo però che i metodi di misu­

razione che sono stati sviluppati e messi a punto dalle scienze sociali in diverse aree di funzionamento della società potrebbero essere utilizzati con soddisfazione. Si pensi, ad esempio, a quello che si sta facendo nell'ambito della misurazione del

PIL

delle nazioni, dove una misurazione puramente

quantitativa viene sempre più affiancata da nuovi sistemi di valutazione tesi a pesare nel loro complesso il livello di benessere, di soddisfazione e di qualità della vita raggiunto dalle persone.

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128

Università e Terza Missione: in guisa di conclusione di Pietro Mazzo la

Le considerazioni di seguito presentate si collocano, come richiesto, "in guisa di conclusione" degli interventi - numerosi, articolati e interessan­ ti - che sono stati presentati nella terza giornata di studio dedicata al tema delle "culture della valutazione': focalizzata in particolare sulla Terza Mis­ sione e sul suo ruolo nell'ambito dell'università. Anche tenuto conto delle riflessioni sviluppate nelle relazioni dei colle­ ghi che mi hanno preceduto, ho ritenuto di articolare le mie pur sintetiche considerazioni conclusive in quattro passaggi, necessariamente collegati tra loro: nel primo, ci si sofferma sulla relazione tra università e Terza Missione e sul ruolo di quest'ultima, quale emerso anche dalle relazioni sviluppate dai colleghi che mi hanno preceduto; nel secondo, si pone l'accento sull'e­ sistenza di rilevanti sinergie tra l'attività di Terza Missione e le altre due attività sviluppate dalle università, l'attività di ricerca e l'attività didattica; nella terza, si rileva l'opportunità, per le università, di definire una "serate­ già' per l'attività di Terza Missione; nel quarto, infine, si riflette sul ruolo e sul significato della valutazione dell'attività di Terza Missione e più in generale sul tema della valutazione nella vita dell'università.

I

L'Università e la Terza Missione I diversi contributi che sono stati presentati hanno, nel loro complesso, evo­

cato l'immagine dell'università come un'elica a tre pale, in grado di svolgere meglio la propria missione di propulsione culturale e scientifica all'interno della società solo nella misura in cui alle tradizionali attività di ricerca e di didattica viene affiancata anche quella della Terza Missione. Mi pare dunque che, sulla scorta di questa convergente indicazione, si possa rappresentare l'università in funzionamento come un sistema aperto 12.9

PIETRO MAZZOLA

che necessariamente trova la propria ragion d'essere nella capacità di opera­ re con successo su una serie di mercati e con una serie di interlocutori sociali. In questa rappresentazione: la

didattica costituisce la tradizionale attività attraverso la quale l'uni­

versità si posiziona nel sempre più internazionale mercato della formazio­ ne universitaria, offrendo i propri prodotti formativi ai soggetti potenzial­ mente intenzionati ad intraprendere gli studi universitari e a proseguirli ai vari livelli. La qualità della didattica e degli studenti accresce anche la capacità dell'università di attrarre risorse (umane e finanziarie ) , a loro volta potenzialmente utilizzabili per il rafforzamento e il miglioramento di que­ sta attività, oltre che delle altre; la ricerca costituisce anch'essa una primaria attività svolta dalle univer­ sità che proprio attraverso la ricerca svolta dalla propriaJaculty interagisce con le comunità scientifiche di riferimento, anch'esse oramai sempre meno caratterizzate dalla rilevanza dei confini nazionali, legittimando la capaci­ tà dell'università di partecipare al processo di sviluppo della conoscenza, nonché accrescendo la loro capacità di attrarre risorse (umane e finanziare ) impiegabili per rafforzare e potenziare questa attività, oltre che le altre; la

Terza Missione costituisce l'attività attraverso la quale le università

interloquiscono con una pluralità di altri rilevanti interlocutori sociali, partecipando ai dibattiti culturali della società di riferimento, divenendo parte attiva nel processo di diffusione dei risultati della ricerca scientifica, ponendo le basi affinché l'attività di ricerca possa produrre un impatto non solo nella comunità scientifica di riferimento, ma anche un impatto reale nella comunità tutta. La qualità dell'attività di Terza Missione ha anche un immediato effetto di ritorno per le università. Anzitutto, concorre a quali­ ficarle come istituzioni capaci non solo di produrre nuova conoscenza, ma anche di traferirla e di renderla fruibile ali' interno della società. In secondo luogo, le legittima quali operatori capaci di intervenire su questioni rilevan­ ti per la società di riferimento, offrendo un contributo alla loro soluzione. Ebbene, non vi è dubbio, mi pare, che questa qualifica e questa legittima­ zione possono contribuire a far convergere sul mondo universitario risorse, anche in questo caso, umane e finanziarie, idonee a rafforzare e migliorare lo sviluppo delle attività di Terza Missione, oltre che delle altre attività.

È

opportuno chiedersi, a questo punto, se questa rappresentazione

dell'università come di un'elica in cui si aggiunge una terza pala sia con­ divisibile o meno. A mio avviso, questa rappresentazione è condivisibile e, più ancora, convincente. Essa risulta infatti pienamente funzionale alla realizzazione della missione dell'università quale centro che produce cono-

UNIVERSITÀ E TERZA MISSIONE: IN GUISA DI CONCLUSIONE

scenza e la diffonde sul territorio, contribuendo così ad accrescere il capitale intellettuale e culturale della società in cui è inserita. L'attività didattica e l'attività di ricerca sono indispensabili per poter svolgere questo ruolo di creazione e diffusione della conoscenza; la recente enfasi sull'attività di Terza Missione risponde alla accresciuta consapevolezza che didattica e ricerca non possono ignorare le esigenze della società di riferimento, né quella di partecipare al miglioramento culturale ed economico di quest'ul­ tima. Non a caso, in alcuni paesi i criteri di valutazione della ricerca si sono recentemente evolutivi in modo da poter verificare anche il suo cosiddetto

rea! impact Jactor,

sottolineando così l'importanza di creare un fecondo

collegamento tra ricerca universitaria e mondo reale. Aggiungo, da ultimo, che l'attività didattica e l'attività di ricerca, in questi ultimi, anni sono state interessate da cambiamenti e stimoli rilevanti, tra i quali anche l'attività di valutazione periodica compiuta dall'ANVUR.In tal senso, mi pare essenziale che la Terza Missione venga vista come un'at­ tività che deve necessariamente svilupparsi tenendo conto del quadro di­ namico che ha interessato le altre due "pale dell'elicà', ossia innestandosi nell'attività didattica e di ricerca a cui le università stanno progressivamente tendendo proprio grazie agli interventi di cui sopra.

2

Le sinergie tra le attività di Terza Missione, l'attività di ricerca e l'attività didattica Ci si potrebbe chiedere se l'attività di Terza Missione sia un corpo estraneo e autonomo rispetto alle altre due attività sviluppate in ambito universita­ rio, ossia didattica e ricerca. Per quanto chiarito al punto precedente, è del tutto evidente che così non è e non può essere: lo sviluppo di un'efficace attività di Terza Missio­ ne deve necessariamente innestarsi e collegarsi sinergicamente con quello dell'attività di ricerca e dell'attività didattica. Vi sono evidenti sinergie tra Terza Missione e ricerca, dal momento che la prima in assenza della seconda rischia di perdere di efficacia, se non di significato. Lo sviluppo della Terza Missione si traduce nella valorizzazione e nel trasferimento della conoscenza, la quale deve fondarsi anzitutto sulla capacità di fare ricerca dell'università e della sua faculty. In questo senso, mi pare che la Terza Missione sia strutturalmente legata alla qualità della ricerca, alla capacità dell'università di essere un centro di eccellenza della

PIETRO MAZZOLA

ricerca, alla legittimazione, acquisita proprio attraverso l'attività di ricerca, a veicolare conoscenza. Naturalmente la buona ricerca è condizione necessaria, ma non suf­ ficiente allo sviluppo di un'efficace attività di Terza Missione. li trasferi­ mento alla società civile e alla comunità di riferimento presuppone poi anche la disponibilità e la capacità di rendere fruibili i risultati ottenuti e approfondire le più rilevanti implicazioni operative dei risultati della ri­ cerca scientifica, questi ultimi tipicamente solo accennati negli output a chiara connotazione scientifica. Spero di poter meglio chiarire il concetto con un esempio. Recentemente ho partecipato ad un convegno scientifico internazionale a cui si erano iscritti colleghi provenienti da diversi paesi ed interessati a presentare la propria attività di ricerca e a raccogliere utilijèed­

back in vista della successiva attività di pubblicazione. A questo convegno si era iscritto anche un imprenditore, interessato al tema a cui il convegno era dedicato. Dopo aver partecipato a numerose sessioni in cui venivano presentati i contributi di ricerca che erano stati selezionati per il convegno, l'imprenditore, in una seduta plenaria, ha lamentato la scarsa fruibilità di ciò che aveva ascoltato rispetto alle esigenze e ai problemi che ogni giorno si trovava ad affrontare. Naturalmente, con riguardo al caso specifico, si può facilmente osservare che i contributi, essendo stati pensati per un' audien­

ce molto specifica ( i.e. la comunità scientifica internazionale ) , risultavano inevitabilmente poco fruibili per chi apparteneva ad una comunità diver­ sa, come appunto l'imprenditore che era intervenuto. L'esempio consente tuttavia di comprendere la rilevanza del compito della Terza Missione: può esserci una distanza anche notevole tra i contributi di ricerca e i contributi che possono risultare immediatamente comprensibili e fruibili ai vari inter­ locutori che si interfacciano con il mondo universitario; si rende pertanto necessario, valorizzare in maniera appropriata gli output di ricerca renden­ doli, anche attraverso le competenze sviluppate nell'ambito dell'attività didattica, comprensibili e utilizzabili per una platea diversa e più ampia rispetto alla comunità scientifica internazionale. Aggiungo che la Terza Missione può anche offrire un maggior spazio agli approfondimenti di tematiche e questioni rilevanti in contesti spazio temporali limitati, inevitabilmente meno interessanti a livello internazio­ nale. In questo senso la Terza Missione offre spazi e opportunità di ricerca complementari a quelli propri dell'attività di ricerca di tipo internazionale. Ancora, è evidente come l'attività di Terza Missione possa offrire sti­ moli rilevanti per il miglioramento dell'attività di didattica e di ricerca. Nel primo caso, l'attività di Terza Missione può fornire un bagaglio di espe-

UNIVERSITÀ E TERZA MISSIONE: IN GUISA DI CONCLUSIONE

rienze e applicazioni concrete da cui attingere per rafforzare la qualità della didattica, per renderla più viva e più interessante per gli studenti. Nel secon­ do caso, l'attività di Terza Missione può portare a contatto con esigenze e problemi specifici che possono favorire l'avvio di nuovi progetti di ricerca o indirizzare l'interpretazione dei risultati emersi da progetti già avviati.

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La conseguente opportunità di definire una strategia per la Terza Missione Ci si potrebbe a questo punto chiedere se l'inclusione della Terza Missione nel modello di funzionamento delle università comporti l'opportunità di formulare una strategia anche per quest'ultima attività, così come tipica­ mente accade per le attività di ricerca e di didattica. Nuovamente a me pare, anche alla luce dei numerosi spunti che sono emersi nel corso della giornata, che la risposta non possa che essere positiva. Se l'attività di Terza Missione è un'attività strutturalmente necessaria per la piena realizzazione della missione dell'università, allora occorre concludere che anche per questa le università dovrebbero procedere allo sviluppo di una chiara strategia. L'esistenza di un chiaro indirizzo in tema di Terza Missione sembrereb­ be emergere anche dall'osservazione dell'esperienza di alcune università, in verità sempre più frequenti e diffuse sia a livello nazionale e che a livello internazionale, che sembrano aver creato strutture dedicate, allo scopo di valorizzare le esperienze e le iniziative di Terza Missione, in parte pianifica­ te, in parte emergenti. Ancora, l'esistenza di uno specifico indirizzo emerge osservando le scelte di comunicazione -ad esempio come risultanti dal sito delle diverse università -le quali non si limitano più ad enfatizzare i soli risultati dell'at­ tività didattica e dell'attività di ricerca, ma anche la capacità dell'università e dei suoi docenti di incidere nella vita reale e di partecipare ai più rilevanti dibattiti in corso nella società. In tutti questi casi, in buona sostanza, l'università sembrerebbe essersi resa parte attiva sia nel valorizzare le diverse iniziative poste in essere dai membri della suajà culty ed anche nel progettare azioni, strutture e investi­ menti dedicati a questa specifica attività. L'opportunità di sviluppare l'attività di Terza Missione nell'ambito di ben definite linee di indirizzo appare inoltre coerente con: la rilevanza che

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PIETRO MAZZOLA

tale attività potrebbe assumere nel legittimare l'università nella comunità di riferimento; il possibile contributo di tale attività nell'acquisizione di risorse finanziarie e umane; i sinergici collegamenti con l'attività didattica e di ricerca. Nello specifico l'università dovrebbe decidere se includere o meno nel­ la propria missione l'attività di Terza Missione. Nel secondo caso non vi è alcuna necessità di ulteriori interventi, mentre nel primo si rende necessario avviare, anzitutto, un censimento di quanto già viene fatto e di quanto si potrebbe fare anche sulla base delle iniziative dei vari individui; definire, successivamente, gli interlocutori con cui si vuole attivare un' interazione stabile, del tipo di impegno su cui ci si vuole concentrare, delle risorse che si vogliono investire in questa direzione e degli obiettivi che si intendono raggiungere.

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La valutazione deli' attività di Terza Missione Resta infine da affrontare, a chiusura di questo mio breve intervento, il tema della valutazione delle attività di Terza Missione. In via preliminare, mi sia consentito di osservare che il tema della valu­ tazione dell'attività sviluppata all'interno dell'università- di didattica, di ricerca e di Terza Missione- potenzialmente costituisce un importante sti­ molo per il miglioramento dell'università e per una più efficace ed efficien­ te realizzazione della sua missione. Naturalmente, per sfruttare appieno il potenziale di miglioramento derivante dall'utilizzo di sistemi di valutazio­ ne, è necessario non solo che tali sistemi siano correttamente progettati (nel senso di essere funzionali agli obiettivi di miglioramento che si vogliono perseguire e che si rendono necessari per effetto delle più ampie dinamiche a cui le università sono esposte), ma che gli stessi siano accompagnati da sistemi di incentivi e dalla messa a disposizione delle risorse necessarie per implementare i processi di miglioramento desiderati. Insomma, affinché un sistema di valutazione possa veramente fornire un contributo al migliora­ mento delle attività dell'università è necessario che quest'ultima incorpori i processi di valutazione nei propri meccanismi di funzionamento, con un

endorsement convinto e stabile. Con specifico riguardo alla Terza Missione, a me pare che la valutazio­ ne possa anzitutto facilitare la piena istituzionalizzazione di questa attivi­ tà all'interno del modello di funzionamento dell'università. Ad esempio, 134

UNIVERSITÀ E TERZA MISSIONE: IN GUISA DI CONCLUSIONE

dali' analisi dei criteri utilizzati per la costruzione dei ranking oggi più ac­ creditati e diffusi nel nostro paese, emerge come nessuno di questi consi­ deri o apprezzi l'attività di Terza Missione. Vengono invece considerate e valorizzate le performance dell'attività didattica e dell'attività di ricerca.

È chiaro che questa assenza possa ridurre, almeno temporaneamente, gli stimoli, per le università, ad investire in questa attività e a impegnarsi anche su questo fronte. È tuttavia ragionevole immaginare che a tale assenza verrà posto rimedio e che dunque le università debbano prepararsi ad essere valu­ tate anche con riguardo ai risultati ottenuti in questo campo. Ciò secondo le logiche e i criteri segnalati nei diversi interventi che hanno preceduto il mio. A questo proposito, mi limito a segnalare come l' individuazione dei criteri di valutazione di questa attività richiederà, con tutta probabilità, uno sforzo progettuale rilevante. Ciò, non solo per la varietà delle attività potenzialmente ricomprese nell'ambito della Terza Missione, ma anche per la mancanza di una best pratice - quantomeno nel mondo accademico - in questo campo. In questa fase, ossia nell'attesa della progressiva introduzione e messa a punto di meccanismi di valutazione efficaci per questo tipo di attività, le università potranno prepararsi a questa prossima valutazione potenziando questa attività e dotandosi di sistemi interni di valutazione. A tal fine, a mio parere, potrebbe esser utile l'inclusione di tale attività

nel perimetro del proprio piano strategico, definendo specifici obiettivi e assegnando risorse per la loro realizzazione. In assenza di meccanismi di incentivazione e di valutazione di tipo istituzionale, potrebbe infatti, risul­ tare meno probabile una riallocazione del tempo dei docenti a vantaggio dell'attività di Terza Missione e a svantaggio dell'attività didattico e/o di ricerca, ossia delle attività su cui gli attuali meccanismi di incentivazione e di valutazione richiamano l'attenzione dei docenti.

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Gli autori

LAYE CAMARA, P hD ,

geografo, è specialista di sviluppo e sostenibilità. Con­

sulente internazionale nei progetti di cooperazione (Unione Europea,

FAO,

Banca mondiale ) . Ricercatore presso l'Università IULM di Milano, dove inse­ gna Formazione e gestione dei valori territoriali, è attualmente responsabile della ricerca "La migrazione africana vista dagli africani: pratiche discorsive e costruzione degli immaginari", finanziata dall'Università IULM ed eseguita in collaborazione con Fondazione Università

IULM

e università africane e

italiane. Ha svolto numerose attività di ricerca e di gestione dei progetti in Africa. VANNI CODELUPPI IULM

è ordinario di Sociologia dei media presso l'Università

di Milano. Ha insegnato anche nelle università di Palermo, Urbino, Mo­

dena e Reggio Emilia. Ha ideato e diretto il master in Management del Made in Italy dell'Università

IULM

di Milano. Ha collaborato con numerosi gior­

nali e ha pubblicato più di trenta monografie, tra cui i recenti I media siamo

noi

(2014), Mi metto in vetrina (2015), Moda & Pubblicità (2016), Il divismo (2017 ) . Dirige le collane "Impresa, comunicazione, mercato" e "Comunicazio­

ne e società" dell'editore FrancoAngeli ed è membro del Comitato scientifico del Triennale Design Museum della Triennale di Milano. MASSIMO DE GIUSEPPE

presso l'Università

IULM

è professore associato di Storia contemporanea

di Milano. Tra i suoi volumi si ricordano: Giorgio

La Pira. Un sindaco e le vie della pace (2001); Oscar Romero. Storia, memoria, attualità

(2005); Messico I900-I9JO. Stato, chiesa, popoli indigeni (2007 ); La Rivoluzione messicana (2013) e L'altra America. I cattolici italiani e l'America latina. Da Mede/fin a Francesco (2017 ) ; con Guido Formigoni, Primo Maz­ z o/ari. Scritti sulla pace e sulla guerra (2010 ) ; con Isabel Campos, La cruz de mafz (2oii); con Hilda Iaparraguirre e Ana Mada Gonzalez, Otras miradas de las revoluciones mexicanas (2015). Dirige il Comitato scientifico del Mu137

GLI AUTORI

seo di Cupilco, Tabasco, è membro dell'Académia Mexicana de Historia y geografia e della redazione delle riviste "Contemporanea", "Modernism" e "Annali di storia dell'educazione e delle istituzioni scolastiche". GIUSEPPE DE NICOLAO, ROARS,

tra i fondatori di ROARS e membro dell'Associazione

è professore ordinario di Automatica presso la Facoltà di Ingegneria

dell'Università di Pavia, dove insegna Identificazione dei modelli e analisi dei dati. I suoi interessi scientifici includono i controlli automatici, la stima di mo­ delli matematici tramite analisi statistica dei dati, l'automazione nella produ­ zione dei semiconduttori, la modellistica in campo farmacologico e il pancreas artificiale. Su questi argomenti ha scritto più di 100 articoli pubblicati su riviste scientifiche peer reviewed ed è inventore di brevetti. PAOLO GIOVANNETT I

versità

IULM

insegna Letteratura italiana contemporanea all'Uni­

di Milano. Studioso di metrica e poesia italiana dall'Ottocento

ad oggi, si occupa anche di narratologia, di rapporti fra letteratura e media e di didattica della letteratura (con particolare riguardo alle questioni editoriali).

Il racconto (2012), Spettatori del romanzo (wrs) e La poesia italiana degli anni Duemila (2017 ) . I suoi ultimi libri sono:

è professore ordinario di Business Administration presso

PIETRO MAZZOLA

l'Università

IULM

e Adjunt Professional Professar presso il Dipartimento di

Accounting dell'Università Bocconi di Milano. Svolge da anni attività di ricer­ ca avente per oggetto la predisposizione dei piani industriali e la loro comu­ nicazione ai mercati finanziari. Ha partecipato in qualità di advisor alla ela­ borazione e alla valutazione del piano industriale di alcune società industriali e finanziarie e ha collaborato con Borsa Italiana S.p.A. nella predisposizione della Listing Guide sul Piano Industriale. ANGELO MIGLIETTA

è professore ordinario di Entrepreneurship and Inno­

vation e di Economia e management della cultura, presidente di Blue Hub, è prorettore alla ricerca, ali' innovazione e sviluppo e al fundraising presso

l'Università

IULM.

Studia i temi della finanza per l' innovazione e la politica

industriale a supporto delle industrie creative e culturali. Ha anche maturato un'esperienza professionale in materia di governance, come membro di board di importanti società quotate, in particolare nel settore finanziario/assicurati­ vo. È autore di oltre

100 pubblicazioni internazionali.

GLIAUTOR1

MARIO NEGRI è ordinario di Civiltà egee e rettore dell'Università IULM di Mi­ lano. Formatosi alla scuola milanese di Vittore Pisani, ha da subito individuato nella storia linguistica dell'area egea il focus del suo interesse scientifico. Dalla metà degli anni Novanta ha promosso il progetto d'interpretazione complessi­ va del corpus minoico, il cui esito maggiore sono i Testi minoici trascritti (1999), di cui è coautore. Accanto a questa attività eminentemente filologica, la curio­ sità scientifica dell'autore- coniugandosi con un'appassionata frequentazione in vivo del mare greco - si è incentrata sul tema della navigazione nel mondo antico, anche nel quadro di una (ri)lettura "storica" dell' Odissea. Negli ultimi anni ha individuato, fra i suoi orizzonti euristici, una serie di temi in buona par­ te interconnessi: da un lato i problemi con la navigazione oceanica, dall'altro i fondamenti geodetici e geografici che, a partire dalla prima riflessione nella filosofia ionica, hanno via via consentito di definire la forma e le dimensioni del mondo; dall'altro ancora, Dante e i suoi rapporti con le eredità scientifiche provenienti dal mondo antico.

ANNA NELAYEVA è ricercatrice, assistente alla didattica e project manager pres­ so lo IULM lnnovation Lab. È specializzata nello studio delle possibilità e delle dinamiche di innovazione nell'ambito della cultura e della formazione. Colla­ bora come ricercatrice con il Centro Studi Silvia Santagata di Torino.

EMANUELE MARIO PARISI insegna presso la IULM e al master congiunto LUISS/ SAA in materia di Fintech, lnnovation Management e Enterpreneurship. ln­ vestment Team Member di Anthemis UNICREDIT EV O, Head ofBusiness Plan­ ning per IULM Innovation Lab, lavora con diverse società pubbliche e private su temi di innovazione, digitalizzazione, corporate venturing e micro venturing.

RAFFAELLA QUADRI è direttore generale e capo di gabinetto del rettore dell'Università IULM dal 2010. Formatasi e conclusi gli studi al conserva­ torio Giuseppe Verdi di Milano, ha partecipato, rappresentando l'Italia, alla Biennale dei giovani artisti dell'Europa e del Mediterraneo a Lisbona

(1994). Da subito si è dedicata all'organizzazione di eventi culturali: il Co­ mune di Milano, infatti, dal 1993 al 1996 le ha affidato l'organizzazione di diverse rassegne culturali milanesi (a Villa Simonetta, Villa Scheibler e al Terzo Festival dell'Unione e dei Teatri d'Europa a Palazzo Reale). Ha pro­ seguito con la Fondazione Guido Cancelli come vicedirettore e poi come responsabile degli eventi speciali del FAI (Fondo ambiente italiano), per

II

anni, organizzando spettacoli con i più grandi artisti a livello internazionale (Riccardo Muti, KeithJarrett, Claudio Abbado, Mstislav Rostropovich, Lo-

139

GLI AUTORI

rin Maazel, Roberto Bolle e tanti altri ) in luoghi prestigiosi, quali, tra molti, il Teatro alla Scala, il Teatro San Carlo, il Colosseo, la Cattedrale di Monre­ ale, la Valle dei Templi di Agrigento, la Certosa di Pavia e Piazza San Marco a Venezia. In tutti gli eventi si è occupata della parte organizzativa e finan­ ziaria, del fundraising, della promozione/comunicazione e delle pubbliche relazioni. GIUSEPPE STIGLIANO

è Executive Director Europe in

AK

Q_A (wPP Group)

e

docente a contratto presso l'Università IULM e l'Università Cattolica del Sacro Cuore. In entrambi gli ambiti professionali si occupa di innovazione e di tra­ sformazione digitale. È Generai Manager di

IULM

Innovation Lab e autore di

numerosi saggi e articoli su Corporate Innovation, Business Strategy e Retail Marketing Innovation. professore ordinario di Geografia umana, è presidente della

ANGELO TURCO,

Fondazione Università IULM di Milano. Studia il processo di territorializzazio­ ne privilegiando i profùi configurativi e antologici della territorialità. È uno specialista della geografia africana. Tra i suoi ultimi libri: Geografie politiche

d'Aftica. Trame, spazi, narrazioni

(2015).

Nel quadro della riflessione

IULM

sulle culture della valutazione per Carocci editore ha curato i volumi Culture

della valutazione.

IULM

della valutazione 2. ti-

tra sistema nazionale e globalizzazione (2017) e Culture

IULM,

la didattica in questione

(2018)

nella serie "Transi­

" IULM .

V INCENZO ZARA

è professore ordinario di Biochimica presso l'Università del

Salento, di cui è attualmente rettore. La sua attività di ricerca, condotta in col­ laborazione con prestigiose istituzioni straniere, trova riscontro in circa

250

pubblicazioni scientifiche, in gran parte su qualificate riviste internazionali,

e

in 4 brevetti internazionali. In qualità di esperto sulle tematiche della riforma didattica universitaria, ha anche pubblicato vari volumi e articoli sull'argo­ mento. Tra i suoi lavori: Il sistema dei creditiformativi universitari

(2009 ) ; con

Emanuela Stefani, Dentro il labirinto. La sostenibilita dei corsi di studio alla luce

della recente normativa {DM IJ/Io e DMs o/Io)

(2011) e Istituzione, Attivazione

e Accreditamento dei Corsi di Studio - Novita introdotte da

AVA 2.0

e dal DM

9S7/20I6 (2017). EMMA ZAVARRONE,

docente di Statistica sociale presso l'Università

IULM,

è delegata del rettore per la Terza Missione. Si occupa di quantificazione del

capitale umano approfondendo gli aspetti legati alla transizione università-

GLI AUTORI

lavoro con costante attenzione alla misurazione delle esperta in

text analytics.

soft e digitai skills. È

Su questi argomenti è stata relatrice in conferenze

internazionali e ha pubblicato oltre cinquanta contributi in riviste scienti­ fiche peer reviewed. Literacy (2017).

Tra i suoi lavori recenti:

Latent Growth and Statistica!